Beauty and the beast

di destiel87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The dreamer ***
Capitolo 2: *** The renegade ***
Capitolo 3: *** The rose ***
Capitolo 4: *** The dance ***
Capitolo 5: *** The witch ***
Capitolo 6: *** The lover ***



Capitolo 1
*** The dreamer ***


Beauty and the beast
 
 
C’era una volta, un giovane principe, che viveva in un antico castello nel nord della francia.
Il nome del principe, era Crowley.
Aveva tutto ciò che poteva desiderare, ma nonostante questo era sempre infelice.
Incapace di capire i suoi sentimenti, mascherava il suo dolore dietro l’odio, il disprezzo, l’arroganza ed il cinismo.
Accumulava tesori e ricchezze, cercando invano di colmare il vuoto dentro di lui.
Era costantemente circondato dai suoi fedeli servitori, eppure si sentiva sempre solo.
Festa dopo festa, ballo dopo ballo, quando li amici lasciavano la sua dimora, e li amanti abbandonavano il suo letto, il sorriso del principe svaniva, lasciandolo in balia dei suoi tormenti.
Una notte tempestosa, giunse al castello una vecchia signora, che in cambio della sua ospitalità gli offrì una rosa.
Il principe rifiutò l’offerta ridendo, e la fece cacciare via.
Fu allora che la donna gli rivelò di essere una strega, e lo condannò ad essere mostruoso nell’aspetto, come lo era nell’animo.
Tra i suoi lunghi capelli rossi apparsero due corna nere, i suoi occhi verdi divennero ambrati,  la sua pelle bianca come la neve, le sue unghie lunghe e nere come la notte, e le sue gambe si tramutarono in zampe di bestia.
L’urlo del suo dolore, fu così forte da arrivare fino al cielo, che riversò  sulla terra una fitta pioggia, mentre i tuoni ed i lampi ruggivano ed abbagliavano la notte.
Attorno al castello si formò una densa nebbia, ed ogni cosa perse il suo colore.
Tutti i suoi servitori caddero vittima della maledizione, e si tramutarono a loro volta.
Per lunghi anni, il silenzio riecheggiò lugubre sulle vaste sale del palazzo, e l’oscurità avvolse ogni cosa, cambiandone la forma.
I servitori, vittime innocenti di quel crudele sortilegio, persero ogni gioia di vivere.
La bestia si chiuse in sé stessa, aspettando la fine, e mentre la rosa perdeva i suoi petali, lui perdeva la sua giovinezza.


Capitolo 1: The dreamer
 
In un piccolo villaggio, avvolto dalle fiorite campagne francesi, vivevano due giovani fratelli.
Rimasti orfani in tenera età, impararono presto a badare a loro stessi, ma non misero mai da parte i loro sogni.
Anatema era una fanciulla minuta e graziosa, con lunghi capelli neri e occhi dello stesso colore, nascosti da pesanti occhiali.
Fin da piccola aveva sviluppato grandi capacità, anche se ancora non aveva ben capito come indirizzarle. Inventava macchinari complessi per svolgere le faccende quotidiane, e sebbene spesso qualcosa esplodesse o si rompesse, lei non si perdeva mai d’animo.
Suo fratello Azraphel, era un giovanotto biondo con gli occhi azzurri, in carne e sempre ben curato, che aveva un piccola libreria nel centro del paese.
I libri per lui, erano i suoi amici, la sua famiglia, e in essi vedeva la vita che avrebbe voluto per sé, ricca di avventure e di emozioni.
Ma non c’erano molte avventure in paese, dove li uomini erano abituati a lavorare sodo, e le donne a crescere bambini.
I due fratelli erano considerati molto strani dagli abitanti del villaggio, sempre sovrappensiero, a parlare di cose che non solo non capivano, ma che non erano neanche in grado di immaginare.
Quella mattina, Anatema si stava preparando per andare nella città vicina, per provare a vendere alcune delle sue invenzioni. Azraphel la stava aiutando a preparare il carro, e si assicurò di lasciarle un po’ di pane e burro per il viaggio.
“Mi raccomando sorella fai attenzione, i boschi non sono sicuri per una fanciulla.” Le disse, aiutandola a sistemare le ultime cose.
“Non preoccuparti, starò bene! E vedrai che questa volta, riuscirò a vendere qualcosa.” Rispose lei, dandogli un leggero bacio sulla fronte.
“Ne sono certo, sei un eccellente inventrice, devi solo trovare qualcuno che creda nella tua follia!”
Lei sorrise, salendo in groppa a Philippe.
“Anche tu fratello, cerca di fare buoni affari, non possiamo certo mangiare i tuoi libri per cena!”
“E poi sarebbe un tale spreco!” Aggiunse lui, guardandola partire verso l’orizzonte.
Sorrise, mentre aspettava che la sua figura svanisse del tutto, poi prese una mela e si diresse verso il paese, mentre leggeva uno dei suoi libri preferiti.
Era arrivato al punto in cui il veliero stava per salpare verso i mari dell’india, e né il carro del pane, né le capre, né i bambini che si rincorrevano per le strade, riuscirono a distrarlo dalla sua avventura.
La giornata passò velocemente, mentre scorreva le pagine, ignorando il mondo intorno a lui,
per lottare con i pirati e sospirare ogni volta che la fanciulla baciava il tenebroso capitano.
Arrivò a casa verso il tramonto, anche oggi non aveva venduto niente, e anche oggi, avrebbe dovuto accontentarsi di un po’ di pane per cena.
Tuttavia, ad aspettarlo davanti casa, con un grosso cerbiatto sulla spalla, c’era Gabriele.
Buttò la carcassa dell’animale ai suoi piedi, sfoggiando il suo miglior sorriso.
Azraphel si chinò un poco, guardando con tristezza gli occhi spenti dell’animale, e facendogli una leggera carezza sul muso.
“Un bel esemplare non trovi? Potresti cucinarlo per me stasera, mentre ti racconto della mia giornata di caccia.” Esclamò Gabriele, mettendogli un braccio intorno alla vita.
Era un uomo robusto, con i capelli neri, gli occhi blu scuro, mascella quadrata e spalle larghe.
Tutte le fanciulle del paese erano innamorate di lui, e tutti gli uomini lo ritenevano un eroe.
Ma per Azraphel, non era altro che un essere arrogante e maleducato, totalmente privo di immaginazione e di gentilezza.
Si scostò bruscamente da lui, salendo li scalini che lo separavano dalla porta di casa.
“Grazie del pensiero, Gabriele, ma non sono bravo a cucinare. E come vedi, ho da fare.” Disse, mostrandogli il libro.
In tutta risposta Gabriele scoppiò a ridere, prese il libro e lo scaraventò nel fango.
“Non dire sciocchezze, i miei racconti sono molto più interessanti di quelle vecchie pagine. E non preoccuparti, non mi arrabbierò se lo bruci, posso cacciarne un altro domani.”
“Preferirei che tu non lo facessi!” Rispose Azraphel seccato, raccogliendo il libro dal fango.
Gabriele lo prese di nuovo per la vita, avvicinandolo a sé.
“Fai il difficile eh? Mi piace. Ormai né animali né donne sono più una sfida, cascano tutti ai miei piedi. Ma tu…” Gli prese il mento, sollevandolo, e portandosi più vicino alle sue labbra. “Sei l’ unico che ancora mi sfugge. Eppure, dovresti sapere che non mi arrendo mai!”
Azrpahel si liberò dalla sua presa, salendo a gran passi le scale.
“Beh sappi che la mia testa non finirà appesa alla parete del tuo salotto, perciò cercati un’altra preda!”
“Oh ma tesoro, non è certo la tua testolina bionda che mi interessa!” Disse maliziosamente Gabriele, avvicinandosi alla porta.
Azraphel gliela chiuse in faccia, sperando di colpirlo dritto in testa.
Lo sentì strillare alle galline, mentre se ne andava.
Solo qualche ora dopo, si decise ad uscire, per fare due passi e andare incontro alla sorella.
Era strano, che non fosse ancora tornata.
Iniziò a preoccuparsi, quando il sole tramontò dietro le colline.
D’improvviso vide arrivare Philippe, spaventato e ferito.
Capì subito che qualcosa di terribile era successo, e salendo in groppa al cavallo, andò alla sua ricerca.
Non le era rimasta che lei al mondo, e non si sarebbe fermato finché non l’avesse trovata.
A lungo cavalcò nella foresta, inoltrandosi sempre di più nell’oscurità e nel silenzio, nemmeno il canto degli uccelli accompagnava più il suo cammino.
La luna stessa, sembrava essersi nascosta dietro le nuvole.
Dopo un lungo cavalcare, giunse di fronte ad un castello avvolto dalla nebbia.
Era molto antico, e le sue alte torri, sembrava arrivassero fino al cielo.
Orridi mostri di pietra, lo seguivano con lo sguardo, immortali guardiani di quel nero castello.
Aveva sentito molte leggende su quel luogo, che si diceva fosse la dimora di una bestia demoniaca.
Ma nonostante la paura, proseguì per il suo cammino.
Se Philippe lo aveva condotto lì, era perché aveva riconosciuto la strada.
Entrò incerto, aprendo l’imponente porta di legno massiccio, e aggirandosi silenziosamente nelle vaste e tetre stanze del palazzo.
Mobili antichi e pregiati, ricoperti di polvere, spesse tende di velluto rosso, quadri strappati e tappeti graffiati, erano l’unica cosa che si trovasse in quelle stanze.
Continuò a camminare, chiamando sottovoce la sorella, con la costante sensazione di essere osservato, seguito, da qualcosa che non era in grado di vedere.
Poi d’improvviso, dalle grandi scale che si aprivano sulla sala da ballo, apparve un uomo.
O qualcosa di molto simile ad un uomo.
Era una figura esile, il cui petto nudo era pallido come la luna che lo illuminava.
Lunghi capelli rossi e selvaggi, gli ricadevano sulle spalle, e sopra di essi, ai due lati della testa, spuntavano due lunga corna nere.
I suoi occhi, dorati come il sole, lo scrutavano severi e profondi.
Un lungo mantello nero copriva parte del suo corpo, ma passo dopo passo, mentre scendeva le alte scale, la luce rivelò le sue zampe di bestia, ricoperte da una folta peluria marrone, ed il rumore dei suoi zoccoli che battevano sul marmo, gli fece gelare il sangue.
“Chi sei tu?” Chiese la bestia, la cui voce era quasi un ruggito.
“I-io chiedo scusa, se sono entrato… Non volevo disturbare.”
“Ho chiesto chi sei! Sei forse sordo, oltreché folle?” Rispose la bestia, avvicinandosi.
“Mi chiamo… Azraphel. Stò cercando mia sorella, si è persa nel bosco…”
“Nessuno si perde nei miei boschi, e giunge a me prima che i lupi si siano saziati con le sue carni.”
“Non l’avete vista dunque?”
“Non è ciò che ho detto. E’ qui la tua cara sorella, solo mi chiedo per quale motivo due stranieri siano giunti a me. Cosa volete? Denaro?  O è il sangue che cercate?”
La bestia era ormai a pochi passi da lui, al punto che il suo respiro gli scaldava il viso, ed il suo odore aspro e pungente gli penetrava nelle narici.
“Voglio solo lei, e poi me ne andrò. Avete la mia parola.”
“Non so’ che farmene della tua parola.”
“Vi prego, signore io..”
La bestia scoppiò a ridere, aprì le braccia, liberandosi del mantello, e lasciò che il suo corpo nudo venisse alla luce.
“Ti sembro forse un signore?” Chiese con una smorfia.
E per un momento, nei suoi occhi Azraphel intravide il profondo dolore che lo consumava.
“Le apparenze, spesso ingannano…”
Lui per un momento, abbassò lo sguardo, perso nei suoi pensieri.
“Si, una vecchia strega mi disse la stessa cosa, anni fa.”
“Vi prego, portatemi da mia sorella, fatemi vedere il suo viso…”
La bestia lo scrutò a lungo, avvicinandosi di più ed ispirando il suo odore.
Azraphel tremava, ma non si mosse.
“Seguimi.” Esclamò a bassa voce, dandogli le spalle e incamminandosi verso un lungo corridoio.
Attraversarono molte stanze, prima di giungere ad una ripida scala, e per tutto il tempo, Azraphel aveva la sensazione di essere osservato, gli sembrò perfino di udire delle voci.
Si chiese se fosse la sua immaginazione, o se qualcun’altro vivesse in quel castello.
Arrivarono di fronte ad una porta, che la bestia aprì.
Al suo interno, trovò Anatema, che piangeva su un grande letto.
“Sorella! Sei viva!” Urlò, correndogli incontro e stringendola tra le braccia.
“Azraphel! Non dovresti essere qui, è troppo pericoloso, c’è un demonio che vive in questo castello…”
“Lo so, è lui che mi ha condotto da te. Ma non temere, ti porterò via.” Disse baciando la sua guancia rigata dalle lacrime.
“No! Scappa finché sei in tempo, non preoccuparti per me, troverò un modo per sopravvivere, lo faccio sempre…”
“Non questa volta.”
“Quanto coraggio, quanta dolcezza!” Esclamò Crowley, disgustato. “Il mio cuore si scioglierebbe di fronte a questa scena, se solo ne avessi uno.”
Azraphel lasciò la sorella, andando incontro al mostro.
“Vi prego, farò qualunque cosa, ma lasciatela andare.”
“Qualunque?”
“Si.”
“Anche diventare il mio schiavo?”
“Si.”
“Anche rinunciare alla tua stessa vita?”
“Si.” Disse, mentre una lacrima scendeva sul suo viso.
La bestia rimase a lungo a fissarlo con i suoi occhi ambrati, scavando dentro i suoi.
“E sia. Una vita per una vita.”
Anatema strinse il fratello, appoggiando il viso alla sua schiena e circondandogli il petto con le braccia.
“Ti prego, non lo fare!” Gli disse tra le lacrime. “Posso farcela, mi inventerò qualcosa e  fuggirò da qui.”
A fatica, Azraphel si staccò dal suo braccio, allontanandola.
“Ho promesso ai nostri genitori che mi sarei preso cura di te, Anatema. Finora non ho fatto molto, avrei dovuto trovarmi un lavoro onesto, come fanno tutti, per poterti dare tutto quello che meritavi. E invece sono stato un egoista, perso com’ero nei miei libri, non mi sono accorto di tutti i pasti che saltavi, dei vestiti che ti rammendavi da sola, delle scarpe rotte ai tuoi piedi.”
“Non mi importano queste cose! Tu hai sempre creduto in me, anche quando nessun altro lo faceva! Mi hai voluto bene, mi hai lasciato libera di essere me stessa, non c’era altro che io volessi.”
Azraphel le asciugò le lacrime con la manica della giacca, e le diede un ultimo bacio sulla fronte.
“Ora và sorellina, e vivi una bella vita. Una grande vita, piena di avventure meravigliose, e innamorati di qualcuno. Se farai questo, il mio sacrificio non sarà stato vano.”
D’improvviso la bestia la strappò dalle sue braccia, spingendola verso la porta.
“Mi state facendo venire la nausea, con questi discorsi inutili. Vattene, prima che cambi idea e decida di tenervi entrambi.”
Anatema rivolse un ultimo sguardo al fratello, prima di correre via.
Azraphel cercò di seguire il rumore dei suoi passi, e rimase a guardare dalla finestra, finché non la vide salire a cavallo, ed inoltrarsi nella foresta.
“Siamo rimasti soli a quanto pare…” Disse malinconicamente.
“Io sono sempre solo…” Sussurrò la bestia.
Dopo qualche minuto, Azraphel si voltò verso di lui.
 “C’è una cosa che vorrei chiedervi…”
“Cosa?”
“Vorrei sapere come devo chiamarvi.”
 “Potresti chiamarmi padrone, tanto per iniziare.”
Azraphel lo fissò a lungo, scavando nei suoi occhi ambrati, e si avvicinò un poco.
“Da questo giorno in poi, per quanto brevi e tristi saranno le nostre vite, le condivideremo.
Io non avrò altro che voi, e voi non avrete altro che me. Sarete l’unica persona che vedrò per il resto della mia vita, l’unica voce che potrò udire. Voglio sapere il vostro vero nome.”
Trascorse un lungo tempo, nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto, in cui schiavo e padrone si persero l’uno negli occhi dell’altro, cercando affannosamente oltre l’apparenza, oltre la maschera, fin dentro l’anima, quel disperato contatto di cui entrambi avevano bisogno.
“Puoi chiamarmi Crowley.” Disse malinconicamente la bestia, voltando lo sguardo verso la finestra.
Solo in quel momento, mentre la luna illuminava il suo viso, Azraphel lo guardò in modo diverso.
Gli occhi profondi volti ad osservare il cielo, quasi a volerlo raggiungere, le labbra sottili corrucciate in uno strano sorriso, i capelli rossi che ricadevano sulle guancie candide, il collo esile e delicato.
Solo in quel momento, si rese conto di quanto affascinante fosse la bestia.

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Capitolo 2
*** The renegade ***


Capitolo 2: The renegade
 
Azraphel era sdraiato nel grande letto color crema, piangendo e soffocando i suoi gemiti contro il cuscino.
Pensò alla sua casa, all’ultima colazione che aveva fatto con Anatema, al libro che aveva lasciato sul tavolo, e che ora non avrebbe più potuto leggere.
Quante cose, non avrebbe più potuto fare.
Quanti luoghi, non avrebbe più potuto vedere.
Pensò a quanto fosse crudele il suo destino, che lo aveva strappato alla vita ancor prima che potesse assaggiarne i frutti.
“Su su caro, non piangere…” Esclamò una voce di donna.
Azraphel si voltò di scatto, eppure la stanza era completamente vuota.
“Sono già impazzito dunque?” Si chiese, tirando su con il naso.
D’improvviso, un fazzoletto bianco apparse davanti a lui.
“Forza asciugati le lacrime…” Esclamò di nuovo la voce. “Non ti preoccupare, si aggiusterà tutto”
“Grazie…” Rispose d’istinto Azraphel, per poi guardarsi attorno confuso.
“Quaggiù caro, non avere paura!”
Scendendo con lo sguardo, vide una teiera bianca e viola, che gli sorrideva.
“Ah!” Urlò, cadendo per lo spavento giù dal letto.
La teiera rise. “Suvvia caro, non ti farò del male, anzi, volevo proprio prepararti un the caldo.” Disse sorridendo amabilmente.
“Il padrone ha detto di non dargli nulla, dannata megera!” Asserì l’orologio, incrociando le braccia.
“Ma sarà affamato, guardatelo mr. Shadwell, sono sicuro che un buon pasto caldo, gli solleverebbe il morale!”
“Me ne infischio del suo morale Newt, se il padrone ci scopre se la prenderà con noi!” Esclamò l’orologio, scuotendo il povero candelabro.
“Oh andiamo Mr. Shadwell, siete sempre così ansioso! Lasciate fare a me.” Lo rimproverò la teiera.
“Ah! Parlano!” Urlò di nuovo Azraphel, correndo a gran velocità verso l’armadio, e chiudendosi dentro.
“Oh oh mi fai il solletico, giovanotto!” Disse l’armadio, ridendo.
Azraphel ruzzolò fuori in preda al panico, “State lontani da me, strane creature! O io… Io…”
“Ci ucciderai?” Chiese l’orologio, ridacchiando sotto i baffi.
“Oh no, non potrei mai! Ma ecco, vi spingerò via!”
“Suvvia caro, stai tranquillo, noi siamo tuoi amici!” Disse la teiera, con tono rassicurante.
“A-amici?”
“Ma certo! Era da tanto che non avevamo un ospite nel castello, lascia che ci prendiamo cura di te.”
“Ospite? Il padrone ha detto chiaramente che è il suo schiavo!” Borbottò mr. Shadwell.
“Che brutta parola da usare, dov’è finito il tuo buon comportamento?” Lo rimproverò Newt.
“Io non ho mai avuto un buon comportamento.”
“Ma è nostro dovere, è quello che siamo.”
“Quello che eravamo…”
Per qualche minuto restarono tutti in silenzio, malinconici.
“Chi… Chi siete voi?” Chiese Azraphel, chinandosi un poco per osservarli meglio.
“Noi siamo i servitori del padrone, e d’ora in avanti ci prenderemo cura di te!” Esclamò Newt.
“Qual è il tuo nome caro?”
“Azraphel…”
“Che nome grazioso! Io sono madame Tracy, tieni, prendi una tazza di the caldo.”
Così dicendo versò il liquido in una piccola tazzina.
Azraphel la prese incerto, e se la portò alla bocca.
Proprio in quel momento, la tazzina si mise a ridere.
“Oh cielo, anche tu?”
“Ciao!” Gli rispose la tazzina.
“Adam!” Esclamò madame Tracy, “Lascialo bere in pace, ha avuto una brutta giornata.”
“Ma voi… Voi siete tutti… Insomma, vivi?”
“Non proprio.” Rispose Newt. “Ma siamo qui con te, in un modo o nell’altro. Vedrai che ti faremo tornare il sorriso!”
Azraphel li osservò a lungo, ancora incredulo.
Ma dopotutto, se la bestia che lo aveva accolto era reale, anche loro potevano esserlo.
“Ti farebbe piacere un bagno caldo, caro?”
Lui annuì, facendo un timido sorriso.
Madame Tracy cacciò via tutti, e fece preparare una grande conca di acqua calda.
Azraphel si spogliò, lasciando cadere a terra i pantaloni color panna, la camicia bianca, il panciotto e la giacca dello stesso colore.
Mise un piede nella conca, fermandosi con l’altro sospeso in aria.
“E’ viva anche lei?” Chiese alla teiera.
“Oh no caro.”
Lentamente Azraphel si immerse nell’acqua calda e profumata.
“Allora giovanotto, ti senti un po’ meglio?”
“Io… Si, credo. Sapete è buffo, per tutta la vita ho sognato di fuggire dal mio paese, e di vivere una grande avventura… Solo non pensavo, che la mia sarebbe stata così terribile.”
“Beh, molte avventure iniziano nel più terribile dei modi, non è così? Ma non è detto che col tempo non possano divenire qualcosa di bello…”
Azraphel stette un po’ a rifletterci.
“Questo è vero… Ma non vedo come questa situazione potrebbe migliorare, sono prigioniero di una bestia, di un demonio…”
“E’ spaventato anche lui, sapete? Anche se è troppo orgoglioso per ammetterlo. E dopotutto, siete entrambi prigionieri di questo castello. Forse col tempo, riuscirete a diventare amici…”
“Amici…” Sussurrò Azraphel, pensieroso.
Oltre la porta, nascosto dal buio, Crowley lo stava osservando, imprimendo nella sua mente ogni più piccolo dettaglio, dai fianchi morbidi, al ventre rosa, dal petto liscio ai capelli biondi come il grano.
Erano anni, che non vedeva un altro essere umano, che non udiva la voce di un estraneo.
Quando era stato un essere umano anche lui, quando ancora la sua vita gli apparteneva, si era circondato dei corpi più belli su cui i suoi occhi si posavano.
Sinuosi corpi femminili, robusti corpi maschili, aveva gustato ogni sapore, ispirato tutti i loro odori, accarezzato la loro pelle calda, baciato le loro labbra.
Eppure adesso, quelle sensazioni erano così lontane, sfocate, che a mala pena se le ricordava.
Si chiese come fosse, toccare quel ragazzo, che sapore avesse la sua pelle, di cosa odorassero i suoi capelli.
“Ehm ehm… Non dovrebbe spiare il ragazzo, padrone.” Lo rimproverò Newt, facendo una strana smorfia.
“Non è un comportamento da gentiluomini.” Aggiunse mr. Shadwell.
“Io non sono un gentiluomo!” Gli rispose Crowley, leggermente imbarazzato, ma deciso a non darlo a vedere.
“Forse dovrebbe sforzarsi di esserlo, padrone, se vuole che il giovane si innamori di lei.”
Esclamò Newt, dandogli una gomitata d’intesa, che vista la sua altezza, gli arrivò al polpaccio.
“Non succederà mai! E anche se volessi, non saprei come fare.”
“Ma quando era… Ecco, umano, ricordo che era un vero dongiovanni, non si arrenda padrone!”
Lo incoraggiò il candelabro.
“Ero bravo a portare chi desideravo nel mio letto, ma l’amore, quella è tutta un’altra faccenda.”
“Potrebbe invitarlo a cena. Alle fanciulle di solito piace.” Replicò mr. Shadwell.
“Ma lui non è una fanciulla!” Rispose Crowley, sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
“Magari gli farà comunque piacere.”
“Oh, e sia. Ma sarà colpa vostra se non funziona!” Replicò Crowley, che spalancando la porta con un calcio, si mise ad urlare: “Tra poco verrà servita la cena, vedi di non farmi aspettare!”
Azraphel si era nascosto di scatto dentro l’acqua, lasciando fuori solo il viso.
“Non ho fame!” Si premurò di urlare a sua volta.
“Beh ci verrai lo stesso! E’ un ordine.” Esclamò Crowley, che senza aspettare una risposta, uscì di fretta dalla stanza.
Azraphel fece un pesante sospiro, infilando la testa sotto l’acqua.
Nel frattempo l’armadio, stava già preparando con grande cura un completo azzurro da fargli indossare, mentre la teiera canticchiava una melodia.
“Almeno voi siete contenti…” Disse a bassa voce, guardando con sconforto il cielo oltre la finestra.
Un po’ di tempo dopo, non molto convinto, ma guidato dalla zelante teiera, arrivò alla sala da pranzo.
Era una stanza molto grande, con un’amplio camino sulla destra, davanti al quale c’erano due poltroncine verdi, sulla sinistra la parete era piena di quadri, anche se erano tutti graffiati.
Al centro c’era un lungo tavolo di legno, e sopra di esso ogni sorta di cibo.
Molte di quelle pietanze, non le aveva mai assaggiate, e il suo stomaco iniziò a brontolare, pregustandone i sapori.
“Allora, ti siedi o no? Non ti aspetterai che ti sposto la sedia?” Esclamò Crowley seccato, con in mano un bicchiere di vino, e gli zoccoli sopra il tavolo.
Azraphel si limitò a guardarlo storto, prima di prendere posto dall’altro lato del tavolo.
Nel mentre, Newt stava dando un’altra gomitata alla bestia, che per tutta risposta lo spinse via, facendolo cadere dal tavolo.
Azraphel prese coltello e forchetta, e un po’ incerto, tagliò un pezzo di carne, avvicinandolo alla bocca.
Poi guardò Crowley, che aveva praticamente la bocca piena di un cosciotto di maiale, con tanto di osso.
Azraphel lo fissò incredulo e un po’ disgustato, sospirando.
Madame Tracy avvicinò la forchetta alla bestia, fulminandolo con lo sguardo, come solo una teiera arrabbiata poteva fare.
L’altro alzò gli occhi al cielo, poi spuntò la carne nel piatto, con orrore di Azraphel, e cercò di tagliarla.
Purtroppo i suoi artigli gli impedivano di stringere le posate, e continuavano a scivolargli dalle mani.
Alla fine, le lanciò spazientito contro il muro.
“Ehm… Posso… Posso tagliarla io, se volete.” Si offrì Azraphel.
Crowley lo guardò qualche istante, prima di far scivolare il piatto verso di lui.
“Non sei poi così inutile alla fine, come schiavo!” Esclamò con un mezzo sorriso, guardandolo tagliare la carne.
“Potreste smetterla di rivolgervi a me con quel termine?”
“No. E tu puoi smetterla di rispondermi sempre? Non sei affatto educato, per essere uno schiavo.”
“E voi siete odioso, ve l’hanno mai detto?”
“Svariate volte. E adesso sono tutti senza testa.”
“Credete forse di farmi paura?”
“Dovresti averne.”
Azraphel lanciò esasperato le posate sul tavolo, sospirando.
“Lo sapevo… Sapevo che sarebbe stato impossibile, diventare amici di una bestia.”
“Io no ho bisogno di amici. Non ho bisogno di nessuno.”
“O forse non c’è nessuno che sopporti la vostra presenza!”
Con uno scatto d’ira, Crowley afferrò il tavolo, rovesciandolo con un ruggito.
“Vattene adesso, prima che me la prenda anche con te!”
Con le lacrime agli occhi, Azraphel si alzò dalla sedia, correndo via.
Non sapeva neanche dove andare, visto che non conosceva il castello, ma ogni posto sarebbe stato migliore che quella stanza, in sua compagnia.
Continuò a correre, nei lunghi corridoi, su per le scale, finché si ritrovò in un ala del palazzo completamente buia e fredda, e si inginocchiò disperato, appoggiandosi ad una colonna di marmo.
Solo molto tempo dopo, si accorse di una flebile luce, che si stava avvicinando a lui.
“Newt? Sei tu?”
Dopo qualche minuto, si ritrovò davanti Crowley.
“Oh, siete voi… che ci fate qui?”
“Per cominciare questo è il mio palazzo, e posso andare dove mi pare. E poi… Beh non potevo lasciarti qua da solo per tutta la notte, sono certo che mi avresti tenuto sveglio con i tuoi singhiozzi.”
“Quindi, la vostra stanza è qui intorno…?”
“No!” Si affrettò a dire l’altro, colto dal panico. “Volevo dire che… Piangi così forte che mi avresti tenuto sveglio.”
Azraphel non rispose, e si chiese se la stanza della bestia fosse effettivamente vicina. Se così fosse stato, forse avrebbe potuto cercarla, dare un occhiata, per scoprire qualcosa di più su colui che lo teneva prigioniero.
“Adesso seguimi, ti riporto alla tua stanza.”
“Non voglio tornare lì…”
“E dove vorresti andare?”
“Non lo so’… Voi dove andate, quando vi sentite triste?”
Si pentì subito di averlo chiesto, di certo gli avrebbe risposto male come al solito, pensò frustrato.
Invece Crowley sembrò meravigliato da quella domanda, e restò qualche istante a guardarlo, pensieroso.
Poi si voltò, incamminandosi verso le scale.
Azraphel decise di seguirlo, sperando che non lo stesse portando in qualche stanza terrificante, che con la sua fervida immaginazione, si stava riempiendo di coltelli, corde, e altri strani macchinari per la tortura.
Arrivarono di fronte ad una porta in legno chiaro, e quando Crowley la aprì, al suo interno si rivelò essere molto grande e pulita, illuminata da centinaia di candele.
Era piena di meravigliosi affreschi, raffiguranti paesaggi incantati, montagne e laghi, boschi e prati fioriti.
C’erano alcune statue di splendide fanciulle che danzavano, o che suonavano il flauto.
Fiori erano sparsi in tutta la stanza, di ogni forma e colore.
Al centro della sala, si trovava un clavicembalo, e tutto intorno, dei morbidi divanetti rosa.
“Che cos’è questo posto?” Chiese estasiato Azraphel, che mai aveva visto luogo tanto incantevole.
Soprattutto in quel castello oscuro, dove ogni cosa era rovinata, strappata, rotta o ricoperta di polvere.
“Non so’ perché ti ho portato qui, è stata una pessima idea.” Replicò l’altro, incrociando le braccia.
“Dev’essere un luogo a voi caro, se l’avete conservato con tanta cura.”
Per la prima volta da quando era arrivato nel castello, gli occhi di Azraphel erano colmi di gioia, e brillavano come tanti diamanti.
In quel momento, Crowley pensò di non aver mai visto occhi più belli di quelli.
“Era di mia madre. Veniva sempre qui, quando era triste… Per questo io… Non l’ho distrutta.”
“Oh, non pensavo che anche voi… Si insomma, che aveste una madre.”
“Da dove pensavi che fossi nato, da sotto un albero?”
“Mi dispiace… Non volevo offendervi.”
“Comunque è morta, è inutile parlarne ancora.”
“Anche mia madre è morta. Quando ero bambino… Sembra che dopotutto, qualcosa in comune ce l’abbiamo, voi ed io.”
Crowley meditò su cosa dire, gli vennero in mente in paio di cose, nessuna di queste gentile, e alla fine rinunciò.
Mentre l’altro stava ammirando un affresco, lui si diresse verso il clavicembalo.
Suonarlo, era una delle pochissime cose che i suoi artigli ancora gli permettevano di fare, che gli ricordavano che una parte di lui, era ancora umana.
Si sedette, e lentamente, una melodia riaffiorò alla sua memoria.
Era lenta e dolce, a tratti malinconica.
La preferita di sua madre.
Quando iniziò a suonarla, gli sembrò quasi di vederla sorridere, seduta accanto a lui, con il suo abito rosa ed i capelli rossi che ricadevano sinuosi sulle spalle.
Il suo viso era quasi sparito dalla sua memoria, ma il suo sorriso, quello non avrebbe mai potuto scordarlo.
Continuò a suonare, ancora e ancora, finché perse la cognizione del tempo, e solo quando avvertì i crampi alle dita, decise di fermarsi.
Si guardò intorno, chiedendosi dove fosse finito Azraphel, e lo trovò infine, addormentato sul divanetto, raggomitolato su sé stesso come un gatto.
Rimase lì a guardarlo, ad ascoltare il suono del suo respiro, ad osservare il suo petto che si muoveva piano, i capelli riccioli e biondi, le guance rosee, le labbra tonde e rosse, che disegnavano un sorriso sereno.
Avrebbe voluto sfiorarlo, ma le sue lunghe unghie glielo impedivano.
Si avvicinò piano ai suoi capelli, e ne ispirò l’odore, sapeva di vaniglia, sapeva di buono.
Si sedette a terra, e rimase a contemplarlo per tutta la notte, e per la prima volta dopo tanti anni, si sentì in pace.
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** The rose ***


Capitolo 3: The rose

Erano trascorsi tre giorni, da quando era arrivato in quel castello oscuro.
Nonostante i suoi nuovi amici cercassero di intrattenerlo e di farlo sorridere, il peso della prigionia era sempre più asfissiante, come una corda intorno al collo, che ad ogni ora si stringeva di più.
Le giornate trascorrevano lente, Azraphel vagava per il castello, cercando di rimettere insieme i pezzi del puzzle, cercando di capire meglio chi fosse il suo padrone.
I mobili erano antichi e pregiati, segno che la sua famiglia era nobile.
I quadri che raffiguravano esseri umani, graffiati, ciò voleva dire che si vergognava del suo aspetto.
Il castello era sempre buio, soprattutto l’ala ovest, dove si trovava la stanza con il clavicembalo, il che gli diceva che non amava essere visto, nemmeno dai suoi servi.
Ciononostante loro gli erano affezionati, segno che forse, in passato era stato buono con loro.
Avrebbe voluto parlargli, chiedergli di più, ma temeva di essere deriso, o respinto.
Tuttavia, aveva spesso la sensazione di essere osservato, come se un ombra lo seguisse ad ogni passo, e a volte quando si voltava, scorgeva per un istante il volto della bestia, nascosto nel buio.
Non si erano più parlati da quella prima notte, entrambi troppo spaventati per poter fare un passo l’uno verso l’altro.
Eppure, ogni notte, quando la luna era alta in cielo e gli abitanti del castello dormivano, Azraphel saliva le scale, attraversava i corridoi, invitato da quelle dolci melodie a raggiungere la bestia.
Ogni notte Crowley lo guardava entrare, senza dire una parola, senza smettere di suonare, e lo lasciava addormentarsi sul divano.
Era come se la musica, riuscisse ad unire entrambi.
Non aveva bisogno di parole, di lacrime o di urla, trascendeva il tempo e lo spazio, per arrivare dritta nelle loro anime tormentate.
Quando era certo che il giovane dormisse, la bestia si avvicinava a lui, ascoltando il suono del suo respiro, osservando il suo petto che si muoveva piano, il leggero stiracchiarsi degli arti, le braccia che si stringevano al cuscino, quasi che inconsciamente chiedessero un abbraccio.
Crowley lo studiava, osservando ogni più piccolo dettaglio, cercando di rimettere insieme i pezzi del puzzle.
Ogni parte del suo corpo, gli diceva qualcosa di più.
Le forme rotonde del suo corpo, gli dicevano che amava il buon cibo.
Le piccole rughe intorno agli occhi, che doveva avere circa la sua età.
I calli sui polpastrelli, che amava leggere.
Aveva una piccola cicatrice sulla caviglia destra, segno di una caduta.
I capelli biondi ben curati, e la barba rasa, che ci teneva alla sua cura personale.
Ogni tanto, quando il giovane era ormai calato in un sonno profondo, si scopriva a sfiorarlo con le dita, solo per vedere i brividi sul suo collo, la smorfia di piacere sul suo viso.
Partendo dalle caviglie, faceva passare la punta delle unghie attraverso i polpacci e le cosce, su e giù, ancora e ancora, ascoltando i sospiri di Azraphel.
Era come accarezzare i tasti del suo clavicembalo, per poi udire la sua silenziosa melodia.
Quella notte, stava sfiorando le sue dita, la forma del suo indice, le piccole linee intorno al pollice, e con le unghie disegnava delle forme sul palmo della sua mano.
Il suo respiro mutava, diventando più affannoso, e le sue sopracciglia si corrucciavano.
Era da così tanto tempo, che un essere umano non lo toccava, che ormai aveva dimenticato la sensazione.
Afferrò la sua mano, portandosela al viso, e chiuse gli occhi, mentre guidava le dita di Azraphel sulle sue guance, sulla fronte, sulle labbra, riscoprendo la sensazione di essere toccato, così viscerale e sensuale al tempo stesso.
Azraphel si era svegliato da poco, ma era così spaventato e curioso al tempo stesso, da non essere riuscito a muoversi.
Crowley era davanti a lui, gli occhi chiusi ed il volto sereno, i capelli rossi che cadevano sulle guance, la sua mano tra quella della bestia, che si muoveva sul suo viso.
Era la prima volta che toccava in quel modo qualcuno, la prima volta che la sua mano sfiorava il viso di un uomo, e sebbene non fosse stata una sua scelta, non la ritrasse.
La pelle nivea della bestia era calda, e il contatto con le sue labbra socchiuse gli provocò un piacere di cui lui stesso fu stupido, che partiva dal bassoventre, attraversando tutto il suo corpo.
Senza accorgersene, iniziò a muovere le dita, sui suoi zigomi, sul mento, sul lobo del suo orecchio, fino a cercarne i capelli, così morbidi al tatto.
Crowley sembrava confuso, ma non aprì gli occhi, e lo lasciò fare.
Scese con le dita fino ad arrivare alle sue labbra, sfiorando quello superiore, e mentre scendeva su quello inferiore, l’altro le aprì leggermente, quasi lo stesse invitando ad entrare.
Azraphel spinse delicatamente l’indice nella sua bocca, mentre la sensazione al suo bassoventre cresceva di intensità.
Crowley chiuse la bocca, mordendo appena il suo dito, passando la lingua sulla punta.
Il sapore della sua carne, era così buono, che sentiva di volerne di più, così iniziò a mordere con più forza, finche l’altro non emise un gemito, ritraendolo.
Fu a quel punto che aprì gli occhi, e davanti a sé vide un giovane spaventato e confuso, con le guance rosso vivo e lo sguardo languido.
Per un momento in due si guardarono, entrambi con delle parole incastrate in gola, troppo pesanti per essere dette.
Azraphel si alzò di scatto, correndo verso la sua stanza, e Crowley rimase seduto sul pavimento, finche la rabbia non si impadronì di lui, e un unico spaventoso grido uscì dalla sua gola.
Il giorno dopo, Azraphel rimase chiuso in camera.
Madame Tracy restò al suo fianco, canticchiando una melodia, cercando di confortarlo come faceva con il suo bambino quando stava male.
Quello era uno di quei giorni in cui rimpiangeva di non avere le braccia, per poter stringere il ragazzo a sé.
Adam cercava di distrarlo con i suoi trucchetti, facendo le bolle nel the o le capriole, ma non riuscì a strappargli che un timido sorriso. Anche cane ce la mise tutta, abbaiando e scodinzolando, accucciandosi vicino a lui.
Nel frattempo, Newt e mr. Shadwell cercavano di rabbonire Crowley, dandogli dei consigli più o meno saggi su cosa fare.
Newt propose una romantica passeggiata nel parco, e nel momento migliore di cogliere un fiore per lui.
Mr. Shadwell si offrì di controllare se per caso il giovane avesse un terzo capezzolo, giusto per stare sicuri.
Purtroppo Crowley si limitava a grugnire o lanciarli qualcosa contro, perciò non ottennero gran risultati.
Alla fine della giornata, tutti li abitanti del castello si erano radunati per cercare una soluzione al problema. Il problema, come continuava a ribadire mr Shadwell, era che non sapevano quale fosse il problema.
“Gli avrà detto qualcosa di sgarbato…” Esclamò Madame Tracy. “Se solo non avesse quel caratteraccio!”
“Speriamo che non gli abbia lanciato addosso qualcosa!” Aggiunse Newt, cercando di sistemarsi alla meglio la bozza che gli era venuta.
“Forse non lo sanno nemmeno loro, qual’è il problema.” Disse Adam pensieroso.
A notte fonda, quando ormai tutti si erano addormentati, Azraphel sentì di nuovo quella melodia.
Per un momento si chiese se fosse il suo modo per chiedere scusa, e un po’ incerto, si incamminò per le scale.
Accadde una cosa però. Una volta arrivato nel il lungo corridoio, invece che aprire la porta, ne cercò un’altra.
Una porta che non aveva mai visto, nemmeno sapeva dove si trovava, ma era intenzionato a scoprirlo.
Cercò a lungo, ma tutto ciò che trovò furono rovine.
Finche aprendone una di legno massiccio, scura e ricoperta di graffi, trovò quello che stava cercando: La stanza della bestia.
C’era odore di chiuso, di stantio.
Era buio, ad eccezione di un'unica candela posizionata vicino al letto, alto e con pesanti coperte rosse, lacerate, così come le tende dello stesso colore, che coprivano la vetrata dietro al letto.
Lacerate, come la sua anima.
C’erano alcuni mobili di legno scuro,  finemente intagliati, ma completamente vuoti.
C’era una spazzola bianca con dei fiori disegnati, che dall’aspetto e la cura con cui era conservata, doveva essere appartenuta a sua madre.
Una pipa di legno, con dei cervi intagliati, probabilmente appartenuta al padre, che ancora odorava di tabacco.
E alcuni libri, i cui titoli non riusciva a capire, perfino la lingua in cui erano scritti gli era sconosciuta, ma sfogliandoli vide alcuni disegni rappresentati demoni e bestie, streghe e caproni, simboli antichi dalle strane forme.
Il parroco del paese parlava spesso dei pericoli della magia nere, durante i suoi sermoni, di streghe e di demoni spaventosi, ma per Azraphel erano sempre stati solo dei racconti, come quelli che leggeva nei suoi libri, e non ci aveva dato importanza.
In uno dei cassetti trovò dei vestiti, e si ritrovò ad ispirarne l’odore.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione, una debole luce, che proveniva dalla stanza adiacente, la cui porta era socchiusa.
Entrò incuriosito, e al centro della stanza trovò un piccolo tavolino, sopra di esso una rosa rossa era sospesa a mezz’aria, coperta da una cupola di cristallo.
Emetteva una luce dorata, e una strana forza che gli dava i brividi.
Sollevò la cupola, e si avvicinò alla rosa, studiandola.
Avvicinò un dito, per poterla sfiorare.
Fu allora che sentì il suo ruggito.
La bestia era dietro di lui, e con una violenta spinta lo allontanò dalla rosa.
“Sei impazzito? Cosa stavi facendo?” Urlò, ricoprendola con la cupola.
“M-mi dispiace io… Volevo solo…” Balbettò Azraphel, a terra.
“Cosa? Cosa volevi fare?”
“Non lo so… Ero solo curioso…”
“L’hai toccata?” Urlò furioso Crowley, afferrandolo con forza per il colletto della camicia.
“No!”
“Non mentirmi!” Urlò di nuovo, strattonandolo.
“Ti prego, mi stai facendo male!”
“Avresti potuto dannarci tutti! Maledetto incosciente!”
“Lasciami andare!” Esclamò Azraphel, con gli occhi lucidi e spaventati, che si scontravano con quelli ambrati di Crowley.
“Dovrei punirti per questo! Dovrei tagliarti entrambe le mani, così non andresti più in giro a toccare ciò che non ti appartiene!”
“Non è quello che hai fatto tu ieri con me?” Ripose Azraphel, la cui paura si stava tramutando in rabbia.
“Ti sbagli, tu mi appartieni. Sei mio!” Sussurrò Crowley.
“Io non sarò mai tuo!” Urlò Azraphel, liberandosi dalla sua presa, e correndo via.
“Mai!” Urlò di nuovo, più a sé stesso che alla bestia.
Continuò a correre, senza fermarsi, corse con le lacrime agli occhi, fino ad arrivare alla porta, fino ad attraversarla.
A nulla servirono le suppliche di madame Tracy o le minacce di mr. Shadwell, corse più velocemente che poteva, superando il parco ed inoltrandosi nel bosco.
“Tornerò a casa, da Anatema. Sono stato un folle, uno stupido, a credere che lui…”
Mentre correva tra la fitta vegetazione, inciampando nelle radici, graffiandosi con i rami, immerso  nell’oscurità, qualcosa iniziò ad avvicinarsi a lui.
Udì un’ululato, e poi altri ancora.
Udì dei ringhi, dietro di lui, davanti a lui, tutto intorno a lui, ed iniziò ad avere paura.
Guardandosi intorno, riconobbe gli occhi scintillanti dei lupi, che lo scrutavano, le loro fauci che si aprivano, e d’improvviso corsero verso di lui.
Erano tre, poi quattro, perse il conto quando lo accerchiarono, mentre il suo respiro diveniva affannoso e le pupille si restringevano per la paura.
Uno di loro si scagliò contro di lui, lo vide saltare, pronto a divorare la sua carne.
Ma d’improvviso, qualcos’altro si avventò sull’animale, qualcosa che non era del tutto umano, ma neppure del tutto bestia.
Crowley reggeva una lunga spada argentata, che salda tra le sue mani giunte si conficcò tra le costole del lupo, ricoprendo il terreno del suo sangue.
Affondò ancora la spada, mentre l’animale gemeva e moriva.
Due lupi corsero verso di lui, saltandogli addosso.
Uno lo morse alla spalla destra, l’altro al polpaccio.
Crowley urlava, poi alzò la spada, infilzando il lupo al collo, e trapassandolo da parte a parte.
Quando estrasse la spada dal suo corpo, piccole gocce di sangue scuro imbrattarono il suo petto, mentre dalla spalla scendeva denso il proprio sangue, che andò a mischiarsi con quello del lupo.
Altri due stavano correndo verso di lui, con le fauci aperte.
Azraphel osservava la scena terrorizzato, immobile.
Crowley lottò a mani nude con il lupo sopra di sé, accecandolo con le sue unghie, dimenandosi per staccarlo dal suo corpo.
In pochi istanti gli altri due gli furono addosso, Crowley sollevò la spada, mirando dritto alla bocca del lupo, e trapassandolo.
Quella lenta agonia prima di morire, fu per Azraphel un vero e proprio dolore.
Le pozze di sangue che si espandevano nutrendo il terreno, l’odore ferroso nell’aria, il lupo privato dei suoi stessi occhi, che gemeva disperato, sbattendo contro gli alberi attorno a lui.
Mai nella sua vita aveva visto qualcosa di così terribile, ed il suo animo gemeva, straziato di dolore.
Crowley era a terra, che lottava con l’ultimo lupo, bestia contro bestia, all’ultimo sangue.
La spada era lontana, e sebbene Crowley cercasse di arrivarci con la mano, non la trovava.
Azraphel si alzò in piedi, deciso a fuggire una volta per tutte, a lasciare quell’orrore alle sue spalle.
Poi un urlo agghiacciate, fermò il suo passo.
Voltandosi, vide il lupo azzannare Crowley al collo, riempiendosi la bocca con la sua carne.
Sotto la luce della luna, pareva quasi che il sangue fosse nero.
Ripensò al volto sereno di Crowley, mentre si lasciava accarezzare.
Alle dolci melodie che suonava ogni notte per farlo addormentare.
E corse Azraphel, corse da lui, afferrò la spada, chiuse gli occhi, e trafisse il lupo.
Sentì la sua carne lacerarsi, il suo lamento di dolore, poi più nulla.
Cadde in ginocchio, cercando con lo sguardo quello di Crowley.
Rimasero qualche secondo a guardarsi, poi Azraphel si tolse la giacca, e ne strappò alcuni pezzi.
Uno lo avvolse intorno al polpaccio, uno riuscì a legarlo intorno alla spalla e con l’ultimo tamponò la ferita al collo.
Tremava, e non riusciva a smettere di piangere.
“Non pensavo che avresti mai pianto per me…” Esclamò Crowley.
“Non è per te che piango, ma per il lupo!”
Crowley scoppiò a ridere, nonostante il dolore, senza riuscire a fermarsi.
“Non ho mai conosciuto nessuno che piangesse per una bestia…”
“Ogni vita è importante… Ogni vita va rispettata. Così mi è stato insegnato, e così io ho sempre fatto. Non avrei mai pensato, che un giorno avrei ucciso una bestia, per salvarne un’altra.”
“Per quel che vale, non ho mai pensato che un giorno avrei rischiato la mia vita, per quella di qualcun altro.”
I due rimasero a guardarsi a lungo, gli occhi gonfi ed il cuore stanco, il corpo ferito, l’animo affranto.
“Andiamo adesso, ti riporto a casa…” Disse Azraphel, aiutandolo a rimettersi in piedi.
“Pensavo volessi scappare…” Rispose l’altro, aggrappandosi a lui.
“Non oggi.” Sussurrò, incamminandosi verso il castello.

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Capitolo 4
*** The dance ***


Capitolo 4: The dance
 

Crowley giaceva steso nel suo letto, la pelle nuda e perlata di sudore, bollente a causa dell'infezione, provocata dai morsi dei lupi selvaggi. Mormorava frasi sconnesse, rigirandosi nel letto tra il sonno e la veglia.
Azraphel gli era accanto, sebbene nemmeno lui riuscisse a spiegarsi il motivo, e con un panno bagnato puliva il suo corpo, lavando via il sangue che lo ricopriva.
Iniziò dal polpaccio, per poi passare alla scapola, e mentre le gocce d'acqua scendevano sui muscoli della sua schiena, si ritrovò a seguirne il percorso.
Passò poi al collo, che cercò di ripulire con estrema delicatezza.
Non gli era facile, dato il continuo movimento del corpo della bestia, e la vicinanza al suo viso, che lo induceva a ricordare quando per la prima volta lo aveva sfiorato con le dita. Arrossì Azraphel, scoprendosi a pensare a quanto invitanti fossero le sue labbra.
Scrollò la testa, allontanando quei pensieri, e dopo aver finito di lavarlo, cercò di ricucire le sue ferite.
D'improvviso Crowley urlò dal dolore, mentre l'ago gli passava attraverso la carne lacerata del polpaccio.
“Stai fermo! Sto cercando di curarti!” Esclamò Azraphel, tenendolo giù con una mano fermamente posata sul ventre.
“Fa male maledizione!” Urlò la bestia.
“Se stessi fermo farebbe meno male!”
“Se non fossi scappato non mi sarei ferito!”
“Se non mi avessi urlato contro io non sarei scappato!”
Crowley si limitò a grugnire, lanciandoli in faccia il panno bagnato.
“Non sei affatto cortese!”
“Non voglio esserlo…”
“Beh dovresti, visto che sto' cercando di ricucirti. Potrei sempre fare qualche pasticcio…” Rispose Azraphel, impugnando l'ago minaccioso.
“Non osare! Ricordati che sei ancora il mio schiavo, e come tale devi rispettare il tuo padrone!”
“Tu non sei il mio padrone! E se non la smetti con questo atteggiamento io…”
“Che farai? Scapperai di nuovo piangendo come una fanciulla? Beh sappi che questa volta non verrò in tuo soccorso!”
“Non ho bisogno del tuo aiuto!” 
“Saresti morto se non fosse per me! Miserabile ingrato!” Urlò Crowley, afferrandolo per il polso e trascinandolo sul letto.
“Sai come puniva mio padre gli schiavi che cercavano di scappare?” Disse tirando con forza il suo polso, “Frustandoli!”
Lo fece avvicinare bruscamente al suo viso. “Forse dovrei frustare anche te, così impareresti cos'è l'educazione.”
I due rimasero a guardarsi a lungo negli occhi, i visi così vicini da poter sentir il  respiro l'uno dell'altro sul proprio.
Gli occhi ambrati e serpentini di Crowley erano colmi di rabbia, quelli azzurri di Azraphel, erano velati dalle lacrime che iniziavano a comparire, profondi e irrequieti come il cielo in primavera.
“Se è solo questo che sono per te, uno schiavo… Allora fallo, puniscimi padrone.”
A quella parola, il cuore di Crowley iniziò a battere più forte, il respiro si fece affannoso e le pupille si dilatarono per l'eccitazione.
Strinse più forte il suo polso, senza interrompere il contatto visivo.
Immaginò di strappargli la camicia, di farlo stendere sul letto e colpirlo sulla schiena con il frustino che usava per cavalcare.
Immaginò il giovane che urlava il suo nome, la sua pelle arrossata, il suo corpo nudo piegato alla sua volontà.
E mentre lo immaginava, sentiva l'eccitazione crescere dentro di lui come un fiume in piena.
Ma quando la prima lacrima scese sulla guancia rosea del giovane, qualcosa dentro di lui mutò.
E più i suoi occhi soffrivano, più il suo desiderio mutava forma.
Desiderò essere colui che con una carezza avrebbe asciugato quella lacrima, non colui che l'aveva provocata.
In passato, quel gioco l'aveva sempre divertito.
Essere il padrone indiscusso di un'altra persona, usare il suo corpo a proprio piacimento, senza colpa ne pudore.
Ma più si scontrava con gli occhi di Azraphel, più la rabbia e l'eccitazione scomparivano, sciogliendosi come neve al sole.
Per la prima volta, la bestia si vergognò di sé stessa, ed abbassò lo sguardo.
Era ancora così vicino ad Azraphel da poter sentire il calore del suo respiro sulla fronte, e la sua mano iniziò a lasciare la presa, scendendo dal polso fino al dorso, accarezzandolo incerto.
Il giovane non ritrasse la mano, lo lasciò fare, avvicinando un poco la fronte, fino a posarla su quella di Crowley.
Rimasero in quella posizione, finché il respiro di entrambi tornò regolare.
Crowley continuò ad accarezzare la sua mano, e voltandola notò che al centro del palmo c'era un taglio profondo.
“Come te lo sei fatto?” Chiese, senza alzare lo sguardo.
“Quando ho afferrato la spada, almeno credo. Non ne avevo mai presa una…”
“Nemmeno io. Anche se devo ammettere, che è sempre stato un mio desiderio. Da bambino sognavo di essere un cavaliere.” Rispose, sorridendo d'istinto.
“Io sognavo di essere un pirata, e di solcare i sette mari, di vivere ogni giorno una nuova avventura.”
Crowley scoppiò a ridere.
“Saresti un pirata piuttosto buffo, a dir il vero.” Esclamò ridendo.
“Già… E non so' nuotare!”
“Comunque… Sei stato coraggioso… Hai affrontato un lupo, non è da tutti.”
“Ero terrorizzato…”
Crowley avrebbe voluto ringraziarlo, per avergli salvato la vita.
Ma quelle parole, proprio non volevano saperne di uscire.
Ci provò ad aprire la bocca e spingerle fuori, ma non ci riuscì.
Esasperato, prese la mano di Azraphel, e portandola al viso, ne baciò la cicatrice.
Il giovane gemette appena, ma non disse nulla.
“Adesso sarà meglio che ti sdrai, così posso finire di medicarti…” Esclamò dopo un po' di tempo.
Crowley annuì, sdraiandosi di nuovo.
Azraphel riprese ago e filo, e cercò di ricucirgli la ferita al collo.
Faceva male, e la bestia ricominciò a dimenarsi e urlare.
“Per favore, devi stare fermo!” Gli disse con tono rassicurante.
D'improvviso la porta della sua stanza si spalancò.
“Su su padrone…” Disse madame Tracy, saltellando verso di  lui. “Cerchi di stare buono!”
“La megera ha ragione padrone! Dovete stare fermo. Ah se avessi le mani potrei curarla io, ai miei tempi ho ricucito una dozzina di giovanotti messi peggio di lei…” Esclamò con orgoglio mr. Shadwell.
Nel mentre Newt si avvicinò ad Azraphel, arrampicandosi sulla sua spalla.
“Dovreste raccontargli una storia… Sua madre faceva così, per farlo stare tranquillo.”
Azraphel sospirò. “Grazie Newt.”
“Altro che storie!” Replicò mr. Shadwell. “Qui cu vuole del wisky! Tenete padrone, ve ne ho fatto portare un po'!”
Crowley ne buttò giù un paio di bicchieri, prima di stendersi di nuovo.
Azraphel si rimise all’opera, ma prima di infilare l'ago attraverso la carne, si bloccò.
“C'era una volta un giovane studente, perdutamente innamorato di una bellissima fanciulla... Disperato, piangeva in giardino, poiché l'unica cosa che lei gli aveva chiesto, lui non la possedeva.”
Cominciò a ricucirlo, e continuò il suo racconto.
“La fanciulla gli aveva promesso un ballo, se solo lui le avesse portato una rosa rossa in dono. Purtroppo nel giardino del giovane, c'erano solo rose bianche, e a lui non restava che piangere per il suo amore perduto. Tuttavia un piccolo usignolo stava ascoltando la sua disperazione, in cima al ramo di una quercia. Impietosito dal suo dolore pensò che il giovane fosse davvero innamorato della fanciulla, e decise di aiutarlo. Volò a lungo, cercando una rosa rossa, ma ne trovò solo gialle e bianche. Tornò sul davanzale del giovane, ma anche la pianta sotto la sua finestra aveva solo rose bianche. Tuttavia, essa gli disse che c'era un modo per tramutare la sua rosa bianca, in una rosa rossa. Canta per me tutta la notte, disse la pianta, e premi il tuo cuore contro le mie spine. In questo modo, il tuo sangue la tingerà di rosso. Così l'usignolo cantò per tutta la notte, e per tutta la notte donò il suo sangue alla rosa, affinché il giovane potesse essere felice. Al sorgere del sole, l'usignolo era morto, e la rosa era porpora. Il giovane appena la vide, corse a portarla alla fanciulla, la quale però la rifiutò, poiché ciò che ella davvero desiderava erano i gioielli. Così la rosa finì per strada, e il giovane pensò a quanto stupido fosse l'amore, non sapendo che per esso, un usignolo era morto.”
Una volta che ebbe finito la storia, le ferite di Crowley erano tutte state ricucite.
“È una storia così triste, povero uccellino!” Disse madame Tracy, asciugandosi le lacrime.
“Io l'ho sempre detto, che le donne sono delle meretrici di babilonia!” Aggiunse mr. Shadwell.
“Quando troverò la ragazza giusta per me le regalerò dei cioccolatini! Ho idea che queste rose rosse portino solo sfortuna!” Esclamò Newt.
Crowley rimase in silenzio, pensieroso, ed il suo sguardo si fece cupo.
“Anch'io rifiutai una rosa rossa anni fa… Proprio come quella fanciulla, mi importava solo di ciò che luccicava. Ed ora essa si nutre del mio sangue, come la rosa bianca si nutriva del sangue dell'usignolo. E come quell'usignolo, verrò condannato per qualcosa che non esiste… Dove hai sentito questa storia?”
“Me la raccontò una vecchia, molti anni fa. La incontrai nel bosco, mentre cercavo della legna da ardere… Strano, come il suo ricordo mi sia tornato alla memoria solo oggi. Ma ti sbagli, l'amore esiste, ne sono certo.”
“Ho idea che quella vecchia, sia la stessa che mi ha donato quella rosa…”
“Allora forse un giorno, mi racconterai quella storia… Quando sarai pronto.”
“E dimmi caro, ne conosci altre di storie?” Chiese madame Tracy.
“Con un finale più allegro magari!” Suggerì Newt, indicando Crowley con lo sguardo.
“Si… Ho, anzi, avevo, una piccola libreria in paese. Ho letto più volte tutti i libri che ci sono, posso raccontarveli se volete.”
“Avevo il sospetto che ti piacesse leggere.” Disse Crowley. “Domani voglio mostrarti una cosa… Ma adesso sono stanco, lasciatemi riposare.”
Piano piano uscirono tutti, Azraphel si avviò per ultimo, restando un momento a guardare la bestia che chiudeva gli occhi, prima di allontanarsi.
Il giorno dopo nel pomeriggio, mentre Azraphel stava guardando fuori dalla finestra uni stormo di uccelli che danzava nel vento, Crowley lo raggiunge.
“Ti senti meglio?” Chiese il giovane.
“Un po'… C'è una cosa che volevo mostrarti. Seguimi.” Disse, senza aspettare una risposta.
Camminarono per il grande castello, finché non giunsero di fronte ad una grande porta in legno chiaro, sulla quale erano intagliati due uccelli.
Crowley la aprì sospirando, e Azraphel lo seguì subito dopo.
Appena entrato, non riuscì ad evitare di urlare.
“Beh che hai da strillare adesso?”
“Questa è… È…” Balbettò, guardandosi intorno incredulo.
“Una biblioteca. Ho pensato che magari potevi aver voglia di leggere qualcosa…”
Azraphel continuava a guardare estasiato, roteando il corpo e sgranando gli occhi.
Enormi librerie dorate si ergevano fino al tetto, estendendosi per tutta la sala.
Più libri di quanti Azraphel avesse mai visto, sognato perfino.
Di ogni colore e dimensione, ovunque andasse a posare il suo sguardo.
Variopinti affreschi coloravano il soffitto, simile ad un cielo stellato in cui dimoravano gli angeli.
Tappeti colorati ricoprivano i pavimenti, e soffici divani su cui stendersi, erano sparsi in tutta la grande sala.
“Ti… Ti piace?” Chiese timidamente la bestia.
“Oh no!” Rispose il giovane.
“Ah.” Disse deluso. “Che stupido sono stato a…”
“Io lo amo!”
“Che hai detto?”
“Ho detto che lo amo, Crowley!” Urlò di gioia Azraphel, buttandosi a capofitto ad abbracciarlo, stringendogli poi le braccia intorno al collo. “Grazie!”
“T-tu… Mi hai appena chiamato per nome.” Sussurrò incredulo.
“Non vorrai ricominciare con la storia che devo chiamarti padrone spero!” Rispose Azraphel, staccandosi un poco dal suo corpo.
“Non è quello… È solo che sono anni che nessuno mi chiama per nome. È strano, sentire di nuovo quel suono…”
“E….Ti piace?”
“Si, credo di si.”
“Allora vorrà che ti chiamerò più spesso così!”
Il sorriso di Azraphel era cosi sincero, ed i suoi occhi colmi di gioia e gratitudine, che Crowley si sentì stranamente felice.
Rimase in silenzio ad osservarlo, stringendolo ancora tra le braccia, ma non troppo forte.
“Credo che se il paradiso esiste, sia proprio così!” Esclamò Azraphel raggiante, guardandosi intorno.
“Non sono sicuro che esista… Ma se vuoi nel frattempo, puoi dormire qui.”
“Posso? Posso davvero?”
“Certo… Se ti fa piacere…”
Azraphel si strinse di nuovo a lui, più intensamente di prima.
“Questa è la cosa più gentile che tu abbia fatto da quando sono qui.”
“A parte salvarti la vita?”
Azraphel rise, e la sua risata riempì tutta la stanza.
Nei giorni che seguirono, passò lì tutte le sue giornate, immerso nei libri, come faceva un tempo.
Solo che questa volta, non era da solo.
Crowley si stendeva sul tappeto, appoggiando la testa su un cuscino, mentre Azraphel si sedeva sul divanetto accanto a lui, e per ore ed ore, leggeva ad alta voce le pagine di quei libri.
La sera, la bestia ricominciò a suonare le sue melodie, che avevano perso un po' della loro malinconia, sostituite da note più allegre e ballabili.
E alla fine il giovane si addormentava sul divano, cullato dalle dita di Crowley, che battevano sui tasti del clavicembalo.
Una di quelle sere, mentre lo stava ascoltando suonare, si ritrovò ad accennare un passo di danza, muovendosi sinuoso per la stanza.
“Ti piace ballare?” Chiese Crowley.
“Oh si, moltissimo! Anche se non sono molto bravo.”
“Davo molte feste, prima che… Ed ero un ottimo ballerino. Magari…”
Azraphel si fermò, aspettando che Crowley finisse la frase.
“Magari?”
“Beh io… Si insomma… Potremmo ballare insieme.”
Azraphel sorrise, aprì la bocca per rispondere, ma un dubbio lo fece esitare.
“È un ordine?” Chiese timidamente.
L'altro stette qualche istante a pensarci, e mentre si guardava intorno pensieroso, notò che nascosti in un angolino dietro la porta, c'erano un orologio, un candelabro e una teiera, che scuotevano energicamente la testa.
“No.” Rispose alla fine.
“Allora accetto!”
“Oh. Bene. Ottimo. Allora ecco, facciamo  domani sera?”
Lo sguardo di Crowley passò da Azraphel, che annuiva sorridendo, leggermente rosso in viso, ad un orologio, una teiera e un candelabro, che esultavano, saltellavano e si davano il cinque.
Non seppe dire quale delle due immagini fosse più buffa, a dir il vero.
Il giorno dopo, tutto il castello era nel pieno dei preparativi,  carico d'aspettative.
Da una parte, l'armadio aveva tirato fuori una decina di stoffe, creando completi su completi, mentre madame Tracy annuiva o scuoteva la testa, dicendo cose come: “Quel colore non mette in risalto i suoi occhi," o “Troppo stretto!” o ancora “Troppo semplice!” Mettendo in crisi l'armadio, mentre Adam e il cane si divertivano a giocare tra i vari ritagli di stoffe.
Azraphel si stava pettinando i capelli, sospirando, mentre batteva nervosamente i piedi a terra.
Nell'ala ovest invece, Crowley era intento a provare una camicia rossa, borbottando cose gentili da dire, mentre Newt cercava di sistemargli i capelli e lucidargli le corna.
Mr.Shadwell nel frattempo stava cercando un modo per infilare la coda del padrone nei pantaloni e tagliare il bordo, in modo che non ci inciampasse con gli zoccoli.
Verso le nove, Newt accese le candele, mr. Shadwell sistemò i fiori a dovere, madame Tracy si assicurò di mettere del buon profumo nella stanza e Adam di spargere i petali per la stanza, aiutato da cane, sempre felice di rendersi utile.
Alla fine, Adam e cane vennero mandati fuori a giocare, e Newt, madame Tracy e mr. Shadwell si posizionarono sul clavicembalo.
Era tutto pronto.
Mancavano solo i due ospiti d'onore, i quali, ancora non avevano trovato il coraggio di uscire dalle proprie stanze.
Crowley guardò con sconforto la rosa.
Erano rimasti ormai solo due petali, e uno oscillava pericolosamente.
Fece un profondo respiro e uscì.
Azraphel stava camminando nervosamente per i corridoi, senza riuscire però a salire le scale.
“Che fai?” Gli chiese Adam, in sella a cane. “Non dovresti essere di sopra?”
“Ci sto’ andando… E tu non dovresti essere a letto?”
“Ci sto' andando… Tu però non mi sembri molto convinto.”
“Non lo sono…”
“Non sai ballare?”
“Non benissimo, ma non è quello il motivo…”
“Allora qual è?”
“Sei troppo piccolo per capire queste cose.”
“Si, lo dice sempre anche la mamma. È perché ti fa paura?”
Azraphel rimase un po' a guardarlo, poi annuì sospirando.
“Com'era prima che…?”
“Esattamente come adesso, ma meno spaventoso.”
“Ah… Me lo immaginavo."
“Quando aveva la mia età invece, rideva sempre. Giocava con tutti… Era gentile. Tutti quanti gli volevano bene.”
“E poi cosa è successo?”
“La mamma dice che me lo dirà quando sarò più grande. Ma puoi sempre chiederglielo no?”
“Si… Hai ragione.”
“Comunque Newt dice che si è fatto bello per te.”
“Davvero?”
“Così ha detto lui, anche se non so' cosa voglia dire.”
Azraphel sorrise.
“Grazie Adam…” Disse, salendo il primo gradino.
Arrivato davanti alla porta, fece un gran respiro, ed entrò.
Non era sicuro di cosa avrebbe trovato, non era sicuro di niente in realtà.
Ma qualcosa dentro di lui, lo spingeva a scoprirlo.
Crowley era in piedi, al centro della stanza. Tutto intorno a lui, candele e fiori, come in un dipinto.
I capelli lunghi erano ben pettinati, aveva una camicia rossa con sopra una giacca nera, e dei pantaloni dello stesso colore.
Quando si avvicinò a lui, fece un leggero inchino, e gli porse la mano.
Azraphel sorrise meravigliato, si chinò a sua volta, e afferrò la sua mano.
A quel punto una melodia iniziò a riecheggiare nella stanza, e lentamente Crowley si avvicinò a lui, circondandogli la vita con un braccio e tenendogli la mano con la sua, sospesa all'altezza delle spalle.
I piedi iniziarono a muoversi a tempo, così come i loro corpi.
C'era qualcosa di diverso nello sguardo della bestia, era più dolce, quasi spaventato…
Perfino il modo in cui lo stringeva, era più delicato, come se stesse attento a non fargli male.
Azraphel non lo sapeva, ma anche il suo sguardo era diverso.
A Crowley sembrò quasi che in quel momento, non avesse più paura di lui. Che anzi fosse curioso, di scoprire chi fosse in realtà.
Anche il modo in cui si stringeva a lui, era più sicuro.
Da quando era entrato nella stanza, era come se si fosse illuminato.
Il vestito azzurro chiaro e dorato, metteva in risalto i suoi occhi, rendendolo elegante come un principe.
Ballarono a lungo, e dopo un po' la stanza intorno a loro sembrò scomparire, rimasero solo i loro occhi, che si cercavano, che si studiavano.
Mentre la luna era alta in cielo, e una melodia dolce e lenta riempiva la stanza, i due volteggiavano stretti l'uno l'altro, quasi che avessero preso il volo  e stessero danzando tra le nuvole.
Poi d'improvviso Crowley chinò il viso, fino ad appoggiare la sua guancia a quella di Azraphel.
Scese ancora, e mentre il respiro si faceva pesante ed il cuore gli martellava nel petto, posò infine le labbra sul collo del giovane, racchiudendo la sua pelle calda tra le labbra.
 
 
NB: il racconto di Azraphel è un riassunto dell'opera di Oscar Wilde:
 “La rosa e l'usignolo.” Che vi consiglio caldamente di leggere.

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** The witch ***


Capitolo 5: The witch
 
L’aria fredda della notte ricopriva di leggeri brividi la pelle nivea di Azraphel, mentre osservava le stelle accanto al suo cavaliere.
Dopo aver danzato per ore, erano usciti sul balcone del salone a prendere un po’ d’aria fresca, ed ora se ne stavano entrambi in silenzio, ad ammirare il cielo stellato.
“Sei felice?” Chiese Crowley, che non riusciva a smettere di guardare il suo sorriso.
“Si… Credo di si.” Rispose il giovane, senza smettere di osservare il cielo.
“Era da molto che non ballavo… E tu invece? Ballavi spesso quando vivevi in paese?” Gli chiese Crowley, chiedendosi se ci fosse qualcuno di speciale nella sua vita, con cui in passato avesse ballato.
“Oh si, molto spesso.”
“Capisco… Immagino che ci saranno tante belle fanciulle dove vivi tu…” Rispose con rammarico, distogliendo lo sguardo.
“Immagino di sì, non ci ho mai fatto caso.”
“Ma hai… Hai detto che ballavi spesso!”
“Si, con Anatema.”
“Oh…” Esclamò, sorridendo istintivamente.
“Sei per caso geloso, Crowley?” Gli chiese Azraphel, notando il cambiamento della sua espressione.
“Io? No, che vai dicendo… Figuriamoci.” Rispose Crowley, schiarendosi la voce.
Dopo qualche momento, Azraphel si ricordò dell’ultima volta che aveva ballato con la sorella, in una calda sera d’estate.
“E’ molto brava a ballare sai? E’ così aggraziata… Mi chiedo come sia possibile che ancora nessuno la corteggi.”
“Beh se ti assomiglia, vivrà anche lei in un mondo tutto suo.”
Azraphel rise. “E’ così. E’ un’inventrice! A volte nemmeno io riesco a capire di cosa sta parlando.”
“Sarà per questo allora, che ancora non ha trovato una persona che le stia accanto. Quando sei diverso, e vivi in un mondo di persone tutte uguali, è come… Come essere sulla luna.” Rispose Crowley, guardando il cielo.
“Anche tu ti sei sentito così?”
“Sempre… Anche se ero costantemente circondato da altre persone, era quasi come se non ci fossero… Come se fossi un fantasma nel castello.”
“Mi dispiace, che tu ti sia sentito così. A dir il vero, si può dire che io sia il fantasma di quel paese. Vivo lì, ma… Non l’ho mai considerato la mia casa.”
“Forse un giorno… Potresti considerare questo castello la tua casa…” Esclamò Crowley, quasi in un sussurro.
“Per considerare un luogo la mia casa, dovrei sentirmi libero... Ma qui, non sono altro che il tuo prigioniero. E poi… Restare significa non poter mai rivedere mia sorella.”
“E se ci fosse un modo per vederla?”
“Quale?”
“Seguimi, te lo mostrerò.”
 I due si incamminarono verso la stanza di Crowley, e una volta entrati, la bestia gli porse uno specchio, la cui cornice nera era ricoperta di strani simboli simili a lettere e forme geometriche.
“Pensa a lei…”
Azraphel lo fece, concentrandosi sul suo volto.
Poi lentamente nello specchio apparse il suo viso.
Il giovane sorrise, ma più la guardava, più avvertiva che qualcosa di terribile le stava accadendo.
Stava piangendo, aveva un grosso livido sulla guancia, ed i suoi capelli le erano stati tagliati rozzamente.
“Qualcosa non và Crowley.” Esclamò preoccupato.
La bestia si avvicinò, guardando insieme a lui nello specchio.
Un coro di voci si levavano attorno a lei, sempre più forti, ripetendo con ferocia un’unica parola: “Strega!”
Poi l’immagine divenne più amplia, rivelando Il palo contro il quale era legata la ragazza, e la legna sotto di lei.
“Cosa le stanno facendo? Crowley? Che succede?” Esclamò Azraphel, sempre più spaventato.
Una voce si alzò tra la folla, era quella del vescovo Maxwell Pulsifer, che impugnando una bibbia, si rivolgeva ad Anatema.
“Non temere figliola, libereremo la tua anima corrotta dal patto che hai stretto con il demonio!”
“Io no ho stretto alcun patto, vi prego dovete credermi!”
“Neghi dunque di aver parlato con il demonio? Di essere stata nel suo castello?”
“No! Mi ero persa nel bosco, stavo solo cercando un riparo…”
“Neghi dunque, che il demonio abbia preso la vita di tuo fratello, in cambio della tua?”
“No… Ma vi prego, non ho fatto nulla di male, dovete credermi!”
“Strega!” Urlò Gabriel. “Diresti qualunque cosa pur di salvarti! Il demonio ha corrotto la tua anima, dolce fanciulla, ma non avere paura, presto il fuoco libererà la tua anima.”
“La mia anima è già libera!” Urlò Anatema. “La vostra piuttosto, è corrotta e meschina!”
Qualcuno si avvicinò e le sputò in faccia.
Il garzone del pane le lanciò un sasso, che la colpì al torace.
“Dio ci è testimone!” Urlò Pulsifer. “Questa notte estirperemo il demonio dalla tua carne, e ti salveremo dalla dannazione eterna!”
Il vescovo afferrò la sua croce, spingendola con forza sulla fronte di Anatema.
“Strega, confessa i tuoi crimini!! Urlò Pulsifer. “Confessa di aver scritto il tuo nome sul libro nero!”
Gabriele le mise una mano sotto la gonna. “Confessa di aver giaciuto con il diavolo, strega!”
“Siete voi il diavolo!” Urlò lei, dimenandosi con forza.
“Strega! Bruciate la strega!” Urlava la folla.
Azraphel posò lo specchio sul tavolo, scoppiando in lacrime.
“Sorella… Sorella cosa ti stanno facendo?” Disse tra i singhiozzi.
Crowley lo prese tra le braccia, abbracciandolo.
Eppure, più lo teneva stretto, più sentiva di doverlo lasciare andare.
“Oh Crowley… Devo andare da lei, devo salvarla… Non posso lasciare che la uccidano.”
“Lo so…” Rispose lui, con un filo di voce. “Vai da lei. Prendi la mia spada… Uccidili tutti se devi, ma salvala.”
“Io non posso uccidere un essere umano… Non posso farlo…”
“Potresti non avere scelta. Hai ucciso un lupo per un estraneo. Chi uccideresti per salvare tua sorella?”
Azraphel gli accarezzò la guancia, mentre si staccava dal suo abbraccio.
“Tu non sei un estraneo… Non più almeno.”
Crowley la prese, baciandone il palmo.
“Vai adesso. Vai da lei…” Sussurrò, allontanandosi. “Ma prendi lo specchio… Almeno, potrai rivedermi, se lo vorrai.”
Azraphel lo prese tra le mani tremanti, incamminandosi verso la porta.
“Ci rivedremo Crowley, ne sono certo.” Disse, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Il giovane percorse i corridoi, spalancò la porta del castello, correndo attraverso il grande parco, inoltrandosi nel bosco.
Proprio nel momento in cui sparì tra l’oscurità della foresta, un petalo della rosa cadde, appassendo mentre toccava il tavolo.
Crowley guardò l’ultimo petalo, rassegnandosi alla sua sorte.
“Fa presto amaro destino… Fa presto rosa ad appassire, poiché questa agonia è durata fin troppo, e la speranza, ormai ha abbandonato il castello. Quindi svelta rosa, muori, muori e lascia che il buio mi avvolga e mi chiami per nome.”
Le torce erano già accese, e le ultime preghiere erano state dette.
La folla invocava la morte, che presto sarebbe arrivata.
Anatema non piangeva, ma con lo sguardo fiero la guardava in volto.
“Fratelli, sorelle, il tempo è giunto. La giustizia di Dio calerà impetuosa su questa strega!” Urlò Gabriele, avvicinando la torcia alla legna alla base della pira.
“Fermi! Fermatevi!” Urlò a sua volta Azraphel, correndo verso di loro, esausto per la corsa. “Vi prego, è uno sbaglio, un terribile sbaglio! Mia sorella non è una strega!”
“Azraphel!” Esclamò Anatema, dimenandosi nelle strette corde. “Fratello mio!”
“Tu? Come hai fatto a sfuggire alle grinfie del demonio?” Disse Gabriele, avvicinandosi minaccioso.
“Non sono fuggito, mi ha lasciato andare!”
“Questa è follia!” Gli rispose ridendo.
“E non è un demonio! E’un essere umano, a cui è accaduto qualcosa di terribile… Ma lui è… Buono!”
“Eresia!” Tuonò il vescovo. “Blasfemia! Il demonio ha corrotto la sua anima impura!”
“Non mi ha corrotto… Lui è stato gentile…”
“Confessa! Hai stretto un patto con lui?” Chiese Gabriele, prendendolo per un polso. “Ha sedotto anche te con la sua lingua di serpente, non è vero?”
 “No! Vi state sbagliando… Non è un demonio! Lui è… Dolce.” Mentre sussurrava le ultime parole, Azraphel pensò intensamente a lui. Ed in quel momento, lo specchio nero emise una luce, simile ad un fumo nero, mostrando la sua immagine.
Prima che se ne rendesse conto, Gabriele gli aveva già strappato lo specchio dalla cintura, guardando inorridito il volto della bestia.
“Eccolo, il volto del demonio!” Urlò, mostrando a tutti lo specchio.
“Quello specchio è un oggetto creato con la magia nera! Attenti, voi che lo sguardate!” Esclamò il vescovo.
“Se solo sapessi dove si trova, lo ucciderei io stesso! Dove sei, demonio?” Disse Gabriele furioso.
In quel momento nello specchio apparse l’immagine del castello.
“Ecco, fratelli, ecco l’antro del demone!” Urlò, mostrando lo specchio alla folla.
“Bisogna ucciderlo! E’ dio a comandarcelo!” Aggiunse il vescovo. “Ricacciamolo nel ventre dell’inferno!”
“Via dalle nostre terre!” Urlò il calzolaio.
“Lontano dai nostri figli!” Aggiunse la moglie del lattaio.
“Uccidiamo il mostro!” Si udì tra la gente. “A morte!”
“No! Vi prego, non fategli del male!” Implorò Azraphel, cercando di riprendere lo specchio.
“Dobbiamo bruciarlo con la sorella!” Urlò il vescovo. “Ormai la sua anima è nera, ed è il demonio a possederla.”
La folla inferocita lo prese per le braccia e le gambe, trascinandolo sulla pira di legna.
Lo legarono insieme alla sorella, stringendo la corda dietro ad i suoi polsi.
Gabriele lo guardò a lungo, con l’espressione atterrita, ma li lasciò fare.
“Al castello dunque fratelli miei, il signore ci guiderà!” Urlò Gabriele, distogliendo lo sguardo. “Chi verrà con me?”
Un coro di voci si levò in risposta.
I cavalli furono ferrati, le spade affilate, si caricarono i fucili, si accesero le torce.
Padri salutarono i loro figlioletti, e mogli baciarono i loro sposi, guardandoli partire verso l’oscuro castello.
Prima di andare, accesero la legna sotto la pira, lasciando i due ad aspettare la morte.
Quando se ne andarono, cavalcando come eroi verso la battaglia, fiori vennero sparsi sulla loro strada, e canzoni vennero cantate dalle spose affrante.
Mentre il fumo nero entrava nei loro polmoni, ed il calore del fuoco arrivava lentamente ai loro piedi, i due fratelli si tennero per mano.
Poi d’improvviso sentirono il calore del fuoco sui polsi, e pensarono che fosse arrivata la loro fine.
Ma le corde si slegarono, e i due si guardarono confusi.
“Presto padroncino! Da questa parte!”
“Newt?” Esclamò Azraphel, riconoscendo il candelabro, nascosto ai loro piedi.
“Dobbiamo far presto, o ci vedranno!” Rispose Newt.
“Chi… Cosa sei tu?” Chiese Anatema, chinandosi verso di lui.
“Io sono Newt… Al vostro servizio, mademoiselle.” Rispose, facendo un inchino.
“Dobbiamo avvertire Crowley, prima che sia troppo tardi!” Esclamò Azraphel.
“Avvertirlo? Sei impazzito? Dobbiamo scappare, finche ne abbiamo l’occasione!”
“No! Non lo abbandonerò…”
“Fratello, non sai cosa stai dicendo, è un demonio!”
“E’ mio amico! Ti prego, devi fidarti di me Anatema. Puoi farlo?”
Lei rimase un momento a guardarlo, poi annuì.
“Presto mademoiselle, mi prenda! Vi farò luce nella via del ritorno.”
Anatema si chinò verso di lui, spaventata ed incuriosita, prendendolo con una mano.
“Che belle dita che avete mademoiselle, per essere una strega!”
“Grazie… mr. Newt.”
“Solo Newt, per voi.”
Anatema si ritrovò a sorridere, nonostante la situazione.
Presto i tre scesero dalla pira, bruciandosi solo superficialmente, grazie al passaggio che aveva liberato Newt.
Presero Philippe dalla stalla, e si misero in marcia verso il castello.
Due forze opposte, si muovevano adesso verso la stessa direzione, una per uccidere, una per salvare, una spinta dall’odio, l’altra dall’amore.

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Capitolo 6
*** The lover ***


Capitolo 6: The lover
 
Lesti arrivarono gli eroi, sguainando le spade e caricando i fucili.
Sfondarono la porta del castello, entrando nell’antro del demonio.
Crowley era sulla torre, ad osservare immobile la sua disfatta.
Ma ormai, non gli importava più.
Azraphel se ne era andato, e con lui, l’ultima speranza.
Il suo destino sarebbe stato legato a quel castello, per sempre.
Mutato per l’eternità in un mostro, solo con i suoi fantasmi.
Decise che la morte, sarebbe stata un agonia ben più dolce.
Morire combattendo, nel sangue e nel dolore, come il cavaliere che un tempo aveva sognato di essere, questo sarebbe stato il suo destino.
“Entrate dunque, venite a prendermi, vi stò aspettando…” Sussurrò alla notte, stringendo la sua spada.
Non molto lontano, due fratelli lottavano contro il tempo, cavalcando verso la battaglia.
Un timido candelabro sorrideva, stretto nelle mani di una fanciulla. Nonostante le ferite e le lacrime, nonostante i capelli tagliati e le vesti strappate, era la più bella che avesse mai visto.
Anzi, forse proprio per quello. Poiché il coraggio nei suoi occhi, la faceva brillare come le stelle sopra di lui.
Nel castello, una madre nascose il figlio, e un vecchio orologio guidò alla carica un esercito di servitori maledetti.
“Difendiamo il castello, amici miei! Difendiamolo con tutto ciò che abbiamo, con noi stessi se necessario. E se la morte giungerà oggi, che non ci colga nascosti ed impauriti!”
Due eserciti si scontravano adesso, mossi da odio e paura, divisi da una linea così sottile, da essere quasi impercepibile.
 Un eroe solitario, saliva le scale, cercando il suo nemico in uno specchio nero.
Quando finalmente raggiunse la torre, sotto la pioggia trovò ad aspettarlo il demone, reggendo una lunga spada argentata.
“Eccoti dunque morte, sei venuta a prendermi?” Sussurrò Crowley,  sollevando la spada.
“Affrontami, vediamo se sarà il mostro o l’eroe a morire stanotte!” Urlò, facendo un passo avanti.
“Non temere, la tua testa domani sarà appesa alla mia parete! Le donne urleranno di fronte alla tua orrida vista, gli uomini esulteranno, i bambini ti scaglieranno contro le pietre.”
Crowley sorrise, pregustando la battaglia.
Poi d’improvviso, qualcosa lo bloccò.
Per un momento i suoi occhi si posarono sullo specchio, ed il suo cuore si fermò.
Gabriele stava studiando le sue mosse, come un cacciatore osserva la sua preda.
Ben presto si accorse del mutamento del suo viso, dello sguardo pietrificato alla vista dello specchio.
“Oh questo?” Esclamò sollevandolo. “Un regalo di Azraphel. Oh sapessi come piangeva, mentre mi implorava di venire ad ucciderti.”
“No… Non può esser vero.”
Gabriele scoppiò a ridere. “Povero illuso! Pensavi davvero che lui ti amasse? Come potrebbe mai amare un mostro come te…”
Crowley abbassò lo sguardo, ripensando a quell’unica volta in cui lo aveva stretto tra le braccia.
No, non poteva essere vero, pensava, non poteva averlo tradito, eppure…
“E’ stato davvero un peccato, doverlo uccidere…”
A quelle parole, il suo respiro affannoso si tramutò in un urlo.
“Non ho avuto scelta, era dannato ormai.” Disse con finto rimpianto, osservando compiaciuto lo sguardo atterrito del demone. “Davvero uno spreco, aveva un così bel corpo. Soprattutto quando era nudo sotto il mio! E come urlava mentre lo prendevo…” Sorrideva ora Gabriele, divertito dal dolore che stava provocando nel suo nemico.
La gelosia, lo stava consumando.
La rabbia, lo stava consumando.
E voleva con quelle stesse armi consumare lo spirito del suo avversario, renderlo debole, per poterlo abbattere.
Crowley si lasciò cadere in ginocchio, sopraffatto dal dolore.
Possibile che l’unica persona che avesse mai amato, lo avesse tradito in modo così crudele?
Possibile che fosse morto?
Immaginò il suo corpo tra le fiamme, le sue urla di dolore, e violente lacrime strariparono dai suoi occhi.
Gabriele sorrise, e sollevò il fucile, puntandolo dritto verso il suo torace.
Crowley lo afferrò con le mani, puntandolo dritto al suo cuore.
Nell’attimo prima che il dito premesse sul grilletto, gli occhi del demone incrociarono quelli di Azraphel.
Lo vide correre verso di lui, urlando il suo nome.
Nell’attimo in cui Gabriele premette il grilletto, Crowley si spostò.
La pallottola lo colpì a pochi centimetri dal cuore, e dal suo petto nudo iniziò a sgorgarne il nero sangue.
“Che cosa hai fatto Gabriele?” Urlò Azraphel, spingendolo via. “Sei un mostro!”
Poi corse da Crowley, sollevandolo dalla pietra, e portandoselo tra le braccia.
“Oh caro caro… Mi dispiace, mi dispiace così tanto…” Gli disse, stringendolo al suo petto.
“Azraphel… Sei vivo… Sei tornato da me…” Sussurrò il demone, mentre un filo di sangue scendeva dalla sua bocca.
“Certo che sono tornato…” Disse baciandogli la fronte.
Gabriele, era furioso, pazzo di gelosia.
“Come puoi amare una bestia?” Urlò, prendendolo per il braccio e facendolo sbattere contro la parete della torre.
Poi gli strinse la mano intorno al collo, stringendo con tutta la forza che aveva. “Come puoi non amare me?” Lasciò cadere il fucile, e avvolse con entrambe le mani il suo collo, desiderando di poterlo spezzare come il ramo di un albero. “Se non vuoi amare me, allora non amerai nessuno!”
Le labbra di Azraphel erano blu, ed il suo viso pallido come la luna.
Sentiva come se il petto gli stesse per scoppiare, mentre cercava affannosamente di respirare.
D’improvviso, sentì qualcosa di metallico e pungente, che gli puntava contro lo stomaco.
Gli occhi di Gabriele si spalancarono, tossì sangue, e si accasciò a terra agonizzante.
Dietro di lui, Crowley estrasse la spada dal suo torace, poi ricadde a terra.
Per un breve momento, l’eroe, la bestia ed giovane innamorato, restarono sospesi in un limbo tra la vita e la morte.
Stesi a terra sotto la pioggia, nell’alta torre di quel castello maledetto, cercando con tutte le loro forze di sopravvivere.
Gabriele spirò per primo, gli occhi ancora spalancati verso il cielo, ed una smorfia di dolore sulle labbra.
Azraphel cercò con la mano quella di Crowley, fino a stringerla.
Non riusciva a muoversi, non riusciva nemmeno a parlare.
Lo cercò con lo sguardo, lo vide sorridere, sentì le sue dita che si incastravano tra le proprie, prima che i suoi occhi si chiudessero.
L’ultimo petalo della rosa cadde, danzando nell’aria, mentre Azraphel pronunciava le uniche due parole in grado di salvare il demone.
“Ti amo…” Sussurrate appena, nel fragore della notte.
Lentamente, il sangue sotto il corpo di Crowley, iniziò a muoversi da solo, creando un cerchio intorno alla sua figura.
Azraphel si sollevò un poco, notando che dentro al cerchio si stava formando una forma di stella, che già aveva veduto nei libri del demone.
Rune antiche create con il sangue, si incastravano tra il cerchio e la stella.
Quando il disegno fu completo, un denso fumo nero si sollevò dentro il cerchio, avvolgendo il corpo di Crowley.
Azraphel dovette ritrarre la mano, poiché il fumo scottava come il fuoco.
A lungo la vista della bestia gli fu celata, fin quando il fumo cominciò a diradarsi nel vento, lasciando il corpo nudo di Crowley sotto la pioggia.
Non aveva più le corna, e le sue gambe erano umane.
Crowley tossì, tremando dalla testa ai piedi.
Azraphel si trascinò verso di lui, prendendogli il viso tra le mani.
L’altro aprì gli occhi, non più ambrati, ma del colore dell’erba.
“Sono morto, e questo deve essere il paradiso… Non credevo che mi avrebbero amesso.”
“O forse sono morto io, e questo è il mio paradiso…”
“No, se così fosse sarebbe pieno di libri!” Esclamò sorridendo Crowley, sollevandosi un poco da terra.
Azraphel rise, aiutandolo a mettersi a sedere.
Crowley si guardò incredulo le gambe, poi si toccò la testa, andando a cercare le corna.
“Io… Sono umano… Azraphel hai visto? Non ho più le corna!”
“Si caro, ho visto. Sei bellissimo…”
“Dici davvero? Non mi prendi in giro?”
“Non potrei mai, non vorrei essere frustato!”
Questa volta fu Crowley a scoppiare a ridere.
“Però mi dispiace per i tuoi occhi sai? Gli amavo così com’erano.”
Fu in quel momento che Crowley realizzò cosa era successo.
“Tu mi ami… E’ per questo che la maledizione si è spezzata.”
“Come? Non capisco caro..”
Crowley gli prese il viso tra le mani, baciandolo in un impeto di passione.
Azraphel non si mosse, lasciandosi baciare, stringendolo più forte tra le braccia.
Era bello sentire il suo corpo contro il proprio, le sue mani tra i capelli, le sue labbra bagnate che si chiudevano e si aprivano, assaporando la sua bocca.
Si staccò un attimo, ancora ansimante per l’eccitazione.
“La rosa… Era maledetta!” Disse Crowley. “Ma tu hai spezzato l’incantesimo, e mi hai reso libero…”
“Credevo di essere io il prigioniero…”
“Lo eravamo entrambi...”
“Quindi per ridarti la tua umanità, dovevi riuscire a farti amare da qualcuno?” Chiese Azraphel curioso.
“Si… Ma non è solo questo… Dovevo riuscire ad amare qualcuno anch’io.”
“Pare proprio che tu ci sia riuscito allora…”
“Pare proprio di si…”
Azraphel arrossì appena, prima di dargli un timido bacio.
Non molto distante nel castello, una madre riabbracciò il suo bambino, ed un cane leccò il viso del suo padrone.
Una bella cameriera si provava le stoffe che per tanto tempo aveva solo potuto creare.
Un maggiordomo con i baffi si ammirava allo specchio, controllando che non gli fosse spuntato un terzo capezzolo.
Un po’ più vicino, una fanciulla urlava, e un giovane alto e magro, cercava qualcosa con cui coprirsi, mentre la ragazza gli lanciava una lampada.
“Mademoiselle la prego! Posso spiegare!” Urlava il ragazzo, coprendosi la testa.
“Chi siete voi? Che è successo?” Esclamò lei, sistemandosi gli occhiali.
“E’ una lunga storia… Posso raccontarvela di fronte ad un bicchiere di vino magari?”
“Prima però rivestitevi!” Disse lei, coprendosi gli occhi, e sbirciando nelle fessure tra le dita poco dopo.
Nel frattempo, gli abitanti del paese erano ritornati alle loro case, salvi, ma non tanto sani.
Decisero di lasciare quelle faccende al signore, e di tornare ad occuparsi delle loro.
Dopotutto, finché la bestia se ne stava chiusa nel suo castello non avrebbe fatto del male a nessuno, ed iniziava ad essere l’ora di impastare il pane e mungere le mucche.
Quello non poteva mica farlo il signore.
Soprattutto se era già impegnato a dar battaglia al demone.
Si, il sole stava per sorgere ed il paese per tornare alla sua normalità.
 
 
Due settimane dopo
 
“Pietà padrone!” Urlava Azraphel, a pancia in giù sul letto, completamente nudo.
“Gli schiavi non meritano pietà!” Esclamò Crowley, colpendolo sulla schiena con il suo frustino.
“Vi prego padrone, mi fate male!” Gemeva Azraphel, dimenandosi e stringendo le lenzuola.
Crowley lo colpì sulle natiche arrossate, facendolo gemere. “So’ che hai rubato tu l’argenteria!”
“Lo giuro padrone, non l’ho fatto!” Disse Azraphel, voltandosi con gli occhi supplichevoli.
“Menzogne! Meriti di essere punito!” Così dicendo, lo colpì ancora sulle natiche, gustandosi i suoi lamenti, mentre accarezzava la sua erezione. “Pagherai con il tuo corpo, per le colpe commesse!”
“Oh no, vi prego, sono ancora vergine!” Gemette l’altro, voltandosi a guardare il corpo nudo e sudato di Crowley, che si piegava sul suo.
“Non per molto ancora! Ti farò pentire amaramente per tutti i dolcetti che hai rubato dalla cucina!” Esclamò, poi prese un po’ di panna e gliela spalmò sulla schiena e sui fianchi, che subito si precipitò a leccare, mordendo di tanto in tanto le sue rotondità.
“Oh caro, posso averne un po’ anch’io?”
“Azraphel! Ti ho detto che devi restare nella parte! Non puoi chiamarmi così, rovini l’atmosfera!”
“Per favore, solo un pochino!”
Crowley sbuffò, ne prese un po’ con le dita e gliele fece leccare.
“Sei davvero incorreggibile!” Lo rimproverò.
“Scusa caro… Lo sai che non resisto!”
“Va bene va bene, ma adesso dovrò punirti anche per la panna che hai rubato dalle mie dita!”
“Ma caro, se continui così non potrò più sedermi per tutto il giorno!”
“Smettila di lamentarti Azraphel, ricordati che me l’hai promesso.”
Il giovane sorrise, leccandosi via la panna dalle labbra.
“E tu ricordi cosa mi hai promesso in cambio, vero?”
Crowley sbuffò di nuovo.
“Si, me lo ricordo.”
“La stai imparando a memoria?”
“Si si… Ma anche tu, non potevi scegliere una poesia meno romantica?”
“No!” Replicò l’altro con un gran sorriso.
“E sia… Ma per oggi sei ancora il mio schiavo, quindi preparati alla tua punizione!”
“Posso avere un bacio prima?”
“Posso frustarti ancora un pochino però?”
“Si.”
Crowley sorrise, si mise un po’ di panna sulle labbra e si chinò su di lui.
Azraphel accorse subito a leccarla via con la lingua, prima di appropriarsi delle sue labbra.
“Lo sai che ti amo vero, padrone?” Gli disse languido.
Crowley rimase qualche istante a godersi lo sguardo estasiato di Azraphel, i suoi occhi azzurri pieni di luce, le guance arrossate, i capelli biondi bagnati di sudore, il sorriso ingenuo e malizioso allo stesso tempo.
Gli diede un altro bacio, lento, dolce.
“Ti amo anch’io… Ma questo non ti salverà dalla tua punizione!”
Azraphel rise, mordendosi poi il labbro inferiore.
E mentre i due riprendevano con i loro giochi, il sole di mezzogiorno illuminava i loro corpi nudi.
Nel grande giardino del castello, Adam e cane correvano inseguendo un coniglio, sporchi di fango e ricoperti di foglie, felici come solo un cane ed un bambino possono essere.
Madame Tracy ed Helena, stavano ricamando un abito per la nuova ospite, felici di avere finalmente una graziosa fanciulla da viziare, e intanto si gustavano un buon the caldo.
Mr. Shadwell era nel suo ufficio, ad organizzare una difesa anti strega, munito di campanelle, aghi, un bussola e dei fiammiferi.
Più a nord del giardino, vicino alla grande fontana, c’erano Anatema e Newt, seduti su una panchina vicino al roseto.
Lei stava ammirando una rosa rossa, e stava avvicinando le dita per sfiorarla.
Newt le prese immediatamente la mano, tenendola ben salda nella sua.
Poi con l’altra le porse dei cioccolatini.
Lei ne mangiò uno, e lui sorrise, sistemandosi gli occhiali.
Si scambiarono un timido bacio, prima che un coniglio bianco saltellasse fuori dal cespuglio.
E fu davvero una cosa buffa, perché per un momento, ad Anatema sembrò quasi che il coniglio avesse un panciotto giallo, gli occhiali e un orologio da taschino nella zampa.
Ma questa, è un’altra storia…
 


Nota dell'autrice: 
 
Salve a tutti cari lettori :-)
Spero che questa mia umile rivisitazione dell'immortale classico disney vi sia piaciuta, che vi abbia fatto sorridere ed emozionare...
Sono molto affezzionata ai personaggi di Good Omens,  e devo dire che mi sono divertita moltissimo ad immaginare questa storia, come spero vi siate divertiti voi a leggerla.
Come avrete notato, nel finale appare un piccolo coniglio bianco con il panciotto, che richiama ad un'altra storia che tutti noi conosciamo...
Sareste curiosi di leggere le avventure di Azraphel nel paese delle meraviglie? Vi piacerebbe vedere Crowley nei panni dell'eccentrico cappellaio matto?
Fatemi sapere ;-)
E come sempre, buona apocalisse a tutti!


 

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