La fisica dell'attrazione

di Sapphire_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ~ Di brutte sorprese e insulti ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ~ Di interrogazioni mancate e autobus puntuali ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ~ Di altre cene e vino rosso ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ~ Di incidenti e confessioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ~ Di proposte e piccole vendette ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ~ Di locali e tanti drink ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ~ Di rivelazioni e chiarimenti ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ~ Di appuntamenti e prese di coscienza ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ~ Di spese natalizie e recite improvvisate ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ~ Di chiacchiere ed ex molesti ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ~ Di ripetizioni e bugie svelate ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ~ Di litigi e pranzi imprevisti ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ~ Di gite scolastiche e tentativi di pace ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ~ Di San Valentino e disastri ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ~ Di ritardi e scenate ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ~ Di partenze e scivolate ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ~ Di scoperte e ascensori ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ~ Di rese e confessioni ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ~ Di problemi vecchi e nuovi ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ~ Di compleanni e imprevisti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ~ Di compleanni (ancora) e notti insonni ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ~ Di ricordi e decisioni ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitré ~ Di semi-normalità e problemi in vista ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ~ Di consapevolezze e decisioni ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ~ Di esami e ricordi ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ~ Di mare e rivelazioni ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ~ Di brutte sorprese e insulti ***


Sì, ho già una long romantica da finire.
Sì, è ferma da vari mesi.
No, questo non mi ferma dal pubblicare una nuova storia.
Spiego un paio di cose prima di lasciarvi alla lettura: ho già un’altra storia in corso che non aggiorno da un po’, come ho scritto poco sopra, ma ho sempre voluto cimentarmi nel tema trito e ritrito dell’amore tra il professore e la studentessa. Che ci posso fare, è sempre qualcosa che mi ha fatto sognare grazie al fascino del proibito. Ci sono varie originali su questo tema nel sito, ma ho voluto comunque proporre la mia versione con “La fisica dell’attrazione” (titolo pessimo, lo so, ma sono terribile a sceglierli).
Amelia e Alessandro sono i due protagonisti di questa storia – mi sono venuti prima i nomi della stessa, a dire il vero! Amelia mi è entrato in testa come un tarlo e non sono riuscita a darle un nome diverso, mentre Alessandro… beh, è il mio nome preferito! Sono ancora in fase di creazione nonostante abbia già in testa come voglio rendere la storia, però spero possiate amarli insieme a me.
Un solo appunto che mi sento di fare è per com’è scritta: il mio stile di solito è più prolisso e descrittivo, ma questa volta ho sperimentato un po’ e ho cercato di renderlo più dinamico e meno “lento”, spero che questa scelta non faccia sembrare la narrazione troppo rapida.
Detto questo non voglio aggiungere altro se non che ogni commento o parere è ben accetto!
Vi auguro una buona lettura!
Un abbraccio,
 
~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo uno
~
Di brutte sorprese e insulti
 
 
 
Diciamocelo, i professori, nella testa di ognuno di noi, sono come delle ombre che prendono vita soltanto nelle mura scolastiche e fuori, nella vita vera, cessano improvvisamente di esistere. Sì, ci sono ogni tanto degli sporadici incontri al supermercato – oddio, ho visto la prof di italiano compare degli assorbenti! Ma non era in menopausa, quella? – ma tutti gli studenti preferivano cancellare quei ricordi dolorosi e far finta che, fuori dalla scuola, i professori non esistessero.
Era quello che faceva anche Amelia, d’altronde.
Per questo, quando aprì la porta di casa propria per accogliere i cari amici di famiglia assenti da anni dall’Italia e si ritrovò di fronte il proprio insegnante di matematica e fisica, quasi svenne.
Dio, dimmi che è uno scherzo, pensò tragica.
E invece no, perché – scherzetto! – gli amici di famiglia di cui i suoi genitori tanto parlavano con toni calorosi avevano un figlio. E quel figlio era il suo professore.
«Amelia! Ma guardati, come sei cresciuta! Sei davvero bellissima!»
La ragazza ebbe bisogno di alcuni secondi prima di spostare lo sguardo scioccato dal proprio insegnante – il professor Angelis, che ricambiava sentitamente – sulla signora di una certa età che faceva capolino dietro di lui.
«Emh, io…»
Si sentiva come se fosse stata all’interrogazione.
«Tesoro, non rimanere sulla porta, falli entrare!» e la madre corse in suo aiuto, trascinandola via per un braccio e facendo entrare gli ospiti – un signore, la donna che le aveva fatto i complimenti e il suo professore.
Qualcuno mi svegli da questo incubo.
«Michele, da quanto tempo!» ed ecco anche suo padre, che andava ad accogliere il padre del suo professore – non riusciva a pensarla in maniera diversa – con un allegro sorriso, per poi abbracciarlo e dargli qualche pacca sulla spalla.
«Davide, ti trovo più in forma di quanto pensassi!» frase scherzosa e risata, ma Amelia rimaneva una statua di marmo.
«Serena è bella proprio come l’ultima volta che l’ho vista.» continuò quel Michele, in direzione di sua madre.
«Posso dire la stessa cosa te e Margherita.» rispose il padre.
Ah-ah, che divertente. Portatemi via, continuava a pensare Amelia perché, nonostante tutti gli sforzi, proprio non riusciva a spostare lo sguardo impietrito dal proprio professore, la cui espressione era una maschera di ghiaccio – aveva più espressioni anche quando la interrogava, soprattutto quando andava male e le faceva un sorriso che pareva più un ghigno di divertimento.
Sì, perché non solo lui era il suo professore, ma era anche il professore di matematica e fisica, le due materie odiate profondamente da Amelia, insegnate da una persona che più bastarda non poteva essere.
Ecco chi era Alessandro Angelis: bastardissimo professore di discipline scientifiche, temuto da tutto l’istituto, amante di note sul registro e gitarelle dal preside, perfido come pochi nel beccare proprio la domanda sull’argomento saltato dallo studente; tutto questo contenuto in un bellissimo involucro costituito da un metro e ottanta di fisico asciutto, capelli neri e occhi grigi, incastonati in un viso angelico che nascondeva il demonio in persona.
Fondamentalmente era il sogno erotico di studentesse, professoresse e anche alcuni studenti, in pratica chiunque ci parlasse si rendeva conto che piuttosto che starci assieme sarebbe stato meglio restare single a vita.
«Aspetta, ma tu non sei…?»
Eh, finalmente te ne sei accorta, mamma, pensò ironica Amelia. Perché ovviamente i suoi genitori lo conoscevano, ovviamente erano andati ai colloqui e ovviamente lui si era lamentato di lei.
C’erano troppe cose ovvie in tutto quello, tranne il motivo per cui il suo professore era anche il figlio di cari amici di famiglia.
«Sì, sono il professore di Amelia.»
E anche lui alla fine parlò – lei non aveva il coraggio di confermare quella sentenza di morte.
«Ma davvero?»
«Ma non credevo fossi ancora alle superiori!»
Michele e Margherita – che abbinamento di nomi – sembravano spiazzati e stupiti e ad Amelia venne confermato quello che già sapeva, ovvero di sembrare più grande di quanto non fosse.
Aveva solo diciotto anni e gliene davano sempre almeno venti!
«No. Ho diciotto anni.» si ritrovò a spiegare, parlando per la prima volta da quanto quei tipi erano arrivati.
«Sì, è una mia studentessa.» disse a sua volta Alessandro – oddio, era così strano pensarlo in quel modo! – lanciandole una vaga occhiata. Gli occhi grigi sembravano più metallici e freddi del solito – di sicuro non era granché contento di passarsi una cena con i suoi genitori e una sua alunna.
Amelia si schiarì la gola.
Avanti, non hai mai avuto troppi problemi a tenergli testa, tira fuori le palle anche questa volta, disse tra sé, ma anche nella sua testa il tono era piagnucoloso.
In effetti era sempre stata piuttosto bellicosa nei suoi confronti; insomma, era una testa di cazzo e la odiava e godeva a metterle due, e lei di certo non era il tipo che chinava la testa in certe situazioni. Non era una cima in matematica e fisica, questo era vero (anzi, diciamo che faceva proprio schifo), ma lui la odiava seriamene!
«Quant’è piccolo il mondo.» commentò e dentro la sua testa si diede uno schiaffo dopo che vide l’occhiata scettica del suo docente.
No, ma continua pure così Amelia, vai alla grande, sembri proprio intelligente, fece sarcastica.
I suoi genitori – avrebbe dovuto far loro un monumento, lo sapeva – la tirarono fuori da quell’impiccio, soprattutto perché erano a conoscenza del pessimo rapporto tra i due.
«Beh, in ogni caso oggi non siamo a scuola ma qui a casa per una bella riunione tra vecchi amici, quindi non pensiamo a queste sciocchezze!» fece con un bel sorriso la madre, e continuò a parlare di aperitivi e chissà cosa trascinando i due dentro, ma Amelia era rimasta ferma alla parola “sciocchezze”.
Sciocchezze? Ma stiamo scherzando?! Io domani me lo ritrovo a scuola quello lì, che mi interrogherà solo perché ha voglia di vedermi disperare sulla mia povera media, pensò tragica Amelia.
Nel giro di venti secondi rimase sola nell’atrio con il professore.
Si schiarì di nuovo la gola, nervosa.
«Sembra nervosa, Moretti.»
Ora lo picchio.
«No, sto alla grande.» mentì spudoratamente con un sorriso falso quanto una banconota da quindici euro.
«Lei dice? Perché ha la stessa espressione di quando la chiamo all’interrogazione e non è preparata.» disse con un ghigno l’uomo «Ovvero sempre.» aggiunse allargando il sorriso.
«L’ultima frase non credo fosse necessaria.» non riuscì a frenare la lingua «Ma, come ha detto mia madre, qua non siamo a scuola e siamo tra amici, giusto? Non c’è problema se ti do del tu e ti chiamo Alessandro, vero?» fece melliflua.
Qualcuno mi dia un colpo in testa, pensò. Era sempre così: la sua bocca parlava prima che potesse pensare seriamente a quello che stava dicendo e, se in certi casi questo sua “capacità” la salvava in corner, in quel caso stava solo rischiando il debito.
O magari anche una bocciatura, considerando come l’espressione di Alessandro si fece gelida; i suoi occhi si assottigliarono e la bocca divenne una linea orizzontale.
Non fece in tempo a ricevere una risposta.
«Amelia! Vieni qui, e porta anche Alessandro.» la richiamò la madre dal salotto.
Com’è che sa già il suo nome?, si domandò per un attimo, ma poi con ci diede più peso; sbuffò e con un gesto si scostò i ricci neri da davanti.
«Prego.» fece con un sorriso finto, scostandosi e facendo un cenno per farlo passare.
Lui fece un freddo sorriso.
«Prima le signorine.» disse facendo un cenno a sua volta.
Amelia strinse le labbra e non commentò; lo precedette nel salottino dove gli adulti – beh, anche Alessandro era un adulto, anche se faceva i dispetti come un bambino – si gustavano l’aperitivo. Dietro di lei percepiva la presenza del professore come sarebbe successo a un lebbroso con la morte.
«Tesoro, tutto bene? Ti vedo un po’ troppo silenziosa.»
Mamma, ti uccido, pensò con un’aria omicida Amelia. La donna la osservava con aria preoccupata mentre sorseggiava un bicchiere di prosecco; affianco a lei, Margherita la osservò.
«Cara, spero che non sia per la presenza di Alessandro.» commentò dispiaciuta la donna, scostandosi una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio.
La bocca era asciutta e per un attimo non riuscì a rispondere, ma poi sentì la mano del professore poggiarsi con delicatezza sulla sua schiena – ma che cazzo, stai lontano! – e la sua presenza affianco a lei.
«Oh, non preoccupatevi per quello. Stavamo proprio dicendo che siamo fuori dalla scuola, non avrebbe senso mantenere una certa formalità in una situazione del genere.» fece innocente, guadagnandosi dei sorrisi dalle due donne e un’occhiata omicida dalla ragazza.
Amelia decise di ignorarlo e andò avanti decisa, prendendo il bicchiere di prosecco che le era stato preparato.
Ho più bisogno dell’intera bottiglia che di un bicchiere per sopportare questa serata, pensò tragica.
Si chiuse nella propria bolla di isolamento mentre gli adulti – e questa volta era compreso anche Alessandro – parlavano tra di loro di argomenti non di suo interesse. Approfittò di quel momento per afferrare il cellulare e iniziare a scrivere come una forsennata.
Daniele. Ho bisogno di aiuto.
Passarono solo pochi secondi prima che ricevesse una risposta.
Dimmi tutto.
Angelis è a casa mia.
Non dovette specificare il nome, né cosa insegnava, né che stesse parlando del proprio professore. Il suo migliore amico comprese immediatamente perché la risposta fu solo un grandissimo:
COSA. Dimmi che stai scherzando.
Vorrei poterlo fare…
Oddio. Oddio. Amelia stai calma. Perché è a casa tua?
Spese pochi secondi a spiegare la situazione per bene.
Ti ricordi che ti avevo parlato della cena con dei vecchi amici di famiglia che mancavano da tanto tempo dall’Italia? Ecco, hanno un figlio che lavora qui in città e a quanto pare è proprio Angelis. Ti giuro che come ho aperto la porta credevo di svenire.
La risposta le arrivò dopo poco, ma non fece in tempo a leggerla né tantomeno a rispondere dato che fu richiamata all’attenzione dal padre.
«Tesoro, non stare incollata a quel telefono.» la rimproverò dolcemente l’uomo.
Amelia alzò lo sguardo e fu sicura che, se si fosse guardata allo specchio, avrebbe riconosciuto la sua faccia da “cerbiatto colto dai fari di una macchina”. Non fece in tempo a rispondere.
«Questo è un problema di Amelia, in effetti… Si distrae spesso anche in classe.»
E mentre Amelia pensava a un modo per uccidere il proprio professore e farla franca – veleno nel cibo? Incidente per le scale? – Margherita intervenne come un “Deus ex machina”.
«Dimmi, cara, a che anno sei?»
Evidentemente la donna doveva essere cosciente della stronzaggine del figlio se aveva deciso di distrarre la conversazione in lidi più sicuri – più o meno, dato che riguardava sempre la scuola.
«All’ultimo.» rispose cortese e con un sorriso appena accennato. In sottofondo sentiva le chiacchiere del padre e di Michele che avevano ripreso a parlare di fatti propri.
«Che scuola?» continuò educata, e ad Amelia venne il dubbio che non si ricordasse nemmeno la scuola in cui il figlio lavorava.
«Istituto linguistico.» rispose però, facendo finta di nulla.
«Oh! Lingue, quindi. Quali studi?»
«Inglese, francese e tedesco.»
«Tedesco? Sai che anche Alessandro lo conosce bene? Ha vissuto con noi a Berlino per parecchi anni.» disse la donna con un sorriso.
Amelia lanciò un’occhiata al proprio professore e lo vide alzare gli occhi al cielo – non voleva condividere informazioni personali con un’alunna?
«Non lo sapevo.» si ritrovò a rispondere.
«Hai già qualche idea per l’università?»
Mi sembrava strano che nessuno mi avesse ancora fatto questa domanda oggi, pensò ironica. Ormai era la domanda che tutti le proponevano ogni volta che affermava di essere all’ultimo anno di liceo.
«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Alessandro!» lo richiamò la madre dopo aver notato come Amelia fosse sbiancata.
L’uomo prese l’ultimo sorso del proprio bicchiere.
«Sì?»
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
La madre, che aveva appena preso un sorso dal proprio bicchiere, iniziò a tossire quando si rese conto che la figlia aveva appena dato dello stronzo al proprio professore. Amelia sorrideva melliflua e guardò il proprio docente che la fissava con aria gelida – e forse anche stupita dal fatto che avesse davvero avuto il coraggio di dargli dello stronzo.
D’altro canto, nella propria testa, Amelia si preparava un cappio per impiccarsi.
Ciao ciao promozione.
«Quello che Amelia voleva dire…» iniziò Serena mentre lanciava occhiate omicide alla figlia cercando di non essere vista.
«…è che sono uno stronzo senza cuore. Lo so.» concluse Alessandro.
«Non ho detto questo!» protestò Amelia, improvvisamente resasi conto di ciò che aveva detto.
«Ma l’hai pensato.»
«Sì. Cioè, no!»
Merda.
«Che ne dite di iniziare la cena?» cambiò radicalmente il discorso la madre, cosciente che da lì non ne sarebbero usciti; conosceva la figlia e di conseguenza anche della sua particolare dote “prima parlo e poi penso”. Non aspettò che qualcuno rispondesse: precedette tutti verso la sala da pranzo venendo ovviamente seguita.
Amelia si attardò giusto un attimo presa dal cellulare e lesse la risposta di Daniele.
Cazzo, ma quante probabilità c’erano? Sei sfigata, lasciatelo dire.
Amelia ignorò alla grande quelle parole e scrisse;
Ho appena dato dello stronzo senza cuore ad Angelis.
Invio. Si morse un labbro frenetica mentre aspettava la risposta, lanciando di tanto in tanto occhiate ai cinque che, poteva vedere, si stavano già sedendo a tavola. Una vibrazione e corse a leggere il nuovo messaggio.
…che fiori vuoi sulla tua tomba?
Amelia fece una smorfia.
Grazie del sostegno.
Inviò il messaggio in fretta e poi mise il telefono in tasca, correndo verso la sala da pranzo.
Tutti erano già seduti e si accorse con orrore come l’unico posto rimasto libero – ovvero il suo – era esattamente di fronte al professore. Si trascinò lentamente e come una condannata a morte verso la sedia, spostandola rumorosamente e sedendosi.
Alzò gli occhi e, di fronte a lei, Alessandro la fissava con uno strano sorrisetto divertito.
Questa sarà una lunga serata…
 
E, in effetti, fu una lunghissima serata.
Se Amelia, dopo l’ultima uscita in cui aveva insultato il proprio docente senza porsi troppi problemi, cercava di stare il più zitta possibile, Alessandro pareva volersi vendicare e ci stava anche riuscendo.
«…sì, beh, Amelia è sempre stata una ragazza molto schietta.» terminò Davide, facendo un cenno verso la figlia e riportandola sulla terra – qual era il discorso, a proposito?
«Ho avuto modo di rendermene conto in diverse occasioni.» rispose Alessandro sorseggiando il proprio bicchiere di vino rosso e lanciando un’occhiata ad Amelia.
Amelia sbuffò.
«Quello che ho detto prima non era rivolto a te.» rispose sforzandosi di sorridere e risultare credibile.
«Ah, e allora a chi?» chiese il professore.
«Era un discorso in generale!» sbottò la giovane e poggiò con malagrazia le posate sul tavolo, ricevendo in questo modo un’occhiataccia da parte della madre.
«Non avete anche voi sentito il telefono squillare?»
Con queste parole, Amelia fece un falsissimo sorriso e si alzò dalla sedia, per poi uscire dalla sala da pranzo senza attendere una risposta – che sarebbe stata superflua in quel caso, dato che non aveva suonato proprio nessun telefono.
Si diresse in salotto e sprofondò sul divano, passandosi le mani tra i capelli e mettendo in disordine i riccioli neri; stava per prendere il telefono se qualcuno non le avesse parlato in quel momento,
«Stanca?»
Sobbalzò all’improvviso e si voltò: di fronte a lei, Alessandro la osservava con uno sguardo scanzonato.
«Sto alla grande.» rispose.
Ma quanto poteva essere assurda quella situazione? Era lì, nel proprio salotto, immersa nel divano, e chiacchierava – beh, chiacchierare era una parola grossa – con il professore che più odiava e che più la detestava.
Anche se, doveva ammetterlo, era davvero troppo bello per sembrare vero.
«Il tuo libro sembra non pensarla allo stesso modo.» disse l’uomo facendo cenno al libro che, schiacciato sotto la ragazza, sbucava appena tutto spiegazzato.
Amelia fece un salto spaventata e afferrò il libro sotto di lei. Era quello di fisica, abbandonato lì da quel pomeriggio dopo ore e ore di tentativi di studio – tentativi perché, chissà come, aveva scoperto che fissarlo intensamente non aveva fatto sì che la conoscenza le venisse infusa nel cervello come invece sperava.
«Com’è rovinato… Ci devi passare davvero tanto tempo assieme.» fece sarcastico l’uomo, notando come il libro fosse spiegazzato. Lo afferrò dalle mani della ragazza e lo sfogliò: togliendo le evidenti pieghe date da come la mora ci fosse seduta sopra, era praticamente intonso.
«O forse no.» considerò fintamente sovrappensiero.
«Cosa vuoi?» fece all’improvviso Amelia, con un tono secco che stupì anche lei.
Alessandro la osservò attento.
«Dovrei volere qualcosa?» chiese con finta aria ingenua.
«Altrimenti perché saresti qui?» disse Amelia, incrociando le braccia sulla difensiva.
«Cosa intendi? Sono qui perché i tuoi genitori mi hanno invitato a cena.»
Amelia. Respira. Non farti prendere da un attacco isterico, pensò la mora, cercando di credere davvero in quello che pensava.
«Dico qui in salotto invece che in sala da pranzo.» si costrinse a spiegare, evitando di aggiungere anche “schifoso deficiente”. Non credeva che potesse essere utile.
«Forse dovrei chiederti scusa.»
Cosa?
«Eh?» disse, sembrando molto intelligente.
«Allora non è che ti distrai, sei proprio così di tuo.» considerò stupito l’uomo.
Amelia lo guardò male.
«Non mi stavi facendo delle scuse?» recuperò in fretta. Alessandro si lasciò scappare una smorfia ma ridivenne velocemente impassibile.
«Mi sono solo reso conto che potrei aver esagerato, poco fa, a cena.» ammise, per poi fare come se fosse a casa a propria e sedersi sul divano affianco a lei con nonchalance.
Amelia stava per chiedergli chi gli avesse dato il permesso di farlo, ma poi decise di non gettare altra benzina sul fuoco; pareva proprio che il professore le stesse proponendo una tregua – forse pensava che, così facendo, Amelia non lo avrebbe tormentato per tutto l’anno? Aveva comunque lui il coltello dalla parte del manico – e chi era lei per rifiutarla? Aveva già il debito in entrambe le materie – sia per le sue performance scolastiche che per le altre – forse era il caso di non rischiare la bocciatura.
In quel momento, seduta affianco a lui, si rese conto del proprio atteggiamento da quando se lo era ritrovato di fronte alla porta insieme ai genitori: era stata poco educata, aveva risposto in un pessimo tono al proprio docente – anche se in quel frangente non poteva considerarlo davvero tale – e Alessandro, d’altronde, era comunque più grande di lei, indi per cui doveva mostrargli maggiore rispetto.
Solo che mi fa uscire di testa quando lo vedo assumere quell’atteggiamento borioso e bastardo, e di certo lui non ha fatto granché per evitare certe frasi, pensò insofferente.
Però doveva spezzare una lancia in suo favore: da brava persona matura, si era reso conto di aver esagerato ed era venuto da lei per chiederle scusa.
Il minimo che poteva fare era ricambiare, no?
«Le devo delle scuse anche io. Non sono stata una perfetta padrona di casa, lo ammetto, e mi sono fatta influenzare dal non proprio ottimo rapporto che ho con lei.» disse a voce un po’ più bassa di quanto non dovesse.
Di fronte a lei, l’uomo inarcò un sopracciglio.
«Mi stai dando di nuovo del lei?» chiese, ma non la lasciò rispondere «Non scherzavo prima, quando ti ho detto che avevi ragione. Non siamo a scuola e non ci siamo nemmeno incontrati per caso in un supermercato. I nostri genitori si conoscono e io sono a cena da te, mantenere un certo tipo di formalità non avrebbe senso e credo che sarebbe anche più imbarazzante; quindi, per favore, dammi del tu.»
Amelia lo guardò più sorpresa di quanto avrebbe voluto mostrare e l’uomo lo notò, perché sbuffò e continuò a parlare.
«Anche se so che voi mi considerate un mostro – per carità, non dico che non mi piaccia questa cosa o che io non alimenti la vostra idea – non sono così terribile come posso sembrare.» fece una pausa, un poco sovrappensiero «O almeno, non sempre.» aggiunse.
Amelia tacque ancora, poi si costrinse a dire qualcosa – anche se avrebbe voluto solo fuggire da quella situazione così assurda.
«Emh… Sì, beh, hai ragione. Allora possiamo tornare di là e stare tranquilli, no?» Scema, frase migliore no, eh? «Insomma, passiamo la serata insieme ai nostri genitori e poi, quando ci vedremo a scuola, come se nulla fosse successo, giusto?»
Alessandro la fissò impassibile e in silenzio per un po’, tanto che Amelia ebbe voglia di alzarsi, scuoterlo per le spalle e urlargli “dimmi qualcosa!”.
«Ovviamente. Non credere che, solo perché i nostri genitori si conoscono, smetterò di rifilarti due appena ne ho l’occasione.» e ghignò.
Se per un attimo, un minuscolo e infinitesimale attimo, Amelia aveva anche solo pensato che forse era migliore e più umano di quanto non sembrasse, in un attimo tutto crollò e si ritrovò a odiarlo come all’inizio.
«Non ne dubitavo.» rispose sarcastica e senza attendere si alzò, precedendolo in sala da pranzo.
«Ti conviene muoverti, o mi mangerò anche l’ultima fetta di torta.» gli disse prima di sparire, non sentendo così lo sbuffo dell’altro che borbottava.
«Che ragazzina.»

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Capitolo 2
*** Capitolo due ~ Di interrogazioni mancate e autobus puntuali ***


Eccomi qui dopo una sola settimana!
Questo capitolo era pronto da vari giorni, ma ho preferito aspettare comunque un po’ di tempo per una sistemata – anche se qualcosa mi dice che alcuni errori mi saranno sfuggiti di sicuro, in quel caso spero che voi possiate farmeli notare.
Ho notato con piacere che il primo capitolo è piaciuto abbastanza, spero che sia così anche per questo e per i prossimi (che sono già scritti fino al quinto, per ora).
Volevo dire un paio di cose prima di lasciarvi alla lettura: so che ci sono alcune situazioni che potrebbero far pensare “eh, ma sono poco probabili” e sono d’accordo con voi, ma la storia è a prescindere poco probabile – insomma, non è esattamente frequente che un professore e una studentessa inizino una relazione segreta. Per questo vi chiedo di comprendere alcune situazioni, anche se non esattamente “normali (e questo lo dico in seguito a un commento di una recensione).
Detto questo, vi lascio al prossimo capitolo e spero vi piaccia anche più del primo, buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo due
~
Di interrogazioni mancate e autobus puntuali
 
 
 
«Ora tu mi racconti tutto. E quando dico tutto, intendo proprio ogni singolo dettaglio. Sono stato chiaro?»
Di fronte a lei, Daniele Longobardi la fissava impaziente spalancando il più possibile gli occhi così celesti che Amelia, per un attimo, si ritrovò accecata.
«Ti prego, Daniele, fammi almeno togliere il giubbotto.» bofonchiò lasciando cadere con un gesto la borsa per terra, che fece un preoccupante suono sordo, e crollando sulla sedia di fronte al proprio banco.
Si lasciò andare a uno sbadiglio e si costrinse a non stiracchiarsi, almeno per non essere troppo indecente; aveva voglia di stropicciarsi gli occhi, ma aveva dovuto abbondare di correttore quella mattina per coprire le occhiaie e voleva evitare di rovinare troppo il risultato.
«Sembri stanca.» commentò il suo amico, per un attimo dimentico della domanda che aveva posto impaziente; Amelia si girò a guardarlo e lo trovò con un gomito appoggiato al banco, mentre si teneva la testa cosparsa di riccioli castani con una mano.
«Non sembro. Lo sono.»
«Come mai?»
Un altro sbadiglio.
«Dopo essermi addormentata mi sono svegliata alle quattro del mattino e non sono più riuscita a prendere sonno.» spiegò.
Daniele corrugò la fronte.
«Brutti sogni?» chiese.
«No, ma ho iniziato a pensare alla figura di merda fatta con Angelis.»
Perché ovviamente, appena il professore aveva varcato l’uscio di casa per andarsene, era subito tornato Angelis e non più Alessandro.
Daniele si illuminò come un albero di Natale.
«Devi parlarmi proprio di questo!» fece con un sorriso curioso.
Amelia chiuse gli occhi, sempre più stanca.
«Non c’è molto da raccontare, a dire il vero.» borbottò, per poi far crollare la testa sul banco. I riccioli neri le si aprirono intorno come una cupa aureola.
«Non è vero, è solo che non hai voglia di raccontare.» l’accusò l’amico.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, non rispondendo. Ma in fondo, “chi tace acconsente”.
«Cosa vuoi sapere?» chiese solo.
«Tutto.» rispose candido l’amico.
Amelia buttò un occhio al proprio cellulare: erano le otto e quindici, a e trenta sarebbero iniziate le lezioni e la professoressa di tedesco ancora non si vedeva. Poteva farcela.
«Allora…»
 
Era la ricreazione e, dopo aver passato tre ore di agonia – le prime due di tedesco e la terza di italiano – Amelia poteva finalmente gustarsi una meritata pausa e un ancor più meritato caffè. Più il suo solito Mars preso alle macchinette.
«Avrei troppo voluto esserci.» considerò Daniele affianco a lei, appoggiato alla finestra per lasciarle lo spazio sul termosifone.
«Fidati, è stato terribile.»
Dopo tutto il racconto prima della lezione di tedesco, Daniele era fondamentalmente scoppiato a ridere in preda a quelle che avevano le sembianze di convulsioni e poi, con le lacrime agli occhi e senza alcuna pietà per la propria amica, le aveva detto che avrebbe voluto esserci per filmare tutta la scena e riguardarla quando era triste.
«Per te di sicuro. Io avrei solo riso un sacco.»
«Non credere, avrebbe preso di mira anche te!» esclamò Amelia, lanciandogli un’occhiataccia e dando un morso alla propria merenda, ignorando la coscienza che le chiedeva di pensare ai futuri brufoli.
«Non quanto te, credo. Io non ho la media del due.»
E Daniele aveva ragione: a differenza sua lui era riuscito, seppur faticosamente, a raggiungere la media del 6.5 che, il giovane sperava, fosse arrotondata a sette.
«A proposito, oggi sbaglio o ha detto che interrogava? Hai ripassato?»
Amelia impallidì.
«Merda!»
Daniele rise.
«Qualcosa mi dice che ti chiamerà, sai? Soprattutto dopo quella frase, quel “stronzo senza cuore” di ieri.» continuò tra le risate.
Amelia terminò in un solo sorso il caffè, rischiando di ustionarsi la lingua.
«Devo andare a ripassare.» disse solo, per finire in un solo morso anche il proprio cioccolato e precipitarsi verso la propria aula – mancava ancora più di metà ricreazione, forse qualcosina riusciva a farla.
Purtroppo, con la solita grazia di cui era dotata, riuscì a inciampare e a sbattere contro qualcuno che veniva in quella direzione. Alzò la testa e impallidì.
«Ehi, Amelia! Ti sei fatta male?»
Stefano Martini la guardò preoccupato dall’alto del suo metro e ottanta e qualcosa – non a caso era uno dei migliori a pallacanestro – gli occhi castani che la fissavano. Una mano la teneva per il braccio, cosa particolarmente utile dato che sentiva di starsi per sciogliere da un momento all’altro.
«Stefano.» si ritrovò a dire la mora, incapace di aggiungere altro.
«…Amelia?» continuò il ragazzo.
Ma ti faccio proprio schifo, eh, fortuna?
Perché non era mezzo crollata e non stava facendo la figura dell’idiota incapace di parlare di fronte a una persona qualunque, no, lo stava facendo di fronte a quella che era la sua cotta da più di un anno!
O forse… Forse è la mia occasione per parlarci!, pensò.
Purtroppo ebbe a malapena il tempo di mettersi di nuovo dritta e aprire la bocca, perché qualcun altro intervenne.
«Sapete che stare fermi in mezzo al corridoio può essere causa di disturbo per gli altri che camminano?»
E te pareva che non compariva la testa di cazzo!
Amelia si girò lugubre, l’odio negli occhi scuri che spiccavano ancora di più grazie all’uso del mascara, e fissò professor Angelis che la fissava indifferente.
«Ci scusi, prof!»
Stefano le lasciò andare all’istante il braccio, spostandosi per farlo passare, ma Amelia non perse occasione per parlare – perché mordersi la lingua e tacere invece che parlare e far incazzare colui che avrebbe potuto interrogarla dopo dieci minuti?
«Mi pare che il corridoio sia abbastanza grande per poterci fermare a chiacchierare senza arrecarle disturbo, professore.» rispose tagliente, concentrata sul lanciargli sguardi di odio e per questo non notando l’occhiata scioccata di Stefano a quelle parole. Calcò inoltre particolarmente sulla parola “professore”, come a distinguere quel momento da quelli della sera prima.
Alessandro la fissò in silenzio, poi fece un blando sorriso.
«Forse, invece che chiacchierare, le farebbe bene ripassare. Potrei chiamarla fra poco.» disse in un tono minaccioso.
Non le diede il tempo di rispondere: superò lei e Stefano e si diresse verso la porta della classe, sparendo in un attimo.
«Sei fuori di testa.»
Amelia alzò di scatto lo sguardo verso Stefano, che si era lasciato sfuggire quella frase quasi sovrappensiero; se ne rese subito conto e spostò lo sguardo, in imbarazzo.
«Scusa, non intendevo sul serio. Stai più attenta le prossime volte, potresti farti male.» disse in fretta il ragazzo, a disagio, e dopo aver borbottato un “ciao” veloce, corse via.
Un braccio le si avvolse intorno alle spalle mentre sentiva gli occhi offuscarsi dalle lacrime.
«Dai, non è successo nulla.»
La voce confortante di Daniele la risvegliò.
«No, tranne per il fatto che il ragazzo per cui ho una cotta tremenda mi ha dato della fuori di testa e che Angelis mi sta per chiamare per un’interrogazione in cui prenderò l’ennesimo due.» rispose acida.
Sbatté un paio di volte le palpebre, cercando di ricacciare indietro le lacrime di frustrazione, e corse in aula senza attendere Daniele – che sapeva l’avrebbe seguita per cercare di consolarla, come faceva sempre.
Ignorò su tutta la linea Angelis che, seduto sulla cattedra, annotava qualcosa sul registro, e prese posto sul proprio banco scambiando giusto un cenno con Anna, l’unica con cui veramente parlava in classe ma che in quel momento era troppo presa dal ripasso di fisica.
Lei almeno ci prova, pensò abbattuta la mora.
Lei riuscì solo a prendere il libro e a sfogliarlo un paio di volte, prima di capire che non ne avrebbe cavato piedi. E la campanella arrivò come una sentenza di morte.
Dopo un primo minuto in cui il professore attese che tutti prendessero posto, alzò lo sguardo dal registro e guardò i vari studenti. Amelia non alzò la testa, troppo concentrata sulla terribile figura fatta con Stefano – non cercava più di memorizzare qualche formula all’ultimo secondo, nel vano tentativo di salvare una situazione insalvabile.
«Oggi interroghiamo.»
Sentì Angelis che firmava con quella frase la sua dipartita e il silenzio si fece ancora più pesante – Amelia sapeva che tra i suoi compagni ci si scambiava occhiate di solidarietà mista a terrore, ma a lei non importava granché quel giorno: già sapeva che sarebbe stata chiamata, quindi perché prendersi il disturbo?
«Allora, oggi è…» iniziò il professore.
Seriamente? Allora vuole proprio fare il bastardo, considerò. Era il tredici, e lei era proprio la tredicesima dell’appello.
Ci furono però alcuni secondi di silenzio di troppo.
«Ma perché usare il giorno? Troppo banale. Apriamo a caso il libro, invece.»
La ragazza non poté impedirsi di sollevare la testa di scatto: di fronte a lei, Angelis prese un libro e aprì una pagina a caso.
«Centodiciannove. Due più nove, undici, Loretti. Nove meno due, sette, Fasaro. E infine… nove per due, diciotto: Santini.» disse.
I vari compagni di classe si girarono verso i disgraziati che avevano avuto la sfortuna di uscire come risultato ai calcoli del professore. Amelia però non li guardò – anche perché conosceva bene l’espressione che avrebbe trovato sui loro visi – e guardò Angelis.
L’uomo scribacchiava qualcosa sulla propria agenda, poi per un attimo alzò gli occhi e incrociò quelli di Amelia. Fu solo un’occhiata in cui lui rimase indifferente e la giovane arrossì senza rendersene conto.
Nella sua testa, si chiese se il professore avesse apposta evitato di chiamarla – ma per quale motivo l’avrebbe dovuto fare? – poi però una voce nella sua testa le diede dell’idiota egocentrica.
Beh, meglio così, pensò solo, e spostando in fretta lo sguardo poggiò la testa sul banco, preparandosi a quella lenta ora di interrogazione.
 
«Corri via?»
Amelia alzò lo sguardo verso Daniele che la fissava.
«Sì, devo prendere il bus, vado a pranzo da Nicole.» spiegò mentre in fretta e furia rimetteva il libro di storia in borsa – in quel modo nel manuale si formò una piega ma la giovane non ci fece caso e, comunque fosse, non le importava granché.
«Oh, pensavo che avremmo fatto un pezzo assieme oggi.» disse un po’ triste il ragazzo.
«Mi spiace.» rispose la mora «Il motorino è ancora a riparare?» chiese poi.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
«Sì, è una tortura non potermi muovere come voglio.» bofonchiò.
Amelia rise.
«Dai, non mancherà molto ormai, no?»
«La prossima settimana.» disse solo l’altro.
La ragazza annuì.
«Beh, finalmente. Ero già stanca di tornare a casa a piedi.»
«Stronza approfittatrice!»
Amelia rise e sfuggì appena in tempo alla penna che le lanciò il ragazzo, per poi schioccargli un bacio sulla guancia.
«Mi adori comunque. Ci sentiamo più tardi!» gli disse e corse via dall’aula senza attendere la risposta dell’altro.
Si precipitò giù dalle scale correndo e rischiando più volte di inciampare addosso a qualcuno; riuscì però a non farsi male e, quando con un’occhiata si rese conto che se non si fosse sbrigata avrebbe perso il bus, accelerò ancora di più il passo sentendo il cuore già chiedere pietà.
Dovrei iniziare a fare un po’ di sport, pensò vaga mentre correva.
Ebbe la conferma di fare schifo alla fortuna, come aveva pensato solo poche ore prima, quando vide il bus passare di fronte a lei beffardo – sbagliava o l’autista le aveva pure riso in faccia? Bastardo!
«Brutto pezzo di merda!» urlò in direzione del mezzo, ignorando il fatto che fosse lei in ritardo – però, cavolo, ogni volta doveva stare ad aspettare come una scema alla fermata e l’unico giorno in cui arrivava un minuto dopo il bus era puntuale!
«Bonjour finesse.»
Eh no.
E invece sì. Perché si giro e di fronte a lei stava come sempre quell’idiota di Alessandro Angelis, che quel giorno proprio sembrava non volerla lasciare in pace.
«Salve.» disse solo acida, guardandolo di sfuggita e allungandosi verso il foglio degli orari.
«Quindi, oltre a essere svampita di suo, è anche ritardataria?»
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«E lei, oltre a essere uno stronzo senza cuore, è anche un rompiscatole?»
Eccola qui, la sua abilità speciale, in tutto il suo splendore.
Si voltò lentamente, per poi vedere l’uomo che la fissava impassibile.
«Scusa, è una giornataccia.» aggiunse dopo poco, cercando di giustificarsi e dandogli del tu – in fondo non erano tra le mura scolastiche, no? – cercando in quel modo di ammorbidire abbastanza l’atmosfera e far passare la sua frase come una banale battuta.
«Ho notato.» disse secco il docente.
Non sembrò aver voglia di ulteriori chiacchiere e forse, Amelia ci pensò giusto un attimo, aveva anche voglia di tornare a casa, per questo se ne andò senza rivolgerle neanche più una parola.
Ma lei aveva una domanda in testa da un paio di ore e, in quei casi, parlava senza aver prima pensato.
«Come mai non mi ha interrogato oggi?» chiese, ritornando a dargli del lei senza rendersene conto.
Appena fece quella domanda, si sentì abbastanza stupida: era una cosa nata nella sua testa soltanto perché, in quell’istante, le era parso che Angelis avesse apposta evitato un modo che l’avrebbe potuta chiamare all’interrogazione. Era una cosa stupida, lo sapeva, però ci pensava e le sembrava assurdo che lui avesse potuto evitare un’occasione del genere.
«Fuori, nel corridoio, mi era sembrato che non stessi troppo bene.» disse solo l’uomo, dandole le spalle e dopo alcuni secondi di silenzio.
Amelia però notò che l’uomo le aveva dato del tu, a differenza di lei.
Dopo poco il professore si voltò.
«Tranquilla, recupero la prossima volta, quindi ti conviene prepararti.» le disse, sul viso la solita espressione ammiccante «O magari no, sai che mi diverte sempre metterti l’insufficienza.»
«Divertente.» fece sarcastica Amelia.
Alessandro – perché in quel momento era tornato Alessandro e non Angelis, forse anche grazie a quel “tu” informale che aveva usato – scoppiò a ridere, andandosene via e lasciandola ad aspettare il bus successivo.
Idiota, pensò e quasi non si accorse di continuare a fissarlo finché non scomparve dalla vista.
 
«Ridi anche tu?»  chiese Amelia esasperata, lanciando un’occhiata a Nicole che sghignazzava senza ritegno.
La ragazza si voltò parzialmente dall’altra parte, lasciando che i lisci capelli castani le coprissero il volto; una mano sulla bocca e dei risolini trattenuti non ingannarono però Amelia.
«Grazie del sostegno, davvero.» continuò sarcastica.
«Scusa Ame, ma lasciati dire che la situazione è abbastanza divertente.» ammise alla fine Nicole e si rigirò verso l’amica, puntandole contro gli occhi verdi.
Più la guardava, più Amelia trovava che quegli occhi fossero troppo verdi per essere veri, ma d’altronde Nicole era sempre stata molto bella: alta, lunghi capelli lisci castani con riflessi dorati, occhi verdi e fisico longilineo ma con delle giuste proporzioni, tenuto in forma grazie alla passione per il fitness della ragazza – insomma, era bella ma si impegnava anche per esserlo, e di questo le si doveva far onore, anche se Amelia a volte avrebbe voluto un’amica pigra quanto lei che le potesse far compagnia nei lunghi pomeriggi di disperazione in cui l’unica compagnia era fornita dal barattolo di Nutella. Invece no, si ritrovava da ben dodici anni amica di una ragazza appassionata di esercizio fisico – per carità, cercava di coinvolgerla spesso, solo che Amelia era davvero troppo pigra.
Proprio quest’ultima ignorò volutamente l’abbreviazione del proprio nome – non le piacevano quando lo facevano, ma riconosceva che dire ogni volta “Amelia” fosse piuttosto fastidioso – e riabbassò lo sguardo sul piatto di pasta ormai vuoto.
«Sì, beh, però avrei preferito qualche frase di conforto.» commentò, per poi rialzare lo sguardo verso Nicole, questa volta colmo di desolazione «Gli ho dato dello stronzo senza cuore e anche del rompiscatole! Ma ti rendi conto?» si lamentò.
«Questo perché ti dimentichi di collegare il cervello alla bocca la maggior parte delle volte.» rispose Nicole senza pietà; si alzò e iniziò poi a sparecchiare la tavola mentre Amelia la fissava.
Quando la giovane si voltò per poggiare i piatti sul lavello, la mora osservò il suo fisico e le venne da piangere pensando al proprio: non che fosse un mostro, era solo un po’ troppo magra e poco soda, però compensava con l’altezza e il viso maturo – motivo per il quale le davano più di diciotto anni.
«Hai altra fame?» le chiese poi la castana e la riportò sulla realtà.
«No, sono a posto.»
«Neanche della frutta?» insistette Nicole, prendendo in mano una mela e facendo un cenno verso il resto del cesto della frutta. Amelia fece scorrere lo sguardo sulle varie scelte e poi fece una smorfia.
«Non posso affogare la mia tristezza nella frutta, Nicky.» rispose lamentosa.
L’amica sorrise e ripoggiò la mela tra le altre, per poi avvicinarsi al freezer e tirare fuori una vaschetta di gelato.
«Ho questo se vuoi.» propose.
Amelia si illuminò come una bambina e l’amica non ebbe bisogno di altre conferme; si piazzarono perciò nel divano di fronte alla tv, lasciandola accesa ma a basso volume giusto per fare un po’ di sottofondo, ognuna con il proprio cucchiaio – anche Nicole aveva deciso di cedere, alla fine – e la vaschetta con i tre gusti nocciola, cioccolato e stracciatella in mezzo a loro. Non avrebbero potuto farlo in teoria, la madre di Nicole non voleva che si mangiasse altrove oltre il tavolo, ma quel giorno aveva il turno prolungato all’ospedale e quindi non sarebbe tornata prima del pomeriggio.
«Comunque, sei sicura che Stefano abbia proprio detto “sei fuori di testa”?» chiese Nicole per poi infilarsi un cucchiaio di gelato al cioccolato in bocca.
Amelia annuì facendo la stessa cosa con quello alla nocciola.
«Fidati, l’ho sentito bene. Immagino si stesse riferendo alla mia frase detta ad Angelis.»
«Beh, anche perché non avrebbe altri motivi.»
«Magari mi considera direttamente fuori di testa e basta.» commentò la mora, concentrandosi per cercare di prendere insieme cioccolata e stracciatella. Non vide Nicole alzare gli occhi al cielo, ma il suo successivo tono fu chiaro.
«Sei stupida quando dici queste cose, non in altri momenti.»
«Lo so, ma sai che mi piace lamentarmi.»
«Sei solo troppo timida con lui, prova a farti un po’ più avanti. Non mi pare che con Angelis tu ti ponga così tanti problemi a parlare – e con lui avrebbe pure senso, dato che è un tuo prof.»
Amelia la fissò disperata.
«Ma come faccio? Ogni volta che lo guardo e lo vedo così alto, bello, con quei grandi occhi castani e i capelli biondi, ti giuro che mi mancano le parole.»
«E infatti non ci hai nemmeno mai parlato!»
«Che c’entra? L’amore non ha bisogno di queste piccolezze.»
«Lo stai idealizzando. Magari ha un carattere di merda!» commentò Nicole lanciandole un’occhiata. Amelia le fece la linguaccia.
«Non è vero. E di sicuro ha un bellissimo carattere.»
«Sei una bambina. Una bambina che dimostra vent’anni. E ripeto che comunque non lo puoi sapere.»
«Guarda, basta che non abbia il carattere di Angelis e mi va già bene.» rispose Amelia; al pensiero dell’uomo infilzò con forza il cucchiaio nella vaschetta di gelato, immaginando di fargli del male.
Nicole non commentò e si limitò ad osservare l’amica con che continuava a mangiare il gelato, mentre lei rimaneva con il cucchiaio pulito poggiato sulle labbra.
«Sai» iniziò all’improvviso, facendo quasi sussultare la mora «mi sembra che tu stia tirando fuori spesso questo Angelis oggi.» fece accusatoria.
In un attimo, Amelia comprese dove l’amica voleva andare a parare.
«Non sono interessata a lui. Primo, è il mio professore, secondo, è una testa di cazzo.» rispose senza alzare gli occhi dal proprio cibo. Poi le lanciò una veloce occhiata «E terzo, hai pensato che magari ne sto parlando spesso perché ieri sera me lo sono ritrovata in casa a mangiare crumble di mele con me e la mia famiglia?» terminò ironica.
«Tua madre ha fatto il suo buonissimo crumble di mele?» si distrasse sognante Nicole.
«Sì, voleva fare colpo immagino.»
«Dille di prepararlo anche per me, la prossima volta.» disse, poi ritornò rapida all’altro argomento «Lo so che è il tuo professore ed è una testa di cazzo, ma è così bello!»
Amelia le lanciò un’occhiataccia.
«Ti piace?»
«Ho solo detto che è bello. E comunque, anche volendo, potrei dato che non è un professore del mio istituto.» ovvio, dato che Nicole studiava al liceo scientifico – e sì, era pure brava in matematica.
Amelia tacque, concentrandosi di nuovo sul gelato. La castana, del canto suo, la continuò a fissare fare il broncio per poi scoppiare a ridere.
«Tranquilla Ame, non lo farei mai. Poi sai bene che sono perdutamente innamorata di Tommaso, non credo riuscirei a dimenticarlo, e comunque Angelis è roba tua.»
«Roba mia? È un mio professore, Nicole, concentrati su questo particolare. E inoltre non mi piace nemmeno!» esclamò Amelia, iniziando a irritarsi: insomma, le faceva strano anche nella sua testa pensare a una coppia formata da lei e Alessandro – oddio, no, era professor Angelis – e comunque solo perché aveva avuto l’occasione di conoscerlo fuori dalle mura scolastiche non significava che tra loro ci fosse qualcosa di più di una relazione studente/insegnante.
Ma perché ci sto anche riflettendo?, pensò scandalizzata Amelia, ma stette attenta a non pronunciare altre parole e colse al volo l’occasione che Nicole le aveva offerto per cambiare discorso.
«A proposito: con Tommaso come va?» chiese, sentendosi un po’ una merda per aver toccato quel tasto.
Nicole scrollò le spalle.
«Come al solito: ci vediamo, facciamo sesso, chiacchiere su questo e quest’altro, coccole e film insieme, poi lui se ne va e torna a cercare di conquistare quell’idiota di Giorgia che lo rifiuta di continuo.» spiegò Nicole e subito riprese a mangiare il gelato – l’argomento richiedeva qualche forma di consolazione, in fondo «Davvero, io non capisco cosa lo renda innamorato di lei.» concluse infastidita.
Dura la scopamicizia quando uno dei due è preso, considerò Amelia tra sé.
«Forse dovresti provare ad accennargli la cosa, sai? Tipo che magari potrebbe guardarsi attorno, concentrarsi su altre ragazze, su di te…» propose la mora.
Nicole abbassò lo sguardo.
«Non voglio rischiare. Preferisco averlo così che rischiare di non averlo per niente.» disse.
Dopo pochi secondi però si dovette rendere conto della cosa che ebbe detto, perché sollevo di scatto lo sguardo, gli occhi sgranati e lucidi.
«Dio santo, Amelia, senti quello che dico. Quanto sono patetica.» sussurrò con un sorriso mesto per poi cercare di scacciare via le lacrime.
Una sfuggì al suo controllo e le scivolò giù dalla guancia. Amelia si sporse verso di lei e gliela asciugò con il pollice.
«Scusa, non avrei dovuto tirare fuori l’argomento.» mormorò.
Si sentiva in colpa: sapeva perfettamente com’era la situazione e aveva comunque chiesto – anche se Nicole non le aveva mai detto che preferiva non parlarne, anzi, a volte si sfogava proprio con lei.
«Figurati.» borbottò Nicole sfregandosi gli occhi e eliminando qualsiasi eventuale traccia di pianto. Poi prese la mano della mora e le fece un sorriso «Sai come sono fatta, questo tasto è particolarmente sensibile.»
Amelia annuì.
«Tranquilla, lo so.» disse «Però ti do un consiglio – e perché ti voglio bene, Nicole, e voglio che tu non stia troppo male: anche se ora come ora ti farebbe malissimo rompere questo rapporto con lui, credi che continuando così la situazione possa migliorare? Sei già praticamente fregata, gioca in anticipo per quanto puoi ancora farlo.» disse Amelia mentre cercava lo sguardo dell’amica che, invece, tentava di evitarlo.
Infine la castana cedette e alzò gli occhi verso di lei.
«Lo so. Solo che non è una scelta facile, preferisco pensarci bene prima, dato che rischio di perderlo per sempre.»
Amelia annuì; meglio non insistere, considerò, già il fatto che Nicole avesse preso in considerazione di darle ascolto era un enorme passo avanti.
Per questo motivo allungò una mano e scompigliò completamente i capelli della castana, rubandole poi la vaschetta di gelato e mettendola fuori dalla sua portata.
«Ehi!» si lamentò Nicole presa alla sprovvista.
«Questo perché sei comunque stupida.» spiegò Amelia annuendo convinta.
Non ebbe tempo di tenere il gelato per sé: subito dopo fu troppo impegnata in un “acchiapparello” infantile che riuscì a distrarla da qualsiasi pensiero.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ~ Di altre cene e vino rosso ***


Bentornati lettori e lettrici!
Ecco il terzo capitolo di questa mia storia, capitolo scritto da più di una settimana e che ho riletto fin troppe volte per eliminare i vari errori – spero davvero non ce ne siano, ma sono umana e potrebbe essermi sfuggita qualsiasi cosa, in tal caso fatemelo pure notare.
Anche in questo capitolo Amelia e il caro Alessandro si ritroveranno ad interagire all’esterno della scuola, in un modo che sarà chiaramente equivoco per entrambi. Ma non voglio dirvi altro e rovinarvi la sorpresa.
Volevo aggiungere che sono felice di notare come la storia stia venendo apprezzata, motivo per il quale ringrazio davvero tutti coloro che hanno inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate, anche se magari si limitano a leggere e a non recensire – sapere che comunque qualcuno si stia appassionando a questa storia è una gioia per me!
Non continuerò ad assillarvi oltre, vi dico solo che il prossimo capitolo è già pronto e sarà pubblicato, come al solito, il prossimo lunedì – finché ho i capitoli pronti continuerò a seguire questa cadenza, ma fra poco dovrò tornare all’università (da brava fuorisede quale sono) e la routine da ragazza indipendente credo proprio mi darà meno tempo per scrivere. Spero comunque di riuscire ad essere puntuale.
Buona lettura!
Un abbraccio,
 

~S
apphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo tre
~
Di altre cene e vino rosso
 
 
 
«Dobbiamo andare dove?» chiese Amelia scioccata, girandosi verso la madre rimasta sull’uscio della porta e spostando l’attenzione dagli esercizi di tedesco – non che prima li tenesse in grande considerazione, era chiaro.
«A casa di Michele e Margherita, i genitori del tuo insegnante. Hanno ricambiato l’invito e sarebbe davvero maleducato da parte tua non venire.» ripeté la madre, paziente.
Ma “maleducato” un cavolo! Lo vedo già abbastanza a scuola quello lì, perché ci devo stare anche fuori?, pensò arrabbiata.
«Ho tanto da studiare, domani forse verrò interrogata in tedesco, non credo proprio di avere il tempo.» disse con un finto sorriso dispiaciuto. Alla fine non era neanche una vera e propria scusa, c’era davvero quella possibilità.
«Allora ti conviene impegnarti nelle restanti ore del pomeriggio, tesoro.» consigliò dolcemente Serena; non diede tempo alla figlia di dare ulteriori scuse o giustificazioni e uscì dalla camera chiudendo la porta dietro di sé.
Amelia sbuffò e lanciò l’elastico con il quale giocherellava tutto il tempo – brutta idea dato che un secondo dopo dovette alzarsi per recuperarlo, i capelli le davano davvero troppo fastidio mentre era china sui libri.
Afferrò il cellulare e iniziò a scrivere rapidamente.
Mia madre mi sta costringendo ad andare a cena da Angelis stasera.
Inviò e, come al solito, Daniele le rispose subito dopo – pareva vivesse in simbiosi con il proprio telefono.
Cazzo, non ti invidio. Non riesci ad evitartela?
Ho usato la scusa dello studio e non ha funzionato: non ho altre possibilità tranne essere in coma o morta.
Potrebbe essere un’idea.
Perché dovrei rinunciare alla mia vita a causa di Angelis?
Hai ragione. Beh, credo che se stessi improvvisamente male tua madre non sarebbe così stronza da portarti con la forza.
Questo no, ma mi conosce e purtroppo sa quando sto mentendo o no, capirebbe subito e sarebbe anche peggio.
“Capito… Allora non ti resta che andare e stringere i denti. Fa finta che lui non sia lì e chiacchiera con i suoi.
Amelia non ebbe il tempo di rispondere che arrivò immediatamente un altro messaggio.
E PER FAVORE evita altri insulti, lo dico per te.
La mora sbuffò.
Mi escono spontanei, non riesco a impedirmi di parlare.
Allora mettiti un bavaglio.
Leggendo quella risposta Amelia si infastidì, anche se sapeva che Daniele aveva perfettamente ragione: doveva imparare a tacere e quella sera doveva risparmiarsi brutte frasi – anche perché quella volta non sapeva se la madre gliele avrebbe perdonate.
Comunque fosse decise di smettere di rispondere all’amico – in parte perché voleva fare l’offesa, ma anche perché i libri l’aspettavano e se doveva andare dagli Angelis, la madre aveva ragione: meglio sfruttare il pomeriggio finché poteva.
Con quella bella prospettiva di serata si riconcentrò sul tedesco che l’aspettava.
 
«Smettila di tormentarti il vestito. Così lo rovinerai!»
Amelia alzò per l’ennesima volta gli occhi al cielo ascoltando il medesimo rimprovero che la madre le stava facendo da troppo tempo.
Serena l’aveva costretta a indossare un abito – non che ad Amelia non piacessero i vestiti, solo che non ne sentiva la necessità in quel caso e pensare di farsi vedere da quello così… - ma il nervosismo la costringeva a toccare di continuo l’orlo mentre era seduta in auto, finendo però per stropicciarlo.
«Non è vero.» borbottò come una bambina.
Fece scivolare l’occhio sull’orlo dell’abito l’unica parte che sbucava dal cappotto: era molto semplice, blu scuro, lungo fino a poco più su del ginocchio e con lo scollo tondo; si stringeva sulla vita per scendere dolcemente sui fianchi e Amelia l’aveva abbinato a delle calze velate nere e un paio di francesine basse nere opache. Alla fine sapeva di non essere esagerata, solo che non si sentiva particolarmente a suo agio.
«Ma se mi riportaste a casa?» buttò lì, lanciando un’occhiata verso lo specchietto e finendo per incrociare lo sguardo del padre.
«Tesoro, capisco che tu ti possa sentire un po’ a disagio perché è il tuo professore, ma non devi preoccuparti.» rispose suo padre «Sono comunque amici di famiglia e abbiamo già detto che questa conoscenza non cambierà i rapporti che avrai con lui a scuola, tranquilla.»
Amelia non poté fare altro che limitarsi a sbuffare. Diede un’occhiata al proprio cellulare, nel quale display spiccava l’ultimo messaggio di Daniele: “in bocca al lupo”.
Un secondo dopo sentì la macchina che accostava e che veniva spenta.
Evviva.
Uscì dall’auto mentre si guardava intorno; la casa degli Angelis – dubitava che ci abitasse anche il proprio prof, di sicuro aveva un proprio appartamento soprattutto se i suoi genitori erano tornati da poco in Italia – era una villetta a due piani di medie dimensioni, con un piccolo giardino curato, un garage e un sentiero illuminato da dei faretti che conduceva alla porta di casa.
Amelia seguì i suoi genitori e ascoltò il campanello trillare; pochi attimi dopo la porta si aprì e di fronte a loro si mostrò Margherita che subito sorrise.
«Serena, Davide! Prego, entrate. Oh, ciao anche a te Amelia!»
Amelia si limitò a sorridere e a borbottare un saluto, facendo poco caso ai convenevoli di rito – era troppo occupata a guardarsi attorno incuriosita.
Appena entrati si ritrovarono in un piccolo atrio che subito si apriva su un grande salotto, entrambi arredati con uno stile piuttosto classico nel quale il crema dominava; vi erano due divanetti e un paio di poltrone distribuite attorno a un tavolino e Amelia notò con la coda dell’occhio un carrello su cui erano già poggiati bicchieri e bottiglie – ovviamente l’aperitivo.
«Prego, cara, dammi pure il cappotto.»
Amelia si voltò verso Margherita che le porgeva una mano in attesa e mentre le dava la giacca arrivò anche Michele.
«Buonasera signori!» fece l’uomo.
Anche in quel caso Amelia borbottò il saluto, guardandosi attorno in attesa.
…aspetta, non lo sto aspettando, vero?
Il pensiero la colse alquanto impreparata e si costrinse per questo a prestare attenzione alla conversazione in atto tra gli adulti, per poi sedersi su una poltrona – i due divanetti erano occupati dagli altri.
«…sì, siamo ancora piuttosto impegnati traslocando le ultime cose da Berlino.» diceva Michele in direzione di Serena. La madre annuiva concentrata.
«Beh, sarà stato una vera fatica tutto lo spostamento.» commentò la donna.
«Lasciamo stare! Michele stava diventando insopportabile, era in ansia per tutto.» aggiunse Margherita.
Amelia osservo i suoi genitori ridere per la frase e le venne spontaneo fare un sorriso.
«Papà è sempre stato troppo ansioso, mi chiedo ancora come fai a starci assieme.»
Tutti finirono per sobbalzare sentendo una nuova voce unirsi alla conversazione.
È arrivata la mia ora, pensò Amelia; aveva paura di girarsi e trovarselo di fronte – perché, ovviamente, era giunto alle sue spalle, altrimenti non sarebbe stato divertente.
«Non sono ansioso, mi preoccupo solo che tutto sia al suo posto.» precisò il padre, e a quel punto Amelia si costrinse a girarsi, ma solo perché sarebbe stato brutto rimanere ostinatamente voltata per ignorarlo.
Si girò e lui era lì, più vicino ancora alle scale da cui era giunto che da loro, a braccia incrociate e con un mezzo sorriso. Amelia ignorò il fatto che si fosse permessa di averlo fissato un po’ troppo a lungo, rimanendo a indugiare sul collo che sbucava dalla camicia nera per poi distogliere in fretta lo sguardo.
«Scusate l’attesa, ero impegnato.» disse poi Alessandro – nella sua testa, misteriosamente, aveva già perso le connotazioni del professore per riacquisire quelle del “figlio di amici di famiglia”. Amelia però sapeva di dover stare attenta se non avesse voluto dire altre frasi strane.
«Tranquillo, caro, siediti con noi ora.» fece la madre.
L’uomo si avvicinò a loro, finendo per sedersi nella poltrona dall’altro lato del tavolino. In pratica, era proprio di fronte ad Amelia.
La ragazza si rese però conto, all’improvviso, di come l’uomo non la stesse degnando di uno sguardo – e di come ci stesse rimanendo un po’ male.
«E quindi, Alessandro, come stai?» chiese Serena.
Amelia tacque osservando la scena e osservò come l’altro scrollasse le spalle con un blando sorriso.
«Tutto bene, signora, un po’ troppo impegnato con il lavoro a dire il vero.» spiegò.
Nel frattempo Margherita si era alzata in silenzio per avvicinarsi al carrello che Amelia aveva notato in precedenza e iniziò a riempire i bicchieri.
«Alessandro si strapazza un po’ troppo.» commentò il padre lanciandogli un’occhiata in tralice che il moro evitò abilmente.
«Questi giovani si fanno assorbire troppo dalle cose che hanno da fare e a volte si dimenticano proprio di staccare.» aggiunse Davide e anche lui lanciò uno sguardo alla propria figlia – peccato che Amelia fosse troppo concentrata a fissare il proprio professore per accorgersi di qualcosa: infatti più lo guardava e più notava qualcosa di strano; forse nel modo in cui era poggiato sulla poltrona, più abbandonato che posato con attenzione, o forse i capelli scompigliati e il viso più arrossato del solito.
All’improvviso però l’uomo finì per sollevare lo sguardo e per un attimo incrociarono gli occhi, facendo sì che la mora spostasse totalmente l’attenzione sul bicchiere che Margherita le porgeva – gesto così plateale nel suo svolgimento che anche se Amelia non lo vide, poté sentire il professore inarcare un sopracciglio interdetto mentre la osservava.
Non l’ho fatto davvero, cercò di convincersi mentre chiudeva gli occhi, immersa nella propria desolazione.
«Che ne pensi, Amelia?»
Li riaprì di scatto sentendo quelle parole – forse si era persa una parte di conversazione.
«Eh?» si lasciò sfuggire.
I quattro adulti la fissavano incuriositi.
«Dicevo» iniziò Michele «che ne pensi del lavoro dell’insegnante. Non trovi anche tu che sia faticoso?»
Ma sei serio mentre mi fai questa domanda?, pensò scioccata Amelia.
Stava davvero chiedendo a una liceale che si trovava di fronte al professore che più odiava cosa ne pensava del mestiere dell’insegnante? E poi, che cavolo di domanda era?
«Mh…» iniziò, rendendosi conto di come si sentisse quasi all’interrogazione – cosa non troppo lontana dalla verità, dato che in qualche modo (non sapeva quale) sentiva gli occhi del docente addosso «Non saprei, immagino di sì. Gestire tanti ragazzi per cinque ore di fila, soprattutto quelli della mia età, non deve essere facile.» borbottò, incerta su cosa stesse dicendo.
«Beh, se sono tutti come te è anche peggio.»
Amelia alzò di scatto lo sguardo verso Alessandro che la fissava dall’altra parte del tavolino.
Non ci credo che l’abbia detto davvero, pensò mentre si sentiva andare il viso a fuoco dal disagio.
La stessa cosa dovette averla pensata Margherita, perché subito lo richiamò – alla stregua di un bambino, poté notare Amelia.
«Ale! Ti sembrano cose da dire?»
E anche in quel caso, ecco che la lingua della ragazza si mosse prima che lei potesse morderla.
«Tranquilla Margherita, da un lato ha ragione – però non credetegli troppo, è così bastardo in classe che nessuno osa davvero fare casino con lui.» fece con una mezza risata – fintissima, ma nessuno parve accorgersene.
Cazzo. Ho dato del bastardo al mio professore. Di fronte ai suoi genitori e ai miei. Dopo avergli già dato dello stronzo senza cuore e del rompiscatole.
In qualche modo riuscì a mantenere un finto sorriso mentre notava gli altri fissarla più scioccati che avesse avuto il coraggio di dirlo davvero che altro; il professore la fissava impassibile e lei ricambiava lo sguardo sorseggiando prosecco e aspettando con eleganza che una voragine si aprisse nel terreno per inghiottirla e non farla più parlare.
Come già era successo l’ultima volta – uno strano copione che si ripeteva – le donne si occuparono di deviare l’attenzione da ciò che la mora aveva appena detto. Forse gli uomini avevano paura di intervenire in quella che sembrava una piccola lotta colma di disprezzo tra Amelia ed Alessandro.
«Vogliamo andare a cenare? Ho fatto degli antipasti che sono sicura vi piaceranno tantissimo!» esclamò Margherita alzandosi in piedi.
«Assolutamente, ho davvero fame!» le diede corda Serena, cercando nel frattempo di lanciare un’occhiataccia alla figlia senza che gli altri se ne rendessero conto – cosa inutile, dato che la ragazza era troppo distratta per notarla.
Amelia quindi non poté fare altro che scolarsi in fretta il restante prosecco, alzarsi con studiata attenzione al vestito e seguire le donne nella sala da pranzo.
Per un attimo incrociò gli occhi di Alessandro – qualcosa le diceva che il bavaglio glielo avrebbe messo lui.
 
La cena era finita da un pezzo e Amelia si sentiva ubriaca di cibo – e anche un po’ effettivamente brilla, grazie a Michele che le continuava a versare vino rosso ogni volta che vedeva il bicchiere quasi vuoto.
Aveva passato tutto il pasto quasi in un religioso silenzio: aveva considerato che sarebbe stato meglio evitare la scena di poco prima e aveva scelto di isolarsi direttamente dalla conversazione; interveniva soltanto quando veniva interpellata, ma per fortuna gli adulti sembravano piuttosto presi dalle loro conversazioni noiose e avevano preferito lasciarla in tranquillità – forse comprendendo che non avesse voglia di parlare.
Anche Alessandro non aveva partecipato granché alla conversazione: Amelia era stata attenta a non intervenire e a non guardarlo nemmeno, però le era saltato all’occhio questo particolare. Le poche volte che si era azzardata a lanciargli delle occhiate di soppiatto l’aveva visto pallido e piuttosto assente; non aveva nemmeno mangiato granché e Amelia aveva concluso un fatto piuttosto semplice.
Sta male, pensò dopo avergli lanciato l’ennesima occhiata.
Subito dopo si diede della stupida.
Amelia, che ne dici di farti gli affari tuoi? Anche volendo l’unica cosa per cui potrebbe importarti è se in questo modo mancasse da scuola.
Sospirò tra sé, mentre nella sua testa considerava che rimaneva comunque bello. Anzi, quell’aria stropicciata l’aveva turbata più di quanto avrebbe ammesso.
«E dicci, Alessandro, hai quindi una fidanzata?»
Suo padre e il suo favoloso tatto.
Amelia, in quel momento, non poté impedirsi di alzare di scatto lo sguardo verso l’uomo che sembrava sorpreso quanto lei della domanda. La giovane corse a lanciare un’occhiataccia al padre, ma Davide non si accorse di nulla e continuò a osservare il professore con un ingenuo sorriso sul viso.
«Sì.»
Amelia non era sicura che quella semplice risposta avrebbe dovuto darle così fastidio.
«Oh, davvero? E come si chiama? È anche lei un’insegnante?» continuò Davide; Amelia sentì la madre intervenire con un “Davide, smettila di essere così invadente” imbarazzato, ma ben presto anche Michele intervenne.
«Forse tu riuscirai a scucirgli qualcosa, a noi non dice mai nulla!» disse in direzione del padre.
In tutto quello, Amelia notò come Alessandro stesse in silenzio.
«No, non è un’insegnante. Si chiama Eleonora.» rispose sempre.
Allora c’è davvero qualcuno che se lo ha preso, pensò ironica Amelia, però nel frattempo si rendeva conto di come il giovane professore rispondesse di malavoglia a quelle domande.
Improvvisamente sentì l’aria pesante e il bisogno di una rinfrescata.
«Margherita, posso sapere dov’è il bagno?»
Si rivolse alla donna e la sua domanda finì per attirare l’attenzione di tutti i presenti, interrompendo in questo modo la conversazione in atto.
«Certo cara, ma a dire il vero quello del piano di sotto è fuori uso, però puoi salire di sopra. È la stanza in fondo al corridoio di destra.» spiegò la signora.
«Ok, grazie.»
Si alzò in silenzio e uscì dalla stanza ben attenta a non incrociare lo sguardo di Alessandro, che non sapeva se le fosse stato grato dell’interruzione o meno; tornò un attimo in salotto giusto per prendere la propria borsetta lasciata lì in abbandono, poi si diresse verso le scale. Il piano di sopra si diramava in due brevi corridoi a destra e a sinistra, ma seguendo le istruzioni di Margherita la mora trovò immediatamente il bagno – si guardò solo un po’ attorno, ma le porte erano praticamente tutte chiuse quindi non poté curiosare troppo.
Il bagno era piuttosto ampio, sui toni del lilla e con una vasca che, Amelia poté notare, era idromassaggio.
Una volta che ebbe finito di districarsi con le calze velate – ogni volta che andava in bagno e le indossava finiva per essere una tortura – si avvicinò al lavandino, guardando il proprio riflesso nel grande specchio mentre era occupata a lavarsi le mani.
Merda, la matita si è sbavata, pensò infastidita, notando anche come il rossetto le fosse praticamente scomparso, ma quello era normale dopo aver cenato. Si rifece rapidamente il trucco, si sistemò con una mano i capelli e si spruzzò giusto una goccia di profumo nei polsi, pronta a ritornare al piano di sotto e a ignorare quel nome, “Eleonora”, che continuava a frullarle in testa.
Quando però aprì la porta del bagno, si accorse subito che c’era qualcosa di diverso rispetto a prima, anche se non ne era sicura dato che le luci erano spente esattamente come le aveva lasciate.
Quella porta prima non era chiusa?, pensò indecisa.
Sì, era definitivamente chiusa in precedenza; come al solito la curiosità ebbe la meglio e si avvicinò alla stanza, pronta a buttarci l’occhio – in fondo le luci erano tutte spente e quando le sarebbe ricapitato di poter curiosare nella casa dei genitori di Alessandro? Non che pensasse di trovare chissà che cosa, però…
Affacciò la testa all’interno della stanza: era una camera, dentro c’era un solo letto matrimoniale con un comodino in ciascun lato, una scrivania spaziosa, un armadio e una portafinestra. Non vedeva bene i colori a causa del buio, ma si rese conto di come fosse poco arredata o, comunque, per niente personalizzata.
«Che stai facendo?»
Amelia strillò prima che potesse impedirsi di farlo.
Si girò così tanto di scatto che le fece male il corpo nel movimento e finì per sbattere al muro del corridoio mentre si ritrovava davanti, nel buio, Alessandro che la fissava.
Un secondo dopo la luce si accese e Amelia si ritrovò a incrociare gli occhi grigi colmi di scetticismo misto a fastidio.
«Ti pare il modo di urlare?» disse seccato l’uomo, facendo dondolare tra le mani un bicchiere di vino – sembrava come se fosse salito per andare in camera e poi risceso per recuperare il bicchiere, o almeno era l’unica cosa che le veniva in mente dato che le risultava difficile spiegarsi la porta improvvisamente aperta.
La ragazza si riprese in pochi secondi dopo aver compreso che non ci fosse nessun pericolo – sempre che Angelis non si potesse considerare tale. E comunque il cuore continuava a batterle all’impazzata dallo spavento, ma riuscì a riprendere la propria solita parlantina sfacciata.
«Ti pare il modo di arrivare dietro alle persone?» lo scimmiottò.
«Cos’hai, dieci anni?»
Amelia non rispose.
Alessandro, dopo averle lanciato un ultimo sguardo, la oltrepassò per entrare nella stanza.
La giovane si ritrovò a guardare di nuovo dentro; l’altro aveva acceso la luce e in quel modo la ragazza osservò con più cura la stanza, notando come fosse tutta arredata in bianco e in nero. Era più moderna del salotto al piano di sotto.
Stava per fare un passo all’interno, quando si bloccò.
Amelia, che stai per fare? Non è opportuno entrare da sola in una stanza con un uomo adulto, soprattutto se l’uomo adulto in questione è il tuo professore e ha dieci anni in più di te, pensò frenetica.
Rimase incerta sull’uscio, finendo per osservarlo.
Sì, stava decisamente male: lo vide sedersi sul letto con aria stanca e appoggiare il bicchiere, per poi passarsi una mano tra i capelli e arruffarli.
«Tu…» iniziò Amelia incerta. L’uomo alzò la testa e la fissò. «Non mi sembri stare granché bene.» concluse la ragazza.
Subito si sentì un’idiota a sottolineare una frase ovvia come quella.
Ma, d’altronde, lo era già abbastanza: era da sola al piano di sopra con il proprio professore, malato e forse anche un po’ brillo, lei stessa non era lucidissima e un solo passo e si sarebbe ritrovata nella stanza con lui.
Di sicuro fu l’alcol a farle pensare che sarebbe bastato poco – un passo, una porta chiusa e una serratura bloccata – per rendere la situazione ancora più problematica, ma forse anche più divertente.
Amelia. Cazzo, smetti di fare certi pensieri assurdi, si ordinò in testa.
«Che acume.»
Quella frase detta con un tono indifferente bastò come doccia fredda.
Stronzo.
«Scusa tanto del disturbo, ti lascio riposare.» rispose acida la mora. Meglio levare le tende finché resisteva all’impulso di rispondere male.
Si era appena girata per andarsene quando il professore – il deficiente – la richiamò con una frase.
«Non ti avevo mai vista con un vestito.»
Se le avesse detto che aveva fatto sesso con la prof di italiano sarebbe rimasta meno agghiacciata.
Si girò lentamente, non sicura di aver sentito bene.
«Cosa?»
Di nuovo di fronte a lei, Alessandro pareva avere un’aria abbastanza trasognata che le fece capire che non era propriamente in sé – era molto probabile avesse la febbre da come aveva il viso arrossato, e febbre e alcol non sembravano un’accoppiata vincente. Soprattutto non se, come le era sembrato di vedere ad Amelia, aveva bevuto abbastanza da essere giustamente considerato brillo.
«Ho detto» borbottò l’altro «che non ti avevo mai visto con un vestito.» ripeté.
Sì, ho sentito bene.
Lo guardò incerta; non sapeva bene che rispondere.
«Non fare quella faccia. Non mi sembra di aver detto qualcosa di così assurdo, era solo una constatazione.» sbuffò infastidito l’uomo.
Sì, però tu sei brillo, seduto su un letto, siamo praticamente in camera da soli e sei anche il mio professore. E sei anche sexy da morire. Potrei saltarti addosso.
Fece attenzione a non riportare quel pensiero ad alta voce – non sarebbe stata una bella idea dire al proprio docente che le sarebbe piaciuto baciarlo.
Cosa mi salta in testa?!
In effetti, aveva sempre pensato che Angelis fosse un bell’uomo – anche perché sarebbe stato difficile dire il contrario – ma allo stesso tempo era sempre stata un’idea vaga nella propria testa, qualcosa comunque di impossibile. Un po’ come si guarda un attore e si pensa che sia bello, ma ci si limita al pensiero perché effettivamente non c’è nulla di altro a cui pensare.
Ritrovarselo in quelle condizioni di fronte a lei, e anche in quel contesto, era qualcosa che le faceva pensare ad Alessandro in altri vesti, vesti che non doveva per niente assumere.
«Mi è solo sembrata strana, pareva quasi un complimento.» si ritrovò a dire.
Ma cosa ho detto?
«Tranquilla, non potrei mai fartene uno.»
Non riuscì a nascondere l’espressione ferita che le sorse spontanea nel viso.
«Non ho mai detto questo.» riuscì a dire, per poi girarsi e fare di nuovo per andarsene.
Sentì uno sbuffo dietro di lei.
«Non intendevo quello che pensi.»
Ah, e come sai cosa io penso? Per ora mi è solo chiaro che mi consideri brutta, pensò, ma evitò di dirlo per non sembrare troppo ferita. Per questo motivo non disse nulla.
«Scusa, sono stanco, sto male e credo di aver esagerato con il vino.» continuò l’uomo, notando come la ragazza non dicesse nulla.
In quel caso non riuscì a starsi zitta.
«E quindi insulti le persone per sentirti meglio?»
«Non ti ho insultata!» protestò l’uomo, e in quel momento ad Amelia non sembrò per niente il solito Angelis, stronzo come pochi e per la maggior parte del tempo indifferente.
«Non potrei mai farti complimenti perché sei una mia studentessa.» disse l’uomo con uno sbuffo.
Dirlo sembrava gli fosse costato parecchio.
Suona come se mi stesse dicendo che in caso contrario me li farebbe, considerò con ironia Amelia.
«E hai una fidanzata.» si ritrovò ad aggiungere senza neanche sapere il motivo – o forse perché quel tarlo continuava a divorarle la testa e aveva bisogno di esprimerlo ad alta voce.
Alessandro afferrò il bicchiere di vino e lo terminò in un solo sorso sotto gli occhi piuttosto sopresi della mora.
Lo riappoggiò e la guardò.
«Con cui sono in crisi.» completò la frase.
Oh.
Dopo quella frase il silenzio calò pesante come piombo e solido come una roccia; Amelia riusciva quasi a sentirlo. Deglutì e le sembrò di aver fatto cadere un piatto per terra, tanto aveva sentito il rumore amplificato.
«Non dovresti essere in una camera da letto da sola con me, sai?»
Non sapeva quanto tempo era passato, di sicuro abbastanza per far riflettere Alessandro su quei pochi elementi e fargli riacquistare la patina di adulto coscienzioso – andata in vacanza da un po’ troppo tempo, forse.
«Non sto facendo nulla di male.» pigolò la ragazza. Quasi non si riconobbe in quella frase.
Alessandro sospirò e si alzò dal letto, dirigendosi poi verso di lei. Era solo a pochi passi.
«Sei già rimasta troppo tempo qui su, potrebbero farsi strane idee. Scendi e chiedi scusa ai tuoi genitori da parte mia, ma credo che andrò a riposare un po’, non ho nemmeno le forze per mettermi a guidare.» le disse.
Così vicina a lui, Amelia poté chiaramente notare gli occhi resi lucidi da qualche linea di febbre. Poté chiaramente sentire anche il profumo che aveva addosso.
Si allontanò di scatto, quasi fosse stata bruciata. Di fronte a lei, Alessandro la guardava con una strana espressione.
«Ha ragione.» rispose, dandogli improvvisamente del lei, forse per sentirsi più sicura «Non mancherò di farlo, buonanotte.»
Corse via prima di poter dire o fare altre stronzate, precipitandosi giù dalle scale mentre una strana consapevolezza le si faceva strada nella testa.
Sono attratta dal mio professore. Merda.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ~ Di incidenti e confessioni ***


Bentornati lettori e lettrici!
So che avrei dovuto aggiornare il nuovo capitolo ieri, ma non avevo messo in conto che sarei stata tutto il giorno in viaggio per tornare a Venezia, all’università, e la mia giornata l’ho buttata così – e appena ho potuto sono andata a dormire!
E voi, invece, come state? Gennaio è il mese delle sessioni universitarie e i compiti in classe per la fine del quadrimestre, siete alle prese con quali delle due?
Spero che questo capitolo vi distragga almeno un po’ dalle noie della giornata, qua distolgo un po’ l’attenzione da Amelia e Alessandro per altri avvenimenti comunque importanti. Ma non vi dirò altro, ci rivedremo alla prossima settimana.
Ah, ancora grazie a tutti coloro che leggono, commentano e hanno inserito la storia in preferite/seguite/ricordate: oltre che per me, scrivo anche per voi e vedere questo interessamento è una gioia.
Ma ora basta chiacchiere, buona lettura!
Un abbraccio,
 

~S
apphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo quattro
~
Di incidenti e confessioni
 
 
 
Erano passati solo due giorni da quella strana serata a casa della famiglia Angelis.
La mattina dopo Amelia, tra un ripasso di tedesco e l’altro, si era ritrovata ad avere l’ansia per rivedere il professore, ma tutto si era risolto in nulla quando aveva scoperto che sarebbe stato assente – e sarebbero usciti in anticipo, evviva.
In quell’ora di aria libera si era ritrovata al bar con Daniele, bevendo un cappuccino e finendo per raccontargli tutto quello che era successa la sera prima; ovviamente il suo migliore amico era uscito di testa, dandole della pazza ma allo stesso tempo iniziando a creare congetture su una loro ipotetica storia d’amore illegale, cosa che Amelia aveva in fretta soffocato con un “ma sei pazzo!” ben assestato.
Ciò non aveva comunque impedito a Daniele di continuare a tartassare la povera ragazza anche il giorno dopo e lei, in un momento di debolezza non solo mentale dato che toccava loro educazione fisica, aveva ammesso di sentirsi attratta dal professore più di quanto non avrebbe dovuto.
E lì era scoppiata una bomba.
«Cosa intendi per “più di quanto non dovresti”?» chiese Daniele affianco a lei, recuperando in fretta i metri persi dopo essersi bloccato di scatto dalla sorpresa.
Amelia alzò gli occhi al cielo e gli lanciò una veloce occhiata, notando come il suo amico non fosse particolarmente affaticato – solo lei era così scarsa da avere il fiatone dopo solo un minuto di corsa?
«Era un modo di dire.» provò a minimizzare. Peccato che Daniele non ci cascasse.
«Ah-ah, facciamo finta che tu non l’abbia detto, ok?» chiese retorico.
Amelia lo ignorò, continuando a correre e buttando l’occhio nell’altra metà di campo: in quell’ora condividevano la palestra con la classe di Stefano, magari poteva distrarsi osservano lui.
Anche perché, si disse nella propria testa, è lui quello che mi piace.
«Ridimmi quello che ti ha detto Angelis.» le ordinò Daniele.
Amelia si girò terrorizzata verso di lui.
«Puoi evitare di nominarlo? Pensa se ti sentisse qualcuno!» bisbigliò spaventata, per poi guardarsi intorno. Tutti, però, erano troppo impegnati a correre e a parlare per i fatti loro per ascoltare la loro conversazione; anche la professoressa era distratta a parlare con la docente dell’altra classe, motivo per il quale Amelia si permise di fermarsi per riprendere fiato. Di fianco a lei, Daniele la imitò.
«Comunque non mi ha detto niente di che, solo che non sarei dovuta essere in camera da letto da sola con lui.» borbottò.
Daniele inarcò le sopracciglia.
«Allora la situazione era evidentemente compromettente se si è permesso di dirlo, altrimenti avrebbe evitato di fartelo notare, secondo me.» commentò «Magari ti sei suggestionata per questo.» suppose.
Amelia fece spallucce.
«Possibile. Poi Michele mi versava di continuo del vino a cena, ero anche un po’ brilla.» disse con una smorfia.
«Michele?»
«Il padre di Angelis.»
«Che tono confidenziale.»
Amelia lo guardò male.
«Come lo dovrei chiamare? Il signor Angelis?» fece sarcastica. Daniele la ignorò.
«Comunque non so bene cosa consigliarti. Cioè, il fatto che voi vi vediate anche fuori dalla scuola mi fa pensare che alla fine vi potreste conoscere meglio ed è anche normale piacersi, e poi comunque dopo quest’anno non ci sarebbe più alcun problema, ma ora è comunque un tuo professore e potrebbe essere pericoloso.» concluse storcendo le labbra.
Amelia lo guardò scandalizzata.
«Ma ti rendi conto del discorso che stai facendo? Prima di tutto, non c’è nessun “conoscersi meglio”: solo perché l’ho visto un paio di volte ad una cena non significa che lo conosco meglio di te. Poi a me non piace e io non piaccio a lui.» spiegò agitata.
«Ma lui ti ha confessato che è in crisi con la ragazza.» obiettò il ragazzo, spostando un ricciolo che gli era scivolato nell’occhio.
«Era stanco, malato e brillo.» puntualizzò Amelia.
«Ma te l’ha detto comunque.»
Se la ragazza avesse voluto contestare la frase in qualche modo, non ne ebbe però il tempo: la professoressa si era accorta di come i due si fossero fermati e li costrinse a riprendere la corsa con gli altri.
Da quel momento in poi Amelia evitò accuratamente Daniele, cercando di non riprendere il discorso, cosa che in effetti non avvenne.
Però non poté fare a meno di pensare che Alessandro fosse assente anche quel giorno.
 
Erano passati sette giorni da quella mattina.
Alessandro era stato assente per tutto il resto della settimana per malattia per poi ritornare il lunedì seguente. La notizia della sua assenza era stata accolta con giubilo da tutta la classe – niente matematica e fisica per una settimana! – e se da un lato Amelia era contenta, dall’altro non poteva fare a meno che sentirsi in ansia.
Aveva finito per parlarne anche con Nicole ed anche lei era stata abbastanza incerta sulla risposta da darle.
«Potrebbe essere piuttosto pericoloso per entrambi.» aveva iniziato «Lui rischia la carriera, tu l’anno. Ma c’è anche da dire che certe cose non si possono controllare.» aveva poi terminato con una punta di amarezza.
Erano stati inutili i tentativi di Amelia di farle capire che non c’era nessun pericolo, solo si sentiva in crisi perché era un po’ troppo attratta fisicamente da lui – ma nulla, era come con Daniele: entrambi avevano tratto delle conclusioni che non esistevano.
Quando poi Alessandro era tornato a scuola Amelia era terrorizzata: nella sua mente c’era ancora l’ultima serata, a partire dall’insulto (dubitava che lui se ne fosse dimenticato) per terminare con quella assurda situazione in camera, dove entrambi erano brilli.
La reazione dell’insegnante era però stata molto fredda: in classe non le aveva rivolto uno sguardo in più rispetto al resto degli altri studenti, in corridoio la ignorava come se non ci fosse e non le era capitato di incontrarlo altrove. Da un lato era meglio, Amelia lo sapeva, ma in qualche modo si era sentita delusa da questo suo atteggiamento.
Aveva perciò concentrato tutte le energie su un’unica cosa.
«Voglio chiedere a Stefano di uscire.» aveva esordito così quel martedì mattina.
Era seduta affianco a Daniele e lo guardava con aria combattiva; il ragazzo aveva sollevato lo sguardo assonnato su di lei.
«E Angelis?»
Amelia sbuffò.
«Possiamo evitare di continuare questo discorso? Non c’è niente tra me e lui e mai ci sarà. Fine.» disse categorica.
Daniele la fissò per un attimo senza dire nulla, poi però scrollò le spalle accettando quella presa di posizione.
«Era ora che ti decidessi a farlo, comunque. Pensavo che non avresti mai avuto il coraggio.» scherzò.
«Ho avuto il coraggio di dare del bastardo ad Angelis, chiedere di uscire a Stefano sarà una passeggiata!» fece con tono altezzoso, più per convincere se stessa che l’amico.
«Quando hai intenzione di farlo?»
«Non so, quando ne ho l’occasione, direi.»
Daniele ci rifletté un po’ su.
«Oggi abbiamo educazione fisica con la sua classe, potresti approfittarne.» propose.
Amelia lo guardò incerta.
«Tu dici? Ci saranno tutti i nostri compagni di classe, pensa se lui mi rifiutasse e gli altri sentissero.» rabbrividì «Sarebbe tremendo.» dichiarò.
Il ragazzo le diede un colpetto in testa.
«Scema. Perché dovrebbe dirti di no? Gli stai chiedendo di uscire, non se ti vuole sposare. Sei una bella ragazza, perché non dovrebbe accettare?»
Amelia sbuffò e gli lanciò un’occhiataccia.
«Magari non sono il suo tipo. Non piaccio neanche a te, se è per quello.»
Daniele, a quelle parole, si fece improvvisamente rigido.
«Siamo amici.» disse solo.
La ragazza lo guardò stranita.
«Tutto bene? Ti vedo un po’ teso.» chiese.
Daniele annuì e chinò lo sguardo sul cellulare.
«Sì, sì, solo non mi sento benissimo oggi.»
Amelia annuì, poi si girò e notò la professoressa di chimica entrare – altra materia che non sopportava.
«Se ti dovessi sentire peggio dimmelo.» disse solo all’altro, per poi fargli un sorriso che Daniele ricambiò e tornare al proprio posto.
Prima di provare a concentrarsi sulla lezione, lanciò un ultimo sguardo all’amico.
In effetti, è un po’ troppo pallido.
 
Era arrivata la quarta ora e con lei la lezione di educazione fisica.
Nello spogliatoio, Amelia si guardava allo specchio del bagno cercando di farsi una coda quanto meno decente – cosa difficile, dato che i suoi ricci si rifiutavano di stare nella stessa posizione per più di cinque minuti e finivano sempre per starle in mezzo agli occhi.
Almeno il giorno non aveva il viso troppo sciupato dalla stanchezza: le occhiaie erano minime, motivo per il quale aveva usato pochissimo correttore lasciando la pelle respirare, e aveva deciso di mettersi giusto un po’ di ombretto per illuminarle gli occhi oltre al solito mascara. Le piaceva il risultato e comunque lo sguardo era sempre stato il suo punto forte: le risultavano leggermente allungati e le ciglia erano folte; il colore non era chissà quale rarità, castano scuro, ma non si lamentava affatto.
Sorrise soddisfatta allo specchio, mettendosi un po’ di burrocacao sulle labbra e poi lasciando la postazione ad Anna, che però la fermò.
«Ehi, Amelia.»
La mora si girò verso la ragazza e si ritrovò costretta ad abbassare lo sguardo.
A differenza sua, Anna mostrava meno anni di quanti avesse: era piuttosto bassina, occhi grandi, azzurri e con una particolare aria infantile. I capelli biondo miele erano spesso legati in una treccia e ciò le dava l’aspetto ancora più bambinesco.
Erano un po’ strane una affianco all’altra.
«Anna.» disse un poco sorpresa.
Non parlava granché con gli altri compagni di classe, eccetto Daniele – ma lui era il suo migliore amico, era un altro discorso a prescindere. La classe non era molto unita, era costituita prevalentemente da gruppetti, e per questo motivo Amelia poteva perfettamente dire di non avere un vero rapporto con nessuno.
«So di sembrare un’approfittatrice, però ti volevo chiedere se avevi gli appunti di francese da prestarmi. Sono rimasta un po’ indietro ultimamente.» fece la ragazza abbassando lo sguardo imbarazzata.
Amelia annuì.
«Certo, non c’è problema.» rispose.
Francese, in effetti, era tra le poche materie in cui poteva dire di andare davvero bene – non sapeva se fosse perché le piaceva o perché la professoressa fosse un amore.
Anna a quel punto, evidentemente a disagio per averle rivolto la parola solo per quello, le si affiancò mentre uscivano dallo spogliatoio.
«Come stai?»
Anche se Amelia non trovava il senso di quella semi messinscena rispose comunque.
«Bene, dai. Anche se sono piuttosto stressata per l’università, pare debba sceglierla domani.» confessò con una smorfia.
Affianco a lei, Anna annuì comprensiva.
«Ti capisco perfettamente. Ogni singola persona con cui parlo mi chiede dove voglio andare, cosa voglio studiare… Mi mettono più ansia loro che gli stessi professori!» si lamentò la biondina.
Amelia fece una mezza risata.
«Beh, però certi professori non scherzano, eh!» considerò.
Erano arrivate nella palestra e, guardandosi attorno, Amelia notò che Daniele non c’era ancora; nell’altra metà di campo, invece, Stefano già spiccava grazie alla sua notevole altezza.
«In effetti la Novari non fa altro che ripeterci in continuazione che avremo l’esame.» commentò Anna, richiamando l’attenzione di Amelia.
«O che avremo molto di più da studiare.» aggiunse la mora, alzando gli occhi al cielo e ripensando alla frase che la loro prof di italiano non faceva altro che ripetere dall’inizio dell’anno scolastico: “Ragazzi, guardate che l’università non è una pacchia come la scuola! Là è necessario studiare veramente, e di certo la quantità di lavoro non è come i vostri tre capitoletti sugli autori”.
Era davvero insopportabile quando lo ripeteva ogni due per tre.
«Almeno Angelis non fa così.»
Amelia si girò verso la bionda, lanciandole una vaga occhiata.
Perché tutti lo devono sempre nominare?
«Hai ragione.» si limitò a dire.
«Anche se è un bastardo, sembra essere piuttosto comprensivo per quanto riguarda l’esame.» continuò a commentare Anna mentre seguiva la mora vicino alle panche.
«O magari non gliene frega nulla e basta.» rispose Amelia e non riuscì a trattenere il tono acido.
Anna la fissò con i grandi occhi azzurri e per un attimo la mora ebbe paura che potesse leggerle i pensieri.
«Potrebbe essere.» disse infine la più bassa, concludendo tutto con una risata.
La conversazione era chiaramente finita, ma Amelia si trovava nell’imbarazzante momento dello scomodo silenzio – e di sicuro Anna pensava la stessa cosa.
Per fortuna in quel momento in palestra entrò Daniele e Amelia, dopo aver liquidato la compagna di classe, si avvicinò da lui.
«Ehi, pensavo ti fossi perso nello spogliatoio.» scherzò.
Come il ragazzo si girò verso di lei però notò il suo pallore.
«Oddio, cos’hai?»
Daniele fece una smorfia.
«Non mi sento granché bene.» mugugnò. Amelia lo squadrò preoccupata.
«Forse non è il caso di fare ginnastica oggi, dillo alla prof.» gli consigliò, trascinandolo a sedersi alla panca. Daniele scosse la testa.
«Non mi va. Comunque sia dovrebbe passarmi fra poco.»
«E se ti senti peggio?»
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
«Tranquilla mamma, non succederà.» la liquidò.
Non ci fu altro tempo per discutere, dato che in quel momento la professoressa li richiamò.
«Ragazzi, oggi faremo una partita di pallavolo con l’altra classe.» annunciò.
Tra la classe passarono dei bisbigli entusiasti – giocare era sempre meglio di fare noiosi e faticosi esercizi che la docente propinava loro.
In breve vennero organizzate le squadre miste tra le due classi, e Amelia si ritrovò nella squadra avversaria a quella di Daniele, che invece si ritrovò insieme a Stefano.
Peccato, mi sarebbe piaciuto essere in squadra con lui, pensò depressa, osservando la sua cotta che scambiava alcune frasi con altri ragazzi. Poi spostò lo sguardo verso Daniele, che invece rimaneva fermo per i fatti suoi ancora più pallido di prima.
Amelia ebbe la tentazione di avvicinarsi dalla professoressa e informarla che il ragazzo non stava bene, ma subito dopo incrociò lo sguardo di Daniele che le sorrise e le sillabò da lontano “tranquilla”.
Sospirò, arrendendosi a quello che voleva il ragazzo. Sapeva bene che se l’avesse ignorato e fosse andata comunque dalla professoressa sarebbe stato peggio.
La partita iniziò dopo poco e ben presto la squadra di Amelia si ritrovò in svantaggio – Stefano a quanto pare non era bravo solo nel basket e la sua altezza si stava facendo sentire parecchio, ma d’altronde ad Amelia non le importava così tanto vincere quanto non fare la figura dell’incapace con il ragazzo.
Andava tutto bene quando…
«Prof! Daniele sta male!»
L’urlo di un loro compagno di classe, Mattia, fece interrompere subito il gioco e far balzare il cuore in gola ad Amelia.
«Daniele!» esclamò mentre accorreva dall’amico, che nel frattempo si era accasciato per terra e si era fatto ancora più pallido. Affianco a lei si ritrovò immediatamente Stefano e le due docenti presenti, mentre il resto dei ragazzi li circondava con fare curioso.
«Longobardi, che cos’ha? Vuole che chiami un’ambulanza?» fece subito la Saleni, la loro professoressa di ginnastica. Il ragazzo scosse la testa mentre veniva sostenuto da Amelia da un lato e Stefano dall’altro.
«No. Mi passerà tra poco.» mugugnò sforzandosi.
«L’hai detto anche poco fa!» lo rimproverò Amelia e si voltò verso la propria insegnante.
«Stava male da prima, non so bene cos’abbia però.» spiegò preoccupata.
La docente la guardò indecisa, poi si girò di nuovo verso il ragazzo.
«Vai in spogliatoio e chiama qualcuno per farti venire a prendere, in queste condizioni non puoi rimanere a scuola. Stefano, giusto?» si girò poi verso l’altro ragazzo che subito la guardò sull’attenti.
«Sì, prof.»
«Accompagnalo nello spogliatoio e aspetta con lui finché non arriva qualcuno a prenderlo, se succede qualcosa chiamami.» gli ordinò pratica.
Amelia, sentendo quelle parole, aprì la bocca per protestare, ma subito dopo la richiuse: avrebbe preferito andare lei con Daniele essendo la sua migliore amica, ma comprese che non l’avrebbero lasciata. Era meglio lasciar perdere in partenza.
Così, mentre le professoresse facevano allontanare gli altri per far riprendere la partita, non poté che dire alcune frasi a Daniele.
«Se i tuoi non rispondono o sono impegnati chiama pure mia mamma, oggi ha il giorno libero. Ah, e ovviamente poi scrivimi per farmi sapere come ti senti.» gli disse.
Daniele annuì mentre lasciava che Stefano lo aiutasse ad alzarsi.
«Non preoccuparti.» le disse.
La ragazza non poté fare altro che osservarlo mentre scompariva nel corridoio con Stefano.
Spero che non sia nulla di grave.
 
Ecco fatto, pensò Amelia dopo aver terminato di mandare anche l’ultima foto degli appunti di francese ad Anna.
Lesse subito dopo il messaggio della ragazza che la ringraziava e le rispose in fretta con un semplice “figurati”. Non aveva senso continuare la conversazione, e poi non aveva granché voglia di chiacchierare.
Era preoccupata per Daniele: una volta terminata la lezione di ginnastica erano tornati tutti in classe e l’amico era già andato via – di sicuro era venuto a prenderlo uno dei suoi dato che la ragazza non aveva ricevuto nessun messaggio dalla madre. Comunque fosse aveva finito per mandargli un messaggio una volta tornata a casa e il ragazzo le aveva risposto dopo un’oretta dicendo che aveva avuto problemi di stomaco e che non doveva preoccuparsi troppo; Amelia non era troppo convinta, ma si era limitata a fargli sapere che, se avesse avuto bisogno di qualcosa, bastava chiamarla.
Era buttata sul letto guardando la chat con Daniele, pensando se potesse riscrivergli o fosse meglio di no, quando sentì il campanello della porta suonare. Non si alzò, tanto c’era Serena al piano di sotto, ma si dovette sollevare quando, dopo pochi minuti, la porta della sua stanza si spalancò e Nicole comparve di fronte a lei in lacrime.
«Amelia…» sussurrò la ragazza tra i singhiozzi.
La mora si alzò di scatto e si precipitò dall’amica, spaventata.
«Nicole! Cosa succede?» esclamò allarmata.
Alle spalle della castana spuntò Serena che le osservava preoccupate. Amelia lanciò alla madre un’occhiata confusa, per poi sillabarle un “cosa è successo?” mentre abbracciava l’amica; Serena scrollò le spalle, mormorando a sua volta “non lo so”.
«Tommaso… lui…» cercò di spiegare Nicole – senza tanto successo però considerando che l’unica cosa che comprese la mora fu che lo scopamico della ragazza fosse la causa del suo pianto a dirotto.
A quel punto, notando come Serena cercasse di allungare l’orecchio per comprendere qualcosa – sia per sincera preoccupazione materna che per pura curiosità – fece sedere l’amica sul letto e poi si rivolse verso la madre.
«Mamma, vai pure, mi occupo io di Nicole.»
La madre le lanciò un’occhiata a metà tra il dubbioso e il sospettoso.
«Sicura? Vuoi che le porti qualcosa?»
«Per ora no, grazie. Se ho bisogno di qualcosa ti chiamo.» rispose e sorrise per tranquillizzarla – e anche per farla uscire nel minor tempo possibile.
Una volta da sole nella camera di Amelia, quest’ultima si sedette affianco all’amica e le cinse le spalle con un braccio.
«Tesoro, dio santo, che è successo?» chiese preoccupata.
Nicole era ancora in preda ai singhiozzi; il volto di solito luminoso e sorridente era in quel momento cupo e arrossato, cosparso di lacrime bollenti. Tirava spesso su con il naso e la mora si allungò per prendere un fazzoletto e porgerglielo.
Attese paziente mentre vedeva l’amica che si soffiava il naso, sempre tenendola stretta e cercando di calmarla affettuosamente. Solo vari minuti dopo di vago silenzio Nicole parve calmarsi abbastanza per permettersi di parlare.
«Allora, cosa ha fatto Tommaso?»
Nicole la guardò – gli occhi erano arrossati e ancora lucidi.
«Mi ha chiesto di vederci oggi, io pensavo fosse per farlo e gli ho detto che c’era mamma a casa, però lui mi ha spiegato che non era per quello e che andava bene anche vedersi in un bar.» iniziò.
Amelia non commentò, ma non presagiva nulla di buono – non che potesse pensare altro, poi, considerando che si ritrovava l’amica disperata.
«Ci siamo visti da Nico, il bar nell’altra parallela della scuola – hai presente no?» la mora capì al volo, era il bar in cui erano solite andare quando saltavano la scuola «Ecco, in pratica lì ha iniziato a dirmi che non mi sarei dovuta arrabbiare per quello che stava per dirmi, solo che preferiva essere chiaro e sincero dall’inizio.»
Amelia era piuttosto spazientita da quei giri di parole, ma tacque e aspettò paziente che l’amica arrivasse al punto – d’altronde, non che lei fosse molto più concisa quando raccontava.
«Ha iniziato a dirmi che Giorgia, finalmente, gli stava dando una possibilità e che non voleva sentirsi con lei mentre veniva comunque a letto con me. La trovava una cosa irrispettosa per lei, capisci? Non per me, tanto io sapevo già che noi due non c’è mai stato nulla di esclusivo!» esclamò improvvisamente arrabbiata «In pratica mi stava scaricando senza troppi problemi per quella stronza che ha fatto l’irraggiungibile per anni, mentre io per lui c’ero tutto il tempo e ora che quella» quasi la sputò quella parola «ha deciso di darsi una svegliata io non conto più nulla!» esclamò infuriata.
Amelia sospirò.
Che coglione che sei, Tommaso, pensò.
Non che lo conoscesse molto bene, però si erano visti varie volte e la cosa strana era che non le aveva mai dato l’impressione di un deficiente di tali proporzioni – anzi, con i suoi capelli neri e gli occhi castano-verdi dava l’idea di un ragazzo molto sveglio, eppure non si era mai accorto che Nicole fosse completamente persa per lui, cosa molto facile da capire dato che la ragazza non era granché brava a nasconderlo.
Quella Giorgia, invece, Amelia non la conosceva però la odiava per partito preso – com’era ovvio che fosse in qualità di migliore amica di Nicole, e questi sentimenti non avevano bisogno di ulteriori motivi in situazioni del genere. La nemica di una tua amica è anche tua nemica, in sintesi.
«Dai, non sei sicura che continui ad andare così bene, per come si è comportata questa Giorgia in tutto questo tempo potrebbe perfettamente capitare che lo molli da un giorno all’altro.» commentò; non era sicurissima che fosse la cosa giusta da dire, dato che poneva la questione come se Nicole fosse la ruota di scorta, ma il punto focale della situazione era far riprendere la castana nell’immediato e sapeva che un punto di vista del genere avrebbe potuto funzionare.
Nicole si morse un labbro e subito dopo riprese a piangere.
Merda, pensò Amelia, e ora che ho detto?
«Scusa Nicole, non volevo farti sentire peggio…» mormorò abbracciandola – si sentiva una merda.
Immersa tra le sue braccia, sentì l’amica negare con la testa.
«Non è colpa tua, è che è successa anche un’altra cosa.» sussurrò una volta allontanata.
Amelia la guardò confusa.
«Cosa?»
Nicole abbassò lo sguardo colpevole e tacque per alcuni secondi – sembrava star cercando il coraggio di ammetterlo a voce alta, ma più che per Amelia per se stessa.
«Gli ho detto di essere innamorata di lui.»
Silenzio.
«…cosa?»
Amelia riuscì a dire solo quello mentre fissava scioccata Nicole, la quale invece faceva di tutto pur di non guardare negli occhi l’amica.
«L’hai fatto davvero?»
Non ci poteva credere. Nicole, colei che giurava e spergiurava che non avrebbe mai ammesso a Tommaso di essere innamorata di lui, si era appena confessata al ragazzo.
Notando come l’amica si stesse trovando pesantemente a disagio, Amelia si costrinse a riprendere un certo contegno.
«…e lui?» chiese lentamente – aveva paura di sapere la risposta, anche se in cuor suo sapeva che non sarebbe stata buona.
«Non mi ha davvero risposto.» borbottò la ragazza.
«Cosa significa?»
Nicole fece una smorfia.
«Mi ha guardato scioccato, ha aperto la bocca un paio di volte per poi dire soltanto “io…” e poi è rimasto zitto.»
«E cosa hai fatto?»
«Gli ho urlato contro di dirmi almeno qualcosa.» borbottò Nicole «E lui mi ha detto “non me l’aspettavo”. Capisci? Che idiota!» con quel moto di rabbia si alzò e iniziò a girare per la stanza infuriata. Se con se stessa o con Tommaso, Amelia non lo sapeva.
«E tu?»
«Sono scoppiata a piangere e me ne sono andata.» concluse chinando la testa «Dio santo, che stupida che sono stata!»
Amelia la imitò e si alzò come lei, per poi avvicinarsi ed abbracciarla.
«Senti, alla fine hai fatto bene secondo me. Nel senso, continuare ad andarci a letto nonostante tu fossi persa per lui senza essere ricambiata ti faceva male e basta, ok, ti ha rifiutata, però sai anche tu che non dovevi aspettarti il contrario.» le disse.
Sapeva che le sue parole non erano troppo gentili in quel frangente, ma conosceva Nicole e in quel momento aveva bisogno di qualcuno che le ricordasse la realtà – soprattutto dal momento in cui lei stessa sapeva che ciò che diceva Amelia era la verità.
«Lo so, ma ci speravo comunque.» mormorò la ragazza lasciandosi abbracciare.
«Era ovvio, chiunque ci avrebbe sperato. Ma almeno si è concluso tutto, no? Almeno adesso non dovrai più sopportare le sue chiacchiere su quanto sia bella Giorgia, su quanto sia intelligente e su quanto sia brava a suonare il violoncello.» concluse la mora con una smorfia.
A Nicole sfuggì una lacrima ma riuscì a ridere comunque al semplice tentativo di Amelia di farle vedere il lato positivo della situazione.
«Credo sia l’unica cosa positiva di tutto questo.» borbottò la ragazza.
«Beh, anche esserti liberata di un deficiente con i prosciutti sugli occhi non è qualcosa da sottovalutare.»
«Un deficiente che mi piaceva.»
Un’altra lacrima e un altro abbraccio.
«Pensa a quanti ragazzi saranno ora felici: senza Tommaso in giro, sei di nuovo in pista, adesso potrai provarci anche con tutti quei bei ragazzi che ogni volta ti cercano.» continuò Amelia.
Non che prima Nicole non potesse provarci con quei ragazzi, dato che il patto iniziale era solo “andiamo a letto insieme ma poi chiunque frequenta che gli pare”, cosa che però la castana aveva abbandonato in fretta dato che era caduta preda di una cotta terribile.
«Non mi interessano gli altri.» si lamentò Nicole. La mora alzò gli occhi al cielo.
«Per ora. Vedrai, ti passerà prima che te ne accorga.» le disse – non ci credeva davvero però. Nicole era troppo presa da Tommaso affinché lo dimenticasse a breve, ma doveva convincerla del contrario per farla distrarre.
Dio, se lo avessi tra le mani lo strozzerei, pensò irata nei confronti del ragazzo. Poi però decise di rimuovere quei pensieri omicidi e rivolse un caldo sorriso all’amica.
«Sai cosa è utile in queste situazioni?» disse retorica.
«L’alcol?»
«Anche, ma non è questo il momento dato che sono le cinque di pomeriggio e siamo sotto gli occhi di mia madre.» precisò «Io pensavo più a una cioccolata calda e crepes alla Nutella.»
Nicole la guardò dubbiosa.
«Ma la mia dieta…» si interruppe e si adombrò «Fanculo la dieta. Andiamo a sfondarci di cibo.» ordinò categorica.
«Mi sembra un’ottima idea!»

 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ~ Di proposte e piccole vendette ***


Buongiorno a tutti, lettori e lettrici!
Come promesso, eccomi anche questo lunedì ad aggiornare con il nuovo capitolo – spero che questo possa risultare più interessante, sono rimasta un po’ dispiaciuta a notare come nessuno abbia commentato il capitolo quattro, capisco che potesse sembrare inutile e di passaggio ma era importante per il resto della trama!
In questo nuovo capitolo i nostri due protagonisti interagiranno di nuovo – non mi entusiasma troppo, di suo, ma anche questo è necessario per i prossimi, soprattutto per quello successivo dato che accadrà qualcosa di divertente!
Ringrazio come sempre coloro che hanno inserito la storia tra preferite/seguite/ricordate e che leggono anche senza commentare, vi auguro buona lettura e spero di rivedervi anche al prossimo capitolo!
Un abbraccio,


~Sapphire_



~La fisica dell’attrazione





Capitolo cinque
~
Di proposte e piccole vendette



 
«Dovresti chiederglielo.»
Amelia alzò gli occhi verso Nicole che però non la guardava, troppo impegnata a passarsi un secondo strato di smalto nel mignolo sinistro.
Era domenica mattina e le due ragazze, dopo aver passato la sera prima a guardare commedie romantiche strappalacrime e a distruggersi con il cibo, avevano finito per dormire insieme a casa della castana – la madre, Laura, aveva il turno notturno all’ospedale, motivo per il quale sarebbero state tranquille.
Dopo essersi svegliate alle dieci del mattino avevano fatto un’abbondante colazione con brioche che Laura aveva portato per le nove – subito dopo era dovuta uscire per alcune commissioni, Amelia ancora si chiedeva dove trovasse tutta quell’energia – e in quel momento si stavano dedicando alla periodica manicure. O almeno Nicole, dato che Amelia era ancora indecisa sul colore da mettere.
«Sì, ma non so quando. Questa settimana non ci sono state occasioni, e anche Daniele non mi sostiene più come prima. Non capisco cosa gli passi per la testa!» esclamò.
Ovviamente stavano parlando di Stefano. Nonostante la settimana prima la ragazza avesse deciso di chiedergli di uscire, tutto si era concluso in nulla considerando che non aveva più avuto occasione di vederlo – se non in corridoio insieme ai suoi amici – e anche Daniele si era fatto improvvisamente meno convinto sull’idea.
«I ragazzi sono strani.» dichiarò Nicole puntandole contro gli occhi verdi «Tu provaci, tentare non costa nulla. Magari ti dice sì!»
Amelia scrollò le spalle e prese una boccetta di smalto rosso scuro: aveva deciso.
«Magari mi dice no.» obiettò.
«Se dovessimo stare ai “magari” nessuno farebbe più nulla.» disse Nicole alzando gli occhi al cielo per poi soffiare sull’unghia per farla asciugare prima «E comunque, perché Daniele non ti sostiene più?» chiese confusa.
Amelia scrollò le spalle.
«Non ne ho la minima idea.»
«Ho sempre detto che quel ragazzo è strano.»
«Nicole!» la richiamò Amelia con un’occhiataccia; l’amica fece spallucce, poco toccata dal tono di rimprovero.
Nicole e Daniele non erano amici – non che si odiassero, assolutamente, ma non avevano granché in comune eccetto la stessa amicizia con Amelia, e questo aveva fatto sì che non stringessero vicendevolmente amicizia tra loro. La mora non era contenta del fatto, ma non poteva costringerli al contrario e riusciva a trovare un equilibrio: Daniele lo vedeva tutti i giorni a scuola e ogni tanto si concedevano un’uscita assieme o qualche pomeriggio di studio, Nicole invece era di solito l’appuntamento fisso del fine settimana – o anche del resto, si vedevano appena potevano, ecco.
Voleva bene a entrambi, ma non poteva negare che Nicole la conoscesse da molto più tempo, considerando che si erano incontrate per la prima volta alle elementari. Con Daniele invece era tutto iniziato alle superiori, una volta diventati compagni di banco per caso.
«Sai anche tu che dico il vero!» ribatté poi la castana.
«E invece no.» la contraddisse.
E invece sì, si corresse in testa. Sapeva che l’amica aveva ragione, Daniele era un tipo un po’ troppo atipico come ragazzo – non gli interessava nulla delle comuni cose da ragazzi, ma questo non lo aveva mai sminuito agli occhi di Amelia, anzi, lo trovava più intelligente della maggior parte della gente.
Nicole si limitò a lanciarle un’occhiata significativa, scegliendo però di non continuare.
«Se ti va male con Stefano, puoi sempre concentrarti su Angelis!»
Questa volta toccò ad Amelia lanciare un’occhiata significativa all’amica.
«Ancora con questa storia? Pensavo te ne fossi dimenticata.»
Nicole rise e si lasciò andare sul letto a pancia di sotto, puntellandosi sui gomiti e poggiando la testa sui palmi; da quella postazione osservò Amelia che iniziava a mettersi lo smalto sulla mano sinistra – in quel modo la mora poteva evitare di guardarla negli occhi e arrossire apertamente.
«Il fatto che tu non ne parli non implica che io non sappia cosa tu hai in quella testolina piena di ricci.»
«E cosa avrei, avanti.» la esortò.
«Il bello e algido professore Alessandro Angelis, che non ti considera da più di una settimana e, addirittura, ha smesso anche di chiamarti all’interrogazione – evidentemente quella serata gli è bastata per capire che deve stare lontano da te, se no l’impellente desiderio di saltarti addosso emergerà e…»
«Ok, molto divertente.» la bloccò a un certo punto Amelia. Sapeva di essere arrossita a quelle parole, soprattutto perché aveva la vaga consapevolezza di sperarci nonostante sapesse fosse comunque qualcosa di impossibile.
«Hai il viso rosso!»
«Non è vero!»
«E invece sì!»
Amelia considerò che lanciarle in faccia il cuscino fosse una risposta molto più efficace.
«Non vuoi ammettere la realtà.»
Amelia sbuffò.
«Forse perché non è la realtà?» chiese sarcastica.
«Magari la sua attrazione non è ancora arrivata a questi livelli, però…»
«Attrazione? Non c’è nessuna attrazione tra di noi! Ho diciotto anni, sono ancora una bambina per uno come lui, non potrebbe mai ricambiare.» si lamentò.
Appena notò l’amica tirarsi su di scatto con gli occhi illuminati, si rese conto di quello che aveva detto.
«Ah-ah! Beccata!» esclamò ridendo Nicole.
In quel momento Amelia si rese perfettamente conto di essere diventata paonazza – anche se non aveva uno specchio, sentiva distintamente il proprio viso andare a fuoco.
«Non intendevo quello.» subito cercò di salvarsi in extremis «Era una frase ipotetica, “anche se io provassi qualcosa per lui, non ricambierebbe”!» continuò. L’amica non fu toccata da quelle parole e continuò a ridere.
«Ti conosco perfettamente, Ame, non è vero! Ti piace!» la accusò l’altra.
«Sono solo un po’ attratta, non significa che mi piaccia.» ripeté la mora, concentrando tutta la propria attenzione sulle unghie e lo smalto e sperando che Nicole mollasse in fretta la presa.
«Definisci “attrarre”, allora.»
La ragazza sbuffò.
«Intendo che è bello, che gli darei una ripassata, che mi divertirei tanto a imboscarmi con lui, ma fine. L’interesse è puramente estetico dato che è affascinante.» ammise alla fine.
Anche se non la vedeva, poteva chiaramente sentire lo sguardo di Nicole che incombeva su di lei.
«E non ti piace in altri sensi?» chiese conferma.
A quel punto Amelia sollevò la testa e la fissò.
«Come potrebbe? Non lo conosco, è un mio professore, per le poche volte che ci ho parlato in altre occasioni si è comportato da stronzo. È vero, ha un’aria da “misterioso” che in altre occasioni mi avrebbe affascinata da morire, ma tutto qui, perché nella realtà non può succedere nulla di nulla.» terminò categorica.
La stava sfiancando quell’argomento – e soprattutto voleva smettere di pensarci, dato che ultimamente il giovane professore si stava affacciando un po’ troppo spesso nei suoi sogni notturni e voleva evitare che la cosa continuasse.
«Va bene, va bene, ti credo.» si arrese Nicole, ma Amelia sapeva che non era tutta la verità: Nicole avrebbe continuato a stuzzicarla appena ne avesse avuto l’occasione, anche perché pensava di aver ragione. Cosa non totalmente falsa, però il suo era davvero un interesse prevalentemente fisico – e come poteva essere altrimenti? Si era comportato da stronzo.
Però avrebbe anche potuto giocare con me l’altra sera e prendermi in giro, invece mi ha allontanata…
Scossa un poco la testa, cercando di scacciare quei pensieri.
L’argomento sembrava essere chiuso ed entrambe stavano in silenzio, ognuna nei propri pensieri, quando il telefono di Nicole iniziò improvvisamente a squillare.
Amelia notò di sfuggita la ragazza allungarsi sul letto per afferrarlo, facendo però molta attenzione con le unghie, e poi adombrarsi in volto.
«Che succede?» chiese lasciando perdere lo smalto e osservando attentamente l’amica – tanto la mano sinistra l’aveva finita, ora doveva aspettare che si asciugasse.
«Tommaso.» disse solo la castana e girò il telefono verso di lei, lasciando che vedesse sullo schermo la chiamata in arrivo da parte del ragazzo.
«Non rispondi?» chiese con cautela.
«No.» rispose secca l’altra, e chiuse la chiamata con un dito, per poi lanciare il cellulare da qualche parte nel letto.
Di nuovo silenzio, questa volta piuttosto carico di tensione. Amelia fissò l’amica che concentrava tutta la propria attenzione nelle unghie, ma notò che si stava impegnando il più possibile per non piangere; aveva gli occhi lucidi e per nasconderli lasciò che i capelli le coprissero il viso.
«Come stai?»
«Come vuoi che stia? Non ho più il coraggio di parlarci o di vederlo, è da quel giorno che mi chiama e mi riempie di messaggi e non gli ho mai risposto.»
Questo Amelia lo sapeva già dato che i primi giorni Nicole l’aveva tormentata per dei consigli su come comportarsi – consigli che venivano poi ignorati, dato che la ragazza preferiva fare sempre di testa sua.
«Ah, sai che l’altro giorno è anche venuto a casa?»
Amelia la guardò stupita – questo non lo sapeva.
«No, non me l’hai detto.» rispose, un poco infastidita dal non essere stata avvisata in anticipo, ma le passò subito «Cos’è successo?»
Nicole rise amara.
«Ero a casa con mia madre, ti lascio immaginare l’imbarazzo. Ha iniziato a suonare ed è andata mamma, mi ha subito detto chi fosse e io le ho detto di fingere che io non ci fossi.»
«Quindi se n’è andato subito?»
«No, purtroppo. Non credeva a mia mamma ed insisteva per entrare, lei ha dovuto letteralmente chiudergli la porta in faccia.» rispose Nicole con un brivido.
«Insistente.»
«Già, ma stavo origliando tutto da dietro la porta e non mi sembrava arrabbiato, solo un sacco dispiaciuto, sembrava quasi che stesse per piangere.» borbottò la castana «Ma basta, so già qual è la sua risposta, non ho più il coraggio di vederlo o parlarci. Voglio chiudere questa cosa.»
Amelia la guardò pensierosa.
«Non sono molto convinta, Nicky... Secondo me facendo così la situazione continua solo a rimanere sospesa, mentre sarebbe meglio chiuderla definitivamente parlandoci, sempre se vuoi farlo davvero.» concluse con un vago tono dubbioso.
Nicole abbassò di nuovo lo sguardo e la mora sospirò.
Come pensavo, pensò. L’amica non voleva ancora chiudere del tutto, per questo non voleva parlarci. Sapeva che sarebbe stata la fine.
«Non ti fa bene rimanere così.»
«Lo so, ma per ora non voglio vederlo, mi vergogno troppo.»
«Va bene, lo capisco. Qualunque cosa tu voglia fare, io ti sostengo sempre e comunque.» rispose con un sorriso Amelia.
Nicole alzò la testa e la fissò, permettendosi solo una lacrima.
«Non so cosa farei se non ci fossi tu.» le disse per poi sporgersi ed abbracciarla.
«Saresti persa, già lo immagino.» rispose ironica la mora.
E io più di te, ma questo non lo disse e la strinse tra le braccia.

Metticela tutta!
Amelia lesse il messaggio di Nicole e sospirò.
La sua migliore amica l’aveva convinta a chiedere di uscire a Stefano, ma la mora continuava ad essere in ansia – e se l’avesse rifiutata di fronte a tutti? Non sarebbe riuscita a tornare mai più a scuola, lo sapeva.
«Che hai?»
La voce di Daniele la fece spaventare, presa com’era dai propri film mentali in cui già si vedeva chiusa in camera a piangere disperata dopo il rifiuto.
«Sono un po’ in ansia.» spiegò dopo poco; il ragazzo si sedette sul suo banco – era il cambio tra la seconda e la terza ora e stavano aspettando che arrivasse il professore di storia.
«Come mai?»
«Alla ricreazione ho intenzione di andare da Stefano e chiedergli di uscire.» ammise.
Di fronte a lei, Daniele quasi cadde dal banco.
«Cosa?» fece incredulo. Amelia lo guardò stranita.
«Perché sei così stupito? Mi hai sempre appoggiata.» borbottò. Daniele si morse un labbro, come se fosse indeciso.
«Pensavo avessi cambiato idea.»
Amelia inarcò un sopracciglio.
«Tu mi stavi dicendo di cambiare idea, questi giorni. Io non ho mai detto che l’avrei fatto.» precisò. Poi lo fissò infastidita «Non capisco, mi hai sempre appoggiata per questa cosa e ora cambi idea. Dov’è il problema?» chiese.
«Non potresti piacergli!» sibilò di botto Daniele, scostando lo sguardo.
Eh?
Amelia rimase immobile, incapace di parlare, guardandolo senza sapere come reagire. Improvvisamente il suo sguardo si adombrò e Daniele se ne accorse subito, perché si alzò in piedi e le si avvicinò.
«Scusa Ame, non intendevo dire questo, è che…»
«Invece intendevi dire proprio quello che hai detto.» lo interruppe fredda.
Daniele allungò un braccio verso di lei ma la mora si scostò.
«Per favore, non ho voglia di parlarti, ora. Vattene.» disse sempre gelida, per poi girarsi e sedendosi corretta sul banco, lo sguardo fisso sulla cattedra.
«Ame…»
In quel momento arrivò il professore e non poté continuare; fu costretto ad andare a sedere in silenzio, Amelia che fissava ostinatamente il docente.
Idiota.

La campanella suonò tempestivamente salvando Amelia dalla noia assoluta dell’ora di storia.
Si chinò verso la borsa per prendere il borsellino, afferrò il cellulare e si alzò; subito incontrò lo sguardo di Daniele ma, prima che potesse permettergli di parlare o farlo avvicinare, spostò lo sguardo indifferente e lo superò senza dirgli una parola, ancora ferita per le parole che le aveva rivolto in precedenza.
Brutto idiota, come si permette? Solo la scorsa settimana mi diceva “devi farlo assolutamente” e ora…, pensò irritata.
Si diresse da sola verso le macchinette, aspettando che due ragazze di fronte a lei finissero di comprare qualcosa, poi si avvicinò e guardò critica ciò che c’era: il Mars che di solito prendeva era finito, avrebbe ripiegato sul Bounty – non che le facesse schifo, ovviamente.
Fu molto triste quando vide il cioccolato cadere e bloccarsi a metà della sua discesa.
«Merda.» disse Amelia neanche a voce troppo bassa e attirando così lo sguardo di alcune ragazze ferme lì vicino.
Oggi non ne va bene una, pensò infastidita.
Iniziò a dare spinte alla macchina, non riuscendo nemmeno a farla ondeggiare – non che se lo aspettasse comunque – e continuò a borbottare imprecazioni per tutto il tempo.
«Hai bisogno di una mano?»
Per la seconda volta nella giornata fu spaventata da qualcuno che le si rivolgeva all’improvviso. Si girò di scatto, incontrando l’alta figura di Stefano.
«Stefano.» disse solo.
No, ma grazie tanto cervello, tu sì che mi fai sembrare intelligente e pronta a ogni situazione, pensò sarcastica. Per fortuna riuscì a riprendersi piuttosto in fretta.
«Beh, a dire il vero mi farebbe comodo.» disse con un sorriso imbarazzato.
Dov’è la mia prontezza quando serve? Sembro una tredicenne alla prima cotta!
E di certo quella non era la sua prima cotta, anzi.
Stefano le sorrise e spinse con forza la macchinetta – questa volta si mosse, ovviamente, e dopo alcuni ondeggiamenti il cioccolato cadde con un tonfo. Amelia si chinò a prenderlo.
«Grazie mille.» gli sorrise. Stefano le fece un cenno e a sua volta un sorriso.
«Figurati.»
Si girò per andarsene e a quel punto Amelia fece un profondo respiro.
Avanti, ora o mai più.
«Stefano!» lo chiamò. La voce le uscì più stridula di quanto non dovesse e si vergognò a morte.
Il ragazzo si girò e la guardò in attesa.
«Sì?»
Amelia si avvicinò – meglio evitare di chiederlo a voce troppo alta, altrimenti qualcuno l’avrebbe sentita.
Si schiarì la gola.
«Ecco, senti…» iniziò, incerta «Ti volevo chiedere, per caso uno di questi giorni saresti libero? Pensavo potremmo prenderci un caffè o qualcosa del genere.» propose rendendosi conto di aver parlato troppo veloce.
“O qualcosa del genere”? Davvero, Amelia?, pensò – e la voce dei suoi pensieri fu troppo simile a quella di Nicole.
Il ragazzo la guardò sorpreso, di sicuro non si aspettava una proposta del genere da parte della ragazza, poi si passò una mano tra i capelli.
«Io…» iniziò.
Merda.
Amelia spostò veloce lo sguardo, a disagio e consapevole.
Voglio sparire, pensò in crisi. Sapeva già quale sarebbe stata la risposta.
«Va bene.»
Come temevo… Eh?
Alzò la testa di scatto.
«Davvero?» le sfuggì, per poi arrossire dopo essersi resa conto di ciò che aveva detto. Stefano scoppiò a ridere.
«Sì, perché no?» disse retorico scrollando le spalle. Amelia sorrise.
«Ci mettiamo d’accordo, allora?» continuò il ragazzo «Tieni, ti lascio il numero.» e porse una mano. Amelia gli lasciò il cellulare giusto il tempo per fargli scrivere il proprio numero, poi lo riebbe indietro.
«Ok.» riuscì solo a dire la mora.
«Allora ci sentiamo!» concluse il ragazzo e, prima che la giovane potesse aggiungere qualcosa, la superò e continuò per il corridoio.
Oddio, pensò spalancano la bocca in un sorriso radioso, Stefano ha detto di sì!
Quasi non ci credeva. Da come stava reagendo all’inizio si aspettava un secco rifiuto, invece no! Non capiva ancora come avesse fatto.
«Cos’è che dicevi, Daniele?» borbottò tra sé con un sorriso entusiasta.
«Parla da sola?»
Tre è il numero perfetto, dicono, e infatti per la terza volta in un giorno Amelia venne spaventata da una voce. Si girò di scatto, ma già sapeva a chi apparteneva.
«Professore.» fece, più fredda di quanto avrebbe voluto – è che con lui finiva sempre per sentirsi minacciata, non sapeva perché.
Angelis la osservava critico, gli occhi grigi che sembravano piombo e l’espressione impassibile.
«Che entusiasmo, è successo qualcosa di bello?» continuò l’uomo, ma il tono rimaneva piuttosto insensibile.
E che ti frega a te?, pensò la mora, ma quella volta riuscì a frenarsi in tempo – meglio evitare di mettersi a litigare con il professore in mezzo al corridoio. A proposito, com’è che non continuava ad ignorarla come faceva di solito?
«Non posso essere entusiasta per nulla? Sa, ci sono persone che a volte provano gioia durante la giornata.» rispose, più sarcastica di quanto avrebbe voluto – e anche più stronza.
Merda, com’è che gli rispondo male sempre prima di una sua lezione?, pensò dandosi della scema; infatti, l’ora successiva sarebbe stata di matematica. Una vera felicità.
«Se la “gioia” di cui parla è quello che ho capito, penso proprio che dovrebbe soffocarla sul nascere.» fece il professore, e per la prima volta in quella conversazione fece una vera espressione: assottigliò gli occhi e la guardò con uno strano sentimento negli occhi. Amelia non seppe dire se fosse fastidio o tristezza.
«Cosa intende?» chiese però confusa.
Al prof sfuggì una risata.
«Non è granché brava a inquadrare le persone, vero?» chiese pungente.
Amelia si zittì, non sapendo come rispondere in quanto non riusciva a capire a cosa si stesse riferendo l’uomo.
«Sono bravissima, invece.» rispose percependo lei stessa il tono infantile di quelle parole «Piuttosto, sembra che lei si stia intromettendo nella mia vita sentimentale o sbaglio?» continuò, e questa volta fu il suo turno di essere pungente.
Insomma, era chiaro che il professore avesse ascoltato la conversazione con Stefano e stesse facendo riferimento a quello – anche se non capiva proprio cosa volesse dire con “inquadrare le persone”.
«Era solo un suggerimento su una conversazione che ho ascoltato per errore.» ammise il professore e insieme a quelle parole fece una smorfia di fastidio, come se si stesse dando dello stupido per essersi lasciato andare in un argomento del genere con una propria studentessa – anzi, niente “come se”. Di sicuro si era reso conto di come avesse per un attimo oltrepassato il ruolo di insegnante.
Amelia però si sentì andare a fuoco: era già abbastanza in crisi per l’appuntamento che era appena riuscita a strappare a Stefano, mai e poi mai avrebbe voluto che Angelis vedesse la scenetta di lei che proponeva un’uscita all’altro ragazzo.
Si sentì ferita e a disagio, come quella sera a casa dei suoi genitori – anche se la situazione era completamente diversa.
«Beh, comunque sia» iniziò, e la sua mente le ordinò di tacere ma le sue emozioni la spinsero a parlare «non credo che una persona in crisi con la propria fidanzata possa permettersi di dare suggerimenti sulla vita sentimentale.» concluse tagliente come una lama appena affilata.
Proprio quando finì la frase si rese conto di ciò che aveva appena fatto – aveva accennato alla fidanzata del prof e aveva finito anche per dire a voce alta, in un luogo non sicuro, una confidenza che lui stesso le aveva fatto in un momento di debolezza.
A quel punto fu il turno di Angelis diventare una statua di marmo, ma a differenza della ragazza riuscì a riprendersi in fretta e fece un sorriso cortese – un sorriso da professore nei confronti di uno studente particolarmente fastidioso.
La campanella di fine ricreazione suonò in quel momento.
«Non crede, signorina,» iniziò, fissandola negli occhi. Amelia sentì un brivido «di dover tornare in classe? Potrei metterle la nota se non si presenta in aula subito dopo il finire della pausa.» disse – era un consiglio, un modo di chiudere la conversazione o una minaccia? Amelia non lo sapeva, ma finì per abbassare lo sguardo e dargliela vinta.
«Certo, professore.»
Quella volta aveva fatto un grosso errore.

«Si può sapere che hai fatto ad Angelis? Sembrava che ti volesse distruggere all’interrogazione.»
La voce di Daniele la richiamò dalla bolla di depressione in cui si era rinchiusa; alzò lo sguardo verso l’amico e lo vide accennare un sorriso – voleva far pace, evidentemente.
«Prima gli ho detto qualcosa che potevo risparmiarmi.» finì per dire.
E sia, pace accordata, pensò. Era ancora infastidita dalla frase di prima, non poteva negarlo, ma Daniela era un suo amico, non riusciva a tenergli il muso per troppo tempo – e poi comunque Stefano le aveva detto di sì!
Daniele sorrise notando come la mora avesse ripreso a parlargli.
«E cosa?» chiese incuriosito, afferrando la sedia e prendendo posto accanto a lei – tanto prima che arrivasse la prof di francese ne sarebbe passato di tempo, era un’inguaribile ritardataria.
Amelia fece una smorfia al solo pensiero.
«Gli ho detto che non dovrebbe permettersi di darmi consigli sentimentali dato che è in crisi con la fidanzata.» borbottò a disagio. Anche solo ripetere quelle parole la faceva sentire una stronza, si chiedeva ancora con che coraggio le avesse pronunciate di fronte a lui – e chissà come si doveva essere sentito…
Daniele spalancò la bocca, incredulo.
«Gli hai detto seriamente una cosa del genere? Ci credo che volesse seppellirti con le domande prima!»
Ovviamente, come Amelia si aspettava, era finita per essere chiamata all’interrogazione, anche perché ormai era l’ultimo turno e lei non era ancora stata chiamata. E si aspettava anche le pessime domande che le sarebbero arrivate – infatti era successo proprio così. Il giorno prima aveva studiato/ripassato, godendo dell’aiuto di Nicole che si era mostrata molto disponibile, e in qualche modo era riuscita a difendersi con un sei meno. Sarebbe stata in grado di prendere anche un voto più alto se lui non si fosse messo a fare lo stronzo.
Bella scema, Amelia, perché non riesci a starti zitta? La tua media ringrazierebbe, pensò amara.
In quel momento odiava Angelis: è vero, lei non era stata per niente gentile, ma lui si era fatto influenzare dalle sue parole e aveva cercato di vendicarsi di lei mettendola in difficoltà all’interrogazione.
«Lo so, ho parlato prima di potermi rendere conto di quello che stavo per dire.» spiegò con una smorfia «Non credo che questa me la perdonerà a breve, ma credo che neanche io lo farei se fossi in lui. Solo che non è molto professionale da parte sua vendicarsi in questo modo» si lamentò.
Daniele la fissò un po’ pensieroso.
«Hai ragione, non è per niente professionale, ma è umano come noi – sì, so che è una frase strana riferita a un professore – e ha reagito… Non credo comunque che continui ad accanirsi su di te per molto, alla fine si renderà conto che sta facendo lo stronzo e basta.» considerò il ragazzo.
Amelia lo guardò dubbiosa.
«Tu dici? A me sembra un po’ troppo vendicativo.»
«Ma non sembra così poco professionale.» ribatté Daniele.
Amelia annuì e fissò un punto indefinito, presa dai propri pensieri. Poi un pensiero le venne improvviso in mente e si voltò verso l’amico con aria baldanzosa.
«Comunque, ho chiesto a Stefano di uscire.» annunciò. L’amico la guardò allarmato. «Mi ha detto di sì e mi ha lasciato il suo numero.» terminò soddisfatta.
Ad Amelia per un attimo le parve di vede una strana luce di fastidio e delusione negli occhi di Daniele, ma subito dopo il ragazzo fece un luminoso sorriso entusiasta e si convinse di essersela solo immaginata.
«Davvero? Alla fine mi sbagliavo, allora.» disse lui con uno strano tono asciutto, mantenendo il sorriso.
«Sì, ti sbagliavi. Tutti qui si sbagliano a proposito della mia vita sentimentale.» rispose piccata.
«Beh, dopo Giacomo…» obiettò il ragazzo.
Amelia, al sentir nominare quel nome, fece una smorfia disgustata.
«Ti prego, non nominarmi quel coglione. Vorrei solo ucciderlo.» disse finendo però per ripensare al proprio ex. Daniele alzò le mani in segno di scuse.
«Come preferisci. E comunque, cosa intendi per “tutti”?» chiese curioso.
«Te, in parte Nicole – che si fa strane idee tra me e Angelis – e lo stesso Angelis. Il motivo per cui gli ho detto quella frase prima è perché, a quanto pare, aveva visto la scena tra me e Stefano e mi ha detto che “non dovrei provare gioia per qualcosa che andrà male” e che “non sono brava con i ragazzi”.»
Daniele la guardò stupito e quasi a disagio.
«Beh, neanche lui ci è andato leggero.» commentò «Hai idea perché ti abbia detto una frase del genere?»
Amelia scrollò le spalle.
«Non ne ho idea. Forse perché è stronzo e basta.» concluse secca.
Daniele annuì, poi la guardò indeciso – sembrava volesse dire qualcosa ma non sapesse come fare – e sembrò quasi che si fosse deciso, se non fosse per il “bonjour” che fece calare il silenzio nella classe.
«Ti do un passaggio, dopo?» disse solo il ragazzo, rispostando la sedia.
Amelia annuì.
Mi chiedo che gli passi per la testa.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ~ Di locali e tanti drink ***


Ed eccomi qui dopo una settimana esatta, proprio come avevo promesso!
Devo assolutamente ringraziarvi perché noto con piacere che la mia storia sta continuando a piacere e trova anche nuovi lettori – la cosa non fa che rendermi felice e orgogliosa!
Questo nuovo capitolo sarà un po’ una svolta, spero vi piaccia nello stesso modo in cui a me ha divertito scriverlo, ma questo me lo dovrete dire voi – con una recensione, se volete.
Questo capitolo inoltre è un po’ più lungo degli altri che finora ho pubblicato, ma non potevo proprio spezzarlo, quindi spero mi perdoniate.
Non vi annoierò con ulteriori chiacchiere, di auguro solo buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo sei
~
Di locali e tanti drink
 
 
 
«Noi questo sabato andiamo a ballare.»
Amelia spostò lo sguardo dal libro di chimica che ormai stava assumendo sfumature spaventose e si concentrò su Nicole, la quale senza chiedere o dire nient’altro aveva dato inizio in quel modo alla telefonata.
«Come mai?» chiese alzandosi e buttandosi sul letto – tanto ormai sapeva che non sarebbe stata in grado di studiare chimica per quel pomeriggio.
Sentì uno sbuffo dall’altra parte della cornetta.
«Ho bisogno di distrarmi, Ame, di bere e divertirmi senza dover pensare a quel coglione di Tommaso che continua a chiamarmi e a tempestarmi di messaggi.» disse infastidita l’amica.
Amelia lasciò scorrere i suoi occhi sul soffitto, osservando il lampadario bianco appeso e perdendosi nei dettagli.
«Capisco. Beh, allora andiamo, ho voglia anche io di andare a ballare e staccare un po’ il cervello.» ammise la giovane. Dall’ultimo lunedì passato i suoi pensieri finivano per oscillare come un pendolo tra Stefano e Alessandro, nel primo caso eccitata e ansiosa per l’appuntamento che ormai era stato rimandata alla settimana successiva, nel secondo spaventata dai possibili risvolti – non che dovesse averne, dato che il resto della settimana era passata in totale tranquillità da quel punto di vista: come al solito, Alessandro aveva ripreso ad ignorarla e per fortuna non c’erano state altre cene in cui aveva dovuto vederlo per forza, al massimo le era capitato di sentire ogni tanto Serena parlare al telefono con Margherita.
«Allora è perfetto!»
«Hai già qualche idea su dove andare?» chiese la mora, iniziando a cercare le doppie punte sui propri capelli.
«Stavo pensando all’Havana.» rispose l’altra. A quelle parole, Amelia rimase sorpresa.
«L’Havana? Ma lì ci vanno quelli di vent’anni e più, non i nostri coetanei.» considerò.
«Meglio, così avrò zero probabilità di incontrare Tommaso. E comunque sia, entrambe dimostriamo più anni di quanti abbiamo, quindi non ci sono problemi.»
Amelia ci pensò un po’ su: era andata solo un paio di volte all’Havana e le era piaciuto come locale, solo che era prevalentemente frequentato da universitari e così via piuttosto che quelli della sua età; aveva sentito che organizzassero anche eventi privati, ma non ne aveva mai visto uno.
«Come vuoi, per me è indifferente.»
«Vieni da me la sera? Mia mamma ha il turno serale anche questo sabato.» la informò l’altra.
Amelia annuì distratta per ricordarsi subito dopo di essere al telefono.
«Sì, va bene.» confermò – non che la madre le facesse troppe storie per andare a ballare, ma rimanendo a casa di Nicole poteva evitare i soliti commenti sull’orario del ritorno a casa.
«Ok, allora ci organizziamo per bene questi giorni.»
«Certo, ciao.» concluse la telefonata Amelia. Sentì l’amica rispondere al saluto e chiuse la chiamata.
Bene, ho tre giorni per decidere cosa indossare, speriamo di riuscire a trovare qualcosa di decente, pensò e, facendo finta che non ci fosse il libro di chimica ad attenderla, aprì l’armadio pronta a scegliere l’abito perfetto.
 
«Sei sicuro di non voler venire anche tu?»
Daniele annuì per l’ennesima volta all’ulteriore richiesta di conferma di Amelia.
«Sicurissimo, te l’ho già detto.» confermò mentre finiva di mettere i libri apposto – anche la quinta ora era terminata e la settimana era finalmente finita, solo che il ragazzo pareva non voler andare a ballare come invece Amelia e Nicole avevano intenzione.
«Non è per Nicole, vero? Sai com’è fatta lei, non le stai antipatico, solo che non ha granché di cui parlare con te.» borbottò.
Daniele rise e si passò una mano tra i riccioli.
«Tranquilla, non è per lei. È solo che oggi non sono molto in vena di andare a ballare, preferisco passare un sabato tranquillo con una pizza e una serie tv.» rispose semplicemente.
Amelia fece il muso e cercò di fare l’espressione più mesta che potesse uscirle.
«Ma a me dispiace.» pigolò tentando di fare leva sul proprio lato tenero – non che ne avesse davvero uno, infatti non funzionò.
«No, davvero Ame. Grazie comunque, recupereremo la prossima volta.» concluse il ragazzo.
La mora sospirò, finalmente rinunciando all’impresa, anche se avrebbe dovuto intuire che non sarebbe stata comunque in grado di convincerlo – Daniele, quando voleva, sapeva essere terribilmente testardo, ma Amelia poteva esserlo più di lui e per questo ogni tanto provava a sfidare la sorte.
«Dove avete intenzione di andare, comunque?» chiese il ragazzo, chiudendo finalmente lo zaino.
«All’Havana.»
«L’Havana? Ma lì non ci va gente un po’ più grande di noi?» chiese curioso l’altro.
Amelia fece spallucce.
«Sì, ma Nicky vuole cambiare un po’ giro pare, e anche evitare di incontrare qualcuno.» disse con un tono di vari sottintesi. Daniele annuì comprensivo – non che sapesse tutta la storia, ma era per fargli capire che ci fosse un ragazzo di meno.
«Beh, lì di sicuro si cambia il giro. Siete solo voi due?»
«Sì, una serata tra sole ragazze e tra migliori amiche. Sai com’è, la devo sostenere e lei deve sostenere me.» concluse con una risata. Daniele la guardò scettico.
«Sostenere per cosa? E poi grazie per la considerazione, come se io non ti sostenessi.» disse con tono offeso. Amelia gli lanciò un’occhiata in tralice.
«Ultimamente non mi pare che tu sia molto presente o di supporto.» frecciatina «E comunque sia, è diverso, ho bisogno di una ragazza in questi momenti.»
Daniele chinò la testa a sentire la prima frase e poi le diede uno sguardo colpevole.
«Scusa Ame, è che ho un po’ di cose per la testa, io…» e si interruppe, indeciso su come continuare. Amelia sospirò, ma poi fece un cenno con la mano, come a scacciare via una mosca.
«Tranquillo, capitano a tutti. Solo non farmi preoccupare troppo, ok? E se c’è qualche problema, qualsiasi esso sia, puoi parlamene, lo sai.» gli disse mentre afferrava il casco che il ragazzo le porgeva – tra una chiacchiera e l’altra erano arrivati al parcheggio di fronte a scuola e, come ogni giorno, si apprestavano a tornare a casa con la moto del giovane.
«Lo so, grazie.» fece il ragazzo con un sorriso. Stava per mettere il casco, quando si bloccò all’improvviso. «Quello non è Angelis? Dio, che brutta cera.» borbottò.
Amelia si girò di scatto e finì per farsi male addirittura al collo per il movimento, ma subito fu dimentica di tutto appena vide il giovane professore che andava in direzione della macchina.
Era strano che l’avesse presa in quella bella giornata, considerò Amelia, aveva notato che quando c’era la possibilità andava a piedi. Di sicuro doveva essere successo qualcosa, dato che aveva ragione Daniele: Alessandro aveva proprio una pessima cera.
Lo osservò mentre si trascinava con stanchezza verso la macchina, i capelli e i vestiti più in disordine del solito, gli parve quasi di poter vedere anche le occhiaie da quella distanza.
«Hai ragione.» sussurrò sovrappensiero. Chissà cosa poteva essergli successo.
«Ora però non fissarti troppo.» la riprese Daniele, notando subito come la ragazza fosse entrata immediatamente in trance. Quelle parole furono sufficienti per distrarla e farla arrossire.
«Non mi sto fissando, ero solo curiosa!» si difese, ma sapeva di stare arrossendo e si sbrigò a mettere il casco per coprirsi. Daniele però rise.
«Farò finta di crederci.» la canzonò e salì sulla moto aspettando che Amelia facesse lo stesso.
«Zitto e guida.» borbottò la ragazza allacciando le braccia intorno all’amico.
Io non sono fissata.
 
Amelia guardava indecisa i due vestiti che si era portata a casa di Nicole.
«Guarda che faremo tardi se continui così eh.» la voce di Nicole la richiamò dai propri pensieri e si girò in sua direzione, osservandola.
L’amica non ci aveva messo tanto a scegliere cosa indossare e aveva optato per un tubino blu scuro sagomato, che le metteva in risalto le curve modellate con tanta cura dai propri esercizi in palestra. Ovviamente stava benissimo addosso a lei e anche se era ancora a piedi scalzi e con il trucco incompleto era comunque bellissima.
«Ti prego, quando ti guardo la mia autostima cade a pezzi.» borbottò depressa la mora.
Nicole sbuffò.
«Ma smettila con queste idiozie. Se ti mettessi a fare sport come me avresti il mio identico fisico, credimi.» la rimbeccò avvicinandosi a lei e iniziando a fissare i due vestiti poggiati sul letto.
«Allora, non hai ancora deciso?» chiese poi.
Amelia fece cenno di no con la testa e riprese a guardare i due abiti: uno era nero ma piuttosto elaborato, con le maniche e il busto ricoperti di pizzo in un grazioso ma non volgare effetto vedo-non vedo, l’altro rimaneva più semplice, un vestito con scollatura all’americana, piuttosto aderente e che – già sapeva – le metteva in risalto le scarse curve che aveva in un risultato più che soddisfacente; a differenza dell’altro, era di una cupa tonalità di rosso.
«Metti il rosso.» decretò infine Nicole, scegliendo per l’amica. Amelia si voltò verso di lei.
«Tu dici? Non saprei…»
«Il contrasto che fa con i tuoi capelli neri è bello, inoltre hai lo smalto rosso.» spiegò la castana scrollando le spalle.
Amelia ci pensò su un paio di secondi, poi annuì.
«Va bene. Comunque fosse, uno dovevo metterlo.» borbottò.
Nicole ritornò in bagno – nel suo favoloso bagno in camera, Amelia la invidiava da morire per questo – e riprese a truccarsi mentre Amelia iniziava ad infilarsi i collant color carne che si era portata appresso.
«Hai già chiamato il taxi?» chiese la mora facendo attenzione che le unghie non si impigliassero nelle calze. Entrambe infatti non avevano ancora la patente anche se stavano studiando per prenderla e, in quelle serate prive di passaggio, preferivano optare per un taxi piuttosto che andare in bus e venire fissate da tutti.
«Sì, verrà qui per le dieci.» confermò la ragazza.
Amelia lanciò uno sguardo al proprio cellulare per guardare l’ora: erano le otto e un quarto, sarebbero riuscite a prepararsi e anche a mangiare la cena che Laura aveva lasciato loro.
«Sai già che scarpe metterti?» chiese poi, impegnata ad infilare il vestito.
«Pensavo le pumps con plateau nere.» rispose la castana. Amelia le lanciò uno sguardo terrorizzato nonostante l’altra non potesse vedere, troppo impegnata a mettersi l’eyeliner.
«Con quale coraggio metti quelle per andare a ballare?» fece scioccata. La castana si girò e le lanciò uno sguardo di sufficienza.
«Per la bellezza, questo e altro.» rispose sicura «E tu invece?»
Beh, non che lei avesse optato per tacchi molto più corti.
«Le francesine alte.» rispose per poi guardarle, appena tirate fuori dalla borsa che si era portata: il tacco era praticamente a spillo ed erano alte, ma senz’altro più comode delle scarpe dell’amica. Erano lucide e le aveva comprate giusto un paio di mesi prima, ma aveva già avuto modo di indossarle e si era resa conto di poterle tenere varie ore senza dover rischiare di chiedere di amputarle il piede dal dolore.
«Attenta a non fare troppe conquiste, poi come faresti con Stefano?» scherzò Nicole per poi scoppiare a ridere.
«Io invece non ti devo dare questo consiglio, vero?» la rimbeccò pungente, ma senza cattiveria, motivo per il quale Nicole scoppiò a ridere dopo aver chiuso lo stick dell’eyeliner.
«Assolutamente no.» rispose con un sorriso, per poi prendere il mascara e ritornare allo specchio.
Amelia scosse la testa con un sorriso, poi la raggiunse, iniziando anche lei a truccarsi.
«Pensi di andare a letto con qualcuno stasera?» chiese la mora.
«No, e in ogni caso ci saresti tu a dormire, quindi non mi sembra il caso. Ma se c’è qualcuno di interessante, perché non conoscerlo?» disse retorica «E tu invece?»
Amelia sbuffò.
«La mia vita sessuale non disdegnerebbe, stanno iniziando a venirmi le ragnatele.» rispose ironica «Ma comunque no, e in ogni caso sarei qui a dormire.» aggiunse imitandola.
«E se incontrassi qualcuno di interessante?»
Amelia strinse le spalle per poi lavarsi le mani dopo essersi messa la crema.
«Mi piace Stefano, lo sai, e ho anche un appuntamento con lui questa settimana, non mi sembra il caso.» commentò per poi prendere l’ombretto e iniziare a metterselo con attenzione.
«A proposito, hai buone sensazioni per quell’uscita?» chiese Nicole, chiudendo il mascara e osservando il risultato.
Amelia ci pensò un po’.
«Non saprei. Insomma, lui mi è sembrato parecchio disponibile, però ho una strana sensazione a riguardo.» ammise.
«In che senso?»
«Non so, come un sesto senso, hai presente?» disse e si sentì un po’ scema nel pronunciare quelle parole.
«Beh, anche se ti andasse male avresti sempre il bel professore che ti aspetta!» disse ridendo la castana. Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Chi sa come, ma sapevo che l’avresti tirato fuori.» borbottò.
«Dai, lasciami il mio unico divertimento.»
«Come ti pare.» tagliò corto Amelia – il sentire nominare il professore le aveva fatto venire in mente il lampo di odio che aveva visto nei suoi occhi dopo la brutta frase che lei gli aveva rivolto.
Per i successivi minuti non ci fu altro che silenzio, entrambe erano troppo occupate a terminare di truccarsi e quando terminarono erano già le nove meno dieci.
«Che ne dici?» chiese la mora, guardandosi allo specchio alla ricerca di imperfezioni. Non si era fatta un trucco particolarmente elaborato, si era limitata a un ombretto chiarissimo, quasi non si notava se non fosse per i brillantini che le illuminavano lo sguardo, e aveva poi cerchiato l’occhio con l’eyeliner e la matita nera, valorizzando infine le ciglia con un abbondante uso di mascara. I suoi occhi ora erano la prima cosa che risaltava.
«Mi piace, solo che non devi metterti un rossetto troppo scuro, se no risulti troppo pesante.» consigliò Nicole «E io?»
Amelia si voltò verso l’amica, osservandola: lei aveva puntato su un ombretto scuro, sfumandolo e ottenendo uno smokey eyes brillante che metteva ancora più in risalto gli occhi verdi; anche lei aveva abbondato con il mascara.
«È bellissimo, ma ti devo dare lo stesso tuo consiglio.» ammise. Nicole annuì.
«Io però sto morendo di fame, andiamo prima a cenare?» chiese la castana.
«Va bene.»
Andarono nella cucina dove due piatti le aspettavano sul piano della cucina, entrambi coperti con dei fazzoletti che nascondevano un riso freddo. Mangiarono direttamente lì, senza nemmeno sedersi al tavolo, lanciando sguardi alla tv accesa in soggiorno e commentando il programma senza reale interesse.
«E se ci fosse Tommaso?» domandò all’improvviso Nicole.
Amelia terminò di masticare il boccone e poi le rispose.
«Non ci sarà. Non è solito andare in quella discoteca, l’hai detto anche tu, no?» fece retorica. Nicole annuì.
«Sì, è vero, ma magari…»
«Con i magari nessuno farebbe nulla, o almeno così qualcuno mi ha detto.» la interruppe la mora, lanciandole un sorrisino.
«Non usare le mie frasi contro di me!» si lamentò Nicole.
«Non è colpa mia se tu mi offri queste occasioni su un piatto d’argento!» rispose a sua volta Amelia.
Nicole alzò gli occhi al cielo.
«Basta, con te non ci parlo più.» continuò a lamentarsi; poggiò poi il piatto vuoto dentro il lavabo e ritornò in camera sua, ignorando l’amica che in fretta la raggiunse con ancora in bocca l’ultima forchettata.
«Permalosa.» la rimbeccò la mora e vide Nicole fare un mezzo sorriso nonostante continuasse a fingere di non sentirla.
Terminarono in fretta di prepararsi: si lavarono i denti, si misero il rossetto – entrambe nude, come si erano consigliate a vicenda – e terminarono indossando le scarpe.
«Beh» iniziò Amelia «direi che andiamo bene.» fece ironica guardando i loro riflessi allo specchio a figura intera in camera.
«Siamo delle fighe, se nessuno ci considera dopo tutto questo lavoro mi arrabbio.» disse più esplicita Nicole.
«Parla per te, io ho già Stefano a cui pensare.» commentò la mora. L’amica le lanciò uno sguardo scettico.
«Quindi se nessuno ti guardasse andrebbe comunque bene?» disse.
Amelia non rispose.
Eh no, almeno un’occhiatina la voglio!, pensò tra sé.
Guardò l’orologio.
«Sono le nove e quaranta, non ci rimane che aspettare.»
 
L’Havana era proprio come se lo ricordava: grande, elegante per quanto potesse esserlo una discoteca, e colmo di gente prevalentemente dai vent’anni in su.
Amelia e Nicole si facevano strada tra la gente accalcata, finendo per spintonare qualcuno per arrivare al bancone del bar, poco lontano dalla pista da ballo. Avevano intenzione di prendere almeno un drink e rilassarsi un po’ prima di buttarsi nella mischia – Nicole perché voleva avere la testa più leggera, Amelia perché senza alcol in circolo non aveva il coraggio di ballare, sempre se si potesse definire così quei movimenti che facevano a ritmo di musica.
C’era parecchia gente prima di loro e Amelia si concesse di guardarsi attorno, per notare in fretta un dettaglio.
«Oh, pare ci sia una festa lì.» commentò alzando la voce per farsi sentire dall’amica, più presa a cercare di superare qualcuno della fila.
«Mh, davvero?» rispose distratta la castana.
«Sì, guarda, allora fanno davvero anche eventi privati.» borbottò la mora, non venendo però sentita dall’amica. Lanciò un’altra occhiata: era un piano sopraelevato, grande e con vari divanetti – da quello che riusciva a vedere, almeno, dato la presenza di un separé che nascondeva parzialmente le persone che vi erano.
«Vieni!»
Amelia si sentì trascinare con forza da Nicole che l’aveva afferrata per un polso e pochi attimi dopo si ritrovò di fronte al bancone del bar, in cui i vari barman andavano da una parte all’altra senza fermarsi un attimo. L’amica, come al solito, era riuscita a superare tutti e in breve tempo, grazie al suo sorriso splendente e lo sguardo magnetico, aveva attirato lo sguardo di uno dei baristi.
«Un Long Island e una Piña Colada.» disse Nicole, sapendo già cosa avrebbe ordinato Amelia.
Nicole allungò i soldi prima che la mora potesse anche solo prenderli dalla propria borsetta a tracolla e subito le lanciò un’occhiataccia.
«Il prossimo lo pago io.» le disse Amelia, sempre alzando la voce per farsi sentire nel fracasso dell’ambiente. Nicole fece un vago gesto con la mano per poi passarle il drink e subito ripresero a farsi strada tra la folla.
Bevvero il drink mentre si guardavano attorno, facendo scivolare lo sguardo distratte e disinteressate dai vari ragazzi che lanciavano loro occhiate di apprezzamento.
«Non c’è nessuno di interessante!» si lamentò la castana. Amelia rise.
«Bevi ancora un po’ e vedrai che sembreranno tutti più appetibili.» fece ironica.
Nicole alzò gli occhi al cielo e prese a bere più velocemente, quasi nervosa; Amelia la imitò, più per volersi liberare del bicchiere che altro e poter andare in mezzo alla pista – inoltre, in quel modo l’alcol avrebbe fatto più in fretta a stordirle.
Amelia reggeva meglio l’alcol rispetto a Nicole, motivo per il quale di solito era lei a portare l’amica piuttosto che il contrario, ma anche lei non aveva una soglia di ubriachezza molto alta e quella sera voleva sì lasciarsi un po’ andare, ma non distruggersi – a differenza dell’amica, che invece pareva trovare nell’alcol il modo per distogliere la mente dai pensieri tristi e fastidiosi.
Il fondo del bicchiere arrivò rapido per entrambe e sentirono subito la testa più leggera, motivo per il quale si lanciarono nella pista spintonando le persone.
A quel punto, Amelia si lasciò andare alla musica.
 
Non sapeva quanto tempo fosse passato e nemmeno quanto avessero bevuto, sapeva solo che si sentiva leggera come un palloncino e straordinariamente bene. Meglio, in effetti, di quanto non si fosse sentita in quelle varie settimane – sapeva che era tutto merito dell’alcol, ma le andava bene così, quella sera voleva solo essere una diciottenne senza pensieri.
Vedeva Nicole ballare assieme ad un ragazzo che si era avvicinato pochi minuti prima – era carino, alto, atletico e con dei bei capelli biondi, gli occhi però non riusciva a vederli, ma tutto sommato le era sembrato abbastanza decente per fare un cenno affermativo a Nicole, la quale le aveva lanciato uno sguardo dubbioso chiedendo un parere.
L’amica era molto più brilla di lei, praticamente ubriaca, ma Amelia non era troppo preoccupata: Nicole anche quando era completamente persa riusciva in qualche modo a mantenere una patina di lucida coscienza che le impediva di fare grosse cazzate. In ogni caso, la mora aveva deciso di smettere di bere per poter controllare la castana.
Vedendola lì, a pochi passi da lei e in dolce compagnia, si permise di rilassarsi e chiudere gli occhi, per un attimo svuotando la testa da pensieri superflui: Stefano, Alessandro, Daniele con le sue stranezze. In quel momento non le importava di niente, voleva solo rimanere in quella bolla di euforia garantitale da quello che aveva bevuto.
La voglia di fumare la colse in quel momento, e subito fece un cenno a Nicole portando due dita vicino alla bocca per mimarle il gesto.
«Vieni?» urlò per farsi sentire.
La ragazza si spostò un attimo dal giovane giusto per risponderle.
«No, rimango qui, tranquilla!»
Amelia le lanciò un’occhiata dubbiosa – per quanto Nicole non fosse una stupida non le piaceva comunque lasciarla lì da sola con il tipo.
L’amica doveva aver capito la preoccupazione, perché scosse la testa con un sorriso vago, chiaramente brillo ma comunque consapevole.
«Tranquilla! Se ho problemi corro da te, e poi torni subito no?» continuò a urlare.
Amelia sospirò.
«Va bene! Tieni il cellulare a portata di mano!» le disse però, per poi immettersi nel marasma di persone e dirigendosi verso l’uscita.
Le ci vollero vari minuti prima di riuscire a raggiungere la porta, davanti alla quale dei bodyguard dall’aria minacciosa le lanciarono appena un’occhiata seria prima di lasciarla passare indifferenti – Amelia fece una smorfia.
Almeno un sorriso fatelo, non vi cascano i denti, pensò infastidita, nonostante sapesse perfettamente che il loro lavoro fosse quello di rimanere lì seri e inquietanti per spaventare chiunque avesse strane idee.
Una volta fuori rabbrividì dal freddo: il cappotto era dentro nel guardaroba e prenderlo avrebbe comportato dover di nuovo pagare per rimetterlo al proprio posto – tanto valeva resistere alcuni minuti al freddo, per questo si sbrigò a prendere una sigaretta dal proprio pacchetto e accendersela con gesti secchi e infreddoliti.
Il fumo le scese lungo la gola con un vago sapore agro e amarognolo, reso più leggero dall’alcol.
Fumare per lei non era proprio un vizio. Cioè, fumava solo qualche volta, quando andava a ballare e beveva, per esempio; oppure quando era nervosa, ma lo doveva essere parecchio. Ovviamente i genitori non lo sapevano, altrimenti sarebbe stata polvere e cenere già da tempo – e, sempre ovviamente, non avrebbero dovuto saperlo.
«Ma guardate un po’… Amelia Moretti che fuma! Sai che fa male alla salute?»
Amelia si irrigidì, diventando un pezzo di ghiaccio. Non sentiva più nulla, freddo, alcol, ansia per Nicole.
No. No, è un incubo. Non può essere, non qui.
«Potrei doverlo dire a Davide e Serena.»
Voce ironica, pungente, stranamente strascicata.
Si girò lentamente, terrorizzata – sperava di non avere ragione, ma sapeva di non essere in errore.
Ed eccolo lì, in tutta la sua magnificenza, con il solito ghigno bastardo sul volto ma allo stesso tempo completamente diverso.
Con una rapida occhiata, Amelia si accorse che Alessandro Angelis, di fronte a lei, suo professore, era molto probabilmente completamente ubriaco.
Cazzo.
«P-professore…?» balbettò presa in contropiede, rendendosi conto di fare la figura della stupida ma, dio santo, non che lui fosse in una posizione migliore.
Stava fuori, di fronte a lei, appoggiato al muro non in una posizione casuale, bensì più necessaria per stare stabile – e Amelia sapeva riconoscere questi dettagli. I capelli neri erano scompigliati, il viso leggermente arrossato, gli occhi lucidi e lo sguardo vacuo; i vestiti – una camicia nera, piuttosto elegante, dei jeans scuri dall’aria un po’ casual, una giacca in mano grigio antracite – erano stropicciati.
«Siamo fuori dalla scuola, Amelia, non farmi ripetere quello che sai già.» fece sprezzante Alessandro, facendola scuotere con quelle parole.
«Che ci fai qui?» fu la prima cosa che le venne in mente, per poi darsi nuovamente della stupida per la domanda piuttosto ovvia. L’uomo parve pensarla allo stesso modo perché la guardò con un vago sorrisetto ironico, leggermente annebbiato dal velo dell’alcool, ma le rispose.
«Festa di addio al celibato.» disse solo il professore, poi però fece scivolare il proprio sguardo lucido su tutto il corpo della ragazza. Perse l’aria ironica che aveva a favore di una indifferente. «E tu?» le chiese, il tono improvvisamente atono che fece salire i brividi ad Amelia.
La ragazza scrollò le spalle, fece un tiro dalla sigaretta – più per prendere tempo che altro – e lo guardò a disagio.
«Sono con una mia amica, volevamo fare qualcosa di diverso.» borbottò.
Alessandro la guardò ancora un po’, in silenzio, poi l’espressione gelida si rilassò in un sorriso definibile solo come “acido” – strano come, nonostante fosse chiaramente ubriaco, riuscisse a mantenere la vena di disprezzo e acidità che lo contraddistingueva. Non si scioglieva proprio mai.
«Questa è la seconda volta che ti vedo in vestito.» commentò infine, il tono casuale.
Amelia si irrigidì, non sapendo in un primo momento come rispondere, poi però il fastidio prese forza in lei – fastidio di trovarsi in imbarazzo, di sicuro – e, come sempre, parlò prima di pensare.
«Questa è la seconda volta che ti vedo ubriaco.» lo imitò pungente.
Per quella volta però non si pentì di quelle parole, l’alcol la rendeva più spericolata anche in quei gesti.
«Beh, non mi sembri particolarmente lucida nemmeno tu.»
Evidentemente, anche Alessandro era reso più sciolto dall’alcol – allora non aveva più il bastone nel sedere!
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Dovrebbe tornare dai suoi amici.» fece acida, dandogli del lei per cercare di riacquisire un po’ di distanza.
Non aspettò che l’uomo replicasse, lasciò cadere la cicca a terra e la calpestò con la punta della francesina, poi gli diede le spalle e si diresse verso la porta.
«Bevi qualcosa con me?»
Amelia si bloccò.
«Cosa?» fece scioccata girandosi.
Quello che vide, però, la stupì ancora di più della proposta: Alessandro Angelis la guardava con una strana luce desolata negli occhi, un vago tono di preghiera nella sua voce che le fece chiedere se fosse davvero lui oppure fosse stato sostituito da un robot – o, più precisamente, una reale persona aveva sostituito il robot che era il suo professore.
«Ti ho chiesto se vuoi bere qualcosa con me. Non voglio tornare subito dai miei amici, loro…» si bloccò, forse rendendosi conto che quello non avrebbe dovuto dirlo.
Strinse le labbra in una smorfia, poi si staccò dalla parete su cui era appoggiato e fece qualche passo non troppo fermo.
«Lascia stare, era un’idea stupida.» disse in fretta superandola.
Ma quando a una come Amelia le si tirava il sasso per poi ritirare la mano non le andava assolutamente bene. Inoltre era brilla, aveva più di una scusante per quel comportamento poco ortodosso e intraprendente – o forse stupido, dipendeva dai punti di vista.
«Va bene. Ma devo sbrigarmi, c’è la mia amica che mi aspetta.» rispose, guardando rapida il telefono e constatando che Nicole le aveva mandato un messaggio per comunicarle che andava tutto bene, di fumarsi anche una seconda sigaretta se voleva.
Mi vuole mandare via?, pensò bonariamente irritata.
«Sicura?»
Alessandro la guardò con una strana sfumatura di ansia e di indecisione sul viso, tanto che Amelia si chiese se la domanda fosse rivolta a lei o a se stesso.
«Sì.» disse.
Improvvisamente nella sua testa si era fatto avanti il desiderio di vedere un’altra sfaccettatura dell’uomo, non quella dell’insegnante, non quella del figlio di amici, ma quella di un semplice uomo che era andato in discoteca a festeggiare e si era ubriacato.
Alessandro la guardò dubbioso per un’ultima volta, poi quell’espressione scomparve a favore di una più fredda e sicura di sé, infine le fece cenno di precederlo con una strana smorfia sarcastica e ironica sul viso.
Amelia gli lanciò un’occhiata infastidita, ma dentro di sé aveva un mezzo sorriso – di sicuro dovuto all’alcol, pensò – e lo precedette all’interno del locale.
Mentre si districava tra la folla e si dirigeva verso il bar la sua testa era in una vaga bolla che la stordiva – l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che stava andando a bere qualcosa con il suo professore e sentiva distintamente la sua mano sfiorarle la schiena come a guidarla; con la coda dell’occhio vide che le si avvicinava per aiutarla a farsi strada scostando le persone.
Amelia, è solo un drink, non c’è nulla di male. Insomma, siamo in discoteca, alla fine non avremo nemmeno dieci anni di differenza tra di noi, pensava in ansia, cercando di trovare una scusa a tutta quella situazione.
Una volta al bancone Alessandro le disse qualcosa ma Amelia, a causa della musica, non sentì.
«Scusa, che hai detto?» urlò per farsi sentire.
A quel punto Alessandro si chinò verso di lei; sentì la sua bocca sfiorarle i capelli, il respiro che le solleticava l’orecchio e un profumo maschile misto a un vago aroma dolciastro di qualche drink bevuto in precedenza.
«Cosa vuoi?» le chiese.
Amelia deglutì, sorpresa dal gesto dell’uomo e sentendo un calore diffondersi nelle guance – Ma quanto caldo c’è, voglio uscire fuori di nuovo! – e si morse un labbro per costringersi a non afferrare il colletto della camicia dell’uomo e costringerlo lì affianco a lei.
L’uomo la guardava in attesa e Amelia si rese conto di quanto ubriaco fosse dal viso: gli occhi erano lucidi, un poco assenti ma allo stesso consapevoli, le guance arrossate dal caldo e i capelli umidi all’attaccatura. Come anche fuori dal locale, era più sorretto dal bancone che solo appoggiato.
«Quello che vuoi tu!» si ritrovò a rispondere – cos’è che ordinava di solito? Non se lo ricordava più. Era davvero un bene continuare a bere?
Dopo questo drink non bevo più nulla per tutta la sera. Per colpa di questa merda sto facendo la figura della ragazzina con Alessandro, pensò maledicendosi e ignorando il pensiero molesto, molto più consapevole di lei, il quale le diceva che quella voglia di saltargli addosso non era dettata dall’alcol, bensì dal suo reale desiderio di farlo.
L’uomo non insistette e si voltò verso il barman ordinando qualcosa che non riuscì a sentire – nella sua testa ci fu il labile pensiero di come riuscisse ad attirare nell’immediato l’attenzione di tutti proprio come accadeva anche in classe.
Furono pochi i minuti che passarono prima di avere il drink in mano e Amelia si sentì sollevata nel constatare che fosse dolce, proprio come piaceva a lei, poi si sentì trascinare da Alessandro lontana dal bar, in una delle zone più appartate del locale, vicino all’uscita dove la musica giungeva più lieve in modo tale da poter parlare senza problemi.
«Che cos’è?» chiese osservando il proprio drink: era per metà bianco latte e per metà nocciola – o meglio caffè.
Di fronte a lei Alessandro si abbandonò sul divanetto, lasciando cadere la testa all’indietro con stanchezza. Lei si sedette di fronte.
«White Russian. Ho pensato ti piacessero le cose dolci, ma ora che ci penso forse è un po’ troppo forte per te.» spiegò Alessandro guardandola indeciso e con la voce appena più strascicata dopo aver preso un sorso dal proprio drink – Amelia non lo aveva riconosciuto, era completamente bianco come se fosse soltanto acqua.
«Hai intenzione di farmi ubriacare?» scherzò la mora, più per dire qualcosa che altro, ma si rese conto troppo tardi di ciò che presupponeva la sua frase.
Si morse la lingua troppo tardi e fissò Alessandro in silenzio, in attesa di una risposta. L’uomo la fissò con espressione impassibile, prese un sorso del proprio drink e poi fece un sorriso sbadito e non troppo convincente, subito sostituito da uno più accattivante e ironico.
«Non ho bisogno di farti ubriacare.» disse solo.
Amelia arrossì a quelle parole e lo osservò mentre socchiudeva gli occhi per osservarla meglio; sotto quello sguardo lucido di alcol si sentì avvampare ancora di più, soprattutto dopo che la sua testa le disse che sì, non avrebbe avuto bisogno di farla ubriacare.
«Non ne sarei così sicuro, cosa te lo fa pensare?» rispose tagliente, prendendo un altro sorso del proprio drink – cazzo, era dannatamente buono!
Alessandro si sporse verso di lei, poggiando il gomito sul ginocchio e la testa sulla mano, osservandola da sotto le ciglia lunghe e nere – il suo sguardo era sempre stato così penetrante?
«È solo una sensazione. Potrei sempre sbagliarmi.» soffiò appena, continuando a guardarla negli occhi.
Amelia deglutì ancora, non proprio a disagio – l’alcol le stava facendo troppo effetto per poter dire di avere ancora un po’ di imbarazzo in un frangente del genere – piuttosto si sentiva sudata e accaldata, indecisa su come rispondere.
In altri casi non ci avrebbe messo troppo tempo a decidere: la attraeva? Ci flirtava spudoratamente. Non era difficile, tutto dipendeva dal piacerle o meno, non altro. Ma in quel caso…
È il mio professore, non posso flirtarci come se nulla fosse!, pensava, il suo lato razionale ancora forte dentro di lei.
Alessandro, del canto suo, sembrava ormai aver abbandonato ogni doverosa misura da mantenere con una studentessa e sembrava completamente a proprio agio nel mostrarle quel mezzo sorriso che la faceva desiderare di allungarsi verso di lui e…
È solo l’alcol, Amelia, l’alcol e gli ormoni di una diciottenne, continuava a ripetersi.
D’altro canto, era per la maggior parte la verità.
No, non posso.
«Potrebbe esserci la sua fidanzata da qualche parte qua in giro.»
Quella frase ruppe qualsiasi bolla si fosse potuta creare in quei pochi minuti: Alessandro riassunse un’espressione gelida di botto, si lasciò di nuovo cadere sui divanetti e prese un sorso dal proprio bicchiere. Anche Amelia continuò a bere, più per tenersi impegnata che altro.
Ho bisogno di una sigaretta.
«Non c’è nessuna fidanzata. Ci siamo mollati.» rispose l’uomo gelido.
Amelia allargò gli occhi sorpresa e quel gesto dovette divertire l’uomo, perché scoppiò a ridere.
«Mi dispiace, io…» borbottò la ragazza – e ora come si continuava in quei casi?
«Tranquilla, avevo già in testa di farlo da un po’ di tempo. Scoprire che andava a letto con un altro è stata solo la spinta di cui avevo bisogno.» spiegò freddo e asciutto – più di quanto volesse, dovette intuire Amelia notando come finì in un solo sorso quello che avanzava del suo bicchiere.
Prese un sorso dal proprio, prendendosi il tempo per elaborare quella nuova informazione.
Oddio, il professor Angelis veniva tradito dalla sua ragazza… Se qualcuno a scuola lo venisse a scoprire sarebbe la fine, pensò con una strana sensazione dentro di sé. Sensazione prontamente eliminata, in quella strana lucidità datale dall’alcol capì che sarebbe stata peggio dopo averlo detto in giro.
«Mi dispiace. Non so bene come ti senti in questo momento, mi è capitata una cosa simile ma beh, essere traditi così… Non so cosa dovrei dirti per farti sentire meglio, però questa tipa ha fatto una stronzata – ok, so che sembra una frase costruita apposta, però lo penso davvero, insomma» si interruppe, notando di star straparlando, poi però notò come l’uomo la fissasse preso dai suoi strani giri di parole e decise di continuare, in fondo poteva dire di avergli detto di peggio «io credo che tu sia davvero una brava persona. Ok, ti reputo uno stronzo e a momenti ti odio, ma sei il mio professore, credo che sia più che normale farlo! Però per le poche volte che ti ho visto fuori da scuola mi sei sembrata una persona interessante, brava – come il giorno che non mi hai interrogata perché mi hai vista giù, ecco! Io sono convinta che lei sia stata una grandissima stupida a tradirti perché tu mi sembri una persona degna di fiducia e-» si interruppe.
Anzi, a dire il vero a interromperla fu Alessandro che si era sporto verso di lei, l’aveva attirata a sé poggiandole una mano sul fianco e l’aveva baciata.
Amelia si rese conto di questo dettaglio con qualche secondo di ritardo – l’alcol la rendeva più lenta a capire anche questi gesti.
Se per un attimo la sua testa le disse “bloccati, non sai ancora quello che stai facendo, pazza!” il suo corpo seguì quello che le sue emozioni volevano che facesse e poggiò il bicchiere sul tavolino per lasciarsi trascinare da quel bacio che sapeva di passione e necessità.
Sentiva solo le proprie mani tra i capelli di lui, le sue mani che le carezzavano lente i fianchi, la sua bocca e la sua lingua che le tracciavano il contorno delle labbra in un modo che la faceva implorare per qualcosa di più.
Il bacio terminò più per necessità di ossigeno che altro.
Amelia si ritrovò senza fiato, la fronte appoggiata contro quella di lui, i propri occhi scuri che si riflettevano in quelli chiari dell’altro – occhi chiaramente confusi, chiaramente di un ubriaco, chiaramente non consci di ciò che aveva fatto.
La sua mente recepì all’improvviso il gesto – o meglio, la sua gravità – e la costrinse ad alzarsi di scatto. Era come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua in testa.
«Io…» iniziò, evitando di guardarlo a causa dell’imbarazzo che provava. Sentiva ancora le sue labbra sulle proprie! «Io devo andare, c’è la mia amica che mi aspetta.» disse solo.
E poi fuggì, decisa a lasciare tutto lì: il bicchiere, la sensazione del bacio, la paura di quello che aveva fatto, Alessandro.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ~ Di rivelazioni e chiarimenti ***


Un altro lunedì è arrivato e con esso il nuovo capitolo!
Speravo di metterlo nel primo pomeriggio, poi ho perso tempo come mio solito e le lezioni chiamano, quindi…
Ho notato che il precedente capitolo è stato apprezzato, ne sono davvero felice! Spero che anche questo sia di vostro gradimento, anche se non ricco di “azione” come quello precedente. Saprete finalmente la reazione del caro professore agli ultimi avvenimenti e anche quello che frulla nella testa della povera Amelia, sempre più in conflitto con se stessa con i proprio tentativi di auto-convincimento.
Ma non dirò altro, vi lascerò leggere e giudicare voi stessi! Come al solito, ringrazio tutti coloro che seguono questa storia e soprattutto coloro che decidono di dedicare una parte del loro tempo per una recensione, per me è molto importante.
Buona lettura e alla prossima!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo sette
~
Di rivelazioni e chiarimenti
 
 
 
«Non ti sopporto quando fai così.»
Tono secco, lievemente infastidito, occhiata truce. E Amelia voltò lo sguardo a disagio evitando di guardare Nicole.
«Così come?»
Sì, dai, facciamo finta di nulla, magari ci casca.
«Sei seria?»
Magari no.
Amelia sbuffò e chinò gli occhi sul proprio croissant al cioccolato, ancora intonso. Aveva lo stomaco stranamente chiuso e questa cosa non le piaceva per nulla – non le poteva passare la voglia di mangiare per… quello!
«Mi vuoi dire che diavolo è successo? È da quando ci siamo alzate che sei strana, parli da sola e eviti il mio sguardo come se potessi leggerti nel pensiero!» si lamentò Nicole.
Amelia sospirò.
L’amica aveva ragione, assolutamente, ma aveva paura di dire ad alta voce quello che era successo. Sarebbe stato come ammettere il fatto e aveva paura che ci fosse qualcuno pronto a registrare le sue parole per poi usarle contro di lei.
Sono una scema, pensò a quell’ultima idea. Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere? Inoltre di Nicole si fidava.
Però pensare a quel bacio…
Rabbrividì.
«Basta, me ne vado, evidentemente sei troppo occupata a crogiolarti nella tua disperazione per badare a me.» disse offesa la castana e si alzò prendendo la borsa, già pronta verso l’uscita del bar in cui erano andate a fare colazione.
«No!» la fermò Amelia.
Nicole dovette avere pietà dello sguardo pieno di desolazione e disperazione dell’amica, perché le lanciò un ultimo sguardo in tralice e si risedette.
«Amelia, vuoi continuare a disperarti da sola o mi vuoi parlare? Magari posso aiutarti, anche se non ho la minima idea di cosa possa essere successo tra ieri e oggi da sconvolgerti così tanto.» fece stanca l’amica.
Amelia sospirò – l’ennesimo sospiro, dovette ammettere, da qualche parte aveva anche letto che ognuno di essi soffiava via un po’ di felicità.
Sono stupita di non essere in preda alla tristezza più totale allora, pensò amara.
«Va bene, ma mi devi promettere di non dirlo a nessuno. E quando dico nessuno, intendo nemmeno a una statua, hai capito?»
Nicole la guardò prima scettica e poi offesa.
«Grazie della fiducia che riponi nella tua migliore amica.» fece sarcastica. Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Capirai perché sto dicendo così.» disse vaga «Allora, lo giuri?»
«Lo giuro.»
Silenzio – non proprio, dato che il bar garantiva sempre quel piacevole brusio in sottofondo oltre il vago profumo di cappuccini e dolci da colazione.
«Ieri sera ho baciato Angelis.»
Et voilà. Così, secco, senza preamboli e senza vaselina.
«Cosa.»
Nessun tono di domanda, nessun’altra parola. Solo quel “cosa” era uscito dalle labbra di Nicole, mentre la sua faccia cambiava espressione nel lasso di due secondi scarsi mostrando alla mora confusione, incredulità, sorpresa assoluta e poi terrore.
«Dimmi che ho capito male.» ritentò la castana, il tono di voce colmo di inquietudine.
Altro sospiro.
Ciao ciao felicità.
«Ieri sera» pausa «ho baciato» altra pausa «Angelis.» fine.
Sempre silenzio.
«Stai scherzando.» nemmeno quella era una domanda, ma Amelia rispose comunque.
«No.» monosillabo, sempre efficace in quelle situazioni.
«Oddio.» Nicole sbiancò «Oddio oddio oddio.» ripeté come in trance.
Amelia la fissò, consapevole che i propri occhi stessero spandendo disperazione.
«Ti prego non dire così, ho bisogno di sostegno. O di una pasticca di ecstasy.» pigolò.
Vide Nicole chiudere la bocca che aveva formato una circonferenza perfetta, deglutire un paio di volte, chiudere gli occhi, prendere un profondo respiro.
«Ok, ci sono.» disse infine, schiudendo le palpebre e fissandola con gli occhi verdi.
Amelia si morse un labbro e abbassò la testa, lasciando che i riccioli neri le coprissero il volto – forse sarebbe divenuta un tutt’uno con quelli e non sarebbe stata più riconoscibile. Non era una brutta idea.
«Dimmi come e quando è successo, perché è da ieri sera che siamo insieme e non mi pare di aver visto quell’idiota da qualche parte.» iniziò Nicole categorica.
Amelia stette un po’ in silenzio.
«Tesoro, mi devi spiegare se vuoi che ti dia una mano.» continuò ironica la castana.
Ha ragione, pensò la mora, e per quel motivo si costrinse a parlare.
«Hai presente ieri sera, quando sono uscita a fumare e ti ho lasciato con quel tipo?» non attese risposta, notando come Nicole annuisse veloce «Ecco, lì fuori ho trovato Alessandro e, beh…» si interruppe per fare una smorfia «era completamente ubriaco. Ma dico proprio ubriaco, eh.» le lanciò un’occhiata significativa.
«Un professore ubriaco… Non riesco a immaginarlo nemmeno impegnandomi.» borbottò Nicole.
«Vorrei che fosse così anche per me. Dicevo, io non lo avevo nemmeno visto e lui mi ha rivolto la parola così, dicendo che non dovevo fumare, che fa male – stronzate del genere, hai presente? Più per attaccare bottone che per reale significato, almeno così mi è parso.» continuò divagando e rendendosi conto di star straparlando «Comunque dal nulla mi ha chiesto di bere qualcosa con lui, io ero scioccata – giuro! – e lui stava già cambiando idea però io avevo visto i suoi occhi, ed era così triste e indeciso – cazzo!» terminò mentre si rendeva conto di sembrare una scema con quel discorso.
Nicole la osservava dubbiosa.
«Continua.» le disse però.
Amelia si morse un labbro.
«Ho accettato, comunque. Stavamo bevendo e sai come sono, già non sto zitta da sobria, immaginati com’ero quasi ubriaca, lui sembrava ci provasse! Dopo che gli ho chiesto se volesse farmi ubriacare mi ha detto “non ho bisogno di farlo” o roba del genere.» spiegò, non ricordando bene le parole – i ricordi erano un po’ sfocati.
«Seriamente?! Lui, un professore?» chiese scandalizzata la castana.
«Sì.» iniziò l’altra «Però capisci, non eravamo a scuola, lui era ubriaco, insomma: se fosse capitato con un’altra qualsiasi persona non sarebbe stato così strano, no?» fece retorica.
«Sì, beh…»
«Abbiamo continuato a chiacchierare e, non ricordo come, è uscito di nuovo il discorso della ragazza e lui mi ha detto che si sono lasciati.» scandì per bene le parole, guardandola con gli occhi a palla «E non solo, perché lei lo tradiva.» sillabò.
Nicole quasi scoppiò a ridere.
«Oddio, non ci credo!» disse sconvolta «Continua, voglio sapere del bacio.» la incitò.
Amelia fece una smorfia notando come l’altra ci stesse prendendo gusto.
«Beh, io ho iniziato a fare un discorso senza senso – non so, volevo tirarlo su di morale! Gli ho detto che secondo me lei è una stupida, che lui è una brava persona, che lo ammiro e stronzate del genere.» cercò di minimizzare, rendendosi conto solo in quel momento dei complimenti che gli aveva fatto e di come gli fosse sembrata una ragazzina stupida.
«Vedo come “ti attrae solo”.» fece sarcastica la castana. Amelia si limitò a farle un’occhiataccia.
«A metà del mio discorso mi ha baciata.» terminò secca.
«E tu?» chiese curiosa Nicole – lo stupore veniva sostituito dalla curiosità come che stesse guardando una telenovela.
«Io gli ho risposto.» pigolò a disagio la mora.
Sentiva il volto in fiamme e voleva sparire.
«Com’è stato?»
«Nicole!» la richiamò Amelia arrossendo ancora di più. L’amica la guardò tranquilla.
«Che c’è? Mi sembra normale una domanda del genere!» si giustificò «E comunque non hai risposto.» puntualizzò.
Amelia sbuffò.
«Non avrei dovuto dirtelo.»
«Ma l’hai fatto, quindi prego.»
Amelia spostò lo sguardo e si perse a fissare con estremo interesse i dettagli del bancone del bar.
«Mi è piaciuto. Cioè, è un bacio, è normale che mi sia piaciuto.» borbottò.
«Non proprio, potrebbe anche baciare da schifo.» precisò Nicole.
Amelia ripercorse con la mente il momento.
«No, direi che non bacia assolutamente da schifo.» rispose, perdendosi nel ricordo dei brividi che l’avevano avvolta la sera prima con le mani di lui.
«Altri dettagli?»
La mora alzò lo sguardo verso l’amica e notò gli occhioni dolci.
«Mi imbarazza abbastanza sapere di aver baciato il mio professore, ti prego, basta.» borbottò a disagio.
Nicole alzò le mani a mo’ di resa.
«Va bene, come non detto.» concesse «Però ho una domanda: e ora? Come ti comporterai con lui?» chiese.
Amelia stette in silenzio per un po’.
«Bella domanda. Non ho proprio idea, la prima cosa che farei credo sia ignorare l’accaduto e fare finta che non sia successo nulla, ma dipende anche da come si comporterà lui.» disse.
«Sì, questo è vero, ma non credo che correrà da te per rifarlo.» la castana notò l’occhiata ferita dell’amica e si affrettò a precisare «Nel senso, non perché non gli sia piaciuto o chissà cosa – in fondo, non l’avrebbe fatto a prescindere in quel caso – ma perché è comunque un tuo professore e complicherebbe ancora di più la situazione fra voi due, che già di suo è abbastanza problematica. Magari anche lui vorrà dimenticarsi della cosa.» considerò.
Amelia si limitò ad annuire in silenzio, gli occhi leggermente persi nei propri pensieri. Nicole la fissò.
«La domanda a questo punto è un’altra…» iniziò, guardandola con sospetto «Tu vuoi dimenticartela?»
Amelia, a quelle parole, sentì quasi il cuore fermarsi.
Voglio dimenticare questo bacio?
Anche se a malincuore, la risposta era già abbastanza chiara nella sua testa.
«Non credo.» disse solo, il tono di voce sconfitto da non sapeva neanche lei cosa.
«Secondo me-»
«Non ne voglio parlare.» la interruppe Amelia. Alzò poi lo sguardo verso l’amica, un poco interdetta «Scusa, Nicole.» continuò con un lieve sorriso dispiaciuto.
L’amica la osservò con attenzione, poi annuì.
«Come preferisci, tesoro.» rispose con un sorriso a sua volta.
Ci fu del silenzio per un po’, in cui Amelia iniziò a sbocconcellare il croissant sforzandosi di mangiare e di non pensare al discorso che avevano appena fatto.
«Comunque ti volevo parlare di una cosa.»
La mora alzò lo sguardo e vide l’amica con un sorriso – comprese il suo tentativo di cambiare discorso e lo accolse volentieri.
«Dimmi.»
Nicole afferrò il proprio cellulare, cercò qualcosa e poi lo volse verso Amelia.
«Questo ragazzo è quello di ieri sera – il tipo con cui stavo ballando mentre sei uscita a fumare.» spiegò.
Amelia lo osservò nella foto: era biondo e aveva gli occhi chiari, era molto carino nel complesso – forse il naso poteva essere considerato piuttosto importante e lo avrebbe preferito con la barba meno folta, ma poteva considerarlo un bel ragazzo.
«Come si chiama?» chiese curiosa.
Nicole aumentò il proprio sorriso.
«Leonardo, ha ventun anni.» chiocciò allegra e soddisfatta.
Amelia rise – quel discorso la distraeva abbastanza per poter ridere senza pensieri.
«Anche più grande, approvo totalmente!» considerò allegra. Poi la guardò più indecisa «E con…?» non disse il suo nome, convinta che l’amica avrebbe compreso al volo.
E così successe.
«Con lui basta. Non ha più senso perderci tempo, inoltre è da ieri che non mi scrive più, si sarà stancato – meglio così. Leonardo invece mi ha già mandato un messaggio oggi con il “buongiorno” e mi stava chiedendo se sono libera questa settimana.» spiegò riacquisendo in fretta il sorriso dopo un primo momento.
Amelia accolse il rapido ritorno a “Leonardo” come argomento di conversazione – lei non voleva più parlare di Alessandro, d’altronde, sarebbe stato ipocrita insistere su Tommaso.
«Bene, magari è un bravo ragazzo. Prova a conoscerlo, male non può fare.» considerò.
Nicole annuì.
«Esatto. E tu hai l’appuntamento con Stefano questa settimana, vero?» chiese.
Amelia annuì a sua volta.
«Sì, non vedo l’ora.» rispose provando a fingersi entusiasta «Niente professori, niente scopamici. Due normali ragazzi, qualcosa di semplice e pulito, è perfetto no?»
Un sorriso tirato.
«Perfetto.»
Una risposta tirata, per ora andava bene così.
 
 
 
Il lunedì aveva sempre fatto schifo per Amelia, ma quel giorno era anche peggio del solito.
Era arrivata a scuola con un macigno nel petto che proprio non voleva spostarsi, anzi, pareva farsi ogni secondo più pesante; lei cercava di ignorarlo con una discreta nonchalance, ma le era sempre stato difficile ignorare l’elefante nella stanza, motivo per il quale la mente tornava sempre lì.
«Che faccia, sembra che tu abbia mangiato un limone.»
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Grazie, Daniele. Tu sì che sai come tirarmi su il morale.» rispose sarcastica e rivolgendo all’amico un sorriso finto.
Il ragazzo, del canto suo, la guardò con in bocca la cannuccia del brick di succo che aveva appena finito.
«Di solito apprezzi la mia sincerità.» disse solo il ragazzo.
Amelia scrollò le spalle e lo ignorò, iniziando a tirare fuori l’astuccio e il libro di tedesco – il giorno prima non aveva ripassato, ma puntava sulla botta di culo e sulla discreta simpatia che l’insegnante provava nei suoi confronti.
«Oggi sono un po’ sottotono, mi spiace.» borbottò scrollando le spalle.
Il ragazzo la osservò da sotto le ciglia scure e la mora cercò di sfuggire all’occhiata azzurra fingendosi interessata ai propri appunti di tedesco.
«Com’è andata sabato?»
Nel giro di mezzo secondo ad Amelia andò di traverso la saliva e prese a tossire convulsamente sotto l’occhiata spiazzata dell’amico.
«Ti prego, non morire.» disse ironico per poi darle qualche gentile pacca sulla schiena.
«Ci provo.» rispose solo Amelia, cercando di riprendersi; si osservò un attimo sullo schermo del telefonino e si accorse di quanto fosse diventata rossa.
«Deve essere successo qualcosa di indimenticabile questo sabato, se hai reagito in un modo del genere.»
Merda.
«Niente di interessante.» liquidò in fretta la mora facendo un vago gesto con la mano.
Non che non si fidasse di Daniele, però aveva un po’ di paura a dirlo di nuovo a qualcuno – Nicole in fondo non era nemmeno della sua scuola e anche la sua migliore amica da una vita, era un altro discorso, mentre Daniele… era anche un ragazzo, c’era comunque un po’ di disagio nel raccontargli certe cose!
«Non è vero.» la riprese il ragazzo con un vago tono accusatore.
Amelia alzò gli occhi e si ritrovò a fissare lo sguardo un poco ferito dell’altro – sentendosi uno schifo, ovviamente.
«Non ho voglia di parlarne, ok?» concesse – tanto nascondergli che fosse successo qualcosa sarebbe stato inutile, non ci avrebbe mai creduto.
«Ma dai, Ame! Sai che non direi nulla a nessuno.» insistette il ragazzo poggiando una mano sulla sua spalla e scuotendola leggermente.
A quel punto però la mora, come suo solito, parlò prima di pensare.
«Beh, anche tu sai che sono una tomba, eppure sei piuttosto evasivo in quest’ultimo periodo.» rispose acida.
Immediatamente vide la faccia di Daniele impallidire e poi adombrarsi nel giro di pochi secondi, infine gli occhi azzurri prontamente spostati in un punto a caso e il labbro inferiore mordicchiato.
Si sentì una merda.
«Daniele, scusa, io…»
«Hai ragione.» la interruppe il ragazzo «Sono stato un po’ troppo sulle mie in queste ultime settimane. Ma ci sono nuovi problemi a casa e non voglio parlarne.» rispose veloce.
Amelia non poté fare altro che tacere: conosceva bene la situazione familiare del suo amico e non era per niente delle migliori.
«Sono stata indiscreta, scusa.» si ritrovò solo a dire.
Daniele la guardò e fece un blando sorriso.
«Tranquilla. Non devi raccontarmi tutto se vuoi, e nemmeno io.» commentò «Ci vediamo dopo.» concluse facendo un cenno verso la prof che entrava.
Amelia annuì.
«A dopo.»
Quanto sono stupida.
 
Quanto sono stupida, si ritrovò a pensare Amelia per la seconda volta in quella giornata.
Si era quasi illusa di poter scampare ad Angelis, quel giorno, e ci era quasi riuscita: non lo aveva guardato negli occhi nemmeno una volta durante la lezione del giorno – perché sì, il lunedì aveva lezione di fisica, giusto per iniziare alla grande – ed era stata attenta a passare tutta la ricreazione in bagno, abbandonando Daniele che l’aveva lasciata fare piuttosto confuso.
Nonostante tutto questo, le era parso di notare che il professore la stesse occhieggiando un po’ troppo, ma si era intestardita che fossero solo allucinazioni.
Insomma, mica abbiamo fatto sesso, no?, aveva pensato con un tono tra il sarcastico e l’isterico – no, solo un bacio, che vuoi che sia, aveva risposto prontamente un’altra parte del suo cervello.
«Dobbiamo parlare.»
E così, mentre convinta credeva di essere scampata a quella giornata piuttosto infernale, era stata afferrata giusto in tempo prima di salire sull’autobus – quel giorno Daniele l’aveva dovuta abbandonare per chissà quale impegno.
«Perderò l’autobus se mi trattiene, professore.» voce gentile, sorriso cortese, non guardarlo negli occhi.
«Ne passerà un altro.» voce annoiata, espressione apatica, occhi che quasi la perforavano.
Uccidetemi.
L’autista, notando come la ragazza non stesse salendo, chiuse le porte e ripartì.
Amelia fece un sospiro – era perfettamente cosciente che non avrebbe potuto evitare quel discorso all’infinito, riuscirci per mezza giornata era stato anche troppo.
«Prego, mi dica, professore
Questo non significava che non avrebbe provato a far finta di nulla.
Per la prima volta in quella giornata, trovò il coraggio di alzare lo sguardo fino al suo e quello che vide fu un paio di occhi grigi che velavano quasi totalmente, con una patina di indifferenza, un certo disagio.
«Credo tu sappia di cosa voglio parlare. E, ti prego, non chiamarmi professore in questo momento.» sibilò l’uomo, mostrando per la prima volta il proprio fastidio in quella giornata.
«E come ti dovrei chiamare?» sbottò a sua volta Amelia – la miglior difesa è l’attacco, così si dice?
«Alessandro, dato che in questo momento non siamo tra le mura scolastiche e c’è già un certo “trascorso” tra di noi, no?» domandò con un pesante tono sarcastico.
«Senti, per sabato…»
Via il dente e via il dolore, no?
«Ti volevo parlare proprio di quello!» la interruppe l’uomo «Mi puoi dire che è successo?»
…eh?
«…scusami?»
Amelia parlò lentamente – sentiva i propri occhi allargarsi all’infinito in un’espressione così stupita e sbigottita che, se si fosse guardata allo specchio, sapeva che sarebbe scoppiata a ridere.
Alessandro abbassò lo sguardo colpevole e per la prima volta Amelia lo vide imbarazzato.
Qualcuno mi svegli.
«Ti chiedo scusa per sabato, il mio comportamento non è stato quello che si dice “d’esempio”. Non pensavo di trovare dei miei studenti lì, incontrarti è stata l’ultima cosa che avrei voluto.»
Amelia non poté trattenersi dall’abbassare gli occhi ferita e sentire gli occhi per un attimo inumidirsi – non pianse, non era una cosa per cui piangere e non se lo sarebbe mai perdonata.
«Ho bevuto parecchio – fin troppo, in effetti. L’ultima cosa che mi ricordo è di averti incontrata e averti offerto da bere, poi…» tacque, mostrando chiaramente di essere in difficoltà.
Amelia sollevò di nuovo lo sguardo e lo osservò: i capelli neri erano piuttosto spettinati, gli occhi leggermente cerchiati da poche occhiaie, le labbra arrossate come se qualcuno le avesse morse ripetutamente – era bello, si ritrovò ad ammettere.
Era bello, lei lo aveva baciato e lui non se lo ricordava nemmeno.
Non poté impedirsi di fare un sorriso triste, subito notato dall’uomo che sembrò preoccuparsi.
«Se ho fatto qualcosa che ti ha offesa ti chiedo scusa, sono venuto da te proprio per questo motivo, io…» si interruppe di nuovo, forse indeciso su che parole usare.
Amelia non lo riconosceva neanche in quel momento: il sempre gelido, stronzo e controllato Alessandro Angelis ora le si mostrava chiaramente in difficoltà, per una volta privo della solita maschera da professore, e mostrava un uomo con le sue debolezze come tutti possono averle.
E lei non poteva fare a meno di pensare di sentirsi speciale.
Speciale perché poteva dire di averlo visto così, speciale perché lo aveva baciato, ma era un tipo di “speciale” che nessuno avrebbe saputo, perché era meglio mantenerlo segreto.
«Non è successo nulla.»
Perché mi fa male dirlo? Odio questo mio sentimentalismo.
«Sicura?»
Amelia sospirò e annuì, riuscendo poi a creare un perfetto sorriso.
«Non è successo nulla, davvero. Mi hai offerto da bere, io l’ho accettato – anche io ero brilla, perdonami – e dopo averlo bevuto tu sei tornato dai tuoi amici e io dalla mia amica, molto semplicemente.» spiegò.
Chapeau, Amelia Moretti. Potresti ricevere un Oscar in questo momento.
Alessandro la osservò ancora indeciso, poi riacquisì la propria patina di freddezza e professionalità – o almeno una parte, era ancora a disagio per la conversazione.
«E di cosa abbiamo parlato?» chiese ancora.
Amelia scrollò le spalle.
«Nulla di che, mi hai promesso che mi avresti messo un dieci se non avessi rivelato a nessuno di averti visto lì.» provò a scherzare – e ci riuscì pure, anche se la risata le suonò un po’ troppo acuta per i propri standard.
«Non è vero, questo non avrei mai potuto promettertelo.» puntualizzò l’uomo, ma fece un vago sorriso, segno che aveva accettato quel tentativo di sdrammatizzare della ragazza.
«Un nove?» tentò ancora lei.
Alessandro finse di pensarci.
«Studia per bene e forse sarò così generoso da metterti un otto.» disse ironico.
Amelia scoppiò a ridere.
«Non fare promesse che non puoi mantenere!» disse con un finto tono offeso, per poi riprendere a ridere.
I sorrisi di entrambi si estinsero lentamente, come due fiammelle consumate – lasciarono solo leggerezza.
«Beh, fra cinque minuti passa l’altro autobus, non vorrà farmi perdere anche quello.» scherzò di nuovo Amelia – ma l’incantesimo era stato spezzato, risultò tutto troppo forzato, e lei d’altronde aveva ripreso a dargli del lei.
Alessandro fu gentile quella volta e non glielo fece notare; chinò solo un po’ la testa in un cenno.
«Non una seconda volta.» disse «Buona giornata, Amelia.»
«Anche a te.»
E tacque, rimanendo a fissarlo mentre si girava e prendeva a camminare, perché sapeva che se avesse ancora parlato non sarebbe stata in grado di nascondere il nodo alla gola.
Sarebbe così se lui non fosse il mio professore? Potrei scherzarci sempre in questo modo? Avrei potuto dirgli che mi ha baciata?
Non aveva granché senso farsi quelle domande: lui rimaneva l’insegnante e lei la stupida studentessa che era a un passo dall’innamorarsi di lui.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ~ Di appuntamenti e prese di coscienza ***


Lo so, è martedì e non ho aggiornato come mio solito. Scusate, ma la giornata di ieri è stata lunga e impegnata e non ho avuto proprio tempo di aggiornare la storia!
Nonostante questo, ho cercato di aggiornare il prima possibile ed eccomi qui con l’atteso capitolo dell’appuntamento di Amelia con il caro Stefano. Succederanno alcune cose, tutte comunque importanti, anche se mi rendo conto che non è un capitolo pieno di azione.
Non so cos’altro aggiungere se non sperare che vi piaccia, augurarvi buona lettura e chiedervi un parere se mai vorreste lasciarmene.
Un abbraccio e alla prossima!
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo otto
~
Di appuntamenti e prese di coscienza
 
 
 
«Smettila di consumare lo specchio, stai benissimo.»
Amelia ignorò la voce di Nicole e continuò a fissarsi allo specchio, alla ricerca di imperfezioni che sapeva ci fossero.
Era arrivato il “tanto agognato” appuntamento con Stefano – sogno da quando aveva sedici anni, in pratica – e aveva praticamente supplicato in ginocchio Nicole di andare a casa sua per darle una mano con la scelta dell’outfit. Diciamo che era un modo per distogliere la mente da altri lidi.
Appena il brutto pensiero si affacciò per l’ennesima volta in testa, si concentrò di nuovo sui propri abiti, alla ricerca dell’imperfezione che andava aggiustata prima di uscire: non si era vestita troppo esagerata, non sapeva dove sarebbero andati con Stefano ma non aveva voluto rinunciare all’eleganza, motivo per il quale aveva optato per una gonna a vita alta nera abbinata con una maglia satinata bianca; calze velate, mocassini lucidi, solo mascara negli occhi per puntare ad un rossetto rosso abbinato al cappotto che avrebbe indossato dopo.
«Sei bella, lasciatelo dire.» ripeté Nicole con un vago tono annoiato.
«Forse dovrei legare i capelli.» borbottò invece Amelia, guardando crucciata i propri ricci corvini tenuti giusto un po’ più fermi da una molletta brillante.
«I tuoi capelli stanno alla grande.» continuò Nicole «A che ora è che arriva?»
Lo sai benissimo, pensò Amelia, ma decise di accogliere quel tentativo dell’amica di distrarla.
«Alle sette e mezza.» rispose.
Decise infine di spostarsi da di fronte allo specchio e si sedette sul bordo del letto, affianco a Nicole.
«Forse non dovrei uscirci.» sussurrò.
Aveva pensato varie volte di scrivere al ragazzo per annullare il tutto, ma Nicole l’aveva praticamente costretta a non farlo.
«Tesoro, per quanto l’idea dell’amore proibito tra te e Angelis sia alquanto affascinante, credo che la cosa sia piuttosto impossibile – o, comunque, almeno fino a quando tu non ti diplomi.»
Amelia arrossì e abbassò lo sguardo, concedendo la versione di lei “ragazzina in piena cotta” solo alla sua migliore amica.
«Ma non voglio una storia, solo che…»
«Che cosa, Ame? È stato solo un bacio con lui, Stefano invece ti piace da anni e finalmente hai un appuntamento. Sai che sarei la prima ad appoggiarti in qualsiasi situazione, ma non voglio che tu ti rompa la testa in una cosa del genere. E poi, tu sei solo “attratta” da lui, vero?»
Amelia abbassò ancora di più lo sguardo, per un attimo odiando Nicole: sapeva che lei diceva quelle parole non per cattiveria, bensì per cercare di fare leva sul suo orgoglio ed eliminare dalla sua testa quell’idiota che si era addirittura dimenticato di averla baciata, però…
«Sì, sono solo attratta.» si ritrovò ad ammettere. Alzò lo sguardo verso la castana che la guardava preoccupata e le sorrise. «Hai ragione, sarebbe una cosa impossibile, e poi non mi piace nemmeno. Oggi uscirò con Stefano, lo conquisterò con i miei occhioni da cerbiatta e si innamorerà follemente di me!» terminò con una risata.
Sono solo una bugiarda.
 
«Stai davvero bene.»
Stefano le sorrise mentre le rivolgeva quella frase detta con un tono un po’ distratto, gli occhi fermi sulla strada e le mani strette sul volante.
Amelia arrossì.
«Grazie, anche tu.» rispose.
Anche tu? Anche tu? Dio santo, Amelia, svegliati e non continuare così per tutta la sera, pensò isterica – dentro il demonio e fuori l’espressione di un angelo.
«Dove andiamo, quindi?» domandò curiosa; il ragazzo aveva deciso per entrambi sul luogo, a quanto pareva, ma la mora ancora non aveva capito.
«Un locale tranquillo che conosco da poco, si chiama Chet, non so ci sei mai stata.» spiegò il giovane.
«No, non l’ho mai sentito.»
«Oh, beh, fidati: è molto carino.» continuò il ragazzo.
Amelia mugugnò un borbottio d’assenso, riprendendo a tacere – non capiva perché, ma non riusciva a sentirsi a suo agio per parlare, per fare le sue solite battute, riusciva solo a pensare di essere una scema per essere così tanto in silenzio.
Sai fare conversazione, vero Ame? Riesci a parlare con chiunque, anche con i muri, anche con quello stronzo di Angelis, perché non con Stefano?
Fu un errore pensare all’uomo, perché arrossì senza rendersene conto e la sua mente percorse per la millesima volta il bacio che c’era stato tra di loro.
«Cazzo.» sussurrò.
«Cosa?»
Sobbalzò, rendendosi conto di averlo detto ad alta voce – sarebbe morta se si fosse lanciata da un’auto in corsa, vero? Sarebbe stato un modo di morire un po’ troppo violento, ma andava bene.
«Niente, niente, mi sono appena accorta di essermi dimenticata una cosa!» disse veloce e fece una risatina stupida.
Qualcuno mi strozzi.
«Vuoi che torniamo indietro?» chiese Stefano preoccupato.
«No, no, non è nulla d’importante.»
Mi sono solo dimenticata la testa, in fondo, pensò ironica.
Finì per tacere per il resto del tragitto, limitandosi ad ascoltare Stefano che le spiegava un po’ il locale e come lo avesse conosciuto – dovette riconoscere che era bravo a non lasciare l’imbarazzante silenzio tipico di quelle situazioni e le sue parole non risultavano nemmeno forzate.
Senza che se ne accorgesse troppo riuscì a rilassarsi e a sorridere spensierata – anche se un angolo della sua testa ritornava sempre nello stesso punto.
«Eccoci.»
Quella singola parola la riportò sulla terra – per un attimo la sua mente si era soffermata qualche secondo di troppo altrove – e si affrettò a sganciare la cintura mentre Stefano spegneva il motore.
Il Chet sembrava molto invitante come locale: si poteva notare un giardino coperto che ospitava vari tavoli, le luci anche da fuori sembravano abbastanza soffuse ma non troppo da renderle imbarazzanti. Si sentiva in sottofondo della musica che pareva essere dal vivo.
«Sembra molto carino.» si ritrovò a dire senza pensarci.
Stefano le sorrise e lei arrossì di nuovo.
«Felice che ti piaccia.»
Entrarono dentro e un bel tepore li avvolse. Amelia si guardò intorno e notò come l’atmosfera del posto non fosse né troppo da coppie né troppo amichevole.
Almeno il posto non è imbarazzante, pensò sollevata.
«Salve ragazzi, siete solo voi due?»
Amelia si voltò verso la cameriera che si era avvicinata sorridente in loro direzione.
«Sì.» rispose per lei Stefano.
«Preferite un posto fuori o all’interno? Il giardino è riscaldato!»
Il biondo si voltò verso di lei e attese che esprimesse una preferenza.
«All’interno va più che bene.» rispose Amelia – meglio puntare sulla musica dal vivo che avrebbe ben riempito degli eventuali silenzi.
“Giocare sempre in anticipo”, come dice Nicole!
Vennero condotti in un tavolino leggermente spostato, sempre in quella piacevole e sicura “metà e metà” che Amelia accolse con sollievo.
Non sapeva perché, ma nonostante dovesse essere la persona più felice del mondo in un momento del genere – insomma, aveva un appuntamento con il ragazzo che le piaceva e lui si stava comportando alla perfezione! – aveva uno strano nodo alla gola che le faceva pensare fosse tutto un enorme errore.
Non è questa la cosa sbagliata. Sbagliato è stato baciare Alessandro, non uscire con Stefano, lui è il ragazzo adatto a me, pensava frenetica – era quasi spaventata che tutto quello non le stesse andando bene, perché non poteva essere così. Doveva essere la brava diciottenne felice di poter uscire con il ragazzo che le piaceva, non la ragazzina con la testa persa per un uomo adulto!
«Tutto bene, Ame?»
Sobbalzò sentendo il ragazzo che la richiamava.
«Eh? S-sì.» si ritrovò a balbettare a disagio.
Merda, merda, merda.
«Ecco i menù, ragazzi, ripasso fra poco.»
La cameriera sparì veloce come un’ombra, attenta a non fermarsi troppo.
Amelia sorrise appena a Stefano che la guardava un po’ confuso, poi abbassò gli occhi verso il menù e si perse a contemplarlo. Fecero in fretta a decidere ed entrambi ordinarono un misto di assaggi gourmet tipici del locale insieme a delle patatine e a qualcosa da bere – Amelia si precipitò sui cocktail, convinta che dell’alcol potesse aiutarla a sciogliersi. Un Martini, giusto per andare sul sicuro – non si ricordava dove, ma aveva letto potesse considerarsi come il “little black dress” di qualsiasi serata.
«Mi sembri un po’ distratta.»
Amelia abbassò lo sguardo colpevole, poi si costrinse a rialzarlo e puntò i propri occhi scuri in quelli castani dell’altro.
«Hai ragione, sono stata maleducata, scusami.» iniziò con un sorriso mesto «Oggi sono stata un po’ impegnata con alcune faccende e a quanto pare ho lasciato la testa lì!» mentì con un risolino, questa volta molto meno falso del precedente.
Il ragazzo la guardò serio, poi anche lui sorrise e si passò una mano tra i mossi capelli biondo scuro in un movimento che, Amelia se ne rese ben conto, un tempo l’avrebbe fatta sciogliere.
«Tranquilla, posso capire. Solo mi dispiace vederti un po’ tra le nuvole.» commentò il ragazzo.
Mi piace Stefano, mi piace Stefano, mi piace Stefano, si ripeté in testa Amelia – fosse stato così facile convincersi di un’idea cambiata da un po’ troppo tempo.
Il Martini arrivò al momento giusto insieme alla Coca Cola del ragazzo – “Devo guidare, altrimenti ti avrei fatto volentieri compagnia” le aveva detto – e si affrettò a prenderne un sorso.
«Prometto che smetterò di vagare con la testa.» disse con un sorriso e un finto tono serio – l’altro rise, e lei si convinse che potesse essere davvero così.
 
La serata era continuata meglio di quanto Amelia si aspettasse e, grazie al secondo Martini e l’ultimo Cosmopolitan da accompagnare al dolce, era riuscita a sciogliersi abbastanza da ridere facilmente, sorridere di continuo, essere divertente senza sembrare un’oca.
«…ti giuro, è una sofferenza avere un’amica appassionata di sport, ogni volta mi sento una schifezza!» finì di raccontare con una risata. Di fronte a lei, Stefano rise e scosse la testa.
«Posso capire, anche se faccio sport a volte mi devo costringere e certi giorni mi ucciderei piuttosto di andare in palestra.» le rispose lui con un finto tono melodrammatico.
«Lo sport è sopravvalutato.» commentò con finto tono serio la mora.
«Forse.» rispose a sua volta il ragazzo con un sorriso.
Il silenzio cadde velocemente – ma non il silenzio carico di disagio e imbarazzo, piuttosto uno disteso e rilassato e in quel momento Amelia si rese conto di quanto fosse stanca.
«È già quasi mezzanotte.» commentò Stefano stupito.
Amelia lo fissò spalancando gli occhi.
«Di già? Non me n’ero accorta.» borbottò «Forse è il caso di andare.» aggiunse.
Stefano annuì e si alzò.
«Aspettami pure qui.» disse il ragazzo. Amelia capì al volo dove volesse andare, perché lo fermò in fretta e furia.
«Aspetta! Non preoccuparti, vado io.» fece rapida, alzandosi e afferrando la borsa. Si dovette subire l’occhiata scettica del ragazzo, che con facilità la fece sedere di nuovo.
«Amelia, aspettami qui.» ripeté.
«Ti ho invitato io!» protestò la ragazza. Il giovane le fece un vago sorriso.
«E io voglio offrire per ringraziarti della serata, quindi metti pure il cappotto mentre io vado a pagare.» concluse con tono secco ma gentile, e senza attendere ulteriori proteste la abbandonò.
Amelia sospirò e non le rimase altro che indossare la giacca in silenzio, prendendo il cellulare abbandonato in borsetta da varie ore e lanciando un’occhiata ai messaggi ricevuti: ce n’erano solo due, uno di Nicole e uno di Daniele, entrambi che le chiedevano se stesse andando tutto bene.
Scrisse rapida a entrambi, dicendo di non preoccuparsi e che andava tutto alla grande, poi rimise in fretta il telefono in borsa appena notò Stefano di ritorno.
«Sei pronta?» chiese educato il giovane e al cenno d’assenso della ragazza la precedette verso l’uscita.
Il viaggio di ritorno fu tranquillo anche se piuttosto silenzioso. Fondamentalmente fu la radio a riempire l’auto per loro, entrambi persi nei pensieri – Amelia anche nei drink – per poter continuare a fare una vera conversazione.
La mora si accorse di essere di fronte a casa sua soltanto quando la macchina si fermò e quasi sobbalzò spaventata – sbagliava o il viaggio le era sembrato più lungo all’andata?
«Siamo arrivati.»
Ma dai, si ritrovò a pensare Amelia, ma si assicurò di non dirlo e si voltò verso il ragazzo con un sorriso.
«Già.» rispose solo, notando solo in quel momento la situazione.
Primo appuntamento andato bene, mi ha riportata a casa… E ora?
Si schiarì la gola, a disagio.
«Grazie per stasera, mi è piaciuto molto il locale. Cioè, tutto era molto bello a dire il vero.» iniziò, puntando sul ringraziamento per andare sul sicuro.
Stefano la fissò dalla penombra della macchina e le sorrise.
«Grazie a te per la compagnia, è stata una bella serata.» disse a sua volta il giovane.
Amelia abbassò lo sguardo e si morse un labbro – e ora?
Tutto si riduceva a quelle due parole: “e ora”.
Sollevò gli occhi e, nella sua mente non troppo lucida, il volto giovane e piacevole di Stefano finì per sovrapporsi a quello più adulto e affascinante di Alessandro, nuovamente nella sua testa senza che lei potesse fare qualcosa per impedirlo.
No, non lui… Non ha senso concentrarmi su di lui!, quasi urlò dentro la sua testa, Un normale ragazzo, semplice e pulito. Era così, no?
Doveva essere così. Doveva almeno provarci.
Per questo motivo si sporse dal sedile e si avvicinò al volto di Stefano, sfiorandogli le labbra in un casto bacio a stampo.
Un bacio a stampo che avrebbe dovuto scatenare chissà quali emozioni, invece tranne che imbarazzo e gioia – perché sì, un po’ di gioia la provava, era pur sempre stato la sua cotta per più di un anno – non ci fu nessun fuoco d’artificio o passione sconvolgente.
La cosa che la stupì però fu un’altra: Stefano l’allontanò con una mano – gentilmente, questo è vero, ma l’allontanò. Si ritrovò ad arrossire prima che potesse anche solo impedirselo e osservò il ragazzo che voltava il viso, quasi a non volerla fissare.
«Mi spiace, Ame.» sussurrò il ragazzo «Mi ha fatto piacere passare questa serata con te, speravo mi piacesse più di quanto non sia ora, ma a quanto pare non riesco proprio a togliermi una persona dalla testa.» continuò in un sussurro.
Voltò di nuovo la testa e fissò Amelia, in silenzio e imbarazzata – perché, per quanto il suo cuore si fosse reso conto di non volere esattamente quello, era stata comunque rifiutata.
Un sorriso triste e dispiaciuto.
«Mi spiace, ma non credo di provare lo stesso che senti tu.» continuò il ragazzo.
Amelia deglutì e spostò lo sguardo, cercando di prendere tempo mentre sentiva gli occhi velarsi di lacrime amare.
«Può succedere.» riuscì infine a dire – aveva trattenuto il respiro e non se n’era nemmeno accorta.
Può succedere”… Così come può succedere di prendersi una cotta per il proprio insegnante, sapere di non poter essere mai ricambiata, fare finta di non provare quei sentimenti e uscire con un proprio coetaneo per poi rendersi conto, dopo averlo baciato ed essere stata respinta, di non provare per lui quello che si sentiva in precedenza?
Immagino di sì, rispose nella sua testa al precedente flusso di pensieri.
«Mi dispiace.»
«Tranquillo, Stefano, grazie comunque per essere uscito con me stasera.» disse e si costrinse a fare un sorriso – non era per niente sicura risultasse credibile, ma almeno ci provava.
«Te lo dovevo.» disse solo il giovane – lei non capì, ma non le importava granché in quel momento.
«Ci si vede a scuola.» disse solo la ragazza prima di uscire dall’auto in silenzio, fargli un sorriso e dargli le spalle.
L’unica cosa che sentì, mentre infilava le chiavi nella toppa della serratura, fu il motore della macchina che ripartiva e le calde lacrime di delusione, amarezza per quella situazione che la rendeva sempre più confusa.
 
 
Il bar “da Nico” era sempre stato il rifugio perfetto per Amelia, soprattutto quando saltava la scuola e faceva troppo freddo per girovagare tra le vie dei negozi e osservare le vetrine.
Quel giorno però non le risultava parecchio confortante e anche il solito cappuccino – che il suo barista preferito aveva decorato con un cuore – pareva essere meno buono del solito.
«Sono cose che capitano, Amelia, non essere troppo triste.»
La mora alzò lo sguardo verso Daniele che la osservava dispiaciuto – era ovvio che fosse lì con lei: quella mattina, appena arrivata di fronte al cancello, aveva visto da lontano la figura inconfondibile di Stefano e si era resa subito conto che non sarebbe stata in grado di affrontarlo.
Afferrare Daniele per una manica e costringerlo a saltare era stato quanto mai ovvio.
«Lo so, solo che…» mugugnò, finendo per interrompersi e non sapevo come continuare.
La verità era che, più che triste, fosse imbarazzata e in qualche modo sollevata.
«“Solo che” cosa? Sei così confusa che non riesco a capirti.» borbottò il ragazzo.
Amelia alzò lo sguardo verso di lui e trovò gli occhi azzurri dell’altro che la osservavano cercando di capirla.
Sospirò.
«Non ci sono rimasta male quanto mi aspettavo, ecco.»
Rapida, veloce, secca – qualcosa le diceva che avrebbe dovuto parlarne prima a Nicole, ma la ragazza era andata a scuola il giorno, era anche convinta che l’appuntamento fosse andato bene, meglio non allarmarla.
Breve silenzio confuso.
«Cosa intendi?» azzardò infine Daniele.
Amelia fece una smorfia – a quel punto avrebbe dovuto spiegargli un paio di cosette.
«Che io l’ho baciato e lui mi ha allontanata, ma ci sono rimasta male più per il rifiuto in sé che per lui, capisci?» spiegò.
Il ragazzo la osservò sempre in silenzio, prese un sorso del proprio cappuccino e poi ripoggiò la tazza.
«Nel senso che non ti piace?» tentò – nella sua voce c’era un vago tono sconvolto che Amelia ignorò.
«Non proprio.» borbottò «Credo sia un po’ più complicato di così»
È un vero e proprio casino, si corresse in testa.
«Devo ammettere di non starci capendo granché.» considerò il ragazzo.
Amelia sospirò.
«Questo perché non sai una parte della storia.» mugugnò «Il giorno in cui sono andata a ballare con Nicole, ecco…» si interruppe, alzò gli occhi e vide Daniele che la fissava in attesa.
Dillo e basta.
«Ho baciato Angelis.»
Fu ancora più difficile dirlo la seconda volta – forse perché Daniele era più un’incognita rispetto a Nicole.
«…eh?»
Ovviamente era preparata al tono incredulo e lo sguardo scioccato.
«Sì, lo so, ho fatto una cagata!» disse subito arrossendo «Ma ero ubriaca, lui più di me e non si ricorda di nulla – oltretutto è lui che ha baciato me, non io, comunque sia non ricorda di averlo fatto e il casino è che credo mi piaccia.»
Parlò in fretta e con un mezzo vaneggio – era un discorso che la faceva uscire sempre di testa, lo sapeva.
Daniele la fissava con gli occhi a palla.
«Tu… Tu, Amelia Moretti, hai baciato il nostro bastardissimo professore di matematica e fisica?» la domanda gli uscì come un bisbiglio isterico molto poco virile che per un attimo fece sorridere la mora.
«Ripeto: lui ha baciato me. E non si ricorda nulla.» puntualizzò.
«Come fa a non ricordarselo?» esalò sconvolto il ragazzo. Amelia fece una smorfia.
«Troppo ubriaco, suppongo. Ma è meglio così, quando è venuto a chiedermi chiarimenti per quella serata – e anche scusa, temeva di aver fatto qualcosa di sconvolgente, cosa che ha effettivamente fatto – ho capito che non si ricordava proprio niente del bacio e ho fatto finta che non fosse successo nulla di importante.» spiegò la ragazza, concentrandosi sul proprio dolce ancora intatto e iniziando a mangiarlo più per avere la bocca impegnata altrove che altro.
«E se lui si ricordasse?»
A questo non ci avevo pensato, ammise tra sé la ragazza.
«Non so» iniziò terminando di deglutire «suppongo che farei la finta tonta.» considerò arrossendo.
Un comportamento molto maturo, brava Amelia.
«Quindi…» iniziò il giovane, prendendo poi un profondo respiro – sembrava più scioccato di lei «Con Stefano non sei così tanto dispiaciuta perché ti piace Angelis?» sintetizzò.
«Oddio, non lo avevo ancora detto a voce alta, è più imbarazzante di quanto pensassi.» si lamentò la ragazza.
Daniele la squadrò critico.
«Sai che sarà un casino, vero?»
«Sì.»
«E nonostante questo…»
«Nonostante questo, niente. Non ci proverò spudoratamente, so bene che è il mio professore, che anche se mi ha baciata non gli interesso perché sono una ragazzina per lui, che non avrei mai speranze.» ammise cercando invano di nascondere il tono amaro.
Daniele tacque e Amelia finì per osservarlo: giocherellava distratto con un ricciolo castano, gli occhi erano persi nella tazza mezzo vuota di cappuccino.
«Questo silenzio mi mette ansia.» borbottò la mora. Il ragazzo parve risvegliarsi a quelle parole.
«Scusa, stavo pensando.»
«A cosa?»
Daniele si morse un labbro, indeciso su come iniziare.
«Beh… Non posso negare che la situazione sia bella complicata. Almeno hai fatto un passo avanti e hai capito che per Stefano ti è passata, è sempre qualcosa.» considerò «Il fatto che ti piaccia Angelis…»
Alessandro, lo corresse mentalmente Amelia, ma preferì non dirlo.
«…per quanto riguarda lui la situazione è complessa, ma non impossibile. In fondo, anche se era ubriaco, non cambia il fatto che ti ha baciata.»
«Cosa intendi?»
Daniele sorrise e alzò gli occhi al cielo.
«Beh, per quanto puoi essere ubriaco non credo che baci chiunque ti sia di fronte. Evidentemente ti considera una bella ragazza, o comunque non solo una studentessa.» spiegò il giovane.
«Tu dici?»
Daniele scoppiò infine a ridere.
«Io non bacerei qualcuno che non mi piace, nemmeno da ubriaco.» spiegò.
Non ha tutti i torti…
«Non sono sicura di aver capito dove vuoi arrivare.» borbottò Amelia fissandolo curiosa.
Daniele scrollò le spalle e terminò di bere il proprio cappuccino.
«Magari non ci proverai spudoratamente, magari è il tuo professore, ma se ti piace e continuerà a piacerti, beh… Mai dire mai, no? Alla fine questo è il nostro ultimo anno e comunque hai la possibilità di vederlo anche fuori da scuola, non si può mai sapere su queste cose.» considerò il ragazzo e la fissò così tanto che Amelia si sentì perforata da quegli occhi azzurri.
«Non voglio false speranze.»
«Non te ne sto dando, infatti. Ho solo pensato che, per quanto improbabile, la cosa non è del tutto impossibile.»
Amelia abbassò lo sguardo e si perse a giocherellare con l’orlo della manica, perdendosi nei dettagli dei fili per concentrarsi meglio sui propri pensieri.
Sospirò.
«Lui è il mio professore, Daniele. Sarà sempre una cosa impossibile.» decretò infine.
E allora perché continuo a sperarci?

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ~ Di spese natalizie e recite improvvisate ***


Questa volta sono stata più puntuale: è lunedì ed ecco il nuovo capitolo!
Che dire, mi sono parecchia divertita a stenderlo e spero diverta anche a voi leggerlo, soprattutto perché i cari Amelia e Alessandro interagiranno di nuovo e non nel “sicuro” ambiente scolastico – questa volta niente discoteche, lo prometto. Ci sarà anche l’incontro con un personaggio che creerà una situazione alquanto strana, ma non dirò altro.
Spero che la storia stia continuando a piacere e anche di sapere qualche vostro parere – ringrazio comunque tantissimo chi continua a leggere e ad apprezzare la mia storia.
Non ho altro da aggiungere se non augurarvi buona lettura e alla prossima!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo nove
~
Di spese natalizie e recite improvvisate
 
 
 
«Libertà! Totale libertà, quasi non ci credo!»
Uno sbuffo e un’occhiata divertita.
«Sono solo le vacanze di Natale, Amelia, non essere così entusiasta. Ti devo forse ricordare delle verifiche che ci attendono a gennaio?»
Amelia lanciò un’occhiataccia verso Daniele che la incassò con nonchalance, poi continuò a rimettere i libri dentro la borsa.
«Grazie per smontarmi, per fortuna ci sei tu a farmi tornare il malumore.» fece ironica e chiuse con un gesto secco la borsa.
«Quanto vuoi.» rispose soave l’amico. Amelia alzò gli occhi al cielo ed evitò di rispondere.
«Hai programmi per oggi?» chiese poi, terminando di indossare cappotto e sciarpa e seguendo Daniele che la precedeva in corridoio.
«Mangiare e dormire.»
Amelia scoppiò a ridere.
«Mi sembra giusto.» considerò.
«E tu?»
«Andrò in giro al centro commerciale per comprare alcuni regali di Natale, sono rimasta un po’ indietro e se non lo faccio adesso arriverò all’ultimo con praticamente più nulla nei negozi.» spiegò con una smorfia – non che avesse tanta voglia di girovagare per i negozi, avrebbe preferito rilassarsi a casa e sorseggiare la cioccolata calda fatta in casa da sua madre, ma si doveva dare una mossa.
«Dovrei sbrigarmi anche io.» considerò il ragazzo.
Amelia stava proprio per aprire bocca e rispondere quando i suoi occhi furono attirati da una ormai familiare figura che, stretta nella propria giacca nera, chiacchierava con un mezzo sorriso – fin troppo affascinante, dovette ammettere – con la docente di francese che, a sua volta, gli rivolgeva un morbido e caldo sorriso ammiccante.
Per quanto fosse la sua insegnante preferita, non l’aveva mai odiata come in quel momento.
«Stronza.»
«Chi?»
Sobbalzò ricordandosi di avere Daniele affianco a sé che, giustamente, si era girato verso di lei confuso.
«Nessuno.» mugugnò e si voltò in fretta. L’amico fu più rapido di lei però e la trattenne con una mano, per poi sporgersi a controllare cosa stava invece fissando l’amica e comprese al volo.
«Povera Rancati, pensavo ti piacesse come prof.» scherzò il ragazzo. Amelia sbuffò e cercò di tirare via l’amico, che invece continuava a osservare la situazione.
«Mi piace, è stata solo un’uscita infelice.» borbottò.
Molto infelice, aggiunse nella sua testa.
«Non essere gelosa, ha più di quarant’anni, dubito possa in qualche modo interessare ad Angelis.» considerò il ragazzo con un sorrisetto. Amelia sbuffò infastidita.
«Non sono gelosa.» mugugnò – si rese conto lei stessa del tono infantile usato, motivo per il quale evitò abilmente l’occhiata scettica di Daniele e lanciò un ultimo sguardo ad Alessandro.
Si sorprese quando si accorse che l’uomo si era voltato proprio in sua direzione mentre ascoltava distrattamente la prof di francese. Amelia arrossì di botto e non poté impedirsi un vago sorrisetto imbarazzato – Alessandro, notandolo, inarcò scettico un sopracciglio per poi farle uno strano ghigno divertito e poi un lieve cenno con la testa.
Amelia arrossì ancora di più e si voltò rapida verso Daniele.
«Quel bastardo! Andiamo.» sibilò infastidita, trascinando l’amico verso l’uscita.
«Osservarvi è stato davvero imbarazzante.»
«Tu taci!»
 
 
Amelia adorava il Natale, era la sua festa preferita e questo perché l’aveva sempre festeggiato alla grande con la sua famiglia – e ovviamente adorava i regali, ma questo non lo diceva troppo in giro per non sembrare troppo superficiale.
Ma non era solo quello: l’atmosfera cambiava e tutto sembrava magico, a partire dalle lucine per strada per finire con le decorazioni di zucchero che la madre si divertiva a disseminare per la casa. In quel periodo adorava passare i pomeriggi a casa, bevendo cioccolata calda e mangiando biscotti a forma di alberi di Natale e pandori vari mentre guardava film romantici con la madre o Nicole.
Insomma, era un periodo fantastico per lei.
Però odio il centro commerciale durante Natale, pensò infastidita.
Certo, perché se a casa sua c’era la perfetta atmosfera natalizia e una piacevole quiete, tra i negozi il marasma di persone alla ricerca del regalo perfetto la faceva seriamente uscire di testa.
Altro che tutti più buoni, io li uccido e basta, pensò venendo per sbaglio spinta da una signora che si affrettava con i suoi mille pacchetti stretta nella propria pelliccia.
Sospirò.
Coraggio Amelia, solo questo pomeriggio, pensò.
Non aveva chissà quanti regali da fare, dopotutto: i suoi genitori, Nicole, Daniele, un pensierino per la madre di Nicole e qualcosa per i nonni – non aveva un ragazzo a cui pensare, ammise leggermente depressa.
Decise di iniziare con il regalo per Nicole, andando sul sicuro: la ragazza aveva adocchiato già da un po’ di tempo un set di ombretti e un rossetto che sarebbero stati il regalo di Natale adatto, perciò andò a colpo sicuro sul negozio di make-up. Per Daniele fu più complicato e si perse tra vari scaffali di vario genere, finendo per scegliere una semplice felpa che sapeva sarebbe stata adatta a lui.
A quel punto toccava a sua madre, perciò si perse tra gli scaffali di una profumeria.
«Le serve aiuto?»
La voce gentile della commessa la richiamò e si voltò verso la giovane ragazza tutta boccoli e mascara.
«No, grazie, sto ancora dando un’occhiata.» rispose con un sorriso e un cenno di diniego. La ragazza le fece un cenno.
«In caso di bisogno mi chiami pure!»
A quel punto Amelia finì per riperdersi tra i vari profumi e creme per il corpo, indecisa su cosa acquistare per la madre – aveva gusti difficili e non voleva comprarle qualcosa di banale, ma valla a trovare la cosa giusta!
«Oh, mi scusi!»
Ovviamente, da brava imbranata e distratta, aveva finito per colpire gente a caso arretrando per osservare meglio gli scaffali più in alto.
«Non si preoccupi.»
Amelia si immobilizzò sul posto, riconoscendo la voce.
«…Amelia?»
E non era stata l’unica, a quanto pare.
Dio, perché mi vuoi così male?, pensò tragica – davvero, qualcuno lassù doveva odiarla davvero, altrimenti non si poteva spiegare la sua sfiga, il suo pessimo tempismo, la sua fottuta calamita per incontrare ovunque Alessandro Angelis.
«Ma guarda un po’, ti trovo ovunque.» commentò l’uomo.
La mora si girò a osservarlo e gli lanciò un’occhiata gelida – perfetta per mascherare l’isteria interna che la coglieva proprio in quel momento. Com’è che era perfetto anche con il naso lievemente arrossato dal freddo e i capelli scompigliati dal vento? Non era giusto nei suoi confronti!
«Guarda che questo dovrei dirlo io. Credo di essere meno fuori luogo di te in una profumeria.» rispose la ragazza pungente e con un sorriso ironico.
Non avevamo una tregua?, pensava nel frattempo agitata, ricordando dell’ultima volta che avevano avuto una conversazione vera – quella dopo lo sfortunato sabato.
Si sarà sciolta dopo l’ultimo impreparato in matematica, rifletté poi lugubre – quel coglione aveva ghignato mentre scriveva la nota sul registro, che bastardo!
«Il fatto che sia un uomo non implica che non possa entrare in una profumeria.» specificò Alessandro guardandola con sufficienza e facendola arrossire – però mantenevano il “tu”, si poteva dire fossero in termini amichevoli, dai.
Amelia sbuffò e si girò ignorandolo, riprendendo a guardare i vari prodotti con aria interessata.
Peccato che l’uomo sembrasse in vena di chiacchiere – o di infastidirla, cosa più probabile.
«Che fai qui in giro?»
Quella volta fu il turno di Amelia di girarsi e guardarlo con sufficienza.
«Sono in una profumeria, che dovrei fare?» chiese retorica «Sto cercando un regalo per mia madre, comunque.» specificò poi, notando come l’uomo non avesse minimamente mutato la propria espressione impassibile alla sua frecciatina.
Dio santo, perché non riesco mai a metterlo in difficoltà?, pensò irritata.
«Allora…» iniziò l’uomo, poi si interruppe e la mora lo osservò critica.
Ti prego, non dire qualcosa che possa turbare ulteriormente la mia salute mentale, pensò preoccupata.
«…Mi daresti una mano a cercare qualcosa per mia madre? Temo di non essere sicuro di cosa potrebbe piacerle.»
La frase arrivò leggera come un soffio, un vago tono di disagio misto a imbarazzo che però non corrispondeva alla sua espressione, sempre composta. Amelia invece strabuzzò gli occhi e continuò a fissarlo.
«…Mi hai appena chiesto di aiutarti a cercare un regalo per tua madre?» ripeté scandalizzata.
Alessandro fece un lungo sospiro, poi la guardò e le fece un chiaro sorriso forzato.
«Ammetto la mia ignoranza in questo campo e credo che tu possa scegliere di sicuro qualcosa di più bello, quindi sì: ti sto chiedendo di aiutarmi.» disse gentile – anche se Amelia notò che si stava sforzando di esserlo, doveva essere proprio nella merda.
Aprì la bocca, pronta a dar aria alla propria lingua tagliente, ma venne frenata appena in tempo.
«Risparmiati la battutina facile sugli uomini che non sanno scegliere i regali, Moretti, o potrei doverti ricordare l’ultima impreparazione.» disse l’uomo con un ghigno divertito.
Amelia arrossì di colpo.
«E tu cerca di essere più gentile o potrei scegliere il regalo peggiore del negozio solo per farti fare brutta figura.» borbottò imbronciata – anche se sapeva che non l’avrebbe mai fatto, più per la povera Margherita che per altro.
Alessandro fece un mezzo sorriso e scrollò le spalle in un segno di resa.
«Prego, illustrami allora.»
Amelia sospirò, un vago calore di felicità dentro di sé.
Perché deve essere tutto così difficile?
 
«Preferite rosso e oro oppure blu e argento?»
«Rosso e oro.»
«Blu e argento.»
Amelia e Alessandro risposero in coro senza quasi accorgersene, le rispose opposte che fecero per un attimo sorprendere la giovane commessa che poi sorrise in imbarazzo.
«…quindi?» tentò ancora la ragazza.
Alessandro lanciò uno sguardo di sufficienza alla mora.
«Blu e argento è più elegante.» decretò dandole un’occhiata che la sfidava a rispondergli – Amelia non si mise troppi problemi nel farlo.
«Rosso e oro è più natalizio.» rispose a tono e con un sorriso mellifluo.
Rimasero in silenzio a fissarsi, come in una muta sfida su chi avrebbe ceduto per primo, fino a quando la commessa non si schiarì la gola a disagio.
Un sospiro.
«Vada per rosso e oro. È più natalizio.» cedette l’uomo in un vago tono sarcastico.
Amelia sorrise vittoriosa e osservò la commessa terminare il pacchetto – il proprio, o meglio quello per la madre, era già tra le sue mani, sempre rosso e oro. Proprio non capiva come quel deficiente lo volesse fare argento e blu, era così poco natalizio!
«Anche il mio fidanzato alla fine me la dà sempre vinta.» scherzò la commessa – Marta, si leggeva dalla targhetta che spuntava dai boccoli biondi – e fece un lieve sorriso ammiccante verso Amelia che diventò rossa esattamente come il nastro che decorava il pacchetto.
Di fianco a lei, Alessandro storse le labbra infastidito che, anche se Amelia non se n’era accorta, nascondeva un mezzo sorriso divertito.
«Noi non siamo fidanzati.» disse isterica la mora, allontanandosi istintivamente dall’uomo come se la distanza evidenziasse di più la propria frase.
La giovane, Marta, fece un sorriso imbarazzato.
«Oh, mi scusi, credevo…» borbottò appena la ragazza con un mezzo sorriso di scuse.
«Credeva male.» rispose secca Amelia – si sentì una merda subito dopo, rendendosi conto di essere stata troppo brusca con qualcuno che, in fondo, si era fatta un’idea legittima, ma era troppo imbarazzata per poter chiedere scusa in quel momento.
«Ti aspetto fuori.» disse infine, lasciando da solo Alessandro che le lanciò un’occhiata di sbieco e poi le fece un vago cenno con la testa – e poté così precipitarsi fuori dal negozio, facendo ondeggiare i tre pacchetti regalo acquistati.
Stupida, stupida, stupida, pensò frenetica. Si era comportata come una ragazzina, ne era perfettamente cosciente, ma era stato più forte di lei: aveva una cotta per lui, ne era consapevole, ed era consapevole anche di aver avuto una reazione quanto mai esagerata per una frase del genere – insomma, era comunque il suo professore, credeva che anche una sua compagna di classe a caso avrebbe reagito in quel modo.
Però loro non potrebbero mai trovarsi in una situazione del genere, si ritrovò a pensare con una certa soddisfazione.
«Che reazione focosa.»
Il commento di Alessandro arrivò puntuale proprio come si aspettava – e sapeva che l’uomo aveva ragione, ma mica poteva dargliela vinta, no?
«Credeva che noi due stessimo insieme.» fece con il tono più scandalizzato che potesse fare – e anche una bella espressione disgustata, dato che c’era. Meglio non fargli capire che l’imbarazzo fosse dovuto alla sua cottarella da diciottenne in preda agli ormoni.
Alessandro la guardò gelido.
«Siamo un uomo e una donna, tu sembri più grande di quello che sei, stavamo acquistando insieme dei regali di Natale. È logico che qualcuno potesse pensare stessimo insieme.» disse freddo.
Fanculo te e il tuo “logico” del cazzo, pensò stizzita, ma evitò di dirlo ad alta voce stampandosi invece un sorriso finto in faccia.
«E togliti quel sorriso finto che fai paura.»
Eh, ma te le cerchi!
«Tu fai sempre paura, eppure non ti dico mai nulla.» frecciò con un sorrisetto perfido.
Alessandro inarcò un sopracciglio.
«Senti, cerca di avere un po’ di…»
E non poté finire la frase, anche se Amelia aveva ben capito cosa volesse dire l’uomo, perché qualcun altro si mise in mezzo.
«Alessandro?»
Entrambi si girarono in sincrono verso colei che aveva parlato e Amelia si ritrovò quasi abbagliata: un angelo era sceso dal cielo e l’aveva accecata con i suoi ondeggianti capelli biondi e i suoi occhi color del cielo.
La donna di fronte a loro era matura ma giovanile, il viso privo di imperfezioni, vestita in maniera raffinata e ricercata insieme. Anche la voce era risuonata come un coro di angeli.
Ma grazie Dio per avermi mostrato quanto puoi essere generoso con gli altri ma non con me, pensò sarcastica e dovette spostare lo sguardo da quella donna perché tutta quella bellezza le stava facendo male.
Quello che vide fu in qualche modo anche peggio, perché Alessandro si era perso come lei a osservare la giovane donna che lo aveva chiamato, segno che lui l’aveva riconosciuta.
«Eleonora.» disse infine l’uomo dopo qualche attimo di tentennamento.
Eleonora? Quella Eleonora?
E quale altra, se no? Di sicuro doveva essere l’ex traditrice – avrebbe preferito non incontrarla dato che ora i suoi sogni sarebbero stati popolati da quell’angelo fedifrago che aveva sprecato tanto ben di Dio.
«Che ci fai qui?» domandò la donna con un sorriso – un sorriso mesto e imbarazzato, notò subito Amelia che osservava la situazione in silenzio.
Dovrei andarmene?, pensò. Qualcosa le diceva di sì, ma la curiosità ebbe la meglio e rimase lì a osservare il curioso teatrino che le si presentava – anche perché non credeva avrebbe avuto occasione di rivedere una scena del genere, e poi in quel momento sentiva il proprio cuore chiedere pietà e lei in fondo era masochista.
«Io…»
Alessandro iniziò con un tono di voce indeciso, proprio quello che Amelia ricordò avesse usato quando le aveva chiesto a proposito del famoso sabato. Poi però gli occhi grigi dell’uomo si posarono su di lei e si illuminarono come un albero di Natale insieme al suo volto, improvvisamente aperto in un sorriso gentile, affascinante e dolce che mai aveva visto e pensava di vedere addosso a lui.
«Sono in giro con la mia fidanzata a fare acquisti per Natale.» disse poi tranquillo, allungando una mano verso Amelia e tirandola con gentilezza verso di lui, per poi posare con una strategica finta abitudine la mano sulla schiena in una leggera carezza.
…che cazzo ha detto?
Amelia si pietrificò – e anche Eleonora parve interdetta, perché allargò gli occhi sorpresa e spostò rapidamente gli occhi tra Alessandro e lei in un modo confuso – e anche triste e irritato.
«Oh, non sapevo avessi una nuova ragazza.» disse però sforzandosi di fare un sorriso.
«Sì, beh, è scoccata subito la scintilla tra me e Amelia.» disse l’uomo con nonchalance e lanciò uno sguardo che la mora non poté che definire innamorato in sua direzione.
Subito dopo gli occhi si fecero minacciosi e la mora comprese al volo il messaggio: “Reggimi il gioco”.
Si rese conto solo in quel momento di essere rimasta immobile come un ciocco di legno; deglutì e riuscì a illuminarsi in un vivace sorriso.
«Alessandro ha ragione!» disse con tono deliziato – ma quanto era brava a fingere? «Tu sei Eleonora, giusto? Ale mi ha accennato di te.» disse riuscendo a mantenere un tono dolce e indifferente, anche se in qualche modo si rese conto che l’altra donna, a sua volta, avesse compreso di cosa Amelia parlasse.
“Accennare” ovvero “so che sei una traditrice del cazzo”.
Eleonora abbassò al volo gli occhi, chiaramente a disagio, poi diede un colpo di tosse e li riguardò con un sorriso più spento di prima.
«Allora scusate se ho interrotto i vostri giri. Buona serata e passate un buon Natale!» terminò con un forzato tono allegro.
Non aspettò granché una risposta: mentre i due dicevano “anche a te” lei era già diretta verso un negozio.
«“Ale”? Seriamente?»
La voce di Alessandro le giunse in qualche modo distante alle orecchie, ma colse al volo il tono scettico e si volse in sua direzione con l’espressione tra lo sconvolto, il sarcastico e l’isterico.
«Mi hai appena usata come finta fidanzata.» lo accusò scioccata.
Alessandro fece una smorfia e sollevò gli occhi al cielo.
«Scusa, è stata una cosa istintiva.» ammise.
Amelia aprì la bocca un paio di volte, incapace dapprima di parlare, poi prese ben fiato e disse l’unica cosa che le venisse in mente – e che aveva in testa da giorni.
«Tu sei il mio professore.» esalò. Fu un mezzo bisbiglio, non troppo basso, e i propri occhi per un attimo persero fuoco mentre fissava un punto indefinito nel petto dell’uomo, troppo stanca quasi per alzare gli occhi verso il suo viso.
Si destò dopo pochi secondi di silenzio, alzando gli occhi verso di lui che la guardavano imperscrutabili.
«Lo so.» due singole parole che stridettero alle orecchie di Amelia, subito seguite da altre «Ma non siamo a scuola, e come abbiamo già detto altre volte tra di noi c’è una conoscenza che va un po’ oltre quella scolastica, no?» chiese retorico.
Tre domande spuntarono in mente ad Amelia.
“Oltre quella scolastica”, ma sei idiota? Da quando c’è un “noi”? E che cazzo significano queste parole?
Riuscì solo parzialmente a frenare la lingua.
«Che vuoi dire?» chiese, la domanda che le era sfuggita dalle labbra mossa da confusione e curiosità.
Alessandro non si dovette aspettare quella domanda, perché la guardò interdetto, tacque per alcuni istanti e poi prese fiato.
«Niente di che. Mi rendo conto di aver fatto una cosa strana e che ti ha fatto trovare a disagio, scusa per questo. Stavo solo suggerendo che, data l’intimità tra i nostri genitori, anche noi abbiamo valicato il semplice rapporto insegnante/studente – mi sembra anche ovvia una cosa del genere, non c’è nulla di male.»
Ad Amelia quelle parole parvero una sorta di spiegazione da professore che cercava di semplificare un concetto a qualcuno di tardo, ma sentì anche un tono di giustificazione sotto e si domandò se fosse per lei o per se stesso.
Si rese conto di non voler più affrontare quel discorso – che poi, era un discorso quello? Stavano parlando del nulla, c’era appena stato un teatrino imbarazzante in cui aveva conosciuto l’ex del prof per cui aveva ormai una cotta (ah, che l’aveva baciata per poi dimenticarsene), le parole che le aveva appena rivolto parevano sottintendere qualcosa di più che di sicuro si immaginava e basta.
Voleva solo fuggire da quella situazione e quindi lo fece nel modo migliore che conosceva. La sua lingua lunga.
«Credo che un aiuto del genere valga almeno un dieci in matematica.» disse all’improvviso con tono baldanzoso.
Alessandro la guardò per un attimo confuso del cambio d’argomento, ma accettò in silenzio la decisione e cambiò atteggiamento.
«Mi sembra di aver già sentito questa frase.» rispose con un sorrisetto.
«L’ultima volta ti prendevo in giro, ma questa volta dico sul serio.» insistette Amelia convinta – ma fece un sorrisetto ironico.
«Beh, la performance non è stata delle migliori.» obiettò l’uomo con una smorfia. La mora spalancò la bocca sconvolta.
«Cosa stai dicendo?» chiese indispettita «“Ale ha ragione”» ripeté poi con tono innamorato e aprendosi in un sorriso «Guarda, era perfetta!»
Alessandro la guardò schifato.
«Per carità, ti darei al massimo un sette più come incoraggiamento.»
«Incoraggiamento? Allora puoi anche mettertelo su per il-»
«Ah ah ah, sono pur sempre un adulto e ancora il tuo professore, attenta a come parli.» la canzonò Alessandro con un sorriso cattivo – ma aveva una luce divertita negli occhi, e Amelia era sicura non fosse serio, lo sentiva.
«Ti meriti comunque un ringraziamento. Cosa vuoi?» concesse però l’uomo «Ma niente voti! Non mi vendo in questo modo.» precisò.
Amelia sbuffò.
«Mi togli tutto il divertimento.» si lamentò.
«Lo troverai altrove.»
La mora non rispose, troppo impegnata a pensare a cosa chiedere in cambio in una situazione del genere.
Oddio, un debito con Alessandro! Quando mi ricapita? Ma che cosa posso chiedere, insomma…
Alessandro la osservava in attesa mentre la ragazza si guardava intorno nel centro commerciale, speranzosa che qualcosa le desse un’idea.
Qualcosa in effetti lo fece: una coppia che passeggiava insieme osservando le vetrine dei negozi. Si davano la mano, si guardavano innamorati.
Cosa voglio…
«Voglio che mi accompagni a cercare i regali per Natale.»
Le parole le sfuggirono rapide, quasi dubbiose tra le labbra e si costrinse a mostrare un’espressione indifferente – non era sicura ci fosse riuscita, ma gli auto-insulti che le propinava la sua mente le bastarono come modo per impedirsi di arrossire come una scema.
Alessandro la guardò sorpreso.
«…accompagnarti?» ripeté confuso – oddio, era confuso! Era qualcosa da segnare sul calendario.
«Sì. Hai da fare?» chiese secca la ragazza, riuscendo a mantenere la patina di indifferenza.
«No.» rispose schietto l’altro. Amelia fece un sorriso mellifluo.
«Perfetto allora. Dovrai aiutarmi con il regalo per mio padre, ogni volta entro in crisi.» ammise e prese a camminare. Pochi passi e si fermò, notando come l’uomo fosse rimasto fermo.
«Allora? Guarda che non ho tutto il giorno!» disse, poi riprese a camminare.
Dietro di lei, Alessandro fece un mezzo sorriso e prese a seguirla.
«Ah, magari dopo mi puoi offrire anche una cioccolata calda, sai, come “ringraziamento”.»
«Come prego?»
«Ma sì, non vorrai che qualcuno sappia che ti ho parato il… Che ti ho salvato, ecco.»
«Sei…» breve pausa «Approfittatrice…» piccolo bisbiglio.
«Hai detto qualcosa?»
«Cammina, o ti mando dal preside.»
«Non siamo a scuola, Alessandro!»
Fu solo una frase a mezze labbra che Amelia non sentì.
«Per fortuna.»

 

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ~ Di chiacchiere ed ex molesti ***


Nuovo lunedì, nuovo capitolo!
Come prima cosa, volevo dirvi che sono tanto felice di notare come la storia stia ottenendo sempre più seguito: vedo che è sempre seguita, leggo i commenti e vi voglio davvero ringraziare per quelli perché avere un responso (positivo, in questo caso) mi fa capire dove posso migliorare ecc.!
Ho notato che il precedente capitolo è piaciuto particolarmente, questo sarà un po’ più “tranquillo”, se si vuol dire così, ma spero possa comunque piacervi.
Infatti, ragazze, è arrivato Capodanno! Chissà cosa succederà di interessante… Vi lascio alla lettura!
Un abbraccio e alla prossima!
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo dieci
~
Di chiacchiere ed ex molesti

 
 
 
Ah, capodanno. Croce e delizia assieme.
Delizia per il divertimento che si prospettava, croce per doverlo organizzare.
E Amelia odiava sempre quella parte, soprattutto se Daniele le dava buca allegramente con “scusa, avevo già un impegno” dopo essere stato già praticamente assente da quando erano iniziate le vacanze di Natale.
Amelia sbuffò mentre mangiucchiava distratta dei biscotti, gli occhi fissi sull’ennesimo film natalizio che davano ogni anno e che ascoltava con un orecchio solo.
Daniele, sei uno stupido idiota, pensò con rabbia.
Il loro capodanno era già stato programmato, in teoria, in pratica no dato che il ragazzo si era sentito autorizzato a mollarla all’ultimo momento lasciandola piuttosto spiazzata su cosa fare.
Il campanello suonò e sentì la voce della madre urlarle dal piano di sopra.
«Amelia, sono occupata, vai tu!»
La mora sbuffò e si alzò pigramente, levandosi distratta le briciole sulla felpa con la stampa di un unicorno e camminando scalza verso la porta.
«Chi è?»
«Sono Nicole.»
Amelia si illuminò e si affrettò ad aprire. Dopo poco la sua migliore amica stava sull’uscio della porta, il naso rosso e infreddolita, tra le mani guantate un pacchetto avvolto.
«Ehi, tesoro, non ti aspettavo!» tubò Amelia contenta – qualcuno la salvava dalla noia e dalla depressione, evviva.
Nicole le fece un mezzo sorriso mentre entrava e le mollava in mano il pacchetto senza troppi complimento, per poi togliersi giacca, sciarpa e cappello.
«Scusami, non ti ho avvisata ma è stata una cosa dell’ultimo momento.» bofonchiò colpevole.
Amelia scrollò le spalle indifferente, poi sbirciò il pacchetto mentre le faceva segno di seguirla in salotto.
«Che cos’è?» chiese curiosa.
«Il motivo per cui sono qui. Mia madre ha fatto il tronchetto di Natale e, non so bene come, ha esagerato con le dosi e ne ha fatto due, quindi mi ha detto di portarlo a tua madre.» spiegò lasciandosi cadere sul divano con l’aria stanca.
Amelia sorrise entusiasta.
«Ma che donna adorabile!» tubò contenta ricevendo un’occhiata dall’amica.
«Non quando mi schiavizza per aiutarla a fare la spesa per il cenone.» obiettò ironica. Amelia rise.
«Però, sei proprio una Pasqua oggi, eh?»
Nicole fece una smorfia.
«Sono solo stanca, ho girato da una parte all’altra oggi, non ne posso più.» borbottò «Però ho una bella notizia!» disse infine con un sorriso deliziato.
Amelia la guardò incuriosita, poi però la interruppe.
«E io una brutta. Se aspetti ne parliamo di fronte a del tè e biscotti, va bene?»
E certo che andava bene, soprattutto se i biscotti erano al cioccolato – tanto nel periodo di Natale, chi seguiva più la dieta?
Il tempo di far fischiare il bollitore, mettere in infusione il tè, urlare a Serena che era Nicole per portare un dolce fatto da Laura e le due ragazze si ritrovarono in salotto, rannicchiate sul divano a godere del calore del camino, la tv abbassata a fare da piacevole sottofondo alle loro chiacchiere.
«Allora, questa bella notizia?» chiese subito Amelia.
Nicole sorrise maliziosa.
«Hai presente Leonardo, no?» chiese retorica – ovviamente lo aveva presente: la castana da quella volta in discoteca c’era già uscita varie volte ed era anche scappato il bacio.
La mora annuì.
«Ecco, mi ha proposto di passare il capodanno assieme! Non è adorabile?» esclamò con uno squittio molto poco da lei che fece rabbrividire Amelia.
«Oh. Evviva.» commentò non riuscendo a trattenere il tono apatico. Subito la castana la guardò spiazzata.
«Non esagerare con l’entusiasmo!» fece sarcastica «Pensavo che tu lo passassi con Daniele.» commentò poi a scusante.
Amelia scrollò le spalle con una smorfia.
«Era proprio la brutta notizia di cui ti volevo parlare: nonostante i nostri presunti programmi a quanto pare ha di meglio da fare.» borbottò.
«Bastardo.»
«Nicky!»
«Dico solo la verità.» fu la pronta risposta «E non poteva invitarti?»
«Ma che ne so.» borbottò Amelia ingollando rapida l’ennesimo biscotto «Non so nemmeno dove vada, non me l’ha detto e io non ho chiesto.» spiegò offesa.
Nicole la guardò attenta, poi sospirò.
«Sempre detto che era un tipo inaffidabile.»
«Avrà altre cose per la testa.»
«Io non mollo le amiche per questo motivo.»
«Lui è fatto così.» disse infine Amelia cercando ancora di difenderlo, ma dopo l’occhiata irritata di Nicole tacque – sapeva che l’altra aveva ragione e Daniele era da giorni che non si comportava decentemente. L’unica e ultima volta che l’aveva visto era stato il 24 mattina, incontro al volo per scambiarsi i regali dato che poi l’altro doveva scappare per andare chissà dove.
Vaffanculo, Daniele.
«Puoi venire con me e Leonardo.» propose all’improvviso Nicole.
Grazie a Dio me l’ha proposto, pensò sollevata la mora. Sperava tanto in quell’invito dato che altrimenti le sue prospettive per capodanno restavano casa oppure casa. In pratica, non aveva grandi scelte.
«Non vorrei disturbare.» borbottò però con faccia preoccupata – doveva fare la scenetta!
«Ah, sciocchezze! Ma ti pare che tu disturbi? E poi di certo non mollo la mia migliore amica per andare con il primo che capita, quindi non rompere.» disse decisa Nicole.
Amelia fece un sorriso angelico.
«Se proprio insisti…» disse radiosa. La castana annuì convinta.
«E dimmi, dove andiamo?» chiese subito curiosa.
«Non ho capito benissimo, pare ci sia una festa in un locale poco fuori città. Una cosa fatta bene, sai. Free drink, pista da ballo e fuochi d’artificio.» spiegò.
«Però!»
«Pare ci sia anche cibo.» fece con un sorriso ammiccante Nicole. Amelia rise.
«Questo sì che mi stupisce. E si prenota?»
«Sì, c’è tipo una lista. Dico a Leonardo di far inserire pure te.» disse la castana.
«Ma sei sicura che non ci siano problemi?»
«Ma va! Anche lui è con dei suoi amici, perché io non dovrei portare te? Sta tranquilla, ci divertiremo un mondo!»
Amelia abbassò lo sguardo verso il cellulare, sbloccandolo distrattamente e lanciando un’ultima occhiata alla chat con Daniele.
«Lo spero…»
 
 
 
«Trucco?»
«Va bene.»
«Vestito?»
«Perfetto.
«Ho del rossetto tra i denti?»
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«No.» rispose infine. Nicole sbuffò.
«Non mi ha nemmeno guardata.» commentò la castana.
«Perché mi stai facendo le stesse domande da mezzora e la risposta non cambia in così poco tempo.» precisò la mora, ripassandosi il rossetto di fronte allo specchio.
Nicole, come al solito, era una figa: vestitino in satin argentato e tacchi neri, occhi verdi truccati di un luminoso bianco perlaceo e un rossetto viola scuro a spezzare. Amelia ne era sicura, avrebbe guadagnato le occhiate di tutti.
Beh, nemmeno io sono da buttare via, dai, pensò lanciandosi uno sguardo allo specchio: tutina elegante blu notte con tacchi neri, collana a girocollo dorata abbinata al trucco e del rossetto quasi nude.
Ci si era impegnata come faceva sempre, ma la verità era che quella sera non aveva granché voglia di mettersi in tiro, forse perché non aveva nessuno su cui fare colpo a differenza dell’amica – motivo anche per il quale non ossessionava Nicole chiedendole se anche lei fosse a posto.
«Ti vedo silenziosa.» commento la castana.
Amelia sospirò.
«Scusa, ho la testa da un’altra parte.» ammise.
Nicole la squadrò da cima a fondo, lanciò un’occhiata al cellulare poi si sedette di fronte a lei, le gambe accavallate e le braccia conserte.
«Ok, abbiamo mezzora prima che Leonardo venga a prenderci. Dimmi tutto.»
Amelia la guardò spiazzata.
«Cosa?» fece confusa.
Nicole alzò gli occhi al cielo.
«Dai, si vede lontano un miglio che c’è qualche problema. È Daniele?» chiese.
Amelia scrollò le spalle.
«Non proprio, mi ha dato un po’ fastidio ma posso capire, non dobbiamo per forza passare insieme tutti i capodanno.» spiegò.
«Allora… Incasinata con lo studio?»
«Ti prego, i libri sono ancora ben chiusi nello zaino.» rispose divertita.
Nicole la squadrò e un sorriso affilato le si schiuse in viso.
«Potrebbe essere per caso qualcuno di molto bello, molto stronzo, che ti piace ma è inavvicinabile?» elencò divertita.
Centro.
Amelia arrossì nel giro di tre secondi netti e subito voltò la testa sfruttando i propri ricci per coprirsi.
«Come pensavo. Stai ancora pensando a quel pomeriggio?» chiese Nicole alludendo al giorno del centro commerciale – ovviamente le aveva raccontato tutto. Un racconto molto isterico e allo stesso tempo emozionato che aveva fatto tacere Nicole per un bel po’ di tempo, fino a quando la castana non l’aveva guardata per poi dire, implacabile, una singola frase: “Sei schifosamente cotta.”.
«Non proprio… Cioè, ogni tanto ci penso, ma credo sia normale!» si giustificò la ragazza.
«Direi di sì.» concesse l’altra «Però qual è ora il problema?» insistette.
Un sospiro.
«Vorrei vederlo. So che è una frase stupida, so che non potrei mai incontrarlo stasera, so anche che non posso avanzare strane pretese e anche che sono una ragazzina per essermi presa una cotta da un giorno all’altro per un tipo impossibile e che la maggior parte del tempo mi tratta male, però…»
«Però ti piace.» concluse per lei Nicole, notando come la mora si stesse trovando in difficoltà «Non c’è niente di male, te l’ho detto. Alla fine, l’unico problema tra voi due è uno, il fatto che sia il tuo professore.»
«E anche che lui non mi considera.» puntualizzò la riccia.
Nicole scoppiò a ridere – una risata da persona matura verso l’ingenua della situazione.
«Tesoro, dubito non ti consideri contando come ti ha ficcato la lingua in bocca.» commentò sarcastica. Amelia arrossì.
«Era ubriaco e nemmeno si ricorda.»
«Ma è giovane, tu sei bella e sembri più matura, gli rispondi e ha modo di conoscerti al di fuori della scuola. È perfettamente possibile che ti stia già considerando.»
«Bella battuta.»
«Sbaglio o mi hai detto tu che ti ha usata come finta fidanzata?»
Amelia arrossì.
«Era una questione di necessità.» spiegò.
«Anche offrirti la cioccolata era una questione di necessità, suppongo.»
«Gliel’ho chiesto io come ringraziamento!»
«E riaccompagnarti a casa cos’è stato, voglia di sprecare benzina?» terminò sarcastica Nicole.
Amelia finalmente tacque, gonfiando le guance come una bambina e voltando lo sguardo.
Quello era vero, notò. Alla fine della serata passata al centro commerciale, battibeccando in maniera molto poco formale e dopo essere stati scambiati per una coppia da almeno tre commessi diversi – più il cameriere, bastardo – quel giorno era sembrata una tortura e un sogno per Amelia che continuava a ripercorrere la sera, mentre era sotto le coperte e si ritrovava a farsi film mentali degni di una quindicenne.
Si ricordava ancora le parole che lui le aveva rivolto quando, una volta fuori dal centro commerciale, carica di pacchetti e già infreddolita, dopo un “ciao” imbarazzato e frettoloso si era diretta verso la fermata dell’autobus.
Vuoi un passaggio? È tardi e fa freddo, non è il caso di tornare in autobus.
Non credeva se le potesse dimenticare a breve.
Aveva balbettato come una scema per poi capitolare appena lui l’aveva guardata con quegli occhi grigi colmi di… di cosa? Non aveva capito manco lei. Sapeva solo che l’aveva aiutata con i pacchetti, l’aveva condotta verso l’auto – che profumava di lui, aveva dovuto ammettere mentre ricordava il bacio di quella notte – e dopo essersi assicurato che avesse indossato la cintura era partito, accendendo la radio e mettendo una stazione qualunque che era subito partita con la lista delle canzoni natalizie di Bublè.
Non c’erano state vere chiacchiere, in quel viaggio. Solo qualche vago commento sulle proprie famiglie – a differenza dei negozi, lì c’era molto più silenzio ed erano da soli, in qualche modo la situazione era più intima e Amelia era sicura di non essere l’unica a pensarlo.
Lui era rimasto cortese ma distaccato, risparmiandosi anche le solite frecciatine, fino a quando non era arrivato di fronte a casa sua e le aveva fatto un mezzo sorriso che significava tutto o niente.
«È stata solo gentilezza.» rispose improvvisamente Amelia, tornando sulla terra dopo tutto il vagabondare riguardo quella serata.
Nicole continuò a fissarla.
«Da come me l’avevi raccontata, mi era sembrato che avesse un atteggiamento diverso con te.» buttò lì. Guardava con attenzione la mora per studiarne le reazioni: la ragazza si morse un labbro rovinandosi un po’ il rossetto, poi sembrò stringersi e farsi più piccola.
«Non lo so più. Credo di starmi facendo un sacco di viaggi in testa, alla fine non ha mai fatto qualcosa che potesse concretamente farmi pensare di piacergli.»
«Tranne il bacio.» la corresse Nicole, poi, come vide che l’altra era già pronta a replicare, si affrettò ad aggiungere «Che, lo so, era dato da ubriaco e non si ricorda, ma chi se ne frega! Se ti ha baciata in quel momento ti voleva, punto e fine della discussione.» terminò secca.
Amelia alzò lo sguardo verso di lei.
«Non posso comunque fare nulla, Nicole. Non ho nemmeno la certezza di interessargli un pochino.» continuò ostinata tanto da fare sbottare la castana che si alzò in piedi nervosa.
«E allora, tesoro mio, o te la fai passare o tasti il terreno mentre sei fuori da scuola, così nessuno può dire che stai provando a irretire un professore perché ci stai solo provando con un amico di famiglia.» disse rabbiosa ma con un viso angelico.
«Stasera» disse poi, cambiando argomento «tu berrai fino a che non lo dimentichi almeno per oggi, perché non voglio vederti piagnucolare, sono stata chiara?» terminò perentoria.
Amelia si concesse un sorriso.
«Come vuoi… Però ricordati che devi portarmi tu a casa, eh!»
«…merda.»
 
 
 
La festa era bella, si ritrovò ad ammettere Amelia.
Si trovavano in un grande locale poco fuori città che conosceva solo di nome, c’era un sacco di gente e l’alcol scorreva a fiumi – cosa che non faceva mai male.
Aveva anche adocchiato il tavolo con un buffet e si era avvicinata giusto per prendere un paio di tartine prima che sparisse ogni singola briciola di cibo, ma non era un problema, aveva già cenato per bene a casa di Nicole prima di uscire.
A proposito della castana, lei era stretta tra le braccia di Leonardo che Amelia aveva avuto modo di conoscere quella sera: le era piaciuto. Era carino, maturo, intelligente e si vedeva che gli piaceva Nicole nonostante non facesse il deficiente con lei.
Un ragazzo normale, quasi non ci credo, aveva pensato ironica e aveva scambiato un breve sguardo di approvazione con l’amica che le aveva sorriso entusiasta.
Forse riuscirà a dimenticare finalmente Tommaso, aveva aggiunto nella propria testa, ma di quello non ne era per niente sicura. Sapeva bene che Nicole ogni giorno finiva per rileggere le loro chat prima di andare a letto, una volta l’aveva anche sentita piangere in bagno dopo una chiamata di Tommaso – ovviamente, chiusa senza ricevere risposta. Il ragazzo, del canto suo, sembrava star mollando l’osso e le chiamate e i messaggi si erano ridotti all’improvviso – nonostante Nicole le dicesse di essere più felice così, Amelia sapeva che ci fosse rimasta male.
Sospirò, traendo conforto nel pensare ai problemi dell’amica. Era cattivo, lo sapeva, ma preferiva pensare ai problemi degli altri rispetto ai propri e inoltre, dopo il discorso di alcune ore prima con Nicole, aveva solo intenzione di ubriacarsi e non pensare.
«Amelia, smettila di fare l’asociale e vieni un po’ qui!»
Alzò lo sguardo dal proprio cocktail blu – gliel’aveva preso Leonardo e non sapeva cosa ci fosse dentro, ma le piaceva e questo bastava anche se qualcuno avrebbe potuto considerarla un’incosciente – e vide Nicole che la fissava con aria esasperata.
Fece un blando sorriso.
«Scusa, mi sembrava di aver visto qualcuno che conoscevo.» mentì spudorata e l’altra se ne accorse, perché le lanciò un’occhiataccia.
«Sì, certo. Comunque sia» e cambiò discorso «perché non provi a chiacchierare con quell’Andrea? È carino e Leonardo mi ha detto che ti ha notata.» borbottò a voce bassa.
Andrea? Chi è Andrea?
Amelia fece vagare lo sguardo tra gli amici di Leonardo e subito dopo si ricordò: era il ragazzo alto, con i capelli castani e gli occhi scuri, gli occhiali e un aspetto da universitario affascinante.
«Studia medicina, sai, puoi sempre fargli ripassare un po’ di anatomia.» buttò lì Nicole.
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Che battuta scadente, Nicky.» commentò solo.
Si sforzò di unirsi al gruppo e prese a chiacchierare un po’ con tutti, continuando a bere e cercando di sciogliersi un po’. Era già brilla, lo sapeva, e lanciando uno sguardo al telefono notò l’ora: le undici e venti. Ancora quaranta minuti e sarebbe stato il nuovo anno.
«Io vado a prendere qualcos’altro da bere.» annunciò all’improvviso.
Nicole la guardò.
«Vuoi che ti accompagni?»
«No, non preoccuparti, torno in fretta.» promise con un sorriso e fuggì prima che qualcuno – tipo Andrea, che aveva preso a parlarle – si offrisse di accompagnarla.
Si lanciò tra la folla iniziando a spintonare – perché o spingevi o non arrivavi dove volevi – e ben presto giunse al bancone del bar. C’era un sacco di gente come ci si poteva aspettare da un free drink, ma riuscì a farsi notare in fretta da uno dei baristi – Dio, grazie per avermi donato l’essere abbastanza avvenente!
«Un…» si interruppe, improvvisamente indecisa. Cosa voleva? Fece un profondo respiro «…un White Russian, grazie.» disse con un fioco sorriso.
Scema. Idiota. Masochista.
Perché doveva prendere quel drink che le ricordava lui? Non le bastava averlo in testa il resto del tempo? No, lei doveva continuare a farsi del male!
Stava per richiamare il barista per cambiare l’ordinazione, ma un secondo dopo il drink era già lì, pronto, bicolore nel suo panna e color caffè. Buonissimo nel suo aroma dolce.
«Grazie.» bofonchiò appena, prese il bicchiere e fece retro-front. Sarebbe corsa subito da Nicole se non avesse sentito una mano che la fermava per la spalla, costringendosi a girarsi.
«Amelia.»
Il respiro le si bloccò.
No. Non oggi. Ti prego, basta.
E invece la sfortuna ci vedeva così tanto bene che aveva fatto canestro da metà campo, quel giorno. Perché di fronte a lei non c’era altro che Giacomo, il suo ex, che la fissava dal suo metro e ottanta – sì, le erano sempre piaciuti i ragazzi alti – i capelli chiari scompigliati che l’avevano sempre affascinata e gli occhi scuri che la fissavano sorpresi.
«Giacomo.» disse solo – era un saluto? Una constatazione? Un verso di disgusto? Non lo sapeva manco lei.
Il ragazzo la squadrò senza troppi complimenti, poi riportò gli occhi sul suo viso.
«Che ci fai qui?»
Amelia sorrise ironica.
«Rimedio la mia quota mensile di alcol per sopravvivere al prossimo.» fece sarcastica. Giacomo fece un sorrisetto.
«Vedo che la lingua non l’hai persa.» commentò.
«Mai.»
Il ragazzo rise.
«Sei qui con qualcuno?» chiese poi. Amelia scrollò le spalle.
«Amici.» disse solo, poi, notando il proprio essere scortese – ma poi, con gli ex si poteva essere cortesi? – aggiunse «E tu?»
Giacomo alzò le spalle indifferente.
«Amici e la mia ragazza.» rispose.
Amelia stette in silenzio. Non che le desse fastidio che avesse una nuova ragazza – perché avrebbe dovuto? In fondo non stavano più insieme da quell’estate, era anche normale – più che altro le era parso che il giovane l’avesse detto per qualche motivo. Tipo farla ingelosire.
«Sono felice per te.» disse infine con un blando sorriso «Ora, se vuoi scusarmi, devo tornare da Nicole.» terminò.
Stava già per andare, quando il ragazzo la bloccò di nuovo – e il bicchiere di White Russian ondeggiò pericolosamente quasi quanto il suo cuore.
«Mi manchi.»
Ecco dove voleva arrivare.
Sospirò.
«Tu no. E non credo tu debba dire certe cose mentre stai con qualcun’altra, non credi?» disse diretta.
Il ragazzo fece una smorfia.
«Avanti, Ame, lo sai che mi piaci.»
La mora rise sprezzante.
«Oh, non lo metto in dubbio, soprattutto da quando ho scoperto che ti sentivi con altre tre ragazze mentre stavi con me.» rispose sarcastica. Un'altra smorfia.
«Era una cosa innocente, mi sei sempre piaciuta tu.»
«Potevi pensarci prima.» commentò secca «E poi, lasciatelo dire, se ti piace una persona non tieni il piede in più scarpe.» frecciò.
Ma si può essere più idioti?, si chiese stupita. Quell’idiota, dopo averla “tradita”, continuava a dirle quelle cose e a cercare di convincerla quel il suo comportamento era normale.
«Non l’ho fatto!» protestò il ragazzo – ma all’occhiata di Amelia ebbe almeno la decenza di arrossire.
La ragazza, dopo un profondo respiro, si attaccò al bicchiere e prese un generoso sorso che in pochi istanti la riscaldò e la stordì come solo del forte alcol poteva fare.
«Non mi interessa più, ormai.» disse solo.
Il ragazzo la guardò in silenzio – sembrava che non gli importasse della gente che gli passava a fianco, del fatto che la propria ragazza poteva essere in giro e vedere quella scenetta penosa.
«Ti piace qualcun altro, vero?» chiese e il tono fu accusatorio in un modo che, dopo l’iniziale rossore, Amelia strattonò il braccio e lo guardò infastidita.
«Non sono affari tuoi.» fu la glaciale risposta.
«Sì invece!»
«No, caro mio. Hanno smesso di esserlo quando ci siamo mollati, e sinceramente adesso sto alla grande» bugiarda «e non ho bisogno di te.» assoluta verità.
«E ora, davvero, lasciami stare.» terminò secca.
Giacomo dovette capire l’antifona perché fece un passo indietro e alzò le mani in segno di resa.
«Grazie.» disse indifferente la mora – non che ci fosse bisogno di ringraziamento, poi.
Stava finalmente per andarsene, ma proprio all’ultimo il ragazzo si protese verso di lei e, dopo averla agguantata per la vita e per i ricci scuri, avvicinò il proprio viso a quello della giovane e la baciò.
Fu un bacio umido, alcolico, fastidioso.
E rapida Amelia si staccò da lui con aria sconvolta.
«Me lo dovevi.» disse solo il ragazzo con un sorriso beffardo.
Frase sbagliata.
Un bel ceffone – di quelli da film, con lo schiocco e tutto il resto – e anche Amelia fece un sorriso beffardo.
«Me lo dovevi.» lo imitò. Poi fece un ultimo sorriso sprezzante. «A mai più rivederci, spero.» disse solo.
Non attese risposte dal ragazzo: prese i piedi e si inoltrò tra la folla, cercando di Nicole.
I ragazzi sono tutti stupidi. Dal primo all’ultimo.
 
«…Sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno… Buon anno!»
Il boato di urla e fuochi d’artificio assordò le orecchie di Amelia, acuite dall’alcol che aveva continuato a bere fino a quel momento.
Era ubriaca e proprio con gli occhi lucidi e il sorriso tirato abbracciò Nicole che la stritolò entusiasta – anche lei aveva bevuto, ma era ancora brilla.
Si perse tra i vari auguri agli altri amici del gruppo, più sconosciuti random che si facevano prendere dall’euforia, ma dopo poco fece cenno a Nicole che sarebbe andata fuori a fumare.
L’aria, all’esterno, era gelida. Prometteva neve pensò vaga, mentre con un sorso terminava l’ennesimo White Russian e con una mano accendeva la sigaretta portata alle labbra. Un profondo respiro e le sembrò che i problemi scivolassero via, senza più alcuna consistenza.
Niente più scuola, niente più Daniele, niente più Giacomo o Alessandro.
Solo lei, un bicchiere vuoto, una sigaretta e i fuochi d’artificio nel cielo che brillavano infuocati riflettendosi nei suoi occhi scuri.
Sono stanca…
Sì, era stanca, ma non era quella stanchezza del “voglio dormire”. Era esausta per il troppo pensare.
Perché non riesco a godermi le cose belle che ho? Perché mi concentro sempre e solo su quello che va male? Perché mi vado a cercare le cose impossibili?
Una lacrima le scivolò dagli occhi e si accorse solo in quel momento del nodo alla gola che premeva per uscire.
«Sparisci per una sigaretta e ti trovo in lacrime. Un giorno o l’altro mi farai morire.»
Amelia sorrise triste mentre alzava lo sguardo e trovava Nicole che la guardava con aria materna. La ragazza si sedette a fianco a lei e le prese la sigaretta.
«Leonardo?»
Un tiro.
«L’ho lasciato con i suoi amici, sopravvivrà per un po’ senza di me.» spiegò semplice.
Amelia annuì.
«A che pensi?»
«A Giacomo che mi ha detto di piacergli e mi ha baciata.»
Silenzio.
«…quello stronzo, bastardo, traditore…»
La mora scoppiò a ridere.
«Tranquilla, gli ho mollato uno schiaffo che credo gli abbia fatto capire quali sono i miei pensieri.» ammise divertita.
Una risatina.
«Avrei voluto assistere alla scena.»
«Non ti sei persa granché, fidati.»
«La sua brutta faccia no di sicuro.»
Amelia le lanciò un’occhiata.
«Beh, è carino, dai.» commentò causando una smorfia della castana.
«Prima lo era, poi quando ho scoperto il pezzo di merda che è…» e si interruppe, facendo intendere il continuo.
«Per questo piangi?»
Amelia abbassò lo sguardo e tirò dalla sigaretta che l’amica le aveva restituito.
«Non lo so. Sono esausta. Mi sembra che vada tutto male, mi sembra di non riuscire ad apprezzare le cose belle che ho e di star sprecando il mio tempo, io…»
«Tesoro, hai diciotto anni.» la interruppe Nicole «Questa è l’età in cui si fanno stronzate, in cui si pensa che la propria vita faccia schifo, è normale. Anche io lo penso qualche volta. Ma ciò non significa che sia davvero così. Hai me!» concluse con tono sognante.
«Hai ragione, ho te.» concesse con un sorriso dolce Amelia. Nicole la guardò prima di sorriderle gentile e abbracciarla.
«E mi avrai sempre. Anche se iniziassi una relazione clandestina con Alessandro e dovessi passare i giorni a coprire entrambi.»
«Anche se lui mi spezzasse il cuore?»
«Soprattutto in quel caso. Ma prima andrei a spaccargli la faccia.»
Amelia rise e contagiò anche l’amica, finendo per ricambiare stretto l’abbraccio.
«Sempre insieme, giusto?»
«Perché, ci sono altre opzioni?.»
E quello bastava. Bastava per tutte le cose brutte di quel periodo, per le sfortune e l’umore nero, perché chi se ne frega dell’amore, quando hai un’amicizia così speciale?

 

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ~ Di ripetizioni e bugie svelate ***


Vorrei poter dire che ieri ero troppo occupata per aggiornare, onerata così di studio e lavoro da non avere il minimo attimo libero, ma la verità è un’altra.
Mi ero dimenticata fosse lunedì.
Sì, lo so, non è normale, ma mi è venuto in mente solo alle tre di notte, quando mi rigiravo nel letto cercando di dormire…
Comunque sia, stendiamo un velo pietoso di fronte a questo insulso dettaglio e passiamo alle cose interessanti: il capitolo!
Allora, questo capitolo per me è stato troppo divertente. Scriverlo, intendo. A chi avevo accennato delle famose ripetizioni, qui potrà finalmente leggerle e vedere cosa succede! Spero vi piaccia, anche perché inizio a smuovere un po’ di più la situazione, anche se per vedere ulteriori passi avanti dovrete aspettare ancora un po’, magari… San Valentino?
Non dirò altro e vi lascio a questo capitolo, sperando che vi piaccia così come a me!
Alla prossima e buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo undici
~
Di ripetizioni e bugie svelate
 
 
 
Per carità, il Natale e le vacanze che esso portava erano fantastici.
Era il suo periodo preferito dell’anno – anche l’estate non le faceva schifo, per carità, ma con l’atmosfera natalizia le pareva di tornare bambina.
Peccato che avesse diciotto anni, non fosse più una bambina da un po’ e ad attenderla a gennaio c’erano i compiti in classe e le interrogazioni di fine quadrimestre.
«Voglio morire.» mugolò Amelia lasciandosi andare nel comodo divano di casa propria. I libri aperti stavano sul basso tavolino di legno, praticamente intonsi; aveva provato per mezzora a studiare: non c’erano stati risultati.
«Avanti Ame, non distrarti.»
La voce della madre la richiamò e fece una smorfia.
«Non ce la posso fare, non ci sto capendo nulla.» continuò a piagnucolare sempre sul divano.
Pochi secondi dopo sentì la madre che si avvicinava e, dopo aver ricevuto una carezza sulla testa, le poggiò di fronte una tazza colma di cioccolata.
«Questa è per darti la carica.»
Immediatamente Amelia alzò gli occhi adoranti verso la cara Serena, che la guardava con finta aria esasperata.
«Ti ho mai detto che ti voglio bene?» tubò schioccandole un bacio sulla guancia.
«Sì, e anche che sono una strega. Questo quando ti ho messo il coprifuoco.» la canzonò la madre.
Amelia arrossì ma fece finta di nulla.
«Era solo una battuta, mamma adorata.» continuò con un sorriso luminoso.
«Ah ah.» disse solo la madre sedendosi a fianco a lei.
Mentre la mora iniziava a tuffare il naso nella tazza di cioccolata, la donna lanciò un’occhiata ai libri poggiati in disordine sul tavolo.
«Matematica, fisica, chimica… Hai problemi con le materie scientifiche, tesoro?»
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Non sono mai stata una cima, lo sai.» bofonchiò mentre si gustava la cioccolata e riscaldandosi al contempo.
La madre le lanciò un’occhiata penetrante.
«Spero tu non ti stia distraendo troppo.»
«Non iniziare, mamma, lo sai che mi impegno. Ma io con matematica e fisica, soprattutto, proprio non riesco a farcela.» disse Amelia ponendosi sulla difensiva.
Per qualche istante ci fu silenzio mentre la ragazza si gustava la propria cioccolata e la donna la osservava assorta.
«Va bene.» disse all’improvviso Serena «Allora non ti distraggo ulteriormente, studiati e impegnati, mi raccomando.» disse solo, per poi farle un sorriso, darle un bacio sulla guancia e andarsene.
Amelia le lanciò una veloce occhiata.
Ha lasciato perdere in fretta. Questa cosa non mi piace…
 
 
Era il quattro gennaio e, come il giorno prima, Amelia non era riuscita minimamente ad andare avanti con quelle materie infernali.
Le odiava.
Aveva pensato di chiamare Nicole o Daniele per darle una mano, ma non c’era stato risultato: Nicole era troppo impegnata con i propri impegni e studi per avere il tempo di darle una mano, mentre Daniele…
Daniele stava facendo lo stronzo e Amelia si era già trattenuta un paio di volte dal mandarlo a quel paese – aveva fatto appello a tutta la propria pazienza pur di non farlo, e ci era anche riuscita; solo che quando aveva osato chiedergli di studiare assieme, il ragazzo l’aveva sbolognata senza alcun riguardo e là non aveva resistito a fare una delle solite uscite pungenti.
Se l’è meritato, pensò imbronciata Amelia, seduta sul letto e gli occhi persi sul libro di matematica senza vederlo realmente.
Sospirò.
Non capiva proprio cos’avesse il proprio amico, all’inizio pensava riguardasse la sua famiglia ma ultimamente non ne era più tanto sicura. Di solito, anche se non in maniera troppo approfondita, il ragazzo finiva per accennarle dei problemi anche solo per avere un po’ di sostegno, ma quella volta non gliene aveva parlato e Amelia, se da un lato era preoccupata che fosse qualcosa di grave, dall’altro era infastidita di venire esclusa così platealmente dalla sua vita.
A tirarla fuori dalle proprie elucubrazioni mentali fu il basso ticchettio alla porta.
«Avanti.» disse ad alta voce, prendendo in fretta un libro sul grembo per sembrare più impegnata di quanto non fosse – fingere, fingere sempre con i genitori!
Dall’uscio sbucò il volto sorridente di Serena.
Troppo sorridente, pensò con orrore Amelia costringendosi a non guardarla in ansia.
«Tesoro!» tono zuccheroso uguale pericolo.
«…sì?» mugugnò la mora poco convinta.
La donna entrò definitivamente in stanza mostrandosi non con la solita tenuta da casa (ovvero una semplice e comoda tuta), ma in jeans e maglioncino color cipria, truccata e con il cappotto in mano.
«Stai uscendo?» chiese ancora Amelia – Serena non l’aveva avvisata che sarebbe uscita, ma in fondo non che le comunicasse tutti gli spostamenti.
«Sì.» iniziò allegra la donna «Con Margherita, è al piano di sotto.» fece poi, il sorriso che si illuminava sempre di più.
Margherita? La madre di Alessandro?
«Oh, ok.» si ritrovò a dire confusa – perché glielo stava dicendo?
«C’è anche il tuo prof al piano di sotto.»
...cosa?
«Eh?»
Non si poté impedire di lasciarsi sfuggire quel singolo suono con tono misto di isterismo, confusione e qualcos’altro di indefinito.
«Sì, Alessandro, o prof Angelis, quello che è.» continuò la madre tranquilla «Ho finito per parlare a Margherita della tua difficoltà con le materie scientifiche, e ha così insistito per chiedere al figlio di darti una mano che proprio non ho saputo dire di no.» spiegò sempre allegra.
Amelia aveva smesso di pensare.
Cosa cazzo sta succedendo?
«Non hai saputo neanche dirmelo, suppongo.» finì per sibilare.
Meglio mostrarsi irritata che farle capire che aveva una cotta per il professore – e che lei stessa le stava offrendo la possibilità di starci per qualche ora assieme senza nessun altro intorno.
Oddio. Io e lui. Da soli. Insieme. Per qualche ora a studiare. Non so se è un sogno o un incubo.
Il suo cervello sembrava in stand by e non riusciva a riavviarlo.
La madre però aveva preso quella frase acida con irritazione.
«Tesoro, mi è sembrata una buona occasione per aiutarti a studiare e prendere qualcosa di più di quelle misere insufficienze.» frecciò la donna. Amelia sollevò gli occhi al cielo.
«Non ho bisogno delle ripetizioni di quello lì. Posso farcela da sola.» disse irritata – il fatto era che si sentiva talmente tanto agitata da riuscire a reagire solo in quella maniera.
«Beh» iniziò la donna con un vario tono sarcastico «Peccato che sia qui sotto insieme a Margherita, è già stato abbastanza gentile da accettare e non chiedere nemmeno dei soldi, quindi adesso tu ti mostrerai gentile e lo ringrazierai dell’aiuto che ti ha offerto.» ordinò la donna.
Amelia aprì la bocca per replicare, ma la madre fu più veloce.
«E non mi farai fare brutta figura, ok?» fu l’ultima frase detta con un neanche tanto lieve tono minaccioso.
Ah, le madri. Loro che con le occhiate sapevano farti provare la primordiale paura che ti spingeva alla sopravvivenza più istintiva.
«Ok.»
La risposta era proprio frutto di quell’istinto di sopravvivenza sopracitato.
«Bravissima, amore.» tubò Serena ritornando amorevole.
Spalancò poi la porta, aspettando che Amelia uscisse per prima – non voleva darle occasione di lanciarsi dalla finestra, pensò la ragazza – e lei riuscì solo a darsi una sistemata allo specchio prima di prendere i libri e scendere al piano di sotto con l’aria da martire.
Era la sua camminata verso il patibolo, già lo sentiva. Nella sua testa però una parte era occupata a pensare che Serena le avrebbe potuto dare almeno il tempo per cambiarsi, dato che indossava dei leggins neri con un buco all’altezza del ginocchio e un maxi maglione grigio fumo; i capelli, manco a parlarne, erano tenuti insieme da una molletta a forma di farfalla verde fosforescente.
In pratica, era inguardabile.
Dio aiutami, pensò – in quei momenti di necessità anche il suo essere atea passava in secondo piano.
Al piano di sotto sentì le voci di Margherita e Alessandro bisbigliare qualcosa senza però capire l’argomento della conversazione.
Quando entrò nella stanza con la madre fu anche peggio di quanto si era aspettata – questo perché l’adorabile professore era seduto mollemente sul divano, manco fosse casa sua, e la osservava annoiato nei suoi vestiti casual composti da un paio di jeans scuri e un maglione bordeaux da cui spuntava una camicia bianca.
Ma perché lui sembra sempre uscito da una copertina e io una barbona trovata per strada?, pensò tragica.
La sua aura da funerale non fu mascherata dal sorriso tirato che si costrinse a fare.
«Ciao.» disse solo.
«Amelia, tesoro, tanti auguri di buon anno! Come stai?»
La cara Margherita si precipitò da lei con un enorme sorriso stampato in volto per poi darle due baci sulle guance.
«Buon anno anche a te. Sto alla grande, e tu?» disse falsa come una moneta da tre euro – la madre dovette accorgersene perché la guardò con gli occhi lampeggianti, mentre anche Alessandro si lasciò sfuggire un sorrisino ironico. Lei ci provava a non guardarlo, ma sembrava che il proprio corpo captasse ogni singolo movimento dell’uomo peggio di un’antenna!
«Anche io bene, cara.» disse la donna, poi si voltò con un sorriso orgoglioso verso il figlio «Dato che tua madre mi ha spiegato di alcune delle tue difficoltà con lo studio, ho pensato che Alessandro potesse darti una mano, no? Qualche ora da soli potrà farti bene.» chiocciò allegra – evidentemente era convinta di aver avuto un’idea fantastica.
Farmi bene? Io sto per andare in autocombustione!, pensò isterica la ragazza ma riuscì a mascherare l’idea con l’ennesimo sorriso tirato.
«Sei stata molto gentile a pensarci, grazie mille.» rispose docile – tanto ormai, aveva altre possibilità?
Assolutamente no.
«Non si preoccupi, Serena, ci penserò io a lei.» intervenne a quel punto Alessandro, dando più cortesemente del lei alla madre della ragazza.
Solo Amelia parve cogliere una strana intonazione minacciosa e sarcastica in quella frase, motivo per il quale non poté impedirsi di rabbrividire.
«Allora perfetto!» esordì Serena sfiorando la spalla della figlia come incoraggiamento «Io e Margherita andiamo a farci un giro al centro commerciale, forse ci fermiamo al cinema, torniamo per cena.» spiegò a entrambi, poi si voltò verso Amelia «Tuo padre dovrebbe passare qui a metà pomeriggio per prendere la lista della spesa, gli ho già detto che sarai qui a studiare con Alessandro e farà attenziona a non disturbarvi, ok?» continuò tranquilla.
E certo, mica era consapevole della tempesta che imperversava nella testa della povera Amelia.
«Va bene.» mugolò la mora con aria sofferente.
Non ci fu altro tempo sprecato in conversazioni: Serena trascinò la figlia e Alessandro nel soggiorno dove il tavolo era più comodo per studiare, diede un bacio alla mora sfruttando l’occasione per sussurrarle “mi raccomando” e poi prese il volo insieme a Margherita – quelle due sembravano essere diventate migliori amiche, e che cazzo!
Ritrovarsi improvvisamente da sola con lui, nel proprio territorio che ora sentiva minacciato, tra di loro solo i libri e uno scarso spazio a dividerli… Beh, fu atroce e fantastico assieme.
«E così hai problemi con matematica e fisica, eh?»
Amelia alzò gli occhi – ormai spalancati e colmi di terrore, non riusciva più a nasconderlo – verso Alessandro, che la squadrava con un ghigno molto poco affidabile.
«Non me n’ero accorto.» aggiunse perfido e sarcastico.
Amelia arrossì imbarazzata e spalancò il libro con un gesto secco.
«Forse i miei problemi sono colpa di qualcuno che non sa spiegare.» frecciò recuperando in fretta la propria lingua lunga.
L’uomo non dovette apprezzare quella frase – e anche quella presa di controllo da parte della ragazza – perché il suo sguardo si fece gelido e sprezzante.
«O forse qualcuno perde troppo tempo a scambiarsi occhiate con il proprio compagno di classe piuttosto che seguire la lezione.» fu la pronta risposta.
Amelia si morse un labbro e prese un bel respiro, cercando di non arrossire.
Merda, pensò irritata. Era vero: ascoltava ben poco delle sue lezioni, le materie le trovava incomprensibili e noiose, era molto meglio chiacchierare con Daniele.
«Se magari qualcuno rendesse le lezioni più interessanti…» bofonchiò, abbassando lo sguardo e concentrandosi sul libro colmo di formule matematiche di dubbia utilità.
«Tesoro, è matematica, che pretendi?» fu la risposta acida e ironica al contempo.
Tesoro?
«Tesoro?» ripeté Amelia, non riuscendo a impedirsi l’occhiata scettica verso l’uomo.
Per un attimo Alessandro parve interdetto, quasi avesse compreso solo in quel momento cosa avesse detto, poi riacquisì in fretta la patina da bastardo e il suo solito ghigno.
«Non siamo a scuola, quindi siamo in veste di “amici”.» snocciolò come scusa.
«Mi stai facendo ripetizioni.» puntualizzò Amelia, riuscendo finalmente a riprendere il solito comportamento sferzante – il fatto che si sentisse gelatina era un altro discorso, per fortuna era seduta.
«In qualità di amico di famiglia. Quindi ora taci e prendi il quaderno.» le ordinò con aria annoiata.
Amelia si morse la lingua per non rispondere e si limitò a fare come le era stato detto.
Di fronte agli inesistenti appunti, Alessandro inarcò un sopracciglio.
«Quindi parlo al vento, in classe.» commentò per niente impressionato.
Amelia ebbe la decenza di arrossire.
«Non è nelle mie corde.» bofonchiò a mo’ di scusa.
«Beh, cerchiamo di farti entrare in testa almeno il minimo necessario per un sei, se no tua madre ammazza tutti e due.» borbottò l’uomo con una smorfia.
«E tu che colpe avresti?»
«Sarei un pessimo insegnante.»
Amelia si frenò dal fare la battuta “ma tanto lo sei già”, ma fu inutile perché l’altro comprese al volo i suoi pensieri.
«Risparmiati le tue battute scadenti e concentrati.»
Inizia l’inferno.
 
 
Amelia doveva ammetterlo: era colpa sua.
Erano colpa sua i suoi pessimi voti in matematica e fisica, perché anche se Angelis era un bastardo come persona, come professore era dannatamente bravo a spiegare.
Se fossi stata attenta da prima…
Beh, non che ormai ci fosse molto da fare, ormai la sua media era in condizioni alquanto imbarazzanti.
«…quindi hai capito?»
Solo che negli ultimi dieci minuti continuava a distrarsi – sia per la stanchezza ma anche per tutti i dettagli che poteva notare di Alessandro a quella distanza ravvicinata.
Dopo il silenzio della ragazza, l’uomo sbuffò.
«Mi stai ascoltando?»
A quelle parole la mora si risvegliò.
«Eh? Sì!» mentì spudoratamente, ma in seguito all’occhiata scettica dell’altro fece una smorfia.
«Sono stanca.» ammise – evitò di dire che si era innamorata di quella vaga fossetta sulla guancia sinistra, sarebbe sembrata psicopatica.
Averlo così vicino era insieme croce e delizia: sentiva il suo profumo e ripercorreva con la mente la notte passata in discoteca, poi lo ascoltava spiegare e si ricordava che lui era il suo prof, non poteva farci proprio nulla con una come lei.
«Beh, siamo già quasi due ore qui, ti concedo una pausa.» disse magnanimo l’altro.
Amelia si illuminò come un albero di Natale e gli sorrise radiosa, per poi alzarsi rapida – meglio mettere la maggior quantità di spazio fra loro, prima che potesse seriamente saltargli addosso – e dirigersi in cucina.
«Pensavo di farmi un caffè, tu lo vuoi? O preferisci qualcos’altro?» chiese a voce alta.
«Un caffè va benissimo.» le rispose il moro, seguendola in cucina senza che la ragazza dicesse nulla.
Amelia iniziò a trafficare con la caffettiera in totale silenzio, cercando di concentrarsi sulle proprie azioni; anche i numeri che fino a poco prima le avevano fatto girare la testa erano ormai dimenticati, tutto a causa dell’altro che, anche se non poteva vederlo, sapeva la stesse fissando.
«Hai passato un bel capodanno?»
La voce dell’uomo la prese per un attimo alla sprovvista e sobbalzò, ma riuscì a mostrarsi impassibile e rimase con lo sguardo fisso sui granelli di caffè, facendo finta di essere troppo impegnata a non far cadere la polvere sul piano di lavoro per guardarlo.
«Sì, mi sono divertita.» rispose piatta «E tu?» chiese educata.
Era la conversazione più vicina alla normalità che avessero mai avuto, constatò con sorpresa.
«Anche io, sono stato in uno chalet in montagna con amici.» spiegò l’uomo – sembrava in vena di chiacchiere quel giorno.
«Dev’essere stato bello, io non sono mai stata in uno chalet.» commentò Amelia per poi porre la caffettiera sui fornelli.
«I miei genitori ne hanno uno, magari un giorno con i tuoi genitori potreste venire.»
Amelia si ghiacciò.
Sembrava proprio una proposta o sbagliava?
Non era sicura di voler sapere la risposta, per questo si girò e lo guardò fisso negli occhi mentre notava che si fosse appoggiato allo stipite della porta con aria indolente; fece un sorriso che non raggiungeva gli occhi.
«Sarebbe una bella idea.» rispose piatta.
Amelia, resisti.
Non sapeva cosa le stesse prendendo, improvvisamente a quelle proposte aveva iniziato a pensare a come sarebbe stato se lei non fosse stata una sua alunna: forse avrebbe potuto prendere quell’invito in maniera diversa, o forse lui non l’avrebbe considerata come una ragazzina e le avrebbe direttamente proposto di andarci insieme a lui.
Non lo sapeva cosa sarebbe successo, però il dubbio rimaneva e in quel momento il suo cuore aveva deciso di crogiolarsi in quella dolce sofferenza.
«Io invece sono stata a una festa poco fuori città.» disse all’improvviso «Per capodanno, intendo.» specificò dopo aver visto un cenno di confusione nello sguardo dell’altro.
Alessandro accennò un sorriso e Amelia perse per un attimo il fiato: vederlo lì, appoggiato con aria casuale alla porta, con dei jeans e un semplicissimo maglione, sembrava quasi che fosse un normale pomeriggio tra due amici o qualcosa di più.
Era convinta di tirare su castelli di carta, eppure notava una strana luce nello sguardo dell’uomo – una strana dolcezza che non risiedeva negli occhi del professore, bensì negli occhi di un semplice uomo che vuole provarci.
«Con chi sei andata?» soffiò appena Alessandro, facendo qualche passo nella stanza.
Istintivamente Amelia arretrò, ma ben presto non poté più farlo dato che il piano di lavoro stava ben fermo dietro di lei, a impedirle scappatoie di vario genere. Ma lui non sembrava voler fare ulteriori passi, manteneva una distanza di sicurezza e Amelia, anche se da un lato gli era grata, dall’altro voleva allungare una mano e trascinarlo vicino a sé.
«Nicole, una mia amica.» anche lei abbassò il tono della voce senza quasi rendersene conto.
Si fissavano negli occhi e a un certo punto lui fece un mezzo passo in avanti, per poi sorriderle con aria affascinante.
Amelia si sentì le gambe cedere e arrossì di botto. Stava per fare un passo in avanti, ma lui scoppiò a ridere all’improvviso.
Fu una risata divertita, forse con un vago tono di scherno, ma risultò acuta e tagliente alle orecchie di Amelia che impallidì.
«Tranquilla, non ti mangio.» disse Alessandro tra le risa, poi la guardò con un ghigno stampato in faccia «Non mi azzarderei mai a toccarti, non preoccuparti.» disse infine, il volto disteso in una maschera di altezzosità, il sorriso tagliente sempre fisso in faccia.
Umiliazione.
Pura, semplice e totale umiliazione.
Ecco cosa sentì Amelia. Lui l’aveva provocata apposta, si rese conto, solo per assistere alla sua reazione da ragazzina imbarazzata nei confronti di un uomo più grande e affascinante. Lui che in quel momento, nella sua ottica, non era un professore, ma solo un semplice amico di famiglia – e queste cose sono permesse a un amico, no?
Non poté impedirsi di diventare gelida e nemmeno di tirare su un sorriso affilato e falso. Non si trattenne minimamente dal tirare fuori una questione che aveva deciso di accantonare per la serenità di entrambi – in quel momento erano solo “amici”, giusto?
«Non ti azzarderesti mai, dici?» iniziò con il solito sorriso stampato in volto. Sentì la caffettiera gorgogliare e affilò ancora di più il sorriso – perché sapeva che, in tutto quello, di sicuro ci avrebbe rimesso più lui di lei «Eppure, quando in discoteca mi hai baciata, non sembravi della stessa opinione.»
Avrebbe dovuto dire “touché”?
Non lo sapeva, l’unica cosa che aveva in testa era la soddisfazione nel vedere Alessandro perdere tutto il suo ghigno divertito, farsi pallido e allontanarsi di un paio di passi.
Si girò indifferente per spegnere il fornello e prendere la caffettiera.
«Cosa stai dicendo?»
Amelia, taci, le disse la parte ragionevole di sé – troppo tardi, ormai: il suo orgoglio era rimasto così profondamente ferito a sentire quelle parole da parte sua, a essere oggetto di un banale scherzo del genere, che non aveva la minima intenzione di ritrattare.
«Sto dicendo» iniziò tranquilla, versando il caffè «che non mi sei sembrato così disgustato dall’idea di toccarmi quando mi hai baciato, quel sabato in cui ci siamo visti in discoteca.»
Qualche goccia di caffè cadde per terra quando l’uomo la afferrò per il braccio – non era stato violento, solo un po’ brusco, frettoloso.
«Mi avevi detto che non era successo nulla.» replicò gelido l’uomo.
Nei suoi occhi non c’era più alcuna dolcezza: erano grigi come piombo, quasi pesanti.
Amelia per un attimo tremò sotto quello sguardo, poi si fece coraggio.
«Mentivo. Non mi sembrava una bella idea metterti nei casini dicendoti di averti incontrato ubriaco marcio, averti ascoltato mentre mi parlavi della tua ex che hai mollato perché ti tradiva per poi, dopo i miei tentativi di consolazione, essere stata baciata.» commentò implacabile.
Alessandro sembrava scioccato, dai suoi occhi la giovane non capì che gli passasse per la testa, ma di sicuro non lo sapeva nemmeno lui.
«Sei seria?» ripeté sconvolto.
«Non dovrei?» replicò la ragazza.
Alessandro tacque e continuò a fissarla – sembrava incapace di parlare, ma molto più probabilmente non sapeva cosa dire di fronte a quella ammissione.
Nello stesso istante, Amelia si rendeva conto dell’estrema stronzata che aveva combinato.
Un genio. Sei un fottuto genio, Amelia, complimenti. Già che c’eri potevi anche dirgli di essere cotta di lui, non ci hai pensato?, pensò sarcastica e isterica.
Prima che uno dei due potesse dire qualcosa – e non sarebbe accaduto a breve, entrambi lo sapevano – si sentì la porta che veniva aperta e dei passi all’entrata.
«Amelia, tesoro, sono a casa!»
La mora non era mai stata più contenta dell’arrivo del padre come in quel momento e non cercò nemmeno di nasconderlo, dato che si allontanò da Alessandro che mollò la presa quasi con aria sconfitta e la lasciò correre dal padre con un falso e luminoso sorriso stampato in faccia.
«Papà! La mamma mi aveva avvisato che saresti passato.» disse sforzandosi di mantenere un tono spensierato.
L’uomo le sorrise.
«Sì, ma è solo una toccata e fuga. Alessandro è qui, giusto?» chiese l’uomo.
«Sì, salve signor Moretti.»
Alessandro li raggiunse nell’atrio con passo silenzioso, Amelia nemmeno si era accorsa del suo arrivo, ma notò con un parziale sollievo come fosse dannatamente bravo a fingere che non fosse successo nulla: il suo viso era disteso in un sorriso cortese, gli occhi dall’aria gentile, le mani in tasca e una postura rilassata.
Non si poteva dire lo stesso di Amelia, che nonostante il sorriso spensierato rimaneva tesa come una corda di violino.
«Tutto bene? Come va lo studio?» si informò Davide mentre cercava il fantomatico biglietto con la lista della spesa.
«Alla grande.» rispose Amelia – si concesse solo un rapido sguardo al professore che, a sua volta, le scoccò un’occhiata.
I suoi occhi sembravano bruciare addosso a lei e si affrettò a spostare lo sguardo verso il padre.
«Sono contento. Alessandro, spero che mia figlia si stia comportando bene.» scherzò Davide con un sorriso.
«Oh» iniziò l’altro uomo con un tono soave e un sorriso mellifluo «non si preoccupi, Amelia si sta comportando come sempre
Non ci voleva un genio per cogliere la chiarissima frecciatina dell’uomo, ma Amelia fece comunque finta di nulla anche perché il padre non sembrava essersi accorto dell’aria tesa tra i due.
«Beh, allora vi lascio al vostro studio, corro a fare la spesa prima che Serena mi uccida.» scherzò ancora Davide.
No, non andare, pensò frenetica Amelia – ora come ora, stare da sola con Alessandro le sembrava la cosa peggiore che potesse capitarle.
Non ci fu molto da fare, purtroppo, dato che il padre prese il volo nel giro di tre minuti e dopo averle dato un bacio tra i ricci indomabili e aver scambiato una stretta di mano con il prof corse via con un biglietto in mano.
A quel punto, il silenzio si era fatto praticamente assordante.
«Il caffè si fredderà.» disse all’improvviso la mora, ritornando in cucina senza guardare nemmeno in faccia l’altro – altro che, invece, la seguì prontamente con in faccia un’espressione gelida.
«Non hai altro da dirmi?» sibilò irritato e facendo cadere la maschera di indifferenza.
«Non mi pare.» fece piatta Amelia – il fatto che dentro di sé si stesse suicidando era poco conto, in fondo.
Altro silenzio mentre la ragazza si versava i propri consueti tre cucchiaini di zucchero nel caffè, per poi porgere l’altra tazzina all’altro che la prese senza nemmeno guardarla.
«“Non mi pare”? Mi sembra che ci sia altro da dire, invece.» continuò imperterrito Alessandro.
Amelia si stava rendendo conto dell’enorme guaio in cui si era cacciata, ma continuava a preferire la totale indifferenza alla questione – tanto la sera si sarebbe disperata al telefono con Nicole, già lo sapeva.
«Possiamo far finta che non sia successo nulla, no? Tanto io me l’ero già dimenticata e neanche tu ricordavi qualcosa.» rifletté la giovane sorseggiando il caffè e concentrata sull’orologio che scandiva i secondi come una sorta di campana per il condannato a morte – che in questo caso era lei.
Il silenzio che seguì la sua affermazione fu particolarmente strano, notò, tanto che le venne spontaneo alzare lo sguardo verso di lui e constatare il disagio nell’altro.
Era assurda quella situazione: l’aveva visto ubriaco, malato, in versione da professore stronzo, da figlio, ma mai in quella totale difficoltà che lo coglieva in quell’istante. Difficoltà che la spinse a parlare.
«Non te lo ricordavi, vero?»
Le sue parole suonarono più ansiose di quanto volessero sembrare e se da un lato si diede della stupida per quello, dall’altro era troppo curiosa della risposta – o terrorizzata.
«Diciamo che…» si interruppe, facendo una smorfia, e Amelia sentì il cuore saltare un battito. Stava per avere un principio di infarto, lo sapeva.
«Che cosa?» insistette.
«Avevo qualche vago ricordo. Ma credevo di essermelo sognato, soprattutto quando tu mi hai detto che non è successo nulla – ed eri dannatamente convincente, cazzo!» sbottò.
Amelia non si concentrò nemmeno sull'aver appena sentito un proprio prof imprecare, era troppo concentrata sul resto della frase.
Aveva qualche “vago ricordo”? Stiamo scherzando, vero?
«Per questo ti ho chiesto cosa fosse successo sabato, ma di certo non potevo venire a chiederti “Amelia, cara, per caso ti ho baciato lo scorso sabato? Sai, ero troppo ubriaco per ricordamelo bene”.» continuò il prof con aria sarcastica.
Sembrava aver rotto il freno che lo aiutava a darsi una regolata – era solo un uomo in quel momento, non un docente.
«Quindi farmi fare la figura dell’idiota andava bene, invece.» sibilò Amelia, non resistendo all’impulso di sembrare seccata.
Alessandro la fissò con sguardo accusatore.
«Sei una mia studentessa.» l’ultima parole venne quasi sputata con violenza «Cosa avrei dovuto fare?» continuò irato.
Amelia sentì il proprio cuore dolere e, anche se avrebbe preferito tacere, parlò comunque.
«Magari non baciarmi.» soffiò.
Le sembrava di non avere più forze per affrontare una conversazione del genere, ma sapeva che non sarebbe potuta scappare. Non poteva proprio e anche cacciarlo sarebbe stato una pessima idea – sua madre e Margherita si sarebbe di sicuro fatte strane idee ed era l’ultima cosa che voleva.
Alessandro, a quella frase, si zittì. Sembrava che non sapesse come rispondere, la guardava con una vaga aria confusa nello sguardo e Amelia non capiva come avrebbe dovuto prendere quell’occhiata.
«Facile a dirsi.» sussurrò infine l’uomo e la mora sentì la speranza nascere in lei così veloce che non poté impedirselo – però poteva ignorarla e si concentrò sul non mostrarsi felice per quelle parole che sembravano un’ammissione – se di colpa non si sa.
«Sarebbe il caso di tornare a studiare.» si limitò la ragazza a dire mentre riacquisiva una facciata di freddezza e a quel punto Alessandro parve riprendere una parvenza di professionalità, persa già parecchie ore prima.
«Hai ragione.» disse solo.
E tornarono in soggiorno, il caffè ormai quasi freddo, ma non quanto l’aria che li avvolgeva.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ~ Di litigi e pranzi imprevisti ***


Di solito non aggiorno mai di sera, ma oggi sono stata praticamente costretta a farlo e non vedo l’ora di infilarmi sotto le coperte e dormire – sono trentadue ore che non chiudo occhio, credo seriamente di star per avere un collasso.
Ammetto che stavo pensando di aggiornare ormai domani, ma alla fine mi sono fatta forza e beh…
Ecco a voi il dodicesimo capitolo!
Questo non è esaltante come l’undicesimo, ma mi è comunque piaciuto scriverlo e ci sono elementi preziosi per i prossimi capitoli (vi dico solo di prepararvi al numero quattordici!) e spero che sia comunque di vostro gradimento.
Mi piacerebbe dilungarmi un po’ di più ma non ho proprio le forze, ma prima di augurarvi buona lettura voglio davvero ringraziare i 25 preferiti, 10 ricordati e ben 59 seguiti! È una gioia per me vedere quante persone si stiano interessando a questa storiella nata in un momento di noia e mi auguro che possa continuare a piacere proprio come ora!
Dopo questo vi saluto e ci rivedremo al prossimo lunedì, buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo dodici
~
Di litigi e pranzi imprevisti
 
 
 
Il primo giorno dopo le vacanze natalizie fa sempre schifo, Amelia lo sapeva.
Peccato che quel giorno fosse ancora peggiore del solito, dato che avrebbe dovuto vedere una persona che avrebbe preferito rimanesse a chilometri di distanza da lei.
Voglio morire, pensò entrando in classe con aria funerea.
Neanche il chiacchiericcio dei suoi compagni di classe la distrasse abbastanza, si limitò a lasciarsi andare sul banco con dei capelli che sembravano usciti da un uragano e un paio di occhiaie che emergevano nonostante il correttore.
Era stanca e nauseata.
Da quel maledetto giorno di ripetizioni non era più riuscita a dormire bene, troppo presa dalle proprie riflessioni sul pomeriggio e impegnata a torturarsi su cosa avrebbe potuto dire e non dire. Era terrorizzata dal rivederlo per questo si era categoricamente rifiutata di andare a un pranzo tra i suoi e gli Angelis – quella volta la madre non aveva insistito, sembrava aver colto qualcosa nel suo sguardo spiritato che le aveva fatto capire fosse meglio lasciarla a casa.
Era stanca anche perché aveva passato praticamente tutti i giorni a studiare. Tra italiano, storia, le lingue e quelle sempre più odiose materie scientifiche, ne stava uscendo pazza; si era concessa solo un pomeriggio di relax in compagnia di Nicole a cui, ovviamente, aveva raccontato tutto il pomeriggio per filo e per segno.
La reazione dell’amica era stata quanto mai epica e se in un primo momento sembrava volesse uccidere la mora per la sua follia, poi l’aveva guardata perfida e le aveva detto che aveva fatto bene a sputtanarlo in quella maniera.
Amelia però non si sentiva meglio, continuava a crogiolarsi nella propria disperazione senza un attimo di tregua. Il fatto che avesse compito di storia alla quarta poi non era l’ideale.
«Ciao!»
Un saluto piuttosto allegro fece sollevare lo sguardo stanco di Amelia e finì per incontrare Daniele che la guardava con un mezzo sorriso.
«Che faccia.» commentò subito dopo il ragazzo.
Non era la frase che voleva sentire, e nemmeno quell’aria spensierata le andava bene, dato che il ragazzo era praticamente sparito dalla circolazione per tutte quelle vacanze. Non gli sarebbe stata appresso, quella volta.
«Ciao. Sono solo stanca, tranquillo.» fece piatta, per poi ritornare a poggiare la testa sul banco e ignorarlo.
«…tutto bene?» fu la domanda incerta del riccio.
Amelia sorrise sarcastica nonostante l’amico non potesse vederla.
«Tutto alla grande, Daniele, sta tranquillo e pensa pure ai tuoi affari.» rispose velenosa.
Ci furono attimi di silenzio tra loro due e Amelia si concentrò sulla voce allegra di Anna a pochi banchi da lei.
«Senti, so che non mi sono fatta sentire e tutto il resto, però sai com’è, a casa…» iniziò il ragazzo a disagio, ma la giovane non gli diede il tempo di continuare a parlare.
Si alzò di scatto e lo guardò con irritazione.
«Piantala con queste scuse.» sibilò tagliente. Vide il ragazzo impallidire a quelle parole, ma dato che tacque si sentì autorizzata a continuare a parlare – anche perché la reazione dell’amico le fece capire che erano proprio “scuse”.
«Non so perché sei così assente, sai che con me puoi parlare eppure non lo stai facendo. Sinceramente ho anche i miei problemi a cui pensare, quindi se devi fare l’amico solo per quando ci vediamo a scuola, risparmiati lo sforzo.» disse sferzante.
Si sentì una merda a dire quelle parole, ma non ce la faceva più a sopportare il comportamento strano dell’amico: sapeva che poteva risultare pretenziosa, ma pensava che, in qualità di amici, certi atteggiamenti non siano consentiti.
Daniele, a quelle parole, abbassò lo sguardo colpevole, in silenzio.
«Io…» iniziò traballante, la mora che lo fissava implacabile «Scusa, ho la testa altrove questo periodo.» disse solo.
«Ma va, non me n’ero accorta.» rispose sarcastica la ragazza «Posso anche capirlo, ma almeno trova scuse più decenti.» disse facendo capire chiaramente con il tono che non c’era più altro da dire.
Anche se Daniele avesse volto replicare qualcosa non ne ebbe la possibilità, il professore entrò e per Amelia fu anche peggio. Perché già era stressante avere matematica come prima ora, se poi doveva vedere Angelis era tremila volte più doloroso.
L’entrata dell’uomo portò il gelo in classe: entrò e chiuse la porta con un gesto secco, facendo particolare rumore, e poi si fermò per guardarli implacabile.
«Seduti. Il primo che fiata finisce dal preside.» ordinò con uno sguardo di ghiaccio.
Nessuno attese per assistere al concretizzarsi della minaccia: tutti corsero al proprio posto e il silenzio si fece così pesante che si sarebbe potuto quasi tagliare.
Amelia non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo verso Alessandro, riuscì solo a lanciargli una rapida occhiata e notò come il professore non la stesse minimamente guardando. Da un lato fu un sollievo anche se si rese conto del pessimo umore dell’uomo – anche perché era difficile non accorgersene per com’era entrato in classe.
«Interroghiamo.»
E segnò la fine di quattro studenti.
Ci furono gemiti di sofferenza ma appena l’uomo alzò lo sguardo minaccioso, tutti tacquero di nuovo.
«Arvati, Salvani, Devito e…» fece una pausa, continuando a scorrere con lo sguardo sull’elenco alla ricerca della quarta vittima mentre i tre già nominati si alzavano come condannati a morte.
«…Moretti, prego.»
Fanculo, bastardo di un professore.
Qualcosa le diceva che fosse un gesto di vendetta, ma alla fine avrebbe dovuto interrogarla comunque e lei aveva studiato il giorno prima proprio in vista di quella probabilità, quindi…
Solo sperava che non facesse il bastardo, anche se non ne era troppo convinta.
Si alzò quasi trascinando la sedia, prese il proprio libro e si diresse verso la cattedra affiancandosi a Erika, la sua compagna di classe che era presa dal frenetico ripasso di formule sul proprio libro.
«Salvani, chiuda quel libro.» disse secco Angelis senza neanche alzare lo sguardo dalla propria agenda, impegnato a trascrivere i nomi degli interrogati.
«Allora, Arvati…» iniziò poi il prof, alzando finalmente lo sguardo «Mi parli dei limiti notevoli.»
Il gelo scese per la classe e Amelia si trattenne dal fare una smorfia – c’era già andato pesante, chissà cosa avrebbe finito per chiederle a lei. Qualcosa le diceva che sarebbe andata anche peggio.
E così, prendendo un profondo respiro, si preparò alla sua ora.
 
 
«Complimenti per il sette Amelia, ascoltando la domanda che ti ha fatto pensavo ti volesse affossare!»
La voce di Anna, la sua compagna di classe, Amelia alzò lo sguardo e incrociò i grandi occhi azzurri della compagna che la fissavano attraverso lo specchio del bagno. La mora stirò un sorriso.
«Grazie. In effetti, credevo anche io di essere andata molto peggio.» ammise con una smorfia.
L’interrogazione non era andata benissimo, almeno così credeva, ma nonostante tutto il prof le aveva dato un sette meno che ristabiliva solo parzialmente la sua media disastrosa – era sempre il primo passo verso dei voti migliori, sperava. Si aspettava un comportamento stronzo da parte di lui, invece l’aveva trattata come tutti gli altri e il suo sguardo si era mantenuto gelido e professionale per tutto il tempo – sembrava che l’ultima conversazione tra di loro non ci fosse mai stata.
Nonostante tutto quello, credeva di essere lei la causa del malumore del prof, anche se non ne era troppo sicura e voleva evitare di darsi troppa importanza.
Era finalmente la ricreazione, si era già ingozzata di cioccolato a sufficienza e si era nascosta in bagno decisa a evitare Daniele – e anche Stefano, già che c’era, giusto perché non avevano ancora riparlato dopo quello strano appuntamento.
«Però con i voti non è stato così cattivo.» la richiamò Anna.
«Già, in fondo è stato più buono di altre volte.» intervenne Sofia, altra compagna di classe che aveva ascoltato la conversazione.
Amanda si girò verso di lei, sorpresa che le avesse parlato – cioè, non era così strano, però con Sofia aveva scambiato circa dieci parole in tutti i quattro anni precedenti. Con Anna erano migliori amiche, almeno da quanto aveva intuito la mora, e in qualche modo erano carine da vedere assieme: bassa, bionda e dolce Anna, più alta, rossa e con occhi scuri l’altra, con un temperamento sempre mite ma più riservato.
«Sì, avete ragione. Non so più cosa gli passi per la testa.» scherzò la mora finendo di lavarsi le mani e asciugandosele sui pantaloni – non sia mai che mettessero la carta in bagno!
Uscirono tutte e tre insieme dal bagno, fermandosi a chiacchierare nel corridoio.
«Io fossi stata al tuo posto non avrei saputo che rispondere, sono una sega in matematica.» ammise Sofia.
«Non credere che io fossi messa meglio.» commentò Anna alzando gli occhi al cielo.
«Tranquille ragazze, è stata solo fortuna.» borbottò Amelia con un sorriso. La bionda poi la guardò dal suo scarso metro e cinquantotto con gli occhi azzurri spalancati.
«Senti, se non è un problema…» iniziò e poi si fermò tentennando.
«Sì?»
«Ti dispiacerebbe aiutarci un po’ con l’argomento che ti ha chiesto? È proprio l’unico che non ho capito.» borbottò con una smorfia la biondina.
Amelia tacque spiazzata – insomma, era stranissimo che qualcuno le chiedesse una mano per matematica.
«Emh…» iniziò indecisa.
«Abbiamo visto che manca la prof, alla quarta abbiamo buco.» intervenne Sofia, mettendosi in mezzo.
Amelia le guardò in silenzio, indecisa.
«Beh, allora ok.» cedette infine.
Almeno non sarò costretta a stare con Daniele.
 
 
Con la musica alle cuffie sparata a tutto volume, Amelia scese dall’autobus che l’aveva appena mollata alla fermata vicino a casa sua – distava poco meno di cinque minuti a piedi, quando pioveva era terribile da fare. Non era particolarmente attenta alla canzone che aveva in quel momento, più che altro rifletteva sull’interessante ora buco che aveva passato insieme ad Anna e Sofia.
Era abbastanza triste da ammettere, ma non le aveva mai conosciute davvero nonostante fossero in classe insieme già da cinque anni ormai.
Si era accorta fossero molto simpatiche e alla mano e iniziò quasi a sentirsi in colpa per non aver mai provato a parlarci di più – ma le era sempre andato bene, la sua vita andava benissimo tra Daniele e Nicole, più qualche altra vaga amicizia saltuaria.
In quel momento però, si accorse con un vago orrore, era sola. A scuola aveva sempre e solo contato su Daniele, forse perché aveva stretto subito amicizia con lui e non era andata in cerca di altri, ma ora che con lui la situazione si era raffreddata si ritrovava senza nessuno con cui parlare e a doversi rinchiudere in bagno.
Dio santo, che tristezza.
Era per quel motivo che aveva accettato senza porsi troppi dubbi di uscire una sera con le due ragazze per provare la nuova cioccolateria aperta in centro – aveva pensato di chiedere a Nicole, ma con lei avrebbe potuto comunque andarci in altri momenti e non voleva rifiutare l’invito delle due ragazze.
Sorrise felice al pensiero, sentendosi al contempo un poco patetica.
«Amelia!»
Una voce interruppe il filo dei suoi pensieri facendola sobbalzare e quando si rese conto chi fosse colui che l’aveva chiamata, fu ancora più scioccata.
«…Tommaso?» disse confusa.
Non lo stava quasi riconoscendo a differenza del ragazzo, che si stava precipitando da lei quasi correndo; in pochi istanti si ritrovò davanti il ragazzo, che la fissava con gli occhi castano-verdi spalancati e una mano tra i capelli neri in un gesto nervoso.
«Cercavo proprio te!» disse il ragazzo con un sorriso sollevato.
Amelia lo guardò dubbiosa.
«Emh… Come fai a sapere dove abito?» chiese reticente. L’altro scoppiò a ridere.
«Ti ho accompagnato a casa una volta, non ricordi?» rispose.
Amelia ricordò della serata dopo solo vari secondi di riflessione – ma almeno si tranquillizzò, sarebbe stato spaventoso che il ragazzo si fosse messo a seguirla.
Poi però, appena comprese cosa stesse succedendo, sbiancò: doveva stare attenta a ciò diceva, altrimenti Nicole l’avrebbe ammazzata.
«Cosa vuoi?» domandò improvvisamente aggressiva, tanto che il ragazzo fece un passo indietro ponendo le mani di fronte a sé in segno di resa.
«Tranquilla, non ti mangio.» disse con un mezzo sorriso imbarazzato «Volevo solo parlarti, solo che non avevo il tuo numero e quindi ho pensato di venire direttamente qui.» spiegò.
Amelia lo guardò con sufficienza.
«Cosa mi vuoi dire?» continuò a chiedere. Osservò il moro prendere un profondo respiro e guardarla dritta negli occhi, improvvisamente deciso.
«A dire il vero è un discorso piuttosto lungo, ti va di andare da qualche parte? Se non hai pranzato ti offro qualcosa.» propose con un sorriso incoraggiante.
Ma anche no.
«No, grazie, non ho nemmeno il tempo di fermarmi.» tagliò corto la ragazza, decisa a non fermarsi un secondo di più.
Sorpassò il ragazzo con indifferenza ma non poté continuare perché venne afferrata per un braccio.
«Ti prego, Amelia.»
Sentire quel tono di preghiera la fece voltare a osservare il ragazzo: la guardava con gli occhi colmi di uno strano sentimento che Amelia non seppe identificare.
«Non dovresti parlare con me, ma con Nicole.» sibilò scrollando il braccio per far sì che la lasciasse andare.
«Vorrei poterlo fare, solo che non mi risponde più da mesi.» rispose esasperato Tommaso.
«E chissà perché, vero?» le scappò con tono sarcastico.
Tommaso la guardò irritato.
«Senti, prima che tu aggiunga altro posso parlarti con calma?»
«A proposito di cosa?»
«Ho mollato Giorgia, voglio Nicole.»
Amelia non poté fare altro che strabuzzare gli occhi a quella confessione.
«Eh?» fece scioccata.
Il moro sospirò.
«Hai sentito bene. Solo che non mi risponde, non vuole vedermi, non so più che fare. Mi serve il tuo aiuto.»
La mora lo fissò e si perse nei propri pensieri per alcuni momenti.
Non sapeva bene che fare: da un lato avrebbe preferito tirarsi fuori da quella storia, non c’entrava nulla e non voleva decidere per la sua amica. Se lei aveva smesso di rispondere al ragazzo perché avrebbe dovuto costringerla a farlo?
Purtroppo però c’era un altro fattore in gioco, e Amelia lo conosceva bene: nonostante Nicole stesse uscendo con Leonardo aveva ancora la testa altrove, e soprattutto il suo cuore era perso per dei capelli neri e spettinati e gli occhi di qualcuno che aveva proprio di fronte a sé. Non ci voleva un genio per capire che fosse ancora innamorata di Tommaso, soprattutto non dopo l’ultima conversazione che avevano avuto a quel proposito.
Alla fine posso comunque sentire cosa ha da dirmi… Se vuole davvero Nicole come dice posso provare a fare qualcosa, altrimenti gli rovino la piazza e basta, pensò.
Avrebbe comunque preferito tirarsene fuori, poi però pensava a come brillassero gli occhi della sua migliore amica quando parlava di Tommaso e cedette.
«Va bene. Andiamo a pranzo e mi racconti. Ma sappi che non so ancora se aiutarti o meno.» capitolò mantenendo un tono freddo e uno sguardo inquisitore.
Tommaso si illuminò e le fece un luminoso sorriso.
«Certo, assolutamente! Andiamo!» esclamò allegro.
Amelia si arrese a seguirlo mentre scriveva rapida ai suoi che si sarebbe fermata a mangiare fuori con degli amici – senza specificare chi, ovviamente, ma tanto i suoi non si facevano troppi problemi per quel genere di cose.
Arrivarono in fretta in un fast food in quei pressi e la mora non tentò neanche di bloccare il ragazzo dall’offrirle il pranzo.
Bravo, paga per i tuoi peccati, pensava implacabile.
Di fronte ai loro panini, con la mora già parzialmente pentita di aver deciso di stargli appresso, Tommaso iniziò a parlare.
«Immagino che Nicole ti abbia raccontato tutto, giusto?» fece – non ci fu bisogno di una risposta notando come Amelia inarcò un sopracciglio con aria da “mi prendi in giro?” e, dopo un mezzo sorriso imbarazzato, continuò.
«Ecco, allora, so che sono stato uno stronzo, so che sono ancora più stupido per non essermi accorto dei sentimenti di Nicky… Ma la verità è che mi ero concentrato così tanto su Giorgia, idealizzandola fino all’eccesso, che non mi stavo per niente rendendo conto di cosa avevo invece tra le mani.»
«Ovvero?»
Tommaso la guardò e i suoi occhi parvero quasi farsi lucidi.
«La ragazza migliore che potessi trovare.»
Finalmente l’hai capito, pensò sarcastica Amelia, ma evitò di commentare e continuò a mangiare mentre attendeva il resto del discorso.
«Sono stato uno stupido a lasciarla andare così e me ne sono accorto proprio mentre più stavo con Giorgia e più facevo confronti con Nicky, pensando a cosa avrebbe detto o fatto lei a quel punto… Insomma, la mia testa ritornava sempre là e alla fine mi sono accorto che Giorgia non era la persona che credevo che fosse e nemmeno la persona con cui voglio stare.» ammise il ragazzo chinando la testa.
La mora lo squadrò fredda.
«E adesso cosa hai intenzione di fare, quindi?» chiese prendendo un sorso di coca cola.
Tommaso sospirò.
«Ho mollato Giorgia.» confessò e Amelia non poté trattenere un sorrisetto soddisfatto – quanto le stava sul cazzo quella! «Vorrei che Nicole mi desse un’altra possibilità, anche se so che mi sono comportato di merda. Vorrei che capisse che in questo caso non ci sarebbero altre persone, altre Giorgia, che non ci vedremmo soltanto per farlo. Vorrei stare con lei e basta.»
Le ultime parole terminarono in un sussurro e Amelia, terminando di mangiare l’ultimo boccone, si perse a fissarlo rimuginando tra sé.
Beh, non poteva negare che quelle parole l’avessero toccata. Insomma, sembrava davvero serio in quello che diceva e alla fine Tommaso, escludendo gli enormi prosciutti sugli occhi che aveva, non aveva mai trattato male Nicole.
Era sempre stato buono con lei, si ricordava sempre il compleanno e anniversari vari, la viziava e si comportavano già quasi come una coppia anche senza esserlo. Lui la rendeva felice anche prima, perché ora che si voleva dedicare totalmente a lei non avrebbe potuto farlo?
«Va bene, mi hai convinta.» disse all’improvviso.
A quelle parole vide Tommaso spalancare la bocca scioccato.
«Dici davvero?» quasi balbettò.
Amelia fece una smorfia.
«Beh, sarò sincera: non sono sicura che lei voglia tornare da te» enorme bugia, già so la sua risposta «però potrei provare a indagare e in quel caso ti darò una mano.» concesse.
Si alzò dal tavolo e prese il proprio giubbotto, iniziando a infilarselo; mentre usciva il ragazzo la seguì come un cagnolino.
«Non sai quanto io ti sia grato.»
«Oh, lo posso immaginare.» frecciò ironica la mora guardandolo di sottecchi.
Il ragazzo si fermò di fronte a lei con un sorriso enorme.
«Grazie.»
«Non ho ancora fatto nulla, aspetta a ringraziarmi.»
«Già avermi ascoltato e avermi detto che proverai a fare qualcosa è abbastanza.» si ostinò il ragazzo. Poi, senza lasciarle il tempo di dire qualcosa, la abbracciò.
La sollevo per pochi secondi, stringendola forte a sé, e Amelia per un attimo comprese perché Nicole fosse tanto innamorata di lui. Era intenso.
I piedi ritoccarono terra e il ragazzo le diede un bacio sulla guancia.
«Grazie ancora.»
Amelia sorrise e poi sbuffò per minimizzare la propria reazione.
«Ti ho già detto di non ringraziarmi.»
«Io lo farò comunque.»
«Ora vai però, prima che cambi idea.»
Tommaso scoppiò a ridere e dopo averle dato un ultimo abbraccio entusiasta la salutò e corse via, lasciando la ragazza con un sorriso luminoso tra le braccia al pensiero della sua amica che ritrovava la felicità.
Quello di cui però non si era accorta, purtroppo, era che qualcuno, per l’esattezza un giovane e affascinante professore dai gelidi occhi color piombo, aveva visto tutta la scena e aveva stretto le labbra infastidito.
Non se ne poté accorgere nemmeno dopo, perché quando si girò in quella direzione, Alessandro Angelis era già andato via con la rabbia negli occhi.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ~ Di gite scolastiche e tentativi di pace ***


Anche se in ritardo… Buona Pasqua a tutti/e!
Sì, so che è martedì, ma ieri era Pasquetta e sono stata tutto il giorno fuori con amici, tornando alle tre di notte e non avevo proprio le forze di aggiornare!
Comunque sia, ecco a voi il tredicesimo capitolo della storia di Amelia e Alessandro. Sono perfettamente conscia che questo capitolo non è esaltante quanto alcuni dei precedenti, anzi, è piuttosto di passaggio, ma come al solito racchiude in sé avvenimenti utili in seguito!
Stay tuned per il prossimo capitolo, che sarà ricco di avvenimenti! Grazie ancora per continuare a leggere e commentare questa storia, siete un’enorme soddisfazione.
Buona lettura e alla prossima.
Un abbraccio!
 

~Sapphire_
 
 
PS: c’è una sorpresa più tardi, il mio modo per dirvi “Buona Pasqua”!
 


 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo tredici
~
Di gite scolastiche e tentativi di pace
 
 
 
Vi prego, basta.
Amelia quel giorno proprio non riusciva più a reggere il ritmo incessante delle lezioni che si susseguivano una dopo l’altra senza il minimo cenno di pausa.
Dopo la fine del primo quadrimestre e l’inizio del secondo, i professori sembravano decisi a non dar loro un solo attimo di respiro, costringendoli a dei salti mortali tra interrogazioni, compiti in classe, conferenze di dubbio interesse con successive relazioni e voto annesso.
Era appena iniziata la quinta ora, di tedesco giusto per renderla pesante quanto bastava, e almeno gli interrogati non comprendevano Amelia che, da quando era iniziata l’ora, stava con la testa poggiata sul banco e la disperazione negli occhi.
Finì per incrociare lo sguardo con Anna che le sorrise e non poté fare a meno di ricambiare.
Erano uscite pochi giorni prima, lei, Anna e Sofia, finendo per andare proprio in quel nuovo locale di cui avevano parlato e trovandolo quanto mai piacevole.
Era stato divertente uscire con loro, Amelia non se l’aspettava, ma era contenta di avere qualcun altro su cui contare a scuola, dato come si era messa la situazione tra lei e Daniele: si sentivano praticamente mai, qualche chiacchiera giusto in classe, ma di altro il loro rapporto era piuttosto freddo. Amelia non poteva negare di esserne dispiaciuta, ma dopo le scuse che il ragazzo le rifilava senza troppi problemi non riusciva proprio a fare finta di nulla.
Ne aveva parlato con Nicole e lei si era limitata a borbottare insulti verso il povero ragazzo – prontamente ignorati dalla mora – ma di altro non aveva saputo consigliarle granché.
Sospirò mentre chiudeva gli occhi, sempre poggiata al banco, e cercò di non pensare a quella deprimente situazione – non che poi avesse qualcosa di più allegro a cui pensare, dato che la sua testa era divisa tra Daniele, la richiesta di Tommaso, la montagna di roba da studiare e ovviamente il caro professor Angelis, che da parecchi giorni faceva finta lei non esistesse.
Stava già per entrare nel tunnel buio e senza vie di uscite che costituiva quel triste argomento, fino a quando non bussarono alla porta della classe e senza troppe cerimonie entrò una bidella.
«C’è una circolare.» bofonchiò la donna con aria annoiata e la consegnò alla prof di tedesco che, con una smorfia, si accinse a leggerla in fretta per continuare l’interrogazione – nel frattempo i poveri studenti si affrettarono a sbirciare dal libro alcune risposte.
«La segreteria informa gli studenti che…» si interruppe, leggendo tra sé «Bla bla bla, niente di importante» bofonchiò la docente a bassa voce, poi continuò «La gita di classe quest’anno è prevista per i primi di marzo, la destinazione scelta è Parigi.»
A quelle parole si alzò subito un chiacchiericcio esaltato tra i vari studenti e anche Amelia tirò su la testa dal banco interessata.
Gita scolastica a Parigi?
«L’ammontare della quota sarà confermata fra una settimana, il modulo di accettazione firmato dai vostri genitori dovrà essere consegnato entro il venti di questo mese.» continuò la docente con aria annoiata – non le andava giù che ogni volta la meta scelta non comprendesse la Germania, utile per la sua materia.
«Ragazzi, datevi una calmata.» richiamò subito all’ordine la prof «Beh, maggiori informazioni verranno date nei prossimi giorni, quindi ora si torna subito all’interrogazione.» ordinò, per poi firmare la circolare e riconsegnarla alla bidella e ringraziarla.
Ma ormai in classe chi ascoltava più? I poveri interrogati furono costretti a concentrarsi di nuovo, ma il resto degli studenti era troppo preso a chiacchierare esaltato su quella novità e così fece anche Amelia, avvicinandosi ad Anna e Sofia cercando di non essere notata dalla prof – troppo impegnata a intimidire i poveri interrogati.
«Amelia, tu vieni, vero?» chiese subito Anna con un sorriso.
«Devo chiedere ai miei ma non dovrebbero fare problemi­.» rispose la mora sorridendo a sua volta.
«Magari riusciamo a stare tutte insieme in stanza.» propose Sofia e il sorriso di Amelia si ampliò.
«Certo!»
Dopo questo si voltò verso Daniele. Il ragazzo, con una vaga aria corrucciata, era impegnato a digitare qualcosa al telefono; come richiamato poi si voltò verso la mora e Amelia subito spostò lo sguardo in imbarazzo.
Devo parlarci.
 
«Dobbiamo parlare.»
Queste furono le parole di Amelia quando all’uscita bloccò Daniele che già correva verso la moto.
Il ragazzo si girò e puntò gli occhi azzurri verso la ragazza.
«Tu dici?»
Amelia fece una smorfia.
«Senti, non usare quel tono sarcastico con me.» iniziò infastidita «Non sono io quella che si sta comportando da stronza da più di un mese, tagliando fuori gli amici per pensare ai cazzi propri.»
Daniele si degnò di assumere un’aria colpevole e tacque.
Un grosso sospiro, poi le fece un accenno di sorriso.
«Pranziamo assieme?» propose.
Amelia fece finta di pensarci per qualche secondo, poi scrollò le spalle.
«Va bene.» disse solo, per poi afferrare il cellulare e mandare un rapido messaggio a sua madre. Dopo questo, prese il casco che l’amico le porgeva e salì in silenzio sulla moto con lui, lasciando che decidesse dove andare a mangiare – non che poi la stessa Amelia non lo sapesse, andavano sempre nello stesso posto, ovvero un piccolo fast food circa due isolati dopo la scuola specializzato di hamburger con prodotti tipici.
Stettero in silenzio mentre entravano nel locale, ordinavano per poi ricevere il pranzo seduti al tavolo in un angolo, il loro solito posto.
«Allora, quando ti decidi a parlare?» iniziò la mora, dando un morso al proprio panino.
Il ragazzo non la guardò, limitandosi in un primo momento a dare qualche morso a una patatina, poi sospirò.
«Non è stato un bel periodo per me, Ame. A casa la situazione sembra sempre peggiorare e i miei genitori non fanno altro che litigare mentre io devo pensare a distrarre Edoardo per non far sentire che mamma e papà litigano.» iniziò accennando al fratello minore «Alice poi non si fa mai vedere e se ne lava le mani di questa situazione, sembra dimenticarsi di avere due fratelli minori mollati a casa con due adulti che si comportano come due bambini.»
Amelia stette in silenzio, persa nei propri pensieri.
«So bene della situazione che c’è a casa tua, Daniele, e capisco che tu non ne voglia parlare, ma escludermi in questo modo non mi sembra da te.» disse infine, per poi lanciargli un lungo sguardo inquisitore «Sembra come che tu mi stia nascondendo qualcosa.» aggiunse.
Daniele arrossì e si prese qualche istante per mangiare – Amelia accettò quella pausa, continuando il proprio panino.
«A dire il vero…» iniziò il ragazzo, poi si interruppe e la mora notò come stesse arrossendo.
«Dio santo, dimmi cosa c’è!» lo spronò irritata.
«Mi sto sentendo con una persona.»
Amelia lo guardò stupita. Poggiò il panino con lentezza, si pulì la bocca con un tovagliolo e poi lo guardò spiazzata.
«Mi stai dicendo che per tutto questo tempo mi evitavi perché ti stai sentendo con qualcuna?» riuscì infine a dire.
Daniele, a quelle parole, si morse un labbro e prese un sorso d’acqua.
«Emh…» fece indeciso, poi alzò lo sguardo e la fissò traballante «Sì.» disse solo, per poi spostare in fretta gli occhi.
Amelia quasi scoppiò a ridere.
«Ma sei serio? Cioè, pensavo fosse chissà che cosa, e invece mi evitavi solo perché ti senti con una persona! Se me l’avessi detto non ti avrei fatto storie, capisco che tu voglia passarci del tempo insieme!» esclamò con sguardo ferito.
«Non è così semplice…»
«Non capisco dove sia la parte complicata.» rispose sarcastica la mora.
«Lascia stare.» borbottò Daniele a disagio.
«Chi sarebbe questa persona?» chiese ancora la ragazza.
Daniele fece una smorfia.
«Preferirei non dirtelo.» ammise.
Amelia lo guardò irritata.
«Perché?»
«Perché non c’è nulla di certo in questa cosa e preferirei non andare a sbandierarla in giro.» bofonchiò il giovane continuando a mangiare. Amelia lo guardò scettica.
«Hai diciotto anni e hai una ragazza, non capisco perché sia qualcosa da nascondere.» commentò.
Daniele le lanciò uno sguardo veloce.
«Non vuole che si sappia, punto.» disse.
Il suo tono fece capire chiaramente ad Amelia che il ragazzo non aveva altre intenzioni di continuare il discorso e perciò tacque – non era per niente felice di tutto quello, ma cosa altro poteva fare? Daniele le aveva comunque dimostrato che ci teneva a quell’amicizia, anche se non voleva sbilanciarsi troppo con quel genere di cose – anche se Amelia non ne era troppo felice – ma lui era sempre stato riservato e alla fine non poteva iniziare a sputare sentenze su una ipotetica relazione dell’amico.
Per questo motivo sospirò.
«Va bene, come vuoi, non ti farò altre domande.» rispose piatta.
Daniele, dall’altra parte del tavolo, alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri parvero illuminarsi.
«Grazie.» disse solo. Amelia si limitò a fare un cenno, per poi riprendere a mangiare.
Passarono un paio di minuti in totale silenzio, ognuno concentrato sui propri pensieri mentre in sottofondo c’era il vago brusio della radio e del chiacchiericcio dei vari clienti.
«Beh, com’è la situazione con Angelis?»
Amelia aveva scelto un pessimo momento per prendere un sorso d’acqua, perché a sentire quelle parole le andò tutto di traverso e iniziò a tossire come una forsennata, cercando di prendere fiato.
Daniele quasi le scoppiò a ridere in faccia.
«Che reazione!» commentò divertito.
«Bastardo.» borbottò Amelia mentre pian piano si riprendeva – si sentiva rossa in volto, e non era sicura fosse solo per l’acqua di traverso.
«Non mi hai risposto.» la stuzzicò il ragazzo.
«Tu puoi non rispondere ma io devo per forza?» frecciò la mora.
Daniele si adombrò nel giro di un secondo e subito Amelia si sentì una stronza, decidendo di ritrattare.
«Va bene, la smetto con queste battute.» borbottò «Cosa vuoi sapere?»
Il ragazzo colse al volo quel cambio di argomento e le rivolse un sorriso angelico.
«Beh, le ultime cose che so sono il bacio in discoteca e poi durante le vacanze di Natale mi hai parlato di quel pomeriggio al centro commerciale. Cosa c’è di nuovo?»
«Cosa ti fa credere che ci sia qualcosa di nuovo?» replicò a tono Amelia.
Daniele fece un sorriso perfido.
«Forse perché lo guardi con un’aria dannatamente mesta e penosa o forse perché lui ti evita come se fossi l’Anticristo.» celiò sarcastico.
«Divertente.» commentò acida Amelia, per poi cambiare subito tono a favore di uno disperato «Davvero credi mi eviti?» piagnucolò.
«Ha preferito andare alle macchinette del secondo piano appena ha visto che facevi la fila per quelle del primo.» rivelò il giovane.
Amelia sbiancò.
«Seriamente?»
Daniele fece una smorfia.
«Sì, l’ho notato subito. Mi spiace.» poi la fissò «Cosa è successo da renderlo così?» insistette.
Amelia si morse un labbro e abbassò lo sguardo, a disagio – non che avesse particolare voglia di parlarne, ma alla fine lui sapeva già abbastanza per sputtanarla in giro e non lo aveva ancora fatto, tanto valeva…
«Un giorno, durante le vacanze, mi ha fatto ripetizioni.»
«Ripetizioni? E come?»
«Lascia stare, storia lunga e c’entrano mia madre e sua madre.» borbottò la ragazza facendo un vago gesto con la mano «Insomma, andava tutto bene, era chiaro, stavo seguendo, poi abbiamo fatto una pausa.»
«Ti prego, dimmi che non avete finito per scopare sul tavolo del soggiorno e vi ha colti tua madre sul fatto.»
«Daniele!»
«Oddio, vi ha visti tuo padre.»
«Cazzo, la vuoi smettere?» quasi strillò la mora, arrossendo fino all’inverosimile mentre l’amico scoppiava a ridere divertito.
«Ok, ok, la smetto. Era troppo divertente, scusa.» disse fra le risa e ricevendosi un’occhiata truce dall’altra.
«Comunque, stavamo chiacchierando – una vera conversazione civile, strano a dirsi – poi ha iniziato a fare battute, commenti strani, si è avvicinato e per un attimo ho creduto ci stesse provando con me.» pigolò Amelia e, chinando la testa, parve volersi fare più piccola sulla sedia.
Daniele la fissò serio.
«E…?»
«E niente, stava solo scherzando, è scoppiato a ridere vedendo la mia reazione e mi ha detto che mai si azzarderebbe a toccarmi.»
«Ahi.» commentò Daniele con una smorfia, poi vide il sorriso triste di Amelia e si preoccupò.
«Quell’espressione non mi piace. Che è successo?»
La ragazza sospirò.
«Me la sono presa – com’è giusto che sia, credo, ma diciamo che ho esagerato. Non volevo farlo, ho sempre pensato di tenerglielo nascosto dato che credeva di essersene dimenticato…»
Daniele parve comprendere al volo.
«Non dirmi che…»
«Sì.» lo interruppe Amelia «Gli ho detto del bacio. Gli ho detto che non può dire che non si azzarderebbe mai a toccarmi, se in fondo è stato lui stesso a baciarmi.»
«E lui?»
«Lui non ci stava credendo, poi però mi ha rivelato che aveva qualche vago ricordo della cosa ma pensava di essersela immaginata, e abbiamo iniziato ad alzare la voce, mio padre è tornato e…» si interruppe, non sapendo più come continuare, poi il suo sguardo si fece più lucido e decisa a non piangere né lì né per un motivo del genere, si costrinse a sorridere e a sbattere le palpebre per far passare il momento.
Daniele la fissava ancora in silenzio.
«Poi sai cosa è successo? Mi ha detto che sono una sua studentessa, che non era così semplice da prendere il discorso, gli ho detto che allora avrebbe potuto evitare di baciarmi. Sai cosa mi ha risposto?» fece retorica – non attese infatti la risposta di Daniele, già attento al discorso.
«Mi ha detto “facile a dirsi”.»
Attimi di silenzio in cui nessuno dei due sapeva bene cosa dire, poi il ragazzo prese un sorso d’acqua e si decise a parlare.
«Queste non sono le parole di una persona che non è per niente interessata.» commentò piatto.
«Tu dici? Nemmeno per me.» rispose atona l’altra.
«E dopo questo?»
«Dopo questo niente.» fece irritata Amelia «Ha fatto finta di niente, non mi guarda manco in faccia, io non sono più andata a pranzo da loro nonostante mi abbiano invitata, per fortuna mia madre non ha insistito. Però a scuola è come se io non esista, sembra che non sia successo nulla fra di noi, so anche che non può fare nulla perché cazzo, sono una sua studentessa, ma ignorarmi così…» la voce le mancò e spostò lo sguardo a disagio – era anche in attesa di una risposta di Daniele, cercava commenti da altri perché lei non sapeva più cosa pensare.
«Io credo» iniziò il ragazzo, per poi schiarirsi la gola con aria indecisa «che lui sia interessato a te. Insomma, è attratto e non so se solo fisicamente, ma rimani una sua alunna e credo che sia difficile per lui quanto lo è per te. Rischia molto di più, Amelia, questo lo sai.»
«Sì.»
«Ecco, forse non sa come comportarsi e per questo ti evita. Cerca di fare la cosa giusta senza rendersi conto che ti ferisce-»
«Ah, io credo lo sappia eccome.» lo interruppe amara la giovane, venendo subito ignorata.
«Comunque sia, se davvero ti piace come mi sembra forse non dovresti mollare così in fretta. Per carità, sono il primo che ti dice di fare attenzione perché potresti finire male – e sai di cosa parlo. Però, tutto sommato, secondo le varie precauzioni che prendi, perché no? Non ti sei più data un’occasione dopo la storia di quello stronzo di Giacomo, forse è la volta buona. Alla fine, inoltre, mancano solo pochi mesi al diploma e poi sareste liberi di fare quello che volete, nessuno potrà dirvi nulla.»
«Tranne i nostri genitori e il fatto che abbiamo un sacco di anni di differenza tra noi.»
«Sono solo nove, che sarà mai.» fece annoiato Daniele. Amelia lo guardò confusa.
«Come lo sai?»
«Ho controllato.» replicò angelico il ragazzo e la mora si costrinse a non rimproverarlo.
«Sono comunque molti anni, non è così semplice. Io devo studiare, lui ha già un lavoro e una sua vita, poi…» si interruppe, rendendosi conto delle proprie parole «Aspetta, sto davvero parlando di una concreta possibilità tra me e lui? Sono fuori di testa.» esalò scioccata.
Daniele fece un vago gesto con la mano.
«Ora come ora non pensarci troppo, vedi come vanno le cose e poi comportati di conseguenza.» concluse il riccio con un sorriso splendente che contrastava con l’espressione corrucciata di Amelia.
«Tu dici?»
«Fidati di me.»
Oh, è di me che non mi fido.
 
 
 
 
 
 
 
Easter’ Special
(e poi non dite che non vi voglio bene)
 

 
«Che faccia che hai.»
«Taci.»
Emanuele alzò gli occhi al cielo con finta aria esasperata e Alessandro lo ignorò platealmente, troppo impegnato a stapparsi una bottiglia di vino e prendere due bicchieri.
Sotto lo sguardo del suo migliore amico se ne versò un generoso bicchiere e si attaccò ad esso senza troppi complimenti.
«Che è successo?» insistette l’altro uomo.
Alessandro lo ignorò ancora, preso dai propri pensieri – che, guarda caso, coinvolgevano una ragazza dai ricci indomabili, un caffè freddato e rivelazioni quanto mai inopportune.
«Dio santo, Alex, dimmi qualcosa prima di farti prendere da un attacco isterico.» bofonchiò l’altro esasperato, prendendo il bicchiere che il moro gli porgeva.
«Ho scoperto che è successo quella notte in discoteca.»
Tono duro, gelido e indifferente. Emanuele però non si lasciò ingannare, conosceva da troppo tempo l’amico per farsi fregare da quella finta indifferenza che il moro usava come maschera quasi perenne.
«Oh. E allora?» domandò ancora, incuriosito.
Alessandro fece una smorfia ripensando alle parole che Amelia gli aveva rivolto.
«L’ho baciata.»
Silenzio.
O, almeno, silenzio per i primi dieci secondi.
Subito dopo per l’open space della casa del moro si diffuse una risata dapprima soffocata, poi sempre più plateale e infine sguaiata e divertita all’eccesso.
«Bastardo.» sibilò il moro in direzione dell’amico, osservandolo mentre lasciava andare la testa dai lunghi e mossi capelli biondo scuro, preso dagli squassi delle risa.
«Oddio… Hai baciato una tua alunna… Una tua alunna!» riuscì a dire Emanuele continuando a sghignazzare senza pietà.
Alessandro alzò gli occhi al cielo.
«Sì, lo so. Ti prego, non ridere, sto già pensando su come suicidarmi per conto mio.» sibilò.
Emanuele, dopo aver riso per ancora qualche minuto, si asciugò infine le lacrime e lo fissò divertito.
«E come l’hai scoperto?»
«Oggi dovevo andare a farle ripetizioni – mi ha obbligato mia madre, lascia stare – e diciamo che posso averla presa in giro con qualche atteggiamento, ecco.» borbottò un poco a disagio.
Vide con la coda dell’occhio l’altro che lo fissava divertito.
«Eh, immagino come tu possa esserti preso gioco di lei.» replicò soave «E quindi?»
«E quindi quella stronza mi ha rivelato che l’ho baciata in discoteca – cioè, mi aveva detto che non ci fosse stato nulla tranne alcune chiacchiere! E invece oggi scopro che le ho parlato addirittura di Eleonora. Dovevo essere impazzito.»
«O solo molto ubriaco.» commentò pragmatico il biondo.
Alessandro fece una smorfia colpevole continuando a sorseggiare il vino – eliminare i problemi con l’alcol, che ragazzino.
«Non sai che fare, suppongo.»
Il moro gli lanciò un’occhiata.
«Beh, ho baciato una studentessa, che dovrei fare secondo te?»
«Io me la porterei a letto, giusto per concludere.»
Strano! Quando mai Emanuele non si sarebbe approfittato di una giovane fanciulla innamorata – ah, no, lei non era innamorata però. Ma aveva una pesantissima cotta, Alessandro se n’era ovviamente accorto.
«Qualche suggerimento intelligente?» lo ignorò Alessandro.
Emanuele sbuffò divertito.
«Senti, cosa vuoi che ti dica? Eri ubriaco, alla fine non è totalmente colpa tua. Cioè, sì, ma chi avrebbe mai potuto supporre fosse in quella discoteca? È stato solo un incidente, non pensarci.»
Facile a dirsi, dato che quel demonio se lo ritrovava in classe poi!
Non sapeva più chi avesse il coltello dalla parte del manico ormai: lui era il professore e poteva seriamente metterla in difficoltà con la scuola, ma lei poteva sempre minacciarlo con quel bacio – anche se dubitava fortemente l’avrebbe mai fatto. Così come lui non avrebbe usato il proprio potere all’interno della scuola per fare lo stronzo.
O almeno non troppo, si corresse perfido.
La cosa peggiore era un’altra però: ciò che lo faceva incazzare era che non si ricordava del bacio.
Lui voleva ricordarselo, per il semplice fatto che moriva dalla voglia di poter ripercorrere ogni qual volta lo volesse quei momenti e cullarcisi all’interno – non poteva di certo ribaciarla.
«Credo di essere interessato a lei.» ammise.
«Ma va?» fu la pronta risposta.
Alessandro guardò male l’amico che, di risposta, gli fece un sorriso innocente.
«Si notava da tempo, eh. Non mi stupisce questa tua affermazione, non fai altro che parlare di lei.»
«Io non parlo sempre di lei!»
«No, infatti, la inserisci solo in tutti i discorsi relativi alla scuola o ai tuoi genitori.»
«Fottiti.»
«Con piacere, ma dopo.» celiò sarcastico il biondo.
Alessandro fece un verso esasperato e si buttò sul divano.
«Se qualcuno a scuola lo scoprisse sarei nella merda.»
«Assolutamente sì.»
Ah, il caro Emanuele. Sapeva sempre come far sentire meglio le persone – ora che ci pensava, perché era amico di quello stronzo?
«Credo che farò finta di nulla.»
L’epifania lo colse in quel momento e dopo quelle parole si illuminò come un albero di Natale, un sorriso splendente che gli era spuntato in volto.
Il biondo lo guardava poco convinto.
«Tu credi sia una buona idea?» borbottò.
«Ma certo!» si alzò in preda all’entusiasmo «La ignoro, così a lei passa, a me pure, e fine di tutto questo casino!»
«Certo, poi divento il nuovo Papa e spunteranno unicorni dal cielo a portare il messaggio dell’Apocalisse.» fu la risposta sarcastica seguita da uno sguardo sconvolto «Ma ti ascolti quando parli?»
Alessandro fece il muso – ventisette anni buttati nel cesso.
«Potrebbe essere un’idea.» si giustificò.
«Sì, se non vi vedeste più per tutto il resto della vostra vita.» commentò acido il biondo «Ma dato che non sarà così per quella ragazzina la cotta andrà sempre peggio, anche perché tu farai lo stronzo in classe e quindi le piacerai ancora di più – ho ragione io e tu lo sai, le diciottenni sono fatte così – tu invece non te la farai passare fino a quanto non te la porti a letto.» commentò Emanuele convinto.
Alessandro tacque, improvvisamente colpito dall’ultima frase dell’amico.
Davvero mi passerà una volta che me la porto a letto?
Bella domanda.
«Tu credi…» si interruppe, poco convinto, poi continuò «…che una volta che ci faccio sesso poi finisca tutto l’interesse che ho per lei?»
Il silenzio che si venne a creare era pesante e quasi fastidioso.
Alessandro aveva paura della risposta, Emanuele…
«Lo spero per te, amico.» disse solo.
E ad Alessandro non rimase che chinare la testa, quasi sconfitto, pensando al mare di merda in cui si ritrovava a nuotare.
Ma chi me l’ha fatto fare a diventare insegnante?

 

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ~ Di San Valentino e disastri ***


Oggi sono piuttosto mattiniera nell’aggiornamento!
Buongiorno a tutti, finalmente la primavera è arrivata e queste giornate sono assolutamente piacevoli. Spero che questo nuovo capitolo sia apprezzato come l’aria primaverile di questi giorni.
È giunto San Valentino e sarà una giornata piena di soprese per tutti, ma chissà quali saranno i risvolti di queste sorprese.
Non aggiungo altro se non mille grazie per tutte le belle parole che mi scrivete, i preferiti, i seguiti e i ricordati.
Buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo quattordici
~
Di San Valentino e disastri
 
 
 
E ora come diavolo prendo il discorso?
Questo era quello che pensava Amelia mentre fissava Nicole che, ignara di tutto, si districava tra i mille pacchetti frutto dello shopping sfrenato di quel pomeriggio e al contempo si levava cappello e sciarpa per sedersi alla caffetteria in cui erano appena entrate.
Era da giorni che rifletteva su come introdurre l’argomento senza essere palese o comunque con delicatezza, ma ogni volta rinunciava e rimandava alla prossima occasione.
Purtroppo, proprio il giorno prima Tommaso l’aveva di nuovo placcata vicino casa propria per chiederle se aveva parlato con Nicole e vedere il viso depresso del ragazzo alla risposta negativa l’aveva fatta sentire una merda.
Andiamo, è una mia amica. So come trattarci, so come prendere il discorso, devo solo farlo.
«Cosa prendi tu?»
La domanda improvvisa della castana la fece quasi saltare sulla sedia e si ritrovò ad alzare gli occhi scuri con aria spaventata – un cerbiatto di fronte ai fari di un’auto, ecco cosa sembrava.
Nicole le lanciò immediatamente un’occhiata stranita e per questo si affrettò a sembrare rilassata e a sorriderle con nonchalance.
«Una cioccolata con panna.» tubò allegra e spensierata – spensierata un cazzo, era il suo pensiero.
Nicole la osservò giusto per un attimo di troppo, ancora confusa, poi scrollò le spalle.
«La volevo prendere anche io ma ho già compromesso la mia dieta questa settimana.» bofonchiò la ragazza depressa.
No, hai bisogno di cioccolato, fidati di me.
«Ma dai, una cioccolata non è nulla! Un’ora in più al tapis roulant e sarai una favola.» continuò allegra Amelia.
Un Giuda, ecco cosa sono. Uccidetemi.
Ma ormai aveva iniziato con la sua messinscena, doveva portarla a termine o Tommaso l’avrebbe strangolata per poi nascondere il suo cadavere da qualche parte.
Non prima di essere andata a Parigi, che cazzo.
Nicole la guardò indecisa.
«Tu dici? Non credo che…»
«Ma va!» la interruppe brutalmente la mora «Avanti, ti prendi anche una doppia porzione di panna!» la incoraggiò Amelia.
Giuda e pure stronza, aggiunse la mora tra sé pensando a come stesse distruggendo la dieta della povera amica. Ma meglio metterle più zuccheri in circolo, forse se avesse capito le sue intenzioni così non le sarebbe saltata al collo strozzandola con la sua nuova sciarpa di cachemire, regalo della suddetta castana per Natale – era così morbida!
Nicole capitolò e quando arrivò la cameriera, una graziosa ragazza di vent’anni con dei fantastici capelli ramati, ordinarono entrambe una cioccolata calda con panna – e dei biscotti, giusto per far schifo con stile.
«Allora…» borbottò Amelia, perdendo per un attimo la sua aria allegra per poi recuperarla in fretta.
«Come va con Leo?» tubò infine, un sorriso splendente in volto. Pure gli occhi le brillavano, era un’attrice nata!
Nicole fece una mezza smorfia.
«L’ho scaricato.» ammise.
A quella frase Amelia sentì un coro di angeli in sottofondo e Dio che la illuminava di grazia divina.
Si dovette costringere ad assumere un’aria contrita e dispiaciuta mentre nella sua testa esultava e ringraziava la propria fortuna – non sapeva esattamente come, ma da qualche giorno a quella parte era improvvisamente diventata team Tommaso, forse come aveva visto il ragazzo innamorato perso dell’amica.
«Cavolo, che peccato, e dire che andava tutto bene!» esclamò facendo una smorfia dispiaciuta – un Oscar, dovevano darle un fottuto Oscar.
«Sì, infatti, solo che…» iniziò Nicole indecisa. Amelia stava già per insistere un po’ ma l’arrivo della cameriera con i loro ordini la frenò da dire qualsiasi cosa.
Il tempo di poggiare tazze e piattini vari e riprese il volo con un sorriso luccicante.
A quel punto la mora preferì aspettare che l’amica iniziasse a confessare senza ulteriori spinte, e per questo si concentrò sul mangiucchiare un biscottino in frolla a forma di stella e sul punzecchiare la panna con il cucchiaino.
«Ci sono andata a letto.» riprese Nicole dopo un po’ e Amelia sollevò lo sguardo verso di lei, notando il suo sguardo contrito.
«Sento un “ma”.»
Un sospiro da parte dell’altra.
«Non dico che mi abbia fatto schifo, tutt’altro, ma…» altro sospiro, giusto per fare la melodrammatica «Non era come con Tommaso. È squallido dire che pensavo a lui mentre lo facevo con Leonardo?»
Amelia si costrinse a trattenere il sorriso felice e fece no con la testa.
«Se sei presa ancora da lui, credo sia normale.»
Nicole tacque, per poi iniziare a infilzare con violenza il cucchiaino nella tazza – sembrava volesse affogarci qualcuno, o magari lei stessa.
«A causa di quel bastardo traditore non riesco più ad avere una vita sessuale soddisfacente!»
«Beh, traditore non so se sia il termine adatto…» azzardò la mora.
«Spero che quella Giorgia faccia schifo a letto, almeno sa cosa si è perso.» continuò Nicole ignorandola.
Credo se ne sia già accorto, pensò Amelia, facendo attenzione a non dirlo.
«Quindi ti piace ancora?» chiese a bruciapelo.
Nicole si morse un labbro, prese un sorso di cioccolata, mangiò un altro biscotto.
«Sì.» rispose con la bocca piena e Amelia osservò quella triste scena dell’amica che cercava di affogare la propria disperazione nelle calorie.
«Beh, potresti riprovare a sentirlo allora, magari ha cambiato idea…» continuò vaga la mora, spostando lo sguardo perché troppo a disagio nel mentire così spudoratamente.
Non voleva dirle tutto e subito, doveva vedersela con Tommaso e basta, lei era già troppo in mezzo a quella storia – e non perché lo volesse, era chiaro.
«Quell’idiota? Ora come ora starà sguazzando tra le gambe di quella musicista da quattro soldi.» sibilò sarcastica la castana.
Amelia la fissò scioccata.
«“Sguazzando tra le gambe”? Però, è poetica come immagine.» frecciò ironica.
«Lascia stare, sto diventando un’acida di merda.»
«Troppe verdure e troppo pochi dolci.»
«Troppo poco cazzo, io direi.» replicò Nicole con un sorriso sarcastico.
Amelia le lanciò uno sguardo scettico.
«Lo stai dicendo proprio a me?»
«Almeno il tipo che ti piace ricambia, mica sei una povera abbandonata come me!» borbottò Nicole.
«Il tipo che mi piace?»
La castana alzò gli occhi al cielo.
«Sveglia tesoro, il professorino tutto pepe e ubriacone.» rispose pragmatica.
Amelia arrossì alla velocità della luce.
«Non mi piace.» sibilò in fretta.
«Ah ah, e io mi preservo vergine per il matrimonio.» rispose melensa l’altra.
«Ti odio quando fai così.»
«Tu mi ami.»
Amelia non rispose, decisa a non intraprendere quel discorso per l’ennesima volta – stava cercando di preservare la propria sanità mentale e per farlo doveva concentrarsi sulla vita sentimentale dell’amica, non sulla propria, anche perché in quel caso la sciarpa di cachemire sarebbe stata utile come cappio al collo.
«E comunque non gli piaccio.» borbottò giusto per avere l’ultima parola.
«Farò finta di non aver sentito.»
 
 
«Dimmi di nuovo perché lo sto facendo.»
«Perché amo la tua migliore amica e lei prova ancora qualcosa di me, e tu vuoi vederla sorridere.»
Amelia sollevò lo sguardo lugubre su Tommaso, che la fissava gioioso e scodinzolante come un cane al parco per la prima volta.
«Dovrebbero darmi un premio.» sibilò incazzosa, per poi stringersi meglio nel proprio cappotto rosso scarlatto e infilare il naso nella sciarpa bianco panna.
Tommaso, a fianco a lei, non sembrava sentire minimamente i due miseri gradi che vi erano in quel giorno indecente e aspettava seduto nel muretto come se fosse stata una calda giornata estiva.
«Chiedimi qualsiasi cosa e te la darò.» promise il ragazzo convinto.
Amelia gli lanciò un’occhiata obliqua e poi fece un sorriso perfido.
«Qualsiasi cosa?» cinguettò angelica.
Tommaso si dovette rendere conto di ciò che aveva appena detto perché sembrò farsi più pallido.
«...c’è sempre il limite della decenza e della legalità, ricordatelo.» borbottò il moro allontanandosi come poteva da lei.
Amelia fece una smorfia delusa e poi scrollò le spalle annoiata.
Dio, chi me l’ha fatto fare.
Era appena stata incastrata da Tommaso in una melensa sorpresa per San Valentino.
Avrebbe dovuto – e anche voluto – trovarsi a rotolarsi nel letto con un suo ipotetico ragazzo, non fuori al freddo implacabile del quattordici febbraio, in attesa che la sua migliore amica uscisse dalla palestra – pazza – per poi condurla nel luogo predisposto con una scusa del cavolo.
«Mancano dieci minuti, sei pronta?»
La voce ansiosa del ragazzo le fece alzare gli occhi al cielo. Poi si voltò verso di lui e lo guardò irritata.
«So cosa devo fare, Tommy, non c’è bisogno che mi stressi la vita ripetendomi ogni due minuti se “sono pronta”. Quindi perché non prendi il volo e la tua moto, vai dove devi andare ad aspettare e non mi lasci qui a riflettere su quanto sia triste la mia vita sentimentale mentre mi affogo con Baci Perugina e aspetto la mia amica per aiutarti a farle una sorpresa romantica?» frecciò veloce e sarcastica, mentre affondava la mano in tasca per tirare fuori l’ennesimo cioccolato da ficcarsi rapida in bocca – regali del padre, ovvio, mica aveva qualcuno che si sprecava con lei.
Tommaso la osservò spiazzato da quel semi sproloquio e infine fece una smorfia.
«Scusa, in effetti tenerti qui solo per fare una sorpresa a Nicole non dev’essere il massimo per te.» ammise con una punta di desolazione.
Amelia si rese conto di quanto fosse stata sferzante e sospirò, cercando di ritrattare.
«Tranquillo, sono stata io a dirti di sì. Sono solo stanca e infreddolita, non è colpa tua, e poi vedere coppie per tutto il giorno ha dato una bella botta al mio umore.» borbottò.
Tommaso le lanciò un’occhiata indecisa.
«Sei sicura che vada tutto bene?»
«Assolutamente.» assicurò la mora «Ora però vai o c’è il rischio che Nicky ti veda, e tanti saluti alla sorpresa.» lo esortò con una spintarella giocosa.
Il ragazzo la lanciò solo un ultimo e lungo sguardo prima di farle un sorriso, un cenno e dirigersi verso la propria moto parcheggiata poco lontano.
Amelia non ebbe il tempo per deprimersi da sola, mangiando cioccolato e facendo partire la canzone “All by myself” per far finta di essere una trentenne in crisi e sola come un cane, dato che dopo pochi istanti vide Nicole uscì dalla palestra.
Si lanciò sulla strada ricevendo anche un clacson e un dito medio, più un vago insulto che fece finta di non sentire, e bloccò al volo l’amica che, imbacuccata e con le cuffie alle orecchie non la vide subito.
«Nicole!» tubò allegra afferrandola per una manica.
La ragazza sobbalzò spaventata e già che c’era le partì anche un urletto isterico, per poi calmarsi quando riconobbe Amelia.
«Ame! Ma cosa diavolo… Mi hai spaventata a morte!» fece spaventata.
«Oh, scusa.» fece con un sorriso splendente senza essere realmente mortificata.
«Cosa ci fai qui?» chiese la castana guardandola confusa.
«Oh, niente di ché» iniziò la mora con un vago gesto della mano «ero solo a casa depressa e riflettendo sulla mia miserabile vita sentimentale, ho pensato che tu fossi allo stesso modo – in palestra a fare qualcosa di costruttivo però, a differenza mia – e ho pensato che saremmo potute andare in giro a fare la coppia lesbo sfondandoci di cibo, che ne dici?» continuò.
Nicole, povera ragazza, intelligente per tutta la matematica del mondo ma davvero ingenua in certe cose, si lasciò intortare alla grande.
«Oh, davvero?» fece la giovane con un tiepido sorriso.
«Sì.» trillò la mora.
Quanto sono falsa.
«Allora, che ne dici?» continuò aggrappandosi al braccio dell’amica, quasi soffocandola con la propria aura rosa che cercava di trasmettere.
Nicole parve per un attimo indecisa, poi si limitò a scrollare le spalle.
«Va bene. Tanto non ho chissà che da fare a casa.» ammise con una punta di amarezza.
Amelia non si perse in tentativi di consolazione – ci avrebbe pensato Tommaso dopo – e l’afferrò con poca gentilezza trascinandola fino alla fermata dell’autobus.
«Perfetto, so già dove andare, seguimi!» urlò allegra.
Fortuna volle che l’autobus passasse in quell’istante, quindi non dovettero nemmeno aspettare fuori al freddo – rimanere in piedi in quel tugurio sì, invece, dato che c’era abbastanza gente da occupare tutti i posti a sedere.
Bastardi, borbottò nella propria testa Amelia.
Si volse poi verso Nicole, continuando a blaterare per tenerla occupata e riempiendole la testa di stronzate – Daniele, la torta di mele che aveva fatto la mamma, la figura di merda che aveva fatto il giorno prima…
Nicole era praticamente stordita di chiacchiere quando scese dalla fermata insieme ad Amelia.
«Ma ti sei fatta di qualcosa prima di venire?» borbottò la castana lanciandole una vaga occhiata.
«Ma tesoro, sono solo felice di passare del tempo con te!» tubò continuando a tenere su la scenetta. Nicole a quel punto dovette iniziare a far ragionare il cervellino, perché la osservò attentamente.
«Mi devi dire qualcosa?»
«Toh, siamo arrivate!»
Amelia la ignorò platealmente e finalmente si fermarono dalla breve camminata dalla fermata dell’autobus.
Erano arrivati a un piccolo bar vicino al parco; dall’interno proveniva un leggero vociare e della musica, si poteva notare fosse decorato di rosso e con numerosi cuori. Entrambe sapevano che nella parte opposta, nascosta da quel lato della strada, c’era anche un gazebo coperto davvero grazioso e particolarmente romantico.
Nicole sbarrò gli occhi riconoscendo il posto.
«Amelia…» sussurrò lugubre.
«Entriamo, potremmo non trovare posto.» la ignorò ancora la mora, afferrandola per un braccio e trascinandola dentro.
Si sentiva un po’ stronza a portarla lì dentro senza darle un perché, soprattutto il giorno di San Valentino, ma la verità era che Tommaso aveva voluto fare le cose alla vecchia maniera e aveva deciso di farle la sorpresa proprio nel luogo in cui lui e Nicole si erano incontrati per la prima volta.
Riuscì a portarla all’interno, a farla trotterellare con lei tra i tavolini prima di fermarsi poco prima del gazebo.
«Amelia, ferma.»
Questa volta il tono di Nicole fu diverso. Più duro, più seccato, infastidito.
La mora fu costretta a girarsi e osservare l’amica che la fissava.
«Cosa c’è?» fece innocente.
«Perché siamo venute qui?»
Amelia si zittì, incapace di rispondere.
Dove cazzo sei, Tommaso?
Tommaso doveva aver seguito il consiglio di Amelia e doveva aver preso sì il volo, ma per andarsene a fanculo dato che non arrivava a urlare “sorpresa!” per la sua futura ragazza, abbandonandola agli occhioni tristi e irritati della suddetta futura ragazza.
«Emh…»
E ora che cazzo le dico?
«Amelia, mi sto arrabbiando.» continuò minacciosa la castana, strattonando il braccio e riuscendo a liberarsi dalla presa.
Merda merda merda.
«Gliel’ho chiesto io di portarti qui.»
Amelia sembrò riprendere finalmente a respirare riconoscendo la voce di Tommaso.
Diverso fu per Nicole, che parve perdere respiro, battito e anche la ragione.
Ci furono attimi di imbarazzante silenzio – e gli altri clienti parvero notare qualcosa, dato che iniziarono a lanciare occhiate ai tre, un misto di curiosità e finta nonchalance – ma poi Nicole parve riacquisire le proprie facoltà mentali e si voltò con lentezza verso di Tommaso, arrivato alle sue spalle.
«Cosa?»
Evidentemente il suo cervello non era stato in grado di partorire qualche domanda più elaborata, ma fu chiaro a tutti cosa passasse per la testa della povera ragazza.
Un cataclisma.
Tommaso si avvicinò a lei con lentezza.
«Ho chiesto io ad Amelia di portarti qui.» ripeté lentamente, per poi fissarla e continuare a parlare «Ho parlato con lei dato che tu ti ostinavi a ignorarmi, a far finta che non esistessi…»
Nicole si voltò subito verso la sua amica che spostò lo sguardo con aria colpevole.
«Non prendertela con lei, l’ho praticamente costretta ad ascoltarmi.» intervenne il moro.
La giovane si voltò di nuovo verso di lui, il viso una maschera di gelida indifferenza.
«Cosa vuoi?» chiese la ragazza fredda – stava recuperando un po’ di self control, a quanto pareva.
«Io e Giorgia…»
O forse no.
«Giorgia?» sibilò immediatamente la ragazza «Sei venuto qui per parlarmi di lei? Ma stiamo scherzando? Ma vai a farti fottere e anche tu» si voltò verso la mora «dopo ci facciamo una bella chiacchierata.» sibilò minacciosa.
Ormai tutto il locale pareva molto interessato alla scenetta che i tre offrivano e anche una cameriera si fermò ad osservare.
«Nicky, lascialo almeno finire di parlare.» tentò Amelia.
«Infatti, quello che ti voglio dire è…» riprese il ragazzo.
«Siete due bastardi!» interruppe di nuovo Nicole, ormai partita per la tangente con un biglietto di sola andata.
«Ma guarda che…»
«Taci, traditrice!»
«Nicky, fammi parlare…»
«Pure tu, non hai una Giorgia a cui aggrapparti?» continuò velenosa la castana.
«L’ho mollata!»
Tommaso praticamente urlò per farsi sentire dalla ragazza che sembrava voler fare orecchie da mercante, e se fino a pochi istanti prima si poteva sentire ancora un vago brusio in sottofondo, ora era calato un totale silenzio rotto soltanto dalla musica della radio.
«L’ho mollata perché mi sono reso conto che non era quello che volevo. Stavo con lei e pensavo a te, baciavo lei e ricordavo il tuo profumo, ci andavo a letto e pensavo alle volte che a casa tua ci facevamo le coccole. La comparavo a te, sempre e in ogni istante. Solo che quando mi sono reso conto dell’enorme stronzata che ho fatto tu mi avevi già mandato a fanculo senza farti più sentire!» ammise con un sottile velo di rabbia il ragazzo.
Inutile dire che Nicole avesse lo sguardo perso nel vuoto, la bocca semi aperta quasi in procinto di dire qualcosa – qualsiasi cosa fosse, evidentemente non era più così importante.
Tommaso prese un bel respiro mentre Amelia arretrava con discrezione.
«In sostanza, quello che ti voglio dire è…» si interruppe, fece una smorfia imbarazzata e infine terminò «Voglio dire che sono innamorato di te, solo che me ne sono accorto solo ora. E vorrei sapere se provi ancora le stesse cose per me, perché a questo punto sarei solo e soltanto tuo.» terminò il ragazzo.
Se chiunque a quel punto avrebbe potuto sentire anche il fruscio di un foglio che cadeva, Nicole non si sarebbe accorta di un’esplosione anche se le fosse stata accanto.
Tommaso lanciò un’occhiata disperata ad Amelia, pregandola di fare qualcosa – chiamarla, darle una botta in testa, qualcosa per risvegliarla dal coma in cui era caduta, ecco.
«Emh, Nicky…» borbottò Amelia avvicinandosi appena.
Fu a quel punto che Nicole iniziò a ridere.
Sì, a ridere, iniziando una commedia melodrammatica in piena regola dato che la sua risata suonava isterica e divertita al tempo stesso – Amelia pensò che forse era l’amica che si era fatta prima di andare lì.
«Sei serio? Mi hai rotto le palle per mesi parlandomi di quella Giorgia mentre te la facevi con me, ossessionandomi con la sua cazzo di musica e, quando finalmente ci stai insieme, la molli perché vuoi me?» il tono interrogativo era solo retorico, perché continuò subito a parlare «Ma dico, hai problemi in testa?» continuò sarcastica.
Tommaso alzò le mani in segno di resa.
«Senti, lo so che sono stato uno stupido…»
«No, non sei stato stupido, sei stato un completo coglione!» quasi strillò Nicole – quella frase le fece guadagnare qualche “brava” dalle retrovie, i clienti che sembravano ad appassionarsi sempre di più a tutto quello.
«Ero persa per te, lo capisci? Tu però non ti sei mai accorto di un cazzo, solo perché avevi Giorgia e la sua quarta di seno in testa, ti sei comportato come tutti gli uomini stupidi che pensano con il cazzo.» frecciò irritata «E ora mi vieni a dire che l’hai mollata per me! Dico, cosa dovrei fare ora? Buttarmi tra le tue braccia e fare come se nulla fosse successo?» continuò sarcastica.
«Beh, perché no…» borbottò Tommaso – Nicole scoppiò a ridere acida.
«Sai qual è la cosa più assurda, in tutta questa storia e casino che sto facendo?» chiese infine.
Altro silenzio, ma alla fine chi aveva il coraggio di parlare in una situazione del genere?
«La parte più assurda…» soffiò appena quella parole, abbassando la testa con aria sconfitta «è che io ti amo ancora.»
E non ci fu bisogno di altre parole, ma neanche mezza, perché quella singola frase fu il semaforo verde che Tommaso aspettava: in due passi raggiunse la ragazza e la baciò.
Il casino che seguì dopo fu come quello in una platea dopo lo spettacolo: applausi, complimenti urlati a caso, altri applausi.
Ma Tommaso e Nicole non sentivano nulla di tutto quello, troppo presi a perdersi uno tra le braccia dell’altra, stretti e con un innamorato sorriso stampato in volto.
Solo a quel punto Amelia, zampettando di nascosto, uscì di volata dal bar sentendo l’aria gelida accoglierla.
Lasciò il calore dell’amore lì dentro, per Nicole e Tommaso, mentre con un sorriso e gli occhi un po’ lucidi prendeva la strada di casa.
 
 
Non sapeva come fosse arrivata lì.
Sarebbe stato tutto più semplice e meno triste se fosse tornata a casa di volata, e avrebbe anche avuto meno freddo in quel momento, ma i suoi piedi l’avevano condotta al centro, facendola passeggiare per le vie circondata dalle coppie che si tenevano la mano e si scambiavano amorevoli baci di fronte alle vetrine.
Disgustoso.
Questo almeno era quello che le veniva da pensare, perché avrebbe voluto trovarsi esattamente al loro posto.
Sapeva bene che avere un ragazzo non era tutto e non era neanche la sua massima aspirazione di vita, ma cavolo!, voleva la storiella d’amore dei diciotto anni, quella che sconvolge la vita e ti fa sognare.
Voleva avere qualcuno con cui passare quella stupida giornata insensata, anche stando di fronte al camino a guardarsi uno stupido film sdolcinato mentre si aspettava il fattorino della pizza.
E invece era ferma di fronte alla vetrina di una gioielleria, lasciandosi catturare dallo scintillio degli anelli e delle collane, guardando i prezzi e rabbrividendo – non solo per il freddo.
«Amelia?»
La voce che la chiamò fu balsamo e veleno alle sue orecchie.
Come al solito le arrivava alle spalle, considerò. Forse avrebbe dovuto installarsi una telecamera nella schiena, così si sarebbe spaventata di meno, o comunque avrebbe avuto il tempo di dileguarsi mentre si accorgeva della sua presenza.
«Alessandro.»
Si voltò con un pacato sorriso, incontrando l’uomo che la fissava leggermente stupito, in mano un pacchetto di un negozio di elettronica. Era vestito casual come la volta che se l’era ritrovato a casa per le ripetizioni, ma aveva il volto arrossato dal freddo e le labbra un poco screpolate.
Cacciò via con forza il pensiero indecente che le si era formato in testa.
«Che ci fai qui?»
La domanda suonò strana all’orecchio dello stesso Alessandro che l’aveva pronunciata, perché poi fece una smorfia.
«Domanda stupida.» ammise.
Amelia scrollò le spalle.
«Non troppo.» si ritrovò a dire «Faccio solo una passeggiata.» spiegò mentre si stringeva di più nel cappotto rosso.
Dentro di sé era piuttosto in ansia. Era da parecchio che non parlavano – cioè, come prof e studentessa finivano ovviamente per rivolgersi la parola, anche se ogni scusa era buona per evitarlo. Non guardarsi nemmeno negli occhi, dopo l’ultimo episodio eclatante tra di loro, era stato quasi ovvio e nessuno dei due aveva tentato di ristabilire un minimo di contatto.
Però ora lui era lì di fronte a lei, la guardava e le parlava, e tutto quello che era successo in precedenza sembrava essere svanito.
Alessandro la osservò poco convinto – era strano osservare quelle espressioni umane sul suo volto, soprattutto dopo che a scuola manteneva la patina da professore-demone pronto a mangiare bambini e fanciulle vergini.
«Non dovresti essere con il tuo ragazzo?»
La domanda spiazzò completamente Amelia e prima che potesse pensare cosa gli importasse a lui, si bloccò e fece a sua volta una domanda.
«Il mio ragazzo?»
E da quando aveva un ragazzo?
Alessandro sembrò essere in difficoltà a quella replica confusa, poi assunse la sua migliore aria indifferente e aggiunse un sorriso ironico.
«Il ragazzo alto, con i capelli neri…» iniziò a spiegare. Notando l’aria confusa della ragazza sospirò spazientito.
«Quello con cui sei andata a pranzo alcune settimane fa.» sibilò.
Amelia cercò di fare mente locale.
Un ragazzo alto e con i capelli neri con cui sono stata a pranzo… Ma chi diavolo è?
Un’epifania la colse proprio quando stava per rispondere che non avesse idea di chi parlasse.
«Tommaso?» borbottò.
«Non so come si chiami.» fu la pronta risposta dell’altro.
Sì, è Tommaso, pensò tra sé Amelia – anche perché non aveva altre idee ed era sicura di non essere andata a pranzo con nessun ragazzo escluso lui e Daniele, ma quest’ultimo era nella sua stessa classe.
«Oh, parli di Tommaso.» disse con tono più sicuro «Lui è il ragazzo della mia amica.» spiegò placida – o almeno sperava tanto lo fosse, da come si erano saltati addosso un’oretta prima.
La domanda che le sorse poco dopo fu però quella più normale in un frangente del genere.
«Ma scusa, che ti importa?»
Alessandro dovette capire di trovarsi nella merda perché voltò la faccia con nonchalance e si limitò a scrollare le spalle.
«Era giusto per sapere, è San Valentino.» spiegò tranquillo – ma Amelia era sicura di aver sentito il tono più sollevato e fu impossibile per lei resistere all’impulso di sorridere.
«E tu che ci fai qui?» chiese cortese – cambiò argomento giusto per non indisporlo troppo, non voleva fare la stronza e neanche aveva le forze in quel momento. Il prof parve sollevato a quella domanda.
«Avevo delle commissioni da fare.» si limitò a rispondere facendo dondolare di fronte a lei il pacchetto a mo’ di spiegazione.
«Ci incontriamo ovunque.» osservò la mora.
«A quanto pare.» fu la piatta risposta dell’altro.
Momento di silenzio imbarazzato seguito da una coppietta che li superò fra risa e schiocchi di baci.
La domanda sorse nella testa di Amelia e prima che si rendesse davvero conto di ciò che stava per dire, parlò.
«Ti va di andare a bere qualcosa insieme?»
Cazzo, fu il successivo pensiero.
Alessandro la fissò e si sentì tremare. Non capì cosa volesse dire quello sguardo e si ritrovò ad arrossire come una ragazzina – cosa che in effetti era – e stava già per ritrattare quando l’altro parlò.
«Perché?»
Perché? Ma sei serio?
Quello era il suo pensiero ma non lo disse a voce alta, per poi guardarlo con gli occhi spalancati e spaventati.
«Era solo un’idea.» pigolò a disagio «Sono sola e non ho nulla da fare, è una giornata deprimente.» spiegò sempre più in difficoltà.
Ma quanto sono patetica?
Perché doveva uscirsene con certe frasi? Non si era umiliata abbastanza con quella ridicola scenetta nei primi di gennaio? Doveva proprio continuare ad affogare nella merda?
A quanto pareva sì.
«E perché io dovrei accettare?»
La nuova domanda fu accolta da Amelia con uno sbuffo e un’alzata di occhi al cielo.
«Non lo so. Era solo un’idea del cazzo, detta a un “amico di famiglia”, per passare un pomeriggio non a casa. Ma se è per ricevere un interrogatorio di questo tipo…» lasciò la frase in sospeso mentre riacquisiva il tono ironico – era il suo istinto di sopravvivenza che non voleva farla umiliare ancora, supponeva.
Alessandro la osservò ancora in silenzio, poi chiuse gli occhi e sembrò borbottare qualcosa tra sé.
«Va bene.»
Amelia, che era già pronta a correre via per nascondersi in un vicolo e prendere a testate il muro, si voltò verso di lui sorpresa.
«Va bene, andiamo a bere qualcosa.» ripeté l’uomo continuando a fissarla – e quello sguardo le faceva tremare le gambe, maledizione.
«Emh… ok.» borbottò chinando la testa, la verve sarcastica già dispersa.
Camminare a fianco a lui per le vie le ricordò il giorno in cui avevano finito per fare insieme gli acquisti di Natale, solo che era comunque tutto diverso.
Diverso perché c’era quella mutua consapevolezze del bacio, diverso perché entrambi avevano perso il sarcasmo a favore di un comportamento più imbarazzato, diverso perché il loro essere prof e studentessa sembrava pesare ancora di più.
«Ti va bene questo?»
Alessandro la fermò e le fece cenno verso un locale dall’aria piuttosto tranquilla: niente cuoricini appesi e neanche troppe coppie ad amoreggiare all’interno. Qualcosa di neutro che Amelia adorò all’istante.
«Va benissimo» anche perché tutti gli altri posti saranno invasi dall’aria di San Valentino.
Entrarono all’interno e fu meraviglioso, perché l’aria calda era sparata al massimo e Amelia aveva smesso di sentire la punta delle dita già da dieci minuti.
Vennero accolti da un ragazzo che li fece accomodare in un tavolino non troppo isolato ma abbastanza appartato da potersi considerare intimo – ecco, tanto per cambiare li avevano scambiati per una coppia. Amelia a quel punto poteva solo dire fosse colpa sua, soprattutto in un frangente del genere.
Alessandro sembrava indifferente a tutto quello, si limitò a levarsi il cappotto – quel giorno indossava un maglione grigio che si intonava alla grande con i suoi occhi – e sedersi di fronte a lei. La ragazza si ritrovò a fissarlo imbambolata mentre l’altro si passava una mano tra i capelli neri, finendo per scompigliarli.
«Tutto bene?»
Una scossa l’avrebbe fatto scattare di meno, considerò mentre voltava la faccia così velocemente che le fece male il collo.
«Alla grande.» borbottò poco convinta.
Con la coda dell’occhio notò il sorrisetto perfido dell’altro e notando quel gesto così conosciuto si sentì più a suo agio, nonostante facesse presagire battutine scomode e risposte taglienti.
Ma era meglio così, era ciò che lo rendevano lui.
«E tu che ci facevi in giro?» chiese a quel punto l’uomo iniziando a sfogliare il menù delle bevande con aria distratta. Amelia lo imitò mentre rispondeva.
«Ho aiutato un amico a fare una sorpresa.»
«Oh, che spirito caritatevole.»
«A differenza di altri.» frecciò pungente la mora. Alessandro ebbe il coraggio di alzare lo sguardo e assumere un’aria innocente.
«Io sono un angelo.»
«Ah ah, lo pensano anche i miei compagni di classe.»
Si morse la lingua rendendosi conto di aver messo in mezzo la scuola – non era l’argomento da prendere, dannazione, non se ricordava il rapporto che c’era tra di loro!
Il cameriere giunse come un faro nel buio e Amelia tirò un sospiro di sollievo rendendosi conto di averla scampata per il rotto della cuffia.
«Avete deciso che ordinare?»
«Vino.» rispose subito la mora «Rosso.» precisò.
Evitò l’occhiata scettica dell’altro – che sembrava rimproverarle la scelta poco analcolica – e fece finta di perdersi nell’osservazione del locale.
«Anche per me, grazie.»
Però lui non si faceva problemi, eh.
Il cameriere sparì veloce com’era arrivato, lasciandoli nuovamente soli in una situazione che Amelia si pentì di aver creato.
«Dicevi che è una giornata deprimente, eh?»
Amelia fece una smorfia ricordandosi le parole che aveva pronunciato poco prima.
«Beh, passare il San Valentino da soli non è esattamente il prototipo di giornata felice.» ammise.
«È una giornata come un’altra.» commentò Alessandro con il solito tono annoiato.
Amelia gli lanciò un’occhiata.
«Quindi tu non hai problemi a passarlo da solo?» chiese.
«Non sono da solo.»
La risposta la fece paralizzare e si rese conto di star arrossendo come una deficiente – di sicuro la provocava come l’ultima volta solo per vendicarsi, che bastardo!
Il vino arrivò in quel momento, salvandola per l’ennesima volta, e si attaccò al bicchiere senza troppi complimenti – ah, affogare la disperazione nell’alcol, che cosa magnifica.
«Non bevi troppo per avere solo diciotto anni?»
«E tu non bevi troppo poco per averne trenta?»
«Non ho trent’anni!» si lamentò offeso il professore. Amelia gli lanciò un’occhiata – sapeva perfettamente quanti anni avesse, soprattutto dopo la conversazione con Daniele che aveva fatto lo stalker per lei.
«Sono ventisette.» precisò ancora Alessandro.
«Sono quasi trenta, che sarà mai.» rispose con aria indifferente Amelia.
«Se ne avessi trenta significherebbe che abbiamo dodici anni di differenza, invece ne abbiamo nove.» puntualizzò l’uomo.
La mora non resistette all’impulso di lanciargli un’occhiata scettica.
«Li hai contati?»
Alessandro si rese conto del passo falso ma ritrattò con nonchalance.
«Ventisette meno diciotto. Non è un calcolo così difficile, anche se so che tu hai grossi problemi con la matematica.» frecciò velenoso. L’altra fece una smorfia.
«Per quanto vorrai prendermi in giro per questo?» si lamentò.
«Vuoi togliermi il divertimento?»
«Io non posso prenderti in giro per nulla!»
«Ci mancherebbe, sono il tuo professore.»
Ecco, giusto in caso se ne fosse scordato qualcuno.
Entrambi si resero conto del reale significato della frase troppo tardi, e la conversazione ebbe un’improvvisa cesura che li portò a fissarsi senza avere qualcosa da dire.
Amelia aveva un’improvvisa voglia di piangere.
Lo fissava, guardava i suoi capelli neri e la voglia di accarezzarli si faceva prepotente in lei; guardava i suoi occhi grigi e avrebbe voluto osservarli più da vicino; guardava le sue labbra e avrebbe voluto assaggiarle ancora…
«Non fissarmi in quel modo.»
Si spaventò a sentire quelle parole e quando si rese conto di ciò che aveva fatto arrossì. L’altro, del canto suo, la fissava con una strana malinconia nello sguardo.
«Non ti sto fissando in nessun modo.» pigolò.
Ecco, ritornava la ragazzina con la cotta.
In quel momento però l’uomo non sembrava in vena di prese in giro o stuzzicamenti vari. La guardava e sembrava stanco. O forse triste. Non riusciva a capire.
«Invece sì e lo sai anche tu.» replicò Alessandro atono.
Amelia abbassò lo sguardo, sconfitta, e si limitò a prendere qualche sorso di vino. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. Sapeva solo che aveva una tremenda cotta per quell’uomo.
«Non lo faccio apposta.» finì per sussurrare.
Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, per questo rimase ostinatamente fissa sul bicchiere a osservare il liquido scuro che ondeggiava al ritmo dei suoi movimenti.
«Amelia…» la voce dell’uomo sembrava quasi supplichevole, per questo alzò gli occhi, ma quando lo vide sembrava tranquillo come al solito.
«Sono il tuo professore.»
La freccia scoccò e la perforò esattamente al centro del petto, facendole più male del solito.
«Lo so.»
Perché solo la sua voce risultava così spezzata?
«E tu sei la mia studentessa.»
«Lo so.»
Perché parlavano dell’ovvio? Perché anche lui sentiva la necessità di rimarcare quei limiti che Amelia odiava con tutto il cuore?
«Quindi non farlo.»
Un “mi fai schifo” avrebbe fatto meno male, la mora ne era sicura.
«Non sto facendo niente.» ripeté come un mantra, continuando a bere e sopportando stoicamente l’imbarazzo che la pervadeva.
Che idea di merda venire qui.
«Non è vero che non stai facendo niente, altrimenti non mi guarderesti come per dire “baciami”!» sbottò Alessandro.
Amelia chiuse gli occhi a quelle parole, colpita nell’orgoglio mentre si rendeva conto che l’altro aveva ragione. Ma come poteva impedirselo se era esattamente quello che voleva?
«Scusa.»
Non sapeva cos’altro dire.
Che poi, scusa per cosa? Per piacermi? Per renderti la vita difficile?
«Non devi chiedermi scusa.» rispose l’altro, terminando il proprio vino in un sorso «Sono io che devo farlo con te.»
Amelia tacque e terminò a sua volta il bicchiere.
«Dovrei andare a casa.» si limitò a sussurrare.
«Va bene, ti accompagno.»
Non disse di no per il semplice fatto che, nonostante tutto, voleva passare ancora del tempo con lui. Tempo in cui si sarebbe tormentata, ma sarebbe stato un dolore piacevole come solo stare in compagnia della persona che ti piace può essere.
Era immersa in una bolla di confusione mentre seguiva l’uomo che si ostinava a pagare per lei, era in silenzio mentre lo seguiva fino alla macchina – la stessa macchina del giorno del centro commerciale, un ricordo che sembrava così lontano – e salì sempre senza proferire parola.
Il viaggio fu anche più deprimente a causa della cappa di consapevolezza che permeava il luogo.
Amelia in tutto quello riusciva solo a darsi della stupida.
Arrivarono a casa prima ancora che potesse rendersene conto; il vialetto della zona residenziale in cui abitava era illuminato solo dalla luce dei lampioni, nessuno era giro e la ragazza si accorse che i suoi genitori fossero ancora fuori dall’auto mancante.
«Grazie del passaggio.» disse infine, mantenendo lo sguardo fisso sul parabrezza. Nonostante quello, si rese conto che l’uomo si era girato ad osservarla.
«Grazie a te della compagnia.»
Frase fatta, tono cortese ma misurato.
Cortesia e distanze, ecco come sarebbe dovuta andare tra loro due, ecco cosa prevedeva in teoria il loro legame. Eppure, Amelia aveva tanta voglia di superare quell’insieme di stronzate.
Si voltò verso di lui con lentezza e si ritrovò con lo sguardo legato a quello dell’altro. Nel buio della macchina si sentiva anche il suono dei loro respiri, tutto diventava nebbioso e Amelia tremava, ma non dal freddo.
L’avvicinarsi dei loro visi fu la cosa più naturale che potesse succedere in quel momento – o, almeno, se tra loro due non ci fossero stati dei ruoli ben definiti.
Amelia, a quella brevissima distanza che li separava, osservò quanto lunghe fossero le ciglia dell’uomo, alla leggera sfumatura azzurrina dei suoi occhi grigi. Un leggerissimo velo di barba ricresceva e di nuovo il suo profumo tornava a invadere la sua distanza di sicurezza, ma era la cosa più bella che avesse mai provato.
C’era solo una manciata di centimetri a dividerli. Solo una manciata.
Amelia si sporse giusto un poco.
Fu sufficiente.
Sufficiente per far voltare rapido Alessandro di lato e la ragazza si ritrovò a sfiorare con le labbra la sua guancia, leggermente pungente a causa della barba.
«Dovresti entrare.»
Un groppo in gola e Amelia prese fuoco.
Altro imbarazzo, altro inganno, ma questa volta sembrava che lo stesso Alessandro si fosse costretto a comportarsi in quel modo. Lui era l’adulto, lui era quello che doveva mantenersi controllato e coscienzioso.
Il pensiero la colse in quel momento.
Se lui era l’adulto e doveva mantenersi ragionevole, lei era pur sempre la ragazzina a cui erano permessi i colpi di testa, no?
Vero?
Fu con questo pensiero che allungò una mano verso il bavero della giacca di lui, costringendolo – neanche troppo – a voltarsi, per poi chiudere gli occhi e finalmente dargli un bacio.
Un bacio che sapeva giusto un poco di vino, ma non alcolico come quello della prima volta.
Un bacio pensato – non troppo, a dire il vero – che sapeva di problemi e di limiti superati, ma assolutamente fantastico.
Non poté impedirsi di schiudere le labbra nel tentativo di approfondire di poco quel bacio e sentì il suo cuore sfarfallare mentre si rendeva conto che l’altro la seguiva a ruota.
Poteva sentire la mano calda che le si posava sui capelli, torturando i ricci in maniera distratta; le proprie mani corsero ancora di più al bavero dell’altro, stringendolo quasi per impedire che sfuggisse via.
Era bellissimo e sembrava acuire ancora di più il tormento che la perforava da quando l’aveva incontrato. Era bellissimo e avrebbe voluto che non finisse mai. Era bellissimo e avrebbe voluto poterlo fare in ogni momento, senza pensare a ciò che in realtà erano.
Ma lui era lì, che le accarezzava i capelli, che la sfiorava con la lingua in un tocco rovente che la spinse ad avvicinarsi ancora di più.
Poi il bacio terminò esattamente com’era iniziato: bruscamente.
Alessandro si scostò da lei quasi scottato. Gli occhi grigi erano spalancati dallo stupore – stupore che lei avesse preso l’iniziativa o di aver ceduto anche lui? – le labbra un poco arrossate.
Amelia si sentiva incandescente, la bocca gonfia e il cuore che preannunciava un infarto molto poco dignitoso.
Si guardarono negli occhi entrambi scioccati, fermi nelle loro posizioni – ancora vicini, lei sempre con le mani nella sua giacca, lui che ancora era impigliato nei ricci indomabili.
Confusione, stupore, shock.
Comprensione del gesto.
Amelia si staccò al volo, capendo finalmente dove si fosse spinta.
«Io…» borbottò.
Fu a quel punto che l’altro riacquisì il rinomato controllo, il viso di nuovo indecifrabile.
Ridivenne il professore.
«Buona serata, Amelia.»
Quelle parole avevano il cupo tono della fermezza e la ragazza non poté fare altro che chinare la testa, a disagio, e scendere dall’auto senza dire una parola.
La macchina partì due secondi dopo, senza attendere che lei entrasse in casa come invece era successo l’ultima volta.
Buon San Valentino, Amelia.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ~ Di ritardi e scenate ***


Salve a tutti e buon lunedì!
Ecco a voi il capitolo numero quindici. Che dire, nell’ultimo aggiornamento sono successe un paio di cosette che cambiato la situazione rendendola ancora più tesa di quanto già non fosse. Amelia ha fatto bene o male, secondo voi? La reazione di Alessandro invece?
Ora però si ritroveranno faccia a faccia, e chissà come si comporteranno entrambi… Sono questioni difficili da gestire, no? Spero comunque vi piaccia questo capitolo che vedrà i nostri due protagonisti a commentare gli ultimi avvenimenti.
Prima di lasciarvi alla lettura, spendo altre due parole per ringraziare come sempre tutti coloro che leggono: i 12 ricordati, i 79 seguiti e ben 33 preferiti! È sempre una soddisfazione vedere come apprezzate il mio lavoro, soprattutto grazie alle bellissime recensioni che mi lasciate!
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gusto, anche perché dal prossimo ci sarà la gita scolastica…
Ultima informazione di servizio: la storia è stata pubblicata anche su Wattpad, se qualcuno ha voglia di passare e magari lasciare tipo un piccolo voto mi farebbe piacere, ma solo se vi va! Grazie in anticipo a vari ed eventuali!
Buona lettura e un abbraccio a tutti!


~Sapphire_

 
~La fisica dell’attrazione





Capitolo quindici
~
Di ritardi e scenate



Quando la sveglia suonò alle sette meno un quarto del mattino, Amelia era già sveglia da un paio di ore.
Era stata una notte infernale in cui nel poco tempo in cui era stata in grado di dormire aveva avuto comunque il sonno tormentato da gelidi occhi grigio piombo che la fissavano implacabili, alternati da mani tra i capelli che la risvegliavano sudata.
Si sentiva uno straccio.
Non aveva nemmeno voglia di alzarsi per andare a scuola, non se avrebbe potuto rivedere il colpevole di quel tormento.
La vera colpevole però sono io, pensava immersa nelle coperte fino ai capelli.
Sì, perché era stata lei a baciarlo, la sera prima; era anche vero che lui non si era di certo tirato indietro nel momento, ma si vedeva che non avesse la reale intenzione di cedere a tutto quello. Un altro elemento importante era che lui era stato il primo a baciarla, quella volta in discoteca, ma l’alcol ingerito aveva avuto la sua forte influenza in quell’azione.
Insomma, era convinta che la maggior parte della colpa fosse da attribuire a lei – lei era la ragazzina, lei aveva deciso di cedere a quella cotta infantile, lei gli era saltata addosso.
Sotto le coperte, gli occhi le si fecero lucidi e si morse un labbro per impedirsi di piangere – l’aveva già fatto in abbondanza la sera prima, dopo essersi rinchiusa in camera usando la scusa di non sentirsi bene a causa del freddo preso.
Devo andare a scuola…
La seconda sveglia, quella delle sette meno cinque, prese a suonare forsennata acuendole il mal di testa causato dalla notte insonne. La spense con un gesto secco, infastidito, e con uno sbuffo spostò le coperte percependo la pelle d’oca invaderla in un brivido.
Ciondolando arrivò in bagno e ciò che vide allo specchio la fece spaventare: il viso era ancora più pallido del solito, gli occhi scuri erano ancora più accentuati dai lividi violacei segni della notte insonne, i capelli erano una massa informe – in poche parole, sembrava una spiritata.
Si lasciò andare a una smorfia disgustata mentre osservava lo scempio del proprio aspetto e, senza volersi torturare ulteriormente, volò in doccia per togliersi la stanchezza soffocante che però non era stata sufficiente per dormire.
Doccia, vestiti e trucchi vari furono in grado di farle assumere un aspetto quanto meno passabile – le occhiaie erano ancora un po’ visibili, ma il correttore aveva eliminato l’aspetto da “vittima di pestaggi vari” e i capelli erano quanto meno tenuti graziosamente da una forcina.
In cucina arrivava il vero problema: sua madre che vagava preparando la colazione, pronta già per andare a lavoro ma con l’occhio lungo quanto quello di una lince.
«Buongiorno tesoro!» l’apostrofò allegra – si drogava per essere così di prima mattina? – poi però la osservò per bene «Stai bene?»
Amelia fece una smorfia, un vago cenno con la mano e poi prese la tazza di caffè già pronta sul tavolo, aggiungendosene altro dalla caffettiera ancora fumante.
«Sembra tu non abbia chiuso occhio.» continuò la donna insistente.
Perché infatti è così, pensò tra sé Amelia.
«Sonno movimentato.» mugugnò però e rituffò il naso nella tazza di caffè ben zuccherato, decisa a non parlare più del necessario. La madre dovette capire l’antifona e decise di non insistere – qualcosa però diceva ad Amelia che ci sarebbe stato un interrogatorio in un momento successivo e pregò che fosse il più tardi possibile.
Suo padre era ancora a letto, per fortuna, e non dovette sorbirsi anche le sue occhiate, e sempre per fortuna Serena scappò dopo poco borbottando qualcosa sull’ufficio che richiedeva la sua presenza prima del previsto.
Si ritrovò da sola ben presto e non si accorse dell’orario fino a quando non le cadde l’occhio sull’orologio. Le otto e due minuti.
«Cazzo!»
L’urlo le partì in automatico e maledicendo la notte insonne che l’aveva portata a vegetare sul tavolo della colazione salì di corsa per le scale, riuscendo a lavarsi i denti, prendere cappotto e libri di scuola in cinque minuti scarsi, per poi precipitarsi fuori di casa mentre notava di sfuggita Davide che si trascinava verso il bagno.
Ma si sa, la sfiga ama prendersi cura dei suoi protetti, per questo fece ripartire il pullman proprio nel momento in cui Amelia arrivò alla fermata.
Non bastarono insulti, improperi e bestemmie varie. Ciao ciao cara Amelia.
«Vaffanculo!» sibilò infuriata – non bastava la notte insonne, anche il ritardo a scuola.
Cazzo, poi alla prima c’è…
Sbiancò al pensiero.
«Oh, merda.»
Già, alla prima ora c’era il caro Angelis.
Che cazzo faccio? Se arrivo in ritardo ne approfitterà per ammazzarmi, se salto la prima ora e mi vede arrivare faccio la figura della scema… Cazzo, cazzo, cazzo!
Le decisioni, quelle difficili.
La scelta venne presa a malincuore e nel giro di tre secondi si ritrovò a chiamare Daniele quasi rompendo il touch del cellulare per quanta forza ci mise nel premere lo schermo.
«Ho perso il pullman, ti prego vieni a prendermi.» praticamente strillò e piagnucolò assieme, assordando il povero ragazzo che scoppiò a ridere.
«Arrivo subito, sei alla fermata?»
«Sì.» pigolò ancora disperata.
«Ok, a fra poco
E fu davvero “poco”: tre minuti più tardi Daniele arrivò inchiodando la propria moto di fronte alla ragazza, le lanciò il casco che lei colse al volo e abbassò la visiera del proprio.
«Muoviti, siamo in ritardo. Angelis ci sega questa volta.»
Non ci fu bisogno di ripeterlo più volte: Amelia era già arrampicata sulla moto, il casco in testa e lo zaino ben stretto a sé. Daniele ripartì dopo essersi assicurato che la ragazza fosse ben ferma dietro di lui e Amelia si ritrovò per un attimo sbalzata all’indietro.
Il tragitto fu quanto mai “accidentato”: vecchie che attraversavano la strada un passo al minuto, insulti dai guidatori a cui veniva tagliata la strada e i cari vecchi semafori oltrepassati nel secondo in cui scattava il rosso.
Nonostante tutto, arrivarono a scuola sani e salvi con un minuto di anticipo, insufficiente per parcheggiare, togliere i caschi e fissarli alla moto, correre per il cortile insieme agli ultimi ritardatari ed arrivare in classe in orario.
La sfiga infatti aveva riservato loro un ultimo regalo.
«La porta è chiusa.» sussurrò agghiacciata Amelia.
La porta chiusa equivaleva al prof già arrivato. Il prof già arrivato equivaleva a un ritardo nel registro. E se il professore in questione era Angelis…
«Io non busso!»
«Io non busso!»
La frase venne detta quasi in sincrono dai due. Quasi perché, effettivamente, Daniele era stato più veloce.
Il riccio allungò un sorriso affilato e molto poco gentile.
«Troppo tardi, tesoro, prego.» cinguettò allegro.
Amelia diventò ancora più bianca di quanto già non fosse da quella mattina.
«Dani, ti prego, entra tu per primo.» pigolò disperata. Daniele fece di no con la testa.
«Col cazzo. Con te sarà di sicuro più gentile.»
Sì, dopo che l’ho baciato lo sarà senz’altro, commentò sarcastica la mora.
Daniele prese a fissarla senza dire nulla, ma il suo sguardo era molto chiaro: “non sarò io a bussare”.
Maledizione.
Il respiro profondo che prese fu pesante quanto un macigno e le sembrò come quella notte: una bolla di totale ansia e disperazione – perché l’aveva baciato, perché?!
Doveva smetterla di compiere certe stronzate, soprattutto se la portavano a situazioni del genere – e situazioni del genere comportavano un grosso problema nella sua vita scolastica e anche nei suoi voti.
«Più tardiamo peggio sarà.» commentò dalle retrovie Daniele, ma Amelia era troppo concentrata sulla propria tempesta interiore per ascoltarlo e continuò a scervellarsi cercando un modo per sfuggire a quell’enorme mattinata di merda.
Non le vennero idee se non quella di fingersi morta – poi però ai suoi sarebbe preso un colpo, no, meglio evitare.
Un profondo sospiro da condannata a morte e si avvicinò alla porta, per poi sfiorarla con il pugno chiuso e tremare dalla paura.
«Non ti ricordi come si bussa?»
«Vaffanculo, Daniele.» fu la pronta risposta sibilata.
Basta, o la va, o la spacca, pensò sentendosi tanto la protagonista di chissà quale mission impossible. In quel caso “impossible” sarebbe stata la sua promozione.
Le nocche si poggiarono sulla porta e il sordo bussare equivalse alla campana a morto, almeno per Amelia – per Daniele non fu tanto diverso, ma almeno lui non aveva avuto un têtê-à-têtê con il proprio professore.
Per quanto sapesse di non poter sperare che non ci fosse nessuno in aula, sentire rispondere “avanti” da dietro la porta fu come ricevere un pugno in faccia e la mano corse alla maniglia con la stessa sofferenza che avrebbe provato uccidendo un cucciolo di foca.
«Permesso…» pigolò con aria spaventata mentre apriva la porta e faceva qualche passo dentro – dietro di lei c’era sempre Daniele che la seguiva, unica consolazione in quel mare di disperazione in cui si trovava.
Si ritrovò ben presto ventidue paia di occhi puntati addosso, più un altro paio che avrebbe voluto non vedere per niente. Questi ultimi erano molto grigi, molto spaventosi e molto seccati.
«Moretti, Longobardi, quale onore.»
Il tono freddo e sarcastico allo stesso tempo colpì la mora peggio di uno schiaffo e si ritrovò a lanciare uno sguardo terrorizzato al professor Angelis che, seduto composto di fronte alla cattedra, teneva in mano una penna e giocherellava distratto con una pagina del registro aperto di fronte a sé.
Perché l’ho baciato?
Perché sei dannatamente attratta da lui, ecco perché, cara Amelia. Solo che ogni gesto ha delle conseguenze, e in questo caso ci sono un paio di occhi gelidi e una nota sul registro per…
«Sei minuti di ritardo.» commentò il professore atono.
Amelia, troppo a disagio, si voltò verso il resto della classe che la fissava con compassione – nessuno avrebbe avuto il coraggio di prenderla in giro, né lei né Daniele, per il semplice fatto che sarebbe stato da bastardi ridere sulla stronzaggine di Angelis che infieriva su dei poveri conigli spaventati. Che poi, Daniele sembrava anche troppo tranquillo per una situazione del genere.
«Scusi, c’era traffico.» intervenne il ragazzo proprio in quel momento.
Angelis gli scoccò un’occhiata indifferente.
«E dovrebbe importarmi? Esce prima da casa, la prossima volta.» fu la risposta.
Amelia sentiva il proprio cuore battere come dopo una corsa incessante di troppi chilometri e riuscì a racimolare il coraggio di guardare il professore negli occhi.
Pessima idea.
Lo osservò e la sua mente le sbatté in faccia i ricordi della sera prima: i suoi occhi velati dopo il bacio, i capelli scompigliati, il profumo intossicante, le labbra lucide…
«Non è colpa sua, mi è venuto a prendere perché ho perso l’autobus.» si ritrovò a dire – almeno, in tutto quel casino, cercava di risparmiare Daniele.
Quando Angelis – Alessandro – spostò lo sguardo su di lei fu anche peggio: si sentì andare a fuoco e non nel senso preferibile del termine.
«Pare che sia particolarmente brava a creare problemi agli altri.» commentò l’uomo.
Se tutti gli astanti presero quella frase come una semplice uscita infelice, Amelia scorse tutto il doppio significato che nascondeva e impallidì ancora di più.
Il suo viso si trasfigurò in una statua impassibile mentre metabolizzava ancora la frase appena ricevuta.
Non l’ha detto davvero.
E invece sì. L’aveva detto, e doveva intenderlo sul serio per come la guardò – un misto di freddezza, indifferenza e fastidio.
Non poteva stare zitta. Non poteva farsi mettere i piedi in testa in quel modo. Non poteva, anche se c’era tutta la classe lì ad assistere alla scena, anche se in quel caso sarebbe stato rispondere male a un professore, anche se avrebbe potuto ricevere una sospensione.
«Forse sarò brava a creare problemi agli altri, è vero…» iniziò, mentre un tiepido e tremulo sorriso le tingeva il volto «…ma almeno, non mi approfitto delle ragazzine per divertirmi e giocare con loro solo quando mi va.»
A quelle parole seguì un velo di bisbigli – i compagni di classe erano confusi dalle sue parole, l’unico a capire qualcosa fu Daniele che si avvicinò a lei e la prese per il polso.
«Amelia…» sussurrò il ragazzo, intuendo qualcosa.
Angelis, nel frattempo, aveva assunto un’espressione sconvolta che aveva cercato in fretta di mascherare con una facciata di indifferenza che però non funzionò con la mora.
Un secondo e l’uomo scattò in piedi, facendo raschiare la sedia sul pavimento e zittendo tutta la classe.
Amelia perse un battito.
Cosa ho fatto…
Cosa aveva fatto? La sera prima, in quello stesso momento, il giorno delle ripetizioni… Cosa aveva fatto per tutto quel tempo? Si era illusa, o aveva davvero colto dei messaggi?
L’uomo si diresse verso di lei in silenzio e si bloccò a meno di un metro; la sovrastava con la propria altezza, gli occhi erano perforanti ma Amelia si costrinse a non abbassare lo sguardo nemmeno per un istante.
No, non voleva più mostrarsi debole – non voleva più mostrarsi una ragazzina.
«Vada a sedersi. Non ho ancora fatto l’appello, quindi non le segnerò il ritardo. Un’altra scena del genere e mi assicurerò che non passi l’anno.»
La condanna era stata emessa e fu più gentile di quanto tutti avrebbero potuto credere.
Amelia non ringraziò – perché avrebbe dovuto, poi? Era lui che l’aveva spinta a comportarsi così – semplicemente gli lanciò un ultimo sguardo prima di dirigersi verso il banco in totale silenzio, seguita da Daniele che le aveva lasciato il polso indeciso.
Quando si sedette, Alessandro aveva già preso il proprio posto alla cattedra e aveva già impugnato la penna.
Nessuno fiatò più in quella lezione e Amelia poté tormentarsi per tutto il tempo con quella voce che la puniva col solo suono, mentre nella sua testa non poteva fare a meno che biasimare se stessa, Alessandro e le proprie scelte.


La campanella del cambio dell’ora fu come una boccata d’aria fresca per Amelia – e anche per il resto della classe, considerando il clima gelido mantenuto per tutta la lezione di matematica.
Che giornata di merda, pensò disperata la mora, ma fece comunque finta di nulla mentre un vago chiacchiericcio serpeggiava per la classe e Angelis metteva a posto le proprie cose dalla cattedra, infilando tutto nella propria cartella di pelle.
«Stai bene?»
Daniele le si era avvicinato e la osservava di sottecchi.
«Potrei stare meglio.» rispose solo la ragazza trattenendosi dal fare una smorfia – non doveva mostrare alcun turbamento, era quello che si ripeteva dentro di sé.
«Mi puoi dire che diavolo è successo? Sembrava che ti volesse uccidere dopo quello che gli hai detto, e tu non eri da meno.» commentò stupito Daniele.
Amelia aprì la bocca per rispondere, ma non ci fu il tempo per fiatare.
«Moretti, venga con me.»
Si irrigidì sentendo quelle parole e voltandosi incontrò l’alta figura di Angelis che, fermo di fronte al suo banco, la fissava senza vederla realmente. Sembrava perso nei propri pensieri nonostante le avesse appena rivolto la parola e Amelia pregò che non avesse sentito le ultime parole del riccio.
Tutta la classe però osservava la situazione quanto mai bizzarra: Angelis in piedi, gelido e rigido nella propria camicia blu sotto la giacca scura, che fissava Amelia, anch’essa rigida nel proprio maglione crema e i ricci che sfuggivano alla molletta.
«Certo, professore
Non poté trattenere il vago tono ironico che, per fortuna, colse soltanto il docente in questione e forse Daniele.
Gli occhi di Angelis si assottigliarono pericolosamente ma non commentò e aspettò che Amelia si alzasse e lo seguisse fuori dall’aula, proprio mentre arrivava il professore di storia.
«Devo parlare in privato con Moretti, se non ti dispiace la trattengo in aula professori per un po’.» disse il prof in direzione di Vaiano, l’altro insegnante. L’uomo, un cinquantenne stempiato ma con un perenne tiepido sorriso in volto, guardò la ragazza leggermente accigliato e annuì.
«Tranquillo, Alessandro.» rispose gentile.
Amelia non poté proprio fuggire da quella situazione: si ritrovò a seguire l’ampia schiena di Alessandro nei corridoi silenziosi dopo il cambio dell’ora ed entrò insieme a lui in sala professori, in quel momento totalmente vuota.
Non so se è un bene o un male, pensò in ansia la ragazza.
Essere da soli avrebbe reso meno formale la situazione, ma così sarebbe potuto succedere di tutto – e non quel “tutto” bello.
L’uomo le fece giusto un cenno verso una sedia, non sprecandosi a parlare, e Amelia si sedette in silenzio mentre lo osservava avvicinarsi alla macchinetta riservata ai prof e prendere due caffè. In uno ci mise parecchio zucchero e la giovane si ritrovò a considerare come l’altro si ricordasse di un dettaglio del genere.
Il silenzio era quanto mai assordante e ricco di disagio, forse perché in quel momento sopra di loro aleggiava la cappa della formalità richiesta in quell’ambiente. Le etichette di “professore” e “studentessa” erano appiccicate a loro e nulla pareva potesse staccarle.
Amelia si ritrovò a mordicchiare l’interno della guancia distrattamente, presa a fissare Angelis che con attenzione si riavvicinava a lei e le porgeva il caffè, non più irrigidito nella rabbia che aveva visto un’ora prima – a dire il vero, la giovane non capiva cosa gli passasse nella testa e non tanto a causa dell’espressione impassibile che l’uomo era solito assumere in quelle situazioni, ma proprio perché addosso gli vedeva uno sguardo che non aveva mai trovato su di lui.
«Grazie.» sussurrò a disagio, afferrando il bicchierino di plastica e iniziando a girare la paletta con gesti secchi.
Anche in quel caso, Alessandro si limitò a farle solo un cenno e infine prese posto di fronte a lei, prendendo a fissarla.
Amelia deglutì e le parve che in quel silenzio si potesse ascoltare il proprio gesto e anche il battito del suo cuore preso dall’ansia.
Aprì la bocca, decisa a rompere quella mancanza di suoni assordante.
«Le devo chiedere scusa.»
Alessandro la precedette prima che potesse pronunciare anche solo una singola sillaba e Amelia non poté fare a meno di spalancare la bocca, sorpresa.
In tutto quello però noto che l’altro le desse del “lei” – vuole mantenere le distanze.
«Non è stato gentile da parte mie rivolgerle quelle parole, soprattutto poiché dettate da un episodio non circoscritto all’ambiente scolastico.»
Altre parole, altro tono professionale, altra frase formale che diede la nausea alla ragazza.
«Per questo ho voluto parlare in privato, spero che una cosa del genere non capiti più.» terminò secco, gli occhi che continuavano a non vederla davvero.
Ti odio.
Ma mentiva a sé stessa, solo perché lo invidiava di quel self-control che lei non riusciva a dimostrare.
«Non si preoccupi.» parlò, ma non riconosceva la propria voce «La colpa è stata anche mia dopo averle risposto.»
Avevano messo su un patetico teatrino fatto di formalità e finzione. Amelia poteva solo chiedersi se fosse stato tutto frutto della propria immaginazione o no.
Alessandro – in quel momento, nonostante tutto, perdeva la connotazione di professore – la guardava e ogni secondo che passava lo vedeva adombrarsi.
«Amelia…»
No, non può fare così.
Si alzò di scatto prima di poterselo anche solo impedire.
«Grazie del caffè, professore.»
Caffè che non era stato nemmeno assaggiato – lo stomaco era chiuso, la nausea forte.
Si voltò, pronta ad andarsene, e sentire la sua mano stretta all’improvviso sul polso fu come venire scottata.
«Aspetta.»
Amelia si immobilizzò. Un paio di secondi e si rivoltò verso di lui, adesso in piedi, lo sguardo indecifrabile nonostante il volto impassibile.
Lo vide aprire la bocca per parlare, poi richiuderla con un cenno di fastidio e infine si diresse verso la porta, la mano sempre ben stretta al suo polso che la costringeva a seguirlo.
Non si ribellò – non voleva ribellarsi. Voleva solo sapere se quando aveva ricambiato il suo bacio era stato solo per la foga del momento o per qualche motivo in più. Era tutto così incomprensibile.
Si ritrovarono ben presto in un’aula vuota – la vecchia aula di informatica che nessuno usava più a favore della nuova, molto più tecnologica – e solo a quel punto Alessandro mollò la presa, allontanandosi da lei di vari passi.
«Non puoi fare così.»
Parlò e Amelia colse una rabbia repressa nelle sue parole. Non poté fare a meno di osservarlo stizzita, senza nemmeno accorgersi che l’uomo aveva appena espresso i suoi stessi pensieri.
«Così come?»
«Come se io ti avessi fatto qualcosa!»
Aveva ripreso a darle del “tu” e Amelia vide la maschera da professore che cadeva come succedeva ormai tutte le volte che si ritrovavano da soli.
Rise, ma fu una risata acida e fredda.
«Infatti, tu non mi hai fatto nulla. Sono io la ragazzina petulante, io quella che è venuta a darti fastidio in discoteca, io che ho insistito per le ripetizioni e sempre io che ti ho costretto a venire con me a bere qualcosa a San Valentino.» sputò rabbiosa e con sarcasmo, per poi lanciargli uno sguardo di fuoco «Potrò averti baciato ieri sera, questo è vero, ma tutte le altre volte non mi hai mai allontanata. Non mi hai mai respinta. Mi hai solo presa in giro
Sussurrò le ultime parole, ferita mortalmente da quel rifiuto plateale che riceveva.
Alessandro la guardò e sembrò che solo in quell’istante riuscisse a vederla davvero.
«Non osare parlarmi così. Non ti ho mai dato modo di pensare chissà cosa, ti ho sempre ripetuto di essere il tuo professore.» sibilò.
«Come posso vederti come il mio professore quando a casa mia, con i miei genitori presenti, mi tratti come un’amica? Come posso farlo, quando in discoteca mi parli dei tuoi problemi e appena io provo a consolarti prendi e mi baci?!»
«Ero ubriaco!»
«Non è una giustificazione!» quasi strillò, per poi tapparsi la bocca e guardare verso la porta spaventata – non voleva essere beccata, quello mai.
Alessandro però la fissava corrucciato.
«Io…» Amelia si interruppe, indecisa se dirlo davvero o no. Non seppe cosa la spinse a riaprire la bocca, lo fece e basta «Io non capisco se mi sto immaginando tutto o se davvero tu, per me…»
«Tu sei la mia studentessa.»
Venne interrotta brutalmente da quelle parole – parole che l’uomo le aveva ripetuto così spesso da essere diventato quasi banale.
«Basta di ripeterlo!»
«Cosa vuoi che ti dica, Amelia?»
Cosa voleva?
«Non lo so!» esclamò con gli occhi lucidi.
Si sentiva crollare e si vergognava – per comportarsi da ragazzina, per creare problemi, per provare quegli insulsi sentimenti.
Alessandro la guardò e sembrò non sapere più cosa dire. Si avvicinò a lei di alcuni passi e la mora tremò – non paura, no, era agitata. Poi però lui alzò un braccio e la mano le si poggiò sul volto, proprio in corrispondenza dell’unica lacrima che si era lasciata a sfuggire.
Non fare così, ti prego…
«Alessandro…»
Un semplice bisbiglio che fece ritrarre la mano e fece spostare lo sguardo dell’uomo.
«È “professore”.» rispose solo lui – ma il tono non era freddo, piuttosto forzatamente controllato.
Amelia abbassò lo sguardo sconfitta – non riusciva più a stare in quella stanza con lui, non era più in grado di sopportarlo.
Si diresse verso la porta e la aprì.
«Immaginarti tutto, dici?» la voce le giunse lontana e appena rabbiosa «Puoi rimproverarmi quello che vuoi. Ma io non ti mai presa in giro.»
E fu sufficiente.
Fu sufficiente per fuggire da lì senza voltarsi indietro, correre per i corridoi deserti e uscire dalla scuola fino al cortile, dove l’aria gelida le schiarì la mente. Rimase su uno dei muretti per non seppe quanto – la coscienza le diceva di tornare in classe, che se fosse stata beccata lì avrebbe potuto ricevere una nota, ma piangeva e non voleva farsi vedere così.
La mano che le si poggiò sulla spalla la fece spaventare e quando si voltò i propri occhi si colmarono ancora di più di lacrime.
«Daniele…» mugugnò, scoppiando di nuovo a piangere e stringendosi al ragazzo che l’accolse tra le proprie braccia prendendo ad accarezzarle i capelli.
«Ehi… Ehi, smetti di piangere, va tutto bene.» le sussurrava il ragazzo, continuando a confortarla.
«Come sapevi che ero qui?» riuscì a sussurrare tra le lacrime.
Un attimo di silenzio e poi un sospiro.
«Angelis è venuto in classe e mi ha chiamato, poi mi ha detto di venire a cercarti perché non ti sentivi bene.» rispose a bassa voce.
Le parole di lui le tornarono in mente.
“Non ti ho mai presa in giro”. Ti odio, ti odio, ti odio.
Cosa significava quella frase? Perché le dava speranze se, concretamente, non c’erano possibilità? Ma perché uno come lui avrebbe potuto interessarsi a una ragazzina, mettendo a rischio la carriera?
Non sapeva rispondere a quelle domande e ben presto i singhiozzi si fermarono, lasciandola sconvolta e con gli occhi brucianti.
«Stai meglio?»
La domanda la fece sorridere amara.
«Per quanto posso stare meglio in un momento del genere.»
Daniele la guardò attento.
«Vuoi parlarmene?»
«Non ora.»
Già, non voleva più pensarci. Ci avrebbe pensato a tempo debito, ovvero quando l’avrebbe incontrato di nuovo, o quando Nicole l’avrebbe costretta a raccontarle tutto dopo averla vista nuovamente scoppiare in lacrime – perché sapeva che sarebbe successo, era ovvio.
Rimasero in silenzio ancora un po’, la testa riccia di Amelia poggiata nel petto di Daniele che continuava ad accarezzarle i capelli in maniera lieve.
«Mi distrai?» sussurrò la ragazza – si sentiva una bambina in quel momento e la cosa dovette divertire Daniele, dato che lo sentì ridacchiare.
«Ti ricordi cosa c’è dopo la gita?»
Amelia si perse nei suoi pensieri e la risposta le venne in mente con un sorriso ancora sbiadito.
«Il mio compleanno.» chiocciò divertita, o almeno sforzandosi di esserlo. Si staccò dall’amico e lo guardò negli occhi – i celesti dell’amico la guardavano con ancora un’ombra di preoccupazione che si affrettò a mascherare.
«Esatto. Farai una bella festa, ci ubriacheremo e vedrai che questo brutto momento non ti verrà in mente nemmeno per sbaglio – o, comunque, farò sì che tu te lo dimentichi in fretta.» disse scherzoso il ragazzo.
Amelia annuì soltanto e sorrise.
Doveva credere a quelle parole. Solo crederci. Poi solo sperare che diventassero la realtà.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ~ Di partenze e scivolate ***


Ed ecco qui il sedicesimo capitolo pronto per voi!
Quasi non ci credo… Non sono mai arrivata così “lontano” scrivendo una storia: di solito sono così incostante che è già tanto se arrivo al quinto capitolo! Sono felice di poter dimostrare il contrario questa volta, e vedere come la stiate apprezzando e leggere tutte le vostre belle recensioni mi riempie di orgoglio. Per questo vi voglio davvero ringraziare, perché è anche grazie a voi che mi diverto a scrivere: vedere come vi sta appassionando la storia tra Amelia e Alessandro la rende più cara anche a me!
Detto questo, ripasso al capitolo: finalmente è arrivata la sospirata gita a Parigi, gita che sarà foriera di rivelazioni e alcuni cambiamenti – quasi tutti positivi!
Come sempre spero vi piaccia questo capitolo e, beh, al prossimo lunedì!
Un abbraccio a tutti!
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo sedici
~
Di partenze e scivolate
 
 
 
L’aeroporto era fin troppo affollato per essere marzo inoltrato – considerando che non c’erano ponti o vacanze di vario genere nelle vicinanze, Amelia era stupita di tutte quelle persone che si districavano tra check-in, controlli di sicurezza e simili.
«Cerca di portarmi qualche souvenir!»
La voce di Nicole la colse impreparata per come si era distratta ad osservare una quanto mai bizzarra famiglia presa dalle mille valigie al seguito.
«Mh, certo.» rispose riportando l’attenzione sull’amica, che le faceva compagnia al telefono.
«Ma mi stai ascoltando?»
«Certo.»
Più o meno.
A dire la verità era persa a guardarsi attorno alla ricerca di Daniele che, colpito da un insolito ritardo, non si era ancora fatto vedere. Nemmeno Anna e Sofia erano ancora arrivate, motivo per il quale aveva finito per chiamare Nicole – che era scappata in bagno dalla lezione per tenerle compagnia, come nessuno andasse a recuperarla rimaneva un mistero.
La sua classe era insieme ad altre due quinte, un bel gruppo di poco più di sessanta studenti, e gli accompagnatori erano quattro. Se Amelia aveva sperato di passarsi cinque giorni tranquilla (il primo e l’ultimo in viaggio, gli altri tre di effettiva visita di Parigi), aveva però fatto male i calcoli: Alessandro Angelis era lontano qualche metro da lei, impegnato a chiacchierare con la docente di francese.
Almeno il nostro supervisore è la Rancati, pensò solo parzialmente confortata.
Avrebbe sì visto e convissuto con Angelis per cinque giorni, ma non era costretta a starci assieme o a parlarci per chiedere il permesso di qualsiasi cosa.
«Lui è lì?»
La domanda di Nicole le giunse in un vago bisbiglio e fece un sospiro.
«Secondo te? Dio santo, pare mi perseguiti.» bofonchiò appoggiandosi alla propria valigia.
«Ricordati di fare come ti ho detto: non parlarci, non guardarlo, ignoralo completamente. Non mostrargli che ti piace e cerca di fartela passare, magari.» le ricordò l’amica.
Amelia aveva ben stampato in testa il momento in cui aveva finito per raccontare tutto all’amica: del bacio, della scenata a scuola, di come si era messa a piangere… Inutile dire che Nicole era andata su tutte le furie, iniziando a strillare come una dannata lanciando improperi e insulti verso Alessandro e organizzando modi per ucciderlo e farla franca.
«Farò il possibile.» rispose solo Amelia, non promettendo nulla – sarebbe stato come mentire, dato che non era sicura di potercela fare.
A quel punto però vide in lontananza arrivare Daniele di corsa con la valigia al seguito.
«Nicole, è arrivato Daniele. Torna pura in classe, prima che qualcuno noti la tua assenza.»
«C’è la deficiente di inglese, non se ne accorgerà.»
Ora si spiegava tutto.
«Comunque ti lascio, vai pure da quel cretino.»
«Nicole!»
«Bon voyage!­»
E la telefonata venne chiusa in un secondo, lasciando la mora a crogiolarsi nella tristezza di avere due amici che non andavano d’accordo.
Daniele le arrivò di fronte con il fiatone e il volto arrossato, il trolley di un vivido verde che lo accompagnava e la sciarpa impigliata al cappuccio della felpa. Amelia non poté fare a meno di lanciargli uno sguardo scettico.
«Ce la fai o ti serve una bombola d’ossigeno?» chiese sarcastica.
Il ragazzo alzò il dito in medio come risposta, cercando ancora di prendere fiato.
«Ma che è successo?» insistette la giovane.
«Lascia stare.» borbottò il giovane riuscendo finalmente a spiccicare parola «Doveva darmi un passaggio mio padre ma se n’è dimenticato ed è andato a lavoro, ho pregato tutti di darmi un passaggio e alla fine mi ha portato Elisa.» spiegò.
Amelia gli lanciò un’occhiata confusa, non capendo subito chi fosse la sopracitata Elisa.
«La mia vicina di casa.» specificò Daniele notando lo sguardo dell’amica «Sei arrivata già da tanto?» chiese poi.
«Mezzoretta. Mia madre mi ha portata prima di andare a lavoro, quindi siamo uscite parecchio in anticipo.» spiegò a sua volta.
Daniele solo a quel punto si guardò intorno, controllando chi fosse già arrivato. Il suo sguardo si puntò poi verso il gruppo di prof che, unito, si perdeva in varie chiacchiere; la Rancati lo vide e lui le fece un cenno mentre la prof si affrettava a segnare qualcosa su un foglio.
Quel breve scambio di sguardi però attirò l’uomo affianco a lei che si girò verso la loro direzione.
Amelia non fece abbastanza in fretta e il suo sguardo si incrociò con quello di Alessandro che in un attimo si tinse di gelo.
Sentì le proprie guance avvampare e rapida scostò gli occhi, riputandoli verso l’amico.
Merda.
«Possiamo pagare qualcuno per ucciderlo, che dici?»
La proposta di Daniele le provocò un mezzo sorriso piuttosto amaro.
Alla fine aveva finito per raccontare tutto anche all’amico e la sua reazione era stata simile a quella di Nicole, anche se più controllata; aveva proposto numerosi modi per farlo sparire o fargli comunque del male e si era lasciato andare anche in sguardi assassini a scuola, fatto che Angelis aveva sempre prontamente ignorato.
«No, grazie, se no la situazione si complica ancora di più.» rispose ironica la mora.
Gli occhi di Daniele si adombrarono.
«So che è una frase inutile in queste situazioni, ma cerca di non pensarci, ok?» le disse «Stiamo andando a Parigi, è l’ultima gita da studenti delle superiori, divertiamoci e troviamoci parigini interessanti!» scherzò infine.
Amelia scoppiò a ridere.
«Certo, perché poi possiamo portarceli in albergo, no?» ironizzò retorica.
«Se vuoi io ti copro.»
Una terza voce scherzosa intervenne in quella conversazione e Amelia sussultò.
«Anna, Sofia! Eccovi, pensavo non arrivaste più.» disse la mora riconoscendo le due ragazze.
Le due, entrambe con un trolley affianco a loro, le sorrisero.
«Io non riuscivo ad alzarmi.» spiegò imbarazzata Anna.
«Non parliamone.» borbottò Sofia, che sembrava seccata da chissà cosa.
«Comunque, ti volevamo chiedere una cosa.» intervenne di nuovo la biondina, mentre Daniele in tutto quello taceva – non conosceva tanto le due ragazze e in quanto amicizie era sempre stato schizzinoso, perciò in quelle situazioni rimaneva sempre in silenzio.
«Ditemi.» le esortò la mora.
«Vuoi venire con noi in stanza?»
Amelia si ritrovò piuttosto sorpresa. Per lei era sempre stato problematico trovare qualche compagna di stanza durante le gite di classe – finiva sempre per aggregarsi al gruppo meno folto, ma non le importava granché dato che rimaneva in stanza giusto il tempo per prepararsi e dormire, per poi fuggire sempre da Daniele.
Quell’improvvisa proposta la fece sorridere spontaneamente.
«Certo.»
Affianco a lei, sentì la mano di Daniele che le sfiorava il fianco in un moto di esortazione – era un po’ a disagio e lui se n’era accorto, come sempre.
«Ragazzi, venite qui!»
La voce della prof li richiamò e tutti si girarono. Per Amelia fu spontaneo guardare anche in direzione di Alessandro – sapeva di non doverlo fare, ma era più forte di lei – e quando vide l’uomo che spostava altrove lo sguardo seccato dalla mano di Daniele sul suo fianco, strinse gli occhi infastidita.
Erano solo cinque giorni. Solo cinque giorni.
Peccato che potesse succedere di tutto.
 
 
Il volo non era durato tanto, circa un’ora e mezza, e Amelia era capitata a fianco a Luca, un suo compagno di classe con cui aveva scambiato circa tre parole in tutti e cinque gli anni – almeno però aveva avuto il posto vicino al finestrino e grazie alle cuffiette il tempo era trascorso piuttosto in fretta.
Aveva perso un paio di battiti appena si era accorta che Angelis era seduto nella fila di fronte alla sua: poteva allungare una mano e sfiorargli i capelli, cosa che era particolarmente tentata di fare ma grazie a Dio era riuscita a resistere – anche perché sarebbe stato difficile e imbarazzante spiegare il perché l’avesse fatto.
L’aeroporto di Parigi-Roissy era colmo di persone e trovare l’uscita fu facile solo grazie alla Rancati che conosceva perfettamente il posto e fece da guida a tutti verso gli autobus privati che li attendevano per portarli in albergo.
«Odio i francesi.»
Amelia scoppiò a ridere sentendo la voce seccata di Daniele che si guardava intorno.
«E perché hai scelto francese e non spagnolo, allora?»
«Perché la lingua francese è più bella – è l’unica cosa bella che ha la Francia, ora che ci penso.» spiegò particolarmente sveglio Daniele – lui era stato più fortunato in aereo, aveva il posto vicino a Stefano con cui almeno poteva scambiare due chiacchiere.
Non ci fu tempo per ulteriori discorsi dato che i professori li incitarono a sbrigarsi e ad evitare di perdersi fra la gente; Amelia salì sull’autobus dopo essersi fatta aiutare con la valigia da Daniele e lo attese vicino al posto che gli aveva tenuto mentre sentiva la Rancati strillare di sbrigarsi a tutti.
Percepì chiaramente Alessandro passarle a fianco per controllare gli studenti seduti in fondo, comunemente riconosciuti come i più casinisti.
La sfiorò appena, fu solo un attimo, eppure le venne spontaneo tremare e farsi ancora più piccola nel proprio sedile proprio mentre Daniele compariva all’improvviso e spintonava il prof. Appena Alessandro si girò con espressione stupita e anche un po’ seccata, il ragazzo si illuminò in un sorriso ingenua.
«Oh, mi scusi, non l’avevo vista.» cinguettò innocente.
Il professore non disse nulla e si limitò a fissarlo, poi lasciò scivolare lo sguardo su Amelia e appena lei spostò lo sguardo a disagio continuò a camminare ignorando l’accaduto.
La ragazza si spostò per fare spazio all’amico e gli lanciò un’occhiataccia.
«Ma sei scemo?» sibilò. Daniele assunse un’aria angelica.
«Cosa ho fatto?»
«Sai benissimo cosa hai fatto.»
Daniele però continuò a fare il finto tonto e Amelia preferì lasciare perdere: da un lato lo apprezzava per questo suo desiderio di proteggerla e se Alessandro fosse stato un comune ragazzo forse non avrebbe detto nulla per ciò che era appena successo. Ma Angelis era il loro professore…
Motivo per il quale questa situazione è un completo casino.
L’autobus partì dopo poco, seguito dal secondo noleggiato per le altre due classi, e Amelia si perse a chiacchierare con Daniele durante il tragitto che in questo modo trascorse piuttosto in fretta.
Giunsero in hotel che era già passata l’ora di pranzo da un pezzo e tutti morivano di fame; l’albergo si chiamava Villathena ed era un tre stelle più che dignitoso a parere di tutti.
Amelia si perse subito a guardarsi attorno nella hall, ringraziando l’aria condizionata che riscaldava il luogo – fuori era più freddo rispetto alle temperature a cui era abituata e aveva sbagliato a non dare ascolto a sua madre che le consigliava un maglione più pesante. Ovviamente non glielo avrebbe detto, queste cose si negano sempre con i genitori – tipo dar loro ragione quando si ha palesemente torto.
«Bene, ragazzi, ora i receptionist vi daranno le chiavi delle stanze, cercate di fare dei gruppi ma vi avviso già che saranno tutte triple o quadruple, adattatevi.» li richiamò la Rancati. Amelia si avvicinò alla prof insieme ai suoi compagni di classe mentre lanciava uno sguardo ai vari professori che richiamavano a loro volta i propri studenti.
«Ame, cerchiamo di avere una tripla, ok?»
La voce di Anna la richiamò e annuì un poco distratta ma si salvò con un sorriso e subito si volse verso la propria docente che, con una lista in mano e al fianco del receptionist – un ragazzo piuttosto giovane e piuttosto affascinante con dei fantastici occhi chiari – si preparava a dare le chiavi a ciascun gruppo.
«Volevo stare in stanza con te.» bofonchiò Daniele a bassa voce. La mora sorrise.
«Certo, come se ci permettessero di stare insieme in camera. Dai, puoi venire quando vuoi, non credo ci sia problema per Anna e Sofia, gli stai simpatico anche se fai l’asociale.»
Daniele assunse un’aria offesa.
«Non sono asociale. Ci metto solo un po’ a fare amicizia, ecco.» puntualizzò.
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Togliti quella scopa dal culo comunque.»
Il ragazzo non poté replicare perché venne chiamato dalla prof e fu messo in una tripla con Luca (il ragazzo seduto al fianco di Amelia in aereo) e Riccardo, altro loro compagno di classe dall’aria sempre piuttosto timida – non si capiva come facesse a essere amico di Luca, il classico menefreghista della situazione.
«Uccidetemi.» sibilò lugubre Daniele.
«Dai, ce la puoi fare.»
Amelia non poté altro che rivolgergli uno sguardo incoraggiante e dargli una pacca sulla spalla in segno di conforto prima di vederlo dirigersi verso l’ascensore insieme ai due compagni di classe e stanza.
Dopo pochi minuti, la Rancati diede a lei, Sofia e Anna la chiave della loro camera – la biondina era riuscita a fare gli occhioni dolci alla prof e, complice la preferenza che la donna aveva anche per Amelia, erano riuscite a ottenere una tripla tutta per loro. Subito corsero all’ascensore anticipando di poco un gruppo di un’altra classe che le insultò senza troppi problemi; lo ignorarono e salirono al terzo piano – la loro stanza era la 309.
La camera si rivelò carina, anche se senza troppe pretese: tre letti singoli, una portafinestra che conduceva a un piccolo balcone che si affacciava sulla strada, un bagno con box doccia e anche una piccola tv. Tutto era arredato sui toni dell’azzurro e rimandava a un’aria rilassante.
«Beh, dai, poteva andarci peggio.» commentò Sofia sedendosi sul letto vicino alla finestra – Amelia storse il naso notandolo, avrebbe preferito avere lei quel posto, ma decise di non commentare e scelse quello a fianco mentre Anna si avvicinava all’ultimo rimasto disponibile.
«A me piace un sacco. Molto meglio di quello dell’anno scorso, c’era uno strato di polvere spesso due centimetri anche sui comodini.» borbottò Anna aggiungendo un verso di disgusto alla fine.
Amelia si unì al ricordo.
«Oddio, che schifo. In effetti quest’anno ci è andata molto meglio.» commentò mentre si coricava sul letto e si stiracchiava – il viaggio l’aveva stancata parecchio.
«Vi ricordate cosa la prof ci ha detto di fare?» continuò la mora assonnata – aveva sentito la Rancati parlare ma non aveva seguito una singola parola, affidandosi alle altre.
«Ha detto che ormai il ristorante è chiuso a quest’ora, ma il bar è aperto se vogliamo mangiare qualcosa. Ormai questa giornata è persa quindi il pomeriggio possiamo passarlo a riposare e chi vuole, dopo cena, può andare a farsi un giro ma non tornare tardi.» spiegò Anna.
Amelia annuì distratta ringraziando che quell’anno avessero tutti già diciotto anni: la gita precedente era stata molto più restrittiva dal punto di vista delle uscite serali.
«Io sto morendo di fame, credo scenderò subito al bar.» intervenne Sofia; Anna si alzò in concomitanza con lei.
«Vengo anche io, se non metto qualcosa nello stomaco credo di svenire.» si girò verso la mora «Ame, scendi con noi?»
«Voglio darmi una rinfrescata prima.» rispose la giovane.
«Ti aspettiamo?» chiese gentile Sofia. Amelia però scosse la testa.
«No, tranquille, scendete pure. Io non tardo.»
Le due ragazze insistettero ancora un paio di volte prima di accettare la volontà della mora e lasciarla da sola in camera – non che volessero aspettare ancora tanto, Amelia vedeva come stessero morendo di fame e sarebbe stato da stronzi farle aspettare ancora.
Nella rinnovata tranquillità si perse con calma a prendere il beauty dalla valigia, per poi andare in bagno e darsi una rinfrescata e notare anche come il leggero trucco della mattina si fosse parzialmente sfatto. Una volta sistemato quello, i capelli ed essersi svegliata un po’ con dell’acqua fredda, prese il cellulare e il portafoglio e uscì dalla stanza.
Il corridoio era deserto e per un attimo si perse attraverso il piano – com’è che tutti gli hotel erano dei labirinti? – ma almeno, una volta trovato l’ascensore, esso arrivò subito senza farla aspettare troppo.
Le porte si stavano per chiudere quando una mano le bloccò, facendole riaprire, e Amelia comprese che quella gita sarebbe stata più devastante e difficile di quanto presupponesse.
«Amelia.»
La voce incerta di Alessandro rese la situazione ancora più imbarazzante e la mora inchiodò gli occhi a terra, rigida tutta d’un colpo.
«Prof.» rispose solo.
Sentì l’uomo tentennare per qualche istante mentre nella sua testa le sirene d’allarme suonavano già da vari secondi e il cuore preannunciava un infarto di lì a pochi minuti – a nulla valsero le sue preghiere interiori, evidentemente Dio non aiutava i non credenti, perché alla fine Alessandro entrò dentro l’ascensore e si mise affianco a lei, cercando di sembrare più disinvolto di quanto non fosse in realtà.
«Piano terra?»
La voce dell’uomo era di nuovo controllata e Amelia si limitò a bisbigliare un “sì” quanto mai disperato.
Comprese la realtà in maniera rapida e parecchio dolorosa.
È nel mio stesso piano.
L’ascensore si mise in moto e furono gli istanti peggiori della breve vita della ragazza.
Ma dato che quel silenzio sembrava mettere a disagio entrambi, qualcuno ebbe la brillante idea di parlare – giusto per peggiorare la situazione, insomma.
«Bell’hotel, non trova?»
Amelia, dopo un primo momento di sconcerto, alzò lentamente gli occhi scuri verso il professore che ostentava nonchalance.
Seriamente? Mi vuole parlare dell’hotel?
«Una favola.»
Non riuscì a trattenere il tono di pesante sarcasmo e nemmeno il sorrisetto acido che ne conseguì, attirando in questo modo la penetrante occhiata dell’uomo che la fissò con dubbio.
L’ascensore arrivò al piano terra un secondo dopo, sollevando entrambi dall’impiccio di continuare quel fantasma di conversazione imbarazzante.
«Arrivederci.»
Amelia, dopo quella singola parola, fuggì dall’ascensore come se avesse avuto il diavolo dietro e la figura di Daniele fu come un’oasi del deserto.
È nel mio piano… Ora devo solo trovare un modo per non incrociarlo. Mai.
 
 
La mattina successiva arrivò rapida – il tempo, durante le gite scolastiche, era sempre così rapido nello scorrere.
Il giorno prima alla fine tutti avevano passato il tempo a riposare, c’era stata la cena e infine alcuni erano usciti in giro nelle vicinanze, con la promessa che sarebbero tornati per mezzanotte, e Amelia era stata tra quelli che aveva deciso di fare una passeggiata – Anna e Sofia avevano preferito restare in hotel, ma per fortuna Daniele era andato con lei a farle compagnia.
Ottimo momento per raccontargli dell’episodio in ascensore.
Daniele aveva riso quando era venuto a sapere di come Amelia e Angelis si trovassero nello stesso piano, ma vedendo la disperazione negli occhi della ragazza si era impegnato a distrarla e ad aiutarla a trovare modi per non farli incrociare.
Tentativo vano, dato che proprio la mattina dopo Amelia, Anna e Sofia si erano ritrovate a fare il tragitto in ascensore con il prof – prof che non sembrava in vena di chiacchiere ma che continuava a parlare con le altre due studentesse pur di riempire la cappa di disagio che vi era tra lui e la giovane mora.
«Posso provare a mettergli del veleno nel caffè.»
La proposta di Daniele, seduta accanto a lei mentre le altre due ragazze continuavano a girovagare per il self-service, fece sollevare gli occhi al cielo ad Amelia.
«Certo, con il veleno che ti porti appresso tutti i giorni, immagino.» frecciò ironica.
«Magari glielo infilo nello zucchero.» continuò ignorandola il ragazzo.
«Non mette zucchero nel caffè.»
L’occhiata che le lanciò l’amico fu più esaustiva di altre mille parole e Amelia si ritrovò ad arrossire come una scema.
«Che c’è?» disse cercando di fare l’indifferente.
«Certo che sai un sacco di cose di lui…»
«Solo perché ho notato questo dettaglio non significa che passo il tempo ad osservarlo!» rispose in imbarazzo la ragazza.
«Non ho detto questo.»
Fregata.
«Sei un bastardo.»
L’arrivo di Sofia e Anna precluse qualsiasi occasione di continuare quella conversazione e subito i discorsi divennero più tranquilli.
«Oggi dove dobbiamo andare?» chiese Anna, intenta a spalmarsi della marmellata in una fetta di pane tostato.
«Di mattina andiamo a vedere la cattedrale di Notre Dame e i dintorni, poi pranzo, e sul pomeriggio andiamo a visitare i Giardini del Lussemburgo. Poi siamo liberi fino all’ora di cena.» intervenne Daniele ricevendo un’occhiata stranita da Amelia – com’è che cercava di essere socievole?
«Possiamo andare a fare un po’ di shopping!» chiocciò luminosa Anna e subito gli occhi di Sofia e Amelia si accesero.
«Si può fare. Dani, tu vieni con noi?»
«A passare il tempo tra vetrine e camerini vari mentre penso al modo migliore per suicidarmi? No, grazie.» rispose sarcastico. Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Esagerato.»
«Vado insieme agli altri.»
«Gli altri chi?» fece curiosa la mora – era strano che Daniele si unisse spontaneamente ad altri ragazzi.
Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle e assumere un’aria indifferente.
«Qualcuno lo troverò.» fu la blanda risposta.
La colazione terminò piuttosto in fretta e tutti salirono in camera per terminare di prepararsi. Amelia non ci mise tanto, doveva solo lavarsi i denti poiché si era truccata già prima di scendere a colazione, e decise di precedere le altre e scendere nella hall ancora mezzo vuota.
Notando come ci fosse ancora un po’ da aspettare decise di uscire fuori e fumarsi una sigaretta, ma lì non era sola.
«Amelia.»
La ragazza sorrise con lieve imbarazzo a Stefano che, poco lontano, fumava una sigaretta come lei.
«Ciao, Stefano.» rispose cortese. Poi gli lanciò un’altra occhiata «Non sapevo fumassi.»
Il ragazzo le sorrise gentile e scrollò le spalle.
«Solo qualche volta. Il mio allenatore non vuole e ha ragione, ma certi giorni non riesco a farne a meno.» spiegò.
«Ti capisco, neanche io sono una grande fumatrice, ma alcune volte è sacra.»
Il ragazzo le sorrise e Amelia si sentì sollevata a notare come l’aria tra di loro fosse tranquilla. Dopo quel disastroso appuntamento si erano parlati appena due volte e giusto per un saluto, ma poi più niente – lei era pesantemente a disagio e lui sembrava averlo notato, motivo per il quale non sembrava aver voluto affondare il dito nella piaga. Ma era comunque passato un bel po’ di tempo e non aveva senso quella freddezza, soprattutto perché non era successo nulla di male.
«Amelia, ecco dov’eri, ti stavo cercando…» la voce di Daniele fece sussultare la ragazza che si girò verso l’amico.
«Mi ha fatto spaventare!» lo rimproverò la giovane. Daniele sorrise appena.
«Scusa.» poi si voltò verso l’altro ragazzo e sorrise «Stefano.» lo apostrofò.
Il biondo sorrise a sua volta.
«Dani, ciao. Tutto bene?»
«Bene, grazie.»
Amelia osservò quello scambio di frasi leggermente stupita.
«Non sapevo foste amici.» borbottò, più in direzione di Daniele che di Stefano – si sentiva tradita e senza un preciso perché.
«Ho iniziato a prendere qualche lezione di basket.» spiegò Daniele e così dicendo si guadagnò l’occhiata scioccata di Amelia.
«Tu?» fece «Tu che fai uno sport?»
«Guarda che non sono pigro quanto credi.» si difese il ragazzo.
«Certo, solo un po’ di più.» lo prese in giro la ragazza.
Dovettero tornare dentro appena un ragazzo della classe di Stefano li chiamò – i prof dovevano fare l’appello e a quel punto sarebbero potuti partire.
Una volta che ci furono tutte e tre le classi si mossero quasi in contemporanea e tra metro, passeggiate e così via il tempo per arrivare a Notre Dame passò piuttosto in fretta, lasciando Amelia scollegata da tutto il resto, dai vecchi pensieri e occhi grigi che, senza che lei se ne accorgesse, non la perdevano di vista.
 
 
«Finalmente un posto in cui sedersi.»
Sofia espresse il pensiero di tutti gli studenti mentre si sedeva sul vasto prato dei Giardini del Lussemburgo, enormi e già fioriti nonostante marzo.
Erano stati fortunati ed era stata una bella giornata, motivo per il quale tutti accolsero con sollievo il prato su cui stendersi come tutti gli altri turisti facevano e godere per un po’ degli ultimi raggi di sole.
«Credo non riuscirò più ad alzarmi.» borbottò invece Amelia, crollata anch’ella per terra e con in mano una bottiglietta d’acqua nella quale rimaneva solo un sorso.
«Merda.» aggiunse, notando proprio quel particolare.
«Ragazze, avete dell’acqua?» chiese alle due ragazze – Daniele era sparito mezzora prima non si sapeva dove, mentre era distratta a commentare un gruppo di ragazzi carini con Anna e Sofia.
Dopo che le due ebbero negato la mora sbuffò.
«C’è un chiosco lì in fondo, vuoi che ti accompagni?» le chiese Anna con un sorriso gentile.
Amelia però, notando come l’amica fosse piacevolmente distesa nell’erba in panciolle, proprio non ce la fece a dirle di sì.
«Non preoccuparti, vado da sola.» le rispose con un sorriso – e il sospiro di sollievo della ragazza fu molto chiaro su quanta voglia avesse realmente di accompagnarla, ma Amelia non si offese: la stessa cosa valeva per lei, solo che stava morendo di sete.
Non si avvicinò alla prof per informarla di starsi spostando, tutti erano comunque più o meno in giro e comunque non c’era così tanta gente da rischiare di perdersi. Si diresse dunque verso il chiosco, notando come vendesse anche gelati e dolci vari – ma aveva mangiato una pizza poco prima, non ne aveva proprio voglia, quindi si limitò a chiedere una bottiglietta d’acqua nel suo quasi perfetto francese e pagare.
Non si ricordò, successivamente, in cosa si fosse distratta – era un ragazzo carino o le bolle di sapone che stavano creando dei bambini in lontananza? – fatto sta che fu proprio una totale disattenzione che la fece inciampare in qualcosa di neanche troppo chiaro, facendole fare un volo e sbattendo sonoramente il sedere per terra.
Il dolore sul momento fu tale che non si preoccupò neanche della figuraccia fatta – anche perché aveva poggiato le mani per terra cercando di frenare la caduta e se l’era sbucciate e lei odiava quel fastidioso bruciore.
«Cazzo.» sibilò ancora a terra.
La gente attorno a lei le lanciava delle vaghe occhiate preoccupate ma nessuno si avvicinò – era anche troppo distante dalla classe affinché qualcuno la notasse, ma non era completamente sola.
«Amelia! Stai bene?»
Il tono allarmato le solleticò dolcemente l’orecchio mentre alzava lo sguardo e incontrava gli occhi di Alessandro che con preoccupazione si avvicinava a lei e si chinava alla sua altezza.
«Più o meno…» borbottò a disagio – si era appena resa conto di aver fatto una figura di merda epica e se l’uomo si era avvicinato significava che l’aveva vista cadere.
Fatemi scomparire, pensò depressa – ma perché doveva mostrare la sua incapacità di fare qualsiasi cosa proprio di fronte a lui? Che problemi aveva?
«Riesci ad alzarti?»
Il professore le sfiorò il braccio e per lei fu istintivo ritrarsi come scottata.
«Assolutamente.» rispose, notando all’improvviso come l’uomo le stesse dando del “tu”.
Alzarsi però non fu così semplice come pensava e fu costretta ad accettare la mano che le porgeva l’uomo, ritrovandosi a zoppicare per i primi passi.
«Pensi di esserti presa una storta?»
Il tono preoccupato del docente non accennava a scomparire ma Amelia reagì ad esso diventando ancora più gelida – risultato del proprio profondo disagio a quella situazione, oltre che ultimo baluardo di difesa contro i suoi insulsi sentimenti che le facevano compiere viaggi mentali anche in un frangente del genere.
«No. Ho solo preso una botta, non è nulla di che. Grazie del suo aiuto, professore.» rispose fredda, sottolineando con particolare enfasi l’ultima frase.
Angelis a quel punto si dovette rendere conto dell’intera situazione perché riassunse parzialmente il controllo, ma non si mosse da lì.
«Sarebbe meglio sciacquare le mani, sono sporche di terra.» disse più freddo «Lì c’è una fontana.» disse ancora indicando un punto poco lontano e praticamente la costrinse a seguirlo.
Amelia però rimase ben a distanza da lui, cercando di concentrarsi sul sordo dolore che aveva alla gamba – non troppo forte ma neanche così lieve, pensava che le sarebbe uscito un bel livido ma solo quello, per fortuna.
«Devi stare più attenta.»
Il sottile rimprovero la infastidì nell’immediato mentre era intenta a sciacquarsi le mani e ignorare il bruciore che ciò comportava.
«Mi fai la predica, ora?»
Tanto anche lui mi sta dando del “tu”.
Alessandro sembrò indispettirsi a quelle parole.
«Era solo un suggerimento.»
«Non sembrava.» fu la replica secca della ragazza.
Dentro di sé, però, Amelia viveva una situazione alquanto diversa: metà della sua testa voleva fuggire da lì e mettere più spazio possibile tra lei e il giovane prof, l’altra si deliziava di quel tempo insieme – era una ragazzina in piena cotta, che idiota.
Per fortuna la dignità l’aiutava e riusciva a mantenere un certo distacco, si sarebbe suicidata in caso contrario.
La dignità però si autoeliminò da sola nell’esatto istante in cui il giovane uomo prese un fazzoletto dalla propria tasca e, dopo averlo inumidito, glielo pose nella mano sbucciata a mo’ di cerotto.
«Bagnalo ogni tanto, così ti dà un po’ di sollievo.» disse solo.
Amelia si ritrovò a sollevare lo sguardo fino a lui e Alessandro, come richiamato, alzò il proprio dalla ferita e si ritrovò a guardarla negli occhi.
La giovane incontrò quel grigio che era stato così gelido in quei vari giorni e lo trovò così caldo in quell’istante che proprio non ce la fece a non crollare come una scema.
«Perché ti preoccupi così?» sussurrò mentre cercava di controllare la propria voce e non farla suonare rotta – con poco successo, dovette ammettere dentro di sé.
Alessandro però quella volta non spostò lo sguardo, solo fece una pallida parvenza di un sorriso.
«Non lo so. Non lo faccio a posta.» rispose con calma mentre finiva per passarsi una mano tra i capelli, un gesto che voleva sembrare naturale ma che suonò colmo di disagio agli occhi di Amelia «Mi viene spontaneo.» aggiunse.
Il tono a quel punto era già carico di qualche amaro sentimento non chiaro a nessuno dei due, ma fu sufficiente ad Amelia per decidere di andarsene da quel piccolo angolo di finto paradiso.
«Grazie mille dell’aiuto. Cercherò di stare più attenta.» disse alzandosi in piedi.
Non c’era odio o rabbia nelle proprie parole, solo stanchezza e confusione e Alessandro dovette capirlo perché, sollevandosi come lei, le fece un sorriso triste.
«Non farmi preoccupare.»
E quella volta fu lui a scappare, dopo quelle parole appena soffiate nel vento che tirava in quei Giardini fioriti, in mezzo agli sconosciuti ma vicino a coloro che ricordavano i ruoli che spettavano a ciascuno.
Scappare da quella sensazione di confusione e dolore che, Amelia comprese per davvero quella volta, non apparteneva solo a lei.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ~ Di scoperte e ascensori ***


Buon lunedì a tutti! Beh, questo di sicuro si prospetta più rilassante, eh? Domani è festa, d’altronde!
Nonostante questo io sto impazzendo con lo studio e mi dispero pensando agli esami che (non) passerò, ma lasciamo stare questi dettagli, dato che ecco a voi il capitolo diciassette!
Qua finalmente si chiarirà un dubbio che tanti di voi mi hanno posto – e molto probabilmente il sé in fatto è anche banale, spero apprezziate lo stesso.
Alla fine ci sarà anche un tête-à-tête tra i nostri cari due protagonisti, che spero vi faccia almeno un po’ intenerire!
Non voglio aggiungere altro per non rischiare di rovinarvi la sorpresa, quindi…
Buona lettura! – e buon primo Maggio, per domani.
Alla prossima e un grande abbraccio,


~Sapphire_

 
~La fisica dell’attrazione





Capitolo diciassette
~
Di scoperte e ascensori



Il secondo giorno di gita passò rapido quasi quanto un battito di ciglia.
Amelia aveva avuto appena il tempo di accorgersi che la serata stava finendo ed era già addormentata, poi la sveglia aveva suonato e si era alzata come uno zombie dal letto – la sera prima erano stati liberi di andare dove volevano, per cui con Anna e Sofia ed altri della loro classe erano andati a ballare e aveva potuto appurare quanto fossero belle le discoteche parigine, e anche quanto potessero risultare affascinanti i parigini stessi. Se non era finita tra le braccia di una di loro doveva dare la colpa (o il merito, dipendeva dai punti di vista) solamente a dei persistenti occhi grigi che tormentavano la sua testa e l’avevano costretta a non lasciarsi andare con nessuno.
La mattina era stata a sua volta faticosa: sin dalle prime ore erano rimasti a fare un’interminabile fila per il Louvre e quando erano finalmente riusciti ad entrare la stanchezza era tale da non poter essere in grado di assaporare nel modo migliore le varie opere d’arte che costellavano il luogo.
«Non mi aspettavo la Monnalisa così piccola.» aveva commentato al fianco di Daniele, che aveva finito per darle ragione mentre come lei si metteva sulle punte per poter dare una migliore occhiata al quadro.
Il pranzo era stato altrettanto rapido e vorace – ma in fondo, dopo una mattina persa a camminare da una parte all’altra senza nemmeno il tempo di uno spuntino veloce, non si poteva pretendere di più.
«Adesso, ragazzi, andremo agli Champs-Élysées.» urlò la Rancati per farsi sentire dalla propria classe – ognuno era troppo preso a riposarsi su una fontana per prestarle attenzione, e quando furono costretti ad alzarsi fu come se fosse stato loro chiesto di suicidarsi.
Amelia però era troppo presa dal guardarsi attorno alla ricerca del proprio amico.
«Ragazze, avete visto Daniele?» chiese pensierosa, continuando a cercare.
«No, mi spiace.» rispose Anna, presa anche lei a guardarsi intorno alla ricerca del riccio.
«Mi pare di averlo visto con alcuni ragazzi delle altre classi, ma non ne sono sicura.» rispose invece Sofia.
Amelia le lanciò un’occhiata stupita: insomma, era strano che Daniele si mettesse a socializzare con altri al di fuori di lei – era sempre stato un asociale e vederlo parlare con altri era sempre una sorpresa.
Alla fine però scrollò le spalle – non era la sua balia, in fondo, poteva fare quello che gli pareva e in caso di bisogno le avrebbe mandato un messaggio, quindi non si preoccupò troppo.
Il tragitto per andare agli Champs-Élysées fu alquanto faticoso, ma più per la stanchezza che tutti avevano addosso che altro. Anche i professori non erano da meno, ma nascondevano la cosa piuttosto bene.
Amelia, come dal giorno prima, costringeva se stessa a non buttare l’occhio verso il caro Angelis ed era stata così fortunata da non incrociarlo nemmeno una volta nel proprio piano o nell’ascensore.
Devo accendere un cero la prossima volta, aveva pensato ironica per la propria fortuna.
Il fatto che volesse stargli perennemente appresso era stato non troppo facilmente ignorato dalla mora che aveva fatto di tutto per distrarsi: tra contemplare opere d’arte con aria assorta, osservare i vari artisti di strada e perdersi in chiacchiere futili con Anna e Sofia, era stata discretamente impegnata per non concentrare la testa con altri pensieri molesti.
Quando arrivarono nella strada la loro prof si perse nelle mille descrizioni del luogo.
«…come forse saprete, ragazzi, la strada è lunga ben 1914 metri e alla fine c’è l’Arco di Trionfo che osserveremo con più calma domani mattina. È una delle strade lussuose di Parigi, ha tantissimi negozi e anche vari spazi verdi come Place Marigny…» spiegava.
Tutti però erano troppo presi a guardarsi intorno e quando finalmente i prof diedero loro via libera per girare nella lunga via, ordinandogli di presentarsi in hotel massimo per le sette, i vari studenti furono liberi di prendere il volo e andare ognuno per la propria strada.
«Dove volete andare?» chiese Anna alle due ragazze.
«Io voglio passare a Le Fouquet’s!» intervenne Sofia eccitata.
Quando tutte furono d’accordo su fare una tappa al rinomato bar degli Champs-Élysées, ignorando che potessero spendere una fortuna, si diressero verso il locale trovandolo discretamente pieno di turisti e riuscirono a ordinare ciò che fu per loro la merenda – sempre non pensando a quanto, in effetti, si ritrovarono a spendere, concentrandosi sul fatto che fosse più che meritato.
Le successive passeggiate furono perse tra vetrine e negozi vari.
«Ragazze, io ho finito le sigarette.» intervenne a un certo punto Amelia, attirando le due amiche prese a osservare degli abiti all’interno di un negozio – aveva fumato abbastanza in quei giorni, ma le gite le facevano sempre quell’effetto.
«Non preoccupatevi, posso andare da sola, ho visto che poco più avanti c’è un tabacchino.» disse subito e ricevendo i sorrisi delle due «Mi aspettate qui?» domandò.
«Certo, non preoccuparti. Se ci spostiamo ti mandiamo un messaggio.» promise Anna alle prese con un vestito di un tenue rosa antico.
Amelia annuì e uscì dal negozio, ritrovandosi immediatamente nella fiumana di persone che passeggiava lì intorno.
In effetti, il tabacchino era proprio lì vicino e non ci mise troppo tempo a raggiungerlo: il tempo di entrare, mostrare la propria carta di identità e pagare, poi fu di nuovo fuori e pronta a raggiungere le proprie amiche.
Ma si sa, spesso si vede anche quello che non si vorrebbe vedere.
Così fu per Amelia, che per un fortuito caso si ritrovò affascinata da un artista di strada che creava magnifici dipinti paesaggistici.
Fu normale avvicinarsi per osservare meglio, così come fu normale guardarsi attorno – solo un’occhiata, una banalissima occhiata.
Fu abbastanza.
Abbastanza per riconoscere i ricci familiari di Daniele che sorrideva solare a Stefano – Daniele e Stefano? Come mai erano assieme? – abbastanza anche per vedere il biondo ricambiare, abbastanza anche per vedere i due avvicinarsi l’uno all’altro con consumata abitudine.
E baciarsi.
Un bacio non troppo profondo. Un bacio non troppo passionale. Un bacio a fior di labbra, dettato dalla consuetudine.
E Amelia si bloccò in mezzo alla folla, gli occhi gelati, la mente bloccata su ciò che aveva appena visto.
Il cuore che sembrava aver interrotto il proprio battito come tutto il resto del corpo, preso dalla immobilità.
E, allo stesso modo, proprio come la ragazza si era per caso guardata attorno, anche Daniele lo aveva fatto.
Ad attenderlo però aveva trovato gli occhi sgranati e scioccati della propria migliore amica che lo fissavano increduli, senza saper esattamente cosa succedeva.
Ma mentre Amelia era ancora presa dallo shock e non sapeva come comportarsi, per il ragazzo fu quasi automatico correre da lei mentre anche Stefano si rendeva conto della situazione.
«Amelia…»
Il giovane pronunciò solo il suo nome mentre arrivava di fronte a lei, la fronte aggrottata e l’indecisione negli occhi.
Amelia, però, non diceva ancora nulla. Non disse nulla nemmeno quando anche Stefano si avvicinò e la chiamò come aveva fatto l’altro.
«Ame…» altro richiamo, questa volta accompagnato da un tentativo di contatto del riccio, che protese una mano sempre con indecisione.
Il contatto fu come fuoco e Amelia si spostò scottata – una scena che si ripeteva, solo con il co-protagonista differente.
«Non toccarmi.» sibilò la mora gelida.
Quella frase fu sufficiente per rompere gli argini e colmarle gli occhi di lacrime. Un attimo tutto il mondo divenne umido e sfocato, ma la ragazza era concentrata solo sui due ragazzi che la fissavano incerti su cosa dire.
A lei però non importava, sentiva soltanto il dolore all’interno di sé.
Dolore per cosa?
«Avevo capito che mi nascondevi qualcosa…» iniziò con la voce rotta la ragazza.
«Amelia, senti…»
«Zitto.» sibilò, per poi lanciare uno sguardo a entrambi – uno sguardo ferito «Ma questo…» continuò, poi scoppiò a ridere in maniera acida.
«Dio santo, Dani, proprio con lui? Con la mia cotta di anni?» continuò presa dal momento – non gliene fregava nulla di ammettere i sentimenti, non quando il ragazzo che le era sempre piaciuto era ormai gay.
«Posso spiegare…»
«Ormai è tardi.» lo frenò Amelia, guardandolo gelida. Poi però la sua espressione si trasmutò in un sorriso amaro «Sai, avrei almeno voluto saperlo da te. Dalla tua bocca, non vedendolo per caso come avrebbe potuto fare qualsiasi altra persona.»
Non diede il tempo ai due di dire qualsiasi altra cosa: si girò e se ne andò. Non si mise a correre, camminò sì spedita, ma con un finto passo sicuro che però non era vero.
Andò dalle proprie amiche, lasciandosi fissare sconvolta alla vista di quelle lacrime.
Dentro di sé, però, si sentiva tradita.
Perché per un amore impossibile poteva biasimare se stessa, ma per un’amicizia tradita non poteva che odiare l’altro. Poi, odiare se stessa.


Il resto del pomeriggio passò per Amelia in una nuvola di confusione, tristezza e rabbia.
Che poi, alla fine, la cosa che più le dava fastidio era di essere passata per la stupida e cieca della situazione. Insomma, come aveva fatto a non accorgersi di nulla?
Presa dalla quinta sigaretta nel giro di un’ora, stretta nella propria giacca nel balcone della loro camera d’hotel, rifletteva su tutti i segni che non aveva colto: come non mostrasse interesse per nessuna ragazza, il suo essere assolutamente evasivo negli ultimi mesi, il leggero sollievo dopo aver saputo che l’uscita con Stefano era andata male…
E anche Stefano me lo stava facendo capire, quando mi ha rifiutata, si accorse in quel momento, infastidita dalla propria stupidità.
La sua rabbia, si era accorta, non riguardava il fatto che i due stessero insieme. Cioè, alla fine per Stefano le era passata da parecchio e aveva già la testa altrove, e per Daniele era contenta che avesse qualcuno.
Ma mi ha nascosto tutto…
Le aveva nascosto di essere gay – come se non si potesse fidare di lei! Come sei lei fosse in qualche modo omofoba o razzista, Daniele la conosceva da anni e mai avrebbe potuto presupporre una cosa del genere.
E allora perché non mi ha detto niente?
Sospirò mentre le veniva ancora da piangere, ma resistette all’impulso stropicciandosi gli occhi.
Avrebbe voluto andare da lui e chiedergli il perché di tutto quel mistero, ma la rabbia nei suoi – nei loro – confronti era ancora forte e non aveva intenzione di parlargli, per il momento.
Era infantile? Abbastanza.
Le importava qualcosa? Non particolarmente.
La portafinestra che si apriva e dei passi la distolsero dai suoi cupi pensieri.
«Amelia, stiamo per scendere a cena, tu vieni?»
La voce di Anna la costrinse a girarsi e vide l’amica che si affacciava dalla stanza, il viso leggermente preoccupato.
«Sì, arrivo subito.» rispose con un tiepido sorriso. La bionda però non accennò a spostarsi e la fissò ancora.
«Stai meglio?»
No, assolutamente no, ma che poteva farci? Le aveva già fatte preoccupare abbastanza quel pomeriggio, quando era piombata da loro in lacrime senza però dar loro spiegazioni di alcune genere – aveva solo borbottato qualcosa su Daniele ma non aveva specificato nulla, motivo per il quale le due pensavano avesse semplicemente litigato con lui. Cosa anche vera, solo che non sapevano il motivo.
«Così.» ammise però e, dopo aver spento la cicca finita, rientrò in stanza dove Sofia le rivolse un sorriso incoraggiante.
«Se non ti senti bene possiamo dirlo ai prof e farti portare qualcosa in camera.» le propose la rossa.
Amelia però scosse la testa.
«No, non preoccupatevi. Ho solo bisogno di distrarmi un po’, mi farà bene non stare da sola.»
Le due ragazze la guardarono per un attimo ancora poco convinte, poi sorrisero e insieme uscirono dalla stanza, dirigendosi nell’ascensore e incrociando altri compagni di classe che scesero con loro al ristorante.
Arrivata al piano però Amelia non si scollò nemmeno per un attimo da Anna e Sofia, rendendosi conto di trovarsi tra due fuochi verso cui non si voleva per niente avvicinare: da una parte c’era Daniele che, seduto vicino a Stefano, la fissava corrucciato, dall’altra Alessandro, perso a chiacchierare con altri prof ma che, si era accorta, le aveva lanciato uno sguardo appena era entrata.
Perché non c’è Nicole?
Dentro la sua testa piagnucolava e chiedeva per la sua migliore amica, ma alla fine, mentre prendeva un vassoio per servirsi dal self-service, decise di concentrarsi sulle altre due ragazze che avevano passato tutto il pomeriggio a tentare di tirarle su il morale.
«Domani è già l’ultimo giorno.» bofonchiò depressa Sofia. Anna annuì triste.
«Vorrei non dover tornare.» aggiunse la bionda.
«Dai, ragazze, non ha senso deprimersi su questo: cerchiamo invece di goderci stasera e tutto domani.» intervenne Amelia con un sorriso tirato – doveva cercare di pensare a cose positive, pensare che poi sarebbe tutto tornato alla solita monotonia non la esaltava.
«Sapete dove dobbiamo andare domani?» aggiunse poi, guardando le altre due.
«Dobbiamo andare a vedere l’Arco di Trionfo e la Basilica del Sacro Cuore.» rispose Sofia.
«A dire il vero…» intervenne Anna, abbassando la voce con aria cospiratrice e costringendo le altre due ad avvicinarsi a lei – Amelia per un attimo rischiò di intingere una ciocca di capelli nel piatto nel gesto, ma se ne accorse subito e spostò il ricciolo sfuggente.
«Cosa?» bisbigliarono in coro le due, per poi vedere la bionda che si guardava intorno quasi circospetta.
«Ho sentito dire dai prof che domani sera, dopo cena, vogliono portarci a vedere la Torre Eiffel di notte!» rivelò esaltata.
In effetti, pensava Amelia, era strano che non fosse tra le mete designate durante il giorno. Ecco perché non c’era tra la lista degli altri monumenti, volevano portarli di notte per osservarla al fascino delle luci serali.
«Ah, la Torre Eiffel di notte… Quanto vorrei vederla con un ragazzo.» sospirò Sofia, mostrando un lato romantico di sé che suonò nuovo alla mora.
Quelle parole però furono abbastanza per scaturire nella testa della giovane un pensiero che, fino a quel momento, non era stato minimamente contemplato: il fatto di essere a Parigi, nella città dell’amore per eccellenza, e che ci fosse anche colui per cui aveva un’enorme cotta.
Una cotta impossibile, si corresse, per poi aggiungere, di cui però non credo di essere la sola ad essere la vittima.
Fu istintivo a quel punto sollevare lo sguardo verso Angelis che sorrideva in direzione della Rancati che parlava a lui e agli altri due prof che annuivano convinti al suo discorso.
Osservò le sue braccia lasciate scoperte dalla camicia arrotolata, i capelli neri leggermente scompigliati, la posa sciolta e abbandonata sulla sedia mentre il piatto era già vuoto – non il bicchiere di vino, a metà come quello dei colleghi.
Era già pronta a spostare lo sguardo – sentiva caldo e non credeva che fissarlo in quel modo fosse sicuro in mezzo a tutti i suoi compagni di classe – ma prima che potesse davvero farlo, l’uomo alzò per caso gli occhi, il sorriso ancora tra le labbra, e finì per incrociare quei dannati occhi grigi che si cristallizzarono dopo aver visto Amelia.
La ragazza, se possibile, si immobilizzò ancora di più di quanto già non fosse e vide il sorriso spegnersi tra le labbra dell’altro.
Fu questione di un solo istante prima che l’altro assottigliasse lo sguardo con uno strano sentimento negli occhi e distendesse il viso in un sorriso che si poté definire solo ammiccante. Poi però riprese una facciata tranquilla e si rivolse verso i colleghi, smettendo di fissarla.
«Amelia, stai bene? Che guardi?»
Le domande di Anna le arrivarono solo per un orecchio.
Bene? Come potrei stare bene quando mi guarda in quel modo? Quando mi sorride in quel modo? Quando si allontana da me ponendo paletti, per poi spazzarli via tutti in un colpo con quel sorriso che sembra volermi dare fuoco?
«Nulla di importante.»
E sperava lo fosse davvero, ma purtroppo i desideri non rispecchiano sempre la realtà.
Il resto della cena passò piuttosto in fretta e alla fine le tre si alzarono in contemporanea, decise a tornare in camera per darsi una sistemata prima di uscire. Non avevano tenuto il conto che qualcuno potesse pararsi di fronte a loro e bloccarle.
«Scusate, ragazze…» un sorriso affascinante come poche volte l’aveva visto fare, e Amelia osservò Daniele rivolgersi ad Anna e Sofia che per un attimo parvero rimanere interdette a quel tono affettuoso «Vi dispiacerebbe lasciarmi da solo un attimo con Ame?» chiese sempre gentile.
La mora era già pronta a intervenire e urlargli contro di sparire, ma l’occhiata lampeggiante dell’amico la costrinse a tacere e le due amiche, dopo qualche sguardo di incertezza, presero il volo – traditrici, pensava Amelia irritata.
«Dobbiamo parlare.»
Amelia assunse un velenoso sorriso.
«A me sembra che il tempo per parlare sia passato da un po’.» frecciò sarcastica. Daniele assottigliò gli occhi.
«Senti, so che ho sbagliato a tenerti nascosto tutto, ma capisci che non era così facile parlarne…»
«Sì, hai sbagliato.» lo interruppe fredda la ragazza «E per quanto possa essere difficile affrontare il discorso, sono comunque tua amica e ci hai provato con il ragazzo che mi piaceva.»
Dio, sto litigando su un ragazzo con il mio migliore amico… Che cosa assurda.
Daniele sospirò – sembrava stanco ed esasperato, ma ad Amelia non importava granché, era troppo arrabbiata in quel momento.
«Hai detto bene, ti piaceva.» fece però il riccio, per poi distendersi in un sorriso a metà tra il triste e il vittorioso «Quando ho iniziato a frequentare Stefano tu avevi la testa già presa per Angelis e, infatti, quando poi siete usciti mi hai detto chiaramente di non essere troppo delusa da come fosse andata.»
Fu sufficiente nominare il professore per porre Amelia sulla difensiva.
«Non tirarlo fuori come ti pare, il fatto che io sia interessata a lui non cambia il tuo atteggiamento!» esclamò.
Daniele scoppiò a ridere, ma in maniera acida e non divertita.
«Forse è vero, ma mi stai accusando di averti tenuta nascosto qualcosa che a me causava imbarazzo e disagio.» continuò il giovane.
Amelia a quel punto era stanca anche solo di continuare quella conversazione.
«Beh, hai ragione.» tagliò corto all’improvviso, per poi sorridere amara «In fondo, non siamo di certo migliori amici, questi insulsi dettagli puoi tenerli di sicuro per te.» terminò gelida.
Non gli diede il tempo di replicare – anche se, in effetti, il ragazzo era rimasto così spiazzato dall’ultima frase che non sembrava in grado di dire qualcosa a tal proposito – e si diresse fuori dal ristorante, raggiungendo l’ascensore e premendo il tasto per chiamarlo.
Quando esso arrivò però e le porte si aprirono, dietro di lei raggiunse un’altra persona.
La seconda persona che in quel momento proprio non aveva voglia di vedere.
«Salve.» sibilò seccata verso Alessandro che le lanciò un’occhiata stranita da quel tono tanto infastidito – lui si limitò a un cenno prima di seguirla e premere per il terzo piano.
«Brutta serata?»
L’uomo aveva evidentemente deciso di essere in vena di conversazione, anche se per Amelia di certo non era il momento più adatto.
«Le interessa?» frecciò perciò.
«Se ti dicessi di sì?»
Adesso mi dà del “tu”?
«Ti direi di farti gli affari tuoi.» si lasciò sfuggire con un finto sorriso di cortesia e passando a sua volta a toni meno formali.
Alessandro per un attimo tacque, poi stirò un ghigno poco rassicurante.
«Eppure, mi sembrava che avessi litigato con il tuo amichetto, oggi.» frecciò.
Quella frase fece quasi ringhiare la ragazza.
«Fatti i cazzi tuoi.» sibilò a quel punto, non cercando minimamente di sembrare educata.
A quel punto le porte dell’ascensore si aprirono, ma prima che Amelia potesse uscire l’uomo fece in fretta a trattenerla e a far richiudere le porte scorrevoli.
«“Fatti i cazzi tuoi” lo dici a qualcun altro, ragazzina. Non sono un tuo amico.» sibilò il professore avvicinandosi a lei e finendo per metterla in soggezione.
Quello però fu troppo per Amelia: lo stress per Daniele, la confusione per l’uomo che aveva di fronte a lei, la stanchezza di quei giorni movimentati fecero sì che si mettesse a piangere di fronte al prof.
Prof che, a vedere quella scena, si allontanò quasi scioccato.
«Amelia…?» tentò, indeciso.
«Smettila!» strillò la ragazza, presa da un improvviso attacco isterico «Sono una ragazzina, eh?» iniziò, stendendo un sorriso ironico tra le lacrime «Beh, in fondo è vero: sono la stupida cieca che si mette in ridicolo con il proprio prof perché le piace, sono l’amica di merda che si arrabbia per un ragazzo con il proprio migliore amico. Tanto, alla fine, ho solo scoperto che è gay e se la fa con la mia vecchia cotta di anni.» continuò con tono acido e isterico.
Di fronte a lei, Alessandro la guardava scioccato – tutto mentre le porte dell’ascensore rimanevano ostinatamente chiuse.
«Amelia…» riprovò l’uomo.
«So come mi chiamo!» continuò la mora, partita ormai per la tangente «Smettila di pronunciare il mio nome con quel tono, dannazione.»
Un paio di secondi. Furono solo un paio di secondi quelli necessari per spingere la ragazza sulla parete dell’ascensore, chinarsi su di lei e darle un bacio così lieve e rapido che per un attimo la mora pensò di esserselo sognato.
Diventò una statua di sale.
«Almeno ora stai zitta.» fece con tono neutro Alessandro – ma quando la ragazza alzò gli occhi verso di lui, l’uomo non la guardava e rimaneva rigido, come a disagio. Come se volesse ignorare quello che aveva appena fatto.
«Tu mi hai appena…» sussurrò Amelia, quasi in trance.
«Baciata? Sì, credo di sì.» rispose sarcastico l’uomo, per poi voltarsi verso di lei con uno sguardo sardonico «Ma tu hai ammesso che io ti piaccio, quindi siamo pari direi.» disse schietto.
Cazzo.
Amelia divenne bordeaux nel giro di tre secondi netti e prima che potesse dire qualsiasi cosa l’uomo la bloccò.
«Senti, non credo sia il momento di parlare di questo.» tagliò corto, quasi infastidito «Ma da quel che ho capito hai scoperto di Daniele e Stefano.» affermò.
Questo cambio di discorso però attirò abbastanza Amelia per farle mettere da parte il bacio appena avvenuto.
«“Scoperto”?» gli fece eco la ragazza stralunata «Tu lo sapevi?»
Alessandro scrollò le spalle.
«Certo, non ci vuole un genio per capirlo.» frecciò ironico, poi aggiunse «E una volta li ho visti baciarsi nel retro del cortile della scuola.»
Oddio…
Amelia tacque, sempre più sconvolta.
«E non mi hai detto niente?»
Fu il turno dell’altro ad assumere uno sguardo confuso.
«Che avrei dovuto dirti? Sono affari suoi, non vado in giro a sbandierarli in questo modo. Pensavo te ne parlasse lui, ma a quanto pare l’hai scoperto per caso.»
«Sì, se per caso intendi averli visti baciarsi agli Champs-Élysées come una coppia.» rispose riprendendo la propria verve sarcastica.
Alessandro sospirò.
«Senti, non c’entro nulla in questa storia, ma dato che non mi piace vederti così sarò chiaro.» iniziò schietto e, dopo essersi reso conto di aver ottenuto la completa attenzione della ragazza, continuò «Non posso dargli tutti i torti per avertelo tenuto nascosto: per quanto siate amici è comunque un discorso che può mettere seriamente in difficoltà e il fatto che si stesse frequentando con qualcuno per cui tu hai provato qualcosa lo bloccava ulteriormente.» si interruppe per osservare qualche reazione «Anche tu non hai tutti i torti, è normale sentirsi ferite e tradite per una cosa del genere. Ma alla fine lui non l’ha fatto per cattiveria – o almeno non credo – e dargli una seconda possibilità non sarebbe male. Poi ormai lo sai, quindi…» terminò vago l’uomo.
Amelia tacque e continuò a fissarlo. Era così profondo il silenzio che Alessandro assunse un’espressione dubbiosa.
«Ehi…»
«Hai ragione.» fece a quel punto Amelia, per poi sorridere amareggiata «Si vede che sei più maturo di me.» scherzò debolmente, il tono un poco incrinato.
Alessandro era di nuovo impassibile, poi però riassunse il ghigno perfido.
«Ma non ho detto di certo che non ti devi vendicare. Fagli sudare un po’ questo perdono.» suggerì divertito.
Amelia scoppiò a ridere.
«Questo è quello che dovrebbe dirmi un professore?»
«Non te l’ho detto da professore.»
Nuovo silenzio, nuova tensione.
«Per prima…» iniziò la ragazza.
«Ehi! Ehi, tutto bene lì dentro?»
Delle urla li fecero sobbalzare, per poi girarsi in contemporanea verso le porte ancora bloccate.
«Oh, merda.» si lasciò sfuggire Alessandro con una smorfia «Mi ero dimenticato di averle tenute chiuse.» ammise.
«Io però volevo sapere…» continuò ostinata la mora, per poi ricevere un’occhiata stanca dall’uomo.
«Un’altra volta, Amelia.» disse solo, prima di premere il tasto per far riaprire le porte.
Un attimo e si ritrovarono davanti due uomini del personale dell’hotel con la Rancati, che li fissava preoccupata.
«Alessandro, Moretti! State bene?» disse subito avvicinandosi a loro.
«Sì, scusa Daniela. C’è stato un piccolo problema pare, ma si è sbloccato tutto da solo.» fece pacato Alessandro. La prof si voltò verso la studentessa.
«Amelia, lei stai bene?»
«Sì, prof, grazie.» rispose cortese la mora.
A quel punto la Rancati sospirò e poi si voltò verso i due uomini dell’hotel iniziando a parlare rapida in francese – evidentemente spiegando loro di non doversi preoccupare.
«Le conviene andare in camera, le sue amiche la staranno aspettando.» disse a bassa voce Alessandro.
Ad Amelia non sfuggì che avesse ripreso a darle del “lei”.
Annuì.
«Certo, professore. Buona serata.» disse a bassa voce, finendo però per lanciargli un’occhiata confusa prima di dargli le spalle e tornare in camera.
La sua testa, però, ci capiva sempre meno.

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ~ Di rese e confessioni ***


Diciottesimo capitolo pronto per voi!
Che dire, questo rappresenta un bel punto di arrivo nella storia… Lo aspettavo da un sacco di tempo e scriverlo è stato piuttosto difficile perché non sapevo bene come far interagire l’intero contesto, ma tutto sommato il risultato non mi dispiace – anche se alla fine siete voi a dovermi dare i pareri!
Come in tutte le storie romantiche, si arriva al punto in cui non si riesce più a mascherare i sentimenti o comunque ci si decide per un atto di coraggio – o di pazzia, dipende da che lato si guardi la situazione. Comunque, la nostra cara Amelia ha avuto, come si suole dire, “le palle”!
Non starò qui a parlarne però, vi lascio al capitolo a cui tengo tantissimo, augurandovi una buona lettura e un momento di piacevole fantasia.
Un ultimo avviso: si sta avvicinando la tanto temuta sessione all’università e lo studio, più il resto degli impegni, mi assorbono sempre di più lasciandomi sempre meno tempo per scrivere. Per questo non sono sicura di poter assicurare un puntuale aggiornamento lunedì prossimo – cosa che però mi impegnerò al massimo per darvi, dato che ci tengo particolarmente a darvi il capitolo pronto ogni lunedì (ed è anche una sfida per me stessa, contando la mia incostanza). Volevo solo avvisarvi per non farvi rimanere in dubbio/attesa.
Adesso ho davvero finito, buona lettura e alla prossima (sperando sia lunedì!).
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo diciotto
~
Di rese e confessioni
 
 
 
Era l’ultimo giorno – cioè, l’ultimo giorno prima della partenza.
L’aereo per ritornare in Italia li attendeva la mattina seguente, ma nessun studente pareva volesse pensarci, preferendo gustarsi le ultime ore che li attendevano nella grande metropoli parigina.
Per Amelia la notte era passata alquanto tumultuosa: si perdeva nei ricordi del momento in cui aveva visto Daniele e Stefano baciarsi, per poi ripercorrere la conversazione con Alessandro e finire inevitabilmente a scervellarsi sul bacio a stampo che le aveva dato l’uomo – a detta sua per zittirla.
E, ovviamente, pensava a come aveva ammesso con semplicità che aveva una cotta per lui.
Perché non mi sono stata zitta?
Si deprimeva con quel triste pensiero mentre si sorbiva il proprio caffè mattutino – per quanto quella brodaglia potesse essere considerata tale – e non riusciva minimamente a concentrarsi sulla conversazione in atto tra Sofia e Anna, che dopo gli iniziali tentativi di includerla avevano capito che non ne avrebbero cavato piedi.
C’era stata una totale ammissione da parte sua – abbastanza superflua, ammetteva a se stessa, dato che era già chiaro come il sole cosa lei provasse – però allo stesso tempo le era sembrato che anche Alessandro nutrisse dei sentimenti nei suoi confronti.
Di questo ne era abbastanza sicura a causa di tutte le reazioni che il giovane uomo le aveva mostrato nel tempo, ma non aveva mai detto nulla esplicitamente e c’era sempre l’ombra del dubbio che le diceva di essere stata presa in giro – l’ansia del non essere corrisposta, ecco.
Ma poteva farci qualcosa?
No, perché, in fondo, chi ha controllo sui propri sentimenti e le proprie paranoie?
«Amelia, c’è Daniele che ti sta fissando tutto il tempo come un cane bastonato.» la informò Sofia, e questo fu sufficiente per distrarla dalle proprie paturnie.
La mora alzò lo sguardo dal proprio piatto quasi del tutto vuoto – aveva la nausea e non riusciva a mangiare, anche se sapeva che se ne sarebbe pentita una volta in giro quando avrebbe iniziato a sentirsi svenire.
Era vero, Daniele la guardava e aveva uno sguardo così mesto e depresso che le si strinse il cuore.
“Fagli sudare un po’ questo perdono.”
Le sarcastiche parole del prof le tornarono in mente e per questo motivo spostò lo sguardo indifferente su Sofia.
«Che lo faccia pure.» disse incolore.
Le due ragazze però presero a guardarla confuse.
«Ma cos’è successo così di grave?» chiese infine Anna – ma anche Sofia stava pensando la stessa cosa, e in effetti avevano ragione a chiederselo dopo l’improvvisa freddezza tra i due – presunti – migliori amici.
Amelia fece una smorfia.
«Diciamo che aveva un segreto piuttosto ingombrante e l’ho scoperto non nel migliore dei modi.» si limitò a dire, senza sbilanciarsi più di tanto.
Le occhiate scettiche delle due ragazze le fecero capire che non avevano comunque compreso nulla, ma la mora non aggiunse altro – era comunque qualcosa che Daniele nascondeva e per quanto fosse arrabbiata di certo non l’avrebbe detto in giro.
«Oggi andiamo all’Arco di Trionfo e alla Basilica del Sacro Cuore, giusto?» disse per cambiare argomento.
Anna e Sofia accettarono in silenzio quel nuovo discorso e annuirono.
«Sì, poi da metà pomeriggio siamo di nuovo liberi.» confermò Anna.
«Per fortuna, dato che non ho ancora preso nulla come souvenir per i miei.» borbottò Sofia.
Merda, i souvenir.
«Oddio, me ne stavo per dimenticare!» esclamò Amelia con una smorfia – se fosse tornata a mani vuote era sicura che Nicole si sarebbe messa a piangere facendola sentire una merda per tutti i giorni a venire. A dire il vero, non era ancora sicura di cosa comprarle, ma sperava che le sarebbe venuto il colpo di genio una volta in giro.
La colazione finì tra altre chiacchiere piuttosto frivole, poi tutti gli studenti salirono in camera per ultimare di prepararsi come al solito. Una volta in stanza Amelia ci mise poco a terminare di darsi una sistemata, ma quella volta attese che le due amiche fossero pronte prima di scendere con loro – non aveva voglia di incontrare qualcuno che l’avrebbe costretta a sorbirsi un bel discorso di chiarimento.
Solo, sapeva già che ben presto si sarebbe dovuta arrendere a tutto quello.
 
 
La resa arrivò puntuale alcune ore dopo, mentre era seduta a fumare una sigaretta di fronte all’Arco di Trionfo – i professori, dopo le spiegazioni sul monumento, li avevano lasciati riposare. Evidentemente anche loro erano già stanchi.
Era concentrata a rispondere ad alcuni messaggi di Nicole con cui non parlava da varie ore, complice la testa sempre tra le nuvole, quando un’ombra le si pose davanti costringendola ad alzare lo sguardo.
Ovviamente, era Daniele.
«Posso parlarti?»
Questa volta il ragazzo aveva attaccato il discorso in maniera meno aggressiva del giorno prima, e già questo pose delle migliori basi per la conversazione che stava per essere messa in piedi.
«Ok.» rispose secca Amelia – ovviamente era bravissima a fare la finta sostenuta.
Il riccio si sedette a fianco a lei e la ragazza vide Anna e Sofia che si stavano per avvicinare; notando i due uno al fianco dell’altro, però, fecero rapidamente dietro-front lanciandole un sorriso incoraggiante.
«Sono già stanco di essere arrabbiato con te. Non sopporto questa situazione.» iniziò Daniele con una smorfia depressa. Amelia lo guardò senza dire nulla, capendo che non aveva finito lì.
«So che ho sbagliato a nasconderti tutto, ma prova a capirmi… Non è una cosa che riesco a dire alla leggera. Fondamentalmente lo sa soltanto Stefano, nessun altro ne è a conoscenza. Avrei tanto voluto dirtelo ma ogni volta mi bloccavo ed entravo nel panico, avevo paura di come avresti potuto giudicarmi e così…» si interruppe, la voce leggermente strozzata.
Il silenzio tra loro era spezzato dal traffico parigino e dai compagni di classe nelle vicinanze – per fortuna, perché Amelia avrebbe odiato il silenzio che si sarebbe venuto a creare.
Nella sua testa si era già sciolta la sera prima, dopo aver parlato con il professore, ma aveva ancora un minimo di fastidio dentro di sé – un pizzico di irritazione perché, alla fine, si era sentita come se non fosse abbastanza amica e confidente per Daniele, quando alla fine lui per lei lo era stato.
Le sembrava di essere stata messa in secondo piano.
Dopo alcuni secondi in cui nessuno parlò, la mora decise di rispondere.
«Senti, Dani…» tacque un attimo, indecisa su come iniziare. Poi sbuffò spazientita – la decisione era già stata presa, in fondo «Oh, fanculo. Devo chiederti scusa anche io, sono stata abbastanza una stronza a reagire così male. In effetti, è più che normale sentirsi a disagio per una cosa del genere – mi dispiace solo che tu ti sia sentito così con me, dato che mai mi permetterei di giudicarti per una cosa del genere.» disse cercando di essere più spiccia possibile per evitare sentimentalismi che l’avrebbero messa un po’ in imbarazzo. Daniele la guardò e sembrò finalmente respirare dopo tanto tempo; la fronte corrugata e dubbiosa si distese e un accenno di sorriso gli spuntò sul viso, finendo per illuminargli gli occhi azzurri.
«Però anche tu, proprio con Stefano…» frecciò la mora, decisa a metterlo in difficoltà fino all’ultimo. Daniele arrossì e si morse un labbro a disagio.
«Lo so, scusa.» bisbigliò il ragazzo.
Amelia sospirò con finta aria melodrammatica.
«Beh, ormai è andata.» tagliò corto – in fondo non aveva più voglia di parlarne, tutto quel casino si era già protratto per troppo tempo. E alla fine considerava la loro amicizia più forte di una stupidaggine del genere. Era stata già fin troppo una ragazzina a fargli una scenata come quella della sera prima.
«Però la prossima volta pensaci due volte prima di tenermi nascoste le cose!» aggiunse con aria minacciosa subito sostituita con un ghigno divertito.
Daniele scoppiò a ridere e alzò le mani.
«Tranquilla, non farò un’altra stronzata del genere.» disse, per poi guardarla con aria di sfida «Tu però non fare più la ragazzina.» frecciò ironico.
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Che palle, non fanno che ripetermelo tutti.» borbottò imbronciata – la sua mente traditrice l’aveva riportata a quel cubicolo di due metri per due in cui era stata rinchiusa per vari minuti la sera prima. Il ragazzo però puntò gli occhi azzurri su di lei confuso e curioso.
«E chi è l’altro?»
«Un deficiente di nostra conoscenza.» sibilò la mora facendo un vago cenno dietro il ragazzo – proprio dove Angelis era alle prese con il cellulare, per una volta ignorato da tutti.
Daniele tacque, perso tra i propri pensieri, poi tossicchiò mentre un velo di rossore gli copriva le gote.
«A questo proposito…» iniziò indeciso. Subito Amelia puntò gli occhi verso l’amico.
«Cosa?»
Daniele sorrise falso, illuminandosi di un’aria angelica proprio come se avesse fatto una grossa stronzata e si ritrovasse ad ammetterla.
«Potrei accidentalmente origliato una conversazione ieri.» disse mellifluo, spostando rapidamente lo sguardo e fingendo di osservare assorto l’Arco di Trionfo di fronte a loro – Arco che, nonostante tutto, veniva bellamente ignorato dagli studenti in seguito alle numerose foto già scattate.
Amelia ci mise poco a fare due più due e sbiancare.
«Cosa intendi?» sussurrò spaventata.
Daniele assunse un ghigno divertito – l’aura angelica era scomparsa a favore di una più perfida.
«Che un deficiente di nostra conoscenza potrebbe aver parlato al telefono incurante di qualche orecchio nelle vicinanze.» fece soave.
La mora non poté trattenere un gemito strozzato.
«Oddio, Dani…» sussurrò mentre sentiva un brivido percorrerle la schiena.
Oddio. Non voglio sapere. O forse sì. No, non posso… Ma che me ne frega!
«Dimmi tutto.» disse rapida, dopo che la sua testa, in seguito a “sì/no” durati circa dieci secondi di fila, si decise a farsi gli affari altrui incurante del rispetto della privacy.
E poi, non avevamo già parlato di quanto fosse masochista?
«Ecco…» iniziò Daniele abbassando la voce per evitare che qualcuno potesse sentire; lanciò anche un’occhiata al prof, che in quel momento era alle prese con alcuni ragazzi di un’altra classe.
«Non so esattamente chi fosse la persona con cui stava parlando, ma credo un suo amico o qualcosa del genere dato che ho sentito “Emanuele”.» spiegò mentre Amelia si faceva istintivamente più vicina all’amico, strisciando i jeans sul muretto e non badando minimamente al fatto che potesse romperli «Credo che stessero battibeccando o una cosa del genere, perché sentivo Angelis mandarlo a quel paese in maniera poco delicata. Me ne stavo anche per andare dato che non erano affari miei, quando ho sentito il tuo nome.» e si interruppe per osservare la reazione dell’amica.
Amelia, a sentire quelle parole, trattenne il fiato senza quasi accorgersene. I suoi occhi si dilatarono, persi in pensieri confusi, ma riacquisì in fretta il controllo e si costrinse a fare un mezzo sorriso scanzonato.
«E quelli invece erano affari tuoi?» scherzò – ma il tono era tremolante e Daniele fece finta di nulla accettando in silenzio il suo tentativo di mascherare quell’ansia.
«Ovvio che sono affari miei. Sei mia amica.» disse irremovibile.
Amelia si risparmiò la facile battuta sul segreto che le aveva tenuto nascosto per parecchio tempo, decidendo che non aveva voglia né di battibeccare né di attendere oltre per sentire cosa le avrebbe detto l’amico.
«Cosa hai sentito poi?»
Daniele la fissò.
«Non sentivo cosa gli rispondeva l’altro tipo, quindi non ho capito tutto il discorso, ma le frasi salienti, se vogliamo metterla in questo modo, erano» si interruppe con un attimo di suspense e Amelia sentì il proprio cuore fermarsi «“Smettila di tirare sempre Amelia nel discorso, idiota”, poi “Non posso farmi una studentessa”, ancora “Sai che potrei finire in prigione, vero?” e infine “Per quanto mi possa piacere, ho comunque le mani legate”.» concluse secco Daniele, citando le risposte con una memoria perfetta che spuntava solo in quelle occasioni – non di certo all’interrogazione, figuriamoci.
Amelia però aveva praticamente smesso di respirare, la testa ferma in due punti – uno soprattutto.
Primo: aveva parlato di lei a un suo amico.
Secondo: aveva ammesso che gli piaceva.
Conclusione?
«Credo di stare per svenire.» sussurrò cerea in volto, scioccata da una scoperta del genere – cioè, ok che aveva già il sospetto/idea/premonizione/qualsiasi cosa fosse che potesse piacergli, ma sentirselo dire in quella maniera diretta, nuda e cruda, croccante come un gambo di sedano…
«Amelia?» la chiamò l’amico.
«Daniele» disse in un altro pianeta «ho un attacco di cuore.» continuò presa da un’euforia che la stava facendo sudare e provare brividi di freddo insieme.
Il ragazzo la vide passare dal bianco cereo al rosso carminio nel giro di due secondi, per poi alzarsi di scatto come se qualcuno le avesse messo la molla.
«Non può essere vero. Cioè, perché dovrei piacergli? Insomma, sono molto più piccola di lui, sono stupida in matematica e fisica, ok, sono carina, ma poi?» iniziò a blaterare senza freno, tutto mentre il riccio si alzava a sua volta e cercava di calmarla – i vari compagni di classe avevano lanciato delle vaghe occhiate confuse alla scena, poco interessati, ma Daniele aveva visto Angelis subito girarsi in loro direzione e non era il caso che capisse di cosa stavano parlando.
«Amelia, possiamo evitare di dare spettacolo? Potrai uscire di testa quando saremo da soli.» le bisbigliò Daniele.
Ma la mora era troppo andata per dargli ascolto: iniziò a camminare da una parte all’altra, prendendo una sigaretta e accendendosela senza troppi complimenti.
«Io dico, ma perché se è così non me lo dice chiaro e tondo invece di farmi disperare come una deficiente?» considerava con scatti nervosi «Oppure potrebbe evitare di respingermi quando lo bacio – sai com’è, non è il modo migliore per dimostrare a qualcuno che gli piaci, no?» fece sarcastica, per poi voltarsi verso Daniele che la fissava tra il divertito e l’esasperato «O tutte quelle frecciatine se le potrebbe risparmiare! Però è anche una cosa che mi piace di lui, quindi non credo andrebbe bene…» terminò in un vago borbottio che il riccio non riuscì a sentire né tantomeno a seguire, motivo per il quale le si avvicinò e le prese le mani con delicatezza, costringendola a fissarlo.
«Amelia, ascoltami.» la chiamò con dolcezza. Una volta che la mora lo guardò – e i suoi occhi erano davvero grandi e da cerbiatto, in quel momento – la fissò con un sorriso colmo di dubbio «Il problema è un altro, a dire il vero. Ora che vuoi fare?»
Già, Amelia, ora che vuoi fare?
 
 
I professori aveva rivelato l’uscita serale alla Torre Eiffel poco prima di cena, facendo sospirare di sollievo tutti coloro che pensavano non ci sarebbe stata quella tappa durante la gita scolastica – che gita a Parigi sarebbe stata, senza vederla?
Amelia l’aveva ascoltata con solo un orecchio, presa a sbocconcellare la propria cena senza troppa fame, gli occhi che percorrevano la sala del ristorante scivolando di tavolo in tavolo, trattenendosi appena qualche secondo su Daniele e Stefano che si sorridevano e chiacchieravano amabilmente – come aveva fatto a non accorgersi della loro relazione? – e cercando di non fermarsi sul tavolo dei professori.
Non capiva se la sala ristorante fosse sempre stata così calda o se fosse lei a sudare dall’agitazione che non l’abbandonava da quando aveva saputo della telefonata da Daniele.
Si sentiva una stupida a tormentarsi con quel pensiero, perché nonostante i propri sentimenti aveva comunque un’enorme paura anche lei.
Anche se si piacevano a vicenda, come era possibile risolvere una situazione del genere? Lei era comunque una studentessa, lui il suo professore, cose del genere oltre a essere improbabili erano assolutamente illegali. Sarebbe stato un casino se qualcuno l’avesse scoperto – e lei non voleva finire in nessun casino, soprattutto non quando mancava così poco alla fine del liceo.
Ecco, questo era l’unico punto che in qualche modo le dava sollievo: la fine della scuola.
Esso avrebbe sancito la fine dell’illegalità di una loro ipotetica relazione, ma comunque sapeva che sarebbe partita per l’università e sapeva bene di non essere tagliata per una relazione a distanza.
Dio santo, mi sto facendo tutti questi viaggi mentali quando alla fine non c’è ancora nulla di certo. È vero, Daniele ha sentito quelle parole, ma alla fine potrebbe esserci un enorme malinteso in tutto questo e, se fosse comunque vero, non credo che Alessandro metterebbe a rischio la propria carriera e il proprio lavoro per una cotta passeggera, non con una diciottenne almeno.
«Ame, tutto ok?»
La voce di Anna la richiamò e sollevò in fretta la testa, ritrovando l’amica che la fissava con dubbio.
Si sentiva troppo uno schifo nei suoi confronti e anche in quelli di Sofia. Per tutta la gita non aveva fatto altro che tormentarsi con i propri problemi, costringendole a sopportare i suoi sbalzi di umore come una donna in menopausa, facendole preoccupare e pensando solo a sé stessa.
«Sì, è solo che tutto questo andare da una parte all’altra mi toglie l’appetito.» mentì con un sorriso – non doveva mostrarsi ancora turbata, aveva già detto loro che con Daniele era tutto a posto.
Sofia le sorrise.
«Alla fine andiamo proprio alla Torre Eiffel, finalmente. Non vedevo l’ora di vederla, di notte sarà fantastica!» disse la rossa.
Amelia si costrinse a mostrarsi entusiasta.
«Sì, non vedo l’ora anche io.» esclamò con tono euforico – sì, era assolutamente una brava attrice.
«Io però inizio a salire e a darmi una sistemata, preferite che vi aspetti?» chiese poi. Doveva assolutamente passare un po’ di tempo da sola a risistemare i propri pensieri.
Dopo il benestare delle proprie amiche sorrise a entrambe e si alzò, concedendosi solo un’occhiata veloce verso il tavolo docenti.
Alessandro però la guardava.
Come i loro occhi si incrociarono, il prof fece in fretta a spostare lo sguardo con nonchalance e forse in un altro momento Amelia avrebbe potuto anche pensare che l’uomo la guardasse per sbaglio, come avrebbe potuto fare con qualsiasi altro compagno di classe.
Ciò che sapeva però non le fece fraintendere la situazione, e tutto ciò servì per farle prendere una decisione.
Basta, devo mettere in chiaro tutto questo casino.
Fu con quel fermo pensiero in testa che tornò nella propria camera, pigiando il tasto dell’ascensore – lo stesso ascensore che circa ventiquattro ore prima era stato testimone di un diverbio tra i due giovani – e percorrendo il silenzioso corridoio dell’hotel.
Una volta in camera si concesse una sigaretta prima di farsi una doccia. Sotto l’acqua bollente i suoi pensieri parvero per un attimo allontanarsi e si concentrò soltanto sul vapore che le appannava gli occhi, sui dettagli delle mattonelle venate d’azzurro. Fu un sollievo temporaneo perché una volta uscita dal box doccia i pensieri la invasero con ancora più forza, quasi togliendole il respiro, e dovette farsi forza per uscire dal bagno con un’aria spensierata – Anna e Sofia erano tornate dalla cena.
Cercò di perdersi sulle chiacchiere frivole con le altre due ragazze mentre si preparavano tutte insieme, dandosi consigli a vicenda su cosa indossare – alla fine, dietro suggerimento della rossa, aveva indossato una semplice gonnellina a pieghe nera e una maglia a tre quarti rosa antico, ovviamente abbinata a una giacca scura e dei mocassini bassi che non l’avrebbero tormentata durante la passeggiata. Non si truccò granché, permettendosi solo un rossetto scuro che faceva contrasto con la pelle chiara, e ben presto tutte e tre furono pronte e scesero nella hall, ancora mezzo vuota, dove due prof delle altre classi sedevano nei divanetti e attendevano il resto dei colleghi e degli studenti.
«Se mi posso permettere, Ame…»
Sofia la chiamò e la fece distrarre dal telefono.
«Dimmi.»
Sofia la osservava curiosa, stretta nel proprio semplice abitino verde bottiglia.
«Hai qualche ragazzo che ti piace?»
La domanda avrebbe messo probabilmente chiunque in imbarazzo, ma per Amelia fu peggio di una mazzata. Nel giro di tre secondi assunse tre colori diversi – bianco, rosso e poi verde – e la prima cosa che le uscì fu la seguente.
«Perché?»
Il tono era sottile e isterico, tanto che le due ragazze la osservarono scettiche.
«Emh… Era solo una domanda così. Tanto per chiacchierare.» rispose Sofia.
Amelia strinse le labbra, a disagio, poi si lasciò andare in un sorriso traballante.
«C’è qualcuno che mi interessa, ma niente di più.» concesse.
Anna si fece avanti con un sorriso curioso.
«Oddio, chi è?»
Il nostro professore.
«Non lo conoscete, è della scuola di un’altra mia amica.» mentì con un sorriso un po’ più sicuro. Le altre parvero rimanere deluse.
«E voi?» chiese rapida, decisa a togliere l’attenzione da sé stessa.
«C’è un ragazzo che fa pallavolo con me che mi piace.» ammise Sofia.
«Per ora nessuno.» disse invece Anna.
La frase della rossa però servì ad Amelia per indirizzare la conversazione verso lidi più sicuri, e il tempo passò in fretta tra le chiacchiere mentre la hall iniziava a riempirsi di altri studenti fino a quando il vociare fu tale da costringere i prof a chiedere a tutti di abbassare la voce.
Amelia notò con la coda dell’occhio Daniele scendere insieme a Stefano, ma non si avvicinò – ora che sapeva si sentiva un po’ di troppo e non voleva fare la candela – e subito dopo arrivò anche Alessandro.
Con lui si concesse una bella occhiata, sfruttando il fatto che l’uomo fosse intendo a parlare con un receptionist, e osservò la camicia blu fuori dai pantaloni scuri insieme alla giacca nera – si era accorta da vario tempo la strana predilezione del giovane per le camicie, e non poteva dire che le dispiacesse.
«Fissi spesso Angelis.»
Cazzo.
«Eh? Oh, è solo perché spero finisca ammazzato sotto un tram, è l’unica speranza che ho di passare le sue materie.» disse rapida e con assoluta nonchalance, mentre Anna scoppiava a ridere ascoltando la risposta.
«Beh, dai, sei migliorata ultimamente.»
«Per grazia divina.» fu la risposta sarcastica.
«Però…» iniziò Sofia, iniziando a osservare Angelis con sguardo assorto «Non si può negare che sia bello quanto stronzo.»
Non sono gelosa, non sono gelosa, non sono gelosa.
«Tu dici? Non mi sembra nulla di speciale.» commentò vaga la mora con tono indifferente.
«Ma sei seria? Cioè, guardalo: è innegabilmente bello.» continuò ostinata la rossa.
Dopo quella esortazione Amelia si ritrovò a fissarlo ancora e le venne quasi da piangere notando la visione.
Sì, è bello. È sempre stato bello.
«Forse hai ragione.» si ritrovò a sussurrare, presa dai propri sentimenti che riemergevano prepotenti.
Fortunatamente non ci fu altro tempo per conversazioni del genere e Amelia ne fu felice. Dopo un rapido appello le varie classi uscirono dall’hotel e si persero tra le strade parigine.
Parigi di notte era ancora più romantica che di giorno, la mora se n’era resa conto già le sere precedenti. Le sarebbe dispiaciuto tornare a casa e non assaporare più l’aria francese – come un sogno che finiva e la realtà che tornava più fredda che mai, insieme alla scuola, lo studio e tutto ciò che esso comportava.
Rimase con la mente assorta e gli occhi per aria fino a quando non arrivarono a Champ de Mars, il grande giardino pubblico che ospitava la Torre Eiffel nella riva sinistra della Senna e subito osservò la moltitudine di turisti – di cui una grossa percentuale costituta da coppie – che senza troppi problemi sedevano sul prato e osservavano l’enorme costruzione in metallo totalmente illuminata.
Un faro nella grande metropoli parigina che mostrava la propria essenziale bellezza ergendosi su una folla di persone che incarnavano in essa il simbolo della città dell’amore.
L’aria era fresca ma non tirava un filo di vento, motivo per il quale la temperatura era più che sopportabile, e Amelia si ritrovò a passeggiare con le amiche nei dintorni, metà con loro e metà altrove con i pensieri.
Fu quasi con naturalezza che si voltò intorno, cercando qualcuno tra la folla – un gesto abitudinario che era diventato tale da quando si era presa quella cotta. Quel qualcuno lo trovò ben presto, lontano dalle persone a dalle classi che si erano sparpagliate per tutto il giardino finendo per scomparire alla vista.
«Io…» iniziò e attirò l’attenzione delle due giovani «Io devo parlare con Daniele, ragazze, continuate a girare anche senza di me.» disse frettolosa. La frenesia l’aveva avvolta in una morsa nel giro di pochi secondi – quelli in cui l’aveva visto.
Non attese che le altre le rispondessero, aveva troppa paura che il coraggio le mancasse definitivamente – aveva preso una decisione, questo è vero, ma la forza per prenderla di petto non era infinita.
Sfruttò la folla per confondersi e si guardò attorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno di conosciuto nei paraggi. Arrivò al fianco di Alessandro senza che lui se ne accorgesse.
«Possiamo parlare?»
Sentì la propria voce ma quasi non si riconobbe, troppo presa dal tentativo di calmare il proprio cuore.
Alessandro parve sobbalzare – evidentemente non si era accorto del suo arrivo – e poi si voltò verso di lei. In quella parziale oscurità, i suoi occhi sembravano più cupi del normale. Sembravano inghiottirla in qualcosa da cui non sarebbe voluta fuggire.
Si ritrovò attentamente osservata da quello sguardo che non diceva niente, pallido come se non provasse sentimento; passarono secondi o minuti? Non lo sapeva, ma alla fine Alessandro chinò la testa, facendo riflettere la luce dei lampioni sui capelli scuri. Un gioco di luci venne prodotto e Amelia si sentì attratta come una falena con la fiamma.
«Sì.»
Fu una risposta appena soffiata ma che fece tremare Amelia, la quale aveva chiaramente percepito il tono di resa dell’altro. Una resa che non capiva cosa significasse.
«Però non qui.» aggiunse l’uomo.
Si lasciò afferrare delicatamente per il gomito e trascinare ai limiti del giardino, tra gli alberi che fornivano un’adeguata copertura da coloro che non avrebbero dovuto vederli. La torre Eiffel, in tutto quello, continuava a sormontarli con la sua luce quasi come unica testimone di quello che accadeva – e avrebbe dovuto essere in assoluto l’unica consapevole di quell’evento.
Nella semioscurità sembrava che ci fosse anche più silenzio e per un attimo ebbe paura che l’agitazione la facesse svenire. Non sarebbe stata una bella figura da fare.
«Cosa mi vuoi dire?»
Il tono del professore era stanco, riconobbe. Stanco e arrendevole, qualcosa che solo un paio di volte gli aveva sentito – quella volta al bar durante il giorno di San Valentino e poi a scuola, nella vecchia aula di informatica – e si rese conto che non la guardava negli occhi.
Come se già sapesse dove sarebbe finita la conversazione.
Voglio davvero farlo? Voglio davvero… confessarmi?
«Credo che tu sappia cosa ti voglio dire.»
Niente più paura, niente più preoccupazioni. Solo la sincerità.
Sì, voglio farlo.
«Cosa?»
Amelia sorrise amara quando capì cosa intendesse davvero fare l’uomo: lasciare che lei si esponesse per prima, in un vano tentativo di decolpevolizzarsi in quella situazione che prevedeva lui come il ragionevole tra i due.
Non lo biasimò per questo, era normale. Per questo continuò a parlare.
«Tu mi piaci.»
Lo sparo di un cannone avrebbe fatto meno rumore secondo la mora.
Deglutì e si costrinse a continuare – tanto ormai il nocciolo era stato detto.
«Mi piaci da quando ti ho incontrato per la prima volta, credo, ma prima era solo una questione d’aspetto. Sei bello, lo sai e non c’è bisogno di negarlo.» continuò, le mani che iniziavano a giocare tra di loro con nervosismo «Poi però ho finito per conoscerti fuori da scuola. Hai continuato ad attrarmi, ma minimizzavo tutto come una semplice attrazione fisica, come il gusto del proibito.»
A quel puntò abbassò lo sguardo, notando appena che l’uomo di fronte a sé avesse iniziato a guardarla immobile.
«Però mi sono resa conto che iniziavo a preoccuparmi per te, a notare un sacco di dettagli a cui prima non facevo caso. Tipo quando avevi la febbre e stavi male. Poi mi hai parlato della tua ex e ti ho sentito vulnerabile come non ti eri mai mostrato, e a quel punto ho conosciuto anche il tuo lato debole, e mi è piaciuto.»
Il tono iniziava a farsi strozzato, il coraggio iniziava a mancare.
Ma ormai si era lanciata, tanto valeva affrontare la caduta con stile.
«E poi mi hai baciata. Non credevo che potesse piacermi così tanto, a dire il vero. Non credevo neanche che mi avrebbe tormentato così a lungo, e non credevo neanche che l’appuntamento andato male con la mia cotta di anni mi rimanesse indifferente, perché a quel punto ero già presa da te come la ragazzina che sono.»
Sospirò e alzò la testa.
Alessandro la fissava, i suoi occhi erano come acciaio e il viso disteso in una maschera imperturbabile. Non capiva che gli passasse in mente, sentiva solo il caldo e l’ansia che le faceva girare la testa.
Le spuntò un mezzo sorriso in volto, un mezzo sorriso di tristezza mentre concludeva il proprio discorso.
«Quando mi sono sentita presa in giro, il giorno delle ripetizioni, ti ho odiato e volevo solo ferirti. Ma poi tu eri così contraddittorio! A volte pensavo di poterti piacere, a volte mi davo della stupida perché tu sei un adulto, con un lavoro, intelligente, e io solo una liceale presa ancora dalle stronzate. Ma non riuscivo a non piangere quando pensavo a te, quando mi sentivo rifiutata.» le ultime parole furono quasi sussurrate mentre sentiva gli occhi annebbiarsi di lacrime.
«Perché mi piaci così tanto che credo davvero di potermi innam-»
Venne interrotta così brutalmente che quasi non se ne accorse.
Ma si dimenticò in fretta il resto della frase, già comprensibile di suo, quando Alessandro l’afferrò così rapido per attirarla a sé e la baciò.
Il nulla e il tutto.
Ecco cosa sentì.
L’altro la strinse a sé per la vita come se non volesse farla sfuggire; le labbra la sfioravano in un umido calore che la fecero rabbrividire mentre si alzava sulle punte, le mani che finivano per incastrarsi con naturalezza tra i capelli corvini dell’uomo.
Un bacio che era nato irruento, che poi si era lasciato andare nella dolcezza, che poi era finito in voracità.
Mani che si stringevano, lingue che si sfioravano e Amelia neanche si accorse delle lacrime che le scorrevano sulle guance, troppo presa dall’assoluta felicità che la pervadeva mentre si trovava accolta dall’abbraccio dell’altro.
Quel bacio sapeva di abbandono, di resa per una situazione che non si poteva delimitare a forza. Di limiti abbandonati a favore di sentimenti molto più piacevoli, di menefreghismo per qualcosa che avrebbe potuto metterli nei guai, di reciproco desiderio che era stato ignorato e trattenuto per troppo tempo.
Le venne in mente il giorno della discoteca, il giorno dell’auto, il momento in ascensore.
Niente era sufficiente paragonato al bacio di quel momento, neanche quelli avuti con gli ex degli anni prima. Si sentiva così tanto desiderata soltanto venendo stretta in quel modo che la sua mente nemmeno si azzardò di oltrepassare altri pensieri; era così spaventoso ed eccitante già in quel modo.
Ma poi, come tutte le cose belle, anche quel bacio finì.
Si staccarono con delicatezza, rimanendo ancora incastrati in un abbraccio confortevole, e Amelia si lasciò andare a un sorriso mentre sentiva Alessandro che le sfiorava la guancia, la tempia e infine i capelli con le labbra ancora gonfie di quel bacio finito. Sembrava la stesse assaporando e sentì il proprio cuore sfarfallare.
Lasciò che le proprie mani giocherellassero con i capelli morbidi del giovane mentre quest’ultimo le sfiorava la bocca in un ultimo e asciutto bacio.
«Non posso.»
Un sussurro.
Un sussurro che bastò per mandare in frantumi il delicato castello di carte che Amelia era riuscita a costruire.
Le parole erano chiare, ma mentre Amelia comprendeva con agghiacciante consapevolezza il loro significato, Alessandro continuava a tenerla a sé.
«Non posso e lo sai. Tutto questo non sarebbe dovuto esistere sin dal principio ed è stata colpa mia farlo arrivare a questo punto.»
Le parole continuavano a fluire come stilettate nel petto, ma il loro tono era così dolce e denso che Amelia sentiva in contemporanea miele e fiele in bocca.
«La situazione è troppo complicata anche solo per poterci provare, per questo è meglio chiuderla qui.»
Dopo quella frase Alessandro si staccò, rimanendo comunque vicinissimo alla ragazza – ragazza che lo guardava con aria stordita e assente.
«Mi dispiace, Amelia. Ti passerà in fretta, vedrai.» le disse solo con un vago sorriso in volto, sorriso che non raggiungeva gli occhi.
Gli occhi della mora, però, si fecero in fretta lucidi.
«Non voglio che mi passi.» sussurrò – il tono era spezzato e non le importava di sembrare una ragazzina.
«Ma succederà. Tu ti diplomerai, farai le tue belle esperienze, e poi ci rivedremo fra parecchi anni con io che ti prendo in giro ancora per i tuoi pessimi voti in matematica.»
La frase voleva essere ironica ma anche Alessandro non riuscì a trattenere il tono spezzato.
«No, aspetta…»
Amelia allungò una mano per afferrarlo, ma l’altro fu più veloce e le prese il polso con delicatezza.
«No.» tono più fermo e irremovibile «Ti ho detto che nulla di questo è possibile, Amelia. Basta.»
Lacrime, confusione, dolore. Non riusciva a mettere in ordine ciò che provava.
«Per favore…»
«Torna dai tuoi compagni di classe.»
«Non voglio…»
«Amelia…»
La mora riuscì a riportarlo su di sé per un altro bacio – questo sapeva di amarezza e disperazione. Il moro si lasciò andare giusto un paio di secondi prima di staccarsi da lei.
«Vai.»
Vai.
Vai Amelia, e non voltarti indietro.
Tutto questo non può andare avanti, non ha senso che nemmeno inizi.
Un tocco leggero sul viso, una mano che asciugava le lacrime, e poi Alessandro se ne andò mentre lei non aveva più le forze per trattenerlo.
«Non ce la faccio… Perché fa così male...»
E le lacrime si persero nell’erba umida, la notte che stendeva un velo su quello che era successo, Parigi che tradiva la nomea di “città dell’amore”, la torre Eiffel come la dea che tutto osserva.
 
 
[“E’ un amore impossibile” – mi dici.
“E’ un amore impossibile” – ti dico.
Ma scopri che sorridi se mi guardi,
e scopro che sorrido se ti vedo.
Sesto Aurelio Properzio]

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ~ Di problemi vecchi e nuovi ***


È passato più di un mese dall’ultimo aggiornamento.
Che dire… Mi dispiace. Come avrete letto dall’avviso, immagino, sono stata davvero tanto presa dall’università e fatti personali che mi hanno impedito di aggiornare, come anche la mancanza di ispirazione e voglia di scrivere.
Ammetto subito che questo capitolo non mi convince per niente: non per cosa succede, quello l’avevo già deciso da tanto, ma per come l’ho scritto. Ho provato una decina di volte a rifarlo, ad aggiustarlo, a rileggerlo per capire cosa non andava. Non l’ho ancora capito. Poi ho pensato che forse sono solo arrivata a un punto della storia che mi blocca un po’, dovuto al fatto che non sono mai andata così “lontana” coi capitoli finora, e ho deciso comunque di buttarmi. Ovviamente adesso passo a voi la parola per i commenti, spunti di riflessione e quant’altro.
So inoltre che non è lunedì e in questo momento è quasi mezzanotte, ma ho voluto comunque pubblicare il capitolo perché mi sembra di avervi fatto aspettare fin troppo. Dicendo questo vi anticipo già che non sono sicura di avere il nuovo capitolo pronto per lunedì prossimo, soprattutto se continuo ad avere questo blocco nei confronti della scrittura, ma dopodomani darò l’ultimo esame della sessione e spero di avere meno stress e ansia da gestire.
Non vi dico nulla se non buona lettura, scusa per l’attesa, e spero che ci sia ancora qualcuno interessato/a – dopo più di un mese di inattività – a continuare questa storia con me!
Un bacio a tutti voi, alla prossima (sperando non sia di nuovo tra un mese e mezzo)!
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo diciannove
~
Di problemi vecchi e nuovi
 
 
 
«Si può arrivare al momento in cui sono già diplomata e saltare tutti gli incontri con quell’idiota?»
Le parole vennero masticate con disperazione da Amelia, nascosta dietro al muro dell’edificio scolastico in cortile, impegnata a fumare la seconda sigaretta di seguito da quando era suonata la ricreazione – cercava di ignorare come il fumo stesse ormai diventando uno spiacevole vizio da quando era presa dall’ansia.
Di fronte a lei Daniele, appoggiato con una spalla al muro intonacato, sospirò desolato mentre un ricciolo gli solleticava la fronte.
«Non credo sia possibile.» bofonchiò mentre si spostava la ciocca fastidiosa «Ma se continui a prenderla così non ne uscirai viva, te lo dico.» aggiunse lanciando un’occhiata alla mora che si guardava in giro circospetta, temendo la comparsa di qualcuno – e non qualcuno a casa, quel qualcuno.
Amelia però, a quelle parole, si volse verso l’amico in un movimento secco; le gote arrossate non dal caldo e gli occhi lucidi: il suo solito viso da quando si era conclusa quella disastrosa gita che si era meritata la nomea di “esperienza peggiore della sua giovane vita”.
«Tanto non sei tu quello che ha confessato al proprio prof di essere persa per lui, per poi essere rifiutata e da quella volta ignorata completamente, vero?» frecciò sarcastica e pungente, riassumendo in una singola frase ciò che aveva in testa da tempo.
Daniele fece una smorfia.
«Detta così suona bruttina.»
«Perché lo è.» sibilò irata la mora, gettando priva di delicatezza o rispetto la cicca per terra e calpestandola con la punta delle sneaker.
Il silenzio tra di loro era spezzato dal vociare confuso del cortile, un misto di risate e chiacchiere a cui si univa qualche cinguettio di passeri; un suono tipico di una scuola, d’altronde. Era una bella giornata per essere più di metà marzo – il sole non riusciva a vincere completamente il vento freddo, ma dava quelle ore di tepore che non dispiacevano affatto dopo il lungo e freddo inverno trascorso e che sembrava non vedere l’ora di correre via per lasciar spazio alla bella stagione.
A dire il vero, il freddo non avrebbe comunque impedito ad Amelia di rifugiarsi nell’ampio cortile scolastico: sarebbe uscita durante la ricreazione a prescindere da quando neve, pioggia o vento da quando era tornata dalla gita – tutto pur di fuggire da Angelis. Tutto pur di non notare come per lui fosse ormai diventata totalmente invisibile.
Mi ignora… Mi ignora totalmente.
Ormai era come se lei non ci fosse più dentro l’aula. Le uniche volte che Alessandro pronunciava il suo nome – anzi, cognome – era durante l’appello; il resto delle volte non la sfiorava nemmeno con lo sguardo, neanche quando spiegava si avvicinava a lei con gli occhi. Un fantasma, ecco cosa sembrava diventata per lui.
Anzi, nemmeno un fantasma: più una comparsa in quella vita da cui aveva deciso di escluderla, se non per ciò che coinvolgeva la scuola – e, anche in quel caso, pareva fare del proprio meglio per tenerla comunque fuori.
Gli occhi si fecero lucidi più in fretta del solito a quel pensiero e la lacrima che scivolò sul viso la percepì calda in confronto alla guancia fredda dall’aria pungente; non era riuscita ad impedirselo e la vergogna la assalì.
«Ame…»
«Zitto.» sibilò irritata mentre con una mano si asciugava con poca cura l’unica lacrima sfuggita al controllo «Basta, quel deficiente mi sta trasformando in una ragazzina piagnucolosa e non intendo continuare a esserlo.»
Le parole vennero nuovamente sputate con ribrezzo, questa volta rivolto a sé stessa e non ad altri – ribrezzo per non riuscire a ignorare quella situazione, a smetterla di pensarci come altri avrebbero fatto, a cessare di tormentarsi con dei ricordi che da dolci diventavano sempre più amari. Alzò lo sguardo precedentemente abbassato verso Daniele, che prese a fissarla in silenzio.
«Non è l’unico uomo esistente in questo pianeta e io ho solo diciotto anni, posso innamorarmi di nuovo quanto e quando mi pare! Posso trovarne un altro anche domani, se solo lo volessi.» continuò convinta mentre le parole sfuggivano con più dolcezza di prima dalla sua bocca, tutto sotto l’occhio inespressivo dell’amico – amico che sembrava stringere le labbra per frenare la propria lingua, ma la mora ignorò quest’ultimo dettaglio.
«Quindi» riprese, raddrizzando la schiena e incrociando le braccia «d’ora in avanti lo ignorerò e farò finta che non esista nemmeno.» terminò definitiva, un sorriso che voleva sembrare convinto sulle labbra – peccato non fosse troppo convincente.
Daniele, però, taceva ancora e la ragazza sopportò per pochi istanti quel silenzio colmo di parole.
«Dimmi qualcosa!»
Daniele si limitò a sorriderle.
«Hai ragione, puoi trovartene uno nuovo quando ti pare.»
Tono calmo e gentile – tono che fece infastidire fin troppo Amelia, il cui volto si trasfigurò in fretta ina maschera di irritazione.
«Smettila di fare l’accondiscendente con me!»
Uno sbuffo e Daniele alzò le mani e gli occhi al cielo.
«Cosa vuoi che ti dica allora?» rispose secco, spostandosi dal muro e dandole per un attimo le spalle. Quando si girò, i suoi occhi erano esasperati «Ci stai male perché ti ha rifiutata e perché ti ignora, è normale! Che poi, se vogliamo essere precisi non ti ha propriamente rifiutata, è solo l’intera situazione che è un casino, e non possiamo nemmeno biasimarlo.» continuò puntandole un dito contro. Amelia chinò la testa ed evitò lo sguardo azzurro dell’altro mentre lasciava che la massa ribelle di capelli le coprisse il viso e ciò che avrebbe potuto mostrare con la propria espressione.
Daniele tacque mentre notava l’atteggiamento all’improvviso remissivo dell’altra, e sospirò di nuovo.
«Hai ragione, puoi trovartene uno nuovo quanto ti pare.» sussurrò infine «Solo, magari, inizia a crederci anche a tu, ok?»
E il singhiozzo di sconfitta le sfuggì proprio quando la campanella suonò, impedendo a chiunque di sentire quel suono di sofferenza e frustrazione.
 
 
«Non credo che spendere soldi sia il modo migliore per sentirmi meglio, sai?»
«Fare shopping risana la mente e lo spirito, compra e zitta.»
Amelia lanciò uno sguardo di disappunto a Nicole, troppo presa a osservare un completino verde smeraldo per accorgersi di essere fissata.
«Comprare completini intimi dovrebbe farmi stare meglio, dici? Anche se mi ricorda che la persona con cui vorrei andare a letto insieme non mi guarda nemmeno più?» frecciò sarcastica la mora – alternava frasi depresse a sarcastiche a seconda del momento, e in quel preciso istante la vena sarcastica aveva avuto la meglio.
Proprio mentre veniva distratta da un baby doll color crema dal prezzo oltre le sue possibilità, Nicole si girò e le diede un colpo in testa.
«Ehi!» gemette.
A quel punto la castana le puntò un dito contro e la fissò con gli occhi verdi colmi di mascara e irritazione – a quanto pare tutti si divertivano a puntarle diti contro, anche se non capiva perché.
«Primo, sai che verrebbe a letto con te, quindi non prenderlo come un totale rifiuto. Due, ha fatto la scelta sbagliata, ma poveretto, è stupido, quindi ora tu farai osservare il tuo meraviglioso corpo a gente con più sale in zucca. Tre, fidati che si starà mangiando le mani e la notte, preso dalla solitudine della propria casa, penserà a te nuda e…»
«Puoi evitare in pubblico? Grazie.» la interruppe al volo Amelia mentre arrossiva ed evitò con abilità lo sguardo di una signora che doveva di sicuro aver sentito la conversazione e scuoteva la testa borbottando qualcosa – forse simile a “gioventù priva di pudore”, in uno dei più banali cliché sugli anziani e i giovani.
Nicole scrollò le spalle indifferente e mise a posto il completo verde dopo aver scorto il prezzo – quel negozio era troppo caro, nessuna delle due sapeva perché fossero davvero entrate lì dentro.
«Come vuoi, ma so di dire la verità.» disse la castana mentre un radioso sorriso di convinzione le spuntava sul volto.
«E tu e Tommaso, invece? Come va con lui?» chiese a quel punto la mora, non provando nemmeno a nascondere il palese cambio di argomento.
Nicole la fissò e inarcò le sopracciglia scettica – facciamo finta che tu non abbia così platealmente cercato di cambiare discorso – ma rispose.
«Alla grande. Fondamentalmente è come prima, solo molto meglio ora che sappiamo di amarci a vicenda.» disse semplicemente.
Per un attimo Amelia perse lo sguardo nel vuoto, poi annuì in silenzio e si distrasse a sfiorare vari completi dai delicati rosa pastello.
«Nicky, senti…»
Si bloccò senza volerlo, più a causa dell’imbarazzo della domanda che aveva in mente che per altro. Un sospiro per darsi coraggio – alla fine poteva ammettere di essersene uscita con frasi peggiori.
«Come fai a sapere di amare una persona?»
Le parole le sfuggirono frettolose e smozzicate mentre volgeva subito lo sguardo altrove, evitando quello dell’amica che invece si era girata all’improvviso verso di lei – uno specchio degli opposti.
Un silenzio fasullo a causa del vociare dei clienti e della radio in sottofondo, ma abbastanza reale per far arrossire Amelia che desiderò non aver mai pronunciato quelle parole.
«Non lo so, a dire il vero.»
La risposta però arrivo e Amelia si voltò con lentezza verso l’amica che aveva assunto un’aria pensierosa.
«Se la poni in questi termini, non saprei neanche dire se amo davvero Tommaso. Io lo penso, ma magari in futuro proverò un sentimento ancora più forte che mi farà capire che quello che sento ora non è nulla – anche se a me sembra tantissimo, ora.» continuò mentre si spostava di alcuni passi verso altri indumenti, decidendo di non guardarla come se non volesse farla sentire a disagio «Ma quando mi manca, mi fa male il cuore, anche se so che sembra una frase da tredicenne. Ogni volta che mi guarda, mi tremano le gambe e non riesco a fare a meno di sorridere – e questo non succedeva con gli altri: con loro dopo un po’ non c’era più l’elemento di novità e il sentimento sfumava. Con lui invece non devo costruirmi un personaggio, sono spontanea e non devo sforzarmi di esserlo.»
Amelia continuava a tacere – poteva quasi sentire il ronzio del proprio cervello che elaborava quella risposta abbastanza confusa ma al contempo piena di certezze.
«Perché mi fai questa domanda?»
Perché?
«Così, per curiosità.»
Solo per capire quanto sono fregata in questa situazione.
 
«Non dovevi accompagnarmi fino a casa, hai fatto solo strada in più!»
Amelia si volse con aria dispiaciuta verso Nicole, che invece scrollò le spalle indifferente e infilò le mani nella lunga giacca color cammello.
«Avevo voglia di camminare e poi devo vedermi con Tommaso poco lontano da qui, sta tranquilla.»
La mora la guardò con un’espressione ancora poco convinta sul volto, ma non poté fare altro che annuire mentre in lontananza già scorgeva il profilo di casa sua.
«Sarai da sola a casa?»
La domanda di Nicole arrivò per colmare il silenzio che si era venuto a creare.
«No, c’è mia mamma. Mi pare mi avesse detto che sarebbe venuta una sua amica a casa ma non ne sono sicura, ero troppo di fretta prima per stare a sentirla.» borbottò la mora – ultimamente anche avere gente per casa la infastidiva, ma ovviamente non poteva dire nulla ai suoi genitori, anche perché avrebbero iniziato a porle domande a cui non aveva intenzione di dare risposta.
«C’è un tipo di fronte al tuo cancello.»
La voce tranquilla di Nicole attirò l’attenzione della mora, distratta per un paio di secondi dal cellulare colmo di notifiche dei social – non me frega nulla se il tizio ha postato una nuova storia dopo tanto tempo! – e sollevare lo sguardo fu ovvio, ma non ovvio quanto quello che vide.
Ovvio però fu quello che sentì dentro di sé, ovvero il principio di un infarto alla tenera età di diciotto anni.
«Oddio. Cazzo. Nicky, aiutami. Oddio.»
Le parole vennero dette a voce così bassa e veloce che la castana si girò confusa e spaventata verso la mora, notando come fosse improvvisamente diventata cerea – anzi, non cerea, più simile a un cadavere.
«Ame, cosa succede?»
Ma ormai la ragazza aveva la mente andata in totale tilt, perché non riusciva più a muovere un passo e a parlare. Era una statua di sale e non si sarebbe sciolta così facilmente.
«Amelia, mi sto preoccupando, che cazzo succede?» insistette la castana. Finì per girarsi verso colui che aveva visto di fronte al cancello, e notò stranita come anche lui si fosse immobilizzato una volta notatole.
Il pensiero di chi fosse colse la castana rapido come un battito di ciglia – veloce, anche se purtroppo era troppo tardi per scappare a gambe levate, sia per loro che per lui.
«Non dirmi che…»
Non ci fu bisogno di finire la frase.
«Sì.»
Sì, era lui.
Alessandro.
Fermo di fronte al cancello di casa sua, fantastico come al solito con i suoi abiti casual, gli occhiali da sole in cima alla testa, i capelli scompigliati e lo sguardo che finalmente si posava su di lei dopo una settimana infernale dalla gita.
La vedeva davvero per la prima volta da giorni e per quanto volesse soltanto scomparire da lì, era comunque così dannatamente piacevole avere la sua attenzione che avrebbe voluto fermare il tempo.
Ma fu solo un pensiero fugace.
«Andiamocene.»
Era stato un sussurro il suo, ma nonostante le proprie intenzioni non poté fare nemmeno un solo passo.
«Col cazzo.»
Quello di Nicole invece era stato un sibilo, seguito subito dalla sua mano che le artigliava il braccio in una morsa ferrea impedendole in questo modo di sfuggire. Puntò poi i suoi occhi verdi, ancora più grandi e luminosi a causa del trucco, verso quelli scuri dell’amica e fece un sorriso assolutamente mellifluo «Quella è casa tua e tu ci entrerai. E non voglio sentire scuse.»
Anche se avesse voluto sentire scuse non ci sarebbe stato proprio il tempo di dirne alcuna per il modo in cui partì battagliera verso il famoso cancello, di fonte al quale Alessandro continuava a stare immobile come una statua – di certo anche lui non si aspettava di trovarla lì, per quando possa comunque sembrare assurdo dato che quella di fronte alla quale il giovane sostava era casa di Amelia.
Dio, tu devi volermi parecchio male per farmi tutto questo.
«Salve.»
Sorriso splendente, tono pacato e tranquillo, una punta di miele con retrogusto di limone, quasi come se si trovasse nella situazione più comune della sua vita, e Nicole diede inizio a quel teatrino che Amelia avrebbe da quel momento in poi annoverato tra le scene peggiori della sua breve vita.
«…buongiorno.»
Un soffio e Alessandro rispose al saluto, gli occhi grigi diventati metallo e l’iniziale panico tramutato in totale indifferenza.
Controllo.
Ecco che usciva fuori il professore e adulto coscienzioso che c’era in lui.
Nonostante questo, a Nicole poteva anche sembrare perfettamente a suo agio, ma Amelia aveva subito colto tutti i dettagli che le fecero comprendere il profondo disagio dell’altro: la rigidità innaturale della postura, la mancanza di qualsiasi sentimento negli occhi, le mani strette a pugno in una gestualità che voleva essere naturale se non fosse sempre stato un tipo le cui mani seguivano il suo corpo in un altro tipo di postura.
Era a disagio. Era a disagio proprio come lei e non poté fare a meno di godere di quello.
Hai scelto tu tutto questo. È solo colpa tua, ora affronti le conseguenze delle tue scelte.
«Tu saresti?»
Nicole andrò dritta al punto – o meglio, lo evitò alla grande riuscendo comunque a puntarlo inevitabilmente, mostrandosi così sicura di sé che Amelia la invidiò da morire. Ma d’altronde, a situazioni inverse sapeva perfettamente che sarebbe stata lei quella sicura di sé e Nicole quella da raccogliere con il cucchiaino mentre diventava gelatina.
Amelia sentì la presa sul braccio farsi ancora più forte e ciò la costrinse a puntare gli occhi verso quelli metallici di Alessandro – lui parve ustionarsi a quel contatto astratto e spostò lo sguardo verso Nicole.
«Alessandro Angelis.» disse piatto, non porgendo nemmeno la mano alla ragazza in una mancanza di galanteria che non era propriamente da lui «Tu?»
Nicole si illuminò in un sorriso candido. L’aureola che le spuntò in quel momento doveva evidentemente nascondere le corna da diavolo che dominavano il suo capo.
«Nicole, la migliore amica di Amelia. Motivo per il quale mi sento autorizzata a chiederti cosa cazzo ci fai di fronte a casa sua.»
La frase uscì con il tono più zuccheroso e dolce possibile, un ossimoro quanto mai piacevole con il vero contenuto della frase.
Quando Amelia afferrò la frase si fece ancora più cerea, mentre Alessandro non poté proprio impedirsi di assottigliare gli occhi. Ma fu solo un attimo, perché il sorriso irriverente dipinse subito il suo sguardo e Amelia capì che stava per rispondere – perché gli stava bene che lo odiassero, ma non che gli si rivolgessero così.
«Suppongo che possa sembrare strana questa situazione, ma dato che sei la migliore amica di Amelia immagino tu sappia che le nostre madri sono grandi amiche. Quindi puoi risparmiarti quel tono di accuse insensato e accettare il fatto che sono solo passato a prendere mia madre.»
Il tono con cui parlò Alessandro era colmo di supponenza e l’aria da professorino l’aveva ricoperto in modo tale che Amelia si sentì la solita ragazzina di fronte a lui – qualcosa che odiava, ma che non poteva impedirsi in certe situazioni.
«Che caro ragazzo.» la risposta colma di miele di Nicole però fece irrigidire ulteriormente Amelia – a quanto pareva l’amica aveva intenzione di rifarsi gli artigli «Ma credo che tu possa aspettare tua madre altrove. A Fanculandia, per esempio.»
Il gemito di Amelia venne chiaramente udito dagli altri due, ma fu comunque prontamente ignorato.
Alessandro tacque a quelle parole e il suo volto divenne impassibile. Poi, a sorpresa, spostò gli occhi metallici verso Amelia.
Fu come venire colpita da un proiettile: sentì le gambe cedere e il cuore mancarle un battito.
«Scusa per essermi presentato così all’improvviso, ma sono venuto davvero a prendere mia madre.»
Il cambio repentino di discorso fece chiaramente capire ad Amelia che il giovane non aveva proprio voglia di litigare e, anche se l’istinto le diceva di dargli uno schiaffo e iniziare ad insultarlo, la parte ragionevole di sé la spinse a rispondere con educazione.
«Capisco. Entro dentro e le dirò che sei qui, allora.»
Complimenti a te, Amelia.
Alessandro si limitò ad annuire in silenzio e la mora poté chiaramente vedere con la coda dell’occhio Nicole che apriva la bocca, intenzionata a commentare ulteriormente. La precedette.
«Nicky, tu vai pure da Tommaso. Ci sentiamo più tardi.»
La castana si voltò verso di lei e la fissò. Nessuna delle due disse qualcosa, ma era ben chiaro il messaggio del loro sguardo. Durò tutto una manciata di secondi, poi la ragazza annuì.
«Va bene. Ti scrivo più tardi.»
Nonostante le parole, Nicole non si mosse di lì prima che Amelia, nel silenzio generale, non prese le chiavi dalla propria borsa per aprire il cancello, percorse il piccolo viale fino al portone ed entrò dentro casa.
Ferma, immobile di fronte alla porta chiusa, si permise di chiudere gli occhi e lasciare che la vergogna, la tristezza e l’ansia la pervadessero del tutto.
Ma non ci fu altro tempo per riflettere – tutto era troppo veloce.
«Amelia?»
Un sobbalzo e la ragazza si girò rapida, notando Serena che la fissava nel corridoio.
«Mamma.» si sforzò di dire quella singola parola e di fare un tiepido sorriso.
«Non pensavo tornassi così presto.»
«Nicole doveva vedere il suo ragazzo.»
La madre annuì e la fissò – dovette notare subito qualcosa che non andava perché la sua espressione si fece corrucciata.
«Tutto bene, tesoro? Ti vedo strana.»
Non farle capire nulla, non farle capire nulla.
«Tutto bene, ho solo preso un po’ di freddo credo.» rispose semplicemente, per poi inoltrarsi verso il salotto e notare la presenza di Margherita, seduta composta sul divano con in mano una tazza di tè.
«Amelia, cara, come stai?»
Frasi frettolose di educazione, per poi arrivare al nocciolo della questione.
«C’è Alessandro fuori che è venuto a prenderti.»
Margherita spalancò gli occhi e la sua mano corse al cellulare.
«Oddio, non mi ero accorta di che ore fossero! Mi ha pure chiamato, non ho proprio sentito il telefono!»
Serena però si era già voltata verso la figlia.
«Ma perché non l’hai fatto entrare?» il tono leggermente accusatore fu accolto con il silenzio da parte della ragazza – anche volendo però, non avrebbe potuto dire nulla: Serena era già andata verso il corridoio e la mora sentì la porta aprirsi mentre chinava la testa consapevole di ciò che stava per succedere.
E infatti, dopo un minuto, Serena fu di ritorno con una mano ancorata al braccio di Alessandro, cupo in volto e taciturno.
«Ale, scusa, non mi ero accorta che mi stessi chiamando!» intervenne Margherita.
«Potevi suonare, ti avrei fatto salire.» aggiunse Serena.
Ma lui si limitò a borbottare qualcosa di poco definito mentre Amelia non aveva il coraggio di guardarlo, rimanendo semplicemente ferma e incapace di dire o fare alcunché.
«Amelia, vai a prendere qualcosa da offrigli.»
«Sto bene, non c’è bisogno, grazie.»
«Non dire sciocchezze, fermati un po’ anche tu.»
Parole, parole, parole. Amelia come un’autonoma andò in cucina, prese un bicchiere e delle bottiglie, tornò in salotto notando che Alessandro era già seduto.
Fatemi andare via da questa situazione.
Niente, era già troppo tardi. La conversazione continuava con voci concitate mentre rimaneva in piedi immobile, rigida, non osando spostare lo sguardo dal tavolino basso per non rischiare di incontrare un paio di occhi gelidi che invece avevano preso a fissarla presi da chissà quali pensieri.
Ma Amelia conosceva già bene i propri. Un insieme di ansia e confusione, di paura e disagio.
Perché doveva subire una scena del genere? Perché lui non si era opposto a entrare lì dentro? Perché continuava a fissarla, mentre a scuola era diventata un fantasma per lui?
Perché non poteva semplicemente andarsene, correre in camera e mettersi a piangere come la ragazzina che era?
«E così tra poco è il tuo compleanno, giusto?»
«Eh?»
Il verso confuso le sfuggì inconsapevole mentre Margherita la richiamava a sé.
Sollevò lo sguardo e vide la donna che le sorrideva incoraggiante – come faceva ad essere così diversa dal figlio?
«Sì, li fa il 25 marzo.» rispose per lei Serena – e ci fu anche l’immancabile occhiataccia della madre, un rimprovero per il suo essere così assente. Ma come faceva a far finta di nulla quando l’uomo di cui era persa, il suo professore, che l’aveva così brutalmente rifiutata una settimana prima era lì a fianco a lei, a distanza di un passo, e la fissava in un modo che le tremavano le gambe?
«Diciannove, giusto?» non la fece rispondere «Sei così giovane!»
Smettila di parlare dell’età.
«Sì, sono diciannove.»
«E dove hai intenzione di festeggiarlo?»
Amelia non rispose, presa in contropiede – quella domanda per un attimo le fece spostare l’attenzione dal più grande problema che aveva in quel momento.
Bella domanda, dove?
«Non lo so, a dire il vero.» rispose infine.
«Di solito le lasciamo la casa da sola per festeggiare, ma questa volta sia io che Davide non possiamo.» intervenne Serena, continuando quella conversazione che suonava così stupida alle orecchie di Amelia.
E fu a quel punto che venne fatta la proposta.
No, non quella di matrimonio, anche se di solito ci si riferisce a quello. Fu la proposta che avrebbe per sempre cambiato la situazione, la tipica proposta che urla “pericolo” da tutti i pori, ma a chi importa.
«Se ti può interessare, io e Michele abbiamo un cottage in montagna, a un po’ più di un’ora dalla città. Potresti andare lì con i tuoi amici a festeggiare!»
Un cottage. Dei genitori di Alessandro. Un compleanno lì.
«…cosa?»
«Sarebbe un’idea fantastica!»
E quando mai Serena aiuta sua figlia? Non sarebbe da lei.
«Cosa?» questa volta a parlare fu Alessandro, ma se Amelia sentì distintamente la singola parola che il giovane pronunciò, i due adulti lo ignorarono del tutto – o forse non l’avevano proprio sentito.
«Vero? È abbastanza grande per una piccola festa, poi siete ragazzi, vi potete organizzare in un sacco di modi.» continuò a blaterare Margherita – ormai era partita per la tangente, e Serena la seguiva a ruota.
«Aspettate, forse non è il caso.» Amelia parlava ma non venne ascoltata da nessuno – ma d’altronde aveva lei stessa difficoltà ad ascoltarsi, soprattutto quando il ronzio nella sua testa si faceva così forte da impedirle di pensare lucidamente.
Le due donne continuarono a organizzarsi per conto loro e la ragazza sentiva con un orecchio solo, il resto del suo corpo era troppo impegnato a rendersi conto del casino preannunciato.
«Quindi andrebbe benissimo, no?»
Domanda chiaramente retorica.
Amelia tacque, poi spostò lo sguardo – un automatismo per vedere la sua reazione e agire di conseguenza.
Fissò Alessandro, e fu la prima volta dopo tanto tempo che si guardarono davvero negli occhi – fu come se non fosse passato un giorno dall’ultima volta che si erano davvero visti, eppure quella nuova occhiata era colma di un tipo totalmente diverso di consapevolezza.
Forse era quella consapevolezza amara, a cui non puoi fare altro che arrenderti e sventolare bandiera bianca.
Non capì cosa ci fosse dentro quel grigio plumbeo, ma il flash di cosa c’era dentro di sé la colpì all’improvviso.
«Sì, andrebbe benissimo.»
Va assolutamente bene.
Quando vai incontro al disastro, non te ne rendi mai contro. Eppure, Amelia sapeva già perfettamente che tutto quello nascondeva già un enorme problema dietro, era troppo grande per nascondersi dietro a un dito.
Ma in fondo, quando mai lei aveva detto no ai problemi?

 

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Capitolo 20
*** Capitolo venti ~ Di compleanni e imprevisti ***


L’ultima volta avevo detto che avrei aggiornato – quanto meno – presto. E invece è passato un mese dallo scorso capitolo, quindi non posso dire di aver mantenuto la promessa.
Non posso dire che sia stato il tempo a mancarmi, perché come avevo già accennato ho finito la sessione il ventun giugno, ma l’ispirazione e la voglia di scrivere erano felicemente finite nel cesso.
Miracolosamente, quest’ultima settimana sembra che qualcosa in me si sia risvegliato e sono riuscita non solo a stendere la fine di questo capitolo, ma a iniziare addirittura il ventuno! Spero che questa cosa duri e sono abbastanza fiduciosa, ma ormai ho paura a fare promesse che non sono sicura di mantenere…
Comunque, passando al capitolo: finalmente è arrivato il giorno del tanto sospirato compleanno. Tutto sembra organizzato alla perfezione, ma si sa che la sfiga è dietro l’angolo, quindi chissà…
Spero che apprezziate questo capitolo, che per quanto sembri in qualche modo di passaggio è cruciale per il prossimo, che non vedo l’ora che possiate leggere dato che sarà il culmine di tutta la storia!
Ma non aggiungo altro, spero solo che ci sia qualcuno che ancora sia appassionato/a a questa storia e che sia felice del nuovo capitolo – e, perché no, magari possa lasciarmi anche un piccolo commento.
Buona lettura e alla prossima!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo venti
~
Di compleanni e imprevisti
 
 
 
Amelia aprì gli occhi nel semibuio della sua cameretta – odiava dormire con l’oscurità totale, motivo per il quale si lasciava sempre le tapparelle sollevate di qualche centimetro per far sì che filtrasse un po’ di luce.
Il suo primo pensiero, quel venticinque di marzo, così come tutti i venticinque marzo di tutti gli anni, fu solo uno.
Buon compleanno a me.
Il sorrisino le sfuggì inconsapevole nel volto ancora tirato dalla stanchezza, ma quel giorno il sonno non la tormentò più di tanto. Il giorno del suo compleanno si sentiva sempre inspiegabilmente felice – quello era il suo giorno speciale e anche alzarsi dal letto per andare a scuola non le pesava troppo.
«Tesoro…»
La voce di Serena arrivò in concomitanza con la porta che si apriva leggera e altra luce – questa volta del corridoio – arrivò per rischiarare ulteriormente la stanza, finendo per ferire di un poco gli occhi ancora poco abituati di Amelia.
Appena si abituò alla luce vide la madre entrare nella stanza, tra le mani un vassoio con la colazione già anticipata dall’invitante profumo di caffè, quello che sembrava cioccolato, e altri aromi dolci che le fecero immediatamente venire fame; si sollevò dalle coperte rapida, il viso che le si spalancava in un sorriso.
«Mamma!»
«Buon compleanno, amore.» tubò la madre poggiando il vassoio sul letto, rivelando la colazione “speciale”­: caffè, torta al cioccolato, un vassoio di macedonia fresca e anche un pacchettino involto in una carta da regalo luccicante e rossa.
Era sempre stato così: ogni anno, il giorno del suo compleanno, la madre le portava la colazione per darle un risveglio ancora migliore – e durante il giorno trovava sempre il modo per viziarla più o meno.
«Oddio, grazie!» le parole le sfuggirono ancora con il tono da addormentata anche se il suo cervello era sempre più attivo, e i suoi occhi puntarono immediatamente il pacchetto incartato come un falco con la preda.
Attimi di silenzio in cui Amelia alzò gli occhi verso la madre, lo sguardo colpevole.
«Posso aprirlo subito?»
«E lo chiedi pure?»
Non ci fu bisogno di ulteriori conferme: la mora si allungò per prendere il pacchetto, la colazione ancora al suo posto, e in fretta e furia lo scartò rivelando un pacchetto di gioielleria che aprì senza troppi convenevoli.
Al suo interno un ciondolo a forma di fiore luccicava grazie al brillante incastonato, la catenina accuratamente posizionata intorno fatta d’argento. Non era un gioiello troppo elaborato o appariscente, ma Amelia già lo adorava: semplice, luccicante, e poi era un regalo di sua mamma.
«È anche da parte di papà, oggi doveva andare a lavoro prima e non ha potuto aspettare per farti gli auguri.»
…e anche di papà, si corresse nella sua testa.
«Va bene comunque, lo vedrò quando torno da scuola.» si affrettò a rispondere la ragazza, per poi alzare lo sguardo verso Serena «Grazie mille mamma, è bellissimo!»
Serena le sorrise dolce – il classico sguardo di una madre di fronte alla propria “bambina”, perché per i genitori tutti i figli rimangono bambini, anche quando sposati e con prole al seguito.
«Sono contenta che ti piaccia.»
Amelia si sporse poi verso la donna e l’abbracciò – affondò il naso nei capelli profumati e morbidi e le bastò questo per ritornare una bambina di otto anni durante il giorno del proprio compleanno, priva di preoccupazioni se non quello di invitare tutti i compagnetti alla propria festa.
«Ora però fai colazione e preparati, ti accompagno io a scuola, ma non fare tardi comunque!» disse la madre con un sorriso e una carezza tra i capelli; poi si alzò e si avvicinò alla porta.
«Spero ti piaccia la torta.»
«È la mia preferita, come non potrebbe?»
E si tuffò nel proprio personale vassoio.
 
 
«Amelia!»
Un urlo e, senza capire l’esatta dinamica dell’azione, la giovane si ritrovò catapultata addosso al proprio banco su cui aveva appena poggiato la borsa e il corpo stretto tra le braccia di Daniele.
«Dani, vuoi uccidermi già a quest’ora?» mugugnò Amelia divertita.
Il ragazzo la ignorò platealmente per darle un bacio tra i capelli e uno sulla guancia.
«Auguri principessa!»
Amelia scoppiò a ridere e abbracciò di rimando il proprio amico.
«Grazie!»
«Ame, auguri!»
Questa volta ad avvicinarsi furono Anna e Sofia che, in maniera più composta rispetto a Daniele, si sporsero per abbracciarla con un sorriso. Le strinse a sua volta e si lasciò strapazzare per gli auguri.
«Beh, per stasera è tutto a posto?» chiese Sofia.
Amelia annuì.
«Sì, assolutamente. Fatevi lasciare a casa mia per le sei, poi da lì prendiamo la macchina di Stefano e verrà anche l’amico dei miei genitori per portarci al cottage.» riassunse rapida Amelia.
Istintivamente, lanciò uno sguardo a Daniele che ricambiò a sua volta l’occhiata con un vago riconoscimento negli occhi – in teoria non era in programma invitare anche Stefano, ma poi aveva finito per pensare che a Daniele avrebbe fatto piacere averlo con sé e, in fondo, erano tornati abbastanza amici da poterlo invitare al compleanno senza imbarazzi vari. Oltre a loro due aveva chiamato anche Anna e Sofia più, ovviamente Nicole e, giusto per non fare differenze, Tommaso che si era rivelato entusiasta di partecipare.
C’era solo un piccolo dettaglio che aveva evitato di dire ad Anna, Sofia e Stefano: che la casa in cui sarebbero andati era sì di amici di famiglia, ma tali amici di famiglia erano i genitori del caro professor Angelis.
Si morse un labbro al pensiero, sentendosi un poco colpevole per quella piccola bugia: aveva preferito non suscitare polveroni e confidava che nessuno se ne sarebbe accorto dato che, a portali al cottage, sarebbe stato Michele con la sua macchina – più Stefano che aveva gentilmente offerto la sua perché, altrimenti, non ci sarebbero stati in una sola. Ne aveva parlato sia con Daniele che con Nicole, e seppur con qualche dubbio avevano appoggiato la sua scelta di tacere su quel dettaglio.
«Non vedo l’ora, non sono mai stata in un cottage in montagna!» intervenne Anna entusiasta.
Amelia ritornò al presente grazie a quella frase.
«Nemmeno io, non l’ho ancora visto a dire il vero, ma mi hanno assicurato che è abbastanza grande per tutti.» spiegò con un sorriso «Volevo però chiedervi di prestare un po’ attenzione una volta lì, capite che non è casa mia.» aggiunse con una punta di imbarazzo.
Anche perché sarebbe parecchio imbarazzante fare casino dato che Alessandro lo scoprirebbe senza alcun dubbio… e la situazione sarebbe ancora peggiore di quanto non è ora, aggiunse nella sua mente – mantenne però un sorriso pacato, facendo finta che quei pensieri non la stessero cogliendo in quel preciso istante.
«Assolutamente Ame, non devi preoccuparti!» si affrettò a rispondere Sofia.
«Perfetto allora!»
Non ci fu altro tempo per perdersi in chiacchiere: la prof di italiano entrò un secondo dopo, intimando in maniera sgarbata di sedersi – evidentemente aveva una brutta giornata, si prevedeva una triste ora di lezione.
Ma non mi importa, oggi sarà una serata fantastica.
E non aveva ancora idea di quanto sarebbe stata incredibile…
 
 
«Tu dici che va bene?» pausa e un’altra occhiata allo specchio.
«Ti ho già detto di sì.»
«Sicura? Non vorrei essere troppo elegante, è solo una festicciola informale.»
Amelia osservò ancora un po’ il proprio vestito rosa cipria, dalla linea semplice e lo scollo tondo, le maniche lunghe con un leggerissimo pizzo a decorarlo; era lungo quasi fino al ginocchio, niente di troppo esagerato.
«Tranquilla Ame, è la tua festa di compleanno, va bene vestirsi più carine.» rispose Nicole seduta sul letto della mora e sbocconcellando delle patatine.
Erano le cinque e mezza e Nicole era lì già da varie ore – a dire il vero aveva direttamente pranzato a casa dell’amica, giusto per non rischiare di fare tardi e anche per aiutarla a scegliere l’abito adatto. A differenza dell’amica aveva optato per dei jeans e una camicetta con volant verde scuro.
«Se lo dici tu…» capitolò infine la mora, troppo stanca per continuare a scervellarsi se l’abito fosse adatto o no – alla fine era il suo compleanno, poteva permettersi di indossare qualcosa di diverso dal solito.
Per qualche minuto nessuna delle due ragazze parlò, Amelia troppo concentrata a trovare degli eventuali sbavi nel trucco, Nicole presa ad osservare la mora con lo sguardo un po’ perso.
«Mi fai paura quando mi osservi così.» disse infine la festeggiata, notando già da un po’ lo sguardo dell’amica attraverso il riflesso dello specchio.
«Scusa, ero persa nei miei pensieri!»
A quel punto la mora si voltò e, incrociando le braccia, fissò l’amica.
«Avanti, dimmi.»
Nicole fece un sorriso sbarazzino.
«Dirti cosa?»
«Non so, quello a cui stai pensando. Deve tormentarti parecchio se sei così silenziosa.»
Nicole sospirò e, dopo aver abbandonato la ciotola di patatine sul letto, finì per distendersi su di esso.
«Non ho nulla da dire in particolare, a dire il vero. Solo che non so, ho questa strana sensazione riguardo oggi.» disse semplicemente.
Amelia si avvicinò all’amica e si sedette a sua volta nel letto.
«Buona o brutta?»
«Nulla di che, a dire il vero. Non so, te l’ho detto. Anzi, mi sento una scema a dirtelo in questo modo.» bofonchiò con una smorfia la castana, consapevole di risultare confusa.
Amelia tacque.
«Mi stai facendo venire l’ansia.» ammise a un certo punto. Nicole si rizzò dal letto nel giro di un secondo, gli occhi spalancati dalla preoccupazione.
«Oddio, non era mia intenzione! Scusa, è solo una cosa che ho in testa, ma non so perché! Di sicuro andrà bene, tranquilla.» si affrettò a rispondere per poi poggiare una mano sulla spalla dell’altra.
Amelia la guardò di sottecchi.
«Sicura?»
«Assolutamente, te lo prometto.» pronunciò queste parole con un tono autorevole che fece scoppiare a ridere la mora «E poi, anche se dovesse succedere qualcosa, tranquilla che ci penso io!» aggiunse la castana.
Amelia si limitò a scuotere la testa con ancora un accenno di risa. Non ci fu tempo per aggiungere altro, perché un attimo dopo bussarono alla porta e, senza neanche aspettare un “avanti”, essa si aprì rivelando Serena – ah, la cara mamma, quando avrebbe capito che bussare è inutile se non si aspetta la risposta?
«Ragazze, sono arrivati Daniele e altri due ragazzi.» comunicò.
Amelia si illuminò in un sorriso e si alzò di scatto dal letto – Nicole, del canto suo, sollevò gli occhi al cielo per un attimo ma poi sorrise a sua volta.
«Scendiamo subito!»
Rapidamente, ognuna delle due prese la propria borsa per poi scendere al piano di sotto; lì, seduti sul divano – chi con più nonchalance chi con meno – stavano i tre giovani, già attorniati dalle premure di Serena che insisteva a chiedere se avessero bisogno di qualcosa.
«No, grazie signora.» diceva proprio in quel momento Stefano con un sorriso educato – Amelia, vedendolo, ringraziò che sua madre non fosse a conoscenza di chi fosse esattamente quel ragazzo (e non il fidanzato di Daniele, bensì una sua vecchia cotta), perché se no sarebbe stato tutto parecchio imbarazzante conoscendo la cara Serena.
«Ragazzi, siete in anticipo!» fece la mora avvicinandosi per salutarli.
«Scusa, pensavamo ci avremmo messo di più a rifornire e ad arrivare qui, invece abbiamo fatto piuttosto in fretta.» spiegò Stefano con un sorriso di scuse, gli occhi castani con una punta di imbarazzo addosso.
Tommaso, in un angolo e in silenzio, sembrava un po’ più a disagio degli altri dato che non li conosceva – subito però si avvicinò a Nicole che gli sorrise morbida.
«Tranquillo, non è un problema. Tanto siamo pronte.» affermò scrollando le spalle Amelia, per poi ricordarsi che non si conoscevano tutti tra di loro.
«Oddio, mi stavo dimenticando che voi non vi conoscete! Nicole, lui è Stefano, un compagno di scuola. Stefano, lei è Nicole, la mia migliore amica e lui è Tommaso, il suo ragazzo.» spiegò rapida, osservando i tre stringersi la mano e dire “piacere”.
Non disse nessun “lui è il ragazzo di Daniele” perché, a essere sinceri, Nicole non era a conoscenza dell’omosessualità dell’amico; aveva preferito non dirglielo perché pensava che fosse una cosa privata del ragazzo e non voleva essere lei a rivelarlo in quel modo – oltretutto, Daniele non aveva neanche fatto propriamente coming out, quindi non sarebbe stato il caso. Non ultimo di importanza, c’era un piccolo dettaglio: Daniele le aveva chiesto di non rivelarlo a nessuno e avendoglielo promesso non poteva tradirlo in quella maniera. Nicole era sì la sua migliore amica, ma quelli erano fatti di Daniele e non di altri.
«Gli altri?» intervenne a quel punto Daniele, che aveva appena bofonchiato “ciao” a Nicole senza perdersi in altri convenevoli – Nicole aveva ricambiato la gentilezza.
«Anna e Sofia arriveranno per le sei suppongo.» rispose Amelia ignorando lo scambio poco amichevole tra i suoi due più cari amici; guardò poi l’orologio «Fra un quarto d’ora circa, quindi.»
Non fece in tempo a finire di dire quelle parole che il campanello risuonò nel salotto.
«O forse sono arrivate già adesso.» disse ironica.
«Vado io!» urlò alla madre che già si stava precipitando ad aprire la porta – era tutto il giorno una trottola che non si fermava, preoccupandosi del cibo, delle bevande, di qualsiasi cosa avrebbe dovuto portare Amelia al cottage.
Aprì la porta in uno scatto, il sorriso stampato in volto – era il suo compleanno! – e proprio quel sorriso le morì in volto due secondi dopo.
«…che ci fai tu qui?»
Nicole aveva ragione a dire “ho una strana sensazione”. D’altronde, ci aveva sempre visto più lungo di lei, anche se ad Amelia non piaceva ammetterlo. Nonostante ciò, anche in quella situazione la sua migliore amica aveva visto correttamente: sarebbe successo qualcosa.
Anzi, quel qualcosa era già successo dato che si ritrovava Alessandro Angelis di fronte alla propria porta, la testa china in un moto di imbarazzo e disagio, la bocca stretta in una linea rigida di disapprovazione e gli occhi freddi come il metallo.
Proprio quegli occhi però si sciolsero per qualche attimo al vederla, finendo per percorrere il suo corpo con delicatezza e tepore – ma fecero venire un leggero brivido alla ragazza, che si accorse chiaramente di quello sguardo.
«Ciao.»
Infine, il giovane parlò – ma non era la risposta che Amelia voleva, nonostante le fu utile per accorgersi la propria mancanza di educazione nell’averlo apostrofato in maniera davvero poco gentile.
Comunque fosse, non riuscì ad aggiungere altro oltre a quella domanda che le era uscita spontanea; a quel punto Alessandro dovette comprendere di dover rispondere.
«Mio padre ha avuto un imprevisto e non può accompagnarvi, mia madre adesso lavora. Hanno mandato me per portarvi al cottage.» spiegò rapidamente.
Nonostante la spiegazione, Amelia proprio non riuscì a spostarsi dalla porta per farlo passare. Non riuscì a comportarsi normalmente, perché dentro di sé era come sempre un tumulto di emozioni a cui non riusciva a dare un nome o un ordine. Continuava a essere una statua di sale e non poteva impedirselo – non poteva impedirsi di tacere e svegliarsi dallo stato di trance in cui era caduta.
«Ame, quanto ci metti?»
La voce di Nicole fu quello che le serviva per risvegliarsi e si volse istintivamente verso il corridoio, trovando l’amica che si era bloccata a sua volta resasi conto di chi ci fosse.
«Nicky…» finì per bisbigliare Amelia.
L’amica dovette rendersi conto dei fanali che in quel momento la mora aveva al posto degli occhi, perché si affrettò a prendere in mano la situazione al suo posto.
«Guarda chi si rivede. Che ci fai qui?»
Il tono fu immediatamente aggressivo e a quelle parole Alessandro divenne ancora più rigido.
«Come stavo dicendo ad Amelia» sentendo il proprio nome, la mora si fece ancora più piccola «mio padre ha avuto un problema e mi ha chiesto di venire al suo posto per portarvi al cottage.»
«Che fortuna.»
Nicole non tentò minimamente di nascondere il tono grondante di sarcasmo in quella frase che le era sfuggita prima di potersi frenare, si limitò a fare un finto sorriso di cortesia e a rimanere nel corridoio a braccia incrociate, gli occhi che lanciavano lampi di odio.
Avanti Ame, svegliati.
Dentro di sé, la mora cercava di farsi forza – non poteva stare lì zitta senza far nulla! Oltretutto ora ci sarebbe stato l’imbarazzante teatrino in cui avrebbe dovuto spiegare a Stefano perché il loro caro prof di matematica e fisica era lì a casa sua. L’avrebbe dovuto spiegare anche ad Anna e Sofia, che imbarazzo!
«Sarebbe meglio che entri, allora.» finì per dire, spostandosi da un lato per farlo passare.
Alessandro non disse nulla, fece solo un cenno con la testa prima di entrar bofonchiando un vago “permesso” di cortesia. Si diresse poi in salotto anche solo prima che Amelia potesse fargli strada – la disgrazia era già annunciata se si comportava in quel modo.
La mora si affrettò a seguirlo insieme a Nicole.
«Aspetta!»
Troppo tardi: era già entrato nel salotto e sia Daniele che, soprattutto, Stefano, si erano zittiti all’improvviso scioccati.
«…prof?»
Stefano fu il primo a parlare – Daniele era corso a guardare Amelia, immobile e cerea dietro l’adulto che teneva le mani in tasca e sembrava volesse essere in qualsiasi altro posto rispetto a lì, anche se c’era da ammettere che mostrava una certa nonchalance in tutto quello.
«Martini.» fu la loquace risposta di Alessandro in direzione di Stefano, che proprio non riusciva a risvegliarsi dalla semi-trance in cui era caduto.
«Professore.» disse Daniele a quel punto – lui si lasciò andare anche in un sorriso gentile, già sapendo il motivo per cui il professore si sarebbe potuto trovare lì.
A quel punto però, Amelia si sentì obbligata a spiegare, ma prima che potesse anche solo intavolare una conversazione il campanello suonò nuovamente – e questa volta potevano essere solo Anna e Sofia.
La ragazza corse alla porta – fai in fretta, fai in fretta – e aprì rapida, trovandosi le due ragazze allegre e sorridenti.
«Ehi Ame! Non saremo arrivate troppo in anticipo, vero?» disse subito Sofia.
Amelia si costrinse a sorridere.
«No, non preoccupatevi, siete in perfetto orario.» disse rapida, poi si lanciò uno sguardo alle spalle e si rivoltò di nuovo verso le altre, questa volta senza nascondere l’aria ansiosa «Sentite, so che adesso vi sembrerà una situazione un po’ strana, però comportatevi normalmente, ok?» disse mangiandosi le parole, poi si spostò per farle entrare.
Le due ragazze le rivolsero un’occhiata confusa.
«Cosa intendi?»
«Capirete.» rispose solo.
Fece loro strada fino al salotto e quel punto le altre due non ebbero nulla da aggiungere: trovarsi di fronte Angelis fu uno spavento abbastanza grande da lasciarle senza parole.
In quei pochi istanti di generale silenzio, Amelia si permise di osservare la situazione e morire dentro.
Era nel proprio salotto, con i suoi migliori amici e compagni di scuola, pronta per festeggiare il suo diciannovesimo compleanno. Doveva essere una serata perfetta, fantastica e senza preoccupazioni, e invece chi c’era a rovinare quel bel quadretto? – l’unico che si salvava, in tutto quello, era Tommaso e ringraziava il cielo almeno per quello.
Lo scopriranno. Scopriranno che c’è qualcosa che non va tra me e lui. Sarà un casino.
Doveva fare come se nulla fosse, doveva mostrare la cosa com’era veramente: ovvero una semplice coincidenza tra amici di famiglia.
No, non è solo una coincidenza. Non tutto questo.
Sentì la mano di Nicole correrle sulla schiena – un invito a fare qualcosa, a non tacere in quella maniera di fronte alla situazione che si faceva ogni secondo più imbarazzante.
«Ragazzi, so che la cosa sembra parecchio strana…»
Finalmente parlò e sentì la propria voce acuta e stridula – fece un risolino che suonò parecchio isterico e Nicole le si avvicinò ulteriormente.
«Però, ecco, prima che ci possano essere fraintendimenti o cose del genere» e lì si bloccò perché poté chiaramente percepire l’occhiata più che scettica di Alessandro, che la perforò in un modo tale da sentirsi trafitta da una spada «il prof è figlio di quegli amici di famiglia che mi hanno prestato il cottage per la festa.» tacque, guardando le reazioni degli amici.
Nessuno parlava, tutti – esclusi Nicole e Daniele, che già conoscevano la situazione – si guardavano tra di loro in silenzio e con un lieve disagio addosso.
«Quindi, ecco, direi…» si interruppe, non sapendo più come continuare.
Sentiva il disagio e l’ansia serpeggiarle addosso – le mani erano sudate, il cuore le sembrava rimbombare nelle orecchie e voleva solo fuggire da lì. Peccato non potesse.
«Quello che Amelia sta dicendo…»
Qualcuno parlò, e di certo la mora non si aspettava fosse proprio Alessandro a prendere in mano la situazione. Si girò verso di lui e lo vide assumere un sorriso tiepido, più informale, più leggero – il sorriso che si usa per mettere qualcuno a proprio agio.
«…è che in questo momento evitiamo imbarazzi del genere “sono il vostro professore”. Per una serie di coincidenze i nostri genitori si conoscono e fuori dalla scuola, in una circostanza del genere, mantenere i toni formali sarebbe peggio per tutti, quindi fate finta di nulla e chiamatemi Alessandro, ok?»
Le parole del prof ebbero il potere di sollevare di un poco la cappa di disagio generale che si era creata e Amelia non poté che sentirsi grata in quel momento per averla aiutata. Si permise di osservarlo, di vederlo in quella giacca casual che ormai riconosceva addosso a lui quando erano fuori da scuola; i capelli leggermente in disordine, lo sguardo rilassato, il sorriso accennato.
Tutti sembrarono stupiti di notarlo in quelle vesti, ma la mora sapeva quanto fosse in grado di mettere a proprio agio, se solo lo avesse voluto – purtroppo lei era una categoria a parte per colpa di quella stupida cotta che aveva.
«Va bene… Alessandro?»
Stefano parlò e il tono interrogativo che utilizzò con il nome del prof fece ridacchiare più o meno tutti e sollevare gli occhi al cielo proprio al prof, il cui sorriso divenne il ghigno che Amelia tanto adorava.
«Anche senza il punto di domanda, Stefano.» lo prese in giro.
A quel punto l’atmosfera tesa sembrò essersi sciolta abbastanza ma Amelia fu comunque grata della comparsa di Serena che, proveniente dalla cucina, riconobbe l’uomo e l’osservò stupita.
«Alessandro? Che ci fai qui, non doveva venire Michele?»
«Mio padre ha avuto alcuni problemi e ha mandato me, spero non sia un problema.» fu la pronta e cortese risposta dell’uomo, data mentre Serena si sporgeva per dargli due baci sulla guancia.
«Certo che non è un problema, solo non me l’aspettavo!» rispose a sua volta la donna – poi si voltò verso i ragazzi con un luminoso sorriso «Beh, vedo che ci siete tutti! Io ho tutto pronto, se volete potete anche andare!»
Dopo cenni di assenso generale, tutti iniziarono a uscire, tranne Amelia e Nicole che aiutarono Serena a prendere le cose dalla cucina e anche Alessandro, che si offrì volontario per aiutarle.
Fuori di casa Amelia riconobbe al volo la macchina dell’uomo – il ricordo delle poche volte in cui aveva finito per salirci le venne in mente e proprio non riuscì a togliersi dalla testa il bacio scambiato quella sera di San Valentino.
«Tutto bene? Stai arrossendo.»
Il bisbiglio di Nicole la fece sobbalzare e arrossire ancora di più.
«Sì, sì, tranquilla.» si affrettò a rispondere – non era per nasconderle i propri pensieri, più che altro non voleva rischiare che qualcuno sentisse qualcosa.
Dopo aver aiutato la madre a dividere le varie cose tra le due macchine, però, si bloccò incerta proprio tra le due auto.
Merda.
E ora? Dove cavolo saliva?
La sua intenzione era stata, in teoria, quella di andare con Michele: era l’unica che lo conosceva e inoltre a lei doveva affidare le chiavi e il resto, comunque fosse aveva pensato fosse il caso di andare con lui. Sempre nella sua testa, aveva pensato di dividere i propri amici così: Daniele sarebbe andato ovviamente con Stefano, e dato che Nicole e Daniele non andavano d’accordo, lei e Tommaso sarebbero andati con lei e (in teoria) Michele, mentre Anna e Sofia con Stefano e Daniele.
Peccato che ora quello schema andava felicemente al cesso, dato che non moriva dalla voglia di farsi un viaggio di un’ora e mezza a fianco di Alessandro – anzi, a dire il vero moriva dalla voglia, ed era proprio quello il problema!
Dio, perché mi vuoi così male? Cosa ho fatto per meritarmi questo il giorno del mio compleanno?
Mentre dentro la sua testa piagnucolava, Nicole intervenne per riprendere in mano la situazione – si vedeva che leggeva dentro la testa dell’amica, avrebbero dovuto farla santa per tutto quello che stava facendo.
«Beh, quindi, direi che possiamo andare, no?» annunciò la castana, e dicendo questo tirò praticamente Amelia verso l’auto di Stefano, già davanti all’anta del guidatore. Prima che potessero però entrare però Anna si lanciò per fermare la mora per un braccio.
«Ame…» la ragazza sussurrò a disagio «Ti dispiacerebbe se andassimo noi con Daniele? Non credo sarei a mio agio con Angelis in macchina.»
No. Ti prego, no.
Amelia tacque, incapace di dire qualcosa. Nicole era già sul punto di sbottare – e che palle, le stavano rovinando i piani! – quando la mora decise di svegliarsi.
«Ok, nessun problema.»
La castana le lanciò un’occhiataccia – io mi impegno per te e tu mi aiuti così? – ma notò lo sguardo di Amelia e non poté fare altro che arrendersi. Perché per quanto sarebbe stata una tortura, la mora voleva passare del tempo con Alessandro. Anche se sarebbe stato orribile e fantastico allo stesso tempo.
E dato che non c’è limite al masochismo – di cui Amelia è un esempio – la ragazza finì per sedersi davanti, al fianco del posto del guidatore, mentre dietro si sedevano Nicole e Tommaso in silenzio.
Ci furono alcuni minuti di attesa, in cui Alessandro spiegò più o meno a Stefano la zona in cui si sarebbero diretti – osservare l’espressione seria e a disagio del ragazzo era impagabile, tutto il contrario di Alessandro che sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione – e anche nei quali Serena si dilungò nelle solite raccomandazioni ad Amelia, che annuiva con aria convinta e lo sguardo perso altrove.
«So che è un suicidio questa situazione, però aiutami, ok?» il bisbiglio tremolante della mora arrivò alle orecchie di Nicole che le lanciò uno sguardo accigliato.
«Ovvio, per chi mi hai preso?» poi si voltò verso Tommaso che aveva assistito alla scena con la confusione stampata in volto – non aveva la minima idea di che cosa stesse succedendo «Tu dammi corda in qualsiasi caso senza fare domande, ok? È una missione di salvataggio, questa.» il tono suonò secco e assolutamente serio nella bocca di Nicole e mentre il ragazzo annuiva – non che potesse fare altro, d’altronde – la mora finì per andare a sedersi davanti.
Un minuto dopo la portiera si aprì e Alessandro entrò in auto.
Com’è che fa così caldo qui dentro?
La gola era secca e sentiva la giacca di troppo; non riusciva a trovare una posizione comoda – era come se qualcuno avesse messo delle puntine nel sedile.
«La cintura.»
La voce secca di Alessandro la fece scattare come un coniglietto spaventato e lo guardò terrorizzata.
«Eh?»
La solita occhiata scettica del moro la fece sentire ancora più a disagio.
«La cintura, ho detto.»
Amelia non poté fare altro che chinare la testa e fare come le era stato suggerito implicitamente.
«Magari senza quel tono da bastardo, che ne dici?»
Nicole intervenne con voce soffice dai sedili posteriori e Alessandro la osservò dallo specchietto retrovisore senza rispondere – c’erano due dialoghi in quella situazione. Uno apparante e l’altro fatto di insulti e offese che si scambiavano mentalmente Nicole e il professore, mentre Amelia cercava di non peggiorare la situazione. Tommaso poteva coglierne solo uno, per sua (s)fortuna.
In un certo modo, era assurdo la nonchalance con cui Nicole parlava al prof. Certo, non era nessuno per lei, solo l’uomo che aveva spezzato il cuore alla propria migliore amica – però altre persone si sarebbero comunque trattenute dal rispondere in quel modo a un adulto e, soprattutto, a un professore.
Per fortuna c’è lei, pensò sollevata Amelia, ma si premurò comunque di lanciarle un’occhiataccia per rimproverarla delle parole usate – un po’ di educazione, se no si passa dalla parte del torto! – sguardo che la castana evitò con abilità consumata.
Il tragitto in auto fu incredibilmente silenzioso, perlomeno in un primo momento. Il velo di imbarazzo permeava l’interno dell’auto in una maniera quasi appiccicosa – come sudore in un’assolata e umida giornata di luglio – e Amelia sentì la fastidiosa necessità di lavarsi le mani senza un motivo apparente; come un modo per levarsi l’ansia di dosso.
Per fortuna, dopo dieci minuti di tragitto, Nicole intervenne e si mise a chiacchierare del più o del meno, sotterrando per il momento l’ascia di guerra puntata contro il professore – chiacchiere che coinvolgevano Tommaso e Amelia, ma non di certo Alessandro che però non sembrava particolarmente in vena di chiacchiere. Anzi, ad Amelia parve che fosse infastidito anche solo per quel basso cicaleccio – o almeno era quello che aveva capito nel breve momento in cui si era azzardata a lanciare uno sguardo in sua direzione. Aveva trovato il bel viso corrucciato e cupo, la bocca stretta in una linea retta, le braccia e le mani tese sul volante.
Dentro di sé sospirò.
Ormai avrebbe dovuto essere abituata alle situazioni assurde in cui si ritrovava invischiata, eppure ogni giorno che passava la sua vita assumeva sempre di più le sfumature di una commedia tragicomica. Tragica per lei, comica per tutti gli altri.
«Quindi lei è il professore di Amelia?»
La domanda di Tommaso emerse nel discorso creando un’atmosfera di gelo.
Gelo che si diramò così in fretta che Amelia divenne tanto bianca da sembrare precipitata in ipotermia.
Dopo la domanda fu il turno di uno schiocco secco e un gemito di dolore che non fu represso in tempo.
«Sì.»
La risposta secca di Alessandro giunse dopo questi attimi di breve confusione mentre Amelia dava un’occhiata nei sedili posteriori con lo specchietto retrovisore – specchietto che le restituì la visione di Nicole che sibilava qualcosa al ragazzo con aria alquanto minacciosa.
Dopo quella disastrosa domanda Tommaso non si azzardò più a proferire parola, optando per un molto più dignitoso silenzio, e stranamente anche Nicole si zittì, presa da qualcosa al cellulare. Ad Amelia non passava nemmeno per l’anticamera del cervello di intavolare una conversazione, e Alessandro fingeva di essere così concentrato a guidare da non avere il tempo neanche di voltarsi per un momento.
Si preannuncia proprio un compleanno fantastico.
 
 
Il tragitto sembrò molto più lungo di come fu davvero, ma la sensazione di imbarazzo, disagio e gelo non venne minimamente scalfita da alcunché, motivo per il quale il resto del percorso proseguì in silenzio.
Quando, dopo una stretta stradina in montagna, si iniziò a vedere un grazioso cottage in legno, Amelia non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo – si accorse troppo tardi di essere stata fin troppo rumorosa in quel gesto, dato che si accorse dell’occhiata obliqua che ricevette dall’uomo alla guida.
Lanciò un’occhiata nervosa al telefono: erano le sette e mezza, doveva resistere solo un altro po’ e a quel punto sarebbe stata da sola, con i suoi amici, senza di lui.
Sentì la macchina che frenava sulla terra mischiata a sassolini ed erba, un lieve polverone si sollevò attorno a loro e mentre Alessandro accostava e spegneva la macchina si udì l’auto di Stefano giungere dietro di loro e fermarsi.
Amelia non ci pensò un secondo: al volo si slacciò la cintura e si lanciò fuori dall’auto, ignorando la polvere che la fece in un primo momento tossire e lacrimare gli occhi truccati su cui aveva impiegato quasi tutto il pomeriggio. Dietro di lei sentì Nicole e Tommaso seguirla con più calma, e infine anche Alessandro scese dall’auto.
Voglio una sigaretta, pensò nervosa.
«Ma questo posto è favoloso!»
La voce trillante di Anna la svegliò dai pensieri cupi e ansiosi che l’avevano avvolta e si voltò rapida verso il cottage – perché, in effetti, era così presa dall’ansia che non l’aveva nemmeno guardato.
Non poté evitare di spalancare un po’ la bocca presa dalla sorpresa.
Il cottage era assolutamente incantevole: organizzato su due piani, totalmente in legno scuro, oltre a estendersi in altezza lo faceva anche in larghezza, dando l’idea fosse parecchio grande. Varie finestre non mostravano l’interno a causa di tende bianche che oscuravano la vista e le pareti esterne in cui erano incastonate erano parzialmente ricoperte di edera rampicante che dava il giusto tocco di colore in una casa che sarebbe sembrata senz’altro più cupa. La porta d’entrata si affacciava su un porticato lungo e limitato da un recinto in legno, perfetto per porre dei tavolini e delle sedie durante l’estate.
Il tutto era immerso in mezzo a una foresta che però lasciava un discreto spazio attorno, come un cerchio al cui interno vi era appunto posto il cottage, e l’unico punto da cui si poteva giungere era la stradina che si diramava verso il basso, per ritornare ai piedi della montagna.
«Fantastico.» si lasciò sfuggire la mora ancora rapita dal paesaggio.
«Mi fa piacere che ti piaccia.»
La frase fu detta a un tono così basso che Amelia era sicura di essere stata l’unica a sentirla, ma non poté evitare di voltarsi verso il giovane professore che si era soffermato su di lei con un sorriso così tiepido da sembrare triste.
Amelia deglutì a vuoto e si affrettò a raggiungere gli altri, ignorandolo.
Non farci caso, non badare al modo in cui ti ha guardata.
Ma era difficile farlo, quando i suoi occhi continuavano a essere morbidi su di lei. Era difficile, quando talvolta la guardava con tutta l’indifferenza del mondo e poi scioglieva il metallo dei propri occhi in delle sfumature così calde che Amelia temeva di rimanerne scottata anche a distanza.
«Allora, prima di tutto direi che dovremmo scaricare le cose dalle macchine.» proruppe in mezzo agli altri con sorriso luminoso – fingere, fingere, fingere che non fosse successo nulla.
«C’è qualcosa di pesante? Ti do una mano.» intervenne Stefano gentile e Amelia approfittò del ragazzo per avvicinarsi all’auto di Alessandro e aprire il bagagliaio con finta nonchalance, tutto questo mentre l’uomo si avvicinava al cottage e, dopo aver tirato fuori un mazzo di chiavi, apriva la porta e spariva al suo interno.
Per vari minuti tutti furono occupati a prendere le cose dall’auto, dividendosele tra di loro per non far affaticare nessuno, infine entrarono all’interno nel quale la luce era già stata accesa da Alessandro, sparito non si sa dove.
«Dentro è anche più bella di come immaginavo.» sfuggì a Daniele sorpreso.
Amelia non poté che dargli ragione.
La prima sala su cui si affacciavano era senza alcun dubbio il salotto: al centro troneggiava un tavolino basso ampio di legno e col piano in vetro, sotto il quale stava un tappeto grigio perla che ricopriva parzialmente il parquet. Su tre lati vi erano un divano a penisola e due poltrone reclinabili, mentre contro la parete era esposto un grande camino elettrico dalla bordatura in legno.
«Questi dove li mettiamo?» chiese Sofia nelle retrovie, accennando alle buste cariche di cibo preparato da Serena.
Prima che Amelia potesse rispondere – e la sua risposta sarebbe stata un candido “non ne ho idea” – ricomparve Alessandro da una stanza lungo il corridoio a sinistra.
«Venite, da questa parte c’è la cucina.»
La cucina era abbastanza normale, seppure costruita quasi del tutto in legno come il resto. Al centro però un grande tavolo rustico forniva un eccellente piano da lavoro per chiunque si fosse voluto dare da fare per cucinare.
In breve tempo tutti poggiarono le pietanze sul tavolo e alcune vennero messe in frigo. Nicole mise infine con discrezione una grossa borsa in un angolo.
«Allora…»
La voce di Alessandro proruppe nella cucina in cui tutti si ritrovarono e Amelia non poté fare a meno di irrigidirsi – con la coda dell’occhio vide che Anna, Sofia e Stefano avevano assunto la medesima posa di disagio, mentre Daniele pareva del tutto a suo agio come Tommaso e Nicole. Quest’ultima, magari, aveva giusto un’aria un po’ bellicosa.
«Al piano di sopra ci sono le camere, ci sono due bagni – uno di sotto e uno di sopra – che potrete vedere appena fate un giro per la casa. Mia madre mi ha detto di dirvi di usare lenzuola e coperte come vi pare.» si fermò un attimo, concentrandosi per ricordare cos’altro dovesse aggiungere «Ah, il camino di sotto è elettrico, c’è un telecomando e le istruzioni in salotto, comunque non è difficile da azionare. Il riscaldamento è automatico, l’ho già acceso io e l’ho impostato per ventitré gradi.» riassunse ancora.
Poi tacque, forse alla ricerca di altre cose da aggiungere. Si voltò poi verso Amelia.
«Queste sono le chiavi, le affido a te. Ti consiglio di chiudere la porta a chiave di notte, per sicurezza, anche della porta del retro. Domani arriverà mio padre sul pomeriggio, così avrete tutto il tempo di riprendervi.»
Quest’ultima frase fu detta con un sottile tono beffardo che fece irritare Nicole e sbuffare Amelia.
«Non mi pare ci sia altro da aggiungere, quindi tolgo il disturbo.» concluse secco.
Non aspettò che qualcuno aggiungesse qualcosa: si diresse verso l’uscita venendo però seguito da Amelia, mentre gli altri già si rilassavano sul divano dopo il viaggio.
«Alessandro!»
Richiamarlo fu più forte di lei e la sua voce si infranse nella piccola radura esterna. L’uomo era già di fronte alla sua auto quando si fermò e si voltò verso di la ragazza.
«Grazie.»
La fissò e, come prima, gli occhi di lui parvero sciogliersi in metallo fuso mentre l’espressione, dapprima indifferente, si scomponeva in un vago sorriso.
«Prego.»
Grazie, prego, fine.
Non vennero aggiunte altre parole e ad Amelia non rimase che osservarlo entrare in macchina, indossare la cintura e accendere il motore. Si voltò nell’esatto momento in cui partì – perché ci devi rimanere male se se ne va? D’altronde, lui non c’entra in tutto questo – e la mano era già sulla maniglia della porta quando successe il fatto.
Nel futuro, Amelia avrebbe sempre ringraziato la sfiga quanto mai provvidenziale di quella giornata, anche se in un primo momento avrebbe fatto volentieri scendere tutti i santi dal paradiso.
Non che poteva farci qualcosa però, nel momento in cui sentì un suono forte e improvviso che la fece sobbalzare e quasi cacciare un urlo. Si voltò rapida e la comprensione di ciò che era appena successo la colse prima anche di poter reagire.
La ruota.
«Cazzo.»
L’imprecazione le sfuggì mentre rimaneva immobile.
«Che è successo?»
L’esclamazione spaventata di Nicole la raggiunse in fretta insieme agli altri amici, tutti accorsi dopo il funesto rumore che aveva ghiacciato il sangue nelle vene non solo ad Amelia, ma anche ad Alessandro che spense il motore e scese dall’auto con un’invidiabile calma e un’espressione statica.
Tutto questo per vedere la ruota posteriore sinistra completamente sgonfia e a terra.
«Oh, cazzo.» soffiò a fianco a lei Daniele, subito seguito da Stefano.
Ci furono secondi di assurdo silenzio mentre tutti prendevano coscienza di ciò che era appena successo, silenzio puntellato appena dal frusciare dei pini e degli abeti sempreverdi che circondavano il cottage.
Il primo a svegliarsi in tutta quella situazione fu Tommaso, che accorse dal giovane prof con aria di partecipazione.
«Dio santo, ma cosa ha beccato per bucarsi così?» esclamò il giovane mentre si chinava per osservare la foratura.
Dopo qualche minuto di ricerca, si scoprì il colpevole.
«Un chiodo.» sussurrò Nicole che si sporgeva per vedere cosa tenesse in mano il ragazzo.
E non un chiodino da nulla, di quelli che pesti e si piegano come plastica, ma un gran pezzo di chiodo, lungo e arrugginito, perfetto per bucare una ruota e lasciare il caro professorino nella merda.
«Ha il ruotino?»
«No.»
La domanda di Stefano ricevette una risposta alquanto secca da Alessandro, già pronto con il cellulare.
«Non preoccupatevi, chiamo il carroattrezzi, nel giro di un’ora saranno qui.» disse spiccio – evidentemente anche lui non fremeva dall’idea di trattenersi troppo.
Amelia, nel frattempo, sentiva l’isteria che la avvolgeva e dovette iniziare a trattenere i primi scoppi di risa nevrotici – perché era assurdo che tutto sembrasse volgere nel peggiore dei modi. Era totalmente impossibile una quantità di sfiga del genere.
«Ehi, Ame, stai calma. Dai, adesso chiama il carroattrezzi e vedrai che sparisce, non preoccuparti.» sussurrava di fianco a lei Nicole, mentre le carezzava con gentilezza la schiena, attenta a non farsi udire da Anna e Sofia che osservavano in silenzio la scena.
«Sta andando tutto di merda…» piagnucolava nel frattempo la mora.
«Ma smettila! Vedrai, si mette tutto a posto!»
Invece a posto non si sarebbe messo proprio un cazzo, belle mie.
Perché quando Alessandro chiuse la chiamata con il volto ancora più scuro e gli occhi di nuovo di metallo che lanciavano imprecazioni e maledizioni per aria, tutti compresero più o meno al volo che aria tirava.
«Hanno detto che alle otto di sabato non vengono, dovrò aspettare domani o al massimo lunedì.» spiegò per il bene comune.
«Fottuti bastardi.»
Queste ultime due parole vennero aggiunte a voce bassa, ma tutti le sentirono chiaramente e se Amelia aveva già sentito il suo caro prof pronunciare parole non propriamente adatte a un insegnante, gli altri suoi compagni di scuola rimasero visibilmente atterriti.
«Potrei darle un passaggio…»
La voce di Stefano si levò piuttosto fiacca dal gruppo e tutti si voltarono verso di lui.
«Sono già le otto, il tempo di tornare in città e rivenire qua e sarebbero come minimo le dieci!» protestò Daniele con irritazione.
Amelia tacque, ma l’occhiata di Nicole fu piuttosto chiara: ha ragione.
E grazie al cazzo, sapeva che l’amico aveva ragione. Eppure, nonostante questo, avrebbe solo voluto che Alessandro sparisse per lasciarla festeggiare il suo compleanno in santa pace con i propri amici.
Ma si sa, in certe situazioni il senso di colpa prevale – in quel caso, anche un istinto suicida in sottofondo, perché come si è spesso ripetuto Amelia è masochista.
Fu tutto quello che la spinse ad aprire la bocca mentre l’istinto le creava dei cartelli al neon in testa con delle frecce luminose sulla parola “TACI”.
«Ha ragione.»
Parlò e la voce non le sembrava nemmeno la sua – la sua mente era così tanto in fibrillazione che stava per andare in corto circuito, e l’occhiata stralunata di Alessandro non migliorò di tanto la situazione.
«Direi che è più probabile che tu tornassi anche dopo le dieci, e per quanto a quell’ora di certo non siamo già andati a dormire non voglio farti fare tutta quella strada.» aggiunse, ma poi si ritrovò a fissare il professore «Certo, se però qualcuno deve assolutamente tornare a casa stasera…»
E l’occhiata che Alessandro le rivolse diceva chiaramente che sì, lui voleva tornare. Ma, come detto prima, i sensi di colpa in certe situazioni fanno fin troppa leva nelle persone e si finisce per fare l’esatto contrario di quello che si vorrebbe in realtà fare.
«No, direi di no.» rispose il moro.
«Bene, allora rimarrai qui con noi.» disse Nicole.
E quella frase sanciva così tante cose che Amelia non ne aveva idea.
Era a conoscenza solo di una di esse: la sua condanna.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ~ Di compleanni (ancora) e notti insonni ***


E dopo una settimana, come (quasi) promesso, eccomi di nuovo qui!
Avrei voluto aggiornare stamattina, poi nel primo pomeriggio, poi sono stata fuori e non ho potuto che aggiornare ora… Comunque sia, sono stata brava, dai!
Ci siamo lasciati con la “triste” notizia che Alessandro è costretto a rimanere nel cottage per il compleanno di Amelia, ma chissà cosa succederà durante la serata… La notte è lunga e le possibilità sono davvero diverse. Sta a voi ora leggere e vedere cosa accadrà davvero.
Non mi tratterrò ancora per parlare del nulla, vi informo solo che questa settimana dovrei essere abbastanza impegnata e quindi non sono sicura di riuscire a pubblicare proprio lunedì, ma confido nella fortuna.
Quindi, come al solito, buona lettura e alla prossima!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventuno
~
Di compleanni (ancora) e notti insonni
 
 
 
Dio, spiegami perché mi stai punendo in questo modo.
Questo era l’unico pensiero che Amelia aveva in testa ormai da mezzora, mentre vagava per il cottage come un’anima in pena, lo sguardo mogio e triste, le spalle curve come sotto il peso di un masso troppo grande per il suo corpo fragile.
Dopo la tremenda decisione presa, tutti erano rimasti in silenzio per alcuni minuti, in imbarazzo, senza sapere bene cosa dire. Amelia era di certo quella più in crisi, anche se non poteva di certo sapere quello che frullava nella testolina del caro professore, che teneva i denti così stretti da far pensare che stesse trattenendo tutte le bestemmie possibili e immaginabili.
Alla fine, però, era stato proprio lui a prendere in mano la situazione – non Amelia, atterrita e ghiacciata sul posto, né Nicole, incapace di trovare una situazione in quel casino. Con un tono che a malapena nascondeva l’irritazione provata, Alessandro aveva affermato che “per fortuna” aveva in macchina i compiti in classe da correggere, motivo per il quale si sarebbe rintanato in una delle stanze al piano superiore e sarebbe rimasto rinchiuso lì fino al giorno successivo, promettendo che non li avrebbe disturbati e che si sarebbero dovuti sentire comunque liberi di fare quello che volevano.
«La fa facile lui.» aveva bofonchiato Stefano, che in quella situazione si sentiva ancora parecchio in colpa per non aver accompagnato il professore fino in città.
«Fregatene, non è un tuo problema.» l’aveva ripreso Daniele con aria seccata.
Mentre gli altri stavano nel salotto a godersi il tepore del camino elettrico, Amelia sbatteva la testa sul tavolo della cucina, nella speranza che prima o poi potesse svenire e non assistere al disastro annunciato.
«Suvvia, Ame, riprenditi! Capisco che non era esattamente quello che avevi programmato, però non puoi nemmeno lasciare che vada tutto a rotoli solo per questo inconveniente.»
La voce di Nicole la fermò per un attimo dalla sua ritmica penitenza.
«Inconveniente?» mormorò isterica «Tu questo lo chiami “inconveniente”? Questo non è un “inconveniente”, è un fottuto disastro
Mancò poco che strillasse quella frase, ma fu ben presto linciata da un’occhiata di Nicole, che dopo ciò si avvicinò a lei e la costrinse a stare dritta.
Poi, prima che la mora potesse dire o fare qualcosa, un sonoro schiaffo le arrivò sulla guancia destra – il pizzicore fu recepito solo dopo qualche istante, prima la mente della festeggiata dovette registrare il movimento dell’amica.
«Senti» il tono della castana ora era fermo, duro e irremovibile «posso immaginare come tu ti senta: il deficiente che ti ha respinta solo qualche settimana fa ora è qui, e non solo: è il tuo professore, sì, ma anche quello dei tuoi amici che stanno proprio di là e che tu stai mollando soli come dei cani.» tacque un attimo, per vedere se l’amica la stava ascoltando. Dopo aver pensato che lo sguardo perso di Amelia fosse un responso sufficiente, continuò.
«Non puoi farci nulla. Né tu, né io, né gli altri. So che ti senti in qualche modo responsabile, ma non ne hai motivo e di certo gli altri di là non pensano che questo sia colpa tua. Però comportandoti così, lasciandoli soli mentre questa dovrebbe essere la tua festa – e sottolineo festa – di compleanno, di certo non migliori la situazione. Quindi riprenditi e vai da loro: mettiamo della musica, mangiamo, beviamo e ci divertiamo come dei liceali privi di preoccupazioni. Sono stata chiara?»
Il silenzio improvviso che ne seguì fece pensare a Nicole che Amelia non avesse minimamente seguito il suo discorso, ma appena un attimo prima che le urlasse addosso di ascoltarla, la mora la fissò con una nuova luce negli occhi.
«Hai ragione. Mi sto comportando di merda.» ammise a bassa voce, per poi sfumare la propria espressione in un sorriso tiepido «Ho invitato te e i miei amici e voglio farvi passare una bella serata, anche se Alessandro è di sopra e potrebbe sentire tutto quello che succede.» tacque un attimo, facendosi pensierosa «Comunque, non credo che la situazione possa andare peggio di com’è ora, quindi direi che l’unica opzione che ho è quella di fregarmene.» concluse.
A quelle parole Nicole non poté impedire un sorrisino soddisfatto.
«Sapevo che hai un cervello in quella testa piena di ricci.» chiocciò soddisfatta.
«Però direi che devo salire e portargli qualcosa da mangiare, non credi?»
«Sì, ottima id- cosa?!»
Nicole strillò quella singola parola appena recepì il messaggio dell’amica.
«Cosa hai intenzione di fare?» sibilò infuriata. Amelia abbassò gli occhi, le guance che si imporporavano di imbarazzo.
«Beh, qua non c’è nulla da mangiare tranne quello che ho portato io, e dovrà pure cenare, no?»
La voce era sottile come uno stelo d’erba e carico di imbarazzo – imbarazzo dovuto dalla consapevolezza di cosa aveva in testa.
«…Ame, ammettilo che vuoi salire solo per parlarci.»
La frase fu più tagliente di come voleva in realtà essere, ma Nicole non ritrattò: le bastò vedere il bordeaux nel voltò della migliore amica per ringhiare come un cane con la rabbia.
«Ma dico, sei scema? Cioè, ti ha rifiutato, ti ignora da settimane, è uno stronzo e pezzo di merda e tu vuoi salire a portargli la cena solo per stare un po’ con lui? Ma ti senti quando parli?» sibilò sconvolta la castana. Ormai non sapeva più come gestire quella ragazza, povera.
Amelia mugugnò qualcosa.
«Non è sempre uno stronzo, mi ha sorriso prima.» bofonchiò.
La risata acida di Nicole valse più di mille parole.
«Gli sarà partito un tic.» frecciò sarcastica. Poi però, notando come Amelia chinasse sempre più la testa a quelle parole rabbiose e ironiche, tacque e sospirò.
Come poteva aggredirla in quel modo se assumeva quella espressione?
Conosceva bene il sentimento che albergava nella mora… Era lo stesso che provava lei per Tommaso, in fondo, e sapeva bene che in certi momenti la parte più razionale di sé stessi veniva soffocata da quella più irrazionale, che spingeva a voler vedere l’altro pur sapendo di rimanerci solo più male.
Era come premere su un livido, alla fine: appena si percepiva la pressione faceva male, ma più si forzava più il dolore veniva attutito da qualcos’altro, qualcosa che si riscopriva stranamente piacevole.
Ecco cosa era, per Amelia, Alessandro: un livido. Grande, violaceo, doloroso. Uno che al minimo movimento doleva, ma che si finiva sempre per premere con forza, perché quel dolore acuto si trasformava in un sordo piacere.
Fu con quel pensiero in testa che Nicole si sforzò di dire quelle parole, nonostante avrebbe preferito che Amelia rimanesse il più distante possibile da quell’uomo.
«Vai pure, di certo non posso impedirtelo. Ma cerca di fare in fretta, e se torni giù triste salgo e lo distruggo.» si arrese la castana.
Amelia parve illuminarsi come un albero di natale – aver avuto il benestare dell’amica sollevava in qualche modo il peso che sentiva nel petto, come se la sua idea in qualche modo non fosse una completa idiozia.
«Certo, ci metterò pochissimo!»
Detto questo si affrettò a prendere un paio di piatti e riempirli con i vari stuzzichini preparati da Serena, afferrare un paio di tovaglioli e infilarsi sotto braccio una bottiglia d’acqua. Sotto lo sguardo ancora poco convinto di Nicole, si affrettò verso le scale immergendosi nel buio del piano di sopra.
Non era ancora salita e quindi non aveva avuto modo di rendersi conto di come fosse, ma al buio e con le mani troppo occupate per accendere l’interruttore, fu costretta a muoversi a tentoni nel corridoio appena rischiarato dalla luce del piano di sotto.
E ora dove sarà?
Un suggerimento le venne subito in soccorso: tra le varie porte chiuse, da una di esse filtrava appena la luce artificiale di una lampada da sotto la porta.
Con passi leggeri si avvicinò alla stanza, e più la distanza diminuiva più sentiva il cuore fare una casino così infernale da farle pensare che si potesse sentire anche dall’interno della camera.
Avanti Amelia, smetti di fare la ragazzina!
«Emh… Alessandro? Posso entrare?»
Per quanto si fosse sforzata, non riuscì a impedire alla propria voce di suonare affannosa dall’ansia. Avrebbe più volentieri bussato, ma non sapeva come fare con le mani occupate.
La risposta non arrivò subito, anzi. Ci furono attimi di silenzio che ebbero il potere di far riflettere Amelia su quanto fosse idiota, ma infine la porta si aprì di scatto facendola sobbalzare, e la luce artificiale aranciata fu così improvvisa che il viso le si contrasse in una smorfia di fastidio – ma con la stessa rapidità un’ombra alta e scura si pose tra la fonte di luce e lei, in modo tale da oscurarla e farle rilassare il viso.
«Amelia?»
Il tono di Alessandro era un misto tra il dubbioso e il sorpreso e, sebbene controluce, la ragazza notò gli occhi allargati dell’uomo.
«Io…» silenzio, pausa imbarazzante, e poi schiaffo mentale che le permise di riprendersi «Sono venuta a portarti qualcosa da mangiare: ho immaginato che non avessi cenato e qui non c’è altro cibo oltre quello che ho portato io, quindi…» si interruppe, la parola sfumò come una voluta di vapore nell’aria e rimase sospesa tra di loro, leggera ma allo stesso tempo densa e pesante.
Si sentì andare a fuoco sotto quello sguardo, soprattutto ora che non lo poteva vedere chiaramente. Le sembrava di essere cieca e nuda sotto quegli occhi metallici che ormai costituivano quasi una punizione.
«Grazie.»
La risposta fu appena soffiata, fragile e debole, ma le mani che corsero ad afferrare i piatti che teneva in bilico erano forti e sicure e Amelia si ritrovò ben presto con la sola bottiglia in mano mentre il suo sguardo finiva inevitabile all’interno della stanza.
Fu con amara consapevolezza che si accorse di come l’uomo avesse fatto attenzione a non sfiorarle le mani neppure per sbaglio.
La camera era piuttosto anonima, ma non dubitava che anche il resto delle stanze lo fosse, se quello era comunque un cottage in cui la famiglia Angelis andava occasionalmente. C’era un letto a una piazza e mezzo nell’angolo in fondo a sinistra, sotto la finestra coperta da una tenda bianca; il resto dell’arredamento consisteva in un armadio a muro, una scrivania e un ampio tappetto di pelo sintetico sui toni del ramato, che occupava buona parte del parquet. Sul letto dalle coperte verde scuro stavano sparpagliati dei fogli che Amelia riconobbe come i famosi compiti in classe.
«Ti ho portato anche una bottiglia d’acqua.» continuò a parlare e dicendo questo fece un passo in avanti, entrando nella stanza con vaga curiosità; quando però Alessandro si voltò verso di lei e la vide dentro, la giovane si accorse dell’errore.
Il passo indietro fu più scontato di quanto potesse sembrare.
«Scusa.»
Ma Alessandro taceva, continuando a fissarla con quegli occhi deliziosamente metallici che le fecero percepire la freddezza del piombo lungo la fronte, poi sulla guancia e poi ancora nel collo, per perdersi nelle trame del suo vestito che la faceva sentire straordinariamente nuda di fronte a lui.
Esattamente lo stesso percorso che gli occhi di lui fecero sul suo corpo.
«Mi pareva di avertelo già detto, no?»
Quella domanda suonò con un tono piuttosto ovvio, eppure Amelia non riuscì a capire a cosa l’altro si riferisse.
«Di che parli?»
Il volto di Alessandro, dapprima impassibile, si sciolse in uno sguardo amaro.
«Che non dovresti essere in una camera da letto da sola con me.»
Non dovresti essere in una camera da letto da sola con me, sai?
Quella frase le risuonò nella mente e in un istante i suoi ricordi la riportarono a quella lontana cena a casa degli Angelis, in cui per una serie di casualità era finita nella stanza di Alessandro, entrambi brilli, mentre i loro genitori ignari continuavano a conversare piacevolmente al piano di sotto.
Ma se quella volta aveva un pigolato un imbarazzato “non sto facendo nulla di male”, in quel momento Amelia non poté che lasciare che le proprie labbra si aprissero in un sorriso triste.
«Lo so.» disse solo.
E dopo quelle parole appena soffiate, si girò e se ne andò.
 
 
La musica non era troppo alta, ma insieme al cibo spazzolato via e all’alcol che Nicole aveva portato di nascosto dagli adulti – ecco cosa era contenuto in quella borsa poggiata con discrezione in cucina! – Amelia era piacevolmente intontita e rilassata.
Un vago sorrisino le si era dipinto in volto mentre ascoltava le chiacchiere insensate di Stefano, abbastanza ubriaco, che faceva ridere Anna rossa dall’alcol che aveva bevuto.
Lasciò che i propri occhi scuri scivolassero nell’ambiente circostante, osservandolo: Tommaso era sprofondato in una delle due poltrone attorno al tavolino e sopra di lui Nicole rideva alla nuova battuta di Stefano – non perché fosse particolarmente divertente, ma in un frangente del genere tutto pareva farla ridere; proprio Stefano era seduto per terra sul tappeto, le gambe incrociate e un bicchiere colmo di un qualche drink di fronte a lui. A fianco, Daniele lo fissava da sotto le ciglia castane con un sorrisetto che rivelava più di quanto volesse nascondere, ma nessuno pareva farci caso, o comunque nessuno pareva darci il peso giusto. Anna rideva presa da non si sa cosa sul divano, le lacrime agli occhi che li rendevano ancora più grandi e azzurri, mentre Sofia sghignazzava in piedi vicino al camino, in mano un bicchiere mezzo vuoto.
Amelia era invece seduta in un angolo del divano, il bicchiere in mano vuoto e la testa meravigliosamente leggera.
Le pareva di essere all’interno di una bolla dorata, priva di qualsiasi increspatura, ma anche se continuava a fare finta di nulla in un angolo della sua mente c’era la consapevolezza di chi fosse in quella casa, lontano da loro ma comunque incredibilmente vicino. Era come una datata in un paio di occhiali da vista: ti sforzi di ignorarla e in qualche modo ti è facile, perché riesci comunque a vedere, ma rimane lì e l’istinto ti dice di pulirla.
«Anna, attenta!»
Un urletto spaventato e poi lo scoppio di risate incontrollate. Amelia ritornò improvvisamente alla realtà e notò Anna che, dalle troppe risa, era scivolata per terra dal divano.
Vederla lì, con i capelli arruffati e un’espressione buffa stampata sul viso la fece scoppiare a ridere.
«Ma che è successo?» riuscì a borbottare tra le risate.
Anna la guardò innocente.
«Non ne ho idea.»
Il tono candido con cui lo ammise fece ridere ancora di più – o forse era l’alcol che rendeva tutto più divertente.
Distrattamente, la mora guardò il cellulare per osservare l’ora: strabuzzò gli occhi quando vide che erano già le quattro meno un quarto di notte.
È proprio vero che il tempo passa veloce quando ti diverti, pensò soddisfatta.
A dire il vero, non avevano fatto chissà cosa con gli altri: si erano limitati a bere, chiacchierare, ascoltare musica improvvisando balletti assolutamente ridicoli mentre Nicole si prodigava a riprendere la festeggiata che volteggiava tra le braccia di Daniele. Poi c’era stata la torta – su cui troneggiava un omino di zucchero a forma di puffo e per cui Amelia si era ritrovata a raccontare aneddoti imbarazzanti sulla propria infanzia – e mentre la canzoncina di buon compleanno le veniva quasi urlata nelle orecchie, Tommaso era spuntato con la propria polaroid e grazie allo scatto programmato erano riusciti a farla tutti insieme. Certo non era propriamente dritta e tutti sembravano un po’ tra le nuvole, ma Amelia l’aveva guardata come innamorata e il ragazzo gliel’aveva regalata con un sorriso e un buffetto sulla guancia.
Oh, e poi, ovviamente, c’era stato il momento dei regali – quello che, si sa, è il preferito di tutti.
Si era ritrovata a ridere mentre osservava imbarazzata il completino intimo color perla che le aveva regalato Nicole, la quale l’aveva osservata con un sorrisino ammiccante – se l’avesse saputo prima non avrebbe aperto il pacchetto di fronte a tutti! – e a fare pandan c’era una vestaglia da notte, regalo di Tommaso. Di sicuro era stato istruito da Nicole, altrimenti non c’era spiegazione per quel regalo in qualche modo azzeccato.
Anna e Sofia avevano optato per comprare un regalo insieme: non conoscendo ancora bene i gusti di Amelia, avevano finito per regalarle un set di cosmetici per la cura della pelle, qualcosa con cui sarebbero andate sul sicuro – Amelia era in qualche modo ancora più felice, dato che aveva appena finito tutti i propri prodotti.
Stefano, da tipico ragazzo, era arrivato con una boccetta di profumo – classico regalo da “non ho altre idee, se non ti piace è colpa della commessa che me l’ha consigliato”. Daniele, più informato sui gusti della ragazza, le aveva comprato delle scarpe che Amelia aveva adocchiato da parecchio tempo un giorno che era riuscito a trascinare il giovane per i negozi.
Ora il mucchio di regali stava in un angolo del salotto, accuratamente sistemati, e Amelia non vedeva l’ora di provare ciascuno di essi.
«Sonno?»
La voce di Tommaso, per quanto bassa, attirò l’attenzione di quasi tutti: Nicole era presa in un profondo sbadiglio e, resasi conto di essere osservata, arrossì di botto.
«Nah, non preoccuparti.»
«Io a dire il vero sono abbastanza stanco.» ammise Stefano sorseggiando il resto del suo drink.
«Beh, hai anche guidato.» considerò Daniele.
«E sono quasi le quattro.» aggiunse Amelia. Tutti si voltarono stupiti verso di lei.
«Seriamente?» chiese Sofia dalle retrovie. Amelia annuì.
«Se volete possiamo anche andare a dormire, mi pare che siamo tutti un po’ distrutti.» aggiunse la mora.
Guardandosi attorno, in effetti, i visi degli amici erano tutti piuttosto stanchi e non poteva negare di esserlo anche lei – erano tutti svegli dalla mattina presto, d’altronde, e le cinque ore di scuola si stavano facendo sentire. L’alcol inoltre era circolato abbastanza nelle vene di ciascuno per provocare quel senso di rilassamento tale da far venire voglia di infilarsi in un letto e dormire.
Tutti furono più o meno d’accordo e si alzarono quasi in contemporanea.
La musica fu spenta e tutti cercarono di dare almeno una sistemata al salotto, prima che Amelia li fermasse e dicesse ai suoi amici che ci avrebbe pensato lei, o al massimo avrebbero messo a posto il giorno dopo.
Salirono al piano di sopra in silenzio, consapevoli che in una delle stanze si trovasse il professore molto probabilmente addormentato, e tra una scappatina in bagno e una divisione delle stanze, ci si accorse che non bastavano per tutti: vi erano quattro camere da letto – erano anche tante, aveva notato Amelia stupita, per essere un cottage in montagna. Comunque fosse, assumendo le veci della “padrona di casa”, lasciò le camere da letto ai suoi amici: nella matrimoniale vennero lasciati Nicole e Tommaso, nelle altre due doppie si divisero Anna e Sofia insieme, poi Daniele e Stefano. Amelia decise che avrebbe dormito sul divano al piano di sotto – l’ultima camera, infatti, era ovviamente occupata da Alessandro.
«Ma Ame, se ci arrangiamo possiamo dividere il letto!» insistevano Anna e Sofia, ma dopo un’attenta occhiata ai letti singoli e notando così come fossero piuttosto stretti, la mora assicurò loro che non ci sarebbe stato alcun problema per lei.
«Se vuoi puoi dormire tu con Nicole nel letto matrimoniale e io dormo sul divano.» aveva ancora proposto Tommaso, ma anche in quel caso la mora aveva rifiutato: non le piaceva per niente l’idea di dividere la coppia, anche se Nicole l’aveva guardata in un modo che le fece capire che non c’era alcun problema. Nonostante questo, la festeggiata non aveva voluto sentire ragioni e, dopo essersi cambiata – non voleva rovinare il vestito e comunque si era portata dietro una dignitosa tuta – rubò un cuscino e una coperta da uno degli armadi delle camere e si diresse al piano di sotto.
Mentre si stendeva sul divano dopo aver sistemato per bene il cuscino, sentiva ancora dei vaghi rumori al piano di sopra – passi, parole bisbigliate e porte che si chiudevano.
Aveva un leggero sorriso sulle labbra e lasciò che gli occhi si abituassero all’oscurità del salotto fino al momento in cui non riuscì a riconoscere i bordi del tavolino, la sagoma del camino, il contorno delle poltrone e l’inizio del corridoio che portava alle scale. Dopo qualche attimo, la casa tacque del tutto e la giovane si ritrovò immersa nel silenzio più totale.
Lì, in quel buio privo di rumori, non ci mise troppo tempo prima di chiudere gli occhi e crollare addormentata.
 
 
Quando riaprì gli occhi, le sembrava fosse passata una vita, ma il buio permeava ancora il salotto e istintivamente la mano corse al cellulare, per controllare che ore fossero: le cinque di notte.
Aveva domito meno di un’ora.
Senza quasi rendersene conto, iniziò a rivoltarsi tra le coperte, cercando una posizione confortevole che però non sembrava esserci – era come se avessero sparso di puntine il divano, in qualsiasi modo si mettesse le dava fastidio.
Sbuffò e il suono si diradò nel buio.
Che palle, pensò infastidita.
Non sapeva come mai, ma il sonno le era scomparso del tutto. Sentiva ancora distintamente la testa leggera – di sicuro quello che aveva bevuto fluiva ancora nel suo corpo, e dopo aver passato dieci minuti a rimirare il soffitto, o almeno quello che percepiva nell’oscurità, si alzò.
A tentoni andò ad accendere la lampada, creando così una luce soffusa, poi si diresse in cucina in punta di piedi – per quanto ci fosse la distanza di un piano tra lei e i suoi amici, le sembrava che qualsiasi rumore in quel momento rimbombasse come un’esplosione – e finì per prendersi una birra. Sempre nel più totale silenzio, tornò in salotto, prese il pacchetto di sigarette e le chiavi e uscì nel porticato.
Là fuori l’aria era particolarmente pungente – era comunque marzo – ma la pigrizia ebbe il sopravvento e cercando di ignorare i brividi si sedette per terra, sul legno, stappando la bottiglia con un movimento secco e prendendone un sorso.
Andando avanti così, dubito mi tornerà il sonno, pensò seccata. Non sapeva cosa la stesse tenendo sveglia, ma rimanere nel divano alla ricerca dell’illuminazione divina non sarebbe servito granché.
I secondi e i minuti passavano straordinariamente lenti in quel porticato e Amelia si perse a osservare la foresta circostante. I pini erano così alti che coprivano parzialmente la parte di cielo visibile da quella postazione, ma era comunque in grado di vedere le stelle e la luna a tre quarti che sbucava scintillante.
Le piaceva osservare il cielo, peccato che dalla città le stelle visibili fossero davvero poche e non andava così spesso in campagna o in montagna, i classici luoghi privi di inquinamento luminoso, per potersi gustare la bellezza di un cielo limpido.
Fu con stupore che vide una stella cadente, una breve e rapida scia di luce nel cielo che per un attimo le fece credere di avere le allucinazioni.
«Oddio!» le sfuggì a mezze labbra, gli occhi che le si allargavano di stupore.
Era la prima volta che osservava una stella cadente e le venne da sorridere entusiasta.
Un desiderio, devo esprimere un desiderio!
Chiuse gli occhi inconsciamente mentre il pensiero le emerse così ovvio che si ritrovò ad arrossire come una bambina.
Vorrei…
«Amelia?»
Un sobbalzo e un urlo soffocato prima di girarsi spaventata e trovare una figura sull’uscio della porta.
Ma questa volta non era in controluce, anzi, e poté chiaramente osservare Alessandro che la fissava immobile, lo sguardo un po’ assonnato e un po’ incuriosito, i capelli parecchio sconpigliati e i vestiti stropicciati. Amelia si accorse che, oltre i pantaloni, indossava solo una maglia a maniche corte – il maglione della mattina doveva essere stato levato per dormire, evidentemente.
«Stai bene?»
La domanda le carezzò le orecchie – era come velluto nei timpani, si accorse. E si accorse anche di essere zitta da abbastanza tempo da far supporre che non avesse sentito.
«Sì, sto be- cioè, tutto a posto.» si corresse senza neanche capire il perché si fosse corretta, ma vederlo lì sembrava toglierle le capacità neuronali tali da pensare in maniera coerente.
Lui non rispose e il tempo parve per un attimo fermarsi. Amelia non riusciva a spostare lo sguardo – non poteva, lui era il fuoco e lei una semplice falena, d’altronde. Voleva avvicinarsi ma sapeva che sarebbe andata in fiamme, e per quante le piacesse il calore…
«Che fai qui?»
Alessandro ruppe la bolla di silenzio e lei si ritrovò improvvisamente senza saper dare una risposta.
Che ci faceva lì? Bella domanda.
Non aveva sonno? Oppure sapeva che c’era qualcosa – qualcuno – che avrebbe potuto aspettare? Forse il suo subconscio aveva prevalso, in quella semplice notte.
«Non ho sonno.»
La risposta più semplice prevalse, ma le sembrò che anche l’uomo avesse dei dubbi.
Lo vide sospirare – di nuovo quell’apparenza di arrendevolezza, quella resa di cui non capiva il significato. Poi lo vide fare un passo verso di lei, in modo così lento e cauto che sembrò quasi che le situazioni si fossero rovesciate: lei la bestia feroce e lui la preda.
Continuò a osservarlo in silenzio mentre le si affiancava e le si sedeva a fianco a gambe incrociate, in un movimento così pacato e amichevole che sembrò non esserci nulla di male in ciò che stava facendo – eppure Amelia sapeva che c’era un limite, un limite che lei aveva superato spesso e che lui le aveva chiaramente fatto capire che non voleva lo valicasse ancora.
«Posso?» chiese l’uomo in un mormorio.
Annuì ancora prima di capire a cosa si riferisse l’altro, poi però lo vide allungare il braccio verso la bottiglia di birra aperta di fronte a lei – la sfiorò e fu impossibile reprimere il brivido.
A quel movimento involontario sentì l’altro lambirla con lo sguardo, per un attimo si bloccò, ma poi afferrò la bottiglia senza apparente dubbio e ne prese un paio di sorsi.
«Gli altri?»
Gli altri chi?
Era così presa dal momento che per un attimo si era dimenticata dei suoi amici che dormivano al piano di sopra – e in seguito all’occhiata scettica dell’uomo arrossì.
«Oh, loro, beh- ecco, dormono.» finì per farfugliare.
Alessandro si limitò ad annuire annoiato, per poi non farsi problemi e prendere una sigaretta dal pacchetto di Amelia e accendersela sotto il suo sguardo.
La mora si perse a osservare la voluta di fumo che venne soffiata dalle labbra dell’uomo – era possibile essere gelosa del fumo di una sigaretta? – e nel disagio di quel silenzio le venne spontaneo parlare.
«Non sapevo fumassi.» sussurrò.
Lo sguardo che l’uomo le lanciò le fece abbassare il proprio e si perse a osservare le venature del legno illuminate dalla fioca luce presente.
«In teoria no, ho smesso da vari anni. Ma ora mi è venuta voglia.» spiegò in maniera semplice.
Perché fa così?
Amelia non capiva. Perché si stava comportando in quel modo, così normale, così naturale, come se non fosse successo nulla.
Smettila di avvicinarti a me. Smettila di trattarmi con gentilezza, perché penso solo di avere ancora speranza con te…
La ragazza aprì la bocca per parlare, ma poi si bloccò, incerta su cosa dire. La richiuse con lentezza e continuò a fissare il legno.
«Cosa c’è?»
Alzò gli occhi e vide Alessandro che la fissava mentre prendeva un altro tiro dalla sigaretta.
«Cosa intendi?» chiese incerta.
«Hai aperto la bocca, stavi per dire qualcosa. Cosa c’è?» spiegò l’uomo.
Non dire nulla. Taci, non lasciare che le emozioni prevalgano.
Sentiva la sua parte irrazionale che premeva per uscire e nella sua mente dovette fare appello a tutta la propria forza di volontà per impedirsi di parlare.
«Non era niente di importante.» soffiò atona – non guardarlo.
L’odore di fumo le entrò nelle narici e poi qualcosa di leggero e quasi invisibile le volteggiò di fronte agli occhi, facendo sì che automaticamente sollevasse lo sguardo.
In quello stesso istante vide Alessandro che si sporgeva verso di lei, la mano che si allungava sul suo volto.
Fu con paura che si allontanò di scatto, ponendo altri centimetri tra lei e l’uomo.
Fu impossibile non notare lo sguardo ferito dell’altro.
«Io…»
«Avevi della cenere tra i capelli. Volevo solo togliertela.» replicò gelido l’altro.
Non ci fu tempo per dire altro: con un gesto secco spense la sigaretta e la lanciò tra l’erba – come se non gli importasse che quella porzione fosse di sua proprietà e avrebbe dovuto cercare di non inquinarla – poi si alzò altrettanto rapido.
Non farlo, non farlo. Amelia, non farlo…
E invece lo fece.
Allungò una mano e lo trattenne per il bordo della maglia, sfiorando con le mani gelide il fianco sporgente dell’altro – era incandescente.
«Aspetta.»
Ancora una volta il tempo si fermò quando lui si girò a fissarla.
Era possibile sentirsi così sopraffatti dalle proprie emozioni? Era possibile volersi totalmente lasciare andare in quel modo?
Immaginava di sì, e di sicuro era così anche per Alessandro, dato che dopo aver stretto le labbra in una smorfia di dolore si chinò su di lei per baciarla.
Fu come l’ultima volta ma allo stesso tempo completamente diverso.
Passò solo un istante prima che Amelia si sporgesse di più verso di lui, artigliandolo con le mani e trascinandolo per la maglia, costringendolo a inginocchiarsi di fronte a lei – sentì il tonfo sordo che fecero le sue ginocchia sul legno ma ad Alessandro non sembrava importare per come la prese per i fianchi facendo sì che la giovane gli salisse quasi sopra.
Affogava nella sua bocca respirando il suo stesso ossigeno come se avesse bisogno di aria – della sua aria. Quel tocco la faceva bruciare anche solo sfiorandola, ma in quel momento Alessandro non la stava solo sfiorando, bensì la divorava.
Era un bacio tra affamati, fatto di tocchi urgenti, di necessità, di menefreghismo per tutto il resto.
Sentiva le sue mani tra i ricci, poi sulla schiena e poi ancora sui fianchi, una stretta quasi dolorosa ma che non avrebbe mollato per nulla al mondo – lei lo toccava e si sentiva gelida in confronto a lui che era così caldo da farle capire senza alcun dubbio che sì, lei era solo una falena col fuoco.
La mente era diventata un buco nero di assoluta oscurità, assorbiva tutti gli altri pensieri e c’era solo lui al centro di tutto – era una supernova esplosa e lei non poteva fare nulla di fronte a quell’attrazione gravitazionale, solo lasciarsi andare e venire assorbita.
Poi lui si spinse un po’ di più in avanti e si sentì cadere all’indietro, ma prima di percepire il colpo lui la afferrò e la poggiò con delicatezza sul legno – lei lo attirò a sé senza che si staccassero per un momento, le labbra continuavano a cercarsi, e sentire il peso sopra di lei era così confortevole e caldo che non percepiva più i brividi dati dal freddo della sera.
Le mani di ciascuno continuavano a percorrere il corpo dell’altro, dei sottilissimi gemiti si levarono nel silenzio e il bacio terminò solo a causa di un preoccupante scricchiolio del legno.
Il silenzio riprese a permeare il luogo, ma ormai era stato posto un freno.
Quel freno, però, non fece sì che i due si spostassero dalla posizione in cui erano – lei crollata di schiena sul porticato, la maglia della tuta sollevata appena a mostrare quasi l’ombelico, i capelli sparpagliati attorno come un’aureola e le labbra gonfie, gli occhi lucidi. Lui, sopra di lei, si reggeva sulle mani bloccandola col proprio corpo, il petto che si alzava e si abbassava rapidamente e i capelli scompigliati come quelli della mora; gli occhi sconvolti, la bocca semiaperta a simboleggiare il proprio stupore.
«Alessandro…»
Fu solo un rapido sussurro prima che l’uomo si chinasse su di lei a baciarla nuovamente. Ma questa volta non fu sconvolgente e vorace come prima, più un rapido susseguirsi di lenti e umidi baci a stampo che dalla bocca scesero pigramente sulla mandibola, poi sul collo e lì rimasero mentre l’adulto pareva volerla assaggiare.
«Non ce la faccio…»
Un mormorio sofferente sfuggì da quelle labbra che fino a un momento prima erano sulle sue, e Amelia osservò Alessandro che finiva per poggiare la testa sull’incavo del suo collo.
Era pesante, ma non le dava fastidio.
Con una lentezza esasperante che sorprese anche lei, lasciò che la propria mano accarezzasse i capelli di lui per saggiarne la morbidezza.
«A fare cosa?» mormorò.
Doveva sentirlo. Doveva capire. Doveva sapere se era solo lei quella che impazziva per quella situazione.
Alessandro si sollevò appena giusto per avere lo spazio per guardarla negli occhi. In quel momento il metallo dei suoi occhi era di nuovo fuso e le si scioglieva addosso.
Fissò le ciglia scure che incorniciavano lo sguardo, l’ombra lunga che veniva da loro prodotta sui suoi zigomi, la bocca distorta in un’espressione sofferente.
«Non riesco a resisterti.»
Una semplice ammissione.
Una semplice ammissione che però le accese la miccia per i fuochi d’artificio nel suo cuore.
«Non dire così… Non dire così, altrimenti penserò di avere ancora speranza.» lo pregò mentre sentiva gli occhi inumidirsi.
Non poteva andare avanti in quel modo. Non riusciva a sopportarlo.
«Credo…» si interruppe quando i propri occhi finirono per incatenarsi per l’ennesima volta a quelli dell’altro.
«…credi?» la spronò l’uomo in un sussurro.
Cosa credeva?
Tacque, non sapendo come continuare.
In un moto di sofferenza si sollevò e spinse con delicatezza l’altro, che finì per seguire il suo movimento e si allontanò di poco. Alessandro però le teneva una mano e Amelia non riuscì a spostarla, a respingerlo, perché le era costato anche troppo allontanarsi da lui.
«Non credo di riuscire ad andare avanti così.» sussurrò nel buio.
Si sentiva come una criminale che si ostina a commettere sempre lo stesso reato, ma che non riesce a farne a meno. Come una cleptomane, la cui situazione non dipendeva dalla propria volontà.
«Nemmeno io.»
La risposta di Alessandro le giunse inaspettata e ambigua, tanto che lo fissò con gli occhi colmi di confusione.
Lui la guardava a sua volta con un’espressione desolata sul volto, un vago accenno di sorriso che collimava con gli occhi insofferenti – di nuovo quell’espressione di resa.
Poi però con la mano ancora legata a quella della ragazza la tirò delicatamente su di sé e Amelia non poté – non volle – sottrarsi, lasciandosi guidare ancora più vicino a lui. Poteva sentire il suo odore che le entrava nel cervello, impedendole di concentrarsi su qualsiasi altra cosa presente nel luogo – come gli amici, forse?
«Proprio per questo…» si fermò, guardandola dubbioso, ma quando vide Amelia che lo fissava incantata si decise a continuare «Proprio per questo non voglio continuare ad andare avanti così.» ammise, ripetendo le parole della giovane.
«…cosa intendi?»
Dillo, così capirò che non sono pazza.
Il bacio successivo valse come risposta.
Quella volta fu dolce, delicato, fu un mormorato soffice sulle labbra, inconsistente come profumo, deciso come una promessa.
E le bastò, anche se non lo aveva detto a voce alta, perché capì che non era l’unica incatenata in quella situazione.
Mentre lasciava le proprie mani affondare sui capelli dell’uomo, sentì l’urgenza corroderle l’interno e arrossì al pensiero di cosa voleva fare – non era la prima volta di certo, ma con lui era impossibile non sentirsi una ragazzina.
«Forse…» si interruppe mentre sussurrava questa singola parola sulle labbra dell’altro – aprì gli occhi e vide che anche lui la osservava «Forse dovremmo spostarci, non pensi?»
Se la frase poteva anche in qualche modo suonare innocente, il rossore sul suo viso e gli occhi cosparsi di ansia ma decisione erano inequivocabili, e Alessandro comprese in un attimo cosa l’altra intendesse. Stette in silenzio e Amelia quasi poté toccare il dubbio che si faceva sempre più tangibile negli occhi dell’uomo.
Furono dei secondi che parvero infiniti in cui entrambi in qualche modo si stavano chiedendo se rompere anche l’ultimo limite sarebbe stato giusto o li avrebbe portati alla rovina.
L’ultimo limite…
«Direi di sì.»
…sta per spezzarsi.
In un fruscio silenzioso si alzarono dal legno del porticato e senza che uno dei due avesse intenzione di lasciare la mano dell’altro entrarono in casa, percorsero con attenzione il corridoio e le scale e nel buio totale entrarono nella camera di Alessandro, rischiarata in buona parte dalle tapparelle alzate.
Per Amelia fu un attimo di totale silenzio, ansia e attesa.
…e ora?
Aveva avuto le sue esperienze con un paio di precedenti ragazzi e non si era mai sentita troppo in ansia in certi momenti – era sicura di sé, sapeva che doveva esserlo e che farsi prendere dalla paura in certe occasioni non portava a nulla, ci si doveva solo lasciare andare e fare quello che si sentiva di fare.
Eppure, in quella stanza, mentre lasciava che i propri occhi scuri vagassero per il corpo di Alessandro che sostava di fronte alla porta chiusa, non riusciva a soffocare quell’emozione, non riusciva a smettere di tremare.
Basta. Smettila di avere paura – di essere preoccupata per il dopo. Lasciati andare.
E con questo ultimo ordine dato alla sua testa si avvicinò all’uomo e, sollevandosi sulle punte, lasciò che la propria bocca sfiorasse quella dell’altro che rispose con delicatezza, mentre con un gesto lento e colmo di ansia – non era solo lei quella spaventata – sfiorava i suoi fianchi in gentili carezze.
Passi incerti all’indietro fino a che non sentì le gambe sfiorare il bordo del letto e, mentre quella lenta tortura continuava, sentì il nervosismo scorrerle impetuoso tra le vene.
Fu con frustrazione che si lasciò andare sul materasso, fu con decisione che lo afferrò per la maglia e lo tirò sopra di sé, fu con una nuova consapevolezza sorta negli ultimi due secondi che permise all’altro di cospargerla di baci che da gentili divennero voraci e bollenti.
E mentre la scarsa luce notturna illuminava i due giovani che si sfioravano tra le lenzuola, la stanza si riempiva di sospiri e per un millesimo di secondo un pensiero corse nella mente di Amelia.
Buon compleanno a me.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ~ Di ricordi e decisioni ***


Buon lunedì a tutti/e!
Nonostante pensassi di non farcela, sono miracolosamente riuscita a terminare il ventiduesimo capitolo in tempo proprio per il consueto aggiornamento – anche perché, dopo l’ultimo, lasciarvi in sospeso mi faceva sentire un poco in colpa…
Sono contenta di vedere come abbiate apprezzato il precedente capitolo, finalmente la situazione è davvero entrato nel vivo, ma proprio per questo manca poco per la fine di questa storia… quasi non ci credo! Sarebbe la prima volta nella mia vita che termino una long, ci sarebbe da appendere un chiodo al muro.
Per il prossimo capitolo, vi volevo però avvertire: non credo di riuscire ad aggiornare puntuale la prossima settimana; ho da studiare, la vita sociale mi reclama (più o meno) e questo caldo mi fa passare anche la voglia di mettermi al pc! Per questo vi avverto di non aspettarvi nulla – anche se mi impegnerò per essere puntuale come (quasi) sempre.
Comunque, credo sia il momento di lasciarvi alla lettura… Vi lascio solo un avvertimento: non adagiatevi sugli allori!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventidue
~
Di ricordi e decisioni
 
 
 
A svegliare Amelia, quella mattina, non fu il suono fastidioso della sveglia.
Non fu neanche sua madre, che apriva la porta con poca delicatezza informandola che era in ritardo.
Piuttosto, si svegliò a causa di un sottile brivido sulla pelle che le causava la pelle d’oca, e aprendo un occhio con aria assonnata vide la finestra socchiusa da cui l’aria pungente di quella domenica di marzo entrava e le provocava brividi sulla pelle nuda, lasciata scoperta a metà da una coperta verde scuro.
Era ancora intontita e i ricci scuri le offuscavano la vista mentre con una mano si allungava verso la coperta, attirandola verso di sé in modo tale da coprirsi anche le spalle.
Fu in quell’attimo, mentre si rendeva davvero conto di essere totalmente nuda, che si rese conto di dove fosse, di cosa fosse successo, e soprattutto con chi.
Oh, cazzo.
Si sollevò così in fretta che per un attimo la sua vista fu offuscata da una miriade di puntini bianchi e la testa le girò mentre il cervello, fino a un momento prima in totale stand-by, si attivava alla velocità della luce.
Si guardò intorno: la stanza era illuminata dalla luce del sole che filtrava dalla finestra. Sembrava che non fosse successo nulla di male, se non per una tuta abbandonata con scarsa importanza sul tappeto, le lenzuola attorcigliate e la sua presenza lì, sempre e ostinatamente nuda.
Oddio. Oddio. Amelia, mantieni la calma.
I ricordi della notte appena trascorsa le invasero la mente e fu inevitabile arrossire mentre passava una mano sul proprio corpo, come a ricordare i gentili tocchi di qualcun altro, ma durò ben poco; il lato destro del letto era vuoto e Amelia, allungandosi per tastarlo, notò che era freddo.
Se n’è andato.
Il pensiero la colse come uno schiaffo e il suo corpo si irrigidì dall’ansia.
E ora cosa doveva fare?
Ma prima che potesse anche solo fare qualcos’altro, altri dettagli le vennero in mente, incendiando il suo corpo nel fuoco dell’ansia e della paura.
Gli altri. C’erano gli altri, in quella casa. E lei era lì, nella camera in cui si presupponeva ci fosse il loro professore, totalmente nuda. Non era nel divano in cui era stata lasciata per dormire. Si trovava lì, da sola, lasciata al proprio destino.
Cosa devo fare. Cosa devo fare. Cosa devo fare.
I suoi neuroni girovagano per il cervello senza trovare soluzioni, il suo istinto le irrigidiva il corpo e il suo cuore sembrava voler saltare fuori dal petto mentre il respiro si faceva più accelerato. La testa iniziò a girarle.
Fu con un mastodontico sforzo di volontà che si costrinse a respirare piano – inspira, espira – riuscendo a far battere il proprio cuore in un moto quasi normale. Sentì l’ansia sopirsi, ma era sempre lì, onnipresente, a farla tremare impercettibilmente mentre cercava di analizzare la situazione con un minimo di razionalità.
Ok, prima cosa: mettersi qualcosa addosso, pensò con un vago tono isterico.
Si alzò in piedi con lentezza e, cercando di far meno rumore possibile – cosa facilitata dalla presenza del tappeto che assorbiva i rumori – si chinò per terra alla ricerca degli slip e del reggiseno che trovò nell’angolo vicino al comodino. Li infilò rapidamente, temendo che da un momento all’altro qualcuno aprisse la porta, e in maniera simile afferrò i pantaloni e la maglia della tuta usata come pigiama – o che, perlomeno, avrebbe dovuto essere usata come tale.
Ok, seconda cosa: controllare che ore sono.
Quello fu più difficile, dato che si accorse in fretta di non avere il telefono con sé – probabilmente l’aveva lasciato giù la notte prima, mentre usciva a fumarsi una sigaretta, e di certo dopo non aveva pensato di portarselo con sé.
Si mise a frugare in giro, alla ricerca di un orologio o, magari, del cellulare di Alessandro, ma non trovò nulla e si arrese all’idea di rimanere nell’ignoranza. Cercando di intuire qualcosa, spalancò la finestra e si affacciò fuori: il sole era ovviamente spuntato ma non era troppo alto, cosa che le fece ipotizzare fosse abbastanza presto – e questo dettaglio fu confermato anche dalla propria stanchezza: si rendeva conto di non aver dormito abbastanza.
Ok, terza cosa: che cazzo faccio?
Il terzo punto arrivò con dubbio e la stessa ansia di prima, mentre gironzolava per la stanza con gli occhi sgranati e le mani che si tormentavano fra loro.
Non posso rimanere qui, devo uscire. Ma se esco e ci sono gli altri, mi chiederanno dove fossi, e che cazzo rispondo? No, no, devo aspettare qui… Alessandro arriverà prima o poi, no?
Piccola pausa.
Ma che cazzo sto pensando. Non posso rimanere qui. Devo uscire. Mi inventerò una scusa in qualche modo. Magari gli altri sono ancora a letto. E poi, non è detto che Alessandro torni…
L’ultimo pensiero fu percepito più con tristezza che con ansia.
Si era svegliata e lui non era lì. Perché non era lì? L’aveva abbandonata?
Si morse un labbro per impedirsi di piangere e si strofinò la faccia con la manica della maglia. Dopo un sospiro, si decise ad uscire dalla stanza – anche perché, effettivamente, non aveva altre opzioni: rimanere lì dentro ad aspettare non aveva senso, anche perché avrebbe destato più sospetti e poi non era per niente sicura che sarebbe arrivato qualcuno – qualcuno, ovvero lui.
La porta si aprì con un leggerissimo cigolio che Amelia percepì come un urlo nelle proprie orecchie e dopo essersi affacciata sul corridoio lo trovò vuoto e silenzioso. Fece un passo all’esterno, sempre cauta e con le orecchie tese al massimo per percepire anche il minimo rumore, poi dopo un attimo azzardò anche l’altro piede e uscì del tutto, richiudendo con assoluta attenzione la porta dietro di sé.
Il silenzio era ancora profondo e per questo si costrinse ad attraversare il corridoio con piccoli ma veloci e silenziosi passi, arrivando così in cima alle scale e buttando un occhio di sotto: sembrava non esserci nessuno.
Con altrettanta cautela, passo dopo passo, scese i gradini uno alla volta e arrivando al piano di sotto tutto continuava a essere in totale silenzio, cosa che finì per far salire ancora di più l’ansia ad Amelia.
Possibile che tutti fossero ancora addormentati?
Continuò la propria silenziosa camminata fino al salotto, lanciando un’occhiata alla cucina e trovandola vuota; nella sala tutto era com’era stato lasciato: il tavolino con bicchieri e bottiglie vuote, ciotole di cibo con qualche avanzo, il divano con un cuscino un poco stropicciato e una coperta tirata tutta da un lato. Lì, immobile, stava il cellulare abbandonato la notte precedente.
Amelia non ci mise molto: in tre passi lo raggiunse e cliccando come una forsennata per far attivare lo schermo vide che ore fossero. Con stupore si rese conto di quanto presto fosse.
Sono appena le nove…
Tirò inconsapevole un sospiro di sollievo: data l’ora, era perfettamente plausibile che tutti i suoi amici stessero ancora dormendo profondamente, ma rimaneva ancora un dettaglio. Dov’era Alessandro?
Si guardò intorno e non vide segno del suo passaggio.
Possibile che sia in bagno?, pensò dubbiosa. Eppure, al piano di sopra, il bagno era vuoto perché aveva visto la porta aperta. Magari era al bagno del piano di sotto, eppure Amelia non se la sentiva di andare a controllare.
Con un sospiro arrendevole, si rese conto di avere la necessità di prendere una boccata d’aria fresca – forse quella l’avrebbe calmata, pensò mogia.
Dopo aver preso una giacca – quella volta non sarebbe stata stupida – e messo il cellulare nella tasca della tuta, si diresse verso la porta, e fu in quel momento che notò qualcosa di strano: era socchiusa.
Si bloccò, in ansia: era perfettamente sicura di averla chiusa la sera prima, seppure entrambi fossero presi dal momento, ma in quel momento iniziarono a venirle i dubbi. Oppure…
Spalancò la porta di scatto, timorosa che il momento di coraggio le venisse a mancare, e quando osservò l’esterno non seppe se sentirsi più tranquilla o ancora più spaventata.
Alessandro era lì.
Seduto per terra, a gambe incrociate, le dava la schiena. I capelli erano arruffati, notò, e a fianco a lui era poggiato un telefono.
Quel momento durò solo un istante, però, perché l’uomo si girò attirato dal rumore della porta che veniva spalancata – e Amelia credette di morire dall’agitazione. Alessandro la fissò per un attimo con un velo di sorpresa che scomparse subito e Amelia cercò di assimilare più informazioni possibili in quel momento di silenzio.
I capelli arruffati gli cadevano leggermente sugli occhi che mostravano un grigio brillante, vivido, ma cerchiato da delle vaghe occhiaie che sottolineavano lo scarso sonno. La bocca era sollevata appena in un’espressione tranquilla e come ultimo dettaglio Amelia registrò il maglione azzurro perla, cercando di capire da dove potesse averlo presa – ma fu un qualcosa che venne dimenticato in fretta quando il viso di lui si distese in un sorriso pacato.
«Buongiorno.»
Riprese a respirare in quel momento, e non si era nemmeno accorta di aver trattenuto il respiro fino a quell’istante. Ma dopo quella singola parola lui la guardava in attesa, e Amelia avrebbe tanto voluto dire “buongiorno” con la stessa tranquillità, ma l’ansia la costrinse a parlare – e forse anche il velo di pazzia.
«Non ti ho trovato, su in camera.»
La frase risuonò più secca di quanto avesse voluto e subito spalancò gli occhi preoccupata.
«Cioè, io…»
«Mi sono svegliato mezzora fa e dormivi così profondamente che non ho voluto chiamarti.» la risposta arrivò rapida, interrompendo quelle che sembravano scuse, e Amelia si ritrovò ad arrossire mentre lui continuava a mantenere quell’espressione serena – e, dovette ammettere, che quell’aria stropicciata e così tranquilla le stava facendo tremare le gambe.
«Oh.» finì per dire, incerta.
Altri secondi di silenzio passarono e la mora si ritrovò indecisa su cosa fare: doveva sedersi lì con lui? O magari era meglio entrare e fare finta di nulla?
«Ti siedi qui con me?»
La domanda sciolse i suoi dubbi e con un’espressione imbarazzata annuì, sedendosi di fianco all’uomo che, notò solo in quel momento, reggeva una tazza di caffè annacquato.
«Caffè americano? Seriamente?» le sfuggì con una smorfia – non si rese nemmeno conto di essersi comportata normalmente.
Alessandro sbuffò una risata.
«Chissà perché, ma sapevo che mi avresti rimproverato.» fece ironico alzando gli occhi al cielo. Amelia arrossì nuovamente.
«Sì, beh, bevi quella schifezza…»
«A me piace.»
«Rimane il fatto che è una schifezza.»
«Non puoi lasciarmelo bere senza commentare?»
«Lo farei, ma hai così pessimi gusti che-»
Non finì la frase che Alessandro si sporse verso di lei, scoccandole un bacio a stampo sulle labbra.
Amelia ammutolì, rimase incantata a fissarlo mentre il cervello andava in cortocircuito.
«Che cosa…» soffiò appena.
Alessandro scoppiò a ridere a quell’espressione buffa, per poi assumere subito un’espressione sarcastica.
«Pare che questo sia l’unico metodo per zittirti.»
Per l’ennesima volta in quei pochi minuti, la ragazza arrossì.
«Quindi mi hai baciato solo per zittirmi?» frecciò irritata – meglio mostrarsi infastidita che imbarazzata.
«Ovvio, per cosa altro dovrei?» fu la pronta risposta.
Amelia non ebbe bisogno di altre frasi: si alzò con aria seccata.
«Allora tolgo il disturbo.» borbottò sdegnata.
Durò tutto molto poco: prima che potesse fare un solo passo, sentì la sua mano afferrarla per la manica e tirarla giù; perse l’equilibrio e cadde all’indietro, ma le mani di Alessandro evitarono un brusco atterraggio facendola poggiare sulle gambe. Senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò semi distesa, con la testa poggiata sulle sue gambe incrociate, il volto a poca distanza sfumato in un’espressione divertita.
«Diciamo che ti ho baciata anche per quello. Ma soprattutto perché volevo farlo.» precisò a poca distanza da lei – Amelia sentì il profumo di caffè e le venne voglia di assaggiarlo.
«Allora fallo e basta, no?» sussurrò.
Vide gli occhi grigi dell’altro assottigliarsi pericolosamente mentre il sorriso si faceva più lieve. Poi non vide più nulla, perché chiuse gli occhi e lasciò che le labbra morbide dell’altro si schiudessero su di lei in un bacio comunque lieve.
Durò solo pochi secondi – la posizione era alquanto scomoda, d’altronde, ma fu sufficiente ad Amelia per riportare a galla i vividi ricordi della notte prima.
Si perse un attimo a osservarlo a quella distanza ravvicinata – le sagoma perfetta delle sopracciglia, la bocca umida dischiusa in un sottile ghigno soddisfatto, la vaga fossetta sulla guancia – poi, si sollevò e si mise in ginocchio; la mano però finì appoggiata sulla gamba dell’altro, come se non volesse perdere quel contatto, come per assicurarsi di non avere le allucinazioni.
«Hai il trucco completamente sbavato.»
No, non aveva le allucinazioni, assolutamente. Nella sua immaginazione, Alessandro di certo non le avrebbe detto una frase del genere.
«Fottiti.»
«Ehi, è così che si risponde a un professore?» disse con tono canzonatorio.
La frase voleva essere una battuta, ma il peso dell’ultima parola cadde su di loro come la lama di una ghigliottina e anche l’uomo parve pentirsi delle proprie parole per come subito dopo strinse le labbra in una smorfia.
«Non dovrei nemmeno andare a letto, con un professore.» replicò amara Amelia.
L’atmosfera apparentemente tranquilla che c’era fino a un secondo prima era svanita.
Il silenzio si fece pesante e assordante per entrambi – Amelia lo vedeva, vedeva che anche Alessandro era teso.
Nessuno dei due sembrava sapere cosa dire.
«Ale…»
«Ho fatto una stronzata.»
L’uomo la interruppe brutalmente e per la ragazza fu come ricevere uno schiaffo.
«Cosa?»
La singola parola le uscì strozzata e ferita – ma non poteva né aveva intenzione di nasconderlo. Era effettivamente ferita, perché evitare di mostrarlo, soprattutto dopo quello che era successo?
Alessandro la guardò e i suoi occhi erano indecifrabili per la mora, che li fissava alla ricerca di una risposta.
«Ho fatto una stronzata.» ripeté l’uomo, ma poi sospirò arreso «Non posso definirla in altro modo, Amelia. Sono il tuo professore e sono venuto a letto con te, non credo sia deontologicamente corretto.» terminò con un lieve tono sarcastico.
Ma Amelia continuava a tacere.
«Se qualcuno lo scoprisse saremmo nella merda più totale entrambi, lo sai. Tu verresti additata come chissà cosa, io verrei licenziato in tronco – giustamente, aggiungerei.» puntualizzò.
A quel punto però, Amelia non riuscì a frenare la lingua.
«Quindi mi stai dicendo che d’ora in avanti dovrò fare finta di nulla? Dovrò fingere di non averti baciato, dovrei fingere di non essere andata a letto con te, dovrei fingere di non essere innamorata di te?» sibilò sferzante.
Sentì gli occhi inumidirsi prima anche solo di poterselo impedire – ma, alla fine, che poteva fare se non piangere e sentire il proprio cuore farsi a pezzi?
Non sapeva spiegarsi il perché, ma si sentiva in qualche modo tradita. Non nel senso comune del termine, bensì più in un senso emotivo, come se Alessandro avesse costruito per lei un castello di vetro per poi buttarlo giù senza troppi problemi.
Ecco, come se l’avesse illusa.
«Amelia, aspetta…»
«Aspetta?» sibilò infuriata – fu perfettamente consapevole della lacrima che le solcò la guancia e la pulì con un gesto frettoloso e ruvido.
Alessandro si sporse e le afferrò il braccio con cui sfregava sul viso; fu una presa dura, per impedirle chiaramente il movimento, e i suoi occhi grigi per un attimo parvero di nuovo piombo.
«Sì. Aspetta.» ripeté freddo. Ma, di nuovo, fu solo un attimo: poi il suo sguardo si sciolse di nuovo e l’espressione cambiò.
«Per quanto abbia fatto una stronzata, per quanto possa essere tremendamente pericoloso, ecco…» fece una pausa seguita da una smorfia «Nonostante questo, non posso né tantomeno voglio fare finta di nulla.» scandì lentamente, facendo attenzione all’espressione di Amelia.
Se alla ragazza pareva di star annegando, quella frase bastò come salvagente.
«Quello che provo per te non è…» altra pausa – sembrava che non sapesse come esprimersi «…non è solo attrazione fisica, o semplice voglia di divertirmi con una studentessa avvantaggiandomi della mia posizione. Mi piaci. Mi piaci più di quanto voglia ammettere e per quanto abbia cercato un sacco di volte ad allontanarti – come quella volta, a Parigi – mi sono reso conto che averti vicina come mia semplice allieva non va bene. Non voglio farlo andare bene, voglio qualcosa di più.»
Tacque, come se quelle parole gli avessero tolto tutta l’energia di cui disponeva.
«Ma hai detto tu che questa situazione è un casino.»
Amelia parlò e quella frase le costò più di quanto volesse – perché, per quanto il suo cuore si era gonfiato di speranza, sapeva perfettamente che l’uomo aveva ragione. Per questo, prima che i propri sentimenti si facessero ingestibili, aveva cercato di soffocarli o quantomeno ignorarli.
Lo osservò sospirare e passarsi una mano tra i capelli, arruffandoli ancora di più.
«Sì, non posso negarlo e nemmeno tu puoi.» borbottò l’uomo «Ma, come mi ha detto qualcuno, mancano pochi mesi prima che tu finisca la scuola, no?» suggerì e Amelia vide chiaramente l’aria imbarazzata che lo avvolgeva.
Per un momento il pensiero di quel “qualcuno” le suggerì di chiedere di chi parlasse effettivamente, poi però una domanda più importante si fece strada in lei.
«E nel frattempo?»
Nel frattempo, vuoi far finta di nulla? Mi stai dicendo questo?
Si rese conto di avere una paura tremenda della risposta quando essa arrivò.
«Nel frattempo, possiamo…» Alessandro tacque e Amelia vide il conflitto interiore che affliggeva l’altro «…possiamo tenerlo nascosto.»
Il messaggio arrivò chiaro e forte, ma Amelia sentì il bisogno di chiedere conferma.
«Intendi una relazione segreta?» quasi sibilò quell’ultima parola, sconvolta – non dall’idea in sé, ma dal fatto che lui l’avesse proposta.
Alessandro mugugnò qualcosa che sembrò un sì e la ragazza lo fissò con gli occhi sgranati.
«…Chi sei tu? Che ne hai fatto del coscienzioso Alessandro Angelis?» finì per chiedere sarcastica – l’unico modo per scrollarsi di dosso quella sensazione di stupore, ansia e altro che non riusciva a identificare.
L’uomo, che aveva distolto lo sguardo con imbarazzo, a sentire quelle parole si volse verso di lei.
Fu un attimo: la bocca assunse il suo solito sorriso canzonatorio e ironico, quello che le aveva fatto tremare le gambe fin troppe volte, che la faceva sentire una ragazzina ma nel modo che le piaceva.
«Ha lasciato il passo allo stronzo egoista, suppongo.» disse «O, almeno, “stronzo” è come mi ha definito qualcuno una volta.» frecciò.
Amelia non si imbarazzò nemmeno: scoppiò a ridere e in un attimo venne tirata verso il petto dell’uomo che, dopo averle messo una mano sui fianchi e una tra i ricci disordinati, le si avvicinò così tanto che la mora poté osservare una a una le screziature delle varie tonalità di grigio negli occhi dell’uomo.
La risata si spense così com’era arrivata, e il bacio successivo fu alquanto ovvio.
Ovvio quasi quanto i passi all’interno del cottage, che furono percepiti con qualche secondo di ritardo tra i due e la voce successiva fu ciò che fece quasi saltare in aria la ragazza.
«Amelia?»
Si potrebbe dire che la mora sfiorò la velocità della luce nel modo in cui si allontanò di scatto da Alessandro, riuscendo fortunatamente a non perdere l’equilibrio mentre si sollevava in piedi fingendo assoluta nonchalance.
Un secondo dopo e Nicole apparve sull’uscio di casa – pigiama verde, capelli stranamente ordinati, sguardo un poco assonnato.
Lo stesso sopracitato sguardo, a vedere la scena, si dipinse di stupore e infine sospetto e fastidio.
«Quando si suole dire “il buongiorno si vede dal mattino”, eh?» frecciò caustica mentre i suoi occhi lampeggiavano d’odio in direzione di Alessandro.
Amelia, istintivamente, si volse verso l’amica a lanciarle un’occhiataccia – solo dopo si accorse che Nicole, essendo all’oscuro di tutto quello che era successo, era “autorizzata” a comportarsi in quel modo.
«Sotterra l’ascia di guerra, non sono in vena.» rispose sarcastico Alessandro, non rispondendo alla provocazione.
Nicole gonfiò le guance come una bambina, infastidita per essere stata considerata poco; evidentemente però nemmeno lei aveva voglia di continuare, perché si volto verso l’amica ignorando l’uomo.
«Sei sveglia da molto?» chiese.
Amelia arrossì senza nemmeno sapere il perché – o forse lo sapeva, ma preferiva ignorarlo.
«Mh.» borbottò solo, senza rispondere «Tommaso?» chiese poi, per cercare di distogliere l’attenzione dalla situazione.
«È ancora a letto, ma è sveglio. Fra poco ha detto che scende.» spiegò scrollando le spalle la castana; poi azzardò un passo verso l’interno «Vieni?» le domandò.
Amelia si affrettò ad annuire e, dopo averla lasciata entrare per prima, si voltò un attimo verso Alessandro. Lui era sempre lì, seduto, e la fissava con un mezzo sorriso che la fece arrossire per l’ennesima volta; la reazione dovette divertire l’uomo perché sbuffò una mezza risata, e non volendo dargli altre soddisfazioni corse appresso all’amica.
All’interno seguì Nicole che si dirigeva in cucina, evidentemente affamata.
«Oh, c’è del caffè.» notò allegra la castana, già dimentica del fastidio precedente. Amelia osservò il barattolo di caffè poggiato sul piano di lavoro e ricollegò quello alla tazza di Alessandro.
«Ci sarà una caffettiera grande, da qualche parte?» continuò imperterrita la castana, ignorando quella piccola ancora sul fornello.
Amelia non rispose, lasciandola frugare per i mobili e mordendosi le labbra indecisa.
Glielo dico ora? O è meglio aspettare?
La risposta venne da sé quando, subito dopo, entrarono Anna e Sofia in cucina.
«Abbiamo sentito le vostre voci.» spiegò Sofia dopo il consueto “buongiorno”.
«Oh, eccola!» esclamò Nicole che, dopo essersi arrampicata su un mobile per frugare, era uscita vittoriosa con una caffettiera dalle dimensioni davvero esagerate.
«Gli altri?» chiese poi Amelia, rivolgendosi alle altre due ragazze e riferendosi ovviamente a Daniele e Stefano.
«Ho sentito le loro voci dalla stanza, immagino siano svegli.» rispose Anna.
Subito dopo, ad aggiungersi al piccolo gruppo, arrivò Tommaso.
«Buongiorno!» esclamò sprizzante di allegria – l’occhiata che ricevette da Amelia diceva chiaramente “ma che hai da essere così allegro a quest’ora?”. Il ragazzo però non la colse, concentrandosi invece sulla propria ragazza che trafficava per preparare la caffettiera.
Amelia sospirò e, solo in quel momento, si accorse del casino che invadeva il tavolo della cucina: piatti, recipienti vuoti, altre bottiglie e tovaglioli spiegazzati le ricordavano che doveva tutto essere messo a posto.
«Ragazze, mi aiutate a fare un po’ di ordine mentre Nicole prepara il caffè?» mugolò triste – non aveva per niente voglia di mettere a posto, ma le toccava.
«Certo.»
«Nessun problema.»
Entrambe risposero prontamente facendo tirare un sospiro di sollievo alla mora, e mentre Nicole tirava fuori tazzine e cercava dello zucchero, tampinata dal ragazzo che le sussurrava chissà cosa, le tre giovani iniziarono a smistare la spazzatura e chiudere tutto in sacchi separati per fare la differenziata. In quel trambusto, dopo poco scesero anche Stefano e Daniele, entrambi con vistose occhiaie e con un’aria stropicciata.
Per Amelia fu inevitabile lanciare un’occhiata scettica entrambi, ma mentre Daniele la ignorò come sua abitudine in certe situazioni, Stefano finì per arrossire e voltare la faccia con aria colpevole.
Spero solo che non abbiano sporcato niente, commentò ilare.
I successivi minuti passarono mentre Amelia, Anna e Sofia mettevano in ordine, aiutate da Stefano e Daniele che si occupavano del salotto mentre Nicole preparava il caffè, recuperava dei dolci avanzati dalla sera prima per poter fare una colazione decente e Tommaso la assisteva facendo più o meno niente se non stare in mezzo – e guadagnandosi così le occhiatacce della fidanzata e di Amelia, già stanca dopo quel movimento.
«Il prof?»
La domanda improvvisa di Stefano fece sussultare Amelia che si alzò di colpo dopo essersi chinata a raccogliere dei tovaglioli; inevitabilmente sbatté la testa sullo spigolo del tavolo.
«Cazzo!» sibilò dolorante, tenendosi la testa sul punto colpito.
«Tutto bene?» accorse subito Anna preoccupata – lei non sembrava essersi accorta di nulla, ma la mora notò chiaramente le occhiate parecchio scettiche di Daniele e di Nicole, che si erano perfettamente accorti della sua reazione alla parola “prof”.
«Sì, sì.» borbottò frettolosa Amelia, facendo un vago cenno con la mano «Era fuori fino a poco fa, vado a chiedergli se vuole mangiare qualcosa.» disse poi rapida, e prima che qualcuno potesse dire anche solo una parola si precipitò fuori dalla cucina, attraversando il corridoio di volata e finendo sul porticato.
Alessandro era sempre lì, ma ora era in piedi e trafficava con il telefono. Doveva essere parecchio assorto, dato che quando la ragazza parlò parve sussultare.
«Vuoi fare colazione con noi?»
L’uomo si girò di scatto e, nel suo volto, alla mora sembrò proprio di cogliere un’espressione colpevole.
«Eh?»
Oddio, le situazioni si sono rovesciate?, pensò stranita Amelia – di solito era lei che sembrava fuori dal mondo.
«La colazione.» ripeté la mora. Alessandro si affrettò a porre il blocco schermo sul telefono e riporlo in tasca, tutto sotto gli occhi confusi della giovane.
«Ho già bevuto il caffè.» rispose solo.
Amelia però sembrava essersi dimenticata della propria domanda, perché i suoi occhi erano concentrati sulla tasca in cui il cellulare era stato riposto.
«Che facevi?» chiese accusatoria – non sapeva se ne avesse il diritto, ma quella faccia non le faceva presupporre nulla di buono.
«Niente.» rispose con studiata nonchalance Alessandro, la faccia indifferente e tranquilla – e Amelia ci sarebbe cascata con tutte le scarpe se non lo avesse conosciuto da abbastanza tempo per sapere che era davvero parecchio abile a nascondere le proprie emozioni.
«Bugiardo.» affermò secca.
A quel punto l’uomo fece un mezzo sorriso divertito e si avvicinò a lei; inconsciamente, fece un passo indietro e un altro ancora, fino a quando non trovò la parete della casa dietro di lei a bloccarle la via di fuga.
Alessandro si avvicinò ancora di più fino a trovarsi solo a pochi centimetri da lei. Amelia lo fissava dal basso, un poco in soggezione dall’altezza dell’altro, ma si impose di ostentare tranquillità.
«Quanto sei curiosa…» sussurrò l’uomo mentre si chinava verso di lei – erano a un soffio, alla ragazza bastava sporgersi un po’ di più per baciarlo. Ma, allo stesso tempo, erano così vicini da rendere inequivocabile la situazione e si affrettò a respingerlo con una mano.
«Gli altri sono dentro.» spiegò solo mentre l’altro sbuffava infastidito.
«Allora?» chiese ancora, non dimentica della precedente domanda. Alessandro scrollò le spalle.
«Cosa credi, che solo tu abbia degli amici a cui raccontare le cose?» chiese, senza rispondere davvero – ma ebbe almeno la decenza di imbarazzarsi a quella frase, conscio del significato sottinteso, e Amelia comprese al volo.
«Oh.» disse solo, arrossendo.
Chissà a chi lo ha raccontato… Oddio, che vergogna!
I suoi pensieri erano già partiti per la tangente, ma a distrarla fu proprio Alessandro che, rapido, si chinò verso di lei per un bacio a stampo.
«Dicevi, della colazione?» chiese con aria innocente – stonava terribilmente su di lui, notò Amelia.
La mora decise di lasciar perdere e scrollò le spalle.
«Hai preso il caffè ma non hai mangiato nulla. Vieni con noi?» chiese.
Alessandro sembrò soppesare la proposta per qualche secondo – va bene Amelia, che era un caso a parte, ma con gli altri suoi studenti non sarebbe stato strano?
Evidentemente dovette pensare che non gliene importasse granché, quindi annuì.
«Va bene.»
Amelia si rese conto solo in quel momento che in qualche modo avrebbe preferito che l’altro rifiutasse – non per lui, bensì perché non sapeva se sarebbe riuscita a far finta di nulla. Già il solo fatto di essere di fianco a lui la rendeva elettrica, se qualcuno se ne fosse accorto che avrebbe dovuto fare?
Merda.
Il tragitto dal porticato alla cucina fu tremendamente breve e non ebbe il tempo di prepararsi psicologicamente – nemmeno gli altri, però, dovevano averlo avuto, perché quando Stefano, Anna e Sofia la videro entrare con il professore si irrigidirono a disagio.
«Buongiorno.» fece serafico Alessandro – come cazzo faceva a essere così indifferente alla situazione? Amelia lo odiava.
Il borbottio che seguì quel “buongiorno” suonò deprimente alle orecchie della mora, ma per fortuna Nicole corse in sua salvezza informando che il caffè era pronto e iniziando a servirlo a tutti, mentre gli altri si affaccendavano sul cibo.
La colazione, nonostante l’ansia di Amelia, fu piuttosto tranquilla: dopo un primo momento di gelo tutti fecero finta di nulla e anche Alessandro in qualche modo partecipò, sbocconcellando la torta con scarsa voglia, in piedi e di fianco ad Amelia che continuava a girare il cucchiaino nella tazzina in maniera quasi ossessiva.
«Credo che lo zucchero si sia già sciolto da un pezzo.» le sussurrò l’uomo con un’occhiata divertita e Amelia dovette fare appello a tutta la propria forza di volontà per ignorare il gomito dell’uomo che le sfiorava il fianco – era solo un contatto involontario, no? Non c’era nulla di sospettoso.
La mora si limitò a mugugnare qualcosa di indefinito mentre in un solo sorso beveva tutto il caffè – forse sperava che la caffeina le svegliasse i neuroni andati in letargo, cosa che però parve non funzionare.
«L’abbiamo disturbata stanotte, prof? Abbiamo cercato di fare meno casino possibile.»
La domanda di Stefano, piuttosto imbarazzata, attirò l’attenzione di quasi tutti e Alessandro alzò il viso dalla propria torta per fissare il giovane. Dopo un secondo di silenzio, il suo viso si distese in un sorriso mellifluo.
«Oh, tranquilli, ho dormito benissimo.» rispose con un leggero tono angelico. Tempo due secondi e Amelia si strozzò con il pasticcino che aveva appena messo in bocca.
«Ame?» borbottò poco convinto Daniele dandole qualche pacca sulla spalla.
«Va tutto bene.» bofonchiò la mora tra i colpi di tosse – non arrossire, non arrossire!
Se tutti presero quello pseudo soffocamento come una semplice coincidenza – escludendo ovviamente Alessandro – Nicole non fu così scema da far finta di nulla e puntò i suoi occhi verdi sulla sua amica.
«Amelia, ho un problema. Mi accompagni in bagno?»
La castana irruppe con quella frase con assoluta nonchalance e senza aspettare troppo la risposta dell’amica la illuminò con un sorriso falso e la trascinò fuori dalla stanza, questo mentre gli altri si erano già distratti con altro – gli unici che fissarono la scena furono il professore e Daniele, che sorseggiava il proprio caffè con aria assorta.
Amelia era già in panico mentre Nicole la trascinava correndo al piano di sopra, entrando nella camera in cui aveva dormito e chiudendo la porta a chiave.
«Ok, hai due minuti per dirmi che è successo. E anche per calmarti, dato che sembri una bomba a orologeria.»
«L’abbiamo fatto.»
Veloce e indolore, no?
«Cosa cazzo hai detto?»
O meglio, veloce e confuso.
Amelia tirò un sospiro più grande di lei.
«Stanotte, l’abbiamo fatto.» ripeté più lentamente.
La castana la fissava con due occhi che sembravano due palle da golf tanto erano spalancati, e la bocca prese esempio da essi aprendosi lentamente fino a creare una perfetta circonferenza.
«…sei seria?» disse quando parve riacquisire una parvenza di funzioni mentali.
«Sì.» semplice affermazione «Ma, ecco… Cioè, non puoi capire! Mi sono svegliata, ero fuori – ti giuro non stavo facendo nulla di male! – e lui è uscito, si è preso una sigaretta e niente, poi questo e quest’altro, e infine così…» e conseguente complicata spiegazione.
Amelia stava vaneggiando e Nicole se ne accorse subito, ovviamente, notando l’amica iniziare a gesticolare come una posseduta, i ricci che seguivano i movimenti strani della testa e il balbettio che proveniva dalla sua bocca.
«Ame, dio santo. Calmati!» finì per bloccarla Nicole – ma era normale che facesse così?
Amelia si zittì all’improvviso.
«Perché non mi spieghi tutto dall’inizio?»
Amelia avrebbe tanto voluto farlo – anche perché forse quello avrebbe aiutato pure lei – ma come succede sempre in casi del genere qualcuno si attaccò alla porta bussando – e facendo imprecare malamente Nicole.
«Che cazzo vuoi?» sibilò la castana, aprendo la porta e trovando Tommaso che la fissò timoroso.
«…mi hanno mandato ad avvisare che sta arrivando il carroattrezzi, dovremmo sbrigarci a sistemare perché dovrebbe arrivare anche il padre del vostro prof-»
«Del suo prof.»
«-sì, beh, mi hanno detto di dirvi di scendere.» pigolò infine Tommaso – vedersi davanti quelle due, una incazzata nera e l’altra con l’espressione alquanto spiritata, era davvero traumatizzante.
Nicole stava già per mandare a fanculo tutti allegramente, quando Amelia intervenne sfiorandole il braccio.
«Dai, scendiamo. Ti spiegherò per bene in un altro momento.» borbottò la mora, chinando la testa in imbarazzo.
Nicole la fissò. Tommaso la fissò.
«Va bene.»
«Che succede?»
«Niente.» strillarono in contemporanea le due.
«…ok.»
Amelia sospirò, arrendendosi al fatto che prima di poter ragionare per bene su quello che era accaduto avrebbe dovuto aspettare.
Nel frattempo, però, la consapevolezza della portata del fatto l’attanagliava sempre di più.
Ma che cazzo ho fatto…

 

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitré ~ Di semi-normalità e problemi in vista ***


…c’è qualcuno?

Sì, lo so, sono passati ben quattro mesi dal mio ultimo aggiornamento – però ho aggiornato di lunedì come ai vecchi tempi, no?
Ok, oltrepassando queste tristi battute, volevo dirvi che mi dispiace tanto per essere sparita per così tanto tempo. Non so come spiegarvi la mia assenza se non che è stato un periodo stressante, privo di qualsiasi briciola di ispirazione, pieno di altre cose da fare; inoltre questo capitolo era difficile da scrivere, non perché succede qualcosa di particolare – anzi, proprio perché è un capitolo di passaggio non riuscivo a scriverlo, non mi piaceva mai e tutt’ora non ne sono molto convinta, ma ho deciso di lasciarlo così com’è perché, ne sono sicura, non sarei mai riuscita a esserne soddisfatta. Infatti, non so se noterete, è molto più breve dei miei soliti capitoli, non avevo granché ispirazione.
Avviso sin da ora che di sicuro il prossimo lunedì non potrò aggiornare, perché il giorno dopo ho un esame, e proprio a causa della sessione non so se sarò in grado di aggiornare in questo mese, in caso se ne riparlerà a febbraio. Comunque sia, vi comunico che (in teoria) escluso questo mancano soltanto quattro capitoli alla fine, quindi spero che possiate goderveli!
Detto questo vi lascio alla lettura, sperando che ci sia ancora qualcuno che legga questa storia con piacere, augurandovi anche un buon anno (seppur in ritardo)!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventitré
~
Di semi-normalità e problemi in vista
 
 
 
Mai Amelia avrebbe pensato di provare un sentimento così ambivalente nei confronti della scuola.
Generalmente, non adorava andarci – non che ci sia la necessità di una spiegazione per questo, difficilmente uno studente è elettrizzato all’idea di rinchiudersi in quel covo di matti – ma non era neanche così schifata all’idea di ritrovarsi lì. Insomma, aveva l’idea tipica di qualsiasi studente, bene o male.
Da circa un paio di settimane però – anzi, per essere più precisi da quel giorno – essere a scuola era allo stesso tempo terribile croce e fantastica delizia per lei.
Anche in questo caso non c’è bisogno di spiegazioni, ma ovviamente tutto era a causa del caro professor Angelis.
Averlo così vicino, poterlo vedere praticamente tutti i giorni la faceva sospirare in un modo tale che si sentiva parecchio patetica, ma il non poterlo toccare, scherzare con lui e baciarlo, beh… Quello era un serio tormento.
E mentre in quel momento entrava nell’aula, la borsa di pelle in una mano e la giacca nell’altra, era inevitabile perdersi a fissarlo con aria adorante.
«Ti cola la bava.»
Eccolo, il caro Daniele, sempre pronto a risvegliarla dai propri sogni ad occhi aperti.
Si girò seccata verso di lui e lo trovò che la fissava canzonatorio, un sorrisetto divertito dipinto sul volto e le braccia incrociate.
«Non è vero.» si limitò a rispondere arrossendo – perché sapeva che l’amico aveva ragione, anche se non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente.
«Sì che è vero. Lo guardi come se non vedessi l’ora di strappargli i vestiti di dosso.» continuò imperterrito il riccio, per poi sorridere beffardo e chinarsi verso l’amica, evitando così che qualcuno potesse sentire «Anche se so che stai facendo il conto alla rovescia per questo pomeriggio.»
Inutile dire che la mora saltò sulla sedia come un petardo, facendo strisciare la sedia e attirando le occhiate di qualche compagno di classe che correva a posto.
«Idiota! Qualcuno potrebbe sentirti!» sibilò immediatamente, rossa come il fuoco. Daniele se la rideva alla grande, nel frattempo, perfettamente conscio di non aver alzato la voce ma godendosi l’ansia dell’amica – il solito bastardo, insomma.
La mora si affrettò poi a riprendere una posizione composta, il volto ancora arrossato e l’ansia che pian piano la abbandonava – e in quel momento osò azzardare uno sguardo verso Alessandro.
Era lì, alla cattedra, ancora in piedi ma con la borsa poggiata sul piano, e la guardava – uno sguardo leggermente perplesso dalla scenetta che aveva di sicuro visto senza cogliere il significato. O forse quello era stato compreso, dato che la mora lo vide alzare leggermente gli occhi al cielo con una finta aria esasperata, per poi trattenere un sorriso e finire per sedersi.
«Buongiorno ragazzi.»
La voce del prof si sollevò tra gli studenti in maniera pacata – un tono su cui gli studenti si adagiavano da un po’ di tempo senza comprendere il motivo di quella strana calma del professore, di solito più duro, ma non che importasse davvero a qualcuno.
«Iniziamo la lezione.»
E così dicendo, Amelia si preparò ad ascoltare tutta la lezione sempre in quel dolce tormento che era diventato ormai la forma più piacevole di sofferenza.
 
Non mi abituerò mai.
Era il solito pensiero che Amelia faceva appena prima di suonare il campanello della casa di Alessandro. Istintivamente arrossì per l’ennesima volta durante quella giornata – in quel periodo prendeva fuoco troppo spesso, cavolo! – e iniziò a torturarsi le dita delle mani tra di loro mentre aspettava.
Stranamente, attese più del solito ma alla fine la porta si aprì, rivelando un Alessandro con un’aria assonnata e in tuta – una visione, in pratica, tanto che Amelia dovette fare appello a tutta la propria sanità mentale per non saltargli addosso. Com’era possibile che fosse così bello anche quando si era palesemente appena svegliato da un pisolino?
«Ehi, non sapevo stessi dormendo.» le venne spontaneo dire.
Alessandro la osservò e sbuffò a metà tra il divertito e l’esasperato.
«Mi sono solo addormentato per sbaglio, ti ho detto io di venire qui a quest’ora.» la riprese bonariamente l’uomo, per poi spostarsi per farla passare.
Amelia entrò con i soliti passi cauti che faceva appena arrivata lì – no, non si sarebbe mai abituata – e subito il caldo la invase facendola quasi sudare. Non capiva il motivo, ma Alessandro aveva la strana abitudine di tenere perennemente il riscaldamento acceso per poter stare a maniche corte, com’era anche in quel momento.
Non che la cosa mi dispiaccia davvero , pensò deliziata Amelia, godendosi la vista dell’uomo che subito si accorse di essere fissato – e, ovviamente, fece un ghigno divertito.
«Così mi consumi.» bofonchiò sarcastico.
«Sei così delicato?» rispose a tono Amelia, senza minimamente negare il fatto che lo stesse fissando.
«Credo che sia tu quella più delicata.» replicò a sua volta l’uomo.
Parole sarcastiche e toni divertiti coincidevano con i passi che facevano l’uno verso l’altro, prima di incontrarsi a metà strada – e a quel punto Amelia, con la porta chiusa e consapevole che nessuno li potesse vedere, si permise di allacciargli le braccia attorno al collo e sporgersi sulle punte.
Mentre Alessandro si chinava su di lei per seguirla nel bacio, sentì le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi ancora fasciati dalla giacca da inizio primavera e, come al solito, finirono fondamentalmente uno addosso all’altro, le mani che vagavano tra capelli, fianchi e altre porzioni di corpo.
Alessandro fu il primo a staccarsi – era sempre lui quello morigerato e che riprendeva il controllo, Amelia a volte si chiedeva se avesse paura di farle del male.
«Non volevamo andare a fare un giro?» soffiò a pochi centimetri dal suo viso, il moro. Amelia sorrise innocente.
«Abbiamo tutto il pomeriggio per uscire. Tanto mia mamma crede che io sia a casa di Nicole.» la risposta della ragazza fu rapida e sempre pronunciata con un tono innocente, ma di certo non si aspettava quell’occhiata di desolazione che vide poi nello sguardo dell’altro.
«Tutto bene?»
«Serena mi ucciderà.» borbottò di risposta il giovane. Amelia lo fissò spiazzata – non era ancora abituata a vederlo con quell’aria preoccupata o depressa - o meglio, non ancora abituata a vederlo con espressioni più umane - ma poi cercò di tranquillizzarlo.
«Dai, non lo scoprirà di certo, siamo stati sempre attenti finora.»
E, in effetti, l’ansia iniziale li aveva resi quasi paranoici, tanto che inizialmente a scuola non si guardavano nemmeno, mentre con il passare di qualche tempo erano diventati più temerari e si permettevano anche un bacio, se erano sicuri che non ci fosse nessuno a vederli.
«Infatti, mi riferisco a quando glielo diremo. Sarà tremendo. I miei mi diserederanno.» continuò depresso, finendo per avvicinarla più a sé e affondare il viso nei riccioli scuri e permise così ad Amelia di accarezzargli a sua volta i capelli – non sembrava minimamente l’Alessandro che aveva conosciuto all’inizio, da quando stavano insieme aveva dato spazio anche ad altri lati del suo carattere: più attento, più dolce, più premuroso e, in certi casi, anche più infantile.
Amelia non riuscì a trattenere del tutto una risata, che finì per essere uno sbuffo mal trattenuto e Alessandro finì per alzarsi a squadrarla con aria offesa.
«Stai ridendo di me?»
«Io? Non potrei mai.»
E mentre Alessandro capiva di star venendo preso in giro alla grande, Amelia capiva invece che era meglio iniziare a correre, perché l’occhiata del moro non presagiva nulla di buono.
Infatti, dopo poco, finirono nudi sul letto a rotolarsi e ad afferrarsi in maniera dapprima giocosa, poi sempre più vorace sino a finire uno tra le braccia dell’altro, sotto le coperte che li riscaldavano.
«Avevamo detto che saremmo usciti.»
La voce divertita di Alessandro fece aprire un occhio all’assopita Amelia, stretta tra il giovane e le coperte mentre la stanchezza la spingeva sempre di più nel sonno.
«Non era urgente, era solo per fare un giro.» borbottò la ragazza «E poi, meno ci facciamo vedere in giro meglio è in teoria, no? Evitiamo il rischio di venire beccati.» aggiunse.
Un sospiro, forse seccato, e poi la ragazza fu costretta a spostarsi mentre sentiva il moro scostare le coperte e dirigersi verso il bagno; lei aprì totalmente gli occhi e si perse a fissare i raggi di sole che filtravano dalle tapparelle non abbassate del tutto.
Inevitabilmente, anche lei finì per sospirare – non era passato nemmeno un mese e tutta quella storia si faceva già stressante. È vero, era il periodo più bello di tutta la sua vita, averlo a fianco era qualcosa che mai credeva si potesse avverare, eppure l’ansia era sempre lì, sopita nella sua testa, facendola preoccupare di ogni singola cosa. L’unico momento in cui essa scompariva era quando si stringeva a lui.
«Sono solo le sei e mezza, possiamo comunque andare a fare un giro.»
Amelia parlò mentre si sollevava sul letto, finendo per osservare dalla porta aperta il giovane che aveva aperto l’acqua per la doccia – non era particolarmente pudico, lui.
O magari no, le venne da pensare mentre i suoi occhi scivolavano sul corpo nudo dell’altro.
Il moro non ci mise molto a notare come veniva osservato – sorrise divertito, a quel punto.
«Prima però potresti venire in doccia con me, no?»
E chi se lo fa ripetere.
 
 

Non avevano fatto granché quel pomeriggio: erano entrambi stanchi, tra scuola e attività fisica il pomeriggio, sia Amelia che Alessandro avevano considerato a posteriori che rimanere a casa, distesi sul divano, a mangiare e guardare canali trash in tv – il moro aveva ammesso solo dopo varie torture che ogni tanto gli capitava di guardare quei programmi, “per staccare la testa” diceva – sarebbe forse stata un’idea migliore.
In quel momento si trovavano su un parco in una zona limitrofa della città, sempre per evitare che qualcuno potesse vederli, e Amelia si dondolava su un’altalena concentrata prevalentemente sul gelato al pistacchio che Alessandro le aveva comprato come se fosse stata una bambina di cinque anni; ovviamente però non aveva protestato, al gelato non si dice mai di no.
Dopo qualche minuto di silenzio, la mora alzò lo sguardo e vide Alessandro che la fissava con un mezzo sorriso sulle labbra.
«Che hai da ridere?» borbottò.
«Sei sporca di gelato.» le rivelò subito il moro, per poi scoppiare a ridere «Non sai nemmeno mangiare un gelato!»
Nel giro di un secondo la ragazza divenne rossa.
«Senti chi parla, secondo me non l’hai preso solo perché ti sbrodoli mentre mangi.» lo rintuzzò alla stregua di una dodicenne indispettita. Vide l’altro alzare gli occhi al cielo.
«No, tesoro, so come si mangia un gelato a differenza tua.»
«Ah-ah, suppongo da dove venga tutta questa esperienza…» frecciò sarcastica la mora, per poi godersi l’espressione attonita di Alessandro che di certo non si aspettava quella frase.
Alla fine, però si arrese, scuotendo la testa con fare desolato.
«Sei tremenda.»
Amelia scoppiò a ridere – ma subito dopo la risata si spense, mentre la sua testa si affaccendava su pensieri che la turbavano da un po’.
Dovrei parlargliene, nella sua testa questa frase aleggiava sospesa e nel silenzio terminò di mangiare il gelato facendo più attenzione non a sporcarsi. Poi decise di lanciare la bomba – in maniera indiretta, certo, ma di farlo.
«Mi mancheranno questi pomeriggi tranquilli quando sarò a Milano.»
Fu uno strano momento di stasi: Amelia tenne gli occhi giù, verso gli steli d’erba che ondeggiavano al leggero vento primaverile che però si faceva sempre più fresco a quell’ora della sera; sollevò di un poco lo sguardo, non osservando ancora apertamente l’altro, e finì per osservare le ombre proiettate sul prato dagli altri giochi presenti.
«Cosa intendi?»
La voce dell’altro era ritornata come quelle prime volte che si parlavano: fredda e misurata.
Amelia però non fuggì come faceva all’inizio: sollevò lo sguardo cercando di essere più naturale possibile e osservò l’altro che la fissava in piedi, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo di nuovo acciaio.
La mora rabbrividì – era da un po’ che non si sentiva perforare da quello sguardo. Aveva smesso di guardarla in quel modo da un po’ di tempo.
«Non guardarmi così.» disse a bassa voce prima ancora di rispondere alla domanda.
L’altro a quelle parole cambiò immediatamente luce nei propri occhi, finendo per sciogliere quel metallo che era diventato così rapidamente freddo.
«Non mi hai risposto però.»
Amelia sospirò – quel periodo sospirava troppo, in effetti.
«È da un po’ che sto pensando all’università… A quale corso iscrivermi, in che città andare, cose del genere. Tra le varie ipotesi quella che mi ispira di più è Milano, per ora.» spiegò molto semplicemente.
Altro silenzio, che da un lato era diventato inusuale tra di loro ormai, e la ragazza osservò il giovane che faceva qualche passo come se non riuscisse a stare fermo.
«So che non è esattamente dietro l’angolo, Ale, ma non voglio rinunciare alle mie scelte per il futuro per…» si interruppe, rendendosi conto troppo tardi di quello che stava per dire.
«“Per me”.» terminò al suo posto il giovane, ma Amelia notò chiaramente che non c’era alcun’acredine nella sua voce: era pacato, rilassato. Le sorrise.
«Tranquilla, non me la prenderò per questo. Non posso. Anzi, credo che mi arrabbierei di più se rimanessi qui soltanto per me, sarebbe infantile e sciocco e so che non sei né l’uno né l’altro.» disse avvicinandosi a lei e sistemandole una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Amelia sentì gli occhi inumidirsi ma si affrettò a farli tornare normali.
«Sì, solo non pensare che non ne vada la pena, ecco, intendevo solo…»
«Intendevi che hai diciannove anni, un sacco di scelte da fare, una vita che ti aspetta ed è normale non voler stare qui.» finì per lei l’uomo. Amelia sbuffò e lo spinse giocosa.
«Se continui a parlare così finirai per sembrare un sessantenne, altro che trent’anni.»
Il moro le lanciò un’occhiata infastidita.
«Sono ventisette, quando te lo metterai in testa?»
Amelia lo tirò a sé fino ad averlo a un centimetro dal naso.
«Quando vorrò smetterla di prenderti in giro.»
E scoccò l’ennesimo bacio, i pensieri cupi sul futuro destinati a un altro momento.
 
 

«Vuoi che rimanga qui a farti compagnia?»
Amelia fece gli ultimi tiri di sigaretta prima di buttarla via e rispondere a Nicole che la fissava in attesa.
«Non preoccuparti, sarà qui fra poco.» rispose la mora con un sorriso.
Nicole si guardò intorno.
«Ma non mi va di farti aspettare da sola.»
«Non mi mangia nessuno, che credi.»
«Che ne sai, non voglio averti sulla coscienza.»
Amelia le lanciò una finta occhiata ammonitrice prima che l’amica assumesse un’aria quasi seccata e, un secondo dopo, un braccio le si appoggiasse sulle spalle.
«Scusa il ritardo, tesoro.»
Alessandro le scoccò un caldo bacio tra i capelli prima di sollevare lo sguardo e lanciare un sorriso alla castana, che lo fissava con una vaga aria bellicosa che ancora non voleva andarsene – ce l’aveva ancora con lui per la storia di Parigi.
«Ciao anche a te, Nicole.»
«Ciao.»
Un iceberg sarebbe stato meno freddo, considerò Amelia sollevano gli occhi al cielo con aria esasperata, ma non disse nulla e si girò sorridente verso l’uomo.
«Non preoccuparti, sono appena cinque minuti.»
«Cinque lunghi minuti. Un po’ di puntualità non guasterebbe, sai?» frecciò la castana.
Alessandro le lanciò un’occhiata.
«Oh, fidati, a te farei aspettare molto più di cinque minuti.» replicò sarcastico l’uomo.
Nicole sbuffò, ma si trattenne da un’altra risposta pungente – più per Amelia che per reale intenzione.
«Beh, Ame, io vado allora. Ci sentiamo più tardi.» la salutò la ragazza sporgendosi per dare due baci all’amica. La mora annuì.
«Certo, a più tardi.»
Amelia osservò l’amica incamminarsi lungo la strada, verso la fermata dell’autobus, per poi girarsi verso Alessandro e lo fissò con aria di rimprovero.
«Per quanto ancora le risponderai?» lo rimbrottò con una spintarella.
«Inizia sempre lei!»
La mora non riuscì a rimproverarlo: il tono infantile usato dall’uomo le tolse qualsiasi voglia di farlo – piuttosto, si spinse verso di lui per dargli un bacio a stampo.
«Beh, allora, vogliamo andare?» disse poi ancora a poca distanza dal viso dell’altro. Alessandro non rispose, piuttosto si limitò a darle un altro bacio e prenderla per mano, tirandola con sé verso la strada.
«Cos’è che dobbiamo fare oggi? Mi hai solo detto che ti serviva una mano ma non mi hai specificato per cosa.» chiese la mora guardandosi attorno con aria guardinga – un paio di secondi e lasciò andare la mano dell’uomo per poi lanciargli un sorriso di scuse.
Alessandro parve non reagire al gesto, si limitò a rispondere.
«A fine mese c’è il compleanno di mia madre – a proposito, so che ha intenzione di fare un invito in casa e mi è sembrato di capire che volesse invitare anche i tuoi; comunque, mi servirebbe un aiuto per il regalo, lo sai che sono negato in queste cose.» concluse con una smorfia infastidita.
Amelia scoppiò a ridere mentre un ricordo non troppo recente le ritornava in mente.
Alessandro la guardò confuso e la ragazza si affrettò a spiegare.
«Dai, non dirmi che non ti ricordi di quel giorno al centro commerciale, prima di Natale.» lo rimbrottò ironica. Il moro parve illuminarsi.
«Beh, dimenticarlo sarebbe difficile. Il giorno pensavo davvero che mi stessi perseguitando.»
«Scusa? Ma se eri tu quello che compariva sempre dove ero io.»
«Seh, ammettilo che mi seguivi.»
Continuarono a battibeccare tra toni sarcastici e talvolta non troppo ironici fino a che lo sguardo di Amelia non venne attirato da una gioielleria.
«Proviamo qui? Mi sembra che a tua madre piacciano questo genere di cose.»
Alessandro scrollò le spalle.
«A quale donna non piacciono?» chiese retorico prima di indirizzarsi con la giovane verso l’entrata.
Come potrei dargli torto?, pensò la mora, ma lo tenne per sé e lo seguì all’interno, preparandosi ad entrare nei meandri della mente di Margherita per scegliere il regalo perfetto.
 
 
 
«Ehi, ma quello non è Angelis?»
«Dove? …oh, hai ragione. Ma aspetta, con lui non c’è anche Moretti?»
«Chi?»
«Quella in classe con Davide, dai!»
«Ah, sì! …ma che ci fanno insieme?»
 

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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ~ Di consapevolezze e decisioni ***


Buon Natale ohohoh~
Ok, mi merito tutti gli insulti di questo mondo, lo so.
È praticamente un anno che non aggiorno, mi sento davvero una deficiente – e anche poco carina nei confronti di tutti quei lettori che mi seguivano e mi supportavano costantemente. Mi dispiace tanto ragazzi, spero che ci sia ancora qualcuno interessato a questa storiella che sto portando lentamente avanti.
Quest’ultimo anno è stato denso di alcuni cambiamenti fondamentali – non di università o altro, più di vita privata. Bei cambiamenti, per fortuna, o almeno i più importanti, ma che mi hanno travolto lasciandomi poco tempo e poca testa per scrivere. E poi si sa, la temuta pagina bianca sa incutere parecchio timore.
Ho scritto la prima parte di questo capitolo l’anno scorso e l’ho finito tutto nelle ultime due ore e, anche se avrei voluto rivederlo meglio, ho deciso di fare il Babbo Natale e lasciare un regalino nella notte di questo 25 dicembre – a proposito, tantissimi auguri a tutti!
Detto questo – tanto e niente, come mio solito – vi lascio a questo importante capitolo de “La fisica dell’attrazione”, sperando che possa ancora interessare a qualcuno e che vi piaccia. Chiedo scusa di eventuali errori di battitura, ho fatto tutto quello che mi era possibile in queste ore di stanchezza e di post-cenone della Vigilia!
Non so ancora quando potrebbe uscire il prossimo capitolo, vi chiedo solo di portare pazienza e di non mandarmi troppo a quel paese, please!
Un abbraccio,
 
~Sapphire_
 

 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventiquattro
~
Di consapevolezze e decisioni
 
 
 
Il trillo della campanella risvegliò Amelia dal torpore mattutino che proprio non voleva sparire quel giorno.
Sollevò la testa dal banco e si ritrovò un ricciolo scuro davanti agli occhi che si affrettò a spostare mentre vedeva di sfuggita la professoressa di francese entrare in un turbinio di vestiti colorati – appena arrivava la primavera sembrava rifiutarsi di indossare qualcosa di scuro! – e sbadigliò platealmente.
«Ecco cosa succede a preferire il proprio ragazzo a una sana dormita.»
La voce di Daniele la fece sbuffare mentre si voltava verso di lui che la fissava con un’occhiata sorniona.
«Non ero con lui ieri sera.» borbottò.
«Ah, e come mai sei andata a letto tardi?»
Amelia tacque, ripensando all’infinita telefonata fatta proprio con il caro prof.
A Daniele non servì altro: si mise a ridere nel giro di un secondo e scompigliò i capelli all’amica.
«Vedi? Bisogna avere un po’ di autocontrollo!» continuò a prenderla in giro.
La mora riuscì a tenergli il muso solo per un paio di secondi e poi arrossì.
«Io ho autocontrollo!» il tono piccato però fece ancora più ridere l’amico che alzò le mani in segno di resa.
«Come preferisci!»
Non ci fu altro tempo per scambiare nuove battute, perché la lezione iniziò subito e la mattinata riprese monotona come tutto il resto dell’anno.
Quel giorno, però, ci fu un qualcosa che accadde di diverso dal solito – qualcosa che Amelia avrebbe dovuto sospettare, ma quella mattina aveva troppo sonno per rendersi conto delle occhiate che le erano state rivolte da vari compagni di scuola. Però si sa, quando si decide di rinchiudersi nella propria bolla dorata difficilmente ci si rende conto delle cose negative che accadono attorno a noi.
Fu in quello stato d’animo di stanchezza mista a felicità che la bidella entrò dopo aver bussato, attirando così l’attenzione generale della classe.
«Buongiorno. Moretti è richiesta all’ufficio del preside.»
…eh?
Amelia si risvegliò soltanto in quel momento, mentre tutti i suoi compagni di classe, compresa la prof, si voltavano verso di lei a fissarla.
«…dice a me?»
Si pentì di quella domanda nel momento in cui la bidella parve prenderla per una stupida – e Daniele le allungò una mano sotto il banco per darle un colpo sulla gamba, come per farla riprendere.
«Moretti, può andare.»
La voce della professoressa le fece capire che sì, era proprio lei – anche perché non che ci fossero altre Moretti in quella classe, pensò dandosi della stupida – e si alzò con uno sguardo di confusione mentre l’ansia iniziava a serpeggiarle addosso, facendole pensare a tutto quello di sbagliato che aveva fatto nella sua vita.
Avrà scoperto che ho copiato durante il compito di fisica? O cazzo, l’altro giorno ho fumato di nascosto durante l’ora di lezione… Ora mi sospende! Che dirò a mamma?
Questi, insomma, erano i pensieri che le girovagavano in testa mentre usciva dall’aula e seguiva la bidella – che poi, sapeva perfettamente dove fosse l’ufficio del preside, non capiva questa necessità di accompagnarla.
E mentre la sua testa continuava a cercare un motivo per quella convocazione, la ragione più sensata le venne in mente soltanto quando si ritrovò davanti alla porta dell’ufficio, mentre fissava la targhetta che citava “Anselmo Marconi”. E soprattutto quando, dopo aver atteso che il preside pronunciasse “avanti”, entrò dentro la stanza per trovare, oltre il direttore, anche Alessandro.
«Buongiorno, Amelia.»
Il suono di quelle parole arrivò in ritardo alle sue orecchie, troppo presa a osservare terrorizzata il professore che stava seduto in una poltroncina, a braccia conserte e con un’espressione gelida in volto – riconobbe quella facciata di controllo che aveva visto tante volte e la consapevolezza di ciò che poteva star per accadere si fece sempre più forte dentro di lei, tanto che dovette farsi violenza per spostare lo sguardo e fissare invece il preside.
L’uomo stava seduto composto dietro la grande scrivania di metallo, gli occhi scuri sembravano seri dietro le lenti sottili degli occhiali e quell’aria seria, unita al completo giacca e cravatta, più quei capelli grigi che facevano tanto aria da “uomo autorevole”, le fecero ancora più ansia.
«Buongiorno.»
La voce che pronunciò quelle parole non sembrava nemmeno la sua e si accorse con orrore che la propria risposta era arrivata con qualche attimo di ritardo.
«Prego, siediti pure.»
Fece come le era stato detto mentre notava di sfuggita che l’uomo le avesse appena dato del “tu”, nonostante il resto dei professori desse agli studenti del “lei”.
La poltrona su cui si poggiò doveva essere senz’altro comoda per com’era imbottita, ma in quel momento la mora la avvertì come cosparsa di spilli – e infatti si sporse al limite della sedia, anche perché affianco alla sua c’era Alessandro e aveva quasi paura di toccarlo.
«Mi sembri agitata. Come mai?»
La domanda dell’uomo ebbe il potere di farle venire una risata isterica mentale, ma si costrinse a controllarsi e fece giusto un sorriso di disagio – sempre evitando qualsivoglia contatto fisico con l’altro uomo che sembrava rigido affianco a lei.
«Non capisco come mai sono qui.»
Bugiarda.
Era chiaro come il sole, almeno ai suoi occhi, ma avrebbe mentito fino alla morte.
Il preside tacque per qualche secondo mentre la squadrava con attenzione. Infine, spostò lo sguardo anche verso Alessandro e fece un cenno verso di lui.
«Come ho appena spiegato al professor Angelis, ti ho convocata qui, anzi vi ho, perché mi sono giunte delle voci che, se fossero vere, creerebbero davvero un bel trambusto oltre parecchi problemi a tutti.»
La voce del preside era piuttosto misurata, eppure sembrava trasparire della preoccupazione.
In tutto questo però Amelia era in piena morte cerebrale e cercò di muoversi il meno possibile sulla poltrona, gesto che avrebbe mostrato quant’era agitata. Era cosciente di essere più pallida del solito, ma per quello non poteva farci granché, piuttosto sorrise con aria confusa e innocente.
«Non capisco di cosa stia parlando, mi scusi.»
Ringrazio il dono dell’autocontrollo in queste situazioni, chiunque me l’abbia dato, ironizzò nella sua testa – una sorta di battuta per atrofizzare l’ansia.
Il direttor Marconi però non cambiò espressione e continuò a parlare.
«Mi è stato riferito che, giorni fa, siete stati visti in giro da soli, come in coppia, per dei negozi, in atteggiamenti non proprio adeguati a un docente e una studentessa.»
Ecco, la bomba era stata lanciata. La partita era chiusa, gli altri avevano vinto mentre loro avevano miseramente perso.
Che tipo di atteggiamenti? Ci hanno visto baciare? O solo uscire insieme e parlare? Che faccio, glielo chiedo? Ma così sarebbe come ammettere la propria colpa!
Non sapeva che fare, non riusciva a spiccicare parola e il suo autocontrollo terminava soltanto nel mostrarsi piuttosto tranquilla – nella sua testa invece erano state sganciate bombe aeree e vi erano parecchi danni.
Sembrava che l’ultima frase del preside dovesse rimanere in sospeso – soprattutto perché Amelia non era sicura di essere in grado di pronunciare qualcosa in sua difesa – quando alla fine Alessandro parlò.
«So di cosa sta parlando, preside Marconi, ma credo che ci sia stato solo un grande fraintendimento.»
Mai come in quel momento Amelia fu felice di sentire la sua voce, eppure l’ansia non le sparì, piuttosto le si aggiunse la paura – paura di cosa stava per dire l’uomo.
«Nessuno lo sa qui a scuola, ma i miei genitori e quelli della signorina Moretti sono grandi amici da tanti anni. Dopo che i miei sono tornati qui dalla Germania hanno ripreso i contatti e si vedono spesso, motivo per il quale io e Moretti ci siamo spesso ritrovati in situazioni comuni.» una piccola pausa, un respiro, e continuò «Come può ben capire, in queste occasioni non potevamo mantenere una formalità come quella scolastica perché sarebbe stata imbarazzante sia per noi che per i nostri genitori, per questo abbiamo acquisito una confidenza maggiore che, ovviamente, non si è mai spinta oltre.»
Le bugie fluivano dalla bocca di Alessandro come musica, eppure Amelia trovò la melodia totalmente stonata – le faceva venire voglia di tapparsi le orecchie e non ascoltare quelle parole che, oltre ferirla, la umiliavano.
Il preside, in tutto questo, ascoltava in silenzio.
«Come prima mi ha spiegato, siamo stati visti in giro per dei negozi: ecco, fra pochi giorni sarà il compleanno di mia madre e dato che Moretti la conosce, mi ha semplicemente dato una mano a scegliere un regalo per lei. Ecco perché eravamo in giro assieme in comportamenti, a quanto pare, “non proprio adeguati”.»
Le ultime parole furono dette con un vago tono sarcastico, atto semplicemente a sottolineare ancora di più l’assurdità di quella storia, ma se valsero a convincere il preside, beh, Amelia ne uscì devastata.
Gli occhi scuri di Marconi si volsero verso di lei.
«Conferma tutto ciò?»
Lo confermo? Confermo che tra me e Alessandro non c’è niente, che ci siamo solo trovati in una situazione un po’ strana, che comunque non c’è nessuno sentimento tra di noi, che non passiamo le ore a baciarci e fare l’amore nel buio di casa sua, dove nessuno può vederci? Lo devo davvero confermare?
«Sì.»
Se ci fosse stata l’opzione di infilarsi un ferro caldo in gola, forse l’avrebbe preferita.
«Sì, è stato solo un fraintendimento. Non ho parlato della cosa in classe perché non volevo che ci fossero gelosie relative a dei favoritismi, cosa che ovviamente non c’è, solo per questo. Il giorno è stato solo una gentilezza per il prof Angelis, nulla di più.»
Le parole continuavano a fluire ed era orribile dirle e ascoltarle con la propria voce – perché doveva dire quelle cose? Perché doveva ammettere il falso?
Perché era l’unica cosa da fare. Era l’unica cosa che le avrebbe impedito una sospensione per lei e un licenziamento per Alessandro. Non c’era una scelta, anche se avrebbe voluto ci fosse, anche se avrebbe voluto urlare in faccia a quello stupido preside che c’era qualcosa tra di loro e non c’era nulla di male in questo.
Ma avrebbe solo fatto la figura della ragazzina.
Sorrise ai due uomini, un sorriso improvvisamente pacato e, se ne rese conto, poco luminoso – fu sufficiente a convincere il preside che lo ricambiò con tranquillità, ma non seppe se la stessa cosa valesse con Alessandro, non tentò minimamente di girarsi verso di lui.
«Sono contento che la situazione non sia come si prospettava, adesso possiamo stare tutti tranquilli direi.» parlò il preside mentre si alzava dalla poltrona.
Per Amelia fu automatico alzarsi di conseguenza, percependo l’aria del congedo e più che felice di fuggire da quella situazione – di fuggire anche da lui.
«Puoi tornare in classe, Amelia. Alessandro, a te vorrei parlare giusto di un’altra cosa.»
Non ci fu bisogno di altre parole per la mora: sorrise e dopo un rapido buongiorno si precipitò all’esterno di quella stanza che era diventata come un incubo – e, una volta fuori, l’aria sembrò diventare quasi più respirabile.
Il miglioramento non ci fu però dentro di lei: chiusa la porta alle sue spalle, i suoi occhi si velarono e fu costretta a mordersi a sangue un labbro pur di non permettere a nessuna lacrima di solcarle il viso – non in quel momento, non in quel corridoio in cui chiunque avrebbe potuto vederla.
Sentiva l’umiliazione che la pervadeva, riascoltava mentalmente le parole di Alessandro dette con una facilità quasi assurda; se non avesse saputo la verità, avrebbe potuto credere senza alcun dubbio a quello che diceva.
Le gambe si mossero in automatico ma non verso la propria classe, bensì verso il bagno, in cerca di un rifugio in cui avrebbe potuto ricomporsi prima di farsi vedere dal tutto. E lì, da sola e con quello strano silenzio presente in una scuola in pieno orario di lezione, poté avvicinarsi allo specchio, dando un’attenta occhiata al suo riflesso che le restituì una ragazza dal viso spento, gli occhi arrossati e il labbro sporco di una piccola gocciolina di sangue.
Era pallida e sembrava leggermente sconvolta, ma in uno strano modo pragmatico pensò che bastasse poco per riprendersi e far sì che nessuno si accorgesse di come fosse sconvolta.
Anzi, non sconvolta. Umiliata.
Perché quelle parole, dette con quella facilità, avevano tessuto le prime file di un’idea che proprio non voleva andarsene dalla sua mente; quella che per Alessandro bastasse poco per mentire su di loro, come se loronon fossero nulla di ché.
Sono una stupida, so che lui mi ama.
No, quel pensiero non bastava al suo cuore ferito, che in quel momento non riusciva a gestire la paura e l’ansia che quella situazione avevano scaturito.
«Amelia, calmati.»
Parlava da sola in quel piccolo bagno, neanche troppo pulito, sentendosi per un attimo la protagonista di un film. Ma quello non era un film e la vita non era una favola. Per niente.
Non riusciva a togliersi quell’idea dalla testa, in un secondo si era incollata nella sua mente e sembrava impossibile staccarla o relegarla anche solo in un angolino.
Non mi ama, non se mente così facilmente su noi due.
E con quel pensiero, dopo una rapida sistemata di fronte allo specchio, ritornò in classe, mentre una finta espressione tranquilla si disegnava sul suo volto.
 
 
Le restanti ore di scuola le aveva passate come in trance, ascoltando come un’autonoma le lezioni che le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro.
Daniele, del canto suo, aveva provato più e più volte a chiederle che avesse e che fosse successo, ma Amelia aveva semplicemente scrollato le spalle e gli aveva spiegato che c’era stato solo un errore – non sapeva perché, ma non voleva parlare di quello che era successo con nessuno.
Nemmeno con Alessandro.
Il professore, del canto suo, le aveva mandato un messaggio appena aveva potuto, ma la mora si era ostinata a non leggerlo nemmeno, ignorando tutti i suoi tentativi di cercarla e chiamarla. Allo squillo dell’ultima campana lo aveva visto in cortile, ciondolando con finta aria impegnata in un chiaro intento di aspettarla – chiaro per lei, era ovvio – ma Amelia lo aveva oltrepassato senza degnarlo di un’occhiata e aveva chiesto a Daniele di accompagnarla a casa in motorino. Il ragazzo, nonostante fosse piuttosto dubbioso e confuso da tutta quella situazione, si era limitato ad annuire e le aveva passato il casco senza proferire parola.
Aveva chiaramente capito che c’era qualcosa che non andava, ma aveva deciso di fare finta di nulla e Amelia aveva preferito così.
In quel momento la mora si trovava in camera sua, dopo aver consumato il pranzo con il padre (Serena era a lavoro) in un silenzio che, da parte del padre, non aveva nulla di strano – per fortuna la madre era assente, se no avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava.
Il cellulare era saltuariamente scosso da alcune vibrazioni, segni di messaggi che le arrivavano.
Dette una rapida occhiata alle notifiche.
Tre messaggi di Nicole, due messaggi di Daniele, sedici messaggi di Alessandro.
E cinque sue chiamate perse.
Sbuffò, decisa a non rispondere a nessuno di loro, presa com’era da quel pensiero martellante che l’aveva colta la mattina e che continuava a trapanarle il cervello, avvelenandola con pensieri tristi e sempre più disillusi.
Dovrei smettere di fare la bambina.
Questo nuovo pensiero la colse mentre era rannicchiata tra le coperte, un po’ troppo calde per quella primavera che si affacciava velocemente, e si costrinse ad allungare una mano verso il telefono poggiato sul comodino ingombro di oggetti.
Ignorò i messaggi degli amici e aprì subito quelli del professore.
Tutto bene?
Senti, mi dispiace per quello che ho detto dal preside… Non avevo scelta.
Amelia, non ci credo che non stai usando il telefono in classe, almeno dammi una risposta.
Mi stai facendo preoccupare.
Ci vediamo dopo la scuola? Facciamo la strada insieme e ne parliamo.
Ti aspetto in cortile.
Perché mi hai ignorato in quel modo?
E perché non rispondi quando ti chiamo?
Ho capito, sei incazzata, ma questo non è il modo migliore per risolvere la cosa.
Ti prego, rispondimi.
Amelia, per favore, cerca di essere matura.
Almeno dimmi cosa ti passa per la testa, cazzo!
Scusa, non dovevo imprecare, ma rispondimi e dimmi che sta succedendo, perché non mi vuoi parlare…
Non so più cosa pensare, davvero.
Ti aspetto al parco giochi vicino a casa mia, se vuoi parlare, sono lì.
Ti prego, vieni.
Amelia lesse quella trafila di messaggi dando una veloce occhiata agli orari dei vari messaggi.
Era stato piuttosto insistente, dovette ammettere, e se pure la cosa le faceva piacere in quel momento avrebbe solo voluto tirargli un pugno.
Come aveva fatto a parlare in quel modo al preside? Certo, era costretto a mentire, ma era così facile per lui?
Devo smetterla di farmi supposizioni da sola, posso solo parlarne con lui e sapere quello che pensa.
Il pensiero la colse mentre ancora si crogiolava nei pensieri più infantili e orgogliosi, e lo stesso orgoglio la frenò parecchio prima che la volontà più matura le imponesse di uscire di casa e andare da Alessandro.
Fu fortunata, nessuno dei due genitori c’era e non dovette dare spiegazioni su dove andava. Se fossero tornati prima e non l’avessero trovata, avrebbe sempre potuto dire che era da Nicole e si era dimenticata di avvisare.
Il tragitto verso casa di Alessandro fu più veloce di quanto si ricordava e ben presto si ritrovò all’ultimo angolo che la separava dal parco giochi in cui l’uomo l’attendeva.
Lo vide – anzi, lo spiò per un certo momento.
Il giovane professore era lì, seduto su una panchina che del vecchio verde smeraldo di un tempo aveva poco e nulla. Aveva addosso solo una camicia più sgualcita del solito, dei jeans che di solito a scuola non indossava mai ed era poggiato con un’indolenza tale che della sua figura poco ricordava quella più ingessata del professore.
Da lontano non vedeva troppo bene, però riusciva comunque a scorgere lo sguardo perso che fissava un punto poco chiaro tra gli alberi che delimitavano il parchetto.
Amelia si morse un labbro, indecisa.
Qualcosa dentro di lei le diceva di andare via, di non affrontare l’argomento e tornare a casa, per poi chiamarlo e dirgli che non c’era nessuno problema, semplicemente dopo quello che era successo aveva bisogno solo di stare un po’ da sola.
L’altra parte però prevalse – quella che le diceva di parlarci faccia a faccia, di sentire cosa lui le avrebbe detto, di chiarire e di discutere su quello che era successo la mattina e che sarebbe potuto risuccedere, ma in maniera molto più grave.
Il suo corpo si mosse quasi da solo e dopo meno di un minuto si ritrovò di fronte al professore che spostò lo sguardo verso di lei.
I suoi occhi grigi in quel momento non erano né caldi né freddi. Erano imperscrutabili.
«Amelia.»
Sentire la sua voce fu piacevole e doloroso al tempo stesso.
Voleva buttarsi tra le sue braccia e lasciarsi baciare, però le parole del mattino le continuavano a rimbombare in testa.
Per questo abbiamo acquisito una confidenza maggiore che, ovviamente, non si è mai spinta oltre.
Ovviamente.
«Alessandro.» rispose lei, e per un attimo tutto fu tra i loro sguardi.
Si fissavano e Amelia, in quegli occhi così chiari, si vide riflessa e si vide una bambina. Una bambina che giocava a fare l’adulta.
«Pensavo che alla fine non venissi più.»
«Anche io.»
Alessandro storse le labbra, un’espressione che esprimeva divertimento misto ad amarezza.
«E come mai hai cambiato idea?»
«Pensavo che ignorarti sarebbe stato troppo infantile da parte mia.»
Le risposte le scivolavano fuori con naturalezza, con un’onestà che pensava che non avrebbe avuto in quel momento – pensava che avrebbe tirato fuori una bugia per mascherare il suo comportamento, e invece in quell’istante non le veniva altro che tirare fuori i pensieri che l’avevano tormentata per tutte quelle ore.
«Solo per questo?» il tono sembrava quasi deluso.
«Per cosa se no?»
«Forse perché volevi semplicemente vedermi?» fece una pausa «Ma forse pretendo troppo.»
Di nuovo quella espressione di divertimento e tristezza.
Amelia non riuscì a rispondere subito, poi fece un sospiro.
«Volevo vederti, davvero. Ma appena pensavo al tuo viso mi venivano in mente le parole che hai detto stamattina.» l’ultima frase fu detta quasi in un sussurro – si vergognava ad ammettere quello, perché le sembrava di confermare sempre di più quanto fosse una ragazzina.
Alessandro si alzò in piedi e in un secondo Amelia si sentì sovrastata dall’altezza dell’altro, nonostante lei stessa non fosse per niente bassa.
«Amelia, lo sai perfettamente che non avevo altra scelta.»
«Sì, lo so.»
«E allora perché ti comporti in questo modo?»
Già, perché?
A dire il vero, dopo l’evento di quella mattina, Amelia si era finalmente resa conto della gravità di quello che lei e Alessandro stavano facendo.
Per un momento, le reali conseguenze delle loro azioni avevano bussato alla porta e avevano fatto capolino, facendola tremare da capo a piedi e facendole realizzare cosa sarebbe potuto succedere se mai li avessero scoperti.
E aveva dannatamente paura in quel momento.
«Ho paura.»
Ecco, l’aveva detto.
E Alessandro non sembrava particolarmente stupito dalla cosa: la guardava con un’aria di desolata sconfitta, incapace di fare un passo verso di lei – eppure erano solo a un metro di distanza l’uno dall’altra, ma nonostante questo si sentivano distanti chilometri.
«Ne avevamo già parlato dei rischi, no? Avevamo deciso entrambi di accettarli.» sembrò che quelle parole nascondessero una punta di acredine, ma il viso di Alessandro continuava a essere più dispiaciuto che altro.
La mora non riuscì a sostenere il suo sguardo, finì per distoglierlo con disagio.
«Lo so, io…» si interruppe, non sapeva bene come continuare.
Lei cosa? Cosa voleva dire?
«Tu cosa?»
«Non pensavo sarebbe stato così. Non pensavo che avrei vissuto tutta quest’ansia, questa paura delle conseguenze. Ero convinta di averle chiare in testa e di essere pronta ad accettarle nel momento in cui si fossero presentate, eppure oggi ho solo avuto una fottuta paura che ti licenziassero, che mi sospendessero, che andasse tutto a puttane. E sentirti mentire con quella facilità, io…»
Si bloccò, di nuovo.
Quelle parole le erano uscite rapide dalla bocca, un gomitolo di pensieri che in un fiato avevano trovato modo di sciogliersi e seguire un filo, eppure le sembrò di aver ingrovigliato ancora di più la situazione.
Il silenzio però la insospettì e, dopo qualche secondo, ebbe il coraggio di alzare lo sguardo verso l’uomo.
Alessandro era sempre lì, immobile, lo sguardo fisso su di lei ma concentrato su altro – forse sui propri pensieri, suppose Amelia.
«Non dici nulla?» la domanda le sorse più spontanea di quello che avrebbe pensato.
Alessandro non rispose subito, prima la rimise a fuoco dopo e dopo averla osservata – dopo aver fatto scivolare il proprio sguardo sul suo viso, sulla linea delle labbra, per poi andare in su nella curva del naso fino all’ombra che le ciglia proiettavano – aprì la bocca.
«Hai cambiato idea?»
La domanda fu fredda, in netta contrapposizione con lo sguardo che si era fatto di nuovo caldo come la lava.
Amelia per un attimo tremò sotto quegli occhi incandescenti e in un lampo le immagini dei loro momenti più privati sfarfallarono nella sua testa, come intermittenti.
«Cioè?»
Si sentì stupida a fare quella domanda, ancora di più dopo aver visto il sorrisetto denigratorio di Alessandro.
«I tuoi sentimenti. Sono così rapidi nel loro mutamento?»
La domanda assunse un tono quasi poetico ma il suo essere pesantemente sarcastico fece arrossire la giovane che subito portò le braccia al petto.
«Non ho mai detto questo. I miei sentimenti sono ancora quelli di prima. Io sono innamorata di te.» le parole erano nette, chiare come quel giorno di primavera, ed ebbero il potere di far perdere all’uomo tutta la sua verve sarcastica.
«Anche io sono innamorato di te, Amelia, lo sai. Quello che ho detto stamattina era solo per convincere il preside che non c’era nulla su cui indagare. L’ho detto solo per proteggerti, non perché lo penso davvero.»
«Lo so.»
Non sapeva più cos’altro dire, perché tutto quello lo sapeva. Eppure, la paura non spariva.
«Sapevi quali erano i rischi.»
Amelia abbassò gli occhi, sentendosi di nuovo colpevole.
«So anche questo. So tutto. Però oggi mi sono davvero resa conto di quello che potrebbe succedere e…»
«Cosa Amelia? Dimmi.»
Ci fu ancora un secondo di pace. Ancora un istante, prima che ammettesse quello che le stava frullando in testa da ore.
«E non so se lo voglio accettare.»
Forse una bomba avrebbe fatto meno rumore, almeno per Alessandro.
Il moro dapprima rimase zitto e immobile, come una statua di sale, ma solo per pochi istanti – dopo quelli fece qualche passo indietro, lo sguardo che quasi era scioccato.
«Cosa stai dicendo? Vuoi far finire tutto?»
Mentre poco prima il tempo per Amelia sembrava infinito, da quel momento fu come subire il tasto di avanti velocea velocità triplicata.
«No, non dico proprio questo…»
«Le tue parole non sembravano suggerire altro.»
«Cosa vuoi che ti dica, Ale?»
«Magari quello che pensi e quello su cui sei sicura.»
«Beh, una c’è di sicuro: sono innamorata di te.»
«Oh, almeno quello.»
«Non usare il sarcasmo con me. Sai cosa provo, ma ho una fottuta paura.»
«Hai sempre saputo i rischi e hai sempre insistito tu per accettarli.»
«Lo so, cazzo!»
«E allora cosa pretendi?»
Alessandro sputò quella domanda con tono quasi rabbioso, le mani strette a pugno mentre gli occhi la fissavano incomprensibili.
«Ho solo diciannove anni!»
Fu quasi un urlo.
Un urlo che però ebbe il potere di zittire Alessandro che non sapeva più che dire, non lo sapeva perché si stava rendendo conto di essersi quasi dimenticato di quel dettaglio.
Perché si stava rendendo conto di starla trattando come una sua coetanea, quando invece una sua coetanea non lo era e questo cambiava le dinamiche tra di loro.
Perché si stava rendendo conto che era normale, per quella età, non pensare mai davvero concretamente alle conseguenze, convincersi sempre di essere intoccabili per poi finire con lo scottarsi e rendersi conto soltanto nel momento successivo di cosa potrebbe realmente accadere.
Perché si stava rendendo conto che forse aveva preteso troppo, che forse aveva spinto troppo in una direzione che avrebbe dovuto continuare a impedire come aveva fatto all’inizio.
Fu semplice prendere la situazione – o almeno fu semplice in maniera logica.
«Finiamola qui.»
Per Amelia fu come quella mattina, fu un altro sparo in quell’assolata giornata che sembrava rispecchiare l’esatto opposto di quello che lei stava vivendo interiormente.
«Eh?»
Alessandro fece una smorfia – per un attimo fu come ritrovarsi all’inizio del loro rapporto, quando ancora nessuno dei due sapeva dei sentimenti che provavano l’uno verso l’altra.
«Hai sentito, Amelia. Non ha senso continuare così, non ora che vivrai con il perenne terrore che qualcuna possa scoprire la verità.»
Amelia era zitta; lo fissava incapace di dire alcunché, la sua testa che stava elaborando la frase dell’altro.
«Ho sbagliato io dall’inizio, avrei dovuto darmi ascolto. Sono troppo grande per te, tu sei troppo piccola, hai ancora tante esperienze da fare, tante cose da imparare e vivere. Io sono già in un punto che si avvia per l’essere stabile, non posso ancorarti a me proprio in questi anni. Sono stato un egoista dall’inizio e il bello era che pensavo di non fare nulla di male, perché era quello che volevi anche tu.»
L’ultima frase fu quasi sputata con rabbia.
Amelia, ancora incapace di dire qualcosa, finì per azzardare un passo verso di lui. Alessandro si allontanò.
«No, Amelia. Non tentarmi ancora.»
Le lacrime arrivarono in un secondo mentre nella sua testa la scena di quel momento si sovrapponeva alla sera di Parigi. Era come seguire un copione che in quel momento stava diventando quasi ridicolo.
«Non puoi dire così. Ne abbiamo già parlato di questo.» tentò Amelia – eppure, nonostante stesse cercando di ritrattare, nella sua testa la parte più ragionevole di sé dava ragione al professore.
«Avanti, Amelia, le cose sono diverse ora. Non ti rendevi conto di ciò a cui saremmo andati incontro, lo hai ammesso tu stessa.»
«Sì, lo so, però…»
«Però niente. Sono stato uno stupido dal principio.»
E forse fu quella espressione desolata, forse furono i capelli scompigliati dalla leggera brezza primaverile, forse fu soltanto perché era bello e basta.
Amelia si buttò sulle sue braccia come ormai era abituata a fare e lo baciò.
Lì, in quel parchetto in cui sarebbe comunque potuto passare chiunque. Lì, in quel luogo desolato distante e opposto della cornice che tempo addietro aveva offerto loro Parigi.
E fu come quella sera, perché Alessandro si ancorò a lei come un naufrago e contraccambiò il bacio in modo ancora più bollente, anche lui dimentico di dove fossero e di chi avrebbe potuto vederli.
Forse fu così intenso perché sapevano entrambi che sarebbe stato l’ultimo.
«Mi dispiace che sia andata così.»
Fu un sussurro tra le labbra e Amelia si morse un labbro mentre sentiva un dolore sordo a quelle parole.
«Non deve per forza essere così. I nostri sentimenti non sono cambiati.»
Anche lei sussurrò, decisa a sfruttare il più possibile quel confortevole calore dell’uomo che la stringeva a sé.
Ma sapeva già la risposta alla sua frase.
«I nostri sentimenti no, ma sappiamo come andrebbe a finire. Quello di cui tu hai paura. Sempre a nasconderci, sempre a guardarci alle spalle. Sempre chiusi in casa, a mentire a tutti su cosa stiamo facendo e con chi siamo, senza poterci dare un bacio la mattina quando ci vediamo, senza nemmeno scambiarci un sorriso di troppo per paura di quello che potrebbe sembrare. E so che tu impazziresti per questo, e io non voglio.»
Silenzio. Silenzio carico di consapevolezza per entrambi.
«Non è giusto.»
«No, non lo è.»
«Ma nessuno sa cosa potrebbe succedere in futuro, no?»
La domanda di Amelia suonò cosi carica di speranza che Alessandro non poté trattenere il triste sorriso che gli si disegnò sul volto.
«No, nessuno.» ma più che una conferma suonò come una consolazione.
E in quell’incertezza mista di promesse e bugie rimasero abbracciati, stretti fino a farsi mancare il respiro, godendosi gli ultimi raggi di quel sole che spariva dietro gli alberi.
Godendosi gli ultimi istanti di quella storia finita troppo presto.

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ~ Di esami e ricordi ***


Beh, dai, non ho fatto un anno di pausa, no?
Anche questa volta però ho fatto un lungo ritardo, nonostante avessi il capitolo quasi finito da un bel po’ di tempo, non riuscivo a scrivere le ultime parti e questo mi bloccava sempre. Ora, con la situazione in cui siamo tutti, ho più tempo libero e anche più ispirazione e questo mi ha portato a scrivere la conclusione del venticinquesimo capitolo – manca solo il prossimo e l’epilogo, attenzione!
Mi dispiace notare che non tutti i vecchi lettori seguono ancora questa storia, spero però che comunque ci sia qualcuno che apprezzi la storia e la fine che le sto dando.
Vi auguro buona lettura e vi chiedo scusa per eventuali errori che, sono sicura, ci saranno.
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo venticinque
~
Di esami e ricordi

 
 
 
Aveva sempre pensato che il tempo sarebbe sembrato interminabile in quei giorni prima della maturità. Ore passate china sui libri che avrebbero rallentato l’orologio fino a farle pensare che si fosse rotto, crisi isteriche quando all’ennesima lettura l’argomento di chimica proprio non le entrava in testa, messaggi infiniti con Daniele per sapere a che punto erano l’un l’altra.
Eppure, era volato.
Ci pensava in maniera vaga mentre si fumava una sigaretta appena fuori dalla biblioteca, luogo in cui si stava rifugiando come se fosse stata una scappata di casa – a casa Serena era così stressante chiedendole se stesse studiando che aveva preferito andare in un posto in cui nessuno avrebbe potuto disturbarla.
«Non vedo l’ora di finire ‘sta merda.»
O almeno quasi nessuno.
Amelia alzò gli occhi verso Daniele, appoggiato al muro e impegnato a farsi aria con il mazzo degli appunti di storia.
«Non dirlo a me. Se i prof ci ricordano ancora di ripassare un argomento mai tirato fuori in classe, giuro che do fuoco alla scuola.» rispose acida Amelia, ripensando la prof di inglese che tirava fuori ogni giorno nuovi testi mai visti, ma che lei affermava di aver fatto in aula e che quindi andavano studiati. Quella stronza era anche interna, a differenza di quella di francese che, purtroppo, sarebbe andata in qualche altra scuola per fare da esterna ad altri studenti.
Beati loro, pensò infastidita la mora.
Purtroppo per lei, però, il problema era un altro. Un altro prof che sarebbe stato interno, quando avrebbe tanto preferito non vederlo.
Alessandro.
Alessandro con cui non si era più sentita, Alessandro con cui a scuola a malapena si guardava, Alessandro che era ritornato a essere il suo professore, e basta.
Fu sufficiente quel pensiero a renderle gli occhi lucidi per un secondo, cosa che non sfuggì a Daniele che la fissò.
«Ehi, Ame…» la chiamò piano.
Amelia si costrinse a sorridere e a far passare quel fastidioso lucido negli occhi.
«Sto bene, deve essermi entrata della cenere nell’occhio, cavolo.» sminuì in fretta il momento, imponendosi di distrarre la mente in qualcosa di più felice.
Però era dura.
La sua testa finiva spesso a concentrarsi su di lui, finendo per analizzare tutti i momenti passati insieme, tutti i baci scambiati, da quelli a fior di labbra a quelli più passionali che si consumavano tra le lenzuola dell’ampio letto dell’uomo. Finiva per ripercorrere il giorno del suo compleanno, il momento in cui avevano ceduto alle emozioni e ai sentimenti. Ricordava i giorni successivi, passati in un totale sconvolgimento, un periodo in cui nulla riusciva a renderla triste.
E poi ritornava al presente, a quel grigio presente in cui si concedeva di guardarlo solo quando lui non avrebbe potuto accorgersene; fissava i suoi capelli scuri e pensava a quando aveva l’opportunità di toccarli e sentire il loro profumo mentre incatenava i propri occhi a quelli grigi di lui.
«Se vuoi parlarmene, sai che io ci sono.»
Fu distolta dai pensieri da Daniele che la osservava con attenzione; non rispose, finì l’ultimo tiro di sigaretta e la spense sul posacenere sbilenco presso il muro.
«Non c’è nulla di cui parlare.» fu rapida a tagliare corto, per poi avvicinarsi verso l’entrata «Dovremmo tornare a studiare.»
Non aspettò che il ragazzo la seguisse, sapeva che sarebbe stato dietro di lei. Entrò all’interno della biblioteca lasciando fuori il caldo, la sigaretta e il ricordo dolceamaro di Alessandro.
 
 
Il giorno della prima prova era arrivato.
Amelia era lì, in mezzo alla calca di studenti agitati – c’erano quelli che cercavano di smorzare la tensione chiacchierando, chi con una sigaretta, chi parlando al telefono con i genitori.
Lei era impegnata a fumare – in quegli ultimi mesi il vizio si era fatto più presente – e a scambiarsi messaggi con Nicole, dall’altra parte della città, nella propria scuola, che come lei attendeva di entrare per affrontare la prima prova.
Qualcuno mi porti via.”, fu il messaggio che inviò a Nicole.
La risposta non tardò ad arrivare.
Non credo di aver mai avuto così tanta ansia in vita mia.
Amelia sbuffò, spegnendo la sigaretta sotto il basso tacco dei sandali estivi.
Diede uno sguardo all’orologio – accessorio praticamente obbligatorio durante gli esami, luoghi in cui, purtroppo, il cellulare non poteva essere usato – si rese conto che mancavano ancora venti minuti e si maledisse mentalmente per essere arrivata così in anticipo. Purtroppo, però, la mattina si era svegliata ancor prima che la sveglia suonasse e non era riuscita a stare a letto per godersi gli ultimi attimi tranquilli.
Decise di andare a prendere un caffè – d’altronde, Daniele non era ancora arrivato e pensava sarebbe giunto insieme a Stefano, non avrebbe avuto senso rimanere ferma a farsi rodere il fegato dall’ansia.
Meglio farselo rodere dal caffè.
Il bar in cui si diresse era quello in cui tutti gli studenti andavano: esattamente dall’altro lato della strada, leggermente spostato verso sinistra, con alcuni tavolini fuori già occupati, motivo per il quale dovette entrare dentro.
Il bar in quel momento era discretamente affollato: tra alcuni studenti che avevano avuto la sua stessa idea e altri lavoratori che si accingevano ad andare in ufficio, ci mise qualche minuto prima di riuscire a ordinare il proprio caffè macchiato con due bustine di zucchero – solo due e non tre perché il latte rendeva leggermente più dolce di suo il caffè, ovviamente.
Venne totalmente assorbita da quell’attimo di tranquillità, l’ansia fu relegata in angolo mentre miscelava il caffè con il cucchiaino e perse lo sguardo tra la piccola folla all’interno del bar. Per questo motivo sobbalzò quando qualcuno per sbaglio le andò un poco addosso, facendo tremare anche la tazzina poggiata sul bancone.
«Mi scusi.» le scuse arrivarono presto, ma Amelia era più concentrata a fare appello a tutto il suo autocontrollo, perché ad andarle addosso era stato Alessandro.
L’uomo si accorse un istante più tardi di chi era la ragazza con cui si era parzialmente scontrato, e come la mora perse qualsiasi capacità di proferire parola.
Non fissarlo, idiota.
Se lo ripeteva, eppure non riusciva a spostare gli occhi scuri da quel viso leggermente arrossato dal caldo, i capelli neri lisci in ordine, la bocca un poco aperta da un primo stupore.
«Espresso ristretto, ecco a lei.»
La barista ruppe quell’imbarazzante momento e Amelia ne approfittò di corsa: beve il caffè tutto d’un fiato, rischiando quasi di ustionarsi la lingua, e prima che chiunque potesse fare qualcosa si precipitò fuori dal bar.
E tanti saluti alla nonchalance, pensò sarcastica, una volta fuori.
Che scema che era stata a reagire in quel modo.
Come al solito, mi sono confermata la stupida ragazzina che sono, pensò amara.
Si impose di non pensarci, ma era difficile. Poi vide che gli studenti nel cortile della scuola iniziavano a defluire verso l’interno dell’edificio scolastico, e capì che a breve sarebbe iniziata la prima prova.
Sospirò di sollievo, perché avrebbe preferito tutto pur di non pensare ancora ad Alessandro.
E dopo un messaggio di auguri a Nicole, che ripose prontamente, si decise a seguire la massa di studenti, notando tra la folla Daniele.
In bocca al lupo a me.
 
 
 
I minuti precedenti agli esami erano sempre fonti di interminabile ansia, riconosceva Amelia.
In quel momento però non si trovava in attesa che le dessero il foglio per iniziare la prima prova, e nemmeno il foglio della seconda – che si era rivelata francese, e di questo non poteva esserne più felice – bensì teneva la sua tesina stretta tra le mani, la carta lucida della copertina che mostrava parecchie ditate delle mani sudate, i capelli ricci tenuti stretti in una coda per darle sollievo a quella calura dei primi giorni di luglio.
E pensare che in quel periodo, solitamente, era già in spiaggia a godersi il sole e il mare.
Non vedo l’ora che questa tortura finisca, pensò tra sé, osservando la porta chiusa dell’aula in cui il compagno di classe precedente a lei stava discutendo l’orale – Davide, quello era il suo nome, aveva esplicitamente chiesto che tutti fossero fuori e lei non capiva il perché, ma alla fine non le importava davvero qualcosa dato che aveva già avuto tante occasioni di chiedere in giro come sarebbe stato.
Era la quarta della giornata, Daniele sarebbe stato il giorno dopo e in quel momento era a casa a studiare – le aveva detto che sarebbe andato senza problemi a sostenerla, ma lei aveva insistito che lui rimanesse a ripassare, mentre Nicole aveva l’esame quel giorno come lei, forse in quel momento aveva già finito.
Si avvicinò alla finestra dalla quale poteva vedere il cortile della scuola, in quel momento illuminato dal caldo sole estivo e privo di studenti, tutti piuttosto al riparo dell’ombra che offriva più freschezza.
Le pareva strano pensare che, dopo quel giorno, quel cortile sarebbe stato soltanto un ricordo della sua adolescenza a cui, chissà, avrebbe magari pensato con dolceamara malinconia.
Si lasciava accecare gli occhi dal sole di metà mattina mentre nella sua testa si creavano ipotesi sulla sua futura vita universitaria, leggermente spaventata all’idea ma comunque eccitata.
Solo un punto rimaneva in sospeso.
Un punto che, in quell’ultimo periodo, aveva imparato pian piano a mettere da parte ma che non poteva mai totalmente eliminare dalla propria testa.
Abbassò lo sguardo verso la propria tesina, il cui tema principale spiccava sulla copertina molto semplice, con poco più giù il sottotitolo.
Il proibito – Piacere e dolore, due facce di una medaglia.
Le venne spontaneo il sorrisetto ironico dopo che lesse il titolo da lei stessa scelto.
Che stupida, pensò.
Si era lasciata cogliere da un momento di debolezza quando aveva deciso il tema da portare all’orale, e nel momento in cui si era resa conto che forse sarebbe stato meglio cestinare quella stupida idea, era già troppo tardi per cambiare.
La coordinatrice di classe e le sue stupide scadenze, un altro prof non le avrebbe fatto così tante storie. Insomma, sarebbe stata comunque in grado di scriverla in tempo.
Sbuffò, pensando al momento in cui avrebbe voluto tanto mandarla a quel paese. Poi però aveva fatto un respiro profondo e pensato che, magari, insultare la coordinatrice di classe a pochi giorni dall’esame di maturità non sarebbe stata un’ottima idea.
Sapeva a memoria quel plico di fogli che rappresentava quell’esigua tesina – giusto una ventina di pagine, nulla di troppo esigente. L’aveva scritta lei, cercando con calma quelle informazioni tra internet e libri suggeriti dai professori, e quelle parole erano diventate anche sue in un modo che non aveva nemmeno senso rileggerla prima di entrare, avrebbe solo rischiato di confondersi le idee.
Diede una rapida occhiata all’orologio: altri cinque minuti o poco più e sarebbe stato il suo turno.
Improvvisamente il suo cuore prese a battere come un tamburo e si rese conto che il sudore che le incollava la camicia di lino al corpo non era dovuto solo al caldo infernale di luglio.
Si costrinse a respirare e a non prendersi il quinto caffè della giornata – sarebbe stato solo dannoso per il suo stomaco e il suo cuore già alle prese con la tachicardia – ma prima che potesse anche solo tentare di regolarizzare il respiro la porta dell’aula in cui venivano tenuti gli orali si spalancò con un suono secco, facendola saltare dallo spavento.
Si girò e vide Davide che usciva con una strana espressione di sollievo mista alla tensione che ancora non era sparita. Incrociarono gli sguardi e lui le sorrise, sembrò quasi volesse dirle “sta tranquilla, non è così orribile”, però non fu tanto di aiuto.
«Moretti, lei è la prossima, giusto?»
La prof di italiano l’apostrofò con aria stanca – di sicuro nemmeno per i professori tutto quello era un gran divertimento.
Annuì.
«Sì, prof.» la voce le uscì più bassa di quello che pensava, tutto dettato dalla tensione.
«Facciamo due minuti di pausa e poi iniziamo con te, sei l’ultima, no?»
Amelia si chiese perché facesse le domande a lei e non controllasse la lista del giorno, ma si limitò ad annuire in silenzio.
Si appoggiò al muro, lanciando sporadiche occhiate alla porta in quel momento spalancata dell’aula, e vide tutti i prof uscire per andare verso la macchinetta del caffè, in quello stesso corridoio.
Fu ancora peggio per la sua ansia, ma si costrinse a guardare fuori dalla finestra e a ripetersi mentalmente le parole con cui avrebbe iniziato a ripetere la tesina preparata.
È inutile.
Sì, era inutile, si rese conto, perché le sue orecchie finivano per orientarsi verso la conversazione dei professori peggio di un’antenna satellitare; si accorse con orrore che il suo corpo si era proteso verso la loro direzione e in fretta cercò di prendere una posa rilassata e disinteressata.
Non avrebbe mai voluto che Alessandro si accorgesse di come lei stesse origliando, perché ovviamente tra i docenti vi era anche lui, che sembrava totalmente a suo agio in quei corridoi, con i propri colleghi a bersi un caffè.
Per un attimo aveva pensato che quei due minuti di pausa caffè sarebbero volati, eppure dopo cinque minuti i professori erano ancora lì a chiacchierare amabilmente, mentre lei iniziava a sentirsi un po’ scema appoggiata al muro, in attesa, come se fosse stata una condannata a morte.
E poi, come sempre la sua fedele compagna sfortuna voleva, alzò gli occhi nella loro direzione nello stesso istante in cui Alessandro faceva lo stesso.
E fu come essere scottati da un ferro incandescente, come al solito, insomma.
Ma in quel momento fu diverso, o, almeno, per Alessandro lo fu: perché se usanza ormai voleva che volgessero lo sguardo altrove, nella palese recita in cui entrambi impersonavano due sconosciuti, in quel momento il moro le sorrise con dolcezza, con una rassicurante serenità che, come un ago appuntino, le sgonfiò il palloncino d’ansia che si era fermato tra il cuore e la gola.
«Moretti!»
Venne distratta dalla prof di italiano, colei che evidentemente aveva deciso che la pausa era durata fin troppo, e la bolla magica che in fretta costruiva si ruppe come al solito.
«Sì?» anche quella volta le parole furono troppo basse per essere davvero udite, ma la prof non si aspettava realmente una risposta.
«Venga dentro, è il suo turno.»
Ed ecco che la reale camminata verso il patibolo iniziava.
Tutti i professori, sia interni che esterni, la precedettero, tranne uno. Alessandro.
Il professore la attese vicino alla porta, aspettando che entrasse, e passare di fianco a lui fu quasi peggio in quel momento: il suo profumo la mise ancora più in agitazione, forse perché quel proibito di cui tanto parlava nel suo elaborato lo aveva lì accanto, intoccabile e per questo motivo ancora più tentatore.
Alessandro entrò subito dopo di lei, con fare galante, e chiuse la porta di istinto – anche volendo, non c’era davvero qualcuno che poteva entrare dentro dato che fuori, nel corridoio, erano tutti andati via appena terminato il proprio orale.
L’aula scelta era una di quelle più ampie dell’istituto, molto luminosa grazie alle numerose finestre che in quel momento erano spalancate in uno scarso tentativo di rinfrescare il luogo. I banchi erano stati disposti a ferro di cavallo, i vari professori erano seduti al proprio posto e al centro vi era il presidente di commissione – Amelia non si ricordava esattamente come si chiamasse, sapeva solo che proveniva da un liceo scientifico; l’uomo era sulla cinquantina e aveva un’aria piuttosto affabile che metteva in quale modo a proprio agio e la mora, riscontrando lo sguardo pacifico dei professori intorno a lei, in qualche modo si tranquillizzò. Di fronte a questo ferro di cavallo vi era una singola sedia verso la quale si diresse, per poi sedersi.
Fu quanto mai spontaneo per lei voltarsi verso Alessandro – era paradossale, ma l’aveva guardato più volte in quel giorno che nel resto dei mesi precedenti – e osservò l’uomo che si faceva distrattamente aria con un plico di fogli mentre dava un’occhiata al quaderno di fronte a sé.
E pensare che fino a non troppo tempo prima…
«Signorina Moretti, buongiorno.»
Fu richiamata in fretta dal presidente e si voltò così di scatto mentre sperava che nessuno avesse colto il suo sguardo.
«Buongiorno.» la sua voce suonò improvvisamente squillante, sempre dettata dall’emozione che in quel momento aveva scelto quel modo per manifestarsi.
«Allora, vuole dirci cos’ha portato come suo elaborato multidisciplinare?» chiese l’uomo, e il suo sorriso gentile rassicurò Amelia, che aveva l’opportunità di iniziare con la parte che sapeva meglio.
«Sì, ecco…» si zittì mentre cercava di aprire la tesina, ma la carta lucida le scivolò dalle mani appiccicose dal sudore e cadde a terra con un tonfo – finì per fare una smorfia imbarazzata e si chinò verso il pavimento per riprenderla.
Diede un colpo di tosse misto a un “scusate” imbarazzato, ma i docenti non le misero fretta e aspettarono pazienti che iniziasse il discorso.
«Allora, come tema per il mio elaborato» si dovette costringere a non dire “tesina” «ho deciso di analizzare il tema del proibito.» sottolineò la parola con il tono e non ebbe il coraggio di voltarsi verso Alessandro per osservare una sua reazione, ma fu sufficiente sentire il fruscio dei suoi movimenti che la posero più in agitazione.
Ma poi, le parole iniziarono a fluire.
«Il concetto del proibito è un concetto piuttosto vasto da analizzare, ho scelto questo tema prima di rendermi effettivamente conto di quanto io potessi divagare su di esso. Ci sono vari aspetti che possiamo esaminare: il proibito come il divieto, quindi legato ad una legge o una regola che deve venire rispettata e, per questo, è proibito violare. Questo, già da sé, ci porta al peccato originale di Adamo ed Eva, i primi che andarono contro a un divieto, in questo caso imposto da Dio, facendosi tentare dal Diavolo. Questo è un altro aspetto che ho voluto sottolineare, poiché la prima a scegliere di andare oltre il divieto, di effettuare l’atto proibito, è inizialmente Eva: essa è anche la prima donna creata e, come l’immaginario collettivo vuole, la donna stessa è quasi un simbolo del frutto proibito, anche a causa della sua sessualità.» si interruppe, sentendo improvvisamente la gola piuttosto secca ma decisa a non chiedere l’acqua.
Si permise giusto uno sguardo intorno a sé e vide i professori piuttosto interessati, chi più chi meno – non pretendeva che fossero particolarmente affascinati né dal tema scelto né dalla sua presentazione, ma sperava che fosse quantomeno più contenti della diversità della sua scelta rispetto a quella dei suoi compagni.
Fu però naturale dare un’occhiata al professore di matematica, e la reazione che vide non era tanto diversa da quella che si aspettava.
Alessandro era seduto mollemente sulla sedia, le braccia incrociate portate al petto, gli occhi imperscrutabili puntati su di lei, in attesa.
Si fece forza per non permettere che quello sguardo la distogliesse da ciò che doveva ancora dire e decise di fissare il presidente che attendeva il continuo del discorso.
«Il proibito si lega inevitabilmente anche al concetto di “amore proibito”, tema alquanto affascinante e che ripercorre più volte la letteratura: basti pensare a Romeo e Giulietta, storia che si basa totalmente sul divieto del loro amore. Ma questo è solo l’esempio più banale, anche le sorelle Brontë ci hanno fornito degli esempi in tal senso con Jane Eyre Cime tempestose, e proprio in quest’ultimo si analizza il lato più distruttivo di questo sentimento.»
Le parole fluivano sempre più facilmente e, man mano che i secondi passavano, il cuore rallentava il suo battito fino a calmarsi e il suo modo di parlare si faceva più sicuro.
Doveva solo sperare che sarebbe continuato così per il resto dell’esame.
 
 
 
«Sei sicura che i tuoi non tornino, vero?»
La domanda di Daniele risuonò per il giardino per l’ennesima volta in quella che era stata una scarsa mezzora e Amelia alzò gli occhi al cielo con fare infastidito.
«Sì, Dani. Non sono ancora così scema da organizzare una serata alcolica a casa mia sapendo che i miei potrebbero tornare da un momento all’altro.» rispose ironica e, forse, un po’ acida.
Alzò gli occhi e incrociò Nicole che la fissava con l’aria di chi pensava “ecco il solito deficiente”, ma Amelia la ammonì con lo sguardo e la castana assunse una finta aria angelica.
«Fra quanto arriva Stefano?» chiese all’amico – forse quello l’avrebbe distratto.
«Mi ha detto che è passato a prendere le altre cose da bere e poi arriva, dovrebbe essere qui tra venti minuti massimo.»
La mora si voltò verso Nicole.
«E Tommaso?»
«Sua madre lo ha placcato per una commissione, ma anche lui non tarda.» spiegò semplice la castana, seduta su una graziosa sedia da giardino e controllando delle inesistenti imperfezioni sulle unghie.
Amelia annuì sovrappensiero, poi si voltò verso il giardino per osservare il risultato ormai completo.
Il piccolo gazebo al centro del giardino era già illuminato nonostante ci fossero ancora le ultime luci del tramonto che rendevano visibile il tavolo posto al centro, già ricoperto di cibo e bibite in precedenza preparate con l’aiuto della mamma e di Nicole, più qualche saltuaria assistenza da parte di Daniele. Le casse per la musica erano vicino alla portafinestra che riconduceva all’interno, già collegate al computer e alla playlist selezionata per quella serata di festeggiamenti, e varie sedie erano disposte nell’erba.
Era carino, dopotutto.
Amelia sorrise soddisfatta, contenta di come le era uscita quella serata che aveva organizzato per pochi intimi: lei, Nicole con Tommaso e Daniele con Stefano – che erano usciti allo scoperto anche con l’altra coppia, che però sembrava aver intuito qualcosa già da un po’. Aveva invitato anche Anna e Sofia, ma entrambe erano partite per le vacanze appena dopo il proprio orale e in quel momento una si trovava a Praga e l’altra in Grecia.
Erano pochi, sì, lo riconosceva, ma là vi erano tutte le persone a cui voleva bene ed era felice di poter festeggiare la fine di quel percorso durato cinque anni con i suoi due migliori amici.
Sorrise divertita mentre osservava Nicole che lanciava l’ennesima frecciatina a Daniele, il quale sopportava con fare stoico, per poi tornare dentro e controllare se non si fosse dimenticata qualcosa.
La cucina l’aspettava nella penombra causata da quel sole di luglio che era quasi al crepuscolo; le luci basse illuminavano i pomelli dell’acqua del lavabo facendoli sembrare dorati e quel riflesso per un attimo l’accecò.
Fu come un flashback quello che la sua mente ricreò quando osservò i fornelli e la caffettiera poggiata su di essi – le sembrò come in un film, eppure quello era successo davvero: lei e Alessandro lì, in quella stessa stanza, tra l’odore del caffè e il freddo della situazione che aveva portato la ragazza a confessare del bacio in discoteca.
Pensandoci, quello era stato uno degli episodi che più si ricordava e che più le erano rimasti impressi – ancora non sapeva come aveva fatto a rivolgersi verso di lui in quel modo, soprattutto quando tra di loro non c’era assolutamente nulla e per lei era ancora solo il suo professore.
Le venne da sorridere, ma fu uno dei soliti sorrisi amari che la coglievano quando finiva per ripensare a lui e alle situazioni vissute insieme.
Si voltò e nella finestra vide il proprio riflesso: indossava un semplice vestitino estivo, leggero e con un doppio strato nella gonna di un tenue azzurro che la faceva sembrare avvolta dalla carta da zucchero di alcuni dolci che si vedono nelle vetrine di pasticcerie pregiate.
Chissà se questo vestito gli sarebbe piaciuto come gli altri? Chissà se gli avrei fatto venire in mente la prima volta che mi aveva vista in vestito? Chissà se…
Lo squillo del campanello la distolse da quell’incanto in cui era caduta a causa del riflesso della propria immagine.
Si concesse un sorriso sereno e andò ad aprire la porta.
 
La serata andava a gonfie vele.
Tutti avevano mangiato, tutti avevano bevuto, e in quel momento la musica soffusa – aveva paura che i vicini potessero lamentarsi con i genitori se avessero sentito qualcosa – avvolgeva ogni cosa, creando la situazione rilassata e piacevole.
L’alcol dentro il suo corpo la rendeva leggermente brilla e Amelia si godeva il momento poggiata su una poltroncina in giardino, la cicca che si stava praticamente fumando da sola e lo sguardo perso da qualche parte nel cielo buio. Purtroppo, l’inquinamento luminoso impediva di vedere le stelle, ma la luna era abbastanza brillante da rischiarare intorno a sé.
«Tesoro, tutto bene?»
La voce di Nicole la richiamò dalla bolla in cui era sospesa. Alzò lo sguardo e vide l’amica leggermente chinata su di lei, un bicchiere di plastica in mano in cui c’era il suo gin lemon fatto alla meglio – nessuno di loro sapeva effettivamente fare un drink decente, ognuno si era arrangiato come poteva.
Amelia le sorrise.
«Certo, Nicky. Perché?»
La ragazza la guardò un po’ indecisa, poi si allungò per prendere una sedia lì vicino e si sedette.
«Mah, niente di ché. Mi sembravi silenziosa, mi chiedevo se magari stessi facendo brutti pensieri.» spiegò semplicemente.
Amelia scosse la testa.
«Tranquilla, non sto pensando a niente. Mi godevo solo il momento.»
Nicole annuì, per poi rimanere in silenzio.
Fu così per qualche attimo, prima che Amelia riprendesse il discorso.
«È così strano pensare come tutto sia finito.»
Lo disse a bassa voce, per poi prendere a fissare il proprio bicchiere mezzo vuoto in cui c’era lo stesso contenuto di quello della sua amica. La fettina di limone era sospesa nel liquido e pensò che forse era il momento di aggiungere un po’ di gin.
«Parli della scuola o di Alessandro?»
La domanda la colse un attimo di sorpresa, perché in quel momento non aveva pensato minimamente al prof.
«Parlavo della scuola, a dire il vero.» disse con una mezza risata, e l’amica le sorrise di ricambio.
«Beh, meglio così.» tacque un attimo «Comunque, è normale che sia strano, penso. Anche per me è così, non mi sembra reale che sia finito tutto, eppure non entrerò più in quelle aule, sperando che manchi qualche prof, odiando la fila alle macchinette, i ragazzini del primo anno che pensano di essere ancora alle medie… E invece d’ora in avanti niente più liceo, niente più verifiche a sorpresa, interrogazioni che ti faranno odiare il prof per quell’odioso “impreparato”…»
«Come se ne avessi mai preso qualcuno.» la interruppe Amelia guardandola di sottecchi. Nicole alzò gli occhi al cielo e fece finta di non sentirla.
«Beh, in ogni caso sarà strano. Però sono sicura che l’università sarà ancora più entusiasmante. È finita un’epoca, certo, però ne inizierà una anche migliore.»
Amelia la osservò con serietà.
«Cavolo, che bel discorso.»
«Scema, non prendermi in giro.»
«Beh, però è stato molto intenso…»
«Vuoi che ti versi il bicchiere in testa?»
«Di ché parlate voi due?»
La voce di Daniele le richiamò all’ordine.
«Di come la fine della scuola segni la fine di un’epoca che verrà seguita da una anche migliore.» spiegò serafica Amelia – e questa volta si guadagnò lo scappellotto di Nicole, che la fissò in malo modo.
«Tommaso e Stefano?» chiese la mora, dopo aver fatto una linguaccia all’amica.
Daniele fece un cenno verso gli altri due ragazzi.
«Sono presi in discorsi sul basket, mi stavo leggermente annoiando.»
E in effetti i due ragazzi sembravano parecchio presi dalla propria conversazione, o forse erano semplicemente parecchio brilli.
«Ma tu non facevi basket?» lo prese in giro Nicole – per quella serata sembrava avesse deposto l’ascia di guerra, ma Amelia stava sempre sull’attenti.
«Sì, beh, ho notato che non fa proprio per me come sport.»
Amelia perse il filo del discorso dei due ragazzi, e la sua mente si concentrò su Stefano, su come la cotta stratosferica che aveva per il ragazzo fosse completamente sparita, puff, diventata niente di niente.
Magari potesse essere così anche con qualcun altro…
«Lo riconosco quello sguardo! Stai pensando ad Alessandro!»
Nicole la riprese subito e per un attimo Amelia si chiese se la sua amica leggesse nel pensiero.
«È così ovvio?» disse solo, non tentando nemmeno di negare la cosa.
Nicole si volse verso Daniele e il ragazzo ricambiò lo sguardo.
«Sì, Amelia, è parecchio ovvio.» rispose il riccio per entrambi.
Amelia sospirò.
«Mi dispiace, ragazzi, per quanto mi sforzi di distrarmi ogni tanto finisco per pensarci. Per ricordare a quando stavamo insieme, di tutti i sotterfugi per non farci beccare, di tutta l’ansia che avevo pensando di essere una stupida illusa a considerare l’idea che magari gli piacessi anche io…» la voce le sfumò piano mentre ricordava le sensazioni che aveva provato in quel periodo.
Vicino a lei, Nicole e Daniele tacquero. La ragazza tirò un secondo sospiro e poi fece un lieve sorriso.
«Lasciate stare, ragazzi, sono solo le pene d’amore di una stupida ragazzina.»
I due ragazzi la guardarono male contemporaneamente.
«Non dire stupidaggini, Ame. È normale fare questi pensieri, non so se ti ricordi di me mentre ero in crisi per Tommaso.» intervenne Nicole, alzando gli occhi al cielo al solo pensiero di quel periodo.
Amelia fece una risata che però morì poco dopo.
«Ricordo, ricordo. E ricordo anche quella serata che Tommaso mi aveva pregato di organizzare per cercare di riconquistarti, finendo per tirarmi dentro in quella situazione assurda.» 
Mentre ripercorreva quei ricordi nella sua mente, di nuovo altre immagini scorsero dentro la sua testa: lei che finiva per fare una passeggiata solitaria, girando tra le strade fino a quando Alessandro non le si stagliò davanti.,
Ricordava ancora come si era sentita quando i suoi occhi chiari l’avevano fissata, e si ricordava bene anche il moto di coraggio che in qualche modo le era cresciuto da dentro e che l’avevano spinta a invitarlo per bere qualcosa insieme. Si era sentita così stupida, dopo pochi minuti. Eppure, lui non aveva rifiutato la sua proposta, ma l’aveva accettata – seppure con delle riserve, se lo ricordava.
Il bacio alla fine di quella serata, poi, era stato forse la cosa migliore e peggiore della serata.
«Ragazzi, grazie per sopportarmi. Ma non posso fare altro che rassegnarmi e dimenticarlo.» commentò infine, la voce leggermente più bassa che spinse Daniele ad avvicinarsi per sentire meglio.
«Inoltre, sono solo una ragazzina. Lui è un uomo adulto, si sarà già dimenticato di me, magari adesso sarà a divertirsi con i suoi amici o qualche donna più matura di me e sicuramente più affascinante.»
Nicole fu veloce a tirarle uno scappellotto secco, il cui suono schioccò nell’aria notturna.
«Ahi!»
«Tu non dire stronzate e io non ti colpirò di nuovo.» rispose serafica la castana, per poi fare un dolce sorriso.
«Va bene, va bene…»
Però lo so, lui non starà mai pensando minimamente a me in questo momento…
 
 
Finalmente era arrivato. Il 27 di luglio.
Amelia era in fila insieme a Nicole e tutti gli altri passeggeri pronti ad imbarcarsi in quell’aereo diretto a Dublino, il bagaglio a mano stretto a sé – inconfondibile con quel tono azzurro pastello e i fiori bianchi – e il cellulare in cui lo schermo mostrava il biglietto telematico che segnava il suo nome, l’ora del volo e tutte le informazioni necessarie.
Si sentiva calma, il suo cuore era rilassato, ma dentro di sé allo stesso tempo sentiva la frenesia e l’eccitazione per quel viaggio di maturità che aveva atteso per tanto tempo.
Nicole, di fianco a lei, parlava concitata con Tommaso al telefono negli ultimi saluti prima di dover selezionare la modalità aereo, e la ragazza aveva così tutto il tempo per immergersi nei propri pensieri.
Sarebbero stati sette giorni di libertà e divertimento, lontano dai genitori e dalle responsabilità che l’avrebbero attesa a settembre, quando l’immatricolazione per l’università e il trasferimento le avrebbero portato via tanto tempo e ansia.
Ma in quel momento, mentre arrivava il suo turno e Nicole chiudeva rapidamente la chiamata, i suoi pensieri corsero a qualcos’altro.
Auguri di buon compleanno, Alessandro.

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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ~ Di mare e rivelazioni ***


È passata esattamente una settimana dall’ultimo capitolo pubblicato, in pratica come facevo all’inizio, quando avevo cominciato a pubblicare i capitoli di questa storia.
Ebbene, siamo arrivati all’ultimo capitolo dopo tanto tempo – non esattamente l’ultimo, manca l’epilogo che però sarà giusto un capitolino breve (penso).
So che sono stata parecchio incostante con questa storia alla fine, mi dispiace ma purtroppo la vita vera mi ha chiamato spesso a sé e il tempo da dedicare alla scrittura era sempre poco. Avrei preferito continuare con i miei regolari aggiornamenti, anche perché ho notato che molti lettori affezionati non hanno continuato la storia e questo mi dispiace parecchio.
Spero, comunque, che un giorno o l’altro desiderino terminarla e in quel caso il capitolo è qui, pronto per voi.
Vi auguro una buona lettura in compagnia di Amelia e Alessandro.
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 


 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventisei
~
Di mare e rivelazioni
 
 
 
I tramonti al mare di agosto erano sempre stati i preferiti di Amelia.
Forse perché avevano il sapore degli ultimi, e quindi la nostalgia la attanagliava in una morsa che aveva il sapore di salsedine e crema solare, o forse perché i colori le apparivano più intensi del solito.
Non era sicura, comunque, e a quel punto preferiva lasciar correre i pensieri mentre si godeva gli ultimi raggi del sole distesa nel lettino azzurro che faceva pandan con il suo costume turchese.
I vari bagnanti erano quasi tutti andati via, solo dei giovani si attardavano sulla spiaggia – un gruppo che aveva messo musica su una cassa da un po’, ma che per fortuna non la infastidiva, e che faceva girare delle bottiglie di birra accuratamente messe in un sacchetto di plastica una volta finite. Si stavano preparando per una serata sfrenata, evidentemente.
Ma Amelia, al pensiero di una nottata del genere, si sentiva ancora più pesante.
Si era fatta la sua dose di divertimento in quelle settimane e quei giorni alla casa al mare di famiglia aveva intenzione di passarli in totale relax, godendosi il mare tutto il giorno, passando il tempo a fare il bagno, abbronzarsi, leggere e mangiare fino a scoppiare. Le sembrava giusto, soprattutto in previsione di quello che l’aspettava con l’arrivo dell’università.
Ah, l’università.
I dubbi che l’attanagliavano erano tanti, in primis l’ansia di andare per la prima volta via di casa.
Come sarebbe stato vivere totalmente da sola?
Certo, aveva già provato alcune esperienze del genere, già altre volte i suoi avevano deciso di fare un viaggetto di coppia lasciandola a casa in solitaria – “Tu hai scuola, tesoro, non puoi fare assenze!” – e non aveva mai avuto problemi. Era una persona autonoma, non aveva problemi a farsi da mangiare, lavarsi i vestiti o cose del genere. C’era però da dire che i suoi le lasciavano sempre cibo a sufficienza, e le poche volte che andava a fare la spesa con i suoi finiva per chiedere snack e cioccolatini come una bambina di dieci anni.
E quando sarebbe stata male?
Quando aveva l’influenza, sua madre mostrava la mamma chioccia che era dentro di lei: non poteva alzarsi, muovere un muscolo, doveva riposarsi, mangiare un brodino caldo e fare attenzione alle correnti, stando attenta però a far cambiare l’aria nella stanza. E poi le medicine: doveva prenderle in maniera corretta, ma se le fossero finite e fosse stata ancora male, come avrebbe fatto a comprarle?
Un’altra domanda importante che la premeva era: come sarebbero state le sue coinquiline?
Si riteneva una persona tranquilla, pulita e rispettosa degli altri, ma sapeva bene che non tutti fossero come lei. E se invece, più semplicemente, non fosse andata a genio agli inquilini con cui avrebbe coabitato?
Tutto questo la spaventava e le faceva chiedere se sarebbe stata in grado di vivere da sola, veramente in autonomia.
Sospirò e cercò di scacciare via quei pensieri.
Non ha senso tormentarmi ora. Inoltre, se ce l’hanno fatta gli altri, perché io non dovrei esserne in grado?
Con quell’idea in testa si alzò da lettino, scosse il telo da eventuali granelli di sabbia per poi riporlo dentro la spaziosa borsa colorata da mare e chiuse il lettino, decisa a dirigersi verso casa – erano già le otto passate, i suoi genitori di sicuro avevano iniziato a preparare la cena.
Con il lettino in una mano e la borsa nell’altra, si diresse verso casa; era fortunata, non era molto lontano, e in pochi minuti a piedi raggiunse la graziosa casetta al mare. La luce del tramonto rendeva il giallo chiaro dell’edificio più dorato e le sue sfumature venivano rese più accese dai colori dei teli da mare e dei costumi appesi al filo per il bucato.
Appena varcò il piccolo cancello d’entrata e mise piede in giardino, l’odore di pesce grigliato le solleticò le narici, facendole spuntare inevitabilmente un sorriso.
«Mamma, sono tornata!»
L’urlo non fu molto apprezzato dalla madre, che subito si affacciò dal balcone del piano superiore.
«Cosa sono questi modi di urlare? Non ci siamo solo noi!»
Il fatto che avesse appena urlato lei stessa non sfiorò particolarmente Serena, e Amelia evitò di discutere per una semplice questione di propria serenità.
«C’è il pesce arrosto a cena?»
«Sì, ti conviene sbrigarti se vuoi farti una doccia, è quasi pronto.»
Non fu necessario dire altro: la mora entrò rapida dentro casa, si diresse nella propria camera per prendere un cambio di vestiti e dopo un quarto d’ora era già in comodi e leggeri vestiti da casa, i capelli umidi che le solleticavano le spalle nude e la pancia che iniziava a brontolare.
La cena si prospettava tranquilla e serena come tutte le altre precedenti, eppure Amelia doveva aspettarselo.
Doveva aspettarsi che i suoi genitori, bravi com’erano a combinare stronzate, avessero già in mente un’idea che, se per loro fosse sembrata fantastica, per la loro amabile figlia sarebbe stata disastrosa.
Ma Amelia aveva abbassato la guardia da un po’ e pensava che certe cose fossero finite da un pezzo.
«Sai, Amelia» Davide catturò la sua intenzione mentre la mora era intenta a pulire con attenzione il pesce di fronte a sé – odiava quando le capitavano spine per sbaglio «Ho sentito Michele e Margherita proprio oggi, e li ho invitati per questo fine settimana qui alla casa al mare. Tanto abbiamo una stanza in più.» l’uomo mandò giù il boccone e le sorrise «Non è un problema per te, vero?»
Eccola.
Eccola lì, la stronzata.
Amelia si chiese perché tutto quello non fosse ancora successo, dato che la sfiga con lei sembra vederci così bene da fare canestro da oltre metà campo.
Ma io dico, che cazzo ho fatto di male?
Prima di dire qualsiasi cosa, però, la domanda che le uscì fu tutt’altra.
«Ci sarà anche il professore?»
Fu dura trattenersi dal dire Alessandro al posto di professore, dovette praticamente mordersi la lingua, ma ce la fece e sentì il proprio cuore perdere giusto un paio di battiti – che cos’erano, in fondo? Sarebbe al massimo morta qualche decennio prima.
Forse era solo nella sua testa, ma sembrò che il tempo si fermasse mentre attendeva la risposta di suo padre.
«No, tesoro, purtroppo Alessandro ha detto che non sarebbe potuto venire. Ovviamente gli abbiamo detto che, se avesse cambiato idea, le porte erano sempre aperte.» Serena intervenne al posto del marito e Amelia si girò rapida verso di lei.
Dentro di sé la sua mente e il suo cuore si divisero in due.
Era felice perché non ci sarebbe stato, o triste per lo stesso motivo? Cosa vinceva, dentro di lei?
Abbassò gli occhi e cercò di concentrarsi sul pesce, alla ricerca di altre spine.
«Ah, meglio così» il tono fu piuttosto asciutto, ma per fortuna nessuno dei due genitori parve accorgersene e Amelia poté continuare a torturare il povero branzino che, con gli occhi privi di alcuna luce, sembrava che la fissassero.
«Che poi, ormai non è neanche più tuo professore, quindi non avrebbe neanche senso rifiutare per una motivazione del genere.»
Serena continuava a commentare la cosa, ma Amelia aveva staccato la testa dalla realtà in fretta e lasciava che i suoi pensieri divagassero mentre mangiava con un insolito scarso appetito.
Per quanto si fosse sforzata in quei mesi, il suo sentimento non era ancora sparito. Per niente. Non si era affievolito e questo faceva sì che il suo cuore fremesse ancora ai ricordi di loro due, dei loro baci e delle carezze scambiate al sicuro della casa dell’uomo.
Fu automatico sentire un brivido lungo la schiena che cercò di dissimulare con nonchalance – per fortuna i suoi genitori erano troppo impegnati con il proprio piatto per rendersi conto di qualcosa.
Sospirò e le fu automatico per lei immaginare come sarebbe stato ritrovarselo lì, magari in costume, fuori dall’acqua dopo una lunga nuotata, o anche seduto al suo fianco a cenare, il vino che gli faceva arrossare le guance e i capelli arricciati dal sale dell’acqua di mare.
Devo smetterla. Ormai è finita, è tutto finito. Anche volendo, non si potrebbe recuperare un bel niente… Non starà ancora pensando a me, probabilmente avrà già conosciuto qualche affascinante trentenne che può presentare ai suoi genitori senza nessun problema, con cui può uscire e scambiarsi baci in pubblico senza l’ansia che qualcuno possa vederli…
«Scusate, ma non ho tanta fame. Credo di aver preso troppo sole oggi, non sto troppo bene.»
La classica bugia del “non mi sento bene”.
Serena se accorse subito, perché fu rapida a lanciarle uno sguardo inquisitore.
«Tutto bene, tesoro?» non sembrava però voler insistere e si limitò a guardarla dubbiosa.
Cercò di fare un sorriso tranquillo.
«Sì, sì, è solo che mi gira un po’ la testa e mi si è chiuso lo stomaco, scusate.»
I genitori non insistettero oltre: la guardarono leggermente preoccupati e, dopo le varie avvertenze quali “chiamaci se hai bisogno”, la lasciarono andare senza insistere ulteriormente.
Dentro camera sua, l’aria era quasi fresca. La portafinestra era spalancata e la zanzariera lasciava fuori tutti gli eventuali mostri che potevano cercare di entrare. Non accese la luce, da fuori ne proveniva abbastanza da creare una vaga penombra nella stanza e il cielo non era ancora del tutto scuro – in lontananza, all’orizzonte, si poteva ancora vedere l’ultima striscia arancione del sole ormai tramontato.
Si buttò nel letto così com’era e l’odore morbido delle lenzuola la avvolse, facendola subito sentire confortata – era il profumo della casa al mare, quello, non lo avrebbe confuso con nessun altro.
Immerse la faccia nel cuscino e ne sentì la morbidezza e freschezza, ma riuscì a rimanere così per poco, poi si alzò con uno slancio deciso e prese una sigaretta dal pacchetto accuratamente nascosto in camera – conosceva abbastanza i suoi genitori da sapere che non sarebbero saliti in quel momento, o perlomeno non avrebbero cercato di andare da lei, ma per sicurezza chiuse la porta a chiave decisa, in caso, a far finta di essersi addormentata per sbaglio.
La fortuna della sua camera era che aveva una portafinestra che conduceva a un balcone di modeste dimensioni che si affacciava sul lato del mare, permettendole così di gustarsi una vista mozzafiato. Più volte, in quegli anni, aveva passato la notte con le cuffie alle orecchie a fissare il cielo che, in quel luogo, era particolarmente terso tanto da osservare un cielo stellato come si deve.
Il fumo della sigaretta si disperdeva nell’aria in volute biancastre ma, se altre volte Amelia avrebbe finito per rimanerne incantata, in quel caso aveva occhi soltanto per la distesa blu che si scuriva sempre di più mostrando le varie stelle più deboli che avevano bisogno di maggiore oscurità per essere viste.
Non sapeva a cosa pensare.
La sua mente percorreva sempre più rapida tutti i momenti passati con Alessandro in maniera ripetitiva. Non riusciva a distogliere la testa da quei momenti e passava da uno all’altro senza alcun filo logico, lasciandosi guidare solamente dalle sue emozioni.
Fu senza rendersene conto che iniziò a piangere.
I ricordi si facevano più intensi e sentì lo stesso dolore che aveva provato i primi giorni in cui avevano chiuso quella storia troppo complicata – gli sguardi imbarazzati a scuola, il disagio provato, il desiderio di sparire e il preparare quelle interrogazioni che diventavano la peggiore tortura della sua vita.
Era riuscita a passare tutto quello, eppure perché in quel momento si ritrovava a piangere al pensiero di lui in quella casa, magari abbracciato a lei nel telo per la spiaggia, loro due che nuotavano insieme e i baci bollenti che si sarebbero scambiati la notte?
Perché sono ancora totalmente, inutilmente e stupidamente innamorata di lui.
 
 
 
La mattina dopo arrivò più rapida di quanto si aspettasse.
Aprì gli occhi che mancavano pochi minuti alle nove e, decisa a non perdersi neanche un minuto di sole, si alzò con uno sbadiglio per poi scendere al piano di sotto dove i suoi già preparavano il caffè – l’aroma amarognolo solleticò le sue narici svegliandola già in parte.
«Buongiorno tesoro.» la voce di Serena l’accarezzò leggera, rispose con un grugnito assonnato e lanciò un occhio fuori dalla finestra notando che il padre era occupato a fare qualcosa in giardino.
Rimase in silenzio ad ascoltare la tv e poco dopo la madre le pose sotto il naso la tazzina fumante di caffè più i soliti dolci da colazione – era più tipa da colazione salata, ma anche un bel toast con la crema al cioccolato non si disdegnava mai. Passarono alcuni minuti di relax prima che la madre si voltasse verso di lei, impegnata anch’essa nella sua colazione.
«Amelia, Michele e Margherita oggi arriveranno per l’ora di pranzo, quindi cerca di essere puntuale, ok?»
Merda.
Sbuffò un cenno di assenso e continuò a fare colazione in silenzio.
Averli intorno sarà una tortura. Spero solo di riuscire a distrarmi quanto basta.
Quei pensieri la angustiavano più del dovuto, e così fecero per tutto il resto della mattinata: dal momento in cui uscì di casa con il suo costume color pesca, il prendisole bianco e la borsa di paglia colma del necessario – più, ovviamente, il fidato sdraio – la sua testa non riuscì a distogliersi da quei pensieri.
Quando riuscirò a farmela passare? Anzi, ci riuscirò mai?
Insomma, questo fu il registro dei suoi pensieri per tutta la mattina e non ci poté fare molto, nonostante le nuotate, la musica alle orecchie e il libro che le faceva compagnia.
L’ora di pranzo arrivò in fretta e mentre il cellulare squillava, già sapeva chi fosse.
«Pronto, mamma?»
«Amelia! Muoviti a tornare, sono già qui!»
«Se non mi chiamassi farei più in fretta, sai?»
La madre non le rispose: le chiuse il telefono e Amelia fece una smorfia – doveva essere lei, la figlia adolescente, a chiudere la chiamata, non la madre!
Non poté fare molto però, e dopo una rapida sigaretta si incamminò verso casa. Mai come in quel momento avrebbe preferito che il tragitto fosse più lungo.
Invece fu come al solito e in breve tempo notò il cancello che la conduceva all’entrata del giardino, più una macchina posteggiata lì di fronte che riconobbe come quella dei genitori di Alessandro.
Magari anche lui è qui. Magari ha cambiato idea. Magari ha deciso che vuole vedermi.
I pensieri le si affollarono rapidamente in testa, e allo stesso modo il suo cuore iniziò a sfarfallare impazzito mentre la speranza si faceva strada in lei – e nulla pareva poterla fermare.
Amelia nemmeno si accorse di aver accelerato il passo verso casa, mentre sentiva un vociare scherzoso provenire dal retro, e in pochi istanti entrò dentro casa, poggiò la borsa in tutta fretta – se la madre l’avesse vista entrare in quel modo, senza preoccuparsi di togliersi i residui di sabbia dai piedi, le avrebbe gridato contro – e si diede un’occhiata di fronte allo specchio. I capelli erano ancora più ricci a causa dell’acqua salata del mare, la pelle era dorata e piuttosto luminosa, gli occhi brillanti. Il mare le faceva bene.
Non stette di fronte allo specchio troppo a lungo, dentro di sé fremeva per la speranza di poterlo rivedere lì – e sarebbe stato come mesi prima, con i loro battibecchi, i loro litigi che però nascondevano un qualcosa che all’inizio non si riusciva a definire.
L’apice della sua ansia fu proprio l’istante in cui poggiava il piede sul retro.
Ma tutto sfumò nel nulla assoluto, quando vide soltanto i suoi genitori, Michele e Margherita; i quattro stavano in piedi, un bicchiere di vino bianco in mano, ridendo e scherzando tra di loro.
Sentì il palloncino dentro di lei che l’aveva portata su per pochi ed emozionanti secondi sgonfiarsi inevitabilmente, e il sorriso luminoso che aveva stampato sul volto perse luce e allegria.
«Amelia, tesoro!»
La prima a vederla fu Margherita che si voltò verso di lei con un enorme sorriso; la donna subito si avvicinò a lei per abbracciarla con calorosità. Per un attimo, le sembrò di sentire il profumo di Alessandro su di lei, poi eliminò velocemente quel pensiero.
«Margherita, quanto tempo.»
La sua voce suonò meno carica di entusiasmo rispetto all’altra, ma nessuno parve farci caso e salutò anche Michele che, in maniera più composta, si era avvicinato a salutarla.
«Come stai?» chiese Michele.
«Bene, dai, mi rilasso in vista dell’inizio dell’università.» rispose facendo spallucce e con un lieve sorriso.
«Hai deciso di studiare lingue, quindi?» continuò Margherita.
«Sì, continuerò sul tedesco e tenterò il russo, ho già una buona base per l’inglese e il francese e mi piacerebbe imparare nuove lingue.» spiegò semplicemente.
La conversazione, da quel momento in poi, si spostò su altri discorsi e Amelia lasciò che gli adulti conversassero tra di loro mentre con una scusa andava al piano di sopra.
Dentro camera sua le tapparelle erano a metà per evitare che il caldo sole dell’ora di pranzo riscaldasse troppo la stanza, una piacevole penombra non le ferì gli occhi e si buttò sulla sedia con il sorriso che scemava definitivamente dal suo volto.
Sono un’illusa senza speranze.
Non ci riusciva. Era più forte di lei, non le sarebbe passata.
E, come le capitava da un po’, una lacrima le solcò il viso.
 
 
Anche quella giornata volò, ma meno rispetto alle altre.
La sua mente finiva sempre per correre al medesimo pensiero: Alessandro. Non riusciva a smettere di immaginare lui che arrivava lì senza preavviso, per finalmente dichiararle il suo imperituro amore nei suoi confronti. Poi finiva per ridere tra sé e considerarsi una scema.
Non succederà, Amelia, mettiti il cuore in pace.
La notte arrivò rapida, ma, una volta che il buio calò sulla casa e le chiacchiere furono esaurite anche tra i suoi genitori e gli altri ospiti, si ritirò nella propria camera e da quel momento in poi non fu che tormentata.
Passava il tempo a fissare il soffitto, a fumare l’ennesima sigaretta, a cercare di leggere aspettando il momento in cui le palpebre si facevano più pesanti – eppure nulla di tutto quello servì, continuò a rotolarsi tra le coperte come un’anima in pena e riuscì a sonnecchiare massimo un’oretta scarsa.
L’alba arrivò con i suoi colori aranciati e rosati in maniera lenta, come la marea che lentamente si alza e si abbassa seguendo la luna. Allo stesso modo, Amelia prese la decisione di alzarsi dopo interminabili minuti in cui vedeva le ombre della stanza allungarsi lungo le pareti.
In quel quasi totale silenzio si mise il costume, quel giorno nero, e il prendisole bianco del giorno prima, scese al piano inferiore e si fece il caffè.
La cucina, alla luce scarsa del sole, assumeva i toni di una cartolina d’epoca e mentre osservava i contorni delle tende, che si facevano più nitidi grazie alla luce che filtrava sempre di più, sorseggiò il caffè appoggiata al bancone di marmo.
Quando diede un’occhiata all’orologio, si stupì che fossero le sette meno due minuti. Nessuno era ancora sveglio e pensava che i suoi genitori avrebbero dormito per ancora un paio di ore – per questo motivo decise di scrivere un biglietto in cui li avvisava che era già andata in spiaggia da presto e lo lasciò sul tavolo vicino alla zuccheriera. Dopo questo, si lavò velocemente i denti in bagno e a quel punto uscì di casa cercando di fare il meno rumore possibile – non che i suoi rischiassero davvero di svegliarsi.
La strada verso la spiaggia era praticamente deserta se non per qualche raro runner solitario che voleva evitare le più calde ore successive e Amelia si poté godere in pace la passeggiata con le cuffie alle orecchie, che diffondevano un sottofondo piuttosto malinconico ma adatto al proprio stato d’animo.
Quando arrivò alla spiaggia, il paesaggio che le si presentò davanti era più spettacolare di quanto non si aspettasse – erano parecchi anni che non si godeva realmente la spiaggia deserta e albeggiante. Il mare non era ancora di quel tono azzurro vivo che avrebbe assunto durante il resto della giornata, ma di varie sfumature che spaziavano dal tenue grigio-azzurro, al pesca e al dorato. Qualche gabbiano gracidava in lontananza e non c’era nemmeno una nuvola, così come nemmeno un bagnante. Amelia non ci mise molto a decidere di abbandonare tutte le sue cose sulla sabbia, ancora fredda dopo la notte, levarsi il prendisole e farsi una nuotata.
Appena si avvicinò al bagnasciuga una piccola onda si allungò il necessario per bagnarle i piedi e un brivido le corse lungo la schiena – l’acqua era abbastanza fredda, ma decisa ignorò quel dettaglio e si inoltrò nell’acqua.
Le onde erano lente ma abbastanza forti da schizzarle addosso qualche gocciolina d’acqua che le creava una fastidiosa pelle d’oca. Fu con fermezza che si tuffò nell’acqua, sentendo mille spilli che la trafiggevano – ma fu solo pochi secondi, poi fece qualche bracciata e sentì il corpo riscaldarsi e adattarsi a quella temperatura.
Non seppe per quanto tempo nuotò, ma quando uscì sentiva il corpo pesante e la testa più leggera – le sembrò di aver abbandonato la zavorra che custodiva dentro di sé nel mare, ma sapeva che la sensazione non sarebbe durata a lungo. La spiaggia non era più vuota, ma vi era qualche anziano che, con la propria fidata sedia da spiaggia, sostava vicino all’acqua a godersi l’aria fresca e pulita.
Amelia si diresse verso le proprie cose che erano rimaste nella stessa posizione in cui le aveva lasciate, distese il proprio asciugamano e si sedette su di esso, sentendo il sole che già iniziava ad asciugare le piccole goccioline d’acqua che permanevano lungo il suo corpo.
Quello era il suo momento preferito: godersi il calore che la asciugava, il sole negli occhi che finiva per tenere socchiusi, il rumore delle onde come perfetta colonna sonora e nient’altro.
Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, eppure sapeva che non poteva essere così. Però non c’era nulla di male a goderselo appieno.
Le ore passarono così, nel silenzio che pian piano si trasformava in brusio, e poi in rumore vero e proprio con l’arrivare cospicuo di famiglie, coppie e gruppi di amici. Quando furono le dieci, decise di alzarsi e andare via: le ore di sonno mancanti iniziavano a farsi sentire e non voleva addormentarsi lì, in mezzo a tutte quelle gente. Si alzò con calma e, dopo aver preso tutte le proprie cose, si incamminò verso casa.
E fu in quel momento, mentre girava l’angolo che precedeva la propria via, che una macchina spuntò dal lato opposto rischiando di investirla.
«Ehi, coglione!»
L’urlo le uscì più alto e nervoso di quanto non le sarebbe uscito in altre situazioni, ma la stanchezza giocava brutti scherzi, tra cui l’irritabilità. Si voltò a guardare il genio che l’aveva quasi investita – insomma, era un paesino di mare con strade strette e più pedoni che auto, era ovvio che bisognasse andare piano, invece quel deficiente si sentiva in autostrada!
Ripensandoci in un altro momento, avrebbe detto che fu quello il momento in cui il suo cuore si fermò.
O, meglio, fu quando riconobbe prima l’auto e poi il coglione che c’era dentro, che in quel momento era fermo sul sedile del guidatore, gli occhi fissi su di lei e una espressione che non avrebbe mai potuto decodificare.
Alessandro.
Fu come in un sogno, o forse come nelle sue più imbarazzanti fantasie, però non si concluse allo stesso modo: sentì le gambe traballarle e dopo un mezzo passo incerto rischiò di cadere a terra se non fosse stato per il muso dell’auto davanti a lei, a cui si poggiò con un tonfo che fece una brutta impressione per la carrozzeria.
No, ok, sono un’idiota, fu il suo primo pensiero. Il secondo fu…
Cazzo.
Non riusciva a muovere un muscolo. Era così stupita, sorpresa, stupefatta che non sapeva cosa fare.
La stessa cosa valeva per Alessandro, perché anche l’altro rimaneva immobile – non accennava a spegnere il motore, a scendere dall’auto o a spostare lo sguardo da lei.
Per qualche secondo fu come se il tempo si fosse fermato o, almeno, questa fu l’impressione che ebbe Amelia e che avrebbe poi raccontato in seguito. Ma poi tutto si sbloccò quando una macchina dietro Alessandro iniziò a suonare con impazienza. L’incantesimo si spezzò in fretta e l’uomo fece una smorfia che fece nascere uno spontaneo sorriso nella ragazza, che si affrettò poi a nasconderlo.
Si spostò il necessario per far passare le auto e osservò la scena di Alessandro che andava avanti per accostare poco prima dell’auto dei suoi genitori e la macchina dietro di lui, guidata da un vecchio signore dall’aria spazientita, che andava avanti berciando qualcosa che non riuscì a sentire.
Ma fa veramente così caldo?
Il suo corpo sudava come se fosse in una fornace e non riusciva a capire se fosse il caldo del sole o il cuore che batteva all’impazzata dentro di lei – forse entrambe, o comunque era l’opzione più probabile.
Quando vide l’uomo uscire dall’auto non poté evitare di fissarlo – non era un sogno, vero? Quella era la realtà, dovevaesserla. Se no sarebbe stato orribile.
Lo vide con quei jeans leggeri, una maglietta a maniche corte che gli toglieva qualche anno dall’età, degli occhiali da sole inforcati tra i capelli scuri e disordinati – e poi si voltò e la guardò, e ad Amelia sembrò di trovare un po’ di sollievo in quella calura estiva, sollievo provocato dalla freschezza di quegli occhi così chiari.
In quel momento non riusciva ancora a muoversi, ma per l’altro non sembrava la stessa cosa dato che si avvicinò a lei – per fortuna, se no sarebbero stati lì a fissarsi tutto il giorno.
«Ciao.»
La sua voce è più bella di quanto mi ricordassi.
Amelia non riuscì subito a rispondere.
«…Ciao.»
La voce le uscì strozzata e indecisa. Alessandro le fece un sorriso che ebbe il potere di tranquillizzare lei e il suo cuore in pochi istanti; fu come riprendere a respirare dopo minuti di apnea totale.
«Come stai?»
La domanda, se in altri casi sarebbe potuta sembrare di circostanza, sembrava carica di qualcosa che la giovane non riusciva a identificare appieno.
Si schiarì la gola prima di rispondere, un gesto fatto apposta per prendere tempo e sapeva che lui se n’era accorto.
«Emh, bene. Grazie.» tacque, indecisa su cosa dire «Tu?»
Che diavolo ci fa qui? Perché ha sempre la straordinaria capacità di illudermi?
«Diciamo bene, sì.» la sua risposta fu altrettanto semplice e Amelia non rispose, non sapendo cosa aggiungere.
Dio santo, dì qualcosa. Non stare qui fermo immobile a fissarmi, mi viene solo voglia di baciarti, cazzo.
Non sapeva se questi pensieri trasparissero dalla sua espressione, sperò di no, ma l’altro era sempre stato bravo a leggerle dentro.
«Io…»
Alessandro iniziò a parlare proprio nel momento in cui il cellulare di Amelia iniziò a squillare all’impazzata, facendo sobbalzare entrambi e impedendo qualsiasi tentativo di discorso.
«Scusa.» bofonchiò la mora, per poi frugare dentro la sua borsa per cercare il telefono; quando finalmente lo trovò e vide il nome sullo schermo dovette fare appello a tutta la sua forza per non mettere giù.
Ottimo tempismo, mamma.
«Pronto?»
«Tesoro, tutto bene? Ho letto il tuo biglietto prima, volevo sapere se va tutto bene.»
«Sì, va tutto alla perfezione.» si impegnò parecchio per non far trasparire del sarcasmo nelle sue parole, ma non dovette riuscirci appieno perché notò con la coda dell’occhio Alessandro che finiva per trattenere male un sorriso.
«Bene, tesoro, comunque ti volevo dire che proprio poco fa mi ha avvisato Margherita che sta arrivando anche Alessandro, quindi cerca di non tardare a tornare a casa, così ci sei anche tu per salutarlo.»
Amelia proprio non riuscì a trattenere l’espressione sardonica.
«Ma no, davvero, sta arrivando anche lui?» fece ironica. La madre ignorò il suo tono.
«Non tardare, ok?»
Amelia fece appena in tempo a dire di sì prima che la madre la salutasse frettolosamente per chiuderle il telefono.
Cinque minuti. Cinque minuti prima e mi sarei preparata psicologicamente a tutto questo, o almeno avrei avuto il tempo per fuggire in un posto molto lontano.
Osservò Alessandro, che aveva chiaramente sentito tutta la conversazione ma che aveva avuto la decenza di tacere, e rimase in silenzio. Il moro le sorrise.
«Sorpresa?» fece, con tono incerto.
«Che diavolo sei venuto a fare?»
Non poté trattenere quella domanda sgarbata e carica di confusione – perché, per quanto lo volesse lì, non aveva il minimo senso che ci fosse, a patto che non volesse farsi qualche giorno di mare a scrocco.
«Io…»
«Tu un cazzo.» lo frenò bruscamente la ragazza «Una chiamata per avvertirmi? O hai perso il mio numero?» continuò sarcastica «Non mi sembra proprio il caso che tu sia qui, sinceramente, quindi ti chiederei di andartene se sei qui soltanto per divertiti alle mie spalle.»
Dire quelle parole le costò più di quanto volesse ammettere e da un lato si chiese perché le avesse pronunciate – insomma, fino a poche ore prima stava desiderando come una disperata che arrivasse lì, e ora lo cacciava via in quel modo?
Ma la verità era che averlo di fronte a sé dopo aver bruciato qualsiasi speranza tra di loro era soltanto orribile e straziante.
Alessandro sospirò per poi fare un mezzo sorriso – era sempre così dannatamente bello.
«In qualche modo, sapevo che avresti reagito in questo modo. Corrermi incontro non sarebbe stato nel tuo stile.»
«Perché, avresti voluto che lo facessi?» rispose piccata e subito le braccia corsero al petto, in un tentativo blando di proteggersi e proteggere il proprio cuore.
«No.» fu la risposta netta – e parecchio dolorosa, dovette aggiungere «Ma solo perché non è nel tuo stile, e io preferisco quando tu sei te stessa.» rispose in modo semplice.
Amelia sentì distintamente il proprio cuore accelerare i battiti e fece un profondo respiro nel tentativo di calmarsi.
«Senti…»
«No, senti tu.» la interruppe Alessandro. I suoi occhi si erano fatti improvvisamente seri.
«Quando i tuoi hanno esteso l’invito anche a me, ho rifiutato subito perché non avevo la minima idea che ci fossi anche tu – ero convinto che fossi in vacanza con i tuoi amici, o qualcosa del genere, non chiedermi il perché. Poi i miei mi hanno detto che invece c’eri, e a quel punto sono entrato in crisi.» si fermò per prendere un respiro profondo e poi continuò.
«Morivo dalla voglia di vederti, di parlarti. So cosa ci siamo detti l’ultima volta, ma in questi mesi mi sono reso conto che non riuscivo a toglierti dalla mia testa, che l’unica cosa che volevo fare era baciarti ancora e mandare a fanculo tutto. Mi sono trattenuto nonostante il giorno dopo in cui abbiamo chiuso volessi baciarti di fronte a tutti e fregarmene, perché sapevo che sarebbe stato un grosso problema per te. Poi, ho creduto che il tempo avrebbe fatto passare tutto questo, che ti avrei dimenticata – perché tu continui a essere molto più piccola di me, i miei genitori e i tuoi mi ucciderebbero per questo, ma sinceramente mi va bene prendermi i loro insulti se anche tu vuoi ancora stare ancora con me. Se hai cambiato idea, io prendo la macchina e me ne vado, non mi sentirai né vedrai mai più e tutto questo diventerà un imbarazzante ricordo da raccontare alle tue amiche.» si interruppe e la guardò in un modo così intenso che Amelia si sentì davvero mancare.
«Però, se provi gli stessi sentimenti di prima…» sembrò perdere le parole, ma fu solo un attimo «Se è così, vorrei un’altra possibilità per noi.»
Sembrò che il tempo si fermasse.
Che il mondo tacesse all’improvviso.
Che tutto finisse e riprendesse in quell’istante, in quel secondo in cui il masso che aveva avuto dentro di sé per tutto quel tempo improvvisamente sparisse in una nuvola di vapore.
Puff, sparito.
Lo guardò e soltanto quando notò i suoi contorni offuscarsi si rese conto che aveva gli occhi velati di lacrime.
«Amelia…?»
«Ti amo.»
Fu così diretta e chiara che Alessandro non ebbe il minimo dubbio. E il bacio che ne seguì fu, forse l’istante migliore di tutta la loro vita.
 
 
«Mi uccideranno.»
«Ci uccideranno. Ci sono anche io, sai.»
«Ma tu sei la ragazzina traviata e io l’adulto ammaliatore, puniranno me!»
Lo schiocco secco dello scappellotto anticipò un “ahi” molto poco virile e Amelia lanciò un’occhiataccia ad Alessandro.
«Ragazzina? Ho diciannove anni, ho l’età sufficiente per votare e non per scegliere consapevolmente il mio ragazzo?»
L’uomo fece una smorfia.
«Beh, in ogni caso sono io il più grande, so che se la prenderanno con me.» tagliò corto.
Amelia sospirò e non rispose. Sapeva che in parte era vero, anche se sua madre non le avrebbe lasciato passare la cosa così facilmente – ma, in ogni caso, sarebbe stato Alessandro a beccarne di più.
Le sfuggì una risatina.
«Che ridi?»
«Confermo. Ti ammazzeranno.» dichiarò. Poi scoppiò a ridere e vide Alessandro assumere un’espressione disperata.
Erano nel grande giardino all’entrata della casa, i loro genitori erano sul retro e la ragazza già sentiva il buon profumo di carne grigliata che il padre preparava. Sentiva il vociare degli adulti e l’ansia le montò addosso ancora più di prima.
Avevano deciso di dirglielo, perché continuare a nascondere tutto sarebbe stato solo peggio – inoltre, prima lo sapevano prima lo avrebbero accettato.
Non erano propriamente d’accordo sulle modalità: secondo Amelia avrebbero dovuto omettere completamente la parte in cui tra di loro vi era stata una relazione illegale, secondo Alessandro sarebbe stato meglio essere completamente sinceri.
Ovviamente, alla fine aveva vinto Amelia anche se l’altro continuava ad avere delle riserve.
In quella luce aranciate del tramonto, la ragazza finì per osservarlo con attenzione mentre il moro era perso a scrutare qualcosa in lontananza.
Il suo profilo era perfetto. Non le sembrava vero che fosse di nuovo al suo fianco, le sembrava di vivere in un sogno e, se fosse stato quello il caso, avrebbe tanto voluto dormire per l’eternità. Quella giornata era stata magica e ancora non le sembrava vero – avevano passato tutto il tempo insieme in spiaggia e, per fortuna, nessuno dei loro genitori aveva commentato la cosa in qualche maniera.
Vorrei che tutti i giorni fossero così.
«Mi fissi?»
Alessandro aveva notato il suo sguardo insistente e ora la guardava con un sorrisino divertito che la fece arrossire – si ricordò all’improvviso di quando, a scuola, quel suo sguardo la faceva tremare da capo a piedi.
«Recupero il tempo perduto.» rispose ironica. L’altro scoppiò a ridere.
«E ne abbiamo tanto da recuperare. Tante notti, soprattutto.»
L’insinuazione fece arrossire Amelia, ma non ci fu altro tempo per dire nulla dato che Serena sbucò all’improvviso.
«Oh, siete qui! Venite, è pronto a tavola!»
I due si alzarono mentre la donna tornava nel retro. Si fissarono.
«Glielo diciamo subito?» chiese Amelia.
«Ma no, aspettiamo dopo cena. Così almeno li facciamo mangiare in pace.»
«Però, via il dente via il dolore, no?»
«Sì, beh…»
«Dai.»
Il moro sospirò ed entrò dentro seguendo la ragazza.
Arrivati nel retro del giardino il profumo della carne si fece ancora più forte; la tavola era già imbandita, i bicchieri già pieni e i genitori forse un po’ brilli.
«Ma solo a me sembra…?» Amelia non finì la frase, notando la madre ridere leggermente più forte del solito.
«Sì.» rispose con una finta aria esasperata l’altro.
La mora poi gli diede una gomitata.
«È l’occasione perfetta! Sono un po’ brilli, è questo il momento giusto!»
«Cosa?»
«Sì, dai! Avanti!»
«Amelia, aspetta…»
Non ci fu tempo, proprio per nulla, perché Amelia si schiarì la voce e, praticamente, iniziò ad urlare.
«Mamma, papà, Michele e Margherita! Vorrei dire una cosa!»
Lo strillò ebbe subito il potere di far tacere tutti. Il silenzio improvviso fu alquanto strano, soprattutto perché tutti si voltarono contemporaneamente.
«Amelia! Ti sembra il modo di urlare?» subito Serena la rimproverò.
«Scusa, mamma, ma Alessandro voleva dire qualcosa.»
Sentì chiaramente l’occhiata di fuoco che l’altro le lanciò, ma decise di ignorarle e si voltò verso di lui con un sorriso dolce.
«Prego, Ale.» fece con un tono zuccheroso.
«Emh…»
A quel punto tutti gli sguardi si posarono su di lui.
«È successo qualcosa, ragazzi?» chiese Margherita con un tono perplesso.
Amelia tacque e fissò ancora l’uomo.
Dai, parla.
Alessandro fece un profondo sospiro.
«Beh, a dire il vero c’è una cosa importante su cui dovreste essere informati…» si zittì, come se improvvisamente avesse avuto un’idea geniale. E a quel punto fu il suo turno sorridere con perfidia – lo stesso sorriso che usava avere quando le metteva una nota sul registro. Non presagiva nulla di buono.
«Direi che così sarà più chiaro a tutti.»
A quel punto, nessuno ebbe il tempo di fare qualcosa, men che meno Amelia: fu afferrata per la vita con delicatezza e tirata dal moro verso di lui. Vide soltanto il suo volto avvicinarsi e fu spontaneo chiudere gli occhi e attendere il bacio.
E si baciarono. Di fronte ai loro genitori.
«Cosa?!»
Ci fu un tonfo, qualcosa cadde o forse qualcuno svenne, ma Amelia continuò a godere di quelle labbra soffici.
Beh, almeno ora lo sanno.

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


Questa volta ci vediamo direttamente giù, miei cari!
Buona lettura!
 
 
 
 

 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Epilogo

 
 
 
 
 
«Fai attenzione, c’è uno scatolone lì!»
«Ahi!» tonfo e breve silenzio «Sì, me ne sono accorto…»
Amelia alzò gli occhi al cielo osservando Alessandro che cercava di trattenere una parolaccia mentre si massaggiava lo stinco con aria dolorante.
«Sempre il solito.»
«Scusa?»
A quel punto fu il turno di Alessandro di sollevare lo sguardo e puntarlo verso la mora che aveva iniziato a ridersela tra i baffi.
«Dai, ci sono altri scatoloni di sotto.» tagliò poi corto la giovane.
Amelia osservò l’altro che scuoteva la testa con aria arrendevole e spariva oltre la porta, per poi girarsi e affacciarsi alla finestra spalancata.
Finalmente era arrivato il fatidico giorno, quello del trasferimento.
Ancora non le sembrava vero – aveva l’impressione che fosse solo una vacanza e che ben presto sarebbe tornata dai suoi. Invece no, quella sarebbe diventata la casa nella quale avrebbe abitato, lontana dai suoi genitori, da tutto quello che conosceva come le sue tasche. Avrebbe dovuto imparare i nuovi tragitti, le nuove linee dell’autobus, dove si trovavano i supermercati, le farmacie, la palestra…
No, la palestra no.
Mentre notava Alessandro in strada, affaccendato a prendere altri scatoloni dalla macchina, si voltò per osservare la propria stanza.
Era stata fortunata: aveva trovato una singola di tutto rispetto a un prezzo ragionevole. Doveva ammettere, però, che già le mancava la propria camera, l’irruenza di sua madre nell’entrare senza porsi troppi problemi e tutto il resto.
Dovrei comprarmi una piantina, pensò con aria vaga mentre notava che la grande quantità di luce che entrava dalla finestra sarebbe stata ottima.
Lanciò un occhio sul disordine che regnava ancora sovrano: non aveva ancora messo a posto quasi nulla, per il momento era stata occupata a portare tutto; Serena, inoltre, aveva insistito per poterle dare una mano nonostante Amelia avesse più volte ripetuto che avrebbe potuto farlo benissimo da sola. Non aveva però fatto troppe storie e si era limitata a spostare più cose possibili con Alessandro che si era offerto volentieri, ancora in pausa prima di tornare a scuola.
Alessandro…
I suoi non avevano preso troppo bene la cosa, all’inizio. Anzi, erano totalmente sconvolti. I genitori di Alessandro, in maniera simile, erano scioccati, ma consapevoli di avere un figlio adulto non avevano cercato di mettersi troppo in mezzo. Serena e Davide, invece, avevano riempito la testa ad Amelia di domande: “da quando va avanti?”, “ti ha costretta?”, “sai della differenza di età?” e tante altre cose a cui la mora aveva cercato di rispondere con pazienza – non poteva biasimarli troppo, in fondo.
Con loro, d’altronde, lo stesso Alessandro si sentiva parecchio a disagio e ancora non riusciva a guardarli negli occhi – diceva che sentiva di aver tradito la loro fiducia, anche se in quei momenti Amelia gli ricordava che non era stata lei a rivelare il tutto con un bacio.
«Dove li metto questi?»
La voce dell’uomo la richiamò dai suoi pensieri e si permise di osservare il giovane uomo che, con una maglia a maniche corte abbastanza aderente da far intravedere qualcosa, la osservava sudato e con il fiato corto.
«Anche lì nell’angolo.» disse, cercando di non fissarlo troppo e di cancellare quei pensieri sconci dalla propria testa.
«Beh, abbiamo portato quasi tutto, direi.» commentò il giovane.
Amelia annuì.
«Possiamo dire di meritarci una pausa.» disse con un sorriso. L’altro le lanciò un’occhiata scettica.
«Meritarci? Ma se ho fatto io tutto il lavoro!»
«Non è vero!»
«Invece sì, tu ti limitavi a osservarmi dalla finestra.»
Beh, mi gustavo lo spettacolo.
Amelia non rispose e fece un sorriso innocente, espressione che fu sufficiente per Alessandro: ricambiò il sorriso con un ghigno divertito, per poi afferrarla per i fianchi e poggiarla sulla scrivania. Istintivamente, la ragazza allacciò le gambe alla vita dell’altro.
«E questo?» sussurrò la giovane.
«Non hai detto che dovevamo riposarci?» insinuò con tono carezzevole l’altro. Amelia lo guardò con un sorrisetto.
«Appunto, riposarci implica non sprecare troppe energie.» fece puntigliosa. Alessandro alzò gli occhi al cielo.
«Come se tu ne sprecassi tante. Devo fare sempre io tutto il lavoro!»
La mora strabuzzò gli occhi e gli diede una spinta.
«Idiota! Non è vero!» rispose offesa, per poi scendere dalla scrivania e spostarsi indispettita – ma non fece troppi passi, dato che il giovane l’afferrò di nuovo per voltarle il viso e darle un bacio che ebbe il potere, come sempre, di farla rabbrividire.
Quando si staccò da lei, Amelia non sapeva più cosa dire – a cosa stava pensando, a proposito?
«Ti odio.» borbottò la ragazza.
«Guarda un po’, io ti amo invece.» la canzonò Alessandro – e bastarono quelle due paroline per far diventare bordeaux la ragazza.
«Ripetimelo.» sussurrò.
«Cosa? Non mi ricordo che ho detto.» la prese in giro il moro. Ma non la fece attendere ancora.
«Ti amo.» ripeté e quella volta Amelia si aprì in un sorriso di estasi che contagiò anche Alessandro.
Il bacio che ne seguì fu più dolce dell’altro; in breve tempo si ritrovarono sul letto, completamente sfatto ma comunque comodo.
«Sì, confermo che una pausa è più che meritata.» mormorò Alessandro mentre iniziava a lasciarle una scia di baci lungo il collo, facendole venire i brividi lungo la schiena.
«Mi mancherai.»
La frase appena soffiata della mora ebbe il potere di fermare il moro che la fissò negli occhi – fu intenso come al solito e Amelia si lasciò affogare in quell’oceano in cui finiva per precipitare ogni volta che si fissavano in quel modo.
«Anche tu, amore. Ma ci vedremo ogni fine settimana, no?»
Amelia annuì.
«Sì, però…» si interruppe per un attimo «Non sarà la stessa cosa.»
Alessandro annuì in silenzio.
Passò qualche secondo prima che l’uomo decise di sollevarsi sul letto, costringendo la ragazza a fare lo stesso.
«C’è una cosa che ti devo dire, a essere sinceri.»
La frase ebbe lo straordinario potere di far saltare un paio di battiti ad Amelia, che si dovette costringere a stare calma – com’è che riusciva a terrorizzarla con quelle poche parole?
«…è qualcosa di brutto?» riuscì infine a chiedere.
Sentiva le mani improvvisamente sudate, ma subito Alessandro le prese tra le sue che erano invece lisce e fresche.
«No!» si affrettò a rispondere il moro «Semplicemente, era una cosa che volevo tenere nascosta ancora per un po’, per esserne sicuro al 100%, però non ce la faccio più.» ammise distogliendo di un poco lo sguardo.
Amelia puntò invece dritta il suo.
«Alessandro.» disse secca «Dimmi subito.» ordinò.
L’uomo tentennò appena, ma capitolò in fretta di fronte a quegli occhi scuri che si imponevano su di lui – avevano quello straordinario potere, anche se Alessandro non era sicuro che la proprietaria se ne rendesse conto.
«Mi sono informato un po’, ho chiesto in giro e beh… Ho fatto una richiesta di trasferimento per questa città, l’hanno accettata e, tempo massimo un anno, sarà spostato a insegnare in una di queste scuole. Se va bene, anche per metà di quest’anno.» spiegò conciso.
Ci fu un totale silenzio per qualche secondo, il tempo necessario che Amelia recepisse completamente il significato di quelle parole.
Poi gli saltò addosso con uno strillo.
«Oddio!»
Alessandro si ritrovò l’orecchio assordato da quell’unica parola e poi spinto nel materasso, per poi essere ricoperto di baci della ragazza che sorrideva luminosa.
«Non ci credo! Non stai scherzando, vero?»
Alessandro scoppiò a ridere.
«Assolutamente no, tesoro.» confermò
Amelia lanciò un altro strillo e gli diede altri baci.
Il bacio si trasformò in uno stretto e confortevole abbraccio nel quale entrambi ascoltavano il suono dei loro respiri e, in lontananza, il rombo di qualche auto e il cinguettio di passeri.
«Non vedo l’ora.» sussurrò Amelia.
«Anche io.»
Si diedero un breve bacio prima che la ragazza, improvvisamente, si distaccasse da lui e lo osservasse con aria truce.
«Non è che ti innamorerai di un’altra studentessa e mi mollerai per lei, vero?»
Il tono fu così serio e convincente che Alessandro la osservò scioccato.
«Mi prendi per un cacciatore di povere studentesse universitarie?» fece, con finto tono desolato. L’espressione teatrale passò in fretta per essere sostituita da una più ghignante.
«Tesoro, tu sei l’unica studentessa che voglio e vorrò torturare.» la guardò ancora «Non è che sei tu quella che si innamorerà di un altro avvenente professore? Non che ce ne siano come me, però…»
Amelia lo fissò furba.
«Tu sei l’unico professore a cui vorrò rispondere male.» ricambiò la frase e gli schioccò un bacio sul naso, per poi scoppiare a ridere.
«Che ti ridi?»
«Penso ai poveri studenti che si ritroveranno te come professore. Non li invidio per niente!»
La frase fu sufficiente per far sbuffare Alessandro, che prese a guardarla male.
«Dovranno esserne solo onorati. Sono così affascinante e bravo a spiegare.» affermò con sussiego.
Amelia fece finta di pensarci su.
«Bravo a spiegare, dici? Non saprei…» tacque appena per riportare gli occhi scuri su di lui, che la fissava in attesa.
«L’unica cosa che mi ricordo, di tutte quelle lezioni, è che gli opposti si attraggono. E direi che mi hai spiegato questa fisica dell’attrazione alla perfezione.»
 
 
 
 
 
 
The End.
 
 
 
 
 
 
 
 
E finalmente, dopo ben due anni e tre mesi, finisco questa storia.
Non so che dire, tranne che è la prima long che finisco nella mia vita – e non mi pare vero, a essere sincera.
Prima di tutto, voglio ringraziare chiunque mi abbia seguito in questi anni, leggendo e commentando. Grazie a voi sono riuscita a scrivere anche l’ultimo capitolo di questa storia; sapere che qualcuno aspettava il nuovo capitolo mi spingeva anche quando la voglia non c’era e volevo solo mandare tutto all’aria.
Amelia e Alessandro sono nati prima di questa stessa storia. Amelia, il suo nome, prima di tutto il resto. Prima di questo, avevo sempre voluto scrivere una storia sulla relazione tra prof e studentessa, è un cliché che mi ha sempre affascinato e ho deciso di mettermi alla prova. Devo ammettere che prima di scrivere questa, ci sono state tante altre prove e storie cancellati. Poi sono arrivati Amelia e Alessandro, e mi hanno conquistata – come spero che abbiano fatto anche con voi.
Sarà strano non scrivere più di loro, per questo ho pensato a una piccola sorpresa che avevo già annunciato in giro: una piccola raccolta di racconti autoconclusivi in cui si racconteranno alcuni momenti dal punto di vista di Alessandro e anche dei missing moments sia prima dell’inizio ufficiale della storia che dopo. Per ora ce ne sono due pronti, non so quanti ne farò, ho deciso di seguire esclusivamente l’ispirazione senza costringermi troppo. Se avete delle idee o qualcosa che vi piacerebbe leggere, scrivetemi pure, magari mi viene in mente qualcosa!
 
Per quanto riguarda delle storie future – so che niente di tutto questo vi interessa, ma spero che comunque ci sia qualcuno che se lo chieda – come al solito ne ho mille in testa. Attualmente ho deciso di riprendere in mano una storia che non ha nulla a che fare con lo stile de “La fisica dell’attrazione” ma che, prima di pubblicare da qualche parte, vorrei averne steso almeno buona parte della trama.
Oltre questa, ho in mente un’altra storiella di stampo più leggero come “La fisica dell’attrazione”, ma anche questa è in forse, però non si sa mai che, con questa quarantena forzata, non mi ci metta per bene! In quel caso, seguitemi per non perdervi nulla!
 
 
 
Detto ciò, vi saluto definitivamente.
Un abbraccio e grazie ancora.
 

~Sapphire_
 

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