Shattered space

di Vriterens
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maneggiare con cura ***
Capitolo 2: *** Merda ***
Capitolo 3: *** Tatto e diplomazia ***



Capitolo 1
*** Maneggiare con cura ***



Capitolo I

Maneggiare con cura

 






«Le mani di Dario continuavano a scorrere lungo la schiena dell'altro. Veloci. Fameliche. Non riusciva a rallentare. Sotto i polpastrelli poteva avvertire la pelle di Nicolas tremare, scossa dal battito irrefrenabile del suo cuore. Voleva toccarlo tutto, ogni lembo di pelle, ogni centimetro doveva essere conosciuto al suo tatto. Scese più giù, sostituendo caldi baci alle dita; poteva sentire il suo profumo...»
 
«Ma la vuoi piantare?» sbraitò improvvisamente una voce.
Angelica, con aria innocente, alzò lo sguardo verso la sua amica: «Cosa c'è, ti scandalizzi per così poco?»
Emilia sbuffò, levando gli occhi verdi al cielo: «Si dà il caso che io sia venuta qui per studiare».
«Un attimo di pausa non ha mai ucciso nessuno. E poi hai l'esame tra due mesi, che fretta c'è?»
«Angè, se devo stare qui solo per sentire le tue stupide storie d'amore, sdolcinate e tra l'altro con trame sterili, torno nella mia camera».
«Quanto sei noiosa...» sospirò la bionda, prima di riprendere a leggere ad altra voce: «Poteva sentire il suo profumo, quell'aroma che avrebbe riconosciuto tra mille. Sapone, muschio, pioggia. Un'inconfondibile essenza che gli procurava una morsa allo stomaco».
«Angè...»
«L’idea di averlo lì tra le braccia, in suo totale potere, lo inebriava. Non credeva che avere il controllo di una persona in quel modo potesse essere tanto soddisfacente».
«Angelica…»
«Vederlo sospirare, sentirlo fremere, era qualcosa che…»
«Ora basta!» La mora si alzò. «Piuttosto vado a mettere a posto in cucina, ma non ce la faccio più a sentire queste scemenze». Presi i libri, uscì dalla stanza con fare sbrigativo, lasciando l’amica sdraiata sul letto con il computer davanti, intenta a finire la sua lettura.
In cucina era tutto un disastro: piatti e bicchieri erano affogati nel lavandino colmo di acqua, padelle sporche ingombravano i fornelli e la tovaglia, ancora appallottolata, era stata abbandonata sul tavolo.
«Angè, possibile che lasci ogni volta questo casino?» sbuffò. «Tanto sono sempre io a dover pulire, eh?»
Non se la prendeva davvero per queste cose. Angelica era la persona più sbadata che conoscesse: sempre con la testa tra le nuvole, sempre a pensare a qualcos’altro. Era ingenua, con una mente semplice, ma mai cattiva. Nonostante quella convivenza fosse talvolta esasperante, Emilia le voleva bene come a una sorella.
Si erano prese fin da subito, dalla prima volta che si erano incontrate. Così diverse eppure così simili.
Istintività e pianificazione. Morbidezza e durezza. Fiducia e sospetto.
Si erano trovate e si erano scoperte. Ed erano rimaste, l’una per l’altra.
Con le mani immerse nell’acqua, alla ragazza venne da sorridere pensando all’ultima ossessione dell’amica. Da mesi, ormai, viveva dipendente da un gruppo di ragazzi bolognesi che creavano intrattenimento sul web, giovani, di pochi anni più grandi di loro e -anche se Emilia non lo avrebbe ammesso mai- piuttosto simpatici.
Non era tanto quello che facevano a coinvolgere le persone, quanto il modo. Sembravano gli amici che si possono incontrare al pub, quel gruppo di cui vorresti far parte perché sai che con loro staresti bene.
Erano genuini, spontanei. Di un fascino intelligente. Capaci di creare qualcosa di nuovo e diverso, ma senza troppe pretese.
Ma il troppo storpia, e vivendo con i loro video in sottofondo tutti i giorni, avendo loro come argomento di quasi tutte le conversazioni, Emilia aveva iniziato a non sopportarli più.
Ad aumentare questo senso di nausea, erano spuntate come funghi anche quelle fanfiction deliranti, piene di amori non corrisposti e trame che non avevano né capo né coda.
E alla ragazza quelle storie non piacevano. Non perché ci fosse qualcosa di male nello scriverle, ma non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che così tante persone potessero perdere la testa a quel livello per dei ragazzi, in fondo, come tanti altri. C’era forse qualcosa in più in loro che a lei sfuggiva?
A distoglierla dai suoi pensieri fu il suono del campanello.
«Angelica, vai tu?». Dalla camera nessuna risposta, se non un insieme di voci indistinte. Stava sicuramente vedendo un loro video. «Angè, sto lavando i piatti, per favore!»
Niente.
Maledicendosi di avere una coinquilina come la sua amica, Emilia andò ad aprire alla porta, imprecando contro qualsiasi essere, umano e non. Il campanello suonò una seconda volta, più insistentemente.
«Arrivo, arrivo» urlò, nella speranza che chiunque stesse aspettando avesse la pazienza di attendere ancora qualche secondo. Guardò dallo spioncino, ma non vide nessuno.
Sbuffò, evidentemente avevano fretta. Pazienza.
Non fece in tempo a dare le spalle alla porta e a fare un altro passo che il campanello trillò nuovamente.
Guardò ancora dal piccolo foro senza, però, trovare nessuno dall’altra parte. Eppure, questa volta aveva fatto passare solo un paio di secondi.
Fece di nuovo per voltarsi, ma al terzo squillo non resistette più. Aprì la porta e strepitò: «Mi state prendendo in giro?»
Si pentì quasi subito. Nel pianerottolo di fronte al suo appartamento regnava un silenzio imponente, e la sua voce riecheggiò per la tromba delle scale.
Dell’ospite, (ormai) non gradito, nessuna traccia.
Solo mentre richiudeva la porta, si accorse di un oggetto ai suoi piedi. Era un pacco piuttosto grande, ricoperto di una carta marrone grigiastra, e chiuso da uno spago che passava su tutti i lati e si concludeva con un fiocco sul dorso. In alto a destra erano attaccati quattro o cinque adesivi che ricordavano i francobolli, anche se di dimensioni, forme e colori differenti l’uno dall’altro.
Non c’era mittente né destinatario, solo una scritta:
 
Maneggiare con cura
 
* * * * * * * * * * * * * * * *
 
Erano passati più di dieci minuti da quando aveva appoggiato il pacco sul tavolo della cucina. Si era seduta ed era rimasta a fissarlo, senza decidere cosa fare. Qualcuno si era sbagliato e lo aveva appoggiato lì distrattamente, o era davvero per loro? Avevano suonato al campanello, è vero, ma poi nessuno si era fatto vivo.
Doveva trattarsi di uno scherzo di qualche ragazzino, considerando che non c’era neanche scritto il destinatario. Proprio mentre rimuginava, entrò Angelica nella stanza.
«Oh, è arrivato qualcosa?»
«Lo hanno lasciato sul pianerottolo».
«Non l’hai ancora aperto?». Neanche il tempo di chiederlo, che la bionda si era avventata sull’oggetto e aveva già sciolto il nodo dello spago.
Scartò rapidamente e sollevò il coperchio della scatola che si era ritrovata davanti. Sopra la montagna di paglia trasparente, era posato un biglietto piegato in due, con sopra scritto il nome di Emila.
Angelica si girò verso la coinquilina sorridendo: «Deve essere per te».
L’altra prese il foglietto, titubante, e lo aprì. Dentro, scritte a macchina, comparivano solo tre parole:
 
Mettiti in gioco.
 
Nient’altro. Nessuna indicazione sul contenuto del pacchetto, nessun indizio su chi lo avesse mandato.
Spinta dalla curiosità, Emilia infilò la mano in quel groviglio di trucioli di plastica e ne estrasse uno strano oggetto: sembrava una trottola, grande quanto una mela, di un materiale trasparente, un misto tra plastica e vetro. Al suo interno, arrotolata intorno all’asse che fungeva da baricentro, era presente una spirale bianca. Non aveva altro dentro, ma all’esterno presentava otto cavità di forme diverse, come delle parti concave in cui si dovessero aggiungere pezzi. Evidentemente mancavano delle parti.
«Bell’affare, non è neanche completa».
«Chissà chi te la manda».
«Il biglietto non è firmato, sarà qualche stupido scherzo. Magari qualcuno voleva disfarsene e l’ha lasciata a noi».
«A te» la corresse Angelica, sollevando il foglietto e mostrandolo all’amica.
«Sì, va bene. A me» concordò Emilia. «Ma questo non dimostra che non sia una buffonata».
«Peccato, sarebbe stato carino pensare che avessi un corteggiatore» rise l’altra.
Emila non riuscì a trattenere un sorriso. «Tornatene a guardare i video di Space Valley che è meglio».
Fu questione di un secondo, la strana trottola che avevano appoggiato sul tavolo si illuminò e, dapprima lentamente, poi sempre con più velocità, prese a girare su se stessa.
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata, sbalordite.
«Sei stata tu?» chiese la bionda.
«Io non l’ho neanche guardata».
«Ma non può aver fatto tutto da sola».
«Magari all’interno c’è un meccanismo con un timer e ogni tot si accende». Mentre pronunciava queste parole, Emilia allungò la mano verso l’oggetto.
«Aspetta» la bloccò l’altra, aggrappandosi alla sua spalla. «Magari è qualcosa di pericoloso».
«Suvvia, Angè» sospirò spazientita la mora. «È solo un giocattolo, cosa potrà mai fare…».
Il suo braccio era ancora proteso, quando con un leggero movimento la trottola sfiorò il suo dito. La sensazione che la ragazza sentì fu strana, come un leggero pizzicore, che dalla mano si estese per il braccio e poi in tutto il suo corpo. Qualcosa attraeva tutte le sue cellule verso quel vorticare frenetico, una strana energia. Improvvisamente venne abbagliata da un’accecante luce bianca.
E poi il buio.
 
****************
 
La prima cosa che vide, quando aprì gli occhi, fu una luce blu lampeggiante. Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco quello che aveva intorno.
Il cuore le fece un salto all’indietro. Un doppio carpiato.
Quella che la circondava non era la sua cucina. E neanche una qualunque altra stanza della sua casa.
Si trovava in un lungo corridoio, le cui pareti erano coperte da lastre di metallo, mentre ai bordi del pavimento correvano, per ogni lato, due tubi paralleli che emanavano una luce dorata.
Accortasi di essere distesa per terra, si tirò a sedere e provò un moto di sollievo quando vide l’amica accanto a sé. Anche lei sembrava stordita, ma almeno stava bene.
«Dove credi che siamo finite?»
«Non lo so, sembra il set di un film di fantascienza». Emilia continuò a guardarsi intorno, poi vide qualcosa che assomigliava a una porta e la indicò. «Proviamo ad andare lì. Vedrai che sarà tutto un grande scherzo di qualcuno che in questo momento si starà divertendo alle nostre spalle».
Mentre si alzava, notò di tenere in mano qualcosa. Aprì il pugno e vide la trottola nel suo palmo, immobile e spenta; se la mise in tasca. Possibile che quell’oggetto fosse complice di tutta questa sceneggiata? No, Emilia doveva restare razionale. Le trottole non teletrasportano le persone. Chiuso il discorso.
Si avvicinarono al varco e lo oltrepassarono, ritrovandosi nuovamente in un corridoio, che questa volta si biforcava. Girarono a destra, poi a sinistra e nuovamente a destra. Sembrava non finire mai. Era tutto uguale a ciò che si erano lasciate alle spalle e uguale a ciò che, dietro ogni curva, trovavano ad aspettarle.
Non proferirono parola neanche una volta, camminavano vicine, quasi toccandosi, avanzando lentamente.
Svoltato l’ennesimo angolo, si ritrovarono davanti un corridoio che collegava quelle che sembravano essere stanze. Decisero con un’occhiata di dirigersi verso l’ultima, quella più grande e l’unica ad essere illuminata. A pochi passi da questa, una grossa porta scorrevole trasparente si aprì, lasciando loro libero l’ingresso.
Quella che si trovarono di fronte era un’immensa cabina di pilotaggio, a più postazioni. Schermi, leve, bottoni dai colori diversi, luci accese a intermittenza occupavano tutto lo spazio davanti alle poltrone.
Sembrava di essere all’interno della scena di un film. No, di quel film.
«Non è possibile, sembra una ricostruzione del Millennium Falcon». Emilia era ammaliata da tutto ciò che la circondava. Non poteva essere reale. Non lo era, di questo ne era certa. Sorrise pensando all'assurdità generale della situazione: «Capace che troviamo anche Chewbacca...»
«Intendi dire il cane di Cesu?» La voce di Angelica la riportò alla realtà.
«Il cane di Cesare? Sei seria?»
«Perché, tu chi intendevi?»
«Lascia stare, dai. Sei un caso perso».
Attraversò tutto il locale, fino ad arrivare davanti all’avionica. Era incredibile l’idea di avere tutto quel complesso davanti, a portata di mano. Sembrava surreale, e lo era.
Fu quando, però, alzò lo sguardo, e osservò attraverso i vetri della cabina di pilotaggio, che si accorse che fra le mille cose assurde che la circondavano ce ne era una che lo era più del resto. Sotto di lei si estendeva una città intera: palazzi, strade, lampioni, tutto brillava alla luce del Sole. E fra quegli edifici non c’erano persone a camminare, ma esseri che con la razza umana non avevano niente a che fare.
Angelica le sia avvicinò sorridendo, ignara di quello che avrebbe trovato.
«Cosa stai guardando?»
Davanti al silenzio dell’amica, ne seguì lo sguardo e lentamente il sorriso le scivolò via dal volto.
I suoi occhi si posarono su quello che da lontano intravedeva come un banchetto, una bancarella forse, la cui insegna riportava a caratteri cubitali: TORTELLINI. Ma a gelarle il sangue fu vedere chi fosse il venditore: un polipo dai tentacoli azzurri.
«Aspetta, mi stai dicendo che...»
Quello di Emilia fu un sussurro appena percettibile. «Siamo letteralmente nella Valle Spaziale».

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Capitolo 2
*** Merda ***


Capitolo II

Merda


 





«E voi chi cazzo siete?»
Merda.
Un brivido percorse la schiena di Emilia. Con un sussulto si girò verso l’amica e ne incrociò lo sguardo. Nei suoi occhi era riflesso il suo stesso terrore. No, stupore. Perché entrambe avevano riconosciuto quella voce. Dario.
Si voltarono lentamente e videro che la loro paura si era concretizzata, in piedi, dall’altra parte della cabina.
Dario era lì, imponente, con le sopracciglia arcuate e uno sguardo minaccioso.
«Vi ripeto la domanda, perché forse non avete capito». La voce profonda sembrò far scendere il gelo nella stanza. «Chi cazzo siete?»
Doppiamente merda.
«Noi…» provò a dire la mora, ma le parole le morirono in gola. Dove caspita si erano cacciate?
Angelica, che fino a quel momento era rimasta immobile vicino all’amica, scattò come una molla. «Dario, non ci posso credere, sei veramente tu? Non avrei mai pensato di poterti incontrare in una situazione tanto bizzarra» esclamò con una risatina, facendo qualche passo verso il suo interlocutore. «Ma alla fine qual è il problema? Meglio così che niente. Devo dire che questo set è davvero incredibile, anche se avrei preferito vedere la vera Valle Spa…»
«Come cazzo fai a sapere il mio nome?». Questa volta la sua voce si era alzata di un tono e, nel parlare, il ragazzo aveva sollevato un braccio. Emilia notò solo in quel momento che, nella mano, Dario stringeva saldamente una pistola e che il bersaglio che stava puntando erano proprio loro.
Merda alla seconda.
Angelica, che al contrario non sembrava turbata da quel particolare, fece un altro passo in avanti. «Ma come, Dario? Vi seguiamo, abbiamo visto tutti i vostri video. E poi, adoro i tuoi podcast, sono sempre così…»
«Se provi a fare un altro passo ti sparo».
Angelica scoppiò in una risata cristallina. «Cos’è, un gioco di ruolo? Scommetto che anche gli altri si saranno maschera… AAAAH!»
Mentre la ragazza parlava, Dario aveva puntato la pistola verso un barile di metallo e premuto il grilletto, sparando un raggio laser che aveva distrutto l’oggetto.
«Ci credi ora?»
Angelica arretrò e iniziò a balbettare: «Dario, ca-calmati…»
«Smettila di chiamarmi così» sputò il ragazzo.
«Tranquillo, noi… noi… non vogliamo… siamo qui solo per sbaglio…»
Emila raggiunse l’amica e, abbracciandola, la portò dietro di sé, come a volerla proteggere. Tutto ciò che le circondava non aveva senso. Non aveva senso quella specie di astronave, probabilmente il nuovo set del canale, ma troppo grande e troppo ricco di dettagli per essere stato costruito dai sei ragazzi. Non aveva senso quello che avevano visto fuori in lontananza. Un polipo dai tentacoli azzurri. Ma siamo seri? Non aveva senso il comportamento di Dario che, sì era solito recitare la parte del pazzo, ma fino a quel punto? Non aveva senso la pistola. Né il laser. Né niente.
Non aveva senso niente. Niente.
Il giovane davanti a loro non smetteva di puntare l’arma. «Ve lo chiedo per l’ultima volta, perché la mia pazienza ha un limite. Chi cazzo siete?»
Proprio in quel momento, alle spalle del ragazzo, apparve una seconda figura, che entrò allarmata nella cabina e urlò: «Per tutti gli gerpolchi fulminati, cosa diavolo è successo?»
I capelli biondi, che la luce separava in ciocche dorate. La barba ramata che circondava il viso. Gli occhi così chiari che sembravano di ghiaccio. Tonno.
«Ho scovato degli intrusi, Tounwe. E sto cercando di capire perché sono qui».
Tounwe?
«Chi hai trovato?»
«Queste due».
Il nuovo arrivato si girò preoccupato verso il punto che la mano del compagno gli stava indicando, ma quando scorse le ragazze tirò un sospiro di sollievo.
«Tutto qui?» rise.
«Ti sembra poco?»
«Sinceramente mi aspettavo qualcosa di molto più preoccupante».
«Sono entrate senza che nessuno se ne accorgesse».
«Ma mi sembra eccessivo sparare contro di loro. Ti hanno attaccato?»
«No».
«E allora…»
«Cosa vorresti dire?»
«Daarikton, non credo sia questo il modo giusto di comportarsi» sbuffò il nuovo arrivato, voltandosi verso le due amiche. «Fra l’altro sono anche due belle ragazze. Non farmi fare brutta figura».
Daarikton?
«Sei serio?». Per un attimo l’incredulità ovattò lo sguardo infuocato. Ma durò poco. «Pensi sempre solo a quello. Potrebbero essere delle spie, non mi fido».
Dove diavolo si erano cacciate?
«E poi quella…»
«Ma dai! Sei sempre così drastico» lo interruppe il compagno.
Daarikton gli lanciò uno sguardo truce. «Lasciamo perdere» mormorò tra i denti. «Chiama gli altri e vediamo loro cosa ne pensano».
Tounwe si avvicinò due dita all’orecchio destro e disse: «Regaz, siamo nella cabina di pilotaggio. Venite tutti qui». Poi rimase fermo, con il braccio abbassato, sorridendo come un ebete alle due amiche.
I secondi seguenti, che passarono prima dell’arrivo degli altri, a Emilia parvero interminabili. Si era creata nella camera un’aria pesante di incomunicabilità, nessuno sembrava voler prendere la parola per primo. Nessuno accennava un gesto, una smorfia che facesse presagire un conseguente dialogo. Non volava una mosca. E nonostante questo la pistola di Daarikton restava ancora a mezz’aria, ovvero non considerevolmente puntata sul pavimento.
Uno sciame di voci indistinte annunciò l’ingresso del gruppo. Il primo a entrare nella cabina fu Nelson - perché era Nelson, vero?-, seguito dai restanti tre, e senza neanche guardarsi intorno si rivolse a Touwne con aria scocciata: «Spero sia una cosa di vitale importanza, perché hai decisamente scelto un brutto momento».
«Scommetto che stavi mangiando, eh vez?» rise l’altro sotto i baffi.
Nelson lo fulminò con lo sguardo. «Sbrigati o me ne vado».
«Va bene, vez. Daarikton ha trovato delle intruse» annunciò. «Anche se a me sinceramente non dispiacciono molto».
Le due ragazze sentirono sei paia di occhi posarsi su di loro e le loro guance si tinsero di rosso.
«Vuoi dire che sono entrate eludendo la sicurezza?»
«Sì, ma guardale. Sembrano solo due persone che si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Io non mi preoccuperei più di tanto».
«Potrebbero essere pericolose…» borbottò Nelson.
«Andiamo! Sembrano piuttosto innocue».
«Sono entrate di nascosto, mi sembra sufficiente» sentenziò il più alto con ancora la pistola in mano.
Touwne alzò gli occhi al cielo. «Sono armate?».
«Non mi pare».
«Hanno preso o rotto qualcosa?»
«Non ho controllato, ma non credo».
«Stavano cercando di impossessarsi della nostra nave?»
«Io non…»
«Ti sembrano due figure losche?»
«Veramente…»
«Hanno qualcosa che le identifichi come alleate di Môr-gyllyll?»
«No, ma…»
«E allora qual è il problema?» chiese esasperato quello che sembrava essere Cesare. Perché era Cesare, giusto?
«Quella lì mi ha chiamato Dario».
Merda. Merda. Merda.
Un silenzio inquietante calò nella stanza, e tutti e sei i ragazzi si girarono nuovamente verso le due intruse.
Dove cazzo si erano cacciate?

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Capitolo 3
*** Tatto e diplomazia ***


Capitolo III

Tatto e diplomazia

 






A rompere bruscamente il gelo che si era creato fu Touwne. «Questo non me lo avevi detto».
«Se me ne avessi dato il tempo, forse ci sarei riuscito» ringhiò Daarikton.
«Ma qual è il problema?» chiese Angelica, con voce tremolante, prendendo coraggio. «Non sei tu Dario? E Tonno, e Cesare e Nicolas e…»
Al sentir pronunciare quei nomi, i sei ragazzi sussultarono e si guadarono spaesati.
«Voi non li dovreste conoscere» sentenziò aspramente il più alto.
«Questa storia è assurda» esclamò Emilia. Guardò gli altri per cercare un minimo di conforto. «Frank, almeno tu» supplicò.
Il ragazzo interpellato la guardò con aria diffidente. «Frank?»
«Non è possibile» sospirò affranta la ragazza.
Dopo un attimo di silenzio, a prendere nuovamente la parola fu Touwne. «Va bene, cerchiamo di procedere con calma. Come fate a conoscere quei nomi?».
Tatto e diplomazia.
«Ma sono i vostri nomi! Lo sanno tutti…».
«No, non è vero. Nessuno li conosce».
«E come altro dovremmo chiamarvi?» chiese esasperata.
Dei volti così familiari, improvvisamente, sembravano essere i più ostili e sconosciuti del mondo. Dove erano finiti i sei ragazzi bolognesi che conoscevano? Possibile che non fossero loro?
Touwne si guardò intorno e, dopo aver avuto il cenno di consenso da parte degli altri, rispose. «Io sono Touwne Strayder, e loro sono Fryienk Reytal, Daarikton Kruger, Nelsgord Ukarme, Nicøshin Cleeze, Caessheir Othone» disse, indicando rispettivamente Frank, Dario, Nelson, Nicolas e Cesare. «Facciamo parte dell’Intelligent Division della S.P.A.C.E.».
«Siamo soldati» affermò vanesio Caessheir.
«Non proprio» si intromise Nicøshin. «Diciamo che agiamo per conto del governo, ma non dobbiamo rispondere direttamente al Consiglio».
«Diciamo che aiutiamo, perché riteniamo sia giusto farlo» precisò Touwne.
«E per la fama e la gloria, no?» rise tronfio Caessheir.
«Ecco, quello magari potresti tenertelo per te e…».
«Fermi un attimo» lo interruppe Emilia, facendo un passo in avanti. «È tutto uno scherzo, vero? Perché io mi sarei anche stufata di questa situazione. Vorremmo tornare a casa. Ammetto che sia stato quasi divertente, ma adesso è il momento di finirla».
Tatto e diplomazia.
«Di finire cosa, esattamente?» domandò Daarikton, con una lentezza estrema, quasi a misurare le parole.  Teneva ancora in mano la pistola, ma si era finalmente deciso ad abbassarla, puntandola verso terra. Era incredibile come quella versione di Dario potesse incutere così tanto timore, come potesse essere così austera. Algida, quasi.
«Questa pagliacciata!» Emilia allargò le braccia come ad indicare tutto ciò che li circondava. «Cos’è, “Sfida a chi si immedesima meglio”? “Può essere una navicella”? O ”È buono sul Millennium Falcon”?! Ci state prendendo in giro?».
«Cosa c’entra il Millennium Falcon?» sussurrò il biondo all’amico vicino.
«Crede di essere dentro un film» rise Caessheir.
«Silenzio» li zittì a bassa voce Nelsgord.
Daarikton fece un sorrisetto mellifluo. «Veramente a prenderci in giro sei tu, ragazzina» sentenziò. «Fino a prova contraria, siete voi ad essere entrate senza permesso. Voi siete andate in giro tralasciando il fatto che potesse esserci qualcun altro a bordo. Voi ci state accusando di mentire, come se fossimo qui per raggirarvi. Ma non siamo noi gli intrusi. Siete voi».
La ragazza si morse il labbro, ma non rispose. Perché questa volta aveva ragione lui.
«Per questo non mi sembri proprio nella posizione giusta per avanzare delle accuse del genere» continuò, avvicinandosi a lei. «O mi sbaglio?»
Era arrivato a poco più di un metro da lei ed Emilia si costrinse a non indietreggiare.
«Ma questo non mi impedisce di cercare la verità».
«E qual è questa verità che tanto brami?» le soffiò sul volto il ragazzo, ormai davanti a lei.
Tatto e diplomazia.
«Sapere perché ci state facendo questo».
«Povera piccola bambina» rise falsamente cortese, iniziando a girarle intorno. «Perché, credi che tutto questo sia una gioco?»
«Non lo è?»
«Sei tu a dirlo».
Emilia chiuse per un attimo gli occhi. Inspirò, espirò.
Tatto e diplomazia.
Cosa diceva sempre Sherlock? Se si esclude l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. 
Spalancò nuovamente le palpebre.
«Io non capisco» mormorò avvilita. «Se voi non state fingendo, vuol dire che tutto questo è reale».
«Non potrebbe esserlo?»
«Ma questo implicherebbe l’esistenza di astronavi, multiversi e… strani esseri che con l’uomo non hanno nulla a che fare».
«E…»
«E questo è assurdo».
«È assurdo che esistano altre creature oltre l’essere umano? Mi sembra un po’ limitativo».
«No. Quello che è assurdo è l’essere catapultati qui, quando nel nostro mondo di tutto questo non se ne sa nulla…»
Si interruppe bruscamente. Cazzo.
Nel nostro mondo.
Nel nostro mondo.
Quindi quello non era il loro? Improvvisamente nella sua mente balenò una paura che faceva fatica a concretizzarsi. E subito le si formò un dubbio sulle labbra.
«Ammesso che tutto questo sia vero, che voi siete realmente ciò che dite di essere, noi come ci siamo arrivate fin qui?»
«Ecco. Finalmente una domanda sensata» sibilò fra i suoi capelli.
 
*  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *
 
«Quindi ci state dicendo che, da dove venite voi, noi viviamo facendo video? Questo sì che è ridicolo» esclamò sorridendo Caessheir.
Erano passati alcuni minuti e le ragazze con titubanza, dopo essersi presentate, avevano provato a raccontare la loro versione.
«Non più ridicolo di quanto non sia essere qui, in un altro mondo» borbottò Angelica.
«Quello è normale. Esiste un numero infinito di mondi» spiegò Fryienk, come se fosse una cosa ovvia.
Touwne sorrise. «Anche se non era mai capitato di trovare qualcuno che conoscesse un'altra versione di noi...»
«È vero, ma prima o poi sarebbe potuto succedere».
«State dicendo che anche noi potremmo incontrare un nostro doppelgänger?» chiese basita Emilia.
Nicøshin alzò le spalle. «A questo punto nulla è escluso».          
«Perciò tutte le cose che conosciamo di voi, in realtà appartengono agli altri voi
«Qualcosa in comune potremmo anche averlo». Nelsgord alzò le spalle. «Non è detto che siamo esattamente la versione opposta».
«Sapete tante cose sugli altri noi?» chiese Towne.
Angelica catturò lo sguardo di Emilia ed entrambe non riuscirono a trattenere un sorriso.
«Giusto qualcosina».
«E come hai detto che ci chiamiamo?» chiese Caessheir.
Towne schioccò ripetutamente le dita, cercando di ricordare. «Tipo Ice Galley. O forse era Splice Alley…».
Emilia rise di cuore. «Sì, Space Valley. E credo che tra tutti i nomi che avevate pensato di darvi, questo sia l’unico a…»
Un lieve tremolio e dalla tasca della felpa della ragazza scivolò la strana trottola, fino a rotolare sul pavimento.
Subito un brusio di stupore e sconcerto agitò i ragazzi.
«Non ci posso credere!»
«È sbalorditivo...»
«Cosa?»
«È una Cuartac Hadh» esclamò Nelsgord.
Emilia lo guardò, sollevando le sopracciglia.
«È un oggetto molto potente, ne esistono pochissimi pezzi».
«Non è una semplice trottola?» chiese la ragazza, raccogliendolo da terra.
«Non sapete proprio nulla, eh?»
«Sai com’è, è la prima volta che veniamo sbalzate in un altro universo».
Fryienk sorrise. «È una sorta di… come possiamo dire?». Si interruppe un momento come a voler cercare le giuste parole. «Ecco, un interruttore dello spazio-tempo».
Le espressioni delle ragazze erano sempre più perplesse.
Il ragazzo guardò gli amici in cerca di supporto.
Touwne alzò le mani. «Fryienk, sai che di queste cose teoriche tu sei l’unico che ci capisce qualcosa».
Il ragazzo sospirò, poi si rivolse nuovamente alle nuove arrivate. «Volendolo spiegare in parole povere, questo strumento permette di aprire un varco spazio-temporale, entro una mappa estendibile presente nel suo database». Poi allungò la mano verso Emilia, come a chiederle il permesso per farsi passare la trottola, che la ragazza non negò.
Il giovane se la passò tra le mani, studiandola. «Certo, è strano. Sembrano mancare dei pezzi, e in queste condizioni è difficile che funzioni».
«Noi lo abbiamo trovato così».
«E ha funzionato?»
«Beh, siamo qui».
Il ragazzo arrossì di colpo per l’imbarazzo. «Sì, giusto».
«Credi possa funzionare di nuovo? Voglio dire… possiamo usarlo per tornare indietro?»
«Sinceramente non lo so». Fryienk continuava a osservare l’oggetto, ammaliato. «Non riesco neanche a capire come si sia attivato».
Erano tutti così intenti ad ascoltarlo, che nessuno si accorse della pacca che si diede in fronte Daarikton, fino a quando non parlò.
Tatto e diplomazia.
«Cazzo, raga. Mi sono dimenticato di Hagrid».

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