Le cronache di Aeria - I difensori di Aeria

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fanciulla diventata principe ***
Capitolo 2: *** La signora di Cattedra ***
Capitolo 3: *** Un misterioso messaggero ***
Capitolo 4: *** Il figlio della fenice ***
Capitolo 5: *** Il generale dagli occhi di ghiaccio ***
Capitolo 6: *** La principessa imperiale ***
Capitolo 7: *** La città del crocevia ***
Capitolo 8: *** Si aprono le danze ***
Capitolo 9: *** Una lunga notte ***
Capitolo 10: *** Il grande consiglio ***
Capitolo 11: *** Verità e menzogne ***
Capitolo 12: *** L’inizio di una nuova avventura ***
Capitolo 13: *** Il crocevia ***



Capitolo 1
*** La fanciulla diventata principe ***


 

Capitolo I
-La fanciulla diventata principe-



Non un alito di vento.
Sulla cima di Vetta Azzurra, il nido era vuoto e tranquillo. Aeris se ne stava seduta con le ginocchia al petto circondate dalle esili braccia candide.
Gettava lo sguardo oltre i confini del suo reame cercando, nell’orizzonte, i simboli del potere delle altre casate.
A sud poteva solo immaginare le Isole Maras disposte come perle di una collana fatta di mare profondo e scuro, la cui maggiore ospitava il tempio marino di Yura, e la Lama Vermiglia, la torre della capitale di Faleria, il regno del Viceré.
Questi territori erano troppo lontani da lei perché potesse raggiungerli con lo sguardo. Inoltre, guardando a sud, la vista non poteva superare le alte montagne rocciose della Doreria. Sforzandosi, lungo il crinale, avrebbe potuto immaginare Torreterra, la fortezza un tempo inespugnabile dei cavalcatori di unicorni.
Aeris si alzò e fece un passo. Raggiunse il bordo del nido e, stavolta, una folata di vento caldo le scompigliò i lunghi capelli biondi. Guardò verso est. Lì c’era Molo Fosco, il porto abbandonato che un tempo aveva visto arrivare le navi della sua gente. Il grande oceano che lambiva quelle coste restava inesplorato da lunghi, lunghissimi anni. Molte generazioni di Alferion si erano estinte senza che nessuno bramasse tornare a navigare il grande oceano. Ora erano rimasti in pochi per desiderare ancora di partire, magari tornare nelle terre dalle quali erano, un tempo, giunti. Molo Fosco era stato abbandonato. Neanche gli abitanti di Cattedra, la città santuario delle sacerdotesse di Serian, i più vicini a quel luogo, lo visitavano mai a causa della nebbia fitta che sempre l’avvolgeva.
Anche Cattedra aveva la sua torre, tutta tempestata di ametista.  Ai piedi della città si allungava una grande e verde pianura che veniva tagliata dalla via dei pellegrini. Al centro della piana di Erbaverde stava il crocevia. Sulle cartine di tutta Aeria era segnata con un grande simbolo a forma di stella a quattro punte ma, nella realtà, in quel luogo non v’era nulla se non una pietra piena di muschio e rampicanti.
Nel crocevia si incontravano la via dei pellegrini, che partiva dai rifugi ad ovest di Vetta Azzurra e arrivava a Molo Fosco, e la via dei mercanti che da Porto Oro all’estremo sud raggiungeva Varcoghiaccio nell’estremo nord.
Aeris sapeva che, molti anni prima, sul Crocevia si erano incontrati due grandi re che avevano dato inizio al più grande periodo di pace e prosperità che Aeria avesse mai avuto. Forse sotto le foglie verdi delle edere, la pietra ancora riportava le parole che attestavano la tregua tra due leggendari popoli che si erano dati battaglia a perenne testimonianza di un’epoca ormai terminata.
Si voltò verso nord. Lì avevano abitato i Darine, gli uomini dalla pelle fredda e dagli occhi di ghiaccio. Lì avevano costruito, oltre Varcoghiaccio, la città di Tesla. Lì avevano elevato Puntargento, la torre più alta di tutta Aeria. Leggende narravano che sulla cima di Puntargento fosse stato incastonato lo Specchio di Serian, l’artefatto in cui la dea aveva sigillato lo spirito del suo fratello oscuro, Seiren.
Ogni cosa che i Darine avevano costruito, tuttavia, era andato perduta. A nord rimaneva solo la grande ombra. Così la chiamavano tutti. Una nuvola grande e oscura che turbinava sopra l’intera regione del nord, Zarandal. In alcuni periodi sembrava allargarsi e arrivare fino a lambire Varcoghiaggio, in altri ritrarsi intorno a Tesla. Era il male. Era il dolore. Un’intera nazione, un intero popolo scomparsi. Per sempre. Per non parlare degli yomi, spettri in cui si erano trasformati tutti gli esseri viventi di Zarandal, condannati a vagare per le terre di Aeria senza più un corpo, deformati nello spirito, ridotti ad ombre grigie in cerca di pace e, per questo, attratti dai vivi. Portatori del loro stesso male poiché chi da essi veniva toccato, subiva il medesimo loro destino.
Aeris chiuse gli occhi celesti e allargò le braccia prendendo un respiro. Lo sentiva. Non era più sola. Tra lei e l’ombra, preannunciato da un poderoso battito d’ali, comparve Bashenian.
Lei aprì gli occhi e sorrise, sinceramente estasiata dalla bellezza della creatura. Bashenian era la bestia sacra di Strifen, il suo regno. Il mito narrava che fosse nato dalla preghiera di Serian, il canto che diede vita al creato. Il grifone atterrò nel suo nido e chinò il capo verso di lei affinché potesse ricevere una carezza. Aeris non si capacitava mai della maestosità di quell’enorme animale magico. Le sue piume erano morbide e dotate del potere di alleviare il dolore. I suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo, più chiari nelle giornate assolate e ingrigiti in quelli di pioggia. Il corpo possente metà aquila e metà leone, era interamente piumato. Con due colpi di coda plaudì alle carezze di Aeris e si accoccolò nel nido.
Era suo compagno dall’età di cinque anni, dalla prima volta che si era arrampicata fin lassù di nascosto. Il giorno della morte di suo padre. Era rimasta sola quel giorno. Incapace di piangere davanti alla corte, aveva cercato un luogo appartato dove dare sfogo alla sua disperazione. Anche quel giorno il nido era vuoto. Lei aveva cominciato a piangere così forte che la bestia era apparsa quasi subito. Aveva udito la sua voce nella testa. Il grifone l’aveva spinta sotto una delle sue ali e lei aveva smesso di piangere. Dopo quel giorno, tanto tempo era passato prima che lei potesse tornare al nido. La figlia di Kalendis Strifen non poteva fare ciò che voleva. La figlia dell’imperatore di Aeria non poteva essere libera. Dopo la morte di Kalendis, il governo dell’impero era passato nelle mani di Victor Valente, il viceré. Lo sarebbe stato fino al sedicesimo compleanno del principe imperiale, erede di Kalendis. Quello che tutti non sapevano però, era che non esisteva alcun principe imperiale, solo una principessa. Era cresciuta senza mai lasciare Strifen, affinché, insieme a lei, crescesse la menzogna che il principe imperiale fosse cagionevole di salute e che non poteva facilmente lasciare il palazzo. Nelle poche uscite pubbliche, vestiva abiti maschili.  Era stata addestrata all’uso della spada e della magia. Quest’ultima le veniva facile dato che gli Alferian erano dotati di innati poteri magici, prevalentemente curativi. Inoltre Aeris era in grado di leggere gli altrui pensieri, qualora lo desiderasse e, di tanto in tanto, vedeva nel futuro. Ormai non c’erano più creature dotate del medesimo potere. Gli Alferian, già poco numerosi, si erano uniti agli Aerian, il popolo più antico di Aeria e avevano mischiato così il loro sangue. Con i secoli, i tratti distintivi degli Alferian, erano andati, lentamente, svanendo. Rimanevano in pochi a vantare l’altezza, la pelle bianca, i capelli biondissimi e gli occhi azzurri, tipici di quella razza. A Strifen ce n’era ancora un numero considerevole ma, nel resto delle altre nazioni, la natura aveva fatto il proprio corso diluendo nel sangue misto quei tratti. Gli Aerian, la razza più comun in Aeria, erano invece più muscolosi ma meno alti e con capelli e occhi scuri. Il padre di Aeris amava dire spesso che ogni razza trae i propri colori e doni dalla terra. Aeris immaginava perciò quali potessero essere i colori della terra a est dalla quale provenivano gli Alferian.
Bashenian fissò i suoi occhi color zaffiro nei suoi e lei percepì i pensieri della bestia.
Un messaggero era giunto, dopo aver cavalcato per tutta la piana di Erbaverde, a Vetta Azzurra.
La fanciulla sorrise chiedendosi quali novità portasse e salutò, con un buffetto sul becco, la creatura. Discese velocemente il sentiero sterrato che, dal nido riportava al giardino pensile dove amava andare a leggere e si sistemò sulla coperta distesa sul verde giusto un istante prima che la porta a vetro desse segno d’aprirsi.
Due uomini vestiti in alta uniforme bianca e oro rimasero ai fianchi della porta e un terzo avanzò. Arrivò fin dove era seduta e fece un piccolo inchino.
“La presenza di vostra altezza è richiesta dal primo ministro. Con urgenza.”
Aeris sollevò lo sguardo dal libro e lo ripose alla propria destra. Si alzò e fronteggiò il cavaliere. Con tutto il rinforzo nei propri stivali, Aeris era più bassa di lui che continuava a guardare per terra.
“Grifis Alteron!” disse Aeris fingendo insoddisfazione “Quante volte devo ripeterti che desidero essere guardato in faccia quando mi parli?”
Le guardie alla porta videro il loro comandante giocare con l’elsa della propria spada e scivolarono lentamente fuori dalla serra. I suoi soldati conoscevano bene quel gesto. Indicava che il loro comandante stava perdendo la pazienza.
Rimasti soli, Aeris scoppiò a ridere. Quella risata cristallina per cui Grifis Alteron avrebbe dato la vita.
“Grifis, sei qui per rimproverarmi?”
“Sono qui per accompagnarti da Mastro Albered.”
“Allora perché sei arrabbiato?”
“Perché sei uscita senza scorta!”
“Non sono uscita senza scorta!”
“E’ pericoloso!”
“Non sono uscita senza scorta!”
“Senza scorta e senza armatura per giunta!”
“Io…”
“Hai gli stivali sporchi di terra!”
Solo allora Aeris si accorse che, fingere di aver passato tutto il pomeriggio a leggere, non poteva passare per vero se rientrava sporca e coperta di piume.
“Bhé la scorta l’avevo o Bashenian non è sufficiente secondo te?”
Solo allora il ragazzo si sciolse un po’. In effetti nessuno, nel reame, avrebbe potuto fare del male alla principessa se la bestia sacra era al suo fianco.
“E’ arrivato un messaggero?”
“Non ti avevo chiesto, di grazia, di non leggere i miei pensieri?”
“Non l’ho fatto Grifis! Me lo ha detto Bashenian.”
Grifis le sfilò una piuma dai capelli e le sorrise.
“Sì. Un messaggero da Cattedra. Albered sembrava preoccupato. Vogliamo andare?”
Aeris annuì e precedette il comandante della sua guardia d’onore.
Mentre percorrevano il lungo corridoio che conduceva alle sale private del primo ministro, dame di corte e ancelle mormoravano dietro a ventagli e grembiuli. Aeris era certa che tutte stessero commentando la bellezza di Grifis. Aveva cinque anni più di lei e benché fosse ancora molto giovane, aveva già preso parte a diverse importanti battaglie. Il padre di Grifis era un Alferion, sua madre un’ Aerian. Lui aveva ereditato tutti i tratti estetici del popolo del cielo ma non i loro poteri. Nessuno tuttavia poteva battere Grifis in combattimento. Aveva vinto per cinque anni consecutivi il grande torneo dei cavalieri di Strifen. Come suo padre prima di lui, che era morto nella battaglia di Zarandal per proteggere l’imperatore Kalendis, anche Grifis era pronto a morire per Aeris. Lo aveva promesso all’imperatore nel letto di morte che avrebbe protetto, a costo della vita, sua figlia. Quando la ragione di stato aveva trasformato la principessa in un maschio, ne era diventato la guardia del corpo. Aeris gli era affezionato oltre ogni dire. Una volta, durante una parata, un adepto di Norren, uno stregone dedito alla magia nera e desideroso di vedere estinti gli Alferian, aveva attentato alla vita di Aeris. La freccia avvelenata diretta al cuore del principe imperiale era finita nella schiena di Grifis. Quella volta Aeris aveva scoperto il suo potere di curare le ferite. Grifis non avrebbe permesso la morte di Aeris ma Aeris non avrebbe permesso quella di Grifis.
Mentre camminavano fianco a fianco, le loro movenze identiche, sembravano due gemelli, uno un po’ più piccolo dell’altro.
Grifis bussò alla porta di Albered e fece entrare Aeris. Insieme al vecchio primo ministro, nella stanza c’era Marine Alteron, sorella di Grifis. Se quest’ultimo aveva ereditato l’aspetto degli Alferion, Marine, fisicamente identica alla madre, aveva ereditato alcuni poteri del padre. Grifis spesso se ne doleva. Avrebbe scambiato volentieri i suoi bellissimi capelli biondi con il potere di Marine di vedere il futuro. Che splendido generale sarebbe stato in battaglia con quella dote!
Marine se la rideva e diceva che era più utile ad una donna un potere così perché il mondo era un luogo pericoloso. Quando il principe imperiale aveva raggiunto l’età per prendere moglie, per evitare che il segreto di Aeris fosse messo a rischio da decine di nobildonne desiderose di diventare imperatrici, si era deciso che Marine sarebbe diventata la futura sposa di Aeris. Il matrimonio non aveva ancora avuto luogo e le due ragazze giocavano spesso su questa tragica e ridicola situazione in cui erano. Aeris adorava Marine perché era sempre allegra e di compagnia. Diceva schiettamente ogni cosa che pensava. In cuor suo sapeva che a Marine veniva richiesto un gran sacrificio. Lei doveva per forza reggere quel gioco per evitare che l’impero si frantumasse in mille piccoli pezzi, Marine invece avrebbe rinunciato ad una vita vera per cosa?
Albered gli aveva spiegato che molti, molti anni prima, il governo di Aeria era stato affidato ai Due Troni: il signore di Strifen e quello di Zarandal prendevano insieme le decisioni importanti. Poi però, l’ultimo signore di Tesla, Zarian Darine, aveva tradito e attaccato Cattedra. Kalendis Strifen aveva ricevuto il supporto della somma sacerdotessa di Serian e, con una potente arma magica, lo aveva sconfitto. La grande ombra, evocata da Zarian, era stata sigillata a nord e la pace era tornata su Aeria.
Kalendis però era morto prematuramente e, durante la reggenza del Viceré, molte battaglie intestine al regno erano scoppiate. Faleria contro Doreria, Maras contro Daras, Drasil contro Cattedra. Solo una cosa faceva dell’impero ancora una realtà, l’esistenza di Aeris Strifen, il principe ereditario. Senza ciò le nazioni si sarebbero rivoltate l’una contro l’altra e la grande ombra ne avrebbe tratto vantaggio.
Aeris raggiunse la poltrona che un tempo era stata di suo padre e si sedette. Era talmente grande che i suoi piedi non toccavano terra. Marine le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia sedendosi per terra al suo fianco.
“Che è successo Albered, Grifis mi ha riferito che sei preoccupato. E’ per il messaggero che è arrivato qui stamattina?”
Albered era il tipo d’uomo cui non sapresti attribuire un’età. Era alto e canuto ma ben ritto sulle sue gambe. I suoi occhi erano appesantiti da profonde rughe eppure due occhi scintillanti saettavano sotto le pesanti ciglia. La voce usciva piano dalle sue labbra ma con un tono chiaro e deciso.
“Non so ancora di quale genere, ma si tratta di guai, altezza.”
 A quelle parole Grifis, che era rimasto poggiato alla porta con le braccia incrociate e gli occhi chiusi, avanzò fino alla poltrona.
“Da dove veniva il messaggero?” chiese piano.
“Da Cattedra. Porta il sigillo di Lady Asaline in persona.”
Albered usò il tono di voce più grave che conosceva. Diffidava di quella donna. La prima volta che ne aveva incrociato lo sguardo, aveva sentito uno strano gelo percorrergli la schiena. A quel tempo, lei era bellissima con i suoi capelli ramati e lo sguardo color smeraldo ed erano entrambi molto giovani. Quel tenue fuoco che aveva bruciato per un attimo il suo cuore, si era trasformato in una gelida lama non appena lei gli aveva riservato un malevolo sorriso. Da semplice ancella di Serian e poi strega del fuoco nella guerra contro Zarandal era diventata la prediletta di Lady Zhanna precedente somma sacerdotessa della dea e poi nominata sua erede. Lady Asaline di Cattedra.
“Perché sei preoccupato?” chiese Aeris con tono conciliante. 
“Lady Asaline ha acceso la fiamma nella torre di ametista. Ha convocato il supremo consiglio.”
Dei presenti nella stanza solo Grifis comprese la gravità di quelle parole e s’incupì.
“Che significa?” chiese Marine prendendo una delle mani di Aeris.
“Significa che Aeris dovrà andare a Cattedra. Il supremo consiglio può essere aperto solo dall’imperatore.”
Disse Albered alzandosi.
“Questo non è possibile!” intervenne Grifis “Aeris non può andare a Cattedra. Lì sarebbe complicato proteggerlo dagli sguardi dei curiosi e dai malintenzionati. Rispondi alla somma sacerdotessa che un viaggio simile nuocerebbe troppo alla salute del principe imperiale.”
“Questa volta non sarà possibile Grifis.” Gli rispose Albered raggiungendo uno scaffale e prendendo un libro dal dorso di pelle consumato. Raggiunse lo scrittoio e sciolse il nodo di velluto rosso che lo chiudeva. Prese una pergamena tra le prime e lesse. “E’ dovere del portatore dello scettro aprire il grande consiglio. Il grande consiglio può essere convocato solo dal portatore dello scettro o dalla somma sacerdotessa. La convocazione deve attenere a fatti gravi che rappresentino un pericolo imminente per l’intera nazione. Se il portatore dello scettro non è nelle condizioni di presenziare, data la necessità di assumere decisioni repentine ed attuare immediato intervento, la somma sacerdotessa può dichiarare decaduto il portatore dello scettro e consegnare lo stesso ad un degno successore.”
Aeris s’incupì e si alzò raggiungendo lo scrittoio.
“Vuol dire che se non vado a Cattedra può togliermi il titolo e nominare un nuovo imperatore?”
Albered annuì. Aeris si voltò verso Grifis e Marine e parlò decisa.
“Andrò. Sono pronta. Mio padre mi ha lasciato il compito di tenere unito il regno. Per qualche ragione credeva che io fossi in grado di sconfiggere, un giorno, la grande ombra. Non lo deluderò.”
Grifis le fu addosso con gli occhi furenti.
“Non sarà una cosa facile. Ti rendi conto che se scoprono che sei una donna, sarai rinchiusa per alto tradimento? Forse sarebbe meglio valutare anche l’idea di lasciare i due troni a qualcun altro.”
“Non dimenticare, Grifis, che una volta fuori gioco Aeris, chi potrebbe impedire ad Asaline di inviare qui la Mano delle Nazioni?”
“Che vengano!” Urlò Grifis “Daremo loro la lezione che non hanno mai ricevuto dagli yomi!”
“Grifis!” La voce era quella di sua sorella “La Mano delle Nazioni conta un esercito cento volte più grande del nostro ed è guidato da un comandante invincibile. Seifer Wiltord è più giovane di te e non ha mai perso una battaglia! Non si sfida un esercito così!”
Aeris, a quelle parole, mise una mano sulla spalla di Grifis.
“Ascoltami. Se ci sarete voi al mio fianco, non può succedermi nulla. Sono certa che ce la faremo. Aprirò il consiglio, sentiremo cosa ha da dire Lady Asaline e valuteremo insieme le mosse successive. Non è vero Albered?” chiese Aeris con sincero ottimismo.
Albered le sorrise di rimando e rispose.
“Sono certo che, se preparati a dovere, andrà tutto bene. Ho ragione di credere che Asaline abbia mandato i suoi messaggeri anche presso le dimore degli altri difensori di Aeria.”
“Difensori di Aeria?” chiese Marine.
Albered annuì e raccontò.
“Quando scoppiò la guerra tra Zarandal e il resto di Aeria, la somma sacerdotessa Zhanna convocò tutti i signori del reame. Alla sua chiamata risposero Kalendis Strifen, Victor Valente, Lion Maras e Horus Hornet.
Zhanna scelse Kalendis come portatore dello scettro di Serian. La battaglia tra lui e Zarian fu feroce. Perdemmo molti uomini coraggiosi. Alla fine, l’incantesimo che aveva avvolto l’Ala di nuvola, la spada donata a Kalendis, riuscì a sconfiggere Zarian e a sigillare il suo potere. Quando la battaglia ebbe fine, quel potere fu spartito fra i difensori di Aeria sotto forma di sfere di energia. La rossa del fuoco fu consegnata a Victor Valente insieme al titolo di Viceré; quella gialla del tuono fu affidata ai signori degli Unicorni cui fu donata la contea della Doreria; quella bianca dell’aria fu assegnata a Lion Maras e quella azzurra dell’acqua, che un tempo era appartenuta ai Darine, fu affidata alle sacerdotesse di Cattedra. L’ala di nuvola rimase a Kalendis. Sono certo che Asaline voglia radunare i portatori di quel potere. Il problema sarà capire perché. Non temete però. Ho anche io le mie fonti. Il consiglio non si terrà prima della festa della Prima Luce. Abbiamo ancora tempo!”
Aeris sorrise a Grifis per tranquillizzarlo. Marine le si avvicinò e le prese le mani.
“Sentito? Abbiamo tempo per scegliere vestiti e acconciature!”
Aeris le strizzò un occhio e Grifis guardò verso l’alto.
“Marine!” disse “Non è un gioco! Per i mille veli di Serian!”
Le ragazze risero allegramente e Albered guardò fuori dalla finestra. Non poteva sapere che, lontano ad est, la stessa cosa faceva Asaline meditando le sue prossime mosse.

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Capitolo 2
*** La signora di Cattedra ***


 

Capitolo II
-La signora di Cattedra-


I canti nella cattedrale si alzavano insieme ai fumi degli incensi.
Asaline stava immobile dietro il drappeggio che nascondeva l’altare alla vista dei pellegrini. Le giovani sacerdotesse officiavano il rito del primo mattino. Lei, in silenzio, osservava.
I pensieri di Asaline galoppavano, insieme ai suoi messaggeri, lungo la piana di Erbaverde. Presto si sarebbero divisi. Tre sarebbero andati a sud e due avrebbero attraversato la piana in direzioni diverse. Uno avrebbe raggiunto Vetta Azzurra e l’altro Varcoghiaccio.
Presto i difensori di Aeria sarebbero partiti alla volta di Cattedra. Avrebbero percorso la via dei pellegrini come umili contadini o alla stregua dei commercianti. Re e regine, cavalieri e dame, signori della guerra e nobildonne, persino l’erede dell’impero sarebbero passati sotto l’arco di cristallo di Cattedra come i più fedeli servi della dea.
Si sarebbero arresi tutti alla sua volontà. Finalmente, dopo anni di attesa, gli eventi ricominciavano a prendere il loro corso. Finalmente avrebbe avuto ciò per cui aveva operato per interi anni.
Quel tempo aveva consumato il rame dei suoi capelli e la magia nelle sue vene, non le aveva tolto però neppure un briciolo della sua antica volontà.
Sfiorò il ciondolo che portava al collo e sentì un antico dolore riaffiorare e bruciarle gli occhi.
Una delle sue ancelle, la più nobile e vicina ad Asaline, si avvicinò e, inchinandosi un momento di fronte a lei, prese un incensiere e lo allontanò convinta che i suoi fumi le stessero pizzicando gli occhi. Asaline la ringraziò con lo sguardo.
Layla, questo il nome dell’ancella, non era bellissima eppure Asaline la trovava affascinante. Doveva essere il sangue Weird nelle sue vene. I Weird erano la razza nata dall’incrocio tra il popolo della foresta, i Drasil, e gli Aerian. Avevano i capelli di un colore indefinito tra il castano e il verde e gli occhi color smeraldo.
Layla non parlava quasi mai. Il silenzio era una delle sue virtù più lodevoli. Per questo Asaline la voleva sempre con sé. Questo non significava che fosse taciturna. La somma sacerdotessa l’avrebbe definita parsimoniosa nell’uso delle parole.
Quando si alzò, l’ancella le sistemò l’abito e la segui.
Appena furono nelle sue stanze, lei fece un cenno per congedarla. La fanciulla s’inginocchio ma non si mosse.
“Dimmi Layla, vuoi chiedermi qualcosa?”
“Sì, mia signora.”
“Dimmi dunque.”
“Presto sarà la festa della Prima Luce e noi novizie saremo tutte molto impegnate con i preparativi della grande celebrazione del risveglio della dea. Vorrei visitare mia madre prima che giunga il tempo dell’organizzazione. Per allora non voglio distrazioni.”
Asaline le dava le spalle ma sorrideva compiaciuta delle parole della sua allieva prediletta.
“Concesso. Non restare via più di cinque giorni. La via da qui a Drasil non è molto lunga. Ti bastano?”
“Cinque giorni saranno più che sufficienti, mia signora. Vi ringrazio per la vostra generosità.” Concluse Layla uscendo e richiudendo la porta dietro di sé.
Asaline rimase sola.
Raggiunse il grande specchio della sua camera e si tolse i monili e il velo. L’unica cosa che non toglieva mai era il ciondolo che portava. I suoi capelli argentati e lunghissimi e la veste lavanda le attribuivano un aspetto elegante e maestoso. Era ancora bella e se ne compiacque.
Andò allo scrittoio e rilesse il testo del messaggio che aveva inviato ai difensori di Aerian. Dopo la morte di Victor Valente non restava nessuno dei vecchi difensori. Forse solo Lion Maras. Sapeva però che quel vecchio gigante non si sarebbe allontanato dalla sua terra ancora in lotta con i Daras. A Cattedra sarebbero arrivati i figli di coloro che avevano combattuto la grande guerra. Cuccioli cresciuti all’ombra di grandi eroi senza avere mai visto una battaglia. Presuntuosi signorotti di palazzi sfarzosi senza una personalità. Certo Loran Valente, che aveva ereditato dal padre il titolo di Viceré, si diceva fosse furbo almeno quanto lui ma Asaline sapeva che era solo la marionetta nelle abili mani di Kyria Valente, sua madre.
Per quanto atteneva a Mars Hornet, l’ultimo superstite della dinastia dei conti della Doreria, aveva abbandonato da tempo Torreterra e ora girovagava, come un brigante, le lande del sud in cerca di una buona occasione per ottenere vendetta sui Valente, colpevoli di avere assassinato la sua famiglia.
Lion Maras, invece, aveva otto figli maschi e cinque femmine, nessuno che non fosse qualcosa di più di uno stupido orso. Infine c’era la storia dell’eredità dei Darine. Non c’erano più Darine su Aeria. Asaline sorrise e lesse la pergamena che era nascosta da tutti gli altri libri sullo scrittoio.
“Alla nascita dell’erede di casa Strifen l’oracolo di Serian ha parlato:  crescerà in potere e bellezza secondo a nessuno. L’ala di nuvola raggiungerà un potere che nessuno ha mai sperimentato. Riuscirà dove il padre ha fallito. Saprà di cosa è fatta la magia di Serian. Poi, al culmine del suo potere, il suo sangue scorrerà per mano di un Darine.”
Quando aveva comunicato a Kalendis Strifen le parole della dea, Kalendis aveva sorriso. Con la morte di Zarian e della sua famiglia, la dinastia dei Darine si era estinta. Aeris era dunque al sicuro.
Già, al sicuro. Chissà com’era cresciuto questo principe secondo a nessuno in bellezza e potere!
Avrebbe dovuto aspettare solo due mesi. Poi si sarebbe celebrata la festa del risveglio di Serian, la festa della Prima Luce, e lei avrebbe finalmente conosciuto il principe dell’impero. Gli avrebbe, con tutte le sue forze, dato una mano a compiere il suo destino.
Sorrise e raggiunse la finestra. Guardò prima ad ovest e poi a sud. In direzione di Drisal, la foresta incantata.
Il suo pensiero volò a Seifer, suo nipote, il comandante supremo della Mano delle Nazioni, l’esercito di Cattedra. Seifer aveva perso suo padre nella grande guerra. Wallace Wiltord era un uomo buono. Un guerriero coraggioso. Aveva sposato sua sorella Elaine e dal loro amore era nato Seifer. Wallace aveva difeso fino alla morte Varcoghiaccio dall’esercito dei Darine. Quando le streghe del fuoco, tra cui c’era anche lei, avevano raggiunto Varcoghiaccio, la Mano delle Nazioni era allo sfinimento. Molti uomini erano in fin di vita. Tra essi c’era anche Wallace.
Al pensiero del suo volto rigato di lacrime e sangue, tutto nei suoi pensieri si tinse di rosso.
Non riusciva più a ricordare la sua voce che gli chiedeva di avere cura al posto suo di sua moglie e del piccolo Seifer. Ricordava solo la sua pelle che perdeva colore, il suo corpo che diventava freddo come la neve su cui era poggiato e il sangue denso che usciva dalla sua ferita al fianco.
Aveva odore il sangue? Aveva corpo? E la morte? Aveva un odore la morte?
Il ricordo di lei che urlava e che stringeva quel corpo esanime la scosse. Lo sostituì con quello della prima volta che aveva insegnato una magia al piccolo Seifer dopo che sua madre, per adempiere al suo compito di sacerdotessa, l’aveva abbandonato.
Lei l’aveva preso come un figlio e l’aveva trasformato in un giovane e forte guerriero. In uno stregone dalle abilità magistrali. Era fiera della determinazione con cui quel ragazzo, ogni giorno della loro vita passata insieme, l’aveva sfidata e superata. Forse ora era anche uno stregone più abile di lei. Di certo valeva mille volte Aeris Strifen.
Avrebbe presto avuto modo di dimostrarlo.
Un fulmine a ciel sereno squarciò l’aria e lei lo prese come un presagio. Aspettare, doveva solo aspettare ancora un po’.
Dalla finestra vide Layla montare a cavallo e lanciarsi al galoppo lungo la via dei pellegrini. Sarebbe tornata fra cinque giorni, nel frattempo lei aveva altro da fare.
Attese l’ora di cena nelle sue stanze e, mentre tutti, salivano alle sale da pranzo, lei scese nei sotterranei.
Raggiunse la sala più intima della torre di ametista, quella in cui era conservata la preghiera di Serian, la pergamena su cui, si narrava, l’uomo amato dalla dea scrisse la canzone del mondo.
Aprì, con un sortilegio, le porte incantate e raggiunse il lato destro della stanza. Adagiata su un cuscino stava una piccola sfera azzurra che sembrava fatta di mare in tempesta. La prese. La sfera parve tremare.
“Non fare resistenza, Bufera di Naga, sei al mio servizio ormai!” disse la sacerdotessa sottovoce.
La ripose in una delle tasche dell’ampio abito e usci dalla camera dei tesori.
Raggiunse la sala da pranzo e consumò un pasto veloce.  Quando tornò nella sua camera aprì il proprio scrittoio ed estrasse una scatola che aveva una fiamma sul coperchio.
“Rimarrai nascosta agli occhi e ai pensieri di tutti. Quietati nello scrigno incantato dalla fiamma. Essa annullerà il tuo potere per il tempo necessario.”
Richiuse la scatola e la infilò in un buco nella parete vicino al suo letto che era coperto da un arazzo.
“ Vieni Aeris Strifen, vieni. Troverai che la vita non è quella che hai fatto finora al riparo delle mura del tuo palazzo abbarbicato sul nido di Bashenian. Renderai a queste mani, tutto ciò che non ti appartiene.”
La notte calò su Cattedra. Le luci della cittadella si spensero. La piana cadde nell’oscurità e nel silenzio. Solo i fuochi della torre di ametista risplendevano nel buio. Fuochi accesi su cui nessuno osava levare lo sguardo. Fuochi che simboleggiavano l’inizio di una nuova era di battaglie. Fiamme pronte ad attrarre, come falene, i comandanti dei regni di Aeria e a bruciarli se non si fossero inchinati ad esse.
Asaline si coricò e si addormentò con le finestre aperte. Venti forti scuotevano le tende. Venti di guerra alle porte di Cattedra.

 

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Capitolo 3
*** Un misterioso messaggero ***




Capitolo III
-Un misterioso messaggero-

 

Un fulmine squarciò il cielo e il cavaliere annusò l’aria.
“Non pioverà, per ora. Acceleriamo il passo comunque Saltafosso, Varcoghiaccio non è lontano.” Disse rivolgendosi alla propria cavalcatura carezzandogli il manto. Si tirò il cappuccio verde fin sopra gli occhi. Era buio e non un’anima viva attraversava Erbaverde. Il ramingo si augurava che neanche gli spettri avessero voglia di andarsene in giro quella notte.
Ormai si spostava solo al calare del sole. Di giorno le vie principali erano troppo affollate per i suoi gusti. Si trovava qualche angolo di mondo dimenticato dagli uomini e si accampava. Ogni sera, al tramonto, raccoglieva le sue poche cose e si rimetteva in viaggio. Ovunque stesse andando. Quasi sempre da solo. Di tanto in tanto incontrava un altro cavaliere della sua razza. Faceva poche chiacchiere con lui, giusto le necessarie ad acquisire informazioni sempre utili, poi riprendeva la propria strada da solo. Sapeva per certo che gli sarebbe sempre bastato un fischio per radunare uomini come quelli. Uomini sperduti per le vie del mondo dopo che la loro casa era stata distrutta. Cavalieri di unicorni che avevano abbandonato le terre della Doreria per non assistere allo strazio di vedere Torreterra abbattuta. Uomini erranti guidati da fili invisibili in cerca di una sola cosa: vendetta. Uomini che, se riuniti sotto il vessillo della Doreria, avrebbero ricostituito la più grande cavalleria di Aeria. Una cavalleria obbediente ad un solo uomo, quello che adesso si era tirato il cappuccio fin sugli occhi e si era lanciato al galoppo per raggiungere Varcoghiaccio.
Mars Hornet sentiva l’aria farsi sempre più pungente mano a mano che saliva l’ultimo tratto della via dei commercianti. La neve costeggiava il tratto di terra battuta e diventava sempre più spessa mano a mano che si saliva il crinale della montagna.
Com’era selvaggia quella terra, pensava Mars sorridendo. Gli somigliava. Desolata, fredda, non ospitale e difficile da conquistare. Eppure forte, capace di resistere persino alla grande ombra, imperitura.
C’era stato un tempo in cui Mars era stato capace di amare, provare gioia e dolore per le piccole cose. Poi aveva scoperto fin quanto la brama di potere fosse in grado di ordire trame e inganni e potesse sacrificare amore e famiglia in cambio di oro e ricchezza. In un solo giorno aveva perso il padre, la madre, la sorellina e la persona che amava di più al mondo. A quel pensiero si toccò il viso. La guancia sinistra sfregiata. Il segno indelebile della sua disgrazia. Allontanò quei pensieri e toccò il rotolo di carta pergamena che portava sotto il mantello.
In lontananza intravide l’arco di ghiaccio perenne modellato dai Darine quando il loro popolo era considerato il più antico e saggio di Aeria. L’intero arco raffigurava un drago. Le zanne della bestia mordevano la colonna sinistra dell’arco che rappresentava un albero. Il corpo squamato si arcuava a tutto sesto e la coda terminava avviluppata ad una spada che fungeva da colonna destra. Uno spettacolare monumento alla grandezza di un popolo svanito. Tirò su col naso e diede uno strattone alle briglie di Saltafosso. L’animale, docilmente, si fermò. Scese da cavallo e l’attraversò a piedi con la bestia al seguito. Un segno di rispetto. Alzò lo sguardo poco più su. Incastonato nel fianco della montagna ghiacciata, stava il villaggio dei Nagrod. La sua destinazione finale. I Nagrod, un tempo, erano stati i difensori di Varcoghiaccio. Nessuno attraversava l’arco se non con il loro permesso. Erano i primi difensori di Zarandal. Vassalli dei Darine e da loro rispettati come alleati. Ora non c‘era più nulla da difendere.
Mars sciolse Saltafosso e gli sussurrò qualcosa in un orecchio. La bestia si fermò placidamente in una radura, in attesa. Lui bussò ad una pesante porta in legno. Qualcuno, dall’altra parte, aprì uno spioncino. Dopo un’istante la porta si aprì. Mars non si abituava mai a vederli, i possenti uomini bestia. Un incrocio tra i tratti degli Aerian e quelli dei lupi. Gli avevano raccontato che, quando nascevano, erano in tutto e per tutto simili ai cuccioli di lupo. Crescendo tuttavia, cominciavano ad assumere la posizione eretta e la loro testa assumeva la conformazione umana. Il naso restava quello di un animale, forse perché utile, e le loro mani mantenevano duri artigli. I piedi restavano invece simili alle zampe dei lupi. Non avevano rivali nella corsa. Il pelo, lentamente, si accorciava ma non cadeva mai e il colore del manto cambiava in base alla loro età. I cuccioli erano quasi tutti dal pelo blu scuro. Gli adulti a volte diventavano neri oppure rimanevano di un blu più chiaro. I Nagrod più anziani erano grigi.
Quello che gli aveva aperto la porta, doveva essere giovane poiché aveva il pelo di un bel blu cobalto. Solo la cresta era colorata di rosso. Era un guerriero, dato che solo ai guerrieri era concesso di colorare il pelo del capo.
I Nagrod parlavano una lingua che, in Aeria, non conosceva quasi più nessuno. Mars lo seguì fino ad una tenda color sabbia. Il guerriero rimase fuori, Mars entrò e fece un cenno del capo.
Il capotribù si chiamava Naro. Benché fosse il più anziano dei suoi, il suo pelo non era ancora ingrigito e manteneva una tonalità di azzurro scuro. Al collo portava decine di catenine d’argento e oro cui erano incastonate pietre preziose, una per ogni nemico di valore ucciso in battaglia.
Naro lo fissò con i suoi occhi scuri e  Mars parlò.
“Sono un messaggero di Cattedra. Porto notizie da consegnare al più nobile tra voi.” Non aggiunse altro. Naro si alzò e lo condusse di nuovo fuori. Salirono ancora lungo il crinale della montagna, stavolta a piedi.
Arrivarono ad un’altra porta di legno e ferro battuto. Naro l’apri lentamente e fece segno a Mars di entrare. Il ragazzo lo fece e sentì la porta chiudersi alle sue spalle. Di Naro non c’era più traccia. Mars sentì il vento gelido del nord colpirgli la faccia. Aveva pensato di entrare in una stanza e invece si era ritrovato in una sorta di rudere. Un tempo, ormai remoto, quella doveva essere stata la stanza di un palazzo importante. Evidentemente doveva essere crollato. Ciò che ne rimaneva era un pavimento di pietre nere e un arazzo su di una parete. Non c’era più tetto. La grande ombra che si agitava nel cielo faceva da tetro soffitto. Un fuoco basso ardeva in un angolo sul pavimento. Sul lato della stanza che dava sul dirupo, se ne stava, fermo, un uomo di spalle. Era alto e vestito con abiti pesanti.
Mars fece un paio di passi e si inginocchiò senza parlare. Allungò solo la mano con cui teneva il messaggio. L’uomo dai capelli corvini rimase a fissare il cielo nero senza voltarsi.
“Un messaggero?” disse piano “Porti un rotolo con il sigillo di Cattedra giungendo dopo aver cavalcato di notte, senza armatura, senza paura per i Nagrod, senza timore d’essere giunto ai confini del mondo?” Mars non rispose. Inginocchiato, col cappuccio tirato sulla testa, guardando verso il basso, sorrise.
D’improvviso, l’uomo si voltò e lui si ritrovò una lama puntata contro la gola. Ancora non si mosse.
“Vestito come un ramingo, non sei un messaggero di Asaline. A chi hai rubato il messaggio che porti? Che fine ha fatto il vero messaggero?” Mars sollevò un poco il mento seguendo il movimento della punta della spada e parlò.
“Dorme in una taverna di Lindon. Felice per non dover guardare la tua brutta faccia da lupo!”
L’uomo fece passare la punta della lama dal collo al cappuccio del cavaliere e l’uso per gettarglielo all’indietro. Sorrise e abbassò la spada.
“Mars Hornet. Non potevi che essere tu.” Disse porgendo il braccio all’altro il quale l’afferrò e l’usò come leva per alzarsi. Si abbracciarono, sinceramente felici di rivedersi.
Mars afferrò una delle poltrone abbandonate vicino alla parete e la trascinò vicino al fuoco. Si scosse gli stivali pieni di neve e avvicinò la pianta dei piedi al fuoco.
“Dea che freddo! Come fai a startene in questo posto?”
“Ci sono abituato.”
“Sarà! Vedo che ti sei sistemato con tutte le comodità!” Disse sarcasticamente alludendo al fuoco, alla poltrona e ad un piccolo tavolo su cui stava un candelabro e una bottiglia di vino rosso “Un altro bicchiere ce l’hai o mi verso da bere in uno dei teschi che usi per adornare la camera?”
Il ragazzo indico una sorta di scrittoio su cui stavano un altro bicchiere e due piatti.
“Ci sono anche i piatti? Peccato per il soffitto, altrimenti sarebbe la dimora degna di un re!”
A quelle parole l’uomo guardò per terra. Mars comprese che forse aveva toccato un tasto dolente e cambiò discorso.
“Il messaggero è falso, ma il messaggio è vero. Girovagavo per Lindon due giorni fa e cosa vedo? Un manipolo di messaggeri di Cattedra. Tanti insieme non li avevo mai visti. Pensa che uno di loro cercava informazioni sul signore degli unicorni! Ci pensi? Andava chiedendo per il mercato di Lindon come se qualcuno potesse rispondergli che, in effetti, un paio di giorni prima era passato da quelle parti il conte decaduto della Doreria e che forse poteva trovarlo in una taverna a bere placidamente! Idioti. Un branco di idioti. Fuori da Lindon hanno proseguito per il crocevia. Giunti li, si sono divisi. Io ho seguito quelli che andavano a sud dato che il messaggero che in realtà cercava me ha proseguito in quella direzione. L’idiota andava davvero a Torreterra credo. Quando si è separato dagli altri due, l’ho affrontato e mi sono fatto dare il messaggio. Non mi andava di inseguirlo fin lassù.” Disse ad un certo punto con un velo di tristezza negli occhi. L’altro gli porse il vino. Mars se ne versò un bicchiere e proseguì. “Quando ho letto il contenuto del messaggio, ho capito che uno degli altri messaggeri stava venendo qui, così l’ho raggiunto e ho preso il suo posto. Era da un po’ che non ti vedevo e volevo sapere come te la passi.”
“Tutto qui?” Rispose l’altro guardando il proprio bicchiere.
Mars sorrise. Era proprio vero che non poteva nascondergli nulla. Lo conosceva da davvero troppi anni. Da bambini non avevano avuto modo di frequentarsi nonostante il legame di parentela ma, quando lui aveva perso tutto e aveva desiderato solo un luogo dove andare a seppellirsi, il cugino lo aveva accolto tra quelle montagne gelide dandogli il rifugio più gradito che avrebbe potuto trovare.
“No, non è tutto qui. Nell’ultimo periodo non mi sono occupato solo degli affari miei. Asaline ha convocato il supremo consiglio dei due Troni. Non ero a Lindon per caso. Un’altra persona mi aveva commissionato di tenere d’occhio i movimenti della sacerdotessa.”
“Chi?”
“Qualcuno alla corte di Vetta Azzurra.”
“Da quando lavori per l’imperatore?”
“Non per l’imperatore. Te l’ho detto un mucchio di volte. I nemici dei miei nemici sono miei amici. Credimi, l’unico che può privare i Valente dei loro sporchi diritti, è Aeris Strifen.”
Nell’udire quel nome, il cuore del ragazzo del nord ebbe un sussulto. Aveva sentito dire molte cose del principe imperiale. Era dotato del potere di leggere la mente, era bellissimo, sapeva maneggiare la spada con una maestria impareggiabile. Aveva poi sentito dire che era malato e che non lasciava il palazzo poiché non poteva camminare, forse era deforme. Qualcuno sosteneva che avesse le ali come quelle di un angelo.
Di vero c’era solo che era figlio di Kalendis Strifen e che possedeva l’ala di nuvola, l’unica arma in grado di distruggere la grande ombra che opprimeva Zarandal.
Si voltò di nuovo verso il vuoto. Chi sapeva, oltre Varcoghiaccio, cosa c’era veramente sotto quella nuvola nera? Chi sapeva la verità sugli yomi? Chi, come lui, aveva allungato lo sguardo verso Tesla per scoprire una città pietrificata? Tornò verso lo scrittoio e rilesse una vecchia pergamena sporca di sangue.
“L’oracolo di Serian ha parlato:  questo bambino verrà strappato alla sua terra ma non perirà. La forza nelle sue vene è rossa e nera. In essa è celata la chiave del destino di Tesla. Dovrà sottomettere il drago e sconfiggere il suo nemico nello specchio. Nulla potrà se non per il sangue dell’ultima principessa alferian. Da esso germoglierà la nuova vita.”
Mars lo osservò pensieroso e lo raggiunse allo scrittoio.
“Cosa c’è?”
Il ragazzo ripose la pergamena e lo guardò dritto negli occhi.
“Cosa dice il messaggio?” chiese a Mars.
“E’ stato convocato il consiglio supremo. Lord Naro è stato convocato in qualità di rappresentante di Zarandal dato che i Darine sono estinti. Tuttavia, Lady Asaline, chiede la presenza di un interprete poiché sostiene che, in tutta Cattedra, non esiste alcuno che parli la lingua dei Nagrod. Immagino che si riferisca a te. Orsù dunque” fece Mars scimmiottando un ciambelliere di corte “levati questi panni da nobiluomo del nord e calati quelli del ramingo, così potrai lasciare questo orrido luogo e godere delle splendide aule di Cattedra!”
“Era solo una questione di tempo prima che mi chiamasse a servire i suoi scopi. Immagino che vorrà il voto di Zarandal per la sua causa. Altrimenti perché convocare gli uomini bestia? Nessuno, a quella corte, sarà lieto di vederli. Poteva esercitare lei stessa il voto del nord. Evidentemente non vuole contrastare ufficialmente Strifen. Farà fare il lavoro sporco a Naro.” Disse l’uomo rabbuiandosi ancora di più.
“Allora fa come me. Il nemico del tuo nemico, potrebbe esserti amico?”
“Io e Strifen dalla stessa parte?”
Mars sorrise e la cicatrice sul suo zigomo sinistro gli fece assumere un’espressione tra il crudele e il compiaciuto.
“Era questo il tuo scopo fin da quando sei entrato da quella porta.”
Mars gli diede le spalle e parlò guardando l’ombra scura che sembrava volersi allungare su di loro.
“Al consiglio ci sono sette sedute: l’imperatore, la somma sacerdotessa, il viceré , il generale supremo, il conte di Doreria, il maresciallo delle isole Maras e il Lord dei Nagrod.
Qualunque sia il tema della convocazione, da un lato c’è l’imperatore e dall’altro il  generalissimo. Tutti sanno che disprezza apertamente il giovane Strifen. La sacerdotessa si metterà dalla sua parte e così il viceré che è suo cugino. Di conseguenza io voterò per Strifen. Sarò morto prima che qualcuno mi conti dalla stessa parte di Valente. Di certo anche il vecchio maresciallo di Maras starà dalla parte dell’imperatore contro il Viceré. Quel bastardo si è rimangiato la parola di Kalendis Strifen e non ha più concesso l’autonomia governativa alle isole. Sono anni che la questione è sospesa.  Tre contro tre. Il voto di Naro sarà decisivo.”
“La sacerdotessa si aspetta riconoscenza per aver lasciato ai Nagrod Varcoghiaccio vent’anni fa.”
“Se è per questo la sacerdotessa spera che Strifen si dia malato anche questa volta così potrà nominare un nuovo imperatore! Vuoi indovinare il possibile successore?”
“Il sangue chiama sangue, Mars. Il gioco che stai facendo è rischioso. Io e Strifen non potremo mai stare dalla stessa parte. Sarai chiamato a scegliere ad un certo punto.”
“Il sangue è sangue. Lasciami vedere scorrere quello di Valente e poi non avrò più bisogno di scegliere.”
“Chissà se chi ti ha ingaggiato a Vetta Azzurra sa davvero quanto tu sia pericoloso.” Concluse l’uomo guardando fuori. Albeggiava. Mars lo affiancò e gli diede una pacca sulla spalla.
“Lo sa, credimi.”
“E sia.” Fece l’altro impugnando di nuovo la spada “il nemico del mio nemico sarà mio amico, anche se per un po’. In fondo ho voglia di ricambiare tutte le premure che Lady Asaline mi ha riservato in tutti questi anni.” Concluse ironicamente.
Il sole illuminò per un istante i loro volti poi, come se l’ombra ne fosse stata gelosa, coprì con il suo nuvolo quei timidi raggi rigettando lo spuntone di roccia nell’oscurità.

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Capitolo 4
*** Il figlio della fenice ***




Capitolo IV
-Il figlio della fenice-

 

I campanelli del baldacchino si mossero facendo risuonare nella stanza un piacevole tintinnio. Il sole era sorto da poco ma all’uomo nel letto non sembrava importare. Forse all’uomo nel letto non importava di tante cose. Se ne stava sdraiato e nudo a fissare l’intarsio del soffitto attraverso il velo trasparente che era adagiato sulla struttura in legno del sopraccielo.
Raffigurava Xantes, la fenice, animale sacro della Faleria. Quando aveva otto anni, suo padre lo condusse al tempio di Ventrelava e lo gettò nel vulcano. Senza preavviso. Lo portò fin lassù e senza alcun cenno che mostrasse quali fossero le sue intenzioni o che rivelasse la volontà di incoraggiarlo, lo gettò di sotto.
Se non fosse riuscito ad evocare la bestia sacra, sarebbe precipitato nel magma.  Ricordava che il calore del vulcano inizialmente gli aveva impedito di respirare. Si era sentito bruciare. Aveva creduto che fosse la sensazione della morte che giunge per mezzo del fuoco, invece era il sangue nelle sue vene che si adattava naturalmente all’esposizione al suo elemento. Quel giorno, i suoi capelli ramati divennero rossi più delle fiamme e rimasero così per sempre. Xantes lo riconobbe degno del suo potere e da allora fu chiamato il figlio della fenice.
Nonostante ciò non dimenticò mai le parole del padre di fronte alle lacrime di sua madre che lo insultava per il suo gesto sconsiderato. Lui le rispose che se non fosse stato degno di ricevere il potere del fuoco, tanto meglio che il bambino fosse morto. Lei era ancora abbastanza giovane da dargli un altro figlio.
L’ironia del destino volle però che lui non riuscisse ad avere altri figli. Aveva sempre creduto che sua madre c’entrasse in questo. Sorrise. Aveva odiato suo padre almeno quanto amava sua madre.
La porta della sua stanza si aprì e una donna dai lunghi capelli neri e mossi avvolta solo in una vestaglia rossa fece il suo ingresso. Lui non si mosse. Lei andò alla finestra e l’aprì. Non si scompose nel vedere l’uomo completamente nudo.
Andò all’armadio e prese una veste da camera. Raggiunse il letto e la posò al suo fianco. Poi, da sotto la vestaglia, tirò fuori un rotolo di carta pergamena e giocando con i capelli dell’uomo sul letto, lesse.
“Salve figlio della fenice! La mia preghiera ti raggiunga in forza e salute. I giorni di pace sono, purtroppo, finiti. Una grave minaccia pesa sul nostro reame. Il primo giorno della festa della Prima Luce è convocato il supremo consiglio dei due Troni. Null’altro è necessario che scriva in questa missiva. Ci vedremo, ci abbracceremo e, prego per questo, risolveremo ogni cosa. Lady Asaline di Cattedra.”
La donna tacque e il giovane uomo chiuse gli occhi godendo delle sue carezze. Poi li riaprì e le rivolse la parola.
“Cosa sta tramando ora quella vecchia strega? Non abbiamo fin troppi problemi con gli yomi a nord e i pirati a sud? Con i raminghi ad ogni angolo di questa tormentata terra? Ora deve anche svegliare l’imperatore che dorme nel nido del grifone?” La donna sorrise e gli rispose.
“Asaline ordisce da sempre tele volte a suo personale vantaggio. Non può comunque controllare ogni cosa. Quando si passano anni ad immaginare il futuro, non si distingue più facilmente tra la realtà e l’immaginazione. Chissà però che stavolta, il suo tramare non venga a tuo vantaggio.”
“Come potrebbe? C’è una sola persona che ella vuole favorire: se stessa.”
“Potrai finalmente conoscere l’imperatore! Se vuole mantenere il titolo, stavolta non potrà dire che è troppo cagionevole per affrontare il viaggio tra Vetta Azzurra e Cattedra.”
“Che vantaggio verrebbe da questo? Il principe compirà diciotto anni tra qualche mese e allora reclamerà di nuovo i suoi poteri. Tutto quello che abbiamo ottenuto in questi anni, sarà alla sua mercé.” La donna si chinò su di lui e le baciò la fronte.
“Forse Asaline non vuole che il poverino festeggi quel compleanno!”
“Credi che voglia attentare alla vita di Aeris Strifen?” La donna fece spallucce e riprese.
“Vestiti. Anche se sei di una bellezza sconvolgente, non devi prendere freddo!” Le gote dell’uomo si fecero più rosse dei suoi capelli e scattò giù dal letto coprendosi con la veste da camera.
“Non parlarmi in quel modo! Te l’avrò ripetuto un milione di volte!” Lei rise di gusto e si alzò per legargli la cintura alla vita.
“Che male c’è? Una madre non può riconoscere la bellezza del proprio figlio? Con te, ho fatto un gran lavoro!” Loran Valente la tirò a sé e le baciò la fronte sorridendo.
“Ringrazio la dea ogni giorno per il fatto che sei mia madre. Se fossi stata una qualunque altra donna, avrei dovuto temerti come la morte. Se ho preso metà dei tuoi doni, devo considerarmi un uomo fortunato!”
Lady Kyria Wiltord era andata in sposa al viceré che aveva quattordici anni nonostante ne dimostrasse almeno diciotto. Adesso, che di anni ne aveva quaranta e che aveva dato alla luce l’erede di Faleria, aveva seppellito il marito e messo in riga decine di pretendenti alla sua mano, era ancora bellissima. I soldati dell’esercito rosso, per augurarsi di sopravvivere alle battaglie, solevano augurarsi di poter ancora ammirare il volto della loro regina. Inoltre era usanza che ogni soldato che lasciasse la Faleria, come simbolo di buona fortuna, andasse a posare una rosa rossa sotto la grande statua di rubino che raffigurava Lady Kirya. Quella statua era stata voluta da Victor Valente come dono alla sua sposa per la nascita di Loran. I maligni sostenevano che l’avrebbe distrutta con le sue mani, diversi  anni dopo, se solo avesse potuto considerando il gelo che era calato sulla coppia dopo la guerra tra la Doreria e la Faleria. I più vicini alla corte sapevano che la regina aveva fatto di tutto per convincere lo sposo che invadere la Doreria sarebbe stato un errore. In effetti la Faleria aveva vinto quella guerra, assumendo il controllo di tutta la via dei commercianti da Porto Oro fino al Crocevia ma aveva condannato per sempre la Faleria a vivere nel terrore che, un giorno, la vendetta dei cavalcatori di unicorni si sarebbe abbattuta su di loro.
Loran conosceva tutti gli innumerevoli pregi della madre e non aveva mai commesso l’errore paterno di non fidarsi del suo istinto.
“Perché sorridi ancora? Scommetto che c’è ancora qualcosa che non mi hai detto!” Kirya lo oltrepassò e raggiunse lo scrittoio. Sollevò un dispaccio che aveva il simbolo della loro casata.
“I nostri informatori ci dicono che solo cinque messaggeri sono partiti da Cattedra.”
“Uno diretto a Vetta Azzurra e uno qui, siamo a due. Uno avrà raggiunto le isole Maras. Tre. Il quarto si sarà diretto a Drasil, e il quinto? Possibile che l’abbia mandato a Torreterra?” concluse Loran rabbuiandosi.
“Vedi che hai ancora bisogno della tua mamma?” fece lei per fargli tornare il sorriso “Uno è andato a Vetta Azzurra, un altro alle isole Maras. Uno è venuto qui e siamo a tre giusto? Il quarto è andato a Varcoghiaccio.”
“Varcoghiaccio? A fare che?” La donna scosse le spalle e proseguì.
“Presumo in cerca di qualcuno che esprima il voto di Zarandal al gran consiglio. Anche se laggiù ci sono rimasti solo i lupi.”
“Il quinto avrà raggiunto di certo Drasil!”
“Ed è qui che ti sbagli. Si è diretto a Torreterra!” esclamò una Kirya raggiante con l’espressione di una bambina che abbia scoperto il nascondiglio di un barattolo di bottoni.
“Mi stai dicendo che Asaline ha deliberatamente ignorato Seifer? Non ha convocato il generalissimo al gran consiglio? Non ha invitato suo nipote?” Le labbra di Loran si allungarono in un sorriso provocatorio “Ora sì che questo consiglio si fa interessante! Quando Seifer saprà che la zia lo ha tenuto fuori da un consesso tanto importante, monterà su tutte le furie. Inoltre credi che si lascerebbe sfuggire l’occasione di misurarsi con l’imperatore?” La madre lo guardò, stavolta con un’espressione preoccupata.
“Seifer è molto pericoloso. Temo più lui di Aeris Strifen. Avvisarlo del consiglio, ti innalzerebbe ai suoi occhi poi però non ti lascerebbe modo di ingraziarti l’imperatore. Se questo piccolo Strifen fosse forte e nobile come il progenitore, forse non ci sarebbe necessità di tramare nell’ombra.”
“Ascoltami madre. Noi non diremo un bel niente a Seifer!” La donna gli prese le mani.
“Ne sei certo?” Lui sorrise e annuì.
“Le nostre informazioni sono nostre e basta. Se Seifer dubitasse qualcosa, noi gli diremo che davamo per scontata la sua convocazione. Viceversa, preparati madre e fatti bella come non mai perché, per la festa della Prima Luce, conoscerai l’imperatore!”
La donna mimò un inchino e accennò un passo di danza portandolo con lei fino al centro della stanza. A guardarli, ai più, non sarebbero sembrati madre e figlio. La loro intesa, il contegno di lui e la bellezza di lei, li avrebbe fatti passare per una coppia stranamente assortita. Kyria sapeva sempre come prendere suo figlio. Sapeva che, nonostante quello sfolgorante sorriso che mostrava a tutti in ogni circostanza, Loran era un ragazzo che aveva già sofferto molto per la propria età.
La sua infanzia era trascorsa all’ombra di un uomo che aveva cercato di negargliela in tutti i modi. Aveva passato intere giornate, agghindato di tutto punto, al fianco del Viceré durante consigli di stato e udienze di corte mentre tutti i figli dei nobiluomini di palazzo trascorrevano il tempo al caldo del sole della Faleria.
La sua adolescenza, invece, era stata segnata dalla guerra tra la Faleria e la Doreria. Una guerra che aveva lasciato solchi profondi nell’animo del ragazzo. Se altri portavano cicatrici sulla pelle, Kyria conosceva quale squarcio si fosse aperto nel cuore del figlio il giorno che la guerra era iniziata.
Poteva dirsi adulto ora? Sì, lo era divenuto per forza. Governava l’impero nonostante l’armata della mano delle Nazioni avesse un altro comandante, nonostante la religione di stato avesse una sacerdotessa come voce della verità, nonostante l’imperatore designato per successione fosse un altro ragazzo, nonostante i cavalcatori di unicorni della Doreria avessero giurato di ucciderlo, nonostante gli adepti di Norren facessero il possibile per creare disordini e lotte intestine e seppure le Isole Maras continuassero a reclamare l’indipendenza dalla Faleria.
Loran governava comunque. Teneva le redini di ogni questione ben salda. Se Aeris Strifen avrebbe avuto ancora qualcosa da ereditare il giorno del suo diciottesimo compleanno, il merito doveva essere riconosciuto al figlio. Ci avrebbe pensato lei a metterlo in chiaro.
Loran si fermò come se la musica nella sua testa fosse finita e parlò.
“Vorrei vestirmi madre, col tuo permesso.”
“Vado a vestirmi anche io. Ti bacio, figlio mio. Metti l’uniforme, ti sta d’incanto.” Disse lei chiudendosi la porta alle spalle.
Loran tornò verso lo scrittoio ripensando alle parole di sua madre. Uno dei messaggeri era andato a Torreterra? Dunque la sacerdotessa voleva Mars Hornet al grande tavolo nonostante fosse ormai un fuorilegge? Faceva sempre parte dei difensori di Aeria ma il suo regno era decaduto, il suo titolo divenuto solo un proclama altisonante e vuoto d’ogni valore. Era, a tutti gli effetti, un brigante. I cavalcatori di unicorni si erano dati alla macchia. Attaccavano carovane di commercianti faleriani al solo scopo di razziare. Vivevano col desiderio di vederlo morto, magari fatto a pezzi e impilato sulle picche di Torreterra.
Si toccò il collo anche se, in fondo, molte volte, aveva pensato che la morte gli avrebbe fatto meno male. Aprì il suo scrittoio e prese un piccolo ritratto. Decisamente la morte avrebbe fatto meno male.
Ripose la piccola cornice e andò verso il suo armadio. La divisa era bella. Non la toccò. Prese un pantalone nero e una blusa rossa. Se li infilò alla svelta e si affacciò alla finestra. Di sotto, nel giardino orientale, le fanciulle del suo harem facevano confusione ridendo e rincorrendosi tra loro in un gioco che lui non conosceva. Fissò la fanciulla dai lunghi capelli castani e dagli occhi verdi. Quando la guardava, un barlume di speranza si riaccendeva nel suo cuore e gli consentiva di andare avanti. Un altro giorno ancora.

Note dell'autrice: Benvenuti nel regno di Aeria. Che ne pensate, vi piace? Credo che, per voi, sia ancora un luogo misterioso. Intanto avete conosciuto Aeris, la figlia dell'Imperatore divenuta principe per ragion di stato, e i suoi amici più stretti. Avete incontrato Lady Asaline di Cattedra. Simpatica o antipatica? Scommetto che indovino. Avete conosciuto anche Mars Hornet, duca decaduto della Doreria che cerca la sua vendetta e il misterioso ragazzo che vive con gli uomini bestia... Infine, con questo capitolo, vi ho presentato il Vicerè... personalmente adoro Loran, è così bello! Allora? Avete ricevuto tutti il dispaccio di Cattedra, no? Vi aspetto alla prossima e ringrazio tutti coloro che hanno già letto, recensito, messo la storia tra le seguite o preferite.
Un saluto speciale va a Kira! A presto!

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Capitolo 5
*** Il generale dagli occhi di ghiaccio ***


 

Capitolo V
-Il generale dagli occhi di ghiaccio-

 

La cavalcatura si fermò al limitare del bosco.
Layla era a conoscenza del fatto che i confini di Drasil erano ben sorvegliati. Non era difficile vedere galleggiare lungo il Lindolum i cadaveri degli sprovveduti che si erano addentrati senza permesso nel territorio di Drasil.
Il bosco faceva parte del dominio di Cattedra come la metà est di Erbaverde fino al crocevia. Eppure la parte meridionale, occupata interamente dalla foresta, apparteneva a Lord Seifer Wiltord il generale della Mano delle Nazioni.
Layla scese da cavallo e attese. Dopo pochi minuti un paio di soldati la salutarono e la scortarono nel sottobosco.
Layla era nata a Drasil. Apparteneva al popolo dei Weird, una razza in via d’estinzione. La ragazza pensò che non poteva essere diversamente se la sua gente si ostinava a non uscire dalla foresta e a non volersi più fidare degli Aerian. Come però dare loro torto? Il popolo della foresta, un tempo chiamati i Verdi dagli Aerian a causa del colore della loro pelle e del loro sangue, erano gente antica e conservatrice di grandi segreti. Gli Aerian glieli avevano portati via quasi tutti, corrompendoli alla causa della brama di ricchezza e potere. I mezzosangue, chiamati Weird, avevano giurato fedeltà ai principi dei loro antenati verdi e ora vivevano nel loro territorio protetto. Lì si era stabilita, da molti anni, come fosse loro protettrice, la famiglia Wiltord e lì aveva continuato a vivere anche il suo ultimo erede.
La madre di Layla abitava, anch’ella, nel sottobosco. Layla però non aveva fatto quel viaggio per lei. I soldati la condussero fino a Lindolith, il lago al centro della foresta. Lei si sedette al bordo dello specchio d’acqua e intonò un canto.
L’uomo si avvicinò senza fare rumore e se Layla non avesse visto la sua immagine riflessa nel lago, non si sarebbe accorta di lui.
Il suo cuore sussultò al punto che la sua voce tremò. Era bellissimo. I suoi lunghi capelli biondi avevano assunto riflessi d’argento a causa della magia che esercitava ormai da molti anni. Gli occhi azzurri erano come due tagli in un velo che copre il cielo.  Smise di cantare e si voltò verso di lui.
“Seifer, è passato molto tempo…”
Lui le posò una mano sul fianco e la tirò a sé. Dopo averla guardata negli occhi con un sorriso malizioso, la baciò intensamente. Layla rispose al bacio senza muoversi. Ritrovarsi tra le sue braccia era una sensazione meravigliosa. L’ultima volta che era stata con lui era stato alla celebrazione per l’ultima festa dell’estate. Poi il generale era stato impegnato nella battaglia contro gli yomi e l’aveva rivisto solo alla celebrazione per il solstizio oscuro. In quella circostanza però si erano scambiati solo un cenno col capo. Lei era una novizia destinata alla dea, lui un soldato. Nascondere il loro rapporto a Lady Asaline era tanto difficile quanto più le erano vicini.
Seifer la condusse nelle aule di Grigiolago, la dimora dei Wiltord. Cenarono e si chiusero nelle sue stanze.
Il crepitio del camino che illuminava la camera li accolse con il tepore proprio delle fiamme già alte. Il generale non le consentì di dire nulla. Le slacciò il mantello e poi le sfilò l’abito di dosso. Si unirono scoprendo che i loro corpi avevano buona memoria del loro ultimo incontro. La notte calò senza che se ne accorgessero. Fu lei, accoccolata tra le sue braccia, a rompere il silenzio per prima.
“Hai sentito la mia mancanza o avevi semplicemente bisogno di una donna?” Disse percependo la risata di lui.
“Entrambe le cose.”
“Devi essere sempre così sincero?”
“Avresti preferito una menzogna? Posso sempre presentarti mio cugino Loran!”
“Sai che preferisco la verità. E’ per questo che sono qui.” Lui si divincolò dall’abbraccio, si alzò dal letto e si infilò un paio di pantaloni. Raggiunse il camino e prese un oggetto dal ripiano in marmo. Tornò al letto e lo porse alla ragazza. Layla lo osservò. Era una pietra. Sembrava uno zaffiro ma più chiaro.
“Cos’è?” chiese mentre lui glielo lasciava cadere tra le mani.
“Acquamarina. Abbiamo inseguito uno yomi fino a Molo Fosco. Ci crederesti se ti dicessi che il lungomare è pieno di queste pietre?”
“E lo yomi?”
“L’ho ucciso.”
“Seifer, mi avevi chiesto di riferirti le mosse di lady Asaline.”
“Per questo ti adoro Layla, sei una donna pratica. Dimmi cos’ha combinato questa volta la mia vecchia?” chiese stappando una bottiglia di vino e versando due calici. Uno lo porse a Layla che esitò fissando il liquido rosso che ondeggiava nel bicchiere. Conosceva talmente bene il suo amante da sapere quale tremenda reazione avrebbe avuto di fronte alla notizia che doveva riferirgli. Girarci intorno con le parole poteva servire in qualche modo a mitigare quella reazione? Optò per un approccio diretto.
“Lady Asaline ha convocato il supremo consiglio dei Due Troni.” Il rumore della legna divorata dalle fiamme nel camino fece alzare lo sguardo di Layla dal vino.
Seifer fece lo stesso poi, come se volesse prendere tempo per comprendere la portata della notizia, si portò il calice alle labbra assaporando un sorso del liquido vermiglio.
“Per quando è stato fissato?” chiese dando le spalle alla donna.
“Per la festa della Prima Luce.”
“Manca poco allora.” La donna non rispose. Finalmente Seifer dava cenno di avere compreso la cosa più importante. Non era stato invitato. Si infilò una vestaglia e si alzò per raggiungerlo quando fu sorpresa dal gesto di lui.
Il bicchiere di vino era finito nel camino provocando una fiammata più alta delle altre.
“Seifer, non ho potuto venire prima. Non mi fidavo di nessun altro.” Disse lei per giustificarsi.
“Hai fatto bene. Cattedra è una piazza piena d’ogni genere d’orecchio. Spie rosse di Loran, raminghi della Doreria, adepti di Norren, mercenari, pellegrini e la dea sa cos’altro.” Layla raggiunse di nuovo la bottiglia, prese un altro calice e vi versò di nuovo il vino. Seifer esitò poi, lo trangugiò tutto d’un fiato.
“Mia zia vuole tenermi lontano dagli affari di corte? Richiama l’imperatore? Chi ha difeso il suo regno finora? Chi ha sconfitto gli yomi che scendono da Zarandal?”
“Tecnicamente, al tavolo dei Due Troni non è prevista la presenza del generale della Mano delle Nazioni.” Disse lei con un filo di voce. Lui la fulminò con lo sguardo.
“Mi ha cresciuto come un soldato promettendomi la sfera dell’acqua quando ne sarei stato degno. Ora convoca il consiglio supremo e finge che io non esista?” rispose lui ad alta voce.
“Non conosco i suoi piani. Forse vuole proteggerti da un pericolo imminente! Lei ti ama come un figlio!”
“Amore?” esclamò Seifer “Mia cara Layla, quanto ti sbagli. Quella donna non sa cosa sia l’amore. Le sono stato fin troppo vicino per non capire che l’unica cosa a cui Asaline di Cattedra tiene è il potere.”
Layla guardò il pesante tappeto che ricopriva il pavimento. Raffigurava un vascello fra le onde. Asaline era severa e di certo aveva ereditato l’atteggiamento di Lady Zhanna quando si trattava di fare gli interessi del regno. Tuttavia non aveva dubbi sul fatto che volesse bene a Seifer. Le era talmente vicina da sapere che lo nominava in tutte le sue preghiere. La voce di Seifer la richiamò dai suoi pensieri.
“Che altro sai?”
“Sono partiti cinque messaggeri. Uno di certo per Vetta Azzurra. Sapevo per certo che non ti ha convocato perché non ho visto il tuo colore tra i nastri che avvolgevano i rotoli. Ho riconosciuto il nastro d’oro dell’imperatore, quello scarlatto del viceré e quello bianco del Maresciallo di Maras. Gli altri due rotoli invece avevano nastri neri.” Seifer parve riflettere e sorrise.
“I miei uomini hanno contato solo due messaggeri. Gli altri tre allora non sono andati a sud. Sono davvero curioso di sapere cosa sta combinando quella vecchia strega. Ad ogni modo Layla, va bene così. Saprò ricambiare mia zia per la sua cortesia.”
“Seifer, te ne prego, Lady Asaline non farebbe mai nulla per danneggiarti. Di questo devi essere certo.”
“Ebbene sappi che non vale lo stesso per me. Se dovesse mai decidere d’intralciarmi il cammino, io la spazzerò via alla stregua di tutti i miei nemici. Il sangue per me non conta niente. Io non ho un famiglia!”
“Tu avrai sempre me!” disse lei di slancio abbracciandolo e posando la testa sul suo petto.
Lui la strinse e le carezzò i capelli.
“Lo so. Torna dunque a Cattedra e fa come se i tuoi occhi fossero i miei, le tue orecchie le mie. Non temere, al momento opportuno, sarai ricompensata.”
“Non ho bisogno di alcuna ricompensa, tu sai che lo farei comunque.”
“E tu sai che ti ricompenserò comunque.” Disse guardandola negli occhi e prendendole, con una mano, il mento “Mia zia non è in grado di riorganizzare l’ordine delle sacerdotesse di Serian in base al ruolo che avrà quando il comando di Aeria sarà passato di mano. Ci vuole una sacerdotessa più giovane ed intelligente. I miei occhi non vedono, e non vedranno mai, una candidata migliore!”
Layla abbassò gli occhi e tornò tra le sue braccia. Avrebbe voluto che zia e nipote potessero tornare ad essere quelli di un tempo. Quelli della sua infanzia. Non avrebbe voluto scegliere tra loro. Tuttavia non c’era più posto per questi pensieri. Aveva già scelto. L’amore aveva scelto per lei.
Seifer la riaccompagnò la sera stessa al limitare del bosco. La vide partire e sentì che la solitudine, che un poco s’era smorzata in quelle poche ore al fianco di Layla, era tornata. 
Anche la sua camera che nella penombra creata dal fuoco del camino era sembrata un accogliente rifugio, ora appariva più simile al nascondiglio di un animale.
Ignorò la bottiglia di vino che sembrava invitarlo a finirla e raggiunse lo scrittoio. Il diario di suo padre era aperto alla data del venticinque Quintilis del tredicesimo anno della fenice. Lesse.
“E’ una giornata bellissima. Il sole è sorto accendendo il mare di una luce simile a quella delle candele il giorno della Prima Luce. Le acque del mare esterno sono calme e il vascello ondeggia come in balia di una nenia. Sembra tutto perfetto ma è una maledizione. Sono cinque giorni che non tira un alito di vento. Non appena abbiamo segnato la rotta verso est il vento è cessato. Forse le leggende sono vere e si può navigare solo verso ovest. Ad ogni modo, i giorni destinati a questa esplorazione sono terminati. Giunge la fine del mese e devo riprendere la via di casa o il mese di Sextilis non basterà ad attraversare il mare interno e a risalire il Lindolum. Devo riprendere servizio. I porti lungo le coste hanno levato le bandiere nere segno che hanno chiuso l’accesso alle navi straniere. Non è buon segno. L’unica cosa che allevia il mio dispiacere è sapere che rivedrò Elaine e il mio piccolo Seifer. Peccato. Stavolta ci sono andato vicino. Ci saranno altre occasioni.”
La pagina terminava così. Seifer strinse il pugno. L’anno seguente il padre non avrebbe più navigato. Non ci sarebbero state altre occasioni. Sarebbe morto a Varcoghiaggio cinque giorni dopo il solstizio oscuro del tredicesimo anno del drago.
Si prese la testa fra le mani e sentì una profonda rabbia montargli dentro. Suo padre era un navigatore, un esploratore, non un soldato. Era stata carne da macello per la grande ombra. Sua madre lo aveva abbandonato e ora sua zia lo trattava alla stregua di un giocattolo da mettere da parte. Non intendeva assecondare oltre il suo fato. Aveva una partita aperta col destino. L’aveva cominciata di nascosto. Ora era tempo di scoprire se i conti tornavano una volta per tutte. Chiuse il quaderno di suo padre e raggiunse lo specchio. Ciò che vide riflesso lo compiacque. Intorno alla sua figura si era liberata una sorta di aura oscura che ondeggiava intorno a lui. Ormai riusciva ad evocare l’Oni nero senza neppure usare l’incantesimo. Era certo che nessuno fosse in grado di farlo, né sua zia che glielo aveva insegnato, né l’imperatore che aveva dalla sua parte il potente Bashenian. Avrebbe schiacciato i suoi avversari uno ad uno. Smorzò l’emanazione oscura della sua magia e raggiunse il letto. Odorava ancora di Layla. Si sdraiò e chiuse gli occhi respirando profondamente. La donna che lo raggiunse nel mondo di Seiren, il dio del oblio, però non fu Layla bensì quella che sognava da anni. Nel sonno invocò il suo nome e una lacrima sfuggì agli occhi di ghiaccio del comandante.

Note dell'autrice: Bentornati, come state? Come sono andate le feste natalizie? Lo so che sono una rompi ma i ringraziamenti sono di rito e restano, per me, un piacere. Vi aspetto, come sempre, alla prossima. Nel frattempo mi fate sapere cosa ne pensate? Anche solo con le parolacce XD!

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Capitolo 6
*** La principessa imperiale ***


Capitolo VI
-La principessa imperiale-
 

Aeris sgattaiolò fuori dalla sua camera. Di notte le stelle che si potevano vedere dal nido erano meravigliose.
Per qualche motivo, da giorni, era nervosa. Di certo aveva a che fare con il viaggio che stavano preparando. Mancava ancora del tempo. Durante i sessantacinque giorni che intercorrevano tra il solstizio oscuro e il giorno della Prima Luce, non si intraprendevano peregrinazioni d’alcun genere. Erano i giorni più freddi dell’anno. Tutta la piana di Erbaverde gelava. I carri scivolavano lungo le strade sterrate e i cavalli si stancavano più in fretta. I contadini lasciavano i campi per radunarsi nelle poche grandi città come Lindon o Quercialta. Faceva buio molto presto e, con gli yomi in circolazione, la gente preferiva luoghi cinti da mura e ben illuminati.
Raggiunse il giardino pensile cercando di fare meno rumore possibile e prese la via per il nido.
Bashenian era là. Aprì per un istante gli occhi ma decise di non fare caso a lei e tornò a dormire. Aeris sollevò una delle grandi ali della bestia sacra e vi si accucciò sotto. Il calore che proveniva dall’animale la scaldò e lei puntò gli occhi al cielo.
Poteva riconoscere facilmente le costellazioni delle divinità nate da Serian e quelle raffiguranti le bestie sacre. Vide la fenice, la tigre e cercò il grifone. Le stelle erano splendide nelle notti d’inverno. Sembravano brillare più forte. Forse anche loro dovevano resistere al freddo. Cercando alcune di esse, finì per individuare la grande costellazione del drago. Era quella formata da più stelle. Guardò versò nord. Nonostante fosse buio, la sagoma della grande ombra si distingueva perfettamente. Le sembrò di vedere, poco più a sud, una luce, come se qualcuno avesse acceso un fuoco fra le montagne. Congiunse le mani e fece una preghiera a Serian. Chiunque fosse lassù con quel freddo, di certo ne aveva bisogno.
Si addormentò così, pregando. Sognò. Era vestita con un abito semplice e di un lieve viola. Anche nel sogno pregava. All’improvviso, il cielo intorno a lei si scuriva. La grande ombra assumeva forma di un guerriero nell’atto di impugnare una grande spada. Poi dal mantello dell’ombra vedeva fuoriuscire una sorta di grande lupo nero con un paio di occhi cobalto. Lei non riusciva a muoversi mentre il lupo avanzava e, di scatto, le saltava contro. Si svegliò di soprassalto. Bashenian aprì gli occhi e mosse l’ala per consentirle di alzarsi. Era l’alba.
Scese di corsa verso il giardino. Non poteva rischiare che qualcuna delle guardie troppo zelanti di Grifis la scoprisse a spasso per i corridoi del palazzo. Quando imboccò quello per la sua camera era troppo tardi. Due grifoni dorati venivano nella sua direzione. Non ebbe altra scelta che intrufolarsi nella stanza di Marine.
La fanciulla aprì gli occhi cercando di capire che ora fosse.
“Aeris che ci fai qui? E’ ancora presto?”
“Shh. Perdonami. Sì è presto. Gli uomini di tuo fratello sono già di ronda.”
“E tu non sei dove dovresti essere come tuo solito, giusto?” chiese Marine completamente sveglia e  divertita dal comportamento indisciplinato di Aeris.
“Dai vieni qui! Se ci scoprono, potrai sempre dire che non hai resistito alla tentazione di avermi!” disse lei battendo una mano sul posto vuoto nel letto.
Marine era cresciuta con Aeris. Erano come sorelle. Di fratelli ne aveva già uno ma Grifis non aveva mai amato giocare con lei. Le piaceva dire che Grifis fosse nato già adulto. In effetti, tutto ciò che suo fratello aveva fatto per lei era proteggerla con la lama della sua spada. Sapeva che le era legato. La colpa del suo atteggiamento tanto rigido era da attribuire alla morte prematura del loro padre. Era morto in battaglia facendo da scudo a Kalendis Strifen. In suo onore era stata eretta una statua nel centro della piazza dell’armeria. Grifis era convinto che, per essere all’altezza del genitore, avrebbe dovuto fare la stessa fine. Era cresciuto allenandosi al sacrificio, alla sopportazione del dolore, adeguandosi all’idea della morte. L’unica cosa bella che si era concesso era di amare in segreto Aeris. Agli occhi del mondo Aeris era un principe per cui, il suo, era un amore senza speranza. Così come senza speranza sarebbe stato qualunque amore Aeris avrebbe provato. Finanche avesse ricambiato Grifis. Quando aveva compreso quale triste destino attendesse le due persone che amava di più al mondo, aveva deciso di legare al loro anche il suo. Se Aeris doveva diventare imperatore, lei gli sarebbe rimasta accanto come sua regina.
Sorrise divertita e Aeris si fiondò sul letto con lei.
“Ora mi dici dove sei stata? No, aspetta, lascia che indovini. Al nido!”
“Esatto. Ero inquieta, avevo bisogno di Bashenian.”
“Ogni scusa è buona per rifugiarti lassù.” Disse osservandola un po’ meglio e notando le occhiaie ad appesantirle il viso. “Stai bene?” Aeris si guardò le mani poi parlò.
“Ho sognato. Credo. O forse ho avuto una visione.”
“Davvero? Un presagio per il nostro viaggio a Cattedra?”
“Non lo so. Ho visto una donna. Pregava.”
“Forse Lady Asaline?”
“Non credo. Era giovane e aveva lunghi capelli neri. Però il suo abito era viola.”
“Come quello delle sacerdotesse?” chiese di nuovo Marine.
“Credo di sì. Poi arrivava un guerriero fatto di ombra e c’era un lupo. Marine avessi visto che occhi aveva il lupo! Sembrava volermi leggere dentro!”
“Non mi sembra un sogno molto attinente alla nostra destinazione.” Fece lei dubbiosa “L’ombra ha a che fare con Zarandal, però niente draghi o fenici! Non sembra una visione che faccia pensare ad un pericolo imminente. Il lupo sembrava molto cattivo?”
Aeris si stupiva continuamente di come Marine arrivasse sempre e comunque al succo delle cose. In effetti, nella sua visione, solo il lupo la minacciava direttamente.
“Non saprei dire. Mi attaccava ma i suoi occhi sembravano tristi, come se fosse costretto a farlo.”
“Direi che dovresti parlarne con Albered. Lui potrebbe provare ad interpretare il sogno.”
“Preferirei di no. Se Grifis lo venisse a sapere, penserebbe di certo che sia una delle mie premonizioni e farebbe di tutto per annullare il viaggio!”
“Non ci avevo pensato. In effetti è così. Ve bene, per il momento ce lo terremo per noi. Devi farmi una promessa però. Se dovessi vedere qualcos’altro, me lo dirai e ne parleremo con Albered. Non voglio che ti accada qualcosa e sentirmi in colpa per non avere fatto nulla.” Aeris sorrise e si strinse all’amica.
Si alzarono entrambe solo un paio d’ore dopo. Il sole già splendeva in un cielo azzurro e terso. Ormai il tempo del solstizio oscuro stava terminando. Le giornate si facevano sempre più lunghe e calde. I soldati andavano incontro al turno di guardia alle mura con maggiore serenità.  Anche gli incidenti con gli yomi andavano diminuendo e i contadini passavano più tempo nelle campagne.
Prima della festa della Prima Luce ci sarebbe stato il grande Mercato di Strifen e la via dei pellegrini tra Lindon e la capitale si sarebbe riempita di commercianti.
Tutte le fanciulle di corte cominciavano a preparare, in questo periodo, lunghe liste di oggetti da comprare un po’ per allentare la noia del periodo del solstizio oscuro, un po’ per fare a gara a chi avrebbe sfoggiato l’abito più bello alla festa della Prima Luce.
Aeris si rattristava sempre un po’ al pensiero che non avrebbe mai preso parte a questi rituali. Lei avrebbe indossato l’alta uniforme come al solito. Tuttavia Marine la coinvolgeva nella scelta del proprio abito, dei nastri per i capelli e di un sacco di ninnoli. Non di rado passavano intere serate a decorare abiti che non avrebbero mai indossato.
Raggiunsero la sala da pranzo dove i nobili si inchinarono all’unisono appena la coppia fece il proprio ingresso.
Grifis andò loro incontro e scortò principe e principessa al tavolo per la colazione.
“Buongiorno fratello. Non sembri godere del buonumore generale che ha invaso il palazzo!” disse Marine osservando il piglio contrariato di Grifis.
“Sono di ottimo umore!” rispose lui piuttosto nervoso ma subito il suo viso si rilassò vedendo sorridere Aeris.
“Che é successo?” gli chiese la fanciulla in abiti maschili.
“Ho sorvegliato le mura stanotte. Sono solo stanco.”
“Sono sicuro che c’è qualcos’altro. E non sto leggendo i tuoi pensieri.”
Grifis si inginocchiò al lato destro di Aeris e sussurrò poche parole per non farsi udire dagli altri commensali.
“Ci sono i cavalcatori di unicorni a corte. Sono passati per la porta maestra stanotte. Li ha fatti passare Albered.”
“Se sono venuti per Albered, dov’è il problema?” chiese Aeris addentando una fetta di pane e marmellata.
“Sono fuorilegge. Non dovremmo ospitarli a corte.” Rispose il cavaliere.
“Albered sa quel che fa.”
Marine sorseggiava un te fumante e sorrise divertita dalla conversazione. Grifis si alzò e la guardò in malo modo.
“Cos’hai da ridere?” chiese senza allontanarsi da Aeris.
“Rido perché mi stupisce la tua ingenuità senza fine, fratello.”
Aeris capì che stava per cominciare l’ennesima lite tra i due Alteron e intervenne.
“Grifis perché non vai a chiamare Albered? Ho bisogno di conferire con lui.”
Il comandante dei grifoni dorati, la guardia personale dell’imperatore, si allontanò controvoglia. Aeris si rivolse alla compagna.
“Perché lo provochi? E’ preoccupato per la nostra incolumità!”
“I cavalcatori di unicorni sono fuorilegge? Certo, per ordine del viceré Valentine.”
“Lo dici col sarcasmo che usi quando non sei d’accordo su qualcosa.”
“Puoi ben dirlo, Aeris. Conosci la storia della guerra della Doreria contro la Faleria. Non trovi sbagliato che i Valentine abbiano usato la violenza per appropriarsi del controllo della via dei mercanti?”
“Sai come la penso, le guerre sono sempre ingiuste, anche quando cominciano per giustificabili motivi. Tuttavia non dimenticare che i cavalcatori di unicorni sono diventati fuorilegge per loro volontà. Ora che ne dici di finire la nostra colazione e di parlare con Albered per capire come mai sono qui?”
Marine annuì e il vocio degli altri commensali coprì il resto delle loro chiacchiere. Non smise però di pensare alle parole di suo fratello e al fatto che i raminghi di Torreterra fossero a corte. Marine li aveva sempre ammirati e, quando Grifis ritornò con l’intenzione di accompagnare Aeris da Albered, lei si defilò con una scusa e raggiunse la corte bassa da dove si accedeva alla zona militare. Riconobbe subito i cavalli dei raminghi. Erano bruni e molto più alti di quelli che cavalcavano i grifoni dorati di Strifen.
Una delle cavalcature sbuffò e strisciò uno zoccolo sul terreno vedendola arrivare.
Marine allungò una mano verso il muso dell’animale e sorrise.
“Non avere paura di me. Sei una creatura meravigliosa.”
“Fossi in te non mi avvicinerei tanto incautamente a Saltafosso!”
Marine si voltò di scatto e ritirò la mano. Il ragazzo alle sue spalle non sembrava molto più grande di suo fratello, forse era addirittura più giovane. Nell’udire il tono di quelle parole si era voltata aspettandosi di incrociare lo sguardo di una persona allegra e ben disposta verso di lei. In realtà si ritrovò occhi negli occhi con un uomo dal cipiglio duro e scostante. I capelli castani cascavano disordinati su una fronte decisa e un paio di occhi verdi e densi. Su una guancia, una profonda cicatrice gli attribuiva una severità in forte contrasto con il resto dei suoi tratti quasi infantili. Marine non aveva mai visto un ramingo. I suoi abiti di pelle e nappa odoravano di terra bagnata e le sue mani sembravano callose e ruvide. Alla cintola portava legata una frusta che però sembrava non essere stata srotolata da tempo e sulle spalle aveva un arco di legno ben levigato.
Marine non si fece intimidire.
“Non direi di essermi avvicinata senza cautela.” L’uomo sorrise e la cicatrice si allungò verso l’alto.
“Saltafosso non ama le donne.”
“Che sciocchezza! Queste sono cose che dicono gli uomini. Sono certa che quell’animale non abbia davvero nulla contro di me.” Rispose Marine scuotendo l’orlo del proprio abito.
“Chi sei tu?”
“E’ educato chiedere il nome di una nobildonna solo dopo aver detto il proprio, cavaliere.”
“Io sono un ramingo. L’educazione dei cavalieri mi manca, signora.” Disse il ramingo avanzando verso di lei e raggiungendo il cavallo.
“Io invece sono una nobildonna e vi dirò comunque il mio nome. Mi chiamo Marine Alteron, cavaliere.”
“Ho già detto di non essere un cavaliere.” Ripeté l’uomo per non mostrare di trovare interessante l’aver appreso di trovarsi di fronte alla principessa imperiale.
“Credo di non sbagliare neppure stavolta poiché siete un ramingo della Doreria e pertanto, signore, voi siete un cavaliere. Di preciso un cavalcatore di unicorni.”
Il ramingo strinse più forte le briglie di Saltafosso ma continuò con il suo tono sarcastico.
“Vedete unicorni da queste parti? L’ultimo è morto molti anni orsono e con lui il mito dei cavalcatori della Doreria.”
Marine giocò ancora un po’ col vestito poi, con un gesto lento e circospetto, allungò di nuovo la mano verso il cavallo. L’animale mostrò di gradire il tocco gentile della fanciulla e questa sorrise.
“Visto? Forse il cavallo ha più giudizio del cavaliere!”
“Giudizio non credo, gusto senz’altro!”
A quelle parole Marine sorrise e parlò senza smettere di carezzare il destriero.
“Siete venuto a conferire con il mio re o con il suo primo ministro?”
“Chi vi dice, mia signora, che io sia qui per conferire con alcuno? Se il mio padrone lo ha fatto con qualcuno in qualcuna delle stanze di quel bel palazzo laggiù, non è affar mio. Io sono pagato per proteggerlo durante i suoi spostamenti.”
“Visto, che se lo desiderate, siete in grado di adoperare un linguaggio appropriato a conversare con una nobildonna?”
“Può darsi. Non capita spesso a noi raminghi di conferire con principesse del vostro rango. Frequentiamo solo donne che non chiedono riguardi diversi dal rispetto nel migliore dei casi e solo denaro nel peggiore.”
“Concedetemi allora solo il vostro rispetto, cavaliere. E con questo intendo dire di non prendermi in giro come se, per il fatto di indossare begli abiti e preziosi monili, io non sia dotata di cervello.”
“Non l’ho fatto, mia signora.” Marine sorrise maliziosamente e si allontanò.
“Per stavolta fingerò che sia così. La prossima volta che ci rivedremo, cavaliere, mi auguro che vi sentiate libero di dirmi il vostro nome poiché ho solo finto di non notare che, dopo tutte le vostre chiacchiere, non lo avete detto.”
La fanciulla fece un gesto del capo e sparì dietro un arco di pietra. Il ramingo guardò il suo cavallo e gli diede una pacca sul muso.
“Bella figura che mi hai fatto fare Saltafosso! La prossima volta, per cortesia, almeno un nitrito contro l’estraneo che ci avvicina indesiderato!”
Il cavallo sbuffò e chinò un paio di volte il capo ciondolando su se stesso.

Marine raggiunse le stanze di Albered in cui suo fratello aveva condotto Aeris. Bussò ed entrò prima che le dessero l’assenso.
“Allora? Tutto bene qui?” disse notando l’aria pesante che si respirava nella stanza del primo ministro. Suo fratello camminava avanti ed indietro e strofinava il palmo della mano destra contro l’elsa della sua spada.
“Grifis, perché sei così nervoso?” Aeris rispose al suo posto.
“Albered sta usando i raminghi per prendere informazioni sul consiglio e tuo fratello non approva.”
“Sono dei fuorilegge!” Sbottò Grifis “Se si sapesse che l’imperatore li riceve nella propria corte, che si penserebbe di lui?”
“Non sono peggio delle spie rosse del viceré.” Disse il primo ministro carezzandosi la folta barba.
“Non mi piacciono le spie di Valentine ma almeno agiscono sotto una bandiera. Obbediscono agli ordini di un comandante!” rispose sempre più seccato Grifis cui non piaceva essere contraddetto se si trattava di valutazioni su corpi armati.
“Guarda che anche i raminghi obbediscono ad un comandante, non è vero Albered?” disse Marine intromettendosi nella discussione. Il primo ministro sorrise ma la redarguì.
“Quante volte ancora ti dovrò dire che tra i tuoi doveri di principessa imperiale non c’è quello di occuparti di questioni politiche?”
“Oh andiamo!” esclamò Marine che aveva preso a giocare con una ciocca di capelli di Aeris “Come se non fossi nata con un paio d’occhi per vedere, un paio d’orecchie per sentire e un cervello per comprendere tali e quali a quelle di Grifis!”
“Almeno la lingua, la dea avrebbe potuto dartela meno tagliente!” le disse Albered chiudendo un vecchio libro che teneva poggiato sullo scrittoio.
“Smettetela di discutere.” Provò a dire Aeris “Ormai manca poco alla festa della Prima Luce e il consiglio supremo si avvicina. Ogni aiuto è bene accetto.”
Il primo ministro si alzò con lo sguardo fiero. Aveva visto nascere Aeris e aveva promesso a suo padre che l’avrebbe seguita e protetta a costo della propria vita. Aveva messo tutte le energie che possedeva nell’istruirla e renderla più forte. Non dubitava di essere riuscito in entrambi gli scopi. Inoltre Aeris dimostrava una naturale inclinazione a fare o dire sempre la cosa giusta e questo per lui era fonte di enorme soddisfazione. Certo, a volte, era impulsiva o eccessivamente determinata ma queste doti non costituivano necessariamente un difetto della sua forte personalità. Albered la raggiunse e le mise entrambe le mani sulle spalle.
“Altezza, credo che siate davvero pronto ad aprire le danze.” Concluse il vecchio.
Le ragazze si sorrisero a vicenda e considerarono la frase del ministro come il congedo a quella riunione. Si allontanarono velocemente dallo sguardo vigile di Grifis e si chiusero nella stanza di Marine.
“Non credere che i complimenti ad Aeris mi abbiano distratto dal fulcro della questione.” Disse il comandante.
“Cosa vuoi sapere?” chiese Albered puntando i suoi occhi in quelli di Grifis.
“Che notizie hanno portato i cavalcatori di unicorni?”
“Mi hanno fornito informazioni circa i presenti al consiglio.”
“E i presenzianti sono di nostro gradimento?” chiese il soldato sottolineando marcatamente la parola ‘nostro’.
“Lo sono tutti tranne quelli che parteggiano apertamente per Lady Asaline.”
Il comandante dei Grifoni dorati raggiunse la porta e l’aprì. “Mi auguro davvero che tu abbia fatto bene i tuoi conti, Albered. C’è in gioco molto più che la sola vita di Aeris.” Concluse uscendo.
Grifis non vide l’uomo strofinarsi la barba con soddisfazione. Raggiunse un passaggio segreto che dava direttamente nella stanza di Marine e rimase nascosto dietro ad uno specchio. Non voleva spiare le fanciulle. Voleva solo accertarsi che avessero raggiunto la loro destinazione e fossero serene.
Anche se non glielo riconosceva mai, Grifis sapeva quanto la presenza della sorella minore fosse di conforto ad Aeris e quanto i suoi modi di fare spesso tenessero insieme tutti i pezzi di quel mosaico complicato che era la loro vita. Grifis amava sua sorella e in qualche modo la invidiava poiché, nonostante tutto, sapeva che era migliore di lui. Le guardò ridere su un buffo aneddoto che stava raccontando Marine e che riguardava un cavallo. Le avrebbe difese entrambe. Finchè avesse avuto fiato in corpo, le avrebbe protette a qualunque costo. Le sue due principesse.

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Capitolo 7
*** La città del crocevia ***


Capitolo VII
-La città del crocevia-

Il tempo era passato veloce in Balvaria. Un intero mese in cui Aeris non aveva fatto altro che imparare le formule con cui rispondere o rivolgere la parola ai nobili o alle sacerdotesse, i nomi di persone o luoghi che non aveva mai visto, ripassare date di eventi storici di cui una persona della sua età non poteva avere memoria diretta. Insieme ad Albered aveva studiato il modo di argomentare su qualunque provocazione potesse giungere dalla somma sacerdotessa o dai suoi consiglieri. Con Grifis si era esercitato nell’uso della spada come al solito e aveva studiato il territorio che avrebbero dovuto attraversare insieme per giungere a Cattedra. Ma era con Marine che si era davvero divertito poiché, tra una lezione di ballo ed una di galateo, la fanciulla gli aveva rivelato cose che da Grifis o Albered non avrebbe mai saputo.
“Così si dice che frequenti uomini dell’età del figlio!” concluse portandosi il ventaglio davanti alle labbra. Aeris, tra lo stupore e lo sconcerto, l’ascoltava.
“Ma tu come sai tutte queste cose?”.
“Ricordati, tesoro mio, che sono i pettegolezzi di corte che possono decidere le sorti di un gran consiglio! Pensa, potresti imparare tutto sul tuo viceré ma avresti mai detto che ha rovinato la maggior parte dei suoi nemici seducendo le loro mogli?” Aeris rise.
“E non è tutto. Rifiuta di sposare ogni principessa che gli è stata presentata nonostante ognuna di loro sia entrata nel suo harem personale. Dice che il suo cuore è solennemente impegnato, ma quale sia la fanciulla che detiene questo impegno non si sa! Quando va in battaglia, due delle sue cortigiane lo accompagnano! Immagina il nostro Grifis fare la stessa cosa!” Aeris si fece serio.
“Grifis non lo farebbe mai!” Stavolta fu Marine a ridere poi continuò.
“Inoltre si dice che una guardia d’elite non lo lasci mai solo perché i raminghi della Doreria hanno giurato che non avranno pace fino a che non ci sarà la sua testa su una picca in cima alla più alta torre di Dumbara! Io non potrei mai vivere così!”
Aeris si rabbuiò. Nell’ultimo mese gli adepti dello stregone Norren avevano attaccato più volte Rifiel la città più a valle della Balvaria e uno di essi alla sua ultima uscita pubblica aveva cercato di colpirlo gridando che Norren avrebbe avuto la sua vita. Da allora Grifis non lo aveva più lasciato un attimo ed era sempre di pessimo umore. Un giorno aveva anche provato a convincere Albered a rinunciare al viaggio a Cattedra. Non aveva avuto bisogno neanche di assistere alla conversazione per sapere com’era terminata. Aveva letto chiaramente nella mente del primo ministro la ferma determinazione a partire.
Le parole di Marine lo avevano turbato perché in fondo aveva sempre vissuto sotto costante minaccia anche lui. In quel momento ebbe un moto di simpatia per il viceré.
“E del generalissimo cosa sai?” chiese quasi per distrarsi da quei pensieri.
“Che è affascinante e solitario. Pare non abbia molti amici ma i suoi nemici giurano che più di una delle novizie di Cattedra abbia violato il voto di castità per compiacere il comandante!”
“Marine!”
“Perché ti scandalizzi? Ad ogni modo, a me non piace. Troppo sicuro di sé!”
“Ne ha ben ragione, credo!” disse Aeris.
“Che merito c’è nell’uccidere?”
“Uccide gli yomi!”
Marine s’incupì. Aeris ne lesse immediatamente i pensieri ma la fanciulla se ne accorse e lo riprese.
“Se vuoi sapere cosa penso, chiedi!”
“Perché hai compassione degli yomi?”.
“Serian mi fulmini, Aeris! Albered lo farebbe se mi sentisse parlarne con te! Ma io non credo al dogma degli yomi.”
Aeris non ne sapeva molto oltre quello che aveva appreso dai libri. Gli yomi erano stati originati dalla grande Ombra del nord evocata dal folle signore di Tesla durante l’ultima guerra. Si alimentavano dell’energia degli esseri viventi. Quelli toccati da uno yomi, a loro volta, divenivano yomi.
“Parla Marine, non devi avere paura di dirmi quello che pensi”. La fanciulla si fece coraggio.
“Io credo che sia come una malattia. Mi ci ha fatto pensare il contagio di cui parla il dogma. Si dice che chi è toccato da uno yomi è come contagiato e diventa a sua volta uno yomi. Proprio come una malattia. Ma una malattia non cambia ciò che la creatura malata è. La altera ma non la cambia. Forse, se è una malattia, si può curare. Forse chi è contagiato, potrebbe tornare normale. Non lo so. Una volta ho visto Grifis uccidere uno yomi. Mentre si dissolveva ho sentito un dolore fortissimo. Era come se stessero lacerando una parte di me. Ho sentito il suo dolore. Ed era come fosse quello di un essere umano. Non so dirti di più.”
Aeris era rimasta affascinata dall’argomentare della fanciulla. Ricordava il giorno in cui i grifoni dorati avevano portato Grifis in trionfo dopo che il giovane aveva ucciso lo yomi che, improvvisamente, era apparsa nel centro di Strifen e aveva cominciato a terrorizzare tutti. A lei, ovviamente, non era stato consentito di uscire dal palazzo.
“Non ne so abbastanza Marine, ma tu sei una persona molto sensibile e non è escluso che tu possa avere ragione. Tuttavia se ne dovessi incontrare uno, sono certo che saprei dirti se sei nel giusto. Io sento l’anima delle cose.”
“E tu credi che la somma sacerdotessa non le senta?”
“Che vuoi dire?” chiese Aeris. Marine s’accorse che Albered giungeva e tacque.
“Non un’altra parola davanti al vecchio!” disse ridendo. Aeris si fece seria e rivolse uno sguardo severo al primo ministro.
“Ho interrotto qualcosa?” chiese l’uomo. Aeris si alzò e lo oltrepassò.
“Vieni Marine è ora di andare a letto. Domani si parte per Cattedra!”
Marine si alzò e quando fu vicino ad Albered gli sussurrò solo poche parole.
“L’imperatore è nervoso perché si sente controllato a vista. Domani andrà meglio” fece proseguendo.
“L’imperatore è controllato a vista perché è l’imperatore!” disse Albered ad alta voce lasciandoli andare.

Il fuoco si agitava come il cuore del ramingo. L’accampamento era rappresentato solo da quel fuoco e dal mantello poggiato nell’incavo di un albero. Le luci di Rifiel s’intravedevano sulla destra mentre quelle di Lindon si potevano solo immaginare nella direzione opposta. La piana di Erbaverde sarebbe stata il luogo ideale per lo sviluppo di una grande città se non fosse stata sotto il governo di tre poteri diversi. Cattedra ad est, l’Impero ad ovest e la lunga mano del generalissimo a sud.
Sorrise tra sé. Anche se i tre signori si fossero messi d’accordo chi avrebbe mai voluto vivere all’ombra della grande nube nera di Zarandal? Forse era questo il vero motivo per cui la piana era pressoché destinata alla coltivazione ed era considerata zona di passaggio.
Il nitrito di Saltafosso lo scosse da questi pensieri. Guardò di nuovo la valle e, a sud, vide comparire prima alcune, poi molte fiamme. Si alzò e sfilò un cannocchiale dal sacco che si portava sempre dietro. Quando lo ripose non ebbe dubbi. Era la carovana del viceré di Aeria. Un moto di rabbia lo assalì come tutte le volte in cui pensava a Loran Valentine. Immaginarlo mentre, circondato dalle sue concubine, beveva e si divertiva andando per l’ennesima volta a recitare la parte del nobile protettore dell’ordine della nazione gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Poi, quando l’onda della rabbia si placava, saliva quella del dolore. A quel punto tutto diveniva di un solo colore nel suo cuore. Il colore del sangue dei suoi cari, quello che era stato dell’amore e che era divenuto quello dell’odio. Il colore della casata di colui che era la sua ossessione e la sua ragione di vita. Seguì con lo sguardo la piccola carovana che si dirigeva verso Lindon e fu tentato di raggiungerla. Quanti potevano essere? Trenta, cinquanta soldati? Poteva essere un’occasione unica. Eppure riuscì a controllare i propri impulsi. Si toccò la cicatrice sulla guancia e sussurrò a se stesso che dopo il consiglio di Cattedra nulla sarebbe stato lo stesso e tutti i colpevoli, ognuno a proprio modo, avrebbero pagato.
Il cielo si era rabbuiato e, come a volersi unire alle minacce del giovane ramingo, un fulmine squarciò l’aria annunciando la pioggia.

“La notte è giovane, mie belle signore!” esclamò Loran Valentine viceré di Aeria aiutandole a scendere dalla carrozza. Nella locanda più grande di Lindon da giorni attendevano il suo arrivo e gli avevano riservato la camera più bella che avevano. Le due donne che accompagnavano il viceré non sembravano intenzionate a lasciarlo neanche per un istante e continuavano a corteggiarlo lascivamente. Le guardie vestite di rosso che lo scortavano controllarono che tutto fosse in ordine nella locanda e che nessun ospite sgradito vi stesse dimorando. Nel frattempo Loran giocava ad inseguire intorno ad una fontana la più giovane delle fanciulle mentre l’altra lo pregava di fermarsi.
“Mio signore, vi prego!” gridava questa “è tardi. Tutti dormono!”
“Non hai sentito il mio signore? La notte è giovane!” gridò l’altra mentre Loran le fu addosso ed entrambi caddero nell’acqua della fontana ridendo.
In quel momento un fulmine squarciò l’aria e il viceré si fece improvvisamente serio. Si scosse l’acqua che lo inzuppava e si tirò fuori dalla fontana portando con sé la giovane donna.
“Mio signore, state bene?” chiese quest’ultima.
“Sì. Salite in camera. Vi raggiungo” disse allontanandosi verso la strada dalla quale la carovana era venuta. Subito due soldati scarlatti gli furono dietro ma rimasero a distanza. Sapevano che ogni tanto il loro comandante si incupiva e, in quei momenti, dovevano lasciarlo solo.
Loran camminò per qualche minuto. La pioggia cominciò a cadere lentamente e lui si sentì avvolgere da una profonda malinconia. Odiava i temporali. Raggiunse un’ altura e prese un respiro profondo.
“So che sei qui. Forse non proprio qui adesso, ma ti sento nell’aria, nella pioggia. Sento l’energia dei fulmini che si sprigiona tutta intorno a me. Perché non me ne lanci uno addosso proprio ora?” disse a voce bassa perché le guardie non lo credessero impazzito. Sapeva comunque che quella domanda non aveva risposta. Il suo acerrimo nemico non era là, ma certamente avrebbe goduto nel vedere quanta disperazione era in grado di gettargli addosso seppure da lontano.
Rientrò scortato dai due soldati che rispettarono il suo silenzio. Quella notte dormì solo e sognò di nuovo il maledetto giorno in cui smise di essere felice.

La tempesta di neve si placò al levare del sole.
L’uomo abbassò il cappuccio e un filo di sole illuminò la pelle diafana. Dietro di lui procedeva un gruppo di Nagrod, i possenti uomini bestia.
A guidarli era Naro capotribù e valoroso guerriero. I Nagrod abitavano da sempre sul monte Arhat e proteggevano il passo di Varcoghiaccio. Prima della grande guerra, all’epoca dei due troni, erano al servizio del re dei Darine e Varcoghiaccio era considerato il confine del regno di Zarandal. Dopo la caduta di Tesla e la fine dei Darine, Varcoghiaccio era considerato il punto oltre il quale gli uomini non si spingevano per via della grande ombra a nord.
Anche il più basso fra i Nagrod doveva sembrare molto alto ad un Aerian ma non era di certo la statura ad intimorire nel loro aspetto. Era il loro aspetto simile per metà a uomini e per metà a lupi. Naro era il più anziano dei suoi e lo era già quando l’uomo, all’epoca bambino, aveva trovato rifugio presso di loro.
“Passato Arco Nero noi cammina dritto o taglia per buchi di terra?” chiese il capobranco all’uomo sforzandosi di comunicare nella lingua di quest’ultimo.
“Tagliamo per i grandi sotterranei di Cattedra” rispose l’uomo “le vie principali saranno troppo trafficate per non dare nell’occhio e sono riservate agli ospiti importanti. Noi non siamo così bene attesi”.
“Tu comporta bene. Naro non volere prima visita Nagrod da tanto tempo in terra verde rovinata.” Il giovane uomo si riportò il cappuccio sulla testa.
“Non mi vedrai, né sentirai. Sarò come neve che cade” gli rispose mentre passavano sotto l’imponente montagna di pietra ghiacciata che rappresentava il drago e che segnava il passo di Varcoghiaggio. L’enorme ‘terra verde’ come la chiamava Naro, che era la piana di Erbaverde, si srotolava davanti ai loro occhi. L’uomo si voltò a guardare di nuovo l’Arco e le terre innevate di Zarandal e si chiese come fosse possibile che una terra tanto florida potesse mutarsi tanto drasticamente in una così inospitale. Egli però sapeva che l’ombra nera che partiva da Tesla contribuiva non poco a generare tutta quella desolazione. Diede definitivamente le spalle a Zarandal e guidò i Nagrod verso Est e in basso lontano dalla piana verso i grandi tunnel naturali che, da quel luogo, portavano fino a Cattedra.

Ad una settimana dalla festa della Prima Luce la via dei pellegrini ad est del crocevia era già difficile da praticare e così anche quella dei mercanti a sud della piana di Erbaverde. Carovane di viaggiatori si univano a quelle che già regolarmente battevano quelle strade costituite da mercanti e sacerdoti.
Ai lati dei percorsi di terra battuta era tutto un turbinio di colori e lingue diverse. Le tende dei mercanti del sud erano variopinte e abbellite da pietre senza valore ma di mille sfumature bellissime. Su ogni tenda stava una bandiera di un colore diverso a seconda della mercanzia venduta. Così si sarebbero trovate erbe medicinali o rimedi in quelle che sbandieravano il vessillo verde come si potevano acquistare o rivendere armi in quelle segnate dalla bandiera rossa. Il vessillo giallo indicava i venditori di scudi e armature e quello blu i mercanti di formule magiche. Lo stendardo nero infine segnalava i commercianti di schiavi.
Tra le tende non era raro trovare i carri dei nobili che viaggiavano in piccole carovane e che stanziavano durante la notte. Allora si accendevano fuochi piccoli ma alti intorno ai quali danzavano le ancelle o cantavano i musici. I pellegrini, di solito, si allontanavano dal ciglio della strada per trovare il silenzio necessario alla preghiera e rifuggire la peccaminosità delle altre categorie di viaggiatori. Tra queste vi erano infine i soldati. Le vie, più trafficate che in altri periodi dell’anno, venivano vigilate da pattuglie dedite a far rispettare l’ordine e le leggi.  Anche tra essi i colori indicavano l’appartenenza a diverse etnie.
A sud del crocevia le guardie erano vestite di rosso e appartenevano all’esercito della Faleria. Ad ovest del crocevia i soldati portavano le divise biancoazzurre di Strifen. Per la maggior parte però i soldati  portavano le divise viola della Mano delle Nazioni che erano più presenti nella piana ad est del crocevia e fino alla città di Cattedra.
Il crocevia, un punto della piana d Erbaverde segnato con una pietra antica quanto e più del mondo, veniva in realtà aggirato da tutti i viandanti. Si trovava infatti sull’unica altura dell’intera piana. Leggermente a  sud ovest di essa era sorto, in tempi remoti,  un piccolo villaggio che aveva trovato la sua fortuna grazie all’ottimo vino che produceva in considerevoli quantità. Ogni uomo, donna e fanciullo di Rifiel, questo era il suo nome, contribuiva a coltivare i frutti che servivano alla produzione del vino e in città erano tutti coltivatori o osti. Persino alla corte dell’imperatore si usava definire ‘come il vino di Rifiel’ qualcosa che fosse di eccellente qualità.
Molti si stupivano comunque che una città così piccola potesse produrre così grandi quantità di vino da soddisfare la richiesta dell’intera Aeria al punto che alcuni ipotizzavano che in realtà alcune lavorazioni fossero fatte nella foresta dei Weird e che il segreto del vino risiedesse in qualche magia dell’antico popolo verde.
Tuttavia fu proprio la piccola dimensione della città del crocevia che convinse Grifis a far fare sosta lì all’imperatore e alla sua delegazione. Chiese ed ottenne un intero ostello che chiuse con un giorno di anticipo rispetto all’arrivo della delegazione di Strifen.
Grifis mandò in avanscoperta un manipolo dei più fidati grifoni dorati, la squadra d’elité dell’esercito che comandava, affinché sgombrassero il campo da minacce o da semplici ficcanaso. La carovana dell’imperatore seguiva ad una certa distanza seppure fosse partita di buon mattino. La prima sosta sarebbe stata a Rifiel la sera stessa.
La carrozza in cui viaggiavano Aeris e Marine era scortata da Grifis in persona che cavalcava di fianco alla carrozza e, ogni tanto, andava davanti al gruppo per accertarsi che Albered non avesse bisogno di qualcosa.
Aeris era l’immagine della felicità. Persino le sue guance sempre pallide avevano cominciato a prendere un po’ di colore. Grifis se ne preoccupava nonostante Marine continuasse a ripetergli che non era affatto un sintomo negativo e che non aveva mai visto il principe imperiale stare così bene.
Albered sorrideva delle sue preoccupazioni ma Grifis ostentava diffidenza e reagiva rimanendo silenzioso.
Aeris era davvero felice. Vedeva cose nuove e sentiva il profumo di terre che non conosceva. Inoltre non faceva che accarezzare il fodero dove era rinchiusa la lama che era stata di suo padre e che finalmente le era stato concesso di portare. Marine continuava a prenderla in giro sul fatto che tutti avrebbero notato quanto fosse basso l’imperatore.
In effetti, la statura di Aeris non poteva passare per quella di un ragazzo della sua età ma, poiché era molto esile, nel complesso risultava credibile e ben proporzionata. Di certo sarebbe apparsa molto diversa a coloro che avevano ammirato le effigi dell’imperatore ma Marine era convinta che ogni perplessità generata dall’aspetto di Aeris sarebbe stata fugata da quella luminosa, angelica bellezza che il suo volto emanava.
Lei e Aeris chiacchieravano di ogni cosa che veniva loro in mente. Della neve spazzata via dalla primavera, dell’uniforme di Grifis che lo faceva sembrare ancora più alto, della lunga barba di Albered, dell’aria dolce che profumava di lavanda. Solo della sacerdotessa di Cattedra, Aeris sembrava non voler discutere.
“Perché ne sembri intimorita?”
“Non sono intimorita, ma Albered ha continuato per tutto il tempo a dirmi di fare attenzione e di non abbassare mai la guardia con lei. Mi domando perché dovrei temere colei che protegge il mio regno con la magia di Serian.”
“Io credo sia solo una questione di potere. Chi ne ha molto è ossessionato dall’idea di mantenerlo e accrescerlo. Finora la sacerdotessa ha fatto il bello e il cattivo tempo dato che l’imperatore non ha mai messo il naso fuori dal proprio palazzo. Ora che sta marciando verso il suo tempio probabilmente comincerà a preoccuparsi.”
“Ma è stata proprio lei a convocarmi!”
“Questo è il punto. Albered si chiede come mai ha svegliato il can che dorme!”
“Non potrebbe essere che davvero un grande pericolo stia per abbattersi su di noi? E poi lo stregone Norren ultimamente ha fatto troppi adepti.” La domanda di Marine arrivò a bruciapelo.
“Tu non hai visto più niente dalla visione della bestia con gli occhi color cobalto?” Aeris era dotata del potere della preveggenza. Era talmente forte in lei che a volte preannunciava avvenimenti molto lontani nel tempo. In effetti quella visione era tornata spesso. La donna con lunghi capelli neri in ginocchio che pregava. La nube nera che si muoveva verso di lei assumendo la forma di un guerriero e il lupo. Poi la  visione spariva. Aeris non aveva detto nulla circa il ripetersi della visione per timore che il viaggio saltasse e per lo stesso motivo aveva preferito nascondere la verità anche a Marine.
“No. Nessun riferimento specifico ad un pericolo imminente.” Aggiunse quest’ultima frase per non sentirsi in colpa nel mentire alla sua migliore amica ma questa la guardò un po’ perplessa.
“Sarà, anche se mi sembra strano che tu sia completamente all’oscuro sul tuo prossimo futuro. Nonostante ciò, va bene così. Se avessi previsto una catastrofe non ci saremmo mossi dal palazzo!” concluse ridendo. Aeris si rilassò e rise con lei.
Al di fuori, Grifis cavalcava pensieroso e lanciava lo sguardo lontano. Tirò un sospiro quando intravide le luci di Rifiel. L’imbrunire avanzava e lanciò il cavallo al galoppo per andare in avanscoperta. Fu mentre cavalcava veloce che, con la coda dell’occhio, lo vide.
Era un cavaliere con un mantello bruno che stava immobile sull’altura di Cinno a nord della piana di Erbaverde. Non sembrava voler andare in alcuna direzione. Ebbe l’impressione che fosse di vedetta e fu tentato di accertarsi della sua identità. Ma il sole stava calando dietro le sue spalle e spronò il suo destriero verso Rifiel.
La cittadina era addobbata a festa. Tutti sapevano che l’imperatore era in viaggio verso Cattedra e ogni casa aveva fiori alle finestre. Tulipani bianchi facevano capolino ovunque. Grifis si rilassò e sorrise. Sapeva che a quella vista, gli occhi di Aeris avrebbero brillato. Raggiunse il centro di Rifiel dove sorgeva ‘L’ala del grifone’ la locanda più elegante della città.
Appena sceso da cavallo i giovani che si occupavano delle stalle gli corsero incontro per condurvi l’animale, ma Grifis disse loro che sarebbe andato via subito. Si accertò che le camere fossero pronte e sicure e tornò verso la carovana che, nel frattempo, era arrivata alle porte della città. Il giovane comandante non si era sbagliato. Nel guardare fuori dal finestrino della carrozza e vedere tutti quei tulipani Aeris si era emozionata. Aveva sgranato gli occhi e seguiva con lo sguardo l’onda bianca dei fiori. La carrozza si fermò davanti all’Ala del Grifone pochi minuti dopo.
Aeris scese dalla carrozza e porse il braccio a Marine. Essendo quasi buio non c’era molta gente ma quelli che, per caso, si erano trovati sul posto già si riunivano in gruppetti per commentare a voce bassa quella figura esile e angelica che avevano scoperto essere l’imperatore di Aeria. Un’occhiata severa di Grifis bastò a disperderli immediatamente.
“Non è poi una gran cosa!” esclamò Marine alludendo alla locanda.
“Qui non siamo a Strifen, Marine” la imbeccò subito il fratello.
“Andrà benissimo!” aggiunse Aeris che non vedeva l’ora di conoscere qualcuno degli abitanti del luogo.
Un uomo sui cinquant’anni gli andò incontro con un gran sorriso sulle labbra.
“Vostra nobile maestà, altezza imperiale, siamo onorati di ospitarvi nella nostra modesta locanda. Io, mia moglie e i miei figli siamo al servizio di vostra grazia!” disse profondendosi in un inchino.
“Grazie per l’accoglienza e per l’ospitalità! Io e la principessa imperiale con il nostro seguito siamo felici di soggiornare in Rifiel durante il nostro viaggio. Se vorrete, a cena, raccontarmi alcune storie sulla vita della città, saremo lieti di ascoltarle.”
Un sorriso comparve sul volto del locandiere che batté un paio di volte le mani provocando un via vai di persone. C’era chi portava i bagagli dell’imperatore di sopra e chi andava avanti ed indietro con anfore e portate. Aeris salì le scale insieme a Grifis e Marine.
“Credevo ci fossero molte più persone in un posto come questo!” esclamò Aeris ad un certo punto. Marine sorrise. Sapeva che in pubblico doveva rivolgersi ad Aeris al maschile e fece attenzione a non cadere in errore.
“Amore mio, quanto sei ingenuo!” Grifis scosse il capo come a voler far capire alla sorella di non prenderlo in giro. Poi intervenne.
“Ho dato io ordine al locandiere di non accettare altre prenotazioni per stanotte. E’ già così difficile tenerti al sicuro in un posto come questo, figurarsi se la locanda fosse stata aperta!” Aeris mise il broncio.
“Lo sapevo! Sapevo che ci avresti messo lo zampino!”.
“Non essere capriccioso. Sai che è per il tuo bene. Cambiati e scendiamo per la cena.”
Aeris entrò nella sua camera e chiuse la porta dietro di sé per far capire che non voleva nessuno.
“A volte non lo capisco” scosse il capo Grifis.
“Io sì” disse Marine chiudendo a sua volta il proprio uscio.
“Porta pazienza, figlio degli Alteron!” Grifis si voltò e vide Albered che sorrideva.
“In alcune circostanze mi sembrano due bambini!”
“In questo caso tu devi fare loro da tutore!” Grifis si lasciò andare con le spalle contro la parete della camera di Aeris e sospirò.
“Ma non sono bambini. E non tollerano più un tutore che dica loro cosa fare!”
“Forse presto non ce ne sarà più bisogno. Fino ad allora porta pazienza Grifis, porta pazienza.” Il vecchio scomparve anch’egli dietro la porta della propria camera.
Solo Grifis rimase di guardia nel corridoio. Poggiò la testa alla parete e si fece pensieroso.
“Non so se sia peggio avere la responsabilità delle azioni di Aeris o sapere che presto non avrà più bisogno che io mi prenda questa responsabilità!”.

Aeris sciolse il laccio del candido mantello che finì per cadere sul letto. Andò verso la finestra e provò ad aprirla. Era bloccata. Fece forza poi, il pensiero che Grifis l’avesse bloccata di proposito la fece desistere.
Sfilò l’anello d’oro e diamanti che gli teneva legati i capelli dietro le spalle. La chioma dorata ricadde fluente sprigionando un profumo di narciso.
Le esili mani andarono ai ganci dell’armatura facendoli scattare dolcemente. La corazza di mithril cadde in terra. L’uniforme candida bordata in oro e blu aveva molti bottoni. Andò allo specchio e cominciò a sbottonarli. Se la sfilò e rimase con la camicia bianca che scendeva ordinata nei pantaloni blu.
Si scompigliò di proposito i capelli e si guardò di nuovo nello specchio che adesso rifletteva l’immagine evidente di una ragazza. Sorrise e si ricompose.
“Devi mantenere il contegno di un imperatore, Aeris.”
Fu in quel momento che senti un rumore metallico. Si voltò verso il letto, ma non vide nulla di strano. Andò verso la porta e l’aprì. Grifis era là. Quando il giovane udì il rumore della porta, aprì gli occhi.
Aeris s’accorse che era stanco e per un istante, sufficiente per consentirglielo senza che se ne accorgesse, lesse i suoi pensieri. Era davvero in pena per lei. Gli sorrise.
Come se dal sorriso del suo imperatore Grifis potesse riacquistare energia, il comandante si avvicinò e fece un inchino.
“Scusami per prima, Grifis. So che ogni cosa che fai, la fai per me. Ti voglio bene.”
“Non devi mai chiedermi scusa per qualcosa, Aeris. A volte sono un po’ opprimente. Ma in questo momento tu vieni prima di tutto.”
“In questo momento?” chiese Marine che, udendo le voci in corridoio, era uscita dalla sua camera. Grifis la fulminò con lo sguardo.
“E’ ora di cena. Andiamo” disse solo.
Marine aveva tolto il sontuoso soprabito blu e indossava una veste di colore azzurro. Non era il suo colore preferito ma era quello ufficiale della principessa imperiale.
“Un giorno o l’altro dovrai emanare un editto che cambi il colore d’onore della principessa imperiale!” disse ad Aeris indicando la veste.
“E’ un colore così bello! Cos’ha che non va?”
“Non mi sta bene, non vedi? Ci vorrebbe un bel rosso!”
Grifis, che si era fermato in cima alla scala, si mise un sorrisetto malizioso sul volto e fece un inchino.
“Sposa il viceré allora!” suggerì. Aeris sorrise e Marine sbuffò.
I principi imperiali furono accolti con doni e pietanze di ogni tipo. Durante la cena il locandiere e i suoi figli raccontarono ogni tipo di storia. La maggiore delle figlie cantò una ballata dolcissima sugli angeli e sulle terre perdute dell’est e poi il cantico d’amore di Serian. Ma fu durante il racconto di un giorno di scuola dei più piccoli figli del locandiere che Aeris rise di gusto e si divertì.
Furono ore liete che passarono in fretta. I principi si congedarono a tarda sera e raggiunsero le loro camere ridendo ancora delle storie ascoltate a cena.
“Aeris, io sarò dietro la porta. Dormi serenamente.”
“Dormirei più serenamente se sapessi che anche tu stai riposando.”
“Avrò molto tempo per riposare una volta a Cattedra.”
“Veglierai anche sulla candida purezza della principessa?” lo prese in giro Marine.
“La tua porta è qui di fronte, sta tranquilla!”
Aeris rise e si ritirò. La stanza era immersa in una luce soffusa di candele e chiaro di luna che filtrava dalla finestra. Si spogliò e si infilò sotto le lenzuola. Chiuse gli occhi quasi subito. Anche se non voleva ammetterlo, il viaggio lo aveva stancato. Pensò alla serata strana che aveva trascorso tanto diversa da quelle passate a corte, alla confusione che proveniva dalle cucine, alla voce della figlia del locandiere che cantava la canzone di Serian. Senza accorgersene la cominciò sottovoce, quasi fosse una preghiera. All’improvviso Aeris s’accorse che la canzone era tutta intorno a lei e che non era più la sua voce a cantarla. Prese a cercarne con lo sguardo la fonte. Una donna inginocchiata di spalle di cui non si vedeva il volto cantava dolcemente. I suoi lunghi capelli neri come la notte si agitavano nel vento. Così come era arrivato, il canto cessò. Un’ombra scura avanzava verso la donna in ginocchio e tentava di ingoiarla. Fu allora che lei girò il capo verso Aeris il tempo sufficiente solo a intravederne lo sguardo. L’ombra cadde su di lei e Aeris, per lo spavento, spalancò gli occhi. Almeno credette poiché un paio di occhi color zaffiro puntavano su di lei. Sollevò il capo lentamente e realizzò di essere nella stanza della locanda dell’Ala del grifone. La finestra era spalancata e gli occhi color zaffiro appartenevano ad una grossa fiera nera che non aveva mai visto neppure sui libri di Albered. Non urlò. L’animale respirava in maniera regolare. Grifis gli aveva insegnato che se le bestie respirano in modo normale, generalmente, non sono in procinto di attaccare. Stava ferma con il capo proteso verso Aeris, gli occhi fissi nei suoi. Lei alzò lentamente una mano per cercare di toccarla ma, un rumore di soldati in strada, la fece allontanare dal letto. In un balzo fu alla finestra e saltò fuori.
Aeris s’alzò di corsa per raggiungere la finestra e guardare fuori ma la fiera era sparita nel nulla. Chiuse la finestra un attimo prima che Grifis piombasse nella stanza.
“Aeris, che succede?”
“Dovrei chiederlo io! Che cos’è questa confusione?”
“I soldati di vedetta hanno visto la tua finestra aperta! Stai bene?” Aeris non seppe perché, ma mentì.
“Non è successo niente. Sto bene. La finestra deve essersi aperta per un colpo di vento ma io ero sveglia e mi sono alzata per chiuderla.”
“Un colpo di vento? Impossibile! L’ho chiusa io stesso per evitare problemi.”
“Ti dico che è tutto a posto. Sto bene non vedi?”
Grifis non volle più lasciare la camera e Aeris non riuscì più ad addormentarsi. Parlarono del viaggio da riprendere e di Marine. Quando Aeris, facendo riferimento alla capacità che la ragazza aveva di fare arrabbiare Albered, chiese del primo ministro, Grifis rispose che si era ritirato nella sua stanza e non ne era più uscito. All’alba Aeris dormiva e Grifis s’azzardò a chiudere gli occhi.

Albered raggiunse il mercato che le luci dell’alba erano ancora deboli. Si avvicinò ad un bancone di frutta e prese una mela. Il mercante, che stava sistemando le ceste, lo guardò ma prima che potesse dire alcunché una moneta rimbalzò ai suoi piedi. Un uomo incappucciato si avvicinò al vecchio e fece finta d’interessarsi alla qualità delle verdure riponendo le altre monete in un sacchetto di pele. Il mercante s’allontanò.
“Quali nuove porti?” chiese il vecchio.
“Chi ti dice che ce ne siano?”
“Non saresti qui altrimenti. Quando sei stato a Strifen mi hai detto che l’imperatore avrà la maggioranza in consiglio. Non dirmi che mi hai raggiunto per definire i termini della nostra collaborazione?”
 “Ti ho già detto qual é il prezzo della nostra collaborazione”, fece il ramingo.
“Non ho chiesto il tuo prezzo. Cosa chiede il nostro nuovo alleato per la sua fedeltà all’imperatore, se così possiamo chiamarla?”
“I nemici dei miei nemici sono miei amici. Questo ti manda a dire il nostro nuovo alleato. Non esiste legame più forte che l’astio comune. Lunga a vita all’Ala di nuvola e che il suo regno sia giusto e il suo pugno di ferro.”
“Hai altre informazioni utili?” Il cavaliere s’incupì  e guardò dritto negli occhi il vecchio.
“Non quelle che vorrei darti. Il viceré è quasi a Cattedra. Le sue spie sono ovunque ma cosa o chi stiano cercando mi è oscuro ancora. Ho il sospetto però che non cerchino me. Ho lasciato segni ovunque una settimana fa lungo il Lindolum, ma non li hanno seguiti. Cercano qualcosa nella foresta di Drasil.”
“Drasil? Con o senza il consenso del generalissimo?”
Il giovane scosse il capo e la cicatrice che gli segnava la guancia destra fece capolino da sotto il cappuccio.
“Senza credo, non si hanno notizie del generalissimo da alcune settimane.” Albered si fece cupo in volto e tirò un sospiro.
“E’ tempo per me di andare. Ci rivedremo a Cattedra. Che la buona sorte ti accompagni fino ad allora.”
“La buona sorte?” chiese il giovane ramingo “Mi ha abbandonato da molto tempo ormai.”
Così dicendo sparì nel viavai degli avventori che preparavano i banchi per il mercato del mattino.
Anche il vecchio s’incamminò e le sue speranze di rientrare nella sua camera non visto furono frustrate dalla presenza di Grifis nella stalla.
“Dove sei stato?” chiese il comandante un po’ irritato dall’avere scoperto che il suo primo ministro era scomparso durante la notte senza scorta.
“Non credevo che anche io dovessi rendere conto dei miei spostamenti al comandante dei grifoni!” disse ridendo bonariamente Albered.
“Niente storie con me!” rispose severamente Grifis “Mentre non c’eri qualcuno ha provato ad entrare nelle stanze di Aeris! Tu dov’eri?”
“Sospetti di me, ragazzo?” chiese cercando di oltrepassarlo. Grifis gli si parò innanzi.
“Non sono un ragazzo! Come faccio a proteggere Aeris se neanche tu collabori?” Albered lo guardò severamente.
“Credi che trami contro l’imperatore? Che sia stato io a forzare le sue camere? Io credo che tu faccia benissimo il tuo dovere e che abbia ben altre preoccupazioni che informarti su quale piccolo segreto abbia portato un vecchietto come me lontano dai suoi doveri per una sera!”
Udendo queste parole Grifis fece un passo indietro e cercò di immaginarsi il saggio Albered alle prese con qualche bella signora in un casa di piacere oppure davanti ad un boccale di birra buona in preda ai fumi dell’alcol.
“Non volevo offenderti. Ero solamente preoccupato.” Albered cambiò espressione.
“E’ tutto a posto. Pensiamo all’imperatore. Dobbiamo rimetterci in viaggio. Io sto bene. Ho fatto solo un giro a cavallo. Ma dimmi, chi ha provato ad entrare nelle stanze di Aeris?” Grifis scosse il capo.
“Non lo so. Le guardie in strada hanno dato l’allarme vedendo le finestre aperte ma, quando sono entrato in camera sua, non c’era nessuno. Era davanti alla finestra e ha detto che non era accaduto nulla. Non capisco perché dovrebbe mentirmi ma avevo sprangato io stesso le imposte. Sono confuso.”
“L’importante è che stia bene.”
“Non mi ha mai mentito.”
“Sono certo che non l’ha fatto. C’è sicuramente un’altra spiegazione. Andiamo a prepararci per la partenza.”
I due camminarono fianco a fianco fino all’ingresso del Grifone dorato poi Grifis rimase alla porta a dare istruzione ai soldati della guardia mentre Albered tornò nelle sue stanze.
Dopo due ore la carovana che scortava la carrozza imperiale si era già allontanata da Rifiel e avanzava nella piana di Erbaverde. Entro la sera sarebbe arrivata in prossimità di Lindon, la città dei mercanti.
Se Rifiel era l’ultima cittadina sui confini della Balvaria, Lindon era la prima sotto l’influenza di Cattedra. Tuttavia la città era una sorta di terra di nessuno governata solo dal denaro. Sul crocevia che segnava il confine tra nord e sud e ovest ed est i mercanti avevano creato una sorta di grande mercato nel quale era lecito commerciare qualunque cosa.
Grifis aveva visto con i suoi occhi mercanteggiare addirittura bambini e cuccioli di Nagrod. Non gli piaceva Lindon ma era meglio passare una notte in una delle sue lussuose taverne che nei boschi di Drasil. I boschi un tempo erano appartenuti alla Balvaria ma, dopo la guerra contro il signore dei ghiacci, erano diventate territorio dei Weird. Il padre di Aeris aveva trovato giusto compensare in questo modo il sangue Weird versato nella grande guerra. I Weird erano i mezzosangue dei Dradi, creature della terra, magiche in qualche modo, legate alle tradizioni di un rapporto simbiotico con la foresta. Grifis li considerava selvaggi nonostante Albered gli avesse più volte spiegato che erano un popolo fiero e saggio.
Il viaggio, durante quel giorno, trascorse tranquillo e silenzioso. Grifis, ancora risentito per quello che era accaduto la notte prima, non si avvicinò neanche una volta alla carrozza e Marine intrattenne Aeris con i racconti sul popolo dei Dradi.
Aeris finse di ascoltare ma la sua mente rimase tutto il tempo fissa su quel paio di occhi color cobalto che appartenevano alla misteriosa fiera incontrata di notte. Fu l’alto pilastro del crocevia che la distrasse dai suoi pensieri e la riportò a quel momento.
“Fermi!” gridò ai cocchieri “Aspettate. Lasciate che guardi un attimo!”
Prima che Marine potesse trattenere Aeris, questa scese dalla carrozza. Grifis gli fu al fianco in un baleno. Il monumento del crocevia non era altro che un alto ed essenziale pilastro che si ergeva al centro dello spiazzo in cui si incrociavano la grande Via dei Pellegrini e la Via dei Commercianti.  Aeris poté ammirare i bassorilievi del drago e della fenice che rappresentavano i punti cardinali del nord e del sud e del sole e della luna, rappresentanti l’ovest e l’est. Il monumento era roso dal tempo e attaccato dalle piante rampicanti. In cima ad esso tuttavia splendeva sempre una fiamma.
“E’ magica” disse Albered “Nessuno la alimenta ma non si spegne mai!” concluse sorridendo.
“Davvero?” chiese Aeris “E’ un peccato che questo monumento non venga curato!”
“Non ha bisogno di cure. La leggenda narra che questo pilastro scenda fin nelle profondità della terra e la fiamma sia alimentata dal fuoco del sottosuolo. Per questo nessuno osa toccarlo.”
Al suono di queste parole Aeris fu pervasa dal desiderio di posare la mano sulla fredda pietra ma, una voce nel suo cuore, l’ammonì dal farlo. Come spesso le accadeva, il mondo reale lentamente sfumò intorno a lei e i suoi sensi furono lanciati centinaia di miglia più avanti fino ai confini della grande nube nera che spesso compariva nelle sue visioni. Rivide la donna con i capelli corvini ma, questa volta, non poteva più avvertirla del pericolo perché giaceva priva di vita in terra. Intorno a lei la nube assunse la figura di un uomo e quando questi guardò in direzione di Aeris, lei rabbrividì alla vista di un paio d’occhi color cobalto che ormai conosceva bene. La visione passò e davanti ad Aeris ricomparve il mondo reale. Nessuno s’era accorto di nulla. Aeris perse interesse per il monumento del crocevia e per le sue leggende e risalì in carrozza.
Non voleva ammettere neanche a se stessa che la visione di quella bestia durante la notte l’aveva profondamente turbata. Inoltre, siccome non aveva confidato ad alcuno le sue visioni, aveva il timore che Albered o Marine potessero accorgersi che aveva mentito. Tuttavia, su questo, aveva un grande vantaggio. Sapeva sempre in anticipo qualunque domanda stessero per fare o l’argomento oggetto di discussione. Leggere i pensieri altrui era un dono. E una maledizione. C’era poco di davvero spontaneo nella vita di Aeris.  Ad ogni modo aveva sempre vissuto così e non sapeva come sarebbe stato vivere senza conoscere, in ogni momento, il pensiero altrui.
In quell’istante udì una voce che capì essere solo nella sua testa. Una voce cristallina e decisa.
“Non avere paura, io sono sempre con te.” Nulla più.
All’inizio gli sembrò fosse quella del padre. Ma ci mise poco a capire che non lo era. Apparteneva alla creatura che del padre aveva preso, praticamente, il posto. Il giorno dei funerali di Kalendis Strifen aveva dovuto mostrare contegno e forza ma, una volta di ritorno a palazzo, aveva sfogato tutto il dolore della perdita in un pianto inconsolabile. Del resto una bambina di otto anni non può comprendere la morte, neppure come ritorno alla Terra così come è scritto nelle Sacre Pergamene. Era allora fuggita in cima alla Torre Berillia dove non andava mai nessuno perché nessuno assistesse a quella disperazione. Fu allora che i suoi singhiozzi richiamarono il sacro grifone Bashenian. L’enorme creatura l’avvolse nelle sue morbide ali e la portò con sé nel suo nido in cima al Berillion. Lì Aeris smise di piangere e ascoltò le leggende antiche. Conobbe la natura del legame tra Bashenian e suo padre e ricevette il dono di invocare il grifone in caso di bisogno. Da quel giorno, per molto tempo, non si videro più ma Aeris sapeva che lo spirito della creatura era sempre con lei. Ci voleva molta energia e autocontrollo per richiamarlo e farlo comparire in carne ed ossa e forse era stato il suo dolore o l’amore per suo padre a dargliene l’occasione la prima volta. Sentire la voce di Bashenian le diede forza, eppure il timore di non essere in grado di invocarlo, in caso di necessità, le provocò un moto d’ansia. Chiuse gli occhi e si assopì senza sapere che, nel frattempo, la carovana s’affacciava nelle strade di Lindon.

Asaline fu scossa da un brivido. Accese la candela sullo scrittoio e si alzò. Raggiunse la pesante tenda di velluto scuro e la tirò lasciando la stanza nella penombra. Versò un filo d’acqua in una conca larga e bassa e attese che la superficie del liquido si calmasse. Quando fu un velo vi si specchiò e vi passò una mano aperta sopra.
Lentamente cerchi concentrici cominciarono a formarsi dal centro verso l’esterno del piatto e ogni cerchio che si allargava produceva una visione. Prima il viceré alle porte di Cattredra. Il giovane Valentine aveva portato con sé la madre. Asaline detestava quella donna. Poi la visione dei Nagrod in fila sotto il porticato della sua città. Dunque anche gli uomini bestia erano giunti. Passò di nuovo la mano sulla conca e la visione successiva fu dei Raminghi della Doreria che attraversavano il mercato del luogo. Cercò nella visione successiva l’imperatore ma anche questa volta il suo sguardo fu ricacciato indietro. Tentò con Seifer e l’esito fu lo stesso.
Bussarono alla porta. La sacerdotessa svuotò la conca e soffiò sulla candela lasciando la stanza al buio. Tornò alla finestra e fece in modo d’illuminare di nuovo la camera.
“Avanti” disse solo. La porta s’aprì lasciando entrare una novizia.
“Mia signora, l’interprete del popolo Nagrod chiede udienza.”
“Fallo entrare.”
La porta rimase aperta. La fanciulla, senza voltarsi, indietreggiò e lasciò entrare un uomo vestito con abiti da viaggio. Questi s’inchinò e spostò indietro il cappuccio. La sacerdotessa lo esaminò con attenzione e camminò verso di lui.
“Sei cresciuto in forza e bellezza Akram. Me ne compiaccio.”
“Voi non siete invecchiata, mia signora.” La sacerdotessa sorrise.
“Credevi di trovarmi vecchia e debole? Il potere di Serian mi protegge.” Il giovane non tradì alcuna emozione.
“I Nagrod rispondono alla chiamata della sacerdotessa in vece dei Darine estinti e in rappresentanza del potere di Naga drago della Terra a loro appartenuto. Naro, signore dei Nagrod, mi manda a porgere i suoi saluti.” La sacerdotessa sorrise ancora di malizia.
“Ricevo con gaudio i saluti del signore dei Nagrod, ma Akram, figlio della mia compassione, cosa viene a dirmi?” Il ragazzo strinse forte i pugni sotto il mantello e rivide l’immagine in cui la sacerdotessa lo liberava dalle catene e lo consegnava ai Nagrod perché vivesse con loro. Dall’età di otto anni non aveva più visto essere umano.
“Akram s’inchina al vostro cospetto e chiede cosa desidera la somma sacerdotessa da lui.”
“Presto i Protettori di Aeria saranno qui e verrà aperto il grande consiglio. Se l’imperatore vorrà mantenere i suoi titoli e preservare il suo rango scenderà dal Berillion e prestò sarà a Cattedra. Io desidero che, mentre svolgi i tuoi soliti compiti di accompagnatore di Lord Naro, scopra tutto ciò che c’è da sapere su Aeris Strifen. Nessuno meglio di te può svolgere tale compito. Silenzioso, sconosciuto e attento.”
“Non servono Vostra Grazia le spie rosse del Viceré?”
“Non mi serve una spia. Io necessito di un’ombra.”
Akram strinse di nuovo i pugni nell’udire quell’ultima parola. La donna diede le spalle al ragazzo e proseguì.
“Le spie di Valentine servono solo Valentine. Inoltre l’incarico dovrebbe esserti gradito. Così facendo, non favorisco forse il tuo desiderio di vendetta?”
Il giovane viaggiatore fissò gli occhi nella schiena della donna come fossero stati due pugnali affilati. Ella non sapeva neanche cosa fosse per lui il desiderio di vendetta. Anni e anni trascorsi tra le montagne gelide in un ambiente ostile per qualsiasi creatura tranne che per i Nagrod. Giorni interi di silenzio in cui aveva cominciato ad apprezzare il suono di ogni singola sillaba, notti passate a guardare la Grande Ombra cercando di ricostruire il volto di sua madre. Un dolore sempre fisso a tormentargli l’anima. La vendetta per ogni onta subita era divenuta la sua unica ragione di vita. Se la sacerdotessa s’aspettava che scaricare la sua rabbia sull’imperatore fosse sufficiente a placare il suo desiderio di vendetta, era ben lontana dalla realtà. Ad ogni modo continuò a non lasciar trasparire alcuna emozione.
“Farò ciò che devo” disse solo.
Alla sacerdotessa la risposta piacque al punto che non aggiunse altro e lo congedo benedicendolo. Ignorava che Akram, il ragazzo che dava ad ogni parola il peso della roccia, intendeva davvero che avrebbe seguito solo e soltanto il proprio senso del dovere.
Raggiunse Naro. Il capotribù degli uomini bestia era in piedi sotto il grande arco del porticato di Cattedra. Akram gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla pelosa.
Il manto di Naro era scuro e folto. Naro era dunque stato un grande guerriero al tempo della grande battaglia di Tesla e ora era un capo forte e saggio. Akram rivaleggiava con lui in statura anche se era più esile e non sembrava in grado di competere in forza con lui. Naro lo fissò negli occhi e il giovane disse solo le parole necessarie come sempre faceva con lui.
“La sacerdotessa intende usarci. Vuole che diventi l’ombra dell’imperatore.”
Naro tirò un sospiro. Preferiva non parlare la lingua di Akram tuttavia quando voleva che il ragazzo percepisse l’importanza di quanto stava per dire si sforzava di usare la lingua umana.
“Pericoloso avvicinare troppo l’alferian per te”. Akram si infilò di nuovo il cappuccio e lo oltrepassò.
“Non temere per me. So cosa fare. Del resto i nemici dei miei nemici sono miei amici. Per ora.”

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Capitolo 8
*** Si aprono le danze ***



Capitolo VIII
-Si aprono le danze-
 

La notte trascorsa a Lindon non fu piacevole per Aeris come quella trascorsa a Rifiel. La città era tutta addobbata di rose rosse dato che per qualche giorno il Viceré vi si era fermato per far riposare la sua carovana. Era ripartito proprio la notte prima che Grifis ordinasse la sosta a Lindon. All’alba però erano ripartiti senza dare troppa importanza al grande mercato che sembrava attrarre tutti coloro che si fermavano nella città. Grifis voleva giungere, nel più breve tempo possibile, a destinazione così fece muovere tutti ad un passo tale che il sole era ancora alto quando videro le porte di Cattedra.
Le porte di Cattedra consistevano in un grande arco di pietra a cui erano fissate due altrettanto grandi ante di legno massiccio intarsiato e rafforzato con barre di metallo pesante e prezioso. Le mura, invece, erano sottili e grigie di tanto in tanto segnate dall’edera. Non erano mura da difesa poiché la forza di Cattedra era nella magia. Si trattava, tuttavia, di mura simbolicamente invalicabili fatte più per nascondere cosa c’era dentro la città agli occhi di chi vi stava fuori che per tenere all’esterno chi desiderasse entrare.
Entrare a Cattedra, comunque, non era poi così semplice.
La grossa porta era sorvegliata ad ogni ora del giorno e della notte da guardie e invocatori. Bastava un solo mago a mantenere l’ordine nella città bassa. Le porte, inoltre, fungevano da dogana in quanto era necessario pagare un tributo al tempio per accedere alla città.
Nella città bassa dimoravano il popolo e i viaggiatori, per lo più pellegrini, che s’incamminavano da tutto il reame per visitare il maestoso tempio di Serian, la dea creatrice e protettrice di Aeria.
Maestoso era il tempio, maestosi i porticati della città alta dove dimoravano le sacerdotesse e gli invocatori, maestosa la torre che si diceva fosse alta quanto profonda.
Al quinto piano, l’ultimo, della torre si trovava la sala dei due troni, quella del supremo consiglio, l’ultima meta del viaggio di Aeris.
L’imperatore era sceso dalla carrozza e camminava al fianco della sua promessa sposa scortato dai grifoni dorati e sempre sotto l’attento sguardo di Grifis Alteron. Per giungere alla porta infatti si doveva salire una grossa scalinata di pietra impossibile da percorrere in carrozza. I pellegrini formavano così un lungo e sinuoso serpente che saliva lungo il dorso dell’altura. Nobili, servi e soldati tutti i fila per raggiungere la vetta.
Aeris aveva indossato un mantello bianco e tirato su il cappuccio. Marine sbuffò.
“Ma insomma! Sono ore che siamo fermi in fila. Non si dovrebbe avere un po’ più di riguardo nei confronti dell’imperatore?” Grifis la guardò severamente.
“Siamo stati noi a non cercare attenzioni mia cara!” intervenne Albered sottolineando che, in quel momento, era più opportuno non farsi notare.
“Allora avreste dovuto avvertire me di non mettere quest’abito stamattina. Mi sta uccidendo!”
Aeris sorrise sotto il cappuccio. Stava per dire a Marine qualcosa di carino quando urla si levarono dalla fila poco più in alto rispetto a dove si trovava il gruppo.
Grifis assunse immediatamente una posizione di guardia e Aeris, inconsciamente portò la mano alla spada di suo padre. Marine gli fermò la mano e la strinse a lei nello stesso istante in cui un polverone s’alzò in aria e il fragore di uno scoppio la riempì.
Un’enorme figura a forma di serpente s’issò proprio pochi metri davanti a loro e, dopo essersi sollevata da terra si scagliò verso il gruppo capeggiato da Grifis. Il giovane guerriero spinse via Aeris e Marine mentre i suoi uomini prendevano posizione per difenderli. Alle spalle della grossa bestia un uomo incappucciato sollevò entrambe le mani e urlò che l’imperatore doveva morire.
“Uno di quei maledetti adepti di Norren!” gridò Grifis mentre la bestia si risollevava pronta a caricare di nuovo. Questa volta l’affondo fu talmente forte da sbalzare da terra alcuni dei grifoni dorati e lo stesso Grifis. A quella vista Aeris  si liberò da Marine e in un istante fu tra il serpente e l’amico.
Non sapeva bene cosa fare, aveva agito d’istinto. Perciò non fece altro che sollevare le braccia come a voler impedire alla bestia di oltrepassarlo.  Grifis poteva anche essere pronto a morire per proteggerla ma lei non era pronta a vederlo morire.
La creatura, per nulla intimorita, l’ avrebbe di certo travolta ma Aeris rimase immobile fissando negli occhi il serpente. Ad un passo dal suo viso però qualcosa lo fermò. Un dardo bruciante come una saetta colpì in pieno la creatura che con un gemito si ritrasse.
Aeris s’accorse che alle sue spalle un uomo incappucciato ancora impugnava un grosso arco di legno intarsiato.
Albered, approfittando del momento, pronunciò rapidamente alcune parole e nello stesso momento un vento forte s’alzò. La gente si teneva i mantelli e guardava verso il cielo alcune nubi nere che s’addensavano. Una forte elettricità si sprigionò allora nell’aria e un fulmine spaventoso s’abbatte sul gigantesco serpente facendolo stramazzare al suolo. La sua figura scomparve nel nulla da dove era apparsa.
A quella vista e nella confusione generale l’uomo che aveva invocato la bestia cercò di scomparire nella massa che cercava ora di raggiungere più velocemente la vetta. Altri uomini incappucciati rivelarono la loro presenza e lo portarono via un attimo prima che alcune guardie vestite di rosso si facessero largo tra la folla per comprendere l’origine di quella confusione.
Aeris fu raggiunta da Grifis e Marine preoccupati per la sua incolumità. Mentre questi gli parlavano di quanto fosse stata sconsiderata, a lei che guardava ancora in direzione dell’arciere , sembrò che da sotto il cappuccio l’uomo le avesse fatto un cenno col capo. Solo un momento dopo s’accorse che alle sue spalle stava, silenzioso, Albered e intuì che il cenno dell’uomo era rivolto al suo primo ministro.
Le guardie rosse appartenenti alla guardia del viceré, appreso l’accaduto, s’offrirono di scortare l’imperatore alle porte di Cattedra.
“Così finisce la nostra avventura Aeris” disse Marine riprendendo sotto braccio Aeris “Ora comincia quella dell’imperatore!” senza perdere il suo enigmatico sorriso.

Il Vicerè fu ricevuto immediatamente dalla sacerdotessa e fu un incontro estremamente formale a cui partecipò anche Lady Kyria che aveva ascoltato tutto il tempo senza mai intervenire. In compenso aveva osservato ogni singolo individuo presente nella sala.
Il gran cerimoniere fermo sulla porta ad annunciare tutti i nuovi arrivati; le sacerdotesse anziane sedute in circolo in un angolo della grande sala della Somma Sacerdotessa che recitavano le litanie; i soldati della Mano delle Nazioni in coppia a sorvegliare ogni finestra; i maghi di corte seduti in fondo alla sala; le novizie che preparavano il grande tavolo per la cena.
Tra quest’ultime Kyria si fermò ad osservare una giovane dai capelli verdi e le gote rosse. Nei suoi movimenti c’era una grazia mista ad una sorta di malizia che le altre fanciulle non avevano. Per un istante i loro sguardi s’incrociarono e Kyria le sorrise. La fanciulla fece un cenno del capo e distolse lo sguardo.
La donna si annoiava tremendamente. La corte della Somma Sacerdotessa era troppo silenziosa per i suoi gusti. In due giorni di permanenza, l’unico suono udito era quello delle litanie e persino i giovani soldati sembravano essere stati selezionati rispettando rigorosamente come unico requisito l’assenza di carisma.
“Quanta bellezza sprecata!” pensò tra sé riportando lo sguardo sul figlio.
In confronto a quei giovani, Loran sembrava un’orchidea in un campo di margheritine. Bellissimo, intelligente ed audace, a Loran non sarebbe mancato nulla per essere uno splendido imperatore. In cuor suo però la donna conosceva l’unico punto debole del figlio e, proprio nella speranza di proteggerlo, lo aveva accompagnato. Il tocco del figlio sulla mano la riportò alla realtà.
“Sentito madre? Si rifiuta di dire perché ci ha convocati. Inaudito! E comunque trama qualcosa. Lo sento.”
“Certo amor mio che trama qualcosa! Altrimenti sarebbe avvizzita come un ramo secco. Tramare la mantiene in vita!”
Loran sorrise. Sua madre sapeva sempre come fare a fargli tornare il buonumore. Cambiò argomento.
“L’imperatore non si è ancora fatto vivo.”
“Arriverà vedrai. Mi aspettavo però che tuo cugino fosse già qui.”
“Il protocollo del Gran Consiglio non prevede la presenza di un rappresentante dell’esercito. Tuttavia non credo che mancherà. Tutti desiderano conoscere l’imperatore ma Seifer più di tutti non aspetta che di confrontarsi con lui.”
Svoltarono l’angolo che dal corridoio prospiciente la sala della Somma Sacerdotessa conduceva a quello diretto ai giardini. Dal fondo sopraggiungevano quattro uomini. Portavano stivali alti fino al ginocchio e mantelli di colore verde scuro. Capucci alzati.
Le guardie di Loran si posizionarono intorno a loro come facevano tutte le volte che incrociavano i raminghi, superstiti del popolo della Doreria che avevano giurato di uccidere tutti gli appartenenti della famiglia Valentine.
“Non dovrebbero consentire a questi uomini di girare liberamente per le aule di Cattedra conoscendo i loro intenti e sapendo che noi siamo qui.”
“Non temere madre. Non possono girare armati”, disse  Loran per tranquillizzare la madre pur sapendo che ai raminghi non serviva un’arma per uccidere.
Quando furono fianco a fianco tre dei raminghi si mossero come a difendere il quarto. Il cuore di Loran si fermò per un istante come avesse intuito che in quel corridoio, in quel momento, dopo dieci anni, si era ritrovato innanzi colui che era stato il suo migliore amico fino al giorno del suo diciottesimo compleanno. Non un cenno dell’altro. Non un cenno da parte sua. L’aria fresca dei giardini gli punse il viso e l’immagine dei quattro raminghi svanì alle sue spalle lasciandogli la consapevolezza che il tempo del confronto con i suoi demoni personali era giunto inesorabile ed incurante che lui si sentisse pronto ad affrontarli.

Le stanze che la Sacerdotessa di Cattedra aveva riservato all’imperatore erano immense e riccamente adornate. Marine era rimasta sconcertata da tanta ricchezza. Aeris era rimasta invece silenziosa tutto il tempo. Quando i suoi fecero per congedarsi e lasciarla riposare, Aeris trattenne il suo primo ministro.
Grifis, come ogni volta che doveva staccarsi dal suo imperatore, si allontanò suo malgrado. Marine lo coinvolse nella riposizione di tutti i suoi merletti e i due fratelli Alteron sparirono dietro le porte laccate delle camere dell’imperatore. Albered se ne stava al centro della stanza senza parlare guardando il suo bastone da cerimonia.
“Non hai niente da dirmi?” chiese Aeris.
“A quale riguardo, mio principe?”
“Non costringermi ad esprimerti a parole ciò che vedi nei miei occhi!” disse Aeris un po’ risentito.
“Non ho, come voi maestà, il potere di leggere gli altrui pensieri.”
“Chi sono gli uomini che sono giunti in mio aiuto alle porte di Cattedra? Cos’hanno a che fare con te e, di conseguenza, con me?” Albered sorrise.
“Sono alleati di Vostra maestà. Appartengono alla casata di Doreria. Sono i raminghi. I superstiti rimasti fedeli al Conte Hornet. Garantisco per loro in quanto, lo sapete, anche io sono originario di quella terra anche se alla fine della grande guerra decisi di rimanere alla corte di vostro padre. Fidatevi di me come avete sempre fatto. Non sappiamo ancora per quale motivo la somma sacerdotessa ci ha voluti qui. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non possiamo fidarci né di Cattedra, né di Faleria. Avere la Doreria dalla nostra parte sarà fondamentale.” Aeris lo ascoltò con attenzione.
“Nel supremo consiglio, qualunque cosa accada, dovrete avere la maggioranza. Non possiamo permetterci che la sacerdotessa vi costringa a fare qualcosa che sia controproducente per la vostra persona o il vostro regno. Certamente ella potrà contare sul viceré. E’ il cugino di primo grado del generalissimo che, a propria volta, è suo nipote diretto. Non ho avuto modo di sondare gli intenti del signore delle isole Maras ma il suo voto nelle assemblee comuni è minore e vale come quello del generalissimo.”
“Se la sacerdotessa dovesse avere i voti del generalissimo e del Viceré, ammesso che dalla mia parte si schierino la Doreria e le Isole Maras, non avrei comunque la maggioranza!”
“Vi ho mai deluso maestà? Abbiate fede in me.”
“Il voto che manca all’appello appartiene ai Darine. Ho forti dubbi che sarà a favore della progenie dell’uomo che li ha distrutti.”
“I Darine sono estinti. Il loro voto sarà espresso dal popolo dei Nagrod. I raminghi intrattengono con loro ottimi rapporti, soprattutto commerciali. Avremo la maggioranza. Ora però riposate. Stasera dovrete avere un ottimo aspetto per presentarvi a tutti i vostri sudditi!” Aeris sorrise e congedò il primo ministro. Rimasta sola raggiunse il grande specchio a parete e guardò la propria immagine riflessa.
“Qualunque aspetto io abbia, non soddisferò le loro aspettative. Ad ogni modo sono quello che sono. In quanto a te Albered, non dici tutta la verità. Nascondi con maestria i tuoi pensieri e presumo tu lo faccia per il mio bene. Tuttavia sono troppi i segreti che si celano in questo palazzo. Sfortunatamente il peggiore di tutti è custodito nel mio cuore.” Questo disse tra sé Aeris convinta ormai che la visione che da giorni la ossessionava fosse legata al motivo per cui la sacerdotessa li aveva convocati a Cattedra.

I preparativi per la grande apertura della parata dei protettori di Aeria erano terminati. I saloni della somma sacerdotessa erano predisposti per la festa. Un grande tavolo era stato allestito con ogni genere di pietanza e ogni poltrona destinata agli ospiti aveva i ricami bardati nel colore dello stemma del casato il cui rappresentante apparteneva.
Al centro del tavolo vi era una seduta in argento e viola ed una in oro e azzurro. Erano le poltrone riservate alla somma sacerdotessa e all’imperatore. Al fianco della sacerdotessa spiccava la poltrona in oro e porpora riservata al viceré al fianco del quale si sarebbe seduta la madre. Di lato ad Aeris la poltrona in oro e avorio era destinata alla principessa imperiale. Per buon costume al fianco della principessa avrebbero trovato posto alcune sacerdotesse e il cerimoniere di corte.
La tavola poi girava a ferro di cavallo da entrambi i lati. Vi avrebbero trovato posto i nobili maghi della corte di Cattedra e i vertici dell’esercito della Mano delle Nazioni da una parte e i nobili della Doreria e delle Isole Maras dall’altra.
Layla aveva seguito personalmente che ogni dettaglio fosse perfetto. La sacerdotessa l’aveva molto elogiata.
“Sei sempre la migliore” le aveva detto. Ovviamente ogni volta che Lady Asaline le riconosceva un primato, Layla sapeva che escludeva se stessa. Lei era la migliore in tutto dopo la somma sacerdotessa.
Il cerimoniere di corte batté il pesante bastone in terra e annunciò l’ingresso della somma Sacerdotessa che doveva entrare per prima quale padrona di casa in attesa degli ospiti.
“Sua grazia la nobile e venerabile figlia della luna, signora delle aule di Cattedra, voce di Serian, pilastro di saggezza, dispensatrice di oracoli, lucente armonia, salutate la somma sacerdotessa di Cattedra, Lady Asaline!”
La sacerdotessa avanzò con una grazia tale che sembrava non toccasse terra. Realmente sembrava emanare una tenue luce argentata e i suoi movimenti scossero la veste semplice ed elegante che portava con una tale armonia che tutti s’inchinarono come avessero visto Serian in persona.
Layla, che le stava affianco e le teneva lo strascico della veste di colore argento e bordata di merletti lilla, ne poteva sentire il papabile orgoglio mentre camminava. Era bella. Nonostante l’età, nonostante i cupi pensieri che le soffocavano l’anima. Era bella. Sollevò un attimo lo sguardo verso i presenti e vide che nessuno osava posare direttamente lo sguardo su di lei. Incuteva timore e rispetto. O forse incuteva paura.
Appena la sacerdotessa prese posto, il bastone del cerimoniere batté di nuovo sul pavimento di marmo annunciando un nuovo ospite.
“Salutate la fiamma che arde senza sosta, la fenice immortale, il signore delle terre verdeggianti, il vincastro del regno, sua altezza reale illustrissima Lord Loran Valentine viceré dell’impero e Lady Kyria regina di Faleria.”
Sul fatto che Asaline fosse la donna più affascinante della sala, Layla dovette ricredersi subito. Lady Kyria era di una bellezza sconvolgente. I capelli neri le scendevano a boccoli lungo le spalle. L’abito rosso le stringeva il seno prosperoso e le fasciava il corpo perfetto fino a terra. Se i presenti non avessero saputo che era la madre del viceré, non le avrebbero dato che qualche anno in più di Loran Valentine. Semplicemente raggiante.
Il viceré che le teneva la mano, se possibile, era ancora più affascinante. Tutte le donne presenti in sala non trattennero il loro stupore dietro ai ventagli.
Loran portava l’alta uniforme dell’esercito scarlatto. Una lunga giacca rossa con i ricami in oro di due lunghe ali piumate copriva una camicia di colore avorio. Ogni piuma del ricamo terminava con un rubino incastonato nella punta. Al collo portava il medaglione a forma di fenice tutto in oro e pietre preziose.
Ma la bellezza di Loran derivava da un paio di occhi blu fissati in un viso perfetto circondato da una vera e propria cascata di fuoco. I suoi capelli infatti erano del rosso più acceso che si fosse mai visto. Si diceva che i sarti di corte avessero fatto molta fatica a trovare la miscela per rendere i suoi abiti di un rosso almeno paragonabile a quello dei capelli del viceré.
Layla voltò subito lo sguardo alla reazione dei raminghi. Pur avendo diritto a partecipare al consiglio, per loro non c’erano stati annunci o festeggiamenti. Erano stati fatti entrare da una porta secondaria e si erano accomodati in sala senza clamori. Portavano i loro soliti abiti. Solo uno di essi aveva una divisa diversa e sulla blusa portava il simbolo dell’unicorno.
Nessuno di loro aveva mostrato interesse per l’ingresso del viceré sfatando i suoi timori che si potesse accendere un conflitto tra i due clan un tempo rivali.
Layla non capiva quel tipo di odio rispettoso dei principi della cavalleria. Aveva sempre pensato che se un uomo giura vendetta e destina la sua esistenza al raggiungimento di quell’obiettivo, allora le regole non devono contare. Che senso poteva avere per quegli uomini odiare così tanto Valentine, averlo a pochi passi e non scagliarsi su di lui per conficcargli un coltello nella gola?
Il bastone del cerimoniere bussò ancora ma non apparve nessuno sulla soglia.
Il Viceré salutò lady Asaline secondo il rito e si accomodò.
Layla posò allora lo sguardo sull’ultima poltrona della sua fila che, secondo la sacerdotessa, sarebbe rimasta vuota. Era tutta d’argento e l’etichetta diceva che era destinata al generale della Mano delle Nazioni. Layla sospirò e pensò che forse i motivi di preoccupazione per il buon esito di quella serata non erano finiti.

Il cerimoniere aveva battuto due volte il bastone in terra ma l’ospite non ne voleva sapere di entrare.
“Ho detto che così non va bene!”
“Mio signore vi ho già spiegato che ho delle regole da seguire. C’è un’etichetta! Suvvia i vostri titoli nobiliari sono eccelsi!” L’uomo sbatté un piede in terra e i suoi cominciarono ad agitarsi.
“Devi dire che sta entrando il re delle Isole Maras!”
“Signore vi ho già spiegato che io non posso.”
“Non alcuna intenzione di farmi offendere da alcuno, tanto meno da un nanetto come te! Se non ho ancora reagito alle tue offese è solo perché mio padre mi ha insegnato a rispettare gli anziani!” urlò l’uomo la cui statura e corporatura erano decisamente fuori dalla media. Indossava inoltre un abito di pelle nera che lo faceva sembrare ancora più minaccioso. Al collo portava un medaglione raffigurante la testa di una tigre feroce i cui occhi erano rappresentati da due smeraldi purissimi.
La barba del cerimoniere quasi si arruffò al suono di quelle parole. Era fermamente deciso a far rispettare il protocollo a tutti, compreso quel gigante dalla pelle scura che veniva dalle isole Maras e che pretendeva di sovvertirlo. Fu allora che udì una voce amica.
“Problemi, mio buon amico?” Il cerimoniere si voltò e vide Albered Doren in persona. Gli andò incontro e lo abbracciò.
“Che piacere rivederti. Dopo tutti questi anni cominciavo a dubitare che avrei avuto la possibilità di rivederti.”
“Se per rivedermi hai domandato alla somma sacerdotessa di convocare il supremo consiglio di Aeria, devo dirti, amico mio, che sarebbe bastato invitarmi personalmente!”
“Non scherzare! Qualcosa di grave aleggia nell’aria. La mia signora è molto turbata!”
“Di cosa si tratta?”
“Non ne ha parlato neanche con me.” Il gigante, stufo di aspettare, si schiarì la gola.
“Ma certo fate con comodo, continuate a mancarmi di rispetto!” Albered lo osservò accigliato. Poi parlò.
“Mio nobile signore lei deve senz’altro essere Lord Garan Berser. Non ho dubbi. Il suo portamento, la sua possanza! Proprio Lord Garan Berser!” L’uomo ebbe un moto d’orgoglio.
Il cerimoniere di Cattedra osservò l’amico fare la sua magia con un mezzo sorriso sulle labbra. Albered continuò.
“Vede mio signore, io ho l’immenso onore di essere il primo ministro dell’imperatore. Sua magnificenza è in fondo al corridoio e non può avanzare se voi non fate il vostro ingresso in sala. Mi ha mandato fino a qui a chiedere come mai l’ingresso non è libero. Non vorrei tornare a dirgli che deve attendere Lord Berser. Vi incontra per la prima volta e si potrebbe fare una cattiva impressione di voi!” Garan sollevò lo sguardo e vide un giovane con i capelli dorati che faceva su e giù per il corridoio infastidito. Portava continuamente la mano alla spada.
“Indossa la spada che sconfisse Zion?” chiese Garan. Albered annuì.
“E va bene. Dì pure quello che vuoi maledetto vecchio ma me la pagherai un’altra volta.” Il bastone bussò.
“Salutate il nobile signore dei mari oceanici, il possente governatore delle Isole Maras, l’artiglio della tigre urlante, Lord Garan Berser!”
“Governatore! Figurati!” continuò a borbottare Garan entrando in sala e andando a prendere posto vicino ai raminghi. Non appena Lord Garan sparì dalla porta il cerimoniere ringraziò con un cenno del capo e portandosi la mano al petto l’amico.
“Infiniti ringraziamenti. Stavo per perdere la pazienza!”
“Mi ringrazierai facendo una degna presentazione del mio signore.”
Il cerimoniere batté ancora più forte il bastone in terra, richiamò l’attenzione della sala intera e si schiarì la voce.

Grifis continuava a fare avanti e indietro sfiorando nervosamente l’elsa della propria spada. Osservava Albered parlare con degli uomini all’ingresso e non poteva nascondere l’irritazione. Le porte dietro le sue spalle si aprirono e Aeris comparve al fianco di Marine.
Grifis non riusciva a rassegnarsi. Ogni volta che l’erede dell’impero indossava l’abito cerimoniale e la corona, lui non riusciva a capire da dove venisse la luce. Non sapeva mai se a brillare tanto fossero i gioielli, i fili d’oro, o i capelli stessi dell’imperatore o piuttosto i suoi occhi.
“Non siamo ancora pronti?”
Come sempre accadeva quando Aeris si presentava in alta uniforme, anche Marine era splendida e la sua voce in queste circostanze non era quella della ragazzina impertinente ma quella della donna responsabile che sosteneva e affiancava il principe imperiale.
“C’è un tizio grande e grosso che non si toglie dai piedi. Volevo sincerarmi personalmente che fosse tutto a posto ma Albered ha insistito perché rimanessi qui.”
Mentre i due fratelli si scambiavano battutine, Aeris chinò il capo cercando di ricordare tutte le cose che aveva imparato nelle settimane precedenti al viaggio e alle cose che doveva dire alla somma sacerdotessa.
Immerso in questi pensieri concentrò la sua mente al punto che s’accorse che dietro una delle tende del corridoio si nascondeva una figura. Puntò lo sguardo in quella direzione e un paio di occhi cobalto incrociarono i suoi. Avrebbe potuto dare l’allarme, richiamare perlomeno l’attenzione di Grifis ma non lo fece e quando giunse il momento di incamminarsi lungo il corridoio, procedette senza esitazione cercando, quando fu vicino alla pesante tenda che nascondeva l’intruso, di percepirne i pensieri. Non avvertì nulla. Forse era già sparito o magari immune al suo potere.
La sua attenzione fu richiamata dalla voce del cerimoniere. L’imperatore veniva presentato al mondo. La sua persona svelata. Il suo destino si compiva.

“Salutate tutti il supremo vessillo di Aeria, il luminoso signore dei cieli, brezza del mattino, benedizione di Serian, inchinatevi innanzi alla gloriosa ala di nuvola, fiore superbo del Berillion, sua altezza imperiale il principe Aeris Strifen erede dell’impero tutto e lady Marine Alteron principessa della Balvaria!”
A queste parole ogni sacerdotessa, mago, cavaliere, principe, dama presente nella sala lasciò ciò che stava dicendo o facendo e puntò lo sguardo alla porta.
Fecero il loro ingresso sei cavalieri vestiti di bianco e oro e si disposero ai lati della porta tre per ogni lato.
Il più alto di loro fece un cenno e tutti chinarono il capo innanzi ai principi reali. Avanzavano in una sincronia perfetta. La mano destra di lei sollevata a mezz’aria e stretta nella sinistra di lui. Lei meravigliosamente bella in un abito blu e bianco. Il suo viso sembrava un’unica rosa rossa in un giardino colore del cielo. Lui lucente come una stella, etereo come un angelo. Gli occhi fissi a cercare direttamente quelli della somma sacerdotessa. L’alta uniforme bianca e oro gli conferiva un’immagine di purezza difficilmente descrivibile.
Grifis, che aveva temuto quel momento da quando era stato deciso il viaggio, si rese conto che Aeris aveva conquistato tutti. Non era importante che non fosse alta come era stato descritto o che non avesse una grande fisicità. Nessuno dei presenti avrebbe osato contestare tanta regalità così manifesta.
Il mantello che portava si muoveva come se davvero nascondesse un paio d’ali candide. L’andatura era elegante ma sicura. Il sorriso sul viso era quello di un figlio che torna a casa dopo un lungo viaggio e non attende altro che di ricongiungersi alla sua adorata famiglia. Nessuna incertezza.
Il cuore di Grifis perse un battito. Se la sua Aeris non fosse stata pura come un fiocco di neve prima che tocchi il suolo, sarebbe stata una terribile principessa delle tenebre con quella sua innata capacità di dominare i suoi sentimenti e sopraffare quelli degli altri.
Quando la navata fu terminata, la coppia si ritrovò innanzi alla sacerdotessa. Marine fece un leggero inchino e lasciò la mano di Aeris.
“Do il mio benvenuto al principe imperiale di tutta la terra. Con la benedizione di Serian saluto te Aeris Strifen, ala di nuvola, dominatore dei cieli e nostro signore. La somma sacerdotessa di Cattedra rende onore a te e ti accoglie nella sua umile dimora.”
“Accetto il tuo benvenuto somma signora del mondo etereo. Con la benedizione di Serian saluto te Lady Asaline, figlia della luna, pilastro di saggezza e nostra guida. Il principe imperiale rende onore a te e torna a farti visita nella tua dimora.”
I saluti di rito furono pronunciati a voce alta e, mentre quella di Asaline era risuonata nell’aria forte e ridondante, quella di Aeris si diffuse come una canzone. Tutti batterono le mani e presero posto a tavola.
Aeris s’accomodò solo dopo avere fatto sedere Marine. Mentre prendeva posto intravide il ramingo che lo aveva aiutato alle porte di Cattedra e, dall’altro lato, Loran Valentine. S’avvide subito che il generalissimo non era presente e, anche per spezzare l’atmosfera formale che si era creata, chiese sue notizie a Lady Asaline.
“Il generale della Mano delle Nazioni non è presente mia signora?” La sacerdotessa gli versò del vino nel calice davanti a lui e gli rispose in tono confidenziale.
“Non abbiatevene a male se non è presente. Non è mancanza di rispetto. In questi giorni siamo stati minacciati fortemente dagli yomi e mio nipote ha dovuto dare loro la caccia allontanandoli da Cattedra. Anche per la vostra sicurezza, lo capite vero?”
“Mi addolora che non abbia potuto prendere parte al ricevimento. Avevo un grande desiderio di conoscere un simile campione”.
“Ci saranno altre occasioni, ne sono certa!” concluse sorridendo.
Grifis non volle prendere posto al banchetto ed rimase di fianco alla porta. Di guardia. Marine lo guardava piena di biasimo.
“Mio fratello non riesce a godersi neanche una serata come questa!” Aeris le prese la mano e le sorrise.
“Vedrai che faccia farà quando danzeremo!” Una voce dietro di loro li interruppe.
“Credevo che le più belle donne di Aeria fossero tutte alla mia corte ma devo decisamente ricredermi! Principessa, i miei onori. Siete in assoluto la donna più bella che abbia mai visto!”
Loran Valentine aveva sfoggiato il più profondo degli inchini e il più affascinante dei sorrisi che aveva in repertorio. Marine lo assecondò.
“Recate offesa alla splendida dama che vi accompagna questa sera viceré!”
“Mia madre, se me lo concedete mia signora, non rientra in questa mia lista. Lei è la mia vita. Non è una semplice donna per me. Inoltre credetemi se vi dico che tanta bellezza nasconde il più terribile dei predatori!” Marine sorrise di gusto.
“Ma perdonate la mia sconvenienza, altezza” disse rivolgendosi ad Aeris “se mi sono permesso di venire qui e rivolgervi per primo la parola, l’ho fatto al solo scopo di precedere i miei detrattori maestà. In molti vi avranno parlato, male credo, del sottoscritto. In fede mia, sono quasi tutte cattiverie! Vostra maestà, se me ne darà la possibilità di mostrarglielo, vedrà in me un suddito fedele e un devoto consigliere.” Aeris rispose d’impulso, realmente colpito da tanta franchezza e allo stesso tempo sagacia.
“Vi assicuro che tutte le cose che ho udito sul vostro conto lord Valentine sono tali da suscitare in me una profonda ammirazione nei vostri confronti e vi assicuro che a nessuno alla mia corte è consentito parlare male del mio viceré!”
Loran rimase, per la prima volta nella sua vita, senza parole e scoppiò in una fragorosa risata. La sacerdotessa si voltò per capire cosa stesse accadendo e quale fosse il motivo di una tale complicità tra due persone che fino a qualche attimo prima erano estranee. In quel momento qualcuno fece partire le danze. Loran ne approfittò.
“Mi trovo nella condizione di apparire nuovamente sconveniente e vi chiedo se posso avere l’onore di fare danzare la principessa imperiale.”
“Concesso” rispose solo Aeris con un sorriso tanto intenso che Loran dovette distogliere lo sguardo.
Il viceré e la principessa imperiale si lanciarono nelle danze sotto gli occhi stupiti di tutti e quelli compiaciuti di Lady Kyria.
Aeris chiese alla somma sacerdotessa di danzare ma questa si rifiutò e così toccò a Lady Kyria aprire le danze con l’imperatore. Terminato il primo ballo, i due cavalieri si scambiarono le dame mentre altre coppie affollavano la sala.
“Quel Loran è un tipo davvero curioso, non trovi?”
“Di certo aveva preparato tutta la scena” rispose Aeris a Marine “ma non riesco a non trovarlo divertente!” concluse ridendo.
“Il vecchiaccio ti direbbe di fare attenzione” disse la fanciulla indicando Albered con lo sguardo “ma io non lo trovo così tremendo!”
“Ti piace, vero?” Marine scosse il capo arrossendo.
“Ma che vai a pensare! Non è il mio tipo!”
“E qual è il tuo tipo?”
“Bello, forte e tenebroso!” Aeris rise ancora ma in quell’istante le porte si spalancarono e la musica cessò.
La folla si allargò per lasciare passare un uomo alto e dalla figura sottile con lunghi capelli color dell’argento. Indossava solo una blusa bianca su un pantalone grigio. Un brusio riempì la sala mentre Grifis con pochi passi fu al fianco di Aeris e Marine.
“Porgo i miei saluti a tutta questa splendida corte! Sono mortificato per il ritardo e per l’abbigliamento poco formale. Perdonerete un soldato che è appena tornato dal fronte e che avrebbe preferito il riposo delle sue stanze a cotanta confusione se non sapesse quali sono i suoi doveri. Vi saluto Lady Asaline.” L’uomo si era rivolto alla padrona di casa senza curarsi di Aeris che era a pochi passi da lui.
“Sei benvenuto quanto inatteso nipote adorato. Ti sapevamo lontano ma siamo lieti che tu sia qui.”
“Grazie, mia cara zia. Prendo il posto che è mio.” Disse Seifer Wiltord, generale supremo della Mano delle Nazioni passando davanti ad Aeris senza rivolgergli la parola.
Fu questo il primo incontro tra Seifer Wiltord e Aeris Strifen. Aeris aveva sempre provato una profonda ammirazione per le gesta compiute da quel cavaliere. Se l’era immaginato possente e nobile, dotato di un coraggio e di una forza fuori dal comune. Un uomo dal cuore grande. Vedersi passare davanti un ragazzo di qualche anno più grande di lui, che non l’aveva degnato di uno sguardo e soprattutto che indossava un sorriso sprezzante, lo irritò.  Il cerimoniale prevedeva che l’imperatore rivolgesse per primo la parola a chiunque e che in mancanza nessuno potesse parlargli.
Mentre Seifer Wiltord stava per accomodarsi la voce dell’imperatore risuonò nell’aria.
“Poiché dovete essere molto stanco generale per l’adempimento di qualche altra delle vostre eroiche gesta in difesa del mio impero, abbandoniamo ogni formalità tutti e da questo momento festeggiamo questa nostra riunione tutti insieme come fratelli! Non badate dunque all’etichetta e ricevete il mio saluto.”
A tali parole Asaline sussultò mentre, più lontano, Albered gioì di come il suo allievo  avesse imparato bene la lezione. Era riuscito a trasformare un’offesa arrecatagli in un gesto di chi, potente, può mostrare misericordia.
Il generalissimo, come erano abituati a chiamarlo a Cattedra, rimase impassibile. Sollevò il calice come volesse brindare a qualcosa. Certamente, dal sorriso che si era stampato sul viso, doveva aver preparato una risposta degna della propria fama. Qualunque cosa fosse, gli morì in gola quando, dall’altro capo del  tavolo qualcuno gridò.
“Lunga vita all’ala di nuvola!”.
Tutti sollevarono i meravigliosi bicchieri di cristallo e brindarono. Solo Lady Asaline s’accorse che Seifer abbassò il suo e non toccò più nulla per tutta la cena, cupo nella sua ira.

Oltre ad Albered Doren, primo ministro della Balvaria, qualcun altro si godeva lo spettacolo delle reazioni dei presenti. Gli era stato ordinato di essere un’ombra e, almeno per il momento, stava eseguendo alla lettera gli ordini di Asaline. Akram se ne stava dietro una delle statue della sala che nascondeva un passaggio segreto che conduceva dalla sala della somma sacerdotessa ai giardini. Da quella posizione poteva vedere quasi tutta la sala senza, a sua volta, farsi notare.
Non aveva mai visto Loran Valentine in precedenza e ne aveva percepito subito l’indole astuta. In quel momento aveva compreso i commenti sulla sua duplice personalità.
“Luminoso come il sole ma doppio come la luna” gli aveva detto il suo migliore amico “Come luna sembra bellissimo ma ha un lato oscuro che non è facile vedere”.
Poi c’era il generalissimo. Non si aspettava molto da quell’individuo se era il degno nipote di tale zia. Doveva essere tanto pericoloso quanto meschino. Un essere del quale diffidare.
Garan Berser era né più né meno un sempliciotto. Aveva fatto un po’ di confusione al momento di entrare nella sala. Voleva che gli fosse riconosciuto il titolo di sovrano delle isole Maras. Sul Monte Arhat non arrivavano molte notizie ma anche ai Nagrod interessavano quelle sull’andamento dell’impero.
Le Isole del Sud del Mare esterno appartenevano di diritto alla Faleria. I Valentine non avevano dimostrato però un grande attaccamento a queste terre povere e abitate da popoli arretrati devoti solo alla pesca. Con il passare del tempo la mancanza di governo aveva creato l’anarchia sulle isole e scatenato una guerra tra clan. Anche a questo punto il governo di Faleria se n’era disinteressato.
Lion Berser, capoclan dei Maras, teneva invece alla propria gente e formò un piccolo esercito che riuscì a riportare l’ordine tra le isole e ad assoggettare i clan più belligeranti. Chiese ma non ottenne mai l’indipendenza delle isole dalla Faleria e, nonostante ciò, non fu mai attaccato dall’esercito rosso divenendo, di fatto, una sorta di vassallo del re, un governatore alla pari di quelli ufficialmente insigniti di tale titolo. Akram lo guardava divorare le varie portate incurante dello sguardo degli altri ospiti.
Al suo fianco sedeva Mars Hornet. Se avesse potuto tenere il cappuccio alzato anche a tavola, Akram sapeva che Mars lo avrebbe fatto. Era l’ultimo sopravvissuto dei signori di Dumbara. La sua famiglia era stata completamente sterminata nella guerra tra la Doreria e la Faleria. La cicatrice sul suo viso gli ricordava ogni giorno quale fosse il suo destino. Ma tenere il cappuccio alzato non serviva a difendere lo sfregio sul viso dagli sguardi della gente, bensì a difendere la gente dal suo sguardo gelido e tagliente. Era il capo dei raminghi della Doreria e, per quanto vuoto fosse il titolo, un conte dell’impero. Sulla sua testa Kyria Valentine aveva fatto mettere una taglia di migliaia di scudi.
Tuttavia per quasi l’intera serata Akram tenne lo sguardo posato su Aeris Strifen. Era l’imperatore l’osservato speciale. C’era qualcosa in quella figura che trasmetteva regalità e forza ma Akram sapeva che non era il suo corpo. In effetti era un ragazzino e anche di fragile corporatura. Aveva sentito dire, da quando era arrivato a Cattedra, che l’imperatore era malato. Di quale malattia soffrisse, lui però non lo avrebbe saputo dire. In effetti era anche una cosa strana che non lo capisse giacché, sin dalla nascita, era dotato della facoltà di assorbire il dolore altrui. Sapeva perciò individuare quale cosa lo provocasse. L’imperatore sembrava sano e soprattutto non sembrava soffrire. Inoltre era molto basso per un ragazzo della sua età anche se nel complesso era armonioso e slanciato.
Nonostante tutti questi aspetti, Akram aveva capito che l’imperatore non era meno forte del viceré o del generalissimo. La sua forza veniva da dentro. L’aveva sentita nitidamente. E poi c’era la spada che aveva sconfitto Zion.
Oltre alla forza, Akram aveva percepito anche un’altra sensazione. Inizialmente non l’aveva saputa definire poiché non gli capitava spesso di imbattersi in una cosa come quella. Con il passare delle ore però l’aveva riconosciuta.
Dolcezza.
Il modo in cui l’imperatore muoveva le mani gli aveva ricordato quello con cui sua madre gli pettinava i capelli da bambino.
Dolcezza.
Era normale che una persona come quella avesse una simile emanazione? Tante domande dovevano trovare una risposta ma Akram era certo che l’intreccio della sua vita con quella di Aeris Strifen avrebbe dato quasi tutte le risposte.

Note dell'autrice:
Bentornati su Aeria! In questo capitolo cominciamo a conoscere un po' meglio le dinamiche tra alcuni personaggi. Trovate ancora la storia interessante? Mi lasciate un riscontro? Sì?
Nel frattempo ringrazio coloro che l'hanno già fatto, che hanno messo la storia tra le seguite o preferite o che semplicente l'hanno letta.
Grazie a tutti. Di cuore. A presto!

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Capitolo 9
*** Una lunga notte ***


Questo capitolo è dedicato ad Aryadaughter. Perchè un piccolo gesto, spesso, può fare la differenza...


Capitolo IX
-Una lunga notte-

“Ebbene signori e dame” esclamò Asaline ad un certo punto della serata quando la musica era cessata e le portate terminate “permettetemi di congedarvi tutti e di auguravi una buona notte. Prego solo le loro altezze, i difensori di Aeria che domani parteciperanno al supremo consiglio del regno di venire nell’altra stanza con me per definire gli ultimi dettagli prima della grande riunione di domani”.
Marine s’alzò come a voler accompagnare Aeris ma sentì la mano della sacerdotessa sul suo braccio.
“No, mia cara, solo i protettori di Aeria.”
La fanciulla sentì il gelo scenderle addosso. Era preparata all’idea che avrebbero potuto separare lei ed Aeris da Grifis e Albered ma non aveva preso in considerazione che Aeris potesse ritrovarsi completamente sola nella tana del lupo prima del consiglio. L’amica lesse i suoi pensieri e si chinò su di lei per posarle un bacio sulla fronte.
“Mia amata, per questa sera non potrò accompagnarti a letto, i miei doveri mi reclamano. Va a riposare dunque e dormi serena.” Marine gli sorrise mentre Aeris la oltrepassava e, con passo sicuro, seguiva lady Asaline.
“Ve lo guarderò io mia signora” disse Loran Valentine passandole innanzi e la fanciulla ebbe un moto di stizza. Improvvisamente non lo trovava più così divertente. Albered le si avvicinò e le sussurrò solo poche parole.
“E’ tutto nelle mani di Aeris ora. In realtà è sempre stato tutto nelle sue mani. Andiamo.”
Marine lo seguì angosciata. Ciò che non vide fu che suo fratello non aveva fatto altrettanto. Grifis aveva notato qualcosa muoversi dietro una statua. L’aveva raggiunta non appena i guardiani di Aeria avevano abbandonato la sala. Dietro la statua non aveva trovato nessuno. Questo però non significava che non aveva trovato niente. Un lungo corridoio oscuro si snodava dietro un gioco di muri sovrapposti. Per una volta, invece di seguire Aeris, seguì l’istinto e s’infilò nel corridoio.

Il salottino nel quale Asaline ricevette i protettori di Aeria era molto più piccolo e meno sfarzoso della grande sala del ricevimento.
Davanti ad un grande camino acceso c’era un tavolino con alcuni calici di vino e una sedia color porpora in cui aveva trovato posto Seifer. Contro la parete c’era un divano su cui sedevano Garan Berser e Mars Hornet. Al centro della sala c’erano altre due poltrone. Su una sedeva Asaline.
Aeris fece il suo ingresso nella stanza seguita da Loran Valentine.
“Benvenuti. Accomodatevi.”
Aeris prese posto di fronte ad Asaline. Loran rifiutò di accomodarsi sul divano.
“Sto meglio in piedi” disse alludendo al ramingo seduto con atteggiamento distaccato e rimase vicino alla porta.
Ognuno dei presenti fingeva indifferenza nei confronti degli altri e taceva non volendo esporsi per primo. Fu Garan a rompere il silenzio. Non lo fece per egocentrismo. Era realmente una persona semplice e poco abituata ai protocolli di corte. Provava un profondo disagio e voleva sbrigare le formalità il prima possibile.
“Lady Asaline, abbiamo affrontato tutti un lungo viaggio per arrivare fino a qui. Io più di tutti. Non volete dunque svelarci il motivo della convocazione?”
Seifer sorrise sorseggiando il proprio vino. L’isolano era andato dritto al punto. Se ne compiacque.
“Lo farò tra poco. Dobbiamo solo attendere il guardiano del nord. E’ più corretto che i protettori di Aeria siano tutti presenti.”
“Milady, al solo scopo di tranquillizzare l’imperatore vorrei ricordare che i Darine sono estinti” disse Loran facendo, di nascosto, l’occhiolino ad Aeris la quale ricambiò con un sorriso.
Loran stava alludendo alla leggenda per cui era stato profetizzato che un Darine avrebbe posto fine alla dinastia Strifen. La storia era stata dimenticata poiché era stato narrato che dal sangue di una alferian di stirpe Strifen sarebbe risorta Tesla. Kalendis Strifen non aveva avuto però figlie femmine per quanto ne sapevano tutti.
“Sapete la storia. Eppure qualcuno dovrà rappresentare il sigillo del drago della terra. Ho convocato dunque colui che ritengo più adatto allo scopo. Sarà Naro il signore dei Nagrod ad unirsi a voi nel consiglio!” esclamò Asaline mentre una porta laterale si apriva e un possente Nagrod faceva il proprio ingresso seguito da un uomo vestito con abiti modesti.
“Presento a tutti voi il saggio Lord Naro capoclan dei Nagrod da molti anni. L’uomo alle sue spalle è Akram. E’ un mercenario al servizio di Cattedra. Purtroppo lord Naro non comprende la nostra lingua e necessita di un interprete. Akram serve a questo scopo.”
I due si inchinarono davanti ad Aeris e si defilarono lungo la parete opposta al divano.
“Ma che bella riunione, mia adorata zia. Accogliamo alla nostra corte anche uomini bestia e mercenari insieme agli imperatori?” disse Seifer sfidando la zia che lo gelò con lo sguardo.
“In realtà, la tua presenza non sarebbe necessaria. Se non ti aggrada la compagnia, puoi lasciarci!” gli fece eco una voce fredda e tagliente appartenente a Mars Hornet.
“Dimenticavo i fuorilegge, zia!” replicò Seifer.
“Non credo sia questo il luogo per simili confronti” intervenne Loran con voce calma e pacata.
Aeris capì che tutte le cose che Marine gli aveva detto durante le settimane in cui si era preparato al viaggio erano vere. Loran era un diplomatico perfetto. Odiava i raminghi ma non al punto da scatenare una rissa da taverna in quella stanza. Il generalissimo era altero e sembrava odiare tutti. Persino la stessa zia.
I Nagrod erano spaventosi a vedersi eppure non ne aveva paura. La figura del mercenario invece la inquietò. La sacerdotessa riprese.
“Ora che siete tutti presenti posso mettervi al corrente del reale motivo per cui vi ho convocati. Come sapete, dal tempo della grande guerra, ho cercato di tutelare il regno come meglio ho potuto col consiglio della dea. Purtroppo le cose sono peggiorate a causa del potere malvagio che la grande ombra accumula di giorno in giorno. Eppure abbiamo sempre saputo contenere la piaga degli yomi. Certo il merito di ciò va soprattutto a Seifer.” L’uomo chiamato in causa non fece un cenno. Sua zia proseguì.
C’è stata poi la comparsa di questo malefico stregone Norren. Usa arti oscure non facili da governare. Egli è dunque molto potente. E’ un nemico del regno. Questo lo sapete tutti. Seifer gli da la caccia da tempo senza esito. Loran ha messo al mio servizio alcuni dei suoi informatori ma non se ne viene a capo.” Seifer sorrise e parlò.
“Deve essere più abile di quanto credessi se è sfuggito anche alle spie rosse!”
Stavolta la cicatrice sul viso del ramingo si allargò indicando che Mars sorrideva del modo in cui il generalissimo si prendeva gioco del viceré.
“E’ molto più abile di quanto pensiate tutti voi!” esclamò Asaline facendosi più seria e guardando dritto negli occhi Aeris “Talmente abile da essersi introdotto qui nel tempio, nel cuore di Cattedra!”
Tutti tacquero comprendendo la reale gravità della notizia. Solo Seifer parlò facendo ondeggiare il vino nel calice.
“Io non ne so nulla. Sei certa di quanto affermi?” Asaline si alzò e si raccolse nell’espressione più angosciata che poteva produrre.
“Purtroppo sì, nipote mio. Poiché ha trovato il modo di eludere ogni sorveglianza, di raggiungere il tempio e di spezzare l’incantesimo che solo gli arcimaghi conoscono. Deve avere acquisito un potere ed una conoscenza oscura molto forte!” Seifer la guardava cercando di intuire quanta parte di verità ci fosse nelle sue parole.
“E dimmi zia. Dato che tu sei qui dinanzi a noi a raccontarci questi fatti, per quale ragione un ricercato come Norren avrebbe sfidato la sorte esponendosi a rischi enormi venendo qui se il suo obiettivo non era attentare alla tua vita?”
Loran si chiese perché Seifer stesse tentando così spudoratamente di ridicolizzare la zia davanti all’imperatore.
“Avrei voluto essere io il suo obiettivo!” esclamò la sacerdotessa rivolgendosi di nuovo all’imperatore e accasciandosi sulle ginocchia “sarebbe stata la prova della mia riuscita non del mio fallimento!”
Aeris si alzò e la sollevò mettendola a sedere sulla sua sedia.
“Parlate lady Asaline” disse Aeris “la riuscita o il fallimento di una vita non possono decidersi in un solo momento!”
A quelle parole una sensazione di sollievo si liberò nell’aria e raggiunse il cuore dei presenti. Akram pensò che non s’era sbagliato. C’era una dolcezza latente in ogni gesto di Aeris Strifen.
Asaline perse per un attimo la parola forse anch’ella sorpresa dalla strana atmosfera che si era creata ma sprofondò, immediatamente, in una cupa severità.
“Purtroppo non posso essere tanto indulgente con me stessa, altezza. Non quando lo stregone Norren si è infiltrato nel seno della mia casa, ha spezzato tutte le mie difese e mi ha sottratto quanto di più prezioso custodivo per il bene non mio, ma del regno. La sfera di Cattedra è perduta!”
Un rumore di cristallo infranto attirò l’attenzione di tutti i presenti.
Il vino gocciolava sul pavimento misto al sangue di Seifer che aveva stretto il calice al punto da infrangerlo.
“Stai dicendo che lo stregone Norren si è impossessato della sfera di Cattedra, una delle cinque che servono per sciogliere i sigilli che imprigionano la grande ombra?” chiese Seifer mentre con un fazzoletto si fasciava la mano ferita. Asaline annuì.
“E’ impossibile!” le rispose il nipote quasi gridando e alzandosi in piedi.
“Capisco la tua rabbia, nipote mio, ma è così. Siamo stati battuti. Tuttavia, presagendo il pericolo, vi ho convocati qui. Sapete tutti che dopo la sconfitta di Zion, solo il sigillo di Serian impedisce alla grande ombra di abbandonare le terre di Zarandal e invadere il resto di Aeria. Norren non ha rubato la sfera per umiliarci temo. Le vuole tutte! Probabilmente mira ad impossessarsi del potere oscuro di Zarandal. Del resto vuole sovvertire l’ordine istituito e uccidere l’imperatore. Noi dobbiamo fermarlo e mettere al sicuro le quattro sfere rimaste.” Nessuno parlò. “Suvvia, suvvia, non angosciatevi troppo ora. Forse sono stata eccessivamente dura. Del resto con una sola sfera in suo possesso, Norren non può fare molto. La sfera può aumentare i suoi poteri ma nulla è perduto se voi deciderete per il meglio domani. Ora sciogliamo questo nostro concilio. Andate a riposare. La notte sa essere una buona consigliera.” Asaline si alzò congedando i presenti.
Loran si avvicinò ad Aeris.
“Vi accompagno alle vostre camere, altezza.”
“Permettete che sia io a farlo! Non dovreste fidarvi di chiunque in questo luogo.” A parlare era stato Mars Hornet.
Loran se lo ritrovò nuovamente di fianco ma stavolta il ramingo lo guardava dritto negli occhi. Il viceré senti l’odio dell’altro lacerargli la carne come una lama. Aeris se ne accorse.
“Vi ringrazio entrambi. Ma non dovete temere per me. C’è già chi mi attende per scortarmi nelle mie stanze.” Aeris aprì la porta e, come sempre, in attesa c’era Grifis che lo salutò con un cenno del capo.
“Altezza.”
“Grazie Grifis andiamo pure. A domani lady Asaline. Buona notte a tutti voi” concluse Aeris incamminandosi di fianco alla sua scorta.
“Non ti riuscirà.” La frase arrivò a bruciapelo. Loran si voltò e sostenne lo sguardo di Mars.
“Cosa?” rispose con piglio deciso a dimostrare che non aveva alcun timore del suo avversario.
“Qualunque cosa tu stia macchinando. Non questa volta. Tra te e il tuo obiettivo ci sarò io.” Loran sorrise.
“Fa quello che devi. Io farò lo stesso. Come ho sempre fatto. Che non accada che il risultato ti sorprenda, ostinato ramingo!” concluse Loran facendogli un cenno con la mano e voltandogli le spalle. Mars lo vide oltrepassare la porta e fu tentato di andargli dietro quando fu raggiunto dalla voce di Garan Berser.
“Non andate d’accordo, vero?” chiese sarcastico “E’ troppo arrogante per andare d’accordo con qualcuno!” Mars lo guardò con un po’ di diffidenza.
“Avanti, amico, domani ci aspetta una brutta giornata. Se stiamo dalla stessa parte è meglio, no?”
“Perché, tu da che parte stai?”
“Non dalla sua!” rispose Garan indicando la sagoma di Loran che si allontanava nel corridoio.
“Allora siamo già dalla stessa parte” concluse Mars lasciando la stanza. Garan lo seguì.
Akram e Naro uscirono dalla porta secondaria dalla quale erano arrivati.
Asaline rimase immobile attendendo che Seifer la salutasse. Il giovane soldato la oltrepassò e, senza voltarsi a guardarla in viso, parlò.
“Tu menti. Non so ancora cosa stai architettando, zia cara. Ma so che menti. E menti deliberatamente anche a me. Dov’è l’invito a questa riunione? Non hai pensato che colui che rischia la propria vita per l’impero ogni giorno avrebbe meritato di sapere da te che un consesso talmente importante si sarebbe tenuto qui nella nostra casa? Mi hai volutamente escluso. Ti avverto che un simile gesto avrà delle conseguenze!”
“Tu osi minacciare me, Seifer?” Asaline reagì con fermezza. Seifer le passò una mano tra i capelli.
“Ma cara zia, sangue del mio sangue, mi hai cresciuto da che ero un bambino! Pensi che potrei mai farti alcun male? Soprattutto ora che il vigore della giovinezza ti ha abbandonata e la tua forza sfiorisce?”  Asaline s’irrigidì e, dopo tanto tempo, provò paura.
“Tu sei la mia ragione di vita, Seifer. Ma ti avverto che non sono ancora una vecchia stanca. Il mio potere è ancora più grande del tuo e non c’è niente di quello che tu sai che non ti abbia insegnato io. Per cui fa attenzione a ciò che fai. Sono ancora in grado di impartirti una lezione come quando eri fanciullo.”
Seifer scoppiò a ridere e, ridendo, abbandonò la stanza lasciando la somma sacerdotessa smarrita nel suo piccolo salotto.

La notte era fatta per riposare.
Akram però non poteva dormire. Sentir parlare della sfera di Cattedra e della grande ombra aveva risvegliato i demoni nel suo cuore. Camminava per i giardini senza fare rumore. La luna piena illuminava i ciotoli in terra facendoli brillare come stelle. Lo zampillio delle fontane faceva da nenia alla corte immersa nel sonno.
La sfera di Cattedra. Così l’aveva chiamata la sacerdotessa. Non era sempre stata la sfera di Cattedra. In un tempo lontano, di pace, era stata la sfera di Tesla. L’oggetto che racchiudeva il potere di governare il drago della terra Naga, l’animale sacro dei Darine. Poi c’era stata la follia di Zion, l’ultimo sovrano di Tesla che aveva distrutto il suo popolo e la sua terra per ottenere la magia oscura. Da allora Zarandal era diventata una terra di morte e paura e la sfera sottratta ai suoi originari custodi e affidata a Cattedra.
Quando aveva lasciato la sala, Naro aveva detto solo “cosa cattiva”. Per lui era semplice definire le situazioni. Per i Nagrod gli eventi erano cose buone o cattive a seconda dei casi. Quell’incontro era stato semplicemente una cosa cattiva.
Akram fu distratto dal suono di alcune voci che provenivano da una stanza illuminata al piano superiore del palazzo degli ospiti. Era una delle finestre della camera dell’imperatore.
Si arrampicò con pochi agili gesti alla parete e salì sulla balconata per spiare all’interno. C’era un uomo anziano seduto che impugnava un bastone.
“Non è una buona cosa” gli sentì dire e Akram pensò che l’età conferisce davvero saggezza perché “non è una buona cosa” non è molto diverso da “cosa cattiva” e lui riteneva che Naro fosse davvero molto saggio. Quel vecchio seduto doveva essere una sorta di consigliere. Da dietro la tenda vide avanzare  una figura verso l’anziano e rimase interdetto. Era l’imperatore. Appariva però completamente diverso da come lo aveva visto fino a qualche ora prima.
Indossava solo una tunica lunga fino al ginocchio e un paio di stivali. I capelli erano completamente sciolti e ricadevano lungo la schiena e i fianchi.
“Non è tutto” disse la sua guardia del corpo “mentre Aeris era nelle stanze della sacerdotessa, io ho scoperto un passaggio segreto che dalla sala del ricevimento conduceva nei giardini. C’era un uomo nel passaggio ma non sono riuscito a raggiungerlo. Non so come abbia fatto a sfuggirmi. Quel dannato doveva essere in grado di vedere al buio. Forse era un adepto di Norren. Quando sono sbucato nel giardino ho pensato che sarebbe stato più prudente tornare da Aeris. Tuttavia ho notato che il passaggio spuntava di fianco alle stanze degli uomini bestia. Loro vedono al buio, no?”
“Si chiamano Nagrod” disse a voce bassa l’imperatore.
“Come dici?” chiese Grifis.
“Hanno un nome. Si chiamano Nagrod. Uomini bestia è una stortura. Non esiste nella loro lingua”.
“D’accordo. Ora però è importante capire cosa succederà. Albered, tu cosa ne pensi?”
“Se davvero la sfera di Cattedra è stata trafugata da Norren, allora Asaline ha ragione. Gli servono tutte e cinque. Con una sola sfera cosa ci farebbe?”
“Cosa accadrà allora?” chiese ancora nervosamente Grifis.
“Non so cosa abbia in mente Asaline ma Aeris ha dimostrato di sapersela cavare egregiamente stasera. Ora deve riposare. Andiamo tutti a dormire” concluse l’anziano mettendo una mano sulla spalla del principe per rassicurarlo e lasciando la camera.
Akram osservò l’intera scena, compreso il modo in cui la guardia personale dell’imperatore prese congedo. Lo aveva accompagnato a letto, spento le candele e chiuso finestra e porta.
Stava per lasciare la balconata quando udì la porta della finestra riaprirsi. Si nascose nell’ombra.
Aeris apparve da dietro le tende. Diede un’occhiata al giardino e si sedette sul bordo di marmo lasciando penzolare i piedi nudi nell’aria. Non era esattamente l’atteggiamento più appropriato per un imperatore e soprattutto la sua guardia del corpo avrebbe urlato allo scandalo per i rischi inimmaginabili a cui sua maestà si esponeva senza volerlo. In quel momento chiunque poteva attentare alla sua vita. Quel ragazzo però sembrava non rendersene conto.
Improvvisamente fece l’unica cosa che Akram non avrebbe mai pensato. Intonò una canzone.
E fu come se tutto intorno a lui prendesse a girare. Al ritmo di quella voce angelica. Prima piano e poi veloce. Akram fu preso da un senso di smarrimento e nostalgia talmente forte che dovette accasciarsi al suolo. Si guardò le mani tremanti e cominciò a pensare che forse l’imperatore lo aveva visto e stava lanciando un potente incantesimo su di lui. Il canto cessò. Akram si rialzò e vide che l’imperatore sembrava interessato a qualcosa. Puntò lo sguardo e notò che si trattava di Flee.
Flee era un cucciolo di Nagrod che lo seguiva dappertutto. Ora se ne andava per il giardino fiutando le sue tracce e puntando il balcone di Aeris.
L’imperatore lo invitava a salire e si sporgeva sempre più. Accadde in un istante. La mano dell’imperatore scivolò sul marmo del bancone facendolo cadere in avanti. Akram si gettò verso di lui senza pensare e lo afferrò per l’altro braccio tirandolo verso di sé.
Aeris non ebbe neanche il tempo di realizzare che aveva rischiato di precipitare di sotto e non emise un gemito. Si ritrovò con il viso contro il petto dell’uomo che lo aveva salvato e respirò uno strano odore che non dimenticò più. Sapeva di neve e ciclamini.
Alzò lo sguardo e incrociò un paio di occhi color cobalto che ebbe immediatamente la sensazione di avere già visto. L’uomo si allontanò di un paio di passi.
“Perdonate, altezza."
“Perdonarti? Mi hai .salvato la vita!” disse Aeris mentre lentamente si rendeva conto di essere in camicia da notte. Per fortuna, quando era lontana da Strifen, non toglieva mai il corsetto che nascondeva le sue reali forme.
“Sua altezza dovrebbe stare più attento.”
“Dovrei sì, ma ho visto un animale in giardino e ne sono rimasto incuriosito. Non ho mai visto un cucciolo simile. Mi ha fatto tornare in mente Shila, la tigre di mio padre. Mi sono accorto di quanto mi manca. Tutte le sere si addormenta al mio fianco. Immagino di annoiarti con queste storie.” Sorrise.
Aeris Strifen sorrideva moltissimo. Doveva essere un tratto genetico, pensò Akram, perché a lui non capitava mai. Fischiò e Flee corse ad arrampicarsi sulla sua spalla sotto lo sguardo sorpreso dell’imperatore.
“Si chiama Flee. E’ un cucciolo di Nagrod. Mi segue ovunque.”
“E’ meraviglioso! Flee, salve! Io sono Aeris.”
Il cucciolo si nascose per un istante sotto il mantello di Akram poi  fiutò la mano che Aeris gli aveva teso e saltò dalla spalla di Akram sul braccio di Aeris.
“Ma quanto sei carino, Flee!”
“E’ una creatura dispettosa altezza” disse Akram richiamando il cucciolo all’ordine.
“Non credo che lo sia. E semplicemente adorabile.”
Flee scese dalla spalla di Aeris e corse nella sua camera puntando una delle mele che facevano bella mostra di sé su un tavolo.
“Che vi avevo detto?” disse l’uomo.
“A me le mele non piacciono molto. Può mangiarle tutte se le desidera. Grazie ancora, Akram.”
“Ricordi il mio nome?”
“Sì. Per me è tutto nuovo. Prima di questo viaggio non avevo mai lasciato il mio palazzo e cerco di memorizzare quante più cose posso. Tu da dove vieni?” Akram alzò una mano e indicò il nord.
“Ho sempre vissuto con i Nagrod. Anche per me è la prima visita a Cattedra. Ci sono stato solo una volta da bambino ma non ricordo molto.”
“Tu parli la loro lingua?” Akram scosse il capo.
“Bisogna essere un Nagrod per parlare la loro lingua. Però li capisco e loro capiscono me.”
Aeris chiese ad Akram molte altre cose sui Nagrod e si addormentò molto tardi su una poltrona. Akram lo guardò dormire fino al sorgere del sole. Dopo di che saltò giù dalla balaustra e tornò da Naro portando con sé un senso di tranquillità che non aveva mai provato prima.

L’alba rossa trovò Loran sveglio.
Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Mancavano ancora molte ore all’apertura del supremo consiglio e decise che era ancora presto per vestirsi.
Si sedette al grande pianoforte che faceva bella mostra di sé nella stanza e attaccò con una vecchia canzone che aveva composto molti anni prima. L’aria si riempì di una dolce melodia senza nome né parole che si fuse con la chiara luce che entrava dalla finestra. Quando le dita di Loran arrivarono a ripetere il tema centrale, le mani si irrigidirono senza motivo apparente e la sonata rimase a metà.
“Non ti riuscirà.”
Quelle parole continuavano a ripetersi nella sua mente come una sentenza, come fosse la risposta ad ogni suo proposito. Con un moto di rabbia scaraventò alcuni spartiti per terra. Sospirò e si chinò a raccoglierli.
Mentre li riponeva si rese conto che stava diventando instabile come una di quelle palle di fuoco che poteva creare con la sua magia e che potevano esplodere da un momento all’altro dopo che erano state scagliate. La presenza di Mars Hornet faceva riaffiorare in lui ricordi orrendi dei quali aveva cercato di liberarsi per molto tempo. La sua stessa presenza lo faceva sentire una persona orribile.
La porta della sua camera si aprì senza che alcuno fosse annunciato. La figura di Seifer Wiltord comparve sull’uscio. Non era vestito molto diversamente dalla sera prima. Loran pensò che probabilmente aveva passato la notte nella stanza di qualcuna delle novizie e sorrise.
“Buongiorno, caro cugino!” esclamò Seifer allargando le braccia.
“Buongiorno a te, Seifer. Com’è stata la notte? Benevola?”
“La tua non molto dato che hai un aspetto orribile!”
“Diciamo che le rivelazioni di Asaline mi hanno tolto il sonno.”
“Già, la mia adorata zia stavolta ha tirato fuori un asso dalla manica niente male.” rispose Seifer andando a sedersi sul bordo del letto disfatto di Loran “Pensi che sia vero?”
Loran versò dell’acqua in un bicchiere di cristallo e ordinò ai muscoli del proprio volto di non seguire l’ordine impartito dal suo cervello. Fece quello che s’imponeva di fare tutte le volte che era colto di sorpresa. Rispondeva a domanda con domanda.
“Hai ragione di dubitare del contrario?” Seifer, che non era uno sciocco, fece altrettanto.
“Non sei tu quello che ha spie ovunque?” Loran si portò il calice alle labbra. Sapeva sempre quando non poteva battere un avversario.
“Risparmiamoci il gioco delle parti. Ti dirò semplicemente cosa so. Ebbene non so assolutamente nulla!” disse ridendo il viceré. Anche Seifer sorrise maliziosamente.
“Puoi non credermi” proseguì Loran “ma le cose stanno così. Alla fine dell’inverno è arrivato un dispaccio che recava l’invito per la convocazione del grande consiglio. Sono stato stupito quanto ora lo sei tu. Un mese fa poi, tua zia mi ha chiesto uomini che seguissero ogni traccia lasciata dagli adepti di Norren. Ho perso più uomini in questa impresa che in quella di stanare i raminghi! Non ti nascondo che molti dei seguaci di quello stregone svanivano misteriosamente nei pressi di Drasil. Ho pensato che avessi ordinato ai Weird di uccidere chiunque varcasse il confine delle tue terre. Non c’è bisogno che io ti dica che ho sempre ordinato ai miei di non attraversare il tuo regno senza il loro consenso.” Seifer ascoltò tutto in silenzio. Poi disse solo poche parole.
“Voglio fidarmi di te. Tu sai sempre schierarti dalla parte del più forte. Non scenderai stavolta dal carro dei vincitori. Mia zia ha commesso un grave errore nel non contemplarmi nei suoi piani. Ebbene Loran, lei non è contemplata nei miei. Volevo che lo sapessi prima che accettassi di nuovo di aiutarla in qualcuna delle sue imprese.” Seifer si alzò, raggiunse Loran, e guardandolo occhi negli occhi gli mise un mano sulla spalla.
“Ti considererò dalla mia parte fino a prova contraria. Non darmela ti prego, sei prezioso per me!”
Loran sostenne lo sguardo senza indecisione.
“Lo hai detto, cugino. Sto sempre dalla parte del più forte.” Seifer lo oltrepassò e usci dalla stanza.
Loran tornò solo con i suoi pensieri. Pensò che Seifer probabilmente era davvero il più forte. Di certo il più temibile. Chi avrebbe potuto contrastarlo? L’imperatore da sempre considerato malato e con un fisico esile come quello di una ragazza? Gli uomini bestia un tempo fedeli ai Darine? Non certo i raminghi che la sua stirpe aveva ridotto ad un pugno di fuorilegge. Forse Asaline avrebbe potuto levare la mano contro il suo stesso sangue anche nel caso in cui questo l’avesse tradita? Loran lo dubitava. Forse lui stesso aveva una possibilità. Forse lui aveva le carte migliori e tuttavia doveva pazientare poiché in una posizione come quella in cui si trovava ora, aveva solo da perdere. Un passo falso poteva costargli la fiducia dell’imperatore, innescare l’odio dei raminghi della Doreria, alimentare il desiderio d’indipendenza dei Maras, perdere l’appoggio di Lady Asaline. Eppure le carte migliori erano ancora nelle sue mani ed erano date da informazioni.
Anche in quel momento le sue spie stavano raccogliendo informazioni, preziose ed inutili, solo per lui. Eppure la più interessante di tutte se l’era procurata da solo.
Seifer aveva il dubbio che sua zia stesse mentendo. Probabilmente su tutta la faccenda. In quel caso perché convocare il supremo consiglio? Forse, come gli aveva suggerito sua madre, solo per portare allo scoperto Aeris Strifen? Portarlo allo scoperto a quale scopo? Ucciderlo? In questo caso molte cose potevano accadere e lui doveva essere pronto ad affrontarle tutte. Andò all’armadio e prese l’uniforme da battaglia della sacra Xantes. Il consiglio sarebbe iniziato di lì a poco e avrebbe dovuto indossarla. Chiuse gli occhi ed invocò la bestia sacra. Il calore crescente nel suo corpo indicò che la fenice era con lui.
Riaprì gli occhi e prese a vestirsi.

Aeris si svegliò con la sensazione che qualcosa di davvero bello fosse accaduto mentre era nel sonno. Eppure se provava a cercare di capire cosa, vedeva solo quegli occhi blu cobalto che da un po’ la tormentavano. Due colpi leggeri alla porta annunciarono la presenza di Marine.
“Dormito bene, amore mio?”
“Benissimo Marine, buongiorno!”
“Come siamo allegri! Mi fa molto piacere. Pensavo di entrare qui e trovarti in preda alla paura più nera.”
“Per il consiglio?” Marine annuì. Tra le braccia portava un grande involucro di stoffa.
“Devo ammettere che non ci ho pensato molto. Quello è ciò che penso che sia?” chiese l’imperatore indicando l’involto.
“Sì. L’alta uniforme. Adattare quella di tuo padre a te era impossibile, per cui le mie ancelle ne hanno confezionata una identica della tua misura. Vedrai che ti starà un incanto. Ho aggiunto un po’ di rialzo agli stivali per farti sembrare più alto e le spalle della divisa sono imbottite.” Aeris scoppiò a ridere e Marine si fermò.
“Cos’hai da ridere?”
“Non devo sembrare più grosso! Non ha senso. Mi hanno visto in abiti normali ieri.”
“Sì ma oggi c’è la parata dinanzi al popolo. Dovrai fare la tua figura. Non hai intenzione di sembrare più bassa della tua consorte!” Aeris finse un attimo di riflessione e Marine sorrise. Le piaceva molto il modo in cui giocavano fra loro.
“Vada per il rialzo degli stivali ma togli l’imbottitura dall’uniforme. Forse non ho i muscoli che tutti si aspettano ma non voglio sembrare goffa e ridicola.” Marine annuì.
“Lo sapevo che era una pessima idea comunque. Ho portato due giacche. Una non ha le spalle rinforzate!”
Aeris sorrise e cominciò a vestirsi. Quando Marine cominciò ad acconciarle i capelli, Aeris sembrava pensierosa.
“Tutto bene?”
“Sì. Marine terresti un altro segreto dei miei?” La ragazza fermò la spazzola che accarezzava i capelli dorati di Aeris. Quando diceva così, normalmente le confidava una visione del futuro o un sogno strano che aveva fatto. Riprese a spazzolare.
“Certo!”
“Non dovrai dirlo ad Albered e soprattutto a Grifis.”
“Sputa il rospo! Lo sai che non ti tradirei mai.”
“Ho passato la serata di ieri in compagnia di Akram, l’uomo che accompagna i Nagrod.”
Aeris pronunciò la frase tutta d’un colpo, quasi temesse di non poterla terminare se si fosse interrotta. Appena detta tuttavia si sentì come se, solo in quel momento, quello che era accaduto la notte prima fosse divenuto reale. Non più parte di un sogno.
Marine aveva continuato a spazzolare come se Aeris non avesse detto nulla di particolare. Eppure quest’ultima sentiva il cuore dell’amica battere più forte nel petto.
“Marine” disse un po’ timorosa Aeris “non dici nulla?”
“Paura di essere disapprovata?” Aeris non rispose “Avanti, non fare così” riprese Marine cambiando tono e riprendendo quello allegro di sempre “raccontami tutto!”
Aeris raccontò di come aveva rischiato di cadere dalla terrazza per vedere Flee e di come Akram l’avesse aiutata. Le raccontò di come l’uomo gli avesse narrato del monte Arhat e dei Nagrod. Le disse di quanto fosse carino Flee e di come Akram odorasse di neve.
“Certo che odoro di neve!” esclamò ridendo Marine e avvolgendosi la vestaglia di Aeris intorno al corpo imitando il mercenario “Ho passato la vita tra le aspre montagne innevate! Sono l’affascinante e taciturno uomo delle nevi!”
“Marine smettila!” la riprese Aeris ridendo “non è bello che tu lo prenda in giro!”
“Guarda che non sto mica prendendo in giro Akram! Qualora non te ne fossi accorta ancora, sto prendendo in giro te!”
Aeris si guardò nello specchio. L’alta uniforme era davvero splendida e anche Marine tornò seria.
“Aeris, brilli come una stella!”
“E’ merito del lavoro che hai fatto con l’uniforme.”
“Ti sta un incanto. Comunque penso che ti abbia fatto bene chiacchierare un po’ con qualcuno che non sia della tua corte. Ti prego però di fare attenzione. Quello che hai fatto stanotte è stata un’imprudenza. Non sappiamo chi sia Akram. Ricordati che viaggia con gli uomini bestia. Un tempo servivano i Darine. Non dobbiamo dimenticare chi ha causato la morte dei nostri genitori, Aeris!” Questa abbassò gli occhi e tornò con la mente al giorno in cui Albered le raccontò di come il padre di Griffith e Marine avesse sacrificato la propria vita per salvare quella del padre. Nel cortile interno del palazzo, di fronte alla caserma dei grifoni dorati troneggiava la statua di Almus Alteron. La sua fama era tale che gli allievi chiamavano la statua ‘il guardiano di pietra’.
Poco prima di morire, suo padre l’aveva affidata alle cure di Grifis e aveva chiuso gli occhi dicendo che se fosse stato per la figlia quello che Almus era stato per lui, l’impero sarebbe stato al sicuro per un’altra generazione.
Faceva sempre male ricordare quel momento. Il rumore di qualcuno alla porta la scosse. Marine andò ad aprire. La ragazza rimase per un istante interdetta. Non amava fare dei complimenti al fratello ma Grifis era splendido. Anche lui aveva indossato l’alta uniforme. Persino l’elmo che, solitamente, non gradiva portare.
“Buongiorno Marine. Aeris è sveglia?”
“Sveglia e pronta. La lascio in tua compagnia. Vado a prepararmi anche io o sembrerò l’unica creatura indegna del nostro gruppo!” Marine l’aveva detto con il suo solito tono irriverente e scherzoso. Prima di chiudere la porta diede un bacio al fratello.
“Togliti quel coso dalla testa o Aeris sembrerà un nanetto durante la parata!” gli disse in un orecchio. Grifis non reagì.
“Allora, come sto?” Il sorriso del suo imperatore era sempre caldo e accogliente.
“Buongiorno, altezza! Stai benissimo ma credo manchi ancora qualcosa!”
“Non dirmi che dovrò indossare un elmo anche io? Potrei morire schiacciata da una cosa come quella!”
Entrambi risero. Grifis tirò fuori da sotto il mantello una scatola.
Quando l’apri una coppia di corone cominciò a scintillare sotto gli occhi dei due. Una tiara era in oro bianco tempestata di piccoli ma luminosi diamanti. Due riccioli di pietre preziose avrebbero arricchito la fronte dell’imperatrice di Aeria quando l’avesse indossata. Al suo fianco una corona d’oro giallo fatta di ali e grandi diamanti incastonati rappresentava il simbolo della più alta carica dell’impero. Grifis la prese e, con cura, la pose sul capo di Aeris.
Quando né avvertì il peso, Aeris si sentì precipitare verso il basso. Tutto divenne nero e comprese che stava ricevendo una nuova visione.
Vedeva una distesa di neve e l’ombra nera che la sovrastava ora aveva la forma di un mantello. L’uomo che lo portava lo fronteggiava e portava una corona oscura. Aeris ne era intimorito ma sembrava che l’uomo non volesse attaccarlo e piuttosto stesse nascondendo qualcosa alla sua vista. Proprio mentre gli sembrava di riuscire a vedere una donna alle sue spalle, Grifis lo scosse dalla visione e lo riportò indietro.
“Mi ascolti?” Aeris si sentì risollevare fin dentro il suo corpo e rispose.
“Scusami. Per un momento mi sono distratta. Pensavo a mio padre.” Grifis le mise le mani sulle spalle come a rassicurarla.
“E’ ora di andare. Il corteo ci aspetta.” Mentre Aeris stava aprendo la porta, Grifis le trattenne il braccio.
“Promettimi che oggi farai estrema attenzione. Resta sempre a vista e, se puoi, non allontanarti da me. Se c’è un momento in cui sarai alla mercé degli sguardi di tutti, è proprio quello della parata.” Aeris lo rassicurò con un sorriso.
“Un’ultima cosa. Nella sala del consiglio sarai solo. In caso di pericolo solo Bashenian potrà correre in tuo aiuto. Ti senti pronto ad evocarlo?”
Aeris non rispose. Bashenian, la bestia sacra dell’aria, l’aveva scelto quando ancora era bambina come suo guardiano. Aveva risposto al suo pianto per la perdita del padre. Anche se da allora lo aveva visto altre volte, la bestia era andata spontaneamente da lui. Non sapeva se, in effetti, avrebbe mai risposto al suo richiamo.
Grifis intuì i pensieri della ragazza e le porse un oggetto.
“Prendilo” le disse porgendole una sorta di amuleto “è un canalizzatore. Quando eravamo bambini mia madre ne regalò uno a me e a Marine. Questa pietra trasmette i pensieri. Quando avevamo paura di qualcosa io e Marine lo stringevamo e nostra madre arrivava subito a tranquillizzarci. Se dovessi finire nei guai, stringila con forza e verrò da te.”
“Nella sala del gran consiglio non è permesso l’accesso ad estranei.”
“Neanche mille armate della Mano delle Nazioni potranno impedirmelo.” Aeris sorrise e strinse la pietra. Un fievole candore la illuminò e una luce simile balenò dal polso del cavaliere.
“Ne porto una incastonata nell’armatura” disse Grifis “Andiamo ora. Ci aspettano.”

La parata era l’evento più emozionante da anni in Cattedra.
Nessuno aveva voluto mancarla. Sin dal mattino fiumi di gente avevano invaso le strade in direzione del santuario della dea. Il corteo dei protettori di Aeria sarebbe uscito dai palazzi della corte e avrebbe fatto il giro del santuario prima di rientrare nell’alta torre centrale.
Il corteo, di certo eseguito in favore del popolo affinché vedesse il potere dei guardiani, veniva fatto anche perché durante il percorso la somma sacerdotessa doveva eseguire un rituale di protezione. Il cerchio disegnato dai guardiani e la magia pronunciata dalla sacerdotessa creavano una barriera di difesa intorno alla torre.
Quando la grande porta della corte del santuario s’apri, il mormorio della folla s’interruppe. Un silenzio irreale s’impadronì della piazza prospiciente l’ingresso del tempio. Improvvisamente un rumore di tamburi rimbombò nell’aria e segnò il ritmo al quale la guardia del tempio aprì la parata.
I soldati della Mano delle Nazioni marciavano compatti nelle loro uniformi viola. Un alto graduato portava lo stendardo di Cattedra e precedeva il generalissimo.
Quando Seifer Wiltord comparve in sella al suo nero destriero la folla lo acclamò a gran voce. Portava l’alta uniforme che era stata di suo padre e sul petto una catena d’argento dalla quale pendeva un medaglione raffigurante una primula. Il fiore era stato il simbolo del popolo dei Drasil poi acquisito dai Weird nati dal loro incrocio con gli Aerian. Seifer usava la primula come simbolo della sua casata e spesso i suoi soldati si riferivano a lui chiamandolo con il nome del fiore. Attraversò la porta e prese la testa della parata.
Dietro di lui due colonne di novizie spargevano fiori profumati sulla sua scia.
Seguiva una linea di uomini vestiti di rosse uniformi. I soldati della Faleria procedevano armati con ampi scudi e lance. In battaglia erano la temibile falange di fuoco, un muro che nessun nemico poteva oltrepassare. Ora avanzavano come un tappeto rosso disteso innanzi al carro reale su cui viaggiavano Loran Valentine e sua madre. Lady Kyria salutava il popolo in festa al fianco del figlio che, giunto oltre la porta, lasciò partire dalle sue mani una serie di scintille che in aria presero ad esplodere come fuochi d’artificio.
Il popolo si lasciò andare ad esclamazioni di stupore ed entusiasmo. I bambini, sulle spalle degli adulti, sventolavano le bandiere di Cattedra e acclamavano il Viceré.
A seguire la carrozza due file di uomini giganteschi vestiti di nero. La folla ne fu intimorita ma riprese a vociare appena dalla porta del santuario comparve una biga trainata da due splendide tigri. A governare il carro c’era il solo Garan Berser che salutava il popolo con ampi gesti delle mani e senza trattenere sorrisi. Pochi avevano avuto la possibilità di vedere un uomo dei Maras e le sue dimensioni entusiasmarono i più piccoli.
Seguiva un manipolo di cavalieri vestiti di verde e marrone tutti armati di arco e frecce. In mezzo a loro il duca Hornet di Doreria cavalcava nella sua armatura d’argento e smeraldi. Guardava diritto senza lasciare le briglie del suo destriero e la sua figura affusolata non lasciava trasparire alcuna emozione.
Finalmente, dietro i cavalieri della Doreria, apparvero le uniformi bianche e dorate dei grifoni d’oro, le guardie personali dell’imperatore. I loro biondi capelli lasciarono la folla senza parole.
In Aeria, infatti, la capigliatura dorata era estremamente rara e normalmente sintomatica di una qualche malattia. Il colore dell’oro era tipico degli Alferian, la popolazione di angeli venuti da oltre il mare dell’est. Ne avevano mantenuto i tratti alcuni mezzosangue che abitavano la Balvaria.
Il carro imperiale era affiancato da un solo cavaliere in alta uniforme e ospitava la principessa imperiale e l’imperatore. I due erano in piedi e salutavano il popolo. Marine sorrideva a tutti coloro che la salutavano lungo la strada. Aeris non l’aveva mai vista così raggiante. Udì la voce di alcune fanciulle urlare il suo nome e si voltò a ringraziarle con un cenno del capo. Avrebbe voluto che tutta quella gente potesse sentire il battito del suo cuore e capire quale gioia provava nel sentire la vicinanza di tutte quelle persone. Improvvisamente fu il silenzio. Dietro il carro avevano fatto la loro comparsa i Nagrod e la gente aveva smesso di applaudire. Un uomo dalla folla d’un tratto scagliò una pietra contro uno di loro.
Aeris vide Akram prendere la sassata al posto dell’uomo bestia.
“Creature maledette! E’ vostra la colpa se gli yomi ci tormentano!” si udì indistintamente venire dalla piazza e altre pietre cominciarono a volare.
Akram si parò tra la folla e Naro senza alzare lo sguardo sugli aggressori e ad Aeris parve come volersi fare carico di tutto quell’odio. Chiuse gli occhi. Che colpa avevano i Nagrod per la presenza della grande ombra? Proprio loro che erano maggiormente esposti al pericolo vivendoci così a contatto?
Riaprì gli occhi e tutte le pietre si fermarono a mezz’aria indecise su dove cadere. Il popolo prese a vociare ma non si rese conto che era un gioco di prestigio dell’imperatore. Lì per lì forse solo Grifis se ne accorse.
Poi Akram sollevò lo sguardo da terra e lo fissò dritto negli occhi del principe.
Aeris sentì di nuovo quello sguardo profondo attraversare il suo petto e, come accadeva quando veniva trascinato dalle visioni, senti una profonda oscurità cadergli sugli occhi.
Vide di nuovo l’uomo vestito di nero che nascondeva la donna dai lunghi capelli e, forse, un bambino. Poi la visione cambiò e si ritrovò nella stanza della locanda di Rifiel con il respiro della belva nera sul collo. Si fece forza per riappropriarsi del proprio corpo e riaprì gli occhi. Lo sguardo del mercenario era ancora lì e Aeris sentì una energia nuova nascergli dentro. Era una sensazione che non aveva mai provato prima. Uno strano brivido, partendo dal suo cuore, si sprigionò lungo le sue braccia fino alla punta delle dita. Le pietre, che avevano continuato a fluttuare, vibrarono ed esplosero tutte contemporaneamente rilasciando ognuna una luce di colore diverso. La gente applaudì e il corteo riprese a sfilare.
Akram fece un cenno con il capo e tornò tra gli uomini bestia scomparendo nella confusione.
“Ma cosa è stato?” chiese Marine “E’ stata opera tua?” Aeris si guardò le mani e poi guardò Marine annuendo.
“Ma non sapevo di essere in grado di farlo”. Marine sorrise.
“I tuoi poteri aumentano! Tempestivi!”
La sfilata terminò senza altri incidenti e le porte della grande torre furono chiuse non appena i guardiani di Cattedra e le loro scorte le ebbero attraversate.

Lady Kyria era una donna pratica. Nel salutare suo figlio prima del grande consiglio disse solo due parole.
“Fa attenzione”.
Le disse baciando Loran Valentine sulla fronte. Sollevandosi leggermente sulle punte e prendendo la testa del figlio tra le mani.
Loran si era lasciato baciare, aveva fatto un inchino e si era voltato per percorrere il corridoio che conduceva alle scale per il piano superiore.
Mentre si allontanava, Kyria pronunciò una preghiera che lo proteggesse. In quel momento però avvertì una fitta al cuore. Intuitivamente pensò ad un cattivo presagio ma comprese subito che il senso di oppressione che l’aveva colta proveniva dall’aura sprigionata dall’uomo alle sue spalle. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere chi fosse. Lo fece lo stesso. Doveva guardarlo in faccia. Si voltò.
Dinanzi a lei c’era, diritto come una lama, Mars Hornet.
La guardava senza nessuna emozione nello sguardo. Sarebbe stato comprensibile trovarci odio, disperazione o collera. Nulla. L’uomo la fissava e basta. Non sembrava voler dire qualcosa o fare alcunché. Restava immobile. Non c’erano guardie che avrebbero potuto accorrere in suo aiuto dato che quelle stanze erano riservate ai guardiani di Cattedra e ai loro fidati e Loran era lontano.
Kyria però sapeva che non le sarebbe accaduto nulla in quel momento. Sapeva, con assoluta certezza, che quello che Mars Hornet voleva farle provare era esclusivamente l’angosciante consapevolezza che suo figlio era in pericolo.
Come se avesse letto i suoi pensieri, Mars la superò e s’incamminò per lo stesso corridoio che poco prima aveva attraversato il suo Loran.

Quando Aeris raggiunse la sala dei guardiani c’erano ancora Grifis ed Albered con lui. Grifis era nervoso e lasciò la stanza per primo. Albered si era distratto ad osservare la figura di Lady Kyria in piedi al centro della sala che sembrava non star bene.
“Albered, tutto a posto?” Il consigliere si scosse.
“Sì. Voglio che tu faccia molta attenzione. Tuttavia mi rimane solo una raccomandazione da farti. Qualunque cosa accada lì dentro, tu devi sapere che lo spirito di Bashenian è con te. Segui il suo spirito. Segui il tuo cuore. Non farti ingannare dalle apparenze. Tu non sai quasi nulla in realtà delle persone che saranno con te oggi. Segui il tuo sesto senso. Metti da parte ogni cosa che hai appreso nelle lunghe ore di lezione che ti dato. Tuo padre è stato il prescelto della dea, tua madre la più potente maga che il nostro mondo abbia mai conosciuto. Se c’è una persona che può fare la cosa giusta, quella sei tu.”
Aeris tirò un sospiro e provò a sorridere. Mentre s’incamminava sentì il vecchio maestro parlare ancora.
“Ricordati che, cinta alla vita, hai il miglior alleato che un uomo potrebbe chiedere.” Aeris toccò la spada.
“E fammi una cortesia. Dì una parola gentile a quella povera donna che non riesce a trovare il coraggio di uscire dalla stanza”. Solo in quel momento Aeris vide Lady Kyria. Le si avvicinò lentamente e quando le fu di fianco le rivolse solo poche parole.
“Io non ho mai conosciuto mia madre. E’ morta dandomi alla luce. Invidio Loran per avere una madre come voi. Suvvia non state in pena, temete che possa accadere qualcosa di brutto a vostro figlio mentre l’imperatore è con lui? Loran disse a Marine che era preoccupata per me, che mi avrebbe guardato e ora io dico a voi che ve lo guarderò.” Lady Kyria si inchinò e non rialzò il capo fino a che non udì più i passi di Aeris.

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Capitolo 10
*** Il grande consiglio ***



Capitolo X
-Il grande consiglio-

Quando le trombe smisero di suonare e l’eco dei tamburi di riecheggiare nell’aria e l’ultima porta fu sbarrata, la stanza dei due troni si trovò come immersa nelle profondità dell’oceano dove ogni suono della superficie arriva ovattato ed indistinto.
La grande sala era tutta di pietra nera e, contrariamente al resto del palazzo, non vi erano fregi né arazzi. Solo uno stendardo issato sopra ogni sedia presente. In tutto erano cinque oltre ai due magnifici troni che si confrontavano alle due estremità più lontane del lungo tavolo rettangolare.
Uno era sormontato da uno stendardo bianco raffigurante un grifone d’oro. L’altro da uno nero raffigurante un drago argento.
Tre scranni riempivano un lato del tavolo. Quello centrale indicava la seduta della somma sacerdotessa di Cattedra poiché stava sotto lo stendardo viola raffigurante uno spicchio di luna. Alla sua destra lo stendardo rosso con la fenice arancio indicava il posto del viceré, alla sinistra quello verde con l’unicorno bianco quello del conte di Doreria.
Altre due poltrone erano state situate dall’altro lato del tavolo ma, era evidente che erano state aggiunte solo più di recente rispetto al resto dell’arredamento ed erano sormontate dagli stendardi della Mano delle Nazioni e del Governatorato di Maras.
Tutti i presenti presero posto.
Quando Aeris si sedette si rese conto che i suoi piedi appena toccavano terra. La sua figura doveva sembrare estremamente rimpicciolita rispetto a quel gigantesco trono. Sollevò lo sguardo per non apparire intimidita e, dall’altro capo del tavolo, vide che Lord Naro, signore dei Nagrod, stava rispettosamente in piedi. Akram alle sue spalle rimaneva con il cappuccio alzato e il capo chino. La sacerdotessa si sedette e prese subito la parola.
“Sapete già il motivo per cui siete stati convocati qui. Durante la notte, probabilmente, avrete pensato a lungo a quanto vi ho raccontato. Il motivo per cui tuttavia ho convocato il consiglio non è mettervi a parte dell’accaduto. Non sarebbe stata necessaria una tale formalità. Invece quello che dovremo fare per scongiurare ogni pericolo per la nostra cara Aeria è oggetto di questo supremo consesso.”
Seifer era entrato per ultimo. Solo. Non aveva degnato di uno sguardo nessuno, neppure le ancelle che accompagnavano la sacerdotessa e a cui sempre dedicava un saluto con un cenno del capo. Prese per primo la parola. Era deciso a rovinare i piani della zia, qualunque essi fossero. Sapeva che mentiva. Aveva deciso che era giunto il tempo di liberarsi del giogo materno che la zia gli aveva imposto da ragazzo. Ora ne aveva la capacità.
“Prima di prendere alcuna decisione in merito, non potreste semplicemente fare quello che avete fatto fino ad ora tutti?”
“E di grazia cosa, generalissimo?” chiese Asaline che voleva imporre una solenne formalità al consiglio e non voleva che il nipote pensasse di poter far valere il proprio grado di parentela.
“Lasciare che se ne occupi la Mano delle Nazioni! Ho dimostrato più di una volta che posso affrontare qualsiasi avversario. Se la sfera è stata trafugata, troverò quel criminale e la riporterò indietro. Gli ho dato la caccia per molto tempo, conosco questo avversario meglio di chiunque altro. Una volta rimessa al suo posto, la sfera non costituirà più una minaccia. E neppure lo stregone Norren.”
Asaline era fiammeggiante. La sua rabbia tuttavia era tutta nei suoi occhi. Rimase ferma nel suo scranno e parlò ancora.
“Non sappiamo se lo stregone ne abbia rubata solo una. Le sfere, da quando sono state utilizzate per imprigionare la grande ombra, sono state celate dai protettori di Aeria. Ad ognuno di loro fu dato ordine di non rivelare mai il luogo in cui venivano custodite. Neppure agli stessi compagni. Per questo vi ho convocati. Dobbiamo sapere se qualche altra sfera manca all’appello.”
A quelle parole tutti guardarono Mars Hornet. Era noto infatti che, a seguito della guerra civile fra la Faleria e la Doreria, la famiglia Hornet era stata sterminata e nessuno aveva saputo che fine avesse fatto la sfera della Doreria.
“La sfera della Doreria è perduta”, disse Mars con lo sguardo perso nel vuoto.
“Allora la tua presenza qui è inutile” disse Seifer.
Naro emise un suono grave. Akram fece un passo in avanti e lo affiancò.
“Parla Akram. Dì quello che il signore dei Nagrod intende comunicarci”, pronunciò la sacerdotessa.
“Il mio signore vuol dire che anche se la sfera della Doreria non è nelle mani del conte Hornet, il suo potere è ancora con lui, e fino a quando è così possiamo pensare a ritrovarla.” Akram tacque e fece un passo indietro.
“Tutto questo in un solo grugnito?” insinuò Seifer.
Aeris lo trovò estremamente offensivo e sollevò una mano. Albered gli aveva detto che prima di prendere la parola doveva pretendere sempre il silenzio. Infatti il mormorio cessò.
“Prima di rivelare l’ubicazione delle sfere, sarebbe opportuno decidere cosa fare. Non sappiamo dove si nasconda Norren. Vogliamo metterci tutti alla sua ricerca? Che ne sarà allora della lotta agli yomi? Chi difenderà il popolo? Il generalissimo non ha appena offerto il suo esercito per la missione? Se rendiamo manifeste le sfere non potrebbe essere più semplice per Norren individuarle e tentare di prenderle? Del resto si è insinuato fin nel cuore di Cattedra senza alcuna difficoltà!”
Seifer si compiacque del fatto che quel ragazzino non era completamente stupido. Aveva forse intuito che la zia stava tramando qualcosa. Forse, cominciò a pensare, riguardava le sfere. Qualcosa circa la possibilità di entrarne in possesso. In fondo chi poteva sapere quali poteri possedevano tutte e cinque le sfere insieme.
“L’imperatore ha ragione!”
La frase era venuta da Garan Berser. Una delle sfere era stata nascosta dall’imperatore Kalendis proprio nelle isole meridionali e si diceva che i Berser l’avessero trovata e che da essa traessero la loro forza.
“Prima dobbiamo elaborare una strategia. Difendere le sfere ancora in nostro possesso. Provare a recuperare quella della Doreria per esempio e poi penseremo a quel maledetto Norren.” La sacerdotessa s’alzò in piedi.
“Purtroppo credo che le cose non siano così semplici” disse e sollevò le braccia verso l’alto.
Una luce fievole riempì la stanza e a mezz’aria comparve l’immagine di un oggetto.
Era fatto di un metallo splendente e leggermente ricurvo. Sulla sua superficie brillavano cinque incavi ognuno di un colore diverso disposti come punte di una stella. Al centro un fiore composto da cinque petali colorati. Loran Valentine scattò in piedi.
“Lo scudo di Cattedra!” disse a voce alta.
Aeris si portò la mano alla cintura. Quello scudo, insieme alla spada che portava, era appartenuto a suo padre. Come se la sacerdotessa avesse letto i suoi pensieri prese la parola.
“Eccovi il sigillo di Cattedra! Lo scudo che ospita le sfere e conferisce a chi lo porta, il potere della dea. Ho visto una grande minaccia abbattersi sulla terra. Non è solo in gioco il possesso delle sfere, ma la sopravvivenza stessa della terra. La barriera che cinge la grande ombra è minacciata, indebolita ogni  giorno che passa di più. Non resisterà a lungo. Non più. Anche se Norren non avesse rubato la sfera probabilmente sarebbe comunque necessario agire. La profezia è stata pronunciata. L’erede dell’ala di nuvola la abbatterà. Voi maestà siete l’erede e dovete farvi carico di questo fardello prima che Norren interferisca e ci faccia perdere tempo prezioso. Che accadrebbe se la barriera cedesse mentre non abbiamo ancora recuperato tutte e cinque le sfere?”
Adesso era Seifer ad essere furioso ma, al contrario di sua zia, non sembrava in grado di nasconderlo. Quella pazza voleva consegnare il sigillo di Cattedra ad un ragazzino che non aveva mai affrontato una battaglia, forse mai impugnato una spada.
Aeris dal canto suo era spiazzata. Non sapeva come reagire. Sapeva che, durante il consiglio avrebbe dovuto prendersi delle responsabilità, ma questo sembrava troppo. La sacerdotessa stava chiedendo di impugnare spada e scudo e partire alla volta di Zarandal. Mentre cercava di recuperare un respiro regolare e trovare con i piedi il pavimento, Akram parlò. Forse era stata una sua impressione dovuta al suo stato di confusione ma non aveva visto Naro chiedergli di parlare.
“Partire alla volta di Zarandal senza una strategia è una follia. Lì il potere della grande ombra è mille volte più grande. C’è ancora tempo prima che la barriera minacci di cedere.”
La sacerdotessa si voltò a bruciarlo con lo sguardo ma trovò solo l’uomo bestia. La figura del mercenario era interamente coperta da quella del Nagrod.
“Il signore dei Nagrod ha ragione” intervenne Mars “dobbiamo elaborare una strategia”.
“Quale strategia ramingo? Per anni la tua gente non ha saputo fare altro che dare la caccia ad un uomo che non potevate toccare!” Gridò Seifer e Mars scattò in piedi ferito nell’orgoglio.
“Non siamo qui per parlare di questo”.
La voce di Loran Valentine risuonò nell’aria ferma e possente. Si alzò.
“Somma sacerdotessa, ci state forse suggerendo di sguainare le armi e riunire di nuovo le bestie sacre per affrontare la grande ombra? Volete che diamo credito alla profezia cantata oltre venti anni fa? Pensate che noi siamo più meritevoli dei nostri genitori e possiamo riuscire dove loro hanno fallito? Non sarebbe più saggio valutare con maggiore tempo ed informazioni una decisione simile? Quale vantaggio immediato avremmo dal riunire adesso le sfere?”
“Figurarsi!” esclamò Garan Berser che fino a quel momento aveva taciuto “Ecco il nostro potente viceré mettere in campo l’unica arma che gli si abbia mai visto impugnare, le sue spie! Io dico che non ritroveremo la sfera rubata con le informazioni, né abbatteremo con esse la grande ombra!”
“Voi invece, nobile Garan, quante battaglie avete combattuto?” chiese sprezzante Seifer “Non vi ho mai incontrato nelle mie campagne! Forse avete abbattuto pesci in quantità nelle vostre isole per irridere in modo simile il figlio di un grande generale dell’impero!”
“Il figlio di un assassino!” urlò Mars battendo il pugno sul tavolo.
Aeris sentì un’ombra crescere nel suo cuore e capì che non stava facendo quello che Albered si aspettava o le aveva chiesto. Chiuse gli occhi e cercò di scacciare quella orribile sensazione. Li riaprì e parlò.
“Qualunque impresa i nostri avi abbiano compiuto non è oggetto di questo consiglio!” La voce dell’imperatore risuonò decisa e cristallina. Aeris cercò lo sguardo di Akram ma il mercenario era ancora nascosto dietro il gigante peloso che sembrava volerlo proteggere dagli occhi di Asaline “Non è in discussione se si debba o no recuperare le sfere che mancano. Dobbiamo solo decidere se questo compito debba essere o meno svolto da noi in prima persona o delegato. Vi prego pertanto di esprimere uno per volta il vostro pensiero.” Aeris tornò a sedersi. La sacerdotessa si alzò.
“Prima che esprimiate il vostro voto vi ricordo, guardiani di Aeria, che siete i figli dell’impero. Nella convocazione e nella partecipazione a questo consiglio c’è un patto insito. Presa la decisione, tutti dovranno ottemperarla pena la perdita dei diritti derivanti dalla condizione di guardiano di Aeria. La parola al viceré” concluse sedendosi.
Loran odiava parlare per primo. Doveva esporsi senza sapere come la pensavano gli altri. Strinse i pomi dello scranno per prendere tempo. Sembrava riflettere. In realtà ripassava diverse strategie elaborate nella notte insonne.
Si trovava tra nemici. Ma quale di essi era il meno pericoloso? Quale posto doveva prendere sulla scacchiera? Si alzò.
“Con riguardo allo stregone Norren riterrei opportuno seguire l’indicazione suggerita dal generalissimo, nessuno meglio di lui conosce le caratteristiche di questo nemico e sono certo che se si è introdotto qui ed è scappato indenne è solo perché la casa mancava del suo guardiano.” Loran si fermò e prese un respiro. Guardò Seifer sorridere compiaciuto. La sacerdotessa invece tormentava un lembo del proprio abito. Riprese a parlare.
“Con riguardo alla riunione delle sfere devo essere prudente e affermare che, in mancanza della sfera di Cattedra, non svelerò il luogo in cui si trova quella di Faleria. Tuttavia” proseguì guardando l’imperatore “se vostra altezza lo ordinerà, rivelerò a vostra altezza e solo a voi la sua esatta ubicazione”.
Fu chiamato a parlare Garan.
“Io penso che non ha senso cercare Norren se le altre sfere sono al sicuro. Lui verrà da noi. Dobbiamo solo decidere dove tendergli la trappola! Il generalissimo non é forse sulle sue tracce da mesi? Pertanto non esporrò la mia sfera a tanti pericoli se non si procederà contro la grande ombra. Abbiamo ricevuto l’incarico di custodirla fino ad allora.”
Toccò a Mars.
“Io non ho una sfera da offrire. Se vorrete inviarmi a cercarla, lo farò. Voglio dirvi una cosa sulla grande ombra. Non possiamo distruggerla senza la magia della dea. L’ombra è potente. Neanche il generalissimo con tutte le sue armate può annientarla. La speranza contro la grande minaccia è riposta solo nell’ala di nuvola. Del resto lo scudo gli appartiene di diritto!”
Tutti vociarono, Seifer parlò.
“Stai forse dicendo, ramingo, che lo scudo debba essere consegnato all’imperatore? Magari con tutte le sfere? Questo è ridicolo!” disse Seifer ridendo “Vostra altezza mi perdonerà se sottolineo che non ha mai preso parte ad una battaglia e che tutti a corte sanno che soffre di una grave malattia, motivo per cui l’esercito della Mano delle Nazioni ha accettato che non partecipasse mai ad uno scontro nonostante ne incarnasse l’alto comando!” Lady Asaline si alzò.
“Silenzio. E’ l’opinione della Doreria. Si esprimano i due troni ora!” disse indicando Lord Naro.
Akram riapparve da dietro la possente figura e guardò il guerriero. Si scambiarono un cenno d’intesa e poi parlò.
“Lord Naro dice che vuole cercare personalmente il responsabile del furto della sfera che un tempo veniva custodita a Tesla. Che non ritiene necessario sapere dove vengano custodite le altre sfere ma che, se esse devono essere riunite, debbano essere consegnate all’imperatore.”
Aeris vide la sacerdotessa sorridere. Asaline alzò una mano e prese nuovamente la parola.
“Dunque la Faleria appoggia la proposta del generale di lasciare all’esercito la ricerca di Norren. Due voti. Lord Berser ritiene che si debba attendere una nuova mossa dello stregone. Un voto. I voti della Doreria e di Tesla indicano la volontà di una ricerca da parte dei guardiani stessi. Due voti. Altezza tocca a voi. Cosa decidete?”
Tutti guardarono la figura dell’imperatore che sembrava risucchiata dal trono in cui era seduto. Aeris si liberò di quella prigione e si alzò.
“Io sono Aeris Strifen, imperatore di Aeria. Sono figlio di mio padre e conosco il mio destino. Prendo atto che la famiglia Hornet ha fiducia in me. Prendo atto che la stessa fiducia nutre Lord Valentine che è disposto persino a rivelarmi l’ubicazione della sfera della Faleria. Se è anche desiderio di Lord Naro partire alla ricerca delle sfere, allora ritengo che sia giunto il tempo di mettere da parte la salvezza della mia persona e fare quanto mi suggerisce il mio primo generale che giustamente mi accusa di non avere mai preso parte ad una battaglia. Fino ad ora. Oggi io vi dico che sono, a tutti gli effetti, al vostro fianco”. Aeris tacque.
Loran aveva ascoltato l’ultima parte guardando fisso negli occhi Seifer. Il generale aveva perso. Nel giro di poche ore sarebbe stato relegato in un angolo dall’astro nascente dell’imperatore che prendeva il comando. Si complimentava con se stesso per essere riuscito ad appoggiare l’imperatore senza tradire palesemente il generale. Si voltò a guardare la somma sacerdotessa ma ciò che vide gli rovinò quel momento di trionfo personale. Lady Asaline sorrideva compiaciuta come se quello che aveva voluto fin dall’inizio fosse stato il trionfo di Aeris Strifen.
Tutti si riaccomodarono ma Seifer rimase in piedi. Non era ancora finita per lui.
“Dunque mi congratulo con voi, altezza, per la vostra decisione. Ritengo però che se una spedizione debba essere organizzata, abbiate bisogno di una guida che sappia condurvi oltre le mura del vostro palazzo e soprattutto che sappia impugnare la spada!” disse sprezzante “C’è la consuetudine, quando un soldato più giovane viene chiamato a ricoprire un ruolo di comando, che debba battersi con il suo superiore per dimostrare le sue virtù. Voi altezza siete senz’altro più giovane del sottoscritto. Vogliate conferirmi il massimo onore di battermi pubblicamente in modo che possiate dimostrare la vostra forza e il vostro diritto al comando!”
“Sua altezza è già più alto in grado di Voi Lord Wiltord, non è tenuto a dimostrare niente!” urlò Mars.
“Volete battervi al suo posto? Non sarei tenero con voi come con l’imperatore! Ve ne prego datemi il pretesto di uccidervi Hornet!” disse Seifer con gli occhi furenti.
“Basta!” urlò Loran con le fiamme nello sguardo e senza più diplomazia “Questo comportamento è oltraggioso dinanzi all’imperatore.”
“La sfida è lanciata altezza, a voi la risposta!” riprese Seifer.
“Altezza, non dovete per forza” stava per dire Asaline quando vide Aeris in piedi, la mano destra sull’elsa della spada. Non osò proseguire.
“Lord Wiltord vi ringrazio per l’onore concessomi. Saprò ripagarvi. Mi batterò ma sono stupito. Mi avevano detto che siete un grande stratega” disse scendendo alcuni gradini e posizionandosi di fronte all’avversario.
A guardarli non c’era da pensare molto su chi avrebbe avuto la meglio in combattimento. Aeris era più basso ed esile di Seifer. D’un tratto però gli occhi di Aeris si illuminarono e sembrò che l’imperatore fosse mille volte più potente dell’altro. Le sue parole intrise per la prima volta di una sinistra malizia. “Mi avevano detto che siete un grande stratega, ma quale grande stratega si lancia a viso aperto contro ad un avversario di cui non conosce nulla?”
Seifer strinse i pugni e non vide né udì più nulla.
Non sentì lady Asaline chiudere il consiglio, né vide i presenti lasciare la sala.
Si riprese da quelle parole solo quando la luce del sole aveva abbandonato la stanza. Nell’oscurità senti il suo cuore riprendere un battito normale. Nell’oscurità senti una mano fresca e minuta prendergli un polso e trascinarlo fuori da quella stanza.

“Si batteranno!”
Grifis aveva sentito solo questo mentre risaliva la lunga scalinata che dai giardini conduceva ai corridoi della torre. Il suo cuore aveva preso a correre all’impazzata. Le sue gambe lo avevano seguito.
Di lì a pochi istanti era nella camera di Aeris. L’aprì con violenza e guardò dentro. Non la vide subito nella luce che entrava dalla finestra. Era in piedi, i capelli disfatti , la blusa sbottonata, la corona in una mano.
No, non in una mano. Stava cadendo in terra. La corona dell’impero. La mano di Aeris invece stava andando alla sua fronte. Aeris sorrideva.
“Non sai che fatica Grifis, avevi ragione amico mio” disse mentre si lasciava cadere sul pavimento.
Due passi e la sua guardia del corpo l’afferrò impedendole di cadere. La sollevò e la depose sul grande letto. Aeris sembrava sofferente.
“Guardie!” Due uomini entrarono di corsa.
“Chiamate Albered!” Il primo ministro non si fece attendere.
“Che succede?”
“E’ svenuto.”
“Fai uscire tutti, devo togliergli gli abiti”.
Grifis spinse tutte le ancelle e i soldati fuori dalla camera e la chiuse a chiave. Corse alla finestra e chiuse anche quella. In pochi istanti Aeris riprese a respirare normalmente e aprì gli occhi.
“Come stai?” chiese Grifis.
“Sto bene. E’ stato solo un capogiro. Troppa tensione”. Albered annuì.
“Ora raccontaci cos’è successo” chiese il primo ministro.
Aeris raccontò tutto. Lentamente ma con dovizia di particolari. Dalle schermaglie tra i presenti alle decisioni prese, alla sfida che aveva accettato.
“Ma hai perso la testa? Batterti con Seifer Wiltord? Quell’uomo ti farà a pezzi!” urlò Grifis.
“Grazie per la fiducia. Ora so che non scommetterai su di me!” si sforzò di sorridere Aeris.
“Ma senti cosa dice? Albered parlale tu. Anzi alzati e vai a dire al generale che Aeris è malato e non può combattere!”
“Non si può”, rispose l’uomo.
“Che vuol dire non si può? Aeris non può combattere!”
“Non è uno scontro d’armi. E’ una battaglia tra poteri. Non è detto che Aeris debba uscirne perdente, la sua forza magica forse è superiore a quella di Seifer.”
“Pazzi. Due pazzi! Ma io non lo permetterò. Ho giurato a Kalendis Strifen che avrei protetto l’erede al trono. Non intendo disattendere alla promessa. Manderò un messaggio al generalissimo e gli dirò che combatterò io in vece dell’imperatore. In fondo sono il suo campione, no?”
“Grifis!” la voce di Aeris risuonò decisa “le regine hanno un campione. I re combattono da soli. Io mi batterò per dimostrare a Seifer Wiltord che merito il rispetto di tutti. Se non lo farò, nessuno si fiderà di me. Se questo momento non doveva arrivare prima o poi, perché tutte quelle ore di allenamento? Perché tutti questi anni di sacrifici? E’ giunto il momento che io faccia da me. Seifer non è l’eroe che mi aspettavo. E’ un vigliacco presuntuoso. Mi ha insultato per tutto il tempo. Bada non lo faccio per questo. Lo faccio perché è malvagio. Se guidasse lui la spedizione per la ricerca delle sfere, finirebbe per tenerle tutte per sé. Lo so, lo sento. Inoltre se lo batterò, gli altri guardiani sapranno che il diritto di guidarli non è solo mio per nascita. Dunque ti prego, fidati di me. Di certo c’è un modo per batterlo. Non mi farò ammazzare, cosa credi? Ricordi cosa ci diceva mio padre prima di combattere? Che prima della sconfitta c’è sempre una cosa che possiamo fare. Arrenderci!”
Aeris parlò per rassicurare Grifis ma lui non si voltò. Ricordava che quando re Kalendis glielo diceva, loro due rispondevano sempre all’unisono ‘piuttosto la morte’. L’angoscia che era calata su di lui non se ne sarebbe andata fino a che non avesse saputo l’esito di quella battaglia.

“Non era questo quello che volevo” disse il ragazzo sfregiato “non doveva andare così. Ora la vita dell’imperatore è in pericolo prima ancora che la ricerca delle sfere abbia inizio. Non avrei dovuto provocare Wiltord!”
“Se non è neppure in grado di combattere contro Seifer Wiltord, allora non ha speranza alcuna di servire ad altro scopo” gli rispose l’uomo vestito di nero.
“Tu non vuoi capire. L’imperatore deve vivere. Almeno fino a che non avrò ritrovato la sfera della Doreria e ristabilito la mia casata! Seifer lo farà a pezzi! Quel ragazzo non ha mai combattuto. Credevo si sarebbe tirato indietro, che avrebbe trovato un modo per non battersi”.
“Invece si batterà. Voglio proprio vedere come se la caverà. Certo Asaline non permetterà che uno dei due muoia.  Di questo sono sicuro. Questo piccolo Strifen è all’altezza delle mie aspettative!”
“Ti diverte? Ti ricordo che anche i tuoi piani andranno in fumo se l’imperatore muore!”
“Non morirà. Hai la mia parola.”
“Hai giurato. E io ho dato la mia parola.”
“Non mancherò e neppure tu. Ora vai. Non devono vederci parlare. Neanche Naro.”
Mars Hornet lasciò la tenda dei Nagrod che era già notte fonda. Tra poco si sarebbe levato il sole e Aeris Strifen e Seifer Wiltord si sarebbero battuti alla presenza dei nobili della corte di Cattedra sull’altura del fiore, la cima più alta del santuario della dea.

“Ottimo lavoro figlio mio!” esclamò la donna non appena il figlio le ebbe narrato di come si era svolto il consiglio.
“Mediocre madre! Tu avresti saputo fare meglio. La conclusione di tutto questo parlare è che Seifer ha sfidato l’imperatore. Domattina all’alba si batteranno e non sono così certo che l’abilità di Aeris Strifen con la spada eguagli quella che possiede con le parole”.
“Questo certo non ci voleva. Quel tuo cugino ha le peggiori doti di mio fratello! Testardo e troppo fiducioso delle sue qualità!”
“Dimentichi la migliore. Crudele!”
“Suvvia, crudele. Che cattiveria da parte tua! E’ un Weird! Sono creature strane. Intendono il mondo in un modo diverso dal nostro.”
“Certo madre. E’ comodo intendere il mondo in modo che ogni cosa soddisfi i nostri desideri. Se domani Aeris dovesse soccombere, preparati ad un mondo in cui saremo tutti ai piedi di Seifer Wiltord. Credimi non distinguerà i suoi parenti dai suoi peggiori nemici!”
Kyria guardava il figlio camminare avanti e indietro nella stanza che ora sembrava una piccola cella di una prigione. Qualcosa lo turbava e non poteva semplicemente essere lo scontro tra il cugino e l’imperatore.
“C’è qualche altra cosa che non mi hai detto? E’ successo qualcosa tra te e Hormet?”
La domanda arrivò a bruciapelo. Loran sapeva che la madre lo conosceva meglio di chiunque altro e, proprio per questo, confidava nel fatto che mai avrebbe tirato in ballo Mars.
Si fermò dando le spalle alla donna e strinse i pugni.
“Ha detto che sono il figlio di un assassino.”
“Lo dice da molti anni. Non ti crucciare. Tuo padre ha fatto quel che ha fatto. Tu sei una persona diversa. Ne abbiamo parlato tante volte.”
“Seifer ha detto che se ne avrà l’occasione, avrà piacere ad ucciderlo.”
“E tu che ne parli male!” esclamò Kyria per sdrammatizzare. Il figlio però reagì malissimo. I suoi occhi erano divorati dalla sacra Xantes. Scaraventò un vaso lontano mandandolo in mille pezzi.
“Voglio restare solo!”
“Loran ascoltami”, provò a dire lei.
“Voglio restare solo. Per favore”, disse lui più calmo. La sacra Xantes non bruciava più. Era volata via dal suo cuore. Kyria obbedì e pensò che le ferite nell’animo del figlio erano ben lontane dall’essere rimarginate.

L’alba si affacciava appena, timida all’orizzonte, che tutti gli interessati erano già sull’altura.
Garan si era accomodato su una roccia e aspettava con gli occhi chiusi. Loran Valentine aveva chiesto inutilmente a sua madre di non salire al tempio. Aveva uno strano presentimento. La donna però l’aveva ignorato e si era unita alle ancelle della somma sacerdotessa che aveva fatto disporre alcune panche quasi stesse preparando uno spettacolo per la folla dei curiosi.
Tra questi curiosi si aggiravano anche Akram e Naro. L’uomo bestia non aveva smesso di scuotere il capo da quando era giunto a destinazione.
“Cosa cattiva. L’alferian non forte come il Weird. Il Weird oscuro.”
“Ho capito, Naro. Non ti piace il generalissimo. Siamo in due. Credi che l’imperatore verrà sconfitto?”
Naro non riuscì a rispondere perché uno squillo di trombe annunciò l’arrivo dei due contendenti.
Seifer indossava una semplice tunica argentata infilata in un paio di pantaloni neri. Impugnava una spada lunga e sottile senza custodia. I capelli erano stati legati in una coda bassa che seguiva il movimento del vento. Tra le sacerdotesse, silenziosa, se ne stava anche Layla che era rimasta con Seifer sin dalla fine del consiglio. Aveva anche lei un cattivo presentimento e stringeva un amuleto benedetto nel tempio di Serian.
Aeris indossava un’uniforme dei grifoni dorati e alla sua cintura si poteva riconoscere la leggendaria spada che aveva ucciso Zion. L’abito bianco e oro sembrava replicare i colori del volto dell’imperatore. Anche Aeris aveva legato i capelli dorati in una coda che terminava in una treccia sottile. Al suo fianco, Akram riconobbe la sua guardia personale.
“Dovrò battermi con entrambi?” chiese ridendo Seifer alludendo al fatto che Grifis sembrava non voler abbandonare il terreno di scontro. A quelle parole Grifis fece alcuni passi indietro e si allontanò senza smettere di fissare l’esile figura di Aeris. Aveva ordinato a Marine di rimanere nelle sue stanze per timore che la ragazza potesse commettere qualche sciocchezza ma sapeva che l’unico che poteva nuocere all’onore dell’imperatore era lui che desiderava solo saltare al collo di quel farabutto e portare Aeris al sicuro. Si trattenne e si defilò prendendo posto vicino ad Albered.
“Allora si è deciso, altezza?” fece Seifer puntando la spada verso l’alferion.
“Sono qui. Cominciamo quando vuoi” fece Aeris con decisione.
“Per cominciare un combattimento, altezza, bisogna sguainare una spada. Forse non avendo mai preso parte ad un combattimento, non conoscete le regole d’ingaggio!” A queste parole, i suoi soldati risero.
“Non estrarrò l’ala di nuvola se non sarà davvero necessario”, fece Aeris toccando l’elsa.
“Allora mi toccherà fare in modo che sia necessario!” urlò Seifer lanciandosi all’attacco. Aeris non si mosse e sollevò solo una mano. Un vento fortissimo si sollevò e le fece da scudo.
“Vuole usare la magia”, disse Loran a sua madre “crede che così lo scontro volgerà a suo favore.”
“Potrebbe darsi”, gli rispose Kyria.
“Non lo so. Vedremo.” La voce del generalissimo li richiamò tutti all’attenzione.
“La vuoi mettere su questo piano, Aeris? Ti accontento subito. Tempesta di ametista!” Una pioggia di schegge di ametista cadde addosso all’imperatore. Aeris si protesse con lo scudo di vento che aveva già adoperato anche se un paio di frammenti le ferirono il viso e una gamba.
“Intendi difenderti e basta? In tal caso lo scontro finirà anche prima del previsto!” fece lui scagliandosi con la spada addosso ad Aeris. Grifis fu trattenuto a stento da Albered. Anche Akram portò istintivamente la mano alla spada che nascondeva sotto il pesante mantello nero. Il rumore che udirono tuttavia non fu quello che si aspettavano. Seifer aveva tagliato in due una colonna. Aeris era sparito davanti ai suoi occhi per riapparire alle sue spalle. Con il suo avversario ancora sconcertato per aver mancato un bersaglio tanto facile, Aeris invocò uno spirito dell’aria e lo scagliò sul suo nemico.
“Non basterà un incantesimo che sanno fare anche i bambini a sconfiggermi!” gridò di nuovo Seifer “E questa volta non ti permetterò di sfuggirmi con la smaterializzazione.”  Aeris vide il generale della Mano delle Nazioni sollevare di nuovo la spada e si chiese cosa dovesse fare. Era più forte fisicamente. Non poteva batterlo su quel piano.
“Non aver paura di usare la spada che porti al fianco.” Aeris sentì la voce nella sua testa e non riuscì a capire a chi appartenesse “Combatti, sei l’ala di nuvola!”
La ragazza impugnò la spada e sentì provenire da essa un’energia fortissima. Aveva sempre immaginato che fosse pesante a giudicarla dal suo aspetto ma sguainarla fu più facile del previsto.
Il metallo della spada di Seifer stridette contro quello della lama magica mentre i presenti si alzarono in piedi per lo stupore. L’imperatore teneva testa al generalissimo in uno scontro fisico. Nessuno credeva ai propri occhi. Persino Aeris ne rimase stupita.
“Allora sai combattere! Da qui a pensare che tu possa battermi, la strada è lunga, lo sai vero?” disse Seifer a denti stretti, occhi negli occhi con Aeris.
“Te l’ho già detto. Hai sbagliato a gettarti a capofitto in uno scontro con un nemico che non conosci.”
“Fai lo sbruffone, altezza?”
“E tu, generalissimo?” Il ragazzo sorrise e respinse il suo attacco. Aeris assunse una posizione difensiva presupponendo un nuovo affondo ma Seifer conficcò la lama della sua spada nel terreno e allargò le braccia.
“Facciamola finita! Sorgi dal fondo dell’oceano oscuro e domina, Oni nero!” pronunciò Seifer mentre un’ombra nera si materializzava alle sue spalle e cresceva a dismisura assumendo le fattezze di un gigante di pietra. Tutti gli spettatori si fecero indietro intimoriti dalla creatura invocata dal giovane comandante.
“Non posso crederci! Ci è riuscito!” esclamò Loran “Ha creato un’invocazione. Ora ha la sua bestia sacra. Se l’imperatore non invoca Bashenian, non riuscirà a batterlo.”  Sua madre gli prese una mano tra le sue e lo tirò indietro. Grifis, che aveva ascoltato le parole del viceré, strattonò Albered.
“Poni fine a questa follia! Non è più uno scontro dimostrativo!” disse a denti stretti.
“Non lo è mai stato. Tocca ad Aeris decidere. Se l’imperatore non si tira indietro, chi sono io per decidere al suo posto?”
“Albered!” gridò Grifis che tornò a guardare Aeris. Poteva lasciare che affrontasse una cosa simile? Si guardò il polso e vide che la pietra che aveva incastonata nell’armatura e che entrava in risonanza con quella che aveva dato ad Aeris, non brillava. Possibile che anche in quella situazione, non volesse il suo aiuto? La guardò e la vide. Piccola, insignificante davanti alla creatura di Seifer.
“Ammetti la sconfitta e risparmierò la tua vita, imperatore”, disse lui ridendo.
“E, di grazia Seifer, di cosa dovrei vivere dopo?” Tutti udirono la sua risposta e videro l’imperatore allargare le braccia. Akram pensò, per un momento, che quel moccioso stesse pensando di farsi uccidere. Non sentiva provenire da lui nessun influsso magico che facesse pensare che stesse per fare un incantesimo.
Aeris rinfoderò invece la spada e unì i palmi delle mani davanti al petto.
“Se vuoi morire è affar tuo! Oni nero!” gridò Seifer. La creatura si lanciò addosso all’alferian sollevando polvere e pietre.
“Dalle profondità della terra agli abissi del cielo, ovunque tu sia vieni a me, Bashenian” sussurrò Aeris tra sé allargando i palmi verso l’esterno. L’Oni abbatté entrambi i pugni su Aeris e tutti i presenti gridarono.
Quando la polvere svanì però dell’Oni non c’era più traccia. Un grifone enorme stava davanti alla figura dell’imperatore con entrambe le ali spiegate. Il suo verso riempì l’aria e il suo sguardo si puntò sulla figura del generalissimo. La voce del suo guardiano lo congedò.
“No, Bashenian. Ritirati ora.” La bestia si alzò in volo e svanì com’era apparso.
“Perché lo hai rilasciato? Non sono ancora sconfitto!” gridò pieno di rabbia Seifer.
“Perché la lotta non riguarda le bestie sacre. Solo noi.”
“Te ne pentirai!” fece Seifer scagliandosi di nuovo contro Aeris. Questa sguainò la spada e parò il colpo. Le energie per invocare Bashenian però l’avevano indebolita e finì in ginocchio ferita ad un braccio.
“Aeris!” gridò Grifis divincolandosi da Abered e lanciandosi verso di lei. Non riuscì a raggiungerla però poiché Akram lo bloccò.
“Si sta battendo bene. Se ora lo aiuti, perderà il suo onore e il riconoscimento di cui ha bisogno.”
“Lasciami, maledetto. Seifer lo ucciderà e io non lo posso permettere.”
“Non ha ancora perso”, disse Akram e Grifis vide Aeris rimettersi in piedi seppure a fatica. Stavolta tutti e due i contendenti si lanciarono l’uno contro l’altro e le loro spade si incrociarono di nuovo.
“Senza la tua preziosa bestia sacra non vali granché, altezza!”
“Questo lo dici tu!”
Occhi negli occhi, non volevano rinunciare. Eppure qualcosa li fermò entrambi. Nello stesso momento. Una voce li chiamava per nome e chiedeva loro di fermarsi. Seifer sentì gli occhi farsi lucidi. La voce era quella di sua madre. Sua madre gli chiedeva di risparmiare Aeris Strifen?
Allo stesso modo Aeris sentì la voce della propria madre che gli chiedeva di risparmiare la vita di Seifer Wiltord. Aeris aveva perso la madre nel momento del parto e non l’aveva mai conosciuta ma sapeva che era lei. Poteva sentire il calore col quale aveva imparato a riconoscerla provenire dal punto in cui la sua spada e quella di Seifer si stavano scontrando. Arretrò.
Asaline si chiese cosa stesse accadendo quando un urlo straziante riempì l’aria. Uno yomi di proporzioni enormi si levò dal burrone su cui si trovava l’altura. I presenti gridarono e cominciarono a correre per la paura del contagio. Loran si alzò e invocò Xantes la sua bestia sacra avente forma di fenice. Con le sue ali di fuoco protesse le ancelle, lady Asaline e sua madre che tentavano di trovare riparo riscendendo a Cattedra.
Mars sciolse la frusta che portava alla cintola e colpì diverse rocce alle quali il mostro tentava di aggrapparsi per risalire il dirupo sperando di ricacciarlo indietro.
Grifis si tolse di dosso Akram e corse verso Aeris.
“Vieni via di qui. Al riparo.” Aeris annuì ma in quel momento vide Seifer superarli e lanciarsi contro lo yomi.
“Sorgi dal fondo dell’oceano oscuro e domina, Oni nero!” gridò il generale mentre di nuovo la sua invocazione si materializzava dal nulla e attaccava lo spettro.
“Porta l’imperatore lontano da qui!” urlò Mars mentre una pioggia di fulmini cadde addosso allo yomi. Grifis prese per un braccio Aeris e la strattonò allontanandosi dal terreno di scontro.
Accadde tutto in pochi istanti.
Lo yomi reagì distruggendo l’Oni nero di Seifer. Quest’ultimo cadde a terra privo di sensi. Loran lo vide in terra e si lanciò verso di lui. Un fulmine lo centrò in pieno lasciandolo svenuto sul posto. Aeris urlò.
“Seifer! Grifis devo aiutarlo, lui si è gettato nella battaglia mentre io sto fuggendo. Devo andare in suo aiuto!”
“No, tu ora torni a Cattedra!” le gridò il cavaliere.
“No! Non voglio, non posso. Io devo farlo!” pianse Aeris “Non chiedermi perché, devo!” Grifis chiuse gli occhi e prese un respiro.
“Vado io. Tu resta qui, per l’amor di Serian.” Aeris vide Grifis lanciarsi verso il corpo esanime del generalissimo. Lo vide superare per ben due volte gli arti dello yomi che cercavano di distruggere ogni cosa fosse sul suo cammino. Lo vide raggiungere e sollevare Seifer con fatica. In quel momento anche lo yomi s’accorse di loro e tornò sui suoi passi. Aeris urlò e si mise a correre verso la creatura fatta come di un intenso vento nero e porpora.
“Sono qui!” gridò “Guardami!”
Lo yomi parve perdere interesse per Grifis e Seifer e si voltò verso di lei. Aeris gli diede le spalle e si mise a correre. Si rese conto troppo tardi di correre verso il dirupo. Grifis mollò la presa su Seifer e la inseguì.
Aeris raggiunse il dirupo e si fermò. Ormai era in trappola. Il fondo del crepaccio da un lato e lo yomi dall’altro. Fu allora che Akram si parò tra lei e la bestia. Teneva una mano sollevata come se volesse invitare lo yomi a toccarlo. Aeris giurò che gli stesse parlando.
“Qui nessuno vuole farti del male. Fermati e torna indietro.”
La creatura si ritrasse ma in quel momento Grifis giunse con la spada sguainata e lo yomi reagì sbattendo la propria coda enorme al suolo. Il pezzo di terra in cui erano Aeris e Akram si staccò dalla montagna. Akram si voltò verso Aeris urlando.
“Salta!” E Aeris saltò, anche se sapeva che non avrebbe mai potuto raggiungere il crinale. Si sentì cadere e pensò che sarebbe precipitata quando la mano di Grifis l’afferrò per un polso. Lei ricadde lungo la parete rocciosa e sentì un dolore fortissimo alla gamba destra.
“Aeris, reggiti. Trova un appiglio!” gridò Grifis mentre alle sue spalle lo yomi veniva distrutto dalle invocazioni di Garan e Mars.
“Non ce la faccio, Grifis. Fa male.”
“Ho detto: trova un appiglio, Aeris. Per favore.”
“Grifis, non ce la faccio.” Il ragazzo guardava il volto terrorizzato di Aeris consapevole che stava per precipitare. Sentiva la presa venire lentamente meno a causa del sangue stesso di Aeris che gli inumidiva la mano.
“Coraggio, Aeris, ti tiro su.”  In quel momento però le sue dita piccole, troppo piccole per avere una presa salda, si staccarono dalla sua mano e lui la vide cadere. E allontanarsi da lui, farsi via via più piccola, ingoiata dall’oscurità del crepaccio. E perdersi per sempre. Per sempre? Si chiese nel momento in cui una macchia nera gli passò affianco e volò giù nel dirupo dietro ad Aeris.

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Capitolo 11
*** Verità e menzogne ***


Capitolo XI
-Verità e menzogne-

Aveva chiesto troppo a se stessa? Forse era l’ultima cosa che poteva chiedersi dato che stava precipitando verso la fine. Grifis ne avrebbe sofferto infinitamente. Avrebbe voluto almeno voluto fargli capire che non doveva sentirsi responsabile se lei era stata ottusa e incapace di essere all’altezza del ruolo che avrebbe dovuto ricoprire. Chiuse gli occhi e svenne per il dolore al braccio e alla gamba.
Non sentì un paio di braccia avvolgerla come le spire di un serpente.
Non percepì la voce che pronunciava l’invocazione.
“Sollevati e distendi le ali richiamato dai ghiacci eterni, Naga!” Il drago nero apparve ubbidiente agli ordini del suo invocatore e si frappose tra il suolo e i due che precipitavano. Quando Akram era ormai convinto che fossero salvi, strinse di più Aeris e percepì qualcosa che annullò completamente la sua concentrazione. Naga svanì nel nulla e lui fece appena in tempo a proteggere Aeris col suo corpo prima che l’impatto con il terreno lo tramortisse.
Quando Akram riaprì gli occhi, il sole stava tramontando. Sul suo petto giaceva, privo di conoscenza, l’imperatore. L’uomo scostò una ciocca di capelli dal suo viso e toccò il suo collo. Era ancora in vita. Provò a sollevarsi ma un dolore lancinante all’addome lo immobilizzò. Uno spuntone di roccia aguzzo e sottile si era infilato nelle sue carni e gli impediva di muoversi. Mosse il corpo di Aeris per vedere se anch’esso era stato trafitto ma fu sollevato dal vedere che, anche se la sporgenza lo aveva passato da parte a parte, all’altezza del suo torace non c’erano ferite.
“Dannazione, davvero una bella magia, altezza. Mi lanciò per salvare un imperatore e mi ritrovo tra le mani una principessa!” disse Akram prendendola per le spalle “Ci è quasi costato la vita.”
Provò a farla rotolare al suo fianco ma Aeris perdeva sangue anche dalla fronte e non voleva farle fare movimenti troppo bruschi. Prese un respiro e fece forza sui gomiti. Mentre si alzava, sentiva la carne lacerarsi contro la roccia. Non emise un gemito fino a che non riuscì a liberarsi completamente. Posò l’imperatore per terra e si toccò la casacca bagnata dal suo sangue. Concentrò il potere del ghiaccio in una mano e fermò l’emorragia congelando la ferita. Si guardò l’addome e pensò che per un po’ quel rimedio poteva tenerlo in vita. Guardò Aeris ancora priva di sensi e si chiese perché mai, poi, s’era gettato in quel crepaccio per salvare il suo peggior nemico. Aveva promesso a Mars che avrebbe tenuto in vita l’imperatore ma a costo della sua stessa vita? Questo non l’aveva fatto. Anzi! Aveva detto chiaramente al cugino che non avrebbe mai potuto stringere un’alleanza duratura con un alferian.
Le cose cambiavano scoprendo che Aeris Strifen in realtà era una ragazza? No, di certo. Lui desiderava solo la vendetta e non gli dispiaceva sapere che il collo dell’imperatore di Aeria era più facile del previsto da spezzare. Allungò una mano verso di lei ma non la toccò. In quel momento, guardando con attenzione, s’accorse che indossava una particolare uniforme che ne nascondeva le reali forme. Se non l’avesse stretta nel momento dell’invocazione in cui i suoi sensi venivano acuiti dal potere di Naga, non si sarebbe mai accorto dell’inganno.
Questo significava che l’impero non aveva alcun erede. Kalendis Strien non aveva avuto figli maschi. Una volta svelato il segreto di quella ragazza, chi avrebbe reclamato il trono? Valentine o Wiltord? Nessuna delle due opzione gli piaceva.  In quell’istante il viso di Aeris fu attraversato da una smorfia di dolore e lei aprì gli occhi.
“Non muoverti. Siete ferito, altezza”, disse Akram inginocchiandosi al suo fianco e decidendo solo allora di reggere la sciarada della ragazza.
“Akram, sei tu? Dove siamo?”
“In fondo al crepaccio.”
“In fondo?”
“Siamo precipitati, altezza.”
“Sei precipitato anche tu? Ti ho visto saltare.”
“Sì ma non ce l’ho fatta.”
“Sei ferito?”
“Solo qualche taglio superficiale.” Aeris guardò verso l’alto e tornò a fissare il mercenario.
“Come sono sopravvissuto?”
“Fortuna, credo.”
“E tu?”
“Più fortuna.” Aeris sorrise ma una fitta più forte l’attraversò e s’irrigidì. Akram fece per aiutarla a muoversi ma lei si ritrasse. Lui si scusò.
“No, Akram, non è colpa tua. Non sono abituato alla vicinanza di persone estranee.”
“Lo capisco. Provo ad accendere un fuoco, limitate i movimenti. Avete una gamba fratturata e un taglio profondo al braccio. La ferita alla testa è superficiale.”
“Akram, per favore, non smettere di parlare.” Il mercenario si alzò e raccolse dei tronchi secchi sparsi nella radura.
“Non sono bravo ad intrattenere lunghe conversazioni, altezza.”
“Se qualcuno mi parla, sento meno il dolore. Da bambino, una volta,  sono caduto da cavallo e Albered mi ha steccato una gamba. Grifis ha passato tutto il tempo a parlarmi e io non mi sono quasi accorto di nulla.”
“Io non somiglio neppure lontanamente a quel tizio”, disse Akram stupendosi lui stesso del tono tagliente che aveva usato per sottolineare la differenza tra lui e il primo cavaliere della Balvaria.
“Scusami.” La voce di Aeris lo raggiunse debole e triste. Akram sentì l’impulso di voltarsi e scusarsi a propria volta.
“Scusatemi voi, altezza. Non sono stato educato a relazionarmi con le persone del vostro rango.”
“Non devi scusarti. Sono io quello da biasimare. In una situazione come questa, esprimere un simile capriccio è deplorevole.”
Akram si piegò sulla catasta di legno secco e sfregò due pietre che aveva preso da una tasca. Una fiamma bassa cominciò a divorare il legno e a scoppiettare vicino ad Aeris.
“Posso portarvi più vicino al fuoco?” chiese Akram. Aeris annuì e si lasciò sollevare per avvicinarsi alle fiamme che sembravano dare un leggero tepore.
“Grazie, Akram.” L’uomo non rispose e rimasero muti davanti al fuoco fino a che le stelle in cielo non brillarono forte.
“Che ne è stato dello yomi?” chiese ad un tratto Aeris. Akram rimase a fissare il fuoco che alimentava di tanto in tanto.
“E’ morto.”
“Mi dispiace”, disse Aeris e le sue parole costrinsero Akram a voltarsi e guardarla.
“Era solo uno yomi. Doveva morire.”
“Non necessariamente. Ho avuto l’impressione che si stesse allontanando da noi quando gli hai parlato.”
“Non gli ho parlato. E’ stata solo un’impressione. Non crederete che quei mostri possano provare qualcosa!”
“Provano dolore,” disse Aeris chiudendo gli occhi “l’ho percepito distintamente.” Akram si domandò se quel mucchietto d’ossa alle sue spalle non fosse davvero la creatura straordinaria e magica di cui parlavano i racconti. Forse se le leggende erano vere, anche la profezia che narrava della rinascita di Tesla poteva esserlo.
“Forse vostra altezza ha ragione e magari attaccano gli uomini per qualche motivo particolare che noi non comprendiamo.”
“Forse, Akram. Mi domando, però, perché lady Asaline non abbia mai pensato di scoprirlo. Potrebbe anche essere possibile salvare coloro che sono stati colpiti dal contagio.”
“Potrebbe o forse gli yomi sono perduti per sempre. Fossi in voi non mi fiderei troppo della somma sacerdotessa”, disse Akram un po’ per provocare una reazione di Aeris un po’ perché realmente intendeva metterla in guardia.
“Io non mi fido di lady Asaline.” Akram fu spiazzato dalla schiettezza di Aeris e, per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, rise.
“Ho detto qualcosa di buffo, Akram?” Lui scosse il capo.
“Rido perché confessate candidamente di non fidarvi di colei che dovrebbe essere la vostra prima alleata davanti a me che sono un mercenario. Potrei, io stesso, essere al soldo di Asaline.” Aeris lo guardò intensamente negli occhi poi sospirò.
“Questo è bizzarro!” disse sorridendo.
“Cosa è bizzarro?” chiese il mercenario.
“Vedi, Akram, io riesco a leggere i pensieri altrui. Con te però non ci riesco.”
“Sul serio? E i pensieri della sacerdotessa? Li avete letti?”
“No, lei ha usato un incantesimo di protezione, per questo non mi fido di lei.”
“Potrei averlo fatto anche io!”
“No. Non c’è nessuna barriera tra me e la tua mente. E’ solo che se provo a fissare i miei occhi su di te, è tutto, come dire, nebuloso.”
“Probabilmente è perché non sono una persona dalle idee molto chiare”, disse Akram ravvivando il fuoco.
“Non credo di avere bisogno di conoscere i tuoi pensieri per capire cosa c’è nel tuo cuore, Akram”, rispose Aeris “mio padre mi ha insegnato a non dare a ciò che dice la mente più peso di quello che può dire il cuore.”
“A me invece piacerebbe leggere i vostri pensieri, altezza.”
“Ne rimarresti deluso, temo.”
Akram la osservò stringersi il braccio e ne ebbe compassione. Si alzò con l’intenzione di metterle il suo mantello sotto la testa quando un rumore attirò la sua attenzione. Solo in quel momento si rese conto di non avere più la sua spada. Si voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire il rumore e incrociò un paio di occhi rossi.
“Aeris, ascoltami bene. Impugna la spada e rimani vicino al fuoco. Se ti resta un po’ di energia prepara un incantesimo di difesa. Ci sono dei predatori nascosti tra le rocce. Vado a vedere quanti sono. Con un po’ di fortuna, tornerò prima che osino avvicinarsi al fuoco.”
“Akram, aspetta!” L’uomo si voltò e vide il braccio sano di Aeris teso verso di lui. “Ora come ora non sono in grado di sollevarla. Prendi la mia spada.”
Akram fissò con gli occhi che scintillavano l’ala di nuvola e si chiese se quella ragazza fosse completamente pazza o sprovveduta. Consegnare in quel modo la sacra spada ad uno sconosciuto! Allungò una mano sulla spada che aveva ucciso Zion ma, nel momento di afferrarla, la ritirò.
“Non mi serve quella lama. Basterà un tizzone ardente per intimorire le fiere che si nascondono nel buio”, disse afferrando un pezzo di legno per l’estremità che non bruciava e allontanandosi. Aeris lo vide scomparire nell’alone delle fiamme e si puntellò sui gomiti sperando che non accadesse nulla al suo compagno.

Grifis camminava da ore alla guida della strana compagnia che era partita alla ricerca dell’imperatore. La notte era ormai calata e dei due precipitati nel burrone non si trovava ancora alcuna traccia. Camminava e masticava amaro perché alla fine aveva acconsentito a seguire le direttive di Loran Valentine.
Aveva dovuto suo malgrado.
Un istante dopo aver visto quel mercenario buttarsi nel crepaccio, aveva pensato lui stesso di scendere lungo il crinale ma Loran, ripresosi dal fulmine che lo aveva centrato durante il caos della battaglia, lo aveva dissuaso. Il viceré sembrava convinto che non fosse una buona idea calarsi per il crinale. Se l’imperatore era sopravvissuto, doveva aver bisogno di cure e non si potevano portare giù per il crinale cavalli e medicamenti. Seifer aveva allora proposto di rinviare le ricerche una volta tornati a Cattedra. Grifis sapeva che non poteva aspettare tanto e trovò immediatamente alleati in Mars Hornet e Lord Naro. Il bestione delle isole Maras si offrì di recuperare un cavallo e provviste e partirono subito.
Nonostante lord Naro sembrasse conoscere bene il terreno pieno di cunicoli sottostante Cattedra, le ricerche continuavano ad essere infruttuose. Ad un tratto però Loran lo sopravanzò e indicò un punto luminoso in basso.
“E’ un fuoco”, disse il viceré.
“Come fai a dirlo? E’ troppo lontano”, esclamò Garan.
“E’ fuoco, lo sento”, insistette Loran mostrando il palmo di una mano su cui comparve una fiamma.
“E’ fuoco. Muoviamoci”, disse Mars sopravanzando tutti.
“Grazie, signore degli unicorni!” fece ironico Loran che rischiò di essere fulminato per la seconda volta nella stessa giornata.
“Fermatevi!” Gridò Seifer e tutti si bloccarono “La bestia non sembra abbia intenzione di scendere” disse indicando Naro. Mars capì presto perché il signore dei Nagrod non sembrava voler proseguire.
“Non si può scendere oltre da questo lato del dorsale. E’ franato. Dobbiamo tornare indietro e scendere dall’altro.”
“Ci vorrà un’eternità!” esclamò Grifis che stringeva i pugni incapace di nascondere la rabbia.
“Non abbiamo altra scelta, fattene una ragione Grifis”, disse Loran mettendo una mano sulla spalla del comandante. Questi gliela scansò bruscamente e ritornò sui suoi passi. Dovevano sbrigarsi. Non contava nient’altro.

Per Akram mettere fuori combattimento qualche iena era stato un gioco da ragazzi. Prima di tornare indietro però, si era fermato per riordinare i suoi pensieri.
Aeris era una donna. Tutto ciò che si sapeva sull’imperatore era una menzogna. Mars lo sapeva quando gli aveva proposto di allearsi temporaneamente con lui? No, quasi certamente no. Strinse un pugno. Di certo non lo sapeva nessuno. Né Seifer Wiltord, né Asaline. Doveva smascherarla? Che vantaggio ne avrebbe avuto? Probabilmente nessuno. Invece tenendo il suo gioco? Di certo scoprire che esisteva una principessa alferian, faceva aumentare le possibilità che la profezia della rinascita di Tesla si realizzasse. La profezia prevedeva però la morte della cosiddetta principessa. L’avrebbe trascinata fino a Tesla e le avrebbe tagliato la gola per dare al suo popolo la liberazione che aspettavano da vent’anni? Nulla di più semplice.
Per ora l’avrebbe tenuta in vita. Avrebbe fatto in modo che sopravvivesse fino al compimento del suo destino. Non era necessario che altri conoscessero il suo segreto. Decise perciò di tornare da lei.
Lo fece appena in tempo dato che alcune belve avevano circondato il fuoco oltre cui si riparava Aeris. La ragazza aveva alzato una sorta di barriera magica ma gli animali sembravano voler aspettare il momento in cui lei non avrebbe avuto più la forza di difendersi.
Fu in quel momento che l’immagine dei lupi fu sostituita, nella sua mente, dalla figura del generalissimo, della somma sacerdotessa, del viceré, di Mars e persino dalla sua. Loro erano esattamente come quelle belve che attendevano un passo falso dell’imperatore. Erano tutti in trepidante attesa che facesse un passo falso per saltargli al collo e banchettare con i suoi resti. E per di più nessuno dei suoi carnefici sapeva di stare per avventarsi su una ragazza. Nessuno avrebbe mostrato pietà. Guardò Aeris che si stringeva il braccio ferito e capì che era allo stremo delle sue forze. Lo capì anche il capo branco che si avventò su di lei per primo. Il suo corpo si mosse da solo e il lupo finì congelato al suolo.
Le altre bestie fuggirono impaurite.
“Akram! Hai usato un incantesimo! Non sapevo che conoscessi la magia”, disse Aeris sforzandosi di nascondere il dolore.
“La prego di mantenere questo segreto, altezza. Se si scoprisse che Lord Naro mi ha insegnato, verrebbe punito.”
“Capisco. Non temere, non lo dirò a nessuno. Grazie. Pare che tu mi abbia di nuovo salvato la vita, Akram.”
L’uomo si avvicinò per ravvivare il fuoco e notò, alla luce delle nuove fiamme, che era ancora più pallida di quando l’aveva lasciata per la perlustrazione. D’istinto andò con la mano alla ferita che aveva all’addome. Stava ricominciando a sanguinare. Quanto tempo avrebbe resistito ancora? Non poteva aspettare l’alba.
“Altezza, dobbiamo andarcene di qui.”
“Non credo di riuscire a muovermi. Però credo che sia meglio che tu vada a cercare aiuto”, rispose Aeris guardandosi la gamba ferita.
“Non vi lascerò qui. Credo di riuscire a portarvi.”
“Mi dispiace essere di peso”, fece Aeris abbassando lo sguardo. Akram strinse un pugno dietro le spalle. Che cosa stava succedendo? Possibile che scoprire il fatto che l’alferian fosse una donna, lo turbasse tanto profondamente? Forse era solo il dolore ad annebbiargli i sensi.
“Non dovete parlare così.”
“Ma è la verità.”
“La verità è che un semplice mercenario come me ha la fortuna di guadagnare la riconoscenza dell’impero salvando la vita del suo imperatore.” Aeris sorrise malinconicamente.
“Non credo che siano tutti così ansiosi di scoprire che sono sopravvissuto”, disse l’imperatore.
“Diretto come al solito, non è vero altezza? Coraggio, proviamo a sollevarci”, disse Akram chinandosi e passando una mano sotto le ginocchia di Aeris e l’altra sotto le sue braccia. Non appena fece forza per tirare su Aeris, lei si lamentò.
“Fa troppo male?” chiese Akram guardandola dritto negli occhi.
“Non troppo. Soprattutto considerando che sei tu a sostenere il mio peso.”
Akram si fermò a pensare che era leggerissima. Un essere fragile come uno dei cristalli di neve che decoravano la sua stanza quando era un bambino.
Prese a camminare cercando di dimenticare il dolore all’addome e concentrandosi sulla strada da seguire. Era certo di essere sulla via giusta per risalire il crinale ma non aveva idea di quanto dovesse camminare ancora. Di certo la cosa migliore sarebbe stata trovare le grotte dato che stava cominciando a piovere. Naro gli aveva insegnato tutti i passaggi sotto le montagne del nord e anche i cunicoli stretti ed insidiosi che arrivavano fino a Cattedra.
Per la stanchezza o forse per il dolore, mise un piede in fallo e cadde in ginocchio. Aeris urlò e lui la strinse più forte.
“Va tutto bene, ci siamo quasi, altezza” disse sforzandosi di non dare a vedere la fatica con la quale riusciva a tirarsi su.
“Akram, mettimi giù adesso. Non credere che non mi sia accorto che stai male. E’ troppo” fece Aeris guardandolo fisso negli occhi. Lui riprese a camminare.
“Altezza, vi prometto che vi riporterò a Cattedra. Non abbiate paura. Finché ci sarò io al vostro fianco, non dovete temere nulla.”
Aeris abbassò gli occhi sul petto dell’uomo e non parlò più. Nel frattempo la pioggia si era fatta violenta e il terreno divenne fango aggrovigliato alle caviglie di Akram. Intuire il profilo delle caverne, ridiede forza al mercenario che diede tutto ciò che gli rimaneva per condurre Aeris al riparo dal temporale.
Quando finalmente giunsero sotto le grandi arcate di pietra però, s’accorse che l’alferian era svenuta. La sua fronte bruciava. Le possibilità erano due: o la febbre derivava dal freddo intenso cui erano stati entrambi esposti o le sue ferite erano infette.
La posò delicatamente al suolo e si sfilò il mantello per coprire il suo corpo. Continuava a fissare il suo viso incapace di dare ordine ai suoi pensieri. Quella ragazza era di certo la chiave per fare avverare la profezia della rinascita di Tesla, tuttavia qualcosa in lei muoveva l’animo di Akram verso sentimenti che aveva soffocato molti anni prima sotto mille strati di neve e rancore. Sentire riaffiorare ricordi di un tempo in cui non conosceva né odio, né desiderio di vendetta, lo innervosiva e al tempo stesso gli provocava un brivido di eccitazione. Convivendo con i Nagrod aveva imparato il rispetto per lo spirito delle cose, ad essere riverente nei confronti di ogni elemento della natura. Aveva appreso la condivisione e cosa significasse far parte di un branco. Quel legame però poteva definirsi amicizia? Il clan poteva essere considerato una famiglia? Sapeva ancora provare affetto e generosità?
Mosse le mani lentamente e ne posò una sulla fronte di Aeris mentre l’altra afferrava il polso del braccio rotto della ragazza. Agì d’istinto e chiuse gli occhi pronunciando poche parole in una lingua che Aeria aveva dimenticato. Nello stesso istante in cui ebbe terminato la formula, Akram lo avvertì e strinse i denti.
Era un dono che aveva da bambino. Non sapeva se lo aveva ereditato da sua madre o da suo padre. Mentre l’espressione del viso di Aeris tornava serena, percepì il suo dolore fluire in lui attraverso le sue mani. Capì in quel modo che le ferite di Aeris non erano infette ma che la ragazza soffriva prevalentemente per la frattura alla gamba. La febbre dipendeva dal freddo. Sorrise. Era davvero buffo che un essere come lui, dedito solo al raggiro e alla violenza, fosse dotato di un potere tanto nobile. Per anni si era chiesto se non avesse una sorta di effetto collaterale sulle persone su cui lo adoperava eppure sembrava davvero che facesse male solo a lui. Probabilmente era una sorta di segno che avrebbe dovuto spingerlo magari ad assorbire su di sé tutti i mali del mondo.
Staccò le mani da Aeris e fece forza di nuovo per sollevarla. Per quanto adesso non sentisse dolore, le sue ferite rimanevano gravi. Doveva condurla a Cattedra rapidamente. Sentì la ferita al fianco riprendere a sanguinare ma continuò a mettere un piede davanti all’altro anche se in modo sempre meno stabile.
Fu la luce di alcune fiaccole a dargli nuova speranza. Nonostante ciò si appiattì contro la parete e nascose Aeris sotto al mantello. Potevano essere i grifoni dorati del giovane comandante che proteggeva Aeris oppure gli uomini della sacerdotessa in cerca dell’imperatore per dargli il colpo di grazia o ancora semplici briganti. Strinse la giovane donna tra le sue braccia e si fece ombra.

Finalmente avevano trovato la via per discendere nel dirupo maledetto che aveva inghiottito Aeris ma Grifis continuava a sbraitare e maledire ogni singolo sasso sul suo cammino. Loran lo osservava sorridendo tra sé del nervosismo che sembrava avere colto tutti. Dietro al capitano delle guardie imperiali, Seifer camminava silenzioso torturando, con una mano, un bastoncino di liquirizia che di solito masticava poco prima di una battaglia. Appresso andavano un paio di soldati della mano delle nazioni e Garan Berser che teneva le redini di una delle sue bianche tigri che si era dimostrata più adatta dei cavalli dei soldati ad affrontare la montagna.
Persino Lord Naro, all’apparenza impassibile, sembrava costantemente all’erta. Loran era stato istruito sin da bambino nell’arte dell’astuzia e della diffidenza e riusciva a leggere il desiderio di sbrigarsi laddove il comportamento del suo interlocutore diceva calma e la volontà di mantenere un segreto dove veniva dichiarato il non avere nulla da nascondere.
Gettò, per una sola frazione di secondo, lo sguardo indietro a cercare la sagoma di Mars Hornet che chiudeva la fila.
Il giovane ramingo camminava con un’espressione severa sul viso seminascosto dal cappuccio verde. Anche i suoi movimenti fluidi indicavano una certa fretta e ostentavano un’indifferenza agli eventi che di certo il ragazzo non aveva.
Sembrava piuttosto desideroso di trovare la via per il fondo della valle più di tutti gli altri. In fondo cosa gli importava? Davvero per Mars era così importante che l’imperatore fosse sopravvissuto? Seppure immaginava che probabilmente aspirasse a vedere ripristinato il proprio rango e magari restaurata la fortezza di Dumbara, Loran provava un certo fastidio nel riscontrare che probabilmente non era la vendetta nei suoi confronti ad occupare totalmente i pensieri di Mars.  Questi, probabilmente sentendosi osservato, ricambiò il suo sguardo con freddezza e Loran distolse il capo percependo in quel momento di nuovo, la presenza del fuoco. Si fermò di colpo perché erano ormai giunti all’ingresso di una enorme caverna e non si vedevano tracce di accampamenti di ventura. Inoltre il fuoco che aveva visto dall’alto della montagna era ancora troppo distante per percepirlo così nitidamente. Mars lo sopravanzò e proseguì.
Loran invece si guardò intorno. Qualcosa gli suggeriva la presenza di un pericolo imminente ma i suoi occhi non vedevano nulla.
“Rimani all’erta Xantes,” disse parlando alla sua bestia sacra “qualcosa mi dice che stiamo per dare l’avvio alle danze!”
“Parli da solo adesso?” La voce di Mars lo richiamò dalla dimensione in cui poteva vedere la fenice di fuoco.
“Mi capita di tanto in tanto. Succede a chi non ha molti amici!” rispose Loran in un tono quasi scherzoso che il ramingo mostrò di non apprezzare.
“Di rado i traditori hanno amici.”
“Neanche i diffidenti ne hanno” gli fece notare Loran.
“Non me ne faccio cruccio.”
“Pare che tu non ti faccia più cruccio di nulla. Esiste qualcosa al mondo di cui ancora t’importi?” chiese Loran fingendo che la domanda fosse di circostanza e niente affatto interessata.
“Nulla che ti riguardi”, rispose secco il ramingo. Lo sguardo di Loran di fece duro e il viceré allungò il passo raggiungendo Seifer. Il generale ghignò e indicò con gesto del capo la discesa ancora lunga che avevano davanti.
“Risparmia le energie per qualcosa di più costruttivo, cugino,” disse sottovoce “perdi tempo prezioso nel tentativo di riannodare un rapporto civile con quell’individuo. Mi domando perché non hai mai voluto emettere un ordine di esecuzione contro di lui. I suoi uomini hanno come unico scopo quello di assassinarti.”
“I raminghi non sono un gran problema per il mio regno. Ho pensieri più gravi nell’amministrare il mio ruolo di viceré. Persino il più abile degli uomini di Mars non è in grado di avvicinarsi a me abbastanza per uccidermi!”
“E lui? Lui ne è in grado?”
“Solo se adoperasse la migliore delle sue armi. Quella però l’ha persa molti anni fa. Non la ritroverà tanto facilmente e comunque dovrebbe scendere a patti col suo orgoglio. Per cui, come vedi, sono al sicuro!” esclamò sorridendo e allargando le braccia.
Improvvisamente la fila dei cercatori si bloccò.  Grifis tendeva lo sguardo in una direzione ben precisa. Di colpo si mise a correre e tutti lo seguirono.

Akram capì subito che gli uomini che aveva visto in lontananza non erano briganti però lasciò il suo nascondiglio solo quando riconobbe Grifis.
Quel ragazzo non gli piaceva. Era particolarmente sicuro di sé e sembrava la rettitudine incarnata. Il cavaliere perfetto a giudicare da come lo guardavano i suoi soldati.
Indubbiamente teneva più alla vita di Aeris che alla propria, di questo era sicuro.
Sentì il dolore al fianco farsi insopportabile e non avrebbe messo la vita di Aeris nelle mani di altri se non nelle sue.
Impiegò le ultime forze che possedeva per camminare diritto e tenere il corpo di Aeris ben stretto al suo petto.
Grifis gli corse incontro ma si fermò ad un metro buono da Akram. Sembrava terrorizzato dalla possibilità che lui portasse in braccio un cadavere così fece altri due passi e si posizionò dritto di fronte a lui. Tese le braccia invitandolo a prendere il corpo di Aeris.
“E’ viva”, disse in un sussurro mentre sentiva venire meno, insieme al peso della ragazza, le ultime forze. Cadde in ginocchio e poi rovesciò a terra su un lato.
Akram non vide Mars Hornet e Lord Naro corrergli in aiuto. Non vide neppure gli occhi di Grifis riempirsi di stupore e paura. Non vide che il comandante dei grifoni dorati non permise ad alcuno di avvicinare l’imperatore e che utilizzò la tigre di Garan per adagiare il corpo dell’alferian e riprendere la marcia verso Cattedra.
Non vide neppure con quanta fatica Naro se lo caricò in spalla e seguì Grifis.
Non poté neanche accorgersi che Loran non seguì subito il gruppo e rimase indietro senza un motivo apparente.
Né Akram, né alcun altro del gruppo si accorse che il viceré era rimasto indietro e quando la comitiva riprese la via per tornare a Cattedra allontanandosi dalla radura con le fiaccole, Loran rimase immobile al buio con una freccia ben piantata nella schiena.

Ormai il gruppo era già uscito dalla caverna dalla grande apertura quando Mars decise di tornare indietro. Si era accorto quasi subito che Loran non li aveva seguiti. Inizialmente aveva pensato che fosse rimasto in cerca di qualche cosa, magari informazioni sulle ferite riportate dall’imperatore, qualcosa da èprtare a suo vantaggio. Non vedendolo comparire neanche dopo una buona mezz’ora, si era però convinto che ci fosse qualcosa di strano. Non che gli importasse se quel maledetto si era spezzato l’osso del collo inciampando da qualche parte, però sentiva una strana sensazione addosso. Quasi d’urgenza.
Inizialmente si era limitato a camminare a ritroso poi, improvvisamente, un odore pungente lo aveva fatto correre nella direzione della radura in cui avevano ritrovato Akram e l’imperatore.
Alcune fiaccole illuminavano un unico punto in cui un uomo in ginocchio era tenuto per i capelli. La lama di un coltello puntata alla gola. Cinque uomini incappucciati di verde sembravano pregustare l’esecuzione.
L’uomo in ginocchio aveva il volto insanguinato ma sorrideva di sfida. I suoi capelli rossi non lasciavano dubbi circa la sua identità.
Com’era successo? Come mai i suoi uomini, perché com’era chiaro che quello era Loran lo era altrettanto che quelli intorno a lui erano i suoi uomini, avevano teso un’imboscata al viceré in quel luogo senza che lui ne sapesse nulla? Come avevano fatto a sorprenderlo e a ridurlo in quel modo senza che lui opponesse alcuna resistenza? Nessuno dei raminghi sembrava aver lottato.
Rimase fermo pensando per un istante che fosse tutto finito. Dailin, il più anziano dei suoi uomini, gli avrebbe reciso la gola e lo avrebbe lasciato agonizzare in terra come i soldati della Faleria avevano fatto con la gente della Doreria durante la caduta di Dumbara. Fu nel momento in cui Dailin gridò che quel gesto veniva compiuto nel suo nome che si scosse come da un sogno e incoccò una freccia che si staccò dall’arco rapida come un fulmine che squarci l’aria in una tempesta e si conficcò ai piedi di Dailin.
Tutti i raminghi si voltarono all’unisono nella direzione da cui era arrivata la saetta e si ammutolirono nel vedere la figura del loro capo che emergeva dall’oscurità.
“Capo, cosa ci fai tu qui?” domandò Dailin.
“Questa domanda dovrei farla io a voi. Cosa diavolo sta succedendo qui?” A quelle parole, il più piccolo della compagnia, Agape, usò l’arco per sollevare il capo di Loran che era ricaduto in avanti.
“Abbiamo preso il bastardo. Facciamo giustizia!”
“Perché non mi avete detto nulla?” chiese e Dailin fece un passo verso di lui e chinò il capo.
“Hai ragione, mio signore, ma abbiamo colto l’occasione che involontariamente ci ha dato lo yomi. Ci siamo accorti, durante la battaglia, che tu stesso hai provato a colpirlo ma il tuo fulmine lo ha solo stordito e noi abbiamo pensato che potevamo approfittarne. Ci siamo riusciti alla fine.”
Mars si ricordò di come, durante lo scontro con lo yomi, avesse lanciato contro Loran uno dei suoi poderosi fulmini mentre questi tentava di lanciarsi a propria volta come uno sprovveduto contro la bestia. Gettò lo sguardo sul corpo del viceré e capì subito che non ci erano andati giù leggeri. Aveva diverse ferite e notò che lo spuntone di una freccia ancora conficcata poco sotto la spalla sinistra, fuoriusciva dalla schiena.
“Siete riusciti, cinque contro uno, ad avere ragione di un uomo colpito prima alla schiena?” chiese con rabbia Mars mentre s’accorse che Loran aveva comunque ancora la forza di sorridere delle sue parole.
“Che importa come lo abbiamo preso? Ora è nostro! Capo, dacci tu stesso la nostra vendetta!” gridò Agape.
Mars camminò fino a Loran che sembrava appena in grado di reggersi sulle ginocchia e si chinò davanti a lui. Nonostante le ferite, i suoi occhi blu fiammeggiavano pieni di vita.
“Se mi aveste informati di ciò che volevate fare, vi avrei detto ciò che ancora non sapete. Loran possiede una delle sfere che servono per dare all’imperatore il potere necessario a sconfiggere l’ombra di Zion. Se lo uccidiamo ora, l’imperatore non entrerà mai in possesso di quella sfera. Per quanto desideri con tutto il cuore vedere scorrere il sangue di quest’uomo,” disse tornando a osservare Loran negli occhi “non possiamo prendere la sua vita prima che abbia consegnato la sfera della Faleria ad Aeris Strifen.”
Agape strinse i pugni e si ribellò.
“Al diavolo l’imperatore! Noi siamo fuorilegge. Non abbiamo più un onore da rispettare per colpa di questa feccia! Uccidiamolo!”
Mars si sollevò, poderoso nell’aura del sacro Talos la bestia sacra della Doreria e nessuno osò guardarlo in viso.
“Noi siamo ciò che resta della cavalleria della Doreria! Non verremo meno al nostro giuramento. Io non verrò meno al giuramento che mio padre fece all’imperatore. Avrò la mia vendetta ma non perderò il mio onore. Non sarò un traditore anche se sono stato tradito! Non ho paura di macchiarmi le mani del sangue di quest’uomo ma non a prezzo della salvezza del regno. Abbiamo visto la nostra gente morire nella disperazione. Volete che accada di nuovo?” Nessuno parlò ma tutti chinarono il capo. Mars si calmò. “Andate ora. Nessuno se la prenderà con voi per quello che è accaduto qui, vero viceré?” disse rivolgendosi a Loran che non disse nulla. I raminghi sparirono dalla radura veloci come erano apparsi. Mars si chinò di nuovo per capire se potesse sollevarsi da solo.
“Non ordinerai alle tue guardie di dargli la caccia o porrò fine personalmente alla tua miserabile vita”, ribadì. Solo allora Loran parlò.
“Dovevi lasciarli finire.” Le sue parole spiazzarono Mars che riuscì a riordinare le idee solo per ripetere il concetto già esposto.
“Tu hai una delle sfere, fino a che non rivelerai dov’è, servi all’imperatore”. Loran sollevò una delle mani sporche di sangue e afferrò l’avambraccio di Mars. Il suo sguardo ora era profondamente triste.
“Se te lo dicessi qui ed ora, porresti personalmente fine alla mia miserabile vita?”
Mars sgranò gli occhi. Sarebbe stato così facile in quel momento dargli il colpo di grazia e cancellare una vita intera di colpe. Azzerare una vita piena di felicità e amore fino al giorno in cui la sete di potere di un uomo aveva trasformato tutto in cenere? Poteva ucciderlo e avere la sua vendetta poi, però, che avrebbe fatto della sua vita? Della sua miserabile vita? Perché, Mars lo sapeva, era la sua esistenza ad essere miserabile. Miserabile perché vuota. Vuota dal momento in cui aveva lasciato andare la mano che adesso gli stringeva il braccio e gli ricordava il calore che gli aveva dato in passato.
Forse Loran s’accorse del conflitto interiore che lo stava divorando e sospirò.
“La sfera di Faleria si trova in un posto che conosci bene, non avresti alcuna difficoltà a trovarla da solo, tuttavia vorrei che prima ti recassi a Lama Vermiglia perché c’è una cosa che ti appartiene laggiù.” La mano di Mars si posò con forza sulle labbra di Loran e questi sussultò.
“Sta zitto. Se non ce la fai a stare in piedi, appoggiati a me”, disse tirandoselo addosso. Loran sentì freddo e caldo insieme. La ferita alla schiena bruciava e perdeva ancora sangue ma il contatto con il corpo di Mars gli riportò alla mente il calore dei pomeriggi estivi e l’odore dell’erba e del bergamotto. La testa girò vorticosamente e si strinse più forte a Mars.
“Se io morissi, tu saresti felice?” chiese a bruciapelo.
“Sì” rispose Mars e una lacrima cadde dagli occhi di Loran mentre ancora sorrideva.
“Allora non aspettare più. Prima che arrivino a cercarci, prima che te lo impediscano le guardie di Seifer, prima che le grida di mia madre mi trattengano dal lasciarmi andare. Uccidimi e torna ad essere felice.”
“Non te lo renderò così facile, Loran.”
“Non lo è mai stato, Mars.”
In quel momento però giunsero davvero le guardie di Seifer. Loran trovò la forza di rialzarsi come se nulla fosse accaduto.
“Non una parola con mia madre di quanto è accaduto qui se vuoi che i tuoi uomini non vengano messi ai ceppi già a Cattedra”, disse Loran prima che uno dei soldati si avvicinasse per sostenerlo.
Mars rimase fermo mentre il viceré si allontanava. Si chiedeva se aveva mentito quando aveva detto a Loran che sarebbe stato felice solo se fosse morto o adesso mentre si convinceva che andava bene così. Andava bene che il suo mortale nemico si fosse salvato la vita grazie alla sua debolezza più grande? Tirò su il cappuccio e riprese anche lui la strada per Cattedra.

Aeris fu adagiata nel letto della stanza imperiale e Albered si mise subito all’opera per medicare le sue ferite. Grifis rimase fuori dalla camera ad impedire a qualunque ficcanaso di avvicinarsi alla porta. Fu molto cortese ma altrettanto duro nel rifiutare l’aiuto di lady Asaline in persona.
La sacerdotessa si era presentata appena la notizia che l’imperatore era sopravvissuto alla caduta nel precipizio con un’ampolla che, a suo dire, conteneva un prodigioso medicamento.
Grifis chinò il capo e si profuse in un inchino da manuale ma , quando rialzò la testa, i suoi occhi erano freddi come il ghiaccio. La donna comprese immediatamente che la sua presenza non era gradita ma non si scompose. Si augurò che il primo ministro della Balvaria che si stava occupando in quel momento del principe imperiale facesse un buon lavoro e concluse dicendo che altrove c’era bisogno del suo aiuto.
Purtroppo però neppure i Nagrod si dimostrarono entusiasti di vederla piombare nel loro accampamento. Lord Naro le fece capire con il suo silenzio che ogni cosa necessaria per salvare la vita di Akram era stata già fatta, così Asaline si limitò a verificare che il giovane mercenario giacesse incosciente nella tenda del capotribù. La sua ferita era grave ma sembrava non sanguinare più.
La signora di Cattedra avrebbe preferito trovarlo sveglio per chiedergli come mai aveva rischiato così tanto per salvare l’imperatore. Nessuno sapeva che gli aveva ordinato di diventare l’ombra di Aeris Strifen ma l’ordine non contemplava mettere a repentaglio la sua vita per quella dell’alferian.
I lunghi anni al servizio della precedente somma sacerdotessa Zanna, le avevano insegnato a capire subito quali leve muovevano le persone. Nel caso di Akram però, non capiva cosa lo avesse spinto a rischiare così.
Layla l’avvertì, sussurrandoglielo in un orecchio, che anche il viceré era sopraggiunto e che sembrava bisognoso di cure.
Lei raggiunse il grande porticato del chiostro interno e vide lady Kyria correre incontro a suo figlio.
“Stai bene? Che ti è capitato?” disse la donna preoccupata per il pallore del figlio guardando istintivamente con diffidenza Mars Hornet che si era fermato poco dietro di lui.
“Sto bene. Un gruppo di briganti voleva tendere un imboscata al gruppo e io l’ho aspettato nelle retrovie per sbarazzarmene. Ho solo qualche graffio. In una notte Xantes li farà sparire! Sta tranquilla”, disse il ragazzo per calmare sua madre.
Asaline li raggiunse al centro del chiostro e li salutò.
“Posso occuparmi io di quelle ferite. Certo dovevano essere soldati di ventura se hanno adoperato arco e frecce!” fece la donna indicando lo spuntone della freccia che ancora era conficcato nella schiena di Loran. A quelle parole Kyria fu, in un istante, di fronte a Mars.
“Giura su questo suolo sacro che non è opera tua!” disse in tono velenoso.
“Osi chiedermelo?” rispose altrettanto velenosamente Mars senza farsi intimorire. Loran si frappose fra loro.
“Suvvia madre, ora non credi più alle mie parole? Ti ho detto che erano briganti. Bene organizzati forse, ma solo comuni briganti. Ho peccato di eccessiva confidenza nelle mie capacità e ho ritenuto che per una simile feccia non servisse invocare Xantes!” esclamò ridendo “Non farmene una colpa. La prossima volta sarò più prudente. In fondo non mi è accaduto nulla. Intesi?”
Il tono di voce di Loran, leggero e cordiale, giunse mellifluo a cancellare ogni dubbio sul coinvolgimento dei raminghi della Doreria nel suo ferimento e persino Asaline parve crederci.
Mars si sentì risucchiare in un vortice di ricordi. Era grazie al quell’abile modo di dire le cose che tutti cadevano sempre a suoi piedi. Era così che l’aveva convinto mille e mille volte ad infrangere tutte le regole che conoscevano per divertirsi e fuggire dalla gabbia dorata in cui vivevano.
Con quella voce lo aveva convinto a lasciare Dumbara due giorni prima che la Faleria l’attaccasse e la distruggesse. Con quella voce lo aveva spinto ad anteporre uno stupido torneo d’armi alla sua famiglia. Per colpa di quella voce aveva perso tutto.
In quell’istante però fu un’altra cosa a colpire la sua attenzione. Un odore pungente che aveva qualcosa di familiare. Lo stesso odore che aveva sentito all’imboccatura della caverna in cui i raminghi avevano teso l’imboscata a Loran. Il sangue gli si gelò nelle vene nello stesso istante in cui il viso di Loran Valente perse completamente colore. Il giovane viceré si sentì mancare d’improvviso le forze e rovinò al suolo.
Lady Kirya fu prontamente al suo capezzale e lady Asaline ordinò che il ragazzo fosse condotto nelle stanze del cerusico del tempio.
La somma sacerdotessa si convinse subito del fatto che fosse la ferita alla schiena a far soffrire Loran e decise di estrarre la freccia dalla sua schiena. Tutti furono fatti accomodare fuori dalla camera ad eccezione di lady Kirya.
Mars attese nascosto dietro le colonne del porticato che qualcuna delle novizie che entravano ed uscivano dalla sala, riferisse notizie sulle condizioni del giovane ma nessuna di loro parlò. Il ramingo si decise alla fine a lasciare il chiostro e si allontanò furtivamente.  A passo sostenuto raggiunse la città bassa dove c’erano le taverne che allietavano le ore dei pellegrini non troppo devoti a Serian e s’infilò in una che i più avrebbero definito una bettola. Lanciò un paio di monete all’oste e salì al piano superiore dove uno stretto corridoio si apriva su circa una dozzina di camere. Spinse con forza la terza porta sulla sinistra ed entrò. Dailin, seduto su una poltrona di velluto rosso e macchiato, scattò in piedi.
“Capo, come mai sei qui?” chiese l’uomo dalla folta barba rossiccia.
“Chi ha scoccato la freccia che ha colpito Valentine?” chiese Mars mal celando la rabbia che mano a mano montava dentro di lui.
“Che importanza ha? L’importante era l’obiettivo.” gli rispose Dailin. Il comandante ora lo fronteggiava senza alcun timore. Mars lo conosceva bene. Aveva guidato i cavalcatori di unicorni per lunghi anni e il padre di Mars lo considerava il migliore dei suoi soldati. Mars sapeva che le sue parole erano una palese assunzione di responsabilità. Sapeva però anche che c’era una sola persona per cui Dailin si sarebbe addossato la responsabilità di essere contravvenuto ad un suo ordine e quella persona era il minore fra loro.
“Agape, rispondi. Sei stato tu?” gli chiese Mars in modo diretto. Il ragazzo si alzò e annuì. “Hai avvelenato la freccia? Rispondi.” Di nuovo Agape annuì. 
Mars sospirò. Agape aveva solo sedici anni. Al tempo della guerra civile tra Faleria e Doreria era solo un bambino al quale l’esercito rosso aveva tolto ogni cosa. Aveva assistito alla morte di suo fratello e la congregazione dei raminghi lo aveva accolto orfano e disperato.
Per anni lo avevano tenuto nel gruppo come una mascotte. Dailin se lo trascinava dietro alla stregua di uno dei pesanti zaini che i loro cavalli portavano in giro per Aeria. Poi, comprendendo i sentimenti di Agape che cominciava a sentirsi inutile, prese a trattarlo come uno stregone farebbe con il suo apprendista o una sacerdotessa con una novizia. Gli insegnò a tirare con l’arco e Agape rivelò di possedere occhi di falco. Questo lo rese intraprendete e fu presto nominato cavalcatore d’unicorni a tutti gli effetti. Mars stesso lo aveva ritenuto pronto. Ora lo guardava tenere lo sguardo basso dietro la sua lunga frangia castana. Avrebbe potuto perdonare la freccia scoccata alla schiena di un nemico e anche il veleno delle bacche del Lumen che i raminghi usavano per indebolire la forza di volontà dei loro avversari ma Mars sapeva che il veleno usato sulla freccia che aveva colpito Loran non era comune. L’odore pungente da cui si era sentito pervadere le narici nella grotta sotto Cattedra era quello dello stramonio delle paludi fangose che si estendevano ad ovest di Torreterra.
Quella pianta proliferava nell’ambiente più disgustoso di tutta Aeria e ogni abitante della Doreria la chiamava l’erba del silenzio poiché i condannati alla pena capitale spesso sceglievano di assumerla per avere una morte poco dolorosa.
Mars si lasciò cadere sulla poltrona prima occupata da Dailin e si permise di emettere un lungo sospiro. Non c’era antidoto per quel veleno. Seppure la somma sacerdotessa avesse scoperto che Loran era stato avvelenato, non avrebbe comunque potuto salvarlo. Inoltre, non appena qualcuno avesse compreso che la punta della freccia estratta dalla schiena di Loran era stata intinta nello stramonio, tutti avrebbero capito che le condizioni del viceré erano da imputare ai raminghi.
Fece forza con le mani sulle ginocchia e si rialzò.
“Agape, dammi il tuo arco”, disse con voce bassa ma decisa. Dailin che aveva compreso il significato di quella richiesta, si frappose tra Mars e il più piccolo con una muta quanto disperata richiesta nello sguardo. Mars ripeté l’ordine e Agape allungò una mano tremante contenente il suo arco al conte della Doreria. Mars lo prese e, con un sol colpo secco, lo spezzò in due. Gli occhi di Agape si riempirono di lacrime. Quel gesto era riservato ai soldati delle schiere della contea che avevano tradito la loro bandiera. Dailin tentò di rabbonire il suo signore.
“Capo, Agape non intendeva tradirvi. Abbiamo tutti pensato che probabilmente non sarebbe stato facile per te porre fine alla sua vita”, disse piano il veterano riferendosi a Loran.
“Dailin, Agape ha messo tutti noi in guai molto grossi. Se il viceré muore per effetto dello stramonio, saremo braccati non solo dalle spie rosse ma anche dalla Mano delle Nazioni e dai Grifoni Dorati. Perché non avete voluto darmi retta?” A queste parole Agape, ancora in lacrime e inginocchiato sui resti del suo arco, urlò.
“Perché la vendetta non sembra più contare molto per te! Ho usato lo stramonio perché c’è solo un modo per salvare quel mostro da morte certa e se si salverà, tutti noi sapremo se quello che ci hai detto per anni è vero!”  Gli occhi di Agape erano pieni di rabbia e Dailin si affrettò a strattonarlo in un’altra stanza.
Mars non attese il ritorno dell’uomo. Si infilò di nuovo il cappuccio è lasciò la taverna. Alla fine era stato messo in un angolo da quel ragazzino. Gli tornò alla mente il ricordo di una sera calda di fine estate in cui suo padre gli raccontò del misterioso potere della famiglia reale della Doreria. Gli narrò come si dicesse che il sangue degli appartenenti alla casata Hornet fosse in grado di resistere a qualunque veleno. Questo perché discendeva dal popolo della foresta. Suo padre gli diceva spesso che i suoi occhi di un verde scintillante, li aveva ereditati direttamente dai Driadi. Mars, cresciuto, non aveva mai pensato davvero di essere immune a qualsiasi veleno e, appassionatosi allo studio delle erbe medicamentose, stava sempre molto attento quando li maneggiava. Nonostante questo, una volta divenuto ramingo, era scampato miracolosamente a vari attentati e non sottovalutava più il potere delle leggende.
Camminando sopra pensiero, si ritrovò in fretta di nuovo all’arco d’ingresso del santuario di Serian. Seppure la leggenda si fosse rivelata vera e il suo sangue fosse stato l’antidoto per salvare la vita di Loran, cosa avrebbe dovuto fare? Salvarlo significava portare avanti il suo piano originale che non si limitava solo a prendersi la sua vendetta nei confronti della famiglia Valentine. Significava però anche tradire la fiducia dei suoi uomini che di certo avrebbero pensato che si fosse lasciato sopraffare dai propri sentimenti.
Scivolò attraverso i corridoi secondari della torre di ametista fino alle camere del cerusico e attese nell’ombra. Il via vai frenetico che aveva visto quel pomeriggio sembrava essere svanito nel nulla. Nessuno entrava o usciva più da quelle stanze.  Solo a tarda sera le porte si aprirono e quattro soldati vestiti di rosso avanzarono nel corridoio portando una lettiga. Mars dovette ammettere che il pallore sul volto di Loran, reso ancor più evidente dai rossi capelli del ragazzo, mostrava apertamente che non gli rimaneva più molto da vivere. Lady Kirya non gli lasciava mai la mano. Il ramingo li seguì fino alle loro camere e attese che i soldati si allontanassero. Si liberò facilmente dell’unica guardia che era rimasta a protezione dell’ingresso ed entrò chiudendosi velocemente la porta alle spalle. Quando fece scattare la serratura, Kyria si voltò e lo vide. Non reagì in alcun modo. Sembrava aver perso la furia che l’aveva presa nel chiostro e la vitalità che di solito le riempiva lo sguardo.
“Sei venuto a finire quel che hai cominciato?” disse solo senza smettere di guardare suo figlio e di stringergli la mano.
“Non sono stato io”, le rispose Mars avanzando verso il letto.
“Sta morendo senza che nessuno possa fare alcunché. Lady Asaline dice che la freccia che ha estratto dalla sua schiena era avvelenata. Stramonio. Hai giocato bene le tue carte.”
“Lasciami solo con lui.”
Le parole di Mars parvero riaccendere la rabbia della donna che si voltò furiosa con un coltello nella mano destra e si lanciò contro il petto di Mars. Lui la bloccò e la guardò fissa con occhi carichi di tristezza. Lei lasciò andare l’arma che tintinnò sul pavimento brillante della stanza.
“Non gli resta più molto tempo. Pretendi che lo lasci morire tra le tue braccia? Io sono sua madre, è mio compito” fece abbassando il capo senza avere la forza di continuare.
“Proprio perché non gli resta più molto tempo devi lasciarmi solo con lui. Fa in modo che nessuno entri a disturbarci” disse lasciandola andare e inginocchiandosi vicino al letto.
Solo allora Kirya parve comprendere che Mars non aveva cattive intenzioni. Sapeva che anche Loran desiderava, se possibile, chiarirsi con il suo amico d’infanzia e li lasciò, seppure a malincuore, da soli.
Mars passò una mano sulla fronte di Loran. L’erba del silenzio, come promesso dal suo nome, non lo stava facendo soffrire nonostante la sua temperatura fosse altissima. Il ramingo fu attraversato da un brivido. Loran, una volta, gli aveva raccontato che i figli della fenice in punto di morte bruciano come la bestia sacra da cui sono protetti per tutta la vita.
“Loran”, chiamò sussurrando il suo nome quasi all’orecchio.
“Madre”, fece lui muovendo appena le labbra.
“Loran”, disse lui di nuovo e stavolta il rosso aprì gli occhi.
“Mars. Sto delirando, tu non sei reale, vero?”
“Sono io, invece.”
“Mars, sto morendo. Dovresti allontanarti. Ancora un po’ e qui ci sarà una bella fiammata!” disse tentando di sorridere.
“Tu non brucerai” affermò Mars con il suo solito piglio. Loran sapeva che il ramingo era la creatura più testarda che avesse mai conosciuto e si limitò a ridere mentre dal suo corpo cominciarono a staccarsi come piccole scintille. Mars lo sollevò per le spalle e lo tirò a sé. Loran allora perse il sorriso e si fece serio.
“Devi allontanarti. Non è una cosa che posso controllare, Mars. Brucerò in un fuoco talmente intenso che incenerirà anche te se mi starai attaccato così.
“Allora ferma questa cosa perché non ho intenzione di mollarti” disse mentre con una mano stringeva di più il corpo del viceré e con l’altra afferrava il coltello lasciato cadere da Kirya.
“Ti ho già detto che non posso controllarlo”, fece Loran cercando con le ultime forze rimastegli di scostarsi mentre le scintille si facevano più frequenti e luminose. Una di esse bruciò un lembo del mantello del ramingo. Questi non si scompose e strinse la mano intorno alla lama fino a che un rivolo rosso non prese a scorrere lungo il suo braccio. A quel punto Mars lasciò andare il pugnale e avvicinò la mano alle labbra di Loran.
“Bevi.”
“Cosa?”
“Ho detto bevi. Se la leggenda è vera, basteranno poche gocce”, disse accostando il taglio della mano insanguinato alle labbra di Loran.
“Se funziona, tutti sapranno che mi hai salvato la vita.”
“Non ha importanza ora. Bevi.”
“E la tua vendetta?”
“Può aspettare. Smettila o finiremo incendiati tutti e due!”
Loran si mosse appena e avvicinò le labbra alla mano. Non appena poche gocce del sangue del conte della Doreria gli scivolarono lungo la gola, il bruciore delle fiamme di Xantes gli sembrò niente in confronto con quello che gli incendiò il corpo. Urlò e si dimenò mentre Mars lo tenne premuto contro il letto. Dopo quasi un’ora che a Mars sembrò una notte intera, Loran svenne in un bagno di sudore. Non bruciava più e le sue guance si erano di nuovo tinte di un rosa pallido. Mars lasciò che il suo sguardo continuasse a seguire il movimento del suo diaframma che era tornato a muoversi in modo regolare.
Dopo quella che poteva essere definita una vita intera, era di nuovo solo con lui. Adagiato tranquillo tra le lenzuola candide, era bellissimo. Un demone del fuoco incarnato nel corpo di un angelo. Si chinò su di lui e gli catturò le labbra. Gli morse quello inferiore fino a che poche gocce di sangue gli colarono lungo il mento.
Loran riaprì gli occhi sussultando nel ritrovarsi il viso del ramingo incollato al proprio. Questi si staccò da lui e si asciugò le labbra col dorso della mano.
“Mi hai morso. Non ricordavo che fossi carnivoro,” fece Loran che non perdeva il suo sarcasmo neppure nelle sue precarie condizioni “o devo pensare che hai cambiato idea e vuoi uccidermi a morsi ora?”
“Non cambia niente fra noi. Ti ho salvato solo perché non voglio che i miei uomini paghino per quello che ti è successo. Quando tutto questo sarà finito e l’imperatore avrà le sfere, sarò io stesso a vendicare la mia famiglia.”
“Se è questo quello che pensi non avresti dovuto sposarmi!” esclamò Loran. Mars si voltò di scatto a guardarlo.
“Non dire idiozie!”
“Ho bevuto il tuo sangue e tu il mio, non è così che ci si sposa tra la tua gente?”
“Una cosa simile non ha alcun valore per chi non appartiene ai cavalcatori di unicorni!” lo incalzò Mars.
“Visto che ha valore per te, stabilirò io se ha valore o meno per me!” Mars gli diede nuovamente le spalle e uscì dalla stanza di Loran. Sua madre era seduta sull’ottomana nel corridoio.
“Come sta? Urlava in modo tremendo, poi ha smesso.”
“E’ tornato a dire idiozie. Quindi credo che stia meglio.”
Kirya sorrise e Mars, nonostante l’avversione nei suoi confronti, non potette non trovarla bellissima.
“Non credevo che l’avrei mai detto”, disse guardandosi le mani “grazie per aver salvato la vita di mio figlio.”
“Probabilmente ho solo allungato la sua agonia”, disse il ramingo superandola e lasciandosela alle spalle dato che non riusciva più a sostenere quella conversazione.
Riattraversò il giardino e raggiunse i giardini. All’aria aperta, prese un respiro a pieni polmoni e si lasciò andare contro il tronco di un albero alto. Scivolò sull’erba e si tirò su il cappuccio. Anche se adesso si trovava alla corte di Cattedra e tutti lo trattavano come se fosse il giusto erede del conte della Doreria, rimaneva più semplice e adatto a lui, rimanere il ramingo in cui la guerra lo aveva trasformato.

Note dell'autrice persa:
Sono in un ritardo allucinante e non solo su questa storia!
Chiedo venia ma, nel frattempo, mi sono trasferita, mi sono sposata e sono stata in Giappone!!!
Giustificata?
Se siete ancora in ascolto, fatemi sapere che ne pensate. Vi abbraccio tutti!

 

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Capitolo 12
*** L’inizio di una nuova avventura ***


Piccole note dell’autrice: Questa storia non è morta. In forma di bozza è completa da due anni ma sono successe un po’ di cose per cui l’ho abbandonata e poi ripresa.

Odiate me per la mia incostanza, non lei.

Baci.

Capitolo XII

-L’inizio di una nuova avventura-

 

Grifis si sentiva stremato.

Aveva raccontato tutto l’accaduto ad Albered. Dalla ricerca di Aeris al suo ritrovamento tra le braccia del mercenario, al fatto che lui era certo che, prima di svenire, l’uomo si fosse riferito all’imperatore come ad una donna.

Sperava in uno dei consigli risolutori del primo ministro e invece quello lo aveva lasciato a guardia di Aeris semplicemente rinviando la questione a quando il principe imperiale sarebbe stato fuori pericolo.

La cosa che però davvero lo tormentava non era sapere che un estraneo poteva aver scoperto il segreto di Aeris. Questo, per la sua attuale disposizione d’animo, si sarebbe potuto facilmente risolvere togliendo di mezzo quell’uomo.

La verità era un’altra. Quando Aeris era precipitata nel burrone, perché quell’uomo si era lanciato nel vuoto mentre lui era rimasto come un imbecille a guardarla cadere?

Possibile che uno sconosciuto tenesse alla salvezza di Aeris più di quanto non l’avesse a cuore lui stesso?

Non aveva dimostrato di amarla oltre ogni cosa in più di una circostanza?

Allora perché quell’uomo aveva osato fare una cosa così rischiosa? Come aveva fatto a salvarla?

Continuava a guardare Aeris dormire e si tormentava. Chi, dannazione, era veramente quel ragazzo? Possibile che un semplice mercenario mettesse a repentaglio la propria vita in quel modo? Lo aveva fatto forse su incarico di qualcuno? In quel caso si poteva anche spiegare l’accaduto. Ogni cosa ha un prezzo, in fondo. Ecco che, con nuovi scenari, altre domande si affacciavano alla sua mente.

Al soldo di chi stava? Di qualcuno che voleva Aeris morta oppure che voleva l’imperatore al sicuro?

A questo punto, forse, i suoi pensieri si fecero talmente rumorosi da svegliare Aeris che si lamentò nel letto al minimo movimento.

“Non muoverti!” esclamò lui e la ragazza alzò gli occhi.

“Grifis, perdonami.” L’uomo in due passi le fu accanto e le prese una mano.

“Cosa dici? Sei tu che devi perdonarmi per non averti tenuta al sicuro. E’ successo tutto così in fretta che non sono riuscito davvero a capire come tutto questo possa essere successo. E’ stato un incubo.”

“Mi dispiace. Ho agito in modo sconsiderato e devo averti causato indicibili pene. Marine sa che sono in salvo?”

“Sì, gliel’ho riferito appena Albered mi ha detto che eri fuori pericolo.”

“Perdonami, Grifis.”

“Ho vissuto l’ultimo giorno con la seria convinzione che fossi morta. Non dire altro.” Aeris si sforzò di sorridere. “Piuttosto, dimmi, senti molto dolore?”

“Per la verità, no. Ieri sera, appena ho ripreso i sensi dopo la caduta, sentivo un male tremendo ma sembra magicamente passato.”

“Deve essere il tuo potere rigenerativo. Sia ringraziata Serian per questo.” Aeris annuì ma non sembrava convinta della spiegazione del suo comandante. Normalmente, quando si faceva male, il dolore svaniva velocemente insieme alle ferite ma gradualmente. Stavolta le ferite erano ancora ben evidenti e aperte ma il dolore sembrava letteralmente scomparso. La voce di Grifis la riportò alla realtà.

“Raccontami, Aeris, cosa è successo in fondo a quel precipizio?” chiese per indagare sull’impressione che aveva avuto circa le parole del mercenario. In fondo non poteva sapere con assoluta certezza se lui avesse scoperto il segreto della ragazza e non intendeva preoccupare Aeris nelle sue condizioni rivelandole quei suoi dubbi.

“Posso dirti solo che mi sono risvegliata in fondo al burrone con le ossa rotte. Akram era vicino a me e mi ha protetta dai lupi che abitano i cunicoli. Per un po’ siamo stati vicino ad un fuoco che ha acceso per me ma ha capito subito che avevo bisogno di assistenza così si è fatto forza nonostante le sue ferite e mi ha portata per un po’. Non so altro perché devo essere svenuta prima che ci trovaste. Cielo, Grifis, come sta Akram? Dimmi, è vivo?”

La sincera preoccupazione per quell’uomo dipinta sul viso della sua principessa, infastidì Grifis più di quanto non volesse ammettere.

“E’ vivo. Lo hanno condotto nelle tende dei Nagrod.”

“Sia ringraziata Serian! Vorrei che Albered andasse a visitarlo. Magari ha bisogno di cure.”

“Credo che se ne sia occupata la sacerdotessa in persona.”

“Non m’importa. Voglio che Albered lo visiti, che gli faccia avere le stesse cure che ho avuto io.”

“Aeris, te ne prego, sta tranquilla. Farò come vuoi ma non agitarti. Piuttosto, quell’uomo ha detto o fatto qualcosa che ti ha impensierita?”

“Impensierita?” Chiese Aeris con uno sguardo carico di curiosità “Che intendi dire?”

“Nulla. Lascia stare. Devi riposare ora.” Grifis si alzò dal capezzale della principessa un po’ per interrompere quella conversazione, un po’ per non sentirsi costretto a mentirle. “Farò venire Marine.”

“Grifis.” La voce di Aeris risuonò nell’aria carica di tristezza spingendo il comandante a voltarsi di nuovo verso di lei. “Forse ora penserai che non sono all’altezza di quello che mi aspetta. Sappi però che non ho pensato neppure per un istante di arrendermi.”

“Io non sono qui per giudicarti. Non l’ho mai fatto e non comincerò oggi. Sappi però che sono deluso. La capacità di un grande re sta anche nel chiedere aiuto nel momento del bisogno.” Grifis lasciò la stanza senza permettere ad Aeris di aggiungere altro.

 

Anche se contrariato, Grifis aveva riferito le intenzioni di Aeris ad Albered e questi si era recato alle tende dei Nagrod come l’erede dell’impero aveva desiderato. Nonostante gli uomini bestia non sapessero comunicare con lui, intuirono comunque cosa volesse e lo accompagnarono nella tenda dove riposava il mercenario.

La forte febbre che l’aveva colpito dopo l’incidente era passata ma la ferita all’addome era ancora profonda e aperta.

“Consentite che lo curi con la mia magia?” Era stata la semplice e unica domanda del primo ministro della Balvaria. Nago aveva scosso il capo e aveva consentito solo l’uso di un medicamento che Albered aveva detto di aver portato su ordine dell’imperatore.

Forse il balsamo era davvero miracoloso oppure era semplicemente arrivato per lui il momento di riaprire gli occhi, sta di fatto che Akram si scosse e aprì le palpebre.

“Bentornato fra noi, giovane signore” disse rispettosamente Albered accompagnando le parole con un gesto del capo. Akram riconobbe subito l’uomo e si chiese se fosse lì per aiutarlo o finirlo. In fondo, la prima cosa che gli era tornata in mente aprendo gli occhi era stato il volto della principessa alferian. Quell’uomo era venuto ad assicurarsi il suo silenzio?

“Sua altezza come sta?” Chiese anticipando le mosse del suo interlocutore.

“Si è svegliato. Ha mangiato e dice di non sentir dolore. Io sono qui su sua esplicita richiesta.” Akram notò che si era riferito ad Aeris al maschile segno che non intendeva affrontare alcun discorso in proposito o che forse si aspettava che fosse lui a fare un passo falso sulla questione. Akram decise che preferiva non dare alcun vantaggio al suo avversario.

“Sono lieto che sua altezza stia bene.”

“E’ salvo grazie a te.”

“Non ho fatto niente più di quello che era necessario per salvare la mia vita.” Albered sorrise.

“Ti ho detto che l’imperatore mi ha mandato ma sono qui soprattutto per me stesso.”

“Che posso fare per voi?”

“Dirmi perché lo hai fatto. Il comandante Alteron sostiene che ti sei gettato dietro all’imperatore quando lo hai visto cadere.”

“Il comandante si sbaglia. Sono caduto.”

“Quando si tratta dell’imperatore, Grifis non sbaglia mai.”

“Allora perché non si è gettato lui nel burrone?” Le parole di Akram vennero fuori taglienti e Albered sogghignò.

“Se lo sta ancora chiedendo. Per questo è importante per me sapere come mai tu l’hai fatto.”

“Sono caduto.”

“Allora Serian sia benedetta. Senza di te, Aeris sarebbe morto. Tutto l’impero ti deve molto. Cosa posso fare per ringraziarti a nome dell’impero?” L’espressione di Akram mutò d’improvviso. Albered si pentì delle parole che aveva adoperato nonostante le avesse scelte con cura.

“Avete già ringraziato. Ogni altra cosa sarebbe di troppo.”

“Non intendevo offenderti, giovane signore.”

“Non sono offeso. Sono un mercenario. Non lavoro per voi comunque.” Albered si alzò battendo le mani sulle ginocchia.

“Allora non abbiamo più nulla da dirci. Applicate quel medicamento sulla ferita, guarirà più in fretta.”

“Ringraziate l’imperatore da parte mia per le sue premure.”

“Lo farò. Voi, in cambio, mi fareste un favore?”

“Parlate.”

“Quando l’imperatore vi chiederà cosa può fare per ringraziarvi di avergli salvato la vita, non rispondetegli come avete fatto con me.” Akram si tirò sui gomiti nonostante il dolore.

“Il giovane imperatore è nobile di cuore. E sa già che io non parlo molto.”

“Rimettetevi presto.”

Albered non attese alcuna risposta. Lasciò la tenda salutando Naro con un cenno del capo e tornò verso le stanze di Aeris con la consapevolezza che Akram sembrava molte persone ma assolutamente non un mercenario.

 

Kyria scostò appena le tende per far entrare un po’ di luce nella camera ma, quella che filtrò appena ad  illuminare il letto, costrinse Loran a fare una smorfia.

“Sei sveglio, amore mio?”

“Madre, sei tu?”

“Chi altro pensi ti abbia vegliato ogni minuto?” chiese Kyria tornando verso il letto e carezzando la guancia del figlio.

“Lo so, lo so. Che ore sono?”

“E’ ora di pranzo. Hai fame?”

“A dire il vero, no.”

“Lo immaginavo ma ho comunque fatto portare qualcosa. Mangerai quando ne avrai voglia.”

“Che ne è stato dell’imperatore?” chiese Loran provando a mettersi seduto. Sua madre lo aiutò a sollevarsi e gli sistemò un paio di cuscini dietro la schiena.

“Sta bene. Il suo primo ministro ha riferito che si è svegliato già stamattina. Pare che stia guarendo miracolosamente.”

“Ne sono lieto. E il mercenario? Ci crederesti mai che ha portato l’imperatore risalendo dal dirupo fino a che non l’abbiamo incontrato? Ed era gravemente ferito.”

“Non si hanno notizie di quell’Akram.” Disse pensierosa Kyria.

“Cosa ti turba?” chiese Loran mettendole una mano su una delle sue e stringendola appena.

“Quando dico che non si hanno notizie di quel mercenario, intendo dire che nessuno sa niente di lui. Pare che abbia sempre vissuto a Varcoghiaccio.”

“E’ solo un mercenario.”

“No, Loran. Qualcosa non mi convince. I Nagrod erano in fermento quando è stato trasportato nelle sue tende e i nostri uomini mi hanno riferito che non hanno permesso neppure a lady Asaline di accedere al suo capezzale.”

“Questo è curioso. Probabilmente Asaline voleva solo sapere come l’imperatore fosse riuscito a sopravvivere.” Kyria strinse la mano del figlio.

“Tu come ti senti?”

“Debole ma, tutto considerato, non male. Che fine ha fatto Mars?”

“Non è a palazzo. So che ha mandato via un gruppo dei suoi. Presumo quelli che ti hanno assalito.”

“Ti ho già detto che non sono stati i raminghi.”

“E io non sono tua madre!” Esclamò lei seccata. “Loran, so quello che ti hanno fatto come so quello che Mars ha rischiato per salvarti la vita. Chi credi che abbia lasciato che si avvicinasse a te?”

“Allora sai che sono in debito con lui e che il minimo che possa fare e non coinvolgere nella faccenda i suoi uomini.”

“Lo so e lo capisco. Inoltre abbiamo un altro problema cui pensare ora e di cui ho bisogno di discutere con te.”

“Parla.” Loran si fece, se possibile, più attento.

“Si tratta di tuo cugino. E’ partito per Grigiolago. Dice che ha affari urgenti da risolvere.”

“Credi che non si sia davvero diretto lì?”

“No, amor mio. So per certo che è a Grigiolago.”

“Allora perché ti preoccupi?”

“Che ci è andato a fare?” Chiese Kyria di getto.

“Forse era stanco di sopportare sua zia oppure non voleva ascoltare i commenti degli adulatori di Aeris Strifen. In fondo è stato battuto.”

“Ammetto che l’esito dello scontro con l’imperatore non sia stato proprio quello che tutti, tantomeno lui, si aspettavano ma non ritengo che sia stato esattamente battuto.”

“Avanti, madre! Lui voleva umiliarlo e non ci è riuscito. Ora l’imperatore avrà il sigillo e le sfere e lui verrà, di fatto, messo da parte.”

“Tuo cugino non è tipo da scappare nella sua tana con la coda fra le gambe. Se è tornato a Grigiolago, ha i suoi motivi.”

“Anche se così fosse, non abbiamo modo di saperlo. A questo punto, ritengo saggio seguire Strifen.”

“E così deve essere. Se le sfere devono essere rimesse nelle mani dell’imperatore, tu dovrai seguirlo nel suo viaggio per recuperarle tutte. E’ più prudente che tu gli rimanga affianco. Devi diventare il suo più fidato consigliere. A Seifer penserò io.”

“Che intendi fare?”

“Partirò oggi stesso per Grigiolago. In fondo è sulla strada di casa, non trovi? Non potrà negarmi ospitalità. Fidati che mentre sarò lì, scoprirò quali sono gli urgenti affari cui si sta dedicando.”

“Devi fare attenzione.” Loran sospirò.

“No, amor mio, tu devi fare attenzione. Ti lascio solo e non mi piace. Anche se Hornet ti è giunto in aiuto, questo non significa che le vostre divergenze si siano appianate.” Loran ghignò.

“Sei brava a minimizzare le cose. Mars ha agito per evitare che i suoi uomini pagassero per l’attentato nei miei confronti. Non c’è altro.”

“A maggior ragione, voglio che tu sia estremamente prudente.”

“Lo sarò.” Kyria si alzò e baciò il figlio sulla fronte dopo avergli carezzato i capelli.

“Ci rivediamo a Lama vermiglia?” Chiese Loran trattenendola per un polso. Kyria guardò l’espressione del volto del figlio e sorrise dolcemente. Quando usava quel tono di voce dolce e carico d’attesa e i suoi occhi lasciavano trasparire la dolcezza del suo vero animo, Kyria rivedeva il bambino che era stato prima che il padre lo gettasse dentro Ventrelava.

“Ci rivediamo a casa nostra. Ti aspetterò là. Promettimi che verrai presto.”

“Te lo prometto. Nel frattempo, custodisci i nostri tesori per entrambi.” Kyria sorrise e lui la lasciò andare.

 

Dailin era rimasto indietro. Ormai il suo gruppo, compreso Agape, si era già allontanato al galoppo lungo la via dei Pellegrini. Lui era rimasto ancora qualche momento a contemplare la porta d’ingresso di Cattedra. Fu quando decise che era tempo anche per lui di andare che lo vide. Il suo capitano era comparso sulla porta a cavallo di Saltafosso e si dirigeva verso di lui. Attese che fosse al suo fianco e parlò.

“Stiamo lasciando Cattedra come hai ordinato. Abbiamo appreso che il viceré è salvo.”

“Ringraziate Serian che sia così o sareste tutti appesi alle corde adesso.”

“Forse saremmo morti volentieri sapendo che il nostro re era stato vendicato.” Dailin parlò senza guardare Mars negli occhi.

“Non ho più nessuno al mondo. Credi che darei le vostre vite in cambio della vendetta per la mia famiglia?”

“E’ una nostra scelta.” Disse il cavaliere alzando lo sguardo. Mars lanciò il suo sull’orizzonte.

“Sai, Dailin, ho sempre pensato alla vendetta. Solo alla vendetta. Ho attraversato queste terre in lungo e in largo, quasi sempre da solo ma, in fondo, sapevo che mi bastava un fischio per radunarvi tutti. I miei uomini. Vivevo solo ma non ero solo. Non lo sono stato mai. Ogni dannato giorno penso ai miei genitori, a mia sorella e al fatto che non li rivedrò mai più. Ma sai cosa mi manca di più di ogni cosa? Quando tornavo a casa, appena passata la valle di pietra e giunto in cima a Roccia Vergata, mi perdevo nella vista di Torreterra. Quel torrione che sovrastava Dumbara mi dava forza e fierezza. Il giorno che è crollato, io sono morto. Sono morto prima ancora di sapere che la mia famiglia era stata sterminata. Aeris Strifen è l’unico che può ricostruire Torreterra, ridargli corpo e valore. Io lo devo a mio padre che ne era così fiero. La mia vita non vale niente al confronto. Io seguirò Aeris Strifen e vi ridarò Torreterra. Voi siete ciò che resta di quella fierezza perduta. Non posso permettere che la vendetta vi porti via l’onore. Tieni.” Concluse porgendo il suo arco a Dailin. “Dallo ad Agape. Digli di tenderlo solo se è davvero necessario.” Dailin sgranò gli occhi.

“Non posso prenderlo, è l’arco di vostro padre.”

“Agape è mio fratello, come tu lo sei, come ogni altro cavaliere degli unicorni lo è.” Il cavaliere non riuscì a trattenere le lacrime di fronte alle parole del conte della Doreria.

“Glielo dirò.”

“E chiedigli di perdonarmi, se può.”

“E’ la stessa cosa che lui mi ha domandato di riferirvi, conte.”

“Va’ ora e prenditi cura dei nostri fratelli.”

“Lo farò.” Dailin, incapace di reggere ulteriormente la tensione, spronò il su cavallo al galoppo lungo la piana di Erbaverde.

 

Aeris guardò fuori dalla finestra. Da un po’ le visioni, che sempre l’accompagnavano, non si manifestavano più. Si chiese se non dipendesse dal suo stato di salute. In fondo era la prima volta che le sue condizioni non erano perfette. Chiuse gli occhi cercando con la mente la nube a nord. Era comunque sempre consapevole della sua presenza. Albered le aveva spiegato che dipendeva dall’incantesimo che aveva legato il suo sangue a quello dei Darine. La magia di Serian. Le era stata insegnata la formula sin da bambina. Non era un gran segreto. Nel regno la conoscevano adulti e bambini, sacerdotesse e prostitute, cavalieri e briganti. La formula, in sé e pre sé, non aveva alcun valore. 

‘Concedi a me la forza e la grazia, donami potere per la saggezza, conferisci fuoco e ghiaccio alla mia spada e per ogni colpo di scudo fulmini e tempeste. Il mio passo scuota la terrà poiché io so di cosa è fatta la magia di Serian.’ 

Aeris riaprí gli occhi e sospirò. Le parole non avevano alcun potere se colui o colei che le pronunciava non conosceva la cosa più importante. La prima volta che Aeris chiese al suo maestro di cosa si trattasse, Albered sorrise e le fece l’occhiolino. Le ci volle un po’ per capire che si trattava di un gioco di parole. Bisognava sapere di cosa è fatta la magia di Serian. Lei non ne aveva idea. Suo padre, per quanto ne sapesse, era stato l’unico a saper lanciare quella magia e non lo aveva mai rivelato a nessuno, neppure a lei. Forse però se n’era andato troppo presto. Probabilmente se fosse vissuto più a lungo, gliene avrebbe parlato. Albered però sembrava non crucciarsi del fatto che per Aeris, non sapere di cosa era fatta la magia di Serian, fosse un problema. Per quanto le diceva, nessuno in tutta Aeria, conosceva quel segreto. Neppure la sacerdotessa Asaline.

Un lieve bussare alla porta l’allontanò da questi pensieri.

“Avanti.” La porta si aprí lasciando entrare Albered e Grifis.

“Non dovresti stare in piedi.” Commentò quest’ultimo.

“Sto bene.” Rispose Aeris mostrando il braccio. “Le mie ferite sono rimarginate. Il potere rigenerativo ha fatto il suo dovere.” Grifis incrociò le braccia e non proferì più parola.

“Sono lieto che stai bene.”Intervenne Albered. “Sono venuto a riferirti le novità. Asaline ha cominciato i preparativi per la missione. Sostiene che appena l’imperatore si sarà ripreso, di certo vorrà partire per la ricerca delle sfere.” Aeris ascoltò in silenzio e si sedette sul letto.

“E quali preparativi sta facendo?” Albered si carezzò la folta barba bianca e si sedette su una poltrona che non sembrava per nulla comoda. Batté i palmi delle mani sulle ginocchia e rispose.

“Sta radunando vettovaglie e cavalli, manda dispacci lungo la via dei Pellegrini e poi a sud lungo quella dei Commercianti per avvisare che giungerà la carovana dell’imperatore e ordina di presidiare le strade e le città più importanti.” Grifis sbuffò.

“Sta disegnando dei bersagli lungo tutto il tragitto da qui alle Isole Maras. Non è così che si prepara una spedizione di questa importanza.” Aeris capiva benissimo il ragionamento del comandante del suo esercito ma gli fece comunque la domanda diretta.

“Perché Grifis, tu come la prepareresti?” 

“Viaggerei leggero. Pochi uomini. Niente cavalli. Mi muoverei lungo il fiume. Una barca è più facile da controllare. Niente sorprese.” Aeris scambiò uno sguardo d’intesa con Albered.

“Magari muovendosi in incognito. Ho visto cosa è successo nelle città che abbiamo attraversato venendo qui.” 

“Vedo che sua maestà ha compreso perfettamente, vero Grifis?” Disse il primo ministro.

“Potresti spiegare tu a lady Asaline i motivi per cui sarebbe meglio che l’imperatore si sposti con un piccolo gruppo di scorta.” Fece Grifis perdendo per un momento l’aria seccata che lo aveva accompagnato dal suo ingresso nella camera del principe. Aeris però si alzò dal letto e scosse il capo. 

“Lady Asaline farà di tutto per fare andare le cose secondo i suoi piani. Tuttavia l’idea di Grifis di viaggiare lungo il fiume con pochi uomini e senza cavalli è ottima. Viaggeremo in incognito. Un gruppo esiguo passerà facilmente inosservato. Inoltre, meno gente mi vede e meno occhi avrò addosso. Così potrò anche evitare che il generalissimo si unisca alla comitiva. A proposito, Albered, che fine ha fatto?”

“E’ partito per Grigiolago.”

“E’ tornato a casa sua?”

“Non mi fiderei di questa versione.” S’intromise Grifis che sentiva montare un pessimo presentimento riguardo al taglio che Aeris intendeva dare alla spedizione.

“Qualunque siano i piani del generalissimo, è della somma sacerdotessa che adesso dobbiamo preoccuparci. Cosa devo riferire, maestà?”

“Parlerò io con lei.” 

“Aeris, lascia fare ad Albered. Lui sa come affrontarla.”

“No, Grifis. La sacerdotessa non accetterà un rifiuto se non da me.” Aeris lo disse guardando il suo primo ministro e l’uomo le sorrise. 

“Ho già capito come finirà questa cosa.” Grifis alzò le mani al cielo.

“Albered, vuoi avvisare la sacerdotessa che devo parlarle?” L’uomo uscì lasciando soli i due ragazzi.

“Grifis so bene quanto tu sia preoccupato. Per questo voglio rivelarti le mie intenzioni prima che a chiunque altro. Io partirò da sola. Verranno con me solo i difensori di Aeria.” Aeris parlò lentamente, guardando il suo primo cavaliere con calma. Mostrò sicurezza e decisione. 

Grifis , dal canto proprio, si limitò a stringere i pugni.

“Non sono stato sempre all’altezza del compito che tuo padre mi assegnò sul letto di morte?”

“Grifis, ti prego. Devi cercare di comprendere.”

“Comprendere cosa?” Esclamò l’uomo fendendo l’aria con un braccio in un gesto di stizza.

“Sei sempre stato la mia ombra. Niente mi ha mai sfiorato con te al mio fianco. Tu sei sempre stato una sorta di scudo invisibile tra me e qualsiasi genere di pericolo. Se ora venissi con me, lo saresti ancora.”

“E cosa c’è di sbagliato in questo? Hai rischiato di morire appena qualche giorno fa! Io non posso neppure immaginare quanti pericoli ci sono là fuori! E poi non consideri cosa c’è in gioco. Non c’è solo la tua vita ma l’esistenza stessa dell’impero!”

“E’ proprio per questo che devi lasciarmi andare da sola! Fino a che ci sarai tu a proteggermi, io non farò mai neppure un passo in avanti! Tutta questa missione, la ricerca delle sfere, la battaglia contro lo stregone Norren, non sono niente se paragonate allo scopo ultimo di tutto. E’inutile nasconderlo. Questo viaggio finirà a Zarandal, ai piedi della grande ombra. Lì sarò sola. Anche se tu volessi accompagnarmi fin laggiù, sarò io a dover evocare la magia di Serian. E allora che succederà?” Gli occhi di Aeris si erano riempiti di lacrime. Grifis capì che era combattuta, che non parlava solo per la voglia di emanciparsi o di partire per la più grande avventura della sua vita. Capì che si stava sforzando di non tremare di fronte ad una serie di eventi più grandi di lei, di non cedere alla paura di perdere tutti i suoi affetti più cari in una volta, di non arrendersi al timore di essere inadeguata per il compito che le era chiesto di svolgere. Grifis fece un passo in avanti, allungò una mano e la tirò a sè. Aeris si lasciò avvolgere da quell’abbraccio che era, allo stesso tempo, familiare e nuovo. Una lacrima le scivolò lungo la guancia che non aderiva al petto dell’uomo.

“Se tu sarai con me, io non apprenderò niente. Io invece devo imparare. Devo imparare tutto. Devo imparare a conoscere il mondo, le persone che ci vivono, la forza per combattere, la paura del fallimento, la gioia della riuscita. Devo imparare l’angoscia del dubbio e la consapevolezza per fare una scelta. Devo imparare il dolore,” e a queste parole Grifis la strinse più forte “la rabbia e la compassione. Senza tutte queste esperienze, davanti alla grande ombra io fallirò. Mio padre mi disse che ero troppo giovane per comprendere la natura della magia di Serian quando gliene chiesi. Ho sempre creduto che si fosse rifiutato di parlarmene per via della mia età. Quello che è accaduto sull’altura, il combattimento con lo yomi, la caduta nella valle, mi hanno fatto comprendere che ci sono esperienze che non ho mai fatto. Forse mio padre non si riferiva alla mia età ma alle mie esperienze. Non chiedermi come faccio a saperlo ma credo che per comprendere di cosa è fatta la magia di Serian, io debba fare questo viaggio da sola. Devo contare sulle mie sole forze.” 

Grifis allentò un po’ la presa e la guardò dritta negli occhi. Con una mano le asciugò le lacrime.

“Posso comprendere. Davvero, posso. Non so però come potrò lasciarti andare. Finora sono stato sempre con te. Non riesco ad immaginare di aprire gli occhi al mattino e sapere che sei dall’altra parte del mondo. Non so come farò.”

“Non sarà  facile neppure per me, Grifis.”

“Dovrai fare attenzione a qualunque cosa. Promettimi che sarai prudente e che, una volta raccolte tutte le altre sfere, verrai a Vetta Azzurra. Non andrai a Zarandal senza di me.” Aeris gli sorrise.

“Te lo prometto.” Il ragazzo la strinse e con la stessa intensità sentì stringere il cuore nel petto. Aveva appena consentito che Aeris si allontanasse da lui. Nonostante le promesse, nonostante le parole della sua principessa, non riuscì ad evitare il pensiero che il legame che Kalendis Strifen aveva creato tra loro si fosse sciolto per sempre.

 

Loran lasciò le sue stanze non appena le sue guardie gli confermarono che la madre aveva lasciato Cattedra. Le aveva promesso di rimanere a letto e non le aveva mai disobbedito. Apertamente almeno. Si affacciò nei maestosi giardini del tempio dove lady Asaline aveva fatto allestire i carri che avrebbero dovuto accompagnare la spedizione dell’imperatore. La voce del ramingo lo raggiunse alle spalle e lo fece sussultare. Guardò indietro cercando le sue guardie del corpo e le vide ai lati della porta. Non si erano accorti che Mars Hornet era seduto su un ramo dell’albero alla sua destra, nascosto dalle fronde.

“Che ne pensi?” Gli chiese senza smettere di affilare la punta di una freccia con un coltellino. A chiunque avrebbe risposto con un’altra domanda. A Mars Hornet tuttavia, Loran Valentine si era sempre concesso il lusso di dire la verità.

“Che se l’imperatore deve viaggiare con tutto questo seguito, tanto vale che mandiamo un messaggio a Norren su dove si trovano le altre sfere e non ci prendiamo la briga di perdere tempo e denaro.” Mars sorrise e, come al solito, la cicatrice sulla sua guancia diede un aspetto sinistro alla sua espressione.

“Scrivi anche da parte mia, allora.”

“L’imperatore lo sa?” Chiese Loran poggiando la schiena contro il tronco dell’albero su cui era nascosto Mars. Il ragazzo scosse la testa.

“Sei tu il viceré, perché non vai a dargli qualche consiglio?”

“Ha già un consigliere che sa il fatto suo. Tu dovresti conoscerlo meglio di me. Appartiene alla tua gente.” Fece Loran riferendosi ad Albered.

“Sai sempre tutto tu, non è così?” Fu il turno di Loran di sorridere.

“Non tutto. Ad esempio non so niente di quell’uomo che accompagna i Nagrod.”

“È un mercenario.” Tagliò secco Mars.

“E io sono il tuo sposo.” Disse Loran indicando la ferita al labbro inferiore. “Questo non significa che tu hai smesso di odiarmi. Allo stesso modo quell’uomo è un mercenario ma non significa che non agisca come fosse lord Naro in persona.”

“Se sei acuto come vuoi far capire,” fece Mars puntando la freccia contro il volto dell’altro “perché hai lasciato partire tua madre per Grigiolago?” Il volto di Loran si rabbuiò.

“Mia madre è la regina della Faleria. Non obbedisce a nessuno. Ha deciso così e io non posso ostacolarla.”

“Fate un gioco pericoloso.”

“Mia madre sa quel che fa. Vorrei poter dire altrettanto.” Quando Loran alzò lo sguardo in cerca di Mars, del ramingo non c’era più traccia.

 

Naro aprì parte del pesante drappo che faceva da porta alla tenda dove Akram riposava e lo trovò seduto mentre consumava un pasto frugale. Indicò con un braccio l’esterno e l’uomo si sforzò di alzarsi per raggiungere l’apertura. Guardò fuori. I preparativi per la missione di recupero della sfera rubata impazzavano.

“Non buono.” Disse il signore dei Nagrod.

“Non c’è bisogno che tu lo dica. È opera di Asaline, vero?” L’uomo bestia annuì. “Ad ogni modo non è affar nostro. L’imperatore come sta?”

“Sveglio.”

“Bene. Naro, te la sentiresti davvero di partire per un viaggio alla ricerca delle sfere? Quelli del tuo popolo non vivono bene lontano dalle montagne e dal freddo.”

“Io fare viaggio fino a mare. Bisogna fare.” Akram sorrise.

“Puoi mandare me al tuo posto.”

“Tu e imperatore viaggia insieme soli? Grande pericolo.”

“Non farò alcun male all’imperatore. Se intende distruggere la grande ombra è il benvenuto.”

“Chi controllare che imperatore non fa male Akram?” Stavolta Akram non rise e guardò dritto negli occhi di Naro.

“Credi che quel ragazzino possa farmi del male? Lo hai visto combattere? Potrei tagliarlo in due con un solo fendente di spada.”

“Magia potente.”

“Non può farmi niente.”

“Lui non fa niente, tu quasi muore.” Come al solito la logica semplice di Naro era disarmante. “Io parte per viaggio verso mare.”

“Come vuoi. Vado a riposare ancora un po’. Se, come credo, partiremo presto, devo recuperare tutte le mie energie.”

“Tu che difende alferian, cosa cattiva. Io difende figlio di Varcoghiaccio, cosa buona.” Akram sorrise mentre si coricava.

“Ognuno ha ciò che si merita. Non è in questo che credi, Naro?” Il Nagrod dagli occhi blu rispose con un verso incomprensibile anche al ragazzo. Questi chiuse gli occhi e cercò di non concentrarsi sul dolore al costato. L’immagine dei capelli biondi della principessa alferian gli attraversò la mente. Si lasciò cadere in un sonno senza sogni.

 

Aeris camminava lentamente, senza chiedere troppo al suo fisico ancora provato dalla caduta nel dirupo. Grifis, al suo fianco, rimaneva silenzioso. Solo quando bussò alla porta della somma sacerdotessa disse ciò che gli passava per la mente.

“Ci siamo. Non devi fare nulla che non desideri veramente.”

“Ti ringrazio ma non è vero.”

“Io sono qui fuori.” Rispose l’uomo abbassando lo sguardo sul pavimento. In quel momento un’ancella dagli occhi verdi e brillanti aprì la porta e le fece cenno di entrare. La ragazza rimase accanto alla porta. Immobile e muta.

“Vostra altezza! È fonte di gioia vedervi ripreso. E con una tale velocità! È potente la magia in voi!” La voce di Asaline lasciava trasparire gioia e sollievo. Se fingeva, pensò Aeris, era brava a farlo.

“Vi ringrazio, mia signora. So che siete stata al mio capezzale. Sono qui per sdebitarmi.”

“Maestà, non ho fatto alcunché. Il vostro primo ministro vi ha assistito da solo.”

“Mi ha riferito la vostra solerzia, mia signora.”

“Sto solo cercando di aiutare come posso. Mi sono permessa di predisporre alcuni preparativi per il vostro viaggio, sire. Vi prego, accomodatevi.”

“È appunto per questo che sono qui.” Disse Aeris prendendo posto su una poltrona al centro della stanza. Era tesa ma sapere che fuori dalla porta c’era Grifis, l’aiutava molto. Lanciò uno sguardo verso la porta ma incrociò quello della novizia sull’uscio. Si ricordò in quel momento che l’aveva già vista la sera del primo ricevimento. Doveva essere la preferita della somma sacerdotessa. Tornò a guardare Asaline. “Sono venuto a dirvi che tutti questi preparativi non sono necessari.” Lo disse senza giri di parole quasi con lo scopo di provocare il disappunto nel volto di lei. Ebbe l’impressione che qualcosa nella maschera di benevolenza che la donna aveva deciso d’indossare, si crepò. Un leggero movimento di una mano nell’altra. 

“Se vostra altezza deve affrontare una missione così importante e pericolosa, non dovrei io preoccuparmi di fare in modo che lo faccia con la minore fatica possibile?”

“Credetemi, lady Asaline, queste attenzioni non sono necessarie.” Aeris fece in modo di calcare bene la parola ‘attenzioni’. “So quanto tenete alla questione e farò quanto in mio potere perché tutto possa risolversi per il meglio. Avete convocato il supremo consiglio. Avete avuto un responso. Ora lasciate che sia io a preoccuparmene.”

Asaline non era stupida e comprese che neanche il principe lo era. A quanto pare aveva deciso di mettere subito in chiaro le cose, né lei si era illusa che sarebbe stato facile imporgli la sua volontà. Optò subito per un approccio più accomodante.

“Lo comprendo. Volevo rendermi utile. In tal caso, lascerò a vostra maestà le decisioni in merito. Cosa volete che faccia?” Lo disse versando del vino in una coppa e porgendola ad Aeris. L’imperatore si alzò.

“Benedite il nostro cammino e pregate. Pregate molto Serian.” La mano della somma sacerdotessa rimase a mezz’aria. Persino l’ancella sulla porta sussultò. “Porterò con me solo i difensori di Aeria. Partiremo domattina. Perdonatemi se il resto delle informazioni lo tengo per me. Mio padre mi ha insegnato che il fardello delle decisioni difficili deve gravare, per quanto possibile, solo sull’imperatore.” Detto questo accennò un inchino e raggiunse la porta. La fanciulla esitò un momento a spostarsi. Probabilmente si stava chiedendo se doveva attendere un cenno della sua signora. Quando sollevò lo sguardo sul viso di Aeris e vide una sorta di luce provenire dal corpo del principe, si fece subito da parte. 

Solo dopo che la porta fu chiusa alle sue spalle, Aeris si concesse di prendere un respiro e sorrise a Grifis.

“Com’è andata?”

“È andata. Credo si sia risentita.” Grifis le fece strada lungo i corridoi e poi verso i giardini. Era una bella giornata e il cielo sembrava altissimo. Non come quello della Balvaria comunque. Intuendo la linea dei suoi pensieri, Aeris toccò il braccio del suo comandante.

“Nessun posto è come casa.” Grifis abbassò i suoi occhi su di lei.

“Senza di te, nessun posto è casa.”

“Vale lo stesso per me. Senza te e Marine sarà durissima. Se non trovo il coraggio ora, non lo troverò mai.”

“Coraggio? Ho l’impressione che tu me l’abbia rubato tutto. Quando sei diventata così determinata?” Aeris sorrise.

“Mi piace pensare che lo sia sempre stata e che sia la fiducia che nutrite in me a darmi tanta forza.” Grifis le si pose di fronte.

“Io ho fiducia in te. Non credere che le mie paura dipendano dal timore che tu non sia all’altezza. Semmai è vero il contrario. Ho la sensazione che non sarò più di alcuna utilità per te da oggi in poi. Questo mi angoscia.” Lo aveva detto. Non poteva lasciarla andare senza dirle le cose come stavano. Aeris gli prese una mano. 

“Non sei caro al mio cuore perché sei utile, Grifis. Io ti voglio bene. Darei la mia vita per te. Se ho deciso di partire per questo viaggio è perché voglio proteggere, prima di tutti gli altri, te, Marine, Albered e i nostri amici più cari. Tutta la fatica che hai fatto per difendermi in questi anni è servito a portarmi fino a qui. Da questo punto in poi devo camminare da sola.” Disse lasciando andare la sua mano.

“Non avrò pace fino a che non sarai di ritorno, lo sai vero?”

“Lo so ma tu avrai molte cose da fare mentre non ci sarò. Innanzi tutto per il resto del regno io sto tornando a Vetta Azzurra. Dovrai amministrare in mia assenza e proteggere Marine. Sto lasciando tutto nelle tue mani.”

“Non sono la persona giusta. Dovresti affidare ogni cosa ad Albered.” Aeris scosse il capo.

“Lui non ragiona come me. Tu sì. Confido in te.”

Grifis, nel vederla così bella e serena sentì la volontà cedere e si inginocchiò.

“Se questa è la volontà di vostra maestà, obbedisco.” Aeris gli carezzò il capo e si sentì meschina. Stava usando tutto l’ascendente che aveva su Grifis per negargli l’unica verità. Anche se non poteva dirgliela, ciò nondimeno perdeva significato. L’inizio di questo viaggio avrebbe cambiato ogni cosa, lo sentiva. Compreso il rapporto che aveva con lui e con Marine. Si sforzò di non cedere allo sconforto che quel pensiero le provocava e alzò gli occhi al cielo. L’immagine di Bashenian che si librava libero nel cielo le impedì di piangere.

 

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Capitolo 13
*** Il crocevia ***


-Il crocevia-

Albered aveva consegnato il messaggio ai difensori di Aeria. La partenza del viaggio che li avrebbe condotti alla ricerca delle sfere, allo scontro inevitabile con Norren e, infine, al faccia a faccia con la grande Ombra, era fissata per il tramonto. All’ora prestabilita Aeris raggiunse il giardino dove erano le tende dei Nagrod. Era sempre il luogo meno frequentato di tutto il palazzo e lei voleva che la partenza passasse più inosservata possibile. Si fermò sotto al porticato un passo avanti ad Albered, Marine e Grifis e guardò verso il basso.

Loran Valentine era in piedi in abiti pregiati ma non appariscenti. Se ne stava per conto proprio a braccia conserte. Poco poi in là se ne stavano Mars Hornet nel suo solito abito da ramingo con il cappuccio tirato fin sugli occhi e Mars Garan che, a causa della sua stazza, non sarebbe mai riuscito a non dare nell’occhio anche adesso che aveva deciso di indossare abiti comuni, meno vistosi rispetto all’uniforme della sua tribù. Mentre si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta a decidere di partire con quelle persone che non avevano nulla in comune l’una con l’altra, la sua attenzione fu catturata da lord Naro che procedeva verso i suoi futuri compagni di viaggio. Dietro di lui camminava, con passo sicuro, Akram. La voce di Grifis la raggiunse mentre la sua mano le toccava il braccio.
“Lui cosa ci fa qui? Non avevi detto solo i difensori di Aeria?”
“L’ho detto.” Disse lei voltandosi verso Albered. L’uomo anziano sorrise allargando un poco le braccia.
“Lord Naro non può comunicare con nessuno altrimenti. Ha bisogno di lui. Non piace neanche a me ma non vedo altra scelta. Se vuoi Lord Naro, devi prendere anche il mercenario con te.”
“Non esiste!” Esclamò Grifis. “Quell’uomo non mi piace. Non sappiamo niente di lui.” Aeris abbassò gli occhi al terreno e Marine, che non aveva mai staccato i suoi da lei, se ne accorse.
“Non siate così drammatici. Se avesse voluto fare del male ad Aeris, gliene avrebbe già fatto. Di occasioni ne ha avute!” La principessa imperiale si riferiva non solo alla notte che i due avevano passato da soli nel fondo del burrone ma anche a quella che aveva trascorso con Aeris la sera della cerimonia della prima luce e di cui lei le aveva parlato in confidenza.
“Essere stati fortunati una volta, non ci autorizza ad essere incoscienti.” Grifis non voleva arrendersi. Albered fu costretto a intervenire.
“Non abbiamo molte scelte. In più, il conte Hornet ha giurato di vegliare in modo particolare sull’imperatore. E lui dice che il mercenario è persona di cui ci si può fidare.”
“Tu lo chiami conte. Il lo chiamo brigante. Ed è questa la definizione che gli si addice di più.”
“Grifis, ti prego. Albered ha ragione. Il conte Hornet mi ha già salvato fuori dalle mura di Cattedra. E senza Akram sarei morta nel burrone. Ve bene così. Ho bisogno di lord Naro.” Disse voltandosi e indicando i suoi cinque compagni. “Guardateli. Sono divisi. Diffidano gli uni degli altri. Per sconfiggere la grande ombra dovranno diventare come i guardiani che accompagnarono mio padre a Zarandal. Se non mi fido io di loro, come faranno loro stessi a farlo?”
Albered la raggiunse e le mise entrambe le mani sulle spalle.
“È così. Sono certo che andrà tutto bene. Tu ricorda di usare tutte le cose che ti ho insegnato. Più di tutto però, usa i tuoi doni. Sai leggere nella loro mente. Fallo. Usa la magia per proteggerti e, sopra ogni cosa, tieni Bashenian vicino al tuo cuore.”
Il primo ministro avvicinò la fronte a quella di Aeris fino a toccarla poi le sorrise e si allontanò. Grifis comprese che quello era il momento della separazione e fece un cenno a Marine. La ragazza si avvicinò e le prese le mani sorridendo. I suoi occhi, tuttavia, erano lucidi.
“Ti invidio, mio principe. Tu parti per una fantastica avventura mentre io dovrò tornare in quel noioso palazzo e, per di più, senza la tua compagnia! Ti ricorderai di portarmi un dono?”
Aeris le strinse ancor più le mani e annuì.
“Uno per ogni posto in cui andrò. Sarai sempre nei miei pensieri.” Marine, incapace di reggere l’emozione, la strinse forte e quando le sue labbra furono vicine al suo orecchio in modo che sentisse lei sola sussurrò poche parole.
“Vivi la tua splendida avventura ma torna da me. Torna Aeris.” Si staccò da lei e Aeris, con le lacrime agli occhi, annuì. Marine tirò su col naso e raggiunse Albered di corsa. Solo allora Grifis le fu di fronte.
“Se potessi, verrei con te. Farò ciò che mi hai chiesto. Manderò i miei soldati lungo la via. Vigileranno che non ci siano pericoli e distrarranno possibili nemici dal tuo vero cammino. Aeris, ti aspetto a Vetta Azzurra per unirmi a te verso Zarandal. Hai promesso.”
Aeris annuì. Per un attimo pensò che Grifis l’avrebbe stretta per rinviare l’addio ma l’uomo fece un solo, lento, passo indietro. Aeris si asciugò le lacrime che stavano per caderle dagli occhi col dorso della mano e fece lo stesso. Come accadeva ai tempi del loro addestramento quando combattevano e sembravano uno lo specchio dell’altra generando stupore e ammirazione nelle altre reclute, si girarono di spalle contemporaneamente. Aeris occhi nel sole, Grifis nell’oscurità del portico. Gli stessi passi che mise Grifis per raggiungere sua sorella e il suo maestro, mise Aeris per ritrovarsi davanti ai suoi compagni di viaggio. Tutti, nessuno escluso, fecero un cenno col capo, poi Aeris li precedette verso la porta del palazzo a sud. Il sole calava oltre l’orizzonte mentre i sei viaggiatori lasciavano Cattedra diretti verso il crocevia.

Layla stava ricamando un velo talmente sottile da sembrare aria tra le sue dita. Ci voleva calma e attenzione per fare quel lavoro ma in quel momento lei non aveva né l’una né l’altra. Continuava a gettare lo sguardo verso lady Asaline. La somma sacerdotessa era radiosa nel suo abito argenteo  e conversava amabilmente con due sacerdoti della passata festività. Layla pensava che dovesse essere furiosa, magari cercare di nasconderlo ma non sembrava così. Layla sapeva che era una donna abituata ad essere obbedita. Nel giro di pochi giorni aveva subito due smacchi rilevanti. Prima l’offesa di Seifer che aveva lasciato il palazzo senza salutare. Che avrebbe fatto se avesse saputo che il nipote aveva confidato a lei, la sua preferita, i suoi propositi di partire per anticipare l’imperatore e lei non le aveva riferito nulla?
A ciò doveva aggiungere l’umiliazione di essere stata praticamente esautorata dai piani dell’imperatore che aveva lasciato Cattedra di notte.
Eppure, nonostante Asaline avesse tutti i motivi per essere furiosa, non sembrava per nulla in collera. Questa cosa gettava Layla in uno stato di confusione. Era brava ad osservare la gente e a capirne le azioni e reazioni ma adesso niente le era chiaro. Si punse un dito ed emise un gemito. Si portò il dito alle labbra ma la mano le fu afferrata a mezz’aria. Lei sollevò lo sguardo e vide Asaline.
“Ti sei punta? Sei distratta piccola mia. Vieni con me, ci mettiamo un po’ d’acqua.”
Lasciarono la stanza e lei la seguì fino alle sue camere. La donna la fece entrare e accomodare su una sedia.
“A cosa pensi, Layla?” La ragazza era brava a dire bugie. Aveva imparato da quando aveva cominciato a vedersi con Seifer ma decise di essere sincera.
“Posso parlare liberamente?” La donna la guardò negli occhi con benevolenza.
“Certo, mia cara.”
“Non siete arrabbiata?”
“E per cosa?” Layla avrebbe voluto sorridere di malizia ma si limitò a rispondere scegliendo di non nominare Seifer.
“Per il comportamento dell’imperatore.” La donna le posò una pezza umida sul dito e le indicò di fare pressione. Dopo di che si alzò e raggiunse la finestra.
“Se una cosa deve accadere, Layla, il destino può scegliere mille strade. Può andare per una via diritta senza deviazioni oppure scegliere di svoltare centinaia di angoli prima di raggiungere la meta. Arriva comunque. L’imperatore si sente adulto e in grado di camminare con le sue gambe. Va bene. Quello che conta è la via. E quella, mia cara Layla, l’ho tracciata io.” Disse voltandosi. Layla sentì il gelo penetrarle nelle ossa. Il volto di Asaline era la maschera della crudeltà. Non l’aveva mai vista così e le tornarono alla mente le parole di Seifer l’ultima notte che si erano amati riguardo ai piani di sua zia. L’idea che anche Seifer si stesse avventurando su una via già segnata da quella donna che ora aveva davanti, la gettò nella disperazione. Chinò il capo e non proferì più parola. Asaline, camminando, le passò accanto e le mise una mano sulla testa.
“Vorrei che facessi una cosa per me, piccola Layla.”
“Qualunque cosa, mia signora.”
“Prega per Seifer. Le mie preghiere non lo raggiungono più. Mio nipote, il sangue del mio sangue, la mia vita, si è allontanato da me. Prega molto, Layla.” La sacerdotessa lasciò la camera. Layla si chiese come fare a far sapere all’uomo che amava che non era lui a stare un passo avanti alla signora di Cattedra ma il contrario.

Solo Akram, in cima al gruppo, portava una fiaccola. Illuminava qualche metro davanti a loro ma era sufficiente a farla sentire al sicuro. Aeris camminava dietro al mercenario e all’uomo bestia. Mars Hornet e il viceré le stavano ai fianchi mentre Garan le copriva le spalle. In effetti, se qualcuno li avesse visti da lontano, nessuno si sarebbe accorto di lei. Mentre camminava in silenzio, si rese conto che il più basso fra loro la sovrastava di almeno due palmi.
Fu Loran a rompere il silenzio che era calato tra loro e che nessuno si era sentito di infrangere fino a che non si erano incamminati su un sentiero laterale alla via dei Pellegrini. Akram lo aveva scelto perché meno frequentato e nessuno aveva fatto obiezione.
“Immagino che vostra maestà trovi tutto questo nuovo. So che non lascia spesso il suo palazzo.”
“Lo dicono le tue spie?” Lo rimbeccò subito Mars.
“Le spie cercano i segreti. Che sua maestà è cagionevole di salute lo sanno tutti.” Rispose Loran gettando uno sguardo ad Aeris. Il principe sorrise.
“Non sono malato. Solo, come dire, di costituzione minuta. Fino ad oggi tutti hanno ritenuto più prudente per me non espormi, ma se adesso occorre radunare le sfere, non mi tirerò certo indietro.”
“Per essere minuto, mio re, lo siete. La minore tra le mie sorelle è più alta di voi!” Esclamò Garan.
“So di essere minuto,” disse Aeris “ma confido che sia il vostro popolo ad essere di costituzione particolarmente robusta!”
Loran rise e, probabilmente ritenendo chiuso l’argomento, decise di punzecchiare Akram.
“Se la costituzione degli abitanti delle isole Maras deve ritenersi robusta, come mai avrai fatto tu a convivere con i Nagrod, Akram.” Il ramingo inizialmente non rispose poi, continuando a camminare a passo sostenuto, parlò.
“Anche tra i Nagrod ci sono i più forti e i più esili. Sono tutti valorosi guerrieri.”
“E tu hai imparato fra loro il coraggio e la forza?” Continuò Loran. Aeris si ricordò di come Akram avesse usato la magia nel burrone e le avesse chiesto di non rivelarlo, così si affrettò a cambiare discorso.
“Che via è questa che stiamo facendo, Akram?”
“La via che conduce al crocevia.”
“L’ho visto durante il mio viaggio verso Cattedra. È un monolite.” A quelle parole Naro emise un verso. Akram si affrettò a chiarire.
“Non un monolite. È un obelisco. Molti secoli fa, quando questo mondo era giovane e ci vivevano solo Serian e suo fratello Seiren, tutto era pianura e silenzio. Dalle preghiere di Serian nacque il primo uomo e lei se ne invaghì al punto che il fratello, per gelosia, fece cadere le tenebre su tutta la terra. Serian allora pianse di dolore e dalle sue lacrime nacquero le bestie sacre. Esse combatterono Seiren e lo sconfissero. La sorella lo confinò nel suo specchio, la porta per un altro mondo. Prima di cadere nell’oblio, Seiren scagliò la sua lancia nella terra. Essa sì conficcò talmente in profondità che scosse ogni cosa. Nacquero monti e laghi e si aprirono i mari dove la terra franò. La magia di Serian salvò il nostro mondo come lo conosciamo. Dalla punta dell’obelisco, emerge ancora la luce  generata dall’energia di quell’antico incantesimo.”
Aeris ascoltò tutto in silenzio.
“C’è chi dice che sia il fuoco che scorre sotto la terra a generare la fiamma dell’obelisco.” Fece Loran spezzando la magia di quella favola antica.
“Ognuno crede alla storia che preferisce. Resta solo il fatto che si tratta di un luogo magico. Ci si deve approcciare con una buona quantità di rispetto e prudenza.” Disse il ramingo tornando al silenzio.
“Tutta la carovana che c’era qualche giorno fa sembra sparita nel nulla.” Continuò invece Aeris che trovava confortante chiacchierare un po’.
“Quando la festa della prima luce passa, la maggior parte delle persone si dedica ai propri affari.” Si affrettò a spiegare Mars. “In più, la comparsa dello yomi a Cattedra non ha aiutato l’umore dei Pellegrini.”
“Quindi si sono dileguati tutti in pochi giorni,” constatò Aeris “compreso il generalissimo.”
“Anche lui ha fatto ritorno a casa.” Disse Loran.
“Senza neanche ringraziare chi gli ha salvato la vita!” Aggiunse Garan.
“È un uomo orgoglioso. Suggerirei una buona dose di rispetto e prudenza anche nella valutazione delle azioni di mio cugino.” Loran lo disse sottolineando il rapporto di parentela non perché nutrisse realmente la volontà di difendere la sua reputazione ma perché gli altri capissero che fosse davvero il caso di temere le sue azioni.
“Scommetto che ti rode che lui non sia qui, vero Valentine!” Inveì Garan dalle retrovie.
“Sto solo ricordando a lor signori che per raggiungere la via dei commercianti, dobbiamo attraversare la foresta dei Weird. Non sperate di passarci attraverso senza venire intercettati dalle guardie di Grigiolago.”
In quel momento Naro indicò un punto in una radura e Aeris vide Akram annuire.
“Possiamo accamparci lì per la notte. Gli alberi ci proteggeranno da occhi indiscreti e la presenza all’obelisco dissuaderà chiunque dall’avvicinarsi.”
“Preparo l’accampamento.” Fece Mars e guardò verso Loran che si era inginocchiato come a voler  raccogliere alcuni rami. “Non è il caso di accendere il fuoco.” Il ragazzo sorrise e dispose la legna in un quadrato poi, sussurrando qualcosa d’incomprensibile, passò il palmo della mano su di essa e prese vita una sorta di fuoco fatuo appena visibile ma caldo e rassicurante. Aeris vi si sedette accanto e tirò fuori dal suo bagaglio qualcosa da mangiare e dell’acqua. Ne passò un po’ a Nagro e a Garan. Quando Akram e Mars ebbero terminato di armeggiare con dei teli, tra i rami bassi degli alberi comparvero dei giacigli che sembravano più confortevole dell’erba alta della radura. Aeris vi si fiondò sorridendo e ammirando la bravura dei suoi compagni. Mars fece un cenno col capo, Akram invece si girò e raggiunse un grosso masso.
“Faccio io il primo turno di guardia.” Aeris perse il sorriso. Ci avrebbe dovuto pensare lei, mentre si era preoccupata solo di trovarsi un posto caldo dove passare la notte.
“Ti sostituisco io fra un paio d’ore.” Gli disse Mars sedendosi e appoggiando la schiena al tronco di un albero. Si tirò il cappuccio sulla testa e sembrò addormentarsi.
Garan cadde in un sonno profondo quasi subito e Aeris cercò di convincersi che fosse il suo russare a non farla dormire. La voce di Loran venne da un’amaca improvvisata che il vicerè aveva approntato con uno dei teli fissati da Akram.
“Quando avevo sei anni adoravo la marmellata ai frutti di bosco. Mia madre aveva ordinato a tutta la servitù di tenerne sempre a mia disposizione. Non so quanti mesi sono passati prima che mi accorgessi che il paggetto che me la serviva ne era ghiotto.” Aeris si sporse dal giaciglio in cui si era accoccolata e guardò in su.
“È un modo carino per dirmi che mi sono comportato come un bambino di sei anni?” L’espressione seria del principe fece ridere Loran.
“No maestà, è un modo semplice per dire che quando siamo abituati ad un certo modo di vivere è facile non accorgersi di cose che ad altri possono sembrare scontate. Non deve contrariarsi per la faccenda dei turni di guardia.”
“Avrei dovuto pensarci io.” Mugugnò Aeris. “Ho provato la spiacevole sensazione di aver commesso l’ennesimo errore.”
“Un principe imperiale non sbaglia. Pensa diversamente.” Aeris si infilò di nuovo tra i teli e sospirò.
“Ha l’aria di una menzogna.” Stavolta fu Loran a sporgersi per guardare di sotto. I suoi capelli rossi brillarono alla luce del fuoco fatuo.
“Vuole un consiglio, maestà? Se a Vetta Azzurra le hanno insegnato che esistono solo il bianco e  il nero, fuori dalle mura della sua città scoprirà che esistono un sacco di sfumature. La verità cambia in base al modo in cui la racconti.”
“La verità è la verità, vicerè.” Loran rise e fece l’occhiolino.
“Se fosse vero, sarei spacciato!” Aeris rise e cercò di chiudere gli occhi e dormire. Anche se non aveva voluto cedere il punto a Loran, comprendeva in realtà le parole del viceré. Probabilmente meglio di chiunque altro. Lei era una ragazza e si faceva passare per il principe imperiale. Erano bastati dei piccoli artifizi per indurre tutti a credere che fosse il nobile e valorose erede dell’Ala di nuvola. Poteva dire che la sua fosse una menzogna bella e buona oppure che la verità era un’altra. Anche se non era l’erede che tutti avevano sperato arrivasse, lei ce la stava mettendo tutta per essere degna, per essere la creatura mitica che avrebbe salvato il mondo dalla grande ombra. Forse, se un giorno la verità fosse emersa, qualcuno con lo stesso modo di pensare di Loran l’avrebbe perdonata, addirittura accettata? Un rumore la fece voltare. Mars si era alzato ed era andato a dare il cambio ad Akram.
Il mercenario raggiunse il fuoco e si sedette cercando di non fare rumore. Aeris si alzò e lo raggiunse con una bottiglia di vino. Gliela porse.
“Grazie per aver fatto il primo turno di guardia al posto mio.” Akram stappò la bottiglia e bevve un paio di sorsi.
“Non toccava a vostra maestà. Avete cose più importanti a cui pensare. Buono il vino di Vetta Azzurra.”
“È buono soprattutto quando si è stanchi o tristi.” Rispose Aeris guardando il fuoco.
“Vostra maestà è stanco?” Chiese il mercenario. Lei fece spallucce.
“Stanco no. Triste forse.”
“Posso sapere per quale motivo?”
“Mi giudicheresti sciocco e infantile.” Akram bevve un altro sorso.
“Potrei giudicarvi ugualmente sciocco ed infantile poiché vi rifiutate di rispondere.” Aeris sospirò.
“Ho salutato Grifis dicendogli che sentivo di dover fare questo viaggio da solo per imparare. Sono inadeguato, lo so. So di non essere il principe che tutti si aspettavano. So di poter migliorare. So di poter diventare quel principe. Ecco però che al primo errore mi deprimo al punto da perdere tutta la fiducia che ho.” Akram allungò verso Aeris la bottiglia.
“Non sono pensieri sciocchi né, tantomeno, infantili.” Aeris sorrise e bevve.
“Tu sai sempre cosa fare.”
“È l’impressione che mi piace dare di me. Credetemi, altezza, se vi dico che anche io sono spesso inadeguato.”
“Ti ho visto sempre fare la scelta giusta finora.”
“Non scambiate l’esperienza per temperamento.” Aeris sorrise abbassando lo sguardo e restituendo la bottiglia al mercenario.
“È per questo che hai sempre quell’espressione dura sul viso? Pensi di non avere temperamento?”
“No. Voi avete sempre quell’espressione sorridente ma vi lamentate perché la cattiveria del mondo non vi ha potuto insegnare nulla. Io non sono capace di sorridere perché quella cattiveria mi è entrata dentro fino alle ossa.” Aeris gli mise una mano sulla spalla.
“Tutti sono capaci di sorridere. Facciamo un patto. Tu insegnami la cattiveria del mondo e io, in cambio, ti insegnerò la sua gentilezza.”
“Non mi sembra uno scambio equo, altezza.” Aeris rise.
“Questo fallo decidere a me. Ti avverto però, mio padre mi ha mostrato che la gentilezza può fare male quanto la cattiveria.” Akram portò la bottiglia alle labbra pensando che aveva già una mezza idea di cosa quelle parole volessero dire. Aeris si alzò e guardò in direzione del monolite. Lui posò la bottiglia in terra e le fu alle spalle.
“Di notte sembra più imponente.”
“Mi ci accompagni?” Akram non rispose e la precedette. Quando furono a pochi passi dalla pietra si fermò.
“È magico. In modo ancestrale.”
“Durante il mio viaggio verso Cattedra l’ho toccato. Hai ragione: è magico.”
“I Nagrod pensano che a seconda di chi lo tocchi riveli una magia diversa.” Aeris si voltò a guardarlo.
“In che senso?” Akram si sforzò di spiegare.
“Per i Nagrod il monolite appartiene a Seiren. Seiren non è un dio benevolo. Se chi tocca il monolite è pervaso di energia positiva, riceverà energia positiva ma se chi lo tocca ha intenzioni malvagie, riceverà malvagità.”
“Mi sembra giusto. Severo forse, ma giusto. In fondo la magia può essere un’arma potente. Se chi la usa è malvagio, può essere davvero molto pericolosa.”
“Ti riferisci a Norren?” Aeris fece un passo verso il monolite e sorrise.
“Mi leggi nel pensiero?”
“Non è difficile immaginare una cosa del genere.”
“Pensavo proprio a Norren ma, in realtà, anche a Seifer.”
“Seifer è potente ma è anche malvagio?” Chiese Akram avvicinandosi ad Aeris.
“Una parte di me crede che non lo sia, che il suo astio nasce dall’incomprensione. Durante il consiglio ha fatto bene intendere che ritiene di essere un candidato migliore di me ad impugnare l’Ala di nuvola. Comprendo il suo punto di vista e credo che se avessimo avuto modo di conoscerci meglio anche lui avrebbe compreso il mio. Tuttavia un’altra parte di me mi avverte di non fidarmi di lui.”
“Ve lo consiglio anche io. Non abbassate la guardia con lui. Il mio fiuto mi dice che nasconde qualcosa.”
“Fiuto?” Aeris lo guardò con aria interrogativa.
“È un modo di dire dei Nagrod.” Aeris rise portandosi una mano alla bocca. Akram non poté fare a meno di fare un ghigno.
“Se quello è un sorriso, Akram, dobbiamo davvero lavorarci.” Fece lei allungando una mano verso il monolite. Accarezzò l’edera che lo ricopriva poi le sue dita trovarono la roccia e lei si fece seria pensando che quel tocco le avrebbe suggerito una visione. Tremò quando non accadde poiché pensò che da quando era stata ferita non le era più capitato di avere premonizioni.
Akram se ne accorse e la prese per un braccio. Voleva portarla via di lì. Temeva davvero che il monolite potesse farle del male.
Fu allora, nello stesso istante in cui Akram strinse le sue dita intorno all’avambraccio, che accadde. Aeris fu trascinata in avanti e si ritrovò di nuovo sotto alla grande ombra. C’era sempre la donna a terra priva di vita ma, stavolta, l’ombra nasceva dal suo corpo e la guardava come uno spettro. Per la prima volta sentì la sua voce.
“Liberalo dalla maledizione. Ascolta la mia voce. Liberalo.”
L’ombra si fece maestosa e lo spettro indicò un punto nel cielo. Qualcosa brillò in quel punto e da lì cadde un fulmine. D’istinto chiuse gli occhi per proteggerli dal lampo e quando li riaprì l’uomo dagli occhi color cobalto era di fronte a lei. Vide le sue labbra muoversi ma non udì alcun suono. Si accorse solo che le sue mani erano sporche di sangue. Una profonda ferita le si era aperta nel ventre e lei cadde all’indietro, schiacciata da quegli occhi.
“Tu dovrai morire.”
Ora sapeva cosa aveva detto l’uomo prima di trafiggerla. Si fece prendere dalla disperazione e sentì che sarebbe svanita da un momento all’altro inghiottita dalla terra e dalle tenebre quando qualcosa le strinse il braccio. Erano le fauci della bestia che lei aveva visto nella taverna di Rifiel. Le stringevano il braccio senza dare segno alcuno di volerla lasciare. Fissò i suoi occhi. Anche gli occhi della fiera erano blu cobalto. Si sentì richiamare indietro e tornò padrona del suo corpo.
“Aeris! Rispondi!” La voce di Akram, carica di preoccupazione, la scosse. Lei si accorse che la sua mano stringeva il suo braccio esattamente dove la fiera la stava mordendo nella visione.
“Akram, cosa è successo?” Lui l’aiutò a rimettersi in piedi.
“Devi dirmelo tu. I tuoi occhi erano sbarrati e sembrava che il tuo spirito avesse lasciato il tuo corpo per finire chissà dove!” Aeris si stupì delle sue parole. Qualche volta le era capitato di essere sopraffatta dalle sue visioni ma nessuno aveva mai descritto i suoi mancamenti in quel modo. Akram invece aveva descritto esattamente quello che le accadeva in quei rari momenti. Il suo spirito veniva sbalzato altrove, nel passato o nel futuro, per assistere ad una scena che in genere non le apparteneva.
“Hai ragione, Akram. Non volevo che ti preoccupassi.”
“Ti avevo avvertito riguardo al monolite.” Aeris si era ripromessa di non svelare ai suoi nuovi compagni i suoi poteri nascosti ma non voleva lasciare il mercenario nel senso di colpa soprattutto dopo che lui le aveva rivelato di saper utilizzare la magia nel momento in cui lei ne aveva avuto bisogno. Così parlò.
“Non è colpa della magia del monolite. A volte io vedo delle cose. È proprio come hai detto tu. È come se il mio spirito, richiamato da qualcosa che è nel mio passato o nel mio futuro, lasciasse il mio corpo per qualche istante. In genere non se ne accorge nessuno. Stavolta è stato, come dire, intenso.” Akram la guardò dritto negli occhi per capire se quello che stava ascoltando potesse essere davvero la verità. Decise che lo era.
“Cosa hai visto?” Lei abbassò lo sguardo. Così lui la rassicurò. “Se puoi dirmelo.” Non si accorse che, nella premura, aveva abbandonato ogni formalità. Lei sollevò lo sguardo e parlò.
“Ho visto la grande ombra. O almeno credo.” Akram si fece, se possibile, ancor più serio.
“La grande ombra?” Aeris annuì.
“Non è la prima volta. Credo che il mio potere stia cercando di mettermi in guardia da essa.”
“Ti mette in guardia dal portare a termine la tua missione?” Akram parlò senza alcuna intenzione malevola ma le sue parole ferirono ugualmente Aeris che abbassò di nuovo lo sguardo e si toccò con entrambe le mani l’addome. Per un momento le parve che, nel guardarsele, fossero nuovamente sporche di sangue.
“Non mi tirerò indietro. Anche se dovrò morire.” Le parole le uscirono di getto, senza alcuna incertezza.
“Dovrai?” Chiese Akram prendendogliele e allontanando da lei la visione del sangue. “Tutti potremmo morire in una missione che ci porterà ai piedi della grande ombra.” Lei continuò a guardare le sue mani in quelle di Akram e si rese conto che avrebbe dovuto ritirarle subito tanto erano piccole al confronto con quelle del mercenario.
“Intendevo questo. Che anche se a rischio della mia vita, io andrò fino in fondo.”
“Tu hai detto ‘dovrò’.” Lei sorrise.
“È quello che ha detto lui.”
“Lui chi?” Aeris scosse il capo.
“Non lo so. Forse lo spettro di Zion.” Akram sentì qualcosa tirare dentro.
“Ascoltami.” Disse lasciando andare le sue mani. “Lo spettro di Zion non ti farà alcun male finché io vivrò.” Aeris lo guardò con aria interrogativa. “Questa è una promessa. Tutti possiamo andare incontro alla morte. Forse nel tuo destino potrebbe non esserci una vita lunga e felice ma di una cosa sola puoi stare certo, altezza. Sulla mia spada io giuro che Zion non ti farà alcun male fino a che io avrò un solo respiro da spendere.” Aeris cercò di capire cosa avesse generato una tale presa di posizione ma si arrese alla prima impressione che aveva avuto di Akram. Era un uomo d’onore.
“Un giuramento da vero cavaliere! Te ne sono grato Akram ma sono io che proteggerò te e gli altri. Forse dovrò morire ma non prima di averlo sconfitto. Non mi farò intimidire, né esiterò. Credi in me.”
La notte era ancora lunga e Akram rimase ancora lì vicino ad Aeris fino a che lei non sentì che poteva allontanarsi dal monolite in pace con la visione che aveva avuto.
Quando Loran sentì Aeris sistemarsi tra le coperte, scese dal suo giaciglio e si preparò al proprio turno di guardia. Vide il mercenario sistemarsi contro il tronco di un albero ma si accorse che non smise di fissare l’imperatore. Poteva immaginare perché un uomo del genere volesse avvicinarsi al futuro erede al trono dell’impero anche se Akram non sembrava il tipo d’uomo che si fa comprare con l’oro. Non riusciva invece a capire perché l’imperatore gli desse tanto credito. Forse però il mistero stava proprio in quello. Cosa aveva visto Aeris in Akram che lui non riusciva a vedere? Perché quello sconosciuto, presentato a tutti come un interprete dei Nagrod, aveva rischiato la vita per l’imperatore? Poteva osare tanto per ingraziarselo?
Di Aeris Strifen aveva capito poche cose. Che era buono d’animo ma non altrettanto stupido. Si sarebbe fatto abbindolare da un solo gesto, seppure eroico?
Loran sapeva che gli sfuggiva ancora qualcosa. Con un gesto della mano ravvivò il fuoco.
“Hai l’aria di chi fa cupi pensieri.” La voce non lo sorprese.
“Quella di prendermi alle spalle è diventata un’abitudine.” Mars rimase in piedi apparentemente preso dal sistemare il suo mantello.
“Sei preoccupato perché temi che Seifer non ci faccia passare liberamente per la foresta oppure perché temi che lo faccia?” Loran si voltò senza alzarsi.
“Dritto al punto! Nonostante vi abbia messi in guardia da Seifer, non riesci, non dico a fidarti, ma almeno a darmi un minimo di credito.”
“Seifer è tuo cugino e non sarebbe la prima volta che ti schieri dalla sua parte. Probabilmente ai tuoi occhi lui è invincibile.” Loran sorrise.
“Invincibile? No. Pericoloso? Molto.” Stavolta fu il turno di Mars di sorridere seppure in modo malevolo.
“Non mi stupirei se tu avessi già escogitato un piano e stessi solo aspettando il momento giusto per attuarlo.”
“Nessun piano. Solo cupi pensieri. Seifer ha lasciato Cattedra prima ancora di sapere quale idea Aeris avesse in mente per raccogliere le sfere. Non ti sembra almeno sospetto questo suo farsi da parte?” Loran si alzò e fronteggiò il ramingo.
“A meno che non si sia fatto da parte e ci stia semplicemente aspettando al varco. Magari tu lo sai già, visto che tua madre è lì con lui.” Lo sguardo di Loran si fece duro.
“Non tirare in ballo mia madre. Non ti ha sfiorato la mente la possibilità che lei voglia aiutarci?”
“Aiutare te di sicuro!” Rispose Mars facendo l’ultimo passo che li divideva. Loran avvertì la sua presenza quasi addosso.
“Non m’importa di quello che pensi. Io non vi tradirò. Questa missione è importante anche per me. Ci sono delle cose che si risolveranno in ogni caso ora che Aeris è con noi. Attendo il loro esito da molto, molto tempo. Tu non immagini quanto.”
“Lo vedremo. Avrai modo di mettere alla prova queste tue determinazioni. Sappi, però, che al primo passo falso ti ritroverai con una freccia ben piantata nel petto.”
“Purché sia nel petto. Voglio guardarti negli occhi mentre lo fai.” Loran fece un passo indietro e tornò a sedersi vicino al fuoco interrompendo il contatto visivo che si stava facendo insostenibile per lui. Sentì che anche il ramingo si era allontanato. Sospirò e andò col pensiero a sua madre. Forse lui non aveva alcun piano ma, di certo, lei sì.

Piccole note dell'autrice:
La storia va avanti e io sono già alla rilettura delle prime cento pagine.
A qualcuno va di dirmi cosa gliene sembra?
Un abbraccio a prescindere e buon anno a tutti.
Mary

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