'Se non è così, ti prego, dimmelo adesso...'

di Doux_Ange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non avrai altro Dio all'infuori di me ***
Capitolo 2: *** Non nominare il nome di Dio invano ***
Capitolo 3: *** Ricordati di santificare le feste ***
Capitolo 4: *** Onora il padre e la madre ***
Capitolo 5: *** Non uccidere ***
Capitolo 6: *** Non commettere adulterio ***
Capitolo 7: *** Non rubare ***
Capitolo 8: *** Non dire falsa testimonianza ***
Capitolo 9: *** Non desiderare la donna d'altri ***
Capitolo 10: *** Non desiderare la roba d'altri ***



Capitolo 1
*** Non avrai altro Dio all'infuori di me ***


NON AVRAI ALTRO DIO ALL’INFUORI DI ME
 
 
Marco’s pov
 
È una bella giornata di metà marzo.
Dire che sono felice è poco. Tra poco più di una settimana, finalmente, sposerò la mia Anna, e io non vedo l’ora.
La nostra storia d’amore va avanti da più di due anni, ormai, e non avrei potuto immaginare di viverla in modo più perfetto di così.
E io l’adoro, Anna. Adoro i nostri giorni insieme, con lei che non ammetterà mai di trovare divertenti le mie battute, a cui però ride sempre, e la sua fissa per l’ordine sotto ogni aspetto.
Ci eravamo ripromessi di cambiare insieme, ed è quello che stiamo facendo. Aveva ragione lei, quella volta... abbiamo intrapreso un viaggio che non sappiamo dove ci porterà, ma il nostro futuro lo sappiamo, da dove inizia: davanti all’altare, con Don Matteo a unirci in matrimonio.
 
A tal proposito, Anna, meticolosa com’è, vorrebbe tenere sotto controllo ogni dettaglio, e stiamo cercando di incastrare i tavoli per la sala ricevimenti, anche se qualche intoppo resta. Un punto su cui ci stiamo beccando in questo momento: zia Carmela. È una sua zia di settantacinque anni, l’ho conosciuta quando Anna mi ha presentato alla sua famiglia per una sorta di rimpatriata, e la simpatica vecchietta si era rivelata l’anima della festa. Inutile dire che io la adoro. Anna insiste per metterla al tavolo con altri parenti, ma io ho un’idea diversa.
 
“No, io, zia Carmela la metterei al tavolo delle cugine, perché è logorroica, racconta le barzellette, mettia-”
“No! Non mi toccare i segnaposti...” Mi stoppa immediatamente la mia futura moglie, prendendomi il bigliettino di mano. “Una donna di settantacinque anni non può stare al tavolo con un ventenne, perché-”
Intervengo di nuovo, cercando di calmarla. “Ma stai serena! È una festa, non è Risiko... Salve!” Saluto Don Matteo, che si è appena avvicinato a noi con un sorriso sul volto.
“Allora, come va con la preparazione del matrimonio?”
Io non ho dubbi. “Benissimo!”
“Malissimo!”, è però la risposta di Anna, che mi rivolge uno sguardo obliquo. Le accarezzo la schiena per tranquillizzarla.
“Ma sua madre e il maresciallo potrebbero darvi una mano!” Propone giustamente il parroco.
“Eh, certo, come no! Mia madre vuole che arrivi davanti alla chiesa con un cavallo bianco...!” Replica piccata Anna, in un tono eloquente che mi fa ridere. Ce l’ha a morte con lei per questa storia dei cavalli. Tra l’altro, è un punto di compromesso: Anna ha accettato di invitare zia Carmela a patto che sua madre limitasse le intrusioni nei preparativi. Non è che Anna odi la zia, eh... le dà fastidio il fatto che, pur avendo una nipote che fa il carabiniere, quella adori raccontare barzellette sull’Arma.
Ma tornando a noi...
“A proposito, tua madre e il maresciallo che fine hanno fatto?”
“Hai ragione! Vorrei saperlo anch’io...” Non fa in tempo a terminare la frase, che la mia futura suocera - oddio, quant’è strano dirlo - esce dal bar di Spartaco insieme a Cecchini. “Eccoli! Mamma, dov’eri?”
“Ero con il maresciallo...”
“Ci siamo presi una bibita...” Rispondono quasi in coro, dopo un cenno di saluto al parroco.
“Sì, ecco, perché noi volevamo dirti...” Inizia Elisa, ma Anna la blocca immediatamente.
“No, mamma, se si tratta del matrimonio non voglio paggetti, cavalli bianchi e carrozze!” Inveisce, alterata. Mi fa morire quando fa così.
“Anna, lascia stare...” Tento, con tono dolce. Anna è per le cose semplici e sobrie, e tutta questa roba che sua madre vorrebbe preparare le dà fastidio. La capisco, in realtà. Tutto quello che vogliamo è un matrimonio intimo.
“No, no no no no! Noi volevamo dirti che-”
“Che non ci sono sorprese, e che faremo come dite voi!” Interviene Cecchini, che mi sembra un po’ agitato.
“Ma noi-” La signora è interrotta nuovamente dal cellulare di Anna che squilla. Una chiamata dalla caserma.
“Maresciallo, dobbiamo andare, c’è stata una rissa al mercato. Forse è meglio che venga anche Lei, Don Matteo...”
“Io?” Chiede lui, sconcertato. In effetti...
“Pare che sia coinvolta Natalina.”
Si avvia insieme al maresciallo e al prete verso il mercato, ma non prima di avermi lasciato un leggero bacio sulle labbra.
Adoro questi piccoli momenti tra noi.
 
Nel pomeriggio, io e Anna dobbiamo presentarci a uno degli ultimi incontri per il corso prematrimoniale. Mentre la attendo, parlo un po’ con Don Matteo davanti alla chiesa.
“Io e Anna siamo un po’ preoccupati per il maresciallo...” Gli spiego. “Sono passati due anni ormai da quando sua moglie... Vabbè... e lui ha sofferto tantissimo. Però nelle ultime settimane sembrava tornato lui, sereno, scherzava, rideva... Però negli ultimi giorni, Anna dice che lo rivede di nuovo nervoso, è inquieto... ha paura che possa ritornare di nuovo nel tunnel della depressione.”
“È bello...” Commenta lui, sottovoce.
“Cosa, che ritorni nel tunnel della depressione? Sto scherzando, ovviamente...”
Don Matteo fa una piccola risata. “È bello che vi preoccupiate del maresciallo, lei ed Anna.”  
La sua osservazione mi fa sorridere. È Anna quella più preoccupata: il rapporto che in questi due anni si è venuto a creare tra lei e Cecchini è davvero quello tra un padre e una figlia, e io non potrei esserne più felice. Certo, Cecchini non potrà mai rimpiazzare Carlo Olivieri, e tantomeno Anna può sostituire Patrizia, ma per entrambi questo legame aiuta a sopperire a un vuoto prima apparentemente incolmabile. Solo che, adesso, per Cecchini i vuoti iniziano a essere un po’ tanti. La moglie Caterina è venuta a mancare due anni fa, e da allora lui non è stato più quello di prima. Lo capiamo, in fondo... dopo così tanti anni insieme, ha perso improvvisamente l’amore della sua vita. Io non riesco nemmeno a formulare l’idea di poter perdere Anna, se ci provo sto davvero, davvero male, e ci conosciamo da quattro anni, figuriamoci come può stare lui, dopo tanti anni di matrimonio. E a tal proposito...
“Io non capisco perché Anna non arrivi...”
 
Anna’s pov
 
“Maggiore La Gumina, come sta?”
“Bene! Allora, ha valutato la mia offerta di lavoro? Che mi dice?”
Sono davanti al Tric Trac, a una delle telefonate più difficili della mia vita.
Mi è stato offerto un posto come caposcorta all’ambasciata di Islamabad, in Pakistan, e io non so che fare. Cerco di prendere tempo.
“Eh... è una scelta molto importante.”
“Caposcorta all’ambasciata di Islamabad non è una cosa che capita tutti i giorni, è un incarico che potrebbe aprirle grandi possibilità di carriera, signorina.” Mi spiega il Maggiore, ma lui non capisce.
“... Senta, Islamabad è a seimila chilometri da qui, e io mi starei per sposare...” Gli dico, un sorriso che si fa strada da solo sulle mie labbra.
“Il suo futuro marito che dice?”
“... Che non lo sa. Non lo sa, ancora...”
Ed è questa la parte più difficile. Marco non è a conoscenza del fatto.
“Non potrebbe trasferirsi con Lei?”
“Senta, sarebbe un po’ complicato...”
“Capisco... ma mi serve una risposta. La richiamo stasera.”
Chiude prima che io riesca ad aggiungere altro, e francamente non avrei saputo cosa dire.
La verità è che non è la notizia in sé ad essere complicata da comunicare. È che io non voglio discuterne con Marco. Si tratta della mia carriera, e io la mia decisione l’ho già presa.
Ma sarà quella giusta?
 
Riesco a mala pena a rifletterci quando noto mia madre, seduta a uno dei tavolini del bar, intenta a parlare al cellulare. Quello che sento mi lascia sconvolta. Mia... mia madre si vede con un uomo! E... si fa chiamare... biscottino?!
“Ma chi è sto pervertito?” Mormoro tra me, sconcertata. I miei pensieri sono interrotti però da una voce che adoro.
“Buongiorno all’amore mio!”
Il mio fidanzato sta scendendo le scale dietro di me, per venirmi incontro. Io non riesco a mettere insieme due sillabe, dopo la telefonata di mia madre.
“Marco, Mar-”
“Vieni qua...” Mi interrompe però lui, stringendomi tra le sue braccia per avvicinarmi a sé e baciarmi.
In qualsiasi altro momento mi sarei goduta il suo bacio, ma ho bisogno di dirgli di mia madre. Marco ha evidentemente idee diverse, perché mi prende per mano con un’espressione divertita in volto.
“Volevo dirti una cosa... ho incontrato il tuo fidanzato, Marco Nardi, non so se lo conosci, che ti stava aspettando, mi ha detto di dirti, al corso fidanzati... da un po’!” Mi informa, con un sorrisetto.
Il corso! Me l’ero dimenticato!
“Stavo arrivando... stavo arrivando, stavo arrivando, stavo arrivando...” Tento di dirgli, quasi in panico, ma Marco mi rivolge un altro sorriso che mi scioglie, abbracciandomi. Mi sento leggermente meglio, così vicina a lui.
“Basta con quest’ansia per preparare il matrimonio, va bene?”
“Okay...”
“Anna... Ci sono io, non mi costa niente, mi diverto,” mi dice, ed è la verità: si è preso carico di tutto, per non mettermi ulteriore pressione. “Tu devi imparare solo una frase: ‘Sì, lo voglio!’. Se lo vuoi, ovviamente, se no...” Io ridacchio alla sua battuta, anche se non devo averlo convinto, perché mi chiede cos’abbia. Svio sul bimbo rapito, che è una mezza verità, prima di seguirlo al corso prematrimoniale.
La mia attenzione è solo parziale.
Penso alla scena di poco fa, sulle scalinate, e mi viene da sorridere.
Quanto mi davano fastidio, le battutine di Marco, all’inizio... adesso non potrei farne a meno. Non riesco a immaginare un giorno senza sentirle.
Sbatto le palpebre davanti a questa considerazione, e le mie certezze in merito all’incarico vacillano.
Marco è la cosa più bella che mi sia capitata finora, e non potrei desiderare nessun altro di più perfetto al mio fianco. Siamo diversi, vero, ma complementari. Non riesco a immaginarmi davvero lontana da lui. Eppure prima ero convinta...
Perché è così difficile?
Marco, evidentemente, si accorge della mia distrazione e mi prende con delicatezza una mano, intrecciando le nostre dita.
Io non so che fare.
 
In serata, dopo il mio rientro in caserma, Zappavigna mi informa dell’arrivo del mio abito da sposa, che mi consegna e che porto nel mio ufficio. Lo appoggio sul divanetto nell’angolo, con il cuore come un macigno.
Il matrimonio, la notizia da dare a Marco, e ora si aggiunge pure l’ipotesi orribile che il ‘biscottino’ di mia madre sia Ghisoni... perché tutto in una volta?
Dovrebbe essere il momento più bello della mia vita. Sto per sposare il mio amore, l’abito bianco è finalmente arrivato, e la vita con l’uomo che amo è lì davanti che mi aspetta.
Eppure, in un angolo della mia mente, sento risuonare le parole di mia madre di qualche anno fa. Sul fatto che, per una che fa il carabiniere, sarebbe stato impossibile conciliare amore e lavoro.
E se penso che ha ragione, di nuovo, sento montare una rabbia che fatico a tenere a bada.
In questo momento, però, scelgo di dedicarmi a Ghisoni, e l’unico con cui posso parlarne nell’immediato è Cecchini. Mi deve aiutare lui.
 
Marco’s pov
 
Per fortuna abbiamo trovato il bambino, con un piccolo aiuto di Don Matteo, e la questione si è risolta senza incidenti. Quando usciamo dalla caserma pronti per tornare a casa, però, Anna è sul piede di guerra.
“Dica a Ghisoni di stilare il rapporto, lo voglio entro domani mattina!” Dice inviperita a Cecchini. “E se necessario, ci lavori tutta la notte, è chiaro? Vada!”
“Comandi!” Fa quello, tornando su.
Io la osservo sconcertato. “Ma che t’ha fatto Ghisoni?” Provo a chiederle, ma lei solleva una mano per intimarmi di non fare domande, iniziando a camminare verso la sua macchina. Io non desisto, seguendola. “Cosa t’ha fatto? Oh!”
Prima di tornare al suo appartamento, dove ormai viviamo insieme già da qualche tempo, passiamo dalla mia vecchia casa per prendere le ultime cose che restano, e poi dal supermercato per un po’ di spesa. Io non demordo, continuando a domandarle perché ce l’avesse tanto col suo sottoposto. Non è da lei, fare così. Un po’ mi preoccupa.
 
Quando finalmente arriviamo a casa, lei si arrende. “Ghisoni ci ha provato con mia madre, va bene? Basta, fine della storia!” Esclama in tono irritato, entrando e portandosi dietro il nostro cane. “Vieni qua, Patatino, stai qua...”
“Che?!” Rispondo, trattenendo a stento una risata, quasi senza parole. La seguo dentro. “Mi son visto l’immagine di Ghisoni che bacia tua mamma... bellissima! Ma sai che bello un matrimonio a quattro, io, te, tua mamma e Ghisoni...!”
Lei posa le buste sul tavolo, dandomi un colpo sul braccio per bloccarmi, mentre io me la rido prendendola in giro. “Marco, Marco smettila!!” Fa, con espressione schifata. Tira fuori alcune cose dalle buste, prima di rivolgersi a me. “Quello?”
“Che?” Chiedo, senza capire. Lei indica un oggetto ai miei piedi.
“Quello è il pouf... lo buttiamo, perché qui...” Mi intima in tono eloquente.
Mi viene da ridere, perché dice sempre che lo detesta per via di quella sera, ma in realtà, in seguito a noi è tornato parecchio utile in certe... situazioni.
“Tu non hai capito... io mi sono innamorato di te per questo, piuttosto leviamo la lavatrice, dai...” Rispondo io, davanti alla sua espressione da non-ci-provare. Decido di punzecchiarla ancora un po’. “Poi, secondo me, quando vengono tua mamma e Ghisoni, possono baciarsi sopra perché è ergonomico, e-...”
Lei torna a ‘picchiarmi’. “Marco, bastaaaaa!” Esclama, non riuscendo però a trattenere una risata. Quanto la amo, quando fa così. Adoro quando battibecchiamo così per poi far pace. Soprattutto far pace. Non vedo l’ora che diventi davvero quotidianità, tutto questo.
“Quando ti arrabbi così è bella, eh!” Le dico io, con un sorriso che lei ricambia.
Quanto la amo.
“Vado a prendere gli ultimi scatoloni... io vado a prenderli.” Sottolinea, in tono che non ammette repliche. In questo non è cambiata, deve sempre dimostrarmi che ce la può fare da sola. Ma in fondo la amo anche per questo.
Però io avevo altre idee, non volevo interrompere il nostro momento...
“Adesso vai giù?” Le chiedo, quasi in tono di supplica, cercando di trattenerla per il polso.
Lei abbassa lo sguardo, un lieve rossore sulle guance accompagnato da un sorriso timido che mi fa capire che l’intenzione è comune. “Torno subito... torno subito!” Mi rassicura, in un tono sommesso che mi fa fremere.
Ma siccome io sono sempre il solito, rincaro la dose.
“Comunque tua mamma e Ghisoni secondo me sono bene assortiti...”
“Marco!!!” Strilla lei dalla porta. Immagino la sua espressione esasperata, e rido tra me.
“Scusami, io do un’opinione!”
 
Mentre lei è ancora intenta a fare avanti e indietro, il suo cellulare squilla. Noto che la chiamata arriva dal Comando Generale, quindi sarà importante, e quando provo a chiamarla senza successo, decido di rispondere.
“Pronto? No, non sono Anna... può dire a me perché sono suo marito... cioè, futuro marito...” spiego, compiaciuto, al Maggiore all’altro capo del telefono. Quello che però lui mi dice mi raggela. “Come, scusi?”
 
Cercando di mantenere la calma il più possibile, attendo che Anna rientri.
 
Lei si accorge subito che qualcosa non va.
“Cos’è ‘sta storia del lavoro in Pakistan?”
La sua esitazione non mi piace.
Tento di spiegarmi meglio. “Scusami... ho risposto al telefono... io non lo faccio, ma ho visto che era il Comando Generale, ho pensato fosse importante...”
“No, no, sì... Eh... te ne volevo parlare...” Questa conversazione sta iniziando male. Anna non è una che si fa problemi, a dire le cose. La sua incertezza mi mette in subbuglio.
“Praticamente il Comando Generale mi ha offerto un incarico all’ambasciata di Islamabad e... è un lavoro molto importante... Ecco, l’unica cosa è che...”
“Che c’è?”
“Dovremmo rimandare il matrimonio...” La sento appena, per quanto parla piano.
“Rimandare... in che senso, scusami?”
“Ipoteticamente, rimandare...”
“Ipoteticamente cosa significa?”
“Significa che dura tre anni!” Esclama infine.
Una coltellata avrebbe fatto meno male.
Se lei non è cambiata nel suo dover sempre mostrarsi forte, io non ho imparato a gestire meglio la rabbia. Esplodo in una volta.
“Ma tu quant’è che sai ‘sta cosa, scusami?!”
“Due-...”
“Due, cosa? Due giorni? Settimane? Facciamo un indovinello? Quanto?!”
“Mesi! Lo so da due mesi!”
“Due mesi! Ma cosa aspettavi a dirmelo, scusami? Mi mandavi una cartolina, ormai, quand’eri direttamente a Islamabad?! Tanto mica devi parlare con me, sono solo il tuo futuro marito, che te ne frega... sono solo dei dettagli questi, no?” Il fatto che lei non riesca a rispondermi mi manda completamente in bestia.
Non ci riesco, a restare qua un attimo di più. “Se per te è più importante questo lavoro, come mi sembra, allora rimandiamolo, il matrimonio, non c’è problema...”
“Ti prego, ne possiamo un attimo parlare?”
“Ah, adesso ne vuoi parlare, t’è venuta voglia! Allora non lo rimandiamo di quattro anni, ce l’ho io la data: a mai più.” Esco fuori di casa come una furia, sbattendo la porta, mentre sento lei che mi chiama, ma non è la sua voce a fermarmi.
 
“Dove va??” Sua madre.
“Eh, me ne vado, esco...” Mi limito a dire, con scarsi risultati.
“Resti, resti... volevamo comunicarle qualcosa... ecco, io e il maresciallo...”
Qualsiasi cosa sia, la mia è più importante.
“Vi comunico io una cosa, signora: il matrimonio è rimandato a data da destinarsi perché la signorina se ne va in Pakistan!” Urlo, la voce che trema, prima di fiondarmi giù per le scale.
Rientro tardi su richiesta di Cecchini, che mi ospita da lui.
 
Anna’s pov
 
Marco non è rientrato a casa, dopo la sfuriata di ieri.
Non me la sento di biasimarlo. Non mi ha dato il tempo di spiegarmi, ma lo capisco. Ho avuto due mesi per dirglielo, e l’ha dovuto scoprire così.
Dopotutto, è una decisione che non cambia solo la mia, di vita, ma quella di entrambi.
Mi rendo conto che non è stata una grande idea, tenerglielo nascosto. È il mio futuro marito, ne avremmo dovuto parlare.
Spero che abbia sbollito la rabbia abbastanza da poter affrontare il discorso, oggi.
 
Evidentemente però non è così perché in caserma, quando interroghiamo il cardiochirurgo che afferma di essere innocente perché ama sua moglie, Marco risponde in tono tagliente. “Ah, sì, la ama così tanto che non vi siete nemmeno confrontati su una questione così importante come l’operazione di suo figlio. Bello... strano modo di amare.” Dice, rivolgendomi uno sguardo di ghiaccio. E fa male, malissimo, perché non è la prima volta che gli sento pronunciare una frase del genere. È già capitato una volta, con quella ragazzina che non aveva avuto il coraggio di confessare al suo compagno i suoi sentimenti, e lui aveva appena iniziato a uscire con Chiara.
Io però sono una testona. Va bene, Marco ha avuto ragione ad arrabbiarsi, però potrebbe anche cercare di capire il mio punto di vista, e non mi ha lasciato il tempo di spiegargli nulla. Quella di Islamabad è un’occasione più unica che rara. Se solo mi facesse parlare...
Finito l’interrogatorio, Cecchini cerca di correre in mio soccorso.
“Ehhh, scusate, devo sistemare delle cose, vi lascio soli...”
Marco però ha altre idee. “Maresciallo, vengo con Lei, aspetti un attimo... Tenetemi aggiornato, va bene?” Dice, senza nemmeno guardarmi, andando via.
 
Cecchini, più tardi, cerca di farmi ragionare, seduto davanti alla scrivania nel suo ufficio.
“Signor Capitano, lei ormai mi conosce, sa che non sono il tipo che mi metto a farmi gli affari degli altri, però ho visto il PM veramente arrabbiato... Ma dove se ne va? Ma perché, non le piace stare qua?” Mi chiede, in tono sconsolato.
“Ma certo che mi piace! Non è questo,” provo a spiegargli. “Il problema è un altro... lo sa tra quante persone mi hanno scelta? Tremila! Hanno scelto me! È un’occasione che capita una volta sola nella vita.”
“Eh, ma lei lo sa quante persone vorrebbero essere al suo posto, qua a fare il capitano nella caserma di Spoleto? Tre miliardi di persone, come minimo! E dove se ne va, nel Pakistan? Che ogni sera al telegiornale... ci sono le guerre mondiali...”
Lo interrompo. “Comunque è una questione tra me e Marco, la risolveremo, è solo un litigio prematrimoniale...”
Cerco di auto-convincermi di questa cosa. Il maresciallo la vede sicuramente come Marco, e come mia madre. Figuriamoci, mia madre ha passato tutta la sera a cercare di farmi cambiare idea. Secondo lei, dovrei pensare a sposarmi, avere figli, e della carriera chi se ne frega.
Ho fatto una vita di sacrifici per arrivare a questo. E ora dovrei rinunciare? Mai!
Però... se avessero ragione?
Forse, se Marco mi lasciasse almeno spiegare, capirebbe.
Devo solo aspettare che si calmi.
 
Marco’s pov
 
Rientrando dal maresciallo, vengo a sapere della storia tra lui e la madre di Anna.
Fantastico. A quanto pare tenere i segreti è un vizio di famiglia.
A interrompere il tutto arriva Anna, che bussa nonostante la porta sia ancora aperta, e Cecchini ed Elisa vanno via, lasciandoci soli.
“Possiamo parlarne?” Mi chiede infine lei, avvicinandosi con fare incerto.
“Sì, sì sì sì... sarebbe stato meglio parlarne prima, forse, quando t’è arrivato il lavoro, però...”
Non sono più arrabbiato, per lo meno non adesso.
E ci ho pensato anche io, alla questione.
“Mi dispiace... ho sbagliato, mi dispiace.” Mi dice Anna, con voce piccola, ma io non riesco ad alzare lo sguardo su di lei, nemmeno quando mi prende per mano. “Ti prego...” Prova a baciarmi, ma per la prima volta nella mia vita glielo impedisco, per quanto sia doloroso.
“Il problema vero è che tu non volevi discutere con me di quel lavoro, perché appena te l’hanno offerto, il tuo corpo e il tuo cuore avevano già deciso... Il tuo problema vero era solo ‘E adesso come glielo dico, a Marco?’”
Lei abbassa lo sguardo che nel frattempo si è fatto lucido. Lo so, che per lei è una grandissima opportunità, e potremmo anche trovare un compromesso, ma... la verità è che mi sento tradito, perché lei non ha ritenuto importante condividere una questione così seria con me. Amo Anna e il suo modo di essere, ma per una volta avrei voluto che lei non avesse deciso di affrontare tutto da sola. E non avrei voluto nemmeno che il nostro viaggio ci portasse qui, a discutere del nostro futuro a casa Cecchini. Ma ho bisogno di sentirglielo dire, anche se lo so già. “Se mi sbaglio, ti prego, dimmelo adesso...” La imploro. Non ce la faccio nemmeno a tenere la voce ferma. “Se non è così, io ti chiedo scusa e torna tutto come prima... Dimmi, è così?” Lei abbassa di nuovo lo sguardo. “È così?”
“Sì, è così.” Ammette infine, con un filo di voce che mi devasta.
“È così...” Trattengo a stento le lacrime. “Noi, quando ci siamo fidanzati, ci siamo detti che saremmo cambiati insieme, ed è stata la cosa più bella che mi potesse capitare, una figata...” Dico, senza riuscire a celare come mi senta. “Però, evidentemente, anche se fa un male... ci sono delle cose in cui tu vuoi cambiare da sola...”
“No, non-”
“E sono un ostacolo, io, in questo...”
“No, non sei un ostacolo, non è vero...” Cerca di ribattere lei, con il mio stesso tono, ma io so bene che non è così. Anche se ammetterlo mi sta distruggendo.
“C’è un modo più carino senz’altro di dirlo... Anna, non ci siam mai detti delle balle, non iniziamo ora, va bene? E quindi è giusto che l’ostacolo se ne vada... e... per me va bene così.”
La lascio così, senza riuscire a dire altro.
Non sono mai stato tanto disperato, e combatto contro la voglia di tornare indietro, mandare all’aria tutto e stringerla e implorarla di non andare via. Di non lasciarmi.
Ma non posso. Non posso. È un’occasione unica per lei, e io non voglio impedirle di vivere la sua vita, dopo i sacrifici che ha fatto. E se è quel lavoro che vuole, io sono disposto a farmi da parte.
A lasciarla andare, piuttosto che averla accanto infelice.
 
“Che succede?” Mi blocca nuovamente sui miei passi sua madre, in compagnia di Cecchini. So che stavano cercando di spiare.
E mi trovo a dover dire quello che mai avrei voluto.
“Potete disdire il ristorante, la chiesa, anche il cavallo bianco, signora... Il matrimonio non è rimandato, non si fa proprio più.”
 
La via più facile per smettere di pensare è sempre l’alcol. Così mi ritrovo seduto a un bar, a buttare giù un drink dopo l’altro, fino a quando la mia mente è troppo annebbiata per capire, e non so nemmeno più quello che dico, così mi metto a raccontare al barman le mie pene.
“Bello perché la prima fidanzata mi ha tradito, ma col mio migliore amico, un po’ scontato, capito? La seconda è stata più originale perché mi ha fatto cornuto, ma col suo lavoro, capito? Grande Anna! Mi è piaciuto proprio! Io devo controllare su Internet, ma credo di avere il record mondiale degli abbandoni sull’altare!” biascico, un garbuglio di sentimenti che mi scuotono.
“Giornataccia?” Mi giro come posso, e vedo una donna appoggiata al bancone accanto a me.
Che razza di domanda... “Tipo la più brutta della mia vita... però... noi festeggiamo, eh... Puoi dare un drink anche alla mia amica? ... no, scusami, stop, forse non bevi...” Farfuglio.
“No, bevo!”
“Ah! Allora okay, va bene!”
Non so nemmeno quello che succede dopo, non lo capisco. Non so nemmeno come ci sono arrivato, all’interno di questa villa. L’unica cosa vagamente chiara è il viso di quella donna che si fa tanto, troppo vicino, e poi il buio.
 
Quando mi sveglio, la mattina, sono convinto di aver fatto un sogno orribile. Di Anna che diceva di aver ricevuto un incarico a migliaia di chilometri da qui, e ci lasciavamo.
Ma sono certo che non è vero. Che non appena aprirò gli occhi, la mia Anna sarà addormentata al mio fianco, perché nulla sarà stato se non un incubo, e la potrò svegliare come faccio sempre tutte le mattine, con qualche lieve bacio, accarezzarla, e magari, poi...
Mi alzo di scatto.
Non sono a casa con Anna. Non è il nostro letto, questo, né il nostro appartamento, e quella che dorme accanto a me non è lei...
Mi rendo conto di aver fatto la cazzata più grande della mia vita.
Non aspetto nemmeno che la donna si svegli. Mi rivesto e corro via, nel panico più totale.
 
Anna’s pov
 
Stanotte Marco non è rientrato nemmeno da Cecchini, stando a quello che ha detto lui. Chissà dove ha passato la notte... Io non ho chiuso occhio.
Accanto a me, appeso all’attaccapanni dell’ufficio, il mio abito da sposa nella sua custodia.
Mi viene da piangere come non ho mai fatto in vita mia. Anzi sì, ieri sera. E stanotte.
Sento la testa esplodere, il cuore dilaniato nel realizzare che davvero quell’abito bianco non lo indosserò mai.
Marco è più testardo di me, per certe cose, e so che non tornerà sui suoi passi. Si sente un ostacolo e niente che io possa dirgli potrebbe fargli cambiare idea. Ma non lo è, non lo è! Come potrebbe? Io lo amo, non potrebbe mai essere un ostacolo, per me...
Vorrei solo addormentarmi e risvegliarmi indietro di due mesi, dirgli tutto subito... ma sarebbe cambiato qualcosa?
Probabilmente no, lui non avrebbe forse reagito con quella rabbia, ma non sarebbe comunque sceso a compromessi, lo conosco.
Io quel lavoro lo volevo, lo vorrei accettare, ma Marco non vorrebbe di certo che io partissi per tre anni, nemmeno se ci sposassimo prima. E io non so se riuscirei ad andare via, in quel caso.
Ho sempre pensato di essere convinta, ma allora perché fa così tanto male anche la sola idea di non vederlo per poco tempo? Già in queste due notti senza di lui, la casa sembrava così vuota, il letto così freddo...
I miei pensieri vengono bruscamente interrotti da Cecchini, che spalanca la porta del mio ufficio con un’espressione terrorizzata in volto.
“Signor Capitano, hanno sparato a Don Matteo!”
 
Ci precipitiamo in ospedale, dove per fortuna scopriamo che il crocifisso che il sacerdote portava sotto i paramenti ha fermato il proiettile, salvandogli la vita.
Al rientro in caserma, notiamo Marco seduto a uno dei tavolini del bar. Si tiene la testa fra le mani. Io sento una fitta al cuore.
“Senta... ma perché non gli va a parlare?” Mi propone Cecchini, esitante.
“Abbiamo una donna in coma e un prete ferito da un’arma da fuoco. Pensiamo al lavoro, va bene?” Gli chiedo però, quasi in tono di supplica, le lacrime che tornano a minacciare di scendere. Non voglio pensarci in questo momento.
Non voglio pensarci.
 
Marco’s pov
 
Noto Anna e il maresciallo giungere all’ingresso della caserma, ma mentre lei si avvia verso le scale, lui mi viene incontro.
E ora che faccio? Se gli racconto tutto, lui come reagisce? Mi aiuta? O mi ammazza, cosa più probabile, considerando che per lui Anna è una figlia? Lui nel frattempo mi raggiunge.
“Come sta? Ma dove ha passato tutta la notte? Dalla faccia si vede che ha passato una brutta nottataccia, da solo, sveglio, a soffrire, a pensare al matrimonio, a Anna... “ Snocciola, senza lasciarmi dire nulla. Sempre molto delicato, Cecchini.
“Più o meno, maresciallo, sì...”
“Ma Lei lo sa quante volte io e mia moglie Caterina abbiamo litigato, e sembrava tutto finito, e invece... invece poi le cose si... Guardi, parlo io con la Capitana, la convinco a non partire. E poi, in fondo, non è successo niente di irreparabile!”
Alla sua proposta, vado ancora più nel panico. Cosa faccio, glielo dico? Forse è meglio di sì, tanto che differenza fa? Il danno l’ho fatto, Anna l’ho lasciata io...
“Maresciallo, io... ho combinato un casino, ho combinato...”
“Vabbè, Anna ha sbagliato, ma Lei l’ha trattata male! Ma non è così grave, potete rimediare, ancora!”
“L’ho tradita.”
Cecchini rimane per la prima volta senza parole. Quando si riprende abbastanza, biascica, “Come... ma così, co-col pensiero...”
“No...”
“Proprio, l’ha... l’ha tradita... coi fatti...” Lo capisco, è sconvolto anche lui.
“Non volevo... io, maresciallo, non volevo... ero ubriaco marcio, poi io pensavo che fosse finita, con Anna, ero disperato, io...”
“Ma quando è successo, scusi? Con chi, poi?”
“Eh... Io ero lì, ho bevuto un cicchetto, poi...” D’improvviso, le mie paure si materializzano, perché la donna di ieri notte sta procedendo a grandi falcate verso la caserma. E io devo impedirglielo a tutti i costi, non mi importa cosa sta pensando il maresciallo, ormai.
Mi precipito da lei. “Senti...!”
“Ciao!” Mi saluta quella, in tono allegro. Non c’è niente di cui essere felici!
“Ciao ciao ciao ciao... Senti, io non so che cosa pensi, ma tra di noi non può esserci niente, non c’è niente, mai, mai e poi mai.” Cerco di mettere in chiaro. Non importa se io e Anna ci siamo lasciati, io la amo, la amo e l’ho tradita... “Tu non puoi stare in questo posto perché io qui ci lavoro!”
“Anch’io ci lavoro!”
Per poco non mi prende un infarto. “Cosa dici?!”
“Sara Santonastasi, Procuratrice Capo.” Cosa?! “Sono qui per incontrare il Capitano Anna Olivieri.”
No! Anna no!
“No!! No, no, non si può perché è malata... e adesso è in malattia, ha avuto un problema di dermatite, dei follicoli, è una cosa... ma dovrebbe rientrare con tranquillità dopo... è meglio se torni- cioè, torna, Lei, torna un’altra volta.” farfuglio. Non so se mi abbia creduto, ma per fortuna accetta.
“Torno... torno un’altra volta... Dammi del tu!” Fa, tentando di afferrarmi il braccio, che io scanso come se mi potesse scottare. “Ci vediamo in tribunale!”
 
Giusto per migliorare le cose, il maresciallo mi raggiunge. “Ma chi è quella?”
“Chi?”
“Chi è quella, che voleva?”
“No, è una turista che s’è persa...” Cerco di fare l’evasivo pure con lui.
“Una turista...?”
“Sì, che-che c’è? è una turista!” Turista che si volta a salutarmi con la mano. “Sì, signorina, deve andare sotto il ponte, poi c’è il mausoleo e lì chiede...”
Cecchini mi osserva di sottecchi, ma io gli volto le spalle, trattenendomi dall’urlare. Peggio di così... come faccio a dirgli che quella con cui ho tradito la donna che amo è il mio capo e dovrò vederla tutti i giorni? Preferisco glissare, sa già fin troppo, lui.
 
Una volta in ufficio, dopo la confessione spontanea del videomaker, mi affretto ad andare via. Non sono pronto a parlare con Anna che cerca di avvicinarmi, soprattutto non col maresciallo nei paraggi. Non ce la faccio. Non dovrà mai saperlo.
 
Anna’s pov
 
Marco è sempre più distante. Dopo aver ascoltato la testimonianza del documentarista è fuggito via. Provo a chiamarlo, ma il suo cellulare squilla a vuoto. L’ennesima coltellata al cuore.
Il maresciallo mi raggiunge in piazza. “Signor Capitano... vedrà che tutto si risolve! Questo matrimonio si farà! Parlo io col PM... Lo convinco io...” Tenta di tranquillizzarmi. “Però Lei...” aggiunge, eloquente.
“Io cosa, scusi?” Non c’è bisogno nemmeno che risponda, ho già capito. “Lei la pensa come mia madre! Pensa che sono una stupida, che non devo pensare alla carriera ma a sposarmi, avere figli, e che è colpa mia!” Ribatto irritata, rientrando in caserma senza lasciargli la possibilità di replicare.
 
Come se non bastasse, quando rientro in caserma scopro Ghisoni a parlare di nuovo al telefono con la sua biscottina, prima di uscire e andare al bar di Spartaco.Io gli corro dietro, e al Tric Trac trovo ovviamente mia madre. Cerco di farla confessare, ma quello che scopro è anche peggio delle mie supposizioni errate. Cecchini! Mia madre si vede con Cecchini!
Vado via furiosa. Mi hanno presa in giro, tutto quel tempo a tenermi nascosta una cosa del genere pure loro! Come hanno potuto?!
 
La sera, a casa da sola, non va meglio.
Mia madre è passata per dirmi che lei e il maresciallo hanno deciso di non continuare la loro ‘amicizia’, cosa che mi fa stare anche peggio perché ho esagerato con la mia reazione. Le scatole dei regali della lista nozze, sparse per la stanza, non mi aiutano.
Decido di tentare di affogare le mie pene nel cioccolato, per cui mi armo di barattolo di Nutella e cucchiaio, e mi siedo sul divano.
Con il mio abito da sposa in grembo, vittima delle mie lacrime incessanti.
Non credo di aver mai pianto tanto come ho fatto in questi ultimi giorni.
Se ci penso, il mio dolore per la fine della storia con Giovanni era niente, appena un pizzicotto, in confronto a questo, nonostante i cinque anni insieme.
Ho scelto il lavoro, e sento ripiombare addosso le accuse del mio ex in merito. Ma non è come allora... In quel caso, non ci ho prestato attenzione più di tanto, optando per la carriera senza voltarmi indietro.
Stavolta, invece, non sono più così convinta come pensavo di essere.
Io amo Marco... come non ho mai amato nessuno prima, come non avrei mai pensato di poter fare. È stato l’unico a riuscire a vedere la vera Anna, quella dietro la corazza e la divisa e a innamorarsene.
Mi viene da sorridere perché Marco è la parte più casinista della mia vita, quella che ero convinta non avrei mai sopportato perché impossibile da gestire. Del resto, però, Marco è l’uomo più impossibile che conosca, e non riesco a immaginare in nessun modo la mia vita senza di lui.
Senza i suoi baci e le sue coccole, la mattina appena svegli.
Le sue battute e il suo voler scherzare per forza in ogni situazione.
Il suo essere terribilmente disordinato, con tutte le cose che lascia in giro e che mi esasperano.
I nostri battibecchi per niente.
I suoi goffi tentativi di far pace dopo una lite.
Le cene bruciacchiate perché troppo impegnati ad amarci.
La casa tutta per noi, un futuro da progettare insieme, tutto da creare...
Ancora una volta, a interrompere i miei pensieri ci pensa il maresciallo, col suo solito vizio di entrare in casa con la sua copia delle chiavi.
Non l’aveva più fatto, da quando Marco viveva con me.
 
“Come sta?” Mi domanda a bassa voce. Le mie lacrime penso dicano già abbastanza.
“Come sto... a parte Marco che non si fa vivo e io che non so che sarà della mia vita, sto bene... Che vuole?”
Lui si siede accanto a me sul divano. “Le volevo dire che io a sua madre non ci rinuncio. Non lo so se quello che c’è tra me e sua madre si possa chiamare amore, però... io con lei sto bene. Mi piace parlare, mi piace chiacchierare, mi piace passeggiare, andare a comprare il gelato, andare a ballare... è follia? Del resto, l’amore è follia, come dice un mio amico, e io a questa follia non ci voglio rinunciare. È da stupidi perdere una cosa così bella.” Mi dice, con una sincerità che mi stupisce.
“Non la facevo così... romantico e profondo.”
Lui fa spallucce, poi si alza in piedi. “Comunque, se la cosa Le crea problemi, io mi faccio trasferire... a Orvieto o a Foligno...”
Gli concedo una piccola risata. “No, non mi crea problemi... Lei e mia madre non avete bisogno del mio consenso...” E, in realtà, non mi dispiace, che lui e mamma si frequentino. Cecchini ormai è un padre, per me, e la loro relazione mi fa piacere. Mi alzo in piedi anch’io, stringendo i denti per non piangere di nuovo. “Mi dispiace per quello che ho detto... ero nervosa...” mi scuso, abbracciandolo stretto.
Ho bisogno del suo affetto in questo momento, disperatamente. Ma una piccola minaccia non gliela toglie nessuno.
“Se la fa soffrire la degrado.”
 
Va via poco dopo, lasciandomi di nuovo sola.
Le sue parole mi fanno riflettere, riprendendo il filo ingarbugliato dei pensieri che mi scorrevamo in mente prima del suo arrivo.
Torno al mio vasetto di crema alla nocciola, soffermandomi ad osservarlo.
Avrei preferito il gelato al cioccolato con le nocciole tritate sopra, ma quello lo prendo sempre con Marco, durante le nostre lunghe passeggiate dopo il lavoro. Come in quelle volte in cui non voleva nemmeno rientrare a casa per cambiarci, portandomi con sé ancora in divisa in giro per Spoleto. Oppure quando non vedevamo l’ora di tornare di corsa in appartamento, perché avevamo trascorso troppe ore divisi e avevamo solo voglia di stare insieme, di recuperare il tempo passato lontani nel modo più dolce possibile.
Le serate passate a cucinare insieme. I suoi abbracci improvvisi. I baci rubati.
Le lacrime riprendono.
Che stupida sono, ad aver pensato di poter fare a meno di Marco, del mio amato Marco.
Cecchini ha ragione: a volte bisogna davvero essere folli, come folle e rocambolesca è stata la nostra vita insieme fino a questo momento.
Ed io non voglio niente di più di questo nostro folle amore.
 
Marco’s pov
 
Riesco a dormire molto poco.
La mattina, sto per salire in sella alla mia moto, quando sento Anna chiamare il mio nome.
Mi raggiunge e, con mio enorme stupore, mi bacia. Le rivolgo uno sguardo sconcertato.
“Beh, che... che succede?”
Lei sembra disperata come forse non l’ho mai vista.
“Succede che all’amore non si rinuncia, me l’ha detto il maresciallo...” Mi dice soltanto, con un piccolissimo sorriso a incresparle le labbra, prima di continuare. “Ho sbagliato... avevi ragione tu, io quel lavoro lo volevo ma non sapevo come dirtelo... Però ho capito che sei tu che mi rendi felice.”
Alle sue parole, spalanco gli occhi. Significa... significa che resta? “Mi rendi felice quando passeggiamo insieme, mi rendi felice quando prendiamo il gelato, mi rendi- mi rendi felice quando andiamo a ballare...”
Faccio una piccola risata anch’io, un po’ interdetto. “A ballare mi manca, non mi ricordo...” Lei detesta ballare, dice che non è capace... quanto mi fa ridere, ogni volta. Anche se a casa non capita così di rado, che la convinca a danzare sulle note di qualche canzone romantica in mezzo al soggiorno.
“Ci possiamo andare a ballare, lo sai?” Mi contraddice però lei. “Quando saremo sposati...”
“Oddio...” Sta succedendo davvero... ha davvero rinunciato a quel lavoro per... me? Per il nostro amore?
“Mi vuoi risposare?” Mi chiede in un soffio, e io sento gli occhi pizzicare di lacrime.
“Certo, che ti voglio risposare... Duemila volte, ti risposo!”
Anna ride e mi getta le braccia al collo, al culmine della felicità.
Quando mi sussurra quel ‘Ti amo’, giurerei di aver sentito il cuore scoppiare.
Se il giorno in cui ci siamo messi insieme è stato il più bello della mia vita, questo è di sicuro poco distante.
Ci sposeremo... non potrei essere più felice.
Ma... il mio tradimento?
 
Ho un bisogno disperato di parlare con Cecchini, così lo aspetto in piazza.
Non appena arriva, lo chiamo a gran voce.
“Non mi dica che ha ancora problemi con Anna!” Mi rimprovera subito lui.
“No, Anna non c’entra, anzi, abbiam fatto pace, ci sposiamo...!”
“Vi sposate?!”
“Sì!”
“Questa è una bellissima notizia!!” Esclama, al settimo cielo, ma si riprende subito. “Lei però le deve dire la verità su quello che ha fatto.”
“Lo so, maresciallo, ma io non posso dirglielo! Se Anna lo scopre, non solo non mi sposa più, ma prende il primo aereo per il Pakistan e io la perdo per sempre... non posso!”
“Ma deve essere sincero! Vedrà che la perdona... E poi, scusi, si può sapere con chi...?”
Con un tempismo perfetto, ecco Sara scendere le scalinate che portano in piazza. Basta il mio sguardo disperato a far fare due più due a Cecchini.
“La turista!!”
“No, non è una turista...”
“L’avevo capito, che non era una turista...”
“Quello è il mio capo.”
Lui mi rivolge uno sguardo sconvolto.
“ Ah... è il capo...!”
 
Stavolta non riesco a impedirle di salire in caserma.
La tensione, nell’ufficio di Anna, si può tagliare con un coltello.
Lei si presenta. “Sono appena arrivata in Procura, ieri, e sono venuta a fare un giro per conoscere i nuovi collaboratori.”
Anna si affretta a stringerle la mano e fare le presentazioni a sua volta. “Io sono il Capitano Olivieri, il maresciallo Cecchini, e il Sostituto Procuratore Nardi, immagino già lo conosca.”
“Sì...” fa Sara, e io mi sento gelare.
“Sì, si conoscono nell’ambito del lavoro...” aggiunge Cecchini, che io vorrei strangolare. Così peggiora le cose!
“Certo...!” ribatte infatti Anna, leggermente interdetta.
“So che state lavorando su due casi...” chiede la Procuratrice, e per il momento l’ho scampata. Alla fine della conversazione, cerco di farla andare via il prima possibile. Per fortuna quella mi dà ascolto.
Stavolta l’infarto arriva quasi per mano di Anna, che blocca il mio capo prima che oltrepassi la soglia.
“Dottoressa... ha da fare, domenica? Perché sa, io e il PM ci sposiamo...” Le dice, con un sorriso che adoro, ma che mi fa avvertire ancora di più il senso di colpa.
“Ah... non sapevo che il Dottor Nardi fosse il suo fidanzato!” Fa infatti Sara, con una strana occhiata.
“Ho pensato... Lei è un suo superiore e poteva forse farle piacere venire e conoscerci, festeggiare...”
Faccio un cenno per farla rifiutare. Non può venire al nostro matrimonio! Lei capisce l’antifona. “Grazie dell’invito... Domenica ho già un impegno, mi dispiace... Ah, comunque vi faccio tanti auguri!” Esclama, prima di congedarsi.
Io le corro dietro.
“Sara, scusa... mi scusi, Dottoressa... io vo-”
Lei si ferma. “Mi dai del tu?” mi chiede con un tono che suona più come un ordine.
“Mi viene un po’ difficile, però... volevo ringraziar...ti, per non aver detto niente alla mia fidanzata...”
Alla mia frase, lei scoppia a ridere.
Ma come può ridere? Io sono disperato!
Sara deve aver notato la mia espressione, perché mi invita a prendere un caffè al bar e spiegarmi un paio di cose.
“Quella sera eri completamente ubriaco, a ogni goccio che bevevi era sempre peggio. Ma la cosa che mi ha più sconvolta è che per tutto il tempo non hai fatto altro che parlare della tua fidanzata. Di quanto non avresti mai pensato che la vostra storia potesse finire e che, nonostante un certo lavoro in Pakistan e la sua bugia, la amavi talmente tanto da non riuscire a capacitarti di come fosse svanito tutto così. Dicevi che non eri arrabbiato con lei, ma con te stesso, perché era colpa tua, lei è giovane e ha una carriera davanti e non volevi rappresentare un ostacolo. E che forse eri stato tu a spingerla a non dirti niente, perché non voleva che soffrissi o ti sentissi colpevole di averle tarpato le ali... Continuavi a farfugliare cose senza senso, eri sempre più arrabbiato perché ti stava piombando tutto addosso in una volta. Io ti ho assecondato, pensavo ti saresti distratto abbastanza e ti avrebbe fatto bene.” Io la ascolto, senza capire dove vuole arrivare. Lei continua. “A un certo punto ti sei offerto di riaccompagnarmi a casa, nonostante ti reggessi a mala pena in piedi. Io ho accettato. Sarò onesta con te, pensavo di poterne approfittare... mi sembravi un bel tipo e la tua lei doveva essere stata sciocca per ridurti in quello stato. Così ti ho portato da me. Ma quando ho... tentato di approcciarmi a te, hai biascicato un ‘Amore mio, non partire’, e sei crollato addormentato sul letto. Mi sono sentita un po’ stupida, e mi dispiace per quello che stavo per fare. Così ti ho lasciato stare, e mi sono coricata accanto a te. Tutto qui.”
Quando Sara termina il racconto, sento in me un misto di sollievo e rabbia.
Se da un lato è la notizia più bella che potesse darmi, dall’altro mi fa infuriare.
“Ma perché non me lo hai detto in piazza, ieri mattina? Se ti ho parlato di Anna, perché ti sei dimostrata sorpresa di sapere che fossimo fidanzati e ci stiamo per sposare?”
Lei abbassa lo sguardo per un attimo. “In realtà non mi hai mai detto come si chiamasse, né tantomeno che lavoro facesse.”
“Ammesso che sia così, non capisco perché tu sia rimasta zitta. Se non te lo avessi chiesto, non mi avresti mai detto nulla! Il mio matrimonio con Anna dipendeva da una cosa che non è mai successa...” Mi porto le mani al viso, sconvolto.
Ho passato due giorni d’inferno per scoprire che non c’era stato niente.
“Mi dispiace, hai ragione, avrei dovuto dirtelo subito.” Si scusa lei, prima di alzarsi. “Auguro il meglio a te e alla tua Anna... è una donna molto fortunata.”
Mi saluta e va via, dandomi appuntamento in tribunale.
 
Mi alzo anch’io, col cuore più leggero. Non ho tradito Anna!
E domenica, finalmente, ci sposiamo!
 
Resto a dormire da Cecchini comunque, perché la madre di Anna è fissata che non dobbiamo ‘farci tentare prima delle nozze’ - come se eventualmente servisse più, ormai -, quindi per l’ennesima sera dormo sul suo divano. A un certo punto, mi sento svegliare dalla voce del maresciallo. Per poco non mi piglia un infarto.
Lui inizia a farfugliare qualcosa sullo sposarsi col cuore pulito, che devo dirle la verità, e altre cose che, col sonno che ho, nemmeno capisco.
Cecchini, comunque, non mi dà modo di replicare, perché se ne va via prima che possa aprir bocca.
Non riesco a parlargli nemmeno durante i giorni successivi, per mille motivi che si mettono in mezzo.
 
Anna’s pov
 
Io e Marco abbiamo finalmente fatto pace.
Per i pochi giorni che ci separano dalle nozze, lui resterà da Cecchini, perché mia madre ha deciso che dobbiamo rispettare le tradizioni.
Come se servisse, ormai...
A proposito di Cecchini, dopo aver risolto il caso, approfitto della sua presenza nel mio ufficio per parlargli.
“Comunque volevo ringraziarla.”
“A me?” Chiede lui, incerto.
“Per avermi fatto fare la scelta giusta... Lei ha ragione, un altro lavoro posso trovarlo, ma un uomo migliore di Marco no...” Ammetto. Non avevo capito niente... e lui mi ha aiutata. Non lo ringrazierò mai abbastanza.
Sento il mio telefono squillare, e mi ricordo. “È il Comando Generale! Che scema, ancora non ho dato la mia risposta! Pronto, sì, Dottor La Gumina... Mi scusi, devo darle la mia risposta, sì... Devo rifiutare la vostra offerta. Grazie, vi ringrazio...”
Chiudo la chiamata, sollevata.
È Marco il mio futuro. E niente potrebbe cambiarlo.
 
Domenica.
È arrivato il giorno.
Finalmente io e il mio Marco ci sposiamo!
Sono a casa, e osservo la stanza mentre mi preparo. C’è mia madre che controlla freneticamente che sia tutto in ordine, Patatino coricato sul pouf che scodinzola, e sembra quasi sorridermi, come se anche lui avesse avvertito nell’aria che qualcosa sta cambiando, e c’è Cecchini, che sembra particolarmente agitato anche se non ne capisco il motivo.
A un certo punto va via, dicendo di volersi assicurare che Marco non ci abbia ripensato.
La sua insinuazione getta nel panico tutti, mia madre in primis, ma per fortuna il nostro cucciolone viene in mio soccorso appoggiando la testa sulle mie gambe, quasi a volermi rassicurare che quella possibilità nemmeno esiste, e che Marco mi aspetta davanti alla chiesa.
Lo accarezzo mentre lui chiude gli occhi soddisfatto per le coccole, prima di alzarmi per poter finalmente indossare il mio abito bianco, l’acconciatura appena terminata, così come il trucco.
Mia madre mi aiuta a chiuderlo, e quando mi guarda mi dice, commossa, che sembro una dea.
Mi ricordo che lo disse anche quella volta, quando provai quel vestito per il finto matrimonio con Giovanni.
Quando noto la mia immagine allo specchio, però, mi torna in mente la battuta di Marco, in ufficio, sul ‘giocare a Barbie sposa’. Sospiro, accarezzando la stoffa.
Chissà cosa penserà oggi, vedendomi così...
Mamma mi raggiunge, e mi abbraccia stretta. Il pianto lo soffochiamo sul nascere, perché altrimenti addio trucco.
Avrei tanto voluto che ci fosse anche Chiara, ma ha ottenuto un lavoro all’estero, e non le hanno concesso di partire.
Inspiro a fondo, impaziente che giunga l’ora, il velo che cala davanti al mio sguardo.
 
Marco’s pov
 
Quando arrivo davanti alla chiesa, trovo già Cecchini che fa avanti e indietro, agitato.
Mi dice qualcosa sull’essere felice che io non sia scappato perché non sarebbe servito a nulla.
“Maresciallo, non è successo niente... davvero, non-”
Sono costretto a bloccarmi, sia perché lui non mi lascia parlare, sia perché è arrivata l’auto con la mia sposa.
 
La visione che ho davanti mi lascia senza fiato.
Anna è... splendida. Una meraviglia.
Mi sento un po’ come Dante nel vedere Beatrice alle porte del Paradiso, non riesco a trovare le parole adatte per esprimere quello che sento.
Sento il cuore martellare contro il petto, e quando le sollevo il velo e incontro di nuovo i suoi occhi verdi, luminosi, gioiosi, con un sorriso incantevole a danzarle sulle labbra, riesco a biascicare solo un ‘Sei bellissima’ che la fa arrossire non poco.
Le consegno il bouquet, prima che sua madre mi trascini in chiesa, non sia mai che scappi.
Ma dove dovrei andare? Io vorrei che fossimo già al ‘Sì’...
 
Cecchini evidentemente però non è del mio stesso avviso, convinto com’è del misfatto, e dopo aver bloccato la marcia nuziale tre volte, si trascina Anna in sacrestia, gettando nel panico tutti, Elisa su tutti.
La trattengo a fatica, sperando di raggiungere gli altri due prima che Cecchini faccia danni.
Entro nella stanza giusto in tempo per sentirgli dire, “Un minuto soltanto, adesso il matrimonio riprende... c’è Marco che le deve dire una cosa...”
Anna è sconcertata.
“Ma che è successo? Che mi devi dire?”
“Maresciallo, ci può lasciare da soli, per cortesia?”
Lui per fortuna mi ascolta, chiudendosi la porta dietro le spalle.
“Marco, che c’è?”
Le stringo le mani tra le mie.
“Niente di grave, soltanto che... se, una volta sposati, tu volessi partire per il Pakistan e accettare quel lavoro, per me non ci sono problemi. Troveremo una soluzione, in qualche modo faremo. Insieme, come abbiamo sempre fatto. Per... Islamabad o qualsiasi altra cosa. Il nostro amore merita di fare il giusto passo, di arrivare all’altare, ma non devi, né dovrai mai rinunciare a qualcosa per me.”
I suoi occhi si riempiono di lacrime.
Cerca di ricacciarle indietro meglio che può, ma il suo sorriso mi scalda l’anima, facendomi intuire prima quanto sta per dirmi.
“Io ho fatto la mia scelta,” sussurra. “La mia vita è qui a Spoleto, con te. Per il futuro, vedremo, ma adesso... oggi... non importa.”
 
Torniamo finalmente al nostro posto, davanti a Don Matteo, rassicurando tutti.
Il parroco ci rivolge uno sguardo affettuoso, così come Cecchini, e la celebrazione ha inizio.
E, finalmente, quel ‘Sì, lo voglio’ diventa realtà.
 
Sono stati mesi lunghi e difficili, ma li abbiamo superati, in parte insieme, in parte da soli, ma anche grazie al maldestro aiuto del maresciallo e di mia suocera.
Ma adesso non ha più importanza.
C’è una fede che brilla al mio anulare sinistro. La sua gemella la indossa Anna.
Un cerchio che non ha inizio né fine.
Per far sì che sia per sempre.
 
Dopo la messa, gli auguri, e il riso come rito di buon augurio, ci spostiamo tutti al ristorante. Scorre tutto abbastanza tranquillamente, soprattutto dopo che sono riuscito a prendere il maresciallo da parte e spiegargli che era stato tutto un orribile malinteso. Decidiamo di comune accordo di tenerlo per noi.
Quando siamo alla prima portata, le porte d’ingresso si aprono, e arriva una sorpresa che fa scoppiare in lacrime mia moglie.
C’è Chiara.
Tra il pianto e gli abbracci, ci spiega che ha fatto prima che poteva, che è riuscita a farsi dare due giorni perché non poteva proprio perdersi il nostro matrimonio.
Dopo averci fatto promettere che la prima copia del video sarà sua, si rivolge a me con un guizzo divertito nello sguardo.
“Meno male, caro cognato, vedo che non sei stato così idiota da lasciartela scappare.”
Io e Anna scoppiamo a ridere, per poi lasciarla andare a salutare sua madre.
Sarà divertente quando anche lei saprà della sua storia col maresciallo.
Noi continuiamo il nostro giro tra i tavoli per salutare tutti gli invitati.
 
A un certo punto, Cecchini si avvicina a noi, e chiede timidamente ad Anna se vuole ballare con lui.
Lei accetta con un sorriso enorme, per poi abbracciarlo stretto una volta arrivati sulla pista da ballo.
È una visione che fa commuovere anche me.
So quanto si vogliano bene, quanto il loro rapporto sia cresciuto in questi anni, e quanto sia importante questo momento per loro.
Io ne approfitto per chiedere un favore a Chiara, che mi assicura il suo aiuto senza esitazione, felice.
 
Finito il ballo, Anna torna tra le mie braccia.
È la volta del tavolo delle cugine dove - sorpresa! - è seduta anche zia Carmela.
Sì, alla fine ho vinto io, e la vecchietta è l’anima della festa, come al solito.
Sta raccontando barzellette a tutti quelli che passano, e la sua vittima preferita è il povero Ghisoni, che ormai ha perso il conto di quante ne ha sentite.
Riesce a sfuggire alle grinfie della zia solo al nostro arrivo.
Zia Carmela è al settimo cielo nel vederci, e propone un bel brindisi, ma non ci lascia andare prima di aver raccontato una barzelletta speciale anche a noi.
Anna vorrebbe scappare, ma io la trattengo, curioso.
La mia sposa alza gli occhi al cielo, fingendosi irritata prima di concedermi un sorriso.
Restiamo lì ad ascoltare, le nostre dita intrecciate.
“Ci sono un prete e un carabiniere...”
Già l’esordio promette male, e Anna è sul piede di guerra.
“Il carabiniere vuole arrestare a tutti i costi questo prete che tutte le mattine scende a tutta velocità, lungo una discesa, con la sua bicicletta...”
Io scoppio a ridere mentre Anna mi guarda storto. Le cugine mi guardano stupite, senza capire.
“... Il primo giorno, il prete scende, e il carabiniere a 20 metri dal semaforo mette il rosso, ma quello riesce a frenare in tempo. Il secondo giorno, a 10 metri dal semaforo, il carabiniere mette il rosso ma il prete frena di nuovo in tempo. Il terzo giorno, convinto di fregarlo, mette il rosso a un metro dal semaforo ma il prete frena lo stesso in anticipo. Allora il carabiniere lo ferma e fa, ‘Ma come fa a fermarsi sempre prima?’, e il prete, ‘Io viaggio con Dio!’. Il carabiniere, allora, tutto contento, esclama, ‘Ahh, allora ti faccio la multa, in due sulla bicicletta non si può andare!’”
Il tavolo scoppia a ridere. Anna non ci trova niente di divertente, però, e come se non bastasse ci raggiunge Cecchini, che ha evidentemente sentito l’ultimo pezzo, e commenta, “Ma per caso, il prete si chiama Don Matteo?”
Anna sta per sbottare, quindi decido che è arrivato il momento di portarla via. Appena in tempo, perché zia Carmela ha ripreso a raccontare un’altra barzelletta.
 
Anna’s pov
 
Ma possibile che zia Carmela debba sempre raccontare barzellette sui carabinieri?! E il maresciallo, che infierisce! Va bene, ormai ho imparato a voler bene anche a Don Matteo, ma così è veramente troppo!
Meno male che Marco mi ha trascinata via, non so che avrei fatto. Perché devono rovinarmi l’umore anche oggi?
Prima che possa dire qualcosa, però, Marco mi tira delicatamente per le dita, proprio mentre sento le note di una canzone diffondersi nell’aria.
Ma non è una qualsiasi, no: è la nostra canzone.
Anna e Marco.
Il mio Marco ha un sorriso enorme stampato sul volto, e Chiara alza i pollici per dire che sta andando tutto come previsto.
Il fastidio di pochi istanti fa svanisce in un attimo.
Dimentico tutto, mentre Marco mi stringe a sé, per iniziare a ballare.
Mi rendo conto appena che in sala è piombato il silenzio. Io so solo che il mio sguardo è incatenato a quello di mio marito, senza che riesca a distoglierlo, né lo voglia fare.
Perché non esiste altro, in questi istanti, oltre noi due.
 
Quando la canzone giunge alla fine e Marco mi bacia con una dolcezza che mi fa venire di nuovo il batticuore, la stanza scoppia in un fragoroso applauso. Io non riesco a smettere di sorridere. Qualcuno grida ‘Viva gli sposi!’, e noto mia madre con le lacrime agli occhi, così come Cecchini e Chiara.
Torno a incrociare lo sguardo di Marco, baciandolo ancora.
Non potremmo essere più felici di così.
 
Marco’s pov
 
La serata prosegue fino a tarda notte.
Sono quasi le tre quando finalmente rientriamo al nostro appartamento.
La festa è andata un po’ per le lunghe, ma meglio di così non si poteva. È stata una giornata bellissima.
Anna apre la porta, e io la prendo in braccio, così come vuole la tradizione per gli sposi che entrano per la prima volta nella loro casa insieme.
Patatino ci accoglie festante, forse più per la fame che per la nostra presenza in sé.
Dopo esserci soffermati un attimo a goderci i primi istanti da soli da stamattina, intreccio le dita a quelle di Anna, ammirando la sua fede, prima di condurla verso l’ingresso della camera da letto.
Per terminare la giornata nel modo perfetto.
Giunti sulla soglia, ci fermiamo, e Anna mi rivolge un sorrisetto malizioso prima di affermare, “Dopo di lei, signor Nardi... Io sono la padrona di casa, e lei è un ospite.”
A sentire quelle parole scoppio a ridere, e con un sorriso altrettanto malizioso, le rispondo per le rime, stringendola a me.
“Non credo proprio, signora Nardi.”
La prendo in braccio, baciandola intensamente, prima di chiuderci la porta alle spalle.
Con una vita tutta da cominciare.
 
 
Ciao a tutti!
Ve l’avevo detto, che sarei tornata prestissimo!
Ammetto che io e Martina sapevamo già gran parte di ciò che ci attendeva nel primo episodio, da un bel po’ di tempo, e questa versione alternativa era già in cantiere.
Perché i nostri adorati Anna e Marco avrebbero meritato questo finale. Diventare marito e moglie, avere la loro vita insieme.
Speriamo ce l’abbiano comunque alla fine della stagione, anche se noi provvederemo comunque a dar loro il lieto fine a prescindere.
A presto,
 
Mari

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Capitolo 2
*** Non nominare il nome di Dio invano ***


NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO
 
Anna’s pov
 
Sono passate un paio di settimane da... da quel giorno.
Quello che avrebbe dovuto essere il più bello della mia vita, e invece si è trasformato in un incubo.
Ho sperato di svegliarmi e scoprire che non fosse reale non so quante volte.
Cerco di concentrarmi sul lavoro e non pensare, ma anche quello è complicato, perché vedere Marco in continuazione non mi aiuta.
Di sicuro, quello che non migliora la situazione è trovarmi anche l’altra in ufficio.
Già, lo so chi è.
Merito, o colpa, di Cecchini: in uno dei tentativi di arginare il danno, si è lasciato sfuggire il nome, svelandomi l’identità della donna con cui Marco è andato a letto.
Sara Santonastasi, la Procuratrice Capo.
Ecco perché in ufficio ha detto che si conoscevano già.
E pensare che io l’avevo pure invitata al nostro matrimonio! Definendola carina.
Carina!
Quel... quel traditore non ha avuto il coraggio nemmeno di dirmelo.
 
Le mie giornate scorrono combattendo per trattenere le lacrime e mostrarmi forte, ma di notte quelle terribili parole mi perseguitano e non mi lasciano dormire. Quelle lacrime non riesco più a bloccarle, per quanto mi sforzi. La mattina, dopo non aver quasi chiuso occhio, è sempre più difficile.
Ogni cosa, in casa, mi ricorda Marco. Impedire a tutti quei momenti trascorsi insieme di tornarmi in mente è impossibile.
È una sensazione orribile... se vado avanti così, finirò per impazzire.
Ma non voglio chiedere né tantomeno accettare l’aiuto di nessuno. Né del maresciallo, che mi scruta in continuazione nella speranza che gli lasci uno spiraglio per permettergli di parlare, né di mia madre, partita per un viaggio con le sue amiche nel frattempo, che non fa altro che chiamarmi per chiedere come sto.
Dannatissimo orgoglio.
Perché la verità è che non sono così forte come faccio finta di essere.
Anzi, mi sto riscoprendo più fragile di quanto pensassi.
Perché, perché l’ha fatto? Proprio lui, che ci è passato?
 
Le domande mi tormentano. Mi chiedo se davvero non sia colpa mia, in qualche modo. Se... se me la sono cercata, vista la questione di Islamabad, o forse prima, se c’è stato qualcosa che lo ha portato a cercare altrove, non so...
Cosa ho fatto per meritarmi di essere tradita, e per giunta scoprirlo arrivata all’altare?
 
Mamma ha informato anche Chiara - ha dovuto per forza di cose.
Lei è sempre via per lavoro, viaggia in continuazione tra l’Italia e qualche paese europeo, quindi ci siamo solo sentite per telefono, al momento. Ha cercato di consolarmi, tirarmi su, ma non ha potuto fare granché. Anche lei è rimasta senza parole alla notizia.
In questa settimana, però, è a Milano e ha approfittato della relativa vicinanza per costringermi ad andare a una festa con lei. Io non volevo andarci, non ho voglia di uscire, anche se mi farebbe bene visto che casa è troppo piena di ricordi, ma alla fine mi ha praticamente costretta.
Quindi eccomi qui, alla festa.
Ma di mia sorella nemmeno l’ombra.
Provo a chiamarla, e dopo qualche tentativo andato a vuoto finalmente risponde.
Quello che mi dice mi fa venire voglia di urlare, come se già non fossi troppo nervosa di mio.
“Chiara, che vuol dire, che hai incontrato un tizio in autogrill?! Che significa, che cosa stai cercando di dirmi? Che non ci vieni! ... Eh, beh, fine! Bastava dirlo! Ciao! Complimenti, bella sorella!”
Le chiudo il telefono in faccia senza troppo rimorso, tornando alla mia macchina in tutta fretta.
Ed ecco che torna il dolore. Un’ondata di rabbia sotto forma di lacrime che minacciano di cadere, ancora.
Perché certe volte mia sorella non la capisco. Avevo davvero bisogno di passare un po’ di tempo con lei, che ha tanto insistito perché uscissi, mi ha obbligata a venire in questo posto e alla fine nemmeno si è presentata.
E mi viene da piangere anche di più se penso che l’unico motivo per cui sono uscita, per cui sono qui, in un posto che con me non c’entra nulla, è Marco.
 
Perché a quest’ora avremmo dovuto essere a casa, insieme, sul finire della cena forse... a goderci i nostri primi giorni da marito e moglie.
E invece no, ha dovuto rovinare tutto.
Con un gesto rabbioso tiro fuori le chiavi della macchina, intenzionata a buttarmi sul letto senza nemmeno cambiarmi e riprendere la routine delle lacrime, quando mi ritrovo immobilizzata contro lo sportello.
Due uomini mi hanno aggredita, e uno mi tiene stretta, avvicinando le mani dove non dovrebbe per costringermi a star ferma, mentre l’altro mi intima di consegnargli la borsa.
Sono paralizzata.
Non riesco a fare niente. È come se la mia mente si fosse azzerata.
Niente.
Proprio io, che sono cintura nera di judo, mi ritrovo inerme e vittima di due ladruncoli, senza riuscire a reagire.
Ho soltanto paura.
Una voce mi riporta alla realtà.
“Lasciala! Ti ho detto lasciala, ora!”
Un ragazzo sbuca fuori dal nulla, tentando di far fuggire i due.
Per fortuna è abbastanza per farmi tornare in me.
Mi sblocco, riuscendo a liberarmi dalla presa dell’uomo che mi stava trattenendo, mentre il ragazzo se la vede con l’altro aggressore.
I due per fortuna fuggono.
Nonostante ciò, io sono terribilmente scossa, e non riesco a far altro se non appoggiarmi all’auto.
Il ragazzo mi si avvicina, preoccupato.
“Tutto bene?”
“Sì...”
“Sicura?”
Dopo avergli confermato che sto bene, mi aiuta aprendo per me la portiera e dandomi una mano a salire.
“Ce la fai a guidare fino a casa?”
“Sì... Ehm, io non... veramente-” Non riesco nemmeno a parlare, ma lui sembra non farci caso.
“No, non devi ringraziarmi...” minimizza. “Ciao, buonanotte.”
Solo dopo qualche istante mi rendo conto che non so nemmeno come si chiama.
 
Rimango ancora per qualche minuto in macchina. Chiusa dentro, per la precisione.
Il cuore in gola.
Lo sguardo perso nel vuoto.
La scena che ho appena vissuto ha del surreale.
Io, cintura nera di judo, che tengo regolarmente corsi di autodifesa - anche per i miei stessi uomini - non sono riuscita a reagire.
Ero paralizzata dalla paura.
Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se quel ragazzo non fosse arrivato in mio soccorso.
Lo stesso terrore che mi ha attraversata quando ho creduto di morire schiacciata da una pressa torna a pervadermi.
Come allora, l’istinto mi porta ad afferrare il cellulare, cercando disperatamente in rubrica l’unico numero che mi viene in mente di chiamare in una circostanza così, come quella volta.
Sto per avviare la telefonata quando la dura realtà mi piomba nuovamente addosso come un macigno.
Non posso chiamare Marco, stavolta. Non posso. Non devo.
Il male che lui mi ha fatto è stato molto, molto peggio di quello che io ho subito pochi minuti fa.
Chiudendo di nuovo la mente, metto in moto l’auto, avviandomi verso casa.
 
Marco’s pov
 
Anna non mi parla da settimane.
Settimane che sembrano anni, davvero.
Ma me lo merito, ha tutte le ragioni del mondo, per odiarmi. Anche se dubito mi odi più di quanto faccia io stesso.
Non c’è notte passata ormai sullo scomodo divano di Cecchini che non sia insonne, in cui non mi maledica per quello che le ho fatto.
In ogni momento, in ogni istante mi torna in mente il viso di Anna quando le ho confessato di averla tradita.
L’ha capito ancora prima che pronunciassi quelle parole.
Gli occhi traboccanti di lacrime.
La sua fuga.
Inutile dire che è scoppiato il caos, nessuno capiva cosa stesse succedendo.
Adesso di sicuro lo sanno.
Io però non so che fare. Sono talmente disperato che sono disposto a seguire perfino gli assurdi consigli del maresciallo, che finora non hanno avuto esito positivo, naturalmente.
A proposito di Cecchini, è lui che fa da mediatore tra di noi, per adesso, e proprio da lui ho saputo che Anna stasera sarebbe uscita con Chiara, e quindi avrei dovuto occuparmi io di Patatino.
Sto proprio rientrando dalla sua passeggiata quando noto l’auto di Anna arrivare al solito parcheggio. Mi avvicino istintivamente.
Quando scende, noto in lei uno strano comportamento.
Il mio cuore si ferma per un istante.
Ha il viso bagnato di lacrime, il passo incerto. Sembra sconvolta.
Non ci penso nemmeno a quello che sto facendo, e la raggiungo, pronto a proteggerla, come sempre.
“Anna...” tento di chiamarla, ma lei spalanca gli occhi e si ritrae. Oserei dire che ha paura... ma... di me?
Con un tempismo perfetto, ecco che arriva Cecchini. Anche lui si rende conto dello stato in cui è Anna, e senza esitare un attimo, le si avvicina e la accompagna fin su al suo appartamento.
 
Faccio le scale di corsa, rientrando da Cecchini, consumando quasi il pavimento per quante volte lo percorro avanti e indietro, al culmine della preoccupazione.
Mi serve tutta la forza dii volontà che posseggo per non correre da lei.
Quando il maresciallo apre finalmente la porta, ha un’espressione tetra in volto.
Dopo una leggera esitazione, si decide a dirmi cosa è successo: Anna è stata aggredita da due uomini.
Non è accaduto niente soltanto perché un ragazzo se n’è accorto e ha fatto fuggire i due. E lei ha naturalmente avuto paura.
Un’altra ragione per maledirmi.
Non le sarebbe mai successo se io non avessi perso la testa, quella notte.
Ed è anche peggio, adesso, perché so che non accetterà mai di essere aiutata. Soprattutto non da me.
 
La mattina, dopo l’ennesima notte insonne aggravata dal pensiero di Anna, terrorizzata, e dalla facciata cinica che mostrerà in caserma, mi ritrovo a seguire Cecchini in un terreno di campagna per andare... dalla Madonna dei Disperati.
“Mi scusi, ma era proprio necessario costringermi a venire qui alla Madonna dei Disperati? Guardi che Anna è forte, capirà poi la situazione com’è andata e mi perdonerà, dai... Le passerà, insomma,” tento di minimizzare, anche se io per primo so che non è così semplice come vorrei tanto credere. Anzi. Anna è forte, è vero, ma il mio gesto l’ha devastata, lo so, e lei non è una che perdona gli errori tanto facilmente.
“Ma noi non siamo venuti qua mica per Anna, siamo venuti per Lei!” mi contraddice il maresciallo, e su questo non posso dargli torto. “È la Madonna dei Disperati, più disperato di lei...! Due fallimenti di matrimonio, chissà quanti altri fallimenti...”
“Lasciamo andare, non metta il dito nella piaga! Io però sono un po’ scettico, scusi, non voglio mancarle di rispetto... Ma questa cosa qua secondo Lei funziona?” Io non ci credo molto, a questa cosa dei miracoli, a essere sincero.
Però... però ho visto nevicare, quel 15 agosto. Me lo ricordo bene, quel giorno. Eccome.
Lui si lancia in un racconto di un suo cugino che, a detta sua, avrebbe ricevuto la grazia, anche se io ho i miei dubbi.
In ogni caso, nient’altro ha funzionato, e tentar non nuoce... Tanto, peggio di così, come? Al massimo non accade nulla.
 
Anna’s pov
 
“Come va?”
Gran bella domanda, maresciallo, davvero. Siamo al cimitero in cui si è consumata un’aggressione ai danni di un uomo, ferito gravemente da un colpo di arma da fuoco.
Cecchini come al solito si impiccia.
“Come va?! Sono furiosa!” è la mia risposta secca.
“Guardi che Nardi è pentitissimo...”
“Non me lo deve nemmeno nominare, ha capito? Per me non esiste!” Esclamo, ancora più arrabbiata. Quel... quello non voglio nemmeno sentirlo. “Io sono furiosa con Lei!”
“Con me?!”
“Me lo doveva dire prima che finissi sull’altare, che era andato a letto con un’altra...” Mormoro, rabbiosa.
Se penso che io...
“Ma scusi, si metta nei miei panni... io ho cercato per il Suo bene-”
“Ha sbagliato! Se me lo diceva prima, io accettavo il lavoro della mia vita, e non dovevo stare qui con Lei, con Nardi... e con Don Matteo!”
Doveva dirmelo. Avrei accettato l’incarico ad Islamabad e avrei sfogato il mio dolore lì, lontana da tutti. Soprattutto da lui.
Meglio un lavoro in un posto pericoloso ma che mi avrebbe impegnato la mente, piuttosto che intrappolata qui.
“Secondo me è meglio così...”
Lo fulmino con lo sguardo, chiudendo poi i pensieri in un angolo. Devo pensare al lavoro.
 
Scopro che l’uomo aggredito si chiama Sergio La Cava, un pregiudicato, assassino, uscito di carcere proprio ieri dopo sei anni.
Mi reco comunque in ospedale per parlarci, ma quando apro la porta della sua stanza, per poco non mi prende un colpo.
È l’uomo che mi ha salvato dall’aggressione ieri sera.
“Tu sei Sergio La Cava?” chiedo, esterrefatta.
Lui scoppia a ridere, irritandomi subito.
“E tu sei un Capitano dei Carabinieri?! Scusami ma... ma non lo immaginavo!”
Quante possibilità c’erano che fosse lui, una su un milione? Ecco, questo dimostra quanto sono fortunata.
“Io non immaginavo che fossi appena uscito dal carcere...”
“Eh già... Quindi sai tutto?”
“So quello che hai fatto sei anni fa, sì. Ha a che fare con quello che è successo stanotte?”
Provo a interrogarlo, ma lui non collabora, anzi, capisco che sta palesemente mentendo. “Smettila.” gli dico, infastidita, ma quello continua.
“Ahh, che dolore, è difficilissimo continuare a parlare, sa, Capitano...!” Mi prende in giro, con una ben poco credibile espressione dolorante, e un sorrisetto che gli cancellerei volentieri dalla faccia.
Che razza di sfacciato!
Sembra quasi lo stesso sorrisetto menefreghista che mi sono trovata davanti il giorno che ho conosciuto Mar-
No!
Mi impongo di non pensarci.
Basta! Ma perché deve sempre portami tutto a lui? Perché?
Quando capisco che Sergio non ha intenzione di collaborare, faccio per andar via, bloccandomi però sulla soglia.
Mi volto verso di lui.
“Grazie per ieri sera.” Per quanto sia insopportabile, mi ha pur sempre salvata.
“Se avessi saputo che eri un Carabiniere, non so se l’avrei fatto, eh...” Mi risponde lui, con un tono stavolta gentile. Per qualche assurda ragione, il suo commento mi fa arrossire.
Vado via il prima possibile.
 
Dovrò fare da sola per risolvere il caso, come sempre, a meno che non arrivi Don Matteo prima, visto che sta sempre in mezzo ai piedi. Chi ha trovato Sergio? Lui, naturalmente!
A quest’ora sarei potuta essere in Pakistan, a fare ciò che avevo sempre desiderato, e invece per colpa del maresciallo che sapeva e non mi ha detto nulla, sono ancora qua a Spoleto. Col prete, il traditore e Cecchini pure che lo aiuta!
Mi impongo di darmi una regolata. Devo pensare al lavoro.
Lavoro.
Vado a parlare con la famiglia di Sergio, e tornando il caserma Cecchini tenta di convincermi a parlare con Marco.
Acconsento per esasperazione, ma non è che abbia intenzione di farlo.
Né di stare ad ascoltare. Non ha giustificazioni.
 
Marco’s pov
 
Per il momento, sono ancora ospite di Cecchini. Mi ha offerto di restare da lui finché le cose con Anna non si sistemano.
Se si sistemano. Non so se a questo punto ci speri più lui che io, perché io inizio ad avere molti dubbi. Più passano i giorni, e più Anna mi evita, ogni tipo di messaggio passa attraverso il maresciallo.
Sto per entrare in casa sua quando la porta alle mie spalle si apre, e Anna esce dall’appartamento con Patatino al guinzaglio.
Questo basta a farmi tornare alla mente i giorni felici con lei, a portare il nostro cane a passeggiare, e noi due mano nella mano... Per certi versi, oserei dire che Patatino abbia iniziato a preferire Anna a me, ma non è possibile... mi è sempre stato fedele, lui.
La saluto, ma lei non ricambia, restando impassibile.
“Ah, bene, ti stavo cercando!” afferma soltanto, il viso una maschera di ghiaccio.
“Ehh, no, sono qua perché mi ospita il Maresciallo, perché non ho un posto dove andare... Anch’io volevo parlarti, assolutamente...” tento di approfittare di questi istanti, ma il suo sguardo mi fa perdere il filo del discorso.
“Ci sono i regali di nozze da restituire. Ci pensi tu?” Dice, e non ha l’aria di essere una domanda. Ma no, non può davvero chiedermi questo!
“No, scusami, no, è una roba tremenda, non mi sento proprio di-” Ancora una volta, il suo sguardo mi terrorizza più dell’idea di restituire i regali. Torno immediatamente sui miei passi. “Sì, posso farlo io perché ho già una dimestichezza... secondo me viene più pratico...”
In effetti, dimenticavo: oltre al record degli abbandoni sull’altare, ho anche quello delle figure di cacca con i parenti, perché la restituzione tocca sempre a me in qualsiasi caso.
“Meglio, sì. C’è anche un’altra cosa.” Prosegue Anna, senza darmi il tempo di far nulla, rientrando a casa a prendere qualcosa. Io tento di aprire il discorso che più mi preme.
“Però io volevo parlare un secondo... io ti ho fatto una carognata, Anna,” la imploro quasi,  “lo so e ti chiedo scusa in ginocchio... Però tu devi pensare che è successo quando noi non stavamo più insieme... Non possiamo parlarne una volta per ben-”
“Ne stiamo già parlando!” mi interrompe. “Questa roba è tua?” Chiede, accennando alla scatola che tiene in mano.
“Sì!” E lei lo sapeva benissimo senza chiedere, che è roba mia. Ci sono i miei vestiti, dentro.
Guardandomi fisso negli occhi, Anna gira la scatola sottosopra, riversando l’intero contenuto sul pavimento, ai miei piedi.
“Scusa, lo scatolo mi serve.”
Si volta per riportarlo in casa, mentre io mi trattengo dallo sbottare. Mi torna in mente una scena simile: il mio rientro dopo il primo matrimonio mancato, quando ho aperto l’armadio e mi sono ritrovato tutti i vestiti tagliuzzati. Perlomeno Anna me li ha lasciati interi, sebbene avrei preferito di gran lunga un finale diverso per noi.
Mi faccio coraggio. Ho capito.
“Va bene, d’accordo, ho recepito il messaggio...” Abbasso la testa, e lei fa per andar via senza aggiungere nulla, afferrando il guinzaglio di Patatino.
Su questo però la fermo. “No, aspetta aspetta aspetta... Patatino - dico male? - viene con me!” Le dico, un po’ più convinto. Il cane è mio, almeno quello!
Anna, naturalmente, non abbandona lo sguardo di sfida.
“Tieni!” Mi dice, sarcastica, sollevando il guinzaglio e lasciandolo cadere a terra prima che io possa afferrarlo.
“Ah, grazie...!” Rispondo, infastidito. Perché deve fare così?! Cerco di far finta di niente. “Patatino, vieni, bello... Oh!” Esclamo, esterrefatto, quando lui si alza e raggiunge Anna, scodinzolante. “Ma perché?!”
Anna, che si era abbassata per accarezzare il cane, si rialza e mi lancia uno sguardo altezzoso. “Perché? Perché è lui che mi sceglie, Marco! Perché mi prendo cura di lui... lo porto fuori a fare pipì, gli do da mangiare...”
Tengo a bada la rabbia veramente a stento, lanciando poi a Patatino uno sguardo furibondo.
“Tu sei un traditore, lo sai?”
Mi rendo conto con un secondo di ritardo di quello che ho detto, perché Anna si blocca e si gira verso di me, un’espressione sdegnata sul bel viso. Il pollice alzato come a dire ‘Ottima scelta!’.
Questa cosa mi manda in bestia.
“No, dai, l’ho detto così per dire, non stavo alludendo a niente, Anna... però! Non posso più dir niente!”
Lei mi volta le spalle senza più degnarmi di uno sguardo, portando con sé Patatino, che la segue felice.
Peggio di così? Ma perché ogni cosa che faccio mi si ritorce contro? Cos’è, il karma?!
 
Rientro da Cecchini, che trovo sul divano. Mi sfogo con lui, disperato.
“Mi vuole morto, adesso! Mi ha buttato i vestiti fuori dalla porta di casa, il cane se l’è preso lei e mi tocca andare a riportare i regali di nozze a uno a uno... ma che idea ha avuto?!”
Gli dico, urlando quasi. Se non gli avessi dato ascolto, se non gli avessi detto nulla, a quest’ora tutto questo casino non sarebbe successo. Forse.
“Calma, calma, questo è un buon segno!”
“Ma che buon segno è?!”
“Un buon segno perché vuol dire che la odia...” Afferma, e io crollo seduto sul divano. Ah, bene! Mi odia! Che buon segno può essere mai, questo?! “Uso questa parola ora e non la userò più. La odia, perché... è come dice la canzone... ‘Ti odio, ti odio, ti odio... Ti amo, ti amo, ti amo’. Sono parole parenti tra di loro, capito? La cosa più brutta è l’indifferenza!”
“Maresciallo, non mi perdona più, Anna, è finita...” biascico. Sono un grandissimo idiota, ho commesso la cazzata più grave della mia vita. Ho perso l’amore della mia vita.
“Calma! Non non dobbiamo soffrire, noi non dobbiamo avvilirci!”
“Noi, chi?”
“Lei! Noi la soluzione ce l’abbiamo, e si chiama ‘Madonna dei Disperati’!”
E ti pareva.
Ha deciso che deve avere quella statua, e ha pensato di fare una colletta. La prima vittima sono io, mi tocca pure sborsare cento euro. Glieli do sconsolato, nella speranza che almeno servano a qualcosa.
“No, ma io come faccio con Anna...?” Torno a deprimermi, la voce che trema. Non ce la faccio. Non ce la faccio. Sapere che mi odia...
“Lei deve espiare! Perché adesso Anna si vendicherà... Lei espii!”
 
Quando finalmente mi lascia solo, ho il tempo di pensare.
Davanti agli occhi ho solo immagini confuse di queste settimane caotiche: Anna, bellissima nel suo abito da sposa, che scende dall’auto e mi sorride, noi che non vediamo l’ora che arrivi il momento del ‘sì’, il maresciallo che la trascina in sacrestia, la confessione, e di nuovo lei, che mi volta le spalle e fugge via, una scia bianca a lacerarmi il cuore.
Io che tento in tutti i modi di parlarle, nei giorni successivi, di spiegarle, e lei che si rifiuta di ascoltarmi. Che alza un muro tra di noi.
Io sono davvero disperato, ma so che anche Anna lo è.
La conosco troppo bene, so che quando soffre, ci mette un attimo a tirar su una corazza spessissima dentro cui si chiude senza possibilità di breccia.
Fa la dura, la cinica, ma so che sta soffrendo quanto e più di me.
Si è già buttata a capofitto nel lavoro per pensare il meno possibile.
Io non ne sono capace. Non più.
Dopo aver scoperto il mio migliore amico a letto con Federica, ero convinto che non mi sarei più fatto fregare. Anche io avevo indossato la mia armatura, credendomi invincibile. Invulnerabile. Mi ero ripromesso che non avrei amato mai più.
E invece nella mia vita era arrivata Anna. Come un fulmine a ciel sereno, mi aveva stravolto la vita nel modo più bello possibile.
È il mio opposto in tutto, ma proprio per quello è perfetta. La mia metà.
E mi ero convinto che tutto, ogni momento vissuto, ci avesse condotti a incontrarci, quella mattina in piazza davanti alla caserma.
Cecchini continua a dire che ho bisogno di un miracolo, ma io ai miracoli non ci credo più.
Sì, la neve ad agosto e tutto, ma allora perché il piccolo Cosimo non ce l’ha fatta?
Io non ho bisogno di un miracolo.
Io ho bisogno di cambiare, come avevo iniziato a fare, grazie ad Anna.
Forse avevo ragione, ci sono alcune cose in cui entrambi vogliamo cambiare da soli.
Ma nemmeno di questo sono più capace. È diventato talmente naturale, nel tempo, cambiare insieme alla mia Anna, che adesso non so più come vivere senza di lei. Mi sento perso. Non ho niente, non ho più niente, se non ho lei...
Ed è stata proprio questa consapevolezza, di avere un bisogno disperato di lei, a portarmi a commettere l’errore più grande della mia vita: tradirla.
Dannata paura.
Perché è per paura, ancora, che è successo tutto questo.
Perché se mi sono fatto da parte, quella sera, lasciandola, è stato solo per paura.
Perché temevo che, implorandola di restare con me, mi avrebbe detto di no.
Vorrei solo poter tornare indietro, ma non posso.
Vorrei spiegarle, ma non me lo lascia fare.
E ha ragione.
Ripenso a quello che le ho detto prima, sul pianerottolo.
Le ho fatto una carognata, e parole simili le ha dette a me Simone, quando ha cercato di giustificarsi per il suo gesto ignobile e io non ho voluto sentir ragione.
Lo stesso gesto che io ho finito per compiere.
E non importa se accompagnato o meno dai sentimenti, non importa se Simone e Federica si erano innamorati, mentre io e Sara non abbiamo nessun tipo di legame.
Il tradimento resta. L’errore resta.
Non so più che fare, se non rassegnarmi a sperare che, forse davvero per miracolo, una delle strambe idee del maresciallo vada finalmente in porto.
 
Anna’s pov
 
Ho portato Patatino a fare una passeggiata, anche se forse avevo più bisogno d’aria io di lui. Poco importa.
Adesso che sono rientrata, e lui se ne sta accucciato in soggiorno, io cammino distrattamente per casa.
Di nuovo immersa in quell’ambiente che stavamo pian piano costruendo insieme per farlo diventare nostro. Il futuro che lui ha distrutto.
Il mio sguardo si posa su una nostra foto poggiata davanti alle altre, su una mensola della libreria.
L’ha scattata Chiara durante una gita in campagna, fatta per far svagare Cecchini dopo la perdita della moglie.
Una delle giornate più belle della mia vita.
C’erano tutte le persone che amo: la mia famiglia di sangue, con mia madre e mia sorella, la mia famiglia acquisita, con Cecchini, perché sì, è diventato come un padre per me, e c’era Marco. L’uomo con cui ero pronta a passare il resto della mia vita. Il mio grande amore.
Pochi giorni prima di scattare quella foto mi aveva chiesto di diventare sua moglie. Non avremmo potuto essere più felici, in quel momento.
Adesso, guardare quell’immagine mi fa soltanto male.
È un dolore sordo che non mi abbandona mai. E peggiora in fitte lancinanti quando qualcosa di particolarmente importante mi torna alla mente.
La afferro di scatto, per poi gettarla con rabbia nel cestino. Un rumore di vetri rotti accompagna la sua caduta.
“Ti sta bene!” mormoro tra me. Noto appena che Patatino solleva la testa, incerto su cosa mai stia facendo.
Adesso parlo anche da sola.
Sto già iniziando ad impazzire.
Il mio sguardo passa all’abito da sposa, appoggiato a una sedia.
Lo prendo tra le mani, mentre il magone torna prepotente in gola.
L’abito bianco che ‘non indosserai mai, perché gli uomini li farai scappare!’.
Le parole di mia madre riecheggiano nella mia testa.
Stringo la stoffa tra le dita.
Vorrei farlo a pezzi, distruggerlo, non lasciare più traccia del suo passaggio.
O almeno, è quello che vorrebbe fare la parte più razionale di me.
Il mio cuore non è convinto, invece.
Esita.
Sussurrandomi di ripensarci, perché non sarebbe il vestito, che finirei per lacerare, ma me stessa.
Con un tempismo sempre perfetto, sento la serratura scattare, e un ‘Biscottina’ che mi gela.
Il maresciallo è entrato in casa mia come se niente fosse e parla al telefono con mia madre. Di me, naturalmente.
Giuro, uno di questi giorni cambio la serratura.
Mi affretto a nascondere l’abito nell’armadio, anche se non riesco a sistemarlo come vorrei, e raggiungo Cecchini, infastidita.
“Dai, Biscottina, stai tranquilla, le faccio compagnia io! Stai tranquilla, ci penso io, non resterà mai sola, le faccio compagnia io appena- eh... Sua mamma.”
Tenta di passarmela, ma io ho altre idee. Ho evitato le sue chiamate per tutto il giorno. Così è una costrizione!
“Non ci voglio parlare... non ci voglio parlare, non ci voglio parlare!” Sussurro al maresciallo, leggermente in panico. Lui, sia mai che mi dia ascolto?
“Un minuto, che sta dando da mangiare al cane... te la passo subito!”
Afferro il telefono, furibonda. “Mamma, ciao... sì, sto bene... Non ti preo- no, non c’è bisogno che vieni, stai tranquilla... Sì, certo, lo tratto bene il maresciallo...” mormoro, apatica, prima di mettere una mano davanti al microfono del cellulare quando vedo che lui ha recuperato la foto dal cestino. “Si deve fare gli affari suoi!!” gli intimo prendendogli la foto di mano e buttandola di nuovo insieme alle cartacce prima di tornare, malvolentieri, a parlare con mia madre.
Lei insiste sul fatto che devo pensarci, che devo calmarmi, riflettere...
Io la ascolto per metà, assecondandola più per abitudine che per reale intenzione di seguire i suoi consigli.
Una volta chiusa la chiamata, riconsegnato il telefono e convinto il suo proprietario a lasciami da sola - perché non ho proprio voglia di restare in compagnia di Cecchini, e quella di non lasciarmi mai sola suonava più come una minaccia - finalmente torno alla mia routine serale.
Tentare di non piangere.
 
Marco’s pov
 
“Furto d’auto, truffa aggravata, violazione di domicilio...” Elenca Cecchini in ufficio, la mattina seguente, leggendo il fascicolo sull’indagato.
“Senza contare la storia del bambino...” Aggiungo. “È proprio una bella personcina, questo Sergio La Cava!”
Anna mi rivolge uno sguardo astioso. “Almeno lui ha pagato per quello che ha fatto!” Esclama, correndo in difesa di quel delinquente, con una frecciatina a me.
“Esatto!” La risposta di Cecchini non può mancare.
Anna però sembra non essere d’accordo.
“Guardi che anche Lei rischia un’accusa per favoreggiamento...” gli dice, infastidita. “Lo so che lo sta ospitando!”
“Vabbè, mi dispiaceva, un povero disgraziato!”
Giuro, quando fa così mi verrebbe voglia di strangolarlo.
“Che disgraziato, maresciallo, ma scusi...”
Cerco di fare l’indifferente, ma la realtà è che sto malissimo.
Mi dà fastidio che Anna difenda quel... quello in questo modo.
Sì, sono geloso. Posso esserlo, ne ho ancora il diritto, no?
Lei è davvero troppo coinvolta nella storia di questo ragazzo, quasi voglia aiutarlo a tutti i costi per sdebitarsi di averla salvata dall’aggressione.
E questa è una cosa che non sopporto.
Io amo Anna, e l’errore che ho fatto lo sto pagando a caro prezzo, com’è giusto che sia.
Ma vederla mostrare tanta passione per un altro uomo mi distrugge.
Non può aver cancellato tutto quello che c’è stato tra noi in così pochi giorni, no? Lo sta solo aiutando come forma di ringraziamento... vero?
“Espii...” è la replica piccata del maresciallo, che mi intima con un gesto di stare zitto.
Va bene, va be-
“Si può?”
Perfetto, ci mancava la Procuratrice.
“Ecco, siamo a posto...”
Ora sì che il quadretto è completo.
Perché, come se non fossi già abbastanza nei guai, Cecchini ha anche rivelato ad Anna con chi l’ho tradita, quando io avevo fatto di tutto per non darle questa ulteriore sofferenza.
Posso urlare?
Sara ignora la tensione, iniziando a spiegare il motivo della sua visita. “Come il Dottor Nardi vi avrà detto, quando un ex-carcerato è coinvolto in un delitto, la Procura ci va con i piedi di piombo...”
Ah. Ecco cosa mi ero scordato di riferire.
“Mh, è che il Dottor Nardi ultimamente dimentica molte cose...”
Anna, ti prego.
Queste sue frecciatine, più che irritarmi, mi fanno male. So che me le merito tutte, ma non per questo sono meno dolorose.
Cecchini, come al suo solito, decide di approfittare del momento, secondo lui per stemperare la tensione, per chiedere alla PM un contributo per salvare la Madonna dei Disperati.
Lei, senza esitare, tira fuori una banconota da cento euro.
Se gli sguardi potessero uccidere, il maresciallo sarebbe a quest’ora un mucchietto di cenere, visto quello che gli ha rivolto Anna al suo commento, “È anche generosa!
Lo avrei volentieri ammazzato anch’io.
“Posso parlarle un momento in privato?” Chiede poi Sara, una volta passato il momento.
Io sospiro pesantemente, alzandomi. “Certamente...”
“Io veramente vorrei parlare con il Capitano...”
Anna ha tutta l’aria di una che vorrebbe essere da tutt’altra parte.
Immagino di sapere anche dove: Islamabad, a seimila chilometri da me.
 
Io e il maresciallo usciamo dall’ufficio del Capitano, e mi siedo accanto a lui alla sua scrivania, più scoraggiato che mai.
“Ma che si stanno dicendo? Non si capisce ‘na parola...”
“Non lo so maresciallo, però secondo me... niente di buono.”
Cosa ci può essere di positivo in una conversazione privata tra la donna che amo e quella con cui l’ho tradita? Niente!
“Ahhh, invece ce l’ho io una buona notizia!” Esclama lui, con una nota di speranza. “La Capitana, l’abito da sposa lo ha conservato! L’ho visto io, lo ha conservato.”
“Perché, cos’è, una cosa buona, questa?”
“Certo che è una cosa buona! Se lei non se ne libera, vuol dire che ancora sta pensando, riflettendo, nel suo cuore... non si sa mai, diciamo così... Mia madre lo sa come diceva? Finché c’è il vestito, c’è speranza!”
Io non ne sono così convinto.
 
Anna’s pov
 
“Possiamo darci del tu, da donna a donna?”
È così che esordisce Sara, quando la invito a sedersi.
Io faccio appena un cenno.
Darci del tu. Noi. Ah.
“Mi dispiace per quello che è successo...” dice. “Non sapevo che Nardi si stesse per sposare con te. Volevo solo mettere in chiaro che tra me e lui non c’è niente.”
“Per me non fa alcuna differenza.” Riesco a rispondere, nel tono più neutro che riesco a tirar fuori.
“Sì, lo immaginavo... però volevo solo sincerarmi che quello che è successo non crei problemi tra di noi, a livello lavorativo...”
Che coraggio che ha.
“Non ho nessun problema con te...” nego. “Per me l’unico colpevole è Nardi. So gestire i miei problemi personali. Non ci saranno conseguenze.” Spiego, con la mia miglior facciata cinica, che mi riesce sempre bene, alzandomi poi in piedi e porgendo la mano alla dottoressa.
Lei la stringe, con un sorriso.
“Tra donne ci si capisce!” Afferma in tono compiaciuto, apparentemente convinta, prima di andare via.
Evidentemente potrei avere una carriera come attrice in alternativa alla divisa, se volessi, perché se non fossi stata in caserma e in servizio, Sara a quest’ora sarebbe ridotta a un mucchietto di coriandoli. Fatta a pezzi, come la matita che tenevo in mano e che ho appena spezzato con un colpo secco, l’unico sentimento che provo un odio profondo.
Ma come si permette? A dirmi quelle cose?
Ma cosa ne sa, lei, di cosa si prova? È lei quella che è stata tradita, che l’ha scoperto il giorno del matrimonio?
No, lei è solo complice di quel traditore.
È in momenti come questo che maledico Cecchini. Lui sapeva, sapeva tutto, eppure non mi ha detto nulla. È anche colpa sua se ho perso l’incarico di caposcorta a Islamabad.
Meglio quel lavoro pericoloso che stare qui a soffrire nella quotidianità che mi affligge.
 
Detesto dover odiare Marco.
Perché io lo amo, ancora, profondamente.
Ma se penso a quello che mi ha fatto, l’unica cosa che provo è la rabbia, ed è più facile continuare ad odiarlo che cercare di trovare un senso a tutta questa storia.
Perché non ce l’ha più. Niente ha più senso.
 
Marco’s pov
 
Quando rientro da Cecchini, la sera, trovo tutti i regali di nozze poggiati sul tavolo, pronti ad essere restituiti.
Sento una fitta di dolore alla sola vista.
Cerco di smorzare il dolore come posso, notando un altro oggetto sul tavolo.
“Vabbè, almeno il casco me l’ha lasciato...” Commento, prendendolo. Quello, però, mi si divide tra le mani.
Spezzato a metà.
Metafora perfetta, amore mio.
“Ma che è, la versione estiva? Sono due?” Chiede Cecchini, rientrato anche lui col suo solito tempismo.
Cerco di ridere, anche se fa malissimo. “Eh, è concepito come versione unica; questa è una proposta di Anna, diciamo...”
“Senta, dobbiamo fare qualcosa!” Preme di nuovo lui, ma io sono stanco.
“Più di così cosa devo fare? Non so, espiare più di così, mi dica Lei...” dico, di nuovo disperato. Sto già espiando abbastanza per i miei gusti: vedere la donna che amo odiarmi ogni istante di più mi sembra più che sufficiente. So che ha ragione a farlo, ma non nascondo che spero ogni attimo che lei cambi idea.
Ma so bene che è inutile.
Io ho passato giorni a odiare il genere umano, settimane a odiare il gentil sesso, per quello che Federica e Simone mi avevano fatto. E non importa se nel mio caso è stato un errore di una notte, da ubriaco, per disperazione. Non è meno peggio di un tradimento di più lunga data, come quello della mia ex.
Il maresciallo continua a borbottare qualcosa, esasperandomi.
“Cosa, devo tornare dal suo ex e dirgli ‘Torna con Anna!’...? Che devo fare?”
Almeno nel suo caso, col voto di castità, Anna non avrebbe corso il rischio di essere tradita così.
Mi ritornano in mente le mie stesse parole, sulla strada di ritorno dal monastero, per Anna: che Giovanni fosse stato un pazzo a lasciarsela scappare.
Ironia della sorte: chi è ora il pazzo, l’idiota?
Eh... risposta esatta.
“No no no, non stavo dicendo questo...” nega però lui. “Dobbiamo fare qualcosa per la Madonna dei Disperati!”
“No, basta maresciallo, con tutti i problemi che c’ho secondo Lei io ho tempo di occuparmi di questo? Mi lasci stare, veramente.”
“Va bene, non mi vuole aiutare, va bene. Questo è il ringraziamento per la mia ospitalità, per averlo tenuto qui a casa e avergli fatto risparmiare migliaia e migliaia di euro...”
Pure! Ma perché, perché?!
Dopo un battibecco in cui io gli dico che è meglio che me ne vada e lui che mi chiede di restare, continua, “Mi aiuta, anche perché le fa bene! Anche perché che fa, qua, così... non ci pensi, al suo fallimento, sta vivendo così squallidamente...”
Sì, mi serviva proprio tornare in argomento!
“Anche se me lo scordo per un secondo, non c’è problema perché me lo ricorda Lei, è un promemoria fantastico in questo...”
“Anche per passare una serata diversa... all’aria aperta.”
“Ecco, quello ci vuole.”
Quello che non ci voleva è il modo in cui passiamo la ‘serata diversa’.
Perché il suo piano prevedeva di andare con Pippo al terreno di Cocozza a rubare la Madonna dei Disperati.
Non so nemmeno perché accetto.
Peggio, sulla strada di ritorno, incrociamo Zappavigna e un altro carabiniere di pattuglia, che chiedono cosa ci sia nella carriola, mentre io mi sono nascosto: ci mancherebbe solo questa!
Cecchini mi mette in mezzo, dicendo che ci sono io, che mi sono ubriacato - e dire che vorrei tanto essere astemio, da un po’ di tempo a questa parte - e che mi stanno portando a casa. Mi ritrovo costretto ad ascoltare le parole di compatimento dell’appuntato, giusto per migliorare la mia fama in giro.
Rientriamo dal maresciallo, mentre io mi chiedo se non sono davvero impazzito.
Rubare una statua, ma si può?
Se Anna lo scopre, perderò anche quella fievole speranza che ho di farmi perdonare.
La statua giunge sana e salva fino all’appartamento. Una presenza un po’ inquietante da incontrare nel cuore della notte, visto che Cecchini me l’ha posizionata proprio accanto al divano, nemmeno dovesse vegliare su di me.
Disperato sì, ma fino a questo punto?
... Sì.
 
Anna’s pov
 
La mattina, decido di andare a trovare Sergio in ospedale, nella speranza di riuscire a convincerlo a collaborare. So che nasconde qualcosa, e vorrei capire di che si tratta.
Busso per avvisarlo del mio ingresso, ma quando apro la porta lo trovo intento a cercare di infilarsi la camicia.
“Scusa...” mormoro con un leggero imbarazzo.
“No, che scusa, figurati...” minimizza lui, “anzi, potresti darmi una mano, ti dispiace? È che il mio braccio dovrei infilarlo qui senza...” mi spiega. Per via della ferita, non può fare movimenti bruschi.
Mi ritrovo ad assecondarlo senza nemmeno rendermene conto e, con la maggiore delicatezza possibile, lo aiuto a indossare l’indumento senza fargli male. Il mio sguardo coglie la catenina che porta al collo.
Lui volta il capo verso di me, portandosi ancora più vicino. “Guarda un po’, saresti un’infermiera perfetta, e invece...” mi prende in giro.
Io faccio istintivamente un passo indietro.
“Smettila, o ti sbatto dentro per oltraggio a pubblico ufficiale!”
“Scusa... alzo una sola mano, così l’altra...” continua lui, e la cosa mi provoca ulteriore fastidio.
Ma perché dev’essere così esasperante?
Perché li devo incrociare tutti io, quelli fatti così? Il suo tenermi testa mi irrita da morire, ma mi attira allo stesso tempo, inspiegabilmente.
No, non è vero, una spiegazione c’è, per quanto la detesti.
Mi sembra di avere davanti Marco. Ogni cosa, in Sergio, mi ricorda lui. Come se non facesse già abbastanza male così.
La verità è che Marco mi manca, e per sopperire al vuoto, la mia mente lo cerca in ogni situazione, in ogni cosa.
Mi manca stare con lui, mi manca parlargli, anche al lavoro.
Soprattutto lì, è un continuo farsi dispetti a vicenda, io non faccio altro che tentare di fargliela pagare, ma lui non è da meno, e questo rende difficile per entrambi restare concentrati come dovremmo, e lavorare al caso.
Soprattutto a questo, dove io dovrei cercare di restare imparziale, e invece mi accorgo che mi sto lasciando coinvolgere più del normale, forse per via di quanto successo al parcheggio con Sergio.
Lei si lascia commuovere, mi aveva detto Marco, quel giorno.
Ma era bastato poco perché cambiasse idea, affermando che si era già accorto che non ero il tipo da lasciarsi condizionare da fattori personali e di saper distinguere il lavoro dalla vita privata.
Anch’io lo pensavo, ma ultimamente non credo di esserne più capace.
E non solo per le battute poco felici tra noi, ma perché non riesco ad essere imparziale in niente.
Mi viene da piangere ad ogni notizia che ricevo, che sia di un bambino ucciso sei anni fa, o un ferimento ai danni di un delinquente.
A tal proposito, la sua voce mi riporta alla realtà.
“Allora, a cosa devo questa visita?” chiede, sempre col suo tono velatamente sarcastico.
“Sappiamo che non è stato Alfiero a spararti, sappiamo però che gli Spada posseggono una pistola dello stesso calibro di quella che ti ha sparato, pistola che non si trova... sappiamo che sai chi ti ha sparato.” affermo, senza esitare.
“Sapete un sacco di cose... e allora non vi servo, giusto?” mormora, prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la porta, che apre e attraversa.
Mi sento interdetta.
“Che fai, te ne vai?”
Mi lancia un’occhiata divertita. “Sono un uomo libero o no?”
La frecciatina velata non ha l’effetto che lui vorrebbe. Mi avvicino.
“Senti... a me non interessa quello che hai fatto prima, né quello che gli altri pensano di te. Sto solo cercando di capire chi ti ha sparato, e lo scoprirò... con o senza il tuo aiuto.” gli dico, piantando lo sguardo nel suo, che non abbassa.
“Bene, in bocca al lupo allora... Capitano!” sottolinea con leggera ironia. Il sottotesto del mio grado mi fa sempre vacillare, senza che riesca a spiegarmi il perché.
 
“Allora, Sergio La Cava non collabora, dobbiamo vedercela da soli. Abbiamo novità?” affermo, una volta rientrata in caserma.
Sono nel mio ufficio insieme a Cecchini e Zappavigna. Il traditore ancora non si vede, e accetto volentieri la tregua, che però dura troppo poco.
Eccolo.
“Buongiorno a tutti!” saluta, una punta di fastidio nella voce.
“Come mai a quest’ora?” si impiccia il maresciallo, come al solito.
“Scusatemi per il ritardo... Volevo ringraziarti per il casco.” dice, rivolgendosi a me con un sorriso che non ha nulla di felice.
Giusto per farmi innervosire subito, insomma. “Figurati! Non vorrei mai che ti si rompesse la testa...” rispondo, ricambiando il sorriso - il mio però è volutamente cattivo.
“Perché deve fare così...” mormora lui, chiudendo gli occhi per trattenersi.
Cecchini corre in suo aiuto. “Calma! Oh! Calma... deve espiare!” lo mette in riga, e non potrei essere più d’accordo.
“Dice-” Il maresciallo tenta di parlare, ma quello lo blocca di nuovo.
“E allora, volevo ringraziarti per il pensiero gentile... e se volessi disintegrarmi anche delle altre cose, non sentirti trattenuta, mi raccomando, eh...”
“Molto volentieri!” è la mia replica, e giuro, finisce che disintegro qualcosa di ben preciso già adesso, se non la smette. “Abbiamo novità?” sbotto, cercando di chiudere il battibecco.
Siamo in caserma, e dovremmo lavorare.
Questa situazione mi innervosisce. Perché io amo battibeccare con Marco, la nostra storia è nata così, ma... non c’è più alcuna storia, tra noi, adesso.
Ed è tutta colpa sua.
Però... nonostante lui mi abbia risposto per le rime, nel suo sguardo non c’è più l’umorismo di sempre, la reale intenzione di scherzare, no.
Tutto quello che sono riuscita a leggerci, è ciò che anch’io cerco di nascondere: lacrime, tristezza, disperazione.
Anche se stessi piangendo... Anna, è normale. E non perché sei donna, perché anche gli uomini piangono. Anche i carabinieri. E pure i PM, tanto... te lo dico per esperienza.
Le sue parole, ancora, tornano prepotentemente a farsi sentire nella mia testa.
Forse anche lui sta piangendo, come me, per quello che è successo.
So che sta male per quello che ha fatto, e non perché mi chiede sempre scusa dicendomi che gli dispiace, ma per i suoi gesti.
Marco è un libro aperto, per me.
Ma se fino ad ora aveva anche lui alzato un muro e cercato di far trasparire il meno possibile, per darsi coraggio forse, stamattina sembra che non ci riesca più.
Inizio a dubitare della battaglia estenuante che sto portando avanti contro di lui.
Marco ha sbagliato, lo sa e sta pagando per il suo errore. So che sta soffrendo terribilmente anche lui, lo vedo, anche se fingo che non sia così e che non mi importi.
Lo so che è davvero pentito, che è stato lo sbaglio di una notte da ubriaco, e che anche lui che è l’artefice del tradimento sta male, non solo io che ne sono la vittima.
Cerco comunque di estraniarmi dai miei problemi e concentrarmi sul lavoro, quando arriva la telefonata per avvisarci di una rapina avvenuta nella gioielleria della famiglia di Sergio.
Ci precipitiamo lì.
 
Appena entrati, troviamo il corpo di Egidio Spada privo di vita.
Mi basta un’occhiata per capire che non è stato preso niente.
“... Non è un furto.” affermo, prima di accorgermi di un oggetto per terra, accanto a Spada.
“Cos’è?” chiede Cecchini, ma io rispondo solo con un profondo sospiro.
Conosco quella catenina, so chi l’ha persa.
“Dobbiamo trovare Sergio La Cava.”
 
In giornata non riusciamo a rintracciarlo.
Quando rientro a casa, come sempre i miei pensieri tornano a Marco, a quanto successo in caserma stamattina.
Al suo sguardo, il dolore che ha lasciato trasparire per la prima volta dopo la confessione in sacrestia.
Ai dubbi che mi hanno pervasa subito dopo. Che non voglio più avere.
Perché niente cambia ciò che è stato.
 
Prendo il mio abito da sposa dall’armadio in cui l’avevo malamente riposto, insieme a un paio di forbici.
Pronta a distruggerlo come ho fatto col casco. Come Marco ha fatto con la nostra storia.
Pronta a ridurlo a brandelli, come lui ha fatto col mio cuore.
Eppure... non ci riesco, a decidermi.
Resto a fissarlo per diversi secondi senza capire come mi senta.
 
“Sei sicura?”
Per poco non mi prende un infarto.
“Mamma...! Come sei entrata?” chiedo, i battiti a mille, le forbici abbassate.
“Nino mi ha dato le chiavi...” mi risponde con ovvietà. “Sono qui per te.”
“Non dovevi, te l’ho detto, non dovevi.” rispondo, cercando di tenere la voce ferma.
Lei mi rivolge uno sguardo che mi fa capire di non credermi affatto.
Va a sedersi sul divano, invitandomi a fare altrettanto.
Accetto di malavoglia.
La mia facciata forte però dura solo un attimo, perché so che a lei non posso nascondere nulla.
Abbasso la testa trattenendo a stento le lacrime che, ancora una volta, sfuggono al mio controllo un tempo ferreo.
“C’è poco da fare, mamma...” mormoro. La maschera da cinica ormai caduta.
“Oh, certo... ma dipende da te.” replica però lei. “Allora, io sono venuta qui a dirti che... anche tuo papà mi ha tradita. E io... io ero furibonda, lo sono stata per tanto tempo...”
Io spalanco gli occhi, sentendo il cuore incrinarsi ancora di più.
Mio... mio padre, il mio adorato papà... l’ha tradita?
È la notizia più orribile che avrebbe potuto darmi, che probabilmente nemmeno lei avrebbe mai condiviso con me se non fosse successo tutto questo casino.
Ma il tono che lei ha usato, noncurante quasi, mi fa arrabbiare ancora di più. Perché lei ne sta parlando come fosse una cosa da nulla, ma non è così. Non è così...
Non sa cosa vuol dire, in ogni caso.
Non sa cosa significhi per me il tradimento di Marco.
Perché solo io conosco tutta la storia, dall’inizio alla fine. Solo io so della sua ex e del suo migliore amico, di cosa hanno fatto, di come lui si è sentito.
Sono certa che nemmeno Cecchini ne sia a conoscenza, avrebbe fatto qualche riferimento se così fosse. E invece no.
Nessuno può capire come mi sento.
Marco sa cosa si prova. Lui per primo è stato tradito, ci è passato.
Eppure non è servito a niente.
“Perché me lo stai dicendo? Che... che cosa mi stai dicendo? Che gli uomini tradiscono... e basta? Questo, è così?” Mormoro, rabbiosa.
Quello che mia madre mi dice, però, mi lascia interdetta ancora una volta.
“No. Che nonostante questo errore, tuo papà resta l’uomo meraviglioso che hai conosciuto e che ho amato perdutamente per quasi vent’anni... Può succedere in una vita, Anna, si può sbagliare... l’importante è che nelle persone che abbiamo davanti, che amiamo, non vediamo solo gli errori, ma il cuore!”
“Quand’è successo?” le chiedo, secca.
“Prego?”
“Prima... o dopo il matrimonio?”
Lei sembra sorpresa dalla mia domanda. “Dopo.”
“Non è la stessa cosa, allora...” sussurro. Dopo il matrimonio, con dei figli, si ha tutto l’interesse di sforzarsi di tornare sui propri passi. Ci sono motivi in più. Ma noi avremmo dovuto sposarci. La nostra vita insieme doveva ancora iniziare. “Non puoi capire, non puoi...”
La mia voce si spezza, e le lacrime rompono nuovamente gli argini.
Penso sempre di non averne più, per quante ne ho versate, ma evidentemente non è ancora abbastanza.
Mamma cerca di frenare la loro corsa asciugandole con le dita.
“Anna, pensaci...” mi suggerisce in tono dolce, lasciandomi poi da sola a riflettere.
 
Mi ritrovo nuovamente a piangere sul mio vestito da sposa, che non riesco a strappare. Le forbici abbandonate da qualche parte sul divano.
Ripenso alle parole di mia madre. Non sul tradimento di papà, ma su ciò che l’ha spinta a perdonarlo.
E se avesse ragione?
Tutti sbagliamo, in fondo, più o meno gravemente.
Non sempre la razionalità basta, a volte l’inconscio controlla tutto più della ragione, e si commettono errori pur non volendo. Non necessariamente per mancanza di controllo.
E io so bene che Marco è il primo a comportarsi così, a lasciarsi sopraffare dall’istinto e i sentimenti, senza pensare un attimo a quello che fa.
Ha sempre fatto così, come quando voleva accusare a tutti i costi Simone, di un reato che non aveva commesso, per vendetta.
Perfino io quella volta gli ho detto che capita a tutti di sbagliare.
Ma il tradimento non è un errore qualsiasi.
E il cuore dove sta, in tutto questo?
Nemmeno quello si può controllare. E l’amore non può svanire da un giorno all’altro. Nessuno in questo momento lo sa meglio di me.
Ripenso agli occhi di Marco, stamattina.
Il nostro amore è ancora lì, lo so. Quel filo invisibile che ci ha sempre legati non si è ancora spezzato, e so che non lo farà tanto facilmente, perché io per prima non riesco a romperlo, se sento sempre una fitta al cuore al solo pensare a lui.
Se seguissi il cuore, so che non avrei dubbi.
Perdonerei Marco in un attimo, correrei da lui e gli concederei quella seconda possibilità che non darei a nessun altro.
Ma non ce la faccio.
Il mio cuore non regge.
Non sono così indistruttibile come sembra.
Mi sento come un fragile vaso di cristallo che al minimo tocco rischia di rompersi in mille pezzi, dopo aver già subìto un brutto colpo che non lo ha ridotto in cocci solo per puro caso.
Ho già sofferto troppo.
Ed è per questo che lascio decidere la testa, come sempre.
Non voglio distruggere il mio abito da sposa, ma non sopporto l’idea di tenerlo, né di vedermelo sempre davanti.
Così lo metto in vendita su Internet.
 
La mattina dopo, ricevo una chiamata dalla caserma riguardo al test dello stab.
Decido di dirlo subito a Cecchini, anche per capire se ‘il suo amico’ gli ha dato qualche dritta che può tornarci utile, visto che sa sempre tutto di tutti.
Mi auguro solo di non vedere qualcun altro.
Busso, chiamando Cecchini a gran voce dal pianerottolo.
“Maresciallo, ho novità!”
Sento strani rumori provenire dall’interno, e una risposta ancora più strana.
“Un attimo, un attimo, sono in accappatoio, arrivo!"
Faccio finta di crederci, attendendo che apra la porta.
“Mi scusi, ero in accappatoio e ho dovuto cambiarmi velocemente-” blatera, ma io lo blocco.
“Non mi interessa. Hanno chiamato dalla caserma... lo stab sul corpo di Egidio Spada è positivo. È stato lui a sparare a La Cava.” spiego, gettando un’occhiata alle sue spalle e cogliendo la vista di qualcosa che non mi piace.
“Ma quindi La Cava c’ha il movente?” chiede lui.
“Secondo Lei ha lasciato Spoleto?”
“Un amico mi ha detto che c’ha una figlia, qua a Spoleto. È venuto apposta, e probabilmente è ancora in paese.”
Ecco la risposta che volevo.
“Mh. Glielo dice Lei a quell’essere?” dico poi, accennando a quel dannato qualcuno che è buttato sul divano, con una coperta addosso.
“Quale essere?” chiede Cecchini, stranito. Come se potesse fregarmi.
“Quell’essere che sta facendo finta di dormire.” affermo, secca.
“Ah, il Dottor Nardi, si sta coprendo tutto perché sente sempre freddo... glielo dico io.”
“La aspetto in caserma. Dobbiamo trovare la figlia di La Cava.” chiudo la conversazione, scendendo di corsa le scale.
Ho dovuto ingoiare la nostalgia a forza.
Fosse per lui, girerebbe sempre in bermuda e ciabatte.
Così, d’improvviso come sempre, mi ripiomba addosso una scena frequente tra noi, provocandomi una fitta di nostalgia.
Anche in pieno inverno, Marco ha sempre il vizio di stare in quel modo a casa, non c’è temperatura che tenga.
Non ho mai capito come fa... io ho sempre freddo.
Una delle cose per cui, se da un lato mi prendeva in giro per le mie lamentele in merito, dall’altra mi sorrideva in quel suo modo che mi scioglie il cuore, per poi prendermi tra le braccia e stringermi a sé per attenuare i brividi.
Brividi che aumentavano soltanto, ma per ragioni diverse.
Perché era lui a provocarmeli.
Ricaccio indietro le lacrime perché non è proprio il momento di piangere.
 
Nel frattempo rintracciamo Sergio, che si trova insieme a Don Matteo presso una casa di cura, in cui hanno accolto un’anziana signora, seduta su una panchina insieme a una bimba.
Probabilmente sua figlia.
Cercando di non farmi coinvolgere, scendo dall’auto insieme agli altri agenti, avvicinandomi poi a lui.
“Sergio La Cava, devi seguirci in caserma.”
Lui mi rivolge quel suo solito sorrisetto irritante. “Cos’è, un appuntamento?”
Sinceramente avrei preferito lo fosse, visto il motivo per cui sono qui.
“Egidio Spada è stato ucciso.”
 
Marco’s pov
 
“Questa è tua, vero? Era sul luogo del delitto.” Chiede Anna, sollevando una catenina.
Siamo in caserma, e stiamo interrogando La Cava. Che, come al solito, non collabora.
Anzi, mormora qualcosa che non capisco.
“Come, scusa?”
Lui mi rivolge uno sguardo irriverente. “Dico, pensa te dov’era finita...”
Tanto basta a innervosirmi. “Fai meno lo spiritoso, però. Ieri sei stato visto entrare dagli Spada in un orario compatibile con quello del delitto.”
“È stato Egidio a spararti, vero?” Preme Cecchini.
“Eh, non mi ricordo...” è però la risposta di La Cava. Niente, quel tono che usa non fa altro che irritarmi.
Interviene Anna. “Hai ucciso tu Egidio Spada?” gli chiede soltanto, guardandolo dritto negli occhi.
Lui non abbassa lo sguardo né esita a rispondere. “No.”
È Anna a puntare gli occhi in basso, stavolta. E la cosa mi dà fastidio.
Basta, il teatrino mi ha stancato.
“Adesso ti dico cosa penso: penso che Egidio ti abbia sparato e tu l’hai ucciso per vendetta.”
Lui non risponde. Anna torna a parlare. “È andata così?”
Perché gli fa queste domande così semplici? Perché non insiste?
La Cava non cambia atteggiamento. “Ditemelo voi com’è andata e fatemi sapere, va bene?” commenta, con un altro sguardo strafottente a me.
“Va benissimo, te lo facciam sapere subito, guarda... Sei in stato di fermo.” Affermo io, gelido.
Lui non sembra sorpreso, anzi. Fa per alzarsi, rivolgendo però un sorrisetto ad Anna. “Ci vediamo... Capitano.” La saluta in tono sommesso, con una sfumatura nella voce che mi fa montare una gelosia senza precedenti.
 
Lo seguiamo giù fin quando gli altri agenti non lo fanno salire in macchina.
Lui e Anna si scambiano un lungo sguardo, un’altra volta.
Non so come riesco a trattenermi dall’attaccare briga con quel delinquente.
“Maresciallo, sembra che non vedesse l’ora di tornare in carcere...” mormora lei con voce incerta.
“Perché è colpevole!” esclama il maresciallo con ovvietà.
“No, non penso...” nega però lei. “I colpevoli abbassano lo sguardo... gli occhi non mentono.”
Il suo commento mi esaspera e basta.
Se gli occhi non mentono, a quest’ora mi avresti già perdonato.
Non riesco più a controllarmi, e sbotto.
“Anna, io vorrei ricordarti che quello è un delinquente, e probabilmente, visto che t’ha salvata dall’aggressione, tu hai subito un transfert nei suoi confronti...”
“Sì sì sì, un transfert...” Mormora lei, dandomi stranamente ragione.
“Sì, un transfert, una cosa che capita-”
“Non sono io quella con i transfert!” mi interrompe però, lanciandomi uno sguardo di fuoco prima di rientrare in caserma in tutta fretta, inviperita.
“Un poco c’ha ragione, eh...”
Certo, non sia mai che il maresciallo si esima dal dire la sua.
Me ne torno all’appartamento di Cecchini per tentare di sbollire la rabbia ed evitare di fare cose che non vorrei.
Ho odiato vedere Sergio rivolgersi con quella disinvoltura ad Anna.
L’ha salvata, certo, e di questo gli sono infinitamente riconoscente, ma non deve allargarsi.
Lui e Anna non hanno nulla in comune.
Lui è solo un delinquente, Anna è un Capitano dei Carabinieri.
E poi, osservandoli, è stato quasi come vedere me stesso parlare con lei.
Lo stesso modo, lo stesso tipo di interazione.
Forse è per questo che Anna si sente tanto coinvolta, non solo perché vuole ricambiare il favore.
Perché Sergio le ricorda me.
O almeno è quello che spero.
Perché vederla difendere a spada tratta un pregiudicato dalle mie accuse è stata una pugnalata al cuore.
Anzi, una pugnalata probabilmente mi avrebbe fatto meno male.
 
Anna’s pov
 
Dopo qualche minuto si presenta in caserma Cocozza, che strilla che Cecchini gli ha rubato la statua della Madonna dei Disperati.
Cerco di calmare le cose, inutilmente, ma il furto mi sembra un’accusa esagerata.
Anche perché, il maresciallo non la voleva comprare? E poi, che se ne fa di una statua?
Certo, da lui c’è da aspettarsi la qualunque, non mi sorprendo più di niente, con lui, ma da qui a rubarla... si può essere così disperati da compiere un gesto del genere?
A pensarci bene, una persona evidentemente disperata c’è: Marco.
Mi sorge un dubbio. Non è che Cecchini ha rubato la statua per - o con - Marco, vero?
Cocuzza insiste per controllare a casa del maresciallo, che inizialmente non vuole ma poi desiste.
Mentre siamo da lui, dove non troviamo nulla, sentiamo uno strano rumore.
Cecchini borbotta a proposito di qualcosa che ha mangiato, ma non mi frega.
“No no no no no, veniva dal mio appartamento, maresciallo!”
“Andiamo a vedere!” salta su Cocuzza
Apro la porta di casa mia, e ci trovo dentro l’ultima persona che avrei voluto vedere in questo momento.
Marco.
Mi affretto a mettere su un’espressione arrabbiata.
“Ciao, scusa, che cosa fai a casa mia?!”
Lui sembra senza parole per qualche istante, poi sembra ridestarsi. “... Sì, sono venuto a prendermi questo. È mio, mi manca, tanto, e me lo porto da me.”
Tra tutte le cose che avrebbe potuto volere... proprio il pouf.
Sono talmente spiazzata che la mia maschera si incrina senza che me ne renda conto.
“Potevi chiederlo.” mormoro, la voce che trema.
“Scusa... per tutto.” fa lui, con uno sguardo che non riesco completamente a decifrare.
“Figurati... non c’è niente da vedere, forza, andiamo, andiamo...” dico, spingendo quasi a forza Cecchini e Cocozza fuori dal mio appartamento e seguendoli, ma non prima di aver rivolto uno sguardo carico di delusione a Marco, ancora fermo in soggiorno col pouf tra le braccia.
 
Tra tutte le scuse che avrebbe potuto usare, proprio quella!
Il pouf. Gli manca il pouf.
Mando giù il groppo in gola.
Lo so che ci tiene, a quel coso. Tanto.
Come se non lo sapessi... attorno a quel pouf ruota tutta la vita di Marco, dall’esperienza con la sua ex per cui ha iniziato ad aver paura di cambiare, fino all’inizio della nostra storia d’amore, quando ci siamo detti di amarci dopo essere venuti allo scoperto a causa di esso. Insieme, abbiamo cambiato il significato di quel coso, trasformandolo da un ricordo doloroso all’emblema dei nostri momenti felici.
Lui stesso me l’ha confermato, la sera che abbiamo finito di portare le sue cose al mio appartamento.
Quel pouf è il simbolo della nostra storia.
Se Marco ci tiene tanto e gli manca, significa che gli manco anch’io... no?
Vorrei tanto urlare per la frustrazione.
Perché Marco deve rendere sempre tutto così difficile?
 
Marco’s pov
 
Cecchini e Cocozza vanno via insieme ad Anna.
Lo sguardo che lei mi rivolge prima di chiudere la porta mi devasta.
Perché ci sono dentro dolore, delusione, rabbia... odio. Nostalgia.
Perché, tra tutte le scuse che avrei potuto trovare, ho scelto proprio il pouf?
D’accordo, forse non l’ho fatto a caso.
E so che Anna l’ha intuito, cosa avrei voluto dirle.
Ma so che questo ha peggiorato le cose, perché non era affatto felice, anzi.
Il mio sguardo viene catturato dall’armadio, chiuso male, da cui sbuca una stoffa bianca che conosco bene.
È l’abito da sposa di Anna.
Sospiro pesantemente: so che l’ha messo in vendita, ho letto l’annuncio, ma evidentemente nessuno l’ha ancora acquistato.
“Sono veramente il più stupido della terra...” mormoro, alzando gli occhi al cielo per impedirmi di piangere.
Quanto aveva ragione Chiara, a dire che se me la fossi lasciato scappare sarei stato un idiota.
E in questo momento, detengo il titolo di certo.
 
Recupero Pippo, nascosto in bagno insieme alla statua, e insieme cerchiamo di riportarla all’appartamento di Cecchini.
Ma questa ci sfugge dalle mani, finendo in frantumi.
E, con essa, le mie speranze con Anna.
Se non fosse già stato chiaro, questo sembra il segno che conferma che non mi perdonerà mai.
 
Anna’s pov
 
Sono seduta sulla poltrona a osservare per l’ultima volta il mio abito da sposa.
Ho trovato un acquirente, a breve riceverò il denaro e lo darò via.
Spero solo che chi lo ha comprato sia più fortunato di me, con i matrimoni.
Io ho decisamente chiuso.
Chiudo gli occhi per un istante, mentre mi concedo di ripensare a quel giorno in atelier, insieme a mia madre, quando l’ho scelto.
Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ma ero incredibilmente emozionata.
Se ero lì, era perché finalmente io e Marco ci saremmo sposati.
Avevamo stabilito la data, e iniziato a prenotare il ristorante, i fiori, la chiesa...
Era arrivato anche il momento del vestito bianco.
Non sapevo nemmeno cosa chiedere alla commessa, ma per una volta mia madre non aveva messo bocca, lasciando che trovassi da sola quello che faceva per me.
L’ho riconosciuto subito, quando l’ho visto.
Ho capito che era il mio abito non appena ci ho posato gli occhi sopra.
Quando l’ho indossato, ne ho avuto la conferma.
Il mio abito da sposa.
Quello con cui avrei raggiunto Marco all’altare.
Ho desiderato che quel momento arrivasse il prima possibile.
Adesso, avrei preferito che quel giorno non fosse mai arrivato.
Accarezzo distrattamente la stoffa per l’ultima volta, prima di metterlo l’abito nella scatola per poi spedirlo domani mattina, quando mi accorgo di qualcosa seminascosto sotto al divano.
Mi abbasso, tirando fuori... una mano. Di gesso.
Chiudo gli occhi, imponendomi di non dare di matto.
Perché mi rendo conto di essere stata una scema.
Marco era qui a casa mia, oggi, e ho trovato strano il suo entrare così di soppiatto, senza dirmi nulla.
Adesso capisco perché.
Ha... davvero aiutato Cecchini a rubare la statua. Probabilmente il maresciallo l’avrà avvisato dell’arrivo di Cocozza, e lui ha pensato di portarla per qualche minuto da me.
Evidentemente il trasloco non è andato così bene, però, se le ha (hanno? Dubito fosse solo) amputato un braccio.
Non so più che pensare.
È davvero così disperato da fare un gesto del genere? Rubare una statua? Perfino forse chiedere un miracolo?
Non pensavo sarebbe addirittura arrivato a tanto.
Forse è davvero pentito, forse ci tiene veramente al mio perdono.
Forse mia madre ha ragione, dovrei concedere a Marco almeno la possibilità di riscattarsi.
 
“Ma Lei che pensa, che è stato lui a uccidere Egidio?” mi chiede Cecchini l’indomani, in caserma, riferendosi al figlio di Spada.
“No, è escluso, era a scuola.”
“Posso dire quello che penso, senza offesa?” fa allora lui, alzandosi. “Secondo me è stato Sergio La Cava. Voleva ricattare Egidio per non fargli rivelare che era stato Stefano a sparargli.”
Io non sono d’accordo. “Che fa, lo ricatta e non prende neanche un gioiello? No, non è stato lui.”
“E allora perché non parla, perché non si difende?”
“Perché sta nascondendo qualcosa, o qualcuno per cui è disposto a finire in carcere e a perdere sua figlia.” spiego, convinta della mia idea. Sono sicura che Sergio è innocente. Devo solo capire perché si comporta così.
“No...” nega il maresciallo, nonostante ciò.
Io lascio correre, cambiando argomento. “Ah, a proposito di nascondere... guardi cosa ho trovato sotto al divano...” dico, prima di tirare fuori da sotto la scrivania il pezzo di gesso.
Lui si illumina. “Ahh, la mano della Madonna...” mormora, prima di rivolgermi uno sguardo incerto.
“Se Cocozza la denuncia, rischia la divisa...” lo avviso, preoccupata. Lui si rigira il frammento di statua tra le mani. Io ne approfitto per prendere una busta sotto i fascicoli, per poi porgergliela. “Il mio contributo per la Madonna.”
“Non servono più.” Mi dice, abbacchiato.
“Non li voglio. Li prenda Lei, li dia ai poveri, non li voglio.” ribatto però io, obbligandolo ad accettare. Ne faccia quello che vuole, quei soldi non mi appartengono.
Lui dà un’occhiata all’interno, sbarrando gli occhi per la sorpresa. “Ma quanti sono?!”
“740 euro.”
“Quasi un milione e mezzo delle vecchie lire!”
“... Ho venduto l’abito da sposa.”
Cecchini sembra sconvolto. Di più, terrorizzato. “L’ha venduto?!”
“Sì, su Internet! Che faccio, me lo tengo nell’armadio?” rispondo, in tono eloquente.
Lui blatera qualcosa su un possibile uso futuro perché non si sa mai, ma io lo ascolto appena.
So che lo riferirà a Marco quanto prima, ma non mi importa.
Non è necessario resti un segreto.
Anzi, forse è meglio che lo sappia.
 
Marco’s pov
 
Abbiamo risolto il caso. A sparare a Sergio è stato il nipote, per via dell’omicidio del fratellino. Scopriamo anche che Sergio è innocente, non è stato lui a uccidere il piccolo Lorenzo sei anni fa, ma la sorella Sabina. Un incidente fatale, ma lui si è assunto tutte le colpe per proteggerla.
Certo che è un folle, quel ragazzo... disposto a tutto per le persone che ama.
Non siamo così diversi, in questo. Anch’io, per chi amo, farei qualunque cosa.
Non ho perfino rubato una statua per un miracolo che in tutta probabilità mai riceverò?
 
In caserma, mi soffermo a guardare Anna, seduta alla sua scrivania, da dietro la vetrata.
Così vicina, eppure così distante.
Non mi odierò mai abbastanza per quello che le ho fatto.
Mi si avvicina Cecchini.
“L’animale mi vuole denunciare.”
“Chi è?”
“Chi è l’animale... Cocozza!”
Accenno una risata. “Ah! Strano, sono stupito proprio.”
Lui cambia di colpo espressione, passando dall’infastidito al triste nel giro di un attimo.
“Senta... le debbo dare una notizia che forse non le fa piacere...”
“Cioè?”
“... Ha venduto l’abito da sposa.” mormora, affranto, con un cenno in direzione di Anna.
Abbasso lo sguardo, sorridendo appena.
È ovvio che la notizia non mi faccia piacere, anche se sapevo già tutto. Compreso che avesse trovato un acquirente. Ma questo non fa che confermare quello che in realtà ho sempre saputo.
“Gliel’ho detto, no? I miracoli non esistono, sono illusioni che noi ci facciamo, e non c’è speranza.”
Non esistono, questi eventi. O comunque, capitano una sola volta nella vita, e io il mio l’ho avuto, e l’ho sprecato. Perché non avrei potuto ricevere miracolo più grande di una nevicata il quindici di agosto, con la mia Anna tra le braccia, finalmente liberi di amarci.
E adesso non mi resta più niente. Niente.
Ed è solo colpa mia.
“Marco, hai un minuto?” La voce di Anna che mi chiama piano dal suo ufficio mi ridesta dai miei pensieri. Annuisco, mentre il maresciallo mi incita ad andare e raccontargli dopo cosa succede.
Ma io so già di non avere speranze.
E se dev’essere un addio tra di noi, voglio poterle parlare una volta per tutte come si deve. Non per giustificarmi, perché non avrebbe senso, ma per aprirmi a lei e dirle tutto ciò che provo, consapevole che sarà l’ultima volta in cui potrò farlo.
 
“Siediti.” mi invita, accennando al divanetto accanto a quello su cui sta lei.
“Anna, io ho bisogno di parlarti, non ce la faccio...” tento di dirle, ma lei mi ferma.
“No, ti prego, lascia parlare me, per favore. Tu mi hai fatto male, Marco. Molto male...”
“Lo so, e tu hai tutto il diritto di odiarmi, lo so, e fai bene...” scuoto la testa, devastato. “Io mi odio, mi odio non sai quanto per quello che ho fatto, figuriamoci te in una cosa del genere...”
“È questo... Io non ti voglio più odiare!” Esclama però Anna, lasciandomi interdetto per un attimo.
“Cioè?”
“Basta! Basta rappresaglie, basta le battutine, basta le tensioni... dobbiamo lavorare insieme. Lo possiamo fare civilmente. Ce la facciamo, no?”
Il mio cuore si rompe per l’ennesima volta.
Lavoro. Vuole che il nostro rapporto si limiti al lavoro.
“... certo.”
Non sento più il suo battito.
“Non voglio più stare male per te, né per la tua amica.”
“Non è una mia amica, Anna...”
“Sì, lo so.”
Niente. Non sento più niente.
Mi alzo in piedi, e faccio per andar via quando cambio idea.
Tanto, più di così, cosa mi resta da perdere?
“Anna, ti prego di ascoltarmi solo per un attimo... Ho bisogno di parlarti, ma ti prometto che dopo questa non ti importunerò più. Non apriremo mai più l’argomento se non vuoi, ma... ti prego, lasciami parlare.”
Anna mi inchioda addosso i suoi occhi verdi. La osservo riflettere, comprendere: sa quanto è difficile per me aprirmi, in certi momenti.
Annuisce.
Inspiro a fondo.
“Non voglio darti giustificazioni, perché non ne ho. Non ho scusanti, né attenuanti per quello che ti ho fatto. Vorrei solo spiegarti quello che è successo quella sera, quello che ricordo, almeno... spiegarti come mi sentivo. Non so nemmeno cosa provavo di preciso, era un misto di... rabbia, delusione, amore, paura... soprattutto paura. Paura di perderti, di non vederti più, di essere solo un ostacolo per te e i tuoi sogni, di non essere alla tua altezza. Non lo sono mai stato, in realtà, e niente me l’ha fatto capire più di quel momento. Tu... tu ti meriti di essere felice, di essere amata, assecondata nelle tue scelte professionali. Hai fatto tantissimi sacrifici per poterci arrivare, e io... so che potrei starti a fianco in questo percorso, ma allo stesso tempo ho sempre avuto paura di non essere abbastanza, per te. E mai fino ad ora mi ero reso conto di quanto non sia sempre giusto seguire il cuore e l’istinto. L’irrazionalità fa commettere errori che non sempre possono essere aggiustati, e io ho le prove di ciò... come quel casco diviso a metà... come il mio cuore la mattina dopo lo sbaglio più grande della mia vita. Quando mi sono svegliato, quella mattina, e mi sono reso conto di quello che avevo fatto, io... avrei desiderato chiudere gli occhi e non riaprirli più.”
Anna non fiata, gli occhi sbarrati, luccicanti di lacrime.
“Perché non sarebbe mai dovuto succedere. Tu sei l’amore della mia vita, la donna che amo, quella per cui avevo finalmente deciso di cambiare, pur consapevole che fosse una strada tutta in salita. Ma non importava, non è mai importato, perché il tuo amore era il dono più prezioso che la vita mi avesse regalato, e lottare ogni giorno contro le mie paure era un sacrificio che ero pronto ad affrontare per il resto dei miei giorni, pur di averti al mio fianco... Quella mattina, invece di svegliarmi nel nostro Paradiso, come ogni giorno, ho capito di essere piombato all’Inferno. Non passa istante in cui non mi maledica per ciò che ho fatto. Per il dolore che ti sto causando. Io lo conosco, so come ci si sente, e so di meritarmi ogni singolo atto di vendetta che mi stai infliggendo, ma ero pronto a patirli tutti se questo significava avere una speranza di essere perdonato da te. Ma capisco dalle tue parole di poco fa che non accadrà. E non me la sento di andarti contro, perché mi merito anche questo. E... per quanto sia difficile per me anche solo l’idea di andare avanti come se tra noi non fosse mai successo nulla... per te, sono pronto a provarci comunque. A non farci più la guerra, a lavorare mantenendo rapporti civili. Per te farei qualsiasi cosa, anche andare bendato su un ponte. Perché ti amo. Amo te, solo e soltanto te. E farei qualunque cosa per vederti felice. E se la tua felicità è questa, mantenerci distanti, se è questo ciò che vuoi... allora lo farò.”
Non attendo un minuto di più, mandando giù il dolore di averle detto addio, scendendo le scale della caserma più in fretta che posso.
 
Anna’s pov
 
Sono ancora bloccata su questo divanetto.
Immobile, pietrificata dalle parole di Marco.
Nessuno mi aveva mai fatto una dichiarazione d’amore simile, nemmeno lui stesso quando mi disse di amarmi la prima volta.
Mi rendo conto che quello che avevo davanti fino a qualche istante fa non è lo stesso Marco di allora, e io lo so.
Marco è cambiato, in questi due anni insieme, si è impegnato ogni giorno per diventare la persona giusta per me, come io ho cercato di fare per lui. Non pensavo però che lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, un giorno.
Sentirglielo dire mi ha colpita.
Ho sentito il cuore iniziare a battere sempre più forte, sempre più veloce, come non lo sentivo più fare da settimane.
Come se avesse ripreso a vivere, dopo tutti quei giorni di torpore.
Per te farei qualunque cosa, anche andare bendato su un ponte.
Bel modo di amare!’, mi aveva detto quella volta.
Per amore si possono fare le cose più assurde’, gli avevo risposto io.
Ed era proprio quello che aveva fatto lui, quella sera, quando aveva capito che avevo scelto il lavoro.
La cosa più assurda che avrebbe mai potuto fare.
Mi aveva lasciata andare. Si era fatto da parte.
Permettendomi di inseguire i miei sogni pur di vedermi felice.
Ha lasciato che le sue paure vincessero e prendessero il sopravvento su di lui, tutte in una volta.
Si è annullato, per me.
Fino a diventare un uomo diverso, e a compiere un gesto che il vecchio Marco non avrebbe mai fatto.
Lui no, ma il mio Marco sì.
L’amore è follia, mi ha detto il maresciallo appena qualche settimana fa, e nessuno è stato più folle di noi due in questi anni, ad andare avanti nonostante i litigi, nonostante i pregiudizi sul fatto che, lavorando insieme, non saremmo mai potuti andare da nessuna parte.
Eppure... ce l’avevamo quasi fatta. Eravamo quasi arrivati alla meta, senza sapere che non era ancora giunto il momento.
L’importante è che nelle persone che abbiamo davanti, che amiamo, non vediamo solo gli errori, ma il cuore.
Anche le parole di mia madre tornano a risuonarmi in mente.
Quanto è difficile ammettere che aveva ragione anche stavolta, ma... è così dolce capire che è così.
Poco fa, ho visto davvero il cuore di Marco. Non si era mai messo tanto a nudo con me come in quel momento.
E come la prima volta che avevo potuto vederne uno scorcio, di quel cuore, ecco che adesso me ne sto di nuovo innamorando.
Non che io abbia mai realmente smesso.
Ma finalmente, l’odio che ho provato in queste settimane nei suoi confronti si sta rapidamente dissipando.
Come faccio a saperlo?
Facile.
Non sono più impietrita su quel divanetto nel mio ufficio.
Sto correndo a perdifiato giù per le scale della caserma, e ancora su per la scalinata in piazza, che Marco ha percorso per metà, per andare via.
Lo fermo, tuffandomi fra le sue braccia senza un pensiero in più.
Il mio cappello che rotola via senza che io ci presti attenzione.
E bacio Marco come non ho mai fatto in vita mia.
Mi abbandono completamente a lui quando lo sento stringermi forte a sé, incurante di tutto il resto.
Amore, odio, paura... di perdersi, ritrovarsi e ferirsi nuovamente.
Ma non importa. Non importa.
Perché solo insieme possiamo provare a ricucire le ferite che ci siamo inflitti.
Solo insieme possiamo rialzarci dopo questa caduta.
Perché l’abbiamo sempre fatto.
E adesso non sappiamo più farlo se non insieme.
 
Marco’s pov
 
È stata allo stesso tempo la giornata più brutta e più bella della mia vita, quella appena trascorsa.
Sono arrivato a un passo dal perdere per sempre la donna che amo, e invece me la sono ritrovata tra le braccia quando tutto sembrava finito.
Anna sta provando a perdonarmi.
Sì, è vero, abbiamo parlato, e quel bacio è stato quanto di più vicino a toccare il Paradiso possa esistere, ma la conosco.
So che non sarà facile, che la corazza che si è costruita addosso è dura, e che prima di rischiare di soffrire di nuovo, ci andrà con i piedi di piombo. Ma a me basta.
 
Ho saputo conquistarla una volta, adesso sono disposto a riprovarci in ogni modo.
Farò di tutto per dimostrare di meritarmi la seconda possibilità che mi ha concesso.
Questo miracolo.
Perché questo è stato.
Perché come la statua della Madonna dei Disperati è di nuovo tutta intera, anche il mio cuore e quello di Anna stanno rimettendo insieme i cocci, a uno a uno, con cautela. Ma ce la faremo.
Il piano strampalato del maresciallo ha di nuovo avuto il suo lieto fine.
 
La statua è tornata al suo posto, e io sono rientrato a casa Cecchini.
Anna mi sta perdonando, certo, ma abbiamo deciso di andar piano, di prenderci tutto il tempo necessario affinché tutto torni come prima. Senza correre.
Sono a un banco di prova importante, ma sono disposto a tutto per espiare le mie colpe.
 
Sul tavolo, in soggiorno, trovo la scatola che aspettavo.
La apro, rivelandone il prezioso contenuto: l’abito da sposa di Anna.
Sì, sono io ad averlo comprato.
Volevo che quel vestito meraviglioso restasse solo ed esclusivamente suo e adesso, alla luce di quanto accaduto, si è riaccesa in me la speranza che un giorno, forse non troppo lontano, possa vederlo di nuovo indossato dalla mia Anna.
Dopo averlo salutato come fosse il più bel regalo del mondo - e per me lo è - lo ripongo di nuovo nella scatola.
Se ci impegniamo, ce la faremo.
Arriverà il giorno.
 
 
Ciao a tutti!
Beh, questo secondo episodio è stato uno strazio per tutti. Vedere Anna e Marco così distrutti ha devastato anche noi.
L’unico modo per addolcire tutto era questo... far sì che Marco dicesse ciò che avrebbe voluto, in caserma, alla fine, senza accettare passivamente la presa di distanza di Anna.
Forse, se l’avesse fatto, sarebbe andata così.
Grazie sempre a Martina per uno dei migliori brainstorming di sempre.
In attesa di vedere cosa combinerà la piccola Ines.
A presto,
 
Mari
 
 

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Capitolo 3
*** Ricordati di santificare le feste ***


RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE
 
Anna’s pov
 
Quando ci è arrivata la segnalazione di un’aggressione in un autogrill, tutto ci saremmo immaginati tranne che la vittima fosse il Maggiore Tommasi, il genero di Cecchini, in viaggio per Spoleto insieme alla moglie Lia e il piccolo Nino jr per fargli una sorpresa per Pasqua.
A primo impatto sembrerebbe una rapina finita male.
Il Maresciallo è estremamente preoccupato, com’è normale che sia.
Una volta tornati in caserma, nel mio ufficio ci raggiungono Marco e... Sara.
Mi impegno a mantenere la calma.
“Volevo esprimervi la mia solidarietà per l’aggressione al vostro collega, vi sono vicina.” dice lei, e mi accorgo immediatamente che il mio buon proposito è stato inutile.
Perché è sempre così: ogni volta che si fa vedere, io vorrei scappare lontano.
“Grazie per la sua vicinanza... la apprezziamo.” rispondo sdegnosa, senza riuscire a trattenere l’occhiataccia per Marco, che abbassa lo sguardo.
Rapporti civili un cavolo, anche se sono stata io a chiederlo.
La PM prova a ignorare la tensione. “Ho saputo che il Capitano si è già ripreso!”
“È un po’ confuso ma ci stiamo lavorando.” è la risposta di Cecchini.
E già, perché Tommasi, per via della botta in testa, è convinto di essere ancora il Capitano di Spoleto, e di essere legato a Bianca Venezia, sua amica di lunga data e PM con la quale ha collaborato per un periodo.
“Ci sono novità sugli aggressori?” mi chiede Marco, cauto.
“Abbiamo diramato la targa dell’auto rubata.”
“Ma è stato un caso o volevano proprio colpire lui?”
“Gli hanno rubato il portafoglio,” rispondo alla Procuratrice, “probabilmente è solo una rapina finita male. Bene, se abbiamo novità vi faremo sapere.” chiudo sbrigativa la conversazione. Non ne posso più, per cui mi alzo in piedi, affrettandomi a stringere la mano di Sara e poi quella di Marco, con cui scambio uno sguardo a metà tra l’astio e il dolore.
Perché non sempre la maschera resiste, anche lui lo sa. Per quanto ci sforziamo, soprattutto io, quello che c’è stato tra noi non si cancella.
Ma nemmeno quello che ha fatto Marco.
E la presenza di Sara, ultimamente troppo pressante e costante, non mi aiuta di certo.
Mi fa male avere Marco davanti e dovermi obbligare a ignorarlo, nel migliore dei casi. Ma è più forte di me.
Il fatto che ci sia lei è anche peggio, perché se per un attimo riesco a dimenticare, vederla accanto a lui me lo ricorda, prepotente come un pugno allo stomaco, e giuro che è in momenti come questo che vorrei tanto aver scelto un percorso diverso nella mia vita.
Una volta usciti i due dal mio ufficio, torno al mio lavoro, unica fonte di distrazione dal resto. Anche se in realtà nemmeno quello aiuta, per lo stesso motivo di prima.
Convivere con la causa della mia sofferenza è tutt’altro che facile.
 
Marco’s pov
 
“E quindi? Avete fatto pace!” esclama Cecchini, una volta scesi in piazza.
Rido senza allegria. “Pace direi che è un parolone...”
La tensione nell’ufficio di Anna era palpabile. Ogni giorno è sempre peggio, ho quasi la sensazione che quella stanza si restringa su di me per soffocarmi, mi fa diventare claustrofobico.
Vorrei solo svegliarmi e scoprire che tutto quello che è successo è stato soltanto un incubo.
Ma non è così.
La mattina, quando apro gli occhi, sdraiata accanto a me non c’è più Anna. Sono solo, su un divano in prestito, a farmi compagnia solo la lampada del soggiorno di Cecchini.
Quando mi vesto, non c’è più lei che viene ad aggiustarmi la cravatta, lamentandosi che faccio il nodo sempre male. Sistemarlo mi provoca un groppo in gola che non mi fa respirare.
Le speranze di un suo perdono si affievoliscono sempre di più, ancora peggio da quando mi ha chiesto quella maledetta tregua.
Sarò onesto: quando mi ha detto di non volermi più odiare, per un istante avevo sperato nel miracolo, avevo pregato come non mai che quella frase terminasse diversamente da com’è stata.
Ma se è questo che Anna vuole, sono disposto a fare un passo indietro. Uno, mille... tutti quelli che vuole. Nella speranza che col tempo, magari, cambi idea.
Certo, non è facile mantenere le distanze, ancor meno quando c’è Sara in caserma, che si fa vedere anche troppo spesso ultimamente, e quello è ormai l’unico momento in cui posso stare accanto ad Anna. Questa cosa mi innervosisce non poco, ma devo controllarmi. Devo cercare di essere più razionale. La mia impulsività ha già fatto abbastanza danni.
 “Abbiamo deciso di guardare avanti, diciamo.” commento, ricambiando il saluto di Sara, appena salita in auto per andar via.
Cecchini salta immediatamente sulla difensiva. “Cerchi di non guardare troppo avanti...!”
“No, non lo diciamo nemmeno per scherzo, Maresciallo. Con Anna abbiamo concordato di... ignorarci civilmente, diciamo così.”
Non deve nemmeno pensarla, una cosa del genere. Sara è il mio capo, niente di più.
Come può credere che io possa guardare oltre? Dubito ci riuscirò mai, dopo Anna.
Sono certissimo, su questo: quella maledetta notte per me non conta assolutamente nulla. Non ero nemmeno io, non ero in me.
Non lo dimenticherò tanto facilmente: non quello che è accaduto, quei momenti sono per fortuna annebbiati per via dell’alcol, ma il risveglio.
All’inferno.
Quello stesso inferno in cui ho spedito Federica e Simone. Dove sono finito anch’io. Quello in cui Anna ha deciso di ignorarmi civilmente.
I miei pensieri sono interrotti dalla voce di una bimba.
“Per favore, mi potete aiutare?”
È la piccola Ines, la figlia di Sergio La Cava. È ospite di Don Matteo, mentre il padre è ancora qui a Spoleto a fare chissà cosa.
“Che c’è?” Le chiediamo.
“Mi dovete aiutare!”
“Per cosa?”
“Per mandare in prigione Don Matteo!” Afferma lei, lasciando sia me che il maresciallo basiti. “Abita là, è sempre vestito tutto di nero, con una bicicletta, dice che fa il prete ma io non ci credo, i preti non sono così!”
Non trattengo un sorriso. Hai capito, la piccolina...
“Perché vuoi mandare in carcere Don Matteo?” domanda Cecchini, curioso.
“Perché è cattivo. Ha mandato mia nonna in un posto brutto.”
Mi abbasso sulle ginocchia per stare al suo livello. “Un posto brutto... che posto brutto?”
“Una specie di casa grande, dove ci sono persone tanto vecchie.” mi spiega, imbronciata.
Una casa di cura, probabilmente.
Però che carina, questa bimba... molto intraprendente e sicura di sé. “Tu mandi in prigione Don Matteo e poi liberi la mia nonna!” esclama, festosa: ha trovato una soluzione.
“Però non è che funziona proprio così...” le rispondo, col tono più dolce che riesco a trovare.
Lei cambia tattica. “Ti prego, non ho più la mamma, il papà non ce l’ho... Ti prego!”
Mi intenerisce da morire, ma non posso aiutarla come vorrebbe lei...
“Lo so, ma io non so veramente che cosa fare...”
Lei fa una buffa espressione infastidita. “Mia nonna aveva ragione, ‘chi è rosso di capello non è capace di fare niente di bello’.” Mi accusa, lasciandomi senza parole e saltellando via.
“Non lo conoscevo ‘sto proverbio... però secondo me è giusto- sbagliato... che c’entrano i capelli...”
Certo, Cecchini deve sempre commentare.
Mentre lui torna in caserma, io rimango lì impalato a pensare.
La piccola Ines mi ricorda qualcuno... qualcuno che ‘odia’ Don Matteo, che è intraprendente, sicura di sé e che vuole sempre trovare soluzioni da sola... la sua versione in miniatura, diciamo.
Forse è per questo che mi ha colpito così tanto, poco fa.
Ci mancava solo il commento di Cecchini in proposito.
Sì, decisamente mi ha ricordato dei momenti con qualcuno.
Qualcuno che mi manca terribilmente.
 
Comunque, prima di rientrare da Cecchini, per la cena con il Maggiore - o Capitano, per il momento - Tommasi, devo passare dal tribunale, per cui mi decido a darmi una mossa e avviarmi.
Durante il tragitto, la mia mente torna all’incontro con la piccola Ines.
Quella bimba mi piace. Non c’è un motivo specifico, in realtà, ma una sensazione.
E tutto di lei mi ricorda Anna.
 
Anna’s pov
 
È stata una giornata lunga al lavoro, e non vedo l’ora di riposarmi un po’.
Entro in casa con l’obbiettivo primario di togliere la divisa, ma un oggetto cattura la mia attenzione: una foto di Tommasi attaccata al muro, e con quella tanti altri quadri non miei e attrezzi da palestra e boxe che di sicuro io non uso.
Non ci metto molto a notare l’artefice del trasloco.
“Cecchini! Ma che sta facendo?”
Lui molla quello che ha in mano e mi raggiunge in soggiorno.
“Ah, finalmente, Signor Capitano, è arrivata...”
Farfuglia qualcosa sull’avermi chiamata per telefono, cosa non vera, per poi spiegare, “Ehh... mi sono portato avanti col lavoro, mi sono permesso, sapendo che Lei c’ha un cuore grande... Siccome oggi il Capitano Tommasi è stato dimesso dall’ospedale, e...”
“... E Lei lo vuole mettere a casa mia.”
Trattengo malamente il nervosismo. Le adulazioni con me non funzionano, lui lo sa, ma il vizio non se l’è tolto. Con molta esitazione, ammette che ho ragione.
“... Sì. Allora, che succede... che lui è convinto che questa sia casa sua! E allora come si fa? Si tratta soltanto di due giorni... Siccome lui a suo tempo aveva prenotato l’albergo qua a Spoleto, il PQ Hotel... va Lei! Si può fare...?”
Se da un lato vorrei strozzarlo, perché mi ha praticamente sfrattata da casa mia senza chiedere, dall’altro mi ha fatto capitolare all’istante.
“... Lei farebbe di tutto per il suo Capitano.” mormoro. È suo genero, in fondo, ed è normale che voglia aiutarlo. E poi, sbaglierei a prendermela con lui, la corazza è per Marco, non per il Maresciallo.
Di più, per Tommasi, Cecchini è praticamente un padre, come ormai lo è per me, e so che farebbe davvero qualunque cosa per chi ama.
“Sì, e farei di tutto pure per Lei, e pure per Nardi, se le cose andavano come dovevano andare...”
Una pugnalata.
Ma lo so, non c’è bisogno che lo ribadisca, perché lo ha già fatto anche per noi.
Perché nei due anni che sono passati, mentre io e Marco eravamo convinti di occuparci di lui, di dover fare del nostro meglio per aiutarlo a superare la depressione subentrata dopo la morte di Caterina, in parte era lui che si occupava di noi. Col suo continuo impicciarsi, il volersi assicurare che le cose tra noi andassero bene... Perché se noi stavamo bene, anche per lui sarebbe stato tutto a posto.
Anche per il matrimonio. Io mi sono arrabbiata perché lui sapeva e non mi ha detto nulla, ma lo ha fatto per me, perché mi vuole bene. Sperava solo in una mia diversa reazione. E lo ha fatto per Marco, perché voleva che si liberasse di un peso e fosse sincero con me.
Il Maresciallo è così, generoso... a volte anche troppo.
Ma è proprio questa la sua qualità migliore.
“Vabbè, lasciamo stare Nardi...” commento soltanto, perché sentirlo nominare mi provoca comunque dolore.
La mia frase basta a fargli capire che ho accettato, e mi rincuora vederlo di nuovo sorridere per l’appoggio.
“Grazie, grazie veramente... Patatino, divertiti questi tre giorni!” gli dice, mentre il cane lo osserva, curioso.
Aspetta un attimo...
“Aveva detto due!”
Lui cerca di riprendersi. “Ho sbagliato... Due, due sono, Patatino...!” conclude in fretta, dileguandosi oltre la porta.
Sospiro pesantemente.
Due giorni... i primi, mi sa.
Ma per lui, questo e altro.
 
Marco’s pov
 
Stasera sono invitato a casa Cecchini, per la cena con Tommasi, dimesso oggi dall’ospedale. Ci sono anche Ghisoni, Barba e Zappavigna, naturalmente con Lia e il piccolo Nino.
Mentre attendiamo il rientro del Capitano, non posso fare a meno di pensare a Lia, a come si senta. Suo marito non solo non si ricorda minimamente di lei, ma peggio, è convinto di stare con un’altra.
Ma cos’è, una congiura?
I miei pensieri sono interrotti dall’arrivo di Tommasi, che ci saluta tutti. Il Maresciallo ci ripresenta, come se non ci conoscessimo, ma è comprensibile: ha rimosso gli eventi degli ultimi quattro anni e mezzo dalla memoria, non può certo ricordarsi di quei pochi mesi in cui avevamo lavorato insieme dopo il mio arrivo a Spoleto per sostituire la mia collega Lucrezia Volpi.
Mi ricordo bene il nostro primo incontro.
Mi è sembrato subito un Carabiniere molto professionale e in gamba, meticoloso, molto attento ai dettagli. Ma anche un ottimo padre e un buon marito.
Un uomo tutto caserma e famiglia.
Mi viene quasi da ridere: dev’essere un tratto distintivo dei Capitani, questo.
Certo, quell’incontro non assomiglia minimamente a quello avuto con un altro Capitano...
Lì erano state scintille.
Ricaccio indietro i ricordi, mettendomi finalmente a tavola con gli altri.
Cecchini ci ha detto che bisogna assecondare Tommasi in tutto per adesso, secondo le direttive del medico, ed ecco perché poco fa mi sono ritrovato ad assicurargli di conoscere la sua ‘fidanzata’ Bianca Venezia. Questo nome non mi è nuovo, forse ci siamo incrociati in tribunale qualche volta, oppure è per via dei racconti del Maresciallo, non sempre troppo positivi nei suoi riguardi.
La cena termina bruscamente quando Tommasi propone un brindisi a Bianca, e Lia si alza, offesa, con la scusa di dover mettere il bimbo a letto.
La capisco... è terribile vedere la persona che ami affermare di essere innamorata di un’altra. Fa male, malissimo, ma spero che nel suo caso tutto possa risolversi presto. Lui ha solo perso momentaneamente la memoria, Federica all’epoca no, era pienamente consapevole. Con lei sono stato sfortunato.
Ma ogni caso è a sé.
Dopotutto, Tommasi non la sta tradendo volutamente, così come io non l’ho fatto con Anna.
Magari Anna dimenticasse gli eventi degli ultimi mesi...
Ma non è questo il miracolo che vorrei che la Madonna dei Disperati compisse, no. Non sarebbe giusto. Mi sentirei anche peggio.
Cecchini su questo ha ragione, devo espiare.
Ma quanto ancora deve durare, questo percorso?
 
Anna’s pov
 
“Che cosa ci fa lui qui?”
Come se già non avessi abbastanza problemi di mio, si aggiunge anche Tommasi alla lista.
Già, perché è convinto di essere ancora il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, ma magari fosse solo quello... oltre casa, si è preso pure il mio ufficio!
“Maresciallo, io posso capire la malattia, posso capire che devo dormire in albergo... però il lavoro no.”
Lui fa spallucce, sconsolato. “C’ha ragione, però... gli parlo io, magari a me mi sta a sentire...”
Tommasi esce, raggiungendoci. “Cecchini! Buongiorno Maresciallo! Mi scusi, ma... tutti i miei quadri, la mie foto, non ci sono più!”
“Stiamo cercando di rimettere, diciamo, meglio...”
“E poi scusi, la divisa... io l’ho cercata a casa ma non la trovo!”
“L’ho portata in lavanderia io perché c’aveva una macchiettina...”
Io osservo lo scambio senza fiatare, tentando di restare calma.
“Mi sembra strano... Comunque pensiamo al lavoro, perché Ghisoni mi ha avvisato dell’aggressione. L’indiziata dov’è?”
L’occhiataccia a Ghisoni non gliela leva nessuno, così come qualche altro giorno di consegna. Inutile che si mangi le mani adesso. Ma che cavolo! Cos’è, si è già scordato chi è il Capitano, qui?
“L’indiziata è giù, sta salendo, diciamo... però, Lei, io la vedo più bianco... è meglio che si riposa, dopo tutto quello che Le è successo...”
“Quale riposo? Qua non c’è tempo di riposarsi! Io sono stato rapinato, è stata aggredita una ragazza, qui a Spoleto la situazione sta degenerando!”
Cosa?!
No, questo no. Va bene tutto, assecondarlo e quant’altro, ma questo non glielo faccio dire. Anzi! Semmai, molte cose io le ho sistemate!
“No, mi scusi, se permette... la situazione a Spoleto è perfettamente sotto controllo...!”
Lui si volta finalmente a guardarmi, come se fino ad ora non mi avesse nemmeno notata.
“Prego? Lei è?”
Gli porgo la mano con riluttanza.
“Capitano Anna Olivieri.”
“Capitano Giulio Tommasi, piacere.”
Cecchini si affretta a inventare una scusa. “Praticamente quando Lei è stato male, hanno mandato la sostituta... Conosce il caso alla lettera, sa tutti i dettagli, i particolari, però...” - tremo - “non ha l’esperienza che c’ha Lei! Una grande esperienza che a Lei farebbe comodo...! Quindi io farei ‘na cosa... L’interrogatorio lo fa Lei, e Lei invece supervisiona dall’alto!”
Non ho parole.
“Che faccio io, scusi?” fa l’altro, interdetto.
Mai quanto me, Maggiore, mai quanto me.
“Supervisiona, fa la supervisione dall’alto... giusto? Potrebbe essere una soluzione...”
“Va bene, sì, per il momento può rimanere. Venga, si accomodi.”
Perfetto, adesso vengo pure invitata ad accomodarmi nel mio ufficio.
Fantastico.
Santa pazienza... io ne ho tanta, di solito, ma qua mi sembra non basti affatto.
 
Arriva finalmente l’indiziata.
Almeno posso ancora sedermi al mio posto, per ora.
Inizio l’interrogatorio.
“In che rappor-”
“Maresciallo, io questa pianta non la voglio,” mi interrompe bruscamente Tommasi. “La porti via, la porti via... No, anzi, la metta lì...”
Io osservo Cecchini fare avanti e indietro, incredula.
Ma dove siamo, all’asilo?
“Abbiamo finito?” Faccio a un certo punto, seccata.
“Ho sistemato la pianta... lì.”
“Ho visto...”
“Continui, continui...” concede Tommasi, finalmente. Mi trattengo dallo scuotere la testa. Ma che modo è?
“Scusi... in che rapporti è con sua figlia?”
“Ultimamente non buoni.”
“Perché?”
Lei fa un sorrisetto ironico. “Eh, sarà capitato anche a Lei di discutere con sua madre senza un motivo preciso, no?”
Abbasso lo sguardo, infastidita. “No, mia madre me ne dà tanti, di motivi... e anche ben precisi.” commento, con un’occhiataccia a Cecchini.
Perché, come dicevo, non mi bastano i miei pensieri, pure i biscottini non mi danno tregua.
“Le dica di non farsi coinvolgere dai casi...” sento mormorare Tommasi, e stavolta mi devo impegnare sul serio per non saltar su.
“Non ho sentito niente...” biascica Cecchini nel tentativo di ignorarlo, senza successo.
“... Sul lavoro, le cose personali... è un pochettino acerba...”
Acerba? Io?!
“Aehm, come?!”
“... Un pochettino acerba...” borbotta il Maresciallo senza guardarmi, ma io non demordo.
“Non ho capito...!”
“Continui!”
Grazie, Tommasi, veramente!
Riprendo, e vediamo se la possiamo concludere.
“... Dicevo, dov’era ieri pomeriggio?”
“In hotel, al lavoro, come sempre.”
“E ha incontrato sua figlia?”
“Sì.”
“A che ora?”
“Alle quattro, più o meno.”
“Glielo dico io...”
Mi lancio nella spiegazione di come secondo me potrebbero essere andate le cose, quando Agata fa uno strano commento su cui non possiamo indagare per via dell’arrivo di De Seta, che se la porta via.
 
Tommasi cammina fin davanti alla scrivania, un’espressione di sufficienza sul volto.
“Benino, benino... certo, Lei ha ancora tanto da imparare, se lo faccia dire.”
Ovvio, ma non è che la sua uscita sulla pianta sia stata più professionale...
“Sicuro...” mormoro, evitando di guardarlo per non fare o dire cose che non vorrei.
“Se la cavicchia... 6... 6 e lode?” mi corre in aiuto Cecchini, con Tommasi che lo guarda come a dire ‘ma non più di così’.
“Scusi, ma adesso io e il Maresciallo dobbiamo continuare a lavorare. Può andare, grazie.”
“Assecondiamolo, assecondiamolo...” borbotta il Maresciallo alla mia esitazione. Io mi affretto a uscire, non prima di aver sbattuto la matita sul tavolo, rabbiosa.
Sarà l’ennesima che spezzo, in questi giorni.
Per la prima volta nella mia carriera, non riesco a sedare la rabbia.
E nemmeno la gelosia.
Sì, sono gelosa!
Va bene assecondare Tommasi, va bene aiutarlo per l’amnesia, ma il resto non posso accettarlo.
Non che tutti continuino a considerarlo superiore a me, Cecchini e Ghisoni in primis. Formalmente lo è, è un Maggiore, ma non significa che sia obbiettivamente più capace.
Sono arrabbiata anche col Maresciallo, adesso, perché lui ha detto di voler aiutare anche me, ma così fa tutto il contrario! Buttarmi quanto più possibile nel lavoro è l’unica cosa che al momento mi permette di non pensare ai miei problemi, e adesso non posso fare nemmeno quello, perché oltre che prendersi casa mia, Tommasi pretende di voler dirigere la caserma al mio posto, limitando ogni mia mossa.
E poi, va bene la memoria persa, ma ‘benino’? ‘Acerba’?
Ci sono rimasta veramente male. Mi sono sentita offesa come poche altre volte.
Ancora peggio quando ha detto che mi lascio coinvolgere dai casi, per un semplice commento empatico!
A quelle parole mi sono arrabbiata davvero.
Va bene che è un mio superiore, ma in questo momento è convinto di avere il mio stesso grado, solo con qualche anno in più. Soprattutto, nemmeno mi conosce e si permette di sputare sentenze.
Come qualcun altro aveva fatto prima di lui, del resto...
‘Lei si lascia commuovere... Prima o poi Le passerà.’
Sorrido al pensiero di quella mattina.
Lui si era ricreduto subito, però.
Non ti ci mettere anche tu, per favore. Io non mi lascio condizionare, faccio solo il mio lavoro.
Non ti conosco da molto, ma non ho mai pensato il contrario.
Il sorriso svanisce in fretta com’è comparso, sostituito dalla malinconia, la delusione e la rabbia che mi accompagnano ormai costantemente.
Per quello che è stato, per ciò che Marco ha distrutto.
 
Scendo in strada per tornare in hotel, visto che in caserma non sono la benvenuta, ma Spartaco mi blocca.
“Capitano, proprio Lei cercavo! M’hanno rubato il motorino!”
Non nascondo il mio fastidio.
“Guardi, perché non va dal Capitano Tommasi, che a quanto pare è più bravo di me...?” rispondo, astiosa.
Lui ignora il mio commento. “Io tanto so chi è stato, da quando c’è lui sono aumentati i furti.”
“Lui chi?”
“Sergio La Cava, l’ex carcerato! Se controllate dove vive, saltano fuori tutti i motorini rubati, scommettiamo?”
 
Approfitto della giornata libera, allora.
Raggiungo il luogo secondo cui, dalle mie fonti, risulta abitare Sergio al momento: un camper in una strada di campagna appena fuori Spoleto.
Guarda caso, lo trovo intento a fare ‘affari’ con dei motorini.
“ ‘giorno.” mi saluta quando mi vede.
“Buongiorno.”
“Scusami, non ti do la mano, ché le ho sporche...”
“Figurati... vedo che hai aperto una nuova attività.” commento, sarcastica.
“Sì, in carcere ho imparato ad aggiustare motorini, macchine... mi arrangio.”
“Aggiustare o a rubare?”
Lui fa quel suo solito sorriso strafottente. “Rubare? Ah, che paroloni... Sono accuse gravi, queste qui, Capitano...”
“Per te è tutto un gioco, vero?” gli chiedo, lasciando perdere il giro largo.
“Stai tranquilla, tanto tra qualche giorno me ne vado.”
“E Ines?”
“Cosa? Ines non ha bisogno di me.” afferma, ma non mi convince.
“Tutte le figlie hanno bisogno di un padre.” è la mia risposta, che non sortisce l’effetto che vorrei.
“E allora sono io a non aver bisogno di lei.”
“Eppure sei ancora qui.” ribatto. Può negare quanto vuole, ma lo sguardo non mente.
Non è andato via, e il motivo è questo.
Lui non sa cosa rispondermi per qualche secondo, così cambia argomento.
“... che vuoi? Cosa vuoi? Se sei venuta qui per scoprire se ci sono dei motorini rubati, prego, accomodati... Il resto, non sono affari tuoi!”
Capisco che è inutile insistere, e vado via senza replicare.
 
Il suo modo di fare mi innervosisce e basta.
Perché, perché?
Ma chi si crede di essere?
Mi ricorda quel cretino di Lupo Dossi, il principe dei crackers.
Possibile che certi uomini siano convinti che conti solo l’aspetto, la superficialità?
Che ci sia gente che guarda solo l’apparenza e non il carattere?
Detestavo Dossi quanto quel dannato posto in cui sono dovuta andare sotto copertura.
Ci sono rimasta solo perché si trattava di lavoro e perché Marco veniva mille volte al giorno a trovarmi.
Ricordo ancora la sua faccia quando rispondevo per le rime a quello scemo, o quando mi invitò a ballare... Se ci penso, arrossisco.
Sembrava così geloso, e tra di noi non era ancora successo nulla.
Il nostro rapporto era appena agli inizi.
Quel che mi è rimasto particolarmente impresso però è stato il suo discorso a bordo piscina.
Non solo il suo complimento inaspettato, ma anche il suo ribadire che non valeva la pena cambiare per gli altri, e che fosse meglio restare soli, piuttosto.
All’epoca non lo sapevo, ma col tempo ha tutto acquisito un senso ben preciso.
Lui, così convinto che il cambiamento non fosse nemmeno da prendere in considerazione, per me è diventato un uomo diverso. Ci ha provato, e ci è riuscito, sarebbe da stupidi affermare il contrario.
Alcune cose però non sono cambiate, come la mia testardaggine e la sua impulsività, e adesso ne stiamo pagando le conseguenze.
Mi fermo un attimo a questa considerazione.
Non è così, non è vero.
È solo colpa sua se siamo in questa situazione, mi ripeto. Mi ha tradita, io non ho fatto niente.
Più o meno, mormora una vocina nella mia testa.
Okay, va bene, tenergli nascosta la questione del Pakistan non è stata la mia idea migliore, ma dirglielo prima non avrebbe cambiato niente.
In fin dei conti, sarebbe comunque stata una decisione mia, che avrei preso da sola, e Marco lo sapeva, questo.
Marco sa tutto, di me.
Ed è questo che mi fa più male.
Perché l’unico che potrebbe aiutarmi in questo momento è lui, e paradossalmente è lo stesso colpevole di quanto successo.
Stavolta non posso chiedergli di consolarmi.
 
Ci mancava solo la questione di Sergio.
Non capisco perché si ostini a comportarsi così. Io sto solo cercando di farlo ragionare, non gli sto mica chiedendo la luna!
Tutti i bambini hanno bisogno dei propri genitori, e Ines ha soltanto lui.
Conta poco, che lui dica di non importargli, perché so che non è così. Non sarebbe nemmeno venuto a Spoleto, se così fosse.
Sono sempre stata brava a leggere le persone che ho davanti, chi mi conosce lo sa bene.
Sergio non è un santo, certo, ma ciò non toglie che sia il padre di una bambina che ha bisogno di lui, e che ha solo paura di fallire.
E io sono troppo testarda per arrendermi così.
 
La mattina dopo, corro al mio appartamento.
Cecchini mi ha detto di aver chiamato Tommasi da lui per riconsegnarli la vecchia divisa da Capitano, così io posso approfittarne per prendere alcune delle mie cose che mi servono, quindi ho i minuti contati.
Penso di essere riuscita a scamparla, quando Tommasi sbuca fuori dalla porta alle mie spalle in tenuta da corsa, chiedendomi che ci facevo a casa sua.
Per fortuna - più o meno - Cecchini corre in mio soccorso, con una scusa poco credibile, ma pazienza.
Alla fine mi ritrovo pure senza chiavi di casa.
Ma quanto deve durare la mia permanenza in hotel?!
A completare il quadretto arriva Bianca, che a quanto pare aveva appuntamento col Capitano per andare a fare jogging.
Lia, che ci ha raggiunti sul pianerottolo, non è molto contenta, c’è da capirla.
Convince suo zio a seguire Tommasi e la PM, dopo avermi riconsegnato in fretta le chiavi senza farsi notare, e io resto da sola con lei.
Cerco di consolarla come posso.
“Tranquilla, vedrai che in breve tempo tuo marito si riprenderà.”
Lei mi concede un sorriso amaro. “Mh, forse. Tanto la verità è che non conosci mai chi hai di fianco.”
La sua frase mi spiazza.
Cosa avrà voluto dire?
Certo, io un significato glielo so dare, anche piuttosto preciso, ma non è possibile che valga anche per lei. Non è mica stata tradita, lei, no?
Tommasi ha solo perso la memoria per un po’.
Però, quanta verità.
Io pensavo di conoscere bene Marco, pensavo di sapere tutto di lui, e invece la vita e le persone non smettono mai di sorprendere, non sempre in bene.
Il dolore torna prepotente a lacerarmi il cuore, come ogni volta che penso a lui.
Perché? Perché ogni cosa deve riportarmi a Marco?
Magari fossi a Islamabad... niente Marco e il suo tradimento, niente Cecchini e le sue folli idee, niente Tommasi che non mi ritiene all’altezza di guidare una caserma.
E invece sono intrappolata qua, sommersa oltre che dai miei pensieri e problemi, dalla vita degli altri che inevitabilmente incrocia la mia.
 
Marco’s pov
 
Il ritorno di Tommasi con la sua amnesia temporanea mi ha costretto a cercarmi un B&B per qualche giorno, per lasciar spazio a Lia e il suo bimbo dal Maresciallo.
Io ho accettato senza problemi, vista la situazione, ma Cecchini ha insistito per aiutarmi lo stesso, impicciandosi come al solito, quindi a pranzo e a cena sono stato tassativamente invitato in canonica da Don Matteo.
È qui che mi trovo, adesso, mentre fervono i preparativi per la Pasqua. Sofia sta aiutando il parroco a dipingere le uova, insieme a Natalina e Pippo. Io sono stato esonerato, con una tazzina di caffè abbastanza imposta tra le mani.
Ma apprezzo tantissimo quello che stanno facendo per me.
Non manca nemmeno il sottofondo musicale: Ines è intenta a suonare la sua chitarra, e Natalina ha iniziato a dare di matto.
“Come sta Ines, è ancora arrabbiata?” chiedo, con un sorriso.
“Lei che dice? So’ tre giorni che suona a ‘sta maniera!” risponde Pippo.
Mi sa che è colpa mia, perché non ho arrestato Don Matteo. Ops.
Io e il Maresciallo gli abbiamo raccontato della conversazione con la piccola e lui, per tutta risposta, con la calma che lo contraddistingue e che gli invidio, ha semplicemente sorriso.
“Ohhhh, fa’ smettere subito sto sbobanamento, non c’ha facc’ ‘cchiu!” si dispera la perpetua.
Il suono si interrompe all’improvviso.
“Ahia...” mormoro.
Sofia spalanca gli occhi. “Sempre saputo che sei una strega!”
“Imbecille... Intanto ci rilassiamo... Santa pace!” è il commento di Natalina.
Dev’essere un problema tecnico, credo. Come minimo sarà saltata qualche corda.
Ed ecco la piccola Ines che ci raggiunge.
“Si è rotta!” esclama, affranta.
La scena mi intenerisce non poco: la chitarra è più grande di lei, la porta a fatica.
Provo ad avvicinarmi, abbassandomi sulle ginocchia per controllare il danno.
“Ehi... posso?”
“Non toccarla.” è la sua risposta piccata.
Ah.
Farsi aiutare spontaneamente non è una caratteristica che le appartiene, a quanto pare.
Ma io, col gentil sesso che non si lascia aiutare, ho una solida esperienza.
È incredibile quanto Ines sembri la versione mini di una donna che conosco molto bene.
Capisco che, come ero solito fare con lei, l’unica via da percorrere è quella di guadagnarmi la sua fiducia, cercando un terreno comune.
La strategia viene da sé, in modo molto naturale.
“Ma... è una Strato del ‘79, questa, giusto?” le chiedo. Conosco bene quella chitarra. Si suona un ottimo rock, con quella.
“Come lo sai?”
“Lo so, ne ho anch’io una, solo che la mia è dell’‘81, la tua è più preziosa, quindi... E la utilizzava quello che secondo me è il più grande di tutti i tempi. Jimi Hendrix...!”
“Jimi Hendrix!”
Rispondiamo entrambi in coro, e mi sorprende tantissimo. Così piccola, e già sa chi è Jimi Hendrix. Mi piace sempre di più, e il sorrisone che mi regala mi scioglie ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno.
“Posso?” provo a domandare, di nuovo. Lei stavolta mi lascia prendere la sua chitarra.
“Era della mia mamma... si può aggiustare?”
“Bisognerebbe cambiare la cassa.”
“Però se non si può, la pago io, non c’è problema!” si intromette Natalina. E meno male che lei non sopportava di sentirla suonare...!
“Eh, ma non ne fanno più, così.” sono costretto ad ammettere. È un modello antico, non ci sono più i ricambi.
“Non ne fanno più?”
“No... mi dispiace tanto tanto.” dico rammaricato ad Ines.
“Grazie lo stesso.” mormora lei, triste, prima di tornarsene mogia mogia in stanza, la chitarra stretta tra le manine.
Mi dispiace moltissimo non poterla aiutare, probabilmente quello strumento è uno dei pochi ricordi che le rimangono della madre, e vorrei poter trovare il modo di trasformare quel broncio nel meraviglioso sorriso di poco fa.
Torno al tavolo.
“Ma chi è il suo tutore legale, adesso?” chiedo, ricordandomi della situazione.
Me ne ha parlato Cecchini, e avendo familiarità col mondo dei tribunali, so che in assenza della nonna la bambina ha necessariamente bisogno di un tutore.
“Io spero che le cose si sistemino.” si limita a dire Don Matteo. So che anche lui sta cercando di convincere Sergio a prendersi cura della piccola, senza successo. Non che sarebbe facile per lui ottenerne la custodia, è pur sempre un ex galeotto, e gli assistenti sociali ne terranno inevitabilmente conto.
“Eh, ho capito, però senza un tutore lei non potrà star qua. Mi dispiace, ma non è possibile...”
Dopo un po’, torno al B&B.
Ripenso a quanto successo.
Per qualche inspiegabile ragione, la storia di Ines mi ha parecchio coinvolto.
Ma ho già i miei problemi, farmi carico anche dei suoi non mi sembra l’idea migliore.
Anche perché, se non sono in grado di sistemare i miei, come potrei essere d’aiuto nel risolvere quelli degli altri?
 
Anna’s pov
 
In caserma, continua a spadroneggiare Tommasi.
A quanto pare, il vizio di andare dal suo amico prete, Cecchini lo ha sempre avuto.
Anche se con me non attacca. Non ho bisogno del suo aiuto, io.
Tommasi comunque mi infastidisce non poco.
Mi tratta come una recluta, come una che non ha idea di come si faccia il suo lavoro o di come si porti avanti un’indagine.
Questa cosa mi fa arrabbiare da matti.
Tutti sanno che sto facendo un ottimo lavoro, qui a Spoleto e, smemorato o meno, lui non ha il diritto di trattarmi così, non mi conosce affatto e invece pretende di sapere già tutto di me.
Cos’è, pensa che una donna non sia adatta a fare il Carabiniere?
No, non credo, Cecchini mi ha raccontato che proprio lui ha incoraggiato Lia a entrare nell’Arma, quindi non può essere questo, anche se nel suo caso era un Carabiniere semplice e io sono un Capitano...
Allora cosa, pensa che io possa prendergli il posto?
Non ha senso, perché in realtà l’usurpatore è lui... Sono io il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, lui è Maggiore a Roma, ormai. Io lo rispetto, ci mancherebbe, per aver ricevuto la nomina significa che ha svolto un lavoro encomiabile, ma proprio per questo dovrebbe smetterla di buttare sentenze a caso.
Anche io ho lavorato duro, fatto sacrifici quanto e più di lui, per arrivare dove sono. E mi farebbe piacere che quantomeno facesse lo sforzo di rendersene conto, come tutti gli altri con cui ho avuto a che fare finora.
Nessuno meglio di me qui sa che il mondo dell’Arma è chiuso e molto maschilista, l’ho anche reso abbastanza esplicito più volte, nel corso dei vari casi che abbiamo affrontato da quando sono qui. Ho dimostrato di essere all’altezza del mio ruolo, e Cecchini e Marco su tutti ne hanno avuto la conferma contro il loro iniziale scetticismo. Mi sono guadagnata il rispetto di tutti, e non è stato affatto facile.
Tutti avevano dei pregiudizi su di me, lo so anche se non me lo hanno mai detto platealmente. Ma era chiaro, al mio arrivo.
E farò lo stesso con Tommasi, lo farò ricredere.
Per questo decido di occuparmi di ciò che lui mi ha ordinato di fare, ma non perché è stato un ordine, appunto, ma perché voglio dimostrargli che sono molto più in gamba di quanto non creda lui.
Quell’aria di sufficienza che mi riserva non me la merito.
Sì, sono testarda, ovviamente, e orgogliosa, se non si fosse ancora capito.
E se qualcuno prova a mettermi i piedi in testa, io reagisco.
Non importa se sia Tommasi, Sergio o Marco, non fa differenza.
Dimostrerò di essere la donna fiera e forte che è arrivata dov’è oggi.
 
Più tardi, in caserma, Cecchini mi informa di ciò che gli ha raccontato la PM Bianca, a proposito del caso seguito da Tommasi a Roma.
Capisco che la sua aggressione dev’essere collegata.
“... Noi dobbiamo trovare un collegamento tra questi due e la PQ Hotel. Cos’è che ha detto l’a... l’amica del Capitano?” gli chiedo.
“Il Capitano non ha potuto dire a Bianca che la catena sospettata era proprio il PQ Hotel. E comunque,” cambia discorso lui, una volta nel mio ufficio, “‘amica’... Non è come pensa Lei. Il Capitano Tommasi è un marito esemplare, non tradirebbe mai mia nipote.”
Mi trattengo dallo sbuffare. “Anch’io pensavo di star per sposare un uomo esemplare.”
“Il Capitano è il Capitano.” lo difende lui, irritandomi ancora di più.
“Maresciallo, a Nardi è bastato un litigio per tradirmi, e a Tommasi una botta in testa per pensare di stare insieme a un’altra donna.” commento.
Qualsiasi cosa ne dica, non cambia lo stato delle cose.
Entrambi sembrano aver cancellato con un colpo di spugna quello che è stato, senza nemmeno porsi domande sul momento. Solo a danno fatto, forse. E fa male.
Cecchini però torna a parlare.
“Nardi ha sbagliato, il Capitano è confuso... ma loro due, nel loro cuore, veramente... lo sanno, chi amano.”
Mi lascia così, da sola nel mio ufficio, a riflettere.
Anche mia madre ha detto qualcosa di simile, che non dobbiamo solo guardare gli errori nelle persone, ma soffermarci sul loro cuore.
Cos’è, si sono messi d’accordo, i biscottini?
Per carità, non che non abbiano la loro parte di ragione.
Gli esseri umani sanno essere imprevedibili, nel bene e nel male.
Marco ha agito d’istinto, Tommasi non ricorda.
Nessuno dei due ha avuto il pieno controllo delle proprie azioni, uno per l’alcol, l’altro per l’aggressione.
Forse dovrei davvero provare a guardare oltre, soffermarmi al cuore di Marco, anche stavolta.
Perché è di quello che mi sono innamorata.
Contro ogni previsione, ammettendolo a fatica, perché era un sentimento troppo grande.
Chissà, forse è lì che troverò le risposte che sto cercando.
Quelle per tornare ad essere felice.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma con Anna. Tommasi è convinto che sia il suo giorno libero, quindi lei è potuta rientrare senza averlo sempre in mezzo a controllare ogni sua mossa.
Ignorando il solito imbarazzo, mi informo su come stanno andando le indagini.
“... Oggi dovrebbero arrivare nuove informazioni sui due che hanno aggredito Tommasi...”
“Mh-mh, bene.”
La nostra conversazione è interrotta da una vocina decisa che ormai conosco bene.
“Non mi hai detto come ti chiami!”
Ci voltiamo, scoprendo la piccola Ines, con la sua giacchetta verde, intenta a fissarmi.
Io e Anna ci scambiamo un sorrisetto divertito: che tipetto!
“Marco... Marco Nardi!” mi presento.
“Io sono Ines...” risponde lei, per poi passare direttamente al punto per cui è venuta. “Vuoi essere il mio tatuatore legale?”
Cerco di restare serio mentre Anna soffoca una risata dietro la mano.
“‘Tatuatore’ non lo so fare, purtroppo... Vuoi dire ‘tutore’ legale?”
Lei annuisce con un sorriso.
“E come mai lo chiedi proprio a me?” le domando.
“Perché ti piace Jimi Hendrix!”
Però, una motivazione niente male. Originale, di sicuro.
Lancio uno sguardo ad Anna, che lo ricambia, divertita.
Nessuno meglio di lei sa quant’è vera, questa affermazione.
Mi sembra quasi di rivivere quella scena con Cosimo, quando ci chiese di fingere di essere i suoi genitori per quello spettacolo.
Quel bambino manca a tutti, ed era molto simpatico. Mi piaceva anche perché, per merito suo, avevo trascorso più tempo con Anna e l’avevo conosciuta meglio.
Mi ricordo il piano strampalato di Cecchini quella volta, quando l’idea dei figli mi faceva venire l’orticaria. Io, padre? Nemmeno per sogno, mi dicevo. Perché mi ricordava la mia ex, che voleva incatenarmi in una vita in cui lei aveva già pianificato tutto e deciso anche per me. Ma Cosimo, la sua storia, erano stati un punto di svolta importante, per quanto mi riguarda, e anche per il mio rapporto con Anna.
Grazie a quell’episodio, avevamo scoperto di avere in comune più di quanto credessimo, come la passione per il rock. Col tempo, avevo capito quanto per amore si è disposti a rischiare, ad uscire dalla propria comfort zone. E io lo avevo fatto, sorprendendo persino me stesso.
E nei due anni passati, avevo anche iniziato a pensarci, a un futuro da papà. Al fianco della mia Anna. Un figlio con lei... eccome, se ci avevo pensato.
Una mini Anna in giro per casa, o un mini Marco... magari entrambi, chissà.
E adesso mi trovo davanti una bambina che con noi non c’entra nulla, ma che una mini Anna lo sembra davvero: tosta, determinata, sensibile, molto intelligente, appassionata di rock.
Non avrei mai immaginato di potermi sentire così.
Lo splendido sorriso di Anna in questi istanti mi ha colmato il cuore di gioia. L’assoluta spontaneità di quanto sta accadendo mi fa solo ricordare quanto stupido io sia stato. Quanto ho gettato alle ortiche.
È tutta colpa mia.
Ines continua, ridestandomi dai miei pensieri. “Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?” mi dice, incrociando le braccia.
Come sempre, mi abbasso al suo livello.
“Ti ringrazio davvero tanto per avermelo chiesto,” rispondo, nel tono più delicato che mi riesce, “ma è una decisione davvero importante e devo pensarci, va bene?”
Lei accetta. Ma a quanto pare non ha finito, perché mi pone un’altra domanda, per lei molto importante, sembra.
“Sei sposato?”
Una domanda di riserva no, eh?
Non resisto, alzando lo sguardo verso Anna, che lo distoglie dal mio.
Però non dice nulla.
Torno a guardare Ines.
“Eh no...” sono costretto a dire, con profondo dispiacere.
Torno a maledirmi: se non avessi commesso quell’errore, la mia risposta a quest’ora sarebbe stata nettamente diversa.
La bimba non è del mio stesso avviso. “Bravo, così nessuno si lamenta se suoni la tua Strato, giusto?”
Sorrido alla sua innocente affermazione: allora dietro questa piccola donna, c’è ancora la bambina, per fortuna...
“Ma sai, dipende...” la contraddico però io, “ci sono anche delle mogli molto rare, speciali, a cui magari piace il rock...”
Il mio sguardo torna istintivamente in quello di Anna, che arrossisce, evitando di incrociarlo.
Io l’avevo trovata, quella moglie speciale.
Se solo non fossi stato il più stupido della Terra...
Come sempre, Anna si occupa di dissipare il leggero imbarazzo creatosi tra noi.
“Bene...! Lasciamo che il PM... che Marco ci pensi, e... ti accompagno da Don Matteo...” si propone, prendendo per mano Ines, che la segue docilmente, saltellando. “Ciao!”
“Ciao...” saluto io, accorgendomi solo in quell’istante della presenza di Cecchini vicino alla porta.
A giudicare dal sorriso, deve aver assistito alla scenetta.
Lo so bene, cosa pensa: saremmo una famiglia perfetta.
Ma Ines non è mia figlia, e Anna mi odia.
Però, quant’è dolce quella bambina!
“Il tatuatore!”
 
Anna’s pov
 
Mentre sono in caserma con Marco a parlare del caso, ci raggiunge la piccola Ines.
Bastano poche battute per evidenziare che sia un tipetto tosto, ma estremamente adorabile.
Un sorriso si fa strada sulle mie labbra senza che io riesca a fermarlo, ad osservare la bimba e Marco interagire, con lei che gli chiede di essere il suo ‘tatuatore’ legale.
Lui sembra letteralmente stregato.
Ma tu guarda... Marco, così restio all’idea di avere intorno bambini, a parlare in tono adorante con questo scricciolo di sei anni!
Mi torna in mente la sua espressione terrorizzata quando Cosimo gli chiese di fingersi suo padre.
Tutore, padre...
È una calamita per i bambini, lui, ma non sono sorpresa.
Marco ha questa strana capacità di empatizzare con loro immediatamente, anche se non se n’è mai reso conto fino in fondo.
Forse è stato Cosimo a sbloccarlo, o forse è semplicemente il fatto che dietro a quell’aria da PM serioso in giacca e cravatta si nasconde un bambinone.
Perché Marco è così. Alterna grande serietà a momenti di gioco e scherzo come un bambino che ha bisogno di sfogare la sua indole, è più forte di lui.
E io lo so bene. È una delle tante cose di lui che mi ha colpita fin da subito.
Non rifletto nemmeno su quello che faccio, perché mi ritrovo a scambiare sguardi con Marco come se fosse tutto come sempre, senza farmi troppe domande.
Al perché Ines stia chiedendo proprio a lui di essere il suo tutore, la bimba risponde con ovvietà che è per la passione condivisa per Jimi Hendrix.
Chissà come lo sa, che piace anche a lui... Ah, certo: Marco per ora pranza e cena in canonica.
Lei continua con una frase che mi fa sorridere.
“Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?”
Rispecchia molto bene Marco, questa osservazione.
Nel senso... Marco è più sensibile di quanto non dia a vedere, cerca di darsi da fare come può ma non sempre con grandi risultati, ma una cosa è certa: ci mette sempre il cuore.
La domanda successiva, però, l’avrei volentieri evitata.
Perché Ines gli chiede se sia sposato.
Beata innocenza.
Marco mi rivolge un lungo sguardo, prima di risponderle di no.
So che anche a lui ha fatto male, sentirselo domandare.
Ciò che mi stupisce tantissimo, però, è la naturalezza con cui ha ammesso tristemente che non lo è.
Non è da lui, un gesto del genere.
Solitamente nasconde in fretta ciò che pensa o come sta di fronte a domande scomode, ma con questa bambina non ha avuto nessun problema ad ammettere che non è sposato, e che la cosa gli dispiaccia molto.
Non a parole, no, ma lo capisco dal suo modo di porsi, dallo sguardo che mi ha rivolto, colmo di dolore, rimpianto, amore. Sono stata costretta ad abbassare il mio.
Perché in quello sguardo ho rivisto il suo cuore, dopo settimane passate a ignorarlo.
Quel cuore che si è messo a nudo, soltanto per me.
Quel cuore che mi ha fatto innamorare.
Per stemperare l’imbarazzo, mi offro di riportare Ines in canonica.
Sì, ho preferito la fuga.
Ma la mia mente continua a pensarci, nel breve tragitto.
E se Cecchini e mia madre avessero ragione?
Sono giorni che me lo chiedo in continuazione.
In cui pochi istanti in cui il mio sguardo ha incrociato quello di Marco, senza che io alzassi il muro di protezione e lui cercasse di nascondere il suo dolore, per la prima volta dopo il matrimonio saltato, ho rivisto tutto il nostro amore.
È veramente tutto perduto come mi ostino a credere?
 
Cecchini’s pov
 
“Ma com’è, che è tutto così complicato?” chiedo sconsolato ad Elisa, in auto dopo qualche ora di shopping con lei. “Vedi, tua figlia Anna e Marco sono fatti l’uno per l’altra... però, hai visto, si evitano!”
Quando sono rientrato in caserma, prima, e ho visto Anna e Marco insieme a quella bambina, Ines, mi si è stretto il cuore.
Quei due, insieme, stanno proprio bene. Si completano.
Inutile dire che ci avevo visto bene quella mattina, quando li ho presentati.
A lei avevo assicurato che le sarebbe piaciuto il PM, ma nessuno mi aveva creduto.
Nessuno si fida di me, ma dopo più di trent’anni con Caterina, qualcosa d’amore ne capisco.
Soprattutto, so che gli ostacoli possono essere superati. Gli errori si commettono, ma possono essere perdonati.
Ripenso anche a Tommasi e Lia.
Questi quattro mi faranno impazzire, perché devono complicare ogni cosa? Che bisogno c’è?
Sono contento che Elisa sia convinta come me che entrambe le coppie hanno solo bisogno di tempo, ma che andrà tutto bene. Devono solo trovare il modo di confrontarsi.
Mi dice che io riesco sempre a trovare una soluzione e anche stavolta troverò il modo di far capire loro che sono fatti per stare insieme.
Ma vederli così, divisi, mi preoccupa.
Spero solo che, se son rose, roseranno.
 
Anna’s pov
 
Tommasi continua a soffrire d’amnesia, e io sono ancora costretta a stare in hotel.
Dopo essere passata dal supermercato per comprare qualche bottiglia d’acqua (visto che quelle in albergo costano un occhio della testa), salgo in macchina, ripensando a quanto successo oggi con Marco in caserma.
Se prima ero confusa, adesso è anche peggio.
Perché il mio cuore, una risposta a quelle domande ce l’ha già... sa cosa vorrebbe, ma il mio cervello non vuole lasciare le redini.
La razionalità vince sui sentimenti, come al solito.
Mentre rifletto, noto un ragazzo rubare un motorino.
Di sicuro uno degli affaristi di Sergio.
Senza pensarci due volte, lo seguo a distanza.
Come previsto, mi porta esattamente in quella strada di campagna.
Scendo in fretta, raggiungendo di corsa l’ingresso dell’officina, dove trovo Sergio.
“Dove sta?” chiedo, a bruciapelo.
“Chi?” fa lui, sempre con quella dannata espressione strafottente.
“Il ragazzo che ti ha portato il motorino! Il ladro!”
Quel solito sorrisetto irritante.
“Il ladro... è un ragazzo, è andato via adesso!”
Cioè... l’ho beccato con le mani nel sacco, e pensa di prendermi in giro?
“Lo sai come si chiama questo? Furto e ricettazione!”
“Ma ricettazione di che?”
“Del motorino! È rubato!”
“Ma che ne so, io, me l’ha portato per ripararlo e lo riparo!” mi risponde, allontanandosi come se non fossero affari suoi.
Lo seguo.
“Guarda che rischi dai due agli otto anni, con un’aggravante per la recidiva.”
“Eh, vorrà dire che per otto anni dono dovrò preoccuparmi di pagare l’affitto.”
Tanto basta a farmi andare su tutte le furie.
“Non ti puoi trovare un altro modo per campare?!”
“Sì, sai, stavo pensando di consegnare in giro dei curricula, solo che non sapevo dove scrivere ‘sei anni per omicidio colposo’, sotto ‘formazione’ o ‘esperienze lavorative’?”
Giuro, lo prenderei volentieri a sberle.
Se inizialmente mi ricordava Marco, adesso non più.
Marco ha sempre fatto l’irriverente per cose leggere, sa sempre dove fermarsi. E il suo sfottermi a suo tempo serviva a farlo stare sulla difensiva, ma non ci aveva messo molto a cambiare atteggiamento. Non per le cose importanti.
Sergio insiste con questa sua facciata da duro che mi fa arrabbiare non poco.
“La devi smettere di piangerti addosso. In tutto questo c’è tua figlia che ha bisogno di un tutore legale, e l’ha chiesto a Nardi!”
Perché non ci credo che non gli importi di Ines, nemmeno ha fatto lo sforzo di conoscerla! Se il suo problema è cosa potrebbe pensare la bambina di lui, è evidente che non ha capito nulla.
Ines ha bisogno di un padre, e non avendolo accanto, lo sta cercando in Marco, è evidente.
Perché va bene Jimi Hendrix e tutto il resto, ma la piccola ha disperatamente bisogno di una figura di riferimento, e Marco non ha fatto altro che essere gentile con lei e mostrarle interesse, facendole capire che di lui può fidarsi.
Ines, come tutti i bambini, ne è rimasta affascinata. E non la biasimo.
Perché i bambini questo vogliono: sentirsi amati, sapere che c’è qualcuno che li considera, su cui fare affidamento. Vogliono essere sicuri che l’amore che danno sia ricambiato.
E se Sergio ci provasse ad avvicinarsi a lei senza piangersi addosso e fare l’idiota, senza sentirsi inadatto, Ines il suo affetto glielo darebbe incondizionatamente.
Ha bisogno di suo padre, ha bisogno di sapere che lui c’è, che può averlo nella sua vita.
Ma la mia osservazione non sortisce l’effetto che volevo.
“Bene, buon per lei, così se in futuro farà qualche cavolata, non avrà problemi con la giustizia.”
Come non lo prendo a schiaffi non lo so nemmeno io.
“Sergio, non stiamo parlando solo di te, ma di una bambina... e se tu finisci in galera, Ines questa volta non ha più nessuno!”
Lui non ne vuole sapere.
“Ma cosa ho fatto, cosa ho fatto?! Senti, fai un po’ come ti pare, eh, sul serio, non mi importa!”
“Ah, a me ancora meno.” replico, esasperata, avviandomi verso l’esterno. “Questo motorino è sequestrato, e tu rischi una denuncia.”
Me ne vado senza riuscire a restare un attimo in più.
Sergio potrebbe riscattarsi, riprendere in mano la sua vita e stare con sua figlia, e non lo fa. Negando le sue responsabilità di padre.
Responsabilità che, quasi inconsapevolmente, ha iniziato ad assumersi Marco. Con una naturalezza che mi ha sconvolto.
Un’altra scheggia da aggiungere a quelle che hanno trafitto il mio cuore negli ultimi tempi.
 
La mattina seguente, in caserma, approfitto della temporanea assenza di Tommasi per portarmi avanti col lavoro sulle indagini, e scopro una serie di dettagli importantissimi. Metto insieme i pezzi, in attesa di poterli riportare a lui quando arriva.
Sono intenta a rivedere i filmati delle telecamere quando sento bussare alla porta del mio ufficio.
“Sì?”
“Capitano Olivieri?”
Cavolo, è Tommasi. Mi alzo in fretta.
“Capitano... non ha capito che cosa ho scoperto.. allora-”
Lui però mi interrompe, un’espressione colpevole sul volto. “Senta, no, prima io, perché... il Maresciallo mi ha raccontato tutto, e io ancora non mi ricordo della vita che avevo prima... volevo ringraziarla per la pazienza.”
Dire che sono stupita è poco, non mi sarei mai aspettata le sue scuse.
“Deve ringraziare il Maresciallo.” dico comunque, perché è merito suo se tutto è filato abbastanza liscio fino ad ora.
“Non c’è bisogno.” replica però lui, e basta uno sguardo con Tommasi per capire che entrambi sappiamo che non è solo quello.
Perché Cecchini per noi farebbe qualsiasi cosa, ma anche noi faremmo lo stesso per lui.
Io ho accettato di stare al gioco perché è stato lui a chiedermelo.
E lui lo sa.
“Comunque non perdiamo tempo. Lei non se lo ricorda, ma...” mi lancio nella spiegazione dei fatti, di quanto ho scoperto, prima di avviarci tutti e tre a prendere l’aggressore di Lara.
Durante il tragitto verso il PQ Hotel, Tommasi, che insistito per sedersi sui sedili posteriori insieme a me lasciando quello davanti a Cecchini, ne approfitta per parlarmi.
“Io... volevo complimentarmi con Lei,” esordisce, lasciandomi di stucco. “La verità è che il mio atteggiamento sulla difensiva era dovuto al fatto che mi ero accorto delle Sue capacità, e ho sentito il territorio minacciato. Nella mia testa, sono ancora un Capitano, non un Maggiore, e la presenza di una collega più in gamba mi ha fatto sentire in pericolo, diciamo così. Ma... è evidente che se il Comando Generale Le ha affidato la caserma, seppur così giovane, significa che se lo merita, e ne ho avuto le prove. Cecchini mi ha detto che in questi anni si è guadagnata il rispetto di tutti, non solo in caserma ma anche in paese, e l’ho notato anch’io, me ne sono reso conto. Anzi, il Maresciallo lo ha proprio conquistato, a quanto pare, ed è una bella cosa, si vede che vi volete bene. L’ho capito prima, nel suo ufficio. Sono felice di poter collaborare con un Capitano tanto in gamba.”
I suoi complimenti mi fanno arrossire. Biascico un “grazie”, senza riuscire ad aggiungere altro, ma so che non serve. Però sono contenta di aver risolto quella tensione tra noi, e di poter finalmente lavorare con lui da pari.
Una volta in hotel, però, troviamo De Seta assassinato.
Convochiamo il nostro sospettato, convinti che sia il colpevole nonostante lui si professi innocente. Il movente però ce l’ha... vedremo.
 
Nel primo pomeriggio, Spartaco si presenta in caserma, con l’intenzione di denunciare il furto del motorino.
Io sospiro pesantemente.
Giusto qualche istante fa stavo osservando la piccola Ines giocare in piazza con un palloncino, tutta sola.
Mi rivedo moltissimo, in quella bambina. Nei suoi modi di fare, anche se io ero un po’ più timida di lei, ma con la stessa testardaggine. Gli stessi sentimenti, le stesse necessità.
Certo, io una madre ce l’ho ancora, ma il padre non più da molti anni.
Quel padre che, come ho scoperto recentemente, non è l’uomo perfetto che credevo che fosse.
Nemmeno lui.
Ma non per questo mi sento meno coinvolta, anzi.
Anch’io, negli anni, ho cercato delle figure che potessero colmare quel vuoto immenso.
E quella figura l’ho trovata quando avevo smesso di cercare, nell’uomo più improbabile: Cecchini.
Così come Ines la sta cercando in Marco.
Lui ha saputo avvicinarla con pazienza, con quella dolcezza che conosco bene, quando nessun altro fino a quel momento, oltre Don Matteo, ci era riuscito davvero.
Ma Ines un padre vero ce l’ha.
Forse, Sergio ha solo bisogno di capire che, se c’è una fedina che può ripulire dai suoi peccati, è proprio quella di padre.
 
Spartaco per fortuna accetta di aspettare a esporre denuncia, scendendo a patti.
Non appena stacco dal mio turno e una volta tolta la divisa, raggiungo Sergio.
Ho optato per abiti in borghese proprio perché voglio che capisca che non sono lì in veste di Capitano dei Carabinieri, ma di amica. Che voglio soltanto aiutarlo.
Non lo vedo fuori, quindi immagino sia sul camper.
Busso, e lui si affaccia dal finestrino.
“Ciao!” mi saluta, prima di scendere.
“Ciao...” ricambio, per poi andare dritta al motivo della mia visita. “Pare che uno dei proprietari dei motorini rubati sia disposto a non sporgere subito denuncia, a condizione che gli venga restituito il motorino.”
“Mh...” lui si limita ad annuire, distogliendo lo sguardo.
Se pensa che basti questo a farmi desistere, si sbaglia.
“E c’è un’altra condizione... mia. Ti devi presentare a un indirizzo che ti darò, c’è un lavoro per te, un lavoro vero.”
Il messaggio è implicito: sto garantendo io per lui, sono disposta a metterci la faccia.
Lui stavolta mi osserva a lungo, un’espressione diversa.
“Perché lo fai?” mi chiede infine, in tono pacato.
Inspiro. Sapevo che me l’avrebbe chiesto, e per questo decido di essere sincera.
“Perché io non ce l’ho più, un padre. Si è suicidato perché pensava di essere un fallito. Ma non lo era.. non era un fallito. E anche se lo fosse stato... io ero lì, lo avrei amato comunque, e avrei voluto che restasse insieme a me.”
Tiro fuori il bigliettino dalla tasca, consegnandoglielo. “È la mia ultima offerta, decidi tu.”
Vado via senza attendere oltre. Ho fatto tutto quello che potevo, adesso sta a lui.
 
Mentre rientro in città, mi rendo conto di quello che gli ho detto.
No, non perché ho rivelato la storia del suicidio di mio padre a qualcun altro, anche perché dal mio rapimento ormai la conoscono tutti, e soprattutto perché la versione completa la conosce solo Marco - nemmeno Giovanni era a conoscenza di certi dettagli...
Mi rendo conto di come io abbia descritto il tutto a Sergio.
Mio padre ha commesso degli errori, certo, ben più numerosi di quanto immaginassi, ma lo amo comunque. L’ho perdonato, anche grazie a Don Matteo. E alle parole di mia madre.
Ho capito che non dovevo fermarmi a quegli errori, ma guardare oltre, al suo cuore. Al ricordo che io avevo di lui, del padre che io ho conosciuto. Quello autentico, sbagli compresi.
E non è assurdo come tutto il discorso possa essere valido anche per Marco?
Lo so che sia mia madre che Cecchini hanno ragione, che dovrei seguire il cuore, ma... è difficile. Io ho sempre fatto affidamento sulla mia razionalità per riuscire ad andare avanti. Riflettendo, ponderando, valutando ogni pro e contro.
E cosa ho risolto, adesso, pensandoci su per tutto il viaggio di ritorno?
Niente.
Sono ancora più confusa di prima.
Però... come mio padre, Marco non è di certo un santo, ma io ne sono perdutamente innamorata.
Ed è per questo che fa così male.
 
Marco’s pov
 
Ho riflettuto a lungo sulla richiesta di Ines.
È vero: non sono capace di arrestare Don Matteo per ovvi motivi, non sono capace di aggiustare la sua chitarra per ragioni che non dipendono da me, ma... posso esserci, per lei. Aiutarla, se ne ha bisogno. Provare a darle un po’ di quella spensieratezza che una bambina della sua età dovrebbe possedere.
Di questo, sono sicuro di essere capace.
Per questo decido di andare in canonica, e non a mani vuote.
Per una notizia così importante, ci vuole qualcosa di altrettanto importante a confermarlo.
Con la complicità del sacerdote, preparo tutto e poi dico a Ines di chiudere gli occhi, mentre la guido per condurla alla sala da pranzo.
“Attenta...” mormoro.
Lei ha gli occhi coperti dalle manine. “Stiamo giocando a mosca cieca?” chiede, facendomi ridere.
“Una specie... vieni... ferma...” finalmente arriviamo alla meta. Mi sposto, sedendomi sulla poltrona lì accanto per gustarmi la sua reazione. “Apri gli occhi!”
Il suo visino stupito e felice nel vedere la chitarra elettrica nella sua custodia, con tanto di fiocco ad adornarla, è la cosa più bella che potesse capitarmi in questo periodo orribile.
“È la tua?” mi domanda, emozionata.
“Adesso se vuoi è tua!” rispondo con un sorriso.
“Davvero??”
La gioia negli occhi di Ines mi ricorda quella di Anna ogni qualvolta tentassi di stupirla, con gesti che lei non si aspettava, ma che lei stessa aveva permesso scaturissero, rendendomi nel nostro viaggio insieme un uomo diverso, più maturo.
Un uomo migliore.
“Sì, davvero!”
Lei fa per prenderla, per bloccarsi subito dopo.
“Che c’è, non ti piace?” chiedo, interdetto. Ho forse sbagliato?
Lei sospira, guardandomi. “La nonna dice che non devo accettare regali dagli sconosciuti.”
Annuisco. “Dice una cosa molto giusta, tua nonna... però io non sono uno sconosciuto, giusto?”
Ines mi rivolge uno sguardo paziente, come se fossi un po’ stupido a non capire il concetto. “Sei mio parente? No, troppo rosso di capelli. Sei mio amico? No, troppo vecchio.”
“Grazie...!” commento, ridacchiando. Certo che è proprio un tipetto.
“Potrei accettare solo se tu fossi il mio tutore!”
Stavolta non trattengo una risata. “E mi sa che sei un po’ troppo furba per me, tu, eh?” dico, con Natalina e Don Matteo che ridono.
La bimba mi rivolge un sorrisetto.
“Allora? Ti sei deciso?”
Fino a qualche anno fa, non ci avrei sprecato un attimo, in una situazione così.
Ma proprio in questi dettagli l’amore per Anna mi ha trasformato.
Ed è per questo che adesso sto accettando di prendermi tutte le mie responsabilità dopo l’errore che ho commesso e che ha allontanato da me la donna che amo. Per questo, che sto accettando di prendere in custodia la vita di uno scricciolo dai riccioli castani, peperina e furbissima, che porta il nome di Ines.
“Va bene, lo faccio!”
Il suo abbraccio gioioso mi scioglie ulteriormente.
Questa bambina è apparsa nella mia vita in maniera inaspettata, quando tutto sembrava irrecuperabile. Esattamente come ha fatto la sua copia adulta circa quattro anni fa.
Che sia un buon segno?
Inutile dire che spero che sia così.
Nell’attesa di sapere cosa il fato ha deciso per me, mi godo questi istanti di gioia.
“Scemetta...” le dico, sciogliendo l’abbraccio dopo averle posato un piccolo bacio tra i capelli. Mi sento incredibilmente felice. “Dai, fammi sentire cosa sai fare, vieni!”
“No, scusate, scusate...” ci interrompe Natalina. “Tutto meraviglioso, ma perché non andate a suonare a casa Sua, per esempio?”
“È un’ottima idea ma... purtroppo non ho più una casa!” sono costretto a dire, seppur con un sorriso.
“Ines, potresti suonare in chiesa!” propone Don Matteo.
Ines è assolutamente d’accordo. “Sai come si dice? Chi canta, prega due volte, e chi suona, ancora di più!”
“Eh, sì!”
Gli istanti di gioia sono interrotti da una telefonata, che arriva come un fulmine a ciel sereno.
Questo dannato cellulare, negli anni, ha portato più problemi che altro. Il pouf, al confronto, è stato una sciocchezza.
Don Matteo e Natalina mi guardano, preoccupati probabilmente dalla mia faccia.
Sono sicuro di essere diventato pallido.
Spiego come posso.
“Anna ha arrestato gli aggressori di Tommasi, però non ho capito, c’è stato un conflitto e forse è-è ferita... scusate...”
Corro via senza attendere oltre, ogni istante è prezioso.
Sono nel panico più totale.
Anna, la mia Anna, è ferita.
Non riesco a capire niente, nella mia testa le stesse immagini di quando fu rapita, quella volta. Il terrore di perderla.
La mente annebbiata.
 
Mi precipito in caserma, facendo gli scalini a due a due, correndo da Cecchini, seduto alla sua scrivania.
Scanso tutti i carabinieri senza farci nemmeno caso.
“Maresciallo! Scusatemi... Maresciallo! Come sta Anna?”
“Calma!” tenta di dirmi lui, ma non lo ascolto neppure.
Come può chiedermi una cosa del genere?
“No no no no no, non sto calmo! Voglio sapere come sta Anna! È grave? È in pericolo di vita? Perché se c’è bisogno di una trasfusione, io e lei abbiamo lo stesso gruppo sanguigno-”
“Marco!”
Una voce tenta di zittirmi, ma io la ignoro.
“Lasciami stare! Io voglio sape- Anna!”
 
Anna’s pov
 
Torno adesso dall’ospedale, dove sono stata per sincerarmi che Zappavigna stesse bene. Quando rientro in caserma, però, mi si presenta davanti una scena che ha del surreale.
Marco, davanti alla scrivania di Cecchini, in una evidente crisi di panico, intento a blaterare qualcosa su... su trasfusioni, e la compatibilità dei nostri gruppi sanguigni.
È nel panico più totale, lo so bene, l’ho già visto reagire così altre volte, in altre circostanze, ma cambia poco.
Quando va in tilt, non controlla più le reazioni.
Decido di intervenire, prima che la situazione degeneri, chiamandolo.
In un primo momento mi ignora, poi si volta.
Il mio nome, pronunciato con quel sollievo, mi destabilizza.
E poi Marco mi abbraccia.
Forte, fortissimo.
Anche un po’ troppo.
“Ma stai bene?”
“Sì!... se la smetti di stringere, sì...” sono costretta a dire, in imbarazzo, senza sapere bene che fare, se ricambiare il suo gesto oppure no.
Lui si scosta, arrossendo appena.
“Non è successo niente...” lo tranquillizzo, anche se la mia voce non collabora. “È stato colpito Zappavigna, ma solo di striscio, sta bene...” mormoro, ancora troppo colpita dal suo gesto.
“... Perché mi ero preoccupato...”
“Ho visto...” riesco a rispondere soltanto in un filo di voce.
Lui sembra non capacitarsi di quanto successo. “Mentre venivo, io pensavo di averti perduta...” biascica, portandosi le mani al volto, provato.
Trattengo il fiato, un sorriso che lotta per farsi strada sulle mie labbra e che fermo a stento. Questa sua spontaneità mi sta provocando un subbuglio di emozioni, anche se non posso dire di essere stupita. Le sue parole hanno solo confermato quello che i suoi occhi e il suo abbraccio mi avevano già detto. Come se da quei gesti dipendesse tutta la sua vita.
Ha avuto paura di perdermi.
Lui però si rende conto di cosa ha detto.
Perché è convinto di avermi già persa.
“No, cioè, nel senso...” mormora, senza riuscire a spiegarsi. “Scusatemi...”
Va via senza aggiungere altro, lasciandomi lì, ferma, sul punto di scoppiare a piangere.
Non so come riesco a riprendermi.
Metto a tacere Cecchini che mi sta facendo segno di seguire Marco, per rifugiarmi di corsa nel mio ufficio.
 
A riflettere su quanto è appena successo.
Perché diventa sempre più difficile fare l’indifferente? Perché vedere Marco così disperato mi ha provocato una fitta al cuore? Sembra quasi che lo abbia rimesso in moto...
Il suo sguardo così pieno di sollievo a vedere che stavo bene mi riportano al giorno che mi hanno salvata da quel furgone. L’arrivo in piazza. Il nostro tentare di celare la felicità di poterci rivedere per non ferire Chiara, tra l’altro inutilmente perché mi ha confessato che si è resa conto dei nostri sentimenti proprio in quell’occasione. La gioia nello scoprire poco tempo dopo che Marco mi amava quanto io amavo lui. La neve ad agosto. L’inizio di tutto.
E se anche stavolta fosse successo tutto questo per darci la possibilità di ricominciare?
... che cosa devo fare?
 
Marco’s pov
 
Ho lasciato di corsa la caserma per porre fine all’imbarazzo del momento.
Tutti mi fissavano come se fossi pazzo.
E sì, lo sono, va bene?
Pazzo di Anna. Pazzo d’amore per lei. Pazzo perché me la sono lasciato scappare senza provare a fermarmi in tempo e non commettere l’errore più grande della mia vita.
Perché quel giorno è come se fossi morto.
È Anna, la mia vita. Lei soltanto.
L’abbraccio di poco fa ne è la dimostrazione più evidente.
Avevo paura che, allentandolo, lei potesse sparire, fuggire chissà dove, forse a Islamabad o peggio, tra le braccia di un altro.
Perché avevo già lasciato che succedesse, in passato.
Quel giorno, davanti alla caserma, quando l’avevano salvata dalla pressa.
Non avevo potuto stringerla tra le braccia perché c’era Chiara, ma è bastato il suo sguardo, il suo sorriso quando mi aveva ringraziato.
Ma ricordo anche la fitta al cuore quando, voltandomi, l’avevo vista baciare Giovanni. Pensavo di averla persa anche quella volta. E se non fosse stato per Chiara che si è fatta da parte, forse sarebbe davvero finita così.
Invece avevo capito che per amore si può e si deve cambiare, che bisogna affrontare le proprie paure... me lo aveva suggerito un pazzo alla radio.
L’amore può cambiare, può trasformare, e forse per l’ennesima volta è questa la via da seguire.
E trasformare non agosto in Natale, ma Pasqua nella resurrezione della mia storia con Anna.
 
“Ecco qua, spumante bello fresco!”
Annuncia Cecchini, festoso.
Siamo seduti tutti a una grande tavolata per festeggiare la Pasqua, come una enorme famiglia.
Il Maresciallo sta passando da tutti per versare lo spumante e festeggiare.
“... Invece a Lei glielo riempio pieno pieno perché si deve dimenticare lo spavento che ha preso!” afferma, quando si avvicina a me.
È la mia occasione. Per riscattarmi.
Tanto, figuraccia in più, figuraccia in meno...
“Grazie, Maresciallo, ma... io passo. L’alcol ha già fatto troppi danni, ultimamente.”
Noto Anna sollevare lo sguardo, dopo che aveva tentato di ignorare cosa stessimo dicendo. Lo prendo come un buon segno che mi incita a proseguire.
“Quella di ieri non è stata una bella figura, d’accordo, però... devo ringraziare quello spavento, perché finalmente ho capito di che cosa non posso fare a meno...” dico, rivolgendomi direttamente ad Anna, che si volta ad osservarmi.
“Ho fatto una cazzata gigantesca, lo so, e me ne pentirò per il resto dei miei giorni. Ma... so anche che capita a tutti di sbagliare, me lo ha detto una volta una ragazza molto in gamba. Non è stato uno sbaglio da poco, il mio, ne sono consapevole; sono settimane che cerco di espiare le mie colpe. E sono pronto a continuare a farlo, perché... forse fa parte anche questo del percorso di cambiamento che ho intrapreso due anni e mezzo fa, quando un pazzo mi ha suggerito che è la cosa giusta da fare, per amore.”
Cecchini sorride compiaciuto.
Anna ha gli occhi lucidi, traboccanti di lacrime, fissi nei miei. Il verde più intenso che mai.
Riesco quasi a vedere quella corazza che si è costruita intorno al cuore creparsi, ed è per questo che continuo.
“So che non basta, ma... ti chiedo scusa. Per la sofferenza che ti sto provocando, per aver disatteso ciò che tu credevi di me. Per il dolore atroce che ti sto causando, un dolore che io conosco bene, e che avrei tanto voluto risparmiarti. Io sono riuscito a superarlo solo grazie a te. L’uomo che sono oggi, è frutto del tuo aiuto... del tuo amore per me. So bene che non è facile perdonarmi, io per primo non lo farei, lo sai... Ma, Anna, voglio che tu sappia che, se vorrai, anche solo come amico, sarò sempre pronto ad accoglierti a braccia aperte ogni qualvolta ne avrai bisogno. Che terrò sempre una vaschetta di gelato al cioccolato nel freezer e due cucchiai pronti per essere condivisi come abbiamo fatto nelle lunghe notti passate a chiacchierare. Perché ti amo... e l’unica cosa che voglio è saperti felice. E se la tua felicità non è più con me, allora proverò col tempo a farmene una ragione. Anche se, nel mio cuore, spererò sempre di ricevere un messaggio in cui mi dici che il brasato dopo due anni non so ancora farlo ma che, nonostante i miei mille difetti, sono ancora l’uomo impossibile che tu ami.”
 
La tavolata è piombata nel silenzio.
Anna, però, sembra una maschera di ghiaccio, non accenna a rispondere.
Immobile, gli occhi spalancati e fissi nei miei.
Non riesco a far niente se non pensare di andar via, ma il mio proposito viene interrotto da Tommasi, che ci raggiunge a passo svelto.
“Scusate, scusate il ritardo! Vi rubo solo un minuto... Ho seguito il consiglio di un amico e... ho riposato. Come non riposavo da tanti anni... E ho ripensato alla mia vita. Sono grato, grato per quello che mi è stato dato, e stamattina quando mi sono svegliato, sapevo cosa dovevo fare.” afferma, prima di rivolgersi direttamente a Lia. “È vero, io ancora non mi ricordo tutto bene, ma... so che ti amo. Ti amo per tutto quello che c’è stato tra di noi, e perché tu hai continuato ad amarmi anche se io ho commesso degli errori e sono stato un vero idiota...” Noto Anna puntare lo sguardo su di me, ma non riesco a sostenerlo, abbassando il mio a terra. “A non fermarmi ogni giorno a guardare, ad ammirare quanto sei bella. Perché solo se tu mi ami, io posso sopportare l’uomo che sono. Lia... vuoi risposarmi?”
A questa domanda di Tommasi, a cui Lia risponde con un bacio, mentre tutti festeggiano, io non mi trattengo più.
Perché fa troppo male risentire quelle parole.
Approfitto della distrazione generale per alzarmi e andare via.
Mi sono messo a nudo per Anna davanti a tutti, ho visto la corazza creparsi, eppure lei non ha reagito.
Forse ho parlato troppo tardi.
Forse l’ho davvero persa per sempre.
 
Anna’s pov
 
Sono paralizzata, seduta accanto a mia madre.
Marco mi ha fatto una dichiarazione bellissima che mi ha lasciata senza fiato.
Tutti si aspettavano una mia reazione, ma io non sono riuscita a fare niente.
Ero troppo sconvolta anche per riuscire a pensare coerentemente.
L’impasse in cui ci eravamo bloccati viene smossa dall’arrivo di Tommasi. A quanto pare è giornata di dichiarazioni, perché anche lui fa lo stesso con Lia. Le sue parole mi colpiscono quasi quanto quelle di Marco, che mi ritrovo a fissare mentre lui abbassa lo sguardo, rivedendosi in quelle frasi.
Ma, anche se dall’esterno sembro imperturbabile, la solita regina di ghiaccio, dentro di me c’è un uragano in corso.
Quando Tommasi chiede a Lia di risposarlo, mi sento riportare indietro a quella mattina, quando io ho fatto la stessa domanda a Marco, dopo il nostro litigio.
La felicità che ho provato in quel momento...
Questa consapevolezza, unita alla mano di mia madre che stringe la mia, mi ridestano dallo stato di trance in cui ero caduta.
E tutto torna ad avere un senso.
Le lacrime riescono finalmente ad affiorare, scendendo come un fiume in piena lungo le mie guance.
La corazza è crollata, caduta al suolo in mille pezzi.
A conferma di ciò, il sorriso di mia madre e di Cecchini.
Anch’io so cosa devo fare.
Scatto in piedi, facendo sobbalzare Tommasi e non solo, ma non mi importa.
Corro verso Marco, ormai vicino alla sua moto, pronto ad andar via dopo quello che credeva fosse un mio rifiuto.
Quando lo raggiungo, non gli lascio nemmeno il tempo di reagire o elaborare quanto sto facendo.
Lo bacio, stringendomi quanto più umanamente possibile a lui, che supera ben presto la sorpresa, facendo scivolare le braccia attorno alla mia vita, le dita a sfiorarmi la schiena in un tocco leggerissimo, quasi non ci credesse.
Come se la nostra vita dipendesse da questo bacio.
Come dipendeva ieri da quell’abbraccio.
Marco è imperfetto, pieno di errori, impetuoso, ingestibile... ma la sua vita è mossa dal cuore.
E non perché pompa sangue e batte, anche se lo sento chiaramente sotto le mie dita che si soffermano sul suo petto, ma perché anche in quei momenti in cui sembra immobile, basta un gesto affinché si mostri agli altri per quello che è davvero.
Quell’uomo di cui mi sono perdutamente innamorata.
La mia mente non l’ha ancora perdonato, non completamente, ma il mio cuore lo sta già facendo.
Come quel giorno quando, aprendo le porte del furgone, mi sono trovata davanti Claudio Lisi.
E Marco, come Claudio, ha bisogno di sapere che sto cercando di trovare la forza di perdonarlo. Perché solo così possiamo tornare a vivere entrambi, sia lui che io.
Con la differenza che Marco non è come Claudio, ma come mio padre Carlo: imperfetto, come lo sono io del resto, ma non per questo meno degno dei sentimenti che provo per lui.
 
Marco’s pov
 
Anna mi sta baciando.
Come forse non aveva mai fatto.
Mi sembra quasi di sognare.
Lo so, non significa che mi abbia perdonato tutto, ma so che vuol dire che mi ama. Che non ha smesso. Che ha solo bisogno di tempo, ma che vede ancora il Marco di cui si è innamorata, non solo quello che ha sbagliato.
E sono pronto a dimostrarle il mio amore ogni giorno, fino ad ottenere il suo completo perdono.
Quando ci separiamo, non so quanto tempo restiamo a guardarci negli occhi, instaurando quel nostro linguaggio silenzioso che non ha bisogno di parole, e il suo “Ti amo”, sussurrato a fior di labbra, non fa che confermare il tutto.
Torno a baciarla perché non sarò mai sazio abbastanza.
Quanto mi erano mancati, i suoi baci... risentire le sue labbra sulle mie è la sensazione più bella che esista.
Ci prendiamo tutto il tempo del mondo, abbracciati come non eravamo più stati da troppo, come se questo momento dovesse durare per sempre.
Ma qualcuno ha altre idee, evidentemente.
Ci separiamo di nuovo solo quando una vocina ci raggiunge.
Ines.
“Ora che avete fatto pace, potete venire al tavolo? Voglio suonare una canzone con la mia nuova chitarra!”
 
Anna’s pov
 
Seguiamo la bambina volentieri. Io e Marco abbiamo tutto il tempo per parlare e risolvere, con calma, in un luogo più consono.
Adesso dobbiamo soltanto festeggiare.
Quando raggiungiamo il tavolo, però, resto a bocca aperta.
Io quella chitarra la conosco bene...
È la Stratocaster di Marco.
O per lo meno, lo era.
Perché sto scoprendo adesso che l’ha regalata ad Ines, quando la sua si è rotta.
Mi si scioglie il cuore. So quanto lui ci era affezionato, e se l’ha regalata a Ines vuol dire solo che avevo intuito bene. Hanno instaurato un legame intensissimo per istinto, e niente lo dimostra più della scenetta che si sta svolgendo.
Ines insiste a volere Marco accanto mentre suona, tirandolo per la mano. Il suo tatuatore legale.
Ormai nemmeno la correggiamo più, suona talmente bene che non importa, se è sbagliato.
La scena davanti ai miei occhi mi commuove, perché mi mostra uno scorcio di quello che potrebbe essere il nostro futuro.
Marco le sorride in un modo che forse non gli avevo mai visto fare, prima di rivolgere lo stesso sorriso anche a me.
Ignoro le occhiate soddisfatte di mia madre e del Maresciallo, anche se ne sono felice.
Ines mette le dita sulle corde, ma prima di iniziare vuole fare una dedica.
“Questa canzone è per il mio tatuatore legale e per la sua fidanzata. Magari anche lei poi diventa la mia tatuatrice...”
Il mio imbarazzo è messo a tacere da Marco, che mi tira verso di sé per baciarmi ancora, tra le risate e gli applausi festosi di tutti.
Questa giornata non sarebbe potuta finire meglio di così.
 
 
Ciao a tutti!
Che dire... questa versione è una delle mie preferite di sempre. Grazie, Marti, per il tuo meraviglioso brainstorming!
La prossima puntata, credo sarà devastante... nemmeno tutta la preparazione mentale del mondo basterà, mi sa.
Nel frattempo, fingiamo che le cose siano andate così.
A presto!
Mari

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Capitolo 4
*** Onora il padre e la madre ***


ONORA IL PADRE E LA MADRE
 
 
Marco’s pov
 
Da qualche giorno, Cecchini continua a suggerirmi modi che secondo lui potrei usare per riconquistare Anna.
La domenica di Pasqua le cose sono andate al contrario di come avrei sperato, visto l’arrivo di quel Sergio nel momento sbagliato. Tommasi e la moglie Lia si sono fermati qualche altro giorno ancora, e per mia fortuna la loro presenza era servita a distrarre il maresciallo da me. Una volta partiti loro, però, lui era tornato alla carica, riprendendo a intromettersi come al solito.
Non che non gli sia grato per il suo appoggio, chiaro, anche perché sta facendo di tutto perché io possa risolvere i miei problemi con Anna, e si sta interessando a me più di quanto abbia mai fatto il mio stesso padre, a essere onesti. In effetti, non ho mai avuto questo gran rapporto con lui, anche perché, dopo entrambi i matrimoni saltati, la sua unica frase è stata “vedi di mettere la testa a posto una buona volta”. Proprio come quando, da ragazzo, mi costrinse a rinunciare al mio sogno di diventare attore per intraprendere un lavoro serio.
In parte ho rivalutato quella scelta imposta, soprattutto grazie a quella sera al drive-in con Anna. Era stata lei a dirmi che, nonostante i condizionamenti degli altri, l’importante nella vita è trovare il proprio posto nel mondo, e io lo avevo trovato anche grazie alla decisione forzata di molti anni prima.
Certo è che Cecchini, a furia di intromettersi, aveva combinato un sacco di casini nel tempo, cosa che mi ha perfino detto in una delle lunghe serate passate a parlare, a casa sua, dove ancora mi ospita. Ma i suoi casini sono sempre stati a fin di bene, non come quello che ho fatto io, e ora sta cercando anche lui di fare il possibile per il nostro bene.
Di Anna soprattutto. Perché la vede soffrire, e non riesce a trovare un modo per farla stare meglio.
Il fatto è che non è tutto così semplice come pensa lui.
Il vero problema non è il tradimento in sé, o comunque non solo, ma quello che c’è dietro.
E solo io e Anna lo sappiamo.
È per questo che vorrei cercare di risolvere le cose da solo, ed è esattamente questo che sto cercando di spiegare a Cecchini per telefono, mentre lui mi informa di aver fatto una mossa, a suo dire, perfetta.
... ha fatto consegnare ad Anna un fascio di rose rosse e una scatola di cioccolatini. A nome mio.
“In queste cose non mi sbaglio mai! Ho un’esperienza secolare!” afferma, compiaciuto.
Io perdo la pazienza praticamente subito.
“Ma per una volta, le ho chiesto di starne fuori!” dico in tono alterato. Ma perché deve impicciarsi anche quando gli spiego di non farlo?!
“Le rose funzionano sempre: rose, amore; dolcini, dolcezza! Perché alle donne, quando arrivano ‘ste rose, si sentono, diciamo-”
Ma Anna non è una donna qualsiasi, maresciallo.
“Maresciallo, io le ho chiesto di non introm-”
Il tu-tu-tu che proviene dal cellulare indica che mi ha staccato la chiamata in faccia.
E il motivo può essere solo uno: Anna ha fatto due più due, ovviamente.
Perché?
Perché, a parte tutto, mi conosce troppo bene.
 
Anna’s pov
 
Stamattina, al mio arrivo in caserma, mi sono ritrovata in ufficio un mazzo di rose rosse e una scatola di cioccolatini, con due bigliettini annessi.
Un pensiero molto romantico.
Peccato che non siano né i miei fiori preferiti, né io ami particolarmente i cioccolatini.
Quello che mi destabilizza un attimo è il contenuto dei biglietti.
No, non il ‘Ti amo’... la firma: Marco.
Ma non perché Marco non sia capace di gesti romantici, tutt’altro... sorrido, pensando a quei gesti tutti suoi, prima di tornare ai cartoncini.
Quella impressa sopra non è la sua calligrafia, ma di un certo Maresciallo che conosco bene e che non la vuole proprio piantare di impicciarsi dei fatti nostri, benché lui dica sempre il contrario.
Oltre a questo, Marco non si sarebbe mai limitato a quelle poche parole, o a messaggi così impersonali.
Perché in realtà le nostre foto, i bigliettini, i messaggi... non ho davvero avuto il coraggio di buttarli, alla fine. Quell’immagine incorniciata di noi due se ne sta chiusa in fondo a un cassetto, non in chissà quale discarica.
A dare manforte alla mia supposizione, becco proprio Cecchini al telefono, e il suo interlocutore, a giudicare dalle parole che sento, non può che essere Marco, e penso che sia felice quanto me, della sua ficcanasaggine.
Prendo fiori e scatola e procedo a passo spedito verso la sua scrivania.
Lui chiude la chiamata all’istante.
“Belle, le rose!” affermo, con un sorriso che più finto non si potrebbe.
“Che profumo! A me piacciono le rose e i gladioli!” ribatte lui, convinto.
“Anche i cioccolatini!”
“I cioccolatini mi piacciono, però purtroppo ingrassano- Perché li butta?” fa, allarmato, non appena il mazzo di rose finisce nel cestino, e la scatola pure. “Non c’è bisogno di buttarli perché ingrassano-”
Dire che sono arrabbiata è poco. Gli punto un dito contro, furiosa. “Maresciallo, lei la deve smettere di dare consigli da ruffiano anni ‘50!”
“Ma che dice, che sta dicendo?”
Trattengo un sospiro esasperato. Gli voglio bene, ma deve finirla di impicciarsi.
“Deve pensare ai suoi, di fatti amorosi!”
“Ma io veramente in questo momento sto cascando dalle nuvole!”
“Maresciallo, lo so che è stato lei!” affermo, perché conosco sia lui che Marco, e basta e avanza questo a commentare. “Comunque, sua figlia Assuntina torna da Parigi oggi, giusto?” cambio discorso, perfidamente.
“Ha preso ottimi voti, là dove studia, alla Sorbona, e mi sta dando grandi soddisfazioni.”
“E non ha ancora incontrato mia madre, giusto?”
Lui si fa piccolo piccolo. “E non ha ancora incontrato sua madre, giusto.”
“Sono sicura che andranno molto d’accordo.”
Ora, non lo penso davvero, anzi. Sono convinta che andranno veramente d’accordo, ma lui non ha avuto ancora il coraggio di dire nulla ad Assuntina, so che è nervoso e preferirebbe evitare il momento.
 
Se ci penso, a lui e mia madre, mi vengono ancora i brividi. Non riesco ad abituarmici, e dubito ce la farò tanto presto, ma lui deve comunque pensare agli affari suoi. Che io, dei miei problemi sentimentali, preferisco occuparmene da sola.
Anche perché fanno già troppo male così.
Perché Marco ci prova giorno dopo giorno, a rimediare, lo vedo. Lo so. Ma fa ancora più male, perché quello che ho di fronte è sempre l’uomo di cui mi sono innamorata, non è cambiato, e proprio per questo motivo non riesco ad odiarlo.
Perché se fosse stata una cosa voluta mi sarei già rassegnata, l’avrei detestato e cacciato via dalla mia vita, o sarei già sparita io.
Ma, pur non volendo, ha commesso l’unico errore che non avrebbe mai dovuto fare. Proprio lui!
Adesso, sono solo immensamente delusa.
Delusa da ciò che ha fatto, delusa da quello che aveva intenzione di fare: far finta di nulla, sposarmi come se ciò che era accaduto non contasse niente.
So che il suo gesto è stato privo di valore, ma non per questo è meno grave.
Lui sarebbe stato contento di sposare Federica e scoprire solo dopo che lei lo aveva tradito?
No, e io lo so.
Io so tutto, di quei giorni, di come si sentiva. Di cosa ha passato.
Ed è per questo che fa così male.
I miei pensieri, per fortuna, sono interrotti dall’arrivo di Natalina, che vuole denunciare qualcuno che si è introdotto in canonica e avrebbe, a suo dire, cercato di ucciderla.
Tracciare l’identikit con lei e Pippo, il sagrestano, è praticamente impossibile, e se consideriamo che a stilarlo è Cecchini... direi che siamo a posto.
Chiedo sconsolata a Don Matteo se ha visto o sentito qualcosa, ma l’unico affidabile del trio non ha notato nulla.
Nel mentre, arriva una chiamata che ci avvisa di un omicidio di un notaio.
Lascio i tre a Ghisoni, avviandomi col Maresciallo sul luogo del delitto.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma, a discutere con Anna del caso.
Dopo i primi giorni passati a ignorarci civilmente, le cose stanno lentamente iniziando a migliorare.
Forse anche grazie a Ines.
Ho visto spesso Anna affacciarsi alla finestra del suo ufficio e guardarci giocare in piazza.
Esatto, giocare.
Quella bambina mi sta portando a fare cose che mai avrei immaginato... proprio come la sua versione adulta.
Adoro passare il tempo con Ines, vederla sorridere, farla felice.
Perlomeno, con qualcuno ci riesco ancora.
Perché è inevitabile, in quei momenti, pensare a cosa sarebbe potuto essere, se quella notte non fosse mai successa.
Ma quell’incubo, una volta sveglio, era diventato realtà, e adesso mi perseguita.
Com’è giusto che sia.
 
Anche la temporanea assenza di Sara aiuta, e di questo sono sollevato perché averla intorno rendeva tutto ancora più difficile. Anna, per ovvie ragioni, è sempre nervosa in sua presenza, ma almeno con lei fuori dai piedi le cose sono nettamente migliorate, almeno dal punto di vista lavorativo.
Stiamo riuscendo ad essere professionali, come mi ha chiesto lei quel giorno, e io ho accettato.
Accetterei qualsiasi cosa, pur di avere un’altra possibilità, col tempo.
 
“A me la dinamica pare chiara: un ladro entra dalla finestra, comincia a frugare ma viene sorpreso dal notaio, che tenta di fermarlo, e a quel punto il ladro afferra l’attizzatoio e con un colpo lo uccide.” commento, osservando le foto del luogo del delitto.
Anna però non sembra convinta. “... Sì, ma prima di tutto, cosa cerca un ladro in uno studio notarile?”
“Di solito, assegni circolari.”
“Perfetto... che sono chiusi in cassaforte. Invece questo ladro che cosa fa? Fruga nei cassetti... lasciando tutti i cassetti aperti. A me sa tanto di messa in scena, questa rapina.”
Mentre lei parla, noto nel cestino il mazzo di rose e la scatola di cioccolatini, e mi viene da ridere. Sapevo che sarebbe finita così.
“Non sei d’accordo?” mi chiede Anna, ridestandomi e fraintendendo i miei gesti.
“No no, sono d’accordissimo, al cento per cento su tutto, senza margine.” le assicuro, e lo penso davvero. Il suo ragionamento fila, come sempre del resto.
Lavorare con lei è sempre stato un piacere. Ci siamo sempre confrontati su tutto, unendo il mio cinismo alla sua sensibilità. Siamo sempre stati un duo perfetto, tutto aveva il suo equilibrio.
Un equilibrio che non c’è più per colpa mia.
“Dammi un po’ di tempo e ti do i dati per aprire il fascicolo.”
“Sì sì, grazie grazie...” le rispondo distrattamente, mentre lei torna in ufficio.
 
Il mio sguardo cade di nuovo sulle rose, e ne raccolgo una.
Rido, pensando a quella volta in cui l’avevo presa in giro, perché Giovanni aveva avuto la grande idea di riconquistarla proprio con un fascio di rose rosse simile a quello.
Vista la fine che hanno fatto, sono certo che Anna avrà capito subito che dietro c’era Cecchini, ma non è questo il motivo per cui sono finite nel cestino.
No. Perché, anche se fossero state mie, sarebbe stato il metodo più sbagliato per riacquistare un minimo di fiducia.
Innanzitutto, perché Anna non ama particolarmente i cioccolatini, preferisce altri dolci, come il gelato, da poter condividere.
E poi, perché a lei le rose rosse non piacciono, le sue preferite sono quelle bianche.
Lo so bene, e anche lei sa che non le avrei mai donato ciò che so non gradisce.
Erano bianche le rose che le avevo regalato per il nostro primo appuntamento ufficiale, dopo quel Natale d’agosto.
Per questo le aveva volute bianche anche per il nostro matrimonio... matrimonio che non c’è stato.
Gliene ho regalate tante, di rose, in questi anni insieme. Ogni occasione era buona per farlo.
Avrei voluto prenderne una anche quel giorno ad Acquasparta, quando il venditore si era avvicinato pensando che lei fosse la mia fidanzata. Ma tra noi non c’era ancora nulla di concreto, anche se le cose avevano iniziato già a cambiare, e comunque erano rosse.
Sapevo già allora, che non le piacevano.
Ma la ragione più importante, è che non basterebbero tutte le rose bianche del mondo per avere il suo perdono.
E la rosa che tengo in mano è come lei: bellissima, ma sofferente.
Con la sua armatura di spine, pungente e inavvicinabile, soprattutto da me, ora.
Infatti, mi pungo.
Non mi resta che andar via.
 
La sera, Cecchini insiste perché partecipi anch’io alla cena in cui farà conoscere la madre di Anna ad Assuntina.
Ma a tavola siamo cinque, non sei.
Perché Anna non si è presentata.
“Anna non viene. No, dice che resta di là finché c’è lei.” conferma di punto in bianco Elisa.
Lo sapevo già, ma sentirmelo dire così è stata una pugnalata al cuore lo stesso.
“Grazie, signora, per avermelo comunicato con delicatezza.”
Lei mi guarda con sufficienza. “Certo, però, che cercare di riconquistare una ragazza di oggi con delle rose e dei cioccolatini... mi scusi, eh, ma mi pare proprio un’idea da pirla.”
Io lancio un’occhiataccia a Cecchini. “No no, ma non è che le sembra... è proprio da pirla vero, proprio.”
“Questione di gusti, questione di gusti...” fa lui, ma non è così.
Ha ragione Elisa, è un metodo da idioti, lo penso del Maresciallo così come l’ho pensato quella volta di Giovanni, due anni e mezzo fa. Che idea originale, proprio.
Ci manca la serenata, e poi con Anna non avrei più speranze davvero.
Cecchini propone un brindisi, che insiste faccia Assuntina. La ragazza, però, sembra sentirsi poco bene ed Elisa la segue, cercando di capire cosa abbia.
Io ne approfitto per prendere una boccata d’aria alla finestra.
Sapevo che Anna non sarebbe venuta, ma sentirmelo dire in quel modo ha fatto comunque male.
Ma non quanto ciò che vedo affacciandomi appena: c’è Anna, in strada, e sta scendendo la scalinata insieme a Sergio.
Sembra felice. Felice, e non per merito mio. E fa male da morire.
Non riesco a distogliere subito lo sguardo... Lei sta sorridendo.
Anna è bella quando sorride.
Anzi, Anna è bella sempre.
Mi tornano in mente le parole di Tommasi per Lia, ed è anche peggio.
Quanto aveva ragione... se io quella sera, invece di dare di matto, mi fossi soffermato a riflettere...
Tornano tutti a tavola, e viene intrapreso uno strano discorso su bambini piccoli, neonati, figli... un’altra fitta al cuore per me.
Solo per scoprire che Assuntina è incinta.
Cecchini sviene senza mezzi termini. Zappavigna è uno straccio, povero ragazzo.
Quando il Maresciallo si riprende, dopo aver minacciato l’appuntato che cerca di giustificarsi dicendo che quand’è successo aveva bevuto (credimi, Zappa, dare la colpa all’alcol non ti servirà a niente, anzi), Cecchini ci butta tutti fuori di casa, me compreso, perché deve sbollire.
 
Meglio, e comunque una passeggiata aiuterà anche me.
Ho ancora l’immagine di Anna con quel tipo davanti agli occhi, un dolore lancinante al petto.
Non è solo gelosia, no, ma colpa.
 
Anna’s pov
 
Cecchini mi aveva invitato a cena da lui, per presentare mia madre ad Assuntina.
Ma io ho rifiutato.
Principalmente perché ci sarebbe stato anche Marco, e ritrovarmi in una circostanza così familiare con lui mi mette a disagio, non me la sono sentita.
E poi, perché avevo già preso un impegno con Sergio.
Per quel lavoro che gli avevo proposto, senza specificare di che si trattasse.
L’indirizzo era quello di casa mia, io il datore di lavoro. Il mio adorato maggiolino ha bisogno di essere rimesso a nuovo, e prima di spendere qualche parola in più per lui, voglio testare le sue capacità.
Accendo la luce del garage e Sergio, non appena vede cos’ha davanti, fa un fischio d’approvazione.
“Guarda lì, Maggiolino Cabrio del ‘72, quarantaquattro cavalli!”
“...Sì!”
“Questo è un gioiellino, guarda, eh!”
“Tanto bisognoso di restauro...” Sorrido, prima di spiegarne i problemi. “Ha due cilindri grippati, la puleggia della dinamo non ne parliamo, i tamburi dei freni vanno cambiati e tutta la tappezzeria andrebbe rifatta.”
“Mh... te, non ti piaceva giocare con le bambole da piccola, vero?” mi chiede, sorpreso dalle mie conoscenze.
Non ci faccio neanche caso, tutti lo sono a primo impatto.
Tutti tranne Marco. Lui non ha battuto ciglio, quando lo ha scoperto.
Mi viene da ridere se ripenso a mia sorella, che si era inventata di amare tutte cose che detestava, e invece a me piacevano sul serio.
Ad esclusione del calcio, ma col tempo avevo rivalutato in parte anche quello, che non è così male, con la compagnia giusta. La sua.
Quando l’ho confessata a Marco, questa cosa, mi ricordo che ha sorriso abbracciandomi stretta, per poi dirmi che si era innamorato di me proprio per quel motivo. Perché io ero sempre stata diversa, speciale, e che una delle cose più belle tra noi era proprio il poter condividere tutto.
Ripenso alle innumerevoli cose che abbiamo in comune, anche se siamo opposti.
La perfezione di quei due anni passati insieme.
La felicità con lui.
E poi il nulla. Il vuoto. Il dolore.
Lasciato da quel taglio, netto, al cuore, quando Marco ha pronunciato le parole “ti ho tradito”.
Da quel momento in poi, è stato come se tutto il tempo passato insieme fosse stato inutile, perso dietro a un uomo che pensavo di conoscere e che invece era riuscito a sorprendermi ancora, ma nel peggior modo possibile.
E sempre la stessa domanda che mi risuona in testa: perché?
La risposta non l’ho ancora trovata, però.
Ci sto provando, sul serio.
Perché non è stato davvero tempo perso, quello vissuto con lui, e non lo sarà mai.
Per la mia parte razionale forse sì, ma per il mio cuore, in cui continua a bruciare incessante quella fiamma d’amore per Marco, non lo è.
Perché io lo amo. Amo Marco con ogni fibra del mio essere.
Vorrei tanto odiarlo, ma non ci riesco, non realmente.
Ci ho provato, convinta che fosse l’unico modo per alleviare il dolore.
Fargli male, farlo soffrire di proposito, fargliela pagare, ma mi sono stancata subito, perché stava già troppo male senza che aggiungessi altro io.
 
Ed è per questo, che il cuore continua a sanguinare. Non ci sono punti o cerotti che tengano.
 
Torno con la mente al presente, a Sergio e il mio maggiolino.
“Allora, che dici? Si può fare? La paga è buona.”
Lui mi rivolge un sorrisetto. “Sì, la paga probabilmente è buona... è il capo che ho paura sia un po’ un gatto attaccato a...”
“Attaccato a che?” lo metto in guardia. La continuazione della frase non la voglio neanche sentire.
Lui recepisce al volo, porgendomi la mano. “Affare fatto?”
“Affare fatto.”
 
La mattina successiva, in caserma, sono nel mio ufficio intenta a leggere documenti, quando sento trambusto provenire, guarda caso, dalla postazione di Cecchini, a cui trovo anche Ghisoni e Zappavigna.
“Ma siete impazziti?! Ma che sta succedendo?” chiedo, in un tono che indica che è meglio che smettano.
È Zappavigna a rispondermi.
“Ho messo incinta Assuntina. Ma l’ho fatto senza premeditazione e in stato di ebbrezza alcolica!” mi spiega, agitato.
Io sono raggelata, ma lui sembra non farci caso, tornando a rivolgersi al suocero, in ginocchio. “Io non- Maresciallo, Maresciallo mi ascolti: io sono pronto a sposare Assuntina, a riconoscere il bambino e a crescerlo, e per me questo non è un sacrificio, Maresciallo, lo sa perché? Perché io amo Assuntina e voglio renderla felice. Ho detto che la sposo, e io la sposo!”
Cecchini lo fissa torvo. “Hai detto che la sposi?”
“L’ho detto, sì, l’ho detto!”
“Ha sentito, Lei?” chiede il maresciallo direttamente a me.
“... sì...” è la mia risposta esitante. La verità è che avrei preferito essere ancora nel mio ufficio. Non pensare. Perché questo è un argomento che mi fa soffrire.
“Cos’ha detto?”
“Che la sposa.” sorride Ghisoni.
“Le spese del matrimonio le paghi tu.”
“Sì... tutto io, pago tutto io! Grazie!”
Zappavigna corre via, mentre Ghisoni si volta verso di me.
“Capitano, le volevo dire che sono arrivati i risultati della scientifica sul caso del notaio.”
“Grazie.”
 
Chiamo in fretta Marco perché ci raggiunga e, insieme a Cecchini, ne discutiamo nel mio ufficio.
Convochiamo il signor Manlio, che finiamo per mettere in stato di fermo.
 
Almeno sul lavoro, le cose con Marco sono migliorate, finalmente riusciamo ad essere civili sul serio. A confrontarci come facevamo prima, con la sintonia di sempre.
Incredibilmente, aggiungerei, se ripenso ai primi tempi e a quanto fossimo in perenne contrasto. Continuo disaccordo.
La rinata intesa lavorativa è anche dovuta all’assenza dell’altra nell’ultimo periodo. Il fatto che non si faccia vedere mi permette davvero di essere più sollevata e calma.
La sua presenza mi mette sempre soggezione. Mi è capitato di trovarmela davanti e fermarmi a fissarla, perdendo il filo del discorso.
Mi chiedo perché proprio con lei, tra tutte quelle che ci sono.
Okay, Marco aveva bevuto, nemmeno si è reso conto di chi fosse né ricorda nulla, o almeno così sostiene lui (non che cambi molto, se fosse sobrio o ubriaco, a questo punto), ma Sara è innegabilmente una bella donna.
Le mie insicurezze di quella sera a bordo piscina, durante il reality, continuano a riaffiorare tutte le volte che la vedo.
Sara è femminile, elegante, sicura di sé. Una donna che si fa guardare, diciamo così.
Forse quello che è successo è anche colpa mia, forse quel litigio ha solo portato alla luce la verità su cosa vuole davvero Marco. Forse io non sono abbastanza, e l’alcol gli ha dato la spinta di cercare altrove ciò che in me manca.
Scuoto la testa.
No, non è così, non può essere.
Marco ha sempre detto fin dall’inizio, da quando ci siamo conosciuti, che è proprio grazie alla mia divisa che si è innamorato di me, e che sono sempre stata più donna io, che faccio un lavoro da uomo, che tutte le altre che la femminilità la ostentano a tutti i costi.
E, a dirla tutta, Marco mi ha sempre fatta sentire bella... non importa quando o come, è sempre stato il suo sguardo a farmelo capire.
Lui, soltanto lui, è riuscito a spazzare via tutte le mie insicurezze come donna con una pazienza e una dolcezza incredibili. Le mie paure sono sparite, con lui.
Per lui.
Forse, tutti questi pensieri negativi mi perseguitano solo perché sto tentando in ogni modo di trovare un perché a ciò che Marco ha fatto.
Ma non c’è, un perché.
In questi anni lui, con gesti e parole, ha cancellato ogni singolo motivo che per chiunque altro avrebbe potuto essere quello adatto a giustificare il suo tradimento.
La verità è che non c’è una ragione, il suo resta un gesto inspiegabile.
Ed è proprio per questo che non riesco a perdonarlo.
Sapessi che c’è una spiegazione razionale, sarebbe tutto più facile. Lo odierei e basta, lo eliminerei dalla mia vita senza pensarci un attimo, ma così no.
Io vorrei perdonarlo, eccome se vorrei... mentirei, se dicessi il contrario. Ma non ce la faccio.
Proprio per tutto quello che c’è stato tra noi.
 
Marco’s pov
 
Una volta arrestato Manlio dopo la deposizione di Pippo e Natalina, scendo in piazza con Anna.
Decido di cogliere l’occasione al volo.
“Senti, Anna... visto che abbiamo risolto il caso velocemente e siam stati bravi... che ne dici se domani andiamo insieme a Roma? Ho comprato un biglietto per gli Skunk Anansie e casualmente me ne han dato uno in omaggio...”
È veramente strano approcciarmi ad Anna come se la dovessi corteggiare partendo da zero.
La nostra storia è iniziata in maniera molto naturale, senza troppi fronzoli o giri di parole.
Era andato tutto costruendosi giorno dopo giorno, lavorando con lei e imparando a conoscerla. Affacciandomi nella sua vita in punta di piedi, perché lei si chiudeva a riccio se qualcuno tentava di avvicinarla senza permesso. E, col tempo, tra un gelato per consolarla e una lezione di cucina, le cose avevano preso una strada che mai avrei immaginato, quel giorno in piazza.
Io, innamorarmi di Anna? Quel Capitano rigido più della sua divisa, esasperante e freddo?
Avrei riso in faccia a chiunque.
E invece...
Invece ora sono qui, in quello stesso identico punto, a chiedere ad Anna un appuntamento per il concerto di uno dei nostri gruppi rock preferiti.
Mi affretto a puntualizzare, perché con Cecchini intorno non si sa mai. “Ti giuro, è un’idea mia, cento per cento, certificata, perché... il Maresciallo aveva proposto Nilla Pizzi, e...” Con mia enorme sorpresa, lei ride, nascondendosi dietro la mano. Quel gesto mi scalda il cuore. Quanto mi piace, quel suo sorriso. “Oh, almeno una cosa riesco ancora a farla, riesco a farti ridere! Menomale...”
Anna abbassa lo sguardo, e mi rendo conto che non è come prima, adesso tra noi il silenzio è sinonimo di imbarazzo.
Di disagio.
“Oh, guarda!” fa, a un certo punto, indicando qualcuno in basso.
C’è Ines, con un’espressione triste sul visino.
“Ines, ciao! Ma cos’è ‘sta faccia?”
“Mi manca tanto la nonna!” mi risponde, mogia. “Ti ricordi la promessa?”
“Di accompagnarti a trovarla? E certo che me lo ricordo!” Affermo, deciso. Ogni promessa è debito, mi sono impegnato a prendermi cura di lei, e non voglio deluderla. Ne ho già delusa una, di donna importante nella mia vita, non voglio ripetere l’esperienza. “Ho disdetto tutti gli appuntamenti, ho detto ‘nessuno mi deve rompere le scatole, assolutamente’ - vero?” dico, cercando il sostegno di Anna, che mi dà subito. “‘Io devo andare con Ines dalla nonna, assolutamente’, ci vengo!”
La bimba è al culmine della felicità, e non esita ad abbracciarmi forte. Io la prendo in braccio, con un sorriso altrettanto grande.
“Grazie grazie grazie!” esclama lei, stringendomi le braccine attorno al collo.
“Prego prego prego! Ci vengo volentieri!”
Questa bambina è apparsa dal nulla e improvvisamente, per merito suo, la mia vita ha ripreso un po’ di quel colore che aveva perso.
Spero solo di poterla rendere ancora più felice di quanto stia facendo finora, e di poterci riuscire anche con la sua versione adulta, prima o poi.
Ines, però, non è ancora soddisfatta. Allenta il suo abbraccio, rivolgendosi ad Anna.
“Ci vieni pure tu? Ti prego, più siamo più la nonna è contenta! Ti prego!”
Anna fa un’espressione veramente buffa, indecisa sul da farsi, ma la capisco.
Io vorrei tanto che accettasse, e non solo perché Ines lo chiede, ma perché vorrei la sua compagnia anche in questo frangente.
“... sì...”
Ok, non avrei mai creduto di poter sentire quella sillaba uscire dalle sue labbra.
Ines, se possibile, è ancora più felice.
E anch’io, come un bambino.
“Viene anche lei, hai visto?”
 
Anna’s pov
 
Eccomi qui, in piazza con Marco, che mi sta invitando a un concerto.
Lo osservo attentamente: sta a distanza di sicurezza, più di quanto abbia mai fatto finora con me, ed è terribilmente incerto, titubante nel pronunciare quelle parole. Imbarazzato.
Certo, non c’è più il rapporto di prima per ovvi motivi, ma tra noi è sempre stato tutto molto spontaneo, come se ci conoscessimo da una vita. Marco non si era mai dovuto sforzare di fare nulla, con me, veniva tutto istintivamente. Ogni tanto aveva bisogno di essere incoraggiato, ma solo appena appena, poi diventava tutto come se fosse la cosa più normale dell’universo.
E ora invece eccolo qui, davanti a me, che esita, quasi avesse paura che qualsiasi cosa dica sia errata a prescindere.
Lo capisco. Marco sa di aver sbagliato, e si sta sforzando di accettare una tregua che io ho imposto, anche se a malincuore, e che non gli permette di provare a far tornare tutto com’era. Deve accontentarsi di un equilibrio in cui siamo solo colleghi, o almeno era questa l’intenzione iniziale.
Perché la verità è che non saremo mai solo colleghi, e il suo invito lo dimostra.
Mi ricordo di quando io stessa avevo affermato, nei primi mesi di conoscenza, che non eravamo amici, oppure che eravamo ‘colleghi, al massimo amici’ dopo il nostro primo bacio.
L’errore.
Ma non lo era, non era mai stato un errore, quel bacio, semmai l’inizio di tutto: delle farfalle allo stomaco, della consapevolezza che ci fosse qualcosa in più, dei sorrisi quando arrivava un suo messaggio per le lezioni di cucina, della gelosia quando lo vedevo con Chiara, della paura di morire chiusa in un furgone e non riuscire a dirgli quanto lo amassi, dei vestiti da Babbo Natale in pieno agosto. E poi le passeggiate mano nella mano, le uscite con Patatino, le vaschette di gelato consumate a fine turno sui divanetti nel mio ufficio o a casa, a rubarci i cucchiai. Le coccole la sera tardi. Le risate per una sciocchezza. La prima volta a casa sua. Le lunghe notti passate a parlare. Le gite in moto. Le rose bianche. La sua proposta di matrimonio.
La gioia di stare insieme.
E poi, un orribile risveglio da quel sogno ad occhi aperti che era la nostra vita, nella sagrestia della Chiesa di Sant’Eufemia.
L’inizio di un incubo che ora perseguita entrambi.
Lo capisco dagli occhi di Marco che mi fissano, timorosi, mentre cerca di mettere insieme il suo invito per andare a Roma al concerto.
E poi il solito Marco, quello che mi fa ridere con niente, che crede di essere simpatico anche quando non lo è, che amo immensamente anche se è l’uomo più impossibile che conosco.
Ho perso il controllo per un attimo, sarò onesta, e ho reagito come avrei sempre fatto in circostanze normali, ma poi il mio cervello ha ripreso le redini della situazione, e tutto è tornato alla ‘normalità’. Quella in cui il silenzio tra noi non è più piacevole, ma imbarazzante.
Per fortuna, l’impasse è sbloccata dall’arrivo della piccola Ines, che cerca proprio Marco.
Il suo tutore legale.
Questa bimba è molto simpatica, oltre che estremamente dolce. Mi rivedo molto in lei.
Ma più la guardo interagire con Marco, più sento le fitte al cuore aumentare.
Lui, con lei, sembra totalmente un’altra persona.
È... cambiato. Il vecchio Marco non avrebbe mai giocato così con una bambina, trascorso il suo tempo cercando di farla felice.
Eppure eccolo qua, davanti ai miei occhi, con Ines in braccio che lo stringe forte e lo ringrazia con un sorriso enorme, e lui che risponde con una gioia che non vedevo da tempo.
Non posso non sorridere anch’io, vedendoli, anche se fa male. Terribilmente.
Quando la bimba però mi chiede se li accompagno anch’io, devo lottare per non correre ai ripari. Non sono certa di riuscire a controllarmi in una situazione diversa.
Se li vedo così, mi sento troppo vulnerabile.
Ma alla fine cedo, non riesco a dire di no a quel faccino.
Accetterei altre mille volte, per rivedere la stessa felicità sui volti di Ines e Marco.
 
Ci accordiamo per recarci alla casa di riposo nel primo pomeriggio.
Recupero la scatola di cioccolatini di Cecchini, che sarebbe stato un peccato sprecare, da poter consegnare alla nonna di Ines.
La bimba ci precede con la scatola in mano, mentre io tengo il suo giacchetto.
Mi sembra un’esperienza surreale.
Noi tre, insieme, qui.
Improbabile, eppure paradossalmente naturale.
“Alla nonna piacciono tanto questi cioccolatini!” esclama la piccola. “A te piacciono?” mi chiede, e io non so cosa rispondere. Fosse stata un’altra, la scatola in questione, sarebbe stato diverso.
“... dipende.”
“Da cosa?”
Bene, cosa si risponde a una bambina di sei anni che ti chiede una cosa così?
“Dipende da chi glieli regala...” ecco che Marco corre in mio soccorso. È bastato uno sguardo, per capirci. Come sempre, lui è pronto a tirarmi fuori da situazioni che mi mettono in una posizione scomoda.
E di nuovo quella domanda: perché?
“Perché? Mica cambiano sapore.” commenta Ines, e non è che abbia tutti i torti...
“Tu sei saggia, lo sai?”
Salutiamo tutti, e la bimba corre dalla nonna non appena la vede.
“Sorpresa! Ti ho portato questi!”
La signora sembra felice. “Che bello!! Grazie dei cioccolatini, sono proprio i miei preferiti!”
“Bene, si ricorda! È positivo!” mormoro, scambiando uno sguardo con Marco, che annuisce.
Ma tutto crolla in un attimo.
“Ma tu chi sei, bella bambina?” chiede a Ines, che si allontana di un passo, delusa.
Sua nonna, però, si accorge di me, sorride, ed esclama, “Oh, Irene! Sei arrivata finalmente!”
“... chi è Irene?” chiedo, in terribile imbarazzo. Nemmeno Marco sa cosa rispondere.
Ci pensa Ines a chiarire tutto. “Irene era la mia mamma...” mi spiega, e io mi sento stringere il cuore. “Nonna, lei non è mamma, è una mia amica, si chiama Anna! E io sono Ines... mi riconosci?”
Nonna Rosa, però, non dà segno di aver capito chi sia, e Ines è sull’orlo delle lacrime.
Un altro sguardo con Marco mi basta per capire che anche lui è preoccupato, perché questo è un problema enorme che nemmeno noi sappiamo come risolvere, ma dobbiamo tentare.
So che lui sta già pensando a cosa fare, lo capisco da come guarda la piccola e sua nonna.
Troverà una soluzione, lo fa sempre.
Mi avrà pur tradita e il motivo non riuscirò mai a capirlo, o forse sì ed è per questo che non mi do pace, ma Marco farebbe di tutto per le persone a cui tiene, nessuno lo sa meglio di me.
 
Marco’s pov
 
“No, la deposizione di Natalina non mi convince.” afferma Anna, dopo che Natalina e Pippo sono tornati a ritrattare.
“No, beh... Ho visto suo padre, a me sembrava sincero. Ha confermato anche il sagrestano, io dovevo rilasciarlo, no?”
“... sì, tu hai fatto bene, è che... se io fossi Natalina, anche se dovessi avercela con mio padre, mentirei per proteggerlo. È comunque suo padre, e secondo me lo sta aiutando perché-”
“-perché anche se le ha fatto del male, in qualche modo vuol dargli una seconda possibilità.”
Il discorso è passato in fretta dal caso a noi due.
Alle seconde possibilità.
Ma Anna è molto chiara in merito.
“... comunque ci conviene ricominciare tutto da capo. Sto parlando delle indagini.”
Sento il cuore spezzarsi un’altra volta e faccio per andarmene quando ci ripenso, tornando indietro a sedermi dov’ero prima, di fronte a lei davanti alla sua scrivania. Il nostro posto abituale.
“Senti, io ti ho fatto del male-”
“No, Marco, non mi sembra il luogo-” tenta di bloccarmi con un filo di voce. So che non vuole affrontare il discorso, ma io devo farlo. Devo provarci.
“No, ti prego, mi fai parlare?” Con qualche esitazione, lei annuisce, così continuo. “Ho fatto un casino, un casino enorme, penso... il Las Vegas dei casini, e non ti sto chiedendo di dimenticarlo, quello c’è. Io vorrei, ti prego, avere una seconda possibilità di dimostrarti quanto ti amo e quanto io possa essere un uomo migliore.” la supplico. Mi metterei anche in ginocchio, se sapessi che servirebbe a qualcosa.
Perché io ho bisogno che lei me la dia, quella seconda possibilità, ho bisogno di dimostrarle che tutto quello che c’è stato tra noi non è stato un caso né roba di poco conto. Che non si può cancellare tutto così. Perché la nostra storia ha lasciato in noi qualcosa che è più grande di qualsiasi altro sentimento provato finora.
Perché quella mattina, in piazza, non stavamo per conoscere una persona tra tante. Abbiamo trovato la metà perfetta, l’altro capo del filo rosso.
Ma Anna torna a distogliere lo sguardo, e mi rendo conto che forse sono rimasto soltanto io a voler lottare per quel dono meraviglioso che la vita mi ha fatto.
E non perché in quegli occhi verdi non ho visto il suo amore per me, anzi... Quello c’è ancora, più vivo che mai, ma quelle iridi si sono velate di lacrime che io ho provocato e che non sono più in grado di asciugare.
Perché la corazza che si è costruita intorno, stavolta, è fatta proprio per respingere me. E io non posso avvicinarmi.
Come la rosa che avevo raccolto dal cestino, e con cui mi ero punto.
Fosse per me, proverei a pungermi ogni volta, anche solo per capire quanto male le ho fatto, anche se lo so già. Ma mi infliggerei quel dolore mille volte, pur di risparmiarlo a lei.
Per poterle permettere di essere nuovamente felice.
Anche senza di me.
 
Anna’s pov
 
Gli occhi di Marco per me sono sempre stati una finestra attraverso cui vedere il suo cuore.
Quel cuore che mia madre mi aveva suggerito di soffermarmi a guardare, senza restare bloccata all’esterno.
Ci ho visto tutto, lì dentro, ed è stata l’esperienza più dolorosa che abbia mai provato.
La voce tremante di Marco che mi implora di dargli una seconda possibilità un’altra lama che fende la mia anima, straziandola in altri innumerevoli brandelli.
Perché lo so, che mi ama. Non serve che me lo ripeta continuamente, lo percepisco. Lo so fin da quel giorno in sagrestia. La disperazione che gli ho letto sul viso, nello sguardo, mentre mi confessava cos’aveva fatto. Ma non sono riuscita a ad accettare il suo tentativo di spiegare, la mia mente annebbiata dal dolore immenso che mi si era riversato addosso all’improvviso e che mai avrei immaginato di provare. Il cuore spezzato.
Perché il mio Marco mi aveva tradita.
Lui, che il giorno del suo arrivo davanti alla caserma, dopo essersi presentato aveva affermato senza batter ciglio di non essersi sposato perché aveva cambiato idea. Lo stesso Marco che, mesi dopo, mi aveva confessato con altrettanta leggerezza che il matrimonio era saltato perché la donna che avrebbe dovuto sposare lo aveva tradito col suo migliore amico... il tutto per alleviare il mio dolore, dopo che Giovanni mi aveva lasciata per entrare in seminario.
Eravamo proprio due casi persi, destinati a incontrarci. Ad attrarci. Ad amarci.
Ma se quell’amore che ci ha travolti come il mare in tempesta esiste e ci legava in modo così indissolubile, perché l’ha fatto?
 
Ho bisogno di tenere la mente impegnata, distrarmi, e niente è meglio del ‘restauro’ del mio amato Maggiolino.
Stasera sono proprio in garage, insieme a Sergio, mentre tentiamo di capire cosa sistemare.
“Ecco, l’ho trovato! Stavo impazzendo... la valvola a farfalla del carburatore!” esclamo a un certo punto. Finalmente ho trovato quella dannata cosa.
“Ma sul serio? Ma pensa te...” fa Sergio, sorpreso, prima di rivolgermi uno sguardo divertito. “Tu mi fai paura, sai?”
“Perché?”
“Come fai a sapere cos’è una valvola a farfalla?”
Alzo gli occhi al cielo. “Ah, pregiudizio maschile...! Un sacco di ragazze vorrebbero sapere che cos’è una valvola a farfalla, solo che i genitori le riempiono di favole per bambine o bambole.” gli spiego in tono pratico.
“Invece i tuoi no?”
Decido di dirgli qualcosa in più. “Mio padre era diverso, sì. Prima di fare un viaggio facevamo la messa a punto e la revisione di un maggiolino come questo... Era un rito tutto nostro... mi piaceva più quello del viaggio. Eravamo felici, insieme.” mormoro, ripensando a quei momenti con papà. Ho cercato di mantenermi sempre sul vago, prestando però attenzione a evidenziare le cose che ritengo fondamentali per lui sapere, per fargli capire il rapporto speciale che può instaurarsi tra un padre e una figlia.
“E perché si è tolto la vita, allora?” Io abbasso per un attimo lo sguardo, prima di puntare gli occhi su di lui, che si affretta a fare un passo indietro, temendo di aver posto una domanda inopportuna. “Scusami... sono veramente un cretino, no, era solo- sono un imbecille, non so perché l’ho detto...”
“No, non è un problema... non è un problema, davvero.” lo rassicuro. “È stato accusato ingiustamente di aver fatto una cosa, e nessuno voleva credere che fosse innocente. Un po’ come te...”
Non siamo abbastanza in confidenza da potergli rivelare di più, e probabilmente non lo saremo mai, ma ho visto Ines soffrire sapendo che l’ultima persona che ha al mondo, per quanto lei ne sappia, non la riconosce più.
Conosco bene il senso di vuoto che una perdita così importante può scatenare.
Per questo ho deciso di aiutarla anch’io.
Marco sta facendo tutto quello che può, e anch’io voglio provare a dare una mano.
Inutile dire che la vicenda di Sergio e sua figlia mi sta molto a cuore, e ci rivedo molto della mia storia personale in loro. Per questo vorrei che avessero un finale diverso dal nostro.
“Sì, sai, solo che io l’ho scelto, quindi forse è per quello che ho retto. Diversamente anch’io avrei gettato la spugna.” mi dice lui, un’espressione quasi arrabbiata sul volto.
“Tu però hai passato sei anni in carcere! Hai pagato il tuo debito. Perché non provi a riprenderti la tua vita? Perché non provi a fare il padre?” tento, ma lui sembra non volerne sapere.
“Mi ci vedi come padre, sul serio? Ines non mi vuole!”
“Non lo sai se non glielo chiedi!” ribatto però io. “È una bambina, è piccola, e non ti conosce...”
“Neanche tu mi conosci.”
Su questo va via.
Ma se pensa che mi arrenderò, non ha davvero capito niente.
Lo convincerò almeno a provarci.
Io sono Anna Olivieri, la testona che si è imposta di diventare Capitano dei Carabinieri e ci è riuscita, che aveva deciso di farsi giustizia da sola e l’ha fatto. La donna indipendente che fa tutto da sola, che non ha bisogno d’aiuto e non lo sa chiedere, ma che non esiterebbe mai a darlo agli altri.
E stavolta non sarà diverso.
 
Quelle ore con Sergio sono servite a distrarmi.
Quando rientro a casa, come al solito, i ricordi tornano prepotenti ad assalirmi, e devo cercare un altro metodo per tenere la mente impegnata.
Scelgo un libro dallo scaffale, mettendomi a letto.
Non riesco ad abituarmi al fatto di non avere più Marco accanto, la notte.
Scuoto la testa, tornando alle mie pagine.
Un suono, a un certo punto, mi fa interrompere la lettura: un messaggio.
Recupero il cellulare dal comodino.
Il biglietto per gli Skunk Anansie c’è... comunque niente Nilla Pizzi perché mi dicono sia impegnata in una tournée in Paradiso. Marco.
Ridacchio alla sua battuta.
Sempre il solito Marco, ha scoperto un modo per farmi ridere, e adesso riciclerà quella frase finché non ne troverà un’altra altrettanto efficace.
Perché è fatto così. Un bambinone in giacca e cravatta, imposte perché quella dell’attore non poteva essere la sua strada.
Mi giro dall’altra parte, soffermandomi a osservare la sua parte di letto vuota.
Una vita intera influenzata dalle scelte degli altri, e lui che cercava di accettarlo.
La paura costante di affrontare una via differente da quella prestabilita per lui da altri, nonostante nel suo cuore il desiderio fosse sempre diverso.
Attore? No, Pubblico Ministero.
Se stesso? No, da cambiare, perché non andava bene così com’era.
E forse la risposta a quel perché è proprio qui.
Le sue paure, le debolezze, gli errori.
L’istinto, l’intuito.
Per merito di un pazzo si era presentato in abiti da Babbo Natale davanti a me, pronto ad accettare quel nostro amore folle e cambiare insieme.
Per paura di essere un ostacolo, si era fatto da parte nel momento che avrebbe dovuto vederci più vicini che mai, per lasciami libera di scegliere.
Per la disperazione di avermi persa, aveva bevuto fino a perdere se stesso per una notte. Per non pensare al dolore che provava.
Ma questo non giustifica comunque il suo gesto.
No?
 
Marco’s pov
 
La mattina dopo, in caserma, sto prendendo un caffè quando Anna entra.
Mi saluta avviandosi verso il suo ufficio, prima di tornare indietro e avvicinarsi a me.
“Grazie per l’invito al concerto... però ho un impegno.”
Cerco di nascondere la mia delusione. Non posso dire di esserne davvero sorpreso: non so se stia mentendo o meno, in fondo l’unica cosa sicura è che non viene perché il suo accompagnatore sarei io. Ma non riesco a trattenermi, devo sapere.
“Vai con quel Sergio?” Lei mi rivolge un’occhiataccia che mi fa capire di non permettermi a insinuare cose, proprio io. Ritratto immediatamente. “Scusami, non sono fatti miei... vabbè, pazienza, ci andrò con Ines al concerto, va bene...” cerco di stemperare la tensione, dopotutto a Ines piace il rock quanto a noi, e almeno riesco a far sorridere Anna.
Almeno questo.
Ci raggiunge Barba. “Capitano, ho delle novità sull’omicidio...” lei lo invita a seguirla nel suo ufficio, mentre Cecchini tenta di risollevarmi il morale, ma invano.
Ogni giorno che passa sento Anna sempre più distante, e il mio cuore sempre più buio.
 
Dopo l’interrogatorio all’assistente di studio, io e Anna ci confrontiamo un attimo, prima che il suo cellulare suoni. Mi fa un cenno, rientrando nel suo ufficio per parlare.
Fa sempre male quando mi esclude da momenti che, prima, avremmo condiviso senza nemmeno rifletterci.
Non posso però fare a meno di ascoltare. So che non dovrei, ma è più forte di me.
“Sì, pronto?... ah, sì, sono io! Sì, allora, stavo cercando la tappezzeria per un Maggiolino Cabrio del ‘72... eh, lo so che son difficili da trovare... no, no, li sto cercando originali, è una questione affettiva...”
So quanto ci tenga, a quel Maggiolino. È stato il suo primo acquisto con il suo stipendio personale e i risparmi accumulati dai vari lavoretti, per via di tutti i ricordi della sua infanzia felice legati a quell’auto.
Noi stessi ci abbiamo passato ore, seduti lì dentro nonostante i sedili rovinati, abbracciati, a parlare di tutto e niente, per un tempo infinito, a immaginare il futuro che ci attendeva, i progetti, la casa, dei bambini...
Ci sono anche i nostri ricordi, su quella macchina.
Se sta cercando la tappezzeria significa che lo sta aggiustando, mi è sembrata molto presa dalla ricerca.
Forse potrei aiutarla...
 
Non è stato affatto semplice, ma ci sono riuscito, ho trovato le stoffe. Quelle giuste.
Ho fatto di tutto per poterle avere già in serata, e non appena le ricevo, scendo in fretta in garage a portargliele. Sono sicuro che lei sia lì.
Trovo la porta socchiusa, e mi faccio avanti. Noto la sua borsa appoggiata a una sedia nell’angolo, così sospiro, mi armo di coraggio e parlo, sperando di essere ascoltato.
“Ciao! Scusami se sono entrato così, ma quando ho sentito che cercavi le tappezzerie originali del Maggiolino non ho resistito... e le ho trovate! Su Internet...” esclamo, incoraggiato dal fatto che almeno non mi stia buttando fuori. “Spero vivamente che non facciano la fine delle rose, tappezzare il cestino, tipo...” scherzo, anche se in realtà sono serio. Il pensiero stavolta è mio, so che è una cosa che desiderava moltissimo già da tempo. “Ma, a parte il regalo, io vorrei che tu capissi, Anna, quanto ci tengo a te e quanto io non possa fare a meno di pensarti tutti i giorni... e quanto io vorrei una seconda possibilità per dimostrarti quanto ti amo, e quanto potrem-”
Divento di marmo quando una figura esce da sotto il Maggiolino, ma non è Anna.
Sergio.
Giusto per capire bene, getto un’occhiata sotto la macchina. Vuoto.
“Eh... eh no, non c’è, non c’è...” mi conferma lui, in imbarazzo forse quanto me.
“Ho visto... scusa, c’era la sua borsa, n-” cerco di spiegarmi, ma senza grandi risultati.
Che figura del cavolo, questa ancora mi mancava.
Ho aperto il mio cuore al delinquen- al padre di Ines, e la mia Anna nemmeno c’è.
“Sì, l’ha dimenticata, ritorna a prendersela... se vuoi posso dargliele io, le stoffe, quando ritorna...” si propone Sergio, ma forse a questo punto è meglio che lei non sappia. Sarebbe anche peggio, capirebbe che ho origliato la sua telefonata e non mi sembra il caso.
“No... cioè, no, nel senso... Non dirle che son venuto qua. No, non sto scherzando. Ma... non-” penserà che le abbia trovate lui, ma pazienza. Non voglio che mi detesti ancora di più per essermi intromesso, per aver ascoltato quello che non dovevo.
Mi ha chiesto di stare fuori dalla sua vita privata, e io non ci riesco.
Meglio non dirle nulla.
Sergio per fortuna acconsente, e io faccio per andar via quando lui mi ferma.
“Senti, co-comunque...per me eri convincente, eh!”
Io non rispondo nemmeno, uscendo fuori.
Dire che sto sudando è poco.
Mi sa un po’ di presa in giro... che figura di m**** al quadrato!
 
Anna’s pov
 
La mattina, i lavori sul caso proseguono. Ci sono tante cose che non quadrano.
Ho appena preso un caffè e sto tornando nel mio ufficio, quando sento il Maresciallo e Marco parlare di Assuntina e del nuovo fidanzato, cogliendo un commento di Cecchini.
“... Lei non deve fare l’errore che ho fatto io, ho fatto due figlie femmine! Ci vuole un maschio!”
Mi impongo di stare zitta, ma la replica di Marco arriva puntuale, sorprendendomi un po’.
“Che è, il Medioevo, questo...?”
È una frase banale, ma mi provoca una fitta al cuore, come sempre.
Quindi forse gli piacerebbe, avere una bambina...
Sbatto le ciglia, riprendendo il controllo sui pensieri, e mi avvicino ai due.
“Maresciallo, mia mamma mi ha detto che è arrivato il fidanzato di sua figlia!”
Marco mi fa cenno verso le mie spalle.
“Ehi, ehi, ehi...”
Ah, c’è Zappavigna, giusto... poverino, sembra disperato.
“Cioè, quello nuovo... com’è?” chiedo, curiosa.
“Volete sapere la verità? Preferivo Zappavigna!”
“Siiii!!!” esclama Marco, facendomi quasi scoppiare a ridere. “Ci ha fatto una testa così, che Zappavigna... non è un’aquila...” commenta, e in effetti non è che abbia tutti i torti... nei due anni scorsi, ci ha esasperato dicendo che il povero appuntato non era la persona giusta per la figlia, che non faceva per lei, al contrario di...
Di noi due, che eravamo fatti l’uno per l’altra.
Cecchini è più mogio che mai. “Non è un’aquila assolutamente, però... male minore... male minore!”
“Ma che vuol dire!” replico io, interdetta.
“Vuol dire, vuol dire!”
Manco finiamo di parlare che arriva Assuntina, accompagnata proprio dal suo nuovo fidanzato francese.
“Oh, si parla del diavolo, spuntano-”
“-le corna!”
Sorvoliamo sul commento di Marco, che detto da lui è tutto fuorché divertente, come la storia di Patatino traditore. Cerco di svignarmela, con uno sguardo eloquente a Marco che si rende conto di quello che ha detto a scoppio ritardato, ma Assuntina ha evidentemente altre idee.
“Ciao papà, Capitano, Marco... lui è Vincent, il mio fidanzato!”
Enchanté!” esclama Vincent rivolgendosi solo a me, facendomi addirittura il baciamano.
“Piacere!”
Credo di essere arrossita. È il primo uomo che mi tratta da donna pur vedendomi in divisa.
“Parla francese!” borbotta il Maresciallo, e arriva pronta la battuta di Marco.
“Veda Lei, è francese...”
Marco, ti ho visto, inutile che fai il geloso. Te la sei cercata tu.
Vincent continua, ignorando gli altri due. “Sono proprio felice di conoscere un officiel donna. À mon avis, in Italia siete ancora troppo poche.”
“È vero,” confermo, “però stiamo recuperando in fretta, ci sono tre Generali donna nell’Arma.”
“Beh, mi auguro allora che Lei sia la quarta!”
Stavolta sono arrossita davvero, perché ha proprio centrato il punto.
“Ruffiano!”
“Un pochino...”
Certo, Cecchini e Marco non si riescono ad astenere.
Marco, in realtà, non ha mai nascosto la sua gelosia, men che meno adesso, evidentemente.
A essere sincera, la cosa mi fa piacere.
“Va bene, noi andiamo! Gli sto facendo vedere le bellezze di Spoleto!” si congedano i fidanzatini.
Quando i due escono, io non nascondo il mio apprezzamento. “Ma qual è il problema? È un bel ragazzo, si vogliono bene, è di col-ma non è che Lei è razzista?” chiedo sospettosa al Maresciallo, che mi lancia un’occhiata indignata.
“Io? Razzista, io? Che ho sposato una meridionale?” Marco scoppia a ridere senza ritegno, scambiando con me un’occhiata divertita. A parte il fatto che Cecchini e sua moglie sono entrambi di Messina, quindi il paragone non regge, la cosa più ironica è che, tra tutti e tre, quelli a poter parlare saremmo io e Marco.
Cecchini continua con le lamentele. “Semmai il razzista è lui! La Francia, Francia, Francia... tutto invertito! Come maggio, giugno, luglio... agosto, settembre, ottobre!”
Ormai nemmeno mi chiedo più che cavolo intenda certe volte.
 
Qualche minuto dopo, anche Marco scende giù per andar via. Io ne approfitto per aprire la finestra del mio ufficio, visto che a quest’ora arriva un bel sole.
Quando mi affaccio, noto Sergio appoggiato alla facciata della canonica, intento a osservare la piccola Ines, seduta mogia sugli scalini del teatro.
Vedo Marco osservare anche lui la scena, prima che Sergio vada via.
Marco si avvicina alla bimba, sedendosi accanto a lei.
Da qui non riesco ovviamente a sentire nulla, ma mi accorgo che a un certo punto alzano entrambi lo sguardo nella mia direzione.
Non resisto più, chiudendo di scatto la finestra e sedendomi in tutta fretta alla mia scrivania, ricacciando indietro le lacrime.
Troppo doloroso, per me, vedere Marco comportarsi da papà con tanta naturalezza.
Sarebbe un padre meraviglioso, inutile provare a negarlo.
Avevo avuto già modo di accorgermene quando Cosimo ci chiese di fingere di essere i suoi genitori, e lui si era lasciato coinvolgere più di quanto avrebbe mai ammesso, incoraggiando il bambino e sostenendolo in ogni modo.
Ci sa fare, con i più piccoli, riesce a instaurare con loro una sintonia che è innata, non la si potrebbe imparare da nessuna parte.
Pascoli direbbe che è merito del fanciullino che è in lui, e non potrei essere più d’accordo.
Quel fanciullino è incredibilmente presente, in Marco, ed esce fuori soprattutto nei momenti più inaspettati.
Perché lui è come i bambini, puro istinto in balia delle sue emozioni.
Incapace di scegliere autonomamente perché nessuno glielo ha mai permesso di fare nella sua vita.
Aveva iniziato a tentare, con me. Ma sempre su mia insistenza, mai per sua volontà.
Almeno finora.
Perché il Marco seduto sugli scalini insieme a Ines sembra invece pronto a intraprendere un percorso in autonomia, per la prima volta.
Ha scelto da sé la strada da prendere, ha deciso lui di aiutare quella bambina. Di prendersi responsabilità non sue per amore di uno scricciolo tutto pepe.
Ha voluto provare a non arrendersi con me e ritentare giorno dopo giorno ad avvicinarmi, nonostante io non faccia altro che respingerlo.
Tutto, anche col rischio di sbagliare e fallire.
Perché c’è qualcosa di più grande che lo sta motivando.
Un obbiettivo che mai è stato più chiaro, anche per me.
E che proprio io gli sto impedendo di raggiungere.
 
Marco’s pov
 
Ho avuto il piacere di conoscere il nuovo fidanzato francese di Assuntina.
Per la prima volta mi ritrovo d’accordo con Cecchini, è un antipatico presuntuoso e ruffiano.
Sì, sono geloso! Come si permette di rivolgersi in quei toni alla mia Anna?
È vero che lei è incredibilmente in gamba, e quel grado lo meriterebbe senza ombra di dubbio perché ha tutte le carte in regola per arrivarci, ma stai calmo.
Il baciamano? Pure?!
Aria, francesino, mantieni le distanze.
Mi ricordo di botto che Anna non è più la mia Anna e non ho nessun diritto su di lei.
Vado via appena riesco a tirarmi fuori dall’impiccio.
Anche perché mi irrita vedere che il tizio ha fatto colpo anche su di lei.
Sceso in piazza, noto la piccola Ines seduta mogia mogia sugli scalini del teatro, e Sergio guardarla da lontano. Va via non appena mi vede.
Codardo, tua figlia è da sola, triste, e tu che fai, te ne vai?
Anche stavolta, però, mi ricordo che non devo giudicare. Non sono nella posizione di farlo, io che ho paura di prendere qualsiasi decisione.
Solo in tre casi ho fatto un’eccezione, nella mia vita: quando mi sono vestito da Babbo Natale in pieno agosto per chiedere scusa alla donna che amo; lasciare la stessa donna di cui sono follemente innamorato per permetterle di seguire la sua strada senza ostacoli; accettare di fare da tutore a uno scricciolo dai boccoli castani e un caratterino niente male.
Visto che, per colpa mia, due di quelle decisioni hanno avuto un finale che mai avrei voluto, per la terza voglio impegnarmi il più possibile.
Mi avvicino alla bimba, sedendomi accanto a lei.
“Ehi, come stai, Ines?”
“Schifissimo...” mi risponde lei con una vocina triste. “Natalina va via con il suo papà, e la nonna non mi riconosce.”
“Mi dispiace...”
Lei, come al solito, ha la soluzione pronta a portata di mano.
“Perché non dici che sei il suo fidanzato e poi vi sposate, così la nonna torna a casa? Se torna a casa, vedrai che guarisce!”
Con mio enorme rammarico, sono costretto a dirle che non è così facile.
“Lo so, ma... vediamo. Questo non te lo posso promettere, Ines...”
Sorrido alla sua idea innocente. Se tutti fossimo così puri come i bambini, molte cose non succederebbero. Alzo istintivamente lo sguardo verso la finestra di Anna, trovandola affacciata ad osservarci.
“Magari a lei dispiace se ti sposi con la nonna...” osserva Ines, notandola anche lei.
Questa bambina non la smette mai di stupirmi, ha perfino intuito che c’è qualcosa che lega me e Anna... anche se non come forse immagina lei.
“Non credo, secondo me sarebbe anche contenta, lei, sai...” rispondo, tristemente.
Vorrei tanto dirle che ha ragione, ma non posso, e ritrovarmi costretto ad ammettere che Anna potrebbe perfino essere felice di vedermi sposare qualcun altro per liberarsi di me fa terribilmente male. Perché lei sembra aver smesso di lottare per noi, come se si fosse rassegnata all’evidenza dei fatti: un tradimento come il mio non si può perdonare, non quando chi lo commette sa esattamente cosa vuol dire, quanto si soffre.
Ines sembra cogliere il velo di tristezza nella mia voce, e mi propone una nuova idea.
Assurdo, dovrei essere io a consolare lei, non il contrario.
“Andiamo a prendere un gelato tutti insieme, dai!” mi chiede, speranzosa.
Tutti insieme. Io, Anna, lei e sua nonna.
Dio solo sa quanto vorrei dirle di sì, che possiamo andarci, ma sono di nuovo obbligato a confessare che non si può.
“Eh, non lo so, perché Anna ultimamente non è che mi ascolti molto, eh...”
Ines fa di nuovo un’espressione delusa, e noto due lucciconi minacciare di rotolare giù. Cerco di rimediare come posso. “Ehi, ti imbronci? Dai, vediamo, forse ci riusciamo, va bene?” tento, ma lei non sembra convinta.
Don Matteo ci raggiunge con la sua bicicletta, e nota l’espressione della piccola.
“Ehi, Ines, cos’hai?”
Lei non risponde, scappando via in canonica, in lacrime.
Sento il cuore sprofondare. L’ho delusa.
Il peggio è che non potevo fare altrimenti, illuderla non avrebbe migliorato le cose.
Non è una situazione facile, però, la tensione con Anna è sempre dietro l’angolo, e anche la richiesta di un gelato potrebbe complicare le cose tra noi.
E l’ultima cosa che voglio è allontanarla ancora di più da me.
Il sacerdote segue la bimba con lo sguardo, così gli spiego. “Eh, è per la nonna... è preoccupata che non la riconosca più. Già che è qua, Don Matteo, il corpo del notaio non occorre più all’autorità giudiziaria, può celebrare i funerali.” lo informo.
“Grazie...” mi dice, ma capisco che non si riferisce al notaio. Parla di Ines.
“No, grazie a Lei, davvero...”
Sono io a doverlo ringraziare, per tutto. Per l’aiuto che mi sta dando, per avermi fatto il dono di poter conoscere Ines.
Dovrei ringraziare molte persone per quello che stanno facendo per me anche se non me lo merito fino in fondo.
Anche se a me la situazione sembra sempre e solo peggiorare.
 
Anna’s pov
 
Oggi pomeriggio la caserma sembra a lutto, sono tutti col muso lungo.
Raggiungo Cecchini, affiancato da Marco e Zappavigna, con l’intenzione di provare a risollevargli il morale.
“Caffè per consolarsi?” tento, facendo per porgergli il bicchierino solo per accorgermi che lo ha già. Glielo ha portato Marco.
Do il caffè in più all’appuntato, decisamente a terra, scambiando uno sguardo imbarazzato con Marco.
Abbiamo avuto la stessa idea... di nuovo.
Il maresciallo riprende a parlare. “Grazie, grazie, siete molto gentili... il mondo va alla rovescia: i superiori che portano il caffè ai sottoposti, i figli che disobbediscono ai genitori... il mondo è cambiato.”
Traditori che tradiscono, aggiungo nella mia mente.
Il mondo a rovescio. Quanta verità.
Eppure... eppure Marco è il solito Marco.
Dal giorno in cui ho saputo tutto, l’ho visto parlare con Sara pochissime volte, e soltanto di lavoro.
Segno di una distanza che lui stesso ha evidentemente imposto.
Per espiare il suo peccato? Non solo.
È una dimostrazione ulteriore che la sua amica nemmeno la conosceva, né tantomeno aveva intenzione di rivederla. È stato un incontro sbagliato, questione di una notte senza consapevolezza alcuna. Senza intenzioni future di proseguire.
Lo so che per lui è stato uno sbaglio, che non c’è stato sentimento dietro, ma solo dolore e voglia di oblio per quello che io stessa avevo causato.
Perché, perché diventa sempre più difficile?
Ogni volta che vedo Marco, il mio cuore vorrebbe cedere senza pensarci due volte.
Perché per amore si possono fare le cose più assurde: intraprendere una strada sconosciuta e piena di incertezze, perdonare qualcuno che si è odiato per una vita intera, dare una seconda chance dopo un tradimento.
Ma l’uomo è un animale razionale, e io sono forse la più razionale di tutti.
E la mia mente vince sempre sul cuore.
 
La sera, declino nuovamente l’invito di Cecchini per la cena di presentazione di Vincent per un impegno già preso e che ritengo più importante.
La riparazione del mio Maggiolino con Sergio.
Siamo a buon punto col lavoro.
Quanto arrivo al garage, lo trovo già lì in postazione, e mi indica una scatola di cartone rosso che mi aspetta, pronta per essere aperta.
Curiosa, sollevo il coperchio.
La tappezzeria!!!
“Non ci credo!! Ma dove l’hai trovata?! Poi è originale, degli anni ‘70... Dove l’hai presa?” esclamo senza prendere fiato. Dire che sono emozionata è poco. È esattamente quella che volevo, e mi sembra una strana coincidenza.
“Eh, su Internet, credo...” mi risponde Sergio in un tono incerto che mi insinua il dubbio.
“È bellissima... grazie! Ah, quanto ti devo?”
“Ma niente, dai, niente...”
“Come, niente? L’avrai pagata uno sproposito!” ribatto, conoscendo bene i prezzi. Questa cosa mi sembra strana, e una mezza idea di cosa ci sia dietro ce l’ho.
“No, è che non l’ho pagata io...”
“Come, non l’hai pagata tu?”
Lui sospira, accennando un sorriso. “Senti, mi ha detto di non dirtelo, però... questo qui è un regalo per te da parte...”
“... di Marco.”
Eccola, la conferma ai miei dubbi.
Non poteva che essere stato lui, in fondo.
Abbiamo passato un sacco di tempo insieme, seduti sui sedili rovinati del mio Maggiolino, sperando di riuscire un giorno a rimetterlo a nuovo.
Nelle lunghe ore passate qui dentro, abbracciati, gli avevo raccontato tutti i miei ricordi legati a questa macchina, quella che aveva papà... gli avevo descritto nei minimi particolari com’era, il motivo delle stoffe, quel colore che mi riportava alla mente l’infanzia dorata con mio padre, i viaggi, le risate, lui che mi spiegava passo passo cosa faceva, e io che pendevo dalle sue labbra.
E c’è anche una parte di vita nostra, mia e di Marco, che si è unita con naturalezza a quello che già c’era.
La dolcezza dei momenti passati a fare progetti per il futuro, ad immaginare cosa ci attendeva.
Avevamo anche iniziato ad accarezzare l’idea di un figlio, qui.
Marco sa tutto.
Marco ricorda tutto.
Marco ci tiene.
“Ecco. Ci tiene a te... parecchio.” mi dice infatti lo stesso Sergio, intenerito.
“Eh sì... anch’io ci tenevo.”
Davvero, Anna? Al passato? Perché, vorresti forse dire che adesso non ci tieni più, al tuo Marco?
“E allora?”
“E allora le cose non vanno mai come ti aspetti!” cerco di giustificarmi senza entrare in dettaglio. Non mi va di condividere con lui particolari dolorosi, così cambio discorso. “Piuttosto, tu... ti ho visto, sai? Anche tu ci tieni a Ines, sei andato a trovarla!”
“Non sono andato a trovarla, passavo di lì.”
“Sì, certo...” replico, sarcastica. È ovvio che mi sta mentendo. “È tua figlia, perché non ci provi?”
“Senti, perché? Perché non la pianti di fare la crocerossina?”
Queste sue uscite mi innervosiscono tutte le volte. Perché deve sempre fingere che non gliene importi nulla?
“Ma perché fai così? Perché vai sulla difensiva?”
“Perché sì.” risponde, evitando il mio sguardo. Io cerco di pressare ancora.
“Lo so che in fondo sei un bravo ragazzo!”
Lui mi lancia un’occhiata infastidita. “Ma cosa sai...? Cosa sai, non sai niente!”
“Conosco la tua fedina penale... qualche furtarello, due o tre truffe, niente di che. L’unica colpa che avevi è non sapere di avere una figlia!” affermo, risoluta.
Lui esita, prima di fronteggiarmi con fare strafottente. “Sai che c’è? Che io lo sapevo. Irene, la madre, me lo aveva detto. Le ho lasciate da sole, me ne sono fregato.” mi svela, lasciandomi di stucco. “Sei contenta? Ecco chi sono! Ta- dan!”
Detto questo, va via, lasciandomi sola con i miei pensieri confusi.
Quindi non è come credevo... lo sapeva. Sapeva della gravidanza di Irene, sapeva che sarebbe diventato padre, eppure non glien’è importato niente. Va bene, avrà anche accettato la galera per proteggere sua sorella, ma cambia poco.
Forse lo ha fatto proprio per sfuggire alle sue responsabilità.
E questa consapevolezza mi destabilizza.
E se non fossi più capace di leggere le persone come prima? Se Sergio si rivelasse davvero l’opposto di ciò che credevo che fosse?
E Marco? Davvero è tutto perduto, con lui? Sono veramente pronta a rinunciare a lui senza nemmeno provare?
 
Marco’s pov
 
La mattina, in caserma, sono appoggiato a una delle scrivanie dell’ingresso quando Anna mi raggiunge, uno strano sguardo sul suo viso.
Io non fiato, incerto su cosa stia per accadere.
Ho sempre paura di fare la mossa sbagliata, con lei.
Dopo un piccolo sospiro, Anna si decide a parlare.
“Sergio mi ha detto della tappezzeria.”
Il cuore sprofonda, e chiudo gli occhi per non far fronte al rifiuto che mi aspetta.
“Ma no, gli avevo chiesto di non dirtelo...” mormoro, demoralizzato.
Lei però mi tranquillizza. “Marco, l’ho capito da sola che sei stato tu.”
Esita un attimo prima di continuare. “Comunque grazie... è un regalo veramente bello.” mi dice, in un tono dolce e lo sguardo colmo di una tenerezza che non mi riservava da quel maledetto giorno in chiesa.
Sono sorpreso? Certo, tutto mi sarei aspettato tranne un ringraziamento, visto che ultimamente per me c’erano stati solo muri e porte in faccia. E invece, all’improvviso, una piccola scintilla di gioia inattesa.
I suoi occhi mi hanno detto tutto quello che la sua voce non ha espresso.
So che le sue parole sono sincere, so che ha apprezzato il mio gesto, proprio perché io conosco il valore dei ricordi legati al suo Maggiolino. La consapevolezza di sapere che mi ricordo tutto.
Tutto ciò che siamo stati e che io ho rovinato.
Cerco di sdrammatizzare. “Eh, è costata anche un sacco...”
Anna mi rivolge un sorrisetto divertito, ben consapevole che, con lei, non ho mai rivolto un pensiero in più a questo aspetto. “Cioè, no, piacerissimo, spesi benissimo...”
Lei mi rivolge ancora un sorriso, e quando l’imbarazzo torna a insinuarsi tra noi e lei fa per andare via, mi ricordo di una cosa che dovrei domandarle, e mi sembra il momento più adatto. Forse.
“Posso chiederti una cosa?” Lei annuisce. “Quando sei libera... ci verresti a prendere un gelato?”
Anna abbassa lo sguardo, sbuffando in una risatina che mi lascia interdetto.
“Tra tutte le tattiche di corteggiamento, questa non l’avrebbe pensata neanche Cecchini... è da bimbi dell’asilo.” afferma, gli occhi che brillano. Io mi sento arrossire, ma in dovere di spiegare.
“Sì, ma... ma infatti è... è un’idea di Ines... perché lei vorrebbe che andassimo a prendere un gelato, ti spiego, io, te, lei e sua nonna...”
Anna continua a sorridere, divertita dal mio impacciato tentativo di farle capire di che si tratta.
“... perché lei crede che tu sia sua figlia, e allora...”
A questa frase, però, Anna abbassa lo sguardo, che si spegne improvvisamente, come se solo l’idea le facesse male. Mi rendo conto di aver forse esagerato, che non avrei dovuto, e ritratto subito, cercando una via di fuga. “Scusami, è un’idea stupida, scema, come non detto, è-”
“Ci vengo.”
Torno a guardarla con tanto d’occhi, convinto di aver sentito male.
“... non ho capito, scusami, come-”
“Ci vengo... a prendere il gelato con voi.” conferma, sempre con quel sorriso che mi scioglie il cuore.
Non ci credo.
“Davvero?!”
“Sì!”
“Oh, bene!!”
Dire che sono sollevato è un eufemismo.
È una cosa bellissima... non ci avevo sperato minimamente, e invece ha detto di sì.
Ines sarà felicissima di saperlo, e io non sono da meno.
Anzi, credo di essere più felice io di lei.
“Mi scusi, Capitano...” ci interrompe esitante Barba, e ci ritroviamo a rispondergli in contemporanea come i vecchi tempi.
Ma non importa, sono al settimo cielo.
Mi rendi felice quando prendiamo il gelato.
Forse è un buon segno.
Forse.
 
Anna’s pov
 
Ci ho pensato molto al gesto di Marco, stanotte.
So che, per aver preso le stoffe, significa che ha origliato la mia telefonata, ma non mi dispiace che lo abbia fatto.
Perché so che non ha ascoltato a cuor leggero.
Lui sa bene cosa quell’auto rappresenti per me, e per questo decido che stavolta non posso far finta di niente.
Così, non appena arrivo in ufficio, mi avvicino a lui e gli dico che so che la scatola con la tappezzeria è opera sua.
Come sempre in questi ultimi tempi, è convinto di aver fatto la cosa sbagliata, perché ammette di aver chiesto a Sergio di non dirmi nulla, ma io non voglio che si senta in colpa, non per una cosa così. Cerco di tranquillizzarlo come posso, e so che ha capito anche con quelle poche parole che gli ho detto.
Tra noi, non sono mai state necessarie troppe frasi.
Da bravo ligure qual è, fa una battuta sul fatto che abbia anche speso un sacco, al che io rispondo con un’occhiata furba.
Che ho sgamato la sua mezza bugia si rende conto subito, perché arrossisce e mi dice che li ha spesi volentieri, quei soldi.
Gli rivolgo un altro sorriso e sto per tornarmene in ufficio, quando mi ferma.
“Quando sei libera... ci verresti a prendere un gelato?” mi chiede, esitante.
Abbasso lo sguardo, mettendomi a ridacchiare. Sul serio, questa non me la sarei mai aspettata.
Marco è decisamente confuso.
“Tra tutte le tattiche di corteggiamento, questa non l’avrebbe pensata neanche Cecchini,” spiego. “... è da bimbi dell’asilo.”
Mi rendi felice quando prendiamo il gelato.
Lui sembra andare in panico, e la cosa mi fa ancor più tenerezza.
“Sì, ma... ma infatti è... è un’idea di Ines... perché lei vorrebbe che andassimo a prendere un gelato, ti spiego, io, te, lei e sua nonna...” è la sua timida risposta.
Ah, ecco.
Avrei dovuto immaginarlo, che c’entrava la piccola.
Ma non ha importanza... perché avrebbe potuto essere tranquillamente un’idea del bambino troppo cresciuto che ho davanti in tremendo imbarazzo.
Certo, è un invito veramente da bambini, ma è una cosa talmente pura, talmente sincera e autentica da diventare romantica.
Lui continua a farfugliare qualcosa.
“... perché lei crede che tu sia sua figlia, e allora...”
A questo, abbasso istintivamente lo sguardo.
È vero, la nonna di Ines mi ha scambiata per sua figlia, senza riconoscere la nipotina, e quella visione mi aveva stretto il cuore. La povera signora non si ricorda più, non ha colpe, ma non significa che non possiamo tentare.
Ripenso a Marco, e a quello che sta facendo per Ines.
Mi rendo conto di aver sbagliato su tutta la linea, a pensare che Sergio gli somigliasse.
Sergio ha abbandonato Ines e sua madre senza pensarci due volte. È scappato dalle sue responsabilità senza tornare indietro, e ora continua a non voler fare nulla.
Marco, invece, potrebbe tranquillamente fregarsene, in fondo Ines non ha legami di sangue con lui, eppure non si sta risparmiando. Sta facendo tutto quello che può, e anche di più, per prendersi cura di una bimba non sua.
Mi rendo conto di non avergli ancora risposto, infatti lui è ancora più nel panico, convinto di aver commesso l’ennesimo errore.
“Scusami, è un’idea stupida, scema, come non detto, è-”
“Ci vengo.” lo interrompo, con un sorriso.
Lui spalanca gli occhi.
“... non ho capito, scusami, come-”
“Ci vengo... a prendere il gelato con voi.” ripeto, divertita dal suo stupore.
“Davvero?!”
“Sì!”
Mi fa ridere, vederlo così.
È davvero l’uomo più incredibile che conosca. Per un niente si accende, per un niente si deprime.
E mi emoziona, vederlo così coinvolto in qualcosa. A seguire idee che forse non porteranno da nessuna parte, ma serviranno a donare il sorriso a una bambina bisognosa d’affetto.
Sono felice, perché ci sta provando. Sta rischiando, pur sapendo che può sbagliare, può cadere, ma il tentativo è necessario.
Come i bambini che imparano qualcosa per la prima volta.
E davanti a me, puro esattamente come quello dei bambini, c’è adesso il cuore di Marco. Del mio Marco. Quello autentico.
Quello che trabocca d’amore per me.
Eccolo, l’uomo di cui mi sono innamorata. Quello imperfetto, quello che commette errori senza volerlo, senza accorgersene, tranne che per l’ultimo, il più grave, che stavolta però lo sta portando a rischiare, a cambiare, senza che nessuno lo spingesse a farlo.
Nonostante io abbia solo cercato di allontanarlo, lui non si è mai arreso. Non ha rinunciato, continuando a pungersi con quelle spine che avevo messo su contro di lui.
Sta lottando per ciò che vuole, come mai aveva fatto in vita sua, senza cedere a quello che l’evidenza suggeriva.
Forse quella seconda possibilità se la merita davvero.
Perché mi ha ferita, certo, ma adesso sa cosa desidera, per cosa combattere.
I suoi gesti me lo continuano a dimostrare. Ha un obiettivo preciso.
Io.
Il mio perdono.
Il mio amore.
Riconquistare ciò che eravamo.
Che lui ha rovinato, vero, ma non volontariamente.
E adesso è qui davanti a me, perfetto nella sua imperfezione.
Il mio Marco.
Questa improvvisa consapevolezza mi fa mancare il fiato.
I miei pensieri confusi sono interrotti dall’arrivo di Barba, che ha novità sul caso.
Custodendo in un angolo del mio cuore il sorriso ancora stampato sul volto di Marco, mi concentro sul mio ruolo, dedicandomi con lui alle indagini.
 
Ci chiudiamo nel mio ufficio, come facevamo sempre, iniziando a ragionare.
E arriviamo, insieme, a capo del caso.
Andiamo ad arrestare Elvira, mentre un’altra squadra di agenti cattura Manlio, in fuga, e altri vanno a recuperare la povera Natalina, vittima di raggiro.
Non solo.
Mi rendo conto che qualcosa non quadra, e mi accorgo che anche Don Matteo, immancabile, sembra dubbioso.
“Che c’è, non la convince?” chiedo, ottenendo la conferma dei miei sospetti dalla sua frase sibillina.
“Il mio mestiere è ascoltare confessioni, Capitano, e non tutte sono sincere.”
Infatti, il vero colpevole dell’omicidio del notaio è l’ex fidanzato di Elvira.
 
Una volta risolto tutto, Marco mi chiede se possiamo andarci già nel pomeriggio, per il gelato.
E mi confessa di aver trovato la soluzione adatta anche per il problema dell’anziana nonna di Ines, ormai incapace di prendersi cura di sé da sola.
È diventato anche il tutore legale di nonna Rosa.
Trattengo la commozione per il suo gesto fino a quando lui va via.
Adesso so cosa devo fare.
 
Marco’s pov
 
Anna accetta la mia proposta di vedere Ines e la nonna già nel pomeriggio.
Le chiedo di occuparsi lei della bambina mentre io vado a recuperare la signora, e non solo.
Ho messo a punto un album con tutte le foto sue con la figlia e la nipote, nella speranza che possa aiutarla a ricordare.
E ho notato, in effetti, una incredibile somiglianza tra Anna e Irene. Per questo la signora è convinta che sia lei.
Quando arrivo in piazza, Anna e Ines sono già sedute a uno dei tavolini del bar con un succo di frutta davanti.
Sono felice di vedere quanto la piccola sia a suo agio anche con Anna.
Forse anche lei rivede la madre, nei suoi tratti.
E Anna è la persona più dolce del mondo, quando prende a cuore una cosa.
E so che con Ines non si sta risparmiando.
Una volta che anche noi ci accomodiamo, porgo a nonna Rosa l’album con le foto, che lei inizia a sfogliare con interesse.
All’improvviso qualcosa in lei sembra scattare.
“Questa è mia figlia... e questa è mia nipote! Com’era carina!” dice, nostalgica.
Ines, come suo solito, ha la battuta pronta. “Perché, ora non sono carina?”
L’anziana donna sembra illuminarsi quando si accorge di lei. “Ines! Ma come sei cresciuta!”
Scambio uno sguardo sollevato con Anna.
La piccola è al settimo cielo. “Meno male che mi ha riconosciuto...” mormora, rivolta a me. “Quindi ora la puoi fare uscire dall’istituto quando voglio?”
“E certo! Chi sono io?”
“Il tutore legale!” sorride lei, scaldandomi il cuore.
“Eh! Non c’è stato nemmeno bisogno di sposarla...”
Non riesco a trattenermi dal rivolgere un’occhiata ad Anna, che mi osserva in modo a dir poco curioso. “Vado a prendere i gelati. Dai dai dai dai, arrivo presto!” dico, stringendo a me la bimba e dandole un bacio.
Non voglio che Ines resti sola, però, quindi chiedo ad Anna di rimanere con lei e la nonna.
Faccio prima che posso, distribuendo poi i gelati per tutti: un classico cioccolato e crema per nonna Rosa, fragola per Ines (ho imparato il suo gusto preferito), e per me e Anna il nostro gusto preferito - cioccolato con le nocciole tritate sopra.
 
Iniziamo a mangiare i nostri gelati, ma mi accorgo che c’è qualcosa di diverso nello sguardo di Anna.
I suoi occhi parlano, dicono più di quanto lei non esprima a parole.
E per la prima volta, non vedo più la malinconia dei giorni scorsi.
C’è di nuovo la luce tipica che li illuminava prima che io la ferissi, e che sembra tornata a brillare nelle sue iridi verdi.
Non riesco a spiegarmi il perché, in fondo non ho fatto niente di particolare.
Lei sembra intuire qualcosa, per cui posa il suo cucchiaino e si allontana, invitandomi silenziosamente a seguirla poco distante dal tavolino.
 
Anna’s pov
 
So che Marco ha notato che c’è un’atmosfera diversa tra noi, ma che non capisce a cosa sia dovuta, e per questo mi allontano da Ines e sua nonna, facendogli cenno di venire con me.
Lui mi segue, incerto.
“È molto bello quello che fai per lei... anche l’album...” mi complimento nel modo più sincero che riesco. Voglio che capisca che lo penso davvero.
Marco si entusiasma immediatamente.
“Sì... è pazzesco, perché ho sentito che i malati di Alzheimer riescono a ricordare la memoria a lungo termine meglio di quella a breve...” mi spiega, in fibrillazione.
Mi viene da sorridere.
È proprio un bambinone, felicissimo per aver trovato una soluzione, come se avesse fatto la scoperta del secolo.
“E le foto hanno funzionato, eh, sper-” smette improvvisamente di blaterare su come ha avuto l’idea quando mi sente ridacchiare.
Torna a guardarmi, esitante, come a volermi chiedere cosa ci sia da ridere in quello che ha detto.
Eccolo, il mio Marco.
Quello che non si sforza, che segue l’istinto ed è capace di gesti meravigliosi.
Quello di cui mi sono innamorata la prima volta. Di cui mi sto innamorando di nuovo.
Senza aver mai davvero smesso.
Mia madre aveva ragione, in fondo. Bisogna sempre guardare al cuore delle cose, non fermarsi all’esterno, alla superficie.
Quello che è successo non si può cancellare, c’è, e lì rimane.
Ma non significa che deve per forza continuare a influenzare il nostro futuro per sempre.
Non ho negato il perdono all’uomo che ha causato la morte di mio padre, perché non dovrei fare lo stesso con l’uomo che amo, nonostante tutto, e che mi ama come se fossi la cosa più preziosa al mondo?
Certo, dopo questa seconda possibilità non ce ne saranno altre da poter concedere se dovesse fallire, ma per qualche ragione, il mio cuore mi suggerisce che Marco non la sprecherà, questa occasione.
Perché nelle scorse settimane ha imparato a camminare sulle sue gambe.
Da solo.
Ha imparato quanto duro sia doversi rialzare senza aiuto, dopo una vita passata a dipendere dagli altri.
Anche Cecchini aveva ragione... il mondo si è rovesciato.
Noi ci siamo invertiti.
Abbiamo provato cosa significa indossare i panni l’uno dell’altra - anche se io ne avrei volentieri fatto a meno. Siamo cresciuti ancora, insieme, seppur divisi.
Marco è ancora in piedi davanti a me, timoroso, in attesa di capire perché io lo stia ancora fissando senza dire nulla. Il panico, ancora, sul suo viso perché convinto di aver detto qualcosa di sbagliato per l’ennesima volta.
Ma non scappa.
Per la prima volta, non sceglie la fuga davanti alla paura.
È in questo momento che non ho più dubbi.
Gli getto le braccia al collo, stringendolo più forte che posso. Cercando di fargli capire, col mio gesto, che stavolta possiamo ricominciare davvero.
La sorpresa di Marco dura poco, perché il mio abbraccio basta a dire tutto ciò che a parole, in questo momento, non riesco a spiegare.
E rido, come non facevo da non so più quanto, quando mi solleva da terra, stringendomi ancora di più contro di sé.
Avverto il suo cuore battere furioso a ritmo del mio.
Quanto mi mancava, questo contatto tra noi.
Sentire il suo corpo contro il mio, il suo calore, il senso di protezione che mi invade quando gli sono così vicina.
Gli ho dato tutto di me, e lo rifarei altre mille volte.
Perché solo con lui posso amare davvero.
Ed è questo che c’è nel bacio che mi regala, timoroso, ma colmo di passione.
Un bacio che sa di paura, che possa riaccadere il peggio.
D’amore, che non è mai svanito.
E non mi importa quello che è stato.
Le sue labbra sulle mie sono l’unica cosa che conta, da adesso in poi.
La sua dolce irruenza, come ogni volta che mi bacia.
Solo ora capisco fino in fondo che mi era mancato da morire, avere Marco accanto.
Nel mio cuore, dove è sempre rimasto.
 
Adesso so che siamo pronti. A riprovarci. A ricominciare la nostra storia.
Con tutto l’amore di cui siamo capaci.
 
Mentre torno ad abbracciarlo e noto la piccola Ines sorridere felice a vederci così, mi viene in mente una cosa che mi fa ridere.
Non solo il mondo a rovescio, per noi... anche la nostra canzone è a rovescio.
Perché, nel nostro caso, è Marco che avrebbe voluto morire, e Anna che avrebbe voluto andarsene lontano.
Ma il finale non è cambiato, no.
La parte più importante, il lieto fine.
Anna e Marco, qualcuno li ha appena visti tornare.
Tenendosi per mano.
 
 
Ciao a tutti!
Per questo quarto episodio, vista la sospensione della programmazione in occasione di Sanremo, io e Martina abbiamo pensato di pubblicare proprio di giovedì, per sopperire alla puntata mancata.
Anna e Marco ci sono sembrati molto toccati dall’argomento “bambini”, e Ines è un collante importante, tra loro, a quanto sembra.
Voi che ne pensate?
La prossima settimana pubblicheremo qualcos’altro, probabilmente sempre il giovedì (a quanto pare anche stavolta salterà la programmazione per la partita), ma sarà una storia diversa, ambientata tra DM11 e DM12, per distrarci un po’ dalle tragedie in corso.
A presto,
 
Mari
 

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Capitolo 5
*** Non uccidere ***


NON UCCIDERE
 
Marco’s pov
 
Sono sul divano di Casa Cecchini.
 
Ho già comunicato che domani non riuscirò ad andare al lavoro, perché non sto bene.
Proprio adesso sono intento a leggere i bugiardini di una serie di medicine, alla ricerca di quella più adatta ai sintomi che mi sento addosso.
Apparentemente è come se li avessi tutti, anche se so che non ho più di una leggera influenza.
Il problema in verità è un altro.
Perché la vera malattia di cui soffro non può essere curata da nessuno dei farmaci che sto controllando, né che potrei acquistare.
L’unica cura possibile è una persona. Che mi odia.
L’organo che soffre davvero, in me, è il cuore, straziato da una ferita che io stesso mi sono inferto. Sono io l’unico colpevole.
E lo so bene.
Ho provato ad agire, espiare, come dice Cecchini, e sperare, ma sono mesi che tento senza nessun risultato. E inizio a credere che sia inutile continuare a insistere.
È per questo che mi trovo così, in questo stato. Mi sono lasciato andare a quello che temo sia davvero l’inizio di una depressione.
Ma non voglio pensarci, è più facile credere di avere tutti questi sintomi e una malattia qualsiasi che può guarire facilmente, in perfetto stile Cecchini, ipocondriaco com’è.
Mi sa che passare tutto questo tempo con lui non mi fa proprio bene.
Ricordo ancora quella volta in cui pensava che sarebbe morto per via dei morsi dei tarli! Quando Anna e Chiara avevano chiesto, insieme a lui, ospitalità a casa mia...
Rivedendo la scena in modo più obbiettivo, Chiara quella volta ci aveva provato spudoratamente e io ci ero cascato in pieno, col trucchetto del fuorigioco. Da brava geisha, aveva trovato il modo di attirarmi compiacendomi. Quello che Federica non aveva mai fatto, usando al contrario me per i suoi scopi.
La cosa più divertente dell’episodio, invece, era successa con Anna, che aveva svegliato il maresciallo per impedire che baciassi sua sorella. L’avevo saputo da lei stessa quando ormai stavamo insieme... per gelosia.
Peccato che ora tutto questo conti quanto un due di picche.
Anzi, magari fosse stato un due di picche... sarebbe stato meglio dell’indifferenza che Anna mi riserva, o l’odio e il dolore che leggo nel suo sguardo, la sua delusione, tutti motivi per i quali mi ritrovo adesso su questa poltrona. Cercando una giustificazione per una sofferenza che ha tutt’altra origine non segnata su questi bugiardini.
 
Ci mancava solo il maresciallo che rientra con un maialino al guinzaglio, insistendo di volermi far fare una foto con l’animale in braccio.
Per una volta ringrazio il tempismo del suo cellulare che squilla.
La notizia è meno bella di quanto avremmo voluto, però, perché pare Don Matteo abbia avuto un incidente.
Cecchini corre in ospedale lasciandomi da solo col maiale, che mi osserva in modo dubbioso prima di lanciare un sonoro sgrunt.
Probabilmente anche lui ha notato la mia cera.
Fantastico.
Anna’s pov
 
Per fortuna, ieri sera almeno Don Matteo è rimasto illeso. Ha però investito una ragazza, adesso in fin di vita, che si è ritrovato davanti all’improvviso e non è riuscito a scansare in tempo.
Sono rimasta in caserma fino a tarda notte per riuscire ad aprire il fascicolo, quindi stamattina me la son presa libera, nella speranza di potermi concedere una tregua e rilassarmi.
Ultimamente non è una cosa che mi riesce granché.
La notte è difficile chiudere occhio. Se di giorno sono la solita Anna, quella che è la più forte, sempre, a prescindere, la sera quando rientro a casa da Patatino, le cose sono molto diverse.
I ricordi di quanto successo mi assalgono non appena mi chiudo la porta alle spalle, e per quanto cerchi di impedirmi di pensarci, non ce la faccio: io e Marco che litighiamo per la questione del Pakistan, lui che si fa da parte definendosi un ostacolo, poi noi che facciamo pace, il giorno del matrimonio... e lui che mi confessa di avermi tradita. La scoperta, qualche giorno dopo, di chi fosse l’altra. Sergio, apparso da nulla e con lui la mia vita passata e futura materializzata in una dolcissima bimba di nome Ines. Mamma che tenta di aiutarmi ma che mi confonde soltanto. Cecchini che prova a farci riappacificare ma fa solo danni, e l’uomo che amo e che ho sfrattato da casa ospite dell’appartamento di fronte al mio.
Sì, l’uomo che amo.
Sarebbe stupido negarlo.
Così come sarebbe inutile cercare ancora di odiarlo.
I nostri due anni insieme non si cancellano così, da un giorno all’altro: per quanto abbia tentato di chiudere quei momenti in un angolo della mia mente, ho capito che non ci riuscirei mai nemmeno volendo.
Fingere che non ci sia stato niente tra noi è impossibile.
Nemmeno Marco ce la fa.
Non ci è riuscito nemmeno quella sera che si è portato la PM a letto.
Ha bevuto per dimenticare almeno per qualche ora.
Ma ha finito per commettere l’unico sbaglio che sapeva già anche lui non sarei riuscita a perdonargli.
Il tradimento c’è stato, da quello non si torna indietro, non si può cancellare.
Vorrei, così come lo vorrebbe Marco, ma non si può.
E ogni giorno è sempre peggio perché non capisco.
Marco è sempre il mio Marco.
Come ha potuto tradirmi?
 
I miei pensieri vengono bruscamente interrotti dal campanello.
Quando apro la porta, mi pento immediatamente di aver preso la mattinata libera.
“Sorpresa!!!”
Elisabetta, mia cugina.
Mi sento assalire dal panico.
Il suo matrimonio!
Cavolo, no! Avevo cercato di non pensarci!
Il suo invito mi è arrivato un paio di settimane dopo le mie nozze saltate come un fulmine a ciel sereno, anche se la cosa era già nell’aria da tempo.
Ne avevo addirittura parlato, con Marco.
Per quanto voglia bene a mia cugina, Elisabetta sa essere particolarmente pesante e il tatto non è mai stato il suo forte, quindi pensavamo a quel giorno come a una tortura, visto che anche lui l’aveva ovviamente conosciuta.
Solo ora mi ricordo che sarà questa domenica.
Che gioia!
Cerco di sopportare i suoi modi sperando in una visita breve e indolore.
“Dimmi la verità, tesoro... come stai?” mi chiede.
“Bene, perché?”  
“Beh, insomma, dopo quello che ti è successo,” fa lei, e mi rendo conto di essere stata ingenua. “dev’essere stato orrendo ricevere l’invito per il mio matrimonio!”
Cerco di sviare il discorso.
“Ma... ma sono felice per te.”
“Ma quindi verrai lo stesso?” mi domanda, esterrefatta.
“Sì, certo che vengo,” è la mia risposta sconcertata. Perché non dovrei?
“Uh, che sollievo! Sai, avevo paura che per te fosse troppo deprimente... ti ricordi quanto è stato penoso?” commenta, mentre io mi ritrovo a dover fare appello a tutta la mia forza di volontà per non scoppiare a piangere così. Come dicevo, il tatto non è il suo forte, e non ha ancora finito... “Io invece sono così felice! Sto per sposare l’uomo dei miei sogni, non potrei chiedere di meglio!” continua, al settimo cielo, e non so come faccio a trattenermi dallo spingerla fuori di casa e sfogarmi come vorrei.
Elisabetta sa essere una serpe, quando vuole.
Non c’è niente di male ad attendere con ansia il proprio matrimonio, ci mancherebbe, ma cavolo... C’era proprio bisogno di rimarcare quanto è stato orribile per me quello che avrebbe dovuto essere il giorno più bello della mia vita? E di sottolineare quanto il suo futuro marito sia l’uomo dei suoi sogni?
Anch’io ero convinta di stare per sposare un uomo meraviglioso, solo per scoprire letteralmente a un passo dall’altare che mi aveva tradita.
Proprio lui, che si era ritrovato nella posizione opposta.
Riducendo il mio cuore in frantumi.
Ottima scelta dei termini! Pure l’abbraccio, vuole!
No, ma non vi preoccupate... Che problema c’è, chi se ne frega di quanto sto male io, qui sono tutti felici, e contenti di farmelo notare, e io devo pure esserlo per loro.
Sento bussare alla porta ancora aperta, per cui ne approfitto per allontanare mia cugina prima di strangolarla.
“Permesso? Scusate, non volevo interrompervi, faccio in frettissima...”
Sergio, grazie grazie grazie.
“Ti lascio le chiavi della macchina.” dice solo, prima di andare via.
Elisabetta non attende un secondo per comunicarmi di aver pensato di mettermi insieme agli altri single... al tavolo dei bambini.
Cioè, io ancora a preoccuparmi, quella mattina, di non mettere zia Carmela al suo stesso tavolo, e lei non si fa scrupoli al mettermi insieme ai mocciosi?!
Ma siamo sicure di essere parenti, noi due?
Certe volte penso di essere stata adottata.
Comunque, siccome non c’è limite al peggio, mia cugina è convinta che mi stia facendo un favore perché sarebbe improponibile presentarmi da sola, manco fossimo nel Medioevo, e finisco per mettermi nei guai da sola.
Perché non so come, Elisabetta capisce che ho un nuovo fidanzato... Sergio.
Quando confermo, è il panico a parlare.
Anche perché non ho proferito sillaba, io.
Mia cugina invece parte in quarta.
“No, ti prego, amor, voglio sapere tutto! Chi è, quanti anni ha, dove l’hai conosciuto... Ma io dico, ti succede una cosa bella nella vita e non chiami tua cugina per raccontarglielo?!”
“Quante domande!!” la fermo, col mio sorriso più falso. Con una scusa, riesco a mandarla via, rimanendo finalmente da sola, chiedendomi cosa accidenti abbia nel cervello.
A parte niente, intendo.
Non faccio nemmeno in tempo a chiudere la porta, che mi ritrovo per l’ennesima volta a singhiozzare.
Perché la vera cosa bella della mia vita è stata incontrare Marco.
Lui era la cosa più bella in assoluto, e ha rovinato tutto.
Tutto.
 
Le indagini proseguono e nel pomeriggio, una volta in caserma, becco Cecchini al telefono con la sua biscottina, mia madre. Ancora fatico a credere che usino sul serio questo nomignolo.
A dire il vero non mi riesco ad abituare al fatto che si frequentino, anche se sono felice per loro perché meritano di avere un po’ di felicità. È quel soprannome che detesto.
Ovviamente, il maresciallo riattacca non appena io arrivo davanti alla sua scrivania.
“Era sua madre, dice che le manco,” mi informa.
Grazie, maresciallo, mi serve questo tipo di comprensione.
“Non mi interessa,” ribatto, seccata, ma lui non demorde.
“Dice che è preoccupata per Nardi,” continua, fissandomi. “Pure Lei è preoccupata!” afferma, alludendo a me.
Certo, ma non lo vengo a dire a Lei.
“Non direi,” nego infatti col tono più convincente che mi riesce, “hanno detto che hanno mandato un sostituto, le indagini possono proseguire.” spiego, come se mi importasse solo dell’aspetto lavorativo.
Rapporti civili.
“Ah, non è preoccupata?” mi schernisce però Cecchini, “lui sta male per Lei! Per colpa sua!”  
A questo non riesco a mantenere la calma.
“Non mi-... è sempre colpa mia!” mormoro, rabbiosa.
Certo, quindi si è ammalato per colpa mia, com’è colpa mia il tradimento?
Non ho cominciato io il casino che ci ha portati qui.
Okay, in parte sì, magari se gli avessi detto prima del Pakistan le cose adesso starebbero diversamente.
Nel senso che a quest’ora io sarei a seimila chilometri da qui, e farebbe comunque terribilmente male, ma almeno non avrei sempre Marco davanti a ricordarmi cos’eravamo e cos’ha buttato via. E soprattutto, non saprei che mi ha tradita.
E poi, non doveva espiare, Marco? Bene, che si tenga la malattia! A ognuno il suo dolore.
Anche se io per prima so che la cura sarebbe facile, per me: dargli quella seconda possibilità che invece continuo a negargli. Che non significherebbe perdonarlo, ma credere che dietro a tutto questo caos, non c’è solo l’uomo che mi ha delusa, ma anche quello che ho imparato ad amare.
Il problema è che lo so, che quel Marco c’è e non è mai andato via, lo vedo nonostante il cuore in frantumi e il velo di lacrime che non mi lascia mai.
Ma la mancanza di una vera ragione che possa giustificare quella notte mi impedisce di accettare una tregua.
Dov’era il vero Marco, in quelle ore?
L’uomo che ho conosciuto non sarebbe mai andato a letto con la prima incontrata in un bar.
Pensavo bastasse, il nostro amore.
 
Zappavigna, che ha portato il caffè a Cecchini, mi fa notare che è appena arrivato il sostituto.
Quando mi giro, però, mi si gela il sangue nelle vene.
Perché è la Procuratrice Capo.
Sara Santonastasi.
In tutta la sua bellezza e il suo carisma.
Perché sarebbe stupido negarlo.
Come da stupidi è buttar via una storia d’amore per una litigata.
Ma Marco ci è riuscito. La sera stessa che ci eravamo lasciati.
E ora, ogni dannato giorno, mi ritrovo a lavorare con il traditore e il suo capo che è, guarda caso, l’altra.
Mi avvicino a Cecchini, arrabbiata.
“Perché lei?” mormoro.
Lui è ancora fermo sul suo punto, però.
“Se Lei non faceva stare male Nardi...” commenta, allusivo.
Ancora con questa storia?!
“Buongiorno,” ci saluta Sara. “Che ha Nardi?” domanda, ma io non riesco a rispondere.
Ci pensa il maresciallo. “Eh, l’influenza.”
Zappavigna corre in mio aiuto.
“Eh, sì, gira l’influenza...” dice, guardandomi di sottecchi.
Beh, noi due ci capiamo, vero?
“... gira, gira, gira, poi si ferma e lui torna.” conclude Cecchini, ed è in momenti come questo che lo strangolerei volentieri.
Direi che Marco la via l’ha già smarrita, non gli serve continuare.
Comunque, la PM mi chiede del caso, così mi ritrovo costretta a parlare con lei, nel mio ufficio, cercando di tenere a bada per l’ennesima volta la voglia irrazionale di scappare lontano.
Lei sarà anche gentile, a tentare di non farmi pesare quanto accaduto, ma non funzionerà mai.
Non riuscirei mai a dimenticare chi ho davanti.
 
Una volta informata su tutto, la accompagno giù, solo per capire che oggi non è proprio giornata.
Perché a uno dei tavolini del bar di Spartaco, c’è Elisabetta... con Sergio!
Mi precipito a interrompere qualsiasi conversazione stia avvenendo, sperando di arrivare in tempo.
Naturalmente no.
Amore! Ma è un vero piacere conoscere il tuo fidanzato!”
“Eh?!” esclama Sergio, voltandosi a guardarmi.
Fatemi sparire, ORA!
Per mia fortuna, lui capisce e mi regge il gioco.
“Ah, sì, certo!”
“Caro, meno male che ci sei!” commenta mia cugina, “perché la stavo mettendo nel tavolo dei bambini!”
Sopprimetela, prima che lo faccia io.
Lei si accorge dell’orario, e finalmente va via.
Okay, voglio sparire di nuovo.
“Simpatica, tua cugina,” ridacchia Sergio, una volta che lei è fuori portata.
“Ti posso spiegare tutto,” mormoro, arrossendo per il malinteso. “Lei è mia cugina Elisabetta, si sposa, e se io non vado al matrimonio con un fidanzato, lei mi mette al tavolo dei bambini. E io non ce l’ho un fidanzato, ieri sei passato tu, e le ho detto che sei... il mio fidanzato.” mormoro.
Ora posso scavarmi la fossa da sola. In che cavolo di guaio mi sono cacciata?
“Okay,” commenta lui, comprensivo, ma io sono troppo in imbarazzo perfino per guardarlo.
“Scusami... troverò una scusa per non farti venire, e grazie per non avermi fatto fare una figuraccia.”
“Ma no, figurati, vengo volentieri”, mi contraddice però Sergio, spiazzandomi. “è da tanto che non vado a un matrimonio!”
“Cioè, mi accompagneresti al matrimonio di Elisabetta?” chiedo, sconcertata.
“Vuoi stare nel tavolo dei bambini?”
“No!”
“E allora? Farò il tuo fidanzato, così posso anche sdebitarmi per quello che hai fatto per me.” accetta con un sorriso.
Riesco a mala pena a ringraziarlo, sono troppo sconvolta.
Me ne torno in caserma, incredula.
Inizialmente non capisco nemmeno per cosa lo avrei aiutato... in fondo, gli ho solo offerto una mano perché nessun altro voleva farlo, perché sono convinta che non è tutto da buttare come dice lui. Si cade, ma ci si rialza. E se c’è qualcuno che ti aiuta, è sicuramente più facile. Nessuno lo sa meglio di me, che di queste cadute ne ho prese parecchie, negli anni.
E in un uno dei momenti più difficili, avevo trovato la mia ancora di salvezza in mare aperto.
Perché scoprire che il mio fidanzato voleva farsi prete mi aveva sommersa di dubbi nei quali ho seriamente rischiato di affogare.
Scoprire che il mio salvatore mi avrebbe tradita non è che sia una situazione più gratificante, però.
Ma perché torna tutto a lui, sempre a lui?
Perché non riesco a far uscire Marco dalla mia testa, dal mio cuore?
Ma chi voglio prendere in giro...
Non è facile come voglio far credere.
Soprattutto perché io sono la prima a non volerlo fare davvero.
 
Marco’s pov
 
Sono ancora a casa, la malattia non sembra voler passare.
Qualcuno suona alla porta, distraendomi dai miei pensieri cupi.
Quando vado ad aprire, è come se avessi fatto entrare una luce nell’oscurità.
È Ines.
“Ciao!”
“Ciao!” la saluto, sorpreso. “E tu che ci fai qua?”
Incredibile come riesca a farmi tornare il sorriso, come nessun altro.
Veramente, ci sarebbe un’altra in grado di farlo, quanto e più di lei forse, ma per adesso non voglio pensarci. 
“Sono venuta a trovare Jimi,” mi spiega la piccola.
“Chi?”
Lei non mi risponde, sorpassandomi e fiondandosi in cucina.
“Che fai?” dico, seguendola.
Certo che basta lei a rivoluzionarmi la giornata. Per un po’ dimentico tutto il resto.
Ecco chi è Jimmy... il maialino.
La osservo sorridendo, mentre lei accarezza l’animale, affermando che dev’essere affamato.
Do un’occhiata in frigo.
“... Secondo me preferisce la pasta al forno,Jimmy, che dici?”
Lei scoppia inaspettatamente a ridere.
“Che c’è, che ho detto?” Le chiedo, senza capire.
“Non si chiama Jimmy... si chiama Jimi! Come Hendrix!”
Certo che Cecchini aveva capito tutto, eh.
“Gli hai dato il nome di Hendrix? Ah, ma allora è un intenditore! Pasta al forno tutta la vita!”
Lei sorride, e io le porgo il piatto affinché possa dare lei stessa da mangiare al maialino.
Adoro questa bimba, assomiglia proprio ad An- no! Mi ero riproposto di non pensarci!
“Prendi pure il latte!” mi dice poi Ines.
“Come, perché i maiali bevono anche il latte?”
“No, quello è per me!” ridacchia.
Io le verso il liquido nel bicchiere, soffermandomi poi a guardarla.
Mi viene spontaneo pensare a quanti passi avanti io abbia fatto con i bambini in questi ultimi anni. E pensare che prima la sola idea mi dava l’orticaria... soprattutto dopo la fine della mia storia con Federica, non ne volevo proprio sentir parlare. Lei aveva già deciso tutto: ne voleva due, un maschio e una femmina, come se fosse possibile scegliere in anticipo. Che follia.
Stranina, la tua ex...
Io direi qualcosa in più di ‘stranina’, ma vabbè.
Dovresti denunciarla per circonvenzione di incapace.
E in effetti, il suggerimento tanto sbagliato non era.
Però, dopo aver conosciuto meglio Anna e trovato finalmente il mio posto nel mondo, al suo fianco, le cose erano drasticamente cambiate.
Cambiare, un termine che prima avevo ripudiato, e che invece negli ultimi due anni e mezzo avevo imparato ad amare. A metterlo in pratica, in ogni ambito possibile.
Un esempio? Beh, Cosimo, quella sera del test, mi aveva detto che come padre facevo schifo, ma appena pochi giorni fa Anna, in lacrime, ha mormorato, affranta, che sarei stato un padre fantastico.
E a guardarmi adesso, con una bottiglia di latte in mano e la piccola Ines intenta a berne un bicchiere, mi rendo conto del perché, e ammetto che vorrei tanto poterlo essere.
Solo che la sensazione non è bella come dovrebbe.
Perché a quest’ora dovrei essere con Anna, a casa nostra, e questo momento dovrebbe essere uno scorcio di vita quotidiana.
Quella vita che, come mi ha fatto giustamente notare lei, io ho buttato via. Non potrei essere più d’accordo, su questo punto. Perché alla fine sono stato io a rovinare tutto.
Ormai nemmeno ci spero più in un suo perdono, per questo sto così male.
L’unica, fievole speranza che ho è che Anna, prima o dopo, accetti di darmi quella seconda possibilità, per poterle dimostrare che posso essere migliore di quanto io sia stato finora. Che quello è stato un errore orribile, che non avrei dovuto né voluto commettere, e che mai più si ripeterà.
Che il Marco che ottimizza le energie e che starebbe sempre in bermuda e ciabatte (tipo adesso...) può invece animarsi e fare l’impossibile per farla ridere di nuovo, e renderla felice.
Perché io l’amo, e farei qualsiasi cosa per lei.
 
Cecchini’s pov
 
In caserma, Anna sta dando le direttive su come proseguire le indagini.
Quando rimaniamo soli nel suo ufficio, mi informa su cosa dobbiamo fare noi.
“Maresciallo, io e Lei dobbiamo andare alla fabbrica dolciaria.”
Colgo il pallone al balzo per cercare di smuoverla di nuovo.
“Così magari ne approfittiamo per comprare qualche dolcino al povero Nardi,” suggerisco, sperando in una sua reazione. “È depresso.”
Ma, come sempre, lei nega.
“No,” afferma, con un tono che non ammette repliche e un’occhiata minacciosa, “dobbiamo andare a parlare con una donna che potrebbe conoscere la ragazza aggredita.”
“Comandi,” mormoro.
È sempre inflessibile, lei, almeno in apparenza.
E questo mi dispiace molto.
Nei due anni trascorsi, mi sono affezionato molto sia a lei che a Marco, e penso che stavolta non sarei riuscito a superare la morte di mia moglie Caterina se non ci fossero stati loro ad aiutarmi.
Il minimo che posso fare, ora, è dare una mano a loro.
Non è perché mi voglio impicciare come pensano loro, o farmi i loro affari... io voglio solo vederli felici.
Certe volte questo vuol dire intromettermi nelle loro vite, forse un po’ troppo, ma lo faccio a fin di bene, e loro lo sanno anche se dicono il contrario.
E lo so che le cose che dico una reazione la provocano in tutti e due, pure e soprattutto nel Capitano.
Perché pure loro vorrebbero risistemare le cose, anche se Anna dice sempre di no, che non le importa più niente del PM, e che non ne vuole sapere.
Se solo riuscissero a parlarsi veramente, però, non come hanno fatto finora, se si spiegassero...
Certo, non si può cancellare quello che ha fatto Marco (su questo, una spiegazione non ce l’ho nemmeno io. Come ha potuto fare una cosa del genere, lui che ama Anna più di qualsiasi altra cosa, il secondo dopo che l’aveva lasciata?), ma magari potrebbero riprovarci piano piano, a rimettere insieme i pezzi di quel puzzle che è la loro storia d’amore.
Perché Anna e Marco sono fatti l’uno per l’altra, è sempre stato evidente.
Anche Elisa è d’accordo.
Sinceramente il suo comportamento mi ha stupito.
Avrebbe tutto il diritto di odiare l’ex genero, e invece anche lei spera che le cose si possano sistemare tra loro, anche se è delusa per quello che è successo.
Me l’aveva detto più volte anche prima, che Anna non era mai stata così felice com’era con Marco, lui riusciva a tirar fuori ciò che lei aveva sempre tenuto nascosto. Ed è vero, con lui si era sbloccata. Il trauma invece l’ha fatta chiudere a riccio un’altra volta.
Pure Marco stesso, con Anna accanto era totalmente un’altra persona... ma in meglio. L’amore per lei lo aveva trasformato. E ora l’errore che ha commesso lo ha distrutto.
Sono veramente preoccupato per lui, perché faccio finta di niente, ma lo so che è davvero per lei che sta male.
Elisa pensa la stessa cosa, anche se non si esime dal rimproverarlo, se deve... come per la storia delle rose e dei cioccolatini. Certo, era stata un’idea mia, quindi tecnicamente aveva dato a me del pirla, ma secondo lei era colpa di Nardi.
Comunque, devo trovare un modo per risolvere le cose tra quei due, ma come?
 
Stiamo per uscire, quando il cellulare di Anna suona.
Lei mi intima di andar fuori dal suo ufficio, ma io resto a portata d’orecchio.
‘Ste telefonate possono essere utili.
E infatti, sta parlando con sua cugina, per il suo matrimonio a cui a quanto pare è stata invitata.
Quello che sento mi lascia di stucco.
“... sì, ci vengo al tuo matrimonio... ci vengo, con il mio fidanzato.”
Questa sì che è una splendida notizia!
Ma quindi lei e Marco hanno fatto pace! Come ho fatto a non accorgermene?
Io so sempre tutto... ma non ha importanza. Quello che conta è che abbiano fatto pace. Sono proprio contento! Si meritano di essere felici, loro due.
Sono talmente su di giri che lo dico pure a Zappavigna.
Meno male, finalmente!
 
Le indagini continuano, e io tengo informato Don Matteo come sempre.
Mentre sono in canonica, scopro che a Spoleto sta per venire nientemeno che il Papa!
Decido di usare al meglio il maialino che ho preso, per preparare l’asado argentino per la sua visita.
Mi incarico di informare tutti in caserma.
Mi affretto a chiamare prima il PM, però, perché ci sono un paio di cose che deve sapere al più presto.
Gli dico del Papa, per poi passare all’argomento più importante.
“... stia a sentire: Anna la inviterà al matrimonio di sua cugina!” esclamo.
Lui però non sembra tanto entusiasta.
“Non è che deve venire il Papa e cominciano a succedere miracoli, su,” mi canzona.
“Che fa, non mi crede?” chiedo, indignato.
“No.” è la sua risposta secca.
Uomo di poca fede, ora gli faccio vedere io.
“Guardi che l’ho sentito con le mie orecchie! Ha detto ‘inviterò il mio fidanzato’! Quanti fidanzati c’ha?” faccio, in tono eloquente. Anna uno, ne ha! E chi è? Lui!
“Sta dicendo sul serio?”
“Si vede che comincia a sentirsi in colpa... aspetti e vedrà. Adesso devo chiudere,” dico in fretta, perché si è avvicinata Anna.
Do a tutti la notizia, ma la Capitana non sembra così interessata, perché mi ricorda di nuovo delle indagini.
Ma figlia mia, distraiti un secondo!
 
Marco’s pov
 
Sono a casa con Jimi quando ricevo la chiamata di Cecchini.
Mi informa che a Spoleto tra qualche giorno viene addirittura il Papa! E a quanto pare il maresciallo vuole pure cucinare il povero maialino per preparare l’asado.
Povero Jimi, però, mi stavo affezionando. Quantomeno lui mi tiene compagnia in questi giorni, come avrebbe potuto fare Patatino, se solo quel traditore non avesse preferito Anna a me.
... tu guarda da che pulpito viene la predica.
In effetti Anna non ha avuto tutti i torti ad arrabbiarsi per la mia infelice scelta dei termini.
Comunque non mi ci soffermo più di tanto, perché Cecchini mi dà un’altra notizia che mi sconvolge: a quanto pare l’invito per il matrimonio di Elisabetta è arrivato sul serio, e Anna ha intenzione di chiedermi di accompagnarla.
Quanto mi infastidisce, sua cugina. Nel cervello deve avere aria e basta. Basti pensare a quelle battute stupide che fa, che spesso sono soltanto cattiverie gratuite, e la cosa peggiore è che nemmeno se ne accorge. Calpesta i sentimenti degli altri come se nulla fosse, pensando solo a se stessa. Anna le vuole bene, ma non mi ha stupito sapere che l’abbia sempre considerata troppo difficile da gestire. Io ci avrò parlato due o tre volte, e mi è bastato. Sia perché è veramente insopportabile, sia perché mi erano stati sufficienti pochi minuti per capire che Anna l’avesse inquadrata bene, come fa sempre con le persone. Le capisce al volo. Ed Elisabetta è una spina nel fianco.
Comunque, qualsiasi cosa ne dica Cecchini, io non sono convinto di questo invito, e infatti ho provato a dirlo al maresciallo. Il miracolo non l’ha fatto la Madonna, figuriamoci se lo fa il Papa, dai... anche se, mio malgrado, la sua sicurezza di aver addirittura sentito tutto con le sue orecchie per un po’ mi illude che forse, finalmente, lei stia cercando di darmi quella possibilità.
Anche se non mi spiego perché non abbia accettato di andarci da sola, come sarebbe stato normale, non siamo mica nel Medioevo.
Cos’è, pur di non presentarsi senza un accompagnatore, lo chiede a me? Anna? 
Mi sembra veramente strano. Cioè, dopo tutti i miei sforzi, il mio perdono giunge dal matrimonio di quella pazza di Elisabetta? Qualcosa qua non quadra.
Ma, in tutta sincerità, pur di avere una seconda possibilità con Anna, sono disposto a credere pure a Cecchini, per quanto inaffidabile sia. Il che è tutto dire, visto che le ultime volte che si è impicciato così tanto, ero finito a cena con Chiara prima, e convinto che Anna stesse per sposare Giovanni poi.
Ora che ci penso, ha perfino detto di averlo sentito con le sue orecchie, come quella volta davanti al municipio.
Ho il terrore che abbia capito male di nuovo, ma sono talmente depresso che non mi ci soffermo più di tanto, su questo punto. Accetterei qualsiasi storia assurda, pur di non abbandonare davvero la speranza di poter riconquistare il suo amore.
Dopotutto, il maresciallo non ha tutti i torti: quanti fidanzati ha, Anna?
 
Anna’s pov
 
In caserma, continuo con le indagini.
Sto interrogando la principale indiziata, con Sara.
La donna, la Dottoressa Montella, sembra essere sincera. Non sarà una santa, ma sta collaborando... e la storia dei certificati falsi, messa così, la capisco pure, ma riguardo al caso sembra non c’entrare nulla.
Per questo, la decisione di Sara mi sconvolge.
“Lei è in stato di fermo,” sentenzia, fredda.
Io poso il blocknotes e la penna, avvicinandomi a lei.
“Forse potrebbero bastare i domiciliari...” mormoro, cercando di farla ragionare. “Voglio dire, sta collaborando, e non mi sembra un’assassina.”
Lei però sembrava aspettarsi questa mia richiesta.
“Aveva ragione Nardi, allora.” afferma, spiazzandomi.
“Aveva ragione su cosa?” chiedo, senza capire dove vuole andare a parare. E che accidenti vuol dire... hanno parlato di me?
“Che ti fai coinvolgere emotivamente. Ma qui i fatti sono che lei è stata trovata sulla scena del crimine, e aveva un movente visto che la vittima la ricattava.”
Io non so cosa risponderle, ma non per i fatti o il resto.
Perché quand’è che Marco le avrebbe detto quelle cose di me? E soprattutto, da quando pensa che sia un tratto negativo?
Lui ha cambiato idea su questo aspetto da un sacco di tempo, ormai. Praticamente da subito.
Non è che... non lo pensava davvero, e mi ha mentito anche su questo per tutto il tempo?
Cioè, capisco che a Sara, che non mi conosce, potrei aver dato questa impressione: lo aveva pensato Marco, così come Cecchini e Tommasi. Ma io non mi faccio coinvolgere, valuto i fatti, la situazione e cerco di mettermi nei panni di chi ho davanti, e spesso si è rivelato un comportamento corretto.
È facile sentenziare senza sapere, nessuno lo sa meglio di me.
Eppure Marco ha detto queste cose di me a Sara, come se fosse sbagliato a prescindere, e mi ferisce non poco. Anche se non prendo le sue parole per oro colato.
La cosa che mi fa più male è proprio che lui le abbia parlato di me. Perché? Okay, è il nostro capo, ma pensavo avesse ridotto al minimo i contatti con lei, che li avesse limitati al lavoro, e invece scopro così che continuano ad uscire fuori dai margini.
Non mi ha già fatto abbastanza male, tradendomi con lei? Adesso deve pure dirle i fatti miei?
I miei pensieri confusi sono interrotti dal telefono che squilla, e che mi dà una notizia che non avrei voluto ricevere: la versione della donna non è confermata.
Sento crollare di nuovo tutte le certezze.
Ho sbagliato, significa che non ho capito nulla... che quella donna c’entra con il caso, e io non l’ho capito.
Nell’ultimo periodo, sembra sempre che non riesca ad azzeccarne una. Sembro incapace di vedere le cose con obbiettività, da quando è successo il casino con Marco.
Come se il dolore per il suo tradimento avesse portato via la mia capacità di scindere il lavoro dal privato.
Sono costretta a chiamare Ghisoni per portare via l’indiziata.
Anche Sara fa per andar via, ma prima di uscire si rivolge di nuovo a me.
“Meglio non farsi coinvolgere,” mi avverte, freddamente. “perché alla fine tutti mentono, o nascondono qualcosa.”
Mi è sembrato alludesse a qualcosa di personale, anche se non riesco ad afferrare il motivo.
Mi lascia da sola nel mio ufficio, a ripensare alle sue parole.
Mi costa moltissimo ammettere che ha ragione.
Riflette molto bene la mia situazione attuale, quello che è successo.
Quasi come se gli ultimi anni fossero stati fatti solo di bugie e mezze verità.
Ma davvero sono stata così cieca? La mia mente così offuscata dall’amore per Marco da non rendermi conto che mi mentiva?
Non può essere... è sempre stato tutto così reale.
Anna, non ci siam mai detti delle balle, non iniziamo ora.
Erano state queste le parole di Marco, quella maledetta sera, prima che mi lasciasse.
Eravamo sempre stati onesti l’uno con l’altra, non era il momento di nascondersi dietro mezze parole.
Solo per scoprire, adesso, che lui pensa ancora che io mi lasci coinvolgere dai casi. Che mi lascio commuovere. Io! Che ho dimostrato di saper mantenere il distacco anche di fronte a situazioni che mi riguardavano da vicino, come quando fu accusata Lina, la ex di Giovanni, e mi ritrovai a dover sentire che lui si era confidato con lei e mi accusava di non essere obbiettiva solo perché erano stati insieme, quando invece avevamo scoperto che lei non era stata sincera come diceva.
O quel caso di quella ragazzina a cui avevano ucciso il padre, in carcere per un reato che non aveva commesso... un caso che mi si era scagliato addosso con la potenza di una tempesta, perché mi faceva rivivere in modo terribilmente reale quello che avevo passato io con mio padre, una storia mai completamente chiusa.
Lui... che proprio durante quell’indagine, aveva sbattuto in galera il suo ex migliore amico senza pensarci due volte, senza valutare l’effettiva incongruenza delle prove a suo carico, per pura vendetta. Troppo arrabbiato e coinvolto per riuscire a vedere i fatti con chiarezza.
Non ci credo, che Marco pensi davvero quelle cose, di me.
Non ci credo, che mi abbia solo mentito, in questi tre anni.
Potrei, e sarebbe meglio se ci riuscissi, per certi versi, perché almeno avrei un valido pretesto per odiarlo, cancellarlo dalla mia vita per sempre, e tentare di andare avanti.
Ma non ce la faccio. Non ce la faccio.
Perché i ricordi che mi legano a lui, i momenti passati insieme, sono fin troppo reali, i nostri sentimenti troppo forti per essere solo una menzogna.
Anche se le parole di Sara continuano a gridare nella mia mente, e il mio cuore, già in frantumi, si spezza un po’ di più.
 
Come se la mia giornata non fosse già stata estenuante, stasera devo vedere Sergio, da me, per creare una storia per noi due che stia abbastanza in piedi da reggere alle domande dei miei parenti, per il matrimonio.
Perché di certo non posso presentarlo dicendo a tutti che è un ex galeotto. Sono pur sempre un Capitano dei Carabinieri, e purtroppo le apparenze nella mia famiglia contano.
Sono sempre stata considerata un ‘modello da seguire’ in famiglia, e col tempo sono rimasta mio malgrado incastrata in questo ruolo. Obbligata a dover essere sempre all’altezza, sempre composta, sempre perfetta.
Anna, che non si sbilancia mai. Anna, che sa dominare le proprie emozioni, gestire i suoi problemi. Che fa sempre tutto bene, che non ha mai causato problemi o preoccupazioni. Anna, che è la più forte, sempre, a prescindere.
Sono sempre stata questo. Per tutti, Anna che non ha mai bisogno d’aiuto.
Che non fa mai niente di strano o sbagliato o sconsiderato.
Per questo non posso dire chi è davvero Sergio, poco importa se io non ci veda nulla di male in lui, per la gente resterà sempre un mostro. Perlomeno, per tutti quelli che non sanno che lui, con l’omicidio del nipote, non ha mai avuto niente a che fare, e il resto non è così grave.
Poi ci sono anche quelli che sanno della sua innocenza, ma ci vedono sempre del negativo nei suoi trascorsi con la legge, come Cecchini e Marco.
Ma, come dicevo, a me non importa quello che pensano gli altri, non è mai importato. Ci sono cose sulle quali il giudizio altrui non mi interessa. Sergio è simpatico e molto gentile, e la sua compagnia mi aiuta a distrarmi e a non pensare al cumulo di macerie in cui è ridotta la mia vita. E poi, voglio dargli una mano con Ines. Voglio che capisca che può avere una possibilità con sua figlia, deve solo impegnarsi a conoscerla, invece che allontanarla come sta facendo, con lei che saluta tutti quelli che incontra, tranne lui. Che si rifugia tra le braccia di Marco quando lo vede. Dovrebbe solo sforzarsi un attimo e accogliere il sostegno che gli offro.
Anche se in questo momento è lui che sta aiutando me, con l’aver accettato di accompagnarmi al matrimonio di Elisabetta.
Quindi eccoci qui, nel soggiorno di casa mia, mentre cerco di decidere cosa potrebbe mai fare lui in questa vita fittizia.
Naturalmente, come tutte le volte in cui tento di fare qualcosa di riservato, Cecchini irrompe a curiosare con una scusa veramente poco credibile, che io rigetto con un’altra altrettanto improbabile ma pazienza, tanto so che mi ha mentito, prima di tornare da Sergio.
“Dov’eravamo rimasti?”
“Progetti per il futuro,” mi risponde, passeggiando distrattamente avanti e indietro.
Dopo aver inventato un posto in cui ci siamo conosciuti, provo a farmi venire in mente un lavoro per lui, ma qualsiasi cosa proponga la smentisco da sola, perché mia cugina conosce mezzo mondo,e non posso tralasciare nessun dettaglio.
Mentre tento di mantenere la calma, che non ho al momento, Sergio ha un’idea diversa.
“Sai cos’è importante, ai matrimoni? La cosa più importante di tutte?” mi chiede, lasciandomi interdetta.
“Che cosa?”
Lo vedo trafficare col cellulare, che appoggia sopra un mobiletto.
Iniziano a diffondersi nell’aria note di una canzone romantica.
“Ballare,” afferma, avvicinandosi a me.
Io lo guardo terrorizzata, facendo un passo indietro.
“Che fai?” biascico. Glielo richiedo ma lui, per tutta risposta, mi prende taccuino e penna dalle mani, gettandoli alle sue spalle con fare teatrale.
“Ci alleniamo,” replica con un sorrisetto, prima di prendermi per mano e obbligarmi a ballare.
Ma rilassarmi non è la cosa più facile del mondo, per me, anche se devo ammettere che è un buon ballerino.
“Però, sei bravo,” ammetto.
Lui si mette a ridacchiare. “Lo dici come se fosse una cosa incredibile, ma grazie!” scherza.
Senza nemmeno rendermene conto, mi lascio distrarre e condurre in questo ballo improvvisato, scordandomi per qualche istante dei miei problemi.
Ma io sono sempre io, e quando mi accorgo che lui mi sta stringendo più del normale mi tiro indietro, finendo per far cadere a terra un vaso sulla mensola dietro di me.
Il rumore della ceramica in frantumi mi riporta alla realtà, in cui se sono qui con lui è perché Marco mi ha tradita e il mio cuore è ridotto peggio di quel vaso, e anche lui spesso e volentieri mi trascinava a ballare in soggiorno, solo per farmi ridere, per avere una scusa per abbracciarmi...
Mando giù il dolore meglio che posso, ignorando il leggero imbarazzo nell’aria, e riprendendo con Sergio a creare il suo ‘alter-ego’.
 
Marco’s pov
 
Sono seduto in soggiorno con Cecchini che tenta di risollevarmi il morale, inutilmente.
All’improvviso sento un rumore provenire dall’appartamento di Anna, che mi fa scattare in piedi.
“Ma che è? Ha sentito?” chiedo, preoccupato.
“Mah, niente,” fa lui.
“Ma come, niente? Da casa di Anna, un tonfo! Secondo me si è fatt-”
“Fermo fermo fermo, si fermi un attimo, non vada...” mi dice, fissandomi in modo strano.
Io salto su. Che ho, stavolta?
“Mamma mia... bianco, bianchissimo!” afferma, e io mi sento di nuovo distrutto.
“Ma no, di nuovo!” sospiro, tornando a sedermi.
“‘Ste medicine non vanno bene.”
“No, ma sono inquieto,” spiego. “Maresciallo, Lei ha detto che Anna doveva chiamarmi per il matrimonio, e non ha chiamato ancora!”
Lui cerca di distrarmi, dicendo che sono pessimista e di pensare al vestito che dovrò mettere, ma la mia testa è bloccata su altro: perché ancora non mi ha chiamato?
Vorrei vedere lui, al mio posto. Va bene espiare e tutto, lo capisco, ci sta, ma nemmeno Ulisse ha dovuto sopportare tutte queste peripezie per tornare a Itaca. Mi verrebbe da ridere, se penso a come stavo dopo il matrimonio saltato con Federica. Paragonato ad ora, era appena un pizzicotto, quello che provavo. Quella sofferenza era veramente niente, a confronto, e non solo perché da vittima sono diventato carnefice, ma perché scommetterei qualsiasi cosa che lei non stava così come sto io, dopo avermi tradito con Simone.
È vero che io dico che sono gli altri che si fanno coinvolgere, accusandoli di spostamento nevrotico e scemenze varie, ma la verità è sono io più di tutti a lasciarmi condizionare dalle situazioni, che lascio che sia l’istinto a muovermi e non la ragione, mai, quando invece dovrei. Ed è colpa mia se adesso me ne sto qui, depresso, nel soggiorno di Cecchini. Sono io l’unico colpevole.
E dopo questi mesi passati a tentarle tutte per farmi perdonare, inizio a chiedermi io stesso cosa farei, se mi trovassi al posto di Anna. Sarei disposto a perdonare uno che tradisce, dopo essere stato tradito per primo e sa quindi come ci si sente, e in certi errori non dovrebbe imbattersi nemmeno per sbaglio? Per quanto cerchi di negarlo, la risposta la conosco già.
No.
Quindi non me la sento davvero di biasimarla.
È orribile quello che le ho fatto, anche se, in mia difesa, posso dire che non le avrei mentito perché non me ne importava niente, anzi.
Se avevo scelto di non confessare quanto avevo fatto, era solo per non perderla.
Perché sapevo benissimo che, se le avessi detto la verità, lei avrebbe accettato immediatamente quell’incarico in Pakistan che era pronta a rifiutare per me, e sarebbe sparita per sempre dalla mia vita, indipendentemente dal fatto che fossimo sull’altare o a casa.
L’avrei perduta per sempre, così come sta accadendo adesso, e non c’è niente che posso fare, se non sperare.
Che un giorno possa cambiare idea, o che il maresciallo, per una volta, abbia origliato bene.
 
Decido che però Cecchini ha ragione: queste medicine che sto prendendo non vanno bene, quindi è meglio che vada dal medico.
Sulla strada, però, incontro proprio il maresciallo, che per qualche assurda ragione mi dice che devo cambiare strada, e poi cambiare medico.
Non so, ho come l’impressione che stia tentando di distrarmi e sviarmi dal mio obbiettivo con una storia che non ha né capo né coda.
Sarà che però sono mezzo intontito dal malessere che sento addosso, e finisco per dargli retta.
Nel breve tragitto, comunque, mi chiedo perché abbia cercato con tanta insistenza di farmi cambiare destinazione.
Non c’era mica Anna, lì vicino, vero? Non è che sa qualcosa di lei che non vuole dirmi?
... non avrà mica un altro?
 
Anna’s pov
 
Sono in centro a Spoleto, intenta ad aiutare Sergio a comprare un abito per il matrimonio di mia cugina, e anche per l’uscita di stasera a cui lei mi ha obbligata ad andare.
Io mi ritrovo ad essere terribilmente agitata, pur cercando di non darlo a vedere.
Sergio scherza su tutto, e questa cosa mi fa innervosire.
Perché mi sembra di rivivere la quotidianità con Marco, con lui sempre pronto a fare lo spiritoso anche quando era fuori luogo, e io che cercavo di essere più razionale. Esattamente come in questo momento.
Finalmente lui va a provarsi il completo che ho suggerito alla commessa di prendergli.
La cosa comincia a farsi inquietante, sembro mia madre quando ha chiesto per filo e per segno come doveva essere l’abito da sposa per il presunto matrimonio con Giovanni.
Cos’è, sto diventando come lei?
Quando Sergio esce e mi chiede come stia, devo ammettere che sta molto bene.
Lo nota anche quell’oca della commessa, che metto a tacere in un secondo.
E non perché io sia gelosa.
Sergio non mi piace in quel senso: il fatto è che adesso, in giacca e cravatta, mi ricorda terribilmente qualcuno.
Torno alla domanda di prima: sto diventando come mia madre?
Sono in un negozio insieme a un uomo che nel suo modo di fare somiglia fin troppo a Marco, e io sto tentando di cambiarlo, renderlo migliore. Ma migliore per chi, a che pro?
Perché Sergio può riscattarsi e riprendere in mano la sua vita senza dover modificare nulla di sé, neppure il suo look.
Perché ora mi sto comportando così, con lui? Voglio renderlo diverso? Nascondere chi è? Per cosa, perché mi vergogno di chi sia? No, e allora?
Sto veramente cercando di aiutarlo, o sto involontariamente ricreando in lui qualcuno che sia simile a Marco?
Anche la storia che ho inventato per lui... ci siamo conosciuti durante un’escursione in montagna, sul serio?
Magari un’escursione a un monastero sulle alture di Spoleto, perché no. E come professione, minimo ingegnere o architetto, ma avrei anche potuto dire avvocato o magistrato, che cambiava?
E il vestito elegante?
Blu. Come quello che Marco aveva scelto per il nostro matrimonio perché sapeva quanto adorassi quel colore su di lui.
Certo che, se il mio obbiettivo era quello di dimenticare Marco, mi sta riuscendo particolarmente male.
E soprattutto, mi sto ritrovando a fare una cosa che mai avrei pensato: tentare di cambiare a forza qualcuno, quando il cambiamento dovrebbe essere un percorso naturale, riflesso della vita che si vive giorno per giorno.
Nessuno lo sa meglio di me, e io stessa l’ho detto a Marco, quella sera a casa mia, quando era venuto da me a dirmi che mi amava.
Marco, hai bevuto!
Un pochino sì, se no credo che non sarei qua.
E se, anche stavolta, avesse detto quelle cose a Sara perché aveva bevuto?
Però questo significa che dice la verità solo sotto effetto dell’alcol.
O forse, più semplicemente, quando ha paura e la situazione gli sfugge di mano, istintivo com’è, e non è più in grado di controllarsi?
Ma perché tutti questi dubbi?
 
Quando lui va via, mi decido ad andare a prepararmi per la serata, accordandomi con lui di andarci a piedi insieme, tanto il posto è vicino.
Mia cugina e il suo futuro marito ci aspetteranno lì.
Sinceramente, preferirei un altro pellegrinaggio insieme a Don Matteo a questa cena, ed è tutto dire.
Ma, per quanto io sia restia, mi costringo a prestare più attenzione del dovuto perfino al mio look.
Io.
Non devo fare colpo su nessuno, ma la verità è che mia cugina è capace di criticare ogni dettaglio, anche il più inutile, e se devo convincerla che la mia vita va a gonfie vele, devo prestare attenzione anche a questo.
E quindi, tacchi alti e vestitino bordeaux, anche se odio questo tipo di mise e avrei preferito un paio di pantaloni e una camicetta, come al mio solito.
Quando esco, incontro sul pianerottolo... Cecchini, con un maiale al guinzaglio, e Marco.
Li osservo, interdetta.
“Maresciallo, ma che ci fa con un maiale in casa?” domando esterrefatta, cercando di concentrarmi sull’animale.
“A chi si riferisce?” fa però lui, giusto per migliorare le cose.
“A chi si deve riferire, scusi, che è?” interviene Marco, con un’occhiata eloquente.
Mi soffermo a guardarlo per un attimo, prima di andarmene.
“Voi due non state bene,” mormoro, sconcertata dal siparietto a cui ho appena assistito.
“Sta bene Lei,” sento borbottare Cecchini, e mi devo appellare a tutti i santi del Paradiso per non tornare indietro e dirgliene quattro.
Non sono così insensibile come mi dipinge lui.
L’ho visto, Marco, come sta.
È messo peggio di quanto credessi.
Non che a casa prestasse tutta questa attenzione all’abbigliamento, ma eravamo da soli, ed era una cosa diversa.
Mi sono imposta di andar via, perché vederlo in quello stato mi fa male, e mi preoccupa più di quanto io sia disposta ad ammettere.
Non potrei mai essere indifferente: lo so che sta soffrendo anche lui, ed è in parte colpa del mio atteggiamento nei suoi confronti. Vorrei poter fare qualcosa, ma il dolore che lui stesso mi ha provocato non me lo permette. È più facile indossare la mia solita corazza e fingermi incurante.
Anche se so che con lui sono sempre a rischio, per Marco sono sempre stata un libro aperto.
E per questo preferisco scappare.
 
Marco’s pov
 
Suonano al campanello, e quando vado a rispondere è Cecchini, con Jimi al guinzaglio, che ha dimenticato le chiavi.
Mi chiede come mi sono conciato, visto il mio stato attuale, ma sinceramente non mi importa molto di nient’altro.
Se Anna non mi perdona, niente ha senso per me.
Proprio mentre sto discutendo di questo con lui, ecco che Anna esce dal suo appartamento.
Rimango imbambolato per qualche secondo a osservarla: un vestitino corto che le dona da morire, un cappottino in pelle e tacchi alti. Ma quanto è bella?
Anna è sempre bella.
Vengo riportato alla realtà quando Cecchini chiede a chi si riferisca lei con ‘maiale’.
“A chi si deve riferire, scusi, che è?” lo redarguisco cercando supporto in Anna, che non mi dà.
Grazie, Cecchini, per aver migliorato la mia reputazione. Grazie tante.
Lei sembra sconcertata. “Voi due non state bene,” afferma prima di andar via.
“Sta bene Lei,” è il commento antipatico del maresciallo, e mi trattengo dal dire che a me sembra che Anna stia davvero bene, in tutti i sensi, e la cosa mi fa solo stare peggio, per certi versi.
“Oh, quanti inviti che m’ha fatto, eh!” esclamo, arrabbiato.
A me non sembra che lei voglia far pace, anzi. E sto iniziando ad avere dei dubbi, al che Cecchini mi chiede se ho saputo dell’incidente avuto dalla zia di Anna, che a quanto pare è caduta e quindi son stati costretti a rimandare la cerimonia.
Però non posso fare a meno di notare che ci ha messo un po’ troppo a cercare un motivo. E Anna mi sembrava tutto fuorché preoccupata.
Il maresciallo mi nasconde qualcosa.
“E comunque io, se fossi in Anna, che la vedo così, non la inviterei,” afferma lui, dicendo che devo cercare di tirarmi su.
Mi lascio convincere, e in effetti la doccia e il cambio d’abito mi fanno sentire molto, molto meglio.
Basta piangersi addosso, devo riprendere in mano la mia vita. Tentare con più forza.
Lui sembra altrettanto contento.
“Aggiungo una cosa,” fa, divertito. “Alle donne non piace l’uomo depresso!”
Io però rettifico senza pensarci un secondo. “A me non interessa piacere alle donne, a me interessa piacere ad Anna.” dico semplicemente.
È l’unica cosa che conta.
“Anna è una donna, però!”, precisa lui, con un po’ di buonsenso.
Gli propongo allora di andare al Pub del Porcospino a vederci una partita con una birra, ma lui non è d’accordo, dicendomi che ci dobbiamo prima occupare di Jimi.
Io mi lascio convincere anche stavolta, però ho capito quello che sta cercando di fare.
Mi siedo a terra, appoggiandomi al divano.
Perché va bene malato, depresso, triste, ma non sono scemo. La storia della zia che cade dalle scale non me la sono mica bevuta, e lei era vestita elegante perché stava andando a cena con qualcuno.
“Maresciallo, mi dica la verità... c’ha un altro, Anna.”
Lui nega, ma non sono convinto.
“Anna è un tipo tutto d’un pezzo come Lei, e non si metterebbe con un tipo subdolo, un furbastro e falso...” mi dice, fregandosi da solo.
“Chi è?” gli chiedo a bruciapelo.
“Chi?”
“Chi, fai i giri, Lei! Lo vede, che ha un altro?”
È inutile che tenti di dire il contrario, è stato fin troppo preciso a stilare la lista di aggettivi del tipo con cui lei non starebbe uscendo.
E lui sa pure chi è, e la cosa peggiore è che non dovrei essere sorpreso.
Anna è bella, e dolce, e tosta, e meravigliosa, ed era solo questione di tempo prima che qualcun altro se ne accorgesse e cercasse di consolarla.
E Cecchini non è bravo a mentire, per le cose importanti.
Non glielo do a vedere, ma ho come la sensazione che le pareti di casa sua stiano iniziando a stringersi su di me, quasi a soffocarmi.
Ho bisogno di uscire, ma di certo non pensavo di dovermi portare appresso il maiale per fargli fare pipì.
Ma se l’obbiettivo del maresciallo era quello di non farmi andare al bar per non incontrare Anna, il suo avermi mandato qui giù al parchetto di fronte casa non ha sortito l’effetto sperato, perché lei sta tornando proprio adesso, e non è sola.
C’è Sergio, con lei.
 
Mi do dell’idiota da solo. Come ho fatto a non capirlo prima?
Era ovvio che fosse lui, le gironzola sempre intorno.
La scena che mi si svolge davanti agli occhi non mi piace per niente, e sono costretto a starmene qui a osservare quanto sta succedendo senza poter fare nulla, nascosto dietro un albero, come quella volta al reality.
Solo che, al contrario di allora in cui il principe fece una brutta fine, Anna non si sta allontanando da Sergio, anzi.
Direi che deve aver bevuto, perché barcolla, e sento lui ridacchiare un “Ti scorto?” prima di cingerle i fianchi e aiutarla ad arrivare al portone sana e salva.
“Ma cosa tocchi?” mormoro tra me, ben consapevole che non posso impedirlo, ma geloso alla follia.
Perché lei è mia, e quello lì non si deve permettere di allungare le mani. Solo io posso farlo. È la mia Anna, e se solo osa provarci...
“Adesso che abbiamo fatto il selfie, tua zia sarà convinta che siamo fidanzati, eh!” dice Coso, e già mi fa ribollire la rabbia. Ma fidanzati cosa?!
Anna, come avevo visto, è instabile e si lascia sfuggire le chiavi del portone, che raccoglie prima di biascicare un: “Sì, sarà convinta... così al matrimonio non ti faranno troppe domande...”
“Così possiamo ballare tutta la notte...” suggerisce lui, con un tono che mi fa venire voglia di spaccargli la faccia.
La risposta che gli dà Anna è anche peggio.
“Sì, perché no...”
Cioè, sta davvero flirtando con quello lì?!
Non so con quale volontà mi trattengo dal raggiungerli, e il peggio deve ancora venire, perché Coso, lì, fa un passo verso di lei, e le sue intenzioni sono terribilmente chiare.
Ma - e di questo ringrazio la mia buona stella - Anna fa un passo indietro, limitandosi a rispondere con una risata, prima di dargli le spalle e rientrare in casa.
Se da un lato mi consola sapere che lei lo abbia rifiutato, dall’altro sono costretto ad ammettere che mi sembrava felice, finalmente. Come non la vedevo da un sacco.
E allora perché quel suo sorriso fa così male?
Ovvio, perché non è merito mio.
Non è per me, che sorride.
Ho una gelosia dentro che non sono sicuro di riuscire a contenere.
Ad esprimere il mio stato d’animo ci pensa Jimi con un sonoro “Sgrunt!
“Eh no, sgrunt lo dico io!”
 
Anna’s pov
 
Sono al bar con Elisabetta e il suo fidanzato.
Come immaginavo, sarebbe stato meglio essere ovunque tranne che qui
Egocentrica com’è, non lascia parlare nessuno, ma sarebbe stato meglio continuasse il monologo.
“Senti, Anna non mi ha detto molto di te... dov’è che vi siete conosciuti?” chiede di punto in bianco a Sergio, che strangolerei seduta stante, perché inizia a improvvisare, senza attenersi minimamente a quello che avevamo stabilito.
“In galera!” risponde, tranquillissimo, e mia cugina ci guarda stranita, così come Enrico.
“Ma che simpatico!” dico, guardandolo malissimo, “no, quale galera, nessuno è stato in galera, lui non intendeva...”
Ma Sergio ha deciso di farmi venire un infarto, evidentemente, perché mi lascia a boccheggiare prima di riprendere il suo discorso come se niente fosse.
“Io faccio volontariato,” spiega, mentre io mi tengo pronta ad assestargli una gomitata se sbaglia di nuovo, “mi occupo del reinserimento dei detenuti, quindi faccio dei corsi di disegno lì in galera.”
Ancora con ‘sta parola?! Ma basta!
Elisabetta sembra estasiata.
“... e ci siamo conosciuti lì, solo che lei si imbarazza un po’ a dirlo perché tecnicamente era sul lavoro, e allora sai... Però, come si dice, ‘al cuor...’”
“... ‘non si comanda!’ Che storia romantica!” esclama Elisabetta, ridendo.
Io non sono per niente tranquilla, e ho ragione.
“Ancora non ci credo,” riprende infatti lei, “che tu abbia trovato un nuovo fidanzato.”
Io mi limito ad annuire, buttandomi sul bicchiere di birra che ho davanti.
“No, sai,” interviene Sergio, tirandomi verso di lui e passandomi un braccio intorno alle spalle, mentre io mi irrigidisco all’istante, “sono io che non ci credo, che una persona speciale come lei si sia potuta innamorare di uno scansafatiche come me.”
Queste risposte che sta dando Sergio mi fanno sentire anche peggio di come non stia già, perché come sempre tutto mi riporta a Marco.
Mi sembra di essere tornata a quella volta con Cosimo, a casa del maresciallo, per il test sulle cose da sapere sul bambino per lo show di Carlo Conti, quando ci siamo finti i suoi genitori.
Tutte quelle risposte programmate che Marco aveva deliberatamente ignorato, preferendo la sincerità all’unica domanda in cui avrebbe potuto davvero inventare qualsiasi cosa.
Cos’è che vi ha fatto innamorare l’uno dell’altra?
L’onestà, la fiducia, e poi il fatto che lei, quando ama, ama fino in fondo. E poi, perché lei bacia benissimo.
Quest’ultima cosa, quando l’ha detta, nemmeno la sapeva, tra l’altro.
E mi ero resa conto in quegli istanti quanto fossi per lui un libro aperto, di quanto mi conoscesse a fondo solo avendomi osservata, di quanto gli avessi già dato di me senza accorgermene.
Ironia della sorte, proprio quelle qualità sono oggi gli ostacoli che mi impediscono di dimenticarlo e di perdonarlo.
Perché avevo sbagliato, lo avevo ammesso, avevo fatto di tutto per rimediare alla storia del Pakistan. Lo amavo, ed era l’unica cosa che contava, più della carriera, più di tutto il resto.
Avrei fatto qualsiasi cosa, per lui, lo avevo capito quando avevo accettato l’idea che stare lontana da lui sarebbe stato insopportabile.
Ero stata onesta, mi ero fidata ciecamente e gli avevo dato tutto quello che potevo, e invece avevo scoperto nel peggiore dei modi che lui mi aveva mentito su una cosa tanto grave, con l’intenzione di sposarmi lo stesso; aveva preferito scappare prima di ascoltarmi e senza parlarne, e un attimo dopo avermi lasciata, mi aveva tradita.
Quella mattina, sotto casa, lo avevo baciato pregandolo di sposarmi nonostante tutto.
Senza sapere che c’era stata un’altra al mio posto.
Un’altra che sono costretta a rivedere ogni dannato giorno, perché è pure la Procuratrice Capo.
Lui continua a ripetermi che non voleva, che quella notte non ha significato nulla e che si è trattato di un errore, ma mi ha tradita comunque. Che lo abbia voluto o meno.
Elisabetta, però, non ha smesso di ficcanasare.
“No, ma io intendevo dire-”
“Cosa intendevi dire?” tenta di bloccarla Sergio, inutilmente.
“Intendevo dire in così poco tempo, no?”
Ma che bel complimento... sono un caso così perso?
Ma che me lo chiedo a fare... dopotutto mi conosce anche lei, io non sono una che cambia fidanzato così spesso, a caso.
Perché lei, quando ama, ama fino in fondo.
E sinceramente, la battuta sull’essere uno scansafatiche di Sergio non mi aiuta. Ho già avuto un ottimizzatore di energie nella mia vita, non c’era bisogno di infierire.
Ma la mazzata arriva ora.
“Insomma, dopo la batosta del mancato matrimonio,” continua Elisabetta, malignamente, ed io sento il cuore sprofondare. “ti ricordi quanto piangeva? Poverina...” ridacchia.
Io riesco solo ad allontanarmi dalla stretta di Sergio e a puntare gli occhi in basso per impedirmi di piangere davvero, anche adesso.
“Non direi poverina, no,” interviene Sergio in mia difesa, inaspettatamente, “direi fortunata, invece... Fortunata perché si è accorta in tempo che stava per sposare un cretino, un imbecille, uno che si lascia scappare una ragazza come lei...”
E per quanto apprezzi il suo gesto, forse sarebbe stato meglio se non avesse parlato affatto.
Certo, a quegli aggettivi ho pensato anch’io in questi mesi, e gliene avrò affibbiati anche di peggiori, ma ancora una volta quelle frasi mi riportano indietro, precisamente alla strada di ritorno dal monastero.
Volevo solo dire che è un pazzo, perché ha lasciato andare una come te.
Da lì in avanti, nulla era più stato come prima, tra noi.
La nostra favola aveva avuto inizio. Non una tradizionale di principi e principesse, no, perché io potevo essere Zorro, o al massimo Mulan se proprio vogliamo, ma era stata la più bella che avrei potuto immaginare. Sembrava un sogno ad occhi aperti.
E proprio quel sogno era diventato un incubo.
Ma mentirei se non dicessi che, per quanto assurdo possa sembrare, la sera, quando sono a letto da sola, non spero ogni volta che arrivi una Fata Madrina a dirmi che tutto si aggiusterà con un incantesimo e che avrò il mio lieto fine col mio principe azzurro.
Nessuno sa quanto vorrei che succedesse, quanto vorrei trovare in me la forza di dare a Marco quella seconda possibilità che mi implora di concedergli.
Ma non ci riesco, non ce la faccio.
E so che fa male, sia a me che a lui, e a ciò che eravamo e sognavamo di essere.
Quando Elisabetta propone un selfie da mandare a mia zia che non ci crede, come lei, le cose peggiorano ancora.
“Però, ragazzi, vi dovete baciare!”
Mi sento gelare.
Di nuovo.
Così, prendete il bambino, lo mettete in mezzo a quadretto, e vi date un bacio. Un bacio, che cos’è, un bacio? Un bacio!
Che cos’è, il bacio alla stazione? Sta prendendo il treno?
... e poi, perché lei bacia benissimo! Per la scena...
Cerco di mettere a tacere la mia mente in subbuglio, indossando la mia migliore maschera convincente per la foto, mentre Sergio mi lascia un bacio sulla guancia.
Apprezzo tanto la delicatezza che ha avuto con me stasera, anche se ho odiato tutto di queste ore trascorse a questo bar.
Non per la sua compagnia, anzi.
Per il contenuto delle conversazioni. Il continuo confronto tra la vita perfetta che attende Elisabetta e la mia che, al di là delle apparenze, è un disastro.
Tra la sua felicità e la mia disperazione.
Forse è per questo che finisco per bere più di quanto avrei fatto in una circostanza normale.
Me ne accorgo quando torniamo a casa e non sono molto stabile sulle gambe.
Anche se non sono così ubriaca come sembra.
La mia mente è annebbiata, ma non abbastanza da non capire quello che faccio.
Sergio propone di approfittare del matrimonio per ballare tutta la notte, e io gli rispondo di sì perché voglio solo pensare a un modo per distrarmi, ma quando lui si avvicina a me, col chiaro intento di baciarmi, io mi tiro istintivamente indietro, limitandomi a ridere per la situazione assurda in cui ci eravamo cacciati solo perché mia cugina voleva piazzarmi al tavolo dei bimbi, prima di rientrare a casa.
Da sola.
Quando siamo andati via dal bar, Sergio aveva cercato in tutti i modi di farmi ridere per distogliere la mia fissazione dalle frasi di Elisabetta. E ci era riuscito.
Finalmente, per qualche minuto avevo messo da parte i miei problemi, dopo tutti quei mesi passati solo a piangere avevo riso davvero, per una volta.
La sua compagnia mi aiuta, ma non lo vedo in quel senso, e se è questo che lo ha spinto a provarci, seppur desistendo, mi ha fraintesa.
Quando mi sfilo vestitino e tacchi e mi metto a letto, ripenso al mio comportamento, al bar.
Quando le cose hanno iniziato a sfuggirmi di mano, ho optato per affogare il mio dolore nella birra che avevo davanti. Anche se io non lo faccio quasi mai, a meno di non essere davvero disperata.
Chiaro, se avessi avuto acqua o succo di frutta, avrei fatto lo stesso, ma mi ero trovata quella a portata di mano, e non ci avevo pensato un secondo, pur mantenendomi sempre abbastanza sobria da poter controllare le mie azioni.
Forse è questo, però, che fa Marco, di fronte ai problemi.
Forse è successa la stessa cosa la sera che mi ha lasciata.
Non aveva risposte per mettere a tacere tutti i dubbi e le paure che erano riaffiorate per causa mia, e aveva iniziato a bere. Per dimenticare.
Non pensare.
A me, aveva detto che ‘andava bene così’, quando è andato via, ma è evidente che non fosse vero.
Non andava bene per niente.
Mi aveva lasciata per darmi quella libertà che in realtà non volevo nemmeno, se non potevo condividerla con lui.
E nonostante io abbia cercato in tutti i modi di negarlo finora, per quanto confusa sia la situazione adesso, inizio a sentirmi anch’io in colpa per quanto successo.
O meglio, sono sempre stata colpevole per la mia parte di azioni, solo che non è così schematico come pensano tutti.
All’inizio, tutti avevano dato la colpa a me, perché non riflettevo, stavo sbagliando, pensavo al lavoro e non alla vita che avrei dovuto creare con Marco, stavo commettendo un errore enorme.
Alla fine, il problema più grande aveva finito per provocarlo proprio Marco, tradendomi quando io ero già tornata sui miei passi.
Il punto è che abbiamo entrambi le nostre colpe, siamo stati tutti e due causa del terremoto che ha distrutto la nostra storia.
Perché lui ha sbagliato, ma se io avessi tentato di più quando ha scoperto del Pakistan, se avessi insistito di più, se lo avessi fermato e provato a parlarne, forse tutto questo non sarebbe successo.
E ora, al mio fianco nel letto, ci sarebbe mio marito.
Ma non è così.
La sua parte è vuota. E fredda.
E io non mi sono mai sentita così sola.
 
Il mattino seguente, ci sono sviluppi nelle indagini.
Io e Sara interroghiamo un altro sospettato, che però ci fornisce informazioni lacunose che non stanno né in cielo né in terra, senza alcun senso logico.
Sara dispone il fermo, e io ne approfitto per chiederle la scarcerazione della Dottoressa Montella.
“Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori,” le faccio notare.
“Concetto interessante,” commenta lei, “soprattutto se espresso da te.”
Mi rendo conto solo ora di quello che ho effettivamente detto, e a chi.
La mia nottata è stata quasi insonne e piena di interrogativi, e gli strascichi li porto ancora addosso. Non solo per la stanchezza, ma soprattutto per i pensieri che si scatenavano nella mia testa mentre io osservavo il soffitto senza realmente vederlo, coricata nella parte di letto che avrebbe dovuto occupare Marco.
Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori.
L’ho detto io stessa. Tutti meritano una seconda occasione, e allora perché con Marco dovrebbe essere diverso?
È vero, ha commesso un errore enorme (e ci sarebbe da ridere, se ripenso che sempre io avevo definito un ‘errore’ il nostro primo bacio), ma non passa giorno che lui non si punisca per quello che ha fatto, ha accettato senza protestare la mia scelta di limitarci a un rapporto civile, mi ha pregato di dargli un’altra possibilità senza risultato, e adesso si sta lasciando vincere dalla depressione.
Non riesco ancora a crederci, che l’uomo trasandato che ho incrociato ieri sera sul pianerottolo sia lo stesso che ho conosciuto in piazza tre anni fa, quello che mi disse senza giri di parole che non si era più sposato solo perché aveva cambiato idea.
Sta male. Troppo.
Per causa mia.
Ci tiene a te... tanto.
Lo so. Lo sento.
Perché vederlo in quello stato distrugge anche me.
Forse dovrei davvero ascoltare mia madre e non fermarmi agli errori, ma concentrarmi sul cuore.
Perché è stato quello il momento in cui mi sono scoperta innamorata di Marco, quando mi ha lasciato vedere cosa nascondeva dentro.
Mi sono innamorata di lui anche se l’avrei creduto impossibile e fuori da ogni logica, da ogni normale spiegazione... ma l’amore, di normale, non ha nulla.
L’amore è follia.
 
Quando scendo in strada per riaccompagnare la donna rilasciata, vedo Marco venirmi incontro.
Non riesco a nascondere il mio sollievo.
“Marco, che ci fai qua? Stai meglio?” gli chiedo, speranzosa.
“Sì, sì, alla grande,” risponde lui, ma non mi convince. C’è qualcosa di strano.
Avrei preferito non saperlo.
 
Marco’s pov
 
Sono a passeggio con Jimi, quando noto Anna uscire dalla caserma.
Come al mio solito non ho ancora imparato la lezione, e se la mia testa urla di non andare, il mio corpo ha già deciso per me.
Mollo Jimi a Pippo, lì di passaggio, e mi dirigo a grandi passi verso di lei.
“Marco, che ci fai qua? Stai meglio?” mi chiede quando mi nota. La sua felicità nel rivedermi sembra sincera, ma ormai il mio cervello non ha più il controllo di nulla, la gelosia e la rabbia hanno preso il sopravvento.
Lei evidentemente se ne accorge.
“Che c’è?”
“No, niente, niente... ho saputo di tua zia, mi dispiace un sacco,” dico, ben sapendo che si tratta di una bugia di Cecchini.
“Perché, che è successo a mia zia? Che c’è?” domanda infatti Anna.
A questo punto non mi trattengo più.
“No, tutto a posto...” mormoro, ironico, prima di sfogarmi. “Alla fine hai deciso di andarci con quello al matrimonio...” vuoto il sacco, trattenendo a stento la rabbia, la mia voce che trema.
Alla mia ammissione, lei mi rivolge uno sguardo carico d’odio.
“Lo sai qual era l’alternativa? Il tavolo dei bambini.” spiega, molto più calma di me.
Detesto quando fa così.
“Secondo te con chi ci voglio andare al matrimonio? Sergio è stato solo molto gentile.”
“Ah, immagino...” dico, il disprezzo che trasuda da ogni sillaba.
“Ma secondo te con chi sarei stata più contenta di andarci?”
“Non lo so, forse ti conosco poco, ma ieri sera quando sei arrivata mi sembravi felice. Felice davvero,” sputo fuori, ammettendo di averla vista con lui.
Lei mi rivolge uno sguardo deluso, dandomi le spalle e allontanandosi di qualche passo, come a volersi trattenere dal rispondere.
Io invece non ci penso neanche, a trattenermi.
“Anna, stammi a sentire, quello lì è un ragazzino!”
“Abbiamo la stessa età, Marco! Mi stai dicendo che sono una ragazzina anch’io?” mormora, rabbiosa, tornando indietro.
Questa cosa dell’età non è mai stata un problema, per noi, e non lo è nemmeno adesso, ma non riesco più a controllare cosa dico.
“È una cosa diversa,” esplodo, “sto dicendo che tu sei il Capitano dei Carabinieri e stai facendo la scema con un delinquente.”
Anna ovviamente non ci sta, e mi fronteggia senza arretrare di un passo.
“Almeno lui ha pagato per quello che ha fatto, e anche per quello che non ha fatto, a differenza tua!” mi dice, rischiando di farmi peggiorare la situazione.
Come se non bastasse, si presenta sulla porta della caserma Sara, che le fa cenno di seguirla al piano di sopra.
Anna si ricompone in un secondo.
“Scusami, ma io devo andare a relazionare il nostro Capo, che è la donna che ti sei portato a letto, e ti ringrazio per avermi lasciato con lei in questi giorni, grazie.” mi dice infine in un tono inequivocabile, prima di andare via, lasciandomi lì a mordermi la lingua perché ha ragione e io non posso dire niente.
Non posso che constatare che la discussione l’ha ovviamente vinta lei, perché in quel caos di sentimenti che sentivo dentro, c’era anche la consapevolezza che lei mi stesse dicendo soltanto la verità, nuda e cruda. Gliel’ho letto negli occhi, mentre mi rispondeva con sicurezza e a tono, perché sapeva che avrei capito. Mi conosce troppo bene, sa come gestirmi in casi come questo. Soprattutto se sa di aver ragione.
Perché mi aveva già detto che a quel dannato matrimonio lei non ci voleva nemmeno andare, se non con me. Ma non può più, perché io l’ho ferita.
E che io stesso so perché ha accettato l’aiuto di Sergio, perché conosco le aspettative della sua famiglia e il suo volersi mostrare forte sempre, a ogni costo.
 
Me ne torno a casa per calmarmi, e sto per addentare una bruschetta quando il campanello suona.
Non si può più nemmeno mangiare in santa pace.
Ines.
“Oh, ciao!” la saluto, cambiando immediatamente umore. “Se sei venuta qui per Jimi, mi dispiace, non c’è più perché Pippo se l’è perso.” la informo, dispiaciuto.
“Lo so,” mi dice però lei, “sono venuta a trovare te.”
“Davvero?” le chiedo. “Grazie, che bello!”
Ah, quindi c’è ancora qualcuno che a me un pochino ci tiene.
Lei sorride. “Ti devo dire una cosa.”
Mi conduce in strada, e scopro che... Jimi ce l’hanno lei e il suo amichetto.
E vogliono il mio aiuto per nasconderlo, per impedire che diventi un asado.
Accetto volentieri, avviando l’operazione ‘Salviamo il suino Jimi’!
Trovo il posto perfetto, così lasciamo lì il maialino.
Ines è al settimo cielo, almeno riesco ancora a rendere felice qualcuno.
Il suo sorriso è come un arcobaleno dopo il grigiore degli eventi dei giorni scorsi.
Ancora di più il suo abbraccio.
“Credo che il mio papà era come te,” mi dice, facendomi stringere il cuore. “certo, non con questi capelli.”
“Che scema!” le dico ridendo, e ricambiando il suo abbraccio.
La sua frase mi ha scaldato il cuore. Il fatto che, nella sua innocenza di bambina, ha detto che vorrebbe suo padre mi assomigliasse, mi ha illuminato dentro con una gioia che non riesco a descrivere.
È la cosa più bella che mi abbiano mai detto.
E non mentirei, se dicessi che, in cuor mio, vorrei davvero essere il suo papà.
 
Dopo aver riaccompagnato a casa il suo amichetto, porto anche lei in canonica dove scopriamo che Pippo, per rimediare, ha comprato un altro maialino e un porcellino d’India, che Ines chiede di poter tenere.
“‘n’altro...” mi viene istintivo commentare, ben consapevole che mi chiamerà in causa anche stavolta, ma non mi dispiace.
In compenso, convinciamo Cecchini a cambiare menù, con grande gioia della bimba.
 
Anna’s pov
 
È domenica, il giorno del matrimonio di Elisabetta.
Dire che sono nervosa è riduttivo. È paura vera, terrore incontrollato.
Mia cugina mi ha pure affidato il compito di tenere il suo bouquet.
Fantastico, proprio. Tatto zero. Anzi, sotto zero.
Sergio cerca di calmarmi, sdrammatizzando, finendo per peggiorare le cose.
“Stai benissimo!” mi dice, riferendosi al vestito.
E comunque il vestito ti stava bene. Bene bene bene bene...
La sua frase mi ricorda...
Nessuno. Non mi ricorda nessuno.
È già difficile così, senza pensare a lui.
“Rilassati, è una festa...”
Dove l’ho già sentita, questa frase?
Ah, sì, l’ha detta quella mattina Mar-
No!
Ma perché ogni cosa, ogni minima cosa mi deve riportare a lui, perché?
Sono dettagli da niente, eppure mi ricordano sempre lui.
Sergio mi dice che sta arrivando l’auto con la sposa, ma quando la vedo fermarsi, e lei scendere e abbracciare e baciare il suo futuro marito, il tempo intorno a me sembra fermarsi.
Come se tutto avesse iniziato ad andare a rallentatore, mi sento mancare il fiato, e tutto cambia.
Rivedo me stessa, mentre Marco mi porge la mano per aiutarmi a scendere. La gioia incontenibile quando mi ha sollevato il velo e i nostri occhi si sono incrociati.
La convinzione che da lì in avanti ci attendeva una vita che avrebbe dovuto essere meravigliosa, e invece è andato tutto in frantumi pochi minuti dopo.
Avevo sottovalutato l’impatto che questa scena avrebbe avuto su di me.
E sopravvalutato me stessa.
Sento un peso enorme opprimermi, l’aria che non ne vuole sapere di tornare.
Quando riesco a riprendere abbastanza il controllo del mio corpo, mi accorgo che ho il respiro affannato.
Riesco solo a voltarmi perché non riesco a sopportare quelle immagini.
“Che succede?” mi chiede Sergio, preoccupato.
La sua voce mi arriva ovattata, come se fosse distante da me anni luce.
“Non ce la faccio, non ce la faccio...” riesco appena a mormorare.
Mi sento svenire. Sto tremando, sono sull’orlo di una crisi di pianto, il cuore che batte talmente in fretta da darmi l’impressione di volermi uscire dal petto.
Un attacco di panico.
“Andiamo via,” mi dice, senza aspettare.
“Come?”
“Fidati, andiamo via.”
“Dove andiamo?”
“Via di qui!” afferma, prendendomi per mano e trascinandomi via. Ha capito che l’unica soluzione possibile è proprio quella di risparmiarmi questa agonia autoinflitta, scappando prima che gli sposi entrino in chiesa.
 
Non so quante ore restiamo a girovagare sul maggiolino senza una meta, so solo che quando ci fermiamo è ormai sera. È buio. Siamo sulla strada che porta al ristorante, dove a quest’ora si starà tenendo il ricevimento del matrimonio.
Io non ho detto una parola per tutto il tempo.
Se avessi aperto bocca sarei esplosa, e non voglio farlo.
So che non ha senso, che sono già scoppiata a piangere davanti a Sergio una volta e non si impressionerebbe di certo a vedermelo rifare, ma non voglio.
È già abbastanza umiliante così.
E ora siamo qui, con le mie scarpe buttate di lato, appoggiati al maggiolino, con in mano due chinotti che ha preso lui, mentre aspetta che io mi sblocchi.
Senza mettermi fretta, per non farmi pesare quanto successo.
 
Marco’s pov
 
Sono venuto al bar per bere un cocktail.
Non voglio ubriacarmi, ma distrarmi sì.
Stasera c’è il matrimonio della cugina di Anna, e lei ci è andata con Sergio, alla fine.
Fa male, terribilmente. Immaginarla con quel suo vestito verde, che mi aveva mostrato entusiasta una mattina, così bella, mentre balla con lui. Ride alle sue battute.
Che si dimentica di me.
Ordino un long island, senza accorgermi di chi ho accanto.
“Non ci credo... ma è un segno, questo!” esclama Sara, entusiasta dal mio arrivo.
“Io la chiamerei più una persecuzione,” ribatto, il senso di nausea che inizia a farsi sentire in gola. Non poteva andare peggio, stasera.
“Ah ah ah, che simpatia,” mi sfotte lei. “Stavolta da bere, offro io.”
La osservo, maledicendola per le sue parole.
“No, stasera me ne torno a casa sobrio, che la cavolata l’ho già fatta.”
Faccio per andar via, ma lei mi ferma.
“Ci stai tanto male, vero?” mi chiede in tono sommesso.
Io non rispondo nemmeno.
Perché, non si vede? Da quella dannata sera, la mia vita è distrutta. La donna che amo mi odia, e la colpa è solo mia. No, ma va tutto alla grande.
“Mi dispiace... non ho intenzioni bellicose,” mi informa, prima di sollevare il bicchiere per un brindisi. “Ad Anna Olivieri, donna fortunata.”
Faccio una risata amara.
“Cioè, mi prendi in giro, fai la battuta...” riesco a biascicare. Proprio lei... non deve nemmeno nominarla, Anna.
“No, affatto,” nega Sara. “è molto fortunata ad avere un uomo che la ama così, ed è una scema se non lo capisce. Ma tu che ci puoi fare? Niente.”
Dal suo tono, mi sembra sincera, e mi scuso per quello che ho detto prima.
Vorrei tanto che Anna la pensasse come lei.
Bevo appena un sorso del mio drink, e la mia mente torna all’estate di due anni e mezzo fa.
Era agosto, faceva caldo. Una birra in mano, la prima di una lunga serie.
Chiara a pilates, e io tornato da qualche ora dal municipio con Cecchini, quando avevamo chiesto le luminarie per il Natale di Cosimo. Anna che aveva detto di sì a Giovanni, o così credevo...
Osservo il bicchiere che stringo tra le mani, e poi la donna accanto a me.
Non ho più dubbi su cosa devo fare, le mie gambe che anticipano i miei pensieri.
Sto già correndo verso la mia moto, dopo una brevissima telefonata al maresciallo per essere sicuro che il ristorante sia quello che ricordo.
E una corsa folle verso la mia meta, verso l’ultimo tentativo che posso fare.
Solo due risultati possibili: la fine di tutto, o un nuovo inizio.
Il cuore in gola per la tensione.
Lungo la strada, in un piccolo parcheggio con uno splendido panorama su un promontorio, noto un maggiolino che conosco molto bene parcheggiato sotto le luci, e due figure appoggiate ad esso.
Una di loro è vestita di verde.
Ora o mai più.
 
Anna’s pov
 
“Va meglio?” mi chiede Sergio, dopo un po’.
Io annuisco soltanto, continuando a fissare il vuoto.
Decido di farmi coraggio: non possiamo restare qui tutta la notte, dovrò giù dare spiegazioni così, non mi va di aggiungere potenziali pettegolezzi.
“Dobbiamo tornare al matrimonio,” mormoro infine. “Devo portare il bouquet a mia cugina che... deve fare il lancio, se no poi impazzisce, e...”
Lui mi guarda, sconcertato.
“Non ho capito... Vuoi tornare per portare il bouquet a tua cugina?!”
“Sì,” confermo piano.
“Secondo me tu non vuoi tornare per il bouquet,” afferma però Sergio, piantando gli occhi nei miei, “secondo me tu vuoi tornare per dimostrare alla tua famiglia che stai bene, che la tua vita è okay, anche se non è così.”
Ha centrato esattamente il punto.
“Stai male per quello che è successo col tuo ex... mi pare che tu ne abbia tutte le ragioni! O no?”, continua, mentre io sono costretta ad abbassare lo sguardo.
“Architetto e psicologo, mi sembra...” sdrammatizzo, per non dargli la soddisfazione di dirgli che ha ragione.
“C’è un sacco di tempo per studiare, in prigione...”
La sua battuta stupida riesce per un attimo a farmi sorridere, ma solo per un attimo, perché poi ripiomba tutto addosso.
Lui se ne accorge.
“Stai male, soffri in santa pace! Perché devi andare lì a infierire con la torta nuziale, il bouquet e compagnia bella? Che ti frega di quello che pensa tua cugina, tua zia, tua madre e tutta la famiglia-”
Lo interrompo, perché non è facile come dice lui.
“E quindi, cosa... che facciamo? Facciamo finta di niente, che...”
Non so nemmeno io cosa sto dicendo, né cosa voglio fare, finendo per crollare di nuovo contro il cofano del maggiolino.
La verità è che vorrei solo scappare lontano, da tutto e da tutti.
“Stiamo qua,” dice semplicemente Sergio. “Guarda un po’!” aggiunge, facendomi segno di osservare il posto in cui ci siamo fermati.
Su un promontorio con una vista splendida su Trevi.
Se non fosse che queste dannate lucine che brillano sopra le nostre teste mi ricordano un certo drive-in, sarebbe perfetto.
“Brindiamo con i chinotti rubati ai nostri fallimenti,” propone, lasciandomi sconcertata.
Certo che... bella situazione in cui mi sono cacciata, eh.
“Inizio io... Io brindo... al fatto che mia figlia mi odi.” decide.
Beh, lo capisco. In realtà sua figlia non sa nemmeno che lui è suo padre, ma che non gli sia proprio simpatico è chiaro.
Come ho già detto, la bimba parla, ride e gioca con tutti quelli che incontra, ma non appena vede Sergio, lo evita e corre da Marco, se lui c’è.
Non so cosa sia peggio, se il fatto che loro due non riescano nemmeno istintivamente a legare, o che la bimba abbia identificato la sua figura paterna ideale in Marco.
Ma Sergio fa una cosa che mi spiazza.
Si mette a urlare.
“Mia figlia mi odia!”
Ma non è contento.
“Aspetta, posso fare meglio... MIA FIGLIA MI ODIA!!”
Wow, che figata, come direbbe qualcuno.
“Bravo, bravo...” mi complimento.
“Grazie,” sorride lui. “Tocca a te adesso.”
E no, me lo dovevo aspettare che c’era la fregatura.
“No, no...” rifiuto con una vocina che si sente appena. No, scherziamo?
“Come no? Io l’ho fatto, adesso... altrimenti sarò costretto a fare una cosa terribile,” mi sfida, e io già tremo. “Dovrò prendere la macchina, andare al ristorante, calarmi le braghe e chiedere a tua mamma se mi sposa!”
Io scoppio a ridere per l’assurdità dell’idea.
“A te la scelta,” continua Sergio. “Lo faccio, eh! Guarda che ne sono capace! Uno... due, chiavi della macchina,” conta, facendo sul serio per prendere le chiavi dalla tasca.
Lo blocco perché mi sa che lo fa davvero.
“Va bene, va bene, va bene... lo faccio,” cedo.
“Vai.”
Cerco di scegliere il brindisi al mio fallimento migliore.
Che mi costa parecchio esprimere ad alta voce, ma una sfida è una sfida.
“Io sono... una cornuta.” confesso.
Peccato che lui non sia soddisfatto.
“Cos’era, questo? Sul serio! Dai, sii seria!”
Io rido, e per una volta non voglio pensare a niente, se non a sfogarmi.
“Sono una cornuta,” affermo con più convinzione, ma lui mi incita a fare di più.
Ed è così che mi libero.
“SONO UNA CORNUTA!!!”
Lui scoppia a ridere, perché non credo si aspettasse davvero questa reazione da parte mia, e nemmeno io.
“Meglio?” mi chiede, dopo qualche istante.
“Sì...sì,” ammetto.
Mi sento davvero meglio.
Ed è la prima volta in mesi in cui rido davvero.
Senza alcol, senza una battuta che mi obbliga a farlo.
Ma soltanto perché improvvisamente, in un modo in apparenza tanto banale, è come se mi fossi tolta un peso.
“Come sei bella quando ridi...” mi dice Sergio, osservandomi con un’espressione ammaliata, e soddisfatto per la riuscita del suo piano.
Non posso che ricambiare il sorriso, quando un rombo di motore interrompe tutto.
Rompo il contatto visivo con Sergio, il cuore che torna a battere forte.
Io questo rumore lo conosco...
Sposto lo sguardo sulla strada, per notare una moto rossa che ha appena parcheggiato poco distante da noi.
Una moto molto familiare, così come il motociclista, che si toglie il casco e ci si avvicina.
Un senso di déjà-vu che mi invade, facendomi quasi tornare a una mattina in piazza, e un gesto molto simile.
L’inizio.
Noto l’espressione sconcertata di Sergio non appena capisce che è Marco, la domanda implicita chiara: come ci ha trovati?
“Puoi... potresti lasciarci da soli, per favore?” gli chiedo a bassa voce.
Lo so, è una richiesta strana dopo quanto è appena successo, ma ho bisogno di capire.
Sergio esita un istante ma poi annuisce, allontanandosi.
Marco gli fa un cenno, per poi raggiungermi.
“Che ci fai qui?” sussurro, incerta.
Noto che ha gli occhi leggermente lucidi, ma non per via dell’alcol, stavolta.
Anche se sembra di nuovo di rivivere uno dei nostri momenti...
Agosto, a casa mia, e lui che mi implorava di non sposare Giovanni.
Quando mi ha confessato che mi amava.
Sento le lacrime tornare prepotentemente all’attacco al solo ricordo di quella sera, tanto che non riesco nemmeno a fermarle.
Ma ci pensa Marco a farlo, accarezzandomi delicatamente la guancia per asciugare quelle che iniziano a rotolare giù.
Io esito solo un istante, prima di abbandonarmi a quel tocco caldo che tanto ho desiderato per tutti questi mesi passati a respingerlo.
Lui non ha ancora detto nulla, non a voce se non altro.
Perché i nostri sguardi si sono già detti tutto.
A un certo punto, però, decide che è arrivato il momento di parlare.
“Sono mesi che cerco di dirti tutto quanto, ma non trovavo le parole giuste per farlo,” mormora, finalmente, rispondendo alla mia domanda di prima. “In realtà non le trovo nemmeno adesso, quelle giuste, ma mi sforzerò. Perché voglio farlo. Devo tentare almeno di spiegarti... ciò che sentivo, che sento ora. Quel turbinio di emozioni che mi muovono, che mi fanno commettere errori e sbagli su sbagli, perché non ho ancora imparato la lezione... Quell’istinto che mi ha portato quella sera a commettere quell’errore che mi perseguita ogni attimo. E che da mesi mi spinge a cercare una possibilità di rivalsa per quello che ti ho fatto, anche se so benissimo che non merito il tuo perdono... Quello che sto cercando di dirti è che... Io ho bisogno di te, Anna, di averti nella mia vita... Perché non lo è, non è vita, senza di te, è solo sopravvivenza. E non riesco a fare nemmeno questo, più...”
Io non riesco a dire niente, le lacrime mi bloccano la gola e mi impediscono di emettere suono. Marco sembra un fiume in piena, e continua con le sue frasi sconnesse che però contengono tutto ciò che sente, tutto ciò che prova.
Ci sono i nostri ricordi nelle sue parole, i nostri momenti insieme, il nostro esserci l’uno per l’altra ogni volta che ne abbiamo avuto bisogno.
Non mi sta chiedendo di perdonarlo, perché quello che è successo c’è e non si cancella, ma l’unica cosa che vuole è una possibilità per provare a dimostrarmi che posso ancora fidarmi di lui. Che l’uomo di cui mi sono innamorata non è mai svanito, e che è qui, davanti a me, con il cuore in mano. A me la scelta, se tornare a custodirlo, o spezzarlo definitivamente.
Ma è disposto a rischiare, davvero, stavolta. A giocarsi le sue carte fino all’ultima, per fare le mosse giuste senza spinte esterne. Per poter essere finalmente padrone delle sue azioni fino in fondo.
Come mai prima d’ora.
Perché sono stata io a insegnarglielo.
E poi perché lei, quando ama, ama fino in fondo.
Perché mi ama. Profondamente, disperatamente.
Così tanto da accettare di correre il rischio, per amore.
A cambiare, ancora, per amore.
Perché ogni istante che abbiamo vissuto insieme è importante, e non può essere cancellato, né dimenticato.
Perché il nostro amore è l’unica cosa che conta.
 
Io sono senza parole. È una delle rare volte nella mia vita in cui non riesco a trovarle.
Non riesco a far niente, se non piangere in silenzio.
Perché quando pensavo di aver finalmente capito tutto di Marco, ecco che è tornato a sorprendermi.
Ma non come quel maledetto giorno in chiesa.
Stavolta, è tornato il sogno a occhi aperti.
Ed è lui, Marco, il mio Marco, qui davanti a me, un libro aperto come mai prima di adesso.
Mi basta un attimo per decidere cosa fare.
Seguirò il mio stesso consiglio.
Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori.
E questo farò.
Voglio tornare a fidarmi di lui.
Forse sbaglierò, ma voglio dargli la possibilità di rimediare all’errore che ha commesso.
Perché solo così possiamo tornare a vivere entrambi.
Perché non avrei sopportato di vedere Marco ridursi a un automa per una sofferenza che si può tentare di guarire.
Lo amo troppo per lasciarlo sopraffare da quella depressione alla quale si stava abbandonando.
 
So che non ho bisogno di parlare, non adesso.
Per questo mi avvicino a lui, e lo abbraccio.
Più forte che posso, il viso premuto contro la sua giacca. Poco importa se la inzupperò, perché lui mi stringe a sé, finalmente, ed è come se il mondo avesse ripreso a girare all’improvviso.
Mi ero imposta di non pensarci, quando invece questa sensazione mi mancava più dell’aria.
Non dico nulla, so che capirà comunque il senso del mio gesto.
Perché il suo abbraccio non è paragonabile a quello di nessun altro.
In questo momento piango e basta, singhiozzando contro il suo petto, perché è l’unica cosa che posso fare.
Perché solo Marco può realmente asciugare le lacrime che lui stesso ha provocato.
Soltanto lui.
Non mi importa se farà male, se sarà difficile...
Non ce l’avrò fatta a sopportare la vista di mia cugina in procinto di sposarsi, ma sarò abbastanza forte da riuscire a perdonare Marco. Per ricominciare.
È un viaggio, non lo sai dove ci porta. Si perdono delle cose, se ne prendono altre.
Quando, dopo un tempo infinito, sciogliamo il nostro intreccio, i nostri occhi tornano ad incatenarsi.
Ancora, a parlare senza dire niente, e stavolta le lacrime non sono di dolore, ma di felicità.
Come se un peso si fosse finalmente sollevato dalle nostre spalle, dopo mesi di oppressione.
È come tornare a quel giorno in piazza.
Uno dei due, per meglio dire.
Il nostro primo incontro, quella stretta di mano che aveva cambiato il nostro destino.
La notte del Natale d’agosto, quando le nostre dita intrecciate avevano dato inizio alla nostra storia d’amore.
Sta per ricominciare tutto.
In un modo ancora diverso, ma non importa.
Perché il fato ci ha condotti qui, un’altra volta.
Niente è mai stato casuale tra noi, c’è sempre una ragione.
E stavolta non sarà diverso.
Perché il mio posto nel mondo è accanto a lui.
 
La mattina seguente, riusciamo a venire a capo del caso.
Sara, con mio enorme stupore, si complimenta con me per il lavoro svolto e si congeda, perché adesso che Marco sta bene, riprenderà regolarmente il suo posto, e quindi la sua presenza così assidua non sarà più necessaria.
La accompagno giù in strada, il cuore un po’ più leggero.
 
In piazza, trovo Cecchini e Marco, intenti a ultimare i dettagli per l’arrivo imminente del Papa.
Cioè, Cecchini dà le direttive, e Marco come al solito in questi casi, esegue.
Mi avvicino a loro, un sorriso che si fa istintivamente strada sulle mie labbra, e anche su quelle di Marco non appena mi vede.
Anche il maresciallo, stavolta, sorride.
Non so se abbiano parlato, ma sarebbe stato superfluo.
Quello che è successo è evidente.
Noi due siamo di nuovo immersi in quel mondo tutto nostro in cui le parole non servono.
Perché è impossibile, spiegare l’amore che ci unisce, non c’è nessun ragionamento di fondo, se non un assunto, profondo, per quanto banale.
Sei tu che mi fai stare bene quando io sto male, e viceversa.
 
 
Ciao a tutti!
Scusate il ritardo rispetto al solito, ma questa puntata ci ha dato del filo da torcere.
Non c’era un momento che fosse uno, da poter cambiare senza stravolgere tutto.
Io e Martina ci siamo quindi inventate una scena ad hoc, pur mantenendo il tutto più... contenuto.
Non era il caso di inserire scene smielate o altro.
Anna e Marco sanno esprimere i loro sentimenti senza bisogno di chissà quali esagerazioni.
Ora, togliamoci questa sesta puntata da incubo quanto prima, per cortesia.
A presto!
 
Mari
 
 
 

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Capitolo 6
*** Non commettere adulterio ***


Non commettere adulterio
 
Anna’s pov
 
Sono a casa di Cecchini.
Mia madre è partita per uno dei suoi soliti viaggi, ma stavolta non ha potuto lasciare il suo adorato Carlino (di nome e di fatto) a nessuna delle sue amiche o dei vicini, quindi ha incaricato il maresciallo di tenerlo.
Non lo ha mollato a me perché non credo che con Patatino andrebbe d’accordo - cioè, Patatino è buonissimo, è Carlino che è una piaga.
Comunque, non capisco perché ogni volta che Cecchini decide di mandare un video a mia madre, ci devo essere io. E non solo perché mi costringe a tenere il cane in braccio - ora pure il saluto con la zampa - ma anche perché lui mi dà l’impressione di essere uno di quei teenager che fa le vocine e usa nomignoli assurdi con la fidanzata, che guarda caso è mia madre. È terribilmente imbarazzante, e se mai qualcun altro dovesse vedere quei video oltre mamma, penso che per Cecchini non basterebbe un bunker antimissile contro di me, e io mi trasferirei su Plutone, come minimo.
Ma tu guarda cosa mi tocca fare per il bene di questi due, io, un Capitano dei Carabinieri!
E poi sarei io la delusione di mia madre, perché invece il loro comportamento è normalissimo…!
Okay, magari sto un po’ esagerando, e forse (forse) sono un tantino gelosa di mia mamma, perché perfino lei è innamorata e felice.
Giuro, non vorrei né sentirmi così nei suoi confronti né tantomeno essere così acida col maresciallo, ma è difficile. È come se fossi intrappolata in una dimensione parallela in cui tutti intorno a me sono felici, e io no.
Un incubo.
Finalmente finiamo ‘sto video ma, dannato cane, mi ritrovo sdraiata sul pavimento, dolore dappertutto.
Non voglio nemmeno sapere su cosa sono scivolata, so solo che la mia schiena mi ha dichiarato vendetta, e non solo quella.
Il mio intento di correre a fare una doccia è interrotto da una chiamata di Don Matteo, per un probabile tentato omicidio.
Assurdo come ovunque vada quel prete, si imbatta sempre in un caso da risolvere.
Manco fossimo a Caracas!
 
Quando raggiungiamo il luogo dell’aggressione, il teatro comunale, Don Matteo ci spiega cos’ha trovato.
“... e ha visto qualcuno entrare o uscire dal teatro?”
“No, c’era soltanto… Sara!”
La PM.
Mi impongo di mantenere la calma.
Non riuscirò mai a liberarmi di lei.
Dopo il periodo di malattia di Marco, in cui sono stata costretta a collaborare con la Procuratrice, pensavo che avrei avuto almeno un po’ di tregua, ma evidentemente il karma ce l’ha con me.
Va bene che devo comportarmi civilmente con lei, è pur sempre il mio superiore, ma averla intorno non rende le cose facili.
E nemmeno il fatto che Marco stia accovacciato davanti a lei, seduta su una poltroncina mentre la medicano.
Non che la cosa mi sorprenda.
Se lascio da parte per un attimo tutto quello che è successo tra noi tre, quello davanti a me sarebbe semplicemente il Marco che conosco bene.
Una scena normalissima.
Mi ricordo ancora quando lo trovai nel mio ufficio, con Chiara, mentre tentava di consolarla perché mamma non ci sarebbe stata alla sua laurea.
So che Marco è un’ottima spalla a cui appoggiarsi quando si ha bisogno di aiuto, e forse questa scena mi fa male anche per questo.
Perché riporta alla mente tutte le volte in cui Marco si è messo nella stessa posizione davanti a me per chiedermi cosa avessi, quando qualcosa non andava, restando in quel modo scomodo per un sacco di tempo, pronto ad ascoltare pazientemente i miei lunghi monologhi per poi consolarmi come solo lui sa fare.
Torno con la mente al presente.
“Sara, tu la conosci quella donna?” le chiede lui, in tono pacato.
“Di vista… però conosco bene il suo compagno.” risponde Sara. Noto che evita il suo sguardo.
“Come mai?”
Lei esita, prima di decidersi a rispondere. “... è il mio ex marito.”
 
 
Una volta terminati i rilievi, torniamo in caserma per interrogare Sara.
Qualcosa non quadra in questa storia.
La situazione mi mette terribilmente a disagio, ma è lavoro, e so come scinderlo dalla mia vita privata.
O almeno credo.
“La vittima è l’attuale compagna del suo ex marito, Massimo Ruggeri, architetto. Ce lo conferma?” le chiedo, e lei annuisce, senza però elaborare.
Ancora una volta, è Marco a porre le domande con un tono che mi infastidisce.
“Sara, puoi dirci cosa è successo al teatro?”
È troppo indulgente, questo suo modo di fare con lei.
“Lucia mi ha mandato un messaggio questa mattina, voleva parlarmi, mi sembrava agitata.”
“Parlarle di cosa?” presso io, insistendo col darle del Lei.
“Non lo so, avevamo appuntamento a fine prove.”
“E vi siete incontrate?”
“No, io stavo entrando in sala e qualcuno deve avermi colpito alle spalle perché non mi ricordo più niente, devo essere svenuta.”
Va bene. Smettiamola di prenderci in giro e dire le cose a metà.
Con Marco può fare la santarellina quanto vuole, ma i fatti sono una cosa diversa.
Prendo in mano le redini della situazione.
“Questa è una denuncia di stalking, la vittima l’ha sporta nei Suoi confronti qualche settimana fa. A quanto pare Lei è stata sorpresa a spiare Lucia e sua figlia di tre anni… figlia avuta col Suo ex marito.”
Sara è costretta ad abbassare lo sguardo, mentre Marco la fissa, allibito.
“Sara… Sara, è vero?”
Lei non può far altro che confermare.
“Quindi forse… vi siete viste a teatro, avete discusso e siete cadute entrambe dal palco, solo che Lucia ha avuto la peggio.” ipotizzo.
“No, non è andata così.” nega però lei, e mi accorgo che la calma mi sta abbandonando in fretta.
“Nessuno ha visto una terza persona, e tutti gli elementi sono contro di Lei.”
“Io non ho fatto niente a quella donna.”
Anche se fosse, lo verresti a dire a me, che sei colpevole…
“Dottoressa, temo che dovremo metterla in stato di fermo.” affermo freddamente.
Sara è sconcertata, ma quello che fa dopo mina seriamente alla mia pazienza.
Si rivolge direttamente a Marco.
“Devi credermi.”
Ci ritroviamo entrambe a fissarlo.
Ci sono tutti gli elementi, lui deve darmi ragione.
Penso che forse si sia sentito anche lui così, quella volta, quando avevamo davanti Simone.
Il suo ex migliore amico, che aveva messo in carcere senza pensarci due volte, senza reali prove, per vendetta.
In parte è quello che sta muovendo anche me, lo so, ma a differenza di allora, stavolta tutto porta nella direzione della sua colpevolezza.
Marco, però, mi spiazza.
“Ha una commozione celebrale e non prevede il carcere, quindi i domiciliari andranno più che bene.” mormora, senza guardarmi.
Questa cosa mi fa andare su tutte le furie.
“Marco, è tentato omicidio!” esclamo, indignata.
Si sta lasciando coinvolgere, di nuovo! Non ci posso credere.
Pensavo fosse cambiato, in questo.
E invece, davanti a me mi sembra ci sia di nuovo quel Marco.
E sì, sono arrabbiata, e delusa.
E non solo perché non mi ha dato ragione quando avrebbe dovuto, e potuto.
Perché mi ha fatto tornare in mente le parole di Lia Cecchini.
La verità è che non conosci mai chi hai di fianco.
“E io sono il Magistrato competente. La decisione spetta a me.” mi risponde soltanto.
Non lo nascondo nemmeno, come mi sento.
Vederlo reagire così, contro di me, mi fa credere che Lia avesse ragione.
Sta difendendo la donna che è in parte la causa di quello che è successo tra noi.
È come se mi stesse tradendo un’altra volta, stavolta faccia a faccia e senza rimorso.
E fa male, sempre di più, insopportabilmente.
 
Marco’s pov
 
Stiamo interrogando Sara.
La sua posizione non gioca a suo favore. La denuncia per stalking mi ha sorpreso non poco, così come scoprire che sia divorziata.
Tutti gli indizi sono contro di lei, e Anna ha ragione, inutile negarlo.
Ma non so perché, sono convinto che lei sia innocente, e che non c’entri niente in questa storia.
Per questo, approfitto di un escamotage per non procedere con il fermo, limitandomi ai domiciliari.
La situazione ha del surreale, perché so benissimo cosa Anna stia pensando in questi istanti, e anche Sara se n’è resa conto, mentre ci osserva, perplessa, interagire in silenzio, in questa discussione fatta di sguardi.
Tutti, compresa lei, hanno capito che spesso tra noi due bastano quelli a dire tutto, e non è cambiato nemmeno dopo quello che è successo.
Eravamo un ottimo team sul lavoro proprio per questo, perché era sempre stato sufficiente guardarci per capirci senza proferire parola negli interrogatori.
La capisco, Anna.
È furiosa, e delusa dalla mia decisione, perché in qualsiasi altro caso avrei disposto il fermo in un attimo, visti gli elementi che abbiamo e gli indizi contro Sara, ma io stavolta non l’ho fatto.
Gli occhi di Anna mi dicono che, a parer suo, mi sono lasciato coinvolgere.
E forse ha anche ragione, ma non del tutto.
Perché se per un attimo guardasse oltre il muro che ha alzato contro di me, non le sembrerebbe tanto strano, quello che sto facendo.
Non sarebbe stupita di questo Marco che cerca di lasciarsi commuovere, che cerca di empatizzare con l’indiziato.
Perché è stata lei a insegnarmelo.
Io stesso, quando gliel’ho visto fare le prime volte, ero convinto fosse un comportamento sconsiderato. Perché in qualcuno accusato di un reato non può esserci niente di positivo da vedere o capire, e glielo avevo detto senza problemi, nei primi tempi.
Ma a poco a poco, avevo iniziato ad apprezzare il suo modo di fare, sul lavoro come nel privato, e mi ero innamorato di lei.
E non ho cancellato quei momenti, quando ho buttato via tutto per un drink di troppo.
E vorrei che nemmeno Anna li avesse scordati.
So che non lo ha fatto, ma la conosco, e so bene che in questo momento per lei è più facile credere che io non sia lo stesso uomo che avrebbe dovuto sposare, che il Marco che è cambiato con lei non ci sia più.
Non la biasimo, io farei lo stesso o forse peggio, pur di trovare una ragione a quello che è successo.
 
Una volta fuori dall’ufficio di Anna, Sara ha una breve conversazione dolorosa con l’ex marito, ed è per questo che decido di accompagnarla giù e poi a casa.
Anche Anna e Cecchini scendono.
Colgo uno stralcio della loro conversazione
“Ma chi lo doveva dire, sembrava così una brava persona…” mormora Cecchini, a cui Anna risponde con un verso che non nasconde la sua antipatia per Sara.
“Sembrava!” ritratta lui, per non infastidirla.
Decido di non darvi peso.
Dopotutto, Anna ha le sue ragioni, per detestare Sara.
E io non posso contestare.
 
Anna’s pov
 
È tardo pomeriggio.
Ho parlato con Marco e Don Matteo per far finalmente conoscere Ines e Sergio.
Don Matteo si è mostrato subito d’accordo, Marco non tanto, ma alla fine ha accettato comunque.
Così io sono in piazza, in attesa che Sergio arrivi.
Quando si presenta, noto che si è vestito piuttosto elegante.
“Sei pronto?”
Lui esita, evidentemente agitatissimo. “...no. Anzi, forse è un po’ presto… dovremmo aspettare ancora un po.”
Sapevo che l’avrebbe detto, ma è solo paura, la sua.
“No, non è presto. Ines ha bisogno di te, ora.”
Lui non è convinto. “E cosa faccio, cosa le dico? ‘Scusami se non ci sono stato, ho avuto degli impegni’?”
“Penso che verrà tutto in modo naturale.”, cerco di tranquillizzarlo, anche se non ha tutti i torti e io non ho risposte per le sue domande. “Non devi avere paura, sei il suo papà… Appena ti vedrà, andrà tutto bene. Davvero, te lo prometto.”
Posso dirgli solo questo, perché di questo sono convinta.
Ines ha bisogno di suo padre, di sapere che c’è.
Io avrei dato qualunque cosa per sapere che quel giorno, nella camera ardente, ci fosse stato un errore. Che quello sul lettino non era il mio papà, e che lui era ancora vivo, da qualche parte, e che sarebbe tornato da me.
Ma ormai sono cresciuta, so che è impossibile.
E se ho imparato che esistono tanti tipi di dolore, e io ne ho provati tanti, a Ines proprio questo vorrei risparmiarlo.
Ragion per cui voglio aiutare Sergio in tutti i modi.
Perché nessuno può insegnare a un uomo ad essere padre, si impara col tempo. Crescendo, e cambiando insieme, come in tutte le storie d’amore.
Perché, in fondo, un padre è il primo amore di una figlia.
 
Ci rechiamo quindi in canonica, dove ci aspettano già tutti.
“Buonasera!”
“Buonasera, Capitano!” mi saluta Don Matteo con un sorriso incoraggiante. Sergio è l’immagine della paura.
“... dov’è Ines?” chiedo, notando che non è insieme agli altri.
Marco emerge dal corridoio con un’espressione lugubre in viso.
“Ines è in camera sua e non vuole uscire,” ci informa, lanciando a Sergio uno sguardo severo.
“Possiamo aspettare…” tento, ma Sergio lo ha naturalmente preso come un rifiuto.
“Lo sapevo… è che io non sono nessuno per lei, Anna. Scusate.” mormora, fuggendo via.
“No, no, aspetta un attimo, aspetta…” provo a fermarlo, ma inutilmente, e non me la sento di obbligarlo a restare.
Per migliorare le cose, Marco mi raggiunge in corridoio. Sembra sia seccato anche con me.
“Anna, hai avuto troppa fretta.” mi accusa a bassa voce, ma io non sono d’accordo.
“È suo padre, e Ines lo deve conoscere!”
“Mh, però in questi casi ci sono dei tempi precisi, e delle procedure. Tu, qui, hai forzato troppo la mano.” continua, imperterrito, ma non potrebbe aver fatto commento peggiore, per quanto mi riguarda.
Non mi parlare di procedure da rispettare, Marco. Non ci provare, non tu.
“Ah, sì? Ci sono delle procedure… che però per Sara non contano.” ribatto, infastidita.
“Sara, non ho capito, cosa c’entra adesso?” ha pure il coraggio di chiedere.
Cioè, con Sergio e la bambina dovremmo essere rigidi, ma lui con quella può decidere di fare come gli pare? Non funziona così. Non lo accetto.
“C’erano tutti gli elementi per il fermo, ma tu sei troppo coinvolto, ti lasci troppo condizionare.” cerco di spiegargli con più calma possibile, ed è la verità.
La posizione di Sara richiedeva lo stato di fermo, e invece lui ha fatto di testa sua per difenderla.
“Ti sbagli, An-” prova a replicare, quando il suo cellulare inizia a vibrare.
Lo tira fuori dalla tasca, e il nome che leggo sul display non fa che dimostrare per l’ennesima volta che quel dannato aggeggio squilla sempre nei momenti peggiori e a chiamare è la persona meno adatta.
Sara.
Non riesco a trattenere una risata sprezzante.
“Dicevamo?” commento soltanto, prima di andare via, ignorando il suo tentativo di trattenermi.
 
Per l’ennesima volta, non sono riuscita ad avere un vero confronto con Marco. E questa cosa non mi piace affatto.
Perché ogni tanto vorrei riuscire a parlargli, ad andargli incontro e tentare di costruire un ponte di comunicazione. Sono mesi che lasciamo discorsi a metà.
Il problema è che a ogni tentativo, tutto quello che è successo nelle settimane antecedenti al giorno che doveva essere il più bello della nostra vita torna come un macigno a distruggere e interrompere quel ponte.
Mentre torno a casa, però, ripenso alla conversazione con Marco.
Forse ho esagerato nei toni, dopotutto non mi ha detto che stavo sbagliando, a volere che Sergio e Ines si conoscessero, solo che fossero errati i tempi.
Solo che io non sono d’accordo su questo punto.
Ogni istante che passa è tempo perso in cui potrebbero godere l’uno dell’amore dell’altra. Quello che finora è stato loro negato per un motivo o per l’altro.
Io non vorrei perderlo, questo tempo. Perché ripenso sempre a tutte quelle volte in cui, da piccola, preferivo occuparlo facendo altro, invece che condividerlo con papà, e quei momenti, per me, non torneranno mai più. Li ho sprecati senza saperlo, e non voglio che Ines un giorno si penta o se la prenda per quel tempo che avrebbe potuto passare con suo padre, se solo avesse saputo prima la verità.
Ciò che mi confonde, però, è il fatto che c’era qualcosa negli occhi di Marco, mentre mi parlava, che non sono riuscita a decifrare.
Non era né odio né gelosia nei confronti di Sergio, e non mi avrebbe sorpreso trovarne, visto che lui adora Ines.
È come se ci fosse qualcosa in più che volesse dirmi e non è riuscito perché la conversazione è degenerata, o per mancanza di coraggio.
Una sorta di coinvolgimento in prima persona.
Un’idea ce l’ho, ma non so fino a che punto sia corretta.
 
Marco’s pov
 
Ines è chiusa in camera e si rifiuta di uscire.
Ho provato a convincerla, ma non vuole e io non voglio obbligarla.
Quando Anna mi ha chiesto di essere presente in quanto suo tutore nel momento in cui Ines avrebbe incontrato il padre, io ho accettato benché non fossi proprio d’accordo.
Don Matteo ha detto di sì, e conoscendolo non mi stupisce, ma io qualche riserva ce l’ho.
Voglio bene a Ines come se fosse mia figlia, voglio solo la sua felicità, ma non sono geloso come si potrebbe pensare. Okay, forse un po’ sì, ma non è questo il motivo della mia ritrosia.
Ines merita di sapere la verità, assolutamente, anche se questa a volte fa male, e nessuno lo sa meglio di me vista la situazione in cui mi trovo.
Ma forse stiamo correndo troppo. Lei ha solo cinque anni, e per tutto quel tempo aveva creduto che suo padre fosse morto. Una bugia a fin di bene per una realtà troppo difficile da capire per una bimba così piccola. Nel giro di pochi giorni ha dovuto scoprire che non solo lui è vivo e vegeto, ma vuole addirittura conoscerla. È normale che sia confusa e abbia paura, che non sappia cosa fare.
È questo che vorrei spiegare ad Anna, adesso che mi ritrovo in disparte con lei che è sul piede di guerra.
Quando parlo di procedure non mi riferisco necessariamente alle scartoffie che impongono determinate cose. Le conosciamo bene entrambi, quelle carte, siamo tutti e due tutori della legge. Quello che vorrei capisse è semplicemente che in certi casi il tempo conta, e correre può essere controproducente.
Chi va piano, va sano e va lontano. Okay, così sembro Cecchini e la cosa si fa inquietante, ma il concetto è questo.
Il problema è che mi sono espresso male, ho scelto il termine sbagliato e me ne rendo conto troppo tardi, come al solito.
Perché Anna, ovviamente, trasla su un altro tema se possibile ancora più delicato.
Sara.
Perché con lei, quelle procedure, non le ho rispettate, e io lo so.
E lei anche.
Le sue accuse di lasciarmi condizionare fanno male, perché so che non ha tutti i torti, e per una volta che forse avrei potuto riscattarmi ai suoi occhi, ho deliberatamente scelto di non farlo, difendendo Sara e non prendendo le sue parti.
Ovviamente, con un tempismo incredibile, il mio cellulare suona ed è proprio il mio capo a chiamarmi.
La risata sprezzante e delusa di Anna è una coltellata al cuore.
Il mio tentativo di impedirle di andar via inutile.
Un doppio tradimento.
Rispondo comunque a Sara, che mi chiede di raggiungerla a casa perché ha qualcosa da dirmi, e accetto.
 
Se lo faccio, è solo perché durante l’interrogatorio ma anche prima, a teatro, ho percepito in lei qualcosa in più, che non ha condiviso con noi in caserma. Una ferita.
E se l’ho vista, è solo perché è stata Anna a insegnarmi come fare.
Solo grazie a lei ho scoperto il dono di comprendere gli altri, perché è a lei che ho visto farlo.
Ho capito che empatizzare con gli altri non significa lasciarsi commuovere e non essere obbiettivi, tutt’altro. Significa tentare di mettersi nei panni di chi si ha davanti. Non fermarsi alla superficie, e nessuno meglio di lei lo sa fare. Io ci stavo provando, a seguire il suo esempio. Ad essere migliore. A diventare l’uomo del percorso intrapreso con Anna, quell’uomo che vorrebbe solo stare al suo fianco, se solo lei lo permettesse.
 
Vorrei però chiarire una cosa, riguardo a Sara.
Al di là di tutto, anch’io la odio per quello che è successo.
Certo, sono io il principale colpevole, ma certe cose si fanno in due. Io non ero nemmeno in grado di dire il mio nome quella notte, e lei avrebbe potuto fermarmi, se avesse voluto. Ma non lo ha fatto.
Purtroppo però Sara rimane il mio capo, e spesso le mie azioni nei suoi confronti sono dettate proprio dal fatto che temo ripercussioni sul lavoro.
Perché in realtà di Sara non so nulla, di chi sia, di come sia fatta.
Detto ciò, anche se è in parte colpa sua il fatto che io abbia perso Anna, non la ritengo capace di tentato omicidio.
Per questo sono qui, da lei. Voglio capire cos’era quello sguardo opaco.
So che la situazione dovrebbe portarmi lontano da qui, di guai ne ho già combinati da bastarmi per una vita intera, ma è evidente che Sara sia molto più fragile di quanto non mostri, altro che roccia.
Non posso fare a meno di notare, in questo, la somiglianza con qualcun altro.
Non Anna, no. Sara è troppo sicura del suo fascino e di saperlo sfruttare a suo favore sia sul lavoro che fuori, mentre Anna senza divisa è perennemente incerta, ha sempre bisogno di rassicurazioni. Sul suo modo di rapportarsi con gli altri, sul suo essere donna. A me non è mai venuto difficile, questo. Certo, all’inizio è servita un po’ di pazienza perché si aprisse abbastanza da lasciarmelo fare, ma io l’ho sempre adorata.
Anna è bellissima proprio perché non dà mai niente per scontato. Il suo mettersi sempre in discussione, sempre in gioco, la fa splendere più di quanto non veda lei stessa.
Ecco, se dovessi fare un paragone, Sara mi ricorda Chiara: sicura di sé, apparentemente indistruttibile, certa della propria femminilità su cui fa leva perfino senza accorgersene, ma decisamente più insicura di quanto non dimostri.
Nel tragitto, ripenso anche alle parole di Anna.
Sto dicendo che forse questo è un caso che ti coinvolge un po’ troppo.
No, non sono quelle che mi ha detto mezz’ora fa.
Sono quelle che mi ha rivolto in caserma dopo che mi aveva visto discutere con la mia ex, Federica, a proposito del fermo di Simone, mio ex migliore amico.
Ironico, che ci fosse di mezzo un tradimento anche allora. Il loro nei miei confronti, però. Ma non c’è niente da ridere, comunque, perché la situazione attuale non è molto distante da quella.
Anna distaccata dal caso, io coinvolto, benché si dica il contrario.
Solo che, diversamente da allora, i confini non sono tanto netti come in quel caso. E vorrei sapere se sono solo io a notarlo oppure no, ma temo non lo saprò mai.
 
“Grazie per essere venuto…” mi dice Sara, una volta a casa sua, porgendomi un caffè prima di continuare. “Senti, scusami per oggi, non volevo metterti in una situazione scomoda con Anna…” mi spiega con voce esitante.
L’avevo intuito, che si fosse ovviamente sentita tirata in ballo, perché il punto di divergenza è stato proprio quello, ma io non sono qui per parlare di Anna. Non con lei, non ora.
“No, no, nessun problema, quello è… lavoro.” taglio corto, per poi dirle senza troppi giri di parole che credo nella sua innocenza, ma deve raccontarmi la verità per poterla dimostrare.
E lei lo fa, mi racconta la sua storia.
Come avevo intuito, è una ferita terribile.
Massimo Ruggeri, il suo ex marito, l’ha tradita quando hanno scoperto che lei non poteva avere figli.
Abbandonandola, creando una famiglia con un’altra donna.
Calpestando la sua dignità. Il tradimento è stato solo una conseguenza, non la causa.
Essere rifiutati per una cosa che non dipende da te è quanto di più terribile possa accadere, e ti fa sentire più imperfetto di quanto già non sei come essere umano.
Mi sto lasciando commuovere? Sì, in questo caso.
Sara sta cercando di nascondere comunque quel dolore che non è così facile contenere, ed è per questo che le offro una spalla su cui piangere, come ho già fatto in passato.
E se qualcuno, vedendomi ora, dovesse pensare che lo sto facendo per un motivo che non sia semplicemente consolare una persona che sta male, sfiderei a comportarsi diversamente. A restare impassibile.
Forse, il Marco cinico e misogino tornato dal tradimento di Federica se ne sarebbe fregato, ma non quello nato dall’amore di Anna.
 
Anna’s pov
 
Ci sono novità sul caso.
Zappavigna ha fatto un ottimo lavoro, come sempre.
Cecchini sprizzava gioia da tutti i pori nel vedere l’appuntato così pronto, soprattutto perché entrambi sono in attesa di una promozione, che però non dipende da me.
La scena è stata divertente, comunque, e mi ci rivedo in Zappavigna. Troppo.
Dopo una delusione d’amore, la soluzione più facile per non pensare è buttarsi a capofitto nel lavoro.
Anche se non è questo il momento di tornare su questo aspetto, visto che il caso mi coinvolge già di suo.
Scopriamo che il direttore d’orchestra era parecchio ‘preso’ dalla donna aggredita, e chiamo Marco perché venga con me al teatro, per parlargli.
“... professionalmente, mi dispiace molto per quello che è successo.” dice quello, parlando di Lucia.
“Solo professionalmente?” interviene Marco, e risulta immediatamente evidente che forse ho sbagliato, a chiedergli di accompagnarmi. Perché non riuscirà ad essere obbiettivo. O a mantenere la calma.
“Cosa intende?”
“Lei e Lucia avete passato la notte insieme, hotel ‘Il colle’.”
Il maestro è costretto ad ammettere che è così. “Ci siamo conosciuti, ci siamo piaciuti e… è successo ma… si è trattato solo di una notte.”
Questa risposta è un pugno allo stomaco, per me. Marco si innervosisce ancora di più, e non mi consente di intervenire nell’interrogatorio.
“E guarda caso il giorno dopo, Lei firma il suo primo contratto e le versa cinquantamila euro in un’unica soluzione.”
“Non ci vedo niente di strano.”
“No? No, magari qualcuno potrebbe pensare che Lei le abbia offerto il posto in orchestra e una paga nettamente al di sopra delle sue possibilità-”
“Marco…” tento, ma non mi lascia parlare, bloccandomi.
“-no, scusami, cosa…- per passare una notte insieme, magari.” continua, la voce che trema.
“E io le ripeto che c’è un regolare contratto, e farei molta attenzione prima di fare accuse di questo genere.”
”Io le sto so-”
Adesso basta. Non può muovere un’accusa del genere senza prove, e lui lo sa.
“Ha ragione. Scusi… scusi.” dico soltanto, intimando a Marco di andar via.
Coinvolto, ancora. Non sono stupita, ma avevo sperato di sbagliarmi.
Torniamo in caserma dopo un tragitto relativamente breve (nel senso che la strada era veramente poca, ma il viaggio mi è sembrato interminabile, trascorso in un silenzio assordante), ma una volta su, la discussione riprende, i toni accesi.
“‘Ha ragione, mi scusi, prego vada pure a casa’!” mi fa il verso lui, arrabbiato.
La cosa mi innervosisce non poco.
“Sì, bravo, lo sapevo! Lo sai che non possiamo sostenere quell’accusa! E tu sei troppo coinvolto.” ribadisco senza pensarci due volte. Se continua così, rischiamo di farci togliere il caso, e non ce lo possiamo permettere.
Lui salta immediatamente sulla difensiva, come previsto. “Non sono coinvolto! Basta! L’hai detto tu che c’era una terza persona, probabilmente, no?”
“Probabilmente!” gli faccio eco. Cavolo, quanto detesto quando fa il permaloso.
Solo che, nel tentativo di spiegarsi, peggiora le cose. Perché non riflette mai prima di parlare.
“Eh! Almeno ammetterai che Lucia ha tradito suo marito, e lui non l’ha presa bene?” sbotta, senza nemmeno rendersi conto di quello che ha detto.
Io non lo nascondo nemmeno, il dolore, stavolta, avvicinandomi a lui di un passo, perché sono stanca di far finta di niente.
“Marco, cosa vuoi che ammetta, cosa? Che il tradimento fa male? Sì, fa male!” rispondo, ferita, e lui sembra improvvisamente comprendere che ha portato lui stesso il discorso dove non doveva. Come se avesse dimenticato di essere dalla parte del torto, stavolta.
I tradimenti hanno delle conseguenze.
Quando pronunciò queste parole, era stato lui il tradito. Ma ora la sua uscita è stata completamente fuori luogo, e lo deve capire.
Dal suo sguardo pentito, ha afferrato il concetto. È inutile fare finta di niente.
“Va beh… convochiamo il compagno di Lucia, va bene?” mormora, mentre il mio telefono squilla. Sergio.
“Agli ordini! Prima devo fare una cosa, se posso!” ribatto senza nascondere la mia irritazione, prima di avviarmi giù per le scale per scendere in piazza.
 
Ripenso a tutta la situazione. Fa male, malissimo.
A volte mi maledico io stessa per aver ricevuto e perfino preso in considerazione quella proposta di lavoro in Pakistan. In mancanza di altre spiegazioni per il suo gesto, mi do la colpa e basta. È più facile, perché almeno io una ragione per tenergli nascosta quella notizia ce l’avevo. Lui, per quello che ha fatto, nonostante non ne avesse l’intenzione, no.
Vorrei tanto tornare a quella sera a casa Cecchini e impedire a Marco di andar via, dopo avermi lasciata. Trattenerlo, dirgli che il lavoro era importante, sì, ma non quanto lui. Cancellare tutte quelle lacrime versate.
Perché non è solo il tradimento del mio fidanzato a farmi male, ma anche l’aver perso il mio migliore amico.
Era lui la persona a cui confidavo tutto, a cui chiedevo aiuto se ne avevo bisogno, anche senza parlare, su cui sapevo di poter contare. Mentre adesso sono sola.
E se la vecchia Anna avrebbe saputo come fare ad affrontare questa situazione con le proprie forze, perché era la più forte, sempre, a prescindere, la nuova Anna non è più in grado di farlo.
È come se quel giorno, in chiesa, avessi perduto tutte le mie certezze.
E Anna Olivieri, senza le sue certezze, è spaesata.
Persa.
Smarrita in quel viaggio che non avrebbe dovuto fare in solitudine.
 
Quando arrivo finalmente in piazza, Sergio è già lì che mi aspetta.
“Ciao! Che volevi dirmi?”
Io sorrido prima di rispondere. “C’è una sorpresa per te.” commento, indicandogli qualcuno alle sue spalle.
Don Matteo sta accompagnando Ines qui, perché la bimba ha chiesto espressamente di poterlo conoscere.
“Che significa?” domanda lui, incerto.
“Ines ha chiesto se l’accompagni in piscina.”
Lui spalanca gli occhi, e cerca di aggiustarsi alla ben’e meglio quando la piccola ci raggiunge.
“Ciao! Sei… tu, il mio papà?” gli domanda lei, esitante, ma con un sorriso. Sergio non riesce a spiccicare parola, limitandosi ad annuire. È nervoso, incredulo ma felice.
Ines però non si lascia condizionare dal suo tentennamento. “Grazie per la maglietta… mi potresti aiutare con la borsa? È un po’ pesante.” gli chiede, e mi riempie il cuore di tenerezza.
“Certo…!” fa lui, prendendola. Sembra non riuscire a credere che lei gli stia finalmente parlando.
“Eh, quindi… ci avviamo?”
“Sì! Andiamo!”
È chiaro che entrambi abbiano paura. È una situazione strana, ma è la cosa più giusta, di questo sono certa.
Li osservo andar via con una strana confusione di sentimenti.
Sono felice per loro, perché avranno finalmente la possibilità di viversi.
Avverto anche la malinconia per il desiderio di aver voluto le stesse cose con mio padre, e mi sono state negate.
Ma in me ci sono anche rabbia e tristezza, per Marco.
Perché lui c’entra sempre.
Perché, se le cose fossero andate come dovevano, a quest’ora lui sarebbe accanto a me.
So che in parte ha ragione, lo scambio di battute tra Ines e Sergio tradiva la fretta di farli incontrare, ma non lo ammetterei mai ad alta voce.
Dannato orgoglio, ma soprattutto dannato Marco.
Sempre nei miei pensieri, in perenne conflitto e confronto con Sergio.
A confondermi sempre di più.
 
Marco’s pov
 
Scendo in piazza per vedere se l’ex marito di Sara sta arrivando, anche perché Anna non fa ancora ritorno.
Giunto sulla porta, però, mi ritrovo davanti una scena che mi provoca una fitta al cuore: Anna è con Sergio e Ines, con loro anche Don Matteo.
Sembrano una famiglia felice, e fa male.
So che è necessario quello che lei sta facendo, è uno dei tanti step che servono a far ricongiungere padre e figlia, niente di più. Almeno lo spero.
Perché è ovvio che io sia geloso di entrambe.
Amo Anna, e amo Ines, e al loro fianco non ci sono io, ma quel Sergio.
Per l’ennesima volta, mi trovo ad essere spettatore di ciò che gli accade, anche se stavolta è colpa mia.
Perché se non avessi perso la testa quella notte, a quest’ora sarei lì, con loro. Agirei diversamente, padrone delle mie azioni come non posso esserlo adesso, non come vorrei.
Troppo istintivo per il mio stesso bene.
Ogni tanto penso che preferirei essere come Anna, riuscire ad avere tutto sotto controllo. Avevo cercato di imparare da lei, ci stavo provando da quella volta in cui avevo rischiato di fare una cazzata mondiale.
A tutti capita di sbagliare.
Ma ci sono errori, ed errori.
E io ho commesso l’unico che non avrei dovuto commettere.
La scena è troppo da sopportare, per cui decido di tornare ad aspettare di sopra.
 
Poco dopo giunge Massimo Ruggeri, il compagno della donna in coma ed ex di Sara.
L’interrogatorio inizia, e lui sostiene di non sapere nulla né dei soldi né del tradimento.
Anna è nella posizione più debole, ovviamente, e si trova ad empatizzare con l’uomo. Per quanto cerchi di celarlo, i suoi occhi non ci riescono del tutto. So che dover parlare di questa cosa le fa male, anch’io lo so, mi ci sono trovato, al suo posto, anche se adesso sono dal lato del carnefice come mai avrei immaginato.
Ma quello che importa non è questo, al momento. C’è qualcosa in lui che non mi torna, per questo chiedo ad Anna di seguirmi un attimo fuori dal suo ufficio.
“Sta mentendo, sa tutto.” le dico, una volta al riparo dalle orecchie di Ruggeri.
Lei, naturalmente non è d’accordo con me. “No, io non credo proprio.”
“Ah no? Perché no, scusami, come fai a dirlo?”
“Perché ci sono passata, ed è così che si reagisce quando scopri di essere stato tradito.” E lo sai anche tu. Questo non lo dice, ma il sottinteso è chiaro.
“Anna, per cortesia…” tento, ma so che è inutile. Era normale, andassimo a parare qui.
“Perché vuoi trovare un colpevole a tutti i costi? Per scagionare Sara?” mi chiede, nervosamente, anche se non credo, dalla sua voce, che sia una vera e propria accusa.
“No, voglio solo essere sicuro di tutto e fare tutti gli accertamenti del caso su di lui, solo questo.” le spiego quindi, ed è la verità.
“Che ho già disposto.”, obbietta però lei, facendomi capire che è sì, coinvolta, ma il suo lavoro lo continua a fare con criterio. “Quindi nel frattempo, dovremmo rilasciarlo. Giusto? Giusto.” conferma da sé, prima di tornare nel suo ufficio.
La cosa più assurda di questa storia è che entrambi vogliamo fare il nostro lavoro al meglio, ma se non ci sentissimo così direttamente coinvolti, riusciremmo a vedere chiaramente come tutta questa situazione sia il frutto di questi due anni di cambiamento, per noi. Perché Anna è un po’ più simile a me, e io un po’ più simile a lei.
Io avevo cercato di affrontare l’interrogatorio col suo approccio più empatico e controllato, lei invece si stava lasciando muovere dai sentimenti come un tempo io avrei fatto. Ma quel muro eretto a separarci non ci permette di vedere chiaramente tutto questo, o almeno sembra che sia solo io a notarlo.
E fa ancora più male, perché è l’ennesimo segno che mi mostra quanto io abbia buttato via.
E questo muro che Anna ha innalzato non è come tutti gli altri che ho pazientemente buttato giù per avvicinarmi a lei, no. Lei l’ha creato per difendersi da me, stavolta, immune ai miei tentativi, impermeabile ai nostri ricordi che cercano inutilmente una breccia.
 
Faccio qualche passo avanti, e scopro che la caserma, ma non solo, da giorni ride per un certo video che ritrae proprio Anna mentre cade nel soggiorno di Cecchini: è uno di quei video che il maresciallo insiste per mandare a Elisa per tenerla aggiornata su Carlino. Io non l’ho visto, pur sapendo che girava, ma almeno adesso capisco perché Anna sembrava dolorante. Deve aver preso una bella botta, poverina.
Solo adesso sento l’audio del cellulare, e avvicinandomi sbircio le immagini sullo schermo. Un pochino fa ridere, ma l’ilarità dura veramente poco perché Anna ci si avvicina e scopre il misfatto.
La sua sfuriata con Cecchini, appena arrivato, è ancora più divertente. Quella sì che fa scoppiare a ridere tutti, perché lui si finge indifferente, ma niente lo salverà dalla strigliata del Capitano.
È la volta buona che lo ammazza, almeno ha un buon pretesto per farlo.
 
È sera. Cecchini è ancora in caserma per imposizione di Anna, anche se dovrebbe rientrare a breve, ma mi ha chiesto se gentilmente posso portare io il cane a fare pipì.
In realtà non mi va molto, perché temo di incrociare Anna.
Per quanto divertente, la sfuriata di oggi è stata terribile, e a ragione. Cecchini fa sempre pasticci, e nonostante lei abbia alla fine accettato che non lo avesse fatto di proposito ma si era trattato di un incidente, l’arrabbiatura non le era ancora passata, quindi tutti avevano optato per girarle al largo e farla sbollire.
Mi decido comunque a uscire, ma quando mi avvicino alla porta sento dei passi salire su per le scale, e mi fermo. Capisco che qualcuno sta bussando insistentemente alla porta di Anna.
Possibile che Cecchini abbia deciso di andare volontariamente incontro alla morte?
Riesco perfino a sentire lei urlare qualcosa a proposito del cane, anche se non capisco nient’altro.
So che non dovrei spiare, però un po’ per curiosità, un po’ per controllare di non dover intervenire, mi avvicino allo spioncino, e la scena che mi si para davanti non mi piace affatto.
C’è Sergio.
Anna apre la porta come una furia, un’espressione minacciosa sul bel viso, e non lo biasimo quando lui fa istintivamente un passo indietro.
“Se è un brutto momento, posso ritornare!” si difende, intuendo l’aria poco propizia.
Anna abbassa la testa, in imbarazzo. “No, non ti aspettavo…!” si scusa.
“Sicura?”
No. Mandalo via.
“Sì… allora, che c’è?” gli chiede infine, con un sorriso.
“Nulla… volevo dirti che sono andato in piscina, con Ines, l’ho accompagnata, ed è andata bene!” le spiega. Non ci credo, sta facendo veramente il cretino con lei… Sento il sangue ribollire nelle orecchie, la gelosia che monta. “E… domani la riaccompagno! E… grazie.” conclude, ma il fatto che lei gli continui a sorridere è anche peggio.
Sta solo facendo lo scemo, per farsi bello con te. Ignoralo!
“E di che?” domanda lei, apparentemente senza capire.
“Di avermi convinto. Fare il padre… non è male.” dice Coso.
Per quanto cerchi di trattenermi, non ci riesco. Afferro il guinzaglio di Carlino e apro la porta, mettendo fine a questa scenetta.
Non appena sente la porta scattare, Sergio fa un passo indietro, salutando Anna prima di andare via, un cenno a me.
“Scusatemi, eh, non volevo interrompervi.” mormoro, falsamente.
“No, non hai interrotto niente.” si limita a dirmi lei con un sorriso. Sembra sincera.
Ma… che, ho interrotto?
No, non ha interrotto… niente!
Me lo ricordo, questo scambio di battute tra lei e il maresciallo, dopo il mio ennesimo tentativo di parlare del nostro primo bacio. In quel caso, era palese che l’interruzione ci fosse stata eccome. Stavolta no, e la cosa mi rincuora.
È un passo avanti, no? Forse.
Comunque sia, ormai che sono qui, le chiedo di Ines.
“Sei contenta?”
 
Anna’s pov
 
Sergio va via dopo avermi raccontato della sua giornata con Ines.
In realtà non ho ben capito perché sia addirittura venuto di persona a dirmelo, è una cosa strana. Ma non vi do peso, sono comunque contenta per loro.
Ancora più strano però è Marco, appena uscito da casa del maresciallo col carlino di mia madre, che si scusa per averci interrotti, quando non c’era proprio nulla da interrompere.
La domanda che mi pone, comunque, richiede qualche attimo per capire che cosa intenda.
“Parli di Ines? Sì, è la cosa migliore per lei.” confermo, ma lui non sembra convinto.
“Scusami, eh… la cosa migliore per lei è stare con uno che se n’è sempre fregato?”
Questo suo commento mi infastidisce.
“Marco, lo sai che io sono cresciuta senza un padre. Non vorrei mai che Ines facesse la stessa fine, mai!” ribatto. Proprio lui non dovrebbe nemmeno farsi domande, sul mio punto di vista, che conosce benissimo. Infatti lui inizialmente si arrende alla mia risposta, facendo per andar via senza dire nulla, prima di cambiare idea.
Torna a fronteggiarmi, piantando gli occhi nei miei.
Eccola di nuovo, la sensazione che ho avuto qualche giorno fa, che volesse dirmi qualcosa in più e si è trattenuto.
Basta uno sguardo, sempre. E le sue parole, stavolta, me lo confermano.
“Io, quand’ero un ragazzino, giocavo a pallone tutti i sabato pomeriggio, ed ero una pippa stratosferica, ma…” inizia a raccontare, mentre io mi lascio coinvolgere immediatamente, ridacchiando alla sua battuta, lasciandomi ammaliare dalla sua  voce. “Però ero orgoglioso, sapevo che papà veniva a vedermi. Allora mi vestivo, facevo tutti ‘sti passaggi storti, però guardavo in tribuna, papà… e non c’era mai. Perché ha trovato qualcosa di meglio da fare, oppure era ‘oh, scusami, mi sono dimenticato…’.” Io mi limito ad ascoltare, un peso sul cuore.
Conosco bene il difficile rapporto che Marco ha sempre avuto con suo padre Eugenio, fin da quando era un ragazzino. Tutti i contrasti, gli scontri con il padre assente, fino al climax: l’imposizione di abbandonare il sogno, secondo lui stupido, di diventare attore che Marco aveva, per perseguire una carriera più seria. Lui continua, aggiungendo piccoli dettagli che finora non aveva mai voluto dirmi. “A un certo punto, basta. Ho smesso di guardare in tribuna. Ho giocato… male, ma…” lascia in sospeso la frase, ma il finale si capisce eccome.
Finora avevo sempre pensato che un giorno avrei voluto ringraziarlo, Eugenio, perché con quella scelta imposta mi aveva permesso di conoscere Marco. L’amore della mia vita.
Ripensandoci adesso, mi rendo conto di essere stata egoista, terribilmente. Perché la vita di Marco è sempre stata decisa più o meno evidentemente da qualcun altro, e lui si era spesso adeguato di conseguenza.
Aveva provato a cambiare, per me. Ad essere se stesso senza paura. Senza il timore di ripercussioni o brusche frenate.
E i segni sono tutti qui.
Eccoci, l’uno di fronte all’altra, a parlare di una storia che si era sempre rifiutato di dirmi a voce alta. Lo sapevo, l’avevo intuito, ma lui non aveva mai voluto ammettere di esserci stato così male, in nessun modo. Non ero mai riuscita a convincerlo.
Il vecchio Marco non si sarebbe mai aperto così. E invece, adesso, ecco la confessione più inaspettata.
“Fidati che è molto meglio non averlo, un padre, piuttosto che averne uno che ogni volta ti delude. Ti fa meno male.” mormora soltanto, andando via, lasciandomi sola sul pianerottolo.
Ogni parola colma di un dolore che avverto forte come se fosse mio, in cui sento quel ragazzino che guarda verso gli spalti e non vede chi vorrebbe. Che cerca di accettarlo e non ce la fa, ma finge. Ingoiando la delusione.
È vero, io so che non avere un padre è terribile, ma la sua esperienza non è meno dolorosa della mia.
Ciò non toglie però che la storia di Ines e Sergio non debba per forza andare male come le nostre.
Sergio sembra davvero convinto a voler cambiare vita. Riallacciare il rapporto con quella figlia che sapeva di avere ma aveva paura di affrontare.
E io voglio dargli il mio sostegno, fagli sapere che credo in lui, e che le persone possano cambiare, anche se hanno commesso degli errori.
Ma non posso dirlo a Marco, questo, perché lo ferirei.
Perché vorrebbe dire che sono disposta a dare a tutti il beneficio del dubbio, una seconda possibilità a chiunque meno che a lui.
L’uomo con cui avrei dovuto passare il resto della mia vita, che amo come non avevo mai fatto prima.
Detesto il silenzio tra noi, adesso.
Come è successo quella volta al suo vecchio appartamento, quando lo avevo raggiunto per raccontargli di papà.
La stessa sensazione incerta.
Di vuoto, perché è un silenzio che non si può riempire, perché ogni parola sarebbe quella sbagliata.
Di pieno, perché, una volta ancora, abbiamo aperto il cuore l’uno all’altra, insinuandoci dentro ancor più profondamente.
Un dolore che più ci allontana, più ci lega indissolubilmente.
 
Marco’s pov
 
“Questo cambia le cose… perché se il direttore d’orchestra era ossessionato da Lucia, potrebbe averla colpita.” afferma Anna, quando veniamo a conoscenza di ulteriori dettagli sul caso e ne discutiamo in caserma, nel suo ufficio.
Sara è d’accordo. “Allora procediamo con un supplemento d’indagine.”
“Va bene.”
“Grazie.” aggiunge in tono sommesso. Forse non si aspettava questo aiuto da parte di Anna per via della storia pregressa, ma sono contento che si stia ricredendo su di lei.
La PM va via, ma io la fermo prima che possa uscire.
“Sara, puoi aspettare un attimo?” Lei si volta a guardarmi, incerta. “Io lo so che pensi che Massimo sia innocente, davvero. Io dico solo… stai attenta a fidarti di lui, perché potrebbe usarti per uscire di galera.” la metto in guardia.
“So quello che faccio.” mi risponde lei, fredda.
Io sto solo cercando di aiutare, ma sono consapevole del fatto che tutti pensino ci sia dell’altro dietro. Sì, mi sto lasciando coinvolgere, ma per la storia in sé, non perché riguardi Sara in particolare. O comunque non è il motivo principale.
Quello che mi dispiace è che nessuno sembri volerlo capire. Sto cercando di fare il mio lavoro al meglio, in un contesto in cui lasciarsi realmente condizionare sarebbe veramente facile.
“Davvero?” le chiedo infatti, incerto.
Io non mi lascio condizionare, faccio solo il mio lavoro.
Non ti conosco da molto, ma non ho mai pensato il contrario.
Io e Anna ci conosciamo da tempo, ormai. Perché nemmeno lei si accorga di quanto la situazione sia simile?
Anche perché, l’ultima vera volta in cui davvero mi sono lasciato coinvolgere, Anna non era presente per vederlo.
Perché proprio lei, la donna che amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, era stata rapita, rischiava di morire, e io davvero avrei smosso mari e monti, avrei fatto di tutto, di tutto per ritrovarla. Avevo perso il controllo più volte, in quell’occasione, perché non mi importava di nulla, nemmeno del mio ruolo; pur di riportarla a casa sana e salva, avrei fatto l’impossibile.
Era lei l’unica cosa che contava.
È da allora che le cose sono davvero cambiate, per me.
Perché niente mi coinvolge emotivamente più di ciò che la riguardi, che possa capitare a lei. Pensavo fosse chiaro, quel giorno di qualche mese fa, quando mi sono precipitato qui in caserma convinto che le avessero sparato, e che fosse di nuovo in pericolo di vita.
Niente mi manda più fuori di testa, nel panico, come l’idea di perderla, nonostante io l’abbia già persa.
Sara mi lancia una strana occhiata, convinta della sua posizione. “E poi non hai fatto lo stesso con Anna? Non vorresti provare a rimediare?” mi chiede, implicando che io dovrei capire Massimo, che sta cercando di farsi perdonare da lei per averla tradita, quella volta, esattamente come me. La Procuratrice va via.
È in quel momento che Anna mi raggiunge.
“Ha ragione…” mormora, guardandomi negli occhi. Tanto basta a far riaccendere in me la speranza che anche lei creda che io non debba arrendermi, che devo continuare a provare a farmi perdonare, nonostante gli ostacoli.
Ma lei vira sul caso.
“Il direttore d’orchestra, dico. Ha ragione, dovremmo capire meglio la sua posizione e controllare il cellulare.” precisa, facendo svanire di nuovo quella fievole luce.
Anche se qualcosa nel suo sguardo c’era.
Non si riferiva al caso, all’inizio. Ma ha fatto un passo indietro. Un nuovo masso a interrompere la via.
Mi limito ad annuire, per poi cambiare argomento impedendole di tornare subito in ufficio. “E con Cecchini cosa intendi fare?” le chiedo sommessamente, al che lei mi guarda come se fossi impazzito.
D’accordo, tra noi due può succedere tutto e niente, ora come ora, ma entrambi teniamo moltissimo a quel pazzo. Per mille motivi.
È un casinista, fa più danni di quanti non ne aggiusti, ma non credo che lei sia arrabbiata a tal punto da mollare tutto così.
“No, vuoi davvero che lasci l’Arma?”
“Certo che no!” ribatte infatti, indignata.
“E parlagli!” le suggerisco col tono più delicato che riesco.
“Ah, io gli devo parlare!” esclama, indispettita, smuovendo in me un senso di tenerezza che non riesco a trattenere dal mostrare.
“Sì…”
“No! Lui deve parlare con me, lo sa che gli aumenti non dipendono da me. E poi mi chiedere scusa per quel video!” afferma, ferita nell’orgoglio, e non ha tutti i torti, anzi. Stavolta l’ha combinata veramente grossa, Anna ha tutto il diritto di avercela con lui, però il maresciallo è un uomo dal cuore d’oro a cui l’Arma deve tantissimo nonostante i metodi d’indagine non proprio consoni. Ed è il primo ad aver creduto, e che continua a credere, nel nostro amore, come il primo giorno. La nostra storia non sarebbe stata la stessa senza di lui. È una colonna portante ovunque.
“L’ho capito! Ma è il maresciallo Cecchini!” cerco di farla ragionare, abbassando la voce. “Hanno costruito la caserma e c’era già lui dentro, qua! Dai!”
Per fortuna Anna ride alla mia battuta idiota, e per qualche istante è come se tutti i casini successi in questi mesi non fossero mai esistiti. Adesso che stiamo parlando di qualcosa che non riguarda direttamente noi due, è come se fossimo tornati ad essere noi. Quelli pronti a prendersi carico dei danni a fin di bene di Cecchini e a risolverli.
Un attimo di felicità, effimero, ma che ha lasciato in noi la sensazione di una boccata d’ossigeno. Capisco che per lei è lo stesso.
Sospira. “Comunque, non ha ancora firmato le dimissioni, vedrai che cambia idea…” mi rassicura, facendomi capire che non sta accettando passivamente il comportamento del maresciallo. Che è sì arrabbiata, ma lo tiene d’occhio per impedirgli di commettere una stupidaggine.
Poi il suo cellulare squilla e lei si scusa per rispondere, allontanandosi di qualche passo. Io non posso fare a meno di ascoltare.
“Sergio! Ciao, allora com’è andata…” E ti pareva che non fosse lui… Ma capisco che qualcosa non va, perché Anna cambia drasticamente tono. “No, stai calmo… che significa, che hai perso Ines?!”
 
Torno al suo fianco, furibondo.
Come si fa a perdere una bambina di cinque anni in piscina, come?!
A che accidenti stava pensando?!
Io e Anna ci dirigiamo spediti verso la sua auto senza nemmeno rifletterci, ma lascio che sia lei a guidare, io sono troppo nervoso per farlo.
Mi impongo di calmarmi, di essere razionale, è la cosa migliore da fare negli attimi di panico.
Ah, certo, ora te lo ricordi, che è il modo giusto di affrontare le situazioni complicate, questo. Dov’era questa parte del tuo cervello, quando sei andato a ubriacarti a quel bar, la sera che hai mandato a scatafascio la vostra vita?
Nel tragitto in macchina, torno a maledirmi per la milionesima volta.
Quando scendiamo, troviamo Sergio nel panico più totale, spaventato quanto noi.
“Ho fatto quattro volte il giro del palazzo e non l’ho trovata, non l’ha vista nessuno…” ci dice, quasi tremando.
“Ma… mi spieghi che è successo?” tenta Anna. Non capiamo niente se lui non ci dice com’è andata.
“Era nello spogliatoio, come ieri, tutto a posto, io sono uscito per fumare una sigaretta, e non l’ho più trovata.” fa lui, e questa cosa mi manda completamente in bestia.
Al diavolo la razionalità e la calma.
“E quindi l’hai lasciata sola?!” esclamo, furioso. Ci manca poco che non lo sbatta al muro.
Anna interviene a fermarmi.
“Sì, va be-”
“Cosa? Va bene cosa?!” me la prendo anche con lei. Accetto tutto, ma non che difenda quest’incosciente!
Il suo cellulare squilla al momento giusto.
“Don Matteo, non posso parla- ah, va bene! Arriviamo subito. È in canonica, Ines…” ci informa lei, sollevata.
Torniamo in auto verso la casa di Don Matteo, un silenzio carico di tensione.
 
In canonica, Ines rende ben chiara l’idea che Sergio l’abbia delusa. Le aveva promesso che l’avrebbe aspettata, e invece quando è uscita lui non c’era.
Capisco come si sente Sergio che va via, il senso di colpa troppo pesante.
Quando incrocio lo sguardo di Anna, però, non ho nessuna voglia di suggerirle che glielo avevo detto.
Non avrebbe senso farlo.
Perché so che anche lei ha ragione. Ines ha bisogno di suo padre, e a prescindere dal tempo, ci sono cose che succedono comunque. Però Sergio sembra dare per scontato alcuni piccoli gesti che invece sono indispensabili per guadagnarsi la fiducia altrui.
Ma ci riusciranno, a diventare una famiglia, anche io ne sono convinto. Non solo perché voglio sostenere Anna, ma perché è lampante.
Anche se fa male questa consapevolezza, perché mi sono affezionato a Ines, e l’idea che l’avvicinamento a suo padre la porti un po’ più lontana da me mi ferisce.
Anche per questo, lascio che Anna corra dietro a Sergio.
Per quanto sia doloroso, so che anche lui ha paura davanti a questa situazione, e come un bambino, ha bisogno di essere rassicurato.
Anche se, egoisticamente, vorrei che non fosse lei a farlo.
 
Anna’s pov
 
Esco dietro a Sergio, non solo per tentare di calmarlo, ma soprattutto perché non riuscivo più a sostenere l’atmosfera pesante che si era creata dopo la sua fuga tra me e Marco.
Come sempre, tra noi era bastato solo uno sguardo per capirci.
So che siamo giunti alla stessa conclusione: Ines ha bisogno di suo padre, ma anche di tempo. E la fiducia si costruisce passo dopo passo, pur commettendo errori.
Avevamo ragione entrambi.
Torna sempre tutto, tra noi.
Proprio per questo stavolta, a scappare di fronte alla paura di cedere, sono io.
“Sergio… Sergio, non è successo niente, Ines sta bene! Può capitare!” cerco di tranquillizzarlo, raggiungendolo sugli scalini del teatro.
“Sì, sì, infatti, lo so… l’ho soltanto delusa, guarda, non è successo niente.” mormora lui, affranto. “È il mio secondo giorno da padre, e l’ho già delusa, un record! Le avevo promesso che l’avrei aspettata e non l’ho fatto. È una bambina, ha cinque anni, ed è tornata a casa da sola.”
Certo che è cocciuto. Il discorso che fa è sempre lo stesso: teme di non essere all’altezza, di non essere capace, e che per un piccolo errore lei lo odierà e basta.
Ma non è così.
Non si nasce padri o madri, lo si diventa, e anche per questo i figli non sono necessariamente di chi li fa, ma di chi li cresce.
Certo, ci sono alcuni che nascono con questo dono innato, e a vedere qualcuno interagire con una certa bimba, ne avrei anche le prove, ma nemmeno lui sa davvero cosa significhi, essere padre. Lo sta imparando, prendendosi cura della piccola. Si sta fidando del suo istinto. Anche lui l’ha delusa a volte, ma ha cercato di rimediare con altri gesti, altri modi, altre parole.
“Succede.” gli dico, ma lui nega ancora.
“Non succede, non a me. Non ho speranze, senti. Sono lo stesso che cinque anni fa se n’è fregato di sua figlia, non se lo merita un padre così.”
“Lei si merita un padre che la ami, e tu questo lo sai fare. Io credo davvero che tu possa farlo!”
“Io non capisco… tu ti ostini a voler vedere qualcosa di buono in me, ma perché? Non c’è niente di buono, in me!”
“Invece sì…”
E lo credo davvero.
Non dovrebbe lasciare che quello che gli altri pensano di lui condizioni il suo modo di essere. Io l’ho visto, l’ho sperimentato sulla mia pelle, che sa essere gentile, che sa aiutare anche lui, e se non si dà una possibilità finirà per distruggersi da solo, perdendosi ciò che di bello la vita gli sta regalando.
Una possibilità di riscattarsi, di ricominciare.
Io lo so, anch’io l’ho imparato a mie spese.
Che non si deve avere paura di chiedere aiuto e farsi aiutare, che non vale la pena cambiare per gli altri per imposizione. Che bisogna cambiare con gli altri, ma che è importante sempre restare fedeli a se stessi e solo così si può raggiungere il proprio posto nel mondo.
Che prima di poter perdonare gli altri, bisogna riuscire a perdonare se stessi.
Perché la vita è fatta di cose che si perdono, e cose che si acquistano.
Che vale la pena viverla, con tutti gli alti e bassi, anche se fa male.
Che le cose più assurde, se fatte per il bene degli altri, valgono la pena di essere fatte.
Perché le ferite, anche quelle più profonde, col tempo si rimarginano. Lasciano un segno, ma anche quello è importante. Fanno male, ogni tanto il dolore si fa risentire, ma è essenziale anche quello, nel percorso di ognuno di noi.
A volte, fa bene anche chiudersi alle spalle una porta, per chi si ama.
Perfino arrendersi, buttare via tutto, lasciarsi… se lo si fa per amore.
Forse è proprio questo che ha fatto Marco, quella sera, quando mi ha chiesto se l’unico problema della questione Pakistan fosse dovergli confessare che la decisione, io l’avevo già presa. Non che questo giustifichi ciò che ha fatto dopo, ma apre uno spiraglio su cosa lo abbia condotto lì.
Mi aveva lasciata libera, proprio perché mi amava.
E capisco che, per me, non è così diverso, anche se in senso opposto.
Proprio perché lo amo ancora, perdutamente, non riesco a lasciarlo andare.
 
Quando Sergio va via, entro in chiesa.
Ho bisogno di riflettere. Di capire se ho fatto bene, perché adesso non ho altro che dubbi.
Mi accorgo di non essere sola.
“Don Matteo…”
“Capitano!” mi saluta lui, sedendosi poi sul banco dietro di me, in attesa che sia io a parlare.
“Non lo so, forse gli abbiamo dato troppa fiducia… o abbiamo esagerato.” mormoro.
Forse ho davvero valutato male la situazione.
Questo costante senso di incertezza mi perseguita da quel giorno in questo stesso edificio, quando ho sentito il terreno mancare sotto i piedi.
Ma Don Matteo ha sempre una parola giusta per tutti.
“La fiducia è un salto nel vuoto. Ma se prima di saltare guardi giù, vedi quanto è alto. E poi magari ti guardi intorno e cerchi una scala per scendere… ma che fiducia è? O salti, o non salti!”
Capisco che ha ragione.
E che quel discorso non si applica solo a Sergio, ma a molto di più.
La fiducia è un salto nel vuoto.
È un viaggio, non lo sai dovei ci porta.
 
Quando torno in caserma, dopo un breve e doloroso confronto con Cecchini, in cui lui mi consegna le sue dimissioni, arriva il direttore d’orchestra.
Ci raggiungono anche Marco e Sara per l’interrogatorio.
Cerco di mantenere la calma il più possibile.
“Questo è uno scambio di messaggi tra Lei e Lucia Amato che abbiamo trovato nel suo cellulare, dopo che lei li aveva cancellati. Perché?” gli chiedo, fredda, diretta. Lui non risponde, così continuo. “Lo dico io? Mi sembra evidente che Lei sia interessato a Lucia, le scriveva in continuazione.”
“Siamo rimasti amici.” si limita a dire Gallo, che sostiene poi di non aver aggredito Lucia, perché la ama.
La tensione, nell’ufficio, aumenta.
La scena ha del surreale.
Ci siamo io, il mio ex e la donna con cui mi ha tradita, e un uomo, con il quale la vittima ha tradito il compagno, ex marito di Sara che a sua volta era stata tradita da quest’ultimo.
Sembra un cane che si morde la coda.
Siamo finiti tutti nello stesso girone dantesco, perché vittime o carnefici di tradimento. Rei di aver disubbidito a uno dei comandamenti del cattolicesimo.
Ma basta davvero ammettere di amare qualcuno per giustificare un tradimento?
No.
E Marco lo sa.
Per questo, le parole del maestro lo impietriscono all’istante.
 
Marco’s pov
 
Il direttore d’orchestra sostiene di essere innocente, perché ama la donna aggredita.
Ma non basta a giustificare il tradimento, no.
Anche Simone si era giustificato così. Altro che bastardata, però.
Per questo rimango un attimo senza fiato, quando lui lo dice.
Sara dispone il fermo per lui e la scarcerazione del suo ex marito, prima di andare via.
Io non sono convinto, e nemmeno Anna a giudicare dal suo sguardo, ma Sara è il nostro capo e non possiamo ribattere sulla base di una sensazione.
I dettagli che lui ha fornito, le sue parole, di sicuro sono rimasti impressi nelle menti di tutti e tre.
Forse per lei non ha significato niente, ma per me quella notte ha significato tutto. Io volevo solo renderla felice.
Un tradimento che non è paragonabile a nessuno di quelli in cui io, Anna e Sara siamo rimasti coinvolti.
Perché nessuno dei nostri casi può essere riassunto in quelle frasi.
Perché Sara non è una macchina rotta, e per questo non andava tradita da Massimo.
Perché io non ero sbagliato, e non dovevo essere tradito da Federica e Simone.
Perché Anna non ha fatto assolutamente nulla per meritarsi il mio tradimento, dovuto all’alcol e alla disperazione, e non alla mia volontà.
Non riesco a stare un attimo in più, troppo difficile dopo l’interrogatorio di Gallo.
La consapevolezza che un tradimento non ha giustificazione logica.
E proprio questo rende impossibile perdonarlo.
Forse è davvero la fine, con Anna.
E non mi resta che arrendermi, cercando di aiutarla ad essere felice, anche se con qualcun altro.
 
Nel pomeriggio, vado a prendere Ines a scuola, d’accordo con gli altri in canonica.
È stata proprio la piccola a chiedermelo, e in questi giorni ha sopportato già abbastanza delusioni per avere anche un mio rifiuto.
Non che oggi ne avessi molto voglia, non sono così tanto di buon umore.
Ma faccio del mio meglio per non farglielo notare.
Capisco che non serve fingere, perché mi basta vederla per tornare anch’io felice.
E questo effetto placebo mi piace, funziona molto di più di tutte le medicine che ho preso ultimamente per la mia malattia.
Lei è contentissima, e prende subito a raccontarmi cos’ha fatto oggi.
Quando usciamo, però, notiamo Anna e Sergio in attesa fuori dalla porta.
La confusione si fa strada sui nostri volti.
“Ciao! Scusami, Natalina non ti ha detto che dovevamo portarla noi, in piscina?” mi domanda Anna, interdetta.
“No, non m’ha detto niente… forse se n’è dimenticata…” le spiego.
O forse no, non me l’ha detto di proposito. Sergio non le sta molto simpatico.
Lui si fa coraggio, abbassandosi sulle ginocchia davanti a Ines.
“Hai voglia di riprovarci?” le chiede, e lei glielo concede senza esitare un attimo, abbracciandolo.
Io non mi oppongo quando lei lascia la mia mano. Sarebbe inutile, oltre che sbagliato. Certo, mi dà fastidio, ma so che per il bene e la felicità di Ines devo lasciare che accada anche questo.
“Ehm… grazie, allora!” mi dice Sergio, con un sorriso incredulo. Nemmeno lui forse si aspettava questa reazione da parte della bimba, e sembra realmente contento di questa possibilità.
“Di che, no, niente, niente…” mormoro soltanto, mentre loro vanno via.
Anna, però, rimane indietro.
“Avviatevi, arrivo… arrivo subito.”
Io continuo a tenere lo sguardo puntato addosso a Sergio.
“Non perderli di vista quei due… no, non sto scherzando, non perderli di vista.” supplico Anna. Mi fido solo di lei, per Ines.
So che la mia gelosia è evidente. Tutti ottengono seconde possibilità, tranne me.
È assurdo, dev’essere il karma che mi sta punendo per ciò che ho fatto.
Mostrandomi quello che non merito di avere.
Anna mi stupisce, perché dopo mesi cerca con me un dialogo per qualcosa che non riguarda il lavoro.
“Marco, a me dispiace che tuo padre non fosse presente per te, però credi davvero che sarebbe stato meglio se non ci fosse stato? O era bello anche per una volta, anche se in ritardo veniva a vederti giocare?” mi dice soltanto, e anche se il suo tentativo dovrebbe rendermi felice, in realtà mi ferisce.
Un misero ‘mi dispiace’ dopo che io le ho raccontato di mio padre.
Parole fredde, non paragonabili a quello che io ho fatto quando è stata lei a dirmi del suo.
Certo, lo so che non mi merito molto altro, e di sicuro non il suo perdono, ma dopo due anni e mezzo insieme, pensavo di essere degno almeno di qualcosa in più.
Davvero è bastato questo a cancellare con un colpo di spugna tutto quello che ci ha legati, da farmi meritare poche parole di circostanza dopo una confessione che lei sa bene essermi costata moltissimo?
“Anna, io non lo so… voglio solo il bene di Ines, e basta.” mi limito a dire, la voce rotta, senza riuscire a incrociare il suo sguardo.
“Anche lui…” obbietta però lei.
So che la storia di Ines non è paragonabile alla mia, ma come io non so cosa voglia dire crescere senza un padre, morto suicida, nemmeno Anna sa cosa si provi a rimanere costantemente delusi da un padre che in teoria c’è, ma in pratica è come se non esistesse. Che se n’è sempre fregato di te, e continua a farlo tutt’oggi.
Anche se so che, sia io che lei, avremmo dato qualsiasi cosa per vedere nostro padre ancora una volta, accanto a noi.
E se fa già male così, vedere Anna andar via con loro è anche peggio.
Sergio mi sta portando via tutto, e io non riesco a impedirglielo. Non posso, in nessun modo, perché non è da me che dipende.
È un dolore impossibile da sopportare, perché in quelle due donne che si stanno allontanando c’è il mio cuore, che hanno strappato via dal mio corpo senza saperlo, e io non trovo la forza di riprendermelo, né la voglia di farlo.
Ridotto a un semplice automa, che non vive, ma sopravvive soltanto.
Non so nemmeno perché continui a farlo, a questo punto.
 
Anna’s pov
 
Ines ha accettato di dare un’altra possibilità a Sergio, e questo non può che rendermi felice. Dico loro di avviarsi, che li raggiungerò tra un attimo.
Ho bisogno di parlare con Marco.
Cerco di fargli capire che non deve andare per forza male, anche se mi dispiace per ciò che lui ha vissuto.
Perché non importa quante volte tuo padre ti delude, è bello sapere che in altri momenti può sempre esserci.
E che sono proprio quegli attimi da dover custodire.
Lo sa Ines, lo sa Sergio, e lo sa anche lui, benché io capisca le sue perplessità.
Non posso obbligarlo a pensarla come me, sarebbe contro tutto quello che ci siamo sempre ripromessi di fare, noi due: forzarci a cambiare.
E anche se non stiamo più insieme, non significa che io voglia rompere questo patto tra noi. Non lo farei mai.
Non vorrei lasciarlo lì, da solo, ma ho promesso a Sergio che sarei andata con lui, e lo stesso Marco mi ha chiesto di tenerli d’occhio. Vado via col cuore pesante.
Durante il tragitto, partecipo alla conversazione solo per metà.
Ripenso allo sguardo che Marco mi ha rivolto.
Per la prima volta dopo mesi, non ho più visto quella luce tipica che lo ha sempre accompagnato. Come se, dopo le mie parole, avesse spento tutto.
Se pensavo che il suo tradimento mi avesse fatto male, questo segno è anche peggio.
Si è arreso?
Non riesco a pensare ad altro per tutto il tempo della lezione in piscina di Ines.
 
Mi sono distratta solo quando l’ho aiutata a prepararsi, perché era triste nel vedere un’altra bimba con il proprio padre, e si era convinta che il suo forse non voleva stare con lei.
Allora le ho raccontato un episodio della mia infanzia, senza specificare che si trattasse dell’ultimo compleanno che avevo trascorso con il mio papà. Compleanno che, per un crudele scherzo del destino, non avevo nemmeno festeggiato. Solo dopo ho scoperto perché lui lo avesse dimenticato.
C’erano già state avvisaglie di problemi, in fabbrica, e Claudio era già sparito. Papà aveva altro a cui pensare.
Ma a me, nonostante fossi rimasta delusa dal fatto che se ne fosse scordato, importava solo che lui ci fosse. Del resto avrei fatto a meno. La torta potevamo mangiarla un altro giorno, il regalo non era poi così importante.
Forse è per questo che, da quel momento, ho iniziato a detestare il giorno del mio compleanno. Perché l’unico dono che vorrei è anche il solo che non potrò mai più avere. Per fortuna Ines si è convinta, e alla fine della lezione gli ha chiesto di andare con lei nello spogliatoio.
La porta che si chiude dietro di loro mette fine anche a quel momento di felicità che mi aveva pervasa nel vedere che il mio intento di aiutarli è andato bene.
I pensieri di prima tornano a invadermi la mente, ed esplodono come una bomba.
Per mesi ho sperato che Marco allenasse la presa su di me, per poter finalmente riflettere senza pressione su quanto accaduto.
Per capire cosa volessi davvero.
La sua presenza costante, a chiedermi un’altra occasione, me lo ha sempre impedito. Per questo gli avevo chiuso la porta in faccia, negato ogni possibilità di riscatto, ma lui non si era dato per vinto. Aveva continuato a sperare, in ogni modo, tentando lo stesso nonostante il mio rifiuto di ascoltarlo.
Ma poche ore fa, nei suoi occhi ho letto la resa.
Tanta amarezza mista a delusione.
Ripenso alle cose che gli ho detto.
So di non essere stata delicata con lui, anche perché so bene quanto difficile sia stato per Marco rivelarmi una parte di ricordi che aveva sempre sigillato in un cassetto che aveva tentato di rimuovere dalla mente.
Aveva sempre evitato il discorso, limitandosi a banali frasi di circostanza, o a pochi accenni che lasciavano intuire quanto successo, senza però specificare mai nulla. Io non l’avevo mai forzato, sperando che col tempo avrebbe trovato il coraggio di dirmi tutto.
Adesso che l’aveva fatto, io avevo commentato con un ‘mi dispiace’ che voleva dire tutto e niente, virando poi su Ines e su quanto le loro storie fossero diverse.
E se Marco, quando io gli avevo raccontato di mio padre, aveva colto nel segno subito dopo, io non sono riuscita a fare lo stesso con lui.
So anche perché.
Perché mi sono concentrata soltanto a cercare di riunire padre e figlia, come se attraverso loro, io potessi finalmente rivivere la vita con mio padre.
Perché vederli insieme mi mostra ciò che avrei voluto anch’io.
Una sorta di spostamento nevrotico.
Mi sento in colpa, terribilmente.
Marco deve espiare, pagare per il suo tradimento, ma io ogni giorno non faccio che dargli una nuova mazzata. Gli sto rendendo la vita un inferno senza neanche accorgermene.
E se fino a ieri non me n’ero resa conto, impegnata a vendicarmi e cercare risposte invano, oggi lo so bene.
Forse Marco una seconda possibilità la merita.
Se non altro, varrebbe la pena provarci.
 
Marco’s pov
 
Come ci si approccia, in questi casi, al proprio capo?
Soprattutto perché non credo di essere lucidissimo, dopo gli ultimi giorni.
Ma Sara si merita le mie scuse. Forse avevano ragione tutti quanti, Massimo è innocente, lei non si è lasciata incantare dall’ex e sono io l’unico che non aveva capito niente.
Non appena lei arriva, la fermo.
“Sara, un secondo… Scusami, io… non volevo giudicarti, e non volevo giudicare Massimo.”
Lei mi rivolge uno sguardo di sufficienza.
“Scuse accettate.” dice soltanto, tornando ad avviarsi verso l’ingresso della caserma, ma io non ho ancora finito.
“Ma… tu lo ami ancora? Pensi che… solo con lui puoi sentirti di nuovo a posto? Tu non sei una macchina rotta, Sara. Sei già a posto, così come sei.” le dico, cercando di farle capire che sono sincero.
Io non meriterò una seconda possibilità con Anna per ciò che le ho fatto, ma Sara merita di poter andare avanti nella sua vita senza la convinzione di essere sbagliata. Perché l’impossibilità di avere figli non la rende meno donna.
Così come la divisa non rende meno donna Anna.
Anzi.
Le donne sono esseri misteriosi, che il mondo maschile non riesce a comprendere mai fino in fondo. Quando pensi di aver capito tutto, scopri di non aver capito niente.
È chiaro, ci stai ricascando di nuovo.
Lo pensavo di Anna con Giovanni, di Chiara con Sasà e adesso di Sara con Massimo.
È chiaro che tu non hai capito niente. Né del maresciallo, né di Giovanni e tantomeno di me.
Infatti, non avevo capito niente delle donne di quelle vicende, ma avevo capito bene gli uomini coinvolti in esse, perché anch’io sono un uomo.
E la verità è che se le donne riescono ad andare avanti da sole, ad essere forti anche quanto credono di non farcela, gli uomini non ne sono capaci.
Di certo io non ne sono capace.
Ridotto a un automa perché talmente idiota da farmi scappare Anna.
Senza di lei, sono solo un involucro vuoto.
Sopravvivo, ma non vivo più.
“Grazie…” mi dice Sara dopo qualche istante.
Come aveva fatto Anna. Come Chiara.
E ne sono felice. Almeno ogni tanto qualcosa di buono riesco ancora a farla.
 
“Non ci credo, non è possibile…” mormora però la stessa Sara, quando Don Matteo ci raggiunge in caserma per comunicarci una notizia che ci lascia sconvolti.
Massimo è colpevole di tentato omicidio.
Mi ritrovo lo sguardo delle due donne addosso. Hanno capito che avevo ragione fin dall’inizio, ma avevo abbandonato la mia idea a favore della loro.
Avverto Anna leggermi fin dentro come solo lei sa fare.
Non riesce a capacitarsi di questa storia, e in effetti è veramente troppo da credere, perché dimostra che è un essere spregevole, nemmeno degno di essere chiamato uomo.
“Lei è sicuro, Don Matteo?” gli chiede, sperando in una smentita che non arriva.
“Massimo me l’ha confessato, ha tentato di uccidere Lucia e poi ha colpito anche te.” conferma infatti il parroco, accennando alla PM.
“Sì, ma non c’è traccia dei cinquantamila euro sul conto di Massimo, non abbiamo né prove né testimoni della confessione.” ragiona il Capitano, giustamente. Così non possiamo far niente. Però…
“Se troviamo i soldi, però, possiamo incastrarlo.” mormoro, lanciando uno sguardo d’intesa con Anna.
“Scusatemi…” sussurra Sara, allontanandosi.
Noi non la fermiamo.
È incredula, e delusa da se stessa, perché davvero si è lasciata convincere da Massimo della sua innocenza, che l’ha portata nella direzione sbagliata per farsi scagionare e far arrestare l’uomo con cui lui stesso aveva convinto la compagna ad andare a letto.
Anche Don Matteo va via, e poco dopo lascio la caserma anch’io.
So che Anna ha capito.
 
Anna’s pov
 
Don Matteo ci ha appena detto della confessione di Massimo.
Io sono incredula quanto Sara.
Marco aveva ragione su tutto. E noi lo avevamo entrambe accusato di lasciarsi coinvolgere, quando lui aveva solo valutato i fatti e osservato le persone, il loro comportamento.
Come avevo sempre fatto io.
Come gli avevo insegnato io.
 
Sono andati via tutti, sono rimasta sola in ufficio.
L’ultima certezza crollata.
Ho negato a Marco fino all’ultimo la possibilità di dimostrarmi che è davvero diventato un uomo migliore, che è cambiato.
Lui si era perfino arreso.
E proprio questo aveva portato davanti ai miei occhi l’evidenza di quel cambiamento, palesatasi sul lavoro, nel suo modo di condurre le indagini.
Il Marco che amo, che non stava accusando l’ex di Sara solo per quello che le aveva fatto, né l’aveva difesa perché quella notte aveva significato qualcosa per lui.
Stava facendo semplicemente il suo lavoro, al meglio.
Stavolta, però, questa certezza che è venuta a mancare non fa male, anzi.
Non potrei esserne più felice.
Perché quella luce spenta negli occhi di Marco, la speranza che aveva abbandonato mi hanno consentito di capire cosa fare.
Proprio perché finora quella luce era stata troppo intensa, forte, mi aveva abbagliata a tal punto da impedirmi di vedere oltre.
Avevo perso di vista il cuore di Marco. Quello che batteva per amor mio.
Che gli fa commettere le sue cazzate mondiali, ma che sa anche riportarlo sulla retta via.
Bussando a volte alla porta di casa mia, per offrirmi il suo aiuto a riparare una caldaia che non funziona, finendo per darmi il primo di un’infinità di baci che mi lasciano senza fiato. O a confessarmi che si era innamorato di me. Quanto mi amasse, e quanto avesse sbagliato tutto fino a quel momento, perché non basta distrarsi e concentrarsi su altro per dimenticare chi si ama davvero.
E adesso ne sono assolutamente certa.
 
Scendo in strada.
Ho appena finito di cenare, e Sergio mi ha mandato un messaggio dicendomi che ha bisogno di parlare con me.
Un po’ mi preoccupo, per questo corro giù.
“Sergio, che è successo?”
Lui però ha un sorriso stampato in faccia.
Mi mostra un disegno tutto colorato.
“L’ha fatto Ines! Eh! Che dici?” mi spiega, orgoglioso.
La bimba ha disegnato due figure sorridenti: una è lei, su un’altalena, e l’altra è lui. Con la sua grafia di bambina, ha scritto ‘io e il mio papà’.
“Questo qua sono io! Mi ha fatto i capelli un po’ più lunghi, però secondo me ci ha azzeccato… c’è una certa somiglianza, o no?”
“Mh-mh!” confermo, ridacchiando.
“Non lo dico perché sono il padre, ma credo seriamente che ci sia del talento qui, ha un futuro!” continua lui, e si vede che è felicissimo. È il primo regalo della sua bimba, ed è comprensibile.
“È bellissimo!” confermo, con un sorriso.
Se la merita, questa opportunità. E farà meglio a non lasciarsela scappare, perché poi ottenere di nuovo la fiducia di qualcuno che si fida ciecamente di te è difficile, anche se non impossibile.
Col tempo, magari, si capisce di essere stati troppo duri, troppo concentrati a cercare spiegazioni che non servono a a niente, fermi sul proprio dolore senza pensare di provocarne agli altri, forse ingiustamente.
Io ci ho messo del tempo ma l’ho capito, e sarei un’ipocrita a dire che non rifarei tutto da capo allo stesso modo, perché mi è servito.
Ma il bello della vita è scoprire che a volte le cose non sono semplici come sembrano, e si può tornare sui propri passi. Rivalutare le cose, le situazioni, le persone. Io l’ho fatto con molti, e se c’è una colpa che ho e che mi assumo in pieno è di non aver dato la stessa possibilità alla persona che amo di più al mondo.
Ho dato una seconda chance a tutti: all’uomo responsabile della morte di mio padre, al colui che mi aveva accusata di non saper ascoltare e preferiva il seminario piuttosto che affrontare la vita con me, a un galeotto che non avrà commesso un omicidio ma se n’era sempre fregato di sua figlia fino ad oggi, e che comunque non è uno stinco di santo vista la sua fedina penale.
L’ho negata soltanto a Marco.
Delusa dal suo comportamento, mi ero concentrata solo sul suo sbaglio, un segno nero, però in mezzo a tanti altri sprazzi di colore, simbolo della vitalità e la gioia che lui aveva donato alla tavolozza della mia vita.
Su quella enorme tela, c’era il nostro primo bacio a casa mia, il gelato al cioccolato con le nocciole tritate sopra in ufficio, la conversazione a bordo piscina, i sorrisi nei momenti tristi e le risate nei momenti meno opportuni. Le lezioni di cucina che finivano a una guerra di cibo come i bambini piccoli. Le mie letture interrotte dalla sua fastidiosissima voglia di stare con me. Le notti infinite. Le sue battute stupide. La promessa di amarci per sempre. Di sposarci altre duemila volte.
Perché il nostro amore è sempre stato questo: un arcobaleno di ricordi belli, che uno scarabocchio nero non può oscurare, per quanto grande sia. Che sta già sbiadendo, perché nuovi colori hanno già iniziato a sovrapporsi ad esso senza che io ci facessi caso.
“Mi ha fatto i piedi rossi, però…” sento dire a Sergio a un certo punto. L’ho ascoltato appena, perché i miei pensieri erano tutti concentrati su un unico punto: parlare con Marco.
Dirci tutto quello che non abbiamo più affrontato da quel giorno in sagrestia.
Nonostante ciò, io sono davvero felice per Sergio, e merita di saperlo.
“E tu sei diventato un vero papà.” gli dico, sincera.
“Ho esagerato?” chiede, incerto, visto il suo entusiasmo per il disegno.
“No… non hai esagerato. Serviva solo un po’ di pazienza. Bravo.”
“No, servivi tu.” replica però lui a bassa voce, e mi rendo conto che forse ha confuso il mio aiuto per qualcosa in più, perché si sta avvicinando.
Per fare qualcosa che io non voglio.
La paura mi assale.
Ma davvero dall’esterno si percepiva che ciò che ho fatto nascondeva un interesse per lui?
Sergio è un amico, niente di più. Mi dispiace se ha capito diversamente, ma no.
Io amo un solo uomo, e quell’uomo è Marco.
Per questo scanso il suo tentativo di baciarmi, allontanandomi e girando di lato il viso, così che le sue labbra finiscono, innocentemente, sulla mia guancia.
Lui si ritrae, stranito.
L’ho messo in evidente imbarazzo, e un po’ è colpa mia, perché forse davvero il mio comportamento ha favorito questa sua reazione, ma io non posso dargli quello che vuole.
“No, non… senti, a me dispiace se tu mi abbia fraintesa, ma… non posso. Non voglio la stessa cosa che forse vuoi tu, e credo tu lo sappia già. Ci sei stato, l’hai visto… io… non…”
“Non devi scusarti, semmai sono io che… scusami, è stato il momento, forse, l’emozione per il disegno di Ines, e… sarebbe stato un errore. Dimenticalo, davvero. Non avrei dovuto.”
Io non so che dirgli, limitandomi ad osservarlo mentre va via, dopo avermi dato la buonanotte.
Quando mi volto per rientrare a casa, però, noto una figura poco distante.
Marco.
Dalla sua espressione capisco che ha assistito alla scena, probabilmente ha anche sentito.
Mi rendo anche conto che se Sergio ha interpretato male i miei gesti, probabilmente lo ha fatto anche lui.
Cioè, in realtà lo sapevo già, perché Marco si è mostrato più volte geloso. Abbiamo anche litigato davanti alla caserma, prima del matrimonio di mia cugina, proprio per questo, perché lui era convinto che ci fosse qualcosa che invece non c’era.
Forse, adesso ha capito che dicevo la verità.
 
Marco’s pov
 
Ho appena assistito alla conversazione tra Anna e Sergio.
Sono qui, dietro quel solito albero, immobile, nella speranza che lei non si accorga di me e pensi che magari la stessi spiando.
Ma il karma deve avercela con me, perché quando lei si gira, ecco che mi vede.
Restiamo a fissarci negli occhi per non so quanto tempo.
Non mi aspetto nessuna reazione da Anna, se non di vederla rientrare in fretta a casa, magari anche arrabbiarsi con me domani.
Ma lei non si muove di un centimetro.
E sono, come sempre, i suoi magnetici occhi verdi che mettono in moto le mie gambe senza che io riesca a controllarle.
È una sensazione strana, a viverla così, adesso, quando prima non ci avevo mai dato peso. Mi ero sempre lasciato attirare senza pormi troppe domande.
Scelgo di farlo anche stavolta, come una falena col lampione, che sa che rischia di bruciarsi ma si avvicina comunque.
E, con Anna, è sempre stato così.
Con lei, non sono mai completamente padrone di me stesso, ma non è una sensazione negativa. Non significa che lei mi manovri o controlli, anzi.
È la mia guida. Una luce nel buio.
E riesce a indicarmi la strada pur non dicendo nulla. Immobile.
E io il mio cuore non lo avevo più sentito battere da quel giorno davanti alla scuola di Ines, quando Sergio se l’è portato via prendendo per mano Ines e Anna.
Ma Anna, poco fa, lo ha rifiutato. L’ho visto, l’ho sentita.
E, attirato come una calamita, è da lei che sto andando, adesso.
La luce dei lampioni illumina i suoi occhi lucidi. La mia mano sale istintivamente ad accarezzare la sua guancia. I nostri sguardi si fondono.
Ciò che avviene subito dopo mi lascia di stucco.
Un bacio, leggero, delicato sulle mie labbra.
L’incredibile sensazione di essere riportato indietro a quella sera a casa sua.
Solo che, stavolta, Anna non ha una macchia di sporco dovuta a una caldaia che fa i capricci.
Niente scuse, niente casualità.
È un qualcosa che lei ha voluto, lo capisco. Lo avverto in questo contatto dolce che mai avrei immaginato di poter risentire.
 
Anna si scosta, ma restiamo ad osservarci ancora un po’. Incerti su cosa questo voglia dire.
Poi lei prende finalmente la parola.
“Mi chiedevo se… devi rientrare subito, o hai il tempo di fare una passeggiata con me?”
“Tutto il tempo che vuoi.”
Mi rivolge un sorriso timido.
“Vorrei parlare con te… Partendo dal giorno in cui mi hanno offerto il lavoro in Pakistan. Anche se farà male, ma dobbiamo ripercorrere quel periodo. Ho bisogno di capire… solo così possiamo tentare di ricominciare. Perché voglio provarci.”
Io annuisco soltanto.
Ha ragione. È necessario, rivivere quel percorso doloroso per ripartire. Cercare di comprendere cosa è andato storto, cosa ci ha portati a quella maledetta notte.
Senza girarci attorno.
Noi, quando ci siamo fidanzati, ci siamo detti che saremmo cambiati insieme, ed è stata la cosa più bella che mi potesse capitare.
E lo stiamo facendo di nuovo, insieme.
È una lunga passeggiata, quella che intraprendiamo.
Faticosa, sia fisicamente che mentalmente.
Quando rientriamo, è ormai tarda notte.
Cecchini si sarà di sicuro appisolato, perché non mi ha chiamato per sapere che fine avessi fatto. Cioè, più che io, Carlino.
Arriviamo sul pianerottolo del nostro piano, gli occhi rossi per le lacrime che entrambi abbiamo versato nel rivivere i mesi passati.
Ancora una volta, è Anna a parlare.
“Possiamo ricominciare… se vuoi.”
Il suo sorriso è lo specchio del mio, ne sono certo.
Me lo faccio bastare. Per stasera, non voglio azzardare nessun’altra mossa. È già tanto quello che ho avuto. Tantissimo.
Una seconda possibilità.
Anna però si accorge della mia paura, come sempre, e mi prende per mano.
Il mio porto sicuro. Il mio posto nel mondo.
Come io avevo fatto con lei quella volta al poligono.
“Possiamo riprendere il nostro viaggio insieme, ma… stavolta non voglio correre. Voglio godermi il paesaggio per un po’.” mormora.
Io capisco la metafora al volo e, ancora una volta, annuisco. Perché sono d’accordo.
Non che prima avessimo affrettato le cose, col matrimonio, questo no.
La ragione per cui stavolta dobbiamo andar piano è semplice: devo riguadagnarmi la sua fiducia, e intendo farlo per riuscirci giorno dopo giorno.
Adesso sono pronto anch’io, perché il mio cuore ha ripreso a battere.
“Allora… torno da Cecchini. Se non trova il carlino, sono un uomo morto.” scherzo, e lei per fortuna ride.
“Farai meglio a riportarglielo prima che se ne accorga, allora.”
La nostra mano è ancora intrecciata.
Quello che Anna fa mi stupisce nuovamente.
Mi bacia.
“Buonanotte,” sussurra, prima di lasciare la presa e rientrare a casa.
 
Dopo qualche altro istante, mi decido ad aprire la porta, e trovo Cecchini addormentato sul divano, la tv accesa su un canale di musica.
 
“Che fretta c’è
Se passa il tempo e tu sei qui con me
Se è tutto veramente irripetibile
Non me lo voglio perdere
Che fretta c’è”
 
Sorrido. Mai parole furono più adatte.
Che fretta c’è.
 
La mattina dopo, grazie alla complicità e al coraggio di Sara, riusciamo a cogliere in flagrante Massimo e ad arrestarlo.
Grazie anche al supporto di Don Matteo e Cecchini, che è con lui sul posto in cui Ruggeri aveva nascosto i soldi.
Dopo che gli altri agenti lo hanno portato via, io e Anna ci avviciniamo a loro due.
È Anna a prendere la parola.
“Ottimo lavoro.” si congratula con Cecchini. “Ah, poi ho controllato, e effettivamente la mail l’hanno inviata… ma Lei non ha potuto riceverla, perché avevamo un problema con un server. Mi spiace di averla accusata ingiustamente. Ora vada a mettersi la divisa.” afferma, facendo per voltarsi, ma lui la ferma, interdetto.
“Ma, e… le dimissioni?”
Anna fa un sorrisetto. “Quali dimissioni? “ chiede, fingendosi sorpresa, per poi spiegare. “Mai inoltrate. Per me, è stato in malattia tre giorni.”
 
Pomeriggio, insieme ad Anna, Don Matteo, i The Jackal e tutta la canonica, decidiamo di preparare una festicciola di bentornato per Cecchini. Solo che lei ha avuto un imprevisto in caserma e sta ritardando, per cui il maresciallo brinda senza sapere di doverlo attendere.
Quando lei finalmente arriva, lui sbianca.
“Buongiorno…” saluta Anna, divertita.
“Oh, signor Capitano, io non c’entro niente, hanno organizzato tutto loro… se vuole , andiamo a lavoro, eh!” mette le mani avanti, ma lei lo tranquillizza.
“No, no, un attimo di pausa lo prendo anch’io, Maresciallo. Posso avere un bicchiere?”
“Ma ci mancherebbe altro!” esclama lui, contento.
“Al maresciallo!” brinda allora Anna, rivolgendomi poi uno sguardo felice.
Al maresciallo… e a noi due.
 
 
Ciao a tutti!
Ecco qui, la versione alternativa del sesto episodio.
Il finale come si deve, perché Anna si è scostata, ma non quanto avrebbe dovuto.
E Coso deve stare attento, molto.
Domani, in via eccezionale, ci sarà la settima puntata, quindi anche per quella andremo con la stesura alternativa, ma non solo.
Vi anticipo che io e Martina abbiamo già pronta una storia per l’8 Marzo, quindi vi terremo compagnia comunque in questi prossimi dieci giorni senza Don Matteo.
Oltre a questo, il prossimo venerdì uscirà finalmente il video di Pezzali con i nostri adorati Anna e Marco. Noi non vediamo l’ora!
A presto!
 
Mari
 

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Capitolo 7
*** Non rubare ***


NON RUBARE
 
Marco’s pov
 
Sono sempre a casa del Maresciallo Cecchini.
Il tempo passa e forse dovrei iniziare a cercare un appartamento per conto mio, non posso sempre approfittare della sua ospitalità, benché lui viva ormai da solo, ma la verità è che, se non l’ho ancora fatto, è perché continuo a sperare, forse inutilmente, che Anna mi perdoni e possiamo tornare a vivere insieme.
Ragion per cui le mie cose sono ancora sparse in giro, appoggiate temporaneamente su mobili o cassetti, come se da un momento all’altro dovessi andar via.
Invece sono già passati mesi.
Sono seduto sul divano del soggiorno, e teoricamente starei cercando di seguire la partita, ma Cecchini ed Elisa, la mamma di Anna, continuano a discutere sul galà che lei sta organizzando e a cui lui non vuole partecipare. Il loro battibecco di per sé non mi darebbe fastidio, se non fosse che Cecchini cerca il mio supporto, che io ci provo a dargli, ma viene prontamente smontato dalla mia (purtroppo, devo ammettere) ex-suocera.
Anche se il maresciallo dovrebbe ormai saperlo meglio di me: vincere nelle diatribe con le donne è difficilissimo. Al massimo, tentando, si può ottenere un compromesso, ma dipende dai casi.
No, non sono tornato il vecchio Marco misogino e maschilista, la mia è solo un’osservazione dettata dall’esperienza.
Naturalmente, Elisa è una che non si lascia prendere in giro da nessuno, figurarsi da Cecchini, quindi è inutile che lui provi ad insistere, perché perderebbe comunque anche se avesse ragione.
L’unica cosa che finora contesterei - ed è quello che faccio - è la frecciatina di Elisa sul mio essere solo e abbandonato a me stesso. E come al solito ci si mette pure Cecchini che non è mai d’accordo con me, tranne quando deve infierire e far danno.
Okay, sarò anche stravaccato a guardare la partita (almeno nelle intenzioni, perché col sottofondo non è che stia seguendo granché), ma non sono messo così male, no? O devo preoccuparmi di nuovo? Le medicine un’altra volta no!
 
Loro due continuano a litigare, e c’è una cosa più delle altre che mi fa sbottare, ma cerco di non darlo troppo a vedere: il maresciallo e la sua battuta sulle donne in cucina. Senza offesa, ma se la poteva risparmiare. Per forza passa per maschilista, di che si stupisce? Questa cosa che devono essere le donne a cucinare e gli uomini no è sbagliatissima. È la stessa cosa che ho detto ad Anna, quella sera nella mia vecchia casa: non doveva imparare a cucinare perché le donne devono saperlo fare, ma perché voleva imparare per sé. Così come gli uomini non dovrebbero vergognarsi di farsi trovare ai fornelli con un grembiule addosso, lo dico per esperienza. Perché magari, dopo lo stupore iniziale, quella donna ti chiede di insegnarle a cucinare, e il resto è storia... passata, purtroppo.
 
Anna’s pov
 
Ho appena aperto la porta, di ritorno dalla caserma, quando vedo mia madre uscire da casa del maresciallo, furiosa, con lui che la segue vestito da pinguino. Mamma entra nel mio appartamento, così ci penso io a riprenderlo immediatamente, dicendogli senza tanti giri di parole come non mi stupisca che litighino sempre, sono troppo diversi per essere compatibili. E comunque non sono affari miei, come gli ho detto più volte. Non ne voglio sapere niente, ma se mia madre sta male per colpa sua, ne risponderà a me, altro che aumento! Quando Cecchini mi chiede se sia maschilista, il mio secco ‘Sì!’ lo lascia senza parole, così rientro finalmente a casa.
Ne ho fin sopra i capelli della mia vita amorosa, non voglio accollarmi anche quella di mia madre e del maresciallo. Va bene, non è vero che penso che siano incompatibili, le differenze non contano niente e io lo so, però non voglio essere coinvolta.
Ho già abbastanza problemi di mio.
Uno di questi si ripresenta attraverso lo squillo del mio cellulare: Sergio.
Dopo qualche esitazione, stacco la sua chiamata.
Non mi va di parlargli, lo sto evitando da quella sera del bacio della buonanotte.
Sono davvero troppo incerta su cosa avesse dettato il momento, e su quello che provo.
Sergio è un bel ragazzo ed è affascinante, a suo modo, inutile negarlo. Ma ogni volta che sono con lui, o se ci penso, la sensazione è simile a quella che ho provato ormai tre anni fa: è stato un errore oppure no?
Sì, il discorso finisce sempre per riportarmi al passato.
Marco.
Anche con lui, il nostro primo bacio era stato l’epilogo di un momento particolare, e come allora, sono confusa.
Ma, all’epoca, era una confusione diversa: ero appena uscita da una relazione che si trascinava soltanto, eravamo scossi dagli eventi difficili di quei giorni, ma non era mai stato davvero un errore, e lo sapevo anche quando gliel’ho detto.
Lo avevo etichettato in quel modo per paura, perché quelle farfalle allo stomaco e i brividi durante quel bacio erano stati dettati da un sentimento vero, erano il segnale di qualcosa di serio in corso, un amore per l’uomo che è il più impossibile che conosca, che avevo sempre descritto come insopportabile a tutti, come un collega al massimo amico, quando invece era molto di più, ed era stata proprio quella consapevolezza a spaventarmi.
Stavolta, invece? Sergio lo conosco appena, i suoi modi di fare mi affascinano, inutile negare l’attrazione, ma il problema è che, a tratti, mi ricorda Marco. Terribilmente. E questo rende più difficile capire cosa provo davvero.
Il tutto, naturalmente, accompagnato dalla mia testa che non smette un attimo di ragionare, di tenere sotto controllo ogni mia mossa. Quanto vorrei, ogni tanto, poter perdere il controllo delle mie azioni, lasciarmi andare.
Lasciar andare soprattutto i ricordi devastanti degli ultimi mesi.
Il problema, ancora, è che gli unici momenti in cui smettevo di razionalizzare tutto erano quelli con Marco. Adesso non lo posso più fare.
Torno sempre a ragionarci sopra, a rifletterci, cercando di dare una spiegazione a qualcosa che non è sottoposto a regole.
E per me è impossibile comprenderci davvero qualcosa, se non capisco in che direzione andare.
L’immagine di Marco si sovrappone sempre a quella di Sergio.
Amo ancora Marco? Provo qualcosa per Sergio?
Sento la testa esplodere.
 
Marco’s pov
 
Mi appresto ad entrare in caserma quando alle mie spalle sento qualcuno suonare insistentemente il clacson. Insulto mentalmente chiunque sia, quando mi accorgo che l’autista sta urlando il mio nome.
Mio padre.
Che ci fa, qua?
Ora, poi. Giusto per completare il quadretto idilliaco della mia vita attuale.
Abbiamo sempre avuto un pessimo rapporto, è ormai chiaro a tutti, sebbene io non parli quasi mai di lui.
Anzi, in generale evito di pensare di averne uno.
L’ho anche detto ad Anna, recentemente. Meglio non averlo un padre, piuttosto che ritrovarsene uno che ti delude costantemente, e non solo perché non veniva a vedere le partite quand’ero un ragazzino, anzi.
Ma questa è una parte della mia vita che ho chiuso in un cassetto che non ho nessuna intenzione di riaprire. Un passato che vorrei poter cancellare, che non voglio condividere perché troppo doloroso, senza nessun attimo di felicità.
E mentre lui commenta quanto io sia cresciuto - nemmeno troppo ironicamente, visto che sono almeno due anni che non ci vediamo, perché lui è sempre troppo impegnato a fare altro per domandarsi che fine io abbia fatto - mi ritrovo a sperare che questa visita duri il meno possibile.
 
Visto che sembra aver deciso di venire qui a Spoleto all’improvviso, non ha dove andare, per cui lo accompagno a ‘casa’, sperando che a Cecchini non dia fastidio.
Naturalmente, avrei dovuto prevederlo: la scena che mi si presenta davanti al suo arrivo mi dà l’impressione di essere nel Far West: il maresciallo, zoppicante, non appena vede mio padre, gli punta contro la pistola d’ordinanza, definendolo ‘ladro’.
Ah, quindi papà è a Spoleto da due ore scarse e ha già fatto casini, benissimo. Non che la cosa mi sorprenda.
Cerco di ristabilire la calma, con scarsi risultati perché Cecchini, a ragione a quanto pare, è una furia.
Quando tutti e due ci rechiamo in caserma per il caso, lui acconsente, seppur molto riluttante, a farlo restare.
Dovrò fare una statua, a Cecchini, prima o dopo. Per ringraziarlo.
Sta facendo più di quanto immagini, per me, e gliene sarò eternamente grato. Se non fosse stato per il suo aiuto, non so dove sarei a quest’ora.
Non è un eufemismo, dire che è stato più un padre Cecchini, per me, negli ultimi anni, che l’uomo che io chiamo papà.
Quest’ultimo se n’è sempre fregato di me, e le poche volte che si è interessato mi ha costretto a scelte che non volevo, ad essere chi sono oggi.
Da un lato gli sono grato, perché l’imposizione di un ‘lavoro serio’ mi ha portato a conoscere Anna, ma vorrei potergli attribuire anche altri meriti più personali. Ricordi belli, come tutti i figli hanno dei propri genitori.
Come anche Anna ha, nonostante abbia perso il suo adorato papà quand’era piccola.
Lei non immagina cosa darei, per avere anche solo una minima parte di quei bei ricordi che lei ha di suo padre.
Non gliel’ho mai detto, ho sempre lasciato che si sfogasse, che mi raccontasse della sua infanzia dorata.
Io non le ho mai parlato di quand’ero piccolo, o comunque non mi sono mai dilungato in dettagli, soprattutto non riguardanti mio padre. Chiaro, Anna sa più o meno tutto del fatto che io abbia perso mia madre per una malattia quando avevo sedici anni, che i miei non andassero d’accordo pur non essendosi mai separati legalmente, anche se mio padre non c’era mai a casa.
Ma ci sono altri ricordi, quelli più importanti e gravi, custoditi in un cassetto di cui vorrei tanto riuscire a gettare la chiave per non aprirlo mai più.
Troppo doloroso, ieri, e ancora di più oggi, pensare al suo contenuto.
 
La storia del caso è terribile: abbiamo trovato una donna morta su una tomba, e la figlia adolescente ci spiega che la madre era qui a Spoleto per cercare, a suo dire, la sua gemella che le era stata rubata al momento del parto. Partiamo da qui per l’indagine, anche se io non sono convinto.
“Ma a voi non vi pare strano che una donna muoia sulla tomba di un’altra donna che porta lo stesso nome? Non è una coincidenza!” esclama Cecchini, baldanzoso.
Io lo guardo con aria di sufficienza. “No, Lei crede davvero a questa roba della figlia, e che c’entri con la sua morte?”
“Sì!”
Anna sembra propensa a crederci. “In effetti è un ottimo ragionamento. Faccia i miei grandissimi complimenti a Don Matteo.” aggiunge però, ironica.
“Che cosa c’entra Don Matteo...”
Io sto per ribattere come al solito, quando alzo lo sguardo e mi accorgo dell’ingresso in caserma di qualcuno che preferirei non vedere.
Sergio.
“Scusate, ma che ci fa quello qui?!” domando, senza nascondere il mio fastidio.
L’espressione di Anna non mi piace.
 
Anna’s pov
 
“Salve! Si può?”
Sergio.
Che cavolo ci fa, qui?!
Capisco che non riuscirò a tirarmi fuori dai guai, ma non c’è bisogno che tutti sappiano di quel bacio, e per tutti intendo Marco e Cecchini.
“Ciao... certo, certo, il Dottor Nardi e il Maresciallo stavano giusto andando via. Ora.” li caccio via senza tante cerimonie, ignorando l’occhiata gelosa di Marco.
“Dimmi...” esalo, una volta rimasti soli.
“Nulla, non rispondi al telefono e allora son passato...”
Beh, sapevo che ti avrei trovata ancora qui a quest’ora, e... allora ho ordinato la cena.
Come sempre, i ricordi tornano a colpirmi nei momenti meno opportuni. Mi sembra di essere tornata a quella notte, in questo stesso ufficio, per una situazione simile.
Ma stavolta è diverso, e non deve andare allo stesso modo.
Mi faccio coraggio. “Senti, se è per quel bacio, ti fermo subito, perché-”
“Sul serio, è per quello che non rispondevi? Il bacio è... come posso dire... è un bacio, è come un bicchiere d’acqua, non si rifiuta a nessuno!” dice lui, con un’alzata di spalle che mi lascia interdetta.
“E allora perché mi stavi cercando?” chiedo, senza capire.
“E allora volevo dirti che ho trovato lavoro!”
“Davvero?”
“Mh-mh! Lavoro serio, busta paga, contributi...”
“Bene, sono contenta...”
Dopo un breve saluto imbarazzato, se ne va, lasciandomi sola e più confusa che mai.
Un altro bacio dettato dal momento, un bacio che non significa nulla.
È una storia che ho già sentito, ma c’è qualcosa che non mi torna.
È questa, la sensazione che ha provato Marco, quando io gli ho detto che era stato un errore?
Un bacio non è mai soltanto un bacio, è la conseguenza di qualcosa... ma in questo caso, di cosa? Per il mio aiuto con Ines?
Perché avrebbe dovuto baciarmi, però? Bastava un grazie...
E allora perché questa specie di delusione? Volevo una risposta diversa? In fondo, io ero già partita in quarta per mettere in chiaro la stessa cosa, che quel gesto fosse privo di significato, per me.
Di nuovo.
Come quella volta.
Però, a differenza di allora, è stato il contrario: sono stata io ad essere fermata dal mio interlocutore, il due di picche l’ho preso io.
È assurdo, sembra di rivivere sempre lo stesso film, ma con personaggi diversi e ruoli invertiti.
E uno dei due protagonisti sembra però essere la copia del suo predecessore, a cui  hanno attribuito caratteristiche leggermente differenti per camuffare il tutto.
Ma io la somiglianza la vedo comunque. E questo mi confonde.
Anche perché non sono certa di volere lo stesso finale per questa scena.
 
Marco’s pov
 
Per quanto preferirei evitare, stasera porto mio padre fuori a cena.
Il maresciallo vuole far pace con Elisa, e io giustamente gli lascio i suoi spazi.
Sta cucinando lui, e certo che col grembiule e la cuffietta da doccia in testa è uno spettacolo da vedere...
Solo che, quando Elisa bussa e lei vede mio padre, ha la reazione che speravo non avesse.
“Io sono una fan sfegatata, ho letto tutti i Suoi libri... Elisa, piacere! Sono la mamma di Anna!” esclama, emozionatissima.
Perfetto, direi.
“Piacere!” risponde mio padre, con un baciamano. Perfetto parte 2. Andiamo male.
“Perché non ce l’ha detto, che ha un papà così famoso?” mi chiede la signora, naturalmente, al che io mi limito ad allargare le braccia.
Sì, mio padre è un famoso psicanalista e ha scritto un sacco di libri.
Signora, io due domande sul perché non le avessi detto nulla, me le farei.
In compenso, Cecchini mi dà grandi soddisfazioni. “Famoso... io non l’ho mai visto!”
“Ma come non l’hai... Eugenio Nardi, il famoso psicanalista!” replica però Elisa, al che io cerco di togliere l’impiccio, proponendo a mio padre di andar via.
“No no no, ma quale ristorante, voi restate con noi a cena!” replica però la signora, con mio grande disappunto, ma il peggio deve ancora arrivare. “Vado a chiamare anche Anna!”
Perfetto parte 3. Uccidetemi.
 
Anna, comprensibilmente, aveva rifiutato, ma sua madre sa essere parecchio insistente, così eccoci seduti tutti e cinque a tavola.
La tensione si taglia col coltello, o con le bacchette, per così dire, e con mio profondo orrore mio padre dà sfogo al suo ego spalleggiato da un’adorante Elisa, una fan evidentemente accanita che fa domande su domande.
Di tanto in tanto osservo Anna di sottecchi: ha l’aria di una che vorrebbe essere da tutt’altra parte, e la capisco pure. L’avevo presentata a mio padre, l’unica volta in cui ero tornato a Genova con lei, e non è che lui si fosse dimostrato molto affettuoso, come al suo solito. Aveva provato i suoi giochetti psicologici anche con lei, ma Anna è troppo intelligente per lasciarsi fregare, e l’aveva chiarito subito. Lui aveva anche fatto una brutta battuta sulla mia precedente esperienza, e avevo rischiato di menarlo davvero, se non ci fosse stata lei a trattenermi lo avrei fatto.
Quindi il clima che si respira a tavola non è che sia rilassatissimo, anche per questo.
Cecchini, anche per andare contro mio padre Eugenio, opta per mangiare ciò che aveva originariamente preparato, i ‘pitoni’ messinesi, però il wasabi forse sarebbe meglio evit-… ecco, appunto, va’ come è costretto ad alzarsi da tavola con la lingua in fiamme.
Avrei preferito non lo facesse, non solo per la sua lingua ma anche per il discorso che emerge subito dopo.
“Comunque è bello vedere che siete rimasti in buoni rapporti,” afferma mio padre di punto in bianco alludendo a me ed Anna, facendomi entrare nel panico. “segno di una maturità emotiva... Io pensavo che Lei fosse in Pakistan, giusto? È per questo lavoro in Pakistan che vi siete lasciati!” continua, con Anna che mi rivolge un finto sorriso assassino.
“Mh...! E per altri motivi... dovrebbe parlare più spesso con suo figlio!” si limita a rispondere, mentre io sono costretto ad abbassare lo sguardo.
Mio padre non sa la verità, e per una ragione ben precisa, ma avrei sperato che Anna non lo venisse a sapere.
Certo, se avessi voluto riscattarmi con Anna, la presenza di mio padre di certo non mi aiuta.
Mio padre fa anche di peggio.
“Comunque a me piace la donna forte, moderna, in grado di determinare il proprio destino... come te, Elisa!” continua, facendomi innervosire ancora di più. Sta facendo il cretino con lei, non cambierà mai.
“Adesso svengo!” fa Elisa, estasiata, alzandosi, anche se in fondo la capisco: mio padre è carismatico, e famoso. Non sarebbe l’unica ad avere questa reazione.
Anna mi rivolge uno sguardo di ghiaccio.
“Anche io...! Di chi è la colpa...?” mormora, e per un secondo temo voglia infilzarmi con le bacchette - cosa che mi meriterei, invece si alza a sua volta per togliere il piatto, prima di allontanarsi schifata da mio padre che ride con sua madre, con la scusa di andare in bagno per lavarsi le mani.
Anche Cecchini ha capito l’antifona, me lo confessa preoccupato, ma io cerco di negare l’evidenza, riuscendo stranamente a convincerlo.
E la cosa non mi piace. Non è un bene, che io stia imparando a mentire.
 
Anna’s pov
 
Me ne torno al mio appartamento il più in fretta possibile al termine della cena, con la scusa che domani mattina devo alzarmi presto, per sfuggire a quel clima terribile.
Sono furiosa.
Non ci posso credere, che Marco abbia mentito con suo padre perfino sulla fine della nostra storia. Ah, adesso quindi è solo colpa mia, se il matrimonio è saltato?
Eugenio dovrebbe parlare un po’ di più con suo figlio, davvero.
E poi, perché non gli ha detto la verità? Tanto, di matrimonio per lui ne era già saltato uno, che differenza faceva stavolta? Certo, da vittima è diventato carnefice e suo padre è uno psicanalista… I suoi motivi li ha, ma di certo non è colpa mia come gli ha fatto credere.
Non che mi interessi cosa pensi lui, non è la persona più simpatica del mondo, e i suoi rapporti con Marco sono praticamente ridotti all’osso, però non mi va di prendermi la totale responsabilità di questa cosa. Dividercela a metà, magari, ma il tassello fondamentale non l’ho fatto saltare io.
E deve dirgli la verità.
 
In ufficio, dopo esserci occupati del caso, la mattina dopo, Cecchini si mette a spiare dalla finestra della caserma, e con mio profondo orrore vedo mamma con il padre di Marco.
Cecchini è evidentemente geloso: ironia della sorte, chi di piano G ferisce, di piano G perisce? Chi lo sa. Anche se non lo ammetterò mai, la scena mi fa sorridere, perché mi dimostra che lui ci tiene veramente a mia madre, ma comunque la ramanzina non gliela leva nessuno, perché se pensa che lei sia il tipo da farsi abbindolare dal primo che passa allora non ha capito niente. E nemmeno il padre di Marco lo farebbe, sfrutta solo la sua popolarità. Cerco conferma proprio da Marco, che in teoria mi dà corda, ma il suo tono non è che mi convinca moltissimo.
Magari però è solo una mia sensazione, e perciò torno a dedicarmi al lavoro, che di coppie che scoppiano, tradimenti e gelosie ne ho abbastanza, al momento. Il maresciallo naturalmente non mi dà ascolto, e corre giù in piazza.
Lasciamo stare. Io non ci sto capendo più niente, non ho nessuna certezza quando si parla di sentimenti.
 
Finito il mio turno, mi ero programmata di andare in palestra, per cui mi ero portata dietro il borsone, togliendo la divisa già prima, ma una volta in piazza una figura su una gran bella moto da corsa si dirige verso la caserma, fermandosi proprio davanti a me.
Tolto il casco, scopro che è Sergio.
Per un istante, la mia mente ha una sorta di flashback, mostrandomi al suo posto un’immagine simile: l’arrivo di Marco a Spoleto quella mattina, che si era fermato quasi nello stesso punto, compiendo quasi gli stessi gesti.
Mi ritrovo costretta a sbattere più volte le ciglia per tornare al presente.
Mi avvicino a lui, titubante.
“No, non mi guardare così, non l’ho rubata!” precisa Sergio subito. Certo che, se uno anche se lo scordasse, lui non si fa problemi a rimarcare il suo passato. “Questo ha a che fare col mio nuovo lavoro. Se ti va, ti ci porto, così facciamo un giro.” propone.
Io non sono convinta.
“Mh. Dovrei salire su questa?” mormoro, titubante. Certo, è una bella moto, ma... pericolosa.
Lui non perde tempo a sfottermi. “Ah, scusa, dimenticavo che tu sei un tipo a cui piacciono le moto che vanno piano, sano ma lontano tipo quella lì?” chiede, indicando qualcosa alle nostre spalle.
Marco, intento a mettere il casco.
Dire che vorrei sparire è poco. 
“Guarda, fai ancora in tempo, sta per partire!” continua Sergio, imperterrito, in tono canzonatorio.
Io riesco a fare appena un cenno a Marco, perché ovviamente ci ha notati parlare e avrà intuito che l’argomento fosse lui.
Il mio problema costante, però, è che non voglio dare a Sergio, come a chiunque altro, la soddisfazione di avere ragione. Io sono sempre quella che non ammette di avere torto.
Perché è vero, non amo particolarmente la velocità. E poi la moto di Marco a me piace, l’abbiamo scelta insieme quando lui ha deciso di cambiare quella vecchia. Ci abbiamo fatto un sacco di giri insieme, su quella, visitando l’Umbria e non solo in lungo e in largo durante i nostri weekend liberi.
Ma come dicevo, l’inclinazione ad abbassare la testa non mi appartiene.
E poi, un po’ di gelosia effettiva a Marco non farà male.
“Dammi, va.”
“Sicura?”
Io mi limito ad annuire, afferrando il casco.
“... e comunque non sono un ‘tipo’... io sono io.” aggiungo.
Io non ho paura di niente e di nessuno, sono sempre la più forte, a prescindere, no?
Okay, ho paura di questa moto, ma io sono un carabiniere, ed essendo su strada, non possiamo andare oltre i limiti. È il solo motivo per cui mi decido a salire in sella, consapevole che Marco ci stia osservando.
 
Giunti al motodromo, scopro qual è il nuovo lavoro di Sergio.
“Nooo, ma fai il meccanico per una squadra professionistica!”
“La Superbike! Non c’è Valentino Rossi, però, insomma, un bel campionato!” conferma lui.
“E come hai avuto il lavoro?”
“Don Matteo ci ha messo una buona parola…” mi spiega, prima di continuare. “Allora? Facciamo un giro in pista? Si fanno 300 km/h. Ti va?” mi propone, ma ancora una volta non riesco a nascondere bene la mia ritrosia.
“Non lo so...”
“Come, non lo sai? Cos’hai, paura? Un carabiniere che ha paura non s’è mai visto?”
Ecco, ci risiamo. Mi ha lanciato una sfida, e io non perdo mai.
“Vai!”
 
Una volta in sella, Sergio parte.
Io affronto metà del tragitto a occhi chiusi, poi mi azzardo ad aprirli.
E l’adrenalina esplode.
È quasi la stessa sensazione che provo quando faccio paracadutismo.
Per la prima volta dopo mesi, mi lascio andare.
Mi libero di ogni pensiero, resetto la mente.
Solo il vento che mi arriva contro, e una sensazione inedita di libertà.
 
Quando scendo dalla moto, sono in estasi.
“Ma è fantastico!! Ma che cos’è!” esclamo, euforica, sedendomi poi su una catasta di pneumatici. “Hai sempre avuto la passione per le moto?” gli chiedo.
“Fin da piccolino... mio padre era un appassionato. Amava tutte le moto veloci... ci faceva le rapine. Sto scherzando... sto scherzando! Ma ci caschi sempre!” mi prende in giro. “No, sul serio, era un appassionato... le montava, le smontava, un hobby, come tuo papà col-”
“-col maggiolino.” completo io per lui. Un paragone un pochino azzardato forse, ma ci può stare.
“Vedi quante cose abbiamo in comune, io e te? Siamo molto simili, anche se pensi di no.”
“Mai detto il contrario.” rispondo, anche se dire di essere ‘molto simili’ mi sembra eccessivo.
Però devo ammettere che Sergio non è così male. È simpatico, è una compagnia piacevole, mi fa dimenticare i miei problemi, cerca di farmi andare avanti con la mia vita.
L’ho già vissuta, una situazione simile.
Ecco che tutto torna, di nuovo. Forse non ho resettato il cervello come credevo.
“E comunque, se ti è piaciuto tanto, possiamo rifarlo... domenica?” mi propone lui, e io avverto una strana sensazione in fondo allo stomaco.
Certo che, per essere uno a cui di quel bacio non è importato nulla, sembra essere parecchio interessato a passare del tempo con me.
Mi fa uno strano effetto, era da un sacco di tempo che qualcuno non ci provava sul serio, con me. Cioè, di proposito.
Non sono scema, me ne sono accorta.
Oggi sarà anche stato improvvisato, ma questo di adesso è un invito a uscire in piena regola.
Non è che mi dispiaccia, è che sono confusa. Troppo, per poter dire di sì a cuor leggero.
“Domenica... ho un impegno di lavoro.” declino quindi, inventando una scusa che possa essere abbastanza plausibile e difficilmente contestabile.
“Di lavoro?” chiede conferma lui, incerto.
“Sì...”
“Potevi guidare tu, io stavo dietro...” cerca di insistere, ma io mi limito a sorridere per poi abbassare lo sguardo.
“Adesso... dovrei tornare a casa perché si è fatto un po’ tardi…” mormoro.
“Adesso...?”
Sergio non nasconde la sua delusione, ma io non posso far altro.
Scendo giù con un salto, gli occhi a terra.
 
Ci ripenso per tutta la sera, a casa.
Mentre ero in pista mi sono sentita libera, leggera, come non mi succedeva più da mesi. Mi sono davvero divertita, nonostante la paura iniziale.
Ma quando ero scesa dalla moto, tutto era piombato di nuovo addosso a me, ancora di più mentre parlavo con Sergio.
Mi aiuta, parlare con lui.
Lo sai che parlare con te mi fa stare meglio?
Questa cosa mi fa bloccare di nuovo.
Anche Marco mi faceva questo effetto. Glielo avevo perfino confessato, quella sera in cui avevo scoperto che anche la sua vita era parecchio incasinata, sentimentalmente parlando. Peggio della mia, all’epoca.
Almeno Giovanni, con Dio, non ci è andato a letto.
Stava peggio lui, e ora al suo posto ci sono io.
Quindi, secondo la legge del contrappasso, Sergio dovrebbe stare meglio, e infatti... è sempre spensierato, forse perfino troppo perché qualche attenzione in più a sua figlia non guasterebbe di certo, ma non è questo il punto.
Il punto è che ogni volta che io ci provo, a lasciarmi andare, a non pensare, basta un gesto, una parola, un dettaglio di Sergio, che tutto mi riporta a Marco.
Sono tutte situazioni già vissute, con lui.
E ogni volta sono sempre più confusa, perché Sergio sarà anche un uomo interessante, ma non capisco se io mi senta attratta da lui in quanto Sergio, o perché, senza saperlo, si comporta come l’uomo di cui nonostante tutto sono ancora innamorata.
L’uomo che vorrei odiare, ma non ci riesco.
Quello che mi ha rovinato la vita negli ultimi mesi, ma ha reso i precedenti due anni e mezzo un sogno a occhi aperti. Una favola, che anche una sorta di principessa poco convenzionale, o ‘ribelle’, come diceva lui, spera di poter vivere.
E se di favole bisogna parlare, beh, ora come ora mi farebbe comodo una lampada come quella di Aladino, per trovare le risposte ai miei problemi e poter esaudire i miei desideri.
Se solo sapessi cosa desidero...
 
La mattina, quando esco sul pianerottolo per andare in ufficio, incontro Cecchini, che non perde tempo a impicciarsi, chiedendomi della mia uscita con Sergio.
Ma cos’è, un investigatore privato? Come fa a sapere sempre tutto?
Comunque, gli dico di smetterla di fare il geloso anche con me, perché sarà anche come un padre, ma non ho bisogno delle sue intromissioni un’altra volta. Ha già creato abbastanza casini nella mia vita da bastarmi per un po’.
A lui la scelta dei termini non sfugge, al che gli dico che so che ha seguito mia madre nell’albergo dove sta organizzando il galà.
Lo so che è geloso, e il fatto che abbia beccato il signor Nardi a casa mia - intento a fare una cosa che avrei potuto fare tranquillamente io se mia madre non fosse fissata che sia un lavoro da uomini - corredato da un litigio da adolescenti che mi fa quasi tornare su la colazione, mi innervosisce. Okay, sapevo che lui fosse geloso, ma mia madre che si comporta come una ragazzina col padre di Marco, davvero? Cosa sono, quindicenni?
Certo, non mi sarei aspettata che finisse tutto con una pausa di riflessione.
Non sono entusiasta all’idea che si frequentino, ma è pur sempre di mia madre che parliamo. È felice, con Cecchini. Davvero stanno buttando tutto all’aria per una specie di terzo incomodo che fa lo scemo con lei, ma che è evidentemente solo una pedina nella partita a scacchi che mamma e il maresciallo stanno giocando?
Però non sono proprio nella posizione di dare consigli in amore in questo momento, quindi meglio evitare.
Aspetto qualche secondo prima di uscire, facendo allontanare Cecchini, per poi ritrovarmi sul pianerottolo di nuovo, ma non da sola.
Marco.
 
Marco’s pov
 
Sono appena uscito sul pianerottolo quando incontro Anna.
Non è esattamente il ritratto della felicità.
“Per favore, puoi dire a tuo padre di smetterla di fare lo scemo con mia madre? Non so se hai capito che ha combinato!” parte in quarta, indispettita.
Posso immaginare, un altro casino dei suoi.
“Mi dispiace, scusami... adesso ci parlo.” cerco di rimediare, mentre penso a come evitare di ammazzarlo appena lo prendo. Ci ho pensato da solo a rovinarmi la vita, non mi serve lui per fare ulteriori danni. Anna evidentemente non ha intenzione di abbassare l’ascia di guerra.
“Come gli hai parlato del perché ci siamo lasciati... non gli hai detto neanche quello che hai fatto! Pensa che sia colpa mia!” rimarca, e io non posso nemmeno contestare.
Vorrei, ma lei non lo sa, il vero motivo per cui non gli ho raccontato la verità.
Una parte di me vorrebbe dirglielo, ma l’altra ritiene che sarebbe come gettare benzina sul fuoco. No, meglio tacere, anche perché non è che dire la verità si sia rivelato così utile finora, anche se in quel caso non sarebbe durata. Non sarei riuscito a tenergliela nascosta, mi conosco.
Non c’è bisogno che Anna ne venga a conoscenza, non stavolta. Ha già sofferto abbastanza senza aggiungerci questo ulteriore dolore.
Il suo cellulare suona, bloccando comunque qualsiasi intenzione di parlare.
“Ghisoni? Sì... abbiamo novità sul caso.” mi dice, fredda, prima di voltarmi le spalle e andare via.
 
Al lavoro, mi aspetta una lunga giornata. Fermiamo il ginecologo perché la sua posizione si aggrava, e quando la sera torno a casa, trovo mio padre seduto sul divano del soggiorno di Cecchini, intento a guardare un programma di Vespa e a commentare come gli ascolti sarebbero maggiori se lui fosse ospite.
Decido che è il momento buono per parlargli, così vado dritto al punto.
“Perché ti sei messo in mezzo tra il maresciallo ed Elisa?” gli chiedo senza giri di parole, ma lui mi guarda un attimo prima di tornare alla tv.
Il suo comportamento mi innervosisce, così spengo quel dannato aggeggio e ripeto la domanda.
“Perché?”
“Ma è il maresciallo che non riesce a controllare i suoi istinti primordiali!” mi risponde lui con un tono evasivo. “E poi tra me e Elisa cosa c’è, alla fine... è un gioco!”
Eccolo, il punto in cui sapevo avrei sbroccato.
“Un gioco...? Per te è sempre un gioco.” replico, la rabbia che aumenta.
Non è cambiato nemmeno un po’. Per lui è tutto un gioco, sempre, non pensa mai alle conseguenze di quello che fa.
“Guarda che fra me e te, il genitore sono io... sono io che eventualmente dovrei esercitare la funzione del super io-” prova, ma io non ci casco.
“Non fare i giochi psicologici, tanto io il libro non te lo compro. Tu vuoi fare il padre? Non sei nemmeno venuto al mio matrimonio!”
“Ma se non ti sei sposato nessuna delle due volte!” ha il coraggio di ribattere, e non so nemmeno io come faccio a trattenermi dall’insultarlo davvero.
Penso però la mia faccia dica tutto, perché lui mi chiede scusa in modo più convinto.
Non hai idea di cosa abbia voluto dire, per me, non sposare Anna. Nemmeno te lo immagini, quanto io mi odi per il dolore che sono riuscito a provocarle.
“E allora perché ti sei presentato adesso, a Spoleto? Voglio saperlo, dimmi perché!” gli domando, la voce che si alza.
Lui non riesce nemmeno a darmi una risposta.  
“Perché a te non te ne frega niente di nessuno. Come al solito arrivi, non dici niente, giochi, poi mandi a puttane la vita di qualcuno, o di qualcuna, perché a te veramente te ne frega solo di te stesso. Come sempre.” gli dico infine, con un tono pieno di disprezzo.
Se c’è una cosa che avevo sempre voluto, era proprio non diventare mai come lui.
E invece ci sono cascato anch’io. Non volontariamente, ma è successo, e questa cosa mi fa ribrezzo.
Tutto l’odio accumulato dentro di me in questi anni esplode in quelle parole che gli ho appena detto.
Perché non c’era mai, non c’è mai stato.
La sua mancanza. La sua presenza vuota.
Perché anche quando c’era, era come se non ci fosse, o sarebbe stato meglio se fosse stato assente.
Come ho detto ad Anna, in casi come il mio, meglio non averlo proprio, un padre.
“Se questa è la situazione, allora forse è meglio che io non stia più qui.” dice soltanto lui, e io non lo fermo quando fa per andar via.
“Mh, forse era meglio proprio se non venivi, sai?” replico invece.
Mi sono tolto un peso enorme dalle spalle, anche se mi è costato moltissimo.
Sento gli occhi velarsi, anche se non vorrei.
Come ogni volta, la rabbia diventa sofferenza.
Che non c’è modo di lenire.
 
Anna’s pov
 
Esco dalla caserma per prendere una boccata d’aria, quando vedo la piccola Ines corrermi incontro.
“Ciao!” la saluto, prendendola in braccio.
“Io e papà stiamo andando a nuoto! Tu non vieni? Dai, vieni, vieni!” mi prega, ma io sono costretta a rifiutare.
“Non posso venire... devo lavorare!”
“Uffa, ma tu lavori sempre!” dice, imbronciata.
Sergio non perde occasione per dire la sua. “Eh, pure la domenica lavora...”
Dal suo tono, capisco che non è convinto riguardo al mio impegno, ma pazienza.
Anche lui mi ha mentito in merito al bacio, così come io ho fatto all’epoca con Marco.
Ma io cosa provo per lui?
Confusione.
È per questo, che non me la sono sentita di accettare il suo invito.
“Dai, che facciamo, andiamo? Salutiamo?” Suggerisce poi Sergio alla bimba, che bacio prima di mettere giù.
“Ciao!”
“Ciao, Capitano!”
Mentre cerco di mettere in ordine i pensieri, arriva Barba che mi informa su alcune novità.
 
“Non sono convinta che sia stato Jordi ad aggredire quel ragazzo; hanno litigato, com’è possibile che non ha segni sul volto?”
Io e Marco siamo in ufficio. Io ho molte perplessità sull’aggressione di Rik, ci sono troppe cose che non quadrano. Lui non sa che dirmi, perché abbiamo troppi pochi elementi.
Poi mi ricordo di una cosa.
“Ah, hai parlato con tuo padre?”
“Sì sì...” mi risponde, ma il suo tono è strano, di nuovo.
“Sì, però mi sa che non t’ha capito.” replico, lugubre.
“Che c’è?”
“Ha invitato mia madre ad andare a ‘Porta a porta’!” A questo punto non riesco a trattenermi, devo sfogarmi. “Senti, te lo posso dire, sinceramente? Tuo padre è veramente un grandissimo-”
“No, no, è più che grandissimo, al cubo, proprio...” mi blocca, implicando che io sia stata anche troppo gentile. Quello che però non mi aspettavo è il seguito. Marco si è seduto sul divanetto, come se fosse esausto, e il suo tono rispecchia questa sensazione. “E lo è sempre stato, così. Posso dirti...? È per questo che non ho detto la verità su noi due, del perché non ci siam sposati...” mormora, e sebbene queste sue parole siano già un colpo al cuore, non riesco a mettere insieme i pezzi.
“Non ho capito, perché?”
Lui sembra sbloccarsi in un secondo, decidendo per qualche ragione di aprire per me un cassetto della sua memoria.
“Va bene... mia madre metteva a posto gli indumenti di papà, ogni tanto vedevo che piangeva, e io ero piccolo e dicevo, ‘Perché, mamma, perché piangi?’, e allora lei si metteva a sorridere e diceva, ‘Eh, perché sono allergica al cotone delle camicie’... Crescendo poi ho capito che non era allergica al cotone delle camicie... ma al rossetto che ci trovava sopra.” mi spiega, lasciando intendere benissimo il problema. Suo padre tradiva sua madre. Il suo tono mi strazia, ma lui sembra un fiume in piena, inarrestabile. “E dopo che la mamma è morta, io gliel’ho sempre rinfacciato, a mio papà, gli ho detto ‘è colpa tua, che l’hai fatta soffrire ogni volta che la tradivi’. Ed è per questo che non gli ho detto la verità su noi due, perché lui avrebbe fatto il suo sorrisetto, e mi avrebbe detto ‘Ah, mi fai la paternale, bene! Ma in fondo sei come me!’.” Ammette. “Io mi sono ripromesso che mai sarei stato come lui, che mai avrei tradito o fatto soffrire... la donna che amo, e invece... alla fine l’ho fatto. Eccomi qui, son diventato come lui. Bene!” conclude, la voce che si spezza.
Io sollevo lo sguardo verso il soffitto per impedire alle lacrime di scendere.
Eccolo, Marco, che non avrebbe mai voluto essere come suo padre, e che ora è qui, davanti a me, sul punto di piangere ma non lo fa, fingendo di essere forte anche se non lo è, che mi confessa nel modo più distruttivo possibile la parte più crudele della sua vita.
E io non ci riesco, a restare impassibile.
La nostra vita è un continuo rimando a cosa è successo tra noi, un continuo maledirci a vicenda per quel giorno.
Se io gli avessi detto prima del Pakistan... Se lui non fosse uscito da quella porta...
Ma Marco non è come suo padre, non lo è.
E vorrei tanto riuscire a dirglielo, ma non ce la faccio. Le parole rimangono impigliate in gola, anche se ci credo. Anche se lo penso.
E lo so fin dal giorno in cui ho scoperto tutto.
Perché non è stato un gioco, per lui, le sue parole un’ulteriore conferma di come quella notte non fosse nemmeno se stesso.
Adesso gli parlo io, e non per l’Arma, ma per difendere il matrimonio, perché non ci si comporta così.
Perché Marco mi ama, lo so. Sta soffrendo quanto me, ma non ci riesco, a fare questo salto nel vuoto. Non riesco a perdonarlo, anche se vorrei. Non riesco più a fidarmi di lui, e paradossalmente la sua confessione è l’ennesima pugnalata, perché lui stesso si era ripromesso di non commettere lo stesso errore del padre, e invece...
Lo so, mi vede dare fiducia a chiunque, tranne che a lui.
E di fronte al mio silenzio, va via.
Come avevo fatto io quella sera in cui gli ho raccontato di mio papà.
Quando lui non aveva saputo formulare a parole niente che non fosse banale retorica di fronte alla mia confessione.
Resto sola in ufficio mentre lo osservo uscire, con la sensazione di essere ancorata al pavimento, ma con una parte di me che se ne va con lui.
 
La sera, sto per portare Patatino a passeggio, quando vedo uscire Eugenio Nardi da casa del maresciallo con alcuni oggetti in mano che forse aveva dimenticato.
Dopo quanto ho scoperto oggi, non avevo nessuna voglia di incontrarlo.
Non mi è mai stato particolarmente simpatico, ora meno che mai.
“Lei non si era spostato in albergo?” gli chiedo soltanto in tono distaccato.
Lui mi osserva. “Sì, è che ho dimenticato il nécessaire nel bagno del maresciallo...” si giustifica, ma nel gesticolare gli oggetti gli scivolano dalle mani. Lui fa per raccoglierli, ma io lo precedo.
“Aspetti, aspetti che l’aiuto io... faccio io.”
“Grazie...”
Oltre al deodorante stick, però, c’è un barattolo di pillole che conosco molto bene, purtroppo.
“Il Triptorelin è una terapia antitumorale... Lei è...?” mormoro, con un nodo alla gola. Lui mi lancia una lunga occhiata, e temo di essere stata indiscreta. Dopotutto non sono nessuno, per chiedergli una cosa del genere. “Scusi, scusi, è che mia madre ha fatto un intervento qualche anno fa, e l’ha preso per...” biascico, sentendo lo stomaco sprofondare.
“Sì... Infatti mi hanno operato.” conferma lui in tono quasi disinteressato. “Alcuni medici hanno detto che non tornerà più, altri che potrebbe ripresentarsi, che si possono fare previsioni, non ne sono sicuri... Certo che prima di andarmene, avrei voluto recuperare uno straccio di rapporto con mio figlio... è per quello che sono tornato.” mi spiega infine, ammettendo la verità sul suo improvviso arrivo a Spoleto.
“E... che cosa aspetta, a dirglielo?” gli chiedo allora, ma dal suo sguardo capisco le sue intenzioni.
“... Non vuole dirglielo?” constato, sconvolta.
“I nostri rapporti sono troppo compromessi. Mio figlio mi odia, forse è questa l’unica cosa che ci lega.” dice soltanto, prima di salutarmi e andare via, lasciandomi da sola.
Per tutta la passeggiata di Patatino, non faccio altro che ripensarci.
Il padre di Marco è malato, vorrebbe cercare di ricucire un minimo il loro legame, ma Marco lo odia, e lui non vuole rivelargli la verità sul suo stato di salute.
Ma io la so, adesso... che devo fare?
Lo devo dire, a Marco?
Lui mi ha detto chiaramente cosa ne pensa al riguardo, e vista la storia pregressa ne ha tutto il diritto. Non la conosco tutta, è vero, ma sono certa che nei suoi racconti non c’è mai stato un bel ricordo legato a lui, mai.
Quel genitore ammalato che ho incontrato poco fa non c’era mai quando Marco, bambino, andava a giocare a pallone; non gli aveva permesso di inseguire il sogno adolescenziale di diventare attore; aveva distrutto la vita di sua madre con continui tradimenti; non si era mai davvero interessato a lui quand’era diventato un uomo.
Sembra non ci sia niente di buono in Eugenio Nardi, ma tutti meritano una seconda possibilità.
È ironico che sia io a dirlo, visto che proprio io la sto negando a Marco.
Per anni io gli ho parlato di mio padre, dei miei ricordi felici con lui, e Marco mi ascoltava, asciugava le mie lacrime stringendomi tra le braccia, mentre nel suo cuore soffriva terribilmente perché tutto quello, lui, non l’aveva mai avuto.
Forse mi ha persino invidiata per quelle memorie, ma non lo ha mai dato a vedere.
Sembrava felice di sapere che mi fosse stato concesso almeno quello, prima di perderlo.
E stavolta forse tocca a me, aiutarlo.
Tentare di fargli aprire gli occhi affinché possa costruire, seppur pochi e tardivi, dei ricordi con suo padre che possa custodire dentro di sé gelosamente, perché belli e importanti, non perché se ne vergogna o lo fanno star male.
 
Marco’s pov
 
È tarda sera.
Sono passate le 21, eppure io e Anna siamo ancora in caserma. Mi ha chiamato perché voleva parlare del caso, visti i dubbi che le aveva insinuato il maresciallo in giornata.
Finito l’aggiornamento, e dopo averle concesso quello che posso in quanto ad autorizzazioni, mi alzo facendo per andar via, quando la sua voce mi ferma.
“Marco... ti posso parlare un attimo?” mi chiede, esitante, un’espressione incerta sul viso.
“Certo.” accetto, sorpreso.
È una vita che non parliamo, ma non le negherei mai una richiesta del genere, anche se volesse raccontarmi soltanto di cos’ha mangiato a pranzo.
Ammetto di non sapere cosa aspettarmi, soprattutto non quando si siede sul divanetto nell’angolo.
“... è per tuo padre.” dice dopo qualche minuto, facendomi esasperare all’istante.
“Se ha fatto qualche casino con tua madre, giuro, stavolta gli spacco la faccia! Ma basta!” esclamo, al limite della sopportazione, ma ancora una volta lei cerca di calmarmi.
“No no no, non ha fatto nessun casino con mia mamma...”
Mi fa cenno di sedermi accanto a lei, mordendosi le labbra. Faccio come vuole.
“Che è? Che è successo?”
Mi rivolge uno sguardo strano, con un sorriso che sembra lottare per mettere su, come se stesse raccogliendo il coraggio di dirmi qualcosa.
“Anna, cos’è successo, ti prego...” presso, preoccupato.
Lei si decide dopo qualche istante. “Marco, tuo padre è stato operato per un tumore...” mi confessa con un filo di voce rotta.
“... cosa, scusa? Cosa?”
Sento crollarmi il mondo addosso un’altra volta. Lo odio per quello che ha fatto, per il male che ha arrecato a me e mia madre, ma è pur sempre mio padre.
Non mi chiedo nemmeno come faccia Anna a saperlo, troppo sconvolto dalla notizia che mi ha appena dato.
“... è venuto qua per dirtelo... e per cercare di recuperare un rapporto con te.” continua lei, spiegandomi quello che papà non è riuscito a dirmi l’altra sera, quando gli ho chiesto perché fosse venuto a Spoleto.
E per quanto io mi ostini a negarlo, per quanto io voglia tenerlo lontano da me, ché a distruggermi la vita ci ho pensato già da solo, non credo nemmeno io a quello che ho detto ad Anna qualche settimana fa. Aveva ragione lei, non è vero che preferirei non averlo.
E lei lo sa.
“Lo so che ti ha fatto tanto male... a te, a tua madre...” mormora, prendendomi inaspettatamente per mano. Io le stringo istintivamente le dita, come se lei fosse l’ancora che mi impedisce di affondare, un faro che mi aiuta a non perdere l’orientamento in questa tempesta improvvisa. “... però è il tuo papà, e io lo so che te ne pentirai, se non cercherai in qualche modo... di dargli una possibilità. O di perdonarlo...” mi dice, e per i minuti che seguono è come se tutto ciò che è successo negli ultimi mesi fosse scomparso.
Siamo di nuovo noi due, Anna e Marco, quelli che stanno bene solo quando sono insieme, che soffrono se l’altro soffre. Che si sono promessi di esserci sempre l’uno per l’altra. I nostri sguardi che si incontrano non fanno che confermare tutto questo, e la voce rotta di Anna che mi implora di non chiudere di nuovo la porta a mio padre ha un sapore amaro, ma allo stesso tempo le sue parole sono tremendamente dolci, perché in esse c’è l’amore che prova ancora per me.
Quello che tenta di cancellare e nascondere da mesi per non soffrire più per ciò che io le ho fatto e che non mi rende così diverso da mio padre.
Se avessi avuto dei dubbi sui suoi sentimenti, adesso non ne ho più.
Cerco di stemperare la tensione perché ne ho assolutamente bisogno, così butto fuori l’aria che non mi ero reso conto di trattenere, prima di rivolgerle un sorriso tirato.
“Fa effetto detto da te, che... non sei esattamente la campionessa europea del perdono...” le dico, e lei sorride, oltre che per confermare le mie parole, anche a voler intendere che sono sempre il solito.
Non mi stancherò mai di vedere quel sorriso.
Nella mia battuta, c’è implicitamente la speranza che anche lei segua il suo stesso consiglio, ma non stiamo parlando di noi, adesso.
Una cosa però devo dirgliela, perché ci ho sempre creduto, e sempre lo farò, ed è l’unica cosa che mi mantiene lucido in questi istanti di follia.
“Comunque io l’ho sempre detto... Tu sei la parte migliore di me.”
Le sue lacrime mal trattenute mi fanno capire ciò che a parole non riesce a dirmi, ma non importa.
Perché anche se io dovessi restare fuori dalla sua vita, esserne un semplice spettatore, questo assunto non cambierà mai. Se sono l’uomo che sono diventato oggi, è soltanto merito suo, e niente potrà mutare questa mia convinzione.
Anna sarà sempre la parte migliore di me, anche se non è più mia.
Farà sempre parte del mio essere.
 
Anche su sua spinta, anche se è tardi, vado in hotel, da mio padre.
Lui capisce immediatamente il motivo della mia visita, ma lascia che sia io a parlare.
“Perché non mi hai detto che... che eri malato?” gli chiedo, quando riesco a raccogliere abbastanza coraggio.
Non è mai stato facile intavolare una conversazione con lui senza che finisse in litigio, con me costretto a fare l’adulto e lui che sembrava un bambino.
E non è che io sia poi così maturo, o almeno non sempre.
Ma per quanto io faccia il bambinone in alcuni casi, per le cose importanti sono sempre stato anche fin troppo maturo, soprattutto quando si tratta di non ferire chi amo. Anche se ultimamente ho fallito anche in questo.
“Non volevo crearti altri casini. Ne ho combinati già abbastanza.” dice semplicemente lui.
“E da quando in qua per te è una priorità preoccuparti per gli altri?”
“Hai ragione, touché... So che ti ho fatto del male, a te e alla mamma... Ma la vuoi sapere la verità?”
“Oh, sì... per una volta mi piacerebbe sentire il suono che ha.”
Mi fa cenno di sedermi sul divano accanto a lui, e comincia a parlare.
Per una volta, senza filtri o mezze frasi.
“Quando mi hanno operato, poco prima dell’anestesia, ho avuto paura. Ma non del fatto che questa malattia mi stava portando via la vita, o quello che mi restava, no... quella non era la parte peggiore. La cosa peggiore era che mi stava rubando... te. Sì, la possibilità di stare vicino a te, cercare di essere un padre migliore... Ecco.”
Non ho detto una parola durante il suo discorso, limitandomi ad ascoltare. Seguendo il consiglio di Anna di permettergli di spiegare senza attaccare.
Ancora una volta, è per merito suo se ho tirato giù quel muro tra noi.
Aveva ragione.
Anna ha sempre ragione.
Perché è vero che ho sofferto a lungo per colpa di mio padre, ma avrei continuato a farlo se non mi fossi presentato qui, stasera.
Negandomi l’opportunità di provare a recuperare uno straccio di rapporto con lui prima che fosse troppo tardi.
“Papà, ti prometto che nessuno te la porterà via, questa possibilità.” riesco a dirgli, prima che lui mi avvolga in un abbraccio che non sentivo da anni.
È come se fossi tornato di nuovo bambino. Una sensazione bellissima, che non ricordavo più, ma che mi mancava terribilmente, solo ora mi rendo conto di quanto.
E quel pianto che segue non è affatto di debolezza, non ci rende meno uomini.
Anche se stessi piangendo, Anna... è normale, perché piangono anche gli uomini, e anche i carabinieri, e pure i pm. Tanto, te lo dico per esperienza.
Finalmente, dopo troppi anni, voglio provarci. Voglio creare nuovi ricordi con mio padre, che non dovrò più chiudere a chiave per paura che, emergendo, tornino a far male.
“Te lo ha detto lei, vero?” mi chiede papà, dopo un tempo interminabile.
Io riesco solo ad annuire.
“Avrei dovuto immaginarlo... Beh, io non so perché vi siate lasciati... il motivo vero, intendo, né voglio saperlo, ma... Non lasciartela scappare così. Insisti. Ti ama più di quanto non riesca a mostrare. Non saresti qui, se non fosse stato per lei.”
 
Anna’s pov
 
Sono a casa di Cecchini.
Il guinzaglio di Patatino si è rotto, e mi ricordo che io e Marco ne avevamo preso uno di riserva, che però dev’essere rimasto tra le sue cose.
Avevo bussato ma non c’era nessuno, benché sia sera, e una chiamata al maresciallo mi aveva garantito l’ingresso.
Dopotutto, lui a casa mia ci entra senza chiedere, figuriamoci.
Quindi eccomi qui, nella stanza degli ospiti che al momento occupa Marco.
Cerco di ignorare l’aria di temporaneità che mi danno i suoi vestiti appoggiati così alla rinfusa, come se fosse in procinto di andar via, e mi do da fare per capire dove accidenti potrebbe averlo messo.
“Va bene... vediamo vediamo vediamo se il tuo padrone ha un guinzaglio di scorta... da qualche parte...” mormoro tra me, aprendo cassetti a caso.
Patatino si lamenta alle mie spalle, così mi giro verso di lui.
“No, ehi, seduto!” lo redarguisco, puntandogli un dito contro. Lui fa immediatamente quello che gli ho chiesto. “Guarda che ti lascio qui a vivere con il tuo vecchio padrone!” lo avviso, al che lui fa un altro verso quasi a dirmi che non vuole. Mi fa venire da ridere, anche se è un cucciolone estremamente beneducato e che adoro alla follia.
Continuo a frugare senza successo, così apro un’anta dell’armadio, e per poco non mi si ferma il cuore.
Mi porto le mani alla bocca: c’è un abito bianco che conosco molto bene, appeso qui dentro...
“... è il mio vestito da sposa!” mormoro, sconvolta. Sfioro la stoffa, prima di allontanare le dita, come scottata. “Lo ha comprato lui!”
Mi sento invadere da un senso di panico.
Chiudo immediatamente l’anta dell’armadio, prima di precipitarmi fuori con Patatino senza più pensare al guinzaglio.
Come si reagisce, a una cosa così?
Sento quelle poche certezze ricostruite crollare come un castello di carte.
Le forze impiegate per odiarlo vane.
L’indirizzo, all’epoca, mi era sembrato strano, perché si trattava di un punto di ritiro, ma volevo disfarmi del vestito nel più breve tempo possibile e non ci avevo prestato attenzione più di tanto.
Ma mai e poi mai avrei immaginato che l’acquirente potesse essere lui.
Le mie mani tremano mentre opto per la fuga, come quel giorno in chiesa.
Quando esco da casa del maresciallo, incerta sul da farsi, ecco che Marco si materializza davanti a me.
Il panico aumenta.
Lui mi saluta con un sorriso.
“Ciao!”
“Ciao! ... stavo cercando un guinzaglio per Patatino ma non sono riuscita a trovarlo...” riesco solo a dirgli con un filo di voce. “... e ti lascio aperto...” aggiungo, indicando la porta.
Apro quella di casa mia per lasciar entrare Patatino per primo, con l’intento di barricarmi dentro il prima possibile, quando la voce fievole di Marco mi ferma.
“... ho parlato con papà, eh...”
Davanti alla sua affermazione, non riesco a far finta di niente, così torno a guardarlo.
“E...? Tutto bene?” chiedo, esitante. Spero di aver fatto la cosa giusta nel rivelargli della sua malattia.
“‘Tutto bene’ diciamo che è un parolone, però... un bell’inizio.” conferma però lui, con uno sguardo carico di commozione.
Sento il mio cuore riempirsi di gioia per lui. “Sono contenta...”
“Grazie...”
“E di che...” riesco solo a mormorare, perché davvero non c’è bisogno che mi ringrazi. Sapere che ci stanno riprovando, a ricostruire quel rapporto che Marco ha sempre negato ma in realtà bramava da tempo, è l’unica cosa che conta.
“È merito tuo, e...” mi spiega, prima di incatenare gli occhi ai miei. “Io te l’ho già detto, ma è vero. Tu sei la parte migliore di me.” sussurra. Io mi ritrovo a trattenere il fiato, perché al di là di tutto, sentirlo dirmi queste cose mi provoca sempre un garbuglio di emozioni che non so spiegare.
Ma se prima lo avrei esternato, stavolta non si può, anche se so che il mio sguardo mi ha già tradito.
Marco sembra però ridestarsi e rendersi conto che forse non era il caso.
“Però non dovrei dirti queste cose, scusami...” mormora, abbassando gli occhi a terra.
Io scrollo le spalle, come a dire che non è successo niente, prima di precipitarmi in casa, chiudendo la porta con un colpo secco.
Sono fuggita, ed è stato evidente.
Adesso eccomi qui, profondamente scossa, dopo un episodio surreale.
La testa appoggiata contro la porta, come quella sera dopo il nostro primo bacio.
Immagini di noi, ricordi, iniziano a scorrermi davanti agli occhi, come un film.
Un turbinio di sensazioni, attimi di emozione si fanno velocemente strada dentro di me, nello stomaco uno sciame di farfalle in volo. Nel petto, il cuore pronto ad esplodere, talmente batte forte.
E un sorriso che non ce la faccio a trattenere.
Senza pensarci due volte, getto le chiavi di lato, spalancando la porta.
Per trovarmi davanti Cecchini, venuto per parlare con mia madre, e io lo lascio entrare.
Mamma all’inizio non vuole saperne, ma lui la ferma, iniziando poi a parlare con un tono di voce che non gli sentivo usare da tempo.
“Io, quand’è morta mia moglie, ero arrabbiato con Dio, pensavo, ‘ma perché, perché proprio lei?’... Ho sofferto, ho sofferto tanto, poi col tempo è passato... grazie a te. E poi, grazie a quella cosa che mi ha detto Don Matteo, del contadino che coltiva le olive, ho capito che ho sbagliato. Sì, ho sbagliato a pensare che Dio fosse un ladro.” dice, col cuore in mano, con una dichiarazione a mia madre in perfetto stile Cecchini.
E io che ci faccio ancora qui, appoggiata alla cucina? Le mie emozioni di poco fa continuano a scorrere, frenetiche, in me.
Perché non sono ancora uscita da quella porta, bussato a quella di fronte per gettarmi tra le braccia di Marco?
Non posso più negarlo a me stessa.
Ne ho avuto la conferma prima, e l’avevo capito anche ieri sera in ufficio, quando ho stretto la sua mano dopo mesi.
Io sarò anche la parte migliore di Marco, ma lui merita di sapere che, nonostante tutto, lui è ancora la parte migliore di me.
E se avessi ancora il minimo dubbio, ecco che ancora una volta, le parole di un pazzo giungono in mio soccorso.
La peggiore cosa non è se qualcuno ti porta via l’amore... è quando ce l’ha accanto, vicino... e lo butta via. Io non lo voglio, buttare... Elisa, io ti amo, non voglio perderti. E voglio cambiare. Ti lascerò tutti i tuoi spazi, voglio migliorare, mi vestirò elegante tutti i giorni, col frac... e poi pulisco per terra, lavo, stiro, lavo le tende, e cucino...”
Mamma piange di gioia, esattamente come me nell’osservarli. “Tu ti fai servire a tavola, parli solo di calcio e sei anche geloso, ma sei l’unica persona al mondo che mi fa ridere... Ti amo anch’io, maresciallo.”
 
Cecchini ha ragione su tutto.
E lui e mia madre si stanno promettendo le stesse cose che ci siamo promessi io e Marco quella notte del Natale d’agosto di quasi tre anni fa.
Che l’amore è cambiare insieme, sbagliare insieme. Ma ogni volta che si cade, ci si rialza. E se si prova a farlo in due, è più facile.
Abbiamo sofferto entrambi, quella notte. Abbiamo reagito in maniera diversa. Abbiamo commesso errori entrambi. Ma non possono essere un incarico in Pakistan o un drink di troppo, preso per lenire il dolore, a compromettere il dono più bello che la vita potesse regalarci: farci incontrare, conoscerci, sostenerci, amarci.
Perché siamo uno il posto nel mondo dell’altra.
Sento le voci di mia madre e Cecchini arrivare attutite.
“Disdico il taxi...”
“Non dovevi andare a Roma con Eugi?”
“Ma io non ci sarei mai andata, con Eugi! Me ne stavo tornando a casa... ma ora la mia casa sei tu.”
Anche io e Marco siamo questo. L’uno la casa dell’altra.
Non voglio negarci la possibilità di essere di nuovo felici.
E se prima ero confusa dalla situazione con Sergio, gli eventi di questi ultimi giorni hanno spazzato via la nebbia che aveva offuscato la mia vita.
Adesso, il sole è tornato a splendere. Come il cuore di Marco, che ha aperto per me come io gli avevo aperto il mio, quando per la prima volta ci eravamo aiutati a vicenda a star meglio. Quando tutto era iniziato, con un bacio che non è mai stato un errore.
Non voglio sprecare un attimo in più.
Non c’è un’altra strada da percorrere, e in fondo non c’è mai stata.
Davanti a me un precipizio, il vuoto, e una decisione da prendere: saltare o non saltare.
E Don Matteo, qualche giorno fa, mi ha fatto capire che si tratta soltanto di avere fiducia.
La decisione viene da sé, anche se è quella che fa più paura.
 
Marco’s pov
 
Mi sono appena chiuso la porta alle spalle.
Si è alzata di colpo la temperatura, oppure sono solo io a sentire tutto questo caldo?
Ho appena intravisto in Anna la felicità per me. Quella vera.
Ed è stato come tornare a vedere dopo un periodo di cecità.
Una botta di vita.
Gli ultimi giorni, dopo mesi passati a soffrire, avevo visto qualche spiraglio di gioia, segnali seppur deboli di apertura nei miei confronti.
Quel muro tra noi si stava forse crepando?
Forse mi sto solo illudendo per l’ennesima volta, ma quando me ne sono accorto, non ho potuto far altro se non assestare una serie di colpi secchi contro di esso.
Dovevo provarci, in fondo non ho più niente da perdere, perché tutto ciò che più desideravo, che avevo, l’ho già perso.
Avevo visto davanti agli occhi l’immagine di Anna che partiva per andarsene a settemila chilometri da me. La cosa più bella che la vita mi aveva dato se ne voleva andare via e io non avevo modo di trattenerla.
Non potevo tarpare le ali di quella meravigliosa farfalla, perché meritava di volare, di vivere la sua vita, e io ero come una zavorra che l’avrebbe legata a terra e probabilmente resa infelice. Così l’avevo lasciata libera.
Non avrei mai immaginato che quella farfalla tornasse indietro, a dirmi che la sua felicità ero io. Non un ostacolo, ma un’ancora.
Ma avevo commesso la cazzata più grave, e avevo buttato tutto.
Che avessi continuato a mentire o meno, l’avrei persa comunque. E così è stato.
Ma poco fa, sul pianerottolo, avevo avuto come la sensazione di essere tornato a quella sera nel suo appartamento, quando ci eravamo scambiati quell’errore, come lo aveva definito lei. E di nuovo come quella volta, per paura di aver fatto un altro passo falso, le avevo chiesto scusa per quello che le avevo detto, e l’avevo lasciata andare.
Anch’io sono tornato dentro, chiudendomi la porta alle spalle, e ora sono appoggiato alla cassettiera accanto alla porta di casa Cecchini, il cuore che batte all’impazzata.
Sono scappato un’altra volta, come ho fatto altre volte, ma lo so che è inutile.
Per quanto io possa fuggire, torno sempre da lei.
Perché è lei il mio posto nel mondo.
Il silenzio, in questa stanza, fa incredibilmente rumore.
Come quello che segue spesso i momenti con Anna.
 
Qualcuno bussa improvvisamente, riportandomi alla realtà.
Non vorrei illudermi che sia lei, ma lo faccio. Senza nemmeno rifletterci.
Anche se dovessi schiantarmi un’altra volta contro un muro, l’ennesima fregatura. Ma meglio un’illusione che la resa, perché che sia lei o meno, quello che è successo poco fa sul pianerottolo non ha lasciato solo me senza fiato, lo so.
Così apro la porta, pronto a una delusione ma a testa alta.
Ma non faccio in tempo a registrare pienamente cosa accade.
Un abbraccio di slancio.
E quelle labbra che bramo da mesi sulle mie.
Se sto sognando, che nessuno osi svegliarmi.
 
Vorrei che questo bacio non avesse mai fine, anche se in questa sua dolcezza c’è anche il salato delle lacrime che scendono.
Non so bene quando abbiamo iniziato a piangere, ma non è importante.
Dietro Anna, nonostante la vista offuscata, intravedo sua madre e Cecchini che escono dal suo appartamento, sorridendo prima di andarsene. Anche Anna se n’è accorta.
Sono andati via in silenzio, senza dir niente per non interrompere il nostro momento, lasciando la porta aperta dietro di sé.
Non so nemmeno se siamo pienamente coscienti di cosa stiamo facendo, succede e basta.
Anna inizia a indietreggiare verso la nostra casa, trascinandomi con sé. Io la seguo senza opporre la minima resistenza né interrompere il nostro bacio, come se solo questo dovesse sopperire a tutti quelli mancati in questi mesi.
Forse, questa casa sarà davvero il nostro nido d’amore, stasera.
La porta si chiude dietro le nostre spalle.
 
È mattina presto.
Sono in cucina, appoggiato al tavolo intento a bere un bicchiere d’acqua.
Un fruscio poco distante cattura la mia attenzione.
Il mio sguardo sereno si posa su Anna, che mi raggiunge, vestita solo della mia camicia blu, con un sorriso incantevole sulle labbra.
Di sicuro, questa immagine è una delle mie preferite in assoluto.
Dopo quando accaduto nei mesi scorsi, non avrei mai pensato che sarei tornato a vederla.
E invece eccoci qui, davanti al piano della cucina, ma stavolta non c’è una caldaia da aggiustare, no. C’è un discorso inevitabile da affrontare, per riparare la cosa più importante di tutte: il nostro amore.
Cingo la vita di Anna con le braccia, le sue mani sul mio petto, occhi negli occhi.
Diciamo che stanotte ha contribuito parecchio a iniziare a ricucire le ferite, accelerando il processo di guarigione, ma anche le parole servono.
In realtà da ieri sera ad ora non ci siamo detti quasi nulla, abbiamo lasciato che fossero i nostri sguardi, i nostri gesti, i nostri corpi a parlare per noi.
Ma questo momento doveva arrivare, deve esserci.
Per adesso, io ho già detto tutto ciò che potevo, e mi aspetto che Anna mi spieghi cosa l’abbia spinta a reagire, a comportarsi in quel modo, dopo mesi passati a interrompere sul nascere ogni tentativo di comunicazione.
Come sempre, però, mi sorprende.
Una carezza sul mio volto.
“Ti amo.”
Due semplici parole sussurrate, ed è come se all’improvviso fosse scoppiata una bomba.
E il mondo, dal bianco e nero in cui si era ridotto, è tornato ad accendersi in un’esplosione di colori.
Merito della farfalla tra le mie braccia, che ha sbattuto le sue ali ed ha spazzato via la polvere.
Non si cancella ciò che è stato, resterà sempre una cicatrice sulla nostra pelle, sulla nostra storia.
A volte farà male, a volte no.
Segno di una battaglia combattuta e vinta.
Perché una storia d’amore come la nostra merita di essere vissuta.
 
Anna’s pov
 
Ho negato a me stessa per mesi le emozioni e i sentimenti che ho provato questa notte, il dolore troppo acuto per rendermi conto di quanto mi mancassero.
Ma quando Marco, ieri, sul pianerottolo, ha ribadito per l’ennesima volta come io fossi la parte migliore di lui nonostante la mia apparente incapacità di perdonarlo, ho sentito quel peso che attanagliava il mio cuore svanire.
Ho aperto gli occhi.
Ho capito che per quanto avessi cercato continuamente di scappare, non avevo fatto altro che tornare da lui.
Tutto mi riportava sempre a casa, tra le sue braccia.
Quel silenzio, in cui mi ero virtualmente isolata evitando di parlargli, che non era mai tale, faceva sempre troppo rumore.
E dopo mesi passati cercando di non ascoltarlo, mi sono arresa all’evidenza che di quel rumore che Marco faceva in me io non riesco più a fare a meno.
Così ho lasciato che il cuore prendesse il sopravvento.
Che fosse lui a controllare le mie emozioni. Tornando a fidarmi.
Ho scelto di farlo, quel salto nel vuoto.
E mi sono ritrovata ai piedi dell’arcobaleno.
Lui, il mio tesoro.
Quando stamattina ho aperto gli occhi, e la parte di letto accanto alla mia era calda come non lo era più stata da mesi, mi sono ritrovata a sorridere senza neanche rendermene conto.
Fuori, il letto disfatto dopo l’amore.
Dentro, una gioia impossibile da contenere.
Così ho recuperato la sua camicia blu dal pavimento, l’ho indossata e ho raggiunto l’uomo che aveva riportato il calore nella mia vita, accoccolandomi di nuovo tra le sue braccia, per poi confessargli ciò che non avrei mai dovuto provare a negare, nonostante il dolore.
Che lo amo.
 
Allontanare la carezza delle sue mani sulla mia pelle è l’ultima cosa che vorrei in questo momento, ma il lavoro chiama.
Mi rivesto in fretta e, seppur molto riluttante, saluto Marco e corro in caserma.
Finalmente giungiamo alla risoluzione del caso.
Per questo decido di dedicare il resto della mia giornata a ricostruire il rapporto che, questa notte, ho capito non essere stato vano e che mi mancava da morire.
Propongo a Marco di uscire, andare da qualche parte solo noi due, a riprenderci quegli attimi di paradiso che ci eravamo negati finora, e lui non esita un istante ad accettare.
Lui, come al solito, ci mette di più di me a prepararsi, ma lo amo anche per questo. Così gli dico di sbrigarsi, mentre io inizio a scendere per aspettarlo giù in strada, così magari si dà una mossa.
Sono appena uscita dal portone quando una voce richiama la mia attenzione.
“Ma non dovevi lavorare, oggi?”
Sergio.
Appoggiato alla sua moto, il casco in mano, fermo sulla stradina in salita.
Io mi soffermo a guardarlo, alla ricerca di una risposta da dargli, quando Marco esce finalmente a sua volta.
“Eccomi, amore!” esclama, arrivando al mio fianco.
La situazione sembra congelarsi per qualche istante, in cui anche Marco nota Sergio, che ha un’espressione interrogativa stampata in volto.
Avrei preferito poter affrontare il discorso con lui in tutt’altro scenario, ma di certo non potevo aspettarmi che me lo sarei ritrovata sotto casa a farmi la posta.
E gli devo comunque una spiegazione, anche se in fondo io non gli ho promesso nulla, anzi.
Mi rivolgo a Marco, sfiorandogli le dita.
“Potresti darmi un minuto?” gli chiedo in un sussurro.
Lo vedo esitare per un attimo, non convinto di volermi lasciare da sola con lui, ma non obbietta, allontanandosi di qualche metro. Ha capito che, qualunque sia la situazione tra noi, dobbiamo chiarirla adesso.
“Senti, io-” provo a spiegare, ma Sergio mi blocca subito.
“Non ce n’è bisogno. Hai ragione, non è vero che pensavo che quel bacio non significasse niente, e avevo sperato che anche per te fosse così. E la tua titubanza mi avevano indotto a credere che non mi fossi sbagliato, anche se avevi paura di non essere pronta a voltare pagina. In realtà, quella pagina non l’avevi mai girata. Direi che il tuo principe azzurro è stato molto eloquente, poco fa... L’unico che vuoi al tuo fianco, anche se si è sporcato l’armatura.”
Io abbasso lo sguardo.
“Ti devo comunque delle scuse... Non volevo illuderti.”
“Non l’hai fatto. Sono io che ho visto più di quel che c’era. Spero si renda conto di quanto è fortunato.” dice infine, accennando alle mie spalle, prima di rimettere il casco e andare via.
Ingoio il dispiacere che avverto comunque per lui, ma non si può imporre al cuore chi amare. Io ci ho provato, nei mesi scorsi, a metterlo a tacere, ma non ci sono riuscita.
Perché per quanto io abbia tentato a rinunciare a ciò che mi aveva ferita, non c’era stato modo di farlo davvero andar via.
Era sempre lì.
E lì continua ad essere. Ma non solo nel mio cuore, adesso. Non più.
Eccola, l’altra metà del mio cielo: il mio Marco, appoggiato a una moto che non va a 300 chilometri all’ora, ma che è più che sufficiente a proseguire quel viaggio la cui meta è ignota, ma non fa paura, se la si affronta insieme.
 
Ciao a tutti!
Ecco la versione alternativa del settimo episodio, forse il più bello di tutta la stagione, finora.
Questo è il finale che io e Martina ci siamo immaginate, quello perfetto, perché gli elementi per una favola stavolta c’erano davvero tutti.
Appunto importantissimo: ho sempre ribadito che queste storie sono il frutto di una collaborazione al 100% con la mia super partner in crime, così come spesso e volentieri mantengo intere parti del testo che lei mi invia dopo esserci scambiate le opinioni sulla puntata, aver raccolto insieme le idee e deciso il punto di cambio.
Stavolta in particolare, voglio che le sia riconosciuto - tra le altre cose - il merito della metafora della farfalla: io l’ho trovata una bellissima immagine, che è tutta sua e che ha rappresentato benissimo il modo in cui Marco vede la sua Anna.
In attesa di questo nono episodio, sperando che non sia terribile come l’ottavo.
A presto,
 
Mari
 

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Capitolo 8
*** Non dire falsa testimonianza ***


NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA
 
Anna’s pov
 
Certo che qui a Spoleto non si riesce proprio a star tranquilli.
Il caso che ci si è presentato davanti stavolta è tra i peggiori che abbiamo dovuto affrontare finora, perché come primo indiziato vede... Don Matteo.
Sotto accusa per aver aggredito una donna attualmente in coma, per metterla a tacere prima che potesse rivelare una verità a dir poco sconvolgente, ovvero di essere il padre di sua figlia. O almeno, questo è ciò che sostiene la ragazzina.
Quelle che fa contro di lui sono accuse pesantissime, ma Don Matteo sta rifiutando di difendersi, e io e Marco siamo costretti a dargli il fermo.
Cecchini è furioso, ma non c’è niente che possiamo fare, purtroppo.
Avrei voluto, ma il suo mutismo me l’ha impedito.
Non ho mai amato particolarmente Don Matteo, ma col tempo ci ho fatto più o meno l’abitudine a quella sua costante presenza in mezzo alle indagini, e il suo aiuto - anche se mai lo ammetterò ad alta voce - è spesso stato indispensabile.
Solo che se lui nasconde qualcosa, io ho le mani legate. Ma non ci credo, alla storia di quella ragazzina. Troppe incognite, e lei un po’ troppo prepotente, ma per il momento il fermo è da disporre.
Lo accompagniamo giù e Cecchini va via infastidito, nonostante io e Marco gli assicuriamo che siamo d’accordo sull’innocenza del parroco e che faremo il possibile per tirarlo fuori dai guai. Stiamo per tornare su quando noto Sergio avvicinarsi.
Mi sento invadere dal panico.
Non deve non deve non deve.
“Arrivo subito...” biascico a Marco, “...è per Ines, mi ha chiesto... un consiglio da... donna...” invento, affrettando il passo verso di lui, che per mia fortuna sta fermo oltre il muretto.
Appoggio la schiena contro la colonna, in un palese tentativo di nascondermi, e meno male, perché quando chiedo a Sergio che ci faccia qui, lui per tutta risposta mi bacia.
So che Marco ci sta osservando.
È una cosa strana, e forse sembro pazza, ma percepisco il suo sguardo su di me nonostante la pietra che ci separa.
Non che mi stupisca, dopotutto sono letteralmente corsa qui e adesso mi sto nascondendo, e se non è un comportamento sospetto questo...
Poi Marco non è proprio il fan numero uno di Sergio, e se ci aggiungiamo un minimo di gelosia da parte sua, abbiamo risolto l’enigma.
Non che sarebbe diverso, se io fossi nella sua posizione.
Ma poi, perché mi sto comportando così? Di che mi vergogno?
Con Sergio sto bene, no? Temo il giudizio di Marco? E perché mai dovrei, dopotutto siamo solo colleghi di lavoro, e non mi è mai importato del giudizio di nessuno, perché dovrei cominciare ora?
“Allora? Ci vediamo stasera?” chiede Sergio con un sorrisetto.
“... è un appuntamento?”
“Non so, sì, ho prenotato un posto carino in centro, se ti va...”
In centro non mi pare la scelta migliore, ecco. Siamo solo all’inizio di questa ‘relazione’, e... meglio di no.
“...no. Cioè, sì, usciamo insieme... ti porto io in un posto dove si mangia molto bene...”
No, Anna, non sei agitata. Per niente.
Sergio per mia fortuna accetta, poi va via lasciandomi un bacio sulla guancia.
Manteniamo un basso profilo per il momento, non voglio che il mondo lo sappia.
In particolar modo non deve saperlo l’uomo che ancora sta spiando da lontano. Perché è ancora lì, no?
Davvero, non capisco nemmeno io il perché di tutta questa mia paura che ci scoprano.
Non stiamo commettendo un reato... okay, stiamo infrangendo qualche regola, questo sì, ma non mi importa.
Forse.
Mi ricompongo meglio che posso, e per mia fortuna scopro che Marco è andato via.
Posso tornare al lavoro.
 
Marco’s pov
 
Don Matteo è stato portato via.
Non ho potuto fare niente per lui, e mi dispiace immensamente.
Anche per Cecchini...
Io ed Anna sappiamo che è innocente, e faremo di tutto per scagionarlo, il che è sorprendente, soprattutto per lei.
Voglio dire, non è che siano mai andati particolarmente d’accordo, e mi ricordo quanto lo detestasse all’inizio quando pensava che fosse colpa sua se don Giovanni l’avesse lasciata per il seminario.
Ma qualcosa era cambiato, quella volta in cui si erano trovati insieme rinchiusi in quel furgone. Era diventata più tollerante con lui, in tutti i sensi.
Stiamo per rientrare in caserma quando noto Coso, cioè... Sergio arrivare e salutare Anna.
Lei mi spiega una strana storia relativa a Ines prima di raggiungerlo.
Peccato però che si sia appoggiata alla colonna e non vedo nulla, e sono troppo lontani per riuscire a sentire cosa si dicono.
Ma la scena non mi piace comunque, quel tipo è un po’ troppo all’interno dello spazio vitale di Anna per i miei gusti.
Quando finalmente Coso se ne va, mi fa un cenno. Ah, saluta pure! Brutto segno.
Mi affretto a rientrare in caserma prima che Anna possa accorgersi che la stavo spiando, con una pesante sensazione di gelosia in fondo allo stomaco. E rabbia.
Perché se sta succedendo tutto questo, è solo colpa mia.
E anche se Anna sta cercando di nasconderlo, una vaga sensazione di cosa stia succedendo ce l’ho.
Spero solo di sbagliarmi.
 
Nel pomeriggio, Cecchini torna in caserma dopo aver parlato con Don Matteo, ma la sua posizione si aggrava solamente.
A un certo punto, il cellulare di Anna squilla. Lei dà solo un’occhiata prima di rivolgere lo schermo verso la scrivania, senza rispondere.
Non ci vuole molto a capire chi sia a chiamare, non sono scemo, e lei che si schiarisce la voce di certo non aiuta. Lo fa ogni volta che è nervosa o in imbarazzo.
“Che fai, non rispondi?” non riesco a trattenermi dal domandarle.
Male, Marco, lo sai che se la prende come una sfida, tu perdi.
“Sì, in effetti devo rispondere, è una questione familiare.” replica lei, cercando di suonare convincente. Il maresciallo sparisce in un secondo.
“È la stessa questione familiare di stamattina, immagino...” commento, ironico.
“Sì... devo proprio rispondere,” pressa Anna, cercando di mandami via senza dirlo apertamente.
Io cerco inutilmente di prendere tempo.
“Sì... mi fai sapere quando poi sapete l’identità del numero?”
“Sì...”
Preferisco non spingermi oltre. So che lei ha capito che io ho intuito, ma a insistere, avrei solo da perderci ulteriormente. Non che ora possieda chissà quanto.
Vado via, amareggiato.
 
Anna’s pov
 
Marco va via, e rispondo nervosamente alla chiamata di Sergio.
Quando chiudo, rilascio un respiro che non mi ero resa conto di stare trattenendo.
Perché sto vivendo questa situazione con quest’ansia? Di cosa mi vergogno?
Queste domande mi tormentano da un po’ di giorni, a dire il vero.
Da quella domenica sotto casa mia, da quel bacio e la ‘dichiarazione’ di Sergio.
Ho lasciato il comando all’istinto per la prima volta dopo anni. Mi sono lasciata andare, trasportata forse dall’incertezza del momento, le redini in mano a lui.
Forse è di questo che ho bisogno, adesso.
Di vivere l’amore con leggerezza, come fa Chiara, senza preoccuparmi delle conseguenze. Forse, così farà meno male.
Finora ci ho messo tutta me stessa nelle storie che ho avuto, perché io, quando amo, amo fino in fondo, e in entrambi i casi è finita male.
Forse è davvero colpa mia, per il mio modo di essere.
Forse tutte le belle parole di Marco sul fatto che Giovanni si sarebbe fatto prete anche se io fossi stata Belen Rodriguez erano, appunto, parole e niente più. Se è bastata una bugia, detta per paura perché indicava il voler mettere la carriera di fronte all’amore, a spingere l’uomo che avrei dovuto sposare tra le braccia di un’altra.
Magari il punto è che dovrei essere diversa dal carabiniere che sono.
E allora aveva ragione mia madre, a dire che gli uomini scappano di fronte alla mia divisa?
Però... un ex galeotto non sta scappando.
Forse è questa la chiave: lasciarsi andare, pure ad una relazione strana per i miei standard e sbagliata per lo status quo.
Quanti forse... troppi, per una come me, abituata a fondare la mia vita su certezze e logica.
Ma sto provando a rialzarmi, dopo mesi passati in ginocchio, e forse l’unico modo è stravolgere la mia vita. Anche per una seria e ligia al dovere come lo sono io.
Ma essere una Anna completamente diversa è davvero la risposta?
 
Con Sergio sono rimasta d’accordo di vederci direttamente sul posto alle 21, per farmi vedere il meno possibile.
Lo so che Sergio lo avrà già capito da sé, anche se non lo ammetterò mai.
Sta giusto ora ironizzando proprio sulla scelta del locale... discutibile, è vero, ma c’è poco da difendere, dopotutto io non ho mai detto di volere un’uscita romantica. Oltre al fatto che ho già messo in chiaro di non esser un tipo, ma io. E io non prediligo smancerie o banalità o luoghi comuni.
Principessa? No, Zorro.
Bambole? No, chiavi inglesi e un maggiolino da rimettere in sesto.
Se il mio intento, però, era di non farmi vedere insieme a Sergio... ta-daaan.
Ecco arrivata la mia persecuzione personale: Sara Santonastasi, appena entrata da quella dannata porta, in tutta la sua gloriosa figura.
E vuoi mica che non si accorga di me in mezzo a tutta questa gente?
No, certo, infatti sta venendo proprio qui.
Prega, Anna, e inizia a contare.
E vuoi pure che io non debba sedare il mio improvviso istinto omicida quando Sergio mi prende per mano, cosa che lei nota immediatamente (perché da brava PM, i dettagli sono il suo pane quotidiano)?
“Non sapevo che voi foste...” commenta, al che io tento di sviare il discorso, ma grazie, Sergio, per aver puntualizzato che stiamo insieme e che è il nostro primo appuntamento!
Parti male, Sergio. Prima mi assecondi con mia cugina, e ora che mi serve il tuo sostegno non mi appoggi? Eddai, su, le basi! Si vede che non esci con una donna da un bel po’.
La mia risata è palesemente di imbarazzo.
La PM se ne va, mentre la maledico per l’ennesima volta.
Perfetto, ora miss-sempre-attaccata-a-Marco glielo va a dire sicuro, ci metterei la mano sul fuoco.
Come rovinare la vita ad Anna, un tutorial by Sara Santonastasi.
L’ “appuntamento” prosegue più o meno normalmente, ma mi sento distrutta e torno immediatamente a casa una volta terminata la cena.
Bene, che meravigliosa serata.
Il destino mi vuole male, perché proprio lì doveva venire quella!
Ora Marco lo scoprirà, e già me lo sento, il suo discorso. Visto che lo ha già iniziato quella mattina in piazza, quando aveva scoperto che al matrimonio di Elisabetta ci sarei andata con Sergio.
Era geloso marcio, ma non ha alcun diritto di esserlo.
È lui che ha gettato via tutto, non io. E quello che adesso sta succedendo è conseguenza delle sue azioni sconsiderate, è solo colpa sua, e comunque della mia vita non deve più importargli, non è affar suo.
Sono adulta, vaccinata e comando un’intera caserma di uomini.
Ecco, forse questo punto sarebbe meglio sorvolarlo, se ti trovi a litigare con Marco.
 
La mattina, scopro con estrema delusione che nessuno sembra ricordarsi del mio imminente compleanno.
Cos’è, nemmeno un briciolo di gioia mi merito più?
Comunque, continuiamo le indagini, con Sara e Marco che giungono in caserma a seguito di alcuni fatti emersi in merito al caso.
Io cerco di stare in ufficio con lei il meno possibile, cercando una via di fuga.
Mentre sto per andare via con Cecchini, Sara mi richiama.
“Ah, sabato c’è la festa del comune. Tu vieni... con Sergio?” chiede, anche se sembra più un’affermazione.
Quando imparerai a farti gli affari tuoi, soprattutto se diversamente riguardano me, non sarà mai troppo tardi.
 
Marco’s pov
 
Anna è strana con Sara, quest’oggi.
Cioè, più del solito, voglio dire. Sembra non vedere l’ora di andar via.
Alla domanda - devo dire anch’essa strana - della PM sulla festa al comune, Anna risponde con un “No, non credo,” che mi lascia basito.
Resto da solo con Sara.
La sua presenza non mi agita più.
Non direi che siamo amici, affatto, ma che riusciamo a mantenere dei rapporti civili per il lavoro sì.
Credo.
Perché se sto cercando in tutti i modi di odiarla meno, quello che mi dice mi fa crollare il mondo addosso un’altra volta.
“Stanno insieme!”, commenta quando Anna si precipita fuori, come se non riuscisse a capire il perché della sua risposta negativa.
“No... no, no, non credo che-”
“Ma come no, me l’hanno detto!” afferma interrompendomi, spiegandomi che li ha proprio visti insieme, in un posto un po’ fuori mano, perché magari volevano un po’ di privacy.
Tutte le mie paure di ieri mattina si materializzano in quelle poche parole.
Anna sta con Sergio.
Come se non bastasse, Sara mi propone di andare con lei alla festa al comune, come amici.
Non so nemmeno perché accetto, anche se sto cercando in tutti i modi di tenere a freno la lingua, perché la gelosia mi sta già uccidendo. Ha risvegliato prepotentemente la mia parte irrazionale, che ero riuscito a mettere a tacere giusto qualche giorno fa.
 
Le cose sembravano essere migliorate, con Anna, dopo gli eventi legati a mio padre e il suo aiuto. Cos’è successo nel frattempo?
Voglio dire, avevo visto una luce diversa negli occhi di Anna, sul pianerottolo.
Mi sono davvero sbagliato?
Forse è veramente tutto finito tra noi. Forse ci speravo solo io.
Ho sbattuto un’altra volta contro il muro che lei ha eretto, facendomi di nuovo più male del previsto. Ormai sembra essere fin troppo resistente ai miei tentativi di far breccia.
Game over, Marco.
Dal punto di vista sentimentale, forse, perché c’è un’altra cosa che non capisco, di cui non mi capacito affatto.
Anna sa benissimo cosa comporta, per lei, intraprendere questa relazione.
È vietata, non può frequentare un delinquente, ex o meno che sia.
E se i suoi superiori lo vengono a sapere, è la fine della sua carriera.
Sta davvero rinunciando a ciò che ha costruito con coraggio in un mondo maschilista come quello dell’Arma per uno come Sergio?
Che fine ha fatto quella donna intraprendente e fiera, che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e combatte per la giustizia, che stava perfino accettando un lavoro di Caposcorta in Pakistan perché è un’occasione che capita una sola volta nella vita, rinunciando di fatto al nostro amore per la carriera?
Dov’è finita Anna?
Perché quella che sta compiendo queste azioni senza senso non è la donna che ho conosciuto tre anni fa in piazza.
Non posso, non voglio crederci.
Non può essere.
 
Le indagini proseguono.
Finalmente siamo riusciti a rilasciare Don Matteo, innocente, e che soprattutto non è il padre della ragazzina, come avevamo pensato.
Mentre siamo ancora in caserma, decido di affrontare la questione con Anna, perché se rimando ancora, rischio di perdere quel minimo di lucidità che ancora posseggo.
La raggiungo in ufficio.
“Ho saputo che ti vedi con Sergio,” vado dritto al punto.
Lei salta immediatamente sulla difensiva.
“Vedo che Sara non ha perso tempo,” commenta, ironicamente.
Ma il problema, in questo momento, non è Sara.
“Anna, è un carcerato,” le faccio notare.
“Ex carcerato. Ed era innocente.”
“E tu sei un carabiniere, e l’Arma ha le sue regole, lo sai, no? Se questa storia adesso viene fuori e lo sanno tutti, che cosa f-”
“Scusa, a te che te ne importa, eh?” mi blocca, alzando subito i toni, nonostante io non stia cercando di litigare, tutt’altro. Non sto parlando per gelosia, anche se c’è, ma da amico. Lo stesso che quando aveva bisogno di ragionare, di un punto fermo, c’era.
Ha sempre lottato, Anna, per arrivare dov’è, e non voglio che butti via tutto e si possa poi pentire delle scelte che ha fatto.
Per colpa mia ha perso il lavoro dei suoi sogni, e non voglio che commetta un altro errore sempre per causa mia.
Perché so che quello che sta facendo in questo momento è frutto della mia cazzata, e se il suo comportamento dovesse avere le conseguenze sbagliate, io non me lo perdonerei mai.
“Io ci sto bene, con Sergio.”
“Come mai ti nascondi, allora?”
Lei sembra a corto di parole per qualche istante, ma quando fa per rispondermi Zappavigna e Cecchini entrano nel suo ufficio, chiudendo per il momento la discussione.
So di aver toccato una corda in lei, come lei ha fatto con me. Ma io sto cercando di aiutarla, da spettatore esterno quale sono e sembro dover restare, mentre lei mi ha scagliato una pugnalata a cuore aperto, in quel cuore già straziato dalle lesioni che io stesso mi sono provocato.
Come può pensarlo davvero, come può chiedermi cosa me ne importi?
Certo che mi importa, di lei.
È la cosa più importante di tutte, la parte migliore di me, la donna che amo.
Che ho ferito e perso. Ma che non smetterò mai di proteggere, neanche se lei cercherà di impedirmelo.
Perché si merita di essere felice, sia nel privato che sul lavoro, e io non potrò mai fare finta di nulla.
Perché se quel giorno, quello in cui smetterà di importarmi, dovesse mai arrivare... beh, corrisponderebbe col giorno in cui lascerò questo mondo, e forse non basterà nemmeno.
 
Anna’s pov
 
Sono a casa, a ripensare alla discussione avuta con Marco in caserma.
Forse ho esagerato con le parole, ma non dovrebbe comunque ficcare il naso in cose che non lo riguardano.
Sì, brava Anna, e allora perché tu ti sei impicciata nella sua storia con suo padre?
Scuoto la testa. Non è la stessa cosa.
Le voci contrastanti continuano a rincorrersi nella mia mente, e vorrei tanto metterle a tacere.
Con Sergio sto bene. Marco è un capitolo chiuso. Anzi, un libro in cui ho già messo la parola fine e riposto su uno scaffale in soffitta, nel buio più totale.
Ce l’ha sbattuto lì lui stesso, tradendomi.
Ne sei proprio sicura?
Qualsiasi tentativo di ribattere alla mia stessa mente è interrotto dal campanello.
Sergio.
“Ciao! Che ci fai qui?”
“Eh, così, una sorpresa!”
Una bella sorpresa.
Sono seria!
Lo invito dentro in fretta. Un po’ troppa.
Come se non bastasse, gli chiedo di abbassare la voce, al che lui scocca un’occhiata sospettosa alla porta dell’appartamento di fronte al mio.
Non vuoi che Marco senta, e meno male che con Sergio ci stai bene.
Questa dannata vocina non vuole saperne, di chiudere il becco.
“Tu ti nascondi quando mi baci, poi mi porti a mangiare in una trattoria sperduta, adesso non vuoi che mi vedano... Se ti vergogni a stare con me...” dice lui, in tono pacato ma eloquente. “Mi dispiace, ecco...”
Fa per andar via, mettendo su un broncio tanto, troppo simile a quello di qualcun altro.
Sicura che quel libro l’hai chiuso, vero, Anna?
Cancellato, rispondo col tono più definitivo che mi riesce, per poi fermare Sergio.
“Che fai, sabato sera?” chiedo, tentativamente.
“Perché?”
“Mi accompagni alla festa del comune?” gli chiedo, e lui mi risponde con un sorriso.
Capisco che ha accettato, e che conosce le implicazioni di questo gesto.
“Ti avverto, sarà noiosissima.”
“Ti avverto, non ho uno smoking.”
Beviamo il solito chinotto insieme, poi lui va via, lasciandomi di nuovo sola con quelle dannate voci in testa.
Una mi dà ragione, dicendomi che ho fatto bene a invitare Sergio perché è giusto darci una possibilità.
L’altra invece, più forte, mi schernisce affermando che sto facendo tutto per ripicca, perché pochi giorni fa stavo finalmente per dare una chance all’uomo che ho scoperto conservare nell’armadio l’abito da sposa in cui mi aveva detto fossi bellissima.
Una volta sul divano, inizio a riflettere sulle cose che so di Sergio.
In realtà sono veramente poche. Qualche sciocchezza in comune, la sua fedina penale, e poi?
Niente.
Com’è passato, dall’essere un estraneo a diventare il mio fidanzato?
In così poco tempo e in mezzo allo scenario di guerra che ha lasciato quella bomba esplosa nel giorno più bello della mia vita?
Stiamo correndo troppo? Come su quella moto che va a 300 km/h, per sfuggire a ciò che sento veramente dentro?
Sto facendo davvero tutto per vendetta?
E se quel giorno, aprendo la porta, non avessi trovato Sara intenta a salutare Marco, adesso sarei qui, da sola, a macinarmi il cervello con troppi se e zero riposte?
Ma non mi importa, io la mia scelta l’ho fatta: una nuova Anna per una nuova vita.
È bello cambiare, no?
È bellissimo, cambiare... insieme.
 
In caserma, ogni giorno ci sono novità.
Sono in ufficio con Sara, Marco e Cecchini per fare il punto della situazione.
Non capisco perché lei ultimamente sia sempre qui, anche se un’idea ce l’ho.
Ma non dovrebbe importarti, vero Anna? Tu stai con Sergio, ci stai bene con lui, l’hai detto tu.
Zappavigna entra in ufficio proprio in questo momento per raccogliere le presenze per la festa al comune, e io confermo che ci andrò con Sergio.
L’atmosfera si fa immediatamente tesa come una corda di violino.
Sara e Zappavigna se la svignano in un secondo, lasciandomi da sola con Marco.
“Beh, hai coraggio, sei coraggiosa... questo tanto tanto.” commenta lui. “Davvero. Tu sai che alla festa ci sono tutti, vero?”
“Sì... e allora?” gli chiedo, fingendomi incurante.
‘Fingendoti’?
“Tu vieni alla festa con Sergio, e la tua carriera è finita.” afferma, ma io non ci sto.
“E da quando ti interessa la mia carriera?” colpisco, diretta, precisa, al punto. “No, dimmelo, da quando? Eh?”
Se è una sfida, dovrebbe saperlo che ha già perso prima di cominciare.
“Perché non hai il diritto di essere geloso.”
Sì, lo sto facendo di proposito, e so che le mie parole stanno avendo esattamente l’impatto che voglio, su di lui, glielo leggo negli occhi.
“Non sono geloso... stammi a sentire,” continua, ma io non gli do ascolto continuando a sistemare il fascicolo che ho sottomano.
“Anna, guardami,” insiste, così alzo lo sguardo. “Tu vuoi buttar via tutta la tua vita per uno così?”
A questa sua domanda non ci vedo più.
“Per uno così? Uno così? Ti senti quando parli? Una persona che ha fatto sei anni di galera per difendere sua sorella!”
“Poi ti faccio l’elenco, se vuoi, di tutto quello che ha fatto prima-”
“Prima! Prima, appunto! Sta cercando di diventare una persona migliore! E io mi fido di lui! Davvero.” affermo, e non mi importa se gli sto facendo male, perché si merita di soffrire.
Lui mi ha inferto un colpo dritto al cuore senza nemmeno rifletterci, anche peggio perché non voleva.
Il minimo che può fare è lasciarmi in pace.
So che sono stata crudele, non sembro nemmeno io.
Ma non mi importa.
Perché la vecchia Anna se n’è andata.
Fuggita da quella chiesa in abito da sposa e con il cuore straziato dall’uomo che aveva giurato di non ferirmi mai.
 
Marco’s pov
 
Sto cercando di nuovo di far ragionare Anna, se non con la calma, con una sfida, e ho appena perso.
Perché in questa lotta di parole e sguardi, in cui ci fronteggiamo come in un film western, la mia pistola è completamente scarica.
Quella di Anna invece ha ancora tutti i suoi colpi in canna, e li sta scaricando su di me una dopo l’altra, senza arrestarsi un attimo e con una forza e una precisione inaudite.
Come quel giorno al poligono contro quella sagoma a cui mancava solo il collettino bianco e sarebbe stata perfetta.
E lei è arrabbiata, delusa, sofferente, proprio come lo era allora. E come allora, colpisce. Fredda, con una precisione millimetrica, perché ha tutti i mezzi per poterlo fare.
La differenza sta nel fatto che, al contrario di quel giorno, non posso esserci io a consolarla, perché sono io la causa del suo dolore.
E sentirmi dire che non ho più il diritto di essere geloso è la cosa che fa meno male, tra tutte.
Soprattutto perché so che la mia Anna, quella che ho ferito rivelandole la verità in sagrestia, non avrebbe mai nemmeno pensato quelle cose.
Non mi avrebbe mai accusato di non sostenerla nel suo lavoro, perché sa benissimo che mi è sempre importato.
Lo sapeva anche quella sera che ho risposto al suo telefono e ho scoperto che per due mesi mi aveva nascosto del lavoro in Pakistan.
Anche se me n’ero andato via furioso, perché forse se me l’avesse detto prima, avremmo trovato una soluzione diversa.
Anche io ero stato ferito da una verità nascosta, ma dopo che ci avevo riflettuto, dopo aver cercato di essere quell’uomo migliore come lei mi aveva insegnato a diventare, avevo accettato di parlarne.
Ma quella ferita ancora sanguinante, bruciava troppo. E l’amore per lei era troppo grande per lasciare le cose sospese a metà, per vincolarla.
Mi ero fatto da parte, perché lei inseguisse quel lavoro che aveva già deciso in autonomia di voler accettare.
Glielo avevo dimostrato proprio in quel frangente, di quanto mi importasse, della sua vita e della sua carriera.
Ma la Anna che mi sta di fronte in questo momento sembra non ricordarsi affatto di tutte quelle volte in cui io l’ho sostenuta e difesa per il suo coraggio nell’indossare quella divisa da Capitano.
So anche che è colpa mia, di ciò che le ho fatto quella notte, ma questa Anna è un’estranea perfino per me che la conosco meglio di chiunque altro.
E non voglio credere che sia davvero frutto della recente relazione che ha intrapreso con Sergio, perché vorrebbe dire che tutti quei discorsi sul cambiare insieme, perché si vuole e non perché si è influenzati o costretti da altri, sono stati solo parole al vento.
Non ci voglio credere, che tutto ciò che ci siamo detti in questi tre anni siano state solo bugie.
Anna, non ci siam mai detti delle balle, non cominciamo ora.
 
Se le indagini proseguono nella direzione giusta, con la donna in coma che si è svegliata, anche la vita va avanti.
Con Anna, è tornato tutto come i giorni successivi al nostro matrimonio saltato, poche parole e tutte legate al lavoro.
L’unico colore in queste giornate è quello scricciolo di cui sono tutore legale e a cui ho promesso il mio aiuto per un cartellone legato alla produzione di energia.
Ines mi sta proprio raccontato della gita, che a quanto pare ha fatto con Sergio, mentre la aiuto a incollare le foto.
Pensavo ci fosse andata con la scuola.
Niente da fare, entrambe le mie donne hanno a che fare con lui.
Certo, con la più piccola non posso evitarlo, ma speravo di riuscirci con la più grande, tenerla lontana da lui.
Ascolto la piccola Ines tentando di mettere su il mio miglior sorriso per lei, che non deve sapere che le sue parole sono ulteriori ferite che si aggiungono al mio animo martoriato, e il bacio sulla guancia che lei mi dà serve solo a rievocare bei ricordi, tutti legati ad Anna.
A casa Cecchini, con Cosimo, quando abbiamo provato ‘Tu scendi dalle stelle’.
O il gelato al cioccolato con le nocciole tritate sopra, in ufficio.
I miei pensieri cupi, legati al suo desidero di tornare a quella centrale tutti e tre, io, lei ed Anna, sono interrotti da una strana domanda della bimba.
“Tu lo sai che cos’è un tesamento?”
“Un tesamento? No, c-un testamento, vuoi dire?”
“Sì, quello, bravo!” si complimenta lei, continuando a colorare.
Mi fa sempre ridere con queste sue risposte.
“Grazie! Ma non sei un po’ piccola per fare testamento? Perché lo vuoi sapere?” Le chiedo, incerto.
“Ho promesso a papà di non dirlo a nessuno,” mi spiega, e questa cosa mi inquieta ancora di più. “Ma se non so cosa devo dire, come faccio a mantenere il segreto?”
“Ma scusami, che cosa hai promesso di non dire esattamente?”
“Se te lo dico non è più un segreto,” mi dice giustamente Ines, al che cambio tattica.
“Ho capito, però io sono un avvocato, lo puoi dire a me, no?”
“E va bene!” cede. “Stavamo nello studio di Don Matteo, e papà ha preso un foglio con su scritto tesamento.”
 
Aspetto che termini il cartellone e torni nella sua cameretta prima di cercare di capire meglio che sta succedendo.
Trovo la carpetta in cui avrebbe dovuto trovarsi quel foglio, solo per scoprire che è vuota.
Mi raggiunge Cecchini, vestito da... da prete?! Qualcosa mi dice che io in questa storia non ci voglio entrare, almeno per una volta, così gli spiego cosa ci faccio io qui.
“Io devo parlare con Anna... di Sergio. Perché loro stanno insieme, adesso-”
“La Capitana con l’ex delinquente?” commenta lui, scioccato.
“Ex lo può anche levare,” preciso, funereo. “Perché Sergio ha rubato il testamento della mamma di Ines, e poi ha detto a Ines di non dire assolutamente niente a nessuno.”
Anche lui concorda con me che Sergio ha in mente qualcosa di losco, per sfruttare la bimba e fregare i beni della famiglia, e che è urgente che Anna lo sappia.
 
Anna’s pov
 
Dopo che abbiamo interrogato la figlia della donna aggredita, arriva Sergio.
Io ho il cuore in gola.
Non ci posso credere, mi rifiuto di crederci.
Marco mi ha detto del testamento di Irene, che lui ha rubato.
Possibile che io sia stata davvero così cieca? Che mi sia lasciata usare senza accorgermene?
Stavo mettendo la mia carriera a repentaglio per cosa? Per uno che vuole approfittare di sua figlia per soldi?
Lui inizialmente scherza sull’aver passato col rosso, prima di chiedermi perché io lo abbia chiamato.
“So del testamento,” dico soltanto. “quello della mamma di Ines. Perché l’hai preso?”
Lui mi rivolge uno sguardo strano, prima di posare gli occhi su Marco e tornare a me.
“Tu che dici?” mi domanda.
“Non so... vuoi appropriarti dell’eredità.” mormoro, sentendomi una stupida per essermi fatta fregare così. “Ti sai occupando di Ines per questo.”
“È questo che pensi?” domanda, prima di mettere una mano in tasca, tirandone fuori una scatolina stretta e lunga.
“Dunque, il testamento è tornato a posto, dentro c’erano le istruzioni per trovare questo qui. Stava in una cassetta di sicurezza: è un braccialetto, vale pochi euro, però valeva moltissimo per la mamma di Ines e ci teneva tanto che lo avesse sua figlia.” mi spiega.
Mi sento anche peggio, perché mi piomba addosso la realtà: ho creduto un’altra volta all’uomo che per primo ha tradito la mia fiducia, facendomi mettere in discussione quella per una persona che, al di là della sua fedina penale che tanto piace sottolineare a Marco, è l’unica che non mi ha mentito.
“Anna, non sono io il problema.” termina Sergio, prima di andarsene.
Ha fatto la vittima, certo, ma perché lo è.
Stava facendo una cosa bella per sua figlia, e noi lo abbiamo accusato di essere un ladro.
E il sottotesto nelle sue parole era evidente: se non mi fido di lui, è meglio chiuderla qui.
Sento le lacrime salire prepotenti.
Per la vergogna e la rabbia che mi divorano perché sto lasciando che tutti offuschino il mio giudizio.
Non mi trattengo dal far notare come Marco e Cecchini abbiano rovinato tutto, seguendo Sergio giù nel tentativo di parlargli, ma lo vedo, da lontano, consegnare il braccialetto a Ines, che lo abbraccia forte, e mi sento peggio.
Avevo ripromesso a me stessa di aver chiuso con il capitolo Marco, e invece lascio sempre che lui lo riapra.
Ma adesso basta, questa storia deve finire, una volta per tutte.
Quel salto nel vuoto lo devo fare, non posso continuare ad azzardare a mettere fuori un piede e tirarmi indietro.
Sì, ma se vuoi fidarti di Sergio, perché non lo fai anche con Marco? In fondo è quello che stai continuando a far succedere, istintivamente.
La vocina torna a farsi sentire, ma io non voglio più ascoltarla.
 
Torno su, e osservo il cellulare che tengo in mano, appoggiata alla scrivania.
Non so se chiamare Sergio o meno.
Mi perdonerà?
Io mi perdonerei, dopo aver dimostrato di non fidarmi affatto di lui?
Disposta a credere a tutto ciò che gli altri pensano, che chi sbaglia continuerà a farlo per sempre, al primo errore commesso?
Bella domanda, perché io mi sto comportando esattamente così con qualcuno.
Ah, bene, Anna... ma non era chiuso, il capitolo?
I miei pensieri vengono interrotti dall’arrivo di Cecchini, che torna a ripetermi il discorso che mi ha già fatto Marco. Ma non lo voglio ascoltare, ne ho abbastanza di sentirmi dire che sto rischiando la carriera per un carcerato. Quando lo capiranno, che non me ne importa niente?
Che non è affar loro?
Tutti preoccupati per me e la mia carriera, adesso.
Adesso... lo sono sempre stati, e lo sai.
Basta! BASTA!
Non voglio più ascoltare la mia testa. Mi ha sempre portato solo guai. Problemi e ragionamenti e ripercussioni che finiscono solo per farmi male.
Non ne posso più.
Voglio seguire il cuore, per quanto irrazionale e confuso sia.
Voglio ragionare di pancia, dare sfogo all’istinto.
Voglio sentirmi libera, come quel giorno in pista con Sergio.
Voglio volare, librarmi nel cielo come un’aquila, senza rischiare costantemente di affogare in questo mare in tempesta che mi circonda, come un uccellino dalle ali sporche di catrame.
 
Marco’s pov
 
Finalmente abbiamo risolto il caso.
Anna fa per andar via dal mio ufficio, perché ormai so che non ha nessuna intenzione di rimanere più del necessario da sola con me, ma io la fermo prima che possa uscire.
“Anna, perdonami un attimo... vieni stasera al ballo al comune?” le chiedo.
Lei mi rivolge uno sguardo di ghiaccio.
“Se mi stai chiedendo se ci vengo da sola, la risposta è sì... grazie a te.”
Va via, lasciandomi fermo lì a maledirmi per l’ennesima volta.
A chiedermi che fine abbia fatto Anna, la mia Anna, quella che io conosco.
Ma se questa nuova Anna con Sergio è felice, allora c’è un’unica cosa che mi resta da fare.
Provare ad aggiustare le cose tra loro, e farmi da parte.
Però, anche se fa un male... è giusto che l’ostacolo se ne vada.
Decido di andare al motodromo in cui lavora Sergio per tentare di parlargli.
Durante il tragitto, penso a cosa voglio dirgli, un groviglio di sentimenti nello stomaco.
Una voce in testa che non mi dà pace: dov’è Anna, quella vera?
Ma Anna non mi appartiene più, non vuole più avermi nella sua vita, e il mio cuore dovrà farsene una ragione.
Anche se quello che sto per fare porterà alla mia completa distruzione, insieme alla sua carriera.
Ma se a lei non importa, è inutile che io mi sforzi a convincerla del contrario.
Non mi fido di Sergio, per il suo passato e per le vibrazioni che emana.
Ma Anna ci ha visto del buono in lui, se ne sta forse innamorando, e per quanto faccia male io non posso impedirglielo.
La sola cosa che posso fare è assicurarmi che lui non la faccia soffrire.
Né lei, né Ines.
Quando arrivo, chiedo a uno degli operai se posso parlare col loro collega, e mi accompagnano da lui, intento a riparare una moto.
È sorpreso di vedermi qui.
È chiaro che nessuno dei due vuole essere in compagnia dell’altro, ma io devo farlo.
“Sono stato io a far credere quelle cose ad Anna,” ammetto, assumendomi la piena responsabilità della situazione. “e mi sbagliavo. Voglio chiederti scusa.”
“Grazie.”
“Voglio che Ines sia felice.”
“Anch’io,” asserisce, ma io non ho ancora finito.
“Voglio chiederti una cosa, però da uomo a uomo... Non farle del male,” lo imploro. “perché non se lo merita. A quello ci ho già pensato io... direi abbastanza.”
Lui sembra interdetto per qualche istante.
“Adesso stiamo parlando di Anna o di Ines.”
La mia risposta è implicita.
Non riesco a stare lì un attimo in più, per cui lo saluto e vado via.
Ho decretato la mia resa.
Ha vinto lui.
O meglio, io ho perso. Quel giorno che sono diventato come mio padre, tradendo la donna che amo di più al mondo, insieme a ciò che mi ero sempre ripromesso di non essere.
So che Sergio ha notato la mia fatica nel pronunciare quelle parole.
Ho rinunciato ad Anna perché voglio la sua felicità, nient’altro.
E se può averla con lui, è giusto che possa giocarsi tutte le carte.
Non mi importa cosa ne pensa Sergio, non c’è niente di male nell’essere ciò che si è.
È meglio restare se stessi, anche a costo di rimanere soli.
 
Anna’s pov
 
Basta tergiversare, basta dubitare.
Devo andare da Sergio e tentare di risolvere le cose.
Così eccomi qui, a bordo della mia auto, ancora in divisa e diretta al motodromo.
Una volta lì, mi dirigo verso il box dove sono sicura di trovarlo, per parlare con lui e chiedergli scusa.
Provarci, almeno.
Ma quando sto per giungere all’ingresso, oltre la pila di pneumatici accatastati lì accanto, colgo una voce maschile che conosco molto bene.
Marco.
Al sentire quelle parole, resto pietrificata, prima di decidermi a correre via non appena le voci si spengono.
Non riesco a crederci.
Per l’ennesima volta, l’uomo più impossibile che conosco è riuscito a far crollare ancora le mie certezze rimesse su a fatica.
C’ero quasi riuscita, a gettarmi tutto alle spalle. A chiudere la porta sul passato per rivolgermi solo al futuro.
E invece con poche e semplici parole, delicate quanto uno sbuffo di vento, quella porta si è spalancata di nuovo, quasi fosse stata investita da un uragano in tutta la sua forza.
Perché? Perché deve sempre rendere tutto così difficile?
Perché non si comporta anche lui diversamente da com’è, perché non la smette di fare il principe azzurro, così che io lo possa odiare e basta?
Almeno non me ne starei qui, seduta in auto, con la testa appoggiata al volante e gli occhi velati di lacrime.
Come quella sera al parcheggio, quando Sergio mi ha salvata dall’aggressione.
Ma con sentimenti diversi, o meglio... molto simili, ma di diversa entità.
Mi sento triste, perché come allora vorrei che tutto ciò che è successo fosse solo un brutto sogno, e che invece fossi sposata e felice.
Sono arrabbiata, ma non con Marco... con me stessa, perché non so scegliere, non so cosa voglio.
O meglio, lo so, ma ho paura.
Paura come quella sera, e non perché sono stata aggredita e non so come reagire, ma perché sono di fronte a quel baratro e non ho la forza di saltare.
Adesso il mio sguardo è puntato contro il tettuccio dell’auto, nel tentativo inutile di fermare la corsa delle ennesime lacrime che stanno scendendo.
Davanti a me, come in un film, due strade, che portano a due mete diverse.
Una tortuosa, un aspro viottolo di montagna, il cui punto di arrivo lo conosco già, e che potrebbe farmi di nuovo estremamente male raggiungere.
L’altra strada, una via sinuosa di pianura, che porta a una destinazione sconosciuta ma per questo affascinante.
Sei coraggiosa, questo tanto tanto.
No, se fossi coraggiosa, non esiterei a imboccare quella strada impervia, quella che mi fa rischiare di cadere ad ogni passo, a inciampare, come quella volta di ritorno dal monastero, perché saprei che nonostante la caduta, troverei chi mi tende la mano e mi aiuta a rialzarmi.
Ma non ce la faccio.
E sono qui, incapace di scegliere, tra una storia seria e complessa, e una leggera, senza impegni.
Un film già visto, che aveva avuto un suo apparente finale, prima della tragedia.
 
Marco’s pov
 
Ricordo di aver accettato l’invito di Sara di andare con lei alla festa del comune in qualità di amico, ma non me la sento. Meglio se ci vediamo direttamente lì.
Non ho nessuna voglia di partecipare, ma sono il PM e non posso rifiutarmi, dato il ruolo che rivesto.
Quindi sono qui, in piedi in mezzo al salone, dopo aver stretto l’ennesima mano corredata dal sorriso di circostanza, come uno di quei film in cui sei fisicamente presente ma mentalmente altrove.
Alzo gli occhi verso l’entrata.
Anna.
Splendida, ma sola, e con un’espressione triste sul viso.
Ma come? Pensavo Sergio si sarebbe deciso, che l’avrebbe accompagnata.
Gli ho chiesto espressamente di non farla soffrire, speravo fosse abbastanza per farlo ragionare e presentarsi qui con lei.
Tra l’altro, oggi è il compleanno di Anna, e io non sono ancora riuscito a farle gli auguri. Me lo ricordo bene, come potrei scordare il giorno in cui è venuta al mondo la donna che amo? Sergio forse nemmeno lo sa, e tutti gli altri sembrano essersene dimenticati, in caserma nessuno vi ha accennato, stamattina. L’evento di stasera, vissuto così, fa aumentare il mio senso di colpa nei suoi confronti.
Lei sembra terribilmente spaesata, un pesce fuor d’acqua, e nessuno meglio di me sa quanto lei odi questo genere di situazioni.
Vorrei poter correre in suo soccorso, ma temo di peggiorare le cose, perché al suo ingresso ha incrociato il mio sguardo e ha distolto immediatamente il suo, andandosi a sedere a un tavolino, da sola.
Il messaggio chiaro: non ne vuole sapere di me.
Io la osservo da lontano, intento a sorseggiare lo spumante che Sara mi ha ragionevolmente proposto di bere.
È per questo che noto un tizio avvicinarsi a lei, e pur non sentendo, capisco che la sta invitando a ballare.
Lei ha rifiutato ma quello sembra essere un po’ troppo insistente per i miei gusti.
Tanto, peggio di così non può andare. E quel tipo deve imparare a capire cosa significhi ‘no’.
Mi avvicino, ignorando l’occhiata infastidita dell’uomo, concentrando la mia attenzione su Anna.
“Balli con me?” le chiedo semplicemente, nel solo intento di far desistere questo qua.
Lui non se ne va, e sembra sul punto di dire qualcosa quando Anna prende la parola.
“Certo,” mormora, accettando la mano che le avevo offerto.
Okay, tutto mi sarei aspettato, ma non che mi dicesse di sì, dopotutto il mio era solo uno stratagemma per liberarla da attenzioni indesiderate.
Cosi mi ritrovo a stringerla tra le braccia dopo mesi di lontananza forzata, cercando di tenere a freno tutti i ricordi e le sensazioni che tornano inesorabilmente nell’averla così vicina.
Come tutte quelle sere a casa, in cui di punto in bianco accendevo la radio o mettevo una canzone a caso sul cellulare, trascinandola in soggiorno, magari con le mani ancora bagnate per i piatti da lavare, a ballare con me.
La timidezza delle prime volte, prima di sbloccarsi lasciandomi però condurre il gioco.
Ogni scusa era buona per stringerla, sentire la sua risata.
Renderla felice.
Adesso sembra non esserci più niente di tutto ciò, se non il rammarico di quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
Lei non ha incrociato il mio sguardo nemmeno per un attimo, sembra a disagio, e continua a guardarsi intorno, probabilmente nella speranza di veder arrivare Sergio.
Quando il brano suonato dal quartetto d’archi giunge al termine, Anna punta le sue iridi verdi su di me, lasciandomi per qualche istante interdetto per l’intensità del suo sguardo, prima di lasciare le mie braccia e prendere la strada dell’uscita.
E adesso che faccio? La seguo? La lascio libera, come mi ha chiesto espressamente lei?
Come al mio solito, faccio decidere all’istinto.
La trovo all’esterno, seduta sugli scalini deserti del comune.
Mi avvicino, sedendomi accanto a lei come quella volta a bordo piscina, ma stavolta non dico nulla.
Lascio che sia lei a farlo, se ne ha voglia. Io mi limito a osservarla: l’aria affranta, gli occhi spenti nonostante l’elegante abito rosa cipria dovrebbe indicare tutt’altro sentimento.
Un angelo dalle ali spezzate. Un’immagine tragica e bellissima.
Passa qualche minuto, poi è lei a rompere il silenzio.
“Pensavo avresti detto qualcosa, di solito hai sempre la battuta pronta,” mormora. “Avanti, dimmelo. Che sono stata stupida, mi sono fidata di uno come Sergio, che mi ha usata, e ora sono sola. Che avevi ragione tu, che non vale la pena di cambiare per gli altri e tutta quella storia lì...”
Lacrime di rabbia minacciano di rompere gli argini di quelle iridi di smeraldo che in questo momento brillano per i motivi sbagliati, così mi decido a parlare.
“Non potrei mai dirti una cosa del genere, e lo sai. Hai fatto la tua scelta, e io non avevo il diritto di contestare. L’unica cosa che posso affermare con assoluta certezza, però, è che tutto quello che ti ho detto in questi tre anni insieme non sono mai state bugie, mai. Tutto quello che ho sempre pensato di te, lo penso ancora. Anche se ultimamente non sembri nemmeno tu, ma... anche se provi a tenermi lontano, io non riuscirò mai a fregarmene, di te. E se Sergio, come Giovanni, come... come me, si lascia scappare una creatura speciale come te, allora è davvero un idiota. Nessuno lo sa meglio di me, detengo il titolo mondiale...” sdrammatizzo, ottenendo una minuscola risata. “Sei sempre stata una donna forte... abbastanza da capire che se Sergio non è venuto da te, come succede nelle favole, allora forse puoi modificare il finale, e raggiungerlo tu. Dopotutto, non sei Cenerentola... sei Zorro.”
 
Anna’s pov
 
Non riesco a credere a ciò che Marco mi ha appena detto.
Mi... mi sta spingendo a correre tra le braccia di Sergio.
Dopo tutto quello che è successo, e i sentimenti che so lui continua a provare per me.
Si sente di nuovo un ostacolo alla mia felicità e, come quella sera, si sta facendo da parte affinché io possa raggiungerla.
Questo è Marco, l’uomo di cui ti sei innamorata, che, seppur con la morte nel cuore, vuole soltanto la tua felicità, anche se ciò comporta la sua esclusione dalla tua vita.
Il suo cuore, nonostante gli errori.
Ancora una volta, è lui ad indicarmi la strada da seguire.
Gli lascio un bacio sulla guancia, che per il momento dovrà bastare, prima di alzarmi e andare via.
A metà strada, però, sento la sua voce richiamarmi.
“Anna!”
Mi fermo, voltandomi a guardarlo.
“Buon compleanno!” mi dice a gran voce, con un sorriso enorme stampato sul volto.
L’unico ad essersene ricordato.
Metto in pausa per un istante le mie intenzioni, tornando indietro di corsa, per abbracciarlo.
Sarà sempre la mia casa.
Adesso so cosa devo fare.
 
Raggiungo la roulotte di Sergio più in fretta che posso.
Lo trovo vestito di tutto punto, mentre sta per salire in moto per venire alla festa, probabilmente, il casco in mano.
Allora le parole di Marco hanno avuto effetto anche su di lui...
“Che ci fai, qui?” mi chiede, sorpreso ma evidentemente contento di vedermi.
Io sento il nodo alla gola farsi più stretto.
Non ci posso credere, a quello che sto per fare.
Far crollare il suo castello di carte, essere sincera.
Così quando lui mi si avvicina per baciarmi, io glielo impedisco con la mano.
“Che c’è?” domanda, confuso dal mio gesto.
Mi allontano di qualche passo, inspirando a fondo.
“Ti devo delle scuse... per quello che è successo, che ti ho detto. E... so anche che Marco ti ha parlato. E... ha ragione lui, non ho fatto altro che nascondermi in questi giorni, non volevo che gli altri sapessero di noi. Ma non perché mi vergognavo di te. Il fatto è che... se da una parte sembravo essere pronta a saltare nel vuoto, dall’altra non volevo davvero perdere tutto ciò che ho costruito con fatica in questi anni.” spiego finalmente. “Io sono un Capitano dei Carabinieri. Amo esserlo, è il lavoro che ho sognato di fare per tutta la vita, e non sono sicura di volerci rinunciare per una storia che al momento sarebbe soltanto una cosa da poco. E non voglio illuderti. Perché mi hanno insegnato che in certi casi è meglio restare se stessi, invece che cambiare per gli altri, perché non sempre ne vale la pena. E se noi andassimo avanti, non è detto che finirà bene, perché io sono la prima a non potertelo garantire, e... io non sono così. Non voglio una storia che sarebbe solo una distrazione ai miei problemi. Non riuscirei mai a prendere le cose con leggerezza, e non è questo che mi serve, al momento. Ho già sofferto abbastanza, e fatto soffrire abbastanza. Quindi, se vuoi... per adesso, vorrei che fossimo soltanto amici. Di conoscerci meglio prima di proseguire questa storia che abbiamo intrapreso troppo frettolosamente. Se non vuoi, non te ne farò una colpa, ma io non me la sento di continuare così.”
Sergio non ha detto una parola, limitandosi ad ascoltare.
Ci impiega qualche istante, poi annuisce.
“Va bene. Forse hai ragione tu... e avrei dovuto capirlo da solo. Non avrei dovuto metterti fretta. Amici.”
 
Torno a casa col cuore più leggero.
Stavolta sono certa di aver fatto la cosa giusta.
Quando arrivo in cima alle scale del mio piano, incontro Marco, già di ritorno dalla festa. Conoscendolo, sarà scappato non appena ha trovato il modo di farlo.
Restiamo a guardarci senza dire nulla per non so quanto, il tempo ha sempre delle regole strane, quando si tratta di lui.
Poi un rumore dal piano di sopra interrompe tutto, ed entrambi facciamo scattare la serratura del reciproco appartamento.
“Marco,” lo chiamo però, prima che possa rientrare.
Lui si volta ad osservarmi.
“Grazie.” sussurro.
So che non c’è bisogno che io dica altro perché lui capisca cosa è successo.
Sono già a casa, da sola. E sono felice, stavolta davvero.
Perché ho ripreso in mano le redini della mia vita.
Non ho scelto Marco, ma nemmeno Sergio.
Sono ancora davanti a quel bivio, ma prima di intraprendere una delle due strade, voglio avere l’assoluta certezza di non sbagliare direzione, e per questo ci vorrà tempo.
Marco mi saluta, un sorriso anche sulle sue labbra.
Anch’io entro finalmente in casa, chiudendomi la porta alle spalle.
Getto i tacchi da una parte, libera.
Bentornata a casa, Capitano Anna Olivieri.
 
 
Ciao a tutti!
Perdonate l’orario di pubblicazione, ma volevo essere certa che questo capitolo, seppur più breve degli altri, fosse online prima del nono episodio.
Che dire... questa sembrava l’unica soluzione di compromesso per la puntata realmente più tragica della stagione, finora.
Secondo me e Martina, meglio di così non si poteva. Abbiamo tentato di spiegare il nostro punto di vista in merito allo strano, stranissimo comportamento di Anna.
L’idea di base è questa: una nuova Anna per una nuova vita. Come se lei volesse stravolgere se stessa per buttarsi a capofitto in una situazione che con lei ha poco a che vedere, per paura di non reggere il peso dei sentimenti.
Vedremo se ci abbiamo azzeccato, e speriamo che questo penultimo appuntamento sia meno disastroso di questo.
A presto,
 
Mari
 

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Capitolo 9
*** Non desiderare la donna d'altri ***


NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI
 
Marco’s pov
 
Eccomi in caserma, mentre Zappavigna mi avvisa della segnalazione di Don Matteo di ieri sera in merito a un tentato femminicidio, o almeno questo sembra essere a giudicare dai primi indizi che abbiamo.
La ragazza è in ospedale al momento, in coma, quindi possiamo solo aspettare.
Io sono uscito presto, stamattina, soprattutto per evitare di incontrare Anna.
Abbiamo più o meno sistemato le cose dopo l’incidente del testamento con Sergio, anche perché lui ha anche detto ad Anna che avevamo parlato, prima, e che mi ero scusato per aver insinuato in lei il dubbio.
Cioè, per sistemato intendo che siamo tornati al patto iniziale di non belligeranza e tutto limitato al lavoro, niente di più. Non è che mi faccia piacere, ma non posso far altro.
In ogni caso, stamattina non l’ho ancora vista, e nemmeno Cecchini, che oltretutto è stranamente in forte ritardo.
So che Anna è andata a fare un ulteriore sopralluogo e che dovrebbe rientrare a breve, per cui decido di scendere e aspettare entrambi giù.
Trovo solo Cecchini, però.
Alzo gli occhi, notando che anche Anna c’è, ma a un tavolino del bar di Spartaco, intenta a salutare Ines e Sergio.
Un’ondata di gelosia sale in me, ma è presto sopraffatta dalla rassegnazione.
“Oramai stanno insieme... l’ho persa,” mormoro al maresciallo, affranto.
È inutile che mi illuda ancora, anche perché in un certo senso sono stato io stesso a spingerla tra le braccia di Sergio, tradendola prima e scusandomi con lui poi, per aver portato Anna a credere cose non vere sul suo conto.
E se ora sono solo, a vivere come ospite fisso di Cecchini, terrorizzato dall’idea che trovarmi una nuova casa significhi mettere un punto a ogni possibilità che potrei avere di sistemare le cose con Anna, è solo colpa mia. Se lei è lì, a vivere felice quegli attimi di vita quotidiana con Sergio e Ines come se fossero già una famiglia, è colpa mia.
Il maresciallo però sembra distratto.
“Che ha detto?” mi chiede, e io ripeto la mia frase, ma lui mi guarda come se avessi detto chissà cosa.
“Ma che c’ha in bocca, un fischietto?” fa, spiazzandomi.
Ma che ha?
Anna ci raggiunge in fretta, un’espressione preoccupata in viso.
“Che cosa sta succedendo?”
“Niente, non so perché, mi parla così, strano...” mi accusa lui.
Anna mi rivolge uno sguardo sconcertato, incitandomi a parlare, per poi confermare, ovviamente, che sto parlando come sempre.
“Ma parla che sembra un animale preistorico!!” insiste Cecchini.
Noi siamo sempre più basiti.
“Lei la sente e a me, non riesce a sentirmi?” gli domando, alzando leggermente il tono della voce.
“Non devi gridare, non è che non ci sente!” mi rimprovera Anna, riportandomi per un istante ai nostri soliti battibecchi. “Maresciallo, quindi Lei, a me, mi sente, e Marco no, giusto?” indaga, cercando di capirci un po’ di più, ma lui com’era ovvio, ipocondriaco com’è - chi se lo scorda, quello che ha combinato qualche anno fa con i tarli in casa - va nel panico più totale e sviene.
Chiamo gli altri carabinieri per darmi una mano a portarlo su, nell’ufficio di Anna, dove lei riesce a rianimarlo - più o meno - ma la situazione non sembra migliorare, perché continua a sentire solo Anna e non me, né Zappavigna o Ghisoni.
“Sono malato!” si dispera, mentre Anna mi lancia uno sguardo allarmato, perché anche lei sa già cosa ci aspetta, “io non so che malattia è questa qua, non lo so, sento solo le voci femminili... Sto diventando donna?” le chiede, al che lei nega, sconcertata, promettendogli che adesso lo portiamo dal dottore.
Quindi ci devo venire pure io... aiuto.
Qualcosa mi dice che iniziano i guai.
 
Una volta dal medico specialista, questo ci dice che si tratta di uno strano disturbo, molto raro, che gli permette solo di sentire le frequenze più acute, quindi le voci femminili, ma non quelle maschili, più gravi, e che la probabile causa è lo stress.
Confermo: sento puzza di guai.
Non che con Cecchini un evento del genere sia strano, anzi, ma non possiamo far altro che aspettare e farlo riposare, per cui lo riportiamo a casa.
 
Nel frattempo, riguardo all’indagine, emerge una pista legata al presunto stalker della ragazza, così dopo che Anna e gli altri lo hanno prelevato a casa, adesso l’uomo è qui in caserma, e lo stiamo interrogando.
Mi sembra di essere in una dimensione parallela.
“Perché avrei dovuto bruciare quella ragazza?”
“Perché ne sei ossessionato,” mormora Anna.
“Ma sa quante ragazze posso avere come quella?” replica quel... quello, e Anna perde immediatamente la calma.
Gli chiede delle foto, che lui dice di aver fatto solo perché gli piace la fotografia, e di chiederlo a Francesca, la ragazza ritratta.
“Quella ragazza sta in ospedale, e non può parlare per colpa tua!” perde le staffe lei, e posso capirla, vista la sua posizione.
Mi ritrovo a doverla calmare, anche se sembra surreale. Di solito è il contrario, che accade.
Capisco che Anna non reggerebbe a un interrogatorio di questo tipo in questo momento, così prendo io le redini della situazione, iniziando a esporre al tizio i motivi sul perché avrebbe tentato di uccidere la ragazza.
Non posso fare a meno di pensare, però, che se Anna fosse in grado di osservarmi oggettivamente, vedrebbe quel Marco diverso, nato dal nostro rapporto, quello che cerca di seguire la razionalità e non l’istinto. Anche se in questo momento vorrei solo prendere a pugni questo essere seduto in ufficio, perché non si può definire uomo uno che cerca di fare questo genere di male a una persona, a una donna.
Purtroppo però non abbiamo elementi a sufficienza, e siamo costretti a lasciarlo andare, perché Don Matteo non è stato in grado di riconoscerlo.
Vorrei cancellargli quel sorriso beffardo dal volto, ma mi impongo di restare calmo.
Respira, Marco.
Respira.
 
Anna’s pov
 
Oggi è una giornata a dir poco assurda.
Il maresciallo non sente più le voci maschili ma solo quelle femminili, e siamo solo a metà mattinata.
In aggiunta, qualsiasi cosa mi fa innervosire come poche altre volte.
Mentre interroghiamo questo stalker mi ritrovo a dover reprimere la rabbia e la sensazione di nausea che avverto dentro al sentire le sue parole, al sorrisetto sprezzante, le occhiate lascive e quel senso di superiorità che continua a ostentare.
Quasi fosse fiero di quello che fa, come se ci fosse da vantarsi.
Marco è costretto a intervenire per calmarmi.
Non lo ammetterò mai ad alta voce, ma è bastata la sua mano a sfiorarmi la spalla per far assopire la rabbia e tranquillizzarmi quel tanto che basta per tornare di nuovo lucida.
Ma quando Marco parla, avrei voluto non esserlo.
Perché in parte mi rivedo nelle sue parole anche se non dovrei e non capisco che c’entri, e anche perché lui sta conducendo l’indagine con grande razionalità, quella che io gli avevo insegnato a mantenere in casi delicati come questo.
E ciò mi confonde.
Ogni giorno diventa sempre più complicato lavorare a così stretto contatto con Marco.
Io ho fatto la mia scelta giorni fa, ho scelto Sergio perché Marco mi ha delusa per l’ennesima volta, dimostrandomi che avevo sbagliato ancora a fidarmi di lui.
Ma poi Sergio mi ha detto che lui e Marco avevano parlato... ciò che lui gli aveva chiesto, e il mio tentativo di tornare ad odiarlo si è rivelato inutile, di nuovo.
Perché basta un istante per farmi tornare a vedere quel Marco che mi ha fatta innamorare e, nonostante mi sforzi, non riesco a restare indifferente, quando si tratta di lui.
Come se non bastasse, c’è quell’abito, ancora nel suo armadio.
Perché tu sei la parte migliore di me pronunciata da lui ha provocato qualcosa, nel mio animo.
Perché in un angolo non troppo remoto del mio cuore, Marco c’è ancora, e probabilmente non se ne andrà mai, perché quello che c’è stato tra noi è troppo importante per essere cancellato così, nonostante io finga il contrario.
Vorrei poter trovare un po’ di pace, quell’equilibrio che con Sergio sembra esserci quando passiamo del tempo insieme, ma è sempre precario perché basta un alito di vento a farmi di nuovo barcollare. Perché c’è sempre una dannata voce nella mia testa che mi ricorda tutto ciò che ho condiviso con Marco, anche negli ultimi tempi, che invece di allontanarmi mi riporta sempre a lui, e tutto viene di nuovo avvolto dalla foschia.
Siamo costretti a rilasciare il sospettato, e io non riesco a farmene una ragione.
“Lo so, ho dovuto rilasciarlo, non avevamo niente contro di lui e poi non c’è niente che lo collochi sulla scena del crimine,” mi spiega Marco, giù quanto me.
Don Matteo si scusa per non averlo riconosciuto, e io mi ritrovo a dover fare da interprete a Cecchini, che non ha sentito niente.
Quando tutti vanno via, ognuno al proprio compito, osservo Marco uscire dalla caserma.
Perché è così difficile lasciare il nostro passato insieme alle spalle?
Sembravo esserci riuscita, negli ultimi tempi, e invece mi ritrovo sempre allo stesso punto, a rimuginarci di continuo, di nuovo.
 
Cecchini’s pov
 
Il PM ha appena chiuso una chiamata con una dottoressa, mentre io mi appoggio alla libreria del salotto.
Non ci posso credere, non è possibile.
Marco forse ha un brutto male ai polmoni e gli resta poco da vivere?
Io spero che sia un errore, che ci hanno visto male, e che quel controllo che deve fare dica che va tutto bene.
Lui però si accorge di me, dice qualcosa ma io ovviamente non lo sento, prima di farmi segno che se ne va nella sua camera.
Io però resto fermo dove sono, ancora a pensare a quello che ho sentito.
Ma perché non mi ha detto niente, Marco?
Ormai abitiamo qua assieme da mesi, e non capisco nemmeno come ho fatto a non accorgermene. Anche perché lui sembra in forma, un po’ dimagrito forse, per le preoccupazioni, ma sembra stare bene.
Ma il problema ora è un altro: che devo fare, lo dico ad Anna?
Da quello che ho sentito in vivavoce, Marco ha chiesto alla dottoressa di non dirle niente perché lei si preoccuperebbe e lui non vuole, ma non mi sembra una cosa giusta.
Sono stati insieme, hanno condiviso tantissime cose, e lei si meriterebbe di saperlo. Lui è da solo, ormai, e lei forse gli potrebbe stare accanto lo stesso. Perché nonostante si ostini a negarlo, Anna ci tiene ancora a Marco, nel profondo del suo cuore. Quindi, che faccio?
 
Sto parlando del caso con la Capitana in caserma.
Lamantia, quello stalker, è un uomo senza cuore, pensiamo tutti sia colpevole, ma non riusciamo a incastrarlo.
“Scusi, ma Lei non doveva riposare?” mi chiede Anna, corrucciata. “Ha sentito il medico, lo stress, le cose...”
“Io mi stresso di più se non lavoro,” rispondo, “a me mi piace lavorare.”
“A mia mamma gliel’ha detto, che sta così?” insiste di nuovo, ma io nego.
“Non voglio che si preoccupi...”
Ecco la parola magica. Anche io, come Marco, non voglio che la donna che amo si preoccupi per me. Ma qua la situazione è diversa...
“...come del resto sta facendo il PM con Lei.” mormoro, rendendomi conto tardi che l’ho detto a voce alta.
“Non ho capito, che...che c’entra il PM?” mi chiede giustamente la Capitana, e io capisco che non posso tornare indietro. Ma come glielo dico?
“Maresciallo, che c’entra il... il... preoccuparmi di che cosa?” pressa, e dal suo tono e dal suo sguardo capisco che si sta agitando. Non lo ammetterà mai, ma è ancora innamorata del PM. In fondo io ancora ci credo, questi due sono fatti l’uno per l’altra, e allora è giusto che lei lo sappia.
“Il PM... forse ha un brutto male,” confesso infine. “ho sentito la dottoressa, dice che deve fare un consulto perché c’ha qualcosa di brutto a un polmone. Lui non vuole che si sappia, che lo sappia nessuno, specialmente Lei... finché lui non è sicuro al cento per cento.”
Anna è diventata bianca bianca, sembra terrorizzata, e per un attimo mi spavento che si senta male pure lei. Ma glielo dovevo dire, magari si riavvicinano, e poi io da solo, il fardello di questo segreto non lo so portare.
“Io in questi casi non so nemmeno come mi devo comportare, che cosa possiamo fare?” le domando, perché veramente non so che fare.
Marco per me è come un figlio, in questi mesi di convivenza l’ho conosciuto ancora meglio, e ho avuto confermate tutte le cose che credevo di lui. E nonostante i suoi sbagli, sta provando a rialzarsi, a lottare per ciò che ama di più. Ha un cuore buono, e so che Anna lo vede. Ma la capisco, nemmeno per lei deve essere facile, questa situazione.
“Stargli vicino,” sussurra lei, e dalla voce capisco che si sta trattenendo per non mostrarmi che sta soffrendo. “E non dirgli che sappiamo...”
“Io non so se ci riesco.”
“No, Maresciallo, è una cosa delicatissima!” mi contraddice, turbata. “Ce lo deve dire lui al momento giusto.”
Non riesco a sostenere i suoi occhi lucidi, e quindi sposto lo sguardo da un’altra parte.
Io spero solo che da questa brutta storia ne possa uscire qualcosa di buono per loro due.
Almeno sarebbero di nuovo insieme, a sostenersi come facevano agli inizi, quando ancora non avevano sentito il pazzo alla radio, come mi chiamavano ormai facendomi ridere, quando almeno erano amici.
 
Anna’s pov
 
Se ieri è stata una giornata strana, quella di oggi è una giornata terribile.
Come se mi fosse sparito il terreno da sotto i piedi, e io avessi fatto un salto nel vuoto, la sensazione è stata quella.
Perché stavo parlando con Cecchini del caso, e poi del suo problema di udito, e lui ha iniziato a blaterare qualcosa sul fatto che Marco non voglia dirmi qualcosa per non preoccuparmi.
Il tempo rallenta come nei film, io non riesco più a mettere in ordine i pensieri, con mille dubbi si accavallano in testa, e nemmeno a formulare una frase coerente, su cosa accidenti voglia dire.
Alla fine, ricevo la risposta che mai avrei voluto sentire.
Marco... Marco potrebbe avere un cancro ai polmoni?
Non-non è... no, non ci posso credere, non può... non... Sta bene, il maresciallo avrà capito male come al solito...
Però le voci femminili le riesce a sentire, e la dottoressa quelle cose le ha dette...
Ma deve fare un consulto, quindi forse è un falso allarme.
Magari si sono sbagliati.
Sì, dev’essere così!
Il muso lungo di Cecchini non mi aiuta, ma io non voglio che lui sappia che il maresciallo ha origliato e che siamo a conoscenza di questa cosa.
La verità è che io sto cercando di tranquillizzarlo, ma qui l’unica che ha bisogno di un calmante sono io.
Perché adesso capisco cosa ha provato quella mattina Marco, quando l’ho trovato qui in caserma, in preda al panico, a blaterare di gruppi sanguigni e trasfusioni, convinto che io fossi in pericolo di vita.
Sì, Anna, è proprio lo stesso sentimento, mormora una voce nella mia testa, paura. Paura di perdere chi ami. Perché lo sai che è così.
Io ci sto provando in tutti i modi, a reprimerlo, ma...
Ma sta gridando perché tu lo lasci uscire una volta per tutte, e lo lasci guidare le tue azioni, quell’amore.
Scuoto la testa.
Marco sta bene, ci dev’essere un errore, mi ripeto.
Devo farmi forza, l’unica cosa che posso fare è stargli vicino.
Ma la paura è tanta. Troppa...
 
Marco’s pov
 
Patatino non sta bene.
Da una settimana, più o meno, ho raggiunto un accordo con Anna in modo da poterlo tenere di nuovo con me, almeno a periodi.
Ieri l’ho portato dal veterinario perché mi sembrava strano, ma la dottoressa mi ha chiamato in serata per dirmi che secondo lei sono necessari ulteriori controlli per un problema che, se confermato, potrebbe voler dire che a Patatino rimane poco tempo.
Sto proprio parlando con la veterinaria mentre esco dal comune, e mentre lei mi dice che non si sanno ancora i risultati incrocio Sara, intenta a ricaricare la sua auto elettrica.
Mi chiede cosa ho, perché evidentemente ho una faccia strana, e le dico di Patatino. Lei si dimostra comprensiva e mi fa promettere di farle sapere, poi salgo in sella alla mia fidata moto diretto in caserma, per vedere se ci sono novità sul caso.
 
Una volta lì, raggiungo Anna in ufficio, che però mi dice di non avere altre notizie, siamo a un punto morto.
Lei però ha una strana espressione, e soprattutto non smette di fissarmi da quando sono entrato.
“C’è qualcosa che non va?” le chiedo, “Ho il trucco sbavato, che...?” tento, non sia mai che riesca a...
Ha riso! Riesco ancora a farla ridere!
Dentro di me sto festeggiando come se avessi vinto la Coppa del Mondo, perché ormai anche la gioia più microscopica per me è importantissima.
Lei nega, sempre sorridendo, prima di pormi una domanda strana.
“Come stai? In generale, dico...”
Cos’è, Scherzi a Parte? Candid Camera? Sto sognando? Vuole davvero sapere come sto?
“Bene!” affermo, “un po’ di preoccupazioni, ma... no, bene bene bene!”
“E che fai stasera? Potremmo andare a prendere qualcosa da bere insieme,” continua Anna, e io non credo alle mie orecchie.
“... io e te?” chiedo conferma, perché penso che forse anche io, come Cecchini, potrei avere qualche problema. Non mi sta chiedendo di uscire, vero? O sì?
“Sì, io e te... una cosa da bere, parliamo...”
Questa cosa non mi convince.
“Sergio cosa dice?”
Eddai Marco, che te ne frega?
“Che deve dire, è un’uscita tra amici...” mi assicura.
No, allora, se è uno scherzo, finiamola subito, che qua l’entusiasmo cresce in fretta, e se scopro che non è vero, mi viene un infarto e ci resto secco. Con certe cose non si scherza!
Anna sembra convinta, e chi sono io per rifiutare?
“Bene, va benissimo! A stasera!” esclamo, al culmine della gioia.
“Da Spartaco!” aggiunge lei mentre io esco, ancora col sorriso stampato in faccia.
Mi sembra di galleggiare.
Anna mi ha chiesto di uscire. Per parlare un po’.
Mentre vado via, mi chiama anche la veterinaria per dirmi che sono arrivati i risultati di Patatino, e per fortuna era un falso allarme!
“Oggi è il giorno più bello della mia vita!”
 
Mi sto preparando a uscire con Anna, ancora incredulo.
Cecchini è appena rientrato, è strano, e non si è nemmeno tolto la giacca.
Comincia a farmi uno strano discorso sull’amicizia, che bisogna confidarsi, poi mi parla del fatto che ha sentito la telefonata, che potrei morire, del consulto e dei sei mesi di vita.
Resto interdetto per un secondo prima di scoppiare a ridere, così gli dico finalmente che ha capito male, scrivendo le parole su una lavagnetta che ho tirato fuori appositamente per poter comunicare con lui, prima di dirgli la cosa più importante di tutte.
Che Anna vuole uscire con me, che vuole parlare di noi.
Lui mi dice che forse vuole parlare d’altro, ma io sono sicuro. Con Coso va male, e lei ci ha ripensato.
Gli dico di augurarmi buona fortuna, prima di andare.
Finalmente ho la mia occasione.
 
Mentre vado da Spartaco, penso alla conversazione con Cecchini.
L’avevo preventivato, che sarebbe sorto qualche equivoco con ‘sto fatto che non ci sente bene, e infatti...
Mi viene da ridere.
Non so se sono troppo euforico, forse sto veramente correndo troppo, ma non mi sentivo così felice da quella mattina in cui Anna mi ha raggiunto sotto casa per dirmi che aveva scelto me e non il lavoro in Pakistan, perché solo con me era felice.
E dopo mesi a vederla soffrire per colpa mia, e poi di nuovo gioiosa, sì, ma con un altro, il pensiero che questa serata sia stata opera sua basta a ravvivare la fiammella della speranza dentro di me.
Voglio giocarmi questa piccola chance.
Fare all-in.
Anche col rischio di perdere tutto.
Ma devo provarci.
 
Anna’s pov
 
Mi sto preparando per uscire.
Oddio, preparando è un parolone... ho semplicemente preso la giacca, mentre Sergio sta aggiustando per l’ennesima volta quel dannato lavandino. È sempre, perennemente rotto, quel coso!
Lui sta parlando di un raduno di moto, credo, ma non ho capito granché perché sto cercando le chiavi di casa e la mia borsa sembra un buco nero.
“Ma... non dovevamo uscire,” mi dice lui quando mi avvicino.
Ops.
“Oddio, non te l’ho detto? Vado a prendere una cosa da bere con Marco...”
“Marco... il tuo ex?” chiede, interdetto.
“Ehhh, sì, sta poco bene e... così, chiacchieriamo.” biascico, rendendomi conto che Sergio non è troppo contento di sentire questa cosa.
“Okay... salutamelo.” borbotta, tornando agli attrezzi.
Mh...
“Ma che sei geloso?”
“Io? Mai stato geloso in vita mia.” nega, ma il suo tono dà tutta un’altra impressione.
“Peccato... mi piacciono gli uomini gelosi,” mormoro, prima di baciarlo e andar via, non prima di avergli assicurato che andrò al raduno con lui.
In ogni caso, penso mentre scendo le scale, non ha motivo di essere geloso, sto solo uscendo con un colleg-..., un amic-... il mio ex.
Okay, forse sì, però sto uscendo con lui perché Marco forse sta male, Sergio non deve necessariamente sapere tutti i dettagli adesso, e comunque dobbiamo solo parlare.
Voglio che Marco si confidi con me.
Nel breve tragitto verso il bar di Spartaco, però, ripenso anche a un’altra parte della conversazione con Sergio.
È vero che mi piacciono gli uomini gelosi, me ne sono accorta al reality.
Quando ho visto Marco guardar male da lontano Lupo Dossi, anche se non gliel’ho mai detto.
E se lì potevo ancora avere dei dubbi sulla natura dei suoi sentimenti, quando Giovanni mi aveva mandato quel mazzo di rose rosse in caserma e lui aveva fatto quella battuta su serenata e mandolino, lì mi erano passati tutti, perché quella era gelosia eccome.
Mi aveva fatto arrabbiare, perché come al suo solito doveva fare battute anche se fuori luogo, ma anche sorridere, seppur tristemente. Perché avevo capito che il mio amore era corrisposto, ma ci eravamo intrappolati in due vicoli ciechi diversi, con lui che stava con mia sorella, e io che avevo permesso che accadesse.
Ma che c’entra questo discorso, ora?
Stavo pensando a Sergio, no? Al fatto che fosse geloso.
Mi accorgo che Marco mi attende ai piedi della scalinata, così dopo un breve saluto ci accomodiamo a uno dei tavoli all’esterno del Tric Trac, per poi ordinare un bicchiere di vino.
Sagrantino.
Il nostro preferito.
Un silenzio estremamente imbarazzante si fa strada tra di noi.
Io aspetto che sia lui a parlare, ma lo vedo che è impacciato.
Come tutte le volte in cui è agitato e ha paura di fare la sua mossa sulla scacchiera.
Lo conosco bene.
 
A un certo punto, forse proprio per il peso di questo silenzio, prende la parola.
“Novità? In generale...” mi chiede, e io mi ritrovo a negare ostinatamente.
Io riesco solo a fargli la stessa domanda, dandomi della stupida.
Siamo davvero a questo punto? Dopo tutto quello che c’è stato tra noi, non riusciamo nemmeno a fare una misera conversazione? Perché questo imbarazzo?
Questo scambio di battute banalissimo non porta da nessuna parte, oltre ad essere veramente complicato, così decido di essere diretta, tanto la situazione è già imbarazzante di suo.
“... è da tanto che non chiacchieravamo... e... è successo quello che è successo, però questo non vuol dire che io non ci tenga a te,” biascico. Come amici, naturalmente. Non c’è niente da insinuare...
Okay, non so nemmeno cosa dico, sono terribilmente agitata.
“Io credo veramente che nella vita ci siano cose che contano più di tutto,” continuo, in preda all’ansia, e non so nemmeno come faccio a ritrovarmi seduta a terra accanto a lui a stringergli la mano, ma l’ho fatto.
“Marco, quello che io voglio dirti è che... ci sarò sempre per te, sempre.” mormoro.
Restiamo a fissarci negli occhi, e vedo che lui è stupito ma felice, la sua mano che trema nella mia.
Però non riesco a reggere il suo sguardo a lungo, perché per la prima volta in tre anni, tra noi non c’è dialogo visivo.
Sento il nodo alla gola farsi sempre più stretto, e riesco a biascicare la scusa di dover andare in bagno arrivandoci appena in tempo.
Non volevo piangere davanti a lui.
Perché, perché non si confida con me?
Non mi ha detto niente, non ha lasciato trasparire niente nemmeno come avevamo sempre fatto, non si è confidato.
E fa male, terribilmente.
Insomma, eravamo sempre riusciti a parlarci in questo modo anche nei momenti più bui, come i mesi scorsi, e stasera invece no.
Perché ha alzato questo muro, perché non vuole che lo aiuti?
Sei stata tu a chiederglielo, ricordi? Rapporti civili.
Giusto, ma questa è una situazione diversa!
Potrebbe... se sta male, questi potrebbero essere i nostri ultimi mesi insieme, e io non voglio che li passiamo ad odiarci.
Poi... Io non lo odio davvero, non potrei mai. E Marco deve sapere che non è solo, che non deve dimostrare di essere forte e non volere aiuto, non deve vergognarsi di chiederlo. Io l’ho imparato... grazie a lui.
Forse è per questo che non vuole dirmelo... Insomma, io quella volta non volevo farlo, però eravamo all’inizio, e io vorrei tanto che lui si fidasse di me.
Perché ci ha sempre aiutati, confidarci l’uno con l’altra. Ci faceva sempre sentire meglio, se uno dei due stava male.
E anche se io ho fatto la mia scelta, Marco potrà sempre contare su di me. Perché quello che è successo non cancella il male che ci siamo fatti, ma soprattutto non cancella il bene che c’è stato.
Ma sei proprio sicura, Anna, della tua scelta? Non è che tutta questa apprensione è dovuta al fatto che non sei poi così convinta come dici di essere, vero?
Scaccio di nuovo la vocina, asciugandomi gli occhi meglio che posso, prima di tornare al tavolo.
 
Sto proprio parlando di lui, di come non voglia ammettere di stare male, con Cecchini, la mattina in caserma.
Le risposte del maresciallo sono strane, ma non è che solitamente siano più chiare, per cui lascio correre.
Proprio in questo momento, entra Marco.
Ma che...?
Un bombolone. Di mattina! Ma gli fa male! È impazzito?
Glielo prendo dalle mai, andandogli a recuperare una centrifuga che gli fa molto meglio.
Deve prendersi cura di se stesso, e se non lo fa da solo, ci penserò io come sempre.
Con o senza il suo consenso.
 
Marco’s pov
 
Ieri sera è stato f-a-n-t-a-s-t-i-c-o!
Non stavo così bene da non so quanto.
E Anna... beh, era meravigliosa, anche se lo è sempre, ma ieri un po’ di più.
Sembrava tutto come sempre, dopo l’imbarazzo iniziale, ed era così premurosa come non lo era più stata da tempo.
Anche stamattina in caserma è così, col suo vizio della cucina salutare che in questo momento è la cosa più bella del mondo.
Chissà come mai, magari vanno davvero male le cose con Sergio, e buon per me.
Sì, voglio essere egoista. Voglio pensare a me, a noi due, perché sono mesi che mi piango addosso, e ora forse è arrivato il momento del mio riscatto.
Okay, forse mi sto gasando troppo, ma ho già detto che darò il tutto per tutto, non si torna indietro.
Lo sto proprio dicendo a Cecchini che cerca di interrompermi per dirmi qualcosa, ma io non gli lascio nemmeno il tempo.
“Io questa volta ce la faccio, e me la riprendo!” affermo, convinto, proprio mentre Anna rientra, chiedendomi cosa mi dovrei riprendere.
“La centrifuga!” svio, ed è così bello vederla sorridermi di nuovo che mi metterei a saltare di gioia.
Naturalmente arriva Ghisoni a interromperci per delle novità sul caso, ma non fa niente.
Che meraviglia!
 
Cecchini’s pov
 
Il PM è gasato perché pensa che Anna si comporti così perché gli vuole dare una seconda possibilità.
Ma chi glielo dice, che invece è colpa mia, dell’equivoco con la veterinaria?
Ma perché ogni volta che c’è di mezzo quel cane e una veterinaria, io faccio danno?
Sì, me lo dico da solo!
Devo risolvere questo problema, se no stavolta veramente va tutto a scatafascio per sempre tra loro due!
Non posso permetterlo, si meritano una seconda possibilità e non posso essere di nuovo io a rovinare tutto.
Anna deve sapere la verità, e Marco deve imparare a volare meno con la fantasia al minimo accenno di affetto, anche se lo capisco, poveraccio.
Sono mesi che aspetta, e la mia amicizia lo so che può arrivare fino a un certo punto.
Però cerco di dire almeno a lui che è tutto un fraintendimento ma non me lo lascia fare, e poi entra Anna.
Ma devo parlare con tutti e due, e in fretta.
 
La sera, sono in soggiorno con Anna, una birra in mano, mentre lei mi racconta la partita perché non sento la telecronaca.
A un certo punto qualcuno suona alla porta, e scopriamo che è la PM. Solo lei ci mancava.
Ah, sa pure che il cane sta male! Meno male che però non ha detto esplicitamente che è Patatino e non Marco!
Anna però lo deve sapere.
Solo che ora è arrabbiata perché pensa che Marco si sia confidato con l’altra e non con lei, e non riesco a farle cambiare idea. Anzi, poco dopo si alza e se ne va, dicendomi che è stanca e vuole andare a dormire, ma si vede che è solo una scusa perché se l’è presa. Anche perché dopo un secondo torna e si prende Patatino dicendo che va a fargli fare una passeggiata.
Qua, se non faccio qualcosa, finisce male... una tranvata!
 
Anna’s pov
 
Sto facendo la telecronaca della partita a Cecchini, ma vorrei veramente andarmene.
Il calcio non mi piace (o almeno, aveva iniziato a interessarmi, ma con la giusta compagnia...) e ho pur sempre una vita.
Lo strano dialogo del maresciallo a favore delle donne (molto divertente, se penso che qualche settimana fa ha litigato con mia madre perché secondo lui le donne devono stare in cucina!), è interrotto dal campanello.
“Anna!”
Sara!
Che gioia vederla!
Che accidenti vuole?
“Cercavo Nardi!”
Pure.
“Non c’è, non è ancora tornato,” rispondo infastidita.
“Sono venuta per sapere come sta...” mormora, e sento una orribile sensazione salire dallo stomaco.
“Lo sai?” chiedo, sconcertata. “Sai che sta male?”
“Sì, me l’ha detto l’altro giorno,” conferma in tono sommesso, e io mi devo trattenere dallo sbatterle la porta in faccia.
“Beh, quando torna, digli che sono passata,” mi prega. “Buona serata.”
Io nemmeno le rispondo, troppo presa da questa cosa che è arrivata in gola.
“A lei gliel’ha detto!” sbotto, tornando da Cecchini. “Che non sta bene, a lei gliel’ha detto e non a me!”
Mi siedo accanto a lui, furiosa.
“Ma perché mi odia così tanto?”
“Ma che odia, che odia,” prova a calmarmi Cecchini, dicendomi che in effetti non l’ha detto neanche a lui, e che Marco è così... tirchio di sentimenti.
Questa sua osservazione mi fa innervosire anche di più, perché Marco non è mai stato avaro nei suoi sentimenti, non con me, mai. Anzi, è sempre stato lui quello romantico tra noi due. Quello dolce, premuroso, passionale...
Anna, smettila di divagare. E questo discorso cos’è?
Perché deve fare così, ora? Lo so che non mi odia, poi, anche se potrebbe visto le cose che gli ho detto l’altra settimana, ma non cambia nulla.
Si meritava più quella di sapere della sua malattia, di me? La donna che avrebbe dovuto sposare? Che avrebbe dovuto diventare sua moglie?
Mh, e questo che c’entra, Anna?
Ignoro Cecchini che prova ancora a calmarmi, poi capisco che se resto è peggio, e gli dico che me ne vado a casa.
Prima che mi baleni in mente un’idea, per cui rientro e mi prendo Patatino.
Mando in fretta un messaggio a Marco, dicendogli che, se gli va, possiamo fargli fare la passeggiata insieme.
Magari, se parliamo un po’, finalmente me lo dirà.
E se non lo fa, ci penserò io a dirgli che so tutto!
 
Marco’s pov
 
Sono sempre più sconcertato, ma in positivo.
Anna mi ha appena mandato un messaggio per propormi di andare insieme per la passeggiata serale con Patatino.
La trovo già in strada, davanti al portone del palazzo, col cagnolone al guinzaglio, che scodinzola come se anche lui fosse contento di quanto sta per succedere.
Per una volta, il silenzio non è più imbarazzante e dopo un po’ ci ritroviamo a parlare quasi come se niente fosse accaduto.
Ripercorriamo insieme la solita strada, fino ad arrivare nei pressi del Ponte delle Torri.
“Quant’è che non portavamo fuori Patatino insieme?” le chiedo quasi sovrappensiero, mentre lei accenna un sorriso, scostando una ciocca di capelli dal volto.
“No, fa effetto essere qua perché... ce lo portavamo tutte le sere, e... bei tempi... No, dico per il cane, figurati...” aggiungo, quando vedo che abbassa lo sguardo, forse a disagio.
Marco, calmati. Se esageri, finirai per farla scappare.
“Posso dirti una cosa?” le domando ancora, fermandomi.
“Sì,” accetta, un’espressione preoccupata.
“... è stupendo. Siamo qua, riusciamo a parlare, non stiamo litigando...” spiego, a cuore aperto. Sto cercando di trovare le parole giuste per farle capire come mi sento, quando lei prende improvvisamente la parola.
“Basta, non ce la faccio,” esala, spiazzandomi per un attimo. “Non ce la faccio.”
Inspira a fondo, come per calmarsi, facendomi preoccupare.
“Che c’è?”
Anna torna a guardarmi negli occhi, in un modo che non faceva da mesi.
“Lo so che ci siamo fatti male, che tu mi hai fatto male,” precisa, ma in un tono che non è arrabbiato, ma... rassegnato. “però non sono un’estranea per te, giusto?”
“No, direi proprio... ma neanche un po’...” le rispondo con un sorrisetto, la mia mente che corre a tutto quello che abbiamo condiviso insieme e che nessuno, nessuno ci potrà mai togliere. Momenti tutti nostri che ci legheranno per sempre, a prescindere.
“È stato molto importante quello che c’è stato tra noi, e io penso davvero che lo sarà per sempre,” continua, alimentando ancora di più quella fiammella di speranza che negli ultimi giorni ha ripreso vigore.
“Ed è per questo che io ho il diritto di sapere.” termina, lasciandomi interdetto.
Cosa, deve sapere?
Cerco di capire quale sia il problema, ma non riesco a venirci a capo, per cui metto le mani avanti.
“No, ‘spetta, Anna, non ho fatto niente, stavolta te lo giuro, non ho fatto niente-”
“Il consulto!” esclama lei. “Marco, il consulto! Cecchini ti ha sentito al telefono, che stai poco bene!”
“... consulto?” ripeto, senza riuscire a collegare le cose.
“Sì... ti ha sentito al telefono, stavamo aspettando che fossi tu a dircelo.” mormora, con una vocina che forse non le avevo mai sentito.
Rivolgo un’occhiata di sbieco a Patatino... Patatino!
Oh no, Cecchini! Ecco cosa tentava di dirmi ieri sera!
“No, aspetta...” metto in ordine i pensieri, “quindi tu... ma è per questo che tu sei più affettuosa con me ultimamente...” mormoro, con cuore in frantumi, mentre sento il terreno mancarmi nuovamente sotto i piedi.
Anna pensa che io sia malato, ecco il perché della sua dolcezza improvvisa.
E io mi sento come se fossi andato a sbattere contro un muro a 300 km/h, la realtà che mi piomba addosso con una potenza incredibile.
“Ma che dici? Siamo preoccupati per te, vogliamo starti vicino!” mi spiega lei, prendendomi per mano.
No no no, Marco, dille la verità... è un malinteso. Non puoi essere egoista, andrà solo male, devi essere sincero.
Ascolto la vocina che per fortuna si è risvegliata nella mia testa, ma quando sto per spiegare che si tratta di un fraintendimento, Anna mi prende il volto tra le mani, gli occhi nei miei.
“Quello che sto cercando di dirti... è che io... ti accompagno, al consulto, ti accompagno dove vuoi! Io, Marco, per te ci sarò sempre!”
La carezza delle sue dita sulla pelle, quelle iridi verdi magnetiche come non mai e vicine come non lo erano state da tempo, e la sua voce dolce mandano in tilt tutte le sinapsi ancora recettive.
Non so nemmeno io quello che dico.
“Grazie... è bellissimo che tu mi stai vicino così, e-”
Per concludere in bellezza, lei mi abbraccia, sussurrandomi che andrà tutto bene, e mi rendo conto di aver combinato una grandissima cazzata. L’ennesima.
Ma che cavolo hai fatto, Marco?! Sei impazzito?!
È questo che mi continuo a chiedere durante tutto il tragitto di ritorno, mentre Anna, al mio fianco, ha sul viso quella espressione soddisfatta di quando ha raggiunto il suo scopo. Perché, teoricamente, mi sarei confidato con lei.
Ecco perché ieri sera, dopo avermi preso per mano per dirmi quelle cose, e io non sono riuscito a spiccicare parola, è scappata via. Per questo aveva gli occhi lucidi.
Pensava che non volessi dirle la verità, che le avessi nascosto lo stato delle cose.
Che le avessi impedito di leggermi dentro.
Quando rientro a casa e mi metto a letto, non riesco a far altro che ripensare a quanto successo. Al suo abbraccio e al casino enorme in cui mi sono cacciato.
Un po’ come quello della mattina sotto casa, quando tutto sembrava perduto e lei era pronta a partire per una destinazione a settemila chilometri da me.
Solo che all’epoca, era stato un contatto gioioso, perché lei aveva scelto me, la nostra vita insieme, mentre stavolta c’era compassione mista ad amore, ma la situazione di fondo è rimasta invariata.
Perché lei si è tolta un peso, ha fatto la sua scelta - me, di nuovo - e io ho mentito un’altra volta.
Quella bugia è finita male, ovviamente, e stavolta non sarà diverso, anzi.
 
La notte trascorre insonne, mentre ripenso a tutto quello che è successo in questi mesi tra noi, a quello che ho perso e buttato via.
È vero, dicendole la verità non cambierà nulla, io resterò di nuovo solo e lei tornerà tra le braccia di Sergio, ma Anna non si merita questa menzogna, perché sarebbe infinitamente peggiore dell’altra.
No, lei merita di essere felice, con o senza di me.
E questi istanti di felicità, seppur effimera, che ho vissuto in questi giorni, li ho avuti per il motivo sbagliato. Non mi appartengono, non sono meritati, ma forse questo potrebbe accadere, in futuro.
E la sincerità è il primo passo da compiere in questa direzione.
Ma devo essere io a dirle la verità, perché se lo scoprisse per sbaglio per me sarebbe la fine.
 
Cecchini’s pov
 
Sono in caserma, mentre Anna e Marco interrogano il padre della ragazza aggredita perché Lamantia è stato ucciso. Io sto fuori dall’ufficio perché tanto col mio problema di udito non sentirei niente, ma capisco che hanno messo l’uomo in stato di fermo.
La Capitana mi spiega che è stato proprio il padre a uccidere lo stalker della figlia, ma mentre parliamo sale un cameriere a portare su quella che, come mi informa Anna, è una colazione salutare per Marco, perché ci deve andare piano con lo zucchero che gli fa male, e mi chiede di tenerlo d’occhio.
Lei rientra in ufficio e io mi avvicino a Marco, perché devo sistemare questa storia prima che succedano danni irreparabili.
“Senta, Dottore, le devo dire una cosa,” inizio, facendomi coraggio. “Anna le porta le cose, è così carina, così premurosa... perché c’è un equivoco. Lei ancora pensa che Lei stia male.”
Marco intanto traffica col cellulare, prima di parlarci dentro.
Lo so,” sento, e salto su.
Gli chiedo come sia possibile che lo senta, e mi spiega che è una cosa del telefono che modifica la voce, così possiamo finalmente parlare.
Comunque volevo dirle che ... lo so. So dell’equivoco.” mi spiega.
“Ahhhh, perfetto, perfetto, quindi... tutto a posto, no?” mi tranquillizzo. Meno male! “Era contenta, no? Che le ha detto?”
Niente.
“Come, niente?”
Non le ho detto che in realtà sto bene, e che il consulto era per Patatino.
Per poco non lo prendo a sberle.
“Ma come?! Ma è impazzito? Le deve dire assolutamente la verità, Lei dev-”
Stia tranquillo, maresciallo, glielo dico,” mi ferma lui, però. “Io stavo per dirglielo già ieri sera, solo che lei ha iniziato a parlare, mi ha abbracciato, erano mesi che non succedeva, e... e non ho capito più niente... ma lo so, che ho sbagliato. Le dirò la verità, solo che non ho ancora trovato il momento giusto, stamattina, con le novità del caso. Ma entro qualche ora al massimo saprà tutto.” mi spiega, e io mi sento sollevato.
Per un attimo pensavo che fosse ricaduto nell’errore, e invece si è reso conto che avrebbe peggiorato la situazione, con un’altra bugia.
Sono fiero di lui, della maturità che sta dimostrando.
Sono sicuro che anche Anna lo sarà.
 
Marco’s pov
 
Sono nell’ufficio di Anna, con lei e Cecchini, dopo che questo ha avuto una delle ‘sue’ intuizioni, subito sgamata da Anna. Anche se lui insiste che non è possibile che abbia parlato con Don Matteo, stavolta, visto che non lo può sentire.
Mi viene da ridere.
‘Sti due litigheranno sempre per Don Matteo, è una costante del loro rapporto, ma non possiamo negare che il prete sia d’aiuto. Infatti Anna è d’accordo con l’intuizione.
Lei propone di tornare sulla scena del crimine, quando Cecchini mi fa segno di parlarle.
Io mi alzo di scatto, pronto a dirle la verità, quando sopraggiunge Rik, un ragazzo del liceo, che vuole fare una denuncia, impedendomi di parlare.
Una volta raccolta la testimonianza sconvolgente del diciottenne, mi faccio coraggio.
“Prima che ci interrompano di nuovo,” mormoro, una volta che io e Anna restiamo da soli, “ci verresti a prendere un caffè con me, giù in piazza? Ho bisogno di parlarti.”
“Certo,” accetta al volo lei, chiedendo poi a Ghisoni di chiamarla non appena fosse stato pronto per il sopralluogo.
Ci ritroviamo così, di nuovo, a uno dei tavolini del bar di Spartaco, come poche sere fa, come quella volta in cui Cecchini mi aveva fatto credere che Anna fosse incinta e non volesse dirlo a Don Giovanni. Il livello d’agitazione è simile, la situazione scomoda come allora, ma non si può rimandare. Più tempo passa, peggio è.
Inspiro a fondo.
“Scusa,” mormoro, notando che la sua espressione si fa subito confusa.
“Per... per cosa?”
“Per... l’enorme equivoco che ha causato Cecchini,” inizio a spiegare, torturando la bustina vuota di zucchero. “Il maresciallo ha sentito sì una chiamata, ma al telefono era la veterinaria di Patatino, che sospettava avesse qualcosa ai polmoni, e per questo aveva bisogno di un consulto per capire meglio. Io ti giuro che non ne sapevo nulla, anzi, gli ho spiegato come stavano le cose la sera che siamo usciti per bere qualcosa qui al Tric Trac, solo che lui non mi ha detto niente, che te l’aveva raccontato. Già ieri sera, quando ho capito cosa stava succedendo, stavo per dirti la verità, ma... quell’affetto da parte tua che non avevo avuto da un sacco di tempo, mi ha annebbiato la mente. Sapere che mi avessi messo sopra a tutto il resto mi ha fatto ricadere nello stesso errore di quel giorno, quando mi hai detto di voler restare con me rinunciando al lavoro in Pakistan. Sono stato un codardo, un’altra volta, e per paura di perderti, ti ho mentito di nuovo. Ma come quel giorno, non ho fatto altro che maledirmi, perché ho sbagliato... Se avessi saputo prima dell’equivoco, te l’avrei detto senza esitare. Ieri sera non c’ho capito più niente, quando mi hai preso per mano, ma non potrei mai, mai mentirti su un argomento del genere. Mi dispiace. Spero che, almeno su questo, tu possa accettare le mie scuse.”
Anna non ha fiatato per tutto il tempo, intenta a fissarmi, quasi a voler registrare ogni mia parola. La sua miglior poker face per impedirmi di capire a cosa sta pensando.
Prima che possa rispondermi, però, Ghisoni ci raggiunge per andare a fare quel sopralluogo che lei stessa ha chiesto.
“Io devo...” mormora, facendo cenno verso il carabiniere.
“Non ti preoccupare, se vuoi possiamo finire di parlarne in un altro momento. Per adesso mi basta sapere di averti detto la verità.”
Lei annuisce, l’espressione impassibile ancora impressa sul viso, prima di andare via.
Se non vuole farsi leggere, sa benissimo come fare, persino con me, ma non importa.
So di aver fatto la cosa giusta, e mi sento come se mi fossi tolto un enorme peso.
Qualsiasi cosa accadrà adesso, la accetterò con la consapevolezza che la sincerità viene prima di tutto.
E spero che Anna la pensi allo stesso modo, perché a parlare, poco fa, era il Marco nato dal nostro amore. Quello vero, autentico. Che la ama, e non vuole che soffra. Quello che ha sempre paura di rimanere solo, pur avendole insegnato che a volte è meglio restare soli che cambiare per gli altri. Quello che non vuole perderla, e per questo la lascia libera di scegliere, anche se ciò lo porta sempre a poterla ammirare come fosse un’opera d’arte che appartiene ormai a un altro collezionista.
Ma se dire la verità mi lascerà a mani vuote, forse significa davvero che le cose dovevano andare così.
 
Anna’s pov
 
Restare concentrata durante il sopralluogo non è stato facile, dopo la confessione di Marco.
Per quanto io sia campionessa mondiale della separazione tra vita privata e lavoro, come ha sempre detto lui, stavolta è stato incredibilmente complicato.
Ho creduto per giorni che Marco stesse male, mi sono ritrovata ogni notte a svegliarmi di soprassalto, in lacrime, senza il minimo ricordo di quegli incubi, ma sono certa che fossero tutti legati a lui. Le sensazioni di perdita e mancanza troppo forti per poterle associare ad altro.
Lo so perché mi succedeva la stessa cosa, da bambina, quando sognavo la morte di papà.
È stato proprio durante queste lunghe notti che ho ricominciato davvero a mettere in discussione tutto.
Perché con Sergio ci sto bene, sì, ma allora perché questo incubo di perdere Marco per sempre mi perseguita, facendomi svegliare piangendo? È il mio inconscio che vuole dirmi qualcosa, forse?
La menzogna che Marco ha portato alla luce mi ha destabilizzata. Era ricaduto nello stesso errore, quello che già qualche settimana fa ero pronta a perdonargli, quando ho trovato il mio abito da sposa nel suo armadio.
Stavolta, a differenza di allora, è tornato immediatamente sui suoi passi. Ha ammesso il perché di quell’attimo di debolezza di ieri sera, e mi ha chiesto scusa subito. Per il timore di cosa sarebbe successo, se io avessi scoperto da sola della bugia che mi aveva detto su una cosa così importante come la salute, dopo quello che avevamo saputo di suo padre.
Prima, a quel tavolino del Tric Trac, ho avuto come un senso di déjà-vu.
Ho rivisto Marco, quello che è venuto a casa mia una sera d’agosto, a confessarmi che aveva avuto paura quando gli avevo spostato il pouf, ma che mi amava.
Quello che ho ritrovato davanti all’ingresso dell’ospedale, a dirmi che la paura di cambiare non l’aveva più, perché l’avremmo affrontata insieme.
Sono confusa, perché poco fa, mi ha dimostrato onestà, fiducia, e che quando ama, ama fino in fondo.
Le cose che aveva detto di averlo fatto innamorare di me, perché non erano mai state parole dette per improvvisare.
Sono le stesse cose che ho visto in lui, anche se le ha tradite tutte quel giorno in chiesa, le ha cercate di nuovo per tornare ad essere l’uomo migliore che aveva imparato ad essere insieme a me in due anni d’amore.
E oggi quell’uomo migliore, impossibile come sempre, pur essendosi arreso all’evidenza che probabilmente io non lo amerò più, senza più chiedermela, si è forse riguadagnato a piccolissimi gesti quella seconda possibilità che tanto bramava da me.
Solo che io sono confusa e non so cosa fare.
 
Dal sopralluogo sono emerse novità importanti.
Stiamo interrogando la ragazza aggredita e il fisioterapista del suo fidanzato, in coma.
Di tanto in tanto mi ritrovo ad osservare Marco mentre parla.
Mi sembra quasi di tornare alle prime volte, all’inizio della nostra collaborazione lavorativa, quando cercavo di capire meglio chi fosse quel collega dalla battuta sempre pronta e terribilmente cinico.
Oggi, di quel cinismo è rimasto davvero poco, ma la spensieratezza del bambino troppo cresciuto è sempre lì, pronta a saltar fuori alla più piccola occasione.
In questi giorni passati ad osservarlo meglio, ho riscoperto tanti dettagli di Marco che avevo confinato in un angolino del mio cuore perché ricordarli faceva troppo male.
Oggi, invece, quei momenti stanno riaffiorando, ma non mi fanno soffrire più, anzi, sono come un balsamo sulle mie ferite, come una coperta che col suo calore mi protegge dalla tempesta impetuosa della mia mente.
È come se stessi riscoprendo che, per stare bene, quando sto male ho solo bisogno di Marco.
 
L’interrogatorio non porta da nessuna parte, non abbiamo abbastanza elementi da poter incastrare nessuno dei due, ma è chiaro che mentono entrambi.
Stiamo proprio parlando di questo, quando Marco cambia discorso.
“So che forse non è il momento più adatto, ma... potremmo terminare la conversazione di stamattina se... se vuoi.”
Io abbasso lo sguardo.
“Sì, è solo che... ho del lavoro da fare, adesso e... è un problema, se ne parliamo in un altro momento?”
“No, certo che no.” mi assicura con un sorriso. “Fammi sapere tu, allora, ti lascio lavorare.”
Va via dopo avermi salutata, facendomi sentire un po’ in colpa.
Quella del lavoro è solo una scusa, perché non sono così convinta di voler continuare il discorso, semplicemente perché non so cosa provo.
Ho bisogno di rifletterci ancora sopra.
 
A furia di riflettere, non capisco nemmeno più quale sia l’argomento, tanto che mentre sono nel soggiorno di casa mia in compagnia - un’altra volta - di Cecchini che ha insistito a voler guardare L’Eredità, finisco per leggere perfino cosa dice sullo schermo, scordandomi che lui non sente, ma leggere lo sa ancora fare, come mi fa notare.
Come ti sei ridotta, Anna. A furia di scervellarti su una cosa che in fondo è semplice, finirai per impazzire.
Cecchini parte poi in quarta su un discorso femminista che mi fa ridere, quando qualcuno bussa alla porta, interrompendoci.
Sergio, giusto.
“Mi hai chiamato, che volevi dirmi?” mi chiede, facendomi ricordare di cosa avrei dovuto informarlo.
“Ah, sì, è vero,” mormoro. “Andiamo giù a parlare.”
Perché Cecchini non deve sentire.
Solo che mentre scendiamo le scale, mi sorgono i dubbi.
Avrei dovuto dirgli che intendevo accompagnare Marco a Roma per il consulto che credevo essere per lui, ma ora so la verità. Solo che adesso ho fatto venire Sergio ma non ho effettivamente nulla da dirgli.
Mi sento inquieta, non riesco a ragionare lucidamente, e una volta davanti al portone è anche peggio.
Sono confusa anche su cosa provo?
Dovrei dirgli soltanto che Marco sta bene, che si è trattato di un equivoco del maresciallo, come al solito, e che non succede più niente...
Mi ritrovo a non aprir bocca, mentre Sergio mi osserva, interrogativo.
Anna, spicciati e di’ qualcosa, che lui ti sta fissando e tu stai per fare la figura della scema. Parla!
Il mio cervello però si è evidentemente inceppato e ha interrotto il collegamento con la bocca, perché quello che esce fuori non è ciò che dovrei dire.
“Ehhh... ti ho detto che Marco sta poco bene e deve andare a fare un consulto, no?” mormoro.
“Sì...”
“... e lo accompagno.”
Cosa?! Anna, ma che stai facendo? Stai... mentendo?
“Dove?”
“... A Roma. Dobbiamo stare via due giorni e una notte, in un albergo.” biascico.
Davvero? Anna, è una bugia, questa, non devi andare da nessuna parte, tu! Che ti prende?
“Okay... in albergo, quindi. E come vi organizzate, lì? Prendete due camere singole oppure fate in amicizia, stessa camera, così la condividete...” salta su lui.
“Non fare il maschio alfa geloso, che non ti si addice,” lo rimbecco.
Okay, ho detto che mi piace la sana gelosia, ma ogni volta deve fare così?
Taci, Anna, che tu per prima stai mentendo.
Ignoro la vocina.
“È questo il problema, quindi?” ridacchia Sergio, lasciandomi interdetta.
Se fosse vero, non ci sarebbe niente da scherzare.
“Non voglio lasciarlo solo in un momento così,” spiego, sulla difensiva. “Tu che faresti, se dovessero dire a una persona a cui hai voluto bene che sta per morire? Lo accompagneresti!”
“Certo...”
“Bene.” chiudo la discussione.
Lui non è d’accordo.
“E tu sei sicura?”
“Sicura di cosa...?”
“Sicura che lui sia una persona a cui hai voluto bene?” mi chiede, facendomi innervosire all’istante.
“In che senso?”
“Non è che lo ami ancora?”
Io non riesco nemmeno a rispondergli, perché la mia testa mi direbbe di sbuffare un ‘no, che non lo amo più, visto che sto con te’, ma la mia bocca non collabora.
Perché sarebbe una bugia più grave di quella che hai detto poco fa sul consulto, e lo sai.
Ma non è così, io sono solo confusa, combattuta se dare a Marco una possibilità come... come amico, niente di più.
Sicura?
Il mio silenzio ha evidentemente rivelato più della mia voce mancante.
“Okay, mentre ci pensi, io vado.” mi dice lui, avviandosi.
La rabbia monta in fretta.
“Stai dicendo davvero?”
“Quando ci hai pensato, mi richiami.”
“Dici davvero?”
“Dai, buonanotte... ciao,” mi saluta, dandomi le spalle e andando via.
Lasciandomi sola a pensare a cosa accidenti è successo.
Quasi il fato si beffasse di me, ecco che arriva Marco con Patatino al guinzaglio.
“Ciao!” mi saluta, prima di rivolgermi uno sguardo preoccupato. “Tutto bene?” chiede, facendomi rendere conto per l’ennesima volta che non riuscirei a nascondergli nulla nemmeno volendo.
“Certo...” mormoro. Lo osservo per qualche istante. “Guarda, ti accompagno, Patatino tira da matti, almeno ti do il cambio.” decido su due piedi, afferrando il guinzaglio senza attendere risposta.
Marco accetta, così ci avviamo, rifacendo lo stesso percorso di ogni sera, insieme, di nuovo.
Chissà, forse è davvero arrivato il momento di finire quel discorso.
 
Marco’s pov
 
Sto facendo fare la solita passeggiata serale a Patatino quando incontro Anna, davanti al portone del palazzo, da sola.
Mi avvicino.
Le chiedo se sta bene, vista la sua espressione tesa, e lei mi assicura di sì anche se so che sta mentendo, ma non voglio pressare.
Mi ritrovo i suoi occhi piantati addosso, prima che lei stessa mi dica di voler venire con me e il cane, con la scusa che lui tira.
Accetto senza problemi, dopotutto chi sono io per rifiutare?
Come ogni sera, ci ritroviamo sullo stesso tragitto, a parlare come facevamo sempre, e non posso fare a meno di notare che lei ha i brividi.
In effetti, è uscita per chissà quale motivo con una maglia rosa a maniche corte e, nonostante sia fine maggio, l’aria è parecchio fresca.
Siamo al Ponte delle Torri.
Senza rifletterci troppo, mi sfilo la giacca, con l’intenzione di posargliela sulle spalle.
Lei se ne accorge prima, fermandosi e sorridendo timidamente al mio gesto.
Come capita ormai troppo spesso, però, ho paura che possa reagire male, così tento una battuta per stemperare la tensione.
“È la mia giacca preferita, ‘sta qua, me la devi ridare!” le intimo, in tono scherzoso.
Lei scoppia a ridere, sistemandosela meglio e scostando i capelli ramati rimasti incastrati sotto il colletto. “Tu me la ridai!”
Lo so, perché ride.
Lo sa bene, lei, perché è la mia preferita.
È un suo regalo, il primo che mi ha fatto, poco tempo dopo esserci fidanzati.
Il primo pezzo del mio nuovo guardaroba, da cui erano misteriosamente sparite tutte le bretelle.
Non solo: oltre a questo, aveva l’abitudine di fregarmi tutte le giacche, durante le passeggiate come questa, e tenersele regolarmente. Per un periodo, ce n’erano state più nel suo armadio che nel mio. Questo, finché non ero andato a vivere con lei.
Perché in quel caso aveva iniziato a prendere anche altri vestiti.
Le camicie, soprattutto. Particolarmente la mattina, appena alzata, lasciandomi lì a cercare di ricordare dove l’avessi messa la sera prima, prima di trovargliela addosso mentre era intenta a preparare il caffè.
Non resisteva a lungo su di lei, in genere. A meno che non fossimo molto di corsa.
Torno con la mente al presente.
Ci appoggiamo alla ringhiera, e io la osservo per un attimo, pensando che forse è il momento buono per riprendere il discorso di stamattina, quando lei prende la parola prima che possa farlo io.
Solo che l’argomento è un altro.
“Perché l’hai conservato?” mi chiede di punto in bianco.
“Che cosa?” domando, senza capire. Cos’è che ho conservato?
“Che cosa...” mormora con uno sguardo eloquente.
Ah.
“Cosa...?” tento ancora, ma mi tradisco subito abbassando lo sguardo. Se lo sa non ha senso mentire.
“L’abito da sposa.” conferma, infatti.
“Ah.”
Ah,” mi fa eco lei. “L’ho visto nel tuo armadio, per sbaglio, quando è venuto tuo papà.” spiega. “Perché?”
Adesso che faccio? Le dico la verità, o invento una scusa?
Non ho più nulla da perdere, in fondo. L’all-in sta andando male, tanto vale essere sincero.
“Perché sono un matto,” ammetto, come quel pazzo alla radio, “e perché ci sto sperando ancora.”
Perché non passa notte che non sogni di vederla entrare in chiesa con quell’abito bianco e finalmente sentirle dire quel ‘sì, lo voglio’, ovviamente perché lo vuole e non perché costretta da qualcosa o qualcuno.
“E poi, è come dice il maresciallo, no? ‘Finché c’è il vestito, c’è la speranza’...” scherzo imitando - male - il suo accento, facendola ridere.
Però poi lei mi pianta quelle iridi verdi addosso con una intensità tale che il mio raziocinio si azzera, di nuovo, dopo giorni passati al comando, lasciando le redini al cuore.
Così le mie mani si ritrovano a stringerle con delicatezza il viso, mentre lei spalanca gli occhi, intuendo cosa io voglia fare.
Ma non mi ferma, come avevo temuto per un attimo.
Non si ritrae.
E le nostre labbra si incontrano, di nuovo, dopo mesi, in un bacio lungo, pieno di passione repressa, quasi disperato, tremendamente dolce.
Sentirla rispondere così...
È un momento bellissimo.
Vorrei non finisse mai.
 
Anna’s pov
 
Marco mi sta baciando.
E se inizialmente volevo impedirlo, adesso non ci penso nemmeno più.
So soltanto che sto avvertendo le farfalle assopite, nel mio stomaco, riprendere a sbattere furiosamente le loro ali dopo mesi.
Con Sergio non succede mai.
E tu sei sicura?
Mi ritrovo a rispondere al suo bacio senza neanche rifletterci, troppo presa dalle sensazioni che si stanno propagando in me, dall’intenso batticuore che mi ha tolto il respiro.
Non è che lo ami ancora?
A Sergio, prima, ho mentito, e adesso sto baciando il mio ex.
E se avesse ragione?
Se i miei dubbi non fossero dare o meno una possibilità all’amico Marco, ma al promesso sposo Marco?
Mentre ci pensi, io vado.
È qui che mi blocco, interrompendo il bacio, portando le mani sul petto di Marco e allontanandolo.
Restiamo a fissarci senza dire niente per lunghissimi istanti, in cui io cerco di dare un senso a quel garbuglio di sentimenti che mi si annodano dentro, mentre lui fa scivolare le dita sulle mie mani, sfiorandole.
“Scusa,” mormora, come quella sera a casa mia, la sera della caldaia rotta.
“Meglio se andiamo, adesso,” riesco solo a sussurrare io, e ci avviamo verso casa, ognuno perso nei propri pensieri.
Giunti sul pianerottolo, ci salutiamo fingendo che niente sia accaduto, ma una volta nel mio appartamento, mi chiudo in fretta la porta alle spalle, appoggiandomi contro di essa, come il pomeriggio che ho scoperto il vestito nel suo armadio.
Come quando è scappato via dopo avermi baciata la prima volta.
Il sapore delle sue labbra ancora sulle mie, che mi ritrovo a sfiorare con la mano libera dalle chiavi.
Che cosa devo fare?
La testa dice una cosa, il cuore un’altra.
Non voglio più soffrire, ma per non farlo devo tornare ad amare.
Non voglio rischiare, ma il baratro è qui, davanti a me, insieme al bisogno di saltare giù.
Non voglio piangere, anche se è normale e ormai ho imparato a farlo.
Non voglio ammettere che mia madre aveva ragione, perché mi dà fastidio, né che nonostante le bugie, amo ancora un uomo pigro, che vuole sempre avere ragione, che crede di essere simpatico anche quando non lo è, che se fosse per lui girerebbe sempre in bermuda e ciabatte, che non sa cucinare il brasato (e forse non imparerà mai) ed è il più impossibile che conosca.
Ma è anche la persona a cui penso ogni volta che qualcosa non va, nonostante il male che mi ha fatto, perché è l’unico davvero in grado di comprendermi con un solo sguardo.
L’unico che sa toccare le giuste corde per farmi reagire nel modo migliore di fronte a qualsiasi situazione mi si presenti davanti.
Perché mi ama per quello che sono, perché non sono niente male.
E sa che la divisa che indosso per me conta più di ogni altra cosa e per questo mi aveva lasciata scegliere il Pakistan, invece della vita al suo fianco.
Che ha tentato di farmi capire che, scegliendo Sergio, avrei buttato via tutto ciò per cui avevo sempre lottato, ma nonostante questo mi aveva spinta tra le sue braccia, rinunciando a me.
Per rendermi felice.
È un pazzo, perché per amore aveva deciso di cambiare.
È un idiota, perché mi aveva lasciata scappare.
È un matto, perché ci spera ancora.
E, in tutta sincerità, chi sono io per giudicarlo?
Anche io sono pazza, idiota, matta, perché sto per dargli un’altra possibilità.
 
Ci penso tutta la notte, e non solo a questo.
Anche adesso, ormai mattina, mentre mi finisco di preparare per andare a lavoro, la mia mente torna sul discorso da fare a Sergio.
Devo dirgli la verità, su Roma, su Marco, su di noi.
Non sarà facile... per giorni gli ho ripetuto che non aveva motivo di essere geloso, e invece aveva ragione.
So che gli spezzerò il cuore e anche io soffrirò nel farlo, ma mentirgli sarebbe peggio, io lo so bene.
Quando apro la porta di casa per uscire, però, mi trovo proprio Sergio davanti.
“Ciao... posso?” mi domanda, e io lo lascio entrare.
Non so perché sia qui, ma voglio cogliere l’occasione.
Solo che il mio tentativo di parlare viene bloccato da lui, che mi anticipa nel prendere la parola.
“Volevo chiederti scusa per ieri, perché non ho motivo di essere geloso... penso che sia giusto che tu accompagni Marco a Roma, e che...” dice, la voce che si spegne quando si accorge che ho iniziato a piangere.
E non di gioia, per quello che mi ha detto.
Il suo volto si incupisce.
“Lo ami ancora...” mormora, deluso, comprendendo senza che io abbia ancora detto nulla.
Io ingoio il magone meglio che posso, lo sguardo a terra.
“Avevi ragione tu... e mi dispiace, mi dispiace perché ti ho mentito, non so nemmeno perché l’ho fatto, ma... Non dobbiamo andare a Roma, Marco sta bene, è stato tutto un equivoco del maresciallo, il consulto era per Patatino... Io ci ho provato, a dimenticarlo, ad odiarlo, ma non ci riesco...” sussurro, la voce che si rompe, ancora. “Avevi ragione... lo amo ancora, nonostante tutto. Non volevo ferirti, e lo so che non basterà, ma se hai bisogno, io ci sono... solo, non posso darti quello che vuoi tu. Amo Marco, lo amo e non posso farci niente...”
Sergio si limita ad annuire, andando via senza fiatare.
So che gli ho causato una ferita profonda, ma non sarà mai grave come quella che avrei potuto procurargli se gli avessi continuato a far credere che il suo sentimento fosse corrisposto.
Mi asciugo le lacrime in fretta.
Adesso devo parlare con Marco.
Voglio fargli sapere che quel salto nel vuoto adesso ho il coraggio di farlo, che sono pronta a fidarmi di nuovo di lui.
Perché ciò che è stato può tornare ad essere.
 
Marco’s pov
 
Abbiamo risolto il caso.
Sono in caserma, impegnato a discuterne con Sara, mentre Anna è andata ad arrestare il colpevole.
Non ci siamo più visti da ieri sera, e io ho bisogno di parlarle. Non voglio rischiare di rovinare tutto un’altra volta, con lei.
Non avrei dovuto baciarla, e far saltare di nuovo quell’equilibrio che sembriamo aver ritrovato.
Sara mi ha appena chiesto come sta Patatino, quando una voce richiama la mia attenzione.
Anna.
“Posso parlarti un attimo?” mi chiede, esitante.
“Certo.”
La seguo giù con il cuore in gola, terrorizzato dalla possibilità che lei stia per mettere un punto definitivo alla nostra storia.
Ci spostiamo sotto le colonne del Duomo, al riparo da sguardi indiscreti.
Attendo che sia lei a parlare.
“Io... non so nemmeno da dove iniziare.” mormora a un certo punto. “So solo che, in questi mesi, ho creduto di impazzire. Hai... hai fatto l’unica cosa che non avrei mai pensato, ho sentito il mondo crollarmi addosso, quella mattina in chiesa. Mi ero sempre fidata ciecamente di te, ti avevo dato tutto quello che potevo, avevo rischiato di perderti per paura, perché non avevo capito che tu eri più importante di tutto, e... e poi mi hai detto che mi avevi tradita. La fiducia in te era stato il terreno su cui poggiavo, e sentirlo mancare all’improvviso mi ha devastata. Ho iniziato a pensare che tutto ciò che c’era stato fosse stata solo una bugia, che non potevo più fidarmi di te perché mi avresti fatto male di nuovo... E più mi chiedevi un’altra possibilità, più ti volevo allontanare. Non volevo più stare male, ho cercato di odiarti, ma non ci sono mai riuscita davvero. Ogni volta che pensavo di avercela fatta, bastava una tua parola, o un gesto, a farmi mettere in discussione tutto, di nuovo. Ma... quando tu hai smesso di insistere, sono riuscita a fermarmi e a vederti davvero... ho rivisto il mio Marco, quello che il mio dolore aveva cercato di cancellare. E... e ci sono ricascata,” ridacchia, citando le mie parole di qualche anno fa, facendomi saltare un altro battito - l’ennesimo, dall’inizio del suo lungo monologo. “Anche se dovesse far male, anche se dovesse essere un errore... ma so che non lo sarà. Come non è stato un errore quel bacio a casa mia, la sera della caldaia. Io... ti amo.”
Solo adesso mi rendo conto di non aver mai capito davvero cosa fosse la felicità, fino a questo momento.
E tanto basta per seguire di nuovo l’istinto, stavolta senza paura.
Le mie labbra sono di nuovo sulle sue, quelle farfalle allo stomaco che tornano a volare come fosse la prima volta, e l’ebbrezza di poterla abbracciare senza il timore che fugga, o che sia un sogno.
I brividi che ritornano, le sue mani che stringono febbrili il bavero della mia giacca.
La dolcezza di questo contatto che ho desiderato di poter risentire per mesi, la consapevolezza che lei sia di nuovo mia.
La sua dichiarazione una vittoria poco prima dell’arresa.
Avevo puntato tutto su noi due, e ho fatto bene. Ho sbancato il jackpot.
Ho vinto il suo amore.
 
 
Eccoci qui, al penultimo episodio alternativo.
Come sarebbe dovuta andare, se non ci avessero sostituito Marco con un sosia fatto male, ecco. Un po’ come Anna nell’ottava puntata, diciamo.
Domani avremo il (gran) finale, ma come tutti, ormai, non siamo molto ottimiste.
Nella migliore delle ipotesi, avremo un finale semi-aperto, che sarebbe comunque preferibile a uno che prevede Anna con Coso e Marco con Matita.
Beh, vedremo.
Se il finale giusto non ce lo danno loro, come immaginiamo, lo scriveremo io e Martina, come sempre, prima di dedicarci a un progetto tutto nuovo che chi ci segue su Twitter conosce già, ma ne riparleremo a tempo debito.
Per il momento, ricordiamoceli felici e innamorati come Anna e Marco erano al termine dell’undicesima stagione e nel videoclip di Max Pezzali per ‘Sembro Matto’.
A presto,
 
Mari

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Capitolo 10
*** Non desiderare la roba d'altri ***


NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI
 
Marco’s pov
 
Gelo.
Solo questo è rimasto ormai tra me e Anna dopo la mia ultima bugia.
Ho tirato troppo la corda, ho rischiato... troppo. Stavolta consapevolmente, e l’ho pagata ancora più cara.
Sono rimasto solo.
È meglio restare se stessi, anche a costo di rimanere soli.
Non so se sia la cosa più giusta, questa. L’unica cosa sicura è che sono rimasto l’uomo innamorato di Anna di sempre, quello che per lei farebbe qualsiasi cosa, anche farsi da parte.
E se è questo ciò che lei vuole, non farò più nulla per andar contro il suo volere.
Ma non passerà giorno in cui la sua felicità non sarà il mio unico obiettivo.
E sarà meglio per Sergio rigare dritto.
 
Sono in caserma.
Anna è appena entrata senza rispondere al mio saluto, senza degnarmi di uno sguardo.
“Ammazza, oh, manco uno sguardo...” commenta il maresciallo. “Come se fosse morto! Questa volta è morto veramente...”
Ma grazie, Cecchini. 
“E allora...!” lo rimbecco. Non c’è bisogno della battuta, lo so già quello che ho fatto, stavolta è colpa mia al cento per cento, senza mettere in mezzo sbornie e omissioni di incarichi.
E in parte è anche colpa del maresciallo, che da un lato mi fa sperare inutilmente, dall’altro fa solo danni su danni.
Sento che Anna riceve una telefonata, e ti pareva che non fosse lui.
Il suo tono allarmato però mette tutti sull’attenti.
Ha trovato il cadavere di una donna.
 
Ci rechiamo tutti sul luogo del delitto.
Appena arrivati, Anna va immediatamente ad abbracciare Sergio.
D’accordo, è scosso, e ci sta che lei lo consoli, ma la gelosia monta in me comunque.
Io mio limito a un cenno.
Anna magari sarà già riuscita a dimenticare tutto quello che c’è stato tra noi, ma io no.
Ci ho messo mesi a superare il tradimento di Federica, nonostante a mente fredda si fosse rivelato già un rapporto deteriorato prima delle nozze, e solo grazie ad Anna.
Ora invece è per lei che soffro.
So che non posso evitarlo. Forse col tempo me ne farò una ragione, ma adesso no.
L’aria è tesa.
Sto cercando di mantenere dei rapporti civili con Sergio per il bene di Anna e Ines, ma non potremmo mai essere amici. Per il semplice motivo che non mi fido di lui, e mai lo farò.
Perché se abbassassi la guardia e scoprissi di non essermi accorto del potenziale pericolo che lui aveva sempre rappresentato, non me lo perdonerei mai. Non posso rischiare che faccia male alle mie donne. Rimarranno per sempre tali, anche se non avrò più un ruolo rilevante nella loro vita.
Sergio ci spiega chi sia la donna e perché lui si trovasse lì, e nel frattempo arriva anche il compagno della vittima, amico di Sergio.
Convochiamo entrambi in caserma.
 
Una volta in ufficio, Sergio e Cicogna ribadiscono la loro versione dei fatti.
A me però non convincono, c’è qualcosa di strano in questa storia.
Anna, naturalmente, difende Sergio.
È inevitabile che sia coinvolta, visto che stanno insieme, ma io non sono da meno: ho davanti l’uomo che mi sta portando via la donna che amo, anche grazie al mio aiuto più o meno volontario.
Apprezzo la sincerità, ma c’è poco da girarci intorno: Sergio e Cicogna si conoscono in quanto vecchi compagni di cella, e tanto mi basta. Senza contare che Sergio era sul luogo del delitto.
“Mi dispiace, ma sei in stato di fermo.”
Le mie parole scatenano il caos.
“Chi, io? Ma non ho fatto nulla!”
“Cosa?!” è l’esclamazione di Anna.
“Ma è matto!” osa anche dirle lui.
“Ehi, ehi, piano con le parole.” lo avverto. Potrei sbatterlo dentro per molto meno.
Anna mi chiede di parlarne fuori, agitata.
Sapevo che l’avrebbe fatto, ma so anche che non può nulla. E lei ne è perfettamente consapevole.
Ma questo non cambia lo stato delle cose: io sto solo facendo il mio lavoro, quello che succede fuori dalla caserma non c’entra nulla, e la mia Anna sarebbe certamente d’accordo.
La mia, non quella seduta alla scrivania, oggi, che sembra non vedere nulla oltre quella barriera che si è costruita intorno.
 
Anna’s pov
 
Marco ha appena messo in stato di fermo Sergio.
Ma questa non la passa liscia, ho capito cosa sta cercando di fare.
Quello che c’è tra noi, qui, non deve c’entrare.
Se è per questo, nemmeno ciò che c’è tra te e Sergio dovrebbe interferire col tuo lavoro, o no? Mormora la vocina nella mia testa, ultimamente fin troppo presente.
Sergio definisce Marco matto, ma non è una grandissima idea per una lunga serie di motivi. Lui infatti lo avverte di andarci piano, e io ne approfitto per chiedergli di seguirmi all’esterno del mio ufficio prima che la situazione peggiori ulteriormente.
“Non starai esagerando?” mormoro, una volta fuori dalla porta.
“È un pregiudicato ed era sul luogo del delitto. La persona che sta difendendo è un altro pregiudicato. Scusami, non posso lasciarlo a piede libero, no?” mi fa notare, una leggera nota sarcastica nella voce.
È maledettamente bravo, in questo momento, a non lasciar trasparire emozioni. Ciò che mi ha esposto è la prassi, e so che ha ragione, anche se odio doverlo ammettere.
Ma qualcosa posso ancora tentarla.
“Va bene, ma almeno i domiciliari!” gli chiedo.
“In una roulotte? Non mi fido.”
“La canonica, va bene? Ti fidi di Don Matteo?” insisto.
Dal suo sguardo, capisco che sta pensando a Ines.
Saresti un padre fantastico.
Marco ama quella bambina come fosse sua figlia.
Ne ho avuto la conferma quel giorno davanti alla scuola elementare, quando Sergio è arrivato portandosela via, insieme a me.
Risbattere Sergio in carcere significherebbe allontanarli di nuovo, e so che nemmeno lui lo vuole.
Oltre al fatto che potrebbe davvero essere innocente, forse era solo al posto sbagliato al momento sbagliato, ma si tratta di una misura cautelare che è necessario prendere per legge.
Marco cede alla mia richiesta, probabilmente proprio perché sono stata io a chiederglielo, che per il bene di Ines.
Don Matteo, come me, non esita ad appoggiare Sergio, garantendo per lui e accettando di ospitarlo in canonica per i domiciliari.
Non posso fare a meno di pensare a quanto Marco sia cambiato, negli ultimi mesi. Probabilmente più di quanto abbia fatto fino ad ora da quando ci conosciamo.
È maturato, questo lo devo riconoscere.
E ne sono sorpresa.
Certo, quel giorno mi ha chiesto di poter avere la possibilità di dimostrarmi di poter essere un uomo migliore, e io gliela avevo negata, quella e ogni altra occasione per noi due, ma lo vedo.
La cosa che più mi sconvolge è che non provo nient’altro se non stupore.
Non sono arrabbiata, non sono triste, ma nemmeno felice di questo suo cambiamento.
Mi sento solo... vuota.
E solo ora, nel momento esatto in cui realizzo questo vuoto, in me, sento una delle innumerevoli ferite del mio cuore, tenuto malamente insieme dal nastro adesivo, riaprirsi.
Sergio va via con il prete, quando Cicogna mi si avvicina.
“Mi aspettavo fosse una persona diversa,” mi dice, lasciandomi interdetta.
“In che senso?”
“Sergio mi ha detto che Lei non si lascia condizionare da quella divisa, e considera le persone senza pregiudizi. Evidentemente si sbagliava.” mi spiega, prima di andare via.
Le sue parole mi scuotono nel profondo.
Adesso anche Sergio la penserà così, probabilmente.
Ma io sto solo facendo il mio lavoro, non si tratta di pregiudizi ma di procedure, e poi Marco è il PM, è il mio superiore, e io non posso farci nulla.
E da quando ti importa il giudizio dei profani su come fai il tuo lavoro? Da quando ti lasci condizionare? Dall’osservazione di quello che rimane un pregiudicato, comunque. Dov’è finita la donna forte che valuta la situazione, i fatti? Perché quella donna, ora, non avrebbe dubbi su ciò che sta facendo, ovvero solo e soltanto il suo lavoro.
Dannata vocina! Taci!
Sergio non è colpevole, ne sono certa, l’ho letto nel suo sguardo, e lo dimostrerò.
È cambiato, anche grazie a me, e per sua figlia.
Sì, sì, okay, solo un’ultima cosa, per il momento, cara la mia Anna: come funziona, questa cosa del cuore? No, fa preferenze? Perché non sto capendo, visto che, a quanto pare, per qualcuno non vale proprio così, mh? A Sergio concedi sempre il beneficio del dubbio, nonostante tutto. Perché non lo fai con chi lo meriterebbe allo stesso modo?
Quella ferita al cuore si dilata un po’ di più.
 
La sera, faccio una passeggiata a piedi.
Avevo bisogno di riflettere su quello che è successo stamattina.
Sono sempre più confusa.
Ogni volta che penso di aver ritrovato l’equilibrio dopo una caduta, ecco che torno a inciampare, e a porre un nuovo ostacolo sulla mia via è sempre Marco.
Ma tra noi è finita, di questo sono sicura. Ha tradito la mia fiducia troppe volte per poter ricucire quello strappo che ha lacerato definitivamente il mio cuore quando mi ha mentito per la seconda volta nel giro di pochi mesi.
Proprio lui, che di me amava soprattutto quello, insieme all’onestà, e il mettere tutta me stessa in amore.
Anche se so bene che non riuscirà mai ad essermi indifferente, e non solo per via del lavoro, anche se la menzogna sul suo stato di salute non gliela perdonerò mai, quello che gli ho detto lo penso ancora.
Ci sarò sempre, per te.
Perché prima di essere Anna e Marco, eravamo amici. Migliori amici. E quel Marco forse mi manca più di tutto il resto.
Lui era il diario a cui confidavo tutti i miei segreti, anche quelli più intimi, quelli che nemmeno mia sorella conosceva, e proprio per questo sono sempre stata un libro aperto, per Marco.
Me ne rendo conto tutt’ora: ogni volta che avverto il suo sguardo su di me, so che sta leggendo quelle righe invisibili che ho aggiunto al mio racconto, quelle che non gli ho più confessato a voce alta, ma che lui vede benissimo.
Vorrei solo ricevere un segno, qualsiasi cosa, per poter capire se questa confusione in me rappresenta un nuovo salto nel vuoto da compiere, dopo averlo già fatto con Sergio.
Forse la vocina nella mia testa ha ragione, sto facendo figli e figliastri. Perfino sul lavoro sto dando - forse ingiustamente - fiducia a due ex detenuti e non all’uomo che ho amato moltissimo.
E tu sei sicura? Che lui sia qualcuno che hai amato? Non è che gli stai impedendo di riscattarsi, anche come amico, perché hai paura? Perché fa più male fidarsi di nuovo di chi ami, col rischio di ricaderci, e non di chi non conosci affatto e quindi non può davvero deluderti?
È proprio per questo che ho bisogno di quel segnale, mi dico. Per capire...
Scendo le scale della piazza.
Trovo Sergio appoggiato al muretto fuori dalla canonica, intento a fumare.
Quando mi avvicino, mi rivolge uno sguardo infastidito.
“Cos’è, sei venuta a controllarmi? Tranquilla, stavo rientrando.” dice, arrabbiato.
Non potrebbe stare qui fuori, questo lo sai, vero Anna? Com’è che non gli dici niente? Tu, che non hai mai ammesso errori...
Ignoro la vocina.
“Lo sai che non dipende da me, vero?” tento di spiegare. “Lo sai.” ripeto, quando lui mi fa eco, sarcastico.
Voglio che capisca che ho tutte le intenzioni di aiutarlo, ma per poterlo fare ho bisogno che mi racconti di più sul suo rapporto con Cicogna.
Sergio continua a dubitare di sé, lo percepisco. Cerco di rassicurarlo anche se lui fa un po’ la vittima, insistendo che non importa chi sei diventato, sarai sempre giudicato per chi sei stato.
“Non è vero,” lo contraddico. “Guarda te e Ines! Ti vuole bene! Don Matteo, Natalina... ti vogliono bene! Tutti ti vogliono bene. E... anch’io ti voglio bene.”
Ahhh, frase molto interessante. Quindi gli vuoi bene... non lo ami? E io che pensavo che ci stessi insieme per questo. Che sciocca. Mica si sta insieme a una persona perché la si ama.
In effetti, non ci hai messo mesi e mesi per definire e accettare i sentimenti per qualcun altro, prima di iniziare una storia con lui. E solo dopo che gli avevi confessato di essertene innamorata. No no.
Non eri tu, quella assolutamente certa di essere follemente innamorata di lui.
Ma questa vocina non ce l’ha un tasto on/off, accidenti?!
Prima che Sergio vada via, leggermente più convinto, riesco a rubargli un bacio.
Io credo in lui, non è un assassino, e lo dimostrerò.
E mi piace questa sensazione. Come se stessi saltando dall’elicottero, con il mio paracadute sulle spalle.
Non vedo l’ora di essere all’altezza giusta per poterlo aprire e godermi il volo.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma, intento a osservare Anna. Da lontano, come ormai devo limitarmi a fare.
Dopo quella botta di adrenalina e quel bacio - l’ultimo - il colpo che ho preso è stato tremendo.
Non posso far altro che accettare ciò che la vita ha deciso per me, tanto ormai sono abituato a non controllare le mie azioni, e l’unica volta in cui l’ho fatto, ho provocato un danno irreparabile.
Forse è meglio così.
Cecchini arriva tutto trafelato, chiedendomi dove ho messo l’abito da sposa di Anna.
Gli spiego che l’ho donato alle suore, e lui sembra sconvolto.
“Ma come, non avevamo detto che finché c’è l’abito, c’è speranza?”
“Sì, però... speranza... fine.” ammetto, sconsolato. Almeno so che a qualcuno quel vestito servirà.
Lui è sempre più nel panico, e se inizialmente credevo che fosse solo per bene mio, scopro fin troppo presto che all’interno aveva nascosto un assegno da cinquecentomila euro.
Ma come accidenti gli è venuto in mente? Ci sarà un motivo se esistono le casseforti, no?
Come ci sono finito in un convento di suore con Cecchini non lo so nemmeno io,
La cosa certa è che devo al più presto trovarmi una casa, perché vivere con il maresciallo non mi farà di certo diventare Don come alcune vecchie conoscenze, ma di sicuro alla neuro ci finisco.
Anche se avrei preferito andarci quella volta, vestito da Babbo Natale... ma non è questo il momento dei ricordi.
Il piano di Cecchini, l’ennesimo, ha preso vita trascinando dentro anche me, e come previsto la prima parte è fallita.
Di solito i suoi piani hanno effetti al terzo, quarto tentativo.
E per effetti non intendo che vadano bene, anzi.
Comunque, rientriamo in caserma senza assegno, dopo che ho passato tutto il viaggio di ritorno trattenendomi dallo strozzare Cecchini.
Gli voglio bene, ma è esasperante! Non ha fatto altro che ripetermi come sia colpa mia, di tutto! Anche lui ora mi va contro! Ma c’è qualcuno ancora a Spoleto che stia dalla mia parte?
No, domanda retorica, perché se questa è l’aria che tira, allora mi sa che è meglio iniziare a valutare un lavoro altrove. Lontano, possibilmente. Tipo a settemila chilometri, in Pakistan.
No, ho sbagliato decisamente esempio, la compagnia di Cecchini mi fa malissimo.
Il nostro battibecco comunque è interrotto da Sara, che mi chiede perché io abbia richiesto un supplemento di indagine.
Quale supplemento?
 
Anna’s pov
 
Intervengo nella conversazione dei miei colleghi, spiegando che il supplemento l’ho chiesto io, e anche il motivo, ossia che Sergio è innocente e la donna era morta già la sera prima, mentre lui era in canonica.
Inutile che Sara faccia quel sorrisetto insinuante, lo so cosa pensa.
Come Marco, crede che io mi stia lasciando condizionare, ma non è così. Sergio è cambiato, e devono farsene una ragione, non mi interessa di cosa pensino.
Perché il vero assassino è ancora a piede libero, soprattutto.
Interroghiamo anche la sorella della vittima, ma stavolta è Sara, e non Marco, a decidere della sua sorte: la donna viene rilasciata, per valutare la sua posizione.
Non ci posso credere! Aveva un ottimo movente e l’hanno lasciata andare! Sono sconcertata, e nemmeno Marco ha contestato. Ma sono impazziti tutti?
Quindi avevo ragione! Sergio continua ad essere giudicato solo per il suo passato, e Marco si sta comportando come quella volta con Simone, il suo ex migliore amico, e anch’io quella volta ero coinvolta.
Certo, loro però sono tutti obbiettivi. Come no!
 
Una volta in piazza, Cicogna si avvicina a noi, seguito da Sergio.
Ci accusa di non essere stati imparziali, e io sono d’accordo, anche se non posso dirlo apertamente, perché so che c’è una prassi da seguire e non la decido io.
Spero solo che Sergio l’abbia capito, quando i nostri sguardi si sono incrociati.
Uhm, Anna, stai facendo confusione. Non è Marco. Quella cosa del dialogo visivo funziona solo con lui, non con Sergio. Lo sai bene, non cercare scuse.
Ancora, ignoro la vocina.
Sara e Marco dovrebbero dare ascolto non solo al cervello, ogni tanto, che male non fa.
Marco aveva iniziato a provare, ma il suo silenzio dopo ogni sentenza sputata da Sara ha ormai spazzato via ogni dubbio.
Non è cambiato, è sempre quello che ho conosciuto in piazza poco dopo il mio arrivo a Spoleto.
E dire che ci stavo ricascando.
 
Marco’s pov
 
So cosa Anna pensa di me, lo capisco. Non sono nato ieri, l’ho letto nel suo sguardo. Nei suoi gesti, e lei lo sa. Per me è un libro aperto, e so che non le piacerà nemmeno quello che sto andando a dirle, ma è lavoro, e ho il dovere di farlo.
Busso, anche se la porta è aperta.
“Posso parlarti?”
Lei non alza nemmeno lo sguardo dai documenti.
“Se proprio devi... non credo che abbiamo ancora qualcosa da dirci,” mi dice, tagliente.
Io però ho deciso. Passerò sopra ogni sua frecciatina, e sono fermamente convinto a mantenere la calma anche se lei cercherà lo scontro.
“Questo l’ho capito, perfettamente. Devo parlarti del caso. Questi sono i tabulati di Sergio.”
“Davvero?!”
“Sì. E la prima chiamata che fa, dopo che ha scoperto il corpo, è a Cicogna.” la informo.
“Sono molto legati, non mi sembra niente di strano.” ribatte.
“No, non è strano,” confermo, “però prima di chiamare te e denunciare l’omicidio, passano cinque minuti.”
“Grazie, Marco,” si limita a commentare, infastidita, ignorando volontariamente il problema. “Però vorrei ricordarti anche che Sergio è innocente e che abbiamo un sospettato.”
“Sì, però poi chiedigli cos’ha fatto con un cadavere in casa. Cinque minuti sono tanti-”
“Marco, com’è che ogni volta che non ti torna qualcosa, devi tirare in ballo Sergio?” sbotta lei, senza che ciò mi sorprenda più di tanto. “Non è per colpa sua che ci siamo lasciati, lo capisci?”
Io resto impassibile.
“Sì, questo concetto l’ho capito, fin troppo bene,” rispondo soltanto. Perché davvero in questo caso la nostra storia non c’entra nulla, sto solo esponendo i fatti, e una cosa che mi risulta strana nelle indagini. “Tu chiediglielo.” aggiungo semplicemente, in tono estremamente calmo.
Chiudo così la conversazione, lasciandola lì a pensare.
Non riesco a credere che la Anna con cui sto lavorando adesso sia la stessa che stavo per sposare. Perché quella, all’amore avrebbe anteposto il lavoro, mentre alla Anna seduta dietro quella maledetta scrivania, della divisa sembra non importare più niente.
E non so cosa sia stato a farle cambiare così radicalmente idea, ma fa male.
Perché l’unica cosa che riesco a dedurne è che un uomo che conosce appena da qualche mese è diventato più importante della carriera, quella stessa carriera davanti alla quale io sono stato buttato da parte.
Come se in quei due anni insieme, io fossi stato per Anna soltanto un ostacolo, e se è vero che quella notte l’ho tradita, seppur perché dilaniato dal dolore di averla persa, adesso, di nuovo, mi sento più tradito io. Preso in giro più di quanto non abbia confessato al barman. Perché quella donna che avevo sempre pensato che quando ama, ama fino in fondo, adesso sembra non avermi mai amato davvero.
Non quanto l’amo io.
Il suo tono accusatorio di poco fa mi ha straziato, perché io stavo solo cercando di fare il mio lavoro, di esporle un dubbio, e non c’era nessun bisogno che mi attaccasse in quel modo.
Quella dietro la scrivania non è la donna che amo, e vorrei tanto sapere che fine ha fatto.
Anche solo per farle capire che so benissimo cosa significhi essere coinvolti in un caso, e che, se solo mi permettesse di parlarle davvero per due minuti, potrei aiutarla a non mandare all’aria tutto ciò in cui ha sempre creduto. Solo per il suo bene, senza alcun tornaconto personale.
Ho perso la partita, non potrebbe essere più evidente, e l’ho accettato, ma, nonostante io stia soffrendo, forse più di lei, da bravo masochista, sto ancora lottando perché non soffra lei.
 
Anna’s pov
 
Marco ha voluto parlare con me di lavoro.
È stato calmissimo durante tutta la conversazione, esponendomi cosa secondo lui non torna.
E tanto per cambiare, nei suoi dubbi c’è Sergio. Ma è fissato!
Gli ho ripetuto per l’ennesima volta che il matrimonio saltato non è stata colpa sua, e la deve smettere con questo suo atteggiamento!
Ma mentre il mio tono di voce aumenta inesorabile, continuando a ribadire come Sergio non abbia niente a che fare con la nostra storia, Marco mi risponde colpo su colpo, parlandomi pacatamente solo del caso, prima di andarsene.
La stanza piomba nel silenzio.
E un déjà-vu si fa strada nella mia memoria.
Simone, l’università, il calcetto.
Quindi tu pensi che io l’abbia messo in stato di fermo per una questione personale?
No, sto solo dicendo che forse questo è un caso che ti coinvolge un po’ troppo.
Io so distinguere i fatti dalla vita privata, e sei tu quella che si lascia coinvolgere.
Si, forse, ma io cerco la giustizia e la verità... tu che cerchi?
Come quel giorno, Marco ha lasciato l’ufficio lasciandomi da sola con i miei pensieri, ma al contrario di allora non ha sbattuto la porta, non era arrabbiato, non ha dato in escandescenze.
Sono io quella che ha perso la testa.
Sembra tutto così surreale.
Ma davvero mi sto lasciando condizionare? Mancando di obiettività?
La mano al petto, un dolore lancinante.
La ferita è tornata ad aprirsi.
 
Afferro il fascicolo che Marco mi ha lasciato.
Chiamo Sergio, che però non mi risponde.
In realtà non so se sia stato un male, perché... cosa avrei dovuto chiedergli? ‘Ciao, sai, Marco mi ha fatto venire un dubbio... perché hai aspettato cinque minuti prima di avvisarmi del cadavere?’
Sì, certo.
Certo, certo. Chiaro. Ma... non è che ciò che ti dà fastidio è il fatto che Marco sia rimasto totalmente impassibile alle tue accuse? Perché a me sembra chiaro che non stia affatto cercando vendetta. Te lo ha detto anche, si è arreso all’evidenza, finalmente. Tra voi è finita. Dovresti essere contenta, no?
Niente più Marco nella tua vita.
E questo ti rende più serena, vero?
... Anna?
 
Marco’s pov
 
“Senta, se non trova una soluzione, Lei finisce nei guai, eh,” mi accusa Cecchini, entrando in caserma.
“Lo so,” rispondo, pensieroso. “Se Sergio fosse coinvolto nell’omicidio, per Anna sarebbe davvero un bel problema.” Niente da fare, la mia testa è sempre rivolta lì.
Non dovrebbe importarmene, è stata lei stessa a dirmi che devo starne fuori, che della sua carriera non mi interessa, e invece sto tutto il giorno a indagare per scoprire se Sergio sia colpevole o coinvolto, solo ed esclusivamente per il bene di Anna.
Sarò il primo ad essere felice, se risultasse che lui non c’entra niente.
Se Sergio non è colpevole, Anna sarà libera di rischiare la sua divisa come vuole, perché sta frequentando un ex galeotto. Sarà una sua scelta, sa perfettamente a cosa sta andando incontro. Ma se Sergio è coinvolto e salta fuori che lei ha dirottato le indagini credendo nella sua innocenza, avrà rischiato per una cosa che si può evitare. Se solo abbassasse quel dannato muro di protezione per dieci secondi, capirebbe.
Ma è testarda. Lo è sempre stata. Non ammetterà mai di stare sbagliando.
Devo trovare un modo, ma non so più cosa inventarmi, per arrivare ad Anna - quella vera - e parlarle.
Cecchini però mi dice che si tratta del vestito, e mentre cerco di tirarmi fuori da questa ennesima situazione che finirà male, mi avvicino alla finestra, e per poco non mi prende un infarto.
La sposa di cui parlava il fattorino, prima, in piazza, indossa l’abito di Anna!
Io e il maresciallo scendiamo di corsa, ma la situazione degenera senza che capisca bene come. Finisce quasi in rissa, in cui mi sento pure dare del maniaco senza aver fatto niente, quando una voce blocca tutto: Anna.
E ti pareva.
Bene, ma non benissimo.
Lei ovviamente riconosce subito il vestito, e Cecchini che cerca di dissuaderla peggiora le cose.
Maresciallo, vuole che non sappia che è il suo? L’ha scelto, cercato e voluto, proprio quello. Probabilmente sa anche a memoria ogni dettaglio del corpetto (anche io, in realtà, ma non mi sembra un buon momento per farlo notare. Già mi hanno dato del maniaco, ci manca che aggiungano ossessionato e pazzo).
Le spieghiamo il perché del trambusto, ed è lei stessa a tentare di recuperare un assegno che non c’è.
Che situazione imbarazzante.
Osservo la sposa andare verso il duomo per il suo matrimonio, sospirando affranto.
Anna mi si avvicina.
Me lo aspettavo, fin da quando ha riconosciuto il suo abito.
“Quindi alla fine l’hai dato via,” mormora in tono che sembra quasi...deluso?
Ecco, ogni tanto la mia Anna torna, c’è ancora...
“Ho sperato fino all’ultimo che mi perdonassi...” riesco solo a dire, però.
“Sono contenta che ce l’abbia lei. Le sta molto bene,” commenta soltanto Anna, prima di allontanarsi.
Non riesco a trattenermi.
“Anche a te...”
La mia voce si rompe.
Lei torna indietro.
“Marco...”
Se avessi avuto ancora un minimo di speranza, ciò che mi dice dopo con un filo di voce mette definitivamente la parola ‘fine’ all’amore che c’è stato tra noi. Senza rabbia, appena un sussurro.
“Io ti ho già perdonato.”
La sua mano, che per un istante aveva stretto la mia, mi lascia mentre lei torna in caserma senza più voltarsi indietro.
Siamo colleghi, no? Colleghi, al massimo amici...
Beh, è più di quanto avessi osato sperare dopo l’altro giorno.
Ho commesso molti errori, e tutto quello che è successo è stata una conseguenza di quella notte.
Lei ha voltato pagina, e per quanto ci abbia provato, io non ho potuto impedirlo.
Solo una cosa mi resta da fare, prima di chiudere anch’io quel libro scritto assieme: rimediare al mio errore, permettendole di essere felice.
Devo scoprire la verità su Sergio, poi la lascerò andare, stavolta per sempre.
 
Anna’s pov
 
Ghisoni ha richiesto il mio intervento in piazza per una rissa, si parla di un maniaco, ma che...?!
Marco?!
“Ma quello è il mio vestito?!” esclamo, sconvolta.
Cecchini e Marco mi spiegano l’ennesimo guaio in cui si sono cacciati, per cui mi ritrovo, in divisa, a dover ispezionare il corpetto della sposa, in cui sarebbe nascosto un assegno da cinquecentomila euro. Ma perché, perché?!
Non trovo nulla, quindi mi tocca pure scusarmi e augurare un felice matrimonio alla sposa.
Di sicuro se lo ricorderà.
Non come ricordo io il mio...
Prima di rientrare in caserma, però, ho bisogno di capire.
Mi avvicino a Marco, che ha gli occhi fissi sulla ragazza.
“Quindi alla fine l’hai dato via,” constato, col tono di voce più fermo che mi riesce.
Scusa, Anna, ma che te ne frega? Non hai detto che non te ne importava più nulla, di quel vestito? Lo volevi fare a striscioline, mi pare. Ricordo chiaramente un paio di forbici. Lo sai che si è arreso, no? Quella sera ti ha detto che finché c’era il vestito, c’era la speranza, e se ha deciso di disfarsene, alla fine, significa che non ci crede più nemmeno lui. Sei stata molto chiara, tra voi è finita, e lui se n’è fatto una ragione.
Cos’hai, Anna? Cos’è questo strano nodo in gola che sento, sono lacrime quelle che stai trattenendo? Ammettilo, che non volevi. Che ti ha fatto male, constatare che Marco abbia desistito.
Ammettilo, che sei un’egoista, perché pensavi almeno lui non si sarebbe arreso.
Zitta, dannata vocina, zitta! Non c’entra nulla, questo!
Marco mi spiega che non avrebbe avuto senso tenerlo ancora, il tono rassegnato della sera in cui ci siamo lasciati, o dell’altra volta, quando ci siamo baciati.
Dopo essere riuscita solo a commentare come alla sposa stia bene il mio vestito, sto andando via quando la sua voce mi blocca.
“Anche a te...”
Un altro déjà-vu.
E comunque il vestito ti stava bene... bene, bene, bene, bene.
Sei bellissima...
Torno indietro.
So che non devo ringraziarlo per il complimento, non ce n’è bisogno. Sa che ho capito, così come il fatto che io l’abbia perdonato, ma glielo dico comunque, perché almeno questo merita di saperlo con certezza.
Quando me ne vado, avverto le nostre mani sciogliersi con estrema difficoltà.
Nemmeno mi ero accorta di aver stretto la sua.
Le nostre dita ormai lontane, un senso di vuoto, lo stomaco che sembra precipitare.
Un’altra fitta al petto.
Capitano Anna Olivieri.
Marco Nardi, Pubblico Ministero.
È finito tutto.
Dolore.
La ferita torna a sanguinare più di prima, il nastro adesivo che tira i brandelli straziati del mio cuore, e mi provoca un male terribile. Più di quanto ne abbia provato finora.
Anche se non lo ammetterò mai.
 
Sergio continua a non rispondere alle mie chiamate, e se Maometto non va alla montagna...
Eccomi qui, a bussare alla porta della sua roulotte.
Adesso è finalmente libero, e io sono felice.
Lui mi ringrazia, mettendomi in imbarazzo.
Non amo i complimenti, e comunque non ce n’è bisogno, ho solo fatto il mio lavoro.
Sapevo che sarei stata in grado di essere razionale, e senza pregiudizi.
Se uno ha commesso degli errori, non vuol dire che li rifarà!
Non solo lui, però... ancora due pesi e due misure?
Non capisco come gli altri facciano a non accorgersi che Sergio è cambiato, per la sua bambina, e un po’ anche per merito mio. Di questo sono orgogliosa.
Sono tante le cose che ha iniziato a fare, per me.
Certo, la strada è lunga, ma...
Sarebbe un padre fantastico.
Attenta, Anna, l’hai già detto a qualcun altro.
Sembra aver trovato il suo posto nel mondo, finalmente.
Anche questo l’hai già detto a qualcun altro.
È pronto a cambiare, insieme a me.
Già visto, già fatto... insomma, un po’ di originalità no, eh?
E comunque è stato più bello la volta precedente. Le farfalle allo stomaco io non le sento, tu sì?
No, perché quando hai detto tutte queste belle cose la prima volta, a un certo ‘qualcun altro’, c’erano. Tantissime, pure. Ma ora... toc toc, c’è nessuno? Mh. Eh no, mi sa che sono uscite. In vacanza.
Mi fermo solo un istante a soppesare cosa dice la vocina, prima di reprimerla.
Prima di andare via, però, ne approfitto per chiedere a Sergio una cosa.
Non che dubiti di lui, anzi, sono convinta della sua innocenza. Insomma, è così dispiaciuto all’idea di mandarmi via, però io sono pur sempre un Carabiniere e lui ha trovato un cadavere, devo chiedergli di quei famosi cinque minuti.
Scema io.
Perché è ovvio che quel lasso di tempo fosse dovuto al panico, voglio dire... si è trovato il cadavere di una donna che conosceva, davanti, chiunque al suo posto ne sarebbe rimasto sconvolto, soprattutto dopo aver avvertito Cicogna, il compagno di lei.
Stupida io ad aver dato ascolto ai dubbi di Marco.
Quand’è che imparerò a non ascoltarlo? È chiaro che sia geloso, lo è sempre quando c’è Sergio in mezzo.
Spero questo caso lo chiudiamo in fretta, o finirò alla neuro.
Che dici, andiamo o ci facciamo ricoverare alla neuro, direttamente?
Per un attimo, al posto della mia auto sembra materializzarsi una slitta, circondata da una miriade di lucine natalizie, quelle voci in testa che mi confondono, come le immagini dei due uomini.
Sergio, poi Marco.
Chiudo gli occhi.
Il ricordo svanisce, torno al presente.
Ma il mio cuore batte impazzito, la mia mano sul petto.
Crac.
Ancora.
Un’altra corda del cuore ha ceduto.
 
Marco’s pov
 
Ieri Cecchini mi ha portato con sé in canonica per spiegare meglio del caso a Don Matteo.
Sì, sì, lo so, non si fa. Ma per una volta, ho accettato di uscire fuori dalle righe per il semplice fatto che la storiella che ci ha propinato Sergio mi puzza, solo che non riesco a capire dove sta il problema, e Anna rischia grosso.
Don Matteo, a tal proposito, mi ha suggerito di controllare una cosa ben precisa, e ho tutta l’intenzione di farlo.
Ragion per cui, stamattina, stiamo facendo un nuovo sopralluogo a casa di Cicogna. Non troviamo nulla, e devo sorbirmi in silenzio lo sguardo di rimprovero di Anna, però... se do un’occhiata a ciò che ha detto Don Matteo...
Ah.
Una mappa di Spoleto.
Quel prete ha sbagliato mestiere, ne sono convinto. Altrimenti non si spiega.
Ciò che si spiega benissimo, invece, è proprio la precisione del dettaglio che Anna riconosce nello sgamare Cecchini, perché fa lo stesso con me.
Ma interrompe sul nascere la sua ramanzina perché nota una donna - già incrociata la mattina del ritrovamento del cadavere - che porta al collo un particolare foulard.
L’arma del delitto.
Oh, bene.
Si spiega anche perché Anna sia un Capitano dei Carabinieri.
No, perché negli ultimi tempi qualche dubbio mi era venuto.
Però il foulard è da donna, e ora chi la smuove più dalla convinzione che Sergio sia innocente?
Non ce la farò mai.
Però... però è bello, vederla di nuovo così. Determinata, pronta, recettiva.
Questa è la mia Anna.
Anche se sta buttando via tutto, e non riesco a darmi pace.
 
Nel pomeriggio, arrivano i risultati della scientifica sui rilevamenti del secondo sopralluogo, relativi in particolare alla mappa, e il volume in cui si trovava.
Le impronte di Sergio sono solo lì, è evidente che lui in questa storia c’entri eccome, e che anche Cigogna sia coinvolto nell’omicidio, anche se non riesco a beccare il tassello di congiunzione.
So che probabilmente sarà inutile e mi si ritorcerà contro, ma devo provare a parlarne con Anna.
La raggiungo in ufficio.
“Ci sono anche le impronte di Sergio sulla mappa,” le dico, ma lei non solleva nemmeno lo sguardo, continuando a fissare il cellulare che tiene in mano, seduta sul bordo della scrivania.
“Quindi? È molto amico del Cicogna, potrebbe aver tranquillamente toccato quel libro.” commenta, indifferente.
Mh, sì, Sergio in effetti mi sembra un grande amante e conoscitore dell’anatomia umana, ha proprio l’aria da professore di medicina.
In ogni caso, io conosco Anna abbastanza bene da sapere come provocarla, e al momento questo mi serve.
“Solo quello? Perché le impronte sono solo su quel libro, su ‘Anatomia 4, viscere e intestino’. Un best seller, capisco che-”
“Vedi di fare poco lo spiritoso!” reagisce infatti lei. Brava, Anna, così ti voglio. 
Avrà anche cancellato e calpestato il passato che ci legava, ma io so ancora come fare ad ottenere una sua reazione, e il sarcasmo funziona sempre.
“Non sto facendo lo spiritoso, Anna, ti sto dicendo i fatti c-”
“Abbiamo l’arma del delitto, è confermato che è la sciarpa di Astrid, che ha movente e opportunità.” alza però i toni lei, facendo immediatamente degenerare tutto nell’ennesimo litigio.
Io però non mi lascio fermare, perché lei deve ragionare. Deve!
“E abbiamo questa!” insisto, posando la cartina sulla sua scrivania.
“Questa! Cos’è, una piantina dove c’è un segno che forse ci indica un punto su una strada deserta e un numero che non sappiamo neanche che cosa sia! Che cos’è?” spara a raffica, nel suo tono l’accusa e il disprezzo nei miei confronti che mi feriscono più delle altre volte.
Devo trattenermi dall’urlarle contro. Non so nemmeno io come ci riesco, ma mantengo la calma fino alla fine.
“Speravo potessi aiutarmi tu a capirlo,” dico soltanto, allargando le braccia. “No, perché di solito sei brava nel tuo lavoro.” concludo, tagliente.
Un ultimo sguardo di sfida, ricambiato dal suo che si fa improvvisamente incerto, e sono fuori da quella stanza che ormai mi soffoca soltanto.
 
Sono a dir poco devastato da quello che è appena successo.
Ho provato inutilmente a chiedere aiuto alla Anna che ho imparato a conoscere e che amo, ma che sembra svanita nel nulla.
Annullata, e so che è così.
Perché? Perché anch’io mi ero annullato per qualcun altro, scoprendo troppo tardi che per molto tempo ero stato ingannato e umiliato, volontariamente: Federica.
So che l’ultima battuta l’ha ferita nell’orgoglio, ma era l’ultima carta che potevo giocarmi. Forse è l’unico modo per convincerla a rientrare davvero in gioco, a far chiarezza su quei dubbi che so anche lei nutre pur non ammettendolo. A prestare attenzione ai contorni sfumati fuori dal tema su cui si è focalizzata.
Spero che le cose prendano la piega giusta, non sono in grado di lottare da solo per lei, se lei non lotta per se stessa.
Ma anche a costo di metterci una vita intera, farò di tutto per scoprire la verità.
 
Anna’s pov
 
Marco è appena uscito dal mio ufficio.
Abbiamo litigato, per l’ennesima volta.
Perché è così fissato con Sergio? Si è arreso, perché continua a cercare lo scontro sempre sullo stesso terreno?
Capisco la sua gelosia, sarebbe ipocrita da parte mia negare l’evidenza. So che Marco mi ama ancora, profondamente, me lo ha confessato e dimostrato più volte, ma è inutile. Non tornerò sui miei passi.
Non voglio più soffrire.
Scusa, ma chi è che ha mai detto che Marco ti ferirà di nuovo?
L’ha già fatto più volte, può commettere ancora gli errori già fatti.
Giusto. Ma anche Sergio può farlo, lo sai questo, vero?
Mi blocco.
È la prima volta che le domande nella mia testa si susseguono direttamente con un nesso logico e con i nomi, chiari e distinti, all’interno.
Brava, sono contenta, ora sì che iniziamo a ragionare. A saperlo, ci avrei messo i nomi prima. Magari facciamo anche un disegnino, se ti viene più semplice.
Scuoto la testa.
Appoggio la cartina di nuovo sulla scrivania.
Quell’uomo impossibile che è uscito poco fa dalla porta del mio ufficio si sta di nuovo comportando come tale. Sta provocando in me terremoti su terremoti, destabilizzandomi.
Lei dovrebbe essere orgogliosa di avere una figlia come Anna, una figlia che ogni giorno viene a lavorare con passione, e che sa ascoltare le persone... come fa a non rendersene conto? Io sono solo un collega, eppure l’ho capito subito...
Lavorare con passione...
E da quando ti interessa la mia carriera?
Torno a fissare la porta.
Sospiro a fondo.
Okay, gli importa, e anche da un sacco di tempo.
Da ben prima che ci fosse un noi.
Un’altra volta quel dolore al petto.
La ferita continua a dilatarsi.
 
È quasi la fine del mio turno serale, quando arriva Sergio in ufficio.
Vuole farsi perdonare per come si è comportato negli ultimi giorni, proponendomi un’uscita solo noi due.
Accetto, e scendiamo giù quando lui si accorge di aver dimenticato la giacca.
Va a prenderla, mentre io mi ritrovo incastrata in una strana conversazione, con Cecchini che tenta di convincermi a parlar male di Don Matteo a un cardinale.
Devo essermi persa dei passaggi, sicuramente, e sarà uno di quei suoi piani strampalati, ma non ho tempo da perdere, perché Sergio non scende.
Torno su per controllare che non sia successo niente, e lo trovo a trafficare attorno al mio pc, ma nemmeno gli do peso, probabilmente ha fatto cadere qualche penna o uno dei fermacarte, mentre prendeva la giacca che sta appoggiata alla sedia.
Non so, non ho voglia di tirare fuori la vecchia Anna sempre sospettosa, non adesso, ho bisogno di distrarmi e scollegare il cervello.
Ti dirò, non mi sembra di aver lavorato tanto, quassù, ultimamente.
Zitta!
 
Mi cambio in fretta, e condividiamo quella che ormai è la nostra cena distintiva: pizza e chinotto. Sul mio maggiolino, nello stesso posto in cui mi ha portato la sera che siamo scappati dal matrimonio di Elisabetta.
Mi piacciono queste serate spensierate, molto.
Certo, ogni tanto sarebbe bene mangiare in modo più salutare, magari cucinando a casa, invece di stare sempre fuori.
Pardon, ti disturbo solo per dire che potreste anche farlo, ma forse cucinare ti ricorda qualcuno e quindi hai evitato, di metterti ai fornelli per, e con Sergio? No, però, sul serio... hai fatto seratona, vedo!
Zitta, zitta, zitta!
Iniziamo a parlare, e gli dico di quella casa per la quale ho visto un annuncio qualche giorno fa, che per lui e Ines sarebbe perfetta, secondo me.
Caspita quante cose avete in comune, stellina. Parlate sempre di Ines, non so se ci hai fatto caso. Lei, e la tua infanzia interrotta. Altri argomenti no, eh? Rigirate sempre su questi. Strano, con qualcun altro non c’era una sera che non tiravate fuori un discorso diverso, però ok. Amavi parlarci, ricordi? Anche di stupidaggini, ma non c’era mai un istante che fosse vuoto. Anche senza parlare, il silenzio diceva tantissimo. Con quest’altro, cosa ami fare? ‘spe’... lo ami...? Ah, già, non mi pare tu glielo abbia mai detto. Ho sentito un ‘ti voglio bene’, ma nient’altro. Neanche le farfalle.
Basta!
No, ehi, sta’ buona. Basta lo dico io.
Lui contesta che ha comunque la roulotte, con vista mare, montagna, bosco, dipende da dove la metti. Quasi come fosse sempre in viaggio.
Un’ultima cosa e poi ti lascio alla tua ‘seratona’, forse. In tema di viaggio, che ne dici se andiamo al drive-in? Bello, no? Le luci, le auto d’epoca, un pm che da bambino voleva fare l’attore... mi sembra una buona idea, non c’è bisogno di andare così lontano per stare bene. Per capire di voler far davvero parte della vita di qualcuno. In quella casa che gli hai proposto, la tua presenza non l’hai inclusa, te ne sei accorta? Sembra un progetto sociale, il tuo: riunire padre e figlia, dar loro quello che tu non hai avuto. Brava, bel gesto, ma... che c’entra con l’amore?
Quando hai visto Marco con Ines, hai desiderato che fosse vostra figlia. Che foste una famiglia.
Con Sergio, non l’hai mai presa in considerazione, la possibilità di diventarlo sul serio.
Riesco ad ascoltare Sergio quanto basta per seguire il discorso, dannata vocina e i suoi paragoni!
Comunque, lui mi dice che vuole portare Ines in campeggio, ed è una cosa bellissima, una di quelle cose che lui si ostinava a dire di non essere capace di fare.
“Mi sarei perso l’unica cosa bella della mia vita.”
“Ah, l’unica.” commento, fingendomi offesa.
“No, è vero... mi sarei perso anche te.”
Credo che la cosa importante sia trovare il proprio posto nel mondo, ed io penso di averlo trovato. ... Credo anch’io, mi sa.
“... e adoro il tuo naso, anche se è buffo...”
Con ‘sto naso dove vuoi che vada...? Non è così male...!
Per un secondo il mio maggiolino diventa quell’auto d’epoca, davanti ai miei occhi l’immagine di Marco si sovrappone a Sergio.
Mi impongo di tornare alla realtà, battibeccando sulla sua battuta.
Come se potesse aiutare a distrarmi.
Poi Sergio mi bacia, e tutto torna al presente.
Quello in cui ho deciso di vivere l’amore come viene, senza dargli troppo peso.
... è per questo che stai con lei? No, sto con lei perché è divertente, perché prende le cose con leggerezza, e poi perché le vado bene così come sono, e non fa niente per cambiarmi.
Cerco di focalizzarmi su questo bacio, ma le cose peggiorano.
Anche quella sera, sarebbe dovuta terminare con un bacio.
Eppure, su quell’auto al drive-in, sarebbe stato superfluo.
Vi è bastato guardarvi negli occhi per capire di amarvi.
Ancora, la mia mente non ne vuole sapere di collaborare.
Forse dovresti iniziare a domandarti perché stai con Sergio. Hai sempre detto che ci stai bene, ma che vuol dire?
Zitta, zitta zitta.
No. Almeno finché non ti sarai data una risposta. Ma quella vera, Anna.
 
Una volta a casa, mi cambio e mi accomodo sul divano, armata di tè freddo, e mi decido a prendere quella cartina per studiarla meglio. Quella strana sequenza di numeri sembra familiare, ma non riesco a capire a cosa si riferisca.
Ah, ma quindi ora ti dedichi alla mappa? Non avevi detto che era inutile?
Mi fermo a fissare il foglio, una strana sensazione di turbamento mi pervade.
Forse è dovuta a ciò che ho vissuto - e rivissuto - sul maggiolino qualche ora fa?
Per il costante paragone che la mia mente mi ripropone sempre più di frequente, mettendo a confronto Sergio e Marco?
Le loro immagini si sovrappongono spesso, con il loro essere uguali, eppure completamente diversi.
Sergio spensierato ma tormentato, Marco più serio ma incline a lasciarsi andare.
Sergio pronto a rischiare ma parandosi la faccia, Marco sempre indeciso ma disposto a ferirsi se ne vale la pena.
Sergio apparentemente spavaldo, ma più insicuro di quanto vuol far credere, Marco corazzato dietro la giacca e la cravatta da PM ligio al dovere, ma sempre pronto a giocare e a piangere se necessario, perché è normale.
Dov’è la vocina che dovrebbe farmi notare come io mi stia trovando nella stessa posizione di Marco, quando si è trovato diviso tra me e mia sorella?
Non servo, l’hai già capito da sola.
Mi ritrovo a fissare il vuoto.
E io, chi devo scegliere?
Allora non hai scelto? No, aspetta aspetta aspetta. Mi sono persa dei passaggi? Non avevi detto che tra te e Marco fosse finita? Vuoi dirmi che non è così? Prendo i popcorn, questa novità sarà moooolto interessante da sentire.
 
Sergio e Ines stamattina partono per il campeggio, e io esco di casa di corsa per salutarli, il fascicolo del caso con la mappa stretto tra le mani.
Quando però arrivo davanti alla canonica, Don Matteo mi dice che sono già partiti.
Caspita, quanta fretta. Ci sono rimasta male, onestamente. Cioè, sembrano scappati come due fuggitivi, non sarà mica che...?
Ma no, che sciocchezza, adesso ho dubbi senza che intervenga la vocina?
Evviva, brindiamo, stai tornando in te!
Il mio cellulare squilla prima che riesca a ribattere alla mia testa, ma nel rispondere al solito call center, la cartina scivola a terra.
Don Matteo la raccoglie, così ne approfitto per chiedergli se ha un’idea riguardo a quei numeri scritti sopra, tanto prima o dopo l’avrebbe fatto il maresciallo.
Don Matteo, però, mi risponde che nemmeno lui ha capito a cosa possano riferirsi ma come Marco, sembra avere dei dubbi circa la colpevolezza della donna, che invece io credo sia l’assassina. Adesso che me lo fa notare, in effetti ci sono delle cose strane in questa storia.
Assurdo, sono perfino arrivata al punto di parlare del caso con Don Matteo, invece di dare ascolto all’uomo pigro che ultimamente si sta dando un gran da fare.
La giornata scorre tranquilla.
Marco non si è visto e Cecchini mi ha chiesto un giorno di permesso per andare all’estero, anche se non ho capito che accidenti significasse.
La sera, a casa, mi ritrovo da sola.
È strano, e quasi triste.
E pensare che una volta ti piaceva tanto stare da sola, ti era utile a riflettere. Cos’è, ora che vivi ‘con leggerezza’, non ti serve più?
Sta’ un po’ in silenzio, vocina, così mi riposo. Ché le giornate sono state lunghe e stancanti, nell’ultimo periodo.
Se lo dici tu.
 
La mattina, il mio cellulare squilla mentre sto finendo di prepararmi per andare al lavoro. Non sono nemmeno le otto, chi...?
Ah, Sergio!
Mi dice di volermi ringraziare ancora per quello che ho fatto con Ines, ma quando gli dico che non deve e che me l’ha già detto, aggiunge una cosa, sembra, inedita.
Che mi ama. Partendo poi con un lungo elenco di cose che ama di me.
Questa sua dichiarazione mi lascia di certo senza parole, ma non posso fare a meno di notare che la sua voce è strana.
La frase finale però mi mette addosso una strana ansia, ma quando gli chiedo se sta bene, mi dice di non preoccuparmi. La chiamata si chiude.
Lasciandomi con mille dubbi in testa.
Dovrei essere felice delle sue parole, ma... perché dette così, per telefono? Ci sono stati tanti momenti in cui avrebbe potuto dirmelo. E quella voce... perché era affannata, come se ammetterlo gli stesse costando parecchio e fosse stato portato a farlo da qualche circostanza in corso? Quasi... obbligato per giustificarsi?
Come te in quel furgone, te lo ricordi? Il cuore in gola, il terrore di non poter mai pronunciare quelle parole... Sergio ti ha detto di amarti, come hai fatto tu in quella occasione con Marco. Ma Marco, quando ha letto il tuo messaggio arrivato in ritardo, ti ha risposto. Anche se la prima era una bugia e lo sapevate entrambi. Tu, invece? Sei stata in silenzio.
Cosa vuol dire, quella telefonata?
Pensa, Anna, pensa...
Credi nelle persone anche quando ti sbagli.
Cosa vuol dire? Su chi mi sto sbagliando?
 
Una volta in caserma, poco prima delle 9, mi accorgo che Zappavigna e Ghisoni hanno indossato i giubbotti antiproiettile e stanno caricando le pistole d’ordinanza.
Alla mia richiesta di spiegazioni, Zappavigna mi informa che si tratta della scorta per un furgone portavalori. Strano, perché di solito non interveniamo, ma Ghisoni mi spiega che stavolta devono trasportare due milioni di euro.
Un momento... due milioni?
Quando domando il percorso fatto dal furgone, il respiro mi si mozza in gola.
Statale 27.
La mappa di Spoleto.
I numeri scritti sopra in rosso.
No, non può essere, no, qualcuno mi dica che mi sto sbagliando, che non è come penso!
Sembrano scappati come due fuggitivi...
Credi nelle persone anche quando ti sbagli...
Strano, perché di solito sei brava nel tuo lavoro...
Non può essere, non può avere ragione, non può avere ragione su tutto!
Faccio un ultimo tentativo, perché non ci voglio credere.
Avvio la chiamata a Sergio.
Rispondi, cavolo, dimostrami che sto sbagliando! Che non stai facendo quello che temo! Che sei cambiato, per Ines, per me! Che non ho odiato e litigato con l’uomo più impossibile che conosca mentre lui cercava solo di farmi aprire gli occhi! Rispondi!!
Ma Sergio rifiuta la mia chiamata.
E tutto diventa improvvisamente chiaro.
Spiego ai miei uomini che è stata organizzata una rapina, e dobbiamo sbrigarci, arrivare prima che sia tardi.
Ma un’ultima cosa prima di andare devo farla.
Un’ultima chiamata prima di tentare di arginare il danno che io stessa ho causato.
“Marco, sono io. Ti devo chiedere scusa... avevi ragione.”
 
Nel viaggio adrenalinico verso il luogo in cui avverrà la rapina, ripenso a tutto ciò che ho vissuto con Sergio.
È stata tutta una menzogna, quindi? Mi ha solo usata, per tutto il tempo, come una copertura, per i suoi scopi illeciti? Sono diventata un’Anna diversa per lui, snaturando quella che ero sempre stata... è questo il prezzo da pagare per essermi lasciata andare? Annullandomi per qualcuno che non ha avuto nessun rispetto di me? Che mi ha solo sfruttata per il proprio tornaconto, colpendomi nei punti più deboli?
Quel paracadute che avevo sulle spalle quando mi sono lanciata dall’elicottero era forse difettoso?
Perché nonostante i tentativi, non si è aperto.
E io sto precipitando nel vuoto, senza possibilità di scampo.
 
Quando raggiungiamo il furgone, qualcuno inizia immediatamente a sparare una volta accortosi di noi.
C’è solo un rapinatore però, e non è Sergio, che probabilmente ha avuto paura e ha desistito, fuggendo.
Non che cambi molto, perché il suo coinvolgimento è ormai appurato, ed è colpa mia.
Ma forse un minimo di amor proprio gli è rimasto, oppure lo ha fatto per codardia, anche se non è il momento di preoccuparmene.
La sparatoria prosegue, fino a quando non succede qualcosa che non mi aspettavo.
Sento le gambe cedere, crollando a terra senza poter far altro.
Come fosse un film a cui qualcuno ha abbassato il volume, avverto dei suoni ovattati in lontananza senza riuscire a distinguerli, un dolore lancinante più o meno all’altezza della scapola, come non ne avevo mai provato in vita mia.
Avverto il sangue inzupparmi troppo in fretta la camicia, il fiato che si affievolisce ogni istante che passa.
Sto... morendo?
Ho finalmente capito tutto di noi...
Prima del buio, percepisco una figura sollevarmi appena da terra. Non capisco nemmeno chi sia.
Ma forse non potrò mai dirtelo...
I miei occhi quasi chiusi non mi consentono di metterla a fuoco, e molto probabilmente, chiunque sia, non sentirà nemmeno cosa sto provando a dire. Sono troppo debole, sento le forze che stanno per abbandonarmi, ma devo provarci lo stesso.
Marco...
 
Poi, più niente.
 
Marco’s pov
 
È passata più di un’ora da quando Anna mi ha chiamato per dirmi che avevo ragione ad avere dubbi su Sergio.
Ora sono qui, in caserma, mentre aspetto notizie sull’operazione in corso.
Mi sembra di essere tornato a quei giorni in cui Anna era stata rapita. Il cuore in gola, la paura che possa essere in pericolo, l’impotenza dell’attesa.
Come allora, sono seduto da solo nel suo ufficio, intento a osservare una delle sue foto che continuo a conservare sul cellulare.
La mia Anna.
Sei proprio un idiota, Marco.
All’improvviso, avverto una fitta al petto, come se qualcosa mi avesse colpito.
Come un colpo di pistola.
Sbatto le palpebre, confuso, sfiorandomi il punto in cui ho sentito il dolore, prima di sedermi al posto di Anna.
Che strana sensazione... svanita in fretta com’è arrivata.
Il mio cellulare squilla.
Zappavigna.
Perché mi sta chiamando lui?
“Dottor Nardi, il Capitano... le hanno sparato... è grave...”
Quello che accade dopo non saprei raccontarlo con certezza.
So solo di essere arrivato in ospedale, il fiato corto, la disperazione.
Non riesco nemmeno a parlare, a pensare.
L’attesa interminabile mentre la operano d’urgenza.
Ha perso molto sangue... non sappiamo se ce la farà... possiamo solo aspettare... le prossime ore saranno determinanti...
Ora Anna è lì, distesa su quel letto, in terapia intensiva, attaccata a una macchina.
Io costretto a stare fuori, insieme a Don Matteo.
Cecchini arriva di corsa, devastato quanto noi.
Ci chiede come sta, aspettando una mia risposta che riesco a mala pena a dargli.
Il prete gli dice di chiamare Elisa, prima di allontanarsi con lui.
Io resto da solo, immobile, a osservarla oltre il vetro.
Non capisco nemmeno come mi sento.
Anna, la mia Anna sta lottando tra la vita e la morte, e avverto la profonda delusione verso me stesso farsi largo in mezzo al dolore.
Perché non ho fatto abbastanza per impedirlo. Perché è colpa mia. Se solo avessi insistito di più, se non fossi uscito dal suo ufficio dopo il litigio sulla mappa, se non le avessi mentito più volte, lei adesso non sarebbe lì.
La sua vita non sarebbe appesa a un filo.
E se dovesse... se dovesse...
Non risponderò di me, non mi importa se mi giocherò la carriera, se mi rovinerò la vita, ma farò di tutto per sbattere dietro le sbarre chi ha fatto sì che tutto ciò accadesse.
Perché si può cambiare, sì, ma il passato non si cancella, e come non si cancella il mio, di certo non si cancella quello scritto su una fedina penale.
 
Accetto di tornare temporaneamente in caserma con Cecchini a patto che resti Don Matteo a vegliare su Anna, in attesa che arrivi sua madre.
Lascio che sia il maresciallo a guidare, io non me la sento.
Ma stavolta non commetterò l’errore di quel giorno.
Chiamo Chiara.
Che è successo? Che hai fatto stavolta?” chiede lei crucciata, non appena risponde.
“So che sai tutto quello che è successo e finora non abbiamo avuto modo di parlare,” replico, con un nodo in gola, “ma avevi ragione, sono stato un idiota, esattamente come avevi detto tu quella sera, anzi, di più. Ma quello che posso giurarti è che io amo Anna, e... e so che è forte, ma... ma ha bisogno anche di te. Di tutti. Chiara, ti prego, vieni... Le-le hanno sparato, e... forse, se ci sei tu... Avete sempre superato tutto insieme, dovete superare anche questa...”
 
In caserma ci raggiunge anche Sara.
Anche lei è preoccupata.
Capiamo che i rapinatori possedevano i codici del furgone, e io suggerisco che potrebbe essere stato Cicogna a reperirli, visto che è un genio dell’informatica.
Lo convochiamo.
Mantenere la calma è difficile, ancor di più di quando interrogammo Lisi.
Perché la donna che amo è di nuovo in pericolo, più di allora, e non ho voglia di stare ai suoi giochetti e le strane accuse che muove solo contro Sergio. Sara lo lascia andare, ma a me non convince, c’è qualcosa di strano in quello che ha detto, però non sono abbastanza lucido da capire dove stia il problema ed esporre i miei dubbi.
Mentre osserviamo quell’uomo uscire dalla caserma, facendolo seguire, Sara mi esclude dalle indagini perché sono troppo coinvolto.
Anche Anna ci aveva provato una volta, ma se in quel caso avevo replicato, stavolta non ce la faccio. So che ha ragione.
La donna che amo lotta per la vita, e io io più che mai sarei pronto a sbattere in galera chiunque, con un minimo di prova che me lo permetta.
 
La mattina dopo, sono ancora in ospedale da Anna, dove ho passato quasi tutta la notte, quando Cecchini mi chiama dalla caserma.
Non capisco cosa voglia, visto che sono stato tagliato fuori dalle indagini.
Quando arrivo, scopro che Sara sta facendo fare dei rilevamenti nell’ufficio di Anna, e alla mia richiesta di spiegazioni mi dice che sospetta che Anna sia coinvolta nel furto dei dati.
Si scusa per le sue insinuazioni, ma io non ci vedo più. Anche Cecchini è sconvolto, negando fermamente la possibilità che lei sta paventando.
So che sta solo facendo il suo lavoro, ma non glielo posso permettere.
Ho giurato che avrei rimediato ai miei errori, e ho intenzione di mantenere la promessa, ora più che mai.
Sono sicuro che Anna non c’entri nulla con questa storia, e che Sergio abbia tramato alle sue spalle, usandola, approfittando della sua buonafede.
Sapevo che le avrebbe rovinato la vita, più o meno volontariamente, ma mi ero sforzato di vederci del buono, in lui, per Anna. Avevo provato a credere che almeno lui sarebbe riuscito a renderla felice, e speravo che smentisse tutti i miei dubbi.
Avrei voluto sbagliarmi, avere torto.
Mi sono fidato, sono stato onesto.
Ma ho amato, e amo fino in fondo la donna che ora lotta in ospedale.
Forse alla fine di tutto non cambierà nulla, ma non importa.
Ho già perso tutto quello che avevo, ma adesso potrei perdere Anna per sempre, ed è l’unica cosa che non mi posso permettere.
Perdere il lavoro non sarà certo la cosa peggiore che potrebbe capitare.
È per questo che mi assumo la responsabilità di ogni cosa, affermando che sapevamo già tutto, e che sono stato io a dire ad Anna di lasciare che Sergio piazzasse la scheda nel suo computer, per coglierlo sul fatto.
Le dico che è colpa mia e non di Anna, perché Anna si sveglierà, e magari mi odierà ancora, ma la sua divisa sarà ancora lì ad aspettarla affinché la possa indossare di nuovo, che sia a Spoleto o a Islamabad. Sempre a testa alta, fiera, coraggiosa. Intelligente, tosta, determinata, ma anche sensibile, emotiva, che davanti al male si sa ancora commuovere.
E tutte le innumerevoli qualità che la rendono la donna di cui sono perdutamente innamorato.
 
Cecchini’s pov
 
Sono in ospedale con Elisa. È arrivata anche Chiara, stanotte.
Anna non si è ancora svegliata, dicono che possiamo solo aspettare e non c’è altro che si può fare.
Poche ore fa ho fatto una chiacchierata con Don Matteo.
Abbiamo parlato anche di mia moglie Caterina, di come lei se ne sia andata serena dopo aver vissuto appieno la sua vita.
Ma Anna no, lei ha un’esistenza intera davanti a sé, non ha vissuto, non può andarsene ora.
Non mi può lasciare ora.
Ora che ho ritrovato una figlia... anzi, due, con sua sorella Chiara.
Anna non può sostituire Patrizia e Chiara non può colmare la distanza con Assuntina, ma la loro presenza - quella di Anna, soprattutto - ha alleviato quel dolore, come Elisa fa con quello della perdita di Caterina.
Dio mi ha voluto donare un’altra famiglia, e io non la voglio perdere così.
Vado via solo quando arriva Marco. Torno in caserma, perché senza il Capitano tocca a me gestire il lavoro, e non ho mai sentito tanto addosso il peso della responsabilità.
Mentre mi allontano, faccio in tempo a notare il lungo abbraccio tra Marco e Chiara, prima che lei accetti di andare a casa a riposarsi dopo la lunga nottata di veglia.
Vedo anche Marco che si avvicina ad Elisa, ma non riesco a sentire cosa si dicono.
Li lascio soli.
Sperando di ricevere quella telefonata in cui mi dicono che la mia Anna, mia figlia, ha riaperto gli occhi.
 
Elisa’s pov
 
Sono seduta su una delle rigide sedie fuori dalla stanza di Anna, mentre i medici verificano le sue condizioni.
È tutto così surreale.
È sempre stato questo il motivo principale per cui non volevo che lei diventasse un Carabiniere.
Perché temevo che prima o poi quella chiamata sarebbe arrivata.
Non che questo mi abbia trovata pronta, tutt’altro.
Mi sono sentita morire, come quel giorno in cui mi dissero che mio marito si era suicidato.
Adesso la mia Anna, la mia bambina è distesa su quel letto d’ospedale, per un motivo diverso, ma in un certo senso è come se anche lei avesse tentato di togliersi la vita.
Le avevo detto più volte di stare attenta con quel ragazzo, di tornare a ragionare, perché stava rischiando di buttare via tutto per orgoglio. Per una battaglia non sua. Per quell’amore che ancora provava per l’uomo che più l’aveva ferita.
Per provare a se stessa che è più forte, a prescindere, quando invece essere fragili è normale, ed è l’unico modo per superare il dolore.
Ma non ha voluto darmi ascolto.
E adesso ne sta pagando le conseguenze.
La cosa più terribile è che io non posso fare niente, sono costretta a stare qui, ad aspettare che mi dicano della sua sorte.
Con la paura di vedermela scivolare via tra le braccia senza poterlo impedire.
Ho superato la morte di Carlo per lei e per Chiara, ma non so se reggerei a un colpo del genere.
Una madre non dovrebbe mai sopravvivere ai figli, e anche solo l’idea è intollerabile.
Mentre asciugo le ennesime lacrime, Marco mi si avvicina, sedendosi accanto a me.
Allunga una mano, stringendo la mia. Ricambio il suo tentativo di conforto, perché ne ho un disperato bisogno. E anche lui.
Quanta strada abbiamo fatto da quella mattina in piazza, quando aveva cercato di farmi capire che mia figlia andava amata per ciò che era, perché perfetta esattamente così.
Avevo capito già allora che l’uomo che adesso mi siede accanto fosse perdutamente innamorato della mia Anna, e sapevo che lo era anche dopo che lei mi aveva raccontato, disperata, cosa lui aveva fatto.
Ha commesso molti errori, Marco, ma il suo cuore è puro.
Ho provato tante volte a farlo capire a mia figlia, cercando anche di metterla davanti alle sue responsabilità, perché anche lei sa bene di averne, ma sa essere fin troppo testarda. È fragile, troppo... a dispetto di quell’armatura apparentemente indistruttibile che indossa sempre.
Se la si osserva bene, ci si rende conto che non è metallo, quello che riflette la luce: è cristallo, trasparente, e basta davvero poco per ridurlo in polvere.
Quando è successo, lei ha cercato di riattaccare tutto come meglio poteva, fingendo di non vedere le crepe e gli spazi tra un coccio e l’altro.
Quelle crepe attraverso le quali Marco continuava a insinuarsi, inesorabilmente, spingendosi fin dentro il suo essere più profondo senza che lei riuscisse a fermarlo, né lo volesse.
Marco è sempre rimasto, e adesso è qui, giorno e notte, per lei. Non l’ha abbandonata un istante, anche se non ha niente da trarre in cambio.
Ora più che mai so che quando Anna si sveglierà, farò di tutto per convincerla a guardare col cuore a quell’uomo che non se n’è mai andato.
Perché il suo cuore batte per lei.
Non l’ho mai fatto, ma so che è arrivato il momento giusto.
Abbraccio Marco più forte che posso, riconoscendo in lui la stessa disperazione che provo io. Lo stesso amore.
Adesso anche io sono pronta a rivelargli ciò che nessuno dei due avrebbe mai immaginato quella mattina in cui abbiamo litigato, in piazza.
“Ho sempre saputo che fossi tu l’uomo giusto per mia figlia, il genero che ho sempre voluto avere, l’unico che la merita. E sono sicura ancora, e nonostante tutto, che sarà così.”
 
Marco’s pov
 
È sera.
La madre di Anna era stanca, anche se lei diceva di no, dopo due giorni passati accanto a sua figlia.
Ho dovuto insistere per convincerla ad andare a riposarsi un po’, e per fortuna alla fine ha ceduto.
Abbiamo parlato a lungo dopo l’abbraccio, come mai avevamo fatto prima. È stato bello, è servito sfogarci e trovare l’uno il supporto dell’altra in un momento così difficile per entrambi.
Chissà, magari questo può essere un nuovo inizio per tutti.
Ho chiamato Chiara, pregandola di prendersi cura di sua madre, di non lasciala sola.
Lei mi ha ringraziato per ciò che sto facendo, perché nella mia posizione avrei potuto scegliere di essere egoista, fregarmene di tutto come Anna stessa mi aveva detto di fare. Ma anche lei sa che non ne sono capace, e non lo sarò mai.
Ho chiuso la telefonata da pochi minuti e sono di nuovo in piedi, a osservare Anna dal corridoio, oltre il vetro. La situazione non accenna a mutare.
Noto una figura giungere al mio fianco.
Sara.
È la prima volta che viene, da quando Anna è in ospedale.
La capisco, ha dovuto occuparsi lei del lavoro che sarebbe dovuto spettare a me, anche se ha voluto essere aggiornata sulle condizioni di Anna.
Dopo qualche istante di silenzio, mi pone una domanda a bassa voce.
“Perché ti stai prendendo la colpa al suo posto?” chiede, il tono intriso di dubbio.
“No no, non mi sto prendendo proprio la colpa di nessuno,” affermo, senza staccare gli occhi dal letto.
“Ti rovinerai la vita e la carriera per lei...” evidenzia. “E lei non ti ama.”
Io non rispondo, cercando solo di trattenere le lacrime che pensavo essere ormai terminate. Ma non per quello che ha detto, no. Per tutta questa situazione insostenibile.
“Stai facendo un grande errore.” insiste Sara, ma questa frase una replica la merita.
“No no, l’errore grande grande l’ho già fatto,” le spiego, rivolgendole uno sguardo eloquente per un istante prima di tornare ad osservare Anna, immobile, vicina eppure lontanissima.
“Sto cercando solo di ripararlo.”
Ed è la verità.
Non mi sono assunto tutte le responsabilità perché voglio che Anna si senta in debito con me quando si sveglierà, al contrario.
Voglio solo portare a termine quanto mi ero prefissato: rimediare ai miei sbagli, quelli in cui anche la stessa Sara è coinvolta.
Non ci siam mai detti delle balle, non cominciamo ora.
Mentire ad Anna, quel giorno, mi aveva trasformato in ciò che avevo giurato di non diventare mai.
Mi ero ripromesso che mai, mai avrei tradito o fatto soffrire la donna che amo, e invece alla fine l’ho fatto...
E da quel preciso istante, avevo lottato prima per riconquistarla, cosa che ormai ho rinunciato a fare, e poi per far sì che la scelta che Anna stava per compiere e a cui aveva rinunciato, per me, sbagliando, possa ancora avere la possibilità di farla.
Aveva rifiutato l’incarico in Pakistan per restare con me, e io l’avevo tradita in troppi modi per avere il suo perdono, ma almeno così posso essere certo che quando riaprirà gli occhi, troverà ancora la sua divisa ad attenderla.
Quella che lei ha scelto sempre, sopra ogni cosa, per far trionfare la giustizia.
... e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere.
Sara comprende che non cambierò idea, e anche il motivo per cui mi sto comportando come sto facendo.
Mi stringe la mano.
“Spero che si salvi,” mormora, lasciandomi un bacio di conforto sulla guancia prima di andare via, gli occhi lucidi.
Resto nuovamente da solo, in attesa che mi permettano di entrare in stanza.
Non so nemmeno quante ore siano passate quando finalmente oltrepasso quella porta.
Vedere la mia Anna così, indifesa, inerme su questo letto mi provoca un dolore che non riesco neanche a definire.
La mia Anna, quella che non stava mai ferma, sempre in cerca di qualcosa in cui buttarsi a capofitto, piena di energia, quella del fare fare fare, sempre pronta a battibeccare con me.
Quella testarda come poche.
Che rideva alle mie battute, anche se tremendamente stupide.
Che mandava giù il mio brasato pessimo e l’arrosto troppo salato rimbeccandomi di essere un cuoco terribile.
Che detestava il calcio eppure guardava le partite abbracciata a me sul divano.
Quella che si illuminava come una bambina davanti a una vaschetta di gelato al cioccolato con le nocciole tritate sopra. Che divorava libri su libri e adorava i vecchi film.
La mia Anna, che adesso non accenna a svegliarsi dal suo sonno.
Le sfioro le dita con le mie, senza riuscire ad accettare anche solo l’idea che potrei perderla.
“Tu mi devi promettere che ti risvegli,” mormoro. “So che non posso più far parte della tua vita... Io voglio che tu ti risvegli! Mi hai capito?” insisto a bassa voce, fissando i suoi occhi chiusi. Sperando in una risposta che non arriva.
Il terrore di non poter più perdermi in quelle iridi verdi. Di non poter più vedere il suo sorriso.
Non posso accettare il fatto che l’ultima volta che ho sentito la sua voce sia stato al telefono, mentre mi chiedeva scusa per non avermi ascoltato.
Non posso.
Ma lei non reagisce. Il filo della sua vita in mano a tre Parche crudeli che stanno ancora decidendo del suo destino.
“Anna... Anna...” tento ancora, senza ricevere replica che non sia il silenzio.
Non riesco a stare qui un secondo in più.
Vorrei urlare, implorare Dio di non portarmela via.
Sperare che il mio amore basti a mantenerla in vita.
Lascio le sue dita con uno sforzo immane, prima di allontanarmi verso la porta.
Sono a pochi passi quando una voce mi ferma.
Il suono più melodioso che potessi sentire, che chiama piano il mio nome.
“Marco... Marco...”
 
Anna’s pov
 
Percepisco i miei sensi tornare a poco a poco.
Non so dove mi trovo, non riesco a capire bene cosa stia succedendo intorno a me, ma sento una voce che mi sta implorando di svegliarmi.
Non è la solita vocina che ha accompagnato la mia testa negli ultimi periodi di cui riesco a ricordare, no. È una voce maschile, ma non una qualunque.
La conosco bene, questa voce, adesso la distinguo nettamente.
Il mio nome, come fosse una preghiera.
C’è lui ad attendermi.
Marco.
Eccolo, il segno che stavo aspettando.
Forse non proprio quello che chiedevo e cercavo da tempo per perdonare l’amico, ma è il segno giusto.
E come il suo nome era stato l’ultimo che ho cercato di pronunciare chissà quanto tempo fa, ormai, è il primo che riaffiora sulle mie labbra.
Ancora e ancora.
Attraverso i miei occhi socchiusi, perché ancora troppo difficile e faticoso aprirli completamente, riesco a vederlo, metterlo a fuoco tra le ciglia.
Marco.
L’uomo a cui il mio cuore si rivolge ogni volta che si sente in pericolo.
Eccolo.
“Ehi! Anna... ciao! Amore mio...”
Un sussurro, leggero, come se avesse paura che, alzando il tono, potrebbe farmi male.
Amore mio...
Lo sento chiamare l’infermiera prima di tornare a me.
Sento le sue mani sfiorarmi con delicatezza, quasi timorose.
“Ciao... come stai?” mi domanda, e io riesco solo ad accennare un sorriso. Non ce la faccio ancora a parlare, ma non importa, so che capirà.
Lo sento tremare, gli occhi colmi di lacrime.
“Che bello, vederti così... ciao...” ripete ancora, come se non riuscisse a credere che io sia finalmente sveglia.
Nemmeno io me ne rendo perfettamente conto, ma una cosa la so per certa.
Quel paracadute che io pensavo fosse difettoso, si è aperto eccome, invece. Solo che io, nella paura di cadere, non me ne sono accorta.
Marco c’è sempre stato, ci sarà sempre, fedele.
Sì, fedele, nonostante l’infedeltà di una notte.
La mia coscienza aveva ragione. Ho perdonato tutto a tutti, mi sono fidata di tutto e di tutti, avevo concesso il beneficio del dubbio a chiunque, tranne che a lui.
Eppure eccolo qui, in questa stanza d’ospedale, con me.
Com’è sempre stato al mio fianco in questi mesi, silenzioso, nell’ombra, sempre pronto ad accorrere in mio soccorso ogniqualvolta fossi caduta. Non è mai stato lui a farmi inciampare, no. Anzi, è sempre stato il mio appiglio per rialzarmi, solo che non volevo capirlo.
C’era, c’è, e sicuro quanto è vero che io sono Anna Olivieri, Capitano dei Carabinieri, ci sarà ancora. Ma non da spettatore.
Questo tempo che ho passato rinchiusa nella mia mente mi ha fatto riflettere, comprendere molte cose su me stessa e sugli altri.
E il mio risveglio è un nuovo inizio, dopo ciò che voglio considerare solo un incubo, e di cui conserverò solo il buono.
 
Mattina.
La notte è trascorsa tra periodi di sonno e veglia, con mamma e Chiara a tenermi per mano, e il maresciallo ai piedi del letto. Marco sempre al mio fianco.
Hanno accettato di andar via solo all’arrivo di Don Matteo, per non lasciarmi sola.
Il parroco mi sta giusto raccontando tutto quello che è successo, e come sempre lui è arrivato prima di noi a risolvere il caso. Riderei, se non facesse male, perché certe cose non cambieranno mai.
Don Matteo mi sta ancora spiegando come Sergio si sia tirato indietro e abbia rifiutato all’ultimo di prendere parte alla rapina, per Ines, e per me.
Ma questo non cambia lo stato delle cose. Forse vuole davvero cambiare, e io potrei anche accettare di stargli accanto... solo, non come vuole lui.
“Sa, Don Matteo, la verità è che... noi donne a volte riusciamo ad essere veramente stupide,” mormoro con quel poco di voce che riesco a tirar fuori.
“Coraggiose,” propone lui, ma non è poi così diverso.
“Coraggiose, o stupide... il risultato non cambia. Ci crediamo, amiamo, rischiamo tutto... e veniamo illuse e tradite.”
“Se c’è uno che ti capisce... quello è Gesù,” risponde però lui, in tono dolce. “Anche lui è stato tradito, ma in quella notte buia, di solitudine, di dolore, lui ha pensato a noi, e a tutti i tradimenti di cui siamo capaci. Ed è allora che lui ci ha amato di più... ci ha voluto dare tutto se stesso. Ha spezzato il pane e ci ha dato il suo corpo, con il vino il suo sangue, e ci ha detto ‘Amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato voi’.”
Non so bene quando ho iniziato a piangere, ascoltando le sue parole, ma Don Matteo non ha ancora finito.
Mi rivolge un sorriso comprensivo. “Ha visto, Capitano? Dal tradimento, è nato un amore più grande. Com’è possibile tutto questo, io non lo so... ma è così bello...”
Io ho bisogno di sfogarmi, anche se il groppo in gola fa tremendamente male.
“Sì, però con Sergio non ha funzionato... io ci ho creduto, davvero... e invece ho sbagliato... mi ha solo usata, e io ho ferito l’unico uomo che mi abbia mai amato veramente, che mi ha dato tutto anche quando continuavo a respingerlo...” confesso, tra le lacrime. Perché sono inciampata, come successe quella volta sulla strada di ritorno dal monastero, ma a porgermi la mano affinché non cadessi di nuovo c’è sempre stato una persona, e una soltanto.
“Vale sempre la pena di amare,” dice il parroco, ma io lo sento appena.
Perché il mio respiro viene meno, all’improvviso.
“Anna, Anna!” esclama Don Matteo, preoccupato, scattando in piedi e chiamando gli infermieri.
Mi stringe le mani, mentre io sento di nuovo le forze venire a mancare.
Buio.
 
Mi risveglio frastornata qualche ora dopo, stando a quello che mi dicono.
Ho avuto una crisi respiratoria. Mi sono affaticata troppo, e il mio corpo non ha retto.
Hanno avuto qualche difficoltà a... riportarmi indietro, diciamo.
Ho fatto prendere un brutto colpo a tutti.
Stavolta davvero pensavano che non ce l’avrei fatta.
Quando glielo consentono, Don Matteo rientra in stanza, sollevato di ritrovarmi sveglia.
Dopo essersi sincerato che sono abbastanza tranquilla da poter sostenere una conversazione in piena coscienza, mi spiega che Sergio non è ancora tornato, e che bisogna trovare un modo per far sì che si presenti da solo, per prendersi le sue responsabilità ed espiare le sue colpe.
Lui ha un’idea, ma per metterla in pratica c’è bisogno dell’aiuto di tutti quelli che mi vogliono bene e che mi amano, perché non è un escamotage troppo felice. È rischioso, ma forse è l’unico modo.
Dice che ha già proposto la cosa a Marco, Sara e il maresciallo, ma che l’ultima parola spetta, per ovvie ragioni, a me.
Quando sollevo lo sguardo, quasi il desiderio del mio inconscio si fosse avverato, li vedo tutti lì, in piedi oltre il vetro.
La mia famiglia.
Chiara, Cecchini, e mia madre... abbracciata a Marco? Che mi sono persa?
Stanno sorridendo, uno più di tutti.
 
È a dir poco strano, sentire la notizia della propria morte al telegiornale.
Sì, è questa l’idea di Don Matteo.
E devo ammettere che i miei cari sono ottimi attori, perché ci hanno creduto tutti, soprattutto uno.
Che è tornato indietro, e adesso è lì, davanti alla mia bara vuota, avvolta nel tricolore.
Sta piangendo, mentre io lo ascolto attraverso la porta socchiusa della sagrestia.
“Perché? Perché?! È colpa tua! Tu... tu hai voluto vedere qualcosa di buono, in me, e io te l’avevo detto che non c’era niente di buono, in me... Non sono una buona persona, non sono un buon padre... Non c’è niente di buono, in me... Niente...” si sfoga.
È solo a questo punto che decido di palesarmi.
Fa male, sia sentire quelle parole che stare in piedi perché il dolore della ferita - e non solo fisica - è ancora troppo recente.
“E allora perché sei tornato?” mormoro, e lui si volta, incredulo.
La sua espressione cambia.
Mi abbraccia, anche se io resto immobile.
“Sei viva... guardami,” mi prega, prendendo il mio viso tra le mani. “Era una messinscena...”
“È stato Don Matteo,” sussurro, “ha detto che saresti tornato... per me.”
Lui piange ancora, evidentemente sollevato, ma io ho bisogno di sapere la verità.
“Sergio, era tutto finto? Ti sei messo con me solo per la rapina?” chiedo, anche se una parte di me non vorrebbe sentire la risposta, che già conosco.
“All’inizio...! Mi sono avvicinato a te per piazzare la scheda, e poi invece è cambiato tutto... Sono cambiato io!” insiste, ma purtroppo le sue parole non hanno in me l’effetto che lui vorrebbe.
Perché mi ha usata fin dal primo minuto. Per lui io ero diventata un’altra, poco mi importa, adesso, se nel frattempo i suoi sentimenti per me sono mutati. Anche illudermi e usarmi sono stati un tradimento, come, anzi peggio di quello di Marco.
Entrambi sono tornati sui propri passi per senso di colpa, ma la verità è che Marco non ha mai voluto fare ciò che ha fatto, se ne avesse avuto coscienza non avrebbe mai commesso quell’errore che ci è costato la nostra storia, invece Sergio ha avuto tutto il tempo di poter scegliere, di cambiare idea, e non l’ha fatto.
Ha sacrificato il mio affetto al denaro, ritornando solo quando sarebbe stato ormai troppo tardi, se io fossi morta davvero come credeva lui.
Invece Marco non mi ha mai abbandonata, mai, e non solo accanto a quel letto d’ospedale.
È per questo che ho scelto lui, di nuovo. Ci sono ricascata.
Ma stavolta non posso accusare Marco di non aver capito niente di me, come quella volta nel mio ufficio, perché invece ha capito tutto.
Lui, soltanto lui.
È il momento di porre fine alla parentesi con Sergio.
“Anche io sono cambiata... grazie a te.” mormoro, facendo scattare le manette ai suoi polsi.
“Ti dichiaro in arresto.” affermo, sotto il suo sguardo incredulo.
Non si aspettava forse che sarei stata proprio io a farlo, ma è giusto così.
Sono stata io a tirarlo fuori di prigione, e sono stata di nuovo io a rimandarcelo.
Assumendomi tutte le responsabilità del caso.
Ho sacrificato tutta la mia vita per la divisa, e non avevo voluto aprire gli occhi quando avevo rischiato di perderla, perché accecata da un sentimento che non ha mai avuto il valore che io gli avevo attribuito.
Un fuoco di paglia servito solo a consumarmi.
Ho sbagliato, e me ne prenderò le colpe, quando verrà quel momento.
 
Lo lascio al maresciallo e i miei uomini per andare da Ines, perché anche lei ha subito un trauma terribile, in tutta questa storia.
Ma per il momento non ha bisogno di sapere che fine abbia fatto suo padre, in questo caso una piccola bugia a fin di bene è l’unica soluzione possibile.
Di certo, però, ha bisogno di qualcuno che le stia accanto, nel frattempo, e se vuole, sarò io a farlo. Insieme al suo tatuatore legale a cui vuole tanto bene nonostante i capelli.
Adesso però devo parlare con Marco.
 
Torno a casa a cambiarmi, perché la divisa mi dà fastidio alla ferita ancora terribilmente dolorante, e devo rassegnarmi ai giorni di congedo.
Ricevo però una chiamata da Cecchini, che mi chiede di poterci incontrare.
Poco dopo, bussa alla porta del mio appartamento con una borsa in mano, insieme a mia madre e a Chiara.
Li faccio entrare, incerta.
Ci accomodiamo sul divano, mentre io attendo, cercando di capire cosa stia succedendo e il perché di questa improvvisa riunione familiare.
È il maresciallo a prendere la parola per primo.
“Questo è Suo,” dice, porgendomi la borsa.
Non ci posso credere.
“Ma... è il mio abito da sposa!” esclamo, tirandolo fuori. “Come ha fatto a riaverlo?”
“Sono andato dalle suore,” mi spiega con un’alzata di spalle. “Me lo son fatto dare, e ho promesso che ad agosto io e Pippo le portiamo a Lourdes col pulmino.”
Rido, accarezzando il ricamo sul corpetto.
“Perché lo ha recuperato?”
“Perché arriverà il momento in cui si sposerà, e quel giorno sarò io ad accompagnarla all’altare. Glielo avevo promesso!” afferma, risoluto.
Sorrido, comprendendo dove vuole arrivare.
Mia madre piange già solo all’idea.
Chiara mi si inginocchia davanti, prima di abbracciarmi forte.
“Se te lo lasci scappare, nonostante tutto, sei un’idiota,” mormora al mio orecchio, facendomi scoppiare a ridere.
Perché so che questa frase l’ha già detta, anni fa, a qualcun altro.
Mi sa che la più saggia, tra noi due, è lei.
Infine, parla anche mia madre.
“Marco ti ama da sempre. Ti amava già quel giorno, quando mi ha fatto la ramanzina in piazza, e non smetterà mai. Ha sbagliato, è vero, ma tu meglio di chiunque altro sei capace di vedere il suo cuore, e capire. Ti amerà sempre, anche se tu domani stesso dovessi decidere di partire per il Pakistan o fare un altro colpo di testa.”
Sento le lacrime pizzicare.
Beh, direi che questa è una benedizione in piena regola da tutti i fronti.
Per quell’amore che non si è mai spento davvero.
Annuisco, pronta ad andarmene.
Da Marco, ovviamente, a cui avevo già dato appuntamento in piazza.
Prima che io varchi la porta, però, il maresciallo mi ferma un’ultima volta.
“Anna... solo un’altra cosa. Marco si è preso la colpa di tutto, ha detto che è stata una sua idea, lasciar rubare i codici. Pensavo dovessi saperlo prima.”
Il mio cuore salta un battito.
Cosa?! Ma è impazzito? Sta... sta mettendo a repentaglio il suo lavoro, la sua carriera, per me...? Per un mio errore?
Che cosa ho fatto, per meritarmi un uomo così?
No, Anna, la domanda giusta è: che cosa stai aspettando ancora? Corri!
 
Marco’s pov
 
Sono in piazza con Sara.
Mi sta dicendo che si è fatta trasferire, ma che prima di andar via voleva salutarmi e ringraziarmi per tutto quello che ho fatto per lei in questi mesi. Per chiedermi scusa per i guai che ha provocato involontariamente.
Come me, non può cancellare cosa è successo quella notte, ma può rimediare anche lei a suo modo.
Non serve che io mi prenda la colpa per il furto dei codici, e nemmeno Anna avrà ripercussioni sulla sua carriera.
Spiega, sotto il mio sguardo incredulo, che ha parlato con Sergio e lui si è assunto ogni responsabilità.
E lei stessa ha garantito per noi.
Ci salutiamo con un lungo abbraccio.
È in quel momento che arriva Anna.
Sara spiega tutto anche a lei prima di congedarsi, ribadendo che è una donna fortunata.
 
Io e Anna ci spostiamo sotto il portico del Duomo.
“Come mai hai voluto vedermi?” le chiedo, soprattutto per via della sua fretta.
L’inizio del suo discorso mi suona familiare.
Pensavo di morire,” mormora, “e... l’ultima parola che sono riuscita a dire è stato il tuo nome. E... quando mi sono svegliata, eri proprio lì, accanto a me. Ci sei sempre stato... e io vorrei che ci fossi ancora. Ma non come collega, e nemmeno come amico, perché non sei mai stato solo questo.” confessa, mentre il mio cuore trema alle sue parole. “Quando ho aperto gli occhi, è stato come risvegliarmi da un incubo. E vorrei che questi mesi passati possano essere solo un brutto sogno... da non dimenticare, per non commettere gli stessi errori, perché anche io ne ho commessi fin troppi, ma da poterci lasciare alle spalle. Perché ho capito che il nostro amore non può essere cancellato così, come se niente fosse... perché sì, c’è stato Sergio, nel frattempo, ma durante quel sonno mi sono resa conto del perché non fossi mai riuscita a dirgli ciò che lui avrebbe voluto sentire. Non sono mai riuscita a mentire su questo, perché il mo cuore non è mai stato suo. Perché è te che amo... Ti amo, anche se sei pigro, e il massimo dello sport che fai è guardare la Coppa Italia in tv seduto con me sul divano... Anche se fai un pessimo brasato e un arrosto davvero troppo, troppo salato, e non è colpa della ricetta come ti ostini a dire, ma sei lo stesso il miglior insegnante di cucina che io abbia mai avuto. Anche se credi di essere simpatico anche quando le tue battute sono fuori luogo, ma io rido lo stesso perché solo tu riesci a rendermi felice nei momenti più impensabili. E sì, hai commesso degli errori, da vero idiota, come dice Chiara, ma sei anche un pazzo, perché hai creduto in quel vestito da sposa, ed è stato un ulteriore segno, perché il maresciallo lo ha recuperato, me lo ha portato poco fa, e-”
Non riesco più a restare inerme di fronte a quel fiume di parole, con gli occhi pieni di lacrime ma chi se ne frega, piangere non mi rende certo meno uomo, ma più Marco sì.
E allora la bacio, di getto, interrompendo il suo discorso. Non importa cosa avrebbe ancora detto, potrà continuare in un altro momento, adesso che abbiamo tutto il tempo del mondo.
In questi istanti, l’unica cosa importante siamo noi due e questo che è il gesto d’amore per eccellenza, che ci unisce, stavolta senza più la paura che possa finire.
Un bacio in cui esplodono tutti i sentimenti che per mesi abbiamo trattenuto, insieme al bisogno che abbiamo l’uno dell’altra per guarire e sanare finalmente le ferite.
 
Anna’s pov
 
Sento gli ultimi brandelli di nastro adesivo che tenevano insieme il mio cuore staccarsi.
Al loro posto, il lavoro certosino di un alato chirurgo-cupido ha ricucito insieme tutti i pezzi. È pieno di cicatrici, il mio cuore, è vero, ma batte ancora, più forte di prima.
E quelle cicatrici sono il segno di una battaglia vinta. Lì devono restare perché è giusto così, ma il dolore che ancora provocano può certamente essere curato con il giusto balsamo.
E le labbra dell’uomo che amo sulle mie sono l’unico dall’indiscutibile potere taumaturgico.
Non so dove questo viaggio in cui si perdono delle cose e se ne prendono altre ci porterà. Abbiamo percorso una strada particolarmente impervia, negli ultimi tempi, ma nessuna via è mai semplice.
Ci sarà sempre quel ciottolo che non vedi e in cui puoi inciampare, ma se quella strada la condividi con la persona giusta, tutto è più facile, e non importa se quella persona è imperfetta. Perché, in fondo, la persona giusta non esiste, la si diventa. Con il tempo, e con pazienza, gli angoli che non combaciano si smussano affinché possano adattarsi a chi ci accoglie fra le braccia.
Quello che so per certo, è che quel filo rosso che legava me e Marco non si è mai spezzato. Gli eventi hanno tentato, ma abbiamo capito che bastava solo avere fede. Aspettare, ascoltarsi.
Come mi ha detto Don Matteo, saltare quando si ha davanti l’ignoto fa paura. Ciò che conta davvero, però, è che quando salti con lei in quel precipizio, ti fidi.
E io mi fido dell’uomo che mi stringe tra sue le braccia, il mio porto sicuro, la mia casa: impossibile, migliore di ieri e peggiore di domani, ma si chiama Marco Nardi, ed è l’unica cosa che importa davvero.
 
Eccoci giunti al finale!
Beh, se non altro quello che avremmo voluto vedere tutti, e che ci hanno negato.
Penso abbiamo parlato abbastanza di tutte le incongruenze presenti nel corso di tutta la stagione, delle questioni irrisolte e delle contraddizioni perpetrate fino alla fine.
Cosa possiamo dire, speriamo di aver interpretato correttamente l’ultimissima scena tra Anna e Marco, e che nella stagione numero 13 tutto possa risolversi nel loro ricongiungimento. Perché un amore profondo come il loro non può svanire in un battito di ciglia.
Per il momento, io e Martina ci auguriamo che la nostra versione dell’ultimo episodio vi sia piaciuta, ma tenetevi pronti.
Perché presto arriverà un ‘Don Matteo 12 - 2.0’, ossia la stagione come avrebbe dovuto essere - secondo noi.
A risentirci presto presto,
 
Mari
 
 
 
 
 

 

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