Walk with the devil

di LightingThief
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The old woman ***
Capitolo 2: *** First job ***
Capitolo 3: *** The Guild ***
Capitolo 4: *** Barronda ***
Capitolo 5: *** Angel ***
Capitolo 6: *** Female intuition ***
Capitolo 7: *** It was not destiny ***
Capitolo 8: *** Deal with the devil ***
Capitolo 9: *** The alliance ***
Capitolo 10: *** Fight ***
Capitolo 11: *** It was just a ship ***
Capitolo 12: *** Bad dreams ***



Capitolo 1
*** The old woman ***


Prologo

The old woman


Sei mesi prima sul pianeta Jakku


L’atterraggio con l’Ala Stellare XG-1 era andato peggio del previsto, questo perché i comandi, alla fine, avevano iniziato a dare problemi e lei, non essendo una grande pilota, si era ritrovata costretta ad atterrare sul primo pianeta disponibile, Jakku. La sabbia era ovunque e nel momento stesso in cui si era ritrovata a metter piede in quelle distese desertiche per la prima volta in vita sua lei si era sentita davvero libera.

Il calore sulla propria pelle era piacevole, anche se non era certa di poter sopportare tutto quel caldo. Era da sempre stata abituata a temperature più basse, mondi in cui il gelo sembrava dominare, e poi lo spazio più profondo era freddo, come era che fredda Korriban.
Quella era la prima volta per Eryn che vagava da sola, ed un po’ di timore lo aveva. Sarebbe rimasta li a fissare quelle desertiche distese ancora a lungo, fin quando non fosse calata la notte, ma non poteva farlo, questo perché doveva sbrigarsi. Non sapeva in quanto tempo sarebbero riusciti a rintracciare i suoi spostamenti e la propria rotta, lei in fondo aveva fatto del proprio meglio eliminando il localizzatore prima di partire dall’Ala. Questo però non le dava il diritto di rilassarsi, anche perché dopo ciò che aveva fatto probabilmente chiunque fosse sulle proprie tracce era di certo qualcuno di pericoloso, perfino per una come lei.
Non che lei si ritenesse esattamente un’esperta, anzi, era totalmente fuori discussione, però in qualche modo sapeva di potersela cavare ed infatti quello spiraglio di luce che l’aveva fatta vacillare l’aveva portata fin li.
Per tutta la vita le avevano insegnato a far leva sulle proprie emozioni, controllarle in modo tale da sfruttare l’intrinseco potere, eppure lei non riusciva più a farlo. Era stato il senso di colpa a spingerla verso la luce, era stata la voglia di libertà a farla rinsavire ed abbandonare quella strada che l’avrebbe condotta verso una rovinosa fine, oltre che in mezzo alle tenebre. Non riusciva ancora a credere di essere libera e quella parola le piaceva così tanto, specialmente dopo tutti quegli anni in cui Eryn non aveva mai neanche saputo che cosa fosse la libertà.
Prima c’era stata la quasi schiavitù a Corellia, poi c’era stata l’Accademia a Korriban, le sue missioni nonostante la caduta dell’Impero ed adesso invece lei si era liberata di tutto ciò che l’aveva da sempre tenuta incatenata.
Aveva scelto sé stessa ed una vita diversa.
Per la prima volta in assoluto Eryn aveva scelto qualcosa da sola, senza che fossero gli altri a scegliere per lei.
Era libera ed aveva intenzione di ripartire da zero, ma prima doveva sbarazzarsi di tutto ciò che aveva a che fare con la sua vita e doveva cambiare radicalmente, ecco perché alla fine la scelta di Jakku non era stata poi tanto pessima, li, da quel che ricordava durante i suoi studi, vi erano parecchi mercanti di rottami e per questo motivo avrebbe avuto modo di trovare una nuova nave per muoversi e per andarsene da li, facendo perdere per sempre le proprie tracce.
Ecco, quello era il piano migliore che avesse avuto fino ad allora, però doveva sbrigarsi, doveva farlo prima che qualcuno potesse scoprirla.
Portò una mano all’altezza della propria cintura e li sentì il pesante manico della spada laser che portava sempre con sé. Di certo non era la migliore arma da sfoderare in quel caso, dunque, prima di andare, afferrò al volo uno dei blaster degli stormtrooper che avevano usato quella nave, e li sistemò all’altezza della cintura, nascondendo ovviamente la spada sotto la scura e pesante maglia.
Non aveva ancora avuto modo di disfarsi dei propri vestiti, a questo avrebbe pensato successivamente, anche perché adesso doveva sbrigarsi a trovare un’altra nave e probabilmente anche l’inizio di una nuova vita.

 

Il respiro era affannato ed il pesante mantello che non riusciva a strapparsi di dosso iniziava a darle parecchio fastidio, ma dei locali le avevano indicato un mercato di rottami a non tropa distanza da li, ed il riuscire a raggiungerlo era stato difficile. Non beveva e non si nutriva da un paio di giorni e questo andava ad alterare i suoi sensi, ovviamente, come quelli di chiunque altro, in fondo tolta quella sua connessione con la Forza e gl’insegnamenti ricevuti, Eryn era semplicemente una ragazza che non aveva più un posto nel mondo e per tale motivo doveva riuscire a trovarlo, ed anche alla svelta.
Quando iniziarono le bancarelle con le infinite cianfrusaglie fu quasi una benedizione divina, segno che finalmente era giunta nel luogo ricercato e che magari le avrebbe fruttato qualcosa, ma le occhiate che ricevette per gli abiti scuri e la faccia spaesata erano abbastanza eloquenti. Nessun simbolo adornava o marchiava la pesante maglietta nera, come anche gli stivali od i pantaloni, forse avrebbe dovuto iniziare sbarazzandosi esattamente degli indumenti, ma Eryn non ci aveva riflettuto, sperò dunque che i locali fossero poco interessati a lei e si concentrassero maggiormente su altro, cosa che per lei era più che logica.
Affrettò il passo mentre la gente che le stava intorno chiacchierava e parlava tranquillamente, donandole più di qualche occhiata, così prima ancora di decidere dove andare ecco che si fermò con il primo droide disponibile che incrociò il suo cammino, meglio discutere con un droide che con un uomo, almeno per il momento.
«Sapresti dirmi dove posso trovare un posto per—… bere qualcosa?» domandò con qualche dubbio, incerta se avessero davvero voluto sentire quel che avesse da dire.
In caso contrario, se il droide non le avesse risposto, avrebbe domandato ad un umano.
«C’è un locale li sotto, straniero.»
Meno male, per fortuna la risposta del droide giunse immediatamente mentre il braccio lungo dell’essere di metallo venne puntato nella direzione sperata, ed effettivamente, volgendo le scure iridi  verso quella zona, dei tendoni e parecchia gente sembrava proprio essere ferma al di fuori di un bar.
Ottimo, li era il posto giusto per iniziare.
Od almeno così lei sperava.

La mole di gente, in quella zona, effettivamente era triplicata rispetto alle persone che giravano per il grande mercato dei rottami e fino a quel momento neanche l’ombra di una guardia imperiale, il che equivaleva a dire che il posto era libero e sicuro. Prima d’oltrepassare la soglia di quella sorta di bar ecco che Eryn si tolse uno dei guanti scuri e poi si passò una mano fra i capelli che dopo anni aveva finalmente sciolto.
I suoi lunghi capelli biondi erano sempre stati tenuti legati in eleganti trecce oppure in delle code scombinate, anche perché doveva sempre indossare un casco calato sul viso, il che equivaleva a nasconderli, non che lei avesse mai fatto troppo caso a quel genere di cose. Nella vita che conduceva la bellezza era l’ultimo dei propri problemi come lo sarebbe stato anche in seguito, solo poche volte aveva sentito qualche apprezzamento su di lei, l’ultimo glielo fece infatti colui che aveva dovuto sfidare per diventare ufficialmente un Sith, era questa la regola dell’accademia. Per ottenere il ruolo dovevi scegliere un compagno e poi distruggerlo in un combattimento, solo che Eryn e Polo avevano addirittura provato a parlare, soprattutto negli ultimi giorni prima dello scontro, ed alla fine lui le aveva semplicemente detto che era bella, ma questo non aveva convinto Eryn a fermarsi durante l’esame. Era stata spietata, aveva colpito senza alcuna pietà ed una volta nei propri alloggi aveva pianto tutte le lacrime di cui era stata fornita.
Non lo aveva chiesto lei di diventare un sith, non aveva chiesto lei quella vita, non aveva chiesto lei di essere cresciuta in quel modo.
Niente di ciò che le era stato insegnato era ciò che Eryn desiderava ed infatti fuggire da li era stata l’occasione della sua vita, il che l’aveva messa in una posizione critica.
Un sospiro preoccupato abbandonò le sue labbra e dopo aver assunto la migliore espressione seria ecco che si diresse verso il grande bancone formato da una serie di lamine di metallo accatastate le une sulle altre, mentre la gente s’accalcava  un po’ ovunque per conversare, urlare e ridere. Nessuno sembrò prestarle troppa attenzione mentre si faceva largo fino a quando non giunse accanto ad un paio di uomini che sembravano fin troppo propensi a bere alcol. Su quel pianeta vi era una grande varietà di razze ed infatti un paio di Twi'lek si diedero delle gomitate nel vederla li, cosa che effettivamente Eryn notò solamente con la coda dell’occhio, e poi ecco che si presentò dinnanzi ad ella il barista, un besalisk con ben quattro braccia pronte a servire più clienti nello stesso momento. La squadrò da capo a piedi e poi sogghignò, decisamente interessato a quel nuovo ingresso, sicuramente qualcuno a cui poter spillare parecchi soldi.
«Benvenuta, signorina in nero, cosa posso darle da bere?»
Eryn, che fino a quel momento non aveva riflettuto che in un bar effettivamente avrebbe dovuto prendere qualcosa di alcolico si limitò a scuotere il capo e poggiare entrambe le braccia sul bancone.
«Acqua, grazie.»
«Solo dell’acqua? E sia, le porto subito una caraffa solo per lei, signorina in nero.»
Ed ecco che la ragazza chinò appena il capo, dinnanzi la gentilezza altrui, senza però abbassare la guardia poiché sapeva fin troppo bene che non si sarebbe mai potuta fidare di niente e nessuno li dentro. Portò una mano sulle proprie tasche, quasi a volersi assicurare che i soldi e le armi fossero ancora li, e dopo aver controllato iniziò a guardasi intorno senza un valido perché. Voleva vedere con chi avrebbe dovuto avere a che fare per cercare un nuovo mezzo di trasporto o per lo meno un passaggio, ed ecco che improvvisamente una piccola figura si materializzò al proprio fianco. Sembrava una vecchia donna, decisamente umana, che però le stava porgendo gentilmente una caraffa piena di quella che era acqua, da ciò che ella poté notare e poi, la vecchietta, scosse appena il capo, facendo un flebile cenno di no, indicando il barista basalisk che aveva preso la sua ordinazione.
Eryn ponderò per qualche secondo la situazione e mordendosi appena il labbro inferiore decide di cedere alla richiesta della vecchia, ed assecondandola si limitò ad abbandonare delle monete sul bancone ed alla fine afferrò la brocca che invece lei le stava porgendo e ne bevve un lungo sorso. Le era mancato parecchio bere e quella sensazione di fresco la fece stare decisamente meglio, al punto che le sue labbra s’incurvarono in un sorriso sincero.
«Grazie—…»
«Ehi, signorina in nero, non vuole la sua acqua?» la richiamò, qualche istante dopo, il barista al quale aveva lasciato i propri soldi. «E tu, stupida vecchia, stai lontana dai miei clienti, non rovinarmi gli affari.»
La vecchietta, che fino a quel momento era stata in silenzio, si strinse nelle proprie vesti e fulminò con lo sguardo il barista.

«No, non ci provare Morley. Non vogliamo altri guai con i tuoi sporchi imbrogli ad i nostri clienti. Devi smetterla.»
Ovviamente Eryn inarcò appena un sopracciglio, confusa dalle parole di lei, mentre pian piano un’idea si andava formando in mente. Possibile che il barista mettesse qualcosa nelle bevande degli stranieri per derubarli? La cosa non era poi tanto impossibile, visto e considerato che al momento i ladri ed i criminali erano aumentati a dismisura. Però la fece quasi ridere la voglia di fregare proprio lei, insomma aveva l’aria di una che poteva essere presa facilmente in giro? Incredibile.
Così, la giovane ragazza, dopo aver passato nuovamente la brocca con l’acqua alla donna, ecco che si voltò in direzione del barista ed accennò un sorrisetto.
«Ti ho lasciato i soldi li sopra. Tu non proverai ad ingannare più nessuno straniero, sono stata chiara?»
Quell’ultima affermazione, però, venne pronunziata con molta più veemenza di quanto in realtà fosse necessario e questo perché ovviamente Eryn aveva aggiunto il potere della forza per andare a scalfire la volontà del barista, che guardandola stupito, annuì e si mise addirittura sull’attenti con tutte e quattro le mani da lui possedute.
Già, probabilmente non avrebbe più fatto niente per un po’ di tempo.
«Sì signora, nessuna truffa in questo bar, lo prometto!»
«Fantastico—…» commentò ella senza alcun entusiasmo prima di tornare a guardare la sua salvatrice ed ecco che cercò ancora una volta i soldi da donarle in modo tale da poter non essere più in debito anche con ella.
Ma la vecchietta fu più veloce e scosse ancora una volta la testa facendole cenno di no.
«Non è necessario, bambina mia. Hai l’aria di chi ha appena passato qualcosa di brutto ed un furto su Jakku non ti avrebbe di certo aiutata.»
Sorpresa da tutta quella gentilezza Eryn arrestò le proprie mosse e la fissò per qualche istante di troppo, non riuscendo a capire come fosse possibile quell’essere carino da parte della donna, e poi si passò una mano sulla guancia, grattandosela con nervosismo.
«Vorrei—… vorrei poterla ripagare in qualche modo e poi vorrei—… insomma mi servirebbero dei vestiti nuovi ed un mezzo di trasporto posso pagarla molto bene.»
Era vero, infatti prima di andare aveva portato con sé tutti i crediti che era riuscita a trovare ed a prendere anche all’accademia, senza farsi troppi scrupoli, insomma doveva pur provare a sopravvivere in qualche modo.
Stranamente la donna la osservò ancora una volta da capo a piedi, mentre stringeva l’acqua fra le braccia esili e raggrinzite, ma alla fine annuì in maniera piccata e le fece cenno di seguirla.
«Penso di poterti aiutare con entrambi. Voi stranieri, di tanto in tanto, mi avete aiutata con gli affari, ti sdebiterai in questo modo, bambina mia.»
«Perfetto!»
«Dunque, come ti chiami? Sempre se posso sapere—…»
Le chiese la donna dai grigi capelli prima di farle cenno di seguirla al di fuori del locale, dove sicuramente aveva una bancarella nel mercato dei rottami, ed ecco l’ennesima domanda alla quale Eryn non aveva minimamente pensato. Non poteva di certo dire di essere Eryn Laan, doveva inventarsi qualcosa di diverso, aveva bisogno di un nuovo nome oppure uno pseudonimo, ed ecco che guardandosi intorno, alla ricerca di idee una parola le balenò nella mente, e fu quella che disse prima ancora di rendersene conto.
«Speed!»
«Allora andiamo, Speed, non perdiamo tempo se vuoi parlare d’affari e scommetto che hai anche fame
La donna non sembrò sbattere ciglio dinnanzi al nome appena inventato ed utilizzato per sé stessa, era perfetto ed effettivamente il tutto la rincuorò parecchio. Aveva appena scelto il suo nuovo nome, qualcosa che l’avrebbe segnata da li a venire ed a conti fatti, anche se ci aveva riflettuto la bellezza di cinque secondi, poteva ritenersi soddisfatta.
Adesso non era più Eryn Laan, uno dei Sith.
Da quel momento in avanti sarebbe stata Speed.

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Capitolo 2
*** First job ***


Capitolo 1 
First Job

Due settimane dopo
Pianeta di Tokadana


Il cuore sembrava battere all’impazzata nel petto, mentre profondi sospiri abbandonavano le labbra rosee di Speed. Il sudore, per via dello scontro di qualche attimo prima, costringeva i capelli biondi ad attaccarsi alla fronte ed al collo della ragazza che, stranamente, andò a sbottonarsi  di poco la camicia, così da avere più aria a disposizione. 
La situazione, se proprio doveva essere sincera, non era delle migliori, anzi, il tutto era iniziato a complicarsi nel momento esatto in cui quel maledetto Killerbones, o come diamine si faceva chiamare, aveva tirato fuori un asso nella manica: un rancor maschio che usava come animale domestico e guardia del corpo. Insomma il mostro per metà rettile e per metà ragno era decisamente un contrattempo inaspettato di cui nessuno le aveva parlato. 
Adesso capiva perché Killerbones aveva una taglia così alta e nessuno, fino ad allora era riuscito a catturarlo, ma per lei sarebbe stato differente. 
La vecchia donna su Jakku, oltre ad averle procurato degli abiti nuovi ed un mezzo di trasporto valido, aveva cercato di darle una mano suggerendole un modo per fare soldi facili. Non era il più semplice dei lavori ma entrare a far parte di una Gilda di Cacciatori di taglie al momento era la migliore idea da prendere in considerazione. In questo modo non solo aveva la possibilità di stare nascosta e lontana da occhi indiscreti imperiali, cosa alla quale Eryn aspirava, ma quel lavoro le permetteva di togliere dalla circolazione esseri immondi che circolavano per la galassia. Era quasi un lavoro “pulito” che le avrebbe permesso di fare qualcosa di utile per la comunità. 
Quella era la soluzione perfetta, in questo modo sarebbe diventata una cacciatrice di taglie, si sarebbe allontanata dall’impero una volta per tutte ed avrebbe anche guadagnato qualcosa mentre andava in giro per le Galassie. 
Era il piano perfetto ed era stata proprio quella vecchia donna a darle il consiglio spassionato mentre Speed saliva a bordo del suo nuovo mezzo di trasporto, un BT-7 Thunderclap, modello vecchio, smontato e rimontato, ma che per la ragazza era perfetto, anche perché non desiderava una nave immensa, ma lo scambio con la sua vecchia nave ed in più i tre quarti dei propri crediti disponibili avevano convinto la donna a cederle il Thunderclap. Insomma era stato uno scambio equo, ma di ciò Speed non ne era convinta visto e considerato che non aveva idea di quanto potessero valere quelle navi, però almeno aveva un mezzo di trasporto, il che era fondamentale per ciò che avrebbe dovuto fare. 

«Prima di andare, Speed, bambina mia, devi sapere che la Gilda opera nell’Orlo Esterno su Navarro e che per entrare a far parte del gruppo è necessario portare qualche taglia importante, altrimenti non ti accetteranno mai.» 
«Quindi porto alla Gilda qualcuno d’importante e potrò farne parte?»
«Così dicono, io non so altro. Spero che questo possa tenerti lontano da qualsiasi cosa tu stia scappando.»
«Lo spero anche io.»


Con tali parole si erano salutate le due donne ed allora, da quel momento, la priorità di Speed fu quella di cercare qualcuno interessato a delle taglie per entrare nella gilda. Parlare con la gente per lei non era un problema, anche perché era sempre stata in grado di forzare la mente e la volontà altrui per ottenere le informazioni, solo che in quel caso aveva agito con molta più discrezione ed infatti una volta giunta nei pressi della città sul pianeta Navarro non era stato difficile trovare parecchi ologrammi con atrettante taglie che sicuramente avrebbero aiutato per iniziare a costruirsi una reputazione, o qualcosa di simile. Lei aveva scelto quella più alta, come moltissimi altri novelli cacciatori, si trattava di un trafficante di schiavi e di esseri umani, un aqualish di nome Killerbones ricercato da fin troppe persone. 
Così si era messa in marcia  verso il pianeta di Takodana, dove le rigogliose foreste nascondevano la roccaforte degli affari criminali dell’aqualish. Con sua immensa sorpresa aveva scoperto che altri giovani ragazzi, umani e non, erano li per Killerbones, e quindi, seppur a malincuore, decise di fare squadra con loro. 
Di quei sei che erano partiti andando all’attacco dell’aqualish al momento erano rimasti solamente in due.
Il ragazzo dai capelli biondi ed il sorriso furfante, che nel bar più vicino le aveva detto di chiamarsi Kano, era a poca distanza da lei, spaventato ben più di quanto Eryn non fosse, e stringeva il blaster con fin troppa veemenza, come se ciò li avesse potuti aiutare a far fuori il rancor, che aveva già fatto fuori il resto del gruppo. Da un certo punto di vista questo era un bene, perché così facendo Speed non avrebbe dovuto dividere con quasi nessuno la taglia di quell’uomo, però allo stesso tempo questo equivaleva a dire che per lei vi sarebbero stati fin troppi guai. 
«Ed adesso che cosa facciamo, Speed?» le domandò Kano in preda al puro terrore, glielo poteva leggere negli occhi smeraldini che si ritrovava. 
Un bel ragazzo, di certo, se non fosse stato così codardo. 
Eppure le aveva fatto una domanda sensata: che cosa potevano fare? 

Killerbones si era rinchiuso nella sala comandi della sua roccaforte e da li non poteva scappare ed aveva sguinzagliato il rancor che aveva letteralmente fatto una carneficina. Ecco perché quella maledetta taglia era così alta, adesso tutto si spiegava. 
Con la mano libera Speed tirò indietro i capelli sciolti che le ricadevano ad i lati del viso, mentre cercava di riflettere, anche perché non era intenzionata ad usare le proprie abilità acquisite con gli addestramenti Sith, almeno non adesso. 
Usare la spada laser era l’ultima spiaggia, mentre per lo meno con la Forza avrebbe potuto fare qualcosa. Lei era decisamente portata ad i combattimenti corpo a corpo, con le pistole non era poi tanto esperta, doveva migliorare, ma questo era l’ultimo dei problemi. 
Emettendo un profondo sospiro di rassegnazione ecco che si voltò verso Kano e poi con un cenno del capo indicò il rancor che ringhiava alla fine del corridoio, proprio davanti la porta ed un mucchio di cadaveri dei loro ex compagni di disavventure. 
«Tu coprimi con il rancor, io cerco di avvicinarmi e forzare la porta. Tiriamo fuori da li l’aqualish.»
Era l’unica idea sensata al momento, anche perché non aveva intenzione di rimanere li ad esitare ed a perdere tempo e solamente dopo aver visto il cenno d’assenso di Kano ecco che il biondo ragazzo uscì allo scoperto ed iniziò a sparare colpi col blaster un po’ ovunque, richiamando l’attenzione dell’essere assetato di sangue. 
Speed, dopo aver meditato ed inspirato profondamente, per l’ennesima volta nel giro di qualche minuto, uscì a sua volta allo scoperto, correndo radente al muro. I sistemi di sicurezza li avevano disattivati prima ancora di entrare li dentro, ma il vero problema fu evitare le orride zampe del mostro che cercarono di afferrarla quando lei gli passò vicino correndo. Scivolò a terra, ed utilizzando la forza ecco che allontanò il mostro, che adesso non sapeva se concentrarsi sulla ragazza oppure sui colpi di blaster di Kano, e Speed, una volta in piedi e lontana, riprese a correre fino alla porta sbarrata. 
Aveva fatto di peggio, doveva ammetterlo, solo che in quell’istante sentì che la sicurezza che il proprio elmo le donava, quando era una sith, stava venendo meno. In quegli attimi si sentì davvero vulnerabile, come se tutto potesse colpirla, e questo le fece paura. Aveva abbandonato quella oscura strada per andare verso la luce, ma allo stesso tempo aveva deciso di allontanarsi anche dal terrore che la propria figura poteva imporre. Adesso non era più una sith, era semplicemente una ragazza che stava cercando di cambiare vita. 
Cercò di non pensarci troppo mentre armeggiava disperatamente con le chiavi che avevano preso ad i droidi di sicurezza posti all’ingresso, sicuramente fra quelle chiavi doveva esserci quella per aprire la porta della sala comandi, ma i versi alle proprie spalle del mostro non facevano promettere nulla di buono. 
Le urla di Kano divennero sempre più forti, segno che il rancor si stava avvicinando a lui, e questo mise una certa ansia alla ragazza, che voltandosi vide quest’ultimo afferrato da una delle zampe del mostro nonostante i colpi di blaster. 
«No, lasciami andare. Lasciami—… SPEED!» Kano urlò disperatamente il suo nome mentre il mostro iniziava letteralmente a farlo a pezzi ed a divorarlo, come erano soliti fare. Si trattava, fra l’altro, di un esemplare maschio, ben più grande di quanto non fosse una femmina, e nelle urla di disperazione e dolore Eryn capì che doveva fare qualcosa. 
Abbandonò, quindi, la serratura e provò a sparare un paio di colpi di blaster in direzione del mostro e della sua schiena e quello, avvertendo parecchio fastidio, si voltò verso di lei. Lasciò cadere il corpo di Kano a terra e poi ringhiò con tutta la forza che aveva in corpo. 
Lo aveva fatto arrabbiare, il che non era un bene, ma se lui voleva giocare sporco lo avrebbe fatto anche lei, infatti rapidamente portò una mano all’altezza della cintura e da una delle sue tasche afferrò il pesante manico argento scuro della propria spada laser. 
Socchiuse gli occhi alla ricerca dell’equilibrio in quel caos, com’era solita agire quando si trovava nei guai, lei aveva bisogno di trovare l’ordine e per farlo doveva lasciarsi andare alle emozioni. Doveva cavalcarle e trarne potere, ed in quel caso la sua sensazione predominante fu la rabbia per non essere stata in grado di aiutare i propri membri della squadra. Erano dei ragazzi appena conosciuti ma lei si sarebbe dovuta sforzare di più e per questo sembrò maledirsi. 
Così, mentre il rancor iniziò a caricare verso la ragazza ecco che ella sfoderò la propria spada, lasciando che l’acceso colore viola scuro emanasse scintille a pochi centimetri dal terreno. Le ci vollero pochi secondi per evitare il mostro, che andò a sbattere contro la porta di metallo spesso, e poi con un singolo colpo secco fece scattare la spada dinnanzi a sé, andando ad amputargli il braccio e la gamba più vicine a lei. 
Lo vide cadere a terra, mentre emetteva versi spiacevoli e di dolore, perché era chiaro che quel colpo non gli avesse fatto per nulla bene, ma lui non sembrava demordere, infatti rotolando sulla schiena e col braccio ancora integro riuscì a colpirla, questa volta all’improvviso, strappandole i pantaloni all’altezza della coscia e ferendola. Ovviamente, quasi nella foga della rabbia, ancora una volta Eryn rispose al colpo questa volta, però, decapitandogli la testa e lasciandola cadere a terra a pochi metri dal corpo che si dimenava esalando gli ultimi respiri. 
Non avrebbe voluto giungere a tanto, ma era stato necessario perché li la questione era: o lei oppure il rancor, e la scelta, purtroppo, era stata molto facile. 
Passarono un paio di secondi durante i quali il mostro continuò a dimenarsi fin quando non smise finalmente di muoversi e solamente allora Speed spense la propria spada, socchiudendo appena gli occhi ed appoggiandosi alla parete più vicina. 
La ferita alla coscia non era nulla di grave, per fortuna, il che equivaleva a dire che non si doveva preoccupare, eppure una volta tornata sulla nave, finita quella sorta di disavventura, l’avrebbe dovuta medicare, era fondamentale, ovviamente.
«Maledizione—…» borbottò fra sé e sé, perché purtroppo non era ancora giunto a termine il proprio lavoro e Killerbones, che era la propria preda, non era stata catturata, ma mancava poco. 
Riposò con attenzione la spada laser nella tasca della cintura, e poi la coprì con il giubbotto scuro che aveva comprato dalla vecchia signora, e con qualche difficoltà per via dell’iniziale dolore, ecco che Eryn tornò a forzare la serratura usando le chiavi del droide. 
Anche in quel caso fu solo questione di minuti prima che finalmente la combinazione giusta venisse inserita, ed ecco che con un sordo sbuffo la grande porta un metallo si aprì ed un colpo di blaster venne lanciato all’esterno. Fortuna voleva che Eryn fosse messa di lato, poiché aveva immaginato qualcosa del genere, infatti l’aqualish non era di certo un elemento da sottovalutare. 
«Che cazzo hai fatto al mio rancor?»
La voce del trafficante venne fuori urlata con disperazione, forse perché per lui era davvero importante quel mostro, ma a Speed poco importava. 
«Vogliamo parlare di quello che lui ha fatto a tutti gli altri?» rispose a tono la ragazza andando ad afferrare il blaster che poco prima aveva messo via per far posto alla sua arma prediletta. 
Rimase appoggiata contro il muro, avvicinandosi di poco alla porta, pronta ad agire, solo che doveva concentrarsi per evitare di ricevere un colpo di blaster in pieno petto. 
Killerbones era fresco e riposato, lei un po’ meno e questo era un punto a sfavore per Eryn. 
Attimi di tensione e silenzio scivolarono fra loro ed alla fine fu lei a venir fuori per prima, così da poter cogliere di sorpresa la propria taglia e non lasciargli via di scampo. 
Ovviamente fu abbastanza veloce da evitare un primo colpo di blaster, sparando a sua volta in direzione di Killerbones, che si era rifugiato vicino il pannello di controllo dell’intera struttura, e poi ecco che lui sparò nuovamente, puntando esattamente addosso alla ragazza.
Esattamente come aveva previsto Speed il colpo fu piuttosto facile da fermare a mezz’aria, attraverso l’uso della forza. Era una delle prime cose che venivano loro insegnate, poiché dovevano imparare a controllarla al meglio e lei, essendo fin da piccola una persona sensibile alla forza, aveva appreso subito come utilizzarla al meglio, sfruttandola  a proprio favore. Il colpo di blaster, fermo a mezz’aria, lasciò senza parole l’aqualish, che in preda alla sorpresa lasciò cadere le sue pistole, ed ovviamente Speed superò il colpo lasciandolo poi schiantarsi contro una parete, il tutto con un semplice movimento della mano. 
«Ma tu chi sei? Come diamine hai fatto a—… a fermare e deviare il colpo? Come hai ucciso il rancor?» le domandò balbettando, sempre più confuso, cosa che succedeva spesso quando la gente comune si misurava per la prima volta con la forza. 
«Sono qui per catturarti. Adesso non fare troppe domande. Dimenticati di ciò che hai visto, indossa le manette e seguimi senza fare storie. Sono stata chiara?» 
Ed in aggiunta alla forza usata nelle proprie parole, ecco che gli lanciò al volo un paio di manette resistenti che si era portata con sé. L’aqualish, seriamente stupito, annuì in silenzio ed una volta afferrate le manette le indosso autonomamente, pronto per seguire la giovane ragazza ovunque lei volesse andare. 
L’ombra di un lieve sorrisetto si fece largo sul viso di lei, che ovviamente, cercò di nasconderlo coprendosi con delle ciocche di capelli scombinati, mentre sistemava le proprie cose. 
Era soddisfatta, seppur stanca, alla fine quella sua prima caccia era andata piuttosto bene ed aveva funzionato. 
Sì, poteva decisamente fare quella professione, di questo ne era più che certa, doveva solo migliore. 


Navarro
Il giorno dopo


Durante il viaggio Killerbones aveva dormito, aveva farfugliato, si era arrabbiato, aveva addirittura provato a scappare, beccandosi un pugno in pieno viso, ed alla fine aveva ceduto e si era arreso a Speed, che dalla sala comandi lo aveva costantemente tenuto d’occhio. Ad un certo punto ebbe decisamente voglia di tappargli la bocca, viste tutte le domande che faceva e le battutine atte a farla innervosire, non che ci volesse molto. Da questo punto di vista l’ex Sith tollerava ben poco chi la prendeva in giro o denigrava la sua forza, ma da quando era divenuta una semplice ragazza ciò che forse le dava ancor più fastidio era l’essere sottovalutata per il proprio sesso oppure per le battute a sfondo sessuale che alcuni erano soliti fare. Non era qualcosa che all’accademia si sentiva spesso, anzi, quel genere di argomenti non sono mai neanche stati presi in considerazione. 
Sì, era vero che i Sith basavano tutto sulla passione e sulle proprie emozioni e sensazioni, ma mantenevano ugualmente una certa rigidità ed un certo onore, cosa che in quell’ambiente non si vedeva.
Ecco che Eryn aveva scoperto quanto fastidio potessero darle quel genere di insinuazioni, ma se da un lato avrebbe volentieri usato la propria spada per minacciarli e farli smettere di parlare, dall’altro decise di non rovinare la propria copertura e di provare a rispondere a tono o di ignorare quel genere di insinuazioni. 
Fu quasi con estremo piacere che lo strattonò giù dalla nave, una volta atterrata in prossimità della città abitata sul pianeta di Navarro. Li c’era non troppa gente, mercanti di vario tipo, facce che facevano paura e quando la videro passare con Killerbones in catene al proprio fianco Speed camminò con tutto l’onore di cui una sith era disposta, a testa alta e senza abbassare mai la guardia.
Questo non sarebbe mai cambiato, purtroppo, doveva solo cercare di nasconderlo bene. Era una fortuna che da quelle parti non vi fossero imperiali, anche perché così aveva più possibilità di muoversi. Mentre camminava per la città sentì parecchi parlare ed indicare la sua preda, che si muoveva seppur con parecchio sdegno, ed ecco che seguendo le indicazioni riuscì a raggiungere il bar che era la sede principale della Gilda dei Cacciatori. 
All’ingresso due uomini di elevata statura la osservarono con estremo interesse e poi puntarono lo sguardo sulla figura dell’aqualish alle spalle di Speed, ed ecco che poi sogghignarono. 
«Chi lo avrebbe mai detto, finalmente qualcuno è riuscito a catturare quel bastardo di Killerbones.
» mormorò uno dando una pacca sulla spalla alla ragazza, sorpresa da quel gesto inaspettato. 
«E fra l’altro è stata una ragazza a catturarlo, incredibile!
» aggiunse l’amico sempre più sorpreso ed allo stesso tempo esaltato, ma prima ancora che Eryn potesse dire qualcosa una figura si fece largo fra i due, mostrando un sorriso compiaciuto, oltre che lo sguardo assai interessato. 
Indossava abiti eleganti ed un portamento che ricordò qualcosa di nobile ad Eryn. Era un uomo dalla pelle scura e lo sguardo scaltro, ed a giudicare dalle reazioni degli uomini era sicuramente qualcuno d’importante. 
«Dunque è vero, una bella ragazza prende una delle taglie per gli esterni e mi porta indietro Killerbones. Posso finalmente dirmi stupito.»  commentò puntando, finalmente, gli occhi scuri in direzione di Speed, che in tutta risposta inarcò un sopracciglio ed intrecciò le braccia all’altezza del seno. 
«Perché siete tutti così stupiti che vi abbia portato indietro questo aqualish? Non era ciò che cercavate?» 
«In realtà lo volevano i nostri clienti e credo, mia cara, che sia il caso di discuterne all’interno, non trovi? Sono Greef Karga, il capo della Gilda, e mi piacerebbe davvero tanto offrirti qualcosa da bere.»
Bingo, finalmente il capo della Gilda si era accorta di lei, come aveva sperato, ed ecco che l’opportunità di entrare a farne parte divenne sempre più completa. 
Con un semplice movimento andò a sciogliere la catena che aveva agganciato alla propria cintura, così da potersi portare dietro il prigioniero, e la consegnò alle guardie, perché quei due dovevano essere le guardie all’entrata della gilda, sicuramente loro avrebbero saputo cosa farne di Killerbones, magari lo avrebbero consegnato al cliente che aveva chiesto aiuto a loro. Fu quasi uno scendere verso le tenebre mentre la ragazza superò i gradini e si ritrovò in quel bar, in parte pieno di gente, sicuramente i cacciatori di taglie, che in coro si voltarono a guardarla entrare li dentro.
Non dovevano vedere molte ragazze viste le loro facce, ma chiaramente Eryn, forte del suo alto senso altezzoso, non li degnò neanche di uno sguardo, troppo impegnata a seguire Greef verso il suo tavolo e fu proprio li che invece, ci fu qualcosa che catturò la propria attenzione, perché se da un lato tutti si erano voltati verso di lei c’era stato qualcuno che non l’aveva fatto. 
Esattamente quella persona seduta al tavolo verso cui si stavano dirigendo, e quella figura indossava un elmo di beskar così riconoscibile che le ci volle tutta la forza di cui era disponibile per non lasciarsi andare ad un’espressione sorpresa, come “oh!”. 
Perché non era tutti i giorni che s’incontrava un Mandaloriano e men che mai aveva pensato d’incontrarne uno proprio su Navarro, in quella stessa Gilda di Cacciatori alla quale lei si sarebbe tanto voluta unire. 

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Capitolo 3
*** The Guild ***


Capitolo 2
The Guild


Lo sguardo attento e sibillino di Eryn scrutò attentamente il locale mentre avanzava in mezzo ad i tavoli, seguendo la figura di colui che si chiamava Greef e che chiaramente controllava tutto e tutti li dentro, anche perché quando passava la gente si scostava immediatamente, forse anche un po’ intimoriti. Eppure gli occhi di lei si puntarono su quello splendente elmo che tanto richiamava l’attenzione, perché un Mandaloriano  era sempre un evento più unico che raro. Li aveva studiati quando ancora frequentava Korriban, li le avevano raccontato delle guerre di Mandalor, della rivoluzione che vi era stata e degli scontri con i Sith, ma in fondo con chi non si erano scontrati nella galassia coloro che reggevano l’oscurità? 
Però l’idea che di quel credo era decisamente intrigante ed ovviamente c’era la storia degli elmi e del mistero, dei visi coperti e della loro strada da seguire. Erano un popolo piuttosto interessante che però ormai stava andando in rovina, ma lei adesso stava avendo la possibilità di vedere un famoso cacciatore in carne ed ossa, o forse era meglio dire in carne ed armatura. 
Scosse però il capo, quasi a volersi riprendere, prima di giungere al tavolo, anche perché il suo compito era ben diverso, lei doveva concentrarsi sulla Gilda di cacciatori e doveva convincere Greef a prenderla ufficialmente, cosa che forse avrebbe fatto. In fondo ciò che loro richiedevano lei lo aveva portato a termine senza grossi intoppi, anzi, si era beccata addirittura degli sguardi ammirati nell’aver riportato indietro Killerbones, quindi perché mai non avrebbe dovuto prenderla sotto la sua ala protettrice? Ma con i cacciatori di taglie doveva stare attenta, questa era una certezza, ecco perché a quell’incontro non era andata di certo disarmata. Come sempre aveva con sé la spada, nascosta agli occhi di tutti quanti, mentre i blaster erano in bella mostra, per fortuna. 
Quando si fermarono al tavolo ecco che il capo della Gilda poggiò una mano sull’armatura del Mandaloriano e poi si voltò sorridente in direzione della ragazza. 
«Perdonami, Mando, ma ho un altro ospite interessante con cui parlare, per te è un problema se si unisce a noi?»
Ed ecco che allora il Mandaloriano si voltò per la prima volta in direzione di Speed e dopo qualche secondo di troppo, che lei trovò addirittura snervante, si limitò a scuotere il capo senza aggiungere altro. 
Non doveva essere qualcuno di molte parole, ma ciò fece sorridere maggiormente Greef, soddisfatto al punto tale da strizzarle un occhio, forse nell’intento di ammiccare, e poi le indicò il posto dinnanzi a colui che indossava l’armatura. 
«Prego, mia cara, siediti pure.»
Quasi con un lieve imbarazzo, perché non si aspettava di certo che la loro discussione sarebbe stata anche con qualche altro, ecco che Eryn prese posto in quel divanetto piuttosto stretto, poggiando tranquillamente i gomiti sul tavolo ed intrecciando le braccia. 
«Io arrivo subito, prendo qualcosa da bere—… hai preferenze?»
Questa volta fu il suo turno di scuotere la testa, facendo un chiaro segno di sì, in fondo poco le importava di bere, lei voleva semplicemente sapere se era dentro oppure fuori la gilda e quella sorta di teatrino che l’uomo stava mettendo su non le piaceva neanche un poco. 
Ma soprattutto, cosa ben più importante che la metteva leggermente in soggezione, era il fatto che l’avesse lasciata da sola in compagnia del Mandaloriano, una figura rigida e ben composta tanto quanto lo era la stessa ragazza. Da dietro delle ciocche bionde ecco che andò a studiare con discreto e velato interesse quell’armatura, i cui pezzi erano di metallo normale mentre l’elmo era di bersekr puro, segno che doveva essere un ottimo combattente. 
Anche perché i Mandaloriani dovevano guadagnarsi l’armatura, era una cosa che andava fatta col tempo e con il lavoro, e sicuramente lui stava facendo un ottimo lavoro. 
Nessuno disse niente per parecchio tempo ed allora Speed lanciò uno sguardo incuriosito verso Greef intento a cercare di parlare con il barista, assaltato invece da parecchi altri clienti.
«Dovevi dirgli che non volevi niente se il tuo intento era quello di sbrigarti.»
Una voce maschie e leggermente ovattata per via della copertura giunse alle sue orecchie, il che risvegliò i sensi della giovane ragazza. 
Incredibile, il Mandaloriano aveva appena parlato, anzi, le aveva davvero rivolto la parola e questo aveva già di per sé dell’incredibile. Era chiaramente un ragazzo, a giudicare dal tono della voce, ed anche la corporatura, seppur nascosta dal tavolo, indicava che doveva trattarsi di un lui e non di una lei. Spesso succedeva, in fondo i Mandaloriani potevano essere scambiati, visto e considerato che passavano l’intera vita indossando quell’elmo, senza mai mostrarsi in viso, ma quella voce non lasciava alcun dubbio. 
Ovviamente Speed cercò di nascondere l’espressione sorpresa, ma non ci riuscì, infatti rimase a fissarlo per qualche istante, incuriosita, prima di scrollare appena le spalle. 
«Come sai che volevo sbrigarmi?» chiese, allora, lei piegando appena la testa di lato, rivolgendo adesso tutta la propria attenzione verso di lui. 
«Sembri nervosa.»
Aveva ragione, forse lo era e questo non andava per niente bene, il nervosismo le offuscava i sensi. 
«E’ la mia prima volta in una Gilda di Cacciatori di taglie, chi non lo sarebbe?!»
Con una lieve nota ironica, forse anche un po’ per sdrammatizzare, ecco che Eryn accennò un sorrisetto quasi divertito, forse ancor più nervoso di quanto avesse voluto, ma ecco che improvvisamente, a bloccare qualsiasi cosa il Mandaloriano stesse per dire, giunse al loro tavolo Greef Karga. 
Stringeva una bottiglia mezza vuota e ben tre bicchieri di vetro, segno che aveva intenzione di bere e di far bere, ed a giudicare dall’etichetta sembrava essere qualcosa di alcolico. 
Maledizione, lei non riusciva a reggere l’alcol, essendo poco a abituata a quel genere di cose da bere, ma in quelle circostanze, per parlare di affari, probabilmente era tutto ciò che le serviva per sciogliere i nervi. 
«Eccomi qui, scusate ma non riuscivo a trovare i bicchieri!» esclamò Karga prima di prender posto esattamente accanto a Speed, che ovviamente si spostò in modo tale da evitare qualsiasi contatto con l’uomo, anche perché voleva avere il suo viso dinnanzi al proprio, non di certo al proprio fianco, correndo il rischio di perdere il contatto visivo con lui che le avrebbe potuto dare un lavoro. 
«Perdonami se sono sembrato brusco ma è raro vedere una ragazza da queste parti, il più delle volte mi trovo a lavorare con gente strana, quindi avere una donna nel mio locale è un vero onore e per questo motivo volevo prendere il migliore liquore che conservo solo per le occasioni speciali.» continuò lui prima di prendere i bicchieri e porli dinnanzi ad ogni persona presente a quel tavolo, solo che il Mandaloriano, quando Karga avvicinò il bicchiere, scosse appena la mano, facendo un chiaro cenno di no. 
«Ah, Mandaloriani, con queste fottute regole. Scommetto che non ne hai mai visto uno—…» mormorò alla ragazza accennando un sorrisetto e lei, di rimando, puntò gli occhi scuri in direzione dell’elmo argenteo, verso il quale sorrise appena prima di tornare a guardare il bicchiere dinnanzi a sé, adesso pieno di un liquido ambrato. 
«Mai, ne ho solo sentito parlare.»
«Visto? Oggi è il tuo giorno fortunato—… ad ogni modo non so se vi siete già presentati, ma lui è Mando, chiamalo pure così, mentre lei è—… un attimo!» e Greef sembrò quasi ricordarsi qualcosa di fondamentale, tanto che sbatté una mano sulla superficie lignea del tavolo. «Non ti ho neanche chiesto come ti chiami, mia cara. Devi perdonarmi, purtroppo con le donne sono un po’ arrugginito.»
Questa volta il sorrisetto che Eryn rivolse a Karga fu quasi plateale e fasullo, come se la cosa l’avesse davvero fatta sorridere quando in realtà le importava ben poco, anzi, meno si faceva conoscere meglio sarebbe stato. 
«Speed. Mi chiamo Speed.»
L’uomo che adesso stringeva il proprio bicchiere inarcò un sopracciglio e poi le sorrise con un pizzico di malizia prima d’annuire con convinzione, ed ecco che afferrò la sua mano e le poggiò un rapido e per nulla elegante bacio, neanche si trattasse di una nobile donna. E quel gesto ovviamente fece storcere il naso a lei e probabilmente, da sotto il casco, il Mandaloriano se la stava ridendo per via della faccia che aveva appena fatto Speed. 
«Piacere di conoscerti Speed—… dunque, lui è Mando, è uno dei miei migliori cacciatori della Gilda e stavamo parlando della sua prossima taglia da riscuotere ma prima volevo vedere il viso di colei che mi ha portato fin qui Killerbones.»
Vi era una vaga vena imbarazzata in Speed che ovviamente non pensava avrebbe riscosso tanto successo quella cattura, eppure così era stato e questo non andava bene. Lei voleva tenere un profilo basso, totalmente basso, non di certo essere al centro dell’attenzione. 
«Non è così che funziona? Non vanno portati vivi per poi riscuotere la taglia sulla loro testa?» domandò con tutta l’innocenza del mondo. 
«Vivi—… in realtà non è obbligatorio. Li accettiamo anche da morti, l’importante è che tu li porti qui. Sai, ultimamente non sono avvezzo ad aprire le porte della Gilda a qualcuno di sconosciuto, ma tu sei decisamente interessante.» 
«Hai combattuto contro Killerbones?» questa volta ad interrompere il discorso di Karga fu lo stesso Mandaloriano che stava pian piano analizzando quella frase, mentre voltava il viso verso di lei. 
«Già—… è li fuori, se vuoi salutarlo.»
«Ed il suo rancor?»
«Messo fuori gioco—… mi ha anche ferita, ma nulla di grave.» rispose lei stranamente allettata da tutte quelle domande sulla propria missione. 
I secondi di silenzio furono esattamente tre prima che l’uomo con l’armatura non tornasse a farle domande. 
«E come ci sei riuscita?»
«Semplice, ho i miei assi nella manica, come penso li abbia anche tu.»
«I miei assi nella manica sono le armi
«Ed i miei rimangono segreti. Se te lo dicessi non sarebbero più degli assi nella manica, Mandaloriano
Sillabò il suo nome senza pentirsi di ciò che aveva fatto e soprattutto senza distogliere l’attenzione dalla figura che le stava facendo un bel po’ di domande, alcune anche fastidiose, e poi una risata sonora scoppiò ad interrompere quella sorta di scontro che vi era fra i due. 
«Piano, piano, Mando. Non spaventarla. Lei è riuscita a prenderlo, qualsiasi siano i suoi trucchi a me non interessano, l’importante è che svolga il suo lavoro in maniera efficiente, come fai tu. »
«Non—… non si preoccupi, Greef, non mi sono di certo spaventata. La curiosità è sempre ben accetta.»  cercò di sdrammatizzare lei quando in realtà era appena stata salvata da quelle parole, anche perché non poteva di certo dire che le sue armi erano la Forza ed una spada laser, no, quello era totalmente fuori discussione, oltre che pericoloso per la propria incolumità.
«Dammi del tu, Speed, qui alla Gilda non siamo poi così formali.» e bevve un lungo sorso dal bicchiere prima di poggiarlo sul tavolo e lanciare un eloquente sguardo a lei, che invece, non aveva ancora toccato da bere. «Ad ogni modo, tornando a noi, prendere Killerbones è stata una bellissima mossa, devo ammetterlo e questo fa di te automaticamente un nuovo potenziale membro della Gilda, Speed.»
E la ragazza, che voleva capire meglio quel discorso, decise di assecondare quella muta richiesta e bevve, assaggiando appena il liquido che le era stato versato. Probabilmente la sua smorfia fu così plateale che Greef sorrise divertito, e forse anche il maledetto Mandaloriano da sotto il suo casco aveva riso per quell’espressione. 
No, le cose alcoliche non facevano decisamente per lei, questo era più che chiaro, doveva imparare a rifiutare oppure a reggerle senza fare smorfie. 
«E quindi? Posso lavorare per la Gilda oppure no?» ecco la domanda che tanto le interessava ed alla quale voleva una risposta immediata prima di perdere la pazienza, cosa che poteva succedere da un momento all’altro, vista la situazione. 
«Certo che puoi lavorare per la Gilda, te l’ho detto, sei molto interessante e questo fa di te qualcuno che vorrei avere al mio fianco. Però—…» ed ecco che l’uomo esitò appena mentre si versava altro liquido nel bicchiere. 
In cuor suo Eryn sapeva fin troppo bene che cosa volesse dire quel “però” legato ovviamente al proprio essere una ragazza. Era normale sottovalutare il gentil sesso, perché in fondo il compito di cacciatore di taglie era qualcosa da veri uomini, mentre lei si presentava come una semplice ragazza di appena venticinque anni, non di certo il tipo di persona che poteva incutere timore tanto quanto lo faceva il Mandaloriano al proprio fianco. 
Eppure lei era una ex sith. 
Aveva superato difficili addestramenti, aveva imparato l’arte della battaglia fin da quando era piccola, oltre che l’uso della forza attraverso le proprie emozioni. Lei era una guerriera, anche se non sembrava, e questo era ciò che avrebbe dovuto dimostrare anche a quell’ammasso di gente.
«Hai paura che non sia abbastanza forte perché sono una donna?»
Ecco che Karga scrollò le spalle e poi annuì in maniera impercettibile, prima di bere un altro lungo sorso dal proprio bicchiere e poggiarlo accanto a quello della ragazza. 
«Immagino sia una paura più che giustificata, capiscimi.»
«In realtà non capisco—… ti porto ciò che richiedi, ti dimostro che posso essere all’altezza di ciò che vuoi e tu hai dei dubbi solo per il mio sesso? Questo è assurdo.»
«E’ la vita, mia cara Speed.»
No, era solamente assurdo, e l’aria frustrata oltre che infastidita della ragazza venne accompagnata dalla stretta ferrata sul proprio bicchiere, al punto che avrebbe potuto romperlo da un momento all’altro, ma ad interrompere quello stato di pura tensione ecco che giunse la voce mascherata del Mandaloriano. 
«Fare discriminazioni solo in base al sesso sarebbe da stupidi, Greef e questo lo sai bene.»
Incuriositi sia Karga, che probabilmente non si aspettava un’uscita del genere da parte del Mandaloriano, che Eryn, ecco che nei suoi occhi ritornò la speranza, il tutto grazie a colui che fino ad un attimo prima la stava mettendo in difficoltà.
«Tu dici, Mando? Sei ancora stupito dal fatto che lei abbia sconfitto un rancor e catturato Killerbones?»
«Forse, ma questo non cambia la situazione: se catturi una delle taglie per gli esterni allora ci si guadagna un posto nella Gilda. Queste sono le regole, indipendentemente da chi si ha davanti.» 
E Karga questa volta accennò un sorriso puntando un dito in direzione dell’uomo di Mandalor. 
«Hai ragione, sarei uno stupido a perdere di vista una come lei—… è deciso, adesso Speed è un nuovo membro della Gilda. Mando mi hai convinto
Con convinzione sbatté il bicchiere sul tavolo, facendo cadere del liquido su di esso, e poi porse la mano in direzione della ragazza che, stupita, allungò la propria in modo tale da stringergliela. E Karga la strinse con forza prima di afferrarle il polso e sollevarlo in aria, dichiarandola vincitrice, mentre annunciava a tutti quanti la lieta notizia. 
«Ascoltate tutti, gente, da questo momento in avanti la Gilda dei Cacciatori ha un nuovo membro—… Speed! Alzate un dito su di lei e verrete ammazzati, sono stato chiaro?»
In quel momento Speed si sentì davvero in imbarazzo per tutta quell’attenzione, poiché chi era dentro il bar iniziò ad applaudire, chi fischiò per la notizia, ed ancora ci furono dei commenti poco carini su quanto sarebbe stato bello avere una nuova ragazza fra di loro. Insomma, la notizia fu presa abbastanza bene, forse fin troppo bene, al punto che cercò lei stessa di divincolarsi dalla stretta di Karga per cercare di nascondersi dietro i propri capelli che le contornavano il viso. Stare al centro dell’attenzione non le era mai piaciuto. 
Ma la cosa più strana era che in tutto ciò doveva ringraziare il Mandaloriano, che invece, a differenza di tutti gli altri, non aveva detto una parola vista la nomina di Eryn, e per questo fu lui che guardò piuttosto che tutti gli altri. Adesso lei era in debito con lui? Forse, ma ne avrebbe parlato in un secondo momento e di certo non davanti a tutti quanti. 
«A proposito, questa è una delle nostre tre regole, dolcezza. Rispetta sempre i colleghi, quindi non hai di che preoccuparti, adesso siamo noi la tua famiglia—…» continuò Karga versandole nuovamente del liquore nel bicchiere, prima di puntare un dito verso il Mandaloriano.
«Mando, vuoi dirle tu quali sono le altre due regole?»
Ci furono un paio di secondi di silenzio prima che il Mandaloriano, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo, riprese a parlare. 
«Non fare domande e dimenticati ciò che hai visto.» rispose secco e conciso colui che indossava l’armatura, e questo fece sorridere appena Speed, erano cose semplici che a lei andavano piuttosto bene, soprattutto la storia del non fare domande, cosa che per la ragazza era più che perfetta. 
«Ottimo, sono semplici, me le ricorderò.
» rispose lei annuendo appena e scuotendo i biondi capelli prima di riportare lo sguardo in direzione del suo nuovo capo e datore di lavoro ed in quell’istante, osservandolo piuttosto attentamente, Speed capì che di Karga non si sarebbe mai potuta fidare totalmente, in fondo gestiva una Gilda di cacciatori di taglie e lui, come tutti loro, cercava sempre l’affare migliore. Quindi, da quel momento in avanti, avrebbe dovuto tenere ugualmente gli occhi aperti, seppur quella era la sua nuova “famiglia”. 
Come se lei ne avesse mai avuta davvero una. 
Si era ritrovata ad essere sola fin da quando era piccola, una dei tanti orfani di Corellia, e poi all’Accademia di Korriban le avevano insegnato a vedere nemici ovunque. 
La famiglia era per lei qualcosa di nuovo e sconosciuto che non sapeva bene come gestire, però dinanzi l’entusiasmo di Karga non poté che sorridere ed annuire, sollevando a sua volta il bicchiere per brindare. 
«Perfetto, vedo che capisci al volo—… ed adesso credo che sia giunto il momento di tornare a parlare di lavoro anche con te, Mando.» quasi con fare sibillino Greef mostrò un sorrisetto compiaciuto e poi mise le mani in tasca tirando fuori due ologrammi di taglia ed un sacco con delle monete che lasciò sul tavolo ed avvicinò a Speed. «Queste sono per te, per aver preso Killerbones, mentre questi sono i vostri prossimi lavori.»
Ovviamente l’attenzione di Eryn era totalmente indirizzata non tanto ad i crediti quanto alla questione “lavoro”, perché quella sarebbe stata la sua prima ricerca ufficiale ed era particolarmente attenta. 
Il Mandaloriano rimase in silenzio, come aveva fatto fino ad allora, parlando solo se strettamente necessario, ma Speed poté percepire un brivido di curiosità oltre quell’elmo che lo nascondeva dal resto del mondo. 
Karga accese entrambi gli ologrammi che rivelarono una consistente taglia e due umani, differenti, non che a Speed interessasse troppo, e poi aggiunse anche i localizzatori, che s’illuminavano ad intermittenza. 
«Questo è ciò che posso offrirvi, il primo dicono sia stato visto per l’ultima volta su Barronda, mentre l’atro è stato avvistato su Scarif, nulla di estremamente complicato, ovviamente, quindi liberi di scegliere entrambi la taglia che preferite.» 
Nel sentire nominare Scarif il cuore di Speed sembrò perdere un battito poiché ricordava piuttosto bene che su quel pianeta vi erano alcuni laboratori di ricerca filo-imperiali e questo non andava per nulla bene, lei doveva tenersi lontana da quel genere di posti e per questo lanciò rapidamente uno sguardo al Mandaloriano al suo fianco che improvvisamente le indicò le taglie sul tavolo. 
«Scegli pure.»
Le stava dando la possibilità di scegliere e questa era la notizia migliore di sempre, e forse rimase addirittura a bocca aperta. Insomma prima l’aiutava ad entrare e poi la faceva scegliere, era decisamente la persona più interessante e gentile incontrata fino ad allora, il che, riferito ad un Mandaloriano, era decisamente assurdo.
«Sicuro?» domandò quasi per conferma prima di mordersi leggermente il labbro inferiore e quando lui le annuì con tranquillità gli occhi di Speed tornarono in direzione delle taglie ed afferrò l’ologramma di colui che era stato avvistato su Barronda. «Prendo lui, va bene?»
Aveva scelto chi dei due aveva la taglia più bassa, cosa strana poiché di solito si cercava sempre di guadagnare quanto più possibile, ma lei aveva ben altro da fare che mettersi nei guai avvicinandosi all’impero, per questo fu contenta della propria scelta. 
«Allora a te, Mando, spetta Scarif, mi sembra piuttosto equo. Sono entrambi una bella sfida e scommetto che farete tutti e due un ottimo lavoro.» commentò Karga mentre Mando allungava, a sua volta, la mano totalmente coperta dall’armatura, in modo tale da afferrare la taglia che gli spettava e poi annuì leggermente prima d’alzarsi dal tavolo, senza voler aggiungere altro. 
Già, non era di troppe parole, ma non si era aspettata nulla di differente, anzi, quegli sprazzi di discorso erano molto di più di quanto avesse mai potuto immaginare la stessa ragazza. 
Eppure il vederlo andare, voltandosi le spalle e sollevando appena una mano in cenno di saluto, la fece quasi storcere il naso poiché, alla fine, lui era stato quello che maggiormente le aveva dato aiuto li dentro. Era una cosa stupida, ma gli era davvero grata per aver convinto Karga a prenderla sotto la sua ala protrettrice, cosa che magari da sola non sarebbe riuscita a fare, anche perché in quel caso avrebbe provato ad usare la Forza. 
Sospirò profondamente e sollevò una mano, agitando le dita e sillabando a bassa voce poche parole. 
«A presto, Mando.»
E sì, l’aveva chiamato Mando e non più Mandaloriano, smettendo di andare sul generico, questo perché non era necessario aggiungere altro. 
Lo guardò allontanarsi, anche se sentì lo sguardo di Greef addosso. 
«Non è di molte parole, credimi, oggi ha parlato molto più di quanto non faccia normalmente. Non prendertela, dolcezza, ma è un Mandaloriano, la sua razza è così.» 
Sembrò quasi incoraggiarla l’uomo che finalmente l’aveva presa nella Gilda, ma in realtà Speed non se la prese, anzi, era ancora stupita da ciò che aveva visto e doveva riflettere e pianificare la sua prossima missione. 
Un sorrisetto increspò le morbide labbra della ragazza che bevve tutto d’un fiato ciò che aveva nel proprio bicchiere e poi lo lasciò nuovamente sul tavolo. Afferrò sia l’ologramma che il localizzatore e poi prese dei crediti dal sacchetto che le aveva consegnato Karga. Li lasciò sul tavolo e guardò l’uomo. 
«Offri da bere a tutti da parte mia, devo festeggiare l’ingresso nella Gilda. Io vado a prepararmi, partirò per Barronda il prima possibile.» 
E Karga scoppiò a ridere entusiasta della cosa e delle parole di Speed, al punto che annuì e le strizzò, ancora una volta, l’occhio, segno che per lui andava più che bene.
In fondo quella nuova vita da cacciatrice di taglie non era per nulla male, anzi, era sicuramente più interessante di quanto non fossero le monotone giornate d’allenamento su Korriban, eppure adesso doveva dimostrare, ancora una volta, di essere in grado di cavarsela da sola e per farlo doveva andare fino a Barronda. 
Li la sua avventura sarebbe continuata. 

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Capitolo 4
*** Barronda ***


Capitolo 3. 
Barronda
Arena di scusci su Barronda

L’arena da cui partiva la gara delle corse degli sgusci era immensa e più volte, in quei giorni, Eryn aveva rischiato di perdersi sbagliando strada. C’erano tantissimi locali e fin troppa gente, ma la cosa più preoccupante era che nessuno avesse sentito parlare di Hunter Wilson, il proprio ricercato. Era come se il suo localizzatore, che di solito funzionava alla perfezione, fosse divenuto totalmente silente. E dire che si trattava del pianeta Barronda sul quale c’era stata l’ultima segnalazione ed avvistamento della taglia. 
Bene, quello non era il migliore degli inizi per far decollare la propria carriera. Greef aveva concesso di diventare parte integrale del gruppo seppur con qualche riserva, visto l’atteggiamento sfrontatamente maschilista, e lei non aveva intenzione di fallire il proprio compito, anche perché erano ben tre giorni, da quando era giunta su Barronda, che non riusciva a trovare neanche uno straccio di prova dell’esistenza di quest’uomo. Si era addirittura ritrovata costretta ad utilizzare la forza con un gruppo di trafficanti, che sembravano essere in possesso d0interessanti informazioni, ma nulla da fare. Anche con loro era stata una sorta di buco nell’acqua che le stava solamente facendo perdere tempo. 
Eppure era certa che queste cose funzionassero, visto che con Killerbones non aveva avuto troppe difficoltà nel trovarlo. 
Si sentì frustrata e quando era frustrata era meglio che nessuno le rivolgesse la parola. Quando ancora si allenava a Korriban quel particolare stato d’animo era perfetto per tutti i combattimenti corpo a corpo in cui le dava e le prendeva. Non era molto forte, fisicamente parlando, sapeva cavarsela molto meglio con una spada in mano e la Forza, ma Korriban era anche quello, ed in fondo, fra quelle oscure mura, non solo aveva imparato ad attingere al potere ma soprattutto aveva imparato a controllarlo ed a farlo suo, come solo i guerrieri Sith potevano fare. Sì, certo, aveva studiato, le era stata impartita un’educazione severa, ma alla fine dei conti ciò che davvero le importava era l’uso ed il controllo delle proprie emozioni e della forza. Le avevano riempito la testa di ideologie che non le appartenevano, poiché è semplice insegnare a chi ha perso tutto un nuovo stile di vita. Ed infatti ad Eryn era accaduto proprio questo: una volta scoperta il suo essere sensibile alla Forza l’ordine imperiale la fece prelevare ed uccise sua madre, che cercava di opporsi, mentre la figlia veniva portata sul pianeta di Korriban e da li iniziò il suo inferno.  Plagiare la mente di una bambina che non aveva più nulla fu semplice, ma ciò che davvero la spinse a lasciarsi allenare fu la mancanza di uno scopo misto alla sete di potere e la voglia di imparare ad usare i propri doni. Ma ormai non era più a Korriban, non doveva più essere una di loro, aveva capito che non era ciò che desiderava e soprattutto aveva imparato a decidere da sola . Il libero arbitrio era stata una delle migliori cose che aveva ottenuto con quella sua fuga ed allo stesso tempo doveva ancora imparare a capire quanto e come usarlo. E proprio li, in preda alla frustrazione, nel grande bar, dove avvenivano tutti i giri illegali sulle scommesse degli sgusci, che si ritrovò a rompere il bicchiere che le avevano portato. Lo aveva stretto con troppa forza e questo si era frantumato fra le proprie mani, che le si riempirono di schegge, mentre osservava inerme l’ologramma della propria taglia, dispersa da qualche parte su quel pianeta. 
Come si trovava un uomo che era un’ombra?
Difficile, non era per nulla semplice riuscire a fare qualcosa del genere e lei se ne rendeva tristemente conto ogni secondo che passava. Aveva imparato ad annullare la gente intorno a sé, ignorando tutto ciò che la circondava, in modo da focalizzarsi sui propri problemi, ma non sembrava aiutare. 
Forse sarebbe stato il caso di bere ciò che aveva  ordinato, piuttosto che rompere il bicchiere per via del nervosismo, almeno, in quella maniera, la sua testa sarebbe stata un po’ più leggera. Aveva capito che bere cose alcoliche non faceva per lei, visto che subito dopo si ritrovava a desiderare di essere distesa nel piccolo letto della propria nave. Ecco perché aveva ordinato al droide, che girava celermente fra i tavoli, un succo con della frutta fresca e magari qualcosa di alcolico per smorzarne l’effetto ed il sapore. Il risultato non aveva neanche fatto in tempo ad assaggiarlo, era andato. 
«Posso portargliene un altro?» le domandò un uomo che già da un po’ la stava osservando, forse intenzionato ad attaccar bottone con lei, perché vedendola in difficoltà l’aveva raggiunta sedendosi nella sedia dinnanzi a quella di Speed.
Il tutto senza neanche domandarle il permesso. 
Certa gente non ci sapeva proprio fare, ma in quell’immenso girone infernale che erano le corse di sgusci Eryn non poté aspettarsi nulla di differente da quei patetici tentativi di parlarle. 
«No grazie, sono impegnata.» 
«Lo vedo, biondina, peccato che di quell’uomo che stai cercando da queste parti non ce ne sia traccia.» aggiunse il fastidioso interlocutore, prima di portare una mano all’altezza del petto e guardarla negli occhi, forse con fare ammaliante, che però con lei non funzionava. «Ed io so tutto ciò che accade su Barronda, come so che sei una cacciatrice di taglie e che Hunter Wilson non è mai stato qui.» 
Magari si ritrovò leggermente sorpresa nel sentire che conosceva il nome della propria taglia, ma nulla di eclatante, potevano essere stati gli altri con cui lei aveva parlato a dirglielo, quindi, cercò di mascherare quell’espressione con un’aria palesemente scettica. 
«Non sei d’aiuto, chiunque tu sia, quindi a meno che da quella bocca tu non possa fare uscire qualche informazione interessante per me puoi anche andartene.» cercò di liquidarlo nel modo più rapido ed indolore possibile, prima di appoggiarsi allo schienale della propria sedia ed intrecciare elegantemente le braccia all’altezza del seno, in un gesto di pura superiorità che magari lo avrebbe convinto di più. 
«Senti dolcezza tu—…» e puntò un dito contro di lei, pronto ad aggiungere altro, sicuramente qualche insulto oppure qualcosa di ben più offensivo, il che l’avrebbe fatta arrabbiare, ma la sua espressione passò dalla rabbia alla paura, tanto che si alzò immediatamente. 
«Sparisci
Un semplice ordine secco, questa volta non pronunciato da Speed, spinse l’uomo ad allontanarsi in fretta, neanche avesse visto un fantasma, e lei a voltarsi di scatto, sorpresa come poche volte nella vita. 
Se prima non vedeva quasi mai dei Mandaloriani adesso, invece, la fortuna pareva essere dalla sua perché a distanza di così poco tempo ecco che ancora una volta quell’armatura così peculiare e quella voce ovattata mascherata dall’elmo la colpirono parecchio. Schiuse appena le labbra, mentre la propria espressione confusa sembrava dirla lunga, visto che adesso, proprio dinnanzi a sé, vi era il Mandaloriano, un suo compagno di Gilda. 
«Tu?» domandò lei, quasi a volerne essere sicura di ciò che stava succedendo in quel bar di Barronda. 
Ovviamente ebbe bisogno di ben più di qualche secondo per riuscire a riflettere con estrema lucidità, perché l’arrivo del Mandaloriano l’aveva lasciata stranamente confusa e senza parole.
Insomma quante possibilità vi erano che entrambi potessero incontrarsi in quel bar? Infinitesimali.
E lei, che non si aspettava nulla del genere, ecco che guardò con la coda dell’occhio il proprio disturbatore allontanarsi, anche piuttosto rapidamente, mentre tutta la propria attenzione era invece puntata in direzione dell’uomo in armatura. 
«Sei Mando, giusto? Io—… non vorrei fare confusione con altri Mandaloriani e—…» ma chiaramente lui non la stava neanche ascoltando perché senza neanche chiederle il permesso, anche lui, scostò la sedia dinnanzi alla propria e vi prese posto, il tutto molto rapidamente. 
«Perdonami, ma credo che tu abbia un problema—…» azzardò lui tagliando corto, segno che aveva come abitudine quella di andare dritto al sodo. 
Ed ecco che la biondina arricciò leggermente il naso, esprimendo un’espressione parecchio corrucciata, segno che non riusciva a capire come facesse, lui, a sapere dei problemi che ella stessa avesse. 
«Che genere di problema?» domandò con cautela lei, decisa a non dire nulla, a meno che non fosse lui a domandarglielo, anche perché non poteva davvero aver scoperto qualcosa su di lei, era fuori discussione. 
Con movimenti rapidi e preparati il Mandaloriano abbassò di poco il casco, puntando la propria attenzione verso la sua cintura, e da li tirò fuori un ologramma ed un localizzatore, esattamente quelli che aveva preso poco prima di partire da Navarro. 
Eryn, sempre più confusa, abbassò prima lo sguardo su quegli oggetti, identici ad i propri, ed alla fine, con molta lentezza, portò le brune iridi in direzione di colui che le stava dinnanzi. Avrebbe tanto voluto poter vedere oltre quell’elmo, ma, da quel che ricordava, era una cosa impossibile. 
«Sono la taglia ed il—…» ma mentre stava pronunziando tali parole ecco che si rese conto di una cosa. 
Il localizzatore appena poggiato sul tavolo, ovvero quello che aveva con sé il Mandaloriano, non smetteva d’illuminarsi all’impazzata, segno che chiunque stesse puntando doveva trovarsi non troppo lontano. Era una sorta di bussola fondamentale in quel tipo di lavoro e se quello di Mando non smetteva di lampeggiare il proprio era fermo, immobile e neanche provava ad accendersi. Generalmente, quando si arrivava nello stesso pianeta in cui si trovava la preda, allora quello doveva per lo meno provare a fare qualcosa, ma quello di Speed era rimasto muto fino ad allora. La ragazza, ingenuamente, aveva attribuito il tutto ad una vana mancanza di segnale, o qualcosa del genere, ma in quell’istante un’idea strana si formò nella sua mente: c’era qualcosa di sbagliato con i loro localizzatori e le taglie. 
«Vedo che forse hai compreso.» il Mandaloriano richiamò l’attenzione di lei, che ovviamente, sfarfallò le ciglia sinceramente sorpresa da quella scoperta. 
«Sono invertiti!»
«Esattamente—…»
«Adesso tutto ha finalmente senso!» esclamò lei passandosi una mano fra i capelli in modo tale da scombinarli appena prima di lasciarsi andare ad una risata sollevata. 
Forse adesso aveva ancora una possibilità di adempiere al proprio compito di cacciatrice di taglie, senza mandare a monte il suo vero lavoro nella Gilda. 
«Già.» 
«Sei il mio salvatore, Mando, davvero. Pensavo che il localizzatore avesse qualche problema o che fosse rotto ed invece era solo quello sbagliato.»
«Non—… esagerare.» commentò lui prima di rivolgere la propria attenzione altrove e solamente dopo un paio di secondi di silenzio riprese a parlare. «Sulla mia nave ho il tuo uomo, Hunter Wilson.»
«Cosa?! Come fai ad avere il mio uomo?»
Ed ancora una volta Eryn venne colta alla sprovvista dalle parole del Mandaloriano che, invece, sembrava fin troppo tranquillo, come se quella fosse una normale routine. 
«E’ grazie a lui che ho capito che c’era stato uno scambio. Il pianeta di Scarif era il luogo dove si era nascosto il tuo uomo, mentre su Barronda c’è il mio ricercato. Facevano parte della stessa banda, quindi in qualche modo hanno scambiato le loro posizioni con questo trucchetto in modo da confondere i cacciatori di taglie.» 
Sorpresa e quasi ammirata Speed andò ad afferrare i due ologrammi che proiettavano le taglie dei ricercati, stupita dell’idea anche abbastanza geniale che avevano avuto quegli uomini, ed alla fine, sospirando profondamente, li ripoggiò sul tavolo. 
«E tu come hai fatto a capire che su Scarif dovevi cercare Hunter Wilson?»
«In realtà stavo cercando Baelish, solo che per caso ho sentito alcuni uomini parlare del tuo ricercato.»
«Io ammetto che non ho controllato i nomi—… cioè ho pensato solo a—…»
«Scegliere il pianeta che non fosse Scarif.
» la prese letteralmente in contropiede con quell’affermazione. «Correggimi se sbaglio
Maledizione. 
Era stato troppo facile da scoprire, o forse era lui un bravo osservatore, ipotesi molto più plausibile che avrebbe dovuto ben tenere a mente.
«Preferivo Barronda, qualche problema?»
«Nessuno, Speed
La chiamò con il suo nome, segno che effettivamente aveva ascoltato la discussione con Karga al locale, cosa di cui Eryn aveva dubitato visto che con quel casco perennemente in testa poteva anche farsi gli affari suoi e nessuno lo avrebbe mai notato. Ma lui aveva ascoltato e si ricordava anche il proprio nome, ennesima sorpresa della giornata. 
«D’accordo, quindi adesso su Barronda c’è Baelish, sarà molto più facile da trovare.»
«Ci penso io.»
«Tu scherzi, vero?»
«No. Il tuo uomo è sulla mia nave, puoi andare a prenderlo e portarlo da Karga.»
Affermazioni scioccanti una dopo l’altra lasciarono Speed con l’espressione più confusa di sempre, al punto che scosse appena il capo facendo un chiaro segno di no. Le stava offrendo una scappatoia, forse perché dubitava delle sue potenzialità ed in quel modo Speed avrebbe potuto portare a termine l’incarico piuttosto facilmente, senza neanche impegnarsi.
Ma quello non era ciò che Speed voleva, lei desiderava mettersi in gioco, voleva fare qualcosa di utile ed era certa di avere le potenzialità per catturare quell’uomo, proprio come il Mandaloriano aveva fatto con l’altro compagno.
«Non se ne parla, Mando. E’ fuori discussione, non puoi regalarmi il mio uomo ed io non posso lasciarti catturare anche l’altro—… è assurdo.»
«E’ la soluzione più semplice e veloce.
» rispose con tono asettico lasciandola sempre più perplessa. 
Ma no, Eryn non ci stava. 
«Le cose semplici non mi piacciono, tienilo bene a mente.» ed infatti, in aggiunta a quelle parole tanto colme di determinazione, ecco che un sorrisetto si fece largo sulle labbra della ragazza che s’alzò in piedi afferrando il nuovo localizzatore. «Ho una proposta migliore: tu tieni il mio uomo ed io vado a cacciare il tuo, poi, una volta su Navarro li scambiamo così nessuno saprà di questo disguido. Mi sembra una cosa più che equa, e così possiamo lavorare entrambi e nessuno sarà scontento. Voglio mettermi alla prova anche io.»
Ovviamente, nel fare quella proposta, Eryn puntò le iridi all’altezza del suo elmo, quasi come a volerlo fissare negli occhi, occhi che purtroppo non avrebbe mai potuto osservare, anche se non era intenzionata ad accettare compromessi di nessun genere. Non importava quale sarebbe stata la risposta del Mandaloriano, lei sarebbe andata alla ricerca di Baelish. 
Passarono parecchi istanti di silenzio, in cui solo il vociare intorno a loro faceva da contorno ad un epico duello di sguardi, ma alla fine ecco che l’uomo dietro quella maschera annuì in maniera impercettibile, dandole il via libera a procedere in tutta quella storia. 
«D’accordo, come preferisci.» 
«Allora è perfetto, Mando. Dammi tre giorni e ci rivediamo su Navarro così facciamo questo scambio, va bene?» domandò ella, ancora una volta, così da poter avere conferma di quanto appena detto, mentre il sorriso sulle sue labbra s’andava allargando piuttosto rapidamente, entusiasta di esser appena tornata in pista. 
«Va bene, Speed.»
Sì, finalmente avevano raggiunto un accordo e non fu neanche necessario stringersi la mano per sapere che lui lo avrebbe onorato e che lei avrebbe fatto altrettanto. Era una cosa che entrambi riuscivano a percepire solo con le parole e la determinazione dimostrata con le proprie intenzioni, ed infatti, quando fu davvero sicura di aver ottenuto ciò che voleva ecco che sollevò il busto e sistemò il proprio blaster all’altezza della cintura, inspirò profondamente e poi abbassò lo sguardo verso il piccolo segnale luminoso. 
«Allora ci vediamo fra tre giorni, Mando. Ti consiglio di vederti una gara degli sgusci, sembra piuttosto divertente.» e lo salutò con un sorrisetto, accennato, sulle labbra, cosa impensabile per una come lei, ed infatti fu solo questione di qualche secondo prima che il sorriso fece spazio all’espressione estremamente seria che era solita avere. 
Non gli lasciò neanche il tempo di rispondere al proprio saluto, come lui aveva fatto in precedenza, poiché questa volta era lei ad avere fretta, ed infatti dopo aver gli dato le spalle si disperse in mezzo alla gente che girava fuori dal bar, pronta a riprendere il suo stesso lavoro. 
Aveva un appuntamento fra tre giorni su Navarro e lei, ovviamente, non si sarebbe potuta presentare né in ritardo né tanto meno senza il proprio uomo. Alla fin fine l’arrivo del Mandaloriano era stato meno peggio del previsto e questo aveva risollevato le sorti della propria caccia. 
Gli doveva decisamente un favore.

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Capitolo 5
*** Angel ***


Capitolo 4.
Angel
 

Tre giorni dopo

Passare ben tre giorni senza avere qualcosa da fare era estremamente snervante per il Mandaloriano. Eppure questi erano i termini dell’accordo che, stranamente, si era ritrovato ad accettare senza neanche rendersene conto. 
Durante quei giorni Din, seppur in via del tutto discreta, aveva cercato di scoprire qualcosa su Baelish, nella speranza di poter intervenire in caso ci fossero stati dei problemi, ma l’alba del secondo giorno si rese conto che ciò che stava facendo era ingiusto, non tanto per sé quanto per lei. Quella ragazza, Speed, era davvero convinta di poter riuscire a catturare il suo uomo, in così poco tempo, e lui, a questo punto, non poteva che attendere e sperare che mantenesse la parola data. Non che a lui cambiasse qualcosa, anche se Hunter Wilson aveva una taglia leggermente inferiore, però per lo meno Karga gli avrebbe pagato il lavoro, questa era una certezza. Ma aveva deciso di concederle il beneficio del dubbio perché lei, in fondo, aveva catturato Killerbones ed aveva anche combattuto contro un rancor. Ben poche volte informazioni tali riescono a sorprendere il Mandaloriano, anche perché lui è sempre al centro di vicende simili, quindi ha poco di cui stupirsi, ma se a combattere con un mostro simile è una ragazza che sfiora appena il metro e settanta ed un portamento simile a quello di una principessa allora è chiaro che la cosa possa diventare strana. E’ difficile prendere in giro i Cacciatori di Taglie e lei, da quel che ha potuto vagamente capire, non desiderava altro se non far parte della Gilda, e poi aveva seguito le regole, non vi era alcun motivo per cui Greef dovesse lasciarla andare. Din era un cacciatore di taglie ma in fondo, dietro la propria armatura, rimaneva pur sempre un uomo d’onore e riusciva a dimostrarlo sempre. 
Sarebbe potuto andare sul pianeta degli sgusci e prendersi anche l’altro uomo, ma questo sarebbe andato contro il codice della gilda ed il suo, personalissimo, codice d’onore. Quindi aveva preferito cercare quella biondina ed avvertirla di ciò che era successo con i localizzatori.
Seguire la via di Mandalor non era mai facile, ma lui era ben consapevole di ciò che voleva e di ciò che era il suo futuro. 
“Questa è la via”. 
Quelle parole erano un mantra per Din Djarin,  un mantra che si ripeteva ogni qual volta accadeva qualcosa che rischiava di metterlo in crisi. Perché essere un Mandaloriano e seguire il suo credo è ben più difficile di quanto la gente comune possa pensare. Il proprio casco, calato a coprire il viso, era il loro segno distintivo e lui, come da regole, non lo aveva mai tolto in presenza di nessuno, così da nascondere il proprio volto agli occhi altrui. Ma a lui andava bene, da piccolo aveva accolto quel credo come unica fonte di salvezza e speranza per gli anni a venire. Era sui trovatelli che la via di Mandalor faceva leva, e lui, proprio come molti altri, doveva a Mandalor ogni cosa, nonché la sua più totale fedeltà. 
Ma Din Djarin era anche consapevole di essere un umano ed in quanto tale, certe volte, riuscire a seguire la retta via era alquanto difficile. Per questo era sempre così concentrato sul proprio lavoro, lui non voleva avere altre distrazioni se non le varie taglie da riscuotere, uomini da catturare, persone da uccidere. Pensare a queste cose lo aiutava da ogni punto di vista e poi, alla fin fine, poteva anche guadagnare qualcosa che lo avrebbe aiutato a vivere, non solo per sé stesso ma anche per i restanti Mandaloriani che avevano la base su Navarro.
Aveva scongelato quell’uomo da neanche mezz’ora e le mille domande che gli stava ponendo stavano letteralmente mettendo a rischio serissimo la sua pazienza. Era una fortuna che il viso fosse nascosto dietro quell’elmo di beskar, altrimenti sarebbe stato possibile vedere l’ennesima smorfia infastidita. 
Quindi, con fare annoiato, ecco che si voltò in direzione dell’uomo, seduto a terra con lo sguardo di chi è terrorizzato perché sa bene che cosa gli attende, e poi pronunziò una semplice parola. 
«Zitto.»
E quella minaccia da parte del Mandaloriano doveva convincerlo a tacere, almeno per un po’ di tempo, visto e considerato che l’ultima volta che lo aveva minacciato così era stato trasformato in una lastra di metallo e poi conservato.  
Non sapeva bene quanto avrebbe dovuto attendere, in fondo quello era il terzo giorno e Speed non gli aveva specificato nulla, quindi avrebbe atteso ancora un po’, dopo di che sarebbe andato da Karga a riscuotere la sua taglia, perché la mancata presentazione di lei voleva dire solamente una cosa: probabilmente era stata uccisa. La cosa non lo avrebbe stupito neanche un po’, considerato che il mestiere di cacciatore di taglie è per gente—… diversa da lei, e lui non era davvero in grado di provare pietà per qualcuno al di fuori degli stessi Mandaloriani. Non era questo ciò al quale lo avevano abituato e forse per difesa personale Din non provava neanche ad aprirsi con gli altri. 
Non ne vedeva il motivo. 
Però proporle quello scambio, così da lasciare che lei prendesse Wilison, gli era sembrava la cosa giusta da fare, visto che era una ragazza al suo primo vero lavoro. Ma lei aveva fermamente rifiutato, ritrovandosi addirittura stizzita dalle proprie parole, neanche le avesse rubato qualcosa, e questo aveva stuzzicato, stranamente, l’interesse di Mando. La gente avrebbe fatto di tutto per ottere dei crediti in maniera così semplice, mentre lei aveva apertamente rifiutato: perché?
Ecco, quella domanda era una delle tante che iniziavano a ronzargli in testa quando la vedeva. 
Controllò i comandi un’ultima volta quando improvvisamente ecco che in lontananza iniziò ad intravedersi una nave avvicinarsi pericolosamente al piccolo spiazzo dinnanzi l’ingresso della cittadina, dove tutti gli altri cacciatori lasciavano le navi. Sapeva piuttosto bene che lei possedeva un BT-7 Thunderclap, smontato e rimontanto, quasi sicuramente rubato (chi era lui per fare domande di questo tipo?!) abbastanza riconoscibile, ed infatti, sporgendosi in avanti, ecco che riuscì a mettere a fuoco quella nave. 
Si trattava davvero del Thunderclap, il che voleva dire che era riuscita a catturare Baelish, il più pericoloso dei due, non facendo altro che aggiungere quesiti nella mente del Mandaloriano. Possibile che fosse davvero così forte? E dire che vedendola non sembrava. Ma lui aveva conosciuto altre donne, abili combattenti, e non erano esattamente lo specchio di come appariva Speed. 
Non sapeva neanche come definirla. 
Contrariamente ad ogni previsione, però, lei era giunta a destinazione e questo voleva dire che era ora di scendere e di trascinarsi dietro il proprio uomo. Lo strattonò con forza, come suo solito, mentre lo sovrastava in altezza, e senza neanche dover estrarre il proprio blaster o qualche altra arma, aveva ampia scelta, lui lo seguì verso l’uscita della propria nave così da rimetter piede sul terreno roccioso di Navarro. La luce del sole, in parte coperto dalle grigie nubi, rendevano la giornata meno afosa di quanto in realtà non sarebbe stata, il che era una vera fortuna, ed una volta fuori i raggi luminosi colpirono il proprio viso, seppur schermato, fu quasi tentato di sollevare una mano per ripararsi da essi.

«Quindi chi hai detto che stavamo aspettando?»  domandò Wilson alle proprie spalle, che ammanettato e conscio di come il Mandaloriano usasse le buone maniere, lo seguiva senza opporre resistenza, anche perché ormai il suo destino era segnato, quindi non avrebbe potuto neanche provare a scappare. 
Mando, ovviamente, non rispose, si limitò a scendere lungo la pedana mentre, al suo fianco, la Thunderclap apriva il proprio portellone, permettendo finalmente l’incontro. 
Ma con somma sorpresa del Mandaloriano la prima cosa che vide non fu la ragazza, intenta a scendere, bensì un uomo che iniziò a rotolare giù dalla pedana in ferro lamentandosi, imprecando e sbattendo ovunque per poi terminare la propria corsa sul terreno arido di Navarro. Ed a seguire, ovviamente, Speed fece il suo trionfale ingresso stringendo fra le mani quella che doveva essere una catena di sicurezza che si era legata in vita, muovendosi come se nulla fosse successo. 
Lo aveva lanciato giù dal portellone? Oppure era stato lui a cadere?
A giudicare dallo sguardo furente che lei gli lanciò, prima di dirigersi verso Din, l’uomo di Mandalor intuì che, quasi sicuramente, doveva averlo fatto cadere lei, e la cosa non era poi tanto strana. 
«E lei chi è?» ancora una volta, alle proprie spalle, la voce di Hunter Wilson giunse ad interrompere il proprio flusso di pensieri che, fra l’altro, l’avevano distratto da quella scena a tratti pure divertente. Per lo meno ci sapeva fare quando si trattava di trascinare via qualcuno, e forse aveva fatto male a sottovalutare le sue potenzialità, proponendole quello scambio, perché a quanto pareva Speed era perfettamente in grado di catturare criminali come qualsiasi membro della Gilda. 
Greef Karga l’avrebbe idolatrata, conoscendolo, lo faceva sempre quando qualcuno portava a termine un buon lavoro, infatti lui veniva elogiato praticamente ogni singolo soggiorno su Navarro, però lei, probabilmente, guadagnava parecchi punti perché donna. 
«Quella che avrebbe dovuto catturarti.» sentenziò con disinvoltura e forse troppa tranquillità il Mandaloriano prima di dirigersi, a sua volta, verso di lei. 
Si andarono incontro a metà strada e lui, ovviamente, non ebbe neanche bisogno di voltarsi per controllare che il proprio prigioniero lo stesse seguendo, fu una cosa semplice ed anche rapida perché in pochi passi ecco che si ritrovò faccia a faccia con lei, con Speed. 
Adesso che la vedeva non seduta ad un bar era più alta di quel che sembrava, portamento altezzoso, cosa che le si addiceva, eppure adesso nei suoi occhi scuri non vi era traccia di divertimento se non fastidio, questo fino a quando non si ritrovò a puntare lo sguardo verso di lui e non verso l’uomo che si trascinava forzatamente dietro con la catena. Quando i propri occhi incontrarono quelli di lei, seppur nascosti dal vetro oscuro del casco, si sentì sollevato perché dietro quelle iridi nocciola non sembrava più esservi fastidio, bensì tranquillità. 
E questo fu un sollievo anche per lui. 
«Tre giorni, hai visto?»
Fu lei a rompere il silenzio durato appena qualche secondo di troppo, forse perché impegnati a studiarsi a vicenda, ed ovviamente Din annuì in maniera impercettibile prima di distogliere la propria attenzione da lei e puntarla verso il suo uomo che sembrava quasi delirante. 
«Iniziavo a dubitarne—… quello è Baelish?» non poté che domandare, anche se era certo della risposta che gli avrebbe rifilato. 
«Quello è Hunter Wilson?» replicò lei piccata salutando, agitando lentamente le dita della mano, il prigioniero alle proprie spalle che sembrava più ammaliato che altro. 
Che idiota. 
«Ovviamente.» ed esitò un paio di secondi prima di tornare a guardarla da dietro il proprio elmo di beskar. «Hai avuto problemi?»
Non era una domanda stupida, volle semplicemente accertarsi che il lavoro fosse filato liscio, anche perché in quel caso sarebbe stata solamente colpa sua, anche in caso di qualche ferita od altro e questo andava un po’ meno bene. Non era preoccupazione, era solamente una questione d’integrità morale, per lo meno non avrebbe avuto nessuno sulla coscienza. 
«Problemi? Con Baelish? No, è stato piuttosto semplice cercare la persona giusta, anche se sulla nave ha fatto un po’ di storie—… credo che dovrò fare trasformare la stiva in una cella, così non avrò problemi.» 
«Ti ha assalita mentre guidavi?»
«Qualcosa del genere—…» mormorò lei prima di provar ad accennare una scrollata di spalle, liquidando il tutto come se nulla fosse quando in realtà non andava per nulla bene. 
«Dovresti. Decisamente.» 
«Sì, fai come questo bastardo che mi ha congelato. Sicuramente non avrai problemi, angelo.»
Purtroppo, Hunter Wilson, aveva la straordinaria tendenza a parlare quanto meno fosse necessario, ed anche quella volta s’intromise in un discorso di cui non avrebbe dovuto farne parte. Solo che in quel caso né il Mandaloriano né la ragazza riuscirono a lasciar perdere, tanto che entrambi puntarono l’attenzione verso di lui. Din lo avrebbe freddato sul posto, perché era diventato estremamente fastidioso, Speed, invece, sembrava infastidita, proprio come un attimo prima. 
«Come mi hai chiamata?» ed infatti non poté che fargli eco lei. 
Bene, se voleva distruggerlo con le sue stesse mani era libera di farlo.
«Angelo, un magnifico angelo biondo. Se proprio dovevo andare all’inferno avrei preferito farlo mentre eri tu a catturarmi, non questo Mandaloriano.» 
«Ehi!» lo rimproverò immediatamente Din, sentendosi chiamato in causa e pronto a sferrargli un pugno in pieno viso solo per quella stupida provocazione, ma Speed fu più veloce e poggiò la sua mano sul proprio braccio, sulla sua armatura rossa consumata, e lo fermò gentilmente, con un tocco gentile che solo una donna poteva possedere. 
«No, fermo—… lascia parlare l’angelo.» sussurrò lei senza neanche guardarlo, mentre puntava tutta la propria attenzione verso Hunter Wilson che, dal canto suo, sembrava davvero divertito da tutta quella situazione che aveva creato con le sue stesse mani. 
E Speed, proprio come lo aveva sfiorato delicatamente, lasciò andare il suo braccio avvicinandosi adesso all’uomo a passo lento.
«Allora vieni con me, insomma tu eri la mia preda, quindi adesso possiamo andare insieme. Avvicinati!» gl’intimò con voce gentile, anche se Din non era certo che quello potesse davvero essere il suo tono accondiscendente. 
Ed infatti quando Hunter fece un passo in avanti per raggiungerla ecco che Speed, senza alcun preavviso, gli pestò con estrema forza un piede e poi—… maledizione, quel calcio nelle parti basse doveva fare davvero male visto e considerata la velocità con cui Wilson si accasciò a terra, trepidante di dolore ed ovviamente incapace di dire altro. 
Era quasi divertente guardarla all’opera mentre si prendeva perfettamente cura di sé stessa e di quelli che erano chiaramente possibili molestatori. 
Probabilmente Din si ritrovò addirittura ad incurvare le labbra in un sorrisetto soddisfatto, ma ancora una volta era una fortuna che il proprio elmo gli oscurasse la vista altrui, in questo modo era protetto da possibili momenti imbarazzanti che si sarebbero creati se solo gli altri avrebbero potuto guardarlo in faccia. 
E lei, tutta soddisfatta del proprio lavoro, si passò una mano fra i capelli biondi e mediamente lunghi, sistemandosi meglio dei ciuffi più scombinati degli altri, ed alla fine tornò a guardarlo con estrema attenzione.
«Scusami ma—…  certe volte gli uomini sono davvero pessimi. Senza offesa, ovvio.»
«Figurati.» asserì lui convinto di ciò che ella aveva appena detto e poi allungò la mano verso di lei. «Passami quella catena, andiamo.»
Leggermente incuriosita dalle proprie parole la ragazza inarcò leggermente un sopracciglio ed afferrò la catena legata alla propria cintura e poi, seppur esitante, la mise nella propria mano, cercando di non sembrare troppo riluttante od altro.
«E tu dammi—… non so, hai qualche dispositivo di controllo particolare sulle manette?» domandò incuriosita guardando di sbieco Hunter messo fuori gioco. 
«No.» tagliò corto lui prima di voltarsi a sua volta e dare un calcio a Wilson. «Ti aiuto a portarlo visto che lo hai messo al tappeto prima del previsto.» 
«Oh—… grazie!»
Già, lo aveva ammesso, ma semplicemente per evitare che perdessero altro inutile tempo con quei due ricercati, almeno avrebbero fatto le cose più velocemente e lui sarebbe potuto partire alla ricerca di qualche nuovo lavoro. Quindi, al suo secondo calcio, questa volta per smuoverlo, l’uomo a terra e con le manette si mise lentamente in piedi, cercando di non sembrare eccessivamente stordito da un calcio da parte di una donna, ma fu tutto inutile: quel colpo doveva avergli fatto veramente male.
Avrebbe anche potuto risponderle un “prego” od anche “figurati” ma poi sarebbe diventato davvero troppo loquace e lui non amava perdere tempo con le parole, erano qualcosa che Din ponderava bene ed in questo caso, probabilmente, non era neanche necessario aggiungere altro. 
Quindi, con un ricercato in catene ed un altro che stentava faticosamente a rimettersi in piedi per via di un calcio ben assestato, entrambi si diressero all’ingresso di Navarro, pronti a riscuotere le proprie taglie come da accordo. 

Nel bar della Gilda

«E’ assolutamente incredibile—… diamine, sono ancora stupito di come possano aver ingannato i localizzatori!» esclamò un Karga, incredulo, mentre sbatteva un pugno sul proprio tavolo, facendo rovesciare tutto ciò che fino ad un attimo prima stava bevendo con tranquillità. 
Avevano consegnato i propri uomini a chi di dovere, come al solito, e poi ovviamente il Mandaloriano e Speed si erano ritrovati a spiegare quello che era accaduto con i localizzatori, insomma aveva parlato più lei di lui, mentre Din si era limitato ad annuire ed ad aggiungere qualche dettaglio su come aveva trovato l’uomo della ragazza. Ed alla fine, sempre più incredulo, ecco che Karga si dovette prendere da bere per poi pagarli e lasciarsi andare ad una risata. Era stata una vera fortuna, a detta sua, che avessero avuto i compiti in contemporanea altrimenti non avrebbero mai scoperto questo trucco che li aveva ingannati.  Stranamente il Mandaloriano si ritrovò a concordare mentalmente con le parole del capo, ed alla fine, dopo aver preso i soldi, che non era male in quanto a crediti, si ritrovò a guardare Speed che si allontanava dal bar in tutta fretta dopo averli salutati. 
«Sai per caso dove stesse andando Speed così di fretta e furia? Come le ho già detto delle nuove taglie di zecca mi arriveranno in settimana, fino ad allora deve aspettare!» 
«Ha bisogno di una cella per la sua nave.» tagliò corto il Mandaloriano, pronto a sua volta per andarsene, ma stranamente Greef sembrava piuttosto intenzionato a fare conversazione, cosa che avrebbe retto per altri due secondi, forse. 
«Ha provato ad aggredirla?»
«Già—…»
«L’avevo detto che il mestiere di cacciatore di taglie era duro, ma lei sembra cavarsela piuttosto bene e poi tu—… tu le hai fatto catturare il tuo uomo.» continuò lui, abbastanza meditabondo, cosa che non gli si addiceva. 
«In realtà me lo ha chiesto lei.» ci tenne a precisare il Mandaloriano prima di rimettersi in piedi e pronto a scappare da quella conversazione. 
«E tu, Mando, le hai fatto questa concessione perché hai avuto fiducia nelle sue capacità—…» continuò il proprio capo prima di sogghignare. «Oppure perché speravi di togliertela dai piedi?»
Effettivamente non aveva tutti i torti, ma fra le due opzioni la prima era quella corretta però avrebbe dovuto far credere che l’aveva lasciata fare solo perché sperasse nella sua dipartita. Era molto meglio così. 
«Può darsi. A quanto pare è più difficile da eliminare di quel che può sembrare.»
«A quanto pare, Mando, mi hai fatto fare un bell’affare convincendomi a prenderla nella Gilda.»
Non che lui avesse davvero detto qualcosa di fondamentale, si era semplicemente limitato ad esporre i fatti così come stavano, e poi alla fine aveva dato il suo parere oggettivo, che in quel caso corrispondeva alla migliore soluzione per tutti quanti. Non si sentiva davvero l’artefice che le aveva permesso di entrare, anche perché, conoscendo Karga, dopo qualche supplica ben piazzata l’avrebbe fatta entrare a prescindere da tutto e da tutti quanti, lui non sapeva proprio resistere ad un bel paio di occhioni da cerbiatta. 
Rispondere a Karga sarebbe stato del tutto inutile, tanto qualsiasi cosa avesse detto non avrebbe cambiato il succo della situazione e lui, fra l’altro, stava perdendo tempo. La propria armatura era stata danneggiata e con i crediti ottenuti da quella missione avrebbe potuto farla sistemare, lasciando ovviamente qualcosa ad i trovatelli, quindi, piuttosto che rimanere ad interloquire con il proprio capo, che al momento aveva ben poco da offrire, la soluzione migliore era andare nel rifugio dei Mandaloriani, presente su Navarro. 
Così, senza aggiungere altro, si mosse ancora una volta con tutta l’austerità di cui era disposto ed abbandonò gli altri cacciatori di taglie in quel piccolo bar. 
Le cose da fare erano parecchie  Din aveva ben poca voglia di perdere tempo con loro. 

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Capitolo 6
*** Female intuition ***


Capitolo 5.
Female intuition 


Sei mesi dopo

La vita da cacciatrice di taglie le piaceva, ed anche parecchio.
Era finalmente libera e lontana da tutto ciò che aveva a che fare con l’impero, nonostante di tanto in tanto qualche truppa di assaltatori giungesse fino a Navarro, ma ci pensavano gli uomini del posto a liberarsi di loro, utilizzando i caschi impalati sulle picche per spaventare chiunque osasse andare contro gli affari dei mercanti e dei cacciatori. Navarro non era un luogo sicuro per la gente comune ma lei iniziava addirittura a trovarlo piacevole, stessa cosa valeva per la gilda e per tutto ciò che riguardava quel posto. Si trattava di gente poco affidabile ma che, a conti fatti, poteva sempre tornare utile e poi lei riusciva a tenere sempre gli occhi aperti, non era per nulla difficile, doveva semplicemente concentrarsi. Le era sempre venuto naturale non abbassare la guardia, poiché a Korrban c’era sempre qualche nuovo allenamento da affrontare, e li, anche se adesso era libera, avrebbe dovuto fare altrettanto. Ogni tanto, forse più di ogni tanto, riusciva a ritrovare addirittura il tempo per allenarsi sia nella Forza che con la spada laser, il tutto ovviamente lontano da occhi indiscreti. Era ormai raro che la utilizzasse, a meno che non fosse di vitale importanza per la propria missione, non poteva rischiare di essere scoperta. Un giorno aveva addirittura provato a forzare le trasmissioni imperiali, visto che ricordava ancora i canali, ma non sembravano parlare di lei, od almeno così sembrava.
Che a Korriban si fossero dimenticati dell’esistenza di Eryn? Avevano messo una pietra sopra a tutta quella vicenda accettando il fatto che uno dei migliori sith mentalisti si fosse allontanato per sempre dalle oscure mura di quell’accademia che lo aveva cresciuto? Difficile a dirsi, la vendetta, in fondo, è qualcosa che i sith conoscono fin troppo bene, proprio per tale motivo Eryn non poteva abbassare la guardia, ne andava del proprio futuro e di tutto ciò che stava costruendo. E poi sapeva fin troppo bene cosa succedeva a chi tradiva, ricordava le urla di dolore di coloro che non si arrendevano al lato oscuro e questo la spaventava parecchio. 
La morte sarebbe stata una grazia che difficilmente le avrebbero concesso. Loro erano più per le torture fino a quando  non l’avrebbero fatta pentire di tutto ciò che aveva osato fare.
Quell’idea era ciò che la manteneva sveglia la notte, ciò che spesso e volentieri la spingeva a rimanere in guardia perfino su pianeti sconosciuti, poiché la prudenza non sarebbe mai stata troppa. E mentre lei era impegnata a costruirsi questa sua nuova vita dall’altro lato iniziava anche a conoscere gente, o meglio, aveva imparato a conoscere gli altri cacciatori di taglie che giravano alla Gilda. Le era capitato di accettare un paio di missioni con alcuni uomini di Karga, gente non esattamente affidabile e che l’aveva fatta mettere nei guai, vista la poca delicatezza e professionalità con cui lavoravano, ma alla fine era arrivata ad avere quelli che reputava conoscenti ed anche persone con cui era addirittura piacevole parlare. 
Keigo era alto, biondino, barba incolta e sembrava essere fin troppo cosciente di quel che era il mondo. Diceva di venire Alderaan e che suo padre era uno dei migliori piloti del generale Leia Organa e che aveva addirittura voltato in compagnia di Han Solo. Perfino Eryn conosceva bene le storie che riguardavano quel contrabandiere, ricordava che su Corrilia alcuni raccontavano che Han fosse originario proprio dei suoi stessi bassifondi, ma la ragazza lo aveva trovato impossibile poiché nessuno poteva lasciare quel posto senza qualche aiuto. Ma più che di Han Solo le avevano raccontato del suo amico, ovvero dello Jedi che aveva portato alla distruzione dell’Impero. Luke Skywalker le era sempre stato dipinto come un mostro, che aveva portato la pace sacrificando tutto il resto e che quella era stata una vendetta sui Sith, ma Eryn, adesso non ci credeva più di tanto, anzi, riusciva perfino a comprendere perché Darth Vader avesse compiuto il passo verso la luce, era quello che aveva provato anche lei. Se lui c’era riuscito perché lei non avrebbe potuto fare altrettanto?! 
Keigo, comunque, non faceva che parlare di quanto fossero fighi i tipi della resistenza e che un giorno, prima o poi, dopo aver fatto esperienza come cacciatore di taglie, sarebbe andato da loro per offrire il proprio aiuto, se solo ne avessero ancora avuto bisogno. Speed, dal canto suo, ascoltava con interesse tutte le storie che circolavano su Han Solo ed una parte di sé, neanche tanto piccola, desiderò di poterlo incontrare, prima o poi. 
«Scommetto incontrerò Han Solo prima di te, Speed.» 
Già, lui si divertiva a provocarla con quel genere di scommesse che, effettivamente, lei non prendeva mai sul serio. 
“Scommetto che non riuscirai a catturare quell’evaso!”
“Scommetto che arriverò prima di te.”
“Scommetto che se sorridi sei decisamente più carina.”
“Scommetto che non hai un fidanzato!” 

Era stato proprio per via di tutte quelle scommesse che, alla fine, lei aveva ceduto ed aveva iniziato a parlargli, in fondo avere una faccia amichevole, li in mezzo, non era poi un’idea neanche tanto sbagliata. Sì, Keigo, a differenza di quel che poteva sembrare e dei pantaloni decisamente troppo aderenti, era un ragazzo niente male con il quale aveva imparato ad andare in missione. 
«Non credo che Han Solo abbia intenzione di parlare con te.
» lo fulminò la ragazza mentre, rigirandosi fra le mani il sottile coltello lo lanciava in direzione del bersaglio usurato appeso alla parete del bar. 
Ecco uno dei nuovi passatempi interessanti di cui si era riscoperta una vera fan, specialmente dopo aver bevuto un bicchiere di qualcosa di liquore. Lanciare i coltelli, per dimostrare la propria bravura con la mira, era alla base se volevi rimanere a passare un po’ di tempo nel bar della gilda, e questo glielo aveva spiegato lo stesso Karga che, ovviamente, le aveva intimato di fare come se fosse a casa sua. Ma ormai, quella che poteva davvero chiamare “casa” era la propria nave. Di tanto in tanto, quando riusciva a mettere da parte qualcosa in più, riusciva perfino ad affittare una camera in qualche dimora a basso costo, solo per provare l’ebrezza di poter dormire su un vero materasso, non che sulla nave fosse così scomodo, ma a questo genere di cose una ragazza avrebbe sempre fatto fatica ad abituarsi. 
La sottile lama s’andò a conficcare in un punto piuttosto vicino al centro, sicuramente meglio del lancio appena fatto dal ragazzo che aveva già bevuto due birre di troppo e stava parlando più del previsto. 
«Ma io ho detto che lo incontrerò, mica che gli dovrò parlare.»
«Ed allora dove sta il bello?!» replicò lei, leggermente confusa dal ragionamento del ragazzo, prima di scostarsi delle ciocche bionde dai lati del viso, così da avere una visuale migliore. Si era sollevata la camicia fino all’altezza dei gomiti, poiché li la sera faceva davvero caldo, e sicuramente ciò che aveva bevuto non faceva sentire freddo. 
«Tu che cosa gli vorresti chiedere, ragazzina?» 
Nel sentire quell’epiteto ecco che il naso di Speed s’arricciò in una smorfia leggermente divertita, segno che quel che aveva bevuto non troppo prima stava iniziando a fare effetto, anche se non in maniera fastidiosa. Era semplicemente più allegra e propensa a parlare, cosa che accadeva non troppo spesso, e poi doveva ancora attendere Karga. 
Sì, in serata le avrebbe dato la nuova taglia da ricercare o qualcosa su cui poter lavorare, era solo questione di tempo. 
Però, in quell’attimo, Speed pensò a cosa avrebbe chiesto all’eroe Han Solo, le cui avventure erano conosciute ovunque e per questo motivo picchettò una mano contro il mento e poi sorrise.
«Penso che gli domanderei di poter viaggiare con lui. Sarebbe meraviglioso!»
Keigo rimase quasi deluso dalla risposta di Eryn ed infatti si limitò a scuotere appena le spalle, in un gesto troppo sfrontato, ed a lanciare il suo coltello contro il bersaglio, facendo peggio della ragazza.
«Ed io che pensavo avresti voluto chiedergli di Luke Skywalker e dei Jedi. Tutti credono che sia una leggenda.» 
Nel sentire pronunziare quella parola ecco che un brivido le percorse la schiena, paralizzandola quasi per un paio di secondi, ed alla fine dovette far fronte a quella sensazione bevendo un lungo sorso dal bicchiere, ormai mezzo vuoto, di liquore che le era stato servito e che adesso era poggiato su uno dei pochi tavoli vuoti del bar. Non aveva di certo immaginato che solamente sentir parlare di jedi l’avrebbe messa tanto in difficoltà, forse perché lei sapeva fin troppo bene che quelle storie non erano solamente storie. I Jedi esistevano come esistevano anche i Sith, lei ne era la prova vivente, ma poche erano le persone, al di fuori degli alti ranghi imperiali oppure della resistenza, che sapevano la verità sulla storia che avvolgeva la Morte Nera e tutto ciò che era accaduto su Alderaan. Ecco perché decise che in quel momento poteva solamente bere, cosa che fra l’altro neanche le stava facendo bene. 
«Sono soltanto dicerie che—… vengono dette ad i bambini.» 
«Dici?» le domandò incuriosito il biondo al proprio fianco prima di dirigersi verso la ragazza con fare spavaldo. 
Sì, Keigo era decisamente un po’ montato e con il fascino del forestiero, dai vestiti attillati e le armi in bella vista, i capelli ricciolini e scombinati ed un sorriso piacente.
«Ovviamente!» ribatté ella, con fermezza, prima di poggiare nuovamente sul tavolo il bicchiere ormai quasi vuoto e prendere in mano, invece, il proprio ultimo coltello da lanciare per decretare la partita. In quel momento sentì le guance arrossarsi, forse per via del calore o di ciò che aveva bevuto o forse per la stupida ed inattesa agitazione, ed infatti fu addirittura costretta a sventolarsi con la mano. «Piuttosto, giochiamo, è l’ultimo tiro!»
Il ragazzo, sorpreso da tutta quella determinazione, le sorrise e poi puntò l’attenzione verso il bersaglio pieno di coltelli nei vari anelli vicino al centro, e poi riportò lo sguardo scuro in direzione di Eryn, mordendosi appena il labbro inferiore. 
«Che ne dici di una scommessa?»
«Dipende cosa vuoi scommettere!» 
«Avvicinati!»
E Keigo le fece segno d’avvicinarsi, usando semplicemente un dito, mentre si appoggiava al tavolo con estrema cautela. Doveva andarci piano con lui, visto e considerato che non sapeva mai quel che voleva fare, quindi alla fine Speed decise di cedere e s’avvicinò al ragazzo, fermandosi specularmente dinnanzi a lui, mentre usava le mani per reggersi su quel tavolo, ormai la loro base per quella sera. 
Prima ancora che Speed potesse aggiungere qualcosa il viso di Keigo fu così vicino al proprio che solo grazie alla prontezza dei propri riflessi riuscì a scansarsi, di qualche centimetro, evitando che le proprie labbra incontrassero quelle di lui, cosa che la lasciò abbastanza confusa e perplessa. 
«Che stavi facendo?»
«Volevo spiegarti che cosa potremmo scommettere.»  le sussurrò a pochi centimetri di distanza dal viso, mentre improvvisamente le sue gote  di lei divennero ancor più rosse e fu addirittura costretta a non guardarlo negli occhi. 
«Quindi tu vorresti scommettere un bacio?» chiese lei quasi a volerne avere una discreta sicurezza, forse erano le proprie labbra a parlare per lei. 
«Sarebbe un’ottima scommessa, non trovi, Speed?» 
Forse era il tono della voce così suadente, o gli occhi così magnetici oppure i capelli perfetti, ma in quegli istanti Speed si sentì quasi sotto controllo della Forza, incapace di dire di no a quella scommessa che, in cuor suo, sapeva essere fin troppo pericolosa. 
Ma prima ancora che potesse rispondere, od anche solo annuire o fare qualsiasi altra cosa, ecco che all’ingresso del bar fece il suo ingresso qualcuno che, con quella semplice presenza, riuscì a distogliere l’attenzione di Speed, permettendole così di liberarsi da quell’incantesimo che Keigo, stranamente, era riuscito a lanciarle.
Non sapeva spiegarselo, anzi, non voleva spiegarselo ma ogni qual volta a varcare quella soglia era Mando era come se la curiosità e l’umore di Eryn migliorasse. Probabilmente, questa era la spiegazione che si era data lei, era dovuto al fatto che effettivamente, il Mandaloriano, era il primo che aveva davvero conosciuto in quella Gilda e che, fin dall’inizio, aveva mostrato rispetto per una novellina come lei. Rispetto che, stranamente, col tempo si era andato evolvendo, perché durante quei mesi non solo avevano catturato altri evasi sullo stesso pianeta, ritrovandosi così a dover incrociare nuovamente i loro cammini, ma ogni tanto, quando si trovavano nel bar della Gilda, da soli, stranamente si avvicinavano per parlare. Forse fu Speed la prima a raggiungerlo dopo averlo visto parlare con Karga, semplicemente per sapere come andasse la vita, mentre la seconda volta era stato lui a farlo, domandandole come fosse andato il suo ultimo lavoro. Da li in avanti, seppur per poco, i due avevano preso quella strana abitudine d’incontrarsi li prima di qualche missione, e dunque, l’arrivo del Mandaloriano era l’equivalente del: domani era prevista una partenza. 
Ma ciò che davvero catturò la sua attenzione, quella volta, fu il nuovo pezzo dell’armatura in beskar che spiccava su tutto il resto. Era qualcosa di nuovo che non aveva mai visto e per questo motivo Speed rimase così sorpresa che parlò fra sé e sé. 
«E quello è nuovo?!»
«Cosa?»
Ovviamente, nel sentirla parlare, dopo essersi spostata rifiutando quella sorta di bacio e promessa di una serata interessante, ecco che Keigo, a sua volta, si girò in direzione dell’ingresso per notare la figura dell’uomo con il mantello e l’armatura. 
«Il Mandaloriano? Che cosa ci fa qui? Non ha già preso tutto il lavoro che c’era?» leggermente seccato, cosa che la ragazza riuscì a comprendere dal tono di voce, ecco che il biondo cercò di tornare a volgere la propria attenzione a Speed, che dal canto suo però si era già allontanata ed a passo svelto stava raggiungendo Mando. 
A passi svelti, svincolandosi fra la gente che s’alzava e si muoveva fra i tavoli, ecco che la ragazza riuscì a raggiungere la figura del Mandaloriano ed ovviamente gli si parò dinnanzi puntando, con aria saccente, un dito in direzione di quella spallina dell'armatura, perfetta per lui. 
«E’ beskar nuovo.» 
Non fu sicura di averlo colto di sorpresa, perché in fondo avrebbe potuta notarla già dalle grandi vetrate che davano verso la via esterna, però l’aveva quasi attesa pazientemente perché non sembrò accigliarsi a quella fastidiosa intromissione. 
«Che occhio.» giunse la replica di Mando.
«Non passa inosservato.»
«Davvero sei venuta fin qui per chiedermi del beskar?» 
Domanda più che logica, ovviamente, quella di lui, che nonostante la voce mimetizzata dal casco sembrava quasi essere divertito da quelle domande che lei gli stava facendo. 
«Che cosa credi? Ho addirittura interrotto una temibilissima sfida.
» asserì con estrema sicurezza lei, limitandosi ad annuire ed a scuotere delle ciocche di lunghi capelli biondi, che ovviamente si andarono a soffermare sulle spalle coperte dalla camicia bianca. 
Mando si sporse leggermente oltre di lei per vedere qualcosa, forse per vedere un Keigo decisamente infastidito mentre giocava con il suo coltello e li guardava, per poi tornare a rivolgere l’attenzione verso di lei. 
«Lui non sembra del tuo stesso parere.»
«Tu stai evitando la mia domanda.»
«E tu, invece, parli un po’ troppo
E si sentì, ovviamente, un sospiro quasi arreso da parte di lui, che muovendosi superò la ragazza ed andò a sedersi ad uno dei tavoli lasciati liberi in penombra, lontani, per fortuna dal centro della sala. Sicuramente, qualsiasi cosa stesse per dirle, non era nulla di semplice e lei, in cuor suo, stava diventando curiosa delle missioni che venivano affidate al Mandaloriano, il migliore nel suo campo, nonché il migliore della Gilda. Era ovvio che qualcosa didifficile veniva richiesta per il più grande cacciatore di taglie, non sarebbe potuto essere altrimenti, e come altre volte Speed voleva sapere, almeno in parte, quello che avrebbe dovuto fare. 
Lo seguì, senza neanche voltarsi a guardare Keigo, che con le sue belle labbra ed i sogni infranti per via di un bacio mai dato, adesso si stava dando all’alcol senza di lei. Avrebbe potuto trovare di meglio, di ciò Speed ne era più che certa.
Rimase in silenzio, lei, sedendosi proprio dinnanzi al Mandaloriano, così da poterlo fronteggiare faccia a faccia e poi, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo, piegò leggermente la testa di lato per guardarlo meglio. Sentì le proprie guance scottare, forse per via del calore e dell’alcol, ma provò a non farci caso focalizzando, dunque, tutta la propria attenzione su di lui. 
«Quindi? E’ una cosa top secret oppure posso saperla anche io?»
«Non è una missione riservata. Però è molto pericolosa.» esordì il Mandaloriano poggiando sul tavolo un semplice localizzatore che s’illuminava lentamente, segno che era ancora parecchio lontano dalla propria preda. 
«Solo questo? E la taglia?» domandò incuriosita lei prima di fissarlo con intensità, come se avesse potuto vedere oltre quell’elmo, cosa che non le sarebbe dispiaciuto poter fare. 
«Nessuna. So solamente che ha cinquant’anni. Tutto qui.»
«Ma questo non mi spiega quella—…» cantilenò lei puntando nuovamente il dito contro la sua armatura nuova di zecca. 
«In realtà sì. Il cliente è un Imperiale e mi ha pagato in anticipo con del beskar.»
Quelle parole la gelarono come poche volte nella vita. Insomma se fino ad un attimo prima le storie sulle spade laser l’avevano messa in difficoltà questo lo aveva fatto molto di più: primo perché non poteva stare su un pianeta con un imperiale; secondo perché un Imperiale equivaleva a dire qualcuno di alto livello, non dei semplici assaltatori che non rappresentavano un vero pericolo; terzo, qualsiasi affare con l’Impero non era mai nulla di buono, e questo lei lo sapeva fin troppo bene. 
Fu quasi istintivo, per Speed, allungare una mano verso quella coperta dall’armatura di lui e stringergliela con apprensione, cosa che in circostanze normali non avrebbe mai fatto, ma in quel momento la paura e soprattutto l’alcol stavano giocando un ruolo fin troppo importante. 
«Mando, non fare affari con l’Impero.»
Il Mandaloriano, dal canto suo, non si sottrasse da quel tocco, forse diventando un po’ più rigido del normale, fino a quando non fu proprio lei a lasciarlo andare. Tutto ciò sembrò durare pochi secondi, perché in fondo Speed si rese conto di essere stata un po’ troppo sfrontata ed invasiva. 
«Non sono affari tuoi, Speed.»
«Lo so che non sono affari miei però—… non porta mai a nulla di buono fare affari con loro.»
«E tu che ne sai?»
Non avrebbe mai perso l’occasione per stare zitto o per farle qualche domanda in contrpiede, questa era una caratteristica del migliore combattente della Gilda, che ovviamente sembrava adesso essere interessato alle preoccupazioni di Speed, che purtroppo, però, non avrebbe di certo potuto condividere nulla. 
«Intuito femminile!»
Che sciocchezza. 
Aveva appena pronunziato quelle parole senza neanche troppa convinzione, però allo stesso tempo sperava che sarebbero bastate a tenere il Mandaloriano lontano dagli affari con possibili imperiali. Nessuno le aveva detto nulla di quell’arrivo e per questo, oltre la preoccupazione che era scaturita forse in maniera fin troppo emotiva era giunta anche la pura di poter essere scoperta. Doveva andarsene per qualche missione ed anche al più presto, o per lo meno stare lontana da tutto ciò che aveva a che fare con l’impero. 
«Intuito femminile?» Mando, dal canto suo, non sembrava particolarmente convinto. 
«Sì, intuito femminile, sesto senso, immaginazione pessimistica. Chiamala come ti pare ma il succo non cambia.»
«Sciocchezze. E’ una missione come le altre.»
Lui non sembrava intento a demordere ed abbandonare la propria convinzione, ed altrettanto avrebbe fatto lei, ma in fondo, come le aveva caldamente suggerito poco prima, quelli non erano affari suoi. 
Strano che adesso, da quando aveva appreso cosa voleva dire essere liberi, che Eryn si iniziasse ad interessare anche agli altri ed alla loro incolumità. Era qualcosa che a Korriban sarebbe stata vista come la peggiore delle debolezze, poiché l’esaltazione personale e la sete di potere venivano prima di ogni singola cosa. Ma lei non era così, seppur fosse stata cresciuta con quella mentalità, lei era altezzosa ma non egoista, od almeno non lo era troppo in quel contesto e tutta l’apprensione per la figura in armatura ne era la prova vivente. 
Oppure, cosa che aveva vagliato, si trattava semplicemente dell’alcol che la stava facendo parlare, e questo, stranamente, non era un’idea da scartare. 
Così, mordendosi leggermente il labbro inferiore, ecco che la giovane ragazza si limitò a sbuffare ed annuire in maniera percettibile. 
«Bene.»
«Sicura?»
«Sicurissima.» 
Poche e semplici battute si scambiarono, mentre lei cercava di dimostrare la propria sicurezza per quell’affermazione appena pronunciata, il tutto nella speranza di riuscire a cogliere qualcosa da dietro quel maledettissimo casco. Sapeva fin troppo bene, per via di ciò che le era stato detto, che i Mandaloriani non toglievano quella copertura, e lei non aveva mai fatto domande riguardo ciò, però in quel momento avrebbe volentieri strappato via l’elmo di Mando solo per guardarlo negli occhi e fargli capire che non doveva fare affari con l’Impero perché di solito non si ricavava mai nulla di buono.
Però, tutto ciò che fece Speed in quel contesto fu limitarsi a sospirare ed a rimettersi in pedi, perché oltre a mettere in guardia il compagno di Gilda avrebbe anche dovuto pensare a sé stessa, nella tipica mentalità da Sith. Adesso ciò che le importava era allontanarsi alla svelta da Navarro semplicemente perché vi era un Imperiale d’alto rango da quelle parti e questo avrebbe compromesso, se solo avesse saputo del suo arrivo, la propria fuga. Dunque, seppur a malincuore e con la testa che adesso sembrava perfino girare vorticosamente, ecco che si rimise in piedi, poggiando entrambe le mani sul tavolo. 
«Allora io vado a cercare Karga per i lavori.» sentenziò quasi con apatia in un cambiamento decisamente poco promettente dell’umore, mentre guardava già in direzione della porta. 
«Stai andando via perché sei arrabbiata?»
Quella domanda, decisamente inattesa la spinse a mostrare un sorrisetto di sbieco in direzione del Mandaloriano e poi scosse leggermente il capo, in un movimento fluido. 
«No, non sono arrabbiata con te se è questo che ti preoccupa.»
"Circa".
Avrebbe dovuto aggiungere quell'ultima parola in quella provocazione neanche tanto sottile quella di Speed che ovviamente si limitò a rivolgergli un cenno prima di allontanarsi lentamente in direzione della porta. 
Probabilmente a lui non interessava neanche, ma lei ci tenne a farglielo sapere semplicemente perché si sentiva in dovere di farlo, ed ovviamente, quelle parole, riecheggiarono nella mente di Eryn, alterata dall’alcol, perché in condizioni normali non avrebbe di certo osato tanto. Allontanarsi da quel locale era la cosa migliore da fare semplicemente per un motivo: avrebbe potuto causare qualche problema parlando troppo e poi, purtroppo, doveva realmente trovare il capo per avere un lavoro il più in fretta possibile.
Un Imperiale in giro non era per nulla una cosa sicura e lei, forse, stava sbagliando ad abbassare così tanto la guardia nella Gilda. 
Era un errore al quale avrebbe dovuto rimediare. 

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Capitolo 7
*** It was not destiny ***


Capitolo 6
It was not destiny
 

Lo sguardo oltre il vetro del proprio elmo non perse di vista, neanche per un istante, la figura di Speed che s’allontanava dal bar, lasciandolo da solo seduto a quello stupido tavolo. Din, di solito, non  perdeva tempo prima di qualche missione, specialmente se così importanti, ma era stato lo stesso Greef a dargli appuntamento li dopo aver saputo che aveva accettato l’incarico del Cliente. Probabilmente si trattava di linee guida da seguire con gli uomini Imperiali, o forse lo voleva semplicemente allertare su qualcosa. E poi, in fondo, aveva visto la nave di Speed, dunque era abbastanza sicuro che avrebbe trovato li anche lei, non che la cosa lo stupisse. Quella ragazza passava discreto tempo in quel bar, come se fosse uno dei posti migliori di sempre, questo probabilmente perché era stata accolta con piacere dagli altri membri della gilda che, ovviamente, non tardavano ad instaurare rapporti con lei. Cosa che non si poteva dire fosse accaduta anche con lui, visto e considerato che lo vedevano tutti come il peggior rivale grazie alla propria reputazione.
Lui era li per lavoro, non di certo per crearsi degli amici e questo lo sapevano tutti quanti, compreso il proprio capo. Però, ogni tanto, avere la possibilità di parlare con qualcuno come lei non era poi tanto male. Di solito era Speed a parlare, o meglio non che fossero entrambi due grandi parlatori, ma era lei a porgli domande e curiosità, segno che sapeva essere un’attenta osservatrice. Ogni tanto anche lui aveva provato a farle delle domande tecniche, su come avesse catturato qualche soggetto, e lei era sempre stata schiva oppure sviava con un sorrisetto, cosa che sapeva fare piuttosto bene. 
Era un soggetto diverso dagli altri, diverso anche dalle altre donne che aveva incontrato perché nulla di lei era chiaro e questo non faceva altro che confondere Din. Non che lui pensasse a queste cose, ma anche quella sera si era ritrovato faccia a faccia con Speed e se fino ad un attimo prima lei aveva dimostrato estrema preoccupazione un attimo dopo ecco essere diventata di colpo fredda, e quello dopo ancora nuovamente una ragazza normale ed ammiccante. 
Chi non sarebbe confuso da quel genere di segnali? E dire che lui le donne le ha sempre guardate con vago interesse, nonostante il suo credo era qualcosa di impossibile da conciliare con un’ipotetica relazione seria. Ma Speed non sembrava interessata a nulla del genere, lei sembrava essere interessata a tutto ed allo stesso tempo a niente. 
Avrebbe dovuto raggiungerla per dirle che Karga sarebbe dovuto andare da lui a momenti, oppure per aggiungere qualcosa a quella strana discussione o forse per specificarle che non aveva motivo di preoccuparsi. Insomma, la tentazione di alzarsi e seguirla fu parecchia, anche perché, da quel che aveva visto, forse aveva addirittura bevuto, il che avrebbe in parte giustificato il comportamento tanto mutevole, seppur Din fosse certo che lei era così criptica di suo, e non per via di ciò che aveva bevuto.
Se solo fosse stato da solo, lontano dal mondo e senza che nessuno potesse guardarlo, avrebbe addirittura accettato un bicchiere di quel che si beveva da quelle parti, così da potersi dimenticare quella giornata assurda per via dell'incontro con gli altri Mandaloriani. Dimenticare quei terribili ricordi delle esplosioni che lo avevano colto alla sprovvista mentre andava ad incontrare le truppe imperiali. No, lui non era più quel bambino spaventato che anni prima aveva perso la propria famiglia. Lui era un Mandaloriano e quella era la sua via, seppur adesso non sapeva dove lo avrebbe condotto. Non si pentiva neanche un giorno del proprio credo, anche se magari certi giorni erano più difficoltosi di altri, e probabilmente bere qualcosa lo avrebbe aiutato. Ma non poteva farlo, non poteva bere qualcosa perché c’erano persone in carne ed ossa e lui non avrebbe mai mostrato il viso.
«I miei complimenti, Mando.» 
Una voce cantilenante e non esattamente familiare, spinse però Din a ritornare con i piedi per terra, ed a dimenticarsi di ciò che stava per fare fino ad un attimo prima, riportando così l’attenzione in direzione della figura che aveva appena preso il posto della ragazza al proprio tavolo. 
Non esattamente uno scambio piacevole, se proprio doveva essere sincero con sé stesso. 
«Per?» chiese allora il Mandaloriano poggiando un gomito sul tavolo, mentre osservava quel tipo, di cui non ricordava esattamente il nome. 
Forse era Kaito. O forse era Keigo. 
«Per aver accettato l’incarico dell’imperiale, sai, le voci qui in giro corrono piuttosto in fretta—…» spiegò il biondino come se nulla fosse, prima di passarsi una mano fra i capelli. «E poi per aver fatto andare via Speed interrompendoci, ma su questo punto sono piuttosto ironico.» 
Da sotto il casco si ritrovò ad inarcare un sopracciglio per quelle affermazioni, anche abbastanza inaspettate, che da un lato lo innervosivano, dall’altro, invece, lo avrebbero fatto ridere perché adesso quel tipo lo stava quasi accusando di andare in bianco.
Come se quel tipo avesse mai davvero avuto possibilità con Speed. 
Ma decise che quell’affermazione l’avrebbe tenuta per sé, non voleva scatenare una rissa nel bar e lui, come sempre, sarebbe stato di poche parole. 
«Sto notando.» sentenziò con apatia Din, prima di guardarsi intorno, nella speranza di vedere Karga, ma probabilmente se fosse stato intercettato prima da Speed allora avrebbe perso tempo. 
«Tu noti tutto da sotto quel casco, non è vero Mando? Noti tutto ma non dici niente! Scommetto che l’hai fatto di proposito ad arrivare qui poco prima che stessi per baciarla, finalmente.» 
No, davvero, aveva appena detto quella frase?
A Lui?

Come se a Din importasse qualcosa delle aspettative di quel tipo, ma soprattutto come se a lui interessasse davvero parlare di baci che, per fortuna, non erano mai avvenuti. 
Avrebbe davvero voluto stare zitto, evitare di rispondere a tono, non aggiungere altro, ma quella volta non riuscì a controllare la propria bocca.
«Si vede che non era destino.» 
Din Djarin, che era stato sempre estremamente controllato in qualsiasi cosa dicesse o facesse, si ritrovò a parlare un po’ più del dovuto e per questo avrebbe voluto tagliarsi la lingua, certo che adesso quell’idiota l’avrebbe presa come una sorta di provocazione.
Cosa che forse lo era, almeno un poco. 
«Che non era destino? Ma tu sei proprio un grandissimo stronzo. Adesso ti faccio vedere i—…» 
Sì. 
Dicono tutti così. 
Ti faccio vedere io!” ma alla fine niente e nessuno riesce a farlo per davvero. Il Mandaloriano fu molto più veloce di quel che si possa immaginare, possiede la mente votata al combattimento e per questo motivo riesce a pianificare ogni singola mossa anche prima che qualcuno abbia in mente di farla. Con gli uomini è parecchio semplice, mentre con i robot lo è di meno, ma Din è esperto abbastanza per ignorare quelle teste di latta. Però, in quel caso, Keigo è umano ed è fin troppo frustrato, sia per il lavoro che per la sua vita sentimentale di cui al Mandaloriano non importava neanche un po’, se non fosse stato per lei, quindi tutto ciò che riescì a fare, prima ancora che Keigo, in preda alla rabbia provi a tirare fuori il suo blaster, fu afferrarlo per un braccio, alzarsi in piedi e sbattere il busto di lui, forse con troppa forza, sul tavolo.
Lo fece in un movimento così rapido e fluido che nessuno riuscì a bloccarlo od a dire nulla, ma guardarono con ammirazione l’opera di chi aveva appena provato a disturbare, ingiustamente, un Mandaloriano, e soprattutto voleva addirittura metterlo ko.
La torsione del braccio di Keigo si faceva ogni secondo più pesante, questo semplicemente per tenerlo buono. Una singola mossa e Din glielo avrebbe spezzato, ma non sono questi gli accordi fra compagni della Gilda, sebbene lui stesse semplicemente per difendersi. E poi, quella, valeva come promemoria per tutti quanti: nessuno doveva osare disturbarlo altrimenti le conseguenze sarebbero state quelle, se non peggiori. 
S’abbassò leggermente verso di lui, stringendo con più forza il braccio, mentre il viso del belloccio diventava rosso per la rabbia ed il dolore. 
«Lascia perdere, ultimo avvertimento.»
«Mi stai—… Mi stai spezzando il braccio, Mando!»
«L’intento è quello.»
«VA BENE, MA LASCIAMI ANDARE!»
In preda alla frustrazione ed alla rabbia, ovviamente Keigo cercò di divincolarsi da quella presa serrata sul proprio braccio e dopo qualche secondo, seppur con qualche riserva, Din lo lasciò andare, facendo un passo indietro ma senza abbassare la guardia. Sarebbe stato pronto a ricevere qualsiasi colpo, cosa che da uno come lui ci si poteva aspettare, ma stranamente il biondino, oltre a rimettersi in piedi ed a sistemarsi quella camicia in parte sbottonata sul petto, non fece altro. Cercò di mantenere la calma, forse perché sapeva di non avere possibilità e che qualsiasi attacco non sarebbe di certo rientrato nel codice della Gilda e non poteva rischiare tanto, anche perché Karga avrebbe volentieri rinunciato ad uno stupido belloccio piuttosto che a Din, e di ciò il Mandaloriano ne era più che sicuro. 
Non aveva di certo iniziato lui quella sorta di rissa, ma gli aveva messo fine senza dare alcuna possibilità di replica al biondo, che con l’aria di chi cade sempre in piedi si lasciò andare ad una risata, nella speranza di coinvolgere gli altri del bar a fare altrettanto, forse per minimizzare il tutto. 
Possibile che fossero così idioti da seguirlo?
A quanto pareva la mentalità media dei cacciatori di taglie era più propensa a seguire i trascinatori di folle come lui, piuttosto che ragionare da soli, ed infatti gli altri risero, come se tutta quella situazione fosse stata semplicemente una stupida scusa, ed infatti Keigo, dopo essersi guardato intorno, portò lo sguardo sul Mandaloriano. Erano alti quasi uguali, ed osò addirittura poggiare la mano sulla nuova spallina in beskar. 
«Mando, Mando—… lo sai che stavo scherzando?» gli domandò con ironica mostrando un sorrisetto e cambiando immediatamente espressione. «Non avrei mai provato a fare nulla, credimi!»
Ovviamente Din inarcò un sopracciglio, con aria decisamente scettica nascosta dall’elmo e poi scosse appena il capo, fingendo accondiscendenza per capire che altro avrebbe detto. 
«D’accordo.»
«Sì, insomma, sei il migliore fra tutti noi e volevo capire quanto ti muovessi veloce, sai per questa missione importantissima che ti hanno assegnato.» continuò Keigo prima di lanciargli uno sguardo assottigliato e sorridergli. «Sei davvero impressionante.»
Ma il Mandaloriano non disse niente, perché non vi era nulla da dire se non ignorarlo ed infatti dopo qualche secondo di silenzio ecco che si voltò e si diresse a grandi passi verso la porta per uscire dal bar. Ne aveva abbastanza di tutti quanti, avrebbe parlato con Karga una volta ritornato dal proprio compito, adesso non era necessario perdere ulteriore tempo ed andare al bar era stato un errore di valutazione che non aveva minimamente messo in conto.
Però, Keigo, che forse si era aspettato una reazione differente, ecco  che aggiunse un’ultima semplice frase proprio mentre Din si stava allontanando con il suo solito passo cadenzato e pesante per via dell’armatura. 
«E’ stato un vero piacere avere quasi un braccio rotto da te, il lavoro te lo sei meritato sul serio però ricordati una cosa: quando la bacerò sarai il primo a saperlo, credimi.» 
Era incredibile quanto fastidio potesse suscitare quel discorso in Din, era una sensazione opprimente che non riusciva a decifrare e che gli dava fastidio anche al solo più banale pensiero che quelle parole potessero diventare realtà. Ma obiettare, ancora una volta, sarebbe stato inutile, anche perché lasciarlo nelle sue convinzioni era l’unico modo per metterlo a tacere, altrimenti sarebbe potuto andare avanti a lungo e non era ciò che Mando desiderava. Le parole, con uno come quel tipo, erano sprecate e Din non avrebbe passato ulteriore tempo in quel posto, avrebbe fatto di testa sua, anche perché si sentì ben più nervoso di quello che sarebbe dovuto essere. 
Così, senza curarsi delle parole mormorate dagli altri presenti, ecco che oltrepassò la soglia della porta lasciando che la brezza fredda della serata lo colpisse in pieno. Non sentiva freddo ma il mantello, perennemente poggiato sulle spalle, si agitava per via di quel vento che si stava abbattendo sulla città. 
Parlare con Karga non era più importante, e poi non voleva perdere ulteriore tempo su Navarro, poiché il proprio lavoro lo attendeva, come sempre. E soprattutto sarebbe stato il modo più efficace per dimenticarsi di quella discussione al bar, in fondo non era neanche qualcosa che lo interessava però il fastidio provato era tangibile e non sapeva spiegarsi il perché. Il lavoro, alla fin fine, era sempre stato suo e nessuno aveva mai anche solo provato ad avere da obiettare, però, a conti fatti, ciò che gli dava fastidio era il resto del discorso fatto da Keigo, come se lui potesse davvero avere il controllo su quel genere di cose. Era troppo sicuro di sé stesso e questo non gli piaceva neanche un poco. 
Ma sarebbe stato così per qualsiasi donna oppure il motivo era da ricercarsi nel soggetto, seppur marginale, di quella conversazione?
Scacciò immediatamente l’idea improvvisa ed apparentemente stupida, ma mentre si dirigeva verso la propria nave ecco che qualcosa alle proprie spalle lo afferrò di scatto impedendogli di avanzare ulteriormente. Si ritrovo, letteralmente, strattonato nel primo vicolo disponibile ed ovviamente Din tirò fuori il proprio blaster, pronto a puntarlo a chiunque avesse osato fare una cosa del genere, ma ecco che la punta dell’arma era rivolta all’altezza del petto di Speed, che lo stava fissando a braccia conserte ed espressione stranamente scettica, con tanto di sopracciglio inarcato verso l’alto, il tutto appoggiata contro il muro del vicolo. 
«Che stavi facendo?» 
Fu quella la semplice domanda che pronunziò con un filo di voce ma con tanta serietà.
Già, che stava facendo se non tornare sulla propria nave?
Nulla di strano. 

«Sto per partire!» sentenziò con ovvietà il Mandaloriano andando, ovviamente, a conservare nuovamente la propria pistola, così da non puntargliela contro. 
«Non mi riferisco ad adesso ma a prima, nel bar.» continuò lei senza mutare espressione scettica. 
Ah. 
Ecco a cosa si riferiva, adesso aveva tutto più senso, ma lui non sembrava voler cedere nonostante avesse capito tutto. 
«Nulla.» la liquidò a sua volta prima di rilassarsi un poco, andando, a sua volta, a poggiare la schiena contro il muro opposto in quel vicolo scuro che si perdeva nel cuore della cittadina. «Tu non dovevi essere da Karga?»
«Già, peccato che mi fossi dimenticata tutte le mie cose al bar, quindi sono tornata ed ti ho visto e sentito discutere con Keigo.» continuò la biondina che seppur al buio, con i tratti del viso illuminati dalla Luna che ruotava intorno a Navarro, riusciva a trasmettere quella propria aria infastidita.
«Io non c’entro niente. Ha fatto tutto lui.» 
Rispose, altrettanto infastidito, Din che, in fin dei conti non voleva di certo una discussione anche con lei, almeno non adesso. Ma non aveva altra scelta, perché andarsene sarebbe stato sicuramente peggio. Adesso era arrabbiata perché aveva sbattuto sul tavolo il suo amichetto?
Non riusciva a comprenderla e forse non ci sarebbe mai riuscito, perché Speed era troppo criptica nei suoi modi di fare. 
«Dovevi lasciarlo perdere, Mando—…» ed ecco che lei si lasciò andare ad un sospiro prima di scuotere leggermente il viso mentre l’ombra di un sorrisetto si delineava sulle labbra di lei. 
Stava davvero ridendo? Non era arrabbiata? 
Incredibile, allora l’espressione seria era di default, che fosse contenta o meno e questo era un dettaglio che avrebbe dovuto ricordare. 
«Ha parlato del lavoro e di te.» ci tenne a precisare lui, continuando a dare spiegazioni che forse, a quel punto, non era necessario dare. 
«Appunto, avresti dovuto lasciarlo stare perché è invidioso del tuo lavoro e perché—… non sono così stupida da lasciarmi toccare dal primo che passa.» sentenziò la ragazza prima di abbassare lo sguardo e puntarlo verso il terreno. 
Non riuscì a comprendere quell’ultimo movimento dei suoi occhi e questo lo lasciò spiazzato, tanto da rimanere in silenzio per qualche istante di troppo. 
«Non erano affari miei—…»
«Ma ti sei immischiato lo stesso.
» continuò la ragazza a bassa voce, continuando a sorridere. «Non era destino”, che frase ad effetto. Ad ogni modo ti ringrazio, anche se non era necessario che tu intervenissi. So cavarmela da sola.»
E questo era vero, alla fine Speed era una ragazza che, seppur in un ambiente prettamente maschile e feroce, riusciva a farsi strada da sola ed a vivere giorno dopo giorno, cosa che le faceva onore visto ciò che facevano. Ovviamente, anche se in maniera del tutto automatica, ecco che Din annuì impercettibilmente, quasi stampandosi in testa quello che lei gli aveva appena detto. 
Se la sapeva cavare da sola, questa era una cosa più che ovvia e neanche lui avrebbe dovuto dire niente, ma guardandola, da dietro il proprio elmo, stentava a credere che una come lei non avesse davvero bisogno di aiuto. Non che lui fosse un salvatore, ovvio, ma non era un uomo pessimo che abbandonava nel momento del bisogno. 
«Chiaro.»  si limitò a rispondere lui e se ne avesse avuto la possibilità si sarebbe addirittura passato una mano fra i capelli per via del nervosismo. 
Il casco, certe volte, era una vera tortura. 
«Però—… sei anche il primo che fa una cosa del genere per me, quindi ti ringrazio per qualsiasi cosa fosse quella del bar— … è stato divertente e piacevole
Questa volta lei abbassò il tono della voce, sempre guardando altrove piuttosto che puntare le iridi verso di lui, e la cosa lasciò abbastanza perplesso Din. 
Ma la cosa che maggiormente gli tolse le parole fu quel semplice ringraziamento, mormorato a mezza voce e che sembrava essere così sincero da farle male, vista la sua espressione in quell’istante.
Che genere di vita doveva aver avuto Speed per non aver mai avuto qualcuno che andasse in suo soccorso nel momento del bisogno? 
Ecco che le domande che aveva su di lei iniziarono ad aumentare, non che prima ne avesse poche, però in questo caso quel che voleva sapere su di lei era più personale e non semplicemente legato al passato di lei. 
Era una curiosità pericolosa e lui se ne rendeva perfettamente conto, tanto da doverla sedare prima che il dubbio lo attanagliasse.
Non era saggio. 
Il Mandaloriano, dal canto suo, rimase in silenzio poiché Din non sapeva davvero cosa dire, anche in quel caso, ma alla fine gli uscì una semplice parola. 
«Figurati.»
Meglio di niente considerato che il più delle volte preferiva il silenzio a mille ed inutili discorsi. E poi, per lui, le parole erano davvero importanti, tanto che se doveva dire qualcosa era perché lo pensava veramente. 
Speed, che finalmente tornò a guardarlo in viso, seppur schermata dal proprio casco, ecco che si lasciò andare ad un sorriso, il secondo in quella conversazione e poi si diede una leggera spinta con la schiena in modo tale da allontanarsi dal muro del vicolo.
«Allora, adesso possiamo andare—… tu verso la tua nave ed io da Karga.» azzardò quasi nell’indecisione mentre sollevava improvvisamente una mano e gli da una leggera pacca, chiaramente amichevole, all’altezza della spalla in un gesto che non si sarebbe aspettato da lei e che, stranamente, lo fece sorridere divertito da sotto il proprio casco. 
Fortuna che le proprie espressioni erano celate. 
«Direi di sì a questo punto.» commentò lui con tono vago, come se attendesse qualcosa, perché Speed aveva chiaramente l’aria di chi voleva dire qualcosa ma si stava trattenendo dal farlo.
«Dunque—…» ed ovviamente la ragazza esitò per qualche attimo. «Fai buon viaggio Mando e ci vediamo al tuo ritorno.»
Ecco, gli aveva augurato buon viaggio, cosa mai successa fino ad allora e con quel sorrisetto mezzo accennato aveva agitato leggermente le dita prima di muoversi verso l’uscita del vicolo, lasciandolo li, come sempre da solo. 
E se già quella sera aveva perso una volta l’opportunità di parlarle e dirle qualcosa, ecco che questa volta, invece, riuscì a replicare. 
«Anche tu. Ci vediamo al ritorno.» 
Non seppe spiegarselo bene neanche una volta sulla propria nave perché le aveva effettivamente risposto in tale maniera, ma ecco, lo aveva fatto e non si era pentito neanche un po’, probabilmente perché avrebbe davvero voluto vederla una volta tornato. Sì, in fondo parlare con lei era il passatempo migliore che aveva trovato su Navarro negli ultimi mesi e lei. Non che avesse davvero intenzione di pensare ad altro, anche perché è sempre stato troppo complicato quando si parla di donne o di relazioni ipotetiche, specialmente per uno come Din disposto a seguire la via di Mandalor ad ogni costo.
Ma la promessa di rivedersi li su Navarro non fu poi così male e probabilmente, a questo punto, aveva anche un motivo in più per tornare vivo dalla missione che il cliente imperiale gli aveva affidato. 

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Capitolo 8
*** Deal with the devil ***


Capitolo 7. 
Deal with the Devil


Da quando aveva saputo che un Imperiale era giunto in città per affidare un incarico al Mandaloriano ecco che Speed era partita il prima possibile con il maggior numero di lavori che Karga avesse potuto affidarle in quel momento, due semplici evasori. Nulla di che, infatti la perdita di tempo fu così esigua che si ritrovò di nuovo su Navarro e questo voleva dire semplicemente una cosa: mantenere alta la guardia. Si era fatta dire da alcuni suoi compagni di Gilda dove fosse il covo dell’Imperiale, lo studiò attentamente, contando più di un paio di assaltatori dinnanzi l’ingresso, e sicuramente lui doveva starsene all' interno. Ma ciò che maggiormente premeva Eryn era sapere che cosa volessero e perché, fra tutti quanti, erano stati costretti a rivolgersi ad i cacciatori di taglie, in particolare modo al Mandaloriano. Chiunque stessero cercando, qualcuno che doveva avere più di cinquant’anni, era una preda importante.
Magari si trattava di qualche traditore più anziano oppure di qualcuno che possedeva troppe informazioni e che, prima o poi, sarebbe dovuto essere silenziato. Eppure, la più grande paura di Speed, era che si rivolgessero ad i cacciatori di taglie anche per lei, la cattura dell’ex sith mentalista, Eryn Laan, un’ipotesi neanche troppo improbabile visto e considerato il loro modo di agire. Ed allora non avrebbe avuto scampo se non andarsene nuovamente ed abbandonare quella vita, fuggire ad i confini della galassia e sperare di avere fortuna eliminando tutti coloro che sarebbero andati a catturarla. Ma se avessero assoldato il Mandaloriano? Ecco, allora sì che sarebbe stato un grosso problema visto che lui non falliva mai. E di Mandaloriani ve ne erano parecchi disposti a cacciare taglie ed Eryn, per quanto forte potesse essere, non sarebbe mai riuscita a sbarazzarsi di chiunque sulla propria strada, sapeva bene di avere dei limiti e che essi non erano poi tanto intangibili. Ma ciò che la rendeva nervosa, seppur per una frazione di secondo, fu l’idea che proprio Mando, l’unico di quella razza che conoscesse lei, le potesse dare la caccia. Ovviamente decise di allontanare l’idea nel momento stesso in cui le si palesò in mente, decisa a dissimulare qualsiasi cosa e soprattutto ad evitare che qualcosa di brutto accadesse durante la permanenza degli uomini imperiali li. 
Doveva semplicemente fare più attenzione, dare meno nell’occhio ed uscire di meno, anche perché purtroppo al momento i lavori scarseggiavano e sprecare i propri averi per una vacanza inutile su qualche pianeta deserto non ne valeva la pena, doveva soltanto mantenere un profilo basso ed attendere il suo prossimo lavoro. 
Sarebbe stato tutto davvero più facile se non si fosse immischiato Keigo, che ovviamente, dopo gli eventi di quella sera al bar, era stato eliminato dalla lista delle persone con cui Eryn aveva voglia di parlare od anche solo interagire. Aveva cercato di evitarlo da quando si era presentata con i propri prigionieri da consegnare a Greef, e da quel momento in avanti, nonostante i rifiuti di lei a parlare, ecco che si ritrovava fin troppo spesso a dovergli intimare di lasciarla stare. Era fastidioso ed un giorno ebbe addirittura l’istinto di usare il blaster per minacciarlo, solo che questo sarebbe andato contro le regole della Gilda e non voleva minimamente essere sbattuta fuori prima del previsto, sarebbe stata una cosa inutile, quindi ovviamente, cercò di evitarlo quanto più possibile passando per vicoli stretti e contorti fino a quando, un giorno di questi, nella speranza di non farsi trovare da Keigo, ecco che andò a sbattere contro un’armatura bianca che non aveva visto arrivare. 
Lo sguardo di Eryn ebbe un attimo di terrore, ma poi si riprese, assumendo immediatamente l’espressione seria. 
«Scusi—…» mormorò a bassa voce, per poi distogliere rapidamente le iridi, nella speranza che l’assaltatore non la guardasse in viso. Non si poteva di certo sapere, visto e considerato che le informazioni, in quelle cellule imperiali, potevano correre, ed in fondo nessuno la garantiva che una propria immagine non fosse stata mostrata, seppur rapidamente, ad i gradi più bassi. 
Ecco perché voleva mantenere un profilo discreto. 
«Che ci fai da queste parti? Non è un buon posto dove stare per una ragazza! Come ti chiami?»
Parlò con voce distorta dal proprio casco mentre teneva in mano il suo fucile al plasma e sicuramente la stava studiando. 
Ed analizzando, perché in fondo funziona sempre così quando conosci qualcuno di nuovo, solo che lei non voleva essere studiata, quindi, senza aggiungere altro, ecco che si limitò a sollevare una mano, muovendola rapidamente dinnanzi il casco dell’assaltatore. 
«Nulla d’importante ma tu mi scorterai fino all’inizio del vicolo e dopo di che ti dimenticherai che abbiamo parlato!»
No, non poteva rischiare che qualcuno sapesse di quell’interazione e metterlo fuori gioco sparandogli sarebbe stato troppo sospetto, quindi meglio usare la Forza per piegare la volontà più debole di lui, e la cosa parve funzionare perché l’uomo abbassò il proprio fucile e le fece cenno di andare verso la fine del vicolo. 

«Da questa parte, signorina. Queste strade non sono sicure, le auguro una buona permanenza su Navarro e non si preoccupi, noi due non abbiamo mai parlato.»
Ecco le parole che adorava sentirsi dire, tanto che un sorrisetto compiaciuto fece capolino, solo per qualche secondo, sulle morbide labbra di lei che aveva affrontato, con estrema saggezza e tranquillità l’assaltatore incontrato per sbaglio. 
Tutto per sfuggire a Keigo ed alle sue inutili scuse e giustificazioni del tipo “ero ubriaco!”, “non dicevo sul serio!”, “il Mandaloriano ha sicuramente esagerato…” e tante altre cose che lei non volle neanche ascoltare.
Aveva davvero immaginato di poterla baciare come se nulla fosse? La reputava tanto stupida da cedere per colpa di alcol? Era incredibile, forse per lui era l’ennesima scommessa riuscire a baciarla ma a Speed non importava e soprattutto non andava.
Perché era così difficile avere a che fare con le persone? Questo non le mancava da Korriban, in fondo se avesse indossato il proprio casco che le copriva interamente il viso nessuno avrebbe osato anche solo farle una simile offerta, purtroppo perdere quell’aura di terrore aveva i suoi svantaggi e questo era uno dei tanti. Anche perché, da quanto le era stato detto, Keigo, a discapito di ciò che le voleva fare credere, era un vero latin lover, disposto a tutto pur di conquistare una donna e sinceramente ad Eryn, nonostante la sua esperienza con il sesso opposto fosse abbastanza scarna, non le piacevano i tipi così. 
Quindi con lei Keigo aveva totalmente chiuso, per lo meno sul piano personale, poi sul piano lavorativo ci avrebbe ancora potuto lavorare ma chiaramente, a quel punto, avrebbe chiesto a Greef di farla lavorare da sola, cosa che sarebbe stata molto meglio per entrambi. 
Dopo aver salutato l’assaltatore, che tornò sui suoi passi in mezzo ad i vicoli di Navarro, ecco che finalmente si ritrovò ad imboccare la grande via centrale, dove, fra le altre cose, vi era anche la sede della gilda e parecchi mercanti che vendevano e scambiavano di tutto. Era stato li che si era fatta aiutare a trovare delle grate da installare nella propria nave, così da gettare dentro le proprie taglie dopo averle stordite ed ovviamente ammanettate ed era stato anche li che aveva comprato, da un mercante passeggero, un paio di manette che avevano addirittura la localizzazione. Se il soggetto usciva da un raggio di tre metri ecco che partiva una scarica elettrica potente tanto da metterlo al tappeto, ma questa era una cosa che aveva fatto installare Eryn, inizialmente si limitava a dare l’allarme. In questa maniera sarebbe stato più efficiente ed utile per lei. 
Su Navarro si poteva trovare di tutto, ovviamente, e questa era una cosa che adorava e che stava imparando a conoscere, ma in quell’istante, proprio mentre pensava di essere riuscita a giungere alla Gilda illesa, ecco che una mano andò ad afferrarla per un polso costringendola a voltarsi. In quella maniera ecco che Eryn si ritrovò faccia a faccia con un Keigo dall’aria decisamente disperata ed anche nervosa. 
«Ti prego, Speed devi ascoltarmi—…» la supplicò a bassa voce, tanto da sembrare finalmente serio. 
Lei, in tutta risposta, come prima cosa gli diede uno strattone per liberarsi e poi fece un passo indietro. 
«Senti, te l’ho già detto Keigo, parleremo solo se ci toccherà qualche incarico insieme, non ne voglio più discutere.» replicò lei piccata riprendendo la propria strada verso il bar della Gilda.
«Non mi hai neanche dato il tempo di spiegarmi! Non puoi mandare al diavolo questi mesi—… ero solamente un po’ ubriaco e—…» continuò lui mentre la inseguiva facendosi strada fra i mercanti ed i passanti. 
«Ti ho detto che non m’importa nulla, sono stanca e non voglio ascoltarti. Anzi, mi stai facendo perdere tempo.» 
Lo liquidò per l’ennesima volta prima di sentirsi costretta a fermarsi proprio dinnanzi l’entrata del bar per colpa delle parole che seguirono da parte del biondo. 
«Sei proprio una stronza, Speed. Non sei una principessa, mettitelo bene in testa. Sei solamente una fottuta cacciatrice di taglie, nulla di più. Non sei speciale come credi di essere. Io ci ho provato a chiederti scusa ma tu non sembri volerlo sentire quindi sai che cosa ti dico? D’accordo. Non parlarmi più, con me hai chiuso.»
Quelle parole dette in fretta e furia, che, ovviamente, gelarono Speed allo stesso tempo ebbero l’effetto desiderato, ovvero quello di essersi tolta dalle scatole Keigo, perdendo però una persona su cui avrebbe potuto contare. E tutto perché aveva fatto affermazioni stupide su di lei pensando di poter fare qualsiasi cosa. Non le dispiaceva neanche un po’ perdere uno come lui, anzi, si limitò a voltarsi lentamente nella sua direzione e, se avesse dovuto seguire l’istinto, ecco che il sith che era in lei sarebbe venuto fuori. Avrebbe tanto voluto usare la Forza per fargli male, oppure usare la propria spada laser, come le avevano insegnato, e fargli vedere che nessuno poteva parlarle in quel modo. 
Ma lei era Speed, la cacciatrice di taglie, non una Sith.
Non era più lei quella persona e se Eryn avesse reagito in quel modo, vendicandosi per ciò che le aveva appena detto, allora Speed non lo avrebbe fatto ed infatti le ci volle più forza di volontà del previsto per trarre un profondo sospiro e limitarsi ad una semplice scrollata di spalle liberatoria. 
«Perfetto!» concluse secca la biondina, neanche tanto certa di aver fatto bene perché, vista la terribile serietà usata dal ragazzo, probabilmente non era uno che lasciava perdere un torto e sicuramente quello che gli stava facendo Speed era anche abbastanza difficile da mandare giù. 
Non avendo mai avuto problemi con nessuno nella gilda, forse anche perché essendo una ragazza la lasciavano spesso in pace, si rese conto che avere un potenziale nemico li dentro non era per nulla buono, ma in fin dei conti non avrebbe potuto fare altro se non ignorarlo e lasciar perdere mettendo un punto a quella situazione, così da poter ripartire da capo. 
Adesso non solo era nervosa ma mai avrebbe potuto immaginare che le cose, da un momento all’altro, sarebbero precipitate irrimediabilmente perché nel momento esatto in cui si stava voltando per entrare nel bar, dopo aver liquidato Keigo con quella risposta secca e decisa, ecco che dinnanzi a lei si prospettò il peggio. Infatti, a pochi metri di distanza, verso l’ingresso della via principale, fece il suo ingresso il Mandaloriano, con l’armatura più distrutta del solito, segno che doveva aver portato a termine il suo incarico, perché a seguito di Mando vi era qualcosa.
Aveva parlato di qualcuno che dovesse avere cinquant’anni, od almeno così gli era stato detto dall’imperiale, solo che a camminare dietro di lui vi era una capsula che si muoveva fluttuando in aria. 
Ma non era una semplice capsula, quella sembrava essere una culla poiché dall’apertura principale ecco che si affacciava un piccolo esserino dalle ampie orecchie verdi e due grandi occhi scuri che scrutavano la città con ammirazione, probabilmente perché non ne aveva mai vista una.
Un bambino, ecco di che cosa si trattava quel lavoro.
L’impero aveva chiesto a Mando di recuperare un piccolo bambino di una razza a lei sconosciuta.  
Ed allora Eryn capì, o meglio, la sua mente ebbe quasi un lampo nel collegare il tutto e questo la pietrificò, letteralmente. Non riuscì a muovere un muscolo, forse neanche a respirare, perché in quell’istante il peggiore terrore si concretizzò nella sua mente: l’impero aveva richiesto un bambino e questo voleva dire che lo avrebbero sfruttato per i loro scopi, un po’ come avevano fatto con lei quando era ancora piccola. 
Li prendevano, li studiavano ed alla fine facevano di loro ciò che preferivano, istruendoli oppure piegandoli al proprio potere. 
Eryn ebbe paura, non tanto per sé, perché lei ormai era fuori da quel circolo infernale che era l’Impero, quanto per il piccolo che, senza neanche rendersene conto, stava per essere consegnato alle uniche persone con cui non avrebbe mai dovuto avere nulla a che fare. 
Ed il Mandaloriano era proprio l’artefice di quel terribile disastro che si stava consumando dinnanzi gli occhi di una inerme Speed che sembrava aver perso l’uso della parola ed anche qualsiasi abilità motoria. 
Sentì la gente intorno a sé mormorare, anche in diverse lingue, segno che anche loro si erano ritrovati leggermente confusi da tutto quello che avevano appena visto, segno che neanche per Navarro ed una gilda di cacciatori era normale portare un bambino come consegna di un lavoro, ma forse, la cosa che maggiormente la metteva a disagio e le provocava un inadeguato senso d’irrequietezza era il fatto che quel bambino stava per essere consegnato li dal Mandaloriano che, a modo suo, aveva sempre dimostrato di essere un uomo d’onore. 
Che non avesse altra scelta a questo punto? Ma andare da lui per fermarlo ed impedirgli di compiere la sua missione, portandola a termine, avrebbe destato troppi sospetti, facendo insospettire chiunque, perfino il suo acquirente imperiale e questa era l’ultima cosa che Speed desiderava. 
Ecco, ancor una volta l’Impero era tornato nella sua vita per crearle dei problemi di portata non indifferente. 
Se Eryn, l’ex Sith, sarebbe stata totalmente indifferente nei confronti di quel piccolo bambino che andava incontro a qualcosa di pericoloso, perché era così che le avevano insegnato ad essere, ecco che adesso Speed stava rischiando di non trattenersi dal nervosismo e dalla paura. 
In quei mesi era cambiata e se ne stava rendendo conto solamente adesso, messa dinnanzi la cruda realtà che avrebbe potuto far male, molto male, a qualcun altro. 
«Allora è davvero riuscito a portare a termine l’incarico. Incredibile.» 
La voce alle sue spalle era quella di Greef che si era affacciato per vedere, come il resto dei curiosi, ciò che stava avvenendo in quell’istante, in modo da ammirare la sfilata vittoriosa del grande cacciatore di taglie. 
«Avevi qualche dubbio?!» replicò Speed, sapendo di essere ascoltata, senza neanche guardare il proprio capo, che dal canto suo le aveva poggiato una mano sulla spalla con fare amichevole. 
«Forse, ma con Mando non si scherza e credo, a conti fatti, che sia appena diventato l’uomo più odiato di tutta la gilda.» 
Ovviamente, sorpresa da quell’ammissione, ecco che finalmente le brune iridi di Eryn si puntarono in direzione di Karga, curiosa per via di ciò che ha appena detto. 
«E perché mai?»
«Perché?» altrettanto scettico Karga la guardò e poi si colpì la fronte con il palmo della mano, quasi colto da un’illuminazione. «Giusto, tu non lo sai!» 
La cosa stava per diventare strana, molto probabilmente.
«Io non so cosa, Karga?
» sibilò la biondina pronta a cercare di capirci qualcosa da quella situazione. 
«Mando non era l’unico a cui ho dato quel localizzatore. Quasi tutta la Gilda ne aveva uno perché si trattava di una missione davvero importante e che ci avrebbe fatto fruttare parecchio. Però era, allo stesso tempo, una missione molto pericolosa. Già parecchi uomini avevano provato, fallendo miseramente.» 
Quindi tutti quanti avevano quel localizzatore? E perché lei era stata esclusa? Ma soprattutto come aveva osato mandarli in una missione così pericolosa? Insomma il mestiere di cacciatore di taglie era pericoloso, ovviamente, però non pensava che quell’uomo tanto avvenente e carismatico, quale era Greef Karga, avesse davvero la capacità di mandarli a morire tanto facilmente, senza neanche fiatare.
Ma non doveva stupirsi più di tanto, visto e considerato che anche lui era un mercenario. 
Schiuse le labbra per rimproverarlo, vista l’ammissione appena fatta, ma lui fu più veloce. 
«Lo so, a te non l’ho affidata perché sai—… sei pur sempre una ragazza ed io rispetto il gentil sesso, Speed. Dovresti ringraziarmi per non averti mandata a morire e non guardarmi così, credimi!» ed ovviamente alzò entrambe le mani quasi a volersi giustificare con molta classe per quella svista fatta di proposito, probabilmente per proteggerla. 
Non sapeva se essergli grata per averle evitato di doversi ritrovare faccia a faccia con qualche imperiale oppure se arrabbiarsi per via di tutta quella faccenda che l’aveva vista esclusa dalla corsa all’oro più grande di sempre. 
«Certo—…  immagino.
» 
«Speed, davvero stai dubitando della mia buona fede nel volerti al sicuro?» le chiese Karga con espressione accigliata. 
«Probabilmente dovrei farlo ma visto che hai deciso di tagliarmi fuori da questa missione dovrai farmi lavorare il doppio. Così, forse, potrei anche scusarti per questa tua dimenticanza. » rispose con scetticismo la biondina, che si ritrovò ad essere anche abbastanza infastidita. 
«Visto? E’ più che ovvio che ti farò lavorare il doppio, Speed. Per te ogni tua richiesta è un ordine. »
E stranamente quelle parole vennero pronunziate senza che Speed facesse uso della Forza. 
«Mhm bene.»
«Andiamo, mia cara, per te ho sempre parecchio riguardo, non prendertela per quel lavoro. Anzi, vieni dentro, devo mostrarti le nuove taglie, sono sicuro che alcune potranno interessarti.» 
Chiaramente, pur di non doverlo sentire parlare, almeno non ancora, ecco che Eryn si limitò ad annuire in maniera impercettibile, pronta a seguirlo dentro il quartier generale della Gilda, ma prima di andare insieme a Karga ecco che si guardò alle spalle, nella speranza di vedere il Mandaloriano fare marcia indietro e non consegnare quel bambino nelle mani di un qualche imperiale. 
Passarono tre secondi e non accadde nulla. 
Lui era andato a fare un patto con il diavolo e niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo, di questo ne era più che certa. 
Lo aveva detto che fare affari con l’Impero non avrebbe portato a nulla di buono e questo ne era la prova più concreta, soprattutto perché pur volendo Speed non riusciva a lasciar perdere. Non poteva semplicemente dimenticare tutto quanto semplicemente seguendo Karga all’interno. No, la situazione era molto più difficile. 

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Capitolo 9
*** The alliance ***


Capitolo 8. 
The alliance

Aveva studiato con estrema attenzione l’ingresso della tana dell’Imperiale nella speranza di poter scoprire qualcosa sul bambino, la loro preda, ma purtroppo il posto era blindato e lei, dall’esterno, non aveva come studiare o vedere quello stava accadendo all’interno e questo la preoccupava parecchio.
Ancora non erano andati via, quindi, qualsiasi cosa stessero facendo, si stava svolgendo proprio in quella struttura ed a conti fatti non aveva tantissimo tempo per cercare di scoprire qualcosa in più. 
Le tenebre erano calate già da un po’, dandole la possibilità di nascondersi in mezzo ad i vicoli ed evitare di essere visti, infatti al momento la segretezza era fondamentale per Eryn.
Non sapeva bene cosa fare e come agire, Speed stava semplicemente studiando la struttura mentre fin troppe idee iniziavano a farsi strada nella propria mente. Avrebbe potuto fare irruzione da sola, senza neanche aver contato gli assaltatori, e poi avrebbe ucciso l’imperiale e portato via il bambino, nel migliore dei casi, oppure sarebbe stata sopraffatta. Avrebbe potuto utilizzare la propria spada laser, certa che avrebbe avuto il suo effetto, facendosi smascherare immediatamente, oppure avrebbe potuto usare solamente il blaster.
C'erano tante opzioni che la tentavano e che allo stesso tempo mettevano a repentaglio tutto, ed alla fine avrebbe dovuto prendere una decisione. 
Insomma, riuscire in quell’impresa non era per nulla semplice e non era neanche certa che da sola ci sarebbe riuscita perché, se nel peggiore dei casi l’Imperiale si fosse dimostrato uno sensibile alla forza, allora la questione cambiava e l’asticella del pericolo aumentava notevolmente.
C’erano troppe variabili e lei, in quel momento, si sentiva fin troppo confusa, anche perché sapeva fin troppo bene che accettare di provare ad aiutare quel bambino avrebbe avuto una sola ripercussione su di sé, nell’ipotetico caso in cui fosse rimasta viva: l’avrebbero cacciata dalla Gilda. Neanche Greef Karga avrebbe potuto accettare quella sorta di sfregio fatto al proprio lavoro, anzi, sarebbe stato il primo a spararle e poi, probabilmente, si sarebbe aggiunto anche il Mandaloriano che aveva abbandonato il bambino senza porsi alcun problema. Lo aveva visto di sfuggita al bar, ed al suo trionfale rientro ecco che Mando aveva un’intera armatura nuova in lucente beskar, segno che sicuramente quella doveva essere stata la ricompensa perfetta per un lavoro tanto difficile ed importante. Lei, dal canto suo, lo aveva guardato per un paio di secondi, certa che anche lui avesse ricambiato lo sguardo nonostante l’elmo, e poi s’allontanò perché non poteva credere che quell’uomo d’onore che, prima ancora di conoscerla, le aveva offerto il suo prigioniero solo per semplificarle il lavoro, adesso aveva appena consegnato un bambino nelle mani di persone tanto terribili. Parlando con il Mandaloriano non le era sembrato quel genere di persona, seppur fosse tanto temuto da tutti e non fosse poi così loquace, alla fine le dava corda, le parlava ed aveva anche provato a difendere il suo onore, quindi, probabilmente, ciò che aveva davvero scioccato Eryn era la totale indifferenza da parte dell’uomo. Lo aveva ignorato per tutto il tempo e poi era andata via, senza dirgli una parola perché, in fondo, non sapeva neanche lei che cosa potergli dire visto ciò che aveva fatto.
Era una situazione assurda in cui adesso, lei, non sapeva che cosa fare e se esporsi o meno. Magari quel bambino non era in pericolo e lei, che viveva nella paranoia, stava iniziando a vedere mostri laddove non ve ne erano ma se l’impero era disposto a pagare tutto quel beskar per una taglia allora questo voleva dire che il bambino, per loro, era importante, probabilmente troppo importante. 
Lanciò uno sguardo sulla capsula, quella in cui era stato trasportato il piccolo ricercato, adesso buttata in mezzo a dei resti in uno di quei vicoli in cui Speed si era nascosta per osservare meglio il posto, ed allora, dinnanzi a quella visione, le fu abbastanza chiaro che non sarebbe successo nulla di buono a quel piccolo e che lei, se proprio doveva dimostrare di essere cambiata, avrebbe dovuto almeno provare a fa qualcosa, mettendo la vita degli altri dinnanzi la propria personale sicurezza.
Indietreggiò lentamente, decisa a tornare verso la propria nave per prendere qualche altra arma, in modo tale da non essere totalmente sprovvista di nulla oltre ad un blaster, le manette e la spada laser, ma improvvisamente, nel vicolo buio, ecco che due mani l’afferrarono per le braccia trascinandola tempestivamente indietro. La propria schiena urtò contro quel qualcuno che l’aveva appena afferrata, mentre una mano, coperta da un guanto, andò immediatamente a tapparle la bocca per impedirle di urlare o di dire qualsiasi cosa. Mossa parecchio coraggiosa, anche perché, in quanto a forza fisica, Speed non era di certo il massimo, quindi fu letteralmente sopraffatta dal proprio rapitore che la trascinò indietro. 
Possibile che un assaltatore l’avesse vista mentre cercava di studiare la situazione? 
E dire che era stata attenta e discreta nel non farsi vedere. 
«Shhh! Speed non urlare o ci scopriranno!»
Ma la voce conosciuta e distorta da quel maledetto elmo di beskar giunse in un sussurro al proprio orecchio, facendola immobilizzare immediatamente. 
Se fino ad un attimo prima aveva cercato d divincolarsi dal proprio assalitore ecco che in quel momento si lasciò portare via, forse per qualche metro, in modo tale da ritornare nella penombra dei vicoli di Navarro, sorpresa come non mai di ritrovare proprio lui da quelle parti. 
Il Mandaloriano la stringeva fra le proprie braccia facendo aderire totalmente la schiena di lei contro il suo corpo, coperto dall’armatura, e quando finalmente furono lontani da occhi indiscreti abbassò di poco la mano che fino ad un attimo prima le stava coprendo le labbra impedendole di parlare. 
«Che stai facendo qui, Mando?!» sibilò Speed, sempre più confusa, ma decisa a liberarsi dalla sua presa ferrea perché, in fondo, non era più poi tanto certa di volergli parlare o di potersi fidare. 
«Dovrei farti la stessa domanda—… che ci fai qui, Speed?» le sussurrò all’orecchio lui senza lasciare andare la presa, cosa che ovviamente fece innervosire la ragazza. 
«Sei intelligente, lo sai benissimo che cosa sto facendo.» rispose lei prima di inspirare profondamente.
«Non dovresti stare da queste parti.»
«Mando! Che cosa hai fatto? Perché gli hai consegnato un bambino? Si tratta di imperiali!»
Ecco, non erano passati neanche dieci secondi e la strategia dell’ignorarlo, quella che aveva attuato al bar, era appena andata a farsi benedire perché lei. 
«Lo so—…» rispose lui allentando di poco la presa sulle proprie braccia mentre il tono di voce venne interrotto da un sospiro. «Potrei aver commesso un errore.»
Quell’ammissione, tanto inaspettata quanto gradita da Eryn, la fece ricredere, ancora una volta, su tutto ciò che aveva anche solo teorizzato in quel momento. Non era una persona cattiva, alla fine aveva davvero un cuore ed un codice d’onore che non poteva tradire per una ricompensa e quelle parole, così forzate ma colme di verità, ne erano la pura dimostrazione. 
Probabilmente Speed rimase così a bocca aperta che fu un vero miracolo il fatto che lui non potesse vederla in faccia, essendo lei di spalle. 
«Intendi per—…» provò ad accennare la biondina. 
«Per il bambino. Non avrei dovuto consegnarglielo.» 
E stranamente si sentì meglio quando quelle parole giunsero al proprio orecchio, perché a quanto pareva non era davvero così pessimo come, fino a poco prima, aveva pensato. Alla fine anche lui aveva una coscienza e si era ricreduto, non poteva rimanere insensibile dinnanzi ad un bambino consegnato nelle mani sbagliate, ovviamente, e per questo motivo Speed smise di opporre resistenza e socchiuse leggermente gli occhi, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo. 
Lui era un cacciatore di taglie non un uomo cattivo e senza scrupoli, anche se magari con le taglie non era così, ma in quel caso non era stato giusto ed aveva capito di aver commesso un grave errore e questo la fece sentire decisamente meglio. 
«Hai visto? Il mio intuito femminile aveva ragione: fare affari con l’impero non porta a niente di buono anche se ti riempiono di beskar.» rispose a sua volta in un sussurro mentre la presa sulle proprie braccia si fece più lenta fino a lasciarla andare, così che Speed potesse finalmente liberarsi da lui. 
«Devi per forza sottolinearlo?» le domandò, allora, il Mandaloriano decisamente poco propenso agli scherzi in quel momento. 
Lentamente, seppur nell’ombra, ecco che Eryn si voltò ritrovandosi a fronteggiare la figura di Mando. Si toglievano parecchi centimetri di differenza, ma in quel caso, erano più vicini di quanto non fossero mai stati. Seppur al buio poté notare il beskar della nuova armatura brillare, ma la propria attenzione venne dirottata in direzione del suo casco, sperando, quasi inconsciamente, di poter vedere attraverso quel vetro che lo proteggeva da chissà quanti anni.
«Sì, perché tu sei testardo e non mi vuoi stare a sentire—… però adesso sei qui. Hai cambiato idea e l’importante è questo.» 
«Già—…» mormorò a bassa voce lui prima di lasciarsi andare ad una breve ma intensa pausa. «Che cosa ti ha fatto l’Impero, Speed?» 
Quella domanda, decisamente inaspettata, la lasciò senza parole al punto che sbattè più volte le ciglia prima di riuscire a riprendersi. Era davvero così evidente che l’impero le avesse fatto qualcosa? Forse sì, probabilmente perché si era lasciata sfuggire quella sorta di apprensione prima della partenza, ed allora ecco che la ragazza indietreggiò, quasi a voler mettere una certa distanza fra di loro, per via del nervosismo. 
«L’Impero non fa mai nulla di buono—…» mormorò lei anche se, in quel caso, era rimasta sul vago per non destare sospetti.
L’Impero l’aveva cresciuta, l’aveva spinta verso il lato oscuro, l’aveva abbandonata a Korriban e l’aveva costretta a diventare qualcosa che Eryn non sarebbe mai voluta essere. La sua era stata sopravvivenza ed il male che aveva fatto, quando era stata una Sith, non sarebbe mai potuto essere cancellato, però, a conti fatti, nessuno avrebbe mai potuto comprenderla. Neanche uno come lui, anzi, se ricordava bene la storia dei Mandaloriani erano stati in guerra con l’Impero per tanto tempo. 
No, Mando non l’avrebbe di certo compresa, quindi era meglio non dire nulla e rimanere nell’anonimato. 
«Sì lo so, ma cosa hanno fatto a te?»
«Chi lo sa, forse non mi ha fatto nulla—…ma non importa, adesso dobbiamo solamente cercare di capire come tirare fuori il bambino.»
Lui esitò, come del resto faceva sempre quando qualcosa non gli andava bene, questo lo aveva iniziato a capire anche lei, ed alla fine annuì impercettibilmente. 
«Il tuo è lo sguardo di chi ha visto qualcosa di brutto, però hai ragione dobbiamo pensare al bambino.»
Speed ebbe qualche secondo di esitazione per via delle parole del Mandaloriano, tremendamente veritiere, ma alla fine trovò la forza per annuire di nuovo.
«Già. Allora ho contato più guardie di quelle che ci sono normalmente, sicuramente perché devono tutelarsi, quindi potremmo entrare da—…»
«Potremmo entrare? Noi?»
Questa volta fu il turno di Speed nell’esitare, inarcando un sopracciglio nell’espressione più scettica di sempre. 
Pensava davvero di lasciarla indietro giunti a questo punto? Allora non aveva capito nulla. 
«Ovvio, noi!»
«E’ troppo pericoloso, lo sai.» replicò secco il Mandaloriano che non sembrava voler ammettere repliche. Ma in quel caso ci sarebbero state. 
Eccome. 
«Mando—… smettila. Come se queste irruzioni in ambiente nemico mi spaventassero. Ero apposta qui prima ancora che arrivassi tu.»
«Se lo farai anche tu sarai fuori dalla Gilda, Speed, rifletti. E’ davvero questo quello che vuoi?» 
Se voleva sorprenderla con poche e semplici domande ecco che Mando ce la stava mettendo tutta perché, per l’ennesima volta, quella domanda che la spiazzò completamente la colpì in pieno petto costringendola a rimanere in silenzio per qualche istante di troppo. Allora la stava a sentire ogni qual volta parlava, le prestava attenzione ed a modo suo si stava preoccupando per il futuro di lei e quello lo aveva reso, ancora una volta, ben più interessante di chiunque avesse incontrato fino a quel momento. 
«Esisteranno altre gilde di cacciatori di taglie, giusto? Oppure potrei mettermi in solitaria e—… e trovare altro da fare. Ci avevo già riflettuto mentre venivo qui e sinceramente non fa nulla, questo è più importante.»
Sussurrò quell’ultima parola anche perché, stranamente, sentì un colpo al cuore, perché se al posto di quel bambino ci fosse stata lei, come era accaduto anni addietro, avrebbe davvero voluto essere salvata. Ed aiutare quel piccolo equivaleva a dire togliere un possibile strumento all’Impero, anche se non sapeva che cosa gli avrebbero potuto fare. 
E poi, anche quello, probabilmente, faceva parte del suo percorso per redimersi, seppur non volesse ammetterlo apertamente. 
«D’accordo, intanto pensiamo ad entrare nella struttura imperiale, il resto lo vediamo successivamente.» commentò il Mandaloriano annuendo a sua volta in direzione della ragazza e seppur la luce fosse esigua Speed riuscì ad intravedere il lucente beskar compiere quel movimento.
«Spero solo che tu non voglia improvvisare perché di solito quando si improvvisa va tutto male.» lo rimbeccò la ragazza a bassa voce lasciandosi sfuggire l’ombra di un sorrisetto.
Così, senza aggiungere altro, quasi in maniera automatica, entrambi si misero in marcia per organizzare quella che sarebbe stata l’irruzione più problematica di sempre, nella speranza di poter salvare in tempo il bambino. In questo frangente di eventi il tempo era fondamentale e non potevano rischiare di farselo portare via, anche perché non sapevano per quanto l’avrebbero tenuto li. 
Dovevano agire ed anche in fretta. 

All'interno della base Imperiale

Din si sentiva stordito da tutto quello che aveva fatto e che stava sentendo dentro di sé. Si era sempre ripromesso di non essere sentimentale e che, una volta indossato la maschera di Mandalor non avrebbe più dovuto mostrare quel che sentiva, ma l’ansia, in quegli attimi, era decisamente troppa. 
Aveva fatto un errore, probabilmente il più grande della sua vita, ed adesso ne stava pagando le conseguenze, o meglio, stava cercando di risolvere in qualche maniera quella situazione che di per sé sembrava catastrofica. Lui era il migliore cacciatore di taglie perché portava i prigionieri, li trovava sempre ed alla fine li prendeva vivi oppure sotto al freddo. Non si faceva mai scrupoli quando si trattava di un ricercato, di un evaso, o di qualsiasi altra persona la cui fedina penale non era esattamente la migliore di sempre. Ma in quel caso era stato tutto diverso: aveva ottenuto il beskar, una nuova migliore armatura e l’armatrice gli avrebbe addirittura voluto dare un proprio sigillo, ma Din Djarin non meritava nulla di tutto ciò. Non meritava le occhiate invidiose della gente mentre camminava con la sua nuova scintillante armatura, non meritava la gratitudine di Karga, non meritava neanche la riconoscenza del Cliente, e soprattutto non sentiva di meritare l’aiuto che in quel momento Speed gli stava donando. Avrebbe portato in salvo il bambino a qualsiasi costo e si era preparato a farlo da solo, deciso ad infiltrarsi nella base, sparare a chiunque ostacolasse il proprio cammino, e poi uscire alla meno peggio, correndo verso la propria nave. Ma poi, in quel vicolo, non troppo lontano dove era stata abbandonata la capsula in cui lo aveva trasportato fino ad allora, ecco che aveva visto lei, pronta sicuramente a biasimarlo per ciò che aveva fatto, ma nulla di tutto ciò era uscito dalle labbra di Speed, che anzi, si dimostrò pronta a donargli il suo aiuto, anche se questo voleva dire una sola cosa: guai con la Gilda ed ovviamente anche con l’Impero. Da li gli era sorto il dubbio più grande: che cosa le era successo? Che cosa doveva averle fatto l’Impero viste le sue parole e quello che lei chiamava “intuito femminile”? 
Din non era esattamente capace di capire le donne, ma sapeva riconoscere quando qualcuno doveva avere affari in sospeso con qualche altro, e quello era ciò che Speed sembrava trasmettergli in quell’istante. Qualsiasi cosa fosse, però, sembrava ben disposta a fargliela pagare o per lo meno ad ostacolare i loro piani e questo andava più che bene e poi la biondina aveva detto che prima o poi gliene avrebbe parlato. 
Così avevano fatto un accordo prima di fare irruzione nella struttura degli Imperiali. 

«Collaboriamo fin quando il bambino non sarà al sicuro, va bene?»
«Ci sto.» 
«Perfetto, pensavo sarebbe stato più difficile convincerti, Mando.»
«Non sono in vena di patteggiamenti complicati, Speed.»
«Quindi sei davvero preoccupato per quel bambino.» 
«Non esageriamo. Non—… voglio che gli succeda qualcosa di brutto.»
«Per questo è necessario sbrigarci. Quindi che si dia inizio alla collaborazione.» 


Non aveva esitato neanche per un istante nell’accettare la collaborazione, anzi, stranamente si era ritrovato ad accettarla anche con troppa facilità, di solito lui rifletteva e lo faceva anche con attenzione, ma quella volta era stato avventato e non si pentiva, forse perché sentiva che di lei, in fondo, poteva fidarsi e che il suo voler portare in salvo il bambino non nascondeva nessun doppio fine.
Lui si stava mettendo in gioco perché quello era un proprio errore e sapeva fin tropo bene che venir meno ad un accordo con un qualche cliente voleva dire mettersi nei guai con la gilda e questo destino attendeva anche la ragazza, ed un po’ gli dispiaceva. Magari, se solo fosse stato possibile, in qualche modo si sarebbe preso tutta la responsabilità così da evitarle problemi. 
Maledizione, da quando iniziava a preoccuparsi degli altri al di fuori di sé stesso? Era una cosa stupida e che lo riempiva d’ansia, oltre che costringerlo a rimuginare, fin troppo, su tutta quella situazione.
E poi, dopo essersi accordati, ecco che fecero irruzione nella piccola sede dell’imperiale circondata da assaltatori. Fu meno complicato del previsto, anche perché due pistole blaster erano ben meglio di una, e finalmente, durante quegli scontri a fuoco, poté constatare che effettivamente la mira di Speed era parecchio buona e che, nonostante agisse un po’ troppo d’impulso, ci sapeva fare nello stendere i nemici, anzi, gli aveva addirittura coperto le spalle evitando il colpo di un assaltatore non del tutto steso, freddandolo prima che lui potesse attaccarli di nascosto. 
Nessuno di loro due sapeva come muoversi ed i loro scambi di parole si limitarono a cose del tipo “da questa parte” oppure “di la”. Solo una volta le disse, seppur sussurrato, “fai attenzione”, ma a quanto pareva anche lei sapeva ciò che faceva quindi era chiaro che facesse attenzione anche nel muoversi in mezzo a quei corridoi sconosciuti. 
Alla fine trovarono il laboratorio, od almeno, questo fu ciò che si presentò dinnanzi ad i loro occhi dietro quella porta che aveva nascosto il piccolo per troppo tempo. Mando lo vide rinchiuso in una sorta di macchina che lo stava analizzando, anche se dalla sua espressione forse gli provocava addirittura dolore, ed il medico, quello che lo aveva studiato fin dal primo momento in cui era giunto fin li, spaventato sollevò un tablet per difendersi, come se quello fosse possibile. 
«Che cosa gli stavate facendo?!» fu tutto ciò che riuscì a dire in preda alla rabbia, pentendosi sempre di più di aver abbandonato quel bambino nelle mani tanto sbagliate quali quelle dell’Impero. 
Lo spinse via, così da allontanare chiunque osasse toccarlo per fargli del male, e mentre armeggiava con la macchina ecco che vide Speed guardarsi intorno alquanto preoccupata. 
Sì, ormai sapeva riconoscere gli sguardi della paura o della preoccupazione  e lei sembrava avere proprio quegli occhi, così fu costretto a riportarla alla realtà in modo tale che non abbassasse la guardia, qualsiasi cosa le fosse successo. 
«Speed, tutto bene?
» le domandò conscio che non gli avrebbe di certo risposto con la verità.
Ed infatti gli occhi scuri di lei, mentre vagavano sulla grande sala del laboratorio, ecco che alla fine si poggiarono dapprima sul bambino ed alla fine su Din, intento a liberarlo.
«Sì, ci sono.
» mormorò lei in risposta, andando addirittura ad annuire per sottolineare il concetto. 
«Prendilo tu, d’accordo? 
»
Gli sembrò la cosa giusta da fare, lasciare che fosse lei a portarlo ed a prendersi cura del piccolo mentre lui si limitava ad aprire la strada, pronto per tornare indietro verso la sua stessa nave. E così, dopo aver sganciato finalmente il piccolo, Din lo passò a Speed che lo prese fra le braccia e la sua espressione passò dall’essere terribilmente preoccupata a quella serena di chi aveva appena incontrato qualcosa di estremamente bello e piacevole. Lui, da dietro il suo casco, li guardò qualche secondo di troppo, quasi assorto da tutta quella tranquillità, ma alla fine si destò ancor una volta, conscio che il loro lavoro, li dentro, era appena iniziato. 
Intanto avevano salvato il bambino, il resto era tutto da vedere.

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Capitolo 10
*** Fight ***


Capitolo 9. 
Fight

Vedere quel posto, la base imperiale, era stato quasi un tuffo nel passato e questo aveva  quasi spaventato Eryn. 
Aveva perso fin troppo tempo a studiare quei monitor nella speranza di capire qualcosa di tutti quegli esami che stavano facendo al piccolo, un po’ come avevano fatto con lei prima ancora di lasciarla su Korriban. Erano regolari gli intervalli di tempo durante i quali veniva studiata e controllata sia fisicamente che psicologicamente dalle più alte sfere dell’Impero e questo la preoccupava, e non poco. Che avessero in serbo per lui un destino simile al proprio?
Questo non poteva dirlo con certezza, anche perché il piccolo, pur avendo cinquant’anni, da quel che le aveva confidato Mando, in realtà non sembrava neanche pronto per parlare. Forse volevano forgiarlo fin dalla nascita e questo non era da escludere, oltre che tremendamente spaventoso. Il posto non era come le sale con le pareti bianche che ricordava Eryn, era parecchio diverso, ma l’ambiente metteva ugualmente ansia e questo non andava per nulla bene. Lei doveva rimanere concentrata, non lasciarsi distrarre, altrimenti sarebbe divenuta vittima delle proprie stesse emozioni e non era ciò che aveva imparato durante il suo addestramento come Sith. Era lei a dover avere il pieno controllo su di loro così da poterne trarre potere per essere libera, ma al momento le stava venendo tutto così difficile. 
Aveva affrontato mezza galassia solo per scappare da coloro che l’avevano cresciuta ed adesso, invece, si ritrovava di nuovo ad affrontarli. 
L’unica fortuna era stata che, l’imperiale a capo della spedizione su Navarro, non fosse presente e che quindi si era ritrovata faccia a faccia con lo scienziato e con alcuni assaltatori. Forse erano più di alcuni considerato che con Mando si erano dovuti far strada sparando un po’ ovunque. Si erano guardati le spalle a vicenda in maniera quasi del tutto automatica, segno che la collaborazione, fra loro due, stava funzionando anche abbastanza bene. Se lei guardava a destra Mando copriva il fianco sinistro, e se uno dei due rimaneva indietro nessuno veniva abbandonato. 
Non aveva mai collaborato, da quel punto di vista, con il Mandaloriano, poiché si sono sempre ritrovati ad avere incarichi differenti e missioni diverse, ma questa volta il loro unico scopo era quello di portare fuori incolume quel bambino. 
Ed erano riusciti nella prima parte del piano, ovvero quella di tirarlo fuori da li, il resto doveva essere facile, od almeno questo era ciò che aveva pensato Speed mentre avanzava nelle ombre stringendo il bambino con un braccio mentre con la mano libera teneva il proprio blaster. C’era stato un momento, quando si erano quasi ritrovati senza alcuna via d’uscita, in cui aveva avvicinato la mano alla propria cintura ed aveva stretto l’elsa della spada, in quella maniera si sarebbero davvero riusciti ad aprire un varco, ma poi Mando aveva mostrato una delle sue impressionanti armi, dei sibilianti e per fortuna la sua vecchia natura non era stata rivelata. 
Aveva promesso di usare la spada solo se strettamente necessario e soprattutto per finire qualcuno, non di certo per lasciarlo vivo e con la mente piena di domande, ma in quel caso era disposta ad arrivare a tanto. Avrebbe fatto di tutto pur di non cadere nelle mani dell’impero, ma l’alleanza più inaspettata di sempre, a quel punto, era stata la sua salvezza. 
Il Mandaloriano camminava a passo svelto e Speed, dal canto suo, lo seguiva senza fiatare nonostante il fiato corto dovuto agli scontri precedenti. Le iridi nocciola osservavano con estrema attenzione la strada intorno a sé ed a quell’ora, ovviamente, c’era meno gente del previsto ma questo non voleva dire niente. 
Accelerò il passo, così da raggiungere Mando e camminare al suo fianco, anche perché tutta quella calma, dopo il casino che avevano fatto in quella base imperiale, era quasi innaturale e non sembrava premettere nulla di buono. 
«Mando—…» mormorò la giovane ragazza così da catturare la sua attenzione, cosa che ottenne facilmente perché lui si voltò verso di lei. «Non ho una buona sensazione.» 
«Intuito femminile?» le domandò a bruciapelo, forse per farla tranquillizzare visto e considerato che quella era la battuta di Speed. 
«Già—…»
Ed ella annuì in risposta alla sua domanda, anche perché era certa che anche lui fosse sulla propria stessa lunghezza d’onda e che nessuno dei due era pronto ad abbassare la guardia anche se gli scontri vi erano appena stati. 
Ed infatti il loro rimanere in guardia era anche dovuto al fatto che man mano avanzassero lungo la via principale, così da uscire da Navarro ed andare verso le proprie navi, dall’ombra visi più o meno conosciuti iniziavano a venir fuori stringendo fra le mani quelli che sembravano essere dei localizzatori. Era vero, Karga aveva affidato quel compito a quasi tutta la gilda e se il bambino era stato portato via dal cliente, allontanandosi, questo voleva dire solamente una cosa: il localizzatore era sicuramente tornato in azione il che li rendeva delle facili prede individuabili. 
Quasi istintivamente Speed strinse il piccolo ed anche il proprio blaster, pronta a sollevarlo se solo ve ne fosse stato bisogno, cosa neanche troppo poco improbabile e questo non faceva promettere nulla di buono. Più andavano avanti più la gente iniziava a radunarsi ed alcuni avevano giù tirato fuori le pistole, altri stavano semplicemente osservando con attenzione. Mando procedeva spedito, mentre Eryn, dal canto suo, rimase qualche passo indietro pensando a come poter proteggere e nascondere il piccolo che stringeva fra le braccia.
E poi, poco prima di giungere all’uscita, ecco che si ritrovarono letteralmente circondati senza neanche avere il tempo di aggiungere qualcosa, segno che i loro presentimenti peggiori si erano appena concretizzati e questo non prometteva nulla di buono. 
A chiudere il cerchio, fra tutti quanti, ecco che spuntò Karga nei suoi eleganti abiti con tanto di mantello e lo sguardo indispettito, poiché quella fuga per lui equivaleva a perdita di credibilità ed anche perdita di denaro, visto che alla fine l’incarico non era stato portato a termine nel migliore dei modi. Era come se Mando e Speed stessero mettendo i bastoni fra le ruote a Greef Karga e questo aveva delle conseguenze, tanto che tutti gli uomini della gilda adesso li stavano circondando puntando contro le armi. 
Speed si guardò rapidamente intorno, sperando di vedere qualcuno di loro vacillare, e fra quelle facce, conosciute e non, riconobbe anche Keigo, adesso serio più che mai, con il blaster puntato esattamente verso di lei. Voleva vendicarsi? Possibile e lei non poteva neanche dargli torto, visto come si erano lasciati durante l’ultima discussione. 
«Ragazzi, qui abbiamo un problema! Che cosa pensate di fare voi due?»
Il silenzio regnava sovrano in quegli attimi di pura tensione ma a distruggerlo fu proprio Karga era l’unico ad avere diritto di parola essendo il capo dell’intera gilda e quindi chiunque lo avrebbe ascoltato. 
«Dobbiamo andare alle navi.» tagliò corto Mando, con la sua solita schiettezza senza neanche provare a nascondere ciò che avevano fatto. 
Speed, dal canto suo, rimase impassibile e con i muscoli in tensione, abbassò per un istante lo sguardo in direzione del piccolo e poi tornò a fissare Karga, che sembrava quasi divertito dalla risposta di Mando. 
«Speed, andiamo. Posa quel bambino e lascia stare—… farò finta che non sia successo niente e che questa sia stata solo una svista passeggera!» 
La ragazza, interpellata dal capo della gilda, si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, confusa più che mai ed ecco che puntò la propria attenzione in direzione del Mandaloriano, quasi a voler cercare una sicurezza in più per la propria risposta da dare a Karga. 
Non ebbe neanche bisogno di poterlo vedere oltre il casco per essere certa che nessuno di loro due, a quel punto, si sarebbe tirato indietro da uno scontro, senza contare che, non avrebbero permesso a quel bambino di finire ancora una volta nelle mani sbagliate. Era totalmente fuori discussione e questo Speed e Mando riuscirono a dirselo anche senza bisogno di parlare o di guardarsi direttamente negli occhi, ma fu cose se lo avessero fatto. 
Lei, in maniera molto riluttante si avvicinò leggermente a quella sorta di trasporto merci, trainata dal droide e lasciò che fosse il Mandaloriano a parlare. 
«E chi ci dice che manterrai la parola data?» 
Bella domanda, anche perché a conti fatti lei e Mando non avevano alcuna sicurezza che dopo Karga avrebbe cercato di ucciderli. 
«Al momento, Mando, sono la vostra unica salvezza, quindi fate come vi dico e ne usciremo entrambi bene.»
No, Speed non credeva neanche un po’ alle parole pronunciate da Karga, ma doveva stare al gioco, almeno fino a quando non fosse successo qualcosa per provare a scappare. 
Sì, secondo quello sguardo che si era scambiata con il Mandaloriano, serviva un diversivo per provare una fuga verso le navi, solamente allora sarebbero stati liberi di proseguire e di scappare  portandosi con sé il bambino. Ne andava del suo destino, ed ovviamente anche del proprio, e poi, in caso di bisogno, a quel punto avrebbe benissimo potuto mostrare quel che sapeva davvero fare, ormai si era arresa all’idea che, in  un modo o nell’altro, avrebbe mostrato al mondo chi era realmente Speed. 
Ma mentre si ritrovava immersa in quei pensieri che toccavano troppi punti, ecco che un colpo di blaster partì alle proprie spalle e da quel momento in poi si scatenò letteralmente l’inferno.
I colpi arrivavano da qualsiasi parte e lei, intenta a proteggere il bambino ed allo stesso tempo a sparare, si ritrovò trascinata via dal centro della mischia in direzione della merce ammassata vicino a quel carretto trainato dal droide. Riuscì, seppur con qualche difficoltà, a colpire qualcuno, anche perché non era riuscita ad avere la visuale migliore di sempre e Mando, accanto a lei, stava aiutando sparando con ben più precisione di quanta Speed non ne avesse. Era allucinante, quel diversivo, che era stato creato dal proprio compagno di sventure, non stava portando a nulla di buono perché adesso entrambi si ritrovavano nascosti dietro quei barili mentre i colpi di blaster arrivavano un po’ ovunque. 
«Non di certo un'idea brillante, Mando.» lo apostrofò prima di sollevarsi oltre una delle scatole e colpire esattamente in pieno petto, il tipo accanto a Keigo, per poi rimettersi a sedere assicurandosi che il bambino stesse bene. 
Lui sembrava dormire nella pace dei sensi, invidiabile, vista la situazione in cui si trovavano al momento. 
«Tu ne avevi di migliori, Speed?» le rispose il Mandaloriano colpendo un paio di uomini a destra ed a sinistra, mentre evitava i colpi altrui con assoluta maestria prima di rispondere al fuoco. 
Bella domanda, lei aveva un’idea migliore? Sinceramente sì, provare ad usare la Forza per convincere Karga a lasciarli passare, ma non c’era stato tempo e poi Greef Karga non aveva una personalità facilmente manipolabile, di questo ne era certa. 
«D’accordo, quindi adesso ci facciamo strada verso le navi sparan—…» ma le parole di Speed si bloccarono nel momento in cui, esattamente sopra di loro, ecco che vide passare quello che sembrava un vero e proprio missile o forse era un laser di dimensioni pazzesche, che sorvolò i tetti e davanti lo sguardo impietrito della ragazza andò a schiantarsi contro la sua nave, a poca distanza dall’ingresso della città. 
Il colpo danneggiò tutta la fiancata della nave ed ovviamente anche un’ala, adesso penzolante ed i fiamme, mentre i resti iniziavano a crollare. E poi, ovviamente, come se non abstasse, visto che la sua nave era parecchio vecchia e con pezzi rimontati, iniziò a prendere fuoco ed a cadere a brandelli sotto lo sguardo impietrito di Speed che stava vedendo andare in frantumi quella che era stata la sua attuale casa e salvezza. 
«Ma che—… non ci credo! La mia nave! Karga io ti distruggo!!» sibilò stringendo con più forza il proprio blaster, poiché adesso non era più spaventata ma arrabbiata come poche volte in vita sua e lei doveva sfruttare quella rabbia a suo favore per trarne forza. 
Ed infatti, senza neanche guardarsi intorno, ecco che con fin troppa leggerezza si mise in piedi e cercò Karga, così da poterlo colpire, visto che sicuramente quella era opera sua. Aveva appena perso un punto fermo, il suo punto fermo e soprattutto la via di fuga per quella situazione. Probabilmente, con quel gesto avventato, rischiò anche di mettere a repentaglio la vita del bambino, che fra colpi di blaster, imprecazioni ed esplosioni riusciva ancora a dormire tranquillo. 
«Speed, stai giù, non importa!» le urlò invece Mando, che forse aveva capito la gravità della situazione ed anche il motivo della sua rabbia e l’aveva nuovamente tirata al sicuro così da impedire di farsi ammazzare prima del previsto. 
Ansimante, per colpa della stanchezza e della situazione altamente pericolosa, ecco che la ragazza lanciò uno sguardo furente al Mandaloriano, intento a sparare, questa volta con un’arma ancor più impressionante del blaster, visto che disintegrò, letteralmente, un paio di membri della gilda, facendo un po’ placare le acque. 
«Hanno distrutto la mia nave, ovvio che importa! E’ totalmente andata ed adesso è anche in fiamme!
» replicò lei alzando di parecchio il tono della voce. 
«Andiamo con la mia, adesso stai indietro e—…» ma Speed lo interruppe sparando, a bruciapelo, un colpo di blaster ad un uomo che alle spalle del Mandaloriano stava cercando di avvicinarsi per colpirlo. 
«Attento.» replicò, allora, lei come se tutta quella situazione fosse normale quando in realtà non c’era nulla di normale o tranquillo in quello che stavano facendo. Speravano e colpivano gente, ma poi altri membri della gilda, per lo più conosciuti, giungevano e si univano alla mischia poiché speravano, tutti quanti, di poter entrare in quella situazione tanto spinosa e ricavarne un profitto. 
Prendere il bambino, al momento, era ciò che tutti sognavano di fare, ma lui sarebbe dovuto rimanere fra le braccia di Speed, che si sentì tremendamente in colpa per non aver ancora fatto niente di davvero utile per aiutarlo. Insomma lo aveva portato fuori da li ma si era trattenuta, aveva fatto le cose come avrebbe fatto Speed quando si sarebbe potuta impegnare di più ed essere Eryn Laan, una Sith capace di affrontare tutti quei nemici semplicemente con l’uso della Forza e la propria spada laser. 
Ed allora, mentre altri colpi di blaster continuavano ad aleggiare sopra di loro, sperando di prenderli in pieno prima o poi, ecco che la ragazza fu nuovamente tentata di lasciare il piccolo al Mandaloriano per prendere la sua spada e combattere. Di certo, in quel modo, avrebbe attirato tutta la propria attenzione su di sé ma soprattutto avrebbe creato il giusto diversivo a Mando per andare via. 
Avrebbe fatto questa cosa da sola, forse era il suo modo per redimersi, per provare a pagare, almeno in parte, un passato che non voleva le appartenesse più. 
Però la situazione non era per nulla buona e gli spari iniziavano a rimbombarle nelle orecchie. Sarebbe stato giusto alzarsi e combattere, farlo per la salvezza di due persone senza occuparsi dei propri problemi, probabilmente sarebbe anche riuscita ad andarsene a sua volta, questa nelle migliore delle visioni ottimistiche.
«Mando, posa quel bambino oppure mi vendo tutti i pezzi dell’armatura!»
Sentì distintamente la voce di Karga lanciare l’ennesima minaccia rivolta al Mandaloriano e quello fu troppo, per lei, da riuscire a sopportare. Non aveva alcun diritto di parlargli in quel modo, come se tutto ruotasse intorno alla sua stupidissima Gilda. E dire che inizialmente aveva sentito di potersi fidare, seppur in via piuttosto ampia, di Greef Karga, ma quei tempi erano andati.  
Eryn lanciò un lungo sguardo al Mandaloriano, che come lei stava riflettendo su che cosa fare e su come agire, forse nella speranza di avere un barlume d’idea, ma quella che si era fatta lei, probabilmente, al momento era l’unica cosa fattibile. Esitando avvicinò il piccolo all’armatura in beskar del Mandaloriano, così da affidare a lui il bambino, ma in quel momento ecco che nuovi assordanti spari iniziarono a risuonare li intorno a loro. 
Solo che questa volta non provenivano dai membri della gilda, ma li stavano colpendo in pieno, segno che adesso erano loro quelli sotto attacco. Le voci crebbero, spaventate, perché dal buio a da una nube di fumo ecco che spuntarono altri Mandaloriani nelle loro incredibili armature che sparavano in direzione dei loro nemici. Erano giunti gli allenati ed i rinforzi per Mando, quello era più che chiaro, ed ovviamente a Speed le ci vollero un paio di secondi per metabolizzare il tutto, mentre fissava stupita ed ammirata quegli uomini con le armature volare in cielo e coprirli facendo fuoco sul nemico. 
«Quindi non eri il solo—…» riuscì a mormorare lei mentre il sorriso di chi ha appena ritrovato la fiducia si fece largo sulle proprie labbra. 
«Ed a quanto pare qualcuno dovrà cambiare rifugio!» sentenziò Mando mentre continuava a sparare aiutando i suoi amici e compagni di sempre. 
E poi sentì uno di loro pronunciare una frase che a sua volta Mando ripeté e che rimase scolpita nella mente di Speed. 
“Questa è la via!”
Insomma non aveva mai sentito nulla del genere e probabilmente quello doveva essere il loro motto fra Mandaloriani, o qualcosa di simile perché sembrava essere incredibilmente serio mentre pronunziava tali parole. Ovviamente tutte le domande erano futili al momento e si ripromise di sommergerlo con le proprie curiosità una volta usciti da quella situazione spinosa, anche se adesso avevano qualche possibilità in più di farcela. 
Chiaramente, in mezzo alla confusione generale creata dai restanti Mandaloriani che sfrecciavano ovunque ed abbattevano nemici, e soprattutto cercando di evitare i blaster che continuavano a sparare all’impazzata e senza neanche aver bisogno che qualcosa le venisse detta ecco che in simultanea lei e Mando presero a correre in direzione della nave che sembrava sempre più vicina, proprio come la loro salvezza attuale. 
Speed non si guardò intorno, si limitò ad inspirare profondamente ed a correre, cercando di evitare quanti più colpi possibili, ma soprattutto cercando di non far male al bambino, adesso stretto fra le sue braccia e che sembrava ancora essere nella pace dei sensi nonostante il finimondo esterno. 
«SPEED! » 
Ma poi quell’urlo giunto ad interrompere la sua corsa, la fece esitare qualche istante poiché riconobbe quella voce e quasi in maniera del tutto automatica si fermò a pochi metri dalla nave. Sapeva di certo che Keigo se la sarebbe cavata in quel frangente di eventi, era parecchio furbo, ma il Keigo che dietro di sé sembrava solamente arrabbiato mentre le puntava contro il proprio blaster. 
La ragazza, senza esitazione, si voltò verso di lui rivolgendosi uno sguardo particolarmente serio, mentre alle proprie spalle ecco che il Mandaloriano invece raggiungeva la nave. 
«Sei solo una stupida ragazza che distrugge tutto ciò che tocca. Tu per me sei morta!» continuò ad urlare con disperazione tenendo il dito sul grilletto ma senza sparare, anche perché l’avrebbe colpita in pieno, specialmente da quella distanza. 
Non aveva digerito quella sorta di rottura della loro amicizia, non era stato in grado di accettare il categorico rifiuto di parlare di lei che, a sua volta, non aveva approvato mai il suo comportamento, specialmente la spavalderia con cui pensava di potersi prendere ciò che più voleva. 
«Kei—…» fece per pronunciare lei, pronta a ricevere quel colpo che sembrava sarebbe giunto da un momento all’altro ed a fermarlo con la Forza, ma il colpo esplodo fu dalla pistola del biondo, bensì da quella del Mandaloriano poco distante da Speed, ormai sulla passerella della propria nave. 
Era stata una stupida ad abbassare la guardia mettendo in pericolo il bambino, se ne rendeva conto da sola, anche perché, forse, Keigo non aveva tutti i torti nel dire che avrebbe distrutto qualsiasi cosa e questo le fece male più del possibile colpo che stava per ricevere. 
Si voltò lentamente in direzione del Mandaloriano che, stranamente, le si era avvicinato e l’aveva afferrata per il braccio libero, con più delicatezza di quanta Eryn avesse immaginato lui possedesse, e l’aveva aiutata a salire sulla nave, pronti a lasciarsi quel disastro alle spalle, o per lo meno quello che rimaneva di quel disastro immane. 
«Non ascoltarlo. Adesso andiamo, Speed. »
Lo sentì pronunziare quelle parole nonostante il fracasso assordante degli scontri non molto lontani dalla nave ed in quel momento Eryn volle davvero credergli. Ma non poteva farlo, perché in fondo Keigo aveva ragione e questa cosa, per quanto lei cercasse di negarla, le faceva un po’ paura, e se il Mandaloriano avesse davvero saputo del suo passato, probabilmente, non le avrebbe detto quelle parole.
Al momento, però, dovevano davvero allontanarsi da li, dovevano mettere quanta più distanza possibile da Navarro, lasciandosi dietro la distruzione della Gilda.
Alla fine, in un modo o nell’altro, erano riusciti a portare via il bambino e questo voleva dire solamente una cosa: erano riusciti a liberarlo dalle mani dell’impero e questa era, probabilmente, la migliore vittoria che avesse mai ottenuto fino ad allora.

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Capitolo 11
*** It was just a ship ***


Capitolo 10.
It was just a ship


Lo spazio era sempre così bello.
Eryn ricordava bene la prima volta che era stata su un astronave ed allora si era resa conto di quanto l’universo potesse essere vasto e che lei, prima o poi, sarebbe andata ovunque perché uno dei suoi grandi sogni, quando era ancora piccola e viveva per i bassifondi di Corellia, era quello di viaggiare. Poi, però, quel primo viaggio nello spazio l’aveva portata dapprima su una base spaziale Imperiale e successivamente a Korrbian, quindi non era esattamente un piacevole ricordo quello che riaffiorava ogni volta nella mente della ragazza quando si ritrovava a guardare oltre il finestrino per perdersi nella vastità del mondo che la circondava. Era stanca e le faceva male la testa, anche perché in quell’attimo si rese davvero conto che un capitolo della sua vita si era concluso e che adesso avrebbe dovuto aprirne un altro. Erano riusciti a portare in salvo il bambino, seppur con qualche difficoltà legata alla resistenza da parte della Gilda, cosa più che comprensibile, e lei non solo aveva perso l’unico lavoro che avrebbe mai potuto fare ma la sua nave era stata distrutta ed adesso non aveva più neanche un mezzo di trasporto, oltre che ad aver perso parte dei suoi averi, come i libri od i vestiti che conservava a bordo. Insomma erano cose stupide, a confronto della vita di quel bambino alieno, ma per lei avevano avuto un certo significato perché erano cose che le appartenevano davvero e che erano parte della sua nuova vita. Stava addirittura leggendo un libro che parlava d’avventure, ma adesso era andato e probabilmente non lo avrebbe mai più trovato visto che glielo aveva consegnato la vecchia su Jakku come segno di “buon viaggio”. 
Non si pentiva di ciò che aveva fatto, nonostante la sua faccia dicesse il contrario, solo che adesso la questione sul proprio futuro e destino poteva finalmente prendere forma visto e considerato che il bambino era in salvo. 
Era la prima volta che si addentrava nella nave del Mandaloriano e solamente adesso, mentre navigavano in silenzio da un po’ di tempo, ebbe la lungimiranza di guardarsi intorno incuriosita da quello che era il vero porto sicuro dell’uomo in armatura. La cabina di pilotaggio, la plancia, era abbastanza spaziosa e fatta per due persone, segno che un co-pilota non avrebbe fatto male a quella nave, ed al momento lei era seduta al posto del secondo pilota mentre teneva le gambe distrattamente accavallate. 
Il piccolo, dopo che si era messo a giocare con un pezzo dei comandi, una pallina d’argento, lo avevano messo al suo posto in una sorta di culla improvvisata, e poi si era messo a dormire, perché sicuramente anche per lui quell’esperienza non doveva essere stata semplice. 
Solamente allora Speed si lasciò scappare un sospiro accennato, mentre guardava fuori dal finestrino, cosa che andò a richiamare l’attenzione del cacciatore di taglie intento a guidare meticolosamente, così da allontanarsi il più possibile da Navarro. 
L’elmo in beskar si voltò leggermente verso di lei ed esitò qualche istante prima di rivolgerle la parola, segno che entrambi non sapevano esattamente cosa dire. 
«Tutto bene?» 
Le domandò Mando e quella semplice domanda la riportò alla realtà, costringendola addirittura a smuoversi da quella poltrona in modo da potersi, a sua volta, voltare in direzione di lui, ed ecco che annuì in maniera impercettibile. 
«Sì, tu stai bene? Vuoi una mano con i comandi?» domandò a sua volta Speed sperando di poter, per lo meno, essere utile in qualche modo. 
«Sto bene e no, non è necessario.» 
«Oh, allora d’accordo—…» mormorò lei prima di tornare a guadare fuori dal finestrino, perché se il Mandaloriano non aveva bisogno di lei allora Speed poteva tornare a perdersi nei propri pensieri. 
Passarono ben dieci secondi, che stranamente la ragazza contò, prima che nuovamente il suo nome venisse richiamato.
«Speed—…» 
Questa volta usò addirittura il suo nome, o meglio quello che lui conosceva, segno che forse voleva parlare o provare a dirle qualcosa, ma prima ancora che lei potesse dire qualcosa ecco che Mando riprese a parlare. 
«Senti, mi dispiace per la tua nave.»
Lo guardò di sbieco, con aria quasi apatica per via della stanchezza, ed alla fine scosse leggermente il capo e sventolò una mano, com’era solita fare quando voleva liquidare qualcosa. Anche se in realtà trovò stranamente piacevole quella premura nei propri confronti, cosa che non avrebbe mai detto del Mandaloriano. Eppure, da svariato tempo a quella parte, Speed aveva iniziato a credere che effettivamente, dietro quell’elmo, si celasse qualcuno che provava a nascondere le proprie emozioni, ed a controllarle, ma che in realtà si ritrovava ad avere un animo buono, seppur a modo suo. Quindi, sentirlo dispiaciuto per quello che era accaduto alla propria nave, fu più gradito di quanto Speed si fosse mai aspettata. 
«Stai tranquillo, non fa nulla. Era solamente una nave—… ne potrò trovare un’altra.» cercò, ovviamente, di tranquillizzarlo lei, come se fosse un lavoro facile. Per quella nave aveva pagato quasi tutti i propri averi, cambiandola con una nave Imperiale rubata, adesso invece non aveva granché con sé.
«Ti aiuterò a cercarne una.» 
«Mhm? Figurati, al massimo la ruberò—…» provò a scherzarci su lei, beccandosi quello che probabilmente aveva tutta l’aria di essere uno sguardo scettico. «O magari lavorerò così tanto da potermene comprare un’altra, contento?!» 
«Mhm—…»
«Mando a proposito di quello che—…» questa volta fu lei a chiamarlo per nome, così da avere tutta la sua attenzione.
«Senti, Speed, se vuoi biasimarmi o rimproverarmi per quello che è successo, perché immagino tu voglia farlo—… »
Ma Speed si lasciò andare ad un sorrisetto divertito nel sentire quella frase, perché poteva solo immaginare quanto fastidio gli desse essere “preso in giro” per ciò che aveva fatto li su Navarro. 
«In realtà stavo per dirti che sei stato molto coraggioso a scegliere di tornare indietro per riprendere questo bambino e che non devi sentirti in colpa per me e per la mia nave e per il mio lavoro, so badare a me stessa. La mia è stata una scelta ragionata che avevo messo in conto nel momento esatto in cui vi ho visti arrivare su Navarro—…» le parole le uscirono dalle labbra in maniera del tutto spontanea, ritrovandosi però a non guardarlo dritto in volto, forse per via dell’imbarazzo provato, ma semplicemente fissando i comandi dinnanzi a sé, ben più interessanti del beskar. «Non ti avrei mai biasimato per ciò che hai fatto, in questo mondo purtroppo esistono persone buone e persone decisamente po’ meno buone. Tu sei una persona che sta in mezzo e che si è trovato in una situazione cattiva, però hai saputo ragionare con la tua testa. Questo ti fa onore e davvero, non chiedermi scusa, non è necessario, anche perché tu non mi sembri di certo il tipo da scuse, finiamola. Adesso siamo qui e—… e vedremo cosa fare.»
C’erano delle volte in cui Speed non parlava mai, che preferiva lasciare che i propri silenzi venissero interpretati come meglio gli altri credessero, poiché non aveva neanche la forza per dire qualcosa, e certe volte in cui iniziava a parlare e non la finiva più, questo perché ogni tanto, anche lei, aveva bisogno di buttare tutto fuori. Passava giorni e giorni ad accumulare pensieri su pensieri ed alla fine, quando meno se lo aspettava, le parole abbandonavano le sue labbra come un fiume in piena. Una volta si era addirittura messa ad imprecare contro un sasso, perché la missione le stava andando male, e per frustrazione aveva addirittura dato un calcio contro la roccia, cosa che le aveva provocato una quasi storta. 
Quella volta, invece, ecco che a farla parlare era stata la preoccupazione, seppur superficiale, che il Mandaloriano aveva appena mostrato nei suoi confronti, cosa che non credeva possibile e che stranamente le aveva fatto piacere, forse per quel motivo aveva parlato così tanto, ed adesso si sentiva addirittura in imbarazzo al punto da essersi pentita di aver detto tutto ciò, eppure sentiva di doverlo fare, anche per tranquillizzarlo. 
Mando, dal canto suo, senza abbandonare i comandi della propria nave, rimase in silenzio ben più di qualche secondo, come se stesse analizzando e metallizzando tutte quelle parole di Speed, cosa che le fece abbastanza paura, ed alla fine si voltò nuovamente verso di lei.
Quanto avrebbe dato per poterlo guardare in viso senza quell’elmo
«Non pensavo sapessi parlare tanto
Una provocazione bella e buona che però, a modo suo, la fece sorridere ancor di più, perché questo voleva dire che Mando aveva ricevuto il messaggio e che lei poteva stare tranquilla, almeno per adesso e che entrambi non dovevano più scusarsi a vicenda perché tanto quel che dovevano fare era stato fatto. 
«In realtà parlo parecchio, dovresti chiederlo a tutte le taglie che ho consegnato a Karga, potranno confermare.»
«Allora è così che li catturi. Gli parli fino a quando non perdono i sensi.» 
Quello scambio di battute fu esattamente ciò che ci voleva per alleggerire l’atmosfera che entrambi avevano erroneamente creato da quando erano partiti da Navarro. E Speed si rese conto che sì, a modo suo Mando sapeva anche essere divertente. 
«Ovvio, avevi qualche dubbio a riguardo?!» rispose la ragazza a tono prima di assumere una finta aria soddisfatta per quelle rivelazioni. 
«Nessuno—…» mormorò a bassa voce il Mandaloriano prima di spingere alcuni bottoni sul pannello di controllo e poi far ruotare la propria poltrona di comando così da alzarsi in piedi. «Seguimi!»
Il cambiamento repentino non la sorprese più di tanto, in fondo non era neanche troppo abituato a stare con della gente intorno, poiché sulla nave non vi erano membri dell’equipaggio, dunque senza esitazione anche Speed si mise in piedi, anche perché le gambe iniziavano a farle male quando stava troppo seduta, e nell’alzarsi si limitò a stendere le braccia così da stirare i muscoli. Accanto a Mando Eryn si rese conto di essere ben più bassa di quanto le piacesse ammettere, lui la superava di parecchio e per guardarlo meglio aveva bisogno di sollevare lo sguardo, cosa che fece anche in quel momento, solo che prima di domandare che cosa stessero facendo ecco che l’uomo in armatura di beskar si mosse piuttosto rapidamente e si addentrò in quel grande disimpegno che doveva essere una sorta di piccolo salone centrale, anche se di salone quella stanza non aveva niente eccezione fatta per il divano. Ovviamente Speed lo seguì in silenzio mentre lui, grazie alla ripida scaletta, scendeva di sotto al piano di giù, quello che aveva avuto modo di osservare solo qualche istante prima di andare in sala di comando al piano di sopra. 
Come riuscisse a muoversi tanto agilmente con quella pesante armatura per Speed rimaneva un problema, eppure lui scese con ben più agilità di quanta ne avesse usata lei per non cadere negli ultimi gradini, vista la scarsa illuminazione che vi era di sotto. Li si guardò intorno abbastanza incuriosita mentre si andava ad appoggiare contro uno dei muri di metallo, ed ecco che finalmente indicò l’angolo che l’aveva catturata fin da subito, quello dove teneva le sue vittime congelate. 
Era un uomo giusto, non di certo un uomo buono, questo doveva ammetterlo. 
«Posso dire una cosa, Mando?» chiese a bruciapelo lei.
«Dilla pure!» rispose l’uomo fermandosi qualche istante. 
«E’ così che li trasporti? Sono—… congelati?»
Ovvio che era curiosa per quella strana pratica che loro, i Mandaloriani, possedevano. 
«Più o meno. Non tutti.» ci tenne a precisare lui con assoluta calma. 
«E’ davvero efficace, i miei complimenti per un sistema così efficiente che—… aspetta, non vuoi congelare anche me, giusto?!» 
Questa volta la domanda non fu intenzionale, anzi, uscì spontaneamente delle proprie labbra perché, per un attimo, riflettendoci attentamente, magari era esattamente questo il suo piano: portarla di sotto così da rinchiuderla in quella lastra, proprio come le sue altre vittime. In questa maniera si sarebbe tolto un peso, ed a questo Speed aveva riflettuto solamente adesso. 
«Cosa?! E perché dovrei farlo?» 
Domanda più che logica quella di lui, che ovviamente si voltò nella direzione di Speed con quella che sicuramente sarebbe stata un’espressione scettica sul viso. Sì, pur non potendolo guardare negli occhi era chiaro che adesso la stesse osservando con scetticismo per la domanda appena fatta. 
«Non lo so—… magari ti sono più utile da congelata.» 
«Speed—… ti stavo facendo vedere il bambino ed il letto dove puoi dormire.» 
Ecco, quello fu davvero imbarazzante, anche se Speed cercò di minimizzare il tutto oltrepassando la figura di lui e dirigendosi verso la piccola culla creata per il piccolo, una nuova capsula che stava ferma a mezz’aria e dal quale era possibile controllarlo ogni qual volta era necessario. 
«Lui sta bene e sta dormendo beatamente, non preoccuparti.» cercò di rispondere al Mandaloriano dopo aver carezzato delicatamente la fronte del piccolo per poi riportare la propria attenzione in direzione di lui. 
«Infatti non sono preoccupato, spero solo che li non gli abbiano fatto nulla di grave.
» 
«Credo lo stessero analizzando—… non so neanche di che razza sia.» ammise lei per tranquillizzarlo. 
«Lo spero e neanche io so che razza sia. Mi è sconosciuta, credo sia una razza rara.» 
Però, a conti fatti, qualsiasi razza fosse questo piccolo doveva essere sicuramente qualcuno di parecchio importante per l’Impero e questo, a conti fatti, era abbastanza preoccupante. Chi era quell’esserino che avevano con loro? 
Ecco la nuova domanda alla quale Speed avrebbe cercato di rispondere, in qualche maniera anche se ancora non sapeva come. 
«Beh, immagino che lo scopriremo solo che adesso mi sta venendo un dubbio ma—…» ed ecco che cambiò discorso indicando quella che sembrava una stretta branda con ammassate delle coperte ed un paio di cuscini. «Questo è il tuo letto?»
Esitazione, sì, Mando stava esitando forse perché credeva che fosse una domanda a trabocchetto. 
«Sì—… volevo dirti che se sei stanca puoi dormire qui.»
«Mando—… ed un materasso?!»
Sì, non riuscì a non fargli quella domanda perché insomma se quelle erano le condizioni della sua nave allora questo voleva dire che il Mandaloriano viveva davvero in maniera spartana, forse un po’ troppo spartana per Speed. 
«Non c’è il materasso.»
«Ottimo—…» provò a mormorare lei non necessariamente convinta della cosa mentre si passava una mano fra i capelli analizzando con attenzione quella piccola branda, dall’aria scomodissima che però era chiaramente il letto del Mandaloriano, e per sembrare addirittura più convincente ecco che lei si andò a sedere su di essa. 
Già, era davvero scomodissima. 
«Tu avevi un materasso?» le domandò, questa volta Mando, forse curioso. 
«Sì, ed avevo anche l’acqua calda nella doccia.» provò ad azzardare la ragazza. «Perché c’è una doccia, vero?»
«Certo, il bagno è qui accanto ma non c’è l’acqua calda, mi dispiace. E poi si può sapere in che razza di nave vivevi? Avevi svaligiato una reggia?!»
«In una nave che avevo sistemato per bene, ecco in che nave vivevo. Forse l’avevo sistemata un po’ troppo bene.» 
E Speed abbassò lo sguardo prima di distendersi sulla branda, lasciando penzolare fuori da essa le gambe mentre cercava di abituarsi a quel nuovo ambiente anche perché non sapeva quanto tempo sarebbe rimasta li, insomma quanto ci sarebbe voluto per cercare una nuova nave e mantenere al sicuro il piccolo?!
«La Razor Crest è più—… essenziale.» 
«Lo sto notando e va benissimo così, anzi, sei gentile a darmi il tuo letto ma giuro che io posso dormire anche di sopra o da qualche altra parte, non voglio rubarti anche il letto. Già mi stai ospitando. E’ tanto.» 
Ci tenne a precisare sentendosi immediatamente in colpa per aver fatto notare quei difetti che la propria vecchia nave non aveva. Magari era stata un po’ un’esagerazione convincere quel tipo, svariati mesi prima, a farle creare una deviazione fra i tubi della nave così da poter avere anche l’acqua calda, ma ne era valsa la pena. In fondo era per queste cose che Speed conservava i propri crediti, preferiva digiunare un paio di giorni però poter dormire su un materasso, oppure avere dei vestiti puliti.
Era pur sempre una ragazza che cercava di sopravvivere, sempre a modo totalmente suo. 
E poi era lui ad ospitarla e gli ospiti, a conti fatti, non dovrebbero mai lamentarsi, anzi, dovrebbero ringraziare ed annuire, e lei provò a farlo per davvero anche se avrebbe dovuto dormire in quelle condizioni, ma era sempre meglio di niente. 
«Prendilo pure, io per ora non ho bisogno di riposarmi. » le rispose tranquillamente il Mandaloriano prima di avvicinarsi verso la stretta scala attaccata alla parete metallica. 
«Beh, solo per questa volta—… hai bisogno di una mano con i comandi?»
«No, per ora sto navigando nell’iperspazio senza una meta precisa, dobbiamo mettere più distanza possibile da Navarro. Te l’ho detto, puoi riposarti, sembri stanca.»
E lo era, se proprio doveva essere sincera con il Mandaloriano ed anche con sé stessa, però annuì in direzione dell’uomo con l’armatura e poi sollevò una mano quasi a volerlo ringraziare, anche se non sapeva bene come o cosa altro dire, visto e considerato che doveva avere anche la faccia stanca. 
«D’accordo, mi riposo solo un’ora e poi giuro che vengo a darti il cambio, d’accordo?!» 
Ed anche se Mando non fosse stato d’accordo lei lo avrebbe fatto, sarebbe andata a dargli una mano meglio che avrebbe potuto e tutto solo perché sentiva di essere particolarmente in debito. Lui, dal canto suo, si limitò ad annuire e non aggiunse altro, forse perché in fondo non vi era altro da aggiungere a quel punto, la stava letteralmente lasciando riposarsi per un po’ e poi, magari, anche lui preferiva la solitudine quando guidava, questo Speed non poteva saperlo. 
Così lo guardò arrampicarsi agilmente su quella scala che lo avrebbe riportato al piano di sopra, con la schiena rigorosamente coperta da quel mantello che aveva sempre addosso, e poi lo vide sparire lasciandola da sola con il bambino addormentato nella sua culla. 
Un profondo sospiro abbandonò le labbra di Eryn, che si sollevò leggermente per dare un’ultima occhiata in direzione di quella creatura dalla pelle verde che sembrava dormire beata nel mondo dei sogni, ed a sua volta, dopo essersi assicurata che stesse bene, si limitò a chiudere gli occhi con l’intenzione di dormire solamente per poco, e poi, una volta sveglia, avrebbe fatto qualcosa per essere d’aiuto li sopra, non poteva di certo essere un peso, non lo avrebbe mai voluto. 
Gli occhi le si chiusero in maniera automatica, mentre cercava una posizione comoda, introvabile, su quella branda, ed alla fine prima ancora che se ne potesse rendere conto ecco che la propria mente scivolò via verso il mondo dei sogni, raggiungendo il bambino, mentre abbassava ogni difesa certa che non le sarebbe potuto succedere niente.


Nel mentre...

I comandi puntavano nel vuoto, non aveva stabilito ancora una rotta poiché era deciso a mettere quanta più distanza possibile da Navarro, fino a quando la Razor Chrest fosse stata in grado di andare, perché prima o poi avrebbe dovuto fare rifornimento da qualche parte, il tutto nella speranza che si trattasse di un posto idoneo per loro due. Quello di Din era un piano per lo più campato in aria e se ne rendeva perfettamente conto da solo, ma non poteva fare altrimenti, e poi, vivere giorno per giorno era la sua regola, non gli piaceva mai fare piani a lungo termine, prima preferiva arrivare vivo a fine giornata dopo di che avrebbe pianificato il giorno successivo. 
Ma quella volta era tutto diverso perché adesso, insieme a lui vi era qualcuno di inaspettato che aveva colpito la propria vita fin dal principio senza che il Mandaloriano se ne rendesse davvero conto. Perché quel bambino, seppur suo compagno di viaggio per poco tempo, era stato capace di farlo ricredere sulle proprie stesse convinzioni. Lui che era stato perennemente ligio al dovere, insensibile dinnanzi ad i ricercati, lui che congelava le vittime che non volevano collaborare. Ecco, lui aveva ceduto dinnanzi gli occhi di un bambino, incapace ed impossibilitato a rimanere indifferente mentre veniva portato via dagli Imperiali. Non aveva saputo reggere una cosa simile quindi, seppur la nuova armatura di beskar, aveva cambiato idea all’ultimo secondo ed era tornato indietro sui propri passi, pronto a salvarlo. E li aveva incontrato lei, cosa che non lo sorprese del tutto, in fondo Speed gli aveva detto di fare attenzione nel momento stesso in cui aveva semplicemente nominato l’impero. Non c’era nulla di strano eppure, adesso, era cresciuta in lui la curiosità sul passato di lei, perché era chiaro che avesse avuto a che fare con loro, in qualche maniera, i suoi occhi non mentivano. 
Ed adesso si ritrovava a viaggiare non con una ma con ben due persone, poiché Karga aveva deciso simpaticamente di farle esplodere la nave ed adesso il senso di colpa per averle fatto perdere tutto iniziava a farsi sentire. Insomma lei poteva anche avergli detto di non preoccuparsi, che avrebbe fatto qualcosa, ma alla fine la verità era solamente una: se Din non avesse consegnato il bambino all’Imperiale, o meglio ancora se non avesse accettato quell’incarico, adesso lei avrebbe ancora un lavoro ed una nave ed un futuro, adesso invece erano entrambi condannati per aver tradito la Gilda, senza lavoro e soprattutto senza meta. 
Un modo niente male per farsi degli amici, anzi, non era neanche del tutto certo che a mente fresca la ragazza avrebbe ancora voluto essere sua amica, o quello che erano, perché in fondo era arrivato alla conclusione che forse potevano definirsi tali, e proprio per questo motivo aveva provato, con parecchie difficoltà, a metterla a suo agio sulla propria nave. 
Ma come poteva compensare un materasso e l’acqua calda?
Semplice, non poteva perché lui era da sempre fatto così, non aveva mai avuto un equipaggio che desiderasse qualcosa del genere, dunque si era arrangiato come meglio poteva utilizzando i propri fondi nelle armi e nelle risorse per fare il cacciatore di taglie. 
Per essere il migliore in assoluto.
In quell’istante sentì che stranamente il proprio elmo era più stretto del previsto, quasi soffocante, una sensazione che gli apparteneva poco, e così, dopo essersi assicurato di essere solo e che sia la ragazza che il bambino fossero a dormire, riuscì ad allontanare quel casco poggiandolo sulla consolle dei comandi. 
Immerso nella propria poltrona ecco che Din inspirò profondamente alla ricerca disperata di aria pulita che invase i suoi polmoni e finalmente i suoi occhi videro meglio l’interno della propria nave che conosceva fin troppo bene. I capelli scuri, come i suoi occhi, erano scombinati ed il viso, segnato dagli anni e dai combattimenti, era stanco e provato. Aveva addirittura un accenno di barba incolta, che teneva quasi sempre piuttosto corta, seppur non si mostrasse mai in pubblico e guardando la propria immagine riflessa sul vetro della nave ed ebbe voglia nuovamente di coprire il proprio viso. Non si guardava quasi mai allo specchio, forse per via di quel senso d’insicurezza che si era generato in lui in tutti quegli anni, perché tenendo sempre quella maschera adesso iniziava addirittura a sentirsi vulnerabile quando la levava e questo gli faceva paura. 
Era un guerriero Mandaloriano, uno dei migliori, eppure Din aveva paura di sé stesso certe volte, per questo non si guardava mai allo specchio. 
Ma quella volta aveva bisogno un po’ di libertà prima che entrambi i suoi ospiti si svegliassero, anche per cercare di riflettere attentamente e capire quale sarebbe potuta essere la loro prossima mossa. 
Si alzò nervosamente in piedi, facendo ondeggiare il mantello che portava sulle spalle e tintinnare il nuovo beskar, decisamente troppo per lui, e facendo avanti ed indietro fino a quel piccolo disimpegno che un tempo fungeva da sala riunioni per l’equipaggio esiguo della vecchia nave, ma adesso era semplicemente una zona disabitata, ed ecco che la propria attenzione venne catturata da una piccola nicchia che, se sistemata a dovere con un paio di tavole e qualche cuscino, sarebbe potuta diventare un ottimo letto, sicuramente migliore della propria branda al piano di sotto e di ciò se ne rendeva conto da solo. 
E poi lanciò uno sguardo ad i comandi, non aveva nulla da fare visto che stavano navigando, quindi ne avrebbe approfittato, così, per lo meno, una volta sveglia Speed avrebbe trovato un letto migliore e si sentì quasi stupido nello sperare che potesse anche andarle bene. Ma quel pensiero durò semplicemente un istante, deciso a scacciarlo ed a limitarsi a lavorare per provare a sistemare quella nicchia in modo da farla diventare un posto dove poter dormire e poi, dopo aver sistemato quella cosa, avrebbe pensato anche a cosa poter dare da mangiare al piccolo, altro problema non indifferente. 
Intanto avrebbe affrontato un problema alla volta ed in quell’attimo, libero dal proprio elmo, decise di lavorare così per un po’, aveva proprio bisogno di prendere aria e soprattutto di distrarsi facendo qualcosa. 

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Capitolo 12
*** Bad dreams ***


Capitolo 11.
Bad dreams

Il mondo dei sogni dovrebbe essere tranquillo.
Eryn ha sempre considerato il dormire uno dei pochi momenti in cui sentirsi davvero libera. Certe volte, quando era più piccola, sognava di essere ancora per le strade di Corellia, di correre con le proprie scarpe tutte rotte insieme agli altri bambini,  di tornare a casa da sua madre che l’attendeva con impazienza per farle un bagno e darle la buonanotte. Altre volte, invece, sognava di essere al cospetto dell’oscuro signore, di non essere abbastanza per lord Darth Vader, di non poter essere utile all’Impero e così la uccidevano. Era allora che si svegliava di soprassalto nel cuore della notte e si rendeva conto che era tutto un sogno. Lui non c’era più e lei non apparteneva più a quel posto, adesso si sentiva davvero libera e nessuno poteva metterle di nuovo quelle catene di Forza e dolore. 
Ma quella volta non sognò nulla del genere.
Si ritrovava in una foresta a meditare, cosa che spesso faceva, ed intorno ad ella qualcosa aveva iniziato a fluttuare senza che se ne rendesse conto, perché quando lasciava libera la Forza questo poteva accadere. Sotto di sé, in mezzo agli arbusti, vi era il bambino che aveva appena salvato e dopo avergli rivolto un sorrisetto ecco che lui tese la mano verso di sé. Fu questione di secondi prima che una nuova ondata di Forza la sbattesse con prepotenza sul terreno, facendola cadere e poi iniziando a schiacciarla. Una grande buca sembrò aprirsi sotto di lei, mentre disperatamente cercava di aggrapparsi al piccolo che gli stava tendendo la mano e dietro di lui si aggiunse anche il Mandaloriano. Eyn cercò di afferrare le loro mani ma la Forza fu così forte che trascinò giù in quella buca e la ragazza iniziò a precipitare nel vuoto oscuro. Fu abbastanza certa di aver urlato nel sogno, spaventata perché non riusciva a contrastare quella Forza, e quando si svegliò sentì il proprio cuore battere all’impazzata nel proprio petto mentre le mani iniziarono a tremarle. Istintivamente le portò a tastare la  propria spada laser, tenuta conservata sotto i vestiti e stretta grazie alla cintura, ed il sentirla li le diede la sicurezza necessaria per smettere di provare quella strana sensazione d’irrequietezza. Non le accadeva mai che le sensazioni provate nei sogni poi si ripercuotessero anche nella realtà, ma era provata ed era in un ambiente che non le apparteneva, dunque giustificò quel sogno così, senza porsi troppe domande, anche perché non aveva voglia d’indagare troppo.
Con un movimento abbastanza scoordinato stirò i muscoli delle braccia, rischiando di colpire il muro di quella nicchia in cui era stata ricavata la branda che fungeva da letto del Mandaloriano, sicuramente troppo scomodo, e per un attimo provò a pensare quanto potesse essere difficile, per lui, dormire comodamente li. Intanto aveva bisogno di un vero materasso, e poi come poteva non svegliarsi tutto dolorante dopo una nottata passata su quella scomoda branda? Insomma, glielo avrebbe chiesto, a tempo debito, senza risultare eccessivamente pretenziosa ed anche invadente.
E poi si ricordò del piccolo. 
Rapidamente si mise in piedi, sporgendosi per cercare la culla, o meglio la capsula, che era diventata il nuovo rifugio di quello strano esserino, e non trovandolo fra le coperte in cui era stato avvolto capì, ovviamente, che doveva essersi alzato. Era davvero curiosa di poterlo guardare meglio, considerato che lo aveva visto bene solo nel laboratorio, da quel momento in avanti era rimasto avvolto nei suoi vestiti sgualciti, non esattamente il massimo. Speed, che aveva studiato attentamente quando era su Korriban, cercò di riportare alla memoria qualche cosa sulle razze esistenti, decisamente troppe e non di certo la sua materia di studio preferita, ma non era molto propensa ad associarlo ad una razza. Magari con una grande biblioteca in suo possesso e parecchio tempo libero si sarebbe messa a cercare qualche informazione in più, anche perché le era sorta una certa curiosità riguardo quel piccoletto dalle orecchie a punta e la pelle verde: se l’impero era davvero disposto a tanto per lui che genere di segreto custodiva?
Anche perché ormai Eryn aveva imparato che chiunque possedeva un qualche genere di segreto, compresa lei stessa.
Neanche un bambino sarebbe stato escluso da quella ferrea regola.
Dopo essersi assicurata che il piccolo non fosse nella culla ecco che mosse un paio di passi in direzione della scala con la quale si poteva accedere al piano di sopra, ma nell’attimo stesso in cui avvicinò le dita ad uno dei pioli ecco che si fermò immediatamente spinta dallo strano desiderio di curiosare un po’ in giro nella nave di Mando. Non era una cosa che le faceva molto onore ma aveva sentito tante storie sui Mandaloriani, specialmente da quando aveva iniziato a frequentare la gilda. Alcune storie erano macabre mentre altre assolutamente impossibili, ma di una cosa era certa, loro non si toglievano mai l’elmo od almeno nessuno li aveva mai visti senza, specialmente se il Mandaloriano in questione era proprio il suo Mando. Era il migliore dei guerrieri e finalmente aveva avuto modo di osservarlo con i suoi stessi occhi, e chiaramente, a quel punto, si sentì quasi in dovere di provare a guardare qualcosa. Dunque, con fare pressoché da ladro, ecco che la giovane ex sith si ritrovò a guardarsi intorno, questa volta con più attenzione di quanta ne avesse messa prima. 
La prima cosa che catturò la sua attenzione furono un paio di prigionieri congelati, cosa alquanto inquietante e che le stava facendo paura, anche perché quella era una delle storie spaventose che aveva sentito sui Mandaloriani, capaci di congelare le loro prede, nel vero senso della parola. Toccò con le proprie mani le pesanti lastre in cui erano immobilizzati quegli uomini, e quello fu il vero segno che il Mandaloriano non era esattamente il tipo di persona da sottovalutare, anzi, di lui si doveva aver paura. 
Dopo aver ispezionato a lungo quelle taglie congelate ecco che passò nuovamente alla nave, studiando le pareti di quella zona e mentre tastava qui e li una piccola maniglia le fece comprendere di aver trovato qualcosa. Era una sorta di sportello, ma non era chiuso con qualche lucchetto o combinazione particolare od impronte digitali, forse perché non ne aveva bisogno, ma quando lo aprì Speed si rese conto che Mando aveva un serio problema con le armi. In quella che doveva essere il suo armadio dei giocattoli la ragazza contò decisamente troppe pistole ed altrettanti fucili od armi di cui non conosceva neanche il nome ma che sicuramente doveva aver usato. Nulla a che vedere con la sua spada laser, che seppur potente, probabilmente a confronto di alcune armi sembrava un vero giocattolo.
Allungò una mano per sfiorare un paio di blaster, anche perché era sicura di aver perso il proprio durante lo scontro su Navarro, ed il freddo del metallo la fece quasi rabbrividire, anche perché la propria attenzione venne chiaramente catturata da altre armi ben più pericolose, come quei fucili che polverizzavano la gente e che aveva visto per la prima volta in azione esattamente durante la loro fuga. Fu quasi tentata di prenderne uno per provarlo ma prima ancora che il proprio polso potesse avvicinarsi ad afferrare il manico ecco che una forte mano guastata si serrò intorno la propria, bloccandola ed evitandole gesti inconsulti. 
Il tutto avvenne così rapidamente che la fece quasi sussultare, ma ciò che davvero la spaventò, seppur per un singolo istante, fu la rapidità ed il massimo silenzio con cui si mosse il Mandaloriano, non tanto la presa in sé e per sé. Ecco, quella era l’ennesima prova che lui era letale ben più di quanto Speed potesse anche solo immaginarsi. 
Era una vera fortuna averlo come alleato e non come nemico, di questo ne era più che certa. 
Ovviamente, però, era stata sorpresa a fare qualcosa che a conti fatti non aveva alcun permesso di fare, e gli occhi scuri di lei scattarono in direzione della figura in armatura, fulminandola così con uno sguardo assassino, quasi fosse colpa di Mando e non sua, forse perché aveva osato fermarla. 
«Come sapevi che ero sveglia?» non poté che domandare lei, sinceramente incuriosita da quella visita inaspettata. 
«Hai fatto scattare i sensori dell’allarme quando hai aperto il deposito per le armi.» le spiegò impassibile il Mandaloriano. 
Sì, effettivamente era una cosa giusta usare una sorta di allarme per prevenire qualsiasi attacco a sorpresa da parte di potenziali ospiti, quali erano le sue taglie congelate. 
Ma chiaramente, anche dopo la risposta, Mando non accennò a lasciare la sua mano, preoccupato che lei potesse davvero toccare qualcosa di sbagliato. 
«Non stavo facendo niente di male, ero solo curiosa.» 
«Queste armi non sono giocattoli.»
«Appunto per questo volevo vederle meglio—… stai tranquillo non oserei mai prenderne una senza il tuo permesso.»
In realtà l’avrebbe volentieri presa, se solo fosse stato strettamente necessario, ma per fortuna non aggiunse altro perché con quella promessa ecco che finalmente Mando lasciò andare la sua mano, che stranamente le faceva un po’ male, forse per via di quella stretta ferrea di lui. 
Così ecco che Speed la ritrasse, andando ad intrecciare elegantemente le braccia all’altezza del seno, mentre si appoggiava su una gamba, alternando lo sguardo fra le armi e la figura del Mandaloriano. 
«Caspita, sei davvero geloso delle tue armi, non lo avrei mai detto.» ci tenne quasi a prenderlo in giro lei, decisa a non demordere, specialmente adesso che era libera. 
«Qualcosa del genere—… le armi sono la mia religione.»
«Bene, ad ognuno le sue—… » mormorò ella prima di roteare gli occhi con fare leggermente altezzoso ed aggiungere anche un passo in dietro, in segno della propria voglia di non dargli fastidio. 
E poi l’idea che Mando avesse potuto vedere la sua spada la fece quasi sorridere, insomma lui appassionato di armi avrebbe di certo trovato interessante quella che era stata la prima causa dei problemi di Eryn, ciò che l’aveva portata a vacillare. Perché era proprio colpa del frammento di cristallo dentro la spada, che aveva percepito in lei un primo cambiamento, si era lasciato trasportare da esso iniziando a mutare il colore dell’arma della ragazza. Se inizialmente era sempre stata di un rosso chiaro ecco che pian piano, con i mesi, quel colore era divenuto sempre meno intenso trasformandosi in una sfumatura violacea, dapprima chiara e poi, una volta abbandonato l’Impero, sempre più accesa. Era quello il segno della rottura dentro di sé, della non più totale appartenenza al lato oscuro, e la sua spada lo aveva capito prima di lei, mandandola profondamente in crisi.
Eryn sentiva una frattura dentro di sé, una frattura nella Forza e la propria spada laser era l'espressione fisica di ciò che al momento sentiva.

Sì, sicuramente Mando avrebbe apprezzato un’arma simile ed un po le dispiacque di non potergliela mostrare con serenità, perché mostrare la spada equivaleva al rivelare la propria vecchia natura e lei non voleva nulla del genere purtroppo. 
Lo guardò richiudere con attenzione quelle ante che proiettavano verso il santuario delle armi, ed ecco che quasi in maniera automatica, Speed si lasciò sfuggire una semplice parola. 
«Scusa—…» Lo mormorò a denti stretti, perché il senso di colpa per aver quasi invaso il suo spazio personale, cosa che effettivamente aveva fatto, ma senza alcuna cattiveria. 
«Mhm—…»
Non fu di certo una risposta esemplare, quella di Mando, che dal suo canto era palesemente silenzioso e ben poco propenso a parlare od anche solo ad accettare delle semplici scuse, cosa che Speed lesse un po’ come fastidio represso per ciò che la ragazza aveva appena fatto, ed in fondo aveva pienamente ragione. 
Lo guardò richiudere quella grossa anta del deposito armi, mentre le luci al neon che le illuminavano si spegnevano, ed il rumore di macchinari, seguito da uno sbuffo di fumo, decretò che quel piccolo tesoro era nuovamente al sicuro. 
Rimasero per qualche secondo in silenzio, ed allora Speed fu indecisa se parlare o meno, quasi a voler smorzare il tutto, ma questa volta ad interrompere quella strana aria che si era venuta a creare ecco che fu il Mandaloriano stesso. 
«Hai dormito per quasi sei ore.
» le fece presente con tranquillità e quell’affermazione, assolutamente incredibile, lasciò Speed a bocca aperta. 
Era certa di aver dormito neanche mezz’ora, forse perché quel sogno strano l’aveva anche un po’ spaventata, ma non aveva di certo pensato di poter dormire così tanto. 
«Sei ore? Sei sicuro?» chiese nuovamente quasi a voler avere conferma di quanto aveva appena detto e chiaramente, se solo non avesse avuto il suo elmo, Eryn sentì di essersi appena beccato uno sguardo scettico da parte di lui. «D’accordo, domanda stupida. Solo che ero convinta di aver dormito molto di meno—… avevo anche promesso di venire a darti il cambio. Non credevo di essere così stanca.»
«Adesso stai bene?» le domandò lui come se nulla fosse successo ed anche quella domanda la confuse un po’. 
«Eri preoccupato?» lo incalzò lei, cercando quasi di ribaltare la situazione in proprio favore. 
«Io?!»  il tono distorto dal casco fu ben più acuto del solito, il che voleva dire che effettivamente Speed aveva indovinato. 
«Vedi altri Mandaloriani sulla nave?!»
«Piantala, Speed!»
Colpito ed affondato con un solo colpo ed ecco che stranamente la ragazza si riprese mostrando un sorrisetto assolutamente soddisfatto, infatti passarono pochi secondi prima che il Mandaloriano si muovesse, lasciandola in quella posizione, forse a voler interrompere qualsiasi contatto visivo dopo aver appena involontariamente ammesso di essersi preoccupato per lei, non che si fossero mai davvero guardati negli occhi, però ultimamente Eryn riusciva quasi ad intuire qualcosa di simile seppur con il suo elmo a proteggerlo dal mondo. 
Chiaramente il voler infierire ulteriormente su di lui non era il massimo, quindi decise di seguirlo in silenzio verso il piano di sopra, il tutto dovendosi arrampicare su quella piccola scala tanto scomoda e dalla quale, presto o tardi, Speed era certa sarebbe caduta. 
«Dunque, il bambino? Quando mi sono alzata non l’ho trovato nella culla quindi immagino che fosse con te.» azzardò la ragazza arrampicandosi con qualche difficoltà, cosa che invece il Mandaloriano, forse per via dell’abitudine, fece con molta più facilità e tranquillità. 
«E’ in cabina di pilotaggio.» re rispose con altrettanta ovvietà senza neanche voltarsi indietro, una fortuna, perché altrimenti l’avrebbe vista faticare nell’arrampicata. 
«Lo hai lasciato da solo con i comandi della nave?!» chiese lei abbastanza preoccupata dalla cosa prima di mettersi a sedere sul pavimento del piano di sopra. 
«In realtà stava giocando con un pezzo dei comandi.» ci tenne a specificare Mando come se fosse la cosa più ovvia di sempre. 
Ma Speed non poté non inarcare un sopracciglio abbastanza confusa dalla tranquillità con cui Mando aveva lasciato il bambino, almeno per adesso.
«Un pezzo?! Bene, chiaramente stiamo andando alla deriva nello spazio—…» continuò la ragazza prima di rimettersi in piedi e scrollarsi di dosso la polvere accumulata sui propri vestiti. Probabilmente aveva bisogno di una doccia, cosa che non avrebbe ammesso, almeno per il momento, perché non le sembrava il caso di approfittarsi della sua ospitalità, anche se al momento avrebbero viaggiato insieme.
«In realtà stiamo andando su un pianeta desolato che si chiama Sorgan, lo conosci?» le domandò mentre avanzava a grandi passi lasciandola indietro. Il nome Sorgan non fece scattare in lei nulla, segno che non doveva trattarsi di un qualche pianeta particolarmente importante o redditizio o legato all’Impero, e già quella era un’ottima scelta. Sicuramente fatta con attenzione. 
«No, mai sentito. E’ un bel posto?» chiese ironica prima di mettere le mani in tasca, pronta a seguirlo, ma ecco che prima di raggiungere la cabina di pilotaggio nella quale già il Mandaloriano aveva fatto il suo ingresso, vide accanto a quel divano in disuso, quello che sembrava essere un letto disfatto e con dei cuscini tutti ammassati gli uni sugli altri, ed ovviamente lei si fermò ad osservarlo con insistenza. Non c’era quando era arrivata, o forse non lo aveva visto lei, quindi lo indicò richiamando l’attenzione del Mandaloriano. «E quello?»
«Mhm?» e Mando uscì, di nuovo, oltrepassando la pesante porta di metallo ancora aperta e che si affacciava su quell’ambiente spazioso. «Cosa?»
«E’ un letto?» insistette lei, cercando di comprendere se lo avesse fatto per un motivo preciso. 
«Ah, già. Non è un materasso ma è qualcosa di simile e non so se Sorgan sia un bel posto, però è isolato e per noi andrà bene visto e considerato che dobbiamo sparire dalla circolazione, almeno per un po’.»
Ed ovviamente, nel sentire la sua risposta, ecco che Speed gli sorrise sinceramente colpita da quello che aveva fatto, ovvero montare, in qualche modo, una sorta di letto solamente perché lei, poco prima, si era lamentata del fatto che non ci fosse un materasso sulla sua brandina. Ecco, quella era stata una sorpresa decisamente inaspettata che la lasciò piacevolmente sorpresa, al punto che annuì senza infierire, almeno questa volta, su quel discorso, decisa a concentrarsi sulla questione Sorgan. Effettivamente scegliere un posto isolato per sparire dalla circolazione era una buona idea, almeno per un po’ sarebbero stati al sicuro e poi, pian piano, avrebbero deciso cosa altro fare o come comportarsi, visto che era tutto da vedere. Ma quel piano iniziale non le dispiaceva neanche un po’, in fondo sarebbe stata la stessa cosa che avrebbe fatto lei, come era successa un tempo, il che voleva dire che per un po’ di tempo avrebbe dovuto a pensare che altro poter fare per sopravvivere, ma si sa, in due si ragiona decisamente meglio. 
«Ottimo, allora andiamo su Sorgan ed attendiamo che si calmino le acque. E’ un buon piano, Mando.» ci tenne a sottolineare lei con sincerità mentre lo superava, senza aggiungere altro, dirigendosi verso la cabina di pilotaggio, così da evitare anche possibili momenti imbarazzanti, che, a quanto pareva, erano ben più evidenti di quanto non avesse mai fatto caso Speed. 
Già, stranamente si ritrovò a pensare che essere da sola con lui poteva avere dei risvolti abbastanza tendenti all’imbarazzo, forse perché non era abituata a viaggiare con qualcuno e men che mai lui. 
Erano entrambi due lupi solitari che, per volere del destino, si ritrovavano a dover condividere quella sorta di avventura e tutto solo per proteggere il piccolo membro del branco, di cui lei non si era dimenticata, ed infatti, entrando nella cabina ecco che vide il piccolo esserino verde giocare con una pallina, sicuramente il pezzo dei comandi di cui aveva parlato il Mandaloriano, comodamente seduto al posto del secondo pilota. 
Speed s’abbassò verso di lui, ritrovandosi faccia a faccia con quei grandi occhi scuri che le rivolsero un sorriso e le tesero la manina per salutarla, ed ecco che dinnanzi a lui, o lei, sentì di aver fatto la cosa giusta nell’averlo salvato, e non si pentiva di nulla, anche se il proprio futuro, al momento, era alquanto incerto. 


Il pianeta di Sorgan, da quel che indicava il satellite sullo schermo, non doveva essere parecchio lontano e fra non molto sarebbero entrati nella sua orbita ed atmosfera, in modo tale da poter atterre e vedere quel che vi era da fare su quel posto desolato. La densità di popolazione, secondo la nave, era bassissima, quindi vi erano davvero ben poche possibilità che qualcuno li riconoscesse. Infatti, Din, con il tempo e con l’esperienza, aveva imparato che i modi migliori per disperdere le proprie tracce erano due: o ci si confondeva in mezzo alla confusione e dunque a tanta gente oppure in posti dove non vi era nessuno. Quella volta la scelta era ricaduta sulla seconda opzione, poiché Sorgan era risultato essere il pianeta più vicino e che sembrava fare al caso loro.
Non aveva chiesto un parere alla ragazza, considerato che stava dormendo ben più profondamente di quanto avesse mai immaginato, ed alla fine aveva impostato la rotta insieme al piccoletto, che sembrava invece apprezzare quella nuova meta e destinazione. 
Non ci sarebbe voluto molto, ovviamente, e dopo che Speed lo aveva ringraziato per il letto, si era preso il piccolo in braccio, non avevano più parlato, o meglio era come se nessuno dei due volesse anche solo provare a disturbare l’altro. Ed a Din questo andava bene, lui non era abituato ad avere un equipaggio, men che mai una donna a bordo, di solito i suoi ospiti erano per lo più i propri prigionieri, non di certo qualcuno come Speed, qualcuno che non riusciva a definire bene.
In quel momento, guardandola di sbieco, era ben più tranquilla e pacata di quanto non fosse prima, infatti, dopo essere sceso a prendere il bambino che aveva iniziato a dargli fastidio con i suoi lamenti, l’aveva vista agitarsi nel sonno, come se stesse scappando o combattendo contro qualcosa che le faceva del male. Le aveva addirittura tastato la fronte, senza il guanto, per assicurarsi che non avesse la febbre, ma niente di niente, era fresca però stava facendo dei sogni agitati. 
Sì, Din Djarin si era preoccupato per lei, ma non glielo aveva detto, aveva preferito lasciare che lei lo intuisse. Ecco il perché delle precedenti domande, visto che non poteva di certo darle  una mano in quelle condizioni. 
Ma aveva taciuto, certo che non fosse nulla di grave, anche perché sarebbe stato inutile allarmarla, magari era qualcosa che lei sapeva già, qualcosa che accadeva spesso. Oppure era colpa di tutto quello stress che l’aveva costretta a sopportare, perché sapeva bene che Navarro era tutta opera sua e forse per tale motivo la stava quasi trattando con maggiore riguardo di quanto ne avrebbe normalmente avuto.
Era il proprio modo di sdebitarsi per averle fatto perdere tutto. 
Ma poi improvvisamente la sua voce, decisamente troppo melodiosa per Din, richiamò la sua attenzione. 
«Mando, posso farti una domanda?» gli chiese ella costringendolo, ovviamente, a voltarsi verso di lei. 
Speed se ne stava con le gambe rannicchiate sulla poltrona del secondo pilota mentre guardava fuori dal finestrino e stringeva fra le braccia il piccolo, sempre intento a giocare con quel pezzo di metallo che tanto lo rendeva felice. 
Li trovò stranamente rassicuranti e piacevoli da osservare, ma lei gli voleva fare una domanda, questo non lo aveva di certo dimenticato, ed infatti annuì con tranquillità, dandole appunto la possibilità di parlare e di dire ciò che aveva da chiedere, qualsiasi cosa fosse. 
«D’accordo—… forse è una cosa un po’ personale ma da quanto tempo non togli il tuo elmo?» 
Da sotto la visiera ecco che lo sguardo di Din sembrò quasi allarmarsi perché quella domanda, decisamente inaspettata e decisamente personale, lo colse alla sprovvista. Aveva pensato che gli avrebbe chiesto qualcosa riguardo Sorgan o su cosa avrebbero fatto e forse avrebbe anche preferito pensare a quello, però ecco che invece lei aveva deciso di porgli una delle domande più personali di sempre e lui, dal canto suo, non aveva alcun motivo per mentirle o per evitare di risponderle, in fondo non era un mistero. 
«Da un paio d’ore.» le rispose con tutta la tranquillità di cui era disposto mentre continuava a guidare la Razor, eppure vide chiaramente, con la coda dell’occhio, la faccia estremamente sorpresa di Speed nel sentire la propria risposta. 
«Da—… aspetta. Adesso sono confusa. Ma voi Mandaloriani non potete mai levare il casco oppure avete qualche regola particolare? Perché adesso non sto capendo. Insomma mentre dormivo tu non indossavi il tuo elmo?!»
Era più che legittimo, e poteva anche capirlo, quindi armato di tutta la buona volontà di cui era disposto cercò di spiegarle bene come funzionava la Via di Mandalor che lui seguiva da quando aveva otto anni.
«In realtà la nostra via ci impone di non togliere mai l’elmo davanti ad un essere vivente così da mostrare il proprio viso. Ma lo possiamo togliere quando siamo da soli. Una volta che qualcuno ti toglie l’elmo oppure se tu lo togli per qualcuno non potrai più indossarlo e seguire la via di Mandalor.»
Lo chiedevano spesso, gli altri Mandaloriani, se era stato tolto l’elmo, perché chiunque non lo avesse tolto o se lo fosse fatto togliere allora era un guerriero temuto e rispettato nella comunità Mandaloriana, e lui lo era ancora. Però non si aspettava che gli altri potessero capirlo, era qualcosa che andava oltre il semplice stile di vita, era un credo, l’unica cosa alla quale si era potuto aggrappare quando era ancora solo un trovatello, dopo aver perso la sua intera famiglia. 
Chiaramente l’espressione della ragazza fu sempre più confusa, mentre giocava distrattamente con il piccolo, intento a tirarle un dito e successivamente i capelli lunghi e biondi. 
«Quindi—… tu puoi toglierti l’elmo quando sei da solo mentre con qualcuno nella stessa stanza devi per forza indossarlo.» picchiettò, allora, il dito libero contro le labbra assumendo un’aria pensierosa, mentre aggrottava le sopracciglia. «E se tipo sei in una stanza con qualcuno che non può vedere? In quel caso puoi toglierti il tuo elmo? E poi questo vuol dire che tu mangi sempre da solo?»
Che domande. 
Davvero voleva sapere i dettagli tecnici?!

«Sì, in quel caso se l’altra persona non mi può vedere in viso allora posso toglierlo—… e sì, Speed, mangio sempre da solo.» 
«Ma questo è—… triste.» mormorò lei leggermente delusa da quell’affermazione. «Quindi in teoria teoria la via di Mandalor gira intorno al non mostrare il proprio volto piuttosto che all’indossare l’elmo, anche se le due cose sono correlate.» 
«Più o meno. Sono due cose che vanno di pari passo, ma come hai detto tu, appunto, possono esserci delle eccezioni.» spiegò cercando di essere esaustivo, non prima di aver aggiunto un ultimo dettaglio. «E non è triste. Questa è la via.»
Il suo motto, di cui andava tanto fiero e che alle volte era un vero fardello da portare sulle spalle, era perfetto per descrivere la propria situazione. 
«E non ti viene mai voglia di toglierti l’elmo o di lasciartelo togliere, Mando?» 
Questa volta, nel pronunciare quelle parole, il viso di Speed non era tanto curioso quanto dispiaciuto, forse perché vedeva il suo elmo quasi come una sofferenza, cosa che per Din non era. Eppure la domanda, più che legittima, lo lasciò un attimo interdetto perché effettivamente c’erano state delle volte in cui avrebbe voluto togliersi il proprio elmo o che gli era quasi stato tolto: la prima volta che aveva ricevuto un colpo troppo forte al petto e non riusciva a respirare, la prima volta che era stato con una donna, una caduta dallo speeder che gli aveva provocato una ferita alla testa, un nemico che lo aveva quasi ucciso. Sì, Din aveva desiderato davvero tanto, in certi momenti, non avere nessun elmo, era davvero arrivato così vicino a toglierselo ed ad abbandonare la via di Mandalor che lo ricordava parecchio bene, solo che poi qualcosa in lui era scattato e ripreso il proprio consueto autocontrollo si era ritrovato a non toglierselo o farselo levare.
«Qualche volta—…» replicò lui lasciando che quelle parole si perdessero nel vuoto, mentre dinnanzi a sé la fitta vegetazione del pianeta iniziava a scorgersi all’orizzonte. 
E Speed, sinceramente colpita da quelle parole, ecco che rimase in silenzio per qualche istante di troppo prima di aggiungere una frase che colpì parecchio Din. 
«Beh, so che non è molto, ma ti prometto che non ti chiederò mai di togliere il tuo elmo per me, Mando.»
Già, gli aveva appena fatto quella promessa con un sorriso sulle labbra mentre giocava con il bambino, prima di rivolgergli un profondo sguardo sicuro che non sembrava ammettere alcuna replica. E lui, dal canto suo, rimase intento a fissarla senza sapere bene cosa dire.
Di solito la gente lottava per cercare di levargli il suo più grande orgoglio, ovvero il proprio elmo in beskar, mentre lei aveva appena promesso tutto il contrario, decisa a non fare una simile richiesta. 
Ecco, quell probabilmente fu uno dei pochi momenti in cui il Mandaloriano si sentì piuttosto confuso ed allo stesso tempo piacevolmente sorpreso da quelle parole. Sì, Din rimase così colpito, che non sentì neanche il radar segnalare una radura nelle vicinanze, segno che ormai il proprio atterraggio su Sorgan era praticamente immediato, eppure c’erano così tante cose che le avrebbe voluto chiedere prima di scendere dalla nave, solo che il tempo sembrava essere contro di lui al momento. 
“Chi sei davvero Speed? Perché mi fai una promessa simile? E soprattutto chi ti dice che magari non sarò io a volermi togliere il mio elmo per te?”
Perché fu proprio in quel momento che Din si rese conto di due cose: erano appena giunti a destinazione su Sorgan e che forse, quella sera nel vicolo di Navarro dopo la quasi rissa nel locale della Gilda, aveva desiderato non avere il proprio elmo a nasconderlo per poterla guardare meglio in viso.

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