The Long-Lost Daughter of Hell

di Journey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 A ***
Capitolo 29: *** Capitolo 27 B ***
Capitolo 30: *** Capitolo 28 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


“Dove andrai adesso, tesoro?”
“A cercare i miei genitori”
“Ne sei sicura? Abbi potresti rimanerne molto delusa, lo sai”
“Lo so, Janet. Ma ho passato tutta la vita in questa casa-famiglia, sperando che qualcuno mi adottasse. E non è mai successo”
“Abbi, in tanti hanno cercato di adottarti e lo sai, ma purtroppo senza successo”
“Esatto, sono l’unica sfigata a cui succedeva sempre qualcosa proprio quando stava per trovare una famiglia. Adesso che sono maggiorenne non posso più stare con voi che siete la mia casa da che ne ho memoria. L’unica cosa che posso fare è cercare una chiusura definitiva con la mia famiglia biologica. Voglio rintracciarli, voglio guardarli in faccia e capire perché mi hanno dato via. Voglio che sappiano quanto io abbia sofferto in questi anni”
“Tesoro sei piena di rabbia, ma fa attenzione. Non puoi sapere chi ti troverai di fronte. E soprattutto lascia che ti spieghino le loro ragioni prima di fare qualunque cosa. Non sappiamo perché non ti abbiano tenuta. Magari avevano delle valide motivazioni”
“Quale motivazione potrebbe essere tanto valida da giustificare l’abbandono di un figlio?”
Janet, una donna di colore sulla cinquantina, bassina con pessimo gusto nel vestire, ma col cuore grande, la guardò con tenerezza. Aveva cominciato a lavorare per quella casa-famiglia quando Abigail aveva solo tre anni. E, non potendo avere figli suoi, pensò dal primo istante di adottarla. Quella bambina era una meraviglia, sveglia come pochi e tanto dolce. Crescendo aveva dimostrato di avere un lato molto irrequieto e lei era l’unica che riusciva a farla calmare. Non solo, aveva un cuore grande ed era molto empatica. Si era sempre schierata contro i bulli, finendo anche in qualche rissa per difendere i più deboli. Aveva sempre cercato di confortare e di far sentire a casa loro tutti gli ospiti di quel luogo che di felice aveva molto poco. Nascondeva il suo dolore, non era brava a mostrarsi vulnerabile. Non con tutti almeno. Lei era l’unica con cui riusciva ad aprirsi completamente. E a quante disgrazie era sopravvissuta dacché era al mondo! Dapprima abbandonata dai genitori biologici, non è mai riuscita a trovare una famiglia che l’adottasse. Quasi come fosse sotto l’effetto di una maledizione, tutte le famiglie a cui interessava, finivano per interrompere il processo d’adozione. Avrebbe tanto voluto prenderla con lei, ma non era una candidata idonea. E adesso era arrivato il momento di salutarla, il giorno dopo il suo diciottesimo compleanno. La guardò dritta negli occhi, quegli occhi che cambiavano colore passando dal verde all’azzurro del cielo d’estate. Le accarezzò il volto con fare materno e le spostò una ciocca dei lunghi capelli biondo cenere dietro l’orecchio.
“Tesoro, ti prego prenditi cura di te. Hai il mio numero perciò in qualunque momento chiamami. Se non avessi un posto in cui stare o semplicemente se avessi voglia di parlare o di vedere un volto amico, tu chiamami”
“Ti voglio bene, Janet”
“Anche io te ne voglio, Abigail”
 
Abigail uscì dalla casa-famiglia con un borsone in spalla. Tutti i suoi diciott’anni erano racchiusi in quella borsa. La sua intera vita si riduceva al contenuto di quel bagaglio. Aveva i suoi risparmi in tasca e tanta voglia di mettersi alla ricerca di quelle persone che l’avevano abbandonata. Voleva poterli guardare in faccia e dir loro quanto le facessero schifo. Per prima cosa doveva andare all’ufficio dei servizi sociali per ritirare il suo fascicolo in cui era incluso il suo certificato di nascita con il nome della sua madre biologica. Perciò camminò fino alla fermata dell’autobus e aspettò l’arrivo del mezzo. Continuava a torturarsi le mani. Era nervosa. Aveva aspettato quel momento per tutta la sua vita. Finalmente stava per dare un nome e un volto a quelle orribili persone che avevano avuto il coraggio di darla via, quasi come fosse un regalo non desiderato. Continuava a chiedersi se somigliasse a loro e che tipo di persone fossero. Si domandò che mestiere facessero e se avessero altri figli. Più la sua testa si riempiva di domanda e più sentiva la rabbia salire. Ce n’era una che la tormentava più delle altre: pensavano mai a lei? Era una di quelle cose che si era sempre chiesta, soprattutto nel giorno del suo compleanno. Da anni pensava a cosa gli avrebbe detto una volta avutili davanti. E nella maggior parte degli scenari, quella era la prima domanda che gli poneva, seguita da: perché? Solo e semplicemente perché?
Il rumore dell’autobus la distolse dai suoi pensieri. Salì sul mezzo e si sedette rimanendo concentrata sulle fermate per evitare di perdere la sua. Quando scese si guardò intorno. Non conosceva bene quella parte della città. Tirò fuori il cellulare e lasciò che il navigatore la guidasse davanti al maestoso palazzo dei servizi sociali. Entrò a passo sicuro, ma mentre aspettava che l’impiegata le stampasse il suo fascicolo, sentì le ginocchia tremare. Si sentì divorare dall’ansia. Quando la donna le porse i suoi documenti, li afferrò incerta e, ancora tremolante si andò a sedere in sala d’attesa. Fissò per un tempo indeterminato quella cartellina gialla che riportava il suo nome. Poi ripensò a quanto disperatamente avesse aspettato quel momento. Tutti i natali, tutti i compleanni e le varie feste. Chiuse le dita in un pugno e dopo aver sospirato profondamente, aprì il fascicolo.

 
Nel prossimo capitolo:
“Trix è arrivata la babysitter, vieni qui!” esclamò “Ciao, sono la detective Chloe Decker e lei è Beatrice, mia figlia”
“No, ma io non” cominciò a dire la ragazza, ma venne interrotta dalla più piccola.
“Puoi chiamarmi Trixie, tu come ti chiami?”
“Abigail”
“Bene ragazze vi lascio, devo tornare in centrale immediatamente. Ti pago al mio ritorno” detto questo la donna uscì in fretta. Entrò in macchina e guidò fino alla centrale.
Journey's Corner:
Salve a tutti, ho cominciato a scrivere questa fanfiction anni fa. Ed ero titubante all'idea di pubblicarla perché per molto tempo l'ho lasciata in disparte, incapace di continuarla. A qualcuno di voi che legge le mie storie e che gentilmente le recensisce, ho parlato di questo progetto. Ho ripreso a scriverla da poco e avevo intenzione di pubblicarla soltanto una volta finita perché odio quando le FF sono incompiute e ci vogliono anni per avere un nuovo capitolo. Ma, mi sono resa conto che non ho idea di come proseguirà questa storia o in che direzione voglio che vada, perciò sono sicura che uno scambio di opinioni con voi, mi guiderà nella direzione giusta, portandomi a trovare una conclusione degna e che spero sarà apprezzata. Dunque ho deciso di pubblicare il prologo e a breve il primo capitolo perché sono sicura che leggere i vostri commenti e le vostre opinioni mi aiuterà a capire se questo progetto sia più o meno interessante e se vale la pena continuarlo. Spero vi piaccia. È ambientata nel 2015. So che non ha a che fare propriamente con gli eventi della serie e che cambia parecchio con l'elemento Abigail, ma spero lo troviate interessante. Se aveste voglia di dare un volto a questo personaggio, mentre scrivevo di lei avevo in mente Kristine Froseth. Quindi Abigail è Kristine.
Pubblicherò i capitoli ogni venerdì. Spero vi piacciano e spero di leggere le vostre recensioni.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Chloe Decker si svegliò come ogni mattina alle sei e trenta in punto. Rimase per cinque minuti sdraiata a fissare il soffitto. Poi si alzò, infilò le ciabatte e si diresse in bagno per l’abituale doccia che le avrebbe preso al massimo trenta minuti. Quelli erano i suoi trenta minuti. I trenta minuti di totale relax prima di svegliare sua figlia e cominciare ufficialmente la giornata. Lasciò che il getto caldo le togliesse di dosso ogni fatica e, quando sentì il rumore della sveglia del suo telefono, capì che la sua pausa era finita. Si mise l’accappatoio e si vestì in tempo record. Scegliere cosa mettersi non era mai stato un problema. Non era una persona a cui interessava particolarmente la moda. Avrebbe indossato qualunque cosa purché fosse comoda e le permettesse di lavorare tranquillamente. Guardò l’orologio che aveva in camera e notò che era ora di preparare la colazione. Scese in fretta le scale del suo appartamento e si dedicò a cucinare dei pancake per la sua piccola Trixie. Betrice, Trixie per tutti, aveva sette anni ed era il frutto della sua unione con Dan Espinoza, il suo ex marito. Entrambi lavoravano come detective per la sezione omicidi della polizia di Los Angeles. Ma, purtroppo Dan aveva sempre messo il lavoro davanti a tutto, persino davanti alla sua famiglia, motivo per il quale avevano divorziato. Trixie era tutto per lei. Era la sua vita, era la persona che amava più di ogni altra al mondo. Era la sua bambina. Preparata la colazione, andò a svegliarla. Trixie, nonostante la giovane età, era molto matura e decisamente autosufficiente. Si andò a lavare, preparò lo zaino e si sedette a tavola per gustarsi la colazione. Quando arrivò il momento, entrambe uscirono di casa. Chloe accompagnò, come ogni giorno, sua figlia a scuola e poi si recò in centrale. La giornata sembrava piuttosto tranquilla, o almeno così credeva. All’ora di pranzo ricevette una chiamata, Trixie aveva avuto dei problemi con una compagna a scuola e doveva essere prelevata. Dan era occupato con un caso e lei doveva tornare al lavoro. Perciò, una volta presa, la portò a casa. Chiese un permesso di qualche ora al tenente e aspettò che il servizio di babysitter le mandasse qualcuno.
A quanto pare Trixie aveva dato un calcio ad una sua compagna di classe. Quando Chloe le aveva chiesto il motivo, la piccola le aveva confessato di essersi solo difesa dall’attacco di una bulla e, per quanto le riguardava, quella risposta era più che sufficiente. Proprio in quel momento il campanello suonò. La donna aprì la porta.
“Trix è arrivata la babysitter, vieni qui!” esclamò “Ciao, sono la detective Chloe Decker e lei è Beatrice, mia figlia”
“No, ma io non” cominciò a dire la ragazza, ma venne interrotta dalla più piccola.
“Puoi chiamarmi Trixie, tu come ti chiami?”
“Abigail”
“Bene ragazze vi lascio, devo tornare in centrale immediatamente. Ti pago al mio ritorno” detto questo la donna uscì in fretta. Entrò in macchina e guidò fino alla centrale. Una volta all’interno notò che gran parte dei suoi colleghi si affrettavano a raggiungere le macchine. Era caos generale.
“Che succede?” domandò a Dan impegnato a mettersi la giacca.
“Decker!” esclamò una voce alle sue spalle.
“Tenente” rispose lei immediatamente.
“Vieni subito nel mio ufficio, ho un caso da affidarti” disse la donna.
Chloe la seguì. Entrò nell’ufficio e si accomodò di fronte alla lei.
“Dove vanno tutti?” domandò riferendosi al trambusto in centrale.
“C’è una rapina con ostaggi e possibili feriti nel locale vicino al porto. Tutti ragazzi. Si sta scatenando l’inferno tra media e curiosi. Abbiamo bisogno di tutto il personale possibile per tenere sotto controllo la situazione e il detective Espinoza si occuperà delle trattative con i rapinatori”
“Vuole che lo raggiunga?”
“No, Decker. Tu mi servi da un’altra parte. Ho appena ricevuto una chiamata, a quanto pare Delilah la cantante è stata uccisa davanti ad un nightclub, ho bisogno che tu prenda il caso”
“Assolutamente”
“A quanto pare c’è anche un testimone rimasto illeso, mentre la povera ragazza è stata trivellata di colpi. Qui c’è l’indirizzo” la donna le porse un pezzo di carta.
Chloe si precipitò in auto. Inserì l’indirizzo nel navigatore e guidò fino a raggiungere il luogo prestabilito. Il locale si chiamava Lux. Immediatamente andò ad esaminare il corpo e a parlare con i primi agenti arrivati sul posto. Sembrava un affare di droga.
“Agente Hopkins, mi porti dal testimone” disse riponendo il lenzuolo bianco sul corpo della vittima.
L’agente le fece cenno con la mano di seguirlo. Entrarono nel club e notò un uomo seduto al piano che suonava a testa bassa. Non riusciva a vedere il suo viso. Camminò fino a lui e quando gli fu davanti, prese il suo taccuino.
“Come si chiama, signore?” domandò.
“Lucifer, Lucifer Morningstar” disse lui continuando a suonare concentrato.
La detective alzò lo sguardo incredula. Puntò gli occhi sull’uomo davanti a lei. Era proprio lui? Era proprio il suo Lucifer?
“Lucifer?” domandò.
Lui alzò lo sguardo scocciato, pronto a risponderle in malo modo, ma quando i suoi occhi incrociarono quelli della donna che aveva davanti, la sua espressione si addolcì.
“Chloe?”
“Che ci fai qui?”
“Sono il proprietario”
“Pensavo fossi tornato in Inghilterra”
“Lo ero. Poi cinque anni fa ho deciso di ritrasferirmi a Los Angeles”
“E non sei venuto a cercarmi?”
“Certo che l’ho fatto, ma…”
“Ma?”
“Eri con tuo marito e tua figlia, non mi sembrava il caso di ripiombare così nella tua vita”
 
Nel frattempo, a casa Decker, Abigail si chiedeva cosa fosse appena successo. Aveva visto sua madre che l’aveva scambiata per la babysitter. Non aveva avuto neanche il coraggio di dirle che non era così. Aveva a malapena farfugliato qualcosa. E nello stesso istante aveva conosciuto sua sorella. Una sorella. Ed era così simpatica. Se l’avesse conosciuta mentre era nella casa-famiglia, sarebbe diventata sicuramente una delle sue preferite. Era spigliata, chiacchierona e intelligente. Ora le stava chiedendo insistentemente se potesse farle una treccia. A quanto pare le piacevano molto i suoi capelli. Aveva inquadrato la personalità di quella bambina e certamente non avrebbe preso un no come risposta. Perciò annuì e lasciò che questi le cominciasse ad intrecciare i capelli. Non aveva avuto modo di confrontarsi ancora con sua madre, ma forse avrebbe potuto sapere qualcosa di lei da Trixie.
“Dimmi un po’, Trixie, hai altri fratelli o sorelle?”
“No, mi piacerebbe avere una sorellina, ma mamma e papà sono divorziati adesso”
“Davvero? Mi dispiace”
“Oh non ti preoccupare, nella mia classe hanno quasi tutti i genitori divorziati”
“Capisco. E così tua madre è una detective?” domandò.
“Sì, lavora nella omicidi. Lei è fortissima! Ha la pistola e mette in prigione i cattivi”
“Sembri volerle molto bene”
“Certo, è la mia mamma. E quando non è al lavoro è buffissima. È la mia persona preferita. Chi è la tua persona preferita, Abigail?”
“Chiamami, Abbi. La mia persona preferita si chiama Janet”
“E perché è la tua persona preferita?”
“Perché è l’unica che mi è stata sempre accanto. Sin da quand’ero piccola. Mi è stata vicina quando ero malata, quando avevo problemi a scuola o quando ero giù di morale”
“Come fa la mia mamma!”
“Janet è un po’ come una mamma per me”
“Perché, dov’è la tua vera mamma?”
“È una storia lunga, magari te la racconto la prossima volta”
“Oh, va bene”
 
Chloe aveva finito di interrogare Lucifer e stava per tornare in centrale quando le squillò il telefono.
“Pronto?”
“Detective Decker salve, sono Marion dell’agenzia di babysitter, mi dice Joyce di essere ancora bloccata a causa della situazione giù al porto. Le strade sono chiuse e quelle ancora aperte sono trafficate. È probabile che non ce la faccia”
“Come scusi? Janet? Ma è arrivata una ragazza a casa un paio d’ore fa, una ragazza di nome Abigail”
“Mi dispiace detective, ma l’unica Abigail che abbiamo in agenzia è dai signori McHale da stamattina”
“La ringrazio, buonasera”
Chloe chiuse immediatamente la chiamata e si ficcò in macchina. Chi diavolo era quella ragazza? Con chi era sua figlia? L’ansia cominciò a divorarla e accelerò mentre le lacrime cominciavano ad offuscarle la vista. Come stava Trixie? Parcheggiò nel vialetto e corse all’interno.
“Trixie, Trixie!” esclamò preoccupata.
“Sono in salotto, mamma” rispose lei tranquilla.
Quando entrò in salotto, vide sua figlia scherzare e ridere con Abigail mentre guardavano la tv. Entrambe si girarono a guardarla.
“Che succede mamma, tutto bene?” domandò la più piccola avvicinandosi a lei.
Chloe la spostò prontamente dietro di sé e tirò fuori la pistola puntandola sulla ragazza che aveva davanti.
“Chi sei?” domandò.
“Mamma è Abbi, la babysitter” disse Trixie spaventata.
“Stai dietro di me, Trix e non muoverti”
“Posso spiegarle” cominciò a dire la ragazza sicura.
“Cosa puoi spiegarmi, chi diavolo sei?”
“Mi chiamo Abigail e sono tua figlia”
Chloe rise.
“Chi diavolo sei, hai trenta secondi per dirmi chi diavolo sei, poi ti porterò in centrale”
“Sono tua figlia. Mi chiamo Abigail e ieri è stato il mio diciottesimo compleanno”
Dopo quell’informazione, Chloe abbassò l’arma.
“Trixie va’ in camera tua”
“Ma mamma” protestò lei.
“Trixie, ora!”
La bambina fece quando le era stato detto.
“Adesso dimmi come fai a dire di essere mia figlia” disse la detective avvicinandosi ad Abigail.
“Perché io sono tua figlia” continuò a dire la ragazza.
Gli occhi della detective si inumidirono e il suo sguardo si fece più severo.
“Non so perché tu mi stia facendo questo, ma non è affatto divertente. Mia figlia è morta dopo il parto. Tu, chi diavolo sei?”
“Morta dopo il parto? No, no. Ho il certificato di nascita e ho una foto. Non sto mentendo glielo posso assicurare”
“Fammeli vedere”
La ragazza abbassò le mani e lentamente si avvicinò al suo borsone. Dal suo interno estrasse la cartella dei servizi sociali e gliela porse. La detective la prese e la aprì. C’era il certificato di nascita di Abigail, nata da Chloe Decker il 13 aprile del 1997. Una lacrima le scese lungo il viso e l’asciugò immediatamente. Poi girò il foglio e trovò il certificato d’adozione. Ma, a differenza della firma sul certificato di nascita, su quello non era la sua. E riconobbe immediatamente la calligrafia.
“Questa è l’unica foto che ho con mia madre, eri più piccola, ma sei tu” disse la ragazza porgendole una fotografia stropicciata.
Chloe la prese tra le mani e la riconobbe immediatamente. Ne aveva una uguale, nascosta nel libro di diritto penale in modo che Trixie non potesse trovarla. A quel punto non riuscì a frenare le lacrime e sentì il bisogno di sedersi. Abigail le si sedette accanto incerta se fosse la cosa migliore da fare.
“Io credevo fossi morta” disse tra le lacrime “me lo ricordo benissimo. Avevo solo diciott’anni, ma ero sicura di volerti tenere con me. Potei tenerti tra le braccia solo una volta perché mia madre mi disse che eri morta per via di alcune complicazioni del parto e mi impedì di vederti perché diceva che mi avrebbe fatto troppo male. Perché l’ha fatto, perché?” domandò alzando lo sguardo.
“Io non ne ho idea e non era questo ciò che mi aspettavo. Sono venuta a suonare alla tua porta per poter guardare in faccia la donna che mi ha dato via. Per poterti dire quanto io abbia sofferto tutti questi anni. Non mi aspettavo di certo tutto questo. Scusami, forse è meglio che io vada via”
“No, aspetta. So che devi tornare dalla tua famiglia, ma”
“Non ho una famiglia. Non mi ha adottato nessuno”
“Cosa? Dove abiti? Con chi stai?”
“Fino a ieri abitavo nella stessa casa-famiglia in cui ho vissuto per diciott’anni. Al momento non ho un posto, ma un’amica mi ha detto che posso andare da lei”
“Lo so che è strano, ma potresti rimanere qui se non ti mette a disagio”
“No, non penso sia una buona idea”
“Ascolta, io vorrei essere sicura al cento percento che tu sia veramente mia figlia. Resta, domani andremo a fare il test del DNA. Il mio istinto mi dice che non stai mentendo e poi non me la sento di lasciarti in mezzo alla strada. Almeno per stanotte, rimani qui. Domani potrai decidere di andartene, ma lo farai a mente fresca e riposata”
“Non ti conosco, per me sei un’estranea. Potresti essere una pazza che vuole ammazzarmi nel sonno”
“Guardami negli occhi” disse la detective prendendole le mani.
“Ok, forse non sei una pazza assassina. Il mio istinto mi dice che non stai mentendo”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Chloe si svegliò di soprassalto, convinta di aver fatto un sogno assurdo. Una ragazza di diciott’anni era piombata in casa sua dicendo di essere sua figlia. La stessa figlia che aveva perso a causa di alcune complicazioni post-partum. E, nello stesso sogno aveva rincontrato Lucifer, il ragazzo che al liceo le aveva fatto perdere la testa solo per poi sparire all’improvviso, lasciandole un biglietto e confessandole di dover tornare in Inghilterra per via del lavoro dei suoi genitori. Un modo tremendo di lasciare una persona, una ferita che dopo tutti quegli anni, ben diciotto, sembrava essersi riaperta. Chloe non aveva mai amato nessuno come aveva amato Lucifer. Ma si sa, le emozioni che si provano quando si è adolescenti, non si provano mai più nella vita. Quell’intensità, quella profondità, quella sincerità si va perdendo col tempo e ben presto tutto perde spessore. La maggior parte delle relazioni sono pura convenzione, sono il tentativo di scappare a qualcosa di spaventoso per la maggior parte della gente: la solitudine. Ci si accontenta, perciò, del primo essere umano che non è completamente un disastro e che sembra viaggiare, anche solo minimamente, nella nostra direzione. Ecco cosa pensava ormai Chloe. E quel sogno, quel sogno era l’ennesima prova che quell’intensità di sentimento lei, ormai, la stava perdendo sempre di più. Per carità c’era una persona che amava, ma era un amore diverso. Amava sua figlia Trixie con tutta se stessa. E l’amore di una madre per una figlia è qualcosa che non può essere spiegato. È come avere una parte del proprio cuore in giro per il mondo. È la costante paura che qualcosa o qualcuno possa farle del male. È la necessità di vegliare su quel pezzo di cuore, per proteggerlo, ovunque sia. E forse quello strano sogno era un promemoria. Il promemoria di quel dolore che anni prima l’aveva devastata. Il tredici aprile, giorno in cui nacque e morì sua figlia, la sua prima figlia, era passato da soli due giorni. E forse il sogno era una conseguenza di quel traumatico evento. Chloe ricordava quel momento troppo bene. Alle volte avrebbe voluto semplicemente dimenticare tutto, ma non ci riusciva. Ricordava il pianto di quella bambina dopo l’estenuante parto, riusciva ancora a sentire il peso di quello scricciolo sul suo petto e quegli occhi, quel nasino e quella boccuccia dolce. Ricordava come il solo contatto con la sua pelle aveva placato il suo pianto e ricordava di averle dato un bacio sulla fronte prima di lasciarla all’infermiera e non rivederla mai più. Sua madre le aveva detto che la piccola era morta per via di alcune complicazioni del parto. Ricordò la risposta fredda di Penelope Decker quando aveva insistito per poterla tenere almeno un’ultima volta tra le braccia. No, non glielo permise. Disse solo che le avrebbe fatto troppo male. E poi si sdraiò accanto a lei, l’abbracciò stretta mentre ancora singhiozzava e le disse che sarebbe andato tutto bene. E mentre ricordava, una lacrima le scese sul viso. L’asciugò con la manica della maglia del pigiama e si alzò. I suoi cinque minuti a letto erano passati. Come al solito entrò in doccia e si prese i trenta minuti che le spettavano. Dopo essersi asciugata, si vestì e scese le scale per raggiungere la cucina e preparare la colazione per Trixie come al solito. Ma quando vide la coperta e il cuscino ben piegati sul divano, capì che non era stato tutto un sogno. Una ragazza era venuta davvero a bussare alla sua porta dichiarando di essere sua figlia. Si addentrò in cucina e notò che lei era lì, in piedi davanti ai fornelli.
“Buongiorno”, disse Chloe un po’ imbarazzata.
“Buongiorno. Scusami se mi sono permessa, ma preparare la colazione per tutti era il mio ruolo in casa-famiglia ed è un modo per ringraziarti per l’ospitalità” disse velocemente la ragazza ugualmente imbarazzata.
Chloe le sorrise e si sedette davanti a lei. La guardò darsi da fare con quei pancake e destreggiarsi in cucina. Sorrise guardando il modo in cui arricciava le labbra quand’era concentrata. Guardò quegli occhi così simili ai suoi e sorrise. Non era sicura che quella che avesse davanti fosse effettivamente sua figlia, ma non le sarebbe dispiaciuto se così si fosse rivelato. Provava un’incredibile simpatia per lei, nonostante la sera prima le avesse puntato una pistola addosso e avesse creduto fosse una persona pericolosa. Una parte di lei, una parte minuscola voleva non crederle. Perché se fosse stata davvero sua figlia questo avrebbe significato che sua madre le aveva mentito e aveva dato via la sua bambina. E non glielo avrebbe potuto perdonare.
“Hai dormito bene?” domandò la detective per cercare di rompere il ghiaccio.
“Sì, grazie mille ancora” rispose la ragazza mantenendo lo stesso imbarazzo.
“Ok, lo so che la situazione è imbarazzante. Aiutami a rompere il ghiaccio, ti prego” confessò Chloe.
“Si, lo è. È davvero imbarazzante. Avevo tante domande per te e mi ero preparata dei discorsi sostanzialmente pieni di insulti. Ma non mi sembra il caso perché non avevi idea della mia esistenza e ora mi sento abbastanza in colpa. E mi sento in colpa per aver dormito qui da te, avrei dovuto prendere il pullman e andare dalla mia amica. Non so che ci faccio qui sinceramente. Ti sto stravolgendo la vita. E non era quello il mio obiettivo. Beh, forse lo era, ma ripeto, mi aspettavo che mi avessi abbandonato consapevolmente e volontariamente” disse tutto d’un fiato la ragazza diventando rossa in viso per l’imbarazzo.
Chloe le si avvicinò e le prese le mani.
“Ehi, non è così. Non devi sentirti in imbarazzo e ti ho convinta io a restare qui. Certo, è vero, mi stai stravolgendo la vita e dobbiamo ancora confermare con il test del DNA che tu sia effettivamente mia figlia. Ma se così fosse, l’averti ritrovato sarebbe una gioia. Sapere che quella bambina che ho stretto tra le braccia quel giorno di diciotto anni fa non è morta, sarebbe la gioia più grande. E farei qualunque cosa per cercare di recuperare il tempo perduto. Se non dovessi essere mia figlia, farò tutto ciò che è in mio potere per poterti aiutare a trovare i tuoi veri genitori. Puoi starne certa”
“Grazie, grazie mille” rispose la ragazza e istintivamente abbracciò la detective che, dopo essere rimasta un attimo sorpresa da quel contatto, ricambiò il gesto.
Quel contatto le fece quasi tremare le ginocchia, ma soprattutto le fece sperare ardentemente che quella ragazza che stringeva tra le braccia fosse davvero la sua bambina. Era una persona molto empatica e questo lo sapeva bene. Ogni caso le spezzava il cuore anche se non lo ammetteva. E anche adesso, che quella fosse o meno un’estranea, era affare suo. Non riusciva a spiegare, però, quella sensazione a cui non riusciva a dare un nome. Forse era solo curiosità, forse era un presentimento o forse no, non ne aveva la più pallida idea.
“Ora ti conviene togliere quei pancake dalla padella o si bruceranno. Io vado a svegliare Trixie” disse la donna sorridendole.
Qualche minuto più tardi la bambina, arrivata in cucina, vide l’ospite a colazione e le corse in contro per abbracciarla.
“Abbi, sei rimasta” sorrise.
“Sì, spero non ti dispiaccia”
“No, è fantastico” esclamò la più piccola.
“Abbi rimarrà con noi per un po’” aggiunse Chloe.
“Davvero? È fantastico!” commentò Trixie. Poi si sedette e cominciò a mangiare i pancake cucinati da Abigail. “Quindi noi due siamo sorelle, eh?” chiese facendo quasi andare il cibo di traverso alla più grande che guardò Chloe in cerca di una risposta.
“Tesoro non lo sappiamo con certezza, ma quando lo sapremo, te lo faremo sapere”
“Sarò la prima a saperlo?” domandò.
“Certo che sarai la prima” rispose Chloe, poi le diede un bacio sulla fronte.
Gli occhi di Abigail si intristirono davanti a quel contatto e la ragazza si chiese se avrebbe mai avuto un rapporto simile con qualcuno. Sicuramente l’avrebbe avuto con i suoi figli, qualora ne avesse avuti. Ma si chiese come ci si sentiva ad essere amati da un genitore e non ad amare da genitore. Come ci si sentiva ad avere qualcuno a cui importava di lei più di ogni altra cosa al mondo. Si chiese come ci si sentiva ad aver qualcuno su cui poter contare, sempre.
“Trix sbrigati a prepararti, devi andare a prendere l’autobus. E noi, Abigail dobbiamo andare da Ella” annunciò Chloe.
“Che fortuna vai da Ella! Io devo andare a scuola, invece. Ella è fantastica” commentò la bambina.
“Sì, lo è. Ora va' a vestirti!” rispose la donna.
 
Quando Chloe e Abbi entrarono nel laboratorio del dipartimento di polizia, Ella era impegnata ad analizzare qualche prova di qualche scena del crimine mentre a tutto volume risuonavano le note di One Of Us. Abigail la guardò confusa e Chloe le sorrise alzando le spalle.
“Buongiorno Chloe” disse abbracciandola “non sapevo avessi una sorella. Io sono Ella, molto piacere” disse abbracciando Abbi che rimase un attimo interdetta.
“Ehm, Ella lei non è mia sorella. Sono figlia unica. Lei è Abigail, pensiamo possa essere mia figlia” intervenne la detective.
Ella spalancò gli occhi. Scosse la testa e cominciò ad osservare meticolosamente entrambe le donne davanti a lei.
“Dalla struttura ossea presumo abbia tra i sedici e i vent’anni. E tu Decker ne avrai una trentina o giù di lì. Poi mi dispiace dirlo, ma per le donne è un po’ più difficile avere dei figli a sorpresa perché li portiamo in grembo per nove mesi. Non notarli è quasi impossibile. Eccetto per particolari casi, ma anche lì al parto si capisce” cominciò a blaterare la Lopez.
“Ok, Ella, calmati. Sì, ha diciott’anni e io ne ho trentasei. Poco prima di cominciare l’ultimo anno di liceo sono rimasta incinta del mio ragazzo dell’epoca. Lui era più grande di me e tornò in Inghilterra proprio il giorno dopo che scoprì di essere in attesa. Non gliel’ho mai detto. Mia madre non voleva che portassi avanti la gravidanza, cercava disperatamente di farmi perseguire la carriera di attrice e quella gravidanza era d’intralcio. Io e mio padre ci opponemmo e nove mesi più tardi, quand’ero poco più che diciottenne, partorì una bambina. Ma poche ore più tardi mia madre venne da me per dirmi che la bambina era morta. E mi consigliò di non vederla perché mi avrebbe fatto troppo male. Ieri Abigail è venuta a casa mia con dei documenti in mano. Dice di essere mia figlia. Sul certificato di nascita c’è la mia firma e il mio nome, ma su quello di adozione la mia firma è falsificata e sembra essere la calligrafia di mia madre. Prima di rovinare definitivamente il mio rapporto con lei, vorrei fare un test del DNA per essere sicura che Abigail sia mia figlia” disse la donna con calma.
Ma l’espressione di Ella sembrava ancora più scioccata e allarmata di quanto fosse prima.
“Perciò puoi aiutarci? Puoi farci il test?” domandò ancora la detective, sperando di tirare fuori l’amica da quello stato di semi-trance.
“Ok, Decker. Ti darò i risultati in serata. Questa storia è assurda. Sembra quasi la trama di una telenovela, una di quelle che guarda la mia abuela. A pelle direi che vi somigliate abbastanza. Guarda quegli occhi, non sai se sono azzurri o verdi, proprio come i tuoi. E quella conformazione delle guance, esattamente come la tua. Le labbra sono leggermente diverse e anche il naso, ma ehi, nessun figlio è completamente identico ad un unico genitore. Duh, biologia 101”
Ella aveva cominciato a parlare da sola ormai. Chloe fece cenno ad Abbi di seguirla e, in silenzio, uscirono dal laboratorio cercando di non interrompere il processo mentale della Lopez.
“Io adesso devo andare in giro per delle questioni di lavoro. Tu devi andare non so, a scuola? Al College? Al lavoro?” domandò Chloe quando furono davanti alla sua scrivania.
“Mi sono diplomata un anno prima e mi sono presa un anno sabatico per cercare la mia famiglia. Ma a quanto pare sono bastati due giorni. Ho lavorato fino al mese scorso, ma al momento sono disoccupata”
“Ehi, aspetta un attimo. Giù in caffetteria cercano qualcuno che serva ai tavoli. Potrebbe interessarti? Potrei mettere una buona parola con Pete, il proprietario”
“Perché no, almeno riempio le mie giornate”
“Perfetto, allora passerò più tardi. Se vuoi puoi aspettarmi qui o magari puoi andare da Ella”
“Ti ringrazio, ci penso un attimo”
“Va bene, io scappo. A dopo”
“A dopo”
 
“Ehi Ella, ti dispiace se mi trattengo un po’ con te, Chloe è uscita e sei l’unica persona che conosco qui dentro” disse Abigail affacciandosi alla porta del laboratorio.
“Ma certo, vieni qui, siediti” disse battendo la mano su uno sgabello accanto a lei “dimmi un po’ di te” la incoraggiò la donna con la sua contagiosa allegria.
Abigail sorrise e prese posto accanto a lei. Le piaceva come persona, era allegra e dal primo minuto le era sembrata divertente. Doveva essere lei l’anima di quel posto. Vestiva in modo bizzarro e sembrava giovanissima, quasi come se fosse appena uscita dal college.
“Ehm, cosa vorresti sapere?” domandò un po’ timida.
“Cosa vuoi raccontarmi? Sono tutta orecchi e ho un sacco di lavoro da fare, perciò la tua compagnia mi serve più dell’action-figure di Chewbacca che stavo per comprare alla fiera del fumetto la scorsa settimana” disse con il sorriso stampato sul volto.
“Ehm, sono nata il 13 aprile del ’97, ho da pochissimo compiuto diciott’anni e ho vissuto tutta la mia vita in una casa-famiglia. Lì ho conosciuto Janet. Janet è ciò che di più vicino abbia mai avuto ad un genitore. La conosco da che ne ho memoria. Ha cominciato a lavorare da noi quando avevo tre anni e ogni volta che stavo male o ero giù, lei era lì. Pronta ad ascoltarmi, pronta a consolarmi o a prendersi cura di me”
“Sembra essere una persona meravigliosa”
“Lo è. Avrebbe voluto adottarmi, sai? Ci ha provato per un po’ ma non era idonea. A quanto pare per una donna single e lavoratrice ed io ero troppo impegnativa. Eppure, era lei a prendersi cura di me. Paradossale, non credi?”
“Già, incredibile! Sei ancora in contatto con lei?”
“Sì, mi aveva proposto di andare da lei qualora non avessi trovato un posto in cui dormire. Ma io sono una persona molto orgogliosa e cerco di farcela da sola, sempre. Perciò sicuramente non avrei accettato quel posto e piuttosto sarei andata a dormire in qualche schifoso motel. Poi Chloe ha insistito perché rimanessi da lei e, qualcosa non so spiegarti bene cosa, mi ha spinto ad accettare. Non sono una persona che si fida facilmente, ma con lei è stato diverso. Strano. Non so, forse il fatto che creda sia la mia madre biologica mi ha influenzato più di quanto credessi”
“Credimi, non è solo quello. Chloe è una persona estremamente magnetica e sincera. È una persona altruista ed empatica e questo arriva immediatamente” commentò Ella “e tu cavolo se le somigli. Sarebbe davvero strano se venisse fuori che in realtà non è tua madre. Insomma, pensaci. Quante potrebbero essere le possibilità che una ragazza incredibilmente somigliante a lei, le si presenti alla porta dicendo di essere sua figlia e poi non lo è? Ah, amica mia, io sono sicura che siate imparentate”
Ma quelle parole avevano scosso Abigail che, dentro di sé cominciò a contemplare l’ipotesi di essersi sbagliata. O meglio, che qualcuno avesse fatto qualche strano errore anni prima per cui adesso lei stava rovinando la vita di una donna che aveva subito un grave lutto e riaprendo una vecchia ferita e facendole riaccendere la speranza di poterla ritrovare. Si sentì in colpa. Non pensò nemmeno al fatto che, se quello fosse stato il caso, non aveva la più pallida idea di chi fossero i suoi genitori biologici. In quel momento non importava.
“Ehi, tutto bene?” le domandò Ella vedendola preoccupata.
“Sì, tutto ok”
“Ehi, dimmi, cosa c’è?”
“C’è che se non sono sua figlia, sono una grande stronza. Insomma, le ho fatto riaprire una ferita molto dolorosa, glielo leggo negli occhi. Le sto dando la speranza di poter ritrovare la bambina che credeva fosse morta anni fa. Se non fossi quella bambina, per lei sarebbe distruttivo. L’avrei solo fatta soffrire inutilmente. Non è giusto. Non per lei. Non la conosco bene, non la conosco affatto, ma lo vedo che è una brava persona”
“Ehi, ehi, Abigail non è colpa tua. Stai solo cercando di rintracciare la tua famiglia e Chloe Decker questo lo sa bene. Non ti farà mai sentire in colpa per aver cercato i tuoi genitori. Fidati di me”
“Ti ringrazio, Ella. Però ti prego, chiamami Abbi”
“Ora vieni qui, Abbi, è arrivato il momento di un abbraccio”
Abbi si lasciò trascinare in quell’abbraccio caloroso. Poi una persona bussò alla porta per attirare la loro attenzione.
“Avanti” disse Ella sciogliendo il contatto con la ragazza e sorridendole amichevolmente.
“Ehm, miss Lopez posso rubarle un secondo Abigail?” domandò una recluta molto giovane sull’uscio della porta.
Ella lo guardò da testa a piedi. Era alto almeno un metro e ottanta, snello, allenato. Occhi azzurri, capelli castani, mascella squadrata e un’espressione imbarazzata carinissima.
“Tu sei?” domandò rivolgendogli un sorriso gentile.
“Recluta McMiller, signora” disse cominciando a diventare paonazzo.
“Recluta McMiller, hai anche un nome?” chiese lei avvicinandosi a lui.
“Sì, Matthew, signora”
“È un piacere conoscerti Matthew” disse abbracciandolo e lasciandolo spiazzato, mentre Abbi tratteneva una risata. “Abbi, puoi andare” aggiunse dopo.
Abbi lo seguì nel corridoio e lo guardò per un attimo. Aveva appena conosciuto quel ragazzo. L’aveva incontrato mentre cercava il bagno, uno dei modi più imbarazzanti di incontrare qualcuno. E lui l’aveva aiutata a raggiungerlo senza perdersi. Si erano scambiati qualche parola per rompere il ghiaccio e poi lei aveva raggiunto Ella. E ora, lui era andato a cercarla.
“Scusa se ti sono venuto a chiamare, non volevo disturbarti” cominciò a dire.
“Figurati, non c’è problema. Dimmi tutto”
“Senti, so che è strano e non ci conosciamo, ma ti andrebbe di, non so, magari uscire con me un giorno di questi?”
“Ehm… Matt tu sei molto carino e sembri anche molto dolce, ma non so se sarò nei paraggi per molto”
“Oh, capisco. Beh, se i tuoi piani dovessero cambiare, ti lascio il mio numero, puoi chiamarmi quando vuoi” rispose il ragazzo abbozzando un sorriso che lei ricambiò.
Si scambiarono i numeri e, subito dopo, Abigail tornò da Ella.
“Ma guarda un po’, qualcuno ha fatto colpo” constatò divertita la donna. “Sei qui da qualche ora e hai già fatto conquiste. Ci sai fare, ragazza”
Abbi sorrise leggermente imbarazzata.


Nel prossimo capitolo:
“Lo so, lo so Chloe. Ti avevo detto che avrei avuto i risultati ieri sera, ma nonostante abbia fatto del mio meglio, sono arrivati solo stamattina. Qui c’è la busta che aspettavamo” disse Ella.
Chloe la guardò con un sopracciglio alzato e un’espressione confusa.
“Ok, che aspettavate” si corresse la prima.
Entrambe, sia la detective che Abigail si avvicinarono all’involucro.
“Vuoi aprirlo tu?” domandò la donna alla ragazza.
“Preferirei se lo facessi tu” confessò l’altra.
Chloe inspirò profondamente e poi scartò l’involucro. Cominciò a leggere cosa c’era scritto mentre Ella, col sorriso stampato in faccia e Abbi chiaramente preoccupata, aspettavano il responso.
“Che dice? Che dice?” domandò il tecnico forense.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


“Lo so, lo so Chloe. Ti avevo detto che avrei avuto i risultati ieri sera, ma nonostante abbia fatto del mio meglio, sono arrivati solo stamattina. Qui c’è la busta che aspettavamo” disse Ella.
Chloe la guardò con un sopracciglio alzato e un’espressione confusa.
“Ok, che aspettavate” si corresse la prima.
Entrambe, sia la detective che Abigail si avvicinarono all’involucro.
“Vuoi aprirlo tu?” domandò la donna alla ragazza.
“Preferirei che lo facessi tu” confessò l’altra.
Chloe inspirò profondamente e poi scartò l’involucro. Cominciò a leggere cosa c’era scritto mentre Ella, col sorriso stampato in faccia e Abbi chiaramente preoccupata, aspettavano il responso.
“Che dice? Che dice?” domandò il tecnico forense.
“È tutta un’introduzione sulle procedure per l’analisi del DNA e sinceramente non mi interessa conoscerle” rispose la donna.
“Devi andare all’ultima pagina, Chlo”
“Ok” disse la donna visibilmente agitata.
Girò le pagine tra le dita e arrivò direttamente all’ultima. Cominciò a leggerla minuziosamente cercando di non affrettare lo sguardo sul risultato. Erano gli ultimi momenti prima della verità, prima di sapere se quella ragazza che aveva accanto fosse in realtà sua figlia o meno.
Inevitabilmente arrivò al risultato e quando lo lesse il suo cuore saltò un battito. Tutto si fermò. Gli occhi le divennero umidi. Alzò lo sguardo dal foglio e fu come se tutto attorno a lei andasse a rallentatore. Girò la testa e incontrò lo sguardo preoccupato di Abigail. Sentiva in modo ovattato Ella che le chiedeva cosa ci fosse scritto. Ma non riuscì a risponderle. Riuscì solo ad abbracciare Abbi. L’abbracciò stretta come aveva abbracciato sua figlia diciott’anni prima. L’abbracciò come fosse l’ultima volta che l’avrebbe vista. L’abbracciò come se non ci fosse nient’altro di importante al mondo. Quando finalmente sciolse quel contatto, aveva il viso inondato di lacrime. Abbi doveva aver capito perché anche il suo era nelle stesse condizioni. Le prese il viso tra le mani e le asciugò qualche lacrima. La guardò dritta negli occhi e l’abbracciò ancora.
“Decker, quindi?” le parole di Ella la fecero tornare con i piedi per terra dopo quel momento commovente.
“Abigail è mia figlia, Ella. È lei! È la mia bambina” le rispose senza staccare gli occhi dalla ragazza che aveva di fronte e tenendole saldamente le mani.
“Oh Chloe sono felicissima per voi!” affermò lei catturando entrambe in un abbraccio.
“Lo sono anche io, davvero. Mia madre ha tanto da spiegarci. E ora è meglio che vada a ricompormi, devo risolvere ancora il caso di Delilah e si sta rivelando più complicato del previsto”
“Come mai?” domandò Ella.
“Un civile continua ad intromettersi nelle indagini. È estenuante, ma allo stesso tempo – devo ammettere – anche utile. Ci siamo quasi a risolverlo, lo sento. E Abbi, non appena questo caso sarà finito, mi prenderò qualche giorno per stare assieme e conoscerci meglio, solo io, tu e Trixie” disse sorridente prima di uscire dal laboratorio.
“Allora Abbi, come stai?” chiese Ella.
“Sono felice. Non mi sono mai sentita così felice. Ho ritrovato mia madre. E non mi aveva abbandonato. Per tutta la vita ho creduto che mi avesse data in adozione spontaneamente, ma non è così. Lei mi voleva. E questo mi dà speranza. Ho voglia di costruire un rapporto con lei, di conoscerla, di conoscere mia sorella. Quando mi ha abbracciato, in quel modo, mi sono sentita al sicuro. Ho voluto disperatamente una madre per tutti questi anni e lei, in un secondo, con quell’abbraccio mi ha fatto sentire una figlia. Mi sono sentita una figlia per la prima volta. È stupido, vero? Ci conosciamo da tre giorni”
“No, non è stupido. È bellissimo” affermò Ella sorridendole dolcemente.
“Salve”, le interruppe una voce da uomo.
“Salve”, rispose Ella confusa.
“Oh mi perdoni, lasci che mi presenti, sono Lucifer, Lucifer Morningstar” disse l’uomo entrando nel laboratorio e porgendo la mano al tecnico.
Indossava un completo di alta sartoria che sembrava essergli stato cucito addosso. Era un uomo incredibilmente sexy e affascinante. E aveva un accento inglese super eccitante.
“Ella Lopez. Come posso aiutarla?” domandò Ella.
“Cerco la detective” rispose lui.
“Dovrai essere più preciso di così, siamo in un distretto di polizia” s’intromise Abbi cercando di trattenere una risata.
Lucifer si girò verso di lei e la osservò per un secondo.
“E lei signorina, chi è? Non credevo fosse permesso ai ragazzini di stare qui” domandò infastidito.
“Mi chiamo Abigail, ma non penso che questo sia affar suo”
“No infatti, non lo è. Perciò lei stia fuori dagli affari miei” la ragazza rise e scosse la testa. “Perfetto! Tornando a noi signorina Lopez, cercavo la detective Decker” disse col suo sorriso magnetico che però sembrava non incantare la ragazzina alle sue spalle.
“Tornerà a breve”
“Cosa vuole dalla detective Decker?” chiese curiosa Abbi.
“Ecco che torna ad immischiarsi negli affari miei. Voglio sapere a che punto è col caso”
“Quindi mi sta dicendo che vorrebbe informazioni confidenziali riguardo un caso dalla detective?” cercò di capire Abbi.
“Sì, esatto” rispose lui come fosse la cosa più scontata al mondo.
“Non penso sia legale”
“Non mi interessa quello che pensa, signorina Abigail. Tra l’altro pessima scelta di nome, Abigail non era proprio tra i miei personaggi biblici preferiti”
“Lei è completamente fuori di testa, non è così?” domandò la ragazza curiosa.
“Sono curioso, signorina, cos’è che desidera veramente piuttosto che infastidirmi?” gli chiese lui all’improvviso avvicinandosi a lei.
“Ok, ora ne sono certa, lei è fuori di testa” disse poco dopo la ragazza.
“Cosa? Come? Perché non funziona?”
“Ok, la situazione sta diventando inquietante. Ella?” la chiamò Abbi.
“Ehm, signor Morningstar la detective sta arrivando” esclamò il tecnico.
Chloe entrò in laboratorio e le si fermò per un istante il cuore.
“Lucifer!” esclamò. “Che diavolo ci fai qui?”
“Detective sono venuto ad aiutarti col caso. Sono sicuro che ci siamo quasi”
“Ehi Chloe ma è proprio quello che hai detto tu poco fa” si intromise Ella.
Chloe l’ammonì con lo sguardo e lei si fece subito seria.
“Lucifer, davvero, non ce n’è bisogno. Grazie per l’aiuto, ma non mi serve più. Perciò puoi andare”
“Detective sappiamo entrambi che non lo farò. E poi ci stiamo divertendo parecchio a lavorare insieme”
“No Lucifer, tu ti stai divertendo. Io ti sto facendo da babysitter”
A quell’affermazione Abbi si lasciò scappare una risata ed entrambi la guardarono severi.
“La tua collega bambina continua a testare la mia pazienza” commentò l’uomo.
“Non è una collega” affermò Chloe e poi guardò la ragazza “È mia figlia” e improvvisamente gli occhi le divennero di nuovo lucidi.
“È tua figlia? Ma è normale che sia cresciuta così tanto da quando l’ho vista? Non sono un fan dei mocciosi, lo sai, ma questa crescita è sbalorditiva, forse addirittura preoccupante. L'hai fatta controllare da un medico?” chiese lui disgustato.
“Lei è Abigail, tu parli di Trixie”
“Ad ogni modo non mi interessa. Sai di cosa mi interessa? Del caso. Andiamo?”
“Dove?”
“Ma a risolverlo ovviamente, detective”
 
Chloe non tornò a casa quella sera.
Si risvegliò in un letto che non era il suo, con un odore stantio di disinfettante e rumori metallici. La luce della stanza l’accecò per un istante, non permettendole di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Poi girò la testa verso sinistra e lo vide, Lucifer. Era lì accanto a lei e la guardava. Improvvisamente le sembrò di essere tornata ragazzina. A quando l’aveva conosciuto. Per puro caso. Si era imbattuta in lui mentre cercava di raggiungere il liceo. Era il terzo anno e sua madre le aveva promesso che almeno per quell’anno avrebbe frequentato una vera scuola. Niente tutor, niente lezioni a casa, finalmente una ragazza normale, come tutte. Stava attraversando la strada quando un’auto d’epoca le sfrecciò davanti rischiando di metterla sotto. Lei, che soprattutto in quel periodo era piuttosto turbolenta, gli urlò parole poco carine. Lui fermò l’auto e tornò indietro. Indossava un pantalone beige e una camicia bianca. Gli occhi nascosti dietro degli occhiali e scuri e un sorriso ammaliante stampato sul viso. Tra sé e sé pensò che avesse davanti un idiota. Ma poco dopo dovette ricredersi. Forse sì, aveva davanti un idiota, ma era un idiota davvero affascinante e per qualche ragione che non riusciva ancora a comprendere fino in fondo, si ritrovò ad arrivare a scuola a bordo della sua auto. Entrò in classe e non si accorse fino all’ora di pranzo che quel tizio che aveva conosciuto quella mattina le aveva lasciato il suo numero di telefono nello zaino. Sorrise stringendolo tra le mani. Iniziò ad uscire con lui soprattutto per curiosità. Era diverso da ogni ragazzo che avesse mai conosciuto. Era brillante, divertente e incredibilmente infantile a volte. Credeva addirittura di essere il diavolo. E nonostante chiunque avrebbe potuto trovare questa cosa inquietante, a lei divertiva. Si innamorò di lui come quando ci si addormenta, prima piano e poi tutto d’un colpo. Lucifer diventò il centro della sua vita. Non aveva nessuno a parte lui e Mazikeen, la migliore amica di Lucifer per cui aveva provato un’ardente gelosia. Maze, così si faceva chiamare, era bellissima, forte, determinata e senza paura. Come poteva competere con lei? Eppure, Lucifer amava lei. Beh, non le aveva mai detto di amarla, ma voleva lei. Ci volle tempo perché i tre trovassero un equilibrio, ma una volta instaurato, il loro diventò un rapporto profondo, importante. Almeno fino a quando Lucifer e Mazikeen non dovettero andare via e furono costretti a lasciarla. Soffrì tantissimo, ma un pensiero la consolava, il pensiero di portare in grembo la figlia di quel ragazzo che le aveva stravolto la vita, piombando al suo interno all’improvviso e sparendo nello stesso modo. Il tempo passò e la ferita cominciò a fare sempre meno male, finché non credette che si fosse rimarginata del tutto. Non aveva pensato a lui in più di un decennio. Nel frattempo, si era sposata, aveva avuto Trixie e aveva divorziato. E adesso eccolo, la fissava con lo stesso sguardo compiaciuto e strafottente di vent’anni prima. Era corso in suo soccorso quando l’assassino di Delilah le aveva sparato. Ma come faceva a essere rimasto illeso? Prima di perdere i sensi aveva sentito chiaramente i colpi di pistola e l’aveva visto camminare verso quell’uomo senza preoccuparsene. Ora la guardava seduto sulla poltrona dell’ospedale come se non fosse accaduto nulla.
Si scambiarono qualche parola prima che Abigail entrasse in stanza con Trixie. A quel punto l’uomo andò via lasciandola con le sue figlie.
“Come stai, mamma?” domandò Trixie sdraiandosi accanto a lei.
“Bene scimmietta, ora sto bene”
“Eravamo preoccupate” disse Abbi.
“Lo so, mi dispiace” rispose lei prendendo la mano della più grande.
Fu proprio in quel momento che Penelope Decker irruppe nella stanza seguita da un’assistente che portava dei palloncini di buona guarigione e un mazzo di fiori.
“Tesoro prima o poi ti farai uccidere. Non avresti mai dovuto seguire le orme di tuo padre, avresti dovuto fare l’attrice. Eri così brava”
“Ciao anche a te mamma. Sì, sto bene, grazie per avermelo chiesto” disse Chloe sarcastica e irritata.
“Ciao scimmietta, dai un bacio alla nonna” disse chinandosi verso la nipote “Lei dev’essere la babysitter di Trixie. Salve, sono Penelope Decker. Sa che ha un bellissimo viso, potrebbe sfondare nel cinema. Mi ricorda mia figlia quand'era adolescente” continuò porgendo la mano ad Abigail.
“No mamma, non è la babysitter. È mia figlia, Abigail. Forse ti ricorderai di lei, mi avevi detto fosse morta diciott’anni fa” affermò la detective guardandola severamente.
Gli occhi di Penelope si spalancarono e la bocca si schiuse. Rimase senza parole. Forse rimase senza parole per la prima volta. Guardò la figlia senza sapere che dire e poi la nipote ritrovata.
“Perché non cominci a raccontarmi per quale motivo mi hai mentito e mi hai portato via mia figlia? Che dite ragazze, vi va di sentire questa storia?” domandò Chloe guardando le figlie in cerca di approvazione.
“Chloe, tesoro, ti posso spiegare”
“È proprio quello che vogliamo. Spiegaci” la incitò la detective.
“Chloe eri così giovane, troppo per poter crescere un figlio. E poi la tua carriera d’attrice era proprio agli esordi, te la saresti rovinata. E non potevo permetterlo” confessò.
“Perciò hai deciso di dare via mia figlia, senza pensare a quanto mi abbia fatto soffrire. Ho passato anni in terapia per superare il lutto” disse agitandosi a tal punto che una fitta alla spalla la costrinse a riporre la testa sul cuscino, rimanendo immobile.
“Lo so e mi ha distrutto. Ma sono tua madre, dovevo fare ciò che era meglio per te”
“E hai tolto a mia figlia, a tua nipote, la possibilità di avere una famiglia, di conoscere l’amore di una madre? Che mostro sei?”
“Volevo solo che tu non rinunciassi”
“Mi hai costretto a rinunciare a mia figlia. Ti rendi conto di quanto questo sia grave?” domandò Chloe ormai con le lacrime agli occhi.
“Mi dispiace, tesoro” rispose Penelope avvicinandosi a lei e cercando di toccarla. Ma la detective non gliene diede la possibilità.
“Forse è meglio che tu vada via. E ti prego di non farti più rivedere. Per me non esisti” fu questa la sua risposta al contatto della madre.
Penelope guardò sua figlia, i suoi occhi verdi pieni di lacrime. Sospirò triste e spostò lo sguardo su Trixie che la guardava senza dire nulla. Poi si voltò verso Abigail. La vide asciugarsi le lacrime sul viso e in quel momento si sentì tremendamente in colpa.
“Scusa” le disse semplicemente prima di voltarsi e uscire dalla stanza seguita dalla sua fedele assistente.

 

Nel prossimo capitolo:

“Ehi, tu! Che stai facendo?” domandò Lucifer avvicinandosi ad una recluta che aveva visto parlare con Abigail.
“Come scusi?” domandò lui
“Sei forse sordo? Che stai facendo con la figlia della detective?” riprese.
“Io, ehm, niente stavo solo” cominciò a dire quello, ma fu interrotto.
“Ci stavi provando, ecco che stavi facendo”
“Beh, sì, lo ammetto. Abigail è molto, molto bella” cominciò a dire quello sorridente.
“Smettila di sorridere come un ebete e smettila di provarci. Incredibile! È la figlia della detective, è una bambina”
“Veramente è maggiorenne e abbiamo solo qualche anno di differenza”
“Oh, ma davvero? Davvero?” disse Lucifer sarcastico avvicinandosi minacciosamente all’altro.
“Lucifer!” lo chiamò Chloe.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

“Ehi, tu! Che stai facendo?” domandò Lucifer avvicinandosi ad una recluta che aveva visto parlare con Abigail.
“Come scusi?” domandò lui
“Sei forse sordo? Che stavi facendo poco fa con la figlia della detective?” riprese.
“Io, ehm, niente stavo solo” cominciò a dire quello, ma fu interrotto.
“Ci stavi provando, ecco che stavi facendo”
“Beh, sì, lo ammetto. Abigail è molto, molto bella” cominciò a dire quello sorridente.
“Smettila di sorridere come un ebete e smettila di provarci. Incredibile! È la figlia della detective, è una bambina”
“Veramente è maggiorenne e abbiamo solo qualche anno di differenza”
“Oh, ma davvero? Davvero?” disse Lucifer sarcastico avvicinandosi minacciosamente all’altro.
“Lucifer!” lo chiamò Chloe.
Lui si voltò e notò che la detective era proprio dietro di lui e lo guardava confusa.
“Che stai facendo?” gli chiese lei.
“Perfetto, detective sei qui. Dal momento che la tua spalla non è ancora guarita del tutto, ci penso io a punirlo”
“Punirlo per cosa?” domandò la donna guardando prima la recluta intimorita e poi Lucifer.
“Oh, ma è chiaro detective, per averci provato con la tua progenie”
Chloe capì che era arrivato il momento di svestire per un attimo i panni di detective e entrare in quelli di babysitter. Lo prese per il braccio e lo trascinò via scusandosi con la recluta.
“Lucifer non puoi punire qualcuno solo perché ci prova con mia figlia”
“Ma è una bambina”
“Ha diciott’anni”
“Ma è comunque una bambina”
“Ok, io e te dobbiamo parlare, seriamente. Ci vediamo stasera da me” affermò sicura Chloe tirando giù i lembi della giacca.
“Detective stai forse cercando di rivangare il passato?” domandò lui malizioso.
“No, per niente. Ci vediamo alle otto”
“Porterò la cena e sarà afrodisiaca. Non te ne pentirai, ma questo già lo sai”
“Lucifer non verrò a letto con te”
“Vediamo se la penserai ancora così dopo le ostriche e lo champagne” disse lui con voce suadente.
Chloe roteò gli occhi e andò via lasciandolo lì solo a compiacersi chissà di cosa.
 
Quella sera Lucifer arrivò a casa Decker in perfetto orario stringendo in una mano il manico del cestino in vimini contenente la cena e nell’altra lo champagne. Ostriche e champagne come aveva promesso, ma anche tanto altro. Solo il meglio per la sua detective. Una volta in casa notò che non erano soli. C’era anche la progenie della detective, Abigail. Sbuffò realizzando che la serata non sarebbe andata affatto come aveva progettato e poggiò il cestino e la bottiglia sull’isola della cucina. Guardò Chloe.
“Detective pensavo che stasera ci saremmo divertiti un po’, perché è qui?” disse e poi fece cenno col capo verso Abigail.
“Certo che sei strano, lo sai che ti sento e ti capisco, vero?” disse la ragazza in tutta risposta.
Lucifer stava per rispondere quando Chloe intervenne.
“Ok, c’è un motivo per cui ti ho invitato qui stasera” disse lei facendolo accomodare in soggiorno.
“E cioè?” domandò.
“Abbi, puoi venire un attimo?” la chiamò la detective a gran voce.
La ragazza si accomodò sullo stesso divano in cui era Lucifer, ma a debita distanza. I due si guardarono per un attimo e, dopo essersi scambiati un’espressione scocciata, puntarono gli occhi su Chloe.
“Non c’è un modo semplice per farlo, perciò andrò diretta al punto. Lucifer, Abigail è tua figlia. Abbi, Lucifer è tuo padre”
“Oh, no. Rosemary’s baby!” esclamò allarmato il diavolo alzandosi in piedi con gli occhi fissi su un punto indefinito.
“Cosa?” domandò contemporaneamente e altrettanto allarmata Abigail facendo lo stesso.
Erano entrambi nella stessa posizione, in piedi, rivolti verso Chloe e con le mani sui fianchi.
“Un attimo detective, non è possibile tutto ciò. Il diavolo non può procreare con gli umani”
“Lucifer pensavo ci fossimo lasciati alle spalle questa storia del diavolo anni fa” cominciò a dire la detective.
“Non è una storia detective, te l’ho sempre detto. Sei sicura che sia mia figlia?” domandò l’uomo guardando la ragazza stranito.
“Ehi, guarda che è andata peggio a me. Tu come padre? Non ti ci vedo proprio” intervenne Abbi.
“Per la prima volta siamo d’accordo su qualcosa” concordò lui.
“Sì Lucifer, ne sono sicurissima. Tu sei stato il mio primo e ho scoperto di essere incinta il giorno prima che tornassi in Inghilterra”
“Inferno, non Inghilterra, ma posso capire l’errore” la corresse lui facendole cenno di continuare.
“Tu dovevi andare via e sapevo che caricarti di questo fardello non avrebbe reso più facile il nostro addio e non c’era modo di trattenerti, dovevi andare. Perciò non ti dissi nulla”
“E così hai cresciuto nostra figlia tutta sola per diciott'anni?”
“No, vedi, mia madre mi disse che la bambina era morta dopo il parto e la diede via. Io e Abbi ci siamo ritrovate solo recentemente. Il giorno dell’omicidio di Delilah precisamente”
“Anche noi ci siamo ritrovati quel giorno, detective. E non mi hai detto nulla finora, perché?”
“Non lo so Lucifer, non lo so. Una parte di me pensava che non saresti rimasto in giro per molto e che senso avrebbe avuto farle conoscere te se poi l’avresti lasciata?”
“Quindi hai pensato a lei e non a me?”
“Certo, Lucifer. Una madre pensa prima al bene dei suoi figli, poi a quello degli altri”
“Ma, detective…” disse lui deluso.
“Scusami Abbi” disse Chloe guardando sua figlia.
“Non preoccuparti, con un tizio del genere ci sarei andata molto cauta anche io”
“Signorina, bada a come parli, sono pur sempre tuo padre” disse Lucifer prima di realizzare quanto strane fossero quelle parole dette da lui e cominciare a ridere come un idiota.
“Ora perché ride?” domandò Abbi a bassa voce avvicinandosi a Chloe.
“Non ne ho idea” rispose questi continuando a guardarlo.
 
“Maze ti sto dicendo che è così. Non so come sia possibile, ma questa ragazza è mia figlia”
“Chloe ne è sicura? Al cento percento?”
“Sì Maze”
“Oh beh, sei fottuto allora. Amenadiel ti verrà a fare una partaccia così noiosa che ti farà rimpiangere le torture all’inferno”
“Hai ragione”
“Allora, com’è? Ha le ali?” domandò lei curiosa sorseggiando del gin.
“Non credo, non gliel’ho chiesto. Forse avrei dovuto”
“Portala qui, deve pur conoscere la zia Maze prima o poi” affermò lei sorridendo maliziosamente.
“Non vogliamo traumatizzarla già ora, no?” disse lui con un ghigno irritante.
Maze socchiuse gli occhi e serrò la mascella. Fece girare un coltello tra le dita con estrema abilità e poi alzò un sopracciglio mentre glielo puntava alla gola.
“Non è divertente”
“Sì che lo è” rispose con nonchalance lui.
Lei abbassò il coltello puntandolo sul bancone, in cui rimase inevitabilmente incastrato. Tutto questo senza mai staccare lo sguardo da Lucifer.
“Forse un po’” ammise prima di riprendere in mano il coltello che ormai aveva lasciato il segno sul bacone e tagliare una fetta di limone che fece cadere nel bicchiere del diavolo.
Lucifer sorrise, afferrò il bicchiere e si girò a guardare la gente che ballava in pista al Lux, sorseggiando il suo drink. Immediatamente individuò una bellissima ragazza in pista e, dopo averle rivolto un sorriso malizioso, le andò in contro. L’aveva appena approcciata quando una presenza catturò la sua attenzione. Amenadiel. Ecco perché improvvisamente l’atmosfera era cambiata. Ecco perché tutto sembrava meno divertente, meno armonioso, più pesante. Lo vide avvicinarsi e decise che lo avrebbe ignorato almeno fino a quando non sarebbe stato troppo vicino per poterlo fare.
“Luci” disse quello.
“Amenadiel, come mai qui?”
“Dobbiamo parlare. Preferibilmente in privato”
“Certo, ma vedi al momento sono un po’ occupato” rispose Lucifer indicando la ragazza davanti a sé.
A quel punto Amenadiel rallentò il tempo e lo guardò severo. Lucifer poteva giurare di non aver mai visto suo fratello ridere. Non da quando era caduto, per lo meno.
“Ah! Guastafeste!” esclamò infastidito il re degli inferi.
“Devi tornare all’inferno”
“Oh, si certo. Fammi controllare l’agenda” con un gesto teatrale fece finta di tirare fuori dalla giacca un’agenda. Serio finse di consultarla “Facciamo tra il 5 di mai e il 7 di non se ne parla nemmeno, che ne dici?”
“Luci non sto scherzando. La tua vacanza è durata fin troppo. Devi tornare laggiù”
“Forse non sono stato chiaro. La risposta è no”
In quel momento Maze si avvicinò a loro facendo roteare i coltelli tra le dita. Aveva l’aria minacciosa e nessuna voglia di giocare. Amenadiel realizzò di essere solo contro due e preferì togliere il disturbo. Ma Lucifer sapeva che sarebbe tornato. Forse non subito, ma prima o poi, lo avrebbe fatto. E qualcosa gli diceva che le sue visite si sarebbero fatte sempre più frequenti.
Nell’instante stesso in cui Amenadiel volò via, la musica ripartì e il signore degli inferi riprese a ballare con la ragazza che aveva difronte. Quando la detective Decker seguita da Abigail fece il suo ingresso nel locale, Lucifer capì che quella sera sarebbe andato in bianco, ma non sapeva ancora quanto.
Da un primo sguardo sembrava proprio che la detective fosse fuori servizio. I capelli, sempre rigorosamente legati sul lavoro, le cadevano delicatamente sulle spalle. Aveva smesso gli abiti dalle tinte tristi, neutre e infelici, valorizzando quel corpo meraviglioso con un jeans aderente e una camicia oversize rosso carminio. Nonostante avesse rimosso il broncio da lavoro e il cambio di look, il viso era rimasto acqua e sapone. Nemmeno un filo di trucco a mettere in risalto quelle labbra carnose e quegli occhi stupendi. Lucifer sorrise realizzando che pur essendo la più casual, la più semplice del locale, era la più bella. L’unica che valeva la pena guardare e ammirare in quel caos di gente. Dietro di lei c’era Abigail. Portava i capelli sciolti come la madre, la riga al centro li divideva perfettamente. I suoi erano più lunghi e più scuri di quelli di Chloe. Dalle orecchie penzolavano due orecchini tondi argentati. Indossava una camicia beige che finiva nei pantaloni a vita alta neri. Ai piedi un paio di converse nere. Anche lei non aveva un filo di trucco sul viso e Lucifer pensò che forse se la contendeva con Chloe su chi fosse la più bella del locale. Del resto, non poteva che essere così, aveva i geni di un angelo e quelli della detective. C’erano davvero pochissime possibilità che qualcuno potesse essere più bella di lei.
La ragazza con cui stava ballando gli prese il viso tra le mani e glielo girò verso di lei. Ma Lucifer era troppo distratto per darle retta. Le mise le mani sulle spalle e la allontanò con gentilezza. Si scusò e cercò di farsi spazio tra la folla per raggiungere sua figlia e la detective. Sua figlia, che strano effetto gli faceva anche solo pensarlo. Mentre spingeva gente per avvicinarsi a loro, due ragazzi approcciarono Abigail e improvvisamente cominciò a vederci nero. Era una sensazione che non aveva mai provato così forte. Sì, gli aveva dato fastidio quando quell’agente ci aveva provato con lei al distretto, ma era al distretto. Non sarebbe potuto accadere nulla di che. Invece lì, al Lux, dove tutto poteva succedere, sentì una gelosia insopportabile mangiargli il fegato. Le sue iridi divennero rosse e Maze saltò giù dal bancone non appena se ne accorse. Lo raggiunse in fretta scaraventando gente ai lati della pista. Gli mise le unghie nelle spalle e lo costrinse a guardarla.
“Occhi” disse solo e lui capì. Li chiuse per un secondo. Quando li riaprì, il rosso aveva lasciato il posto al suo colore naturale.
“Che diavolo hai?” gli domandò Maze.
“Non ora, Maze” rispose lui e riprese a farsi strada tra la folla. Camminò spedito verso i due che imperterriti continuavano a provarci con Abigail.
“Voi due, sparite, adesso” disse con tono autoritario.
“Mi scusi?” domandò il più coraggioso tra i due.
“Forse non mi sono spiegato. Avete dieci secondi per allontanarvi da mia figlia. Sono stato chiaro?”
Abigail guardò Chloe allibita. La detective si limitò ad alzare le spalle confusa. Lucifer afferrò la mano di sua figlia e la trascinò via da quei due che si accingevano a raggiungere l’uscita.
“Ma che ti salta in mente?” domandò infastidita Abbi.
“Ah io ti salvo dalle grinfie di due pervertiti e ti lamenti?” domandò Lucifer. “Assurdo” aggiunse "I figli, dico bene?" continuò guardando la detective che sorrise davanti a quell'affermazione.
“Lucifer stavano solo parlando” disse Chloe.
“Detective sei troppo ingenua. Ci stavano chiaramente provando. Fidati di me, sono un seduttore seriale, le so queste cose”
“Lucif” cominciò a dire Chloe, ma fu interrotta.
“Provarci con una bambina, è disgustoso. Ma gliela farò pagare, ne puoi stare certa, detective. A proposito, Maze! Mazikeen!” chiamò la sua amica a gran voce.
Mazikeen arrivò con la sua perenne espressione annoiata e un bicchiere di Bourbon tra le mani.
“Maze!” disse Chloe.
“Decker!” esclamò l’altra sfoggiando finalmente un sorriso. Cosa che non succedeva da più di un decennio secondo quanto ricordava Lucifer.
La barista scavalcò con agilità il bancone e corse ad abbracciare l’amica che non vedeva da quasi vent’anni. L’abbracciò così forte che Chloe si sentì mancare il fiato. Le prese il viso tra le mani e la osservò.
“Sei proprio tu, non ci credo ancora” affermò il demone.
Chloe annuì, il viso ancora tra le sue mani e l’abbracciò di nuovo. Lucifer le guardava con un ghigno malizioso e questo non passò inosservato da Abigail che, con sguardo abbastanza disgustato, si lasciò sfuggire un “ehw”.
“Ehi ragazzina, tu devi essere la figlia ritrovata di Decker” disse Maze.
“E anche mia Maze” si intromise Lucifer sentendosi lasciato fuori.
Il demone lo ignorò.
“Sì, sono io. Abigail, piacere”
“Abigail non mi è mai piaciuta come personaggio biblico, non aveva niente di particolarmente interessante. Ma tu sei la figlia del diavolo quindi parti già meglio. Aspetta ma se è così, questo significa che sei l’anticristo?” domandò la torturatrice dell’inferno spostando lo sguardo su Lucifer che sembrava anche lui perso in quel ragionamento.
Entrambi alzarono le spalle e tornarono a chiacchierare normalmente. Abbi guardò Chloe confusa e quella scosse la testa.
“Io sono Mazikeen, ma puoi chiamarmi zia Maze” affermò sorridendo entusiasta.
“Ok, basta con le chiacchiere. Maze devi fare una cosa per me”
“Cosa?” domandò curiosa la donna.
“Due ragazzi ci hanno provato con Abigail, fagliela pagare” disse lui sicuro.
“Perché?” domandò ridendo lei.
“Perché è una bambina e non devono permettersi mai più” disse lui come fosse la cosa più normale del mondo.
“È uno scherzo? Sta scherzando, vero?” domandò lei tra le risate guardando Chloe.
“Non capisco perché tu sia ridendo, sono serio”
“Lucifer non è una bambina. E sicuramente questi non sono i primi ad averci provato con lei” disse il demone.
“Grazie” rispose la ragazza.
Lucifer la guardò inorridita.
“Chi altro ci ha provato con te?” domandò allibito.
“Sta scherzando? Ditemi che sta scherzando” Abigail guardò le altre due.
Loro scossero la testa.
“Lucifer capisco che tu sia geloso, è normale. E, devo ammettere che è anche molto dolce da parte tua. Ma Abbi è grande e non puoi impedire a tutti i ragazzi di provarci con lei” affermò Chloe.
“Oh, sì che posso detective, sta a guardare”
“Ma dai Lucifer proprio tu ti scandalizzi?” domandò Maze.
“È diverso Maze, è mia figlia. Il solo pensiero che qualcuno possa toccarla o provare a portarla a letto mi disgusta”
“Troppo tardi” si lasciò scappare Abigail sovrappensiero. Tutti e tre si voltarono a guardarla “L’ho detto ad alta voce, vero?” domandò lei diventando paonazza in viso.
Maze scoppiò a ridere e Lucifer divenne pallido. Afferrò il braccio dell’amica.
“Maze, penso di aver bisogno di sedermi un attimo” ammise.
“Ha diciott’anni, Lucifer, non potevamo certo aspettarci che fosse ancora, sì insomma hai capito… vergine”
“Signorina stai per far morire d’infarto il diavolo” commentò lui sedendosi lentamente su uno sgabello davanti al bancone del bar stringendosi il petto teatralmente.
Chloe cercò di soffocare una risata. Abbi guardò la detective che la tirò verso di sé e appoggiò la testa sulla sua spalla mentre si gustava la vista di Lucifer al tappeto.


Nel prossimo capitolo:
“Buongiorno detective!” esclamò Lucifer sedendosi alla punta della scrivania di Chloe, mentre lei era immersa nella lettura di un fascicolo. Non gli rispose, non alzò neppure la testa, si limitò ad emettere un suono. Questo bastò perché l’uomo cominciasse a guardala curioso, più che guardarla la stava fissando, consumando con lo sguardo si potrebbe dire. Era inutile, nonostante ne fosse passato di tempo, era certo di una cosa, quella era la donna più interessante, affascinante e misteriosa che avesse mai conosciuto. E lui ne aveva conosciuta di gente. C’era qualcosa in lei, qualcosa di speciale che nessun altro aveva. Una cosa, invece, che Lucifer non riusciva a contenere era la sua curiosità. Doveva scoprire a tutti i costi che cosa le stesse passando per la mente. Perché non gli stava prestando attenzione? Era convinto di essere sicuramente più interessante di ciò che stava leggendo. Doveva distrarla. Doveva attirare l'attenzione su di sé, com’era giusto che fosse.
“Lucifer hai finito di fissarmi come un maniaco?” domandò lei continuando a tenere lo sguardo attento su ciò che aveva davanti.
Senza darle una risposta, lui le tirò via dalle mani la cartella e la guardò profondamente offeso e confuso.
“Lucifer!” lo ammonì lei.
“Detective, sono entrato e ho detto buongiorno. Non mi hai degnato nemmeno di uno sguardo e oggi sono troppo bello per non farlo


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


“Buongiorno detective!” esclamò Lucifer sedendosi alla punta della scrivania di Chloe, mentre lei era immersa nella lettura di un fascicolo. Non gli rispose, non alzò neppure la testa, si limitò ad emettere un suono. Questo bastò perché l’uomo cominciasse a guardala curioso, più che guardarla la stava fissando, consumando con lo sguardo si potrebbe dire. Era inutile, nonostante ne fosse passato di tempo, era certo di una cosa, quella era la donna più interessante, affascinante e misteriosa che avesse mai conosciuto. E lui ne aveva conosciuta di gente. C’era qualcosa in lei, qualcosa di speciale che nessun altro aveva. Una cosa, invece, che Lucifer non riusciva a contenere era la sua curiosità. Doveva scoprire a tutti i costi che cosa le stesse passando per la mente. Perché non gli stava prestando attenzione? Era convinto di essere sicuramente più interessante di ciò che stava leggendo. Doveva distrarla. Doveva attirare l’attenzione su di sé, com’era giusto che fosse.
“Lucifer hai finito di fissarmi come un maniaco?” domandò lei continuando a tenere lo sguardo attento su ciò che aveva davanti.
Senza darle una risposta, lui le tirò via dalle mani la cartella e la guardò profondamente offeso e confuso.
“Lucifer!” lo ammonì lei.
“Detective, sono entrato e ho detto buongiorno. Non mi hai degnato nemmeno di uno sguardo e oggi sono troppo bello per non farlo. Guarda questo nuovo completo” esclamò alzandosi e aprendosi la giacca mentre girava.
“Lucifer è un caso importante, non ho tempo da perdere con le tue stramberie. Non oggi” rispose lei alzandosi, sistemandosi la giacca e avvicinandosi a lui per riprendere la cartella.
Ma dispettosamente, quasi come fosse un bambino, Lucifer gliel’allontanò, alzando un braccio in modo tale che lei non potesse raggiungerla. Lo sguardo della detective si fece severo. Era infastidita.
“Fai sul serio?” domandò lei.
L’espressione di lui si fece dispettosa. Guardò la donna che aveva davanti con aria di sfida. Alzò un sopracciglio. Ma lei non sembrava altrettanto divertita.
“Se la rivuoi dovrai strapparmela dalle mani” continuò imperterrito senza accorgersi che probabilmente aveva superato il limite.
Chloe non era più disposta a stare al gioco, perciò si avvicinò ancora di più a lui, gli mise le mani sulle spalle e, dopo avergli rivolto un sorriso ammagliante affiancò il suo orecchio come se volesse sussurrargli qualcosa in segreto. Ma, invece di parlare gli rifilò una ginocchiata nelle palle facendolo piegare e gemere di dolore. Ne approfittò per togliergli di mano la cartella.
“Fatto” sussurrò al suo orecchio seducentemente.
Poi si allontanò e tornò alla scrivania.
“Detective, mi hai fatto male. Quella è la mia parte preferita!” esclamò dolorante.
“Te lo sei cercato”
“Ed era anche la tua parte preferita”
“Attento! Sto per dartene un altro”
Lucifer sentì il bisogno di sedersi. Com’era possibile. Stava provando dolore. Di nuovo. Ma che diavolo? Lui non provava mai dolore. Mai! E nell'ultimo periodo ne provava parecchio. C’era qualcosa che non andava. Forse tutto quel tempo sulla terra stava compromettendo i suoi poteri. Mentre pensava a tutto ciò, Chloe gli passò davanti a passo deciso e lui si affrettò a raggiungerla.
“Dove andiamo, detective?” domandò cercando di ricomporsi.
“Io sulla scena di un crimine, tu da nessuna parte”
“Ma perché, detective?”
“Lucifer oggi è una giornata storta, non ho tempo, né voglia, né la pazienza necessaria per avere a che fare con te”
“Questa affermazione era incredibilmente cattiva, detective. Mi piace quando fai la cattiva. Sono pronto a punirti quando vuoi” esclamò fiero con un sorriso malizioso sul volto.
“Ecco, questo è esattamente ciò di cui stavo parlando”
Ma a Lucifer non piaceva essere lasciato indietro, soprattutto quando sapeva di poter essere utile a qualcuno, beh a Chloe in modo particolare. Si erano ritrovati da qualche mese ormai e più passava del tempo con lei e più aveva voglia di starle vicino, di passare ogni singolo istante con quella donna. Uscì dalla centrale proprio quando la detective partì e poi si fiondò in macchina. La seguì tenendosi sempre a debita distanza. E, quando arrivò sulla scena del crimine, lei era lì, china sulla vittima come ogni volta. La stava guardando con attenzione, capì che era il momento giusto per arrivarle alle spalle. Rimase lì in silenzio aspettando che finisse quello che aveva iniziato senza distrazioni. Ma, forse non fu un’idea così brillante. Qualche secondo dopo aveva una pistola puntata alla testa e Chloe lo stava fulminando con lo sguardo.
“Sorpresa!” esclamò con un sorriso innocente alzando le mani in segno di resa.
La detective abbassò l’arma e lo guardò innervosita.
“Ti avevo detto di non seguirmi”
“Che ci posso fare detective, starti lontano mi viene difficile. E poi sai che sono molto utile… la maggior parte delle volte almeno”
“Ascolta Lucifer questo è caso serio, se hai intenzione di comportarti in maniera decente, puoi restare. Altrimenti va’ via”
“Detective, voglio aiutare. Ti assicuro che sarò utile” disse.
La verità era che del caso a Lucifer interessava decisamente poco, ancora di meno quando la detective glielo illustrò. Ma per qualche strana ragione sentiva di dover fare di tutto per stare con lei. Soprattutto quand’erano al lavoro.
Parlava, parlava e parlava. E lui se ne stava lì rapito da quegli occhi a guardarla. A scrutare ogni singolo lineamento di quel viso che, seppur invecchiato dai giorni in cui erano stati insieme, era ugualmente bello, se non di più. La sua Chloe. Quante giornate avevano passato dopo scuola buttati sulle spiagge di Los Angeles a fare assolutamente nulla. Sdraiati sotto il sole, liberi di qualunque preoccupazione e pensiero. Liberi di poter impiegare ogni secondo a loro disposizione stando assieme. Erano dipendenti l’uno dall’altro. Non aveva avuto modo di riprendere il discorso dell’addio. Eppure, erano mesi, ormai, che lavoravano assieme. Sapeva che riaprire quella ferita sarebbe stato doloroso per entrambi e forse, un po’ più per lei. Lui aveva a che fare con abbandoni e perdite dall’inizio dei tempi. Conosceva il dolore emotivo più di chiunque altro nell’universo e, proprio per quello, ormai sapeva come gestirlo. Era un dolore che quasi non faceva più male, tranne quando si trattava di lei e questo dovette ammetterlo a se stesso. Lasciare Chloe lo aveva distrutto. Ritrovarla era stato piacevole. Sapeva che ormai era divorziata, ma erano cresciuti e non aveva idea di come approcciarsi a lei. Per non parlare della costante paura che lo assillava. E se si fossero riavvicinati romanticamente e per chissà quale ragione lui avrebbe dovuto lasciarla, di nuovo? No, non poteva farlo. Non poteva rischiare di ferirla ancora. Teneva così tanto a lei che non riusciva nemmeno a contemplare quell’idea. Sì, faceva il gradasso, ci provava spudoratamente con lei, ma era tutta una facciata. Era la sua maschera da playboy, la stessa che indossava da quand’era tornato sulla terra cinque anni prima. Non riusciva a togliersela di dosso. Forse era meglio così. A Chloe non piaceva quella persona e questo le permetteva di rimanere a debita distanza da lui. A debita distanza dal dolore che avrebbe potuto causarle. Era al sicuro.
“Lucifer mi stai ascoltando?”
“Sì, detective”
“Che hai?”
“Stavo pensando”
“A cosa? Concentrati Lucifer” lo riprese lei.
 
“Lucifer! Lucifer!” esclamò Linda cercando di attirare l’attenzione del suo cliente. Quell’uomo si distraeva con la facilità di un bambino. Era il paziente più affascinante che avesse mai avuto, dentro e fuori dal letto. Era tormentato e raramente lasciava trasparire le sue vere emozioni. Stava cercando di educarlo ad accettarle, a farle sue, a processarle e ad affrontarle. Ma ogni volta che arrivavano ad una svolta, ad un punto cruciale, lui tornava alle vecchie abitudini. Era un meccanismo autodistruttivo il suo. Riusciva a fare l’esatto opposto di ciò che gli suggeriva lei, perciò aveva deciso che da quel momento in poi non lo avrebbe più trattato come tutti gli altri pazienti. Gli avrebbe dato un aiutino in più, con la speranza di portarlo a guardare nella giusta direzione.
Quel giorno arrivò in studio perfettamente in orario. Come suo solito si lasciò andare ad inutili autocelebrazioni e soliloqui per un quarto d’ora abbondante. Poi, Linda lo fermò. Quei primi minuti erano cruciali, perché nell’ostentazione della sua felicità, del suo entusiasmo o della sua tristezza, faceva riferimento all’evento che l’aveva turbato. Era sempre così con lui. All’inizio non se n’era accorta e credeva fosse estremamente imprevedibile, ma più passava il tempo e più imparava che, nonostante le metafore divine, non era poi così difficile stargli dietro, perché Lucifer era in realtà piuttosto prevedibile. Realizzava qualcosa, ne parlava con lei, aveva un’epifania del tutto incorretta e poi arrivava a capire ciò che avrebbe dovuto capire dall’inizio, ma senza affrontare la questione. Era un cerchio vizioso che Linda doveva spezzare.
“Sì, dottoressa la sto ascoltando”
“Lucifer ora che hai finito di lamentarti di quanto la detective ti stia ignorando, non pensi sia il caso di parlare del perché questo ti dia così tanto fastidio?” domandò lei guardandolo seria.
“È chiaro il perché, dottoressa. Perché lavoriamo insieme, siamo partner e i partner collaborano, non si ignorano. Dobbiamo risolvere un caso, ricorda? È come se non si fidasse di me. E se non si fida di me, che senso ha la nostra partnership?”
“Sei sicuro che sia solo questo che ti infastidisce così tanto?” domandò ancora.
“Sì, dottoressa, glielo posso assicurare. Quale altro motivo potrebbe esserci?”
“Beh, non so. Forse ti dà fastidio tutto ciò perché è una situazione analoga ad un’altra che hai sperimentato di recente e di cui abbiamo parlato, a mio parere, troppo poco”
“Cosa stai dicendo, dottoressa, a cosa ti riferisci?”
“Al fatto che Chloe ti abbia nascosto che Abigail fosse tua figlia fino a qualche tempo fa”
Lui si fece silenzioso e guardò pensieroso Linda.
“In che modo queste due situazioni sono simili? Dottoressa penso tu stia perdendo colpi” affermò lui accavallando le gambe e facendo una smorfia di dissenso.
“Hai paura che Chloe non abbia più fiducia in te e pensi che sia questo il motivo per cui non ti abbia detto di Abigail”
“Oh, no dottoressa non lo penso, so che è per questo che non mi ha parlato di Abigail. Ha chiaramente detto che credeva che non sarei rimasto in giro a lungo e non voleva farle conoscere me se poi sarei andato via. Quindi è chiaro che non ha fiducia in me”
“E adesso sta succedendo anche al lavoro. C’è stato qualcosa che l’ha spinta a comportarsi in questo modo secondo te? Te lo dico chiaramente: hai fatto qualcosa che potrebbe averle fatto perdere un po’ di fiducia in te come suo partner?”
Lucifer guardò la dottoressa pensieroso. Qualcosa c’era effettivamente, ma era una stupidaggine, non poteva davvero essersela presa per quello. Aveva solo boicottato due casi perché non erano interessanti, facendole proseguire le indagini da sola. Non era di certo un affare di stato, non avrebbe dovuto prendersela in quel modo. Forse stava esagerando, si stava facendo trascinare dal flusso di pensiero della dottoressa, non poteva assolutamente essere per quello.
“No dottoressa, non c’è assolutamente nulla che io abbia fatto per farle perdere fiducia in me”.
“Ne sei sicuro?” domandò lei.
“Sì, ne sono sicuro” rispose lui alzando le spalle con indifferenza.
Lucifer non mentiva. Mai. E anche in quel momento non stava mentendo, era genuinamente convinto di non aver fatto nulla di male. Conosceva anche Chloe e sapeva che non era tipa da cambiamenti umorali repentini e azioni ingiustificate. Studiando Lucifer aveva imparato che stava sicuramente dando il peso sbagliato a qualcosa. Era chiaro che doveva lasciarlo col dubbio, cosicché potesse realizzare l’errore e ripararlo. Nel frattempo, c’era una questione che voleva affrontare.
“Lucifer voglio parlare un po’ di tua figlia. Insomma, ne abbiamo parlato quando l’hai saputo, ma è un argomento che trattiamo relativamente poco e penso che tu non abbia ancora processato il tutto”
“Dottoressa cos’hai oggi?” domandò lui scocciato. “Cosa vuoi che ti dica? Ho una figlia. Avrei mai pensato di averne una? No. Avrei mai voluto averne una? No. Ora che ce l’ho non c’è nulla da fare, lei esiste e mi infastidisce da morire.”
“Ti dà fastidio il fatto che esista?” domandò lei confusa.
“No, mi infastidisce lei. Sono contento che esista, devo essere sincero. Non l’avrei mai pensato, ma non è così male. Il fatto che sia già grande mi ha risparmiato l’orripilante parte che comincia alla nascita e termina praticamente all’età di Abbi. Possiamo dire che sono fortunato. Niente pannolini, vomito, dita appiccicose, naso colante, niente pianti, urla e capricci. Insomma, una passeggiata! Ma, mi infastidisce perché mi preoccupo per lei”
“Come è stato scoprire di lei?”
“Scioccante”
“In che modo scioccante?”
“Non avevo idea di poter avere un figlio. Non ne volevo uno e non ero un padre fino a qualche istante prima che Chloe me lo dicesse. Poi lo sono diventato d’un tratto. E tutto è sembrato così strano”
“Perché Lucifer, perché ti è sembrato strano?”
“Perché all’improvviso lei esisteva. Capito dottoressa? Una figlia. Sangue del mio sangue, con i miei geni. E mi ha spaventato”
“Perché ti ha spaventato?”
“Ma come perché? Pronto? Sono il diavolo. E se lei diventasse come me? Non voglio che diventi come me. Che cos’è esattamente? È un angelo? È un miracolo? È l’incarnazione del male o è solo un’umana?”
“Perché dovrebbe essere l’incarnazione del male?”
“Innanzitutto, per la sua lingua lunga. La sua bocca è impregnata di sarcasmo. E mi stuzzica, mi punzecchia, è fastidiosa. Ecco uno dei motivi per cui potrebbe essere l’incarnazione del male. Poi sono sicuro che mi farà morire d’infarto. Flirta e fa sesso con i ragazzi. E non dovrebbe, giusto? E poi c’è tutta la questione che è figlia mia, dunque è figlia del diavolo che voi ritenete sia il male supremo, anche se non è così”
Linda cercò di mantenere un’espressione imperscrutabile e seria, ma mentre lui si dilungava in quel discorso, le spuntò un genuino sorriso sul viso.
“Lucifer penso che tu ti stia affezionando a questa ragazza e ti interessa di lei così tanto che hai paura ricada nei tuoi stessi errori, vuoi tutelarla. Ecco perché hai paura che diventi come te, come il ‘diavolo’ che dici di essere.”
Lui la guardò non sapendo che dire. Aveva ragione, si stava affezionando a quel tornado che gli aveva stravolto la vita. E l’idea che fosse sua figlia ormai non lo spaventava. Le preoccupazioni riguardo la sua natura restavano ed erano tante, ma sentiva un grande sentimento nei confronti di quella ragazzina. E doveva ammettere di desiderare una cosa in particolare in quel periodo, a parte stare accanto alla detective, ovviamente. Voleva che sua figlia lo trovasse figo, divertente, simpatico. Voleva che Abigail gli volesse bene. La guardava interagire con Chloe e andavano molto d’accordo. Erano sempre insieme, ridevano per le stesse cose, si capivano con uno sguardo e, ogni tanto, dicevano anche delle cose all’unisono. Questo lo rattristava perché con lui non succedeva.
“Lucifer! Lucifer!” lo richiamò Linda.
“Si?”
“Tutto bene?”
“Non proprio dottoressa”
“Perché?”
“Sembra proprio che tu abbia ragione. Mi sto affezionando a questa ragazza, mi sto affezionando così tanto a lei da volere la sua approvazione”
“Che significa, spiegami?”
“Devo andare dottoressa, come al solito un ottimo lavoro. Ci vediamo al prossimo appuntamento” disse uscendo dallo studio.
Prese il telefono e cercò il numero di Abigail. Dopo qualche squillo lei rispose.
“Lucifer?”
“Sì, sono io. Sto venendo a prenderti, preparati”
“Veramente dovrei badare a Trixie finché Chloe è fuori”
“Va bene, la mocciosa può venire con noi”
“Ma dove?”
“Giornata padre-figlia. Non sei felice?”

 
Nel prossimo capitolo:
Arrivarono al luna park e immediatamente Trixie sgranò gli occhi come se avesse appena varcato le porte del paradiso e fosse stata inondata dalla luce divina.
“Luna Park!” urlò alzando le braccia prima di correre verso l’ingresso.
Abigail si affrettò a seguirla, costringendo, così, anche Lucifer a fare lo stesso.
“Trixie, non correre!” si premurò di dirle la ragazza.
La bambina si fermò davanti al carretto dei gelati all’ingresso. Si voltò a guardare Lucifer. L’uomo capì immediatamente. Si avvicinò disgustato e acquistò tre gelati. Si sedettero a mangiarli davanti alla maestosa ruota panoramica e dovette ammettere che non erano affatto male.
“Dovremmo salire lì sopra” propose lui.
“Sì, sì, sì!” esclamò ormai super entusiasta la più piccola.
“Che ne pensi, Abigail?” domandò lui guardandola speranzoso.
“Penso che sia un’ottima idea, Lucifer”
Lui sorrise genuinamente. Anche se a piccoli step, stavano facendo progressi. E questo gli scaldava il cuore. Come promesso, finito il gelato, salirono sulla ruota panoramica.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


Lucifer arrivò fuori casa di Chloe e suonò il campanello. Abigail andò ad aprire subito. Lui le regalò il sorriso più radioso che possedeva. La ragazza ricambiò e lo lasciò entrare. Non appena lo vide, Trixie gli corse in contro e cercò di abbracciarlo, ma lui le mise una mano in testa per tenerla a debita distanza. La bambina rideva di gusto trovando quel gioco divertente.
“Trix metti il giubbotto così usciamo” disse Abbi.
“Dove ci porti?” domandò la bambina fermandosi e guardandolo.
La mano di Lucifer ancora sulla sua testa. L’uomo la lasciò finalmente libera di muoversi e guardò sua figlia.
“Stavo pensando al luna park e poi una volta lì vediamo” disse lui.
Trixie sbarrò gli occhi eccitata. Il luna park era il suo posto preferito. Forse non era il posto giusto in cui portare Abigail, ma la ragazza non se la sentì di dirglielo. Lui era così entusiasta e in quel modo non l’aveva mai visto. Perciò le due salirono in macchina non con poche lamentele da parte di Lucifer. Niente piedi sui sedili in pelle, niente pelle sulla pelle dell’auto, niente dita appiccicose sulla carrozzeria, sui sedili o su qualunque pezzo appartenesse all’automobile. Insomma, dovevano restare ferme immobili fino al loro arrivo al luna park.
Trixie trovava Lucifer tanto bizzarro, motivo per il quale le stava così simpatico. Faceva delle facce strane e si vestiva come un mago, e in fondo credeva che lo fosse davvero. E come darle torto.
Abbi trovava Lucifer particolare. Al loro primo incontro non le aveva fatto una buona impressione. Le sembrava solo un pallone gonfiato un po’ fuori di testa. Soprattutto per via di quella storia secondo cui era il diavolo. Ma dai, il diavolo! Chissà cosa gli era successo di così grave da indurlo a credere di essere proprio Lucifero. Presto aveva capito che sotto quell’esagerazione, l’egocentrismo e le metafore improbabili si nascondeva una persona generosa, giusta, un uomo simpatico e anche piacevole, ma soprattutto un uomo buono. Quando scoprì che Lucifer era suo padre ci rimase un po’ male. Non credeva che fosse il tipo di persona che avrebbe mai voluto una figlia. Pensava che l’avrebbe a malapena rivisto o che non si sarebbe più fatto vivo. Ma non era così. Anzi, tutto il contrario. Nonostante dichiarasse apertamente di non volere figli, si preoccupava parecchio per lei, cercava delle scuse stupide per parlarle o andare a trovarla. Erano tutti tentativi di conoscerla. E più lo faceva e più Abigail gli si affezionava. Lucifer era una di quelle persone di cui, una volta conosciuto davvero, non si poteva più fare a meno. Era capace di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato, ogni volta e, se prima lo trovava fastidioso, ora lo trovava divertente e dolce.
Arrivarono al luna park e immediatamente Trixie sgranò gli occhi come se avesse appena varcato le porte del paradiso e fosse stata inondata dalla luce divina.
“Luna Park!” urlò alzando le braccia prima di correre verso l’ingresso.
Abigail si affrettò a seguirla, costringendo così anche Lucifer a fare lo stesso.
“Trixie, non correre!” si premurò di dirle la ragazza.
La bambina si fermò davanti al carretto dei gelati all’ingresso. Si voltò a guardare Lucifer. L’uomo capì immediatamente. Si avvicinò disgustato e acquistò tre gelati. Si sedettero a mangiarli davanti alla maestosa ruota panoramica e dovette ammettere che non erano affatto male.
“Dovremmo salire lì sopra” propose lui.
“Sì, sì, sì!” esclamò ormai super entusiasta la più piccola.
“Che ne pensi, Abigail?” domandò lui guardandola speranzoso.
“Penso che sia un’ottima idea, Lucifer”
Lui sorrise genuinamente. Anche se a piccoli step, stavano facendo progressi. E questo gli scaldava il cuore. Come promesso, finito il gelato, salirono sulla ruota panoramica.
Trixie continuava a fare avanti e indietro per la cabina, l’eccitazione e lo zucchero erano gli ingredienti perfetti per un disastro: una bambina indomabile. Nel frattempo, Lucifer guardava il panorama con una mano in tasca. Sembrava perso nei suoi pensieri. Abigail gli mise una mano sulla spalla e lo affiancò. Lui la guardò pensieroso e lei gli sorrise. Quello bastò a sciogliere la sua espressione. Ricambiò il sorriso.
“A che pensi?” gli domandò lei.
“Forse il luna park non è stata la scelta giusta, vero? Va meglio per i ragazzini dell’età di Trixie, un po’ meno per quelli della tua” disse lui incupendosi nuovamente.
“Non mi piace mentire, perciò ti dirò che sì, è vero, non è il primo posto in cui penserei di andare. Ma mi sto sinceramente divertendo. Mi fa piacere passare del tempo con te. E non c’è bisogno che mi porti qui o in nessun’altra parte. A me basta stare del tempo con mio padre, dove non è importante. Ogni luogo va bene se ci siamo io e te, no?” disse lei.
Gli occhi di Lucifer si fecero stranamente lucidi. Perciò puntò lo sguardo di nuovo sul panorama illuminato che si trovava di fronte.
“Hai ragione, il luogo non conta” disse.
Il giro terminò e i tre si incamminarono tra le giostre. Le urla dei ragazzini erano insopportabili tanto quanto le canzoncine dei chioschetti. Ma l’odore di popcorn e zucchero filato, quello di ciambelle calde e dei corn dog appena fritti rendeva tutto più sopportabile.
“Vieni, andiamo!” esclamò Abigail ad un certo punto prendendo la mano di Lucifer e portandolo davanti alle macchine da scontro. “Sei pronta Trix?” domandò guardando la bambina che annuì.
“Che succede?” domandò l’uomo.
“Macchine da scontro!” urlarono all’unisono le due.
Lucifer sembrava leggermente allarmato all’idea di quelle due contro lui. Sentiva che lo scontro fosse poco equo.
“No, no, no signorine” disse “Siete due contro uno, non vale. Ho bisogno di rinforzi” continuò tirando fuori il telefono. Si allontanò un attimo per poi tornare dalle due.
“Allora?”
“Il mio compagno sta arrivando. Così giochiamo ad armi pari” disse mettendo le mani sui fianchi.
Trixie e Abigail si guardarono confuse.
“Nel frattempo vi compro lo zucchero filato, che ne dite?” domandò lui per dare al suo compagno il tempo di arrivare.
Mangiarono lo zucchero filato seduti su una panchina proprio di fronte alle macchine da scontro.
“Le stai facendo mangiare così le sconfiggiamo quando vomitano?” domandò una voce.
“Papà!” esclamò Trixie andandogli in contro.
“Scimmietta” lui la prese al volo e le diede un bacio sulla guancia.
“Ah Daniel, finalmente! Ora che ci siamo tutti, possiamo dare inizio a questa sfida”
“Padri contro figlie” esclamò Trixie.
“Padri contro figlie” continuò Lucifer aggiustandosi il polsino della camicia.
Lucifer e Dan si posizionarono a fatica in una delle macchinine, facendo ridere Abbi e Trixie. Le altre due, con la più grande alla guida non ebbero le stesse difficoltà. Quando la sirena suonò si attivarono le macchine e la sfida poté cominciare. Nonostante alla guida ci fosse Lucifer, ogni qual volta qualcuno si scontrava con loro, la colpa ricadeva su Dan. Sembravano due idioti e questo rendeva il tutto ancora più divertente. Erano anni che entrambi gli uomini non si divertivano tanto facendo qualcosa di estremamente innocuo. Le luci calde del luna park rendevano l’atmosfera da sogno. Gli odori, i colori, i rumori, sembrava di stare in un film e Abigail fece di tutto per imprimere ogni singolo istante di quella giornata nella sua memoria. Non aveva conosciuto l’amore di una famiglia per tutta la vita. E, adesso che ne aveva avuto un assaggio, non ne poteva fare più a meno. La sua nuova famiglia era strana, nessuno lo metteva in dubbio, ma nonostante questo non avrebbe desiderato di meglio. Lucifer, Chloe, Trixie, Dan, Maze e Ella erano molto più di quanto potesse mai immaginare.
 
“Vi abbiamo distrutto!” esclamò Trixie camminando di fianco a Dan ed esultando.
“È stata solo fortuna” si appellò immediatamente Lucifer.
“Abbiamo vinto comunque noi, devi accettarlo” esclamò la bambina.
Tutti scoppiarono a ridere. Poi il cellulare di Abigail squillò e la ragazza si allontanò per rispondere.
“Pronto?” disse.
“Abbi sono appena rientrata e non vi ho trovate a casa, tutto bene?” era Chloe.
“Sì, ti ho mandato un messaggio per avvisarti che eravamo fuori”
“Ah, non l’ho letto. Sono ad un punto morto col caso e sto impazzendo. Lucifer è sparito di nuovo e sono rimasta sola a fare tutto, nonostante mi avesse promesso che mi avrebbe aiutato. È vero, mi lamento sempre di lui, ma il suo contributo sta diventando sempre più significativo e necessario nelle indagini. È tutto il giorno che provo a chiamarlo, ma nulla. Non mi risponde. Sono un po’ preoccupata e ovviamente sono arrabbiata. Tu l’hai sentito?” domandò la donna.
“A dire il vero sono con lui”
“Sei con lui?”
“Sì, è venuto a prendermi questo pomeriggio per una giornata padre-figlia ed è qui con me. Vuoi che te lo passi?”
Chloe non rispose, non subito.
“Chloe ci sei?”
“Sì, non preoccuparti. Goditi la serata, chiamerò Dan”
“Veramente anche Dan è qui con noi. L’ha chiamato Lucifer”
“Lucifer ha chiamato Dan?”
“Sì, comunque tra poco saremo di ritorno”
“Oh, no tranquille, godetevi la serata. Divertitevi” rispose lei prima di chiudere il telefono.
Chloe si sedette sul divano incredula. Lucifer era stato irrintracciabile per tutto il giorno. E ora veniva a sapere che aveva dedicato la giornata a sua figlia. Si rese conto che in fondo era un atteggiamento non proprio inaspettato. Il padre di Abbi dall’esterno poteva sembrare una persona superficiale, ma in realtà non lo era. Quando voleva bene a qualcuno aveva modi piuttosto bizzarri di dimostrarlo, ma lo faceva. Le scaldò il cuore il pensiero che avesse organizzato una giornata per stare con sua figlia. E aveva invitato anche Dan e Trixie. Dan che lui chiamava detective stronzo. Dan che non sopportava all’inizio. E adesso uscivano addirittura assieme con le loro figlie, con le sue figlie. Sorrise al pensiero dei battibecchi da coppia sposata che sicuramente stavano avendo. Dicevano di non sopportarsi, ma erano tenerissimi e divertenti da guardare, soprattutto quando bisticciavano come due signore anziane.
Lasciò andare quei pensieri e si concentrò sul lavoro. Prese i documenti del caso e cominciò ad analizzarli dall’inizio. Era un caso di grande importanza per via della vittima, un uomo abbastanza in vista a Los Angeles. I suoi capi le facevano pressione perché lo chiudesse nel minor tempo possibile, ma senza Lucifer e lavorando da sola le sembrava quasi impossibile. Lucifer aveva dei metodi non convenzionali e alle volte esagerati, che rispecchiavano esattamente la sua persona. Non era un uomo che indossava maschere o si nascondeva. Questa era la qualità che più di tutte apprezzava di lui, la sincerità. Non le aveva mai mentito. Certo, ogni tanto ometteva qualcosa o raccontava solo una parte di verità, ma c’era sempre una spiegazione. Quella volta le aveva promesso che l’avrebbe aiutata col caso e lei sapeva che lo avrebbe fatto. Pur ritardando nel mantenere la sua parte di accordo.
Il rumore delle chiavi nella serratura, catturò la sua attenzione. Abigail, Trixie, Lucifer e Dan entrarono in casa chiacchierando rumorosamente. Trixie stringeva tra le braccia un orso gigante.
“Mamma!” disse quando la vide andandole in contro.
“Ehi scimmietta, ti sei divertita?” domandò lei dandole un bacio sulla guancia.
“Sì, guarda che cosa ha vinto per me Lucifer!” esclamò agitando faticosamente l’orso.
“È bellissimo” rispose sorridendole dolcemente.
“Trix va’ a prendere le tue cose, stasera dormi da me, ricordi?” disse Dan.
La bambina annuì e, aiutata da Dan, portò l’orso in camera.
“Ti sei divertita?” domandò dolcemente Chloe avvicinandosi ad Abigail e circondandole le spalle con un braccio.
“Sì, è stata davvero una bella giornata” rispose la ragazza, poi guardò Lucifer “Grazie, Lucifer” disse.
Trixie e Dan salutarono tutti e andarono via.
“Oh, non è nulla. Forse il luna park era più un posto da bambini, ma come abbiamo detto non è il posto che è importante, l’importante è stare insieme” disse Lucifer un po’ imbarazzato sotto lo sguardo curioso di Chloe.
“Sì, è vero. Ma devi credermi quando ti dico che mi sono divertita. Soprattutto quando vi abbiamo fatto il culo alle macchine da scontro” disse sorridente Abigail.
“Ma smettila, è chiaro che vi abbiamo lasciato vincere” fece lo stesso Lucifer.
Chloe li guardava felice. Avrebbe tanto voluto abbracciarli entrambi, ma si ripeté che sarebbe stato imbarazzante. Perciò rimase in silenzio a guardarli.
“Beh, io allora vado. Grazie ancora per la bella giornata” disse Lucifer impacciato guardando sua figlia.
“Grazie a te” rispose lei prima di abbracciarlo.
Quel gesto lo lasciò senza parole. Sorrise a quel contatto e l’abbracciò anche lui, guardando con gli occhi lucidi Chloe che stava dietro Abigail. Lei gli sorrise con tenerezza. In quel momento capì che era fregato. Fosse dipeso da lui, non sarebbe tornato a casa. Sarebbe rimasto lì con quelle due a fare qualunque cosa facciano le normali e noiose famiglie. Avrebbe guardato un noiosissimo film alla tv, giocato a Scarabeo o peggio a Monopoly pur di restare ancora con loro. Avrebbe rinunciato a tutte le donne del mondo per poter passare un altro po’ di tempo con la detective e sua figlia. Abigail sciolse l’abbraccio.
“Chloe vado a farmi una doccia, poi se non hai cenato potrei cucinare qualcosa”
“Non hai cenato, detective?”
“Sicuramente se n’è dimenticata, vero?” domandò Abbi.
Chloe li guardò con aria colpevole. Alzò le spalle.
“Ok, sì, me ne sono dimenticata. Ma il caso mi sta consumando. Sono ad un punto morto e al momento è la mia unica priorità, perciò mangiare non è esattamente il mio primo pensiero” confessò lei.
“Ma detective ti aiuto io col caso. Te l’ho già detto”
“Sì Lucifer, ma sei anche sparito per tutto il giorno senza rispondere al telefono. Non ti chiedo di rinunciare a tutto nella tua vita per aiutarmi, ma almeno non sparire, avvisami. Ho saputo da Abbi che avevi organizzato questa giornata per lei e credimi questo mi ha resa felicissima. Ma la prossima volta, avvisami. Devo potermi fidare del mio partner, capisci?”
“Capisco detective e ora sono qui. Sono qui e sono pronto ad aiutarti. Abigail, va’ a lavarti, penso io alla cena. E dopo ci mettiamo al lavoro. Non si lavora a stomaco vuoto, dovresti saperlo. Voi poliziotti siete quelli che hanno inventato la filosofia prima il piacere del cibo o meglio delle ciambelle e dopo il dovere, no?”
Chloe lo guardò contrariata e allo stesso tempo divertita da quella affermazione imprecisa, ma decise che non avrebbe aggiunto altro per evitare un’inutile polemica.
Abbi intanto era salita a lavarsi e lei colse l’occasione per esprimere alcuni suoi timori nei confronti del suo partner.
“Lucifer vorrei parlarti di una cosa”
“Dimmi detective”
“Hai presente l’altro giorno, quando non ti ho detto del caso e ti sei presentato comunque sulla scena del crimine dopo avermi seguito?” domandò lei.
Lui, che si era tolto la giacca e si stava legando il grembiule alla vita annuì.
“Eri piuttosto irascibile quella mattina, detective”
“È proprio di questo che volevo parlarti” fece una pausa “mi dispiace di essermi comportata così, non te lo meritavi. Ma ero furiosa con te. Mi hai dato buca per due casi solo perché non erano abbastanza interessanti per il tuo gusto. E questo non può succedere, non più, Lucifer. Noi abbiamo una partnership. Lavoriamo assieme e se tu vieni meno, se mi lasci sola non funziona. Non puoi lasciare il tuo partner in difficoltà solo perché un caso non ti sembra entusiasmante. Noi due dobbiamo aiutarci, dobbiamo fidarci l’uno dell’altro. E per quanto io voglia fidarmi di te, ho bisogno di dimostrazioni da parte tua. Il che significa che devi restare al mio fianco anche quando i casi non sono interessanti. Perché c’è sempre una vittima a cui hanno rubato la cosa più preziosa che possa esistere, la vita. Ed è compito nostro dar loro giustizia. Capisci?” disse.
Lucifer realizzò in quell’istante che la dottoressa aveva ragione. C’era effettivamente qualcosa che aveva fatto per far perdere a Chloe la fiducia in lui.
“La dottoressa aveva ragione, hai perso la fiducia in me. Detective, perdonami. Ti ho dato per scontata e ho dato per scontato il nostro lavoro. Ero convinto che ce la facessi benissimo senza di me e sono stato egoista. Ti chiedo di perdonarmi, sono profondamente dispiaciuto” rispose lui guardandola dritta negli occhi.
“Lucifer so che a volte non ci pensi a queste piccole cose, ma ti chiedo di farlo. Ti chiedo di farlo per me. Se tieni a questo lavoro, se tieni a risolvere questi omicidi e a punire i colpevoli, ti prego di non dare mai per scontato niente”
“Non lo farò detective, non darò più le piccole cose per scontate. Te lo assicuro. Ma soprattutto non darò per scontata te. Devo ammettere che il modo in cui mi hai trattato l’altro giorno non è stato piacevole e volevo capire cosa avessi fatto di sbagliato. La dottoressa ha ragione, a volte parlare direttamente è la cosa migliore. Grazie per avermelo detto” continuò lui.
Si guardarono per un istante, un istante in cui nessuno dei due sapeva cosa dire o cosa fare. I loro sguardi erano incollati l’uno all’altra. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Chloe sentiva l’esigenza di abbracciarlo per chiudere definitivamente quella discussione. Ma sapeva che avere un contatto fisico con quell’uomo, di qualunque natura fosse, era altamente pericoloso per lei. Aveva resistito tutto questo tempo, tutti questi mesi da quando si erano rincontrati. Non poteva cedere adesso. Solo che lui continuava a guardarla con quegli occhi da cucciolo, quelli che faceva quando si sentiva in colpa per qualcosa e lei sapeva che non avrebbe resistito. Mentre cercava un modo per pensare ad altro, gli si era avvicinata. Le sue braccia si stavano alzando e non riuscì a controllarlo. Lo abbracciò. La testa sul suo petto così familiare. Le sembrò di essere tornata a tanti anni prima. A quand’erano solo due ragazzini innamorati. Il suo profumo era sempre lo stesso, le sue braccia avevano ancora quello stranissimo potere di farla sentire protetta e quegli occhi... Sbagliò ad alzare lo sguardo e a incontrare il suo sguardo. Era confuso, ma la teneva stretta. Sentì l’irresistibile voglia di accarezzargli il viso, di baciarglielo, ma si fermò quando sentì il rumore dello stereo provenire dal piano superiore. Abigail adorava farsi la doccia con la musica. Questo la riportò con i piedi per terra. Si allontanò immediatamente da lui e corse a prendere i documenti del caso. Mentre lui si occupava della cena si preoccupò di metterlo al corrente e di raccontargli cosa avesse scoperto fino a quel momento.


Nel prossimo capitolo:
Lucifer quella mattina si svegliò con tutte le migliori intenzioni. Indossò uno dei suoi completi preferiti, pantalone e giacca neri e una camicia bordeaux. Molto semplice ma comunque elegante. Prese le chiavi dell’auto e le fece girare attorno al dito mentre aspettava ansioso l’ascensore. Aveva in mente un’idea grandiosa. Voleva sorprendere la detective, un gesto semplice per celebrare la risoluzione dell’ultimo caso, voleva prepararle la colazione. L’ascensore arrivò e Lucifer ci si chiuse dentro impaziente di raggiungere l’auto. Ma, una volta fuori, fu raggiunto dalle Brittany che cercarono di portarselo a letto. Malgrado la tentazione, lui si ritrovò a rifiutarle sotto lo sguardo stranito di Maze. Una cosa del genere non era mai successa prima di quel momento. Raggiunse l’auto e guidò lentamente assaporando ogni istante di quel breve viaggio.


Journey's Corner:
Di solito aggiorno di venerdì, ma questa settimana non mi sarà possibile, motivo per il quale ho deciso di aggiornare oggi. Dalla prossima settimana tutto tornerà com'era prima. Quindi il giorno di pubblicazione del nuovo capitolo rimarrà il venerdì. Grazie a tutti coloro che leggono e soprattutto a chi dedica qualche minuto in più alla mia storia, lasciando delle recensioni sempre graditissime.
A venerdì prossimo,
-Journey

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Lucifer quella mattina si svegliò con tutte le migliori intenzioni. Indossò uno dei suoi completi preferiti, pantalone e giacca neri e una camicia bordeaux. Molto semplice ma comunque elegante. Prese le chiavi dell’auto e le fece girare attorno al dito mentre aspettava ansioso l’ascensore. Aveva in mente un’idea grandiosa. Voleva sorprendere la detective, un gesto semplice per celebrare la risoluzione dell’ultimo caso, voleva prepararle la colazione. L’ascensore arrivò e Lucifer ci si chiuse dentro impaziente di raggiungere l’auto. Ma, una volta fuori, fu raggiunto dalle Brittany che cercarono di portarselo a letto. Malgrado la tentazione, si ritrovò a rifiutarle sotto lo sguardo stranito di Maze. Una cosa del genere non era mai successa prima di quel momento. Raggiunse l’auto e guidò lentamente assaporando ogni istante di quel breve viaggio. Il venticello fresco di Los Angeles al mattino gli soffiava sul viso, la gente si muoveva frenetica da un marciapiede all’altro puntando lo sguardo sui loro telefoni come fossero degli automi, mentre lui, seduto comodamente a bordo della sua meravigliosa auto, si gustava quello sprazzo di umanità, un quadro che per tanto tempo aveva osservato e che da anni era diventato la sua quotidianità. Si sentiva parte di quel luogo, si sentiva a casa in quella città. E lui non si era mai sentito a casa da nessuna parte, neppure nella Città d’Argento. Arrivò a casa della detective e guardò l’orologio. Sicuramente era già sveglia e, se aveva fatto bene i conti, in quel momento si sarebbe dovuta trovare sotto la doccia per godersi i tanto agognati trenta minuti di cui parlava quand’era stressata. La porta era chiusa a chiave e lui decise di aprirla. Entrò in casa e si mise immediatamente ai fornelli. Avrebbe deliziato la detective con una omelette squisita. Non per vantarsi, ma Lucifer sapeva di essere un cuoco eccezionale. D’altronde in tutto quel tempo passato all’inferno doveva pur fare qualcosa oltre che torturare le anime dei peccatori.
Nel frattempo, al piano di sopra, Chloe si copriva il corpo con un asciugamano. Aveva sentito un rumore proveniente dal piano di sotto e si era allarmata. Abigail era uscita presto per andare ad un colloquio dall’altra parte della città e Trixie dormiva da Dan. Si affrettò a prendere la pistola e, con fare cauto, seguì i rumori che la condussero in cucina. L’arma ben puntata davanti, l’asciugamano stretto sotto le ascelle per evitare che le scivolasse di dosso e lo sguardo attento.
“Lucifer!” esclamò quando vide l’uomo in piedi davanti al tavolo.
Presa dalla sorpresa e con l’adrenalina ancora in circolo per lo spavento, non si accorse che l’asciugamano le era caduto e che era completamente nuda davanti a lui.
“Buongiorno, detective!” esclamò lui osservandola meticolosamente con uno stupido ghigno sul viso.
“Che diavolo ci fai tu qui?” domandò lei raccogliendo immediatamente l’asciugamano e riavvolgendoselo attorno al corpo.
“Sto apparecchiando la tavola” disse con nonchalance.
“Sei piombato in casa mia”
“Spero non ti dispiaccia, ti ho preparato la colazione. Ci hai messo una vita nella doccia, che cosa fai lì dentro?” domandò con malizia scrutando ancora una volta il suo corpo da testa a piedi, questa volta però coperto da quel sottile strato di stoffa di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
“Sei incredibile!” esclamò lei nervosa. Non troppo perché lui fosse piombato in casa sua senza neppure bussare o perché l’avesse vista nuda, non era la prima volta che quest’ultima cosa in particolare succedeva, ma era furiosa perché aveva interrotto i suoi trenta minuti di puro relax.
“Ti ringrazio, ma in realtà sei tu che dovresti prenderti il complimento. Sei ancora meglio di come ricordavo, ding dong!” esclamò mentre girava l’omelette e guardava lei.
“Vorrei spararti” disse Chloe esasperata.
“L’hai già fatto una volta, ricordi?” disse senza staccare gli occhi dalla donna che aveva davanti.
“Lucifer va via da casa mia adesso!” esclamò seria portandosi una mano sul fianco e assumendo una posizione seriosa.
“Non abbiamo ancora mangiato” disse voltandosi e cominciando a cercare qualcosa negli scaffali.
“Fuori!” si limitò a ribadire lei.
“Ma non abbiamo ancora discusso del prossimo caso” protestò lui.
“Non c’è nessun prossimo caso al momento, fuori!” esclamò ancora lei prendendolo per mano per condurlo personalmente alla porta.
Proprio in quel momento Abigail entrò in casa.
“Per Dio che state facendo?” domandò Abbi coprendosi gli occhi.
“Niente in suo nome, sono qui per conto mio” rispose Lucifer.
“Che diavolo significa?” domandò ancora la ragazza.
“Già meglio” commentò lui.
“Lucifer stava andando via e non stavamo facendo nulla. Vero?” rispose Chloe interpellando il suo partner.
“Non di certo per colpa mia” si giustificò lui.
Quello fu abbastanza. Chloe lo prese di nuovo per il braccio e lo trascinò fuori casa. Ma lui si mise a bussare.
“Detective! Detective! Detective!”
Chloe serrò la mascella irritata e dopo aver preso un respiro profondo andò ad aprire la porta.
“Cosa c’è Lucifer? Ti prego sono in ritardo e devo andare in centrale”
“Se non la giri, l’omelette brucerà. E sarebbe uno spreco”
“È per questo che stavi bussando?”
“Certo, detective”
Senza dire altro, Chloe gli chiuse la porta in faccia. Si girò a guardare Abigail che se la rideva.
“Tu non avevi un colloquio di lavoro oggi?” domandò guardandola.
“No, ho sbagliato il giorno, me ne sono accorta mentre ero in pullman, così ho girato i tacchi e sono tornata casa. Giusto in tempo per questo spettacolo mattutino” rispose divertita.
“Già, Lucifer è”
“Teatrale? Strano? Divertente?”
“Sì, è tutte queste cose e, ammetto, è anche piuttosto dolce. Ma mi ha fatto imbestialire, mi ha spaventata e ha rovinato i miei trenta minuti di pace” si lamentò.
Abigail rise e appoggiò lo zaino sul divano.
“Dai, domani potresti concederti dieci minuti in più e lasciare che sia io a preparare la colazione”
“Hai ragione” convenne Chloe. Le due rimasero in silenzio per un attimo “Dato che hai sbagliato il giorno del colloquio, che farai oggi?” domandò.
“Penso che andrò a trovare Janet e i ragazzi della casa-famiglia, non li vedo da un po’” disse.
“È un’ottima idea. Sei molto affezionata a lei e quello che continui a fare per quei bambini è fantastico. Chissà, magari è un segno”
“Che intendi?” domandò curiosa Abbi.
“Forse quando andrai al college potresti studiare per diventare assistente sociale, proprio come Janet. Con il cuore che hai potresti farlo”
Abbi ci pensò un attimo. Chloe aveva ragione. Si era sempre presa cura degli altri quand’era lì e chi meglio di lei conosceva quei posti e quei bambini?
“Pensaci su” disse la donna. Dopodiché si trascinò con fare drammatico verso le scale, borbottando ancora per i trenta minuti perduti.
 
Abigail bussò alla porta della casa-famiglia e Janet andò ad aprire. Il suo viso si illuminò quando la vide e l’abbracciò forte. Erano più di due settimane che non andava a trovarli. Prima riusciva ad andarci più di frequente, ma nell’ultimo periodo aveva cercato di spendere più tempo possibile con Lucifer per conoscerlo meglio, trascurando, suo malgrado, i suoi vecchi affetti.
“Abigail, tesoro, non vedevo l’ora di vederti. Come stai? Come sta andando con la tua famiglia. Raccontami, raccontami tutto” disse la donna sciogliendo l’abbraccio e prendendole le mani.
“Janet non hai idea di quante cose ho da dirti” cominciò a dire.
Due bambini di all’incirca sette e otto anni cominciarono a rincorrersi nell’androne e Abbi capì che avrebbero dovuto aspettare un po’ per potersi dedicare alle chiacchiere.
“Tesoro che ne dici se stasera, dopo il lavoro, vieni a cena da me e mi racconti tutto? Adesso abbiamo un problema più grande da risolvere. Sei di loro sono rimasti a casa oggi perché hanno la gastroenterite. Kevin e Tom mi stanno facendo dannare. Gli ho ripetuto di rimanere a letto e loro che fanno? Si rincorrono. Poi vomitano ovunque e John è in ritardo, sono nei guai” affermò indicando i due bambini.
“Sono qui per aiutarti, cosa posso fare?” domandò.
“Ti ringrazio, sei un angelo! Allora, dobbiamo farli alzare e mandarli a farsi la doccia. Dopodiché si devono mettere i pigiami puliti e dobbiamo lavare quelli sporchi. Dobbiamo rifare le stanze e cambiare le lenzuola. Rimetterli a letto, pulire i secchi che hanno per vomitare e rimetterglieli accanto. Che altro?” disse camminando avanti e dietro per la casa “Ah, sì. Dobbiamo pulire tutte le stoviglie e fare in modo che siano sterilizzate per quando torneranno i ragazzi da scuola. Metti la mascherina, ovviamente e fai attenzione ai bicchieri o alle posate che usi. Potrebbero essere contaminate. Ora devo chiamare John perché è in ritardo di un’ora!” esclamò infastidita. Prese il telefono e si allontanò.
Abbi rise. Janet era la donna più dolce del mondo, anche quando era arrabbiata ti diceva le cose con una dolcezza inconfondibile. Appoggiò lo zaino nello stanzino e lì ripose anche la felpa. Andò al piano di sopra, entrò nel bagno di servizio e prese dall’armadietto vicino allo specchio e al lavandino, una mascherina. Se la mise ed entrò in camera dei bambini.
“È arrivato il dottore!” esclamò facendoli sobbalzare. Poi scoppiò a ridere, facendoli tranquillizzare.
Janet la raggiunse poco dopo e la trovò seduta sul letto di una ragazzina. Le accarezzava i capelli dolcemente mentre la rassicurava che presto sarebbe guarita. La donna sorrise davanti a quel gesto.
“Ragazzi dovete andare a fare la doccia. Così possiamo sistemarvi le stanze così potrete tornare a riposare in dei letti puliti e profumati” disse lei portando una pila di lenzuola pulite.
I ragazzi si alzarono moribondi e si diressero in bagno, mentre Abbi e Janet ripulivano la stanza.
“Kevin, Tom! Vi prego ragazzi, andate a lavarvi” disse lei con gentilezza.
“Possiamo mangiare la pizza?”
“Ragazzi non posso darvi la pizza, avete l’influenza dello stomaco. Se vi do la pizza starete di nuovo male. E voi non volete vomitare di nuovo e passare la giornata sul gabinetto, vero?” domandò lei.
I due si guardarono e scossero la testa.
“Va bene, ci andiamo a fare la doccia, ma quando guariremo ci farai mangiare una doppia porzione di pizza?” domandò Tom.
“Certo” rispose lei sorridendogli.
 
A fine giornata le due erano esauste. John era arrivato con un’ora e venti di ritardo per via del traffico impossibile di Los Angeles. Nel frattempo, alcuni dei bambini avevano vomitato nelle docce scatenando l’isteria generale. Janet infilò la chiave nella serratura e spinse la porta con il piede. Lei e Abigail entrarono in casa e si sistemarono in salotto. Non avevano ancora cenato.
“Ordiniamo una pizza?” domandò Janet.
“Sì, dai, ottima idea” rispose Abbi.
Proprio in quell’istante qualcuno suonò il campanello. Janet ripose il telefono sul tavolino da caffè che aveva davanti al divano e andò ad aprire la porta.
“Buonasera”, disse la persona alla porta.
“Oh, buonasera Uriel” rispose lei sorridendogli.
“Ho visto la luce accesa e ho pensato di portarti questa” disse mostrandogli una teglia coperta da carta stagnola. “È una lasagna, l’ho appena tirata fuori dal forno. È troppa per me, perciò mi chiedevo se ti andasse, magari di cenare assieme” disse.
“Oh, è un’ottima idea, ho già un ospite. Se per te non c’è problema potresti unirti a noi, che ne dici?”
“Penso sia fantastico” rispose lui.
La donna si spostò dall’uscio, lo fece entrare e accomodare in cucina.
“Abbi, tesoro, il mio vicino ci ha portato la cena” esclamò la donna.
La ragazza che era ancora in salotto, li raggiunse.
“Piacere Abigail” disse porgendogli la mano.
“Ah, la famosa Abigail, finalmente ci conosciamo. Janet mi ha parlato molto di te” affermò lui.
“Oh, davvero?”
“Sì, tiene tanto a te, dice che sei una ragazza speciale” affermò lui.
E il modo in cui pronunciò speciale rese Abigail sospetta. C’era qualcosa di strano in quell’uomo. Sorrise e continuò a parlarci senza lasciar trapelare le sue vere emozioni.
Per tutta la cena, quell’uomo non aveva fatto altro che farle domande sulla sua ritrovata famiglia, permettendosi anche il lusso di commentare.
Janet le disse che era stato proprio Uriel a parlarle del posto vacante alla casa-famiglia. L’aveva sentito da un collega al lavoro e fu lui ad accompagnarla al colloquio per ottenere il lavoro. Le raccontò che vivendo entrambi soli, spesso cenavano assieme e che le aveva parlato di lei e della sua sfortuna nell’essere adottata. Quell’uomo conosceva praticamente tutto di lei e il modo in cui la guardava era inquietante. Lui era inquietante. Dopo cena mandò un messaggio a Lucifer chiedendogli di passarla a prendere.
Dieci minuti dopo, suo padre era fuori casa di Janet. Abigail salutò la donna con un abbraccio e Uriel con una stretta di mano e, afferrato lo zaino, uscì in fretta. Entrò a bordo dell’auto di Lucifer e gli diede un bacio sulla guancia, lasciandolo piacevolmente colpito.
“Com’è andata la giornata?” domandò lui.
“La giornata bene, la cena è stata un po’ inquietante?” affermò.
“Inquietante? In che senso?” chiese curioso il padre tenendo gli occhi sulla strada mentre guidava.
“Non so, c’era questo vicino di casa di Janet. Era proprio un tipo strano e inquietante. Mi ha fatto tremila domande su di voi” rispose.
“Gli umani non sanno proprio farsi i fatti loro”
“Aveva anche un nome da imbecille… Uriel. Chi chiama un figlio Uriel?” domandò.
Lucifer frenò di colpo facendo sbalzare in avanti Abbi che fu frenata dalla cintura. Lei si voltò a guardarlo spaventata.
“Sei impazzito?” domandò.
“Uriel? Bassino, labbra sottili, fastidioso, brizzolato con una voce incredibilmente irritante?” disse.
“Sì, lo conosci?”
“Ti riporto a casa” esclamò lui senza risponderle.


Nel prossimo capitolo:
Lucifer guidò più in fretta possibile. Arrivò a casa di Chloe e si precipitò dal lato del passeggerò. Prese Abigail in braccio, come se pesasse nulla, e corse fino alla porta. La ragazza continuava ad urlargli di metterla giù, ma lui non la stava a sentire. In quel momento aveva problemi più pressanti. Suo fratello, Uriel era sulla terra. Tra i suoi fratelli era quello più pericoloso. Era il più pericoloso per via del suo potere di alterare gli eventi e di prevedere il futuro. E ora, sicuramente sapeva che Abbi era sua figlia, perciò era in pericolo. Doveva assicurarsi che fosse al sicuro, ma come fare? Chloe nonostante fosse coraggiosa, intrepida e avrebbe fatto di tutto per proteggere le sue figlie, era impotente di fronte ad un angelo. Avrebbe potuto chiamare Mazikeen, ma anche con lei, non sarebbero state al sicuro. C’era solo una persona che avrebbe potuto aiutarlo. Solo una che avrebbe potuto lottare contro suo fratello ad armi pari: Amenadiel. Questo avrebbe significato dirgli di avere una figlia e poi vedersela con la sua ira funesta. Non ci pensò due volte. Era la cosa giusta da fare. Vedersela con l’ego e l’ira di suo fratello gli sembrava il minore dei problemi.


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


Lucifer guidò più in fretta possibile. Arrivò a casa di Chloe e si precipitò dal lato del passeggerò. Prese Abigail in braccio, come se pesasse nulla, e corse fino alla porta. La ragazza continuava ad urlargli di metterla giù, ma lui non la stava a sentire. In quel momento aveva problemi più pressanti. Suo fratello, Uriel era sulla terra. Tra i suoi fratelli era quello più pericoloso. Era il più pericoloso per via del suo potere di alterare gli eventi e di prevedere il futuro. E adesso, sicuramente sapeva che Abbi era sua figlia, perciò era in pericolo. Doveva assicurarsi che fosse al sicuro, ma come fare? Chloe nonostante fosse coraggiosa, intrepida e avrebbe fatto di tutto per proteggere le sue figlie, era impotente di fronte ad un angelo. Avrebbe potuto chiamare Mazikeen, ma anche con lei, non sarebbero state al sicuro. C’era solo una persona che avrebbe potuto aiutarlo. Solo una che avrebbe potuto lottare contro suo fratello ad armi pari: Amenadiel. Questo avrebbe significato dirgli di avere una figlia e poi vedersela con la sua ira funesta. Non ci pensò due volte. Era la cosa giusta da fare. Vedersela con l’ego e l’ira di suo fratello gli sembrava il minore dei mali.
Chloe andò ad aprire la porta. Lui si precipitò all’interno, mise giù Abigail e la chiuse. Si voltò verso le due che ora lo guardavano senza parole.
“Lucifer sei impazzito? Che sta succedendo?” domandò Chloe.
Non l’aveva mai visto così spaventato. Aveva gli occhi spalancati e si muoveva nervosamente avanti e indietro.
“Non siete al sicuro. Non siete al sicuro!” disse passandosi una mano tra i capelli.
“Lucifer, stai bene?” domandò seriamente preoccupata la detective avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sul viso.
Quel contatto bastò a farlo fermare. Guardò la donna che aveva di fronte e per un secondo si dimenticò cosa stesse accadendo.
“Che succede?” domandò lei riportandolo con i piedi per terra.
“Siete in pericolo. Abigail è in pericolo. E io devo andare” disse.
Prese la mano che Chloe aveva appoggiato sul suo viso e la spostò. Si girò di spalle e giunse le mani in segno di preghiera. Sperò che Amenadiel arrivasse in fretta. E, da bravo soldato qual era, lui arrivò.
“Che succede, Luci?” domandò scocciato.
“Sapevi che Uriel è qui?” chiese il diavolo in preda al panico.
“Luci, calmati. No, non ne avevo idea, è lui quello che predice il futuro, non io, ricordi?”
“Che ci fa qui, Amenadiel?”
“Non ne ho la più pallida idea”
“Devi aiutarmi”
“Che hai fatto sta volta?” domandò Amenadiel scocciato.
“Amenadiel devi proteggerle” rispose Lucifer indicando le due donne.
“Perché dovrei proteggere due umane?” continuò a chiedere l’angelo.
“Perché lei è mia figlia, Amenadiel. E lei, beh lei è la madre di mia figlia, la ragione per cui sono tornato qui cinque anni fa ed è anche la ragione per cui ho accettato di tornare all’inferno quasi vent’anni fa” confessò il diavolo indicando prima Abigail e poi Chloe.
“Luci sai che non possiamo procreare con gli umani, questa umana ti avrà preso in giro. E spiegami, perché è la ragione per cui sei andato via e poi tornato?” domandò curioso Amenadiel.
“Stiamo sprecando tempo prezioso, fratello. Circa vent’anni fa avevo una relazione con Chloe. Avevo deciso che la mia vita era qui, sulla terra e che non sarei più tornato all’inferno. Ero innamorato. Ma un giorno Uriel si fece vivo, si fece vivo dicendomi che papà era furioso. Che se non fossi tornato all’inferno, due persone a me care avrebbero incontrato una tragica sorte. C’erano solo due persone sulla terra di cui mi importasse qualcosa, Chloe e Mazikeen. Non avrei mai potuto mettere a rischio la loro vita, perciò dissi alla detective che dovevo andare via, che dovevo tornare a casa. Lei ha creduto che fossi tornato in Inghilterra, non che sia poi tanto diversa dall’inferno. E così non ci siamo più visti. Poi, cinque anni fa, ho deciso di tornare. Chloe però era sposata con un altro uomo. Non avevo più motivi per temere l’ira di nostro padre, amava un altro. Uno che non ero io. E non avrei mai fatto nulla per rovinare la sua felicità, perciò non l’ho più cercata. Ho creduto che fosse al sicuro, che non c’erano più rischi. E quando lei è tornata per caso nella mia vita, non ce l’ho fatta a lasciarla. Non di nuovo, capisci. Poi ho scoperto di Abigail e tutto è diventato ancora più difficile perché le voglio bene e non la lascerei mai. Ma ho sbagliato. Ho sbagliato di nuovo. Non era di Mazikeen che parlava Uriel, me lo sento. Lui parlava di Abigail. E ora è di nuovo qui. E forse è qui per prendersi Chloe o per prendersi mia figlia. E non posso lasciarglielo fare. Capisci, Amenadiel? Non posso permetterglielo. Tu devi proteggerle. Tu sei il guerriero di nostro padre e devi lottare per proteggere queste due sue creature” disse.
“Luci mi stai chiedendo aiuto?”
“Ti sto pregando, fratello. Sono disperato”
E lo era. Lucifer era davvero disperato. Si sentiva terribilmente in colpa. Sentiva di essere l’unico responsabile di quella situazione. Non aveva mai provato una paura così grande, un sentimento tanto umano ed era pietrificante, destabilizzante, ingestibile.
“Ti aiuterò, ma solo perché sono convinto che quella non sia tua figlia. E perché Uriel non mi è molto simpatico. Tu che farai?”
“Devo andare da lui. Devo sapere che piani ha. Devo sapere cosa accidenti vuole da me!” esclamò.
“Fa’ attenzione, fratello. Uriel sa essere pericoloso e probabilmente ti sta già aspettando”
Detto questo, Amenadiel fece ripartire il tempo alla sua normale velocità. Chloe e Abigail rimasero sorprese dall’uomo che si trovarono improvvisamente in casa.
“Avrei voluto che non vi conosceste. Ma, lui è Amenadiel, mio fratello. Io devo andare, lui vi proteggerà. Per favore lasciate che faccia il suo lavoro e non cercate di interferire in alcun modo” si preoccupò di avvertirle Lucifer prima di andare via.
 
Lucifer tornò a casa di Janet e bussò alla porta finché quella non andò ad aprirgli. La donna lo guardò spaventata.
“Dov’è, dov’è Uriel?”
“Lei chi è, mi scusi?” domandò Janet intimorita.
“Sono il padre di Abigail, sono suo fratello”
“Lei è il fratello di Uriel?” chiese la donna stranita “Ed è il padre di Abigail?”
“È forse sorda?” domandò infastidito l’uomo.
“Uriel vive qui accanto. È tornato a casa poco fa”
Senza neppure dirle grazie, il re degli inferi si affrettò a raggiungere la porta della casa in cui, a quanto pare, viveva suo fratello. Prima che potesse alzare il braccio per bussare, Uriel l’aprì e lo fece entrare.
“Semael, è da un po’ che non ci si vede” disse con la sua solita espressione beffarda allontanandosi dall’uscio e invitandolo a entrare con un gesto della mano.
“Cosa sei venuto a fare qui?” domandò immediatamente Lucifer.
“Cosa sei venuto a fare qui tu, Lucifer. Avevamo un accordo. La tua cara fidanzatina Chloe e tua figlia avrebbero vissuto una vita in pace se tu fossi tornato a regnare all’inferno. Io l’ho tenuta d’occhio per diciotto anni, ho fatto in modo che nessuno l’adottasse. Sapevo che non avresti resistito, sapevo che saresti tornato. Perché in fondo, sei un debole, Semael. Ti sei ribellato contro nostro padre solo perché eri troppo debole per vivere alle sue regole”
“Quindi tu sapevi dell’esistenza di Abigail dall’inizio, sapevi era mia figlia sin dal primo istante. L’hai saputo per tutto questo tempo?” domandò furioso Lucifer.
“Certo che sapevo che fosse tua figlia. La tengo d’occhio da quando l’avete concepita, in quella spiaggia davanti a quella casa che avresti acquistato per quando sareste andati a vivere insieme una volta finito il college, non è così Semael? In quanti progetti inutili ti sei impegnato, quando avresti potuto seguire l’unico che nostro padre ti ha affidato” disse con aria di sfida.
Lucifer lo prese dal collo e lo sollevò da terra. Nonostante gli mancasse l’aria, Uriel non trattenne una risata.
“Ti uccido” esclamò il re degli inferi.
“Uccidimi e non saprai mai perché sono qui” disse compiaciuto l’altro.
“Che diavolo vuoi da me?” gli urlò in faccia riportandolo lentamente giù.
“Voglio che te ne torni all’inferno”
“Non tornerò mai all’inferno”
“Oh beh, allora mi vedrò costretto ad andare a trovare la detective Decker o, meglio, la dolce Abigail”
“Non ti permetterò di avvicinarti a loro. Non ti permetterò mai di far loro del male”
“Oh, fratello mio, certe volte sei davvero ingenuo. Tu non puoi fermarmi, io so già cosa farai. Ogni tua mossa, io la conosco. Non c’è via d’uscita per te. Hai due possibilità, puoi tornare all’inferno e loro continueranno a vivere o puoi restare qui e vederle morire dolorosamente”
“Giuro che ti ammazzerò!” esclamò il diavolo spingendolo.
“Oh, salutami Amenadiel” disse mentre Lucifer usciva da quel posto.
 
“E così tu sei il fratello di Lucifer” disse Chloe.
“Sì, il fratello maggiore” puntualizzò Amenadiel.
“Scusami, noi siamo stati insieme per molto tempo e lui non mi ha mai parlato di te o di nessun’altro dei suoi fratelli” continuò lei.
“Non siamo il suo argomento di discussione preferito. Non mi meraviglia. Non abbiamo proprio un bel rapporto ormai”
La donna annuì non convinta.
“Quindi tu saresti mio zio?” domandò Abigail.
In quel momento Lucifer bussò alla porta. Quando Chloe andò ad aprire e lo vide visibilmente scosso e turbato, gli prese il viso tra le mani.
“Come stai? Che è successo?” gli chiese.
Lui poggiò le sue mani su quelle della detective e chiuse gli occhi per assaporare meglio quell’istante. Chloe capì da quel gesto che era peggio di quanto credesse. Perciò non sprecò un altro secondo e lo abbracciò. Lui nascose la testa nell’incavo del suo collo e lasciò che quella donna lo stringesse. Né Amenadiel, né Abigail ebbero il coraggio di interrompere quel momento.
“Lucifer, qualunque cosa sia, sono sicura che possiamo risolverla insieme” disse lei sciogliendo l’abbraccio e guardandolo dritto negli occhi.
Aveva l’espressione da cane bastonato, la stessa espressione che aveva prima di dirle che sarebbe dovuto andare via. Quando il pensiero le balenò in testa, un brivido le corse lungo la schiena. Stava per riaccadere. Se lo sentiva.
“Devi andare via, non è vero?” domandò allontanandosi da lui.
“È l’unica soluzione” le rispose, poi guardò il fratello “Uriel non è qui per giocare, Amenadiel. Era come sospettavo”
“Luci sono anni che provo a riportarti laggiù e non hai mai voluto starmi a sentire. Cosa è cambiato? Cosa ti ha detto Uriel da spaventarti così tanto?” domandò l’uomo avvicinandosi a lui.
Lucifer fece un cenno col capo ad Amenadiel e l’angelo capì di dover rallentare il tempo. E così successe.
“Avevo ragione, fratello. Uriel segue Chloe e tiene d’occhio Abigail da quando sono andato via la prima volta. Non so quale sia la ragione, ma mi ha detto che se non torno all’inferno, Chloe e Abbi moriranno. E non posso permetterlo”
“Ma perché? Cosa lo spinge ad agire al punto tale da lasciare morire due innocenti? Cos’è che vuole? Di cosa ha paura?” chiese confuso Amenadiel.
“Non lo so, forse spetterà a lui il mio compito ingrato qualora io non tornassi”
“Non so, Luci. Mi sembra quasi impossibile. Nessuno sano di mente affiderebbe a Uriel l’inferno. Non è l’angelo adatto. E papà ha sempre lasciato intendere che una volta che ti fossi stancato, io o Ramiel avremmo dovuto prendere il tuo posto. Posizione che, tra l’altro, non aspiro ad ottenere” rese chiaro l’altro.
“Dobbiamo fare qualcosa. Dì a Maze che ci vediamo alla Penthouse in un’ora. Devo parlare con Abigail e Chloe e poi dobbiamo trovare un modo per fermare Uriel o mi ritroverò costretto a tornare all’inferno”.
Il tempo prese a ripartire e Amenadiel andò via così com’era arrivato.
Gli occhi di Chloe erano pieni di lacrime. Non poteva crederci. Stava accadendo di nuovo. Lucifer la stava lasciando di nuovo. E questa volta faceva ancora più male. Faceva così tanto male perché, nonostante non fossero una coppia, erano più vicini che mai. Avevano una figlia insieme. Un dono capace di rendere più solido qualunque tipo di rapporto. Si era appena riabituata a sentire la sua voce, a vederlo piombare in casa al mattino e ad ascoltare le sue battute inopportune. Non poteva rinunciare a lui. Non di nuovo.
 
Nel frattempo, Amenadiel atterrò davanti casa di Uriel. Fece rientrare le ali e, a testa alta, impettito come al solito, camminò sicuro verso l’ingresso. Prima che potesse bussare, la porta si aprì e Uriel apparve all’interno con il suo fastidiosissimo ghigno soddisfatto sul viso.
“Fratello, ti aspettavo” disse il padrone di casa spostandosi dall’uscio per farlo entrare.
Richiuse la porta alle loro spalle. Si girò lentamente. Aveva i polpastrelli giunti e lo guardava sereno come se non ci fosse nulla al mondo che potesse coglierlo di sorpresa. Ed era così… era così la maggior parte delle volte.
“Che hai in mente Uriel?” domandò Amenadiel guardandolo severo.
“Vedo che Lucifer ha ancora il bruttissimo vizio di mandarti a combattere le sue battaglie. Il ragazzo è sempre stato un po’ un codardo”
“Sai bene Uriel che non è così. Luci è tutto, tranne che un codardo. Sai che sono venuto io per risolvere questa questione nel più tranquillo dei modi. Nostro fratello non gode della virtù della pazienza. Tu dovresti saperlo bene…” disse l’angelo.
Uriel sorrise e apparve pensoso per un lungo minuto. Probabilmente stava ricevendo un’ondata di informazioni riguardati l’imminente futuro.
“Sei qui perché vuoi sapere come mai sono qui” disse.
“Esatto. Perché vuoi che Lucifer torni all’inferno? Non fraintendermi lo voglio anche io, ma semplicemente perché sono stanco di fargli da babysitter. E soprattutto perché vuoi così tanto che stia lontano da queste due umane? Quella ragazzina non è nemmeno sua figlia, Uriel. Non può esserlo. Non possiamo procreare con gli umani” domandò Amenadiel.
“È proprio questo il problema, fratello. Quelle due umane sono pericolose. E solo una di loro è umana. L’altra è mezza angelo. E sì, è figlia di Lucifer. Credi non sia possibile? Lo credevo anche io. Sai che le mie visioni raramente sono errate. Quando vidi che avrebbe avuto una figlia, ho cominciato a seguirlo. E ho scoperto una cosa spaventosa. L’umana, la detective, è un miracolo. È un miracolo di nostro padre e se è esiste è solo colpa tua. Eri tu l’angelo incaricato di benedire sua madre. Nove mesi dopo nacque Chloe Decker, da Penelope e John. Come è connesso con Lucifer? L’umana lo rende vulnerabile. E lui è così preso da lei e dall’amore per quella donna che non se n’è accorto. Non so se sia il fatto che lei sia un miracolo a renderlo vulnerabile o l’amore che prova per lei.”
“Non ti seguo, fratello”
“Allora cercherò di essere più chiaro possibile Amenadiel. Chloe rende nostro fratello vulnerabile, lo rende umano. E proprio a causa di questa sua umanità che è nata Abigail. Se lui dovesse rimanere ancora accanto a loro, soprattutto accanto a sua figlia, potrebbe guadagnarsi il perdono di nostro padre. Ho visto il futuro, la sua mutazione sarebbe irrevocabile. Lucifer diventerebbe sinceramente e profondamente umano. E a quel punto nostro padre gli ridarebbe la libertà. Niente più inferno. E l’inferno, poi, toccherà a uno di noi. E ho faticato troppo da che esistiamo per essere confinato laggiù. Lucifer deve tornare al suo posto e lo farà con le buone o con le cattive maniere”
“Saresti disposto ad uccidere due umane, anzi, un miracolo e un potenziale semi-angelo solo per non andare all’inferno? Non pensi all’ira di nostro padre? Quella ragazzina è nostra nipote ed è sua nipote. Non pensi che per punizione ti manderebbe laggiù comunque?” chiese giustamente Amenadiel.
“No fratello, nostro padre mi premierà perché Abigail non sarebbe dovuta esistere. E la detective è insignificante. Sì, è un miracolo, ma è sacrificabile. E poi non mi sporcherò direttamente le mani, lascerò che siano gli eventi a determinare la loro fine”
“Manipolare gli eventi è sporcarsi le mani”
“Non sono d’accordo”
“Uriel, finché sei in tempo, metti fine a questa idiozia e torna a casa”
“Mi dispiace. Sono vent’anni che lo seguo, è da vent’anni che controllo che tutto vada secondo i piani. Non posso permettergli di rovinare tutto. Deve tornare all’inferno perché io non ho nessuna voglia di prendere il suo posto. Non posso prendere il suo posto”
Uriel era agitato. Il viso gli era diventato rosso e non riusciva a controllare il tono della voce che si faceva sempre più alto e tremolante.
“Fratello tu sai più di quanto vuoi dirmi. Perché questa paura? Sai che è più probabile che quel ruolo spetti a me o a Ramiel qualora Luci dovesse abdicare”
“Ti sbagli. Ti sbagli, ok?” esclamò perdendo completamente il controllo. “Nostro padre darà a me quel ruolo. E quei mostri mi tortureranno all’infinito. Si prenderanno gioco di me. Mi renderanno impossibile sopravvivere!” ormai Uriel stava urlando.
“Come lo sai?”
“L’ho visto, Amenadiel. L’ho visto!” esclamò.
“Questo non ti dà il diritto di privare nostro fratello della possibilità di redimersi, di ritrovarsi con nostro padre e di essere felice sulla terra. Ma soprattutto non spetta a te decidere della vita di altre due persone. Sai che l’unico ad avere questo potere è nostro padre. Non puoi sostituirti a lui.”
“Non voglio, ma non posso rischiare di finire all’inferno. Non me lo merito”
“Neanche Lucifer lo meritava, Uriel!” esclamò pieno di rabbia Amenadiel.
Uriel non l’aveva mai visto così. Quando Lucifer si era ribellato al loro padre, non aveva mosso un dito per difenderlo. Da quando era stato esiliato all’inferno, era cambiato. Amenadiel non era più gioioso e armonioso come prima. Si era incupito. Lui e Lucifer erano sempre stati inseparabili. E adesso, dopo eoni, stava prendendo le sue difese. Chissà per quanto aveva soppresso i suoi sentimenti, chissà per quanto li aveva taciuti. E adesso non ce la faceva più.
“Cosa?” domandò Uriel facendosi piccolo.
“Lui non se lo meritava. Lo sappiamo tutti che non se lo meritava. Non meritava una punizione così tremenda. E non merita di essere punito ancora. Non da te! Tu non sei nessuno, Uriel. Se domani, quando verrò qui tu non sarai sparito, ti prometto che non sarò così indulgente come lo sono stato oggi” disse Amenadiel prendendo il fratello dal collo e sollevandolo da terra.
Dopodiché lo scaraventò dall’altra parte della stanza e uscì da quella casa furioso.

 
Nel prossimo capitolo:
Lucifer entrò nella sua Penthouse con il viso grondante di sangue. Le nocche sbucciate e i vestiti strappati e malridotti quasi quanto il suo viso. Si sedette sul divano e gettò la testa all’indietro. Respirava affannosamente. Poggiò la mano sulla spalla e notò che c’era qualcosa che spuntava da una delle ferite. La estrasse non curandosi delle conseguenze. Era un pezzo di vetro. Lo gettò via e qualche istante dopo perse i sensi.


Journey's Corner:
Mi scuso umilmente con chi segue la storia per aver pubblicato con un giorno di ritardo. Ho fatto confusione con i giorni credendo che oggi fosse venerdì anche se in realtà è sabato. Non succederà più. Per farmi perdonare pubblicherò un capitolo extra mercoledì. Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite e nelle preferite. Grazie a coloro che recensiscono e grazie davvero per il sostegno che mi date.
A mercoledì
-Journey

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Lucifer entrò nella sua Penthouse con il viso grondante di sangue. Le nocche sbucciate e i vestiti strappati e malridotti quasi quanto il suo viso. Si sedette sul divano e gettò la testa all’indietro. Respirava affannosamente. Poggiò la mano sulla spalla e notò che c’era qualcosa che spuntava da una delle ferite. La estrasse non curandosi delle conseguenze. Era un pezzo di vetro. Lo gettò via e qualche istante dopo perse i sensi.
 
Chloe non vedeva Lucifer da quando aveva riaccompagnato a casa Abigail disperato. Erano passati due giorni ormai. Cominciava a preoccuparsi. Che fosse andato via senza neppure salutarle sta volta? Non c’era altro da fare che andare a casa sua. Arrivata davanti all’edificio entrò nell’ascensore e aspettò che il mezzo la scortasse direttamente all’appartamento del suo partner. Quando le porte si aprirono non fu accolta dalla solita luce soffusa proveniente dal bar, l’intero appartamento era avvolto nell’oscurità. Si addentrò al suo interno e cercò, tastando il muro con la mano, un interruttore. Quando lo trovò e riuscì finalmente ad illuminare quel posto, vide Lucifer ferito sul divano e corse in suo soccorso. Si tolse in fretta il giubbotto e lo gettò da qualche parte. Immediatamente gli mise due dita sul collo per sentirgli il polso. Fortunatamente c’era. Cercò di chiamarlo per fargli riprendere conoscenza. Lui aprì gli occhi per un istante.
“Non preoccuparti, chiamo subito un’ambulanza”
“Non farlo” fu l’unica cosa che riuscì a dire, prima di perdere di nuovo i sensi.
Chloe entrò in bagno alla ricerca di un kit di primo soccorso. Ma non trovò nulla. Prese allora degli asciugamani e una bottiglia di alcol dallo scaffale del bar e tornò da lui. Avrebbe sofferto come un cane nell’istante in cui gliel’avrebbe versato sulle ferite, ma le avrebbe disinfettate e probabilmente gli avrebbe fatto riprendere conoscenza. Bagnò l’asciugamano e cercò di tamponare il più delicatamente possibile il suo volto. Come previsto Lucifer riprese conoscenza e la guardò con occhi spaventati.
“Che ci fai qui, detective?”
“Ero preoccupata per te. E a quanto pare avevo ragione”
“Non sei al sicuro qui. Non sei al sicuro con me, devi andare” disse piano lui.
Ma Chloe non aveva alcuna intenzione di muoversi di lì. Lo guardò stringere i denti mentre il liquido penetrava e puliva le ferite. Lo aiutò a togliere la giacca e, lentamente, gli sbottonò e aprì la camicia, rivelando numerose lacerazioni superficiali e una nettamente più profonda sulla spalla.
“Oh Lucifer” disse guardando il modo in cui era ridotto.
Lui non disse nulla. Rimase in silenzio prima di lasciarsi andare ad un grido rotto nel momento in cui la detective gli disinfettò la ferita più preoccupante. Prontamente la donna gli passò un asciugamano costringendolo a morderlo mentre cercava di medicarlo. Quando terminò si accorse che era sfinito.
“Sei sicuro di non voler andare in ospedale? La ferita alla spalla sembra molto profonda”
“No, detective. Ho solo bisogno di restare qui. Accompagnami al letto. Non ce la faccio da solo” disse mettendosi in piedi a fatica.
Chloe immediatamente si spostò al suo fianco e cercò di sorreggerlo. Lo accompagnò a letto e si sedette sul bordo aspettando che si addormentasse. Non ci volle molto perché accadesse. Non se la sentiva di lasciarlo da solo, non in quelle condizioni. Non poteva rischiare che qualche complicazione facesse peggiorare la sua situazione durante la notte. Decise, perciò, che sarebbe rimasta lì a vegliare su di lui. Prese il telefono e chiamò Dan.
“Dan, sono io, devo chiederti un favore”
“Dimmi” rispose lui dall’altro lato del telefono.
“Ho bisogno di prendermi la giornata libera domani. Per favore, pensa tu ai miei casi”
“Certo, sarà fatto. Chloe, tutto bene?”
“No, ma ti racconterò tutto domani”
“Fa’ attenzione!” si premurò Dan.
“Come sempre” rispose lei.
Poi compose il numero di Abigail e le chiese di badare a Trixie perché avrebbe passato la notte fuori. Non se la sentì di farla preoccupare raccontandole cosa fosse successo a Lucifer, perciò rimase vaga su cosa avrebbe fatto. Dopodiché si accomodò sulla poltrona difronte al suo letto e cercò di rimanere sveglia per monitorarlo. Ma purtroppo, complice la stanchezza, ad un certo punto si addormentò, solo per risvegliarsi a causa delle urla dell’uomo. Quando aprì gli occhi lo vide contorcersi per il dolore alla spalla. Corse da lui.
“Ehi, ehi, Lucifer sono qui, guardami” gli disse.
I suoi occhi, poteva giurarlo, erano rossi, rosso fuoco. E non arrossati, il colore delle sue iridi era rosso. In quel momento non importava, lui stava soffrendo e lei doveva fare qualcosa per fermare quel dolore.
“Che ti succede? Come posso aiutarti? Ti prego lascia che ti porti in ospedale, mi stai spaventando” esclamò lei.
“Detective, aiutami!” esclamò nel dolore lui prendendole la mano e stringendogliela.
Le stava facendo male, ma non le importava. Se quello fosse bastato a ridurre il suo dolore, avrebbe lasciato che gliela stritolasse.
Il viso di Lucifer era ancora gonfio e tutt’intorno al suo occhio destro, la pelle cominciava a diventare violacea. Istintivamente si fece più vicina a lui e con la mano libera gli accarezzò il volto.
“Come posso aiutarti?” gli chiese di nuovo, più dolcemente questa volta.
“Non lo so, ma non portarmi in ospedale” insistette lui.
Lei lo guardò dritto negli occhi che avevano ripreso il loro normale colore e si domandò se non se lo fosse immaginato quel rosso per via della stanchezza. Non sapeva come poter fermare il suo dolore, ma sapeva come poterlo distrarre. Mentre lui cercava di resistere a quella estenuante sofferenza, la detective posò gentilmente le sue labbra su quelle dell’uomo cogliendolo di sorpresa. Erano quasi vent’anni che non succedeva e si meravigliò di quanto piacevole e giusto le sembrasse quel contatto. Come se le loro labbra fossero sempre appartenute l’una all’altro. Si ripeté che lo stava facendo solo per distrarre il suo collega e che, in fondo, quel bacio non significava nulla. Questo mentre Lucifer schiuse le sue labbra per lasciare che la detective approfondisse quel contatto. Cosa che lei fece senza pensarci un secondo. La mano di lui lasciò quella di lei che fino a poco prima stava stritolando e si spostò dietro la sua schiena, per tenerla più vicino a sé. Quella di lei raggiunse l’altra sul viso dell’uomo, toccandolo con delicatezza per non arrecargli ulteriore dolore. Quando il bacio terminò, entrambi aprirono gli occhi lentamente.
“Scusami, era l’unica cosa che mi veniva in mente per distrarti dal dolore” si giustificò la detective mentre, tra sé e sé si chiedeva se fosse davvero quella la ragione.
“Chiaramente ha funzionato, perciò grazie detective” rispose lui cercando di abbozzare un sorriso.
“Ok, ora cerca di riposare” gli disse lei.
La mano di Lucifer ancora sulla sua schiena. Le sue ancora sul volto suo tumefatto.
“Lo so che è strano, ma puoi restare qui con me?” domandò lui col viso segnato dal dolore.
“Sì, certo, sarò sulla sedia lì difronte tutto il tempo”
“No, detective. Puoi restare qui accanto a me?” precisò lui.
Chloe guardò la parte di letto vuoto alla sua sinistra e poi tornò a guardare Lucifer. Annuì e finalmente tolse le mani dal suo viso. Si mise seduta accanto a lui, la schiena appoggiata alla testata del letto. Si liberò dell’elastico che le raccoglieva i capelli in una coda e se lo mise al polso. Nel frattempo, Lucifer aveva appoggiato la testa sulle sue cosce. Lei prese ad accarezzargli dolcemente i capelli e lui cullato da quel gesto continuo, si addormentò. Chloe lo guardò per un po’ prima di ritrovarsi a fissare il soffitto chiedendosi cosa diavolo stesse facendo.
La notte passò in fretta, e quando le prime luci del giorno si fecero strada nel cielo, illuminando la stanza, la detective si svegliò. Lucifer era ancora addormentato su di lei. Stringeva la sua maglia tra le dita. Cercò di alzarsi senza svegliarlo, ma non ci riuscì.
“Dove vai?” gli chiese lui mormorando e tirandola a sé.
“Torno a casa”
“No, ti prego, resta” la implorò.
“Lucifer io, io non credo sia il caso” disse lei sottraendosi alla sua presa e alzandosi.
A quel punto l’uomo si mise seduto e la guardò per un attimo. Era ancora confuso e dolorante, ma gli si poteva comunque leggere la delusione negli occhi.
“Non guardarmi così” disse lei.
“Così come?” domandò lui.
“Come se ti stessi pugnalando alle spalle” rispose lei.
“Allora non andartene e resta qui con me” propose lui.
“Non posso, Lucifer” protestò lei.
“Va bene, lascia un uomo moribondo e dolorante tutto solo. Quando rinverranno il mio cadavere, ti autorizzo a sentirti in colpa” disse lui poggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi. Solo per poi riaprirne uno per controllare cosa stesse facendo la detective.
Chloe rise e lo guardò per un attimo. Lui le fece segno con la mano di raggiungerlo e nonostante fosse convinta di stare facendo un’idiozia, si andò a sdraiare di nuovo accanto a lui che prontamente aprì gli occhi guardandola con un ghigno impertinente e la tirò più vicina a sé.
“Non andrai da nessuna parte stamattina detective, mi dispiace” esclamò tenendola stretta tra le sue braccia.
“Vedo che la spalla va meglio”
“Quel bacio di ieri sera ha chiaramente velocizzato la mia guarigione, magari dandomene un altro potresti guarirmi del tutto”
“Furbo, ma non succederà mai”
“Oh, detective, succederà, eccome se succederà. Lo so io e lo sai tu” affermò lui prima di chiudere di nuovo gli occhi.
 
Chloe provò ad alzarsi dal letto un’altra volta durante la mattinata. E Lucifer prontamente l’attirò più vicino a sé per non permetterglielo.
“Lucifer non sto andando via, devo fare pipì” si giustificò lei.
Lui a quel punto la liberò dalla sua presa e girò la testa dall’altro lato.
“Hai due minuti, dopodiché ti verrò a prendere di peso”
“Sì, come no. Con quella spalla, ma fammi il piacere e rimettiti a dormire” scherzò lei alzandosi e avviandosi verso il bagno.
“Hai già sprecato sei secondi” la punzecchiò lui.
“E ne sprecherò altri sei per mandarti a quel paese” continuò lei.
Dopo aver fatto pipì, Chloe si lavò le mani, tolse l’elastico dal polso e lo appoggiò sul lavandino e si sciacquò la faccia. Si guardò nello specchio per un attimo, dopodiché uscì. Ma, non appena fu fuori si ricordò di aver lasciato l’elastico sul lavabo e tornò indietro, solo per sbattere il piede sul marmo del gradino davanti alla porta e lasciarsi scappare un gridolino di dolore seguito da un’imprecazione. Poi spostò la porta, riprese l’elastico e quando si voltò Lucifer era davanti a lei che la guardava spaventato.
“Che è successo?” le chiese.
“Come?” domandò lei confusa.
“Ti sei fatta male?” domandò ancora.
“Ah, non è nulla. Ho sbattuto il piede sul gradino, ma non è niente Lucifer” lo rassicurò guardandolo un po’ divertita.
Ma a lui non sembrava altrettanto divertente. La superò entrando in bagno, si guardò attorno. Nel frattempo, lei gli dava le spalle e si legava i capelli in una coda.
Le si piazzò davanti con l’espressione ancora preoccupata. Lei gli poggiò una mano sul viso e glielo accarezzò dolcemente.
“Lucifer sto bene. È una sciocchezza, davvero” lo rassicurò.
“Detective voi umani credete che tutto sia una sciocchezza, ma questo potrebbe essere un avvertimento. Potrebbe essere lui”
“Lui chi, Lucifer? Non c’è nessuno qui, siamo solo io e te”
“È inutile che io cerchi di spiegartelo, non mi crederesti”
“Ieri sera, quando sono arrivata, mi hai chiesto di andare via. Mi hai detto che non ero al sicuro con te. Stamattina non volevi che andassi via. E ora, solo perché ho sbattuto il piede sul marmo per una casualità qualunque stai andando fuori di testa. Che ti succede? Di chi hai paura?”
“Di chi ho paura? Di nessuno. Per chi ho paura? Per te e per Abigail”
“Ma perché? Stiamo bene entrambe. E sì, il mio lavoro è pericoloso e può portare a farmi dei nemici, ma non è questo il caso”
“Non è il tuo lavoro il motivo per cui voglio tenervi al sicuro. Il problema sono io, sono io quello che ha un nemico e che vi sta mettendo in pericolo”
“Chi, Lucifer? Dimmelo, io posso aiutarti. È lo stesso che ti ha conciato così?” domandò lei indicando la sua spalla e notando che la ferita sembrava nettamente rimpicciolita da come la ricordava.
“Detective non puoi aiutarmi” disse lui dandole le spalle.
E fu in quel momento che Chloe vide qualcosa che non aveva notato la sera prima. Qualcosa che sapeva non fosse lì anni prima: due cicatrici sulla schiena. Improvvisamente si fece più cupa e preoccupata. Si avvicinò a lui e questo lo fece girare.
“Che è successo alla tua… oh mio dio” disse riferendosi chiaramente alle cicatrici sulla schiena.
“Oh, beh, sì, immagino sia colpa sua”
“Colpa di chi?” chiese lei.
“Di mio padre” rispose lui tranquillamente.
“Quelle te le ha fatte tuo padre?” domandò profondamente dispiaciuta lei.
“No, no, lì è dove mi sono tagliato le ali” rispose lui.
“Cosa?” chiese lei.
“Beh, non proprio io, ma Maze. Le ho chiesto io di farlo”
“No, davvero…” continuò lei poggiandogli una mano sulla spalla e facendolo girare il necessario per poterle guardare meglio. “cosa son-” cominciò a dire mentre la sua mano si avvicinava a toccarle. Ma le parole rimasero sospese in aria perché Lucifer, voltandosi di scatto, le afferrò con forza il polso impedendole di completare l’azione. La guardò con gli occhi scuri. In quelli di lei paura e soprattutto preoccupazione.
“Non farlo, ti prego” la implorò.
Il suo sguardo cadde per un secondo sulla sua mano, stretta attorno al polso di lei. Ma fu quando incontrò i suoi occhi che realizzò di averla spaventata e immediatamente si sentì in colpa. Si sentì pericoloso, si sentì tremendamente sbagliato. Poi il suo sguardo cambiò, per un secondo e in un secondo, cambiò. E lui lo vide. Lo vide senza capire cosa significasse.
“Ok” disse lei piano.
E lui le lasciò andare il polso allontanandosi e lasciandola lì.
Ma cos’era che aveva visto lei? Chloe, seppure all’inizio fosse stata colta di sorpresa da quel gesto che le aveva fatto provare paura, vide qualcosa negli occhi di lui. Per la prima volta da quando si conoscevano lo vide veramente nudo, spogliato di ogni difesa, vulnerabile. Quelle cicatrici dovevano essere il simbolo di un trauma che l’aveva segnato profondamente. E capì una cosa mentre guardava quegli occhi e quell’uomo diventare sempre più fragile davanti a lei. Capì che le importava di Lucifer più di quanto volesse ammettere. Mentre lo guardava negli occhi, dovette ammettere a se stessa di essere innamorata di lui, di essere ancora irrimediabilmente e profondamente innamorata di lui. E, in quel momento, avrebbe solo voluto abbracciarlo, stringerlo a sé e dirgli che qualunque cosa fosse successa, l’avrebbero superata insieme e che lei ci sarebbe stata per lui, sempre. Ma non ebbe il coraggio. Non ebbe il coraggio di premere una volta ancora le sue labbra su quelle di lui per placare il suo dolore e il suo tormento. Perciò lasciò che tornasse in camera senza proferire parola. Voleva fare qualcosa, voleva proteggerlo da chiunque gli stesse facendo del male. Ma non le diceva tutta la verità e non sapeva come aiutarlo. Continuava a nascondere i suoi dolori dietro queste metafore celestiali e Chloe continuava a torturarsi chiedendosi chissà quali traumi si nascondevano al loro interno. Si sentì impotente, amava qualcuno e non sapeva come aiutarlo. Tornò in camera da lui e lo vide chiudersi i bottoni di una camicia bianca di lino che aderiva al suo corpo in modo sublime accentuando la sua fisicità. Il viso aveva cominciato a sgonfiarsi, mentre attorno all’occhio, l’ematoma diventava ancora più scuro.
“Che stai facendo?” gli domandò.
“Ti riaccompagno a casa” rispose lui.
“No, voglio restare qui. Con te.”
“Sì, invece. Sono stato egoista e ti sei fatta male. Adesso ti riporto a casa e farò in modo che tu, Abigail e Trixie ci rimaniate. Chiederò a Maze e Amenadiel di restare da voi. Sarete al sicuro finché ci saranno loro”
“Che stai dicendo? È ancora per la questione del piede? È stato un incidente”
“Credimi, gli incidenti non esistono” rispose lui alzandosi in piedi e infilandosi la giacca.
“Non ti lascio andare da nessuna parte. Non in queste condizioni. Vuoi che vada via? Andrò via da sola. Tu mettiti a letto. E compra un dannatissimo disinfettante!” lo rimproverò lei raccogliendo la giacca e mettendosi le scarpe.
“Non puoi andare in giro da sola. Non finché tutto non sarà tornato a posto”
“Adesso basta. Sono stanca. Non sono un burattino, Lucifer. Dici che sono in pericolo, che devi proteggermi e non so da chi dovresti proteggermi. Ti comporti in maniera strana, appari, scopari per giorni. Poi ti trovo svenuto sul divano pestato a sangue da chissà quale animale. Ti aiuto perché mi importa di te e non hai nemmeno la decenza di dirmi la verità. Mi vuoi accanto a te, mi cacci. Che diavolo vuoi da me, Lucifer? Io so cosa voglio da te, è chiaro. Voglio aiutarti. Tu cosa vuoi da me?” esplose lei.
“Voglio proteggerti”
“Non ho bisogno di protezione”
“Di solito sarei d’accordo con te, ma questa volta è diverso”
“Cos’è diverso, Lucifer? Parlami! Dimmi la verità!”
“E va bene, ma so che non mi crederai. Mio fratello è in città ed è estremamente pericoloso, lui conosce il futuro, è capace di alterare gli eventi. E non c’è nulla che possiamo fare. Devo decidere se proteggervi andandomene per sempre questa volta. Oppure restare e rischiare che vi uccida tutte e due”
“Lucifer nessuno ha la capacità di giocare con gli eventi. Nemmeno tuo fratello Amenadiel”
“Non è di Amenadiel che parlo. Amenadiel è un angelo profondamente fastidioso, ma non è uno stronzo. Sto parlando di Uriel”
“Immagino che questo Uriel sia anche lui un angelo”
“Lo è, detective”
“Sai Lucifer, prima trovavo questa cosa strana, ma dolce. Adesso, adesso sono stufa” esclamò lei avvicinandosi all’ascensore e premendo il tasto per prenotarlo.
Lui la seguì e le si piazzò davanti.
“Non dico bugie, detective. Non sto mentendo e tu sei in pericolo, non posso lasciarti andare via da sola. Mi dispiace. Devo impedirtelo a tutti i costi”
“Non puoi” rispose lei.
Lui le prese le mani e la guardò dritta negli occhi. Chloe odiava quando lo faceva, perché i suoi occhi avevano un potere incredibile su di lei.
“Ti prego, lascia che ti accompagni a casa. Dopodiché sparirò dalla tua vita, te lo prometto. Tornerò da dove sono venuto e non dovrete più preoccuparvi per niente. Porterò via tutti i miei problemi e le assurdità che mi seguono ovunque vada”
“Lucifer non è quello che voglio. Non voglio che tu sparisca dalla mia vita o che tu vada via. Non lo capisci? Io ti voglio nella mia vita e anche Abigail. Ma voglio che tu mi dica la verità” rispose lei.
“Ti ho sempre detto la verità, Chloe” sbottò lui. “Io sono il diavolo e tu non ci vuoi credere. Mio fratello ha minacciato di farvi fuori per costringermi a tornare all’inferno cosicché lui non debba prendere il mio posto. Non so come altro dirtelo”
Chloe era davvero dispiaciuta di quella situazione. Sentiva e vedeva Lucifer soffrire, ma non riusciva a trasmettergli la fiducia necessaria perché potesse sentirsi libero di dirle la verità. O, almeno, questo è quello che cominciava a credere. Lo amava, di questo ne era certa. Forse lo sapeva sin dal primo istante in cui aveva guardato quegli occhi al Lux dopo l’omicidio di Delilah. Forse i sentimenti che aveva provato per lui da ragazzina non erano mai veramente svaniti. Forse averlo accanto costantemente sul lavoro le aveva fatto credere che fosse suo, in qualche modo, e di nessun’altra. Aveva puntato il dito contro di lui quando si era sottratto ai suoi doveri di partner e mai una volta si era fermata a pensare cos’è che pensava Lucifer di lei? Si sentiva al sicuro quand’erano insieme? Si fidava di lei? Cosa aveva fatto per farlo sentire apprezzato? Probabilmente nulla. Probabilmente aveva fatto esattamente il contrario. E adesso lui non si fidava di lei. Era questo ciò che stava accadendo? Era per questo che aveva ripescato le assurdità sull’essere il diavolo? Poi le tornarono in mente quegli occhi rossi, gli stessi che aveva creduto di vedere altre due volte, la prima nel riflesso di uno specchio mentre giaceva sofferente al suolo dopo essere stata sparata dall’assassino di Delilah, la seconda nel riflesso su una superficie d’acciaio durante un caso di rapimento. E se fosse stato davvero il diavolo? No, non poteva essere vero. Lucifer era un uomo, l’aveva visto soffrire su quel divano solo la notte prima e stava soffrendo come un mortale. Il diavolo non è un mortale.
Lo guardò con gli occhi lucidi, incapace di passargli oltre e lasciarselo alle spalle. Lo guardò manifestando tutta la sua tristezza in quello sguardo. E lui lo capì. Lui capì prima che potesse parlare.
“Lucifer io” disse solo, ma non fu capace di continuare.
Lui, che fino a un attimo prima le teneva le mani, le accarezzò dolcemente il volto e fece scivolare la mano sotto il mento di lei. La guardò per un istante senza proferire parola.
“Non è mai stata mia intenzione farti questo, farti soffrire. Lo vedo nei tuoi occhi che stai soffrendo ed è colpa mia, detective. Sono profondamente dispiaciuto. Non voglio che tu mi creda, non voglio che tu capisca, voglio solo che tu sia bene. So di essere un pericolo per voi e sono disposto a sacrificarmi per proteggervi” disse avvicinandosi pericolosamente alla detective. La fronte di Lucifer contro quella di Chloe. “Farei di tutto per proteggere te, Abigail e Trixie. Ti chiedo solo di lasciarmelo fare. Di fidarti di me per quest’ultima volta”
“Forse non ti è chiaro” cominciò a dire lei mettendogli le mani sul viso rimanendo però, nella stessa posizione “Io non voglio che tu debba sacrificare nulla. Abigail e Trixie ti vogliono bene, Lucifer. E non penso ci sia bisogno che io ti dica quanto significativa è la nostra partnership per me. Le ragazze hanno bisogno di te, io ho bisogno di te. Perciò voglio aiutarti, voglio cercare di trovare una soluzione che non includa il tuo sacrificio. E so che non me lo lascerai fare perché sei incredibilmente testardo quanto orgoglioso. Ma sappi che io ci sono per te, in qualunque momento e che ti voglio bene” concluse.
La verità era che Chloe avrebbe voluto allontanare la sua fronte da lui, solo per poter avvicinare le sue labbra a quelle di Lucifer. Avrebbe voluto dirgli che non gli voleva solo bene, ma lo amava. Che la loro partnership era importante, sì, ma averlo accanto, in qualunque modo, era più importante. Avrebbe voluto dirgli che la parola sacrificio le faceva attorcigliare le budella e che il solo pensiero di non rivederlo più le faceva accapponare la pelle. Avrebbe voluto dirgli che le si era spezzato il cuore vedendolo dolorante la notte prima. Avrebbe voluto dirgli che ogni volta che non riusciva a trasmettergli fiducia, si sentiva sconfitta perché ci teneva a lui. Anzi, ci teneva era un termine riduttivo, lo amava. E lo amava profondamente come quand’era ragazzina. Con la stessa assurda e distruttiva intensità. Com’era possibile? Dopo di lui nessuno era stato in grado di farla sentire così viva emotivamente. Com’era possibile che riuscisse ad amare solo lui. Com’era possibile che averlo accanto era l’unica cosa a cui riusciva a pensare? Com’era possibile che quando discutevano non aveva neppure voglia di mangiare, di alzarsi dal letto? Perché la faceva sentire come una ragazzina, di nuovo? Cos’è che provava lui? Anche lui stava male se non si vedevano per qualche giorno? Anche a lui mancava il respiro ogni volta che entrava in una stanza e la vedeva? Anche lui combatteva costantemente con la voglia di lasciarsi inebriare dal suo profumo, di sentire le sue labbra sulle sue, le sue mani sul suo corpo e di fare l’amore con lei?
“Detective voglio solo darti il tempo che meriti con le persone che ami. Potrai volermi bene, ma non amerai mai nulla e nessuno come ami le tue figlie. Perciò sì, io sono sacrificabile. Tu non lo sei. Ora ti prego, lascia che ti accompagni io a casa” disse Lucifer parlando a voce bassa.


Nel prossimo capitolo:
Chloe ringraziò Lucifer per il passaggio e scese dall’auto, convinta che lì si sarebbe fermata anche la sua scorta. Ma non successe, ovviamente. Quando fu davanti alla porta sentì una presenza alle sue spalle e voltandosi lo vide dietro di lei. Scosse la testa e girò la chiave nella serratura. Tutto era incredibilmente silenzioso. Trixie era a scuola, ma Abigail avrebbe dovuto essere a casa. Probabilmente, si disse, era andata in centrale a cercarla. La detective guardò l’orologio, era quasi mezzogiorno.
“Abigail?” la chiamò.
Ma nulla si mosse. C’era un silenzio profondamente disturbante. Ormai Chloe non era più abituata a tutta quella calma. Si voltò verso Lucifer e notò che aveva uno sguardo preoccupato sul viso. Capì immediatamente dove la sua mente lo stava portando. Perciò prese il telefono, nel tentativo di tranquillizzarlo, e chiamò la loro figlia. Il rumore della suoneria della ragazza fece accigliare la detective che subito cercò di capire da dove provenisse. Veniva dal bagno. Bussò, ma non ricevette alcuna risposta. Che Abigail avesse dimenticato il cellulare prima di uscire? Provò ad aprire la porta e ci riuscì. Non era chiusa a chiave. Quello che vide la lasciò sconcertata, senza parole, terrorizzata, pietrificata.


Journey's Corner:
Eccoci qui! Come promesso, ecco a voi il capitolo extra che vi avevo promesso. La pubblicazione, dopo questo, riprenderà normalmente tornando al venerdì. E vi prometto che non farò più confusione con i giorni. Spero che la piega che sta prendendo la storia vi piaccia e tutto verrà spiegato a tempo debito.
Vi ringrazio molto per la costanza con cui seguite e recensite questa storia. 
Continuerò a cercare di fare sempre meglio.
A venerdì
-Journey

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


Chloe ringraziò Lucifer per il passaggio e scese dall’auto, convinta che lì si sarebbe fermata anche la sua scorta. Ma non successe, ovviamente. Quando fu davanti alla porta sentì una presenza alle sue spalle e voltandosi lo vide dietro di lei. Scosse la testa e girò la chiave nella serratura. Tutto era incredibilmente silenzioso. Trixie era a scuola, ma Abigail avrebbe dovuto essere a casa. Probabilmente, si disse, era andata in centrale a cercarla. La detective guardò l’orologio, era quasi mezzogiorno.
“Abigail?” la chiamò.
Ma nulla si mosse. C’era un silenzio profondamente disturbante. Ormai Chloe non era più abituata a tutta quella calma. Si voltò verso Lucifer e notò che aveva uno sguardo preoccupato sul viso. Capì immediatamente dove la sua mente lo stava portando. Perciò prese il telefono, nel tentativo di tranquillizzarlo, e chiamò la loro figlia. Il rumore della suoneria della ragazza fece accigliare la detective che subito cercò di capire da dove provenisse. Veniva dal bagno. Bussò, ma non ricevette alcuna risposta. Che Abigail avesse dimenticato il cellulare prima di uscire? Provò ad aprire la porta e ci riuscì. Non era chiusa a chiave. Quello che vide la lasciò sconcertata, senza parole, terrorizzata, pietrificata.
Abigail giaceva su un fianco sul pavimento, pallida. Sembrava morta. I capelli scuri e la fronte grondante di sudore. Il braccio steso sotto la testa, l’altro accanto al viso. Le ginocchia piegate, quasi in posizione fetale. Lucifer spostò poco gentilmente la detective dall’uscio e si inoltrò nel bagno. Prese sua figlia tra le braccia e si voltò a guardare Chloe. Assieme al terrore, nei suoi occhi c’erano delle lacrime. Per la prima volta, il diavolo in persona, si lasciò andare ad un pianto disperato mentre stringeva tra le braccia Abigail. Quella figlia che non credeva di poter mai avere, quella figlia che non sapeva di volere e a cui si era inevitabilmente affezionato.
Un braccio piegato sul ventre, l’altro penzolante, le gambe e la testa sorrette dalle possenti braccia di Lucifer. Chloe si sentì mancare il respiro, la terra le era appena franata sotto i piedi. Si sentì morire. L’uomo la superò e adagiò la figlia sul divano. Si tolse la giacca e poggiò gentilmente sul corpo tremolante e freddo della ragazza.
“Sapevo che saresti arrivato” disse con voce flebile Abigail aprendo leggermente gli occhi.
“Sono qui, non ti lascio” la tranquillizzò Lucifer accarezzandole il viso e abbozzando un sorriso.
Lei chiuse di nuovo gli occhi. La detective la raggiunse immediatamente e le prese la mano. Se la portò sul viso e poi le lasciò un bacio sulla fronte. Le lacrime non ne volevano sapere di fermarsi. Continuavano a scendere prepotenti lungo le sue guance non permettendole di mettere a fuoco la figura di sua figlia. L’aveva già persa una volta, non aveva intenzione di perderla ancora. Prese il telefono e chiamò il 911 in cerca di aiuto.
“Va tutto bene tesoro, la mamma è qui” continuava a ripetere, come se non fosse più capace di dire altro. Era sotto shock.
Lucifer nel frattempo si era allontanato per chiudere aiuto. Con le mani giunte chiamò Amenadiel, sperando che potesse rallentare il tempo e permettergli di portare Abbi in ospedale. L’angelo non tardò ad arrivare e quando lo vide rimase senza parole. Aveva fatto a botte con qualcuno e sicuramente non si trattava di un mortale perché nessun umano avrebbe potuto ferirlo in quel modo.
“Che diavolo ti è successo alla faccia?”
“Non è per questo che sei qui. Abigail sta male. Questa è colpa sua! È Uriel, Amenadiel! Devi aiutarmi, lo so che non ci credi ma questa ragazza è davvero mia figlia”
“Lo so, Luci. So che è tua figlia. Ho parlato con Uriel”
“Gli hai parlato?”
“Sì e doveva essere tornato a casa, ma a quanto pare è diventato più sfrontato. Vorrà dire che dovrò passare alle maniere forti”
“Amenadiel in questo momento non mi interessa! Abigail sta male e tu devi aiutarla. Devi portarla in ospedale, ho paura che quando arriverà l’ambulanza sarà troppo tardi. E io non voglio perderla, non posso perderla”
“È così grave? Voglio vederla”
Lucifer portò suo fratello davanti a sua figlia. Chloe era inginocchiata davanti a lei e continuava ad accarezzarla dolcemente mentre piangeva e le diceva che sarebbe andato tutto bene.
“Amenadiel” disse lei tirando su col naso e asciugandosi le lacrime inutilmente.
“Ciao Chloe, sono qui per aiutare Abigail. La porto in ospedale” disse avvicinandosi a lei e porgendole la mano perché si alzasse e si allontanasse dalla ragazza.
“Ho chiamato l’ambulanza” continuò la detective.
“Amenadiel è più veloce” si intromise Lucifer.
“Sei stata molto brava, Chloe. Adesso lascia che l’aiuti io” continuò l’angelo.
“Va bene” disse Chloe e si allontanò da sua figlia.
“Sbrigati, fratello”
“Conta su di me” rispose l’altro sparendo nel corridoio.
Lucifer e Chloe rimasero da soli. Lui istintivamente l’abbracciò mentre lei ancora singhiozzava. La tenne stretta a sé per qualche istante. Dopodiché l’allontanò con gentilezza.
“Dobbiamo andare da lei” le disse.
La detective era confusa, completamente disorientata. Stava succedendo di nuovo? L’avrebbe persa ancora? Non poteva succedere. L’aveva appena ritrovata. Non le aveva ancora dimostrato quanto l’amasse. Aveva bisogno di più tempo con lei.
Arrivarono in ospedale e si affrettarono a raggiungere Amenadiel. C’era una cosa che Lucifer invidiava terribilmente a suo fratello ed era la calma, la freddezza e la compostezza che riusciva a mantenere in qualunque situazione. Non si trattava di menefreghismo o altro, no tutto il contrario, sembrava sempre che Amenadiel sapesse esattamente cosa stesse facendo e questo tranquillizzava chiunque avesse intorno.
“Dov’è?” domandò Chloe reggendosi a Lucifer incapace di restare in piedi da sola.
“È con i medici, presto sapremo qualcosa. È in buone mani” rispose l’angelo.
Poi guardò suo fratello e Lucifer capì che aveva bisogno di parlarli in privato. Il diavolo fece accomodare la donna nella sala d’attesa e, rimanendo sempre nella stanza, si appartò in un angolo con Amenadiel.
“Devi dirmi chi ti ha fatto questo” disse l’angelo indicando il volto del fratello.
“Non è importante, adesso!”
“Sì che lo è Luci. Stiamo dando per scontato che sia Uriel la causa di quanto stia succedendo ad Abigail, ma potrebbe non essere così. Dobbiamo seguire tutte le piste per capire cosa le sia successo e tu, tu devi dirmi chi ti ha ridotto così”
“Sì, ok. È stato lui. Volevo che andasse via, ma non ne voleva sapere e diceva che il tempo a mia disposizione stesse finendo. Non ci ho visto più e ce le siamo date di santa ragione. Lui aveva un coltello, l’ha portato con sé dalla Città d’Argento, non ne avevo mai visto uno così. Sembrava l’arma più inutile del mondo e credevo che non mi avrebbe fatto nulla, perché sembrava un’arma terrestre, ma non lo era. Mi ha ferito la spalla. Sta guarendo, ma può essere pericolosa, fratello”
“Stupido! Quell’angelo è così stupido che mi fa innervosire. Sembra proprio che debba tornare a fargli visita.”
“Voglio venire con te”
“No, Lucifer. Tu resta qui e stai accanto a Chloe e a vostra figlia. Me ne occupo io” detto questo Amenadiel gli diede una pacca d’incoraggiamento sulla spalla e prese il volo.
 
Lucifer tornò da Chloe che continuava a fissare un punto indefinito della sala d’attesa. Si sedette accanto a lei e, senza mai staccare lo sguardo da quel punto indefinito, la donna appoggiò la testa sulla sua spalla. Gli circondò la vita con il braccio. Lui fece lo stesso con le sue spalle e la tirò un po’ più vicina a sé. La guardò senza dire nulla. In fondo non c’era nulla che potesse dirle. Il silenzio gli sembrava l’idea migliore. Nel frattempo, continuava a tormentarsi e a torturarsi con i ricordi creati con quella ragazzina che, in pochissimo tempo, era diventata il centro dei suoi pensieri e la sua preoccupazione più grande.
 
“Abigail, c’è una cosa di cui vorrei parlarti”, affermò Lucifer imbarazzato “A dire il vero vorrei chiederti qualcosa”
La ragazza lo guardò incuriosita.
“Certo, Lucifer, chiedi pure”, gli sorrise lei.
“Vedi, ehm, può sembrarti stupido. Però, volevo chiederti questa cosa. Insomma, ci tengo a chiedertela. Anche se è una stupida usanza. Ma qui significa qualcosa e io”, cominciò a dire sempre più nervoso.
Lei gli si avvicinò e gli prese le mani, lo guardò e quando lui incontrò i suoi occhi, immediatamente si tranquillizzò. Si sedettero sul divano.
“Che stai cercando di chiedermi, Lucifer?”, domandò lei.
“Voi umani avete questa usanza del cognome sulla terra. Da secoli serve ad indentificare la provenienza di una persona, l’appartenenza – più appropriatamente – ad una famiglia. E sì, è una cosa un po’ obsoleta e può sembrare stupido, ma ci terrei che tu prendessi il mio. Insomma, se vuoi, se potrebbe farti piacere in qualche modo. So che a me ne farebbe”
Abigail gli sorrise dolcemente e annuì.
“Abigail Morningstar suona proprio bene” disse lei.
I suoi occhi erano lucidi e il sorriso che gli rivolse era il più bello che Lucifer avesse mai visto. Gli si avvicinò e lo abbracciò. Lui non era ancora abituato a quel tipo di dimostrazioni d’affetto, ma dovette ammettere che non gli dispiaceva per niente. Anzi, cominciava a sentirsi finalmente parte di qualcosa, importante per qualcuno, finalmente sentiva che la sua esistenza avesse acquisito un senso.
 
E si sentì tremendamente in colpa. Abigail era in quell’ospedale per colpa sua. Aveva sfidato Uriel e quel maledetto aveva messo in moto una macchina letale e impossibile da fermare. Nessuno, a parte lui, poteva giocare con gli eventi. Se avesse deciso che Abbi sarebbe dovuta morire, lei sarebbe morta.
Nel frattempo, Chloe guardava il muro giallino pallido che aveva di fronte. Continuava a rivedere nella sua mente la stessa scena. Sua figlia sul pavimento del bagno, il suo volto così pallido, la sua fronte bagnata. L’espressione sofferente. Le labbra violacee. Poi, improvvisamente, si ritrovò a pensare a lei prima di quel momento, a quegli istanti di quotidianità che spesso passavano inosservati, ma a cui era profondamente legata.
 
“Mamma posso dormire con te stanotte?” domandò Trixie salendo sul suo letto.
“E va bene Trix, ma solo per stanotte” rispose lei sorridendo alla bambina e facendole il solletico.
“Ti voglio bene, mamma” le disse.
“Anche io, scimmietta” poi guardò oltre la porta “Scimmietta, dov’è Abbi?”
“È in bagno, si sta preparando per andare a letto” rispose la bambina.
“Abbi!!!” urlò Chloe dalla sua stanza “Abbi, fa’ presto, vieni subito qui. È urgente!” continuò lei.
La ragazza arrivò in un baleno. Tra le mani reggeva ancora l’asciugamano con cui si stava asciugando il viso.
“Che è successo?” chiese spaventata.
“Abbi, dormi con noi stanotte?” domandò la donna sorridendole.
“Mi hai fatto spaventare!” rispose la ragazza “No, davvero, preferisco dormire nel mio letto, non penso dormiremmo bene tutte e tre lì sopra” disse.
“Dai, Abbi, vieni! Il letto di mamma è grandissimo” protestò Trixie.
“Non lo so, Trix. Sono un po’ troppo grande per dormire con la mamma” cominciò a dire lei.
“Abigail!” esclamò teatralmente Chloe facendo la voce da anziana “Accontenta la tua vecchia madre, rimani con noi stanotte oppure... le spezzerai il cuore” disse stringendosi il petto e facendo finta di morire.
Trixie scoppiò a ridere e lo stesso fece Abigail.
“E va bene, ok. Dormirò con voi stanotte”
Improvvisamente Chloe riaprì gli occhi e la guardò.
“Vieni, che aspetti?” disse aprendo le braccia.
Trixie appoggiò immediatamente la testa su uno e Abigail le raggiunse facendo lo stesso con l’altro. La detective le abbracciò strette entrambe.
“Ah, si! Ora sì che mi sento bene” rispose dando un bacio sulla fronte prima a una e poi all’altra.
 
“Siete i parenti di Abigail Morningstar?” domandò un medico riportando entrambi alla realtà.
Immediatamente si alzarono e si avvicinarono a lui.
“Sì, siamo noi, siamo i suoi genitori” disse Chloe.
“Signori Morningstar vostra figlia ha la febbre incredibilmente alta, è quella che noi chiamiamo febbre emorragica. La febbre emorragica virale fa parte di un gruppo di malattie di origine virale a carattere sistemico, caratterizzate da esordio improvviso, acuto e spesso accompagnate da manifestazioni emorragiche” disse l’uomo.
“Che significa, mi scusi?” domandò la detective.
“Si tratta di malattie altamente contagiose e la prognosi è variabile, dalla forma più lieve, quella autolimitante, a quella letale”
“Non capisco cosa sta dicendo. Parli in modo chiaro, le sembro forse un medico?” domandò Chloe nervosa.
“Stiamo ancora cercando di identificare di che gruppo sia, ma vostra figlia sembra avere una malattia infettiva che potrebbe essere mortale. Per capire meglio a quale gruppo appartenga e dunque di che tipo sia, ho bisogno di sapere se negli ultimi due o tre mesi sia stata in Africa, Asia o Sud-America o se è stata in contatto con qualcuno che c’è stato di recente”
“Mi sta dicendo che Abigail potrebbe morire?” domandò ancora incredula Chloe.
“Signora Morningstar, sono profondamente dispiaciuto, ma se non ci fornisce le informazioni richieste, non posso darle una risposta certa”
“No, non è stata in nessuno dei paesi da lei citati. Non ha mai lasciato gli Stati Uniti da che è nata. Nessuno a noi o a lei vicino è stato lì. Voi dovete aiutarla” continuò disperata lei.
Lucifer se ne stava lì, ascoltava quella conversazione senza riuscire a proferire parola. Sentiva di essere come in una bolla, circondato da quei rumori che si facevano sempre più forti e confusi, senza riuscire a comprendere niente. Sapeva solo che qualunque cosa avesse sua figlia, fosse potenzialmente letale. Doveva essere per forza opera di Uriel. Riusciva solo a pensare a tutti i modi in cui avrebbe potuto ucciderlo per quanto avesse fatto a sua figlia. Sentiva la rabbia crescergli dentro. E prima che potesse accorgersene, sferrò un pugno contro il muro della sala d’attesa, lasciando un buco profondo al suo interno. Chloe si girò immediatamente e lo guardò spaventata. Gli occhi di Lucifer erano pieni di lacrime. Il medico spaventato, gli prese la mano e notò che era ricoperta di sangue. Continuavano a parlargli, ma lui non riusciva ad ascoltarli. Voleva solo far soffrire suo fratello, esattamente come stava facendo soffrire lui.
 
Nel frattempo, Amenadiel andò a casa di Uriel. Senza aspettare che questi gli aprisse la porta, la sfondò con un calcio e si addentrò nel corridoio.
“Uriel!” urlò.
Il fratello si manifestò immediatamente guardandolo confuso. Aveva il viso gonfio e ancora violaceo per via dell’incontro con Lucifer. Senza aspettare un istante, Amenadiel gli mollò un rovescio che lo fece capitolare dall’altra parte della stanza.
“Ti avevo ordinato di lasciare perdere questa storia di Lucifer e di tornartene a casa. Cosa ci fai ancora qui?” domandò.
“Fratello, lo so. Ma non posso lasciare che papà mi mandi all’inferno. Non posso tornare a casa”
“E hai deciso, quindi, di affrettare il tuo piano?” domandò furioso l’angelo preferito di dio, avvicinandosi a lui minacciosamente.
Quello, ancora per terra, strisciò come un verme fino al muro.
“Di che stai parlando, fratello, non capisco?” domandò.
“Non fare il finto tonto con me. Tu conosci gli eventi, tu sai tutto quello che accadrà. Tu giochi con gli umani. Non dirmi che Abigail non è opera tua”
“Abigail è colpa di Lucifer e dell’umana, di nessun altro!” si oppose lui.
Amenadiel lo prese dal collo e lo sollevò da terra, fermandolo contro il muro.
“Abigail sta morendo ed è solo colpa tua, nostro fratello non c’entra nulla”
“Sta morendo? Cosa?” chiese genuinamente sconcertato l’altro.
“Non fare finta di non saperlo! È colpa tua!”
“No, fratello, te lo giuro su nostro padre. Non c’entro nulla. Non so di cosa tu stia parlando”
“Abigail, nostra nipote è in ospedale. È in fin di vita, Uriel!” esclamò lui allontanando il fratello dal muro e sbattendocelo contro.
“Amenadiel non sono stato io” disse e poi divenne serio per un attimo. Il suo sguardo si fece sempre più spaventato. I suoi occhi erano spalancati. E Amenadiel poté giurare di non averlo mai visto in quelle condizioni.
“Che hai? Che succede?” domandò.
“È troppo tardi! È troppo tardi. Non doveva succedere. Non adesso!”
“Di che diavolo stai parlando! Uriel, che hai fatto?”
“Non capisci Amenadiel. Sta succedendo, dobbiamo portarla via di lì o ci sarà una strage di massa”
Amenadiel lo guardò confuso. Mollò la presa sul suo collo e quello cadde al suolo. Si alzò e si sistemò la veste.
“Ti spiegherò tutto una volta lì, dobbiamo andare in ospedale”
“Sei fuori di testa se pensi che ti lascerò andare lì”
“Vuoi salvare la ragazza, sì o no?”
“Certo che voglio salvarla, Uriel”
“Allora dobbiamo andare. Non c’è tempo da perdere”


Nel prossimo capitolo:
Amenadiel e Uriel entrarono nella camera d’ospedale di Abigail. Si credeva che fosse affetta da una patologia estremamente contagiosa, motivo per il quale, Lucifer e Chloe indossavano delle tute particolari. Era al reparto infettivo, ma i due angeli, consapevoli della loro immortalità e immunità, entrarono in quel luogo, sprovvisti di ogni accortezza. Chloe era accanto a sua figlia, le teneva la mano e con l’altra le accarezzava la testa. Il volto, seppur parzialmente nascosto dal casco che la proteggeva, era segnato e gonfio per le continue lacrime. Lucifer dava loro le spalle. Aveva una mano sul muro e con il viso chino, guardava per terra. Quando sentirono la porta chiudersi, entrambi si girarono speranzosi. Ma, non appena il diavolo vide suo fratello Uriel, scattò, in un impeto di rabbia, verso di lui. Lo afferrò dal collo e lo attaccò al muro.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11


Amenadiel e Uriel entrarono nella camera d’ospedale di Abigail. Si credeva che fosse affetta da una patologia estremamente contagiosa, motivo per il quale, Lucifer e Chloe indossavano delle tute particolari. Era al reparto infettivo, ma i due angeli, consapevoli della loro immortalità e immunità, entrarono in quel luogo, sprovvisti di ogni accortezza. Chloe era accanto a sua figlia, le teneva la mano e con l’altra le accarezzava la testa. Il volto, seppur parzialmente nascosto dal casco che la proteggeva, era segnato e gonfio per le continue lacrime. Lucifer dava loro le spalle. Aveva una mano sul muro e con il viso chino, guardava per terra. Quando sentirono la porta chiudersi, entrambi si girarono speranzosi. Ma, non appena il diavolo vide suo fratello Uriel, scattò, in un impeto di rabbia, verso di lui. Lo afferrò dal collo e lo attaccò al muro. Chloe immediatamente lo raggiunse e appoggiò la sua mano sul braccio del suo partner.
“Che stai facendo, sei impazzito?” domandò “Lascialo andare, subito”
“Chloe, non posso. È lui il motivo per cui Abigail è in questo stato” esclamò lui cercando di non guardare la donna al suo fianco. Ma la presa su suo fratello cominciava già a farsi più debole a causa di quella mano posata sul suo braccio.
“Non mi interessa, Lucifer. Lascialo andare, immediatamente!” esclamò lei.
Lui la guardò per un attimo e i suoi occhi cambiarono. Lasciò la presa su suo fratello che si massaggiò il collo e si chiese perché nella sua famiglia tutti amassero prendersela con il suo povero collo. Poi tornò in sé e notò il modo in cui suo fratello guardava quella donna. Come se fosse la cosa più preziosa al mondo. E per un istante, uno soltanto, si sentì incredibilmente in colpa. Ci teneva a lei. Glielo si leggeva chiaramente in faccia. Aveva vissuto con quel diavolo per eoni e per altrettanti era stato confinato all’inferno a compiere il lavoro più vile dell’universo. E quello bastò a ricordargli perché non poteva permettere che suo padre spedisse lui laggiù a far da guardiano e da torturatore a quelli ignobili bestie. Voleva disperatamente che Lucifer tornasse a regnare all’inferno ed era disposto a sacrificare la vita di quelle due persone, anche se Chloe sembrava tremendamente gentile e sua nipote non era così male. Ma non era disposto a sacrificare la vita di centinaia di altre anime umane. E quello era esattamente ciò che sarebbe potuto succedere se non avesse spiegato ai suoi fratelli per quale motivo Abigail stesse così male. Lui lo sapeva per un motivo: aveva già visto quel momento. Ma nelle sue visioni sarebbe arrivato anni dopo. Abigail stava per ricevere le ali e la luce divina da queste emanate, alla loro prima comparsa, con tutta la sua potenza, avrebbe potuto disintegrare tutti i mortali lì presenti.
“Che ci fai tu qui? Se non vai via immediatamente, ti ucciderò” disse convinto.
“Luci lascialo parlare” lo interruppe Amenadiel.
“So come aiutare tua figlia, fratello” gli disse.
“E come, idiota?” domandò lui.
“È molto semplice in realtà, dobbiamo portarla via di qui, immediatamente. Abbiamo poco tempo”
“Non ti aspetterai davvero che io porti via mia figlia dall’unico luogo in cui potrà ricevere aiuto solo perché me lo dici tu, lurido traditore?” continuò Lucifer.
“So che non ti fidi di me. E io non mi fido di te. Voglio che tu vada via da questo posto tanto quanto tu vuoi uccidermi. Ma nonostante i miei piani non posso permettere a tua figlia di compiere un omicidio di massa” disse Uriel.
“Di che sta parlando?” domandò Chloe.
“Di niente, sta tranquilla” rispose Lucifer.
Uriel fece un cenno col capo a Lucifer e questi lo seguì nel corridoio. I due fratelli rimasero soli dopo il loro ultimo incontro.
“Non voglio fregarti. Ma so cos’ha tua figlia”
“Come fai a saperlo?”
“L’ho visto!”
“Allora aiutala!” esclamò Lucifer.
“Sono qui per questo. Tua figlia sta ricevendo le ali. È come per i mocciosi umani quando mettono i denti. Soffrono come cani, gli viene la febbre e poi dimenticano tutto quel dolore. Ma se la lasci qui la tua preziosa detective e probabilmente gran parte della gente in questo edificio morirà” disse Uriel cercando di banalizzare la cosa.
“Come può Abigail far loro del male, Uriel? Non capisco”
“La luce divina! È troppo potente, potrebbe ucciderli tutti. E potrebbe uccidere anche te qualora tu fossi accanto alla detective. Lucifer, lei ti rende umano” gli disse il fratello.
“Lo so, lo so che mi rende umano, che mi rende vulnerabile” sbottò quello.
“E continui a starle accanto? Tu sei fuori di testa, da quanto lo sai?”
“Lo so da un bel po’. Lo scoprii qualche tempo dopo l’assassinio di Delilah. E sì, continuo a starle accanto. È la madre di mia figlia e se devo essere sincero, non mi sembra un motivo valido per decidere di starle lontano” affermò sicuro.
“Cavoli tuoi. Ascolta dobbiamo trovare un posto in cui portare Abigail, un posto in cui nessuno possa essere carbonizzato dalla luce divina. Un luogo isolato, insomma” disse Uriel.
“Ok, la mia Penthouse può andare bene?”
“No Luci, c’è troppa gente che va e viene da quel posto. Ci serve un luogo isolato”
“Ok, portiamola in mezzo al deserto”
“Questa è un’idea migliore” concordò Uriel.
“Vado a firmare le carte di dimissione. Ce la portiamo via di qui il prima possibile” disse Lucifer.
 
“Lucifer, che sta succedendo? Che state facendo?” domandò agitata la detective.
“Portiamo via Abigail, Chloe”
“No, non potete portarla via. I medici non sono ancora tornati con i risultati. Non sappiamo cos’abbia. Potrebbe essere letale, deve rimanere in ospedale. Solo loro possono curarla. Lucifer, ascoltami. Che stai facendo?” domandò disperata Chloe continuando a seguire l’uomo che preparava la ragazza al trasporto.
“Detective!” l’ammonì lui.
Si voltò a guardarla e notò che le tremavano le mani, le lacrime avevano ripreso a scendere violente sul suo viso e a stento si reggeva in piedi. Le si avvicinò e la sorresse, la condusse davanti ad una sedia e la fece accomodare. Si piegò sulle ginocchia. Le mani sulle gambe di lei che aveva il viso basso.
“Lo so, può sembrarti assurdo. Ma è l’unico modo”
“Lucifer, ti prego non portarla via. Non sono pronta a dirle addio. Dovevamo recuperare la nostra vita insieme e sei mesi non sono abbastanza. Io non posso lasciartelo fare. Lei ha bisogno di cure, deve restare qui” continuò la detective tra le lacrime e i singhiozzi.
“Chloe, Abigail starà bene. Non devi dirle addio, devi solo fidarti di me e”
“E di chi? Di quell’uomo che fino a poco fa hai cercato di strangolare proprio in questa stanza? Lo stesso che ti ha conciato in questo modo?” domandò riferendosi ai suoi lividi “Basta guardare la sua faccia per capire che è con lui che hai fatto a botte”
“È assurdo. Non c’è spiegazione plausibile che tu possa comprendere, detective. Lo capisco e ti sto chiedendo di fare un atto di fede molto grande. Ma sono certo che Abigail starà bene. Tu le vuoi bene sopra ogni cosa, lo so. E, potrà sembrarti strano, ma io provo lo stesso. E non permetterei mai a nessuno di farle del male. Voglio che questo sia chiaro. Voglio che tu lo sappia. Non sono il tipo di uomo che parla di sentimenti, non ne sono capace, forse per orgoglio, forse perché mi renderebbe ancora più vulnerabile. E ultimamente lo sono già troppo, ma non posso nasconderti come mi sento in questo momento. Io voglio bene a questa ragazza” disse indicando la ragazza sul suo letto d’ospedale “con tutto me stesso. Perciò fidati di me, Chloe” concluse lui cercando di tranquillizzarla.
Ma non appena si alzò e le diede le spalle, sentì un rumore metallico estremamente familiare. Si voltò. Chloe gli stava puntando addosso una pistola.
“Dì immediatamente ai tuoi amici di allontanarsi da mia figlia o ti sparo”
“Puntualizzo: sono i miei fratelli. Che stai facendo, detective? Da dove hai tirato fuori quella pistola?” domandò lui.
“Sono una poliziotta, ne ho sempre una addosso per le emergenze, anche in questa tuta assurda. Ora, lentamente, rimettete tutti quei congegni a posto e lasciate la stanza” continuò lei sicura.
“Detective sei sconvolta, lo capisco. Ma devi fidarti di me”
“Basta, Lucifer! Non mi fido di te. No! Vuoi portarla via. Morirà! Come posso fidarmi di te?”
“Non morirà, stupida umana! Morirete voi se non la portiamo via di qui, immediatamente!” si intromise Uriel.
“Non chiamarla stupida umana o ti prendo a pugni” intervenne Lucifer.
“Smettetela!” urlò Amenadiel. “Lucifer esci immediatamente!” gli ordinò l’angelo.
Lucifer sbuffò e uscì dalla stanza.
L’arma della detective era ancora puntata contro di loro. Amenadiel si avvicinò alla donna con le mani alzate e lo sguardo fisso.
“Chloe stai soffrendo, lo capisco. Ma sparare a uno di noi potrebbe non essere una buona idea. Soprattutto mentre c’è tua figlia nella stanza. Non ti chiederò di fidarti di me o di noi” disse indicando Uriel “non hai motivo per farlo. Ma Lucifer non farebbe mai nulla per ferirti. Questo ormai dovresti saperlo”
E mentre l’angelo continuava a parlare distraendo la detective, Uriel trasportava, molto silenziosamente, la ragazza nel corridoio. Quando Chloe sentì il rumore della porta chiudersi, si spostò per guardare oltre Amenadiel e vide che sua figlia era sparita. Il tempo di girarsi a guardare l’uomo con cui stava parlando ed era sparito anche lui. Uscì nel corridoio, ma di loro con c’era traccia. Corse velocemente verso l’ascensore e si infilò al suo interno mentre le porte si chiudevano. Si tolse di dosso quella tuta fastidiosa. Arrivata nel parcheggio sotterraneo, li vide. Stavano adagiando Abigail nella macchina di Lucifer. Decise che li avrebbe seguiti. Ma come? Non aveva l’auto, avevano preso quella del suo partner per andare in ospedale. Si guardò attorno. Vide un uomo avvicinarsi ad un’auto. Lo seguì. Gli mostrò il badge facendogli segno con il dito di tenere la bocca chiusa.
“L.A. P. D. devo sequestrare il suo veicolo” disse.
L’uomo annuì e le consegnò le chiavi dell’auto.
 
Per tutta la durata del viaggio, Chloe si chiese dove diavolo stessero portando sua figlia. Sperava, in cuor suo, che Lucifer non avesse perso del tutto la testa e stesse trasportando Abigail in una struttura specializzata in cui avrebbe potuto ricevere le cure adeguate. Ma più il tempo passava e più si allontanavano da Los Angeles. Si erano inoltrati nel deserto afoso, arido e secco della California e, ormai la detective aveva messo da parte la fantasia. Stava per accadere qualcosa di losco, se lo sentiva nelle ossa. I pensieri più tragici cominciarono ad affollarle la mente. Volevano scaricare il corpo di sua figlia nel deserto? Volevano abbandonarla lì, lontano da ogni anima viva per evitare che contagiasse altre persone? Qualunque fosse la loro motivazione, non avrebbero portato a termine il loro piano. Lei li avrebbe fermati. E li avrebbe fermati a costo della sua stessa vita. Aveva ritrovato sua figlia dopo diciotto anni, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portargliela via di nuovo.
Nel frattempo, Lucifer alla guida della sua auto d’epoca, discuteva animatamente con i suoi fratelli, mentre la povera Abigail giaceva sofferente e inerme sul sedile posteriore. La sua testa sulle gambe di Uriel.
“Ti giuro che se questa cosa non dovesse funzionare e mia figlia dovesse morire, ti farò a pezzi. Letteralmente a pezzi” esclamò Lucifer girandosi a guardare suo fratello.
“Lucifer, occhi sulla strada!” lo ammonì Amenadiel.
“Sei un idiota!” commentò sottovoce Uriel.
“Che hai detto? Dimmelo in faccia” lo istigò l’altro girandosi verso il fratello.
“Lucifer, la strada!” continuò Amenadiel.
“Sei un idiota! Guidi senza guardare la strada”
“Non insultarmi, idiota!” esclamò il diavolo dando un pugno sulla spalla del fratello.
“Smettetela di fare i bambini!” esclamò innervosito il maggiore. “Lucifer, guarda la strada e Uriel tieni per te i tuoi commenti”
Lucifer guardò il più piccolo dallo specchietto retrovisore e alzò il dito medio. Uriel fece una smorfia di fastidio e incrociò le braccia al petto.
“Siamo arrivati, qui mi sembra piuttosto isolato” affermò il diavolo lasciando la strada e inoltrandosi nel deserto californiano.
“Lasciamo la macchina lì dietro, non vogliamo attirare l’attenzione di eventuali passanti su di noi” commentò Amenadiel. Gli altri due annuirono. Lucifer nascose l’auto dietro un imponente masso roccioso. Prese tra le braccia sua figlia. Era ormai pomeriggio inoltrato, ma faceva tremendamente caldo.
“Che dobbiamo fare adesso, Uriel?” domandò Amenadiel.
“Dobbiamo aspettare” rispose l’altro.
“Quanto?” chiese Lucifer.
“Non lo so con esattezza, ma so per certo che succederà di notte”.
Lucifer a quel punto guardò sua figlia. I farmaci che l’aiutavano a sopportare il dolore stavano svanendo. Aveva ripreso a sudare e la febbre, stabile fino a quel momento, aveva ripreso a salire. Le accarezzò il viso.
“Andrà tutto bene” le disse.
Amenadiel osservò suo fratello. Non l’aveva mai visto così preoccupato. Amava quella ragazzina, era chiaro. Uriel si trovò a pensare alla stessa cosa. Il modo in cui la guardava, la gentilezza e l’attenzione con cui le accarezzava il viso, avrebbe fatto di tutto per quella persona… anche tornare all’inferno. Aveva avuto un’idea geniale. E quando questo contrattempo si sarebbe risolto, avrebbe ripreso il suo piano.
Nascosta dietro i massi rocciosi del deserto, Chloe Decker continuava a spiare quei tre da lontano. Lucifer aveva tra le braccia Abigail, ogni tanto l’accarezzava. E poi, con gli altri due, non facevano assolutamente nulla. Parlavano, poi si zittivano e poi riprendevano a parlare. Erano più di due ore che andava avanti quella storia. Il sole era tramontato da un po’ e l’oscurità stava inghiottendo quel posto. Doveva trovare un modo di avvicinarsi a loro oppure, una volta diventato completamente buio, non avrebbe più visto molto.
 
“Ci siamo quasi” disse Uriel chiudendo gli occhi e inspirando profondamente. “È ora che tu la metta giù”
“Ma è tutto sporco ed è scomodo, preferirei tenerla in braccio” si giustificò Lucifer.
Ma non ingannò nessuno. La verità era che non voleva assolutamente lasciarla andare. Nonostante una parte di lui era sicura che suo fratello non lo stesse prendendo in giro, ce n’era una assai più fastidiosa che non voleva dargli retta e che cercava di proteggere a costo della sua stessa vita quella ragazzina.
“Lucifer, devi lasciarla andare. Sta per ricevere le ali, non puoi tenerla in braccio” gli disse Amenadiel mettendogli una mano sulla spalla in segno di conforto.
“Va bene” rispose lui. Poi guardò Uriel. “Se le accade qualcosa, ti ammazzo”.
Adagiò lentamente sua figlia sul terreno sabbioso del deserto. E si allontanò leggermente.
“Mani in alto!” esclamò una voce estremamente familiare alle sue spalle.
Si girò lentamente e l’espressione sul suo viso si fece più preoccupata.
“Ovviamente sei qui, detective! Va’ via, non sei al sicuro”
“Se pensi che ti lascerò uccidere mia figlia, non hai capito niente. La difenderò a costo della mia vita e a costo della vostra” esclamò la detective avvicinandosi a lui.
“Detective se non vai via di qui immediatamente, il tuo coraggio ti costerà per davvero la vita. Ad Abigail non succederà nulla, ne puoi stare certa. Ma tu, tu non avresti scampo”
“Lucifer sono stanca delle tue stramberie. Abigail verrà via con me e se provate a mettervi in mezzo, non avrò pietà di voi. Mi dispiace” affermò lei mentre una lacrima le scese sul viso.
Proprio in quel momento, una fioca luce bianca proveniente da Abigail cominciò a farsi strada nell’oscurità della sera. Chloe sbarrò gli occhi e, tremolante tentò di avvicinarsi a lei.
“È troppo tardi, Lucifer. Dovete andare via di qui. Siete in pericolo entrambi” eslcamò spaventato Amenadiel.
“Non ce la faranno mai” aggiunse Uriel.
La luce diventava sempre più intensa e prepotente. Si stava diffondendo sempre di più. Immediatamente Lucifer si gettò su Chloe aprendo le sue ali e coprendola.
“Lucifer! Lasciami andare, che succede? Dove siamo?” domandò quella cercando di divincolarsi stretta nelle sue braccia.
“Chloe io vi proteggerò sempre a costo della mia vita” quelle furono le sue ultime parole.
La luce di Abigail stava illuminando, come il sole in un giorno d’estate, il deserto della California.
 
“E tu, in che modo sei meglio di lui? Perché gli umani pensano di poter redimere un atto cattivo con un altro atto cattivo? È chiaramente la prima volta che questo verme ama davvero una donna e questa è la sua ricompensa?”
“Stai lontano da lei!” esclamò il fratello della ragazza cercando di attaccare Lucifer alle spalle.
Lui, senza neppure girarsi, gli sferrò un colpo alla gola mettendolo k.o. La pistola della ragazza ancora puntata verso il diavolo che per un attimo le mostrò il suo viso terrorizzandola e facendola arretrare.
“O mio dio!” esclamò lei. “Mi dispiace”
“Ti dispiace?”
“Per favore, non farmi del male!” continuò quella alzando le mani.
“Perché tutti dicono la stessa cosa prima di essere puniti?” si chiese Lucifer facendosi sempre più vicino a lei che ormai, seduta per terra strisciava all’incontrario sul pavimento come un verme tremolante e singhiozzante di paura.
“Non uccidermi!” lo implorò.
“Lucifer, non muoverti!” lo avvertì la detective arrivando alle sue spalle.
“Detective dovresti andare via” rispose lui mentre guardava la ragazza nascondere il viso nelle braccia.
Il volto di Lucifer cambiò ancora una volta e, in quel momento, Chloe intravide il suo riflesso su una superficie metallica.
“Chi sei tu?” domandò abbassando l’arma, spaventata.
Lucifer si girò lentamente.
“Cosa sei?” continuò la detective.
L’espressione di lui era sicura, ferma, dura. Non l’aveva mai visto così. Non aveva mai avuto paura di lui, ma in quel momento ne ebbe. Quello non era l’uomo che conosceva. Il battito si fece accelerato e il respiro pesante. Le mani cominciarono a sudarle mentre i suoi occhi scuri la scrutavano. Attorno a loro tutti erano al suolo, sofferenti per motivi diversi. Il fratello della presunta vittima subiva ancora le conseguenze del pugno alla gola. Il playboy fasullo gemeva per la ferita d’arma da fuoco e la ragazza se ne stava rannicchiata in un angolo spaventata e con la testa ancora tra le braccia.
“Sei stato tu?” domandò Chloe riferendosi a quei tre.
“Ho cercato di dirtelo, sono il diavolo” rispose Lucifer.
“Non è possibile” continuò lei.
“Te lo assicuro, detective. Lo è. Insomma, l’hai detto tu stessa che ci sono cose che non riesci a spiegarti. Vuoi un’ulteriore prova? Hai la pistola, sparami”
“Non posso spararti” gli rispose lei.
“Sì che puoi, avanti. Spara così saremo pronti per andare avanti” le disse lui incitandola e sorridendole.
Lei scosse la testa contrariata. Non avrebbe mai potuto sparargli.
“No”, rispose.
“Oh, avanti sparami, detective. Per favore. Così finalmente…” cominciò a dire Lucifer, ma non ebbe il tempo di finire perché Chloe aveva premuto il grilletto e gli aveva sparato. L’aveva preso alla gamba. Non se lo sarebbe mai aspettato, ma stava provando un dolore insopportabile. Era impossibile. Lui era immortale. Niente e soprattutto nessuno avrebbe potuto ferirlo. Serrò la mascella. “Buon per te!” esclamò “Vedi, non fa quasi male” disse. “Ok, un attimo, sta facendo un po’ male. Dio, sta facendo davvero male” continuò mettendo una mano sulla ferita.
Chloe lo guardava scioccata e incredula per avergli sparato. Lui tirò su la mano e notò che stava sanguinando.
“Sto sanguinando” disse.
“Stai sanguinando” disse lei.
“Sto sanguinando” continuò lui.
“Ovviamente stai sanguinando. Oddio cosa ho fatto!” si chiese lei ad alta voce portandosi una mano sulla fronte.
“Io non sanguino” disse lui prima cadere in ginocchio sofferente.
Chloe gli si avvicinò immediatamente. Si inginocchiò davanti a lui.
“Lucifer, mi dispiace. Stai bene?” gli domandò.
“Cosa significa?” chiese Lucifer guardandola.
“Significa che ti ho sparato e che sono un’idiota. E mi dispiace”
“Oh, fa malissimo!” continuò a lamentarsi lui accasciandosi ancora un po’.
Il necessario per trovarsi faccia a faccia con la detective. La guardò negli occhi.
“Che mi sta succedendo?” le chiese.
Ma lei non gli rispose, si limitò a guardarlo.
 
La luce divina proveniente da Abigail aveva ormai acceso il cielo propagandosi così violentemente da costringere Amenadiel e Uriel a coprirsi gli occhi con le mani. Bruciava prepotente sul corpo di Lucifer che si lasciò andare a delle urla di dolore. Il suo corpo mortale non riusciva più a reggere tanta potenza.
 
“Non capisco, com’è possibile che tu sia ancora vivo?” domandò Maze guardando Lucifer mentre se ne stavano seduti al bancone del bar.
“Beh, è proprio questa la domanda, no Maze? Perché certe volte sono immortale” ribatté lui cercando di tagliarsi con un coltellino svizzero il palmo della mano senza provocarsi neppure un graffio “e altre volte sono fin troppo umano” concluse guardando l’amica.
Maze sembrava più confusa di lui. Si voltarono entrambi a guardare il muro davanti a loro. Poi, Lucifer ebbe una specie di epifania.
“Oh, questo sì che è interessante” disse.
“Cosa?” domandò Maze girandosi a guardarlo.
“Devo andare a testare una teoria” affermò e andò via, tenendo sempre ben stretto tra le mani quel coletellino.
 
Sentiva ogni centimetro della sua pelle bruciare. Il dolore era insopportabile, intollerabile. Le sue ali bianche erano spuntate all’improvviso. Le aveva tagliate, com’era possibile che adesso circondassero la detective per proteggerla? Sentiva il sangue colare sulla pelle ustionata e bruciata. Ma, nemmeno per un secondo ebbe voglia di mollare la presa sulla detective. Continuò a stringerla a costo di farle male. Non poteva permettere che le succedesse qualcosa. Sapeva, nell’istante in cui si era buttato su di lei, che probabilmente non sarebbe uscito vivo da quella situazione. Ma non gli importava, l’importate era che Chloe e Abigail stessero bene. Lui sarebbe potuto morire, non gli interessava. Ma loro due dovevano essere protette.
 
Lucifer bussò alla porta di casa di Chloe. Era tardi. Abigail e Trixie probabilmente dormivano già. Vide il suo volto tra le tendine poste sulla parte superiore. Aveva un’espressione compiaciuta. Gli aprì subito.
“Posso entrare?” domandò lui.
“Chi? San Lucifer o il Diavolo?” chiese lei di tutta risposta rivolgendogli un accenno di sorriso.
“San Lucifer è andato in pensione” rispose.
Lei si spostò dalla porta e gli fece segno col braccio di accomodarsi.
“Davvero? Perché ho ricevuto un messaggio da Kyle che diceva che qualcuno ha dato dei soldi per la borsa di studio Emmet Toussant. Abbastanza per un ciclo completo. Un donatore anonimo” disse lei guardandolo con un’espressione compiaciuta.
“Buon per Emmet, mi fa piacere che tutto sia andato per il meglio”
“Mh mh…” commentò lei fiera.
“Ascolta detective”
“Io volevo”
Dissero all’unisono.
“Scusa, prima tu” continuò poi lui.
Chloe sorrise e si avvicinò a Lucifer. Era nervosa, continuava a giocherellare con le mani.
“Ehm… Ci ho pensato molto ultimamente, riguardo l’altra notte. Al perché mi sono presentata ubriaca a casa tua. Al perché non sei voluto venire a letto con me e… credo che noi, questa cosa che abbiamo, forse va oltre il solo lavoro o il sesso” disse lei.
“Quale sesso? Congratulazioni. Sei la prima donna che ha fatto venire le palle blu al diavolo” sdrammatizzò lui facendola sorridere.
Chloe gli si avvicinò ancora un po’.
“Ad ogni modo, io… io… posso abbassare la guardia quando sono con te. Non lo faccio con nessun altro. Tu mi rendi… vulnerabile. E… forse va bene così.” Confessò lei.
Lucifer, con le mani dietro la schiena e in una di queste lo stesso coltellino svizzero di poco prima, tentò di tagliarsi il palmo della mano.
“Detective” cominciò a dire portando quella mano davanti e notando che, questa volta, c’era riuscito a ferirsi. Fu in quell’istante che lo realizzò. “Se può essere di consolazione al tuo orgoglio, sembra proprio che anche tu mi renda vulnerabile” confessò.
La guardò, la guardò come se non l’avesse mai vista prima. Quella donna lo rendeva vulnerabile. Non sapeva perché, sapeva solo che era così.
 
Il suo volto cominciò a cambiare, il suo corpo cominciò a cambiare, le sue ali cominciarono a cambiare. L’aspetto umano di Lucifer lasciò il posto a quello demoniaco. Tutta la sua energia la stava incanalando nel proteggere quella donna e non poté interrompere il suo cambiamento fisico quando il dolore, insopportabile, tirò fuori il mostro, la bestia che aveva in sé, l’unico capace di poter sopportare quel tormento insostenibile.
“Lucifer!” urlò Chloe spaventata prima di svenire tra le sue braccia.
Ma lui non la sentiva, continuava a reggerla a costo della sua vita. Continuava a lasciare che la luce divina lo inghiottisse e divorasse ogni parte di lui.
 
A qualche metro di distanza, Abigail fluttuava nel cielo luminoso di Los Angeles in uno stato di trance. Le sue ali bianche e voluminose la sostenevano. Il suo viso risalassato, la sua pelle candida emanava luce da tutti i pori, i suoi capelli ondeggiavano sulle sue spalle. Uriel cadde in ginocchio di fronte a quella vista e ad Amenadiel mancò il fiato. Era il primo esemplare di nephilim dai tempi della coniatura di quel termine, nell’antico testamento. Non avrebbe mai creduto che qualcosa del genere potesse mai accadere. Che una mortale e un angelo potessero avere un figlio. Eppure, adesso era lì, ad assistere allo spettacolo più raro e bello della sua esistenza. Abigail non aveva a che fare con quelle stupidaggini raccontate dalle leggende. Non era un gigante, ma sì, sua madre aveva fatto innamorare un angelo e lei ne era il risultato. Né lui, né Uriel si preoccuparono di Lucifer. Quello spettacolo li aveva rapiti totalmente, facendogli dimenticare qualunque cosa. E mentre loro guardavano l’ascesa della nipote, il diavolo moriva un po’ di più. Quando le ali raggiunsero il loro massimo splendore e la loro esatta forma, Abigail aprì gli occhi e la luce sparì. Toccò lentamente terra e, con lo sguardo fisso avanti a sé, sempre in uno stato di trance, si avvicinò a Lucifer.
 
La luce era scomparsa e diavolo liberò Chloe dalla sua presa. L’adagiò a terra prima di accasciarsi al suolo, sfinito. Proprio in quel momento la detective riprese conoscenza e lo vide. Il suo Lucifer, nella sua forma mostruosa, giacere sofferente al suolo. Aveva paura, era terrorizzata.
“È tutto vero” sussurrò.
Nonostante ogni fibra del suo essere volesse scappare da quel posto, si avvicinò a lui e posò la sua mano sul suo volto addolorato. Sentì una presenza vicina e quando alzò lo sguardo vide Abigail, aveva lo sguardo perso. Due ali bianche e bellissime sulle spalle. Si chinò verso di lei, come fosse guidata da qualcosa, come se non avesse il controllo di sé. Chloe si accorse che la stava vedendo, ma non la stava guardando. Cercò di chiamarla, di attirare la sua attenzione, ma sua figlia non era lì. La vide posare una mano sulla testa e l’altra sull’addome di suo padre. Poi, una luce flebile cominciò a scintillarle tutt’attorno. Amenadiel e Uriel corsero verso di lei cercando di capire cosa stesse facendo. Ma nessuno aveva mai visto qualcosa del genere. Pochi istanti dopo, il corpo di Lucifer riprese la sua forma naturale e, come per miracolo, lui riaprì gli occhi. Era vivo. Il naso di Abigail prese a sanguinare e lei cadde a terra. Chloe si affrettò a raggiungerla. Le sollevo la testa e l’appoggiò sulle sue gambe. Le accarezzò il viso chiamando il suo nome.
“Mamma?” disse lei aprendo gli occhi.
Il cuore della detective prese a battere all’impazzata. Abigail non l’aveva mai chiamata mamma fino a quel momento. Gli occhi pieni di lacrime e il sorriso più radioso che Lucifer avesse mai visto sul suo volto.
“Sì tesoro, sono io” le disse lei lasciandole un bacio sulla fronte “Stai bene?” le chiese Chloe aiutandola a mettersi seduta.
“Sto bene” disse portandosi una mano alla testa. Poi si girò di scatto preoccupata “Dov’è lui?” domandò.
“Chi tesoro?”
“Dov’è mio padre, dov’è Lucifer?” chiese agitata.
“Sono qui” rispose Lucifer dolorante alle sue spalle.
Lei si alzò in fretta e corse ad abbracciarlo.
“So quello che hai fatto per me. So quello che hai fatto per lei. Grazie papà” gli disse stringendolo.
 
“Ho saputo che è grazie a te se sono qui e non ho ucciso chissà quante persone” disse Abigail avvicinandosi a Uriel.
L’uomo la guardò mettendo su la sua espressione più imperscrutabile, ma dentro si stava godendo ogni secondo di quella vittoria. I suoi fratelli, per la prima volta, avevano avuto bisogno di lui. Per un attimo avevano apprezzato il suo lavoro, per un attimo avevano riposto la loro fiducia in lui. Lo stesso angelo a cui facevano i dispetti e che non consideravano quand’erano tutti assieme.
“È così” rispose.
La ragazza lo abbracciò lasciandolo senza parole. E mentre ancora gli stringeva le braccia al collo disse qualcosa che lo lasciò un attimo perplesso.
“So che hai paura. Nonostante questo, mi hai aiutato e te ne sono grata. Quando ti ho conosciuto sembravi uno psicopatico, ma non sei poi così male, zio Uriel” disse sciogliendo quel contatto e sorridendogli.
Lui rimase a guardarla. Zio Uriel? Un brivido gli corse lungo la schiena. Faceva troppo strano sentirsi chiamare così. Per un secondo si pentì delle minacce rivolte al fratello, per un secondo ci ripensò, per un secondo desiderò semplicemente di prendere parte alla vita dei suoi idoli, di coloro a cui voleva così tremendamente somigliare quando c’era la pace nella Città d’Argento: Lucifer e Amenadiel. Poi la consapevolezza che quei due non lo avrebbero mai perdonato, che non l’avrebbero mai considerato alla loro altezza e che non l’avrebbero mai apprezzato si fece strada nella sua mente. Ormai aveva cominciato quel progetto e doveva portarlo a termine. Sarebbe stato tutto più facile se non avesse conosciuto quelle due donne. Sarebbe stato più facile liberarsi di loro se le avesse considerate solo due inutili e insulse umane. Anche se, una di loro, tecnicamente era solo umana per metà.
Lucifer si avvicinò al fratello, lo guardò dapprima con aria severa. Poi, all’improvviso, proprio quando nessuno se lo aspettava, lo abbracciò.
“Sei un idiota, Uriel, ma grazie” disse semplicemente.
“Prego, Lucifer” rispose quello imbarazzato.
“Ottimo lavoro, fratello” aggiunse Amenadiel dandogli una pacca sulla spalla.
“Grazie” gli disse Chloe sfiorandogli appena il braccio.
Il senso di colpa cominciò a divorarlo. Doveva fermare il suo piano. Non poteva andare avanti. Non poteva ucciderle. Forse era arrivato il momento di tornare a casa e di accettare il suo tremendo destino.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12


Abigail scese in fretta le scale del Lux. Suo padre, seduto al piano stava cantando per l’ennesima volta quella canzone, Creep dei Radiohead. Era da un mese che non suonava altro. Sospirò e si avvicinò al banco. Maze aveva in mano un bicchiere che, con un panno bianco, puliva rimanendo concentrata su Lucifer.
“Ehi” disse Abbi dall’altra parte del bancone sporgendosi per darle un bacio sulla guancia.
“Ehi” rispose quella porgendole la guancia, ma non distogliendo mai l'attenzione da lui.
“Sta ancora cantando quella canzone”
“È la duecentesima volta che l’ascolto in un mese. Ti posso assicurare che questa, all’inferno, sarebbe una delle torture più crudeli.” Sbuffò il demone.
“Non so che fare, Maze” confessò la ragazza sedendosi su uno degli sgabelli.
“Come sta Decker?” chiese quella guardandola finalmente.
“Esattamente come ieri e il giorno prima e quello prima ancora… Non reagisce, Maze. Non so cosa le passi per la testa, non so come aiutarla. Fissa il muro e rimane a letto tutto il giorno. Le porto da mangiare e qualche volta mangia, ma la maggior parte delle volte lascia il cibo intatto. Si alza solo per andare in bagno”
“Trixie come sta?”
“Per fortuna è una bambina sveglia e, nonostante la sua età, capisce che mamma non sta bene. Per fortuna c’è Dan che si occupa di lei”
“Tu, invece, come stai?”
“Come vuoi che stia? Mia madre è praticamente un vegetale e mio padre è altrettanto depresso. Io non sono un essere umano e ho in testa tutte queste informazioni. Sono a conoscenza di cose che non dovrei sapere. Come l’esistenza di tutto questo. Mi è stata data una grande responsabilità e sinceramente non so come comportarmi. Vorrei una mano a gestire tutto, per capire a fondo le mie capacità”
“Tira fuori le palle, Abigail. Ce le hai, lo so. Devi tenere duro finché quei due idioti non si riprenderanno. Dopodiché potrai dedicarti a scoprire a fondo le tue nuove abilità. Non mollare” la incoraggiò Maze. “Io cercherò di aiutarti più che posso, soprattutto con Lucifer. Prova a parlargli, forse ha cambiato idea” continuò.
Abbi annuì. Si spostò i capelli dietro le orecchie e dopo aver ispirato profondamente andò verso suo padre. Si sedette accanto a lui al piano.
Lucifer era in uno stato di trance, continuava a suonare e a cantare per inerzia. Il ghiaccio nel whiskey poggiato sullo strumento si era sciolto completamente. La sigaretta continuava a fumare nel posacenere ormai arrivata al filtro. I granelli di cenere caduti facevano da contrasto al nero del pianoforte.
La ragazza osservò per un secondo suo padre. Poggiò la sua mano su quella in movimento dell’uomo che immediatamente smise di suonare. La guardò. I suoi occhi vuoti fecero intristire Abigail che gli accarezzò dolcemente il viso. Appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Detesto vederti così” disse.
Lui non le rispose. Si limitò ad appoggiare la testa su quella della figlia.
“Ti prego, ho bisogno che ti riprenda. Dobbiamo aiutarla, papà. Tu puoi aiutarla. Magari puoi parlarle, puoi aiutarla a processare tutto”
“Abigail io sono il motivo per cui tua madre è in quelle condizioni. Non voglio arrecare ulteriori danni. Se lei sta male è colpa mia e non riesco a perdonarmelo. L’ho spaventata. L’ho terrorizzata. Deve essere una sua scelta quella di rivedermi e di accettare quello che sono. Non posso impormi nella sua vita. Ha bisogno del suo spazio. E in quello spazio non c’è posto per me. Sto malissimo per quello che le ho fatto.”
“Non le hai fatto nulla, papà. L’hai salvata”
“L’ho terrorizzata. E non potrò mai perdonarmelo”
“Ma…”
“Abigail, non insistere, ti prego” le chiese lui.
La ragazza alzò la testa dalla sua spalla, lo guardò dritto negli occhi e annuì triste.

Chloe continuava a fissare il muro della sua stanza. C’erano un sacco di cose che le frullavano per la mente. Ma soprattutto si sentiva immobilizzata dalla paura. Era innamorata del diavolo. Aveva avuto una figlia con il diavolo. Che significava? Lucifer era davvero il diavolo. L’incarnazione del male puro.
 
“Mi è successa una cosa davvero strana questa settimana” disse Lucifer arrivando alle spalle di Chloe facendola spaventare.
“Cristo!” esclamò lei girandosi. “Che ci fai tu qui?” domandò guardandolo confusa.
“Vedi, la scorsa settimana ho quasi investito una ragazza. Da gentiluomo quale sono mi sono immediatamente scusato e le ho offerto un passaggio a scuola, passaggio che lei ha accettato. La cosa strana è che sono piuttosto sicuro di averle infilato un biglietto col mio numero di telefono nello zaino, ma non ho ricevuto nessuna chiamata da parte sua. E capirai che ci sono rimasto piuttosto male. Dovevo avere il telefono rotto, perché altrimenti non si spiega”
“Magari quella ragazza ha trovato il tuo biglietto e semplicemente è interessata a chiamarti”
“Mi sembra difficile crederlo. Insomma, guardami” disse facendo un giro su se stesso.
“Non capita spesso che ti dicano di no, vero?” domandò lei osservandolo curiosa.
“No, in effetti non mi capita mai. Sei la prima ad ignorarmi. E sappi che questo mi irrita” affermò Lucifer.
“Ah, capisco” disse Chloe alzando le sopracciglia e annuendo.
“Cosa?”
“Sono la tua sfida del momento. Vediamo se ho ragione, hai intenzione di provare a portarmi fuori a tutti i costi e, se e quando ci riuscirai, passerai alla prossima preda. Ho ragione?” domandò Chloe incrociando le braccia al petto.
“Esatto!” concordò Lucifer sorridendole.
Lei annuì.
“Quindi a che ora ti passo a prendere domani sera?” chiese lui.
“Apprezzo il tentativo e apprezzo soprattutto l’onestà, davvero. Ma, no. Non ti disturbare. Non mi interessi” rispose lei prima di girare i tacchi e andare via.
 
Avrebbe dovuto capirlo dall’inizio? Non gliel’aveva mai nascosto. E allora perché non gli aveva creduto. Perché nonostante lui glielo ripetesse da sempre, ne era rimasta così stupita, così colpita. Perché non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del suo volto demoniaco?
 
“Fammi indovinare, sei qui per chiedermi di uscire?” domandò Chloe quando la macchina di Lucifer si accostò a lei che camminava sul marciapiedi.
“Su, avanti, Chloe non puoi rifiutarmi per sempre”
“Oh, sì che posso. E finora è stato divertente, ma comincia a diventare un po’ inquietante. Non farmi chiamare mio padre” lo avvertì lei.
“Il detective Decker non si scomoderà mica per delle questioni amorose. Non credi, tesoro?” disse.
“Non chiamarmi tesoro e guarda la strada, è pericoloso, potresti farti male” disse lei continuando a camminare dritta.
Lui accostò l’auto al marciapiedi, parcheggiandola lì. Scese in fretta e facendo un breve corsetta, raggiunse Chloe.
“Quando ti preoccupi per me sei bellissima” le disse affiancandola.
“Ok, forse è meglio essere chiari una volta per tutte” disse Chloe fermandosi. Lo guardò dritto negli occhi. Sul viso di lui c’era l’espressione più dispettosa e beffarda che gli avesse visto fare fino a quel momento. “Io non uscirò mai con te. Non mi piaci, anzi, ti trovo piuttosto ripugnante”
“Ripugnante addirittura?”
“Esatto”
“Beh se è quello che desideri...” cominciò a dire lui guardandola intensamente. “Cos’è che desideri davvero, Chloe?”
 “Che razza di domanda è?” domandò lei guardandolo confusa.
“Tutti abbiamo un desiderio che prevale sugli altri, qualcosa che vorremmo fare disperatamente, ma che a stento abbiamo il coraggio di ammettere a noi stessi. Tu, cos’è che desideri davvero, Chloe Decker?” continuò lui aumentando l’intensità del suo sguardo.
“E tu pensi che il mio desiderio più grande sia uscire con te? È per questo che me lo stai chiedendo e che mi guardi così?” chiese Chloe scoppiando a ridere e lasciando Lucifer senza parole.
“Come? Cosa? Sei forse una sorta di Jedi?”
“Nonostante apprezzi il riferimento a Guerre Stellari, non sono un Jedi. Tra l’altro gli Jedi non sono tra i miei personaggi preferiti”
“Neanche il maestro Yoda?”
“Adoro il maestro Yoda, ma nessuno di loro si avvicina neppure minimamente alla grandezza di Leia. La prima principessa Guerriera. Colei che è disposta a rischiare tutto per permettere al bene di trionfare sul male. Che, per carità, è intrigante…” cominciò a dire lei.
“Oh, ma dai!”
“Ehi, non ti permetto di giudicare la mia amata Leia”
“Non la giudico, mi piace, ma non credo sia il personaggio migliore”
“Io credo che tu debba stare zitto adesso” affermò Chloe guardandolo malissimo.
“E allora Han? Lui si che è il migliore”
“Attraente, ma non cambio, sempre Leia”

Lucifer rise di gusto e la guardò per un secondo, perdendosi in quegli occhi verdi intensi.
“Che c’è?” domandò lei accorgendosi del suo sguardo.
“C’è che ho appena realizzato una cosa”
“Cosa?” domandò lei portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Leia all’inizio detestava Han”
“Ok…” commentò lei credendo di sapere dove volesse arrivare.
“E alla fine si sono innamorati. Bene, è stato bello chiacchierare con te. È arrivato il momento di andare via e ti prometto che smetterò di chiederti di uscire” detto questo e prima che Chloe potesse replicare, si girò e prese a camminare verso la sua auto, lasciandola lì, sola a chiedersi cosa fosse appena successo.
 
Da quando aveva visto il suo vero volto, Chloe cercava disperatamente di ricordare la persona dietro quel viso. Cercava di ritrovare l’uomo di cui era innamorata dietro quegli occhi rossi e quelle orrende storie sul suo conto. C’era la persona che amava dietro l’essere più temuto della storia e della religione. Si dice che diavolo sia l’incarnazione del male, come poteva essere lui? Come poteva essere Lucifer il diavolo? Lui non era cattivo, lui non era il male. O forse lo era. Forse era tutta una recita la sua. Forse tutta la loro storia dacché si conoscevano era una menzogna.
 
Chloe uscì da scuola. Nessun ragazzo l’aveva invitata al ballo di primavera e, nonostante cercasse di nasconderlo, c’era rimasta male. Nemmeno il suo compagno di laboratorio durante l’ora di chimica si era fatto avanti. E sapeva con certezza che lui avesse una cotta bestiale per lei. Probabilmente avrebbe rifiutato la sua offerta, ma il solo pensiero che qualcuno avesse potuto pensare di invitarla fuori, l’avrebbe resa più felice. Mentre camminava per raggiungere la strada, passò dal parcheggio delle auto e notò un gruppo di persone abbastanza numeroso. Erano quasi tutte ragazze. Si incuriosì. Si avvicinò a loro e realizzò che quella gente era tutta riunita attorno a Lucifer. Scosse la testa e rimase nascosta tra le persone ad osservarlo. Due ragazze gli stavano praticamente addosso.
“Fai sport nella tua scuola? Hai un braccio molto muscoloso” disse una ragazza tastandogli il muscolo e ridacchiando come una gallina.
“Il sesso conta come sport?” domandò lui prima di rivolgerle un sorriso magnetico.
“Se conta, dovremmo fare sport insieme” continuò quella.
“Sono lusingato, ma sono qui per un altro motivo” disse. “Sto aspettando una persona”
“Chi?” domandò una.
“La tua ragazza?” chiese un’altra facendo il labbruccio.
“Penso proprio di no. Non per colpa mia, almeno” commentò.
“Chiunque sia dev’essere pazza” affermò un’altra.
“Sì, dev’essere completamente fuori di testa” si intromise un’altra.
“Credetemi non è pazza. Forse il pazzo sono io” disse lui.
“In che senso?”
“È stata chiara, non vuole uscire con me. Le avevo promesso che avrei smesso di chiederglielo una volta per tutte. Eppure, eccomi qui, di nuovo, a sperare che stavolta accetti” confessò Lucifer.
“Beh se lei non dovesse accettare, io sono disponibile” si intromise un’altra ragazza.
Lui le sorrise gentilmente.
“Come si chiama?” domandò una delle due che gli stavano addosso.
“Chloe, Chloe Decker” disse lui.
Immediatamente Chloe arretrò cercando di allontanarsi di lì prima che qualcuno la riconoscesse. Ma chi cammina controcorrente salta subito all’occhio.
“Ehi, sei tu Chloe Decker, vero?” domandò una ragazza ad alta voce girandosi verso di lei.
Tutte le persone si voltarono a guardarla. Lucifer la cercò con lo sguardo e quando la trovò le si avvicinò. Sorrise portandosi una mano dietro la testa.
“Da quanto sei qui?” le chiese.
“Un po’” rispose lei.
“Scusami, non avevo intenzione di metterti in imbarazzo” continuò.
Lei lo prese dal braccio e lo trascinò a debita distanza da quella folla.
“Lucifer pensavo di essere stata chiara. Io non sarò un’altra medaglia sulla tua cintura” affermò lei guardandolo dritto negli occhi.
“Lo so, Chloe. E all’inizio per me non eri altro che una sfida, uno sfizio da togliermi. Ma ora voglio passare davvero del tempo con te. Anche solo come amici” disse sicuro.
“Come amici, ci riusciresti?” domandò lei.
“Se è l’unico modo per starti vicino, sì” rispose lui sicuro.
 
Come poteva essere lui? Lo stesso ragazzo che la invitò al ballo della scuola, quando nessun altro lo fece. Che tutto ciò fosse colpa sua? Che nessuno le avesse chiesto di uscire cosicché lui potesse farlo? C’era qualcosa di reale nella loro storia o era stato tutto un suo piano malvagio? E poi perché aveva scelto proprio lei? C’erano tante ragazze cos’è che aveva visto in lei? Era più vulnerabile delle altre? Una preda più interessante o divertente? Come poteva essere questo il suo Lucifer? Lui non era così meschino, lui non era cattivo. Lui era puro.
 
“E quindi nessuno ti ha invitato al ballo? I ragazzi della tua scuola hanno qualche rotella fuori posto” affermò Lucifer mangiando una patatina fritta.
“Ma che ne so!” rispose Chloe rubandogliene una.
“Ehi quelle sono le mie patatine!” esclamò lui allontanandogliele.
“E dai, non fare lo stronzo, non mi hanno ancora portato l’ordine”
“Ok, io ti lascio prendere le mie patatine, ma tu mi fai mangiare la ciliegia sul tuo frappè”
 “Ma adoro la ciliegia sul frappè, è la mia parte preferita”
“La scelta è tua Decker” esclamò lui porgendole le sue patatine.
Lei lo guardò con gli occhi piccoli. Scosse la testa.
“E va bene, andata! Ma solo perché le patatine di Poppy’s sono le più buone del mondo”
Lucifer sorrise soddisfatto.
“Tornando al discorso di prima, se vuoi ti ci accompagno io al ballo” le propose lui.
“Sei sicuro? Non hai il ballo della tua scuola a cui andare?”
“No a dire il vero, no”
“Ok, allora” rispose Chloe sorridendo.
 
Era sempre stato così dolce, così carino con lei. Diceva sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato perché era sincero, spontaneo, vero. L’aveva aiutata a superare e affrontare tante questioni importanti, tra cui il dover ammettere che la carriera di attrice non era quella che voleva perseguire, nonostante sua madre la spingesse a continuare. Era una spalla su cui piangere e la roccia su cui appoggiarsi quanto nessuno sembrava capirla. Lui era l’unico. Se la loro storia era tutta una menzogna, perché quei ricordi e quelle sensazioni le sembravano ancora così vere? Per un attimo pensò che il diavolo potesse essersi genuinamente innamorato di lei.
 
“Sono sicura che Chloe scenderà in un minuto, Lucifer. Prego, accomodati nel frattempo” disse Penelope Decker accompagnando il ragazzo nel soggiorno dove si sedette accanto a John Decker.
L’uomo lo guardò con sguardo severo. Poggiò il giornale sul tavolino da caffè e, assieme a quello, i suoi occhiali.
“Ti conviene riportarmela a casa per le undici oppure diramerò un mandato d’arresto nei tuoi confronti” disse l’uomo con voce calma.
“Certo, signore”
“Togliti dalla testa qualunque strana idea. La mia scimmietta non si tocca, chiaro?”
“Chiaro, signore”
“Lucifer, tesoro, Chloe è pronta” intervenne Penelope affacciandosi appena dall’uscio della porta. Il ragazzo si alzò in piedi e si sistemò la giacca. Tornò all’ingresso e aspettò davanti alle scale che lei si palesasse.
Chloe scese qualche istante dopo. Indossava un bellissimo vestito rosso. I lunghi capelli erano legati in uno chignon e un filo di trucco metteva in risalto i suoi bellissimi occhi e le sue labbra. Lucifer rimase senza parole. Quella era la ragazza più bella che avesse mai visto e lui di ragazze ne aveva conosciute tantissime. Ma nessuna arrivava a lei. E più la vedeva scendere quei gradini e avvicinarsi a lui e più se ne convinceva.
“Chiudi la bocca ragazzo o dovremo raccogliere la tua mascella dal pavimento” gli disse John Decker affiancandolo.
“Mi scusi, signore” rispose lui senza distogliere lo sguardo dalla visione che aveva davanti.
John prese la mano di sua figlia e le lasciò un dolce bacio sul dorso.
“Sei bellissima” le disse.
Lei lo abbracciò e gli lasciò un bacio sulla guancia, sporcandolo di rossetto.
“Ti voglio bene, papà”
“Anche io te ne voglio, scimmietta”
“È tempo di foto!” esclamò Penelope Decker sventolando una macchinetta col rullino. “Chloe, Lucifer avvicinatevi” continuò.
I due ragazzi si misero l’uno accanto all’altro e la donna gli scattò la foto.
“Lucifer, un po’ più vicino, mettile il braccio dietro. Sì, la mano sul fianco. Tranquillo tesoro, non si rompe mica” scherzò la donna.
Gli occhi severi di John pesavano ancora su di lui che ormai era diventato paonazzo in viso.
“Lucifer sei diventato tutto rosso” sussurrò Chloe divertita.
“Penso che tuo padre voglia uccidermi, se non fossi immortale, avrei seriamente paura”
“Già perché sei il diavolo”
“Esatto Chloe, vedo che finalmente hai capito” commentò lui con lo stesso tono.
“Dai ragazzi concentratevi. Siete troppo belli per non avere una foto decente. Potrete sussurrarvi cose dolci una volta fuori di qui, ma adesso concentratevi” esclamò Penelope.
“Mamma, te l’ho già detto io e Lucifer siamo solo amici” precisò Chloe.
“Solo amici, capito ragazzo?” continuò John.
“Dagli tregua John, sono ragazzi!”
“E comunque, credo che tu sia bellissima” le sussurrò in un orecchio lui.
“Ti ringrazio, anche tu stai molto bene”
“Ovvio che sto molto bene, so come portare un completo di alta sartoria, guarda che corpo” scherzò lui a bassa voce facendola ridere.
Cosa che fece innervosire il detective Decker che lo fulminò con gli occhi facendolo tornare di colpo serio.
 
Non riusciva a smettere di pensarci. A tutti quei momenti, a tutti quei ricordi che si susseguivano veloci e dolorosi, tremendi e brutali. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Doveva sperare che dietro quel mostro ci fosse lo stesso ragazzo che l’aveva fatta innamorare. Ma quei pensieri distruttivi continuavano a perseguitarla e non riusciva a sconfiggerli con quei bei momenti. Non erano abbastanza. Stava crollando e sprofondando sempre di più nel dubbio, nelle sue stesse fissazioni.
 
“Si muore di caldo”
“È agosto e siamo a Los Angeles, l’unico posto più caldo è l’inferno e credimi, non vorresti andarci”
“E tu lo sai perché sei il diavolo”
“Esatto. E comunque potresti rinfrescarti con un bel bagno”
“Potrei, hai ragione”
“Fai quello che vuoi, io vado a buttarmi”
Lucifer si tolse in fretta le scarpe e i calzini, poi la maglia e infine i pantaloni rivelando il suo corpo tonico e sexy. Cominciò a correre sulla sabbia verso il mare e, una volta lì, ci si buttò senza pensarci due volte. Emerse dall’acqua e a Chloe parve di stare guardando un episodio di Baywatch. Il suo corpo statuario era pieno di piccole goccioline d’acqua, i suoi capelli scuri, bagnati erano ancora più sexy e la mutanda intima bagnata non lasciava spazio all’immaginazione. Istintivamente si alzò e si tolse le scarpe, poi i pantaloncini di jeans e infine la maglietta. La sabbia scottava sotto i suoi piedi, ma continuò a correrci sopra senza staccare gli occhi da lui. Il contrasto con l’acqua ghiacciata la fece sussultare e si domandò come avesse fatto Lucifer a gettarsi al suo interno senza esitare. Alzò lo sguardo e lo vide. L’acqua lo copriva solo per metà. Le sue spalle larghe, il suo collo snello, i pettorali lisci e quel fastidiosissimo ghigno strafottente sul viso, cancellarono ogni suo pensiero pudico. Si gettò nell’acqua e quando riemerse lui era lì. A qualche centimetro da lei. Troppo vicino per poter mantenere l’autocontrollo. Le sue spalle, così possenti, doveva toccarle. Il suo collo, snello e lungo, doveva baciarlo. La sua mascella leggermente allungata, doveva morderla. Le sue labbra sottili, doveva averle. Non poteva farlo, doveva resistere. Non poteva cedere al suo fascino. Aveva resistito per tutto quel tempo. Sapeva che se avesse ceduto poi lui avrebbe perso interesse in lei e lo avrebbe perso. All’inizio non voleva essere solo una medaglia sulla cintura di un idiota. Ma più il tempo passava e più si accorgeva che dietro quella maschera da playboy si nascondeva una persona dal cuore grande e puro. Non poteva assolutamente perderlo. Ma resistergli era una tortura. Avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e lanciarsi bisognosa tra le sue braccia, sulle sue labbra. E quegli occhi, il modo in cui la guardava le faceva sentire le farfalle nello stomaco. Involontariamente si morse il labbro inferiore. Lui piegò leggermente la testa e la guardò con più intensità. Le sue grandi mani si posarono sui suoi fianchi sottili e Chloe credette di perdere la testa. L’avvicinò gentilmente a sé, quanto basta perché i suoi fianchi toccassero quelli di lui. Quei dannati occhi, non smetteva di guardarla. Si sentì impotente, soggiogata dalla bellezza di quel ragazzo.
“Non farlo” gli disse piano.
E mentre le parole uscivano dalla sua bocca, le sue mani si fecero strada dapprima lungo il suo petto, poi lungo le sue spalle, poi il suo collo, fino a raggiungere il suo volto.
“Non farlo” sussurrò ancora sempre più vicina al suo viso.
Riusciva a sentire il suo profumo nonostante l’acqua salata. Si alzò in punta di piedi, le mani di lui ancora su i suoi fianchi. Quelle di lei, prima sul suo viso, scivolarono di nuovo sulle sue spalle. Erano così vicini, così vicini da condividere i respiri. Appoggiò la sua guancia su quella del ragazzo. Lui spostò le sue mani avvolgendola e a quel punto lei fece lo stesso. Rimasero così abbracciati per un tempo che sembrò infinito.
Quando Chloe meno se l’aspettava, Lucifer sciolse quel contatto e si voltò. Camminò lentamente verso la riva, lasciandosela alle spalle.
“Lucifer aspetta!” disse lei.
“Decker vado a prendere degli asciugamani puliti dalla macchina, stai tremando, aspetta qui”
“Lucifer!” lo chiamò di nuovo lei.
Lui si girò.
“Che succede?” le chiese preoccupato. “Hai un crampo? Ti ha morso qualcosa?” si avvicinò a lei.
Chloe non gli rispose, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Lo baciò con tutta l’intensità che aveva in corpo. Lo baciò con tutta la frustrazione che aveva accumulato da quando lo conosceva. Lo baciò con tutto il desiderio che aveva soppresso.
Lui la guardò confuso, disorientato.
“Ma, avevi detto… io non capisco. Mi hai sempre rifiutato e… dovremmo essere solo amici”
“So cosa ho detto”
“E cos’è cambiato?”
“Sono stanca di fingere che tu mi sia indifferente”
“Non ti sono indifferente?”
“Forse all’inizio lo eri, ma è già da un po’ che non lo sei più” affermò lei accarezzandogli la guancia. “Ti avverto che se mi fai soffrire, ti faccio a pezzi”
“Mi hai preso per un idiota?” domandò lui prima di baciare di nuovo le sue labbra.
 
Una lacrima scese lungo il viso di Chloe. Ricordare quei momenti le faceva male. Com’era possibile che quel ragazzo, quello dei suoi ricordi fosse il male? Non poteva essere vero. Ma lui era il diavolo. E lei l’aveva visto con i suoi occhi. Doveva rassegnarsi.
 
“Chissà come dev’essere bello svegliarsi ogni mattina in quella casa. Affacciarsi e respirare il mare” pensò Chloe ad alta voce seduta tra le gambe di Lucifer, coperti dallo stesso asciugamano.
Lui le spostò i capelli bagnati dal collo e si abbassò a baciarglielo dolcemente. Alzò un attimo il viso.
“Ho in mente un modo migliore di svegliarsi ogni mattina”
“Come no? Cosa potrebbe essere più bello di svegliarsi e vedere l’oceano?”
“Svegliarsi e vedere te, ovviamente”
“Oh, questa sì che era sdolcinata!” lo sfotté lei.
“Visto? Una da diabete proprio” rise lui.
“Sei un idiota”
“È vero. Però ti dico una cosa, quando finirai il college, ce ne andremo a vivere lì”
“Ma se stiamo assieme da tre settimane e siamo ancora al liceo!” rise lei.
“Sono serio. Se tra qualche anno dovessi ancora scegliere di stare con me, ti prometto che comprerò quella casa per noi due e una volta finito il college andremo a vivere lì” disse serio.
Lei si voltò a guardarlo. Sorrise e gli baciò la guancia prima di accoccolarsi sul suo petto.
 
Il muro. Quel dannato muro che non faceva altro che fissare da un mese. Aveva voglia di spaccarlo. Forse solo per poter guardare qualcosa di nuovo o semplicemente per poter sfogare la sua rabbia, la sua frustrazione. Si alzò dal letto. La testa le girò per un attimo e dovette mettersi seduta. Inspirò profondamente e scese le scale. Non lasciava la sua camera da un mese. La casa era vuota e silenziosa. Aprì la porta della cantina e scese al buio. Trovò l’interruttore sul muro e cercò, tra gli attrezzi di suo padre, un martello. Lo afferrò e lo rigirò tra le mani, prima di risalire le scale e tornare in camera sua. Si mise di fronte a quel muro e lo osservò per qualche istante. Poi, tirò su l’arma e lo colpì più volte finché non vide crearsi sotto il suo sguardo un buco. Niente di troppo grande, niente di troppo piccolo. Solo un buco nel muro. Lasciò cadere il martello e si sedette sul letto. Lo osservò per qualche secondo. Poi tornò a sdraiarsi nella sua posizione e sorrise appena guardando il suo capolavoro.
 
Abigail tornò a casa qualche ora più tardi. Come al solito, da un mese a quella parte, entrò in camera di Chloe per provare a dissuaderla, a farla alzare dal letto. Per cercare di darle un motivo per alzarsi e rimettere in piedi la sua vita. Ma, quando notò quel buco sul muro, non riuscì a trattenere le lacrime. Si sedette sul pavimento davanti a sua madre in modo che quella potesse vederla.
“Devi parlarmi, devi reagire, devi aiutarmi ad aiutarti” disse.
Ma nulla, Chloe continuava a guardare davanti a sé come se sua figlia non ci fosse.
“Lo so che è dura. Scoprire tutto ciò è stato destabilizzante. Ma immagina quanto destabilizzante è stato per me. Eppure, non mi sono rotta in mille pezzi. Ho bisogno di te, ho bisogno di mia madre. Perciò s
ono qui a chiederti, per favore, di lasciarti aiutare.
“E come?” fu la prima cosa che Chloe disse in un mese.
“Non so come, ma il fatto che tu abbia parlato è già un passo in avanti. Prova a dirmi come ti senti, sfogati con me. Voglio solo che tu stia meglio. Ci tengo a te”
“Non puoi aiutarmi”
“Come lo sai? Non puoi saperlo questo. E se non posso aiutarti, troveremo qualcuno che possa farlo”
“Chi? Chi crederebbe al fatto che sono innamorata del diavolo. Dell’incarnazione del male”
“Lo so, è assurdo. Tutto ciò va oltre ogni umana comprensione. Ma ti assicuro una cosa, Lucifer non è l’incarnazione del male. È un uomo buono. E tu lo sai, lo sai meglio di me e lo sai da molto più tempo di me. Posso avere una conoscenza spropositata di qualunque argomento ad esso legato e posso cercare di convincerti, ma so che non ce n’è bisogno perché in cuor tuo lo sai che lui non è quel mostro che tutti hanno dipinto. Tu lo sai” disse Abigail mentre le lacrime continuavano a scenderle lungo il volto.
“E se fosse stata tutta una menzogna? Sin dal primo momento?”
“Lui non mente, mamma, mai!”
“E se fosse questa la sua più grande menzogna?” domandò Chloe continuando a fissare quel dannatissimo buco sul muro.
“Lo conosci e dentro di te sai che non ti ha mai mentito. Nemmeno riguardo la sua identità. Ti ha sempre detto la verità, ma chi avrebbe creduto alla storia di uno che dice di essere il diavolo?” domandò lei.
“Sono spaventata, Abigail”
“Ed è giusto che tu lo sia, mamma. Ma ti chiedo, quando e se vorrai, di provare a rivolgere tutte le tue domande e tutte le tue preoccupazioni a lui. Ti basterà guardarlo negli occhi per capire se mente o meno” continuò la ragazza. “E ora ti prego, alzati da questo letto e torna al lavoro”
Chloe per la prima volta la guardò e vide il suo volto pieno di lacrime. Sollevò appena una mano e gliene asciugò qualcuna per poi accarezzarle il viso.
“Ti voglio bene”
“Ti voglio bene anche io, mamma” rispose lei.
A quel punto la detective si girò dall’altro lato dandole le spalle.
“Ok, ho capito. Se non vuoi reagire, allora non farlo” esclamò all’improvviso Abigail.
Dopodiché si alzò e si sdraiò accanto a sua madre con il viso rivolto verso il suo, in modo che potesse guardarla.
“Che stai facendo?”
“Faccio esattamente quello che fai tu, niente”

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13


Il telefono di Abigail continuava a squillare. Chloe non faceva altro che nascondere il viso sotto le coperte o sotto il cuscino finché non smetteva di suonare.
“Per favore rispondi!” esclamò all’improvviso dopo l’ennesima volta.
La ragazza la guardò, poi prese il telefono e lesse il nome sul display. Era Lucifer.
“È solo e ancora Lucifer” disse rifiutando la chiamata.
“Sarà la trentesima chiamata che ti fa, rispondigli una volta per tutte”
“In realtà è la trentacinquesima”
“Sarà preoccupato”
“Dici? Quindi l’incarnazione del male si preoccupa, buono a sapersi. Forse non è così cattivo come lo descrivono, eh?” commentò lei prima di richiamarlo.
 
“Ciao papà” disse lei mettendolo in viva voce
“Abigail come stai? Tutto bene? Non ti sento da giorni, è successo qualcosa? Perché non mi rispondevi? Mi hai fatto preoccupare” disse lui dall’altro capo del telefono.
“Sto bene, tranquillo. Sto facendo compagnia a mamma e non ho pensato al cellulare”
“Non farlo mai più, mi hai fatto prendere un infarto! Metaforicamente intendo. Ad ogni modo, come sta la detective?”
“Forse dovresti venire a vedere di persona”
Chloe sbarrò gli occhi dal terrore.
“No, non penso sia una buona idea, te l’ho già detto. La scelta deve essere sua. Le ho già causato troppo dolore. Solo e se sarà pronta a vedermi, mi farò vivo. Tra l’altro stavo pensando ad una cosa. Dal momento che ho riavuto le mie ali, posso tornare a casa. Tu potrai venire a trovarmi quando vuoi e così sparirò definitivamente dalla vita della detective, odio essere la causa del suo tormento. E tutto questo mi ha fatto capire una cosa, anche grazie alla dottoressa Linda: forse merito la punizione di mio padre, merito di rimanere confinato all’inferno a fare il lavoro più vile e indegno di tutti, punire le anime dei dannati”
“Cosa?” domandò Abigail togliendo il viva voce e alzandosi dal letto. Si allontanò dalla stanza.
“Si Abbi, penso sia la soluzione migliore per tutti”
“Per tutti chi, papà? Non per me. Non voglio che tu vada via”
“Non voglio andare via, Abigail, ma forse è meglio così. Certamente per tua madre sarebbe meglio così. Si sentirebbe di certo più al sicuro sapendo che sono all’inferno”
“No! Non lo accetto. Sto venendo alla Penthouse, ne parleremo lì, di persona” esclamò Abigail prima di chiudere la telefonata. Scese le scale in fretta. Prese il suo zaino dal divano e dispiegò le ali per raggiungere suo padre.
 
Arrivò da lui in un baleno. Atterrò sul suo balcone. Lui era lì che sorseggiava del whiskey da un bicchiere appoggiato alla sottile ringhiera in vetro.
“Non ci posso credere che ti arrenderai così facilmente!” esclamò la ragazza avvicinandosi irritata e nervosa.
“Non si tratta di arrendersi, Abbi. Si tratta di fare la cosa giusta e la cosa giusta è lasciare che tua madre viva una vita felice, senza doversi preoccupare dell’essere ignobile che l’ha terrorizzata”
“Tu non sei un essere ignobile. Smettila! Non sei il mostro che tutti dipingono. Io lo so e tu lo sai. Maze lo sa, Amenadiel lo sa, Uriel lo sa, lo sanno tutti” continuò lei.
“Non sai nulla di me, Abigail. Io sono un mostro”
“Non lo sei e forse lo hai dimenticato, ma assieme alle ali ho ricevuto altro. Ho ricevuto la conoscenza. So cose che non dovrei sapere. So cose che non vorrei sapere. E poi so cose che, invece, sono contenta di sapere. E tra queste c’è tutto ciò che riguarda te. E tu, papà, non sei un mostro”
“Devo andare via di qui” continuò lui prendendo la mano della figlia.
“Non puoi lasciarmi” protestò lei.
“Mi dispiace, Abigail” disse ancora lui accarezzandole il viso.
“Ti prego, non andare” lo implorò la ragazza tra le lacrime.
“Non andare” disse una voce proveniente dall’interno.
Lucifer si voltò e la vide, Chloe in piedi in casa sua, illuminata dalla luce fioca del bar. Immediatamente indietreggiò, non voleva spaventarla più di quanto avesse già fatto. Indietreggiò fino a toccare il vetro della balconata. La detective li raggiunse. Aveva il viso scavato dalla privazione di sonno, dalle lacrime e dalla magrezza. Durante il suo periodo di quasi perenne digiuno, aveva perso molti chili e sembrava estremamente fragile. Quasi come se anche una lieve folata di vento potesse romperla. Prese la mano di Abigail e se la portò sul viso.
“Ho pensato a quello che mi hai detto ed è stato solo quando ho sentito le sue parole al telefono che ho capito che hai ragione. Non posso continuare a torturarmi con i miei dubbi. Devo sapere la verità, devo porre le mie domande direttamente a lui” disse per poi voltarsi verso Lucifer “Perciò, Lucifer non puoi andare via. Almeno non fino a quando non avrò avuto le mie risposte”
“Detective io sono pronto a rispondere ad ogni tua domanda se questo potrà servirti ad alleviare il dolore che ti ho causato” disse lui.
“Togliti di là, Lucifer. Mi stai facendo venire l’ansia” commentò lei.
Lucifer si allontanò appena da quella recinzione di vetro e si aggiustò la giacca. Chloe sapeva che non avrebbe fatto un altro passo senza che lei glielo chiedesse e per un attimo dimenticò di avere davanti il diavolo. Gli si avvicinò e lo guardò negli occhi. Come poteva essere il diavolo? Come poteva essere il male? Non c’era un singolo granello di cattiveria in quell’uomo che aveva davanti. Più lo guardava e più se ne convinceva. Gli prese la mano e quando lui gliela strinse appena, lei sussultò. Lucifer aprì immediatamente le dita per lasciarla andare, ma lei non glielo permise. Aumentò la presa sulla sua mano e lo condusse all’interno della Penthouse dove si sedettero sul divano in pelle.
Abigail decise di dar loro un po’ di privacy e restò lì fuori ad ammirare lo skyline di Los Angeles.
Chloe nel frattempo studiava il volto di Lucifer. E le sembrava così affranto. Quella vocina che continuava a ripetergli di non fidarsi, le risuonava prepotente nelle orecchie, ma ce n’era un’altra, assai più invadente che – dal momento in cui aveva posato gli occhi su di lui, qualche istante prima – le diceva che non poteva dubitare di quell’uomo, che era genuino e buono nonostante quell’orribile reputazione.
“Lucifer tu devi capire che, dopo averti visto, dopo aver visto il tuo viso, avevo bisogno di tempo per processare tutto. E, in qualche modo, la mia mente ha cominciato a crearmi queste trappole e questi pensieri distruttivi. Forse per dare un senso a ciò che è successo, alla tua identità. E so che sarei dovuta venire da te a parlarti e a chiederti direttamente qualunque cosa sentissi il bisogno di chiederti, ma non ce l’ho fatta. E ho cominciato a credere che tu fossi il male. C’è una voce nella mia testa che continua a ripetermi questo. E sono terrorizzata! Tu sei il diavolo, quello vero. Insomma, ogni racconto di bene e male nella storia e nel tempo dice che tu sei l’incarnazione del male. E come dovrei io, Chloe Decker, che sono nessuno, comportarmi sapendo questo?” disse lei non riuscendo a trattenere le lacrime.
Lucifer si alzò da quel divano e si allontanò da lei. Sapeva che non avrebbe mai potuto fare del male a quella donna o a qualunque altro essere umano. Ma la paura che lesse nei suoi occhi lo fece sentire tremendamente in colpa.
“Ma poi sono venuta qui e ti ho visto. Lì fuori ti ho guardato negli occhi e ti ho visto davvero. E mi sono ricordata come mi hai fatto sentire. Perciò voglio che tu risponda ad ogni mia domanda e voglio che tu sia sincero”
“Certo, detective. Io non mento, lo sai”
“Quello che si dice di te è vero? Tu sei il male?”
“Tu mi conosci, Chloe. Pensi che io sia il male?”
“Non hai risposto alla mia domanda”
“No, detective. Non sono il male! Non intenzionalmente almeno”
“Che vuol dire?”
“Vuol dire che sì, regno all’inferno. E sì, torturo e punisco le anime dei dannati. Ma non ho mai ucciso nessuno. Sono stato confinato all’inferno per punizione. Mi sono ribellato a mio padre, dio. E lui mi ha disonorato mandandomi da fare la guardia alle bestie. Un’esistenza intera passata a punire esseri disgustosi. Perciò sì, a loro ho fatto del male, ma solo una volta morti e solo perché mio padre mi ha costretto. Pensi che volessi passare l’eternità a tenere a bada i peccatori? No, detective. Volevo solo essere libero. Motivo per cui sono venuto sulla terra.” Esclamò irritato Lucifer. Non gli piaceva parlare di quel posto, ma le aveva promesso che avrebbe risposto ad ogni sua domanda perciò avrebbe tenuto duro.
“Ciò che c’è stato tra noi, era tutto vero?”
“Come?”
“Eravamo davvero, insomma, innamorati o ero sotto qualche incantesimo”
“Non sono un mago detective, né sono mio padre, perciò non posso decidere per gli altri. Tu soltanto conosci i tuoi sentimenti. Io conosco i miei e posso dirti che per me era tutto vero. Ti ho voluta dal primo istante e lo sai. Ma non avrei mai pensato di potermi innamorare di te. Non sapevo di poterne essere capace, di poterlo meritare. È semplicemente successo ed è merito tuo. Perciò, non mi scuserò per quello”
“E Maze? Lei cos’è?”
“Maze, Maze è un demone. È il mio braccio destro. È un’amica fedele e un’alleata in qualunque situazione”
“È un demone”
“Sì, tecnicamente loro non hanno l’anima. Una volta morti cessano di esistere sotto qualunque forma. Ma lei è speciale, da quando è stata qui la prima volta, sembra avere più anima di quei mortali che torturiamo laggiù”
“Cos’è Abigail?”
“È per metà umana e per l’altra, angelo. In diversi libri non canonici del Giudaismo e in antichi scritti cristiani, venivano definiti Nephilim. In riferimento ad un popolo che sarebbe stato presente sulla terra al tempo dell'incrocio tra i "figli del vero Dio" e le "figlie degli uomini". Con l'espressione "figli del vero Dio" s'intende una parte di quegli angeli che si sono ribellati insieme a me, Lucifero. Avere rapporti con le "figlie degli uomini" era contro la loro natura e i rapporti con le donne umane sarebbero stati guidati solo dalla loro perversione, come narra il racconto biblico.” Disse lui.
“Quindi ce ne sono altri?”
“No, come ti dicevo questo è quello che raccontano gli scritti non canonici del Giudaismo e del Cristianesimo. In realtà gli angeli non possono procreare con gli esseri umani. Ecco perché, quando mi dicesti di Abigail ti chiesi se fossi sicura che fosse mia figlia.”
“Non era mai successo prima? Non ne esistono altri? Com’è possibile allora?”
“Io e Amenadiel avremmo due ipotesi, ma sono solo quello, ipotesi”
“Ovvero?”
“Io sono il diavolo, ovvero un angelo caduto. E sono invulnerabile, non posso essere ferito o morire”
“Ma non lo sei, ti ho sparato e hai sanguinato. Hai preso a pugni il muro dell’ospedale e ti sei fatto male. Ti ho medicato quand’eri ferito dopo aver lottato con tuo fratello”
“Esatto. A quanto pare sono vulnerabile solo quando mi sei vicina”
“Io?”
“Sì, detective” disse lui guardandola dritto negli occhi. “Perciò crediamo che starti vicino mi renda umano e dunque capace di poter procreare”
“Qual è la seconda ipotesi?”
“La seconda ipotesi e la prima potrebbero essere strettamente collegate ma non lo sappiamo perché mio padre non si degna di risponderci!” esclamò Lucifer guardando in alto. “Ok, io penso che per oggi sia abbastanza. Hai già molto da elaborare e processare. Riprendiamo questo discorso un’altra volta, che ne dici? A mente fresca e riposata”
“No, Lucifer. Voglio sapere tutto. Hai detto che avresti risposto ad ogni mia domanda. Perciò fallo, dimmi qual è la seconda ipotesi”
“Detective io non credo sia la scelta migliore, non oggi almeno”
“Lucifer!”
“Ok, ma sappi che ne so quanto te. Amenadiel mi ha confessato di essere la causa della tua esistenza”
“Che cosa significa? Che stai dicendo?”
“Anni fa fu mandato da nostro padre a benedire una coppia che non riusciva ad avere figli. Stando a quanto dice Amenadiel fu la prima e unica volta che nostro padre gli chiese una cosa del genere. E quella coppia erano i tuoi genitori, Chloe. Perciò tu sei un miracolo”
“Io sono un miracolo?” disse lei piano mentre le lacrime cominciarono a bagnarle il viso.
“Sì e potrebbe essere il motivo per cui mi rendi vulnerabile o potrebbe essere ciò che ha reso possibile la tua gravidanza. Un comune essere umano non avrebbe mai potuto portare in grembo il figlio di un angelo. Forse ci sbagliamo e non è così. O forse è tutto collegato, il fatto che tu mi renda vulnerabile, il fatto che io mi sia innamorato di un miracolo e che con questi abbia avuto una figlia. Non lo so, detective è tutto così complicato e non volevo scaricarti addosso questo altro peso”
“No, Lucifer, dovevo saperlo! Però avevi ragione, forse è troppo per una sera. Dovremmo fermarci qui” commentò la donna alzandosi dal divano.
Si alzò troppo in fretta e la testa le girò. Fu costretta a rimettersi seduta. Si portò una mano alla fronte e Lucifer immediatamente le si avvicinò. Si inginocchiò davanti a lei per poterla guardare in faccia.
“Ehi, detective, piano” le disse. “Abigail! Abigail!” chiamò sua figlia a gran voce.
Quella rientrò in casa in fretta. Corse da loro.
“Che è successo, che posso fare?”
“Portale un po’ d’acqua e dalle da mangiare, avrà avuto un calo di pressione”
“Non dovremmo portarla in ospedale?” domandò la ragazza.
“Sto bene, Abbi” si intromise Chloe.
“Ok” rispose lei.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


Abigail arrivò presto in centrale quella mattina. Era il primo giorno di lavoro per Chloe dopo aver scoperto l'identità di Lucifer. Voleva solo assicurarsi che stesse bene e che tutto procedesse liscio come l’olio. Entrò nel suo ufficio e la trovò impegnata a parlare con Ella mentre sorseggiavano un caffè. Quando il tecnico la vide, l’abbracciò stretta.
“Sono contenta di vederti, Abbi” disse. “L’altro giorno è passato McMiller, ha chiesto di te” disse la donna sciogliendo l’abbraccio.
Abigail sorrise e scosse la testa.
“Ah si?”
“Sì, voleva sapere come mai non ti si vedesse più in giro. Abigail quel ragazzo ti muore dietro, perché non ci esci assieme?” domandò ancora la Lopez.
“Non fraintendermi, lui è carinissimo ed è un bel ragazzo. Però non lo so…”
“Abbi devi pure divertirti, farti degli amici, stare con noi non è il modo migliore di passare gli anni più belli della tua vita” si intromise Chloe.
“Lo so mamma. Forse dovrei iscrivermi ai corsi pre-universitari, dovrei essere ancora in tempo e magari lì potrei conoscere gente nuova e farmi degli amici della mia età” disse la ragazza.
“Secondo me è un’idea grandiosa” commentò Ella. “Ehi, ma dov’è Lucifer?” domandò guardandosi intorno.
“Lo vedremo molto meno da queste parti” disse Chloe.
“Perché?” commentò rattristandosi Ella.
“Forse questo non era il lavoro giusto per lui” continuò la detective.
“Oh, no, non è assolutamente così! Lucifer adora questo posto” disse Ella marcando la parola posto per sottolineare che si riferisse a lei. “Non penso deciderebbe di fare altro quando potrebbe ronzarti attorno, dico bene? Dovevi vederlo mentre eri in vacanza, non faceva altro che presentarsi sulle scene del crimine con scuse stupidissime aspettando di vederti, poi, quando non arrivavi se ne andava” aggiunse dando una gomitata giocosa a Chloe che però non trovò quell’affermazione altrettanto simpatica. “Decker, tutto bene? Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese notando la sua reazione.
“Sì, scusa, non è colpa tua. È solo che le cose tra me e Lucifer sono un po’ tese al momento” tagliò corto l’altra.
“Ehi Decker, quando vuoi io sono qui, lo sai” rispose lei prima di abbracciarla stretta.
“Ok vedo che qui va tutto bene. Sono passata solo per assicurarmi che il tuo ritorno al lavoro procedesse liscio come l’olio. Perciò adesso vado mamma, ci vediamo a casa stasera. Ciao Ella” disse Abigail uscendo in fretta dalla stanza. Aveva intenzione di passare dal Lux a controllare Lucifer. Aspettò che l’ascensore arrivasse al suo piano e nel frattempo si mise a cercare il numero di suo padre sul telefono per poterlo chiamare e assicurarsi che fosse solo. Non voleva di certo imbattersi in un’altra delle sue amiche o in scene di nudo che avrebbe fatto volentieri a meno di vedere. Quando sentì il suono dell’ascensore, si catapultò all’intero senza nemmeno alzare lo sguardo e si scontrò con qualcuno. Alzò la testa.
“Scusa”
“Fa’ attenzione a dove metti i piedi” gli rispose quello con poca calma.
“Come siamo gentili” commentò lei.
“Cerca di non andare addosso alla gente e sicuramente quella sarà gentile con te” rispose quello.
Aveva un’aria da pallone gonfiato e Abigail gli avrebbe volentieri mollato un ceffone, ma si limitò ad un solo gesto. Gli mostrò il dito medio mentre le porte si chiudevano.
Chi diavolo era quel cretino?
 
Nel frattempo, Chloe cercava di seguire Ella nel suo monologo che andava avanti, ormai, da qualche minuto. Non stava capendo esattamente di cosa le stesse parlando, ma era piuttosto sicura che qualcuno della sua chiesa avesse fatto qualcosa. Quando il tenente entrò nell’ufficio della detective, entrambe si zittirono.
“Tenente” disse Chloe.
“Detective Decker sono passata per annunciarti ufficialmente che il nostro collaboratore civile, il signor Morningstar, non lavorerà più con noi. Purtroppo, ha deciso di tornare al suo ruolo di cittadino. Valutando le statistiche e il numero di casi risolti mentre lavoravi con il signor Moriningstar, ho deciso di affidarti un sostituto. Sembra che lavori meglio in coppia e lontano da Espinoza. Perciò a breve dovrà arrivare il tuo nuovo partner” disse la donna.
“Tenente, lungi da me voler mettere in dubbio le sue scelte e decisioni, ma non ho bisogno di un partner, sono in grado di lavorare anche da sola”
“Decker so che non ti piace essere affiancata da qualcuno, motivo per il quale sono rimasta molto sorpresa da quanto tempo sia durato il signor Morningstar. Tuttavia, sono le statistiche, i numeri ciò che conta e tu, cara mia, lavorerai con un partner. Ah, eccolo, è arrivato” disse la donna sistemandosi la giacca.
Qualche istante dopo fece il suo ingresso nell’ufficio un ragazzo incredibilmente giovane. Sembrava appena uscito dal liceo, al massimo dal college. Chloe lo osservò dalla testa ai piedi, poi guardò il tenente e notò che era completamente rapita da quella persona.
“Sono Lucas, Lucas Fletcher. Lei dev’essere la detective Decker? È un piacere conoscerla” disse quello porgendole la mano e rivolgendole un sorriso ammaliante.
Era alto all’incirca un metro e ottanta, forse qualcosa di più. Biondo, con una barba perfettamente curata che metteva in risalto la sua mascella squadrata. I suoi occhi erano azzurri, di un azzurro malinconico e nostalgico e, nonostante la giovane età, sembravano nascondere un velo di tristezza. Aveva una cicatrice sopra il sopracciglio sinistro, ancora rossa e molto evidente, doveva essere fresca. Indossava dei jeans scuri e una camicia bianca che metteva in risalto il suo fisico atletico. Sul braccio manteneva una giacca nera.
Chloe gli strinse la mano senza proferire parola, poi tornò a guardare il suo capo che continuava a fissare il nuovo arrivato con aria sognante.
“Lucas è un gioiello prezioso, Decker. Mi raccomando, l’ho affidato a te perché sei brava e competente. Lui lo è altrettanto, non farti ingannare da quella faccia da ragazzino!”
“Siamo sicuri che sia grande abbastanza da poter lavorare qui?” domandò Ella.
“Signorina Lopez, Lucas è un prodigio. Si è diplomato a quindici anni, è andato all’università e ha finito a diciassette. È entrato nel programma di addestramento dell’FBI a Quantico, in Virginia e noi siamo riusciti a strapparglielo dalle mani, sottraendolo all’unità di analisi comportamentale, sezione in cui lavorava. Ha solo vent’anni, ma è decisamente competente” rispose il tenente prendendo le sue parti. Forse un po’ troppo. Lo stava difendendo quasi come se la questione la toccasse personalmente. E fu in quel momento che Chloe capì. Era una detective, ma soprattutto era una madre.
“Wow, tenente è fantastico. Sarà divertente lavorare con un altro genio” commentò la Lopez andando a salutare il ragazzo e cominciando a conversarci.
Chloe ne approfittò per avvicinarsi al suo capo.
“È suo figlio, vero?” domandò silenziosamente.
“È così chiaro?”
“Sono sia una detective che una madre. Per me era facile indovinarlo. E poi, se non ricordo male, suo marito fa di cognome Fletcher” disse lei sorridendole.
 
Abigail continuava a chiamare Lucifer, ma da lui nessuna risposta. Arrivò al Lux, salutò velocemente Maze che a sua volta non sapeva dove fosse e si diresse alla Penthouse. I mobili erano tutti coperti. Dove diavolo era finito suo padre? Sul pianoforte notò un biglietto con il suo nome, si avvicinò e lo prese.
“Sono fuori città, dovevo schiarirmi un po’ le idee. Se hai bisogno di me chiamami a questo numero” lesse Abigail ad alta voce.
Senza pensarci un secondo tirò fuori il cellulare e lo chiamò. Dopo qualche squillo, rispose.
“Abbi, sei tu?” domandò.
“Dove sei?”
“Sono a Las Vegas, avevo bisogno di andare via per un po’. Ti prego di non dire a nessuno dove sono”
“Quando tornerai?”
“Non lo so, Abigail. Quando sarò pronto”
“Potevi almeno passare a salutarmi”
“Non potevo”
“Perché?”
“Perché sapevo che se ti avessi visto non sarei più stato capace di partire” confessò Lucifer addolcendo il tono della sua voce.
Abigail non rispose, rimase per un attimo in silenzio a pensare a quelle parole. Voleva bene a Lucifer, gli voleva sinceramente e profondamente bene. E se lui diceva di aver bisogno di stare un po’ da solo, lo avrebbe supportato.
“Va bene, ma ti chiedo solo una cosa”
“Certo, dimmi pure”
“Ogni tanto mandami un messaggio, fammi sapere che stai bene”
“Abigail sono immortale, ricordi?”
“Sì, ma non farmi stare in pensiero”
“Non sono io quello che dovrebbe dire questa battuta?” scherzò lui per alleggerire i toni.
“Hai ragione” rispose lei sorridendo dall’altro lato del telefono.
 
Due settimane dopo, Amenadiel fece il suo ingresso in centrale. Andò spedito nell’ufficio della detective e bussò sulla porta per attirare la sua attenzione. La donna alzò la testa dal fascicolo che stava leggendo e gli sorrise sorpresa.
“Amenadiel, che ci fai qui?” chiese.
“Ciao Chloe, vedo che sei impegnata con un caso quindi non ti ruberò molto tempo. Dov’è mio fratello? Devo parlargli di una cosa. È importante” domandò lui.
“Lucifer? Lucifer non lavora più qui” rispose lei.
“Non lavora più qui? Da quanto?” chiese ancora lui genuinamente stupito.
“Saranno all’incirca due settimane o qualcosa di più” rispose la detective.
“Non ne avevo idea, non lo vedo da un po’. Se non è qui, allora dov’è? Sono stato al Lux e non c’era. Ora che mi ci fai pensare non era nemmeno a casa sua e tutti i suoi mobili erano coperti. Pensavo dovesse ristrutturare la Penthouse, ma non ne sono più certo” continuò lui.
“Sarà con qualche ragazza” provò a dire lei.
“Sì, probabilmente hai ragione. Sarà con le Brittany” aggiunse lui.
“Sì, sicuramente sarà con loro” disse lei cercando di convincere più sé stessa che l’angelo. “Se vuoi, se può farti stare più tranquillo, posso provare a chiamarlo”
“Non risponde al telefono” continuò l’uomo.
“Come? Non risponde nemmeno al telefono?” domandò lei cercando di non mostrare interesse.
“No”, ammise l’uomo.
Chloe annuì senza dire nulla, pensierosa. Le braccia incrociate al petto e il viso basso. Ce la stava mettendo tutta per non sembrare preoccupata.
“Magari Abigail potrebbe sapere dov’è” disse lei all’improvviso.
“Ti dispiacerebbe chiederglielo?” domandò l’uomo.
“No, figurati. Dovrebbe arrivare a momenti”
I due rimasero a guardarsi in silenzio per qualche istante. L’atmosfera non era delle migliori, c’era un grande imbarazzo nell’aria. Chloe continuava a torturarsi le mani, mentre Amenadiel, quando non si guardava attorno fingendo curiosità per quel luogo, le rivolgeva qualche sorriso sghembo. Lucas Fletcher entrò in ufficio alleggerendo un po’ la situazione. Entrò e dopo i saluti di cortesia, si presentò all’uomo prima di andarsi a sedere alla sua scrivania. Fu allora che Abigail arrivò in centrale. In una mano il telefono, nell’altra un caffè. Indossava un jeans a vita alta e una camicetta bianca leggermente sblusata dentro i pantaloni. Sulle spalle il solito zainetto. Le due ciocche estreme dei suoi lunghi capelli biondi confluivano in una treccina sulla parte posteriore della testa. I suoi occhi verdi penetranti erano nascosti da un paio di occhiali da sole neri. Ai piedi le solite Vans old skool nere su cui, quand’era in casa-famiglia, aveva disegnato delle margherite con il bianchetto.
“Ehi mà, ti ho portato il caffè” disse porgendole il bicchiere.
“Tu!” esclamò Lucas alzandosi dalla sedia e puntandole il dito contro.
“Tu!” esclamò contemporaneamente lei infastidita.
“Vi conoscete?” domandò Chloe stranita.
“Sì, detective Decker. Questa ragazza mi è venuta addosso mentre uscivo dall’ascensore il mio primo giorno di lavoro. Era troppo impegnata a guardare il telefono” disse senza distogliere lo sguardo dalla ragazza.
“E ti ho chiesto scusa. Ma tu, mi hai risposto da stronzo” aggiunse lei.
“Abigail!” l’ammonì la detective.
“Beh, se è per questo mi hai mostrato il dito medio, da grande signora quale sei”
“Faccio la signora con chi se lo merita e tu, chiaramente, non lo meriti. Sei davvero fastidioso, comunque” rispose lei togliendosi gli occhiali e guardandolo con disprezzo.
“Abigail, lui è Lucas Fletcher, il mio nuovo partner. Lucas, lei è Abiagail, mia figlia”
“Che cosa?” domandarono entrambi contemporaneamente.
Questo fece ridere Amenadiel e subito tutti si girarono a guardarlo confusi. Lui, allora tornò serio.
“Ehi, che ci fai qui?” domandò Abbi addolcendosi.
“Cercavo tuo padre. Pensavo fosse qui, ma Chloe mi ha detto che ha dato le dimissioni. Sono stato al Lux e alla Penthouse ma non c’era. Ho provato a chiamarlo e non risponde al telefono, così abbiamo pensato che tu potessi sapere dov’è”
“Abbiamo, chi?” domandò Abigail.
“Io e Chloe” rispose quello.
“Oh, comunque è fuori città”
“È fuori città? E dov’è andato?” chiese confusa la detective.
“Quando torna?” aggiunse Amenadiel.
“Sì è fuori città, non posso dirvi dove è andato e non so quando tornerà” disse Abigail.
“Quindi praticamente le tue informazioni sono state inutili” si intromise Lucas.
“Ok, ora voglio prenderti seriamente a pugni” gli rispose lei stringendo i denti.
“Va bene, allora Abigail, se dovessi sentirlo, potresti chiedergli di mettersi in contatto con me in qualche modo, ho bisogno del sua aiuto per una faccenda, è piuttosto importante”
“Vedrò cosa posso fare” rispose la ragazza. “Ora, se volete scusarmi io andrei. Oggi comincio alcuni corsi all’università”.
“In bocca al lupo tesoro, stasera voglio che mi racconti tutto” disse Chloe dandole un bacio sulla guancia.
“Va bene, mamma” rispose lei. “Ciao, Amenadiel” disse, poi guardò Lucas di fronte, gli lanciò un’occhiata sprezzante e se ne andò.
 
“Ehi, sono io. Amenadiel è passato in centrale, chiedeva di te. Mi ha detto che ha bisogno del tuo aiuto per risolvere una faccenda. A quanto pare è piuttosto importante” affermò Abigail al telefono mentre usciva dalla centrale.
“Tempismo perfetto, Abigail, sto entrando a Los Angeles proprio ora. Perciò, avvisa mio fratello che ci vediamo in centrale” rispose l’uomo.
“Stai tornando a casa?” domandò entusiasta Abbi cambiando direzione.
“Sì, tesoro. E ho una sorpresa” continuò.
“Tra quanto arrivi? Non vedo l’ora di vederti” confessò lei.
“Al massimo tra trenta minuti”
“Ok, ti aspetto in centrale”
“Ma non hai i corsi all’università?”
“Il primo è tra un’ora, perciò ho tutto il tempo per salutarti e fortunatamente ho un mezzo più veloce del pullman cittadino per arrivare in università in meno di mezz’ora” disse riferendosi chiaramente alle sue ali.
“Va bene tesoro, a più tardi”
“A più tardi”
Abigail raggiunse il piano dov’era ubicato l’ufficio della madre. Vide Amenadiel avviarsi alle scale e lo chiamò. Gli raccontò che Lucifer sarebbe arrivato a breve e assieme andarono a prendersi un caffè per ammazzare il tempo. Trenta minuti passarono velocemente, l’angelo non era solo un bravo ascoltatore, ma era anche un grande conversatore. Sapeva tantissime cose e Abigail adorava starsene seduta ad ascoltare i suoi racconti.
“Sono tornato!” esclamò una voce a lei familiare all’improvviso.
Si voltò e vide suo padre. Se ne stava in piedi con le braccia aperte. Senza aspettare un secondo, gli corse in contro e lo abbracciò. Lui, dapprima colto di sorpresa, l’abbracciò a sua volta, tenendola stretta. In quel momento Chloe si affacciò dal suo ufficio, avendo sentito la voce del suo ex partner. Vederlo abbracciato a sua figlia, la fece sorridere.
“Come stai?” domandò Lucifer sciogliendo l’abbraccio e guardando Abigail.
“Sto bene adesso. Mi sei mancato” rispose lei.
“Mi sei mancata anche tu” confessò lui.
“Lucifer!” esclamò Amenadiel avvicinandosi a lui.
“Ecco come rovinare un bel momento”, scherzò lui “Ho sentito che hai bisogno di un favore” sorrise sfregandosi le mani.
“Non un favore, ho bisogno di aiuto” precisò il maggiore.
“Stessa cosa” continuò Lucifer.
“Luci, mi hanno rubato la collana” confessò l’altro.
“Comprane un’altra” rispose il diavolo.
“Luci, è la collana che mi ha dato papà” precisò ancora Amenadiel.
“Un altro motivo per comprane un’altra”
“Luci sai bene che i regali di papà non sono mai semplici regali. Se cadesse in mani sbagliate, chissà cosa potrebbe succedere”
Lucifer alzò gli occhi al cielo scocciato prima di guardare serio suo fratello. Aveva ragione, i regali di suo padre non erano mai semplici regali. Per quanto ne sapessero quel ciondolo di dubbio gusto poteva essere l’arma più letale dell’universo. In quel momento la detective si avvicinò a loro. Lui la guardò per un secondo. Era bellissima, come sempre.
“Lucifer” lo salutò lei.
“Detective” ricambiò lui.
“Amenadiel ho sentito che ti hanno rubato qualcosa. Io posso aiutarti” disse lei.
“Apprezzo la proposta Chloe, ma questo non è un semplice furto. Ciò che mi hanno rubato è un cimelio che mi ha donato mio padre” rispose gentilmente lui facendo segno con il dito verso l’alto.
“Oh”, disse semplicemente lei capendo a cosa si riferisse.
“E va bene, ti aiuterò. Ma solo perché non voglio che qualche stupido idiota abbia tra le mani una reliquia divina”
“E ti aiuterò anche io. Sicuramente chi l’ha presa è un umano e conosco i loro modi di agire”
“Detective pensavo che Lucifer non lavorasse più qui” commentò giustamente confuso Amenadiel.
“È stata una sua scelta non lavorare più qui, ma questo non ci vieta di poter collaborare per aiutarti. Vero Lucifer?”
“Non c’è problema per me se non c’è problema per te”
“Bene, allora collaboreremo a quest’ultimo caso” rispose seria Decker.
“Lucifer!” esclamò una voce femminile stridula alle sue spalle.
Una donna molto bella, dai capelli biondi, vestita come se fosse appena tornata da una serata in discoteca, con un abito corto rosa, un giacchetto di lustrini argentato e dei tacchi enormi attirò la loro attenzione. Lui immediatamente le si avvicinò.
“Tesoro, ti avevo detto di aspettare in macchina” le disse a voce bassa.
“Ma è così soffocante lì dentro” si lamentò lei.
“È una decappottabile” precisò lui confuso.
“E poi volevo mostrare ai tuoi amici poliziotti quanto generoso sia il mio tesoro” esclamò lei mostrando l’anello enorme e costosissimo al dito sorridendo fastidiosamente. “Ha pagato quel tizio losco una somma enorme di denaro per averlo”
Chloe sbarrò gli occhi incredula. Sia per la dimensione di quel diamante che era impressionante e per quanto le dolesse ammetterlo, le piacevano tanto i diamanti. Sia perché Lucifer si era sposato. E lei non si era nemmeno accorta che fosse andato via. Dopo quella giornata in cui avevano parlato un po’ della sua natura, non avevano più avuto contatti. Finché, un giorno, lui non aveva dato le dimissioni. Non aveva neppure idea di cosa fosse successo tra loro. Pensava di avere tutto il tempo per poter chiarire e per imparare ad accettare il fatto che il padre di sua figlia, il suo Lucifer, fosse in realtà il diavolo. E adesso, adesso era troppo tardi. Lui aveva sposato una sconosciuta.
“Lucifer, lei chi è?” domandò Chloe ancora parzialmente sotto shock.
“Giusto, vi presento Candy Morningstar, mia moglie” rispose circondandole le spalle con un braccio e lasciando tutti senza parole.
“Immagino fosse questa la sorpresa” riuscì a dire Abigail.
“Sorpresa!” esclamarono insieme i due sposini novelli.
 
“Ti dico che è assurdo! Ha sposato una sconosciuta” esclamò Abigail stringendo tra le mani il suo caffè, camminando lentamente nel campus.
“Ah, ma non prendertela troppo. È chiaramente la crisi di mezza età. Mio padre, quando l’ha avuta si è comprato prima una moto da cross e lui non sa guidare la moto. E poi si è messo con una tizia che ha qualche anno più di noi”
“E tu che hai fatto?”
“Semplice, le ho stretto la mano e le ho detto chiaramente che lui non ha un soldo e che quindi aveva sbagliato sugar daddy”
“E lei?”
“Si è messa a ridere. Siamo anche diventate amiche. Lui poi è tornato in sé. Ha venduto la moto, tanto non la usava comunque ed è tornato strisciando come un verme da mia madre”
“E lei se l’è ripreso?”
“No, nel frattempo aveva conosciuto Miguel, un insegnante di ballo portoricano”
“Oh mi dispiace”
“A me no. Anzi, adesso ho anche lezioni di ballo gratis”
“Tu balli?”
“No, ma ora potrei se volessi”
“Ok sono confusa”
“Lo so, faccio spesso questo effetto alla gente” disse l’altra seria facendola ridere.
Lei era Karen. Abigail la conobbe ai corsi pre-universitari due settimane prima e da quel momento erano diventate amiche. Karen era un personaggio interessante. Vestiva in modo davvero particolare, diceva qualunque cosa le passasse per la testa e c’era della comicità in tutto ciò che faceva. Era naturale farsela piacere. Aveva dei capelli castani ricci e vaporosi che le arrivavano appena sulle spalle. Quella mattina, in fronte, portava un fiocco azzurro. Indossava una salopette di jeans dalla quale spuntava una maglia gialla. Vista da lontano sembrava un minion. Ai piedi delle comode scarpe da ginnastica. Il suo zaino a forma di Game Boy era la cosa a cui teneva di più.
“Sai Karen, sono davvero felice di averti conosciuta” disse Abigail tirandola a sé e lasciandole un bacio sulla guancia.
“Ok, ma troppo contatto fisico, Morningstar. Lascia qualcosa per il detective Fletcher”
“Ah, lo odio quello!” esclamò lei.
“A malapena lo conosci e poi il mio sex radar mi dice che la tua non è semplice frustrazione, è frustrazione sessuale”
“Non ho capito una parola di ciò che hai detto” fece finta di non capire Abigail.
“Non fare la finta tonta con me. Ho come la sensazione che sentiremo parlare ancora di questo Lucas Fletcher, senti che nome, Lucas Fletcher. Quasi eccitante come l’altra Fletcher” disse lei pronunciando con enfasi quel nome e socchiudendo gli occhi in estasi.
“Chi?” domandò Abbi.
“Jessica, ovvio” rispose seria l’altra.
“Sei un’idiota!” esclamò ridendo.
“Non è per questo che mi ami?” domandò scherzando Karen.
“Probabile. Comunque, ci vieni a studiare da me oggi pomeriggio?” chiese Abbi.
“Certo che ci vengo, ma non prima delle cinque, devo accompagnare quell’idiota di mio fratello agli allenamenti di football alle quattro e mezza”
“Per me va bene”
“Allora ci vediamo oggi pomeriggio Morningstar!” esclamò Karen facendo il saluto militare.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


“Non lo so Maze, è vero che Lucifer fa spesso cose senza senso, ma sposare una sconosciuta? Non pensi sia troppo anche per lui?”
Maze seduta dall’altra parte del bancone della cucina la guardava tremendamente annoiata.
“No, Decker. Non è troppo. Anzi, questo è esattamente Lucifer che si comporta da Lucifer. Prende decisioni affrettate, la maggior parte delle volte se ne pente e nel frattempo non si accorge di aver stravolto la vita a tutti.” Disse sovrappensiero “Prendi le tue cose, Maze, andiamo sulla terra. Non ho intenzione di tornare all’inferno, Maze. Dobbiamo tornare a casa. Ehi Maze, che ne dici di tornare sulla terra alla quale ti eri tanto affezionata, ma che abbiamo dovuto lasciare? Non hai davvero una scelta, Maze, torneremo sulla terra. Ehi Maze, Chloe ha visto il mio volto demoniaco e adesso è a pezzi. Maze non ci vediamo domani, in realtà sparisco, vado a Las Vegas e sposo la prima che passa per tamponare temporaneamente le mie ferite”
“Wow Maze è un pensiero davvero profondo se si legge tra le righe” disse Chloe genuinamente sorpresa.
“Sto andando in terapia” rispose quella annoiata. “Ehi Decker, ho una domanda per te”
“Dimmi”
“Com’è che hai dato di matto quando hai scoperto che Lucifer è il diavolo mentre sapere che io sia un demone non ti ha turbato per niente?”
Chloe rimase un attimo in silenzio. Effettivamente aveva ragione. Fino a quel momento non ci aveva neppure pensato. Maze era un demone, Amenadiel un angelo, però era stato scoprire la vera natura di Lucifer a stravolgerla. Perché? In fin dei conti lui era stato l’unico a dirle dal primo istante la verità su chi fosse. E lei aveva dubitato di lui, si era lasciata trascinare dalle dicerie sul suo conto che inevitabilmente l’avevano trascinata lontano da quell’uomo.
“Non lo so Maze, non ci avevo mai pensato finora. Eppure, lui non me l’ha mai nascosto, mi ha sempre detto di essere il diavolo”
“Decker tu sei strana”
“Grazie?” chiese quella non sapendo se l’amica le avesse fatto o meno un complimento.
Il campanello suonò e Abigail si precipitò all’ingresso per aprire.
“È per me!” disse passando velocemente davanti a Chloe e Mazikeen che si guardarono e scossero la testa. “Vieni pure Karen” continuò la ragazza facendo entrare la compagna in casa.
“Morningstar sarò sincera con te, non ho nessuna voglia di studiare. Ma sono venuta comunque perché te l’avevo promesso. Una cosa che non posso prometterti è che non mi distrarrò ripetutamente” disse quella entrando in casa come se ci vivesse.
Abigail rise.
“Lei è mia madre, Chloe” disse presentando la donna alla sua amica.
“Piacere” disse la donna porgendole la mano e sorridendole cordiale.
“Wow!” esclamò Karen rimanendo ferma a guardare la detective con aria sognante. “Wow! Tua madre è wow!” fu tutto ciò che riuscì a dire.
“Ok, inquietante Karen” commentò Abigail. “Lei è Mazikeen, ma la chiamiamo Maze” continuò presentandole l’altra donna che la guardava imbronciata e annoiata.
“Zia Maze” la corresse il demone.
“Wow, Morningstar! Tua zia è strafiga, sembra uscita da un fumetto e tu sai quanto io ami i fumetti”
Maze la guardò inorridita. Abigail scosse la testa.
“Ok Karen la situazione sta diventando imbarazzante. Vorrei tanto presentarti mia sorella, ma preferisco che tu ti riprenda prima, non voglio che tu faccia commenti imbarazzanti davanti a lei, non vogliamo turbarla, vero?” disse la ragazza ridendo.
“Mamma Morningstar” cominciò a dire Karen.
“Decker” la corresse Chloe.
“Mamma Decker, è single? No, perché io…” continuò quella prima di essere trascinata da Abigail in soggiorno per studiare.
“Mi dispiace mamma, di solito sa contenersi” scherzò Abbi.
“Che ragazza strana” commentò Maze facendo ridere Chloe.
Il campanello suonò ancora e Karen scattò per vedere chi fosse. Era troppo curiosa di conosce altra gente e poi era la scusa perfetta per ritardare lo studio. Quando Chloe andò ad aprire, Lucifer fece il suo ingresso. Gli occhi dell’ospite si illuminarono e quasi le cadde la mascella.
“Ah, detective cercavo Abigail” disse lui sistemandosi i polsini della giacca.
“Un secondo, sta studiando con un’amica” disse girandosi e notando Karen affacciata allo stipite della porta. Scosse la testa. “Abbi, puoi venire un secondo? C’è tuo padre”
“Tuo padre?” domandò ancora sotto shock l’amica.
“Sì”, rispose Abbi superandola “Papà lei è Karen, una mia amica dell’università” disse lei.
Karen ancora con la bocca aperta gli porse la mano.
“Cos’ha?” domandò lui a sua figlia.
“Niente, penso sia sotto shock”
“Capisco, faccio questo effetto a molte persone” commentò lui.
Chloe roteò gli occhi e scosse la testa. Certe volte l’egocentrismo di Lucifer toccava picchi inarrivabili.
“Nulla togliere a mamma Decker, ma papà Morningstar è di un altro pianeta” disse Karen rendendo tutta la situazione ancora più imbarazzante.
“Come mai sei qui?” chiese allora Abigail per cambiare argomento.
“Oh, sì, sono venuto ad invitarti a cena, con me e Candy”
“Quando?” chiese immediatamente Chloe.
“Stasera?” domandò Lucifer guardando sua figlia.
“C’è la sua amica a casa, non sarebbe molto educato” rispose la detective.
“Domani sera?” continuò lui.
“È il giovedì dei tacos, mi dispiace” si intromise di nuovo Chloe.
“Detective ho come la sensazione che tu non voglia che Abbi venga a cena con noi”
“Aspetta, tuo padre chiama tua madre detective?” chiese Karen.
“Sì”, rispose la ragazza.
“Anche i miei non stanno più insieme, ma mio padre non chiama mia madre impiegata delle poste. È strano” disse l’amica seria.
Abigail scoppiò a ridere.
Il campanello suonò ancora.
“Ma c’è sempre questo via vai di gente a casa tua?” domandò Karen.
“Non è strano, ma nemmeno così frequente”
Chloe approfittò del momento per andare ad aprire la porta. Sull’uscio c’era Lucas Fletcher.
“Detective Decker, scusi l’intrusione. Ho appena avuto una segnalazione, hanno trovato una collana che combacia con la descrizione della nostra in un banco dei pegni vicino al molo, dov’è avvenuto il furto. Dovremmo andare a controllare.” Disse lui.
“Lucifer chiama Amenadiel, digli di incontrarci lì” rispose la donna prendendo la giacca.
“Ehi Decker!” la chiamò Maze infastidita, Trixie accanto a lei.
“Trix, ti prego, tieni d’occhio Maze fino a quando non sarò di ritorno” esclamò lei uscendo.
“Ah, ah! Divertente Decker” rispose quella seria.
 La più piccola rise e la tirò dal braccio perché andasse a giocare con lei.
Improvvisamente calò il silenzio in casa.
“Credo che questo significhi che adesso non ci siano più distrazioni e ci tocca studiare, vero?” domandò Karen.
“Esattamente” rise Abigail.
“Ma dimmi un po’, era proprio quel Lucas Fletcher prima alla porta?” chiese Karen alzando le sopracciglia.
“Sì, hai visto che pallone gonfiato?” rispose l’altra.
“A me è sembrato tanto carino ed educato” commentò quella.
“Sì, come no” roteò gli occhi Abbi.
 
“Sei sicuro?” domandò Lucifer guardando suo fratello.
“Sì, Luci ne sono sicuro”
“Ma sicuro, sicuro?” continuò lui.
“Luci questo è un cimelio divino, quanti altri pensi ce ne siano in giro uguali? È lui, è il mio ciondolo, lo sento”
“Ma ne sei sicuro al 100%?” continuò nervoso l’altro.
“Luci ma che hai? Sì, è il mio ciondolo, ne sono sicuro al 100%. Che diavolo ti prende?” domandò Amenadiel confuso.
In quel momento, dopo aver lasciato Lucas Fletcher parlare con il proprietario del negozio, Chloe si avvicinò ai due fratelli.
“Amenadiel sei sicuro che sia proprio il tuo ciondolo?” chiese lei.
“Sì Chloe, grazie per l’aiuto”
“Ne sei sicuro al 100%?” domandò lei.
Amenadiel guardò prima suo fratello e poi la detective confuso, ma sospettoso allo stesso tempo.
“Ma che avete voi due? Sì, per l’ennesima volta, questo è il mio ciondolo”
“Quindi il caso è chiuso” disse piano Lucifer.
“Non abbiamo ancora il colpevole” commentò immediatamente la detective.
“Giusto, non abbiamo ancora il colpevole” si illuminò l’altro.
“Abbiamo il colpevole!” esclamò Lucas Fletcher avvicinandosi a loro.
“Dannazione!” esclamò il diavolo girandosi infastidito dall’altro lato.
“È un ragazzino della zona, la famiglia non se la sta passando bene, voleva solo fare un po’ di soldi per aiutarli. Il proprietario ci darà nome e cognome, dobbiamo solo andare ad arrestarlo” continuò il ragazzo parlando direttamente con Amenadiel che sembrava l’unico interessato ad ascoltare quella notizia.
“No, rimborserò il proprietario e ritirerò la denuncia. È solo un ragazzino in difficoltà” esclamò Amenadiel.
“Perfetto” commentò sarcastico il diavolo.
“Che significa, Luci?” domandò il fratello.
“Non era proprio come mi aspettavo fosse il mio ultimo caso” rispose lui girandosi di nuovo verso di loro.
“Questo perché hai deciso che fosse il tuo ultimo caso” commentò Chloe.
“Che vuoi dire, detective?”
“Non deve per forza essere il tuo ultimo caso, sai” disse la donna tirandosi giù la giacca e guardando in pavimento non riuscendo a guardare negli occhi quell’uomo. Stava ammettendo che le mancava, che le mancava al lavoro e questo era troppo. Non riusciva proprio ad alzare lo sguardo e ad incontrare il suo. Ma poi, lo fece.
Lui la stava guardando come se avesse visto qualcosa di estremamente interessante.
“Hai ragione detective, non dovrebbe essere l’ultimo. Ma ormai ho già dato le dimissioni al tenente” commentò guardandola.
“Beh, forse potrei parlarle io” aggiunse la detective piegando leggermente la testa di lato per guardarlo meglio.
“Va bene, allora. Se per te non c’è problema. Mi manca davvero… il lavoro” disse non riuscendo a distogliere lo sguardo dagli occhi della detective.
 
“Ok, comportati bene” disse Chloe chiudendo il cappotto nero di Abigail.
“Sai che non ho dieci anni, vero?” domandò la ragazza sorridendole.
“E ricordati che in qualunque momento posso venire a prenderti. Se la situazione diventa imbarazzante o se ti senti a disagio, in qualunque momento, mandami un messaggio e ti vengo a prendere” continuò lei accarezzandole il viso.
“Sta tranquilla, so badare a me stessa. Non c’è nulla di cui preoccuparsi” rispose la ragazza mettendo la mano su quella della donna e spostandola dal suo viso.
“E promettimi che non ti piacerà più di me”
“Questo non potrebbe mai succedere, ok?” Abbi sorrise dolcemente a sua madre e le diede un bacio sulla guancia prima di uscire di casa.
Lucifer era proprio lì ad aspettarla in macchina, Candy Morningstar al suo fianco. Salì in auto e si posizionò nei sedili posteriori.
“Abbi, sono così felice che tu abbia accettato di venire a cena con noi. Non vedo l’ora di sapere tutto di te!” esclamò Candy voltandosi verso di lei e sghignazzando.
La ragazza le sorrise in ritorno senza proferire parola.
 
Nel frattempo, Maze arrivò a casa Decker. Aprì il frigo, prese una birra e dopo averla stappata con i denti si sdraiò sul divano con i piedi sul tavolino. Chloe seduta sulla poltrona di fronte a lei.
“Allora Decker, che hai?” domandò il demone.
“Ehm?” disse lei distratta.
“Sei chiaramente distratta, a che pensi?”
“Da quanto ti interessa cosa penso?”

Oh, ma dai! Di nuovo questa storia? Lo sai che non mi piace parlare di sentimenti e cose così, ma ci tengo a te e qualcosa non funziona. Allora, sputa il rospo” disse Mazikeen.
“È Candy. Non mi piace quella donna”
“Non ti piace lei o il fatto che sia la moglie di Lucifer?” continuò il demone.
Chloe la guardò e sbuffò. Poi si inumidì le labbra con la lingua mentre guardava un punto indefinito davanti a sé.
“È così ovvio?”
“Sì”
“È penoso, lo so”
“Non lo è, è un po’ da sfigati, ma non troppo. Sei nella media di stranezza nella scala Decker”
“Oh c’è una scala Decker?”
“Oh, insomma, lo sai”
La detective rise e si andò a sedere vicino a lei. Le tolse di mano la birra e scosse la testa. Si alzò e andò in cucina, prese due bicchieri e una bottiglia di vino e tornò da lei.
“Meglio” disse sedendosi accanto all’amica e stappando la bottiglia.
Quella, dal canto suo, prese il bicchiere in una mano e la birra nell’altra.
“Potrebbero servirmi” commentò il demone alludendo alla piega che aveva preso quella serata tra ragazze. Si ritrovò a pensare che le si sentisse incredibilmente la mancanza di Ella Lopez in quel momento. Sarebbe stata la persona perfetta per dispensare consigli romantici e non e lei avrebbe potuto passare l’intera serata a far finta di ascoltarle, ma in realtà godendosi la tranquillità di una serata lontana dal Lux. Ma non era il caso di quella volta perché miss Lopez aveva dovuto lasciare la città per andare a far visita a uno dei suoi duemila fratelli per risolvere chissà quale questione familiare e non sarebbe ritornata almeno fino al lunedì seguente. Perciò toccava a lei indossare le vesti di amica e confidente. Per carità voleva bene a Chloe, ma stare ad ascoltare interi discorsi incentrati sostanzialmente su Lucifer, non corrispondeva proprio alla sua idea di dialogo interessante. E poi era chiaro ai suoi occhi che entrambi, sia il suo capo che la detective avessero dei sentimenti irrisolti, ma che per stupidità e mancanza di conversazione, sarebbero rimasti tali. Cavolo! Quella strizzacervelli era proprio brava. Così brava che quasi ora parlava come lei. Grazie dottoressa Martin, si trovò a pensare prima di realizzare che mentre lei costruiva questa analisi dei suoi amici nella testa, Chloe aveva cominciato a parlare di qualcosa e lei non aveva sentito nemmeno una parola. Per fortuna fu salvata da Trixie che irruppe nel soggiorno trascinando la sua coperta come mantello e sedendosi accanto a lei dopo aver urlato il suo nome ed esserle corsa in contro.
“Ehi scimmietta, perché sei sveglia?”
“Mamma sono le nove, non ho sonno. Ormai sono grande”
“Hai sentito, ormai è grande” ribadì Maze offrendole il suo bicchiere di vino che la bambina prese tra le mani ridendo, ma che immediatamente le fu tolto da Chloe.
“Non abbastanza” commentò la madre guardando male l’amica.
Le altre due si guardarono e ridacchiarono, poi Trixie appoggiò la testa sul braccio di Maze e la guardò.
“Cosa mi hai portato?” le chiese.
“Mi dispiace Trix, non ti ho portato nulla. Tua madre mi ha proibito di portare armi e coltelli in questa casa” sbuffò l’altra.
“Peccato, quello con l’unicorno era davvero bello”
“E incredibilmente affilato per essere da bambini” commentò il demone.
“Mi fai vedere delle mosse di autodifesa?” continuò la bambina.
“Trix ne abbiamo già parlato” si intromise Chloe.
“Ma mamma!” si oppose lei.
“Dai Decker, è per il suo bene”
“No, Maze. Non ho nessuna voglia di essere richiamata da scuola perché ha fatto male agli altri compagni per testare ciò che le hai insegnato”
“Ok, facciamo così. Gliene insegno solo una e lei mi promette che non la proverà a scuola con i suoi stupidi compagni, che dici?” domandò Maze.
Sia il demone che la bambina si voltarono a guardarla, la più piccola le fece gli occhi dolci e in quel momento Chloe realizzò che non avrebbe potuto resistere a quel faccino dolce. Sua figlia era tremenda quando voleva.
“Va bene, ma una sola” disse prima che la bambina si fiondasse su di lei e l’abbracciasse.
La serata proseguì tranquillamente. Trixie si addormentò poco dopo aver imparato quella che a Chloe sembrava una pericolosa mossa di arti marziali. La spostarono in camera sua e tornarono a parlare del più e del meno sorseggiando vino, mangiando qualunque tipo di schifezza trovassero e guardando la tv. Era passata mezzanotte e di Abigail ancora non c’era traccia. La detective stava cercando di nascondere l’agitazione in tutti i modi possibili e immaginabili, ma Maze riuscì comunque ad accorgersene.
“Decker perché stai andando fuori di testa?” le domandò.
“È passata mezzanotte e Abigail non è ancora tornata”
“Sta calma, è con Lucifer”
“Sì, lo so” annuì quella non proprio convinta.
Il demone scosse la testa e la guardò per un secondo mentre annuiva cercando di autoconvincersi.
“Di cos’è che hai paura?” le chiese il demone.
“Che Candy le piaccia più di me” confessò quella.
“Sei seria?” domandò l’altra guardandola come se fosse completamente fuori di testa. Ma la detective non rispose. “Chloe come puoi pensare una cosa del genere? Quella ragazza ti vuole un mondo di bene e Candy? Davvero? Non puoi essere gelosa di lei. Capsico per Lucifer, ma per tua figlia non ha un minimo di senso. Alle volte sei proprio strana, Decker”
Il rumore della serratura attirò l’attenzione delle due. Chloe fece segno a Maze di non parlare quando sentì delle voci all’ingresso.
“È stato davvero divertente” disse Abbi.
“Mi fa piacere sentirtelo dire” le rispose Lucifer.
“Sì, lo è stato! Sono così felice” esclamò Candy battendo le mani “Se vuoi puoi chiamarmi mamma” aggiunse emettendo un gridolino.
“Candy, tesoro, Abigail ha già una madre meravigliosa, dovrai accontentarti di matrigna” intervenne Lucifer.
“Ma fa tanto cattiva delle fiabe” cominciò a dire lei. Poi sbuffò. “E va bene” concluse notando l’espressione intransigente del marito.
“Grazie ancora per la serata, ora è meglio che vada. Non voglio svegliare le altre” disse Abigail lasciando un bacio sulla guancia a Lucifer e chiudendosi la porta alle spalle. Posò la borsa e il cappotto all’ingresso e camminò verso le scale tenendo lo sguardo sul telefono. Poi, resasi conto che ci fosse qualcuno seduto sul divano, tornò indietro. Alzò la testa dallo schermo e la piegò di lato guardando le due donne che sorseggiavano vino.
“Che ci fate ancora sveglie?” domandò.
“Chiacchiere tra ragazze” rispose Chloe facendo alzare le sopracciglia alla figlia, chiaramente non convinta di quella risposta.
“Tua madre non riusciva ad andare a dormire perché non tornavi” disse senza farsi problemi Maze.
Abbi sorrise e andò ad abbracciare Chloe, lasciandole un bacio sulla guancia prima di sedersi tra le due.
“Com’è andata?” le chiese la madre.
“Bene. Candy è simpatica e quasi mi fa venire voglia di accettare la loro proposta” disse.
“Quale proposta?” domandò Chloe.
“Di andare a vivere con loro alla Penthouse”
“Cosa?” domandò allarmata la detective e Maze rise.
“Sto scherzando, non mi hanno fatto nessuna proposta del genere e comunque non avrei mai accettato” rispose la ragazza sorridendole.
La madre le diede uno schiaffetto giocoso sul braccio e poi la tirò verso di sé, stringendola in un abbraccio.
“Non vai da nessuna parte” commentò con la sua guancia premuta sulla testa della figlia, stritolata da quel contatto.
“Ok, ne ho avuto abbastanza di chiacchiere, bacini, bacetti, smancerie varie. Perciò sparite dal divano o andrò a dormire in uno dei vostri letti tra dieci secondi circa” disse Maze togliendosi gli stivali.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16


Candy era ormai un pensiero lontano.

Quella mattina Abigail uscì molto presto di casa, doveva incontrare in università Karen e aiutarla a recuperare le ultime due lezioni che aveva saltato. Era da poco spuntato il sole e faceva ancora fatica a tenere gli occhi aperti. Aveva bisogno di caffeina. Lucifer le aveva chiesto di volare meno, soprattutto di giorno, per evitare che qualcuno la vedesse. Perciò le aveva comprato un’auto. La ragazza entrò nel veicolo e guidò fino alla caffetteria più vicina. Scese dall’auto portando con sé solo una banconota da dieci dollari e il suo telefono. Mentre entrava nel locale, si scontrò con qualcuno che, a sua volta, stava entrando in quel posto.
“Scusi!” esclamò immediatamente lei, contemporaneamente a quel tizio.
Quando si voltò a guardare chi fosse, roteò gli occhi. Quali erano le possibilità che si sarebbe scontrata proprio con lui? Lucas Fletcher la stava guardando tanto annoiato quanto lei.
“La smetterai mai di venirmi addosso? Ogni tanto dovresti alzare la testa da quello stupido telefono”
“Si certo, è colpa mia. Tu, invece, che facevi detective Fletcher? Ogni tanto dovresti alzare la testa da quello stupido telefono, sai?”
“Non prendermi in giro”
“Tu cerca di non servirmi le occasioni su un piatto d’argento”
“Sei veramente fastidiosa, sai?”
“Mai quanto te”
Rispose la ragazza provando ad entrare di nuovo nel locale, ma scontrandosi di nuovo con lui.
“Che facciamo, mi lasci passare o dobbiamo aspettare altre tre ore qui?” domandò lei poco gentile. Sì, aveva sempre avuto un carattere molto forte, ma era scortese di rado. Quel ragazzo riusciva a farla innervosire come pochi. Riusciva a farle perdere la pazienza come nessun’altro aveva mai fatto. Qualche volta avrebbe voluto solo mollargli un ceffone in faccia.
“Prego” affermò sarcastico Fletcher spostandosi dalla porta e facendole segno con la mano di entrare.
Abigail inspirò rumorosamente, alzò la testa ed entrò nel locale seguita dal ragazzo. Si avvicinarono al bancone e, nello stesso momento, entrambi ordinarono lo stesso caffè.
“Oh ma stiamo scherzando!” disse Fletcher roteando gli occhi.
Abbi lo ignorò e si posizionò al lato per aspettare la sua bevanda. Immediatamente il ragazzo l’affiancò. Entrambi cercarono di ignorarsi il più possibile, guardando lo schermo dei propri telefoni e fingendo indifferenza. Quando la commessa li chiamò, afferrarono i loro caffè e uscirono di lì, prendendo strade diverse.
 
“Ti sto dicendo, Karen, che mi fa diventare pazza! Non lo sopporto! E come se non bastasse devo vederlo ogni giorno” esclamò Abbi lasciandosi cadere su una poltrona nella sala studio dell’università.
Karen, seduta di fronte a lei su un puff, la guardò confusa. Poi scosse la testa e si passò entrambe le mani sul viso.
“Tesoro, io non voglio sembrare stronza, lo sai. Non è nel mio personaggio. Ma è arrivato il momento de ‘La Dura Verità’” esclamò Karen enfatizzando le ultime parole. “Basta con sto Lucas, stai sempre a parlare di Lucas. Allora la questione si riduce a questo: o sta persona ti da veramente fastidio oppure hai una specie di ossessione da lui perché ti piace. E io sono sicura si tratti della seconda. Ecco la dura verità”
“Ma che dici? Non mi piace. Non penserei a lui in quel modo neppure se fossimo le ultime due persone sulla faccia della terra”
“Non ci credo. Mi dispiace. Ci conosciamo da poco, ma le so leggere le persone. E tesoro, non mi freghi. E poi, com’è che lo vedi di continuo?” domandò Karen sporgendosi in avanti e raggiungendo il contenitore con le carotine. Ne prese una e cominciò a sgranocchiarla fastidiosamente ascoltando le parole dell’amica.
“Ok, lui lavora con i miei e con Dan talvolta. Quindi spesso viene da noi, se vado in centrale è lì. Se Dan viene a prendere Trixie, lui è lì. È dappertutto”
“Aspetta, ma non è il partner di tua madre?” domandò confusa quella.
“Sì, lo è. Ma da quando mio padre è tornato a lavorare con loro, la presenza di Lucas lo infastidisce perciò lo mandano con Dan.”
“Adoro tuo padre. Lo adoro sotto ogni aspetto, davvero. Credimi”
“Karen, ti prego, raffredda i bollenti spiriti” esclamò Abbi ridendo.
“Ascolta, tornando serie per un attimo. Stai sempre a pensare a sto tipo, a ciò che fa e a come ti irrita. Se il pensiero è costante, se il pensiero è continuo, forse non è fastidio il tuo. Non nel vero senso del termine. Adesso torno a fare la cretina, te lo prometto, ma pensaci” concluse Karen riprendendo a sgranocchiare un’altra carotina.
Abigail si fece seria e per un istante, per solo un istante provò a pensare a quello che le aveva appena detto la sua amica. Poi scosse la testa. Non poteva essere così.
 
“Che diavolo ci fai tu qui?” domandò Lucas annoiato.
“Ci studio?” rispose Abigail puntando le mani sui fianchi.
“Tanti posti sulla faccia della terra, tanta gente in un campus e in chi mi imbatto? Se non è sfortuna questa” commentò ironico.
“Non sarai mai sfortunato quanto me. Non solo devo per forza sopportarti dato che lavori con la mia famiglia, ma vieni a prendere il caffè dove lo prendo io, ora mi segui anche all'università. A proposito, che ci fai tu qui? Non sei in teoria una specie di super genio?” domandò genuinamente curiosa la ragazza.
“Non sono qui per frequentare se è quello che mi stai chiedendo. Sono qui per un caso” le rispose lui.
“Che caso?” chiese lei.
“Non posso discutere particolari di un’investigazione in corso con una civile” l’ammonì lui.
“Calmati, stavo solo cercando di darti una mano” rispose lei alzando le mani in segno di resa.
In quel momento arrivò Karen con le mani sulle bretelle dello zaino e una ciocca di capelli legata da un fiocco rosso. Indossava una salopette di jeans dalla quale si intravedeva una maglia rossa con due occhi. Ai piedi delle scarpe dello stesso colore dalle quale uscivano le calze bianche.
“Ehi Morningstar, pronta per due ore con la Johns? No, perché io non lo sono. Al solo pensiero mi viene l’orticaria. Avrei proprio bisogno di una bella pausa dalle sue lezioni. Quanto manca allo spring-break? Pensi che potrei scrivere una lamentela anonima, magari utilizzando i ritagli dei giornali come i killer e mandarla in segreteria? Quella donna è davvero l’essere umano più noioso che io abbia mai incontrato in tutta la mia vita. E, come ben sai, di gente strana ne ho vista!” Karen era un fiume in piena di parole. Non si riusciva a fermarla neanche provandoci con tutte le forze.
Lucas Fletcher tossì per attirare l’attenzione di quella bizzarra ragazza, ma quella lo guardò per un istante. Poi scosse la testa e riprese il suo monologo che andò avanti per altri due o tre minuti abbondanti. Il detective, al termine di quella strana carrellata di informazioni indesiderate, scosse la testa stordito da tutte quelle parole. Guardò Abigail che gli sorrise dolcemente e per la prima volta rimase sbalordito dalla sua bellezza. Bisticciavano, non riuscivano a tollerarsi e questo non gli aveva mai permesso di guardarla davvero. Adesso la stava vedendo, come fosse la prima volta. Ed era bellissima. Il modo in cui fingeva di seguire il discorso della sua amica, come rideva alle sue battute e il modo in cui si raccoglieva i capelli dietro le orecchie.
“Scusami, tu chi saresti?” domandò ad un certo punto Karen attirando la sua attenzione.
“Detective Fletcher, Lucas Fletcher. Lei è?” domandò quello porgendole la mano.
“Bond, James Bond” rispose lei seria guardandolo dritto negli occhi.
Lui chinò leggermente il capo di lato domandandosi se lo stesse prendendo in giro o se si chiamasse davvero James Bond, dalla convinzione con cui aveva pronunciato quelle parole sembrava sincera.
“Scherzo” disse Karen all’improvviso dandogli una pacca sulla spalla con poca grazia e gentilezza. “Mi chiamo Karen, Karen Moore. Sono la migliore amica di Abigail” poi si avvicinò al suo orecchio e, come se volesse confidargli un segreto gli sussurrò “Lei non lo sapeva, ma presumo che adesso lo sappia” sorrise allontanandosi.
Lucas era confuso. Quella ragazza era strana. Guardò ancora Abbi che in risposta alzò le spalle.
“Buona fortuna con la tua indagine” disse Abigail prendendo Karen dal braccio e cominciando a camminare.
“Aspetta, un’indagine? Quale indagine? Come possiamo aiutarti? È morto qualcuno? È la professoressa Johns? Oddio mi dispiace aver detto quelle cose orribili su di lei. Anche se le sue lezioni erano tremendamente noiose. Pace all’anima sua, che lei possa annoiare gli angeli in paradiso” affermò quella fermandosi.
“No, nulla del genere. Sto lavorando ad un caso di omicidio e c’è uno studente di questo campus che potrebbe avere a che fare con la vittima. Non sappiamo ancora che ruolo abbia ricoperto nel delitto, ma abbiamo trovato le sue impronte digitali nell’auto della vittima” disse Lucas. Solo quando finì di comunicare quelle informazioni si ritrovò a chiedersi perché lo avesse fatto.
“Tranquillo, alla gente piace dirmi le cose” commentò Karen notando la sua espressione confusa. “Di chi si tratta, io conosco tutti qui”
“È vero, lei conosce tutti qui. Ma il detective Fletcher ha già reso chiaro precedentemente che non vuole il nostro aiuto. Perciò Karen basta perdere tempo e andiamo alla lezione. La Johns è viva e vegeta e ci sta aspettando”
“Non per molto, sai?”
“Karen!” esclamò Abigail.
“Ma dai! Avrà novecento anni” commentò l’altra.
“Karen!” l’ammonì ancora Abbi.
“E va bene, andiamo. Ciao detective”
“No, un attimo. Aspettate” disse lui raggiungendole. “Ok, forse prima mi sbagliavo. Magari mi potrebbe fare comodo il vostro aiuto”
“Ah, davvero?” chiese Abigail incrociando le braccia al petto e guardando il ragazzo di fronte a sé.
Lui sorrise forzatamente e tentò di non commentare ulteriormente. Si limitò ad annuire. Poi tirò fuori dal taschino della giacca una fotografia e la mostrò alle due.
“Ehi ma è Pete!” esclamò Karen.
“Pete?” chiese Abigail.
“Sì, Pete lo strafatto o Pete il fattone che dir si voglia” continuò l’altra.
“Quello che alla festa delle ΚΣΤ era così strafatto che ha fumato le foglie del giardino?” chiese ridendo Abbi.
“Esatto, lui!” rise assieme a lei l’amica.
“Potreste portarmi da lui?” domandò Lucas.
Le due ragazze si guardarono in faccia e annuirono. Dopodiché si voltarono contemporaneamente verso di lui con un sorriso enorme sul viso.
 
“C’erano una volta tre ragazze che frequentavano l’Accademia di Polizia...” cominciò a dire Karen mentre lei, Abigail e Lucas si avvicinavano alla porta della stanza di Pete lo strafatto nel dormitorio dei ragazzi.
“Per l’ennesima volta Karen, non siamo le Charlie’s Angels. Lui è troppo poco aggraziato e cazzuto per essere un angelo”
“E non sono una donna” si intromise lui.
Entrambe lo fulminarono con gli occhi.
“Ok, ma dobbiamo trovare un nome al nostro trio. Avete già escluso le Superchicche, le Charlie’s Angel’s e le Totally Spies, che altro rimane?”
“Nessun nome, magari?” intervenne Lucas. “Per voi è un gioco, ma questo è il mio lavoro”
“Sai Lucas, per trenta secondi sei stato sopportabile, piacevole addirittura, ma adesso stai rovinando tutto” commentò Abbi prendendolo in giro.
“Ah, ah, ah! Divertente” disse lui sarcastico e poi bussò alla porta del sospettato. “Pete Williams, sei lì dentro?” domandò. “Pete Williams?” chiese ancora.
A quel punto Karen lo spostò dalla porta e l’aprì senza dire nulla. Entrò come se possedesse il posto e si avvicinò al letto di Pete su cui lui dormiva beato. Era in mutande e il suo fisico mingherlino e asciutto era coperto solo fino alle cosce da un lenzuolo con le macchinine. Lei si piegò su di lui e cominciò a chiamarlo a pochi centimetri dal viso.
“Pete! Pete! Pete lo strafatto!” esclamò senza ricevere risposta. “Peeete!” urlò all’improvviso facendolo sobbalzare e cogliendo di sorpresa anche le altre due persone nella stanza.
“Wow! Sorella perché urli?” domandò quello tirandosi su.
“Non sono tua sorella, c’è la polizia che vuole parlarti”
“Non è mia l’erba nel cassetto e nemmeno quella nel mobile del bagno” si difese lui. “Neanche quella nelle mie scarpe, lo giuro” aggiunse.
Abigail e Lucas si guardarono e scossero la testa.
“Non sono qui per l’erba, Pete”
“Ehi, questo sarebbe la polizia?” domandò Pete guardando Karen. Poi guardò Lucas. “Amico, avrai la mia età, sei sicuro di essere un poliziotto?” 
 
Abigail, Karen e Lucas entrarono in centrale portando con loro Pete lo strafatto in manette. La mano di Lucas stretta attorno al braccio del sospettato, alla sua sinistra Abigail, dall’altro lato Karen. Camminarono fino alla sala interrogatori, quando, sul più bello, sentirono qualcuno tossire per attirare l’attenzione alle loro spalle.
“Mamma!” esclamò Abigail spaventata.
“Che ci fate voi due qui? Non dovreste essere a lezione?” domandò la donna incrociando le braccia al petto.
“Questo è il mio segnale. Salve detective” disse Lucas trascinando il sospettato nella sala interrogatori.
“Mamma Morningstar, posso spiegare” cominciò a dire Karen.
“Decker” la corresse la detective.
“Mamma Decker? Sicura? Ok, va bene, come vuole. Il fatto è che noi stavano andando a lezione. A lezione della Johns per essere precise. Ha presente? Quella vecchietta con i capelli cotonati che crede ancora di essere negli anni Ottanta? Quella che mette così tanta lacca che potrebbe prendere fuoco se qualcuno facesse anche solo una piccola fiammella. La più noiosa professoressa del nostro corso, forse dell’intero college. Ma che dico, dell’intero universo!” disse quella tutto d’un fiato.
“Karen stai divagando, arriva al punto” la incitò la detective.
“Ok, ci siamo imbattute in quel bel giovanotto bisognoso d’aiuto, il detective Fletcher e non potevano non aiutarlo. Noi siamo persone empatiche, caritatevoli, buone”
Chloe continuava ad annuire fingendo un sorriso. Ma era chiaro che in realtà si stava innervosendo. Riusciva a riconoscere una bugia lontano miglia.
“Abigail perché non siete a lezione? La verità, hai due minuti dopodiché prenderò provvedimenti” disse la detective guardando sua figlia.
“Ok, non volevamo andare a lezione. E abbiamo davvero aiutato Lu” cominciò a dire, ma si fermò immediatamente. “Il detective Fletcher. Conosciamo il sospettato del suo caso e abbiamo pensato che fosse un motivo abbastanza buono per saltare la lezione della Johns” confessò quella girandosi poi verso l’amica che alzò le spalle.
“Perché conoscete il sospettato in un caso di omicidio? Che gente frequentate all’università?” domandò la detective mettendo una mano sul fianco e assumendo una posizione autoritaria.
“Ok, mamma Decker la verità è che Pete il fattone lo conoscono un po’ tutti”
“Il fattone?”
“Sì, mamma Decker, ma non soffermiamoci sulle sue discutibili scelte di vita. Pete è un’idiota non può aver commesso un omicidio. Il tizio non è capace nemmeno di riconoscere la differenza tra marjuana e foglie da siepe”
“Non stai aiutando” sussurrò a bassa voce Abbi.
“Ok ragazze. Non mi piace questa storia che saltate le lezioni. Non voglio più vedervi da queste parti quando dovreste essere al college. E non mi interessa se state solo cercando di aiutare. Il detective Fletcher è capace di fare il suo lavoro anche da solo. Può sembrare un vostro coetaneo, ma è un detective della omicidi, quindi mi aspetto che lo trattiate con rispetto”
“Possiamo andare adesso?” domandò Karen.
La detective Decker annuì e loro sparirono all’istante.
 
“Ti rendi conto, Lucifer?!” esclamò Chloe scuotendo la testa.
Lucifer non riuscì a trattenere una risata. La donna lo guardò innervosita e lo superò. Lui la fermò dal braccio e la tirò indietro.
“Detective e dai, devi ammettere che è divertente! E poi non hanno fatto nulla di male, hanno solo marinato una lezione. Come se noi non facessimo lo stesso ed eravamo più piccoli” le ricordò lui riuscendo a farla sorridere. “È un sorriso quello che vedo?” domandò facendo scivolare la sua mano lungo il braccio della donna fino a raggiungere la sua di mano.
“Ricordare le fughe in spiaggia mi mette il buon umore” commentò lei.
“Come potrebbe essere altrimenti. Passavamo intere giornate sotto il sole cocente a parlare di qualunque cosa”
“È vero e ridevamo un sacco. Chissà per cosa poi!”
“Ehi detective! Sono una persona divertente io” esclamò Lucifer fingendosi offeso.
Lei rise ancora e lui, seduto sulla scrivania della donna, incrociò le dita con le sue. La guardò negli occhi.
“Forse hai ragione, in fin dei conti che cosa sarà mai saltare qualche lezione?”
“Chi sei tu? Che hai fatto alla detective?” domandò scherzando lui.
Lei sorridente gli diede, con la mano libera, uno schiaffetto sul braccio.
“Sei un idiota”
“Forse, ma sono l’idiota che riesce a farti sorridere” rispose lui facendole l’occhiolino. Poi scese dalla scrivania avvicinandosi pericolosamente a lei. Si guardarono negli occhi a lungo. Almeno fino a quando Ella piombò nell’ufficio.
Gli occhi bassi sui fogli che stringeva tra le mani. Non si accorse della situazione che aveva appena interrotto, non fino a che alzò lo sguardo.
“Decker ho avuto i risultati del test del DNA” disse alzando la testa. “Ho forse interrotto qualcosa?” domandò.
“No, nulla” rispose la detective allontanandosi immediatamente dal suo partner e avvicinandosi a lei.
 
“Oggi fa caldissimo” disse Chloe raccogliendosi i capelli in una mano e legandoli in uno chignon che le scopriva il collo snello seduta in macchina accanto a Lucifer.
“Hai ragione, temperature del genere mi ricordano l’inferno” concordò Lucifer girandosi a guardarla brevemente.
“Già, come no” commentò lei sorridendo.
“In giornate del genere l’unica cosa che vorrei fare è gettarmi a mare e passare tutta la giornata lì” disse lui innocentemente.
“Dovremmo farlo” esordì lei.
“Che intendi?” domandò curioso e intrigato.
“Dovremmo andare al mare” rispose semplicemente lei.
“E con la scuola?” chiese ancora lui.
“Potremmo saltarla?” propose lei.
“Chloe Decker sei diventata una ragazzaccia!” esclamò Lucifer guardandola malizioso.
“Occhi sulla strada” lo avvertì lei posandogli una mano sul viso e girandogliela verso la strada.
“Ma sei così bella” continuò lui girandosi di nuovo.
“Smettila” disse lei girandosi dall’altro lato imbarazzata.
“E va bene” rise lui e tornò a guardare la strada.
 
“Chloe? Mi hai sentito?” chiese Ella con i risultati ancora tra le mani.
“Non trovi che faccia caldissimo?” domandò la detective sventolandosi una mano davanti alla faccia.
Lucifer rise sotto i baffi e uscì dall’ufficio lasciando le due donne sole. Si voltò solo una volta, proprio dopo aver attraversato la porta e guardò Chloe dritto negli occhi con un’espressione che lei conosceva fin troppo bene, un misto di divertimento e malizia. Le fece l’occhiolino e si allontanò a passo svelto lasciandola a fissare la sua figura che pian piano si faceva sempre più lontana.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17


Abigail come ogni mattina entrò nel suo bar preferito, imbattendosi in Lucas Fletcher. Ormai era diventata abitudine, perciò avrebbe fatto esattamente quello che aveva fatto nelle settimane precedenti: lo avrebbe ignorato. Dopo averlo aiutato con Pete il fattone che tra l’altro era risultato innocente, erano tornati alle vecchie abitudini. Lui si comportava odiosamente quando lei era in giro e lei pure. Insomma, avevano ripreso, dopo un breve pausa, a starsi sul naso. Karen continuava ad insistere che quel tipo le stava simpatico, che non era così male e che avrebbero dovuto invitarlo ad uscire con loro qualche volta. Ma Abigail non era d’accordo. Inoltre, la sua amica non voleva saperne di lasciare andare quell’orribile teoria secondo cui lei provasse qualcosa per il detective Flecther. Parlava di sintonia, di complicità, ma lei proprio non riusciva a vederle quelle cose. Lei e Lucas non erano complici, non erano in sintonia, viaggiavano su due strade parallele che non si sarebbero mai incontrate. Ne era certa.
Quella mattina era più in ritardo del solito e suo padre si era premurato di ricordarle che non doveva usare le ali di giorno perché c’erano più probabilità che qualcuno la vedesse. Ce la stava mettendo tutta per non usarle, ma in momenti come questo, avrebbe tanto voluto ignorare i consigli di Lucifer. Prese in fretta il caffè e uscì dal locale facendo un cenno col capo a Flecther. Lui ricambiò il gesto. Chiunque gli avesse visti da fuori avrebbe potuto capire immediatamente che si tolleravano a malapena e non si piacevano nemmeno un po’. C’era qualcosa di profondo a separarli.
Karen non si considerava una ragazza particolarmente sveglia, diversamente da quanto pensavano gli altri. Sotto quell’aria da nerd, da pasticciona e da ragazza goffa, si nascondeva una mente perspicace, capace di intuire e di apprendere informazioni prima di chiunque altro. Le bastava uno sguardo per leggere qualcuno. Osservava meticolosamente ogni movimento, ogni espressione e pesava e ascoltava ogni parola. Tutto questo mentre si dilungava in infiniti soliloqui e monologhi o si lasciava andare a battute inopportune. E lei in Lucas Fletcher aveva visto qualcosa e l’aveva vista anche in Abigail. Era sicura che quei due fossero legati da un sentimento comune, da un filo conduttore. Erano solo troppo testardi e ciechi per rendersene conto. Ma, col tempo, era sicura che se ne sarebbero accorti.
Quando Abigail arrivò al campus con i suoi occhiali scuri e il volto stanco, Karen cominciò a parlare di tutto ciò che le era successo, inondandola di informazioni sostanzialmente inutili e costringendola a svegliarsi.
“Come mai questa faccia?” domandò lei.
“Ho sonno” si giustificò Abbi.
“Anche io, ma sono arzilla” ribatté lei.
“Tu sei sempre arzilla. Come fai?” chiese l’amica.
“Non ne ho idea, sarà la genetica, anche mia nonna è sempre arzilla, ha ottant'anni, ma non la ferma nessuno” rispose. “Hai visto Lucas oggi?”
“Sì, l’ho visto in caffetteria” disse Abigail.
“Era bello?” domandò l’altra facendole l'occhiolino.
“Che ne so, Karen. Possiamo non parlare di lui?” chiese Abbi continuando a camminare verso l’ingresso tenendo ben strette le mani sulle bretelle dello zaino.
“Ok, ti ricordo che stasera arriva la mia amica di New York, ti fermi a dormire da me?” domandò l’altra.
“Sì, perché no?”
“Bene allora ti aspetto per le diciotto, non fare tardi. Così passiamo dal supermarket vicino casa a comprare schifezze per la nottata. Che te ne pare?” domandò entusiasta Karen.
“Perfetto” rispose semplicemente Abbi ancora parzialmente intontita.
 
“Ma siamo sicuri che ci serva tutto questo gelato?” domandò l’amica di Karen guardando le due che sorreggevano tra le braccia i diversi barattoli.
“Te l’ho già detto, stasera faremo maratona dei film di Bridget Jones, perciò il gelato è d’obbligo” rispose Karen come fosse la cosa più normale del mondo.
L’altra ragazza guardò preoccupata Abigail che le sorrise dolcemente e si limitò ad alzare le spalle.
“Non ci sono mai venuta qui, devo ammettere che è un posto ben fornito. Dovremmo prendere qualche altro tipo di patatine, tipo quelle al formaggio. Puzzano, ma sono buonissime” continuò sempre lei.
“Ottima idea” rispose Abigail e si allontanò per andarle a prendere.
In quel momento fu avvicinata da due ragazzi che si offrirono di aiutarla a raggiungere lo scaffale più in alto. Abigail pensò che non avrebbe avuto bisogno di loro se solo avesse potuto spiegare le ali. Lasciò che i due l’aiutassero, ma presto cominciarono a spingersi un po’ troppo oltre. Immediatamente Karen e l’amica corsero in suo soccorso. I due ragazzi avevano cominciato a farle domande fin troppo personali. Uno di loro le afferrò il braccio con forza e la ragazza dovette attingere a tutta la sua pazienza per non reagire in quell’istante. I suoi occhi, però, la tradirono, diventarono bianchi, di un bianco spaventoso, di un bianco pietrificante. Uno dei due si tirò indietro andando a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno. Quando fece per girarsi a vedere chi fosse, si beccò un pugno dritto sul naso che prese a sanguinare.
“Lucas!” disse Karen.
In quel momento intervenne l’altro ragazzo, quello che fino ad un secondo prima stringeva le dita attorno al braccio di Abigail. Sferrò un pugno in faccia Lucas colpendolo sull’occhio. La lotta era tutt’altro che equa. Karen era immobile, la sua amica, terrorizzata, si era nascosta dietro di lei. Lucas cercava di difendersi dall’attacco di quei ragazzi. Abbi, andò in contro ad uno di loro e lo prese per la maglietta. Quando quello si girò, gli scagliò un pugno in pieno volto facendolo cadere all’indietro. Nel frattempo, Lucas aveva tirato fuori il suo badge della polizia e i due, vedendolo, si diedero alla fuga. Abigail, allora, chiuse gli occhi che ripresero il loro colore.
“State bene?” domandò il detective Fletcher avvicinandosi a loro.
“Sì, tutto bene” rispose Karen. “Quello messo male sei tu” disse indicando il suo volto e il labbro sanguinante.
“Non è niente, andate a casa” le rassicurò lui. Poi si sistemò la giacca e fece per andarsene.
Abigail guardò Karen e non ebbe bisogno di dirle nulla, lei aveva già capito. Lasciò tutto ciò che aveva tra le mani alla ragazza di New York e seguì Lucas fuori dal supermarket.
“Ehi aspetta!” gli disse seguendolo sul marciapiedi.
Lui si voltò per un istante, non fermandosi ma continuando a camminare.
“Torna a casa, Abigail” disse.
Lei affrettò il passo e lo raggiunse. Gli mise una mano sulla spalla e quel gesto lo costrinse a fermarsi. Si voltò verso di lei.
“Non so cosa ci facessi qui e in un altro momento probabilmente avrei chiesto un ordine restrittivo contro di te o ti avrei denunciato per stalking, ma grazie. Grazie per avermi difesa e, anche se mi duole ammetterlo, in qualche modo salvata. Ecco, volevo dirti questo” disse la ragazza abbozzando un timido sorriso.
“Sei l’unica persona in grado di far passare qualcuno per un pazzo anche quando lo ringrazi” commentò lui provando a sorridere ed emettendo un gemito di dolore nel farlo.
“La mia macchina è qui difronte, lascia che ti accompagni a casa” propose lei indicando la vettura.
Lucas era scettico, non gli piaceva mostrarsi debole o vulnerabile. Perciò cercò di rifiutare in tutti i modi.
“Va’ a casa Abigail. E riaccompagna le tue amiche”
“Karen abita qui vicino, torneranno da sole. Davvero, lascia che ti accompagni. È il minimo che possa fare dopo quello che hai fatto per noi. E poi voglio essere sicura che disinfetterai quelle ferite” disse indicando il taglio sul labbro e il naso sanguinante.
“Ah, vuoi anche controllare che mi medichi? Come posso liberarmi di te e convincerti a lasciarmi in pace?”
“Temo che non ci sia verso di dissuadermi. Seguimi” affermò lei tirandolo dalla manica della giacca.
Attraversarono la strada e Abigail aprì con il telecomando la vettura. Entrarono e lei si assicurò che Lucas mettesse la cintura. Si fece guidare fino a casa sua. Dopodiché lo aiutò a scendere dall’auto e ad aprire il portone. Salirono le scale del condominio e, a quel punto, lo aiutò ad aprire la porta di casa. Il ragazzo viveva solo da anni ormai e, una volta tornato a Los Angeles aveva preferito non tornare dai suoi, ma prendersi un posto tutto per sé. L’appartamento non era particolarmente grande, ma era accogliente. Un po’ troppo sterile per i gusti di Abigail. Appena entrati c’era un attaccapanni nero, i muri erano tutti bianchi e l’arredamento moderno nero si sposava perfettamente con quell’abbondanza di bianco. Lo stretto corridoio dell’ingresso convergeva in un ampio salotto. Al muro una parete attrezzata con un grosso televisore, di fronte un divano in pelle nera posto su un grande tappeto bianco su cui c’era anche un tavolino da caffè in vetro. Era tutto perfettamente in ordine quasi come se nessuno abitasse in quel posto. Lucas gettò la giacca sul divano e aprì una porta a sinistra della parete attrezzata, rivelando la posizione della cucina. Tornò da lei stringendo in una mano un bicchiere di vetro e nell’altra una brocca d’acqua. Appoggiò i due oggetti sul tavolino.
“In caso avessi sete” disse lui.
Poi tornò sul corridoio, lei lo seguì con lo sguardo. E, poco dopo si rifece vivo portando con sé una valigetta di primo soccorso. Si sedette sul divano e si allentò la cravatta, la tolse facendo attenzione a non farla strisciare sul viso ferito e l’appoggiò accanto alla giacca. Si sbottonò i primi due bottoni della camicia gettando lentamente la testa all’indietro scrocchiò il collo tendendolo prima a destra e poi a sinistra, accompagnando il movimento con le mani. Abigail rimase in piedi accanto al divano.
“Non startene lì impalata, o ti siedi o vai via” disse Lucas con gli occhi ancora chiusi.
La ragazza si andò a sedere sul divano. Lui aprì gli occhi e la guardò per un istante, dopodiché prese tra le mani la cassetta di primo soccorso e, dal suo interno, estrasse il disinfettante e delle garze. Ne bagnò una con il liquido e se la portò sul labbro. Gemette al contatto e strinse i pugni. Istintivamente Abigail si fece più vicina.
“Lascia, faccio io” esclamò lei.
“Sono in grado di farlo da solo” si oppose lui.
“Sì, me ne sono accorta” rispose sarcastica lei.
Prese la garza e tamponò dolcemente la ferita. Lui smise di lamentarsi e lasciò che lei prendesse il comando. Gli passò un tampone da mettere nel naso, dopodiché si voltò verso la cassetta e prese la bustina di ghiaccio istantaneo. Piegò con forza il contenuto, poi poggiò la bustina sul suo occhio facendolo gemere ancora.
“Sta buono” gli disse lei quando lui cominciò cercò di sottrarsi al contatto, prendendogli il mento con l’altra mano e girandogli il viso verso di lei.
“Potresti essere più delicata, non credi?”
“Sono molto delicata”
“Penso che domani avrò un occhio nero e non sarà colpa di quei tizi al supermarket, ma sarà tua. Smettila di spingere quel sacchetto così forte”
“Smettila di fare il bambino!” lo ammonì lei.
Lui finalmente si fermò. Aprì l’occhio sano e rimase incantato a guardare Abigail che concentrata continuava a tamponargli l’altro. Aveva la fronte corrugata e le labbra leggermente arricciate. A quella distanza i suoi occhi sembravano ancora più belli, più surreali. Erano di un colore indescrivibile, di solito sembravano azzurri, in quel supermarket gli erano sembrati così chiari da pensare che fossero bianchi e, in quel momento erano verdi, verdissimi. Verdi come il mare d’estate, limpido e incantevole.
Abigail mentre tamponava l’occhio livido si fermò ad osservare la cicatrice rossa e evidente di quel ragazzo. Proprio sopra il sopracciglio sinistro. Si domandò cosa gli fosse successo. Girava voce che se la fosse fatta mentre lavorava per l’FBI, in realtà nessuno lo sapeva con certezza. Poggiò la bustina di ghiaccio sul divano, accanto a lei. E, senza mai staccare gli occhi da quella, ne tracciò la forma con il polpastrello dell’indice, sfiorandola appena. Lucas rimase pietrificato da quel gesto, non riusciva a muoversi. Lei abbassò lo sguardo per puntarlo dritto nei suoi occhi. Rimasero a guardarsi per qualche secondo. Le mani di lei si fecero strada sul suo viso, quelle di lui le scivolarono sui fianchi. Lucas la spostò su di sé. Le ginocchia di lei ai lati delle sue cosce. Abigail gli accarezzò il viso con i pollici e lui portò una mano dietro la sua testa. Lei appoggiò la fronte a quella del ragazzo e lui le accarezzò la nuca. Potevano sentire l’uno i respiri dell’altro. Lucas, preso dal momento, approfittò della presa sulla nuca della ragazza per avvicinare il suo viso e baciarla. Fece una smorfia di dolore quando le loro labbra si incontrarono. La ferita bruciava, ma lo stesso faceva il desiderio. La baciò prima lentamente, dolcemente. Un bacio casto che presto di casto non avrebbe avuto più nulla. Le mani di lei, prima sul suo viso, adesso erano dietro la sua testa, quelle di lui erano una sulla nuca e l’altra dietro la schiena. Approfondì quel contatto. Fu un bacio pieno di bisogno e frustrazione. Un bacio troppo passionale per essere soltanto quello, soltanto un semplice bacio. Presto le sue mani si insidiarono sotto la maglietta della ragazza, accarezzandole la schiena nuda. A quel contatto lei si staccò dalle sue labbra, girando leggermente il volto. Guancia a guancia, i loro volti ancora vicini. Cercò di riprendere il fiato prima di baciarlo ancora, questa volta sorridendo contro le sue labbra e lasciando che le mani di quel ragazzo vagassero sul suo corpo.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

“Lucifer ti sto dicendo che non è rientrata” esclamò la detective al telefono.
“Ma non doveva dormire dalla sua amica, quella un po’ strana?” chiese lui dall’altro capo.
“Sì, ma non era da lei. Karen mi ha chiamata poco fa chiedendomi di parlare con Abbi e quando le ho fatto notare che sarebbe dovuta essere a casa sua, ha riattaccato. Lucifer c’è qualcosa che non torna. Dov’è mia figlia?” domandò lei preoccupata.
“Provo a chiamarla”
“Pensi che non l’abbia già fatto?” chiese Chloe.
“Giusto, detective. Vado a cercarla?”
“Dove?”
“Non lo so”
“Dove potrebbe essere andata?”
“Ok, passo a prenderti e andiamo a cercarla ovunque” disse Lucifer.
 
La luce prepotente del mattino si insidiò tra le fessure della finestra della camera di Lucas Fletcher, posandosi sul volto di Abigail e costringendola a svegliarsi. Aprì gli occhi e per qualche istante non capì dove si trovasse. Non era la sua stanza e certamente era troppo minimal per essere quella di Karen. Si passò le mani sugli occhi, stropicciandoli appena. Indietreggiò leggermente, poggiando la schiena alla spalliera del letto. Sbadigliò e si guardò accanto. Lucas era proprio lì, dormiva beato a pancia in giù, un braccio sotto il cuscino, l’altro sopra, avvinghiato all’oggetto. La schiena era scoperta fino a metà. Abbi sorrise guardandolo, sorrise spontaneamente. Lui aprì gli occhi e la guardò per un istante prima di richiuderli. Subito dopo li spalancò di nuovo, spaventato.
“Cazzo!” esclamò alzandosi immediatamente e allontanandosi dal letto.
“Buongiorno anche a te” disse divertita Abbi piegando leggermente la testa di lato.
“No, no, no, no, no! Buongiorno, un cazzo! Devi andare via, Abigail. Mi dispiace, ma stanotte è stato solo uno sbaglio” disse lui.
“Solo uno sbaglio? Che stai dicendo?”
“Non doveva succedere. Sei la figlia del mio capo. No, no, no, no! Come ho potuto essere così stupido. Devi andare via, Abigail. Tuo padre mi ucciderà!” si agitò lui.
Lei si alzò e lo raggiunse, gli prese il viso tra le mani.
“Ehi, va tutto bene. Siamo abbastanza grandi da poter prendere le nostre decisioni. E mio padre non ti ucciderà” sorrise lei.
Lui le tolse le mani dal viso e prima di lasciargliele la guardò per un secondo. Indossava la sua camicia. Le sue gambe lunghe e snelle catturarono per un attimo la sua attenzione e rischiò di cadere di nuovo in tentazione. Scosse la testa e si allontanò da lei. Raccolse i suoi vestiti molto velocemente e glieli diede.
“Mi dispiace, Abigail, non possiamo. Dobbiamo dimenticare ciò che è successo stanotte” ripeté lui indicandole la porta.
“Sei uno stronzo” disse lei stringendo tra le mani i vestiti.
 
“Detective! Detective! Detective!” esclamò Lucifer bussando insistentemente alla porta di casa. La donna gli aprì poco dopo. “È tornata?” chiese entrando nell’abitacolo passando sotto il braccio di Chloe, appoggiato allo stipite.
“No, Lucifer, non è tornata. Non è mai successo prima. So che è grande e che è, si insomma, in parte angelo, ma sono terrorizzata. E se le fosse successo qualcosa?” chiese preoccupata.
“Sono sicuro, detective, che Abigail sappia badare a se stessa. Insomma, le ho insegnato a difendersi e ho incaricato Amenadiel di fare lo stesso durante la mia fuga a Las Vegas.” Disse cercando di sembrare calmo, ma gesticolando con la mano in maniera fastidiosa.
“Sì, giusto” disse Chloe annuendo più volte.
La porta si aprì e Abigail fece il suo ingresso in casa. Gli passò davanti salutandoli con un semplice “ehi” e camminò per raggiungere camera sua.
Lucifer e Chloe si guardarono per un istante a bocca aperta.
“Abbi dov’eri?” le chiese la donna preoccupata e con tono severo.
“Sta tranquilla, sto bene”
“Stai bene? Indovina? Noi no! Eravamo spaventati a morte! Abigail, guardami quando ti parlo!” le intimò la detective.
“Detective non perdiamo la calma, lascia che ci provi io, ok?” disse Lucifer mettendosi davanti a lei e spostandola leggermente di lato. Si girò verso sua figlia. “Dove sei stata tutta la notte?!” esclamò a gran voce severo.
Chloe scosse la testa e si portò una mano in fronte.
“Ma siete impazziti?” chiese Abbi.
“No, Abigail. Eravamo preoccupati. E lo siamo ancora, dove sei stata? E non provare a rifilarmi la storia che eri da Karen perché so per certo che eri lì”
“E poi mentire è vile” intervenne Lucifer.
“Cosa vi importa dov’ero? Non è importante, sono tornata, adesso potete stare tranquilli” rispose a tono la ragazza.
“Possiamo stare tranquilli? Possiamo stare tranquilli ha detto. Bene, caso risolto. Lucifer puoi tornare a casa, ha detto che possiamo stare tranquilli” esclamò nervosa la detective. “Come possiamo stare tranquilli se non sappiamo dove hai passato la notte? Con chi hai passato la notte? Forse non eri abituata alla gente che si preoccupava per te quand’eri... Ma noi, noi ci preoccupiamo per te. E il solo pensiero di non sapere dove fossi, di non sapere con chi fossi o se stessi bene, mi ha terrorizzata. Lo capisci? Non puoi e ripeto non puoi assolutamente farlo di nuovo. Mi devi avvisare, mi devi mandare un messaggio, un segnale di fumo, un piccione viaggiatore, mi devi fare sapere che sei sana e salva e che tornerai da me!” esclamò tutto d’un fiato la detective ormai paonazza in viso.
“Detective quest’aria da genitore autoritario ti si addice, è così sexy” commentò Lucifer guardandola.
Entrambe si voltarono a guardarlo contrariate e lui tornò immediatamente serio.
“Non farlo mai più!” esclamò severo agitando l’indice in direzione della ragazza, non sapendo che altro fare. Poi guardò la detective e le fece l’occhiolino.
“Ok, la prossima volta ti avviserò. Voglio solo andare a cambiarmi adesso”
“Ehi, di chi è quella camicia?” domandò Lucifer guardando la camicia che aveva addosso.
Abigail chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro stanca. Suo padre le si avvicinò e la guardò attentamente. “Questa è chiaramente una camicia da uomo, detective!” esclamò infastidito.
Chloe guardò sua figlia e le scappò un sorriso. Cercò di non farlo notare e di mantenere l’espressione seria, anche se trovava estremamente tenero Lucifer quando faceva il geloso. Lucifer, nel frattempo, aveva cominciato a dare di matto, stava facendo alla ragazza un interrogatorio vero e proprio. La detective la prese per il braccio e l’allontanò da suo padre. Quando furono sole in camera della ragazza, si sedette sul letto della figlia.
“Abbi chiaramente hai passato la notte con un ragazzo”
“Ma non succederà di nuovo” si giustificò lei.
“Non ho detto questo. Sei abbastanza grande da poterlo fare, ma ti prego di avvisarmi o di rispondermi al telefono, così almeno so dove sei e non devo preoccuparmi. Non so chi sia questo con cui hai passato la notte e hai tutto il diritto di non dirmelo, ma ti prego non sparire più così. Non riesco a sopportarlo” le disse la donna.
Prima che l’altra potesse risponderle, si alzò e l’abbracciò, l’abbracciò stretta. Si allontanò un istante solo per darle un bacio sulla guancia prima di avvolgerla ancora.
“Non farmi mai più preoccupare così”
“Lo so, mamma. Scusami” rispose la ragazza.
“Oh, tesoro” disse la donna stringendola ancora.
“E con lui come facciamo?” disse Abigail riferendosi a suo padre.
“Me la vedo io con Lucifer” sorrise Chloe.
Le lasciò un altro bacio sulla guancia e uscì dalla sua stanza. Lucifer continuava a blaterare e borbottare da solo facendo avanti e dietro nel corridoio tra la cucina e il salotto.
“Detective devo trovare questo tizio e spezzargli tutte le ossa che ha in corpo” le disse.
Lei rise.
“Lucifer ne abbiamo già parlato, Abigail è grande. Non possiamo vietarle di frequentare dei ragazzi o di andarci a letto”
“Ma detective!” si lagnò lui.
“Questa gelosia che provi, è adorabile” commentò lei.
“Ti prego detective, stai parlando con il diavolo in persona. Adorabile non è proprio il termine che userei per descrivermi, incredibilmente sexy è quello giusto”
“Forse tu non la useresti e forse è un termine lontano da ciò che la gente da secoli racconta di te. Ma io ti conosco e tu sei anche adorabile. Perciò dovrai metterti l’anima in pace”
“Ho paura che la mia anima non sarà mai in pace” disse lui facendosi serio.
Chloe lo guardò preoccupata per un istante.
“Come può la mia anima essere in pace se mia figlia va in giro a fare sesso con gli umani?” disse.
La detective rise e gli diede una pacca sulla spalla.
“Dovrai farci l’abitudine” rispose lei andando in cucina e cominciando ad armeggiare con i cassetti alla ricerca di qualcosa. Lucifer dietro di lei.
“Non potevamo, non so, farla più bruttina?” domandò il diavolo accomodandosi su uno sgabello della cucina, guardando la detective che preparava il caffè e facendola ridere. “Sai, stavo pensando, se diventasse suora dovrebbe fare voto di castità, giusto?”
“Lucifer” lo riprese lei ridendo.
“Ok, scherzavo... forse”

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19


Chloe arrivò in ufficio puntuale come ogni giorno. Lucifer, di solito, arrivava più tardi. Perciò aveva ancora tempo per potersi gustare un caffè in tutta tranquillità prima che iniziasse per davvero la giornata lavorativa. E, di solito, l’inizio della sua giornata lavorativa coincideva con l’arrivo del suo partner. Non perché si mettessero al lavoro immediatamente, bensì perché Lucifer richiedeva attenzione e impegno costante. Bisognava tenere sotto controllo ogni suo comportamento, ogni suo movimento, bisognava prevenire che facesse cadere tutti ai suoi piedi o che si distraesse o si annoiasse troppo. Insomma, doveva intrattenerlo proprio come si fa con i bambini. Doveva mantenere vivo il suo interesse e soprattutto doveva cercare sempre di farlo focalizzare su una sola cosa alla volta. Questo compito, spesso, non le riusciva. Mentre se ne stava seduta comodamente alla sua scrivania gustando il caffè e pensando ai fatti suoi, Lucas Fletcher fece il suo ingresso in ufficio. Disse velocemente buongiorno e senza neppure guardarla si rifugiò alla sua postazione. Chloe pensò che quell’atteggiamento fosse strano. Il suo collega non era un chiacchierone, ma di certo le rivolgeva più di un semplice e freddo saluto. Doveva essergli successo qualcosa. Probabilmente un caso stressante. Nonostante avesse voglia di indagare, si ricordò che si trattava pur sempre del figlio del capo e che, qualora non si fosse trattato di lavoro, ma di famiglia, avrebbe fatto bene a non immischiarsi. Ma chissà, magari Ella l’avrebbe pensata diversamente. Magari mettendole la pulce nell’orecchio, lei avrebbe indagato sul motivo di quell’umore nero. Dopo quel pensiero scosse la testa, quand’era diventata pettegola come sua madre? Scacciò via quei pensieri. Lucifer arrivò qualche attimo dopo e non appena fece il suo ingresso, Lucas schizzò via dalla sedia e uscì dall’ufficio senza neppure degnare l’uomo di uno sguardo.
“Ok, sputa il rospo, che gli hai fatto?” domandò Chloe a Lucifer riferendosi chiaramente a Fletcher.
“Ho fatto tante cose a tante persone, dovrai essere più specifica, detective” rispose malizioso lui gesticolando con una mano, mentre l’altra era riposta in tasca.
“No, Lucifer. Intendo cosa hai fatto al detective Fletcher” rispose lei.
“Al detective Fletcher?” domandò lui confuso. “Nulla, non è il mio tipo”
“Non ti sembra strano che non appena sei entrato sia scappato via senza neppure guardarti in faccia. Tra l’altro quand’è arrivato stamattina, mi ha a malapena detto ciao. Credevo fosse colpa tua”
“Ovviamente, è sempre colpa mia, detective. Diamo sempre la colpa al diavolo” disse lui alzando la voce teatralmente.
Chloe rise e scosse la testa.
“Non è quello che intendevo. Ok, lasciamo perdere. Andiamo, abbiamo un caso” rispose prendendo la giacca e passandogli dietro. Lui rimase in ufficio, distratto da una pallina di elastici. Lei tornò indietro, lo prese per il braccio e lo tirò via.
 
Nel frattempo, Abigail, entrando in centrale si scontrò con Lucas Fletcher. Si guardarono per un istante e immediatamente presero a camminare in due direzioni diverse. Questo non sfuggì all’attenzione della detective, che affiancata da Lucifer, stava lasciando la centrale. Continuò a camminare come se nulla fosse. Sua figlia la raggiunse e istintivamente Chloe spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca per lo stupore.
“Mamma, tutto bene?” domandò lei.
“Lucifer, i suoi occhi” disse solo la donna strattonando il braccio del partner.
“Detective...” Lucifer guardava Abigail esattamente come stava facendo Chloe.
“Che c’è? Che hanno i miei occhi?” domandò la ragazza innervosita, ma soprattutto spaventata. Tirò subito fuori il telefono e, aprendo la fotocamera interna, vide ciò che i suoi genitori avevano visto. E sperò ardentemente che nessun altro se ne fosse accorto. I suoi occhi erano così chiari da sembrare bianchi. Il contorno dell’iride era di un grigio pallido.
“Sono un mostro” disse mettendosi le mani sul viso. “Sono un cazzo di mostro” continuò.
“Linguaggio!” esclamò Lucifer.
“Falli andare via, ti prego. Falli andare via!” disse lei spaventata.
Lucifer le si mise davanti e la guardò dritta negli occhi.
“Non posso farli andare via, so perché i miei occhi cambiano, ma non so perché stia succedendo a te.”
“In che situazione cambiano i tuoi occhi, Lucifer?”
“Quando sono arrabbiato, quando perdo il controllo delle mie emozioni”
“Mi meraviglio che i tuoi occhi non siano sempre rossi” disse senza rendersene conto Chloe.
“Che significa, detective?” domandò lui.
“Ehi! Sono io quella con gli occhi da mostro adesso! Aiutatemi” richiamò la loro attenzione Abigail.
“Hai ragione, tesoro” disse la detective.
“Innanzitutto, andiamo via di qui. Metti questi” consigliò Lucifer tirando fuori dalla tasca interna della giacca, un paio di occhiali.
Abigail li indossò e prese a camminare fianco a fianco dei suoi genitori, sperando in cuor suo di non rivedere mai più quegli orribili occhi bianchi. Ma purtroppo non sapeva che liberarsi definitivamente di quella novità sarebbe stato impossibile.
Il suo corpo stava cambiando. La sua forma divina, fino a quel momento, si limitava alle ali. Ma lei era la figlia del diavolo, dell’angelo caduto e quello era solo l’inizio, era la figlia perduta dell’inferno.
 
Arrivati alla Penthouse, Abigail si tolse gli occhiali e corse a specchiarsi. Quegli occhi gelidi e freddi erano ancora lì. Bianchi, contornati di grigio pallido. Era più spaventata che mai. Mentre continuava a fissare il suo riflesso, il cuore prese a batterle all’impazzata, lo sentiva pulsare nel petto, lo sentiva nelle orecchie. Il respiro si fece sempre più affannoso. Stava perdendo il controllo. Quell’emozione la stava travolgendo come una valanga. Non provava una sensazione di paura tala da quand’era bambina. Le era già capitato in passato di sentirsi così, ma era davvero piccola e pensava che ormai quella fase della sua vita fosse superata, finita per sempre. Si ricordò le parole di Janet.
 
“Abigail, tesoro, quando ti senti così, tu mi chiami, ok?” le disse la donna chinata verso la scrivania.
Abigail, sette anni, era tornata da scuola spaventata e ansiosa. Dei compagni di classe l’avevano presa in giro perché era orfana. Aveva paura di loro, non voleva più vederli. Così, appena tornata a casa, si fiondò sotto la scrivania per nascondersi da tutti, nella speranza che nessuno la vedesse debole. Ma Janet teneva troppo a quella bambina per lasciare che una cosa del genere passasse inosservata. La seguì e cercò di tranquillizzarla, di calmarla. Ormai quella storia andava avanti da settimane, i suoi compagni erano pessimi, terribili e lei fino a quel momento era sempre stata una bambina forte.
“Janet non voglio sentirmi così, non mi piace” disse la bambina ritirando le ginocchia al petto e mettendosi le mani sulle orecchie.
I suoi occhi erano pieni di lacrime, il viso bagnato e arrossato per via di quelle già piante. Singhiozzava e la donna si rese conto di non averla mai vista in quelle condizioni. Doveva aiutarla. Perciò si sedette sul pavimento. La guardò per un secondo e le accarezzò dolcemente il viso spostandole, allo stesso tempo, una ciocca di capelli cadutale davanti agli occhi.
“Tesoro ascoltami, quando ti senti così mi devi promettere che respirerai profondamente come faccio io” disse cominciando ad inspirare rumorosamente. “E poi lascerai uscire tutta quell’aria, lentamente, ok?” le chiese guardandola. “Respira Abigail, respira!”
La bambina annuì e provò ad imitarla. Ripeté l’azione più volte e Janet le fece compagnia, fino a quando, pian piano, non riprese a respirare regolarmente. Le lacrime non scendevano più e il viso arrossato cominciava a riprendere il suo naturale colorito. La piccola le sorrise. L’abbracciò forte e le stampò un rumoroso bacio sulla guancia.
 
“Respira Abigail, respira!” ripeteva ad alta voce la ragazza guardandosi allo specchio.
Ma quella volta non funzionò. Anzi, i suoi lunghi capelli cominciarono a cambiare colore, il biondo cenere lasciò il posto ad un bianco gelido e polare, il suo viso già pallido perse tono e da quegli occhi spaventosi cominciarono a diramarsi delle vene scure e terrificanti che le stavano ricoprendo il viso e il collo. Le labbra cominciarono a prendere colore, diventando sempre più rosse. La ragazza urlò così forte dallo spavento che lo specchio si ruppe in mille pezzi. Si voltò a guardare i suoi genitori che la fissavano increduli e cadde in lacrime in ginocchio. Quando alzò il viso, Lucifer e Chloe si resero conto che piangeva sangue.
“Sono un mostro” disse disperata lei ancora sul pavimento.
“No tesoro, non lo sei” rispose subito Chloe provando a toccarle la spalla per confortarla.
Ma Abigail si allontanò.
“È colpa mia” disse Lucifer ancora immobile.
“Che stai dicendo?” domandò la detective.
“È colpa mia detective. Sono io quello con la forma mostruosa. Abigail è colpa mia, mi dispiace” continuò lui a testa bassa senza avere il coraggio di guardare sua figlia o la donna che aveva davanti.
“Hai ragione, è tutta colpa tua!” esclamò Abigail tra le lacrime.
“No!” l’ammonì Chloe. “Non è colpa tua, Lucifer”
“Non provare a farmi sentire meglio detective, non prendermi con le pinze, riesco sopportare la verità” rispose lui.
Abigail si alzò e si avvicinò a Lucifer che era rimasto nella stessa identica posizione.
“Guardami” gli disse.
“Abigail, basta!” le intimò Chloe.
“Guardami, papà!” continuò lei.
“Abigail!” esclamò ancora Chloe.
“Non ce la fai, eh? Non riesci nemmeno a guardarmi?” domandò sfregiante la ragazza.
“Basta!” urlò Chloe.
“Basta lo dico io!” esclamò la ragazza puntando la mano contro sua madre e muovendola di lato. Senza neppure toccarla, Abigail con quel semplice gesto, la fece capitolare dall’altro lato della stanza.
“Detective!” esclamò Lucifer accorrendo a soccorrerla immediatamente.
La detective si alzò. Il braccio su cui era atterrata le faceva male. I suoi occhi erano lucidi e lo sguardo sul suo viso completamente perso. Sua figlia le aveva fatto del male.
“Sto bene” disse non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla ragazza.
Lucifer andò in contro a sua figlia a passo deciso, con le peggiori intenzioni. Solo per fermarsi a qualche centimetro da lei, quando la mano di Chloe si poggiò sul suo braccio. I suoi occhi castani erano diventati rossi. E Abigail gli rivolse un ghigno sinistro notando quel dettaglio.
La detective superò Lucifer e si piazzò davanti a sua figlia. Cercò di guardarla negli occhi, di catturare il suo sguardo, ma quella continuava a evitarlo. Anche in quella forma, Abigail, in fondo, aveva capito la gravità del suo gesto e perciò si vergognava. Di questo Chloe ne era certa. Perciò, nonostante ciò che era appena accaduto, l’abbracciò. L’abbracciò stretta e poté sentire il corpo teso di sua figlia rilassarsi tra le sue braccia. Era gelida, era fredda come il ghiaccio e lei non la mollò neppure per un istante. Prese ad accarezzarle i capelli e a ripeterle nell’orecchio che sarebbe andato tutto bene, che non era un mostro. Lentamente il bianco gelido dei capelli di Abigail lasciò il posto al suo naturale colore. Il suo volto e il suo corpo tornarono al loro colorito e calore. Quelle vene scure e spaventose sparirono assieme al rossore delle labbra. Persino i suoi occhi bianchi ripresero il loro normale verde. La ragazza sciolse l’abbraccio e guardò sua madre mortificata, dispiaciuta, vergognandosi di se stessa.
“Io, io non so come... io non volevo, te lo giuro. Sentivo tutta questa rabbia e la paura e non... io... scusami, mamma ti giuro che non farei mai nulla per farti del male, mai. Non ero in me, non ero io... e tutta quella rabbia, tutto quel dolore... ti prego, devi credermi” cominciò a dire Abigail.
“Tesoro, ehi. Va bene, va tutto bene. Io sto bene e tu stai bene. Qualunque cosa sia, l’affronteremo insieme. Io non ti lascio, ok?” le disse Chloe prendendole le mani.
“Ma... ti ho fatto del male”
“Non eri in te. Ne usciremo insieme, tutti e tre insieme. Ok?” domandò la donna lasciando una mano di Abigail e prendendo quella di Lucifer.
“Scusami per quelle cose che ho detto”
“Non scusarti, avevi ragione. Conosco quella rabbia di cui stavi parlando. Quel dolore lacerante e quella sensazione di paura che ti costringe a difenderti facendoti scudo con la rabbia. Sono il diavolo e tu sei mia figlia, siamo condannati ad una esistenza di sofferenza” disse lui.
“Insieme possiamo cambiare le cose” si intromise Chloe.
“No, detective. Non possiamo” rispose lui ritirando la mano e avvicinandosi al bancone del bar. Si versò il suo solito drink e si appoggiò al bancone per berlo.
 
Amenadiel si affrettò a raggiungere suo fratello. Lucifer continuava a fare avanti e dietro nervoso sulla balconata della Penthouse.
“Luci sono venuto appena ho visto il tuo messaggio, che succede?” domandò quello allarmato.
“Si tratta di Abigail” disse Lucifer accendendosi una sigaretta.
“Le è successo qualcosa?” chiese ancora l’angelo.
“Ha una forma oscura, come me” disse l’altro guardando il fratello.
“Che significa, com’è possibile?”
“Per quale motivo credi che ti abbia chiamato? Per fare due chiacchiere tra fratelli? No, Amenadiel, pensavo tu avessi le risposte” sbottò Lucifer gesticolando con la mano con cui teneva la sigaretta.
“E perché lo pensavi? Non esistono e non sono mai esistiti altri figli di angeli e umani. Lei è la prima. Sono in territorio sconosciuto anche io” si giustificò l’angelo.
“Non so cosa fare, non so cosa inneschi il suo cambiamento. So come controllare la mia forma demoniaca perché ho avuto tempo a sufficienza per capire cosa la scatenasse. Che devo fare?” chiese il diavolo.
“Prova a cercare di capire se c’è qualcosa che la scatena in lei. Per vedere se il suo cambiamento sia legato alla sfera emotiva” propose Amenadiel.
“Che idea stupida! E come potrei farlo? Ehi Abigail, prova terrore. Ehi Abigail, prova felicità! Non è mica un robot, Amenadiel” domandò irritato Lucifer.
“Creiamo delle situazioni allora. Senza che lei lo sappia” continuò il maggiore.
“Continuo a non seguirti” ribatté l’altro.
“Oppure potresti rivolgerti alla tua amica psicologa” propose ancora l’angelo.
“E rischiare di metterla in pericolo? Abigial ha scaraventato la detective dall’altro lato della stanza quand’era prigioniera della sua forma oscura. Al momento non la sa controllare, perciò è pericolosa” ammise lui.
“E adesso dov’è?” chiese Amenadiel
“È con Chloe” rispose.
“È con Chloe? Dopo che le ha fatto male? Luci!” lo ammonì il maggiore.
“Che devo fare?” domandò il diavolo senza direzione.
“Falle venire immediatamente qui” gli rispose il maggiore.
 
Chloe e Abigail arrivarono velocemente a casa di Lucifer. Amenadiel era seduto sul divano, mentre Lucifer era appoggiato al bar con un bicchiere di whiskey tra le mani. Non appena l’angelo vide le due uscire dall’ascensore, si alzò immediatamente in piedi. E in quel momento la detective capì che si trattava di qualcosa di importante. Lucifer a stento riusciva a guardarla negli occhi, tanto meno sua figlia.
“Che succede?” domandò Chloe inoltrandosi nell’appartamento seguita da Abbi.
“C’è che Amenadiel ha un piano. Più o meno. Insomma...”
“Cosa c’è, Lucifer?” domandò ancora lei avvicinandosi all’uomo visibilmente in difficoltà.
“Ok, pensiamo che dopo quanto successo prima tra te e Abbi, lei possa essere un pericolo per te. O per Trixie, perciò, forse, per un po’, dovrebbe restare qui con noi due. Così potremo capire cosa innesca la sua nuova forma e magari aiutarla a controllarla” disse lui.
“Pensiamo sia la scelta migliore per tutti” continuò Amenadiel.
Abbi guardò sua madre spaventata. I suoi capelli cominciarono a cambiare colore. Immediatamente Chloe l’abbracciò e come per magia, quel biancore che cominciava a diramarsi nella chioma della ragazza, prese a tornare al suo colore originale. Lucifer e Amenadiel si scambiarono uno sguardo d’intesa. La detective era la soluzione del problema? Cos’era a innescare la sua trasformazione? Forse la paura? Forse la rabbia. Abigail aveva menzionato una rabbia incontrollabile mentre era ostaggio del suo stesso corpo, ma di una forma così sconosciuta da essere terrificante ai suoi occhi. La verità era che, nonostante quel cambiamento drastico, la sua bellezza rimaneva immutata e su questo entrambi i genitori la pensavano allo stesso modo. Abigail sembrava un angelo anche indossando i panni del diavolo.
Amenadiel si avvicinò lentamente a suo fratello mentre la ragazza ancora stretta tra le braccia di sua madre si calmava.
“Fa allontanare Chloe e lanciale quel bicchiere contro” gli disse silenziosamente.
“No!” si oppose immediatamente Lucifer guardando disgustato suo fratello.
“Fallo, Luci! Dobbiamo capire cosa provoca il cambiamento” continuò lui.
“Possiamo trovare un modo meno violento per farlo” protestò il diavolo.
“Va bene, lo farò io allora” rispose l’angelo togliendo il bicchiere dalle mani di Lucifer. “Ehi Chloe, puoi andare vicino all’ascensore?” domandò lui attirando l’attenzione della donna che lo guardò stranita. Lui annuì cordialmente e lei, non sicura della ragione per cui lo stesse facendo, lo ascoltò. Si avvicinò all’ascensore. Abigail era quasi perfettamente al centro della stanza. Amenadiel si fece più dietro, senza mai voltarsi. La guardò dritto negli occhi. Impugnò saldamente il bicchiere e glielo lanciò contro. A quella potenza e a quella velocità, la ragazza avrebbe potuto farsi seriamente male. Lucifer scattò e prese suo fratello dalla gola. Ma quello rise guardando la ragazza. A quel punto, il diavolo guardò nella sua direzione. Abigail stava cambiando forma. Si stava trasformando. Assieme a quel nuovo aspetto, emerse qualcosa di preoccupante, l’aggressività che, solo qualche ora prima, l’aveva spinta a far del male a sua madre. Senza aspettare oltre, la ragazza si scagliò su Amenadiel che la lasciò agire e la osservò meticoloso. Studiò ogni sua mossa, ogni suo atteggiamento, ogni istante. E dovette ammetterlo, starle dietro non fu così semplice come credeva. Ma lui era l’angelo guerriero e nulla e nessuno avrebbe potuto metterlo k.o. nemmeno sua nipote. Quando riuscì a placcarla, la ragazza prese a muoversi rabbiosamente tra le sue braccia, nel tentativo di liberarsi dalla presa stretta e dolorosa dell’uomo.
“Adesso basta, Amenadiel!” lo ammonì di nuovo Lucifer.
“Resta lì, Luci” disse il ritorno l’altro.
“Ascolta, c’è sicuramente un altro modo meno violento, non voglio che tu le faccia del male” continuò il diavolo.
“Vuoi il mio aiuto o no?” domandò l’angelo.
“Sì, voglio il tuo aiuto, ma non voglio che tu le faccia del male” rispose l’altro.
“Abigail, come ti senti?” le chiese Amenadiel.
“Ti spacco la faccia! Ti distruggo!” esclamò quella che cercava ancora di divincolarsi tra le braccia possenti dello zio.
“Chloe, puoi venire un secondo qui?” domandò ancora l’angelo guerriero.
La donna annuì e senza pensarci due volte si avvicinò a sua figlia e Amenadiel.
“Che devo fare?”
“Abbracciala”
“Devo solo abbracciarla?”
“Penso di sì”
Chloe accarezzò dolcemente il viso di sua figlia che smise di divincolarsi e in quel preciso istante, Amenadiel incontrò lo sguardo di suo fratello. Abbi si stava calmando al solo contatto con sua madre. Quando la detective l’abbracciò, la ragazza cominciò a tornare alla sua naturale forma.
Chloe era la soluzione. Forse perché era un miracolo o semplicemente perché era sua madre e il calore e l’amore di un suo abbraccio annullavano ogni tipo di sentimento negativo? Dovevano scoprirlo, ma al momento non era di urgente importanza. Dovevano capire quale fosse l’intera sfera emozionale che la portava a subire quel cambiamento devastante. Devastante perché la rabbia inghiottiva Abigail, la frustrazione, la paura, tutte quelle emozioni così profonde, le facevano perdere il controllo. E soprattutto, dovevano capire cos’era che aveva innescato quel meccanismo, quale evento aveva dato inizio al cambiamento della ragazza?

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20


Abigail era esausta. Aveva cercato di contenere la sua forma demoniaca per troppo tempo, le scoppiava la testa e si sentiva sempre più debole. Si sedette sul divano in pelle di Lucifer da cui viveva da due settimane. I gomiti puntellati sulle cosce e le mani sul viso. La schiena curva e i capelli le ricadevano davanti. Suo padre se ne stava in piedi davanti a lei, la camicia bianca perfettamente stirata gli finiva nei pantaloni neri, stretti in vita grazie alla cinta. Le maniche arrotolate e sollevate fino ai gomiti. Le mani sui fianchi. La guardava severo. In cuor suo stava soffrendo, non avrebbe mai voluto essere duro con lei, ma doveva farlo o non sarebbe stata capace di controllarsi.
“In piedi” disse lui rimanendo nella stessa posizione.
“Basta, sono esausta” rispose lei.
“In piedi, Abigail!” continuò lui con tono autoritario.
“No, sono stanca” disse ancora lei.
“In piedi, adesso!” esclamò lui.
“No!” urlò lei perdendo la pazienza e trasformandosi.
Si alzò in piedi, ma la testa le scoppiava e le girava e, in men che non si dica, svenne. Crollò sul divano. Lucifer si affrettò a raggiungerla, le mise una mano sulla fronte e notò che scottava, bruciava. Cercò di farle riprendere i sensi e poco dopo, la ragazza aprì gli occhi.
“Come stai?” domandò lui preoccupato.
“Sono stanca, papà” rispose lei.
“Lo so, mi dispiace, non dovevo portarti allo stremo, cercavo solo di non renderti prigioniera di te stessa. Io lo sono stato per così tanto tempo... Non voglio questo per te, voglio che tu abbia la vita e la libertà per cui mi sono ribellato, ma che non ho mai ottenuto”
“Lo so, lo so. Ma ti prego, basta per oggi” disse lei mettendosi seduta.
Lui sorrise e le lasciò un bacio sulla fronte bollente. La guardò per qualche secondo negli occhi, non era mai stato capace di esprimere i suoi sentimenti, ma quanto avrebbe voluto saperlo fare. Quanto avrebbe voluto aprire la bocca per dire a sua figlia che le voleva bene. Ma si limitò a guardarla e a sorriderle. Lei probabilmente lo capì, perché lo abbracciò.
In quel momento arrivò Chloe che s’intenerì guardando quella scena. Appoggiata alle porte dell’ascensore si gustò in silenzio quell’attimo di intimità.
“Detective” disse Lucifer sciogliendo l’abbraccio e guardandola.
“Sono passata a trovare Abigail, come procede il vostro addestramento?” domandò raggiungendoli e sedendosi accanto alla ragazza.
“Bene” disse lei.
Chloe si sporse verso Abbi per darle un bacio e immediatamente notò quanto fosse calda. Guardò Lucifer spaventa.
“Che cosa è successo?” domandò.
“Niente mamma, sta tranquilla. Sono solo un po’ stanca” rispose la ragazza appoggiando la testa sulla spalla della detective che guardò Lucifer.
“Ho un po’ esagerato oggi” rispose lui sorridendole colpevole.
“Lucifer!” lo ammonì lei.
“Non essere dura con lui, stava solo cercando di aiutarmi” disse Abigail. “Adesso però, devo andare a letto. Sono davvero esausta” continuò.
Dopodiché si alzò dal divano e sparì dietro la porta della camera da letto del padre. Da quando stava da lui quella era diventata la sua camera e il diavolo dormiva sul divano. Lui nel frattempo si avvicinò al bar e versò del whiskey in due bicchieri. Ne porse uno alla detective che lo raggiunse. Sorseggiarono quel liquido in silenzio. La testa appesantita dai continui pensieri e dalla preoccupazione più grande, quella di perdere Abigail.
“A che pensi?” domandò poi la detective senza distogliere lo sguardo dal bicchiere che aveva tra le mani.
“Penso ad Abigail. Sono preoccupato” rispose lui facendo lo stesso.
“Lo sono anche io, Lucifer. Non ho idea di come poterla aiutare e questo mi fa sentire così dannatamente impotente”
“Immagina come mi sento io. Sono il diavolo, sono il diavolo in persona e non ho potere. Nessun tipo di potere su ciò che le sta accadendo. Non so nemmeno cosa le stia accadendo o cosa abbia scatenato questa reazione. Dovrei saperlo, no? Sono il diavolo, per dio!” esclamò e poggiò con forza il bicchiere sul bancone del bar, facendo sussultare Chloe per via del rumore.
“Ehi, ehi” disse Chloe prendendogli la mano e, con l’altra, accarezzandogli il viso. “Non andare lì, non addossarti la colpa di tutto, perché non è colpa tua” gli disse.
“Non è colpa mia? Questa è bella detective, hai qualche altra battuta in serbo per me?” domandò sfregiante.
“Non mi allontanerai, Lucifer. Non sta volta. Sta volta non ti permetto di chiuderti in te, di colpevolizzarti o di scappare a Las Vegas per schiarirti le idee e poi finire a fare un’altra delle tue stupidaggini” disse lei puntandogli il dito contro.
Lui non le rispose, ma si limitò a guardarla infastidito. Odiava quando aveva ragione. E lei aveva sempre ragione. Odiava così tanto quell’aspetto del suo carattere che paradossalmente era uno dei motivi per cui l’amava. Non l’aveva ancora ammesso a se stesso prima, ma l’amava. Di nuovo. Proprio come la prima volta. Probabilmente sapeva di amarla già nell’istante in cui, al Lux, alzò lo sguardo e incontrò di nuovo i suoi bellissimi occhi verdi, nell’istante in cui guardò di nuovo la sua espressione concentrata. Le sue labbra leggermente corrucciata, le stesse che avrebbe voluto baciare. Ricordò l’impulso di stringerla a sé e poi prenderla lì, su quello stesso pianoforte che stava suonando.
Ora gli stava di fronte. La guardava e sentì di nuovo quell’impulso, quella irrefrenabile voglia di farla sua, proprio lì. Perché gli faceva quell’effetto? Perché, soprattutto, era l’unica a fargli quell’effetto? Perché seppure odiava quei suoi comportamenti, voleva inevitabilmente stare con lei. La prese dalle spalle e la guardò severo. Lei sussultò non riuscendo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi magnetici. Lucifer sentiva il bisogno di baciarla, ma non lo fece, non riuscì. Perciò l’abbracciò stretta. Chloe rimase stupita da quel contatto e, forse, anche un po’ delusa. Certo era che non si sarebbe mai aspettata un abbraccio, nella sua mente c’era ben altro, magari un bacio appassionato. Scosse la testa, ancora tra le sue braccia, per scacciare via quel pensiero. Non era il momento. Anche se le farfalle nel suo stomaco la pensavano diversamente.
 
Chloe si svegliò presto quella mattina, guardò al suo fianco e notò che l’altra parte del letto era vuota. La sua espressione, fino a quel momento rilassata e soddisfatta, cambiò radicalmente, lasciando il posto alla delusione e alla paura. Scostò le coperte dal suo corpo e si mise seduta. Si guardò ancora intorno, la camicia di Lucifer era sparita, anche i suoi pantaloni e le sue scarpe. Si portò una mano sul viso e si coprì gli occhi. Ispirò profondamente e scosse la testa. Si chiese come avesse potuto essere così stupida! Sapeva che quello non era il ragazzo adatto a lei eppure aveva scelto di concedersi a lui, nonostante, in cuor suo sapesse che era un donnaiolo e che, probabilmente dopo quella notte non avrebbe più avuto sue notizie. Ma da quando avevano cominciato a frequentarsi, prima come semplici amici e dopo come qualcosa di più, lui le aveva fatto credere di essere davvero interessato a lei, profondamente interessato a lei. Tanto da spingerla a fare la prima mossa, a baciarlo dato che lui non si sbrigava a farlo. Ci aveva creduto! C’era cascata con tutte le scarpe. Aveva creduto alle sue parole, ai suoi gesti romantici, ai suoi tentativi di esprimere i suoi sentimenti. Aveva creduto alle sue intenzioni, aveva creduto che a lui importasse di lei. Una lacrima le scivolò sul viso. Se l’asciugò e si alzò in fretta. I suoi sarebbero rientrati dal loro weekend in Florida in qualche ora. Entrò in bagno, cominciò a far scorrere l’acqua della doccia per farla riscaldare. Si guardò allo specchio e, delusa, scosse la testa. Si sciacquò il viso e si lavò i denti. Poi, denudatasi degli ultimi indumenti, entrò nella doccia. Il getto caldo dell’acqua l’aiutò a scaricare un po’ di tensione, ma non riusciva a smettere di pensare che Lucifer l’aveva portata a letto ed era, poi, andato via.
Finita la doccia si vestì e scese in soggiorno con i capelli ancora bagnati. Quant’era stata sotto l’acqua? I suoi dovevano essere rientrati perché c’era un odore squisito proveniente dalla cucina. Sentì anche dei rumori di stoviglie varie e si affacciò, sicura di trovare suo padre ai fornelli. Ma non fu così. Non era John Decker quello intento a preparare la colazione, era Lucifer. Scosse la testa e sorrise. Con quel sorriso andò via quell’orribile macigno che sentiva sul petto da quando aveva realizzato che l’altra parte del letto fosse vuota.
“Che stai facendo?” domandò curiosa.
“Ti sto preparando la colazione. Mi sono svegliato presto stamattina, tu dormivi ancora e ho pensato di prenderti qualcosa dalla caffetteria che sta alla fine dell’isolato. Ma quella roba sembrava essere lì da almeno qualche giorno. Perciò ho fatto un po’ di spesa e ho deciso di prepararti qualcosa con le mie mani” rispose sminuzzando qualcosa sul tagliere.
Era così concentrato, Chloe sorrise di nuovo e si avvicinò a lui. Con le braccia conserte sotto il petto, lo affiancò cercando di sbirciare oltre le sue spalle possenti cosa stesse cucinando. Lui si voltò e la baciò velocemente prima di riprendere a cucinare. Lei sorrise e si sedette sul bancone per poterlo guardare meglio.
“Sai, quando mi sono svegliata e non ti ho trovato, beh ho temuto che te ne fossi andato” confessò lei.
“Me ne sono andato, ma solo a prendere la colazione” rispose lui poggiando lo strofinaccio sulla spalla.
“Adesso lo so, ma ho creduto che per te fossi stata solo un’avventura di una notte” confessò lei non riuscendo a guardarlo negli occhi.
“Ma ti ho detto che quella era la mia intenzione quando ti ho conosciuta, poi è cambiato tutto” rispose lui cercando il suo sguardo senza riuscirci. Perciò le alzò il viso “Per me non sei un’avventura di una notte” le disse.
Lei gli sorrise timidamente e lui la baciò.
“Eccole!” pensò Chloe mentre si godeva quel bacio. Quelle dannatissime farfalle nello stomaco erano tornate. Ogni dannatissima volta! Bastava che lui le dicesse qualcosa di carino, le sorridesse o la guardasse ed eccole. Quando aveva perso completamente la testa per lui? Ormai non riusciva neppure a ricordarlo.
 
Lucifer sciolse l’abbraccio e guardò la donna che aveva di fronte. Lei gli accarezzò il viso dolcemente. Si avvicinò di più a lui che scosse la testa senza mai distogliere lo sguardo. Sapeva cosa stava per fare, glielo leggeva negli occhi, era desiderio. Stava per baciarlo. Ne aveva bisogno, tremendamente, aveva bisogno di lei più che mai in quel momento. Ma se poi se ne fosse pentita? Se era la disperazione di quella preoccupazione comune a spingerla a baciarlo? Non voleva quello. Prima che potesse fare chiarezza, le labbra di lei toccarono le sue e si ritrovò ad assaporare ogni secondo di quel contatto. Si trovò ad intensificarlo. Le mani sulla nuca di Chloe. L’allontanò solo per poterla guardare un attimo, per imprimere il suo volto nella sua mente in quel preciso istante.
“Perché?” le chiese soltanto.
“Perché ne ho bisogno” rispose lei.
Lui non ebbe bisogno di altro, la baciò ancora, più intensamente di prima. Quando le mani cominciarono a vagare per il suo corpo, si dovette fermare. La guardò.
“Non possiamo” disse lui.
“Va tutto bene, Lucifer” lo rassicurò lei.
“Non possiamo. Abigail è di là, potrebbe svegliarsi in qualunque momento e la traumatizzeremmo a vita” continuò il diavolo.
“Hai ragione” gli sorrise lei.
Lui l’attirò a sé e la baciò di nuovo. Poi l’abbracciò.
“Possiamo restare così per un po’?” domandò lei poggiando la testa sul suo petto.
“Tutto il tempo che vuoi” rispose lui.
 
L’indomani mattina Abigail si svegliò sentendosi rigenerata, fresca come una rosa si potrebbe dire. Si mise seduta sul letto. I raggi del sole filtravano dalla finestra. Si spostò i lunghi capelli dietro l’orecchio e sbuffò. Non usciva da quando aveva cominciato l’addestramento con Lucifer e Amenadiel. Aveva bisogno di uscire, di vedere le persone a cui voleva bene, di non sentirsi prigioniera di quella lussuosissima Penthouse e di se stessa. Uscì dalla stanza ancora sbadigliando, sicura di imbattersi in suo padre già pronto a mettersi all’opera. O, al massimo in Amenadiel, che non le avrebbe permesso neppure di andare in bagno prima di cominciare quella tortura che chiamavano addestramento. Ma, quando guardò sul divano fu colta da un’immagine inaspettata. Lucifer dormiva ancora seduto sul divano e non era solo. Stesa, con la testa sulle sue gambe, c’era sua madre, Chloe. Con un braccio suo padre l’abbracciava, proprio sotto il seno, mentre l’altro gli penzolava fuori dal divano. Abbi scosse la testa e andò in bagno. Quando uscì quei due erano ancora nella stessa posizione. Gli si piazzò davanti e tossì rumorosamente per attirare la loro attenzione. Ma nulla si mosse. Così penso di farlo ancora e questa volta sua madre aprì gli occhi. La guardò e cercò di mettersi seduta, ma il braccio di Lucifer era troppo stretto attorno a lei.
“Lucifer” disse perciò.
Lui spostò leggermente la mano, facendola salire un po’. Il necessario perché finisse sul suo seno.
“Buongiorno detective” disse con gli occhi ancora chiusi, tono malizioso e sorridendo.
La donna roteò gli occhi e, sfruttando quel movimento, si liberò dalla sua presa.
“Lucifer!” lo ammonì ancora.
Lui a quel punto aprì svogliato gli occhi e quando si accorse che Abigail li stava guardando divertita, cercò di ricomporsi.
“Abigail!” disse.
“Ok, tutto questo è incredibilmente imbarazzante e disgustoso, ma anche divertente” commentò la ragazza.
“Disgustoso? Abigail tua madre è in ottima forma, posso assicurartelo” rispose lui tranquillo.
Chloe si portò una mano sul viso per nascondere l’imbarazzo.
“Ti prego, smetti di parlare” gli chiese la detective.
“Ma detective ti sto facendo un complimento, il tuo seno è incredibilmente sodo nonostante le due gravidanze, sono motivi di orgoglio!” continuò lui.
“Ok, forse è meglio che vada adesso” disse lei alzandosi dal divano.
“Detective!” protestò Lucifer.
“Mamma aspetta un secondo. Devo chiedervi una cosa, a tutti e due” disse la ragazza.
“Certo, Abigail, chiedi pure” disse Lucifer facendole cenno di sedersi sul divano accanto a lui.
La ragazza guardò il posto indicato da suo padre non convinta.
“Nah, preferisco restare in piedi” disse.
“Cosa volevi chiederci?” domandò Chloe in piedi accanto al bracciolo del divano.
“Beh, non esco da un po’ e non faccio altro che allenarmi. Mi sento chiusa in gabbia, vorrei uscire, tornare all’università. Rivedere Trixie, stare con le mie amiche e con Karen” disse. “Perciò quand’è che potrò riprendere a vivere la mia vita normalmente?” domandò.
“Mai se non imparerai a gestire le tue emozioni e a controllare il tuo corpo” rispose tranquillamente Lucifer.
Abigail emise un suono di frustrazione. Lui la guardò confuso, come se non riuscisse a capire il motivo di tale esternazione. Chloe lo guardò e ispirò rumorosamente. Poi si voltò a guardare sua figlia.
“Tesoro, quello che tuo padre vuole dire è che devi avere un po’ di pazienza. Da quanto so siete già a buon punto, riesci a controllarti per ore intere, perciò sono sicura che machi poco” intervenne Chloe.
“Ma sono stanca, non ce la faccio più! Perché non posso essere come tutti gli altri?” domandò frustrata.
Sua madre le si avvicinò e le accarezzò dolcemente la guancia. Abigail appoggiò la fronte sulla spalla della donna che l’abbracciò.
In quel momento l’ascensore si aprì e Lucas Fletcher fece il suo ingresso nella tana del lupo. Abigail alzò la testa e, quando il suo sguardo incontrò quello del ragazzo, chiuse i pugni e strinse la mascella. Chloe notò immediatamente questo cambiamento nella figlia e si apprestò a controllare discretamente gli occhi di sua figlia. Li vide cambiare colore, in quell’istante la ragazza si voltò dando le spalle all’ospite. La detective, allora, si affrettò a raggiungerlo.
“Fletcher, che ci fai qui?”
“Detective abbiamo provato a chiamarla, ma non rispondeva. Non era a casa sua, perciò il detective Espinoza mi ha detto che avrei potuto trovarla qui. Ho bisogno di lei e di Lucifer per un caso a cui sto lavorando” disse lanciando frequentemente delle occhiate nella direzione di Abigail.
Quell’atteggiamento insospettì ancora di più la detective che, facendo mente locale, si ricordò che la prima volta che Abigail aveva avuto il suo cambiamento era stato proprio in centrale. Ed era stato il giorno in cui le sembrava che Lucas si comportasse in maniera strana con lei.
“Aspetta un attimo qui, Fletcher, devo parlare in privato con Lucifer” disse la detective facendo cenno col capo al suo partner di seguirla sul balcone.
“Che succede, detective?” domandò l’uomo.
“Penso che Lucas c’entri qualcosa con il cambiamento di Abigail”
“E perché mai?” domandò lui.
“Non lo so, ma lo scoprirò. Facci caso, lei ha avuto la prima mutazione in centrale proprio il giorno in cui ti dissi che Fletcher era strano. E adesso, non appena l’ha visto i suoi occhi sono mutati istantaneamente” disse lei a voce bassa per essere sicura che dentro non la sentissero.
“Detective di solito sono io quello che trae conclusioni affrettate e perdonami se ti rubo la battuta, ma: noi non accusiamo senza prove. E le tue sono prove circostanziali” disse. “Ah però, sto diventando proprio bravo” esclamò compiaciuto.
Nel frattempo, Lucas Fletcher, all’interno della Penthouse, ne approfittò per parlare con Abigail.
“È da un po’ che non ti si vede in centrale” commentò senza ricevere alcuna risposta.
Abigail fu raggiunta alle spalle dalla sua voce e cercò di concentrarsi il più possibile per tenere a bada la sua nuova forma che scalpitava e fremeva per uscire e liberarsi.
“Che fai, mi ignori?” domandò lui cercando di attirare la sua attenzione.
“No, dimentico solo che tu sia mai esistito” commentò sarcastica lei girandosi e guardandolo dritto in faccia.
“Ce l’hai ancora con me per quella storia? Insomma, Abigail è stato solo un errore” continuò lui.
“Ce la sto mettendo davvero tutta per...” cominciò a dire a denti stretti prima di fermarsi e ispirare lentamente. “Che tu fossi uno stronzo mi era chiaro e sono stata una cretina a credere che potesse esserci altro dietro questo” disse indicandolo.
“Ma dai! Siamo stati a letto insieme una volta. Era solo sesso... Non avrai creduto davvero che poteva esserci qualcosa tra noi”
“Perché tu non l’hai sentito?”
Lui non rispose.
“Ascolta non sono una cretina. Ho avuto altre esperienze occasionali prima, ma credevo di aver provato qualcosa di vero con te quella notte, una connessione speciale e l’ho provata già prima di finire nel tuo letto. Perciò capirai la mia rabbia quando ho realizzato il giorno dopo che per te non è stata la stessa cosa e che sei soltanto uno stronzo” rispose lei.
I pugni chiusi, stretti. Le unghie le stavano lacerando lentamente i palmi delle mani, ma fortunatamente stava controllando la sua forma.
In quel momento rientrarono Lucifer e Chloe. L’atmosfera lì dentro era pesante, gelida come il vento invernale. Chloe guardò prima sua figlia, notando i suoi pugni chiusi e poi Lucas, i cui occhi erano stranamente lucidi.
“Tutto bene?” domandò.
“Sì”, risposero all’unisono i due. Dopodiché Abigail girò i tacchi e si rifugiò in camera di suo padre, camera che ormai era diventata sua.
La detective guardò Lucifer che aveva un’espressione infastidita, probabilmente quella atmosfera glaciale gli aveva fatto cambiare idea sulla sua ipotesi. Quando Lucas andò via, il signore degli inferi si avvicinò alla sua partner.
“Ora mi credi?” domandò la donna.
“Forse. Ma prima devo chiedere a mio fratello Uriel se sa di cosa si tratta oppure Amenadiel me la farà pagare”
“Va bene, ma dopo cercheremo di capire cos’è successo tra quei due” rispose Chloe.
“Quando mi dai gli ordini mi fai impazzire” le sussurrò Lucifer con voce seducente all’orecchio.
Lei lo guardò infastidita e scosse la testa.
 
Lucifer e Chloe erano sul tetto di un edificio abbandonato nel cuore di Los Angeles. Le luci prepotenti del giorno avevano lasciato il posto a quelle artificiali della notte. La città era in fermento come ogni venerdì sera. Rumori di auto, clacson, voci di persone e musica proveniente dai vari locali riempivano il silenzio. Uriel atterrò su quello stesso tetto pochi minuti dopo essere stato chiamato.
“Ma che piacere!” esclamò facendo rientrare le ali e avvicinandosi ai due. “Lucifer e la sua umana. Siete già tornati insieme?” domandò.
I due si guardarono un attimo e presero ad annaspare alla ricerca di una risposta da dare. L’angelo rise di gusto e scosse la testa.
“Lasciamo perdere... come mai mi avete chiamato?” domandò incrociando le braccia al petto.
“Come saprai Abigail ha una forma mostruosa e ci chiedevamo se tu sapessi qualcosa in più in merito” disse lui.
“Lucifer che viene a chiedere aiuto a me, di nuovo. Comincia proprio a piacermi questa cosa”
“Smettila di gongolare idiota o ti faccio sparire quel ghigno dalla faccia a suon di pugni” esclamò lui infastidito.
“Lucifer!” lo ammonì Chloe.
“Ma detective lui mi infastidisce” si giustificò lui.
“E comunque certo che so qualcosa. Ho visto il momento in cui si è trasformata, una forma mostruosa incredibilmente affascinante” commentò. “Ad ogni modo, penso che voi siate qui perché volete sapere cosa scateni la mutazione e come risolverla. Dico bene?” domandò lui camminando avanti e dietro con le mani giunte dietro la schiena.
Lucifer si stava innervosendo e di certo, vederlo fare avanti e dietro, non aiutava.
“Sì, esatto” rispose Chloe prendendo il braccio del suo partner che cominciò a calmarsi lentamente.
“La rabbia e la paura sono le emozioni che scatenano questa reazione. Come bloccarlo dipende da lei. Ma vedo che siamo sulla buona strada” disse Uriel fermandosi davanti al fratello.
“Cosa l’ha scatenato?” domandò la donna.
“Non riesco a capire. Non... non lo so. È strano che io non la sappia. Io, non capisco. È già successo dovrei essere capace di vederlo, ma non riesco. Sarebbe accaduto prima o poi, ma non capisco perché non riesca a vedere quel momento” Uriel era sinceramente confuso e disorientato. Così tanto che dovette mettersi seduto.
“Neanche tuo fratello lo sa, ascoltami Lucifer. Io probabilmente non capirò nulla di questa faccenda degli angeli, del sovrannaturale, ma il mio intuito mi dice che c’entra Lucas Fletcher” disse la detective.
“Lucas Fletcher? Perché questo nome mi è familiare?” domandò Uriel rialzandosi lentamente e riprendendo a fare avanti e dietro ripetendo il nome del detective.
“Che ti prende? Ti si è fuso il cervello?” domandò Lucifer guardando suo fratello.
“Lucas Fletcher!” esclamò quello avvicinandosi a loro come un pazzo.
Istintivamente Lucifer spostò la detective dietro di sé per proteggerla.
“Uriel?” domandò il diavolo.
“Lucas Fletcher dovrebbe essere morto” esclamò l’angelo.
“Morto? Ti assicuro che è molto vivo” rispose Lucifer.
“Lo so, ma dovrebbe essere morto! Non capisci?” domandò ancora riprendendo a fare avanti e dietro.
“Senti Uriel, sicuro di non aver sbattuto contro qualche aereo mentre venivi qui? Non so, magari hai picchiato la testa contro il cancello della città d’Argento?” domandò ancora Lucifer.
“No, Luci. Qualcosa ha interferito con gli eventi. Ecco perché non riesco a leggerli correttamente. E quel qualcuno ha a che fare con Lucas Fletcher. Lui dovrebbe essere morto” continuò.
“E come?” chiese istintivamente la detective.
“Muore giovane poliziotto prodigio in seguito ad aggressione in un supermarket. Il proprietario del negozio afferma che Lucas Fletcher, questo era il suo nome, l’ha salvato dalle grinfie di due criminali. Il sindaco e i cittadini tutti sono vicini alla famiglia” Uriel stava recitando quello che sembrava essere un articolo di giornale.
“È morto in servizio” commentò a bassa voce Chloe.
“No, non era in servizio. Gli ha messi in fuga, ma uscendo, uno gli ha sparato” continuò l’angelo.
“Ma Lucas è vivo” disse ancora Lucifer attirando l’attenzione dei due.
“Cercherò di capire perché” affermò Uriel.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21


Abigail aveva ottenuto finalmente la tanta agognata libertà. Dopo giorni interminabili passati in casa ad addestrarsi con suo padre e suo zio, finalmente le fu concesso di tornare alle sue normali attività. Entrò in centrale, aveva promesso ai suoi genitori che sarebbe passata da loro prima di andare a lezione. Chloe era seduta alla sua scrivania intenta ad esaminare concentrata un caso mentre Lucifer giocherellava con la palla di elastici seduto sulla sedia di Dan e con i piedi sulla scrivania.
Abbi entrò nel loro ufficio e li andò a salutare con un bacio. Poco dopo arrivò anche Lucas Fletcher. I due si scambiarono un’occhiata glaciale e lui, dopo essersi sistemato nervosamente la cravatta, si andò a sedere alla sua postazione. Chloe approfittò di quel momento per indagare la sua teoria.
“Lucas ho sentito che abiti vicino al Market Million, non è una bellissima zona di questi tempi, sei d’accordo?” domandò lei.
“Sì, detective”
“Ho sentito che proprio qualche tempo fa, in quel negozietto ci sono stati dei problemi” continuò lei.
Lucas e Abigail si guardarono per un secondo e la detective se ne accorse.
“Ah si?” disse lui facendo il vago.
“Sì, strano che tu non lo sappia” continuò quella.
Il ragazzo allora si alzò e, con una scusa, uscì dalla stanza chiaramente nervoso, come un bambino scoperto con le mani nella marmellata.
“Ora devo proprio andare” si affrettò a dire Abbi e uscì subito dopo di lui.
Chloe guardò Lucifer soddisfatta.
 
Nel frattempo, mentre Abigail stava percorrendo il corridoio della centrale per recarsi all’uscita, fu acchiappata dal braccio e trascinata in un ripostiglio. Provò a gridare, ma una mano sulla bocca glielo impedì. Riconobbe subito quell’odore, quel profumo di dopobarba inconfondibile. L’aveva sentito per tutta una notte, era indelebilmente impresso nella sua memoria ormai. Era il profumo di Lucas Fletcher. Si voltò, gli occhi bianchi, spalancati per la paura.
“Sei fuori di testa? Toglimi le mani di dosso!” esclamò lei.
“Non sembra ti dispiacessero qualche settimana fa” scherzò lui.
I suoi occhi intensi le penetrarono l’anima, ancora una volta, come quella sera, esattamente come quella sera, Abigail sentì le sue guance andare in fiamme. Era arrabbiata con lui, furiosa, ma non poteva più nascondere che Lucas non le era indifferente. Non più. Avevano condiviso un momento, c'era stata una connessione, una connessione profonda, qualcosa che non aveva mai provato prima. E quel giorno, a distanza di un po’ di tempo, la stava provando ancora.
“Sei un porco” disse sperando non si fosse accorto del rossore sulle sue guance.
Lui le sorrise e per un secondo Abigail si trovò a dimenticarsi anche di chiedergli per quale motivo fosse lì. Come poteva essere così affascinante anche quando faceva l’idiota. Era insopportabile! Lo detestava per questo.
“Che diavolo vuoi da me?” riuscì a dire solo dopo poco.
“Hai detto a tua madre di noi?” domandò lui tornando serio.
“Sei fuori di testa? Non ricordi? È stato solo un errore, il piano non era quello di fare finta che non fosse successo nulla tra noi?” chiese di nuovo lei con un pizzico di provocazione e fastidio nella voce.
“Penso lo sappia” disse lui subito dopo.
“Non lo sa” continuò lei.
“Mi sta facendo domande strane ultimamente e poco fa quella storia del negozio. Si riferiva chiaramente a ciò che è successo lì dentro. C’eravamo io, te e le tue amiche. Non può essere una coincidenza, Abigail” disse lui.
Abigail pensò a quanto fosse bello il suo nome pronunciato da lui. La sua voce calda e sexy, quelle labbra che aveva assaggiato e che l’avevano rapita, quelle labbra che avevano indagato ogni singolo centimetro della sua pelle, del suo corpo, della sua intimità.
“Sei fuori, lo sai? Perché voi poliziotti avete la costante paura che tutto sia connesso? Siete paranoici, lo sapete?” disse lei per poi poggiare la mano alla maniglia della porta pronta ad uscire.
Lui mise la mano sulla sua per fermarla.
“Abigail” la chiamò.
Lei si fermò e girò la testa, inconsapevole di ritrovarlo così vicino. Poteva sentire il peso e la prepotenza di quegli occhi chiari che cercavano il suo sguardo.
“Che vuoi?” domandò lei evitando di guardarlo.
“Mi dispiace per quello che è successo tra noi. Mi dispiace di averti illusa, ma voglio che sia chiara una cosa, ciò che è successo quella notte è stato un errore. Non potrà mai esserci nulla tra noi e questa storia non può assolutamente uscire allo scoperto. Io lavoro con i tuoi genitori, anzi, con tutta la tua famiglia. Sarebbe incredibilmente imbarazzante, capisci?” disse lui.
“Non sono una cretina, Lucas. Per come lo dici sembra che io ti muoia dietro, ma non è così. Ti ripeto, ho creduto avessimo avuto un momento, ma ho chiaramente sbagliato. Non voglio niente da te e soprattutto non sono attratta da te, non più. Non voglio nemmeno io che questa storia venga fuori con la mia famiglia. Non mi va che sappiano della mia vita privata e soprattutto di questa insignificante parentesi che ho avuto con te. Rovinerei la mia reputazione” disse lei cercando di ferirlo e allo stesso tempo di sembrare il più credibile possibile. In realtà sapeva bene che non era così. Quel ragazzo non le era indifferente e lo trovava ancora attraente, tanto attraente che se avesse potuto gli sarebbe saltata addosso in quel preciso momento e in quello stesso sgabuzzino buio e maleodorante.
“Abigail, ne sei sicura?” domandò lui non convinto.
Lei serrò la macella infastidita e uscì dalla stanza in fretta. Si fermò nel corridoio e cercò con lo sguardo qualcuno. Lucas la osservava a qualche metro di distanza.
“Che stai facendo?” le chiese cercando di non attirare l’attenzione di chi passava.
Lei non gli rispose, ma continuò a guardarsi intorno. Individuata la preda, cominciò a salutare qualcuno. Era Matthew McMiller. Lui le sorrise con quello che Lucas avrebbe definito un sorriso ebete e le andò in contro. Fletcher restò a guardare in silenzio, appoggiato alla porta dalla quale era uscito solo qualche minuto prima. In mano una cartella, per fingere di essere lì a leggersela in santa pace. McMiller si avvicinò ad Abigail e cominciarono a parlare. Lei gli toccava il braccio e gli sorrideva come una stupida, cosa che lo fece innervosire. Rideva a tutto ciò che le diceva e giocherellava con i suoi bellissimi capelli lunghi. Matthew la invitò ad andare al cinema a vedere un film insieme e lei ne fu entusiasta. Quando lui si allontanò per tornare in servizio, Abbi si girò verso Lucas, alzò le spalle con un’espressione di sfida e andò via.
 
“Lucifer io devo andare a fondo a questa faccenda” disse Chloe seduta su uno sgabello al Lux.
Il locale era ancora chiuso, in giro non c’era nessuno, neppure Maze. Lucifer, alle spalle della donna, le stava massaggiando la nuca. Si chinò su di lei per lasciarle un bacio lungo il collo. Quella sorrise e piegò la testa di lato.
“Lucifer...” disse con un tono di voce misto di frustrazione e bisogno.
“Detective devi rilassarti un po’, sei tesa” continuò lui facendo girare lo sgabello per poterla guardare dritta negli occhi.
Chloe si ritrovò ad arrossire davanti alla sua figura imponente. La scrutava dall’alto verso il basso con desiderio, con passione. Per un attimo intravide una scintilla rossa nei suoi occhi e quello bastò per far crescere il bisogno di lasciarsi possedere da quell’uomo. Senza accorgersene, si inumidì il labbro inferiore stringendolo tra i denti.
“Detective, stai giocando col fuoco” disse lui fissandole le labbra.
“Pensavo di stare giocando col diavolo” lo prese in giro lei facendo un’espressione buffa.
“Detective ce l’avevi quasi fatta ad essere incredibilmente sexy e solo sexy. Adesso sei adorabile il che quasi mi fa venire voglia di abbracciarti. E abbracciarti soltanto”
“Soltanto?” domandò lei fingendosi offesa e incrociando le braccia al petto.
“Ah, ma chi voglio prendere in giro!” esclamò lui piegandosi su di lei e baciandola con passione.
Lei sorrise contro le sue labbra. Si aggrappò ai lembi della sua giacca e lo tirò più vicino a sé per approfondire il contatto il più possibile.
“Detective...” sussurrò lui contro le sue labbra.
La sua voce era roca, profonda, piena di desiderio ed era tremendamente sexy. Lo desiderava, lo desiderava così tanto, proprio come quando era ragazzina. Come ci riusciva? Come riusciva a farle provare delle emozioni così intense, così profonde? Come era possibile che dopo tutti quegli anni lei fosse ancora tremendamente e irrimediabilmente innamorata di lui, stregata da lui? Gli passò le mani sul collo, portò il viso vicino al suo per poter imprimere ogni dettaglio di quell’uomo nella sua mente. Era di nuovo suo, anche se non ufficialmente. Ma lo sapeva, lo sentiva nel profondo, lo sentiva nelle viscere. Gli apparteneva, si appartenevano.
Le mani ancora sul viso di Lucifer. Gli baciò la fronte, lentamente, poi scese lungo il naso e arrivò alle guance, poi la mandibola, il mento, il collo e risalì fino alle labbra. Lo baciò con dolcezza, un bacio casto, ma pieno di significato. Un bacio che nella sua innocenza, sprigionava tutto il suo amore per quell’uomo.
“Lucifer, dovremmo andare di sopra” gli disse a pochi centimetri dalle sue labbra.
Lui, ancora rapito da quei contatti, si limitò ad annuire. Quando lei si mise in piedi, la prese in braccio. Le gambe di Chloe avvinghiate alla sua vita, le braccia gli circondavano il collo. Non riuscivano ad interrompere il contatto visivo, volevano imprimere quanto più possibile di quei momenti insieme. Avevano aspettato quasi vent’anni perché potessero viversi di nuovo in quel modo. Si erano ritrovati e nessuno dei due aveva intenzione di lasciare l’altro.
 
Abigail, dopo le lezioni, tornò alla Penthouse assieme a Karen. Sarebbe tornata a stare da Chloe, perciò doveva raccogliere tutte le sue cose. L’ascensore si aprì e le due ragazze si addentrarono nell'appartamento. Poi, all’improvviso, Abbi si fermò. Karen fece lo stesso andandole a finire addosso.
“Che diavolo succede?” domandò alla sua amica.
“Ci sono vestiti sparsi ovunque, penso che mio padre abbia compagnia. Andiamo via prima che sia troppo tardi” disse la ragazza coprendosi gli occhi e girando i tacchi.
“Ma no, non sei curiosa di sapere con chi è?” domandò l’amica.
“No, Karen, non voglio aggiungere anche questo alla lunga lista di traumi che ho subito nella vita” scherzò Abbi.
“Posso andare a dare una sbirciata?” domandò l’amica insistendo.
“No, Karen. Ti prego andiamo via” continuò quella premendo ripetutamente il pulsante dell’ascensore.
E mentre dava le spalle all’amica, quella sgattaiolò per andare a vedere con chi si stesse divertendo il signor Morningstar. Quello che vide, però, un po’ la deluse. Non era esattamente il tipo di scenario che aveva immaginato. Innanzitutto, se c’era stata dell’azione, adesso era finita. E, accoccolata sul petto di quell’uomo sexy non c’era una bella sconosciuta, ma qualcuno che lei conosceva, c’era Chloe Decker. Si ritrovò a pensare che, nonostante la delusione iniziale, quella che le si presentò davanti fu un’immagine davvero dolce con un nonsoché di romantico. Mamma Decker aveva la testa sul petto muscoloso di Papà Morningstar. Il lenzuolo la copriva appena sopra il seno. Lui aveva il braccio attorno a lei, la teneva stretta a sé.
“Aww!” esclamò quella con aria sognante.
“Karen!” l’ammonì Abigail. “Vieni immediatamente qui” le disse facendole segno con la mano di raggiungerla.
“Abbi non hai idea di chi c’è di là con tuo padre” disse l'amica divertita tornando verso di lei.
“Non voglio” cominciò a dire l'altra, ma fu interrotta.
“C’è tua madre, Mamma Decker e Papà Morningstar si sono dati da fare” disse strizzandole l’occhio.
“Mia madre? Che dici?” domandò incredula.
“Oh, ma dai, non fare quella faccia. Quei due si mangiano costantemente con gli occhi, non far finta di non essertene mai accorta. Lo si capisce lontano un miglio che non vedono l’ora di saltarsi addosso in ogni istante” continuò Karen.
“Ti prego, basta” disse Abbi coprendosi le orecchie.
“Guarda che sono davvero carini, secondo me dovresti andare a guardare. Stanno dormendo tutti accoccolati” disse sognante l’altra.
“Effettivamente li ho beccati addormentati sul divano una sera tutti abbracciati...” pensò lei ad alta voce. “Comunque no, non ho intenzione di andare a vederli”
Il rumore di quelle voci doveva per forza aver infastidito il sonno di Chloe che, indossata una camicia di Lucifer, si affacciò alla stanza per poter capire da dove provenissero. Quando vide sua figlia, cercò di fare marcia indietro, ma retrocedendo andò a sbattere contro qualcosa: il petto possente di Lucifer. Le stava dietro e osservava nella sua stessa direzione.
“Che stiamo guardando?” domandò.
Lei si girò e sorridendo lo spinse indietro.
“Shh” disse portando il dito davanti alla bocca. “C’è Abigail in soggiorno con Karen” sussurrò.
“Andiamo a salutarle, no?” propose lui.
“Ma Lucifer non posso presentarmi da Abbi con addosso nient’altro che la tua camicia”
“Perché no? Sei dannatamente sexy” disse lui sorridendole malizioso.
“Smettila!” disse lei sorridendo imbarazzata. “Non vogliamo traumatizzarla” continuò gettandogli le braccia al collo.
Lui si chinò su di lei e la baciò.
Mentre loro continuavano a sbaciucchiarsi come ragazzini, Abigail spinta da Karen si lasciò trascinare in quella pazzia e andò in camera di suo padre. Solo per fermarsi all’ingresso non appena vide quei due in atteggiamenti decisamente intimi. Tossì per attirare la loro attenzione. Quella situazione era estremamente imbarazzante. Come aveva fatto a lasciarsi convincere ad andare a sbirciare? Tra l’altro non avrebbero dovuto essere nemmeno svegli. Ok, quel pensiero era tanto inquietante quanto quella scena.
“Abbi!” disse Chloe tirandosi giù il più possibile la camicia nel tentativo di coprire le gambe, era imbarazzata.
“Ok, questo è imbarazzante”
“Non dovresti essere all’università?” domandò Lucifer tentando di sviare l’attenzione su altro.
“Sì, ma finite le lezioni sono tornata a casa. Pensavo di riprendere le mie cose per riportarle da mamma” continuò a dire cercando di guardare altrove. “Ok, seriamente, dovete vestirvi è imbarazzante”
“La maggior parte dei vestiti di tua madre sono di là” commentò Lucifer tranquillo.
Chloe si coprì il viso imbarazzata.
“Ok, glieli porto subito” rispose Abbi girando i tacchi il più veloce possibile.
 
“Non erano carinissimi?” domandò Karen mentre camminavano per raggiungere la solita caffetteria.
“Oddio, sicuramente lo saranno. Peccato che non avrei mai voluto vederli così, insomma sono i miei genitori, pensare che abbiano una vita sessuale mi turba a livello molecolare” commentò Abigail.
“Sì, hai ragione. Mi sono messa nei tuoi panni un secondo, immaginando di trovare così i miei e ora ho voglia di chiudermi in un obitorio a guardare un’autopsia per sostituire questo terribile scenario con qualcosa di altrettanto disgustoso” disse come rapita Karen.
Abbi rise e spinse la porta della caffetteria. Si andarono a sedere al loro solito tavolo e ordinarono il solito caffè. Cominciarono a parlare del più e del meno aggiornandosi su tutto quello che era successo mentre non si erano viste.
Così, mentre Karen si dilungava in racconti al limite del credibile e in storie tanto esilaranti quanto improbabili, Lucas Fletcher fece il suo ingresso nel locale. Ordinò il suo solito caffè pensando di consumarlo per strada, proprio come era solito fare. Ma, quando gli occhi di Karen si posarono su di lui, non poté fare a meno di chiamarlo. Abigail cominciò a maledire il giorno in cui aveva conosciuto quella ragazza chiacchierona e terribilmente invadente.
“Detective Fletcher, come stai?” domandò quella contenta di vederlo.
“Bene, Karen, grazie per avermelo chiesto. Tu, come stai?” chiese lui lanciando un’occhiata ad Abigail che spostò lo sguardo sul suo bicchiere, quasi come fosse l’oggetto più interessante del mondo.
“Accomodati, posso chiamarti Lucas?” domandò lei indicandogli il posto accanto ad Abigail su uno di quei tipici divanetti caratteristici dei Diner anni ’50.
Abigail pensò almeno a venti modi in cui avrebbe voluto schiaffeggiare la sua amica in quel momento, ma l’odore inebriante del dopobarba di Lucas la distrasse dai suoi piani. Gli fece spazio senza neppure rivolgergli uno sguardo e riprese ad osservare il suo bicchiere cercando di sopportare i suoi frequenti sguardi. Sentiva i suoi occhi su di sé ed era super intenzionata ad ignorarli. Nel frattempo, Karen prese a chiacchierare con lui quasi come fossero amici di vecchia data. Di solito questa era una delle caratteristiche della sua amica che preferiva. Riusciva ad arrivare ad ogni persona, riusciva a fare amicizia con chiunque e aveva sempre qualcosa da raccontare. Avrebbe voluto tanto essere come lei alle volte, vivere l’attimo, in qualche modo.
“Dovresti venire con noi qualche volta” disse Karen e immediatamente Abigail riemerse dal profondo dei suoi pensieri. La sua amica aveva appena fatto un invito a Lucas Fletcher e lei non aveva sentito dove lo avesse invitato.
“Cosa?” domandò cercando di non sembrare allarmata.
“Sei ancora sotto shock per i tuoi?” domandò l’amica.
“No, no. Forse un po’” disse cogliendo la palla al balzo.
“Ok, ho detto a Lucas che potrebbe venire qualche volta con noi al bowling” disse. “Magari venerdì sera, che ne dici?” continuò guardando, sta volta, il ragazzo.
“No. E poi venderdì non ci sono” disse Abbi.
“Come non ci sei? Perché?” domandò l’amica.
“Ho un appuntamento” disse lei piano.
“Hai un appuntamento?” domandò entusiasta a voce altra la sua amica, facendo girare diversi clienti della caffetteria a guardarle. “E con chi?” domandò curiosa.
“Con Matthew McMiller” rispose lei e prese a sorseggiare il suo caffè.
Lucas emise un verso di disapprovazione che non passò inosservato dalle due che lo guardarono contemporaneamente. Lui, accortosi dell’errore, si schiarì la voce e bevve un sorso di caffè.
“Chi è Matthew McMiller e come lo conosciamo?” domandò immediatamente Karen.
“È un ragazzo davvero carino e dolce. Lavora in centrale” rispose Abbi.
“Un poliziotto eh? Il fascino della divisa...” commentò con aria sognante l’altra ragazza. “E dove andate, dove ti porta?” domandò curiosa.
“Andremo al cinema, allo Starlight danno la versione restaurata di un vecchio film che amo e lui è stato così gentile, ha detto che non gli piacciono i vecchi film, ma che con me verrebbe ovunque” rispose lei genuinamente affascinata da quella affermazione.
“Aww! Ma è una cosa dolcissima!” constatò l’altra.
Lucas nel frattempo più ascoltava quella conversazione e più sentiva il sangue ribollirgli nelle vene. Sapere che Abigail avesse un appuntamento gli dava stranamente fastidio. Non era mai stato un tipo geloso, soprattutto non era mai stato geloso di un errore da una notte sola. Eppure, ecco lì ad ascoltare i piani di quella ragazza mentre il suo fegato cominciava a corrodersi lentamente. La guardò. Era così bella. I suoi lunghi capelli biondo cenere che le arrivavano quasi al sedere. I suoi occhi di ghiaccio così intensi e allo stesso tempo penetranti, quegli occhi che quasi riuscivano a metterlo in imbarazzo. Quelle labbra rosee soffici che lui aveva già assaggiato e che, in quel preciso istante, stava bramando. Sapeva di aver fatto la scelta giusta a voler interrompere qualunque cosa fosse accaduta quella notte. Ma allora perché non si sentiva a posto con se stesso? Che Abigail Morningstar fosse una delle ragazze più belle che avesse mai visto in vita sua, lo sapeva bene. Forse era la più bella in assoluto, ma c’era altro. C’era qualcos’altro in lei che non gli permetteva di archiviare definitivamente la questione, proprio come un comune caso irrisolto. Forse avrebbe potuto esserle vicino come amico magari e così capire come mai non riusciva a mettere da parte quella persona. Non aveva molto senso il suo piano, lo capì immediatamente, ma che altre possibilità c’erano? Era chiaro che non avesse intenzione di starle lontano, quasi come era chiaro che non avrebbe potuto starle vicino come qualcosa di più di un amico o di un conoscente. Karen doveva aver intuito che fosse perso nei suoi pensieri perché ogni tanto sentiva il suo sguardo inquisitore pesare su di lui. Quando lo incontrò ne fu certo. Karen aveva capito ciò che lui non era in grado di esprimere a parole: il suo disagio con quell’argomento. Non aveva nessunissima voglia di ascoltare i dettagli della vita amorosa di Abigail e non aveva nessuna voglia di sapere cosa pensasse di quell’idiota di Matthew McMiller. Che poi, quel ragazzo, non era nemmeno un idiota. Era un bravo ragazzo e un bravo poliziotto, ma. Avrebbe potuto scegliere qualunque altra ragazza sulla faccia del pianeta da invitare fuori e aveva scelto proprio lei. Anzi, Abbi con fare ammaliante, l’aveva portato a chiederle di uscire.
“Ok, ma. Parliamo d’altro. Hai sentito cosa ha combinato Pete il fattone?” domandò Karen cambiando argomento per aiutare il nuovo amico a disagio.

Journey's Corner:
Vi chiedo umilmente scusa per il ritrardo nella pubblicazione, purtroppo è tempo di sessione per tutti e si perde la cognizione del tempo (o almeno, si vorrebbe). Ad ogni modo spero che il capitolo vi piaccia. Le prossime due settimane non pubblicherò sempre a causa degli esami perciò The Long-Lost Daughter of Hell tornerà Venerdì 21 Febbraio.
-Journey

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22


Il giorno dell’appuntamento con Matthew McMiller era arrivato. Lui la informò con un messaggio che era fuori che l’aspettava in macchina. Lei si guardò allo specchio. Indossava pantalone a vita alta a fiori che metteva in risalto le sue lunghe gambe snelle e un maglioncino azzurro che le finiva dentro il pantalone. Sulle spalle uno zainetto di cuoio. Non un filo di trucco sul viso e i capelli sciolti, ma ben pettinati, le ricadevano morbidi sulle spalle. Si guardò per un altro secondo prima di uscire dalla stanza. Chloe le diede un bacio e le premurò di non tornare troppo tardi. Lucifer, seduto sul divano cercò di aspettare che uscisse di casa per esprimere il suo disappunto. Faceva ancora fatica ad accettare il fatto che sua figlia potesse frequentare dei ragazzi e avere una vita sentimentale. Aveva chiesto alla detective e ad Abbi di non riferirgli il nome del suo accompagnatore per quella sera, altrimenti avrebbe avuto voglia di cercarlo e poi andare a prenderlo a calci o peggio. Quell’affermazione aveva fatto ridere le due. Quando la porta si chiuse, Lucifer scattò verso la finestra per andare a controllare la situazione, ma Chloe lo richiamò. Lui si arrese e, con la faccia da cane bastonato, tornò al suo posto. La detective lo raggiunse e si sedette accanto a lui, una gamba piegata sotto il sedere e l’altra penzolava fuori dal divano. Poggiò il gomito sulla spalla dell’uomo e con la mano gli accarezzava dolcemente i capelli guardandolo negli occhi. Sul suo viso l’espressione più soddisfatta e compiaciuta che Lucifer avesse mai visto. Quegli occhi, quei dannatissimi occhi verdi lo stavano guardando in un modo nuovo, come non l’avevano mai guardato prima. C’era qualcosa di magico in quello sguardo. Lo rapì completamente. Rimasero a guardarsi senza dirsi una parola per un bel po’ di tempo, fino a quando Trixie non gli distrasse.
“Lucifer! Lucifer!” lo chiamò la piccola.
“Che c’è, che c’è, piccola umana?” domandò lui distogliendo svogliatamente lo sguardo dalla donna che aveva davanti e alzandosi.
“Giochiamo a Monopoly?” gli chiese lei tirandogli la giacca.
“Ah”, esclamò lui a quel contatto. Le mani appiccicose di quella bambina gli stavano sporcando la giacca.
“Ti prego Lucifer!” continuò quella.
Chloe rise di gusto vedendolo scappare da Trixie che lo rincorreva attorno al tavolo.
“Va bene, va bene! Giochiamo a Monopoly ma tieni quelle mani appiccicose e i tuoi lecca-lecca lontani da me” esclamò fermandosi.
La bambina gli sorrise fiera del suo lavoro e corse a recuperare la scatola del gioco da tavola. Lo portò da loro e, dopo averlo posizionato sul divano, gli porse dei lecca-lecca. Lucifer la guardò scettico per un attimo, ma dopo l’ennesimo sorriso della piccola, prese una di quelle caramelle.
“Prima di cominciare dovremmo farci dei tatuaggi con i miei nuovi trasferelli. Sono bellissimi!” esclamò la piccola. Nonostante l’età, Trixie era una bambina molto sveglia e riuscì a convincere entrambi gli adulti a sottostare alle sue volontà.
 
Nel frattempo, Abigail e Matthew erano davanti al botteghino del cinema Starlight. Da quando era salita in macchina, la ragazza continuava a chiedersi perché avesse accettato di uscire con lui. Senza ombra di dubbio il suo cavaliere per quella sera era un bravo ragazzo, ma non le trasmetteva nulla, nulla che potesse anche solo lontanamente avvicinarsi a quello che le faceva provare Lucas. Lui, anche nel male, riusciva a farle provare qualcosa. Forse non stava dando a Matthew la possibilità di farsi conoscere. Quando lui si allontanò per andare ad acquistare i biglietti, lei prese un sospiro di sollievo. Per tutto il viaggio in macchina non avevano fatto altro che cercare di comunicare e di trovarsi d’accordo su qualcosa, finendo per essere in disaccordo praticamente su tutto.
“Ok, ecco i biglietti, il film comincia tra dieci minuti, entriamo a prendere qualcosa da mangiare?” domandò lui porgendole un biglietto.
“Va bene” rispose lei sorridendogli cordiale.
Proprio in quel momento, guardando di fronte, Abigail vide Lucas Fletcher e Karen Moore attraversare la strada. Immediatamente si girò e prese il telefono dalla tasca del pantalone. Cercò il numero della sua amica, per assicurarsi che fosse lei, e la chiamò. Ruotò giusto un po’ la testa per poter guardare se la ragazza che camminava a fianco a Lucas rispondesse al telefono. E lo fece.
“Dove sei?” domandò lei.
“In giro con un amico” rispose l’altra.
“In giro con un amico eh?” domandò “Che amico?”
“Eh... un amico. Ok, Lucas, sono con Lucas” confessò quella.
“E che ci fai con lui?” chiese fingendo curiosità, ma le stava ribollendo il sangue.
“Ehi Abbi, vieni?” domandò Matthew affacciandosi dalla porta del cinema.
La ragazza allontanò il telefono dal viso e coprì il microfono con la mano. Guardò il ragazzo che era già all’interno.
“Ti raggiungo tra un secondo” rispose mostrandogli il telefono.
“Va bene” disse l’altro sorridendole ed entrando.
“Allora, Karen? Che ci fai con lui?” domandò ancora Abbi riprendendo a parlare al telefono.
“Potremmo aver deciso di andare al cinema insieme” rispose l’amica.
“Al cinema? Per caso allo Starlight?” domandò lei irritata.
“Sì, come lo sai?” domandò l’amica.
“Perché è dove sono anche io! Sono all’appuntamento con Matthew e voi lo sapevate” esclamò a gran voce l’altra.
“Sì, è probabile che lo sapessimo” continuò l’amica.
“È probabile? È probabile? È esattamente così Karen!” esclamò lei con lo stesso tono.
Qualcuno le toccò la spalla e quando si girò Lucas e Karen le stavano davanti.
“Che diavolo ci fate qui?” domandò lei irritata.
“Lucas voleva” cominciò a dire l’amica.
“Lucas volava cosa? Lucas può parlare da solo” chiese lei incrociando le braccia al petto.
“Ok, è probabile che io fossi infastidito all’idea di questo appuntamento” disse lui timidamente mettendosi le mani in tasca.
Indossava dei jeans e una camicia bianca, le maniche alzate fino ai gomiti. Era tremendamente attraente. E, anche in quel momento, quel ragazzo le stava trasmettendo qualcosa, un’emozione. Rabbia, confusione e tanta, tanta curiosità. Perché l’idea di quell’appuntamento lo infastidiva? Era stato chiaro, non ci sarebbe mai potuto essere nulla tra loro. E, soprattutto, perché Karen si era lasciata trascinare in quella storia? Ok, forse quella domanda aveva già una risposta. Karen non riusciva davvero a restare fuori da questioni che trovava intriganti. Sentiva un irrefrenabile bisogno di immischiarsi nella vita degli altri, soprattutto quando quelle esperienze di vita erano interessanti abbastanza da poter diventare materiale per le sue storie. Storie che sapeva come raccontare, nessuno raccontava storie come lei.
“E perché mai?” domandò curiosa Abbi guardandolo intensamente.
Lui la guardò un attimo senza dire niente. Poi infilò le mani ancora più in profondità in quelle tasche strette dei jeans e si limitò ad alzare le spalle e a sorriderle.
Matthew McMiller uscì dal cinema con in mano due confezioni di popcorn, ma si fermò non appena vide Abigail impegnata in una conversazione con Lucas Fletcher e una ragazza che indossava una salopette di jeans e una maglia rossa della stessa sfumatura di rosso dei suoi calzini. Ma ciò che lo colpì di più fu il suo zaino a forma di gameboy. Si avvicinò a loro silenziosamente. La tensione si poteva tagliare con un coltello.
“Che succede?” domandò.
“Niente a quanto pare” rispose fredda Abigail per poi guardarlo e scusarsi per il tono.
“Detective Fletcher” disse Matthew salutando il suo superiore.
“McMiller” gli rispose lui facendogli un cenno col capo.
“Piacere Karen, Karen Moore” disse lei porgendogli la mano.
“Io sono Matthew McMiller” rispose lui stringendogliela e guardandola con curiosità.
“Sei molto carino” commentò la ragazza guardandolo negli occhi.
“Grazie, anche tu, molto. Cioè grazie” disse guardando velocemente Abigail, ma quella era impegnata a guardare Lucas.
“Forse dovremmo andare, a breve comincerà il film” disse la ragazza guardando Matthew.
“Ok” rispose Matthew sorridendo a Karen cordialmente in forma di saluto.
“No”, esordì Lucas.
“Come?” domandò confuso l’altro ragazzo.
“Questo appuntamento finisce qui” continuò Lucas.
“Che sta succedendo?” domandò Matthew.
“Niente, il detective Fletcher ha chiaramente battuto la testa da qualche parte” rispose Abbi.
“Ok, mi da fastidio che tu vada ad un appuntamento con un'altra persona” intervenne il detective.
“Ma per quale motivo? Sei stato chiarissimo, tra di noi non ci potrà mai essere nulla” domandò la ragazza.
“Dico che forse mi sbagliavo. Che non voglio che tu esca con lui o con chiunque altro, voglio che tu esca con me” confessò lui.
“Non penserai che io faccia quello che vuoi? Non sta a te decidere con chi debba uscire e non sta a te decidere quando e se dare una possibilità a qualunque cosa ci sia tra noi” disse Abigail infastidita.
“Quindi stai dicendo c’è ancora qualcosa?” la stuzzicò lui.
“Giuro che vorrei prenderti a schiaffi” disse lei stringendo i pugni e cercando di tenere a bada la sua forma oscura.
“Se ti fa sentire meglio, fa pure” disse lui porgendole la guancia.
“Ok, mi sento terribilmente a disagio” commentò Matthew allontanandosi da loro. “Forse è meglio che io vada” disse.
“Scusa McMiller, ma penso sia la cosa migliore” disse Lucas.
“Nessun problema, detective” rispose quello e si allontanò.
“Congratulazioni! Hai rovinato il mio appuntamento” sbottò Abigail.
“Dai, ti ho fatto un piacere. Così almeno adesso andrai ad un appuntamento con qualcuno che vuoi davvero frequentare. Me” rispose lui prendendole la mano.
“Ok, questo è il mio segnale. Ehi Matthew!” esclamò lei. “Aspettami, vengo con te” disse lei allontanandosi e lasciando Abigail e Lucas da soli.
 
“Perché non è ancora tornata?” domandò Lucifer scostando di nuovo le tendine e guardando fuori.
Chloe sorrise e lo affiancò. Prese il braccio del suo partner e lo poggio sulle sue spalle. Lui la tirò a sé per poterla stringere meglio.
“Dai, vedrai che rientrerà a breve” cercò di tranquillizzarlo lei guardando fuori dalla finestra.
Mentre cercava di calmare il suo partner, cercava di calmare anche se stessa. Si stava facendo davvero tardi e di Abigail neppure l’ombra. Le aveva chiesto espressamente di avvisarla quando usciva e, dopo quella notte in cui credeva stesse dormendo da Karen quando invece aveva passato la notte con un ragazzo, sua figlia non aveva più sbagliato. L’avvisava se faceva tardi, l’avvisava quando stava arrivando, le diceva dove andava e con chi. Era forte, per Chloe, la voglia di rintracciare il telefono della ragazza o di Matthew McMiller.
“Ah, non mi piace questa sensazione. È fastidiosa!” esclamò Lucifer lasciando la sua partner davanti alla finestra e cominciando a fare avanti e dietro nervosamente. La donna sorrise un attimo davanti a quella scena che trovava così dolce. E poi, si andò a sedere sul divano.
“Lucifer vieni a sederti. Abbi non arriverà prima se farai avanti e dietro”
“Sono nervoso, detective” rispose lui.
“L’ho capito questo, ma mi stai facendo venire il mal di mare. Ti prego, siediti” disse lei.
“Il mal di mare. Pff... il mal di mare! Siamo a terra detective” disse lui andando a sedersi.
La sua gamba, però, continuava a muoversi freneticamente aumentando l’ansia di Chloe che la fissava rapita da quel movimento costante e fastidiosamente ipnotico.
Il rumore delle chiavi nella serratura gli fece capire che la ragazza era rientrata. Si guardarono negli occhi allarmati e si mossero spinti dall’adrenalina. Non volevano far vedere alla ragazza che erano ancora in piedi ad aspettarla. Non volevano sembrarle degli sfigati, volevano che lei li trovasse interessanti, fighi.
“Shh” disse Abbi ridendo sull’uscio della porta.
“Shh” la prese in giro Lucas facendola ridere ancora di più.
“Sei un idiota!” esclamò lei a bassa voce ridacchiando.
“Tu sei bellissima” rispose lui.
Lucifer guardò Chloe inorridito. I suoi occhi stavano cambiando colore. La donna gli prese le mani e gliele strinse tra le sue guardandolo profondamente per cercare di calmarlo.
“Ok, basta, ora devi andartene” disse Abbi.
“Dai, ancora cinque minuti” continuò lui.
“Se i miei ti vedono, è la fine” disse la ragazza.
“Se tuo padre mi vedesse mi farebbe fuori” commentò quello.
“Non hai idea di quanto questo sia vero” commentò Abigail.
“Basta parlare dei tuoi. Dammi un bacio” disse Lucas avvicinandosi ad Abbi.
“Ma dopo vai via” si premurò di precisare lei.
“Se è questo che vuoi...” rispose il detective fingendo di offendersi.
“Non è quello che voglio, ma è la cosa giusta da fare. Abbiamo già sbagliato una volta, no?” disse un po’ sfregiante la ragazza.
“Per quanto ancora me la farai pagare per questa storia?”
“Oh non ne hai idea” rise lei.
“Scherzi a parte, Abbi. Voglio che tu sappia che ho detto una stupidaggine. Quella notte è stata importante per me e non posso proprio fare finta che non sia successo nulla. Penso tu lo abbia capito” disse Lucas.
“Sì, forse l’ho capito nel momento in cui ti sei presentato al mio appuntamento con Matthew per rovinarmelo” commentò lei.
“Se vuoi posso richiamarlo e farlo tornare qui. Nessun problema” disse l’altro.
“Sei un idiota” scherzò lei.
Lucas non le permise di aggiungere altro. La baciò delicatamente approfondendo a poco a poco quel bacio.
“Lucas, adesso vattene” disse lei conclusosi il bacio, allontanandolo delicatamente.
“Ok, un ultimo bacio e poi vado via. Questa volta per davvero” disse lui alzando le mani in segno di resa. La ragazza sorrise e lo baciò.
Nel frattempo, in soggiorno, Lucifer e Chloe si guardavano con occhi sbarrati. La loro bambina e il detective Fletcher? Finalmente la detective aveva la prova che cercava. La sua ipotesi era esatta o almeno, una parte della sua ipotesi era corretta. Quando sentirono il rumore della porta che si chiudeva, si sedettero velocemente sul divano, fingendo di dormire. La ragazza passò davanti alla stanza in cui c’erano i suoi genitori. Si fermò quando li vide e sorrise. Gli lasciò un bacio sulla guancia e andò a dormire.
 
Quando Abbi salì in camera, i suoi genitori aprirono gli occhi. Lucifer era furioso, i suoi erano rossi. Chloe gli prese le mani.
“Lucifer! Lucifer guardami” gli disse.
Lui la guardò, ma sta volta i suoi occhi non subirono alcun cambiamento, non tornarono al loro color nocciola.
“Fletcher! Io lo uccido quello!” esclamò irritato alzandosi.
“Luci, ti prego”
“Luci?” lui la guardò inorridito.
“No?” gli chiese lei leggermente imbarazzata.
“No! I miei fratelli mi chiamano così, se lo fai anche tu mi fai pensare a loro e non riesco a fare pensieri impuri su di te a quel punto” disse lui con ancora quell’espressione stampata in faccia.
Chloe rise pur essendo ancora imbarazzata, soprattutto a causa di quegli occhi che la scrutavano e che la penetravano.
“Lucifer vedi, è normale” disse la detective all’improvviso.
“Cosa?” domandò lui non capendo.
“Non puoi perdere la testa per quello che hai sentito prima tra Lucas e Abigail. Si vogliono bene, come ce ne vogliamo noi”
“Ah, si? Noi ce ne vogliamo?” domandò lui malizioso avvicinandosi a lei.
Il rosso dei suoi occhi si fece ancora più intenso e luminoso. Così luminoso che Chloe credette potessero accecarla.
“Ok, io penso di sì. Tu che pensi?” domandò lei sperando che l’uomo che avesse davanti riuscisse a dirle come si sentiva.
Lui immediatamente si fece serio e tornò al discorso precedente.
“Non importa quello che penso. Comunque lei è mia figlia, capisci detective?” disse.
“Sì che lo capisco, Lucifer” rispose quella un po’ delusa.
“Che hai?” domandò lui accorgendosene.
“Niente. Comunque, avevo ragione Lucas ha a che fare con il cambiamento di Abigail. Adesso ne abbiamo la certezza”
“Ah si?” domandò lui.
“Sì, dalla loro conversazione si poteva tranquillamente evincere che fosse lui quello con cui è stata quella notte, la notte in cui non tornò a casa.”
“Io lo ammazzo!” esclamò Lucifer.
“Pensavo fosse questo il motivo per cui ti fossi innervosito” disse Chloe.
“No, perché l’ha baciata. Ok, ora lo uccido. Ti giuro che lo uccido. Oh, sì che lo uccido” disse.
“Ma sta buono! Non faresti del male nemmeno ad una mosca, non ne sei capace” disse Chloe.
“Ehi non eri tu quella che aveva paura di me?”
“Ehi, dammi tregua, avevo appena scoperto che sei il diavolo”
“Sì, lo sono” disse lui avvicinandosi a lei pericolosamente.
Chloe era ancora seduta sul divano. Lui si abbassò per poterla guardare dritto in faccia. Il suo viso a pochi centimetri da quello della donna. La guardava intensamente, così intensamente da potersi perdere nei dettagli dei suoi bellissimi occhi chiari che lo fecero annegare nella loro profondità. Lei guardava i suoi, rossi, brillanti, ipnotici. La intimorivano e allo stesso tempo la intrigavano.
“So cosa vuoi fare”
“Ah si?” domandò lui.
“Mi stai tentando”
“Sono il diavolo, è quello che faccio” rispose lui serio.
Lei si morse il labbro inferiore. Lo catturò trai i denti fino a sentire sulla punta della lingua il sapore ferroso del sangue. Liberò il labbro trattenuto. Lucifer la stava guardando con desiderio. Vide la gocciolina rossa fuoriuscire dalla piccolissima ferita e, senza neppure avere il tempo di. Pensare a quello che stava facendo, catturò il labbro della donna tra le sue e la baciò. Lo stesso sapore ferroso passò sulle sue labbra. Quando aprì gli occhi lei lo stava guardando con un misto di timore ed eccitazione.
“Portami in camera” disse la detective a voce bassa.
“È questo che desideri veramente?” domandò lui con lo stesso tono.
“Non funziona con me, lo sai” rise lei contro le sue labbra tra un bacio e l’altro.
“Lo so, purtroppo”
“Ma sì, in questo momento tu sei tutto ciò che desidero veramente” confessò Chloe senza riuscire a guardarlo negli occhi.
“Sì”, disse lui sicuro.
“Sì?” domandò lei confusa.
“Sì, anche io ti voglio bene. Forse dire bene è riduttivo e odio parlare dei miei sentimenti ma...” cominciò a dire lui. Ma fu interrotto dalle labbra di lei che tornarono ad impossessarsi delle sue.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23


Lucifer si svegliò nel cuore della notte. Aveva il respiro affannoso. Era tutto sudato. Guardò accanto a sé e vide Chloe dormire seminuda al suo fianco. Sembrava così rilassata. Si alzò dal letto, infilò in fretta i pantaloni e uscì dalla stanza. Scese le scale e andò in cucina. Aveva bisogno di bere qualcosa. Aveva avuto uno strano incubo. Sua figlia, Abigail, si sarebbe ribellata a lui e a suo padre e perciò sarebbe stata confinata all’inferno proprio dal creatore. Esattamente com’era successo a lui, Abbi sarebbe caduta. Nel sogno, per qualche assurdo motivo c’era anche Uriel.
Quando fu in cucina notò che qualcuno l’aveva preceduto.
La ragazza notò la figura di suo padre alla luce sterile del frigorifero, lui accese la luce e la guardò negli occhi, aveva un’espressione tanto spaventata quanto la sua.
“Brutto sogno?” domandò lui.
“Brutto sogno” rispose lei sedendosi davanti al bancone.
“Anche io” ammise lui prendendo un bicchiere e andandosi a sedere di fronte a lei.
Rimasero a bere nel silenzio che pian piano diventava sempre più opprimente e imbarazzante. Lucifer non aveva alcuna intenzione di condividere il contenuto del suo sogno con sua figlia, sapeva che così l’avrebbe terrorizzata. E, Abbi, dal canto suo sapeva che quello che aveva sognato non avrebbe fatto altro che far capire a suo padre della sua relazione con Lucas.
Aveva sognato la morte del detective Fletcher e lei che in preda alla rabbia e al dolore diventava un mostro. Un vero e proprio mostro, nulla a che vedere con la sua forma. Aveva sognato suo zio Uriel, il perché non le era chiaro.
 
L’indomani Chloe, a casa sua, aspettava il rientro di Abigail dalle lezioni. La ragazza arrivò puntuale come al solito. Entrò a casa e dopo essersi liberata dello zaino raggiunse sua madre. La detective aveva un’aria seria e immediatamente sua figlia capì che avrebbero affrontato un importante discorso. Non sapeva di cosa potesse trattarsi. Si mise seduta e sperò che non fosse accaduto nulla di grave. Il suo pensiero subito andò al sogno fatto la notte prima e cominciarono a sudarle le mani.
“Tesoro c’è una cosa di cui devo parlarti” disse la donna.
“Dimmi pure” rispose la ragazza.
“Si tratta di Lucas Fletcher”
Immediatamente Abbi diventò pallida e cominciò a girarle la testa. Che il suo fosse stato un sogno premonitore? Cos’era successo a Lucas?
“Ok...”  disse lei cercando di nascondere le sue vere emozioni.
“Tesoro, credo che Lucas abbia a che fare con la tua altra forma” disse Chloe.
Abigail tornò a respirare.
“Che intendi?” domandò curiosa.
“Tesoro so che tra voi c’è qualcosa” disse l’altra.
“Tra noi c’è qualcosa? Ma è assurdo!” esclamò lei poco credibile.
“Abbi non devi mentirmi. E poi sono una detective, l’ho capito. Anche perché sei uscita con McMiller e sei rientrata con lui”
“E tu come lo sai?” domandò la ragazza.
“Ok io e tuo padre potremmo aver finto di dormire ieri sera e abbiamo sentito tutto ciò che vi siete detti” confessò quella.
“Mamma!” esclamò irritata la ragazza
“Ok è stato davvero scortese da parte nostra, lo so. Ma ho bisogno che tu mi dica una cosa. Era lui il ragazzo di quella notte, quella in cui non tornasti a casa?” domandò la donna.
“Sì, mamma era lui, ok?” sbottò lei infastidita.
“Ascolta Abbi, non voglio in nessun modo ficcare troppo il naso nella tua vita sentimentale e di certo non sta a me decidere con chi devi uscire e cosa fare. Sto solo cercando di capire cosa ha scatenato la tua forma demoniaca e sono più che sicura che abbia a che fare con Lucas Fletcher”
“Perché ne sei così sicura?” domandò la figlia.
“Perché quando ti è successo la prima volta stavi discutendo con lui, ti ho vista. E quando eri da tuo padre ad allenarti lui ti ha fatto innervosire al punto da costringerti a dargli le spalle per non trasformarti. Abbi, lui c’entra per forza” esclamò sicura la detective.
“Lui mi fa imbestialire, mi fa diventare matta e mi piace, mi piace un sacco” ammise la ragazza.
“Conosco il tipo” rispose Chloe accarezzandole il braccio e alludendo chiaramente a Lucifer.
“Senza scendere troppo nei dettagli, ti va di raccontarmi cosa è successo tra voi che avrebbe potuto scatenare la tua figura oscura?” domandò la donna.
“Ok, ma promettimi che non dirai nulla a papà” disse la ragazza guardando sua madre e puntandole il dito contro. Chloe la guardò con un sorriso non convinto. “E va bene diglielo, ma se dà di matto, è colpa tua”
“Mi va bene” disse Chloe.
“Ok. Ero con Karen e una sua amica al Market vicino casa sua per comprare un po’ di schifezze per la nostra serata tra ragazze, quando ad un certo punto arrivano due tizi con delle strane intenzioni. Non sapevo nemmeno che Lucas fosse lì, fatto sta che è intervenuto ed è scoppiata una rissa. Ma siamo riusciti a mettere in fuga i due tizi senza farci troppo male. Lui era conciato maluccio perciò ho insistito per andare con lui cosicché non si mettesse alla guida. E una volta a casa sua, insomma, è successo quel che è successo” disse la ragazza diventando rossa come un peperone e cercando di non guardare il viso di sua madre.
“Ok...” la incitò a parlare la detective.
“Poi il giorno dopo lui ha fatto lo stronzo perché voleva far finta che tra noi non fosse successo nulla. Perché, insomma, lavora con voi e non sarebbe mai dovuto accadere nulla tra noi”
“Questo purtroppo non possiamo deciderlo. Non possiamo decidere per chi provare sentimenti, succede. Succede e basta” intervenne Chloe parlando più per convincere se stessa che per tranquillizzare sua figlia.
“Perciò quella volta che ci hai visto litigare in centrale ho perso le staffe. Credeva che vi avessi detto di noi e perciò tu, nello specifico, gli stessi facendo domande strane”
“Però, bravo il ragazzo. È davvero sveglio come dice la madre. Si è accorto subito di essere sotto indagine” constatò la detective a voce alta.
“Tornando a me” disse Abbi per attirare di nuovo l’attenzione su di sé. “Abbiamo discusso di questo anche quel giorno che venne a cercarvi da papà. Ora che ci penso ogni volta che tirava fuori l’argomento, mi faceva imbestialire e trasformare” continuò la ragazza.
“Esatto. E quel racconto del market è interessante, ti ricordi quand’è stato?” domandò Chloe.
Abbi ricordava esattamente il giorno in cui era finita a letto con Lucas Fletcher, perciò le comunicò la data, pur non capendo a cosa le servisse.
“Ora va tutto bene tra voi?” domandò ancora la detective.
“È ancora presto per dirlo, ma chissà. Ieri si è presentato al mio appuntamento con McMiller è l’ha mandato all’aria chiedendomi di uscire con lui. Non sai che figuraccia che ho fatto con il povero Matthew. Per carità era pure carino, ma non mi piaceva. Mentre lui, con lui è diverso” disse esasperata. “Sono cotta, eh?” domandò sbuffando.
“Sembra proprio di sì” Chloe sorrise e le accarezzò il viso dolcemente.
 
In quel momento entrò in casa Lucifer con Trixie che gli stringeva la mano mentre lui cercava di scrollarla.
“Ora siamo a casa, non devi più stritolarmi la mano” disse.
La bambina rise di gusto e lo abbracciò prima di correre verso Chloe, stamparle un bacio sulla guancia. Fece la stessa cosa con Abigail.
“Vado a fare i compiti” disse dirigendosi in camera.
“Tesoro non ti va di restare un altro po’ con noi?” domandò la detective.
“Mamma prima li faccio e prima posso divertirmi” esclamò lei.
“Va bene, ma dammi un altro bacio però” le disse la donna.
“Ok” rispose la piccola prima di darle il bacio e sparire nella sua stanza.
“Che avete?” domandò Lucifer guardando Abigail e Chloe.
“Cosa?” domandò Chloe.
“Come?” disse nello stesso momento Abigail.
“Voi non me la contate giusta” esclamò lui.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24
 

Lucifer Morningstar entrò in centrale con un pensiero fisso che lo tormentava, Lucas Fletcher e sua figlia erano stati assieme e, a quanto pare, lui era pazzo abbastanza da voler provare a stare con lei in tutti i sensi, in una relazione. Questo, per quanto si sforzasse, faceva imbestialire il diavolo che, quando si trattava di sua figlia, non riusciva proprio a contenersi. Voleva proteggerla a tutti i costi e, conoscendo gli esseri umani, aveva una paura tremenda che potessero spezzare il suo dolce cuoricino semi-angelico. Vedeva sua figlia come una creatura da proteggere, ancora troppo piccola per poter intraprendere una relazione, anche se, in cuor suo, sapeva che Abigail fosse grande abbastanza per tutta quella roba, per gli appuntamenti, le delusioni amorose, gli errori e i dolori. Non poteva impedirle di essere una ragazza della sua età, non poteva impedirle di frequentare dei ragazzi e avere delle relazioni. Non poteva decidere della sua vita. Insomma, non poteva essere suo padre, quel despota che l’aveva confinato all’inferno per punizione, costringendolo al lavoro più ignobile, vile e indegno che esistesse nell’universo: punire le anime dei dannati. Per un periodo era stato anche divertente, ma più il tempo passava e più Lucifer si sentiva privato di una parte di se stesso fondamentale, si sentiva privato della libertà. Pian piano punire quegli esseri semplici era diventata una vera e propria tortura, una vera e propria punizione per se stesso. Capì che per quanto avrebbe cercato di lottare per la sua indipendenza, per il libero arbitrio, prima o poi sarebbe rimasto schiavo di qualche forza maggiore che avrebbe limitato la sua parvenza di libertà.
Arrivò nell’ufficio della detective e la trovò impegnata a digitare freneticamente qualcosa al computer mentre schiacciava la cornetta del telefono tra l’orecchio e la spalla. Nonostante la frustrazione di dover vedere il ragazzo che aveva conquistato sua figlia e non poterlo torturare, si fermò un momento a guardare la donna che aveva davanti. Ammirò in silenzio la sua bellezza nella sua semplicità. Chloe Decker era davvero l’essere umano più affascinante e interessante che avesse mai incrociato sul suo cammino. Osservò con meticolosa precisione ogni centimetro di quel viso. Era così perfetta nella sua imperfezione. Nonostante non fosse chiaro o etichettato ciò che c’era tra loro, era certo di una cosa, Chloe Decker era sua e di nessun altro, nessun altro al mondo. Lui, d’altra parte, dall’istante in cui si erano baciati, quella sera nella sua Penthouse, non aveva più provato il desiderio di stare con nessun’altra donna. Lei, solo lei. Le apparteneva. E, per un istante, si chiese se fosse così che si sentiva sua figlia quando guardava Lucas Fletcher e se fosse così che si sentiva Lucas Fletcher quando guardava sua figlia. Si augurò che fosse così, perché altrimenti avrebbe ridotto in cenere quel ragazzo.
“Che fai lì impalato?” domandò Dan passandogli davanti e distraendolo dai suoi pensieri.
“Oh, detective stronzo, che piacere vederti” commentò sarcastico.
“Smettila di chiamarmi così o ti giuro” cominciò a dire Dan, ma fu interrotto.
“Smettetela entrambi, andate a giocare più in là, bambini” li prese in giro Chloe coprendo il microfono di quel vecchio telefono a filo con la mano.
“Ti sei accorta che ti stava fissando come un pervertito?” domandò Dan avvicinandosi alla sua ex-moglie.
“Sì, me ne sono accorta. E devo ammettere, non mi disturba più di tanto. Purché si tenga fuori dai guai può fissarmi quanto vuole” rise la detective prima di riprendere la sua telefonata.
Lucifer guardò Dan con un’espressione tremendamente sfacciata e dispettosa e alzò le spalle. Il detective Espinoza lo fulminò con lo sguardo si andò a sedere alla sua postazione.
Lucas entrò in ufficio poco dopo con un sorriso da ebete sul viso e, dopo aver augurato una buona giornata a tutti si andò a sedere alla sua scrivania.
Lucifer aveva la mascella serrata così come i suoi pugni, serrati anche quelli. I suoi occhi cambiarono colore in un istante e dovette chiuderli per un intero secondo per farli tornare al loro normale tono.
Chloe lo guardò e gli fece cenno con gli occhi di piantarla. Avevano promesso ad Abigail che non gli avrebbero detto nulla, avrebbero lasciato che fosse lei a comunicare a Lucas che i suoi genitori erano a conoscenza della loro relazione. Non potevano tradire la fiducia della ragazza.
“Fletcher siamo di buon umore stamattina, eh?” domandò Dan sorridendogli.
“Sì detective Espinoza, stamattina sono proprio di buon umore” rispose lui guardandolo fiero e anche un po’ impettito.
“Hai fatto colpo su qualche bella ragazza?” domandò curioso Espinoza, intrigato dalla questione.
Chloe guardò immediatamente Lucifer che ce la stava mettendo tutta a controllarsi. Quel discorso era proprio l’unico che avrebbero dovuto evitare.
“Beh, io...” cominciò a dire il giovane detective imbarazzato dalla conversazione.
“Dai raccontaci, noi ormai siamo troppo sotterrati dal lavoro per avere una vita sentimentale, raccontaci. Com’è? È carina? È sexy?” domandò Dan sedendosi all’angolo della scrivania del giovane collega.
Lucifer era diventato paonazzo in viso e la vena sulla fronte cominciava pulsare. Stavano parlando di sua figlia, sua figlia accidenti! Chloe ebbe paura che da un momento all’altro sarebbe esploso, letteralmente.
“È bellissima, è intelligente, è straordinaria, sì straordinaria è la parola giusta. Non c’è altro aggettivo che potrebbe descriverla meglio” rispose Lucas imbarazzatissimo.
“Oh, amico, sei cotto!” esclamò Dan. “Alla tua età dovresti fare strage di cuori... e invece, wow! Ce l’hai scritto in faccia, sei perso” continuò il detective.
Lucifer guardò quel ragazzo e lentamente la vena sulla fronte sparì, i muscoli si rilassarono e quel rossore sul viso andò via.
“Lo so...” disse il più giovane abbassando lo sguardo su una cartellina che aveva davanti.
“Ma sta bene?” domandò Dan a Chloe indicando Lucifer.
“Sto benissimo, detective stronzo” rispose il diavolo sistemandosi i polsini della camicia.
“Sei riuscito a restare fuori dalla conversazione su una ragazza senza fare commenti. Capirai che per me è strano, è davvero strano per il tuo personaggio. Sicuro di stare bene?” domandò l’altro.
“Sto benissimo” rispose Lucifer.
“Allora Chloe ti tiene così impegnato da non darti il tempo anche solo di pensare ad altre donne” rise Dan cercando di essere simpatico.
“Che c’entro io?” domandò la detective al suo ex marito.
“Oh, ma dai, l’abbiamo capito tutti che voi due...” disse Dan facendogli l’occhiolino.
“Che noi due?” domandò ancora Chloe.
“Dai, hai capito” continuò lui facendogli l’occhiolino.
Chloe a quel punto capì e immediatamente spostò lo sguardo su Lucifer che invece non era neppure minimamente allarmato da quell’affermazione.
“Chi sarebbero tutti?” domandò allora la detective.
“Tutta la centrale” si intromise Lucas.
“Lucifer!” lo chiamò Chloe.
“Si?” chiese lui.
“Hai capito che tutti in centrale pensano che andiamo a letto insieme?” continuò lei.
“Sì e allora?” continuò lui.
“Allora? È un disastro” sostenne lei.
“Ma è vero” rispose lui alzando le spalle.
“È imbarazzante. Tutti conoscono la mia vita privata e quella sessuale a quanto pare” disse lei nervosa.
“E qual è il problema?” continuò lui.
“Che tutti hanno un’opinione sulla mia vita privata. La mia vita privata, Lucifer. Si chiama privata per un motivo” continuò lei.
“Per fare un’affermazione estremamente generica, anche qualunquista se vogliamo e in parte un po’ sessista, tutte le donne penseranno che sei incredibilmente fortunata e sì, forse ti invidieranno un po’ e tutti gli uomini sentiranno l’esigenza di battermi il cinque. Di nuovo, non vedo quale sia il problema” sostenne lui.
“Secondo me siete proprio una bella coppia” commentò Lucas Fletcher.
Lucifer roteò gli occhi teatralmente.
“Grazie Fletcher” rispose Chloe sorridendogli cordialmente.
 
“Ok, forse è meglio che tu ti sieda” disse Abigail indicando a Lucas il divano. Erano a casa del ragazzo, lei era arrivata da qualche minuto affermando di dovergli dire una cosa importante. Continuava a torturarsi le mani, era nervosa.
“Che hai? Perché sei così nervosa?” domandò lui sedendosi e allentandosi il nodo della cravatta. Era rientrato da poco dal lavoro. Aveva appena appoggiato la giacca al bracciolo del divano. Stava per aprirsi una birra e godersela nella pace e tranquillità di casa sua quando il citofono suonò. Guardò nello schermo del videocitofono e, quando vide Abigail, sorrise. Le aprì e l’aspettò alla porta per accoglierla con un bacio. Il bacio ci fu, ma lei sembrava stranamente agitata. Le rivolse uno sguardo inquisitore.
“Ok, non so come dirtelo, quindi te lo dirò e basta”
“Confortante. Guarda se hai avuto ripensamenti, se pensi che stiamo andando troppo veloce, sono in grado di sopportarlo, non sono un ragazzino anche se ne ho l’aspetto. Perciò dimmi ciò che devi dirmi, ho le spalle abbastanza forti per”
“I miei sanno di noi” disse Abigail senza permettergli di finire il suo monologo.
“Oh menomale!” esclamò lui alzandosi in piedi e baciandola. Peccato che, proprio mentre la baciava, realizzò quanto le avesse appena detto lei. L’allontanò prendendola dalle spalle. “Che cosa?!” chiese con gli occhi sbarrati, lasciandosi cadere sul divano.
“Questa è la reazione che mi aspettavo” rise Abbi sedendosi accanto a lui.
“Tuo padre, Lucifer, sa che stiamo insieme? La detective Decker sa che stiamo insieme?” domandò lui guardandola e scandendo ogni parola.
“Sì e sì”
“Sono morto. Ti rendi conto che sono morto?” domandò lui.
“Ma dai, non farla tragica, loro l’hanno presa... bene” commentò lei.
“Bene? Vuoi dire che Lucifer quando domani mi vedrà non mi ucciderà?” chiese ancora lui.
“Beh sei qui tutto d’un pezzo quindi presumo che no, non ti ucciderà”
“Che significa?” domandò confuso lui.
“I miei ci hanno sentiti quando mi hai riaccompagnato a casa dopo aver interrotto il mio appuntamento con Matthew” rispose la ragazza.
“Ah, ok. Quindi gli sta bene?” domandò lui.
“È quello che sto cercando di dirti” sorrise lei. “Ma avevo paura della tua reazione, insomma, che dopo questo volessi fare un passo indietro o raffreddare le cose”
“Sei impazzita? E avrei traumatizzato il povero McMiller per niente? Non è da me” rise lui tirandosi Abigail addosso.
“Idiota!” esclamò lei ridendo.
“Chissà come se la passa McMiller?” si domandò Lucas ad alta voce.
“Diciamo che a lui ci pensa Karen. A quanto pare quella sera anche lui abbia avuto un secondo appuntamento” rispose Abbi sorridendo e baciandolo dolcemente.
 
Chloe se ne stava appoggiata all’auto mentre aspettava che Trixie uscisse da scuola. Il sole caldo di Los Angeles si rifletteva sul suo volto pallido. Dovette coprire i suoi occhi chiari, così sensibili a quella luce, con degli occhiali suri. C’era un pensiero che la torturava, qualcosa che non riusciva proprio a togliersi dalla testa. Ora le era chiaro, parte del cambiamento di Abigail era stato scatenato dai suoi precedenti con Lucas Fletcher. Ma Uriel aveva detto qualcosa che continuava a perseguitarla: Lucas sarebbe dovuto morire. Doveva essere morto e non lo era. Perché? Il suo istinto le diceva che ‘sta volta l’errore non era dell’angelo e non le tornava qualcosa. Aveva un presentimento, una sensazione orribile che non riusciva a spiegare, simile all’angoscia, ma più profonda, più logorante. Si era sempre fidata del suo istinto, era infallibile. La voce di Trixie la fece tornare alla realtà.
“Andiamo, mamma?” domandò la piccola guardandola con un sorriso radioso.
“Certo scimmietta” rispose lei aprendole la portiera dell’auto.
 
“Lucifer c’è qualcosa che non mi torna” disse Chloe facendo avanti e dietro nella Penthouse del diavolo.
“Detective quando mai c’è qualcosa che ti torna?” scherzò lui sorseggiando il suo drink seduto comodamente sul divano.
“Devo parlare con tuo fratello” disse la donna fermandosi e guardandolo.
Lui rise credendo stesse scherzando, ma quando notò che era seria, si fece serio anche lui.
“Devo chiamarti Amenadiel?” domandò lui, sperando che Chloe non si riferisse all’altro fratello che conosceva, quello a cui avrebbe preferito non chiedere favori.
“No, Lucifer, ho bisogno di parlare con Uriel”
“Perché proprio lui? Ho tanti fratelli e altrettante sorelle, ma no, Uriel!” disse lui ingurgitando il restante liquido del suo bicchiere tutto d’un colpo. Dopodiché si alzò e prese la bottiglia. Non si sarebbe mai ubriacato, ma quella era una richiesta che non poteva nemmeno processare senza l’accompagnamento dell’alcol.
“Uriel ha detto una cosa che mi è rimasta in mente, ho bisogno di approfondirla” continuò la detective.
“Detective, Uriel dice sempre cose che rimangono in mente, è subdolo, è ambiguo, è enigmatico tra le altre cose. La sua unica arma è il turbamento. Non farti ingannare da quell’idiota” continuò il diavolo mandando giù un altro bicchiere.
“Lucifer capisco che non siete esattamente in buonissimi rapporti, ma credevo che le cose tra voi stessero prendendo una nuova piega” disse lei. Poi gli si avvicinò e in quel momento lui roteò gli occhi, consapevole che a breve, quella donna gli avrebbe fatto cambiare idea.
“Non lascerai andare la cosa, vero detective?” domandò lui cercando di non incontrare i suoi occhi.
“No, Lucifer. Ho bisogno di sapere, devo togliermi questo dubbio. Forse mi sto sbagliando, ma c’è qualcosa che non torna in tutta questa storia di Abigail e di Lucas Fletcher” continuò lei.
“E va bene! Va bene, detective” disse lui allontanandosi da lei e tornando sul divano mettendo su un adorabile broncio.
 Lei gli si sedette accanto.
“Per quanto ancora hai intenzione di chiamarmi detective anche quando non siamo al lavoro?” domandò Chloe cercando di alleggerire la situazione.
“È proprio necessario Uriel, detective? Volevo dire, Chloe?” domandò Lucifer girandosi a guardarla.
“Sì, lo è. E mi rendo conto che ti sto chiedendo di fare un sacrificio, ma ho un brutto presentimento”
“Non lo chiamerei proprio sacrificio, insomma, sono altri i sacrifici che sarei disposto a fare per te” sorrise lui prima di tornare serio.
“E me lo hai dimostrato, sei quasi morto per me” commentò lei.
“Oh beh, sono decisamente morto per te e Abbi mi ha riportato in vita. E comunque lo rifarei, penso tu sappia, a questo punto, che non c’è niente che non farei per te” puntualizzò lui.
E quell’affermazione alimentò ancora di più la sensazione di Chloe. Lucifer le stava sorridendo e lei gli sorrise in ritorno prima di accarezzargli il viso dolcemente.
“Sono solo una comune mortale, ma anche io farei di tutto per te, sei il mio partner” gli disse lei guardandolo dritto negli occhi.
Lucifer la baciò dolcemente e poi la tirò a sé circondandole le spalle con un braccio.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25


“Questa storia comincia a farsi sempre più noiosa!” disse Uriel appena atterrato sul balcone della Penthouse mentre rimetteva dentro le sue maestose ali. “Non sono uno dei tuoi demoni schiavetti, fratello”
Lucifer rise nervosamente e serrò la mascella lottando con tutto se stesso per non perdere la calma e prenderlo a pugni proprio lì, davanti alla detective. Uriel era capace di scatenare in lui emozioni talmente contrastanti da risultare fastidiose e ingestibili. Sapeva, in fondo, di tenerci a lui, ma era così difficile contrastare con solo quel pensiero tutto il fastidio e il disturbo che quell’essere gli procurava.
“Se fossi uno dei miei schiavetti non immagineresti nemmeno di rivolgerti a me in questo modo” rispose lui.
Chloe lo osservò, lo ascoltò e dovette ammettere che quell’affermazione e la compostezza con cui Lucifer aveva risposto a suo fratello, l’avevano un po’ eccitata, era così sexy quando faceva l’autoritario.
Uriel mostrò un sorriso sinistro e unì le mani.
“Cosa vogliono da me sta volta il signore e la signora Lucifer?” domandò con quel dannato ghigno sul volto.
“L’altra volta, quando abbiamo parlato, hai detto qualcosa che mi è sembrata estremamente strana e dicesti che avresti cercato di capire” rispose Chloe intervenendo nella conversazione.
“Di che cosa parli, umana? Di che cosa parla la tua umana?” domandò Uriel confuso.
“Quando ti venimmo a chiedere se sapessi qualcosa in più sulla trasformazione di Abigail, nel nominare Lucas Fletcher mi dicesti che sarebbe dovuto morire in un tentativo di rapina in un supermarket. E poi, beh, cominciasti a dare un po’ di matto, perciò andammo via” continuò la detective.
“Non ho nessuna memoria di questo evento. Certo, ricordo la parte in cui mi chiedete della vostra progenie. Ricordo di avervi risposto, ma questo umano di cui mi fai il nome, non ho assolutamente idea di chi sia. Il che è strano perché per natura io conosco tutti e conosco la vita di tutti” rispose l’angelo cominciando ad insospettirsi
“Ne sei sicuro, Uriel? Dicesti che sarebbe dovuto morire in quella rapina, ma è vivo. Pensaci, Lucas Fletcher” continuò lei.
“Lucifer, la tua umana è fuori di testa! Io non dimentico nulla e conosco tutti. E poi, a meno che papà non abbia interferito con gli eventi, cosa che sappiamo bene non fa, è impossibile che un uomo che dovrebbe essere morto sia ancora vivo. È follia! State cercando di prendervi gioco di me? Sono stanco di tutto questo” cominciò a dire velocemente l’angelo.
“Non ti sta prendendo in giro e, stavolta, nemmeno io. Ero presente a quell’incontro e posso dire con certezza che hai detto esattamente quanto riportato da Chloe. Smettila di fare l’idiota e cerca di essere d’aiuto” commentò.
“Non è divertente. Non ricordo niente. Non può essere vero” cominciò a dire l’angelo facendosi sempre più nervoso e ansioso.
“Oh dannazione! L’abbiamo rotto. Abbiamo rotto mio fratello” commentò Lucifer senza staccare gli occhi dall’uomo che aveva davanti.
 
Chloe tornò a casa insoddisfatta e ancora più sospettosa di prima. Lanciò la giacca sul divano e si tolse le scarpe calciandole nel ripostiglio. Dopodiché entrò in cucina e tirò fuori dal frigo una bottiglia di birra. Staccò il tappo e si gettò sul divano. Non riusciva a smettere di pensarci e più tentava di connettere quell’informazione per lei fondamentale con altre, più la sensazione di pericolo che provava cresceva. Se lo sentiva, c’era qualcosa che non andava.
“Il soffitto dev’essere interessante” commentò Maze entrando in casa seguita da Trixie che corse da Chloe.
“Ehi scimmietta, com’è andata oggi?” domandò prendendola in braccio e stringendola a sé.
“Tutto bene” rispose la piccola.
“Ah, bene? Che avete fatto a scuola?” chiese ancora.
“Niente” continuò la bambina. “Ora vado a giocare” disse scendendo e affrettandosi a raggiungere la sua stanza.
“Grazie Maze, grazie per tutto ciò che fai per Trixie” disse Chloe guardando l’amica.
“È un mostriciattolo niente male” commentò il demone cercando di non fare emergere tutto l’affetto che provava per quella bambina.
Chloe le sorrise.
“Che hai?” domandò Mazikeen quando notò lo suo sguardo dell’amica perso nei pensieri.
“Maze ho un brutto presentimento” confessò Chloe.
“Anche tu? Anche io! Ogni volta che vedo un umano ho brutti presentimenti e tanta voglia di picchiarne qualcuno” commentò ingenuamente.
“No Maze. C’è questa storia che continua a tormentarmi da qualche settimana ormai. Siamo addirittura andati a parlare con Uriel, ma non è servito a nulla. Anzi, penso proprio di averlo mandato in tilt” disse la detective sorseggiando la sua birra.
“E me lo dici così? Voglio i dettagli! Adoro ascoltare i racconti sulle torture. Che gli avete fatto? Gli avete strappato le ali piuma per piuma? L'avete smembrato?” chiese il demone gasato.
“Niente del genere Maze” rispose immediatamente Chloe. “Quando gli chiedemmo informazioni circa la trasformazione di Abigail, lui ci disse che non ne conosceva la causa primaria, sapeva che a scatenarla fossero le sue emozioni e che fossero la chiave per tornare al suo aspetto umano, ma non ne conosceva la causa, Maze. Lui che dovrebbe sapere tutto, vedere tutto”
“Uriel è un idiota, Chloe” disse seria l’altra.
“Ma non è tutto, avevo il sospetto che Lucas Fletcher fosse colui che ha scatenato la trasformazione di Abbi. E, scoperta la loro relazione, ho capito di avere ragione. Ma c’è una cosa che continua a tormentarmi, che non mi sembra un dettaglio insignificante. Quando parlammo con Uriel, il nome di Lucas venne fuori e lui disse che avrebbe dovuto essere morto. E sarebbe dovuto morire già da un po’, in un qualche incidente in un supermarket. Abbi mi ha detto che Lucas le ha difese da alcuni ragazzi in un supermarket proprio quando sarebbe dovuto morire. Ho un orribile sensazione, Maze. Come se queste cose fossero tutte collegate. E so di sembrare pazza, forse lo sono, ma questo macigno sul petto non vuole saperne di andare via” concluse lei guardando l’amica che adesso le rivolgeva uno sguardo preoccupato.
“Decker io non ho idea del perché tu creda che tutte queste cose siano collegate. Forse hai ragione, forse no, ma in ogni caso puoi contare su di me” disse.
Chloe le prese la mano e le sorrise.
“Grazie Maze”
 
Le settimane passavano e così, in fretta, anche i mesi. E quella dannatissima sensazione non smetteva di tormentare la detective. La notte riusciva a malapena a prendere sonno. Continuava a chiedersi quando sarebbe successo, quando sarebbe accaduto qualcosa di inaspettato che avrebbe portato il caos nelle loro vite. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, lo sentiva nelle ossa. Quel peso opprimente sul petto non ne voleva sapere di andare via. Consolarsi tra le possenti braccia di Lucifer era un’anestesia momentanea, ma quando i momenti passavano, quell’ansia, come un carnefice a cui è impossibile sfuggire, tornava a rapirla a riappropriarsi dei suoi pensieri. Era così prepotente che diventava difficile anche riuscire a muoversi. Era pietrificante. Destabilizzante. Guardava sua figlia e provava impotenza. Non sapeva neppure a cosa stesse andando in contro. E c’era qualcosa. C’era. E sentiva di poterne parlare solo con Maze. Ma, anche a lei, non sapeva spiegare cosa provasse.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26


Quella mattina Chloe Decker si svegliò sentendosi profondamente a disagio. Guardò la parte vuota nel suo letto. Gettò la testa di nuovo sul cuscino e inspirò lentamente prima di espirare e mettersi seduta. Il nodo alla gola che sentiva era così stretto quel giorno che riusciva a fatica a deglutire. Il cuore le batteva nel petto e nelle orecchie. Sentiva il sangue pulsarle nelle vene e le tempie. Si sentiva disorientata. Avrebbe tanto voluto pensare che si fosse semplicemente risvegliata da un incubo, ma non era così ingenua. Come ogni mattina entrò in doccia per godersi i suoi trenta minuti di pace. Ma non c’era pace in lei. Non quel giorno. Continuava a sentire questo peso opprimente sopra il petto e non riusciva a spiegarselo, a toglierselo di dosso. Era così forte, così ingombrante che la portò a cercare di sfogarsi con le lacrime. Le stesse lacrime si mischiavano col getto d’acqua che le accarezzava il corpo. Non sapeva neppure perché le stesse accadendo, non sapeva neppure perché era d’improvviso così emotiva e così agitata. Uscì dalla doccia e provò a far tacere i suoi problemi con il rumore del phon. Niente da fare. Nemmeno quell’assordante rumore diretto nelle sue orecchie riuscì a zittire la confusione nella sua testa. Si vestì in fretta. E, mentre si allacciava le scarpe, si accorse di aver fatto tutto velocemente. Si sentì come la vittima di un inseguimento. Qualcuno che cerca disperatamente di sfuggire a qualcosa, di sfuggire a qualcuno. Da cosa stava scappando o verso cosa stava correndo? Respirò profondamente prima di aprire la porta della sua stanza e scendere le scale per arrivare in cucina. Trixie, come al solito, sbucò dalla sua stanza poco dopo. Fece colazione e prese lo zaino. Era pronta per andare a scuola. Quando aprì la porta per accompagnarla alla fermata del pullman, trovò Lucas Fletcher all’ingresso con dei caffè e una bustina tra le mani. Aveva portato la colazione. Quando incontrò i suoi occhi un brivido le attraversò il corpo. Lo salutò molto velocemente e condusse sua figlia all’autobus. Aspettò che salisse e rimase a guardare il mezzo che spariva all’orizzonte con le braccia incrociate al petto e lo sguardo assente. Si tirò giù le maniche del cardigan beige e le acchiappò all’interno del palmo. Si guardò attorno ancora una volta prima di dare definitivamente le spalle alla strada e tornare in casa. Aprì la porta lentamente e immediatamente fu accolta dal tepore di quel luogo e dalla risata confortante di Abigail. La voce di sua figlia e quella del suo ragazzo le arrivavano all’orecchio ovattate. Si sentì in una bolla. Li raggiunse e immediatamente Abbi le stampò un bacio sulla guancia. Bacio che le provocò la stessa reazione che le aveva provocato Lucas poco prima. Sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale. Lo sentì nelle ossa.
“Stai bene?” le chiese Abbi guardandola confusa.
“Sì, tesoro, devo solo sedermi un attimo. Mi sta girando un po’ la testa” rispose la detective sorridendole appena.
Immediatamente Lucas si alzò e aiutò la detective a sedersi. Entrambi i ragazzi le si misero davanti e cominciarono a farle domande. Chloe non riusciva a capire una parola di ciò che le dicevano. Vedeva le loro bocche muoversi e poi più nulla. Nero.
 
Lucifer Morningstar entrò di corsa in casa Decker. Aveva un’espressione terrorizzata e l’affanno. Guardò sua figlia che gli indicò il divano. Lì c’era Chloe, sdraiata e svenuta. Lui immediatamente la prese tra le sue braccia e la strinse a sé.
“Che è successo?” domandò guardando Abigail.
“Non lo so. Ha accompagnato Trixie alla fermata dell’autobus e quando è rientrata era strana. Ha detto che le girava la testa ed è svenuta” rispose la ragazza preoccupata.
“Detective?” la chiamò piano Lucifer.
Ma nulla, non volò una mosca.
“Chloe?” continuò ancora lui dopo averla riadagiata sul divano.
Ancora nulla.
“Chloe, dai detective, svegliati” continuò imperterrito lui. Poi guardò sua figlia. “Abbi, portami dell’acqua”
Abigail ubbidì. Gli portò una bottiglietta d’acqua. Lui si tolse la giacca rivelando un gilet coordinato e svitò il tappo della bottiglia. Le gettò quel liquido in faccia e quella, immediatamente, riprese conoscenza.
“Finalmente detective, mi hai fatto spaventare” disse Lucifer.
Lei lo guardò e immediatamente lui lesse il terrore nei suoi occhi. Conosceva benissimo quello sguardo era quello che gli aveva rivolto quando aveva scoperto la sua forma oscura. Era quello sguardo che lo faceva sentire così tremendamente in colpa. Cos’era che stava vedendo in lui? Si chiese mentre si allontanava da lei. Ma Chloe gli afferrò il polso e lo tirò verso di sé con tutte le forze che aveva. Le labbra della detective erano estremamente vicine al suo orecchio.
“Qualcosa non va, Lucifer” disse.
Lui si allontanò un po’, il necessario per poterla guardare in faccia. Cercava di leggere sul suo volto qualcosa, un indizio, ma nulla, quello sguardo lo metteva terribilmente a disagio.
“Forse è meglio che vada” disse a bassa voce incapace di staccare lo sguardo dagli occhi della donna che aveva davanti.
“No. Non andartene. Non mi lasciare” lo implorò lei stringendo la presa attorno al suo polso.
Lucifer guardò confuso le dita di lei, strette attorno al suo arto. E improvvisamente gli venne in mente quella volta che aveva stretto lui il polso di lei in una morsa stretta e un brivido gli percorse la schiena. Poi spostò gli occhi sulla detective e, in un millesimo di secondo e con una semplice frase, lei riuscì a cancellare la sua sensazione di disagio. Ora sentiva di doverla proteggere, di doverla fare sentire al sicuro. Ma da cosa? Da chi?
“Va bene, detective. Sono qui. Sto qui, non ti lascio” disse accarezzandole la testa.
Lucifer continuava a guardarla. La guardava e non capiva come poterla aiutare. I suoi occhi erano impregnati di paura e lui della paura era un esperto. Solo che, sta volta, non era lui la causa, ma qualcos’altro. Voleva disperatamente entrare nella sua testa, poter capire a fondo cosa stesse provando. Ma non c’era mai riuscito. Mai una volta era stato capace di penetrare nella psiche di quella donna. Si ritrovò a pensare, mentre osservava meticolosamente il viso di Chloe, a quanto avrebbe voluto potersi scambiare di posto con lei, poter provare quella paura sulla sua pelle pur di liberare lei di quel fardello. Si chinò sulla detective e le lasciò un dolce bacio sulla fronte. Lei aumentò la presa sulla sua mano e se la portò davanti alla bocca. La baciò dolcemente.
 
“Allora, dove ti porta Matthew per il vostro mesiversario?” domandò Abigail a Karen.
Erano sedute ad uno di quei tavoli in legno di cui era pieno il campus. Quelli che hanno tutto l’aspetto di essere da campeggio e che non sai esattamente per quale motivo si trovino lì. Le due amiche erano lì a bersi in tranquillità un caffè tra una lezione e l’altra. Era il momento perfetto per scambiarsi confidenze e aggiornarsi sugli ultimi avvenimenti. 
“Oddio, che brutta parola, mesiversario” disse Karen scandendo quell’ultima parola come se la disgustasse profondamente. Erano ormai quattro mesi che lei e il dolce McMiller avevano reso ufficiale il loro rapporto.
“Quattro mesi, ma ci pensi?” domandò sognante Abbi.
“Ci penso sì, ci penso di continuo. E sai che non è una cosa che faccio spesso. È raro che mi focalizzi solo su una cosa. Motivo per il quale prima di lui non avevo mai dato importanza alle relazioni. Non so, è strano. Ma è anche piacevole. E poi lui, sorella mia, che te lo dico a fare...” cominciò a dire Karen perdendosi nelle sue parole.
Abigail sorrise ascoltando l’amica. Da quando aveva cominciato a frequentare Matt avevano avuto meno tempo da spendere assieme. Un po’ era anche colpa sua, nello stesso periodo anche lei e Lucas avevano cominciato a uscire assieme. Le due coppie si erano formate nello stesso periodo cosa che rendeva più entusiasmante chiacchierare e scambiarsi consigli sulle reciproche relazioni. Mentre la ragazza guardava l’amica pensò che non si fosse mai sentita così felice come lo era in quel preciso istante. Aveva una famiglia, una famiglia che l’amava alla follia e che lei amava alla follia. Aveva un’amica eccezionale, particolare e a cui voleva un bene dell’anima. Aveva accanto un ragazzo che, dopo il difficile inizio, si era dimostrato essere la persona più interessante che Abigail avesse mai conosciuto (e suo padre era il diavolo). Lei lo amava. Aveva capito di amarlo giù da un po’ ormai, ma non aveva avuto ancora il coraggio di dirglielo.
“E poi gliel’ho detto. Gliel’ho semplicemente detto. È venuto fuori da solo a dire il vero. Non me ne sono nemmeno accorta. Eravamo lì che ridevamo guardando questo video delle oche che attaccano la gente e lui si stava sbellicando sul divano ed era così bello. Così gliel’ho semplicemente detto. Non ho potuto controllarmi. Ti amo, Matty” disse Karen riportando Abbi sulla terra.
“E lui come ha reagito, che ti ha detto?” domandò curiosa l’altra.
“Beh, mi ha guardato per un tempo che mi è sembrato infinito.”
“Tutti i silenzi ti sembrano infiniti, Karen” rise Abbi.
“Hai ragione, i silenzi mi mettono tremendamente a disagio. Ma ehi, che ci vuoi fare, in casa mia non esiste. Le mie orecchie non sono proprio abituate al silenzio. Come quella volta in terza elementare in cui mi misero in punizione”
“Karen concentrati!” la riprese Abbi.
“Sì, giusto. Che stavo dicendo?” domandò quella.
“Cosa ti ha risposto Matt dopo che gli hai detto di amarlo” continuò l’altra.
“Oh, sì, giusto. Dopo avermi guardato per un tempo che mi è sembrato infinito” riprese l’amica.
“L’hai già detto questo” puntualizzò l’altra.
“Ok, allora. Mi sorride e mi dice che non vedeva l’ora di dirmelo e che mi ama anche lui. Capito? Qualcuno mi ama” esclamò Karen.
“Ehi io ti amo” scherzò Abigail.
“Aww, anche io ti amo, zuccherino” rispose sorridente Karen. “Tu e Lucas, invece?”
“Io e Lucas stiamo bene, stiamo davvero bene. Non mi sono mai sentita così in vita mia. Lui è dolce, è premuroso, sì è anche un po’ stronzo, ma è interessante e intelligente ed è bellissimo” disse cono gli occhi sognanti la Morningstar.
“Zuccherino sei innamorata di lui, te lo si legge in faccia”
“Sì, lo sono. E non chiamarmi zuccherino” confessò lei diventando rossa.
“E va bene zuccherino. Su, avanti, dillo” esclamò Karen.
“Cosa?” chiese confusa Abbi.
“Che avevo ragione, no?” continuò l’amica.
“Avevi ragione” rispose l’altra.
“Lo so” rispose soddisfatta Karen.
“Ehi, ma non mi hai più risposto. Dov’è che ti porta per il vostro mesiversario?” domandò Abbi.
 
Nel frattempo, Lucas e Dan ricevettero la visita del tenente, nonché madre del primo. Entrarono nell’ufficio e la trovarono seduta alla scrivania di Fletcher. Tra le mani una cartella e un’espressione molto preoccupata sul viso.
“Che succede?” domandò Lucas andandole in contro preoccupato.
“È ritornato” disse semplicemente il tenente.
“Chi è tornato, tenente?” chiese Dan curioso.
“L’uomo che mi ha fatto questo” rispose Fletcher indicando la cicatrice rossa sul suo sopracciglio.
“Non sei al sicuro, devi andartene immediatamente. Sa dove sei” continuò il tenente diventando sempre più impaziente.
“No, sono stanco di scappare. Ho dovuto lasciare l’FBI per colpa sua. Sta volta non scapperò. Ne puoi stare certa” disse fermo Lucas.
La donna gli si avvicinò e gli prese le mani. Lo guardò dritto negli occhi. Nei suoi c’era la paura, il terrore di perdere suo figlio.
“Ti prego, non farlo. Sai quant’è pericoloso. L’FBI ti procurerà un posto sicuro e ti nasconderanno finché non sarà stato catturato o ucciso” continuò la donna.
“Non se ne parla. Non questa volta. Questa volta ho qualcosa da perdere. Se ha trovato me, potrebbe arrivare a te o a papà. Potrebbe fare del male a Christine o ad Abigail. E voi siete la mia famiglia, non posso assolutamente permettere che vi succeda qualcosa. Non per colpa mia” continuò lui.
Dopodiché le tolse di mano la cartella e l’aprì. All’interno c’erano tutte le informazioni che gli servivano. I luoghi che frequentava e da quanto tempo era in città, dove alloggiava e quale macchina guidava. Le forze dell’ordine stavano aspettando che facesse un passo falso per poterlo catturare e, questa volta, metterlo in carcere per sempre. Barry Bacon era l’uomo a cui Lucas aveva dato la caccia per gran parte del tempo passato all’FBI. Era lo stesso uomo che avevano quasi arrestato, ma che era riuscito a fuggire all’ultimo secondo uccidendo il partner di Lucas e provocandogli, con lo stesso pugnale ancora sporco del sangue del suo collega, quella cicatrice sopra l’occhio. Sarebbe morto anche lui se il resto della squadra non fosse arrivata mettendolo in fuga. Da quel momento, Fletcher era diventato la sua ossessione. Era il suo unico lavoro incompiuto e Bacon sentiva l’urgenza e il bisogno di portare a termine quello che aveva cominciato. Doveva uccidere Lucas Fletcher. Quando la sguarda riuscì a risalire, solo dopo poche settimane dall’accaduto, al suo nascondiglio, quello che trovarono li destabilizzò. I muri della baita erano ricoperti di fotografie di Lucas. Era il suo prossimo obiettivo. Perciò il ragazzo, grazie anche all’insistenza del suo vecchio capo e di sua madre, decise di mollare tutto all’FBI e andare a lavorare per la polizia di Los Angeles, abbandonando così la Virginia. E adesso Barry l’aveva trovato. Era arrivato a LA con un obiettivo: ucciderlo. E lui, non glielo avrebbe permesso.
Guardò sua madre e le diede un bacio sulla guancia per tranquillizzarla, ma non funzionò. Il tenente era particolarmente tesa quel giorno. Ma lui andò via comunque e Dan lo seguì. Non se la sentì di lasciarlo da solo.
 
Dan prese in mano la cartella, strappandola alle mani del collega, e cominciò a leggerla e analizzarla fondo. C’erano state tre vittime uccisa con il suo stesso modus operandi nei pressi di Los Angeles e questo aveva attirato l’attenzione dell’FBI che si era messa immediatamente alla ricerca del temuto assassino. Dopo mesi di estenuante ricerca, finalmente avevano trovato Barry Bacon. Ormai lo stavano seguendo meticolosamente da settimane, aspettando che facesse un passo falso per poterlo finalmente catturare.
Lucas prese a guidare velocemente, ormai era totalmente accecato dalla vendetta. Doveva trovare quell’uomo e fargliela pagare per la morte del suo collega e amico. Arrivò, assieme a Dan, laddove abitava l’uomo e si fiondò immediatamente nel portone. Salì le scale in fretta. Nel frattempo, Epinoza cercava di stagli dietro mentre digitava freneticamente qualcosa sul cellulare. Arrivati davanti alla porta dell’appartamento di Bacon, Flatcher buttò giù la porta con il piede e tenendo saldamente impugnata l’arma tra le mani, entrò.
 
Sul telefono di Chloe Decker arrivò un messaggio da parte di Dan Espinoza. Diceva di raggiungerli e, in allegato, c’era la loro posizione. La detective cercò di alzarsi dal divano, ma si sentiva paralizzata. Perciò passò il cellulare a Lucifer che, dopo averle dato un bacio sulla fronte, corse in soccorso dei suoi colleghi.
 
Quando Lucifer arrivò sul luogo indicatogli da Dan si guardò attorno un po’ sorpreso.  Non sembrava esserci nessuno lì. Salì le scale di quell’orribile palazzo abbandonato e puzzolente e, con un calcio ben assestato, buttò giù svariate porte prima di ritrovarsi davanti ad una già sfondata. La sorpassò con passo deciso facendo attenzione a dove metteva i piedi. C’era un silenzio incredibilmente pesante. Assordante, fastidioso, insopportabile. Per terra c’erano vetri rotti e delle gocce di sangue che lui seguì fino alla rivelazione di uno degli scenari che non avrebbe mai voluto vedere. Dan Espinoza giaceva al suolo privo di conoscenza. Aveva una ferita all’addome. Immediatamente Lucifer corse da lui e si tolse la giacca per tamponare la sua ferita. Solo quando applicò pressione su quel punto, Dan emise un urlo di dolore e riprese i sensi. Era pallido, sudava. Doveva portarlo all’ospedale il prima possibile.
“Fletcher” disse con un accenno di voce il detective.
“Cosa?” domandò Lucifer.
“Fletcher” continuò lui tentando di indicargli qualcosa.
Lucifer a quel punto si alzò e fece qualche passo in più. Davanti ad una finestra distrutta c’era Barry Bacon, morto. Un colpo solo, alla testa. Ma non era l’unico, di fronte a lui c’era Lucas Fletcher.  Corse da lui e con due dita cercò di sentire il suo battito, ma era troppo tardi, non c’era nulla da fare ormai: Lucas Fletcher era morto. Il diavolo si lasciò scappare un urlo sofferente e, con le lacrime agli occhi, chiuse gli occhi a quel ragazzo morto troppo presto.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 A ***


Capitolo 27 A


Lucas Fletcher era morto. Ormai era passata qualche settimana e nessuno riusciva ancora a farsene una ragione. Quel peso opprimente che Chloe provava si fece sempre più intenso da quel momento. Lucifer era distrutto. Aveva dovuto dare quella notizia, che fino a qualche anno prima non l’avrebbe scalfito in quel modo, sia al tenente nonché madre della vittima che ad Abigail. Aveva visto le loro espressioni cambiare davanti a lui, farsi sempre più buie e sofferenti. Continuava a vivere, giorno per giorno, la sofferenza di sua figlia che lentamente veniva divorata dal dolore. E lui, il diavolo in persona, non aveva potuto far nulla per alleviare quella sofferenza. Non aveva potuto salvare quel ragazzo che era ancora troppo giovane per morire. Sì, è vero, nessuno più di lui avrebbe dovuto dimostrare forza davanti ad un decesso, ma questa volta, proprio non ce la faceva. Si sentiva in colpa, se solo fosse arrivato un attimo prima, se solo avesse deciso di andare in ufficio quel giorno, magari quel ragazzino sarebbe ancora vivo. Continuava a tormentarsi con quel pensiero.
Chloe si avvinghiò più stretta a lui e lo strappò da quei pensieri distruttivi. Lui aumentò la presa su di lei e prese ad accarezzarle la spalla gentilmente.
“Sono preoccupato per lei, Chloe” disse lui all’improvviso.
Lei lo guardò. I suoi occhi ipnotici e belli come il mare d’estate erano terrorizzati. Ormai le era chiaro che qualunque cosa stesse per succedere, riguardava Abigail.
“Lo sono anche io” rispose lei.
“Che scena disgustosa!” commentò una voce attirando immediatamente l’attenzione dei due.
Uriel se ne stava in piedi davanti al loro letto con un’espressione profondamente disturbata. Piegò la testa di lato e unì le mani all’altezza del petto.
“Che ci fai qui?” domandò Lucifer.
“Che ci faccio? Che ci faccio? Non hai la più pallida idea di cosa sta succedendo nella Città d’Argento, vero?” chiese lui.
“Come faccio a saperlo, idiota, il nostro caro padre mi ha bandito dal vostro Paradiso, ricordi?” rispose il diavolo alzandosi e raggiungendolo.
“Questa è la seconda volta che blocco tua figlia ai cancelli. Papà sta cominciando ad arrabbiarsi” lo avvertì Uriel.
“Cosa? Abigail ha provato ad entrare nella Città d’Argento?” domandò Lucifer confuso voltandosi brevemente a guardare Chloe altrettanto confusa.
“Sì, credevo lo sapessi. Pensavo che qui sulla terra gli umani controllassero i propri figli” commentò l’angelo con insolenza.
“Che significa che vostro padre si sta arrabbiando?” domandò Chloe.
“Esattamente questo, madame Lucifer. E mio fratello sa bene cosa comporta l’ira di nostro padre”.
Questa volta lo sguardo di Uriel era diverso, preoccupato. E Lucifer se ne accorse immediatamente. Era grave.
“Ma perché cerca di entrare in paradiso, non capisco”
“Lucifer sei sicuro di non capire?” domandò Chloe guardandolo dritto negli occhi.
“Fletcher” disse a bassa voce lui.
“Fletcher! Quel ragazzo è la rovina di vostra figlia” commentò Uriel.
“Che vuoi dire? Sii chiaro quando parli, non ho tempo per stare dietro ai tuoi discorsi confusionari” sbottò il diavolo.
“Tua figlia è il motivo per cui Lucas Fletcher non è morto quando sarebbe dovuto morire”, rispose l’angelo.
“Intendi ciò che successe in quel market, vero?” domandò Chloe.
“Esatto umana. Qualcosa non mi tornava, così dopo il nostro incontro ho provato a fare chiarezza. E ho chiesto l’aiuto dei miei altri fratelli per farlo. E alla fine ho visto tutto. Fletcher sarebbe dovuto morire quel giorno. Quando tua figlia ha deciso di entrare in quel negozio ha cambiato gli eventi, gli ha salvato la vita. E nostro padre l’ha punita con la sua forma oscura. Ha alterato gli eventi. Sì, probabilmente non sapeva nemmeno di averlo fatto, ma...” disse l’angelo.
“Ma a papà poco importa” terminò Lucifer guardando il fratello.
“Lucifer lo dico per voi. Fate attenzione alla ragazza. Fermatela prima che papà la fermi. Tu, meglio di chiunque altro, hai sperimentato le sue punizioni. Tu, più di tutti noi, conosci il destino di coloro che si ribellano, conosci il dolore e il tormento, se tieni a tua figlia come dici, impediscile di tornare ai cancelli. Impediscile di sfidare nostro padre. Salvala prima che sia troppo tardi” questo fu il consiglio che Uriel diede a suo fratello.
“Tu sai qualcosa, hai visto il futuro. Che succede, Uriel? Che succede?” domandò Chloe guardando la creatura celeste.
Lui la guardò, c’era qualcosa di strano in quello sguardo. Era malinconico, quasi umano. Uno sguardo che la detective poteva giurare di non aver mai visto su quell’angelo. Senza proferire parola, Uriel sparì lasciandoli di nuovo soli.
Lucifer istintivamente spalancò la porta e uscì per andare da Abigail. Nel frattempo, Chloe rimase sola in camera. Quello sguardo le aveva comunicato tutto. E quelle orribili sensazioni che ultimamente non riusciva a scrollarsi di dosso l’inondarono rendendole impossibile muoversi.
 
“Sei impazzita? Sei fuori di testa? Ti sei bevuta il cervello?” urlò furioso Lucifer guardando sua figlia.
“Di che stai parlando?” domandò lei fingendo indifferenza.
“Io credevo che fossi qui a processare il lutto mentre tu tentavi di entrare nella Città d’Argento! Non hai idea di cosa potrebbe farti. Non lo capisci proprio, è vero?” continuò lui e i suoi occhi cambiarono colore.
“Uriel ha fatto la spia?” chiese la ragazza.
“Quell’idiota potrebbe averti salvato da un’eternità di sofferenza. Almeno una volta nella sua esistenza ha fatto qualcosa di effettivamente utile” disse il diavolo.
“Menomale che chi fa la spia non è figlio di Maria” si lasciò scappare lei provocando suo padre che stava cominciando a perdere il controllo.
Prima che lui le rispondesse, notò il cambiamento negli occhi di lei. Erano diventati grigi, i suoi capelli lentamente stavano cambiando colore, così come le sue labbra e la sua carnagione che fece emergere quelle inquietanti vene scure.
“Non sei in te, Abigail. Riprendi il controllo” gli disse lui cercando di aiutarla a tornare in sé.
“Non sono in me? Finalmente sono in me. Finalmente sento tutta la mia rabbia, tutto il dolore, non devo sopprimerlo. Non voglio sopprimerlo. Voglio solo vendetta. Rivoglio indietro Lucas. Lo rivoglio indietro adesso. E se non dovessero ridarmelo, allora li sfiderò”
“Sei impazzita. Non puoi sfidarli”
“Tu gli hai sfidati”
“E guarda dove sono finito? Per eoni ho condannato le anime dei mortali. Per eoni sono stato confinato all’inferno dove facevo il lavoro più vile e orribile che potesse esistere. La mia non è stata un’esistenza felice. Tutto ciò che volevo era il libero arbitrio e mi sono ritrovato a lavorare come schiavo per la feccia della feccia delle creature che mio padre ha creato. Non voglio neppure immaginare quale punizione potrebbe toccare a te. Perciò togliti dalla testa qualunque guerra. Non te lo permetterò”
“Non me lo permetterai eh? E come pensi di impedirmelo? Potrai aver passato un’eternità a condannare le anime perdute, ma adesso sei qui. Sei qui con la donna che ami. Hai tutto il tempo del mondo per stare con lei e io? Io non ho avuto nemmeno il tempo di dirgli che lo amavo. Non ho avuto il tempo di stare con lui. Tuo padre me l’ha portato via troppo presto. E quanto è vero che sono tua figlia, io mi riprenderò Lucas anche se questo dovesse significare scatenare l’ira di Dio”
“Non capisci. L’ira di Dio non è solo un modo di dire nel tuo caso. Tu stai davvero giocando con la sua ira. Abigail come puoi essere così naïve? Come? Mi dispiace ma non te lo permetterò. Se questo significa che dovremo batterci, ci batteremo. Non ti permetterò di rovinare il resto della tua esistenza per rincorrere un amore perduto”
“Un amore perduto. Un amore perduto. Ti rassegneresti all’idea di perdere per sempre Chloe, mia madre?” domandò la ragazza guardandolo con un sorriso sinistro.
“Mi rassegno all’idea di perderla ogni giorno. Ci sono passato già una volta. Ho dovuto abbandonarla già una volta e non avrei mai pensato di poterla rivedere. Mai”
“Ma poi l’hai rivista”
“Sì, ma convivo con la paura costante che un giorno me la portino via. Che un giorno io debba andar via. Che debba tornare all’inferno e debba lasciarla qui. Mi piace? No. Odio questa realtà, ma è così che funziona. Prima o poi, se la smetti di sfidare mio padre, potrai ricongiungerti con lui proprio lì nella Città d’Argento. Quando io perderò Chloe, la perderò per sempre. Non mi sarà concesso di vederla neanche quando morirà perché io sarò confinato giù all’inferno mentre lei andrà in paradiso” disse Lucifer mentre i suoi occhi tornavano al loro naturale colore.
“Come puoi startene fermo così, con le mani in mano?” domandò Abbi.
“Non me ne sto con le mani in mano. Cerco solo di godermi ogni istante con lei, di non sprecarlo”
“Ma io questa possibilità non ce l’ho!” esclamò furiosa Abigail.
“Abigail ti prego, ascoltalo” disse Chloe.
I due si voltarono e la trovarono appoggiata allo stipite della porta, stanca e pallida.
“Non posso” rispose lei guardando la madre.
“E allora non mi lasci scelta, devo fermarti” intervenne Lucifer.
“Provaci pure” commentò la ragazza prima di spiccare il volo.
Lucifer la seguì immediatamente facendo lo stesso e Chloe si trovò ad affacciarsi alla finestra della camera di Abigail nel tentativo di scorgerli nel cielo. Ma era troppo tardi, erano volati via.

 
Journey's Corner:
Il capitolo è molto lungo perciò ho deciso di dividerlo in due e lasciare la parte più corposa nel 27B. Lo pubblicherò oggi stesso.
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 27 B ***


Capitolo 27 B


Lucifer atterrò sulla sabbia bollente del deserto californiano, sollevandola dal terreno. Abbi lo guardava totalmente trasformata nella sua forma oscura. In quel preciso istante il diavolo assunse la sua forma più primitiva. Non le avrebbe permesso di rovinarsi l’esistenza come aveva fatto lui, l’avrebbe fermata. Le voleva troppo bene e avrebbe fatto di tutto per tenerla al sicuro e lontana dall’ira divina.
 
“Lucifer sei troppo permissivo con lei. E lei lo sa bene, l’ha capito” disse Chloe guardandolo severa.
“Ma che dici? Non lo sono per niente” negò lui sedendosi alla punta della scrivania della detective.
“Oh, ma dai!” esclamò lei.
“Detective non so di cosa parli. Sono sincero” continuò lui.
“La scorsa settimana le ho chiesto di rimandare l’uscita con Lucas perché ero al lavoro e non c’era nessuno che potesse badare a Trixie. Te lo ricordi?” domandò la donna.
“Sì, procedi...” rispose ancora confuso il diavolo.
“È venuta a dirti quanto fosse dispiaciuta di dover rimandare il suo appuntamento con Lucas per dover badare a Trixie e tu cosa hai fatto?” chiese Chloe.
“Sono andato a badare a Trixie al posto suo” rispose ingenuamente Lucifer.
“Esatto. Questo è esattamente ciò che intendevo” sorrise lei guardandolo dolcemente.
 
Abigail gli andò in contro decisa e tentò di sferrargli un pugno in pieno volto.
 
“Lo sai Abbi, per qualunque cosa io sono qui” le disse Lucifer prendendole la mano.
“Lo so, Lucifer. Lo so. E sono contenta che non sei lo stronzo che credevo che fossi” affermò la ragazza sorridendogli e tirando un morso al trancio di pizza che aveva in mano.
Lucifer la guardò allibito e lei scoppiò a ridere con la bocca ancora piena.
“Neanche tu sei tanto male” continuò lui cercando di ribaltare la situazione, senza risultati efficienti.
Abigail all’improvviso si fece seria. Poggiò il trancio di nuovo nel cartone e si affrettò a mandare giù il boccone. Guardò Lucifer seduto anch’egli sul tappeto dall’altro lato del tavolino in vetro nella sua Penthouse.
“Sai è davvero bizzarro. Un mese fa non avevo la più pallida idea di chi foste e soprattutto non avevo una famiglia. Non avevo nessuno che tenesse a me a parte Janet. Non avevo una madre che mi desse un bacio prima di uscire al mattino. Non avevo una sorella che mi chiedesse di giocare con lei o di poterle insegnare a fare le trecce olandesi. Non avevo un padre che cercasse di allontanare da me chiunque cercasse di rimorchiarmi” disse la ragazza guardando il padre.
Lucifer rimase in silenzio davanti a quella riflessione di sua figlia. Di quella ragazza che per diciott’anni era stata sua figlia, ma di cui non conosceva l’esistenza fino a poco tempo prima. Si chiese – proprio in quel momento – se fosse all’altezza di quel ruolo e, per un secondo, ebbe paura.
 
Ma lui si scansò abilmente e le nocche della ragazza colpirono l’aria densa e affannosa di quella calda giornata.
 
“Si muore di caldo. Ma dove stiamo andando?” domandò Abigail trascinando la sua borsa da mare sotto il sole cocente di Los Angeles.
“Al mare, ve l’ho detto” rispose Lucifer.
“Ma stiamo camminando da ore. A Los Angeles c’è mare ovunque, perché stiamo facendo tanta strada?” domandò ancora la ragazza.
“Perché voglio portarvi in un posto speciale. Una volta ci si poteva accedere con l’auto e a quei tempi non avreste dovuto camminare così tanto” continuò il diavolo.
“Beh forse è il caso di andare in una nuova spiaggia” si intromise Trixie afferrando la mano di Lucifer e camminandogli accanto.
Lui la guardò infastidito da quel gesto e cercò di allentare la sua presa, ma la bambina non sembrava disposta a cedere.
“No, la spiaggia in cui stiamo andando è meglio” continuò il diavolo rispondendo alla più piccola e rassegnandosi all’idea di doverla tenere per mano.
 
“Beh è tutto qui?” domandò Abbi lasciando cadere la sua borsa sulla sabbia rovente.
“Ti sembra poco?” chiese Lucifer mettendosi le mani sui fianchi e guardando soddisfatto il panorama che gli si stagliava di fronte.
Non c’era nulla di diverso dalle altre spiagge, la preferenza era dettata dalla semplice emotività che quel luogo risvegliava in lui. Quella era la stessa spiaggia in cui lui e Chloe si erano dati il primo bacio. Era lo stesso luogo in cui le aveva promesso che avrebbero messo radici. Lo stesso in cui avrebbero comprato casa e fatto progetti per il futuro. Quel futuro che cominciava ad apparirgli luminoso. Quei progetti, proprio quel giorno, stavano per concretizzarsi.
“A me sembra una spiaggia come le altre” commentò Trixie prendendo le parti della sorella.
“Ma non lo è” rispose Lucifer stufo sbuffando teatralmente. Poi si girò e indicò la villa lussuosa alle sue spalle. “Vedete quella villa?” domandò.
“Sì”, risposero all’unisono le due.
“Beh, l’ho appena comprata. Presto sarà casa nostra. È una sorpresa per la detective, perciò non dovete dirle nulla” disse lui fiero.
“Non diremo nulla, ma questo significa che dovremo fare ogni volta tutta questa strada per andare da qualche parte?” domandò Trixie sbarrando gli occhi.
“No, sciocchina! Fino a quando non avrò le chiavi e dunque sarà completata la vendita la strada che dalla casa porta alla spiaggia è proprietà privata” rispose lui come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
La bambina lo guardò confusa, poi gli sorrise e gli prese di nuovo la mano.
“È davvero stupenda, papà” aggiunse Abbi e il viso di Lucifer si illuminò di nuovo.
 
Lucifer immediatamente le fermò il braccio con una mano e glielo portò dietro la schiena.
 
“In piedi Abigail, in piedi!” esclamò Lucifer guardando sua figlia al tappeto.
Le aveva promesso che le avrebbe insegnato a combattere, a difendersi. Le aveva promesso che si sarebbero allenati. Ora che aveva scoperto di essere un angelo e aveva ricevuto le ali, doveva imparare a combattere, esattamente come avevano fatto tutti gli angeli.
“Non possiamo fare una pausa?” domandò la ragazza.
“Pensi che un demone che ti attacca ti conceda una pausa? No. Approfitta della tua stanchezza per ucciderti. Perciò no. Niente pausa!” continuò Lucifer tirandosi su le maniche della felpa.
Ecco, quello era un look insolito per lui. Non avrebbe indossato degli abiti comodi e sformati neanche sotto tortura, eppure per sua figlia si era concesso questa terribile caduta di stile.
Abigail si mise in piedi e cercò di sferrare un pugno al suo avversario. Ma Lucifer era svelto e, prima che potesse accorgersene si ritrovò in ginocchio e con il braccio dietro la schiena. La mano del padre aveva catturato il suo pugno e l’aveva reso innocuo.
“E va bene, mi arrendo” disse la ragazza alzando lo sguardo verso il padre.
“Mia figlia non si arrende. Tu non ti arrendi, Abigail, mai!” rispose lui.
“E invece mi arrendo” rispose la ragazza liberandosi dalla sua presa e alzandosi.
 
Lei emise un gemito di dolore.
 
“Che c’è?” domandò Chloe chinando il viso di lato e osservando Lucifer.
Se ne stava sul divano, Trixie aveva la testa appoggiata sulle sue gambe e parlava con Abigail seduta sul tappeto. Lucifer dalla poltrona le osservava. Non aveva mai visto un quadro tanto dolce. Ehw, dolce! Ormai si stava rammollendo. Suo fratello aveva ragione, stava cambiando. Qualche tempo prima non avrebbe neppure minimamente pensato di passare una serata in casa ad osservare e trovare dolci delle persone.
“C’è che sei fantastica con loro” commentò.
“Smettila” rispose lei imbarazzata. “Da quando sei così dolce? Da quando fai questi commenti?” domandò incuriosita la detective.
“Lo so, è incredibile. È veramente strano. Mi meraviglio di me stesso. Anzi, che dico, sono terrorizzato da me stesso” rispose lui inorridito.
“È inutile, è caduta la maschera. Sei una brava persona, papà, non puoi che rassegnarti” si intromise Abigail sorridendogli.
“Mai!” rispose lui aggiustandosi la giacca.
 
Poi girò il viso verso suo padre ed emise un urlo così forte che il diavolo si piegò sulle ginocchia cercando di coprirsi le orecchie con le mani.
 
“Luci, io te lo dico! Tua figlia è un portento. Quella ragazza ha una forza sovraumana. Il che è normale considerato che è figlia del diavolo. Ma c’è un’altra cosa, una cosa che non ha nessuno di noi: è la sua voce. Fratello la sua voce è potentissima” disse Amenadiel incrociando le braccia al petto.
“Non mi offendere! Ho una bella voce anche io, devi sentire la mia versione di Creep, ti farà venire la pelle d’oca. Te lo assicuro, fratello” affermò Lucifer.
“Non intendo quello, Luci. La sua voce è un’arma” continuò l’angelo.
“Di che diavolo stai parlando?” domandò il diavolo confuso.
“Luci, prima durante l’allenamento Abigail ha lanciato un urlo e ti ha spaccato diverse finestre” disse lui “Aspetta, le hai notate le finestre, vero?” domandò a quel punto.
“Sì, le ho notate... certo” rispose immediatamente Lucifer guardandosi attorno.
La realtà era che non ci aveva fatto minimamente caso. Ma non volle dare a suo fratello un’occasione per lamentarsi di lui.
“Sì, come no... Comunque, Luci è stata lei. Le è bastato un urlo. Ha frantumato quel vetro come fosse... una banshee, è stato davvero interessante”
“Oh non mi verrai a dire che la mia Abigail è un personaggio mitico inventato da gente annoiata?” rise Lucifer.
“No, no. Non esistono le banshee lo sappiamo tutti, dico solo che la sua voce è un’arma, proprio come loro. Lei è mezza umana e mezza angelo. Anzi, mezza miracolo e mezza angelo. E un po’ diavolo?” Amenadiel cominciò a ragionare ad alta voce. “Ad ogni modo, Luci, è straordinaria”
“È mia figlia, è logico che lo sia” rispose lui strafottente.
 
Approfittando di quel momento di debolezza gli sferrò un calcio sul fianco.
 
“Janet non so che altro dire, mi sento incredibilmente fortunata” disse Abigail sdraiata sul suo letto a pancia in giù mentre parlava al telefono con la donna che l’aveva cresciuta e sfogliava un libro.
“Sono felice per te, tesoro. Te la meriti una famiglia che ti ami. E sono contenta che tu abbia ripreso a studiare. Sono sicura che sarai bravissima” disse la donna.
“Non posso affermare con certezza di esserlo, lo sai non mi piace auto valutarmi. Ma mi piace ciò che sto studiando e sono intenzionata a dare il meglio fino alla fine”
Lucifer entrò in stanza. Abigail gli fece un cenno col capo e continuò la sua chiamata indisturbata da quella presenza. L’uomo si sedette sulla sedia girevole della ragazza e prese a girare guardando il soffitto.
“Non appena avrai dato l’esame, passa a trovarci, ci manchi” disse Janet.
“Lo farò. Ora devo andare” continuò Abbi.
“Ti voglio bene, tesoro”
“Ti voglio bene anche io, Janet” rispose lei prima di attaccare il telefono e voltarsi a guardare Lucifer ancora impegnato a guardare il soffitto e girare con la sedia. “Se continui così ti verrà il mal di mare”
“Stai forse dimenticando che sono il diavolo, a me non viene il mal di mare” rispose altezzoso il diavolo.
“Oh beh, ma c’è il fattore che ti rende umano a casa, non lo sapevi?” domandò Abbi divertita.
“La detective è qui?” domandò Lucifer fermandosi. “Oh ma certo che è qui” continuò rendendosi conto che gli girava la testa.
Abigail rise.
“Come mai sei qui?” gli domandò.
“Volevo passare un po’ di tempo con mia figlia” rispose lui sorridendo.
 
Lucifer cadde lateralmente.
 
“Lucifer! Lucifer svegliati” disse Chloe scuotendo l’uomo addormentato accanto a lei.
“Detective ancora cinque minuti” si mormorò lui.
“No, Lucifer, adesso! Se ti vedessero le ragazze come glielo spiegherei?” domandò ancora la detective riprendendo a scuoterlo.
“Abbi ci ha già visti, detective e alla mostriciattola potrai dire che abbiamo fatto un pigiama party” rispose con voce rauca e poi girò la testa dall’altro lato.
“Lucifer è vero, Abbi ci ha visti ma potrebbe aver pensato che è stata una cosa da una volta sola. Non voglio che si facciano strani pensieri” disse la donna.
“Che strani pensieri? Che andiamo a letto insieme? Beh, è vero.”
“Potrebbero pensare che siamo tornati insieme e crearsi delle aspettative” disse lei scuotendolo ancora.
“Senti detective!” esclamò lui mettendosi seduto. “Sono troppo assonnato per avere qualunque tipo di conversazione razionale. Credo che questa storia delle ragazze sia, in realtà, la proiezione di una tua paura. E mi viene da chiedermi, non sarai forse tu quella che si è creata delle aspettative e ora hai paura che io ti deluda?” domandò scocciato.
“Forse sì, Lucifer. Forse sono io quella che si sta creando delle strane aspettative. Ma so anche che questa cosa che c’è tra noi non ha un nome e ho paura che da un momento all’altro te ne andrai lasciandomi e lasciandoci qui e dovrò essere io a spiegare tutto alle ragazze” rispose la detective.
“Beh, se le pensi così, allora forse è meglio che io vada” rispose lui offeso. Si alzò, si infilò velocemente i pantaloni e, con la camicia ancora sbottonata, la giacca appoggiata al braccio e le scarpe in mano, uscì dalla stanza.
Chloe lo seguì giù per le scale. I rumori avevano svegliato Abigail che si affacciò alla porta della sua stanza e, quando i suoi genitori apparvero alla fine delle scale, parlò.
“Che diavolo state combinando? Dove te ne vai a quest’ora?” domandò la ragazza assonnata.
“Me ne sto andando via” rispose lui con lo stesso tono offeso che aveva rifilato alla detective. “Come faccio sempre, vero detective?” continuò rincarando la dose.
“Lucifer aspetta! Dai, Lucifer torna su!” gli disse lei tirandolo per il braccio.
“No, grazie” continuò orgoglioso lui, senza, però, muovere un passo.
“Ascolta io voglio solo sapere cos’è questa cosa che c’è tra noi e se è il caso di renderla ufficiale. Voglio solo essere sicura che questa volta non te ne andrai. Questo è tutto ciò che mi basta sapere, dopodiché potrai stare qui tutte le notti che vuoi, ti darò persino uno spazzolino e un cassetto se lo vorrai” affermò sicura la detective addolcendo i toni.
Abigail dalla sua stanza li osservava in silenzio con lo sguardo ancora annebbiato e offuscato dal sonno dal quale era stata destata.
“E va bene, se proprio devi, allora definiamo questa cosa che c’è tra noi” disse Lucifer annoiato da quella conversazione.
“Lucifer per una volta vorrei che anche tu esprimessi i tuoi sentimenti” cominciò a dire Chloe.
“Sentimenti, sì, questa è bella. Dinne un’altra detective” rispose lui istintivamente.
“Quando fai così non ti sopporto” lei si innervosì.
“Oh” sospirò frustrato lui “Io e te siamo due persone che tengono l’una all’altra. Due persone che vanno a letto assieme e che non vedono altre persone. Ecco cosa siamo” concluse.
“Dunque siete una coppia” s’intromise Abigail.
I due si guardarono e, quasi come due ragazzini, distolsero lo sguardo imbarazzati.
“Sì, credo sia quello il termine corretto” rispose Lucifer evitando lo sguardo della detective.
“Ok, bene ora che abbiamo chiarito questa questione, tutti a dormire. Non fate troppo rumore” concluse Abbi ritraendo la testa dalla sua stanza e chiudendo la porta.
 
Quando il suo corpo imponente toccò la sabbia, si alzò una polvere che le rese impossibile localizzare il suo nemico.
 
“Buongiorno papà Morningstar e mamma Morningstar” disse Karen entrando in casa e gettando lo zaino per terra. Si sedette sulla poltrona proprio accanto al divano su cui erano seduti Chloe e Lucifer e li guardò sorridenti.
“Per l’ennesima volta, Karen, io non sono mamma Morningstar” la corresse Chloe.
“Ah no? Ma credevo che foste tornati insieme dopo l’altra volta. Vi ricordate? Io e Abbi vi trovammo a letto insieme” cominciò a dire dilungandosi in tutti i dettagli della questione.
“Karen, Karen, Karen!” la chiamò la detective.
“Si mamma Morningstar? Ehm volevo dire Decker?” domandò la ragazza.
“Ti pregherei di non ricordarci quella storia, è già imbarazzante senza che ce la racconti ogni volta che ci vediamo”
“Ma dunque sei o no mamma Morningstar? E qualora tu non fossi mamma Morningstar mi dai il permesso di provarci con papà Morningstar?” domandò facendo un occhiolino e indicando con la testa Lucifer che la guardava con la stessa espressione inorridita da quando era arrivata.
Chloe rise e proprio in quel momento Abigail li raggiunse.
“Karen te l’ho detto, non puoi provarci né con mia madre né con mio padre. Sarebbe troppo strano e poi, sono tornati insieme. Quindi anche se lei tende a negarlo, è effettivamente mamma Morningstar. E poi, ti ricordo che tu hai un ragazzo che è pazzo di te” disse la ragazza.
“Oh poverino” commentò Lucifer “Ha scelto le pene dell’inferno ancor prima di morire” commentò serio guardando un punto indefinito.
“Un ragazzo? Chi? Che cosa? Insomma, guardali, tornerei single in un baleno se me lo chiedessero” continuò lei.
“Per carità, non succederà mai” commentò Lucifer e si guadagnò una leggera gomitata da Chloe.
“Matthew, tesoro” rispose Abbi ignorando completamente suo padre.
“Oh Matty, quanto è bello il mio Matty. Karen McMiller, suona bene, vero?” domandò la ragazza sognando ad occhi aperti.
“Ok, è partita, è meglio che la porti via. Voi due fate i bravi” disse Abigail tirando su da un braccio l’amica e portandola via.
 
Lui ne approfittò per coglierla alle spalle e sferrarle un colpo alle gambe.
 
“Bambina te l’ho già detto, non ti comprerò una torta al cioccolato” disse Lucifer guardando Trixie seduta sul sedile del passeggero della sua auto.
“E allora dirò a mamma dov’eravamo l’altro giorno” rispose la piccola dispettosa.
“Ah no, signorina, non mi lascerò corrompere da una mocciosa di tre anni” continuò l’uomo.
“Non ho tre anni e comunque se parlo, addio sorpresa” ribatté imperterrita la piccola.
“Oh stai bluffando” disse lui.
“No che non bluffo” rispose lei.
“Sì, invece” continuò lui.
“No, invece” aggiunse lei.
“Sì” continuò lui.
La piccola prese il telefono e, dopo aver cercato un numero, se lo portò all’orecchio.
“Pronto mamma?” disse. “L’altro giorno Lucifer ha portato me Abbi sulla spiaggia, ti ha comprato una casa. Sì, una casa vera. Dice che è quella che sta dove vi siete dati il primo bacio. No, mamma. Ti giuro che non sto scherzando. Ah, sorpresa” disse la bambina sorridente. Poi chiuse la telefonata e tornò a guardare Lucifer.
“Sei un demonio” disse lui inchiodando con l’auto e fermandosi.
“Te l’avevo detto” rispose la bambina.
“Ma non credevo avresti avuto il coraggio di farlo” spiegò lui.
“Ora sai che ne sono capace” rise la bambina.
“Mi hai rovinato la sorpresa” disse deluso il diavolo.
“Ah e va bene, non era lei, era Abbi” confessò la piccola.
“Tu... piccolo demonio” disse piacevolmente colpito lui.
“Ora che sai che ne sono capace, me la compri la torta al cioccolato?” domandò Trixie.
“Sì, penso che tu te la sia meritata”
 
Abigail si trovò di spalle a terra.
 
“Lucas è morto”
Tutto attorno a lei sembrava aver rallentato. Le voci erano confuse e ovattate e non riusciva a focalizzarsi su niente. Lucas era morto e più lo ripeteva a se stessa e più quelle parole sembravano perdere significato. Che cosa volevano dire? Che significava che Lucas era morto. Morto? Ma come morto? Lei lo aveva visto quella mattina. Lui era vivo. Perché le stavano mentendo? Perché suo padre le stava facendo questo? Perché le diceva tali cattiverie? Lucas morto? No, non aveva senso. E più ripeteva quelle parole e più perdevano qualunque importanza e diventavano solo suono. Un suono vuoto e sgradevole.
“Abigail dimmi qualcosa” la incitò Lucifer guardandola negli occhi con un’espressione che prima d’ora lei non aveva mai visto. Era compassione? Cos’era?
Lucas era morto. Il suo Lucas lo stesso che fino a quella mattina aveva baciato, quello che l’aveva coccolata tra le sue braccia, quello che amava, quello che le parlava. La sua voce, la sentiva così chiaramente nelle orecchie che non poteva essere morto, vero? Non poteva essere andato via se ancora la maglia che indossava conservava il suo odore. Non poteva essere morto. Non gli aveva ancora detto di amarlo e lo amava tantissimo. Lo amava così tanto.
E perciò si alzò. Si alzò e camminò fino alla porta. Vide sua madre nell’angolino con gli occhi gonfi di lacrime e, quando si voltò, suo padre le stava dietro.
“Dove vai, Abigail?” gli chiese lui visibilmente preoccupato.
“Vado a casa di Lucas, devo dirgli una cosa importante” rispose lei come se fosse la cosa più normale al mondo.
“Tesoro, Lucas è morto” le disse Chloe avvicinandosi e prendendole il viso tra le mani.
“Devo andare, mamma” le rispose lei sorridente. “Devo dirgli che lo amo. Non ce lo siamo ancora detti, ma lo sento. È già da un po’ che desidero dirglielo. Non posso aspettare che venga a prendermi stasera. Devo andare adesso. Capisci, vero?” chiese lei.
Chloe immediatamente l’abbracciò. La tenne stretta a sé.
“Io sono qui, tesoro. Non ti lascio, ok? Ti voglio bene, ti voglio un mondo di bene Abigail. Ma tu devi restare a casa. Lucas è morto e tu devi restare qui” disse la donna.
Ma Abigail era incredibilmente forte e sciolse quel contatto immediatamente. Guardò sua madre e le sorrise. Le diede un bacio sulla guancia e la sorpassò.
“Mi dispiace, Abigail ma non posso lasciarti andare” le disse Lucifer bloccandole la porta con un braccio.
“Che stai facendo? Fammi uscire devo andare da Lucas” domandò lei.
“No, tesoro. Lucas è morto” rispose lui.
“Dai smettila di essere geloso di me. Lo sai che ti voglio bene, a Lucas ci tengo davvero e lui tiene a me. Anzi, lo amo” rispose ancora lei sorridente.
“Abigail, Lucas è morto!” continuò Lucifer alzando la voce.
Lei guardò a lungo. Lo guardò e scosse la testa. E poi, come se pian piano venisse assalita dalla consapevolezza, una lacrima le scese sul viso. Fu la prima di tante altre. Si lasciò cadere sulle ginocchia. Lucifer immediatamente si mise davanti a lei e l’abbracciò. La tenne stretta mentre lei sfogava il suo dolore straziante.
 
Suo padre su di lei, le stava per sferrare un pugno in pieno volto.
 
“Abigail, se non dovessi sentirtela, se pensi di non farcela, in qualunque momento tu ce lo dici e noi ti portiamo via di qui, ok?” domandò Lucifer lasciando la mano di sua figlia.
“Sì, papà” rispose lei sorridendo ad entrambi i suoi genitori prima di dargli le spalle e avvicinarsi alla bara aperta di Lucas Fletcher.
Guardò al suo interno per dire addio per sempre al ragazzo che amava. Lo guardò e le sembrò di vedere uno sconosciuto. Quel colorito giallognolo non era lo stesso del suo Lucas. Quelle labbra livide non erano quelle che aveva baciato. Persino la sua cicatrice sembrava incredibilmente violacea. Guardò quel corpo senza vita e nulla le ricordava il suo Lucas. Non c’era più ormai là dentro. E chi, più di lei, avrebbe dovuto saperlo? Probabilmente adesso il suo amato se ne stava a nella Città d’Argento a sorseggiare una bevanda squisita mentre giocava a scacchi con qualcuno dei suoi zii che non aveva mai conosciuto. E fu in quel momento che un’idea le balenò in testa. Sarebbe andata lì, sarebbe andata nella Città d’Argento e se lo sarebbe ripreso. Sarebbe andata lì e si sarebbero ricongiunti. Lei era mezza angelo, entrare non avrebbe dovuto essere un problema. Perciò accarezzò quel volto segnato dalla morte e si chinò per baciare la sua fronte fredda.
“Verrò a riprenderti, te lo prometto” gli sussurrò “Ti amo” aggiunse.
Poi sentì una mano sulla spalla e quando si voltò vide i suoi genitori. Si spostò e lasciò che anche loro dessero l’ultimo saluto a Lucas Fletcher. Quando furono ormai lontani dalla salma, Chloe l’abbracciò stretta.
“Perdere un figlio è qualcosa che nessun genitore dovrebbe sperimentare, mai” disse.
“Non so che avrei fatto se fossi morta tu” commentò Lucifer.
“Lucifer!” lo riprese Chloe.
“Probabilmente saresti venuto a riprendermi ovunque mi trovassi” rispose Abigail seria.
“Sì, sicuramente” rispose Lucifer sorridendole appena.
“Vi voglio bene” disse Abbi.
“Te ne vogliamo anche noi” risposero entrambi.
 
Ma si fermò.
 
E fu proprio quel momento di debolezza che permise alla ragazza di ribaltare la situazione e, quando si ritrovò su di lui, non fu altrettanto clemente. Gli sferrò un colpo deciso dritto sul volto facendogli perdere i sensi. Mai nessuno era riuscito a metterlo k.o. con così tanta facilità, ma quando si trattava di sua figlia, Lucifer diventava un rammollito. Lo avevano capito tutti e lo aveva capito anche Abbi. O forse la questione era semplicemente più complicata di così.

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Capitolo 30
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28


Quando Lucifer riprese conoscenza, per i primi istanti, si domandò dove diavolo fosse finito e come cavolo c’era arrivato lì. Poi, quasi come una secchiata d’acqua ghiacciata in faccia, le informazioni lo presero a schiaffi. Si mise seduto e si tolse di dosso i brandelli che rimanevano della sua camicia. Spazzò via un po’ di sabbia dalle braccia e cercò di mettersi in piedi. Sua figlia l’aveva messo k.o. ed era volata via. Per quanto tempo aveva perso conoscenza? Dov’era adesso Abigail? E perché non era stato capace di fermarla e portarsela a casa? Che fosse stato l’amore per quella ragazza ad avergli impedito di farle del male? Effettivamente, si trovò a pensare, non c’era stato nemmeno un istante in quella lotta in cui lui aveva assestato un colpo deciso. Aveva giocato in difesa e non in attacco. Si era comportato da debole e, per colpa sua, probabilmente adesso sua figlia stava scatenando l’ira funesta di suo padre, il Dio di tutto il creato. Si mise in piedi e, nonostante si sentisse ancora un po’ dolorante per quell’incontro, liberò le sue ali e spiccò il volo. Quando giunse davanti ai cancelli della Città d’Argento ciò che vide lo turbò. Non era tornato in quel posto da quando suo padre l’aveva esiliato all’inferno. Ma non fu tanto quello a turbarlo quanto vedere i suoi preziosi cancelli distrutti e i suoi fratelli sconfitti al suolo, ancora incoscienti. Si avvicinò ad Uriel e provò a fargli riprendere conoscenza schiaffeggiandolo un po’. Il fratello, dopo l’ennesimo schiaffo, parlò.
“Ti stai divertendo a schiaffeggiarmi, eh?” domandò con voce flebile l’angelo.
“Dov’è Abigail, Uriel?” chiese immediatamente lui.
“Ho provato a fermarla, ma non ci sono riuscito. La sua forma oscura è troppo potente persino per noi” continuò quello.
“Com’è possibile, fratello?” chiese il diavolo confuso e spaventato.
“È la figlia del diavolo...” rispose quello.
“Ma ha sconfitto anche me” continuò confuso Lucifer.
“... è anche la figlia di un miracolo” concluse Uriel prima di perdere nuovamente conoscenza.
“Sei un idiota! Sei un idiota!” esclamò Lucifer frustrato riadagiandolo a terra.
Dopodiché lo superò e procedette attraversando quei viali che gli erano così familiari. Sulla sua strada cominciarono ad emergere figure prive di sensi e quello scenario lo allarmò. Quando, all’improvviso dopo ore che camminava, Amenadiel gli si piazzò davanti sbarrandogli la strada.
“Luci” disse semplicemente.
“Devo continuare, devo cercarla, è qui da qualche parte” disse lui completamente fuori di testa.
“Luci non è qui e tu non puoi stare qui” gli disse l’angelo.
“Sono arrivato troppo tardi, è vero?” domandò nonostante sapesse già la risposta.
“Sì, Luci. Abigail era accecata dalla rabbia e dal rancore. Era accecata dall’odio e ha sfidato nostro padre distruggendo i cancelli della Città d’Argento e mettendo k.o. tutti i coloro che hanno intralciato il suo cammino” rispose genuinamente dispiaciuto l’angelo.
“Dov’è Amenadiel. Dov’è mia figlia?” domandò minaccioso.
“Papà l’ha punita” rispose quello cercando di mantenere un contegno.
“L’ha punita? Che significa? Come l’ha punita? Che le ha fatto?” domandò Lucifer perdendo completamente la compostezza e cominciando ad inveire verso il fratello.
“Luci l’ha condannata all’inferno. L’ha condannata per l’eternità. È la nuova regina degli Inferi” rispose Amenadiel facendo impallidire il diavolo. “Mi dispiace fratello” continuò e cercò di abbracciarlo.
In qualunque altra situazione, Lucifer avrebbe negato quel contatto, l’avrebbe evitato, ma in quel momento non ne ebbe la forza. Lasciò che suo fratello maggiore lo abbracciasse e gli mostrasse conforto e vicinanza. Lui sapeva bene cosa significasse essere esiliati, conosceva troppo bene tutta la sofferenza che comportava quel ruolo, il ruolo di regnante. A sua figlia era la toccata la sua stessa sorte e non c’era nulla che potesse fare per cambiare le cose. O forse c’era?
Mentre Amenadiel si lasciava andare a parole di conforto, Lucifer sciolse quel contatto e volò via da quel luogo senza neppure voltarsi indietro a guardarlo per l’ultima volta. Lo odiava, odiava quel luogo più di quanto odiasse l’inferno. Era la casa da cui era stato cacciato, il luogo da cui suo padre l’aveva ripudiato, il luogo di condanna di sua figlia. Tornò sulla terra pronto e deciso ad affrontare Chloe. Doveva raccontarle cosa fosse successo. Durante tutto il viaggio di ritorno non fece altro che pensare ad una soluzione, a come poter riportare sua figlia dalla detective e nulla, nulla sembrava venirgli in mente. Ma, non appena Chloe Decker aprì la porta di casa e incontrò i suoi occhi, tutto gli divenne chiaro. Lucifer sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto fare per riportare sua figlia a casa.
 
Nel frattempo, agli inferi, Abigail nella sua forma oscura sedeva in cima al trono, una volta, di suo padre. Sedeva lì e tutto ciò a cui riusciva a pensare era a Lucas Fletcher. Poi, improvvisamente quel cumulo di rocce che si stagliava così in alto da sembrare infinito, cominciò a scendere sempre di più fino a toccare il suolo. Dall’oscurità si fece spazio una figura, all’inizio sfuocata e poco chiara. Sembrava fluttuasse. Era una visione meravigliosa, celestiale sarebbe stato il termine esatto, ma data la situazione e il luogo, Abbi cercò di pensare ad un termine più appropriato. Non aveva mai visto un essere così ipnotico e ammaliante. Da quando era entrato nel suo raggio visivo non era stata capace di spostare lo sguardo. Cosa stava guardando esattamente? Chi stava guardando. Stava ancora cercando di abituare i suoi occhi all’oscurità di quel posto. Quando l’essere si fece più vicino cominciò a metterlo a fuoco. Era una donna. Aveva la pelle candida e dei lunghissimi capelli ramati e ricci che le ondeggiavano alle spalle. Indossava un abito nero, camminava senza scarpe. Non appena le fu più vicina poté notare quello che credeva essere un abito nero, era in realtà un serpente che le circondava tutto il corpo. La sua testa vispa sbucava da sopra la spalla della donna. Gli occhi del rettile erano di un rosso intenso. Quelli della donna, invece, sembravano gialli. Abbi notò che all’improvviso quelli dell’animale diventarono dello stesso colore di quelli della donna e, quando spostò lo sguardo su di lei, notò che i suoi erano diventati rossi come quelli del serpente. Si sentì intimorita, poi quella creatura le sorrise.
“Tu devi essere la nostra nuova sovrana, la progenie del diavolo in persona, la figlia perduta dell’inferno, tu devi essere Abigail” disse inchinandosi davanti a lei. “Benvenuta. Sono Lillith, madre dei demoni, tua umile e fedele serva”
Aveva una voce calda e soave, i suoi lineamenti erano delicati, aristocratici. Nonostante quegli occhi ipnotici e disumani era la creatura più bella che Abigail avesse mai visto.
“Sono qui per servirti” concluse la donna dai capelli ramati sorridendole sinistra.
 
A Chloe bastò aprire la porta e guardare il viso di Lucifer per realizzare che tutta quella paura che aveva avvertito negli ultimi tempi, avrebbe trovato il suo culmine in quel momento. Lui le raccontò per filo e per segno ciò che era successo da quando avevano lasciato quella casa. La detective continuava a sentirlo, ma non riusciva davvero ad ascoltarlo. Si sentiva in una bolla, fuori dal mondo. Era come se si stesse guardando dall’esterno, come se quella situazione non la riguardasse davvero. Sperava di svegliarsi da un momento all’altro per poter realizzare che era tutto soltanto un sogno. Si sarebbe svegliata, avrebbe scacciato via quell’incubo durante i suoi trenta minuti di relax sotto la doccia e poi sarebbe andata a raccontare tutto ad Abigial. Peccato che quello non era un sogno ed Abigail non era più lì. Era stata esiliata all’inferno. L’avevano portata di nuovo via da lei. E questa volta non credeva di poterla superare. Le lacrime continuavano a scenderle sul viso arrosato e gonfio. Era paralizzata. Ultimamente le accadeva di spesso e detestava sentirsi così. Lei non era una debole, non era una che restava paralizzata. Lei affrontava le situazioni di petto. Lei trovava le soluzioni. Lei combatteva. E si ripromise che avrebbe combattuto per riavere sua figlia pur non sapendo contro chi o cosa dovesse battersi. Lucifer continuava a parlarle, le diceva che se la sarebbe vista lui e che gli avrebbe riportato indietro Abigail. Ma come?
“Ti fidi di me, detective?” gli chiese.
“Sì”, rispose lei semplicemente.
“Io ti riporterò Abigail” le disse.
“Come?” domandò lei tra un singhiozzo e l’altro.
“Te la ricordi quella casa al mare, quella che volevo comprare per noi due quand’eravamo ragazzi?” gli chiese lui.
“Lucifer che cosa c’entra, ti prego...” cominciò a dire lei confusa da quella digressione.
“L’ho comprata, l’ho comprata per noi, per la nostra famiglia. Per te, per me, Abigail, per la piccola monella e c’è una stanza degli ospiti per Maze o per Dan” disse lui sorridendole appena.
“Perché mi dici questo?” domandò lei ancora più confusa.
“Perché ti amo” disse lui cogliendola completamente di sorpresa.
“Tu non hai mai...” cominciò a dire lei.
“Lo so, ho perso troppo tempo. Avrei dovuto dirtelo subito. Ma lo sai che questo è quello che ho sempre provato per te. E voglio che tu lo ricordi, che lo ricordi per sempre. Io ti amo, Chloe Decker” disse con gli occhi lucidi e le baciò dolcemente le labbra.
“Ti amo anche io, Lucifer. Ma perché me lo stai dicendo, perché suona come un addio?” domandò spaventata lei.
“Perché lo è. Devo tornare all’inferno. Devo oltraggiare mio padre più di quanto abbia fatto lei e prendere il suo posto, Chloe. È l’unico modo che ho per liberarla e riportarla da te” disse lui con le lacrime agli occhi.
Lei scuoteva la testa incredula.
“No, no. Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo di nuovo. Non puoi lasciarmi, non puoi lasciarmi adesso. Ho bisogno di te. Ci dev’essere un altro modo. Possiamo trovare un altro modo. Chiediamo ai tuoi fratelli, qualcuno ci aiuterà” esclamò la detective.
“Questo è l’unico modo. Mi dispiace detective, voglio solo che tu sappia che ti amerò per sempre”, questa fu l’ultima cosa che Lucifer le disse prima di spiccare il volo.

Journey's corner
Salve a tutti, ringrazio tutti coloro che hanno avuto voglia di leggere questa storia. Ringrazio coloro che hanno speso un po' del loro tempo per recensirla e farmi sapere la propria opinione in merito. È stato un bel viaggio e - come tutti i bei viaggi - anche questo deve giungere al termine. Mi è stato chiesto se ci sarà un seguito e sinceramente non era nei miei piani quando ho cominciato a scrivere. Ma, nell'ultimo periodo, potrei averci ripensato. Devo rendermi conto se è fattibile scrivere un seguito o se è tempo di lasciare Abigail, Karen e tutti gli altri per passare a nuove storie, a nuovi personaggi e - soprattutto - a nuove avventure. Che dire, mi piacerebbe molto sapere la vostra opinione sulla conclusione.
A presto
-Journey
 

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