She's Not Afraid

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buio (intro) ***
Capitolo 2: *** Quella Mattina ***
Capitolo 3: *** Non Abbastanza ***
Capitolo 4: *** Mai ***
Capitolo 5: *** Una Lama Nel Petto ***
Capitolo 6: *** Sotto Accusa ***
Capitolo 7: *** Una soluzione ***
Capitolo 8: *** Da nessuna parte ***
Capitolo 9: *** Forse Un Addio ***
Capitolo 10: *** 10. Dieci Settimane ***
Capitolo 11: *** quella che deve chiedere scusa ***



Capitolo 1
*** Buio (intro) ***


Buio. E' buio, di fronte ai miei occhi. Solo buio.
Una stella, due. Due puntini nel nero.
Non riesco a muovermi. Non- non ci riesco. Fa male. Fa un male orribile; io.. io..
 
Aiuto.. aiutatemi..
 
Sto gridando. Sto gridando, ma.. ma la voce si spezza sulle labbra.
Sangue. In gola. Calore.
Lo sto perdendo. Il.. il calore se ne va..
 
Anna..
 

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Capitolo 2
*** Quella Mattina ***


Le campane suonavano, quella mattina. A Gubbio si respirava aria di festa, il maresciallo Cecchini appariva in fibrillazione da almeno ventiquattr'ore: faceva su, e giù, e su e giù. - Fermatelo, o consumerà il pavimento dell'ufficio..- aveva sospirato il capitano, guardando per aria. A Pietro era scappato da ridere, sotto i baffi.
 
Si sposava sua figlia. O meglio, la sua pseudo-figlia, o meglio.. l'aveva sentita raccontare almeno un migliaio di volte, quella storia, da quando era arrivato.
E di quel migliaio in un anno e mezzo non ricordava che pochi frammenti.
 
Forse, solo perché in fondo non gliene fregava niente, ma niente di niente.
Loro erano una famiglia, lo erano da un'eternità da cui poteva comodamente sentirsi escluso.
Lui era soltanto quello nuovo.
 
Uscivano, e lui si chiudeva in dormitorio. Davano appuntamento alle ragazze per la discoteca o per un pub, e sfuggiva a rifugiarsi fra gli scaffali della biblioteca.
Non aveva mai fatto niente, per smettere di sentirsi solo.
 
- Barba!
Chiudeva gli occhi, raccoglieva il respiro, lento e rassegnato a sentirsi chiamare per l'ennesima volta con quel soprannome. Caricava il solito sorriso a tre quarti, e raggiungeva la prossima destinazione.
 
Ancora una manciata di mesi, ed era riuscito a sciogliersi un po’, selezionando le amicizie e provando a viverla, quella città. Ma l’ombra non voleva smetterla, di lasciare il fondo dei suoi occhi.
 
- E lui è l’appuntato Barba; è così, come lo vede. - Cecchini l’aveva presentato al nuovo capitano con un minuscolo sospiro, lasciandolo aggrottare le sopracciglia dalla propria posizione a tacchi tirati.
 
Cioè?
 
La stessa espressione si specchiava negli occhi della donna che aveva di fronte.
- Mi scusi, Cecchini.. ma non mi risulta che..- quella aveva puntato lui con l’indice, rivolgendosi al maresciallo con aria insospettita.
- Ah, no. E’ un soprannome. Noi ci diamo tutti un po’ dei soprannomi. Sa, così.- il maresciallo aveva preso ad agitare le mani, visibilmente imbarazzato.
Un superiore. Nuovo, all’apparenza l’inverso di quel capitano Lotti di cui tutti parlavano con ammirazione e rimpianto. Qualcuno era arrivato a definirla, sottovoce, quella stronza lì.
 
Ed ora quella perfettina inamidata maniaca dell’ordine del capitano Olivieri era rigida, di fronte a lui, nel silenzio più imbarazzante del pianeta Terra.
- Castiglione. Appuntato scelto Castiglione, signora.- rispose, dopo aver deglutito e lentamente raccolto il fiato, trovandosi a salvare in corner Cecchini dalla propria orrenda gaffe.
Le mani strette a pugno lungo i fianchi, lo sguardo di cristallo dritto avanti a sé. La donna aveva annuito, leggera, segno che gli concedeva il riposo e sorvolava sul momento imbarazzante.
Non c’era altro, da dire. Aveva già sicuramente studiato a memoria lo stato di servizio di tutti, lì dentro. Più o meno come avevano fatto loro, per capire in anticipo con chi si sarebbero trovati a che fare.
 
- E siete tutti invitati.
Cecchini sollevava il viso, carico di gioia ed orgoglio, di fronte a quasi-figlia e quasi-quasi-genero, lasciando che Laura ricevesse l’abbraccio di Pietro e del piccolo Romeo, più quello di tutti coloro che le erano capitati a tiro.
- Grazie. Sarà un piacere.- il capitano Olivieri aveva sorriso, limitandosi ad una cordiale stretta di mano, dato che il livello di confidenza con il suo predecessore e la fidanzata potevano definirsi pari a zero.
Con lo sguardo di una che l’avrebbe evitato tanto, ma tanto volentieri.
 
Ventiquattr’ore, il maresciallo che trascinava quasi di peso il futuro sposo a vestirsi in caserma perché vedere la sposa prima della cerimonia portava altamente sfiga, un discreto trambusto e vociare tutt’intorno.
 
Di fronte allo specchio dell’alloggio che aveva scelto, dopo essersi liberata di appartamento e scomodi ricordi, c’era solo Anna, capelli sciolti ed aria completamente stonata con il personaggio che interpretava quando indossava la divisa. Anna, il vestitino del fidanzamento andato in malora. Ed una voglia tremenda di piangere.
 
Non era lei, la protagonista di quella giornata, vestita di bianco davanti all’altare. Né quel giorno, né mai.
 
Il nodo in gola non voleva sciogliersi, il petto faceva male.
Non aveva mai avuto tanto bisogno di un abbraccio.
 
Raccogliere il fiato, cercare di incoraggiarsi annuendo una, due volte all’indirizzo del proprio riflesso.
E tirarsi la porta dietro, con energia.
 
Fu solo a metà corridoio, che si accorse di essere ancora a piedi nudi.
- Oh, malediz-! – un veloce dietro-front, uno scatto in direzione opposta. In tempo per finire letteralmente addosso ad un corpo maschile. Vestito solo di un asciugamano.
- Barba! – esclamò, senza evitare di sganciare uno sguardo verso quel centrosud ed avvampare di rosso – come diavolo s’è conciato?!
- E.. lei, come s’è vestita? – replicò il giovane, aggrottando le sopracciglia.
- C’è- c’è il matrimonio, non se lo ricorda?
- AH.
- Non- lei non-?
- Se riesco ad evitare, preferirei.
L’espressione del giovane si faceva seria, l’azzurro dei suoi occhi si spegneva.
- Pensavo di essere l’unica.- rispose, tirando il fiato e lasciandogli aggrottare di nuovo le sopracciglia – a sentirmi un’estranea, intendo.
- Intruso. Io mi sento un intruso. Sono stati una famiglia, per un paio d’anni. Si sentono ancora tali. Io.. io non c’entro niente; sono quello che l’ha sostituita. Il carabiniere Capobianco. La sposa.- lui la vide annuire, e spostò per un attimo lo sguardo – non è stato un posto facile, da occupare. Non credo lo sarà mai, nonostante tutto.
- Beh.. io ho sostituito lui. Lo sposo.- Anna si ritrovò a mordicchiarsi le labbra, stringendosi nelle braccia – credo di sapere cosa si provi. Se ci sei tu, vuol dire che lui non c’è più. IL capitano se n’è andato – un sospiro, pesante, calcando sull’articolo – ed al suo posto è arrivata "questa stronza qui". Vi ho sentito, sai. E continuo a sentirvi..- lei fece cenno come a dire nella testa – è la parte peggiore.
La voce ora si incrinava, e l’immagine del capitano sembrava tremare.
 
C’era Anna, davanti a lui. Solo e semplicemente Anna, e di tutta la sua forza restava solo una ferita.
 
- Mi.. mi dispiace.- l’appuntato si ritrovò a deglutire, ad abbassare lo sguardo. Non poteva negarlo, una delle voci che avevano abbinato il nome del capitano alla parola stronza era stata la sua.
- Non fa niente. E’ solo- è solo che non sono proprio soltanto quella che- oh, lascia stare.
Scuoteva la testa, rassegnata, triste. Muoveva una manciata di passi oltre le sue spalle. E poi si fermava, improvvisa.
- Non ti scoccia se ti do del tu, vero?
Lui rispose con un cenno della testa. No.
- Puoi- potresti farmi un favore? – lo lasciò annuire, tornandogli faccia a faccia – io.. ci vado solo per educazione, non so cosa potrebbe pensare Cecchini se.. sai, lui-
- E’ una giornata importante, sì.
- Vuoi.. potresti essere il mio più uno?
- Il suo che?
- Il- il mio più uno, il mio accompagnatore. Potremmo.. potremmo piazzarci in un angolo, far fuori due fette di torta, scolarci una massa immane di vino.. l’angolo degli intrusi.
- Così è più l’angolo degli imbucati.
Lei si mordicchiò appena le labbra, e le scappò da ridere, leggera.
Lui non rideva. O almeno, lo faceva solo a metà. L’ombra.
Ricordava di aver letto qualcosa, sullo stato di servizio dell’uomo che aveva davanti. Qualcosa di non approfondito per più di due righe, una nota in cui alla voce genitori faceva seguito la parola deceduti. Con la data di cinque anni fa.
 
La cosa con cui Cecchini l’aveva collegato a Laura, una sera, parlandogliene. Solo che per quel giovane non era ancora arrivato, un cinque Marzo in cui smettere di sanguinare..
 
- Va bè, imbucati.- sollevò le spalle, cercando una scintilla che riaccendesse almeno in parte quell’azzurro – come vuoi tu.
- E’.. è un ordine?
- E’ solo un favore. Niente stellette.- lei poggiava le dita sulle spalle, le sollevava di nuovo.
- E niente scarpe.- le labbra del giovane ora si piegavano, leggere, accennando ai suoi piedi scalzi.
- OH. Tu niente mutande, quindi suppongo due a zero.
Ora l’appuntato rideva. Viso a terra, prima di risollevarlo a guardarla, e scuotere la testa come a dire: non ci credo, che questa è la stessa a cui batto i tacchi ogni mattina..
- Premettendo che non ho ancora bevuto niente, ti avviso – la smorfietta ora si faceva semi impegnata, nel puntarlo con l’indice – senza la divisa riesco ad essere non esattamente la tizia che saluti così tutti i giorni – mano alla fronte – ma se lo dici a qualcuno, sei un uomo morto. Dai, che magari finisce che ci divertiamo pure.
- Ok.
- Ok è un sì?
- Ok è un sì. Vada a mettersi le scarpe, che io trovo qualcosa per il resto.
-..Che se ti ci porto così, è la volta che facciamo fuori Cecchini.
- Ci vediamo qui. Dieci minuti.
- Grazie.
Quel gesto.
Era successo all’improvviso, la frazione di un secondo. Era scivolata via solo di due passi, per tornare indietro con la leggerezza di una farfalla, sollevarsi appena sulle punte e depositargli un bacio sulla guancia.
Chissà se era riuscita, a percepire l’impennata furiosa dei battiti del suo cuore..
All’esterno, l’appuntato Castiglione s’era fatto completamente rigido, come se avesse appena commesso il più atroce degli errori ed aspettasse un paio di frustate sulla schiena.
- Tutto bene? – quello lei l’aveva capito, forte e chiaro, ed ora si allontanava preoccupata.
- Non credo questa sia una cosa da fa-
- Peccato. Sì, peccato, perché nonostante tutto sei stato capace di dire di sì a questa stronza.
- Capitano, lei non è-
- E perché l’unica cosa che vorrei, adesso.. e che vorrei davvero tanto..- lei raccoglieva il fiato, una, due volte, come se stesse cercando l’ossigeno che le mancava. E non aggiunse altre parole, scivolandogli addosso ed intrecciando le dita oltre la sua schiena.
Silenzio. Un attimo di silenzio, sospeso, infinito. Scandito solo dal battito a mille del suo cuore, che la donna probabilmente stava ignorando, appoggiata col viso al suo petto ancora nudo.
- Capitano..
- Lo so. Lo so, che sto facendo una cosa completamente da evitare, Castiglione.. e mi dispiace, ma io-
- E’ solo che lei è senza divisa, io nudo e sono un maschio funzionante.
Quella piccola battuta la lasciò ridere, a labbra mordicchiate.
- Ok.- si spostò quanto bastava a separarsi dalla traccia del suo calore, mettendo su una smorfietta divertita e sollevando l’indice – ricevuto. Qui. Dieci minuti.
 
Avrebbe potuto scommetterci, e vincerci comodamente una bella sommetta. Ancora prima di varcare la soglia della caserma, tutti gli occhi erano addosso a lei: mise elegante, gambe scoperte e semi imbarazzato cavaliere in camicia bianca accanto. Barba fatta per la prima volta da un paio di ere geologiche, espressione di chi sta ancora aspettando una punizione di quelle tremende. O il naso di Cecchini pronto a spuntare da oltre il primo angolo, annunciandogli tranquillamente "sei su Scherzi a Parte".
E il capitano Olivieri aveva appena osato raccogliergli una mano, intrecciando tranquilla le dita alle sue.
 
Anna.. se solo sapessi.. ma non te lo dirò mai.. non te lo posso dire, è una cosa che proprio non esiste.
E poi.. cosa cambierebbe? I nostri dieci gradi di separazione? Mi sentirei meno inadeguato? Siamo qui, la tua mano nella mia, solo perché c’è il tuo ex, lì davanti, e questo è il tuo ultimo disperato tentativo di fargli preferire te alla divisa da prete? O stai cercando di far ingelosire il sostituto procuratore?
 
Ora lei voltava le spalle, avvicinandosi a facce amiche, al bordo della piazza della chiesa. Le dita a lasciare le sue dita, dando tregua ai suoi battiti ma piantandogli una spina nel cuore.
Uno sguardo, di riflesso, verso Cecchini che aspettava l’arrivo della sposa sul primo gradino. Vederlo perdere il respiro, sgranare gli occhi come se avesse saputo. Tutto.
 
Impossibile.. ne ho parlato solo con don Matteo.. e lui non è tipo da..
 
I passi si bloccavano, adesso avrebbe volentieri voltato le spalle per scomparire.
Non puoi. Le hai detto di sì..
 
La sposa arrivava, nuvola bianca in mezzo a baci, abbracci e sorrisi. Il suo quasi-padre lasciava ridere i presenti con un paio delle sue battute, se la caricava al braccio e l’accompagnava all’altare.
La gente scivolava pian piano oltre la porta della chiesa, e a lui non restò altro che provare ad ignorare Anna e i sorrisi che le rivolgeva il dottor Nardi, e scivolare appoggiato al muro.
In fondo, ultimo, invisibile. Intruso.
- Scusate..
 
L’aveva visto. E compreso al volo, forte e chiaro. Quelle spalle scivolavano dentro, mentre Marco l’affiancava e le indicava dei posti liberi un po’ defilati.
- Potremmo..
- Scusa, ma.. sono..- lei puntò il pollice oltre le proprie spalle, da lato opposto – sono venuta in compagnia.
- L’appuntato Barba? – quello piegò le labbra in una smorfietta.
- Francesco. Si chiama Francesco.- lei gli sollevò addosso uno sguardo da mandare in frantumi un sorriso, quello sollevò le mani e si rassegnò a lasciarla andare.
- Ehi.
- Non è obbligata a restare con me, capitano.- fu la risposta, opaca, al suo arrivargli spalla a spalla.
- C’è un vantaggio a portare le stelle, sai. Non sei obbligato; puoi fare quello che vuoi.
- Ma-
- Sono dentro ad un vestito da donna, ho ai piedi tacchi che non metto da una vita e mezzo, e il privilegio di avere accanto un uomo davvero bellissimo che neanche lo sa. Direi che ho il diritto, di fare quello che voglio e godermela un po’, no?
- Per favore, adesso la smetta..
- Anna.- lei si piegò appena, costringendolo a voltare il viso e guardarla – senza la divisa, sono Anna. Punto. Ok, Francesco? I tacchi li batti domani, quando torniamo a vestirci di nero.
Scuotere appena la testa, mettendosi in posizione e lasciando che le proprie spalle venissero inondate di boccoli di miele. Il naso alto e dritto rivolto alla navata, il braccio che andava a circondargli i fianchi. Uno sguardo d’intesa, lontano dagli occhi di tutti, prima di tornare in posizione.
E le labbra che si piegavano, quando quella mano caldissima osò contraccambiare la stretta, appoggiandosi oltre la sua schiena. Si lasciò andare, nuca contro la sua spalla, indagando prima in quegli occhi di cristallo e poi mordicchiando maliziosa le labbra.
Tutto bene?
 
- Sono ancora vivo, sì.- fu la risposta, in un sospiro.
-..Anna.
- Anna.
- Ricevuto?
- I tacchi li batto domani.
La lasciò annuire, decisa, e tornare per l‘ennesima volta col viso alla navata, lasciandole meritare un bacio sui capelli. Il capitano chiuse gli occhi e si lasciò cullare.

NDA: ora qualcosa è più chiaro su questa storia, ma sicuramente le idee vi si saranno un po' incasinate. Ecco, ho il brutto vizio di raccogliere indizi da serie e personaggi a cui mi ispiro e modificare un po' quello che mi "stona". L La storia è inserita in una serie che sto modificando per pubblicarla, in cui accanto a don Matteo e Cecchini i personaggi sono un po' diversi da come li ha descritti la TV; i nostri sono rimasti a Gubbio (il trasferimento in massa, dettato da questioni reali-pratiche, risulta a trama un po' un nonsense che qui ho eliminato) ed è diverso qualche nome che non mi piaceva proprio.. beh, osservate e sappiatemi dire, aspetto i pomodori ;) a presto
 

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Capitolo 3
*** Non Abbastanza ***


Gli amici degli sposi sembravano gente veramente motivata: chitarre e voci durante le prime portate, una vera e propria band che suonava lungo il resto del pranzo. Poi un flash-mob a sorpresa, ed una ragazza che faceva ballare tutti con la musica da DJ.
E Cecchini che viaggiava avanti e indietro, emozionato come fosse stato lui, lo sposo, magnificando l’ottima scelta di un ristorante con un grande giardino tutt’intorno.
 
Il luogo ideale, per scivolare lontano da tutto e da tutti, senza che occhi indiscreti la potessero intercettare.
 
Dopo aver stretto una generosa quantità di mani, ed aver ascoltato nomi che si sarebbe dimenticata nel giro di un minuto, Anna raccolse il respiro e decise che sì, tanto non era lei, la protagonista della giornata, e vaffanculo tutto e tutti. Vaffanculo Giovanni, fai un po’ quello che vuoi, della tua vita, non mi riguarda più. E sparisci anche tu, Marco, con le tue battutine ed il tuo sentirti sempre un po’ superiore. Sì, ok, sei divertente. E brillante. E non male. Ma chi se ne strafrega. OH. Cacchio. Il vino sta cominciando a parlare al posto mio.
 
La musica adesso era un sottofondo, e le scarpe erano volate chissà dove lungo il prato.
Ma ciao, Gubbio. Sei davvero una città stupenda, sai? Saluti e baci a tutti da quella stronza del tuo nuovo capitano!
 
Raccogliere quanto più poteva di quell’aria fresca, riempiendosi i polmoni. Emettere una nota o due, completamente a caso. E ridere, ridere forte per non piangere.
Per non aprire gli occhi davanti a quella che era la sua realtà. Sola. Sei sola, Anna. Povera piccola inamidata perfettina stronza sola. Tutto qua.
 
La canzone finiva, e l’erba tagliata di fresco accoglieva il suo cadere giù di peso, stanca e piena della sola voglia di piangere.
 
Capitano..
Quella voce. Poco scura, esitante. Voltava il viso, ed ecco l’immagine di quello che, in quel preciso istante, avrebbe potuto definire la sua anima gemella, l’uomo perfetto. Sfregiato da cicatrici invisibili, dolorante e solo almeno quanto lei.
L’appuntato teneva fra le dita le sue tacco dodici, le sollevava appena, a mostrarle che le aveva trovate. Gli dedicò una microscopica occhiata, prima di tornare all’erba, all’aria fresca ed ai propri respiri.
- Anna..- la voce ora si faceva più vicina, più reale. Quella camicia bianca le arrivava accanto, accovacciata fra le margherite di Marzo, quel viso si piegava appena, ad indagare nel suo – tutto ok?
- Okkeissimo, direi.- replicò, stirando le labbra in una smorfietta.
- Sei un po’ alticcia.
- Sbronza. La parola giusta è sbronza, appuntato. Sto.. camminando sui cuscini – si lasciò andare, spalle al prato e naso al cielo, come una bambina – però sto bene, grazie. Sto bene, adesso.
- Già.
- E se lo vai a raccontare-
- Venti giorni di consegna, ok.- lui mordicchiava appena le labbra, di fronte a quella faccetta arrossata e a quell’indice puntato, lasciandola annuire e tornare distesa.
- Trenta. E credo sia meglio se-
Non le consentì di alzarsi per più di cinque centimetri, tendendo il braccio e trascinandosela addosso.
-..Se restiamo qui ancora un po’. Io posso tacere, ma sei visibile da sola. Anche da lontano. E Cecchini ci vede ancora bene, da lontano.
- Ok..- lei si stiracchiò come un gatto, prima di allungare un braccio a circondargli il petto, appoggiando poi il viso nell’incavo del suo collo con un sospiro lunghissimo.
Un altro istante, cercando di tirare il fiato e rallentare i battiti, per sentirli di nuovo aumentare quando la vide sollevarsi ed arrivargli quasi naso contro naso.
 
Oddio. Se n’è accorta.
 
Invece, la domanda pronta era completamente diversa.
- Perché Barba?
- Perché praticamente non la taglio mai.- rispose, dopo aver esitato un istante – e.. beh.. penso che sia anche perché non sono mai stato propriamente un tipo di compagnia.
- Non sei antipatico.
- No, vabbè.. però-
- Non ami troppo pub, ragazze, discoteca..
- Non- cioè, mi va di stare da solo.
- E’ per via dell’ombra?
- Scusa? – lui si mosse appena, aggrottando le sopracciglia.
- L’ombra. Una volta hai detto che i tuoi occhi cambiano colore a seconda del tempo, e luce a seconda delle persone. E’ colpa mia?
- Non.. non credo di-
- Sì. Cioè.. ridi. Non troppo spesso, ma ridi. Sempre a tre quarti, però. Hai sempre quel velo.. quell’ombra negli occhi. Sono.. sono meno azzurri di come dovrebbero essere.
- No. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E’.. è solo così.- lui si ritrovò a spostare lo sguardo, puntandolo al cielo e sollevando appena le spalle. La voce appariva velata, come non avesse la forza per uscirgli dalle labbra.
 
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
 
- Sono.. beh, avrai sicuramente esaminato anche il mio, di stato di servizio, al tuo arrivo. Giusto.. giusto per capire con chi avevi a che fare.
- Come voi avete fatto le pulci al mio, sì. Più o meno.
- Allora sai cos’è successo.- lui la lasciò annuire, poi tornare viso al suo collo – lì ci sono due righe, la verità.. la verità è che forse la colpa è mia.
- Scusa?
- Sclerosi multipla. Mio padre ha iniziato a combatterci che avevo vent’anni, ci ha combattuto per dieci. Ha iniziato sentendosi stanco, poi le braccia che s’intorpidiscono, le gambe che non gli permettono più di andare dove vuole. Fino a quando non l’ha consumato. E mia madre ha combattuto con lui. Ogni giorno, ogni ora. Ha lottato, ha combattuto al suo fianco, con la testa, la forza ed il cuore. E quando lui se n’è andato.. lei s’è arresa. E’ stato cinque anni fa, e.. e io continuo a pensare che l’amore che provava per me non è mai stato abbastanza, in confronto a quello che provava per lui. Io non ero abbastanza, per convincerla a non arrendersi..
 
La verità.. è che io non sono, abbastanza..
 
La voce si spezzava in gola, ora come la sera in cui, col cuore più stretto del solito, aveva varcato le porte della chiesa.
Ricordava di essere appena smontato dal servizio, di non aver neppure tolto la divisa. Di averne avuto bisogno, bisogno da morire. Bisogno di essere solo, di pregare, di sfogare lacrime che non sarebbe mai riuscito a lasciar sfuggire davanti a nessuno.
 
Don Matteo l’aveva trovato lì, nell’ultima panca, immerso nel silenzio. Il berretto accanto, le mani strette fra loro con forza, quasi con disperazione. Gli occhi avanti, leggermente sollevati verso il crocifisso, il loro cielo annegato in lacrime senza rumore.
E l’aveva raggiunto, chiamandolo per nome.
 
Francesco..
 
Aveva esitato un attimo, a voltarsi. Come faticasse a riconoscerlo come proprio.
Era una vita, che non si sentiva chiamare per nome.
 
- Ciao..- quella tonaca nera aveva volteggiato per un attimo, prima d’appoggiarglisi a fianco – tutto bene?
Non era riuscito a rispondere, se non facendo cenno di no con la testa.
- E’ uno di quei giorni, vero?
- Credo sia peggio, don Matteo.- s’era morso le labbra, piegando il viso a terra.
- E’ successo qualcosa?
No.- gli aveva detto, sempre a cenni.
- Riesci a dirmi.. riesci a descrivermi, anche solo con una parola, come ti senti?
 
Era già successo. L’aveva già trovato, in quello stato, seduto in angoli o su gradini, quando maggiormente lo torturava la ferita. Non era riuscito a dare a sua madre la forza per rimanere. Non era riuscito ad evitare che si togliesse la vita, che seguisse suo padre. Non era stato abbastanza, provarci. Non era mai stato abbastanza, il suo amore.
 
Io.. non sono abbastanza..
 
- Non è vero, Francesco. Non è vero, che non sei abbastanza. Per quanto piccolo, ed inutile, e debole tu ti senta.. tu sei più che abbastanza, per Lui.
Il viso ad indicare il crocifisso, lo sguardo d’incoraggiamento di un padre.
- Non è solo questo, don Matteo. Sto.. io sento.. è una cosa sbagliata, e.. e mi tortura.
Riesci a dirlo? – chiedeva quello sguardo. Il tempo di raccogliere il fiato, ed aveva iniziato lentamente a raccontare.
 
Il capitano. Don Matteo sorrise, leggero, al sentirla nominare.
- Beh, ragazzo mio.. quella è una tipina tosta, devo dire che anche a me sta dando del bel filo da torcere, per non parlare del maresciallo.. ma non vedo motivo per amareggiarti tanto.. o ti sta trattando in modo-?
- Non è questo, don Matteo.
Il prete si ritrasse appena, raccogliendo il respiro, e facendosi serio, di fronte a quegli occhi.
- Capisco.- disse, leggero – dovresti parlarne con lei, però. Non con me. Amare una donna non è un peccato, a meno che tu-
- Non ho idee di quel tipo, se è quello che pensa. E’.. è solo che-
- Credo davvero che glielo dovresti dire.
- Dirle che, don Matteo? Che sta diventando sempre più difficile, restare indifferente? Che stringo le mani a pugno più che posso, sperando che serva a rallentarmi il cuore? Che prego in tutte le lingue possibili che non lo senta? Che provo qualcosa che non è giusto?
- Non c’è niente, di sbagliato, in quello che provi.
- A parte che fa male?
- Smetterebbe, di far male, se lo lasci uscire.
- E’ per questo, che sono qui, don Matteo.. dovevo.. dovevo dirlo a qualcuno.. ma non.. non a lei, non posso.. non.. non esiste, non esiste proprio.
- Lo so, è difficile. Devi solo trovare il modo per affrontarlo. Pensa a Lui.- il prete indicava di nuovo la croce – a quello che sentiva, a come lo sentiva, nell’orto, solo la notte prima. Al dolore che sapeva di dover affrontare. Pensa a Lui, troverai la forza che ti serve. E’ amore, Francesco. Fa male, sì. Ma è la cosa più bella che ti potesse capitare.
Piegava il viso. Basso, verso terra, scuotendolo appena a far cenno di no. No, impossibile. Non lo saprà mai, non da me.
- Non è una cosa giusta. Non posso amare una donna da cui mi separa.. tutto. Lei.. lei è il comandante, don Matteo. Io niente. Non siamo Lotti e la sua bella, è tutto il contrario, e io.. io non posso.. non sarò mai abbastanza, per lei. E’ solo.. è in una sola direzione, don Matteo. A senso unico.
Non commettere stupidaggini..- lo pregava, ora, quello sguardo silenzioso.
- Non ho intenzione di farmi del male, se è questo, che pensa. Forse.. forse potrei andarmene, non credo che mancherei a nessuno. Un foglio di via, e capitolo chiuso.
- Francesco.- ora il tono del prete si faceva di rimprovero, mentre una mano lo raggiungeva – parla con lei. Non è detto che la sia davvero, una cosa a senso unico, ma la resterà, se continuerai a tenertela dentro a fare male.
 
Un sospiro, lento, pesante, a rompere il silenzio.
 
Nessuno dei due se n’era accorto, di quella presenza ad ascoltarli dal buio oltre il portone.
 

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Capitolo 4
*** Mai ***


La musica riprendeva, gli sposi erano ormai discinti e spettinati, seduti in un angolo, spalle al muro, a ridere e raccontare, divisi fra nuovi e vecchi amici riuniti in un’unica immensa famiglia. Il maresciallo decise che non avrebbe fatto del male a nessuno, allontanandosi a sgranchire un po’ le gambe.
E magari poteva evitare di trascendere con battute ormai dettate dal vino più che dalla sagacia.
 
Le labbra stirate in un sorriso, incontrando una camicia bianca ed un abitino stesi sul prato, non distante dall’uscita posteriore del giardino.
Oh. Ce l’hai fatta, allora.. e bravo Barba.
 
La curiosità era comunque più forte che la discrezione, e lo legò ad un albero, lontano abbastanza da non essere intercettato.
Gli sollevava comunque il cuore, dopo lo stato in cui aveva visto il collega, abbandonato su una panca della chiesa accanto a don Matteo.
 
Dai, ragazzo. La tipa è tosta, ma so che ce la puoi fare. Basta sopportare la sua mania dell’ordine, il suo nasetto sempre dritto, e quella cosa del voler sempre e comunque aver ragio-
 
Si ritrasse come un gatto, spalle all’albero, limitandosi a lanciare qualche occhiata, dopo averli visti sollevarsi di scatto. Lui, poi lei.
Lui che si passava le mani fra i capelli, e sembrava teso più che una corda di violino, che si allontanava a passi veloci, per poi bloccarsi, tornarle fronte a fronte e baciarla come di solito fanno gli attori dei film.
 
Congelandola completamente in quell’angolo di prato, prima di scomparire.
 
- Non dire stupidate, Francesco. Sono io, quella ubriaca con la licenza di dire stupidate, oggi.- Anna s’era sollevata di nuovo, stropicciandosi ed appoggiandogli una mano sul petto – non è stata colpa tua. E’ solo.. lo so, che sembra superficiale, ma credo.. credo che il loro amore fosse qualcosa di indivisibile. L’amore scritto maiuscolo, quello che non ti lascia respiro, quello.. quello che non puoi più fare a meno di lui. Quello che va oltre. Oltre la morte, oltre tutto. Quello..
 
Quello che vorrei vivere io..
 
Quelle mani la raccoglievano, e caldissime le massaggiavano i fianchi, riportandola addosso a quella camicia bianca.
- Lo so.. che il mio dolore non vale un millesimo, di quello che provi tu. E oggi ti sembro una cretina, una cretina sbronza.. la verità è che fa male, sentirsi soli.. sentirsi troppo poco, per la persona che ami, sentirsi piccola da scomparire, e.. e aver voglia di cancellare tutto, tutto quello che te lo ricorda, perché è l’unica via d’uscita, quando capisci che tanto non c’è niente da fare, che lui non tornerà, perché l’ha trovato, l’amore scritto maiuscolo, ma non è per te. Che non sei abbastanza. Che non vali abbastanza. Che, anche se scomparissi, quello che per te era l’unica ragione di vita non se ne accorgerebbe nemmeno..
Piangeva. Ora piangeva, minuscola e raggomitolata fra le sue braccia calde, e lui lasciò che le carezze esprimessero tutte le parole che non riusciva a dire.
- Puoi.. ti va di non valere abbastanza insieme a me? Due niente che si fanno compagnia.
- Anna..
- Lo so, sono ubriaca. E chi se ne fotte, raccontalo un po’ a chi ti pare.
- Non è così tremendo, Anna. Da qualche parte c’è per forza, qualcuno per cui non è vero, che non sei abbastanza. Devi.. solo..
- Guardarmi intorno? Aspettare? Aspettare guardandomi intorno? – lei ora tornava ad appoggiarglisi addosso, occhi negli occhi e naso contro naso.
 
Un istante, sospeso in mezzo al canto di qualche merlo nascosto chissà dove.
- Non è cosa. Non è giusto, non posso.- scuotendo la testa, il giovane scivolò lontano dall’abbraccio, sollevandosi e sbattendo via fili d’erba dalla camicia.
- Cosa.. cosa non è giusto? – lei lo seguì, un po’ più lenta e decisamente stropicciata.
- Questo. Io e te. No. Non esiste. Non può.- lui tese le mani, come a volerla distante. Poi le portò al viso, alla nuca. E, scuotendo ancora la testa, prese i passi in direzione dell’uscita.
- Mi vuoi spiegare cosa accidenti significa? Cos’è, che non esiste? – Anna allargava le braccia, alzando di poco la voce, col tono di quella che sinceramente non ci sta capendo niente.
 
La risposta che le arrivò fu eloquente, fin troppo. Anche senza il bisogno di parole.
L’appuntato Castiglione prendeva fiato, gonfiando appena le spalle. Voltava i passi, la raggiungeva deciso.
Una mano sulla nuca, l’altra a farle bruciare il fianco. E quel bacio, a portarle via il respiro.
 
- Questo non possiamo esserlo, io e te. Mai.
 
Neppure il tempo di elaborarla, quella manciata di parole, recitata in un soffio.
Il cuore a mille, la testa che girava.
 
E quella camicia bianca era scomparsa oltre il cancello.
 
Many encounters, meant to happen
But you still have to play your part
You'll be happy when you've passed the barrier
It will feel like you knew it from the start

 
Stop complaining
Let the sun into your life
When you feel like saying something just try

 
Look into each others eyes for a while
Open up, get together
'Cause love starts with a smile
Don't be scared to show what's on your mind
Make a move, take a moment


'Cause love starts with a smile
 
La voce di quella ragazza andava in fade, nella sala del ristorante. Anna voltò lo sguardo, e trovò quello completamente sbarrato del maresciallo Cecchini.
Non riuscì a reagire, non come suo solito. Non riuscì a chiamarlo, alzando la voce, a muovergli un rimprovero o una minaccia. Li aveva visti, non importava.
 
Importava solo il modo in cui la stava guardando.
 
Che.. che cosa sa, lei?
 
- Io non ho visto niente.- lui tentò la battuta, sollevando le mani, ma il tono in cui la espresse tradì qualcosa di diverso.
- Cecchini, per favore. Che cosa sa, lei?
- Di che?
- Di questo. Lui-
- Ha trovato un modo un po’ irruento, per dirglielo.
- Per.. per dirmi cosa?
- Mi dispiace, non sono affari miei.- quello provò a sfuggire, ma lo bloccò quel richiamo. O meglio, il tono disperato di quel richiamo.
- Maresciallo! Per.. per favore.
- E’.. è convinto di non essere abbastanza. Per lei, intendo. Una sera, mi è sparito dopo che siamo smontati dal servizio. L’ho trovato in chiesa, che parlava con don Matteo. Avvilito come uno straccio. Prova qualcosa.- lui tese le mani, come a dire cerca di capire – prova qualcosa.. per lei. Non da subito, ma da un po’ di tempo sì. Anzi, all’inizio non era che gli risultasse propriamente simpatica. Un po’ come per tutti, eh? Non per me, ma-
- Cecchini, per favore.
- Don Matteo cercava di dargli un po’ di sostegno, e lui ripeteva che è inutile, che fa solo male. Che è una cosa a senso unico. Don Matteo insisteva, devi dirlo a lei. Lui.. lui continuava a rispondere che tanto non sarà mai abbastanza. Credo che oggi-
- OH..
- Lo so, capitano. Mi dispiace.
- No, dispiace a me. Sono stata io, a chiedergli di farmi da accompagnatore, la verità è che nessuno dei due voleva venire al-
- Non è colpa sua. Sì, ok, è un po’ sbronza.. facciamo qualcosa di più di un po’.- quello incontrò il suo sguardo obliquo, ma decise di giocarsela fino in fondo – che magari gli ha concesso qualcosa, che gli è stata addosso un po’ più del normale.. ma non è l’illusione di oggi. Lui lo prova davvero, qualcosa. E da mo’.- fece cenno con la mano come a dire da un bel po’ – lei non l’ha notato, ma i suoi sguardi non sono mai stati dei migliori, tutte le volte che l’ha vista flirtare con il dottor Nardi.
- Io non flirto col dottor Nardi!
- Boh, lei magari no, ma lui sì. La prossima volta, provi a guardarsi alle spalle, se ci sono delle divise. E se magari fra di loro c’è uno con gli occhi azzurri.
- Adesso mi sta facendo davvero sentire uno schifo.- lei raccolse il respiro una, due volte, passandosi la mano fra i capelli.
- No. Quello è il rosso della casa. Sinceramente, gli parli. Domani, dopodomani, fuori sbronza. Gli dica chiaro e tondo come stanno le cose per lei, qual è la distanza che deve tenere. E’ un ragazzo serio, credo lo capirà e saprà tenersi in disparte. Magari gli farà male, per un po’, ma..
 
Da qualche parte c’è per forza, qualcuno per cui non è vero, che non sei abbastanza..
 
- Ok..- Anna si ritrovò a mordersi le labbra, quasi a sanguinare – ok.. grazie, maresciallo..
- Vuole.. vuole entrare? A riposarsi un attimo, magari..
- No. No, grazie.. è meglio se me ne vado.
- La faccio accompagnare.
La ragazza continuava a scuotere la testa, provando a mantenersi in equilibrio ed infilando di nuovo le scarpe.
- Serve aiuto? – ecco la voce di Marco, comparsa dal nulla e velata di preoccupazione.
- Sì. La può riaccompagnare in caserma? – replicò Cecchini, al posto suo.
- Sbronza, eh?
- Peggio.
Il procuratore non prestò attenzione più di tanto all’espressione scura del maresciallo, né all’atto con cui la ragazza cercò di opporsi al suo raccoglierle i fianchi.
- Dai, Anna, andiamo.- la sospinse verso la propria auto, la fece salire, e senza aggiungere altre parole la portò indietro, fino all’ingresso della caserma. Per poi rassegnarsi al lasciarla andare con un solo opaco grazie.

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Capitolo 5
*** Una Lama Nel Petto ***


Tre caffè, una botta di emicrania ed un paio di pastiglie di Voltadol dopo, il capitano Olivieri era pronta a ricominciare. Divisa, stelle ed espressione cupa di serie, la mattina seguente varcò l’ingresso limitandosi ad un distratto buongiorno, di cui non attese neppure risposta, chiudendosi nel proprio ufficio con la speranza che nessuno fosse riuscito a leggere sul suo viso i segni del pianto.

Non era riuscita a fare altro, una volta oltre la porta del proprio alloggio.

Sei sbronza, Anna. Non puoi. Non puoi, adesso, andare di là a chiedergli ancora spiegazioni. Non ti sono bastate quelle di Cecchini? Non ti è bastato il modo in cui ti ha baciato? Giovanni non se l’è mai neppure sognato, di baciarti così.. non puoi, non è giusto. Per nessuno dei due. Neppure se adesso lo vorresti da morire, andare di là, chiamarlo per nome, e se non ti risponde buttargli giù la porta a pugni, e se ti apre pretenderlo, un altro bacio come quello, e poi un altro ed un altro ancora, e strappargli via la camicia, ed esserlo davvero, per sempre o solo per una notte, soli insieme.. due niente che si fanno compagnia..
E’ uno dei tuoi sottoposti, Anna. E tu sei sbronza, adesso. Domani te ne pentirai.


Il telefono squillava, il numero era quello di sua sorella. Lo spense, e lo gettò sul letto, prima di affondarci anche lei, a farsi asciugare le lacrime dal cuscino.
E l’immagine che lo specchio le restituiva, la mattina dopo, era quella di un fantasma.
Ho bisogno di un caffè..

Ne aveva presi tre, in tre bar diversi, prima di decidersi a rientrare, a riprendere il proprio posto.

Buongiorno..

L’appuntato Castiglione occupava la propria scrivania, quella nell’angolo. Al suo saluto, si limitò a rispondere sollevando gli occhi, per riportarli subito allo schermo del computer.
Come avesse voluto sfuggire, nascondersi. Scomparire.

Dieci, cento, mille minuti. Un paio di chiamate, qualche persona che sfilava oltre la vetrata per sporgere denuncia o chiedere informazioni. Zappavigna che bussava e le consegnava un plico, enumerando il percorso che aveva seguito per metterne insieme i documenti, poi il suo docile aspettare il grazie, ottimo lavoro del capitano, prima di scivolare via accennando a chiudersi la porta alle spalle.
- Lascia.- gli disse, a mano tesa, lasciandolo annuire ed allontanarsi. Raccolse il fiato, ed arrivò a stringere lo stipite fra le dita – Castiglione.
- Comandi.- replicò quello, rimanendo per un istante inchiodato nel proprio angolo, sotto lo sguardo congelato di Cecchini.
- Nel mio ufficio.

La donna si ritirava oltre il vetro, e a lui le mani tremavano, nello scivolare lontano dalla postazione.
Respira.- gli fece il maresciallo, mimando il prendere il fiato, lentamente.

- Capitano..
- Chiudi la porta, per favore.- rispose la donna, andando a mettere fra sé ed il sottoposto la barriera della scrivania, ed invitandolo con la mano ad accomodarsi. Le rispose con un brevissimo cenno di no, rimanendo inchiodato a pugni chiusi poco oltre la porta.
- Credo sia opportuno parlare. Riguardo a quello che è successo ieri-
- Non è successo niente, signora.- quella risposta, completamente opaca, le diede l’impressione di un pugno in piena faccia.
- Ok.- si ritrovò a deglutire, spostando per un attimo lo sguardo – io devo chiederti scusa. Non era mia intenzione trattarti in quel modo; sono stata irruenta, maleducata ed importuna. Volevo solo farti sapere che-
- Non succederà mai più, signora.

Una crepa, in quella voce. L’azzurro di quegli occhi che si abbassava al suolo. 
Ora non aveva più l’impressione di un pugno, ma di una lama nel petto. Da sentire il sapore del sangue, in gola.

Anna voleva muovere un passo, due. Arrivargli addosso, legargli le mani dietro la schiena come aveva fatto la mattina prima, su, nel corridoio degli alloggi. Chiedergli di nuovo scusa, se si era portata troppo oltre, e che sì, in un angolo del suo cuore c’era davvero, il desiderio di provarci, a diventare due niente che si fanno compagnia. E dirgli che aveva ragione, che da qualche parte esiste, qualcuno per cui non è vero, che non sei abbastanza. Che era disposta a combattere. Al suo fianco. O almeno a metterci tutto l’impegno possibile, per imparare come si fa.
- Grazie, appuntato.- fu tutto ciò che invece sfuggì alle labbra del capitano, nota stonata e vibrazione cattiva.
Quello scattò mano alla fronte, con uno sguardo che le passava oltre, vuoto ed impersonale. Ed in un attimo fu lontano da lì.

Una settimana, un mese. Silenzio ed indifferenza, in due corpi vestiti di nero che facevano di tutto per evitarsi.
O almeno, questa era l’impressione del capitano. 

La lama continuava il proprio lavoro, dentro di lei.

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Capitolo 6
*** Sotto Accusa ***


Due mesi, e poi quella telefonata. Solo una manciata di parole, a portarle il cuore alle tempie, a ribaltarle tutto. Di nuovo.
 
- I medici hanno sciolto la prognosi, lo stanno lasciando risvegliare dal coma farmacologico. Hanno bisogno di qualcuno della famiglia, perché devono comunicargli.. che ha il sessanta percento di probabilità di.. di rimanere paraplegico. Non è una notizia facile, per una persona che-
La voce di don Matteo, oltre il cornetto, tremava appena. Le sembrò di vederlo prendere il fiato, deglutire, prima di terminare la frase.
- Lui non ha famiglia, capitano.
- Arriviamo subito.- aveva chiuso, spiccia, voltandosi poi verso gli uomini che aveva accanto, fermi in attesa di notizie - Ghisoni, un’auto. Maresciallo, andiamo all’ospedale.
- Cosa.. che è successo?
- Francesco.
 
Per nome. Lo chiama per nome. E’ successo qualcosa di brutto.
Peggio di quello che ha passato finora?
 
S’era presentata una ragazza, una sera. Era arrivata in caserma coperta di lividi, il viso in fiamme e la voce che tremava.
Non aveva più di trent’anni. Ed aveva affrontato zoppicando quella manciata di gradini, per denunciare l’uomo che l’aveva picchiata.
 
- Chi ti ha ridotto così? – le aveva chiesto, piegandosi appena dall’angolo di scrivania su cui s’era appoggiata, cercando di mantenersi calma e professionale. Seduta di fronte a quella divisa come su un cuscino di spine, la ragazza aveva esitato per un lunghissimo istante, prima di rispondere. E la sua voce continuava a tremare.
Come praticamente tutto il resto di sé. Paura, aveva una paura atroce di qualcosa, di qualcuno, come se l’avesse ancora accanto, o peggio, dietro le spalle, pronta ad aggredirla di nuovo, a farle male. Se non qualcosa di più.
- Un.. un cliente. Sono una prostituta. Lavoro da sola, per me.. forse è per questo, che se n’è approfittato..
Anna s’era ritrovata a mordersi le labbra, appena, spostando lo sguardo. Forse lei l’aveva notato, mentre Marco, seduto oltre le sue spalle, provava con calma a chiederle qualcosa di più.
- Era la prima volta, che lo vedevi?
- No.. ma era da un po’ di tempo che non pagava.. allora io gli ho detto se non paga, io non lavoro. E lui mi ha picchiato.
Di nuovo esitazione, la ragazza si ritraeva come un riccio, gli occhi le si riempivano di lacrime.
 
L’avrebbe abbracciata. Stretta, forte. Non ci sei, dentro da sola. Sono qui. Sono qui per aiutarti.
Aveva teso le dita, le aveva ritratte subito. S’era limitata a raccogliere da terra il libro che era scivolato via da quelle mani, a restituirglielo.
Non la conosci, Anna. Non sei sua madre né sua sorella. Non è il tuo ruolo. Tu sei qui per punire il cattivo.
 
- So che è più facile giudicarmi, che credermi.. ma io.. io ho paura..- quella le aveva sollevato addosso gli occhi, sbavati di Rimmel. E non smetteva di tremare.
Un’occhiata, rapidissima, verso la vetrata che li separava dal salone delle scrivanie. Veloce che Marco non riuscì neppure a percepirla.
Un brivido. Inspiegabile, seguendo quegli occhi ed incontrandone un altro paio.
 
Il colore del cielo. Stretti come a cercare di capire cosa stesse succedendo.
 
- Io ti credo. Sapresti.. descrivermelo? – s’era piegata appena verso la ragazza, per poi tornare in posizione. Lontana. Nel ruolo.
- All’inizio era una persona gentile; poi.. è cambiato. Diceva che se non facevo quello che voleva, poteva farmi del male..- altra occhiata verso i vetri, stavolta di poco più lunga, insistente – fa.. fa un lavoro importante.
- Ti ricordi quale?
- Il carabiniere.. è- è lui.
 
Ora quegli occhi incontravano direttamente i suoi, senza barriere. Poteva leggerci chiaramente qualcosa, senza bisogno di parole. Qualcosa di molto simile al terrore.
 
Firmava. La ragazza sottoscriveva la denuncia appena trascritta da un collega, gli scivolava oltre senza guardarlo, e scompariva oltre l’ingresso quasi difesa da due uniformi nere.
Difesa. Da lui.
 
Il cuore dritto in gola, quando quella voce spezzò il silenzio da oltre la vetrata.
- Appuntato.
Non lo chiamava per nome, né per cognome. Direttamente il grado, senza alcuna venatura amichevole.
E non era quella del capitano.
 
- Siediti.- il dottor Nardi lo fissava come a volergli leggere sotto la pelle, e quella mano tesa, verso la poltroncina lasciata tiepida dalla ragazza appena uscita, non aveva altro che il tono di un ordine.
Raccolse il fiato, e si sedette stringendo le mani fra loro quasi a far male.
- Hai mai visto quella donna, prima d’ora? – la voce del Pubblico Ministero spezzò per la seconda volta un silenzio fatto di ghiaccio.
Nessuna risposta, nel suo piegare le labbra e spostare lo sguardo a terra. Lontano da tutto, lontano da lei.
- Dove? – la voce del capitano trovò altro silenzio.
- Come l’hai conosciuta?
Adesso il tono si faceva quasi irritato, le dita della donna torturavano una matita, come a voler sfogare qualcosa che l’indossare una divisa le stava bloccando in gola.
 
Fastidio, rabbia. Dolore. No, schifo. Le stai facendo schifo, ora.
Oksana le ha detto che sei un suo cliente, che non è stata la prima volta. Che l’hai picchiata, e minacciata, e Dio solo sa cos’altro, quando invece non è vero niente, non è vero niente a parte il fatto che stai solo cercando di aiutarla ad uscire dal giro. Che l’hai conosciuta per caso, in biblioteca. Che non vi siete mai detti che siete uno sbirro ed una prostituta fino all’altra notte, sulla strada, quando t’ha visto in divisa. Che non le hai raccontato delle tue cicatrici. Che il dolore, quello vero, l’hai condiviso solo con la donna che ora ti sta di fronte, e ti guarda come l’essere più orribile da cui si sia mai fatta toccare.
Se fossimo- se fossimo ancora soli, in quel giardino, riuscirei anche a gridartelo, Anna. Non qui. Non così, non con lui che sta lì in piedi alle tue spalle come ti volesse difendere. Lui che mi guarda come se lo sapesse, che quel giorno non eri solo sbronza, che lo stato in cui ti ha lasciato sul portone era quasi solamente colpa mia.
Se fossimo ancora lì, niente divisa e niente scarpe e solo io e te Anna e Francesco.. credo riuscirei anche a dirti che mi sono lasciato andare e l’ho avvicinata, ed una parola e poi un’altra e ridere cercando di far silenzio fra gli scaffali della biblioteca, e poi darsi appuntamento per la prossima volta, chiedendole se m’insegna il russo, solo per.. solo per dimenticarti. Per non pensare. E cancellare che domani è un altro giorno, ed un altro turno, e l’hai chiarito perfettamente, che devo starti lontano. E non serve a niente pregare o sfogarsi o piangere. Non serve a niente, fa solo male, male e basta.
Non cambierà niente. Non cambierà niente dirti qualunque cosa, che sia una bugia o la verità.
Non lo saremo, quello che vorrei. Mai.
 
La voce restava intrappolata, giù, in gola. Si ritrovò a deglutire. Una, due volte.
- Io.. le posso solo dire che.. non le ho fatto del male.
- Eh, ma la ragazza dice il contrario.- il dottor Nardi ora lo incalzava, tono professionale e sguardo diretto. Lo costrinse ad abbassare gli occhi, di nuovo. Ad un altro silenzio.
 
Disciplinare. Ora pronuncia quella parola, ed è finita. Le stanno tremando le mani.
 
Un istante, il corpo del capitano accorciava le distanze, le sue dita andavano ad intrecciarsi sulla scrivania. Occhi dritti nei suoi, senza alcuna paura.
Non può. Non può avere paura, lei di te. Ce l’hai tu, di lei. Non ti crede.
- Sei un mio uomo, Castiglione, e io ti voglio aiutare. Ma mi devi dire la verità.
 
Non le ho fatto niente. Niente, a parte chiacchierare e ridere, ed un paio di volte accompagnarla a casa. Anche se quella non era, casa sua. Sì, l’ho seguita, e solo dopo aver saputo chi è, cosa fa. Ma solo per-
 
Silenzio, di nuovo. Mandato in frantumi dalla voce del capitano, stavolta.
- Prenditi qualche giorno. Il tempo di fare chiarezza su questa storia.
Si alzava, tendeva la mano a chiedergli l’arma. A dirgli sei sospeso, ed ora era lei, quella che non riusciva a sostenere il suo sguardo.
Prendere il respiro, lento, slacciare la fondina. Tenderle la pistola d’ordinanza, aspettare che la scaricasse e l’appoggiasse sulla scrivania.
L’espressione del capitano, nel precederlo ed aprirgli la porta, adesso era vuota, totalmente impersonale. Come quella che le aveva lasciato lui, un milione di mattine fa.
 
Non è successo niente, signora. Non succederà mai più.
 
Io non sarò mai niente, per te. Mai.
 
Scivolava via, le spalle appena curve, rigido come un automa.
Anna gli avrebbe gridato dietro, esattamente come quella sera in quel giardino. Gli avrebbe urlato sei un bastardo, o dimmi che non è vero.
Che non è possibile, che non esiste, come ripetevi tu. Non è possibile, che hai picchiato una ragazza. Non è possibile, che fai sesso con una prostituta, che non è stata una volta sola. Non è vero.. non esiste.. non l’uomo che mi ha baciato in quel modo.. non tu.. non è-
 
- Che è successo?
La voce di Cecchini, improvvisa e carica di preoccupazione, ad interrompere quel loop nella sua testa.
- Una prostituta l’ha denunciato. Dice che l’ha picchiata.- rispose, sconfitta.
- Non è possibile, lui-
- Lo so.- rispose – non è un uomo capace di fare certe cose. Ma non ha saputo dare spiegazioni.
- Farà rapporto alla disciplinare?
- Se necessario, sì. Per ora, vorrei provare a capirci qualcosa.

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Capitolo 7
*** Una soluzione ***


Dammi stanotte per lavorarci su. Sono sicura che per domattina sarà tutto risolto.
 
Marco aveva sospirato, lentamente, lasciandosi convincere a concederle spazio e tempo per indagare, prima di contattare il questore e muovere l’ingranaggio della prassi. E l’aveva lasciata al confine con l’ingresso, mentre il maresciallo ed il brigadiere rientravano già con qualcosa di utile.
 
Registrazioni. Un filmato, della videocamera di sorveglianza della stazione di servizio poco oltre la quale si trovava la zona in cui la ragazza lavorava. Del giorno precedente l’aggressione.
Immagini che avevano ben poco da interpretare.
 
Quella ragazza bionda, Oksana. I suoi passi incerti, avanti ed indietro, lungo il bordo strada.
Poi, un’auto bianca, piccola cilindrata. Passava lì davanti una volta, due.
- Va bè, ce ne sono tante, di macchine bianche..- aveva obiettato Cecchini, sollevando le spalle e continuando a fissare lo schermo - siamo sicuri che è la sua? Potrebbe anche non essere lui.
L’auto si fermava, e ne scendeva una figura maschile, quasi sbattendosi la portiera alle spalle, prima di raggiungere la ragazza e strattonarla.
- E’ lui.- il sospiro del maresciallo si caricava di sconfitta, piegandosi con la fronte su una mano – è lui. Ma che fa? Ma perché la strattona?
 
Deglutire. Spostarsi appena, un dito sul tasto a fermare le immagini, con quel loop che non voleva lasciarle la testa. Non è possibile, non è possibile. C’è una spiegazione. E la voce che tremava appena.
- Mi dispiace, io devo richiedere l’arresto.
 
Silenzio, di ghiaccio. Lo sguardo di Pietro che da solo voleva dire tante cose.
Poi, il telefono che squillava. Schiarirsi la voce, prima di rispondere.
- Sì?
Una fitta. Al petto, a sinistra.
- Va bene.. arriviamo subito.- giù il cornetto, un sospiro pesante. La voce che tremava di nuovo.
- Che è successo? – le chiese il maresciallo.
- Barba..
 
Passi veloci, senza aspettare nessuno, senza aggiungere inutili parole. Via il berretto, affondando oltre la portiera dell’auto di servizio.
Un’ambulanza, sirene spiegate. Voltò appena gli occhi, seguendone il movimento ed il rumore che si allontanava.
Lui. C’è lui, lì sopra. Frega niente, cos’ha fatto, o perché. Dovresti essere lì, con lui.
 
- Capitano..
La voce di Zappavigna, ad interrompere quel pensiero, a riportarle i battiti a ritmo. I suoi passi, accanto, mentre li accompagnava sotto a quel balcone.
Quello della casa che aveva preso in affitto, una settimana dopo quel bacio in quel giardino. Quando le aveva mandato il cuore dritto in gola, sfuggendo con quelle borse in spalla e lasciando l’alloggio con la porta accanto alla sua.
 
Ce l’hai sempre avuto accanto, Anna. E tutto quello che gli hai saputo dire sono state parole sbagliate.
All’uomo giusto.
Ed ora, forse.. forse è troppo tardi, per cancellare tutto e ricominciare.
 
- Come sta?
- L’hanno trovato privo di sensi, ma l’hanno portato via che respirava ancora. I colleghi del Ris sono arrivati per i rilevamenti. In casa non c’erano segni di effrazione, e.. il balcone del primo piano era aperto.
- Quindi, semplicemente avrebbe.. aperto la finestra e si sarebbe lasciato cadere.
 
Lasciato cadere..
Zappavigna parlava, menzionava un taglio su una mano, un dettaglio che forse poteva servire come prova, o forse no. Alle spalle, ecco la voce di Nardi.
- Non siamo sicuri di niente; il tentato suicidio è soltanto un ‘ipotesi.- il maresciallo gli rispondeva azzardando una difesa, mentre quello incalzava su come avrebbero titolato i giornali la mattina dopo.
 
Si è suicidato.. perché era colpevole..
 
Le mani le si chiusero a pugno, senza alcuna spiegazione.
O forse ce l’avevano eccome, una spiegazione. Non è possibile. Tutto questo è uno stupido incubo, ora mi sveglio e butto giù due Voltadol. Scendo, e quegli occhi azzurri sono dietro alla scrivania. Le parole giuste, Anna. Usa le parole giuste, stavolta. Questo è un incubo, ora ti svegli e hai la tua seconda chance.
 
- Capitano..
La voce di Marco era di nuovo viva, reale, oltre le spalle. Si voltò appena, aggrottando le sopracciglia.
- Tutto bene? Perché mi sembra che-
- Stavo pensando. A quanto sembri assurda tutta questa faccenda. Ci sono segni di colluttazione, all’interno?
- N- no; sembra che.. no, i colleghi non-
Zappavigna si ritrovò a balbettare, lei tese la mano e riprese il controllo:
- Voglio un esame approfondito della scena, ogni dettaglio può fare la differenza. Brigadiere..
Un cenno, a cui Pietro rispose annuendo, veloce, prima di rimettere in moto l’auto e dirigerla verso l’ospedale.
 
Era lì, oltre il vetro, solo una manciata di passi lontano. Steso in un letto della terapia intensiva, le spalle affondate fra i cuscini, le braccia circondate dai tubicini delle flebo, i battiti controllati da un monitor.
Bende a fasciargli la testa, il camice dell’ospedale a coprire ciò che non rimaneva sotto le lenzuola.
- Trauma cranico di media intensità e severo trauma spinale – questo, il responso del medico, espresso con un tono professionale ed indifferente che le fece stringere di nuovo i pugni – potremo sciogliere la prognosi solo trascorse le 48 ore. Se volete, potete andare.
Un sospiro, lunghissimo, a muovere le spalle di Cecchini.
- Resto.. resto io, ancora un po’ – mormorò, dopo l’ennesima occhiata oltre quel vetro – voi.. voi andate, abbiamo un’indagine da chiudere. Perché non è stato lui, lui è innocente. E non ha cercato d’ammazzarsi. Non è possibile.
 
Aveva ragione. Pienamente e perfettamente ragione. E poco importava che, grazie allo spirito d’osservazione del prete, unito a ricerche più approfondite, l’indagine avrebbe trovato soluzione in meno di tre giorni.
L’appuntato era in servizio, nella forbice di tempo in cui la ragazza era stata picchiata. Poco importava anche che la colpa fosse del cugino che le faceva da protettore, o del suo aver mentito sotto minaccia della donna che gestiva il giro della prostituzione locale. Meno ancora delle sirene a fendere la notte, della retata in cui sette ragazze erano state liberate e tre persone arrestate.
Poco importava, che giustizia fosse stata fatta. Poco o nulla, per la lama che continuava a bucarle il cuore.
 
Francesco era innocente, non s’era lasciato cadere da quel balcone da solo. Ma non importava neppure quello.
 
La voce di Don Matteo tremava, oltre il cornetto.
 
Lo risvegliano.
Ha il sessanta percento di probabilità.
Di restare paralizzato.
Lui non ha famiglia, capitano.
 
L’immagine era sempre la stessa, di fronte a lei. Quella stanza, oltre il vetro. Quella manciata di divise, i loro sguardi preoccupati.
Solo che ora quegli occhi azzurri erano aperti, quasi sbarrati, contro il camice bianco del medico.
 
Lo vide deglutire. Una, due volte, mantenendo il contatto visivo, ma senza la forza di aprire le labbra per far sentire la propria voce, per muovere domande o ribellarsi.
Ha il sessanta percento. Di restare paralizzato.
 
Prese il respiro, lenta e profonda. E scattò verso quella porta, aprendola con una certa energia e sorprendendo quel camice bianco.
- Mi scusi, ma non può-
- Volevate la famiglia? Sono io, la famiglia. Ufficiale responsabile in comando compagnia. E’ sufficiente?
Gli si avvicinò, rigida e seria, quasi ringhiando. Il medico provò a rispondere, ma bastò una fulminata di sguardo a costringerlo a scivolare via sollevando le mani.
Anna appoggiò il berretto sul comodino e si avvicinò al bordo del letto, osando piegarsi e raggiungere quelle dita con le proprie. Le sentì ritrarsi, mentre quegli occhi si chiudevano.
Come a non volerla vedere.
 
Raccogliere il respiro, di nuovo, sedendosi in un angolo, a contatto con il suo fianco.
- Francesco.. Frà.. ehi..- intrecciò di nuovo la mano alla sua, stringendo un poco. Nessuna reazione, stavolta - ehi.. guardami.. non ci sei dentro da solo, ok? Non ti ci lascio, da solo.- tese l’altra mano, andando a sfiorargli il viso - guardami. Sono qui. Sto con te, combatto con te. Ne usciamo, insieme. So tutto; so che non sei stato tu, che a quella non hai fatto niente, a parte cercare di far l’eroe. Li abbiamo presi, le ragazze sono salve; tutte quante, non solo Oksana. Anche quella che ti ha portato quel pezzo di merda in casa. E pure la ragazzina. Ti beccherai un tag colorato, potrai cominciare a farmi concorrenza.- lo vide piegare le labbra, annuire appena in un sospiro, e si fece seria, motivata – ora inizia la salita, Frà. Ma non ti ci lascio, da solo.
Un cenno d’intesa, occhi negli occhi, e si lasciò andare a depositargli un bacio sulla fronte.
Quella mano, caldissima, lasciava la sua per stringerle appena il fianco, lasciandola sorridere.
 
Non è vero. Non è vero, che questo non potremo esserlo, io e te, mai.
 
Il bussare di qualcuno sul vetro attirò la sua attenzione, ricacciandola coi piedi per terra. Il maresciallo le faceva cenno di andare, mentre un altro medico oltrepassava la porta, segnale che per lei il tempo era scaduto.
Tornò a quegli occhi di cristallo, per un istante. Lo vide annuire ancora, leggero.
- Ora vado. Ma ti trovo una soluzione, Frà. Ne usciamo. Insieme.
 
Come ha detto che si chiama, il posto in cui lavora Laura?

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Capitolo 8
*** Da nessuna parte ***


Dopo una manciata di chilometri a fissare il panorama che scorreva oltre il finestrino, il maresciallo la vide fare un piccolo scatto, e voltarsi di tre quarti con quella domanda. Lo costrinse ad esitare per un istante.
- Sud. Coordinamento Territoriale Liguria Sud – rispose, quasi sillabando – perché me lo chiede?
- Mi è venuta in mente una cosa.- le dita contro la fronte, il gomito al finestrino, Anna gli rispose tornando con gli occhi alla strada – al matrimonio.. quando ero ancora sobria, sì.. ho parlato per qualche minuto con una ragazza. Caterina, credo si chiami. Ha nominato un’unità SAeS.
- SA che?
- SAeS, Cecchini. La divisione sperimentale di soccorso, quelli che tra l’altro ci devono istruire sulle tecniche di-
- AH.
- Ha detto che ne hanno una.
- Sono roba di élite, sì.- quello sollevò il naso, col fine orgoglio di chi può vantarsi d’avere tre parenti in un’operativa di terzo livello – però non vedo come-
- Io sì, Maresciallo. La tipa raccontava di un istruttore particolarmente dotato per la fisioterapia. Ha rimesso in piedi un collega vittima di una bomba, un paio d’anni fa. Era dato per spacciato, doveva perdere una gamba. E invece se l’è cavata con una manciata di cicatrici.
- Brutte, cicatrici.
- Ok, però sta di nuovo in piedi. Io direi che il quaranta percento di probabilità basta, per provare, che ne dite?
- Capitano-
- Non mi dica che lo dà per spacciato anche lei. E’ un collega, uno dei nostri ragazzi. Almeno provare, no? Brigadiere?
A quella richiesta di sostegno, Pietro si limitò ad un’occhiata veloce, per poi tornare occhi al volante:
- Io direi che vale la pena provare.
- Maresciallo?
- Il capitano è lei..
- Decidiamo per una vita, Cecchini. Quaranta la salviamo, sessanta ne facciamo un disperato. E’ con me?
Quello si ritrovò ad annuire, serio, nello specchietto retrovisore.
- Allora.. appena può, mi dà il numero di Laura?
 
Buio.
Era completamente buio, il cielo, nell’aria sospesa di quella sera. Solo un paio di punti, luminosi, lontano.
Un’occhiata distratta, raccogliendo il fiato e le chiavi della macchina.
Esattamente come la notte in cui aveva trovato Oksana sulla statale, lei aveva visto la divisa e non l’aveva lasciato parlare.
 
Il garage in cui l’aveva vista entrare non era lontano, da casa.
La verità. Voleva la verità, perché sicuramente c’entrava quello schifoso di suo cugino, con questa storia. Come c’entrava con il suo essere costretta a portare il pane a casa vendendo tutto quello che aveva, compresa sé stessa.
 
La porta si apriva sotto i suoi colpi, ma il viso che faceva capolino non era il suo.
- Oksana non è ancora tornata. E tu è meglio se te ne vai; è tutta colpa tua.- Vera, la ragazza coi capelli rossi, era riuscita a tenerlo fuori, con piglio deciso e sguardo cattivo.
Un pugno, due, a quella porta di nuovo chiusa. Voltare i passi, riprendere l’auto.
 
Alle arcate. Forse alle arcate l’avrebbe trovata, avrebbe ottenuto la sua spiegazione. Forse c’entrava anche Vera, forse stavano entrambe proteggendo qualcuno.
Forse, avevano semplicemente troppa paura, per tendere la mano e lasciare che le aiutasse, che lo facesse per davvero.
 
Io ti posso dare una mano.
 
Una mano? Tu? Uno sbirro?
 
Sì, ok, sono un carabiniere. Posso.. posso aiutarti ad uscirne, posso darti una mano. Non meriti questa vita, nessuna di voi lo merita.. Irina per prima; ha solo quindici anni, volete che finisca per la strada? Ho bisogno dei nomi, Oksana. Dammi i nomi di chi vi costringe a fare.. questo, io ne parlo con il capitano, e-
 
Sei impazzito? Vuoi- vuoi farci ammazzare?
 
Prendere il respiro, di nuovo. Oksana non avrebbe mai parlato, non ora che lo sapeva un carabiniere.
Forse avrebbe dovuto tacere, si disse, gomito sul finestrino e mento sul polso, di fronte alle arcate in mattoni del vecchio acquedotto. Stare zitto, raccogliere dati di nascosto come fanno quelli che vanno sotto copertura, quelli bravi. Quelli sfregiati dalle cicatrici del lavoro, una missione dopo l’altra.
Aveva sbagliato tutto. Tutto, fin dall’inizio, fin da quel bacio in quel giardino.
 
Avresti dovuto tenerti tutto dentro, Frà. Tutto dentro, a partire da lì. Chi se ne frega, se fa male..
 
Uno sguardo intorno, un giro avanti ed indietro con l’auto. Della ragazza nessuna traccia, e dovette rassegnarsi a riprendere la via di casa.
 
Posso.. posso parlarti?
 
Una voce, leggermente esitante, rispose al suo chi è? nel citofono. La voce di Vera.
- Hai cambiato idea? – rispose, irritato.
- Non potevo parlare, non lì. Le altre non lo devono sapere, chi sei. Sennò è un casino. Senti; Oksana non l’ha fatto apposta, è stata un’idea mia.
- Io volevo solo aiutarvi.
- Lo so. Lei non ci crede, non si fida. Ma io sì. Posso salire?
- Hai i nomi?
- Io.. io non so molte cose, ma qui con me c’è Toni. Il cugino di Oksana. Lui.. lui ha quei nomi che ti servono. Facci salire, non possiamo parlarne da qui.
 
La serratura che scattava, il tempo di aprire la porta.
Di rendersene conto. Aveva commesso l’ennesimo errore. Quello più grave.
 
La donna si faceva di lato, lasciando spazio all’uomo che l’accompagnava, ad un paio di mani che andarono ad artigliargli le braccia, ad un corpo dotato della forza sufficiente per sorprenderlo e trascinarlo fino al balcone aperto.
E poi il vuoto.
 
Buio. Il dolore, dappertutto. La voce che s’infrangeva contro le labbra, esattamente come adesso, circondato dal grigio di quella stanza, mentre la voce dell’uomo col camice sembrava provenire da un punto a distanza infinita.
 
Il sessanta percento. Di restare paralizzato.
 
Le lacrime. A riempirgli gli occhi, costringendolo a chiuderli, per nasconderle alla divisa nera che gli s’era materializzata accanto.
Hai sentito la mia voce.. sei qui.. io.. non voglio che tu mi veda così..
 
Anna ignorava il suo ritrarsi, si sedeva sul bordo del letto. Poteva sentirne il calore, addosso. Le dita sul viso.
Ora inizia la salita, Frà. Ma non ti ci lascio, da solo..
 
Non importava. Non importava più niente, se il caso l’avevano risolto senza di lui, se era andato tutto a buon fine. Non importava neppure se il suo destino era in congedo, su una sedia a rotelle.
Hai sentito la mia voce.. e sei qui..
 
Una mano a stringerla, per assicurarsi che fosse vera. Annuire, occhi negli occhi, mentre la sua voce ferma e decisa gli diceva ti trovo una soluzione. Ne usciamo, insieme.
 
La lama diede un affondo, nel suo petto, al vedere quella divisa, taggata con la mostrina della disciplinare, che quarantott’ore dopo varcava la porta a vetri.
Donna. Bionda, poco più alta di Anna. Si presentava come il capitano Ambrosio, lasciandosi dietro la collega ed un uomo, anche lui con tre stelle per spalla.
Un ufficiale medico.
 
Gli occhi ad indagare nei suoi, come avesse voluto leggerci dentro. Parlava, ed anche la sua, di voce, sembrava provenire dalla stesa distanza di quella del dottore.
Solo a quell’ultima frase, le mani si strinsero a pugno e tutte le fibre del suo corpo riuscirono a ribellarsi.
 
- Io non vado da nessuna parte.

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Capitolo 9
*** Forse Un Addio ***


- Bene arrivati. Grazie, per.. per aver risposto con così poco preavviso.- all’entrare di quelle due uniformi nere, Anna scattò in piedi, passando i palmi sui bordi della giacca una, due volte.
 
Aveva aspettato quelle quarantott’ore con un’ansia mai provata, senza saperne il perché. O forse sì, lo sai benissimo perché. Stai decidendo del suo destino, forse gli stai salvando la vita. E non glielo dirai mai.
Non posso permetterlo, Frà. Non posso permettere che tu finisca a far parte di quel sessanta percento. Perché non è giusto, perché non lo meriti. Perché.. perché ti amo, accidenti.
 
Al telefono, prima con Laura e poi con l’ufficiale responsabile a cui quella l’aveva introdotta, la voce era rimasta calma e decisa, mentre le dita tremavano, nel reggere il cornetto. Ed ora Zappavigna scattava mano alla fronte, oltre il vetro, davanti al capitano della disciplinare e a quello che dirigeva l’unità SAeS del Liguria Sud.
Fortuna che c’era Cecchini, abile nell’arrivare in scivolata a toglierla dall’imbarazzo, facendolo tutto suo. Mano alla fronte in una maniera decisamente buffa, il suo presentarsi come il quasi-quasi suocero del capitano Lotti. L’ufficiale col pizzetto rideva, concedendogli il riposo e tendendogli la mano. La donna lo imitava, rendendo l’entrata molto meno formale.
- Venite; vi accompagno.- il tempo di ripristinare un’aria più professionale, e li aveva preceduti verso quella porta a vetri. Un impercettibile cenno d’intesa, verso la capitana ed il suo torcersi nervoso di dita.
Respira. Brava, così.
 
- Capitano Olivieri..- la donna fu la prima a varcare la porta, tendendo la mano come avesse intercettato quello scambio di sguardi e di respiri sospesi. Come leggesse nel pensiero, da sempre.- questo è il capitano Lombardi, il nostro responsabile medico.
- Mi ha portato perché sono quello che ci capisce nei referti.- replicò l’uomo in uniforme, alto anche più di Zappavigna, comparso alle sue spalle in modalità stealth, e la fece sorridere – Francesco.
Uno scatto indietro, in quella stretta di mano. Il giovane aggrottò le sopracciglia:
- Perché ci possiamo dare del tu, vero? O funziona solo entro perimetro? Ale, non dirmi che sono entrato e ho già fatto la mia.
- Vai tranquillo, boss.- quella emise un sospiro – solo omonimia.
- Omo-?
- Col tipo che dobbiamo esaminare. Ne deduco che sia una persona.. speciale, capitano?
Ora gli occhi di quella della disciplinare erano diretti addosso ad Anna, intensi abbastanza da farla sentire per un istante completamente nuda.
Un’occhiata di lato, a Cecchini.
 
- L’ha messa in contatto con quella che sa. Non mi chieda cosa, Laura dice che sa. Che.. ecco, questa è la cosa che m’ha detto. Non è una.. normale. E’ una psicologa, della disciplinare. E che lo sa fare. Leggere nel pensiero.
- Cecchini, per favore. Non esiste, che legga nel pensiero. E’ un carabiniere.
Gli aveva risposto muovendo la mano come a scacciare un moscerino. E adesso il maresciallo sollevava le spalle, con una delle proprie smorfiette di serie.
- Io gliel’avevo detto..
 
- E’ uno dei miei uomini.- rispose, stringendo i pugni e cercando di mantenersi professionale, distaccata. Rigida.
- E il team è una famiglia.- quella piegò le labbra con un filo di malizia, lasciandola annuire – lo so meglio di lei, Olivieri. Ma qualcuno lo è di più.- lasciò che la collega schiarisse la voce con un piccolo colpo di tosse, e tese le dita verso la cartella depositata sulla scrivania – lei ci ha.. relazionato a grandi linee, al telefono. Un incidente sul lavoro?
- Il collega..- Anna si ritrovò a deglutire, spostando lo sguardo per un istante – nel corso di un’indagine, l’appuntato Castiglione è stato spinto giù da un terrazzo.
- Troverà tutti i dettagli nel rapporto.- Cecchini osò bypassare il superiore, scivolando a tenderle la cartella.
- Comprenderete come il nostro appartenere a due giurisdizioni diverse comporti dei limiti e dei vincoli – la Ambrosio ora sfogliava le carte, aggrottando le sopracciglia e lasciando che anche l’altro collega le consultasse – qui dice.. l’indagine non era autorizzata?
- L’appuntato Castiglione era sospeso dal servizio attivo.
- Gliel’ha suggerito lei, di indagare di propria iniziativa? Perché qui ci sono gli estremi per-
- Ho tenuto in sospeso l’indagine disciplinare a suo carico.- Anna raccolse il respiro, e rispose di getto.
- Prima o dopo i fatti?
- Prima.
- Mi vuoi spiegare il perché? O è strettamente personale? Non è lui l’uomo con cui stavi al matrimonio della Capobianco? – Alessandra voltava la cartella, mostrandole la prima pagina e sorprendendola con il tu. Stato di servizio, foto di Francesco in bianco e nero, in alto a destra.
 
Adesso le mani tremavano, faticando a stare chiuse. Tese le dita una, due volte.
Sputa.- recitava l’espressione di Cecchini, in background – sputa, dopo ti sentirai meglio.
 
- Sì, è lui.
- E.. cos’è successo? Non fra voi due; quello non mi interessa e non mi deve interessare.
- Una prostituta si è presentata una sera in caserma, a sporgere denuncia. Contro Fra- ..contro l’appuntato Castiglione. Diceva che l’aveva picchiata, e minacciata. Recava evidenti segni di percosse, era molto spaventata.
- Lui era presente?
- Nell’altra stanza, sì.- Anna le indicò il main office.
- Che è successo, dopo?
- Quanto da prassi, come per qualunque denuncia. L’ho convocato. Mi è testimone il pubblico ministero, era qui per.. cose di routine, abbiamo condotto insieme l’interrogatorio.
- MH. Hai torchiato uno dei tuoi uomini sulla base della denuncia di una prostituta.- la Ambrosio piegava le labbra, venata di scetticismo.
- Non è quello che fate anche voi della disciplinare? – la voce di Anna adesso trasudava rabbia, le mani tornavano a chiudersi a pugno.
- Uno a zero per te.- quella sciolse appena il proprio sorriso – e poi?
- Non ha risposto. A nessuna delle domande che gli abbiamo fatto: se l’aveva mai vista, come e dove l’aveva conosciuta.. ha risposto solo che non le aveva fatto del male.
- MA.
- Ma cosa?
- Ma c’è un ma. E gliel’hai letto addosso.
- Chiuso completamente, a riccio. E non mi guardava. Ha osato sollevare gli occhi solo quando gli ho detto che era sospeso. Di prendersi qualche giorno, gli ho detto così. Ma anche che lo volevo aiutare. Sembrava-
- Vergognarsi. A morte.- Alessandra la vide annuire, e proseguì, chiudendo la cartella – uomo, in difetto di quindici gradi. Sono tanti. Appena accusato di una cosa orrenda.. no, aspetta: due. Se la conosce, ed è potenzialmente arrivato ad un atto del genere, minimo ci ha fatto sesso un paio di volte. Quindi, due accuse seriamente infamanti.
- Di fronte ad un ufficiale superiore.
- Donna. A cui tiene in maniera particolare, fanculo la divisa.
 
L’asso. Alessandra giocava l’asso in scivolata, a lei andava la saliva di traverso.
Questa ci legge sul serio, nel pensiero..

- Tornando al caso..- la voce del capitano Ambrosio la riportò alla realtà - il nostro appartenere a due giurisdizioni diverse comporta obblighi e limiti; noi non siamo autorizzati a procedere su un collega che non appartiene al nostro comando. L’alternativa sarebbe quella di affidarlo al nucleo SAeS più prossimo, ma allo stato attuale-
- Mai avuto uno.- replicò Cecchini, risoluto – e poi.. scusate se mi permetto.. ma abbiamo chiesto a voi.
- Lo so, maresciallo, e vi ringrazio della fiducia. Comprendiamo quanto teniate a questo collega – uno sguardo a percorrere quelli degli uomini e della donna che aveva intorno, poi più lontano verso quelli di altre divise in attesa – e la stima nel nostro gruppo. Ma per poter operare con l’appuntato Castiglione.. c’è una procedura a cui siamo obbligati.
- Deve trasferirsi da voi.
- Esatto. Su uno dei nostri uomini non abbiamo vincoli; avremmo anche già individuato la persona adatta per il trattamento riabilitativo e la sede per il servizio-convalescenza. Non c’è alternativa; non possiamo trasferire qui uno dei nostri per seguire il caso, perché non è autorizzato dai Comandi Regionali.
- Né dal Comando Generale.
- Già. Possiamo solo inserirlo nel nostro organico, ed avviare la procedura standard. Ma vorrei.. vorrei discuterne anche con il diretto interessato, se non vi dispiace.
 
Anna si ritrovò ad annuire, non senza raccogliere il respiro in maniera evidente, spostando lo sguardo e piegandosi a deglutire.
- So quanto ti costa.- le disse la collega, con un impercettibile cenno del viso - salvarlo, provarci. E rinunciare ad averlo al tuo fianco. A te la scelta, Anna. Quaranta un infelice qui, sessanta rimetterlo in piedi come prima, ma forse perderlo. Per sempre.
 
- Ok. Andiamo.- rispose, raccogliendo il berretto e stringendolo forte, fin quasi a far sbiancare le nocche – maresciallo..
- Subito.
 
Corridoio anonimo, vago odore di disinfettante. Sguardi attoniti ad indagare sul perché di tante divise nere tutte insieme.
- Salve.. siamo qui per-
- Abbiamo bisogno di parlare con il collega che è ricoverato in questo reparto.- perfettamente sicura di sé, il capitano Ambrosio si rivolse con dolcezza ad un’infermiera che veniva loro incontro – capisco come non sia orario di visita, ma è molto importante; è possibile vederlo comunque?
 
Anna le voltò lo sguardo addosso, e non riuscì ad innervosirsi per quel suo averle rubato le parole di bocca.
Invidia. La invidiava tantissimo, con quel modo di fare sembrava quasi una regina, legata dentro al vestito sbagliato.
- Ero peggio di te, qualche anno fa.- quella sembrò di nuovo leggerle nel pensiero, una volta ottenuto il passo dall’infermiera – a dire il vero so soltanto giocare bene il ruolo, tutto qui. Cattiva quando serve, oppure un gelo. Ho promesso pesciate ad un maresciallo troppo rude coi nostri ragazzi, l’ho fatto indossando la divisa senza giacca e mettendola quando ha provato a cazziare anche me. Dovevi vedere la sua faccia.
- Oddio, a me è successo con Cecchini, il giorno che sono arrivata.. ma non ho tolto la giacca apposta.
- Piaceresti a qualcuno dei miei, sai. Ti direbbe che sei PocketMe.
Si ritrovarono a ridere, appena, complici, giusto prima di varcare quella porta. Anna fece cenno a lasciarle la precedenza, poi ripeté il gesto con gli altri e si chiuse la porta in coda a tutti e quattro.
 
Spalle non esageratamente robuste, affondate fra i cuscini. Testa arruffata, appena liberata dalle fasce. E due occhi di cristallo, che si sgranavano sorpresi, al suo deciso entrare in scena.
Minima sindacale, si disse. Fai parte della squadra punitiva, e lui non lo sa, che non sei qui per giudicarlo..
 
- Appuntato scelto Castiglione..- mano tesa, ad indicargli che non era necessario il saluto militare – sono il capitano Ambrosio, Coordinamento Territoriale Liguria Sud. Sì, disciplinare.- accennò alla mostrina di qualifica, vedendolo irrigidirsi senza una parola – non sei sotto inchiesta. E sei fuori dalla mia giurisdizione. Sono qui solamente in veste di dirigente coordinatore del mio gruppo, per una valutazione psicologica. Lui..- tese la mano verso il collega, rimasto alle sue spalle – è l’ufficiale medico con cui collaboro, il capitano Lombardi. Coordinatore SAeS. Credo tu sappia di cosa sto parlando.
 
Un brevissimo cenno. Sì.
- Siamo qui su richiesta del tuo ufficiale responsabile, per.. esaminare il tuo caso. Sappiamo dell’indagine non autorizzata, del tuo.. incidente. Non ci interessano esiti, né responsabilità. Solo che potresti rientrare in quel quaranta per cento che in piedi ci torna, invece che nel sessanta dato per spacciato, ed il capitano Olivieri ha ritenuto opportuno darti una possibilità. Riabilitazione, assistenza mirata, un periodo di lavoro leggero per tornare in servizio effettivo in circa.. valutando a spanne..
- Sedici, diciotto settimane.- replicò la voce di Lombardi.
- Abbiamo un limite giurisdizionale, però. Il Comando Generale ci autorizza ad operare solo nei limiti territoriali di competenza, ed esclusivamente su uomini in servizio presso il nostro gruppo, pertanto sarebbe opportuno il tuo trasferimento presso una delle nostre stazioni. In via definitiva. Un elicottero è in grado di portarti in sede in poco più di un’ora, saresti pronto per iniziare il procedimento entro serata. I tuoi superiori sono stati d’accordo con me, scegliendo di proporti-
 
- Io non vado da nessuna parte.
La voce era leggerissima, arrochita da debolezza ed ore di silenzio. E quegli occhi, fissi contro i suoi, ridotti a fessura. Ghiaccio puro.
Alessandra raccolse il respiro. Una, due volte, lenta e profonda. Pronta a rispondere con un tentativo di mediazione. Anna non gliene diede il tempo.
Pugni chiusi, berretto stretto entro il destro, come a volerlo stritolare. Occhi fissi a sfidare quelli del giovane steso in quel letto, voce fitta e trasudante rabbia. Un passo, un altro, ed era avanti alla collega.
- Indossi una divisa, appuntato. Io sono il tuo ufficiale responsabile. E quando do un ordine, tu esegui.
 
Un istante di silenzio. Sospeso, lunghissimo. Quegli occhi di cristallo che si velavano di rancore, misto a sorpresa.
Anna li ignorò completamente, come mandò al diavolo i battiti impazziti del proprio cuore, voltandosi di tre quarti quasi a ringhiare:
- Quando avete pronti i documenti per il trasferimento, mi trovate in ufficio.
 
Le spalle.
Gli aveva voltato le spalle ed era scivolata fuori. Lontano, il più lontano possibile, lasciandosi guidare dalle gambe, e sempre con un tremito a percorrerle la spina dorsale.
 
L’hai fatto. Forse gli hai appena salvato la vita, forse non servirà a niente. Hai deciso per lui, l’unica cosa sicura è che ti odierà per sempre. Che l’hai perso. L’hai visto, come ti guardava.
 
Hai deciso della sua vita, Anna. Frega niente, perché l’hai fatto. Fa male. Da morire, anche a te.
 
Ventiquattr’ore, l’elicottero pronto in attesa sulla piattaforma dell’ospedale.
Ne osservò il profilo, seguendo i movimenti della gente attorno. Divise, qualche camice bianco. Cecchini l’aveva lasciata in macchina senza provare ad imporsi o farle domande.
Era inutile, parlare. Fare domande. Ed il maresciallo lo sapeva benissimo, perché quella del buffone di corte era solo una maschera, anche per lui.
Si era limitato a spegnere il motore, a spostarle lo sguardo addosso. Dal sedile del passeggero, gli aveva risposto facendo solo cenno di no col viso. E lui era scivolato via, sollevando appena le mani.
Ti capisco, sai.
 
Da quell’angolo, aveva visto la barella avvicinarsi, affiancarsi, con cautela e circondata dal movimento di quei camici e divise. Bianco, e nero.
Poi fuori i secondi, le pale si erano messe in moto. Ed alla fine più nulla, appannato e mescolato come nebbia dalle lacrime.

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Capitolo 10
*** 10. Dieci Settimane ***


Un mese, due mesi. Neppure una parola.
Autoconfinata in un angolo, Anna aveva con fatica cercato di riappropriarsi del ruolo, delle stelle, della divisa. Sua sorella Chiara non capiva ma rispettava le pause di silenzio cupo random, Marco sembrava tornare alla carica invitandola ad uscire. E si fece di nuovo vivo anche Giovanni, con un pretesto che non ricordava.
Ah, sì. Aveva cambiato idea.
- Ho capito che cosa ho perso solo quando l’ho perso - le aveva detto - ho deciso di lasciarlo, il seminario. La mia strada è con te.
- La mia è lontana - gli aveva risposto - lontana trecento chilometri ed un’ora d’elicottero.
Giovanni aveva aggrottato le sopracciglia. Sinceramente, non capiva. E quella scatolina aperta, fra le dita, con quell’anello, le avevano dipinto d’amarezza il mezzo sorriso con cui aveva deciso di congedarlo.
- Amo un altro, Giovanni. Non è colpa tua. Lui non voleva neppure, andare via. Ho fatto tutto io. Lo amo. E forse non glielo potrò mai dire.
 
Perché no, Anna? Perché non glielo puoi dire?
Perché questo non dobbiamo esserlo, io e te, mai?
 
Romeo scherzava, oltre il vetro, con il solito sorriso un po’ bambino. Raccontava, mostrava foto voltando lo smartphone verso i colleghi raccolti attorno alla sua scrivania.
- Sì, sta bene. Dice che la tipa.. sì, c’ha un’infermiera tipa, dice che è molto carina ma manesca, che lo tira dappertutto e gli fa un male cane, però gasa, perché l’altro giorno ha mosso le dita dei piedi. No, asp. Le gambe, dice che riesce a muovere le gambe; la tipa si chiama Barbara e ha già rimesso insieme i cocci di uno che s’è preso una bomba.- scambio di sguardi a dire a’n vedi, oh – dice che è una con le palle. Aspetta che gli mando un vocale; mi sta rispondendo, vuol dire che è in pausa.- Romeo piegava il polso e portava il cellulare alle labbra – o Frà, ma una foto no, eh? Sei ancora in ospedale o sei fuori?
Un attimo, attendere le spunte della visualizzazione. E poi quella voce. Resa metallica dalla lontananza e dal mezzo, ma era la sua. Ed appariva tutto tranne che rabbiosa o contrariata.
- Fuori? Fuori è un pezzo che ci sono, Romè! No, scherzo. Sono uscito dall’ospedale tre giorni fa. Foto? Che foto ti devo mandare?
- Dove sei? Da Laura?
Stessa procedura. Rispondi, invio vocale, aspetta. Di nuovo quella voce.
- No, sto da un'altra parte ma vicino. E’ bello, quando mi venite a trovare?
- Eéh, sì..
- C’è figa.
- Scusa?
 
In risposta, gli arrivò una foto. Tre, quattro tipe. Schierate lungo la linea di un terrazzo, appoggiate in maniera molto informale alla ringhiera con qualche caffè.
- Mi prendi per il culo, eh?
- No. La mano davanti al cellulare è il mio compagno di stanza. Le tipe sono nostre colleghe, ce ne sono cinque o sei.
- E tu che non ci volevi andare!
 
Un vocale di due secondi, sospiro sognante. Romeo che rideva, protestando in risposta: ma che uomo di merda..! E risate. Leggere, un po’ sommesse. Perché siamo in caserma.
Nessuno prestò attenzione allo sguardo del capitano, poco oltre il profilo della porta a vetri. O alla sua mano a stringere appena lo stipite, prima che si ritirasse in disparte, oltre la scrivania, voltando di spalle la poltrona per nascondere altre lacrime.
 
Ciao, Anna..
 
Quella voce, leggera e paterna, la sorprese nella semioscurità, rannicchiata contro l’ultimo banco della chiesa.
- Già. Che ci fai, qua? – rispose, raccogliendo il respiro e sollevandosi a sedere – è che non ho nessuno con cui parlarne, don Matteo. E io ho-
- Un bisogno disperato, di parlarne.- il prete le girò intorno, accomodandosi al suo fianco in attesa.
- No, credo.. credo che sia-
- Aspetta.- quello tese la mano, ad arginare il suo scatto – non è fuggendo, che si risolve. Né tenendoselo dentro. Così fa solo male. E direi che siete stati male abbastanza, tutti e due.
- Scusi-?
- Era lì.- quello le indicò un paio di banchi avanti – seduto lì. La divisa addosso, come te. E le spalle curve, come te. Con un peso, nel cuore, più grande di lui. O meglio.. così la pensava. Cercava solo qualcuno che lo aiutasse a portarlo. Mi ripeteva spesso di.. di sentire non essere stato abbastanza, per suo padre, per sua madre, ma stavolta era diverso. Quel dolore era lì, lo leggevi nei suoi occhi, ma apparteneva al passato. Stavolta invece era una fiamma.
- E lei cosa-? – Anna si lasciò cadere di nuovo seduta. Non servivano domande, né giustificazioni. Don Matteo aveva gli stessi poteri di quella collega, la psicologa. Forse anche qualcosa di più.
- Cosa gli ho detto? Quello che ho appena detto anche a te. Tenerlo dentro.. fa solo male. E non risolve nulla.
- Quindi dovrei.. semplicemente chiamare un uomo che ora mi odia e dirgli..
- Dirgli il perché. Perché hai fatto quella scelta, e perché in quel modo.
- Lei- Cecchini..
- Mi ha detto che il vostro scambio di sguardi, all’ospedale, metteva i brividi, e di non averti mai vista tanto decisa e tanto cattiva. Che non hai trovato il coraggio di scendere dalla macchina per andarlo a salutare. Che quando gli ha fatto il tuo nome, Francesco ha stretto i pugni e chiuso gli occhi. Ma sono passate nove settimane.. e alla fine avevi ragione tu. Può tornarci, in piedi. Quindi-
- Don Matteo..
- Quindi credo che non chiuderà il telefono in faccia alla donna che gli ha salvato la vita.
 
Zappavigna..
A quel richiamo, il giovane sollevò gli occhi dal computer e s’affrettò a rispondere:
- Comandi.- mettendosi in attesa di ordini.
- Nel mio ufficio. Per.. per favore.
Il capitano si ritirava oltre la porta, lasciandolo aggrottare le sopracciglia. Non gli aveva mai chiesto niente, per favore.
- Mi dica.- la raggiunse, posizionandosi davanti alla scrivania con le mani intrecciate oltre la schiena.
- Non serve che stai rigido, non devo chiederti niente di ufficiale. Hai.. hai il numero di Castiglione?
- Sì, signora. E’ successo qualcosa?
- No.. no, niente. Sta.. sta bene, vero?
- Non.. non vi siete sentiti?
- No, Romeo. Sennò non starei qui a chiederti il suo numero.- Anna gli fece cenno di accomodarsi – ma ho sentito che siete in contatto.
- Sì, e aveva ragione lei, capitano – superato quel primissimo attimo d’imbarazzo, il giovane le si accomodò di fronte, raccogliendo il cellulare e scorrendo la cronologia – stamattina ha fatto la prima prova con le stampelle, e ci riesce. A camminare, intendo. Mi ha mandato questo.
Voltò lo schermo, in cui compariva un veloce dialogo di Whatsapp.
 
Inizia la salita. Ma non la faccio da solo J
Più in basso, una sua immagine. Stampelle sotto le braccia, sorridente, in braghe della tuta. Oltre le spalle, la ringhiera di un terrazzo. E sullo sfondo il rosso del tramonto.
- Comincio a pensare che non mi prendeva in giro, quando ha detto che è un posto speciale – Romeo riprese il telefono, per scorrere di nuovo una serie di immagini e mostrargliele – guardi.
Mare, una lunga fila di case dai colori vivi, bandiere alle finestre come fosse stata festa. Un molo decorato da yacht di lusso, gente a passeggio con il gelato. Ed un ultimo messaggio.
Quello che le mandò il cuore a mille.
 
M’ha mandato in paradiso, Romè..
 
Ora il giovane sollevava lo sguardo, incontrando il suo mordersi le labbra.
- Non ce l’ha con lei, capitano.- osò, timidamente – è stato.. è stato un po’ un trauma: prima l’ospedale, i medici che gli danno poche probabilità.. e di botto qualcuno che-
- Che decide al posto suo. Lo so. Sono responsabile per ognuno di voi, Romeo. L’avrei fatto comunque-
- Currarino non l’ha affidato al SAeS, quando s’è sfasciato il ginocchio per scendere in quella roggia, l’anno scorso.
- Non era un caso così-
Lo sguardo del ragazzo e le sue labbra arricciate bastavano a dire ogni cosa, anche senza parole.
- E ok, a lui tengo in modo un po’dive- ma che va a spifferare, in giro, Cecchini?
- Io? Cosa? Che ho fatto, stavolta? - il comparire del maresciallo la salvò in corner, limitando il rossore che le aveva invaso le guance. Si guardava intorno, con quella smorfietta di serie, fin oltre le spalle, prima di decidersi a fare il serio e consegnarle delle carte – se non c’è altro, io me ne-
- Non faccia lo gnorri, Cecchini.- ora la donna sollevava un sopracciglio, intrecciando le dita – che è andato a raccontare?
- Di che?
- Del matrimonio della sua quasi-figlia.
- Che il cibo era così-così, ma il rosso della casa era tanta roba.- replicò quello, sornione.
- Maresciallo.
- Che le ha detto la capitana strizzacervelli? Non c’è niente di male. Quindi coraggio, prenda su il telefono e lo chiami.
- Ma-
- Ma cosa? Le do il mio, toh.
Zappavigna rideva, sotto i baffi, nel raccogliere il blocchetto dei post-it e tracciare quel numero sul primo foglio, prima di appoggiarglielo davanti, piegare appena il viso e lasciare la poltroncina.
- Già. Credo che adesso desideri un po’ di privacy.- il maresciallo seguiva il giovane verso la porta a vetri, e senza perdere quel sorriso da stregatto si chiudeva la porta oltre le spalle. Non tralasciando un inchino.
 
Prendere il respiro, lenta e profonda, cercando di sgomberare la testa da voci e pensieri.
Digita numero, premi chiama. Ecco. Suona. Ti prego, fa che non-
 
- E’ il tuo.- dopo un istante a cercare il proprio telefono oltre il monte di vestiti che avrebbe dovuto decidersi a riordinare, prima o poi, Roberto puntò il pollice verso il collega, steso accanto a lui a guardare la partita.
- AH.
- Che è? – quello lo vide raccogliere, esaminare lo schermo e riappoggiare lontano il tutto, tornando indifferente alla TV – qualcuno che ti sta sul-?
- No. Numero sconosciuto.
Il telefono aveva smesso di vibrare e suonare, Francesco non si preoccupava di controllare. Robè sollevò le spalle e tornò al derby, passandogli le patatine.
- Lo sai, che non dovresti-?
- E’ Ricco, quello che non può mangiare ‘sta roba. A me mi hanno preso alle spalle.
- Intanto lui ora c’ha il fisico da calendario, e tu da bidone del vetro.
- Non l’hai mai viFto un bidone del vetro, Fic’.
Roberto sgranocchiava, mangiandosi allegramente anche le consonanti. E sì, pensò, lanciandogli un’occhiata. Anche lui aveva sinceramente bisogno di rimettere su qualche chilo, dopo mesi a formaggini e minestrina dell’ospedale..
 
Un sospiro, il telefono che emetteva un unico lungo BIP.
- Che è?
- Monica. Che mi chiede se stasera intersechiamo.- sguardo a fessura verso l’amico, che lo sgranava – ma che ti frega, Paz? E’ un messaggio.
- Monica sul se-?
- MaPPiantala..- lo allontanò con una manata, rimandandolo schiena al cuscino – è sempre il numero sconosciuto.
- Ti smessaggia? Uno sconosciuto? Forse è qualcuno che conosci, e ti sei perso il numero.
- Ssì. Ok.
- Che dice?
- Come stai?- ora Francesco aggrottava le sopracciglia, esaminando lo schermo e cercando di capire se il suo compagno di stanza avesse ragione – mi chiede come sto.
- E allora vedi che ti conosce? Rispondigli.
 
Bene. Tu?
Banale, pensò Francesco. Scontato, ma almeno poteva sperare in una risposta in cui capire chi lo stesse cercando. Parenti. No, coi cugini non si sentiva quasi mai, nessuno si era preoccupato finché era stato all’ospedale, perché cercarlo adesso? Amici. No, amici no: di quelli aveva tutti i recapiti in rubrica. Magari qualcuno che aveva cambiato num-
Sei ancora in ospedale? Ti posso chiamare? – recitava il messaggio successivo.
Sono in caserma, perché? Chi se-?
 
Non riuscì a finire la frase, che il telefono cominciò a suonare e vibrare di nuovo.
- Pronto?
- Ehi..
 
Trecento chilometri, dieci settimane e due giorni. E quella voce riusciva ancora a portargli il cuore in gola.
Ah. Mi chiami. Mi hai mandato via, buttato di peso su quell’elicottero. Hai deciso della mia vita senza averne il minimo diritto e neppure ti sei degnata di venirmi a chiedere scusa. Come un pacco, come un-
E ora mi chiami e mi chiedi come sto. Bene, grazie. Stavo da dieci, prima di sentirti di nuovo.
La voce che vibrava, carica di rancore, nella testa. Le dita che tremavano appena.
- Capitano.. - fu tutto quello che riuscì sfuggirgli dalle labbra, cercando di dimostrare indifferenza - buonasera, come- perché mi ha chiamato? Successo qualcosa?
 
Quel tono la sorprese, mettendola a tacere per un lunghissimo istante.
Perché l’hai chiamato, perché l’hai chiamato, perché..?
- Eh.. ecco.. volevo solo sapere come stavi; è passato un po’ di tempo, e-
- Sono in contatto con Zappavigna, non le ha detto che-?
- Lo so; ho visto qualche foto..
- E’ un bel posto, sì. Sto bene, grazie. Sul serio, non si doveva disturbare.
- Frà..
La voce le si incrinava, oltre il telefono.
 
Chi se ne frega, Anna. Sto bene, sì. Sto benissimo, senza di te.
O no?
 
- Davvero, sto bene..- le disse, leggero – grazie, capitano, avrà un sacco di cose da fare; non la disturbo oltre. Buonanotte..
Il dito sul tasto rosso, premere finché quel numero non scompariva. Ecco fatto, Anna. Addio.
 
Un attimo di silenzio, infinito, con gli occhi fissi al bordo della scrivania ed il telefono ancora contro l’orecchio.
Poi, quella vocina.
Tim, messaggio gratuito. 
Spento, o non raggiungibile.
 
Mi ha.. mi ha attaccato il telefono in faccia; mi ha..
 
- Allora? – il naso di Cecchini faceva capolino dalla porta, aperta come al solito senza bussare.
- Tutto ok.- scattò a rispondergli, arricciando le labbra e fingendo convinzione – è.. è soddisfatto; il posto gli piace, sta ingranando coi colleghi e da qualche giorno cammina. Con le stampelle, ma cammina. Ha ottime probabilità di tornare operativo in poche settimane.
- Visto? Facile! – quello uscì a marcia indietro, sorriso felino e soddisfatto, mani intrecciate – allora.. buona serata e buonanotte, capitano.
- Buonanotte, maresciallo..
 
Seduta sul bordo del letto, dopo aver sbocconcellato qualcosa distrattamente per cena, non riusciva a smettere di fissare lo schermo del cellulare. E pensare che per un attimo ci aveva sperato, che la richiamasse..
Magari è in un posto in cui non può parlare, magari ci sono altri e non vuol far sapere i cavoli suoi; magari..
 
Un paio di minuti di ipotesi e giustificazioni, poi aveva raccolto di nuovo ciò che restava del suo coraggio per quella sera, ed aveva fatto il primo passo.
Francesco. Chiama.
 
Il numero selezionato non è abilitato per questo tipo di chiamate.
 
Mi ha bloccato. Mi ha bloccato, mi ha bloccato, mi ha..

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Capitolo 11
*** quella che deve chiedere scusa ***


L’aveva fatto. Di getto, senza fermarcisi a pensare più di tre secondi. Spegni, aspetta, riaccendi, sfoglia chiamate. Trova quel numero, blocca.
Ciao Anna. Addio per sempre. In fondo, è quello che ti meriti.
 
Si era sentito forte, vincente. Un campione. E allora perché erano passati dieci giorni e lo smartphone sembrava ancora bruciare, fra le dita? E perché continuava a far scorrere l’indice sullo schermo, guardando e riguardando quel numero con la spunta su bloccato? Perché continuava a sperare che comparisse di nuovo, che non si arrendesse così facilmente?
 
Va bene, Frà. Va bene così. Del resto, non sei comunque nessuno, per lei. E non lo sarai mai.
 
- Ehi..- la voce di Jo lo fece cadere da quei tre metri sopra il cielo. Codino castano, dita strette attorno allo stipite, l’aria di chi aspetta.- sei pronto?
- Sì.. arrivo.- si scosse appena, nascondendo il cellulare nella tasca dei pantaloni, prima di lasciare la poltroncina dell'ufficio ed il computer, per imbracciare le stampelle e seguirla verso la prossima seduta di fisioterapia.
 
La prima.
Era stato il suo, il primo viso incontrato quando aveva riaperto gli occhi, dopo un volo in elicottero fatto sotto sedativo. Per evitargli il dolore, aveva detto Cecchini, comparendogli a sorpresa accanto alla barella, con aria paterna e dispiaciuta sotto ai suoi baffetti fini.
- Andrà tutto bene, vedrai.- aveva tentato un sorriso, raggiungendogli un braccio e stringendolo appena – ora ti danno qualcosa, sennò spostandoti rischiano di farti vedere tutte le stelle della galassia. Ti fai un sonnellino, e poi sarà tutto ok. Il capitano-
Aveva chiuso gli occhi, stretto i pugni, trattenendo quasi il respiro.
Non la stia nemmeno a nominare, Cecchini. Non doveva permettersi di farmi questo. La odio, la odio, la odio…
 
- Ora è così..- il maresciallo l’aveva intuito, quell’irrigidirsi. Forte e chiaro. E aveva scelto di ignorarlo – ma vedrai che c’ha ragione lei. Hanno sempre ragione loro. Le donne, intendo. Non lo so, come facciano, ma alla fine ci indovinano sempre. Se il capitano ha deciso così, non è perché ti detesta. Anzi, mi sa il contrario. Ti ricordi le stelle che s’è visto, Currarino, quando per scendere nella Roggia Del Frate a recuperare le prove in quella macchina, s’è distrutto i legamenti? Eh. – ora le labbra si aprivano in un sorriso, ricambiate debolmente dal giovane in barella – l’ha spedito a rimettere insieme dal Sa-qualcosa? No. Intervento, sei settimane a casa e via. Tu-
- Sono un po’ più inutile..
- Guasto. Più guasto, semmai. Un carabiniere non lo è mai, inutile. Ricordati che c’è anche il quaranta, percento. Il capitano ha scommesso su quello lì, non vorrai mica delu-
- Non me ne frega niente di deludere nessuno, maresciallo..
- E allora guarisci e faglielo apposta. Pensala come ti pare; pensala che ti ha mandato via perché non le servi più a niente, pensala che hai fatto una stronzata di dimensioni bibliche..- Cecchini apriva le braccia, mimando l’ampiezza del pianeta, e scandendo la parola bibliche con effetto quasi comico – a baciarla, dico. Ma quanto ne avevi bevuto, di rosso della casa?
- Maresciallo..- dal basso, il suo viso si dipingeva d’imbarazzo e quasi di dolore.
- Sì. V’ho visto. Ho tifato per te per almeno cinque secondi. Fino a quando sei scappato come un idiota. E’ rimasta lì che sembrava un cane abbandonato in autostrada, scommetto sul Voltadol.
- Sul-?
- Per stare in piedi, la mattina dopo. A Nardi! - ora Cecchini puntava il dito, come fulminato da un’idea improvvisa – A Nardi, stai sul culo. Ecco a chi. Hai giocato l’asso e –pam!- gliel’hai portata via. Un po’ come fa Don Matteo quando a scacchi-
- Scusate.. possiamo? – una voce estranea gli era comparsa alle spalle, seguita dalla figura dell’ufficiale medico del Liguria Sud – ecco; questo è un sedativo. Niente di troppo forte, ma è meglio se in elicottero resti a riposo e non senti gli scossoni. Ok?
Francesco ricordava di aver annuito, sentito quella voce che gli consigliava di contare fino a cinque.
 
Forse non era arrivato neanche a tre, prima che il baffo di Cecchini lasciasse posto al buio più nero.
 
Aveva riaperto gli occhi e trovato luce. Un soffitto bianco, pareti illuminate dal sole. Su un lato, il -bip- di una macchina molto simile a quella dell’ospedale di Gubbio, e dall’altro un lontano stormire di fronde, oltre il vetro di una finestra. L’ambiente era piccolo, ma rassicurante. Quel viso, incorniciato da ciuffi scuri, sorrideva senza parlare.
Poi era scomparsa dal raggio visivo, lasciando spazio ad una divisa nera. Quella con le mostrine della disciplinare.
Ricordava di aver chiuso gli occhi, mentre lei parlava snocciolando ordini, suggerimenti e nozioni. Non la voleva sentire, non la voleva vedere.
Non voglio.. non voglio te, non voglio nulla.. lasciatemi in pace..
 
Le ultime parole avevano avuto la forza di oltrepassare la barriera delle sue labbra, raggiungendo deboli quella donna e lasciandole stringere le mani a pugno contro i fianchi.
- Forse non ci siamo capiti, appuntato.- la voce le aveva vibrato, appena – non sei qui per una vendetta personale o chissà cosa ti sei immaginato. Il tuo ufficiale responsabile-
- S’è liberata di un peso.. quella.. quella stronza..
- Castiglione.- ora l’espressione della donna si faceva di rimprovero. E lui le rispose quasi ringhiando.
- Lei, quella, tutti.. Lasciatemi in pace.
 
Alessandra aveva raccolto il fiato, lenta e pesante, ed aveva voltato le spalle. Un attimo di pausa, ancora con la maniglia fra le dita. Ed aveva sfoderato il cellulare.

Riunione informale, quella sera, per la "squadra degli aggiustatutto". In cerchio in un angolo della sala, al termine della consueta riunione di consiglio mensile, mentre gli altri se ne andavano o rimanevano a chiacchierare in piccoli gruppi. Poche parole, giusto il necessario. Il capitano Migliacci che annuiva, chiedendo specifiche cliniche e costringendo la collega a cedere la parola a Lombardi. Quello che ci capiva nei referti.
 - Ok.- ricevuto un quadro un po’ più preciso, Jo aveva preso la parola, incrociando le braccia e percorrendo con lo sguardo i colleghi – e a chi lo vorreste affidare?
- A te.- aveva replicato la Ale, seguita dai cenni di assenso di Lombardi.
- E perché? Non sono mica l’unica, preparata per questi casi.
- E’ post traumatico, Bà.
- Del tipo "Oh, ciao, ben svegliato, tre su cinque che non cammini più?"
- EH.
- Per i post traumatici di quel genere lì, ci vuole della psicologia spiccia, non solo-
- Infatti è per questo che viene da voi.
 
Jo emise un sospiro, lento e profondo. E va bè. Vai di nove.
- Posso parlarci? E magari dare una valutazione veloce?
- Andiamo.
 
Troppe divise, davanti a quella stanza d’ospedale. Si sarebbe rivoltata pure lei, come un gatto. Altro che parlarne con la psicologa della disciplinare..
- Sentite..- oltrepassò la porta, giusto il tempo perché il giovane steso nel letto sollevasse lo sguardo ed incrociasse il suo. Un minimo cenno di saluto senza alcuna risposta, e gli voltò le spalle per puntare con l’indice i compagni di viaggio – thank you, ma mi sa che ci sono un po’ troppe divise, qui. Uno con me, gli altri fuori, grazie. Scegliete chi vi pare, tirate il dado. Non Frà.
- Ma come, non-? – il capitano Lombardi provò a protestare, senza sapere se riderci o offendersi per quella confidenza.
- Sei te che me l’hai inchiappettato, non osare negarlo. E poi ho bisogno di una figura rassicurante. Migliacci, con me.
La donna si ritrovò ad annuire, ridacchiando e mordicchiandosi le labbra. E seguì i suoi passi decisi fin quasi addosso a quel letto.
 
- Lo so, che nun ci hai voglia de parlà.- Jo sollevava appena le mani, diretta a quel paio di occhi di cristallo che la scrutavano con sospetto – nun ce l’avrei neppure io, co’ sta mandria de sfiniti qui. Solo due cose: uno, non sei sotto disciplinare, ma questo già lo sai. Due – si puntò col pollice – Barbara De Biase, alias Jo. Vicebrigadiere del SAeS. Non sono qui per chiacchierare ma per rimetterti in piedi. Ok?
Quello si limitò a tirare il fiato, lento e con l’espressione di uno che è completamente in disaccordo. Senza perdere il contatto visivo.
- E non me la dai a bere, che ti sei arreso.- Jo ora si piegava verso di lui, lasciandogli aggrottare le sopracciglia, ed infilando le mani fra la sua schiena ed i cuscini – ti scoccia?
- N- no..- a quell’intrusione, lui si irrigidì chiudendo i pugni. Le mani di quella donna sembravano voler cercare qualcosa. Un punto, una cicatrice – ma se stai cercando una ferita, non- AH!
Uno scatto, d’istinto, quando il tocco di quelle dita arrivò a dargli una specie di dolorosa scossa.
- Lo sapevo.- la donna ritraeva le mani, continuando a mantenere il contatto visivo ed assumendo un tono che sapeva di sfida – quaranta a sessanta, vero?
- Sc- scusa..?
- A quanto ti hanno dato? Quaranta a sessanta, trenta a settanta?
- Io.. non-
- L’hai sentita. Ti ho fatto male, non negarlo.
- Sì. Parecchio.
- Bene.
- Bene..?
- Sì. Bene. Scommetto che qui non ci volevi venire. Post traumatico. Il dottore ti ha svegliato, ti ha detto mi dispiace, e bla bla bla..- lei roteò appena gli occhi, prima di tornare a guardarlo.
- Sessanta.- lui la vide aggrottare le sopracciglia, e si convinse a parlare – ho il sessanta percento di restare paralizzato.
- Che si fottano. L’hai sentito, no? Forte e chiaro. Ti ho fatto male. Sai cosa vuol dire? Che rientri nel quaranta, fanculo a tutti. Che dove passa il dolore, passa il segnale. Che ti faccio ritornare in piedi, se combatti con me. Te l’hanno fatto sapere, che la vita è tua, e che senza divisa non prendi ordini da nessuno? Che sei tu quello che decide, adesso?
Lui rispose annuendo appena, ma l’espressione con cui la guardava non era più né scettica né incattivita.
- Bene, Francesco. Ci stai?
 
La donna tendeva la mano. Era un superiore, tendeva la mano, lo guardava in faccia e lo chiamava per nome.
Non ti ci lascio da solo. Sono qui. Combatto con te..
 
- Ci sto.
La stretta era decisa, e il labbro piegato di Jo recitava lo sapevo, che sei un combattente.
- Perfetto. Allora da domani cominciamo a giocare.
 
Io TiOdio. Ti odio con tutto me stesso.
 
Due settimane, la schiena che faceva un male boia anche sotto i massaggi meno energici, le gambe spinte e tirate. Millemila lentissime ed interminabili flessioni, fin quasi a toccare col naso le ginocchia, altro dolore dappertutto. Jo continuava a piegare le labbra, e solo dopo la prima ora gli concedeva un attimo di tregua.
Era lì che entrava in scena Giannotti e gli portava il caffè:
- Benvenuto nel club.-, spinto via a pattoni dalla fisioterapista delegata.
 
- Ma.. giusto per sapere.. com’è che mi hai definito-?
- Post traumatico. Ribelle, incazzato, silenzioso. Depresso, ti senti inutile e pensi che non ne uscirai mai se non a pezzi.
- Perché l’hai detto con la faccia di una che ne sa qualcosa..
- Non l’ho provato di persona, se è quello che pensi. Ma sei almeno il terzo, che mi è capitato. Con lui poi condividi gli stessi identici sintomi. Ma lui l’ha sfanculato sua cugina.
Jo indicava Pieracci, in transito sul terrazzo col gelato e la linguaccia di serie.
- Si è ripreso in maniera egregia, ieri era di nuovo in giro a salvare capre in cordata. No, non si è stampato salvando una capra. E tu stai sgranando gli occhi in maniera inverosimile, Sic’.
 
Ecco lì. Via l’espressione da tenebroso ed i cupi ed ostinati silenzi, e si beccava dritto dritto un altro soprannome.
Un sospiro, un po’ meno pesante ed un po’ più divertito, guardando per aria e pensando che, sinceramente, al capitano Olivieri doveva un grazie lungo una vita.
 
Anna..
Chissà dove sei, adesso, che fai, a cosa pensi.. se ogni tanto ritorni a quello stupido bacio, in quel giardino.. ti ho amato e ti ho odiato, da morire. Ora non lo so più.
Ho davanti il tuo sguardo, quelle tue manine sul petto. La tua voce che mi chiede di essere due niente che si fanno compagnia. Il freddo, quando mi hai detto di prendermi qualche giorno, e ti sei fatta consegnare la pistola. Il tuo calore accanto quando m’hai detto che tutto questo l’avresti affrontato con me.
L’hai fatto. E io non ho capito. Hai scelto per me. Nel senso non al posto mio, ma per me. Mi hai salvato la vita. E io ti ho odiato. Mi hai mandato in un posto dove guariscono gente che come me porta una cicatrice, quando non due, o di più. In un posto dove tutti imparano a portarle con orgoglio, un posto dove staresti alla perfezione. E ti ho cancellato. Adesso non lo so più. Non credo sia tu, quella che deve chiedere scusa..

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