Caribbean Tales 3 - A Pirate Accord

di Laura Sparrow
(/viewuser.php?uid=11131)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Dama ***
Capitolo 2: *** Gentiluomini di fortuna ***
Capitolo 3: *** Trattative ***
Capitolo 4: *** Cicatrici ***
Capitolo 5: *** La spedizione ***
Capitolo 6: *** Nella giungla ***
Capitolo 7: *** Il Sentiero di Sogno ***
Capitolo 8: *** Dispersi ***
Capitolo 9: *** Su diversi sentieri ***
Capitolo 10: *** Ogro ***
Capitolo 11: *** Carte in tavola ***
Capitolo 12: *** Riconquista ***
Capitolo 13: *** Cambi di bandiera ***
Capitolo 14: *** La resa dei conti ***
Capitolo 15: *** Bentornati a casa ***
Capitolo 16: *** Brav'uomo, bravo pirata ***



Capitolo 1
*** La Dama ***


Caribbean Tales 3
A Pirate Accord




Capitolo 1
La Dama



- Due giorni fa la marina britannica ha affondato la nave di Adam Keele, a poche leghe dall'isola. Una sola bordata, me l'hanno raccontato due poveracci che erano a bordo e solo per un pelo hanno portato in salvo la pelle: bum, dieci cannonate tutte insieme e la nave è andata giù come un pezzo di piombo. -
Bill Night, il locandiere dell'Albatro, stava raccontando le ultime novità agli avventori della taverna, che come ogni sera erano particolarmente affamati di notizie e assetati di ben altro, a giudicare dal numero di boccali vuoti che andavano ammucchiandosi sul ripiano.
- Un bravo ragazzo, Keele... era venuto a sbronzarsi qui solo una settimana fa, che peccato che lui non ce l'abbia fatta. - terminò il locandiere mentre spillava altro liquore dal barile.
- Quante navi pirata sono state prese solo nell'ultimo mese?- borbottò un pirata seduto al tavolo, battendo il proprio boccale sul legno. - Di questo passo, presto ci troveremo le navi della marina qui a Tortuga!-
- Impossibile! Se non l'hanno già fatto è perché non possono farlo. - ribatté un altro uomo. - Qui siamo al sicuro: hanno troppa paura di noi. -
- Paura?!- replicò il primo pirata, sbuffando sonoramente. - Ma quale paura? Dov'eri quattro anni fa, quando quei figli di puttana degli inglesi hanno cominciato i rastrellamenti in tutte le colonie? Ne hanno ammazzati a centinaia, di quelli come noi, e ti posso giurare che quelli non avevano paura! E ora sapete che succede? Stanno ricominciando! Si sono ripresi, si sono riorganizzati, e ora tornano a colarci a picco le navi un giorno sì e uno no... -
- Buoni, buoni!- li interruppe Bill, appoggiando una bottiglia sul tavolo del primo pirata, con l'aria di chi sa il fatto suo. - E dimmi un po', chi ci ha salvati giusto quattro anni fa? La Fratellanza, ecco chi. Quindi date ascolto a me: finché esiste la Fratellanza noi siamo al sicuro. Anzi, vi consiglierei di dare un'occhiata in porto se avete ancora dei dubbi... la Perla Nera è tornata giusto pochi giorni fa, e credetemi, se c'è quella nei paraggi, gli inglesi se ne staranno alla larga. -
Un borbottio concitato si levò dai tavoli mentre i pirati cominciavano a parlottare tra loro tutti insieme.
- Sparrow... - bisbigliò uno in tono concitato. - Lui e i suoi non fanno che cacciarsi nei guai, quattro anni fa come allora... eppure l'ha sempre scampata: quale nave è stata ad affrontare l'Olandese Volante davanti alla Baia dei Relitti? La Perla! E ha anche vinto! E avete saputo del disastro degli inglesi in Guinea? Sempre la Perla, sempre opera di Sparrow! Quel tipo è una leggenda, lo è sempre stato!-
Un vecchio pirata privo di una gamba, che stava ad ascoltare le parole del vicino con aria imbronciata, grugnì sonoramente superando il brusio che lo circondava e abbatté un pugno sul tavolo. - Per me, non c'è niente di buono. - sbottò, volgendo il viso rugoso verso il resto del locale. - Niente di buono nella nave, niente di buono nel capitano. Quella nave ha il malocchio, capite... non si sopravvive a così tanti disastri a meno che la nave non abbia qualche diavoleria addosso e, quant'è vero Dio, mi ci gioco la gamba che mi è rimasta che quella nave ce l'ha!-
- Qualunque cosa sia, è un malocchio che sembra funzionare molto bene. - fece Bill, gioviale, continuando a servire boccali schiumanti. - La Perla Nera è una nave che va per mare da più di dieci anni ed è ancora un gioiello, infatti non mi sorprende che ci siano ancora tanti marinai che farebbero carte false pur di essere imbarcati. La ciurma di Sparrow è diventata numerosa dall'ultima volta che è stato qui: per questo, credo, ha potuto permettersi di dividerla e lasciare che un po' di uomini se ne andassero sull'altra nave... -
- Come? Quale altra nave?- domandò incuriosito il giovane uomo che aveva parlato prima.
- Cosa si è inventato stavolta, ha regalato una nave alla sua donna?- il vecchio pirata senza una gamba alzò gli occhi al cielo. - La nave di Sparrow è piena di donne, ecco perché dico che non c'è niente di normale laggiù!-
- Oh, se andassi per mare credo che una compagnia del genere non mi dispiacerebbe. - ribatté Bill suscitando le risate della clientela. - Comunque stavolta non si tratta di sua moglie; c'era un'altra donna che ha navigato con lui per un po' di tempo. Credo fosse in debito con lei, e l'ha lasciata libera di trovarsi una nave e diventare capitano per conto suo: penso che finalmente ce l'abbia fatta. -
- Ovvio: quando arriva la moglie si ha sempre una gran fretta di liberare il letto da tutte le amanti. - sghignazzò il vecchio pirata, tracannando dal boccale di birra e inzuppandosi i baffi di schiuma.
- Vedila come vuoi. In ogni caso, questa sarà una notte memorabile per la ciurma della Perla Nera. - Bill si perse per qualche attimo a fissare il cielo scuro che si vedeva dalla finestra, poi si riscosse e tornò a sorridere ai suoi clienti. - Avanti, e ora chi vuole un po' di Torcibudella?-

*

Il Delfino si allontanava sulle onde, la sua vela maestra ormai era poco più che una macchia indistinta contro il cielo che scintillava di stelle.
La guardavo andare via mentre me ne stavo appoggiata al parapetto di prua, le mani sul legno fresco e lo sciabordare dell'acqua nelle orecchie. La festa era finita da un pezzo, e Annamaria aveva deciso di salpare subito insieme alla sua ciurma.
Sorrisi: Annamaria, la mia maestra di spada, quella che si era presa cura di me quando per la prima volta avevo messo piede sulla Perla Nera. Avevo saputo che era in debito con Jack di una nave, debito che peraltro il capitano aveva saldato, ma lei aveva avuto la sfortuna di vedere la sua nuova nave affondata poco dopo. Così era stata ripresa nella ciurma, ma fino a quel giorno aveva messo da parte ogni scellino e ogni parte di bottino, fino a che aveva potuto trattare l'acquisto di una nave nuova di zecca che puntava già da tempo.
E così ora eccola laggiù, che se ne andava insieme ad un quarto dei nostri uomini: le ultime imprese avevano dato buoni frutti, così che una volta arrivati a Tortuga, Jack e io avevamo deciso di spartire tutto il bottino e lasciare tutta la ciurma libera di decidere se tornare ad imbarcarsi con noi per un altro viaggio o se restare a terra, o cambiare nave. Quasi tutti erano rimasti, qualcun altro ci aveva lasciati, una parte era quella che era andata a formare la nuova ciurma capitanata da Annamaria.
- Mi mancherai. - le avevo detto con sincerità quando era arrivato il momento di salutarci. Lei mi aveva sorriso come suo solito, con un lampo di spavalderia negli occhi neri. - Anche tu. Ma questo è il mio momento, finalmente! Buona fortuna, capitano. -
- Buona fortuna anche a te. - avevo ricambiato. - Capitano. -
Quando la festa d'addio a bordo della Perla erano finiti l'avevo guardata andare via, impettita sul cassero di poppa, i capelli neri al vento sotto il suo inseparabile cappellaccio, e mi ero detta che probabilmente era l'ultima volta che la vedevo. Ma ero felice per lei: non potevo non esserla.
Quando anche l'ultima ombra della vela del Delfino scomparve nella notte mi voltai verso il ponte, appoggiando i gomiti al parapetto: si stava bene, la notte si portava via la calura del giorno e il ponte era ormai quasi completamente deserto, eccetto per alcuni pirati troppo pigri o troppo sbronzi per alzarsi, che erano rimasti accasciati qua e là sulle assi a ronfare della grossa. Altri pirati particolarmente festaioli che ancora non ne avevano avuto abbastanza della festa d'addio a bordo della Perla erano scesi in porto per dare fondo alla loro paga, e con ogni probabilità li avremmo rivisti solo il mattino dopo.
La nave era semideserta. Lanciai uno sguardo ai vetri della cabina e scorsi una luce baluginante dietro di essi: più che probabile che Jack fosse ancora alzato a scartabellare fra le mappe o fra qualunque cosa conservasse là dentro. Da quando la cabina del capitano era diventato anche il mio domicilio non mi stupivo più di niente: solo il giorno prima, frugando nei cassetti alla ricerca di un compasso per tracciare la rotta, avevo trovato un ukulele e quello che assomigliava molto ad un pipistrello morto.
- Oh; questo l'avevo dato per perso almeno un paio di anni fa, mi pare! - era stato il suo commento al ritrovamento dell'ukulele. Riguardo al pipistrello morto non aveva saputo fornirmi spiegazioni.
Stavo contemplando l'idea di raggiungere Jack in cabina e convincerlo a lasciare perdere le mappe quando un movimento alla mia destra mi fece voltare. Battei gli occhi un paio di volte, sicura di avere avuto un abbaglio poiché il ponte era completamente vuoto. Forse era davvero il caso di andare a dormire.
Mi spostai dal parapetto e proprio mentre distoglievo lo sguardo lo vidi di nuovo: un bagliore bianco come di qualcosa che scintilla sotto la luna, solo a pochi passi dal bompresso.
Mi girai di nuovo, di scatto... E la vidi.
Se ne stava a prua, accanto al bompresso, ed era ritta come una statua e altrettanto immobile: solo il vento le agitava dolcemente i capelli e i lembi del vestito. Sgranai gli occhi e rimasi a guardarla, troppo sbalordita per poter pronunciare una sola parola: era una donna, e non riuscivo assolutamente a realizzare come fosse potuta salire a bordo e arrivare fin lì senza che nessuno la notasse, perché non era decisamente una che passasse inosservata.
Era ricoperta da un lungo drappo bianco e svolazzante, come una dea greca: le ricadeva addosso morbidamente e le lasciava scoperta una spalla. La sua pelle diafana sembrava quasi brillare sotto la luce della luna, mentre i suoi capelli neri agitati dalla brezza le ricadevano sulla schiena, lunghi come non ne avevo mai visti.
Ero rimasta ammutolita. Era splendida, ma di una bellezza irreale, quasi inumana. C'era qualcosa che non andava in lei, e poi... e poi per qualche motivo aveva un'aria stranamente familiare. Ma dove diavolo avrei mai potuto avere visto una donna simile, prima?!
Troppo stupita per parlare, mi accorsi che mi guardava di rimando, e anche da un bel pezzo. Nessuna delle due aprì bocca per un lunghissimo istante, infine riuscii a recuperare la voce e ad esclamare, esitante: - Tu... tu chi sei? Che cosa ci fai a bordo?-
Quella sembrò ridere in silenzio, e infine parlò: - Curioso che tu me lo chieda, visto che per la maggior parte del giorno sono sotto gli occhi di tutti. -
Anche la sua voce, come il resto di lei, era strana: non eccessivamente come la sua pelle o i suoi capelli che non sembravano appartenere ad una donna vera; era dolce, quasi musicale.
Feci un passo di lato, senza osare ancora avvicinarmi a lei: ci separavano soltanto pochi passi ma non ero del tutto sicura di quello che stavo vedendo; rapidamente gettai un'occhiata intorno per vedere se ci fosse qualcuno che potesse provarmi che non ero in preda ad un'allucinazione, ma in giro c'erano soltanto i soliti pirati addormentati.
- Tu sei Laura... Evans... - mormorò lei: non era una domanda. Mi accorsi che mi stava osservando come se mi studiasse, e la cosa mi infastidì: fino a prova contraria era lei la perfetta sconosciuta salita senza permesso sulla mia nave.
- Sì. - risposi. - E il tuo, di nome?-
Un altro lieve sorriso increspò le labbra pallide della donna misteriosa. - Lo porti al collo. -
Per un attimo non capii a cosa si riferisse, poi, lentamente, gli occhi mi si posarono sul ciondolo che indossavo, la perla che mi era stata regalata quando ero piccola. Il piccolo monile brillava, nero come la pece. Avevo un pessimo presentimento.
- La perla... insomma, che cosa stai dicendo? Perché parli per enigmi?- esclamai, rialzando di scatto lo sguardo su di lei. - Ma soprattutto perché sei qui?!-
La donna si fece avanti, ma non indietreggiai: si muoveva leggera, come se i suoi piedi nudi non toccassero terra. Mentre la osservavo mi venne improvvisamente in mente dove avevo già visto la sua faccia, ma non poteva essere... si trattava di certo di una coincidenza...
- Innanzitutto voglio che tu sappia chi sono. - disse, con voce improvvisamente ferma e risoluta. - So che lo sai: voglio sentirtelo dire, perché solo allora saprò che ci credi. -
- Tu sei... - non riuscivo a credere alle parole che stavano per uscirmi di bocca. - Tu... sei la Perla Nera?-
Era la donna scolpita nella polena della nave, la nostra effige, la nostra dea della fortuna durante le traversate. Quella dama in carne e ossa che mi trovavo davanti agli occhi ne era la reincarnazione perfetta, e fui tentata di andare a sbirciare sotto al bompresso per controllare se la polena, quella di legno, ci fosse ancora.
- Bene. - un altro sorriso. - Tu sai che questa non è una nave come le altre: l'hai vista costruire, l'hai vista nascere. Forse eri troppo giovane per capire che cosa realmente stesse succedendo, ma mastro Joby Price non stava costruendo semplicemente una nave. -
Istintivamente arrotolai sul dito la catenella che mi pendeva dal collo. - Quindi?- domandai, esitante.
- Quindi; io sono stata al servizio di due capitani fino ad oggi, ma solo uno di loro si è guadagnato la mia fiducia. Il mio rispetto. Il mio amore. - delicatamente si portò al petto il pugno chiuso. - Ora con lui ci sei tu: per la prima volta devo i miei servigi a due capitani insieme, ma tu ti stai dimostrando meritevole di fiducia; solo il tempo potrà decidere se sarà ben riposta. - mi si avvicinò di un altro passo, sempre tenendo la mano chiusa contro il petto. - Perciò desidero stringere con te un patto: sei il mio capitano, e ti proteggerò e consiglierò ogni volta che ne avrai bisogno. -
Annuii. - Mi sta bene. E in cambio?-
La donna mi scrutò con più intensità come se avesse voluto leggere i miei pensieri. - Hai fatto una promessa al mio capitano solo poche settimane fa: voglio che tu rispetti quella promessa e che ti occupi di lui, sempre. E ti occuperai di me, non mi abbandonerai né mi lascerai morire, fino a che non sarà giunto il mio momento. Questo ti chiedo. Prometti, e io giuro che saprò ricambiare il favore. -
Deglutii. - Lo prometto. - mormorai. Lei allontanò la mano dal petto e la tese verso di me; dopo qualche istante la strinsi.
- Siamo alleate. - proclamò con foga alzando in alto la sua mano e la mia. - Sei il capitano della nave migliore dei Caraibi, sei la protetta della Perla Nera. E ricordati sempre: finché ci sarà un valido capitano a proteggerla, questa nave sarà immortale. -
Qualcosa si muoveva contro il mio palmo, mentre lei pronunciava quelle parole. Lentamente la donna districò le dita dalle mie, e dalle nostre mani ancora vicine emerse improvvisamente un piccolo uccello, forse una colomba -o un passero di mare?- che prese il volo verso le vele color cenere e sparì alla mia vista.
- E quello cosa... - esclamai, riabbassando gli occhi sulla donna, ma mi accorsi solo in quel momento che lei era sparita come se non fosse mai stata lì. Il ponte era di nuovo vuoto e silenzioso, tanto che per lunghi istanti rimasi a guardarmi attorno, smarrita, chiedendomi seriamente se non fosse stato tutto frutto della mia immaginazione.
Era successo veramente? Tornai a guardare le vele arrotolate sui pennoni, forse sperando di scorgere di nuovo l'uccello che aveva preso il volo dalle mani della donna, ma non c'era nulla lassù. Infine, quasi con riluttanza, camminai fino al bompresso e mi sporsi dal parapetto: la polena era lì, finemente scolpita nel legno nero. Aveva il viso immobile rivolto verso l'orizzonte, e una mano era tesa a sorreggere un piccolo uccello con le ali spiegate. Anche lei aveva un paio d'ali, spalancate contro il legno del bompresso.
Improvvisamente l'aria che soffiava dal mare mi sembrava troppo fredda: mi tirai indietro e girai sui tacchi, dirigendomi in cabina con la testa piena di domande e di pensieri poco rassicuranti.

*

Solo quando mi chiusi la porta della cabina alle spalle mi sembrò di ricominciare a sentire un po' di calore: strano, perché in verità la notte non era per niente fredda. Era l'incontro di poco prima che mi aveva lasciata in preda ai brividi.
Erano accese solo le luci di alcune lanterne attorno al tavolo degli ufficiali, e Jack era lì come avevo immaginato, intento a scarabocchiare qualcosa su una mappa. Sentendomi entrare alzò lo sguardo e mi sorrise: la luce calda delle candele si rifletteva sui suoi denti d'oro e sembrava rendere i suoi occhi scuri ancora più scintillanti, come quelli di un gatto.
- Buonasera. - mi salutò, facendomi un cenno. - E' stata una festa d'addio coi fiocchi, non trovi? Qui ho quasi finito, dammi due minuti. -
Annuii, poi mi resi conto di non poter fare finta di niente. - Jack... - feci, non trovando le parole. - Ho... visto qualcosa prima, sul ponte... cioè, non sono neanche tanto sicura di averlo “visto” davvero, però è successo qualcosa e... -
Lui posò la penna e tornò a guardarmi, e stavolta sembrava preoccupato. - Ehi... che è successo?- domandò, inarcando un sopracciglio nel suo modo strano: girò attorno al tavolo e mi raggiunse, senza smettere di fissarmi. - Va tutto bene? Sei bianca da far paura. -
Quasi mi misi a ridere: - Piuttosto normale, per una che ha appena visto un fantasma. -
Le sopracciglia di Jack sparirono sotto la bandana.
- Insomma, non era proprio un fantasma. - cominciai a spiegarmi meglio, prendendo una delle seggiole di mogano scuro e buttandomici pesantemente a sedere. - Poco fa, sul ponte, avrei potuto giurare di essere sola: poi dal nulla è apparsa una donna stranissima, vestita di bianco... un'apparizione, proprio. -
Improvvisamente Jack si fece molto serio, e in silenzio si appoggiò con una mano al tavolo mentre mi ascoltava. Ne fui sorpresa, perché mi sarei aspettata che non mi credesse, che ridesse perfino e facesse qualche battuta su quanto male reggessi il rum, e invece era ammutolito.
- Non riuscivo a capire chi fosse, ma non mi sembrava... umana, capisci? Sembrava uno spirito. -
- E forse non ci sei andata neanche troppo lontano. - commentò lui, decidendosi finalmente a parlare. - Che cosa ha... Ti ha detto qualcosa?-
Ecco la prova che stavo aspettando: quel che gli stavo raccontando non gli suonava nuovo. - Sì, mi ha detto di essere “la perla nera”, poi ha voluto stringere una specie di patto con me: ha detto che ero il suo capitano, e mi ha fatto promettere... - dovevo specificare che avevo riconfermato i miei voti di matrimonio davanti ad una nave incarnata in un corpo di donna? - ...che mi sarei sempre occupata della nave e non l'avrei mai abbandonata: in cambio lei ci avrebbe sempre protetti, sia te che io. -
Jack fece una delle smorfie che faceva quando stava pensando. - Nient'altro?-
- Be'... mi ha chiesto di rispettare la promessa che avevo fatto a te, e di prendermi cura anche di te a dirla tutta. -
A quel punto il capitano fece qualcosa che mi sconcertò: scoppiò improvvisamente a ridere quando solo fino ad un attimo prima era rimasto terribilmente serio, e si portò una mano alla fronte mentre ancora se la rideva di gusto. - Siamo il triangolo amoroso più strano della storia. -
- Ehi!- saltai su, rizzandomi sulla sedia per fulminarlo con lo sguardo. - Che cos'è questa storia? Quella donna non ti è nuova, vero? E' già apparsa altre volte? E chi è in realtà, è vero quello che mi ha detto?-
- Una cosa alla volta. - mi fece lui, allargando le braccia in segno di pace. - Ebbene... devi sapere che tutto quello che ti ha detto è vero. Lei è la Perla Nera. O, per meglio dire... lo spirito di questa nave. -
- Sarei curiosa di sapere quante navi hanno uno spirito. -
- Poche, a dire il vero. - lui sorrise di nuove. - Questo la rende così speciale: forse il tuo vecchio Joby Price non ti ha raccontato che la polena fu la prima cosa della Perla ad essere costruita, e che tagliò personalmente l'albero dal quale l'avrebbe ricavata in una notte particolare... la notte di Ognissanti. - afferrò distrattamente un'altra sedia, la fece roteare su una gamba per girarla verso di me e si sedette, senza smettere di guardarmi e di raccontare con tono sempre più animato. - Il vecchio Price aveva stretto un accordo con lo spirito che abitava quell'albero, uno spirito antico come quelli che abitano il mare, o quelli che gli indigeni delle isole venerano come dei. Non ne esistono molti, di spiriti del genere, ma uno quel vecchio carpentiere l'aveva trovato, e fece un accordo con lui. Con lei, per la precisione, perché si trattava della nostra spettrale visitatrice... Insomma, Joby le avrebbe dato la possibilità di incarnarsi in una nave, vedere il mondo, vivere come uno spirito del mare: la nave che Joby avrebbe costruito per lei sarebbe stato il suo capolavoro, una nave impareggiabile, che sarebbe sopravvissuta a molte navi costruite prima e dopo di lei. Price accettò e costruì per lei quella nave: certo non lo fece da solo, servì l'aiuto di diversi uomini fra i quali il padre di una certa signorina ribelle che mi pare di conoscere... - si allungò per darmi un buffetto sul mento e io mi ritrassi fingendomi infastidita, ma ridacchiai.
- Sai la cosa buffa? Quando la nave fu completa, lo spirito regalò al vecchio Price una perla, in segno di gratitudine e di buona fortuna. E credo proprio che il nostro carpentiere l'abbia regalata a sua volta a qualcun altro, forse sperando che fosse di buon augurio. - lo vidi fissare per un momento il monile che pendeva dal mio collo.
- Queste cose come fai a saperle? Credevo di essere stata la prima a raccontarti di Joby Price. -
- Quasi: io ho saputo la storia, i nomi sei stata tu ad aggiungermeli. Comunque me l'ha raccontato lei in persona... la Dama. -
- La Dama?-
- La chiamo così. - Jack si strinse nelle spalle. - E' apparsa anche a me: la prima volta è stata quando sono diventato capitano di questa nave, quando era ancora la Wicked Wench. Lavoravo per Beckett allora... lo so che non è un dettaglio piacevole da ricordare... - fece una smorfia disgustata. - Fatto sta che dovetti sembrarle un uomo migliore di quelli che aveva avuto modo di vedere fino ad allora, e mi apparve per propormi più o meno lo stesso patto che ha proposto a te. Sarebbe stata la mia nave, e non una nave qualsiasi, se io avessi dimostrato di meritarla e mi fossi preso cura di lei. Accettai, anche se suggellammo il patto in un modo un tantino diverso. -
- Vediamo se indovino... - ironizzai, prendendomi il mento fra le dita e fingendo di riflettere, ma nel frattempo gli rivolsi un'occhiata di biasimo.
- Buona... a quel tempo ero giustificato, no?- replicò lui, ridendo.
- Sì sì... quante altre volte è successo, capitano?-
- Se ti può rassicurare è successo due volte in tutto, e questa è la prima volta che lei ricompare dall'ultima volta che l'ho vista. Inoltre, stando a quello che ti ha detto, non credo che abbia ancora simili intenzioni con me. - tornò a sorridere, sfoderando la migliore imitazione di un'espressione innocente che riusciva a fare. Alzai gli occhi al cielo e scossi il capo, ma sorridendo: probabilmente aveva ragione, ed effettivamente la donna -qualunque cosa fosse- aveva lasciato a me l'incarico di restare accanto a Jack. - Continua. -
- Stavo dicendo... fui capitano sotto gli ordini di Beckett per alcuni anni, poi ci fu il fattaccio degli schiavi, e fui scoperto. La storia la sai: sbattuto in cella, marchiato come pirata, fuggito sotto gli occhi di sette agenti della Compagnia delle Indie, eccetera. La cosa peggiore... - abbassò lo sguardo e sentì che la sua voce si incupiva. - ...fu vedere la Wicked Wench bruciare e affondare in mare. Avevo tradito la fiducia della Dama, e peggio ancora, l'avevo lasciata affondare. Mi chiedevo sempre che cosa ne era stato di lei: era morta? Poteva morire? Fatto sta che decisi di andare a recuperarla, e quasi ci lasciai le penne nel tentativo, come ti ho raccontato. Fu allora che strinsi il mio patto con Davy Jones, riebbi la Perla, e via dicendo. Navigai sulla Perla per due anni, eppure la Dama non tornò mai a farsi viva: non sapevo se davvero fosse morta dopo che la nave era stata affondata, o se semplicemente non mi avesse perdonato per avere lasciato che finisse così. Poi la nave mi fu rubata da Barbossa, e anche lì impiegai i miei buoni dieci anni per riaverla: fu allora, il giorno in cui riebbi la mia nave, che la Dama tornò da me e disse che non l'avevo delusa, perché mi ero opposto a Beckett, l'avevo fatta riportare in vita dopo che si era inabissata, e non ci avevo rinunciato neanche dopo dieci anni. Disse che il nostro accordo era ancora valido, e... - tentennò per un momento, e sollevò le sopracciglia con aria allusiva.
- Seconda notte di ringraziamento; capisco. - terminai per lui.
- Esatto. - annuì, quindi mi scrutò unendo le punte delle dita con aria meditabonda. - Se ti è apparsa adesso penso che sia... be', perché ti ha guardata e ti ha ritenuta degna di essere capitano. E poi ti ha accordato la sua protezione, non è una cosa da poco. Pensa solo questo: Barbossa è stato capitano di questa nave per molto più tempo di me, eppure ti posso assicurare... - un sogghigno di soddisfazione gli attraversò le labbra. - ...che a lui la Dama non è mai apparsa, neanche una volta. -
- Capisco... - la sensazione inquietante che l'apparizione della Dama mi aveva lasciato stava poco a poco svanendo, tanto che perfino dopo quanto mi aveva raccontato Jack mi sembrava quasi di dubitare che fosse accaduto realmente. - In fondo non è niente di che, no?- scherzai, accavallando le gambe e stendendomi più comoda sulla sedia come se fossi su di un trono. - E' solo lo spirito di una nave, incarnata in donna, che mi è apparso per riconoscermi come capitano di una nave maledetta... niente di strano rispetto ai nostri standard, non ti pare?-
Jack rise di gusto. - Decisamente no. - così detto si alzò dalla sedia e si avvicinò a me, chinandosi e allungando una mano verso il mio viso. Le sue dita mi carezzarono dolcemente una guancia, mi sfiorarono le labbra e il mento, quindi scesero calde e delicate sul collo. Si chinò di più, e le perline nei suoi capelli tintinnarono piano quando accostò il viso al mio. - Sono fiero che ti abbia nominata capitano, piccola. - mi sussurrò: le sue dita carezzarono piano il mio collo prima di scendere ancora più giù, nell'incavo fra i seni.
- Grazie. - mormorai piano prima di prendergli il viso tra le mani e premere le mie labbra sulle sue, così calde che parevano bruciare.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Gentiluomini di fortuna ***


Capitolo 2
Gentiluomini di fortuna.



- Questo?- domandò David, facendo scorrere la manina sulla superficie ruvida e fredda del cannone.
- Questo è un cannone. - spiegò Elizabeth nascondendo un sorriso; se ne stava inginocchiata accanto al bambino e osservava con orgoglio le sue mosse curiose. Rise quando lo vide mettere le mani nella bocca del cannone e cercare di infilare anche la testa, e lo scostò gentilmente. - Cosa cerchi di fare? Non puoi infilartici dentro!-
- Voglio vedere quando scoppia!- protestò il bimbo guardandola con occhi supplichevoli, cosa che la fece ridere ancora di più mentre gli scompigliava con affetto i lunghi capelli castani.
- Non adesso, David. E' pericoloso sparare con un cannone, non lo sai?-
Il bambino rifletté sulle sue parole corrucciando il visetto per lunghi istanti, poi si illuminò e, speranzoso, azzardò: - E quando sono grande?-
- Quando sarai grande dirò a papà di insegnarti ad usare il cannone, d'accordo?-
- Sì!- esclamò David tutto contento battendo le mani, poi girò sui tacchi e corse via ridendo nell'oscurità di sottocoperta. Senza smettere di sorridere Elizabeth si alzò e lo seguì con lo sguardo: non era preoccupata per lui, per quanto fosse piccolo, David aveva ormai imparato a muoversi agilmente in ogni angolo della nave e correva in giro come se fosse nato e cresciuto sulla Perla. Distratta dal bambino, Elizabeth non si accorse della persona ferma accanto a lei fino a che non si voltò, trovandosi faccia a faccia con Will.
- Oh!- fu sorpresa solo per un attimo, poi sorrise apertamente al marito come chiedendogli se avesse assistito anche lui alle prodezze del piccolo. Will però non sorrideva.
- Non sembri scontenta di essere rimasta qui anche dopo che abbiamo fatto ritorno dall'Africa. - le disse a bassa voce. Aveva di nuovo quel tono mesto che Elizabeth gli aveva sentito usare in altre occasioni, e la cosa la mise in allarme: da quando era tornato dai confini del mondo, di tanto in tanto William si comportava in modo strano, e lei odiava saperlo infelice.
- Neanche tu. - gli rispose dolcemente, e diceva la verità. Nei mesi che erano passati, aveva notato l'irrequietezza di Will calare da quando si erano imbarcati sulla Perla, e non poteva essere una coincidenza: perché proprio ora ricominciava a sembrarle così turbato?
Will distolse lo sguardo da lei per fissare le assi del ponte, poi continuò in tono quasi infastidito: - Per quanto ancora andremo avanti? Sono settimane che accampiamo scuse per restare a bordo... che tu accampi scuse per restare a bordo. Se non vuoi tornare a casa basta dirlo. -
Non sapeva neanche lui perché le parlasse in modo così brusco: l'aveva lasciata a bocca aperta. Elizabeth non era mai stata brava a nascondergli quello che pensava, così che per lui era molto facile intuire quanto desiderasse rimanere sulla Perla il più a lungo possibile. La cosa lo disturbava.
Non era certo per gelosia: il suo antico timore che Elizabeth gli preferisse Jack era sfumato da tempo; inoltre c'era da dire che perfino il suo rapporto col capitano era cambiato profondamente, tanto che era arrivato ad apprezzare molto la compagnia di Jack. Eppure il loro ritorno a bordo, la loro lunga permanenza, tutto sembrava fatto apposta per preparare un loro prevedibile e repentino ritorno alla vita di prima... qualcosa che in cuor suo Will avrebbe voluto poter ritardare con tutte le sue forze.
- Will... cos'è che ti spaventa?- gli chiese inaspettatamente Elizabeth, accostandoglisi e prendendogli una mano fra le sue. - Non posso credere che ti dispiaccia così tanto essere tornato per mare... Ti ho visto, lo sai? A Oyster Bay, non c'era notte in cui non ti perdevi a guardare il mare... e io lo so cosa ti passava per la testa. Qui noi possiamo stare bene, Will... noi tre, insieme. Cos'è che ti spaventa?-
Lui tentennò; la stretta di lei sulla sua mano era calda e rassicurante... ma non abbastanza. C'era una paura dentro di lui con la quale ancora non riusciva a venire a patti. Sospirando si strinse nelle spalle.
- Non lo so. - rispose con sincerità, prima di voltare le spalle ad Elizabeth e risalire le scale per il ponte di coperta.

*

Per tre giorni avevamo navigato verso sud, senza incontrare anima viva sulla nostra rotta: il vento era buono e il mare calmo, così la navigazione procedeva tranquilla. Forse anche troppo.
Ci eravamo addentrati in quelle acque alla ricerca di qualche facile preda: ci serviva un po' di bottino per rimpinguare le nostre scorte e per sollevare il morale della ciurma, e speravamo in qualche lento mercantile che avrebbe fatto al caso nostro.
Il pomeriggio del quarto giorno Michael, dall'alto dell'albero maestro, lanciò il grido che tutti stavamo aspettando con impazienza: - Brigantino a dritta!-
L'informazione passò rapida di bocca in bocca, e in un attimo si videro tutti i pirati balzare su, sparpagliando in giro dadi e bottiglie vuote, per affollarsi contro il parapetto e vedere di persona la preda tanto attesa.
Ordinando a Gibbs di prendere il timone, Jack si affacciò dal cassero di poppa e gridò: - E allora, gente, un po' di vita! Issate la vela di gabbia e andiamo a prenderli!-
Fra le grida di gioia dei pirati, l'inseguimento cominciò: la Perla Nera cominciò ad avvicinarsi al brigantino, che da un puntino all'orizzonte cominciò a farsi sempre più nitido finché non riuscimmo a distinguerne perfettamente le vele e gli alberi. Avevamo il vento a favore e la chiglia tagliava l'acqua davanti a noi, ma ci tenemmo a distanza di sicurezza: osservando col binocolo l'altra nave vidi che doveva trattarsi sicuramente di un mercantile; non vedevo soldati, né uomini particolarmente armati. Tutti quanti marinai semplici, alcuni ufficiali, e diversi uomini ben vestiti che osservai per un po' prima di decidere che doveva trattarsi di un bel gruppo di ricchi passeggeri. Non sarebbe stato troppo difficile nel caso avessero deciso di opporre resistenza.
Mentre li stavo scrutando col binocolo, mi accorsi di essere osservata di rimando: un ufficiale ricambiava la mia occhiata, sul cassero di poppa, guardando nella mia direzione con un cannocchiale dorato. Sorrisi e salutai con la mano, ridendo fra me per la faccia sconcertata che fece quello, staccando per un attimo il cannocchiale dall'occhio come a chiedersi se avesse visto bene.
L'inseguimento durò quasi un'ora: la Perla e il brigantino tenevano più o meno la stessa velocità. Saremmo potuti comodamente andare più veloci, ma dovevamo attendere di essere in posizione favorevole: inoltre l'inseguimento era una tattica diversiva; se il brigantino avesse avuto qualche arma nascosta, vedendosi inseguito, avrebbe cominciato a preparare le difese. Invece lo tenemmo d'occhio, e vedemmo la ciurma allarmarsi, ma senza mettere mano alle armi.
Finalmente arrivò il momento che tutti aspettavamo: il brigantino rallentò impercettibilmente, perdendo il vento, e noi, al suo fianco, guadagnammo terreno. Quando pochi bracci di mare ci dividevano, issammo la bandiera nera e tutti gli uomini sul ponte sguainarono le armi e corsero al parapetto preparando la prima parte del nostro spettacolino: l'entrata. Era una parte che alla ciurma piaceva particolarmente, anche quando non era seguita da effettivi spargimenti di sangue.
Qualcuno dal ponte cominciò a suonare un tamburo con colpi cadenzati, violenti: uno dopo l'altro tutti gli uomini cominciarono a battere le armi le une contro le altre, a percuotere il legno del parapetto col calcio delle pistole, seguendo il ritmo del tamburo. Pochi attimi dopo cominciarono a levarsi le urla, sempre più selvagge e feroci, mentre la ciurma agitava le armi su e giù come un sol uomo.
Mi sporsi dal parapetto stringendo la spada in una mano e una fune nell'altra, sentendo il battito del mio cuore accelerare col ritmo frenetico del canto dei pirati. Potevo vedere la ciurma del brigantino correre a caricare i cannoni, ma per la maggior parte quelle che ci guardavano avanzare erano facce spaventate di uomini che se ne stavano immobili, paralizzati sul ponte.
- Colpo d'avvertimento!- sentì gridare Jack, e pochi secondi dopo uno dei cannoni fece fuoco mirando alla prua del brigantino. Ci furono un boato e una voluta di fumo, seguite da un'esplosione di schegge di legno quando la palla di cannone sfondò la polena del brigantino. La nostra ciurma lanciò urla entusiaste, mentre sul mercantile i marinai si armavano frettolosamente. Al suono del cannone i passeggeri si erano messi a gridare e ad agitarsi, e capii che sottocoperta dovevano esserci altre persone, forse perfino donne e bambini.
- Pronti con i rampini!- ordinai, voltandomi verso la ciurma e indicando la nave avversaria: alcuni uomini si armarono degli arpioni di metallo e si sporsero dal parapetto in attesa di scagliarli.
Mi rigirai la spada in mano e lanciai una rapida occhiata attorno a me: Faith si era fatta strada fra la ciurma e si era messa al mio fianco. Poco più sopra di noi, appesa alle sartie, non fui stupita di vedere Valerie dondolarsi come una scimmia. - Pronte?- feci loro, strizzando l'occhio.
Loro annuirono. - Come sempre. - aggiunse Valerie con spavalderia.
Le navi erano una di fianco all'altra: gli uomini lanciarono i rampini, che si impigliarono alle sartie del brigantino per poi trascinarlo di forza contro la fiancata della Perla. I pirati sollevarono le armi, gridando: tutti noi attendevamo un solo ordine, e il mio sguardo corse a Jack, in piedi sul cassero di poppa. Quando vide che lo stavo guardando, gli bastò fare un cenno col capo, ed io gridai con tutto il fiato che avevo: - All'arrembaggio!-
I pirati urlarono ancora più forte e si gettarono nel vuoto appesi alle funi: io mi diedi la spinta per dondolare fino al ponte del brigantino. Per alcuni istanti volai fra le due navi, poi atterrai pesantemente oltre il parapetto della nave nemica. I marinai armati ci corsero addosso, ma i primi pirati piombati sul ponte fecero un fronte compatto contro di loro, urlando come belve rabbiose e agitando le spade. Questo sembrò raffreddare molto in fretta gli animi della ciurma avversaria, e molto marinai esitarono.
Alcuni invece no. Uno degli uomini mi corse incontro con la spada sguainata: parai la sua carica, facendo scivolare di lato la sua spada, e lo attaccai a mia volta per farlo indietreggiare. Non era neanche a metà della mia azione che l'uomo fu improvvisamente urtato da qualcuno che, arrivando in volo con una cima, gli sferrò un calcio volante e lo mandò a ruzzolare a terra.
Ridendo sguaiatamente, Valerie atterrò sul ponte accanto a me.
- Ce la facevo anche da sola!- protestai, scavalcando il marinaio stordito, stringendo la spada in pugno nel caso qualcun altro fosse stato in cerca di guai.
La debole resistenza opposta dai marinai fu troncata sul nascere quando sul ponte cominciarono a cadere i primi morti: almeno tre ebbero la gola tagliata, altri finirono infilzati da più spade contemporaneamente e stramazzarono al suolo, imbrattando le assi di sangue. Davanti a quello spettacolo, gli altri marinai e il resto della ciurma lasciarono cadere le armi e alzarono le mani. Uno dei ricchi passeggeri, un uomo attempato in livrea grigia e parrucchino, arrivò perfino ad inginocchiarsi davanti ai pirati che lo minacciavano con le spade e cominciò a gridare: - Pietà! Pietà! Vi prego, basta, ci arrendiamo! Quello che volete! Prendete quello che volete ma non fateci del male!-
Vedendo come si mettevano le cose, fermammo l'assalto ed io feci segno ai pirati di procedere. Alcuni di loro, capitanati da Ettore che avanzava in prima fila, rinfoderarono le spade e, con le pistole spianate, cominciarono a girare fra i marinai con le mani alzate togliendo loro le armi o calciando fuori dalla loro portata quelle che avevano lasciato cadere a terra.
Jack scese sul ponte col suo consueto passo ciondolante e con l'espressione più rilassata del mondo, quindi andò a raggiungere il capitano del brigantino, disarmato e tenuto sotto controllo da due pirati.
Non doveva essere molto più vecchio di Jack: aveva l'aria di essere un inglese, dai tratti marcati e gli occhi piccoli e scuri che si strinsero quando si posarono sul capitano pirata che gli si fermò davanti. Anche col caldo che faceva indossava una lunga giacca blu: i nostri pirati lo tenevano stretto per le braccia, e anche da dove mi trovavo potevo vederlo sudare copiosamente sotto la parrucca.
- I miei ossequi, signore. - lo salutò Jack con l'accenno di un sorriso. - Avete fatto una scelta saggia e vorrei evitare ulteriori spargimenti di sangue. Che cosa trasporta questa nave?-
- Birra e stoffa per i velaggi. - rispose con riluttanza il capitano, senza incrociare lo sguardo di Jack. - Non abbiamo molto, questa nave è adibita al trasporto di alcuni passeggeri dall'Inghilterra... -
- Vedo. - Jack annuì facendo scorrere lo sguardo sul gruppo di uomini riccamente vestiti che i nostri pirati avevano accerchiato sul ponte. - Bene, al vostro equipaggio non sarà fatto del male: la vostra merce e un piccolo tributo dai vostri eleganti passeggeri sarà sufficiente, comprendete? Su adesso... - fece un cenno ai due che tenevano il capitano, e quelli lo trascinarono via per poi spingerlo in mezzo al resto della ciurma, sotto il tiro delle pistole. - Andate sottocoperta e prendete tutto quello che può servire, in fretta!-
Parte della ciurma rimase sul ponte per tenere sotto controllo i prigionieri, tutto il resto cominciò a sciamare verso i ponti inferiori, ridendo e schiamazzando, chiaramente impazienti di darsi alla razzia. L'operazione non avrebbe richiesto molto, così mi incamminai lungo il ponte, osservando le manovre degli uomini che dalla Perla cominciarono ad allungare passerelle di legno verso il ponte del brigantino per facilitare il trasporto della merce.
Ad un tratto mi accorsi che da sottocoperta proveniva più baccano del dovuto, e mi fermai ad ascoltare: si sentivano le grida dei pirati, colpi violenti sferrati contro il legno... forse c'erano delle porte da abbattere per arrivare alla stiva. Ma poi cominciai a sentire qualcos'altro: urla, tante urla femminili.
- Signora!- uno degli elegantoni di bordo si lanciò verso di me, venendo subito acciuffato e ricacciato indietro dai pirati che li tenevano sotto controllo.
- Tu sta indietro, bellimbusto!- lo schernirono, spintonandolo: quello però continuava ad annaspare nella mia direzione gridando come un disperato: - Signora! Vi prego! Vi prego!-
- Lasciatelo. - mi feci largo tra i pirati e raggiunsi l'uomo che sembrava così ansioso di parlarmi. Quando mi vide avvicinare, si protese verso di me e mi supplicò in un sussurro animato, come se avesse paura di farsi sentire dagli altri pirati: - Signora, ci sono le nostre mogli sottocoperta... vi prego, avete detto che non avreste fatto del male all'equipaggio... -
Oh cielo.
Senza attendere oltre mi lanciai di corsa dietro ai pirati: scesi le scale di sottocoperta e, seguendo il baccano, mi trovai nella parte della nave riservata alle cabine. La spessa porta di legno contro la quale si stava accanendo un nutrito gruppo di pirati doveva condurre agli alloggi delle donne, perché le urla femminili provenivano tutte da lì dietro.
Prima però che potessi fare qualcosa per fermarli, la porta cedette e gli uomini si lanciarono attraverso di essa come un branco di cani affamati, e le urla delle signore si fecero sentire così tanto da rimbombarmi nelle orecchie.
Ebbi il tempo di vedere l'interno degli alloggi riservati alle donne e quello che vi stava succedendo, i visi terrorizzati di almeno una decina di signore che urlarono e si strinsero l'una all'altra quando videro i pirati piombare su di loro. Uno dei pirati agguantò una donna che non doveva avere più dei miei anni e la buttò per terra.
- Fermi!- quasi non riconobbi la mia voce quando lanciai quella specie di ruggito, attraversando quel che restava della porta e allo stesso tempo sollevando la mia pistola sopra la testa per fare fuoco contro il soffitto.
Lo sparo, più che il mio grido, fu sufficiente per calmare quella mandria indiavolata, perché i pirati si bloccarono bruscamente e si voltarono tutti verso di me, lasciando in pace le donne che, vedendo fermarsi la carica, si raggomitolarono sul pavimento piangendo e gemendo.
Una dozzina di uomini dalle facce cupe mi guardavano con aria stupita, offesa perfino.
Rinfoderai la pistola con gesto secco. - Queste donne non vanno toccate. - ordinai, squadrandoli uno a uno come a sfidarli a contraddirmi: effettivamente lo fecero, diversi di loro mugugnarono e imprecarono, ma non andarono oltre. Uno di loro invece, un tipo strano che ricordavo chiamarsi Furey, né vecchio né giovane, con una criniera di capelli biondi e sporchi legati con un fazzoletto e due occhi grigi grandi come scodelle, si voltò verso di me sollevando il mento in un gesto sprezzante e sbottò: - La preda al cormorano, il bottino al pirata e la donna a tutti. - ghignò, sciorinandomi quel detto dei marinai. - E' questo che abbiamo sempre fatto, no? E ora perché non dovremmo farlo? Solo perché ce lo dici tu?-
Mi stava sfidando, ed era evidente dall'espressione strafottente con la quale mi fissava: sapendo di essere sotto gli occhi della mia ciurma non mi permisi di tentennare. - Sì, signor Furey, perché ve lo dico io che sono il vostro capitano. E ora fuori di qui. -
- No. - replicò lui, incrociando le braccia. - So che voi non vi ponete il problema, capitano, ma io non vedrò una donna forse per mesi, e la cosa non mi sta bene. E adesso voglio la parte che mi spetta!- puntò un dito impietoso verso le donne terrorizzate, chiedendo intanto l'approvazione del resto della ciurma che assisteva al nostro scambio di vedute. - E' il mio bottino, me lo sono guadagnato, non me lo potete togliere!-
Il gruppo delle signore rimaneva a guardare, probabilmente senza capire, la nostra discussione: di certo capivano che era in ballo la loro incolumità, e nessuna di loro aveva il coraggio di muoversi dal pavimento, dove restavano accucciate, tremanti, fissandoci ammutolite, oppure piangendo o mormorando frasi sconnesse. Scrutai l'espressione strafottente di Furey ,chiedendomi che cosa dovessi fare adesso: onestamente era la prima volta che mi imponevo a quel modo, come capitano. Fino ad allora mi ero sempre limitata a lavorare spalla a spalla con Jack. Quasi sempre.
In ogni caso, per nessun motivo avrei lasciato che facessero del male a quelle donne: che fosse per solidarietà femminile o per pura e semplice testardaggine.
Proprio accanto alla porta c'era un bauletto portavalori: ignorando Furey mi diressi verso di esso, diedi un'occhiata alla piccola e poco robusta serratura, sfoderai la spada e colpii il baule con un fracasso che fece sobbalzare tutti e spaccò a metà il lucchetto.
Scoperchiai il baule e cominciai a versarne il contenuto sul ponte, proprio fra i piedi dei pirati. - Io vi pago in argento e in oro sonante... - le monete rotolarono dappertutto, sottolineando le mie parole e facendo brillare di avidità gli occhi degli uomini. - ...per ogni nostra scorreria. Pagatevi tutte le prostitute che volete la prossima volta che faremo porto, sarà molto più facile e senz'altro anche più soddisfacente. Contenti? Ma non toccherete nessuna donna contro la sua volontà. -
A dire il vero, Furey sembrava intenzionato a mandare avanti la discussione ancora per un bel pezzo, ma ormai neppure gli altri uomini gli davano ascolto, più interessati alle monete che avevo rovesciato su tutto il pavimento. La maggior parte sembrò considerarlo un buon compromesso per lasciare in pace le donne.
Rimasi lì finché i pirati non ebbero ripulito il ponte da ogni singola moneta, quindi li feci uscire tutti e gridai loro di occuparsi del resto della nave. Quando mi voltai per richiudere quello che restava della porta, mi trovai davanti i visi increduli di una decina di donne che mi fissavano con espressioni che andavano dallo sconvolto all'adorante: tutte quante erano completamente ammutolite.
- Ah, non siate ridicole. - borbottai, chiudendo con una certa fatica i battenti scricchiolanti e augurandomi che quelle là dentro avessero l'accortezza di rimettere la spranga, tanto per sicurezza.
Quando tornai sulla Perla, le operazioni di trasbordo erano quasi finite: avevamo ricavato un gran bel bottino da quel mercantile, fra i barili di birra e la stoffa trasportata, il denaro e le suppellettili preziosi che avevamo requisito dai bauli di bordo. C'era di che essere soddisfatti.
Ad un certo punto la voce di Michael, che durante tutto il tempo era rimasto a prua accanto al bompresso scrutando le acque circostanti, si levò al di sopra del chiacchiericcio con una nota di allarme: - Galeone britannico a tribordo!-
Dai ponti delle due navi tutti quanti ci voltammo quasi all'unisono: perfino il capitano del brigantino e il suo equipaggio allungarono il collo per guardare, forse sperando in qualche colpo di scena dell'ultimo minuto.
Michael aveva ragione, ed era una fortuna che fosse rimasto di guardia: all'orizzonte si stagliava la vela bianca di un galeone, sopra la quale potevamo già vedere sventolare una bandiera coi colori inglesi.
- Via di qui, alla svelta!- ordinò Jack, mentre anche lui risaliva la pedana tesa fra le due navi: la nostra ciurma tornò a bordo con il resto del bottino, quindi gli uomini tagliarono funi, ritirarono rampini e passerelle, e rapidamente ci allontanammo dal brigantino.
Mentre prendevamo velocità, mi sporsi dalla murata per tenere d'occhio il galeone inglese: per quanto si fosse avvicinato nel tempo che avevamo impiegato a sganciarci dal brigantino, se avevano sperato di coglierci con le mani nel sacco mentre eravamo ancora impegnati con la preda avevano sbagliato di grosso.
Ci furono lunghi minuti di tensione, mentre ci chiedevamo se il galeone ci avrebbe inseguiti o avrebbe cercato di fare fuoco, ma non accadde: semplicemente la vela bianca rimase dietro la nostra scia, senza scomparire alla nostra vista.
Pur continuando a lanciarle occhiate circospette, tutta la ciurma si rallegrò per il bottino e per la profumata paga che si prospettava al prossimo sbarco. Tutta quell'allegria non faceva che bene, perché sapevo quanto una ciurma di buon umore fosse anche una ciurma efficiente: la discussione con Furey non mi era piaciuta, ma per il momento passava in secondo piano. Rimasi per un po' ad osservare l'orizzonte dalla murata, e poco dopo Will passò accanto a me guardando nella mia stessa direzione.
- Quel galeone non è lì per caso. - disse, scrutando torvo la nave dietro di noi.
- Pensi quello che penso io?- gli domandai, voltandomi ad incrociare il suo sguardo, e lui annuì.
- Sì. Siamo seguiti. -

*

Quando scese la sera, la vela bianca del galeone britannico si stagliava ancora all'orizzonte.
Era come se non si preoccupasse neanche di non farsi vedere: era lì, a diverse leghe di distanza, eppure sempre perfettamente visibile come un occhio vigile costantemente puntato su di noi. Ad un certo punto avevo anche meditato di attaccare, dato che la ciurma inglese non sembrava intenzionata a fare la prima mossa: Jack però mi aveva convinta a lasciar perdere. Non ci avremmo guadagnato niente ad attaccare per primi, quando il galeone era grosso e armato a sufficienza per poterci tenere testa.
Avremmo dovuto avere pazienza. Per un po'.
C'era poco vento: la parte della ciurma che non era sulle sartie a sbrigarsela con le vele si era radunata a gruppetti sul ponte, a giocare a dadi e a bere alla luce di qualche lanterna, mentre il cielo si scuriva e cominciavano ad apparire le stelle.
Cominciavo ad essere stanca, così mi avvicinai ad un di quei gruppetti per vedere se fosse possibile procurarmi un po' di rum. Gibbs sedeva su di una cassa, voltato di spalle, ma dovette vedermi con la coda dell'occhio, perché si voltò verso di me e richiamò la mia attenzione con la mano: - Capitano!- mi fece segno di sedermi accanto a lui ed io accettai volentieri: un attimo dopo il vecchio Gibbs mi mise in mano un bel boccale pieno di rum.
- Grazie. - gli sorrisi prima di portarmi alle labbra il boccale, ma lo riabbassai un attimo dopo notando una faccia familiare a neanche un passo di distanza da me. Era Furey, seduto sul ponte, e mi stava fissando con un'intensità che non mi piacque per niente.
Vedendo che ricambiavo l'occhiata, le sue labbra si arricciarono in un sorriso per niente amichevole, quindi il biondo fece con voce strascicata: - Signor Gibbs, avete sentito dell'ultima impresa di quella buona samaritana del nostro capitano?-
- Modera il tono, Furey. - lo riprese l'anziano pirata, corrucciandosi. Non mi aspettavo che lo ascoltasse, e infatti non fu così: l'uomo continuò con fare melodrammatico, ben attento a farsi sentire da tutti quelli che erano a portata d'orecchio. - Il nostro dolce capitano deve avere il cuore tenero, perché proprio oggi è venuta a dare una bella lezione di moralismo e buon costume a noi... - accennò a sé stesso e ad alcuni altri pirati che se ne stavano seduti a bere, che dovevano fare parte del gruppo a cui avevo ordinato di saccheggiare il brigantino. - Perché, sentite un po', secondo lei noi non dovremmo toccare le donne! Nossignore, noi siamo dei santi! Ammazziamo pure, rubiamo a volontà, ma quando si tratta di fottere scordatevelo pure: c'è la nostra madre badessa a starci dietro col bastone. -
Gibbs ebbe uno scatto convulso, e per poco non balzò in piedi rischiando di rovesciarsi addosso tutto il rum. - Adesso smettila, hai passato il segno, hai... !- cominciò a gridare, ma io gli misi una mano sul braccio, scuotendo la testa. Poi tornai a fissare Furey, senza parlare, ma sfidandolo a continuare.
- Ah no, dimenticavo... tu non potresti mai essere una madre badessa. - proseguì lui senza tanti complimenti, facendo una smorfia schifata. - A te piace fottere col capitano. -
- Devi aggiungere qualcos'altro o hai finito?- replicai, acida, senza distogliere gli occhi dai suoi neanche per un secondo. Per qualche attimo Furey sembrò dubbioso, forse sperava di avermi già fatta arrabbiare con le sue parole; non sapeva che avrebbe dovuto impegnarsi di più.
- O ti aspetti che io neghi che mi piace fottere col capitano?- la mia ultima battuta particolarmente sfrontata suscitò un coro di risate e ululati da parte degli altri pirati, e parve spiazzare ancora di più Furey. Era un bene che ridessero, avevo imparato che non dovevo avere paura di rispondere a tono; li divertiva, li faceva morire dal ridere. E finché ridevano per me, li avevo dalla mia parte.
- No di certo, è l'unico motivo per cui sei ancora su questa nave. - rispose Furey, ricominciando a scaldarsi. - Perdio, tu sei l'ultima persona che dovrebbe essere capitano in seconda! Che diritto ha, lei, di darci ordini? Eh?!- si guardò attorno, allargando le braccia e cercando l'approvazione della folla, Notai che il nostro battibecco aveva attirato l'attenzione di quasi tutti sul ponte; in molti borbottavano e mormoravano, ma non avrei saputo dire se fossero in mio favore o contro di me. - Signor Gibbs! Se c'era qualcuno che meritava il comando della nave quello eravate voi! Perché vi lasciate scavalcare da una puttana qualsiasi?-
- Sai, quando sono due uomini a litigare, gli insulti di solito sono parecchio fantasiosi, mentre quando si insulta una donna si passa sempre e solo per “puttana”... lo trovo estremamente noioso. -
I pirati scoppiarono a ridere di nuovo, qualcuno batté sulla spalla di Furey dicendo: - Occhio che la piccolina rischia di tenerti testa!-
Gibbs, al mio fianco, mi scoccò un'occhiata preoccupata. Era un sollievo sapere di avere almeno lui dalla mia parte; stavo divertendo i pirati, ma stavo anche esaurendo i miei colpi molto in fretta. Un affronto del genere da parte di uno come Furey a bordo era intollerabile, ma era anche vero che le sue accuse non erano totalmente infondate: volevo negare che la mia elezione a capitano non fosse stata una scelta puramente interessata da parte di Jack? Però adesso qualcosa era cambiato, e ne era la prova l'apparizione della Dama alcune notti prima. Mi ero meritata quel posto. Ero il capitano di quella nave.
Furey non si aspettava tutta quell'ilarità, e vedevo che non era per niente contento. Mi scoccò un ultimo sguardo inceneritore e sbottò: - Sei capitano solo perché vai a letto con Sparrow, né più né meno, e lo sai benissimo. -
- Non è colpa mia; perché non ci hai provato prima tu?- replicai, stavolta senza riuscire a reprimere io stessa una risata. I miei uomini si rotolarono dal ridere e anche l'ultima accusa di Furey cadde nel vuoto. Ero in parte riuscita nel mio intento; dato che ormai non era più tanto facile scandalizzarmi, ero riuscita a sminuirlo, forse perfino ad umiliarlo. Era importante che l'equipaggio ascoltasse me e non lui: quando anche le ultime risate si furono calmate, mi alzai in piedi e gettai uno sguardo attorno. Adesso era il momento delle risposte.
- Ascoltatemi, non è un discorso poco importante quello che ha tirato fuori il signor Furey... e se non fosse stato così odioso, poco fa, gli avrei risposto più che volentieri. - la ciurma si voltò verso di me, ora più interessata. - Ho ordinato di lasciare in pace le donne, su quel brigantino. Non è una cosa così strana, su molte navi pirata la regola di non toccare le donne senza il loro consenso è uno dei Codici su cui si giura prima di essere ammessi nella ciurma. -
- Be', magari noi siamo qui proprio perché da noi non si giura anche su quello!- commentò di rimando un pirata più giovane, anche se lo fece con un tono tanto diverso da quello di Furey che non lo considerai una minaccia.
- D'accordo. - concessi. - Potremmo anche avere meno regole di altre navi pirata. Anzi, potremmo strappare tutti i Codici e infischiarcene, potremmo impiccare i capitani e poi cominciare ad ammazzarci tra di noi... tanto che cosa importa avere delle regole, o un codice d'onore? Tanto siamo solo pirati, quello che ci importa è accumulare e spendere, accumulare e spendere fino a quando non saremo troppo vecchi o troppo ubriachi per stare in piedi e andremo a morire in qualche buco... più o meno è così?-
In quel momento un'altra figura era apparsa sul castello di prua, e molti pirati si erano voltati appena l'avevano visto comparire, forse pensando che fosse lì per mettere fine alla discussione. Quando anch'io alzai lo sguardo, e vidi Jack fermo sulle scale di prua intento a fissarmi con espressione indecifrabile, ebbi un sussulto e sotto sotto davvero sperai che fosse lì per riportare la calma fra la ciurma e togliermi da quella situazione. Ma non era così.
“Eccoti, dannazione!” pensai fra me, perdendo per un attimo il filo del discorso. “Perché hai lasciato che mi cacciassi in questa situazione? Devo sempre fare tutto da sola? Vieni qua e levami da questo pasticcio!”
Com'era prevedibile, lui non lo fece: rimase semplicemente lì a guardare e, ora che lo notavo, non lontane da lui c'erano anche Faith e Valerie. Certo, era confortante sapere di avere degli appoggi sicuri in mezzo a quella ciurma dall'umore mutevole, ma ora ero io da sola a dovermi giocare l'approvazione dei pirati.
- Se il vostro obiettivo è quello, allora credo che abbiate sbagliato nave. - ripresi dopo un attimo, cercando di fare come se niente fosse. - Perché se l'unica cosa che volete è ingozzarvi più degli altri prima di schiattare, è ovvio che nessuna regola avrà mai valore per voi. Ma se volete essere qualcosa di più... - molti uomini drizzarono le orecchie. - ...Se siete diventati pirati perché cercavate qualcos'altro, che il resto del mondo non vi poteva dare... allora, signori miei, sapete che le nostre regole servono e sono preziose, perché tutti possono essere pirati, ma essere gentiluomini di fortuna è una cosa rara! Siete o non siete qualcosa di più di ratti di sentina? Credete o no in qualcosa “di più”? E allora rispetteremo chi non c'entra, ci terremo un po' d'onore. Perché nessuno si farà scrupoli ad uccidere un pirata, ma uccidere un gentiluomo di fortuna... quella è una cosa più impegnativa. -
Il mio discorso sembrò essere piaciuto, perché guardandomi attorno vidi diverse facce compiaciute. Gibbs nascose un sospiro di sollievo e si asciugò la fronte col fazzoletto che portava al collo, scoccandomi di sottecchi un'occhiata che un padre avrebbe potuto lanciare al figlioletto che aveva appena evitato un disastro. Credevo di avere chiuso la bocca anche a Furey, ma un attimo dopo lo vidi che finiva di confabulare con alcuni altri della ciurma: uno di quelli con cui parlava, un ragazzo mulatto di nome Oliver, si alzò per parlare: - Mi piace quello che avete detto sui gentiluomini di fortuna, capitano. Però Furey ha detto una cosa giusta: che non vi siete ancora guadagnata come si deve il posto di capitano. -
Mi chiesi seriamente se ci fosse modo di richiamare la Dama davanti a tutti.
- Ci ha tirati fuori da quella dannata caverna, in Africa!- protestò uno dei pirati.
- Non è vero, era Sparrow che stava al timone!- replicò un altro. Di lì a poco tutti i pirati presero a saltarsi sulla voce l'un l'altro pretendendo di aver ragione, finendo per fare ciò che una ciurma di pirati sapeva fare meglio: un baccano infernale. Ci volle qualche minuto per riportare la calma, e fu allora che Gomez, che conoscevo da quando avevo messo piede sulla Perla, un grasso uomo con una parrucca bianca completamente lercia, si fece avanti e dichiarò: - E' vero, capitano, pensiamo che dovreste provarci che meritate il vostro posto. -
La parola “prova” serpeggiò fra la ciurma come un fulmine, e man mano che veniva ripetuta vidi i loro volti accendersi dall'eccitazione. - Una prova!- - Sì, una prova!- - Dovrà mettersi alla prova!- - Lei dovrà provare... dovrà fare... -
Sembravano a corto di idee... oppure ne avevano troppe. Entrambe le alternative non erano molto confortanti. Infine si fece avanti un altro dei pirati più anziani. - La ciurma vuole una prova del vostro valore... ma che il diavolo mi porti se un capitano pirata, un vero capitano pirata, non tira fuori le palle nei momenti più brutti. Vogliamo fare un accordo: la ciurma sceglierà una prova per voi, e sarà sempre e solo la ciurma a decidere il momento e la natura della prova. Se la supererete, nessuno potrà più mettere in discussione il vostro ruolo. Siete d'accordo?-
Potevo anche rifiutare. Tecnicamente avrei perfino potuto punire Furey per avere messo in discussione la mia autorità, ma era anche vero che era la ciurma ad avere potere decisionale. Era la ciurma a votare per il loro capitano, e rifiutando la sfida non avrei fatto altro che perdere punti ai loro occhi.
- D'accordo, accetto la sfida. - risposi infine, cercando di dare alla mia voce un tono sicuro: i pirati esultarono e brindarono, prima che poco a poco l'euforia scemasse e tutti tornassero alle loro occupazioni. Impedendomi solo a stento di sbuffare sconfortata, ritrovai lo sguardo di Jack sul castello di prua, e lui, con tutta l'aria di starsi trattenendo a stento dal ridere, mi fece un cenno di saluto con la mano come a dire “Auguri!”. Grazie tante, davvero.
Mentre mi allontanavo dal ponte col mio boccale di rum fra le mani, vidi alcuni pirati fare dei cenni verso di me. - Ehi, ehi! Capitano! Capitano!-
Che altro c'era, ancora? Mi fermai e mi voltai a guardarli: fra di loro c'era Gomez. Avevano intenzione di discutere ancora? La mia espressione doveva essere trasparente, perché Gomez rise e in tono più amichevole mi fece: - Per favore, adesso non prendetela nel modo sbagliato. Voi ci piacete, capitano. Ma è una buona cosa che voi diate una prova di quanto valete: piace alla ciurma, li esalta. Superate la prova e quelli vi seguiranno in capo al mondo, capite? Può farvi solo del bene... E non preoccupatevi troppo, è solo una cosa simbolica. - ammiccò, forse sperando di essere rassicurante. - Lo sapete che non vi metteremmo in pericolo, no? -
Mi strinsi nelle spalle. - Voi no, probabilmente. - dissi, accennando però col capo a Furey e agli uomini con cui continuava a parlottare. Potevo dire in tutta franchezza che le loro espressioni non erano rassicuranti, proprio per niente.





Note dell'autrice: E rieccomi. I primi capitoli stanno procedendo bene, quindi forse riuscirò ad aggiornare in tempi decenti. Forse. Grazie a Christine e a Stellysisley per aver commentato, spero che continuerete a seguirmi e che la storia continuerà a piacervi. Ci sono tante novità che bollono in pentola...
PS: Ho citato Angelica. Ohssì!
Wind in your sails.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Trattative ***


Capitolo 3
Trattative.


Poco dopo Jack si diresse verso la cabina, tranquillo come se nulla fosse successo: nella luce baluginante delle poche lampade che erano state accese a bordo col calare delle tenebre, mi trovò ad aspettarlo sotto le scale del cassero di poppa, a braccia incrociate.
Sembrò intuire il mio disappunto, perché si fermò a fissarmi per un attimo, poi non seppe trattenere un sorrisetto mentre con aria innocente mi chiedeva: - Qualcosa non va?-
- Non è che mi sei stato molto d'aiuto, poco fa. - brontolai, anche se in realtà avevo già capito perché non era venuto ad aiutarmi. Non ne ero molto felice, ma era una questione che avrei dovuto sbrogliare da sola.
Jack si strinse nelle spalle e allargò le braccia senza smettere di sogghignare. - Tesoro, era il tuo momento e non ho trovato giusto rovinartelo... e poi devo dire che te la sei cavata piuttosto bene, non trovi?-
- Sì, d'accordo... Ma vorrei capire un po' di più questa storia della prova. Non si può dire che io sia un'esperta di pirateria, ancora, no? Che cosa mi chiederanno i tuoi uomini? Cosa dovrò fare?-
Lui si mise accanto a me appoggiando la schiena alla parete di legno e sollevò gli occhi a scrutare il cielo con aria meditabonda. - Oh, la scelta è vasta... dipende da quanta immaginazione avranno e, francamente, non è che ne abbiano molta... Mettiamola così: non appena si saranno inventati qualcosa che gli sembrerà abbastanza divertente, ti sfideranno. Aspettati una prova di coraggio o cose del genere, a loro piace particolarmente... A me una volta hanno fatto fare un giro di chiglia. -
- Cosa?!-
- Senza farmi passare contro la chiglia, intendiamoci... buona parte di me non sarebbe qui a parlarti, in quel caso!- ridacchiò e mi diede un buffetto sulla guancia. - Su, non fare così! Non ti chiederanno niente che tu non possa fare, in un modo o nell'altro. E poi, comunque... - ad un tratto si fece più vicino e ne approfittò per avvolgermi le braccia attorno alla vita. - ...dimentichi un po' troppo spesso che ci sono sempre io, no?-
- Perfetto, ho i giorni contati. -
- La cieca fiducia che hai in me mi commuove, sai?-
- Ehi, piccioncini!- sfrontata come poche, Valerie era improvvisamente comparsa dal nulla a neanche un passo da noi, col gomito appoggiato alle scale del cassero di poppa e un sorriso tutt'altro che innocente dipinto sulle labbra. Jack mi lasciò andare, e insieme ci voltammo per scoccarle un'occhiataccia. Per nulla disturbata, Valerie accennò col capo alle proprie spalle. - Mi spiace disturbarvi, ma abbiamo compagnia. -
- Lo so già che il galeone britannico è ancora lì. - protestò Jack, infastidito.
Valerie scosse il capo, tornando seria. - C'è dell'altro: è meglio che veniate a vedere. -
Ci spostammo sul ponte, dove Jack prese il cannocchiale per scrutare l'orizzonte nel punto che gli indicò Valerie. Rimase a guardare per qualche secondo con aria corrucciata, poi passò il cannocchiale a me. Guardai a mia volta e sussultai: dalla parte opposta del galeone britannico che ci seguiva, troppo lontana per poterne distinguere i colori anche attraverso il cannocchiale, c'era un'altra nave. La guardai per un po', constatando che non stava venendo verso di noi: sembrava piuttosto tenere la nostra stessa rotta.
Riposi il cannocchiale. - Questo posto sta diventando decisamente affollato. Due navi che ci seguono, nello stesso giorno? Dobbiamo andar via da qui. -
- Non ne sono sicuro, ma, al contrario dei nostri accompagnatori britannici, quelli dell'altra nave potrebbero non essere nemici. Hai notato? Sono senza bandiera. - fece Jack mentre tamburellava con le dita sul parapetto.
- Che dobbiamo fare?- domandò Valerie, guardando alternativamente me e il capitano.
- Gli inglesi non hanno fretta, io nemmeno. - Jack si strinse nelle spalle. - Stanotte proseguiamo su questa rotta. Domattina vedremo se i nostri nuovi amici avranno voglia di venire a fare conoscenza. -

*

Quando il mattino dopo mi svegliai ed uscii dalla cabina, la prima cosa che pensai fu che alla Perla erano spuntate un numero spropositato di vele durante la notte.
Non appena fui sveglia del tutto e riuscii a dare un senso a quel che vedevo, mi accorsi che eravamo alla cappa, e che un'altra nave era ferma accanto a noi, tanto vicina che solo poche braccia d'acqua impedivano alle chiglie di toccarsi. La nave misteriosa della sera prima ci aveva finalmente raggiunti.
Udii una potente risata sovrastare il brusio delle due ciurme, e vidi che i due capitani si stavano parlando dal castello di prua delle rispettive navi. Mentre raggiungevo Jack, non potei non osservare la nostra nuova conoscenza: il capitano era alto, dai capelli neri raccolti in una coda, e il viso affilato. Era così magro che quasi spariva nell'ampia giacca rossa che indossava, ma questo non sembrava renderlo meno pomposo, tutto impettito nel suo grande tricorno scarlatto e con le sue armi appese in cintura.
- Buongiorno, Sparrow!- stava gridando in quel momento, in tono cordiale.
- Buongiorno a voi, Rackham!- rispose Jack: notando il mio arrivo, mi rivolse una strizzatina d'occhi e accennò al capitano col capo. - Un fratello della costa. -
Avevo già riconosciuto il suo nome, e lo stavo fissando sbalordita. John Rackham! Conosciuto come Calico Jack fra i pirati. Davanti a me c'era uno dei pirati leggendari di cui, insieme a Faith ed Elizabeth, avevo sentito raccontare fin da bambina. Pensavo che quelli come lui fossero ormai spariti da tempo, come facevano sempre le leggende. E invece eccolo lì, davanti ai miei occhi.
- Buongiorno, milady!- mi salutò Rackham con l'accenno di un sogghigno, poi tornò a rivolgersi a Jack. - Vedo che avete compagnia. -
Il galeone inglese si stagliava ancora contro l'orizzonte, alle nostre spalle.
- Già, è tutta la notte che ci stanno alle costole. - rispose Jack.
- Che curiosa coincidenza: io sono appena riuscito a seminare alcuni miei “accompagnatori”... ma temo che possano rispuntare molto presto. -
- Di chi si tratta?-
- Spagnoli. Ce li ho dietro da tre giorni: ci siamo presi a cannonate, ma non è bastato a farli demordere. Sembrano piuttosto ostinati, chissà perché. Ho saputo che il mandante è un certo signorotto spagnolo, un tale Burrieza, che dopo una disavventura in Africa ha sguinzagliato tutta le sue navi per dare manforte agli inglesi contro i pirati. Voi ne sapete niente, Sparrow?- scoppiò in una risata tonante, come se conoscesse già la risposta. - Avete causato un bel po' di scompiglio, da quando siete tornato in queste acque. -
E così Burrieza se l'era cavata: sorprendentemente, riuscii quasi ad essere contenta per lui. Era un buon diavolo, per quanto ancora non gli avessi perdonato quello che aveva fatto a Jack e a me. Ma forse non aveva meritato di essere raggirato a quel modo, dopo tutto l'aiuto che aveva offerto ad Elizabeth e Will... tuttavia, c'era davvero poco tempo per i sensi di colpa.
- Mi spiace di averlo incattivito a quel punto... vi assicuro che non è stato affatto intenzionale. - replicò Jack.
- Ma certamente. - fece Rackham, senza smettere di ridere. - Dove siete diretto? Conosco qualcuno che è nella nostra stessa condizione. Non è un periodo felice per noi fratelli della costa, e ci sarebbero due o tre cose di cui mi piacerebbe parlare con voi e con un nostro comune amico, che ho incontrato di recente. -
Jack si corrucciò. - Amico? Che tipo di amico? Vedete, negli ultimi anni ho incontrato ogni genere di “comune amico”, e non sono stati tutti incontri piacevoli, se capite cosa intendo... -
- Credo di capire. Be', anche lui è stato fuori dal giro per parecchio tempo, ma so che è tornato a farsi vivo insieme alla sua ciurma, di tanto in tanto. Posso invitarvi entrambi per questa notte, al porto di Quebrada Costillas? E' a poche leghe da qui, e i vostri accompagnatori inglesi non saranno così pazzi a tentare di attaccarvi, se ormeggerete in quel porto. Sarete i benvenuti sulla mia nave, se vorrete dividere con me un po' del vostro tempo e qualche bottiglia del mio brandy. -
- La seconda è particolarmente apprezzata. - ghignò Jack facendo scattare l'indice in direzione di Rackham. - E va bene, allora: ci vediamo questa notte. Buona navigazione, Rackham!-
- Anche a voi, Sparrow!-
A un comando del loro capitano, gli uomini di Rackham si affrettarono a levare l'ancora e dispiegare le vele, così che la nave si allontanò presto da noi. Mentre sulla Perla facevano altrettanto, Jack si mise al timone con un curioso sorriso sulle labbra.
- Di quale “comune amico” parlava?- gli domandai. Per tutta risposta lui scrollò le spalle.
- Onestamente... non ne ho idea. Ma ho notato che ha evitato accuratamente di dirmi il suo nome... Penso che lo scopriremo stasera, hm?-
- Sì, stasera... - mormorai, meditabonda, mentre seguivo con lo sguardo ora la nave di Rackahm che si allontanava, ora il galeone inglese sempre fermo all'orizzonte. - Senti, se stasera all'incontro devo esserci anch'io, voglio venire in incognito. -
Il capitano inarcò un sopracciglio.
- Ti accompagnerò vestita da uomo: non è la prima volta che lo faccio, no?- spiegai. - Qualunque cosa Rackham voglia proporci, sembra essere importante, e io sono stufa di non venire presa sul serio dagli altri pirati. - non sapevo cosa Rackham avesse pensato, vedendomi sul ponte insieme a Jack, ma se quello che ci aspettava era un raduno tra pirati, ero certo che la mia presenza come donna non avrebbe fatto che complicare le cose.
Jack sospirò con una smorfia di disapprovazione. - Non mi piace andare in giro con te vestita da uomo... finisco sempre per fare delle figuracce!- lo disse in un tono talmente lamentoso che non riuscii ad evitare di ridacchiare.
- E la colpa di chi è? Sul serio, Jack... saranno molto più disposti a parlare davanti a degli uomini, che davanti ad una donna. -
Jack girò bruscamente il timone mentre la nave prendeva il vento. - E ve bene. Preparati, allora, perché non saremo solo noi due: non si è mai troppo prudenti quando si accettano appuntamenti del genere fra pirati... -

*

Quebrada Costillas era un'isola molto a sud nel mar dei Caraibi, molto più piccola di Tortuga, anche se la città che vi sorgeva gli assomigliava molto.
Venni a sapere che l'intera città era nata da un piccolo insediamento di bucanieri, e da lì era cresciuta diventando, come Tortuga, un porto libero al di fuori di ogni costituzione, abitato da pirati e governato da un ex pirata di nome Jurcksen. Probabilmente non potevamo trovare un posto migliore per approdare in tutta tranquillità, anche con gli inglesi alle calcagna.
Arrivammo verso il tramonto, e la prima cosa che notai fu che, per quanto le due città si somigliassero, Quebrada Costillas sembrava molto più tranquilla di Tortuga. Non vidi nessuna sparatoria sulla banchina del porto, e nessuno che venisse lanciato fuori dalla porta delle locande più vicine. Sorrisi tra me, pensando a quanto il caos del nostro porto preferito mi fosse ormai diventato familiare.
Vidi, invece, la nave di Rackham, ormeggiata poco lontano e illuminata dalle lampade.
Mi voltai verso il piccolo gruppo che Jack aveva radunato sul ponte: Gibbs ci guardava entrambi, in attesa di ordini, al suo fianco c'era Faith insieme ad Ettore e Michael, e dietro di loro Elizabeth, che teneva in braccio David, seguita da un silenzioso Will.
Jack si fece avanti, squadrandoci uno dopo l'altro. - Ebbene... penso che sia il momento di andare a trovare il nostro nuovo amico. Michael, Ettore, voi andate per primi. Tutto chiaro quel che dovete fare?-
- Sì. - risposero all'unisono Ettore e Michael: il fratellino di Faith era particolarmente impaziente di mettersi all'opera, anche se il suo lavoro sarebbe stato molto semplice, poiché si trattava soltanto di tenere gli occhi aperti. Lui ed Ettore sarebbero rimasti sul molo, poco lontano dalla nave di Rackham: Mickey avrebbe avuto più libertà di movimento, perché nessuno si sarebbe insospettito vedendo un ragazzetto gironzolare per il pontile. Se avessero avuto anche solo un segnale che le cose a bordo si stavano mettendo male, avrebbero dato l'allarme.
- Signor Gibbs!- Jack si rivolse a lui mentre i due scendevano per primi sulla terraferma. - Come al solito affido tutto a voi, se le cose dovessero mettersi male... ma non dovrebbero, perciò dovremmo fare ritorno fra qualche ora. Bene. Le mie guardie del corpo? Armate e pericolose?-
Gli rivolsi un sogghigno, mentre tastavo con le dita il cane della pistola nascosto sotto la fusciacca: sia io che Faith eravamo una volta ancora in abiti maschili. Avevo voluto che venisse con me: ormai potevamo dire di essere diventate delle professioniste a mascherarci sotto le bandane, strette sopra i capelli, e camuffarci con gli abiti da uomo. Eravamo anche ben armate.
- Perfetto, direi che ci siamo quasi. William, tu vieni con noi. -
Alle sue parole, Will aggrottò le sopracciglia. - Perché?- avevamo detto ai Turner cosa stava bollendo in pentola, però fino ad ora nessuno aveva mai parlato di coinvolgerli nell'incontro con Rackham e il suo misterioso contatto.
- Perché so che la tua mogliettina non mi perdonerebbe mai se vi tenessi fuori dai giochi, stavolta. - replicò Jack con un ghigno. Will sembrò sul punto di replicare, ma preferì chiudersi ancora una volta nel silenzio. Lo vedevo strano da quando lui ed Elizabeth erano tornati con noi dall'Africa.
Così, non appena Ettore e Michael furono a distanza di sicurezza, il nostro gruppetto scese sul molo e si diresse alla nave di Rackham. Era un brigantino grande quasi quanto la Perla; era stata calata la passerella, e diversi pirati erano intenti a salire e scendere trasportando i rifornimenti. Quando ci avvicinammo non ci fu nemmeno bisogno che ci annunciassimo: un pirata corpulento che sembrava dirigere le operazioni di imbarco ci scoccò un'occhiata, poi gridò, verso il ponte di coperta: - Sparrow!-
Il grido fu ripetuto molte volte da qualcuno a bordo, quindi l'uomo ci fece un cenno sbrigativo. - Andate: vi aspettano in cabina. -
Salimmo a bordo, dove potei constatare le reali dimensioni del brigantino: il ponte era lungo e stretto, il che lasciava molto meno spazio per muoversi liberamente. La ciurma era accalcata sul ponte, sulla murata e sulle sartie, e quelli che non erano impegnati a trasportare il carico su e giù dalla nave, si scostarono giusto quel poco che bastava a permetterci di passare, seguendoci con sguardi indecifrabili.
C'erano due pirati di guardia alla porta della cabina: era evidente che eravamo attesi. Ci fecero entrare, e fui felice di trovare un ambiente meno affollato. Ci trovavamo nella cabina degli ufficiali, che era in tutto e per tutto simile a quella della Perla, e Rackham era seduto ad un tavolo al centro della stanza.
- Siete stati rapidi. Benvenuti. - ci salutò, invitandoci ad occupare le sedie libere. Mentre lo facevamo, sentii il suo sguardo su di me e mi voltai, trovandolo a guardarmi con un sorriso strano. Prima che potessi dire qualsiasi cosa, in tono da vero gentiluomo mi fece: - Milady, è un vero piacere rivedervi. -
- Come avete... ?- sbottai, stupefatta, prima di accorgermi che anche Jack stava ridacchiando sotto i baffi.
- Una donna graziosa la si riconosce anche quando cerca di mascherarsi da bellimbusto... anzi, due donne graziose, vedo. - Rackham fece un cenno anche verso Faith, con l'aria di divertirsi un mondo. - Siete sorprese? Non prendetevela, signore, il vostro travestimento è eccellente... diciamo che ho un occhio allenato. Io stesso ho due donne nella mia ciurma, quindi certi stratagemmi non mi sono nuovi: sono sicuro che ne avrete sentito parlare. -
- Mary Read e Anne Bonny!- esclamò Faith alle mie spalle, mentre si metteva a sedere. - Le più famose donne pirata dei Caraibi. Avremmo dovuto pensarci!-
Jack si rilassò contro lo schienale della sedia, rivolgendosi a Rackham con aria divertita: - Queste due sono riuscite ad imbrogliare un bel po' di gente, ero curioso di vedere se ce l'avrebbero fatta anche con te. Ma si vede che hai occhio per certe cose. -
Si vedeva che entrambi si erano divertiti nel vederci smascherate in così poco tempo, ma dopo un attimo Rackham tornò serio. - Tornando ai nostri affari, stiamo aspettando che arrivi anche il terzo interessato. E forse le vostre signore non hanno avuto una cattiva idea a vestirsi in quel modo, perché al nostro amico potrebbe non piacere l'idea di avere delle donne ad un incontro del genere. -
Aveva appena finito di parlare quando qualcuno, probabilmente uno dei pirati di guardia, batté tre colpi sulla porta. Il capitano alzò lo sguardo, e neanche un attimo dopo la porta della cabina si spalancò, facendo entrare l'uomo dall'aria più truce che avessi mai visto.
Era alto e tarchiato, con una massa di capelli sporchi che spuntavano da sotto un cappellaccio a tricorno, la barba era lunga fino al petto e nera come il carbone, e qua e là vi erano infilate delle micce -sì, micce da cannone- che erano evidentemente accese, perché fumavano in continuazione avvolgendolo di fumo nero e di puzzo di capelli strinati. La faccia era coperta di cicatrici, e i suoi occhi erano piccoli e spiritati, simili a tizzoni neri ardenti. Era abbigliato come un qualsiasi pirata, ma da sotto la giacca spuntava il manico di un coltello, e in cintura, oltre alla spada, aveva almeno sei pistole. Mi bastò guardarlo per qualche secondo per riconoscerlo, anche se stentai a crederci.
Di Barbanera avevo sentito solo i racconti, ma corrispondeva perfettamente alle descrizioni che avevo avuto di lui. Decisamente, quello sembrava essere il giorno delle leggende viventi.
- Benvenuto, Teach, ti stavamo aspettando. Siediti. - lo accolse Rackham, imperturbabile.
Edward Teach, Barbanera, si muoveva sgraziatamente, come se avesse avuto intenzione di sfracellare tutto quello che gli capitava a tiro. Camminava a grande falcate, facendo saettare attorno a sé quegli occhi color carbone, con espressione costantemente imbestialita.
Jack non era stato l'unico a presentarsi accompagnato: dietro Barbanera vennero due membri del suo equipaggio, inquietanti almeno quanto lui. Uno era un giovane alto e allampanato che si mise in un angolo della cabina e rimase lì senza dire una parole. L'altro era un vecchio che poteva avere perfino il doppio degli anni del suo capitano, ma aveva addosso così tante pistole che lo si sarebbe potuto scambiare per un'armeria vivente. Rimasi a fissarlo per qualche secondo: aveva due bandoliere a tracolla piene di pistole, altre ancora ne portava infilate alla cintura, altre perfino appese qua e là ai vestiti come se si fosse trattato di un ornamento. Non avrei neanche saputo dire a occhio quante ne avesse addosso.
- Allora sei tu “l'altro amico” di cui parlava Calico?- sbottò Barbanera con voce rasposa non appena si fu messo a sedere, scoccando a Jack uno sguardo di astio. - Dovevo immaginarmelo. Hah!-
- Anch'io sono felice di rivederti, Teach... quanto tempo, eh?- gli rispose lui in tono gioviale, incollandosi in faccia uno dei suoi più falsi sorrisi a trentadue denti.
- Mai abbastanza, carogna. Non credere che mi sia dimenticato di quel bastimento che ho perso per colpa tua... -
- Rimandiamo le faccende personali a dopo, vogliamo?- intervenne Rackham, sentendo l'aria che tirava. - C'è una cosa di cui voglio parlarvi, ed è molto importante. E' stato un bel periodo, per noi pirati, da quando l'intera Fratellanza ha combattuto contro gli inglesi, e ha vinto. In questi ultimi tre anni, sembrava che gli anni d'oro della pirateria fossero tornati. Ma non è così. -
Sembrava che il capitano avesse catturato l'attenzione del suo pubblico, perché anche Barbanera smise di guardare Jack in cagnesco e si voltò ad ascoltare, suo malgrado interessato. Io e Faith drizzammo le orecchie, e lo stesso sembrò fare Will, che aveva sussultato sentendo nominare la Fratellanza.
- Quello che è successo tre anni fa, in realtà ha dimostrato solo una cosa: nel momento in cui un uomo potente come lo era Lord Cutler Beckett riuscisse a imporsi sui Caraibi e lanciarsi in una caccia così feroce ai pirati, noi saremmo indifesi. Abbiamo visto cos'è successo allora. Rastrellamenti in tutte le colonie, decine di navi affondate, esecuzioni di massa. Ci hanno decimati. Potevano riuscirci, allora, potevano schiacciarci completamente, e nessuno di noi si sarebbe salvato. Perché sono riusciti a fermarlo? Perché è intervenuta la Fratellanza. - allungò un braccio ad indicare Jack, che dal canto suo sembrava molto concentrato sulle nocche della propria mano.
Barbanera sbuffò, sprezzante. - Tu, Sparrow, sei sempre stato utile alla Fratellanza quanto un topo in una scarpa. -
- E voi, Barbanera, dove eravate quando solo nove pirati hanno avuto il coraggio di muoversi contro Beckett?- era stato Will a parlare, cogliendo tutti quanti di sorpresa. Barbanera sollevò lentamente lo sguardo sul giovane e lo squadrò come se stesse meditando di farlo a pezzi seduta stante, ma l'espressione di Will rimase ferma.
- Ammetto che io, come molti altri, ho pensato che fosse... più sicuro allontanarmi dai Caraibi, da quanto avevo visto e sentito. - continuò Rackham come se non fosse mai stato interrotto. - Ma la Fratellanza ha fatto il suo dovere, ed è merito dei nove Pirati Nobili se siamo qui a parlare, adesso. E' stato un duro colpo per la Marina inglese, ed è quasi sembrato che i pirati potessero tornare a governare indisturbati su queste acque. Naturalmente, ci sbagliavamo. Siamo rimasti in pochi. E ora spagnoli e inglesi uniscono le loro forze contro di noi, e scelgono con cura i loro bersagli: stanno pedinando me, un galeone inglese è alle calcagna di Sparrow da ieri. E voi, Teach... -
- Inglesi anche i miei. - Barbanera si schiarì rumorosamente la gola con espressione disgustata. - Ci siamo già bombardati per bene in più occasioni, e gli ho dato una sacrosanta batosta. Ma quei bastardi nel frattempo hanno arginato i danni, e mi sono ancora dietro. Se non mi avessi chiamato qui stasera, penso che sarei andato io a prenderli per farla finita una volta per tutte. -
- Ti sconsiglio di farlo. Chiunque ci abbiano mandato dietro, sono tre galeoni veloci e ben armati. E' rischioso affrontarli da soli. Per questo vi ho chiamati qui stasera. -
Jack si voltò verso Rackham, facendo tanto d'occhi. - Scusami?-
- Possiamo affrontare da soli i nostri nemici, ma qualcuno di noi potrebbe avere la peggio. Ma cosa accadrebbe, invece, se ci alleassimo? La Fratellanza ha fatto quello che gli altri pirati non sono riusciti a fare: unirsi contro il nemico. Ora provate a pensare come reagirebbe la regia marina se tutte e tre le navi che ci ha mandato addosso... tutte e tre... venissero sconfitte da un'alleanza di tre pirati. Li spaventeremmo a morte, capite? Sarebbe uno smacco abbastanza forte per quelli come Beckett, che ci penseranno due volte prima di ritentare una cosa del genere contro di noi. Abbiamo bisogno di spaventarli, se vogliamo sopravvivere. - lo sguardo di Rackham andava da Barbanera a Jack. - Ci serve qualcosa di eclatante, per non venire spazzati via. E ci servi tu, Sparrow, come Pirata Nobile del mare dei Caraibi. Questo è il tuo territorio, fino a prova contraria. Abbiamo bisogno di qualcosa che porti la tua firma. -
Cominciavo a capire che intenzioni avesse Rackham, e potevo anche indovinare che cosa lo spingesse: per quanto le sue parole fossero vere, ero certa che la ragione principale per cui ci proponeva quell'alleanza fosse perché si sentiva in pericolo. Gli spagnoli lo braccavano, aveva incontrato noi e Barbanera nella stessa situazione, e si era probabilmente messo a pensare a che colpaccio sarebbe stato sbarazzarsi di tre navi nemiche in un colpo solo, e allo stesso tempo salvarsi la pelle.
Jack si agitò sulla sua sedia senza guardare in faccia gli altri due capitani. - Sì, questo suona molto poetico, ma devi sapere che tre anni fa la situazione era un tantino più grave... si trattava di un'offerta che non ho potuto rifiutare, comprendi? Perciò, essendo voi fra quelli che al tempo se la sono filata, cosa che avrei fatto molto volentieri anch'io se le circostanze me l'avessero permesso... penso che capirete se vi dirò che preferisco andarmene per la mia strada. -
Fece per alzarsi, ma l'istante dopo Barbanera sguainò il coltellaccio che portava sotto la giacca e lo piantò con forza sul tavolo, ad un soffio da Jack. Io, Faith e Will mettemmo contemporaneamente mano alle armi.
Barbanera però non andò oltre, limitandosi a squadrare Jack che, dal canto suo, era rimasto perfettamente immobile con gli occhi puntati sul coltello. Senza dire una parola si rimise a sedere.
- Tu non vai da nessuna parte. - ringhiò Barbanera. - Ho un paio di conti in sospeso con te, e giuro che appena metterai piede giù da questa nave regoleremo i conti!-
- Come alleati, invece... non sarebbe più conveniente dimenticare le nostre dispute, e cercare di collaborare?- intervenne Rackham, cogliendo la palla al balzo. Feci una smorfia: eccolo che tirava fuori il suo asso nella manica. Con Teach così furibondo con Jack, forse l'alleanza sarebbe davvero stata un'ottima occasione per evitare rappresaglie. - Andiamo, siamo in tre, con molta più esperienza, più astuzia, e sicuramente più palle dei nostri inseguitori. Possiamo intrappolarli e sconfiggerli, e so anche dove. -
- Che cosa intendi fare?- domandò Jack in tono ormai rassegnato.
Rackham srotolò una mappa che aveva tenuto sul tavolo fino a quel momento, poi indicò con sicurezza un punto in mezzo al mare. - L'isola di Khael Roa. E' disabitata, eccetto poche colonie di indigeni: un posto perfetto per nascondersi, ed è anche il posto ideale per un'imboscata. Ci avevo già pensato da tempo, ma non sarei mai riuscito a mettere in atto il mio piano da solo. -
Mi sembrò di notare una strana espressione balenare sul viso di Jack per un attimo. Si ricompose subito, ma io non potei fare a meno di domandarmi cosa l'avesse colpito.
- Ci faremo inseguire fino a Khael Roa, procedendo separati in modo che non sospettino nulla. Ci nasconderemo nella baia, è abbastanza spaziosa per un buon numero di navi. - indicò i due bracci arcuati dell'isola che racchiudevano un ampio tratto di mare come fra due fauci. - Dovranno per forza entrare nella baia per riuscire a stanarci. Se riusciremo a costringerli là dentro, non avranno scampo. Gli taglieremo le vie d'uscita e li circonderemo: non potranno salvarsi da un triplo bombardamento. Pensate di poterlo fare?-
- Voi lasciatemi solo abbordare una di quelle navi, e gli farò rimpiangere il giorno in cui sono nati. - replicò caparbiamente Barbanera.
- E' un massacro quello che state proponendo. - dissi improvvisamente, attirando su di me gli sguardi dei tre capitani. Barbanera mi squadrò come se fossi uno scarafaggio: Rackham aveva indovinato in fretta che ero una donna, lui invece sembrò avere meno spirito d'osservazione.
- Ti fa paura il sangue, ragazzino?-
- Non è questo che intendo, capitano. Possiamo anche farli entrare tutti e tre nella baia e affrontarli lì, prenderli a cannonate e limitare i loro movimenti per abbordarli prima che possano reagire... non dico che il piano non funzionerebbe. Dico soltanto che, una volta che saremo tre contro tre, sarà una battaglia all'ultimo sangue. Perderemmo tantissimi uomini. -
- Più di quanti ne perdereste a farvi prendere a cannonate dai vostri inglesi?- replicò prontamente Rackham.
- Questo non lo so. - ammisi. - Ma certamente sarà un massacro. -
- Poco importa. - sbottò Barbanera, sputando sul ponte. - In tre o da solo, per me è uguale. Calico, io ci sto a incontrare quei figli di puttana a Khael Roa, se tu mi lascerai campo libero quando sarà il momento di combattere. -
- Hai la mia parola. - il sorrisetto di Rackham mi fece pensare che fosse esattamente quello che voleva sentire. - Sparrow, c'è anche dell'altro che volevo dirti. So che manchi da Tortuga da tanto, forse ci sei tornato in questi giorni, ma non so se ti è arrivata la voce. Anche là le cose cominciano a scaldarsi: la gente non ha dimenticato quel che è successo tre anni fa, e in tutta la città hanno cominciato a formarsi bande e gruppi organizzati. Tutti vogliono cercare di difendersi quando arriverà il momento, così ciascuno si costruisce la sua personale corte di farabutti. La troverai molto cambiata, la prossima volta che ci tornerai. C'è gente turbolenta laggiù, e presto un capitano pirata che passasse da quelle parti potrebbe dover lottare per farsi rispettare. C'è un nome che gira più degli altri: un certo Silehard. Lo hai mai sentito nominare? -
Jack scosse il capo.
- Già, nemmeno io. Ma sembra stia diventando molto influente a Tortuga. Non so cosa possiamo aspettarci perfino dai nostri pari, Jack... per questo io dico che ci conviene combattere, adesso, per non finire schiacciati. Non un'altra volta. -
Seguì un lungo silenzio, infine Jack sollevò gli occhi e allargò le braccia con un sospiro. - Che cosa vuoi che ti dica? Sarò dei vostri, visto che il quadro complessivo delle cose si fa sempre più adorabile di minuto in minuto. Facciamolo, allora. Khael Roa?-
- Khael Roa. - assentì Rackham, soddisfatto. - Ci troveremo là fra tre giorni al massimo, e organizzeremo la cosa. Dovremo essere ben armati e pronti a tutto. -
Detto questo, improvvisamente ci voltò le spalle per andare ad aprire un armadio in fondo alla cabina: si sentì un rumore di bottiglie che cozzavano fra di loro, e vidi Jack allungare il collo, speranzoso. Infatti Rackham si voltò stringendo in mano due bottiglie panciute, e l'armadio alle sue spalle sembrava contenerne ancora una buona quantità. Con aria gioviale le sollevò in alto e annunciò: - Personalmente non conosco un modo migliore di suggellare un accordo. Qualcuno vuole favorire?-

*

Lasciammo la nave di Rackham a notte inoltrata, accompagnati dal coro stonato di Jack e di Faith che sembravano non voler più smettere di cantare.
Avevamo dato fondo alle scorte di brandy di Rackham, e i capitani non si erano risparmiati: Barbanera e i suoi avevano bevuto a garganella senza dare il minimo segno di cedimento nemmeno dopo due intere bottiglie, Jack si era fatto onore come al solito, e Rackham non era stato da meno. Io avevo cominciato a reggere piuttosto bene l'alcol, ma avevo smesso di bere non appena i capitani erano stati troppo distratti dai loro brindisi per continuare a riempirmi il bicchiere. Will, come me, se l'era cavata con poco, ma non potevo dire lo stesso di Faith.
- What shall we do with a drunken sailor, what shall we do with a drunken sailor, early in the morining... -
- Jack, andrai avanti ancora per molto?- borbottai, mentre scendevamo sul molo. Tenevo Jack sottobraccio perché non ero molto sicura del suo equilibrio già precario; dall'altra parte dovevo sostenere Faith, che pendeva praticamente a peso morto fra le braccia mie e di Will. Che bella catena umana di allegri ubriaconi.
- Laura, credo che dovresti darle un'occhiata... - fece Will in tono preoccupato.
Non avevo idea di quanto avesse bevuto la mia amica: non molto, mi pareva, ma sembrava che fosse bastato per mandarla al tappeto. Da mezz'ora non faceva che ridacchiare scioccamente e cantare senza sosta, con voce impastata dall'alcol. Io e Will avevamo dovuto sollevarla di peso dalla sua sedia e trasportarla a spalla, perché trascinava le gambe senza riuscire a stare in piedi. La testa le ciondolava avanti e indietro come quella di un fantoccio. E non la piantava un secondo di ridere.
- Faith? ...Faith?-
Stavo ancora cercando di riscuoterla, quando sul molo ci raggiunsero Ettore e Michael. Ettore fu il primo a raggiungerci e, vedendo in che condizioni era ridotta sua moglie, la scrutò, apprensivo.
- Che cosa è successo?- esclamò, guardandoci con aria spiazzata. Jack ridacchiò e indicò Faith col pollice. - La nostra miss Westley non regge il brandy. -
- Non lo reggooooo!- ci tenne a precisare lei in tono trionfante, scagliando i pugni in aria. L'attimo dopo tornò ad accasciarmisi fra le braccia a peso morto. L'espressione di Ettore passò dal preoccupato all'orripilato.
- Ha bevuto troppo. - sospirai, mentre anche lui le si metteva di fianco per sorreggerla. Faith borbottò qualcosa di incomprensibile mentre si attaccava al braccio di Ettore: ora non rideva più.
- ...non mi sento be... - troncò improvvisamente la frase, piegandosi in due con una mano premuta sulla bocca.
Faith passò le ore successive in coperta, rimettendo dentro ad un secchio, con Ettore di fianco che la sorreggeva con aria rassegnata.




Note dell'autrice: Questo capitolo in realtà era pronto da un bel pezzo, ma è che ho l'abitudine di avere pronti almeno un paio di capitoli nuovi prima di postarne uno. Il problema è che il quarto mi sta dando dei problemi: sono in crisi creativa e purtroppo non scrivo da un po', e non vi dico quanto la cosa mi dia fastidio. :-( Chissà che mettere in rete questo nuovo capitolo non mi dia un po' di spinta.
Prima di tutto: ok, ho inserito due personaggi storici realmente esistiti. Rackham e Barbanera. Due fratelli della costa in piena regola, e se Rackham era un gentiluomo di fortuna, Edward Teach era davvero un tipo che non vorrei mai incontrare in vita mia. Gli stessi Pirati Nobili nel terzo film sono ispirati a pirati veri, Barbanera compreso. Avevo avuto quest'idea ben prima di conoscere i membri della Fratellanza; per questo, e per dare il mio originale e assolutamente anacronistico tributo a due veri pirati, ho scelto di inserire questi due nella storia.
Grazie a chi commenta, come al solito: per rispondere a Stelly (ciau!), no, non ho letto Brisingr. Finiranno mai gli autori famosi di rubarmi le idee? Dai, scherzo... c'è tanto da escogitare per questa ff, e ho tante idee ma pochi fili per annodarle tutte insieme. Si vedrà, immagino. Wind the sails!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cicatrici ***


Capitolo 4
Cicatrici.


Versai un'altra secchiata d'acqua nella tinozza, riempiendola per metà.
Era meglio non sapere da quanto tempo non mi facessi un vero bagno: mi lavavo di tanto in tanto, e capitava che mi concedessi un tuffo nell'acqua bassa, ma ero certa di avere addosso l'odore di tutto quello che avevamo passato negli ultimi giorni. Saremmo rimasti in porto per tutta la notte, così avevo pensato di approfittarne.
Sbottonai marsina e camicia, e le abbandonai su una sedia: la mia cabina era l'unico posto dove avrei potuto fare queste cose con un po' di intimità. Mi stavo sbottonando i pantaloni quando, alle mie spalle, la porta cigolò, facendo entrare Jack. Vedendomi, si fermò sulla soglia, sorpreso. - Oh. Scusami. -
- Non si bussa più?- scherzai, gettandogli un'occhiata da dietro le spalle. - Chiudi la porta, per favore?-
- Certo. - annuì e indietreggiò, tirandosi dietro la porta. Mi chinai e mi sfilai i pantaloni, solo per sentire la porta cigolare di nuovo un attimo dopo. Jack si era affacciato ancora e sbirciava dalla soglia.
- Jack!-
Lui la richiuse di nuovo, in fretta, ma lo sentii ridacchiare dall'altra parte. - Ti stai divertendo?- lo rimbeccai, fingendomi arrabbiata, mentre giravo attorno alla tinozza.
- Trovo sempre un po' difficile non lasciarmi distrarre da una bellezza che se ne va in giro nuda nella stanza accanto. - mi rispose lui dall'altra parte. - Posso entrare nella mia cabina, adesso?-
- Non mi interessa dove stai tu, mi basta che quella porta resti chiusa!-
- D'accordo, d'accordo... vorrà dire che farò il gentiluomo e resterò alla larga, va bene?-
Non gli credetti nemmeno per mezzo secondo, e dovetti trattenermi per non ridere mentre, in punta di piedi, mi avvicinavo alla porta restando rasente alla parete, così che non potesse vedermi dal buco della serratura.
Rimasi in silenzio ad ascoltare, ed udii lo scricchiolio leggero di qualcosa che si appoggiava al legno, insieme ad uno sbuffo soffocato. Non ero l'unica che si stava trattenendo.
Allungai la mano verso la maniglia e, a tradimento, spalancai la porta. Jack, che fino a quel momento vi era rimasto appoggiato sbirciando dalla serratura, incespicò e piombò nella stanza, finendo bocconi sul pavimento.
- Hai perso qualcosa?- gli chiesi con dolcezza, inginocchiandomi accanto a lui.
- No. - fece lui mentre si alzava a quattro zampe. - Lavavo il pavimento. Non trovi anche tu che avesse bisogno di una bella lucidata?-
- Come no... - lo afferrai per la collottola e lo feci alzare, richiudendo con un calcio la porta dietro di noi. E stavolta avrebbe fatto meglio a restarsene chiusa. - Sai Jack, il pavimento non è il solo che avrebbe bisogno di una pulita. -
- E allora?-
- Attento alle spalle... -
- Eh?- si voltò a guardare, e si accorse troppo tardi del tiro che gli avevo giocato: gli andai addosso con tutto il mio peso, sbilanciandolo, ed entrambi piombammo dentro la tinozza, spruzzando acqua su tutto il pavimento.
- LAURA EVANS!- ruggì Jack appena tirò fuori la testa dall'acqua, sputacchiando. Io, dal canto mio, stavo ridendo a crepapelle. La tinozza non era molto grande, così che Jack era finito con le gambe di fuori, ancora tutto vestito, ed io sopra di lui, entrambi nell'acqua fino al collo. Sapevo che me l'avrebbe fatta pagare, ma era stato troppo divertente per non provarci.
- Tu. Sei. Morta, ragazza. Morta. - mi fece, scandendo ogni parola e agitando furiosamente l'indice fuori dall'acqua.
- Mi dispiace davvero tanto... - sogghignai, gettandomi i capelli bagnati dietro le spalle e allungandomi sopra di lui. Questo sembrò farlo tentennare per un momento. Cambiando espressione, appoggiò la testa contro il bordo della tinozza, poi le sue mani salirono lentamente fin dietro il mio collo. Con uno scatto repentino, mi agguantò saldamente per la collottola e mi tuffò la testa sott'acqua.
Riemersi tossendo, mentre lui ridacchiava di cuore. - Se non altro, ora siamo pari, dolcezza. - sogghignò. - Guarda che roba, dannazione... sono zuppo fino alle ossa. Non bene. Sarà colpa tua se mi buscherò un raffreddore. -
- Oh, questo sì che è un rischio, capitano. -
- Non scherzare, tesoro, avresti anche tu paura di prendere un raffreddore se ti avessero tagliato via il naso e te lo avessero ricucito! E se devo starnutire? Cosa succede se mi si stacca di nuovo?-
Mi raddrizzai e lo fissai, cercando di capire se stesse scherzando o meno. Diedi un'occhiata al suo naso, ma, per quel che vedevo, non aveva proprio l'aria di essere stato tagliato via e ricucito.
- Potrei metterlo alla prova... - ghignai, afferrandogli la punta del naso con due dita. Lui allontanò la mia mano e si fece più in là, scrollandosi i capelli bagnati.
- Be', si può sempre scongiurare il rischio. - disse, per poi sfilarsi in tutta naturalezza la marsina e la camicia inzuppate d'acqua. Divincolandosi, riuscì a calciare via anche gli stivali, poi si tolse i pantaloni e li sollevò, grondanti. - Guarda qui. Bella roba. - li strizzò alla bell'e meglio, prima di gettarli sul mucchio di indumenti bagnati che si era accumulato ai piedi della tinozza.
Una volta che si fu spogliato completamente, si allungò contro il bordo della tinozza e mi avvolse un braccio attorno alle spalle. In quel momento pensai che avremmo fatto molto meglio a chiudere la porta a chiave.
- Quando è il caso di dire: non tutti i mali vengono per nuocere, hm?- disse, scoccandomi un sorriso inequivocabile e tirandomi contro di sé; sentire il calore del suo corpo nell'acqua fredda mi fece correre un brivido di piacere lungo la schiena. Le sue braccia scivolarono attorno al mio collo, ed io mi appoggiai contro il suo petto.
- Forse quest'acqua è un po' troppo fredda. - commentai, mentre entrambi lanciavamo un'occhiata sotto la superficie.
- Non credo sia per quello. - sogghignò Jack, stringendomi più forte contro di sé e premendo la bocca sulla mia. Chiusi gli occhi e mi abbandonai al suo abbraccio, dischiudendo le labbra sotto il suo bacio: la mano salì dietro il mio collo, carezzandomi la nuca, mentre l'altra scivolava lungo la mia schiena.
Mi spinse contro il bordo della tinozza, continuando a baciarmi con trasporto. Le mie gambe scivolarono contro le sue, sotto l'acqua. - Sì... - mormorò Jack, la bocca ancora incollata alla mia.
Mi avvinghiai a lui, incrociando le braccia dietro la sua schiena: con le mani strette sulla mia vita, lui mi portò dove voleva, ed io gli strinsi le gambe attorno ai fianchi. Ansimò, spingendomi di nuovo contro il bordo di legno.
Non avrebbe potuto fermarmi nemmeno se avesse voluto. Lo desideravo da impazzire. Aggrappandomi a lui con uno slancio improvviso, feci scendere la bocca sul suo collo, baciando ogni centimetro di pelle abbronzata. Solo sentirlo respirare forte al mio orecchio mi faceva andare su di giri; continuai a baciargli il collo, sfiorandolo con la lingua e coi denti.
Jack mi circondò la vita con le braccia e puntò le ginocchia contro il fondo della tinozza, tenendomi contro di sé. Repressi un sospiro contro il suo collo, e di riflesso strinsi le dita sulle sue spalle fin quasi ad affondare le unghie.
- Ahia!-
- Scusa... - allentai un po' la presa. Jack ridacchiò fra sé e si chinò a rubarmi un altro bacio, ancora più intenso e profondo del primo. Mugolai e affondai le dita nei suoi capelli, mentre lui cominciava a muoversi con decisione, strappandomi dei sospiri che soffocavo contro le sue labbra. E di colpo non importava più l'acqua gelida, né tutti gli schizzi che stavamo sollevando, neppure la porta non chiusa a chiave: c'era solo Jack, il calore del suo corpo, e la dolce stretta delle sue braccia attorno a me.
Quando ci separammo, mi abbandonai nell'acqua, col fiato grosso. Jack mi circondò con un braccio e rimase a lungo con la guancia appoggiata contro il mio petto, col bordo della tinozza a sostenerci. Non avevo la minima voglia di alzarmi, per quanto l'acqua cominciasse ad essere davvero fredda. Carezzai i capelli di Jack, sorridendo; mi sarebbe bastato lui, come coperta.
Giocherellai con le sue treccine, poi infilai le dita sotto la sua adorata bandana rossa, sfilandogliela.
- Toglitela, ogni tanto. Sei l'unico uomo che fa l'amore con la bandana in testa. -
I denti d'oro di Jack scintillarono, mentre mi scoccava uno sguardo sornione da sotto i capelli che gli ricadevano sulla fronte. - La prossima volta vedrò di avere anche il cappello. - sogghignò, mentre con fare distratto si strofinava la spalla con una mano. - Hm... Non ci sei andata piano stavolta, eh?-
Si girò per controllare i danni: effettivamente gli avevo lasciato qualche lieve graffio.
- Mi dispiace. - mi allungai, dandogli un bacio sulla spalla maltrattata, solo per accorgermi di qualche altro segno che gli avevo lasciato addosso. - Ehm... se qualcuno ti chiede cosa ti è successo al collo, digli che hai sbattuto contro la testiera del letto, d'accordo?-
- Razza di vampira assatanata. - lui scoppiò a ridere sul serio. - Mi stai uccidendo un pezzo alla volta. Vieni qui che ricambio il favore. -
Mi abbrancò e prese a mordicchiarmi il collo, e io cominciai a dimenarmi per colpa del tocco ruvido della sua barba: faceva un solletico terribile. La mia mano scivolò sul suo petto: in alto, appena a destra dello sterno, due tonde cicatrici scure spiccavano contro l'abbronzatura. Sapevo che erano fori di pallottole, e ancora rabbrividivo al pensiero. Se li era fatti anni e anni prima, durante un arrembaggio particolarmente sanguinoso.
Sul suo braccio sinistro, nell'incavo del gomito, partiva una ragnatela di cicatrici simili a bruciature. Quelle risalivano a quando era stato incarcerato e marchiato come pirata. E sul suo polso destro c'era la P marchiata a fuoco nella carne, quel segno che avevo imparato ad amare come un suo simbolo distintivo, quasi al pari dell'adorato tatuaggio del passero, appena più su.
Feci scorrere delicatamente le dita sui vecchi segni delle pallottole: il corpo di Jack era pieno di vecchie ferite, alcune molto visibili come quelle, altre appena distinguibili.
La mano di Jack si chiuse sulla mia mentre ancora sfioravo il suo petto. - Non è niente. - mi disse dolcemente. - Come vedi, sono sempre stato duro a morire. -
Le sue parole mi fecero tornare in mente l'accordo che avevamo stretto quello stesso giorno, e quello che avrebbe significato. Appoggiai la fronte contro quella di Jack. - Ce la caveremo, a Khael Roa?-
Lui si strinse nelle spalle. - O loro o noi, a quanto pare. Dipenderà da quanto ostinati si riveleranno i nostri inglesi. -
- Questa storia mi piace sempre meno. Rackham ci ha assoldati perché sa di non potersi difendere da solo... siamo solo il suo spauracchio, tutti quanti. E io non ci sto a mettere in pericolo la ciurma, o i nostri amici, o te. Non per una semplice ripicca verso gli inglesi. -
- Vedremo. - mi fece lui, stampandomi un bacio sotto l'orecchio e facendo per alzarsi. - Su, adesso. Ancora un po' e mi spunteranno le branchie. E, se domani qualcuno chiede qualcosa riguardo tutta quest'acqua sul pavimento, diciamo che c'è una falla. -
- Guarda che siamo molto sopra la linea di galleggiamento. -
- E io sono il capitano, e la mia parola a bordo vale più di quella di chiunque altro. Quindi c'è una falla. Comprendi?-

*

Il giorno seguente salpammo di buon mattino, salutati come al solito dall'immancabile vela bianca all'orizzonte.
I nostri marinai erano tornati come tornavano sempre dopo una notte passata a terra: caracollanti, coi postumi della sbornia, la bocca impastata e le tasche vuote. Lo spettacolo non era molto incoraggiante, ma bastò che Jack annunciasse la partenza perché tornassero i buoni diavoli di sempre, pronti e scattanti ai loro posti.
Navigammo verso sud per buona parte della giornata senza incontrare ostacoli. Io continuavo a passeggiare avanti e indietro dal cassero di poppa al ponte, e di tanto in tanto approfittavo della calma piatta per sgattaiolare sottocoperta e sfuggire alla calura. La ciurma era tranquilla, ma non potei fare a meno di notare ancora una volta Furey e i suoi, che parlottavano e mi lanciavano di tanto in tanto occhiate affatto discrete. Ormai avevo la certezza che lui e quanti non mi vedevano di buon occhio si fossero buttati anima e corpo nella preparazione della famosa prova. La cosa più fastidiosa era non avere nessun tipo di controllo sulla loro decisione, e purtroppo non potevo fare altro che aspettare.
Li sbirciai mentre camminavo con aria spensierata lungo il ponte. Furey stava seduto in mezzo alla cerchia dei suoi: otto o nove pirati, che lo ascoltavano con attenzione mentre parlottava, mormorava e contava con le dita. Mi sembrava che il giorno prima fossero in meno ad ascoltarlo. Sotto sotto, cominciavo a preoccuparmi: il resto dei pirati aveva preso la prova come un interessante diversivo, ma cosa sarebbe successo se tutto questo fosse sfociato in un vero e proprio ammutinamento?
Ma forse stavo esagerando. Jack continuava a dirmi di non preoccuparmi, e forse aveva ragione lui. Ma, diavolo, quanto sapeva diventare preoccupante quell'uomo quando ti diceva di non preoccuparti.
Scesi sottocoperta fino al ponte intermedio: di notte, lo spazio era quasi completamente occupato dalle amache dell'equipaggio, ma al momento tutti i giacigli erano stati ripiegati e appesi alle travi per lasciare lo spazio libero nel caso ci fosse stato bisogno di combattere. Più distaccati, verso la poppa della nave, su quel livello c'erano le cabine degli ufficiali. Mentre le raggiungevo sorrisi, ricordando il tempo in cui io e Faith, appena imbarcate sulla Perla, ne avevamo divisa una con Annamaria, in quanto uniche donne a bordo. Un'altra delle strambe gentilezze offerte da Jack, anche quella.
Una di quelle cabine sarebbe probabilmente dovuta andare a Gibbs, in quanto braccio destro del capitano, eppure il vecchio Gibbs non si era mai preso la briga di spostare la sua amaca e i suoi pochi averi dalla sala comune dove dormiva con tutti gli altri pirati. La comodità non faceva per lui, così diceva sempre, e non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi in un posto dove non ci fosse nessuno che russava, borbottava o imprecava, e senza il tanfo a cui era abituato. Le abitudini sono dure a morire.
E così, le due cabine disponibili avevano trovato in fretta dei nuovi occupanti: Faith ed Ettore ne avevano occupata una, per grande gioia dei novelli sposi, mentre Elizabeth, Will e David si erano stabiliti nell'altra. Temporaneamente, avevano detto. Io però cominciavo ormai a non esserne tanto sicura, e la cosa certo non mi dispiaceva.
Dando un'occhiata nella cabina dei Turner non vidi nessuno di loro, e immaginai che fossero in giro per la nave. Così mi diressi a quella di Faith: la porta era chiusa, e per qualche istante esitai lì davanti, col pugno teso per aria, chiedendomi se fosse il caso di bussare. D'accordo, era improbabile che Faith ed Ettore si fossero chiusi in cabina a quell'ora del giorno, ma non si sapeva mai...
Mi decisi a bussare, e mi rispose la voce di Faith. - Che c'è?-
Quasi risi: la vecchia Faith mi avrebbe risposto con un cortesissimo “avanti”. - Sta andando a fuoco la stiva, dobbiamo abbandonare la nave. -
La porta si aprì di scatto e mi trovai davanti la mia amica che mi fissava con aria sconvolta. - Che diavolo... ?!-
- Sto scherzando, sciocca. - ghignai. - Volevo solo vedere se avresti reagito, o se te ne saresti rimasta qui ad oziare. -
- Oh, piantala!- Faith rise gentilmente e si fece da parte, lasciandomi entrare nella piccola cabina: era confortevole, con un piccolo baule per i loro averi in un angolo e un letto contro la parete. La mia amica vi si sedette sopra, ed io seguii il suo esempio.
- E' tutto tranquillo, e sembra che continuerà così per un bel pezzo, a meno che gli inglesi non decidano di farci un'improvvisata. Ma ne dubito. - mi levai il cappello a tricorno per ravviarmi i capelli arruffati. - La ciurma può rilassarsi. Dov'è Ettore?-
- Alle vele con Mickey, non vogliamo perdere il vento. - riconobbi al volo la luce che le attraversò lo sguardo mentre lo diceva, e sorrisi fra me. Il loro matrimonio risaliva a non più di un mese prima, e ancora era straordinario il legame che c'era fra i due: sembrava che vivessero dentro ad una bolla.
- E allora, sposina di maggio, devo dedurre che le cose fra voi vanno bene?-
Faith sollevò lo sguardo su di me, sorridendo divertita. - Più che bene. Mi spiace che non abbiamo avuto più tempo per parlarne un po', io e te, mi sarebbe piaciuto... anche se ora, letteralmente, siamo nella stessa barca. Non sono l'unica novella sposa, no?-
- Sì, sì... - abbassai gli occhi, con falsa modestia. - E se te lo stai chiedendo, anche per me non potrebbe andare meglio. Per una volta sembra che le cose filino lisce per tutte e due, uh?-
- Andiamo, non hai niente da invidiarmi ormai, o no?-
Finsi di pensarci su per un attimo. - Uhm... I muscoli di Ettore, magari. Mi sono sempre chiesta che effetto fa. -
Questo la fece scoppiare a ridere talmente forte che dovette tenersi la pancia, e ci mise un bel po' a tornare seria. Io, fra me e me, gongolavo, godendomi quel raro momento in cui potevo concedermi qualche sciocchezza insieme alla mia migliore amica, come ai vecchi tempi. Sì, era decisamente un bel momento, per tutti. Quando Faith si fu asciugata le lacrime, si ricompose fino a farsi molto seria e così rimase per lunghi istanti, prima di voltarsi di nuovo verso di me quasi con fare guardingo.
- Ti piace andare a letto con Jack?- domandò ad un tratto, sfacciatamente.
Quasi rotolai giù dal letto mentre sussultavo e scoppiavo a ridere allo stesso tempo: non sapevo se sentirmi imbarazzata o divertita. - Faith Westley!- ridacchiai in tono stupefatto, guardandola con tanto d'occhi. Lei era arrossita fino alla radice dei capelli, ma non abbassò lo sguardo. - Dai, per favore... è una domanda seria. -
Tentennai per un po', quindi mi decisi ad annuire con decisione, sentendomi arrossire a mia volta. Di quello non avevamo mai parlato, fino ad ora. - E' senza dubbio un bravo amante. - dichiarai, cercando di non essere troppo sconveniente.
Faith abbassò lo sguardo mentre sulle labbra le tornava il sorriso di prima. - E' bello sentirtelo dire... volevo solo assicurarmi di non essere impazzita completamente. Con Ettore è... - non riuscì a terminare la frase, ma il viso le si era illuminato. Poi, quando si decise a rialzare gli occhi, aveva il ghigno più malizioso che le avessi mai visto. - Quanto ci hanno prese in giro, tutte quante! Te lo ricordi cosa ci dicevano quelle vecchie acide a Sunny Haven quando si parlava di queste cose? “Spalanca le gambe, chiudi gli occhi e sopporta!” - scoppiò in una risata selvaggia, quasi cattiva. - Oh, come vorrei adesso sbattere in faccia a tutte loro che non è affatto così! Diavolo, mi hanno terrorizzata per anni!-
E io mi ero preoccupata di non essere sconveniente? Mi concessi anch'io una risata liberatoria: al diavolo la buona creanza, dunque, e come spesso fanno le ragazze ci divertimmo a parlare e a scherzare, pensando a quanto poco amore avessero conosciuto quelle vecchie comari inaridite, che tanto era pronte a parlare come donne di mondo accanto al focolare, davanti ad un'attenta platea di bambine meravigliate.

*

Ormai credevo di essermi abituata ai repentini cambiamenti del tempo, quando si andava per mare.
E invece, quando uscii da sottocoperta affacciandomi sul ponte, non potei fare a meno di sgranare gli occhi quando mi accorsi che nel cielo, dritto davanti a noi, si stava addensando un muro enorme di nuvole nere.
- Michael!- gridai, alzando subito gli occhi verso la coffa.
- Sì Lau... capitano!- lo trovai a metà strada, che si arrampicava in tutta fretta sulle sartie per risalire l'albero maestro. Probabilmente anche lui, come tutta la ciurma, si era rilassata un po' troppo per via della bonaccia che ci aveva sospinti senza fretta per quasi tutta la giornata, e non era rimasto al suo posto di vedetta.
Per fortuna non ero stata l'unica a notare il fronte burrascoso verso il quale ci stavamo dirigendo, e parecchi pirati si erano già rimessi ai loro posti, fiutando il pericolo. Mi diressi a poppa e al timone trovai il signor Gibbs, che mi mise al corrente di tutto senza che avessi bisogno di spiccicare parola. - Sembra esserci un bel temporale, laggiù, tutte quelle nubi sono venute su in neanche cinque minuti! Direi che se procediamo a questa velocità, tra poco ci finiremo dritti in mezzo. -
La brezza si stava poco a poco facendo più intensa, e mi fermai un istante per sentirla: il vento stava girando, e rapidamente anche.
- Signor Gibbs!- Jack mi era apparso alle spalle quasi senza che lo vedessi. - La nostra rotta?-
- Stabile, signore... l'isola di Khael Roa è a poche leghe da qui. Sud est. Proprio in quella direzione. - notai l'occhiata interrogativa che scambiò con Jack, mentre accennava col capo alle nubi temporalesche che oscuravano il cielo. Per tutta risposta il capitano si fece meditabondo per un attimo solo, prima di scrollare le spalle e rivolgere un sogghigno al suo ufficiale.
- E' solo un temporale. - disse, con l'aria più placida del mondo, facendo cenno a Gibbs di continuare: quello rispose con un frettoloso – Sì, capitano!- e mise su il suo migliore cipiglio caparbio, mentre stringeva più saldo il timone. Jack mi passò accanto per scendere sul ponte, e mi diede un colpetto di gomito. - Tieniti... stiamo per ballare un pochino. -
Un'improvvisa e violenta folata di vento gelida sembrò urlare la sua conferma alle sue parole.
Ci volle meno di un minuto perché il cielo si tappezzasse completamente di nubi, mentre l'acqua che lambiva la chiglia della nave si faceva sempre più torbida e scura. Col vento si erano ingrossate le onde, e il brontolio cupo del temporale in arrivo non era più soltanto un eco lontano, ma un brusio continuo e sempre più vicino.
Jack era rimasto sul cassero al fianco di Gibbs; io mi trovavo a prua quando si vide il fulmine.
Un bagliore di luce improvvisa e accecante, così nitido che per un attimo riuscii a distinguere perfino la forma del fulmine, come un ghigno slabbrato aperto fra le nuvole nere. Poi, qualche istante dopo, il tuono, e fu come se ci avessero sparato un colpo di cannone ad un metro di distanza.
Imprecai, e il tuono coprì il suono delle mie parole solo in parte. Sentii i pirati più vicini ridere, e avevano ragione: il fracasso del tuono mi aveva fatta sobbalzare in modo molto poco piratesco.
Cominciò a piovere. Sembrò che la nave si stesse letteralmente tuffando nel temporale, perché udii distintamente le prime gocce ticchettare sulla polena, poi moltiplicarsi sulle vele e sul ponte, e infine riversarcisi addosso con uno scroscio sonoro. Calcandomi il cappello sulla testa, curiosamente venne da sorridere anche a me: niente di nuovo, effettivamente. Era soltanto un temporale... inoltre, potevo dire di avere superato di peggio.
- ...ridurre i velaggi e tenere la rotta, uomini!- le parole di Jack dall'altro capo del ponte mi arrivarono solo in parte per colpa del vento, ma la ciurma sapeva che cosa fare, e tutti quanti furono lesti a scattare all'ordine del capitano, per tenere la nave sotto controllo. Mi voltai per lanciare uno sguardo all'orizzonte, alla ricerca del profilo di un'isola, o qualsiasi cosa che suggerisse l'avvicinarsi di una striscia di terra. Nulla. Speravo di avvistare Khael Roa in fretta e di liberarci di quel temporale il prima possibile, ma, a quanto pareva, avrei dovuto portare pazienza.
In pochi minuti il mare si era ingrossato, e le vele erano zuppe di pioggia: il vento infuriava, sbatacchiandole di qua e di là, rischiando di strapparle. Sui pennoni più alti, gli uomini si stavano già dando da fare per ammainare parte dei velaggi; sul ponte, invece, una vera e propria catena umana strattonava le funi per assicurare la vela di mezzana.
William era fra di loro: era mezzo accecato dalla pioggia battente e inzuppato fino alle ossa, eppure i suoi gesti erano naturali, rapidi e precisi. Sembrava che non esistesse altro: solo il ponte scivoloso sotto i suoi piedi, la corda sotto le dita e il grido ritmato della ciurma: - Oh-issa! Oh-issa!-
Un ultimo strattone, e anche quella cima fu assicurata. Immediatamente Will corse a quella successiva, insieme al resto della ciurma. Aveva appena afferrato l'estremità viscida della fune, quando gli guizzò davanti agli occhi una familiare chioma bionda grondante di pioggia, e nel marinaio che tirava la fune davanti a lui riconobbe Elizabeth.
- Elizabeth!- gridò, cercando di sovrastare il baccano. Cosa ci faceva lei, lì? Nella foga di tenere la fune in tensione, lei si voltò appena verso di lui: erano l'uno appiccicato all'altra, entrambi aggrappati alla cima che guizzava come un serpente vivo, eppure Will dovette continuare ad urlare per farsi sentire. - Dov'è David?!-
Il loro bambino, quel piccolo scapestrato che si infilava in ogni angolo della nave, incurante di qualsiasi pericolo. Will odiava perderlo di vista. Dove si era cacciato, mentre lì fuori infuriava la tempesta?
- E' in cabina!- gridò di rimando Elizabeth, chinandosi e dando uno strattone alla cima, come se la ritenesse una risposta sufficiente.
- In cabina? Dovevi rimanere con lui, diamine!-
Elizabeth strattonò la fune con tanta energia da cacciargli involontariamente un gomito nello stomaco. Will barcollò, cercando di non perdere la presa. Attraverso la cortina di pioggia riuscì a vedere il volto incollerito di lei, che si voltò a guardarlo gridando: - Sono molto più d'aiuto quassù, se solo tu la smettessi di... -
Non riuscì a sentire il resto della frase, perché in quel momento la nave beccheggiò paurosamente, inclinandosi, e un'onda scavalcò la murata travolgendo l'intero ponte. Elizabeth perse la presa e scivolò: Will ebbe un istantaneo tuffo al cuore, vedendosela già trascinata via dal risucchio dell'onda.
“No!” fu il suo unico pensiero, e lasciò immediatamente la cima per tuffarsi verso di lei. Riuscì ad agguantarla per le spalle, e insieme scivolarono sulle assi come se il ponte fosse stato ricoperto d'olio. Will scalciò inutilmente contro l'acqua che li trascinava con sé senza controllo, poi, improvvisamente, l'onda esaurì la sua spinta e si ritrasse, lasciandoli scossi e mezzi affogati ai piedi del cassero, dove il risucchio dell'acqua li aveva trascinati.
Elizabeth fu la prima a rimettersi in piedi. - Lasciami. - sbottò bruscamente, liberandosi dalla stretta di Will.
Prima che lui potesse risponderle, la nave fu scossa violentemente una seconda volta, e la si sentì scricchiolare come se ogni sua fibra, alberi, trinchetti, paranchi, travi e pulegge, stesse per andare in pezzi.
- ...Solo un temporale, eh?- gridò Gibbs, facendosi sbiancare le nocche a forza di stringere il timone, che sembrava ormai dotato di vita propria. Imprecando, Jack glielo strappò di mano, riprendendo il controllo della nave e sporgendosi un attimo soltanto per gridare ad Elizabeth e Will: - Volete restare per terra ancora un po', o pensate di rendervi utili prima o poi? Vediamo di restare a galla, diavolo!-
Mormorando fra i denti, Elizabeth corse via lungo il ponte, e Will la perse di vista. Si rialzò, borbottando tutta una serie di improperi, non sapeva neanche lui se rivolti a Jack, a Elizabeth, alla tempesta o a sé stesso.
Mentre succedeva quel finimondo, io ero ancora a prua che gridavo ordini dei quali gli uomini capivano soltanto la metà delle parole, e tuttavia eseguivano alla perfezione. L'onda di prima era stata una pessima sorpresa, poiché aveva travolto metà dei pirati sul ponte rallentando tutte le manovre, eppure ora sembrava che la Perla stesse poco a poco riprendendo il controllo.
Durante un breve istante in cui il boato dei tuoni ci diede tregua, mi sembrò di sentire l'eco lontana di Michael che urlava dalla coffa: - Terra! Terra! Un'isola a dritta di prua! Terra!-
Mi precipitai a controllare, e quasi mi sentii scoppiare dal sollievo quando vidi che aveva ragione. Una massa scura emergeva dal mare in tempesta: l'enorme profilo di un'isola a poche leghe di distanza.
La notizia rallegrò tutta la ciurma, ma raggiungere la terra fu un'impresa. Il vento ci sballottava, spingendoci da tutt'altra parte, e la pioggia si era fatta talmente forte che fra un po' non avremmo più capito dove finiva il mare e dove iniziava l'aria. Per di più, avremmo dovuto per forza attraccare, ma la burrasca impediva di vedere se ci fosse o meno una barriera corallina a bloccarci il passaggio. Jack, tuttavia, puntò senza esitazione verso l'isola, così ancora una volta mi augurai che sapesse quello che faceva.
Fummo fortunati, perché raggiungemmo la spiaggia più vicina senza altro intralcio che il risucchio della burrasca: meno piacevole fu scendere tutti sulle scialuppe, una volta raggiunta l'acqua bassa, e trainare la nave finché la chiglia non raschiò sul fondale fino ad incagliarsi.
Fu uno dei momenti in cui fui più felice del mio ruolo di capitano in seconda, che mi esonerava quasi del tutto dai lavori manuali. Passai comunque un'ora buona a mollo fino alle ginocchia, con le onde che mi arrivavano addosso, dirigendo il lavoro degli altri pirati che piantavano nella sabbia i pali robusti a cui legare le cime per assicurare la nave.
Quando ebbero finito, l'intera ciurma risalì la spiaggia per andare a rifugiarsi nella foresta. Gli alberi erano talmente fitti da non lasciare quasi passare la pioggia, così che fu solo dopo che ci fummo inoltrati fra la vegetazione che potei tirare un sospiro di sollievo.
Mi sentivo letteralmente un topo affogato. Tutto quello che avevo addosso era completamente zuppo, perfino gli stivali, tanto che mi sembrava di avere i piedi infilati in due secchi pieni fino all'orlo. In mezzo ad una ciurma inzaccherata, fradicia e vociante, crollai a sedere su un tronco caduto, rabbrividendo. Qualche istante più tardi sentii un tonfo alle mie spalle, e la voce allegra di Valerie che esclamò: - Allegra, capitano, che il peggio è passato!-
Voltandomi, vidi lei, Faith ed Ettore che spingevano alcuni barili portati via dalla nave, e mi si illuminarono gli occhi. - Ti prego, dimmi che quello è rum. - feci in tono supplichevole. Lei rise, e per tutta risposta tamburellò con le dita sulla botte.
L'umore generale migliorò notevolmente, una volta che tutti ebbero dato fondo al rum, e si cominciò a trafficare per accendere qualche fuoco malgrado la legna bagnata. Poco a poco, gli sforzi dei pirati furono premiati e riuscimmo ad accendere qualche piccolo falò fumante, attorno ai quali la ciurma si radunò a gruppetti, bevendo e ridendo per il pericolo scampato. Io ero seduta fra Valerie e Faith, con un boccale fra le mani, e tremavo come una foglia anche se stavamo più vicine possibile al fuoco. Avrei dato qualsiasi cosa per degli abiti asciutti.
- Animo, animo!- fece il vecchio Gibbs in tono incoraggiante, passandoci accanto e battendo una pacca amichevole sulla spalla di ciascuna, per poi sedersi al nostro fuoco. - E' stata una bella battaglia, eh, signorinelle? Su, su, che la Perla è dura come una roccia e la sua ciurma non è da meno! Ora quello che ci vuole è un bel po' di rum e una bella dormita, e state pur certe che domani ci sveglieremo con un sole che spacca, parola mia. -
- Lo spero proprio, vecchio mio. L'unica nota positiva è che, se Dio vuole, tutta questa pioggia se la beccano anche gli inglesi. - Jack si fece largo verso il fuoco, con l'acqua che gli gocciolava giù dalle tre punte del tricorno. Brontolando a mezza voce si sedette dietro di me, e quando feci per appoggiarmi a lui lo sentii sobbalzare.
- Amore mio, lo sai che ti adoro, ma sei più zuppa di un'anguilla... -
- Sopportami. Sto gelando!-
Una sfilza di starnuti ci annunciò l'arrivo di David, in braccio ad Elizabeth. L'avevo vista al lavoro sul ponte mentre lottavamo contro la tempesta, e fui felice di vedere che sia lei che il bambino stavano bene.
- Oh, bene. Sembra che siamo sopravvissuti tutti quanti, allora... - fece Jack, rivolgendole un sorriso che lei ricambiò. - William! Muoviti e vieni qui; inzuppati ancora un po' e ti raccoglieremo con lo straccio. -
Will ci raggiunse, ma non sorrideva. Vederlo così tetro smorzò il mio buonumore appena riguadagnato. Che cosa gli stava succedendo? Sembravano settimane che lo vedevo sempre di pessimo umore, e quella sera sembrava andare peggio che mai. Si sedette con noi, ma non spiccicò parola né guardò in faccia nessuno, neppure Elizabeth o David.
- Dunque... - disse Gibbs una volta che fummo tutti radunati attorno al fuoco. - Siamo a Khael Roa, e siamo anche in discreto anticipo. Probabilmente la burrasca terrà lontani gli inglesi, ma rischia di rallentare anche Rackham e Barbanera. Credo che la soluzione migliore sia aspettare il loro arrivo. -
- Siamo dal lato sbagliato dell'isola. - commentò Jack, laconico. Alle occhiate interrogative che gli lanciammo tutti, si degnò di spiegare: - L'isola è a forma di luna crescente, e il luogo dell'incontro era la baia. Perciò, invece di essere qui... - tracciò col dito, per terra, un'immaginaria falce di luna e ne indicò la cavità. - Siamo qui. Dalla parte opposta. Comprendi? Domani vedremo di fare il giro dell'isola, e di sperare che i nostri colleghi si presentino all'appuntamento. -
Annuii pigramente, rendendomi conto di non avere alcun interesse, al momento, per Rackham, Barbanera, e per l'intero piano che avevamo architettato per sbarazzarci dei nostri inseguitori. Mandai giù quello che restava del rum nel mio boccale, e mi godetti la sensazione di calore mentre il liquore forte mi bruciava in gola e nello stomaco, riscaldandomi fino alle dita dei piedi.




Note dell'autrice: Lo so, sono in drammatico ritardo. Ho lasciato languire questa storia per un bel pezzo ma, credetemi, non ho nessuna intenzione di abbandonarla. Solo, gli aggiornamenti purtroppo saranno discontinui e lenti come al solito, sia per affari di vita reale (eh...) che di ispirazione che va e viene. Spero che chi apprezza le mie storie continui a seguirmi anche se sono così maledettamente scostante! Grazie in particolare a Fannysparrow per le recensioni che mi lascia, e per essersi recuperata tutti e due i precedenti capitoli di Caribbean Tales!
Una piccola nota: per sicurezza ho deciso di alzare il rating, perché è la prima volta che comincio a trattare di tematiche sessuali in modo esplicito in questa saga. Chi mi conosce, non si farà spaventare da un Arancione al posto di un Giallo!
Altra precisazione: la scena della vasca ricorda un episodio simile che accadeva nella fanfiction di Sybelle, che postava fanfiction in un altro sito. Conoscendo di persona Sybelle, posso assicurare che la scena che ho scritto io è di mia invenzione, da prima che leggessi la sua ff, e non ho mai avuto intenzione di plagiarla nè di prendere "ispirazione involontaria". Lei lo sa perfettamente, ma è giusto un avviso per i navigati lettori di ff.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La spedizione ***


Capitolo 5
La spedizione


- Sshhh, sshhh, non è niente. Dormi, e vedrai che domani ci sarà il sole... -
Tra uno starnuto e l'altro, David abbandonò la testa contro la spalla di Will, e in pochi minuti si addormentò profondamente, raggomitolato nella sua giacca per tenerlo al caldo. Il giovane lo posò a terra con delicatezza, facendogli posare il capo contro la sua gamba. Finalmente dormiva. La tempesta improvvisa lo aveva spaventato: Will se lo immaginava da solo, chiuso nella loro cabina, senza poter far nulla mentre tutto attorno a lui rollava e sobbalzava, in balia delle onde. Non doveva essere stato per niente piacevole. Ma ora si era calmato, e dormiva.
Attorno a loro, gli altri pirati si stavano accampando. La pioggia si era fatta meno forte, e sotto gli alberi si stava all'asciutto: gli uomini avevano circondato l'improvvisato campo con delle torce, e avevano ricavato rozzi giacigli con rami, foglie e quel poco di carico che erano riusciti a portare via dalla nave durante lo sbarco. Presto col calare della notte, nonostante le onde, anche la marea si sarebbe ritirata, lasciando la Perla Nera in secca sulla spiaggia, al sicuro dalla burrasca.
Will stava per distendersi, quando uno scalpiccio fra le fronde alle sue spalle gli annunciò l'arrivo di Elizabeth, che venne a sedersi accanto a lui. - Si è addormentato?- sussurrò, lanciando uno sguardo a David.
Il giovane annuì, ed Elizabeth allungo una mano a carezzare piano i capelli castani del bimbo, mordicchiandosi le labbra con fare nervoso. - Mi dispiace di averlo lasciato solo... si è spaventato molto?-
Will tentennò: era vero, un po' ancora ce l'aveva con lei per averlo lasciato solo in un momento del genere. Ma poteva davvero biasimarla? Non sapeva rispondersi. L'indole da pirata della giovane per una volta aveva avuto la meglio sull'istinto materno; d'accordo, non se la sentiva di arrabbiarsi per così poco. Lo aveva fatto preoccupare, questo sì. - Un po'. Solo perché è figlio tuo, non vuol dire che possa affrontare qualsiasi cosa. -
La donna lo guardò con espressione indecifrabile: da una parte quasi le sfuggiva un sorriso, dall'altra lo fulminava con gli occhi. - Non so se prenderlo come un complimento, o cosa. -
- Scusami. - finalmente anche lui riuscì a sorriderle, allungandosi verso di lei per carezzarle la chioma bionda. - E scusami anche per come mi sono comportato poco fa, sul ponte. Non... non volevo prendermela con te, solo che... -
Solo che, ancora una volta, era stato accecato dalla paura di perderla. La paura folle che succedesse qualcosa a lei o a David, se lui non fosse stato lì a prendersi cura di loro. Si rendeva perfettamente conto che, con la mente, era rimasto a tre anni prima: quando la sua perdita di fiducia in Elizabeth, il suo timore di vederla sfuggire sempre più al suo controllo, per poco non gliela aveva allontanata per sempre. Ma non poteva farci niente.
L'espressione di lei si addolcì. - Will, lo so che hai paura per noi. Ma non devi. Davvero. Ora siamo di nuovo insieme, tu ed io... e lui. - rise fra sé, accennando al bambino. - Non è sufficiente, tutto questo? Ora possiamo fare tutto quello che vogliamo, essere chi vogliamo!-
C'era una luce fiera, esaltata, nei suoi occhi, che il giovane ricordava perfettamente di avere già visto in un momento preciso: quando lei aveva arringato i pirati della Fratellanza, un attimo prima della battaglia che aveva segnato i loro destini. No, lei non era cambiata. E lui?
- E tu vuoi questo, vero? Vuoi vivere così, tornare ad essere un pirata. -
Elizabeth abbassò gli occhi come una bambina colta in fallo, ma poi sogghignò, fiera. - Che male ci sarebbe?-
Will fu tentato di non rispondere, e di lasciare cadere la discussione: come poteva spiegarsi con lei, quando era così difficile capire perfino sé stesso? Eppure, stranamente, fu il peso del capo di David appoggiato alla sua gamba che gli fece balenare in testa un altro pensiero. “Parlale. Provaci, almeno. Tre anni fa ci siamo quasi persi, proprio perché non riuscivamo più a parlarci.”
- Elizabeth, da sempre sei stata tu quella che sognava di essere un pirata. Io, ogni volta, ci sono finito in mezzo perché dovevo salvarti. - non riuscì proprio a trattenere un sorriso, mentre lo diceva. - Non lo so se voglio vivere così. Volevo te, volevo mio figlio, e sono stato accontentato. Eppure... è da quando ho riavuto il mio cuore, che non faccio che vivere nella paura. Forse paura irrazionale, non lo so. So che sai cosa voglio dire... -
Elizabeth si incupì, chinando il capo: anche lei, a suo tempo, aveva raccontato a Will degli incubi che avevano tormentato le sue notti per tre anni, incubi che di tanto in tanto ancora non la lasciavano stare. Ma lei si sentiva forte abbastanza per superarli. Li aveva superati. Will era lì con lei, no? Non c'era più niente di cui avere paura, niente! Perché lui non riusciva a pensarla allo stesso modo?
- Sta di fatto, che io ho continuamente messo in pericolo le vostre vite da quando sono tornato. Lo so, sono un egoista: ho paura di perdere il controllo su voi due, ho paura... - deglutì: quella era la confessione più difficile. - ...di essere rimasto lontano da voi troppo a lungo per... per potervi capire. Per potere essere una famiglia. Anche adesso, sulla Perla: siamo partiti per aiutare Jack e Laura, poi sei stata tu a decidere di rimanere. E io sono venuto con te, io continuo a venire con te perché so che è quello che vuoi, perché so che qui sei felice, che David è felice, e perché seguirei voi due in capo al mondo. Ma mi sento un estraneo. -
Lentamente la giovane annuì, e Will si sentì tolto un grosso peso dal cuore.
- Non riesco a trovare uno... scopo, per essere qui, capisci? Mi sento inutile. Mi sento di troppo. E la cosa più assurda è che nemmeno quando noi tre eravamo insieme ad Oyster Bay riuscivo a sentirmi a casa. Da quando ho lasciato i confini del mondo, non so più qual è il mio posto. Non so che cosa voglio. -
- Dovresti farti prestare la bussola da Jack. - rispose lei, col fantasma di un sorriso.
- Magari aiuterebbe. - Will le scompigliò i capelli, per poi carezzarle il viso: la presenza di lei era rassicurante, gli faceva bene. Elizabeth si appoggiò contro la sua spalla e lo abbracciò. - Capisco quello che vuoi dire, Will... però, prova a pensarci. Siamo qui, insieme, siamo con i nostri più cari amici, possiamo andare ovunque vogliamo, quando vogliamo. -
- Ricominci a parlare come Jack. - la prese in giro lui, fingendosi offeso. Lei gli tirò una gomitata.
- Ascoltami! Secondo me il fatto è che... forse non sei più abituato a questo mondo. Insomma, non è una cosa da poco quella che hai passato. - la mano di lei gli si infilò sotto la camicia, carezzandogli piano la lunga cicatrice che aveva sul petto. - Forse devi solo darti tempo. E... per favore, continua a parlare con me, tutte le volte che qualcosa non va. Lo vedi che ci fa bene?-
- Lo so, lo so. - sussurrò Will, baciandole la fronte. - Il fatto è che tutto è strano. Prima ero il capitano dell'Olandese Volante... avevo uno scopo, per quanto difficile fosse. Sapevo cosa dovevo fare. Ora che sono tornato... non lo so più. -
Will ed Elizabeth rimasero abbracciati a lungo, in silenzio, cullati dal respiro leggero di David che dormiva. Poco più in là, nascosto dai cespugli, Jack distolse lo sguardo dalla scena e tornò a stendersi a terra, le braccia incrociate dietro la nuca, con un curioso sorrisetto sulle labbra.

*

Malgrado il terreno umido e le ossa indolenzite, fu un sollievo risvegliarmi il mattino dopo col sole che filtrava fra le foglie.
Mi alzai, stiracchiandomi, e appena ebbi dato un'occhiata lì intorno dovetti reprimere una risata: sembravamo tutti quanti reduci da una sbronza colossale. Quasi tutti i pirati della ciurma stavano ancora russando, stesi scompostamente là dove si erano buttati la sera prima per la stanchezza; a pochi passi da me Faith stava dormendo con la testa appoggiata sul petto di Ettore. Non vidi Valerie e immaginai che, al contrario della marmaglia che mi circondava, si fosse già alzata. Jack era disteso di fianco a me, col cappello calato sugli occhi e la giacca stesa sotto la schiena: dal ritmo lento del suo respiro intuii che anche lui dormiva ancora. Mi distrassi qualche istante, mentre lo guardavo: da quando dividevamo lo stesso letto -e dovevo riconoscerlo, non era da molto- mi ero accorta quanto fosse curioso vederlo dormire.
Qualche volta si addormentava con un cipiglio severo, da bambino imbronciato, e sapevo che la mattina si sarebbe svegliato grugnendo, borbottando e protestando, prima di spazzolare in fretta la sua colazione e recarsi, puntuale, al timone.
Altre volte gli rimaneva incollata, nel sonno, qualcuna delle sue solite espressioni buffe, quelle che era abituato ad usare per prendersi gioco del mondo. Era strano, come se non smettesse di recitare la sua parte nemmeno quando dormiva.
Ma c'erano altre volte ancora, in cui vedevo il suo viso finalmente disteso, tranquillo. Era un sollievo vederlo, in quei casi: voleva dire che, almeno per un po', quella sua testaccia matta se ne stava zitta, e anche il capitano Jack Sparrow una volta tanto poteva dirsi finalmente... sereno. Lo faceva svegliare di buonumore.
Ero quasi tentata di sollevargli il cappello per vedere con quale faccia si fosse addormentato quella volta, ma lasciai perdere: il resto della ciurma si stava poco a poco svegliando lì intorno, e a momenti sarebbe arrivata l'ora di rimetterci al lavoro.
Avevo appena intravisto i Turner, che anche loro dormivano della grossa in mezzo ai cespugli a qualche passo da noi, quando un grido d'allarme mi fece sobbalzare.
- Ehi! Ehi! Abbiamo compagnia!-
Proprio ai limitari del campo, Furey faceva segni con le braccia come un pazzo. Il suo grido aveva svegliato quasi tutti i presenti che, allarmati, cominciarono ad alzarsi guardandosi attorno e cercando di capire che stesse succedendo. Corsi a raggiungere il pirata, e quando me lo trovai davanti vidi che aveva il volto arrossato e i capelli biondo sporco ritti sulla testa, come se avesse corso per miglia e miglia.
- Li ho visti adesso... stavo tornando alla spiaggia... - era senza fiato mentre indicava forsennatamente qualcosa dietro di sé. - Gli inglesi hanno attraccato al largo... stanno venendo con le barche, circondano la Perla!-
Sentii il cuore balzarmi in gola. - Dai subito l'allarme, sveglia tutti quanti. Presto!- detto questo lo superai e corsi a mia volta verso la spiaggia. Ebbi appena il tempo di sentirlo mentre mi gridava dietro: - Non fatevi vedere, dannazione, sono vicini!-
Corsi in mezzo alla folta vegetazione finché non arrivai in vista della spiaggia: solo allora mi fermai bruscamente per appiattirmi in mezzo alle fronde e procedere carponi. Mentre avanzavo così nascosta, ad un certo punto quasi sospettai che Furey mi avesse giocato un brutto tiro, un pessimo scherzo solo per sbeffeggiarmi davanti a tutta la ciurma. Mi paralizzai, col fiato grosso. Oppure, magari era questa la prova?
Maledissi lui e l'intera ciurma in tutti i modi che conoscevo, perché ormai non riuscivo più a pensare razionalmente con la minaccia della prova che mi pendeva sulla testa. Proseguii lentamente carponi, con la spada che mi batteva contro la coscia: quando mi affacciai da dietro un cespuglio che cresceva proprio ai limitari della spiaggia, mi resi conto che Furey non scherzava.
Il galeone britannico era lì, vicinissimo, ormeggiato dove il fondale era più basso. La Perla Nera giaceva su un fianco su una lingua di sabbia, ma la marea stava risalendo e le onde arrivavano già a spruzzarle la poppa. Dal galeone si avvicinavano numerose scialuppe, una dozzina o forse di più, dirette verso la nave in secca.
Soffocai tra i denti un'imprecazione, troppo sconvolta perfino per badare allo scalpiccio dei passi che sentii avvicinarsi alle mie spalle. Dannazione, ci avevano raggiunti! Ci avevano presi nel momento meno opportuno, mentre eravamo accampati alla meno peggio in quella maledetta foresta, e ora ci avrebbero soffiato la nave da sotto i piedi!
Una mano mi prese per la spalla ed io mi voltai; non feci in tempo ad aprir bocca che vidi Jack portarsi un dito alle labbra, per poi indicare alle proprie spalle col pollice. - Vieni via. - era stato evidentemente appena svegliato dall'allarme di Furey, eppure sembrava avere compreso al volo la gravità della situazione: ormai non mi stupivo più della sua capacità di ripresa, perfino dopo le sbornie.
Lo seguii in silenzio mentre tornavamo al campo, dove l'intera ciurma era stata allertata, e ci facemmo largo fra gli uomini che si stavano radunando in un unico grande crocicchio, gridando, imprecando, chiedendo ordini.
- Silenzio, silenzio!- gridò Gibbs, calmando il vociare dei pirati. - Abbiamo gli inglesi ad un tiro di schioppo, e pochissimo tempo per fare qualsiasi cosa. La tempesta di ieri ci ha proprio messi nel sacco, ora quelli sono capaci di toglierci la nave da sotto i piedi senza neanche esplodere un colpo. -
- Cannoni. - lo interruppe improvvisamente Jack, facendo scattare in alto l'indice.
Gibbs e gli altri pirati lo fissarono, confusi. - Cannoni, capitano?- borbottò Gibbs.
- Abbiamo o non abbiamo sbarcato un paio di cannoni insieme alle casse di provviste, ieri sera?- replicò Jack, gesticolando spazientito. - Caricateli e diamo un po' di caloroso benvenuto appena i nostri inglesi si avvicinano un po' troppo, forza!-
Senza aspettare oltre, gli uomini corsero ai due cannoni che avevamo infrattato in mezzo ai cespugli a pochi metri dalla striscia sabbiosa, puntati verso la spiaggia proprio nel caso di un'emergenza come questa. Quella notte però eravamo stati tutti quanti degli emeriti imbecilli, pensai, perché invece di stabilire dei turni di guardia ci eravamo lasciati sopraffare dalla stanchezza, sicuri che con quella tempesta gli inglesi non ci avrebbero mai raggiunti neppure il mattino dopo. Sorpresa.
Mentre la ciurma caricava i cannoni, io riuscii a radunare tutti coloro con cui mi interessava parlare: Jack e Gibbs, Elizabeth e Will, Michael, Faith ed Ettore. - Due cannoni?- dissi una volta che li ebbi tutti davanti a me. - E' tutta qui la nostra difesa? E faremmo meglio a risparmiare le munizioni, perché le finiremo molto prima degli inglesi, non appena decideranno di reagire. -
- Hai qualche suggerimento? Ora come ora non è che possiamo alzare bandiera bianca e chiedere se, per favore, ci lasciano tornare tutti quanti sulla Perla prima di cominciare a cannoneggiarci, comprendi?- replicò Jack, inutilmente sarcastico.
- Non dovremmo esserci solo noi, a respingerli!- lo interruppe Will. - Rackham e Barbanera raggiungeranno l'isola oggi stesso, forse possiamo resistere accampati qui fino a che non arriveranno. -
Gibbs scosse il capo sulle ultime parole di William. - Hai sentito Jack, no? Calico e Barbanera attraccheranno nella baia, ovvero dalla parte opposta dell'isola. Non ci verranno in aiuto. Non sapranno neanche che siamo bloccati qui come topi nella stiva, diamine!-
In quel momento si sentì il boato di un cannone, uno spruzzo sonoro e delle grida, seguite da un'esplosione di risate e urla di vittoria da parte dei nostri pirati. Sembrava che avessero sparato il primo colpo contro le scialuppe inglesi, e forse questo li avrebbe dissuasi dal cercare di scendere a terra.
- Ma allora potremmo... - nello sguardo di Elizabeth balenò una luce strana, e lei esitò, senza terminare la frase: guardò alternativamente Jack, poi Gibbs, quasi chiedendo la loro approvazione, infine si decise. - Sentite; da questa situazione non si esce. Non possiamo tornare alla Perla, e gli inglesi di certo non ci lasceranno andare finché non avranno messo le mani sulla nave, o su di noi. O su entrambi. Se Rackham e Barbanera attraccheranno oggi alla baia, perché non raggiungerli là? Qualcuno deve attraversare l'isola fino alla baia, e chiedere il loro aiuto per liberarci degli inglesi. Siamo alleati adesso, no?-
- Woah, quelli rispondono al fuoco, tutti a terra!- gridò la voce dei uno dei pirati e, quasi senza pensare a quello che stavamo facendo, un istante dopo tutti quanti ci tuffammo a testa bassa in mezzo alla vegetazione, riparandoci il capo con le braccia.
Il boato dei cannoni nemici non si fece attendere, e mi sembrò che l'intera isola stesse crollando sopra le nostre teste. Le palle di cannone fischiarono nell'aria, spaccando gli alberi, strappando liane e fogliame. Rimasi sepolta sotto una pioggia di rami e foglie, ma nient'altro. Lasciai andare il fiato, felice di averla scampata.
Quando anche l'eco della bordata si fu disperso, mi puntellai sui gomiti per alzare la testa e guardarmi attorno, controllando i danni. Tutti intorno a me, i miei amici cominciarono a loro volta ad emergere fra le foglie e i rami spezzati: Faith alzò la testa, scrutò nervosamente i dintorni, poi tornò a rivolgersi a noi. - Voto per l'idea di Elizabeth. -
- E' una bella camminata fin laggiù. - rispose Jack, mentre si rialzava e si toglieva di dosso le foglie come se non fossimo stati minimamente interrotti.
- Quindi faremmo meglio a sbrigarci, capitano, prima che gli inglesi ci facciano a pezzi. - a neanche due passi da noi, Furey si rialzò barcollando, allontanando con un calcio un ciocco d'albero che gli era caduto troppo vicino. A giudicare dall'espressione, sembrava pronto ad uccidere qualcuno.
- Bene, sembra che abbiamo un volontario. - lo rimbeccai, mentre dalla spiaggia risuonava il boato di un altro cannone, stavolta il nostro, diretto verso gli inglesi.
- Ma davvero? Io invece penso che dovresti proprio andare tu, sarebbe un'ottima... prova. -
- Basta!- ci interruppe Jack, piazzandosi in mezzo a noi con le mani alzate. - Signor Furey, questa non è una “prova” né qualche altro stupido passatempo, comprendi? Tuttavia, credo proprio che sia necessario che un gruppo raggiunga la baia e ci tolga da questo pasticcio. Direi che possiamo andare noi, dato che siamo già un gruppo così ben assortito. - indicò rapidamente me e gli altri. - Ma se voi desiderate così ardentemente verificare da vicino i progressi del nostro capitano in seconda, Furey, siete più che benvenuto. -
Furey fece una smorfia di disapprovazione e sbuffò, tanto che pensai che avrebbe rifiutato, invece un attimo dopo mi sorprese rispondendo secco: - Vengo. -
- Bordata!-
Stavolta buttarsi per terra fu quasi un riflesso condizionato, e non mi stupii più di tanto quando un albero a pochi passi da me esplose in una nube di schegge. Io e Jack ci accucciammo repentinamente al suolo, i gomiti chiusi a ripararci la faccia: stavolta la scarica di cannonate durò molto di più, e udii delle grida di dolore fra le nostre file. Jack mi agguantò sottobraccio, schiacciandomi ancora di più a terra: sembrava che i nostri nemici stessero dando fondo alle loro munizioni, cannoneggiando alla cieca la boscaglia con l'intento di falciare quanti più pirati possibili. Dalla spiaggia si sentì uno schianto, come di legno che esplodeva.
- La Perla no, bastardi!- protestò Jack, alzandosi su un gomito, diviso fra l'intenzione di proteggere me e quella di guardare cosa fosse accaduto alla sua amata nave.
- Non affonderanno la Perla. - lo rassicurai al di sopra del frastuono, cercando di non ingoiare troppa erba nel parlare. - C'è una taglia sulla nostra nave, ricordi? Nessuno distruggerà il galeone migliore dei Caraibi, a meno che non sia necessario. - e di certo la Dama l'avrebbe protetta, aggiunsi in cuor mio. Oramai ero sicura che qualcosa di più della semplice fortuna dovesse proteggere quella nave.
Anche la bordata finì, seguita da lunghissimi istanti di silenzio mortale, rotto solo dai gemiti dei feriti e dalle imprecazioni di tutti gli altri. I pirati non risposero al colpo, e gli inglesi non rincararono la dose. Quando sbirciai verso la spiaggia vidi due scialuppe che galleggiavano, fracassate, e i corpi di alcuni uomini nell'acqua. Le altre scialuppe dovevano essersi ritirate. Rimasi a guardare mentre il galeone calava l'ancora: gli inglesi erano evidentemente decisi a tenerci d'assedio finché non avessimo cessato ogni resistenza, o finito le munizioni. Non potevano scendere a terra, ma non ci avrebbero permesso di tornare alla nave. Era una partita a scacchi, dalla quale non potevamo uscire da soli.
Lanciai un'occhiata a Jack e lui sospirò, sistemandosi il cappello. - E va bene. Signor Gibbs?-
Rapidamente, Jack informò Gibbs del nostro piano: noi due, insieme a Furey, Will, Elizabeth, Faith, Ettore e Michael, avremmo attraversato l'isola per raggiungere Rackham e Barbanera... sperando che avrebbero accettato di aiutarci. Pensai che Rackham probabilmente l'avrebbe fatto: dopotutto era stata sua l'idea dell'alleanza fra di noi, e non ci avrebbe negato il suo aiuto sapendo che, in cambio, avrebbe potuto contare sul nostro. Altrettanto probabilmente, Barbanera ci avrebbe detto di andare al diavolo. Ma valeva la pena tentare.
Recuperammo le nostre armi e ci caricammo in spalla alcuni sacchi di provviste, dato che, a detta di Jack, avremmo impiegato l'intera giornata per attraversare l'isola, forse anche di più.
Mentre noi ci preparavamo a partire, i pirati stavano organizzando la difesa dell'accampamento. Le munizioni e la polvere da sparo erano ammucchiate ordinatamente accanto ai nostri due unici cannoni: alcuni uomini avevano trascinato i tronchi degli alberi caduti per formare una rozza barricata attorno all'accampamento, abbastanza vicina alla spiaggia da poter tenere sotto tiro coi fucili chiunque avesse provato a sbarcare. Il galeone inglese rimaneva alla fonda, a largo della spiaggia. La Perla giaceva sulla striscia di sabbia, immobile nel centro esatto di quella terra di nessuno contesa fra i due schieramenti.
Per alcuni momenti rimasi a guardare i pirati ed ebbi qualche ripensamento; Faith, accanto a me, sembrò indovinare i miei dubbi, perché ad un tratto mi chiese: - Non dovremmo restare qui? Possiamo liberarci di loro in qualche modo, forse possiamo attaccarli con le scialuppe col favore della notte, o... che so, distrarli con i cannoni e intanto rimettere in mare la Perla... -
Tacque, quando si accorse da sola di quanto improbabili fossero quei piani. Io feci un sorrisetto, scuotendo la testa. - Nah, non ce la faremmo, lo vedi anche tu. Devono togliersi di mezzo loro, o dovremo farlo noi. Siamo già fortunati che siano abbastanza affamati di taglie da non distruggerci la nave, dobbiamo contare sull'aiuto di Rackham e Barbanera: se loro li attaccano, noi siamo liberi di muoverci. Inoltre... non vorrei che i nostri amici pensassero che li abbiamo traditi, se non ci presentiamo all'appuntamento. -
Stavolta fu Faith ad annuire, e insieme raggiungemmo il resto del gruppo, dove trovammo Jack impegnato a discutere con Will, il quale si era caricato David sulle spalle.
- Quando ho detto che potevi portare tuo figlio con noi?- protestò il capitano in tono stizzito.
- E quand'è che io ho detto che l'avrei lasciato in un accampamento sotto il tiro delle cannonate?-
- William, meglio qui che in mezzo alla foresta... non possiamo portarci dietro un bambino!-
Sospirai, esasperata, ed intervenni prima che la situazione degenerasse. - Smettetela, vi prego. Jack, David viene con noi, d'accordo? Nemmeno a me piace l'idea di lasciarlo qua, e starà molto più al sicuro con noi. E ora... ci fai strada?-
Per qualche momento Jack sembrò sul punto di replicare, poi però cambiò idea, chiuse la bocca e lasciò ricadere le braccia, rassegnato. - Oh, e va bene. Avanti voialtri, seguitemi. -
Soddisfatto, Will gli passò accanto e David, seduto sulle sue spalle, si voltò verso Jack e gli rivolse furtivamente una linguaccia. Con una smorfia, Jack ricambiò.
Mentre ridacchiavo tra me, udii Furey alle mie spalle imprecare sottovoce. Qualcosa mi diceva che si stava già pentendo di essersi messo in marcia insieme a noi, e temevo proprio che attraversare l'isola si sarebbe rivelato un compito molto, molto più arduo del previsto.



Note dell'autrice: Capitolo vergognosamente corto... me ne sono resa conto solo quando sono arrivata alle ultime righe e ho capito che ormai doveva chiudersi lì. Anche la mia beta-reader di fiducia mi ha dato l'ok, ma devo essere io ad avere un'antipatia istintiva per i capitoli troppo corti!
In ogni caso, rieccoci sulla cresta dell'onda!
Fannysparrow: grazie come sempre dei tanti complimenti, mi sento lusingata! Per quanto riguarda il rating, ci ho pensato su e lo lascerò giallo: d'accordo che il regolamento dice di mettere il rating più alto nel caso di dubbio, ma per il momento non penso che metterò scene molto più esplicite di quanto non abbia già fatto. Anche se mi divertono assai.
Summerbest: essere fra le tue fanfiction seguite è già un gran complimento, spero che continuerai a passare da queste parti e commentare!
silverine85, che rilancia la combo commentando tutti e quattro i capitoli in un botto! Grazie per i commenti, in quanto alla faccenda di Elizabeth e Will, penso che le cose diventino un po' più chiare in questo capitolo. Avevo già insinuato il disagio di Will nell'episodio precedente, ora lo sto rendendo più fondato ed evidente: sembra proprio essere un tratto particolare di Will, di per sè è davvero un personaggio talmente complessato che penso che sia difficile per lui sentirsi veramente e semplicemente felice. Anticipo solo che in questa ff potrebbe finire per imparare un paio di cose. :-)
Come sempre, wind the sails.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Nella giungla ***


Capitolo 6
Nella giungla.



Poco prima che lasciassimo il campo, Valerie ci aveva raggiunti di corsa, trafelata. Era appena venuta a sapere da Gibbs della nostra partenza, e volle sapere dove andavamo, quando saremmo tornati, ma soprattutto cosa avrebbero dovuto fare lei e gli altri pirati, in attesa che tornassimo.
- Proteggete il campo e non lasciate che un solo piede inglese tocchi questa spiaggia. - le risposi, cercando di mostrarmi più ottimista di quanto non fossi. - Noi non ci metteremo molto, si tratta soltanto di raggiungere l'altra parte dell'isola. Probabilmente ci vedrai tornare domattina. -
La ragazza mi scoccò un'occhiata condiscendente, e desiderai mordermi la lingua. - Tanti auguri. - aveva detto con più di una sfumatura di ironia, prima di salutarmi con un vero sorriso per poi tornare in fretta al campo.
Sapevo che avrebbe voluto venire con noi, e partecipare alla spedizione... tuttavia, c'era bisogno di lei all'accampamento, e la nostra squadra poteva già dirsi ben assortita e pronta ad affrontare qualunque situazione.
Ad un'ora della partenza capii quanto avesse avuto ragione Valerie a farci i suoi auguri.
- Questa... non è una... giungla... è un labirinto!- sbottò Will, scandendo ogni parola con un colpo di machete. Qualche misero arbusto cadde a terra spezzato. Avevamo tutti il fiato grosso: impugnavamo tutti quanti un'arma simile, e da un'ora ci stavamo facendo largo attraverso la giungla in quel modo. Non c'era nessun sentiero da seguire, e nessuna via anche solo lontanamente sgombra: solo un compatto muro verde di sottobosco che ci sbarrava la strada ad ogni passo.
- Continua a falciare, giovane Turner. Non ne arrivano molti di visitatori su quest'isola, e la via ce la dobbiamo aprire da soli. - replicò Jack, facendo dondolare il proprio machete: eppure, chissà come mai, durante la marcia lui finiva sempre per stare alle spalle di Will e di Ettore, che si sobbarcavano il faticoso compito di sgombrare la strada per primi.
Scostai col braccio un ramo contorto, ma l'attimo dopo mi trovai con la manica impigliata nei suoi ramoscelli pungenti. Sbuffai e lo colpii col machete, cercando allo stesso tempo di liberarmi. - Andare avanti così alla cieca non ha senso. - protestai. - Di questo passo finiremo per infilarci dove la giungla è più fitta, e allora sì che sarà faticoso. Ci siamo allontanati abbastanza dal campo, perché non ci spostiamo verso la costa e non facciamo il giro da lì?-
- Fare il giro?- Jack sembrò disgustato. - Perché fare il giro quando esistono le scorciatoie?-
- Magari per quella, capitano... - Ettore si era fermato, strofinandosi la manica sul viso lucido di sudore, e indicando davanti a sé col machete. Tutti quanti ci fermammo e alzammo gli occhi a guardare quello che ci stava indicando, al di sopra delle cime degli alberi che ci sovrastavano... ed io non riuscii proprio a trattenere un gemito strozzato di sconforto.
Dal centro dell'isola si innalzava una montagna di un verde smeraldino, dal profilo sconnesso e con un picco contorto, come un immenso artiglio verso il cielo. Ma quel che importava era che era una montagna. Un'intera montagna!
- Una dannatissima montagna?!- per la prima volta Furey fece letteralmente eco ai miei pensieri. - Che vi aspettiate, che la scavalchiamo con un saltello?-
Improvvisamente calò il silenzio, e tutti ci voltammo a guardare Jack con una sorta di muto terrore.
- Non dire quello che stai per dire... - sbottò Elizabeth, fissandolo ad occhi sbarrati.
- Signori, signori... e signore. Ragioniamo!- esclamò Jack, spalancando le braccia e guardandoci tutti uno per uno. - Non abbiamo che un unico tragitto da fare, e una sola, direttissima via da seguire. La baia di Khael Roa è appena dietro quella montagna, comprendete?-
Ansimante e coperto di sudore com'era, Michael emise un brontolio di disapprovazione che espresse molto fedelmente il pensiero comune.
Io appesi il mio machete alla cintura e avanzai di qualche passo verso il capitano. - Jack, una montagna non la scaliamo. Quando hai parlato di andare da una sponda all'altra dell'isola l'hai fatta sembrare una cosa da nulla, una giornata al massimo... avevi detto di conoscere questo posto!-
- Conosco questo posto!- si impuntò lui, offeso. - Non è che quella montagna è spuntata fuori l'altro ieri. Ho parlato di “scorciatoie”, comprendi? Non si tratta di scalare montagne. O, almeno... non per la maggior parte, d'accordo?-
Che potevamo fare? Ci scambiammo sguardi dubbiosi, eccetto quello di Furey che era sempre, inevitabilmente scocciato, infine Will sospirò, rivolto a Jack: - Esiste una scorciatoia?-
- Esiste. Vi ci sto portando. - rispose il capitano con una certa fierezza.
La marcia in mezzo a quella selva intricata andò avanti ancora per molto, molto tempo, prima che ci concedessimo una pausa per sederci, stremati, in mezzo agli alberi. Faceva caldo e, al contrario di quanto si sarebbe potuto pensare, quell'intrico di piante che circondava non faceva che aumentare l'afa. Appena mettemmo mano alle scorte d'acqua mi resi conto che avremmo dovuto andarci piano: ne avevamo in abbondanza, ma volevo assolutamente evitare altre brutte sorprese durante la marcia.
Dopo un po' riprendemmo, sempre più dispersi in quel mare verde che non sembrava avere confini. La cima della montagna che sbucava da sopra gli alberi era rimasta il nostro unico punto di riferimento, ma, per quanto ci sforzassimo di procedere il più possibile in linea retta, a tratti eravamo costretti a deviare per cercare passaggi più agevoli, così che ogni volta che alzavo gli occhi per guardare il picco, me lo trovavo sempre davanti agli occhi, ma ora più spostato verso destra, ora verso sinistra.
Non parlammo molto, ma dopo diverse ore che andavamo avanti con quelle lunghe marce e rapide soste, mi accorsi che Jack cominciava a tirare fuori la sua bussola, e a gettargli lunghe occhiate mentre continuava a camminare. Fantastico.
Dopo neanche un quarto d'ora, Ettore, spazientito, se ne uscì con un: - C'è qualcuno in possesso di una bussola che funzioni e che ci sappia dire dove siamo, non solo dove stiamo cercando di andare?-
Ne avevo io una in tasca, e ci fermammo ancora una volta, appoggiando su di un tronco caduto una mappa delle isole per cercare la nostra posizione. Io, Faith ed Ettore confabulammo a lungo, chini sopra il tronco, rigirando più e più volte mappa e bussola prima di ottenere una posizione soddisfacente.
- Qui, vedi? Dobbiamo per forza trovarci da queste parti, ci siamo spostati completamente verso ovest... - mormorava Faith, girando accuratamente la mappa finché i punti cardinali non combaciarono al millimetro con quelli della piccola bussola. - Dobbiamo avere tagliato parecchio di lato, senza accorgercene. Chissà se la montagna occupa tutto il centro dell'isola, o se potremmo riuscire a passarci di fianco e a raggiungere lo stesso la baia... -
- Lei che dice, cartografo?- domandai a Jack con un sorrisetto, mentre lui era ancora intento a consultare la sua bussola, un passo discosto da noi. Mi rivolse un'occhiata di biasimo e una smorfia, poi chiuse la bussola.
Neanche a dirlo, Furey se ne stava in disparte, a guardarci come se pensasse che fossimo tutti pazzi.
In mezzo a quella giungla persi completamente il senso del tempo, e fu solo all'imbrunire che ci avvicinammo finalmente alle pendici della montagna. La boscaglia che ci circondava non si era diradata nemmeno un po', ma il terreno cominciava a farsi scosceso e accidentato, preludio di una salita molto più ripida non appena avessimo raggiunto i piedi del massiccio.
Fu allora che, in mezzo allo stridio di decine e decine di uccelli tropicali nascosti fra il fogliame, cominciammo a sentire un gorgoglio non troppo lontano. Rincuorata, mi feci largo fra il sottobosco con maggiore entusiasmo, sperando di avere appena scovato quella che poteva essere la nostra razione supplementare d'acqua: ne avevamo ancora nelle nostre borracce, ma sapevo ormai per esperienza che l'acqua era una di quelle cose di cui non se ne aveva mai abbastanza. Un po' come il rum. Jack sapeva davvero diventare insopportabile quando a bordo eravamo a corto di rum.
Quando abbattei col machete anche l'ultimo ramo che mi sbarrava il passaggio, però, dovetti sospirare scoraggiata. Davanti a me scorreva sì un piccolo torrente gorgogliante, ma l'acqua era densa e melmosa, e per nulla invitante. Se non altro, la striscia di terra umida che correva a ridosso del torrente era più sgombra.
- Ehi, da questa parte. - feci segno agli altri di seguirmi, e insieme ci incamminammo lungo la sponda del torrentello; la lingua di terra era stretta, e ci trovammo a camminare in fila indiana.
Ad un tratto Faith, che stava alle mie spalle, scivolò appena sul fango e finì con un piede nell'acqua. Lo ritrasse, borbottando a mezza voce e scuotendo lo stivale per asciugarlo. Allo stesso tempo, però, lo sguardo le cadde sul fondo del torrente, dove l'acqua marrone scorreva impetuosa: le era sembrato di intravedere qualcosa sotto la superficie torbida... ma forse era stata solo un'impressione. La ragazza si fermò di nuovo, sollevando le sopracciglia: no, ecco, lo aveva visto ancora. Sotto la superficie dell'acqua si era mossa una figura indefinita, un lampo marroncino, a chiazze scure...
Quel “qualcosa” schizzò fuori dall'acqua come una frusta, sollevando un grande spruzzo, e quando Faith urlò e si ritrasse di scatto aveva già piantato i denti nel suo stivale.
Faith cacciò un urlo ancora più forte, e quando mi voltai sollevando d'istinto il machete, quello che vidi mi lasciò senza fiato. Un gigantesco serpente giallastro, maculato, talmente lungo che buona parte del suo corpo era ancora immersa nell'acqua, aveva affondato le fauci nella caviglia di Faith, e stava rapidamente avvolgendo le spire attorno alle sue gambe.
- Aaaaaaaah! Aaaaah! Aaaaaah!- Faith non smetteva un attimo di urlare, terrorizzata, si dimenava così tanto che le era caduto di mano perfino il machete... Il machete!
Riscuotendomi da quel mezzo secondo di panico totale, sollevai la mia arma e, urlando a mia volta, mi gettai verso la mia amica e cominciai a colpire il corpo flessuoso dell'enorme rettile come se fosse stato una cima da tagliare.
In un attimo eravamo tutti attorno al serpente: Will in acqua fino alle ginocchia, e come me si accaniva contro la parte della bestia che riuscivamo a colpire senza rischiare di fare del male a Faith, Elizabeth aveva spinto David indietro, quindi insieme a Michael corse alle spalle di Faith per prenderla per le braccia e cercare di strapparla alle spire. Ettore e Jack erano stati i primi a raggiungere la mia amica; il primo si buttò a terra e agguantò a mani nude la mandibola del serpente, cercando di aprirla a forza, il secondo si sporse da dietro di lui, tirando delle gran randellate. A pensarci, era una fortuna che tutti fossimo armati di machete, perché nella foga colpivamo senza sosta, quasi alla cieca.
Furey, alle mie spalle, era rimasto completamente paralizzato: solo quando io urlai un'altra volta, all'unisono con Faith che ora era caduta a terra e si divincolava come una furia, il pirata sembrò riprendersi e corse in acqua, sferrando un gran colpo alla coda del serpente. Questo per poco non mi fece urlare di nuovo, ma per l'esasperazione. Alla coda!
In quel momento persi veramente il controllo: tutto quello che vedevo era quell'orribile serpente con le spire che si erano serrate attorno al petto della mia amica, che si dimenava e soffocava. Attorno era tutto un confuso risuonare di urla: - Colpiscilo!-
- Molla!-
- Tienilo!-
- Staccalo da lì, staccalo!-
- Fermalo, maledizione!-
- AMMAZZATELO!- presi ad urlare, del tutto fuori di me, mentre calavo furiosamente il machete come un martello. - AMMAZZATE QUESTO DANNATISSIMO SERPENTE!-
- Fermi, fermi, fermi!- la voce di Jack, al di sopra delle altre, riuscì a riportarmi bruscamente alla realtà. Ci fermammo tutti di botto, anche se Ettore non lasciò andare il serpente nemmeno per un attimo: rapido, Jack si accucciò accanto a lui e lo vidi infilare qualcosa fra le zanne del rettile. La sua fiaschetta. Ad un tratto il serpente si contorse, e la sua bocca simile ad una tagliola si spalancò come una molla. Elizabeth, che non aspettava altro, calò il machete sulla testa della bestia, spaccandola.
Respirai, cercando di calmare i battiti del mio cuore impazzito: era finito tutto così in fretta che quasi non sembrava reale.
- Come ti è venuto in mente?- fece Ettore, stupefatto, guardando ad occhi sgranati Jack e la borraccia.
- Un piccolo accorgimento usato dagli ammaestratori di serpenti... - rispose lui, scuotendo con evidente disappunto la borraccia vuota. - Non saremmo mai riusciti a toglierglielo di dosso se prima non avesse mollato la presa... ehi, tutto a posto?-
L'ultima frase la rivolse a Faith che, dal canto suo, non sembrava affatto a posto; il che era piuttosto normale per una che si ritrovava le spire di un serpente, per quanto morto, ancora avvolte strettamente attorno al busto e alle gambe. Sotto il suo sguardo spiritato, Ettore infilò a forza le dita sotto il corpo del serpente e cominciò a scioglierne la stretta, coi muscoli che gli si gonfiavano per lo sforzo.
Spingendo e tirando, alla fine riuscimmo a far scivolare Faith fuori dall'abbraccio stritolante del bestione, e a distenderla sulla riva. Mi inginocchiai al suo fianco, cercando di riscuoterla: non aveva emesso un fiato durante tutta l'operazione, ed ora sembrava completamente sotto choc.
- Faith? Faith? Ehi, guardami! Va tutto bene adesso, sei al sicuro... -
Ad un tratto la mia amica sembrò riaversi all'improvviso, ed ebbe uno scatto convulso prima di cominciare a percuotersi il corpo con le braccia, come se cercasse di cacciare via perfino il ricordo del rettile che le si era avvinghiato addosso. - ...schifo ...schifo... schifo!- strillò, dando voce a tutta la paura che le era morta in gola da quando il serpente l'aveva afferrata.
Mi sentii travolgere dal sollievo, e abbracciai di slancio Faith che ancora tremava, poi venni spinta via dalla massa di Ettore che si precipitò a sorreggere sua moglie e a rimetterla in piedi, parlandole piano per rassicurarla. Sentii tutti quanti tirare un simultaneo sospiro di sollievo.
- Ma che cos'era?- mormorò Will, ancora col fiato grosso, guardando il corpo inerte del gigantesco rettile con un misto di orrore e meraviglia.
- Un anaconda... - rispose Jack, e in tutta tranquillità si chinò a raccogliere fra le mani la testa del bestione, osservandola con interesse. - Una bestiola particolarmente temibile da queste parti. Siamo fortunati, dubito che possa esserci più di un esemplare così grosso nello stesso posto. -
- Oh, meno male che siamo fortunati... - sbuffò Michael, che ancora scrutava preoccupato le condizioni della sorella.
- Dio, ce lo avevo addosso!- fece Faith, addossandosi ad Ettore come se non riuscisse nemmeno a stare in piedi. - Addosso! E' stato orribile! E' stata la cosa più schifosa, più spaventosa, più... Mi avrebbe stritolata! Stritolata e mangiata pezzo per pezzo...!-
Anche se scossa sembrava cominciare a riprendere il controllo, quando Jack, pensando di sdrammatizzare, sollevò tra le mani la testa dell'anaconda e prese a muoverla come un burattino proprio davanti a sé, emettendo un sibilo sonoro.
- Aaaaagh!- Faith cacciò uno strillo e in meno di un secondo si divincolò dalle braccia di Ettore, correndo via nel bosco.
- Deficiente!- gridai a Jack, prima di correre dietro alla mia amica.

*

Nonostante tutto, decidemmo di accamparci proprio lì, anche se ci tenemmo a debita distanza dal torrente e ci inoltrammo fra gli alberi. Liberammo un passaggio in mezzo alle fronde e ripulimmo alla meglio un piccolo spiazzo di sottobosco, in modo da poterci sistemare per terra. Il corpo del serpente rimase sulla sponda del fiume, come un macabro guardiano del nostro piccolo rifugio.
Accendemmo alcune torce e le piantammo attorno alla radura, a scapito di altri visitatori indesiderati, quindi consumammo quasi completamente in silenzio il nostro magro pasto, che penso che nessuno si godette davvero: per quel giorno avevamo avuto fin troppe emozioni, nessuna delle quali particolarmente piacevole.
Ben presto crollammo dalla stanchezza, distesi alla rinfusa fra la vegetazione, anche se stabilimmo dei turni di guardia. Non fece molta differenza, perché per ore continuai a svegliarmi e a riaddormentarmi per almeno cinque volte consecutive, prima che Elizabeth venisse a darmi un colpetto sulla spalla, informandomi sbadigliando che era il mio turno.
Passai lunghi minuti accucciata fra il fogliame, con la schiena appoggiata al tronco di un albero, e la luce fioca delle torce che mi danzava davanti agli occhi, ipnotica. Al di là del cerchio delle nostre luci era tutto immerso nell'oscurità, ma la giungla era tutt'altro che silenziosa: l'orario non sembrava impedire agli animali di fare baccano. Sbadigliai, appoggiando la testa al tronco. Per quanto fossi stanca, dubitavo che sarei più riuscita a riaddormentarmi. Ad un certo punto sentii un fruscio al mio fianco, e mi voltai di scatto.
- Buona, non sono un serpente!- Jack mi si avvicinò carponi e si accucciò accanto a me.
- Già sveglio?-
- Se tu riesci a dormire... - rispose lui, con un'alzata di spalle. Sorrisi. Mi accorsi che tutto sommato era un sollievo averlo vicino: le troppe emozioni di quella giornata ci avevano letteralmente spremuti fino al midollo, come capitava durante i giorni di intensa attività per mare. Quando c'era tanto lavoro da fare, tante cose a cui pensare, spesso per l'intera giornata era come se ci perdessimo di vista, assolvendo semplicemente i nostri doveri di capitano e il suo secondo. Ma almeno, quando ci potevamo finalmente fermare a tirare il fiato, poco a poco ritrovavamo anche l'intimità che ci legava.
- Non ti preoccupare. - aggiunse sottovoce, abbozzando un sorriso. - Abbiamo fatto un bel pezzo di strada, e se tutto va bene domattina saremo alla baia. -
- Lo spero proprio. - risposi, guardando gli altri che dormivano sparsi attorno a noi. - Oggi è stato veramente un inferno. Guardali! Per me, non si rialzeranno più per ore. -
Jack rimase ad osservarli per qualche secondo, lisciandosi pensosamente i baffi. - Hm, hai ragione... questo ti suggerisce niente?- vidi scintillare tutti e tre i suoi denti d'oro, e un secondo dopo lui mi avvinghiò con un braccio, tirandomi per terra accanto a sé.
- Ehi, ehi, , frena i cavalli! ...ma ti sembra il momento?!- esclamai, senza sapere se scandalizzarmi o ridere, mentre cercavo di tenerlo alla larga e rialzarmi. Lui però sembrava avere intenzioni più che serie.
- Dai, non ci vede nessuno... - fece in tono sensuale, bloccandomi sotto di sé con tutta la calma del mondo.
- Jack, no... no!- un po' protestando, un po' soffocando le risate, mi divincolai e lottai per fermarlo mentre lui non la smetteva di protendersi verso di me con quel suo maledetto sogghigno sornione, e le sue mani si infilavano dappertutto. Gli afferrai i gomiti. - Stai fermo!-
Non avevo neanche finito di dirlo che riuscì a strapparmi un bacio. - Facciamo le difficili?- bisbigliò ridacchiando, mentre con una mossa rapida liberava un braccio e me lo avvolgeva dietro al collo.
- Porco, lasciami andare!- protestai, facendo del mio meglio per sembrare indignata. In quel campo Jack giocava molto, molto sporco, lo sapevo bene... Ma no, per nessuna ragione al mondo gli avrei permesso di convincermi, stavolta. Dio, non lì, non davanti a tutti...
Si chinò di nuovo su di me, coi suoi capelli che mi solleticavano la faccia, e mi baciò di nuovo, mettendomi a tacere per un bel pezzo. Mi si risvegliò un barlume di buonsenso quando mi accorsi che con la mano libera si stava sganciando la cintura.
- Smettila!- lo rimproverai a voce più alta, vergognandomi come una ladra perché non riuscivo proprio a dare alla mia voce un tono convincente. Jack sogghignò, ironico. - Se no?- mi sussurrò all'orecchio, in tono di sfida.
Cominciavo ad essere a corto di risposte quando, voltandomi dall'altra parte, ad un tratto mi sembrò di scorgere nell'ombra una figura immobile, in piedi fra gli alberi. Trattenni il fiato e raggelai per un istante: non mi ero sbagliata, c'era davvero qualcuno a pochi passi da noi.
- Jack!- sibilai tra i denti, osando a malapena respirare. - C'è qualcuno!-
Lui si fermò, alzando il capo di scatto: la figura umana che ci scrutava protetta dall'oscurità non si era mossa di un millimetro, ma ora ero certa che ci stesse fissando. Pochi istanti dopo, infatti, una voce ci ordinò in tono brusco: - Alzatevi. Non toccate le vostre armi, e mostrate le mani. -
Molto lentamente, Jack si mise in piedi ciondolando, e io seguii il suo esempio. Avevo ancora gli occhi puntati sulla figura indistinta che ci stava di fronte, quando cominciai ad udire dei fruscii tutt'attorno a noi, provocati inequivocabilmente da passi umani. Lanciai un'occhiata attorno e soffocai fra i denti un'imprecazione: ci eravamo fatti circondare!
Mentre noi due restavamo fermi dov'eravamo, con le mani in alto, alcuni di quelli che ci circondavano uscirono dall'ombra e si avvicinarono agli altri che ancora dormivano. Quando li vidi sotto la luce lunare che filtrava tra le fronde rimasi sorpresa, perché non erano soldati inglesi come avevo temuto: dovevano essere nativi dell'isola, dalla pelle scura, i capelli acconciati in lunghe trecce sulla sommità del capo, e vestiti con un curioso assortimento di esigui indumenti di pelle, cinture, fusciacche e lunghe collane d'osso. Rimasi a fissarli a bocca aperta mentre si muovevano fra i nostri amici quasi senza far rumore, scuotendoli con un tocco del piede per svegliarli. Alcuni di loro erano armati di archi di legno, altri di lance, ma notai quella che era chiaramente una pistola infilata nella cintura di uno degli indigeni che mi passò accanto... e non era l'unico a possederne una.
- Ma che diavolo... ?!- esclamò Will, che si era risvegliato trovandosi faccia a faccia con un indigeno, e la sua mano corse immediatamente alla spada.
- Fermi tutti!- lo precedette Jack, zittendo anche le esclamazioni di sorpresa degli altri, che si erano riscossi in quel momento e si erano trovati sotto il tiro di archi e lance. - Va tutto bene, gente, tutto bene. Non ci faranno del male. -
- Sì, ma dillo anche a loro!- protestò Michael con un guaito, ritraendosi carponi da un altro indigeno che lo stava incalzando con l'asta della lancia.
Elizabeth era scattata in piedi al centro della radura, stringendosi David contro il fianco ed esitando con la mano sopra l'elsa della spada. Squadrò i nuovi arrivati con circospezione per lunghi istanti, e questi la fissarono di rimando, in silenzio. - Jack, che sta succedendo?- domandò, infine.
Nessuno degli indigeni aveva più parlato dopo il primo ordine che ci era stato dato, così tutti ci voltammo all'unisono verso Jack. Il quale si affrettò ad abbassare le mani che fino a quel momento aveva tenuto in alto, e a riagganciarsi la cintura.
Stavo pregando che la terra si aprisse per inghiottirmi in quel preciso istante, quando la prima figura che avevo notato uscì finalmente dall'ombra e ci raggiunse. Non era molto alto, ma a modo suo era imponente: aveva due spalle larghe e robuste, coperte da una sorta di rudimentale corazza fatta di quelle che sembravano scaglie d'osso e pezzi di legno levigato. La corazza lasciava completamente scoperte le braccia e il torace, dove si scorgeva perfettamente la forma compatta dei muscoli. L'uomo avanzava verso di noi a passi lenti, misurati, scrutandoci con espressione indecifrabile. I suoi occhi erano profondamente infossati, e tutto il suo viso era rugoso come la corteccia di un albero; inoltre la sua testa pareva piccola rispetto al resto del corpo possente, tanto che sembrava incassata nelle spalle. Forse l'impressione era dovuta al suo bizzarro copricapo: una sorta di rozza sciarpa di pelo e zanne d'animale gli avvolgeva il collo, mentre sul capo portava una fascia di pelle rigida simile ad una corona, ornata dal piccolo teschio di qualche animale.
Ci guardò tutti per qualche secondo senza dire una parola, con gli occhi sgranati e le labbra strette. Jack fu l'unico ad azzardarsi a fare un passo verso di lui e a sfoderare il suo sorriso migliore, unendo le mani e facendo all'indigeno un breve inchino.
- E' un piacere rivederti, Praho. -
L'uomo fece una smorfia e potei quasi giurare che avesse alzato gli occhi al cielo, quindi rispose: - Non sei il benvenuto, Jack Sparrow. -
- Perché la cosa non mi sorprende?- sentii commentare alle mie spalle Will, serafico. Per una volta mi trovai perfettamente d'accordo con lui, prima che gli indigeni che ci circondavano ci scoccassero un'occhiataccia molto eloquente. Ci rimangiammo i commenti e lasciammo che i due continuassero il loro scambio di vedute.
- In verità non volevo scomodare la vostra gente, sono davvero dispiaciuto di dovervi incontrare in queste, ehm... circostanze. - continuò Jack in tono affabile, fingendosi più rilassato di quanto non fosse. - Si può dire che io e la mia ciurma siamo finiti qui per caso, comprendi? Sì, in realtà staremmo proprio scappando, e dobbiamo raggiungere al più presto la costa meridionale per chiedere aiuto ai nostri amici. -
- Non avete amici né nemici qui a Khael Roa... a meno che non siate stati voi stessi a portarveli dietro. - replicò duramente l'indigeno di nome Praho. Ero sorpresa nel sentire con quanta padronanza parlasse la nostra lingua, seppure con un forte accento che non conoscevo: perfino molti indigeni sudamericani, con i quali avevamo commerciato durante i nostri viaggi, parlavano a malapena qualche parola di inglese.
- Precisamente. Quindi, se tu e i tuoi foste così gentili da indicarci la via più breve per il... -
Jack non aveva ancora finito di parlare, che con un gesto fulmineo Praho lo agguantò per il bavero della camicia e lo trascinò in avanti, sfoderando un coltello con la mano libera. Potei quasi udirci tutti quanti trattenere il respiro all'unisono, ed io feci di scatto un passo in avanti, con la mano sulla pistola: un indigeno mi si parò di fronte stringendo a sua volta la lancia.
Praho non ebbe nemmeno bisogno di puntare il coltello; gli bastò sfoderarne la lama e dare una scrollata a Jack per mettere in chiaro il tono della conversazione: - Non puoi andare e venire da quest'isola come ti pare, mi hai capito? Soprattutto non quando ti porti dietro i tuoi nemici, chiunque siano. Li ho sentiti quei colpi di cannone, ieri. E' questo che credi di fare? Venire qua, portare la tua guerra e magari sperare che noi ti accoglieremo a braccia aperte per aiutarti? Io ho un popolo da proteggere, e l'ultima cosa che mi serve è qualche nuova minaccia!-
Sembrava veramente infuriato, e dopo aver finito di parlare rimase ancora per qualche secondo a fissare Jack con una sorta di rabbia silenziosa. Dopo avere lanciato un'occhiata ansiosa al coltello, il capitano sembrò ritrovare il coraggio necessario per protestare: - Va bene, va bene... sei ancora in collera con me per l'altra volta, lo capisco. Ma avere salvato tutto il tuo villaggio da un'epidemia mortale non conta nulla? Uh?-
Molto, molto lentamente e con una certa riluttanza, Praho sembrò rilassarsi e si decise a lasciare andare Jack, che si ritrasse prudentemente di qualche passo.
- Conta un po' poco, dato che l'epidemia mortale erano stati i tuoi uomini a portarla... Oh, lasciamo stare il passato. - sbuffò, passandosi una mano sulla faccia con gesto nervoso. - E' un bruttissimo momento, Jack Sparrow. Non voglio su quest'isola te né i tuoi guai, ma voglio sapere con che cosa avrò a che fare. Verrete con noi. -
Fece un cenno ai suoi uomini e disse qualcosa nella loro lingua. Subito, quelli annuirono e si disposero attorno a noi: erano in sette, tre si misero di fronte a noi e gli altri quattro dietro; era evidente che si preparavano a scortarci lungo il cammino. Non avevo idea di dove volessero portarci, né se considerare la loro presenza come una cosa positiva.
- Ah, ho anche una cosa per voi. - fece Jack rivolto al capo degli indigeni, improvvisamente più gioviale. - Una cosa che abbiamo... incontrato qualche ora fa, presso il fiume. Possiamo andare a recuperarla, credo che possa farvi piacere. -
- Presso il... Jack, ma che diavolo stai facendo?- sussurrai tra i denti, mentre Praho ci sorpassava e ci precedeva lungo il piccolo sentiero che avevamo aperto verso il fiume.
- Cerco di essere il più cortese possibile; ho la sensazione che ne avremo bisogno. - mi disse lui per tutta risposta, mettendosi a camminare dietro gli isolani. - Ma perché nessuno è mai contento di rivedermi?- aggiunse in tono lamentoso.
- Chissà, forse sbagli l'approccio... -
Stavamo ancora bisbigliando alle spalle degli indigeni, quando questi lanciarono grida di sorpresa: potevo ben intuire il motivo, ma ne ebbi la conferma quando mettemmo piede sul suolo melmoso del torrente e scorgemmo sotto la luce della luna la sagoma spettrale dell'anaconda senza vita, arrotolato sulla sponda come una grossa fune incatramata. Anche se era perfettamente immobile e assolutamente morto, il bestione rimaneva comunque uno spettacolo impressionante, ed ebbi un brivido di disgusto.
- Oh no, non di nuovo quell'affare... - gemette Faith, indietreggiando e rifiutando di fare un altro passo. Gli indigeni invece sembravano improvvisamente molto eccitati dalla scoperta, e insieme a Praho si inginocchiarono accanto al corpo del rettile confabulando animatamente, con dei grandi sorrisi stampati in faccia. Per un po' seguii i loro movimenti senza capire: che cosa c'era di così divertente? Se avessero visto quel bestione poche ore prima, quando era ancora vivo e decisamente imbestialito, probabilmente non avrebbero fatto quelle facce.
- Che cosa stanno... - mormorò Will, prima di capire improvvisamente e sbarrare gli occhi. - Oh. Oddio. -
Con sorprendente rapidità e precisione, gli uomini srotolarono il corpo del serpente e lo infilzarono da parte a parte con le lance in alcuni punti precisi, per poi sollevarlo. Dietro di me, Faith emise un guaito disgustato, distogliendo lo sguardo. - Oddio no, no, ditemi che non vogliono farlo!-
Purtroppo per la mia amica, constatai che volevano eccome. Senza dare il minimo segno di sforzo -e la cosa mi lasciò sbalordita, perché ricordavo quanto fosse pesante il rettile- sei degli uomini si disposero in fila per due al fianco del serpente e, con le lance sulle spalle, proseguirono il loro cammino, trasportando il loro macabro bottino come un grosso drago cinese.
Non potevamo fare altro che seguirli, e così facemmo anche se eravamo ancora tutti quanti stanchi, c'era buio, e quasi non vedevamo dove mettevamo i piedi. Praho e l'ultimo indigeno, che non si erano uniti al gruppo che trasportava il serpente, camminavano al nostro fianco, aiutandoci a farci strada. Il capo indigeno guardò per qualche momento Elizabeth, che barcollava reggendo David in braccio, quindi le fece un cenno, indicando il bambino.
- Cosa?- lei sgranò gli occhi quando capì che si stava offrendo di portare il bambino. Per un attimo sembrò quasi offesa, poi però Jack accennò a Praho col capo.
- Ti puoi fidare. - le disse. Elizabeth esitò ancora per un momento, quindi si rassegnò e porse David all'indigeno con infinita cautela. Praho se lo caricò sulle spalle come se non pesasse niente, e dal canto suo il bambino fu svelto ad allacciare le braccine attorno al collo della sua nuova, bizzarra cavalcatura, allungando il collo per guardarsi attorno. Praho ripartì, per niente affaticato dal peso del bambino sulla sua schiena: voltandomi indietro notai l'occhiata preoccupata che si scambiarono Elizabeth e Will, probabilmente chiedendosi cosa comportasse quella gentilezza offerta dal capo degli indigeni.
Molto più rumorosa fu la reazione di Michael davanti all'altro indigeno, che si era appena offerto di portare lui allo stesso modo. - Io non sono un bambino!- strillò, indignato, per poi allontanarsi a grandi passi dall'indigeno e riunirsi al nostro gruppo, più stizzito che mai.
Riuscii quasi a ridacchiare fra me, mentre la nostra strana compagnia si inoltrava ancora una volta in mezzo alla boscaglia, con la figura spettrale del serpente che si snodava di fronte a noi, al di sopra delle nostre teste.






Note dell'autrice: Lo so, lo so... sono terribilmente in ritardo. Stavolta però non è stato soltanto per pigrizia (aehm): il computer mi è morto per un certo periodo di tempo, e ho rischiato di perdere tutto quello che c'era nell'hard disk. Cose così. Comunque, per fortuna, ecco a voi il nuovo capitolo, e spero davvero di poter essere un po' più veloce a scrivere nei prossimi mesi.
Tornando all'angolo della posta, un saluto e un sincero ben ritrovate alle irriducibili Fannysparrow e silverine! Ebbene sì, ho il sospetto che il giovane Turner sia un po' complessato. C'è anche da capirlo, visto quante gliene capitano... PS: il simpatico trucchetto della borraccia usato da Jack in questo capitolo per allontanare il serpente non me lo sono inventato: gli allevatori di serpenti consigliano davvero di usare un alcolico piuttosto forte in caso di morsi.
Saluti calorosi al nuovo lettore (lettrice?) Tensi e grazie per la recensione: se l'attesa non ti ha logorato, spero che vorrai continuare a seguire questa storia.
Wind the sails!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il Sentiero di Sogno ***


Capitolo 7
Il Sentiero di Sogno


Camminammo per diverso tempo, risalendo poco a poco la china della montagna. Gli indigeni andavano a passo sorprendentemente spedito pur trasportando sulle spalle il corpo dell'anaconda: noi altri faticavamo a stare loro dietro, ma nessuno osò lamentarsi o anche solo fiatare.
Dopo una salita che sembrò infinita, ad un certo punto alzai gli occhi e per un attimo credetti di avere le traveggole, perché scorsi delle luci danzanti lungo il fianco della montagna. Poi mi resi conto che non mi ero sbagliata: erano veramente delle luci; fiaccole forse, che dovevano segnare la posizione dell'accampamento degli indigeni. Guardandole meglio si poteva quasi indovinare il perimetro del campo. Ormai eravamo vicini.
Infatti poco dopo udii gli indigeni cominciare a scambiarsi richiami: uno dei due uomini che apriva la fila lanciò tre gridi rapidi e acuti in rapida successione, ai quali risposero altre grida provenienti dal campo. Non avrei saputo dire se fossero parole nella lingua, o semplici segnali d'avvertimento.
Ad un tratto Praho, che fino a quel momento aveva camminato non lontano da noi col piccolo David sulle spalle, affrettò il passo e ci lasciò presto indietro, mettendosi alla testa del gruppo che trasportava il serpente: sospettai che il nostro sarebbe stato un ingresso trionfale.
Infatti, non appena giungemmo in vista delle fiaccole accese che segnavano l'ingresso dell'accampamento, si levò un coro di grida acute e festanti, e in men che non si dica ci ritrovammo circondati da indigeni che sembrarono letteralmente spuntare dal nulla. Due grandi fiaccole sorrette da tronchi d'albero segnavano il portone d'ingresso: nel cono di luce rossastra si poteva distinguere parte della bassa palizzata di tronchi e pali che circondava l'accampamento. Oltre di essa, protette dalle tenebre, si scorgevano le sagome delle abitazioni -capanne, case, rifugi, non avrei saputo dirlo con precisione, c'era troppo buio- degli indigeni. Quello strano paesaggio si animò tutto d'un tratto quando il nostro gruppo avanzò sotto la luce delle fiaccole: una decina di uomini dalla pelle scura e armati di archi si affacciò da dietro la palizzata, e altrettanti comparvero nel vano del portone. L'attimo dopo stavano tutti gridando in coro, agitando le braccia in direzione di Praho... che, dal canto suo, sembrava compiacersi molto dello spettacolo offerto da lui e i suoi uomini che marciavano sollevando in alto il serpente infilzato sulle lance.
Sentii qualcuno darmi un colpetto sul braccio, e voltandomi mi trovai faccia a faccia con Faith. - Sbaglio, o il serpente sta facendo molto più scalpore di noi?-
Effettivamente, a giudicare dalla reazione degli indigeni quando entrammo nel campo, sembrava proprio che sarebbe stato l'enorme rettile la vera attrazione della serata. Una fila di visi scuri dagli occhi scintillanti alla luce delle torce squadrò dall'alto in basso il nostro gruppetto mal assortito giusto per pochi secondi, poi, come un sol uomo, un gruppo di indigeni corse ad aiutare Praho e i suoi, e presto l'anaconda fu portato via fra ulteriori grida entusiaste.
- Voi. - Praho distolse per un attimo l'attenzione dalla sua gente per rivolgersi a noi. Con cautela si tolse David dalle spalle e lo posò a terra; bimbo lo ringraziò agitando la manina, tutto contento. - Sedetevi e aspettate: chiederò ai miei uomini di portarvi da mangiare e da bere. Tu, Jack Sparrow... - fece un cenno brusco con la mano nella sua direzione. - Vieni con me. Ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare, e sarà meglio per te non nascondermi nulla. -
Jack alzò le mani in segno di resa e si avvicinò a Praho con l'espressione più affabile che gli riuscì. - Ci vediamo dopo. - ci salutò, prima che il capo indigeno gli facesse segno di seguirlo, e scomparissero uno dopo l'altro dentro una grande tenda di pelli.
Un piccolo gruppo di uomini e donne indigene ci avevano circondati e ci facevano segno di venire con loro, parlottando nella loro lingua. Senza sapere che altro fare, li seguimmo. Mentre ci conducevano verso un grande falò acceso in uno spiazzo libero dalle tende che immaginai fosse il centro del villaggio, ne approfittai per guardarmi in giro: era evidente che quella gente non poteva essere l'intera popolazione del villaggio; tuttavia, sembrava davvero che fossero in pochi a dormire quella notte, perché mentre passavamo non finivo mai di scorgere visi di adulti e bambini che sbirciavano da dietro le porte di tende e capanne.
Quando mi voltai, per poco non mi scontrai con una donna indigena che mi fissava, e sobbalzai. Quella però non fece una piega e mi rivolse un pigro sorriso, facendo dei gesti con le mani. Vedendo che ero lenta a capire, si sedette accanto al fuoco, e solo allora tutti quanti cogliemmo l'invito a farlo anche noi.
L'atmosfera si animò in pochi minuti: un gran numero di donne e uomini si erano seduti accanto a noi, e tutti avevano preso a parlare a voce alta, chiacchierando e ridendo. C'era anche qualche bambino dalla pelle scura, completamente nudo, che sgattaiolava di tanto in tanto in mezzo ai grandi per sbirciare cosa stesse succedendo.
Tutti quanti si comportavano come se il nostro arrivo non fosse niente di speciale, mentre io non riuscivo a fare a meno di sentirmi come una capitata alla festa sbagliata. Sembrava che nessuno a parte Praho capisse la nostra lingua, così che non mi azzardavo a chiedere qualcosa a qualcuno degli altri indigeni. Parlavano tutti, e non capivo una parola. Nel frattempo c'era un grande viavai attorno al fuoco, e in pochi minuti cominciai a sentire profumo di cucinato: odori insoliti, ma tutto sommato gradevoli. Proprio in quel momento il mio stomaco gorgogliò, ricordandomi improvvisamente quanta fame avessi.
In risposta ai miei pensieri, Michael si decise a rompere il silenzio uscendosene con uno speranzoso: - Che dite, avrà detto sul serio quando parlava di mangiare?-
- Sul fatto che dicesse sul serio non ho dubbi. Quello che mi lascia perplesso è cosa si mangerà... ho pochi dubbi anche su quello. - replicò Will in tono indecifrabile, seguendo con lo sguardo qualcosa alle mie spalle. Mi voltai e mi accorsi che alcune donne avevano allungato dei sottili spiedi sul fuoco, e facevano rosolare spesse rondelle di carne.
Carne! La pancia si fece sentire ancora più rumorosamente, e mi sentii l'acquolina in bocca. Ormai ero certa che se non avessi messo qualcosa di sostanzioso sotto i denti non sarei durata altri cinque minuti. Poco dopo una delle donne era già da noi, allungandoci alcuni spiedi carichi di carne ancora sfrigolante.
- Ho appena deciso che “cosa” si mangia non mi importa poi tanto. - annunciai, prendendo gli spiedi dalle mani della donna e cominciando a distribuirli in giro. Michael, Elizabeth, Will e David erano seduti accanto a me, e per un attimo ci trovammo a fare capannello tra di noi.
- Dovrebbe importarti, temo... -
Le parole di William mi bloccarono proprio un attimo prima che affondassi i denti nella mia razione di carne. Esitai per qualche secondo, osservando la fetta infilzata sullo spiedo: era rossastra e colava grasso, ma sembrava appetitosa. L'odore non assomigliava a niente che avessi mai sentito prima. - ...Will? Stai dicendo che potrebbe... ?-
- Non sto dicendo che potrebbe. Sto dicendo che è esattamente quello che stai pensando. - Will sbottò in una risata quasi incredula, stringendosi nelle spalle, anche lui con uno spiedo tra le mani. Incrociai lo sguardo di Elizabeth, che doveva avere la mia stessa espressione.
- Oh mio dio... - commentò lei, poi però tornò a guardare con interesse la carne.
- Vale la pena provare, non trovi?- suggerii.
In silenzio, cominciammo a mangiare quasi contemporaneamente, evitando però di guardarci a vicenda. Dopo solo qualche attimo di esitazione affondai i denti nella fetta di carne: la cottura aveva lasciato una crosticina bollente all'esterno, e trafficai a lungo per non ustionarmi la lingua. Tuttavia scoprii con sorpresa che, se non si rifletteva troppo su cosa effettivamente stessi mangiando, la carne dell'anaconda non era male. Un po' gommosa e dal sapore decisamente insolito... ma gustosa. E avevo fame. Una fame boia. Ripulii lo spiedo fino all'ultimo morso.
- Oh, finalmente si mangia!- solo quando venne a sedersi con noi mi resi conto che Faith non aveva sentito una parola del nostro discorso di prima. Quando mi voltai verso di lei e feci per parlare mi accorsi che aveva già uno spiedo fra le mani, e le parole mi morirono in gola. Era il caso di informarla? ...Forse no.
Fingendo indifferenza, rimasi a guardare di sottecchi la mia amica mentre divorava la propria fetta di carne con gusto, e mi accorsi che non ero l'unica: tutti gli altri la stavano fissando, probabilmente pensando la stessa cosa che stavo pensando io. Michael si tappava la bocca con entrambe le mani per non scoppiare a ridere, l'infame.
- Ah, ci voleva!- Faith sospirò di puro sollievo, ripulendosi la bocca con la manica della camicia. - Certo che non si può dire che questa gente non sappia cucinare. Chissà che cos'era?-
Senza riuscire più a trattenersi, Elizabeth tuffò la testa tra le mani, e Michael si piegò su sé stesso così bruscamente da sembrare in preda alle convulsioni, trattenendo ancora le risate. In disparte, Furey ci guardava senza dire una parola: lui, ovviamente, non aveva neanche toccato la carne del serpente. E dire che, da pirata, ne aveva provate di peggiori.
Faith si stava ancora guardando attorno senza capire, così che toccò ad Ettore l'ingrato compito. Il pirata si schiarì la gola, imbarazzato: - Ehm... Faith, non hai pensato che cosa ne hanno fatto gli indigeni del corpo dell'anaconda?-
Giuro che in quell'istante riuscii a vedere la faccia della mia amica cambiare colore, mentre la sua espressione passava bruscamente da confusa ad incredula, ed infine all'orrore più puro. Però anch'io feci molta fatica a non scoppiare a ridere quando lei fece cadere a terra lo spiedo e si premette le mani sulla bocca, strillando: - Maledetti pirati!-

*

Appena Jack e Praho si furono seduti l'uno davanti all'altro sul tappeto di paglia intrecciata che ricopriva il pavimento della tenda, il capo indigeno si tolse il copricapo con gesto stanco, e rimase per lunghi secondi ad occhi bassi a massaggiarsi il cranio rasato, quasi si fosse dimenticato completamente della presenza del capitano.
Non ritenendo saggio interrompere il capo, qualsiasi cosa stesse facendo, Jack rimase in attesa tamburellandosi le ginocchia con le dita e guardandosi attorno. Non che nella tenda ci fosse molto da guardare: molte pelli appese alle pareti di canne intrecciate, qualche pittoresco teschio di animale, una lancia, una sciabola e una bandoliera carica di pistole appese ad una rozza rastrelliera, qualche piccolo forziere, un grosso vaso chiuso con tanto di coperchio, un grosso scranno di legno proprio davanti a loro, che lo spinse a domandarsi perché diavolo si fossero seduti entrambi per terra.
Aveva quasi finito il suo esame della tenda quando Praho sembrò riscuotersi improvvisamente dai propri pensieri, e si rialzò in piedi con gesto marziale. Il capitano stava per seguire il suo esempio, quando si accorse che il capo indigeno si era alzato soltanto per mettersi a sedere sullo scranno. Oh. Ecco, ora che Praho si era sistemato sul suo trono personale e lui se ne stava seduto ai suoi piedi, erano stati ristabiliti i ruoli.
- Adesso... - esordì Praho fissandolo con severità. - ...raccontami tutto. -
Trattenendo a stento un sospiro rassegnato, Jack obbedì. Non si soffermò troppo sui dettagli, ma gli raccontò effettivamente tutto: dell'accordo stretto con Rackham e Barbanera, delle tre navi della marina che li inseguivano, e del fatto che intendessero attirare quelle stesse navi nella baia dell'isola, per intrappolarle e affrontarle. Quell'ultima parte in particolare sembrò non piacere affatto al capo indigeno, la cui espressione si faceva più cupa ad ogni parola.
- Solo che qualcosa è andato storto. - concluse il capitano. - La tempesta della scorsa notte ci ha messo i bastoni fra le ruote, così che abbiamo finito per approdare dal lato sbagliato dell'isola... ossia, dove i britannici ci hanno trovati e dove è tutt'ora in corso uno scomodo assedio che abbiamo poche probabilità di vincere, se la mia ciurma non riesce a tornare sulla nave. Domani i nostri alleati dovrebbero raggiungere l'isola... dal lato giusto, vorrei sperare... così, io e i miei uomini non avevamo altra scelta se non attraversare l'isola e andare a chiedere aiuto a loro, per la buona riuscita dell'intero piano. Tutto qui, hai la mia parola. -
- “Tutto qui”?- per assurdo, per un attimo sembrò che Praho fosse sul punto di ridergli in faccia. - Sparrow, quello che mi mancava era proprio uno scontro fra sei navi nella baia della mia isola. E dimmi, come avevi intenzione di attraversare l'isola da un capo all'altro entro domani? Te la ricordavi più bassa, la montagna? Inoltre, la compagnia con cui viaggi è cambiata molto: adesso ti fai accompagnare da donne e bambini quando attraversi un'isola selvaggia?-
- Quelle donne e quei bambini mi stanno dando molti meno problemi di altri uomini con cui ho avuto il dispiacere di viaggiare insieme... o almeno i bambini, non posso garantire sui problemi dati dalle donne, invece... Per quanto riguarda la montagna, veramente avevo tutte le intenzioni di usare le gallerie sotterranee, e volevo proprio chiederti se saresti stato così gentile da mostrarmi il passaggio più vicino... -
Praho lo interruppe con un gesto della mano. - Sì, sì, capisco la situazione. Quello che tu non capisci è che né tu, né i tuoi amici pirati, né la battaglia che volete scatenare nella baia sono il mio principale problema. Il mio problema più grosso sta letteralmente sotto i miei piedi. Ogro ci minaccia. -
Alle ultime parole del capo indigeno seguì qualche istante di attonito silenzio, poi Jack dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non scoppiargli a ridere in faccia. - Ogro? Ogro vi... minaccia? Stiamo parlando dello stesso Ogro che ricordo io?- ripeté, con un tono divertito che tradiva tutti i suoi sforzi.
- Non c'è niente di divertente. - Praho lo fulminò con lo sguardo, stringendo le nocche sui braccioli del trono fino a farle sbiancare. - Si tratta della polvere da sparo. Esplosivo. Micce. Tutto quello che barattiamo con le navi che passano di qui, tutto quello che serve per usare le armi che ci vendono. Ne abbiamo una grossa scorta in tutto il villaggio, però... sono anni che , regolarmente, qualcuno ruba dalle nostre scorte. Non serve a niente spostare il magazzino, nascondere l'esplosivo in posti diversi: una piccola parte, anno dopo anno, sparisce sempre. E' Ogro. Lo so io, tutti lo sanno, ma non abbiamo potuto fare niente. Non sappiamo dove trovarlo, e dargli la caccia richiede troppo tempo e troppi uomini: uomini che invece devono occuparsi della caccia e del baratto. E poi... - per un momento il capo indigeno si interruppe, e a Jack parve quasi vagamente imbarazzato. - … E poi in fondo non c'era motivo di dargli la caccia in tutta l'isola, per riprenderci quelle cose. Pensavamo che non facesse niente di male. Pensavamo che la volesse per cacciare, o per difendersi. Forse era così, all'inizio. Però adesso non ruba più solo un po' di polvere da sparo: la settimana scorsa ha svuotato un intero deposito di esplosivo. Di notte e da solo! Nessuno riusciva a crederci. -
- Avete sempre sottovalutato quel ragazzo; forse vi eravate dimenticati che è molto più sveglio di quanto non faccia pensare. - commentò il capitano in tutta calma, guadagnandosi un'ulteriore occhiataccia.
- E' di questo che ho paura. Alcuni dei miei soldati sono riusciti ad entrare in una delle gallerie ai piedi della montagna, quelle che usa lui... Sai cosa hanno trovato? Hanno trovato un bel po' di esplosivo nascosto nella galleria, ma non sembrava proprio un deposito. C'erano delle micce allacciate insieme che arrivavano fino in fondo alla galleria. Capisci cosa vuol dire?-
Jack si pizziò il mento con le dita, sgranando gli occhi in un'espressione che era per metà impressionata e per metà strafottente. - Oh sì. Che il vecchio Ogro si sta preparando a mettere un po' di pepe sotto le chiappe di qualcuno. -
- Non lo so cosa sta facendo. - replicò Praho, piccato. - Ed è questo che mi spaventa. Ogro sta combinando qualcosa con l'esplosivo che ha rubato? Certo che ho paura, perché so che ne ha preso abbastanza da provocare grossi danni! Ce l'ha con me, col villaggio, con ogni singola persona che vive su quest'isola, e non esiterebbe a farci del male, se potesse. -
- Prova a dire che non ha le ragioni per farlo... -
Le mani di Praho ebbero uno scatto improvviso, e l'istante dopo il capo indigeno aveva sguainato il coltello ed era balzato giù dal suo trono, puntando l'arma alla gola di Jack. Quest'ultimo non si mosse di un millimetro, ma restò a fissare la lama ad occhi sgranati, poi unì rapidamente i palmi delle mani in un gesto di scusa.
- Jack Sparrow. - sibilò Praho, ritraendo il coltello molto più lentamente di quanto sarebbe piaciuto a Jack. - Tu sei venuto a chiedermi di lasciarti camminare libero per la mia isola in modo che tu e gli altri tuoi simili possiate ammazzarvi tra di voi come più vi piace. Io ti dico: fallo pure, ma prima farai una cosa per me, che ti piaccia o no. Sei l'unico uomo che Ogro abbia mai ascoltato: ora lo cercherai e parlerai con lui, per farti dire che cosa sta architettando. E, se scoprirai che sta cercando di fare qualcosa contro il villaggio, farai in modo di portarmelo così che possa occuparmi di lui di persona. Non accetto scuse né compromessi. -
- Cosa?!- ora, inaspettatamente, sembrava Jack ad essere rimasto senza parole. - Io dovrei andare a parlare con Ogro? Quello che è successo con lui è un vostro problema, se non sbaglio!- - Ma tu sei l'unico con cui Ogro abbia mai voluto parlare: questo fa di te l'unico che può ragionare con lui, quindi la faccenda riguarda anche te. Non hai altra scelta. - con calma, Praho rinfoderò il coltello e prese a passeggiare avanti e indietro davanti ad un Jack sempre più sconcertato.
- Ma noi dobbiamo raggiungere la baia e farci aiutare a recuperare la Perla... senza offesa, Praho, ma siamo veramente a corto di tempo e, onestamente, non saprei neanche dove cominciare a cercarlo, Ogro. E poi è passato troppo tempo, sei sicuro che si ricordi ancora di me? O che mi ascolterebbe? Suvvia... - era stato fermo decisamente troppo tempo: seguì l'esempio di Praho e si alzò in piedi, sgranchendosi voluttuosamente le braccia. Il capo indigeno si era invece fermato e lo guardava in silenzio. - Magari dopo. Dopo che avrò sistemato tutta la faccenda con Rackham e Barbanera, e saremo tutti quanti liberi di andarcene per la nostra strada, comprendi? Lavoro molto meglio quando nessuno mi mette fretta. -
- Capisco. - rispose Praho lentamente, ma nella sua voce c'era un tono di minaccia. Jack cominciò a gettare occhiate ansiose alla porta.
- D'altra parte... - continuò, cercando di mostrarsi a suo agio. - ...se rifiuto di collaborare non è che puoi impedirci di lasciare il villaggio, a meno che tu non voglia che qualcuno si faccia male... e questo non è nel tuo stile, se ben ricordo. Perciò, che ne dici di lasciare stare la cosa, almeno per il momento, e rimandare a quando io e i miei saremo un po' meno di fretta? Sono sicuro che riusciremo a trovare un accordo. -
- Oh, ne sono sicuro anch'io. -

*

Faith non vomitò, anche se probabilmente ci mancò poco.
Cercai di tirarle su il morale tentando di mostrarle l'ironia di avere mangiato qualcosa che aveva cercato di mangiare lei, ma non le fu molto di conforto. Se non altro, tutti quanti mangiammo e bevemmo a volontà, e quando fummo ben rifocillati restammo seduti accanto al fuoco insieme alle donne indigene, sentendoci finalmente in un ambiente un po' più ospitale.
Io però continuavo a girarmi verso la tenda, dalla quale né Jack né Praho erano ancora usciti. Non avevo idea di cosa il capo indigeno avesse di tanto importante da dire a Jack, ma avevo la sensazione che, qualunque cosa ci fosse in ballo fra i due, non ci avrebbe portato niente di buono.
Quando per l'ennesima volta mi decisi a distogliere lo sguardo dalla tenda, mi accorsi che una delle donne del villaggio si era seduta davanti a noi, con le spalle al fuoco, e stava mescolando una qualche bevanda in una panciuta brocca di coccio. Per un attimo fui distratta dal viso della donna, nascosto nell'ombra mentre alle sue spalle crepitava il fuoco: doveva essere molto più vecchia delle altre donne che si erano unite a noi per mangiare; i suoi capelli acconciati in lunghe trecce erano lunghi quanto quelli delle più giovani, ma tendevano più al grigio che al nero. Le rughe sulla sua pelle scura facevano pensare alla corteccia di un vecchio albero... tuttavia non riuscivo a trovarla brutta: c'era qualcosa di affascinante nello scintillio del suo sguardo, o nel modo in cui le sue labbra si increspavano in un sorriso misterioso mentre ci guardava uno ad uno, e le sue mani rimescolavano la bevanda bollente con un cucchiaio.
- Vicino. - ci disse poi con una voce strana: fioca, eppure quasi musicale, cantilenante. Parlava in un inglese stentato, ma comprensibile, e istintivamente tutti noi ci stringemmo più vicini a lei per ascoltarla.
Notai che c'erano due bambini inginocchiati accanto a lei, che a turno le porgevano delle tazze di coccio: la vecchia sollevava il mestolo e le riempiva di mistura calda con gesti automatici, quasi si stesse muovendo in un sogno. La bevanda aveva un odore dolce e aromatico, e i suoi vapori cominciavano a farmi girare la testa. Forse anche quegli indigeni non disprezzavano gli alcolici?
- Questa è il Sentiero di Sogno. Cura molte cose. - si posò una mano sulle ginocchia. - Stanco. - se la passò sulla fronte e sugli occhi. - Pensieri cattivi. - se la posò sul cuore. - Dolore. -
I bambini ci si accostarono e cominciarono a passarci le tazze piene di bevanda bollente. Ci scambiammo uno sguardo, poi, in tacito accordo, accettammo l'offerta: per la prima volta in tutta la serata, perfino Furey accettò in silenzio la tazza fumante. Penso che l'idea di una qualche mistura alcolica, anche se indigena, non gli dispiacesse affatto. L'anziana donna rimase a guardarci per lunghi istanti, e pensai che non dovesse trattarsi della semplice offerta di qualcosa da bere, ma di una cosa molto più solenne.
- Camminate in sogno. - ci disse infatti, quasi sussurrando. - Riposate, stanotte, e guarite. Meglio, domani. Sogno porta via paura, rabbia, segreti. -
In quel momento si fermò davanti ad Elizabeth, e per qualche secondo rimase faccia a faccia con lei. La giovane non seppe che altro fare se non ricambiare lo sguardo, un po' disorientata. La donna la stava fissando come se fosse stata un enigma da risolvere, e non era sicura che la cosa le piacesse. Prima che potesse distogliere lo sguardo, o replicare, l'anziana alzò una mano e gentilmente le toccò le dita che stringeva attorno alla tazza.
- Triste. - le disse con voce dolce, così piano che quasi solo lei riuscì a sentirla. - Perché?-
Elizabeth tentennò, con la voce che non riusciva a decidersi ad uscire. - Triste? Io?-
La donna si portò la mano al cuore, e come aveva fatto prima ripeté: - Dolore. Tanto, da tanto tempo. Perché?-
Elizabeth non seppe cosa risponderle. Dolore? Eccome. Ma come poteva saperlo quella donna, come poteva semplicemente leggerle negli occhi quei lunghi anni passati ad aspettare Will, i suoi incubi, le sue lacrime, la sua paura di rovinare tutto quanto anche adesso che... Respirò, e il vapore della bevanda le riempì i polmoni facendo comparire macchie luminose davanti ai suoi occhi. Will. David. Tutto quanto sembrava mescolarsi e svanire, come il vapore...
- Uno di voi avrà sogno più lungo. - continuò la vecchia, tornando a guardarci uno per uno. - Uno di voi vedrà. Beve. Beve tutti. -
Non avevo afferrato del tutto il senso del suo discorso, ma un bel po' di sonno indisturbato era esattamente quello che volevo in quel momento, e i fumi di quella roba mi stavano dando talmente alla testa che ero curiosa di provare che effetto mi avrebbe fatto bevendola. Mi portai la tazza alle labbra e cominciai a bere il liquido bollente; aveva un sapore dolciastro che impastava la bocca e la gola. Buttai giù tutto più in fretta che potei nonostante fosse bollente: era buono e ne volevo ancora, dava alla testa. Abbassai la tazza. Era come se tutto quel vapore mi avesse appannato gli occhi, perché il fuoco davanti a me era diventato un'unica macchia baluginante, e mi girava tutto attorno.

*

- E va bene, hai ragione. Non è questo il momento di parlarne. - ammise Praho con uno sbuffo rassegnato, voltando bruscamente le spalle a Jack. In tre passi raggiunse un grosso vaso che stava appoggiato in un angolo della tenda e ne aprì il tappo con entrambe le mani, facendo uno schiocco sonoro. Un odore invitante, vagamente alcolico, invase l'aria in poco tempo, e Jack allungò il collo con aria speranzosa.
Praho esitò e si voltò verso il capitano, aggrottando le sopracciglia. - Che cosa c'è? Fai i tuoi comodi nella mia isola, rifiuti il mio accordo e ora vorresti anche approfittarti del mio liquore?-
Jack si strinse nelle spalle con un sorrisetto innocente. - Diciamo che ci speravo. -
Il capo indigeno sbuffò di nuovo, poi però si mise a frugare in giro per la stanza finché non trovò due coppe. Con gesto brusco le riempì entrambe, poi ne porse una a Jack senza guardarlo: era evidente che il suo rifiuto doveva bruciargli ancora, anche se non gli negava quella cortesia.
Jack accettò la coppa più che volentieri: non aveva toccato una goccia di rum per tutta la giornata, e tutto quello che aveva era finito in bocca a quel dannato serpente. Era decisamente stanco e aveva un immediato bisogno di tracannare subito qualcosa: poi sarebbe andato tutto meglio; andava sempre così.
- Alla tua gentilezza, mio vecchio amico!- scherzò, prima di portarsi la coppa alla bocca e bere avidamente. Troppo dolce. Decisamente sperare in un po' di buon rum era fin troppo ottimista, e non assomigliava neanche a birra o porto. Qualcosa con l'idromele, forse, o una variante indigena del grog? Vai a saperlo. Tuttavia c'era senz'altro dell'alcol dentro, e Jack lo tracannò fino all'ultima goccia. Abbassò la coppa leccandosi le labbra; se solo non gli avesse lasciato la lingua così impastata...
In quel momento si accorse che Praho non aveva bevuto, e che era rimasto a guardarlo con la sua coppa tra le mani e un sorriso di sufficienza che andava ingrandendosi sempre di più. Improvvisamente Jack si sentì una stretta allo stomaco.
- Oh no... - gemette, fissando inorridito la coppa. - No... giochi sporco, diavolo, non dirmi che era Sentiero di Sogno!-
- Mi dispiace, Sparrow. - rispose Praho, appoggiando la propria coppa ancora piena sul trono e battendo una pacca sulla spalla del capitano, che aveva cominciato a barcollare più del solito.
- Ma santo dio, non c'era bisogno di arrivar... a... - la sua lingua cominciava ad essere decisamente impastata. - No... Oh... miseriaccia. -
Jack fece un penoso tentativo di restare in piedi, caracollando fino al trono e reggendosi ad uno dei braccioli con tutte le sue forze; poi però le sue gambe lo tradirono, e il pirata crollò privo di sensi sul pavimento.

*

Girava.
Girava tutto, e l'unica reazione che ebbi fu quella di cominciare a ridacchiare scioccamente fra di me; perché tutto girava, tutto si confondeva, tutto si stava lentamente sciogliendo come un grosso pezzo di burro sotto il sole, spariva tutto quanto...
Improvvisamente sentii un colpo di tosse provenire da un punto imprecisato alla mia sinistra, e quando battei le palpebre la vista mi si schiarì per un attimo. Elizabeth aveva vuotato la sua tazza, e in quel momento, con due dita, si stava togliendo di bocca i resti di quello che sembrava una qualche specie di fungo.
- Sei tu. - la vecchia la stava indicando, ora, e sorrideva. - Il Sogno è tuo. Camminerai in Sogno più di tutti... vedrai cose più di tutti. Saprai. Perché tu triste da tanto tempo, troppo tempo, e in Sogno ritroverai la strada. Se non la trovi, non sveglierai. -
Premette la mano sulla fronte di Elizabeth e per un lunghissimo istante la fissò negli occhi, sbarrati da un'improvvisa, drogata consapevolezza.
- Vuoi farlo? Vuoi camminare in Sogno, fino in fondo?-
Le labbra di Elizabeth si mossero, anche se il suono della sua voce sembrò arrivare in ritardo.
- Sì. -
Ebbi un improvviso attimo di panico e il mio corpo si mosse di scatto verso Elizabeth: non so cosa volessi fare, se volessi toglierle di mano la tazza, o il fungo -inutile, dato che ormai aveva bevuto- o allontanare da lei la vecchia; semplicemente in quel momento seppi che cosa si stava preparando per lei, e cercai di fermarla, di trattenerla, di fare qualsiasi cosa.
- Liz!- biascicai, sentendomi la bocca intorpidita. - Non la... non... dobbiamo... -
Elizabeth crollò svenuta davanti a me, come al rallentatore. Tutti quanti si accasciarono al suolo uno dopo l'altro, e io rimanevo a guardare senza riuscire a credere o anche solo a realizzare che stesse accadendo veramente. Faith, Ettore, Michael, Will... tutti borbottavano, gemevano, dondolavano per brevi istanti come pupazzi impagliati, e poi cadevano per terra come se non avessero più le ossa a sostenerli. David no, lui era rimasto accoccolato fra i corpi privi di sensi di Elizabeth e Will, guardandosi attorno senza rendersi conto di cosa stesse accadendo.
Girava tutto.
Anch'io ero a terra, e il mondo si era ribaltato: il cielo era davanti ai miei occhi, più vicino di quanto fosse mai stato.
Girava tutto.
Girava sempre più veloce.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Dispersi ***


Capitolo 8
Dispersi.



Stavo volando sopra l'oceano. Non mi fermai nemmeno per un secondo a chiedermi come fosse possibile: semplicemente non me ne curai e continuai a volare, sfiorando la superficie increspata del mare che brillava sotto la luce di un tramonto mozzafiato. Una brezza tiepida accarezzava le mie ali di passero di mare.
Ad un tratto cambiai bruscamente direzione, per tuffarmi direttamente nell'abbraccio gelido delle onde.
A fondo, sempre più a fondo: il mondo era diventato una massa indistinta verde-azzurra, e improvvisamente avevo di nuovo braccia e gamba che si agitavano furiosamente nell'acqua.
Dov'era l'alto e dove il basso? Non riuscivo più ad orientarmi, e avevo bisogno di aria...
Una figura mi passò accanto, fluttuando come una gigantesca medusa. Dimenticandomi perfino dell'urgenza di riemergere, rimasi a fissarla, sbalordita: era la Dama, bianca e irreale come una statua, coi capelli neri e la tunica che le fluttuavano attorno come un lunghissimo manto, avvolgendoci entrambe.
I suoi occhi neri mi fissarono di rimando, e vidi le sue labbra muoversi. Non sentii la sua voce ma riuscii a capire le parole: “Dove sei?”
Non sapevo cosa rispondere, e sentivo che non sarei più riuscita a trattenere il fiato a lungo. Cercai di farglielo capire a gesti, e lei, dopo avermi guardata ancora per qualche momento, si mosse rapida come un delfino e mi afferrò per un polso, guizzando veloce verso l'alto, verso la superficie.
Adesso però non mi trovavo più sott'acqua, ma affacciata al parapetto di una nave. Era la Perla? Sì, o almeno così mi sembrava.
Tutta la ciurma alle mie spalle stava urlando come impazzita: mi voltai per vedere cosa stesse succedendo, e solo dopo mi resi conto che stavano solo suonando la carica, la nostra personale, terribile sinfonia per spaventare gli avversari sull'altra nave.
Riconobbi i visi di alcuni della ciurma in mezzo agli altri pirati: tutti quanti gridavano, furiosi ed esaltati, e agitavano in aria le spade. Perché le loro armi erano già sporche di sangue? Lo trovai curioso, ma non me ne preoccupai. Stavano tutti gridando per me. Aspettavano solo un mio ordine.
Risposi al loro urlo, sguainando a mia volta la spada e agitandola in aria, accolta da un nuovo scroscio di urla deliziate. Facendolo, mi schizzai la giacca di grosse gocce rosse. Anche la mia spada era imbrattata di sangue, dalla punta fino all'elsa.
I nostri cannoni fecero fuoco uno dopo l'altro, facendo a pezzi la fiancata della nave avversaria. In quel momento mi preoccupai, perché ricordai di avere visto Jack a bordo dell'altra nave: sperai di tutto cuore che si tenesse fuori dalla portata dei nostri cannoni.
Un momento, ma Jack non era ancora sull'isola? Non eravamo tutti quanti ancora sull'isola?
Non appena il pensiero dell'isola mi tornò alla mente, il ponte della nave avversaria si fece confuso e indistinto fino a trasformarsi in una vegetazione alta e fitta, e il fumo dei cannoni diventò la nebbiolina che la avvolgeva.
Qualcosa strisciò fra la vegetazione, proprio ai miei piedi, e mi paralizzai. Sapevo benissimo che cosa si muoveva là sotto: un anaconda enorme, a strisce nere e marroncine. Si muoveva lento, in cerchi sempre più stretti: potevo vedere le sue spire circondarmi e prepararsi a chiudersi attorno alle mie gambe.
Rimasi immobile, respirando profondamente. Il serpente mi fissava con occhi fin troppo espressivi per un rettile, sembravano quasi... umani.
Deglutii. Avevo ancora la spada in mano, e la abbassai lentamente. Mi scivolava fra le dita: anche l'elsa era viscida di sangue. Mi sentii rivoltare lo stomaco e la mia mano tremò. L'anaconda fece guizzare la lingua.
Qualcos'altro si mosse fra la vegetazione davanti a me; mi arrischiai ad alzare gli occhi solo per un secondo... e li vidi tutti schierati lì. Rackham. Barbanera. Furey. Il capo degli indigeni, Praho. Mi stavano guardando tutti, immobili, senza parlare, e mi bastò guardare le loro facce per capire che nessuno di loro avrebbe mosso un dito per aiutarmi. Sarebbero rimasti lì a guardarmi mentre venivo stritolata dal serpente.
Un brivido mi corse lungo tutto il braccio, ma di colpo mi sentii scuotere più dalla rabbia che dalla paura.
Il sangue che imbrattava l'elsa e le mie dita era umido e appiccicaticcio.
Strinsi la mia arma più forte che potevo, e con un unico, secco fendente, calai la lama sul collo del serpente, tranciandolo.
Poi scoppiai a ridere, perché già pregustavo la faccia che avrebbe fatto Furey.
Il mondo si ribaltò, e improvvisamente mi trovai nella penombra della cabina, debolmente rischiarata dalla luce rossastra di una candela.
C'era un suono continuo, familiare e in qualche modo confortante. Il respiro di Jack. Udii prima il suono, poi riacquistai poco a poco la percezione del mio corpo e sentii la cedevolezza del materasso sotto la schiena: era come lo ricordavo, eppure avevo la sensazione che avesse qualcosa di diverso, anche se non avrei saputo dire che cosa.
Improvvisamente Jack era lì, vivo, reale: sentii il suo peso su di me e l'attimo dopo lo vidi, senza vestiti addosso, appena illuminato dalla luce fioca della candela, che mi sorrideva. Un turbine di sensazioni fin troppo piacevoli mi travolse come un'onda improvvisa e totalmente inattesa, facendomi gridare per l'estasi. Davanti ai miei occhi esplosero vampate di luci colorate, rosse, gialle, verdi.
Non aveva senso. Niente di quello che vedevo aveva senso, ma era come se non riuscissi a distogliere lo sguardo. Non era altro che un sogno. Un sogno dal quale non riuscivo più a svegliarmi.

*

Il sogno di Ettore era buio.
Buio e freddo come un vicolo di Tortuga, in una piovosa notte d'inverno: gli pareva di trovarsi ancora lì, a soli quattordici anni, fradicio di pioggia e accucciato accanto al muro in cerca di un po' di riparo.
Il solo pensiero di tornare nella bottega del carpentiere gli dava il voltastomaco: la donna che si era presa cura di lui lo aveva piazzato come aiutante del vecchio carpentiere quando di anni ne aveva sei, e ormai ne aveva piene le tasche. Aveva sempre fatto il suo dovere in modo impeccabile, senza distrarsi, senza lamentarsi. Ma odiava quel tipo. E odiava quel posto.
Tuttavia ci sarebbe tornato, lo sapeva benissimo.
E quando sarebbe tornato, quella sera, avrebbe trovato ad aspettarlo una ragazza della sua età: una perfetta sconosciuta, che però senza tanti giri di parole gli avrebbe chiesto: - Sei tu Ettore, l'aiutante del carpentiere?-
Preso in contropiede dai modi sbrigativi della giovane -che aveva l'aspetto di una ragazzina, ma il tono di chi ne aveva già passate fin troppe- Ettore non aveva saputo rispondere che con un ruvido: - Sono io. -
- Ti prendo con me. Ho fatto tre anni a bordo della Swift Return, e sono in cerca di un nuovo ingaggio. Se cerchi un posto migliore, è imbarcandoti che lo trovi. Che fai, vieni?-
Il buio si infittiva, e il viso sogghignante di Beatrix Barbossa si mescolava a quello degli uomini che in seguito aveva visto morire sotto la sua spada... e gli uomini che lui aveva ucciso per suo ordine.
Il suo fianco bruciava ancora, nel punto in cui l'aveva colpito il proiettile sparato dalla donna che per anni aveva considerato il suo capitano.

*

Faith fuggiva da un serpente enorme, che le stava alle calcagna. La sua testa grande come una palla di cannone incombeva dietro di lei, e le sue mandibole schioccavano pericolosamente vicine ai suoi talloni.
Correva lungo la spiaggia, sentendosi mancare il fiato. Il rettile l'avrebbe seguita, in acqua? A poche braccia dalla riva era ormeggiata la Perla, e poteva vedere tutta la ciurma che la guardava dal ponte, chiamandola, facendole segno.
Tutti gli altri erano lassù. I suoi capitani, i suoi amici, suo fratello, Ettore. Ebbe un sussulto di panico e balzò in acqua, correndo verso la nave. Non si curò nemmeno di guardare se il serpente l'avesse seguita, ma avvertiva ancora la sua presenza alle sue spalle. Non poteva farcela da sola, doveva tornare a bordo, doveva riuscire a tornare da loro...
L'estremità di una cima cadde nell'acqua pochi metri davanti a lei, sollevando uno spruzzo.
Doveva raggiungerli. Loro non l'avrebbero mai abbandonata.
Nell'attimo preciso in cui agguantò la cima, il serpente scattò e affondò i denti nel suo stivale.

*

Per Michael, il sogno prese forma come una delle migliori notti di festa a Tortuga: l'atmosfera era familiare, con le grida, le risate, la musica, il boato degli spari e i canti degli ubriachi... ma tutto il resto era diverso.
La città era illuminata a giorno da un cielo in cui risplendevano meravigliosi fuochi d'artificio colorati, come quelli che una volta avevano acquistato da un mercante cinese per poi farli esplodere dal ponte, per guardarli bruciare e consumarsi in mille fiammelle sopra l'acqua.
Le strade erano ricoperte d'acqua, come grandi canali, e sopra vi scorrevano veloci enormi carrozze a forma di conchiglia, trainate da cavalli che galoppavano tranquillamente fra le onde. Michael stava in piedi su una di queste, tutto impettito nella sua sfarzosa giacca da capitano e il suo cappello piumato, pavoneggiandosi con le sue due spade davanti alla gente che si sporgeva dalle finestre per salutarlo al suo passaggio.

* Cingeva con le braccia due donne: due nere procaci, belle, in carne. Poteva avere tutte quelle che voleva. Così come le bottiglie di rum che giacevano ammucchiate ai suoi piedi: poteva averne quante voleva, quando voleva. Era ricco sfondato, e poteva riempirsi di alcol fino a che non gli sarebbe uscito dalle orecchie: e poteva mangiare, poteva ingozzarsi fino a scoppiare di qualsiasi leccornia; carne, vino, pane, pesce, frutti prelibati, dolciumi...
Ad un tratto si sentì cadere all'indietro, e perse la presa sui corpi invitanti delle due nere. Annaspò e gridò, con la sensazione di precipitare.
Un attimo dopo si trovò di nuovo immerso nel buio, nel tanfo rivoltante di corpi umani sudati, di umido e cibo marcio, con la durezza del legno sotto la schiena e il luccichio degli occhi dei ratti che lo scrutavano dall'oscurità.

*

Il timone della piccola nave cinese tremava così forte da sfuggire alla presa di William, mentre la corrente la trascinava sempre più in fretta in avanti, fuori controllo, verso la cascata che l'avrebbe precipitata oltre i confini del mondo.
Il giovane si impose di fare resistenza con tutte le sue forze, bloccando il timone con entrambe le braccia mentre fissava la prua della piccola imbarcazione cominciare a virare di poco... lenta, troppo lenta per evitare il disastro.
Il cuore di Will perse un battito. No, non sarebbe tornato laggiù, non nella terra dei morti al confini del mondo. L'aveva lasciato per sempre, e non vi sarebbe più tornato.
La cascata ruggiva, a poche braccia di distanza: i muscoli gli dolevano per lo sforzo, ma la nave virava... virava! Centimetro dopo centimetro riusciva a strapparsi via dalla corrente, voltando le spalle a quel balzo mostruoso verso il nulla.
Stava virando. Stava cambiando direzione, e già sentiva il timone più libero.
Due figure si avvicinavano rapide, trasportate dalla corrente. Erano due barche, due misere scialuppe, ciascuna illuminata da una piccola lanterna che a malapena permetteva agli occupanti di vedere dove stessero andando. Will deglutì: le aveva già viste quelle barche, molte volte... assomigliavano terribilmente alle scialuppe che trasportavano le anime dei morti.
- No... -
David sedeva nella prima scialuppa, insolitamente immobile, col visino preoccupato puntato davanti a sé e lo sguardo perso nella nebbia sollevata dalla cascata.
Elizabeth stava nell'altra, simile ad un bianco fantasma nel suo vaporoso abito da sposa, col velo che fluttuava spinto da una brezza inesistente. Entrambe le barche puntavano dritte verso la cascata, e senza l'aiuto di remi o di un timone non potevano fare niente per impedirlo.
Con un urlo di rabbia, Will girò il timone: forse, se fosse stato abbastanza veloce, sarebbe riuscito ad intercettare le due barche e ad impedire che fossero trascinate giù per la cascata. E dopo? Come avrebbe potuto salvarli tutti quanti?
Il tempo era agli sgoccioli. La nave virò di nuovo, puntando verso le barche e verso la cascata.
In mezzo alla nebbia e agli spruzzi di spuma, Will riconobbe attonito la figura della Perla Nera, ferma sul bordo della cascata: se ne stava lì solida come una roccia, senza muoversi, senza cadere.
C'era qualcuno che lo osservava dall'alto della tolda. Era Jack? Sembrava lui.
- Salvali!- gridò Will, cercando di farsi sentire al di sopra del fragore della cascata. - Jack! Ferma le barche! Prendili!-
Se solo lui fosse riuscito ad intercettare le barche, a caricare a bordo Elizabeth e David prima che precipitassero...
Al pari della sua nave, Jack non si mosse: rimaneva a fissarlo, mentre Will si accaniva furiosamente su di un timone che non gli obbediva, a poche braccia dalle scialuppe di David ed Elizabeth, e ad un soffio dalla cascata. Will strinse i denti, sudando freddo: era evidente che Jack non lo avrebbe aiutato. E che sarebbero finiti tutti e tre in fondo al baratro.
Poi il capitano parlò, e Will sentì le sue parole chiaramente come se le avesse urlate: - Vai, e riprenditeli. -
Le scialuppe furono catturate dal risucchio e trascinate sul bordo della cascata.
Will stringeva il timone tanto forte che le nocche sbiancarono. Ce l'avrebbe fatta? Sarebbe servito?
Il timone girò, la nave virò bruscamente, e la prua sottile si parò davanti alle due barchette dritta come una spada, fermando la loro corsa verso il baratro. Udì il tonfo delle scialuppe contro il legno, eppure sapeva che nessuna delle due barche si sarebbe distrutta, malgrado fossero così piccole.
Il ponte della nave ebbe un sobbalzo, e William ebbe la netta sensazione di avere bloccato tutti quanti sull'orlo della cascata: l'attimo dopo si sporse verso destra e guardò dritto nelle oscure profondità ruggenti di quel baratro.

*

Elizabeth aprì gli occhi e si ritrovò in una cella.
Si alzò di scatto, solo per accorgersi che le gambe non la reggevano. Annaspò per qualche istante sul pavimento, poi riuscì finalmente a trascinarsi in un angolo per guardarsi attorno. Pietra e sbarre, nient'altro.
Non riusciva a raccapezzarcisi. Come era finita lì? Quando? Mentre ancora cercava di fare ordine nei suoi pensieri, da qualche parte dietro le mura che la circondavano qualcuno cominciò a suonare un tamburo. Battiti lenti, cupi. La sinfonia lugubre che precedeva un'esecuzione.
Improvvisamente si sentì un nodo alla gola, mentre dentro di lei cresceva l'assurda consapevolezza che, di qualunque esecuzione si trattasse, doveva essere la sua. Presto sarebbero venuti a prenderla.
Si aggrappò alle sbarre, alla frenetica e assurda ricerca di una qualsiasi via di fuga, mentre i rintocchi del tamburo continuavano. Nella testa le rimbombava una voce sconosciuta, ripetendole parole che le suonarono stranamente familiari: - In Sogno troverai la strada. Se non la trovi, non ti sveglierai. Vuoi farlo? Vuoi camminare in Sogno, fino in fondo?-
...perché aveva detto di sì?!
Le sbarre si frantumarono sotto le sue dita, e la realtà davanti ai suoi occhi sembrò sfumare, liquefarsi e sciogliersi in un mare luminoso che la portava giù, giù, sempre più in basso, sempre più a fondo, verso un luogo al quale non poteva più sfuggire.

*

Aveva vagato per i meandri più reconditi della sua mente, rimbalzando da un ricordo all'altro come una pallina impazzita. Era precipitato in un gorgo confuso di volti sbiaditi, sogni senza senso, persone che ricordava troppo bene e persone che era convinto di avere dimenticato.
Ogni suo ricordo era stato rivoltato come una zolla di terra, aveva sentito su ogni cicatrice il dolore di quando quelle ferite gli erano state inferte, aveva visto scorrere il proprio sangue insieme a quello che era stato lui stesso a versare.
Si era ubriacato e aveva vomitato l'anima, oppure aveva sentito l'alcool inebriarlo in ogni fibra del suo corpo fino a farlo sentire bene in modo quasi indecente, si era ricordato ogni singola scopata, dalla migliore alla peggiore. Aveva visto il volto di lei sempre presente, insistente, esplodere come un colpo di cannone sopra i suoi ricordi: a volte nitido come se avesse potuto toccarla, a volte indistinto come se fosse stato immerso nella nebbia, ma senza scomparire mai.
Protese le mani attraverso la caleidoscopica matassa di immagini -reali o immaginarie che fossero- che lo circondava, cercando di afferrare qualcosa di solido e reale. Annaspò nel vuoto, osando sperare che se fosse riuscito a trovare la mano di lei, avrebbe potuto finalmente portarlo fuori da quel casino infernale che era la sua testa.
Ma non trovò niente.
- Ritengo che abbiamo dormito abbastanza, adesso. - l'altro Jack lo stava fissando, seduto a gambe incrociate su di una cassa ricolma di bottiglie vuote.
- Decisamente. - replicò lui, continuando a tastare il vuoto. - Uhm... è troppo chiedere di svegliarmi e concludere questa inaspettata, quanto inopportuna, visita guidata all'interno della mia testa?-
- Che cosa c'è, non ti piace quello che potresti trovare qui dentro?- gli rispose un terzo Jack, squadrandolo con aria disgustata. Jack si fece indietro di qualche passo, ricambiando l'occhiata.
- Diciamo che la compagnia non è delle migliori... comprendi?-
- Oh, da che pulpito... -
- Adesso basta!- si intromise il secondo Jack... o era un quarto apparso in quel momento? Cominciava a fare un po' di confusione. - La festa è finita, comprendi? Questa storia non mi piace per niente, e non oso pensare a cosa ci aspetta una volta tornati alla realtà... Ora svegliati. -
- Svegliati. -
- Svegliati. -
- Svegliati!-
Con un sussulto Jack prese ad agitarsi come in preda alle convulsioni, sentendo un'acuta fitta di dolore a tutti i muscoli. Le sue mani afferrarono finalmente qualcosa di solido, che si rivelò essere un tappeto di paglia. Era steso sul pavimento. Con quello che gli sembrò uno sforzo immenso aprì gli occhi, e il sogno si dissolse nel nulla.






Note dell'autrice: D'accordo, ammetto che con questo capitolo-lampo ho barato, e mica poco. All'inizio non avevo intenzione di soffermarmi sul sogno di ciascuno, poi non ho saputo resistere all'idea di dare una sbirciatina dentro la testa di ogni personaggio. Un capitolo corto, quindi; un puro intermezzo per separare tutto il "prima" da quello che sto preparando per il "dopo". Sono già a buon punto con il capitolo 9: avrei potuto attaccarlo a questo capitolo, ma alla fine ho preferito lasciarlo così com'è: un intermezzo. E anche piuttosto delirante, com piace a me.
Grazie a Fannysparrow e a silverine per i commenti, e a citrosil per le preferenze espresse. Sono lieta di informare chiunque mi segua che Caribbean Tales 3 - A Pirate accord è stata inserita fra le Storie Scelte del sito, e la trovate a pagina 3. Yay!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Su diversi sentieri ***


Capitolo 9
Su diversi sentieri.



Fu probabilmente il risveglio più brusco che avessi mai avuto in vita mia: dal sonno drogato del sogno in cui mi ero persa nelle ultime ore, passai direttamente al più vigile stato di veglia nel momento stesso in cui aprii gli occhi.
Ero distesa scompostamente sul fianco, e sentivo della stoffa ruvida sotto la guancia. Attorno a me vidi delle pareti fatte di canne di bambù. Mi rizzai a sedere con un grido di rabbia: mi sentivo lucida come se la conversazione con la vecchia sciamana fosse stata interrotta solo pochi istanti prima.
Quella dannata ci aveva drogato! Come degli imbecilli avevamo bevuto di buon grado la brodaglia che ci aveva propinato, senza sospettare che quegli indigeni potessero avere un secondo fine. Mi sentivo ribollire. Lanciando uno sguardo attorno a me vidi gli altri, tutti ancora addormentati: eravamo stati portati dentro ad una tenda spaziosa, tutti quanti giacevano su stuoie stese per terra. Tutti erano ancora privi di sensi, ma sembravano stare bene.
David però non c'era. E nemmeno Jack.
Balzai in piedi, sentendomi tanto infuriata che avrei potuto sbranare chiunque si sarebbe messo tra me e la tenda del capo. In quattro passi raggiunsi la porta, e fui abbagliata dalla luce del sole, che era già alto. Doveva essere pomeriggio inoltrato, e il villaggio era già molto più animato, perché vidi diversi indigeni intenti alle loro occupazioni che mi fissavano con curiosità, ma non badai a loro. Fortunatamente nessuno cercò di fermarmi, quando raggiunsi come una furia la tenda di Praho e spazzai via la tenda per entrare.
Il capo indigeno era seduto su di un imponente scranno di legno, in quella che per lui doveva essere la “veste da camera”: non portava più nessuno dei suoi orpelli regali, ma solo un elaborato gonnellino di pelle allacciato attorno ai fianchi. Stava bevendo qualcosa da una ciotola, e ai suoi piedi erano inginocchiate due giovani ragazze che si stavano occupando di un David apparentemente riposato e in salute: il bambino era accoccolato fra le braccia di una delle due giovani, mentre l'altra gli offriva pazientemente quelli che sembravano piccoli frutti da un'altra ciotola, che il bimbo era ben svelto ad afferrare fra le manine e a cacciarsi in bocca, tutto contento.
A pochi passi da quella graziosa scenetta familiare, Jack era disteso a pelle d'orso sul pavimento.
Al mio ingresso non particolarmente silenzioso né discreto, mi trovai addosso gli sguardi di tutti, in particolare quello di Praho, che per qualche attimo rimase a fissarmi con aria vagamente sorpresa, poi mi fece un gesto di saluto con la mano.
- Praho!- esclamai, senza più riuscire a trattenermi. - E' questo il tuo concetto di “ospitalità”? Oppure da queste parti è normale drogare gli ospiti per poi lasciarli a smaltire i postumi per il resto della giornata?-
Il capo indigeno mi guardò ancora per qualche momento, poi in tono estremamente tranquillo, e nel suo inglese perfetto, rispose: - Non mi sembra proprio che ne abbiate risentito, signora, anzi, mi sembra di capire che state molto meglio. -
- Che cosa c'entra... Che cosa hai fatto bere ai miei amici? Che cosa hai fatto a... oh, Dio!- sbuffai, prima di andare ad inginocchiarmi accanto a Jack. - Perché lo hai lasciato qui, mentre hai portato noi altri nella tenda? E, per la cronaca, David non è il tuo animaletto da compagnia, quindi di' pure a quelle di togliergli le mani di dosso!-
Praho non batté ciglio, limitandosi a posare lentamente la ciotola dalla quale stava bevendo. - Il bambino aveva solo bisogno che qualcuno si occupasse di lui. Per quanto riguarda Sparrow, gli ho affidato un compito che non ha nulla a che fare con voi... anche se mi aspettavo che si svegliasse già molte ore fa. Comincio a sospettare che il tuo capitano si sia rammollito, dall'ultima volta che l'ho visto. -
- Parla per te. - bofonchiò debolmente Jack in protesta.
Sembrava sveglio, anche se si guardava attorno con l'aria di non capire bene dove fosse e cosa stesse succedendo. Gli infilai un braccio dietro la testa per aiutarlo a raddrizzarsi, e lo presi per il mento perché mi guardasse.
- Jack? Jack... Come ti senti, va tutto bene?-
La mano di Jack prese la mia, e mi diede una piccola stretta rassicurante. - Sto bene. - rispose, sorridendomi. Sembrava ancora un po' svanito, ma era abbastanza lucido da capire che cosa era successo. Tirai un sospiro di sollievo: nulla di cui preoccuparsi, aveva avuto doposbornia peggiori. - L'ha fatto bere anche a voi?- aggiunse, in tono molto più duro.
Annuii, scoccando a Praho un'altra occhiata di astio. - Sai, comincio veramente a pensare che dovresti sceglierti meglio gli amici. -
- Non mi aspettavo che ci... - improvvisamente vidi Jack sgranare gli occhi e stringere i denti in una smorfia, fissando qualcosa davanti a sé. - Cristo!- si divincolò frettolosamente da me e allungò una mano ad afferrare il cappello che aveva lasciato cadere a poca distanza da lui, per schiacciarselo sul cavallo dei pantaloni.
Mi accorsi solo in quel momento che stava nascondendo un'evidente erezione, e mi sentii le guance andare in fiamme. Praho e le due donne continuavano a guardarci senza dire una parola.
- Che cosa diavolo... -
- Io la odio, quella sbobba. - replicò Jack, che era diventato rosso quanto me e fissava Praho con aria stizzita, cercando di darsi un contegno. - Aehm... Praho? Giusto perché tu lo sappia, non è stato per niente gentile da parte tua rifilarci le vostre pozioni rituali senza un minimo di avvertimento. Posso sorvolare sul fatto che l'abbia fatta bere a me; ci sono già passato una volta. Il resto della mia ciurma, però, potrebbe non essere tanto felice di essere stato sottoposto ad un viaggio allucinogeno di questo tipo. E ti prego di considerare che i riscontri al risveglio sono anche piuttosto imbarazzanti. -
- Lo so e mi scuso: non è stato molto corretto. - rispose Praho, annuendo. - Ma devi capire, Jack, che ho dovuto prendere delle decisioni molto in fretta. Una volta che avevo accettato di ospitarvi qui, dovevo assicurarmi che sareste rimasti il più a lungo possibile, sempre riguardo al discorso che abbiamo avuto ieri sera. -
- Di quale discorso parla?- domandai, per niente rassicurata.
Jack fece un'altra smorfia di disapprovazione. - Mi ha proposto di... uhm... parlamentare con un amico comune. Un amico che sembra disposto a ragionare solo con me. -
- E c'era bisogno di arrivare a questo?- sbuffai, guardando ora Jack, ora il capo. - Solo per via di uno scambio di vedute?-
- Era quello che stavo cercando di fare capire al tuo capitano... -
- Ma sentilo!- Jack fece come un tentativo di alzarsi in piedi, poi tentennò con la mano ancora saldamente stretta sul cappello, e sembrò decidere che sarebbe stato molto meglio rimanere seduto. - Potevamo ragionare, invece di mandarci tutti nel mondo dei sogni per chissà quanto tempo... e, parlando di tempo, col tuo bello scherzetto ce ne hai fatto perdere ormai un mucchio! ...Gli altri sono svegli?- l'ultima domanda la rivolse a me, ma non feci in tempo a rispondere che Praho si era alzato, congedando le due donne e avvicinandosi a noi.
- Ti ho già fatto le mie scuse, ma non aspettarti altro. E poi, sapevo che la pozione non avrebbe fatto male a nessuno di voi: sono sicuro che vi sentite molto meglio, e questo grazie ai suoi poteri curativi. -
Pur essendo ancora in collera con lui per quello che ci aveva fatto, non potevo contraddirlo: mi sentivo innegabilmente meglio, i muscoli indolenziti erano freschi e riposati, non avevo più le gambe stanche, né i piedi doloranti; mi sentivo perfino la testa più leggera. In effetti, se riuscivo a mettere a tacere la rabbia per qualche secondo, scoprivo con sorpresa di sentirmi calma, quasi... liberata. Ricordavo ancora le strane immagini che si erano susseguite nella mia testa per tutta la notte, alcune prive di senso, altre molto chiare: era come se tutto quel delirio si fosse lasciato dietro una sorta di pace, di sicurezza. L'ansia e la paura del giorno prima erano semplicemente scomparse. Non riuscivo a crederci, ed era anche un tantino inquietante.
- Ciascuno di voi si sveglierà con i suoi tempi: qualcuno probabilmente sarà già sveglio quando uscirete da questa tenda, qualcun altro potrebbe continuare a dormire per tutto il giorno. - il capo indigeno fece un sorrisetto. - Questo dovrebbe darti tutto il tempo per andare a fare una piccola visita ad Ogro, non pensi, Jack Sparrow?-
- Va bene, va bene, ci andrò, da Ogro!- scattò Jack, esasperato. - Sei impossibile. Proprio non capisco perché dovrei essere io a farmi carico dei tuoi problemi, ora. -
- Tu mi hai caricato dei tuoi. Adesso ricambia il favore e fa qualcosa di utile, per una volta. - Praho lo fulminò con lo sguardo, prima di voltargli le spalle e tornare a sedersi stancamente sul suo scranno. David era rimasto da solo a giocare con la scodella vuota che aveva contenuto la frutta: per qualche attimo rimase a squadrarci tutti e tre con gli occhi sbarrati e un sorrisetto dipinto sulle labbra macchiate di succo, poi guardò verso di me, e tendendomi le braccia mi fece, speranzoso: - Andiamo?-
Sospirai e andai a prenderlo in braccio: David fu ben contento di accomodarsi contro il mio petto e si attaccò alla mia camicia con le manine appiccicose. Curiosamente mi venne da pensare che non mi era quasi mai capitato di prenderlo in braccio: il bimbo era morbido e cicciottello, come un cucciolo. Quando mi si accoccolò addosso come se fosse la cosa più naturale del mondo, per un attimo mi sentii in imbarazzo senza sapere perché, ed evitai di incrociare lo sguardo di Jack o di Praho: - Sì, piccolo, adesso andiamo da papà e mamma. Speriamo che almeno loro siano svegli. -
Avrei parlato più tardi con Jack di chi fosse questo Ogro e di cosa esattamente dovessero parlamentare; francamente, al momento mi interessava solo accertarmi che tutti i miei amici stessero bene e si fossero ripresi dagli strani sogni indotti da quella pozione. Mi voltai verso Jack, che era ancora seduto sul pavimento: - Jack, tu...?-
Lui diede una controllata sotto il cappello. - Meglio. Possiamo uscire, direi. -
Uscimmo in silenzio, accompagnati dalla vocina di David che canticchiava tutto tranquillo. Fuori dalla tenda si erano radunati un po' di uomini del villaggio, che a vederci uscire rimasero a guardarci con aria incuriosita e vagamente divertita, indicandoci e parlottando tra loro. Storsi il naso: chissà che divertimento era stato, per loro, vederci crollare tutti come mozzi alla loro prima sbornia.
- Perché ci ha fatto questo? Se non eravamo graditi, poteva lasciarci andare fin da subito. - domandai, rivolta a Jack.
- Non prenderla necessariamente come uno smacco personale. - replicò Jack con un'alzata di spalle. - La gente di Khael Roa è difficile da capire, e Praho in particolare. Non credo che lo abbia infastidito doverci prestare aiuto, semplicemente ora vuole qualcosa in cambio. E la bevanda... be', come ha detto lui, male non fa. E' curativa, davvero!- insistette davanti alla mia occhiata sospettosa. - Ti mette fuori combattimento per un pezzo, ma dopo ti fa anche sentire meglio. Loro la usano in occasioni particolari: per qualcuno che ha appena superato una lotta, una grossa difficoltà, o anche un lutto doloroso. Sono convinti che liberi la mente, e in effetti è così. -
- Forse. - replicai, tornando a ripensare con curiosità alle immagini dei miei sogni. - Sai, credo di non avere mai fatto sogni più vividi... era strano, ecco tutto. Ho provato... cose strane. Non ero preparata, tutto qui. -
- Tesoro, sono io quello che si è svegliato con la sorpresa, stamattina... - gli tirai una gomitata, e riuscimmo a farci entrambi una piccola risata. - Francamente... Praho ce lo ha fatto bere per diversi motivi, alcuni più discutibili degli altri. In primo luogo, perché ci rimettessimo. E questo può andare. Secondo, bere la pozione del Sogno è una sorta di prova a cui di tanto in tanto sottopongono i loro ospiti: c'è poco da fare se non accontentarli. Terzo, Praho vuole a tutti i costi che io vada a parlare col suo amico Ogro: io ho già bevuto la pozione una volta, quindi immagino che contasse che fossi il primo a svegliarmi. Non so dire quanto ci metteranno gli altri a riprendersi, quindi direi che posso considerarli come... hmmm... una sorta di ostaggi dormienti? Per indurmi a sbrigarmi e avere la certezza che torni a cose fatte?-
- Tutto questo è ridicolo. - sospirai, precedendolo dentro la tenda dove ci avevano fatto passare la notte.
- Già. Ed ecco la nostra combriccola di begli addormentati. - gli altri erano ancora buttati qua e là sul pavimento della tenda, che se la dormivano della grossa. Appoggiai a terra David, e quello sgambettò in fretta fino a Will, per poi agguantarlo per la camicia e cominciare a scuoterlo chiamando allegramente: - Papààà? Papàààà? Papààà?- con l'irriducibile costanza che poteva avere un bimbo di tre anni.
Con quell'inusuale sottofondo, io e Jack ci inginocchiammo accanto agli addormentati per controllare che andasse tutto bene: io distolsi signorilmente lo sguardo dato che, ora che ci badavo, gli uomini sembravano trovarsi nella stessa condizione in cui Jack si era svegliato, e mi occupai di Elizabeth e Faith. Elizabeth sembrava più pallida del solito.
- Siamo stati fortunati a non essere sottoposti alla “prova del fungo”. - commentò Jack mentre tentava di spostare Ettore trascinandolo per una gamba, peraltro senza molto successo. Sentii un brivido corrermi lungo la schiena e mi voltai di scatto. - Quale “prova del fungo”?-
- E' una specie di sorteggio. - spinse Ettore, Will, Michael e Furey in modo che giacessero su di un fianco: sospettai che fosse anche un modo per evitare loro di imbarazzo di starsene con le “conseguenze mattutine” in bella vista. - Quando preparano la pozione del Sogno, in una tazza viene aggiunto un pezzo di fungo allucinogeno, molto più potente della pozione stessa. Anche quella è una prova rituale, anche se molto più pesante da digerire. Quel fungo, qualsiasi cosa sia, ha un effetto tremendo: uno può dormire per giorni interi, letteralmente disperso dentro la sua testa; dicono che alcuni non si sono svegliati più... - Jack ammutolì appena si voltò verso di me e vide la mia espressione orripilata alle sue parole.
Restammo in attonito silenzio per cinque secondi netti, poi lo vidi stringere lentamente i pugni e storcere la bocca nella sua migliore faccia terrorizzata. - Oh no, dimmi che non... -
- Elizabeth aveva i resti di un fungo nella tazza!- gridai, girandomi di scatto verso di lei. Non mi ero sbagliata, era veramente più pallida del solito. Le posai due dita sulla gola, imponendomi di restare calma: il suo respiro era lento e tranquillo, il suo battito calmo e regolare... di certo Faith avrebbe saputo meglio di me che cosa fare per controllare che tutto andasse bene, ma era tutto quanto potessi fare.
Jack si inginocchiò accanto a me e si chinò a sua volta su Elizabeth: per un momento indugiò con le mani sollevate sopra di lei come se non sapesse bene da che parte prenderla, quindi con cautela le afferrò il mento con due dita per farle aprire la bocca. Seguendo il suo sguardo notai delle piccole macchie marroncine sulle labbra e sui denti.
- Diavolo. - mormorò Jack, lasciandola andare.
- Jack? Che cosa fa esattamente questo fungo?-
- Te l'ho detto, ti fa fare sogni... allucinazioni. - rispose lui in tono sconsolato, grattandosi la testa sotto la bandana. - Ma è più di tutto questo, in realtà... non chiedermi che cosa succeda veramente, non saprei cosa risponderti. So solo che sprofondi nella tua testa, nei tuoi ricordi, nelle tue paure peggiori... da perdere il senno, davvero. - notando la mia espressione si affrettò a correggersi. - No no, volevo dire... insomma, non ho detto che perderà il senno per forza. So solo che dormirà molto a lungo, comprendi? E che non sarà un sonno piacevole, di sicuro. Povera Liz, mi spiace che sia capitato a lei. -
- Io non credo proprio che sia stato un caso. - replicai, gelida, ricordandomi le parole e i gesti della vecchia sciamana. - Per caso Praho aveva progettato anche questo? Perché diavolo avrebbe dovuto propinare ad uno di noi anche il fungo, oltre alla pozione?!-
Si sentiva vociare, fuori dalla tenda. Mi scostai da Elizabeth e Jack e tornai alla porta, affacciandomi oltre la tenda ruvida che la chiudeva: proprio lì davanti si era radunata una piccola folla di uomini, donne e bambini del villaggio, tutti intenti a confabulare tra loro e ad indicare la nostra tenda. Nessuno di loro sembrava particolarmente preoccupato, forse solo incuriosito.
- C'è qualcuno che può aiutarci?- scattai, ma quando mossi un passo verso di loro quelli arretrarono, scuotendo il capo. - Oh, finitela, la capite la mia lingua! Ci serve aiuto! Dov'è la sciamana? La nostra amica ha bisogno di lei... per favore!-
Nessuno rispondeva, e tutti mi guardavano con espressioni indecifrabili.
- Che cosa succede, Sparrow? C'è qualcos'altro che ti trattiene qui, invece di andare a fare il tuo dovere?-
Praho si faceva largo fra i presenti, avanzando verso la tenda. Gliene avrei volentieri dette quattro in risposta, ma mi limitai a fare due passi indietro per lasciarlo entrare nella tenda. Vedendolo entrare, Jack gli indicò Elizabeth, immobile sulla stuoia - Praho, a lei è stato somministrato il fungo insieme alla pozione. C'era proprio bisogno anche di questo?!-
Improvvisamente il capo indigeno sembrò perdere per un attimo tutta la sua baldanza e potei quasi giurare di averlo visto impallidire. In tono di colpo molto più serio, rispose: - Il fungo? Io non ho ordinato di fare niente del genere... ne sei sicuro?-
- Ho visto la sciamana darglielo!- replicai.
Fu forse la prima e unica volta che vidi un'espressione incredula attraversare il viso del capo indigeno: dovevamo averlo letteralmente lasciato senza parole, perché non seppe che altro fare se non rimanere in silenzio per un lunghissimo istante, fissando il viso addormentato di Elizabeth, quindi allargò le braccia con gesto impotente.
- Non c'è altro che potete fare per la vostra amica, ora. Temo che dovrà restare nel Sogno ancora per molto tempo... -
Mi trattenni a stento dall'alzare gli occhi al cielo. - Guarda, capisco, ma il fatto è che non abbiamo proprio tempo di lasciare Elizabeth a camminare nei sogni... -
Un grugnito alle mie spalle mi interruppe, e voltandomi vidi che Will si era svegliato e si guardava attorno con aria stordita, fissando ora David ora Jack, che erano chini su di lui.
- Elizabeth... ? Che è successo a Elizabeth?- mormorò, cercando di rialzarsi: doveva avere sentito le mie ultime parole. Jack lo agguantò prontamente per la spalla, costringendolo a stare giù. - Raffreddati un istante, amico. - si limitò a consigliargli in tono distaccato, evitando di guardarlo.
L'attimo dopo sentii Will sibilare fra i denti così tanti insulti come non ne avevo mai sentiti uscire dalla sua bocca prima d'ora, tanto che desiderai seriamente che qualcuno avesse tappato le orecchie a David. Con le ginocchia strette al petto, William ci squadrò freneticamente uno per uno, rosso di rabbia a stento repressa: da quel che avevo visto, la sua situazione non era poi così tragica... ciò non toglieva che difficilmente si sarebbe ripreso dall'umiliazione. Faith mugolò qualcosa nel sonno e mosse il capo. Ettore borbottò piano. Una mano di Michael si sollevò in dormiveglia a strofinargli gli occhi, e Furey prese ad agitarsi. Stavano per svegliarsi anche loro?
- Tranquillo... ci siamo svegliati tutti nelle stesse condizioni. - tentò di confortarlo Jack battendogli una pacca sulla spalla, ma si guadagnò solo un'occhiata assassina.
- Non stavo guardando. - gli assicurai stancamente, mettendomi a sedere accanto ad Elizabeth. - Ora... spero proprio che tutti gli altri si sveglino presto, perché siamo in un gran brutto guaio. -
- Nessun guaio, donna pirata. Avevate solo bisogno di dare un po' di tempo... al tempo. -
La vecchia sciamana era comparsa nel vano della porta così improvvisamente che sentire la sua voce ci fece sobbalzare tutti, perfino Praho. La donna ci guardava con un sorriso assurdo sul volto rugoso, stringendosi addosso un lungo scialle tutto liso anche se non faceva per niente freddo.
- Madre... - Praho si fece avanti, e con aria solenne si chinò davanti alla vecchia sciamana per stringerle le mani. Per quanto fossi preoccupata, a quel punto non potei fare a meno di sorridere tra me, davanti a quella scena. Praho, grosso com'era, inginocchiato davanti a quella donnetta così piccola. Questo dimostrava che, da che mondo è mondo, anche il più grande degli uomini doveva sempre inginocchiarsi di fronte a sua madre.
I due si scambiarono qualche parola in tono concitato; lei gli rispondeva nella loro lingua, con quella voce musicale e cantilenante che avevo trovato così strana quella notte attorno al fuoco. Dopo avergli parlato per un po', si voltò a guardare prima Elizabeth stesa a terra, poi noi, quindi aggiunse nel suo inglese stentato: - Lei era triste. Ferita dentro. Io vedo lo spirito su di lei, quando è entrata nel villaggio. Camminare nel sogno la aiuterà. -
- Che cosa significa?- mormorò Will, sconcertato. - Sta dicendo che Elizabeth non si sveglierà?!-
- Nella bevanda che hanno dato a lei c'era qualcosa di più della droga che ha fatto dormire noi. - si rassegnò a spiegargli Jack, con l'aria di chi si prepara ad affrontare una scenata. - E' una pozione rituale e... be', è capitata a lei. O meglio, non sono sicuro che il termine “capitata” sia il più adatto, a sentire la signora... - scoccò un'occhiata eloquente alla sciamana.
- Non dovevate farlo!- protestò Will, alzandosi bruscamente in piedi. Era incerto sulle gambe e incespicò per qualche momento, ma poi si fermò dritto di fronte all'anziana donna, ignorando la massiccia figura del capo indigeno che incombeva su di loro e sembrava pronto a spezzargli una mano se l'avesse allungata verso sua madre. Tuttavia, il giovane non si lasciò spaventare e continuò: - Con quale diritto le avete fatto una cosa del genere? Che cosa le succederà? Quanto dormirà? ...oh mio Dio, ma perché lo avete fatto?!-
La donna rimase a guardarlo, impassibile. - Lei ha detto sì. - rispose semplicemente. - E io ho dato a lei il Sogno più lungo. Perché in lei ho visto... - esitò, come se non trovasse le parole. Poi guardò Praho, e pronunciò una parola nella loro lingua.
- Dubbio. - tradusse Praho, che aveva un'aria stupita almeno quanto noi, ma che ascoltando le parole di sua madre sembrava cominciare a capire. La vecchia annuì, e proseguì parlando nella sua lingua, mentre il capo traduceva. - Lei ha visto il dubbio negli occhi della donna: il dubbio che fa male, che rende tristi, che non permette di vivere. Noi non ci permettiamo il dubbio, perché a lungo andare avvelena l'anima, e un'anima guasta non può portare niente di buono. Il Sogno la farà guardare dentro di lei, e risolverà ogni dubbio. Dovrà farlo, altrimenti non si sveglierà mai più. Ma... è convinta che lei ce la farà. -
La vecchia annuì, quindi si protese bruscamente verso Will e gli afferrò il viso fra le mani, fissandolo negli occhi con aria truce. - E tu sai. - sibilò. - Anche tu sai che lei non è felice. Quindi non lamentarti, e non chiedere perché. Anche in te il dubbio. Ma tu risolverai da solo, o non risolverai affatto. - lo lasciò andare e poi, con tutta la calma del mondo, uscì dalla porta, lasciandoci tutti quanti confusi e ammutoliti.
Praho ci guardò in un modo che avrei quasi potuto definire imbarazzato, quindi riacquistò la sua compostezza e, anche se in modo molto meno imperioso di prima, disse a Jack: - C'è ancora quella faccenda in sospeso, Sparrow, non mi deludere. Ci prenderemo cura di lei per tutto il tempo che dovrà dormire, non temete. -
Prima che potessimo rispondere, ci lasciò anche lui. E noi rimanemmo lì, con un'amica priva di sensi, altri quattro che si sarebbero risvegliati di lì a poco, e il morale molto, molto a terra.

*

- Ebbene, è con grande rammarico che indico questo raduno straordinario in seguito alla -per così dire- dipartita della nostra Elizabeth, che per comodità considereremo metaforicamente defunta fino a che non si sveglierà... -
- Piantala!- fummo in cinque a gridare all'unisono. Jack si zittì solo per un attimo, ma non interruppe la sua arringa, continuando imperterrito a camminare avanti e indietro davanti a noi: tutti e sette, tutti e quanti svegli e seduti sul pavimento della tenda, David compreso, cercando di non guardare troppo la figura esanime di Elizabeth adagiata sulla stuoia in un angolo. Faith sembrava ancora più preoccupata di me, e con le dita si attorcigliava furiosamente i capelli come faceva sempre quando era nervosa: le avevo chiesto di controllare Elizabeth per assicurarci che stesse bene nonostante tutto; lei lo aveva fatto, ma il pensiero di non poterla aiutare in nessun modo fino a che non si fosse svegliata da sola sembrava averla lasciata sconvolta e turbata.
Michael si era risvegliato completamente inebetito, come se stesse smaltendo la peggiore delle sbornie. Dopo qualche minuto era sembrato recuperare un po' di lucidità, ma di tanto in tanto lo vedevo tornare a fissare il vuoto -come in quel momento- con espressione instupidita e vagamente trasognata.
Ettore non aveva detto granché, com'era suo solito, ma era ovvio che non era per niente contento della piega che avevano preso gli avvenimenti. Quasi mi convinsi che, in fondo, era stato molto meglio che lui dormisse ancora quando avevamo avuto il nostro scambio di vedute con Praho: avevo la sensazione che non avrebbe lasciato cadere il discorso così facilmente.
William si era rinchiuso in un astioso silenzio, divorato com'era dalla preoccupazione per Elizabeth. L'unica cosa che sembrava confortarlo era la presenza di David, che al momento se ne stava tranquillamente seduto sulle sue gambe, e sembrava perfettamente a suo agio e di buon umore come al solito.
Furey era strano dal momento in cui si era svegliato. Anche lui quasi non aveva spiccicato parola, ma la cosa più strana era l'espressione impaurita, da animale braccato, che gli era spuntata sul volto e che ancora adesso non se ne andava. Di tanto in tanto lo osservavo di sottecchi, e mi stupivo: quasi non riconoscevo più il cane rabbioso che mi aveva dato così tanto da penare in quegli ultimi giorni. A tratti si guardava attorno, con aria ansiosa, e sudava copiosamente anche se non aveva mosso un muscolo. I suoi sogni l'avevano traumatizzato a tal punto? Dopo tutta l'ansia che lui e i suoi discorsi mi avevano messo addosso, non potei fare a meno di provare più di una punta di bieca soddisfazione: tuttavia, continuai a domandarmi che cosa mai potesse avere sognato, che l'avesse spaventato così tanto.
E poi c'ero io. Io che, esclusa l'ansia del momento e la preoccupazione per Elizabeth, non avrei saputo descrivere come mi sentissi veramente. Mi sentivo fredda, lucida come la lama di una sciabola appena ripulita. Ed ero forse più calma di quanto non fossi mai stata di recente, con i miei proverbiali e repentini sbalzi di umore. La cosa più strana era vedere, dopo il Sogno, i miei amici -e Furey- turbati, mentre io ero così tranquilla. Che cosa ci era successo veramente?
Smisi di osservare gli altri e tornai ad ascoltare Jack: lui, prevedibilmente, non sembrava essere stato turbato in nessun modo dagli effetti della pozione, e aveva recuperato in fretta la sua parlantina. Forse era dovuto al fatto che avesse già bevuto la pozione una volta... o forse semplicemente solo lui sapeva come diavolo funzionassero le cose dentro la sua testa.
- Il problema è questo. - annunciò il capitano. - Anzi, più di un problema, oserei dire. Il primo problema, comprendete, è che siamo in ritardo. Spaventosamente. Sono sicuro che Rackham e Barbanera a quest'ora si trovano già alla fonda nella baia, e se pensano che abbiamo deciso di svignarcela via senza onorare il patto temo proprio che sia il nostro piano che l'alleanza andranno a farsi benedire... senza contare che Teach sarà ben contento di farmi la pelle due volte, se solo penserà che lo abbia scaricato di nuovo. -
- Che novità. - rise Will, senza un accenno di allegria.
Jack fece finta di non sentirlo. - Poi c'è il secondo problema, ovvero la... commissione che devo sbrigare per Praho. Devo andarci subito, e non so ancora quanto tempo ci metterò. Spero non molto. Ma noi non possiamo permetterci di fare aspettare oltre i nostri comuni amici: per questo penso che Laura... - si fermò accanto a me e mi appoggiò una mano sulla spalla mentre parlava. - ...dovrebbe portare a termine la spedizione con voi. C'è un passaggio attraverso la montagna non lontano da qui, che dovrebbe condurvi rapidamente fino alla baia: era quello che stavo cercando ieri sera. Dovrete chiedere a Praho che ve lo indichi, poi procederete attraverso la montagna fino alla baia, dove incontrerete Rackham e Barbanera... spero vorranno scusarci il ritardo. Una volta che li avrete raggiunti, dovrete chiedere loro di dare una mano alla nostra ciurma rimasta da sola a giocare a nascondino con gli inglesi. -
- Il piano non prevedeva che tendessimo un'imboscata alle tre navi dentro la baia?- replicò Ettore in tono secco, incrociando le braccia sul petto.
- Be', non pretenderai che combattiamo prima di avere recuperato la Perla, no?- replicò Jack in tono ovvio, sgranando gli occhi. - Direi che avere la mia nave è un particolare abbastanza fondamentale per essere di qualche aiuto ai nostri due capitani... -
- Non avrò problemi con Rackham, ma di Barbanera cosa mi dici? Non penso proprio che mi darà retta, se mi presento senza di te. - replicai: ricordavo come Barbanera mi aveva parlato durante il nostro primo incontro, e decisamente mi era bastato per farmi un'idea di come avrebbe reagito se avesse dovuto ascoltare gli ordini di una donna.
Jack fece un gesto vago con le mani. - Oh, sono sicuro che saprai cavartela. Non è mai stato un vero problema per te, no?-
- Jack, Barbanera non mi ha mai vista per davvero!- scattai. - L'unica volta che l'ho visto di persona mi ha creduta un mozzo. Non sa che hai delle donne a bordo, e men che meno sa che se ne ritroverà una come capitano alleato!-
- Be', tesoro, confido che Rackham sarà felice di darti una mano, se incontrerai qualche difficoltà. -
Prima che potessi protestare, saltò su Will. - Io non posso andarmene, Jack. Non posso lasciare Elizabeth qui. -
- Ottimo: vieni con me allora. - lo zittì il capitano con sorprendente prontezza. - Non ci allontaneremo molto, e saremo di ritorno da Elizabeth molto presto... in tempo per trovarla sveglia, vorrei sperare. -
- Ma... - fece per ribattere Will, ma Jack era già passato ad altro, lanciatissimo. - Faith, pensi che potreste portare David con voi? Potrebbe occuparsi Mickey di lui... non appena si farà sparire dalla faccia quell'espressione da triglia. E' vero che sarebbe abbastanza al sicuro anche se lo lasciaste qui al villaggio, ma sarà un pensiero in meno... Sì? Splendido. Ettore, Furey, fate il favore e andate a chiedere a Praho qualche provvista per voi e un po' di munizioni per le pistole; mi sa che siamo rimasti un po' a secco. E poi mi serve che qualcuno chieda ai cacciatori del villaggio qualcuna delle loro cime da arrampicata... Will, lo fai tu? Grazie. Tu invece, vieni con me un minuto. - mi fece cenno con l'indice di seguirlo, poi sparì rapido come un fulmine oltre la porta, lasciandoci tutti quanti sbigottiti e senza parole. Scambiai un'occhiata attonita con Faith, che come me ci stava capendo sempre meno, quindi mi strinsi nelle spalle e mi affrettai a seguire Jack fuori dalla tenda.
Lui mi aspettava, appoggiato alla parete di bambù, con un'aria meditabonda che si trasformò in un sorriso quando mi vide avvicinarmi. - Che stai facendo?- domandai, sospirando.
- Sto salvando la situazione, naturalmente... come al solito. Mi domando che cosa fareste senza di me. - rispose, accentuando il suo sorrisetto dal dente d'oro.
- Parlo seriamente, per favore... - ci interrompemmo un attimo quando Ettore, Will e Furey uscirono in silenzio e con le facce scure dalla tenda, probabilmente andando a svolgere i compiti che Jack gli aveva affidato. Nella tenda doveva essere rimasta solo Faith, insieme ad Elizabeth, a Michael e al bambino. Una volta che si furono allontanati, ripresi: - Più avanti guardo, più vedo le cose precipitare. Va bene, tu vai a parlare con questo Ogro... chiunque diavolo sia... e sistemi la situazione, noi raggiungiamo Rackham e Barbanera e, se per grazia divina riusciamo a convincerli ad aiutarci, recuperiamo la Perla e la ciurma... e dopo? Ci sono tre navi della marina da affrontare, non una... tre! E io ancora non posso credere che tu abbia voluto trascinarci in questo macello. - il sorriso era lentamente sparito dal suo volto, e adesso ci stavamo fissando dritti negli occhi. - Ci hai pensato, Jack? Hai pensato che potremmo non uscirne vivi? E per cosa? Per salvare il culo a Rackham? A Teach?-
Jack abbassò lo sguardo, tamburellando per qualche momento contro la parete di bambù, quindi tornò a guardarmi con aria molto seria. - Ci ho pensato, tesoro. E lo sai che, fosse dipeso da me, non ci saremmo mai andati ad impegolare in questa brutta faccenda... chissà perché, la gente con cui ho dei conti in sospeso sa essere sempre molto persuasiva... specie se si tratta di gente come Teach, comprendi?- ci sfuggì una piccola risata. - Allora è questo che faremo: li aiuteremo a disfarsi dei loro accompagnatori. Ma non li affronteremo per loro. -
Inarcai un sopracciglio, sorpresa. - No? Cosa intendi fare, allora?-
- Quello che abbiamo concordato: li aiutiamo se loro aiutano noi. - sussurrò lui, sogghignando di nuovo. - E noi abbiamo decisamente bisogno di aiuto al momento, non trovi? Perciò, loro ci aiuteranno a togliere di mezzo i nostri inglesi, e noi in cambio mostreremo loro il modo di disfarsi dei loro nemici. Il tutto senza eccessivi né inutili spargimenti di sangue. Del nostro sangue, intendo. -
- Ma che... maledetto, tu hai già un piano!- esclamai. - Da quant'è che ci stai pensando? Anzi, che cosa hai intenzione di fare? Ma soprattutto, credi davvero che Barbanera e Rackham staranno ad un accordo del genere...?!-
- Con calma!- mi fermò lui, premendomi l'indice contro le labbra. Mi ritrassi e scostai la sua mano con una certa stizza, ma lui si limitò a ridacchiare fra sé. - A dire la verità, fin da quando siamo stati trascinati in questa storia non ho fatto che pensare ad un modo per svignarcela... elegantemente, certo. L'idea mi è venuta ieri sera, quando Praho mi ha raccontato che Ogro ha rubato le riserve di polvere da sparo del villaggio e ha preparato delle micce con l'esplosivo... sto ancora limando i dettagli, ma l'idea che mi ha dato non mi dispiace per niente. Io e quel tipo abbiamo un modo molto simile di pensare. -
- A proposito... si può finalmente sapere chi è questo Ogro?-
Jack annuì, quindi si lasciò scivolare con la schiena contro la parete della tenda, sedendosi per terra. Appena mi fui seduta accanto a lui, riprese: - Devi sapere che sono stato qui molti anni fa, quando ero da poco capitano della Perla. Ero sbarcato qui con la mia ciurma, e c'erano stati alcuni problemi con la gente di Praho: non è mai stato un porto molto conosciuto, questo, e allora gli indigeni qui erano molto meno ospitali. -
- Accidenti, allora chissà come dovevano essere!- scherzai, accennando col capo alla tenda di Praho.
- Già... - Jack ridacchiò fra sé. - Bene, la nostra presenza non piacque neanche un po' alla gente di Khael Roa, e gli piacque ancor meno quando alcuni di loro contrassero il tifo. Avevamo alcuni malati a bordo, e dovevamo assolutamente sbarcare da qualche parte, per poterli curare in pace senza il rischio di contagiare tutta la ciurma: ricoverammo i malati in una piccola tenda ospedale sulla spiaggia, ma alcuni indigeni che ogni giorno venivano a contrattare con noi per cibo e acqua, forse per caso, forse avvicinandosi troppo ai malati, si ammalarono di tifo. Fu un disastro, naturalmente: la gente di Khael Roa sa curarsi da molte malattie, ma quella non la conoscevano. Si scatenò un'epidemia, e ovviamente quell'incidente segnò la fine di ogni speranza di contrattazione amichevole. -
- Posso immaginare. - al solo pensiero mi venivano i brividi: fino ad allora tutti noi eravamo stati molto fortunati; i controlli periodici di Faith, i rifornimenti di cibo e la costante manutenzione della nave, erano serviti a tenere alla larga le malattie più gravi. Tuttavia, la minaccia di un'epidemia era quanto di più terribile potesse accadere a bordo di una nave, ed ero felice di avere sempre scongiurato quel rischio.
- Effettivamente cercai di tornare a parlamentare... ma, per tutta risposta, Praho e i suoi cacciatori mi inseguirono con le armi spianate. Fu così che, scappando, andai a rifugiarmi in un posto dove nemmeno loro osarono seguirmi... ora capirai perché non ho mai trovato nulla di disonorevole nello scappare: si imparano sempre un sacco di cose. Mi rifugiai nelle gallerie sotterranee dell'isola, e vedendo che nessuno mi inseguiva cominciai a sospettare che là sotto dovesse esserci qualcosa che loro temevano. -
- ...E c'era?-
- C'era eccome!- Jack si sistemò il cappello, giusto per tenermi sulle spine ancora un attimo. - Una creatura solitaria e inquietante, un mostro spaventoso che gli isolani chiamavano Ogro... Convengo che, in effetti, fosse piuttosto disgustoso a vedersi, però non era un mostro. Era un uomo del villaggio: all'epoca non avrà avuto neanche trent'anni, ma era un colosso notevole... il povero diavolo semplicemente ha avuto la sfortuna di nascere deforme, e ti assicuro, è molto deforme. Mi sono fatto raccontare in seguito la sua storia: sua madre morì dandolo alla luce, perché era molto grosso anche appena nato. La gente del villaggio decise di crescerlo lo stesso, ma cambiò idea in fretta quando tutti videro che cosa diventava man mano che cresceva... mi spiace dirlo, ma non mi meraviglio che si siano spaventati: la sua è una delle facce peggiori che abbia mai visto, e ti giuro che ne ho viste di facce brutte. Insomma, lo hanno cacciato via che era appena adolescente, e per anni lui è sopravvissuto da solo dentro le gallerie dell'isola, diventando un vero maestro nell'arte della sopravvivenza, ma facendosi anche un gran brutto carattere. Credo che abbia ammazzato più di un isolano capitato per caso nelle gallerie, ogni volta che si presentava l'occasione. -
- E tu l'hai incontrato?! Cosa diavolo è successo?- la piega che stava prendendo il racconto non aiutava per niente a liberarmi dai brividi.
Jack si strinse nelle spalle. - Oh, gli ho solo dimostrato un po' di gentilezza. - abbassai lo sguardo e lo vidi dare un colpetto alla fiasca legata alla cintura. - Il vecchio Ogro non aveva mai assaggiato un po' di buon rum, e io sono stato così fortunato da trovarmi la fiasca sottomano e da farmi venire l'idea di lanciargliela... diavolo, ha scoperto che l'alcol gli piace un sacco. Così sono riuscito a calmargli i bollenti spiriti, e perfino a parlare un po' con lui, per quello che poteva... è stato decisamente interessante. Quando Praho e la sua gente mi videro tornare in circolazione, quasi non credevano ai loro occhi... è stato proprio lui a venire da me, dopo, perché voleva sapere come fossi sfuggito ad Ogro, e cosa mi avesse detto. Così ci siamo riappacificati, io e Praho. Poi, di certo ha aiutato il fatto che gli ho offerto l'aiuto del nostro medico di bordo per la sua gente, se in cambio lui ci avesse lasciato fare il carico di provviste e andarcene senza ammazzarci. E' stato uno scambio vantaggioso per tutti. -
- E Ogro... è ancora lì?-
- Per quanto ne so, sì. Anzi, sembra che ora si stia divertendo ad organizzare strani scherzi a Praho con il suo esplosivo... -
- Insomma, tu devi andare da lui e persuaderlo gentilmente a non fare cose stupide. - sospirai, alzando gli occhi al cielo. - Buffo che Praho ti ritenga la persona più indicata per fare una cosa del genere. Che cosa ti disse Ogro, quella volta?-
Jack fece un cenno vago con la mano. - Non molto. Aveva un vocabolario limitato e continuava a cacciarsi in bocca la fiasca per bere. Ma mi ha raccontato un po' la sua storia... per quel che poteva saperne, poveraccio. E' un tipo in gamba, tutto sommato. -
- E ora devi andare a stanarlo. -
- Sì, diavolo... -
Senza aggiungere altro, ce ne restammo lì ancora per un po', a guardare la gente che passava per le strade del villaggio e che ci osservava di rimando, e a pensare... a pensare ad Elizabeth che giaceva ancora priva di sensi nella tenda, a Rackham e Barbanera che ci aspettavano, alla ciurma bloccata sulla spiaggia e assediata dagli inglesi. Senza guardarlo, allungai la mano verso Jack, e trovai la sua: ce le stringemmo in silenzio, senza guardarci negli occhi, e per un po' mi divertii nel sentire le sue dita giocherellare con le mie.
- Io e gli altri dovremo andare, immagino. - dissi ad un certo punto.
- Hm mh. - Jack annuì, ma non si decise a lasciare la mia mano. Mi voltai verso di lui, avvicinandomi un poco. - Dove ci rivediamo?-
Ci pensò un attimo, prima di rispondere: - Alla spiaggia, direi. In verità spero di tornare in tempo per liberarci dagli inglesi insieme a Rackham e Teach ma, nel caso facessi tardi, tu e gli altri aspettatemi lì. E non affondate la nave. -
- ...Cosa?-
- La nave degli inglesi. Non affondatela, per favore, ci sarà molto utile quando arriveranno le altre due... che, per la cronaca, sono sicuro che siano state rallentate dal temporale e che tarderanno molto più di noi. Seguivano una rotta diversa, quella fatta da Rackham e Teach, e secondo i miei calcoli il vento deve avere spinto la tempesta dritta verso di loro, l'ultima notte. Avremo tutto il tempo. -
- Se lo dici tu... io non ti sto dietro. - feci per alzarmi, ma Jack ancora non mi lasciò andare, anzi, con un piccolo strattone mi fece tornare accanto a lui.
- Te ne vai senza salutarmi?- mi fece in tono flautato, appoggiando la testa sulla mia spalla.
- Perché, che vorresti?- lo stuzzicai, afferrandogli le treccine della barba: sapevo che non sopportava quando lo facevo... cosa che lo rendeva ancora più gratificante.
- Dolcezza, fino ad ora ho finto di non ricordare che Praho ci aveva interrotti in un momento particolare... -
- Ti aveva interrotto, maniaco. E non ci sperare, non è il momento adatto, per non parlare del posto... - mi girai e gli avvolsi le braccia attorno alle spalle, attirandolo a me per baciarlo. La sua mano mi scivolò dietro il collo e restammo così per qualche momento, prima che le nostre labbra si separassero di nuovo.
- Ora devo andare davvero. - sussurrai, dandogli un altro rapido bacio, stavolta sulla guancia, per poi alzarmi. - Non tardate troppo, tu e Will: conto di vedervi tornare sani e salvi. -
- Sicuro. - lui mi sorrise e mi fece un cenno di saluto, ancora seduto per terra. - Sono tutti tuoi, piccola. Questa faccenda sarà una gran bella prova per te. -
Forse voleva scherzare, ma calcò fin troppo il tono sulla parola “prova” per non farmi sospettare qualcosa.





Note dell'autrice: Ok, sono in ritardo. In schifoso ritardo. In ripugnate pigrizia, nullafacenza e accidia, e perdere tempo a guardare tutte le stagioni di Queer As Folk non aiuta di certo. Insomma, purtroppo continua ad essere un periodo morto, e diventa difficli anche scrivere in questi casi: tuttavia credo di avere finalmente superato il blocco, infatti questo capitolo in verità era pronto già da un po', ma mi sono presa un altro po' di tempo per rivederlo come si deve. La fretta è cattiva consigliera.
Ecco a voi il nuovo capitolo, spero che le mie lettrici tornino presto ad avventarcisi sopra come squali per smembrarlo a dovere.
Colgo l'occasione per ringraziarvi ancora tutte: Summerbest, felicissima di ritrovarti, Fannysparrow, immancabile, spero che questo capitolo ti aiuti a chiarire un po' le idee... E ora, scusate la parentesi, ma vorrei dedicare più di un semplice ringraziamento a DarkStar.
Perché? Perché intanto mi ha commossa il fatto che abbia voluto leggersi tutte e due le storie già pubblicate, e abbia avuto la tenacia di continuare fino a qui, per lasciare una recensione non solo alla storia, ma a tutta la saga. E poi per un'altra cosa. Perché la recensione che mi hai lasciato... be', sappi che uno scrittore scrive esattamente per questo. Per qualcosa come la recensione che mi hai lasciato tu.
Grazie.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ogro ***


Capitolo 10
Ogro


- Will!-
Il viso del giovane divenne improvvisamente l'unica cosa chiara e reale in mezzo al mare di nebbia nel quale si trovava immersa. Elizabeth corse verso di lui, incespicando su di un terreno che non riusciva a vedere, ma che era molle e cedevole sotto i suoi piedi, e la rallentava. I veli vaporosi del suo abito da sposa le svolazzavano attorno. Come mai indossava ancora quel vestito?
William rimase fermo davanti a lei, il viso cupo e gli occhi bassi, limitandosi a scoccarle solo un breve sguardo. Col cuore in gola, Elizabeth sentì improvvisamente un brivido di paura. Perché la guardava così? Lei si era sentita così sollevata nel vederlo... Non ricordava più dove si trovasse, né cosa fosse accaduto prima: i suoi ricordi erano solo una massa confusa. Non sapeva come fosse arrivata lì, peggio ancora, la sua mente non si preoccupava nemmeno di porsi quella domanda. Vedere Will apparire in mezzo a quel nulla era quanto di meglio avrebbe mai potuto sperare, eppure...
- Will?- ripeté, esitante, quando fu arrivata davanti a lui. Continuava a rifiutarsi di guardarla in faccia. - C'è qualcosa che non va? Guardami, dannazione! Che cosa c'è?-
Finalmente William si degnò di guardarlo, e di colpo lei desiderò che non l'avesse fatto. La fissava con l'espressione peggiore che avesse mai visto sulla sua faccia; un'espressione ferita, delusa, furibonda. I suoi occhi sembravano bruciare, e attraversarla da parte a parte con uno sguardo accusatore. Una volta sola lo aveva visto inchiodarla con uno sguardo simile, ma infinitamente meno peggiore: era stato a bordo della Perla Nera, di ritorno dal viaggio ai confini del mondo.
- Che cosa c'è?!- quasi urlò, spalancando le braccia.
- Che altro devo fare?- replicò Will, in tono tagliente. - Decidi tutto tu, non è vero? Lo hai detto una volta: fai le tue scelte da sola. Lo hai sempre fatto. E io, naturalmente, non sono previsto. - il giovane storse le labbra, in un'espressione perfettamente in bilico fra la sofferenza e la rabbia. - Se voglio restare con te, devo soltanto sottostare alle vostre decisioni, non è così, Re dei Pirati?-
- Non è vero, ti sbagli... ma che cosa stai dicendo?- protestò Elizabeth, senza parole. Quello non era Will. Non poteva essere lui, e non potevano essere davvero sue le parole che stavano uscendo da quella bocca.
Ma, sfortunatamente, quegli occhi, quello sguardo perso, confuso e ferito... quello era davvero suo. Glielo aveva visto proprio negli ultimi giorni che avevano passato insieme a bordo della Perla.
- E' così che tu vuoi che sia. - insistette Will, stringendo i pugni in uno spasmo rabbioso. - Tu vuoi essere un pirata, tu vuoi vivere così, e io dovrò seguirti. Come ho sempre fatto, ogni volta, ogni giorno. Sempre a correre dietro a te, per paura di perderti. Mi hai fatto anche cavare il cuore, e mi hai spedito per tre anni ai confini del mondo. Che altro devo fare per te, ancora? Che altro?!-
- Will, no!- gridò, protendendo le braccia verso di lui, ma in quel momento vide una striscia rosso sangue disegnarsi sul bavero della sua camicia e cominciare ad intridere la stoffa, lentamente. Elizabeth raggelò, come ipnotizzata. William seguì la direzione del suo sguardo e si fissò il petto, dove una lunga striscia di sangue gli attraversava il petto a sinistra dello sterno, inzuppando i suoi abiti.
- Vuoi che lo consegni a te, di nuovo?- sussurrò, gelido. - D'accordo. -
Con due dita scostò la camicia zuppa di sangue, lasciando scoperto il petto dove si era spalancata un'orrenda ferita, profonda fino all'osso. Avvicinò l'altra mano, come se fosse pronto ad affondarsela dentro il petto. Elizabeth gridò di orrore e colpì furiosamente il braccio di Will perché si fermasse. - Oddio, no! Non farlo, non ti azzardare, non farlo!-
La sua spinta furiosa fece vacillare bruscamente Will, e per un attimo sperò di essere riuscita a risparmiarsi l'orribile spettacolo. L'istante dopo però sentì la terra sotto i suoi piedi trasformarsi in acqua, e vi scivolò dentro con un tonfo sordo.
Riemerse boccheggiando, con braccia e gambe che annaspavano imprigionate negli strati di stoffa. Sputò una sorsata di acqua salata e gelida, lottando per tenersi in superficie: aveva già rischiato di annegare in quel modo una volta, tanti anni prima. Però sapeva che, stavolta, nessun pirata curiosamente propenso alle buone azioni sarebbe venuto a salvarla.
- Non devi fare niente, Will!- gridò, con la voce roca per l'acqua inghiottita. - Mi senti? Non devi fare nient'altro! E' colpa mia, Will! E' colpa mia!-
Un'onda la colse a tradimento, spruzzandola in piena faccia, ed Elizabeth andò giù trascinata dal peso del vestito.

*

Avevamo lasciato il villaggio solo mezz'ora prima, e già il piano concordato con Jack mi sembrava una follia.
Anche ammettendo che i due capitani si fossero attenuti al patto e fossero ancora nella baia ad aspettarci, come avrei potuto convincerli a cambiare gli accordi e venire ad aiutarci? Le probabilità che ignorassero la mia richiesta e considerassero rotto il patto erano altissime. Certo, probabilmente Rackham sarebbe stato restio a negarci l'aiuto e perdere così la protezione di entrambi i suoi alleati appena acquistati, ma non avevo idea di come avrei potuto convincere Barbanera.
Il tutto, certo, a patto di trovare l'ingresso di quella dannata galleria, che ancora non si decideva a spuntare fuori.
- Ancora una volta, per favore. - mi scongiurò Faith, che stava visibilmente perdendo la pazienza. - Che cosa ti ha detto Praho, esattamente?-
- Quello che ti sto ripetendo da mezz'ora! Risalire per il sentiero che costeggia la montagna, tenersi sulla sinistra e seguire il blocco di rocce rossastre finché non si vede la crepa che le attraversa. - replicai, seccata. Faith camminava al mio fianco, e alzando gli occhi al cielo allungò il suo machete per scostare i rami pungenti degli arbusti che crescevano abbarbicati alla parete di rocce che si innalzava alla nostra sinistra.
- Hai voglia a trovare una fenditura, qua in mezzo... -
- Infatti, ci ha detto di controllare attentamente in mezzo agli arbusti, perché il passaggio è in parte nascosto dai rami. -
- Oh, splendido. Non poteva essere più chiaro di così... -
Alle nostre spalle, Ettore emise un grugnito esasperato. - Volete smetterla, per favore? Tornare a vagare alla cieca per questa giungla è già abbastanza irritante!- protestò. Io e la mia amica ci scambiammo un'occhiata colpevole, quindi io sogghignai e mi rivolsi ad Ettore con aria innocente.
- Insomma, ora che Jack non c'è, dovrò pure trovare qualcun altro con cui battibeccare, no?- a tradimento finsi di voler punzecchiare Faith con il machete, e lei si difese colpendo il mio, ridacchiando.
Ettore bofonchiò qualcosa di simile a: - Donne... - ma lo vidi nascondere l'ombra di un sorriso mentre continuava a camminare lungo il ripido sentierino battuto. Furey e Michael camminavano appena dietro di lui, il primo in assoluto silenzio, l'altro trasportando David sulle spalle, e ancora con la stessa espressione inebetita stampata sulla faccia.
Il comportamento di Michael cominciava a preoccuparmi, e ne ebbi una prova ulteriore quando lo vidi fermarsi improvvisamente sul ciglio del sentiero, ciondolando lentamente come un ubriaco e puntando lo sguardo trasognato sulla giungla che si stendeva sotto di noi.
- Michael!- lo richiamai. - Vedi di darti una svegliata. Sei ancora tra noi?-
Il ragazzino mi rivolse di sfuggita uno stupido sorriso, poi tornò a guardare il paesaggio per poi spalancare le braccia e dichiarare fieramente: - Sono sul tetto del mondo!-
- E stai facendo cadere il bambino!- sbottò Ettore, andando svelto ad acchiappare David dalle sue spalle prima che lo facesse cadere. Mentre si sistemava in braccio il bimbo piagnucolante, scrutò Michael con aria corrucciata. - Che diavolo ti succede, Mickey?-
- La sbobba di quella strega gli ha fritto il cervello, ve lo dico io. - borbottò Furey in tono cupo.
- Ha solo bisogno di un po' di tempo per riprendersi. - replicai. Raggiunsi Michael e lo presi per la collottola, allontanandolo a forza dal ciglio del sentiero: a quel gesto, lui mi guardò sconcertato, come se gli avessi fatto un terribile affronto.
- Mickey, ci sei o no?- aggiunsi a voce più alta, guardandolo in faccia e scrollandolo. - Ti devi riprendere, d'accordo? Continua così e non sopravviverai mai alla tua prima sbronza. -
Il ragazzo sbuffò e mi fissò con aria sprezzante. - Non darmi ordini, Laura. Sono il tuo capitano. -
- Sì, ti piacerebbe. Adesso, vostra maestà, fatemi il favore di camminare e di non fare più storie, chiaro?-
Michael si liberò dalla mia stretta con un verso lamentoso. - Ordini, ordini, ordini, siete buoni solo a fare questo!- protestò, facendo ciondolare la testa. - Ma un giorno o l'altro ve la faccio vedere... ve la faccio vedere io, ecco!-
- Certo. Adesso però cammina, d'accordo?-
Lui incrociò le braccia, sbuffando. - Devo fare pipì. -
- Ficcati in mezzo ai cespugli. - sospirò Faith. - Così magari riesci a trovarla tu, quella benedetta fenditura. -
Michael si allontanò da noi borbottando tra sé, pieno di stizza, quindi cominciò a farsi largo fra i cespugli fitti che nascondevano la parete rocciosa. Pochi secondi dopo era scomparso del tutto alla nostra vista, ma continuammo a sentire lo scricchiolio secco dei rami spezzati: ci stava decisamente mettendo un bel po' di foga, forse liberando tutta quella frustrazione che sembrava avere accumulato dopo il suo strano risveglio...
Ad un certo punto sentimmo uno schiocco più sonoro degli altri, e un'esclamazione di sorpresa. Seguì un tonfo, come di un corpo che rotolasse.
- Mickey!- gridò Faith, precipitandosi come una furia verso il punto dove suo fratello era scomparso.
Tutti insieme levammo di mezzo gli arbusti che ci bloccavano il passaggio, e... ci ritrovammo a guardare una profonda rientranza nella parete di roccia, nella quale si apriva una larga spaccatura che affondava in basso, nell'oscurità.
- Non ci credo... - mormorò la mia amica, incerta se stupirsi o ridere.
- Ehi! Tiratemi fuori!- gridò la voce di Michael dal fondo della spaccatura.
- Resta lì, Mickey! Ti raggiungiamo noi. - Ettore si fece avanti e, pur avendo le braccia occupate a sorreggere David, si calò agilmente dentro la fenditura. Io, Faith e Furey lo seguimmo uno dopo l'altro, scivolando attraverso lo stretto passaggio fra le rocce: il primo passo lo feci nel vuoto, tenendomi stretta alla bocca della spaccatura, ma fui sollevata di sentire, poco più in basso, il terreno sotto i piedi.
Ci trovavamo all'ingresso di un condotto sotterraneo che proseguiva in piano, allargandosi fino a raggiungere un'ampiezza di tre metri scarsi. Da dove ci trovavamo noi, un po' di luce filtrava dall'apertura nella roccia, mentre il resto era immerso nell'oscurità.
Michael era seduto per terra, si massaggiava il didietro e si guardava attorno sbigottito. - Che accidenti è successo?!- esclamò, in tono molto più vispo di prima: anche i suoi occhi sbarrati ora mi sembravano decisamente meno imbambolati. Ettore ridacchiò gentilmente e lo aiutò a rimettersi in piedi: - Direi che sei caduto dritto dentro il passaggio che stavamo cercando, marmocchio. -
- Non adesso... prima!- ribatté, confuso.
- Niente di che... deliravi. Felice di vedere che sei tornato in te, comunque. - risposi, mentre appoggiavo a terra l'involto che trasportavo sulle spalle e cominciavo a svolgerlo. I guerrieri di Praho ci avevano fornito tutto quello che ci sarebbe servito per attraversare la galleria: due grosse torce, con la cima già fasciata e imbevuta di liquido infiammabile. Facendomi aiutare da Faith -che reggeva l'altra- le accesi usando la scintilla del caricatore della mia pistola, e in pochi minuti la luce guizzante del fuoco illuminò la piccola caverna. Il cunicolo che dovevamo attraversare non era in discesa, ma proseguiva in piano davanti a noi fino a perdersi nel buio. Non avevo idea di quanto avremmo dovuto camminare sotto terra.
- E' questo, quindi. - azzardò Faith, indovinando i miei pensieri.
- Siamo pirati, non talpe!- replicò Ettore, con un tono che voleva essere scherzoso, anche se lessi chiaramente la preoccupazione nel suo sguardo quando guardò il tunnel.
- Lo so. Ma è la via più breve e più diretta, e noi non possiamo permetterci di perdere altro tempo. - precedetti gli altri, con la torcia sollevata davanti a me, facendo di tutto per sembrare molto più determinata di quanto fossi in realtà. La luce guizzante del fuoco proiettò strane ombre sulla volta di roccia frastagliata: il cunicolo buio mi sembrava diventare ad ogni secondo molto più grande o molto più piccolo. Cominciai ad avvertire i primi segni di claustrofobia non appena voltai le spalle alla luce dell'apertura.
“Non è che un'illusione.” mi dissi mentre mi incamminavo, e gli altri in fila dietro di me. “Il buio, le ombre, la claustrofobia... solo illusioni. La montagna non sceglierà proprio questo momento per decidere di crollarci sulla testa. E c'è aria e spazio a sufficienza. Si respira molto peggio nelle sentine!”
Contrariamente a quanto avevo immaginato, riuscii perfino a sorridere fra me mentre proseguivo dentro la piccola galleria.

*

Il caldo era tornato a farsi sentire, e ad ogni passo William non faceva che sentire rami, foglie e liane che gli si impigliavano nei vestiti, lo facevano inciampare, sembravano volerlo tirare in dieci direzione diverse tutti in una volta. L'enorme fascio arrotolato di corda e strane bande di cuoio che Jack aveva preso dai guerrieri indigeni gli pesava sulle spalle.
Per ogni ramo molesto che abbatteva col machete, un altro sembrava venire a punzecchiarlo per ripicca.
Il tutto, naturalmente, non faceva che peggiore il suo umore... e lui era di pessimo umore.
- E' un dannato incubo, ecco che cos'è!- esplose alla fine, faticando a tenere il passo di Jack che lo precedeva nella boscaglia. - La verità è che mi sono svegliato da quella specie di sogno drogato per piombare in un incubo ancora peggiore. Il brutto è che tutto questo è dannatamente reale. -
- Benvenuto nel mio mondo!- gli rispose Jack in tono del tutto rilassato, abbattendo un altro arbusto per poi fermarsi a guardare qualcosa davanti a sé. - Guarda, siamo arrivati. -
Will tirò un silenzioso sospiro di sollievo e si affrettò a raggiungere il pirata: quando fu al suo fianco e guardò in avanti, però, ebbe un sussulto e poco ci mancò che arretrasse di scatto, preso da un improvviso attacco di vertigini.
La foresta si interrompeva bruscamente come se qualcuno avesse tagliato via una fetta di isola con un gigantesco coltello, e davanti a loro uno strapiombo di roccia precipitava in basso, verso il mare. Erano talmente in alto che gli scogli che affioravano dall'acqua non sembravano che sassolini grigiastri in un mare di spuma.
- Accidenti. - riuscì a dire dopo qualche attimo. - E' qui che eravamo diretti?-
- Esattamente. Ora dammi una mano, credo che preparare questi affari sarà una cosa laboriosa... - Jack buttò a terra l'involto di corde che si portava sulle spalle, e fece cenno a Will di fare altrettanto. Mentre cominciavano a trafficare, Will iniziò a farsi un'idea di come dovessero funzionare le varie parti: cinghie di cuoio lavorato, adatte a stringersi attorno al petto e sotto le braccia. Ganci di metallo che assicuravano le cinghie alle funi. Metri e metri di corda. Man mano che preparava l'attrezzatura, si accorse che gli tremavano le mani: quando Jack gli aveva parlato di “scalare la scogliera” non aveva ben visualizzato il pensiero di quella falesia verticale a picco sul mare, con fior di scogli appuntiti pronti ad attenere chiunque avesse avuto la sfortuna di cadere.
- Ripetimi perché dobbiamo farlo. - disse, mentre faceva scattare uno dei ganci.
- Perché la galleria dove ho trovato Ogro per la prima volta sbocca proprio ai piedi della falesia, su una striscia di roccia nascosta dietro gli scogli. - spiegò Jack pazientemente, ancora impegnato a sbrogliare l'intrico delle funi.
- E perché non ci arriviamo come ci sei arrivato tu l'ultima volta?-
- Perché l'ultima volta ci sono arrivato dalla spiaggia, giovane Turner. E noi ci metteremmo tutto il giorno, a scendere fino alla spiaggia. Così invece è molto più rapido e semplice, comprendi?-
- Riguardo al “semplice” non sono affatto d'accordo... oh, dai qua. - alzò gli occhi al cielo e tolse di mano a Jack le funi, vedendo che il capitano non stava facendo altro se non ingarbugliarle ancora di più. - Non cominciamo per niente bene: non sei tu quello che aveva già provato una volta queste cose?-
- Certo che le ho già provate. - replicò Jack, piccato.
Will sciolse il nodo e gli scoccò un'occhiata eloquente.
- ...Su una piccola parete di roccia. - aggiunse il capitano.
Will alzò un sopracciglio.
- ...Di tre metri. -
- Magnifico... - gemette il giovane, gettandogli in grembo l'involto di corde. Jack lo guardò in silenzio per qualche attimo, poi si alzò bruscamente in piedi e gli si piantò di fronte.
- Senti un po'... non ti avrei portato con me, se non fossi stato sicuro che potevi farcela. Sei quello che una cosa del genere l'ha fatta dentro una palla di ossa, se ben ricordo... e senza nessuna imbracatura, mi pare. Quindi non venire a dirmi che proprio tu hai paura. Devo essere io a ricordarti tutto quello che abbiamo passato? E poi... - le sue labbra accennarono ad un sogghigno. - ...entrambi siamo già morti una volta, quindi che vuoi che ci succeda?-
Questo riuscì a strappargli una mezza risata. - Non “tecnicamente”. - ribatté. - E, soprattutto, non in maniera definitiva... per fortuna. -
Jack annuì, poi si chinò a raccogliere i capi di entrambi le funi e cominciò a legarli strettamente attorno al tronco dell'albero più robusto che riuscì a trovare. Will cominciò a lavorare con l'imbracatura, infilando prima le braccia e poi trafficando per allacciare l'altro pezzo attorno alla vita. Senza volerlo gettò un'occhiata al baratro sotto di sé e rabbrividì: si stava davvero preparando a scendere giù per quella scogliera, a sangue freddo.
- Jack... - Will accennò col capo al precipizio. - Quanto possibilità abbiamo di farlo?-
Jack si voltò verso di lui storcendo le sopracciglia in un'espressione esageratamente stupita, lo squadrò brevemente da capo a piedi, poi tornò a tirare il capo della fune che stava legando, con un piede puntato contro il tronco dell'albero. - Be'... magari se io fossi completamente ubriaco, e ci trovassimo entrambi in mare aperto da un anno. - rispose, con una scrollata di spalle.
Will dimenticò completamente l'imbracatura e sollevò bruscamente il viso verso il capitano che, dopo quel che aveva detto, si stava strozzando nel tentativo di non ridere. - Che diavolo hai...? Stavo parlando del precipizio, e tu lo sai benissimo!-
- Oh. Ti sei espresso male. - Jack sghignazzava senza ritegno, e senza smettere di lavorare con le corde.
- Idiota. - brontolò Will, voltandogli le spalle. Dovette combattere la fortissima tentazione di tirargli in testa funi, imbracatura, ganci e tutto quanto. La capacità di Jack di essere in vena di scherzi anche in quel momento lo esasperava, ma soprattutto odiava venire messo in imbarazzo... e, a quanto pareva, Jack adorava metterlo in imbarazzo. Prendersi gioco di lui era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti.
Sentì un piccolo strattone alla propria fune, e si voltò di malavoglia. - Che vuoi?-
Jack gli fece un cenno con la mano, come a dirgli di lasciar correre. - Qua ho assicurato tutto, pervertito. E vedo che sei già pronto con l'imbracatura: vuoi aspettarmi o ti senti abbastanza temerario da cominciare a scendere da solo?-
Il giovane lanciò istintivamente un'altra occhiata giù dalla rupe, quindi diede qualche strattone alle cinghie e alle funi per assicurarsi che fosse tutto a posto. Una serie di anelli incastrati l'uno nell'altro gli avrebbe permesso di fare scorrere la corda, rallentando a suo piacimento. Fece un silenzioso respiro profondo, fingendosi molto più sicuro di quanto fosse in realtà. - Io vado. -
Il capitano sorrise, e fece un gesto come a dirgli di accomodarsi.
Stringendo le cime così forte da farsi sbiancare le nocche, e col cuore a mille, Will voltò le spalle al precipizio e si accovacciò sul bordo, gettando un capo della fune dietro di sé; poi... poi, reggendosi forte, fece il primo passo nel vuoto.
Il sistema delle funi era ingegnoso: una, quella assicurata alle cinghie che gli si allacciavano sul petto, era strettamente legata al tronco dell'albero, e l'avrebbe salvato in caso di caduta; la seconda era quella portante, ed era lui a liberarla poco a poco grazie alla tensione degli anelli intrecciati, tenendola in tensione perché lo sorreggesse e gli permettesse di calarsi giù un passo alla volta.
Will sibilò tra i denti, ricordandosi a malapena di respirare: per un attimo la paura lasciò il posto alla meraviglia e all'esaltazione di trovarsi letteralmente sospeso nel vuoto, coi piedi puntati contro la parete di roccia, e il vuoto sotto. Scendeva poco a poco, a piccoli passi che poco a poco si facevano sempre più lunghi e spediti. Arrivava anche a liberare più corda e lasciarsi scivolare per poche braccia, dondolando e saltellando in verticale invece di puntellarsi contro la parete.
- Funziona!- gridò, una volta che ebbe messo una buona distanza fra sé e la cima della scogliera. - Jack, funziona a meraviglia!-
La voce del capitano gli arrivò lontana: non riusciva a credere di essere riuscito a scendere tanto. - Perfetto. Fammi spazio che sto per arrivare!-
Will ridacchiò fra sé, pensando che, sì, dopotutto avrebbe perfino potuto cominciare a considerare la cosa divertente. Quando guardò di nuovo verso l'alto scorse Jack che a sua volta si buttava la cima dietro le spalle, facendola penzolare nel vuoto, per poi cominciare la sua discesa... solo che il pirata non fece assolutamente nulla per trattenere la caduta: si lasciò scivolare giù per la fune, con la corda di sicurezza che si srotolava dietro di lui, e passò di fianco a Will come un masso in caduta libera.
- Jack!- Will fece un gesto convulso come a cercare di afferrare la fune di Jack, ma proprio in quel momento il capitano arrestò bruscamente la sua folle discesa, trattenendo l'anello discensore e serrando i polpacci attorno alla fune. Poi guardò in su, sogghignando. In un attimo aveva già superato William di diversi piedi.
- Hai proprio ragione... funziona a meraviglia!- replicò, lasciandosi dondolare pigramente. - Vieni o hai intenzione di metterci tutto il giorno?-
Il sospiro di sollievo del giovane si trasformò in uno sbuffo stizzito. Senza porre tempo in mezzo, Will agguantò l'anello discensore e si lasciò scivolare altrettanto velocemente.
I due continuarono per un bel pezzo, facendo a gara lungo il profilo scosceso della scogliera, e fu una fortuna che le corde degli indigeni fossero veramente così resistenti come sembravano. Infine, quando ormai la corda cominciava a scarseggiare, si trovarono a penzolare pochi piedi sopra una sporgenza rocciosa che sbucava dalla parete come un largo piedistallo, per poi tuffarsi nel mare circa sei metri più sotto. Jack si lasciò scivolare più lentamente finché non poggiò i piedi sopra la sporgenza, quindi cominciò ad armeggiare con gli anelli dell'imbracatura: - Ora sgancia tutto quanto. - disse a Will, che lo raggiungeva in quel momento.
- E lasciamo tutto qui?-
- Confido che sarà ancora tutto al suo posto, quando dovremo risalire. - replicò lui, ammiccando. - Tieni addosso, l'imbracatura, è più facile. Basta che sganci gli anelli. -
Una volta sganciati dalle funi, con le bande dell'imbracatura che gli ballonzolavano addosso, i due scesero quindi giù lungo la scarpata: gli spruzzi delle onde che si infrangevano contro gli scogli arrivavano fin lì, tanto che Will se ne sentiva la spuma sul viso. Continuò a seguire in silenzio Jack che, dal canto suo, sembrava sapere bene dove andare; infatti, solo pochi metri dopo, Will sgranò gli occhi trovandosi davanti ad un foro quasi perfettamente circolare che si apriva nella roccia liscia, che la curva della scogliera aveva nascosto ai suoi occhi fino a quel momento.
- Ogro abita qui dentro, quindi. - non era una domanda, ma Jack annuì lo stesso. - E suppongo che dovremo entrare. -
- No. - rispose il capitano, cogliendolo di sorpresa. - Dopo quello che mi ha raccontato Praho, non ci tengo ad andare a stanare Ogro al buio, dentro quella che tecnicamente è casa sua, col rischio che possa decidere di accopparmi prima ancora di riconoscermi, comprendi?-
Will alzò gli occhi al cielo. - Non posso dire di non essere d'accordo con te. Allora come lo troviamo?-
Senza rispondere, Jack si avvicinò all'imboccatura della grotta e fece qualche passo nell'oscurità, sguainando la spada: per qualche attimo Will si domandò se temesse di trovare Ogro ad aspettarli già dietro il primo angolo, ma poi lo vide picchiettare la parete rocciosa della grotta con la punta dell'arma.
Ad ogni colpo della lama contro la roccia, un sordo clangore metallico risuonava fin nelle profondità della grotta, amplificato dalle pareti: Jack continuò così per un minuto buono, colpendo sempre più forte e facendo un gran baccano, finché di punto in bianco non sembrò essersi stancato e ripose l'arma, piombando poi a sedere proprio sull'imboccatura della galleria.
- Si farà vivo. - disse semplicemente, allungandosi con la schiena contro la volta rocciosa. Will si rassegnò a sedersi davanti a lui, contro la parete opposta, ed aspettare.
- Fantastico. - sospirò, pensando che non si era mai sentito tanto inutile come in quel momento. Stranamente, Jack rimase per qualche momento a fissarlo, quindi, senza alcun motivo apparente, gli fece: - Ehi, William... andrà tutto bene. -
Il giovane si accigliò: a quanto ricordava, quella era probabilmente la prima volta, da quando lo conosceva, che il capitano dava segno di voler fare qualcosa di simile a rassicurarlo. Che avesse capito quello che gli si agitava nel cuore, che avesse visto quanto era vicino a perdere Elizabeth e tutto ciò che loro due si erano faticosamente conquistati per l'ennesima volta?
- Va tutto storto, invece. - ammise, in tono sorprendentemente tranquillo. - E non è solo per via di quello che è successo a Elizabeth... quello è stato solo un incidente, dopotutto. Ti ricordi quello che ti dissi prima dell'ultima battaglia alla Baia dei Relitti? Sta succedendo di nuovo. Ci stiamo di nuovo allontanando, e stavolta non so che cosa potrò fare per impedirlo. -
Il capitano alzò un sopracciglio, con aria incuriosita. - Che c'è che non va?-
Will tentennò per un istante: sarebbe mai riuscito a spiegarlo? - E' solo che... Siamo da capo. Tu sai meglio di me che io non sono mai stato un vero pirata: quello sei tu, o Elizabeth, o... chiunque altro, ma non io. Elizabeth è felice qui, le piace. Io invece avrò anche fatto andata e ritorno dal regno dei morti, ma ora mi sento solo una zavorra, un peso. Sai, mi viene perfino da pensare che forse avrei fatto meglio a lasciare che lei andasse avanti con la sua vita; a volte penso che sarebbe stato meglio se... -
Si interruppe bruscamente, credendo a stento alle parole che stavano per uscire dalla bocca. Alla fine era riuscito ad ammetterlo perfino con sé stesso, ma non se la sentiva di dare fiato anche a questo ultimo pensiero. Il capitano lo fece per lui, inarcando le sopracciglia più che mai. - Se... se non fossi tornato affatto, signor Turner? E' questo che stai dicendo?-
Will non rispose: non c'era nulla da aggiungere.
Jack fece scrocchiare le dita e alzò gli occhi al cielo. - Ebbene, dunque è questo il problema... Al nostro ex capitano dell'Olandese Volante è stata data una seconda opportunità, e adesso vive nel terrore di sprecarla. Astuto, davvero. Qual è il problema, non sai più quello che vuoi? O sei tornato il fabbro in cui sono inciampato quattro anni fa a Port Royal, che sapeva esattamente che cosa voleva, ma aveva troppa paura di provarci?-
Will sbuffò. - La fai troppo semplice. -
- E' semplice. - ribatté Jack in tono annoiato. - Innanzitutto, mettiti in testa che la tua mogliettina è molto più dura di quello che sembra, quindi smetti di preoccuparti per lei ogni secondo che non ce l'hai sotto gli occhi. Secondo, fai quello che vuoi. Tutto qui. Non ti sei mai azzardato a fare qualcosa solo perché volevi farlo, William: è il momento che cominci. Per esempio, vuoi tornare ad essere capitano?-
Questo il giovane non se l'aspettava proprio, perché sgranò gli occhi e si raddrizzò di scatto: Jack però vide nel suo sguardo che era riuscito ad interessarlo. - Ma che stai dicendo? Ma soprattutto, come potrei?!-
- Lo sai come funziona fra pirati: mozzo oggi, capitano domani. - Jack si strinse nelle spalle, sogghignando. - Di' la verità, quello che non ti piace è essere una specie di mozzo: sono mesi che mangi, dormi e combatti sulla mia nave, ma tutto questo non ti diverte. Se invece si trattasse di possedere una nave... oh be'... -
Le sue parole strapparono a Will un mezzo sorriso, però lui scosse il capo. - Capitano Turner... ho perso quel titolo da quando mi sono liberato dell'Olandese, e non lo rimpiango. E poi devo pensare ad Elizabeth e David... -
- Smettila di preoccuparti sempre per la tua famiglia. - scattò Jack. - Sia Elizabeth che tuo figlio sanno cavarsela da soli. Inoltre, anche con tutta la buona volontà del mondo, tu non potrai esserci sempre per loro. E' così e basta, comprendi? Tu vuoi Elizabeth, vero? Ebbene, sappi che niente te la porterà via, a meno che non lo decida lei o non la allontani tu con i tuoi stupidi discorsi lagnosi. -
Il giovane fu lì lì per replicare, però in fondo dovette ammettere che il discorso di Jack non era poi così insensato. Perché vivere nella paura? Perché limitarsi a seguire ciecamente la sua famiglia, temendo il giorno in cui la sua strada e quella della temeraria Elizabeth avrebbero potuto finire per separarsi per sempre?
Fece un piccolo sospiro silenzioso, roteando gli occhi. - Ma tu come fai, con Laura?- la domanda gli sorse quasi spontanea, e solo dopo qualche momento si trovò a ridere tra sé, vedendo quanto quell'incursione improvvisa nella sfera privata del capitano lo avesse preso in contropiede. Jack infatti non rispose per lunghi istanti, distogliendo prontamente lo sguardo dal suo.
- Mi fido. - disse ad un certo punto, in tono molto più cauto: come se stesse cercando di esprimere a parole concetti che andavano molto al di là del suo normale pensiero. - Anzi, ci fidiamo. -
Non sembrò sentirsi di aggiungere altro, e prima che uno dei due potesse riprendere il discorso, un rumore improvviso all'interno della caverna attirò la loro attenzione. Passi. Passi strascicati.
Jack drizzò le orecchie e si rialzò rapidamente in piedi, strizzando gli occhi per vedere meglio nell'oscurità in fondo alla caverna. Will si portò istintivamente la mano alla spada, senza sapere bene che cosa aspettarsi: certo, Jack aveva definito Ogro un amico... ma neppure lui sembrava tanto propenso a fidarsi.
Ad un tratto notò distintamente una figura emergere appena dall'ombra del cunicolo, e le sue dita si strinsero sull'elsa. Jack fece un cauto passo in avanti, allargando le braccia per mostrare che era disarmato e sfoderando un sorriso non troppo convincente.
- Ogro, ti ricordi di me? E' bello rivederti!-
Alle sue parole fece eco un grugnito irritato, e l'attimo dopo Jack si piegò appena in tempo per evitare un sasso grosso quanto un pugno che gli venne scagliato ad un soffio dalla testa.
- ...Siamo un tantino nervosi, eh?-
La figura urlò qualcosa in quella che assomigliava alla lingua parlata della gente di Praho, e un altro sasso volò giù dalla scarpata, stavolta mancando di poco la spalla di Will che aveva fatto l'errore di sporgersi per guardare.
- Ogro!- replicò Jack, spazientito. - Sono io, guardami!-
Prima che il capitano potesse reagire, la figura emise una specie di barrito e si lanciò fuori dall'ombra caricandolo come un toro in corsa: Will riuscì soltanto a scorgere un uomo enorme che si lanciò verso di loro, e quando fu urtato dalla sua spalla fu come ricevere una bastonata in pieno petto. Il giovane cadde a terra, Jack invece fu investito in pieno dal bestione che, furibondo, lo abbrancò per la vita e lo trascinò al suolo, ruzzolando giù per la scarpata.
Will rotolò su sé stesso e si alzò in piedi, sguainando la spada e correndo fino al ciglio della scarpata, col cuore in gola: la furia con cui il mostro si era lanciato su Jack poteva averli fatti precipitare entrambi in mare. Da sotto, però, sentì rumori di lotta e colorite imprecazioni, e vide che i due erano rotolati in basso, fino a fermarsi su di una sporgenza piatta talmente vicina all'acqua che le onde arrivavano a spruzzare i due litiganti.
Da quello che Will riuscì a vedere, quello che incombeva su Jack sembrava essere un uomo a cui poco mancava per raggiungere i due metri di statura, dalla stazza enorme, con muscoli gonfi che parevano tirare innaturalmente la pelle scura come pietre dentro un sacco. La sua testa assomigliava ad un calvo globo gibboso, e neppure da dove si trovava riusciva ad identificarne le fattezze. Quella specie di uomo lanciò un altro urlo di rabbia e agguantò Jack per il collo, sollevandolo come se volesse fracassarne la testa sulle rocce, quando lui reagì afferrandolo per la gola a sua volta e gridandogli: - Sono io, grosso idiota! Sono Jack Sparrow, guardami!-
Will decise che preferiva non aspettare di vedere se le parole di Jack avessero sortito un qualche effetto, e con la spada in pugno si lasciò scivolare giù per la scarpata ripida. Aveva quasi raggiunto lo spiazzo sul quale i due avevano avuto la fortuna di fermarsi prima di precipitare in acqua, quando notò che l'uomo enorme si era fermato e aveva lasciato la presa sul collo di Jack.
- ...Jehparo?- sbottò ad un tratto, con una voce raspante che usciva a stento attraverso una chiostra di denti storti e due labbra che assomigliavano più ad un taglio irregolare nella carne che ad una vera e propria bocca.
- Sì. Sì. Jack Sparrow. Proprio io. Ora saresti così gentile da levarti di dosso?-
L'uomo enorme si alzò in piedi, tirando Jack con sé: lo agguantò per il bavero della giacca e lo tenne sollevato con gli stivali penzolanti ad un palmo da terra per scrutarlo in faccia, quindi sembrò sussultare di sorpresa.
- Jehparo!- ripeté, stupito.
- Non sei contento di rivedermi, Ogro?- Jack gli sorrise come se l'omaccione non lo stesse tenendo sollevato per aria, ad un passo dalle onde ruggenti. Proprio la sua calma sembrò convincere Ogro, che lo riappoggiò a terra e lo lasciò andare, continuando a guardarlo come se non credesse ai suoi occhi. Solo allora Will si attentò a muovere qualche altro passo verso di loro: l'uomo deforme si voltò a fissarlo con sospetto, ma non fece altro, e Will riprese a respirare normalmente.
- Sei nervoso, vecchio mio? Non ti vedevo così sulle spine da quando... uhm... be', all'incirca dalla prima volta che ci siamo incontrati. Che succede?- continuò il capitano col tono più affabile che poté.
Ogro continuò ancora per qualche istante a scrutare alternativamente lui e Will, poi, lentamente, borbottò: - Che cosa... fate, qui?-
William si sorprese di sentirlo parlare in un esitante, stentato, eppure comprensibile inglese. I piccoli occhi dell'uomo lo osservavano con intensità raggelante da sotto una fronte innaturalmente sporgente. Tutta la sua faccia sembrava una grumosa forma di pane troppo lievitata, il cranio era tutto sbagliato, troppo largo da una parte e schiacciato dall'altra, mentre ossa che non avrebbero dovuto esserci tiravano la pelle del viso in tutte le direzioni, contorcendone le fattezze. Eppure, quella creatura che a stento il giovane riusciva a considerare un essere umano, lo stava fissando con una freddezza che gli fece rizzare i capelli sulla nuca.
Jack si mise fra di loro, riconquistando la piena attenzione di Ogro. - Non devi preoccuparti per lui, è un amico. William, ti presento Ogro. - Come se ci fosse stato bisogno di presentazioni. - Ogro, questo è William.-
- Cosa fate qui?- insistette Ogro, più nervoso. - Jehparo e... Wii-liam?-
- Ecco... devi sapere che ci ha mandati Praho. -
Al solo sentire il nome del capo degli indigeni, il viso sfigurato dell'uomo si contrasse in un'espressione sconvolta. - Praho?!- gridò, stringendo i pugni e arretrando.
- Buono, non ti agitare. - Jack prese la propria fiaschetta dalla cintura e gliela passò. - Toh, prendi questo. Ti piaceva, ricordi?-
Sembrava proprio ricordarselo, perché stappò la borraccia e ci si attaccò come se non bevesse da mesi, riempiendosi la bocca fino a farsi colare rivoli di rum lungo le guance. Se la scolò fino all'ultima goccia e, quando si accorse che era finita, la scosse ancora un paio di volte, la guardò deluso, poi la buttò per terra.
- Si parlava di Praho... - continuò Jack, appoggiandosi col braccio alla parete di roccia. - Cosa stai combinando nelle gallerie, Ogro? Praho mi ha detto che hai rubato un mucchio di polvere da sparo... non è una bella cosa da farsi, lo sai no?-
- Praho... - Ogro ripeté quel nome con un'espressione stranissima, in tono quasi lamentoso. Will non aveva mai visto la rabbia e il dolore mescolarsi a quel modo, specie su di un viso così deforme. - Se Praho ha... paura... sono contento. Lo merita. -
- E perché mai?-
- Me lo chiedi?! Lo sai! Lui non mi vuole lì! E' stato lui... lui mi manda via. Lui... mi vuole via dalla nostra montagna. -
Jack gli si accostò, e fu abbastanza temerario da posargli una mano sul braccio: - E' per questo che hai intenzione di farla saltare in aria, la montagna?-
L'espressione smarrita dell'uomo deforme si trasformò all'istante in un ghigno così inquietante che Will fu scosso da un brivido.
- Gallerie. - disse con una scrollata di spalle, accennando al tunnel poco sopra di loro. - Le ho riempite tutte, per mesi, mesi e mesi. E ora faccio scoppiare la montagna. Ora posso. -
Jack non fece una piega, limitandosi ad annuire. - Molto ingegnoso. Ma non hai pensato che finiresti per distruggere il villaggio... e per uccidere molte persone? Perché vuoi farlo?-
- Io non volevo uccidere. - rispose lui con aria colpevole. - Ma... solo così funziona. Adesso tutti hanno paura. Adesso tutti ascoltano. -
- Bene, sei riuscito a farti ascoltare, direi. E allora cos'è che vuoi?- scattò avanti Will, prendendo improvvisamente la parola. - Non c'è bisogno di far saltare in aria la montagna, e il villaggio con essa: sanno del rischio che corrono, e ti ascolteranno se chiederai di parlamentare! Che cosa vuoi in cambio?-
Sia Jack che Ogro sembrarono ugualmente stupiti di sentirlo parlare, ma le sue parole sembrarono toccare l'uomo deforme, che, sconsolato, lo guardò allargando le lunghe braccia.
- Niente! Niente voglio, in cambio. -
- Ma allora... perché?- insistette William.
- Perché... - Ogro tentennò, come se faticasse ad esprimere quello che sentiva in parole, per di più in una lingua che non era la sua. - Perché così tutti sanno. Voglio che loro sanno com'è non avere più una casa e non sapere dove andare. Lo hanno fatto con me. Quando loro senza più villaggio, casa o famiglia... sapranno. Ecco perché. -
- Quelli che sopravviveranno, vuoi dire. - aggiunse Jack, lapidario.
- Certo. -
- Non puoi volerlo davvero. - continuò Will, ora più determinato che mai a farlo ragionare. - Lo so; ti hanno fatto del male e ti hanno cacciato. Ma distruggere il villaggio a cosa servirà? Molte persone moriranno, e non solo uomini e guerrieri: anche le donne, i vecchi e i bambini, senza distinzione. E quelli che sopravviveranno sapranno a chi dare la colpa: a te. Tu non avrai niente. Loro non avranno niente. Ma ti odieranno ancora di più e per sempre. -
Ogro abbassò gli occhi e non rispose, scrollando di nuovo le spalle come se la cosa non gli importasse.
- Devi lasciarli stare, Ogro. - insistette il giovane. - Non puoi cercare di parlare con loro?-
L'uomo scosse il capo. - Non si può... parlare. Già fatto. Praho vuole sempre stessa cosa: io fuori dal villaggio. -
- E invece che cosa pensi di fare, una volta che avrai distrutto il villaggio come desideri?- rincarò Jack. Di nuovo Ogro non rispose.
- Ogro... -
- Basta. - di colpo, l'uomo deforme girò sui tacchi e, senza fretta, risalì la scarpata fino all'imboccatura della galleria, dentro la quale sparì. Jack e Will rimasero sulla pedana rocciosa, incerti sul da farsi, per poi arrampicarsi a loro volta e raggiungere la galleria buia.
- Non un gran successo, eh?- borbottò Jack, scuotendo il capo.
Will lo guardò, accigliandosi. - Non avrai intenzione di lasciarlo andare via così?!-
- Hai qualche altra idea? Al massimo potremo dire a Praho che abbiamo tentato. -
Improvvisamente Will si fermò dritto davanti a lui, fissandolo con rabbia improvvisa. - Non mi sono fatto tutta la giungla a piedi, e una discesa nel vuoto, per piantare tutto dopo dieci minuti! Ti ricordo che c'è Elizabeth al villaggio... e, nel caso te lo fossi scordato, ci sono Laura e gli altri ancora sulla montagna, a quest'ora. O forse speri di riuscire a convincere Ogro ad aspettare cortesemente che noi ce ne andiamo dall'isola, prima di fare saltare in aria tutto quanto?-
Il capitano abbozzò un sogghigno. - E' un'idea. -
- Oh, al diavolo!- Will voltò le spalle al capitano, e senza esitare si inoltrò nell'ombra della galleria, inseguendo il suono strascicato dei passi di Ogro che si facevano ad ogni momento più lontani.










Note dell'autrice: A volte -fortunatamente- ritornano!
E, come potete constatare, alla fine sono tornata anch'io. Per un po' sono stata, come dire... in "pausa di riflessione" con questa ff, ma ora finalmente ho ricominciato a scrivere a pieno ritmo, e comincio ad avere anche le idee un po' più chiaro su dove questa storia sembri volere andare a parare. Un po'.
Ma veniamo alle cose importanti, e quindi un benritrovata e un grazie all'immancabile Fannysparrow, lieta di averti chiarito le idee... Sono io adesso ad averle confuse. Evvai.
Grazie a DarkStar; sono felice che il mio modo di scrivere continui a piacerti, e sono d'accordo con te: per quanto sia un'appassionata delle scene "a due" (che siano momenti romantici o dialoghi), è cosa buona lasciare spazio anche alla trama... e spero di riuscirci e continuare a soddisfare te e chiunque mi legge!
E un caloroso saluto alla nuova arrivata duedicoppe, che non solo si è letta tutte le tre storie della saga di Caribbean Tales finora pubblicate, ma le ha addirittura commentate separatamente tutte e tre! Grazie per la tua lettura, la tua attenzione e i tuoi commenti: sono felice anche di sentire che qua e là hai trovato parole che non ti suonavano o cose di cui non eri del tutto convinta, anzi, mi preoccuperei se non ne avessi trovate. Certe cose identificano una lettrice attenta e interessata, e tu la sei. Grazie per tutto. Ramen!
Qualche piccola annotazione: la scena della scalata è ispirata a 'I Pirati dell'Oceano Rosso' di Scott Lynch, libro che vi consiglio. In realtà è stata un'ispirazione involontaria: l'idea mi frullava in testa da un po', e quando l'ho vista realizzata leggendo quel libro, mi sono detta che si poteva fare. Il personaggio di Ogro ricalca in parte The Elephant Man, in parte il personaggio di Efialte di 300.
Wind the sails, al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Carte in tavola ***


Capitolo 11
Carte in tavola



Elizabeth sentiva crescere dentro di sé quella sensazione strisciante, dolorosa e terribile che da sempre aveva cercato di sopire, reprimere e nascondere in tutti i modi, senza però riuscire mai ad eliminarla del tutto.
Il senso di colpa.
Terribile, doloroso e dirompente quanto quello provato il giorno del suo primo delitto, quando aveva abbandonato Jack al Kraken, destinandolo a morte certa. Il pensiero di quel giorno continuava ancora a tormentarla. Quella forse era stata la prima volta che aveva sentito il gelo pesante della colpa dilaniarle il cuore, per non andarsene più.
Poteva rivedere la scena in sogno, come se ancora si stesse svolgendo sotto i suoi occhi; ricordava di essersi voltata verso il capitano, mentre tutti correvano verso le scialuppe, ricordava il bacio traditore con cui aveva condannato tre persone in una volta sola. Will, che l'aveva vista, e che da allora avrebbe portato con sé il peso amaro del tradimento; Jack, che si era lasciato ingannare e intrappolare; e infine perfino sé stessa, che aveva allo stesso tempo tradito la fiducia di due persone a cui teneva, e appagato un suo desiderio egoista prima di staccarsene per sempre... Basta, non voleva soffermarsi su quei momenti. Non voleva rivedere quella scena.
E invece la rivide in tutti i dettagli, vergognandosi e torturandosi col dolore sordo che le cresceva nel petto.
Ma era successo così tanto tempo prima! Non era ormai passato, non era già stata perdonata?
Perché il passato non poteva semplicemente... restare passato?
Eppure, rivedendo quello che era stato forse uno dei peggiori momenti della sua vita, si rese conto che lei stessa non avrebbe mai potuto perdonarsi... perché mai si era concessa di provare il senso di colpa.
Aveva rubato a Will il medaglione di suo padre, quando entrambi erano ancora bambini? Lo aveva fatto unicamente per allontanare da lui il sospetto che potesse essere un pirata.
Si era imbarcata a suo rischio e pericolo, dirottando una nave che la portasse nella selvaggia e caotica Tortuga? Solo per trovare Will.
Aveva approfittato più che volentieri delle attenzioni tutt'altro che fraintendibili che il capitano le riservava, quando aveva dovuto chiedere il suo aiuto? Lo faceva per una giusta causa, in fondo, solo tenendosi stretto il favore del capitano poteva raggiungere i suoi scopi...
Giustificazioni, doveva sempre avere delle giustificazioni agli occhi degli altri. Perché aveva baciato Jack prima di incatenarlo?
Bugiarda, era solo una bugiarda. Una bugiarda stupida. E arrogante. Aveva mentito a tutti, e soprattutto a sé stessa, pur di convincersi di avere sempre e solo agito nel giusto, per negare la propria colpa. In quello Jack aveva avuto ragione: loro due si assomigliavano davvero. Ma lei ne era tutt'altro che fiera.
E anche Will aveva ragione. “Se fai le tue scelte da sola, come posso fidarmi?” le aveva chiesto una volta.
“Non puoi...” aveva ammesso, lei, sfiduciata e sconsolata.
Ma quella era prima. Prima che loro due si riconciliassero, prima che riscoprissero la fiducia che nutrivano l'uno nell'altra.
Di nuovo la paura tornò a insinuarsi in Elizabeth, mentre ancora una volta le visioni e i ricordi cominciavano a dissolversi, ingoiati da una nebbia irreale.
Era vero, aveva sottovalutato il potere delle ombre del passato?
Will era tornato da poco nella sua vita. Jack, i pirati, e la loro vita avventurosa avevano fatto altrettanto. Ancora una volta, lei stava andando avanti lasciando inconsapevolmente l'uomo che amava alle proprie spalle? La storia si stava ripetendo?

*

Will non dovette fare molta strada all'interno della galleria prima di ritrovare Ogro: l'uomo deforme si era seduto a terra, in una rientranza del cunicolo, e se ne stava lì accucciato con lo sguardo fisso sulle proprie mani.
Il giovane gli si avvicinò con cautela: non aveva dimenticato la reazione con la quale li aveva accolti. Quello però sembrò non notare neanche la sua presenza, e non gli rivolse uno sguardo neppure quando Will si fermò ad un passo da lui.
- Ogro?- azzardò, un attimo dopo. Non avrebbe saputo dire se l'indigeno lo stesso ascoltando: peraltro, nella galleria c'era così buio che riusciva a malapena a distinguere la sua faccia sfigurata.
- Ascoltami... lo so che tutto questo è difficile per te. La tua gente si è approfittata di te, ti ha trattato ingiustamente, ti ha cacciato e ha complottato alle tue spalle... e tuttavia ha ancora il coraggio di darti degli ordini. - le sue stesse parole gli suonavano dolorosamente familiari. - Io non so chi sei. Sono l'ultimo che avrebbe il diritto di venire qui e chiederti dei favori, ma una cosa devo chiedertela. Ascoltaci. Stai facendo la cosa sbagliata. -
- Io non volevo sbagliare. - borbottò in risposta Ogro, sollevando appena il capo. - Praho mi aiuta. Sempre. Lui insegnava a me a parlare la tua lingua... lingua per parlare coi marinai che vengono. Ma poi vedeva che io non ero bravo abbastanza. Non aiutavo i cacciatori, non ero buono per stare al villaggio. E tutti avevano paura, perché crescevo e non mi fermavo mai. Allora mi caccia via. -
Will sospirò in silenzio. - Mi dispiace. -
Improvvisamente Ogro ebbe una specie di scatto nervoso, rizzando la testa e sollevando i pugni serrati. - Io capivo! Sapevo che non ero bravo abbastanza! Allora ho chiesto a Praho: dammi una capanna! Io vivo fuori dal villaggio, dammi delle armi, e io posso cacciare per mangiare e non do fastidio a nessuno. Se lui mi aiuta, io posso. Ma lui? Lui dice no! Dice che me ne vado e basta, senza armi, senza capanna, io vado nella giungla e sto fuori dal villaggio. Lo sai perché? Lo sai?!-
- Perché si augurava che morissi, così il problema si sarebbe risolto da solo. - concluse per lui Will, in tono piatto.
Ogro chinò il capo e annuì. - Sì. Capisci? Io stavo tranquillo se lui mi dava capanna e armi. Ma lui non mi vuole tranquillo, lui mi vuole che muoio? E questo no. Non lo perdono. Ecco perché uccido i soldati che mi danno la caccia, e voglio distruggere il villaggio di Praho. -
- Aspetta... i soldati di Praho ti danno la caccia?- lo interruppe Will, stupefatto. - Ci aveva detto che i suoi uomini venivano mandati solo ad esplorare le gallerie. -
Alle sue parole, l'uomo sbottò in una risata gracchiante. - Oh, esplorano gallerie, ma cercano me. Praho vuole che mi trovano e mi uccidono. Ma io lo so e sono più furbo: sai che mi basta prendere la testa di uno e girare, così... - fece un gesto con le mani enormi, e Will riuscì facilmente ad immaginarsele nell'atto di spezzare un collo.
- Non doveva farti questo. - continuò, imponendosi di mantenere comunque la calma. - Ma non devi farlo nemmeno tu. Non hai mai provato ad andartene il più lontano possibile? A nasconderti dove Praho non riuscirà mai a trovarti? Non ci sono altri villaggi sull'isola?-
- Isola è piccola. - rispose Ogro con un sogghigno. - Dove vado? E poi Praho mi trova sempre: io svuoto le sue trappole prima di cacciatori, e lui si arrabbia. Rubo gli attrezzi per tagliarmi la legna, e lui si arrabbia ancora di più. Vuole che sparisco e basta, e non si arrende. Con altri non parlo. Quando vengono, parlo coi marinai, se non scappano subito quando mi vedono. Una volta uno mi dice di salire sulla sua nave e andare via, lavorare, fare dei soldi. Ma poi cerca di mettermi catene alle mani, e io so che mi vuole mettere in prigione. Allora afferro suo collo e spezzo. - di nuovo quel gesto secco con le mani.
- Sì, ci sono persone che ti vorrebbero morto, o vorrebbero imprigionarti e approfittarsi di te. - ammise il giovane. - Però questa potrebbe essere l'unica soluzione, per te... Vieni via con noi. Con me e Jack Sparrow. Di lui ti fidi, no? Garantiremo noi per te... o, se non lo vorrà fare lui, lo farò io. - improvvisamente, illuminato da quell'unica, tenue speranza, il tono di Will si era fatto più acceso. - Posso portarti via da qui, Ogro. Non sarà una cosa semplice, e non ti posso giurare che dove andremo non ci saranno persone che ti odieranno, o che vorranno farti del male. Ma sarebbe l'unico modo per andartene da qui. -
Doveva averlo lasciato davvero senza parole, perché per un bel pezzo Ogro non disse più nulla, fino a che non scosse la grossa testa, sbuffando con aria sprezzante. - Tu mi butti in mare appena siamo lontani. Oppure mi metti le catene e mi chiudi dentro la prigione. -
- No. - ribatté Will con veemenza. - Ti do la mia parola che non farò mai una cosa del genere, e non lascerò che qualcun altro lo faccia a te. Voglio solo aiutarti, ma soprattutto voglio evitare che tu faccia una cosa che distruggerebbe la vita di tante persone, compresa la tua. Adesso scegli che cosa vuoi fare. -
Non aggiunse altro, mentre nell'ombra scrutava il viso di Ogro che si girava verso di lui, fissandolo e distorcendosi in quella che, senza alcun dubbio, era un'espressione totalmente sbalordita.

*

Vedere la luce del sole brillare in fondo alla galleria fu una vera benedizione, tanto che appena la vidi corsi avanti come se avessi improvvisamente paura di vederla sparire.
Mi fermai all'imboccatura del tunnel, schermandomi gli occhi con una mano: per tutto quel tempo non avevo fatto che camminare guidata dalla fiamma della torcia, e la luce violenta riflessa dal cielo e dal mare quasi mi accecò per i primi istanti. L'odore dell'aria salmastra mi riempì le narici. Non avrei mai pensato di potere provare tanto sollievo trovandomi semplicemente all'aria aperta.
Appena mi fui di nuovo abituata al sole, spensi la torcia sotto i piedi e mi guardai attorno: davanti a noi si stendeva una lunghissima striscia di spiaggia sassosa, in una ripida discesa verso il mare. L'acqua era imprigionata dentro una baia quasi perfettamente circolare: due bracci di rocce ne delimitavano il profilo, mentre alcuni spuntoni rocciosi emergevano qua e là dal mare, simili a lunghe zanne che si protendevano fra due mandibole spalancate.
La galleria sotterranea ci aveva condotti nel mezzo di una piccola macchia di vegetazione, ai limitari della spiaggia, e ai piedi della montagna che sorgeva alle nostre spalle, dividendo la baia dal resto dell'isola.
- Sembra che ce l'abbiamo fatta. - commentò Faith, con inequivocabile sollievo, fermandosi accanto a me.
Annuii, senza smettere di scrutare ogni angolo della baia: avevo appena visto quello che stavo cercando. Seminascoste dietro le scogliere frastagliate, vedevo gli alberi di due galeoni messi alla cappa.
- Rackham è qui. E anche Barbanera. -
Ebbi il tempo di fare un unico passo in avanti, poi l'inconfondibile scatto di un caricatore risuonò nella macchia proprio di fronte a me, seguito da molti altri in rapida successione.
- Puoi scommetterci, piccola idiota. - ringhiò una voce, vicinissima. - Nessuno si muova, o sputerete piombo fin dalle orecchie. -
Emersero dalla boscaglia senza lasciarci nemmeno il tempo di reagire: erano in cinque, grossi come armadi, dall'aspetto irsuto, coperti di cicatrici e armati fino ai denti. Dopo tutto quel tempo sarei dovuta essere abituata ai pirati... tuttavia, dovetti ricredermi quando mi trovai sotto il tiro di quelle specie di armerie ambulanti, che ci fissavano come gatti affamati che hanno visto un topo.
Fra di loro c'era Barbanera, che puntava proprio addosso a me due enormi pistole dall'aria letale. Ci eravamo paralizzati tutti quanti e -sebbene avvertissi la presenza di Ettore alle mie spalle, e sapessi bene che era pronto a sguainare la spada in qualsiasi momento- osai appena muovere una mano per fare cenno a tutti di restare immobili.
Barbanera si avvicinò a noi a passi pesanti, scrutandoci con aria assassina.
- Porca puttana!- sbraitò, apparentemente sorpreso. - Ci avevo visto giusto. Credevo foste due mozzi del cazzo... invece guardate qua! Donne!- l'ultima parola la rivolse ai suoi uomini, in tono chiaramente disgustato. I suoi sgherri ridacchiarono, lui sputò per terra, a pochi centimetri dai miei stivali.
- E così ci rincontriamo, capitano. Non so se posso dire che è un piacere rivedervi. -
Sapevo di avere dato una risposta più che azzardata, ma se non avessi parlato subito, probabilmente non mi avrei più avuto alcuna occasione per cercare di farli ragionare. Gli occhi di Barbanera di strinsero minacciosamente, mentre lui si fermava di fronte a me.
- Che diavolo stai dicendo? Non ti ho mai vista in vita mia. -
- Oh, sì invece. C'ero anch'io quando abbiamo stretto il nostro patto di alleanza, nella cabina del capitano Rackham... solo che lui sembra avere molto più spirito di osservazione di voi, che avete visto soltanto un mozzo. -
La canna della pistola più vicina scattò verso l'alto, colpendomi dolorosamente sul mento. - Chiudi quella fogna!-
Nello stesso istante in cui il capitano mi colpì, Ettore scattò in avanti con una velocità inaudita per un uomo così grosso. Con un unico gesto fece scansare di lato me e Faith; con una mano reggeva ancora una torcia accesa, e la agitò minaccioso verso gli altri pirati, mentre con l'altra estraeva la pistola verso Barbanera.
Il capitano non fece una piega e non abbassò la propria pistola, mentre gli altri quattro gridarono una sfilza di improperi e puntarono le armi contro Ettore.
- Abbiamo un patto, capitano!- ringhiò Ettore, senza lasciarsi impressionare da tutte le pistole che lo tenevano sotto tiro. - Apparteniamo tutti alla ciurma di capitan Sparrow, e questo ci rende alleati. Ma vi giuro che se sarete voi i primi a violare la nostra alleanza, non avrò nessuno scrupolo a fare altrettanto. -
- Ma che bravo. - replicò acidamente Barbanera, senza scomporsi. - Dato che la fai tanto lunga potremmo accoppare te per primo, tanto per dare il buon esempio. -
Appoggiai una mano sul braccio di Ettore e avanzai, tornando a fronteggiare Teach. - Non c'è nessun bisogno che ci ammazziamo fra di noi. Avevamo un appuntamento in questa baia, anche se siamo un po' in ritardo. - allargai le braccia. - Eccoci qui. -
Il capitano aggrottò le folte sopracciglia, e per un attimo sembrò quasi incuriosito. - E voi chi cazzo siete? E' tutta qui la ciurma di Sparrow?-
- Io sono Laura Sparrow, capitano in seconda della Perla Nera. La mia nave è stata dirottata dalla tempesta dei giorni scorsi, e abbiamo attraccato dalla parte opposta dell'isola. - mentre parlavo, mi sforzai di restare impassibile, come se ignorassi il fatto di essere sul filo dal rasoio, ad un passo dall'ucciderci a vicenda tutti quanti. - Sfortunatamente, siamo stati sorpresi dagli inglesi poco dopo il nostro sbarco. Siamo riusciti ad impegnarli sulla spiaggia, ma la mia ciurma è ancora bloccata là, senza poter risalire a bordo, né liberarsi degli inglesi. Sapevamo che ci avreste aspettati qui, quindi siamo venuti per chiedere il vostro aiuto. -
Teach mi ascoltava, picchiettando pigramente le canne delle pistole l'una sull'altra. - Senti senti come parla bene la mocciosa. Anche ammesso che tu dica la verità, perché mai dovrei correre ad aiutare te e la tua banda di incapaci?-
- Perché abbiamo un accordo, ecco perché!- scattai, senza riuscire proprio ad evitare di alzare la voce.
- Voi venite con me. - continuò il pirata, senza dare segno di avermi sentita. - Tu, massa di muscoli, giù quella pistola e butta via quel fiammifero del cazzo. Giù le armi, ho detto. Non fate scherzi, brutta banda di vermiciattoli. E qui, cosa abbiamo? Guarda guarda... - girando attorno al nostro gruppetto, si fermò a scrutare Michael e David. - Davvero, assomigliate molto di più ad un branco di campagnoli in vacanza che ad una banda di pirati di merda quali siete. I mocciosetti davanti. Svelto, mezza calzetta, muovi quelle gambe e fa camminare quella pulce che ti porti dietro. Bravo, così. Teneteli d'occhio. Trentacolpi, chiudi la fila. -
In poco tempo ci ritrovammo in fila, sorvegliati a vista da Barbanera e dai suoi quattro sgherri, a camminare verso la baia: il capitano apriva la fila, tenendo Michael e David davanti a sé. Non c'era bisogno di chiederlo per sapere che, se avessimo opposto resistenza, loro sarebbero stati i primi a pagarne le conseguenze.
Tuttavia, anche se noi tutti abbandonammo le armi con una certa riluttanza, notai che Furey eseguì gli ordini del capitano senza neanche fiatare. Chissà se i modi di Barbanera gli andavano a genio più dei miei, o se era semplicemente un codardo.
Non potei fare a meno di osservare il pirata che chiudeva la fila, quello che il capitano aveva chiamato -a meno che non avessi sentito male- “Trentacolpi”. Non era che un vecchio, in verità, probabilmente uno dei pirati più vecchi che avessi mai visto ancora in azione. Osservandolo, intuii come si fosse guadagnato quel nomignolo: aveva addosso, se possibile, ancora più pistole di Barbanera; era letteralmente carico di cinture e pistole. Diverse gli pendevano dalla cintura in vita, una, enorme, era infilata a tracolla nel cinturone, altre ancora erano appese ovunque quasi si fosse trattato di un ornamento, proprio come le perline che Jack portava nei capelli. Quel vecchietto era un'armeria ambulante.
Per quanto la sua età avanzata fosse evidente, il suo aspetto non suggeriva niente di fragile: era di corporatura robusta, ma non mi avrebbe superato neppure di una spanna in altezza. Il suo viso rugoso e bruciato dal sole era tondo, coperto da una lunga barba grigia e scarmigliata; le basette grigie spuntavano irte all'altezza delle orecchie, dandogli l'aspetto di un pazzo spaventapasseri, accentuato anche dal ghigno un po' folle stampato sulla sua faccia.
Non avrei saputo dire cosa mi avesse colpito di lui, quando lo vidi passare al mio fianco: i suoi rozzi e nerboruti compagni non erano certo meno inquietanti, eppure solo lui catturò per qualche attimo la mia attenzione. Forse era per via di tutte quelle assurde pistole. O del clangore metallico incessante che lo accompagnava ogni volta che faceva un passo.
Ben presto i nostri stivali affondarono in una distesa di piccoli sassi levigati, e davanti ai nostri occhi si stese la spiaggia, lambita da una quieta risacca. L'inclinazione del terreno, fino a quel momento, mi aveva impedito di vedere; ma quando la nostra colonna raggiunse la spiaggia mi accorsi di quanto affollata fosse diventata la baia.
Buona parte di entrambe le ciurme, sia quella di Barbanera che quella di Rackham, era sbarcata e si era radunata presso la spiaggia, accendendo fuochi e allestendo piccoli rifugi temporanei. Da lì si vedevano le due navi nascoste dietro la scogliera, ai due capi opposti della baia: notai anche come le due ciurme evitassero di mescolarsi, occupando rispettivamente le due estremità della spiaggia più vicine alla propria nave e lasciando nel mezzo una sorta di striscia di terra di nessuno.
Da entrambe le parti sembrarono notare il nostro arrivo, ma cominciai a perdermi d'animo quando vidi che ci dirigevamo a passo spedito verso la nave di Teach. Era la prima volta che vedevo la sua nave, ma sembrava rispecchiare il carattere del proprietario: un truce brigantino dall'aria indiavolata, vele color cenere, artiglieria che spuntava da ogni buco; non era neanche in ottime condizioni, poiché la chiglia era impiastricciata di alghe e crostacei, e il catrame filtrava fra le assi.
Probabilmente Barbanera sperava di portarci in mezzo alla sua ciurma per fare di noi quello che voleva, senza che Rackham avesse il tempo di interferire, ma ormai diversi dei pirati che stavano bivaccando presso la spiaggia si erano accorti del nostro arrivo. Con un sussulto speranzoso, vidi molti di loro alzarsi e avvicinarsi rapidamente, accolti dalle occhiatacce e dai borbottii astiosi della ciurma di Barbanera.
I nostri rudi accompagnatori fecero del loro meglio per camminare più spediti che potevano, ma quando arrivammo nei pressi della spiaggia, si era formata una vera e propria colonna umana formata dai pirati di Rackham, che ci divideva dall'accampamento di Barbanera.
Un pirata ci aspettava immobile, qualche passo davanti ai suoi compagni: era piuttosto alto e sorprendentemente snello, quasi sottile, abbigliato in modo semplice con camicia e pantaloni, e lunghi capelli neri che svolazzavano sotto un largo cappello sgualcito.
- Loro chi sono, Teach?- domandò senza tanti preamboli non appena fummo a portata di voce. Sentendolo, alzai il capo di scatto, sbalordita. Era una donna.
- Non sono affaracci tuoi. Fuori dai piedi, tutti quanti. -
Ora che eravamo vicini, potevo guardare il resto della ciurma di Rackham negli occhi. Avevo la sensazione che, in un qualche modo, avessero intuito chi eravamo; infatti si levò un mormorio e sentii distintamente pronunciare più volte: - Sparrow... -
- Sono affari miei. - ribatté seccamente la donna dai capelli neri, per nulla impressionata dal capitano. - Ora siamo tutti una dannata grande famiglia, ricordi? Fermo dove sei, e lasciali andare. -
- Dovresti saperlo che non prendo ordini da nessuno, né dal tuo stupido capitano, tanto meno da te. - ancora una volta, il capitano sputò per terra, con disprezzo. Con tutto quello a cui ormai il mio stomaco si era abituato, cominciavo comunque a trovarlo rivoltante. - Donne! Questo posto sta diventando un cazzo di salottino da the. Ne ho davvero abbastanza di donne!-
- Teach!- non avrei mai potuto pensare di poter provare tanto sollievo nel sentire quell'unica voce familiare. Rackham in persona, ancora imbacuccato nella sua giacca sfarzosa nonostante il caldo torrido, stava correndo verso di noi. Vidi Barbanera alzare gli occhi al cielo, ringhiando fra sé una decina di bestemmie, e infine si decise a guardare in faccia il suo compare quando questi ci raggiunse.
- Sei veramente impossibile!- sospirò, con un tono forse più adatto ad un damerino indignato che al capitano pirata quale era. - Andiamo, Edward, ti sembra questo il modo di trattare un capitano con cui hai stipulato un accordo di alleanza e aiuto reciproco?-
- Con lei non ho stipulato proprio niente. - protestò Barbanera, puntando un dito accusatore contro di me. - Che venga il suo paparino a reclamarla, se ci tiene. -
- Non sono sua figlia, imbecille. - replicai, con un picco di acidità che avrebbe potuto anche costarmi caro. E, sicuramente, Jack non era abbastanza vecchio da potere essere mio padre. O Teach si era sbagliato di grosso, o aveva voluto fare una battuta particolarmente viscida.
- Il vice capitano Laura Sparrow ha tutto il diritto di essere rispettata, così come il resto della ciurma. - insistette Rackham, facendosi avanti. Quando i pirati di Barbanera tentennarono, con le armi in pugno, il capitano sbuffò vistosamente. - Insomma, volete mettervi in testa che noi dovremmo essere alleati? Potremmo anche smetterla di cercare la rissa fra di noi in ogni momento!-
- Lasciali andare, e rendi loro le armi. Subito. - la donna dai capelli neri si trastullava con una pistola che portava infilata alla cintura, e altrettanto faceva il resto dei pirati di Rackham.
Sbuffando e bestemmiando, Barbanera ci lasciò finalmente liberi: io mi ripresi le mie armi con un gesto brusco, e allontanai dai pirati Michael e David. Rackham, decisamente soddisfatto di vedere calmarsi le acque, si fece avanti col suo miglior sorriso gioviale.
- Mi spiace davvero per tutti questi contrattempi, è un piacere ritrovarci tutti qui, sani e salvi. Ma dov'è Sparrow e il resto della vostra ciurma?- neppure il suo sorriso riusciva a mascherare del tutto il nervosismo.
Era il momento di cercare di far ragionare Rackham, se non ero riuscita a farlo con Barbanera.
- Proprio di questo volevo parlarvi. - cominciai, spostandomi più vicino al capitano, ma facendo in modo di rivolgermi anche a Teach. - La mia nave e il resto della mia ciurma sono bloccati dall'altra parte dell'isola, sulla spiaggia dove abbiamo attraccato l'altro giorno. Gli inglesi ci hanno trovati prima di quanto pensassimo, e sono riusciti a bloccarci a terra, lontani dalla nostra nave. La mia ciurma li tiene a bada con l'artiglieria, e non oseranno avvicinarsi alla nave, ma neppure ci lasceranno scappare... e presto i miei finiranno le munizioni. Abbiamo bisogno del vostro aiuto, e subito. Prima che arrivino le altre navi. -
Per qualche momento cadde uno strano silenzio, e fui quasi certa di avere visto Rackham impallidire: immaginai che, nonostante avesse tutte le intenzioni di rispettare i nostri accordi, e soprattutto di tenerci cari come alleati, questo repentino cambiamento di programma non dovesse essergli piaciuto affatto.
- Ma, miss Sparrow... - iniziò infatti, in tono sempre più nervoso. - Capite che la situazione si sta complicando di minuto in minuto? Siamo rimasti ad attendervi per un giorno intero, e temevamo che gli spagnoli e gli inglesi sarebbero arrivati prima di voi... ora come possiamo lasciare la baia per andare ad aiutare la vostra ciurma? Sarebbe terribilmente rischioso, senza contare che rischia di mandare all'aria tutto il nostro piano... -
- Mi pareva... - lo interruppi, gelida. - ...che avessimo stretto un'alleanza per aiutarci l'un l'altro, capitano Rackham. L'un l'altro. Non solo voi stesso. Questo vuol dire che, quando chiedo il vostro aiuto, mi aspetto di riceverlo... esattamente come abbiamo fatto con voi, accettando il vostro accordo. Oppure vi aspettate di essere protetto senza offrire nulla in cambio?-
Mi sembrò che la donna sorridesse fra sé, scoccando allo stesso tempo un'occhiata di sufficienza al capitano che le stava accanto. Quest'ultimo sembrava preso completamente alla sprovvista, e davanti alla sua evidente paura sentii cominciare a scemare anche la simpatia che avevo provato per lui.
- Ehm... naturalmente no, certo. - rispose dopo un attimo. - Sto soltanto mettendo in evidenza i rischi... -
- Bene. Mentre voi fate questo, capitano, i miei uomini sono in pericolo, e i galeoni che vi inseguono stanno arrivando qui. - replicai, secca. - Se non volete aiutarci devo dedurre che non vi interessa più mantenere l'alleanza, quindi possiamo anche considerarla sciolta. Mi basta che me lo diciate, così possiamo prendere ciascuno la nostra strada senza perdere altro tempo. Barbanera, qui, sarà solo contento se decideremo di chiudere con questa storia. Ditelo, Rackham, e io e i miei uomini ce ne torneremo dalla mia ciurma, e perdio se non troveremo un modo di cavarcela da soli. Mi basta che vi decidiate, perché non abbiamo tempo!-
Lo avevo ripreso tanto duramente, che riuscii a stupire perfino me stessa, non credendo alle mie stesse parole. Barbanera si limitò ad alzare gli occhi al cielo e imprecare per l'ennesima volta, Rackham si affrettò ad alzare le mani in un frenetico cenno di diniego.
- No, no, aspettate! Non ho mai detto di volere venire meno alla nostra alleanza, mai! Io ho bisogno di voi... insomma... tutti abbiamo bisogno l'uno dell'altro, avete perfettamente ragione. Verremo ad aiutarvi, subito. Prima è meglio è! Le navi degli inglesi e degli spagnoli non tarderanno ancora molto. -
- Giusto, e io sarò qui ad aspettarle, quando arriveranno. - replicò ruvidamente Barbanera, scuotendo il capo. - Calico Jack, sei patetico. A me non serve l'aiuto di nessuno: gli accordi erano accordi, e se adesso voi volete scombinare i piani, io non ci sto più. -
Dovetti trattenermi per non urlare dalla frustrazione, ma già sapevo che Teach sarebbe stato un osso molto più duro da trattare. Forse dovevo essere solo più dura di lui. - Quello che ho detto a Rackham vale anche per voi, capitano! Ma se non vi sta bene e preferite vedervela coi nostri nemici da solo... accomodatevi pure. Ma fuori da questa baia. Ora. Il piano è nostro e, se non ne fate più parte, allora è meglio che sgombriate il campo. Andatevene adesso. E se, allontanandovi dall'isola, aveste la sfortuna di incontrare i due galeoni che ci stanno raggiungendo... oh be', avete detto voi stesso di non avere bisogno di aiuto. -
Gli occhi di Teach sembrarono andare in fiamme. - Lurida stronzetta dalla lingua lunga!- ringhiò, estraendo dalla cintura la sua pistola. Tuttavia, nello stesso istante anche i miei amici, la donna dai capelli neri e i pirati di Rackham fecero altrettanto, così che in un istante ci ritrovammo tutti sotto il tiro di tutti.
Calico aveva ragione: la situazione stava decisamente precipitando, eppure, in quel momento mi parve talmente comica e assurda che per poco non scoppiai a ridere. Proprio quello che mi ci voleva in quel momento, che mi prendessero per una pazza.
- Non siamo degli ingrati. - continuai, cercando di restare calma. - Capitano Teach, se ci aiuterete a liberare la mia ciurma, vi prometto... che potrete prendervi quello che volete dalla nave degli inglesi. Ogni cosa. Inoltre... - mi sentii improvvisamente la gola secca: non avrei voluto dovere arrivare a tanto, ma sapevo che solo una cosa poteva soddisfare Barbanera; ovvero soddisfare la sua sete di sangue. - Sempre nei limiti del piano, potrete agire come meglio credete. La ciurma inglese è vostra: potrete fare di loro quello che vi pare. -
Questo sembrò catturare la sua attenzione e, dopo averci pensato sopra per qualche momento, si decise ad abbassare la pistola. - Ci sto. - sbottò. - E se non riceverò tutto quello che mi hai promesso, saprò bene come fartela pagare. -
- Non ho intenzione di cambiare idea. Vi chiedo soltanto di lasciare intatta la nave, per quanto è possibile. -
- La nave?- stavolta era Rackham ad essere sorpreso. - E cosa dovremmo farne, della nave?-
- Ci servirà come esca. - sogghignai. - E' un piano di Jack; io non lo conosco ancora nei dettagli, anche se ho colto i punti principali. Ve lo spiegherà lui non appena avremmo risolto il problema principale. -
Rackham sospirò, rassegnato. - Allora andiamo, e vediamo di risolverlo. -
- Perfetto. E adesso?- non mi sfuggì il borbottio seccato di Furey, che, dopo essersi rinchiuso così a lungo nel suo snervante silenzio, ricominciava a parlare alle mie spalle. Mi voltai verso di lui.
- Adesso ci sediamo e vediamo di organizzare in fretta un piano. - gli scoccai un'occhiata penetrante, e mi assicurai che mi guardasse negli occhi mentre parlavo. - E' quello che fanno i veri capitani. -
Lui non aggiunse una parola.





Note dell'autrice:
Piccolo appunto personale: passare le vacanze in una vera "isola selvaggia" è stato di grande ispirazione per continuare a scrivere questa storia. Che peccato non avere incontrato neanche un pirata! Tornando seri, ho ricominciato a scrivere come si deve e, salvo imprevisti, la storia vedrà presto la sua conclusione. Questo capitolo in particolare presenta un linguaggio piuttosto pesante, ma è anche vero che il rating giallo è messo lì per un motivo. Inoltre, dubito che uno dei pirati della peggior specie (ohe, stiamo parlando di Barbanera!) si esprimesse in modo particolarmente fine. Tra l'altro, è appena entrato in scena uno dei miei personaggi preferiti, ma vi lascio indovinare chi è. Grazie come sempre a duedicoppe e a Fannysparrow: tranquille, non ho abbandonato questa storia anche se ci ho messo un po' ad aggiornare. Spero di risentire presto le vostre bordate.
Un'ultima cosa. Io sono un'accanita sostenitrice del Will/Elizabeth. Si nota?
Wind in your sails!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Riconquista ***


Capitolo 12
Riconquista.


Non si poteva dire che Jack, o Will, avessero in programma una cosa del genere, ma di certo nessuno dei due poté negare che fare il loro ingresso nel villaggio seguiti da Ogro, e godersi le facce dei presenti, fu una vera soddisfazione.
Certo, il loro arrivo aveva suscitato un bel po' di scompiglio, e dei soldati armati erano accorsi in tutta fretta per fermarli... ma, per Jack, quello che importava era che ora si trovava di nuovo faccia a faccia con Praho nella sua tenda, e stavolta era il capo degli indigeni a sedere con espressione tesa e preoccupata, senza guardarlo in volto.
- Ancora non sono convinto. - insistette, scrollando il capo.
- Questi sono i fatti, Praho. - ribatté Jack, il quale mal sopportava doversene starsene fermo troppo a lungo, perciò aveva preso a passeggiare avanti e indietro davanti al trono del capo. - Del resto vi abbiamo fatto una grande favore, comprendi? Ogro viene via con noi, e non avrete più motivo di preoccuparvi... o dovrei dire che lui non avrà più motivo di preoccuparsi di voi?-
Al capo degli indigeni non sfuggì il tono accusatore dell'ultima frase, e alzò gli occhi per fulminare Jack con lo sguardo. - Non spetta a te giudicare quello che faccio per la mia gente, Sparrow. -
- No, certamente. Ma vorrei ricordarti che anche lo storpio che hai cacciato dal villaggio, a cui hai negato una casa, e al quale hai dato la caccia per anni, faceva parte della “tua gente”. -
- Da quando sei diventato l'eroe degli oppressi? Non farmi ridere. - scattò Praho, rizzandosi minaccioso sul suo trono. Jack abbassò lo sguardo, preferendo non mettere alla prova la pazienza del capo più di quanto non gli tornasse utile. Era buffo, però: quasi le stesse parole gli erano state rivolte molti anni prima da Lord Beckett, quando lui aveva cambiato bandiera liberando quel carico di schiavi...
- Mai stato. Mi piace impicciarmi degli affari non miei, tutto qui. - rispose con uno dei suoi migliori sorrisi.
- In ogni caso... - continuò Praho, in tono più rassegnato. - ...promettimi solo che manterrai la tua parola e te lo porterai via. Non provare a giocarci qualche altro brutto tiro, altrimenti la prossima volta che mi capiterai tra le mani potrei non essere più tanto gentile con te!-
- Non ho alcuna intenzione di cambiare idea; il nostro Ogro se lo accollerà il giovane Turner. E' stata sua l'idea. Io voglio solo una squadra dei tuoi soldati che seguano Ogro e vadano a recuperare l'esplosivo sparso nei tunnel. -
- Per darlo a te. - concluse Praho per lui, in tono accusatore. - Questo è davvero sleale, Sparrow. Ogro ha rubato quella polvere da sparo; dovrebbe spettare a noi. -
- Ma io non ero costretto ad aiutarvi e, se volete che mantenga la mia parola, da voi chiedo solo questo piccolo contributo. In effetti, Ogro ha già accettato... ed essendo al momento lui l'effettivo proprietario dell'esplosivo, non direi che lo sta restituendo a voi, ma piuttosto che lo sta cedendo a me. Ecco la sostanziale differenza. Inoltre, diciamocelo, tu non vuoi che le gallerie sotto la tua montagna rimangano piene di esplosivo, no? Ti sto facendo un favore. -
Praho emise un lungo sospiro che era per metà un ringhio: era evidente che aveva esaurito la sua pazienza. - Quello che vuoi, ma vattene! Vattene una volta per tutte, e porta tutti quegli altri della tua risma con te!-
- Ti consolerà sapere che il tuo esplosivo mi aiuterà a farlo. - l'occhiataccia che il capo degli indigeni gli lanciò, suggerì a Jack che probabilmente la cosa non lo consolava affatto. - Ebbene, credo che non ci siano più motivi di indugiare. Aspetterò i tuoi uomini, Praho, e grazie mille!-
Praho non gli rivolse alcun cenno di saluto, ma il capitano uscì dalla tenda con un sorrisetto sulle labbra: sembrava finalmente che le cose andassero per il verso giusto. Ora non c'era altro da fare se non fare gli ultimi preparativi, e soprattutto augurarsi di non arrivare troppo tardi.
Si diresse all'altra tenda, quella in cui William si era ritirato non appena erano arrivati al villaggio. Scostò il drappo di stoffa e si affacciò all'interno, trovandosi davanti esattamente quello che si aspettava di vedere: Ogro era seduto su di una stuoia in un angolo, scolandosi una bottiglia di rum che il capitano era riuscito a rimediare per lui dalla dispensa del villaggio. Will gli dava le spalle, inginocchiato accanto ad Elizabeth, ancora priva di sensi.
- Praho ha accettato tutto quanto. - annunciò, entrando e facendo un cenno di saluto ad Ogro. - Ogro, devi guidare i suoi uomini nelle caverne e far sì che raccolgono tutto l'esplosivo che possono, comprendi? Ottimo. Fatti trovare pronto a partire fra pochi minuti. -
- Perfetto. - disse distrattamente Will, mentre posava una mano sulla fronte di Elizabeth.
Jack si sedette accanto a lui e si scrocchiò rumorosamente le dita. - Mi raccomando, non farti prendere dall'emozione. Ho solo risolto in un colpo solo tutti i nostri guai, non è niente di che. -
Il giovane fece un sorriso stiracchiato. - Scusami, lo so che è importante. Ma sono preoccupato per lei... ancora non si è svegliata. -
- Devi darle ancora un po' di tempo. - Jack sospirò, guardando gli occhi chiusi della giovane donna. Non sembrava davvero addormentata; a volte vedeva le palpebre tremare, e muoversi come se gli occhi, lì sotto, stessero scattando in tutte le direzioni. A tratti un mormorio leggero usciva dalle sue labbra socchiuse. L'altra mano di Will teneva stretta la sua, e le dita di lei a tratti tremavano fra le sue. Non aveva idea di cosa stesse accadendo laggiù, nella testa di Elizabeth... ma si augurava soltanto che lei fosse forte abbastanza per superarlo. Per uscirne indenne. Diavolo, doveva riuscirci.
- Vedrai, ce la farà. Credimi, non ho ancora visto niente che sia in grado di fermare la tua donzella pericolosa... è il Re dei pirati, che diavolo! Vuoi che non riesca a svegliarsi da un banale incubo?-
- Non è un banale incubo. - replicò Will, anche se le parole del capitano un po' l'avevano fatto sorridere. - Sono sicuro che si sveglierà, non ne dubito. E' solo che... voglio essere vicino a lei, quando succederà. E' importante. Devo esserci. -
- Come vuoi. - Jack si rialzò, e fece un cenno ad Ogro. - Forza, vecchio mio, abbiamo del lavoro da fare. E' ora di lasciare da soli William e la bella addormentata. -
Ogro fece un verso che poteva essere interpretato come un “sì”, poi si scolò in fretta le ultime gocce di rum e buttò la bottiglia a terra, lasciandola rotolare in mezzo alla tenda. Quindi si tirò su e trotterellò dietro a Jack, lasciando la tenda.
Rimasto solo, Will tornò a guardare Elizabeth. Sentiva la sua fronte scottare sotto le dita, e avvertiva chiaramente il tremito leggero che scuoteva il corpo di lei. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potere sapere che cosa stava accadendo dentro di lei, che cosa stesse vedendo in quel momento... eppure, l'unica cosa che poteva fare era starle vicino, anche se non poteva raggiungerla nel suo delirio. Vegliare su di lei, ed essere presente quando si sarebbe finalmente svegliata, perché sapesse di poter contare su di lui, sempre.
Era quello che aveva sempre fatto per lei, da quando si era innamorato di quella ragazza che -lo sapeva- avrebbe sempre fatto di tutto per sfuggirgli dalle mani.
Era quello che avrebbe sempre continuato a fare, perché, anche senza bisogno che glielo dicesse, Elizabeth aveva bisogno di lui.

*

Tutti i volti della vecchia sé stessa le si affollavano davanti.
Era stata la giovane ragazza innamorata. Era stata l'ingenua, talmente sicura di sé e dei propri sentimenti da permettersi di giocare impunemente con quelli degli altri... finendo solo per ferire tutti quanti.
Era stata sull'orlo del disastro, pronta a perdere il sostegno e la fiducia si quanti le erano vicino... di quanti aveva amato.
Solo alla fine era diventata una donna adulta, capace di attendere per anni l'uomo che amava davvero.
E adesso c'erano Will e David. Il suo più grande tesoro, l'unica cosa che non poteva permettersi di perdere, l'unica cosa di cui non avrebbe mai potuto dimenticarsi, o fare passare in secondo piano. L'unica cosa che contava.
William e David. Come aveva potuto dubitare dell'amore di Will? Come aveva potuto ferirlo?
- So che scelta farai. - disse il volto del giovane, evanescente fra la cortina di nebbia. - Farai sempre quello che vorrai, e andrai avanti. Con o senza di me. -
- Con te!- gridò lei alla nebbia. - Non voglio più perderti, Will! Io ho bisogno di te!-
Mentre tutto svaniva nella nebbia, si rese conto di non averglielo mai detto.

*

Improvvisamente aprì gli occhi, quasi sorprendendosi di tornare a percepire il proprio corpo.
La ruvidezza della stuoia sotto la schiena, il sudore che le gocciolava dalla fronte, la luce soffusa e l'odore di chiuso, per qualche momento furono sensazioni quasi dolorose, che si mescolarono l'una con l'altra prima che riuscisse a distinguerle separatamente.
Era stesa sul pavimento di quella che sembrava una tenda. C'era una mano che stringeva la sua... una mano calda, solida, incredibilmente reale. E reale era anche il volto che la guardava con apprensione, chino su di lei: un volto che non era più un'ombra nella nebbia, ma che era nitido davanti ai suoi occhi.
- ...Will... - si sentiva la gola talmente secca che per un attimo dubitò di avere pronunciato delle parole comprensibili, ma un attimo dopo la mano di William strinse più forte la sua, e il giovane si chinò ancora di più su di lei.
- Elizabeth!- mormorò, con la voce rotta dalla commozione. - Dio mio, stai bene? Riesci a sentirmi?-
- Sì... - non era tanto sicura di cosa fosse successo o come. In quel momento voleva solo una cosa, ovvero stringersi a Will e non lasciarlo più andare, tanto per assicurarsi che stavolta non si sarebbe dissolto davanti ai suoi occhi. Ritrovata la forza nelle braccia, circondò le spalle del giovane e si strinse a lui, e lui ricambiò l'abbraccio con foga, senza dire una parola.
Col viso affondato nella sua camicia, Elizabeth sentì ad un tratto un gran bisogno di scoppiare a piangere come una bambina. Aveva avuto così tanta paura durante quel lungo sogno, si era sentita talmente smarrita, triste e confusa... e ora, nel momento stesso in cui si era svegliata, sentiva di avere appena realizzato qualcosa, qualcosa di molto importante, sebbene ora le sfuggisse come le immagini del suo sogno.
Era come se qualcuno, con un colpo di spugna, avesse cancellato qualcosa di molto brutto dentro di lei. Un peso se ne era andato dal suo cuore, e tutta la sua mente sembrava più limpida. Proprio per questo sentiva il bisogno di piangere, e sfogare tutta la tensione in quell'insperato senso di sollievo.
Tuttavia non pianse: tirò dei lunghi respiri per calmarsi, e lentamente riprese il controllo di sé. Andava meglio, andava molto meglio.
- Will... grazie. - sussurrò Elizabeth, sciogliendo l'abbraccio e asciugando, furtiva, qualche lacrima che nonostante tutto era riuscita a inumidirle gli occhi.
- Grazie per cosa?-
- Per... tutto. Per essere qui. - respirò a fondo un'altra volta, e finalmente si sentì abbastanza bene da mettersi a sedere, sempre con la mano di Will che la guidava in ogni movimento. - E' stato così strano... ho avuto paura di non tornare. Ma che cosa è successo? Dove siamo? Quanto tempo sono rimasta addormentata?-
- Una cosa alla volta. Siamo ancora nel villaggio di Praho, e hai dormito per una notte e mezza giornata. Riguardo a quello che ti è successo... - il giovane sembrò esitare. - ...be', penso che ricordi la vecchia sciamana che ti ha detto che tu avresti fatto il sogno più lungo. E' questo che è successo: sei rimasta nel delirio più a lungo di tutti noi. Come... come ti senti?-
- Bene. - quasi si stupì della sicurezza con cui rispose. - E' strano, sto davvero bene. Quello che ho visto nel sogno mi ha fatto pensare, sai... e per la prima volta, ho le idee chiare come non le avevo da molto tempo. - si raddrizzò, e fissò Will negli occhi con aria molto seria. - Will, voglio che tu sappia che riaverti con me è stata la cosa migliore che potesse capitarmi. Eppure, ho avuto paura. Molte volte ho perfino temuto che fossimo... -
- ...tornati al punto di partenza?- azzardò il giovane per lei. Elizabeth lo fissò sorpresa per un attimo, poi sospirò di sollievo. - Sì. Era questo che intendevo. -
Lo sguardo di William si rabbuiò per un attimo. - Lo so che non deve essere stato facile per te aspettarmi. -
- Ma neanche per te è stato facile dovere aspettare me!- lo interruppe lei. - Io ti ho fatto del male, Will, tante volte. E mi dispiace. Mi dispiace veramente tanto. Non voglio che ci succeda mai più quello che ci è successo quattro anni fa, e non voglio mai più stare lontana da te così tanto tempo. Tu sai che ti amo. E che ho bisogno di te... sempre. -
Ecco, adesso sì che sarebbe stato difficile trattenere le lacrime.
- E non voglio che tu ti senta obbligato a... corrermi dietro, o accontentarmi sempre, perché hai paura che io possa allontanarmi da te. Non potrei mai allontanarmi da te, non di nuovo. Voglio che tu sappia che io sarò dalla tua parte e ti seguirò, qualunque cosa ci succeda. -
Se Will fosse rimasto ancora un po' a fissarla negli occhi in quel modo sarebbe scoppiata, se lo sentiva.
Fortunatamente, un attimo dopo lui la strinse a sé con tanto impeto che per poco non caddero per terra tutti e due.
- Grazie. - sussurrò al suo orecchio. - Grazie per averlo detto. Ma... - il suo tono si fece malizioso. - ...non puoi impedirmi di correrti dietro. Io non rinuncerò mai a te, lo sai. -
- Nemmeno io ho intenzione di rinunciare a te, che cosa credi?!- protestò lei, stringendolo così forte da mozzargli il fiato. Will sembrò non curarsene troppo e la tenne fra le braccia, felice di vederla sana e salva, felice di riaverla con lui, felice di essere nuovamente insieme, dopotutto.

*

Valerie allungò le gambe in mezzo alle felci, sgranchendosi i muscoli indolenziti: era da quel mattino all'alba che stava di guardia, acquattata nel folto, col cannocchiale puntato sulla tolda del galeone inglese, e, ora che il sole era alto nel cielo già da un bel pezzo, ormai tutte le sue giunture stavano chiedendo pietà.
Uno dei pirati accanto a lei le diede un colpetto di gomito, e la passò distrattamente una pipa accesa che il gruppetto di guardia si stava dividendo da qualche minuto: Valerie la prese e tirò due profonde boccate, senza perdere di vista la baia silenziosa.
Un altro movimento al suo fianco attirò la sua attenzione; Jonathan era seduto accanto a lei, a braccia conserte, e la squadrava con aria stanca.
- E' già abbastanza grave che una signorina come te beva. - la canzonò il giovane, con finto disappunto. Per tutta risposta, Valerie allontanò la pipa dalla bocca e soffiò una voluta di fumo in faccia al ragazzo.
- Non vedo signorine, mozzo. - replicò, tornando a masticare l'estremità della pipa. Non aveva chiuso occhio, ed era di cattivo umore: non aveva mai visto nessuno tanto ostinato quanto quegli inglesi. Il galeone si era piantato lì dov'era, e non si era più mosso: gli inglesi sembravano decisi a tenerli sotto stretto assedio fino a che non avessero finito le munizioni. Appurato che non sarebbero mai fuggiti nel bosco abbandonando la Perla, i loro nemici avevano deciso di prenderli per sfinimento.
Avevano perfino tentato di sparare una bordata contro la Perla, per metterla fuori uso quando non c'era nessuno a bordo che potesse proteggerla, ma le dimensioni della baia e la furia con la quale avevano contrattaccato i pirati dalla spiaggia avevano giocato a loro sfavore. La nave ora era ancora ormeggiata nell'acqua bassa, in attesa dell'alta marea: al fianco del galeone inglese mostrava solo la prua, e nella baia non c'era abbastanza spazio perché gli inglesi potessero manovrare per mirare alla fiancata. Inoltre, i pirati erano stati ogni volta attenti a non farli avvicinare troppo, cannoneggiandoli ogni volta che arrivavano a tiro.
Il giorno e la notte erano trascorsi lentissimi; ore di calma mortale seguiti da bombardamenti repentini. Gli inglesi non potevano individuare l'accampamento in mezzo alla boscaglia, così tiravano a caso, o alle vampe dei cannoni. A volte andava bene, e le palle di cannone passavano sopra le loro teste, abbattendo alberi e fogliame. Quando andava peggio, qualcuno veniva schiacciato da un tronco, o investito da una nuvola di schegge appuntite che si conficcavano nella carne e negli occhi.
Peggio ancora era andata durante la notte, quando un colpo improvviso aveva preso in pieno uno dei loro piccoli avamposti fra gli alberi: il cannone era stato sbalzato in aria, portando con sé due uomini, mentre altri tre erano stati travolti dal carrello. Uno era sopravvissuto, un giovane cubano di nome Filipe, ma Valerie dubitava che anche la sua gamba se la sarebbe cavata.
- Dovevamo cercare di nuotare fino alla Perla durante la notte. - sbottò di nuovo, nervosamente, parlando più a sé stessa che a Jonathan.
- E cosa avremmo ottenuto?- sussurrò lui. - Sette o otto uomini a bordo. E allora? Di certo non sarebbero bastati a guidare la nave contro il galeone... anzi, più probabilmente ci avrebbero beccato prima ancora di arrivarci. - così dicendo indicò gli alberi del galeone, dove le vedette erano rimaste appostate per tutta la notte a sorvegliare ogni movimento sulla spiaggia.
- Che vuoi fare, allora?- scattò, irritata. In quel momento non aveva voglia di sentire giudiziosi consigli, voleva solo un modo per risolvere la situazione più in fretta possibile. La determinazione con cui la ciurma si era opposta agli inglesi, ormai stava scemando. Erano tutti stanchi, sfiduciati, e la tentazione di abbandonare la nave e fuggire nella foresta era forte per molti... tuttavia abbandonare la Perla voleva dire perdere il loro unico mezzo di trasporto, nonché il resto dei loro viveri, delle munizioni, e soprattutto del bottino custodito nelle sue stive. No, era un prezzo che nessuno di loro era disposto a pagare. Però, nel frattempo, ne stavano pagando uno ben più alto, che si contava sulle ferite degli uomini ammucchiati sotto un'improvvisata tenda ospedale, e sui corpi di quelli recuperati fra i resti dei legni spezzati.
Invece di risponderle, Jonathan si raddrizzò improvvisamente, come se avesse sentito qualcosa. Si portò un dito alle labbra e sibilò: - Ssshhh!- e subito anche il lieve brusio dei pirati che stavano di guardia con loro si zittì di botto.
La ragazza drizzò le orecchie, incuriosita... e allora udì quello che aveva catturato l'attenzione del carpentiere. Grida lontane, che non potevano che provenire dal galeone inglese. Rapida si mise in ginocchio e prese ad osservare il ponte della nave col cannocchiale, da cima a fondo: c'era movimento, laggiù; gli ufficiali si gridavano qualcosa e facevano segnali ai marinai. Ma non guardavano verso la spiaggia.
- Dio Cristo! Rackham!- esclamò uno dei pirati, senza riuscire a contenere lo stupore: Jonathan e Valerie seguirono il suo sguardo, e anche loro videro. Da dietro la curva dell'isola, spuntava l'inconfondibile polena di una nave, che si avvicinava sempre di più. Sul pennone, appena visibile, sventolava la bandiera nera di Calico Jack.
Più grande ancora fu la loro sorpresa non appena si resero conto che Rackham non era solo: al suo fianco c'era un'altra nave, un grosso brigantino, che stava acquistando velocità e che sembrava avere tutte le intenzioni di buttarsi a capofitto contro il galeone inglese.
- Sono loro! Non so come diavolo hanno fatto, ma ce l'hanno fatta!- gridò Valerie, saltando in piedi. - Date l'allarme! Avvertite tutti, cristo, ci scommetto che fra poco vedremo volare qualche testa!-
Mentre la voce cominciava a spargersi per il campo, Valerie notò qualcos'altro che sventolava sull'albero maestro accanto alla bandiera di Rackham: c'era una vendetta che mandava segnali con le bandiere. Ripreso frettolosamente il cannocchiale, lo puntò di nuovo in quella direzione, e stavolta un sorriso le si dipinse sulle labbra: c'era Michael lassù, e agitava le bandiere come un indemoniato, ripetendo in codice l'ordine di mollare gli ormeggi. E sapeva benissimo a chi era diretto.

*

- Svelti, svelti!- fu la prima cosa che gridai, non appena la chiglia della scialuppa toccò l'acqua.
Ettore e Furey si misero ai remi, cominciando a portare la piccola imbarcazione lontano dalla nave di Rackham, che già aveva ripreso a muoversi. Senza neanche bisogno di scambiarci un cenno, io e Faith ci mettemmo ai nostri posti, una sulla prua e una a poppa, e ci inginocchiammo sul fondo della barca.
Col pollice feci scattare il cane del fucile che tenevo sottobraccio, e appoggiai la canna al sottile parapetto. In verità, dubitavo che i fucili ci sarebbero serviti, poiché ero praticamente certa che gli inglesi avrebbero risparmiato munizioni per le due navi che stavano piombando loro addosso, e avrebbero ignorato i pesci piccoli... ma non si poteva mai sapere.
Mentre Ettore e Furey ci portavano verso la spiaggia, dalla mia posizione valutai la situazione. Eravamo vicini, tanto vicini che potevo distinguere perfettamente le lettere d'oro dipinte sulla fiancata del galeone: Neptune. Gli inglesi erano stati presi in contropiede e, a giudicare dalle urla e dal movimento sul ponte, sembravano aver dimenticato la Perla e l'accampamento, per precipitarsi a preparare le difese contro i nuovi nemici.
In verità, l'unico che sembrava avere intenzioni bellicose era il brigantino di Barbanera: era stata la nave di Rackham ad affacciarsi per prima nella baia e mettere in allarme i marinai, ma poi era stata la Queen Anne's Revenge a sgomitare per farsi spazio e a lanciarsi a tutta velocità verso il galeone. Rackham era rimasto indietro.
Sorrisi tra me, mentre sondavo il ponte nemico con la canna del fucile. Problemi di spazio, avrebbe potuto giustificarsi Calico Jack. Già la baia era troppo poco spaziosa per il Neptune e la Perla; ora Barbanera e il suo brigantino stavano letteralmente chiudendo gli inglesi in uno spazietto angusto, per potersi lanciare all'arrembaggio senza perdere troppo tempo coi cannoni.
Anche per questo avevo preferito lasciare David e Michael a bordo della nave di Rackham: dovevo a Barbanera il piacere di quel massacro, mentre difficilmente l'altro si sarebbe arrischiato a sporcarsi le mani. Erano al sicuro.
Sfortunatamente, gli inglesi sembravano intenzionati a sfruttare anche il poco tempo che rimaneva.
Il boato di tre cannoni, uno dopo l'altro, mi esplose nelle orecchie, e istintivamente mi appiattii di più sul fondo della scialuppa, anche se i colpi erano stati diretti contro la Queen Anne.
La prua del brigantino incassò, in una nuvola di fumo e schegge di legno, senza che la nave rallentasse la sua corsa. Ormai l'imbarcazione stava puntando dritta contro la fiancata del galeone britannico, come se volesse infilzarla e spaccarla in due.
Un'onda improvvisa fece sobbalzare la scialuppa, e mi comunicò che ormai eravamo arrivati vicini alla riva. Michael, dalla coffa della nave di Rackham, continuava a fare segnali con le bandiere. Potevo solo sperare che i nostri uomini fossero abbastanza svegli da coglierli, altrimenti, anche quando avessimo raggiunto la Perla, saremmo stati soli...
Ma ecco, improvvisamente qualcosa si mosse fra la macchia di vegetazione, e dal bosco balzarono fuori i primi pirati, che si gettarono in una corsa a rotta di collo lungo la spiaggia. Poche braccia più in là, sul bagnasciuga, la chiglia della Perla grattava contro il fondale liscio, inclinata nell'acqua bassa. I piedi dei pirati già sollevavano schizzi, senza rallentare la corsa.
Era così vicina! Sarebbe bastato così poco per ottenere il tempo necessario perché il grosso della ciurma si arrampicasse a bordo, e preparasse in fretta la nave a mollare gli ormeggi!
Forse animati dalla vista degli uomini che correvano verso la nave come se avessero il diavolo in persona alle calcagna, Ettore e Furey si misero a remare ancora più vigorosamente, portandoci vicino alla Perla. Quando me la trovai davanti ebbi un sussulto di gioia: eccola finalmente! Adesso mi dispiaceva di averla dovuta lasciare incustodita così a lungo. I nostri cannoni sistemati sulla spiaggia l'avevano protetta, anche se, alzando lo sguardo, notai che un parapetto era stato spezzato da una palla di cannone fortunata, e un'altra si era conficcata nel legno poco sopra alla linea di galleggiamento, senza riuscire a penetrare.
Erano danni superficiali, ma mi sentii ugualmente bruciare di rabbia. Non avrei permesso che la Perla venisse ferita di nuovo in quel modo, a tradimento, senza neppure avere l'occasione di proteggerla.
Ad un tratto nell'aria risuonarono cinque colpi di moschetto: solo quando vidi uno dei proiettili fendere l'acqua ad un niente dalla prua della nostra scialuppa, mi resi conto che erano diretti a noi. Mi accucciai di nuovo sul fondo della barca e mi voltai, puntando il fucile. Il galeone inglese mostrava la fiancata armata alla nave di Barbanera in arrivo, ma sul lato di babordo, quello rivolto verso di noi, si erano appostati alcuni cecchini.
- Ma non hanno di meglio da fare?- ringhiai, cercando di prendere la mira nonostante il continuo rollio della barca.
- Lascia stare. - ribatté Ettore, facendomi un cenno di diniego col capo. - Sono fuori gittata: i loro fucili raggiungono a malapena noi. Non sprecare pallottole. -
- Ci siamo!- un grido molto vicino catturò la mia attenzione, e mi girai di nuovo: ora i pirati sciamavano sulla spiaggia, senza più nulla a trattenerli, e buona parte di loro aveva già cominciato a dare la scalata alle cime d'ormeggio, o ad arrampicarsi lungo le scalette della fiancata.
In pochi istanti la nostra scialuppa fu accanto alla chiglia, ed io non attesi nemmeno che Ettore e Furey avessero ritirato i remi in barca, per alzarmi e aggrapparmi al legno scivoloso delle scalette. Sopra la mia testa, Marty e Cotton si stavano arrampicando come scimmie su per una cima.
- E' un piacere rivedervi, capitano!- mi fece il nano, con un sorriso folle.
Ricambiai frettolosamente il saluto, poi cominciai ad arrampicarmi: la lunga sosta a terra aveva asciugato il legno della chiglia, ma le mie dita ancora faticavano a trovare un appiglio sicuro sui piccoli pioli stretti che si inerpicavano su per la fiancata. Senza concedermi il tempo di esitare neppure per un secondo, risalii tutta la scala e finalmente scavalcai il parapetto, felice di sentire di nuovo il legno solido sotto i piedi.
- La nave è nostra!- esultai ad alta voce. - Avanti, uomini, sapete che cosa dovete fare!-
E lo sapevano eccome, perché, senza neanche bisogno che dessi l'ordine, i pirati che ancora non erano saliti a bordo cominciarono a sciogliere le funi principali, liberando la Perla dai suoi ormeggi. I gabbieri erano immediatamente saliti sui pennoni alle loro postazioni, e le vele color cenere si spiegarono al vento una dopo l'altra come ali.
Nel frattempo, alle nostre spalle il frastuono delle due ciurme che si preparavano a darsi battaglia era cresciuto fino a trasformarsi in un unico, lungo ruggito di rabbia e paura: trattenni il respiro quando vidi la prua della Queen Anne cozzare violentemente contro la fiancata del Neptune, incassando la scarica di cannonate che quello gli oppose un attimo prima dello schianto.
Mi aggrappai al parapetto, senza riuscire a credere ai miei occhi: Ettore e Faith erano appena saliti a bordo al mio fianco, e anche loro rimasero in silenzio ad osservare il disastro che si consumava sotto i nostri occhi. La prua appuntita della nave di Barbanera doveva essere rinforzata e temprata in legno e metallo, perché resistette egregiamente all'impatto col galeone, mentre la fiancata della nave nemica si frantumò con un lungo gemito di legno spezzato.
Prima ancora che gli inglesi avessero il tempo di realizzare quello che era successo, la ciurma di Barbanera si lanciò all'attacco: chi balzando direttamente giù dalla prua, che si era aperta la strada sul ponte del galeone, chi lanciandosi con le funi. Fatto sta che i pirati di Edward Teach conoscevano un livello di ferocia con il quale noi non potevamo nemmeno paragonarci.
Mentre la mia ciurma si ricompattava e preparava la nave per la partenza in brevissimo tempo, io restai a guardare quella masnada di pirati, quella marea umana armata di spade, sciabole, mazze, accette, pistole, moschetti, fucili e qualsiasi altro pezzo di metallo che si gettava addosso alla preda come un cane rabbioso.
La cosa più sorprendente fu la rapidità con cui agirono: come la Queen Anne affondò i denti nel galeone, quasi l'intera ciurma si buttò all'arrembaggio senza la minima esitazione o timore. Dal ponte cominciarono ad arrivare urla orribili, come mai ne avevo sentite prima. Per mia sfortuna, le nostre navi si trovavano abbastanza vicine da permettermi di vedere piuttosto bene quello che stava succedendo: per questo vidi.
Vidi un pirata avventarsi su di un ufficiale in giacca blu, e sfondargli la faccia con un colpo d'accetta sferrato dritto in mezzo alla fronte: quando l'uomo cadde a terra, il pirata strappò l'arma dal suo cranio, solo per tornare ad infierire ancora e ancora sul corpo privo di vita, spruzzandosi di sangue da capo a piedi. La mente e lo stomaco mi si rivoltarono. Non era solo orrendo... non era utile, non era necessario... anzi, faceva perdere tempo e lo metteva in pericolo. Eppure lo fece lo stesso, e non smise per un secondo di urlare mentre lo faceva: peggio ancora, quel suo folle e brutale accanimento sull'avversario morto fece addirittura indietreggiare gli altri soldati, che tentennarono davanti allo spettacolo per un attimo di troppo, per finire sotto le spade di altri pirati che li attaccarono alle spalle.
Vidi tre uomini mettere all'angolo due soldati, bloccarli e cominciare a colpirli furiosamente in faccia con l'elsa delle loro sciabole, ripetutamente, strappando loro grida d'agonia.
Ma soprattutto vidi Barbanera, terribile, nel centro di quel macello come un demone uscito direttamente dall'inferno: un denso fumo nero saliva dalla micce accese annodate nella sua barba, la sua giacca scura gli roteava attorno come un mantello mentre lui girava su sé stesso, alternando un colpo di pistola e una sciabolata, facendo cadere attorno a sé soldati inglesi come mosche. Incespicava sul sangue, calciava via i corpi dalla sua strada senza nemmeno guardarli. Con una pistola scarica spaccò il naso ad un soldato inglese, prima di buttarla via e recuperarne da sotto la giacca un'altra, che scaricò nella pancia del marinaio successivo.
- Facciamolo noi, l'inferno!- lo sentii urlare al di sopra del frastuono. - Facciamolo noi, l'inferno!-
Sentii la mano di Ettore sulla spalla, e poi la sua voce: - Basta così. -
Aveva già tirato Faith contro di sé, costringendola a distogliere lo sguardo; facendomi pressione sulla spalla cercò di allontanare anche me dal parapetto, ma io mi liberai con uno strattone. - Io invece credo che dovrei guardare. - ribattei, senza nemmeno riuscire a definire che cosa fosse il senso di oppressione e dolore che sentivo crescere da qualche parte nei pressi del mio stomaco.
In qualche modo riuscii a spostare lo sguardo dalle due navi a quella di Rackham, che si era degnato solo di prendere parte ai cannoneggiamenti, per poi restare a flottare a poca distanza e lasciare a Barbanera tutto il piacere dell'arrembaggio. C'era ancora Michael a bordo di quella nave, e David. In quel momento, in cuor mio, fui infinitamente e scioccamente grata a Calico Jack Rackham per essere sì un uomo codardo, manipolatore e di scarsa iniziativa, ma meno folle, brutale e senza scrupoli di Teach.
- Capitano!- solo la voce di Gibbs riuscì finalmente a farmi abbassare gli occhi e voltarmi verso il ponte: il nostromo era davanti a me, col fiato corto per la gran corsa, ma con un'espressione raggiante. - Che sollievo, sembra che ce l'abbiate fatta alla fine! Come vedete la Perla ha subito qualche danno, ma niente di irreparabile... Ma, se posso chiedere... dov'è Jack? E i Turner?-
- Ci raggiungeranno dopo. - risposi, sorprendendomi di quanto la mia voce suonasse debole in quel frastuono. - Gibbs, voi... come ve la siete cavata qui?-
Il viso dell'anziano pirata si rabbuiò. - Sei morti sotto i colpi di cannone, e diversi feriti. Triste bilancio davvero ma, ammettiamolo, poteva andare molto peggio. Vedervi arrivare è stata una benedizione. -
Sei morti... questo accadeva, mentre noi girovagavamo nella giungla.
In quel momento fu uno dei pirati, Rodrigo, ad arrivare di corsa per fermarsi accanto al signor Gibbs ed esclamare: - Siamo pronti, capitano! Tutti gli uomini aspettano solo un vostro ordine per andare all'arrembaggio!-
Lo disse talmente in fretta, e con un'espressione talmente euforica, che mi ci volle qualche secondo per afferrare a pieno il senso delle sue parole. - Andare all'arrembaggio?!- ripetei, sconvolta. - Per come stanno andando le cose, da quel galeone non uscirà vivo neppure un inglese. Non c'è bisogno che ci immischiamo. -
Il viso del pirata passò immediatamente dall'eccitazione allo stupore. - Come? Non aspettavamo che questo momento! Ci hanno tenuti bloccati sulla spiaggia per un giorno e una notte interi, ci hanno usati per il tiro al bersaglio, adesso abbiamo il diritto di rifarci!-
- Non voglio altri morti!- scattai, ma proprio in quel momento il signor Gibbs si fece avanti, alzando le mani.
- La ciurma di Teach è senza scrupoli, ma se non li aiutiamo sarà un lavoro terribilmente lungo. - puntualizzò, con voce mortalmente calma, poi abbassò la voce, come a volersi rivolgere solo a me. - Laura, gli uomini ne hanno bisogno. Vogliono questo. Sono stati umiliati e hanno bisogno di sfogarsi, non puoi negarglielo... e non devi temere, non sarà molto diverso da una comune battaglia. Gli uomini di Barbanera hanno già ripulito tutto il grosso. -
Ero rimasta talmente disgustata dallo spettacolo della ciurma di Barbanera, che il pensiero di mandare i miei pirati in mezzo a quel mattatoio mi dava il voltastomaco: tuttavia dovetti riconoscere che Gibbs aveva ragione; gli uomini avevano approntato le vele e i remi, altri avevano imbracciato le armi e mi guardavano coi volti speranzosi, aspettando soltanto il mio ordine per correre ai loro posti.
Non era giusto, ma aveva senso. Erano rimasti ad aspettarmi fedelmente, sostenuti solo dal pensiero di farla pagare cara ai nostri nemici, e ora dovevo soddisfarli.
- In questi ultimi giorni vi ho chiesto fin troppi sacrifici. - dichiarai a voce alta, avanzando lungo il ponte sotto gli occhi dei pirati. - E ve la siete cavata egregiamente, tutti quanti. So che adesso non vedete l'ora di buttarvi nella mischia, e avete ragione: nessuno può permettersi di metterci con le spalle al muro. Però... so che abbiamo avuto sei morti, e odio l'idea di fare qualche altro morto fra di noi, oggi. -
Le espressioni dei pirati si incupirono, e si levò un brusio scontento.
- Tuttavia... - continuai. - La vendetta vi spetta di diritto. Voglio che sappiate che quello che sta succedendo laggiù è un massacro, e che probabilmente dovremmo affrontarne un altro prima che cali il sole. Perciò, chi vuole andare all'arrembaggio e prendersi quanto gli spetta, lo faccia. Tiratori scelti, vi voglio ai posti sulle sartie e dietro al parapetto di tribordo. I cannoni non ci serviranno. Forza adesso, un po' di vita! E tenetevi cara la pelle, perché fra un'ora conto di rivedere tutte le vostre brutte facce sul ponte... quindi chi può veda di non farsi ammazzare!-
Le mie ultime parole suscitarono un boato di risate e grida di approvazione, poi la ciurma si precipitò ai posti di combattimento come un sol uomo. In quel momento mi voltai verso Ettore e Faith, che stavano ancora accanto al parapetto. - Voi due non vi azzardate ad unirvi all'arrembaggio, non voglio altri pazzi sulla coscienza. - li avvisai con un sorrisetto.
- Spero non sarete così apprensiva anche con me, capitano!- una voce squillante e familiare risuonò sopra le nostre teste, e quando tutti e tre alzammo lo sguardo all'unisono vedemmo Valerie che si dondolava sulle sartie, ridendo. Stringeva un moschetto nella mano libera, e una pistola era infilata nella sua cintura.
- Valerie! Tu e il tuo fucile restate sulle sartie, e limitati a fare il tuo dovere, intesi?- la ripresi duramente, ma lei si limitò ad alzare l'arma in un cenno affermativo, per poi ricominciare ad arrampicarsi sulle sartie, veloce come uno scoiattolo.
- Cristo, se a quella scriteriata succede qualcosa... -
- Tu avrai fatto il possibile per evitarlo. - mi interruppe Ettore, con un sorriso condiscendente.
- Michael e David sono con Rackham, e i nostri uomini sanno cavarsela da soli. E' meglio così, credimi. - rincarò Faith.
Annuii in fretta, quindi feci un cenno a Gibbs e insieme ci avviammo in fretta verso il cassero di poppa: volevo che stesse lui alla barra, mentre io avrei continuato a tenere d'occhio la situazione. Stavo per salire le scale del cassero, quando vidi una nota zazzera biondastra passarmi accanto: io e Furey incrociammo lo sguardo per un breve istante, e in quel preciso momento lo vidi rivolgermi un gesto col capo, un lieve ma inequivocabile cenno di approvazione. Poi se ne andò di corsa insieme agli altri pirati, e io ancora non sapevo come interpretare quel suo improvviso cambio di atteggiamento.
Gibbs prese il timone, e i remi cominciarono a muoversi. La Perla rollò, dapprima quasi impercettibilmente, poi sempre più forte, finché non sentii chiaramente il contraccolpo della chiglia che strusciava contro il fondale, gli sfuggiva, e infine si lasciava trasportare nell'acqua più alta.
Il massacro, a bordo del Neptune, stava continuando: l'unica fortuna degli inglesi era l'avere un equipaggio numeroso, perché per quante vittime stessero facendo gli uomini di Barbanera, i marinai in giacche blu sembravano non finire mai. Ormai tutte le navi erano talmente vicine da non lasciare altra scelta se non il corpo a corpo brutale: io restai in piedi, affacciata al parapetto del cassero di poppa, mentre la Perla si affiancava al galeone quasi pigramente, e i tiratori sparavano i primi colpi verso il ponte nemico.
- Ora!- gridai, senza la minima emozione. Quell'arrembaggio non mi esaltava come gli altri: era solo un'incombenza, uno sporco lavoro da portare a termine. Mi preoccupavo solo che i miei uomini riuscissero a restare vivi, o almeno di non dovere aggiungere troppi nomi all'elenco di vittime, entro la fine della giornata.
Erano stati loro a chiedermelo, eppure sapevo che ogni perdita mi sarebbe pesata. Sfortunatamente, il cuore tenero non andava molto d'accordo col ruolo che ricoprivo.
I pirati non aspettavano altro: lanciarono i rampini, intrappolando le sartie del galeone, e poi si lanciarono a bordo con le funi. Fu come gettare olio su un fuoco, dato che il ponte già brulicava dei pirati di Barbanera: in quel momento sperai seriamente che nessuno dei miei finisse ucciso proprio sulle spade degli sgherri di Teach.
Dopo alcuni minuti di rapido e metodico massacro, cominciai a pensare che la battaglia stesse ormai volgendo al termine... quando, ad un tratto, un boato improvviso e terribilmente vicino fece sobbalzare sia me che Gibbs.
Non ebbi neanche il tempo di rendermi conto cosa di cosa fosse successo, vidi solo un'ombra nera abbattersi sul sartiame, con uno stridio di metallo e funi strappate.
- Palle incatenate!- sentii gridare i gabbieri sopra la mia testa. - Hanno le palle incatenate, attenti!-
Palle incatenate, proiettili diabolici in grado di tranciare gli alberi e di dilaniare vele e sartie: piccole e micidiali. La battaglia, sul Neptune, infuriava ad ogni livello, eppure qualche soldato inglese aveva avuto la prontezza di spirito -o la follia- di scagliare su di noi il resto dell'artiglieria.
I cannoni tuonarono di nuovo dalla chiglia del galeone inglese, ed io mi abbassai dietro il parapetto, sollevando allo stesso tempo lo sguardo verso le sartie. I tiratori scelti erano lassù.
Vidi Valerie stringersi alle funi, mentre sentiva i proiettili fischiare tra i velaggi, stracciando i drappi color cenere e percuotendo le sartie.
Ad un tratto, il reticolato di funi cedette sotto di lei. La ragazza incespicò a mezz'aria , perse la presa e cadde, in rotta di collisione verso il ponte.

*

Sentendo il vuoto sotto di sé, Valerie si aggrappò ad un'altra fune penzolante, ma quella non bastò a fermare la sua caduta: la sua mano strisciò sulla canapa intrecciata, spelandosi. Perse di nuovo la presa, e precipitò.
L'impatto col ponte fu violento e doloroso: sentì il colpo vibrare nel gomito e nella spalla, il contraccolpo la fece rotolare, per poi fermarsi riversa di schiena sulle assi umide, incredula di avere compiuto quel volo e di essere ancora viva.
Una volta accertato che terra e cielo erano ancora al loro solito posto, cercò di rialzarsi, ma una fitta pungente le aggredì il braccio.
- Valerie!- una voce familiare la chiamò: era Faith. La giovane la raggiunse di corsa e si gettò in ginocchio accanto a lei. - Santo Dio, sei viva! -
- Il braccio... - gemette lei con un verso strozzato, stringendo i denti.
- Lasciala a me!- Jonathan scivolò agilmente sul ponte, appeso ad una fune: lui e il resto dei tiratori scelti se l'erano cavata. - Lasciala me, tu mettiti al sicuro... potrebbero fare fuoco di nuovo!-
Faith fece un cenno di diniego, e fece alzare in fretta Valerie senza toccarle il braccio ferito. - Aiutala, Jonathan. Dobbiamo portarla in infermeria, posso occuparmi subito di lei. -
Il ragazzo si mise al fianco di Valerie, che gemeva fra i denti e si stringeva il braccio, spronandola a camminare. - Coraggio... non mollare... coraggio... - le ripeté sottovoce, mentre con passi faticosi i due la conducevano sottocoperta. Valerie non riusciva neppure a parlare: il dolore bruciante le mozzava il fiato e le faceva lacrimare gli occhi; riusciva solo a seguire Jonathan e Faith un passo dopo l'altro, faticosamente, mentre la sospingevano verso l'infermeria.
Scesero i ripidi scalini che portavano sottocoperta, mentre da fuori arrivava ancora il frastuono attutito della battaglia in corso, e finalmente raggiunsero la stanza che stavano cercando: era completamente vuota, poiché tutti i feriti erano stati ricoverati a terra, in una tenda sulla spiaggia, ma in quel momento Faith non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Mentre la giovane correva da un angolo all'altro, recuperando bende e utensili, Jonathan aiutò Valerie a sedersi. - Non ti preoccupare. - continuò a ripeterle, col cuore in gola. - Andrà tutto bene. Non mollare. -






Note dell'autrice:
Rieccomi! Scrivere a spizzichi e bocconi probabilmente non è l'ideale, ma è l'unico modo per evitare di impantanarsi completamente... Però, quando finalmente riesco a smettere di cazzeggiare a vuoto su internet e mettermi seriamente a scrivere, i risultati si vedono. Era ora! Intanto, benvenuta alla nuova, apprezzatissima lettrice pinkstar_girl95: se ti ho fatto addirittura sognare i miei personaggi... be', non posso che esserne onorata! Vuol dire che il mio losco piano per la conquista del mondo sta funzionando. Sicura non fosse un incubo?... Scherzi a parte, grazie per i complimenti. E posso dirti che la tua domanda non è nè tanto stupida nè tanto ipotetica... comprendi? Ma ci vorrà un po' di pazienza, dopotutto questa è una serie a puntate. Non preoccuparti, non vi abbandono! Anche se ci fosse una persona sola a leggermi, continuerei a pubblicare per lei. E anche se non ci fosse nessuno a leggere... ci rimarrei male, ma continuerei a scrivere e a pubblicare sperando che prima o poi ci sia. La scrittura è un vero e proprio tunnel di dipendenza.
Un saluto e tanti ringraziamenti alle fedelissime:
Fannysparrow, sono felice di avere trovato un'altra Willabeth ^^ e ancora più felice di avere reso bene il rapporto tra i due. Hai proprio ragione, ho proprio trascurato Jack nello scorso capitolo... Cavolo, potrebbe essere il primo capitolo che ho mai scritto dove lui non compare affatto. Tocca che controllo. Tra l'altro, sì, la donna pirata è proprio la leggendaria Anne Bonny, tornerà di nuovo a breve.
Duedicoppe, grazie per avere apprezzato la mia versione dei due pirati più "reali" che siano mai comparsi in questa storia: ho letto molto di loro e ho voluto inserirli così come li descrivono, un po' per realismo, un po' per tributo. E alla Disney che vuole mettere Barbanera nel quarto film dei pirati rispondo picche, ci avevo pensato prima io.
Wind the sails!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Cambi di bandiera ***


Capitolo 13
Cambi di bandiera


Già da alcuni minuti, Michael stava fissando il bruto dai lunghi capelli rossi raccolti in una coda, che lo aveva sollevato e messo sulla scialuppa come se non pesasse niente. Erano seduti faccia a faccia, mentre la donna pirata, quella col cappello e coi capelli neri, seduta dietro di lui, faceva segno ai marinai di calare l'imbarcazione in acqua.
- Cos'hai da guardare?- sbottò il pirata rosso, fulminandolo con lo sguardo, e la voce diede al ragazzo la conferma di quanto già sospettava: era una donna. Una donna alta e robusta come non ne aveva mai viste, talmente ben camuffata in abiti da marinaio da trarre in inganno alla prima occhiata, ma comunque una donna.
- Scusatemi. - rispose, mentre faceva del suo meglio per trattenere David che, sentendo i primi scossoni, cercava di allungarsi verso il parapetto per guardare giù. - E' la prima volta che vedo delle donne pirata, a parte quelle della Perla Nera... -
Quella fece un verso a metà tra il divertito e lo sprezzante, e scosse il capo. - Ce ne sono più di quante non si immagini, mozzo. Solo che non è saggio andare ad urlarlo ai quattro venti. -
La scialuppa toccò l'acqua, e le due si chinarono per prendere i remi. Per un attimo, spinto da un impulso di inutile cavalleria, Michael fu tentato di chiedere di poter prendere il posto di una di loro, ma David gli stava già dando abbastanza grattacapi: quel bambino sembrava incapace di starsene fermo e tranquillo perfino a bordo di un guscio di noce traballante.
- Tieni stretto il tuo fratellino, ci sarà da ballare un po'. - lo avvisò la donna dai capelli neri, cominciando a remare di buona lena.
- Non è mio fratello. - la corresse Michael, acciuffando il bambino e riportandoselo in grembo: David lo fissò con espressione scocciata, e incrociò le braccia. - Ma ormai è come se lo fosse... - sospirò, come per un ripensamento, quindi si chinò su di lui e lo rimproverò: - Ti ho già detto che devi startene buono, almeno per adesso! Che facciamo se la barca si rovescia, eh?-
- Nuotiamo. - rispose David, con sicurezza allarmante.
- Nuoti tu, soldo di cacio, perché sarai l'unico a cadere dalla scialuppa. - replicò la rossa, anche se in tono più scherzoso e meno ruvido di prima. Raggiunsero la riva in breve tempo, e non da soli: dietro di loro incombevano ben quattro navi; il Curlew, di Rackham, la Queen Anne, e la Perla, che trainava il relitto malandato di quello che era stato il Neptune.
La battaglia, sulla spiaggia, si era finalmente conclusa, e le operazioni di recupero avevano portato via poco tempo: quello che bastava a caricare sulla Perla gli uomini e l'armamentario rimasti a terra, e di agganciarsi al relitto del Neptune per trascinarselo dietro fino alla baia dove si sarebbe preparata l'imboscata.
Ora le tre navi si erano ormeggiate nella baia, chiuse a cerchio attorno al relitto come un branco di squali su una preda, e alcune scialuppe si stavano avvicinando alla riva. Michael scese e aiutò le due donne a tirare la barca fin sul bagnasciuga; dietro di loro era approdato anche Rackham, scortato da altri due dei suoi pirati.
Era stato deciso che i capitani si consultassero sul da farsi prima che calasse la notte: le ciurme invece sarebbero rimaste a bordo, pronte ad ogni evenienza.

*

Quando sbarcai, fui contenta di rivedere Michael e David sani e salvi. Erano su una scialuppa insieme alla donna pirata che avevo visto prima, e -a meno che non mi sbagliassi di grosso- un'altra donna dai capelli rossi.
Mi avvicinai al quartetto insieme a Faith, Ettore e Gibbs, e fui la prima ad incrociare lo sguardo di Michael quando si voltò verso di noi, raggiante, tenendo per mano il piccolo David.
- Hai fatto un ottimo lavoro, Mickey, sono fiera di te. - mi complimentai, dandogli una pacca sulla spalla.
- Faith invece era ansiosa come una vecchia suocera. - scherzò Ettore, tormentando sua moglie col gomito. Lei lo respinse bruscamente, piccata.
- Smettila!- protestò. - Avevo anche ragione ad essere preoccupata... è già abbastanza grave che Valerie sia rimasta ferita!- poi però si fece avanti e abbracciò il fratello, che per una volta non si ribellò a quella dimostrazione di affetto. David, invece, si guardava attorno con aria vagamente preoccupata.
- Dove sono mamma e papà?- mi chiese con la sua vocina inquisitoria, puntando gli occhi nei miei: non avrei saputo dire perché facesse domande a me, forse gli ispiravo fiducia.
- Arriveranno presto, David... -
Come facesse un bambino così piccolo a scoccare certe occhiatacce di sufficienza, lo sapeva il Cielo. In quel momento, Rackham scese a terra insieme ad altri due uomini: ogni capitano era venuto con la sua scorta, come io avevo portato la mia. La donna dai capelli neri mi si avvicinò, squadrandomi con aria strana: incuriosita, forse. Avrei voluto parlare con lei già da prima, ma non ne avevamo avuto occasione.
- E' curioso che portiate con voi un bambino così piccolo. - commentò, accennando a David.
Io non potei fare altro se non annuire. - Lo so. I suoi genitori sono dei nostri; lo hanno sempre portato con loro. Ormai è parte della ciurma. -
- Vedo. - la donna finalmente sorrise, quindi mi tese la mano. - Sono Anne Bonny. -
- Laura Sparrow. - ce la stringemmo brevemente, poi lei si voltò ad indicare la sua compagna dai capelli rossi che se ne stava in disparte, appoggiata alla scialuppa. - Lei è Mary Read. Sembra che abbiamo qualcosa in comune. -
Rackham attendeva a pochi passi da noi, con le mani sui fianchi e l'aria nervosa, mentre si guardava continuamente attorno; Barbanera invece si stava prendendo tutto il tempo, come se non gli importasse, e lui e la sua scorta stavano scendendo a terra solo in quel momento. Notai che anche i suoi pirati -fra i quali riconobbi il vecchio con troppe pistole- si guardavano attorno. Inutile chiedersi chi stessero cercando.
Notando un'occhiata di troppo di Ettore verso le due donne pirata, Faith gli diede un colpo di gomito. - So che cosa stai guardando. - lo avvertì.
Lui sussultò e la fissò ad occhi sbarrati, arrossendo appena: doveva essere la prima volta che lo vedevo fare qualcosa come arrossire. - Non... non le stavo guardando in quel modo!- protestò, in un bisbiglio.
- Sì, sì... coda di paglia, eh?- continuò lei, sogghignando maliziosa. - Allora devo proprio vendicarmi: qua ci sono tanti di quegli uomini... Trentacolpi, per esempio, quello sì che è un gran pezzo d'uomo!-
Scoppiarono a ridere tanto Ettore quanto lei, e perfino Michael che aveva origliato tutto la conversazione. Io sorrisi tra me, incurante del fatto che i nostri scherzi avrebbero potuto irritare i nostri alleati. Eravamo tutti di buon umore, da quando eravamo finalmente riusciti a riunirci alla ciurma e alla Perla.
Anche il vecchio però ci aveva sentito, e senza tanti complimenti lasciò indietro i suoi compagni e il capitano, per venirci a raggiungere. - Si parlava di me?- domandò, con un sorrisaccio che si apriva fra la barba ritta e incolta. Ettore cinse possessivamente le spalle di Faith con un braccio. - Non importa, ha cambiato idea. - disse, tranquillo ma con un tono che non ammetteva repliche.
Trentacolpi si fece una grassa risata, gettando indietro la testa pelata, poi si esibì in un inchino tutto svolazzi, accompagnato dal clangore assordante di tutte le sue pistole che cozzarono fra loro. - Martinho Gutierres, detto Trentacolpi, per servirvi, miss! O magari... - fece un sorriso sghembo. - ...voi gradireste servire me!-
Faith alzò gli occhi al cielo, poi sorrise al vecchio, scuotendo la testa. - No grazie, davvero non ci tengo. -
- Ma che peccato. - lui rise di nuovo, poi girò sui tacchi e tornò verso il suo gruppo, col concerto metallico delle pistole che lo seguiva ad ogni passo. Curiosamente, la comparsa del vecchio mi aveva fatta sorridere: dalla ciurma di Barbanera mi aspettavo ben di peggio, invece l'uomo era stato quasi... gentile, con noi. Per gli standard di un pirata, naturalmente. Strano, davvero, anche perché sembrava infischiarsene bellamente sia del suo capitano che del resto della ciurma, limitandosi ad andarsene semplicemente per i fatti suoi. Ettore si voltò verso sua moglie con un sorrisetto di scherno. - Faith, hai trovato un amico!-
- Oh, sta zitto. - borbottò seccamente lei.
- Ditemi, miss Sparrow... - se ne uscì ad un tratto Rackham in tono fin troppo gentile, cosa che mi mise subito in allarme. - Si sta facendo tardi, e ho ragione di credere che i nostri inseguitori potrebbero già essere pericolosamente vicini... Avete idea di dove sia finito vostro marito? Il tempo stringe, e non vorrei che avesse deciso, ecco, di non attenersi al piano... -
- Non abbiamo fatto altro che correre, pur di stare dietro al nostro piano!- protestai. - E non importa quando arriverà; possiamo cavarcela benissimo da soli, come abbiamo fatto finora. -
Il capitano sollevò un sopracciglio, chiaramente sorpreso. - Quindi... sapete che cosa ha in mente?-
In verità Jack mi aveva lasciata senza dirmi niente di definitivo, ma mi aveva detto di recuperare la nave, e avevo intuito che cosa intendesse farci. Ma cercai di mostrarmi più sicura di quanto non fossi, a scanso di equivoci: nemmeno Rackham sembrava propenso a darmi troppa fiducia. - Sì che lo so. - gettai uno sguardo alle mie spalle, dove si era fermato Barbanera insieme a cinque pirati della sua risma. Non disse una parola, e non fece altro se non restarsene con le braccia conserte e la barba ancora fumante per le micce accese: era evidente che riteneva di avere già fatto la sua parte, e ora voleva che fossimo noi a preparare un piano.
- Il relitto del Neptune è la nostra esca. - continuai: dovevo cercare di pensare come Jack, mi dissi, e tutto sarebbe andato bene. Di solito funzionava. - Presto sarà notte, e scommetto che i nostri amici saranno nei paraggi nel giro di qualche ora. Tutto quello che dobbiamo fare è attirarli qui dentro. Se noi ci nascondiamo lungo i bracci della baia e lasciamo il relitto da solo, nel centro, col buio non riusciranno a vedere quanto è danneggiato. Potremmo semplicemente lasciarlo lì, magari alzando la bandiera bianca. -
- Attirarli con la richiesta di soccorso? Banale. Troppo banale. Non ci cascheranno mai. - commentò Teach in tono brusco.
- Potrebbe, invece. - replicò Rackham, pizzicandosi pensoso la barba. - Da fuori, le rocce nascondono le vere dimensioni della baia. Avvicinandosi, e non vedendo nessun'altra nave all'interno, potrebbero decidere di fidarsi ed entrare: non riusciranno ad indovinare che le navi sono nascoste dietro i bracci di roccia, prima che sia troppo tardi. -
Barbanera sembrò sul punto di ribattere e dare il via all'ennesima lite, ma proprio in quel momento Anne Bonny gettò uno sguardo alle nostre spalle come per caso, e di colpo sobbalzò dalla sorpresa, sfoderando istantaneamente entrambe le pistole che portava alla cintura. - Che diavolo...?!- urlò, puntando le armi.
Pessima mossa da fare, davanti ad una congrega di pirati piuttosto intrattabili: in un attimo avevamo tutti sfoderato spade e pistole, voltandoci freneticamente ora verso Anne, che aveva estratto le armi per prima, ora verso il punto imprecisato che aveva catturato la sua attenzione.
- Prego, non c'è alcun bisogno di emozionarsi così tanto. Non siamo niente più che innocenti spettatori. -
Quattro persone uscivano a passo spedito dalla boscaglia, e si stavano avvicinando a noi. Non so che cosa in quel momento mi fece sussultare di più: se vedere Jack, impettito e sorridente in testa al gruppo; oppure Elizabeth, sveglia e apparentemente sana e salva accanto a Will; o la vista del quarto, inquietante personaggio che camminava alle spalle dei tre come un'ombra... un'ombra enorme, alta quasi due metri, massiccia come un orso e con un volto... un volto che esitai parecchio a riconoscere come quello di un uomo.
L'attenzione generale sembrò concentrarsi sul gigante, e vidi alcuni dei pirati sbiancare e tirarsi indietro, stringendo le armi con mani tremanti. Barbanera sgranò gli occhi e imprecò, e pensai che quella era probabilmente la prima volta che lo vedevo sorpreso: il brusio di imprecazioni, bestemmie ed esclamazioni di sorpresa salì di tono quando il quartetto ci raggiunse e si fermò a pochi passi da noi.
Io stessa avevo messo mano alla pistola, anche se l'avevo abbassata non appena avevo riconosciuto Jack e i Turner. Ora il mio sguardo incredulo rimbalzava da loro al gigante che li accompagnava, mentre le parole sembravano essermisi strozzate in gola.
- Perdio, fate avvicinare quella cosa e ve la restituisco con un buco in fronte!- ruggì Anne Bonny che, riscuotendosi per prima dallo stupore, fece due passi decisi in avanti puntando minacciosamente le pistole.
- Fermi!- Will si era messo in mezzo, disarmato e con le mani sollevate. - Non farà del male a nessuno, se non gli darete motivo di farlo. Mettete giù le armi. -
- Decido io dove tenere le mie armi, e non sarà certo uno sbarbatello come te a farmi cambiare idea. -
- Anne. - Rackham raggiunse la donna e la prese per un polso, facendole abbassare le pistole; era il gesto più determinato che gli avessi visto fare di recente. - Stiamo cercando di smetterla di minacciarci a vicenda, ora non mettertici anche tu. -
Stranamente, dopo il rimprovero del suo capitano, Anne Bonny abbassò la guardia senza fiatare, anche se non smise di guardare con sospetto il quartetto appena arrivato. Vedendo che gli adulti avevano smesso di fare gli stupidi, David lasciò la mano di Michael e si precipitò tutto contento dai suoi genitori che, improvvisamente dimentichi di tutto, lo abbracciarono con altrettanto slancio. Jack si fece avanti nel nostro cerchio a braccia aperte, e attaccò a parlare come se riprendesse una conversazione che avevamo interrotto solo pochi istanti prima.
- Ebbene, devo dire che è splendido ritrovarsi di nuovo tutti insieme, Rackham... Teach... - fece un cenno di saluto a ciascuno dei due pirati, ma passando davanti al secondo incrociò per un attimo il suo sguardo per niente rassicurante, e fece bruscamente dietro-front per tornare a rivolgersi verso la ciurma di Calico. - Miss Bonny, è un piacere rivedervi... non fate quella faccia, per favore, il nostro smisurato amico è con noi per un motivo preciso e non infastidirà nessuno a meno che non sia strettamente necessario. Ma veniamo a noi... Mi dispiace veramente tanto per il ritardo ma, vedete, abbiamo avuto delle faccende da sbrigare. -
- Non avevo dubbi che avresti trovato qualche scusa. Hah!- Barbanera tirò sul col naso prima di esibirsi nell'ennesimo, disgustoso, sputo sulla sabbia ai nostri piedi.
Jack si limitò a tirare su il mento, con fare altezzoso. - Non ho perso tempo, Teach. E mi sembra anche di avervi lasciati in ottime mani. - si voltò brevemente verso di me, rivolgendomi un fugace sorriso. In quel brevissimo scambio di sguardi, ricambiai. Decisamente non era il momento opportuno per qualche commovente riunificazione come per i Turner, anche se, potendo, non mi sarebbe dispiaciuto.
- In buone mani?- ruggì Barbanera, piantandoglisi davanti. - Siamo stati ad aspettare te e la tua ciurma del cazzo, solo per vedere spuntare dal bosco quella mocciosa insieme a cinque smidollati che ci chiedevano di venire a salvare la tua dannatissima nave! E adesso che noi abbiamo fatto il lavoro sporco, tu te ne arrivi tranquillo, come se non fosse successo niente, portandoti dietro i tuoi leccapiedi e questa sottospecie di... - tentennò per un momento, scrutando il gigante. - ...grasso... elefante. Non so se ho voglia di sopportarti ancora per molto, Sparrow. -
Per una volta, Jack rimase a guardarlo senza battere ciglio: questo mi fece sospettare che avesse qualche altra sorpresa in serbo per noi. - Se non hai altri fantasiosi appellativi da affibbiare alla gente che frequento... - replicò, insolitamente freddo. - ...magari posso finire. Se mi fate il favore di guardare un istante, con attenzione, alle nostre spalle, potrete notare che mi sono portato dietro ben più del nostro grosso amico. -
Tutti quanti alzammo lo sguardo, seguendo la direzione che ci indicava, e ci trovammo a fissare il limitare della macchia che circondava la spiaggia sassosa. Dapprima non vidi nulla, poi, aguzzando la vista, notai alcune figure immobili, quasi perfettamente mimetizzate con la boscaglia: prima due o tre, poi almeno una decina, poi sempre di più. Sussultai, sgranando gli occhi: era la gente di Praho.
Sembrava che l'intero villaggio si fosse radunato all'ombra della macchia, e fosse rimasto a fissarci in assoluto silenzio, invisibile, per tutto quel tempo.
Calico Jack allargò gli occhi per la sorpresa, voltandosi verso di noi. - Buon Dio, Sparrow! Chi sono questi?-
- Amici che vivono qui. - rispose lui, con un sorrisetto soddisfatto. - Amici che portano barili... e barili... e barili... di polvere da sparo in buono stato, nonché numerose micce da cannone. Abbastanza per fare saltare in aria, diciamo, quello che resta di quella nave. - indicò il relitto del Neptune.
Per lunghissimi istanti sul gruppo di pirati calò un silenzio stupefatto, mentre io mi voltavo di scatto a scambiare una fugace e allarmata occhiata con Faith, Ettore e Gibbs. A quanto pareva, avevo indovinato il piano di Jack solo per metà: sapevo che intendeva usare il relitto come esca, ma non avrei mai immaginato che il suo progetto prevedesse anche di imbottirla di polvere da sparo e farla esplodere... specie non dentro una baia, con la nostra nave pericolosamente vicina.
- ...Saltare in aria?- Rackham fu il primo a recuperare l'uso della parola. - Aspetta, aspetta un momento, Sparrow, stiamo correndo troppo: un carico così grosso di polvere da sparo potrebbe fruttarci una piccola fortuna! E perdio, le navi costano! Perché buttarne via una così? Certo è ridotta male, ma si può sempre recuperare il legno: quello inglese te lo pagano a peso d'oro!-
- E come pensate di vendere la polvere da sparo e il legname, se continuerete ad essere braccato costantemente?- lo interruppi, guardandolo storto. Anne Bonny, al fianco di Rackham, quasi rise.
- Questo è il punto. - rincarò Jack. - La nostra prima priorità, quindi, è liberarci dei nostri inseguitori. E per farlo occorrerà sacrificare qualcosa, comprendete? Non sarà bello e non ci guadagneremo un granché, ve lo posso assicurare, ma ci toglieremo un gran peso. -
Rackham si accigliò ancora di più. - Allora che intendi fare?-
Jack si fece avanti allargando le braccia, preparandosi ad un'altra delle sue teatrali delucidazioni. - Il relitto del Neptune è la nostra esca... -
- Questo l'ha già detto lei. - sbottò Barbanera, accennando a me col capo. Jack mi fissò inarcando le sopracciglia. Io gli sorrisi e scrollai le spalle. Un po' deluso, tornò a rivolgersi ai pirati e sbottò, sbrigativamente: - Oh insomma, giacché sappiamo già tutti che cosa c'è da fare, muoviamoci. Gli indigeni caricheranno l'esplosivo sul relitto appena glielo dirò io. Non intralciateli e non infastiditeli in alcun modo; non avete idea di quanta fatica abbiamo fatto per strappare questa concessione, e non vorrei rovinare tutto. -

*

Pochi minuti dopo eravamo ancora su quella striscia di spiaggia, tutti seduti attorno ad una lanterna perché ormai era calato il buio, coi tre capitani intenti a confabulare e a spostare sei piccole pietre che dovevano rappresentare le nostre navi, il relitto, e le altre due che sarebbero dovute arrivare.
Appurato che la Perla e le altre due, protette dietro i bracci di roccia, sarebbero state al sicuro dall'esplosione, Teach sollevò gli occhi dal rozzo modellino per voltarsi verso la Perla, ancora ormeggiata al centro della baia, accanto al relitto.
- Insomma, abbiamo chiarito che cosa dobbiamo fare noi, Sparrow. Ma non hai detto neanche una volta quale sarà il tuo ruolo in tutta la battaglia. - indicò la pietra che rappresentava la Perla, ferma accanto a quella che avrebbe dovuto simboleggiare l'imboccatura della baia.
- Il mio ruolo è questo. Esattamente questo. - Jack picchiettò la pietra con l'indice. - La Perla starà lì per tutta la battaglia. Sorveglierò l'imboccatura in modo che nessuno esca, ma, e questa è la cosa più importante, temo di non avere intenzione di unirmi all'arrembaggio. -
Pensavo che la sua risposta avrebbe scatenato un putiferio, invece solo Rackham sobbalzò e lo fissò sbalordito. Barbanera si limitò a ridurre gli occhi a due fessure, fissando Jack con profondo disgusto e sibilando fra sé una bestemmia: considerato il suo normale temperamento, era come se non avesse fatto una piega.
- Non capisco la tua posizione, Sparrow. - disse Calico, allargando le braccia e scuotendo il capo con espressione disarmata. - Hai accettato tu di allearti con noi. Hai detto tu che consideravi vantaggioso il nostro accordo. Sei venuto a chiederci aiuto, e noi te lo abbiamo concesso anche se non faceva parte dei piani. Adesso, perché dovresti rifiutarti di combattere?-
Jack rimase stranamente serio. - Perché io avevo un unico nemico che mi dava fastidio: il Neptune. E, ora che tu e Teach mi avete fatto il favore di levarmelo dai piedi, io ricambierò la cortesia offrendovi il mio piano e soprattutto la mia polvere da sparo. Non è un regalo: è uno scambio, Non ho mai detto che avrei mandato la mia ciurma a morire per voi, perché è una bella carneficina quella che state preparando, nel caso non l'aveste ancora capito. Avete scelto voi di combattere all'ultimo sangue, sia per l'equipaggio del Neptune, sia per quello delle navi che stiamo aspettando. Io no. Non voglio cambiare il mondo, né posso ricostruire dal nulla la Fratellanza: e nemmeno tu, Rackham, vuoi farlo, a dirla tutta. Tu ci hai chiamati perché avevi paura, e ti serviva qualcuno che ti coprisse le spalle. Guarda caso hai scelto me e Teach... non potevo rifiutare l'accordo quando l'alternativa era farmi impallinare, no?- accennò a Barbanera mentre lo diceva; la cosa più sorprendente fu che il pirata sembrò quasi trovare la cosa divertente, perché sbottò in una cupa risata rauca, guardando storto tanto Jack quanto Rackham.
Quest'ultimo sembrava preso in trappola. Sconvolto e piccato, faceva rimbalzare lo sguardo tra i due capitani che gli stavano davanti, inaspettatamente quasi coalizzati contro di lui, almeno per il momento. Ad un certo punto guardò verso di me, e la sua espressione si indurì: senza più considerare gli altri due, puntò un dito contro di me e sbottò: - Un comportamento veramente leale, non c'è che dire. Sapevate tutto questo, quando siete venuta a mendicare il mio aiuto e vi ho dato ospitalità sulla mia nave?-
Pur di non affrontare a viso aperto i due capitani, sceglieva di prendersela con me, magari cercando di farmi sentire in colpa. Non avevo nulla contro di lui, ma anch'io capivo fin troppo bene quali erano state le sue vere intenzioni fin da quando ci aveva proposto il patto. Così come sospettavo che intendesse spingere la Perla e la Queen Anne verso la battaglia finale per poi restarsene nelle retrovie, come aveva fatto poco prima.
- Non vi stiamo abbandonando, Rackham. - risposi con freddezza. - Per rispondere alla vostra domanda; sì, già immaginavo che ci saremmo trovati a questo punto. Ma vi stiamo offrendo un modo per combattere i vostri nemici, come avevamo deciso. -
- Non avevamo deciso proprio niente...!- protestò il capitano, accalorandosi, ma ad un tratto Anne Bonny lo spinse da parte con una spallata e lo fulminò con lo sguardo per un attimo che sembrò eterno. Mi sorprese che la donna osasse tanto, ma era evidente che si fosse guadagnata il diritto di farlo perché, senza esitare, si rivolse a noi tre in tono spiccio, ignorando Calico.
- L'accordo è valido. Andata. - fece, con un cenno del capo. - Voglio però che voi della Perla vi atteniate al piano e sorvegliate l'imboccatura della baia: nessuno vi chiederà di unirvi all'arrembaggio, se non volete farlo; mi basta che teniate pronti i vostri cannoni e non lasciate scappare quei bastardi. E voglio tutto quell'esplosivo a bordo del relitto entro mezz'ora. -
Incrociai lo sguardo e ammiccai. - Andata. -
- Andata. - fece Jack, col suo solito sorrisetto.
- Che siate fottuti all'inferno tutti quanti. - grugnì Barbanera, ma annuì.
- Davvero, mi aspettavo un po' più di collaborazione da parte vostra, Sparrow. - protestò ancora Rackham in tono lamentoso. Il suo aspetto non suggeriva niente di pericoloso, ma i suoi occhi bruciavano di rabbia e di incredulità.
- La avrete, la nostra collaborazione. - replicai, desiderosa soltanto di fargli chiudere la bocca: a lui e a Barbanera. - Io sarò a bordo del relitto, per accendere la miccia quando sarà il momento. -
- Cosa?!- esclamò Jack, con un'improvvisa nota più acuta nella voce.
- Cosa?!- gli fece eco Faith.
- Qualcuno dovrà pure farla esplodere tutta quella polvere, no?- prima che qualcun altro potesse replicare, tesi la mano ad Anne Bonny e ce la stringemmo vigorosamente, suggellando il patto.

*

Tenevo gli occhi fissi sui miei piedi, escludendo qualsiasi altro rumore che non fosse il fischiare vento, o il lento respiro della risacca.
Le onde si arrampicavano lungo il bagnasciuga, e a intervalli regolari mi sommergevano di spuma fino alle caviglie: sentivo il terreno cedevole sgretolarsi sotto le piante dei piedi nudi, i sassolini che mi sgusciavano fra le dita. Quel continuo, freddo sgambetto mi costringeva a camminare molto lentamente, ma era anche piacevole.
L'acqua, sotto il cielo senza luna, era quasi nera. La baia era scura e silenziosa, e solo il relitto del Neptune si distingueva dalle rocce, immobile nel centro della baia come una grande balena arenata. Alzai lo sguardo per guardarmi attorno. Nessuna traccia delle tre navi pirata. Se non avessi conosciuto perfettamente la posizione di ognuna di loro, avrei potuto credere che la baia fosse deserta.
- A volte dovresti imparare a frenare l'entusiasmo. - Jack camminava dietro di me: come me era a piedi nudi e teneva gli stivali in mano; in silenzio, aveva voluto seguirmi in quella specie di passeggiata propiziatoria.
Gli indigeni avevano già finito il loro lavoro pochi minuti prima: rapidi e muti, avevano sfilato davanti ai nostri occhi, andando avanti e indietro dalla spiaggia al relitto coi loro carichi di polvere. Dopodiché, erano tornati nella foresta, anche se ero sicura che fossero ancora lì da qualche parte ad osservarci.
Sorrisi a Jack, affondando i piedi fra i sassolini. - Mi sembrava un compromesso ideale. -
- Ideale per chi?!- protestò lui, lasciando involontariamente trapelare il nervosismo che provava. Rendendosene conto, tornò a fare il vago, guardando altrove e agitando i piedi nell'acqua bassa.
- Per tutti. Per te, se vuoi giustificare uno scambio equo, e per me. -
Jack alzò gli occhi al cielo. - Non hai bisogno di fare colpo sulla ciurma. -
- Sì, invece!- ribattei in tono più duro. - Non sono come te, Jack, non so uscire splendidamente da qualsiasi situazione. Io ho bisogno di guadagnarmelo, il rispetto della ciurma, ora più che mai. -
Stavolta fu lui a scoccarmi il sorriso di chi la sa lunga. - Da quello che ho sentito, hanno piuttosto apprezzato il modo in cui ti sei comportata una volta ripresa la Perla. Grazie per lo “splendidamente”, comunque. -
Feci vagare di nuovo lo sguardo sulla baia: sembrava che le uniche luci fossero quelle delle lanterne accese sulle scialuppe rimaste ad aspettarci sulla spiaggia. Mancava pochissimo. Dovevamo solo andare ai nostri posti, poi avremmo atteso il nostro momento. Poteva risolversi tutto solo in una lunga nottata al freddo, sola, a bordo del relitto... ma ero piuttosto sicura che i nostri nemici si sarebbero presentati proprio quella notte. Non avevano più motivo di tardare.
- Devo essere io a farlo. - risposi, stringendomi nelle spalle come se non fosse poi una gran cosa. - E' giusto che anche noi ci assumiamo i nostri rischi... e tu servi a bordo più di me. -
Jack represse una risatina e si avvicinò, posandomi rapido l'indice sulle labbra. - Le nobili intenzioni tienile per Rackham, gioia. Tu vuoi fare la splendida davanti a tutti. -
Mi trattenni a forza per non sbuffare per l'esasperazione. - Vuoi che lo dica? E va bene: voglio fare la splendida! Voglio fare la mia carnevalata, voglio recitare la parte del capitano temerario con tanto di fuochi d'artificio, così che tutta la ciurma rimanga a bocca aperta e mi faccia un bell'applauso pensando: “E' incredibile; seguiamo questa fanciulletta in capo al mondo!”. Non è quello che facciamo continuamente? Teatralità!- spalancai le braccia, improvvisando una goffa piroetta. - La più grande arma dei pirati. Dei capitani pirata, in particolare. -
Lui annuì, suo malgrado. - Dolcezza, non dirò che non hai ragione. Hai dannatamente ragione, e direi che hai capito fin troppo bene come vanno le cose. E' solo che mi sembra lecito essere preoccupato per te, comprendi?-
Mi fermai a guardarlo. - Eccome se comprendo. -
Senza aggiungere altro, lui mi tese la mano libera e camminammo gli ultimi metri di spiaggia in silenzio, tenendoci per mano. Le sue dita mi sembrarono così calde che, anche quando mi lasciò andare, continuai a sentirne il calore sul palmo.
Sulla riva ci stavano aspettando due scialuppe: su una, prevedibilmente, erano rimasti ad attenderci Faith, Ettore e Gibbs; fui più sorpresa di vedere le due donne del Curlew, Anne e Mary, in piedi accanto all'altra barcaccia.
- E' tutto pronto?- domandai a Gibbs mentre mi rimettevo gli stivali, e il nostromo annuì frettolosamente.
- Ogni cosa è stata sistemata a bordo del relitto, i cannoni della Perla sono puliti e carichi... e ogni uomo è al suo posto. -
- Perfetto. - mi sforzai di inghiottire il groppo che avevo in gola.
- Spero che tu sappia quello che fai. - era stata Anne Bonny a parlare. Le risposi con un sogghigno.
- Lo spero anch'io. -
- Non perdere tempo, quando sarai a bordo. - aggiunse la donna dai capelli rossi, al suo fianco. - Dai fuoco a quello che serve, e poi vattene. Trova un punto buono per tuffarti, e fallo in fretta. -
- E' coraggioso quello che fai, non credere. - Anne ci squadrò tutti quanti per qualche istante, poi mi fece un cenno come a chiamarmi in disparte: mi avvicinai, e lei abbassò la voce. - Non pensare ad una parola di quel che ha detto Calico. - mi disse, in tono duro. - So cosa gli passa per la testa, e avete fatto solo bene. Che vi uniate all'arrembaggio o no, per me avete mantenuto la parola; siete puliti. -
- In verità mi dispiace. Ci avete aiutati, e non volevo davvero dovervi piantare in asso... -
- Lascia stare, non abbiamo tempo per essere sentimentali. E Calico è un cagasotto; questo lo so fin da quando è nata sua figlia. -
- Sua figlia?- aggrottai le sopracciglia, poi ebbi un'intuizione. - Voi siete...?-
Anne scrollò le spalle, scambiando una breve occhiata eloquente con Mary. - Più o meno. Non quanto te e il tuo capitano, comunque. - l'ultima frase la disse con un sorrisetto sardonico.
Non dissero altro e poi, rapide e precise, saltarono sulla scialuppa per mettersi ai remi. - Aspettiamo il vostro segnale. - si limitò a ricordarci Anne, prima di allontanarsi nell'oscurità insieme alla sua compagna.
Salii a mia volta a bordo della barcaccia, e cominciammo a remare verso il relitto: tutti quanti eravamo molto silenziosi. Tutti tranne Gibbs, naturalmente, che appena fui a bordo mi si attaccò e mi tempestò di frettolose istruzioni: - Ti hanno dato un ottimo consiglio: non perdere tempo. La maggior parte della polvere è stata stipata nella santabarbara, ma a te basterà incendiare la miccia sul ponte. Dopodiché, lanciati dalla prua e non voltarti indietro neanche un momento. -
Io mi limitavo ad annuire, cercando di restare calma. Il pensiero di dovermi tuffare mi spaventava più di tutto il resto. Una volta appiccato il fuoco, non avrei avuto il tempo per calare una scialuppa: inoltre, qualsiasi imbarcazione che si fosse trovata vicino al relitto avrebbe rischiato di essere spazzata via.
Tutti avevano convenuto che sarei stata più al sicuro sott'acqua, e la Perla distava solo poche braccia di mare: niente che non potessi fare a nuoto.
Le singole parti del piano, prese da sole, non mi facevano davvero paura. Era tutto l'insieme a terrorizzarmi. Ettore fermò la scialuppa accanto alla chiglia del relitto, e Faith mi porse la lanterna. - Per favore, non fare cose stupide. - mi pregò; la luce della fiamma illuminava il suo viso corrucciato dalla preoccupazione.
- Allora non dovrei neanche salirci, sul relitto. - scherzai.
Mi alzai in piedi, e solo in quel momento mi resi conto del primo problema, ovvero risalire la scaletta con la lanterna in mano: cosa per niente facile. Per fortuna, Jack si alzò per aiutarmi e, recuperato un pezzo di corda dal fondo della scialuppa, la fece passare attorno al gancio della lanterna per poi allacciarmela alla cintura: la lampada scottava un po' contro la mia gamba, ma almeno avevo le mani libere.
- Vai. - mi bisbigliò Jack all'orecchio, prima di lasciarmi andare. Mi arrampicai su per la scaletta, e salii a bordo.
Il ponte era impiastricciato di pece e di sangue. Quando mi guardai attorno, facendomi luce con la lanterna, storsi il naso: non tutti i cadaveri erano stati buttati in mare, quando Barbanera aveva finito il suo lavoro; diversi erano ancora stesi qua e là sul ponte, alcuni addirittura erano stati spinti contro i parapetti o legati alle sartie, per dare l'impressione, da lontano, che a bordo ci fossero ancora dei sopravvissuti.
Quel macabro trucco portava la firma di Teach e, per quanto orribile, poteva anche funzionare.
La fiamma illuminò il volto livido di un soldato in uniforme rossa, e io distolsi lo sguardo. Mi sarei sentita molto meglio quando avessi dato alle fiamme quel relitto, con tutto il suo carico di morte. Almeno quei cadaveri non sarebbero rimasti a mollo nelle acque presso l'isola, pallidi e gonfi, a decomporsi pian piano e ad ingrassare i pesci.
Feci il giro del ponte e accesi altre due lanterne, una a poppa e una a prua. Poi mi sedetti sulle scale del castello di prua, e rimasi ad aspettare.

*

- Identificatevi!- gridò il capitano della goletta inglese chiamata Florence, all'uomo in un uniforme rossa fermo sul cassero della nave che aveva a fianco.
- Barnes, capitano dell'Esperanza. - rispose quello, in inglese perfetto. La cosa fece accigliare ancora di più il capitano britannico.
- Non siete spagnolo. - le due navi si erano avvicinate nell'oscurità, ma era abbastanza sicuro di avere visto sul loro pennone la bandiera spagnola. Erano abbastanza vicini da potersi parlare direttamente, e grazie alla luce delle lanterne il capitano vide anche l'espressione divertita dell'altro.
- No, infatti: la mia nave la è, e spagnoli sono coloro per cui lavoro. Sono sulle tracce di una nave pirata. -
Il capitano della Florence annuì. - Già, sembra che non si faccia altro, ultimamente. I miei compatrioti del Neptune stavano inseguendo la Perla Nera, ma abbiamo perso ogni traccia di loro dopo la tempesta. Io sto inseguendo Edward Teach in persona, ma non so se lo troverò qui, a questo punto. -
- Nemici pericolosi. - gli gridò di rimando Barnes. - Devo contraddirvi, capitano, quest'isola invece è un nido perfetto per i pirati. Sono abbastanza sicuro di trovare qui la mia preda, il Curlew di Calico Jack Rackham: la tempesta deve avere colto di sorpresa anche lui, ne sono certo, ed è molto probabile che abbia scelto questo posto per nascondersi. -
In quel momento il dialogo dei due capitani fu interrotto dalle vedette di entrambi, che annunciarono la presenza di una nave non identificata a poca distanza da loro. Entrambi si sporsero dal parapetto, e il capitano della Florence fu abbastanza sicuro che in quel momento le loro espressioni si assomigliassero molto: davanti alle loro navi si stagliava il profilo scuro dell'isola, ma nella baia brillava la luce fioca di almeno tre lanterne, rivelando quello che era inequivocabilmente il profilo di un'imbarcazione.
- Non è Rackham. E' troppo grande. - lo informò il capitano Barnes, che in quello stesso momento stava scrutando la baia con un cannocchiale.
- No... è il Neptune!- esclamò lui, incredulo. Come gli fosse piovuta dal cielo quella certezza non lo sapeva neppure lui, eppure c'erano troppe coincidenze: aveva esattamente le stesse dimensioni, per quello che poteva vedere, e aveva provato una sorta di brivido familiare quando l'aveva vista. Non poteva sbagliarsi.
Un esame più attento col cannocchiale confermò i suoi sospetti, anche se c'era così maledettamente buio che non riuscì nemmeno a leggere il nome sulla fiancata: tuttavia, aveva visto quel galeone troppe volte per sbagliarsi. Sembrava in brutte condizioni, doveva avere almeno un albero spezzato, e diverse vele e pennoni spezzati. Forse aveva perfino degli squarci nella fiancata, anche se l'oscurità impediva di accertarsene.
Anche il Neptune era stato travolto dalla tempesta, e si era ormeggiato lì, mezzo distrutto, in attesa dei soccorsi? Di certo qualcuno a bordo stava chiedendo aiuto. Distingueva le sagome di alcuni uomini appoggiati ai parapetti, nell'ombra; forse guardavano verso l'orizzonte sperando di scorgere una vela al di fuori della baia. C'era perfino qualcuno sulle sartie. Ma ciò che attirò il suo sguardo fu il movimento di una lanterna che andava su e giù per il ponte: c'era qualcuno che doveva averli visti, e ora si muoveva freneticamente, agitando la lampada per attirare la loro attenzione.
- Date volta; cerchiamo di raggiungerli. Tutti gli uomini ai loro posti, massima allerta!-
- Capitano!- Barnes lo richiamò, dalla sua nave. - Massima prudenza: quel galeone non è stato ridotto così da una burrasca. Se è stato attaccato dai pirati, potrebbero essere ancora qui attorno, se non proprio a bordo del relitto. Suggerisco di optare per una manovra di accerchiamento e caricare i cannoni. -
L'uomo annuì. - Eseguire. Avete sentito? Tutti ai vostri posti!-
Le due navi entrarono nella baia perfettamente affiancate, puntando verso la nave ferita come due squali sulla preda. Nella baia regnava un silenzio di morte, eppure quella luce a bordo continuava a muoversi.
Il capitano continuava ad ispezionare la baia col cannocchiale, senza riuscire a vedere altro che un muro di buio pesto che sembrava stringerli in una morsa. La lanterna sul ponte del Neptune danzava, in un disperato e muto grido di soccorso.
Aveva un pessimo presentimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La resa dei conti ***


Capitolo 14
La resa dei conti



Quando capii che i nostri nemici avevano abboccato, mi precipitai sul ponte tirandomi dietro la lanterna traballante. Sudavo freddo. La cosa più importante era assicurarsi che non si accorgessero del fuoco, fino a quando non fosse stato troppo tardi per tornare indietro: sul ponte era stata srotolata una lunga fune di micce di cannone legate insieme, che portava dritta alla santabarbara. Era abbastanza sottile da bruciare con discrezione, e abbastanza lunga da permettermi di scappare in tempo, se fossi stata rapida.
L'esplosione avrebbe distrutto il ponte e buona parte della chiglia, investendo di fiamme e detriti la sventurata nave che le fosse passata accanto. Le assi spalmate di pece avrebbero preso fuoco, impedendo all'incendio di consumarsi in fretta.
Le navi erano entrate nella baia quasi in assoluto silenzio: udii giusto le voci lontane degli ufficiali che gridavano ordini, e il rumore provocato dal lento rollio delle imbarcazioni. Sembrava tutto tranquillo. C'era talmente buio e tanto silenzio che avremmo potuto essere soli.
Osservando le loro manovre, notai che si stavano posizionando ai due lati del relitto. Mica stupidi: avevano tutte le ragioni di temere un'imboscata, e se il relitto si fosse rivelato pieno di pirati pronti ad attaccare, loro avrebbero risposto con una doppia bordata, colpendo entrambi i lati della chiglia. Non avevo dubbi che i loro cannoni fossero stati caricati, e che gli artiglieri, là sotto, fossero allerta e pronti a fare fuoco. Quello che di certo non immaginavano era che avremmo usato il relitto stesso come arma contro di loro.
Agitai ancora una volta la lanterna, tanto per farli incuriosire ancora un po', poi presi un respiro profondo e mi inginocchiai sul ponte. Avevo atteso quel momento così a lungo, che i miei gesti divennero quasi meccanici: aprire la lanterna, sollevare la coda della miccia e tenerla sulla fiamma finché non si annerì e cominciò a scoppiettare. Era fatta. E ormai, comunque fosse andata, il mio tempo era scaduto.
Abbandonai la lanterna accanto alla miccia, che aveva preso fuoco con rapidità impressionante, e corsi verso la prua, protetta dalle tenebre. Vedevo già i profili delle due navi avvicinarsi a destra e a sinistra: sembravano correre per tagliarmi la strada.
Raggiunsi la tolda. Senza permettermi neppure di pensare a cosa stavo facendo, scavalcai la murata e mi aggrappai alle cime tese sotto il bompresso. Sotto di me, era un salto di circa quattro metri nell'acqua. Si poteva fare.
Mi dondolai e mi tuffai: impattai con l'acqua anche prima di quanto mi aspettassi, e affondai dritta come un fuso per qualche metro. Con poche bracciate tornai in superficie, dove mi concessi pochissimi secondi per prendere fiato. Le navi incombevano dietro di me. Tirai tre respiri frettolosi e poi uno profondo, per riempirmi i polmoni, poi mi tuffai di nuovo sott'acqua, rabbrividendo per il freddo, e nuotai il più velocemente possibile lontano dal relitto.
Là sotto perfino l'acqua era scura, e vedevo a malapena dove andavo: ero più o meno consapevole delle sagome imponenti delle tre chiglie alle mie spalle, mentre l'unico rumore che sentissi chiaramente era il battito forsennato del mio cuore. Ad un tratto mi sembrò di sentire l'acqua stessa vibrare, e un boato terrificante arrivò, anche se attutito, alle mie orecchie.
In quel momento feci l'errore di voltarmi a guardare indietro: vidi la chiglia del relitto scuotersi come se fosse viva, e la superficie si accese improvvisamente di luce gialla e rossastra. L'onda d'urto mi investì poco dopo, facendomi ribaltare su me stessa e scagliandomi lontano come se non pesassi niente: il contraccolpo mi fece perdere preziose bolle d'aria, ma soprattutto persi l'orientamento. Per un istante annaspai nel vuoto, presa dal panico e coi polmoni che bruciavano.
Per fortuna, c'era ancora il bagliore dell'esplosione a guidarmi: cenere e detriti si stavano riversando nell'acqua come una lenta e silenziosa valanga, e sulla superficie brillavano ancora le fiamme dell'incendio. Puntai le braccia verso l'alto, lasciandomi guidare; agitai le gambe e finalmente emersi, quasi soffocandomi nella fretta di respirare. Lassù, la notte si era improvvisamente illuminata: il relitto, o quel che ne rimaneva, bruciava di fiamme rossastre che ruggivano contro il cielo; l'esplosione aveva sfondato la chiglia, e ora gli alberi si frantumavano e cadevano a pezzi, gettando altri detriti infuocati sulle vani vicine. Ovunque risuonavano scoppi e urla. L'acqua in cui nuotavo sembrava diventata tutto ad un tratto più calda.
L'esplosione e il rollio delle navi ferite avevano sollevato delle onde, che ora mi travolgevano schiaffeggiandomi la faccia. Boccheggiai e lottai per restare a galla, mentre mi imponevo di continuare a nuotare nella direzione giusta.
Dietro di me risuonarono i primi colpi di cannone, e la luce delle fiamme svelò le sagome minacciose della Queen Anne's Revenge e del Curlew che, mettendo mano ai remi, si mossero rapide verso le due navi avversarie. Nella vampa luminosa di un cannone, ebbi una fugace visione di Trentacolpi sulla tolda della Queen Anne, che dirigeva tre piccoli cannoni alla volta, ridendo sguaiatamente. Ancora non riuscivo a vedere la Perla, per quanto fossi sicura di stare nuotando verso di essa.
Ad un tratto, solo poche braccia davanti a me, una scialuppa sembrò letteralmente comparire dal nulla, protetta dalla semioscurità: per un attimo ebbi un sussulto di paura e balzai indietro, preparandomi ad immergermi di nuovo... ma, l'istante dopo, la vampata di un cannone mi rivelò le facce dei due occupanti.
Come mi videro, Faith e Jack si sporsero per afferrarmi per le braccia e issarmi a bordo, mentre io ancora ansimavo e tossivo.
- A cosa devo il piacere?- gracchiai, con la gola piena d'acqua.
- Davvero credevi che ti avremmo lasciata sola, in acqua, senza neppure offrirti un passaggio?- replicò Faith, sogghignando. Jack mi buttò la sua giacca sulle spalle e si sedette dietro di me, approfittandone per stringermi la vita col braccio come se fosse stata una mera casualità. - Sarebbe stato quantomeno scortese da parte nostra, comprendi?- mi fece.
- Ben detto. - mormorai mentre tiravo il fiato, appoggiandomi a lui e voltando le spalle all'inferno che avevo lasciato dietro di me.

*

- Fuoco!- si sentì urlare nuovamente Barbanera. Una seconda bordata si abbatté sulla Florence, che era già stata distrutta per metà sul lato esposto all'esplosione. Le palle di cannone fracassarono alberi e vele, e sfondarono la chiglia. Fu chiaro fin da subito che quella nave era perduta.
Mentre la Queen Anne si avvicinava ancora di più, di sbieco, alla prua del galeone, tagliandogli ogni ritirata, ci fu una terza raffica e l'albero maestro della Florence crollò con un baccano spaventoso fra le urla della ciurma. Fu allora che gli uomini di Teach si prepararono all'abbordaggio.
L'Esperanza invece aveva avuto più fortuna: era stato solo per puro caso che l'esplosione si fosse scatenata con più violenza verso il galeone britannico. La nave spagnola, bruciacchiata e con la chiglia scorticata, riuscì ad eseguire una brusca manovra anche in quello spazio ristretto, per mostrare al Curlew la fiancata gremita di cannoni pronti al fuoco.
- Ora!- l'urlo di Anne sovrastò il fracasso, e una ventina di pirati agirono istantaneamente come un sol uomo. Mary Read diede fuoco alla miccia, e così fecero tutti gli altri cannonieri a distanza di soli pochissimi istanti l'uno dall'altro: la bordata esplose con tutta la sua violenza, investendo il galeone spagnolo, che beccheggiò sotto i colpi.
- Ricaricare, ricaricare! Non perdete tempo!- continuò a gridare Anne che, in piedi sulla murata, guardava dritta verso la fiancata della nave nemica. Quel che temeva accadde fin troppo in fretta: l'Esperanza rispose alla bordata con altrettanta potenza, e lei stessa dovette gettarsi a faccia in giù sul ponte mentre una palla di cannone ben piazzata faceva saltare parte del parapetto in una nuvola di schegge. Si rialzò l'istante dopo, spazzandosi via la polvere di dosso come se non fosse successo nulla. - Ricaricare, figli di puttana! Svelti!-
Un'altra voce, molto più tranquilla, si sovrappose alla sua. - Barra a babordo!- ordinò Rackham dalla sua postazione in cima al cassero di poppa. Il timoniere esitò solo per un secondo, sorpreso dalla richiesta, ma poi eseguì senza fiatare.
Anne si guardò attorno, sbigottita. Stavano virando. Ma era assurdo, così avrebbero offerto agli spagnoli tutto il loro punto morto, senza contare la poppa.
Sottocoperta, con la guancia premuta contro il metallo freddo del cannone e un occhio che si affacciava dal portello, Mary imprecò. La nave aveva improvvisamente virato, facendole perdere completamente la mira verso la fiancata avversaria.
- Che diavolo stai facendo, Calico?- gridò Anne, correndo lungo tutto il ponte fino a fermarsi sotto il cassero di poppa. Rackham abbassò per un attimo lo sguardo per scrutarla con uno sguardo quasi di scusa, quindi si strinse nelle spalle senza aggiungere nulla: il Curlew terminò la sua brusca virata, dirigendo la sua prua prima verso la Perla che presidiava l'uscita dalla baia, poi verso quello stretto passaggio, quella porta per il mare aperto. E i rematori cominciarono a darci dentro.
- Stiamo scappando!- strillò Anne, senza più riuscire a controllarsi. - Dio Cristo, Calico, non puoi volerlo fare davvero!-
- Faccio il nostro interesse, come tutti. - replicò il capitano, senza traccia del minimo rimorso. Anne urlò, imprecò, e si gettò di corsa su per le scalette del cassero impugnando la pistola; quando la puntò contro Calico, però, il pirata la stava a sua volta minacciando con le sue, una in ogni mano. I due rimasero per un lunghissimo istante a fissarsi; Rackham immobile e dal volto imperscrutabile, Anne quasi ringhiando, col dito che fremeva sul grilletto.
- Non fare la stupida, Anne. - la riprese il capitano, con una durezza insolita nella voce. - Non farlo. Non conviene a nessuno, e non migliorerai le cose se finiamo entrambi stecchiti sul ponte, adesso. -
- Probabilmente. Ma, Dio, se mi piacerebbe farlo. -
- Metti giù la pistola. - Rackham fece scattare il cane di entrambe le sue armi. - Fallo subito, e dimenticherò questo piccolo inconveniente. Altrimenti dovrò metterti ai ferri per insubordinazione e, credimi, non ti piacerebbe neanche un po'. Muoviti. -
Ringhiando tutti gli insulti che conosceva, Anne abbassò la mano e infine lasciò cadere la pistola sul ponte, con Rackham che seguiva da vicino le sue mosse. Doveva scegliere il minore dei mali, e, a malincuore, doveva dire che anche in questo caso, l'unica colpa del suo capitano era quella di essere un codardo e un bugiardo. Due cose che la mandavano in bestia, ma contro le quali non poteva fare nulla.
Per ora.

*

Subito, le manovre del Curlew mi parvero azzardate, poi incomprensibili. Poi, con una fitta di panico, compresi perfettamente, e affondai le unghie nel legno del parapetto.
- Sta scappando... - balbettai, così incredula da riuscire a malapena a parlare. Jack, infatti, non capì subito che cosa avessi detto, e dovetti ripeterlo e indicare, sbigottita, la nave che avanzava, perché capisse cosa stava succedendo. - Sta scappando! Non ci credo... No! Quel... piccolo... stronzo... vigliacco... vuole uscire dalla baia, sta scappando!-
Jack si precipitò a guardare dal parapetto: come si accorse di quanto avevo visto rimase immobile, come paralizzato, il viso tirato in una smorfia incredula e la lingua stretta tra i denti. Il suo silenzio e la sua espressione mi dissero esattamente tutto quello che non si lasciò sfuggire.
Il Curlew ci sfilò davanti: stava succedendo tutto fin troppo rapidamente, eppure mi sembrava di osservare tutto con lentezza, in ogni singolo, disarmante dettaglio. La nave che prendeva velocità, sospinta dai remi. Le grida di protesta dei cannonieri sottocoperta. Uno squarcio del viso di Rackham nella luce giallastra di una lampada, immobile e tronfio in cima al cassero di poppa. Il volto di Anne Bonny, poco lontana da lui, che mi balenò davanti per un rapidissimo momento prima di sparire; ma nel viso della donna dai capelli neri mi sembrò di vedere riflesso esattamente quello che provavo io: sbigottimento e rabbia. Mi sembrò perfino che ricambiasse il mio sguardo, per un attimo.
Il brigantino guadagnava terreno rapidamente, passandoci davanti quasi in gesto di scherno, e avvicinandosi sempre di più all'uscita. Scambiai un rapido sguardo smarrito con Jack.
- Potremmo... - azzardai, accennando ai cannoni.
- ...prenderli a cannonate per impedirgli di scappare? Potremmo, ma a che scopo?- Jack scrollò le spalle, guardando preoccupato oltre la murata. - Inoltre, non sono loro il nostro problema. Rackham ci ha fatto proprio un gran bello scherzo a scappare dietro di noi... considerando il fatto che, in teoria, noi siamo qua a difesa dell'unica via d'uscita. -
Alzai gli occhi, e capii a cosa si riferisse: l'Esperanza, che si era lanciata all'inseguimento di Rackham, sembrava decisa a guadagnarsi l'uscita dalla baia almeno quanto lui... e stava puntando tutti i suoi cannoni proprio su di noi, che in quel momento le intralciavamo il passaggio. Per un lunghissimo momento rimasi a fissare le bocche dei cannoni ad occhi sgranati, paralizzata dalla paura, e quando mi voltai verso Jack vidi riflessa la mia stessa espressione.
- Ci sarà un modo per dire “passate pure, non intendiamo fermarvi”?- commentò lui, alzando le sopracciglia con aria rassegnata. L'istante dopo, una cannonata partì dall'Esperanza, e la palla di metallo andò a sfondare il parapetto a pochi passi da noi due: la detonazione mi scaraventò a terra, le schegge di legno esplosero tutt'attorno; sentii il dolore di alcune di esse che mi si conficcavano nella pelle del braccio.
Sul ponte nemico, alcuni soldati imbracciarono i fucili e cominciarono a sparare fra le vele: uno dei nostri pirati urlò e precipitò, cadendo sul ponte. Ebbi una fugace visione di Jonathan, diverse braccia sopra di me, che si dondolava fra le sartie come un'ombra: il giovane sparò, e uno dei cecchini spagnoli piombò a terra con un foro nel petto.
- Rispondete al fuoco!- gridai, mentre mi rialzavo: mi presi giusto pochi secondi per tirare su la manica della camicia e scoprire il braccio sinistro; sanguinavo, ma non sembrava niente di grave. L'Esperanza era ormai talmente vicina che potevamo guardarne in faccia la ciurma. I miei pirati corsero verso il parapetto imbracciando pistole e fucili, e non ebbero bisogno di alcun segnale per sparare una raffica di colpi dritti contro il ponte della nave spagnola: la loro carica fu seguita un attimo più tardi dal boato dei nostri cannoni. Eravamo a distanza abbastanza ravvicinata da causare dei seri danni, e mi sentii riempire di cupa soddisfazione quando vidi chiglia e murata dell'Esperanza fracassarsi in diversi punti.
Nel frattempo, però, anche gli spagnoli erano tornati all'attacco. I soldati spuntarono da dietro il parapetto con le baionette spianate, pronti a fare fuoco di nuovo: in quel momento Jack mi agguantò per una spalla e mi fece abbassare dietro la murata. - Tutti giù!- gridò ai pirati assiepati sul ponte.
Tutti eseguirono senza discutere, buttandosi carponi sul ponte: chi era vicino al parapetto ne approfittò per sporgersi quel tanto che bastava a prendere la mira, e rispose alle fucilate degli spagnoli. Jack mi tenne ferma al suo fianco, con gli occhi puntati verso gli alberi, l'unica cosa che da lì riuscivamo a scorgere della nave nemica. - E ora, speriamo che gli sia bastato. -
Capii cosa intendesse dire quando vidi la nave cominciare a sorpassarci. Gli spagnoli non avevano smesso di sparare, ma si stavano solo coprendo la ritirata: sembravano del tutto intenzionati ad uscire dalla baia e inseguire Rackham, piuttosto che restare a combattere contro di noi.
In quel momento risuonò un boato dal centro della baia, e una palla di cannone filò dritta verso l'Esperanza, tranciando le sartie e colpendo in pieno la gabbia di mezzana: il pennone si spezzò in due e precipitò, trascinandosi dietro un groviglio di funi e vele; l'albero scricchiolò e si piegò da una parte. Le grida di allarme degli spagnoli si mescolarono a quelle di stupore provenienti dalla nostra ciurma: era stato un colpo da maestro, e non era arrivato da noi. Mi voltai verso la baia: la Queen Anne era ancora accanto ai resti fumanti del Neptune e della Florence, solo che aveva virato e ora ne guardavo la prua. Sulla tolda, fui sicura di vedere Trentacolpi che sghignazzava come un pazzo dietro ai suoi cannoni girevoli.
Pur con un albero spezzato, l'Esperanza non indugiò oltre e proseguì dritta sulla sua rotta, acquistando velocità man mano che si avvicinava all'imboccatura della baia: noi non facemmo altro per fermarla, e in pochi attimi la vedemmo guadagnarsi l'uscita e la libertà.
Era fatta. Stentavo a crederlo: le cose non erano andate esattamente secondo i piani, eppure il Neptune era un relitto fumante, la Florence era stata presa e il suo equipaggio massacrato, mentre Rackham e i suoi inseguitori spagnoli si erano dileguati. Tutto era finito.
Non arrivavano più urla dalla Florence, se non quelle vittoriose dei pirati di Barbanera che buttavano in acqua i corpi dei nemici. Io e Jack ci rialzammo lentamente, ed io mi guardai attorno, trovandomi davanti una schiera di visi che mi fissavano dall'oscurità. Prima dello scontro a fuoco era stata accesa qualche lampada, perché i pirati sul ponte potessero muoversi liberamente: nella luce irreale scrutai le facce dei pirati che si guardavano attorni, confusi, sollevati, come se il pensiero che il pericolo fosse finalmente passato fosse troppo incredibile per loro.
Mi schiarii la gola e mi feci avanti, facendo ricadere la manica sul braccio graffiato dalle schegge. - Signori... direi che abbiamo vinto!-
Qua e là si fece sentire qualche timida risata, poi finalmente gli uomini cominciarono ad agitare in aria le armi, a gridare vittoria come si deve, e in poco tempo l'intera ciurma stava esultando, sollevata e finalmente libera.

*

Mentre i pirati festeggiavano a modo loro, Jack mi fece cenno di seguirlo: salimmo sul cassero di poppa, e pochi istanti dopo -neanche avessimo indetto ufficialmente un raduno- fummo raggiunti prima da Gibbs, poi da Faith ed Ettore, infine arrivò anche Will, seguito non da Elizabeth -che era scesa sottocoperta a recuperare David- ma dal gigante dalla testa mostruosa che si era portato dietro.
Non avevo avuto tempo di guardarlo con attenzione, prima, durante tutti i frettolosi preparativi per la battaglia: inoltre, Will lo aveva fatto salire a bordo della Perla e lo aveva mandato sottocoperta, per evitare che gli succedesse qualcosa durante la battaglia. Sospettavo che lo avesse fatto anche perché temeva che la sua presenza a bordo potesse causare scompiglio, e non era stata poi una cattiva idea. Quando tutti quanti ci riunimmo in cerchio sul cassero alla luce delle due grosse lanterne, mi accorsi di starlo fissando con fin troppa insistenza, ma non potevo proprio farne a meno.
Tutto il suo viso assomigliava ad una forma di pane mal lievitata, con protuberanze carnose che sbucavano fuori dalla sua fronte e dalle guance, deturpandone i lineamenti. Doveva anche avere una gobba, o qualcosa di simile: Will gli aveva procurato una camicia, ma quella sporgenza ossea sulla schiena e le spalle esageratamente larghe tiravano la stoffa, tanto che non c'era modo di chiuderla, e la portava aperta sul petto.
In quel momento il gigante ricambiò il mio sguardo: il peso della malformazione gli faceva piegare la testa, così ebbi la sensazione che mi stesse guardando storto. Ma non era così. Mi scrutava con la stessa curiosità con la quale io osservavo lui, e vidi una tale ingenua lucidità in quello sguardo che ne rimasi quasi turbata.
- Eravamo d'accordo che lo avresti tenuto al sicuro. - disse Jack a Will ad un tratto, in tono di disapprovazione.
- L'ho fatto!- replicò lui. - La battaglia è finita adesso, no?-
- Sì, ma non so quanto sia saggio nemmeno tenerlo troppo tempo sotto gli occhi della ciurma. - ribatté il capitano, guardandosi rapidamente attorno. - Va tutto bene, Ogro?-
- Bene. - il gigante sorrise mentre lo diceva, e annuì con la grossa testa. Guardò di nuovo verso di me, e in quel momento fui certa che cercasse di rivolgermi uno sguardo amichevole.
- Non c'è stato tempo per le presentazioni, ma, ebbene, questo è il famoso Ogro. - fece Jack, allungando un braccio verso il gigante. - Viaggerà con noi, grazie al volenteroso William che ha acconsentito a prendersi cura di lui durante tutto il viaggio. Ma ora veniamo a noi... al momento, temo, c'è ben poco da festeggiare, mi spiego?-
- Eccome, capitano. - rispose Gibbs, cupo in volto. - La Perla ha subito danni, e dobbiamo ripararli il prima possibile. Inoltre, ci sono i feriti che hanno bisogno di cure, e... diciamo che non tira una bella aria qui, con gli ultimi avvenimenti. E' necessario attraccare e sistemare quello che possiamo, e poi suggerisco di salpare al più presto possibile!-
Jack annuì, agitando una mano con fare distratto: stava fissando il relitto ancora fumante, ed era evidente che aveva tutt'altro per la testa. - Suggerimento più che accolto, signor Gibbs. Di quanto tempo abbiamo bisogno?-
- Al massimo fino all'alba, se cominciamo subito. -
- Benissimo. Avvisate tutta la ciurma che non si dormirà, stanotte: ci mettiamo al lavoro subito. - disse, rivolto a Faith ed Ettore. Una volta sciolta la nostra piccola assemblea, io feci per seguire gli altri che già stavano scendendo le scale del cassero: Jack però mi fermò agguantandomi per il dietro della camicia, e tirandomi verso di sé. Senza una parola, sollevò delicatamente la mia manica sinistra, scoprendomi il braccio. Il sangue si era seccato in rivoli sottili, ma aveva smesso di scorrere: c'era ancora qualche scheggia conficcata sottopelle.
- Tu, prima di tutto, chiedi a Faith di dare un'occhiata a questo braccio. Ti fa male?-
- Non molto. - risposi sinceramente. Jack mi lasciò andare e mi squadrò per un momento con espressione indecifrabile, infine sospirò con disapprovazione. - Maledetta stupida pazza avventata. -
- Maledetto stupido pirata ingrato. - replicai, offesa. Lui soffocò una risatina, poi ad un tratto si sporse verso di me come se volesse abbracciarmi, ma non lo fece: si limitò ad accostarsi al mio orecchio per bisbigliarmi: - Hai diritto ad una pausa. Sei stata molto brava, oggi. -
Si tirò indietro prima che potessi rispondere, e si accomiatò con un sorriso per poi voltarmi le spalle e raggiungere Gibbs, che ancora blaterava di riparazioni e danni. Un pochino ci rimasi male: ero stanca, provata, e riuscivo a stento a credere che fossimo usciti tutti quanti vivi da quella vicenda; e lui sapeva bene quanto avessi bisogno di averlo vicino in momenti del genere. Purtroppo, la verità era che non avevamo più un briciolo di tempo, e pareva proprio che ci saremmo potuti concedere di tirare il fiato solo quando avessimo lasciato quella maledetta isola una volta per tutte.

*

Sottocoperta, nell'infermeria, si spruzzava dell'aceto per disinfettare l'ambiente: l'odore copriva anche quello del sangue. I feriti stavano distesi nelle loro amache: solo pochi erano in gravi condizioni, come i sopravvissuti all'assedio sulla spiaggia; altri erano rimasti feriti durante gli ultimi scontri, ma erano lì solo in convalescenza.
Valerie aveva il braccio destro immobilizzato da due stecche di legno, e fasciato strettamente attorno al collo: l'osso era fratturato, ma sarebbe guarito in alcune settimane.
- Come stai?- le chiesi mentre mi avvicinavo alla sua amaca; io avevo una fasciatura che mi ricopriva tutto il braccio sinistro, ma riuscivo a muoverlo senza problemi.
- Un po' fasciata, come puoi vedere. - rispose lei in tono vivace, scrollando le spalle. - Ma non mi lamento. Là fuori com'è finita?-
- Un disastro per certi versi, un successo per altri. Rackham è scappato, e con lui gli spagnoli. Barbanera invece ha affondato il secondo galeone inglese. Credo che nessuno ci infastidirà per molto tempo. -
La giovane annuì, quindi si sistemò più comodamente sull'amaca. - E adesso, cosa abbiamo intenzione di fare?-
- La Perla è danneggiata, e credo che anche la Queen Anne abbia subito qualche danno: sono ormeggiati di fianco a noi da ore. Dovremo aspettare fino all'alba per salpare. -
- Capisco... e dai galeoni, è stato possibile recuperare qualcosa?-
Quasi risi: con tutto quel che era successo, l'eventuale bottino era stata l'ultima cosa a cui avrei pensato. - Da due carcasse? Figurati, quasi ogni cosa è andata distrutta. Qualche barile intero, un po' di carico... nient'altro. -
Valerie annuì, meditabonda. - E' la fine dell'alleanza, immagino. -
- Già... -

*

Camminavo di nuovo lungo la riva, con gli stivali che affondavano nell'acqua.
Le nuvole si stavano diradando, e anche il cielo scuro cominciava a rischiararsi di una tenue luce azzurrina che precedeva l'alba. Anche nella baia l'oscurità andava affievolendosi, e sull'acqua spiccavano nitide le figure dei due galeoni mezzi distrutti, lasciati a galleggiare in mezzo ai propri detriti. La Perla e la Queen Anne's Revenge erano ormeggiate a pochi metri dalla riva: da una parte e dall'altra, entrambe le ciurme avevano lavorato senza sosta per ore per sanare le loro ferite e prepararle a salpare di nuovo.
I primi raggi del sole si affacciarono nella baia, facendo scintillare l'acqua. Fu grazie ad essi che notai la chiazza più scura portava sul bagnasciuga dalla marea: qua e là c'erano grumi di liquido rosso scuro che si mescolavano alla spuma. Sangue.
Trattenni il respiro quando mi trovai a camminarvi proprio in mezzo: era il sangue di tutti gli uomini che erano stati uccisi quella notte a bordo della Florence; anche se diluito in litri e litri di acqua salata non aveva perso il suo colore, e intrise i miei stivali.
Tornai rapidamente all'asciutto, strofinando i piedi sulla sabbia.
Risalii la spiaggia fino a costeggiare il boschetto che la circondava: mi domandavo se Praho e la sua gente avessero assistito a tutta la battaglia, da dietro gli alberi, o se ad un certo punto se ne fossero tornati al loro villaggio, silenziosi come erano arrivati. Tutto sommato, le cose per loro erano andate bene: si erano liberati di Ogro e di una minaccia, e presto si sarebbero liberati anche dalla nostra presenza. Tuttavia non potevo non essere loro almeno un po' riconoscente: ci avevano aiutati, a modo loro, e non avremmo avuto la nostra arma finale senza il loro intervento. O quello di Jack. O un po' di entrambi.
Ero ancora persa nei miei pensieri, quando udii uno scricchiolio di rami spezzati alle mie spalle. Non ebbi neppure il tempo di voltarmi, che qualcuno mi afferrò da dietro, bruscamente, cogliendomi totalmente alla sprovvista.
Braccia robuste mi abbrancarono per la vita, togliendomi il fiato, e mi strattonarono all'indietro: cercai di gridare, ma una mano callosa mi agguantò la faccia, coprendomi la bocca e affondandomi le unghie nelle guance. Il mio aggressore indietreggiò rapidamente in mezzo alla vegetazione, trascinandomi con sé come se fossi stata un sacco; gridai a vuoto e mi divincolai come una furia, cercando al tempo stesso di vedere in faccia il mio avversario... ma capii improvvisamente di chi si trattava appena fiutai la familiare puzza di bruciato e sentii la sua voce ringhiare: - Avanti, fammi vedere quanto sei valorosa adesso!-
Barbanera mi sollevò di peso e mi scaraventò brutalmente per terra: caddi di schiena, atterrando su un groviglio di radici. Cercai subito di togliermi da lì, ma come una furia lui mi piombò addosso e mi afferrò un polso.
- Zitta, troietta... zitta, ho detto!- mi cacciò di nuovo la sua mano in faccia, chiudendomi la bocca. Io lo morsi selvaggiamente, scrollando il capo da sinistra a destra, e con la mano libera gli graffiai la faccia, ficcandogli le dita negli occhi.
- Lasciami!- urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, dimenandomi come una furia. Riuscii a sferrargli un calcio all'inguine, e lui reagì tirandomi un pugno alla mascella: crollai di lato, sentendomi bruciare tutta la faccia, e lui ne approfittò per serrarmi le mani attorno alla gola. Mi strinse il collo così forte che credetti che me l'avrebbe spezzato.
- Non faccio niente per niente!- ruggì, fissandomi, coi tizzoni di barba ardente che dondolavano terribili attorno alla sua faccia spiritata. - Anche la vostra stupida alleanza... che cosa ci abbiamo guadagnato? Te lo dico io; niente! Credevate di cambiare qualcosa? Credevate di essere più forti solo perché avevate qualcuno a pararvi il culo? No, stupida... Calico è stato il primo a tagliare la corda, appena ha visto che non poteva più nascondersi. -
- Questo lo so!- ringhiai, col fiato corto: Barbanera mi immobilizzava completamente col suo peso, e continuava a stringermi la gola, soffocandomi. Gli affondai le unghie nelle mani, cercai perfino di torcergli i mignoli all'indietro, ma niente sembrava poter spezzare la sua stretta. - ...Che cosa vuoi?!-
C'era qualcuno. C'era qualcun altro dietro di lui. Non avevo idea di chi fosse, ma c'era qualcuno.
Barbanera emise un rabbioso suono gutturale. - Li conosco, quelli come Calico e come il tuo Sparrow. Voi non sapete niente, niente! Tutti voi avete cercato di fregare me... avete davvero pensato di poter fare fesso me, figli di puttana!-
- Non siamo stati noi a scappare all'ultimo momento!... - non respiravo. Trovai la forza di sferrargli un pugno in faccia, e Teach sussultò quel poco che bastava a fargli allentare di pochissimo la presa: quello che bastava a me per tirare un respiro rantolante.
Era il vecchio, quello alle spalle di Barbanera: Trentacolpi era emerso dalla boscaglia e ci stava guardando con espressione strana. - Capitano?- fece, in tono sorpreso. - Capitano, dobbiamo andarcene da qui... -
- Sta zitto!- Barbanera non lo ascoltò, e mi sollevò per poi sbattermi di nuovo la testa per terra. Emisi un guaito di dolore, e lui si chinò su di me, soffiandomi in faccia il suo alito pestilenziale.
- Non fare l'innocentina, stupida vacca. Il lavoro sporco l'ho fatto io. A chi spettano le ricompense lo decido io. Il vostro bel piano ci ha lasciati tutti con un pugno di cenere in mano, razza di idioti... Vediamo se riesco a ficcare in testa a Sparrow che cosa succede a fare il furbo con me. -
Ecco cos'era. Uno smacco personale. A Teach non era andato giù il nostro piano, così come non aveva tollerato il tradimento di Rackham: lo avevano toccato nell'orgoglio, e ora la vendetta sarebbe ricaduta su Jack. Rantolai di nuovo, con le dita del pirata che sembravano volermi scavare la pelle del collo.
Io ero lo scotto da pagare. Barbanera aveva già deciso che io sarei stata il suo smacco personale per Jack, tanto per ricambiare il trattamento subito.
Annaspai con le mani verso la mia cintura, dove da qualche parte doveva ancora esserci la pistola: Barbanera però mi teneva le ginocchia sulle costole, impedendomi di raggiungere la mia arma.
- Non ci provare. - soffiò. - Se stai zitta, potrei anche lasciarti vivere, dopo. -
- Capitano, non c'è tempo. Lasciatela qui. Dobbiamo andare!- era Trentacolpi che ancora protestava. Dio, se fossi stata abbastanza vicina da riuscire ad impossessarmi di una sola di quelle dannate pistole che si portava addosso!
- Ho detto zitto!- urlò Teach.
C'era qualcos'altro, però, che si stava muovendo verso di noi: tra i miei rantoli e le minacce di Barbanera, nessuno si era accorto dei passi pesanti che si avvicinavano. Nemmeno io me ne accorsi, fino a quando non vidi Teach sollevare di scatto lo sguardo verso un punto imprecisato davanti a lui; l'espressione di paura che gli vidi negli occhi mi stupì così tanto che perfino io reclinai furiosamente il capo all'indietro, cercando di vedere cosa stesse accadendo.
- Che cazzo hai da guardare?!- gridò il capitano, ma la voce tradiva la sua paura. A neanche un passo da noi, nell'ombra del fogliame, si stagliava la figura massiccia di Ogro.
Sentii il cuore balzarmi fino in gola, e allungai un braccio verso di lui in una disperata richiesta di aiuto. Ogro guardò me con gli occhi spalancati, poi fissò Teach.
- Trentacolpi, sparagli!- ringhiò Barbanera, voltandosi freneticamente a guardare prima il suo compare, poi il gigante che incombeva su di lui. Il vecchio non fece una piega, osservando tutta la scena come se la trovasse estremamente interessante.
- Sparagli! Tu, brutto figlio di puttana... - non potendo più fare affidamento sul suo complice, il capitano lasciò la presa su di me, portandosi precipitosamente le mani alla bandoliera per afferrare le sue pistole. Ne approfittai per dargli uno spintone sul petto con tutte le mie forze; nello stesso istante Ogro emise una specie di muggito, e in un attimo vidi quella deforme massa di muscoli piombarmi addosso. Ma non stava mirando a me: il gigante si buttò addosso a Barbanera, scavalcandomi di slancio e rotolando a terra insieme a lui.
Si levarono urla orribili mentre i due lottavano corpo a corpo, con violenza inaudita: credevo che Ogro fosse abbastanza grosso da potere avere la meglio su qualsiasi uomo in pochi secondi; Barbanera invece oppose una strenua resistenza, respingendo le braccia che cercavano di strangolarlo e tempestando di pugni la sua faccia tumefatta. Vidi il sangue schizzare sulle escrescenze ossee della testa di Ogro, e il gigante cacciò un ululato di dolore.
Mi rialzai di scatto, gridando per puro istinto: avevo ancora la gola in fiamme, e il mio urlo uscì rauco e doloroso. Afferrai la pistola, ma non osavo sparare: Ogro e Barbanera lottavano a terra senza sosta, avvinghiati come bestie, rotolando, colpendosi con calci e pugni; in ogni momento avrei potuto colpire quello sbagliato.
Risuonò uno sparo, vicinissimo, seguito dal gemito sofferente di Ogro, che fu percosso da un tremito terribile e cadde al suolo di schiena. Barbanera era a terra, con le braccia raccolte contro al petto, stringendo la sua pistola fumante.
- No!- urlai, incespicando in avanti, riuscendo a malapena a reggere la pistola nella mano, che aveva preso a tremarmi furiosamente. Teach si voltò a guardarmi, e nei suoi occhi c'era una tale furia che mai avevo visto sulla faccia di un uomo prima di allora. Si rialzò goffamente, con le nocche bianche e ammaccate, e rivoli di sangue che gli colavano dalle labbra impiastricciando la barba irsuta: mi venne incontro con lentezza terribile, puntando contro di me l'altra arma ancora carica.
In quel momento non ebbi il minimo dubbio: mi avrebbe uccisa in quello stesso istante, proprio come aveva fatto con Ogro.
Prima che potesse fare un altro passo, però, ci fu un secondo sparo, stavolta dietro di me: Barbanera emise un grido strozzato ed entrambe le pistole gli caddero di mano, mentre il proiettile gli perforava la spalla sollevando uno spruzzo di sangue che gli schizzò in faccia.
Mi voltai di scatto, e fu con immenso sollievo che dietro di me vidi schierati i pirati della Perla Nera che accorrevano dalla spiaggia, richiamati dalle grida e dagli spari: davanti a loro, a soli pochi passi da me, c'era Jack, immobile come una statua, col braccio ancora teso e la canna della pistola che fumava. Sul volto aveva un'espressione mai vista prima: il viso rigido, terribilmente impassibile, ma negli occhi bruciava una tale, mortale collera, che lì per lì ne ebbi quasi paura.
Fu come se tutti avessero trattenuto il respiro per un lunghissimo istante, poi Ettore si lanciò davanti a tutti con un ruggito di rabbia, abbrancò Barbanera alla vita e lo sbatté per terra: il resto della ciurma si affrettò a seguire il suo esempio, circondando il capitano e tenendolo sotto il tiro delle pistole. Minacciarono anche Trentacolpi, ma quello si limitò ad alzare docilmente le mani, senza fare neppure un gesto verso le sue numerose armi.
C'era Will alle spalle di Jack, e per qualche momento sembrò essersi paralizzato come lui. Jack si mosse con lentezza inquietante quando abbassò la pistola, poi però venne accanto a me e mi prese per le spalle con fare quasi spaventato, come se temesse che potessi spezzarmi da un momento all'altro.
- Stai bene?- mi fece, con un tono tale che quasi non riconobbi la sua voce.
- Sì... - risposi, riacquistando poco a poco il controllo: gli ultimi istanti mi avevano letteralmente paralizzata dalla paura, e mi stavo riprendendo solo ora. - Ogro... ha sparato a Ogro!-
Jack seguì la direzione del mio sguardo, e lo stesso fece Will: quando vide il grosso corpo riverso tra le frasche, quest'ultimo sbarrò gli occhi. Insieme ci avvicinammo, e ci inginocchiammo accanto a lui. Jack allungò una mano a toccare la sua testa e, per mia grande sorpresa, vidi il gigante sussultare e sbarrare gli occhi, emettendo un grugnito lamentoso.
- Vecchio mio, sei ancora tra noi?!-
- Sì... - sbuffò Ogro, puntellandosi col gomito e rialzandosi con sorprendente prontezza: la sua camicia era macchiata di sangue sul fianco, dove il proiettile lo aveva colpito. Il gigante tastò distrattamente la parte ferita, limitandosi a digrignare i denti per il dolore. Ma era ancora vivo.
- Dio, non posso crederci... - mormorò Will, riprendendo a respirare. Ogro si voltò verso di lui sfoderando un sorriso soddisfatto, e agitò vagamente una mano in segno di saluto. - Ci sono, Wii-liam. -
- Ogro, tu sei una benedizione, lo sai?- sbottò Jack, che sembrava quasi sopraffatto dal sollievo: dopo aver dato un'altra occhiata a me per sincerarsi che stessi bene, si rialzò di scatto e si diresse a grandi passi verso Barbanera, ancora trattenuto a forza da Ettore. Gli si accosto, quindi lo prese per il bavero della giacca perché lo guardasse in faccia. - Cosa diavolo credevi di fare?!-
Barbanera fece una risata orribile, sadica. - Non lo immagini neanche, Sparrow?- replicò, accennando a me con la testa. Jack strinse le dita sul colletto della sua giacca come se volesse strozzarlo e, ad un palmo dalla sua faccia, sibilò: - Lei non la tocchi, hai capito? Tu, razza di sporca verruca a forma di capitano, viscido, dannato, rognoso pezzo di traditore...!-
Cominciò a voce bassa e finì quasi urlando, dando un'ultima scrollata a Teach prima di lasciarlo andare con espressione disgustata: sembrava fuori di sé. Barbanera invece lo fissava con scherno, mettendo in mostra i denti nerastri. - Tu prova solo ad uccidermi, Jack. C'è la mia ciurma, laggiù, e lascia che ti dica che non sono contenti di come sono andate le cose: aspettano solo il più piccolo pretesto, la minima scusa per potere accoppare anche te e la tua ciurma di smidollati. -
- E se non ti uccido, ci penserai tu comunque a sguinzagliarci addosso tutta la tua ciurma. -
- Parli come se credessi di meritare un trattamento migliore. -
- Io non ho tradito nessuno di voi, né te né Rackham!- scattò Jack, puntandogli addosso un dito. - Il mio aiuto l'ho dato, e non me ne importa niente se non era quello che pretendevate. Ma né io né un solo uomo della mia ciurma siamo scappati, né abbiamo fatto del male ad uno qualunque di voi. E comincio ad averne abbastanza. Davvero abbastanza. -
La sua mano fremeva sul calcio della pistola. Fu Ettore, che continuava a tenere immobilizzato Barbanera, a guardarlo negli occhi e fare un brusco cenno di diniego col capo.
- No, Jack. - disse in tono fermo. - Ha ragione. Se uccidiamo lui, garantiamo un massacro: i suoi uomini non ce la faranno passare liscia, si aggrapperanno a qualsiasi cosa pur di mettersi contro di noi. -
- Se lo teniamo in ostaggio, ci attaccheranno lo stesso. - replicò Jack, impassibile, muovendo due passi lenti verso di lui con la pistola puntata. - Non importa, posso anche dargli un colpo in testa e lasciarlo qui. Che vengano pure a cercarlo poi i suoi uomini, noi saremo già lontani quando lo troveranno... -
Uno scatto metallico, quasi impercettibile. Per un istante nemmeno mi chiesi da dove venisse, poi, solo allora, mi resi conto che la mano destra di Barbanera si era infilata sotto la sua giacca, per quanto Ettore cercasse di tenerlo fermo. Balzai al fianco di Jack e lo spostai con uno spintone, puntando la mia arma alla testa di Teach.
Sarei comunque arrivata troppo tardi, se... se, nello stesso istante, qualcosa non avesse attraversato l'aria con un sibilo; più rapida di me, più rapida di Barbanera, più di tutti i presenti con le loro armi spianate.
Una minuscola freccia andò a conficcarsi nella gola di Barbanera, ad un soffio dal braccio di Ettore. Questo sobbalzò, lasciando la presa: il capitano barcollò per qualche momento, emettendo un gorgoglio strozzato, per poi cadere con la faccia al suolo.
- Non preoccuparti, pirata, ho una buona mira. -
Quella, fra tutte, era di sicuro l'ultima voce che mi sarei aspettata di sentire in quel momento. Quasi senza fare il minimo rumore pur muovendosi tra il fogliame, Praho si fece avanti con tutta naturalezza in mezzo al gruppo di pirati che lo fissavano ad occhi sbarrati, e si fermò davanti a Barbanera che era rimasto accasciato al suolo, privo di sensi. Gli rivolse a malapena un'occhiata, poi si chinò e sfilò la piccola freccia dal suo collo: quando mosse il suo corpo privo di sensi, vidi che il capitano stringeva effettivamente in mano una pistola che aveva tenuta nascosta fino a quel momento, il dito già sul grilletto. Sarebbe sicuramente riuscito a sparare a Jack a bruciapelo, se Praho non l'avesse fermato in tempo.
- E' ora che tutto questo finisca. Non volevo farmi vedere da lui, perché non ho la minima intenzione di rischiare che la sua ciurma se la prenda con la mia gente. -
Tutti i pirati si voltarono all'unisono verso Trentacolpi che, dal canto suo, alzò le mani ancora più in alto. - Io non ho visto niente, capo. - rispose, con un sorriso sghembo.
- Ti ringrazio, Praho, ma la cosa al momento non ti riguarda. - replicò Jack, facendo un cenno come ad invitare il capo degli indigeni ad andarsene, ma quello scosse il capo con decisione.
- Mi riguarda eccome. Sono rimasto qui per tutta la notte, per vedere con i miei occhi quando ve ne sareste finalmente andati. Ora non posso lasciare che le vostre risse si risolvano in un altro massacro: lasciate qui quest'uomo e salpate. -
Jack lo scrutò, e finalmente un mezzo sorrisetto gli piegò le labbra. - Insomma, è un invito a scannarci da qualche altra parte, basta che non lo facciamo qui. -
- Praticamente. - perfino Praho sorrise appena. - Sbrigatevi. -
Nel voltare le spalle a Jack, passò accanto a me, Will e Ogro, e per un istante rimase a guardarci. Lui e Ogro di fissarono negli occhi per un attimo che sembrò eterno, e mi sembrò quasi di vedere un'ombra attraversare lo sguardo del capo indigeno. Di che cosa si trattava? Rimorso? Poteva essere? Qualunque cosa fosse, l'indigeno distolse lo sguardo dal gigante e proseguì per la sua strada, scomparendo rapidamente tra gli alberi così come era apparso.
Fu Will a rompere il silenzio, indicando Trentacolpi. - Di lui cosa ne facciamo? Non possiamo lasciarlo qui: ha visto Praho. -
- Ehi, io so tenere la bocca chiusa quando serve. E non è che Barbanera mi ispiri tutta questa simpatia, diciamocelo. - si difese il vecchio.
- Non possiamo rischiare. - Ettore sospirò, alzando gli occhi al cielo. - Ci toccherà portarcelo dietro. -
Jack infilò la lingua fra i denti, facendo una smorfia disgustata. - Quello lì? Non se ne parla. -
- Al contrario!- il vecchio pirata sembrò improvvisamente più arzillo, e si fece avanti con spavalderia. - Non ho nessun problema a seguire un altro capitano, signore. Detto tra noi, sono contento che abbiate dato due calci in culo a quella vecchia carcassa... Se lo ordinate, io e le mie ragazze siamo pronti a seguirvi!- così dicendo diede una pacca alle bandoliere, facendo sferragliare la moltitudine di pistole che si portava appese addosso. Jack fece un lungo sospiro e gli voltò le spalle, facendo un vago cenno di approvazione con la mano: sentii il vecchietto sghignazzare di gioia, mentre seguiva il resto della ciurma.
Insieme a Will aiutai Ogro a rialzarsi, e gli restammo accanto mentre ci incamminavamo lungo la spiaggia: Jack camminava di fianco a noi, in silenzio. Quando finalmente si decise a parlare, se ne uscì borbottando: - Il vecchio ferramenta possiamo sempre buttarlo in mare non appena prendiamo il largo... -
Ridacchiai e scossi il capo. - Secondo me potremmo perfino fidarci di lui. Ha cercato di convincere Barbanera a lasciarmi andare. -
- Ma non ha fatto un bel niente per aiutarti. - replicò lui, con un lampo di rabbia nello sguardo. Stavamo camminando ancora l'uno di fianco all'altra: allungai un braccio intorno alla sua vita, lui mi attirò a sé a sua volta e mi strinse forte.
- Ci ha provato, a modo suo. E si è rifiutato di sparare a Ogro. -
Jack annuì senza parlare: nel frattempo, insieme a tutta la ciurma avevamo raggiunto la Perla. Non avremmo impiegato più di qualche minuto ad imbarcarci, e da quel che vedevo la ciurma di Barbanera era ancora accampata sulla riva.
- Sono morto di paura. - ammise semplicemente Jack qualche attimo dopo, parlando a bassa voce ad un soffio dal mio orecchio, ed evitando di guardarmi negli occhi. - E per oggi posso davvero dire di averne avuto abbastanza, comprendi? Ora resta solo un'ultima cosa da fare. -
Lo guardai sorridendo. - Salpare e andarcene da quest'isola?-
- Giusto. E trainare il relitto. -
- Il relitto?!-
- Il relitto. -
- Quale relitto? E... perché?- il mio sguardo si spostò verso le due navi distrutte nel mezzo della baia.
- Quello della Florence, direi, è ridotto meno peggio fra i due. Non credo che Barbanera se ne avrà a male se ci portiamo via una di quelle “inutili carcasse”, comprendi?-
Ne avevo passate davvero troppe per quella notte, così che non feci altre domande e salii a bordo senza una parola, lasciando che chiedesse alla ciurma di fare tutto quello che voleva; basta che poi ce ne andassimo di lì.
Agganciare il relitto della Florence fu addirittura più semplice di quanto avessi pensato: il galeone britannico aveva quasi le nostre stesse dimensioni, ma buona parte degli alberi era andata distrutta, e la chiglia era stata svuotata di tutto quello che conteneva; così che fu sufficiente assicurare alcune cime al bompresso e ce la tirammo dietro come un pesce attaccato all'amo.
Prendemmo il largo mentre il sole si levava alto nel cielo limpido, e una volta fuori dalla baia ci accolse una brezza fresca e impetuosa, facendoci pregustare un mare piatto e una navigazione veloce. Una volta che la nave ebbe preso il vento, scesi sottocoperta alla ricerca di Will e di Ogro. Come pensavo, Will aveva portato il gigante in infermeria, dove la sua presenza non aveva mancato di portare scompiglio: quando entrai, uno dei feriti gravi stava delirando, gridando di avere visto tutti i diavoli dell'inferno, gli altri protestavano, chiedendo che “il mostro” fosse portato fuori dall'infermeria.
Faith, che si stava già occupando della ferita di Ogro, non li degnava della minima attenzione.
- Bentornata. Sapevo che dovevi centrare qualcosa con tutto questo. - mi salutò Valerie con la massima calma dalla sua branda, quando mi vide entrare.
- Già che ci sei, spiega a questo branco di paurosi che Ogro resterà qui sotto fino a quando sarà necessario. Non c'è nessun bisogno di strillare in questo modo. - aggiunse Will, che stava aiutando Faith nelle sue manovre, e scoccò un'occhiata di biasimo agli altri impauriti occupanti dell'infermeria. Sorrisi fra me, e mi avvicinai al tavolo sul quale il gigante era stato messo a sedere: ora che era senza camicia potevo vedere ancora meglio quanto la deformità fosse presente su tutto il suo corpo; dalla sua schiena spuntava una gobba, e il resto delle sue ossa sembrava crescere in modo irregolare. Il suo fianco destro era chiazzato di sangue, e Faith stava lavorando attentamente accanto al foro aperto dal proiettile nella sua carne: Ogro però sembrava tranquillo, e avvicinandomi capii perché; gli avevano dato una bottiglia di rum, da scolarsi tutto da solo.
- Ogro... - mi avvicinai, appoggiando con cautela una mano sul suo braccio enorme. - Grazie. -
I suoi occhi mi fissarono da sotto la protuberanza che gli cresceva dalla fronte, e le sue labbra macchiate di rum si stirarono in un sorriso. - ...Tu stai bene?-
- Sto bene, sì. Grazie a te. -
Il sorriso del gigante si fece ancora più largo, poi lui tornò ad attaccarsi alla bottiglia e non fece la minima piega neanche quando Faith mise mano al ferro per incidergli la carne ed estrarre il proiettile.




Note dell'autrice:
Questa volta voglio iniziare le note con un brindisi. Anzi, con un intero barile di rum da dedicare a Mally per una delle recensioni più belle, accurate e appassionate che mi siano mai state fatte: non hai idea di quanto i tuoi complimenti, critiche e osservazione mi abbiano resa felice. Non scherzo dicendo che è un onore ricevere parole del genere da qualcuno che legge quello che scrivi. Spero che il sito ti abbia dato una vagonata di punti per la recensione!
E su questa ci spendo più di due parole: intanto, sono sorpresa di sentire che il mio azzardato salto dalla prima alla terza persona, a quanto pare, funziona bene. Penso questa storia come se fosse un film, per questo non mantengo sempre il punto di vista di Laura: è un sollievo sapere che non è un balzo troppo brusco per un lettore!
Sulle belle parole che hai speso per i miei personaggi ci sarebbe troppo da dire. Grazie alle recensioni, io stessa arrivo a conoscere meglio e in modo più completo perfino Laura! (che, ci tengo a precisare, non considero semplicemente una mera proiezione di me stessa, ma un personaggio a tutti gli effetti... che, naturalmente, ogni tanto prende e fa di testa sua in barba all'autrice!)
E poi, naturalmente, la mia grande soddisfazione e il motivo per cui scrivo... ovvero Capitan Jack Sparrow. Non posso non essere felice quando mi sento dire che lo rendo al meglio nelle mie storie. Sono contenta anche di sentire che ritieni Will il personaggio più IC: da quando scrivo anche di lui sono arrivata ad apprezzarlo sempre di più... col risultato che ora vi sono irrimediabilmente affezionata!
Insomma, grazie. Non c'è proprio altro da dire. Sarò felicissima se tornerai a dare un'occhiata da queste parti!
Grazie a duedicoppe che è rimasta a corto di commenti ^^, e grazie all'intramontabile Fanmnysparrow!
Questa storia si avvia verso il suo finale: restate in attesa. Wind in your sails!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Bentornati a casa ***


Capitolo 15
Bentornati a casa.



Non chiudevo occhio da un giorno intero. Avevo mangiato poco e di sfuggita, e nelle ultime ore avevo affrontato un tuffo da un galeone, una battaglia a colpi di cannone e un tentativo di stupro. E, sì, ero decisamente stanca. Ma c'era un'ultima cosa che dovevo fare.
Una volta che la Perla ebbe preso la sua rotta a buona velocità, nonostante l'ingombro del relitto che trainava, e anche la ciurma poté permettersi di rilassarsi visto che la nave filava così bene, io mi recai sul cassero e chiesi che Gibbs suonasse la campana dell'adunata.
La ciurma si radunò poco a poco sul ponte, altri pirati si sporsero a guardare appollaiati sulle sartie e sui pennoni: Jack in quel momento se ne stava seduto sulla murata a pochi passi dal cassero, e rimase lì a guardare quello che succedeva. Quando fui sicura di avere la piena attenzione della ciurma, cominciai.
- Una nave, anche un gioiello come la Perla Nera, non è niente senza la forza degli uomini che la conducono. - annunciai. - Posso dire che ognuno di voi ha dimostrato di che tempra è fatto, ed è per questo che io vi sono grata. Grazie. Grazie a voi che siete qui, grazie a quelli che sono sottocoperta in infermeria, grazie anche a coloro che sono morti su quell'isola. Devo chiedervi un ultimo sforzo per riportare questa nave a Tortuga, e là io e il capitano vedremo di fare avere ad ognuno di voi un buon numero di dobloni da spendere!-
Dalla ciurma si alzarono grida di approvazione, e fu un piacere vedere il sollievo sulle facce di tutti. Deglutii e mi preparai ad affrontare la parte più spinosa.
- L'ultima volta c'era stato qualche problema a bordo... non so se ve ne ricordate, forse la piccola questione di affrontare tre navi della marina in una volta potrebbe avere distratto un po' la maggior parte di noi. -
I pirati scoppiarono a ridere, e lo presi per un buon segno.
- Però la questione è stata sollevata solo pochi giorni fa, e non voglio ignorarla. Tutti voi avevate deciso che io sarei dovuta essere messa alla prova per confermare il mio titolo di capitano. Ora, capisco se vi è mancato il tempo di pensarci, ma voglio solo che sappiate che io sono ancora qui, pronta ad affrontarla. - feci una pausa. - Nel caso attraversare a piedi un'intera isola, scendere a patti coi nostri alleati traditori per convincerli a venirvi in soccorso, e fare esplodere un relitto con le mie stesse mani non fosse bastato. -
Ero stata così lapidaria che per qualche attimo li lasciai tutti quanti ammutoliti, poi un brusio nervoso cominciò a serpeggiare tra la folla fino a trasformarsi in un borbottio concitato. Arretrai di un passo, aspettando il loro verdetto: non speravo di averli convinti al primo colpo, ma almeno di averli fatti riflettere su quanto avevo fatto.
Una nota criniera bionda si fece improvvisamente strada in mezzo alla ciurma, e vidi Furey farsi avanti. Sembrava avere perso del tutto la sua irruenza e la voglia di litigare, perché semplicemente avanzò verso il cassero, mi guardò negli occhi, e fece un cenno di assenso col capo. - Per me basta. - disse. - So quello che ho visto, e mi è bastato. Ha dimostrato di essere un bravo capitano, e non c'è bisogno di altre prove. -
Stavo per concedermi un sorriso di vittoria quando Marty, il nano, che stava seduto sopra l'argano, ad un tratto si alzò in piedi e allargò le braccia chiedendo il silenzio. - Può essere bastato a lui, ma non al resto della ciurma. - disse, cogliendomi di sorpresa. - Mi dispiace, capitano, ma noi non abbiamo ancora avuto la nostra prova. Perciò ci appelliamo al codice, e chiediamo che la vostra carica sia messa ai voti. -
Giuro che in quel momento mi sentii morire. Era come se la mia ciurma, i miei uomini, tutti insieme mi avessero pugnalata alle spalle. Non bastava avere subito il tradimento di Rackham, o la violenza di Barbanera. Per loro ancora non avevo fatto abbastanza.
Mi sentii prendere da una tale collera e da un tale sconforto, che fui veramente tentata di dire loro che potevano impiccarsi, loro e il codice, e che come capitano avrei avuto tutto il diritto di mandarli al diavolo tutti quanti.
Ma non lo feci. Esitai solo per un poco, poi annuii mio malgrado, con un'alzata di spalle. - E va bene, allora. Mettetela ai voti. Siete liberi di scegliere come volete. -
Distolsi del tutto lo sguardo dalla ciurma per puntarlo su Jack: seduto sulla murata, con un ginocchio al petto e un piede penzoloni, mi stava fissando di rimando col suo perenne sorrisetto compiaciuto. Lo guardai negli occhi, stringendomi ancora una volta nelle spalle, sperando che capisse. Non avevo potuto fare niente per guadagnarmi la fiducia della ciurma. Però, anche se non fossi più stata capitano, nessuno avrebbe potuto impedirmi di stare sulla Perla, e di rimanere con lui. Era questo quello che importava.
- Chi vota perché Laura Evans mantenga il suo ruolo di capitano in seconda della Perla Nera?- domandò Marty a tutta la ciurma. Io rimasi a guardare: si alzò una mano, quella di Gibbs. Poi la alzò Faith, e al suo fianco Valerie -che era venuta a prendere un po' d'aria sul ponte- alzò il braccio sano. La alzarono Will ed Elizabeth. La alzò Ettore. La alzò Jack. La alzò Furey.
E poi, uno dopo l'altro, anche i pirati alzarono la mano, come rispondendo ad un segnale prestabilito: lo fecero tanto in fretta da lasciarmi a bocca aperta; tutti i pirati, l'intera ciurma alzò la mano. Non se ne astenne neppure uno.
- Non fate quella faccia, capitano!- fece Marty, scoppiando a ridere. - L'avete superata, la vostra prova. Dopo averci salvati, e dopo avere rischiato la vita facendo saltare quel relitto... ancora siete disposta a lasciare che la ciurma decida liberamente!-
Davanti alle risate e agli applausi della ciurma rimasi talmente attonita, che mi ci vollero diversi istanti prima di gettare le braccia al cielo e gridare: - Vi odio, branco di bastardi!-
- Grazie!- ulularono i pirati, in risposta. Marty, dall'alto dell'argano, agitò in aria il pugno. - Tre urrà per il capitano Laura Evans!-
- Capitano Laura Sparrow. - li corresse Jack, alzandosi da dove era seduto e salendo le scale del cassero di poppa per raggiungermi. - E' una donna sposata!-
Mentre la ciurma applaudiva, Jack mi prese tra le braccia e mi strinse contro di sé; io però lo fulminai con un'occhiata inquisitoria. - Chi è stato a dargli questa subdola idea?-
Jack si strinse vistosamente nelle spalle. - Nessuno. - rispose in tono sicuro, e prima che potessi indagare oltre, mi prese il viso fra le mani e mi baciò, facendomi passare del tutto la voglia di fare altre domande.
Sorrisi contro le sue labbra e, prima che potessi controllarmi, ad un tratto cominciai a ridere sul serio, spiazzata da come una questione che mi aveva fatta stare tanto in ansia si fosse infine risolta in modo così inaspettato. Jack allontanò appena il viso dal mio e mi guardò con aria interrogativa.
- Capitano... - feci, acciuffandolo per le treccine della barba e stampandogli un altro bacio sulle labbra. - Io mi sento piuttosto sollevata. Pertanto, mi arrogo il diritto di salutare voi e la ciurma e di andare a farmi qualche ora di sonno come si deve. So che ve la caverete egregiamente anche senza di me!-
E mantenni il mio proposito perfino più di quanto immaginassi, perché, dal momento in cui entrai in cabina e mi buttai sul letto, caddi addormentata di schianto e non mi risvegliai fino a quella sera.

*

- Questa... - Trentacolpi sollevò la pistola con studiata lentezza, accompagnando il gesto con un tono reverenziale. - ...è Kitty. Ah, piccola, maligna Kitty! La ricordo bene: è stata la prima con la quale ho sparato ad una donna. Oh, ma non ad una signora forte e coraggiosa come voi, miss... - aggiunse, rivolgendosi ad Elizabeth. Lei stava alle spalle di David e Michael, che da venti minuti buoni se ne rimanevano seduti sul ponte, muti ed immobili ad ascoltare i racconti del vecchio, strambo pirata. - Quella era una donna che non meritava rispetto né onore, una meretrice, un'ipocrita e una ladra. Fui gentile con lei: la colpii alle spalle e le concessi una morte rapida. Era più di quanto meritasse. -
Elizabeth diede un'occhiata a David, che sembrava paralizzato in un espressione di ammirato stupore, tutto orecchi per ascoltare. Si chiese se quei racconti di pistole e uccisioni a bruciapelo non fossero un po' troppo per lui... ma, tutto sommato, il piccolo aveva dimostrato di non essere uno che si lasciava impressionare facilmente.
- Adesso invece si passa alle cattive ragazze!- dichiarò Trentacolpi, sfoderando una pistola che era chiaramente in brutte condizioni: il calcio era tutto ammaccato. - Questa è Amelia. Apparteneva ad un bastardo cinese che con questa mi sparò addosso: ho ancora i segni di quella dannata pallottola. Allora cosa feci? Gliela strappai di mano e gliela sbattei in faccia fino a farlo fuori. Dopodiché, io e la pistola ci guardammo... ed io dissi: “Ti sei fatta perdonare, bellezza!”, e si aggiunse alla mia cintura. Ha spaccato molte altre zucche, da allora. -
Non aveva ancora riposto l'arma nella cintura, che già ne sollevava un'altra: ad Elizabeth sembravano pressapoco tutte uguali, mentre Trentacolpi le riconosceva una per una. - Ecco una a cui sono molto legato... Questa è stata la prima. Hah! La prima di una lunga serie! Babette, eccola qui! Ah, mi ricordo ancora quando la presi in mano la prima volta!- con sguardo quasi commosso ripose la pistola più piccola, quindi ne agguantò un'altra, grossa, massiccia e dall'aria letale. Era così imponente che Elizabeth si chiese come diavolo fosse possibile prendere la mira con quella: il calcio era enorme, pacchiano, decorato a forma di testa d'orso. - Denise, la preferita. Potente, precisa e mortale. Un gioiello unico... - fece scattare il cane, che emise uno scricchiolio sinistro. - ...insostituibile. -
La giovane donna sorrise fra sé; chissà, forse in tutto quel vecchio pazzo ce le aveva davvero trenta pistole, e forse avrebbe passato la giornata a raccontarne vita, morte e miracoli. Non che la cosa le dispiacesse. Di certo non dispiaceva a David e Michael, che pendevano dalle sue labbra. Una volta assicurata che suo figlio non si sarebbe mosso da lì ancora per un bel pezzo, Elizabeth lasciò il ponte per scendere sottocoperta a cercare Will: si diresse senza esitazione verso l'infermeria, certa di trovarlo laggiù.
Non si era sbagliata. Da alcune ore, ormai, là sotto era tornata la calma: buona parte dei feriti dormiva rannicchiata nelle loro amache, godendosi finalmente la calma. Faith stava passando a controllare quelli ancora svegli, portando loro l'acqua: vedendo entrare Elizabeth le rivolse un sorriso, poi, senza bisogno che ella lo chiedesse, fece un cenno col capo ad indicare l'angolo opposto della stanza.
Ogro era troppo grosso per stare in un'amaca, così la giovane aveva arrangiato per lui una cuccetta stendendo delle coperte sopra un materasso di sacchi di iuta arrotolati: il gigante si era lasciato medicare senza fiatare nemmeno una volta, e ora dormiva tranquillo, riverso su un fianco. Will era lì accanto, seduto su di un piccolo sgabello: era appoggiato alla parete con la schiena, e il capo tendeva a cadergli sul petto; sembrava pronto ad addormentarsi anche lui da un momento all'altro.
Elizabeth si avvicinò a lui, e gli posò dolcemente una mano sul collo; a quel contatto Will sembrò risvegliarsi all'improvviso, e sorrise riconoscendo la ragazza.
- Lui come sta?- domandò lei sottovoce, accennando col capo ad Ogro.
- Si riprenderà presto. - Will represse uno sbadiglio e si raddrizzò sullo sgabello. Elizabeth fece scivolare la mano dietro la sua nuca, si chinò su di lui e lo baciò, indugiando sulle sue labbra per un lungo istante. Quando si separarono, gli sorrise di nuovo e sussurrò: - Grazie. -
Il giovane inarcò un sopracciglio. - Per cosa?-
- Per quello che stai facendo... per esserti preso a cuore lui. Lo sapevo che, in verità, non sei mai cambiato. -
Stavolta fu Will a sorridere a lei. - Sono ancora il solito inseguitore di cause perse, è questo che vuoi dire?- la provocò, in tono scherzoso. Elizabeth non sembrò trovarlo divertente, e si imbronciò.
- Non è questo che ho detto. Parlavo sul serio... è nella tua natura. -
- Che cosa?-
- Correre in soccorso di chi ti sta a cuore. - rispose lei semplicemente. - Sempre e comunque, a qualsiasi prezzo. -
Fra i due calò un attimo di silenzio vagamente imbarazzato, poi le labbra di Will si allargarono in un altro, determinato sorriso, e i suoi occhi si puntarono in quelli di Elizabeth. - Già. - rispose, in tono eloquente.
La giovane premette dolcemente la fronte contro la sua, poi i due si separarono. - Non fare troppo tardi stasera, capitano Turner. - gli disse, prima di allontanarsi verso la porta.
- Non tarderò, Re dei Pirati. - rispose lui, seguendola con lo sguardo mentre se ne andava.

*

Quando mi svegliai, la cabina era buia.
Mi rotolai pigramente fra le lenzuola, strofinandomi gli occhi: mi formicolavano braccia e gambe, e avevo la bocca impastata, ma ero finalmente riuscita a concedermi quello che non mi gustavo da troppo tempo; una lunga dormita. E doveva essere stata veramente lunga, perché tutta la cabina era immersa in una penombra grigiastra, e nessuna luce filtrava dalle vetrate per rischiararla. Il sole doveva essere appena tramontato.
Affondai di nuovo la faccia nel cuscino, chiedendomi se sarei riuscita a riaddormentarmi e tirare dritto fino al mattino dopo, mentre con un solo occhio aperto scrutavo pigramente la stanza: tutto sembrava ancora come l'avevo lasciato quella mattina; le candele spente, le mappe ammucchiate in un angolo del tavolo. In giro c'erano meno bottiglie vuote del solito, testimonianza del fatto che né io né Jack frequentavamo quella cabina da qualche giorno.
Rotolandomi sull'altro fianco, mi resi conto di avere ancora gli stivali ai piedi. Diavolo, ero completamente vestita: camicia, marsina, pantaloni, perfino la cintura; mi mancavano giusto armi e cappello, forse solo con quelle addosso sarei stata davvero incapace di dormire. Pigramente, mi sfilai gli stivali e li buttai a terra ai piedi del letto. Anche quello, però, non aveva molto senso: ormai non avevo più sonno, e di certo non sarei riuscita a riaddormentarmi per il resto della notte. Rimasi a poltrire fra le coperte, incerta sul da fare: se svegliarmi completamente e uscire sul ponte, o se sforzarmi di recuperare in una volta sola tutto il sonno perduto.
Ad un certo punto sentii dei passi pesanti avvicinarsi dalla stanza a fianco, e poco dopo la porta si aprì cigolando violentemente. Jack entrò, barcollando più del solito: nella penombra lo vidi farsi strada a grandi passi verso il letto, riuscendo anche ad urtare lo spigolo del tavolo mentre passava. Sussultò e lo sentii borbottare fra sé un paio di imprecazioni, ma passò oltre come se neanche gli importasse: con la stessa stanca noncuranza si tolse di dosso la giacca e il cinturone, e le buttò verso una sedia vicina... mancandola di poco, e mandando tutto ad ammucchiarsi sul pavimento. Non si prese la briga di raccoglierli; solo il cappello si curò di appenderlo allo schienale della sedia.
Mi stavo trattenendo per non ridere, anche se era un piacere starlo a guardare. Probabilmente doveva pensare che fossi ancora addormentata, -non la sarei rimasta a lungo comunque, con tutto il casino che aveva fatto entrando- perché si sedette sul letto preoccupandosi finalmente di fare un po' più piano, quindi si sdraiò accanto a me, incrociando le braccia dietro la testa. Chiuse gli occhi con un sospiro di sollievo: sembrava veramente distrutto.
Mi avvicinai e appoggiai la testa sulla sua spalla; sentendomi muovere, lui aprì gli occhi e si voltò verso di me.
- Sei sveglia?- bisbigliò.
- Sì... - sorrisi, aggrappata al suo braccio. - Ti ho lasciato solo al comando tutto il giorno, scusami. Che cosa è successo?-
Lui reclinò di nuovo il capo sul cuscino, e abbassò un braccio per avvolgermelo attorno alle spalle. - Figurati... non è stato un problema. - aveva chiuso di nuovo gli occhi, e parlava in lenti sussurri. - E' andato tutto bene, come previsto... La marea è perfetta e abbiamo il vento a favore. Saremo a Tortuga in men che non si dica... - si interruppe per sbadigliare, per poi affondare di nuovo nel cuscino.
Io mi rannicchiai contro di lui, premendo le labbra sulla sua guancia. Contavo di fare la brava e limitarmi a quello, ma poi cominciai a sentire l'odore della sua pelle; ero sicura che molte non l'avrebbero trovato così gradevole, ma io ci ero abituata. Anche lui sudava e odorava come tutti i cristiani, naturalmente, ma, diavolo, era il suo odore. E a me piaceva da morire.
Spostai la mano dalla sua spalla per appoggiargliela sul petto, e mi allungai a baciargli il collo; lui emise un vago mormorio di approvazione, senza aprire gli occhi. Continuai a baciarlo lentamente, scendendo sulla sua gola, per poi risalire e sfiorare le sue labbra con le mie. Lui mi mise la mano dietro la nuca, tirandomi a sé per un bacio, e lì restai a lungo, assaporandolo, godendomi la carezza gentile della sua bocca sulla mia.
Quando le nostre labbra si separarono io mi spostai, per potermi piegare più comodamente su di lui, e ricominciai a baciargli il collo; stavolta però scostai i lembi della sua camicia e scesi con più decisione sul suo petto, fino allo sterno. Lui improvvisamente ebbe un piccolo sussulto e mi prese per le spalle, fermandomi; un po' delusa, alzai gli occhi per incontrare il suo sguardo.
- Uhm... gioia? Davvero, non credevo di poterlo dire, ma... - mi fece, in tono dispiaciuto. - …il fatto è che sono veramente a pezzi, e non ho avuto la fortuna di dormire tutto il giorno... comprendi?-
Sospirai vistosamente, e lo ricambiai con la migliore espressione di disappunto che riuscissi a fare. - Mi deludete, capitano... -
Jack ridacchiò, mentre mi tirava di nuovo verso di sé. - Domani sera saremo a terra... e saprò farmi perdonare. -
- Chi ti dice che domani sera ne avrò ancora voglia?-
Stavolta lo feci ridere sul serio, e mi squadrò con un sorrisetto malizioso mentre riusciva a trascinarmi lunga distesa al suo fianco. - Diciamo semplicemente che ti conosco... comprendi?-
Tornai ad appoggiarmi a lui, e ci rimasi fino a che, poco dopo, il suo respiro si fece lento e regolare, e lui crollò profondamente addormentato. Allora mi alzai, sciogliendomi delicatamente da suo abbraccio e facendo una carezza al suo viso disteso: era finalmente tranquillo, quella sera. Sapeva che il peggio era passato, e che eravamo stati noi ad uscirne ancora una volta vincitori.
Recuperai gli stivali, lasciai la cabina e uscii fuori sul ponte, trovando ad accogliermi la fredda brezza notturna: Jack aveva ragione quando aveva detto che il vento era a nostro favore; quella notte soffiava potente e impetuoso, facendo increspare l'acqua sotto di noi e gonfiando le vele. Avanzai lungo il ponte, sotto le ombre dei pirati ancora impegnati sulle sartie, mentre sentivo il vento che mi afferrava i capelli e me li sbatteva in faccia.
Ero felice di sentirlo. Ero felice di essere ancora tutta intera, e di trovarmi lì in quel momento per sentire l'aria fredda e umida sulla faccia, e l'odore salmastro del mare aperto.
Percorsi tutta la nave da prua a poppa, per poi fermarmi proprio accanto al bompresso e guardare giù, verso la polena che tendeva la sua colomba ad ali spiegate verso il mare aperto, come se volesse aprirci la strada. Posai una mano sul legno scuro della murata. - Hai visto? Sono tornata. - mormorai.
La donna di legno era fredda e immobile. Non che mi aspettassi qualche tipo di risposta, ma mi augurai che la Dama, dovunque fosse o sotto qualsiasi forma si celasse in quel momento, potesse sentirmi.
- Te l'ho detto che puoi fidarti di me. Non abbandonerò mai questa nave... e non abbandonerò mai lui. Lo sai che puoi fidarti di noi. -
Il mio sguardo si perse oltre la polena, verso la linea dell'orizzonte dove lo scintillio delle onde agitate si mescolava al brillio delle stelle. Non si vedeva più nemmeno un fazzoletto di terra tutt'attorno; ogni volta che tornavo a provare quella strana sensazione era come se fosse la prima, ma quella volta non fu spiacevole.
- E, finché ci proteggeremo a vicenda, noi saremo invincibili. -

*

Quella notte alzai lo sguardo alla luna, e rimasi in piedi finché non la vidi tramontare, e nel cielo si fece strada prima il chiarore rosato dell'alba, poi finalmente il sole.
Rimasi mentre questo si levava su un orizzonte senza nuvole, dopodiché andai a recuperare un po' di sonno quando si fermò alto sopra l'albero maestro, come un perfetto orologio puntato sul mezzogiorno. La navigazione fu rapida e tranquilla, e mi svegliai in tempo per vedere il sole concludere il suo giro giornaliero... e, quando tramontò, lo fece sopra la baia di Tortuga.
Per poco non gridai di gioia quando riconobbi l'isola davanti a noi: mi rendevo conto che era un po' strano, per non dire preoccupante, che ormai fosse quello l'unico posto -dopo la Perla- che considerassi veramente una casa... ma non importava. L'emozione che provai nel vedere le sue luci, i suoi rumori, le sue grida e la sua musica, la nostalgia e il sollievo che mi invasero quando la prua della nave si affacciò nella baia erano più reali che mai, e non avrei potuto negarli per nessuno motivo.
Lo stesso cielo sereno sotto il quale avevamo navigato, però, cominciò a riempirsi di nuvole appena entrammo nella baia, e avevamo appena fatto in tempo a calare l'ancora nel porto, che cominciò a tuonare e piovere forte.
Quasi l'intera ciurma era salita sul ponte per lo sbarco, e in pochi minuti ci ritrovammo tutti fradici fino alle ossa; Jack, che sembrava perfettamente a suo agio sotto l'acquazzone come sotto il sole cocente, attraversò in tutta calma il ponte seguito da Gibbs, confabulando. Li aspettai riparata sotto il cassero, osservandoli mentre parlavano e cogliendo qualche stralcio della loro conversazione quando arrivarono a portata di voce.
- ...Signor Gibbs, credo che sia il momento di aprire le casse di bordo e dare a ciascun uomo la sua parte, prima che li lasciamo liberi di scendere a terra. -
- Non sarà molto, signore, in verità speravo che avremmo messo le mani su qualcosa... di più, dopo tutto questo girovagare. -
- Lo so, ma a loro basterà. Per il momento. E poi andate al cantiere navale e cercate il capomastro... voglio che valuti il relitto e che ci dia un elenco di tutto quello che si può salvare e cosa invece è da rifare: chiglia, scafo, alberi, tutto. Chiedetegli il prezzo, ma non ditegli che concludiamo l'affare, non ancora. -
L'anziano pirata alzò gli occhi al cielo ed emise quello che fui quasi certa fosse un gemito di esasperazione. - Potrei ricordarvi, capitano, che siamo già indebitati fino al collo col capomastro?-
Jack liquidò la questione con un cenno delle mani. - Oh, troveremo senz'altro un accordo... dici che gli interessano ancora i prezzi di favore alla Red Rose?-
Gibbs sospirò vistosamente e si asciugò la faccia dalla pioggia battente, ma notai che sotto sotto tratteneva una risata. - Jack, stavolta non ce lo compreremo con qualche sconto al bordello. -
- Poco importa. - il capitano si strinse nelle spalle, distogliendo l'attenzione da Gibbs per portarla su di me e il resto della ciurma che aspettava, assiepata sotto gli alberi. - Orsù, abbiamo perso già abbastanza tempo!-
- Hai fretta?- gli domandai, alzando le braccia per accennare alla pioggia scrosciante e alla nave messa alla fonda in mezzo alle altre che beccheggiavano nell'acqua bassa del porto. - Dove vuoi che andiamo?-
Lui mi rivolse un sorriso smagliante, e per un attimo mi venne da paragonarlo in tutto e per tutto ad un grosso gatto bagnato sorridente.
- Ad affogare nel rum le nostre sordide anime di bucanieri, no?-
Così, di lì a pochi minuti, avevamo chiuso vento e acquazzone fuori dalla porta della Sposa Fedele.
Quella sera quasi tutta la nostra ciurma si radunò lì, così che l'osteria era gremita fino all'inverosimile; il chiacchiericcio e le risate tenevano lontano il fragore della tempesta, mentre avvenenti prostitute sghignazzavano appese al collo dei pirati che cantavano e tracannavano rum, seduti perfino sui tavoli.
- Levatevi di mezzo, che i vostri capitani hanno sete!- gridai allegramente, facendomi largo a gomitate fra la folla, formata per la maggior parte di uomini della mia ciurma, che si scostarono ridendo al mio passaggio. Stavo dando prova di equilibrismo portando ben quattro bottiglie, due in mano e le altre due sottobraccio, e Faith ed Ettore mi seguivano, ciascuno con altre tre bottiglie, e con numerosi boccali vuoti.
In un angolo del locale stavano alcuni tavoli, parzialmente separati dal resto della turbolenta locanda da una sottile parete di legno: era lì che eravamo riusciti ad accaparrarci un posticino, dove ora ci aspettavano tutti gli altri. Il tavolo era piuttosto piccolo per tutti quanti, così lo avevamo circondato con tutte le sedie di cui eravamo riusciti ad impossessarci, e ora gli altri sedevano spalla contro spalla per tenerci i posti. Jack e Gibbs sedevano nell'angolo più interno, contro al muro, e dalla parte opposta c'erano Will ed Elizabeth, insieme a Valerie, la quale in realtà non avrebbe dovuto nemmeno trovarsi lì, viste le sue condizioni, ma aveva protestato così tanto che alla fine mi ero lasciata convincere a farla venire con noi. Ora, pure con il braccio fasciato e legato al collo, aveva tutta l'aria di trovarsi perfettamente a suo agio ed era tornata a scherzare e ridere forte come al solito, mentre Jonathan, seduto poco lontano da lei, le scoccava strane occhiate tra l'esasperato e il preoccupato. Credo fosse praticamente la prima volta che il giovane carpentiere si univa a noi, ma probabilmente quella sera si trovava lì solo per via di Valerie. C'era perfino Ogro, enorme sulla sua sedia troppo piccola per lui, che non aveva spiccicato una parola da quando William lo aveva portato a terra con sé, ma che guardava tutto con aria estremamente incuriosita.
David e Michael non si vedevano, ma solo perché il primo si era messo a gattonare sotto il tavolo, e il secondo stava cercando di seguirlo nel tentativo di catturarlo.
- Provviste fresche, ciurma!- annunciò Faith, depositando le proprie bottiglie sul tavolo. Un coro di approvazione accolse il nostro arrivo, e in breve i boccali vuoti cominciarono a girare di mano in mano, così come le bottiglie.
Mi stavo insinuando fra la sedia di Elizabeth e quella libera accanto a lei, quando ad un tratto David sbucò da sotto il tavolo con una gran risata, e volò dritto verso di me.
- Lauraaa!- cinguettò tutto contento, prima di spiccare un salto e aggrapparsi a me come una scimmia: lo acchiappai al volo appena in tempo, rischiando di buttare a terra lui e buona parte delle sedie; lui però non sembrò curarsene e continuò a ridere allegramente.
- Ciao, adorabile mostriciattolo. - me lo caricai in spalla, mentre mi avvolgeva le braccine attorno al collo. - Com'è che ce l'hai con me, stasera?-
Il bambino mi scoccò un'occhiata adorante, senza smettere di sorridere, poi agganciò le dita alla catenina del mio ciondolo e cominciò a giocarci senza curarsi più di nient'altro. Sospirai, rassegnandomi a rimanere in piedi mentre Faith ed Ettore invece si prendevano sedie e boccali.
- David, fa il bravo con lei!- fece Elizabeth al figlio, voltandosi verso di noi, poi mi rivolse un sorriso di scusa. - Sembra che tu gli piaccia, dopotutto. -
- Anche a me piace lui. Non è vero, piccolino?- gli pizzicai una guancia, e lui svelto lasciò andare la mia perla per nascondersi il viso con le mani, ridacchiando. Michael riemerse da sotto il tavolo, riarrampicandosi in qualche modo sulla sua sedia, e mi guardò in modo strano, scuotendo il capo. - Io non ti ricordavo così tenera, però. -
Gli rivolsi un sogghigno: il fatto che avessimo vissuto come fratello e sorella per diversi anni non voleva dire che fossi mai stata molto tenera con lui. Era una cosa a cui ci eravamo abituati entrambi, ma diciamo che non mi ero fatta la fama di essere tanto affettuosa con i bambini. Ettore si versò una generosa dose di rum, scrollando le spalle. - Istinto materno, immagino. -
Michael lo guardò come se fosse impazzito. - Ma chi, lei?-
- Piantatela!- protestai, prima di convincere gentilmente David a lasciarmi andare e barattare le mie braccia con quelle di sua madre. Depositato lui, mi voltai per vedere se sarei finalmente riuscita a sedermi: Jack diede un colpetto alla sedia vuota accanto alla sua, facendomi cenno di avvicinarmi. Gli scoccai un'occhiata riconoscente e mi sedetti, prendendo dal tavolo una delle bottiglie, già vuota per almeno un quarto. Gli altri erano tornati a riempire i loro boccali e a chiacchierare; io presi un lungo sorso direttamente dalla bottiglia, godendomi il calore bruciante che scendeva giù per la gola. Di qualsiasi cosa stessero parlando gli altri, Jack non sembrava trovarlo particolarmente interessante, e si avvicinò di più a me spingendo la sua sedia contro la mia. Appoggiò il mento sulla mia spalla e, coperto dalla confusione che ci circondava, bisbigliò: - Mickey è ingiusto con te. Sai essere così dolce, quando vuoi... -
Mi sfiorò la guancia con le labbra, e la sua mano mi carezzò il ginocchio. Abbassai la bottiglia, ora più che un tantino distratta dalla sua vicinanza.
- Non sono neanche tre ore che siamo qui, e già parlano tutti di noi, in città. - stava dicendo Ettore, chino sul tavolo, quasi con fare cospiratore. - Sono sicuro che c'è almeno un uomo della Perla in ogni locanda, bettola o bordello di Tortuga, e tutti non fanno che parlare di come abbiamo affondato quelle due navi. Entro domani saremo una specie di leggenda. -
- Meglio, no? Spero solo che tutti si ricordino di parlare molto male di Calico. - rise Valerie, scolandosi il suo rum.
- Non è poi tanto meglio, in verità. - replicò lui, abbassando la voce anche se non ce ne sarebbe stato effettivamente bisogno. - Mi ricordo quello che ci avete raccontato di Rackham, e aveva ragione: tira un'aria diversa qui a Tortuga. Non avete visto le strade?-
Jack mi diede un bacio sul collo, mentre mi avvolgeva un braccio attorno alla vita. Sarebbe anche potuto essere un gesto romantico, se con la stessa mano avesse cercato di agguantare la bottiglia che tenevo in grembo. Allontanai la bottiglia dalla sua portata. - In che senso?- chiesi, anche se sentire il fiato di Jack sul collo mi rendeva un po' difficile seguire la conversazione.
Ettore si strinse nelle spalle. - C'è meno gente in giro. Tutti quelli che vogliono ubriacarsi e fare cagnara come al solito sono qui dentro... e non è per la pioggia, scommetto. -
Vero: le strade di Tortuga erano famose per essere affollate di gente ubriaca e rissosa a qualsiasi ora, con qualsiasi tempo.
- Perché, allora?- gli domandò Faith.
- Questo è il punto: ho visto molti meno bevitori per strada, ma anche meno risse. -
- E con questo?-
- Meno risse. Più sparatorie. -
Dopo quell'affermazione calò uno strano silenzio sul nostro tavolo; perfino Jack smise di cercare di rubarmi la bottiglia e si voltò a guardare Ettore con aria vagamente turbata. Neanche a dirlo, al di sopra del baccano risuonarono improvvisamente due spari: troppo lontani per essere all'interno della locanda, ma abbastanza vicini per provenire dalla strada accanto. Sobbalzammo tutti, tranne Ogro, che aveva finito da solo la sua prima bottiglia e aveva attaccato la seconda.
- Quello che succede o non succede a Tortuga non è mai stato un nostro problema, comprendi?- Jack si decise a rompere il silenzio, per poi allungare a tradimento la mano e afferrare la mia bottiglia. Io la tirai dalla mia parte. Lui la tirò dalla sua. La situazione stava diventando piuttosto ridicola, specie considerando il fatto che eravamo ancora “romanticamente” abbracciati.
- Molla. - protestai.
- Molla tu. -
- Sì, ma qui sta succedendo qualcosa di strano. - continuò Ettore, ignorando il nostro tira e molla. - Diavolo, io qui ci sono nato e cresciuto; la vedo la differenza. Valerie, anche tu sei nata qui. Che cosa ne dici? Sparatorie per le strade, la maggior parte della gente chiusa nelle locande... cosa ti fa venire in mente?-
Lei aggrottò le sopracciglia, facendosi molto più seria. - Regolamenti di conti tra bande? Di nuovo? Era un po' che non succedevano cose del genere... mi sembra strano. -
- Che intendete dire?- chiese Elizabeth, incuriosita.
- Ettore ha ragione. - continuò la ragazza, rivolgendosi a lei. - Sono sempre stata abituata a Tortuga: sono sempre esistite bande, gilde, congregazioni che nascevano per un motivo o per l'altro... e che, ovviamente, finivano sempre per combattere l'una contro l'altra per litigarsi il territorio, o la gente da rapinare. Era abbastanza normale. Però queste bande non sono mai state pericolose, almeno non che io ricordi. Di solito non erano niente di più che ladruncoli che si mettevano insieme, credendo che in gruppo avrebbero combinato chissà che cosa. - ridacchiò, scuotendo la chioma scura. - Di solito bastava il primo gruppo di pirati appena sbarcati e di cattivo umore per fargli il culo!-
- Ah!- Gibbs annuì con foga, improvvisamente più allegro. - Gli spogliatori di ubriachi! Mi ricordo che li chiamavano così. Di solito arrivavano nelle locande, in otto o in dieci: prendevano di mira i più sbronzi che trovavano, per poi trascinarli fuori e derubarli di tutto quello che avevano. Era diventata una pratica così diffusa, che in una sola locanda potevi trovarti nello stesso momento anche due o tre bande di Spogliatori, ed era un guaio. Quei poveracci arrivavano a litigare direttamente sul corpo dello sbronzo di turno, per decidere chi aveva il diritto di portarselo via e derubarlo!-
- Me ne sono capitati diversi alla locanda, quando ancora lavoravo lì. - commentò Valerie con un sogghigno.
- Ebbero vita breve. - Gibbs annuì. - Non erano che cagasotto, in verità; erano ladruncoli che cercavano di fare soldi in modo rapido e facile, e non avevano un briciolo di fegato... -
- E tu hai ricevuto le loro attenzioni due o tre volte, se non ricordo male. - concluse Jack, sogghignando. Gibbs gli lanciò un'occhiata offesa.
- Be', in ogni caso quelli erano i tempi dove i cadaveri di quei bastardelli si ammucchiavano ai lati delle strade. Si credevano tanto importanti, con le loro piccole bande e i loro nomi, che arrivarono a giocare alla guerra gli uni contro gli altri. Fu una baraonda. Non potevi uscire in strada senza incappare in qualche banda che si sparava addosso. Qualche volta ammazzavano per sbaglio anche qualche pirata, e poi finivano fatti a pezzi dalla ciurma inferocita, per ripicca. No, decisamente non durarono a lungo. -
Annuii, mentre mi tornavano in mente stralci dei nostri primi incontri con Calico. - Rackham non aveva detto un nome? Era stato lui a dirci che le cose a Tortuga stavano cambiando... chi altri aveva nominato?- ricordavo la conversazione avuta col capitano, ricordavo anche che ci aveva parlato di cambiamenti, bande, e di qualcuno che stava architettando tutto questo... ma non riuscivo a ricordarmi il nome.
- Sal-qualcosa. - borbottò Jack, scrollando vistosamente le spalle. - Molla. -
- Molla tu. -
- Che ho fatto di male per farmi proibire il rum?!-
- Ti proibisco il rum della mia bottiglia, ne abbiamo quante ne vuoi sul tavolo. -
- Ma io voglio questa... - sibilò con un sorrisetto, premendo le labbra contro il mio orecchio.
- E cosa mi dai in cambio?-
Il suo sorriso si allargò. - Possiamo parlarne. -
- Silehard!- saltò su Will ad un tratto. Quando tutti ci voltammo a guardarlo come se fosse impazzito, si decise a spiegarsi meglio. - ...Era questo il nome che aveva menzionato Rackham. Credo. Silehard. Ma non so quanto sia veramente importante, per noi. -
Jack fece un cenno vago col capo. - Per il momento non me ne importa neanche un po'... comprendi?- riuscì a sfilarmi dalle mani la bottiglia e se la portò alle labbra, trionfante, per berne un lungo sorso. Io sospirai, e ne approfittai per liberarmi dall'abbraccio.
- Tienitela. Io vado a prendere una boccata d'aria. -
Guadagnare l'uscita fu perfino più difficile di quanto lo era stato arrivare al bancone: c'era già un gran numero di uomini e donne completamente sbronzi, e la piccola orchestra di fisarmoniche e violini che suonava imperterrita in un angolo dell'osteria aveva sollevato l'umore generale, così che non potevi fare un passo senza scontrarti con qualche avventore che beveva, rideva, sbraitava o ballava. Mi trovai la strada sbarrata da due donne in abiti succinti, dal viso pesantemente truccato e coi corpetti dai colori vivaci che mostravano molto più del dovuto. Sembravano entrambe ubriache fradice, e mi guardarono ridacchiando e sgranando scioccamente gli occhi mentre mi avvicinavo. In quel momento, alle spalle delle due arrivò nientemeno che Trentacolpi: ad entrambe circondò la vita con le braccia, e col suo perenne ghigno stampato in faccia esclamò: - Felice incontro, signore!-
Mentre il terzetto si perdeva in mezzo alla folla, mi divertii a domandarmi se almeno per l'occasione sarebbe stato disposto a togliersi di dosso le sue amate pistole. Decisi che non volevo scoprirlo.
Salii la scala che portava al piano di sopra -scansando alcuni pirati crollati privi di sensi sui suddetti scalini- e finalmente raggiunsi la porta: quando la aprii, mi sentii investire da una ventata d'aria fredda, e fu un sollievo.
Fuori stava piovendo ancora più forte di prima, così feci solo un paio di passi fuori dalla locanda, tenendomi al riparo del tettuccio che sporgeva al di sopra della porta. Richiusi il battente alle mie spalle, tagliando fuori il chiacchiericcio, le urla e la musica della locanda; di colpo restammo soltanto io e lo scroscio incessante della pioggia.
Proprio accanto all'ingresso, ad un passo da me, c'era un busto di legno addossato al muro esterno della locanda. Lo scrutai, forse con più attenzione di quanto avessi mai fatto prima di allora: sul piedistallo era inciso il nome della locanda, La Sposa Fedele; la statua raffigurava il busto di una giovane donna sorridente, in abito da sposa, con le mani giunte a reggere un bouquet. Due pesanti manette le bloccavano i polsi.
La porta alle mie spalle cigolò piano; lì per lì non me ne accorsi neanche, finché non sentii una mano posarmisi sulla spalla, e la voce di Jack.
- Non aspettare che lanci il bouquet, sembra piuttosto pesante da prendere al volo. -
Trattenni una risatina, voltandomi verso di lui. - Che fai qui?-
Il capitano si strinse nelle spalle e mi si accostò, appoggiando il gomito contro la parete accanto a noi. - Te ne sei andata così di fretta, e mi chiedevo che cosa ti stesse ronzando per la testa questa volta. -
- Sicuro... e il pensiero che magari volessi semplicemente prendere una boccata d'aria, come ti avevo detto, non ti ha nemmeno sfiorato, vero?-
Jack ridacchiò fra sé. - O è così... o hai trovato una buona scusa per farci restare soli. - fece due passi verso di me, spingendomi gentilmente con la schiena contro il muro. Gli sorrisi, stando al gioco; lui sollevò una mano a carezzarmi i capelli, quindi si chinò su di me per premere la guancia contro la mia.
- Mi manchi. - bisbigliò. - Non abbiamo avuto neanche un minuto per noi da... uhm... da quando abbiamo messo su Khael Roa, più o meno. -
Mi appoggiai a lui, circondandogli le spalle con un braccio. - E quando lo abbiamo avuto, tu eri “troppo stanco”. - scherzai. Lo sentii ridacchiare ancora, piano, vicino al mio orecchio.
- Colpa mia, lo ammetto. - mi tenne un po' più stretta, premendoci entrambi contro la parete, poi parlò di nuovo e sentii chiaramente una nota di preoccupazione nella sua voce. - Ascoltami, sei sicura che vada tutto bene? Perché se sei... diciamo... turbata, ecco, per quello che è successo, o... per Barbanera... -
In quel momento capii cosa lo preoccupava, e mi staccai un poco da lui per guardarlo negli occhi ed interromperlo. - No. - gli risposi, ed il mio tono e la mia espressione sembrarono prove sufficienti a dimostrargli che non stavo mentendo. - Barbanera avrà anche tentato di farmi del male, ma non ci è riuscito. Ha avuto quello che si meritava, e io sto bene, te lo assicuro. -
Lui non disse niente, però arricciò un angolo della bocca in uno di quei suoi mezzi sorrisi che avevo imparato a conoscere, e vidi la preoccupazione lasciare poco a poco il suo volto. Non avevo dimenticato la rabbia gelida con la quale si era scagliato contro Teach, quando lo aveva sorpreso ad aggredirmi: per quanto fossi stata felice di vederlo arrivare in quel momento, sapevo che aveva avuto paura almeno quanto me. Non ne avevamo più parlato; io per prima non avevo più voluto parlarne, eppure il rischio di quello che mi sarebbe potuto succedere continuava ad aleggiare tra di noi come un'ombra oscura.
Ma non era successo: questa era l'unica cosa che contava. La mia rabbia e il mio orgoglio si erano ribellate alla paura, e dentro di me avevo deciso che non avrei mai lasciato che si ripetesse una cosa del genere, e che mai più avrei temuto un uomo per quello che poteva farmi. Se qualcun altro ci avesse provato, gli avrei fatto saltare la testa. Ero pronta a farlo con Barbanera, quando si era trattato di salvare la vita di Jack: ora ero certa che non avrei esitato a farlo con qualunque altro balordo che avrebbe mai tentato di farmi del male.
- Però non era questo a cui stavo pensando. - continuai. - Insomma, pensavo a Rackham... lo so che è un vigliacco e ci ha abbandonati, e non glielo perdonerò mai. Però, la prima volta che lo abbiamo incontrato... lui e i suoi non erano poi tanto diversi da noi. Lui, Anne Bonny, Mary Read, tutti quanti, avevano davvero la stoffa per essere dei grandi pirati. Forse non si è reso conto di avere avuto una delle idee migliori degli ultimi tempi, a chiederci di formare un'alleanza: peccato che lui per primo non ci credesse davvero. -
Jack mi guardò, inarcando un sopracciglio. - Quindi, secondo te, l'alleanza sarebbe stata una scelta vincente?-
- L'alleanza è stata un'idea vincente. - lo corressi. - Jack, abbiamo affondato due navi. Ne avremmo affondate tre, se fossimo rimasti insieme. Sarebbe stata una delle più spettacolari vittorie degli ultimi tempi!Sai, forse... forse è questo che dovremmo fare noi, che dovrebbero fare tutti. Non riunirsi in bande per pugnalarsi alle spalle, ma collaborare. -
Lui scrollò le spalle. - Capisco cosa vuoi dire, tesoro. Ma devi capire che non è che siamo un'isoletta felice. -
- Lo so. Ma siamo tutti pirati, e questo dovrebbe bastare ad accomunarci. O almeno... - sorrisi. - ...dovrebbe accomunare i gentiluomini di fortuna. Io so già che non sarò mai un capitano spietato come Teach, né un traditore come Rackham. E questo mi basterà. -
Per qualche momento Jack rimase a fissarmi ad occhi sgranati come se stesse contemplando chissà quale fenomeno stupefacente, poi sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e fece un passo indietro, a mani alzate. - I miei rispetti! Qui il mio lavoro è finito, oserei dire. -
Alzai il mento con una certa fierezza, poi presi Jack per il bavero della giacca e lo riportai vicino a me. - Tu dici? Capitano o no, tu non avrai mai finito con me, te lo posso assicurare. -
- Meno male. - bisbigliò lui, chinandosi verso il mio viso. - Sono proprio imperdonabile. Non ti ho reso la vita molto facile negli ultimi tempi, uh? Ti ho fatto passare per un “quasi ammutinamento”di massa, mandata a vagare per un'isola selvaggia, buttata in mezzo a due battaglie navali e affrontare due dei peggiori avanzi di galera dei Caraibi... - scoccò un'occhiata alla statua della sposa incatenata al nostro fianco. - Non il massimo per una luna di miele, diciamo. -
Se fosse serio o meno non ne avevo idea, ma mi misi a ridere di cuore. Quando ebbi finito, lanciandogli uno sguardo in tralice, me ne uscii improvvisamente con l'ultima domanda che mi sarei mai aspettata di fargli: - Jack?-
- Sì?-
- ...Perché ci siamo sposati?-
Se la mia domanda lo sorprese, non lo diede minimamente a vedere. - Perché volevamo farlo. - rispose con semplicità. - E, al momento, non ne sono pentito, anche se so di non essere stato fino ad ora quello che si dice un buon marito. - mi prese il viso fra le mani, tornando serio. - Ci tengo a farti sapere che mi dispiace. -
- Oh, andiamo!- quasi risi di nuovo. - Per che cosa? Perché a volte, anche con la ciurma, ho dovuto sbrigarmela da sola? Sono il capitano in seconda. Perché non abbiamo avuto il tempo di dormire insieme? Non è niente. C'erano cose più importanti da fare, e tu lo sai benissimo come lo so io. - gli carezzai la guancia a mia volta. - Quando ti ho sposato, non ho detto che avrei messo i lucchetti alla porta. Non lo farò nemmeno adesso. -
Finalmente lo vidi tornare a sorridere sul serio, e mi accarezzò il viso con dolcezza. - Forse avremmo dovuto aggiungere qualche clausola, quando ci siamo sposati. Ti ricordi quello che dicevo sul matrimonio?-
- Che ti sembrava una scommessa a chi avrebbe smesso per primo di amare l'altro?-
- Già. - assentì lui, in tono inequivocabile. Alzai gli occhi al cielo, per poi fissarlo severamente. - E allora? E' una scommessa che temi di perdere, capitano?-
- No. - ad un tratto Jack sciolse l'abbraccio per prendermi per le spalle: c'era qualcosa di strano in quella stretta, qualcosa di urgente e di riluttante al tempo stesso. - Ma so che il nostro non sarà mai un matrimonio convenzionale. Noi non saremo mai come la famigliola Turner felicemente riunita, comprendi? Io non sono così. E nemmeno tu. -
Cominciavo a capire che cosa volesse dire: in effetti, non si poteva dire che il nostro rapporto fosse stato privo di scontri a fuoco... i quali -non potevo dimenticare- erano quasi riusciti a separarci del tutto. Eravamo sposati, certo, ma questo non cambiava noi: non cambiava me, e di certo non cambiava lui. Per noi il matrimonio non era stato il suggello, il coronamento di una lunga e felice storia d'amore. Era stato l'inizio. Era stata la prova inconfutabile della fiducia che avevamo l'uno nell'altra, per quanto azzardata. La prova di cui io avevo bisogno, all'epoca. Una scommessa, sicuro... ma una scommessa che sentivo di stare vincendo. E non ci avrei rinunciato per niente al mondo.
- Lo so, e mi va bene così. - risposi, caparbia.
- Ascolta. - insistette lui, agitandomi l'indice davanti alla faccia. - Quello che sto dicendo è che non riuscirò ad esserci sempre: alcune volte dovrai ancora cavartela da sola, e dovrò farlo anch'io. A volte dovrò occuparmi di altre cose; hai visto anche tu, ci capiterà ancora di stare separati per un po'. Siamo pirati, e siamo anche sposati... però le cose non si escludono a vicenda. -
- Insomma, mi stai chiedendo il permesso di abbandonare il tetto coniugale. - scherzai. Lui ridacchiò e si strinse nelle spalle. - Lo farò io e lo farai tu, se ne avremo bisogno. E' inevitabile, lo sai... non possiamo aspettarci di riuscire a stare “sempre” insieme. Ma questo non cambia le cose, comprendi?- accentuò un poco la stretta, e puntò gli occhi nei miei. - Perché, dovunque vada e qualunque cosa faccia, hai la mia parola: io ritorno. E non perché sono obbligato a farlo. Ritorno da te perché lo voglio, e hai la mia parola che lo farò sempre. E quando hai bisogno... per qualsiasi cosa... dimmelo. -
Seguì un lungo silenzio, colmato solo dal rumore della pioggia, che non avrei saputo se definire intenso o imbarazzato, per via del modo in cui ce ne restammo letteralmente immobili a fissarci negli occhi; quindi finimmo per abbassare lo sguardo quasi all'unisono.
- Se fosse uno degli Articoli, lo firmerei. - commentai, infine. - Jack... lo stesso vale per me. Io non smetterò mai di fidarmi di te. Mai. E mi aspetto che tu faccia lo stesso con me. -
Gli vidi brillare tra le labbra i denti d'oro, mentre avvicinava il viso al mio. - L'ho sempre fatto. -
- Bene. - sussurrai. - Ma non sperare in “altre” libertà extraconiugali, perché quelle non te le concederò mai. -
- Ma che peccato... - mormorò, prima di tirarmi contro di sé e baciarmi con improvviso calore. Avevo appena ricambiato il bacio con altrettanta foga che lui si tirò lentamente indietro, strappandomi un mugolio di protesta. Quando riaprii gli occhi, vidi che mi stava fissando con un sorrisetto inequivocabile: gli brillavano gli occhi. - Non dovevo farmi perdonare qualcosa?-




Note dell'autrice:
Ma porca miseria.
Lo dico perché sono a tanto così -tanto così!- a concludere il capitolo finale, e come al solito mi faccio fregare dal panico da ultimo paragrafo. Ma ce la farò. Aspettare a pubblicare questo capitolo solo quando avessi completato quello finale era un inutile masochismo.
Gente! Inizio subito rispondendo a Mally:
1)Condivido la tua gioia per la scelta dei caratteri ingranditi! Io scrivo comodamente con quelli piccoli, ma so che tanti lettori sono affaticati dalla lettura sullo schermo. Tanto meglio, quindi! Sono anche molto lieta di darti una notizia: ebbene sì, Caribbean Tales nasce come saga; ergo, ti posso dire che sono previsti ancora parecchi episodi. Perciò, tu gongolerai come davanti ad un cornetto alla nutella, ed io mi guadagnerò il privilegio di una lettrice come te. ^^
2) Mi hai dato un buon suggerimento, anche se non so se potrò accontentare in pieno le tue richieste. Mi piace curiosare nella mente del mio adorato capitano, anche se la cosa non è affatto semplice. Probabilmente ci saranno ancora piccoli suoi flash in prima persona, come mi sono divertita ad inserire qua e là nelle mie storie. Vedremo.
3)Non posso crederci! Qualcuno ama Trentacolpi più di me!
Agli aficionados, Fannysparrow, duedicoppe, citrosil, come sempre grazie di cuore per i vostri commenti. In quanto a sorprese e colpi di scena... spero proprio di essere ancora in grado di prepararvene a dovere qualcuno!
Wind the sails!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Brav'uomo, bravo pirata ***


Capitolo 16
Brav'uomo, bravo pirata



Il ritorno alla Perla ci costò una camminata sotto la pioggia battente, che ci inzuppò da capo a piedi. Mi ero calata ostinatamente il cappello sul volto, nel tentativo di proteggermi almeno dalle sferzate d'acqua che mi colpivano in piena faccia, ma non servì a migliorare la situazione. Il mare era mosso, e il ponte dondolava con le onde. Chiudersi alle spalle la porta della cabina fu una vera liberazione: finalmente al caldo e all'asciutto, tirai un sospiro di sollievo e mi levai subito il tricorno grondante d'acqua, mollandolo sul tavolo degli ufficiali.
- Ci avremmo impiegato meno nuotando. - commentai, scrollando con le mani i capelli zuppi.
- Probabilmente. - replicò Jack, dirigendosi in camera con una certa fretta, e lasciando impronte bagnate al suo passaggio. Lo seguii, intanto che constatavo in che stato fossero i miei vestiti: la marsina era tutta umida, e la sbottonai mentre camminavo. Mi fermai solo un momento per chiudermi la porta alle spalle, girando la chiave nella serratura con la maggior discrezione possibile. La nave beccheggiò sotto la spinta di un'onda, e per un attimo sentii il pavimento inclinarsi verso dritta, facendomi barcollare; Jack si voltò a guardarmi con un sorrisetto divertito.
- Temo che la cosa potrebbe andare avanti per tutta la notte, sai?-
Mi strinsi nelle spalle, lasciando la marsina sullo schienale di una seggiola in mezzo alla stanza. - Non penso che mi dispiacerà. -
- Parlavo del mare mosso. -
Mi fermai un istante a scoccargli un'occhiata di sufficienza, inarcando un sopracciglio. - Ma non mi dire. - ribattei, ironica. Lui si limitò a rispondermi col suo sorrisetto, quindi mi voltò le spalle, togliendosi la giacca bagnata e cominciando ad armeggiare con la quintalata di cinture che si portava addosso. I pendagli fecero un lieve tintinnio metallico mentre se le sganciava una per una. In silenzio mi liberai degli stivali, poi, vedendo che ci metteva tanto, mi avvicinai quatta quatta alle spalle di Jack, quasi senza fare rumore sulle assi del pavimento che ancora ondeggiava lentamente.
- Lascia fare a me. - dissi con una certa impazienza, spingendolo con decisione verso il letto. L'espressione di sorpresa che gli comparve sulla faccia quando lo spinsi a sedere sul materasso mi divertì; sorprenderlo, effettivamente, era una cosa che non mi capitava spesso di fare. L'idea mi piaceva.
- Fai tutto quello che vuoi. - sussurrò lui, malizioso, facendo scintillare i denti d'oro tra le labbra. Mi inginocchiai davanti a lui e cominciai a sfilargli le cinture una per una: prima il cinturone a tracolla, che buttai da parte insieme alla spada e alla pistola, poi le due più piccole. Il suo sorriso si accentuò quando gli infilai le mani sotto la camicia, scoprendo il suo petto nudo fino allo sterno, per poi lasciarsi sfuggire un sospiro di approvazione quando gli sfilai dalla testa camicia e marsina insieme.
Mi bastò tirare un capo della sua fusciacca a righe bianche e rosse per sciogliere il nodo e fare scivolare a terra anche quella; a quel punto Jack si chinò su di me e mi strinse dolcemente i polsi, tirandomi più vicino. Premette la sua bocca sulla mia e cominciò a baciarmi con calore, insinuando la lingua fra le mie labbra, mentre guidava le mie mani suoi suoi fianchi, lungo l'orlo dei suoi pantaloni, invitandomi a toglierglieli. Sorridendo contro le sue labbra, stetti al gioco, cominciando ad apriglieli un bottone alla volta. Lui ebbe un piccolo ansito d'impazienza, come a spronarmi a fare più in fretta. Quando ebbi finito, appoggiò di nuovo le sue mani sulle mie per spingermele dentro i suoi pantaloni aperti.
Non avevo intenzione di rendergli le cose così facili, però: staccando le labbra dalle sue, mi presi un momento per arrampicarmi sul materasso e sistemarmi più comodamente, spingendo Jack all'indietro e montando a cavalcioni sopra le sue gambe. Lui ad un tratto mi fermò, rimettendosi a sedere.
- Non ci si mette a letto coi vestiti bagnati, signorina. - sussurrò, ghignando. In un attimo mi ritrovai le sue mani su per la camicia; mi sembrarono caldissime quando le sentii accarezzarmi tutta la schiena, scivolare attorno al busto, risalire per afferrarmi i seni. Trattenni un mugolio di piacere mordendomi le labbra, e non ebbi nemmeno il tempo di pensare a togliermela da sola che la mia camicia era già misteriosamente scomparsa nel nulla, e Jack premeva il viso contro il mio sterno, baciando la mia pelle nuda.
Abbandonai i capo all'indietro, lasciandolo fare, senza resistere all'impulso di chiudere gli occhi, sospirando di piacere. Per un po' fu come se esistessero solo la bocca e le mani di Jack; me le sentii addosso mentre mi carezzavano dappertutto, liberandomi infine anche dal resto dei vestiti.
Riaprii gli occhi e mi strinsi contro di lui, ricoprendogli il collo di piccoli baci e facendogli scivolare le mani sul petto nudo. Lo solleticai, carezzandolo con la punta delle dita fin sotto l'ombelico. Lui mise la sua mano sulla mia, sfidandomi ancora a farla scendere più in basso. Stavolta lo accontentai.
- Ah... - con un sospiro di approvazione Jack si distese sul letto, ad occhi chiusi, respirando forte tra le labbra dischiuse. Senza smettere di toccarlo mi chinai su di lui, sfiorandogli il viso con il mio; lui riaprì gli occhi per un momento, poi mi prese con la mano dietro la nuca e mi baciò con foga, soffocando poi contro la mia bocca un gemito rauco.
- Ti piace?- mormorai, mentre gli mordicchiavo il labbro.
- Eccome se mi piace... - rispose lui in un sussurro animato, avvolgendomi un braccio intorno alla vita con improvvisa urgenza. Mi strinse contro di sé e ribaltò le nostre posizioni, scrollandosi definitivamente di dosso i pantaloni: mi ritrovai a pancia in su fra le lenzuola, con Jack sopra di me; con le mani mi prese sotto le ginocchia e se le tirò contro i fianchi. Con lentezza quasi esasperante prese ad accarezzarmi le gambe, dalle caviglie fino alle cosce; il tutto senza smettere un attimo di guardarmi col suo sorrisetto dal dente d'oro, evidentemente impaziente di vedere la mia reazione. Mugolai tra i denti, mentre tormentavo le lenzuola con le dita.
- Sai, non ho mai amato l'autocensura... - scherzò in tono diabolicamente sensuale, allontanando le mani dalle mie gambe per accarezzarmi il viso, il collo, e poi palpare i miei seni morbidi con evidente piacere. Il mio respiro cambiò bruscamente -e rumorosamente- di tono. - Ora dimmelo tu... ti piace?- mi strofinò dolcemente con le dita.
Mi sfuggì un gemito imbarazzante, ma lui sembrò apprezzarlo particolarmente, e ridacchiò soddisfatto. Poi si chinò sopra di me, sussurrando il mio nome con voce rotta dall'eccitazione, ed io lo assecondai con slancio incrociando le gambe dietro la sua schiena.
La pioggia picchiava rumorosamente sulle spesse vetrate della cabina, ma anche per quella notte il mondo se ne sarebbe rimasto fuori.

*

Sul ripiano del tavolo era andata accumulandosi una specie di foresta di bottiglie e boccali vuoti; neppure Valerie si era limitata coi brindisi, seguendo con piacere l'esempio degli uomini. Will aveva bevuto una dose quantomeno dignitosa -per un tavolo di pirati- e già aveva lo sguardo lustro; le uniche che sembravano ancora perfettamente lucide erano Faith, che ne aveva già avuto abbastanza l'ultima volta, ed Elizabeth.
Quest'ultima si voltò verso Faith e le fece un cenno col capo. - Forse è ora di andare. - disse, accomodando meglio David che le si era addormentato in braccio, col capo a peso morto sulla sua spalla.
Faith guardò Michael, seduto accanto a lei: anche lui dormiva, riverso contro il tavolo con la faccia affondata tra le braccia incrociate. La giovane alzò gli occhi al cielo: aveva avuto il suo bel daffare a tirargli scappellotti ogni volta che tornava a farsi riempire il boccale... tanto peggio per lui; avrebbe avuto tutta la notte, e i postumi del giorno dopo, per riflettere sulle sue azioni.
- Direi proprio di sì. - rispose, prima di prendere il fratello per la collottola e scrollarlo. - Ehi, piaga! Svegliati!-
Mentre il ragazzino si risvegliava bruscamente, emettendo tutta una serie di borbottii di protesta più o meno comprensibili, Elizabeth fece del suo meglio per convincere gli altri membri della compagnia, tutti quanti piuttosto alticci e particolarmente allegri, ad alzare i tacchi.
Gibbs stava raccontando una delle sue storie strampalate ad Ettore e Jonathan, i quali, dal canto loro, sembravano divertirsi un sacco man mano che le parole del vecchio nostromo diventavano sempre più biascicate e incomprensibili.
- ...e, che mi cascassero gli occhi, ti assicuro che era un verde baleno!- stringendo ancora fra le mani il boccale vuoto, Gibbs corrucciò il viso in un'espressione pensosa. - ...O era una balena verde?-
- Signor Gibbs!- lo chiamò Elizabeth, con una certa veemenza. - Torniamo alla Perla. -
Il nostromo sembrò riscuotersi solo in quel momento, e si guardò attorno con aria stranita. - Non dovremmo aspettare il capitano?- domandò in tono assonnato, come se Jack se ne fosse andato solo da pochi minuti, invece delle due ore abbondanti che avevano trascorso seduti al tavolo a bere.
- Credo che sia Jack che Laura siano già tornati sulla Perla da un bel pezzo. - replicò lei in tono eloquente.
In un modo o nell'altro, tutti riuscirono bene o male a rimettersi in piedi e a dirigersi verso l'uscita, mentre Elizabeth e Faith si assumevano loro malgrado il compito di farsi largo tra la folla di avventori. Elizabeth gettò un'occhiata dietro le spalle: Will non sembrava messo troppo male, si era perfino messo al fianco di Ogro e faceva del suo meglio per sorreggere quella montagna di muscoli completamente sbronza. Il grosso indigeno barcollava paurosamente, trascinando i piedi infilati in un paio di stivali talmente tirati da sembrare sul punto di esplodere.
Erano quasi giunti in cima alla scala che portava al piano di sopra quando accadde il disastro.
Ogro era a metà della scala; ad un tratto sembrò che le sue gambe avessero semplicemente smesso di reggerlo, e il suo corpo gigantesco si piegò a metà proprio contro il parapetto. Will, la cui prontezza di riflessi era anche piuttosto limitata dall'alcol, cercò freneticamente di trattenerlo per un braccio, ma non ce la fece: il peso di Ogro fece scivolare anche lui, e ruzzolò a terra facendosi di schiena due o tre gradini.
Il gigante invece rotolò giù per le scale a peso morto, un masso in caduta libera, travolgendo nella sua caduta tutti gli ubriachi riversi sui gradini, e la gente che stava il fondo alla scala.
Nella locanda, improvvisamente, ogni conversazione si interruppe, e l'improvviso silenzio rese solo più assordanti le grida che si alzarono di lì a poco: gli ubriachi rotolati sul pavimento insieme ad Ogro urlarono e bestemmiarono, caracollando a quattro zampe con le loro bottiglie rotte ancora in mano, per allontanarsi dalla... cosa che li aveva travolti. Il gigante era rimasto disteso sul pavimento lurido, come una grossa e spaventosa tartaruga ribaltata; si contorse, scrollando le braccia e la testa tumefatta, nel tentativo di rialzarsi. Emise un forte grugnito rabbioso e dolorante, e due donne rimaste immobili a pochi passi da lui cominciarono a strillare come se fossero indemoniate.
- Piantatela!- esclamò Will, rimettendosi goffamente in piedi e scendendo la scala quanto più rapidamente gli permisero le sue gambe malferme.
Ogro era ancora a terra, che si agitava e ringhiava fra sé parole sconosciute, forse imprecando nella sua lingua. Le donne non smettevano di strillare. Quello strano spettacolo sembrò dare alla testa agli ubriachi presenti, e in breve tutti stavano urlando, farneticando o sputando insulti, cercando di mettere più distanza possibile tra loro e il mostro ubriaco che si dimenava sul pavimento.
Will arrivò vicino ad Ogro, imponendosi di rimanere lucido. Non sembrava essersi fatto male; era solo troppo ubriaco per calmarsi e rimettersi in piedi. Sfortunatamente, dubitava di riuscire a far rialzare quel colosso da solo... In quel momento si trovò accanto Ettore: al pirata sembrava fosse passata completamente qualsiasi voglia di scherzare, e lo sguardo che gli lanciò fu lucido e serio. Insieme si chinarono e, a suon di spinte, sbuffi e imprecazioni, riuscirono a fare rialzare il gigante, agguantandolo poi ciascuno per un braccio per caricarselo sulle spalle. Il suo peso li fece barcollare; continuava a non reggersi sulle gambe.
- Devi darci una mano, dannazione. - sibilò Ettore, rivolto all'indigeno. Quello fece ciondolare la grossa testa tumefatta, senza dar segno di avere capito. L'intera locanda li stava guardando, e il suono delle proteste e degli insulti non si era smorzato.
- Resta in piedi, Ogro. - insistette Will, che sentiva già le proprie, di gambe, prossime a cedere. - Resta in piedi!-
- Ehi, voi!- l'oste della Sposa Fedele si era affacciato dal parapetto del piano superiore, e guardava tutta quella baraonda dabbasso con aria sconcertata. - Se siete in cerca di guai, andate a cercarveli da un'altra parte!-
- E' stato un incidente! E comunque, ce ne stavamo andando. - protestò Elizabeth, fulminando l'uomo con lo sguardo.
L'oste non si fece impressionare, e indicò con un gesto secco la porta. - Non me ne frega un accidente. Adesso fuori di qui, e portate quella specie di mostro con voi!-
- Questa “specie di mostro” si è pagato il vostro rum come tutti gli altri!- gridò Will, seminascosto dal braccio inerte di Ogro che gli pendeva attorno al collo. La folla rumoreggiò. Prima che le cose si mettessero al peggio, Elizabeth andò ad aprire la porta, e tutti gli altri aiutarono Ettore e Will a trasportare Ogro su per le scale: fu una scena penosa quanto faticosa, e nemmeno per un attimo gli occhi spalancati di ciascuno dei presenti si staccarono da loro.
Quando ebbero finalmente raggiunto il piano di sopra, solo allora il gigante sembrò riaversi per qualche momento, e si girò lentamente a squadrare uno per uno tutti i volti che lo stavano fissando. Poi rovesciò il capo all'indietro e cominciò a ridere, ridere follemente, una risata grassa e potente che sembrava un ululato.
Questo spaventò la folla quasi più della sua caduta di prima, e tutti i presenti si ritrassero dal gruppetto come un sol uomo, con facce sconvolte.
Il gruppo dei pirati infilò rapidamente la porta, con la risata inquietante di Ogro che ancora risuonava dietro di loro.

*

Venni a sapere, in seguito, che la nave che inseguiva Rackham era comandata da un certo capitano Barnes, noto cacciatore di pirati. Fu quello stesso Barnes a catturarlo, meno di un anno dopo.
Calico Jack Rackham fu impiccato a Gallows Point insieme a tutta la sua ciurma: seppi invece che Anne Bonny e Mary Read si salvarono, dichiarandosi entrambe incinte. Di loro non seppi più niente, ma nessuna voce mi arrivò a confermare la loro impiccagione o un'eventuale morte in cella. Sospetto che quelle due se la siano cavata, e chissà che non possa rincontrarle, un giorno.
Barbanera continuò ad essere uno dei peggiori pirati del suo tempo, tornando a depredare e saccheggiare insieme alla sua ciurma. Credo però che il brutto tiro che gli giocammo a Khael Roa gli bruci ancora, e non ci tengo particolarmente a ritrovarmelo sulla strada. Ma, se mai capiterà, non ci troverà tanto indulgenti come la prima volta. Anch'io ho un conto in sospeso con lui.
Quanto a noi della Perla, per noi sembrava prospettarsi un periodo piuttosto tranquillo.
La nostra alleanza era stata una brevissima parentesi, quasi una farsa, eppure ancora sentivo che avrebbe potuto funzionare. Se solo non fosse finita così. Avevo scarsa fiducia nella maggior parte dei pirati, eppure un tentativo, un piccolo passo, era stato mosso. Io avevo creduto alle parole di Rackham, anche se lui per primo non lo aveva fatto.
Sapevo dell'esistenza di una Fratellanza, sebbene Jack fosse restio a soddisfare la mia curiosità al riguardo: non faceva che ripetermi che era meglio cavarsela da soli, a meno che non fosse strettamente necessario, perché spesso aiutarsi fra pirati causava più danni che altro. Ne eravamo stati testimoni.
In parte sapevo che aveva ragione... tuttavia non potevo e non volevo mettere a tacere i pensieri che mi assillavano.
- Mi ci porterai, una volta?- gli bisbigliai all'orecchio ad un certo punto, mentre eravamo abbracciati sotto le lenzuola nel buio della cabina, ad un passo dal sonno.
- Dove?- borbottò lui, senza aprire gli occhi.
- Dove si riunisce la Fratellanza dei pirati. -
Jack fece un lungo sospiro e mi abbracciò un po' più stretta, affondando risolutamente la faccia nel cuscino. - La Fratellanza, come la chiami tu, si riunisce soltanto in casi di emergenza... ergo, non succederà ancora per molto tempo. -
Non aggiunse altro per un po', e stavo quasi per rassegnarmi al fatto che non mi avrebbe risposto neanche stavolta, quando lui parlò di nuovo, con la voce impastata dal sonno. - Però il Palazzo dei Relitti ti piacerebbe... sì, ti ci porterò, una volta. -

*

Al contrario di quanto William temeva, quel mattino i postumi della bevuta non furono poi così traumatici. Quando si svegliò era l'alba; Elizabeth stava ancora dormendo profondamente, e David faceva altrettanto. Si sentiva girare la testa e aveva la bocca impastata, ma nulla di più.
Si rivestì e uscì silenziosamente dalla cabina, per dirigersi sul ponte: l'aria fresca lo fece sentire subito meglio, così decise di rimanere là fuori per un po', a godersi la tranquillità. Non aveva mai visto Tortuga così pacifica. Il sole era appena sorto, e le uniche barche che salpavano dal molo erano quelle dei pescatori; il porto era animato dal consueto brusio mattutino, ma le strade della città erano silenziosa, ancora addormentate. Will si domandò se i timori espressi da Ettore la sera prima non fossero solo esagerazioni. Lui non vedeva proprio niente di strano a Tortuga. Che cosa sarebbe mai potuto capitare, proprio lì, da poter cambiare la consueta anarchia che vi regnava?
Non aveva voglia di domandarselo: erano tornati, e tutto sembrava ormai risolto. Dal ponte si voltò a guardare il relitto ormeggiato al fianco della Perla. Sorprendentemente, si trovò a pensare che non era neanche ridotto così male come gli era sembrato. Lo scafo e le vele dovevano assolutamente essere rimessi in sesto, ma per il resto faceva ancora la sua dignitosa figura: aveva retto bene perfino il temporale di quella notte; le assi di legno chiaro erano lucide di pioggia, e per un bizzarro effetto del sole che si levava in quel momento, perfino quel legno crivellato dalle cannonate sembrava risplendere come se fosse stato appena lustrato.
Ad un tratto, qualcosa sul molo attirò la sua attenzione: c'era una piccola barca con una vela bianca ormeggiata accanto al pontile, e qualcuno laggiù era molto occupato a trafficare col cordame. Will rimase a guardarlo per qualche secondo, poi sgranò gli occhi. Era Ogro.
In tutta fretta scese dalla nave e attraversò il pontile, fino a raggiungere la barca ormeggiata, e il gigante che sembrava avere tutte le intenzioni di issare la piccola vela.
- Ogro! Che cosa stai facendo?- lo chiamò non appena fu a portata di voce.
L'uomo alzò lo sguardo su di lui e gli rivolse uno dei suoi sorrisi storti. - Wii-liam. - lo salutò, senza aggiungere altro, e tornò ad armeggiare con le funi.
- Ogro, ti ho fatto una domanda. - ripeté Will, cominciando ad irritarsi. - Che cosa credi di fare? Di chi è questa barca?-
- Mia. - si limitò a rispondere quello, con un sorriso di scherno. A quel punto Will perse la pazienza, e con un gesto deciso tolse le funi dalle mani di Ogro, costringendolo ad alzare gli occhi su di lui.
- Stai cercando di scappare? Perché?-
- Scappare?- il tono del gigante si indurì, e per un attimo Will si sentì come se i suoi occhi lo stessero perforando da parte a parte. - Non sono dentro prigione. No?-
- No, infatti. - il giovane cercò di addolcire il tono. - Non sei prigioniero di nessuno, e lo sai. Ma che cosa stai facendo?-
- Presa barca, sistemo vela. Preso del cibo da nave, spero non è problema. - accennò ad un involto di stoffa rigonfio che giaceva sul fondo della barchetta, insieme a due remi. - Serviva. -
- Non capisco perché lo stai facendo. -
Per un po' Ogro non rispose, evitando ostinatamente di guardarlo come se neanche lo avesse sentito... poi però Will lo vide stringersi nelle spalle immense ed emettere uno strano sospiro. - Tu sei buono, Wii-liam. Anche Jehparo. Tu mantieni le promesse. Però adesso io voglio andare via. -
- E' per quello che è successo alla locanda?- lo interruppe. - Se è così... non significa niente. E' stato solo un incidente, e nessuno se la prenderà mai con te solo per avere fatto un po' di baraonda. Sei nella ciurma, ora, non devi temere nessuno. -
Ogro si voltò verso di lui e incrociò le braccia sul petto, assumendo improvvisamente un'espressione molto seria e profonda, che quasi stonava sul suo viso devastato. Le parole, nel suo inglese zoppicante, per una volta gli uscirono di bocca quasi fluide e chiare, come se le avesse ripetute fra sé molte volte. - Voi siete persone buone. E non mi piace chi fa del male alle persone buone. Ecco perché fermato il capitano con la barba, che faceva del male alla donna di Jehparo. Stavo per fare così anch'io, sai? Stavo per distruggere villaggio, e avrei fatto male. Avevi ragione tu. Ero arrabbiato, Wii-liam... e quando mi arrabbio, io... non penso. - si strofinò le mani sulla faccia, per poi guardarle con espressione stranita come se le vedesse per la prima volta. - Quando ho salvato la donna... credo è la prima cosa buona che faccio dopo tanto tempo. Ho fatto bene. Ho salvato una persona buona. Però... io ho guardato la tua gente. Sono come gente del mio villaggio. Io ho guardato molto. Io volevo scappare da isola, ma trovo sempre gente come quella del mio villaggio. -
Will cominciava a capire, e sentì il cuore gonfiarsi di pena per lui. Avrebbe voluto dire qualcosa che potesse farlo sentire meglio, chiarirgli le idee, ma non trovò nulla da dire.
- Ci sarà sempre qualcuno che non ti accetterà per quello che sei, Ogro. Non puoi semplicemente restare con noi, sulla Perla?-
- No. - un mezzo sorriso corrugò il viso del gigante. - Io non sono pirata. Volevo solo andare via da isola. In verità, io... sto meglio da solo. Voglio questo qui: andare via solo. -
- Ma... dove andrai? Se vai da solo incontrerai sempre persone che avranno paura di te, o che vorranno sbatterti in gabbia, proprio come quelli che sbarcavano a Khael Roa. E poi, come avresti intenzione di fare? Non sai nemmeno navigare!-
Stavolta Ogro gli scoppiò a ridere in faccia. - Non so navigare? So fare molto più di quello che pensa. Tutto più facile se fai credere che sei più stupido... sempre i marinai venivano sulle spiaggia con scialuppe, e scialuppe si possono portare via. Imparare si fa col tempo. Forse pensi anche che non so usare remi, scalare una scogliera o caricare un fucile... -
Will annuì e allargò le braccia, disorientato. - Va bene, va bene... ammetto di averti sottovalutato. Ascolta, capisco che cosa provi, e capisco che tu voglia stare da solo. Ma sono preoccupato per te. Io ti ho portato lontano da casa tua, io ti ho cacciato in questa situazione. Non potrei mai perdonarmelo se dovesse succederti... -
- Tu mi hai portato lontano da casa mia, perché io voglio andarci, lontano da casa mia. - replicò Ogro. - Siamo... come dite voi... ah, pari. Siamo pari. - l'uomo si raddrizzò e si avvicinò a Will di qualche passo, per appoggiargli sulla spalla la grande mano callosa. - Io dico grazie, Wii-liam. Tu mi hai aiutato. Io ora vado perché voglio, ma tu non hai sbagliato niente. - si batté un pugno sul petto, sorridendo. - Tu mi hai salvato. -
William non era sicuro di condividere appieno quello che l'uomo gli stava dicendo, ma era chiaro che niente di quel che avrebbe potuto dire o fare lo avrebbe mai convinto a lasciar perdere. Sembrava fin troppo deciso. Dopo una lunga esitazione, si strinse nelle spalle e guardò Ogro in faccia.
- Non posso fare niente per farti cambiare idea, vero?-
- Niente. - confermò Ogro, sorridendo e allontanandosi da lui. Il giovane rimase a guardarlo mentre finiva di preparare la sua vela, e restò lì anche quando quello saltò a bordo della barchetta dondolante con insospettabile agilità, per poi accomodare la vela in direzione del vento e mettersi ai remi. Non disse niente, non si mosse neppure, mentre lo guardava allontanarsi prima trasportato dalla corrente, poi cominciando ad affondare di buona lena i remi nell'acqua e dirigendo l'imbarcazione dove voleva. Dentro di sé, una parte di lui ancora protestava per averlo lasciato andare così: come avrebbe fatto? Ma soprattutto, dove voleva andare?
Ma, ormai, il gigante se ne stava andando, e di lui Will riuscì a cogliere solo l'ultimo squarcio fugace del suo volto storpiato, prima che voltasse la prua della barca verso il mare aperto. Stava sorridendo.
Conosceva solo un'altra persona che sarebbe stata in grado di mettersi in mare su due piedi, senza nient'altro che una barca e una vela per dirigerla... e in cuor suo doveva ammettere che Ogro sembrava animato dalla stessa determinazione.
Quando la barca diventò un puntino all'orizzonte, il giovane girò sui tacchi e si incamminò lentamente lungo il porticciolo, in preda a sentimenti contrastanti. Era accaduto tutto troppo in fretta, e ancora non sapeva se considerare l'addio di Ogro come una vittoria o una sconfitta.
Aveva appena raggiunto il pontile della Perla, quando si rese conto di essere osservato: alzò lo sguardo, e rimase sorpreso di vedere Jack in piedi accanto alla murata, appoggiato coi gomiti sul parapetto. Jack ricambiò l'occhiata, e Will sospettò che non si trovasse lì da poco.
- Se n'è andato. - il capitano confermò i suoi dubbi, anche se c'era un che di incredulo nella sua voce. - Non credevo che lo avrebbe fatto veramente. -
Will incespicò per trovare le parole, quindi scosse il capo in segno di resa. - Lo so, non avrei dovuto lasciarlo andare. -
- No... - Jack cacciò via quel pensiero con un gesto brusco della mano. - Credimi, se era quello che voleva, non ti avrebbe permesso di fermarlo. E poi, è una sua scelta. -
Il giovane annuì suo malgrado. - Che cosa farà adesso? Dove andrà?-
- E io che cosa ne so?- replicò il capitano, ridacchiando fra sé. - E, per una volta nella tua vita, vedi di far sparire quell'espressione da cane bastonato. Hai fatto un buon lavoro. -
- Io?!-
- Tu. Credi che fosse facile conquistarsi la fiducia di Ogro? Tu ci sei riuscito e adesso il vecchio diavolo, dopo anni su quell'isola, è finalmente a piede libero. Non me lo sarei mai aspettato. - Jack si lasciò sfuggire un altro incredulo sorriso di approvazione, mentre gettava un ultimo sguardo verso l'orizzonte dove era sparito Ogro. - Quindi, William, credimi quando ti dico che hai fatto un buon lavoro. -
Per un po' Will non seppe cosa rispondere, quindi evitò semplicemente di incrociare lo sguardo del capitano. Invece, posò di nuovo gli occhi sul relitto, che continuava ad attirare la sua attenzione.
- Allora, in realtà è questo il tuo bottino? Non è in pessime condizioni, immagino che se ne possa ricavare una buona somma. - commentò, accennandovi col capo. - Sai già che cosa ne farai?-
Jack si strinse nelle spalle, nascondendo un sorrisetto sagace. - Hm... forse. Sai, avevo quasi pensato... - ad un tratto cominciò a gesticolare per aria, come se stesse disegnando nel nulla, sopra al relitto, alberi e vele che non c'erano. - Giacché siamo riusciti a portarlo qui in condizioni, diciamo, discretamente buone, perché non approfittarne? Invece di disfare, rifacciamo! Comprendi? Certo, sarà laborioso e di certo non costerà poco... Ma ci pensi? Due navi. -
Will sorrise all'idea. - La Perla Nera e la sua ombra. -
- Precisamente. - assentì Jack puntando un dito contro di lui come se avesse detto qualcosa di molto giusto.
- Sarà un grosso vantaggio per te. Avrai una piccola flotta. -
Il sogghigno di Jack si allargò, e il giovane vide le sue spalle sussultare. - Guai a chi mi chiama “commodoro”, però. - il commento li fece ridacchiare entrambi, poi lui continuò, indicando il ponte opposto con un ampio gesto della mano. - Vedrai, una volta rimessa a nuovo sarà un prezioso alleato. Guardala. Ha passato di tutto: era un galeone della marina, e ora diventerà una nave pirata di tutto rispetto. L'abbiamo fatta a pezzi, e adesso la rimetteremo insieme. Si può proprio dire che l'abbiamo affondata, l'abbiamo distrutta... e l'abbiamo fatta risorgere dalle ceneri, comprendi? E' una splendida nave. -
Will annuì con un'espressione stranamente solenne. - E' vero. - disse, con una punta di rammarico, o nostalgia, nella voce.
- Bene. - il pirata si alzò da dove si era appoggiato. - Visto che ti piace così tanto, penso proprio che la darò a te. -
Il giovane sbarrò gli occhi, voltandosi di scatto verso di lui, certo di avere capito male. - Cosa?!- Jack lo guardava tranquillo, senza accennare a spiegarsi meglio, quindi dovette insistere. - Jack... in che senso la darai a me?!-
- Mi sembrava di essere stato chiaro. - rispose lui, fingendosi sorpreso. - Questa è la tua nave. Sei il capitano, se vuoi. -
- Ma io non... - non riuscì a dire altro e per qualche attimo rimase ammutolito, a fissare il capitano nel tentativo di capire se, per una volta tanto, fosse veramente serio. Temeva proprio di sì. L'espressione col quale lo stava squadrando era perfettamente impassibile. - Stai scherzando, vero?-
Jack scosse il capo con aria paziente. - Neanche per sogno. Senti, ho pensato ad alcune cose che mi hai detto, e anche ad alcune cose che tu ed Elizabeth vi siete detti, per la cronaca... Francamente, amico, non so come te la cavi come pirata, ma una cosa sai farla: sai prenderti a cuore le cose. Questo è un bene. Perciò, se gentilmente vuoi farmi il favore di prenderti a cuore questa cosa e tornare ad essere un capitano, un capitano pirata, questo è il momento più opportuno. -
Per un bel pezzo, Will non seppe rispondere in altro modo se non con il suo incredulo silenzio, guardando ad occhi sgranati ora la nave -la sua futura nave- ora Jack. Capiva ciò che il pirata aveva voluto dirgli, lo capiva fin troppo bene...e già sapeva, in cuor suo, che quello era il regalo migliore che chiunque avrebbe potuto fargli; era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Eppure, non poté impedirsi di fissare il capitano e fargli l'unica domanda alla quale ancora non sapeva rispondersi. - Perché?-
Stavolta fu Jack a tentennare e a distogliere provvidenzialmente lo sguardo: appoggiò di nuovo la schiena alla murata e per qualche momento fissò il vuoto con aria meditabonda, come prendendosi tutto il tempo per pensare ad una risposta soddisfacente.
- Perché ne hai bisogno. - se ne uscì alla fine, con un tono che avrebbe voluto suonare distaccato, ma che non ci riuscì del tutto. - Perché Bill Turner è stato uno dei miei migliori amici. Uno dei pochi che ho avuto. E non credo che lui abbia rinchiuso il suo cuore in quel forziere al posto del tuo solo per vederti condurre una vita vuota, che tu non vuoi e non hai mai voluto. E perché so che tu puoi essere un brav'uomo e un bravo pirata almeno quanto lui. - si raddrizzò bruscamente, unendo insieme le mani e facendo scrocchiare le dita. - E perché sì, ovviamente. Perché sono ancora il capitano, e ciò significa che questo è un ordine. Comprendi?-
Will guardò di nuovo la nave, e lentamente un sorriso trionfante gli si dipinse sul volto. - Lo farò, allora. - disse con sicurezza. - Jack... grazie. -
Il capitano rispose con una scrollata di spalle, quindi fece per allontanarsi. Ad un tratto però sembrò cambiare idea e si fermò bruscamente, voltandosi di nuovo verso William. - Oh, Will?- aggiunse. - Se rovini tutto, giuro che ti manderò a spasso sull'asse. -
Senza dare al giovane il tempo di pensare se stesse scherzando o no, stavolta, Jack si allontanò e si chiuse la porta della cabina dietro le spalle, lasciando Will solo sul ponte insieme ai pensieri a cui ancora non riusciva a dare un senso. Rimasto solo, spiazzato, ma in un certo senso assurdamente felice come non si sentiva da tanto tempo, il giovane non poté fare a meno di tornare a guardare il relitto, quel guscio di una nave -la sua nave- che presto sarebbe stata rimessa a nuovo per tornare la splendida imbarcazione che era stata.
Non riusciva a credere che Jack fosse stato disposto a fare un simile investimento, una scelta che definire azzardata era dire poco. Solo ora capiva tutta la portata di quel regalo, e soprattutto il fatto che fosse stato proprio lui, quel pirata che non aveva mai capito fino in fondo, a farglielo.
Tuttavia si impose di ragionare razionalmente, e di non farsi travolgere da tutto quell'assurdo e infantile entusiasmo. Non si stava forse emozionando troppo? Quanto era saggio ravvivare speranze che avrebbero rischiato -un'altra volta- di venire infrante poco dopo?
La sua paura di non riuscire più ad inserirsi nel mondo che lo circondava era ancora lì, viva e presente. Davvero tutto ciò di cui aveva bisogno per sconfiggerla era... una nave?
“Sì.” rispose caparbiamente una voce dentro di lui. “Non solo una nave, ma quello che rappresenta.”
Una casa per lui ed Elizabeth, l'unica dove lui e la sua irrefrenabile moglie avrebbero potuto vivere insieme. Una cosa sua, una nave e una ciurma di cui essere responsabile.
E un'altra cosa... due navi e due ciurme che avrebbero agito insieme, si sarebbero protette, sarebbero stata l'una l'ombra dell'altra.
Un piccolo, minuscolo germe di... alleanza.
Esistevano modi diversi di essere pirati, e questo lui l'aveva sperimentato sulla propria pelle, nel bene e nel male: era questo il filo a cui poteva aggrapparsi, la rotta tracciata davanti a lui, che ora gli spettava seguire. Non poteva dimenticare che una volta, quattro anni prima, un manipolo di pirati era riuscito a cambiare il mondo.
Una volta qualcuno li aveva definiti “una razza in via d'estinzione”.
Ora Will poteva solo sperare con tutte le sue forze che quel tale, quella volta, stesse sbagliando di grosso.



FINE





Note dell'autrice: Dio Mio!!!
Nel senso: Dio mio, finalmente sono riuscita a scrivere questo capitolo conclusivo, che alla fin fine è scivolato fuori quasi fin troppo rapido rispetto a come l'avevo pensato... ma va bene così. Dio mio, finalmente mi risorge il computer e posso tornare a trastullarmi sulla mia amata tastiera. Dio mio, ho concluso la prima trilogia di Caribbean Tales.
PS: "Dio mio", mi dimentico sempre che mia madre legge le mie fanfiction. -.-
Mally! Mia croce e delizia! Per il poco conforto che posso dare, comunque vada, sono felice che leggere quello che scrivo ti abbia portato almeno un po' di buonumore. Dirò a Laura di non seccarti per avere fatto pensieri lascivi sul suo legittimo marito. (Sentito, Laura? Giù quella pistola, su...)All'ultima parte, ovvero il discorso tra i due capiani, ci tenevo particolarmente e sono felice di sentire che è venuto bene. Nessun problema, e lo sai che sono TUTT'ALTRO che scontenta delle recensioni chilometriche... grazie per aver letto le mie storie, e se deciderai di continuare a seguirle!
PS: Oddio, questa cosa dell'istinto materno improvviso ha sorpreso anche me... Laura???!
A pinkstar, grazie di cuore e ti do già appuntamente al prossimo episodio, che spero non vi farà attendere troppo! Ed eccone un'altra che chiede a gran voce la prole. Sto cominciando ad aver paura.
A duedicoppe, una pronta guarigione dal raffreddore (che da bravo pirata pure lui attacca alle spalle) e un inchino. Grazie, non c'è altro da aggiungere.
Fannysparrow da brava compare Willabeth, spero che avrai apprezzato la sorpresa finale di questo capitolo! Alla prossima anche a te!
E alla fine di cotanto narrare, bere e sproloquiare, non c'è altro da fare se non raccattare le bottiglie vuote, sgombrare il tavolo per fare posto alle mappe, e prepararsi a tracciare una nuova rotta.
Come sempre, Wind in your sails.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=387892