Random Racconti

di white_pages
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovo Mondo ***
Capitolo 2: *** Dove sono? ***



Capitolo 1
*** Nuovo Mondo ***


Prompt: Scrivi di un viaggio.

Ileana non era mai stata lontana da casa per più di due o tre giorni al massimo, per lei non esisteva altro posto che il suo paese, forse l’unico luogo in cui si sentiva davvero al sicuro, l’unico luogo che poteva chiamare casa.
La ragazza era nata e cresciuta in una piccola casa, il padre se n’era andato lontano per lavoro e non era più tornato, lei e sua madre se l’erano cavata da sole per tutta la loro vita, anche se questo non era visto bene dai paesani, ma con il tempo tutti si erano affezionati al loro ed al loro modo di vivere così raccapezzato.
Mentre cresceva Ileana ascoltava le storie che si raccontavano in paese, pochi uomini andavano lontano e tornavano per raccontarlo, solo qualche marinaio impegnato con il commercio e qualche avventuriero, nonostante questo, quando tornavano dalle città che avevano visitato, tutto il paese si raccoglieva intorno al fuoco della locanda, bambini compresi, ad ascoltare le storie da fuori.
Le storie da fuori, i momenti che Ileana ricordava con più gioia, ricordava il calore del fuoco ed il profumo di legno bruciato misto a birra, le voci degli uomini che raccontavano, quasi urlando, tutto quello che c’era fuori dal paese e, inutile dirlo, una volta che la notte era passata e le storie erano raccontate, quasi nessuno restava in paese.
Ileana non aveva mai desiderato andare via dalla sua casa, lavorava la terra e allevava i suoi animali, non aveva bisogno di altro, nemmeno adesso che sua madre era morta prematuramente per una malattia incurabile, lei voleva solo vivere tranquilla nella sua fattoria e tutto sommato non poteva dire di passarsela male, fino al giorno in cui tornò un ragazzo partito che era solo un bambino, partiva con il padre e tornava da solo, oramai uomo.
Pietro, questo era il suo nome, era uno degli amici più cari che Ileana aveva quando era bambina, trascorrevano la maggior parte del loro tempo insieme sul fiume o in mezzo ai campi mentre gli adulti lavoravano e sorridevano al loro passaggio, prevedendo già il loro matrimonio, ma il padre di Pietro doveva partire per mare e cercare clienti per la sua merce, portò con lui il figlio per insegnargli il mestiere.
Ora eccolo lì, Ileana stentava a riconoscerlo, era alto, con le spalle larghe, i capelli lunghi ancora incrostati di fango e sporcizia, così come la barba che gli ricopriva guance e mento, ma gli occhi erano rimasti quelli del bambino vispo che correva insieme a lei, forse solo velati di un qualcosa che Ileana non conosceva, un sentimento mai provato prima.
- Pietro! – Urlò prima di potersi fermare, lui ancora non l’aveva vista o forse non l’aveva riconosciuta, anche lei era cambiata molto negli anni, ora era una donna fatta e finita; il ragazzo si voltò verso la voce e finalmente i suoi occhi si illuminarono, la riconobbero.
Pochi secondi dopo Ileana era avvolta da due braccia forti, nessuno l’aveva mai stretta così prima di allora, come se fosse in pericolo e lui dovesse tenerla al sicuro a costo della sua stessa vita.
La vita in paese continuava, ovviamente il matrimonio di Ileana e Pietro si celebrò poco tempo dopo il ritorno del ragazzo, furono delle nozze in grande stile a cui partecipò tutto il paese e ancora adesso si parla di quanto fosse bella Ileana nell’abito semplice di sua madre ed i capelli rossi intrecciati alle margherite.
La coppia felice viveva nella fattoria in cui Ileana era cresciuta, trascorrevano la loro vita lavorando e facendo l’amore, come ogni coppia che si rispetti, ma alla donna non sfuggì che a Pietro mancava qualcosa, più il tempo passava e più lui si rabbuiava, come se man mano consumasse l’energia, ma ogni volta che provava a chiedere qualcosa lui si chiudeva ancora di più lasciandola da sola e con tanti dubbi irrisolti.
Solo qualche mese dopo Pietro si decise a raccontare alla moglie cosa gli stesse capitando, le raccontò del mondo fuori da quel paese e di come fosse diverso, era un mondo assurdo, la gente viveva in altissime case di cemento, non c’erano prati, né alberi, solo fiumi di strade nere percorse da strani carri di ferro e senza cavalli, le persone si vestivano in maniera strana, gli uomini con un cappio al collo, le donne con delle gonne che lasciavano scoperte buona parte delle gambe e delle macchine di tortura ai piedi, eppure nessuno sembrava mai lamentarsi della vita, al contrario, erano felici.
Pietro continuava a raccontare senza fermarsi, parlava di quello che aveva visto, provato e fatto mentre Ileana ascoltava rapita e inorridita allo stesso tempo, non osava aprire bocca per paura che l’uomo, una volta interrotto, non avrebbe più ripreso a parlare e lei voleva sapere, per la prima volta in vita sua desiderava conoscere il mondo esterno e poteva farlo solo attraverso i racconti di Pietro, almeno fino a quando una domanda brusca non interruppe il filo dei suoi pensieri:
- Vieni con me?-
La spiazzò con quella domanda, andare dove? Come? Quando?
Tutte le domande sparirono dalla testa di Ileana che si trovò ad annuire senza nemmeno rendersene conto, il suo corpo non le rispondeva più, era il suo subconscio a comandare ed in men che non si dica si ritrovò teletrasportata in un altro mondo.
Ileana e Pietro si ritrovarono in una città in piena regola, come aveva detto lui, non si vedeva verde da nessuna parte, gli unici punti verdi si trovavano in cima agli enormi edifici grigi, rossi e lucidi, tutti erano fatti di un materiale che Ileana non conosceva.
La donna non ci mise molto a sentirsi fuori posto, tutti la osservavano, non capivano perché quella ragazza vestita da antica massaia si trovasse nel bel mezzo di una piazza ed in pieno giorno.
Ileana guardò Pietro e lui ricambiò sorridendo, avrebbe dovuto darle molte spiegazioni, ma prima doveva portarla in un negozio a comprare degli abiti adeguati e, soprattutto, farle vedere come funzionava il dispositivo che li aveva trasportati fino a lì in poco meno di un minuto.
Solo quando nessuno dei due rischiava di dare troppo nell’occhio riuscirono finalmente a sedersi in un piccolo bar per bere qualcosa di caldo, Pietro non riusciva a smettere di sorridere alla donna che amava, era così bella e adesso che indossava abiti moderni che le sottolineavano maggiormente le forme era ancora più bella, anche se i suoi occhi tradivano la paura e lo stupore che provava, ma fortunatamente nessuno sembrava accorgersi di quanto lei si sentisse estranea.
I due parlarono a lungo, Pietro parlò a lungo, spiegando ad Ileana come funzionava quel mondo, sperava di non spaventarla troppo, ma più continuava a raccontare e più la paura svaniva dagli occhi della ragazza lasciando spazio ad emozioni che lui conosceva bene: Ileana si stava esaltando.
Uscirono dal bar che oramai era buio, le luci splendevano sopra di loro, Ileana rideva estasiata da quello spettacolo luminoso, era la prima volta che vedeva la luce proveniente da sorgenti diversi dal sole o dalle candele e questo la lasciava semplicemente senza parole, era felice e incantata accanto all’uomo che amava.
Pietro aveva ancora un ultimo, enorme segreto da raccontare ad Ileana, ciò che probabilmente avrebbe faticato maggiormente a comprendere, la verità sul suo mondo, sul loro mondo, e su come erano arrivati lì; sapeva che la verità le avrebbe fatto male, tanto da rimandarla a casa e forse anche per questo stava ancora tentennando, aspettava che si abituasse alla nuova vita, alla nuova casa.
Passarono mesi e mesi, Ileana si era abituata alla comodità della modernità, era felice e desiderava soltanto vivere per sempre lì con Pietro, senza rovinarsi le mani e la schiena nei campi, poteva dormire su soffici materassi e cuscini di piume d’oca, procurarsi il cibo nei negozi e non uccidere gli animali che lei stessa allevava.
Passarono tre anni prima che Pietro trovasse il coraggio di dire la verità ad Ileana, prima che il loro sogno sfumasse per sempre.
Ileana ascoltò tutto quello che suo marito aveva da dire rendendosi conto man mano di tante piccole cose a cui non aveva fatto caso fino a quel momento: nessuno li aveva mai guardati, nessuno li aveva mai fatti pagare per quello che compravano, loro semplicemente prendevano le cose e se ne andavano, nessuno parlava loro e nessuno li sentiva quando parlavano.
Pietro piangeva mentre raccontava come stavano davvero le cose ed Ileana singhiozzava mentre capiva che il suo paese, tutto il suo paese, era un enorme cimitero di anime morte rimaste intrappolate in quel luogo a lungo, il motivo per cui la maggior parte di quelli che se ne andavano trovavano il vero aldilà e non tornavano per quello.
Il paese in cui era nata e cresciuta Ileana era stato colpito da una malattia terribile, le persone morivano in poco tempo e sembrava incurabile, tanto che nessuno vi sopravvisse, la gente dalle città vicine ancora lo visita e rimane sorpresa da come sia tenuto in perfetto stato, tutto sembra sempre perfettamente in ordine, dalle case al prato.
Ileana e Pietro non tornarono mai più al loro paese, vivere come spiriti in città aveva i suoi vantaggi, anche se a volte casa loro veniva invasa da altri spiriti o da altri umani e loro dovevano lottare o andarsene, ma essere morti voleva anche dire girare per il mondo, insieme, senza mai separarsi.
La coppia girò a lungo per il nostro mondo percorrendolo in lungo e in largo, c’è chi dice che siano ancora qui ad esplorare, altri dicono che hanno finalmente trovato pace e si trovano in un posto migliore insieme, come avevano iniziato.

Eccoci alla fine del primo racconto, il suggerimento non era particolarmente originale, ma essendo suggerimenti random non posso farci molto. 
Tra quelli che ho scritto questo è quello che, in qualche modo, mi convince meno sia perchè non è esattamente il mio stile, sia perchè non ho mai scritto qualcosa del genere. 
Grazie per essere arrivati fin qui, al prossimo racconto!
Giulia. 

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Capitolo 2
*** Dove sono? ***


Racconto 2
Prompt: ti ritrovi in una stanza da solo, ma non hai la minima idea di come tu sia arrivato lì


Non so dove sono.
Non so nemmeno se sono sveglia, non ancora almeno, tutto è talmente buio che non capisco nemmeno se gli occhi sono aperti o chiusi.
Fa freddo, sento le gambe nude coperte di pelle d’oca, poggiano su qualcosa di duro, il pavimento forse, ma è gelido e ruvido, mi fanno male.
Non so dove sono.
Decido che devo aprire gli occhi, il mondo non può essere diventato così buio all’improvviso, devo sforzarmi di aprire gli occhi e uscire da questo incubo.
Li apro.
Il mondo è ancora oscuro, ma sento gli occhi bruciare per il freddo, vuol dire che prima erano chiusi e che adesso devo riuscire a non chiuderli nuovamente, a non ripiombare nel sonno.
Ancora non so dove sono.
L’oscurità che prima mi avvolgeva inizia a schiarirsi, probabilmente mi sono solo abituata alla sua presenza, riesco a distinguere delle forme attorno a me, poco, ma è già qualcosa.
Scorgo dei mobili in fondo, appoggiati alla parete, sopra ci sono delle lampade spente, ovviamente; c’è quello che sembra un letto, dalla mia prospettiva non si capisce, potrebbe anche essere un divano.
Ma se c’è un letto (o un divano) perché sono sdraiata sul pavimento? Perché non mi sono messa lì, sarei stata più comoda e sicuramente meno spaventata.
Non so dove sono.
Cerco di muovere i muscoli, è il passo successivo ad aver aperto gli occhi, no? Fortunatamente rispondono tutti, mani e piedi, braccia e gambe, funziona tutto quasi alla perfezione, sono indolenziti, come se non li muovessi da anni.
Ma io ricordo di aver camminato solo ieri.
Aspetta, ma che giorno era ieri?
Che giorno è oggi?
Dove sono?
Il panico mi prende al solo pensiero di essere stata rapita, ma non ricordo nulla, l’ultima cosa che ho in testa è l’istante prima di addormentarmi con Andrea al mio fianco, nel nostro letto, nella nostra casa che sicuramente non è quella in cui mi trovo adesso.
Cerco di recuperare la calma, devo iniziare a girarmi e capire meglio dove mi trovo, farmi almeno un’idea di come è fatta la stanza in cui mi sono ritrovata, fortunatamente riesco a farlo, ruoto la testa e vedo finalmente una porta.
Una porta chiusa.
Forse non è chiusa a chiave, devo alzarmi lentamente e fare un tentativo, almeno provare ad uscire da qui ed esplorare la casa oltre quella porta.
Tento di mettermi in piedi, ma non è stata una buona idea, la stanza inizia a girare e con lei il mio stomaco, rischio nuovamente di cadere a terra ma mi aggrappo a qualcosa, non so cosa, e lentamente mi siedo sul letto (alla fine era un letto) aspettando che tutto attorno a me si fermasse.
Non so dove sono e questo mi terrorizza.
Finalmente la stanza smette di girare, il mio stomaco si stabilizza e riesco finalmente a mettere a fuoco ciò che mi circonda.
Tutto è rosa, le pareti sono rosa, i mobili sono rosa, anche il pavimento è rosa, così come il letto su cui sono seduta adesso e la porta che mi sta davanti.
Non ci sono finestre.
Non ci sono finestre?
Da quando le camere da letto non hanno finestre?
Dio, ma dove sono?!
Sembra una casa per le bambole, tutto questo rosa mi da la nausea.
Ci riprovo.
Mi rialzo, questa volta riesco a reggermi sulle mie gambe e non al tavolino; mi dirigo lentamente verso la porta, ho ancora paura di crollare sul pavimento.
Dopo quella che mi sembra un’eternità raggiungo la maniglia, provo a spingerla verso il basso per aprirla, come previsto, nulla si muove, è chiusa a chiave.
Mi accascio sul pavimento, sono distrutta.
Ho la bocca secca, non riesco nemmeno a produrre saliva per deglutire e non vedo nemmeno una bottiglia in questa stupida stanza rosa.
Il silenzio.
Il silenzio è assordante, ecco cos’altro c’è che non va, questo assurdo, inquietante silenzio.
Mi guardo ancora intorno alla ricerca di qualcosa che non ho ancora notato, vedo un orologio sopra il letto (inutile dire che è rosa anche quello), ma è fermo alle 3.00 del mattino.
Mi rialzo.
Non so dove sono.
Cammino verso il letto.
Non so dove sono.
Torno indietro. Cerco. Guardo. Esploro.
Non trovo nulla.
Non c’è nulla.
Non so dove sono.
La mia testa è ancora frastornata, non ricordo niente di come sono arrivata lì, non ricordo nemmeno di essere uscita di casa.
Mi accorgo solo adesso di una porta che non avevo notato, forse è quella l’uscita!
Mi precipito verso la seconda porta rosa, il silenzio è ancora assordante, ma un velo di speranza mi riempie il cuore, forse posso davvero uscire da questa casa per le bambole!
Abbasso la maniglia.
Si apre.
Sono lib…no, è un bagno.
Uno stupido bagno.
Rosa.
Non so dove sono.
Perdo le speranze, ma almeno posso bere, spero.
L’acqua funziona, tutto sembra funzionare perfettamente in questa stanza.
Tranne l’orologio.
Il silenzio mi fa impazzire.
Un lampo di luce, un ricordo, un volto femminile sopra il mio letto.
Non ricordo chi sia, ma ho la sensazione di conoscerla, sì, la conosco.
I ricordi riaffiorano, lentamente. Lei che mi porta via dal mio letto. Lontana da Andrea, dio, mi manca così tanto.
Ricordo di essere salita in una macchina, rosa, ero frastornata anche allora, poi tutto torna buio, non ricordo nulla oltre a quella strana macchina.
Forse quella donna mi ha drogata e l’effetto inizia a svanire adesso e per questo iniziava a ricordare, forse aspettando ancora un po’sarei riuscita a ricordare ancora di più.
Mi stendo sul letto, chiudo gli occhi, non posso fare molto chiusa qui dentro, posso solo dormire, camminare, andare in bagno, dormire, camminare, andare in bagno e così via.
Ancora spero di riuscire ad uscire da qui, la speranza è l’ultima a morire, era così il detto, giusto?
Il silenzio è sempre più assordante.
Voglio parlare con qualcuno.
Da quanto tempo non parlo con qualcuno?
Quanto tempo è passato da quando sono qui?
La luce è sempre quella, sempre quella penombra che non cambia mai e non mi permette di esplorare più a fondo la stanza in cui si trova.
Non so dove sono.
Mi addormento.
Quando mi risveglio non è cambiato niente nella stanza, ma qualcosa nella mia testa sì, ricordo tutto.
Ricordo la donna che mi ha portata via da casa, mi ha trascinata con la forza nella sua macchina, mi ha dato qualcosa da bere dal sapore amaro, ricordo il suo volto, anche se non la conosco effettivamente.
Vengo distratta da un rumore.
Una chiave.
Una chiave nella serratura.
Un lampo di luce mi acceca.
Sono libera!
Non so dove sono.
Non so nemmeno se sono sveglia, non ancora almeno, tutto è talmente buio che non capisco nemmeno se gli occhi sono aperti o chiusi.
Fa freddo, sento le gambe nude coperte di pelle d’oca, poggiano su qualcosa di duro, il pavimento forse, ma è gelido e ruvido, mi fanno male.
Non so dove sono.

Eccoci al secondo racconto di questa strana raccolta, come per il primo, il suggerimento era completamente casuale! 

Ho deciso di pubblicare un racconto a settimana, ogni venerdì, quindi che dire, a settimana prossima! 
Giulia.

 

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