Yu-Gi-Oh! 5D's - Medieval AU

di Aki_chan_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cavaliere, la strega e il drago ***
Capitolo 2: *** …e il sogno diverrà realtà, per sfortuna ***
Capitolo 3: *** Destini incrociati ***
Capitolo 4: *** Quoque tu, Brute? ***
Capitolo 5: *** Un tuffo nel passato ***



Capitolo 1
*** Il cavaliere, la strega e il drago ***


Capitolo 1: Il cavaliere, la strega e il drago
 
“Una disavventura è soltanto un'avventura vista dal lato sbagliato; un'avventura è soltanto una disavventura vista dal lato buono.” G. K. Chesterton
 
 
Nuova città di Domino era terribilmente silenziosa quella sera. Solo il vento osava rompere quella bolla di vetro, fischiando fra le foglie degli alberi nodosi e sinistri. L'aria era asfissiante, la terra coperta da una tenebra fitta e innaturale. In effetti, il cielo rosseggiante come sangue non era esattamente ordinario. Così come non era cosa solita che lei fosse lì. Che caspita ci faceva davanti alle porte di Domino una strega come lei?
Qualcuno però la chiamava per nome. Senz’altro qualcuno dentro la città. Perché proprio lei, non le era chiaro. Quella voce non era familiare. Ma il posto pareva deserto, e quei pochi passanti che in effetti c'erano, erano tutti grigi e silenziosi... Non sarebbero andati di certo a controllare al posto suo. Così decise di incamminarsi. Le mattonelle delle strade erano fredde -un giorno imparerà a mettersi le scarpe per le sue visite nei centri urbani- ma almeno le vie erano larghe e pulite.
"Aki... Aki, aiutami..."
"Aiutami?" pensò la strega. Chi mai la chiamerebbe per aiuto? Il mistero si infittiva. Lei accelerò il passo, finché non si ritrovò a correre. Nessuno per la strada le badava, come se lei fosse invisibile, o come se fosse l'unico essere vivente in circolazione. La questione era molto sospetta, e Aki aveva sempre più brividi. Eppure la voce continuava a sentirla. E a giudicare dal tono, era debole e sofferente.
"Aki... vieni... subito..."
Svoltò l'angolo, trovandosi davanti una strada lunghissima. C'era qualcuno nel mezzo. Si aspettava una qualche figura misteriosa avvolta da turbante e mantello, faticosamente appoggiata ad un bastone, non un ragazzo riverso carponi per terra, un braccio stretto attorno al busto, in una pozza di sangue. Aveva capelli neri e corti, a parte la frangia che gli nascondeva gli occhi, poteva avere forse la sua età, ma era gravemente ferito e lei non sapeva cosa fare. Forse poteva guarirlo con i suoi poteri?
Ignorando il cuore che le palpitava come matto nel petto, guardò freneticamente attorno in cerca di suggerimenti. La cosa oltraggiosa e assolutamente inquietante era che nessuno dei passanti gli avesse fatto caso. Continuavano nel loro moto triste e perpetuo, come burattini senza vita.
"Aki... Aiutami..."
Lei si precipitò in sua direzione, ma ogni suo passo sembrava essere troppo poco per quella strada. Come se la strada si allungasse tanto quanto lei correva, come se lui si allontanasse ancora di più. Non importava quanto veloce corresse, lui era irraggiungibile. Ma lui continuava a chiamarla, a chiederle aiuto.
"Aki, salvaci... salvaci tutti..."
Noi? Che noi? Quel ragazzo stava morendo ma invocava salvezza per "tutti"? Era ancora intenta a capire il senso di quanto stesse accadendo, quando un drago immenso e deforme discese dalle nubi nere, precipitandosi giù dal cielo. Mirava al ragazzo ferito, spalancando le fauci in picchiata. Pochi istanti e lo avrebbe divorato. Ma lei era troppo lontana per toglierlo di lì, per difenderlo in qualche modo. Si buttò in avanti in un ultimo disperato tentativo di proteggerlo, quando il drago lanciò sul ragazzo una fiammata di devastante potenza. Una luce abbagliante la accecò, mentre l'onda d'urto e il tremendo calore la scagliarono indietro, finché non batté la testa-
“Ahi!”
-sul pavimento della sua camera da letto. Quello sì che faceva male. Premette le mani contro il cranio pulsante, rendendosi conto di avere il lenzuolo tutto arrotolato attorno alle gambe, come avesse passato una notte in lotta contro uno spirito demoniaco che la importunava nel sonno. Il cuore le batteva ancora a mille, aveva il fiato corto e l'adrenalina in circolo era tale che si rese conto di essere perfettamente sveglia, nonostante fosse a malapena l’alba.
Richiamò alla mente quel vivido incubo. Un sogno così non era normale. Se la magia le aveva insegnato qualcosa, era che i sogni, per una strega, erano sempre di più che semplici proiezioni dei desideri nascosti. Le era già capitato di vedere nel sonno situazioni che si sarebbero di lì a poco verificate nella realtà, ma si chiese se questo fosse lo stesso caso. L'ultima volta che aveva controllato, la città non era minacciata da alcuna bestia, la gente era allegra e colorata, e il cielo era azzurro come sempre. Ma quel ragazzo ferito conosceva il suo nome e la chiamava dentro la città. Si chiese se lui esistesse davvero, o se fosse la rappresentazione di un qualche collettivo. Ma la chiamava come se lei fosse l'unica che potesse fare qualcosa... che doveva fare?
Lei sapeva che i suoi poteri avessero la potenzialità di curare. Non era ancora bravissima, né sapeva mettere le mani su qualunque tipo di ferita, così come non sapeva fare molto per malattie, ma stava facendo progressi. Forse ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe avuto bisogno di lei in quella giornata? Ma perché mai, di dottori ce n'erano tanti a Domino. Certamente non potevano riallacciare i tessuti come faceva lei, ma insomma, si sarebbero arrangiati come avevano sempre fatto. Perché quel ragazzo doveva essere speciale? Non sapeva nemmeno se esisteva sul serio...
Si stiracchiò un po', divincolandosi dal lenzuolo stropicciato. Si affacciò nel suo rigoglioso giardino, camminando verso l'unico punto da cui era visibile il castello.
Lei lo considerava il simbolo di un regno che le era sia vicino che lontano. C'era stata qualche volta in passato, ma sempre con cautela, sempre cercando di passare inosservata. In fin dei conti, capelli magenta come i suoi in giro di certo non se ne vedevano. Avrebbero destato sospetti e diffidenze in qualunque cittadino medio. E le streghe erano sempre tenute a debita distanza da tutti. La magia poteva causare tanto bene o tanti guai, ma la gente aveva paura. Qualche strega aveva fatto una brutta fine. Quindi, per la gioia di tutti, lei viveva al sicuro nel suo boschetto.
Ma quel sogno l'aveva turbata non poco. Era estremamente reale, e l'angoscia era palpabile. Forse, andare a controllare e tornarsene a casa alla svelta sarebbe stato sufficiente a metterle il cuore in pace.
Nella peggiore delle ipotesi, non avrebbe trovato nessun ragazzo in punto di morte e si sarebbe solo fatta scoprire.
Ipotesi intermedia, veniva beccata per aver salvato la vita a qualcuno. Qualcuno che molto probabilmente non era uno qualsiasi (non sapeva in base a cosa potesse desumerlo, ma lo pensava comunque).
Escluse la possibilità di salvare la vita a qualcuno cavandosela a mani pulite. Sembrava troppo ottimistico.
Ultima ipotesi, la più affascinante di tutte, era che non avrebbe trovato proprio nessuno e che sarebbe ritorna a casa tanto velocemente quanto era entrata in città.
Eppure, quella voce le riecheggiava ancora nelle orecchie. Era un richiamo disperato. E se quel ragazzo fosse lì per davvero, e senza di lei sarebbe morto? Era forse possibile che senza di lui (o lei), sarebbe seguita una qualche catastrofe? Una distruzione come quella causata da quel dragone? Avrebbe mai potuto perdonarselo? Forse, alla fine, valeva il piccolo-grande rischio. Quel sogno aveva tutte le caratteristiche tipiche di “quei” sogni, quelli che per una strega significano tutto ciò che è oltre la loro previsione e comprensione.
Alzò gli occhi al cielo, verso le stelle che sparivano, verso le nubi appena rosate dal far del giorno, respirando profondamente. Si concesse un minuto per immergersi nella meditazione. Percepiva le vibrazioni magiche da tutte le direzioni.
Amava i boschi. Quella linfa naturale era ovunque. Estendeva i suoi sensi e il mondo sembrava un unico, grande organismo vivo e pulsante, pieno di energia che la circondava e che la riempiva di forza. In fin dei conti, lei era una strega, e a differenza di altre, non usava le sue capacità per far del male o per distorcere la realtà seguendo desideri corrotti. Ma non poteva andarlo a raccontare a nessuno, i cittadini senza poteri non erano bravi a fare distinzioni.
Fu così che accordò al destino un’unica possibilità. Si sarebbe incamminata il prima possibile, avrebbe vagato per le strade cittadine al massimo fino a che il sole non avesse raggiunto la sommità del cielo, cercando la via incriminata, poi se la sarebbe svignata. E questo era quanto.
 
***
 
Il regno di Domino era ancora un po’ sopito, ma erano molti i mattinieri. Specialmente quelli che uscivano per dirigersi ai campi, o a scarrozzare in giro un po’ di merce. La via era aperta, le guardie stesse avevano poca voglia di fare il loro lavoro così presto. Aveva un cappuccio che le copriva i capelli e parte del viso, ma nulla che valesse un qualche fermo. D’altronde, che pericolo voleva rappresentare una ragazzina che girava da sola all’alba?
Si intrufolò presto fra le vie della città. La prima parte del piano era andata liscia. Vagò parecchio, puntando alle vie meno trafficate. Vedeva qua e là negozi che aprivano, carrette circolanti, madri che andavano a prendere l’acqua al pozzo o il latte per i figli nei recinti fra le case, qualcuno intento a inseguire galline fuggite dal pollaio, insomma, la solita simpatica cittadella. Cercò di non guardare in faccia nessuno, nemmeno qualche onesto lavoratore che la salutava. Rispondeva a malapena, ma solo perché stava cercando un ragazzo ferito in mezzo alla strada. Nulla di quello che la circondava era conciliabile con una situazione critica del genere. Tutto era boriosamente ordinario, la bella facciata, le solite attività quotidiane, nulla che facesse pensare a pericoli incombenti.
Rallentò bruscamente il passo. Qualcosa non andava. Improvvisamente percepiva un’enorme fonte di magia nei dintorni.
Come mai non l’aveva avvertita prima? Eppure era così grande! Soltanto la materia organica poteva emettere tutta quell’energia magica. Dispositivi che raccoglievano magia esistevano, ma quella magia era troppa per un banale aggeggio. Che stava succedendo?! Continuò a vagare cercando persone, flussi di magia, ma nulla…
Fu sicura della fonte solo quando passò di fianco ad una manciata di scatole serrate. Era sicura che qualunque cosa fosse, provenisse da sotto quell’ammasso di legname. Cosa potevano mai contenere? Si guardò attorno, certa di non essere seguita con lo sguardo di nessuno. Per fortuna un mercante che aveva aperto alla buon’ora declamando a gran voce nuove offerte attirava l’attenzione dei passanti più di lei.
La prudenza le urlava di farsi gli affaracci suoi. Il suo senso del dovere di strega la costringeva ad assicurarsi che chiunque avesse inscatolato tutta quella magia, non la corrompesse. E di solito venderla produceva quegli effetti. Corrompere la magia generava solo ed esclusivamente guai, ma queste cose non le sapevano le persone normali. Di solito tutti quanti corrompevano la magia in un modo o nell’altro perché se ne servivano per scopi impuri. D’altronde, perché procacciarsi qualcosa di così delicato e potente se non per i propri loschi e irrealizzabili desideri? Quindi era meglio affidarla a qualcuno che ne capisse qualcosa, qualcuno che avesse un motivo giusto per servirsene.
Improvvisamente udì passi di gente che si avvicinavano chiaramente in sua direzione. Entrò nel vicolo, nascondendosi nella prima rientranza utile, dietro ad altre casse. Un uomo era arrivato a prelevare la prima pesante cassa. Si era portato appresso un carretto, ma a giudicare dalla faccia, non doveva essere esattamente un onesto e umile lavoratore. Era forte e ben piazzato, aveva una brutta cicatrice sulla fronte e un broncio alquanto repellente, spallacci e polsi coperti di cuoio, guanti piuttosto spessi, e una ruvidezza nei modi che invitava tutta la buona gente a farsi cortesemente da parte. L’uomo prese solo un altro paio di scatole prima di stiracchiarsi la schiena avviandosi al suo carretto.
Fu allora che Aki pensò bene di fargli un innocente dispetto che forse avrebbe svelato l’arcano mistero. Agitò appena le dita in aria, e una robusta radice crebbe dalle fessure delle mattonelle di pietra che tappezzavano la strada, andando ad avvolgersi ad una delle due ruote ed ancorandola saldamente a terra. L’uomo non si accorse di nulla, e cercò di spingere il carretto, ma con sua sorpresa non si mosse. Spinse di nuovo, stavolta con tutte le forze. Il carro finalmente si mosse, ma non nella direzione sperata. Anziché proseguire dritto, si inclinò bruscamente su un fianco, e l’uomo non fu in grado di correggere l’angolo prima che la cassa più alta della pila cadesse giù. Finì contro la sua spalla, poi a terra, perdendo per strada sia il coperchio che il contenuto.
Aki si sporse abbastanza da vedere di che si trattasse, e impallidì. Erano grosse e lucidissime squame di drago. Contrabbando. Cacciare draghi a Domino era proibito, così come lo era venderne parti del corpo, da almeno una decade- da quando era finita la guerra che aveva quasi distrutto l’intero regno. Tutti lo sapevano. Eppure, quelle scaglie appartenevano di sicuro ad un drago morto.
I draghi rappresentavano la più grande fonte di magia vivente. Erano quelli che più di tutti sapevano purificare la magia e mantenerla pura a loro volta, un vero toccasana per la terra. E poi erano assolutamente magnifici. Forti, potenti, saggi, nobili. Creature degne della loro gloria. Era grazie ad un drago e ad un bambino che il regno fosse salvo. Eppure erano ancora presi di mira da uomini avidi, o peggio ancora, maghi. Maghi corrotti dall’egoismo e assetati di potere erano i più pericolosi.
E se quelle scaglie fossero dirette ad un mago che voleva estrarne la magia?
Il pensiero le dava la nausea, ma non poteva restare lì. Per quanto volesse fare qualcosa per impedire quell’atrocità, sapeva che doveva stare attenta a non farsi scoprire. Doveva andarsene. Doveva raggiungere un posto sicuro dove potesse prendersi un momento per pensare. Stava per fare un passo quando-
“Tu, chi sei?” udì, mentre una mano le afferrava saldamente una spalla. “Che stai facendo qui?”
 
***
 
“Senti Yusei, non puoi veramente ridurre le tue armi in questo stato ogni volta che parti per qualche missione. Guarda la tua spada! Ci hai disboscato mezza foresta?! Con tutte le volte che ho dovuto riaffilartela sarà diventata di carta! Faccio prima a forgiartene una nuova!” si lamentò il fabbro, buttando a terra uno strofinaccio sporco.
Il cavaliere ascoltò pazientemente. Quando guardò la spada poggiata sul bancone, capì di non avere scuse.
“Hai ragione, Crow,” si scusò. “Dovrei averne più cura.”
Il fabbro incrociò le braccia sbuffando. Questi cavalieri erano un vero dilemma. Specialmente il suo migliore amico, per l’appunto. Di militari ce n’erano tanti, e ridare una lucidata ai ferri era d’obbligo ogni tanto, con quello che costavano. Ma Yusei non rimaneva praticamente mai fermo in un solo luogo, e nel suo peregrinare non aveva molta scelta se non sottoporre il suo armamentario a molto stress. E gli amici non pagano come gli altri per il tuo lavoro. Se non altro, Yusei era davvero un buon amico. Avresti potuto finire nella peggiore delle zuffe, combinare il peggior guaio, e lui ti avrebbe difeso tirandotene fuori in un modo o nell’altro. A meno che tu non fossi nel torto, ecco. In quel caso, Yusei cercava il modo più pacifico di risolvere il conflitto. Era leale, ma anche un cavaliere, come era giusto che fosse.
In più, il combattimento era la sua specialità. Le regole non erano molte nell’arena, ma erano ferree, così come il loro addestramento. Per questo i cavalieri si contavano sulla punta delle dita. Almeno così funzionava a Domino. Ma Yusei era diverso dagli altri. In fin dei conti, non c’erano molti in grado di stringere amicizia con un drago e salvare un regno intero a soli 10 anni.
“Davvero, Yusei. Un’arma difettosa non può proteggerti, né battere il tuo nemico. Non vorrai giocarti la pelle uno di questi giorni, vero?” lo pungolò l'amico.
Yusei sorrise scuotendo la testa. Alla fine c’era poco da aggiungere, Crow non aveva torto. Non si può proteggere nessuno senza i mezzi giusti, questo lo sapeva meglio di chiunque altro. Ed era grato a Crow per essere tanto paziente e per mettere tanta cura nel suo mestiere. Notava la differenza ogni volta che alzava la spada, sapeva che era stata maneggiata da Crow. Erano le piccolezze dell’amicizia che facevano la differenza, e che lui apprezzava immensamente. La vita che aveva scelto lo aveva messo davanti a molte sfide, ma nonostante le cadute, gli sforzi al limite del possibile, e spesso anche le ingratitudini ricevute, non se n’era mai pentito. Era come rispondere a una vocazione dell’anima. E inerpicarsi per una montagna così alta gli aveva guadagnato rispetto indiscutibile da parte della maggioranza.
Prima che potesse rispondere all’ammonimento di Crow, entrambi udirono grida in lontananza.
“Fermate quella ragazza! È una strega!!! Ha sabotato il mio carro!!!”
Gli amici si voltarono bruscamente verso la fine della via. Cosa poteva disturbare la quiete di un mattino così ordinario nel regno di Domino? All’improvviso intravidero paio di persone che correvano precipitosamente dietro a una ragazza dai capelli rossicci. Yusei non ci mise molto a realizzare che forse fosse opportuno intervenire. C’era la possibilità che si sollevasse un bel baccano, o che qualcuno si facesse male davvero. E poi, una strega che causa tutto quel caos? Da dove era saltata fuori?
“Scusami Crow, ci vediamo dopo!” gridò il cavaliere lanciandosi all’inseguimento. Crow non fece in tempo a dirgli una parola di più. Il suo amico sembrava aver trovato la missione del giorno, e ci si era buttato a capofitto. Come Crow abbassò lo sguardo, notò che avesse lasciato sul banco un sacchetto per la paga, ma che non si era neanche disturbato di riprendersi la spada con sé. Conoscendolo, probabilmente non gli occorreva…
 
***
 
Come aveva previsto, si era appena verificata l’ipotesi peggiore. Ecco cosa succede ad affidarsi ai sogni, pensò. Non aveva calcolato di attirare cotanta attenzione. Non poteva uscire dalla città con un drappello di persone che la inseguiva! Doveva seminarli in un modo o nell’altro, a costo di usare i suoi poteri…
Non aveva ancora finito a ragionare sul da farsi che qualcuno dietro di lei riuscì a mettere le mani sul mantello, tirando a sufficienza da farla inciampare e cadere bruscamente a terra. Stordita dall’urto, sentendo ginocchia e polsi in fiamme e sanguinanti, tentò di rialzarsi, ma da due mani forzute la sollevarono di peso, tenendola saldamente per le spalle. Poi un braccio le circondò la gola da dietro, e l’incavo del gomito le bloccò la trachea, in modo che potesse parlare, ma non potesse scappare. Il secondo uomo l’aveva raggiunta, e con la stessa ruvidezza con cui aveva maneggiato le casse, le afferrò un lembo del mantello per parlarle più vicino e più minacciosamente.
“Beh?! Che avevi in mente di fare tu?! Volevi derubarci?! Rispondi o ti faccio nera!!”
Era pronta a usare i suoi poteri, davvero. Non aveva scelta. Sentiva già la magia scorrere nei circuiti del suo corpo, pronta a reagire.
Ma poi fwp! L’uomo non c’era più. Svanito.
Non per magia, ma per un calcio volante che si andò a schiantare sulla sua mandibola, spedendolo al tappeto e azzittendo la folla. Il nuovo arrivato atterrò a ginocchia piegate, vicino al corpo del nerboruto tramortito, di spalle rispetto ai due rimasti in piedi.
Aki sollevò le sopracciglia genuinamente sorpresa. Non aveva idea di chi potesse mai trattarsi, almeno finché il ragazzo non si rimise dritto in piedi, voltandosi per guardare di sbieco l’altro uomo. Aki impallidì visibilmente.
Era proprio lui. Ne era sicura. Il viso, i capelli- era lo stesso giovane del sogno. Ma stava benone! Anzi, a dirla tutta, era lui che stava salvando lei. Non era solo sorpresa, ma anche confusa. Sì, il ragazzo era reale, e si trovava addirittura nella città, proprio come il sogno suggeriva, tuttavia tale individuo non solo era in perfetta salute, ma non c’era nemmeno alcun dragone nei dintorni. Ciò significava che lei non avesse motivo di essere lì, fondamentalmente. Ma allora perché un sogno del genere…?!
“Ma sei impazzito, cavaliere?!” gridò l’uomo dietro Aki. “È lei la strega, è pericolosa, voleva derubarci!”
“Di cosa, queste?” ribatté lui, mostrando nella mano una grossa scaglia di drago. L’uomo strinse i denti, visibilmente a disagio.
“Le ho trovate vicino al vicolo da cui siete sbucati tutti e tre. Sapevo che ci fosse un commercio illegale attivo, ma mi era quasi impossibile stanarlo. Anche se questa ragazza fosse una strega e avesse voluto derubarvi, ha finito per farmi un favore, facendovi uscire allo scoperto. E guarda caso, ero nei dintorni.”
“N-noi non c’entriamo nulla!” si difese. “Non sappiamo cosa ci mettono nelle casse che trasportiamo!”
“Allora non avrai problemi a indicarmi chi ve le ha date, dico bene?” suggerì il ragazzo.
L’uomo vacillò.
“Non posso farlo… non è gente con cui si tratta facilmente…”
“A maggior ragione me ne occuperò io. Forza, lascia la ragazza e vieni con me con le buone,” lo invitò il cavaliere con imperio.
Tutti i presenti restarono con il fiato sospeso. Poi si alzarono delle voci. Un’alta ombra sovrastò il cavaliere alle spalle. L’energumeno si era ripreso, anzi, aveva anche racimolato un bastone fra le mani. Ma il ragazzo fu più veloce.
Affondò un pugno basso e potente nello stomaco dell’uomo, abbastanza forte da farlo piegare in due dal dolore, lasciando cadere la mazza. Il cavaliere ne approfittò per afferrargli la testa e assestargli una ginocchiata sul viso, spedendolo definitivamente al tappeto.
Aki rimase a bocca aperta. La sua forza era impressionante, così come la sua efficienza e precisione. In sole due mosse aveva eliminato la minaccia, senza neanche ferire seriamente il povero uomo. Ora ne restava uno solo, che nel frattempo aveva rinsaldato la presa attorno al collo di Aki. Tuttavia, lei notò che tremasse.
Yusei guardò oltre la testa di Aki dritto negli occhi dell’uomo con incrollabile sicurezza.
“Vieni con le buone, ho detto.”
Aki credette che l’uomo stesse considerando la resa, ma finì col trascinarla indietro con sé, mentre tirava fuori una lama con la mano libera. Quando la puntò al viso della ragazza, sibilò “Mi dispiace, ma chi mi ha dato gli ordini mi fa più paura di te, cavaliere.
Il giovane si bloccò alla vista del coltello. Il che sorprese Aki.
Sembrava genuinamente preoccupato per la sua incolumità. Non se l’aspettava, a dire il vero.  A nessuno importava dell’incolumità di una strega.
Yusei calcolò rapidamente il da farsi. Non poteva contare su aiuti esterni. Nessun civile sarebbe intervenuto. Era solo e senza armi. Troppo lontano per allontanare quella lama in tempo. Forse poteva guadagnare tempo, nella speranza che qualche altra autorità intervenisse.
Ma mentre calcolava il tempo necessario per l’arrivo dei rinforzi, l’uomo risolse il problema di Yusei semplicemente inciampando.
Per quanto fortuitamente, a furia di camminare all’indietro, l’uomo era caduto di schiena, portandosi dietro Aki. Vedendo un’apertura, lei piantò il suo cranio sul naso dell’uomo con tutte le forze, costringendolo a lasciare la presa sul suo collo per tenersi il muso con ambo le mani. Lei si divincolò su un lato, rotolando lontana dal pericolo. Lanciò un’occhiata dove l’uomo giaceva, sorridendo. Nessuno aveva notato i lacci d’erba che aveva evocato lei stessa ai piedi dell’uomo, ancora avvolti attorno alle sue caviglie.
Era da non credere, davvero. L’uomo cercò di acciuffarla ancora, gettandosi carponi al suo inseguimento, ma uno stivale inchiodò la sua mano a terra. Lui alzò gli occhi appena in tempo per vedere il cavaliere, prima che gli piantasse un destro ben assestato sul naso. Il suo corpo cadde nella polvere con un tonfo. Il cavaliere gli tirò su la testa per i capelli per assicurarsi che fosse davvero fuori gioco fra le esultanze del pubblico. La lasciò cadere a terra, rialzandosi in piedi subito dopo.
“Bene, non c’è più niente da vedere qui. Tornate alle vostre occupazioni. Al resto penserò io.” annunciò. I presenti annuirono e si dispersero come uccelli in una voliera. Molti riaprirono le porte delle case, come se per magia tutto fosse di nuovo tranquillo e sicuro. Aki notò che sembravano avere una gran fiducia in questo giovane. Nessuno aveva messo in dubbio la sua autorità o la sua abilità. Il suo sguardo la intimidiva.
“Stai bene?”
Non poté muovere un altro passo che lui le mise una mano sulla spalla, tenendola saldamente.
“Voi. Raccontatemi cos’è successo. Che siete venuta a fare nel regno di Domino? Non abitate qui.” le fece notare il giovane. Aki pensò che questo ragazzo andasse dritto al sodo tanto quanto negli scontri che con le parole. Un tipo assolutamente temibile.
“I-io ero qui solo per cercare… una persona. Ma sembra essere tutto a posto. È una lunga storia, in effetti…” tentò di scusarsi.
“Capisco. Ma come avete fatto a trovare quelle scaglie?”
“Ehm… per caso, davvero.” mentì lei.
“Il caso non esiste, signorina." le ricordò lapidario. Aki si strinse nelle spalle. Nessuno l’aveva mai chiamata signorina
“Ero solo nel posto sbagliato al momento sbagliato, tutto qui. Perché insistete, cavaliere?” domandò lei sorridendo con finta ingenuità.
“Perché non ero io quello che ci ha quasi rimesso le penne. E perché sto da tempo cercando di intercettare questa merce illegale. È gravissimo che circoli ancora, ma se esiste un modo per trovarla disseminata nella città, allora vi invito a farmelo sapere. A meno che voi non siate davvero una strega…” ipotizzò il ragazzo, attendendo forse una smentita. Aki abbassò lo sguardo.
“Perché, mi condannereste?” mormorò lei, sconsolata all’idea che anche costui fosse come tutti gli altri.
Il cavaliere lasciò andare la sua spalla. “Certo che no, non avete fatto niente di male, e saper usare la magia in sé non è un crimine. Ma sfruttarla per nuocere ad altri, quello sì, è un crimine.” precisò.
Aki abbassò subito gli occhi. “Vi prego, voglio solo andarmene a casa adesso. Dubito che mi rivedrete qui.” disse, ritraendosi un po’.
Il giovane era sempre più incuriosito da quella fanciulla. Non solo da quando era magicamente comparsa aveva avuto un colpo di fortuna dietro l’altro, ma adesso sembrava intenzionata a sparire così come era apparsa. Quasi fosse stata mandata dal cielo ad aggiustargli una giornata che non era nemmeno cominciata storta, ma che aveva già preso una piega decisamente memorabile.
“D’accordo, potete andarvene. Nessuno vi tratterrà. Un’ultima cosa. Come vi chiamate?”
Aki sorrise. “Siete proprio sicuro di non saperlo?”
Yusei non rispose, invitandola con lo sguardo a notare che forse la domanda fosse un tantino… assurda.
“Perdonatemi, avete ragione. È impossibile che lo sappiate. Il mio nome è Aki.” rispose lei. Il cavaliere dagli occhi blu accennò un inchino con una mano sul cuore.
“Io sono Yusei. Vi auguro un buon ritorno a casa, signorina”.
 
***
 
La reggia di Domino era un capolavoro di architettura. Grande, altissima, eretta su un’altura naturale che sovrastava la città quasi a proteggerla, o a comandarla, dipendeva dai punti di vista. Magari entrambe le cose. Ma era uno dei simboli stessi del regno, e il regno stesso era a sua volta sviluppato in senso circolare tutt’attorno a quel magnifico castello, come se esso ne fosse il cuore pulsante. E le montagne che portavano giù tanta acqua preziosa abbracciavano parte della città, come a proteggerla. Un gioiello nel verde, incastonato di rimpetto alla seconda metà del regno, quella che prima della guerra aveva un’esistenza autonoma e a sé stante: Aracnos. Almeno finché il suo re, Rudger Goodwin, era ancora vivo, cioè prima che le corone venissero unificate da Rex Goodwin, re di Domino. Da due fratelli che governavano un regno ciascuno, la morte di uno era sfociata nel trasferirsi completo di quell’eredità all’unico fratello vivente. E i due regni fusi in uno solo presero il nome completo di “Nuova città di Domino”, Domino per i più pigri. Per questo il castello, nel tempo presente, era il centro di qualsiasi attività a larghe maglie. Comprese indagini su eventuali minacce all’orizzonte…
“Va bene. Quindi mi stai chiedendo il permesso ufficiale di lasciare il regno un’altra volta per indagare sulla la faccenda, giusto? A questo punto mi chiedo perché prenderti il disturbo ogni sacrosanta volta di venire qui.” si lamentò un giovane biondo, sprofondando sulla sua sontuosa sedia.
“Principe, so di essere insistente. Ma non tollero che oggi si pratichi ancora questa folle caccia ai draghi. Lo devo anche a Stardust. Quelli che vengono massacrati e venduti a pezzi sono i suoi simili. Persino lui, per quanto forte, è a rischio come tanti altri.” gli fece notare il cavaliere.
“Lo so, lo so,” concesse il principe, “Non ti biasimo per questo. Non è questo che mi infastidisce. È la tua insopportabile formalità, dopo un decennio che ti conosco. Chiamami Jack, santo cielo! Se ci tieni così tanto, la prossima volta puoi chiederlo direttamente al re!” ribatté stufo il giovane.
“Non quando siamo qui… lo sapete che è più importante che siate solo voi a sapere di questa situazione, per adesso.” gli fece notare il cavaliere, impassibile.
“Gne gne, lo so. Provvederò a comunicarlo agli altri dell’esercito. Ma dimmi una cosa. I due tizi che abbiamo arrestato hanno confessato nulla? Spero tu ci sia andato leggero con l’interrogatorio.” ridacchiò l’amico.
“Hanno fatto presto a parlare. Mi hanno riferito che gli era stato promesso un grande compenso, ma il responsabile ha dato loro un nome chiaramente falso. Tuttavia, mi hanno detto che lo hanno incontrato presso il bosco nero, poco fuori del regno, è un inizio. Anche Stardust è preoccupato, ha percepito anormali flussi di magia di recente. Qualcosa non quadra, e voglio sapere se qualcuno sta tramando di mettere in subbuglio il regno oppure no.” spiegò aggrottando la fronte.
“Ammiro la tua dedizione, ma sei certo che questa storia sia pericolosa addirittura per il regno?” domandò il principe.
“Anche se non lo fosse, come spero, Stardust mi ha spesso parlato di quanti danni su larga scala può fare la magia usata male. Non sarò tranquillo finché non scoprirò cosa c’è sotto e troverò i criminali che stanno mettendo a repentaglio l’incolumità di tutti.” concluse.
“Va bene. Potete partire quando volete, cavaliere.
Il principe mise volutamente enfasi sull’ultima frase. La formalità forzata fra amici non la gradiva, e Yusei lo sapeva, ma poiché nella reggia chiunque che non fosse di sangue reale era tenuto a tenere un comportamento eccezionalmente formale, non ne voleva sapere di dargli del tu. Le regole esistevano per un motivo.
Yusei sorrise, fece un piccolo inchino per ringraziare, e lasciò la grande sala. Per quanto si fossero allenati mille volte assieme in passato per l’addestramento militare, Yusei a confronto di un nobile restava una persona qualunque, ed era tenuto ad attenersi alle regole come tutti gli altri, almeno in quelle mura. Non era il sangue che lo rendeva speciale, lo sapeva bene. Ma se era riuscito a conquistare il suo posto nel regno, doveva ammettere che il suo amico alato aveva contribuito non poco a farlo notare agli occhi del mondo. Forse era l’unico al mondo che poteva definirsi amico di un drago. Ma il resto ce lo aveva messo lui con le sue sole forze.
“Assicurati di tornare indietro sano e salvo.”
 
***
 
“Ehi, Yusei. Lo so che ci manca ancora un po’, ma non ti addormentare là dietro.”
“Non mi sto addormentando! Sto tenendo d’occhio il bosco, tutto qui.”
“Hai sbadigliato almeno un paio di volte, ti ho sentito.”
“In mia discolpa, quando non parli tu c’è un silenzio magnifico quassù.”
“Mi hai preso per una di quelle oche starnazzanti di corte?!”
“Non ho detto questo.”
“Meglio così. Non ci metto molto a scaricarti per aria.”
“Non lo faresti comunque.”
“Mai sfidare un drago. Sai che non so perdere.”
“Questo è vero. Almeno lo ammetti.”
“Conoscere le proprie debolezze è il primo passo per diventare più forti.”
“Riuscirai mai a non tirare fuori lezioni di vita da qualunque cosa ti dica?”
“Ne dubito.”
Yusei sospirò. Da quando aveva incontrato Stardust, la sua vita era cambiata radicalmente. Non sapeva bene come considerare Stardust lui stesso, se un insegnante, un padre, un fratello, un amico… probabilmente tutte queste cose assieme- e di più. Era solo un bambino quando lo incontrò per la prima volta e lo tirò fuori dai guai, senza sapere che da quel giorno si sarebbero salvati a vicenda più e più volte. Ed eccoli ancora a sorvolare i cieli di una terra che per loro non aveva segreti. O quasi. Decisamente quasi.
“Stardust, riesci ad avvertire nulla di sospetto?”
“In volo è difficile, ma posso avvicinarmi a terra. Reggiti.”
Il drago curvò dolcemente verso il basso, perdendo quota finché non sfiorò le punte degli alberi più alti col ventre liscio e corazzato. Volava ancora scrutando le cime degli alberi, ogni ramo, ogni nido, ogni scoiattolo con i suoi grandi occhi gialli, ma nulla di strano all’orizzonte, e di movimenti umani neanche l’ombra. Finché Stardust non rallentò considerevolmente la velocità di volo, guadagnando quota.
“Yusei! Davanti a noi! La fonte è forte, ma non vedo ancora niente!”
Yusei stava quasi per avvertirlo di essere cauto, quando un raggio di luce fendette l’aria davanti a loro. Stardust non ebbe altra scelta che virare bruscamente, salendo ancora più in alto. Yusei si aggrappò alle cinghie che lo tenevano saldo sulla schiena di Stardust
Quell’attacco… strano, sembrava essere stato lanciato da un altro drago. Ma non poteva essere…
Un ruggito squarciò l’aria, e una creatura emerse dalla fitta boscaglia, nera come la notte. Non era corazzata come Stardust, ma piumata, e la sua criniera foltissima la rendeva ancora più grande e minacciosa di quanto non fosse. Senonché, alla luce della luna, il cavaliere e il suo drago non notarono un minuscolo, terrificante dettaglio.
“Yusei… sul dorso di quel drago… c’è qualcuno! C’è un altro cavaliere di draghi!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve! Come va? Buon nuovo decennio! Aki_chan_97 è tornata! Stavolta con un nuovo stile! La fanfic è già pronta in cantiere, quindi non vi lascerò a bocca asciutta a lungo, promesso <3 (finita questa, metterò mano alla vecchia sospesa, I promise). Per questo round, non inserirò disegni, ma potete cercarli sui miei socials, ne ho postati a quintali! Cercate i link nel mio profilo, sono yugirl-with-dragons! Sono un poco ovunque (FB, Twitter, Insta, Tumblr), liberi di importunarmi lì :D
 
Come potete vedere, l’impostazione di questa fic è diversa dalla precedente, non esistono più i POV, per esempio. L’autore onnisciente risolve un mucchio di problemi onestamente… lo preferisco attualmente. Ah, come potrete notare, prediligo la scelta di nomi dei personaggi in Inglese e Giapponese, non in italiano. Il motivo di fondo è uno solo: Polvere di Stelle non è contraibile in alcun modo (serio). La parola “Stardust” è veramente magica. Dunque, tutti gli altri nomi appresso.
 
A chi è interessato, la fanfic sarà tradotta in inglese! Magari mi troverete su fanfiction.net!

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Capitolo 2
*** …e il sogno diverrà realtà, per sfortuna ***


Capitolo 2: …e il sogno diverrà realtà, per sfortuna
 
“Il dolore alimenta il coraggio. Non puoi essere coraggioso se ti sono successe solo cose meravigliose.”
Mary Tyler Moore
 
La giornata era cominciata malissimo. Sembrava essere proseguita con quasi accettabile, per poi precipitare a catastrofica. Aki non avrebbe mai voluto scavarsi una fossa come in quel momento. Ecco che succedeva a dare retta ai sogni e a lanciarsi in avventure fuori dalla propria portata. Così imparava a fare sciocchezze quando Sayer non era in casa. Era arrivata verso il tramonto di nuovo nel suo giardino dopo aver fatto raccolta di qualche provvista, ma non alzava mai gli occhi nemmeno agli animali che le passavano accanto. Si era infinitamente vergognata di tutto il disastro causato, per giunta in mezzo a gente a cui non stava di certo molto simpatica.
Ma quel cavaliere, doveva ammetterlo, era stato coraggioso, forte e tanto gentile nonostante tutto. Forse aveva sul serio qualcosa di speciale, forse qualche pericolo lo correva davvero, ma a lei non era dato saperlo, nemmeno dopo averlo incontrato. Alla fine l’unica cosa a cui aveva giovato la sua presenza era l’arresto di due criminali e una manciata di scaglie di drago ritrovate. Ma tanto, lei che c’entrava? Per quanto fosse orribile che qualcuno si arricchisse ancora sulla pelle di creature così rare, lei non capiva cosa c’entrasse con quel sogno angosciante.
Si sedette sul letto abbracciando il cuscino. Quasi quasi se ne tornava subito a dormire, magari sognava qualche altra cosa più veritiera di quel dragone spaventoso. Si mise una mano fra i capelli magenta. Una sola cosa le impediva di chiudere quel capitolo una volta per tutte: il cavaliere. Il cavaliere corrispondeva a quello del sogno. Magari esisteva una connessione fra il drago e le scaglie trovate, ma la scenografia di quell’incubo era troppo apocalittica per tirarne fuori un senso plausibile.
Si buttò di schiena sul letto, fissando il tetto di paglia e legno. Le Moire dovevano smetterla di giocare con lei. Ecco tutto. Si sarebbe addormentata e tutto sarebbe stato solo un triste ricordo di una pessima giornata. Tirò su il lembo della coperta, ma un ruggito di drago in lontananza la buttò giù all’istante.
Si precipitò fuori nel giardino, scrutando il cielo in cerca della creatura che aveva lanciato quel verso draconico. No, questa non poteva essere una coincidenza.
Sopra le cime degli alberi del bosco nero volavano ben due draghi. Uno era piumato e nero come la notte, munito di artigli e becco ricurvo, l’altro pallido come la luna. Anzi, dalle lunghe e setose ali pareva cadere polvere luminosa… come polvere di stelle. Scrutò meglio il drago nero nel tentativo di trovare somiglianze con la bestia del suo sogno, ma sembrava trattarsi di due creature differenti. I draghi avevano ingaggiato una battaglia feroce, scagliando raggi di energia magica dalla bocca l’uno contro l’altro, e tentarono più volte di azzannarsi o artigliarsi a vicenda. Era già raro vedere draghi, ancor più raro vederli azzuffarsi. Ma se gli occhi non la tradivano, sulla schiena di entrambi i draghi si intravedevano, in totale, ben due persone. Da quando gli indomabili draghi… si lasciavano cavalcare dagli umani?
Non distaccò gli occhi dal cielo nemmeno per un istante. L’estenuante lotta continuava, per un momento i due draghi sorvolarono pericolosamente anche la sua casetta e il suo giardino, ma poi salirono in alto, continuando il combattimento quasi fra le nuvole, finché dal buio della notte non eruppe un’esplosione di energia cosmica, e il drago bianco precipitò verso il suolo, nel profondo del fitto bosco. Quello piumato sembrò mantenere più controllo nella perdita di quota, ma solo per volare più lontano, visibilmente ferito a un’ala, dichiarando resa, o magari vittoria, non ne era sicura.
L’impatto al suolo del drago bianco fu tale da sollevare enormi ondate di polvere e foglie che tempestarono l’aria di detriti, costringendo Aki ad appiattirsi a terra. Quando le onde d’urto esaurirono la loro energia e non v’erano più detriti in volo, lei si rimise lentamente in piedi. Qualcosa di tremendo si era appena verificato nel bosco, e doveva scoprire assolutamente cosa fosse accaduto al drago e all’umano che gli era sul dorso. Era possibile che non fossero sopravvissuti all’impatto. Ma doveva vederlo con i suoi occhi.
Si fece strada fra i rami rotti e le foglie che coprivano il terreno umido, correndo col cuore in gola: dopo aver percorso alcune centinaia di metri, trovò quell’immensa creatura bianca come l’alabastro adagiata in una fossa nel terreno, avvolta protettivamente dalle sue grandi ali luminose. Gli alberi attorno ad essa erano strappati o abbattuti come fuscelli secchi.  La pelle liscia del rettile era tutta lacerata e insanguinata, ma miracolosamente, si stava rimarginando tutta. Pezzo dopo pezzo, brandello per brandello, le vele delle ali si ricucivano da sole, e lei osservava rapita. Mai nulla che avesse riaggiustato lei in quella maniera era guarito in modo così perfetto e rapido. I draghi erano davvero ad un altro livello. Ma fu allora che si rammentò dell’umano. Chissà che non fosse finito spappolato sotto il corpo del drago. Ma come cercò di sporgersi per guardare meglio, si accorse che un occhio giallo del dragone la fissava nonostante l’ombra del fitto bosco. Aki si nascose dietro un grosso tronco sperando di essersi sbagliata.
“Tu, lì dietro. Sento la tua magia. Fatti vedere!” ringhiò il drago. Aki capì che quella creatura non aveva parlato con la bocca: comunicava con la telepatia. Sembrava una voce maschile. E da buon drago aveva percepito la sua aura magica, come aveva fatto a non pensarci? Diamine, non aveva preso la mantella!
Aki si maledisse per l’ennesima volta in quella giornata. Era vero che non poteva più nascondersi, ma non si mosse comunque di un centimetro. E se il drago l’avesse attaccata? Per quanto ferito, sembrava rimettersi in forze molto facilmente… invece la creatura continuò a parlare.
“Se sei un nemico, fuggi adesso. Se non lo sei, esci da lì. Conto fino a tre, e se non ti decidi, ti arrostisco per bene. Uno…”
Non c’era altro da aggiungere. Fu abbastanza per convincere Aki a emergere dal fitto bosco mostrando rapidamente i palmi delle mani. Il drago si zittì, scrutando quella personcina tanto minuta. “Scusami, non voglio farvi del male. Vi ho visti precipitare… cos’è successo?”
Il drago abbassò il muso, afflitto. “Non lo so per certo. Ci hanno presi alla sprovvista. Ma…” Il drago si interruppe come distratto da qualcosa, piegando il sinuoso collo verso un punto impreciso del suo ventre, nascosto dalle grandi ali. “Ti prego, aiutalo…” bisbigliò con voce rotta, aprendo una fessura fra le ali. Aki si coprì la bocca in un sussulto d’angoscia.
Era proprio lui, era il cavaliere. Il drago lo teneva adagiato delicatamente fra le zampe, ma il giovane aveva un fianco trafitto da un ramo molto affilato, se si volevano ignorare il resto dei suoi tagli sanguinanti. Tutto il bordo della sua armatura si era aperto sulle giunture, piegato dalla forza tremenda di quell’impatto fra gli alberi. E se aveva un elmo, ormai era perduto. A giudicare dalla pozza di sangue sotto di lui, se nessuno interveniva alla svelta, quel ragazzo sarebbe morto di lì a poco. Fine della storia. Aki deglutì. Forse ora sapeva qualcosa in più sul perché di quel sogno e sul perché quel ragazzo fosse tanto speciale. Ma ora doveva agire, e alla svelta. 
“Drago, forse posso salvarlo con la mia magia. Ma devi togliere quella scheggia per me quando te lo dico io, altrimenti non potrò far nulla. Puoi farlo?”
Il drago annuì. Aki si inginocchiò affianco a Yusei e cercò di rimuovere il resto dell’armatura che copriva l’addome, sganciandola dai sostegni. Spostò i lembi di tessuto zuppi di sangue. Alla delicata luce delle ali del drago, la strega rimosse con cura tutte le piccole schegge che contornavano la ferita più grande. Tutto quel sangue sotto le dita e quella carne lacerata erano da far venir la nausea, ma in un modo o nell’altro, Aki pattuì di mantenersi concentrata almeno finché non avesse finito. Non era il momento di essere schizzinosi. Rimandò a dopo le lamentele. Poi fece segno alla creatura di afferrare la scheggia più grande.
Il drago accostò delicatamente il lungo muso sul ventre del ragazzo, stringendo il ramo fra due file di denti aguzzi, come quelli di un coccodrillo. Il ragazzo fece una smorfia, stringendo i denti per il dolore. Forse sapeva cosa stava per succedere. Aki lo carezzò sulla frangia con le dita ancora sporche di sangue. Poi premette le mani attorno al ramo spezzato, mentre con uno strattone secco il drago tirò fuori la scheggia. Il ragazzo rovesciò il capo all’indietro, lanciando un grido di dolore. Aki coprì alla svelta il suo ventre con le mani, cercando di tenerlo fermo e di restare concentrata sul lavoro di ricucitura, ma se avesse avuto le mani libere, probabilmente si sarebbe coperta le orecchie. Faceva male anche solo a sentirlo gridare così, non osava immaginare cosa stesse passando. Ma non poteva badargli adesso, il sanguinamento si era moltiplicato, doveva essere veloce. Aki premette i palmi delle mani sul ventre insanguinato del ragazzo. Chiuse gli occhi, chiamando a raccolta tutte le sue facoltà intellettive e magiche. Quando si immergeva in quello stato, vedere con le pupille era superfluo. La magia le diceva tutto. Qualunque intreccio venoso, qualunque fibra nervosa era visibile con la mente. Aki percepiva perfettamente il pulsare del suo cuore, il respiro affannoso, il sangue che scorreva incontrollato fuori dalla ferita, il prezioso calore che si disperdeva, ma anche la magia che fluiva nel terreno, dentro di lei e fra le sue dita.
Le sue mani si illuminarono. La luce era pura, calda, e si espandeva sul busto del giovane. Aki si concentrò sul respiro del ragazzo, sulla linfa vitale che ancora ostinatamente circolava nel suo corpo, e Yusei si riempì di quel tepore, di quell’energia che era vita distillata, creativa, che pezzo dopo pezzo rimetteva in piedi le trabecole spezzate, ricuciva quello che era stato strappato, riportava i liquidi verso la fonte da cui erano sgorgati, scacciava le impurità e rimetteva in moto ogni micro sistema vitale autosufficiente. Un poco alla volta anche il dolore scemava, e Yusei sprofondò in un sonno più sereno, cullato da un dolcissimo calore che aveva profumo di rose.
Dopo qualche minuto, Aki lasciò l’addome del ragazzo, sudando freddo, respirando a fatica. Ce l’aveva fatta, ogni ferita era chiusa e il cavaliere era salvo. La ragazza fece un respiro profondo, cercando di riprendere le forze. La vittoria era sua. Sorprendente come una giornata tanto catastrofica potesse rimettersi in piedi giusto nel finale, pensò. Magari ci si poteva abituare a epiloghi così eroici. Avrebbero dato un senso alla sua vita piena di errori, alle giornate senza scopo, alle mattine in cui non aveva nemmeno il coraggio di guardarsi allo specchio. Una strega come lei aveva appena salvato una vita, la stessa strega che in passato se n’era portata via altre due a lei tanto care… un capogiro improvviso la colse, e Aki cadde in avanti. Una zampa del drago le impedì di accasciarsi sul cavaliere. Ci mise un po’ a capire che aveva il viso appoggiato a un liscissimo artiglio. Aprì a malapena un occhio, trovandosi davanti quello ambrato della creatura mitica.
“Non conosco il tuo nome,” udì nella sua mente, “ma credo ti abbia mandato il cielo. Sono pochi i maghi viventi con una magia come la tua. Grazie per aver salvato il mio amico”. Dal tono, era come se sorridesse. Aki era sorpresa dai modi di quella creatura. Era gentile, proprio come il cavaliere. Non solo era la prima volta che incontrava un drago e che scambiava due parole con la suddetta creatura, ma anche che le mostrasse una gentilezza senza precedenti. Doveva essere un drago piuttosto sui generis. Insomma, i draghi erano risaputamene feroci, forti e nobili, pieni di conoscenze e risorse magiche, ma amichevoli? Questa era proprio da vedere. Di norma, erano diffidenti con gli uomini. Per un drago leggere le intenzioni di un uomo era un gioco da ragazzi, e solo le anime più candide potevano vincere la loro fiducia. Che un drago considerasse un giovane come Yusei addirittura un amico, indicava che non solo il drago fosse abbastanza generoso da dare a un essere umano una possibilità, ma anche che quell’umano ne fosse più che degno. Mentre meditava ciò, sentì la punta del suo muso carezzarle gentilmente i capelli. “Affettuoso” era da aggiungere alla lista delle stranezze di questo rettile. Se Aki avesse avuto più forze, magari avrebbe riso.
 
***
 
“Sei sicura di riuscire a camminare?”
“Tranquillo, sto bene adesso. È il tuo cavaliere che deve riposare. Gli ci vorrà tempo con tutto il sangue che ha perso. Ho ripulito la ferita e ricucito i tessuti critici, ma il resto dovrà farlo il suo corpo.”
“Non preoccuparti, Yusei è una roccia. Tornerà in piedi in men che non si dica.”
“Non ne dubito, ma lo stress di un viaggio di ritorno potrebbe peggiorare la sua situazione. È fragile in questo momento. Rimanete da me per un po', nel bosco c’è spazio anche per te.”
“Sei generosa. Perché ci stai ancora aiutando?”
“Perché devo un favore al tuo cavaliere.”
“Davvero?”
Forse non era necessario menzionare il fatto che una notte prima avesse avuto un sogno premonitore devastante, e che insomma, si sentiva più sicura se si accertava che quel cavaliere campasse. Suonava piuttosto scortese in effetti. Però che gli dovesse un favore era vero. Quel ragazzo che ora riposava assicurato da qualche laccio sul dorso del drago era riuscito a risparmiarle un sacco di guai a Neo Domino. Fu così che mentre si dirigevano verso suo boschetto della strega, lei raccontò alla magnifica creatura del disastro della mattinata. Bastò poco perché il drago facesse due più due con quanto Yusei gli avesse già riferito a proposito delle scaglie di drago. Curioso quanto facilmente certe persone potessero incrociarsi.
“Aspetta, quindi Yusei ti ha parlato di me?” domandò la ragazza, arrossendo.
“Ha solo detto di aver incontrato una ragazza con i capelli rossi, e che per qualche motivo profumava di rose. Era ovvio che non fossi di Neo Domino.” riferì con candore Stardust, mentre Aki si teneva il viso paonazzo. Era così caldo che quasi sospettò di essersi beccata una febbre improvvisa. Non aveva realizzato che il suo giardino le avesse lasciato una tale fragranza addosso...
“P-perché era ovvio che non fossi del regno?” chiese lei con malcelato imbarazzo.
“Semplice, perché a Neo Domino non ci sono rose. E poi si sarebbe ricordato di una come te, non ho dubbi.” spiegò il drago, con apparente indifferenza.
Il viso di Aki era ormai un tutt’uno con i suoi capelli bordeaux. Cercò di nasconderlo fra le spalle, sperando che il drago non ci avesse fatto caso. Ma era vero che a Neo Domino non ci fossero molti fiori. Anzi, di verde ce n’era proprio poco. Immaginò per un momento la sua vita nelle aride mura di Neo Domino, passeggiando in mezzo a comari squittenti, chiassosi bambini lanciati all’inseguimento di galline sfuggite da sporchissimi pollai, mercati cacofonici che si davano cordiale battaglia per attirar la miglior clientela, soffocata dalla polvere di una terra arida, senza poter rimirare nemmeno una fogliolina di cedro. Che visione repellente. Un mondo senza fiori era una delle cose più tristi che si potessero concepire. Ma che quel ragazzo si fosse accorto del suo profumo senza dire niente, aveva un che di imbarazzante. Semplicemente, non era andata lì per farsi notare in quel senso, ecco.
“È quella la tua casa?” chiese il drago, riportando la strega nel mondo reale.
Aki alzò gli occhi. Davanti a loro si estendeva un giardino pieno di fiori, rose e frutti maturi appesi ai rami di zuccherosi alberelli circostanti. In fondo alla radura, all’ombra di una quercia immensa, si ergeva una semplice casetta di legno e mattoni, nascosta abilmente dalla vegetazione. E forse anche da un velo di magia.
“Sì, siamo arrivati.”
 
***
 
Gli alberi erano in fiamme. Le case erano in fiamme. Persino gli animali erano in fiamme. Fuggivano verso la periferia erbosa, sperando di trovare rifugio, sperando di scampare alla morte atroce che li stava divorando, ma non c’era via d'uscita, non c’era modo di sottrarsi a quell’aria pestilenziale, a quel fumo asfissiante che soffocava tutti quelli che non erano ancora caduti per colpi di spada. Il regno di Domino non era stato costruito esattamente su pilastri di pace, e i primi a farne le spese erano tutti coloro che pur tassati dalla corona, vivevano ai confini del regno, nelle periferie più estreme di Domino. Uno di questi villaggi dimenticati da Dio ma non dagli sceriffi, né dai banditi, era il Satellite. Non era troppo diverso dagli altri villaggi centrali di Domino, era solo più piccolo, più grigio, più povero, più sudicio, e più affollato.
Per questo era spesso luogo di zuffe, faide fra gruppi di banditi, alle volte anche per un ufficiale dell’esercito era rischioso andarci. Se avevi qualcosa da nascondere, il Satellite era il posto perfetto. Ma i pericoli erano all’ordine del giorno. Vivevano stabilmente lì solo tre tipi di persone: i poveri, i violenti, e chi faceva finta di essere uno dei primi due.
Ma quella notte qualcosa di terribile era accaduto. Mai le lotte intestine erano state così accese, soprattutto con tutta la tensione che si era accumulata fra i due regni confinanti, e al culmine delle violenze le bande più efferate del Satellite uccisero anche una bambina, figlia di uno dei capibranco avversari. La vendetta dei criminali fu terribile. E a farne le spese fu tutto il villaggio. Uomini, vedove, orfani, il fuoco appiccato alle case e trasportato dal vento non lasciò scampo nemmeno ai polli. E chi cercava di fuggire, incontrava le spade di chi li aspettava alle uscite del villaggio.
Yusei aveva solo dieci anni quando vide la sua casa bruciare, e suo padre morire trafitto per difendere la sua famiglia.
Correva disperatamente per il bosco trascinato da sua madre, come in trance, finché non inciampò in una radice troppo alta per le sue piccole gambe. La madre tornò indietro cercando di rimetterlo in piedi, ma non fu abbastanza veloce. Uno di quei banditi li aveva raggiunti.
Lei sfilò un coltello da cucina dalle pieghe della veste, tenendolo alto per minacciare l’uomo che li aveva trovati. Fu abbastanza per farlo fermare, anche lui sfiancato dal fumo penetrato nei polmoni. Ma sapevano bene tutti e due che lei poteva essere qualunque cosa, meno che una minaccia.
“Yusei, scappa! Vattene via!”
“Ma madre-!”
Vattene! Devi andare da Martha, hai capito?!”
“Ma tu-“
“Obbedisci! La mamma verrà, tu vai, ora!” gridò la donna, tenendo il coltello con due mani, e puntando gli occhi sul guerriero di fronte a lei.
Yusei chinò il capo, voltandosi e correndo via. Aveva gli occhi troppo seccati dal calore del fuoco per poter piangere. La mamma era sempre stata fiera del bambino ubbidiente che aveva, e lui non voleva tradire le sue aspettative proprio adesso, non quando le loro vite erano in gioco, non quando quegli orchi avevano scritto in faccia che non si sarebbero fermati davanti a niente, nemmeno ai bambini. Così corse via come lei gli aveva detto. La sua mamma era forte, gli aveva insegnato ad essere altrettanto forte di spirito prima che nel corpo, quell’uomo non aveva davanti una donna indifesa, prima o poi si sarebbero ritrovati. Non sapeva che sua madre gli avesse mentito.
 
***
 
Yusei aprì lentamente gli occhi. Ci mise un po’ a mettere a fuoco i dintorni. Una luce vivida filtrava timidamente dalla finestra accanto al letto a cui era disteso, proiettando silhouettes di rami e foglie per tutte le pareti. Ora che le guardava meglio, quelle pareti rossicce erano coperte dalle foglie di una verdissima edera che disegnava onde e ghirigori lungo tutto il muro. Non sapeva che un giardiniere potesse ottenere un effetto del genere da una pianta così ribelle. C’erano alti scaffali pieni di libri, un po’ polverosi, e vasetti ricchi di fiori colorati e profumati un po’ ovunque. Doveva essere pieno giorno. Udiva uccellini cinguettare allegramente dall'esterno. Ma quella casa non la conosceva. Che ci faceva lì? Come ci era finito?
Cercò di richiamare alla mente gli ultimi eventi di cui era memore. Escluse l’incubo che si era presentato nel suo sonno per l’ennesima volta. Erano passati più di dieci anni ormai. Improvvisamente balenò davanti ai suoi occhi quell’esplosione terribile, la caduta libera e poi il brusco atterraggio. E poi? Era convinto che ormai fosse giunta la sua ora, eppure era tornato indietro di nuovo. Ma come?
Yusei cercò di tirarsi su per controllare i dintorni, ma uno stordimento improvviso lo costrinse a ricadere sul materasso. Si tenne il cranio pulsante fra le dita. Si sentiva debole, senza forze, la testa troppo leggera e un senso di nausea gli attanagliava lo stomaco. Anzi, aveva tutto l’addome piuttosto indolenzito, la gola secca e una gran voglia di tornare a riposare. Ma no, non sapeva ancora se quel posto fosse sicuro, se gli conveniva sloggiare alla svelta, o se ci fosse qualcuno nei dintorni… Prima o poi avrebbe dovuto alzarsi in ogni caso, aveva sete, fame e una vescica troppo piena. Cercò di scivolare giù dal letto, aggrappandosi alla testiera in legno cigolante per rimettersi molto lentamente in piedi. La testa girava ancora, ma poteva mantenere l’equilibrio. Notò come non indossasse più l’armatura, e come la sua maglia fosse stata rimpiazzata da una camicia che non gli apparteneva. Chi mai poteva essere stato?
“Ehi, ti sei svegliato!”
Yusei si voltò allarmato, non aveva udito passi, ma qualcuno era entrato e… ed era quella ragazza piombata dal nulla a Neo Domino. Era lei, senza dubbio. Stringeva fra le mani un cespuglio d'erbe, ed era scalza, il che spiegava il suo passo felpato. Non poteva crederci. Forse stava ancora sognando. Continuò a fissarla come fosse stata un fantasma. Ora sì che era confuso, al punto che dovette sedersi di nuovo sul letto per non cadere malamente sul pavimento. La ragazza posò le piante su un tavolino e si precipitò da lui, invitandolo a non fare sforzi. Ma Yusei aveva bisogno di risposte, subito.
“Cosa ci faccio qui? E perché voi siete qui? Io non ricordo nulla.”
“Lascia stare le formalità, dammi del tu. Quello che importa è che ora stai bene. Ti ho trovato con un ramo che ti trapassava la pancia, la tua è stata una fortuna sfacciata.”
Yusei la fissò interrogativo. Poi sollevò un lembo della maglia per controllare che fine avesse fatto quel pezzo di legno. Ma sulla sua pelle liscia e compatta non trovò nemmeno una cicatrice. Era tale e quale a come l’aveva lasciata. Tanto che quasi pensò che la ragazza, anzi Aki, gli stesse mentendo.
“Non troverai niente perché ti ho ricucito con la magia, genio. Neanche se fossi stata un dottore tu saresti qui. Ma hai perso molto sangue, per quello non c’è niente da fare. Puoi solo riposarti.” lo informò, mentre si alzava per prendergli un po’ d'acqua.
Yusei faticava a credere alle sue orecchie. Forse stava ancora dormendo. Si passò una mano sul ventre. Ora che guardava meglio, i suoi pantaloni neri conservavano sotto la cinta delle macchie scure, forse si trattava del suo stesso sangue. In effetti, che fosse precipitato se lo ricordava, e anche il mal di testa gli pulsava ancora nelle tempie non lo aveva abbandonato, il che combaciava con una mancanza di sangue nelle vene. Ma questo voleva dire che quella ragazza era sul serio una strega, anche molto abile, e che per qualche motivo non gli aveva recato danno. Anzi, gli aveva salvato la vita. Strega che casualmente aveva incontrato quella mattina, e che gli aveva svoltato la giornata con estrema facilità. Non poteva essere un caso. Lei si avvicinò di nuovo, porgendogli l’acqua. Ma davvero, chi era questa ragazza?
“Yusei, ti sei ripreso!”
Un’ombra imponente oscurò la luce che filtrava dalla finestra. Un grosso occhio giallo sbirciava attraverso il vetro, quella fila di denti acuminati faceva ancora più paura vista da così vicino.
“Stardust, sei qui! Tu stai bene, vero?”
“Ovviamente. Pensavo che stavolta mi avresti detto addio sul serio.”
“Non ti libererai così facilmente di me.” ribatté il cavaliere sorridendo.
“Peccato, eh?”
Il ragazzo non riuscì a trattenere una risata. Quello scambio di battute era surreale per Aki. Era come assistere a una scena unica al mondo e irripetibile. Non c’era calcolo o fervida immaginazione che poteva pianificare una scena del genere. Figurarsi vederla accadere. Aki aveva molti pregiudizi da rivalutare, sia sui draghi che sui cavalieri. Che razza di legame c’era fra questi due?
Yusei cercò di scendere dal letto con le sue sole forze. Aki lo sostenne ugualmente per un braccio. Le sue gambe funzionavano abbastanza da tenerlo in piedi, ma per camminare speditamente era decisamente presto. La rassicurò che per un po’ ce l’avrebbe fatta da solo appoggiandosi al muro, giusto il tempo di uscire, prendere un po’ d’aria fresca, magari svuotarsi un po’ e se c’era dell’acqua, darsi una sommaria ripulita. Aki lo lasciò andare in un misto di cortesia e imbarazzo, indicandogli dove potesse trovare dell’acqua. In fin dei conti nel giardino c’era Stardust, poteva badargli tranquillamente lui da lì in poi.
Lei preferì restare in casa, dirigendo la sua attenzione a qualche banale faccenda, il letto sfatto, l’armatura rotta del cavaliere ammucchiata in un angolo, o i vasetti di gerani selvatici lasciati in giro. Giusto per tenersi occupata, in effetti. Meglio lasciare il cavaliere alle sue faccende e pensare alle proprie. Di ospiti lei non ne aveva mai, e il terriccio caduto in più punti del pavimento, le scartoffie abbandonate qua e là e tutti gli aggeggi magici del suo mentore sparsi in giro come i giocattoli di un bambino non davano esattamente un’aria di casa ben tenuta. Era ancora impegnata ad ammucchiarne un po’ sugli scaffali quando il cavaliere rientrò, attirando il suo sguardo. Benché sembrasse finalmente più a suo agio, l’andatura testimoniava una mancanza di forze evidente. Era pallido, più pallido di quando non si fosse svegliato, barcollante e sembrava dirigersi con urgenza al materasso. Una volta che riuscì a sedersi, o meglio a caderci sopra, piegò il capo in avanti tenendosi le tempie. Aki tornò da lui per sincerarsi che fosse tutto a posto.
“Tranquilla, sto bene… è solo un giramento di testa, mi passerà...” la rassicurò, senza staccare le mani dal cranio.
“Mi dispiace, non so fare di più. La mia magia ha ancora molti limiti.” Tentò di scusarsi lei.
“No, non dispiacerti” ribatté il cavaliere, cercando di raddrizzarsi, “al contrario, non ti ho ancora nemmeno ringraziata. Ti devo la vita, Aki… per sempre te ne sarò debitore.”
“No, tu avevi aiutato me per primo. Ti ho restituito il favore e adesso siamo pari, d’accordo?”
“No, tu hai fatto molto di più… ti prometto che mi riprenderò presto e che toglieremo il disturbo il prima possibile. Ti ho già causato così tanti guai…”
“Ssh, taci adesso e riposa. Non vanificare i miei sforzi.”
Yusei sorrise appena, un po' riluttante. Si stese con cautela su un fianco, mentre Aki gli tirava sulle spalle un lembo di coperta. Doveva ammettere che per quanto strana la situazione nel suo insieme, Aki ci stava prendendo gusto. Era riuscita a prendersi cura di una persona -che era in fin di vita solo la notte prima- con successo, e la cosa la riempiva di segreto orgoglio. Di solito nessuno valeva tutte quelle cure, ma questa persona in particolare sì. Notò che Yusei stesse già dormendo. Non aveva fatto in tempo nemmeno a mangiare che era già crollato di nuovo, esausto. Aki si ripromise di fargli trovare qualcosa da mettere sotto i denti almeno per quando non si fosse svegliato, non poteva riprendersi senza cibo nello stomaco, no?
La strega percepì vibrazioni attraverso il terreno. Stardust doveva essere atterrato da quelle parti. Non si era accorta di quando fosse volato via, forse era decollato dopo essersi allontanato. Uscì nel giardino, non curante della fresca rugiada che le bagnava i piedi, mentre la creatura rinfoderava le ali sulla schiena.
“Non ho trovato fonti magiche particolarmente rilevanti nei dintorni. Per il momento siamo al sicuro. Ma devi rispondere a una mia domanda, Aki.”
La ragazza era incuriosita. Un po’ intimidita, anche. “Cosa vuoi sapere da me?”
“Il vero motivo per cui hai aiutato Yusei.”
Aki fece un passo indietro, non sapendo bene cosa rispondere. La perspicacia di quel drago era temibile. “Ecco, io…”
“Raccontami tutta la storia, adesso. Nessun umano fa nulla per nulla.”
“In realtà… non c’è molto da dire. Ho solo un brutto presentimento.”
“Spiegati.”
“Due notti fa, ho avuto un incubo terribile. Ho capito subito che fosse una premonizione.”
“Che c’entra con Yusei?”
Anche se un po’ controvoglia, Aki prese a narrare quell'apocalittico sogno, senza tralasciare alcun dettaglio, né di come tale visione l’avesse spinta fra le mura della città a cercare quel fantomatico ragazzo, e di come avesse invece individuato tutta quella magia inscatolata in segreto. Il resto Stardust lo conosceva già. Il drago ripiegò le zampe stendendo più comodamente il ventre a terra, girando la coda attorno a sé, pensoso. Aki continuò.
“Ho solo avuto paura che se non avessi fatto nulla, sarebbe avvenuta qualche catastrofe. Non mi aspettavo tutto questo. Aggiunge per caso tasselli alla vostra ricerca?”
“No, in realtà non fa che aumentare le preoccupazioni. Ultimamente hanno cominciato ad accadere cose strane nelle terre di Neo Domino, i flussi di magia diventano sempre più torbidi e non riesco a rintracciarne la fonte. Se davvero il dragone che hai visto in sogno ha niente a che fare col commercio illegale e tutto questo miasma in giro, allora il pericolo è peggiore del previsto. Non dimenticare che siamo stati attaccati da un altro uomo sul dorso di un drago. Chiunque sia il nostro nemico, sta tramando qualcosa di grosso, e ha mezzi potenti. Ho protetto questa terra una volta, non permetterò che sanguini ancora.”
“Tu hai protetto Neo Domino? Quando?”
“Dieci anni fa. Dopo che Yusei mi salvò la vita.”

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Capitolo 3
*** Destini incrociati ***


Capitolo 3: destini incrociati
 
“Il vero soldato non combatte perché odia quello che ha di fronte, ma perché ama ciò che ha dietro di sé.” ― G.K. Chesterton
 
Gli occhi di Yusei erano asciutti. Un po’ per il fuoco, un po’ per la cenere, un po’ per la sua mamma. Non aveva più lacrime. Aveva corso come un folle fin dove i suoi polmoni erano riusciti a condurlo, poi si era reso conto di essersi perso.
Aveva trovato un cespuglio nel sottobosco abbastanza fitto per nascondersi, ma era lì da ore. Lo stomaco gli doleva per la fame, la sua bocca era tutta impastata, aveva sete, voleva dormire e rivedere la mamma, e il bosco era troppo sinistro e silenzioso per un bambino come lui. Di stare tranquilli ad aspettare qualcosa, qualunque cosa, non c’era verso. Così come non c’era verso di scacciare dagli occhi l’immagine di quella punta di ferro che sbucava dalla schiena di suo padre. E il sangue, tutto quel sangue che gli imbrattava le vesti, il prato, le mani…
Yusei si strinse fra le spalle ancor più. Aveva brividi di freddo, e non aveva portato nulla con sé. Ormai era passato troppo tempo. Sua madre non c’era. Gli aveva detto di andare da Martha, ma lei viveva nella lontana città, e Yusei ricordava poco il suo volto. Trovarla sarebbe stato difficile. Ma era l’unica persona adulta su cui potesse contare. Gli altri erano tutti morti. Non c’era più nessuno a rassicurarlo, non c’era più nessuno a dirgli che non c’era bisogno di aver paura e che tutto sarebbe lo stesso andato per il meglio, anche a costo di mentire.
Ma, a onor del vero, Yusei sapeva che sua madre e suo padre non gli avrebbero detto questo. Gli dicevano sempre che avrebbe dovuto imparare a essere forte, semplicemente perché un giorno avrebbe potuto ritrovarsi da solo, perché chi è forte non teme il dolore o le difficoltà, chi è forte non è alla mercé di nessuno, e può difendere sé stesso e gli altri, e anche lavorare per vivere dignitosamente. Il padre gli diede un ottimo esempio in questo. La madre gli insegnò anche a leggere e a scrivere, era un’insegnante esigente, e ogni tanto tirava le orecchie, ma non gli fece mai mancare nulla. Yusei amava ingegnarsi per sorprenderla, imparava qualche acrobazia da farle vedere, si improvvisava cacciatore, costruiva giocattoli da solo, e si beava dei complimenti della mamma, perché solo sua mamma sorrideva così in quel lugubre luogo, solo la sua mamma lo chiamava “il mio piccolo eroe” abbracciandolo e baciandolo. Solo lei portava gioia in quel buco che puzzava di cadavere.
Il padre lavorava come fosse povero in canna, spesso rinchiuso nel loro scantinato dedito alle sue incomprensibili invenzioni, ma quando non era curvo su una scrivania, la sua brillante intelligenza era in grado di risolvere qualunque problema, tanto che Yusei era segretamente convinto che se anche suo padre avesse dovuto spiegare le leggi dell’alchimia a una gallina, quella gallina sarebbe stata in grado di capirci qualcosa. Non capiva perché non facesse un uso migliore di quella preziosissima materia grigia. Ma era felice che quello fosse suo padre. Era un uomo buono e sicuro di sé, e aveva reso molte volte chiaro quanto preziosa per lui fosse la sua famiglia. Proprio quando Yusei stava cominciando a diventare geloso dei marchingegni del padre, origliò una conversazione con sua madre: “Sai, in vita mia ho costruito di tutto. Ma solo Yusei è il mio, il nostro, vero capolavoro.”
Yusei era un figlio amato, lo sapeva. Ma ormai era tutto perduto. Il suo paradiso in quella fogna a cielo aperto non c’era più. Forse la mamma era nel sottobosco da qualche parte, ma come ritrovarsi? Continuò a chiederselo, finché non udì i felpati crepitii delle foglie schiacciate dai passi. Che fosse sua madre? No, i passi della mamma non erano così pesanti. Spostò con le manine un paio di foglie per cercare di vedere chi fosse. Un figuro longilineo, alto e magro, calzava grossi stivali e vestiti troppo abbondanti per la sua esile forma. Però era armato, quindi era un pericolo. Gli venne incontro un altro uomo, più basso e robusto.
“Ehi. Non è rimasto nessuno?”
“No. Ma anche se qualcuno fosse scappato, non è più affar mio.”
“Idem. Gli altri sono tutti alla base?”
“Sì. Stanno ancora sorvegliando quel bestione, ucciderlo sembra impossibile.”
“Che vuoi dire? Ne avete fatti fuori altri, che ci vuole a piantargli una spada nel cranio?”
“Ogni ferita si rimargina con una velocità impressionante! L’unica cosa che possiamo fare è aspettare che crepi per la fame e prosciugarlo di magia nel frattempo.”
“Ma non potete strappargli le squame una ad una? Se si rigenerano, avete una scorta infinita!”
“Non ha squame purtroppo per noi. È liscio come una biscia, e per più della metà del corpo è corazzato. E la carne che gli strappi diventa polvere.”
“Mi prendi in giro?!”
“Vorrei. Ma abbiamo avuto una sfortuna nera trovando proprio questo qui.”
“Allora strappiamogli i denti. Vediamo se anche quelli diventano polvere.”
I due si incamminarono alla svelta verso est, senza accorgersi del bambino nascosto fra i cespugli. Yusei non sapeva di quale animale stessero parlando, né capiva come fosse possibile che una creatura avesse tali caratteristiche. Doveva essere magica. Ma quelle informazioni non erano conciliabili col triste destino a cui pareva condannata: come poteva una bestia tanto potente ritrovarsi alla mercé di una manciata di banditi?
Yusei cercò di spostare i rami per vedere in che direzione si stessero spostando gli uomini.
Tuttavia, un ceppo sotto le sue mani schioccò sonoramente. Il bambino trattenne il fiato. Nessuno sembrava essersene accorto, i due uomini non si erano voltati ma non erano tornati indietro. Lasciò andare il fiato. Tutto liscio…
…o quasi.
Yusei fu tirato su da una ruvida mano che lo sollevò per il collo della maglia finché i suoi piedi non penzolavano. La camicia quasi lo strozzò. Ma quanto era alto quell’uomo, da dove era arrivato?! Non riusciva nemmeno a vederlo in faccia perché lo aveva aggredito alle spalle, doveva essersi avvicinato mentre lui ascoltava il dialogo dei due uomini… accidenti, non si era accorto di nulla!
“E tu? Che ci facevi nascosto qui? Sei coperto di cenere. Scommetto che sei riuscito a svignartela dal villaggio che brucia lì in fondo. Ho ragione?”
Yusei non faceva che scalciare come una furia e cercare di appigliarsi al pugno dello sconosciuto, tanto da costringere il gigante a cambiare presa pur di non farlo scappare, ma ciò non andò esattamente a vantaggio del bambino. L’uomo infatti lo afferrò saldamente per le spalle, piantandogli una testata micidiale sulla fronte. Yusei si abbandonò all'istante. Poi l’uomo lo lasciò andare. L’urto col terreno lo mandò definitivamente al tappeto.
Era sicuro di non averci messo molto a riprendersi, davvero lo era. Invece, quando aprì gli occhi, si ritrovò con le mani legate saldamente dietro la schiena, una corda che lo teneva legato ad un grosso tronco, e la fronte ancora dolorante.
Non era più nemmeno nello stesso angolo di bosco, ma in una piccola radura buia, c’era un fuoco acceso e diversi individui poco raccomandabili, tutti armati fino ai denti. Li riconosceva, erano quelli che avevano appiccato fuoco al Satellite. Avevano tutti una bandana rossa legata al braccio. Comprese con suo orrore di essere finito dritto nelle mani del nemico. Anzi, era sinceramente sorpreso di essere ancora vivo.
Notò che però nessuno gli stesse badando. Al contrario, tutti gli uomini avevano gli occhi puntati nella stessa direzione.
Non appena seguì il loro sguardo, un biancore innaturale riempì la sua visione. A pochi metri da lui riposava un enorme drago. La sua pelle era candida, la sua armatura argentea e azzurrognola, i suoi denti affilati come coltelli, le sue ali ripiegate sul suo dorso parevano un mantello pieno di pieghe. Tuttavia la creatura era stata legata con catenacci pesantissimi e adagiata su una specie di lunga tavola con numerose ruote. Gli anelli di ferro erano percorsi da venule verdognole, tutte collegate ad un unico, grosso lucchetto, su cui era incastonata una pietra nera e verde. Il metallo pareva ustionare la pelle del drago, sollevando esili fumi, ma ogni scottatura si richiudeva caparbiamente, rinnovando il dolore della povera creatura. Il drago era così legato da non poter aprire le zanne serrate, né le ali, né graffiare con gli artigli, poteva solo far vibrare la gola in un muto lamento e agitare la punta della coda, armata di una lama bipenne. Era come se quella catena lo indebolisse. Doveva trattarsi di un incantesimo inibitore applicato a quel ferro. La pelle lucida del drago lo rendeva luminescente nella penombra, ma in quello stato, quell’alone era ridotto ad un barlume che andava e veniva, come la fiamma di una candela quasi esaurita.
“E pensare che ci sono voluti dieci uomini per colpirlo con quel dardo magico, quando è caduto erano rimasti solo due uomini a tirargli addosso la rete di etere. Incredibile come basti far andare in corto circuito la loro stessa magia per farli cadere. Spero che venderne i pezzi ci ripagherà delle perdite.”
“Non hai visto cosa succede se lo tagli? Le ferite si rimarginano. E la carne strappata diventa polvere. Non ci faremo niente finché non ci porteranno le sfere di cristallo, quelle possiamo riempirle di magia.”
“Non ne avevo idea, sono arrivato da poco. Ho solo trovato il moccioso venendo qui. Tu che dici, che dovrei farmene?”
“Beh, vendilo, no?”
“Nah, è talmente pelle ossa che faccio prima a regalarlo.”
Yusei cominciò a sudare freddo, stavano parlando di lui. Poi notò con orrore che il suo rapitore stesse camminando in sua direzione. Doveva essersi accorto che fosse di nuovo cosciente. Cercò di strisciare con le gambe verso l’indietro, ma la sua schiena si appiattì contro il grosso albero a cui era legato.
“Ehi bamboccio, ti sei svegliato. Certo che c’è voluto poco a farti fare la nanna. Sei proprio debole!” lo scanzonò l’uomo, tirandolo su per i capelli. Yusei non poté non trattenere le urla, mentre l’uomo si fece più vicino e minaccioso. “Sono serio, un debole non lo vuole nessuno. Potrei venderti come schiavetto, ma non ci guadagnerei molto. Proponi alternative?”
Yusei non rispose. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Aveva letteralmente le mani legate, e ormai era in piedi, quasi sulle punte, pur di sentir meno dolore. Gli strilli e i lamenti del bambino non impietosivano quell’uomo. Era mai possibile una crudeltà simile? Nemmeno il drago sembrava impassibile, Yusei poteva giurare di averlo sentito ringhiare. Al Satellite ne aveva viste di tutti i colori, ma mai nessuno si sarebbe sognato che una tale violenza gratuita verso un bambino fosse concepibile. Persino in quel buco malfamato esisteva la decenza umana.
“Sei buono solo a strillare. Magari sei pure sordo. Credo che sarai un buono spuntino per i lupi.”
L’uomo lasciò cadere Yusei sgraziatamente, che si accovacciò a terra ansimando. Non potendosi tenere il capo con le mani, pressò il cuoio capelluto contro il terriccio per alleviare il dolore. Avrebbe voluto farsi così piccolo da scomparire. Invece era raggomitolato a terra, legato ad un albero, alla mercé di un uomo che non era tanto diverso da quelli che sua madre chiamava “orchi”. “Dagli orchi devi solo fuggire, sono mostri travestiti da uomini, che non conoscono la pietà, loro non si fermano nemmeno davanti ai bambini”, gli diceva. Ma mai pensò di incontrarne uno davvero. Il gigante (ora lo sembrava decisamente) mise un piede sulle sue fragili costole, premendo con intensità sempre maggiore.
“Allora, usa quella lingua, fammi vedere che sai parlare. Davvero vuoi morire?”
Yusei doveva pensare in fretta. Aveva una manciata di costole a rischio e una sola possibilità di fuggire con successo. Sua madre non l’avrebbe mai approvata.
Suo padre forse sì.
“Preferisco essere mangiato dal drago.”
“Hah! Ma dico, l’avete sentito?! Moccioso, sei proprio sicuro di quello che dici?”
I compagni dell’uomo risero di gusto. Yusei non rispose. Il bandito tolse la scarpa dal fianco di Yusei e lo tirò su per il bavero, slegando la corda che lo teneva bloccato all’albero, ma non le sue mani. Il drago ringhiò ferocemente quando i due si avvicinarono.
“Lo vedi quello, ragazzino? Un mostro come quello i deboli non possono acchiapparlo. Solo i forti hanno una possibilità. I draghi sono una fonte immane di magia, dai a un cacciatore gli arnesi magici giusti, e sono spacciati anche loro. Anche solo una scaglia vale oro zecchino. Programmavo di far morire questo lucertolone di fame, visto che non ci è buono a niente, proprio come te, ma forse un ultimo spuntino non gli farà male.”
Gettò Yusei a terra, spingendolo ulteriormente con un sonoro calcio. Il bambino rotolò nella polvere, stringendo i denti e cercando di rialzarsi con tutte le forze.
Quando scostò la frangia abbastanza da guardare il drago negli occhi, si accorse che la creatura lo stesse fissando intensamente. Yusei si chiese cosa stesse pensando. In fin dei conti, egli stesso non aveva un bell’aspetto: era impolverato dalla testa ai piedi, con vestiti troppo larghi per la sua età, un po’ stracciati, le mani legate dietro la schiena così strettamente da sanguinare. Ciò che lo rassicurava era che il drago non fosse messo meglio.
“Vedi? Sta già pensando che sei davvero pelle ossa, persino per lui!”
Yusei ignorò gli scherni. Se c’era una cosa che quegli uomini non potevano nemmeno sognarsi, era che il bambino davanti a loro conoscesse i marchingegni magici. Aveva passato abbastanza tempo nei laboratori di suo padre per comprenderne le basi. Il lucchetto che vedeva funzionava solo perché era in contatto magnetico con una pietra magica inibente. Senza quel contatto, la catena tornava perfettamente normale. A pietra era ferma al suo posto perché magnetica, così poteva essere sostituita facilmente, ma questo nessuno lo sapeva. Yusei richiuse le gambe contro il petto per far scivolare le mani legate da sotto fin davanti al busto, e si alzò di scatto, correndo con una velocità sorprendente per la sua età. Nessuno fece in tempo a inseguirlo, perché il ragazzino si gettò sulla pietra, cercando di staccarla con tutte le forze. Forti mani di uomini lo afferrarono per le spalle pur di tirarlo via di lì, ma la sua presa sulla pietra era salda, e quegli strattoni furono il colpo di grazia che staccò l’incantesimo dal lucchetto una volta per tutte.
E si scatenò l’inferno.
Il drago si agitò improvvisamente come un’anguilla, scuotendo energicamente gli arti e la coda, rompendo uno dopo l’altro ogni anello che teneva i suoi artigli legati assieme. Tutti gli uomini scapparono, senza eccezioni. Qualche gancio di ferro colpì i fuggitivi come proiettili. Le zampe e la coda furono le prime a liberarsi, poi le possenti ali –che gli alberi impedivano di aprire perfettamente, ma Yusei sospettava che fossero lunghe almeno quindici passi l’una- ed infine, le fauci.
Il ruggito del drago riecheggiò per tutta la landa, facendo vacillare i rami di tutto il bosco. Lo stridio era assieme acuto e roco, una strana combinazione che induceva a credere che in quella gola ci fossero due draghi diversi. Curvò il collo verso l’alto, non per ruggire, ma per caricare una fiammata argentea che rigettò a terra, spazzando via ogni carro, ogni cassa, ogni uomo rimasto a minacciare la sua libertà. L’unico che non attaccò fu il bambino. Yusei aveva lasciato cadere la pietra dalle mani. Non riusciva a staccare gli occhi da quella magnifica e tremenda creatura. Una parte di sé sperava che il drago lo risparmiasse. Un’altra parte si chiedeva perché mai avrebbe dovuto attaccare un bambino.
Quando notò che il rettile si stesse preparando a spiccare il volo, si precipitò in direzione della sua coda, aggrappandosi davanti all'ascia incastonata sulla coda del drago. La partenza fu più brusca di quanto potesse immaginare. Si avvinghiò alla carne del rettile con tutte le forze. Quando riuscì ad aprire gli occhi nonostante la vertigine, sotto di loro le cime degli alberi erano ridotte ad una sfumatura, sfrecciavano ad una velocità inconcepibile. L'aria era gelida, il vento fischiava nelle orecchie, ma il continuo ondeggiare del drago rappresentavano una seria minaccia alla sua fragile presa.
Il drago dal canto suo si era ben accorto di avere un ospite appeso alla coda e optò per atterrare su una sporgenza rocciosa non lontana. Si intravedeva anche un corso d’acqua, un buon luogo per riposare. Quando atterrarono fra i germogli verdi, adagiò con cura il ragazzo a terra. Yusei scese giù carponi, tremante e col fiatone. Poi si stese piatto sul ventre, esausto. Era sporco, sfinito e affamato. Davvero non aveva una bella cera. Il muso del drago gli stuzzicò gentilmente il busto, cercando reazioni vitali. Yusei alzò appena gli occhi pesanti. Era felice che fossero atterrati al sicuro, ma non aveva affatto pensato alle conseguenze del piano. Era solo molto grato al drago per non esserselo sgrullato di dosso mentre erano in volo. Il drago sollevò gli artigli in direzione di Yusei, che strinse gli occhi temendo il peggio. Non poteva nemmeno alzare le mani perché erano ancora legate, solo nascondersi sotto agli avambracci pregando di non essere ferito. Ma una punta affilata mozzò con un rapido scatto le corde che gli stringevano i polsi. I brandelli caddero a terra, mostrando i polsi lividi del bambino. Yusei si rialzò lentamente, senza staccare gli occhi da quelli del drago. Non poteva credere a nulla di quello che stesse accadendo.
“Ti devo un favore, ragazzo.”
La voce maschile riecheggiò nella testa di Yusei. Era sicuro che non avesse attraversato l’aria, era senza dubbio telepatia. Che dunque i draghi sapessero anche parlare la lingua degli umani?!
“Chiudi quella mandibola. Non mordo mica. Cioè, non i bambini.”
Yusei indietreggiò. Quel lucertolone fuori taglia aveva appena fatto una battuta?!
“T-tu sai parlare?”
“Ovvio. Non hai mai sentito parlare dei draghi?”
“Molto poco...”
Il drago sbuffò. Se avesse avuto iridi visibili sotto la sclera gialla, avrebbe di certo roteato gli occhi. “Questi umani, quanta ignoranza. Se non lo sai già, te lo dico io: parlare è il minimo che io sappia fare. Un drago ha molte più capacità intellettive di quanto pensi.”
Yusei quasi rise fra sé, perché quel tono di voce gli diede l’impressione di trovarsi a parlare con un altro umano. Chissà come mai non ne aveva mai saputo molto di queste creature.
“Ti ringrazio per avermi tirato fuori dai guai. Non ho mai visto un ragazzino spavaldo come te.”
Quello fu forse uno dei migliori complimenti che Yusei avesse mai ricevuto in tutta la sua vita. Non tanto per la spavalderia, ma perché provenisse da una bestia che faceva scappare a gambe levate con un solo sguardo.
“Ma se sei così forte, come hanno fatto quegli uomini a prenderti?” obiettò ingenuamente Yusei.
Il drago parve irritato, come punto nell’orgoglio. “Non avrei dovuto sottovalutarli, ecco tutto.” sbuffò.
“Hanno detto che hanno fatto andare in corto circuito la tua magia.” precisò il bambino.
“Sì, con il giusto incantesimo puoi fare queste cose. Vale per qualsiasi essere magico. Se trovo i maghi che vendono tali aggeggi a quegli sporchi cacciatori, giuro che gli stacco la testa a morsi.”
Yusei pregò mentalmente che suo padre non ne avesse mai costruito uno. Poi si ricordò che suo padre non c’era più, ormai.
“Non mi hai ancora detto che ci facevi fra le mani di quei banditi.”
Yusei indicò lentamente un punto impreciso all’orizzonte: ora che il drago la notava, si intravedeva una zona molto lontana da cui saliva una trasparente colonna di fumo. La lontananza impediva di capire la portata del danno alle piccole case di quel grigio spiazzo.
“Questa notte c’è stato un incendio al Satellite. Vivevo lì con i miei genitori. Mio padre ha cercato di proteggerci, ma lo hanno ucciso, con una spada. Mia madre non è più tornata. Io sono scappato.”
La voce di Yusei era cambiata. Era sommessa, piena di delusione. Il drago sapeva poco di cosa significasse perdere un genitore, ma quella secca descrizione fu sufficiente a riempirlo d’orrore. Se il padre del bambino non era morto per le fiamme, ma per una spada, allora quello non era un incendio casuale, era uno sterminio voluto da uomini a danno di altri uomini. Sentiva il sangue ribollire nelle vene. Gli umani sapevano comportarsi peggio delle bestie più selvagge. Faticava a rammentare un momento per cui avesse percepito stima per loro. I crimini eccedevano di gran lunga le buone azioni, al punto che la creatura si convinse che quella specie doveva essere corrotta nelle radici. Spiegava perché potessero inquinare tutto quello che toccavano.
“Quindi, sei rimasto solo?”
Yusei non si era ancora reso conto del fatto che ora anche lui fosse per definizione un “orfano”. Lui come tanti altri. Lui, che pensava avrebbe avuto la famiglia accanto a sé ancora per tanto tempo. La realizzazione lo colpì con una stilettata nel cuore. Si premette una mano sul petto, come se il colpo fosse stato reale. A pensarci meglio, a lui quel dolore sembrava fisico per davvero.
“Mi dispiace, ragazzo.”
Yusei scivolò in ginocchio a terra.
“Va bene piangere.” Udì nella sua testa la voce di sua madre, come se fosse sott’acqua. “Anche gli eroi piangono qualche volta.”
Lacrime salate scesero sul suo viso tutto sporco, cadendo goccia dopo goccia a terra. Non riuscì a trattenere qualche singhiozzo. La ferita nel suo cuore faceva sempre più male, più pensava a sua madre e a suo padre, alla sua casa e alla sua vita felice, più lo squarcio nel suo petto si allargava.
“Se devi proprio piangere, allora piangi” continuò lei, e Yusei poté quasi sentire le sue braccia che lo avvolgevano con amore. “Assicurati solo di fare qualcosa di più quando ti sarai calmato. Okay?”
Non gli importava nemmeno che il drago lo vedesse così. Lui odiava piangere. Quando cadeva per terra e le ginocchia gli sanguinavano, quando gli altri bambini si prendevano gioco di lui, lui resisteva tenacemente alle lacrime e reagiva. Si era sempre pensato forte, nonostante la sua età. Ma questo era molto, molto peggio di qualsiasi dolore avesse potuto immaginare.
“Io non voglio piangere!” rispondeva sempre a sua madre, “diventerò così forte da non piangere mai più!”
Sua madre gli metteva le mani sul capo, sorridendo. “Beh, forse potrai diventare forte abbastanza per non piangere più per tante cose. Ma non diventare così duro da non riuscire più a provare niente.”
Non voleva più sentire quel dolore. Non voleva sentire nulla. Ma non poteva negare di aver perso qualcosa di prezioso, e pensò che se avesse trovato un modo per non sentire più quel dolore, non sarebbe stato giusto. Se li amava così tanto, non era forse giusto piangere per loro?
 Osò voltarsi verso il drago bianco, gli occhi gonfi e il viso rigato di lacrime.
“Drago… perché gli uomini si uccidono così? T-tu lo sai?” balbettò, la voce strozzata dal pianto.
Stardust avvertì una fitta al cuore. Si era reso conto di non avere risposte valide. Dare un senso a quel dolore non era in suo potere. Evidentemente, gli uomini stessi sapevano restare confusi davanti al male proprio come i draghi. E nemmeno gli uomini sapevano spiegarselo, per quanto paradossale sembrasse. Quelle lacrime innocenti mandavano Stardust su tutte le furie. Nemmeno il drago più cinico e odioso poteva restare impassibile davanti al male consumato a spese di chi non c’entrava niente. Il drago chinò il capo, chiudendo le ali in un cerchio che avvolse protettivamente anche Yusei.
“Sono secoli che me lo chiedo, ragazzo.”
Yusei cercò di ripulirsi il viso con gli avambracci e un lembo della manica logora, confortato dall’ombra di quelle grandi ali. Sembrava un abbraccio. Ma nemmeno il drago lo sapeva, non c’erano risposte davanti al male. Il male c’era, e basta. La mamma gli aveva detto che doveva pensare a reagire, anche quando aveva voglia di piangere. Quando il male era entrato nella sua vita per la prima volta, Yusei era fuggito. Quando il male aveva cercato di attaccarlo di nuovo, in quel bosco oscuro, Yusei aveva reagito. Gli esiti delle due situazioni erano estremamente differenti. Erano queste le sue possibilità: fuggire, o combattere.
“Dai, non piangere più, bambino. Il mio nome è Stardust. Qual è il tuo?”
“Mi chiamo Yusei... Yusei Fudo.”
***

Aki era preoccupata. Mancava poco al ritorno del suo mentore, ed era sicura che se la sarebbe presa se avesse trovato ospiti indesiderati a casa. Ma insomma, si trattava di un’emergenza. L’importante era far sparire ogni prova. A quel che poteva badare aveva già badato, ma forse era il caso di dirlo al cavaliere…
Yusei ormai era abbastanza in forze da camminare senza barcollare più. Stardust era sempre in giro, guardingo, non si fidava di nessuno. Aki portò fuori le lenzuola umide per stenderle. Trovò il cavaliere seduto nel prato, mentre lucidava l’armatura. Alcuni pezzi erano chiaramente da rifare ex novo, ma gambali e coperture delle braccia erano ancora in buono stato, a parte qualche graffio. Dopo che Aki ebbe finito di stendere le coperte pulite, tornò al giardino davanti la casa, e senza farsi notare, si mise a osservare il cavaliere che ora stava calibrando la spada. Non faceva che disegnare lentamente in aria fluide linee curve, come se stesse scagliando fendenti a rallentatore. Non colpiva a vuoto, ma cercava di esercitare il massimo controllo sui movimenti della lama. Aki notò che il cavaliere teneva sempre i piedi distanziati e le ginocchia flesse, e che le mani sull’elsa non si toccavano mai fra di loro. Nulla era lasciato al caso. Qualche colpo fu scagliato più velocemente, ma poiché uno di questi gli sfuggì, perse l’equilibrio, cadendo su un ginocchio. Fu l’occasione per posare la spada e riposare su una pietra vicina.
Aki lo raggiunse poco dopo. C’era una domanda molto precisa che voleva fargli da un po’.
“Yusei, volevo chiederti una cosa da un po’.”
“Dimmi.”
“Tu… hai ucciso molte persone?”
Yusei si voltò interamente in sua direzione. Quella domanda lo aveva preso alla sprovvista. Gli ci volle un attimo per elaborare una risposta sensata.
“Aki, esattamente, perché pensi che sia diventato cavaliere?”
“Non ne ho idea. Alcuni soldati potrebbero volerlo solo per prepotenza. Per poter ferire o uccidere legalmente, diciamo.”
“Ti dico subito che non è per questo. A nessuno piace uccidere. Per quanto esista gente perversa, uccidere lascia sempre un segno.”
Aki guardò in basso. “Allora perché? Perché accetti di uccidere?”
“Per proteggere.”
“Per proteggere? Chi?”
“Chi è più debole di me, ma soprattutto le persone a cui devo la vita. Stardust, Martha, il mio maestro, persino il principe. Molti mi hanno aiutato quando non avevo più nulla, quando ero debole, senza alcun obbligo. Volevo imparare a proteggere me stesso e quelli chi avevo attorno, e per farlo dovevo diventare forte. La cavalleria era la strada che faceva al caso mio.”
“Dici davvero? Ma perdonami, cosa c’è di diverso dall’essere un mercenario? Non so molto delle armi, mi intendo più di magia.”
“Il mercenario ha una motivazione sola: la paga. Di fatto non ha nemmeno bisogno di essere un cittadino della patria che va a difendere. E per quanto mi riguarda, per i soldi non vale la pena rischiare la vita, o ammazzare altri. Sono consapevole del fatto che ogni goccia di sangue versata è una perdita insanabile, una casa lasciata vuota. Ma è per questo che sono diventato cavaliere. Per fermare, anche a costo di versare il loro sangue, quelli che non fermerebbero le loro spade nemmeno davanti a donne e bambini. Con certi uomini non si ragiona, non per nostra, ma per loro scelta.”
“Ma come fai a esserne sicuro?!”
“Ho combattuto abbastanza per riconoscere questi individui. Chi brandisce un’arma per proteggere, come me, non alza mai per primo la spada. Ed è difficile spingerlo al limite. Se dovesse accadere, vincerebbe anche a costo della vita. Se ti facesse una promessa, anche se fosse un nemico, sarebbe leale, perché possiede un onore, una morale. Gli altri fingono di piangere e supplicare per pietà, per poi piantarti un pugnale nel fianco alla prima occasione buona. Sono egoisti che combattono solo per sé stessi e i loro sporchi appetiti, non hanno un’anima da perdere. Di certo non sono rispettabili padri di famiglia.”
Aki non aveva idea del livello di violenza a cui Yusei fosse abituato. All'apparenza, sembrava gestire bene il suo equilibrio mentale, ma se il drago gli era ancora accanto, allora poteva fidarsi anche lei.
“Quindi, la tua motivazione è il voler proteggere quelli che ami?”
“Sì.”
“Continuo a non capire… vale questo amore la morte di qualcun altro, anche se cattivo?”
Il tono di Yusei si fece più duro. “Te l’ho detto Aki, il mio obiettivo non è togliere la vita. Se avessi avuto la forza di brandire una spada dieci anni fa, forse a quest'ora avrei ancora una famiglia.”
Aki abbassò la testa, mortificata. Aveva osato chiedere troppo, ed aveva finito col toccare un nervo scoperto. Si era meritata quel tono ostile. Che vergogna…
“Perdona la mia insistenza, Yusei. Ero solo curiosa, non volevo insinuare cattiverie.”
“Non preoccuparti. Capisco la tua confusione, tu sei una persona buona. Non sarei qui se tu non lo fossi.”
Stardust commentò da lontano: “E non scordarti che se non ti fossi perso nel bosco e non mi avessi trovato, a quest’ora sarei carne magica in scatola. Le prospettive sono importanti, ragazzi.”
Yusei si voltò verso il suo amico corazzato, era riuscito a strappargli un sorrisetto. E aveva rotto quella tensione che aveva cominciato a crescere fra i due. Era davvero un grande amico.
“A proposito, Yusei… non te l’ho detto perché non eri ancora in buono stato, ma fra poco tempo tornerà il mio mentore. Di sicuro non ha idea di quello che è successo, e non so bene come potrà prenderla. Non dovrebbe arrabbiarsi, ma ho preferito avvisarvi adesso…”
“Mentore? Non lo avevi mai menzionato.”
“Ah, beh, lo so… non era una priorità. Ma aveva detto che sarebbe stato via per una settimana circa per alcuni affari, ormai il tempo è quasi scaduto.”
“In tal caso partiremo subito, sto già molto meglio.”
“Ne sei certo?”
“Fidati. Mi sembra solo strano che tu non ne abbia parlato minimamente. Credevo vivessi da sola.”
“È che… è una lunga storia, tutto qui.”
“Se preferisci, non ti chiederò nulla.”
“Sì, per favore...”
Yusei le sorrise. “Aki, semmai dovessi tornare nel regno di Domino, sappi che lì avrai un amico che ti aspetta.”
Aki arrossì, sperando che nascondere il viso fra i capelli magenta la aiutasse a mimetizzare il porpore. Riuscì a balbettare un grazie con suo gran sollievo.
Fu così che dopo averla aiutata a riordinare quanto fosse fuori posto e aver raccolto i propri averi, il cavaliere e il drago si congedarono educatamente e spiccarono di nuovo il volo, inoltrandosi verso la lontana montagna, probabilmente diretti a Domino.
Aki si ritrovò improvvisamente nostalgica. Di tutte le sciocchezze che aveva fatto in vita sua, questa era la più bella. Forse poteva redimerla un poco da quello che aveva fatto in passato. Ma si era lasciata coinvolgere troppo per colpa di una stupida premonizione. Molto probabilmente non li avrebbe mai più visti, fine della storia.
Si appoggiò a uno dei tronchi dei suoi larici. Yusei aveva detto che combatteva per proteggere. Ma lei, per cosa combatteva? Per cosa viveva? Era così grata a qualcuno da rischiare la vita per proteggerlo? Sì, forse il suo mentore corrispondeva alla definizione. Lei lo avrebbe senz’altro difeso da ogni minaccia.
Ma a che pro vivere in un recinto nel frattempo? A che pro lasciarsi morire in un buco dimenticato dal mondo? Agitando le dita, le piante attorno alla sua esile figura germogliarono, e uno stelo verde andò a posarsi dolcemente sulle sue mani. Buffo, nessuno avrebbe mai pensato che un potere come il suo, che riempiva di vita ogni cosa respirasse, fosse capace di uccidere. Lei non meritava alcun amore. Lei aveva ucciso i suoi stessi genitori. Lei non aveva diritto a niente.
Se Yusei l’avesse saputo, di certo l’avrebbe guardata diversamente. Forse sarebbe andato via anche lui, o magari l’avrebbe ritenuta una minaccia e infine uccisa. D’altronde, lui era cavaliere per motivi nobili, lei di nobile non aveva un bel niente. Si era ben guardata dal dirgli di chi fosse in realtà, del fatto che lei non potesse tornare nella città come nulla fosse, di come solo il suo mentore l’avesse raccolta, di come solo lui l’avesse salvata per pietà dopo quell’efferato assassinio. Di come grazie a lui avesse potuto sviluppare in lei quella maledizione che lui chiamava “talento” e controllarla, così che nessuno ne cadesse più vittima come mamma e papà. Anche il suo mentore era un mago, ma meno forte di lei. Si era ripromesso di aiutarla a diventare eccellente nelle arti magiche, perché lei poteva andare lontano, poteva fare mille cose con una magia così potente tenuta sotto controllo. E c’era riuscita, con Yusei. Ma quanto aspettare prima di farne uso per davvero? Quando era pronta a buttarsi di nuovo nei meandri del mondo per ricominciare a vivere?
Era come se tutto quello che il destino l’avesse chiamata a fare fosse stato uno strappo alla regola. Non era ancora ora di andare a conquistarsi la felicità, e invece eccola là, a ridere e scherzare con un tizio del gentil sesso letteralmente caduto dal cielo. Andiamo, quante baggianate.
Aki tese le orecchie. Percepiva vibrazioni magiche. Qualcuno stava arrivando. Si tirò su, correndo nell’erba alta in direzione del nuovo arrivato.
“Sayer! Sei già tornato!”

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Capitolo 4
*** Quoque tu, Brute? ***


Capitolo 4: quoque tu, Brute?
 
 “Il tradimento è comune per gli uomini senza una coscienza.” – Toba Beta
 
 
“Sayer, sei tornato prima del previsto, come mai?” domandò Aki mentre apriva la cigolante porta d’ingresso.
“Perché, non sei felice di vedermi?” ribatté il suo mentore fintamente offeso, adagiando sul pavimento il pesante bagaglio che portava con sé.
“N-no, figurati. Mi chiedevo come mai, tutto qui.” si scusò.
La strega sospirò sollevata. Una manciata d’ore di differenza e Sayer si sarebbe trovato un cavaliere del regno (armato, in effetti) e un lucertolone alto quanto un edificio a due piani nel giardino di casa. Insomma, il suo mentore ammirava molto queste creature mitiche, ma Aki temeva che una sorpresa del genere potesse comunque contrariarlo. Sayer era buono e gentile, ma non sopportava essere preso alla sprovvista.
“Uhm, com’è andata con i tuoi affari?” domandò per dargli conversazione.
“Oh, sarebbe andata alla grande, se solo fosse arrivato il carico che aspettavo. Purtroppo deve essere successo qualcosa ai trasportatori con cui mi ero accordato, e il mio viaggio è stato inutile. Non ho potuto mettere le mani sui cristalli che volevo. Peccato, quel mercante me li avrebbe venduti ad un buon prezzo.”
“Oh no, che peccato! Cosa può essere successo?”
“Non saprei, probabilmente si è trattato di un furto, ma se le voci che mi sono giunte sono vere, dev’esserci stato un sequestro. Sai com’è, pare che al castello mangino magia a colazione, sono insaziabili... quello che mi chiedo è come sapessero che quella banale magia non sarebbe stata venduta regolarmente. Le guardie non sanno distinguere la magia legale da quella illegale. Devono aver ricevuto una qualche soffiata da un mago doppiogiochista, oppure il re ha ordinato di sequestrare qualunque cosa luccichi. Onestamente, non ne sarei sorpreso.” aggiunse, con una vena di disgusto. Sayer non aveva mai avuto simpatie per il re, questo era ben noto ad Aki. D'altronde, era proprio per colpa del re che il suo mentore non fosse più ammesso nella città.
“Mi dispiace Sayer… non ci voleva questa…”
“Già, una vera iella. Ma per fortuna, una cosa sono riuscito a prenderla.”
Sayer tirò fuori dallo zaino un paio di guanti scuri, sembravano dei normali guanti in pelle, ma osservandoli meglio mentre li indossava, sul dorso erano incastonati alcuni dischi di pietra cristallizzata, chiaramente magica, cinque più piccoli in corrispondenza delle nocche, e uno molto più grande al centro, voluminoso ed emisferico.
“Ho fatto pratica con questi, per averli ho dato via anche un vecchio manuale, ma ormai l’avevo imparato a memoria. La buona notizia è che facendo pratica, ho scoperto che funzionano. La cattiva, è che ci vogliono gli incantesimi giusti. Credo che riprenderò presto a studiare.”
“Parli anche di quello strano libro sui draghi che ti ha dato quella sconosciuta?”
“Oh, anche quello.”
“Continuo a non capire cosa te ne fai. Che c’entrano i draghi con te?”
“Beh, non lo so nemmeno io. Ma ormai questa storia ha acceso la mia curiosità, sai come sono fatto. Potrei trovare qualcosa di utile per noi. In fin dei conti, un drago gestisce una quantità di magia che è dieci o addirittura venti volte superiore alla nostra… Oppure chissà, magari un giorno ne incontro uno e ci faccio amicizia!” commentò, ridendo con sprezzo.
L’immagine del cavaliere e di Stardust balenò nella mente di Aki. Quella di Sayer era una battuta tremendamente specifica. Aki fece un paio di velocissimi calcoli, chiedendosi con angoscia se non avesse già scoperto tutto. O se quella fosse solo una banale coincidenza.
“Sai Aki, se fossi un drago intelligente, allontanerei gli umani come la peste. O me li mangerei come spuntino, sempre che siano digeribili.”
Aki era ormai avvezza al sarcasmo di Sayer, ma continuava a pensare che quella del suo mentore fosse una vera e propria frecciatina… ma come poteva essere diretta a persone specifiche? Forse si stava semplicemente facendo troppe domande…
“Ma raccontami di te. Com’è andata mentre ero via?”
Aki si ricordò improvvisamente di non avere una pronta risposta a quella domanda. Ma ormai era troppo tardi, doveva improvvisare. Mentire? O dire tutta la verità?
“Allora?”
Aki girò lo sguardo distrattamente in giro, cercando di non fargli notare la sua esitazione. “No, è stato tutto tranquillo.” Asserì, infine.
“Ne sei sicura?”
“M-ma certo. Perché?”
“È che, sai, mentre venivo qui, mi sono imbattuto in qualcosa di strano...”
Aki cominciò a capire dove volesse arrivare. Si maledisse per l’ennesima volta. “Di che parli?”
“Sai, giusto questa mattina ho attraversato il bosco nero per venire qui, e mi sono trovato davanti a una specie di enorme cratere nella terra. Era incredibile, qualunque cosa fosse atterrata lì, aveva distrutto una quantità indicibile di alberi e scavato un notevole solco nel terreno. Doveva esserci stato un impatto devastante. Ho pensato che questa casa non fosse poi così lontana, anzi, era relativamente vicina a quella voragine. Hai per caso visto cosa è successo?”
“Ecco, dal rumore mi era sembrato solo un grosso lampo caduto a terra…”
Sayer si alzò, ridacchiando sottovoce. “Un lampo, eh? Aki, non c’era bruciature, le ho cercate. Che mi nascondi? Pensavo non dovessi dubitare anche della tua parola.”
Aki abbassò lo sguardo, purpurea dalla vergogna. Sayer aveva ragione, avrebbe dovuto semplicemente dirgli la verità. Lei più di tutti glielo doveva.
“Perdonami Sayer, hai ragione. In effetti è successo qualcosa, vorrei dirtelo, ma promettimi che non ti arrabbi!”
Sayer sospirò sollevato, sorridendo. “Se basta questo, allora non mi arrabbio, prometto. Basta che non mi dici più le bugie in futuro. Mi feriscono molto da parte tua. Non ti ho mai fatto mancare niente.”
“Hai davvero ragione, ti chiedo scusa...”
“Tranquilla, sei perdonata.” le rispose, sedendosi comodamente sulla sua sedia di legno. Accavallò le gambe e incrociò le braccia molto pacatamente, rilassando i tratti del viso. “Raccontami pure tutto dall’inizio.”
Aki prese un lungo respiro. Avrebbe vuotato il sacco, almeno non avrebbe avuto rimorsi, o cose da nascondere. E poi, era impossibile pensare che non si fosse accorta di una catastrofe tale a così poca distanza dalla sua casetta. “Ecco, la verità è che alcune notti fa ho avuto un incubo, ero fuori della città, e qualcuno mi chiamava dall’interno per nome. Come sono corsa a cercare chi fosse, mi sono trovata davanti a un ragazzo, ferito. All’improvviso, un drago enorme e orribile è apparso, e lo ha attaccato. Mi sono svegliata nel panico, sapevo che era una grave premonizione. Era come se qualcuno mi chiamasse lì, subito… così all’alba sono andata in città, per vedere se quella persona fosse davvero in pericolo di vita.”
Sayer la guardava allibito. “Sei veramente andata in città?! Aki, quel posto è pericoloso per te, lo sai!”
“Sì, ma ho preso la mantella di protezione, la gente normale non capisce se hai poteri o meno se non dai nell’occhio. È che ho pensato che se non fossi andata a controllare, non avrei più dormito serena. E magari sarebbe accaduta una qualche catastrofe... Volevo andare e tornare alla velocità della luce, e invece ho trovato per caso una grossa fonte di magia… e proveniva da alcune casse accatastate. Ho scoperto che contenevano scaglie di drago.”
Sayer assottigliò lo sguardo. “Scaglie di drago, hai detto…? Strano.”
“Già… non sapevo la gente le conservasse in quella maniera, pensavo fosse illegale la caccia ai draghi.”
“Lo è, infatti. E poi cosa è successo?”
“Ecco, quando degli uomini sono andati a caricare le casse, mi hanno vista lì attorno, ho avuto paura, e sono scappata.  Ma poi uno di quei due uomini mi ha presa, stavo per usare i miei poteri, ma…”
“Ma…?”
“Ma il ragazzo che avevo visto in sogno è intervenuto all’improvviso. Gli ha piantato un calcio in faccia e li ha stesi tutti e due in un batter d’occhio.”
Sayer scoppiò a ridere. “Seriamente?! Dai, non può essere vero. Non era ferito?”
“In effetti no, ero confusa anche io… alla fine volle sapere cosa era successo. Era un cavaliere, aveva detto che era da tempo che cercava quei carichi illegali.”
Sayer prese a guardare distrattamente i suoi guanti. “Un cavaliere, huh? Che ne sa un cavaliere della magia, o dei draghi?”
“Me lo chiedevo anche io… finché non l’ho visto volare sul dorso di un drago bianco proprio quella notte...”
Sayer spalancò gli occhi. Strinse un pugno, sfregando rumorosamente la stoffa dei guanti. Sembrava che qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco.
Aki notò il turbamento di Sayer. Perché all’improvviso aggrottava le sopracciglia?
“Continua, Aki. Cosa c’entra tutto questo con quel cratere?” la invitò, più serio di prima. Sembrava inquieto, ma cercò di calmarsi.
“È che quella notte ho visto ben due draghi che combattevano, proprio sopra al bosco nero, qui vicino, e c’era un cavaliere su entrambi! Alla fine quello bianco è precipitato, mentre l’altro è volato a terra in direzione opposta. Il cratere è stato causato proprio dal drago bianco. Così sono andata a vedere se fosse ancora vivo… e ho trovato il cavaliere, gravemente ferito, stava morendo. Come nel sogno. Anche se il drago nero era diverso…” aggiunse, tenendosi il mento sovrappensiero.
Sayer continuava a ridacchiare sommessamente, coprendosi gli occhi. Forse trovava le coincidenze divertenti. “E tu cosa hai fatto?”
“Ecco, ho pensato che dopo quel sogno, e dopo quello che era accaduto in città, nulla ormai era una coincidenza. Anche il drago mi ha vista e mi ha chiesto di aiutarlo. Lui stava bene perché aveva una capacità di auto rigenerazione impressionante… Quindi ho guarito il cavaliere con i miei poteri. E ci sono riuscita, Sayer! Non pensavo la mia magia avesse fatto progressi del genere!”
‘Questo è un dannatissimo scherzo…’
“Quindi sono sopravvissuti? Notevole. Tutto merito dei miei consigli, suppongo.” aggiunse, con una punta di acidità.
“Beh, sì… lo sai che senza di te non sarei nemmeno qui. Te l’ho sempre detto, Sayer.”
“Questo è vero. Ma perché volevi nascondermi tutto questo?”
“È che era un peccato che una creatura che tu ammiravi così tanto fosse arrivata così vicino a questo posto, e che tu non fossi con me… e poi mi avevi detto che odiavi molto il regno, e un cavaliere in casa non era proprio il massimo...”
“Aspetta un attimo. In casa?!”
“Beh, sì… in effetti l’ho portato qui, perché aveva perso tanto sangue e non sapevo rimediare a quello… ho potuto solo ricucire insieme i tessuti… ho avuto paura per lui, era debole, non era ancora perfettamente guarito, così l’ho fatto riposare qui per un po’. In fondo, non poteva essere una minaccia in quello stato, avrei sempre potuto difendermi. E il drago era così buono…”
“Quindi sono stati qui?! Hanno visto questo posto? Aki, io sono un esiliato! Nessuno deve sapere che vivo qui! Anche tu sei in pericolo!”
“Ma Sayer, questa casa è nascosta dalla magia, non la si può trovare senza il nostro permesso! E di qui passano solo gli scoiattoli! Quel drago e quel ragazzo non torneranno mai più! Che problema c’è?!”
“Il problema? Scherzi?!” Sayer si alzò in piedi, sembrò sul punto di esplodere in una sfuriata, ma si bloccò, e con un ampio gesto delle braccia, espirò lentamente, prima di tornare sorprendente calmo. Si voltò senza guardare Aki direttamente.
“Allora, fammi capire bene. Prima metti a rischio la tua incolumità, senza che io ne sappia niente, mettendo piede in una trappola a cielo aperto, poi avvicini un drago, e mi riporti a casa un cavaliere del re… devi essere totalmente impazzita. Oppure il fato ha deciso di giocare a me un brutto scherzo, e a giudicare dagli eventi, deve avermi preso di mira molto, molto personalmente.”
Aki guardava a terra, purpurea dalla vergogna. Sayer non aveva torto. Non capiva bene il commento sul fato, ma quello che diceva sui rischi che aveva corso aveva perfettamente senso. Allo stesso tempo, doveva ammettere che in tutta onestà, non si era pentita delle sue azioni. Lei aveva salvato la vita a un’altra persona. Un ragazzo così buono e nobile poteva non essere più al mondo, e lei non sopportava l’idea che sarebbe stato meglio lasciarlo morire quella notte. Di gente come Yusei ce n’era un disperato bisogno, ecco la verità. Tuttavia, aveva tradito la fiducia di Sayer, e capiva perfettamente il suo punto di vista. Avrebbe dovuto salvare la pelle al cavaliere e lasciarlo infine al drago ancora così fragile e farsi gli affari suoi? Forse, era un’idea. Magari era il giusto compromesso. Ma se fosse morto comunque, magari per complicanze che poteva prevenire tenendolo d’occhio, se lo sarebbe potuto perdonare?
“Hai ragione, Sayer. Mi sono lasciata condizionare, avrei dovuto essere più prudente. Non posso che chiederti scusa. Potrai perdonarmi?” supplicò umilmente.
Sayer si alzò dalla sedia e si accostò alle vetrate colorate senza dire una parola. Guardava i verdi rami degli alberi pensieroso. Aki osservò la sua ombra, il suo folto ciuffo mogano, la veste curata e brillante, le spalle rilassate. Il suo mentore una volta apparteneva ad un casato nobile, e ancora si poteva intuirlo dal portamento, e Aki trovava una vera ingiustizia che il re lo avesse esiliato solo perché aveva cercato di denunciare un fatto di corruzione. La vita era stata dura con lui, ma Sayer non si era perso d’animo. Aki lo ammirava molto per questo. E sin da quando era avvenuto quel tragico incidente, lui si era preso cura di lei per compassione, e le aveva anche insegnato a controllare la magia. Aki doveva solo essergli grata, e sperare che i suoi guai non fossero senza rimedio. Ma lei lo conosceva bene ormai, alla fine sarebbe stato clemente, e avrebbero pensato insieme a una soluzione, come avevano fatto sempre. Almeno era questo che pensava, finché non avvertì una ventata di oscurità provenire da lui. Bastarono pochi secondi a farle accapponare la pelle e a spingerla lontano da lui. Si chiese se quella percezione fosse reale.
Il suo mentore si voltò, sollevando leggermente una mano. I dischi di cristallo sui suoi guanti si riempirono di luce sfolgorante nella penombra della stanza.
“Dovrei? Dovrei perdonarti, Aki?”
 
***
 
Yusei e Stardust non erano ancora tornati nel regno. In realtà, i due erano ancora alla ricerca del drago misterioso, ma il bestione piumato sembrava essere sparito nel nulla. Nel bosco nero ormai non ce n’era più traccia, Stardust aveva fatto abbastanza giri di perlustrazione durante la convalescenza di Yusei per accertarsene, e il cavaliere e il drago si erano ritrovati con un pugno di mosche in mano. Non solo avevano perso il vantaggio su un nemico ferito -che si era dimostrato estremamente temibile- ma non avevano scoperto nulla su di lui, né chi fosse né cosa volesse, e per quanto ne sapevano avrebbe potuto attaccare il regno da un giorno all’altro, e nulla assicurava che Yusei e Stardust sarebbero stati lì per impedirlo. Così i due si accordarono per un ultimo giro prima di tornare a far rapporto dal principe, sperando di ottenere nuovi indizi lungo la strada.
“Eppure l’avevo preso in pieno…” bofonchiò il drago, infastidito. La sconfitta gli bruciava più di quanto volesse ammettere.
“Evidentemente non così in pieno da buttarlo giù nel bosco. Dev’essere arrivato al lago, mi pare che è parecchia strada per un drago ferito…”
“Io sono sicuro di quello che ho visto, tu eri già svenuto a quel punto.”
“Primo, non è vero, me lo ricordo che stavamo precipitando, secondo, scusa se non ho le ali e una corazza infrangibile!”
“Allora piantala di provocarmi. Non sono dell’umore.”
“Non cambi mai, Stardust. Spero che questa storia ti insegni a perdere...”
“Col cavolo. Mi prenderò la rivincita, stanne certo.”
“D’accordo. Ma per vincere, dobbiamo trovarli. Scendi al lago se puoi, voglio dare un’occhiata in giro.”
Il drago annuì, perdendo costantemente quota, sorvolando tutti i larici e i salici che affollavano la radura. Yusei doveva ammettere che la vertigine del volo non fosse la parte che amò di più dei suoi primi giretti con Stardust, ma finì col prenderci gusto, finché non ne ebbe più timore. Stardust probabilmente se n’era anche accorto. Non che il drago avesse da lamentarsi, in fin dei conti anche lui aveva un debole per le acrobazie aeree…
Quando ormai giunsero sulle sponde del lago, Yusei scese cautamente sulla breccia della costa, flettendosi sulle ginocchia per attutire al massimo l’atterraggio. Un vago giramento di testa lo colse ancora, costringendolo ad appoggiare una mano a terra. La nausea si affievolì considerevolmente dopo una manciata di secondi. Si consolò considerando che poteva essere messo molto peggio.
Adagiò sovrappensiero la mano libera sull’addome. Era davvero assurda la coincidenza che gli aveva salvato la vita, e in maniera così miracolosa poi. Si chiese se non esistesse qualcosa di prestabilito, una specie di storia già scritta in qualche libro… Ma rifiutò l’idea, perché quello rendeva la sua libertà inutile. Era più il tipo da pensare che quel genere di libro venisse scritto pagina per pagina fino all’ultimo dei suoi giorni, vivendo il presente. Ma non riusciva a smettere di pensare alla ragazza che profumava di rose. Con i poteri che aveva, era in grado di aiutare una quantità sconfinata di persone, eppure per colpa dei pregiudizi e della malafede della gente comune preferiva rimanere distaccata dal mondo. La trovava un’ingiustizia, oltre che uno spreco. Ma probabilmente non si sarebbero più rivisti. A meno che lui stesso non decidesse di farle una visita per il gusto di farlo. Certo che poteva, ma poi chi lo sentiva Stardust? Di farsi prendere in giro non ne aveva proprio voglia.
“Yusei, mentre scendevamo qui, ho notato degli avvallamenti anomali sotto la superficie dell’acqua. Credo che quel drago sia atterrato davvero nel lago, ma poi non ha lasciato più tracce. E non ci sono scie magiche abbastanza recenti per seguirle. Non capisco…Eppure non poteva sparire nel nulla… che razza di trucco c’è dietro?!”
 
***
 
Aki fece due passi indietro. Sayer non poteva fare sul serio, era semplicemente impossibile.
“Sayer…?”
Il mago non rispose. Continuava a fissarla, ma non abbassava la mano. Anzi, l’energia oscura continuava a crescere attorno a loro, e Aki si chiedesse se avesse davvero intenzione di attaccarla, o se quello fosse una specie di test, uno delle sue peggiori trovate per inaugurare una sessione di allenamento non programmata.
“Aki, tu non sai proprio niente.”
“Che vuoi dire? Cosa non so?” chiese lei, confusa. Teneva i palmi delle mani aperti verso terra, pronta a colpire a sua volta. Almeno in questo si era esercitata per bene.
“Non sai niente, e basta. Da questo momento in poi, ogni cosa cambierà per te e per me.”
“Sayer, di che diavolo stai parlando?! Mi fai paura così! Spiegati!”
“Sto dicendo che è finita la messa in scena. Addio, Aki.”
Sayer alzò il palmo della mano, come per scagliare un attacco magico. Aki richiamò delle robuste piante che spaccarono gli assi del pavimento, puntando al braccio e al collo di Sayer, ma si fermarono ad un centimetro appena dalla sua carne: Sayer non stava attaccando. Era rimasto immobile come una statua, fissando Aki, sicuro di sé. Alla fine abbassò la mano, spegnendo il marchingegno sul guanto.
“Hah! Ci sei cascata!” rise, indicandola.
Aki sbatté le palpebre, estremamente confusa.
Non posso crederci, guarda la tua faccia!” esclamò, battendo le mani sulle ginocchia a furia di risate. Una reazione assolutamente atipica, quasi inquietante, ma Aki doveva ammettere che fosse molto sollevata. Le piante si ritrassero lentamente sotto le assi di legno del pavimento, ormai in frantumi. Sayer rideva di gusto e Aki non poteva credere ai suoi occhi. Non pensava che il suo mentore fosse in grado di fare scherzi del genere, a dire il vero. Non erano di buon gusto, ma era la cosa più divertente che Sayer si fosse mai sforzato di fare. Anche Aki cominciò a ridere.
“Sayer, che paura che mi hai fatto! Per un attimo ho pensato che mi avresti attaccata davvero!”
Sayer riprese fiato, tenendosi una mano sul petto. La trovata era stata esilarante. “Oh Aki, suvvia, come potrei?”
“Ah, lo sapevo che non mi avresti fatto mai del ma-!”
Una saetta bianca centrò Aki nel petto. Troppo veloce, troppo improvvisa, troppo meschina. Aki non poté reagire. L’attacco la prese in pieno. E la ragazza fu avvolta da una bolla di luce.
Qualunque fosse l’energia che le turbinava attorno e che le attraversava la carne, non bruciava, non distruggeva, ma soffocava. Quella specie di luce la stava prosciugando dalle viscere. Ogni rumore le giungeva ovattato, ma vedeva carte volare ovunque, nella casa era scoppiato il caos, e Aki non sentiva più i piedi toccare il suolo, forse era stata sollevata in aria, ma quel raggio di magia cristallina era così potente da tenerla sospesa senza sforzo, nonostante si agitasse come un’anguilla. Tentò di urlare, emettere un suono, qualunque suono, ma una mano invisibile la stava strangolando, le mancava l’aria, le mancava la magia, stava perdendo sempre più forze, il suo corpo pareva collassare e la sua vista si annebbiava sempre di più… cercò di richiamare dei robusti rovi per difenderla, ma la magia non funzionava, e il suo cuore batteva sempre più faticosamente, mentre la sua vista si annebbiava. Una sola domanda risuonava nella sua mente, “Perché, perché Sayer?” ma con un ultimo tremendo sforzo, richiamò un virgulto dalle viscere della terra. Non fu sufficiente per attaccare, ma fu utile per scombussolare il flusso di energia, che deviò verso l’alto, sfondando gli assi di legno e la paglia del tetto che piovve ovunque. L’incantesimo si interruppe bruscamente. Aki cadde a terra come morta, mentre il germoglio svanì come polvere.
Sayer barcollava. Fu costretto a cadere su un ginocchio, pur di non andare al tappeto. Vene e nervi erano a fior di pelle, e le sue braccia tremavano dallo sforzo. Dalla veste saliva una specie di vapore. Le mani andavano a fuoco. Aveva il fiatone. Maledisse Aki per aver reagito quando la sua resistenza era già tanto vicino al limite. Quella magia aveva scatenato il finimondo dentro e fuori la casa, il vento aveva spaccato i vetri e la luce era salita fino in cielo creando un buco in mezzo al tetto, ma a lui non importava.
Alla fine il giorno della “mietitura” era arrivato. Aki non ne sapeva nulla, non poteva saperne nulla. Lei era la sua arma segreta, la sua scorta segreta di magia, ma lei non doveva saperlo. Doveva fidarsi così ciecamente di lui da non sospettare nulla fino al momento opportuno. Per questo aveva rubato i suoi veri ricordi, rinchiudendoli nell’amuleto che portava sempre appeso al collo, e sostituendoli con edulcorati surrogati, in cui lui fosse il buono della storia, e lei la cattiva, graziata dal salvatore. Ma le cose erano cambiate da quando era riuscito a impossessarsi del libro dei draghi, grazie a quella misteriosa profetessa dai capelli biondi. Aki ormai non gli era più utile, e gli ultimi eventi avevano giocato contro i suoi stessi piani. Ormai era ora di agire. Qualcuno stava cercando di mettergli i bastoni fra le ruote, specialmente il cavaliere, e lui lo avrebbe impedito a tutti i costi.
Cercò di rialzarsi, ma le giunture non collaboravano. Assorbire tutta quella magia era stato un rischio che non avrebbe dovuto accettare, non tutto in una volta. Infatti non aveva potuto finire il lavoro. Aki era ancora viva, e questo voleva dire che c’era ancora un filo di magia in lei. Ma Sayer poteva a malapena muoversi, una sola goccia magica in più e sarebbe stata la sua fine. Doveva aspettare che quella già assorbita si uniformasse a quella che già possedeva. Una volta in circolo, il suo salto di livello sarebbe stato consolidato. Non per niente, quei guanti contenevano pietre buie. A furia di studi e ricerche, le aveva trovate. Nemmeno quel venditore rincretinito aveva idea di cosa tenesse fra la merce. Non esisteva mezzo migliore per assorbire magia da fonti esterne, quello che sorprendeva Sayer era che nessuno avesse mai pensato di usarle in quel modo. Una risorsa del genere rendeva inutile persino reperire scaglie o denti di drago. Ma adesso, la musica cambiava.
 
***
 
Stardust e Yusei fissavano attoniti le nubi concentriche formatesi improvvisamente vicino le montagne. Una colonna di luce lontanissima aveva squarciato il velo azzurro del cielo, come un lampo, per poi svanire con un boato lontano. Ma i lampi cadevano dall’alto verso il basso, e non il contrario. Non ci volle molto affinché il cavaliere e il drago calcolassero il punto di provenienza. Si scambiarono uno sguardo preoccupato. Quel bagliore proveniva dalla casa della loro amica strega.
“Stardust, hai visto anche tu…?”
“Sì. Guarda cosa ha fatto alle nubi. Ho una pessima sensazione, Yusei.”
 “Cosa pensi sia successo?”
“Aki non mi pare sia un’alchimista dedita a sperimentazioni artistiche o pericolose. Non credo sia stata lei.”
“Ho una pessima sensazione anche io. Andiamo a vedere.”
Il drago annuì.
 
***
 
Aki giaceva sulle assi del pavimento come una bambola gettata via, le vesti bruciacchiate, pallida e cadaverica, ma un lieve movimento del petto confermava che in lei ci fosse ancora respiro. Sayer era riuscito a malapena a rimettersi in piedi. La sua strega era sopravvissuta, e questo Sayer non poteva permetterselo. Ma in quel momento non poteva fare nulla, la magia che aveva in circolo era troppa pure per muoversi, e il suo corpo non la tollerava bene. Scagliare un attacco era fuori questione. C’era sempre il vecchio metodo, quello più violento. Gola tagliata e via. Se la sarebbe presa con calma. O almeno così pensava di fare, quando improvvisamente udì il ruggito di un drago riecheggiare in lontananza.
Drago. Forse era quel drago. Magari con quel cavaliere. L’incantesimo era deviato verso il cielo. Loro sapevano dove abitasse Aki. Evidentemente erano nei dintorni, e Sayer non lo sapeva. Doveva andarsene subito.
Afferrò con immane sforzo prima il libro dei draghi rimasto sul tavolo, poi la sua mantella anti-aura. Era un utile trucco per nascondere la sua energia magica, poiché il mantello era composto anche da fibre schermanti molto speciali e rare. Nessuno si sarebbe accorto di lui, non ora che era vulnerabile, e questo era tutto quello che gli serviva al momento. Non aveva tempo per uccidere Aki, pazienza. Anche se si fosse ripresa, ci avrebbe messo un’eternità a recuperare i suoi poteri. Adesso era perfettamente paragonabile ad un’umana qualunque. Insomma, disgustosamente inutile e vulnerabile.
Uscì arrancando malamente fuori dalla casa, il libro gli cadde dalle mani più volte. Si era allontanato di circa duecento passi quando il drago posò le zampe a terra.
Lo tenne d’occhio cautamente dai cespugli. Il tremore dei muscoli non ancora gli passava, e i suoi sensi erano ancora storditi. I draghi erano bravi a scovare tracce di magia, ma non erano cani, il loro fiuto e udito erano ottimi, ma non così ottimi.
Sayer udì una nuova voce, maschile. Doveva trattarsi del cavaliere di cui gli aveva parlato Aki. Che ironia. E così quell’insofferente ragazzino era diventato un cavaliere, e il drago era rimasto amico suo per tutto quel tempo. Sembrava una favoletta per bambini creata apposta per fargli saltare i nervi. Di tutte le possibilità, i suoi corrieri dovevano proprio imbattersi in quel cavaliere… e la sua stessa streghetta, il fiorellino che aveva curato con tanta attenzione e fatica, aveva ben pensato di salvargli la pellaccia. Che scherzo crudele del fato. Ma Sayer era paziente, avrebbe aspettato. Dopo di che, nessuno sarebbe stato al sicuro. Nessuno. Nemmeno quel lucertolone a quattro zampe.
 
***
 
Yusei aveva visto il tetto distrutto dall’alto. Stardust fu l’unico a notare che non esisteva più il velo di magia che nascondeva la casa. Quando arrivò, Yusei ebbe l’impressione che in quella casa fosse passato un uragano. I vetri erano rotti e sparsi ovunque, la porta spalancata. Si precipitò all’interno. Quando fu dentro, si trovò davanti ad uno scenario ancora più catastrofico, e Aki giaceva al centro della stanza, inerte. Yusei pregò fra sé e sé di non essere arrivato troppo tardi. Si inginocchiò accanto a lei, sollevandola delicatamente da terra. Aki respirava ancora, ma era pallida e debole. Qualche vetro volante l’aveva anche ferita qua e là sul corpo, ma per il resto pareva essere tutta d’un pezzo. E nessuno sembrava aver approfittato del suo stato vulnerabile, per fortuna. Era solo incomprensibile cosa diavolo fosse potuto succedere lì dentro…
“Aki? Aki, riesci a sentirmi?” la chiamò ansiosamente. Le scosse leggermente le spalle, ma non reagiva. Stardust li scrutava dall’esterno, silenzioso. Yusei insistette, chiamandola per nome, stringendole le spalle, finché non notò le dita della ragazza muoversi appena. “Aki! Aki, stai bene?”
Aki aprì a malapena gli occhi. Tutto era annebbiato. Qualcuno la chiamava e le stringeva una spalla saldamente. Ma lei era stanca, e voleva solo dormire.
All’improvviso, in un principio di pensiero cosciente, il sinistro sorriso di Sayer le balenò davanti agli occhi. Bastò poco perché Aki ricordasse ogni cosa. Pregò che fosse solo uno scherzo della sua mente esausta, un’invenzione di pessimo gusto dei meandri più tetri del suo cervello. Ma come ritrovò la sensibilità del suo corpo, si accorse di essere stesa a terra, dolorante, aveva la gola secca e davvero qualcuno la stava chiamando. Cercò di mettere a fuoco il suo volto. Quegli occhi blu erano familiari…
Ma certo, era il cavaliere gentile…
“Aki, cos’è successo?” insisteva, come se avesse fretta di sapere. Ma lei era esausta, e di andare di fretta non se ne parlava proprio.
Aki si sforzò di rispondergli, davvero. Ma prima che fosse in grado di pronunciare qualunque parola, due calde lacrime le rigarono il volto. Inutile negarlo a sé stessa, i ricordi erano ormai nitidi. La verità la sapeva.
Il suo amato Sayer l’aveva attaccata e quasi uccisa. E lei non sapeva nemmeno perché.
“Aki… chi è stato?”
La ragazza tentò di articolare suoni coerenti, ma la verità era che non riusciva nemmeno a pronunciare il suo nome. Il pianto le stringeva la gola. Il suo mentore, il suo salvatore, il suo migliore amico l’aveva crudelmente tradita. Se c’era una persona di cui lei era convinta potesse fidarsi, così come un bambino si fida di un adulto intelligente, era Sayer. E ora il suo beneamato custode era diventato il suo stesso carnefice. Il cuore le faceva male come se qualcuno l’avesse fisicamente pugnalato. Non immaginava che il tradimento fosse così doloroso. Così come non immaginava di diventarne vittima, un giorno.
Aki pressò il viso nella spalla del cavaliere, in un vano tentativo di far sparire le lacrime. “A…Andiamo via… ti prego…” singhiozzò, esausta. Ormai pensava solo a quanto volesse andarsene. Scomparire, nascondersi per il dolore e la vergogna di essersi fidata così tanto di un uomo che evidentemente aveva avuto secondi fini sin dall’inizio. Lei non sarebbe rimasta un minuto di più in quelle quattro fatiscenti mura. Pareti che mai l’avevano protetta, piuttosto, ingabbiata fino al momento opportuno.
Yusei era d’accordo: doveva portarla via di lì. Le domande poteva farle in un secondo momento. Ma dove portarla? Forse da Martha? Era vero che lei si trovasse nella città, ma almeno lì non avrebbe corso rischi.
Aki sentì il suo corpo venir sollevato da terra come fosse una piuma. Strano, era convinta di essere pesantissima. A meno che il cavaliere non avesse sviluppato nottetempo una forza erculea, lei non era nemmeno in grado di fidarsi dei suoi sensi. Perché quella pesantezza? Perché si sentiva così prosciugata? Forse era sopravvissuta, ma cosa c’era di diverso nel suo corpo? Cosa le aveva fatto Sayer?
Quando Aki aprì gli occhi di nuovo, Yusei la stava adagiando sul prato. Stardust li attendeva, sdraiato sul ventre. La fissava intensamente. Aki si chiese se fosse cambiato qualcosa nel suo aspetto. Perché il drago la scrutava così? Magari era cambiato il colore dei suoi capelli?
“Aki, come ti senti?”
La strega cercò di raddrizzarsi. Un po’ di forze erano tornate, ma era ancora intorpidita e stanca. Quando però guardò meglio il drago, la ragazza spalancò gli occhi dall’orrore. Si girò su un fianco, ignorando Yusei, e tastò freneticamente l’erba con le mani, come se avesse perso un oggetto. Attese senza fiatare, passarono diversi secondi in completo silenzio, ma non succedeva nulla. Ed era proprio questo il problema: Aki non vedeva più la magia da nessuna parte. Il drago non brillava più, la terra era spenta e fredda. Cercò di far crescere una piantina, ma solo con tremendo sforzo riuscì a far nascere un esile trifoglio. Poi nulla più. C’erano solo quelle tre fragili foglioline e un silenzio assordante a rispondere alla sua angoscia.
Stardust aveva capito, con suo orrore. Qualunque cosa le fosse successa, Aki non aveva più magia nelle vene. Una goccia, non di più.
Aki si mise le mani fra i capelli, la bocca spalancata in un muto grido. Stava di nuovo piangendo. I singhiozzi divennero rantoli d’angoscia. Yusei allungò una mano ma non la toccava, la guardava addolorato e confuso chiedendosi cosa fare, finché Stardust non lo avvisò telepaticamente. Poi anche lui capì. E desiderò di poterla abbracciare per consolarla. Ma non osava avvicinarsi.
Cautamente, sfiorò la spalla di Aki, ma lei scacciò via la sua mano. La ragazza si alzò rapidamente sulle gambe per andar via, ma dopo qualche passo cadde di nuovo clamorosamente a terra. Yusei non si avvicinò molto, ma rimase all’erta. Era impotente davanti a un dolore così grande.
Aki era inconsolabile. Affondava le unghie nella terra, la stringeva, tanto forte da strappare l’erba, ma nessuna magia scorreva fra le sue dita, niente attorno a lei brillava, niente cresceva. Il mondo era diventato un deserto arido.
Il sole calava sul profilo delle montagne, mentre le nuvole divenivano color porpora, come quello dei capelli di Aki. La ragazza alzò il viso rigato dalle lacrime, gridando al cielo tutta la sua disperazione.
Quando non ebbe più voce per urlare, si afflosciò su sé stessa, esalando deboli sussurri. “Ridammeli… ridammi i miei poteri… ridammi la mia magia… ridammi la mia anima…” mormorò, fra le lacrime, come sul punto di svenire di nuovo. Quando parve più calma, Yusei si accostò a lei, sfiorandole cautamente la spalla, chiamandola dolcemente per nome. Aki si voltò, i suoi occhi gonfi di pianto. Cercò di rialzarsi, ma solo per buttare il viso nella spalla del cavaliere, appendendosi al suo collo. Yusei la tirò un po’ su, stringendola finalmente forte a sé. In un altro momento, avrebbe potuto notare che quella che aveva tra le braccia era una giovane e bella ragazza. Ma questo no, non era proprio il momento giusto. A lui importava solo darle conforto, come persona. Aveva fra le braccia una creatura vulnerabile e fragile come porcellana. E lui era un cavaliere, con un compito molto semplice: proteggere chi è più debole.
Aveva il cuore in fiamme. C’erano così tante emozioni contrastanti nel suo petto che il suo corpo quasi tremava. Voleva portarsi via quel dolore ingiusto e atroce, toglierlo dalle spalle di lei ed estinguerlo nelle sue fiamme, voleva fare giustizia contro chi le aveva fatto questo, voleva togliere di mezzo una volta per tutte chi era causa del dolore di un innocente. Se c’era una cosa che non riusciva a spiegarsi, né accettare, era il dolore di chi non aveva fatto nulla per meritarselo. Se odiava il mondo, era perché esisteva il dolore di chi non aveva colpa. Era anche l’unica cosa in grado di farlo reagire con rabbia, di rompere le catene che costituivano il suo autocontrollo, di cui per altro andava molto fiero. Tuttavia, questo era il suo punto debole, e lui lo sapeva benissimo. Ma era anche il suo punto di forza, in un certo senso. Era per proteggere le persone come Aki che la sua esistenza acquistava un senso. Nessuna delle persone che difendeva era santa, sicuramente nemmeno Aki, ma lei si era fatta in quattro per lui quando era debole e vulnerabile. Gli aveva salvato la vita, santo cielo! Era una motivazione più che sufficiente per prenderne le difese, strega o non strega. Questo forse spiegava perché nutrisse sentimenti così forti e contrastanti verso di lei.
“Mi dispiace tantissimo, Aki. Avrei voluto essere rimasto con te, forse nulla di tutto questo sarebbe successo.”
“Non potevi saperlo Yusei, nemmeno io potevo...” cercò di rassicurarlo Aki, ma Yusei poteva vedere che era esausta persino per parlare.
“Non sforzarti, Aki. Ascoltami soltanto. Voglio aiutarti. Se a te va bene, Stardust può portarci in un posto sicuro, dentro il regno. Te la senti di venire con me?”
Aki annuì debolmente. Il pensiero di raggiungere un posto tranquillo, magari una bella casetta con un bel letto soffice, era abbastanza per tirarla su di morale. In tutta onestà, aveva solo voglia di fiondarsi sopra un materasso qualunque e piangere il resto delle sue lacrime, e magari sparire dal mondo per sempre.
“Ormai non ho più una casa, Yusei. Dovunque tu andrai, ti seguirò.”

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Capitolo 5
*** Un tuffo nel passato ***


Capitolo 5: un tuffo nel passato
 
“Non incontriamo mai persone ordinarie nelle nostre vite.” ― C.S. Lewis
 
“Stardust, tu quanti anni hai?” domandò Yusei seduto su una zolla d’erba verde.
“Tu quanti anni mi daresti?” domandò il drago abbassando il muso in sua direzione.
“Ehm… 30?”
“Oh, magari. Purtroppo ne ho molti di più.”
“Cioè quanti?”
“Ho ben 350 anni!”
“Oh! Ed è tanto per un drago?”
“Beh, non proprio. Un drago può arrivare a mille anni, sono ancora giovane!”
“Oh…”
“Devo insegnarti ancora tanto, eh?”
Yusei annuì, sorridendo sereno. Il bambino e il drago erano seduti lungo un fiume circondato da piante rigogliose, ricco di bacche e piccoli frutti che Yusei aveva imparato a riconoscere uno ad uno per nutrirsi. Aveva scoperto una grande passione per le more e i mirtilli. Coi funghi non se la cavava ancora tanto bene, doveva importunare spesso Stardust per essere sicuro di riconoscerli, ma stava imparando. Alcuni erano commestibili già crudi, il che non gli dispiaceva. Gli evitava l’onere di dover cercare legna e sassi per il fuoco. Ad ogni modo, stava diventando un cacciatore provetto.
Erano passate diverse settimane dal loro primo incontro, ormai. Stardust ci aveva provato a riportarlo in città, magari da quella “Martha” che Yusei aveva nominato. Ma il ragazzino non ne voleva sapere di separarsi da lui. “Aspetta almeno finché non imparo a sopravvivere da solo nel bosco”, gli aveva chiesto. “Solo tu puoi insegnarmelo”, aveva aggiunto. “Imparo in fretta”, aveva assicurato. “Non mi sento pronto ad incontrare persone che non conosco… di te invece mi fido”, aveva confessato.
Il drago non riusciva a biasimarlo. In fin dei conti, era solo un bambino. Fra l’altro, era di indole piuttosto introversa, calma e obbediente. Stardust era abbastanza sicuro che fosse una cosa piuttosto rara per gli umani. E considerando quanto avesse passato, era sorpreso che non avesse perduto il controllo di se stesso. Però era ancora troppo sicuro di sé quando si avventurava nel bosco. Era capitato che avesse avuto la malaugurata idea di ficcare la testa in un largo buco sotto ad un pino prima di rendersi conto che fosse la tana di un tasso… Stardust lo aveva tirato via di lì con i denti prima che la bestiola potesse aggredirlo, ma non poteva di certo fargli da guardia ogni minuto, non era un baby sitter, e nemmeno un genitore!
Eppure, dopo tanti mesi passati in religioso silenzio, Stardust doveva ammettere che era bello avere qualcuno con cui parlare un po’. I draghi erano fondamentalmente creature solitarie, interagivano fra loro raramente. La compagnia faceva bene ai draghi come agli uomini. E Stardust non si era più annoiato da quando il ragazzino gli trotterellava attorno. Cosa che lo aveva rallegrato più di ogni aspettativa. La noia non la sopportava. Secoli di noia da vivere non erano quello che voleva, in un certo senso gli facevano paura. Per questo aveva acconsentito a tenerselo attorno. E poi, proteggere altre creature più piccole gli riusciva bene. La sua stessa magia lo rendeva lo scudo vivente perfetto. Questa consapevolezza gli dava un senso di scopo, di completezza. Perché la sua pelle poteva guarire, ma quella degli altri no.
“Ehi Stardust, gli altri draghi sono tutti come te?”
“Come me? Che intendi?”
“Parlano tanto?”
“Ehi! Non parlo così tanto! Ma comunque, se intendevi pacifici, non proprio, non tutti.”
“Ci sono draghi cattivi?”
“Cattivi è una parola grossa... alcuni sono molto arrabbiati con gli umani.”
“Arrabbiati?”
“Beh, sì. Gli umani fanno cose brutte a tutte le creature, si uccidono perfino tra di loro. Lo sappiamo bene sia io che te, con quello che ci è capitato.”
Yusei si toccò il mento sovrappensiero. Era proprio vero. Si voltò, alzando gli occhi blu verso Stardust.
“Allora anche tu odi gli umani?”
Il drago rise.
“Nah, solo alcuni. Tipo quelli che hanno bruciato il tuo villaggio, quelli me li mangerei in un sol boccone.”
“E quelli come me?”
“Quelli come te li uso come stuzzicadenti quando ho finito coi primi.”
“Eddai, Stardust!”
Il drago rispose con un buffetto di coda sulla schiena del bambino, emettendo una vibrazione simile ad una risata.
Il ragazzino decise di rifugiarsi all’ombra delle ali del suo amico e di stendersi un po' a riposare. Era il suo angoletto preferito per dormire. Lì niente lo poteva ferire. Non era come le braccia della mamma, ma di sicuro il meglio che aveva in quel momento. Era molto grato al drago per questo. E poi stava bene vicino a lui. Lo sentiva persino nel suo corpo. Il suo cuore malinconico gli sembrava più leggero, si sentiva rilassato e quando dormiva si risvegliava forte e di buon umore. Forse era merito della magia. Non riusciva a pensare di separarsi da lui, almeno non per il tempo presente. Sì, un giorno sarebbe tornato nella civiltà, ne aveva comunque bisogno, ma non prima di aver trovato un modo per tornare da Stardust. Non sopportava l’idea di non poterlo vedere più per sempre.
Però era da molto che non aveva notizie di quello che succedeva nel regno. Ricordava che ci fossero tensioni con Aracnos, e che comunque le guerriglie erano aumentate per svariati motivi anche nei villaggi vicini. Lui non era un esperto di politica, non comprendeva il motivo di quelle insurrezioni, né che relazioni ci fossero tra di esse. Non era sicuro che la situazione fosse migliorata, al contrario. A furia di ascoltare le lamentele della povera gente, si era fatto una certa idea, cioè che le cose dovevano peggiorare, sempre, quasi fosse una legge cosmica a cui nessuna epoca poteva sottrarsi. Potenti sempre più corrotti, masse sempre più violente… quando si sarebbero fermati gli adulti? Cosa era necessario per cambiare direzione degli eventi? Un cataclisma? Oppure un miracolo?
“Ehi, Yusei, tirati su. Qualcosa non va. Senti queste vibrazioni?”
“No, io non sento niente…”
“Non sono vibrazioni magiche. Sono fisiche. Vengono dal suolo.”
“Dal suolo?”
“Sì. Ma non è un terremoto. Sembra più una mandria che corre... Che succede?”
“Siamo in pericolo?!”
“Non credo. Non io e te, almeno.”
“Possiamo vedere dall’alto?”
“Va bene, ma stai attento quando sali.”
Il drago abbassò il lungo collo a terra e il bambino saltò agilmente cavalcioni sulle sue ampie spalle. Con un balzo, cominciò a sbattere le ali per salire oltre le cime degli alberi. Avanzarono finché non furono sulla sommità del colle. Sul versante adiacente, si stendeva un ampio prato arso dal sole. Torri di polvere si alzavano dalla steppa, dove un’enorme schiera di cavalli, cavalieri e vessilli rossi marciava al suono di una tromba lontana. Erano di fronte ad un campo di battaglia. Dalla parte opposta si intravedevano nubi di polvere grigia e alabarde scure nel mezzo. Si avvicinava un altro esercito. Il cui vessillo era invece blu.
“Stardust, che succede?! Perché tutti quei soldati?!”
“Il regno di Domino sembra in guerra, credo con Aracnos. Non so perché, però.”
“Ma non eravamo in guerra prima!”
“Le cose devono essere cambiate in fretta dopo che il tuo villaggio è stato bruciato.”
“Ma se adesso attaccano anche il regno, non potrò ritrovare Martha! Cosa succederà?!”
“Non ho una sfera di cristallo, non predico il futuro. Ma immagino un disastro.”
“Non puoi fare qualcosa?!”
“E che dovrei fare?! I draghi non devono immischiarsi. Non ho niente a che fare con loro!”
“Ma io sì!”
“Ma cosa pretendi da me?! Sono un drago!”
“Esatto! Tu hai il potere di fermarli!”
“Mi stai sopravvalutando…”
“No, ti dico che puoi farlo!”
“E che dovrei fare? Piantarmi là in mezzo e dire “ehi, fermatevi”?”
“Beh, sì, qualcosa del genere!”
“Tch, e io che ti prendo sul serio…”
Il drago atterrò sconsolato, mentre Yusei si agitò disperatamente per protesta. Se non interveniva un drago, chi poteva farlo?!
“Lascia stare, ragazzino. Per certe cose non c’è niente da fare.”
“No, non è giusto! Tanti uomini moriranno, e loro non hanno fatto niente di male!”
“Lo so, purtroppo. Gli uomini si condannano da soli a queste tragedie.  Ma resta il fatto che non hai garanzie che il tuo piano funzioni.”
“Ma… dobbiamo provarci…”
“Tu sei libero di fare quello che vuoi, ma perché chiedi a me di fare qualcosa?”
“Se avessi avuto i tuoi poteri, io sarei già intervenuto!”
“Saresti davvero andato fra quei due eserciti…?”
“Certo! E poi avrei cercato il re, per parlarci! Oh, giusto! -Yusei batté un pugno nel palmo della mano opposta – Potresti fare così!”
“Tu scherzi.”
Il ragazzino scosse con decisione la testa. Negativo.
“Sei troppo minimalista. Ma forse ho un’idea… è dannatamente semplice, ma non ho di meglio. Potremmo fare come dici, però se ci attaccano e basta, taglio la corda e fine della storia. Chiaro?”
“Si, d’accordissimo!”
“Bene. Tieniti forte, amico.”
Stardust si abbassò a terra, per poi saltar su come una molla. Volò in alto, molti metri sopra gli alberi, precipitandosi poi sul campo di battaglia. Gli schieramenti opposti si stavano avvicinando pericolosamente, ormai tutti i cavalieri erano pronti in riga, e i generali si accingevano a dare nuovi ordini, quando la mitica creatura alabastro comparve nel cielo, planando sul campo di battaglia con un ruggito. Sputò fuoco blu falciando il terreno sottostante in due perfette metà. Il getto magico fu così intenso da scavare un solco largo e profondo proprio tra i due eserciti. I fumi ardenti e la profondità della divisione impedivano a qualsiasi soldato di avventurarsi dal lato opposto. I cavalli imbizzarriti costrinsero i soldati a rompere la formazione. Puntarono gli archi sul drago e scagliarono frecce, ma Stardust volò troppo in alto perché potessero raggiungerlo. Yusei si aggrappò con tutte le forze alla sua armatura. Da lì, poteva vedere perfettamente l’estensione delle due armate, come una macchia nera nel prato verde e giallo. Si muovevano come uno sciame di vespe confuse.
Il comandante Ushio era scioccato. In tanti anni di servizio alla corona di re Goodwin, non aveva mai visto niente del genere. Un drago era intervenuto sul campo di battaglia. Non era venuto da Aracnos, non poteva essere stato mandato dai loro avversari. Se i suoi occhi non lo tradivano, poteva giurare di aver visto una persona sulle spalle del drago, forse un bambino… nulla di quello che avesse davanti poteva avere una spiegazione plausibile. Estrasse la spada avanzando rispetto agli altri soldati tenendo gli occhi puntati sul drago.
“Drago! A che gioco state giocando?!” gridò al cielo.
Stardust guardò bene la vallata. Cercò di capire chi di loro avesse il comando. Scrutò le file, le armature, gli equipaggiamenti, cercando di separare l’agglomerato dei soldati semplici da quelli che invece avevano il comando. Individuò un uomo per ognuno dei due schieramenti. Si muovevano da soli, circumnavigando perifericamente i gruppi più massicci di soldati. Avevano un mantello, a differenza di molti altri. Non sembravano reali, l’equipaggiamento non era elaborato a sufficienza. Piuttosto, generali di alto rango.
Ushio scrutò la creatura sopra di loro. Il drago era fermo nello stesso punto del cielo da uno o due minuti. Non li stava attaccando. Li stava studiando. Perché?
I soldati avevano smesso di attaccare. Gli occhi di entrambi gli schieramenti erano puntati nel cielo. All’improvviso, Stardust scese giù in picchiata, virando all’ultimo momento per rasentare terra, abbastanza da raggiungere gli uomini con le sue zampe. Ushio si accorse a malapena di cosa accadde.
Un artiglio lo afferrò, strattonandolo via da cavallo. Commilitoni corsero loro dietro, gli lanciarono frecce, ma nulla scalfì il drago. Anzi, dovettero fermarsi quando si resero conto che invece avrebbero potuto ferire il loro stesso capitano. Ushio si agitava inutilmente nella presa ferrea del drago. Cercò di resistere al vento forte e alla vertigine del volo, concentrandosi su dove il drago lo stesse portando. La creatura volteggiò un paio di volte, prima di planare di nuovo a ridosso delle truppe di Aracnos. Improvvisamente, afferrò un altro uomo, alto e muscoloso, calvo e abbronzato, che Ushio riconobbe come il generale Devak.
“Certo che siete pesanti…” borbottò il drago, tirandosi su nel cielo. Ruggì verso il suolo con forza, nel tentativo di disperdere i soldati su entrambi i fronti a forza di onde d’urto. Non avevano più nulla da fare lì.
Dopo di che, volò dritto in direzione di Aracnos. I generali gridavano contemporaneamente per attirare l’attenzione del drago.
“Ehi tu! Perché ci hai rapiti?! Dove stiamo andando?!” gridò Devak dall’altro artiglio.
“Vi porto dal re di Aracnos. I re di questo continente non vanno mai sul fronte. Una guerra non è quello di cui questa terra ha bisogno. Dovete risolverla senza le armi.” rispose.
“Ma tu cosa sai delle nostre guerre?!”
“So tutte le disastrose conseguenze. E adesso dacci un taglio, se non vuoi cadere come un uovo dal nido.”
Il forte e coraggioso Devak non fiatò più.
Il volo non durò molto. Il drago si avviò al piazzale del castello, dove molte guardie tentarono di radunarsi e attaccare la creatura, ma furono costrette a fermarsi, perché il loro generale Devak si sbracciava disperatamente, segnalando la sua presenza e probabilmente supplicandoli di non mettere a repentaglio l’incolumità del loro stesso concittadino. D'altro canto, un drago che teneva due generali fra le zampe e un bambino sul dorso di certo non era una vista comune…
“Chiamate il re, devo parlare con lui.” esordì Stardust, ringhiando severo.
Molte guardie nel piazzale ovviamente sollevarono le armi in diniego, qualcuno scagliò frecce sulle ali del drago, ma esse non produssero il minimo danno. Ottennero solo di irritare il drago ulteriormente. Poco dopo fu il re stesso a presentarsi fuori dalle mura, ignorando servitù e guardie che cercavano di trattenerlo.
“Che cosa succede? Devak?! Che ci fai lì?! Che fine ha fatto l’esercito?!”
“Vostra Maestà Rudger! Noi-”
“Ssh, parlo io qui” lo interruppe Stardust. “Nessun soldato si farà male, oggi. Ma devo sapere perché volete fare questa pazzia. Questa terra non ha bisogno di altri conflitti. Attento, perché a un drago non si mente.”
Il re impallidì. Questa bestia stava veramente facendo tutto questo per evitare la loro guerra? Perché?!
“Io…”
“Allora?” incalzò Stardust. Il re sospirò.
“E va bene. Non ho niente da nascondere, quindi te lo racconterò. Le ho provate tutte, drago. Ma la situazione è ormai insostenibile. Mio fratello è circondato da gente che vuole spingerlo ad attentare al mio regno, e ne è succube. Non ha più rispettato determinati patti, e infine mi ha lanciato false accuse, alla ricerca di un pretesto per attaccarmi!”
“Ma quante ciance!” lo interruppe Ushio, nero dalla rabbia, “Voi avete ordinato l’assassinio di re Goodwin! L’avete fatto quasi ammazzare! Come potete fare la parte della vittima?!” Forse lo avrebbe assalito se non fosse stato serrato dall’artiglio del drago.
“Perché io non ho voluto ordinare un bel niente! Non sono stato io a mandare quella spia!” si difese il re di Aracnos.
“Bugiardo, aveva un pugnale col vessillo ufficiale del tuo regno e una lettera con la tua ceralacca sopra! Come puoi mentire così?! Sono anni che cerchi di sottrarre terre a tuo fratello per ricavarne tasse! Una vittoria di guerra ti farebbe più che comodo!”
“Io non mento, e non devo di certo giustificarmi a te! Il drago sa che ho detto la verità, giusto?”
Stardust assottigliò lo sguardo. “Vero. Non menti - affermò, con gran stupore di Ushio- ma mi nascondi lo stesso qualcosa, vero?” suggerì, mostrando i denti. Rudger sbiancò visibilmente. Devak e Ushio si guardarono all’unisono, sorpresi e confusi. Cosa c’era che non sapevano?
“Drago, non posso parlare di questo adesso, non qui.”
“Capisco. Allora ti porto da tuo fratello, e ne parlerete a tu per tu.”
“Ma perché?!”
“Perché questa faccenda riguarda tutti e due. Dovete parlare, ma in mia presenza.”
“Ma… che garanzie ho che arriverò sano e salvo fin laggiù?!”
“Se avessi voluto la tua morte, non ci avrei messo molto a friggerti qui e adesso.”
“Non fa una piega… Ma porti con te troppe persone, come hai intenzione di fare?”
“Ah non c’è problema per questo – rassicurò Stardust, spostando Ushio sulla sua schiena – Yusei, da bravo, fai spazio al re. Posso portare un’ultima persona.”
“Perdonami se te lo chiedo drago, ma chi è quel bambino?” inquisì il re.
“Oh, lui è Yusei. Lo ringrazierete più tardi. Ora dobbiamo andare.”
Il re di Aracnos, ancora pieno di domande, si avvicinò cautamente all’immensa creatura. Furono molte le guardie che cercarono di dissuaderlo, ma il re rassicurò tutti. Aveva una bizzarra sensazione nelle viscere, come se nonostante la prudenza umana, avrebbe potuto fidarsi di una creatura celestiale.
Stardust prese il volo cautamente, stavolta carico di tre uomini e mezzo. Rudger si teneva stretto al suo collo, troppo liscio per dargli la massima sicurezza di non cadere. Al contrario, il bambino sembrava molto meno preoccupato di tali rischi. Sorvolarono i pini e gli abeti di diversi ettari di terra, una vista che in effetti nessuno di quei tre uomini aveva mai immaginato di poter ammirare nella loro breve vita. Videro i villaggi, le strade, i cittadini grandi come formiche, i carri che circolavano indisturbati come in un immenso formicaio, e il re si beò di quella visione magnifica unitamente all’ebbrezza del volo.
Rudger era re di tutte quelle cose, una sua parola aveva il potere di cambiare quello che vedeva. Si chiese quanto fosse giusto affidare ad un essere umano una responsabilità del genere, perché se le sue parole fossero stati crudeli, avrebbe potuto distruggere ogni cosa bella che ora ammirava. Ma dalle sale del castello era tutto molto più semplice, ormai si era abituato ad avere tutto quel potere fra le mani, ma era come se il cielo volesse dargli una lezione su quello che avrebbe dovuto sempre considerare prima di parlare. Si chiese anche se il suo “segreto” potesse aggiungere qualcosa a quanto già possedesse. Perché in effetti poteva attenderlo tanto una benedizione quando una tremenda maledizione. E il drago era l’unico a capirne qualcosa in più, fra i due.
Non passò molto tempo prima che Stardust raggiungesse il cuore del regno di Domino. Ma a differenza della sua precedente spedizione, ad accoglierlo trovò degli arcieri più preparati. I dardi che lo raggiunsero bruciavano maledettamente, doveva esserci lo zampino di qualche mago esperto… cercò di alzarsi il più possibile in volo, ma la stanchezza e gli attacchi fastidiosi gli resero le manovre non poco difficili, e fu così che l’atterraggio nelle mura del castello fu molto più brusco del previsto: Yusei e Rudger riuscirono a restare aggrappati al collo del drago, mentre Devak e Ushio furono lasciati andare al momento esatto dell’impatto, rotolando fuori dagli artigli del drago, colpendo involontariamente nobili e guardie lì presenti che non erano riuscite a scappare via…
“Cosa diavolo sta succedendo qui?!” si sentì urlare dal portico quando la nube di polvere sollevata dal drago si diradò.
Rudger scese cautamente dal dorso di Stardust. Devak e Ushio si rimisero in piedi, un po’ scombussolati, ma tutti d’un pezzo. I presenti, invece, erano tutti fuggiti via urlando. Innumerevoli guardie si piazzarono in cima alle ampie mura puntando gli archi e le balestre sul drago, ma Ushio segnalò loro con ampi gesti di non attaccare. Tutti i militari lo riconobbero, confusi.
Stardust sollevò il sinuoso collo, scuotendo la testa. Ce l’aveva fatta, ma aveva scoperto a sue spese che il re di Domino avesse dato armi incantate ai suoi balestrieri. Non era così alla corte di Aracnos. Era grave, oltre che sleale. La magia non doveva stare in mano agli umani. In cuor suo, non avrebbe dato garanzie sull’incolumità di Rex se non avesse collaborato. Osservò il re dai capelli argentei venire avanti con una certa curiosità. Ma proprio la sua corona attirò la sua attenzione: quelle pietre non erano gioielli normali… la testa del re sembrava infestata di magia. Stardust separò le file di denti acuminati emettendo vibrazioni basse.
Ushio corse incontro al re, scusandosi del disastro e spiegandogli quanto fosse accaduto nel tempo precedente. Poi si avvicinarono anche Devak e Rudger.
“Fratello?! Come puoi tu essere qui?!” esordì Rex.
“Lui è qui perché avete affari di cui discutere – latrò al suo posto Stardust -  e se ti azzardi a sfiorarlo con un solo dito, o a ordinare ai tuoi uomini di fare loro del male, ti assicuro che dovrai fare i conti con me.”
Rex alzò lentamente le mani in segno di resa. “Come vuoi, drago. Ascolterò quanto avete da dire. Ma dovresti minacciare anche a lui, perché fra i due sono io quello che è stato quasi ucciso. Il suo sicario è proprio qui a marcire nelle segrete, se non ci credi.”
“Bugiardo-” ribatté Rudger, interrotto dalla zampa del drago.
“So che hanno cercato di ucciderti, ma non c’entra tuo fratello. L’ho visto nel suo cuore. Non mi ha mentito.” ribatté il drago. Questa storia già puzzava di marcio. Rex non mentiva sul sicario, ma non aveva la minima intenzione di credere alle sue buone intenzioni.
“Non mi fido di te, drago! Vuoi forse il nostro male? Perché vieni a farti gli affari nostri?!” lo accusò Rex.
“Perché gliel’ho chiesto io!” esclamò Yusei. Tutti gli occhi si puntarono su quel ragazzino rimasto fino ad allora nascosto dietro l’imponente sagoma del drago. Il piccolo era ora sceso a terra, di fronte a Stardust, con fare dignitoso. Dal suo aspetto un po’ trascurato, si poteva intuire che fosse rimasto per parecchio assieme a quella creatura, presumibilmente nel bosco. La domanda era: come? Come aveva fatto un ragazzino ad avvicinarsi a un drago senza essere attaccato a vista?
“Tu chi sei, ragazzo? Qual è il tuo nome?”
“Mi chiamo Yusei Fudo.”
“Fudo? Interessante. Ti dispiace spiegarci perché gli hai chiesto una cosa del genere?”
“Vostra maestà, io sono nato in questo regno. Ma da quando il Satellite è stato bruciato, io non ho più una casa, né una famiglia. Domino è la mia ultima casa. Quando ho visto l’esercito attraversare il grande prato nel bosco, ho temuto per il regno. Ho solo pensato che volevo che si fermassero, che la guerra sarebbe stata una catastrofe…”
“E cosa c’entra fin qui il tuo amico drago?”
“Io non potevo fare nulla, ma lui poteva. L’ho incontrato poco dopo aver perso la mia famiglia, mi ha aiutato tantissimo. È un drago buono, si può fidare di lui.”
“Capisco.” commentò il re, perplesso.
“Rex – si inserì Rudger- non prendiamoci in giro. Tu sai perché è scoppiata questa guerra.”
“Ma cosa dici… prima cerchi di farmi ammazzare, e poi-“
“Ti ho detto che non sono stato io, e nemmeno i miei ufficiali! Quella è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma qui sei tu che hai qualcosa che mi hai sottratto e che non hai voluto più condividere. Qualcosa di estremamente prezioso e pericoloso.”
Rex fissò Rudger intensamente negli occhi. Calò un silenzio soffocante. I due fratelli erano immobili come statue, sembrava stessero dialogando solo mentalmente. Stardust non perdeva una frazione di secondo di quello scambio. Aveva captato un pensiero comune tra i due. Stavano parlando di qualcosa di concreto. Un oggetto. “Non rinunceresti per nulla al mondo, vero fratello?” disse Rex.
“No. Non puoi farne una tua possessione come se nulla fosse.”
“Non ti fidi di me, fratello?”
“Mi fiderei, se non volessi nascondermi quello che fai. Stai abusando del tuo diritto. Avresti già dovuto restituirmi quel libro.”
Il cuore di Stardust saltò un battito. Un’immagine ben precisa balenò nella sua mente. Quel libro di cui parlavano era un oggetto magico, profondamente sacro. Sacro per la sua razza.
“Rex, quell’oggetto di cui parlate… è meglio se lo dai a me” li interruppe Stardust. Lui aveva capito. Con suo orrore, quegli umani avevano messo le mani su un libro antichissimo, noto al mondo magico come Libro dei Draghi. Era un tesoro che apparteneva alla sua stirpe. Il reperto più antico che possedessero. Doveva essere stato trafugato dai loro templi nascosti nella natura. Ma ora era nelle mani del re di Domino, evidentemente.
I due fratelli si voltarono. Rex si scurì in viso, quasi offeso.
“No! Ho fatto salti mortali per avere questo tesoro! Non posso darlo via come se nulla fosse, è unico al mondo, ed è l’unica garanzia di difesa che ho se un giorno quelli della tua razza decidono di farci le feste!”
Stardust mostrò i denti, indignato. I draghi erano infinitamente superiori agli umani, ma il re sembrava considerarli come creature assetate di sangue paragonabili a bestie irragionevoli. Come osava!
“Tu non lo stai usando per difenderti, Rex. Ho visto cosa porti sul capo. Se vuoi che questo regno prosperi, devi lasciare le cose come stanno. E vedrai che nessuno della mia razza verrà a infastidirti.” asserì il drago, spazientito.
Rex era purpureo. Quel drago stava scoprendo il velo di tutto ciò che aveva faticosamente mantenuto segreto. Doveva trovare un modo per non fargli sputare troppi rospi.
“Mettiamo caso che te lo dessi, chi ci difenderebbe da nemici che usano la magia? Come faremmo a cercare risorse utili per difenderci dagli assalti dei draghi?!”
“Nessun drago verrà a infastidirvi finché non lo infastidite voi, ve lo garantisco. Per quanto riguarda minacce magiche da parte di uomini, se necessario, potrete convocarmi. Avete la mia parola.”
“Perché prometti questo?”
“Perché so che non avrete comunque bisogno di me, se fate come vi dico. Altrimenti, attirerete infinite sciagure su di voi e sui vostri regni. Tu vuoi vedere la tua preziosa Domino cadere in pezzi?”
In quel momento, Rex parve turbato.
Ushio si fece umilmente avanti. “Vostra maestà, vi chiedo di perdonare la mia impudenza, ma… è una vita che servo questo regno per amor di patria. Mi pare di capire che c’è molto di più dietro alle parole e agli ordini che ci vengono riferiti. Ma a me non importa: ho sempre combattuto perché questo regno prosperasse. Questo drago si sta assumendo un incarico che supera in nobiltà qualunque nostro tentativo di cercare la pace. Se fossi in voi, gli darei fiducia. Vi supplico, dategli una possibilità. Nessuno di noi qui vuole la guerra.”
Rex abbassò il capo, pensieroso. Si abbracciò nel suo mantello, fremendo. Sembrava soffrire, ma non diceva nulla. Stardust avvicinò lentamente il muso verso il re. Una nube oscura lo circondava, ma solo lui riusciva a vederla. “Vedo una forte lotta dentro di te, qualcosa non va nel tuo spirito.” Notò il drago. Rex gli lanciò uno sguardo livido, una smorfia d’odio gli sfigurava il volto.
“No, il libro è mio… mi serve… non è tuo… non lo avrai!” lo minacciò. Stardust vide la nube di magia spostarsi sulla mano del re. Stava per attaccarlo. Ma il drago non lo permise.
Ruggì contro Rex, sollevando nubi di polvere e foglie tutt’attorno. Tutti i presenti furono costretti ad abbassarsi a terra o ripararsi dai detriti e dalla forza di quelle onde d’urto. Il re dovette alzare un braccio e abbassarsi per proteggere il viso. Quando rialzò lo sguardo, il drago puntava gli occhi sfavillanti su di lui.
Rex si rese conto di non riuscire più a muoversi. Si sentiva paralizzato. I presenti notarono che anche i suoi occhi stessero brillando. Sembrava rapito in una qualche visione mistica. Nessuno osava emettere un suono. Poco dopo, Stardust aprì un artiglio, e una specie di nuvola scura lasciò il corpo del re, entrando nel suo palmo. Infine, gli occhi di Goodwin tornarono normali, ed egli cadde su un ginocchio, stordito. Il drago invece spirò del fuoco nel suo palmo, dove si era accumulato il miasma, che si disperse in tanti frammenti lucenti, portati via dal vento.
I generali e Rudger si precipitarono da Rex, che per quanto sconvolto, parve comunque molto più sereno di prima. Si alzò lentamente, accorgendosi di due lacrime che gli avevano solcato le guance.
“Rex? Che ti succede? Stai bene?” domandò suo fratello. Ma più lo guardava in viso, più pensava che la sua preoccupazione fosse inutile. Suo fratello sembrava improvvisamente sereno. Non c’era più alcun cruccio sul suo volto. Niente.
“Drago, io… come hai fatto a far questo? Il peso che sentivo dentro sembra sparito!” esclamò Rex, commosso.
“Semplice, agli uomini non fa bene invischiarsi con la magia. Forse c’è un mago attorno a te che ha fatto finta di benedirti, o forse tu stesso hai voluto giocare con l’alchimia, ma queste cose ti infettano. La magia è delicata, non si altera, altrimenti si trasforma in un veleno, vale soprattutto per voi umani, che non potete vederla. Tieniti lontano da tutto questo.” lo avvertì.
“Me lo ricorderò, drago. Non so come ringraziarti, era da molto che non tornava tanta pace in me. Prometto che ti restituirò il libro, improvvisamente non è più così importante per me. Ma giurami che potrò contare sul tuo aiuto!”
Il drago alzò una zampa posandola sul petto corazzato. “Lo farò.”
“E tu, Rudger? Sei d’accordo?” lo interrogò Rex.
Rudger sbuffò. “Non posso non ammettere che avrei voluto studiarlo di più anche io, quel libro. Ma se non l’avrà nessuno dei due, andrà bene lo stesso, mi sento già più al sicuro. Sarei felice se potessi condividere con me ciò che ne hai tratto finora, Rex. Se abbiamo un accordo così, la guerra può concludersi qui.”
“Per egoismo ti direi di no, ma la pace viene prima di ogni altra cosa, Rudger. Prima, qualcosa mi accecava, e non mi importava della pace o della guerra, me ne duole profondamente. Ma se quanto ho fatto finora resterà fra me e te soltanto, allora abbiamo un accordo. Sono stanco dei nostri conflitti.”
I fratelli si strinsero la mano con uno sguardo d’intesa. Improvvisamente erano di nuovo quello che erano sempre stati per legame di sangue: fratelli. I soldati rimasero a contemplare la scena per vari secondi prima di cominciare ad applaudire. Le voci crebbero, finché le esultanze non riecheggiarono anche dall’altro lato delle mura.
Yusei guardò la scena con occhi brillanti. Probabilmente era il più bel giorno della sua vita. Non poteva credere che Stardust avesse fatto così tanto per una sua piccola, folle richiesta. Corse verso la sua zampa e lo abbracciò stretto, strusciando il viso contro la sua corazza liscia.
“Stardust, grazie!”
“Tutto questo è merito tuo, Yusei. Non avrei mosso un dito se non mi avessi convinto tu, e sarebbe stato un errore! Se un bambino come te poteva sperare così in grande, allora potevo farlo anche io. Mi hai dato una bella lezione, oggi.”
Yusei strinse Stardust ancora più forte. Il suo cuoricino non era abbastanza grande per contenere certe emozioni.
“Ma credo che ti dovrò salutare. Sei nel regno di Domino ormai, non ti sarà difficile trovare Martha da qui.”
“No…! Non voglio dirti addio!”
“Beh, magari ci rivediamo. Io volo spesso da queste parti. Se vorrai cercarmi, dovrai soltanto chiamarmi.”
“E come?”
“Usa questo.” gli sussurrò il drago, stendendo un artiglio di fronte a lui. Nel mezzo del palmo, comparve un piccolo ciondolo munito di corda, a forma di zanna. “Quando vuoi che venga da te, stringi questo e dì il mio nome, e io ti sentirò ovunque mi troverò.”
Yusei afferrò il ciondolo, stupefatto. Era la prima volta che riceveva un oggetto da un drago! Si ripromise di indossarlo a vita e di non toglierselo mai più. Non poteva credere di avere un oggetto tanto prezioso fra le mani.
“Quanto spesso potrò usarlo?”
“Solo quando sarà necessario. Non sono un cane.”
“Ho capito… me lo ricorderò!”
“Ehi drago, non per interrompervi, ma… avrei un ultimo favore da chiedere – li interruppe Rudger - rimane soltanto il sicario che ha cercato di uccidere Rex, non potresti confermare per noi se dice il vero o no?”
“Oh, va bene.”
Ushio si addentrò nell’edificio, presumibilmente per andare a prendere il prigioniero. Yusei si avvicinò incuriosito a Stardust.
“Stardust, ma come fai a sapere se una persona mente?”
“Oh, io vedo molte cose, ragazzo. Se menti, il tuo stesso corpo ti tradisce. C’è una particolare energia negli esseri umani, un po’ simile alla magia, e quando fate il male, questa cambia colore, si intorbidisce. Quando una persona parla e agisce rettamente e ha uno spirito sereno, si distingue dalle altre perché è molto chiara.”
Yusei lo fissava ammirato. “E io come sono?”
Stardust parve sorridere. “Tu sei una goccia d’acqua chiara. Se sarai così bravo da non cambiare quando crescerai, comincerai a brillare. Quelli così bravi hanno il potere di risanare chi gli è attorno, lo sapevi?”
Gli occhi blu di Yusei luccicavano. Stardust abbassò il muso. “Però non devi dirlo a nessuno, rischieresti di farti dei nemici invidiosi di questo. Tu pensa solo a fare il bravo, chiaro?”
Yusei annuì convinto. Non molto dopo, Ushio e una guardia raggiunsero il piazzale scortando il suddetto sicario. Con gran sorpresa di Yusei, si trattava di un ragazzo giovanissimo, poteva avere 18 o 20 anni. Era piuttosto alto per la sua età, anche molto magro. Era decisamente malmesso, le carceri del re parevano averlo messo a dura prova. Smagrito, sporco, i capelli bordeaux spiccavano agli occhi, così come il ciuffo voluminoso che copriva la metà destra del suo viso. I suoi occhi verdi erano pieni di odio, ma alla vista del drago, vacillarono. Squadrò la creatura, calcolando in fretta la plausibile rapidità con cui poteva essere divorato. Allora subentrò la paura.
“Ragazzo, abbiamo domande da farti.” annunciò Rudger.
“C-c-cos’è quello?! Che ci fa qui?!” balbettò il giovane, tentando invano di indietreggiare.
“Stai tranquillo, non ti farò del male.” tentò di rassicurarlo Stardust. “Ma esigo da te la verità. Perché volevi assassinare il re?”
“Io ho solo eseguito degli ordini...”
“Di chi?” insisté Rex.
“Non mi ha detto il suo nome. Mi ha solo dato lettera e pugnale.”
Stardust avvicinò nuovamente il muso. “No, il suo nome te l’ha detto. Ma è un nome falso, vero?”
Il ragazzo non ribatté, ma si poteva intuire che Stardust ci avesse visto giusto.
“Perché hai accettato?”
“Io… non avevo altra scelta. Non avevo più niente. E quelle persone mi avrebbero ucciso se fossi uscito dal castello senza aver compiuto la missione.”
“Anche questo è vero. Ma c’è dell’altro, dico bene?”
Il ragazzo si morse il labbro. Non voleva fiatare. Ushio rinsaldò la presa. “Parla, canaglia. O avrai il resto delle botte.”
“Perché voi risolvete tutto con la violenza, dico bene?” sibilò il giovane.
“Che hai contro il re?” incalzò il drago.
“Diciamo che non sarei qui se mi avesse aiutato quando hanno assassinato la mia famiglia.” spiegò.
“Assassinato?”
“Certo. Ero di sangue nobile, non un poveraccio qualunque. Io e i miei genitori stavamo tornando alla nostra villa quando ci ha assaliti una banda di malviventi. Pensai volessero derubarci, invece erano sicari, erano lì per ucciderci. Sono sopravvissuto soltanto io, e per miracolo. Quando riuscii a fuggire verso casa, i servitori si presero cura di me, credevo di essere al sicuro, ma non sapevo che non fosse finita lì. Un mio zio, che viveva nella nostra stessa villa, cercò di assassinarmi a sua volta. Il piano era di farlo sembrare un suicidio. Mio zio voleva tutta l'eredità, e non bastava far uccidere i miei, dovevo sparire anch’io, che ero l’erede. Ma sventai il suo tentativo, e ci fu una lotta. Alla fine, cadde giù da una finestra. Morì sul colpo. Per la paura, scappai. Ma quando ormai ero lontano, mi convinsi che la mia era solo legittima difesa, e che giuridicamente l’unico colpevole era mio zio, assieme a quei sicari. Non potevo però tornare a casa, perché i miei cugini potevano essere d'accordo con il loro defunto padre per la mia morte. Così ho fatto di tutto per arrivare alla mia unica speranza, il castello del re. Mio padre era suo amico, il re avrebbe potuto ascoltare il figlio del suo amico e castigare gli assassini dei miei genitori, avrei potuto convincerlo che la morte di mio zio era stato solo un incidente…”
“Comprendo… Immagino che le guardie ti abbiano respinto all'ingresso.”
“Mi hanno preso a calci, non volevano nemmeno ascoltarmi… la cosa peggiore è che dopo un po’ comparve il re alla finestra… ed era rimasto a guardare, mentre mi deridevano e mi cacciavano come un qualunque straccione. Peggio per lui, se mi avesse accolto, avrebbe corso meno rischi per la sua vita!”
“Vero, è andata così. Una tragica casualità… ma non ti scuserà da quello che hai fatto, o hai tentato di fare. Un mago come te avrebbe potuto fare uso migliore della sua magia.”
La parola “mago” fece mutare l'espressione in viso di molti presenti. Da una parte, lo stupore di avere davanti un mago misconosciuto, peraltro così giovane, dall’altra il brivido d’allarme di aver avuto una pericolosa fonte di magia attorno per tutto quel tempo.
“Hai finito a far la predica?! Tu non sai niente di me!”
“Al contrario, mi basta guardarti per sapere molte cose. Non sei particolarmente forte. Ma se te la sei cavata da solo per tutto questo tempo, vuol dire che sai giocare bene le tue carte. Chapeau.”
Rex Goodwin si avvicinò, interrompendo l'interrogatorio. “Hai ragione: io so chi sei. Avrei dovuto riconoscerti dai lineamenti del tuo viso, ma eri troppo lontano da me. Conoscevo la tua famiglia. Il tuo nome è Divine, vero?”
Il giovane cambiò espressione. Non si aspettava un intervento del genere, non dal re, almeno. Goodwin continuò. “Mi ricordo di tuo padre. Non sapevo fosse stato assassinato assieme a tua madre, me ne duole. La mia durezza di spirito mi ha reso cieco per molto tempo, e se non fosse stato per questo drago, avrei mandato al macello i miei soldati per nulla. Ma adesso che vedo, permettimi di scusarmi.”
Divine sembrò rabbonirsi, ma in cuor suo non capiva. Era convinto che il re fosse una specie di mostro spietato, che era giusto ed urgente toglierlo di mezzo, e tutte le botte che aveva ricevuto in carcere ne erano ulteriore prova. Ma quello che vedeva e sentiva in quel momento non aveva senso. Quelle scuse non avevano senso. Quando aveva quasi accoltellato il re, mentre Goodwin afferrava il suo polso smagrito con riflessi e forza inumani, Divine lo aveva guardato negli occhi, e aveva visto un’oscurità terrificante, un brivido di terrore lo aveva attraversato, e aveva capito di essere di fronte ad un diavolo che indossava una corona. Il re nascondeva segreti di cui nessuno era a conoscenza. O almeno di questo si era convinto, mentre lo picchiavano e umiliavano al buio di una cella sporca e puzzolente, minacciandolo di morte in attesa della sua sentenza, di certo altrettanto nefasta. Come se la sua vita non potesse precipitare più in basso di così.
Forse Goodwin li stava prendendo in giro tutti. Forse quel demonio aveva messo una bella maschera per prendere in giro tutti. D'altronde, il male si maschera sempre da bene per essere accettato. Quel che non capiva, era come mai il drago non gli dicesse niente, eppure era in grado di vedere attraverso chiunque. Cosa era cambiato? Erano forse in combutta?! Cosa stava succedendo?
Divine scrutò gli occhi del re. Ma nessun brivido lo percorse, i suoi occhi erano normali. Sembravano addirittura buoni. Ma come può un essere umano cambiare la sua indole così all’improvviso? No, impossibile, doveva esserci un inganno, non era così stupido. E se pure il re si fosse ravveduto davvero, Divine non riusciva a fidarsi. Anche la sua famiglia sembrava normale. Anche i suoi parenti sembravano buoni. Ma erano riusciti a nasconderlo per anni. Perché il re doveva essere migliore? Divine appese la testa, ricacciando quella nuvola di pensieri nel profondo dell’animo.
“Rex, che vuoi farne?” tagliò corto Rudger.
“Per legge, chi cerca di uccidere il re merita la morte, qualunque sia la ragione. Ma dopo quanto accaduto, ritengo più adeguato l'esilio. Non morirà, ma non potrà più entrare nel regno, per la sicurezza di tutti. Avvieremo le ricerche di quei banditi che lo hanno spedito qui, invece. Loro sono i primi responsabili da trovare e condannare.”
“Mi sembra sensato. Lascio tutto nelle tue mani, allora. Spero che in futuro potremo mettere in piedi collaborazioni che rafforzino entrambi i nostri regni, Rex.” concluse Rudger, stendendo una mano. Rex la accettò convinto.
Yusei invece non riuscì a staccare gli occhi dalla fragile forma di quell’adolescente. Era come lui. Anche Divine aveva visto morire entrambi i suoi genitori violentemente nello stesso giorno. Si portavano dentro la stessa ferita. Eppure, il destino con loro era stato diverso. Yusei aveva salvato un regno, Divine lo aveva quasi condannato, perché? Cosa c’era di diverso fra loro due? Yusei non poteva nemmeno dire con certezza se al posto di Divine si sarebbe comportato diversamente. Era ingiusto, era questo che pensava. L’esilio non sembrava una bella cosa, tuttavia era certamente meglio che morire appeso davanti a una folla che ti insultava, incitando il boia a fare il suo lavoro.
Anche Divine studiò quel bambino ritto in piedi all’ombra del drago bianco. Era piccolo e i suoi vestiti avevano di certo visto giorni migliori, ma aveva un fare dignitoso. Di certo non apparteneva alla pulitissima reggia. Non sapeva chi fosse, né perché fosse lì, ai piedi di una creatura leggendaria. Un marmocchio benedetto dal destino? Molto probabilmente. Mentre a lui non ne era andata bene una. Aveva tutto, una volta, e nonostante la freddezza dei suoi genitori, almeno aveva di che mangiare. Ma se pure qualcuno o qualcosa regolasse l'ordine cosmico degli eventi, lui doveva essere molto odiato.
“Ehi, re. Ho io un favore da chiederti, adesso.” aggiunse Stardust mentre raddrizzava la spina dorsale, forse preparandosi a riprendere il volo, “Yusei aveva desiderio di ritrovare una certa “Martha” che vive qui in città, da che ho capito potrebbe prendersi cura di lui. Potreste dargli una mano?”
Rex Goodwin acconsentì molto calorosamente. Anzi, incaricò Ushio personalmente di prendersi cura del ragazzino finché non si fosse trovata quella donna, con minimo gaudio del generale. Ma gli ordini del re erano assoluti, e il povero gendarme si rassegnò ad eseguirli. In un flash fulmineo, il re ricordò a Stardust dei due eserciti abbandonati sul campo di battaglia. Stardust promise di passare di lì prima di tornare nel suo habitat, per portare il lieto annuncio ai poveri soldati. Insomma, se devi compiere gesta eroiche, devi potarle a termine fino in fondo, no?
Fu allora che il drago si sollevò in aria, alzando nuvoloni di polvere per tutto il cortile. Yusei si precipitò sotto l'ombra del suo maestoso amico, che si allontanava sempre di più. Sapeva che quello non fosse un addio, ma allora perché tutta questa resistenza a lasciarlo andare? Aveva paura di restare di nuovo da solo? Perché sentiva già quel fastidioso pizzicore agli occhi? Una voce profonda risuonò nella sua mente, e nella sua mente soltanto.
“Non essere triste, amico mio. Ci rivedremo.”
E il suo turbamento, come per magia, sparì. Yusei raddrizzò le spalle e si batté le mani sul viso. No, quello non era un giorno per piangere. Una volta, suo padre gli aveva detto che nulla accade al mondo se prima non accade nel cuore delle persone. Non serve scandalizzarsi delle cose che si vedono, se prima non si bada alle sterpaglie che soffocano l’anima. Il cuore del re era avvolto dall’oscurità, ma adesso era stato risanato. Era garanzia di una pace ben più duratura della precedente. Yusei non doveva piangere, doveva solo gioire, perché adesso la vita riprendeva a scorrere. Mantenne lo sguardo fisso sul suo amico che si librava nel cielo, mentre dalle sue ali scendeva una polvere scintillante, delicata come la neve, come se il cielo si fosse riempito di stelle in pieno giorno. No, non c’era da piangere. Quello che voleva adesso, era essere preparato per il ritorno del drago. Voleva fargli vedere quanto sarebbe cresciuto, voleva forgiare il suo spirito come nessuno mai aveva fatto, voleva dimostrargli che ci aveva visto giusto, che un giorno sarebbe stata la stella più fulgida del regno, magari della Terra. E ci sarebbe riuscito.

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