Ode al ragazzo che amo

di Miharu_phos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Caleb si svegliò in preda all’ennesimo incubo.

 

Il buio che lo avvolgeva quando riaprì gli occhi era interrotto solo da un flebile fascio di luce che proveniva dall’esterno, direttamente dalla luna.

 

Caleb passò istintivamente la mano sull’altra metà del letto, vuota.

 

Sospirò pesantemente nel realizzare nuovamente che aveva dormito da solo, così come andava avanti ormai da due settimane circa.

 

Il ragazzo si stese di nuovo, accarezzando il cuscino accanto al suo.

 

Il suoprofumo era ancora impregnato nel tessuto, come se luifosse ancora lì, come se non se ne fosse mai andato.

 

Per forza, le lenzuola non erano state cambiate da quel giorno, era ovvio che ci fosse ancora il suoodore.

 

Caleb scivolò lentamente nell’altra metà del letto, rabbrividendo a causa del materasso freddo.

 

Si dice che il tempo possa guarire ogni ferita.

 

Eppure per Caleb non era cambiato nulla da due settimane a questa parte.

 

Stava solo entrando lentamente nell’accettazione dell’accaduto.

 

Ma il dolore era ancora così presente, così prepotente dentro di lui da permettergli a malapena di respirare.

 

La parte più difficile era il risveglio.

 

Nei sogni non si soffre, non ci si sente soli.

 

Si sogna e basta.

 

Ed i sogni notturni erano tutto quel che Caleb aveva, ormai.

 

Nei primi attimi dopo il risveglio, prima di aprire gli occhi, per pochi istanti lui stava bene.

 

Era ancora cullato dalla dolce illusione del sogno, aveva dimenticato, solo per pochi attimi, il suo dolore.

 

Eppure bastava pochissimo per far riemergere la consapevolezza della realtà in cui viveva.

 

I suoi occhi prima o poi dovevano aprirsi ed inesorabilmente si sarebbero posati sulle lenzuola distese nell’altra metà del letto, o sul cuscino vuoto che giaceva accanto alla sua testa.

 

Gli capitava raramente di sognarlo, e questa era una fortuna secondo Caleb.

 

Trovava che continuare a sognare una persona che non fa più parte della tua vita sia indice di dipendenza, di incapacità di andare avanti da solo.

 

E Caleb ci stava provando, davvero.

 

Ma non era sicuro che fosse realmente quello che voleva.

 

Sapeva che era esattamente quello che si deve fare in questi casi, rimboccarsi le maniche e ripartire più forti di prima, distrarsi, tenersi occupati.

 

Solo che Caleb non ci credeva a tutte quelle stupidate.

 

La realtà è che quando perdi qualcuno l’unica cosa che hai bisogno di fare è piangere.

 

Piangere fino a consumare tutte le tue lacrime, piangere fino a non sentirti più la gola, fino a farti scoppiare la testa.

 

E lui lo aveva fatto, si era sfogato, ogni volta in cui ne aveva avuto l’occasione.

 

D’altronde ormai usciva di casa soltanto per andare a lavorare, nel pomeriggio, al caffè sotto casa.

 

Giusto per non perdere il posto.

 

Caleb Stonewall, 24 anni, studente fuori corso alla facoltà di scienze motorie e sportive.

 

Caleb Stonewall, cameriere squattrinato, abitava in un monolocale con una gatta, un pesciolino rosso ed un mare di libri.

 

L’avevano cominciata insieme, l’università, poco meno di cinque anni prima.

 

Jude si era laureato subito, poi era stato  immediatamente assunto alle dipendenze di una importante squadra di calcio. 

 

Il suo sogno era diventarne l’allenatore.

 

Ed era grazie alla loro comune passione per lo sport che si erano innamorati: Caleb non poteva permettersi una casa da solo, aveva bisogno di un coinquilino, ed il suo amico col quale aveva scelto l’università si era offerto di vivere insieme a lui, per aiutarlo con l’affitto.

 

Era stato generoso da parte sua, Jude avrebbe potuto permettersi un vero e proprio appartamento, o meglio, suo padre glielo avrebbe volentieri anche comprato.

 

Ma Jude teneva tanto al suo amico ed a studiare assieme a lui.

 

Erano partiti benissimo: esami in tempo e studio organizzato.

 

Caleb aveva avuto qualche difficoltà, dopotutto non era mai stato bravo a scuola, Jude lo sapeva.

 

Ma il suo amico -quello che presto sarebbe diventato il suo ragazzo- lo aveva sempre aiutato volentieri, aveva anche messo da parte le sue necessità pur di andare incontro al ragazzo che doveva dividersi fra studio e lavoro.

 

E si, presto si erano messi insieme.

 

Dopo circa un mese di convivenza erano già finiti nello stesso letto.

 

D’altronde erano amici fin da ragazzini, si conoscevano così bene e tenevano l’uno all’altro più di quanto tenessero ai propri familiari.

 

Era inevitabile che andasse a finire così.

 

Quel che sembrava invece incomprensibile a Caleb era come aveva potuto, tutto quell’amore, scomparire così velocemente.

 

Quando era successo che Jude aveva smesso di amarlo?

 

Era vero, Caleb lo sapeva che alcune cose -molte- non andavano più da tempo.

 

La casa era piccola, Jude poteva permettersi di meglio e si era stancato di dover tenere le sue cose ancora negli scatoloni di cartone.

 

Inoltre Caleb non si decideva a darsi una mossa con lo studio, Jude si era offerto di aiutarlo ma lui si era bloccato, non riusciva più ad andare avanti, era sprofondato nella paura.

 

E poi quel maledetto bar in cui lavorava.

 

Si alzava a mezzo giorno e tornava alle tre di notte.

 

Jude non ne poteva più.

 

Ma non bastava semplicemente parlarne, vi chiederete? 

 

Caleb avrebbe fatto volentieri qualche sacrificio in più per il suo ragazzo, per la sua ragione di vita.

 

Ma la verità era che tutti questi problemi, tutte queste lamentele che Jude non vedeva l’ora di sputare addosso a Caleb, non consistevano il vero problema.

 

Caleb non lo aveva mai capito, in fondo, quale fosse questo grande, immenso problema che spingeva Jude a rovinargli il poco tempo che passavano insieme.

 

Poi lo capì.

 

O meglio, lo lesse, nelle parole chiare ed inconfondibili di Jude.

 

“Non ti amo più. Non cercarmi.”

 

Lo aveva trovato scritto sopra un post-it attaccato sul tavolo, affianco all’anellino in oro bianco che tre anni prima il castano aveva regalato a quello che, fino ad un istante prima di leggere quel freddo messaggio, era stato l’amore della sua vita.

 

Era ritornato da lavoro al solito orario ed aveva trovato la casa mezza vuota.

 

Caleb aveva cominciato a tremare, ma aveva tentato di mantenere la calma.

 

Aveva preso con difficoltà, a causa del tremolio, il suo cellulare dalla tasca della felpa ed aveva cercato il numero di Jude, sperando di poter sentire la sua voce ridere di gusto per il brutto scherzo che gli aveva fatto, aspettandosi di udire un “Te l’ho fatta, ci sei cascato!”

 

Ed invece quello che sentì fu il silenzio, perché il suo numero era stato bloccato, non riusciva a chiamare, né i messaggi che gli mandava potevano arrivargli.

 

Caleb era stato tagliato fuori, così dal nulla, all’improvviso.

 

“Ti prego devo parlarti, voglio capire, Jude non lasciarmi” gli aveva detto in un vocale, con voce rotta.

 

Un vocale che Jude non avrebbe mai ascoltato.

 

“Sei fuori, adesso” si era detto Caleb.

 

“Sei solo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Due ***


 

Caleb camminava a piedi nudi sul pavimento gelato della sua casa, scansando sapientemente i vari oggetti e le cianfrusaglie disseminati in modo disordinato.

 

Jude aveva sempre deriso questa sua ostinazione a non usare i calzini neanche d’inverno, cosa che lo faceva urlare come una femminuccia quando il castano gli toccava le gambe con i piedi gelati, mentre erano a letto.

 

Caleb sorrise, un sorriso amaro, malinconico.

 

La sua gattina gli si strofinava fra le gambe, aveva fame e cercava di comprarsi il suo padrone, per poi andare a farsi i fatti suoi una volta che avesse avuto la pancia piena.

 

Il ragazzo si piegò in ginocchio, la accarezzò.

 

-Mi sei rimasta soltanto tu piccolina- le disse grattandole la testa mentre la micetta socchiudeva gli occhi, godendosi le attenzioni del suo padrone.

 

-Tu non mi lascerai vero?- le domandò sentendo un groppo in gola crescere, ma deglutì, non voleva piangere, non di primo mattino.

 

La gattina miagolò, gli si strofinò più vicino, lui sorrise.

 

-Vuoi la pappa eh? Ruffiana- sogghignò il castano, mettendosi in piedi per prendere il pasto da dare alla gattina.

 

Erano quasi le sei del mattino.

 

Caleb era ritornato a casa soltanto poche ore prima e si era infilato a letto senza neanche farsi una doccia.

 

Poi senza alcun motivo si era svegliato.

 

Quella era decisamente la parte peggiore della sua vita senza Jude, il risveglio senza di lui.

 

Quando c’era lui a Caleb bastava scivolargli affianco ed abbracciarlo per poter riprendere a dormire.

 

Ma da quando lui se n’era andato era impossibile riaddormentarsi, la sua assenza era martellante e Caleb non tollerava più quel maledetto materasso che sapeva ancora di lui.

 

Oppure forse era il contrario, quel materasso, quelle lenzuola, quel cuscino erano tutto quello che gli rimaneva.

 

Erano quello di cui doveva accontentarsi per non annegare nella disperazione.

 

Fuori era ancora buio.

 

Le prime luci dell’alba non erano ancora spuntate, dopotutto era inverno.

 

E Caleb adorava la pace del mattino più di ogni altra cosa.

 

Quel freddo paralizzante che lo costringeva ad andare verso la cucina con la coperta sulle spalle, facendolo sentire come se portasse un mantello.

 

Caleb dovette trattenere una risata, gli capitava spesso di pensare al mantello che Jude usava da ragazzino, lo trovava ridicolo.

 

Con quella sua mania per gli occhiali poi, era veramente un personaggio.

 

Gli ultimi occhiali che portava glieli aveva regalati Caleb.

 

Chissà se li aveva ancora, si domandò.

 

A piedi nudi si diresse ai fornelli dove mise su il caffè.

 

Lo prendeva lungo, amaro.

 

A Jude invece era sempre piaciuto dolce e Caleb spesso lo aveva sfottuto per questo, gli diceva che era un bimbo che non riesce a rinunciare allo zucchero.

 

A Caleb mancava dover riempire anche la sua tazza.

 

Era ancora lì, non l’aveva portata via con sé.

 

Forse perché era stato un regalo di Caleb.

 

Il castano riempì il suo tazzone e si avvicinò alla finestra con le dita attorno all’oggetto bollente.

 

Adorava farlo, gli teneva le mani al caldo e nel frattempo poteva godersi il forte profumo che saliva silenzioso.

 

Si appoggiò al davanzale, sorseggiò la bevanda.

 

La città era già in moto, automobili che passavano, bus già in giro, moto che sfrecciavano.

 

Eppure pioveva, chissà perché quella gente usciva di casa. Caleb se lo domandava sempre.

 

“Perché hanno un lavoro, un lavoro vero” gli diceva sempre Jude.

 

Caleb sentì risuonare quella voce nella sua testa.

 

Lo avrebbe detto anche in quel caso, sicuramente.

 

Non perdeva occasione di far pesare a Caleb il fatto che fosse un fallito, che continuasse a lavorare in quel posto chissà perché e che gente che aveva cominciato gli studi dopo di lui in facoltà si era già laureata ed ora aveva un lavoro vero.

 

“Come te” avrebbe risposto Caleb, acido.

 

Caleb strizzò gli occhi, detestava dover ricordare sempre quelle discussioni, loro non erano stati soltanto litigi e incomprensioni.

 

Caleb non voleva ricordarlo così.

 

Non voleva odiarlo.

 

Caleb lo amava ancora, ed ancora sperava in un suo ritorno, disperatamente.

 

Era vero, si era rassegnato, era andato avanti.

 

Ma questo non gli impediva di abbandonarsi alla propria fantasia ogni volta che poteva restare solo, per pensare a Jude.

 

Pensava al suo sorriso, ai suoi capelli morbidi e lunghi.

 

Pensava alla sua pelle liscia, delicata, quella pelle che in quasi cinque anni di relazione aveva sopportato morsi e succhiotti, schiaffi addirittura.

 

Caleb adorava schiaffeggiarlo sulle natiche sode.

 

Sorrise, mentre continuava a fissare la pioggia.

 

Jude impazziva quando le prendeva da Caleb durante il sesso, era come se le sue pacche sul sedere lo mandassero in estasi, facendolo eccitare ancora di più.

 

Poi però non poteva fare a meno di pensare ai suoi occhi.

 

Quegli occhi maledetti, talmente profondi da potercisi specchiare.

 

Caleb aveva sempre amato quegli occhi preziosi ma al tempo stesso ne era intimorito.

 

Erano particolari, tradivano una nota di furbizia e cattiveria.

 

Forse era quella loro forma leggermente a mandorla.

 

Caleb non lo aveva mai capito.

 

Sapeva soltanto che ogni volta in cui Jude si toglieva gli occhiali le sue gambe quasi cedevano e si sentiva improvvisamente debole, come se avessero un potere ipnotico.

 

In quei momenti si sarebbe lasciato fare tutto da Jude.

 

E infatti se lo lasciava fare.

 

Caleb sospirò chiudendo gli occhi per un secondo.

 

Ecco, lo stava rifacendo, si stava abbandonando ai ricordi.

 

Quel che voleva era, se possibile, ricordarsi soltanto dei momenti belli passati insieme, ed anzi, delle parti belle di Jude, quelle che lui amava, quelle che lo facevano impazzire.

 

Non ci trovava niente di male se ripensando ai loro momenti intimi finiva per eccitarsi.

 

Anzi, ne era felice, significava che non era rimasto traumatizzato.

 

In quei momenti Caleb si toccava, dimenticando tutto.

 

Tutti i problemi, i fallimenti, l’università, gli esami...tutto spariva, perché c’era Jude, anche se solo nella sua testa.

 

Caleb si toccava, piano, ed immaginava le mani di Jude, immaginava le sue labbra, la sua lingua calda.

 

Immaginava le sue dita insinuarsi dentro di lui ed affondava la testa nel cuscino, per non gemere a voce troppo alta. 

 

Respirava forte, lo chiamava.

 

Ma lui non rispondeva mai, o almeno, non più.

 

Poi raggiungeva il culmine del piacere e si lasciava andare su quelle stesse lenzuola.

 

Nessuno se ne sarebbe lamentato.

 

Chissà perché però, ogni volta, quando finiva, si sentiva stupido.

 

Si guardava allo specchio ed aveva voglia di prendersi a pugni.

 

Una volta lo aveva fatto, o meglio, se lo era lasciato fare.

 

Aveva provocato dei tizi loschi durante il turno di lavoro e loro lo avevano aspettato fuori, fino alle tre del mattino, solo per potergli dare una lezione.

 

E lui se l’era presa con piacere quella lezione, se l’era assaporata, pugno dopo pugno, calcio dopo calcio.

 

E nel frattempo rideva.

 

Finalmente era riuscito a non pensare.

 

Caleb sospirò ancora, contro il vetro della finestra.

 

Infine posò sul davanzale la tazza ormai vuota e sprofondò nella sua poltrona sfondata, avvolto ancora nella coperta.

 

Aprì un libro a caso, non un libro da studiare, ma un libro di narrativa, il primo che gli era capitato fra le mani.

 

Sorrise, era di Jude.

 

Aveva dimenticato anche quello.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Tre ***


 

Il Cigno da “il carnevale degli animali” di Saint-Saens faceva da sottofondo a quella mattina grigia e spenta, come tutte quelle vissute da Caleb negli ultimi tempi.

 

La playlist di Jude era una delle poche cose che erano rimaste a Caleb del suo ormai ex ragazzo: il rasta adorava ascoltare musica classica, sia quando studiava, sia quando rifletteva sui suoi appunti prima di  andare a lavoro.

 

Era sempre stata una persona equilibrata e tranquilla, una di quelle che hanno ogni momento della giornata programmato e riescono tranquillamente ad assolvere ogni loro impegno con la più profonda pacatezza e serenità.

 

Caleb dal canto suo era l’opposto: lasciava tutto al caso e, se qualche volta qualcosa che aveva programmato non andava come aveva deciso lui, andava su tutte le furie.

 

Si crogiolava tantissimo nella comodità della sua casetta che negli ultimi anni con Jude si era riempita sempre di più di ogni genere di scartoffie; adesso tutte quelle cianfrusaglie gli mancavano.

 

Caleb era sempre stato sciatto, in tutto.

 

Non faceva che rimandare, soprattutto lo studio, la casa era sempre uno schifo, a lavoro arrivava sempre in ritardo.

 

Indossava sempre abiti sciupati o macchiati ed il più delle volte era spettinato e con la barba sul punto di ricrescere.

 

Se ne stava per ore sul letto con le cuffie nelle orecchie oppure immerso nella sua poltrona col controller fra le mani a giocare ai videogiochi.

 

Jude detestava ritornare a casa da lavoro, stanco e affamato, e ritrovarlo sempre nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, con la testa nello schermo ed il disordine più totale attorno a lui.

 

Caleb ricordava in particolare un episodio, in cui Jude lo aveva ferito incredibilmente senza dire una parola.

 

C’era il sole, Caleb lo ricordava bene, perché Jude quel giorno aveva deciso di andare a correre.

 

Ogni tanto lo faceva, diceva che era per tenersi in forma ma Caleb sospettava che lo facesse per stargli lontano anche durante i suoi giorni liberi; aveva ragione.

 

Le sue corse duravano ore e spesso restava fuori addirittura fino a dopo l’ora di pranzo: era evidente che fosse andato a mangiare con qualcuno.

 

Caleb rimaneva sempre ferito da queste piccole cose apparentemente insignificanti ma non replicava mai. Jude era libero di fare quel che voleva, e se stargli lontano lo avrebbe aiutato a sopportarlo, allora Caleb lo avrebbe accettato.

 

La cosa che più di tutte però ferì Caleb quel giorno fu l’espressione che Jude non poté nascondere quando, ritornando a casa oltre l’orario di lavoro del suo ragazzo, lo trovò ancora a letto, con il computer sulle ginocchia ed un pacco di patatine fra le mani.

 

Il suo viso tradiva fastidio e in un certo senso delusione, per aver trovato Caleb ancora in casa.

 

-Non lavori?- aveva domandato mentre svuotava la sua borraccia -piena- nel lavandino.

 

Il lato positivo di un monolocale è che puoi vedere sempre quello che sta accadendo; quello negativo è che non puoi nasconderti mai.

 

-Ho avuto la giornata libera- aveva detto soltanto il castano, senza aspettarsi alcuna richiesta di ulteriori spiegazioni.

 

Jude non aveva detto niente ed era andato ad infilarsi sotto la doccia.

 

“Tanto lo so che non sei sudato” aveva pensato Caleb, ma non lo aveva detto.

 

In quei momenti lo assaliva la paura.

 

Se c’era qualcosa di cui Caleb era sempre stato terrorizzato era l’abbandono.

 

Aveva sempre avuto una paura matta di perdere le persone a cui teneva, non nel senso che morissero ma nel senso che smettessero di volergli bene, di stare con lui.

 

E questo era proprio ciò di cui Caleb aveva paura, quando episodi del genere si verificavano con Jude.

 

Percepire il suo fastidio, il suo disprezzo, in un certo senso, lo feriva enormemente.

 

-Avresti almeno potuto sistemare un po’ visto che dovevi rimanere a casa. Non te lo dico mai perché so che sei sempre stanco- aveva detto Jude uscendo dal bagno avvolto in un lungo asciugamano.

 

“Non sono stanco, sono esausto” aveva pensato Caleb, ma non aveva detto niente.

 

Stanco di cosa, vi chiederete, visto che se ne stava tutto il giorno a dormire o ad oziare?

 

Beh, Caleb era stanco mentalmente ed emotivamente.

 

Da mesi lui e Jude non si erano sfiorati neanche per sbaglio, da mesi in casa veleggiava un’aria gelida e ostile.

 

Caleb non aveva il coraggio di parlare, Jude ne avrebbe approfittato per buttargli addosso tutto il suo veleno represso e stavolta poteva sul serio finire male.

 

Ma Caleb soffriva, sentiva l’amore di Jude scomparire giorno per giorno, e si sentiva sempre più impotente.

 

Sapeva di essere lui il problema, di essere lui quello sbagliato, di dover reagire, riprendere a studiare, darsi una ripulita, prendersi cura di sé e della casa.

 

Ma non ne aveva la forza.

 

Caleb non era così, lui aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui, ma Jude sembrava sempre meno disposto ad assolvere questo compito.

 

-Mi ordino una pizza. Tu la vuoi o hai già fatto?- aveva domandato Jude dopo interminabili minuti di silenzio tombale, riferendosi alle patatine che Caleb aveva appena finito di mangiare.

 

-Sto bene così, grazie. Al limite ruberò qualche pezzo da te- aveva scherzato, ma Jude non aveva riso.

 

Caleb si era sentito rabbrividire, la paura non faceva che salire.

 

Si era alzato, aveva tolto le lenzuola in silenzio e le aveva sostituire con un paio pulito, sotto gli occhi del suo ragazzo che lo guardava come per dire “era ora!”.

 

-Vieni?- aveva domandato poi il castano, battendo una mano sul piumone ben disteso.

 

-Devo ricontrollare alcuni dati per domani. E poi sta arrivando la pizza- aveva risposto il rasta, aprendo una cartellina che aveva tirato fuori dalla sua valigetta che usava a lavoro.

 

Caleb gli si era avvicinato e lo aveva abbracciato da dietro mentre Jude sfogliava un fascicolo.

 

Il rasta si era irrigidito ed aveva fatto finta di dover andare a controllare il cellulare, liberandosi dalla sua stretta.

 

Caleb aveva sentito una fitta al cuore ed aveva mandato giù il magone che gli stava crescendo in gola.

 

Sarebbe stato troppo facile pensare che Jude lo stesse tradendo, dare la colpa a qualcun’altra per il disinteresse del suo ragazzo nei suoi confronti.

 

Ma la verità era che non c’era mai stato nessuno, non un flirt, non una conoscenza che andasse oltre la semplice amicizia.

 

Jude si stava allontanando a causa di Caleb, e questo il castano lo sapeva bene, lo vedeva avvenire sotto ai propri occhi giorno dopo giorno.

 

“Perché qualcuno dovrebbe volermi stare vicino?” Si era domandato tante volte.

 

Si era sempre considerato così fortunato nell’avere Jude al proprio fianco, come se avesse vinto alla lotteria, come se non si fosse realmente meritato il suo amore con la propria personalità.

 

Tuttora Caleb si domandava come diamine avesse fatto Jude ad innamorarsi di uno come lui.

 

Erano molto giovani a quel tempo, Jude era così inesperto e bisognoso d’affetto, Caleb era così determinato e feroce nel prendersi quello che voleva; e lo aveva fatto sempre, perché anche Jude era una di quelle cose che lui aveva sempre voluto.

 

Forse era stato proprio questo ad allontanare Jude: la poca determinazione che ormai Caleb dimostrava nella vita.

 

Prendeva tutto come gli capitava, aveva sempre qualcosa di cui lamentarsi e non faceva che fare rinunce, prevedendo i propri fallimenti.

 

Jude forse si era innamorato della sua aggressività; l’aveva persa subito, rammollito dalla troppa comodità delle braccia del suo fidanzato.

 

“Ma allora perché non torno ad essere come prima, ora che lui non c’è più?” Si domandava Caleb.

 

Avrebbe voluto tornare ad essere il vecchio Caleb, quello che andava in giro in moto con il giubbotto di pelle e che faceva terminare ogni serata in una rissa.

 

Quante volte era ritornato a casa tutto pestato dopo una scazzottata e Jude aveva dovuto accudirlo come un bambino, mentre si lamentava per il dolore ai medicamenti del rasta.

 

Dopo avevano sempre fatto l’amore, se Caleb ci rifletteva bene: a Jude piaceva quel suo lato selvaggio, e anche se gli raccomandava sempre di non mettersi nei guai infondo gli piaceva doversi prendere cura di lui, del leone ferito che torna a casa per farsi leccare le ferite.

 

Adesso al massimo Caleb avrebbe potuto auto infliggersele le ferite, per la voglia che aveva di mettersi a fare a cazzotti con qualcuno.

 

Il suo guscio ovattato, fatto di libri e peli di gatto che svolazzavano ovunque era troppo dolce e caldo per essere lasciato.

 

Ma tutto in quella casa sapeva ancora troppo di Jude.

 

E forse a Caleb infondo andava bene così.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


 

Quando si torna a star bene dopo la perdita di una persona?

 

La risposta esatta sarebbe “mai”.

 

Perché è vero, il tempo aggiusta tutto, ma non importa quanti mesi passino, quante nuove persone incontri, quanto tu riesca a distrarti; nel primo momento di sconforto sarà a quella persona che penserai, sala lei che vorrai al tuo fianco, anche se dentro di te l’avevi rinnegata, anche se credevi di aver dimenticato il male che ti ha fatto, anche se credevi di aver smesso di soffrire per lei.

 

Caleb era tornato a frequentare le lezioni dell’Università.

 

Non sapeva esattamente come o perché aveva deciso di farlo ma una mattina, di punto in bianco, aveva infilato la giacca ed il cappellino ed era uscito di casa, diretto verso la propria facoltà.

 

Si era seduto, si era guardato in torno, sentendosi uno del primo anno, nonostante fosse molto probabilmente uno dei più vecchi del corso in quel momento.

 

Aveva aspettato l’arrivo del professore, aveva firmato il foglio presenze, aveva cominciato a prendere appunti.

 

Non aveva senso, ne era consapevole, riprendere un corso dalla metà -in realtà era quasi alla fine- e soprattutto senza aver ripassato almeno un po’ i suoi vecchi appunti di quando lo frequentava.

 

Ma c’era stato qualcosa che lo aveva spinto, quella mattina, a buttarsi giù dal letto.

 

E Caleb sospettava che fosse qualcosa di molto simile all’amore per se stesso.

 

O forse era solamente il bisogno impellente di cambiare, di smettere di piangersi addosso e ricominciare a vivere.

 

E ci stava riuscendo, davvero: aveva ripreso a studiare, anche se solo per quel breve corso, aveva prenotato l’esame e l’aveva dato.

 

Ventidue su trenta non era un cattivo risultato in fondo, per uno che era certo di venire bocciato.

 

Per un po’ Caleb aveva creduto di essere ritornato a respirare.

 

Si stava rimettendo sotto con lo studio, aveva risistemato casa e gettato via tutte le piccole cose che Jude aveva dimenticato.

 

Aveva lavato la casa da cima a fondo, aveva ripreso a farsi la barba ed a lavarsi i vestiti.

 

Fino ad allora era sempre stato Jude ad occuparsi di queste cose, si era preso lui cura di Caleb in tutti quegli anni, perché conosceva bene la sua sciatteria.

 

Negli ultimi tempi però aveva cominciato a fregarsene anche lui, prima di sparire nel nulla.

 

Così, dopo mesi passati nella trascuratezza, Caleb si era dovuto rimboccare le maniche e darsi una ripulita.

 

Stava uscendo da quel tunnel di depressione finalmente, o almeno questo era quel che credeva.

 

Perché in uno di quei giorni in cui ritornava a casa a piedi dalla facoltà, gli sembrò ad un tratto di intravedere Jude, seduto ad un tavolino da bar assieme ad un altro ragazzo.

 

Lo aveva riconosciuto dai capelli, nessuno li portava così, o almeno non nella loro città.

 

Si era fermato, aveva guardato meglio.

 

“Non può essere” aveva pensato.

 

Solo tre mesi, tre fottuti mesi e Jude aveva già un altro ragazzo.

 

Caleb non poté fare a meno di pensare che, molto probabilmente, il tizio castano seduto con lui ai tavolini era il motivo per cui Jude lo aveva lasciato di punto in bianco.

 

Si sorridevano e chiacchieravano, si guardavano negli occhi.

 

Jude non portava neanche più gli occhiali.

 

Caleb sentì una fitta al petto, fortissima.

 

Ma il dolore si intensificò e si trasformò in una tortura quando vide Jude allungare il braccio per pulire la bocca del compagno con un tovagliolino di carta.

 

Caleb non riuscì a trattenersi; scoppiò in lacrime.

 

Si coprì con il cappuccio e si allontanò, a fatica.

 

Avrebbe voluto restare, avrebbe voluto continuare a guardare e girare il coltello nella piaga, farsi ancora più male, ancora di più di quello che si era fatto negli ultimi tre mesi.

 

Ma per un momento realizzò di non meritare tutto quel dolore e fu quel pensiero ad aiutarlo nell’allontanarsi.

 

Caleb avrebbe voluto avere uno sfogo, uno qualsiasi, avrebbe voluto trovare un modo per soffocare tutto quel dolore e intrappolarlo, in modo da non sentirlo più finché non fosse sparito.

 

In quel momento invidiò i tossicodipendenti e gli alcolisti; loro anche se per poco ci riuscivano a mettere a tacere il dolore.

 

Il ragazzo si sentì tutto d’un tratto tornato indietro di anni luce, nei suoi piccoli progressi.

 

Gli sembrò tutto inutile, l’università, il lavoro, il prendersi cura di sé.

 

Detestò tutto quanto e provò il profondo desiderio di scomparire e smettere finalmente di esistere.

 

Caleb non aveva nessuno, non un amico, non un familiare da cui andare a piangere per esprimere il suo dolore.

 

Caleb era solo, solo al mondo.

 

Ritornò a casa in lacrime e si diresse in bagno, dove prese a guardarsi allo specchio, le labbra che tremavano, gli occhi che distinguevano a malapena le forme del viso nel riflesso.

 

Ad un tratto realizzò di disprezzarsi e di odiarsi più di quanto avevano fatto gli altri durante il corso della sua vita.

 

Il suo primo nemico era sempre stato lui infondo.

 

Perché Caleb non era un tipo solitario, diversamente da quello che voleva far credere; lui detestava star solo, non avere nessuno con cui parlare, ma aveva dovuto fingere che fosse il contrario per non sembrare patetico se gli altri lo isolavano.

 

E Jude era sempre stato una ventata d’aria fresca, una luce nel buio per lui.

 

Si era cullato, per anni, perché sapeva di avere Jude e di non aver bisogno di nessun altro.

 

E ora che Jude non era più con lui, beh, Caleb si stava rendendo conto di quanto sarebbe stato utile invece farsi almeno un amico, avere una spalla su cui piangere; e si rese conto anche di quanto la sua vita fosse inutile e priva di alcun significato, immeritevole di essere vissuta.

 

Continuava a guardarsi allo specchio, pian piano aveva smesso di singhiozzare, il suo sguardo si era spento, così come il suo volto.

 

Caleb non voleva morire, non era quel genere di persona, sapeva quanto fosse preziosa la vita.

 

Ma non aveva più speranze e non riusciva davvero a vedere una luce in fondo a quel tunnel di disperazione che era diventata la sua esistenza.

 

Quando si perde una persona non si riesce mai ad andare avanti, a rimettersi in carreggiata.

 

Imputerai a quella perdita tutti i tuoi fallimenti, e reputerai tali anche i tuoi successi, perché senza quella persona nessuna vittoria sarà più una vittoria, sarà solo un altro giorno senza di lui.

 

Un altro giorno da sopportare nella consapevolezza della sua inutilità.

 

Caleb non aveva più forze.

 

E si sentì ad un tratto così stupido per essersi illuso per un po’ di essere riuscito ad andare avanti.

 

Si allontanò dal lavandino e si diresse verso il letto, sul quale dormiva beatamente la sua gattina.

 

Dormiva nel centro, come quando c’era Jude.

 

Lei adorava addormentarsi fra loro due.

 

Ora dormiva sola, accanto a Caleb e sentiva più freddo.

 

Anche lui aveva decisamente più freddo, ormai.

 

Si accucciò accanto alla bestiolina e si infilò sotto le coperte, senza neanche cambiarsi.

 

Tentò disperatamente di addormentarsi. Avrebbe tanto voluto non svegliarsi mai più.

 

Prima di prendere il sonnifero però inviò un messaggio al proprio capo, inventandosi che aveva preso l’influenza.

 

Poi abbracciò la gattina ed aspettò di sprofondare nell’unico luogo in cui riusciva a non soffrire, in quello dei sogni.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


 

 

 

Quando Caleb si risvegliò dovette domandarsi se davvero quello in cui si trovava non fosse altro che un sogno, uno di quelli in cui Jude era ancora con lui e tutto era ancora perfetto.

 

Perché c'era proprio Jude, con la testa appoggiata sul suo letto, e le mani strette attorno ad una di quelle di Caleb, mentre dormiva beatamente, senza più i suoi occhiali a coprirgli il viso.

 

Il ragazzo si guardò attorno realizzando di trovarsi in una stanza d'ospedale.

 

Jude -perché si, quello era proprio Jude, il suo Jude- era seduto su di una sedia affianco al suo letto e dormiva; si sarebbe detto un sonno leggero a giudicare dal ritmo del suo respiro e dall'espressione crucciata ma stanca del suo viso. 

 

Caleb mosse di poco la mano, sentendosi appena le dita.

 

Jude aprì lentamente gli occhi e li spalancò quando trovo il castano già sveglio, che lo guardava con un'espressione di puro stupore dipinta sul volto.

 

-Caleb- mormorò ansioso avvicinandosi subito al ragazzo che si ritrovò stretto in un abbraccio, ancor prima di poter capire cosa diamine fosse accaduto.

 

Magari era morto e quello era semplicemente il paradiso; perché le braccia di Jude in fondo gli diedero esattamente quella sensazione.

 

Le sue braccia tremarono mentre con insicurezza ricambiò quell'abbraccio prezioso. Lo strinse piano, senza applicare alcuna forza, quasi come se avesse avuto paura di poterlo rompere o di farlo scappare via se avesse applicato troppa pressione.

 

Jude aveva cominciato a piangere in silenzio mentre stringeva l'altro a se.

 

Sembrava così sollevato.

 

-Che cosa è successo...?-

 

La voce di Caleb era rauca, gli graffiò la gola mentre uscì.

 

Si rese conto in effetti di avere la gola a dir poco in fiamme.

 

-Niente amore mio, non è successo niente. Per fortuna stai bene- aveva detto Jude tirando su col naso mentre accarezzava con premura la schiena del castano.

 

Amore...amore mio?

 

Caleb credette davvero di trovarsi in un sogno; non era possibile, non più.

 

-Jude che ci fai qui...che ci faccio in questo letto, cos'è successo?-

 

Il tono di Caleb era così gentile, dolce, impaurito.

 

Jude si staccò guardandolo con espressione intenerita, mentre gli accarezzava dolcemente le guance.

 

-Mi dispiace così tanto piccolo. Così tanto. È tutta colpa mia, non meritavi di finire così. Spero che tu possa perdonarmi amore.-

 

Via via la sua voce si era fatta più rotta ed il ragazzo aveva ripreso a piangere.

 

Era così addolorato.

 

Ma cosa era successo?

 

Cos'aveva fatto Caleb per meritare tutto quell'affetto dal ragazzo che lo aveva buttato via come una cartaccia solo tre mesi prima?

 

Il viso del rasta era sconvolto, gli occhi gonfi per il pianto ed in viso il pallore di un cadavere.

 

Guardava Caleb e gli occhi gli tremavano, così come la bocca che non faceva che contrarsi in smorfie dettate dal pianto.

 

-Non capisco...-

 

Caleb si guardò l'ago ficcato nel polso e collegato alla flebo che affiancava il letto.

 

Poi altri fili a monitorargli il cuore, rimandando l'immagine su di uno schermo poco distante dalla flebo.

 

-Cos'è successo? Perché mi trovo qui?-

 

"Che ci fai tu qui" avrebbe voluto chiedere anche, ma quella domanda se la tenne per sé.

 

-Hai fatto una cosa tanto brutta piccolo...veramente tanto brutta. Per colpa mia. Ma ora sei fuori pericolo, ti hanno ripulito e ti stanno tenendo sotto controllo. Tornerai a casa con me, mh? E non ti lascerò mai più. Te lo prometto.-

 

La voce di Jude era rassicurante, fin troppo.

 

Caleb non comprese una sola parola di quelle che stava sentendo e riprese a fissare quei tubicini che sondavano la sua pelle.

 

"Io non ho fatto proprio nulla" pensò.

 

Jude gli accarezzava le mani e cercava di controllare il pianto, mentre fissava in modo ossessivo le espressioni che si susseguivano sul volto di Caleb.

 

Cercò di ricordare in tutti i modi che cosa fosse avvenuto, tentando di capire quale fosse la cosa tanto brutta che aveva fatto.

 

Poi si ricordò del letto, della gattina e del sonnifero.

 

Poteva davvero averne preso talmente tanto da aver addirittura rischiato la vita?

 

Guardò di nuovo Jude, riconoscendolo a stento a causa dell'espressione fin troppo apprensiva dipinta sul suo viso.

 

Ritirò la mano senza un motivo preciso.

 

Jude sussultò, ferito dal gesto ma lo accettò, sospirando mentre ancora tirava su col naso.

 

-Mi dispiace. Non pensavo di spingerti a tanto, non avrei mai voluto. Pensavo che fossi forte abbastanza, che sarebbe stato meglio così per entrambi. Mi dispiace così tanto.-

 

-Smettila ti prego. Non ho tentato il suicidio. Non lo farei mai.-

 

-Caleb non devi vergognarti!-

 

Le sue mani avevano afferrato istintivamente quella di Caleb ma lui l'aveva ritirata ancora, spinto da una rabbia che non sapeva neanche di possedere.

 

-Sei...sei un fottuto ipocrita. Che ci fai qui?! Che cosa vuoi, adesso? Mi hai spezzato il cuore cazzo, mi hai distrutto, mi hai annientato! Che cazzo ci fai qui, ora?!-

 

Jude aveva ripreso a piangere senza emettere un fiato.

 

Non staccava gli occhi dal volto di Caleb e lo guardava consapevole del dolore che aveva provocato in lui.

 

-Mi dispiace- era riuscito a dire soltanto, mentre scuoteva la testa.

 

Caleb aveva stretto le palpebre, incapace di sopportare quella vista straziante.

 

-Non voglio che torni con me per pietà. Non ho tentato il suicidio, volevo solo prendere subito sonno.-

 

-Alle tre del pomeriggio?!-

 

-Si! Cazzo si, alle tre del pomeriggio, esattamente un minuto dopo averti trovato mentre prendevi il tuo caffè con il tuo nuovo ragazzo!-

 

Jude aveva sussultato, sconvolto da quella rivelazione.

 

-Io...eri lì?-

 

Caleb si era strofinato gli occhi, sospirando di fastidio.

 

-Vaffanculo Jude, vaffanculo. Non ho tentato il fottuto suicidio, non l'ho fatto, non lo farei per te come per nessun altro. Nessuno è così importante. Volevo solo dormire e aspettare che la giornata passasse-

 

Jude scuoteva la testa, come se volesse ostinarsi a credere alla versione che gli avevano propinato i dottori.

 

-Ti hanno trovato i tuoi colleghi di lavoro questa mattina, incosciente e completamente disidratato. Eri addormentato da più di venti ore Caleb. E la dose che avevi in corpo ti avrebbe fatto restare incosciente almeno per altri due giorni. Quindi non venirmi a dire che non era un tentativo di-

 

-Ma tu che cosa vuoi saperne, mh?! Ti farebbe piacere sapere che il ragazzo che hai sfanculato dopo cinque anni di relazione ha tentato il suicidio per te, vero? Beh buongiorno Jude Sharp, il mondo non gira attorno a te e onestamente non me ne frega più un cazzo, né di te né delle tue fottute convinzioni da megalomane. Volevo soltanto dormire, che tu ci creda o no e non ho intenzione di svenarmi per riuscire a convincerti, non me ne importa. E adesso lasciami solo. Voglio il mio telefono, digli di ridarmi il mio cazzo di telefono- intimò Caleb, facendo cenno alla porta.

 

Jude aveva schiuso le labbra come se avesse voluto dire qualcosa ma non aveva parlato. Era uscito dalla stanza di Caleb e lo aveva lasciato da solo, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Si era seduto sulle sedie in corridoio ed era crollato contro la parete, sospirando mentre scoppiava nell'ennesimo pianto, incurante degli sguardi incuriositi dei visitatori o degli infermieri.

 

Dall'altro lato della parete Caleb restava immobile e fissava la grande finestra che dava sul parco cittadino.

 

All'esterno c'era un tempo da cani, scrosciava una pioggia a dir poco spaventosa e lui non aveva una macchina, non sapeva come ritornare a casa né tanto meno avrebbe potuto permettersi di chiamare un taxi; avrebbe aspettato il primo autobus utile e sarebbe rincasato almeno entro mezzanotte.

 

Staccò i vari tubicini dalle braccia e dal petto e cercò nella stanza i propri vestiti, non trovando però nessuna delle cose che gli appartenevano.

 

Era anche scalzo, dannazione.

 

Si affacciò in corridoio, sperando di trovare ancora il suo ex ragazzo nei paraggi.

 

Avverti una forte fitta al cuore quando lo trovò singhiozzante, con le mani sul viso, la testa appoggiata al muro e la bocca schiusa, presa dai sussulti che gli facevano tremare tutto il corpo.

 

Gli ricordò il pianto dei bambini; dopo una forte crisi, anche se cercano di smettere di piangere ci vuole un po' prima che riescano del tutto a calmarsi e continuano a sussultare involontariamente, scossi da brividi incontrollati.

 

-Scusami...-

 

Jude lo aveva guardato con gli occhi socchiusi, il volto rosso e rigato dalle lacrime, la bocca ancora ansimante.

 

-Potresti procurarmi qualcosa da mettermi? Voglio tornare a casa mia.-

 

Jude aveva annuito mettendosi in piedi mentre si ripuliva il viso con i polsi della camicia.

 

-Ma certo. Aspettami qui.- aveva detto per poi sparire lungo il corridoio dopo avergli dato un ultimo sguardo insicuro, accompagnato da un sorriso forzato.

 

Caleb aveva sospirato e si era grattato la testa, confuso.

 

Non riusciva davvero a crederci che il suo presunto tentativo di suicidio avesse potuto gettare così tanto Jude nell'angoscia.

 

Pensava di non contare più nulla per lui, anzi ormai ne era certo.

 

Tutta quella situazione era talmente strana e surreale che più volte fantasticò sull'effettiva eventualità di trovarsi in un sogno.

 

E altrettante volte aveva riflettuto sulla possibilità che quel suo aver rischiato involontariamente di morire fosse stato in realtà dettato da una volontà recondita che si ostinava a non accettare.

 

"Io non voglio morire" si ripeteva, per convincersi che no, lui non era così debole, che nonostante tutte le volte in cui la vita glielo aveva messo amaramente nel culo lui non si era mai arreso, che l'abbandono di Jude era stata solo l'ennesima delle sfighe superate fino ad allora, che certamente sarebbe bastato solo qualche altro mese ed avrebbe superato anche quella;

 

Eppure una lontana consapevolezza gli pulsava nella testa, ferma lì a ricordargli che spesso ci aveva pensato, ed aveva anche riflettuto su quale sarebbe stato il metodo meno doloroso per riuscirci.

 

Anche prima che Jude lo abbandonasse, anche quando andava tutto bene; 

 

Certe persone lo hanno proprio dentro, il suicidio, la morte. E Caleb era una di queste.

 

Ma non si sarebbe arreso, non lui.

 

Quella voce poteva andare al diavolo e la vita con tutta la merda che aveva ancora in serbo per lui, poteva andare a farsi fottere.

 

E anche Jude, si, decisamente lui doveva andare al diavolo più di chiunque altro.

 

Questa sua convinzione vacillò parecchio però, quando lo vide andargli incontro con un sacchetto di ciambelle ed una bustina bianca appesa fra le dita.

 

-Ti ho portato la cena. E purtroppo questo è tutto ciò che sono riuscito a recuperare, un paio di ciabatte ed un pigiama. Puoi prendere la mia giacca, comunque.-

 

Caleb prese entrambi i sacchetti senza dire una parola e tornò a chiudersi nella sua stanza, dove rimase più del dovuto, cercando di capire che cosa sarebbe successo da quel momento in poi.

 

Jude lo avrebbe ripreso con se, dopo ben tre mesi di completo e improvviso abbandono?

 

Si sarebbe preso cura di lui ed avrebbe cercato di far finta di nulla, guidato dal senso di colpa per aver spinto una persona al suicidio?

 

Spinto dalla pena?

 

Per quanto Caleb avesse sperato in un suo ritorno nell'arco di quelle lunghe e dolorose settimane, non era certo di riuscire a sopportare una situazione del genere; Jude non lo amava più, che senso avrebbe avuto ormai?

 

Provò a mangiare ma la gola gli faceva troppo male, gli bruciava da far paura.

 

Svuotò un'intera bottiglietta d'acqua scoprendosi incredibilmente assetato e si guardò per bene attorno, prima di lasciare la stanza, per assicurarsi di non aver lasciato nulla di suo in quel luogo.

 

Quando uscì notò Jude scattare in piedi, mentre gli si avvicinava porgendogli la giacca.

 

-Sicuro di voler andare? Ti stavano tenendo sotto osservazione, sai per assicurarsi di-

 

-Sta zitto. Riportami a casa e non aggiungere altro.- gli disse, prendendo la giacca con fare aggressivo.

 

Jude non provò più a parlare, divorato dal senso di colpa.

 

Il viaggio in auto fu silenzioso; l'uno era troppo orgoglioso per concedere una conversazione e l'altro troppo in preda alla vergogna per azzardarsi ad iniziarne una.

 

Giunti sotto casa di Caleb -un tempo anche casa di Jude- il castano si rese conto di non avere le chiavi, così l'altro ne tirò fuori una copia dal proprio portafogli, porgendola al padrone di casa.

 

-Era la mia, non te l'ho mai ridata indietro.- spiegò, di fronte allo sguardo interrogativo di Caleb.

 

Il castano la prese, strappandola prepotentemente dalle mani del rasta, facendolo sussultare.

 

Indugiò parecchio prima di riuscire ad uscire dall'auto; rimasero per parecchio tempo immobili, zitti, incerti sul voler terminare quel loro incontro quasi forzato.

 

-Ti va se ti accompagno su?-

 

Caleb non rispose, ma Jude capì comunque che quello era un sì, per cui quando il castano uscì dall'auto lui lo seguì continuando a mantenere il silenzio, mentre camminava con la coda fra le gambe.

 

Caleb fece strada, entrando in casa per primo.

 

-Non ho niente da offrirti, ti avviso. Se ti va bene un po' d'acqua del rubinetto...-

 

Si bloccò, guardando la sua gatta già fra le braccia del rasta, mentre si faceva coccolare come non aveva mai fatto con lui.

 

-Ma guarda 'sta stronza...- osservò, facendo ridere Jude che fece spallucce mentre la micia non la smetteva di miagolare, estremamente contenta di rivedere il suo padrone.

 

-Dell'acqua comunque andrà benissimo. Se vuoi ordino d'asporto e ci facciamo consegnare qui-

 

-Chi ti ha invitato a restare? Volevi solo accompagnarmi su, no? Quindi ecco la tua acqua- mormorò sbattendo il bicchiere sul tavolo -e porta fuori il tuo culo aristocratico-

 

Jude perse immediatamente il sorriso e osservò Caleb dirigersi alla finestra, la sua finestra preferita, quella dalla quale si appostava la mattina appollaiato sulla sua poltrona sfondata per criticare chi si alzava presto per andare a lavoro.

 

Quella casa era fin troppo pregna di ricordi e stare lì gli stava facendo venire il magone, così decise di andar via, tanto Caleb nemmeno ce lo voleva più lì.

 

-Non avevi il diritto di farlo- 

 

Le parole di Caleb bloccarono Jude mentre si dirigeva verso la porta, pronto ad andare via.

 

-Mi hai completamente spiazzato. Mi hai colto di sorpresa, anzi dire che mi hai pugnalato alle spalle sarebbe decisamente una definizione più corretta.

Mi hai buttato via, Jude. Mi hai fatto sentire come se non valessi nulla. E lo so che infondo è così, non valgo nulla, ma non era compito tuo farmelo capire-

 

-Caleb aspetta, io non-

 

-Sta zitto e fammi finire. Ho pianto ogni fottuto giorno da quando te ne sei andato. Per cinque anni mi sono completamente affidato a te, certo che non mi avresti abbandonato mai, che avrei sempre potuto contare su di te, almeno su di te. Ho progettato il mio futuro contando sul fatto che tu ci saresti stato. Ho sopportato ogni giorno quel lavoro di merda perché sapevo che a casa c'eri tu, ad aspettarmi. Ogni mattina cercavo di dormire il più possibile solo per bruciare gran parte della giornata in attesa del tuo rientro. Tu Jude sei stato la mia vita per cinque fottuti anni. Avrei dato tutto per te, tutto. Avrei potuto sopportare qualsiasi cosa, ti avrei perdonato di tutto perché ho sempre saputo che eri decisamente troppo per uno come me e che non ti meritavo. Ma tu, Jude. Tu mi hai annientato.

Non mi hai concesso neanche un chiarimento, una spiegazione, uno scambio di opinioni, che cazzo ne so. Un qualsiasi cenno mi sarebbe bastato, davvero, io me lo sarei fatto andar bene, qualunque esso fosse stato. E invece niente, mi hai rinnegato, mi hai tagliato fuori Jude mi hai chiuso in una stanza ed hai buttato la chiave, come con un ricordo col quale non vuoi più avere niente a che fare. E adesso tu, vieni qui dopo tre mesi solo perché ho rischiato di lasciarci la pelle per colpa di un cazzo di sonnifero e di un disperato bisogno di dormire per sempre. E si Jude, si lo ammetto, forse un po' lo volevo davvero, forse è stato il mio inconscio a farmelo fare, perché speravo davvero di non poter più riaprire gli occhi e vivere un altro giorno senza di te. Ma solo perché adesso vuoi sentirti la coscienza pulita per aver quasi ammazzato una persona, non vuol dire che io sarò qui ad aspettarti a braccia aperte, perché sei stato tu a spingermi a questo ed io ti odio- disse Caleb scoppiando in un pianto prepotente -io ti odio fottutamente tanto, ti odio come non ho mai odiato nessun altro e non potrò mai perdonarti per come mi hai abbandonato-

 

Jude stringeva le proprie braccia attorno a Caleb e rispondeva al suo pianto con il proprio, mentre il castano faceva di tutto per allontanarlo da sé.

 

-Non mi devi toccare- singhiozzò tirandogli un pugno sul petto -lasciami, non ne hai il diritto-

 

Jude non si arrendeva ed incassava i colpi del castano con passività, conscio di meritare molto di più di semplice dolore fisico.

 

-Io non ti odio per avermi lasciato- mormorò Caleb rallentando il ritmo dei pugni, permettendo così a Jude di avvicinarsi maggiormente.

 

-Non ti odio per quello. Ti odio per il modo in cui l'hai fatto, perché te ne sei andato come un ladro, senza ritenermi degno neanche di una misera spiegazione. Come hai potuto- 

 

La voce di Caleb ormai era totalmente distrutta dal pianto ed il ragazzo era fuori di sé dalla rabbia.

 

Per la primissima volta aveva potuto davvero sfogarsi di tutto il dolore accumulato in quei mesi e per giunta con il responsabile del suo dolore; e non lo avrebbe mai pensato, credeva che ci sarebbe voluto molto di più per farlo capitolare, per farlo finire direttamente fra le braccia di Jude.

 

Eppure quando questi con la bocca tremante si avvicinò alla sua per sussurrargli un semplice "mi dispiace" Caleb sentì di aver dato sfogo al rancore abbastanza, e di potersi finalmente concedere ciò a cui aveva pensato fin dal primo incontro, quel pomeriggio, con il suo ex ragazzo: le sue labbra.

 

Sembrarono così dolci, calde, piene.

 

E la sua lingua poi fu così gentile, lenta, precisa.

 

A Caleb sembrò di essere stato catapultato in uno dei suoi sogni, uno di quelli in cui continuava la vecchia vita insieme a Jude, senza paure, senza problemi.

 

Jude lo prese in braccio, provocando un sussulto nel castano che gli si aggrappò immediatamente al collo, mentre l'altro percorreva i pochi passi che li separavano dal letto matrimoniale.

 

I vantaggi di vivere in un monolocale.

 

Lo appoggiò sulle coperte, nel lato dove di solito si metteva quando dormivano insieme; lo ricoprì e gli si stese di fianco, per poi cominciare a guardarlo mentre gli accarezzava dolcemente una guancia, giocando con i suoi bei capelli castani.

 

Non fecero nulla, a malapena si abbracciarono, quella notte.

 

Jude strinse Caleb fra le braccia, gli baciò teneramente la testa e gli accarezzò i capelli, ascoltando il suo respiro mentre diventava sempre più regolare e profondo man mano che scivolava nel sonno.

 

E Caleb si lasciò stringere, senza ricambiare, ma chiudendo le proprie braccia contro il proprio petto, come un bimbo piccolo che si accuccia fra le braccia grandi e protettive della propria mamma.

 

 

 

 

 

 

•••

 

Ho un libro che parla di Rimbaud da qualche parte. Dice che per uno scrittore è impossibile creare qualcosa di non autobiografico. Non che io mi definisca una scrittrice, però questa storia è decisamente la dimostrazione del pensiero espresso in quel libro. 

Ho cominciato questa storia qualche mese fa, penso fosse settembre, o ottobre. Ero completamente divorata dal dolore e dalla rabbia. E forse per questo poi l'ho abbandonata, perché stavo meglio. Inevitabilmente si guarisce, da ogni male, anche se non del tutto: te ne porti dentro sempre un pezzettino. 

In me quel "pezzettino" è ancora tanto grande, ma è normale, è relativamente presto, ancora.

Purtroppo non avrò un lieto fine come ho deciso per il nostro Caleb ma guarirò anch'io e imparerò, come con tutte le cose.

Detto ciò ringrazio di cuore chi ha seguito la storia, non era tanto interessante ma per me è stato un vero e proprio sfogo; non smetterò mai di immedesimarmi nel mio punk preferito❤️

Farò un piccolo epilogo, decidendo una volta per tutte il destino del mio tesoro grande Caleb, poi la storia sarà conclusa. È decisamente una delle mie preferite e sarà sempre parte di me, anche se è breve. 

Grazie a tutti❤️

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


 

"Ciao Jude.

 

Sei addormentato mentre ti scrivo queste parole.

Non avrei mai il coraggio di dirtele in faccia, né tanto meno di andare semplicemente via, senza una spiegazione.

Non la farò tanto lunga, infondo non c'è un granché da spiegare.

Se te lo stai domandando no, sta tranquillo, non è perché non ti amo più; proprio perché ti amo ho deciso di farlo, di andarmene, e liberarti dal peso che hai dovuto accollarti dopo quello che è successo.

Tu ci hai provato, ti sei impegnato al massimo per far funzionare le cose, stavolta, e te ne sono così grato, non puoi neanche immaginare quanto io lo apprezzi;

Ma dopo un mese di convivenza, una convivenza forzata, anche se nessuno dei due vuole ammetterlo, ho capito che ci stavamo soltanto facendo del male l'un l'altro, ancora.

Hai preso questa bella casa, tutte le mie cose ormai sono qui, sono relativamente poche infondo, quindi puoi farne ciò che vuoi; puoi tenerle o buttarle via, a te la scelta. A me non cambierà più di tanto.

Questo non è un addio, perché trovo che sarebbe stupido dirci addio; abbiamo ventiquattro anni, tutta la vita davanti e ancora ci amiamo, in fondo, anche se non siamo capaci di far funzionare le cose come dovrebbero; da questo punto di vista penso che siamo semplicemente incompatibili: due anime dipendenti l'una dall'altra, ma al tempo stesso reciprocamente deleterie.

Eppure sento che in qualche modo continueremo a ritrovarci, in tutte le piccole cose di ogni giorno, anche se adesso dobbiamo separarci. Quindi no, non è decisamente un addio. Sarai sempre con me infondo, perché sei parte di me. Lo sei sempre stato.

Ed è proprio perché ormai mi sei entrato dentro così tanto che devo andarmene; non importa dove, a fare cosa. Non è importante.

È fondamentale che io mi stacchi da te e da tutto ciò che hai significato nella mia vita: sei stato il mio appoggio costante, la mia sicurezza, il mio posto sicuro; e mi sono reso conto di quanto tutto ciò fosse negativo, soltanto quando quel posto sicuro mi è venuto a mancare, facendomi ritrovare ad un tratto da solo, incapace di camminare con le mie forze.

Questo sei stato per me Jude: la mia forza, il mio motivo per affrontare tutto quanto.

Ecco, vorrei essere capace di non dover contare più su nessuno; tutto l'amore che ho dato a te io vorrei provare a darlo a me stesso.

Fa ridere dirlo, ma ho ancora tanto bisogno di crescere, di maturare, di formarmi; tu mi hai bloccato, perché invece di costruire su me stesso ho costruito la mia vita appoggiata alla tua; e quando te ne sei andato, inesorabilmente, il mio mondo traballante è crollato.

Voglio imparare a camminare da solo e a fare affidamento prima di tutto su di me; voglio amarmi e farmi del bene, e sento che finché ci sarai tu a leccarmi le ferite, questo non sarà mai possibile.

Ti amo Jude, ti amo con tutto me stesso, e questo amore ti ha soffocato, fino a farti scappare via da me.

Non posso accettare di tenerti ancora così legato a me, non è giusto; imparerò a farcela con le mie sole forze, e tu avrai sempre il merito di avermi spinto finalmente a rimettermi in piedi, avrai il merito di avermi reso indipendente.

Forse ci rincontreremo, chissà, restiamo pur sempre sulla terra e la vita è ancora lunga.

Ma semmai ci rincontreremo sappi che sarò una persona diversa; sarò completo, e soprattutto sarò una persona che qualcuno possa veramente amare: sarò una persona che si ama e che mette se stessa al primo posto.

Una cosa è certa, non potremo farci più del male.

 

Sarai sempre tu l'unico ragazzo che io abbia mai amato.

 

Arrivederci Jude,

 

C. S.

 

 

 

P.s.

Perdonami ma non ho potuto fare a meno di portare con me la piccola tigre; concedimelo come regalo d'addio."

 

 

 

 

Una lacrima calda colpì la lettera mentre due mani tremanti la sostenevano.

 

Il foglio cominciò ad inumidirsi, invaso dalla goccia che prese a sfumare l'inchiostro.

 

Guardò il letto, ancora sfatto, mentre già sentiva la mancanza della gattina che gli saltava sulle ginocchia non appena provava a sedersi.

 

Poi guardò l'armadio schiuso, intravedendo il vuoto nella metà di Caleb.

 

Doveva essere andato via durante la notte, mentre lui dormiva profondamente, perché non aveva sentito nulla, non un sospiro, un piccolo rumore, un crepitìo.

 

Si asciugò una lacrima.

 

Avrebbe avuto molto tempo per piangere.

 

Non prese tutto ciò come una vendetta però: in quegli ultimi tempi aveva imparato a conoscere un nuovo Caleb, uno insicuro ma speranzoso, ma soprattutto benevolo; non gli avrebbe mai fatto del male, neanche per vendetta.

 

Sorrise, orgoglioso della sua scelta, seppure ferito.

 

Anche lui infondo sapeva che sarebbe stato meglio così per entrambi, almeno per il momento.

 

E sapeva anche che infondo Caleb lo aveva fatto per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

••••

 

 

 

 

 

 

E siamo alla fine! Non sono del tutto soddisfatta della lettera di Caleb ma va bene così. Se avrò tempo e voglia prima o poi ci farò uno spin off, perché no.

 

Intanto ringrazio tutti per aver seguito la storia, era veramente arrivato il momento di concluderla, mi pesava un po'.

 

Spero il "finale" vi sia piaciuto, io lo considero comunque un lieto fine.

 

Grazie a tutti❤️

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