Viaggio a Green Hills

di Darlene_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***






 
VIAGGIO A GREENHILLS






CAPITOLO 

I


 





Fu la luce improvvisa a ridestarlo: un lampo giallo nel buio, che scomparve in un istante. Provò a muoversi, ma le sue gambe erano bloccate da qualcosa e invece delle parole, che avrebbe voluto pronunciare per chiedere aiuto, dalle sue labbra uscirono gemiti confusi. Voltando la testa percepì la presenza di qualcuno accanto a lui, ma non riuscì a ricordare chi fosse. Sollevò le dita della mano: erano sporche di sangue. Sentì il freddo che continuava ad avvolgerlo, mentre le palpebre diventavano sempre più pesanti. In lui si fece strada la consapevolezza che nessuno li avrebbe salvati. Tentò di liberarsi da quella morsa che gli impediva qualsiasi movimento, ma il buio lo avvolse: la fine era arrivata. 
 

 


UNA SETTIMANA DOPO 


 
 
 
La porta dell’armadietto sbatté con un rumore secco. Chris era in ritardo, ma non gli importava: sapeva che tanto lo avrebbero trattato con condiscendenza e nessuno si sarebbe preso la briga di rimproverarlo, non dopo tutto ciò che era successo nell’ultima settimana. Girò la chiave nel lucchetto e la infilò nella tasca dei jeans sbiaditi. I suoi passi risuonavano nel corridoio tirato a lucido da un efficiente bidello. Le suole non ancora consumate delle sue Converse rosse scricchiolavano e lui cercò di concentrarsi su quel rumore, provando a controllare il respiro: era agitato, non poteva negarlo. Prima di bussare alla porta dell’aula di algebra si asciugò i palmi sudati sui pantaloni, cercando di assumere la sua solita aria menefreghista.
Come previsto, la professoressa Turner non fece cenno ai dieci minuti buoni di lezione che si era perso, anzi, lo accolse con un sorriso, invitandolo ad accomodarsi. Sul suo banco vi era un bigliettino piegato in quattro; Chris si guardò intorno, cercando di capire chi, tra i suoi compagni, poteva averlo recapitato, ma avevano tutti il capo chino sui quaderni, intenti a scrivere una complessa formula matematica che, probabilmente, sarebbe stata la chiave per superare i test di qualche prestigiosa università. Chris si lasciò cadere a peso morto sulla sedia, lasciando che la bretella dello zaino scivolasse dalla sua spalla. Prese il foglietto: la calligrafia era tondeggiante, segno che si trattava del messaggio di una mano femminile, probabilmente quella di una delle sue ammiratrici segrete di cui, lui, non si era mai preso il disturbo di imparare il nome. Non voleva sembrare scortese, ma non finì nemmeno la prima riga e accartocciò il biglietto nel pugno: non desiderava parole di conforto, né messaggi di speranza, perché non c’era nulla che avrebbe potuto farlo sentire meglio. Posò la testa sul banco, fingendo di scribacchiare qualcosa sul quaderno, ma la sua mente era altrove.
 
Un brivido gli percorse la schiena quando il gel freddo venne a contatto con la sua pelle. Il soffitto era grigio. Un tempo doveva essere stato bianco, ma gli anni e lo sporco avevano lasciato una patina scura che lo rendeva sgradevole alla vista. Josh chiuse gli occhi: non voleva vedere più nulla. Sorrise: quanto era ridicola quell’affermazione? Probabilmente presto non avrebbe più potuto osservare niente, nemmeno quello squallido soffitto.
L’ecografo scorreva sul torace glabro, tracciando la linea dei pettorali.
“Puoi sollevare il braccio destro sopra la testa?” La voce della dottoressa (il cartellino la qualificava come E. Thompson) lo riportò alla realtà. Aprì gli occhi di smeraldo, lo sguardo assente. Obbedì senza nemmeno risponderle, non era il caso sprecare fiato, non ora che gliene rimaneva così poco. La donna lo osservò per qualche istante, forse persa nei suoi pensieri; suo figlio aveva pressappoco l’età di quel giovane e le si strinse il cuore all’idea che avrebbe potuto esserci lui al posto di quello sconosciuto.
“C’è qualcuno che ti accompagna? Secondo le regole non potrei far entrare nessuno, ma…”
Eccola, di nuovo, la compassione, questa volta mascherata da gentilezza; è contro il regolamento, ma tu stai morendo e meriti uno strappo alla regola, oppure: è vietato, ma io sono buona e mi fa pena lasciarti solo, posso chiamare qualcuno?
Josh sbuffò, scuotendo la testa, non voleva avere nessuno accanto, non ancora, non finché non era certo di quale sarebbe stato il suo destino. Pensò al padre, seduto nella saletta d’aspetto: riusciva quasi a vederlo, con le gambe larghe, i gomiti sulle ginocchia, le mani giunte. Probabilmente stava recitando una muta preghiera, il capo chino in segno di redenzione, eppure nessuno avrebbe potuto aiutare suo figlio.
 
“Atwood!”
Il suo cognome riecheggiò nel corridoio, ma Chris fece finta di non udirlo e cominciò a camminare più velocemente. Purtroppo Bill Higgins era un tipo piuttosto caparbio e corse da lui, stringendogli una spalla con la mano. A quel contatto Chris sobbalzò e cercò di liberarsi dalla stretta. Avrebbe voluto andarsene, ma sapeva che comportamenti strani avrebbero attirato ancor di più l’attenzione.
“Higgins.” Lo salutò senza troppo entusiasmo.
Il ragazzo dinoccolato sorrise, e avvicinandosi di più a lui disse: “Ho saputo dell’incidente, deve essere stato brutto.”
Brutto era decisamente un eufemismo.
“Già.” Chris guardò il corridoio, cercando una via di fuga.
“Fratello, se hai bisogno di qualcosa io ci sono. Sai, in queste situazioni a qualcuno interessa…” Si premette la narice con l’indice e inspirò, emulando una sniffata “Qualcosa per dimenticare.” Accennò ad un altro sorriso sulle ultime sillabe, dopo di che, probabilmente intuendo di essere stato inopportuno (o forse perché non voleva arrivare tardi in mensa dato che quel giorno era previsto il pollo) si allontanò a passo deciso.
Chris trasse un sospiro di sollievo: finalmente quell’idiota se n’era andato. Il cellulare cominciò a vibrare nella sua tasca; avrebbe voluto ignorarlo, ma dentro di lui si insinuò la paura che si trattasse di qualcosa di grave, così fece scorrere il dito sullo schermo che si illuminò mostrando il testo di un messaggio.
 
John:
TORNA A CASA
 
Ignorò il messaggio, come era suo solito fare, già pregustando l’idea di presentarsi solo all’ora di cena, ma il display si illuminò di nuovo.
 
John:
SI TRATTA DI JOSH
 
Ebbe un tremito e le sue dita, quasi inconsapevolmente, cominciarono a battere sulla tastiera.
 
A John:
DI CHE SI TRATTA?
 
Esitò un attimo prima di premere invio, poi lo mandò.
 
John:
STA SEMPRE PEGGIO, L’HO PORTATO IN OSPEDALE
L’HANNO RICOVERATO
TORNA A CASA, DOBBIAMO PARLARE
 
Le piastrelle del bagno erano fredde a contatto con la sua schiena. Era seduto a terra, la testa incastrata tra le ginocchia, una lacrima solitaria solcò la sua guancia. Josh stava male, ed era tutta colpa sua.
 
A John:
QUANDO LO DIMETTONO?
 
Temeva di scoprire la risposta che, in effetti, non tardò ad arrivare.
 
John:
TORNA A CASA, NE PARLIAMO DOPO
 
Trattenne un grido di rabbia. Detestava suo padre, con quei modi da soldato di ferro, ne aveva abbastanza. Non avrebbe atteso di trovarsi con lui in salotto per discutere delle condizioni di suo fratello, non voleva essere guardato con biasimo mentre gli veniva detto che la salute di Josh era peggiorata. Pigiò le lettere sul telefono.
 
A John:
QUANDO TORNA?
 
Passarono alcuni interminabili minuti.
 
John:
NON LO SO, È MOLTO GRAVE.
PER FAVORE VIENI QUI.
 
Non aspettò il consueto suono della campanella si precipitò all’uscita, cercando qualcuno disponibile a dargli un passaggio o, in alternativa, un taxi. Meno di dieci minuti dopo, un tempo record per il tassista che aveva premuto l’acceleratore a tavoletta per tutto il tragitto in cambio di una lauta mancia, Chris si ritrovò davanti alla porta di casa. All’esterno non era cambiato nulla, era sempre la solita villetta in mezzo a molte altre in una strada poco trafficata di Manhattan con tanto di prato all’inglese, ma l’idea che ad attenderlo non ci sarebbe stato il fratello gli venne un nodo in gola.
Suonò il campanello e pochi secondi dopo la porta si aprì lasciando intravedere la figura slanciata di Josh.
“Che cosa ci fai qui?” Urlò Chris.
Il maggiore lo tirò dentro afferrandolo per la felpa e chiuse la porta lanciando uno sguardo circospetto.
“Dovrei domandarlo io a te, non trovi? Non c’è lezione a quest’ora?” Lo sbeffeggiò con un sorriso stanco e tirato.
Chris non rispose, troppo concentrato a lanciargli occhiate di fuoco.
Josh alzò le mani al cielo, come per dimostrare di essersi arreso. “Ho chiamato papà, gli ho detto che avevo bisogno di lui in ospedale, ma io ero già qui, perciò abbiamo almeno mezz’ora prima che torni. Togliti dalla faccia quell’espressione da pesce lesso e seguimi.” Si staccò dallo stipite e a passo malfermo raggiunse le scale. Si appoggiò al corrimano, salendo un gradino alla volta, sostenendosi per procedere.
“Cosa?” Sbottò il minore, seguendolo. “John mi ha scritto, ha detto che stavi male… Cosa sta succedendo?”
Josh si voltò leggermente mostrandogli il viso pallido. “Parli troppo, Chris, e io oggi ho voglia di portarti all’avventura!” Rimase qualche secondo in silenzio, come a voler riprendere fiato.
Al piano superiore le porte delle camere erano tutte aperte, tranne quella dello studio paterno che, come di consueto, era sigillata. Josh estrasse un coltellino dalla tasca e cominciò ad armeggiare con la serratura.
Chris gli mise una mano sulla spalla, cercando di spingerlo via, ma l’altro era irremovibile.
“Perché vuoi forzarla?”
“Non c’è tempo per cercare le chiavi.” Borbottò continuando ad armeggiare con naturalezza, come se fosse abituato a quei lavori. Sentendo gli occhi del fratello puntati su di sé smise di trafficare. Lo afferrò per le spalle e lo guardò dritto negli occhi. “Non voglio perdere minuti preziosi, ti spiegherò tutto più tardi, ma forse dovresti sapere quello che ti sto obbligando a fare.” Prese fiato: “Sono successe tante cose in quest’ultima settimana e mi sono reso conto che non sempre tutto procede come ci aspettiamo.” Si interruppe, aspettando una reazione che però non arrivò. “Pensa.” Alzò le mani al cielo con fare teatrale. “Potremmo non essere più qui domani e non sapremmo mai cosa ci ha nascosto nostro padre per tutti questi anni!”
Chris annuì, vagamente confuso.
“Dobbiamo scoprirlo. Voglio scoprirlo.” Dopo una pausa scenica disse: “Vuoi farlo con me?”
Non era una richiesta, era una supplica: Josh aveva bisogno del minore e lui non lo avrebbe deluso, perciò acconsentì.
La porta cedette in seguito a numerose imprecazioni, qualche spinta e mute preghiere con un semplice scricchiolio, ma quello che i fratelli Atwood si trovarono davanti non aveva di certo deluso le loro aspettative.





Ciao a tutti e grazie per essere arrivati fin qui. Quasta storia è nata qualche mese fa grazie a tantissime persone che mi hanno spronato a non mollare e a credere in Josh e Chris. Ammetto di essere emozionata: è la prima volta che pubblico una long originale e questo fantasy credo sia un po' diverso da quello a cui sono abituati tutti. Spero che possa essere di vostro gradimento :)
Buon Natale!


Un grazie di cuore alla mia lettrice numero, che ogni giorno mi chiede cosa ne farò di Josh e Chris (chi lo sa), alla dolcissima Maira, che ha letto con passione questa storia e che si è innamorata dei personaggi, e a Rosita che ha creato per me questa meravigliosa ahestetic <3

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Capitolo 2
*** II ***






 
VIAGGIO A GREENHILLS







CAPITOLO 

II


 

Lo studio era piccolo, ma ben organizzato; la scrivania in legno occupava il centro della stanza, ma a catturare davvero l’attenzione era un bellissimo mappamondo in legno, di quelli che si vedevano solo nei musei. Chris entrò lentamente, cercando di far il minor rumore possibile come se temesse di svegliare le montagne di volumi disposti ordinatamente nell’enorme libreria a muro. Josh, meno cauto, si diresse verso il tavolo, aprendo i cassetti e spostando fogli all’apparenza senza senso.
“Guarda qui!” Urlò al fratello passandogli un pezzo di carta con su scritto:
 
Ordine settembre PAGATO
Pelle di Goblin 1500
Idranthia in polvere 2000
3xGargantula ridente 5000
 
La grafia era sicuramente quella di John, ma i contenuti sembravano senza senso, perché mai avrebbe dovuto annotare quelle parole? Lui, che non aveva mai raccontato ai figli una storia di fantasia perché le riteneva stupidaggini da femminucce?
“Lo sapevo!” Chris sbattè il foglio sulla scrivania, un sorriso trionfante stampato sul volto. Josh gli rivolse un’occhiataccia, immaginando come sarebbe finita la frase. “Papà è un pazzo e questi sono i suoi deliri, perciò non ci ha mai fatti entrare qui dentro!”
“Io… Io non credo.” Il maggiore scosse la testa, passandosi le mani tra i capelli ribelli. “Se lo fosse davvero la stanza non sarebbe così ben organizzata, guardati intorno!” Ruotò su se stesso allargando le braccia per indicare gli strani quadri alle pareti, la vetrinetta con pietre rare e le mensole su cui, ben allineati, soggiornavano buffi soprammobili.
“Ok, supponiamo che John abbia ancora tutte le rotelle a posto e, personalmente, ne dubito, per quale motivo avrebbe dovuto raccogliere tutte queste cianfrusaglie?” Ormai l’eccitazione del momento era scemata, lasciando il posto alla solita insofferenza nei confronti dei comportamenti particolari del padre. Josh, d’altro canto, era entusiasta della scoperta e non vedeva l’ora di scoprire tutti i segreti di quel posto. “Non lo so, ma guarda che meraviglia!” I polpastrelli prudevano dalla voglia di toccare tutto ciò che lo circondava. Cominciò a passare in rassegna i grossi volumi, leggendo i titoli a voce alta, sperando di contagiare anche il fratello, ma Chris si sedette su una poltrona e rimase ad osservarlo.
Passarono i minuti e intorno a lui erano già volati svariati nugoli di polvere quando Josh lanciò un libro dall’altra parte della stanza. Cadde con un tonfo, piegando le pagine centrali e rovinando la copertina rigida finemente decorata. Ad esso ne seguì un altro e poi un altro ancora, quindi cadde il silenzio. L’atmosfera gaia di poco prima era scomparsa, sostituita dalla tensione. Il minore si alzò dalla poltrona e vide il fratello seduto a terra, la testa tra le mani, le spalle posate contro la libreria. Si avvicinò cautamente a lui, scostandogli i palmi impolverati dal viso. Josh stava piangendo. Chris rimase stupito, non lo aveva mai visto piangere, nemmeno la volta in cui si era rotto il braccio fingendosi Batman o quando, a dieci, era morto Salem, il gatto nero che era cresciuto con loro.
“Che cosa c’è?”
Il ragazzo scosse la testa. Tirò su con il naso e si asciugò la faccia con la manica della felpa.
Chris si sedette accanto a lui, guardandolo dritto negli occhi. “Non fingere che vada bene, per mia sfortuna ti conosco da troppo tempo e riconosco quando menti.”
Avrebbe voluto negare, ficcarsi le mani nelle tasche e uscire da quella stanza cercando di dimenticare tutto, ma non poteva: si era tenuto tutto dentro troppo a lungo, aveva bisogno di confidarsi con qualcuno e, anche se non voleva far preoccupare Chris, lui era l’unico con cui avrebbe potuto sfogarsi.
Si soffiò il naso e ricambiò lo sguardo. “Io non sono malato, cioè non solo…” Si passò una mano sul viso, era più difficile del previsto. “Io… Questa mattina sono stato in ospedale.”
Il minore era attento e non aveva nessuna intenzione di interromperlo, perciò avrebbe dovuto continuare il discorso senza poter divagare. “Non stavo bene, beh, è da una settimana che non sto proprio da favola, ma oggi mi sentivo peggio del solito. Pensavo che sarebbe passato, ma John mi ha portato in ospedale.” Doveva arrivare dritto al punto se non voleva crollare prima di giungere alla fine del discorso. “Chris, ho poche settimane di vita.”
Il fratello era sul punto di sommergerlo con una valanga di domande, ma lui lo fermò con un gesto della mano. “Il mio cuore non resisterà a lungo, i medici ne sono certi.” Quanto era difficile condividere quel peso con qualcuno? Ora che aveva detto quella frase a voce alta era diventata più reale, come se non si potesse più tornare indietro e, in effetti, era proprio così. “Pensavo che qui, questa stanza, potesse fornirmi delle risposte, ma non ho trovato nulla. Forse fino ad adesso ho sperato di scamparla, una parte irrazionale di me credeva che qui ci sarebbe stata una bacchetta magica in grado di salvarmi e ora che so che qui dentro ci sono solo strane cianfrusaglie…”
Non riuscì a finire la frase, non ne aveva la forza. Si rimise in piedi, voleva solo scappare lontano, dimenticare le ultime ore, ma non aveva nessun posto dove andare. Chris gli posò una mano sulla spalla, cercando di rassicurarlo. “Troveremo una soluzione.”
“Non credo ce ne siano.” Lo fermò subito, non poteva permettergli di fantasticare su qualcosa che non si sarebbe mai realizzato: suo fratello doveva accettare la situazione.
Chris, d’altro canto, aveva ben altra opinione e avrebbe fatto qualunque cosa per salvarlo. “Ci sono tantissimi donatori di organi, credo che un trapianto sia possibile.”
Josh scosse la testa, la dottoressa lo aveva avvisato, la lista era lunghissima e trovare un cuore compatibile era un’impresa difficile, che molto spesso richiedeva anni. Si avvicinò alla porta, guardando indietro verso la libreria: dal suo personale vaso di Pandora anche la speranza era riuscita ad evadere, ormai era vuoto.
“Sai, Chris, pensavo che ci fosse ancora una possibilità per me, ma non è così e mi va bene, forse è questo il mio destino.” Ci fu un inteso scambio di sguardi, entrambi sapevano che quella avrebbe potuto essere la loro ultima conversazione seria. Le lacrime rigavano i loro volti e per la prima volta non si sentivano in imbarazzo a mostrare le loro debolezze.
“Non sono pronto a perderti, Josh.” Scosse la testa, abbassando gli occhi sul tappeto persiano.
Si avvicinarono. Il maggiore aggiunse: “Lo so, ma non c’è nulla qui o in un qualsiasi altro universo che mi possa salvare.”
Allungò le braccia per accogliere il fratello, ma Chris, raggiungendolo, inciampò in una piega del pregiato tappeto. Per non perdere l’equilibrio si sostenne all’enorme mappamondo, che emise un clic.
I ragazzi si guadarono stupiti. Si avvicinarono all’antico manufatto, notando che i continenti non raffiguravano quelli reali. Tastarono tutta la superficie, accorgendosi che una parte del legno era leggermente discostata, probabilmente aperta dal meccanismo che Chris, inconsapevolmente aveva innescato. Sollevarono delicatamente il legno e, con meraviglia, vi trovarono una scatola finemente intagliata. Si trattava di una vera e propria opera d’arte, eppure erano talmente impazienti di svelarne il contenuto che non si soffermarono ad ammirare i bassorilievi. All’interno era custodita una chiave antica, probabilmente d’argento. Josh la prese tra le mani con delicatezza, quasi temendo di poterla rompere, eppure si accorse che al tatto era robusta e di un peso non indifferente.
“Cosa può aprire?”
“Non ne ho la minima idea.” Rispose il maggiore facendo scorrere un dito sulla superficie levigata.
“C’è scritto qualcosa sopra?”
Si portò lo strumento al viso, cercando di interpretare le lettere che vi erano incise, e, dopo un’attenta analisi stabilì che non era comprensibile. “Gli scaffali!” Urlò in preda ad un’illuminazione. Prese i libri e li posò a terra, spostando qualsiasi cosa alla ricerca di uno scrigno, un cassetto segreto, qualcosa in cui poter inserire la chiave. Chris svuotò le casse di volumi a terra, tastò ogni lato della scrivania alla ricerca di un pannello di legno, eppure sembrava non esserci nulla. “Dannazione.” Sibilò a denti stretti lanciando uno sguardo all’orologio appeso alla parete: John sarebbe potuto tornare da un momento all’altro.
Josh cominciò ad ansimare, affaticato dallo sforzo e, non appena il fratello si accorse del suo respiro affannoso gli si avvicinò. “Tutto bene?”
“Sì, è solo che mi gira la testa.”
Chris gli passò un braccio dietro la schiena per sorreggerlo nel caso in cui avesse avuto un mancamento. “Riposati un attimo, nel frattempo rimetto a posto lo studio e ci facciamo venire in mente una scusa accettabile che possa spiegare la tua presenza a casa.”
L’altro scosse la testa, non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, a costo di morire su quel pregiato tappeto persiano. Una fitta più forte delle altre lo costrinse ad aggrapparsi alla libreria che si spostò di qualche centimetro. Si guardarono stupiti e il minore spinse ancor più il mobile, aprendo un passaggio verso un corridoio buio.
Al piano di sotto la porta sbattè. Sentirono i passi avvicinarsi e la voce di John che chiamava a gran voce i figli. Oltrepassò lo studio per aprire la porta della loro camera e, non trovandoli, la richiuse con forza. “Josh, Chris?” E poi con un tono più basso: “Questa volta mi sentono, non la passeranno liscia.” La maniglia ruotò e i ragazzi si lanciarono un’occhiata preoccupata: non dovevano farsi trovare lì dentro! Senza nemmeno una parola si precipitarono all’interno del passaggio segreto, tirandosi dietro la pesante libreria. La porta si aprì, ma non sentirono altro perché cominciarono a correre, alla ricerca di un’uscita.
Il cunicolo era buio e stretto, ma avanzarono lo stesso. Quando furono certi di non essere seguiti si fermarono. Josh si accovacciò a terra, il fiato corto e i polmoni brucianti per lo sforzo. Chris cercò il telefono, che però non riuscì a trovare, così frugò nelle tasche della felpa per poi estrarne un accendino. Con quella scarsa luce tentò di illuminare lo spazio circostante.
“Da quando sei diventato un incallito fumatore?” Lo provocò il fratello.
Non si voltò nemmeno, tastando con la mano libera le pareti di roccia. “Le ragazze amano il fascino del cattivo e una sigaretta tra le labbra le rende succubi del mio fascino.” Scherzò. “Non siamo più in casa, credo che il cunicolo ci abbia condotto sottoterra.”
Josh si alzò, pronto a rimettersi in cammino.
“Dove andiamo?”
Chris scosse la testa. “Non ne ho idea. Se torniamo indietro John ci uccide.”
Il maggiore sorrise e si incamminò verso la parte opposta da cui erano arrivati. La sua figura slanciata si stagliava scura, debolmente illuminata dalla fiammella.
“Aspetta, dove vai? Non sappiamo nemmeno cosa ci sia laggiù! Magari è un vicolo cieco oppure finiamo chissà dove!” Replicò stizzito, seguendo Josh per non perderlo di vista. Lui si voltò all’improvviso, gli strappò l’accendino dalle mani per portarselo sotto il viso. Con voce cavernosa lo scimmiottò. “O forse cadremo dritti dritti nella tana di un coccodrillo! Ti prenderà con le sue enormi fauci e di te resteranno solo brandelli di carne e vestiti ricoperti di bava!”
“Smettila!” Lo spintonò, superandolo, ma venne subito affiancato. Le dita affusolate di Josh gli afferrarono una spalla, in quella che avrebbe dovuto essere una stretta rassicurante. “Dai, fratellino, al massimo questo passaggio ci catapulterà nelle fogne newyorkesi!”
“Oh sì, l’idea mi rende davvero entusiasta!”
Procedettero a lungo senza fiatare. Il silenzio era ormai diventato fastidioso, interrotto solo da qualche rumore molto lontano, attutito dalle pareti di roccia. Pian piano il cammino diventò impervio e il passaggio si restrinse sempre di più fino a che dovettero procedere in fila indiana. Josh dovette addirittura chinare la testa per non cozzare con il soffitto. Costretto a tenere gli occhi sui suoi stivali non si accorse che Chris si era fermato, e gli finì addosso. Persero entrambi l’equilibrio e caddero a terra. Quando si rialzarono furono inondati dalla luce. Non si trattava della flebile fiamma dell’accendino, che peraltro si era spento nello scontro, ma di un chiarore che pareva provenire dalle pareti stesse. Cercarono di capire dove fossero: erano in una stanza di pietra, nei cui anfratti era installate delle fiaccole che però non si consumavano. Il fuoco era alto e gettava fantasiose ombre sui loro visi stupefatti. Al centro di quella grotta vi era un leggio con un libro posatovi sopra.
“Josh?”
“Ehm, non guardare me! Sono sorpreso quanto te.”
Si avvicinarono al volume che, anche degli inesperti come loro, si rendevano conto che si trattava di un reperto antico, probabilmente appartenente al diciannovesimo secolo. La copertina in pelle presentava dei decori argentei e una serratura lo teneva chiuso. Il maggiore si avvicinò, tentando di forzarla, ma Chris lo fermò, estraendo la chiave che avevano trovato nello studio. La infilò nella toppa e con uno scatto la chiusura cedette. Sfogliarono le pagine, ingiallite dal tempo, notando che non vi erano scritte, ma solo disegni. Si soffermarono sulla raffigurazione di una donna dai capelli biondi, era di spalle, ma si scorgevano le sinuose forme e la corona che portava sul capo. Entrambi provarono una strana attrazione nei confronti di quella giovane. Nelle immagini successive si susseguivano strane creature, paesaggi incantevoli e poi… Loro due! Nonostante l’umidità avesse rovinato i colori la somiglianza era evidente. Si trattava di due ragazzi dagli occhi verdi, uno con i capelli mossi e un sorriso tirato, l’altro, dalla carnagione abbronzata, rideva e le fossette rendevano imperfette le guance. Chris sfiorò il suo sosia con un dito, imitato da Josh. Una forza attirava i loro corpi verso la pagina fino a che si ritrovarono con i palmi attaccati al foglio. Provarono a ritrarsi, eppure qualcosa li spingeva verso la figura. Probabilmente gridarono, forse invocarono aiuto, eppure non se ne resero conto, ormai succubi di quel libro. Rilassarono i muscoli e si lasciarono trascinare da quella strana corrente e, all’improvviso, tutto divenne buio.







Ciao a tutti e buone feste! Ecco un nuovo capitolo di questo racconto originale, un viaggio che mi sta davvero intrigando molto (spero piaccia anche a voi) per i più scettici posso dirvi che dal prossimo capitolo la storia diventerà davvero fantasy è prenderà una piega diversa. Vorrei ringraziare tutti i lettori silenziosi, non siete molti, ma la vostra presenza mi allieta. Un ringraziamento anche a coloro che hanno inserito "viaggio a greenhills" tra le sguite, ricordare e preferite!

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Capitolo 3
*** III ***


 




 
VIAGGIO A GREENHILLS







CAPITOLO 

II


 
Morto. Quella parola rimbombava nella sua testa mentre gli anfibi sprofondavano nella terra morbida. Josh chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, ma era terrorizzato. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto a lungo, eppure non pensava che sarebbe finita così: stroncato in un cunicolo buio dove si era cacciato per uno stupido capriccio. Sollevò nuovamente le palpebre, ma quella specie di paradiso verdeggiante non scomparve. L’ansia lo strinse nella sua morsa, facendogli battere il cuore all’impazzata. Lo sentiva tuonare nelle orecchie, provocandogli un forte mal di testa. Annaspò alla ricerca di ossigeno e si rese conto che, in effetti, i suoi polmoni erano ancora in grado di trarre aria. Com’era possibile? Cercò di rilassarsi, invano, sempre più terrorizzato. Non era morto, altrimenti i suoi organi sarebbero stati inutilizzabili, ma ciò che aveva davanti agli occhi non poteva essere che il Paradiso. Inspirò, tentando di riordinare le idee. Non stava male, non provava dolore e quel profumo di fiori che gli invadeva le narici sembrava in grado di rilassarlo. Pensò che in fondo morire non era stato così tragico e un prato verdeggiante non era il posto peggiore per trascorrere l’eternità, perciò perché angosciarsi? Eppure non riusciva a togliersi dalla mente quel tarlo, come se ci fosse una nota stonata che non riusciva a cogliere. Vi stava ancora meditando quando uno schiaffo lo colpì in pieno viso. Si voltò di scatto, rispondendo con un pugno e si ritrovò a lottare con il fratello.
“Chris?” Domandò preoccupato. Come mai c’era anche lui? Era solo un’immagine nella sua testa o era morto? No, non era possibile, doveva trattarsi di un’allucinazione.
Chris lo prese per i lembi aperti della camicia, stringendo le nocche attorno al tessuto. “Non è un sogno!” Urlò sconvolto. Josh lo strattonò per allontanarlo.
“Certo che no! Sono morto!”
L’altro scosse energicamente la testa. “No… Il libro, io pensavo fosse un incubo, ma… Josh, cosa ci è successo?”
Era evidente che nessuno dei due avesse una risposta sensata, d’altronde non c’era nulla di razionale in quel momento. Il maggiore fece spallucce, in fondo non gli importava, qualsiasi cosa era meglio di una bara a tre metri sotto terra. “Non lo so, forse stiamo solo avendo delle allucinazioni, magari, boh, ci risvegliamo da qualche parte ubriachi fradici, non mi importa. Adesso siamo qui, perché non diamo un’occhiata in giro?” Si incamminò senza una meta precisa, calpestando le erbacce che gli intralciavano il passaggio. Il minore lo afferrò per il braccio, strattonandolo con forza.
“Dove pensi di andare? Dobbiamo tornare a casa, subito. Non so che posto sia questo, ma non promette nulla di buono.”
Josh si voltò quel tanto che bastava per guardare con sufficienza suo fratello negli occhi e disse: “Che idea meravigliosa!” Alzò le braccia al cielo. “Torniamo a casa, così almeno posso scegliere il mio vestito per il funerale.” Con freddezza riprese a camminare, tallonato dall’altro.
“Josh? Dai, scusami… Non volevo…” Provò a farsi perdonare, senza successo. Persa la pazienza decise di tentare con le maniere forti. “Josh, smettila di fare il bambino! Siamo persi nel nulla più assoluto senza sapere nemmeno il perché e tu vuoi andare in esplorazione? Cos’è vuoi andare in cerca del Bianconiglio e prendere un thè con il Cappellaio Matto?” Ad ogni parola il suo tono di voce diventava più rabbioso e acido mentre Josh continuava ad ignorarlo. Presi dal loro diverbio non si accorsero immediatamente della nera figura che si nascondeva all’ombra dei lunghi steli d’erba e quando la videro era ormai a pochi metri da loro. Colti di sorpresa, sarebbero rimasti immobili, paralizzati dalla paura, se il loro istinto di sopravvivenza non avesse avuto la meglio. Corsero come mai in vita loro, i passi sempre troppi corti e le gambe che parevano di piombo. Sebbene Chris fosse un ottimo giocatore di football la sua resistenza fu messa a dura prova dall’emozione: il cuore sembrava sul punto di esplodere, ogni battito risuonava nella sua testa. Solo dopo diversi scatti in avanti si accorse di non sentire più il rumore della bestia che avanzava verso di lui, perciò si fermò, accorgendosi all’improvviso che Josh non si trovava accanto a lui.
Il maggiore sentì una goccia di sudore colargli lungo lo zigomo pronunciato, mentre la schiena era percorsa da brividi di paura. Sentì il fratello chiamare il suo nome e gli urlò di scappare, in fondo non si era arreso per nulla: voleva concedergli il tempo necessario a trovare un riparo sicuro. Si asciugò la fronte con la manica della camicia, i muscoli delle braccia tese come corde di violino. L’animale, se così poteva essere definito, lo squadrava con gli occhi iniettati di sangue. Dalle fauci spalancate colava un rivolo di bava. Le enormi zampe si muovevano con grazia mentre gli ruotava intorno come per gustarsi il momento. Josh non aveva mai visto una creatura simile, ma sapeva che ogni secondo poteva decretare il destino si Chris. Si frugò in tasca e percepì la fredda lama del coltellino svizzero: non era molto, eppure non si sarebbe fatto dilaniare senza prima combattere. Brandì l’arma senza sapere bene come utilizzarla. La bestia, forse attirata dal luccichio del metallo si avvicinò guardinga e Josh colse l’occasione per affondare il coltello nella carne. Nonostante un fiotto di sangue uscisse dalla ferita inferta, la belva non si spaventò e scelse quel momento per attaccare. In un attimo il ragazzo si ritrovò a terra. L’animale si alzò su due zampe per poi ricadere sul suo corpo, affondando gli artigli nel torace. Si trovavano a pochi centimetri di distanza e poteva sentire l’alito fetido della bestia. Chiuse gli occhi, in attesa della sua fine.
“Vattene! Lascialo stare!” Urlò Chris con tutto il fiato che aveva in corpo. Era troppo distante per attaccare quel mostro, ma sperava almeno di ritardare l’inevitabile, invece l’animale, incurante delle sue grida, affondò le zanne nella pelle pallida del collo della sua vittima. Il giovane avrebbe voluto agire, ma rimase paralizzato dall’orrore. Non riusciva a staccare gli occhi da quella massa nera, una fredda macchina di morte, e si si stupì non poco quando quella si accasciò di colpo. Il corpo cadde a terra, schiacciando Josh. Nessuno dei due fratelli riusciva a spiegarsi quell’evento, poi comparve lei. Aveva una folta chioma rossa e un portamento che ne indicava la disinvoltura. Indossava degli strani vestiti e una tracolla colma di erbe. In mano teneva una spada, già sporca di sangue. Con abili mosse riuscì a disarcionare il mostro, quindi lo decapitò con un colpo deciso. Aveva ancora le mani macchiate di rosso quando ne tese una a Josh. Lui provò a rialzarsi, ma il dolore al collo era lancinante e tutto introno a lui sembrava ruotare. Si accorse a malapena di Chris, che con gesti poco capaci gli tamponò la ferita. Non rispose alle sue domande, troppo stordito per comprenderle e ad un tratto tutto divenne nero.
 
Qualche settimana dopo
 
“Spostate quelle botti di vino! Quante volte ve lo devo ripetere?” La voce imperiosa di Charlton fece sobbalzare i pochi avventori che ancora si attardavano alla taverna. L’uomo, un vecchio scorbutico dalle grosse mani sudate, strofinava il bancone con una pezza che nemmeno un anno prima sarebbe stata nuova, impartendo ordini ai due nuovi aiutanti. Li aveva assunti a poco prezzo in cambio di una stanza e qualche spicciolo, ma nonostante il loro aspetto vigoroso non erano abituati al duro lavoro. Scosse la testa e versò dell’acquavite al giovane marinaio. Alle sue spalle uno dei garzoni prese la botte con un lieve gemito, ancora debilitato dalla ferita nascosta dalle bende. L’altro ragazzo si avvicinò e gli prese l’oggetto dalle mani. “Sai che non puoi ancora fare sforzi.”
Josh guardò suo fratello con disappunto. “Certo, perché me lo ha ordinato una vecchia guaritrice pazza mentre inviava una lettere a chissà chi tramite il suo grasso corvo nero.” Riprese la botte e si fece largo per raggiungere la cantina. Ovviamente Chris lo seguì ignorando le occhiate severe del suo nuovo capo.
“Quella donna ti ha salvato la vita!” Sbottò, incapace di credere che il maggiore fosse così scettico. “Eri quasi morto! Ti ho trasportato tra le braccia mentre tu eri svenuto, vuoi che accada di nuovo?”
L’altro chiuse la porta della cantina, sperando che la conversazione fosse sul punto di terminare.
Chris lo seguì come un cane fedele, dicendogli: “Siamo bloccati in questo assurdo mondo che sembra uscito da un capitolo di storia e tu dubiti ancora che qualcosa sia possibile?”
Josh sollevò le spalle e mise in una cassa dei boccali che a fine serata avrebbero lavato in quella pozza d’acqua non troppo pulita dietro al locale.
“So che non vuoi farti false speranze, ma se riuscissimo a trovare il fiore di giada…” Aveva tentato in tutti i modi di convincere il fratello a partire per quella ricerca, eppure lui continuava a non mostrarsi per nulla interessato. Entrambi capivano che reperire un oggetto a detta di tutti leggendario era una probabilità remota, ma Chris non era disposto a perdere Josh e continuava caparbiamente ad insistere da quando ne aveva scoperto l’esistenza. Il maggiore si voltò di scatto, rabbioso. “Smettila! Non mi interessa sprecare il tempo per qualcosa che non esiste.” Prima che l’altro potesse ribattere continuò: “Sì, lo ha detto quella guaritrice, ma persino lei crede si tratti di un mito, qualcosa che si tramanda di generazione in generazione, una storiella da raccontare davanti al fuoco! Non me ne frega nulla, voglio solo vivere il tempo che mi resta come mi va. Sono stufo di stanze asettiche di ospedali e speranze vane che si infrangono.” Continuò a strofinare lo straccio su un tavolo ormai pulito per non dover guardare negli occhi il fratello.
“La ferita guarirà, il tempo lenisce tutte le ferite.” Aveva annunciato solo qualche settimana prima la guaritrice a Chris. Josh si era appena svegliato su un tavolo in una casa sconosciuta, ma prima che qualcuno si accorgesse della sua ripresa aveva colto quelle parole, che ancora lo tormentavano, nonostante cercasse di non darlo a vedere. “Ma per il suo cuore…” La donna si era pulita le mani sul grembiule macchiandolo con il verde delle erbe che aveva spezzettato nel mortaio. “Si tratta di un male brutto, non ho nulla per lui. Posso preparare una medicina per rallentare il processo, ma prima o poi cederà, solo il fiore di giada potrebbe salvarlo.” Il minore aveva chiesto delucidazioni al riguardo, e lei aveva detto: “Secondo la leggenda, il fiore di giada nacque dalla tomba di Kristàl, prima regina di Greenhills, per curare uno solo tra i suoi sudditi, da un male inguaribile. In molti lo hanno cercato senza successo, nei secoli è diventata solo una leggenda.”
La porta si chiuse con un tonfo, riportando Josh alla realtà. Gli avventori della taverna erano scomparsi e Charlton sbarrò l’uscio con una vecchia asse di legno, quindi gettò il grembiule sudicio dietro al bancone e si sedette ad un tavolo con una bottiglia di Whiskey e un paio di boccali di birra; quello era il segnale, i due fratelli ormai lo avevano compreso, che il vecchio oste si sarebbe rilassato raccontando storie a dir poco assurde, ma che loro ascoltavano rapiti come bambini in attesa della favola della buonanotte. Si sistemarono uno vicino all’altro, cercando di trarre calore dalle braci non ancora del tutto spente del camino. L’uomo amava ricevere delle attenzioni e provava un piacere indescrivibile nel vedere quei due “mocciosi”, come li chiamava lui, con gli occhi spalancati e il fiato sospeso. Attese ancora qualche secondo per godersi il momento, tracannando il liquore e digerendo la sua lauta cena con un rutto, quindi iniziò il suo racconto.
“Vi ho mai parlato di quando recuperai il tesoro della principessa Ambra?”
I ragazzi scossero la testa, la birra ancora intatta nei loro bicchieri.
“Era un inverno freddo e gli animali erano irrequieti. Il vecchio re, che la Dea lo abbia in gloria, era molto malato e i folletti chiacchieroni già spargevano la voce che presto vi sarebbe stata una successione al trono. Una notta, me lo ricordo come se fosse ieri, un forestiero entrò nella locanda. Teneva in mano una lettera con lo stemma reale, anche se non si trattava di un messaggero. Mi mostrò il foglio su cui erano scritte lettere in caratteri precisi ed ordinata come noi, gente del popolo, non riusciremo mai ad imitare, era chiaramente un messaggio di corte. Si chiedeva a me, Charlton il cacciatore di tesori di reperire il diadema della principessa Ambra per donarlo al primogenito del re, prossima al trono. All’epoca ero conosciuto in tutto il Paese per la mia abilità a scovare di tutto, anche ciò che pareva perduto per sempre, ma mi inorgoglii ugualmente al pensiero che il sovrano in persona avesse pensato a me, un suo umile suddito, perciò accettai ingenuamente l’incarico. In quel tempo un giovane, poco più anziano rispetto a voi, alloggiava in un’osteria poco fuori dal paese. Non lo conoscevo bene, era schivo e parlava raramente della sua vita, ma mi aveva aiutato a trovare un genio blu e il mantello di Cappuccetto Rosso…” Si accorse che il suo pubblico lo osservava curioso, ma scacciò le loro domande con un gesto della mano, non era di quel pezzo di stoffa rosso di cui voleva parlare, perciò proseguì il suo racconto. “Perciò, data l’importanza della missione, gli chiesi di aiutarmi. Accettò senza esitazioni, sapevo che raccoglieva oggetti di importanza minore, probabilmente per rivenderli al mercato nero, ma non avevo nessuna intenzione di denunciarlo: non rubava mai nulla di prezioso e immaginavo che i soldi gli servissero per mandarli alla sua famiglia, quindi pensai che, se lo avesse fatto anche quella volta avrei chiuso un occhio.”
“Alla sua famiglia? Aveva dei figli?” Domandò Chris, ottenendo una gomitata da parte di Josh, che lo invitava a tacere. Charlton si carezzò la barbetta ispida, portandosi il bicchiere alle labbra. “Non lo so, qualche volta avevo tentato di farmi raccontare la sua storia, la sua provenienza, ma con quel suo sorriso sghembo cambiava discorso oppure se ne andava, ricordandosi all’improvviso di un impegno. Quello che ricordo era il suo accento, era diverso dal mio o di chiunque io conoscessi, pensandosi, somigliava un po’ al vostro.”
Il minore si voltò di scatto cercando di comunicare telepaticamente al fratello i suoi pensieri: quindi forse quel tizio aveva usato il portale, dovevano solo trovarlo e sarebbero potuti tornare a casa! Immaginando ciò che frullava nella testa di Chris, Josh chiese: “E adesso dove si trova?”
Charlton lo osservò con irritazione: detestava essere interrotto, ma per il bene della storia ignorò la domanda e continuò a parlare. “Fu una spedizione sfortunata, perdemmo il nostro bagaglio con le provviste per sfuggire ad una strega, per poco non restai intrappolato in una grotta a causa della malìa di una fata e un branco di lupi affamati ci circondò nella notte più buia dell’anno sperando di trovare del cibo. Avremmo dovuto abbandonare la ricerca, era evidente che la Dea non era favorevole al nostro viaggio, ma decidemmo di proseguire e dopo qualche mese trovammo il tesoro: la corona della principessa Ambra, ciò che però non immaginavamo erano gli effetti che essa aveva sulle persone. Quando tornammo a casa portammo subito il prezioso oggetto al re, che lo posò sul capo del primogenito che morì in poche ore in preda alle più atroci sofferenze. Scoprii solo molti anni dopo che quella corona era maledetta: si diceva che la stessa Ambra, per non avere rivali, l’avesse fatta forgiare con un incantesimo di una strega, rendendola nociva per chiunque avesse tentato di indossarla. Il re, straziato per il dolore e già provato dalla sua malattia non resse la morte del figlio. Lo piangemmo per un giorno solo, dopo di che il suo secondogenito salì al trono. Affermò che voleva vendicare i suoi familiari e ordinò che io e l’altro cacciatore venissimo giustiziati sulla pubblica piazza. Non riuscirono a trovare Jeff, così si faceva chiamare, ma mi catturarono proprio qui, dove facevo il garzone per guadagnare in periodi di magra. Accettai il mio destino, era stato un mio errore, non avrei dovuto partire alla ricerca dell’oggetto senza saperne gli effetti, ma quando mi trovai di fronte al nuovo re lo riconobbi: certo, era molto più elegante e sicuro di sé, eppure i suoi occhi, i suoi occhi gelidi erano gli stessi del messaggero che mi aveva recapitato la lettera. Capii che era stato lui ad orchestrare il tutto e decisi di scappare, pensando che forse qualcuno avrebbe creduto alla mia innocenza. Nella fuga una lancia mi trafisse il polpaccio. Nonostante le cure della guaritrice persi la gamba.” Sollevò il pantalone, mostrando una rudimentale protesi di legno. Sospirò, forse ancora perso nei suoi pensieri. Fece per alzarsi, aveva terminato il racconto, ma secondo i due fratelli c’erano ancora delle questioni da chiarire.
“Che fine fece il cacciatore? E il re? Come hai fatto a sopravvivere? Ti hanno creduto?” Il vecchio sbuffò, accasciandosi nuovamente sulla sedia.
“Oh, beh, ciò che vi sto per raccontare mi è stato a sua volta narrato perché per mesi restai in uno stato di incoscienza, in bilico tra la vita e la morte. Jeff era scomparso e nessuno lo rivide mai più; qualcuno dice sia stato catturato, altri pensano che abbia raggiunto una di quelle isole praticamente disabitare, ma io credo sia tornato dal posto in cui era venuto. Nello stesso periodo il nuovo re aveva abolito tutto ciò che vi era di festoso a Geenhills e se si passava dalla piazza si potevano osservare i cadaveri cianotici e gonfi di chi osava opporsi a lui che dondolavano dalla gogna. La principessa Diana era scomparsa, si temeva che fosse rinchiusa in una torre segreta, eppure in qualche modo riuscì a ritornare, parecchi anni dopo, per salvare il suo regno ed esiliare il fratello. Faticai a riprendermi, ma Gwen...” Si interruppe e parve che sul volto fosse comparso un certo rossore. “Ehm, la guaritrice, mi restò accanto e grazie alle sue cure mi ripresi. Per colpa di questa dannata gamba dovetti smettere di andare a caccia di tesori. Quando il proprietario di questa bettola decise di trasferirsi comprai il locale ed ora eccomi qui…” Si massaggiò un ginocchio, quindi raccolse i boccali e si alzò.
“Beh, tutto è finito per il meglio.” Decretò Chris.
Charlton rise, guardandolo dall’alto al basso. “Siete proprio due mocciosi con il latte al naso! Credete ancora al lieto fine? Siete proprio degli stolti! La vita scorre, a volte va bene, a volte va male, ma non esiste il tutti felici e contenti. E adesso toglietevi dalle scatole e andatevene a letto!”
I ragazzi obbedirono, storditi da quella strana storia. Si chiedevano chi fosse lo straniero, giudicandolo un codardo, anche se non sapevano nemmeno la metà della verità. E poi questo fratello cattivo dove era finito? Perché nessuno lo aveva più visto? E la regina Diana dove era stata in tutto quel tempo? Non credevano assolutamente alla prigionia nella torre e nemmeno il loro capo sembrava appoggiare quella teoria.




Ciao a tutti, chiedo scusa per il ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma purtroppo a causa di problemi personali ho avuto la mente presa da altro e non me la sentivo di rendere edito un capitolo mediocre. Spero che le avventure di queste due fratelli continuino a catturarvi :) 
A presto (o almeno lo spero!)

 

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