Crystal

di Tide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ok, questo è un po' un esperimento: ho provato a mettere un personaggio chiaramente estraneo ai rapporti umani in relazione con qualcuno. Questo qualcuno non poteva essere una persona qualunque, o non ci sarebbe stato molto da dire. Non siate troppo severi.




Capitolo 1
 
C’era una stazione per la benzina sulla strada. Era una piccola stazione di servizio con le pompe per i rifornimenti davanti a un piccolo negozio e una piccola casa dall’aria vagamente provvisoria dietro quest’ultimo.
La proprietaria stava sulla soglia del negozio a braccia conserte, appoggiata allo stipite. Osservava l’immenso paesaggio secco del Texas. I tratti affilati del volto perfettamente immoti, gli occhi chiari scrutavano la terra rossa con la torva pazienza di un avvoltoio.
La fronte della donna si corrugò appena, in maniera quasi impercettibile, quando notò un cane che vagava oltre la strada. Pensò che dovesse essere scappato da un ranch non troppo lontano. Se le cose stavano così, non doveva trattarsi di un cane troppo intelligente.
La donna distolse lo sguardo, tornando a seguire il brullo profilo delle colline in lontananza.
Per quasi tutto il pomeriggio nessuna macchina era passata lungo la strada che si stendeva ritta da orizzonte a orizzonte, passando davanti alla stazione di rifornimento.
Sembrò quasi fuori luogo il rumore di una vettura in lontananza. La donna voltò bruscamente il capo e osservò l’automobile che si stava avvicinando.
Era un fuoristrada come se ne vedevano tanti. Procedeva più cautamente del normale e sbandava di continuo, come se il conducente fosse ubriaco o sul punto di addormentarsi.
La benzinaia continuò a fissarla senza muoversi di un millimetro e senza mutare espressione, in attesa che l’auto finisse fuori strada. Allora lei sarebbe rientrata e avrebbe chiamato la polizia stradale. Se le fosse parso il caso avrebbe richiesto un’ambulanza e sarebbe andata a prestare un primo soccorso.
Ma l’automobile riuscì a raggiungere la stazione senza incidenti e molto piano entrò nello spiazzo antistante, come intendesse fare rifornimento. Solo allora la donna aggrottò la fronte, si scostò dallo stipite e mosse qualche passo per vedere meglio.
Il conducente era un uomo dai capelli scuri e con l’aria d’essere appena uscito da un pestaggio. Aveva il volto coperto di sangue e guidava  con la sola mano destra, il braccio sinistro era legato al collo con una camicia. Come ebbe frenato completamente, l’uomo si accasciò sul volante, tentando comunque di aprire la portiera.
La proprietaria raggiunse il fuoristrada, aprì al suo posto e lo aiutò a uscire, sorreggendolo. Anche così, lui poteva a malapena stare in piedi.
Più che notarlo, la donna intuì che l’altro aveva una brutta ferita alla gamba: sentiva il sangue di lui bagnarle i jeans, tiepido e viscoso.
Nonostante tutto, l’uomo si sforzava di procedere e lei lo aiutava senza dire nulla. Lo portò alla casetta dietro il negozio.
Quando aprì, una bambina fece per venirle incontro, bloccandosi immediatamente appena ebbe visto la situazione. La donna le gridò di andare a mettere il cartello di chiusura e poi restare in camera. La bambina obbedì con straordinaria prontezza, mentre lei sistemava l’uomo nella propria stanza. Lo fece sedere sul letto nell’angolo della camera, poi lo aiutò a stendersi.
“Ecco, ora puoi svenire.” Gli disse senza alcun intento ironico.
L’uomo annuì piano, chiuse gli occhi e diede un sospiro, poi non si mosse più. Doveva aver resistito fino a quel momento per pura forza di volontà.
La donna si diede un secondo per osservarlo meglio.
Era un uomo alto, dal fisico forte, aveva tratti decisi, un poco mascherati dal sangue, e dei capelli neri dal taglio decisamente bizzarro.
A qualcun altro quella situazione avrebbe fatto una certa impressione, ma per lei che l’uomo fosse in perfetta salute o fosse moribondo, che avesse un aspetto totalmente anonimo o avesse una capigliatura improbabile non faceva molta differenza.
Gli controllò il battito cardiaco, gli tolse la camicia che gli faceva da tutore per il braccio, osservò e tastò la frattura, con molta attenzione. Poteva dire con una certa sicurezza che non v’erano danni alle arterie e che non vi sarebbero stati inconvenienti se l’avesse ricomposta con un po’d’attenzione. Sarebbe stato meglio farlo fare a un dottore, certo, ma sicuramente  il paziente in questione non si sarebbe fatto dei chilometri in quelle condizioni, se fosse stato nella posizione di andare in ospedale.   
Lanciò uno sguardo all’uomo, per assicurarsi che fosse ancora privo di sensi, poi si sistemò di modo da poter gestire agevolmente il braccio rotto. Si concentrò, considerando con precisione come agire. Infine, con un gesto repentino e netto, forzò l’osso nella sua posizione naturale.
Si alzò e svestì con cautela l’uomo per avere sott’occhio tutti i danni. Le ferite alla testa sanguinavano, ma non sembravano gravi; tra quelle alle gambe, almeno una era da arma da fuoco e pareva essere già stata medicata, salvo riaprirsi in seguito a un secondo trauma.
La donna tastò le costole e le parve che alcune fossero danneggiate.
Si mise all’opera, raccogliendo tutto ciò che poteva tornare utile, disinfettandolo e sterilizzandolo.
Sarebbero serviti degli antibiotici.
Sarebbe servito pulire il sangue e togliere l’auto dalle pompe della benzina.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
Capitolo 2
 
La prima cosa che avvertì fu una leggera pressione sul capo, come se qualcuno gli stesse accarezzando la fronte come si fa coi bambini malati.
Il dolore si presentò poco a poco dalle varie parti del corpo, abbastanza gradualmente perché l’uomo si abituasse all’idea.
A giudicare dal bruciore, qualcuno gli stava pulendo una ferita sulla tempia.
Aprì gli occhi, ma per qualche istante non riuscì a distinguere nessuna sagoma
“Sei messo piuttosto male.” Disse una voce femminile asciutta, priva di commiserazione.
Lui richiuse gli occhi e annuì a indicare che ne era consapevole.
“Come ti chiami?” chiese la donna
“Anton.”
“Cognome?”
“Non credo.”
“Non credi cosa?”
“Che te lo dirò.”
“Perché?”
Anton sospirò stancamente
“Non credo neanche questo.” Disse piano
“Ti cercano?” domandò l’altra, come fosse più un’evidenza che un’ipotesi.
L’uomo non rispose
“Nessuno tocca la bambina.” Disse l’altra “Se è chiaro, puoi stare.”
“è chiaro.”
“Resta fermo e cerca di dormire.” Concluse la donna alzandosi.
“Come ti chiami?” la fermò Anton
“Crystal.”
“La bambina?”
“Melany.”
Lui annuì e Crystal lasciò la stanza.
 
Quando si risvegliò, la prima cosa che Anton mise a fuoco fu il volto incuriosito di una bambina dagli occhi e i capelli nocciola. Per alcuni secondi rimasero a guardarsi con la medesima espressione seria e intenta.
“Mamma, si è svegliato.” chiamò d’un tratto la bambina, voltandosi solo a metà frase.
In breve Crystal entrò con un bicchiere d’acqua in mano.
“Non strillare, Melany.” Rimproverò, andando a sedersi su uno sgabello che aveva sistemato di fianco al letto.
“Tu non muoverti.” Disse subito al ferito.
“Devi bere.” Aggiunse. Gli accostò il bicchiere alle labbra, reggendogli con molta cautela il capo. Lui bevve piano, lasciandosi aiutare. Osservò la donna, mentre lei gli riadagiava la testa sul cuscino: doveva avere tra i trenta e i trentacinque anni, aveva occhi e capelli chiari, labbra sottili tese, tratti affilati dall’espressione concentrata e immota.
“Cos’è successo?” le chiese
“Cosa ricordi?”
“La strada.”
“Hai accostato alla stazione di rifornimento. Sono la proprietaria. Ho visto come eri messo e ti ho sistemato qui. Ho ricomposto la frattura e fatto del mio meglio con le ferite. Ho studiato da infermiera. Hai perso parecchio sangue.”
Lui scosse pianissimo la testa
“Non troppo, credo.”
Crystal non rispose.
“Sono arrivato qui.” Mormorò l’uomo “Non lo sapevo.”
“Non credo ti rendessi conto. Hai agito per istinto di sopravvivenza.”
“E sono qui. E tu mi aiuti.”
La donna di nuovo non rispose.
“Non dici nulla.” Osservò Anton
“Non ho detto niente.” Confermò Crystal mentre si alzava con calma per allontanarsi
“O hai capito tutto o non hai capito niente, allora.” Disse lui con un tono singolare. La cosa sembrava di una certa importanza per lui.
Crystal parve pensarci un istante
“Ho capito tutto.” Disse semplicemente e sinceramente.
Anton parve sollevato
“Va bene.” Disse.
 
Crystal fu di ritorno dopo pochi minuti, con un rotolo di garza, una sciarpa bianca e delle asticelle. Facendosi aiutare dal paziente steccò il braccio, poi legò la sciarpa, misurando la lunghezza giusta e aiutò l’uomo a infilarla come tutore. La donna chiese se era comodo. Anton annuì.
Allora Crystal si allontanò di nuovo e tornò con dei flaconcini di antibiotici. Mentre lei glieli iniettava con attenzione, l’uomo poté notare che le ferite erano state pulite e protette in modo adeguato.
Crystal si alzò
“Non muoverti” disse ad Anton “Devo pensare alla macchina.” E se ne andò.
Se anche l’auto non fosse stata rubata, cosa che Crystal si sentiva di escludere a priori, sembrava comunque il teatro di un accoltellamento o qualcosa di simile. Lasciarla in vista era fuori discussione.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
Capitolo 3
 
Quando Anton si svegliò, il mattino dopo, una luce uniforme entrava dalla porta aperta e si sentivano un attutito rumore di stoviglie, la voce tranquilla della bambina e le brevi risposte di Crystal. Parlavano di ciò che Melany avrebbe dovuto studiare quel giorno; evidentemente la bambina riceveva un’istruzione domestica.
L’uomo rimase in ascolto qualche istante, poi, con molta cautela, attento a non causarsi più dolore del dovuto, si mise a sedere. La leggera torsione del busto per scostare le coperte gli procurò comunque una fitta alle costole che gli annebbiò un poco la mente per una manciata di secondi. Si accorse che Crystal era entrata nella stanza solo quando sentì le braccia della donna aiutarlo ad alzarsi.
“Piano.” Gli disse come fosse più un ordine che un consiglio.
“Ci riesco.” Rispose Anton. Non era né offeso, né imbarazzato: avrebbe davvero potuto fare da solo, se avesse dovuto.
Crystal annuì, come a dire che lo sapeva, ma non si scostò dall’uomo
“Non serve.”gli disse e lui non cercò di allontanarla.
“Ti serve il bagno?” chiese la donna. Anton annuì.
“Non preoccuparti delle ferite. Ci penso io più tardi. Non è utile a nessuno che tu faccia da te.”
 Gli ricordò Crystal, con quel suo tono secco, mentre lo guidava. Lasciò l’uomo davanti alla porta del bagno, tornò nella camera e prese a riordinare rapidamente il letto. Le lenzuola e la federa erano sporche di sangue, ma non c’era tempo di cambiarle. Aggiunse un cuscino, perché Anton potesse stare seduto senza dover forzare le costole.
Prima di tornare dal ferito, la donna si affacciò alla porta della cucina
“Tu aspettami lì, Melany.” Disse alla bambina, che era ancora pazientemente seduta al tavolo, benché avesse finito la colazione.
Poi Crystal andò ad appoggiarsi contro la parete di fronte alla porta del bagno e attese a braccia conserte che Anton uscisse.
Si sentiva l’acqua del rubinetto scorrere e la donna immaginò che lui si stesse lavando il volto: durante la notte la ferita sulla tempia s’era riaperta e nonostante la fasciatura il sangue era sceso lungo lo zigomo.
In effetti, quando l’uomo aprì la porta, il suo aspetto era già migliore: il volto era stanco, certamente, ma almeno non era più imbrattato di sangue.
Crystal si offrì come appoggio con un’immediatezza meccanica, lo aiutò a tornare al letto e lo fece sedere.
“Devi nutrirti un po’.” Osservò la donna, corrugando appena la fronte “Riesci a mangiare qualcosa?”
Anton aveva rovesciato la testa all’indietro e chiuso gli occhi. Per un istante parve non aver sentito la domanda, poi scosse debolmente la testa.
“Del latte può andare?” chiese ancora Crystal
“Può andare.”
 Anton ascoltò i passi della donna allontanarsi, poi raddrizzò lentamente il capo e cercò di sistemarsi di modo da stare più ritto.
Crystal si ripresentò con una sorta di piccolo vassoio con sopra una scodella di latte e un cucchiaio. Si sedette sullo sgabello e appoggiò il vassoio sulle gambe di Anton, facendo attenzione a non premere sulle ferite.
Lui prese in mano il cucchiaio e lei gli sollevò la scodella, perché non dovesse chinarsi.
L’uomo beveva piano e Crystal restava immobile, senza una parola. Non avevano nessuna fretta, ed era giusto così.   
Quando Anton ebbe finito, Crystal posò la scodella, prese il vassoio e si alzò.
“Devo aprire.” Disse, prima di lasciare la stanza “Tra poco torno per le medicazioni. Non alzarti.”
 Anton sentì la donna sciacquare la scodella e dire a Melany di raccogliere i suoi libri e dopo un istante le vide entrambe passare per il corridoio senza fargli caso, Crystal con un mazzo di chiavi in mano, la bambina con una pila di libri e quaderni in braccio. L’uomo sentì la porta chiudersi, ma non la chiave girare. Evidentemente, se lui avesse voluto andarsene, Crystal non l’avrebbe fermato.
 
Crystal tornò dopo alcuni minuti e prese a raccogliere tutto ciò che serviva a medicare l’ospite, senza dare nemmeno uno sguardo nella stanza dov’era l’uomo.
Anton semplicemente attese, ascoltando i rumori discreti dei preparativi.
La donna si presentò con una bacinella d’acqua pulita, disinfettanti , salviette. Si sedette appoggiando con cautela il materiale sul bordo del letto, poi sollevò lo sguardo concentrato sul volto dell’uomo, gli scostò i capelli per vedere la ferita sulla tempia e prese a pulirla.
Quando ebbe finito di controllare il braccio steccato, Anton la interruppe con calma
“Da qui posso fare da solo.”
Crystal sollevò lo sguardo un istante, corrugando lievemente la fronte, come non capisse il motivo dell’informazione
“Non devi.” Rispose, passando alla ferita da arma da fuoco sulla gamba dell’uomo “Sei capitato qui e sei capitato a me. Lasciami fare.”
“Va bene.” Disse lui piano, osservando i gesti precisi della donna, e non la interruppe più.
Crystal cambiò le fasciature alle ferite e gli somministrò gli antibiotici, poi raccolse l’attrezzatura e fece per andarsene.
“Avete una radio?” chiese Anton. La donna aggrottò appena la fronte, poi annuì, si voltò e uscì dalla stanza. Tornò dopo pochi istanti armeggiando con le rotelle di una  radio portatile. Evidentemente l’apparecchio non era molto utilizzato.
Quando ebbe finito di sistemarla e il ronzio indistinto lasciò il posto a Call Me dei Blondie, Crystal appoggio l’apparecchio sullo sgabello.
“Prende solo questa.” Disse.
Il volume era basso, ma comunque chiaramente  udibile.
“Fanno il radiogiornale?” chiese Anton
“Sì.” rispose seccamente la donna “Ti cerca la polizia?” gli domandò asciutta.
Lui non rispose, come se semplicemente la domanda non gli fosse stata rivolta. Crystal si voltò e fece per uscire, come non avesse chiesto nulla.
“Non ascolti le notizie?” le chiese l’uomo
“No. Dovrei?”
“Non ti interessa, vero?”
“No. Dovrebbe?”
“Potrebbe.”
Per un istante Crystal osservò Anton con uno sguardo immobile e attento, simile a quello di un avvoltoio.
“Ciò che mi interessa comincia dove i miei occhi arrivano a vedere e finisce dove non arrivano più.” Disse, e lasciò la stanza.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
 
Capitolo 4
 
La strada non era molto trafficata e la giornata trascorse tranquillamente. Crystal teneva d’occhio lo spiazzo e controllava che Melany studiasse. Ogni ora andava a visitare Anton per vedere se gli saliva la febbre e chiedere se aveva bisogno di qualcosa. Lui rispondeva di no e lei tornava al negozio. Riuscì a fargli mangiare qualcosa per pranzo e di nuovo del latte verso sera.
Melany avrebbe voluto aiutare, ma Crystal rispose in tutta franchezza che l’aiuto migliore che potesse dare era di restare al suo posto e le raccomandò di non prendere confidenza con l’uomo.
 
Il mattino dopo Crystal ripeté i gesti del giorno precedente: si alzò presto, preparò la colazione, fece alzare Melany; attese che Anton si fosse svegliato e lo aiutò a raggiungere il bagno e a bere il latte; andò ad aprire, tornò a medicare l’uomo, tornò in negozio.
Melany leggeva ad alta voce le fiabe dei fratelli Grimm, seduta su una sedia dietro al bancone. Crystal controllava le pompe della benzina dalla finestra nel casotto del negozio. Un paio di auto s’erano già fermate a fare rifornimento.
Verso le dieci e mezzo accostò una macchina della polizia.  La donna seguì con gli occhi chiari la vettura, ruotando appena il capo, senza che il volto mutasse minimamente espressione.
“Prendi una pausa, Melany.” Disse semplicemente. La bambina alzò lo sguardo con un’aria un po’interrogativa.
“Vai in casa, dì ad Anton di restare dov’è, poi torna in negozio col succo d’arancia. Io devo parlare coi signori.” Spiegò Crystal.
Melany posò il libro, scese dalla sedia e uscì insieme alla donna. Mentre la bambina trotterellava verso la casa, Crystal si diresse alla macchina della polizia. Dalla vettura stavano scendendo due agenti.  Crystal si fermò a un passo da loro – più avanti il sangue aveva lasciato degli aloni più scuri sull’asfalto ed era senz’altro meglio che i poliziotti non li vedessero.
“Salve, signora.” Salutò cordialmente uno dei due agenti. La donna scrutò i due uomini un paio di secondi,  studiando i loro volti sotto l’ombra dei cappelli: quello che aveva salutato era più giovane e aveva un fisico slanciato, l’altro pareva sulla quarantina, un po’tozzo in confronto al collega.
“Salve.” Rispose loro senza tono “Serve qualcosa?”
“Vorremmo solo farle alcune domande, signora.”
Lei fece un cenno col capo, a dire di chiedere pure.
“Stiamo cercando un uomo, signora. Non abbiamo grandi informazioni su di lui, ma sappiamo che ha avuto un incidente ed è ferito. Pensiamo che abbia rubato un fuoristrada. Comunque in quelle condizioni non dovrebbe andare lontano. Può darsi che abbia preso questa strada.”
“Può darsi.” Rispose semplicemente Crystal
“E l’ha fatto?” chiese l’agente più anziano
“Può darsi.” Ripeté la donna
“Lei l’ha visto ?”
“No. Ma non vuol dire che non sia passato.”
“Non ha visto passare un fuoristrada?”
“Sì. Ne passano molti. Per il traffico che c’è.”
Gli agenti si scambiarono un rapido sguardo
“Signora” riprese molto seriamente il più giovane “Questa è l’unica stazione di servizio per chilometri. È sicura che nessuno di sospetto abbia accostato?” accennò a un punto alle spalle della donna “Lei ha una figlia, signora …”
Crystal si volse con calma a guardare Melany che rientrava nel negozio col cartone del succo d’arancia.
“Quell’uomo è molto pericoloso.” Concluse l’agente.
“Perché lo cercate?” chiese Crystal
“Ha ucciso delle persone. Parecchie persone.”
“Solo omicidio?” chiese ancora Crystal
L’altro agente quasi si mise a ridere.
Solo?!” ripeté “Oh, sì: ha solo fatto fuori una dozzina di persone in un paio di settimane. Praticamente lascia cadaveri come Pollicino lascia briciole!”
Per quanto perplesso, il poliziotto più giovane sembrò non approvare il sarcasmo del collega
“Sì, solo omicidi. E furti d’auto.” Confermò, quasi saltando sulla voce dell’altro “Sembra che sia un professionista.”
“Allora non mi importa.” Disse Crystal
“Scusi?”
“Non mi importa. Nessuno sceglie come morire.”
“Beh.” Fece stizzito il poliziotto più anziano “Non sarà scegliere come morire, ma senz’altro è aumentare le probabilità!”
Crystal aggrottò appena la fronte, come non avesse capito cosa l’uomo intendesse.
“Signora, questo vuol dire che non può aiutarci?” chiese l’altro con fare inquisitorio.
“Non posso. Ma questo non significa nulla.”
“In che senso?”
“Il fatto che io non abbia notato quest’uomo o la sua macchina non significa che non possa essere passato.”
“Ma lei vive praticamente su questa strada,” insistette l’agente più anziano “Si sarebbe pure accorta di qualcosa.”
La donna si strinse un poco nelle spalle.
“Dopo la chiusura non bado alla strada. Avrei potuto essere sul retro o in casa. Non bado a cosa succede fuori, quando sono in casa.”
Entrambi i poliziotti la fissarono per qualche istante con aria molto perplessa
“Non ha proprio notato nulla di strano in questi giorni?” chiese ancora il più giovane
“Un cane.”
“Come?”
“Ho visto un cane.” Accennò all’altro lato della strada “Di solito non si allontanano tanto dai ranch.”
I due agenti si scambiarono di nuovo un’occhiata eloquente.
“Bene, signora … Grazie, comunque … “
Crystal chinò appena il capo in un cenno di saluto, poi si voltò e tornò nel negozio. Gli agenti salirono sulla vettura e si allontanarono.
“Cosa volevano, mamma?” chiese Melany oltre il bancone, appollaiata sulla sedia.
“Nulla che ci importi.”rispose Crystal, raggiungendola. Prese due bicchieri di carta da sotto il bancone e prese a versare il succo d’arancia.
“Vuoi del succo, Melany?” chiese, giusto per sicurezza.
“Sì.”
Crystal annuì tra sé, versò il succo anche per la bambina e le porse il bicchiere.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
Capitolo 5
 
Non successe altro: Anton si teneva informato con la radio e Crystal attendeva quietamente, senza interessarsi alla faccenda.
Crystal gli procurò degli abiti e dei giornali. Per sé e per Melany faceva spesa nel paese più vicino, come sempre, per l’uomo invece andava più lontano, dove non l’avevano mai vista.
La donna era sempre vigile, ma mai preoccupata. A parte doverlo medicare nei primi tempi, la presenza di un uomo ferito e ricercato dalla polizia non sembrava turbare (cambiare nulla nelle) le sue giornate. Continuava a fare i suoi doveri col solito fare preciso, il solito sguardo impassibile, senza distrarsi;  continuava a vestire abiti casalinghi, senza badare se le stavano bene o male, a tenere i capelli raccolti rapidamente con uno spillone, senza preoccuparsi se fossero in ordine o meno. Invece aveva molta cura dell’aspetto di Melany: la pettinava, le preparava i vestiti in ordine, ben abbinati.
Melany, da parte sua, passava per la stanza occupata da Anton con molta disinvoltura ogni volta che doveva prendere qualcosa, come se lui semplicemente non ci fosse: entrava, prendeva e usciva in tutta serenità. Obbediva alla madre e faceva poche domande sulla situazione.
Anton passava il tempo osservando. Era una cosa che faceva da sempre e di continuo, ma in particolare tornava utile in quelle situazioni che qualcun altro avrebbe definito noiose. In pratica, Anton non era capace di annoiarsi: si trattava semplicemente di stare fermo, attendere e osservare. Lì osservava le proprie ferite guarire lentamente, osservava Crystal quando veniva a medicarlo, osservava Melany quando passava, poneva attenzione ai rumori che venivano dalle altre stanze e dall’esterno, attendeva l’ora del radiogiornale e lo ascoltava. Infine osservava la stanza in ogni dettaglio: il letto, vecchio e semplice, l’armadio, geometrico e spoglio, lo sgabello con la vernice scrostata,  la cassettiera con sopra un singolare insieme di ossa di vari animali, le pareti ingrigite.
Di tanto in tanto Crystal lo aiutava a sedere sullo sgabello per cambiare le lenzuola sporche di sangue. Lui non si sentiva in debito per quelle cure e lei non lo richiedeva.
Man mano che l’uomo migliorava, Crystal lasciava che fosse lui stesso a medicarsi e a gestirsi, senza mai abbassare la guardia, senza mai permettere a Melany di dargli confidenza.
Melany era una bambina obbediente, abituata a dar retta a sua madre e a giocare da sola col terreno polveroso, e non sembrava, al momento, interessata a fare amicizia col loro ospite, né spaventata dalla sua presenza.
Le cose cambiarono un poco quando Anton ebbe recuperato abbastanza energie da non dover più stare a letto per la maggior parte del tempo. Allora Crystal cominciò a preparare anche per lui un posto al piccolo tavolo quadrato della cucina e aggiunse una sedia nello spartano portico sul retro della casa.
Parlavano solo di ciò che era necessario, nulla di più. Melany ci era abituata e Crystal ed Anton non avevano bisogno di molte parole.
Questo era confortante, in un certo senso. Crystal aveva sempre fatto fatica ad avere a che fare con le persone, aveva sempre fatto fatica a capire perché e per cosa dovessero piangere o ridere, parlare e cercare compagnia. Aveva sempre fatto fatica a capire cosa significasse l’espressione che le rivolgevano se lei non piangeva, né rideva, se non cercava compagnia e non conversava, se il suo tono e la sua espressione non mutavano.  Con Anton non ce n’era bisogno: lui non rideva, non diceva nulla di superfluo, non mutava tono, non cercava compagnia. E non chiedeva nulla di questo a lei. Non dovevano fare nessuna fatica per capirsi, bastavano poche parole, senza ulteriori spiegazioni a sostituire una conversazione intera.
Melany, man mano che Anton acquisiva autonomia,  cominciò a sembrare più interessata all’ospite:  non poteva più comportarsi come se lui non esistesse e perciò lo osservava, sempre senza fargli domande, senza essere in alcun modo insistente o invadente.
Una sera, mentre Crystal cucinava, la bambina vide Anton, seduto sul bordo del letto, lanciare una moneta, una, due, tre volte: la metteva sul pollice, la faceva saltare, la faceva atterrare sul palmo, la raccoglieva, la rimetteva sul pollice e ricominciava, senza scopo.
Melany osservò qualche istante, dal corridoio, poi andò alla sua camera e infine si presentò nella stanza di Anton con una moneta in mano e si sedette sullo sgabello. Lui non le fece caso e proseguì a lanciare la propria moneta sotto lo sguardo serio e attento della bambina. Dopo qualche secondo Melany provò a imitare il gesto. Il primo tentativo si concluse con la moneta che rotolava fuori dalla stanza e per diversi minuti i risultati furono scarsi, ma lei semplicemente si alzava, recuperava la moneta, tornava sullo sgabello e riprovava.
Poi Anton si interruppe e finalmente le rivolse lo sguardo.
“Cos’è che stai facendo?” le chiese
“Imparo a lanciare la monetina.”rispose con grande serietà Melany.
“Perché vuoi imparare?”
“Così se avrò un fratellino glielo insegno.”
“Lo vorresti?”
“Un fratellino?”
“Sì, un fratellino.”
Melany si strinse nelle spalle
 “Se arriva, lo tengo.” disse “E gli insegno a lanciare la monetina.”
“E perché glielo insegni?”
“Perché no?”chiese di rimando la bambina con l’aria di essere davvero interessata a un eventuale risposta. Anton continuò a guardarla per un momento, poi abbassò lo sguardo per rimettersi la moneta sul pollice.
“Va bene.”disse e riprese a lanciare la moneta. Melany riprese a imitarlo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
La polizia passò altre due volte. La prima volta, le avevano mostrato le foto di un fuoristrada carbonizzato chiedendo se l’aveva mai visto prima. Crystal aveva risposto che aveva visto altre volte automobili bruciate e gli agenti avevano specificato che intendevano dire se avesse mai visto quell’auto in particolare. Lei aveva risposto le stesse cose della volta scorsa: forse sì, forse no. Poi erano passati a chiedere informazioni generali e lei aveva risposto.
Intanto i radiogiornali avevano smesso di parlare del caso, i giornali annunciavano con discrezione il ritiro a vita privata dello sceriffo Bell, nella contea vicina.
 
Quel mattino, Melany stava facendo dei calcoli su un quaderno a grandi riquadri, dietro al bancone.
Crystal era uscita un paio di volte per aiutare due clienti con la benzina. Ora era con la bambina, mentre un signore cercava ciò che gli serviva nel negozietto.
L’uomo, un individuo dall’aria gentile, vestito comodamente e con un largo cappello in testa, venne al banco e vi appoggiò un pacchetto di sigarette e due snack, offrendo un ampio sorriso.
Crystal non ricambiò e abbassò lo sguardo sugli acquisti, per poi digitare sulla cassa.
Il cliente sbirciò gli esercizi di Melany, quasi per caso
“Matematica, eh, signorina?” osservò scherzosamente
“Sì.” fece Melany, alzando appena gli occhi dalla pagina.
“Non parlare con gli estranei.” disse d’un tratto Crystal, con un tono perentorio e secco, che lasciò il signore a bocca aperta, chiedendosi se fosse davvero stato così indiscreto. Si riprese in un istante e sorrise
“Tua madre ha ragione.”disse a Melany.
Lo scontrino uscì dalla cassa e Crystal lo prese tra le dita
“Ha fretta, signore ?” chiese
L’uomo aggrottò la fronte, perplesso
“No …” rispose infine “Perché?”
Crystal non prestò attenzione alla domanda e si rivolse alla bambina
“Cambia pagina, Melany.”
Melany sollevò un istante lo sguardo, incuriosita, poi obbedì
“Il signore ha preso un pacchetto di sigarette da quattro dollari” prese a dettare la donna “E due snack da un dollaro e cinquanta.” Attese un istante che Melany avesse finito di scrivere i dati “Quanto deve pagare il signore?”
Il cliente sorrise, vagamente in imbarazzo, alla singolare situazione. Per qualche istante l’unico rumore fu quello della penna sul foglio e il signore attese con lo sguardo e l’espressione immobili di Crystal puntati addosso.
“Sei dollari.” Disse infine Melany. L’uomo sorrise sollevato
“Ah, ma com’è brava sua figlia, signora.” Osservò “Io ho un bambino più o meno della sua età, sa? Con la grammatica è bravo, ma coi numeri …”
Crystal lo interruppe
“Non mi interessa.” Disse con una semplicità disarmante “Sono sei dollari, signore.”
 
Non accadde altro fino a sera. Un paio di clienti passarono, sentirono il dovere di sorridere alla bambina e di augurare buona giornata alla madre e se ne andarono. Come ogni giorno Crystal disse alla figlia di smettere di studiare alle cinque e mezza del pomeriggio e alle sei le disse di raccogliere le sue cose e chiuse il piccolo negozio. Controllò e sistemò le pompe della benzina, poi tornò in casa con Melany.
Anton stava osservando le ossa sul mobile nella sua stanza, come stesse cercando di indovinare a che animale appartenesse ciascuna. Crystal gli diede appena uno sguardo mentre passava per raggiungere la cucina, per accertarsi che continuasse a star bene.
L’uomo migliorava e i suoi modi non mutavano: attendeva e osservava senza dire o fare nulla di superfluo. Non si trattava di cortesia, ma a Crystal non importava.
Melany raggiunse Anton e, ignorandolo del tutto l’uomo, allungò la mano e raccolse un paio di ossa, poi andò a sedersi sul letto, sbattendole piano tra loro. Emettevano un suono secco, ma quasi armonico.
“Ti piacciono?” chiese, continuando a esaminarle e ad ascoltarle intenta “Le troviamo qui intorno e le raccogliamo. Vorrei farci qualcosa. Tu sai cosa farci?”
“Perché me lo chiedi?” chiese Anton
“Perché io non lo so.”
“A me non importa.”
Melany alzò lo sguardo e corrugò la fronte
“Perché? Dovrebbe?” chiese perplessa
“No.”
“Allora tanto vale rispondermi.”
“Io non voglio farci nulla.”
“Non devi farci qualcosa. A me serve solo l’idea.”
Per un paio di secondi rimasero in silenzio, senza un minimo gesto, poi la bambina tornò a sbattere tra loro le ossa, si alzò e uscì dalla stanza.              

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Passò ancora qualche tempo. Anton aveva cominciato a fare piccoli esercizi col braccio fratturato, per riabituarlo al movimento, e questo era l’unico cambiamento.
Una sera Melany chiese alla madre se poteva usare lo spago e sparì nella sua camera con la matassa. La sera dopo disse a Crystal che le aveva fatto una sorpresa, la prese per mano e la condusse tutta allegra alla piccola veranda sul retro. In un angolo sedeva Anton, perfettamente immobile, e una sedia era posta accanto alla balaustra. Proprio sopra alla sedia, da una trave pendeva un acchiappa-vento fatto di spago e ossa.
“Visto?” disse la bambina “Ho fatto l’acchiappa-vento!”
Non c’era vento quella sera, così Melany salì in piedi sulla sedia e diede un colpetto all’osso più vicino. Il suono che l’acchiappa-vento produsse era impreciso, ma gradevole.
“Ti piace, mamma?” chiese Melany, dando alla donna un gran sorriso.
“Suona.” Osservò semplicemente Crystal.
La bambina annuì soddisfatta, poi guardò Anton
“Anton, ti piace?” chiese ancora
“Funziona.” Rispose lui, quasi senza spostare lo sguardo dall’orizzonte. 
Crystal scrutò l’uomo per un istante coi suoi occhi da rapace, poi rientrò in casa, facendo cenno a Melany  di seguirla. La bambina saltò giù dalla sedia e obbedì.
 
Dopo cena  Crystal mandò la bambina a dormire, sistemò il tavolo, lavò i piatti. Anton rimase al suo posto e riprese gli esercizi per il braccio. Crystal, finite le sue faccende, osservò qualche istante l’uomo in un silenzio impassibile. Poi gli si avvicinò e stando in piedi al suo fianco gli pose la mano sulla spalla con un gesto privo d’affetto. Anton si interruppe per porre attenzione alla pressione fredda e meccanica di quella mano. Non era sorpreso e non vi trovava nulla che dovesse essere spiegato: era uno di quei momenti in cui ogni passo ed ogni azione convergevano e tutto per un momento assumeva un suo senso. Erano momenti che arrivavano e se ne andavano. Era così e andava bene così.
“Continua.” Disse Crystal col suo tono secco e ritirò la mano. Anton riprese i suoi esercizi, Crystal annuì e lasciò la stanza.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
Venne a piovere. Melany era entusiasta, Crystal sistemava ogni cosa come era necessario in un giorno di pioggia, Anton osservava l’acqua sulla finestra esattamente come ogni altra cosa, con attenzione, come diversivo. Il braccio era quasi guarito, ormai, e ad ogni modo probabilmente non sarebbe mai migliorato più di così. Manteneva il tono muscolare con i suoi esercizi e aveva smesso di utilizzare il tutore provvisorio, ma gli avrebbe comunque dato delle noie anche in futuro.
Crystal teneva una pistola e dei soldi in un cassetto della cucina. Sapeva che lui se n’era accorto, ma non li nascose, né mise sotto chiave: sarebbe stato inutile.
Smise di piovere e Melany chiese alla madre se poteva smettere di studiare e andare a cercare le ossa.
“Domani” rispose Crystal “Ora è bagnato per terra.”
“Se piove escono le ossa.” Spiegava Melany “E quando smette vado a raccoglierle. Quando ne avrò abbastanza farò un altro acchiappa-vento.”  
Il giorno dopo la bambina esaminava il terreno al di là della strada e Crystal la osservava dalla soglia del negozio, richiamandola quando si allontanava troppo.
Quando rientrarono in casa per l’ora di pranzo, Melany posò in mezzo al tavolo un teschio di cane, orgogliosa del bottino.
“Toglilo. Va disinfettato” le disse Crystal.
La bambina obbedì e andò a mettere il teschio per terra, nel portico sul retro.
 
Quella sera Melany andò a cercare ossa dietro casa. Crystal aveva portato un’altra sedia sul portico e lei e Anton osservavano le ricerche della bambina.
“Non ti somiglia.” Disse con calma l’uomo.
“Non è mia. L’ho trovata e l’ho tenuta.”
“Perché l’hai tenuta?”
“Perché l’ho trovata.”
“Poteva trovarla chiunque.”
“Ma l’ho trovata io.”  
“E dunque?”chiese ancora Anton, attento.
“Le cose accadono.”concluse Crystal con fermezza.
Anton annuì.
Rimasero in silenzio. Melany sollevò un osso per mostrarlo alla madre, poi tornò a cercare per terra.
“Potremmo restare qui finché non ci cresce l’edera addosso, noi.” Osservò Crystal.
“Qui non cresce l’edera.” Rispose semplicemente Anton.
Crystal annuì, senza distogliere lo sguardo da avanti a sé
“Non mette radici.” Concordò.
Melany tornò con una manciata di ossa, fiera dei suoi ritrovamenti e li posò accanto al teschio di cane.
“Ora andiamo a dormire.”ordinò Crystal alzandosi e prendendo la sedia.
 
Crystal mise Melany a letto, chiuse la porta, poi si affacciò alla cucina, dove Anton attendeva il suo turno di preparasi per andare a dormire. Ormai era guarito: poteva usare il braccio, non zoppicava che lievemente e aveva recuperato le energie.
“Ti pagano?” gli chiese Crystal, guardandolo con i suoi occhi fermi e freddi.
“Per cosa?”
“Per uccidere.”
“A volte.”
“E le altre volte?”
“Destino.”
Lei annuì piano, come se se lo fosse aspettata
“Sei il nostro destino?” chiese impassibile.
Anton non rispose
“Le cose accadono.” Disse la donna “Ma Melany non deve accorgersi di nulla.”
Se ne andò, si coricò e dopo un po’si addormentò.
 
“Mamma …”
Crystal aprì gli occhi su Melany, che le rivolgeva uno sguardo un po’spaesato
“Mamma, non c’è più Anton.”
Crystal si mise a sedere, poi si alzò. Melany le mostrò il letto vuoto dell’uomo, poi la portò in cucina. Crystal aprì il cassetto dove teneva i soldi e la pistola ed era vuoto.
“Guarda, mamma!” esclamò invece  Melany, correndo a prendere due monetine posate sul tavolo. Ne porse una alla madre e poggiò l’altra sul pollice della mano destra chiusa, come per provare a lanciarla. Crystal la interruppe, la prese per mano e la guidò fuori casa. Si diressero al garage e videro che la macchina era sparita.
“Ha preso la macchina.” Osservò Melany con un certo rammarico “Vuol dire che se n’è andato?
“Sì.”
“E tornerà?”
Crystal si strinse un poco nelle spalle:
“Forse.” disse “Serve a tutti un posto dove tornare da vecchi.”
Melany non chiese più nulla, si voltò a guardare la lunga strada ritta e vuota e poi l’orizzonte. Chiuse la mano , poggiò la monetina sul pollice e la fece saltare. La riprese senza guardare se fosse testa o croce.
“Secondo me torna, prima o poi.” Disse.

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