True Colors

di pampa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Jaime I ***
Capitolo 3: *** Brienne I ***
Capitolo 4: *** Jaime II ***
Capitolo 5: *** Brienne II ***
Capitolo 6: *** Jaime III ***
Capitolo 7: *** Brienne III ***
Capitolo 8: *** Jaime IV ***
Capitolo 9: *** Brienne IV ***
Capitolo 10: *** Jaime V ***
Capitolo 11: *** Brienne V ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


"Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all'antica perfezione." - Simposio, Platone.
 
 
 


Alla nascita, siamo tutti ciechi. Col tempo, poi, riusciamo a mettere a fuoco ciò che ci circonda: volti, case, alberi, nuvole. Tutto quanto assume una determinata forma e siamo in grado di distinguere ciò che si trova di fronte ai nostri occhi. Ma manca ancora qualcosa, una parte fondamentale che ci permetta di ammirare il mondo al suo massimo splendore. Ogni cosa ha una sua tonalità: bianco, grigio chiaro, nero. Colori tetri e spenti, colori tristi sono ciò che vede colui che non ha ancora trovato la sua vera felicità, la sua anima gemella. Non è dato sapere se e quando tale persona avrà il privilegio di poter finalmente distinguere il rosso, il verde o il blu, ma è cosa certa che ognuno di noi ha una sua metà sperduta in qualche parte del mondo, in qualche epoca, con la quale è destinato a riunirsi per sentirsi di nuovo completo.

Questo era ciò che i Maestri avevano raccontato a Jaime Lannister sin da bambino, ma lui sapeva che erano sono delle idiozie. O meglio, non poteva giudicare per gli altri, ma lui era nato assieme alla sua metà, eppure il mondo era sempre stato grigio. Amava Cersei con tutto se stesso e mai, nella sua vita, aveva volto lo sguardo verso un’altra donna, per quanto bella potesse essere. Perché nessuna l’avrebbe mai completato come faceva la sua gemella. Perciò, al diavolo i colori, al diavolo le dicerie, erano solo sciocchezze inventate per dare speranza a quei poveretti che, non riuscendo a trovare nessuno che li amasse, immaginavano che forse, in un’altra vita, quel qualcuno sarebbe arrivato.

Tuttavia, quando suo fratello lo aveva raggiunto dopo aver conosciuto la giovane Tysha rivelandogli che aveva iniziato a vedere i colori, Jaime ne era rimasto alquanto stupito. Tyrion, come lui, non aveva mai creduto davvero a questa storia delle “anime gemelle”, eppure sembrava che qualcosa in lui fosse cambiato da quando aveva conosciuto sua moglie. Questa rivelazione, insieme al fatto che scoprì che anche suo padre, il fiero e sprezzante Tywin Lannister, era in grado di vedere altri colori oltre al grigio, cominciò a fargli credere che fosse lui il problema. Probabilmente, aveva un qualche difetto agli occhi sin dalla nascita e questo avrebbe spiegato perché non era in grado di vedere il mondo al suo meglio nonostante avesse sempre avuto Cersei al suo fianco.

Non aveva mai osato chiedere se anche lei avesse lo stesso problema, poiché il timore di una risposta tanto positiva quanto negativa lo aveva sempre fatto desistere. Dal canto suo, Cersei non sembrava essersi mai curata di questa storia e, sebbene questo fosse strano vista la sua fissazione con le profezie, Jaime non volle mai smuovere le acque. Il suo amore per Cersei era l’unica cosa che contasse e a quello si sarebbe aggrappato fino alla fine dei suoi giorni, sapendo che la profezia sull’anima gemella, per lui, non era valida. O almeno lo sapeva fino al giorno in cui non riuscì a distinguere per la prima volta il giallo e il blu.










NOTE AUTRICE:
Salve a tutti ^^ Eccomi qui con la mia prima Soulmate e prima long sul fandom di GoT. Intanto, grazie se avete letto fin qui. Questo capitolo introduttivo è stato molto corto, ma i prossimi saranno più lunghi. Cercherò di pubblicare una volta a settimana (impegni vari permettendo ^^”). Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio e se l’idea vi piace :) Ci vediamo al prossimo capitolo!
Baci, pampa

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Capitolo 2
*** Jaime I ***


JAIME I



 

La prigionia non donava a Jaime Lannister. Nell’ultimo anno era diventato più magro, i suoi muscoli un tempo scolpiti stavano perdendo la loro forma, sul mento gli era cresciuta una barba incolta che mai aveva avuto prima. Con quella barba, e i capelli unti e sporchi, non somigliava più a Cersei.

Dovrò darmi una sistemata prima di tornare da lei. Sempre ammesso che ci riesca.

Il suo – non troppo furbo, col senno di poi – piano di fuga si era rivelato un disastro. Aveva ucciso suo cugino e una guardia per riuscire a fare giusto due passi nell’accampamento, prima di venire nuovamente catturato e incatenato. La sua situazione era decisamente peggiorata e Jaime era certo che l’unica cosa che avesse impedito a quella gente di ucciderlo era il timore della reazione di Tywin Lannister. Il nome di suo padre era la sua unica garanzia. Certe volte invidiava l’astuzia del fratello: Tyrion avrebbe convinto gli Stark a rilasciarlo nel giro di pochi giorni. In effetti, era davvero riuscito a farlo.

Jaime si lasciò sfuggire un sorrisetto amaro. Si era preoccupato quando aveva scoperto del rapimento di Tyrion e aveva agito d’impulso, come se il suo fratellino avesse davvero bisogno di lui.

Ah, Tyrion. Immagino mi aspetti una bella ramanzina, se mai dovessi riuscire a rivederti.

Udì dei passi avvicinarsi alla sua cella. Alzò la testa – non gli erano concessi grandi movimenti – e vide Lady Catelyn di fronte a lui. Aveva portato con sé due guardie, ma Jaime non avrebbe potuto nuocerle nemmeno volendo. E di certo non era così stupido da attaccare la madre del Giovane Lupo.

«Lasciaci soli.» intimò al carceriere.

Egli, nonostante un primo tentativo di resistenza, obbedì all’ordine della sua signora e se ne andò. Jaime lo seguì con lo sguardo e, dietro le sbarre, gli sembrò di vedere un riflesso dorato.

Sbattè le palpebre, cercando di mettere meglio a fuoco. C’era una guardia molto alta e robusta, e indossava un’armatura… sì, dorata.

Tyrion gli aveva detto che lui e Cersei avevano i capelli di quel colore. Erano dunque cominciate le allucinazioni, pensò. Anche se, in teoria…

Ma il colore di quell’indumento passò in secondo piano quando Jaime si rese conto di ciò che aveva di fronte.

«Ma quella è una donna?»

Sentendosi chiamare in causa, la donna entrò nella cella, mettendosi al fianco di Lady Catelyn. Era molto più alta di lei, probabilmente superava anche lui, ed era pure più robusta. Se si fosse trattato di un uomo, non ci avrebbe fatto caso più di tanto. Jaime aveva un fisico prestante, ma molti uomini erano più grossi di lui. Ma una donna… Quella poveretta sembrava uno scherzo della natura. Gli fece quasi pena.

«I miei uomini vogliono la tua testa, Sterminatore di Re.» La sua attenzione tornò nuovamente su Lady Catelyn. Perché i suoi capelli erano diventati rossi? Stava veramente cominciando a perdere il senno?

«Mi sembra di non stare troppo simpatico a Lord Karstark.»

Catelyn lo fulminò con lo sguardo. Aveva gli occhi azzurri?

«Hai ucciso suo figlio!»

«Oh» fu l’unica reazione di Jaime. Se mandate i figli dei nobili a fare il lavoro delle guardie, poi non dovreste lamentarvi se incappano in qualche… incidente. «Mi dispiace, ma si era trovato sulla mia strada e ho dovuto agire di conseguenza.»

«Sei un uomo senza onore.»

Eccolo lì: Lo sguardo di disprezzo e superiorità che l’intero continente gli riservava. Uomo senza onore. Spergiuro. Come se loro non avessero difetti.

La metà di quegli uomini è peggiore di me, compreso il tuo amato Ned Stark. Che uomo onorevole. Talmente onorevole che alla prima occasione ha tradito sua moglie con una sgualdrina di una qualche taverna, mentre si recava a Sud per commettere un regicidio.

«No, non sei nemmeno un uomo» continuò lei. «Hai disonorato tutti i tuoi giuramenti, Sterminatore di Re.»

«Giuramenti su giuramenti» sbottò Jaime. Non aveva le forze per tenersi tutto dentro anche quella volta. «Ti fanno giurare di onorare tuo padre, di proteggere il re, di difendere gli innocenti. Ma se il re massacra gli innocenti? Che cosa si deve fare in quel caso?»

Catelyn sgranò gli occhi.

Già. Tu, come tuo marito, come centinaia di altre persone, non avresti saputo cosa fare. Fortuna che c’ero io al fianco di Aerys in quel momento.

«Qualunque cosa tu faccia, finirai sempre per infrangere un voto. Quindi la cosa migliore è imparare ad agire secondo la propria coscienza, così da non avere rimorsi.»

E se lo avessi capito prima, forse molte sofferenze sarebbero state evitate. Rhaella, Rickard e Brandon Stark. Rhaegar. E decine di innocenti che il Re Folle aveva bruciato vivi per il puro gusto di farlo.

“Bruciateli tutti! Bruciateli tutti!”

«È questo ciò che ti racconti la notte, Sterminatore di Re? Che hai una coscienza?»

Jaime trattenne a stento uno sbuffo.

«Sai, tuo marito mi aveva detto una cosa simile, tempo fa. Ma dimmi, lui cosa si raccontava ogni volta che giaceva con te, sussurrandoti dolci parole d’amore, e poi si ritrovava di fronte quel ragazzo… Come si chiamava?»

Jon Snow. Lo ricordava bene, ma il volto sconvolto di Lady Catelyn in quel momento era impagabile. La donna, però, ritrovò subito la calma. Non avrebbe perso le staffe di fronte allo Sterminatore di Re.

«Dammi la spada.»

La donna in armatura le porse una delle sue due spade. Per un attimo, Jaime temette di aver esagerato e di essersi condannato con le sue stesse mani, ma Lady Stark sarebbe stata una sciocca ad assassinarlo mentre Cersei aveva le sue figlie.

Catelyn si avvicinò a lui, puntandogli la lama al petto. Il suo sguardo era determinato.

«Ser Jaime Lannister» disse in tono autorevole, «in nome dei nuovi e antichi Dei, giura di non prendere mai più le armi contro gli Stark o i Tully.»

Jaime non capì il perché di quella richiesta, vagamente egoistica e pure inutile. Accettò comunque.

Io non combatterò più contro la tua famiglia. È una promessa a nome di Jaime, non dei Lannister.

Catelyn sembrò soddisfatta dalla sua risposta e proseguì.

«E giuri che, una volta tornato ad Approdo del Re, mi farai riavere le mie figlie, Sansa e Arya Stark, vive e illese?»

Questa richiesta era già più interessante.

«Volentieri, mia signora» rispose. «Se potrò tornare ad Approdo del Re, lo farò senz’altro.»

Lei lo fissò negli occhi, forse in cerca di un inganno. Dopo qualche secondo, Lady Catelyn annuì, ma non abbassò la spada.

«Brienne ti scorterà fino alla Capitale da tua sorella» storse la bocca, «dalla tua amante, e si assicurerà che lo scambio avvenga come stabilito. Tu farai tutto ciò che è in tuo potere per agevolare tale manovra. Ho la tua parola, Sterminatore di Re?»

All’improvviso la mia parola ha assunto un qualche valore per te, mia lady?

«Hai la mia parola» disse, serio.

Non gli importava delle ragazzine Stark, ma desiderava tornare da Cersei con tutte le sue forze. Ne aveva bisogno, erano lontani da troppo tempo.

E Cersei non rifiuterà questo scambio.

Catelyn sembrò soddisfatta. Restituì la spada alla sua proprietaria – Brienne – e le ordinò di liberarlo. Il donnone ruppe le catene, passandogli accanto e avvicinando di molto la sua seconda spada a lui.

È stupida? Oppure sa che in questo momento non potrei batterla?

Aveva spezzato le catene con facilità, quindi era discretamente forte. Molto forte considerato che era una donna. Quando Brienne gli tolse di dosso tutte quelle catene ingombranti, Jaime sospirò. Riusciva a sentirsi di nuovo collo e spalle ed era una sensazione magnifica. Brienne gli liberò anche i polsi, ma solo il tempo di lasciarvi tornare la circolazione, perché lo legò nuovamente, questa volta con le mani davanti al corpo. Mentre era china su di lui, Jaime notò che aveva capelli color paglia, molto più spenti e sciupati di quelli di Cersei. Alla luce della torcia dietro di lei, assumevano una sfumatura arancione.

Tutto l’ambiente intorno a lui era mutato. Sembrava più vivo rispetto a pochi minuti prima, quando era ancora solo, ma l’ipotesi della pazzia era ormai da escludersi. Aveva formulato frasi e pensieri troppo lucidi per poter essere in preda a delle allucinazioni. Forse era la stanchezza che gli stava giocando un brutto tiro. La stanchezza e la prigionia, probabilmente. Anche se in teoria non avrebbe dovuto vedere i colori.

Brienne lo aiutò ad alzarsi in piedi e, per un momento, i loro sguardi si incrociarono. I suoi occhi erano grandi e di un blu intenso.

Erano gli occhi più belli che Jaime avesse mai visto.
 

 
Avevano cavalcato per tutta la notte, intenzionati a mettere più distanza possibile tra loro e l’accampamento Stark. Jaime era quasi certo che il Giovane Lupo fosse all’oscuro dei piani di sua madre per liberare il loro ostaggio più prezioso.

Sarei rimasto solo per assistere allo spettacolo di un litigio tra Stark.

A un tratto il suo cavallo si fermò. Fu Brienne a fermarlo, naturalmente, così come era stata lei a guidarlo per tutto il viaggio. A Jaime era stato donato un sacco di juta da portare in testa non appena si era ritrovato in sella. Sentì il tonfo dei piedi che colpivano il terreno e capì che la donzella era smontata. Dopo pochi secondi, si sentì tirare giù dal cavallo – in modo molto poco aggraziato – e sentì quest'ultimo nitrire mentre si allontanava al galoppo.

Non vorrà farci andare a piedi? Jaime era certo che non avrebbero percorso la Strada del Re, dunque sarebbero passati per forza dai boschi. Non riteneva saggio muoversi senza cavalcature in due, specie se questi due erano un prigioniero – ancora forte, ma disarmato – e una donna. O peggio, non dovrò mica cavalcare appiccicato a lei?

Quando Brienne si decise a restituirgli la vista, Jaime fu accecato dalla luce del Sole e dovette abbassare lo sguardo. Prima di rialzare gli occhi verso la sua carceriera, notò di essere seduto su una distesa verde. Questo gli riportò alla mente un altro fatto avvenuto la notte precedente: aveva improvvisamente cominciato a vedere il mondo a colori.

«Forza, alzati.»

Jaime obbedì. Alla luce del giorno, la donzella era ancora più brutta di quanto gli fosse sembrata prima. E i suoi occhi di un azzurro più limpido e intenso.

«Andiamo, non c’è tempo da perdere.»

Jaime aveva le mani legate da una corda e Brienne ne teneva l’altra estremità. Cominciò a camminare, trascinandoselo dietro.

«Tranquilla, donzella. Abbiamo messo una distanza sufficiente tra noi e i tuoi compagni, non riusciranno a raggiungerci tanto in fretta.»

«Non sono miei compagni» rispose lei. «E non chiamarmi donzella.»

«Oh, perdonami. Nonostante l’aspetto, ero quasi certo che fossi una femmina.»

Brienne arrossì, ma non disse niente. Jaime aveva sperato in uno scatto d’ira che gli desse la possibilità di distrarla per scappare, ma sembrava che avrebbe dovuto sopportarla ancora un po’.

«Se non vuoi che ti chiami donzella, allora dimmi il tuo nome. Il mio suppongo tu lo sappia già.»

«Certo che lo so, Sterminatore di Re.»

Un’altra che si sente in diritto di giudicare.

«Veramente mi chiamerei Jaime Lannister. Se vogliamo usare i nostri soprannomi, però, per me non ci sono problemi, donzella

Calcò sull’ultima parola e, finalmente, riuscì a strapparle qualche informazione.

«Mi chiamo Brienne di Tarth.»

Tarth. Era un’isola minore fedele a Capo Tempesta, se ricordava bene. Piccola, ma ricca e ospitale. Dicevano che le sue acque erano talmente limpide da sembrare degli zaffiri.

Forse sono come i suoi occhi.

Giunsero in riva a un fiumiciattolo, dove li attendeva una barca. Brienne si guardò intorno, in cerca di eventuali minacce, prima di avvicinarsi all’imbarcazione.

«Sali.»

«Sai» disse Jaime, «sarebbe molto gentile da parte tua slegarmi. Non posso certo farti del male né fuggire mentre siamo in acqua.»

Brienne lo guardò con disprezzo, sopprimendo a stento uno sbuffo.

«Mi prendi per stupida, per caso? Le tue mani saranno legate fino alle porte di Approdo del Re. Anzi, finchè non avrò visto Sansa e Arya Stark.»

«Sai almeno che aspetto abbiano?» le chiese. «Come sai che non ti rifileranno due ragazzine a caso?»

«So che Sansa somiglia a sua madre» E questo era vero. «Inoltre, hai dato la tua parola a Lady Catelyn. Se hai ancora un briciolo di onore, non mi ingannerai.»

Una sognatrice e un’idealista. Com’ero io, prima di scontrarmi con la dura realtà.

«Ora sali, forza!»

Stavolta Jaime obbedì.

La barca era troppo piccola per loro due, così le loro gambe finirono per essere quasi intrecciate. Brienne, però, non ci fece caso e cominciò a remare.

Se potessi afferrare quel remo, sarei salvo nel giro di pochi minuti. La donzella sarà anche cresciuta su un’isola, ma se la butto in acqua con tutto l’acciaio che ha addosso, affogherà senz’altro.

«Quanto dista la riva su cui vuoi approdare?»

«Qualche miglia» rispose Brienne. «Per questo volevo partire il prima possibile. Non è sicuro viaggiare su queste acque di notte.»

Non è sicuro viaggiare di notte in generale di questi tempi.

«Sì, hai ragione, Brienne» disse, sperando di ammansirla elogiandola e chiamandola per nome. «Quindi sarai d’accordo con me che in due remeremmo molto più in fretta.»

Brienne sbuffò.
«C’è un remo solo, nel caso non lo avessi notato» rispose. «Usarlo a quattro mani renderebbe il lavoro solo più faticoso.»

«Allora lascia che sia io a faticare. Le lady non dovrebbero compiere certi lavori, anche quando sono degli omaccioni come te.»

Brienne lo ignorò.

È testarda.

Più tempo passava, meno probabilità aveva di riuscire ad approfittare di quell’occasione per fuggire. Forse, quando si fossero accampati per la notte, Jaime avrebbe potuto attendere che lei si addormentasse, ucciderla e, alle prime luci dell’alba, mettersi in marcia da solo.

“Hai dato la tua parola a Lady Catelyn.”

Come se contasse qualcosa.

“Se hai ancora un briciolo di onore, non mi ingannerai.”

Ai Sette Inferi tu e l’onore. Sono lo Sterminatore di Re, donzella: non conosco il significato di quella parola.

Tuttavia, Jaime decise che avrebbe tentato di nuovo la fuga l’indomani. Uccidere una donna nel sonno sarebbe stato un gesto troppo infimo persino per lui.

Gettò la testa all’indietro, inspirando a fondo l’aria pulita intorno a lui. Dopo mesi seduto sui suoi stessi escrementi, qualunque odore sarebbe stato inebriante per il suo naso. Il cielo era di un azzurro limpido quella mattina, solo poche nuvole sparse a decorarlo.

Ecco un’altra rogna a cui pensare.

Secondo i Maestri, il mondo diventava più luminoso e colorato quando si incontrava la propria anima gemella, dunque, dal momento che Jaime era nato assieme a essa, non avrebbe dovuto conoscere altra versione del mondo che quella. Eppure per anni aveva visto solo attraverso il bianco, il grigio e il nero, e solo la notte scorsa aveva finalmente conosciuto gli altri colori.

Chiuse gli occhi, cercando di ricordare come fossero effettivamente andate le cose. Prima dell’arrivo di Catelyn Stark era stato tutto normale. Anche quando avevano iniziato a parlare, non era accaduto niente di strano, tuttavia i capelli della donna si erano trasformati da neri a ramati nel tempo di un battito di ciglia. Dunque doveva essere cambiato qualcosa in quel frangente. Lei era entrata, insieme ad un’altra guardia, poi quella era uscita, scambiandosi con…

Aprì gli occhi di scatto.

Brienne.

Il primo colore che aveva visto era stato l’oro della sua armatura. Da quel momento, tutto intorno a lui aveva preso a mutare colore, diventando più vivo. Ma era stato un caso, giusto?

Guardò la donna di fronte a sé. Era interamente concentrata sul manovrare quella piccola imbarcazione il più velocemente possibile, senza però rischiare di farli cadere in acqua. La fronte corrugata le donava un aspetto ancor più grottesco di prima, se possibile. Gli occhi erano davvero l’unica cosa bella di lei.
Jaime represse una risata. Sarebbe stato imbarazzante spiegare alla donzella qual era il motivo di tanta ilarità. Perché gli dei potevano essere crudeli, o pazzi talvolta, ma nemmeno loro potevano avere un tale senso dell’umorismo.

Brienne di Tarth l’anima gemella di Jaime Lannister?

Jaime focalizzò i suoi pensieri su Cersei o sarebbe veramente scoppiato a ridere.








NOTE AUTRICE:
Ciao a tutti! Avevo detto che avrei aggiornato una volta a settimana, ma dal momento che il prologo era molto corto, ho pensato di proporre subito il primo capitolo ^^ Intanto, ne approfitto per darvi qualche highlights sulla storia: come avrete notato, questo capitolo è POV Jaime. Ho deciso di strutturare la narrazione alternando ad ogni capitolo POV Jaime e POV Brienne, così da avere più spazio per l'introspezione di entrambi i personaggi. Inoltre, farò un po' un mix tra serie e libro, rielaborando scene o informazioni presenti sia nell'uno che nell'altro.
Bene, detto ciò, grazie a chi ha letto fin qui e a chiunque vorrà farmi sapere il suo parere ^^. Ci vediamo al prossimo capitolo!
Baci, pampa
 

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Capitolo 3
*** Brienne I ***


BRIENNE I 
 
 
 
Erano riusciti a tornare sulla terraferma prima che il Sole calasse e, da quel momento, lo Sterminatore di Re era stato molto più pacato e taciturno, per fortuna. Aveva cercato di farsi slegare i polsi mentre Brienne accendeva il fuoco e preparava la cena, dicendo che non era onorevole far lavorare una donna mentre lui se ne stava a poltrire. Lei, ovviamente, non aveva ceduto e, dopo quel momento, Jaime si era acquietato del tutto. Non aveva nemmeno provato ad offrirsi di fare la guardia, forse perché aveva finalmente capito che non avrebbe ottenuto altro che un diniego, o forse era troppo stanco per continuare a discutere.

A ogni modo, prima o poi Brienne avrebbe avuto bisogno di riposare, anche se dubitava che avrebbe dormito sonni tranquilli sapendo che tra lei e una potenziale minaccia, c’era solo Jaime Lannister. Alla prima occasione, l’uomo avrebbe cercato di fregarla e di fuggire, e più si fossero avvicinati ad Approdo del Re, più sarebbe stato semplice trovare uomini disposti a tutto pur di entrare nelle grazie dei Lannister. Inoltre, a Brienne non erano sfuggite le occhiate che Jaime aveva lanciato alle sue spade. La sua fama di grande spadaccino lo precedeva e, sebbene Brienne fosse un’abile combattente e la prigionia avesse indebolito il Leone dei Lannister, avrebbe volentieri fatto a meno di battersi con lui. Il suo compito era di riportarlo dalla sorella sano e salvo e, se durante uno scontro si fosse dovuta trattenere, avrebbe potuto rimetterci la vita. Avrebbe dovuto fare molta attenzione a non farlo avvicinare alle spade. Forse avrebbe dovuto portarle entrambe a un fianco, così da poter tenere Jaime a distanza, ma sarebbe stato tremendamente scomodo e, qualora si fosse distratta, lui avrebbe potuto prenderle tutte e due in un colpo solo, lasciandola così disarmata. E Brienne era certa che lo Sterminatore di Re non avrebbe avuto problemi ad uccidere una donna indifesa. Lo aveva già fatto in passato con il suo re.

Le ore passarono. Jaime era profondamente addormentato, mentre Brienne si era concessa qualche minuto di riposo di tanto in tanto. Intorno a loro regnava il silenzio, l’unico suono proveniva dallo scoppiettio delle fiamme arancioni in mezzo a loro. Da qualche giorno aveva cominciato a vedere il mondo con occhi diversi, letteralmente. Anzi, non era nemmeno da così tanto tempo. La notte in cui lei e Jaime erano partiti aveva iniziato a vedere qualcosa di strano. Ricordava di aver visto le fiamme delle torce fuori dalla cella, i capelli di Lady Catelyn che erano improvvisamente divenuti rossi e, mentre liberava Jaime dalle catene, aveva scorto il colore dorato della sua stessa armatura. E poi aveva incrociato il suo sguardo. Aveva due occhi verde smeraldo, molto profondi e affascinanti.

Anche in stracci e coperto di sterco, Jaime Lannister rimane un bell’uomo, non lo si può negare.

Sbattè le palpebre, confusa. Durante la mattina e anche nel pomeriggio, per i Sette, persino poco prima di raggiungere la cella di Jaime, Brienne non aveva visto niente di strano. I capelli della sua lady erano sempre stati neri e la sua armatura grigiastra. Era stato solo dopo… Solo dopo l’incontro con Jaime Lannister che le cose erano cambiate.

Brienne si lasciò sfuggire una risatina.

Jaime Lannister l’anima gemella di Brienne di Tarth?

Gli dei non potevano avere un tale senso dell’umorismo.

Brienne era una donna, sì, ma piatta quanto un uomo e più alta della maggior parte di loro. Era robusta e muscolosa, non possedeva le sinuose curve femminili, né la grazia di una lady. Era un cavaliere e il suo corpo era pieno di cicatrici, e una donna simile non avrebbe mai potuto essere attraente per nessuno.

“Quando un uomo si mostrerà gentile con te, lo farà solo per il tuo titolo. Se non ci credi, ti basterà guardarti allo specchio per averne conferma.”

Brienne si era rassegnata da anni all’idea che non avrebbe mai trovato la sua anima gemella. Nonostante talvolta ci sperasse ancora, pensare che essa non solo esistesse, ma fosse addirittura Jaime Lannister era talmente assurdo che probabilmente le informazioni dei Maestri riguardo questo argomento erano errate. Forse erano degli avvenimenti importanti ciò che facevano diventare il mondo pieno di colori, e tali avvenimenti, per molte persone, avevano a che fare con la nascita dell’amore. Ecco perché si era creato questo equivoco. Essere stata scelta come scorta dello Sterminatore di Re, aver sentito quanta fiducia la sua signora riponesse in lei, era stato abbastanza importante da cambiare il mondo per Brienne.

Evidentemente aver danzato con Renly ed essere stata scelta come cavaliere nella Guardia Arcobaleno non erano stati fatti veramente importanti per lei. Forse si trattava di un ragionamento forzato, ma decisamente più plausibile della possibilità che lei avesse un’anima gemella e che questi fosse niente meno che Jaime Lannister.

Il prigioniero mugolò qualcosa, cambiando posizione, e Brienne temette che si stesse svegliando. Non aveva voglia di sopportare i suoi insulti o di affrontare i suoi tentativi di persuasione, perciò si accovacciò meglio contro il tronco al quale era appoggiata e restò in silenzio. Fortunatamente, Jaime continuò a dormire. Brienne sentiva le palpebre farsi pesanti, ma non si fidava ad addormentarsi, così fece appello a tutte le sue forze per restare sveglia. Si concentrò sulle fiamme che aveva ravvivato da poco e sui suoi colori sgargianti che poteva ammirare per la prima volta nella sua vita.

A Galladon sarebbero piaciute.

Cercava di non pensare troppo al fratello, poiché il suo ricordo la faceva ancora soffrire. Galladon non l’aveva mai guardata con disgusto o compassione, era sempre stato gentile con lei e l’aveva incoraggiata a coltivare il suo sogno di diventare cavaliere. Per certi versi era stato molto simile a Renly. E adesso erano entrambi morti. Non era riuscita a proteggerli, li aveva delusi e, se avesse fallito nella sua missione di riportare Jaime ad Approdo del Re, avrebbe deluso anche Lady Catelyn.




«Non ignorarmi, donzella. Ti ho fatto una domanda.»

Da quando si erano rimessi in marcia, circa un paio d’ore prima, Jaime non aveva chiuso la bocca un minuto. Prima aveva cercato di farsi slegare, dicendo che i polsi gli facevano male e che era poco cavalleresco da parte sua lasciarlo soffrire; poi, dopo l’ennesimo rifiuto, aveva cominciato a insultarla, ripetendo le stesse frasi che Brienne si sentiva rivolgere da tutta la vita; in ultimo stava cercando di fare conversazione come se fossero due amici in una taverna. A un certo punto forse avrebbe anche provato a corteggiarla.

«Donzella, la strada è ancora lunga» continuò a lamentarsi.

E insiste con quello stupido nomignolo.

«Ti avevo scambiata per un cavaliere, ma a quanto pare sei una sorella del silenzio.»

Brienne prese un profondo respiro. Era chiaro che tutto quello che Jaime faceva fosse finalizzato a farle perdere il controllo, ma lei non gli avrebbe mai dato una simile soddisfazione. Tuttavia il suo chiacchiericcio continuo stava diventando fastidioso e, in fondo, non c’era niente di male nel rispondergli.

«E va bene, Sterminatore di Re. Parliamo pure.»

«Bene! » esclamò lui, soddisfatto. «Allora rispondi alla mia domanda.»

Brienne ci pensò un attimo, poi si voltò verso di lui. I loro occhi si incrociarono e vedere quel verde intenso per poco non la fece arrossire.

«Non mi stavi nemmeno ascoltando?»

«No, non ti ascoltavo. Tanto non stavi dicendo niente di importante.»

Jaime sbuffò.

«Che ne sai? Magari ti stavo informando che oltre quegli alberi c’è un accampamento Lannister e che dunque avresti fatto meglio a fuggire, prima di essere uccisa.»

Brienne lanciò un’occhiata veloce di fronte a sé.

«Dal momento che non c’è nessuno, però, la tua informazione non mi sarebbe stata di alcuna utilità.»

Jaime le rivolse un mezzo sorriso. «Vero. Hai fratelli o sorelle? Era questa la domanda.»

«No.»

Sperò che dal suo tono Jaime avesse intuito che quell’argomento era chiuso lì.

Se riuscisse anche a capire che non voglio parlare di nessun argomento, sarebbe ancora meglio.

«Peccato. Sarebbe stato un altro tratto in comune tra noi. Oltre ai capelli biondi e al titolo. Oh, aspetta» aggiunse, e Brienne sapeva già che cosa avrebbe detto. «Io sono un cavaliere, tu sei solo una lady.»

«Tu non sei degno del titolo che porti» ribatté lei con astio.

«Nemmeno tu, credimi. Sei la creatura meno femminile che abbia mai visto. I giovani Tyrell, entrambi direi, sono decisamente delle lady più degne di te. Persino il povero Renly lo era.»

«Modera i termini!» Non importava ciò che diceva su di lei, ma Brienne non gli avrebbe permesso di insultare Renly. «Renly sarebbe stato un grande re.»

Purtroppo, l’enfasi con cui aveva reagito aveva rivelato i suoi sentimenti, infatti Jaime disse:

«Oh. Dunque eri innamorata di lui.»

«Non ero innamorata di lui!»

Stupida! Se lo dici mentre arrossisci, non sei molto credibile.

«Oh, sì che lo eri. Mi dispiace, dev’essere stato brutto assistere alla sua morte» poi rise. «Ti prego, dimmi che non era la tua anima gemella. Sarebbe davvero troppo triste.»

Così triste che ti diverte, vedo.

Sarebbe stato bello, se lo fosse stato. Non le importava se lui non l’avrebbe mai amata, le sarebbe bastato sapere che era legata a una persona buona e dolce come Renly.

L’opposto dell’uomo che ho di fronte e che dovrebbe essere la mia presunta metà.

«Non lo era» Ed era la verità.

«Immaginavo. Credo che fosse Loras Tyrell il suo grande amore. Un po’ mi dispiace per lui.»

«Davvero? »

«Davvero» rispose, serio. Brienne gli credette.

«Quindi non hai ancora incontrato il tuo lui? O la tua lei, per quanto ne so. Di che colore vedi l’erba?»

«Certo che sei insistente!»

«Ehi, hai detto che potevamo parlare. Vuoi rimangiartelo, donzella?»

«Se servisse a farti stare zitto, sì.»

«Be, non servirà» ribatté Jaime.

Brienne inspirò a fondo, reprimendo il desiderio di prenderlo a pugni.

«Va bene. Però io ho già risposto a una tua domanda, quindi tocca a me.»

Jaime annuì.

«Di che colore vedi tu l’erba?»

Non sapeva perché gli avesse ritorto contro la sua stessa domanda. Il fatto che lui avesse incontrato o meno l’anima gemella, a lei non cambiava niente.

«Verde» rispose sicuro. «Mai vista diversamente.»

Jaime le rivolse un sorrisetto eloquente e Brienne non ebbe bisogno di chiedere spiegazioni. A quanto pare, lui e Cersei erano gemelli in più sensi di quanto tutti credessero. Quella rivelazione, però, la tranquillizzò.

Il legame tra due anime gemelle doveva essere reciproco e, il fatto che Jaime ne avesse avuta una da sempre, faceva sì che non potesse essere la metà di Brienne.

«Il tuo turno, donzella.»

«Non riesci proprio a tenere a mente il mio nome, eh?»

Jaime ridacchiò. «Certo, Brienne. Nome carino, ma “donzella” lo trovo più adatto. O preferisci che ti chiami “Mia Lady Brienne”?»

«Va bene Brienne e basta.»
 
«Allora, donzella» Brienne si rassegnò al fatto che non avrebbe mai smesso di chiamarla così. «Tu vedi l’erba verde o grigia?»

«La vedo grigia» mentì. L’ultima cosa che voleva era che Jaime Lannister cominciasse a indagare sul come e sul quando era avvenuto il cambiamento. Se avesse scoperto che c’era anche lui quando ciò era successo, si sarebbe sicuramente montato la testa e avrebbe preso a deriderla per tutto il tragitto.

«Ah, povera donzella. Ma vedrai che un giorno troverai qualcuno in grado di amarti per quello che sei» le disse, sforzandosi di trattenere una risata. Ovviamente, anche lui sapeva che non sarebbe mai successo.

Continuarono a parlare per molto tempo, passando però ad argomenti meno privati. Brienne raccontò dei suoi allenamenti con il maestro d’armi e Jaime sembrò sinceramente interessato ai suoi racconti. I pochi a cui ne aveva parlato l’avevano sempre schernita o semplicemente ignorata, ma lui ricambiava con storie dei suoi allenamenti, aggiungendo anche di tanto in tanto qualche aneddoto divertente su suo fratello minore, Tyrion. Brienne sapeva che il folletto era disprezzato in quasi tutto il regno, girava voce che lo stesso Tywin Lannister ne fosse disgustato, ma quando Jaime parlava di lui i suoi occhi si illuminavano e, da come lo descriveva, si capiva che era orgoglioso di lui.

Gli vuole bene. Come ne volevo io a Galladon.

Rispetto a quella mattina, Jaime sembrava molto più rilassato e, di tanto in tanto, si ricordava anche di chiamarla per nome. Non era una compagnia così spiacevole, dopotutto.

«È un peccato che tu non abbia fratelli» disse ad un tratto. «Ci si diverte sempre di più quando si è in tanti.»

Lo so, avrebbe voluto ribattere, ma non le andava di parlare di Galladon, Alysanne e Aryanne, così si limitò a non rispondere. Purtroppo, si era dimostrata troppo incline a conversare nell’ultimo tratto di strada e Jaime si accorse del suo improvviso silenzio.

«Ho detto qualcosa di male?» le chiese.

Brienne si voltò verso di lui. Jaime la stava guardando – fissando ­– e sembrava preoccupato. Distolse velocemente lo sguardo, prima di rischiare di avere una reazione sconveniente.

«Brienne?»

È serio. La chiamava così solo quando parlava seriamente. Sospirò. In fondo, non c’era niente di male nel dirglielo.

Incrociò nuovamente i suoi occhi verdi, imponendosi di mantenere la calma.

«Quando prima ti ho detto… di non avere fratelli» spiegò. «Intendevo dire… che non ho fratelli adesso

Jaime aggrottò la fronte, poi capì.

«Quanti erano?» chiese.

«Tre. Un maschio e due gemelle, morte poco dopo la nascita.»

Lui annuì.

«Mi dispiace.»

«Lascia perdere…»

«Dico sul serio» tirò la corda con la quale Brienne lo stava tenendo legato, facendola fermare. «Ho anch’io dei fratelli, ricordi? Non so cosa farei se dovessi perderli.»

Brienne non ebbe bisogno di chiedere se fosse sincero o meno. Le bastò uno sguardo per avere la risposta.

«Ti auguro di non doverlo mai scoprire.»

Jaime sgranò gli occhi. Quel commento così gentile doveva averlo sorpreso. Le accennò un mezzo sorriso e Brienne si impose di ricordarsi che quello che aveva davanti era lo Sterminatore di Re e un suo prigioniero. Non avrebbero dovuto fare amicizia.

«Dai, muoviamoci. Si sta facendo buio» disse, cercando di riportare le cose al giusto ordine. Peccato che fosse già troppo tardi.

 

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Capitolo 4
*** Jaime II ***


NOTE: In questo capitolo ci sarà l’incontro con Locke e i suoi uomini, con tutto ciò che ne segue. Pertanto verrà fatta menzione di un tentato stupro. Tra le note della storia non ho messo “Tematiche delicate” perché di fatto l’argomento viene trattato solo qui, ma se credete che dovrei comunque aggiungerlo, fatemelo sapere. Vi lascio al capitolo ^^


 
JAIME II


 
I primi giorni trascorsero più piacevolmente di quanto Jaime avesse osato sperare. La donzella non era una carceriera crudele, né una guardia stupida: era sempre all’erta e faceva molta attenzione a non esporsi mai troppo, anche quando erano costretti a uscire dai boschi. Jaime apprezzava questo suo lato e aveva imparato a lasciarla fare, stranamente fiducioso in lei. Anche Brienne sembrava aver cominciato a fidarsi di lui, per quanto una donna onorevole come lei potesse fidarsi dello Sterminatore di Re.

Jaime aveva notato le occhiaie sotto gli occhi di lei e quando la notte precedente aveva proposto alla donzella di riposare e lasciare che fosse lui a montare la guardia, lei aveva stranamente accettato. Probabilmente era stanca al punto di non aver voglia di sprecare altre energie a discutere con lui.

Jaime l’aveva osservata dormire per tutto il tempo, ravvivando di tanto in tanto il fuoco e assicurandosi che non vi fossero banditi o bestie feroci nei dintorni. Solo al mattino, quando Brienne si era svegliata e gli aveva rivolto un’espressione stupita, Jaime si rese conto che avrebbe potuto approfittare di quell’occasione per fuggire.

Dopotutto, sono il più stupido dei Lannister, no?

Tuttavia non sarebbe stata una buona idea girovagare da solo nella foresta in piena notte, legato e disarmato. Sarebbe stato un vero e proprio suicidio, per questo non lo aveva nemmeno preso in considerazione.

Inoltre Brienne lo stava portando proprio da Cersei e non era nemmeno una compagnia così terribile. Poteva anche continuare il viaggio con lei. Magari di lì a qualche giorno avrebbe anche accettato di slegarlo.

«Avresti dovuto svegliarmi» disse Brienne. «Te lo avevo detto chiaramente.»

«Sai, sei la prima persona che incontro che si lamenta per non aver potuto fare il suo turno di guardia. Ma in effetti tu sei particolare per molte cose.»

Brienne sbuffò.

«Bene. Ma vedi di non addormentarti mentre viaggiamo, perché non ti porto in braccio.»

Se lo volessi, sono quasi certo che ci riusciresti, dimagrito come sono.

«Non lo vorrei mai, mia signora.- rispose, rivolgendole un sorrisetto divertito. Sapeva quali sarebbero state le sue successive parole.

«Non sono la tua signora!»

Dei, quanto mi diverte infastidirla!

«Come vuoi, donzella.»

Brienne non rispondeva mai a due frecciatine di seguito, perciò si limitò a strattonare la corda con cui lo teneva legato, facendogli accelerare il passo e quasi inciampare. Era molto forte.

«Piano, donzella. Sono reduce da una notte insonne, ricordi?»

«La colpa è solo tua, quindi non lamentarti.»

«Mi lamento se mi costringi a correre. Non sono più un giovanotto, sai.»

«Ma smettila!» sbottò lei, voltandosi verso di lui. «Tieni il passo e non darmi fastidio.»

Jaime rise. «Ma se è la cosa che…»

Si zittì di colpo. A pochi metri da loro stava passando un contadino con il suo mulo. Brienne seguì il suo sguardo e Jaime notò lo stesso panico che provava lui divampare nei suoi grandi occhi blu. Se si fossero allontanati, avrebbero fatto rumore, soprattutto Brienne, vestita in acciaio e con due spade al fianco. Ma anche restare lì e aspettare che l’uomo passasse oltre poteva essere comunque rischioso: erano in piena vista e se lui si fosse voltato verso destra anche di pochi gradi…

L’uomo li vide e si fermò.

«Andate a Sud?» chiese.

Fu Jaime a rispondere. Non dovevano destare più sospetti del dovuto, comportandosi in modo strano.

«Sì. Tu?»

«Delta delle Acque. Vi tenete lontani dalla strada, vedo.»

I due annuirono.

«Saggia decisione. Non si sa mai chi si può incontrare, di questi tempi.»

«Hai ragione» concordò stavolta Brienne.

L’uomo chinò il capo in segno di saluto, augurando loro buon viaggio e allontanandosi.

Jaime sapeva che non avrebbero potuto lasciarlo andare vivo, ma era Brienne quella armata. Non gli avrebbe mai consegnato una spada, perciò avrebbe dovuto farlo lei per forza.

Mi dispiace, donzella.

Probabilmente non ha mai ucciso nessuno, pensò Jaime. Che la sua prima vittima dovesse essere un anziano la cui unica colpa era stata aver attraversato la foresta nel momento sbagliato era crudele, ma necessario se volevano proseguire il loro viaggio e raggiungere le giovani Stark.

Tuttavia, Brienne sembrava non essere intenzionata a fare un solo passo verso quell’uomo.

«Mi ha riconosciuto» le sussurrò.

«Non puoi saperlo.»

«Non possiamo nemmeno essere certi del contrario, però» le fece notare.

Brienne, devi farlo. È l’unico modo.

«Non lo faremo» replicò lei, ma Jaime notò dal suo tono che aveva ancora qualche dubbio.

«Se mi ha riconosciuto e lo dice a qualcuno, non potremo mai arrivare ad Approdo del Re e salvare le figlie di Catelyn Stark.»

Sperò che la promessa fatta alla sua signora sarebbe stata sufficiente a indurla ad agire, ma così non fu. Brienne lo spinse nella direzione dalla quale era provenuto il contadino, ormai scomparso dalla loro vista, proseguendo per il loro cammino come se niente fosse.

Era preoccupata, glielo leggeva negli occhi, ma non avrebbe ucciso un innocente.

Stupida onorevole donzella.


 
Non parlarono molto dopo quell’incontro. Jaime camminava di fronte a Brienne, quindi non aveva modo di sapere a cosa stesse pensando, ma non gli importava nemmeno. Perché dopo quello che era successo, il loro viaggio non sarebbe più stato sicuro. Un prigioniero con una donna in armatura a scortarlo: dubitava che ci fossero molte altre coppie come loro che attraversavano le Terre dei Fiumi.

Doveva andarsene. Da solo avrebbe dato meno nell’occhio e forse avrebbe potuto incontrare qualche fedele Lannister lungo la strada, disposto ad aiutarlo in cambio di una ricompensa in oro. Il problema era sbarazzarsi di Brienne. Aveva bisogno di una spada e non avrebbe potuto rubargliela senza doverla affrontare. E uccidere.

Se avessi passato meno tempo a fissarla e più a cercare di derubarla mentre era incosciente, adesso non avrei questo problema.

Raggiunsero la riva del fiume e lì si presentò un secondo problema. L’unico modo per attraversarlo era un ponte in pietra, da cui sarebbero stati facilmente individuabili. E se l’anziano contadino avesse detto a qualcuno di aver incontrato due viaggiatori sospetti, sicuramente ci sarebbero stati occhi puntati su quel ponte. Aggirare il fiume era però un’idea assurda, poiché avrebbero impiegato troppo tempo.

Di male in peggio.

«Dobbiamo attraversare il ponte» disse Brienne.

«Sai che non è una buona idea.»

«Lo so, ma non ci sono alternative. Camminiamo in fretta e preghiamo gli Dei che nessuno ci veda.»

Jaime si voltò a guardarla. I suoi occhi erano calmi, determinati. Fiduciosi che le cose sarebbero andate per il meglio.

Non voglio ucciderla. Ma, se non lo faccio, non potrò tornare da Cersei.

Se avesse affrontato Brienne a duello, l’esito sarebbe stato incerto. Jaime era sicuramente più forte di lei normalmente, ma dopo un anno di prigionia avrebbe avuto qualche difficoltà a batterla. Doveva agire in fretta, sfruttando l’elemento sorpresa. E doveva farlo prima che attraversassero il ponte.

«Coraggio» lo spronò Brienne. «Prima lo facciamo, meglio è. Poi magari ci fermiamo a riposare un po’ prima, oggi.»

Grazie dell’idea, Brienne.

«Aspetta. Fermiamoci ora» e, per enfatizzare la richiesta, Jaime si sedette a terra.

Brienne sgranò gli occhi.

«Che fai?! Alzati, forza. Non possiamo restare qui!»

«Perché? Non passerà più nessuno, vedrai. E poi sono stanco.»

«Ti avevo avvisato di non lamentarti» lo rimproverò Brienne, accovacciandosi su di lui.

Brava, vieni un po’ più vicino.

«Cammina. Riposerai quando sarà il momento.»

«No, sono troppo stanco. Le gambe non mi reggono più e i piedi… Ah, sapessi che male. Credo mi siano venute delle vesciche, sai?»

«Oh, poverino, quanto mi dispiace» commentò Brienne, prendendolo per le braccia e aiutandolo a tirarsi in piedi. Il volto di Jaime era ad una spanna dalla spada sinistra. Ancora pochi centimetri…

«Non ne ho mai avute in vita mia.»

Le mani di Jaime si serrarono sull’impugnatura della spada e, con uno strattone all’indietro, si allontanò da Brienne. L’effetto sorpresa aveva funzionato, anche se per poco. Brienne trattenne subito la corda, ma Jaime con un fendente preciso la tagliò, liberandosi.

Aveva ancora i polsi legati, ma poteva muoversi liberamente. Si fece ruotare la spada tra le mani. Era una bellissima sensazione, sentirsi nuovamente completo.

Brienne estrasse la seconda spada e si mise in posizione difensiva. Avrebbero dovuto combattere.

«Metti giù quella spada e non tentare mai più di giocarmi uno scherzo simile» La sua voce era calma, sicura. Come i suoi occhi.

Devo tornare da Cersei.

«Mi dispiace, donzella» disse Jaime, rivolgendole un mezzo sorriso. «Ma la nostra scampagnata insieme finisce oggi. Ti dirò» proseguì, mentre testava la presa sull’elsa, «un po’ mi dispiace che debba andare così.»

Alzò la spada e si scagliò verso di lei. Brienne parò il colpo senza troppa difficoltà. Jaime tentò un altro affondo e un altro e un altro, ma lei era brava e riusciva a difendersi ogni volta.

Quando fu il suo turno di contrattaccare, la danza si ripeté allo stesso modo. Brienne era molto rumorosa mentre combatteva e questo andava a suo svantaggio.

«Non grugnire prima di un affondo o svelerai le tue mosse.»

Si fermarono. Jaime ansimava, Brienne non si era scomposta più di tanto. Rimasero a guardarsi, verde nel blu, come due leoni pronti a scattare. Lei non avrebbe fatto la prima mossa, Jaime lo sapeva.

«E’ un bel dilemma, vero?» la canzonò. «Non puoi uccidermi, altrimenti verresti meno alla promessa fatta a Lady Catelyn. Ma, se non lo fai, sarò io ad uccidere te.»

Jaime tentò un colpo dal basso, ma Brienne lo respinse con più forza di prima. Avanzò decisa verso di lui, attaccandolo con tutta la forza che aveva.

Merda, l’ho fatta incazzare.

Jaime riuscì a parare quasi tutti i colpi, anche se a fatica. L’ultimo, però, lo mandò a terra. Sbattè la testa su uno dei sassi della riva, aprendosi un taglio sulla fronte. Le cose non stavano andando come avrebbero dovuto.

Fortunatamente non aveva perso la presa sulla spada e quando Brienne gli fu vicino, lui riuscì a ferirla alla coscia destra. Brienne imprecò per il dolore, ma non gli lasciò il tempo di rimettersi in piedi. Lo colpì al viso col dorso della mano e in un attimo gli fu addosso, la spada puntata alla gola.

Mi ha battuto.

«Arrenditi!»

Jaime ridacchiò. «Tanto non mi ucciderai.»

Brienne premette maggiormente la spada sulla tenera carne, ma non abbastanza da lacerarla. La sua mano tremò, un movimento quasi impercettibile, ma Jaime se ne accorse.

«Smettila di fare l’idiota! Non volevi tornare a casa?»

Casa. Jaime non era certo di considerare davvero Approdo del Re come casa, ma dopotutto suo fratello si trovava lì, i suoi doveri di cavaliere anche. E anche Cersei.

Brienne si alzò di scatto, puntando la spada verso il ponte. Jaime scattò sull’attenti a sua volta: non si sarebbe esposta in quel modo a lui se non avesse creduto che ci fosse una minaccia più grande.

Difatti, di fronte a loro comparve un gruppo di uomini a cavallo, vestiti di nero. Portavano il vessillo di Casa Bolton.

Adesso sono veramente fregato.
 


Locke e i suoi uomini si erano accampati in una radura per trascorrere la notte. Li stavano riportando da Robb Stark, dove avrebbero dovuto subire il suo giudizio.

Se non l’ha già giustiziata, Catelyn prenderà le difese di Brienne. Ne sono certo.

Avrebbe dovuto difendere anche lui, dal momento che era stata lei a liberarlo, ma Jaime non avrebbe mai preteso che la moglie di Ned Stark si schierasse dalla sua parte. Il suo povero marito si sarebbe rivoltato nella tomba.

Li avevano legati a un albero, lui su un lato e Brienne sull’altro. Per tutto il tragitto, gli uomini di Locke avevano fatto battute sconce su di loro, in particolare su Brienne, ma quando si chiedevano come sarebbe stato domarla e renderla una donna, Jaime sapeva perfettamente che cosa significava. Non vedevano una donna da mesi, come minimo. La donzella non sarà stata la creatura più attraente o desiderabile dei Sette Regni, ma aveva quello di cui un uomo in astinenza aveva bisogno.

«Brienne» la chiamò. «Sei sveglia?»

«Secondo te potrei dormire in una situazione simile?»

Jaime sbuffò. Le avevano tolto armi e armatura, ma Brienne non sembrava intenzionata a smettere di lottare.

«Ti stupreranno. Lo sai, vero?»

«Possono provarci.»

A Jaime veniva quasi da ridere.

Fiera e coraggiosa come sempre. E anche sciocca.

Si sarebbe fatta ammazzare. Lui le avrebbe dato una morte degna, da cavaliere. Brienne non meritava di essere massacrata e abusata da quei maiali dei Bolton. Il solo pensiero faceva rivoltare le viscere a Jaime. Ma non sarebbe riuscito a salvarla da tutto.

«Ti picchieranno. Sono molti più di te, possono tenerti ferma mentre fanno i loro comodi. Risparmiati un’inutile fatica e lasciali fare.»

«Lasciali fare?» sbottò lei, a voce più alta del dovuto. «Tu lo faresti, se fossi una donna?»

Jaime ricordò lo sguardo spento della regina Rhaella ogni volta che Aerys andava a farle visita.

«No, ma io non sono una donna» rispose. «Lascia il tuo corpo e vaga con la mente altrove. Pensa a Renly, alla tua casa, va’ dove ti pare, ma non restare qui. Non è difficile se ci provi.»

Jaime aveva trascorso più tempo a Castel Granito e tra le braccia di Cersei nella sua mente mentre era al servizio di Aerys che nella realtà.

«Allora, piccioncini» Le loro voci avevano attirato Locke, che li fissava dall’alto con un ghigno.

Aspetta che mi liberi, poi vedremo quanto riderai.

«Chiedo scusa per l’interruzione, ma i miei uomini hanno fame.»

Fece un cenno con la testa e Jaime vide due di loro passargli accanto. Sperò, ingenuamente, che stessero andando a mangiare del cibo vero, ma quando sentì le corde attorno a lui allentarsi e la voce della donzella, ebbe la conferma di ciò che stava per accadere. La portarono via, in un luogo più appartato. Nonostante lei scalciasse e gridasse, in quattro riuscirono a trascinarla via senza troppe difficoltà.

«Preparatemela per bene, ma cercata di non renderla più brutta di quanto già non sia.»

Jaime si appoggiò meglio contro il tronco, cercando di calmarsi. Cosa avrebbe potuto fare? Agitarsi come un topo in gabbia legato a quel maledetto albero? Anche se si fosse liberato, non avrebbe potuto fare niente. Quella mattina non era riuscito a sconfiggere un singolo avversario, cosa avrebbe potuto fare contro venti uomini?

Ti ho detto come affrontarlo, donzella. Fallo.

Brienne, però, continuava a gridare e Jaime sapeva, anche senza vederlo, che stava ancora lottando.

Ricordò le grida di Rhaella e la frustrazione e l’impotenza che aveva sentito ogni volta in cui era stato costretto a restare fermo, mentre suo marito la stuprava e picchiava. In quei momenti, Jaime si limitava a viaggiare con la mente in luoghi lontani, luoghi di pace e serenità. Forse avrebbe potuto farlo anche in quel momento.

Chiuse gli occhi.

Brienne gli passava un pezzo di carne essiccata, seduta di fronte a lui. Brienne controllava che la strada di fronte a loro fosse priva di pericoli. Brienne gli raccontava del suo maestro d’armi e dei suoi fratelli. Brienne a cui tremava la mano al pensiero di ucciderlo. Brienne che dormiva tranquilla, mentre le fiamme danzavano dolcemente sul suo volto. Non avevano colore, nella sua mente. Era tornato tutto come prima. Tranne quando lei lo guardava.

«Zaffiri!»

Esclamò, prima ancora di rendersene conto.

«Che hai detto?» Locke si avvicinò a lui. In lontananza, Brienne stava ancora opponendo resistenza.

«Sai chi è lei?» chiese Jaime.

L’altro scrollò le spalle. «No. E non me ne frega un cazzo.»

«Lei è Brienne di Tarth, figlia di Lord Selwyn Tarth. Sai come chiamano quell’isola?»

Locke scosse la testa, per niente interessato.

«L’isola degli zaffiri. Suo padre possiede le più grandi miniere di zaffiri di tutti i Sette Regni» Locke si stava interessando alle sue parole. «Restituiscigli la figlia illibata e lui ti riempirà di pietre preziose. Diventerai un uomo ricco.»

Avrebbe potuto aggiungere anche una parola su Tywin Lannister, ma avrebbe rischiato di compromettere il salvataggio di Brienne.

Vi prego, fate che funzioni. Fate che non sia già troppo tardi, Brienne non se lo merita.

Locke si diresse verso la zona dove si trovava Brienne.

«Riportatela qui. Subito! E spero che non l’abbiate ancora toccata.»

Jaime buttò fuori il fiato che non si era accorto di aver trattenuto. Era salva.

«Mi dispiace, non avevo idea di chi fosse» gli disse Locke. Aveva messo su una faccia da cucciolo bastonato.

Jaime fece spallucce.

«Cose che capitano.»

Locke annuì e si scusò anche con Brienne. Jaime non aveva modo di vederla in faccia, ma immaginò che la sua espressione fosse del tipo: “scusa un corno!”.

«Be, avete sentito, gente? Questa donna è nostra preziosa ospite e nessuno dovrà più alzare un dito contro di lei.»

Gli uomini annuirono. Da ricchi si sarebbero potuti permettere donne molto più belle di Brienne.

«C’è altro che posso fare per voi due?»

«In effetti» rispose Jaime. «Avrei un piccolo favore da chiederti, anche se in realtà sarebbe un favore che faresti a te stesso.»

Locke si inginocchiò accanto a lui, invitandolo a continuare.

«Perché non chiedi un riscatto anche a mio padre? Oro e zaffiri, per il valore mio e della mia compagna. Ti assicuro che è una grossa quantità. Che te ne pare?»

«È un’offerta interessante, ma sono fedele agli Stark e tu sei un loro prigioniero. L’onore mi costringe a rifiutare.»

Sul serio? Stavi per stuprare una donna indifesa e mi parli dell’onore? Ne ho sicuramente più io di te, il che significa che tu non ne hai niente.

«Andiamo» disse invece. «Credi davvero che il Giovane Lupo vincerà questa guerra? Sì, è un abile stratega per la sua età, non lo nego, ma Tywin Lannister è mai stato sconfitto? No, credimi. Se anche qualcuno dovesse riuscire a battere mio padre, quel qualcuno non sarebbe un bambino.»

Locke tentennò. Ora cominciamo a ragionare.

«Fossi in te, io vorrei stare dalla parte del vincitore. Mio padre ti accoglierà a braccia aperte tra le sue fila, soprattutto se dovessi essere io a suggerirglielo.»

Non che a lui importi qualcosa di ciò che penso io. O chiunque altro.

«Be, non hai tutti i torti.»

Locke si alzò e fece avvicinare due dei suoi uomini, gli stessi che prima avevano preso Brienne.

«Slegatelo. Deve inviare un messaggio.»

Jaime ringraziò i capelli lunghi e la barba che gli coprirono il sorriso soddisfatto che non riuscì a trattenere.

«Sapevo che eri un uomo saggio, mio signore» disse, mentre veniva accompagnato verso il centro dell’accampamento.

Passò accanto a Brienne e notò che aveva il labbro spaccato, ma i vestiti erano intatti. Quegli animali non erano riusciti a fare granché prima che Locke li richiamasse. Brienne gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma Jaime la ignorò. Presto avrebbe capito di cosa si trattava.

Tywin Lannister avrebbe ricevuto la richiesta di riscatto e avrebbe inviato il suo esercito contro Locke, liberando lui e Brienne. Non accettava che venissero fatti affronti alla sua famiglia.

Dopo che sarai dovuto venire a salvarmi, padre, forse riconoscerai che è effettivamente Tyrion il migliore tra noi due.

«Siedi. Ti faccio portare carta e inchiostro, così puoi scrivere a tuo padre. Dopo lo faremo fare anche alla tua lady.»

«Non perdi tempo, vedo. Molto sag- »

Jaime fu sbattuto sul tavolo, testa e mani premute contro il legno. Cercò di tirarsi su, ma Locke gli puntò un coltello in faccia, impedendogli ogni movimento, a meno che non avesse voluto ritrovarsi senza un occhio.

Perché ogni volta che penso di avercela fatta, finisce sempre così?

Se avesse rivisto Tyrion, avrebbe dovuto farsi spiegare qualche trucco per sopravvivere anche senza l’utilizzo di una spada.

«Mi prendi forse per uno scemo?» gli urlò in faccia.

«N-No, mio signore.»

Ho balbettato? Sul serio?

«Non chiamarmi “mio signore”, verme. Lo so come siete, voi Lord e Lady che credete che basti nominare papino perché tutti i problemi siano risolti.»

Se tuo padre è Tywin Lannister, hai il diritto di crederlo.

«Be, senti questa: non è così. Tywin Lannister può tenersi il suo fottuto oro e le sue fottute minacce, io non ho paura.»

Allontanò la lama dal suo volto e Jaime pensò che avesse finito.

Lascia in pace Brienne, però!

«Forse un piccolo promemoria ti aiuterà a ricordare.»

Jaime vide un movimento fulmineo alla sua destra. Non sentì dolore. Tutto intorno a lui era come se fosse svanito. C’erano solo il suo polso e la sua mano destra. E una chiazza di sangue che si stava allargando tra di essi.

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Capitolo 5
*** Brienne II ***


BRIENNE II



 
«Maledizione!» imprecò per l’ennesima volta Brienne.

«Non ti avevo mai sentito… usare questo linguaggio… Non è molto degno di una lady…» la canzonò Jaime. O almeno, era quello che aveva intenzione di fare, se fosse stato un po’ più in forze.

Erano trascorsi cinque giorni da quando erano diventati prigionieri di Locke. Cinque giorni da quando quegli animali avevano cercato di stuprarla… e avevano amputato la mano di Jaime. Brienne lo aveva sentito gridare, ma non era riuscita a vedere che cosa avesse scatenato una reazione così violenta nel Leone dei Lannister fino a quando non erano andati a slegarla, dicendole che Jaime si era ferito e che lei avrebbe dovuto curarlo, cercando di evitare che morisse.

Quando si era avvicinata al centro dell’accampamento e aveva visto Locke ghignare mentre sventolava qualcosa in faccia a Jaime, mentre lui era riverso a terra, si era precipitata subito ad aiutarlo, rendendosi conto con orrore di che cosa Locke tenesse in mano. Aveva dovuto fare appello a tutte le sue forze per non saltare al collo di quel verme e fargliela pagare per ciò che aveva fatto. Lei era l’unica, in quel luogo, a cui importasse che lo Sterminatore di Re restasse in vita.

Gli fasciò il moncherino come meglio poté. La benda che Locke le aveva dato per coprire la ferita non sembrava propriamente pulita, ma si sarebbero dovuti accontentare. Brienne cercò di fare loro presente che serviva un maestro e continuò a farlo ogni giorno, ma le uniche risposte erano il silenzio o un pugno, quando avevano voglia di divertirsi.

«Scusa» gli disse. «Vorrei solo che… Temo che si stia infettando e non so che fare. Servirebbe un maestro per questo!» aggiunse ad alta voce, ma fu ignorata, come sempre.

«Lascia stare, donzella. Fascialo e basta.»

Brienne sospirò. «Mi dispiace. So come bloccare un’emorragia, ma questo…»

«Credo che nemmeno i maestri sappiano riattaccare un arto amputato, donzella» la interruppe bruscamente Jaime. «Non stare a far arrovellare quella testolina bionda per una cosa simile. Coprila e se si infetta, tanto meglio. Morirò prima.»

«Tu non morirai! Non lascerò che accada.»

Jaime alzò un sopracciglio, stupito da quelle parole almeno quanto lei.

«Abbiamo… Abbiamo fatto una promessa a Lady Catelyn, ricordi?» disse, sperando che quella sembrasse una ragione sufficiente per volerlo vivo.

«Temo di non valere più molto come merce di scambio.»

Si sta arrendendo. Non glielo devo permettere. Ha bisogno di lottare per vivere.

«Non dire sciocchezze. Sei importante per la tua famiglia, loro vogliono solo che tu torni a casa.»

Jaime rise, ma non c’era felicità in quel suono.

«Senza la mano destra temo di non essere più così importante.»

Brienne sbuffò. «Era solo una mano.»

«Solo una mano?!» esclamò lui, sbigottito. «Era la mano della mia spada. Io ero quella mano! Tu come ti sentiresti se ti portassero via la possibilità di impugnare un’arma e di combattere?»

«Soffrirei» rispose decisa Brienne. Certo che ne avrebbe sofferto, che domande! Non pretendeva nemmeno che Jaime fosse felice per ciò che gli avevano fatto, ma non poteva nemmeno ridursi a considerarsi così poco. Aveva avuto modo di passare del tempo con lui, prima di questa disavventura, e non era così male. Sapeva essere gentile e divertente, quando non cercava di infastidirla.

Anche se ha ucciso il suo re.

«Soffrirei, naturalmente, ma cercherei di vivere» proseguì. «Vivere per le persone che tengono a me e per quelle che vorrebbero vedermi distrutta e umiliata. Vivrei per dimostrare loro che sono più forte e che non mi hanno spezzata, e magari, un giorno, potrei restituire loro il favore.»

Jaime la guardò con i suoi occhi verdi, molto più spenti in quegli ultimi giorni. Le sue parole lo avevano toccato, ne era certa.

«Non credo che si possa comunque evitare l’infezione» disse.

«No, temo di no. Anzi, forse è già cominciata» Brienne passò delicatamente un panno sul moncherino, cercando di non fargli troppo male. Era molto arrossato e c’era ancora del sangue rappreso. Jaime strizzò gli occhi mentre lo faceva, ma non poteva essere più delicata di così.

Mi dispiace. Resisti. Resisti e combatti.

Gli fasciò la ferita, legando lo straccio poco sopra il polso e lo aiutò a rimetterlo nella fascia che aveva legata al collo. Prima che potesse togliere le mani, Jaime gliele afferrò con l’unica che gli era rimasta.

«Grazie» le disse. Era sincero e deciso. Avrebbe lottato, Brienne ne era certa.

I loro volti erano vicinissimi. Quando viaggiavano, li legavano sullo stesso cavallo, uno di fronte all’altra, ma in quei momenti Brienne si limitava a osservarlo per controllare che stesse sveglio e non cadesse a terra. Ora poteva vedere i numerosi tagli sul suo volto e la barba e i capelli talmente sporchi da essere diventati marroni. Le sarebbe piaciuto vedere il Leone d’Oro famoso in tutti i Sette Regni al suo massimo splendore, ma dubitava che avrebbe avuto modo di stargli così vicino.

Il mio aspetto lo avrebbe disgustato e la sua reputazione mi avrebbe tenuta ben alla larga da lui.

Non vedrei ancora i colori, però.

Brienne non aveva più avuto modo di pensarci da quando erano stati catturati, ma Jaime aveva avuto uno strano effetto su di lei. Era il primo uomo di cui si fidava, più o meno, da quando aveva lasciato l’accampamento di Renly, e uno dei primi con cui aveva parlato liberamente di spade e cavalieri, senza venire presa in giro di rimando. Forse c’era una versione di Jaime Lannister che era buona e si comportava da vero cavaliere e che l’uomo cercava di tenere ben nascosta.

Ma come può essere così, un uomo che ha ucciso il proprio re?

«Ehi, piccioncini!» Locke li chiamò dal centro dell’accampamento.

Quando lui e i suoi uomini si erano resi conto che Jaime non avrebbe dato spettacolo ogni volta che la sua ferita veniva medicata, non avevano avuto motivo per farli stare in mezzo a loro. Li avevano perciò rilegati in un angolo dell’accampamento, più distanti da loro, ma sempre nel raggio visivo. Avevano legato i polsi di Brienne, mentre Jaime non aveva né catene né altro a trattenerlo. Tranne l’assenza della mano destra, ovviamente.

Non che Brienne si lamentasse di questa disposizione: più lei e Jaime erano lontani da quegli animali, più si sentiva tranquilla.

«Andate a nanna, domani partiamo presto!» Seguirono una serie di risate da parte dei suoi uomini, con commenti che Brienne non riuscì a sentire, ma di cui immaginò la natura.

«Dovremmo seguire il suo consiglio» le disse Jaime.

Brienne annuì, anche se sapeva che non sarebbe riuscita a dormire molto. Si mise accanto a lui e cercò di liberare le mani, ma Jaime continuò a stringergliele. Lei stava per dirgli che doveva lasciarla andare se volevano mettersi a riposare, quando lui fece un gesto che la sorprese. Appoggiò la testa sulla sua spalla, come se fossero due amici.

Come se fossimo due amanti.

«J-Jaime, che…»

«Shh. Dormi e basta.»

Brienne sentiva le guance in fiamme. Non era mai stata così vicina a un uomo, forse nemmeno a una donna. Da quando suo fratello era morto non aveva più dormito insieme a un’altra persona e che la prima volta che succedesse di nuovo fosse con Jaime Lannister le sembrava quasi assurdo.

Avrà bisogno di un po’ di conforto, non lo biasimo. Gli starà già salendo la febbre.

E, in effetti, era abbastanza caldo. Sospirò. Dopotutto, non le dispiaceva neanche troppo, anche se forse era proprio quello il problema.

«Dormi» le disse di nuovo, in tono più autoritario. «Hai dormito pochissimo in questi giorni. Ho bisogno che tu sia riposata, donzella.»

«Lo so» rispose lei, seccata. «È solo che…»

Il timore che gli uomini di Locke decidessero di venir meno alla loro parola e cercassero di violentarla non la faceva stare tranquilla.

«Lo so, ma ci sono io a proteggerti, ricordi?»

Jaime le strinse le mani per enfatizzare l’affermazione.

Era vero, era stato lui a salvarla quella notte. Mentendo. Quella menzogna e la sua lingua lunga gli erano costate molto più di quanto avrebbe immaginato.

Molto più di quanto sarebbe stato disposto a dare, per una come me.

«Perché?» chiese, senza pensarci.

Jaime sbuffò. «Perché cosa, donzella?»

«Sai che non ci sono miniere di zaffiri a Tarth. Si chiama così per il colore delle sue acque» Brienne non aveva mai avuto la possibilità di vedere come fossero davvero, ma suo padre gliele aveva sempre descritte come lo scenario più suggestivo che avesse mai visto.

“Il riflesso e il contrasto tra chiaro e scuro li puoi vedere già adesso, ma quando ti innamorerai, piccola mia, tutto assumerà una sfumatura meravigliosa.”

Forse adesso avrebbe visto quello spettacolo al massimo del suo splendore, anche se non si era innamorata – no, decisamente no. Se fosse riuscita a tornare a casa, naturalmente.

Jaime si accoccolò meglio sulla sua spalla, prima di dire:

«Ho pensato ai tuoi occhi.»
 


Le alte torri nere di Harrenhal si stagliavano nel cielo di fronte a loro. A Brienne non era mai piaciuto quel luogo, così tetro e lugubre. Si diceva che fosse maledetto e quella era una delle poche storie su cui si potesse fare davvero affidamento. Da quando Aegon il Conquistatore l’aveva rasa al suolo, i vari lord che ne erano entrati in possesso erano periti brutalmente o erano stati colpiti dalla sventura. Non si sarebbe voluta fermare in quel luogo, non con Locke e i suoi uomini almeno. Non con Jaime in quelle condizioni.

Come temeva, la ferita si era infettata, ma lei non aveva potuto far altro che continuare a cambiargli la fascia ogni giorno come faceva prima. Aveva chiesto il permesso di farlo più spesso, ma Locke si era rifiutato. Avevano anche cominciato a farli viaggiare su cavalli diversi e lontani l’uno dall’altra, così che se Jaime avesse avuto un mancamento e fosse caduto da cavallo – quando sarebbe caduto da cavallo – lei non avrebbe potuto aiutarlo, impedendo ai loro aguzzini di ammirare il famoso Sterminatore di Re che si dimenava nel fango, nel vano tentativo di rimettersi in piedi con le sue sole forze. Jaime Lannister sarà anche stato uno spergiuro regicida, ma non meritava di subire una simile umiliazione. Anche se, almeno con lei, Jaime si era dimostrato anche gentile.

“Ho pensato ai tuoi occhi.”

Era stato una delle ultime conversazioni che avessero avuto. Jaime era più incosciente che sveglio negli ultimi giorni e, quando poteva finalmente avvicinarsi a lui, ovvero solo durante la notte, non voleva affaticarlo con discorsi inutili, perciò lo medicava come meglio poteva e gli chiedeva solo come si sentisse. Al che Jaime rispondeva con uno sbuffo o un commento sarcastico e poi si addormentava sulla sua spalla. Dopo la prima volta era diventata un’abitudine dormire abbracciati e, anche se all’inizio Brienne non sapeva come comportarsi, perché non si era mai trovata in una situazione simile, aveva imparato a rilassarsi e aveva cominciato anche a trovarlo piacevole.

Quando le porte di Harrenhal si aprirono, Brienne si accorse che il castello non era disabitato. Lord Roose Bolton in persona venne ad accoglierli e lei notò lo sguardo di disapprovazione che rivolse al moncone di Jaime.

Questi sono suoi uomini. Li punirà come meritano e concederà a Jaime la possibilità di vedere un maestro.

Lo aveva visto solo una volta al campo Stark, ma non le aveva fatto una buona impressione. Quei suoi occhietti grigi – il loro colore non era cambiato da allora – gelidi e spenti, le facevano venire i brividi. Sapeva che anche per Lady Catelyn era così, ma lei si fidava comunque del suo alfiere, perciò Brienne avrebbe avuto fiducia nel giudizio della sua signora. In ogni caso, non poteva essere peggio di Locke.

Jaime e Brienne vennero fatti scendere brutalmente dalle loro cavalcature e fatti mettere in ginocchio di fronte a Lord Bolton. A causa della forza della spinta, Jaime non riuscì a restare eretto e cadde con la faccia nel fango. Brienne aveva perso il conto di quante volte si fosse già verificata una scena simile. Si sporse verso di lui per cercare di aiutarlo, ma fu trattenuta per le spalle, impossibilitata a muoversi.

«Ce la faccio, donzella» le disse Jaime, mettendosi in ginocchio. Poi si rivolse all’uomo di fronte a sé. «Lord Bolton, perdona l’aspetto trasandato… Ma ho passato un brutto periodo.»

Bolton fece cenno a due dei suoi uomini – suoi esclusivi, non di Locke – perché li aiutassero a rimettersi in piedi.

«Sono io che devo scusarmi, Ser, Mia Signora, per i modi barbari dei miei sottoposti.»

Brienne annuì e Jaime cercò di fare lo stesso. Parlava e stava in piedi per orgoglio, non perché ne fosse davvero in grado.

«Scortateli nel castello e preparate loro due stanze. E un bagno» aggiunse Bolton, notando il loro evidente stato di sporcizia. «Prima, però, portate Ser Jaime da Qyburn. Ha bisogno di essere visitato.»

Siano lodati i Sette! Finalmente.

Jaime provò a muovere qualche passo, ma cominciò subito a barcollare e Brienne temette che stesse per cadere a terra, di nuovo. Questa volta, però, avrebbe potuto impedirlo, così si avvicinò a lui e lo sorresse.

«Ti accompagno…»

Jaime allontanò bruscamente il braccio dalla sua presa.

«Non mi serve il tuo aiuto, donzella. Va’ a farti un bagno, sei più inguardabile del solito.»

Detto questo, seguì il soldato che lo stava scortando da questo Qyburn. Brienne rimase a guardarlo come un pesce fuor d’acqua. Perché le aveva risposto in quel modo? Lei aveva solo cercato di aiutarlo, come avrebbe sempre voluto fare durante il loro viaggio. Forse trovava patetico farsi aiutare da una donna? In quei giorni lei era stata l’unica di cui si potesse fidare, ma forse se ne era sempre segretamente vergognato e adesso aveva finalmente trovato il modo di allontanarsi da lei?

Scemo. Bolton è fedele agli Stark. Sono ancora io l’unica di cui ti puoi fidare.

«Forza, hai sentito il mio signore» le disse una delle guardie. «Andiamo, ti porto dalle serve.»


 
I bagni erano enormi. Il soffitto basso permetteva di trattenere l’aria calda più a lungo e in tutto c’erano sette grandi vasche, due delle quali erano già state riempite. Quando Brienne vi si immerse, non poté trattenere un sospiro, sentendo l’acqua calda scivolarle sui muscoli indolenziti.

«Torno quando avrai finito» la informò la ragazza che l’aveva accompagnata e aiutata a svestirsi.

Brienne annuì e la ringraziò. Era la prima persona gentile che incontrava da giorni.

Appoggiò la testa contro il bordo della vasca, concedendosi un momento di totale rilassamento. Era certa che nessuno sarebbe entrato a disturbarla, così come sapeva di non poter nemmeno pensare di scappare. Jaime si trovava da qualche parte in quell’immenso castello e senza di lui non poteva certo andarsene. Inoltre, la servetta aveva portato via i suoi vestiti, quindi sarebbe stata costretta a girovagare nuda come il giorno in cui era venuta al mondo.

Il caldo e la momentanea pace che regnava intorno a lei erano così belli che Brienne non avrebbe più voluto lasciare quel luogo. Ma aveva dei doveri, verso Jaime e Lady Catelyn, e non poteva perdere troppo tempo. Prese una spugna e cominciò a strofinarsi le braccia e il petto, cercando di togliere i grumi di terra che si erano attaccati al suo corpo.

«Piano o ti staccherai la pelle.»

Brienne non si era accorta dell’arrivo di Jaime. Non sembrava stare molto meglio, ma almeno il panno intorno al moncherino era pulito e, anche da lontano, le sembrava fasciato più diligentemente di quelli messi da lei.

C’era un altro ragazzo con lui, probabilmente un altro dei servitori di Lord Bolton, il quale lo aiutò a togliersi la casacca.

«Vai, ora» lo allontanò Jaime.

Erano rimasti solo loro due. Brienne cercò di non fissarlo troppo mentre si toglieva i pantaloni. Si vedeva che era debole e malaticcio. Sembrava un mezzo cadavere.

Sembra un semi-dio.

Quando anche Jaime rimase completamente nudo, si avvicinò a sua volta alle vasche. Brienne non gli prestò troppa attenzione, finchè non si accorse in quale di esse aveva intenzione di immergersi.

«Ci sono altre vasche!» esclamò, stizzita.

«Questa mi va bene.»

Si crearono delle piccole onde intorno a lei, mentre Jaime entrava a sua volta, facendo attenzione a non bagnare la fasciatura. Brienne si raggomitolò sul lato opposto rispetto a lui, imbarazzata all’idea di essere a pochi centimetri da Jaime Lannister quando entrambi erano svestiti.

«Tranquilla. Non sono interessato» la rassicurò lui.

Certo che non lo sei. Nemmeno io lo sono, per inciso.

«Come stai?» gli chiese invece.

«Non sai dire nient’altro ultimamente, vedo.»

Di nuovo una risposta seccata.

«Sei stato da un maestro, no?» Brienne cercò di non perdere la calma. Jaime era debole e febbricitante, un po’ di malumore era lecito. «Che ti ha detto?»

«Che la mano non si può riattaccare. Cosa vuoi che mi abbia detto?»

O sono io che non mi so spiegare, oppure è lui che si sta comportando da vero stronzo.

Brienne ci riprovò.

«Per l’infezione, volevo dire.»

Jaime scosse le spalle.

«Passerà, vero? Guarirai?»

«Ma quanto sei fastidiosa!» sbottò. «Che cazzo te ne importa? Ah, giusto, dimenticavo. La tua adorata signora ti ha chiesto di riportarle le sue preziose figliole, ma per farlo io devo essere quantomeno vivo. Non necessariamente tutto intero, però.»

«Ti sbagli, non è per…» Brienne non poteva credere che Jaime pensasse che non le importasse niente di lui se non in relazione alla promessa fatta a Lady Catelyn, ma lui non le diede tempo di spiegarsi.

«Fai piuttosto pena come scorta, lasciatelo dire. Renly avrebbe dovuto dare il mantello arcobaleno a qualcun altro, così forse sarebbe ancora vivo.»

Brienne scattò in piedi, ignorando il fatto di starsi esponendo completamente a lui. Questo era troppo. Non le importava che stesse male o meno, ma non doveva permettersi di dire certe cose. Non doveva toccare Renly.

Dal modo in cui abbassò lo sguardo, mortificato, Brienne immaginò che avesse capito di aver esagerato.

«Mi dispiace. È stato crudele da parte mia, perdonami.»

«Ti comporti così da giorni.»

«Sono stanco, Brienne» le disse, ed era vero. Brienne glielo leggeva negli occhi. « Sto male e mi sono sfogato su di te, non è stato giusto.»

«No, infatti.»

Brienne si rimise seduta, questa volta di fronte a lui, senza più cercare di nascondersi. Quando lo sentì ridacchiare, volse di nuovo lo sguardo verso di lui e sperò che non avesse intenzione di rimangiarsi le sue scuse.

«Che c’è?» sbottò lei.

«Conosco quello sguardo. L’ho visto sui volti di ogni uomo e donna in tutti i Sette Regni. Sterminatore di Re. Spergiuro. Uomo senza onore.»

Brienne lo guardò. Il modo in cui pronunciava quelle parole, il suo sguardo spento: lui odiava essere additato in quel modo.

Ma allora perché hai agito come hai fatto? Perché hai ucciso l’uomo che dovevi proteggere?

«Io stavo solo pensando a quanto tu ti sia comportato da stronzo.»

Jaime rise, o meglio, fece ciò che di più simile a una risata poté fare. Brienne ne fu felice.

«Perché lo hai fatto?» gli chiese di getto, senza pensare.

«Te l’ho detto, avevo bisogno di sfogarmi e tu eri l’unica su cui…»

«No, no, no» lo interruppe lei. «Non mi riferivo a quello.»

Jaime inarcò un sopracciglio, invitandola però a spiegarsi. Lei prese un profondo respiro. Non era certa se lui le avrebbe risposto, né se ciò che avrebbe detto l’avrebbe aiutata, ma ormai era decisa a sapere.

«Perché hai ucciso Re Aerys?»

Jaime sgranò gli occhi. Sicuramente non si aspettava una domanda simile. Restò in silenzio per alcuni minuti e Brienne stava per ritirare la domanda, quando lui parlò.

«Hai mai sentito parlare dell’Alto Fuoco?»

Brienne annuì. E Jaime iniziò a raccontare.

Rimase in silenzio per tutto il tempo, incapace di esprimere il suo stupore e il suo sgomento per quanto Jaime le stava confessando.

“Giuramenti su giuramenti. Ma se il re massacra gli innocenti? Che cosa si deve fare in quel caso?”

Ricordava che Jaime aveva rivolto queste parole a Lady Catelyn, ma allora lei non aveva capito. Proteggi il re, proteggi gli innocenti. Jaime sarebbe passato per uno spergiuro qualunque cosa avesse deciso di fare.

«Quando Ned Stark mi trovò nella Sala del Trono, con la spada sporca del sangue di Aerys, mi giudicò colpevole con una sola occhiata. E poi quell’ubriacone di Robert ci mise il suo carico con questo simpatico soprannome.»

Quando il silenzio continuò, Brienne si rese conto che la storia era finita.

«Be', ti ho sconvolta al punto di averti tolto la parola?» le chiese.

Brienne scosse la testa. «Ma… Ma se questo è vero, perché non lo dicesti subito a Lord Stark? Perché hai lasciato che si facesse un’idea sbagliata di te?»

Jaime ridacchiò. «Credi che al grande, onorevole Ned Stark importasse qualcosa delle mie ragioni? No, lui mi giudicò uno spergiuro e basta. Osò giudicare un leone» Stava tremando. «Ma con quale diritto un lupo giudica un leone?»

Cadde in avanti, ma questa volta Brienne riuscì a fermare la sua caduta. Lo strinse a sé, pelle contro pelle, cercando di tenergli il braccio ferito fuori dall’acqua. Quel Qyburn aveva aiutato, probabilmente, ma non poteva aver fatto un miracolo, non in così poco tempo. E la sua richiesta di raccontargli di quel terribile giorno aveva solo aggravato la sua già precaria situazione.

«Aiuto!» gridò. «Lo Sterminatore di Re!»

Provò un senso di orgoglio e gratitudine nel pronunciare quelle parole, che avevano assunto un significato nuovo ai suoi occhi.

«Jaime» lo sentì mormorare contro il suo collo. «Il mio nome è Jaime.»

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Capitolo 6
*** Jaime III ***


JAIME III


 
Sentiva delle braccia forti stringerlo delicatamente, impedendogli di sprofondare nell’acqua che ormai si stava raffreddando.

Brienne.

Era certo che fosse suo il corpo premuto contro di lui, perché sapeva di aver parlato con lei fino a pochi secondi prima di svenire.

Jaime non ricordava di aver mai sofferto così tanto come in quegli ultimi giorni. Erano stati di più i momenti in cui era stato privo di sensi che quelli in cui capiva cosa stesse facendo o stesse accadendo attorno a lui, quelli in cui quel maledetto moncone gli ricordava incessantemente che la sua carriera di cavaliere e miglior spadaccino dei Sette Regni era finita. Quel dolore e Brienne erano le uniche cose di cui era riuscito a prendere atto in quei giorni. Brienne era l’unico motivo per cui era ancora vivo. Aveva lottato, stava lottando e avrebbe continuato fino a quando lei lo avrebbe voluto.

È sbagliato. Dovrei farlo per Cersei, per la donna che amo e l’unica che desidero al mio fianco.

Ma il suo corpo e il suo cuore non lo ascoltavano troppo ultimamente. Altrimenti avrebbe ucciso Brienne su quel maledetto ponte. Altrimenti avrebbe lasciato che quegli animali si divertissero con lei. Altrimenti non gli importerebbe di mostrarsi migliore ai suoi occhi e non tremerebbe per il suo tocco gentile.

È più delicata di Cersei.

Sua sorella non poteva permettersi di essere un’amante dolce e premurosa, non ne avevano il tempo. E a Jaime non era nemmeno mai importato: fintanto che poteva passare anche solo qualche minuto con lei, gli bastava.

Con Brienne non mi basterebbe. Con lei vorrei di più.

«Jaime! Jaime, mi senti?»

«Sì» rispose, sentendo che le forze cominciavano a tornargli.

«Riesci a stare seduto?»

Brienne lo avvicinò al bordo della vasca e Jaime vi si appoggiò, sforzandosi di non scivolare nuovamente nell’acqua.

«Va bene. Resta fermo, torno subito.»

Detto questo, si diresse verso il lato opposto della vasca. Jaime cercò di tenere il polso fasciato lontano dalla superficie dell’acqua e di non prestare troppa attenzione al corpo di Brienne, che per muoversi più agevolmente si era di nuovo alzata in piedi. Era muscolosa sulle gambe lunghe e sulle braccia, ma aveva comunque le forme di una donna. La sua pelle era morbida e aveva la schiena piena di lentiggini. Ricordava di averle viste anche sul suo petto. Quando Brienne tornò verso di lui, Jaime fece finta di armeggiare con il braccio mutilato, imponendosi di non guardarla fino a quando non fosse tornata al sicuro, nascosta dall’acqua. Rischiava di avere la seconda erezione nel giro di pochi minuti e sarebbe stato imbarazzante spiegare a Brienne che ne era lei la causa.

«Ecco, vieni qui.»

Vedendolo in apparente difficoltà, probabilmente Brienne credette che stesse per avere un altro mancamento e lo fece appoggiare a sé. Jaime la lasciò fare. Lei bagnò la spugna prima di cominciare a pulirgli le braccia, sempre facendo attenzione a non premere troppo. Una parte di Jaime avrebbe voluto dirle che non era una dannata bambola di vetro, mentre l’altra si sentiva sopraffatta per la premura e la dolcezza che Brienne gli stava mostrando.

È l’unica persona che mi abbia mai trattato gentilmente.

«Brienne.»

Lei alzò la mano di scatto. «C-Cosa? Ti ho fatto male? Scu- »

«Sei stata talmente delicata che, se non lo avessi visto, non avrei nemmeno capito che mi stavi toccando.»

Brienne abbassò lo sguardo, arrossendo.

Quando imparerai a pensare prima di parlare?

«Perdonami, non è… Sono io che mi devo scusare» disse. «Per il mio comportamento, sono stato crudele. Sei stata gentile con me…»

«Va bene, ne abbiamo già parlato, è tutto risolto» tagliò corto lei.

Poi il dubbio – e forse anche preoccupazione – si insinuò nei suoi grandi occhi blu. «Ricordi cosa è successo prima? Quello che mi hai detto…»

Jaime sospirò. «Aerys. Ti ho raccontato dell’Altofuoco, sì.»

Brienne annuì e riprese a lavarlo, questa volta facendo più pressione, ma senza mai fargli male. Quando passò al petto, Jaime la vide arrossire vistosamente. Si chiese se fosse mai stata così vicina a un uomo nudo.

No, idiota. È una fanciulla d’alto lignaggio, non è mai stata con nessuno.

Ragion per cui avrebbe dovuto tenere a freno le sue parti intime. Non avrebbe rischiato di disonorarla. Non lei.

Né nessun’altra, dal momento che io voglio solo Cersei.

«Hai freddo» disse a un tratto Jaime.

L’acqua si era ormai raffreddata e a Brienne era venuta la pelle d’oca.

«Sto bene» mentì lei. «Tu hai freddo?»

Jaime scosse la testa, sincero.

«Io no, ma tu sì, è ovvio. Dovresti prenderti più cura di te stessa.»

Brienne sbuffò. «Ti ho detto che sto…»

Le porte del bagno si spalancarono e due guardie, insieme ai servitori che li avevano scortati prima, si precipitarono verso di loro.

«State bene? Abbiamo sentito che gridavate aiuto» disse la prima guardia.

Che servizio! Brienne vi avrà chiamati almeno mezz’ora fa.

«Va tutto bene, è passato» rispose lei. A Jaime non sfuggì la nota di rimprovero nella sua voce.

La seconda guardia grugnì. «Ci avete scomodati inutilmente, dunque? Dannati Lannister.»

Jaime sapeva che per quegli uomini “Lannister” era l’insulto peggiore che potesse venir rivolto e non gli piacque che vi avessero chiamato anche Brienne.

Lei è una donna d’onore. Non ha niente a che fare con me.

«Quando vi abbiamo chiamati, era una questione piuttosto seria» spiegò Jaime. «Fortunatamente, io e lady Brienne di Tarth siamo riusciti a cavarcela anche senza di voi. Grazie comunque per l’aiuto» aggiunse, guadagnandosi un’occhiata torva da entrambe le guardie.

«Bah, non mi interessa. Sembrate più puliti di prima. Peck, Pia, scortateli alle loro stanze.»

Detto ciò, i due se ne andarono, lasciando solo i servitori. La ragazza – Pia – si avvicinò a Brienne con un telo, invitandola a uscire. Lei si voltò verso Jaime e lui annuì, facendole capire che stava bene e poteva farcela anche senza il suo aiuto.

Il ragazzetto non aveva niente con cui asciugare Jaime, così lui si limitò ad indossare nuovamente i vecchi pantaloni.

«Sei sicuro di non dover tornare dal maestro?» gli chiese Brienne.

«Sì. Ha detto che non mi sarei dovuto aspettare una guarigione immediata, ma che non avrei avuto bisogno di tornare da lui a meno che la situazione non fosse drasticamente peggiorata.»

Brienne lo guardò di traverso, evidentemente non rassicurata da quelle parole.

«Andiamo, donzella, dammi un po’ di fiducia! So badare a me stesso. Se mi ci metto di impegno» le sorrise, sperando di tranquillizzarla e forse un po’ lo fece, perché lei si lasciò scappare un piccolo sorriso.

«P-Perdonatemi, Ser, milady» intervenne Peck. «Do-Dovreste cambiarvi per la ce-cena con lord Bolton.»

«Una cena?» Jaime non sapeva se esserne felice o meno.


 
Li avevano separati di fronte alla scalinata principale. Brienne era stata portata in alto, nella torre, mentre Jaime era andato in una stanza sullo stesso piano. Se fosse stato più in forze, avrebbe costretto quel Peck a portargli il cambio nelle stanze di Brienne, ma, per una volta, aveva riflettuto, capendo che non sarebbe stato saggio agire a quel modo. Per più di una ragione, in realtà.

La casacca e i pantaloni che trovò sul suo giaciglio erano del tutto simili a quelli con cui era arrivato, solo più puliti. Talmente puliti che a Jaime sembrarono abiti degni di un re. Li indossò, sospirando felice per il contatto con la stoffa non impregnata di sudore o sterco. Sistemò nuovamente il braccio mutilato nella fascia che Qyburn gli aveva fornito.

“Servono garze e bende, se non sterili, quantomeno pulite se si vuole evitare un’infezione mortale.” Gli aveva detto il vecchio.

Io lo so, ma a Locke evidentemente questo non importava.

Ricordava che Brienne aveva fatto notare più volte che le cure riservate a Jaime non erano idonee, ma non l’avevano mai ascoltata.

Se non sono morto è solo perché lei ha cercato di tenermi in vita.

Locke e Bolton la dovevano solo ringraziare, dal momento che aveva impedito loro di diventare oggetto della furia di Tywin Lannister. O almeno della maggior parte di essa. Jaime dubitava che suo padre avrebbe accettato la mutilazione del “figlio preferito”, come lo chiamava Tyrion, senza pretendere un qualche risarcimento. Un Lannister paga sempre i propri debiti.

Sentì dei colpi alla porta, seguiti dalla voce di Peck.

«Mio-Mio signore? Se siete pr-pronto, Lord Bolton vi a-aspetta.»

Jaime non si fece attendere. Uscì e il ragazzino lo scortò verso la scalinata dove era stato separato da Brienne.

«Lady Brienne parteciperà all’incontro?» gli chiese.

«S-Sì, mio signore» rispose lui, impacciato. Era poco più che un bambino e, probabilmente – anzi sicuramente – non si trovava lì per scelta. Era tornato abbastanza in forze da potersi permettere di compatirlo.

«Ah, e-eccola.»

Jaime seguì lo sguardo del ragazzo. C’era una figura alta dalla parte opposta del corridoio, vestita con un lungo abito rosa. A Jaime venne quasi da ridere, perché quel colore stonava decisamente su Brienne, ma cercò di restare impassibile. L’aveva già insultata a sufficienza.

Quando lei lo vide gli si avvicinò e Jaime notò il grande scollo sul petto e le maniche che arrivavano fino al polso. Probabilmente quella era la veste femminile più grande che avessero.

«Come ti senti?» gli chiese.

Lui scrollò le spalle. «Normale. Bel vestito.»

Brienne sbuffò. Sì, quello era stato un commento decisamente fuori luogo. Brienne non era una di quelle frivole fanciulle che avevano bisogno di essere riempite di complimenti dall’altro sesso. Lei chiedeva solo la verità. E, come si dice, se una verità è troppo brutta, meglio restare in silenzio. Tuttavia Jaime era certo che lei stesse bene anche in abiti femminili, solo di un colore più adatto. Magari un verde o un blu.

«Lord Bolton vi attende, miei signori» li informò Pia. Era più sicura del suo compagno, ma ugualmente giovane. E carina. Jaime pregò che gli uomini di Locke non mettessero gli occhi su di lei.

«Non sarebbe saggio farlo adirare arrivando in ritardo» commentò Jaime, offrendo il braccio sano a Brienne.

Lei inarcò un sopracciglio.

«Che c’è? Non hai mai visto un lord e una lady entrare in una sala?»

«S-Sì, ma…»
«Niente ma, donzella» tagliò corto lui. «Forza, mi fa comodo appoggiarmi a qualcuno.»

Non era vero, ma Brienne non si sarebbe lasciata convincere se non avesse creduto che fosse per il di lui bene. Arrossì mentre gli prendeva il braccio e Jaime sentì il calore della sua mano attraverso la stoffa della casacca.

Furono accolti da Lord Bolton in quella che doveva essere la sala da pranzo prima che Balerion la distruggesse. Dopo pochi, semplici convenevoli, l’uomo li invitò a sedersi e fece servire dell’arrosto con rape e carote. Quando si sedette di fronte al piatto, con le posate ai lati, Jaime si rese conto che non sarebbe riuscito a tagliare la carne, a meno che non fosse stata estremamente morbida.

Non solo non posso più combattere, ma non posso nemmeno più mangiare come una persona normale.

Quel pensiero gli fece quasi venire il voltastomaco, se non che quella era la prima pietanza degna di quel nome che vedeva da mesi e non l’avrebbe lasciata nel piatto.

«Ci tengo ancora a scusarmi per il comportamento barbaro dei miei sottoposti. Non oso immaginare cosa vi abbiano fatto passare.»

«Meno di quanto avrebbero voluto, sicuramente» ribatté Jaime, mentre cercava di tagliare la carne con il coltello.

«Lord Bolton» intervenne Brienne. «Tu sei un alfiere degli Stark. Io ho agito per ordine di Lady Catelyn, pertanto…»

«Sei una traditrice, esattamente come lei.»

Jaime alzò lo sguardo verso di lui. Allora era vero, Robb Stark non sapeva della sua fuga, né la approvava. In pratica quella sciocca Lady Stark aveva messo in pericolo Brienne.

«Lady Stark è la madre del re» continuò Lord Bolton, «pertanto non è stata giustiziata. Mi auguro che il Giovane Lupo si mostri clemente anche nei tuoi confronti.»

«Mio signore…»

Bolton la ignorò. «Ser Jaime, tu verrai scortato alla capitale come risarcimento per l’errore dei miei uomini. Una volta là, informerai tuo padre che io non ho avuto alcuna parte nella tua mutilazione.»

«E Brienne?» chiese Jaime.

Non gli andava di lasciarla lì, dove sarebbe certamente stata in pericolo. Robb Stark si sarebbe anche potuto mostrare clemente, dal momento che Brienne si era limitata a seguire gli ordini di sua madre, ma se invece avesse deciso di giustiziarla? Jaime sentì una morsa allo stomaco al pensiero della sua morte. No, non poteva permettere che la separassero da lui.

Anche nella capitale – con Cersei – non sarebbe stata al sicuro, ma almeno lì avrebbe potuto proteggerla.

«Lei resterà qui, in attesa di giudizio.»

«Credo sarebbe meglio se mi scortasse ad Approdo del Re. È un ottimo cavaliere.»

«Sì, ho visto» rispose sarcastico lui. «Verrai scortato da veri cavalieri, che si assicureranno che non incappi in altri… incidenti.»

Jaime strinse a pugno l’unica mano che gli restava. Era stata colpa sua. L’incontro con Locke, la perdita della mano… Aveva attaccato Brienne su quello stupido ponte perché non si era fidato di lei e adesso sarebbe stata lei a doverne pagare il prezzo.

«Devo insistere» disse.

«Non sei nella posizione per farlo, ser» ribatté Bolton, con una nota d'impazienza nella voce. «Credevo avessi imparato a tenere a freno la lingua, o no?»

Jaime stava per ribattere – no, non avrebbe mai imparato – quando sentì Brienne prendergli la mano. Si voltò verso di lei e i loro sguardi si incrociarono per un momento. Brienne scosse impercettibilmente la testa e Jaime fu costretto ad accettare la sconfitta. Sarebbe partito senza di lei.

Sospirò e rilasciò la mano ancora stretta a pugno, intrecciando le sue dita con quelle di Brienne.
 


Jaime non credeva che sarebbe riuscito a chiudere occhio quella notte, ma alla fine la stanchezza aveva prevalso sulla preoccupazione e si era addormentato. Al mattino era stato svegliato da Peck, il quale lo aveva informato che Lord Bolton voleva vederlo.

Jaime sperò che l’uomo avesse cambiato idea e avrebbe lasciato che Brienne partisse con lui, ma quando arrivò nella grande sala ad attenderlo c’erano solo Bolton e Qyburn. Il non-maestro gli controllò la ferita e Jaime notò che aveva un aspetto molto migliore rispetto al giorno precedente.

«Molto bene» commentò Qyburn. «L’infezione è passata e sta cicatrizzando più velocemente di quanto avrei sospettato.»

«È in grado di viaggiare?» chiese Bolton, sempre pragmatico.

Jaime sperò quasi che Qyburn rispondesse negativamente, invece disse: «Non a ritmi serrati, ma credo proprio di sì. Te la senti?» aggiunse, rivolto a lui.

Prima che potesse rispondere, Bolton lo anticipò.

«Solo perché tu lo sappia, Sterminatore di Re, aspettare un altro giorno non cambierà la mia decisione sulla tua amica, perciò rispondi con la verità.»

Jaime avrebbe voluto dargli un pugno, ma si trattenne. Aveva sviluppato un minimo di autocontrollo durante quel viaggio.

«Posso viaggiare.»

Bolton annuì, soddisfatto.

«Bene. Partirete insieme a me tra un’ora. Qyburn verrà con voi, così da poter continuare a curarti.»

«Insieme a te?» chiese Jaime. «Te ne vai anche tu?»

«Devo partecipare alle nozze di Edmure Tully assieme al re.»

Jaime annuì. Se Bolton se ne andava, però…

«Porterai Brienne con te?»

«Ovviamente no. Lei resterà qui e, finito il matrimonio, Robb Stark giudicherà se è o meno colpevole.»

Non lo è.

Ma in quel momento non era Robb Stark a preoccuparlo.

«Chi resterà con lei?»

Bolton inclinò la testa e Jaime sapeva cosa avrebbe risposto prima ancora che parlasse.

«Locke terrà il castello fino al mio ritorno. Non temere, gli ho già detto che se dovesse farle del male, ne avrebbe risposto a me.»

Jaime era certo che, al massimo, Bolton gli avrebbe fatto una ramanzina, come si fa ai bambini piccoli quando fanno qualcosa di sbagliato. Brienne non sarebbe stata al sicuro lì.

«La mia pazienza ha un limite, ser, pertanto ti prego di non approfittarne» aggiunse, probabilmente captando l’intento di obiettare di Jaime. «Mentre i miei uomini si preparano, puoi andare a salutarla.»

Jaime non se lo fece ripetere.
 


La stanza di Brienne si trovava in una delle torri ed era più grande di quanto Jaime si aspettasse. Più grande di quella che avevano dato a lui, almeno.

Bolton aveva già deciso che il soggiorno di Brienne sarebbe stato più lungo del mio.

Quando lo sentì entrare, Brienne si alzò e gli andò incontro. Indossava ancora lo stesso abito del giorno prima.

«Sei in partenza» dedusse, senza bisogno che lui parlasse.

Jaime si sentì un traditore mentre annuiva.

«Parto tra un’ora. Bolton si dirigerà alle Torri dei Frey, mentre tu resterai qui.»

Brienne aggrottò le sopracciglia, ma restò calma.

«Con Locke.»

Jaime annuì di nuovo.

«Mi dispiace» le disse, anche se non serviva a molto.

«Non dirlo, non è colpa tua. Me la caverò.»

Sarebbero trascorse almeno due settimane prima che Bolton tornasse. Locke non sarebbe stato buono per tutto quel tempo.

Non posso fare niente.

Quella consapevolezza era disarmante. E inaccettabile.

«Vorrei poter fare qualcosa per te» le disse, sperando che lei gli desse qualche consiglio o lo pregasse di farla scappare con lui. Jaime avrebbe acconsentito a qualunque cosa.

Brienne lo fissò, i suoi occhi brillarono di una nuova determinazione.

«Hai fatto una promessa a Lady Stark. Le hai promesso di riportarle le sue figlie sane e salve. Mantieni la tua parola, è tutto quello che ti chiedo.»

Jaime sospirò. Come aveva potuto pensare che l’onorevole e altruista Brienne gli avrebbe chiesto qualcosa per se stessa. Ma, in fondo, poteva essere la cosa migliore da fare. Se Robb Stark avesse riavuto le sue sorelle, forse sarebbe stato più clemente con lei e le avrebbe risparmiato la vita. Brienne non gli aveva fatto quella richiesta per tornaconto personale, ma Jaime accettò per quel motivo.

«Riporterò la giovani Stark dalla loro famiglia. Lo giuro.»

I suoi giuramenti non contavano niente per la maggior parte della gente, ma Brienne gli avrebbe creduto. Glielo lesse negli occhi.

«Addio, Ser Jaime.»

Jaime avrebbe voluto salutarla a sua volta, assicurandole che le cose si sarebbero risolte per il meglio, ma non riuscì ad aprire bocca.

“Ser Jaime.”

Era la prima volta che si rivolgeva a lui con il suo titolo e, per la prima volta da diciassette anni, sentì di essere degno di quel nome. Pronunciate da lei, quella parole non suonavano come un insulto o una presa in giro, erano sincere. Brienne lo vedeva come un vero cavaliere.

Sopraffatto dalle sue emozioni, Jaime chinò il capo in segno di saluto e uscì. Una volta fuori rilasciò il fiato che non si era accorto di star trattenendo. Stare vicino a Brienne lo metteva in soggezione.

Mi considera un vero cavaliere.

«M-Mio signore?»

Peck si avvicinò a lui, chiedendogli di seguirlo in cortile dove erano stati ultimati i preparativi per la partenza. Jaime lo seguì, cercando di reprimere i sensi di colpa che sentiva crescere a ogni passo.

«Peck.»

Il ragazzino si voltò, agitato.

«S-Sì, mi-milord?»

«Ho una richiesta da farti» disse.

Peck si agitò ancora di più.

«Mio-Mio signore, io non po-posso…»

«Non è niente di difficile, ragazzo» sbottò Jaime, rendendosi conto, però, che usare un tono severo avrebbe solo spaventato ulteriormente il ragazzo.

Calmati e pensa prima di parlare.

«Vorrei che tenessi d’occhio Brienne, finchè sono via. È una brava persona, non voglio che le accada niente di male a causa mia. Puoi?»

«C-Certo, milord» rispose Peck dopo qualche secondo, più sicuro di quanto Jaime lo avesse mai visto. «Farò del mio meglio.»

«Bene» l’uomo gli diede una pacca sulla spalla, prima di allontanarsi. «Ti ringrazio.»

Nel cortile, Bolton lo stava aspettando insieme ai suoi uomini.

«Ser Jaime.»

«Lord Bolton.»

«È un addio, dunque. Spero che porterai a Tywin Lannister i miei più sinceri omaggi.»

Jaime annuì distrattamente, mentre saliva a cavallo.

«Naturalmente» rispose. «Lei starà bene?»

Bolton trattenne a stento uno sbuffo. «Le sei molto affezionato, vedo. Cos’è quella donna per te?»

Jaime ci pensò.

Un’amica. Una compagna. La donna che…

«La mia protettrice» rispose, prima che la sua mente elaborasse pensieri ancora troppo spaventosi per lui. Perché amare Brienne avrebbe significato distruggere tutto ciò in cui Jaime aveva sempre creduto e tutto ciò che aveva sempre desiderato. Amarla avrebbe significato metterle un bersaglio sulla schiena, un bersaglio che Cersei non avrebbe esitato a colpire.

Amarla significa ucciderla.

Bolton annuì, per niente interessato. «Ho fatto giurare a Locke di trattarla con il rispetto che merita. Puoi stare tranquillo.»

Jaime trattenne una risata.

Certo. Perché Locke la rispetta così tanto che non le torcerebbe nemmeno un capello.

«Mi assicurerò che tutto sia in ordine prima di partire» aggiunse Bolton, forse notando quanto Jaime fosse scettico. «Addio, Sterminatore di Re.»

L’uomo annuì, consapevole di non poter fare nient’altro per Brienne.

«Addio, Lord Bolton. Ti prego, dì a Robb Stark che mi spiace di non poter partecipare al matrimonio di suo zio. I Lannister gli mandano i loro saluti.»

Jaime seguì Qyburn e altri uomini fuori dalle mura della fortezza. Uno di loro portava un vessillo di pace. Jaime si voltò un’ultima volta verso la torre dove era rinchiusa Brienne.

Salverò le giovani Stark, Brienne. E poi tornerò a salvare te.


 
Avevano cavalcato per tutto il giorno, fermandosi solo quando era giunta notte e proseguire sarebbe stato troppo rischioso. Walton Gambali d’Acciaio, il cavaliere a capo del gruppo, decise che non si sarebbero fermati nelle locande poiché troppo rischioso, e che avrebbero viaggiato il più in fretta possibile per raggiungere velocemente la capitale.

Bene. Prima arriviamo, prima potrò mantenere quella dannatissima promessa agli Stark e salvare Brienne.

Poco dopo la loro partenza, Jaime aveva cominciato a sentirsi strano. O meglio, la sua vista si era come appannata, poi i colori avevano iniziato a sbiadire fino a tornare delle tonalità grigie e spente a cui Jaime era sempre stato abituato. Tranne per il cielo. Quello continuava a vederlo di un azzurro limpido.

In un primo momento, credette che gli stesse tornando la febbre, ma non aveva freddo né si sentiva spossato. Poi ricordò a cosa erano legati i colori e si sentì pervadere dalla paura. Era forse successo qualcosa a Brienne? L’avevano già uccisa? No, Locke era un verme bastardo, ma non avrebbe rinunciato al riscatto né avrebbe rischiato di far adirare Bolton inutilmente. Brienne era viva. Tuttavia, poteva averla violentata o mutilata. Al suo signore non era importato troppo che avesse tagliato la mano destra del figlio di Tywin Lannister, quindi perché si sarebbe dovuto preoccupare per la perdita della verginità di una grossa lady minore.

Maledizione. Non avrei dovuto abbandonarla.

«Tu hai studiato alla Cittadella, vero?»

Quella sera, mentre Qyburn medicava la ferita, Jaime decise di fare un ripasso sulla teoria delle anime gemelle, sperando di ottenere qualche informazione sulla salute di Brienne.

«Sì, mio signore.»

«Quindi saprai tutto sulle anime gemelle e i loro meccanismi.»

Qyburn sorrise. «Ah, le anime gemelle! Davvero una bella favola.»

«Non ci credi?»

Lo stesso Jaime era stato scettico per anni a riguardo, ma di recente aveva rivalutato le sue posizioni.

Brienne mi ha fatto rivalutare tutto quanto.

«Naturalmente ci credo, è tutto vero. Purtroppo io non sono ancora stato così fortunato da incontrarla. Tu l’hai trovata, mio signore?»

Jaime non rispose. Non era certo di essere pronto ad ammetterlo ancora.

«Che cosa vuoi sapere di preciso?» chiese Qyburn, capendo che l’altro non gli avrebbe risposto.

«Si vede il mondo a colori.»

Il non-maestro annuì.

«Non so molto di più, in realtà» confessò Jaime.

«Oh, non c’è molto altro da sapere. Quando si nasce il mondo è scuro e spento, poi arriva una persona speciale nella nostra vita che trasforma tutto ciò che ci circonda. Almeno finché è con noi.»

«Finché è con noi?» Finché è vicina? O finché è viva?

«Quando ci si allontana dalla propria anima gemella il mondo torna ad essere come prima, perché torna a mancare quella parte che ci completava e ci permetteva di vedere il mondo nella sua pienezza» spiegò Qyburn. «Solo un segno rimane a distinguere chi ha trovato la sua metà e chi vaga ancora nella speranza di incontrarla, un giorno: un colore. Un unico colore dell’intero spettro continuerà a essere visibile. È diverso per ognuno, ma è un colore che, in qualche modo, ricorda la persona amata.»

Jaime guardò il cielo. Era calata la notte e quello sembrava solo un manto nero costellato da puntini bianchi, ma lui ricordava che quel pomeriggio era azzurro.

Meno intenso del colore dei suoi occhi, ma abbastanza per farmi pensare a lei.

«Quindi è solo… Solo la lontananza a fare questo effetto?» chiese Jaime. -Non anche, non so, la morte?»

Brienne è viva. Se così non fosse, lo sentirei.

Si concentrò sulla risposta di Qyburn, ignorando il fatto che un tempo quel pensiero avrebbe avuto un’altra donna come protagonista.

«Oh no, per la morte la situazione è ancora diversa. In quel caso i colori rimangono, ma assumono tutti tonalità più cupe e spente. Dalla morte non si torna indietro, mentre si può comunque raggiungere una persona, quantunque sia distante, fintanto che respira la nostra stessa aria.»

Jaime osservò il fuoco, la sua mano e il moncherino, il volto di Qyburn. Erano bianchi e grigi. Non vedeva colori, né sfocati né intensi.

Tirò un sospiro di sollievo.

«Non la uccideranno» gli disse Qyburn, sorridendogli.

Jaime si sdraiò accanto al fuoco, ignorando il suo commento. Chiuse gli occhi, sentendosi più tranquillo, perché con quelle nuove informazioni avrebbe sempre saputo se, un giorno, sarebbe riuscito a rivedere la donna che aveva iniziato ad amare.

 

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Capitolo 7
*** Brienne III ***


BRIENNE III


 
Dopo che Jaime era uscito dalla stanza, Brienne si era avvicinata alla feritoia sul lato opposto. Non si poteva definire una finestra, ma le permetteva di vedere all’esterno, anche se solo in minima parte. Scoprì con dispiacere che la vista dava sul cortile interno della fortezza, mentre lei avrebbe voluto vedere quello in cui erano stati condotti quando erano giunti ad Harrenhal. Jaime sarebbe partito da lì.

Una parte di lei voleva che restasse, ma sapeva che era impossibile. E ingiusto. Jaime era ancora debole, aveva bisogno di riposo e delle dovute cure.

Ha bisogno di sua sorella.

Restò ferma lì per alcuni minuti, finchè non sentì il nitrito dei cavalli e captò il rumore di zoccoli che battevano sul terreno. Erano partiti. Jaime se n’era andato e lei era rimasta sola.

Inspirò profondamente, prima di sdraiarsi sul suo giaciglio. Doveva essere forte. Non poteva lasciare che Locke e i suoi uomini le facessero del male, fisico o verbale che fosse. Era certa che Bolton sarebbe tornato presto e con lui Robb Stark.

E anche Lady Catelyn.

Sarebbe stata al sicuro con loro, qualunque sarebbe stata la decisione del Re del Nord. Brienne era certa che non l’avrebbe messa a morte, ma probabilmente l’avrebbe sollevata dall’incarico di guardia di sua madre. E come biasimarlo? Si era mostrata un totale fallimento. Alla fine sarebbe stato Jaime a riportare Arya e Sansa dalla loro famiglia. Brienne, tuttavia, ne era felice. Sapeva che non correva buon sangue tra lui e gli Stark a causa di un fraintendimento passato.

Anche se, più che fraintendimento, è stata l’assoluta convinzione di Lord Stark della colpevolezza di Jaime a denigrarlo ai loro occhi.

A ogni modo, Jaime avrebbe potuto mostrare di essere un vero cavaliere e un uomo d’onore, e lei ne era orgogliosa.

La porta si aprì all’improvviso. Brienne scattò sull’attenti.

«Il tuo fidanzatino se n’è andato» disse Locke.

«Cosa vuoi?» Li avevano chiamati “gli amanti” dal primo giorno di prigionia, quindi Brienne non si stupì per come aveva definito Jaime.

«Ma come siamo scontrose!» esclamò Locke, sogghignando. «Volevo solo sapere se la mia signora stava bene.»

Starei meglio libera e lontana da te, ma tutti dobbiamo accontentarci, no?

«So che Lord Bolton ha fatto scrivere a mio padre per il riscatto» rispose, invece. Era certa che suo padre avrebbe pagato, così come sapeva che sarebbe dovuta tornare a casa una volta avvenuto lo scambio. Era partita con sogni di cavaliere e sarebbe tornata come la fanciulla che aveva avuto bisogno dell’aiuto di suo padre per cavarsela.

Una parte di lei quasi sperava che Robb Stark giungesse prima di Lord Selwyn.

«Gli ha scritto, aye. Tuo padre è disposto a pagare una bella somma in oro.»

Brienne annuì.

«Ma a me non basta» continuò Locke, «Ti ho lasciata in pace per degli zaffiri e pretendo quelli.»

Merda.

«Vedo che te la passi bene, comunque. Più tardi ti manderò il pranzo, mia signora.»

Locke si diresse verso la porta e Brienne pensò che, per una volta, aveva avuto un comportamento abbastanza decente.

«Ci divertiremo molto insieme» le rivolse una smorfia che forse voleva essere uno sguardo malizioso, ma riuscì solo a farle provare disgusto.

Non appena fu uscito, Brienne si sedette, prendendosi la testa tra le mani.

«Jaime…»

Quella bugia che l’aveva salvata alla fine le si era ritorta contro. E Locke non avrebbe mantenuto la parola data, nemmeno se si trattava di un ordine di Bolton in persona. A lui non importava che le venisse fatto del male e presto Locke avrebbe scoperto la verità sugli zaffiri. Brienne cominciò seriamente a dubitare di riuscire a cavarsela quella volta.

«Jaime…»
 


Credeva di aver dormito per pochi minuti, ma quando si svegliò la stanza era scura. Si mise a sedere e notò uno spiraglio di luce bianca entrare dalla feritoia. Era troppo intensa per essere la luna, così Brienne si alzò per vedere che cosa fosse. Il castello era in movimento, troppo per un’ora tarda. Inoltre, anche se coperto dalle nuvole, c’era il Sole in cielo. Era giorno, eppure i colori erano molto cupi, scuri e spenti.

Tuttavia non erano nuovi per Brienne.

E questo che significa?

Il vestito era diventato grigio scuro e le coperte, prima marroni, erano diventate tendenti al nero. Era tornato tutto come un tempo. Come prima di conoscere Jaime.

«Grazie, Dei!» esclamò, irritata. «Tanto ho poche preoccupazioni al momento, aggiungetene pure altre.»

Brienne aveva accettato che fosse Jaime la sua anima gemella, perciò sapeva che quel cambiamento improvviso era legato a lui. Ma in che modo? Era perché se ne era andato?
Oppure gli era successo qualcosa? Bolton aveva mentito e aveva giustiziato Jaime?

No. Bolton era un uomo saggio, non avrebbe rischiato di scatenare la furia di Tywin Lannister. Jaime era vivo, anche se lontano.

Dei colpi alla porta la allontanarono momentaneamente dalle sue preoccupazioni. Restò al centro della stanza, petto in fuori e testa alta.

Non mi farò spaventare. Combatterò se necessario, ma non darò loro vita facile.

Ma a entrare fu solo Peck, con un vassoio in mano.

«M-Mia signora, ti ho p-portato il pranzo.»

Brienne annuì. Peck era un bravo ragazzo, timido e balbuziente. Lo ringraziò mentre prendeva la ciotola con il porridge e il bicchiere d’acqua.

«Ho-Ho il dovere di r-restare finchè non hai f-finito.»

Brienne non ne capì il motivo, ma non si lamentò. Peck era l’unica persona con cui si sentisse al sicuro in quel luogo. Non aveva fame, ma si costrinse a mangiare, temendo che se la sarebbero presa con lui se il piatto fosse tornato pieno. Quando ebbe finito, riconsegnò le stoviglie al ragazzo, il quale la fissò come se volesse dirle qualcosa.

«Va tutto bene?» gli chiese Brienne.

Lui arrossì e le rivolse un inchino impacciato, prima di uscire in tutta fretta.
 


Il resto della giornata trascorse piuttosto tranquillamente, nonostante Locke fosse andato a farle visita per quattro volte. Non aveva mai cercato di farle niente, ma le sue intenzioni nei suoi confronti erano lampanti. Brienne, però, non si scompose mai. Se si fosse mostrata debole o spaventata lui ne avrebbe approfittato, o almeno così pensava. Ma aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa e, per il momento, l’idea che se fosse stata abbastanza forte se la sarebbe cavata le bastava.

Fu nuovamente Peck a portarle la cena. Di nuovo porridge e acqua, ma poteva andarle peggio. Brienne mangiò in silenzio, ma sentiva gli occhi del ragazzo puntati addosso con insistenza e la cosa cominciava a darle fastidio.

«Che c’è?» sbottò infine.

Il ragazzo sussultò, ma le rispose: «Vo-Volevo solo sapere co-come stavi, mia s-signora.»

«Come vuoi che stia?»

Peck abbassò lo sguardo e Brienne capì di aver esagerato. Ora capiva come doveva essersi sentito Jaime quando era nervoso e voleva solo qualcuno su cui sfogarsi.

«Perdonami, Peck» gli disse, più dolcemente. «Sono stanca e anche un po’ preoccupata, a dirla tutta. Ma non è un motivo per prendermela con te. Sei stato gentile e la tua compagnia mi fa piacere.»

Un sorriso timido comparve sul volto del giovane. Era una visione rassicurante in quel luogo.

«P-Puoi stare tranquilla, mia s-signora. Ci penso io a proteggerti.»

Brienne si lasciò sfuggire una risatina. Era molto tenero, ma di certo non avrebbe potuto fare affidamento su di lui. Né l’avrebbe voluto, poiché quello avrebbe rischiato di metterlo in pericolo.

«Sei molto gentile» rispose, fingendo di stare al gioco.

Peck annuì. «L’ho p-promesso a Ser J-Jaime.»

Quelle parole incuriosirono Brienne.

«Che intendi dire?-

«Gli ho p-promesso di tenerti al s-sicuro fino al suo ri-ritorno.»

Brienne scosse la testa. Probabilmente Peck stava solo cercando di tirarla su di morale.

Perché dovrebbe tornare qui? Sta andando a casa, dalla donna che ama. Perché dovrebbe pensare a me?

Non lo disse a Peck, limitandosi a ringraziarlo e dicendogli che si sentiva più tranquilla sapendo che c’era lui con lei. Non era nemmeno una grossa bugia, in fondo.

Una volta rimasta sola, Brienne si sdraiò sul suo giaciglio. Era stanca, ma dubitava che sarebbe riuscita a dormire.

“Gli ho promesso di tenerti al sicuro fino al suo ritorno.”

Forse Jaime gli aveva davvero chiesto di starle vicino fino a quando fosse stata insieme a Locke, ma di certo non sarebbe tornato. Brienne non ci aveva ancora pensato davvero, ma era probabile che non lo avrebbe più rivisto. Dopotutto, lui non aveva motivo di lasciare di nuovo la capitale – e Cersei – né lei aveva motivo per andarci a questo punto. Il loro era stato un addio definitivo.

Sentì una morsa allo stomaco e la vista le si appannò. Si asciugò velocemente gli occhi, non volendo rischiare che qualcuno entrasse e la vedesse piangere. Non c’era niente di strano in fondo: si era innamorata, ma Jaime non avrebbe potuto ricambiarla. Tuttavia doveva ritenersi fortunata, poiché sia lui sia Renly erano stati gentili con lei e avevano imparato a rispettarla come cavaliere, anche se Brienne non era più certa di meritare quel titolo.

Renly l’aveva accolta nella sua Guardia Reale ed era morto, proprio mentre erano insieme. Quando ne aveva parlato a Lady Catelyn, la donna si era mostrata molto comprensiva e le aveva detto che nessuno avrebbe potuto proteggerlo da una maledizione. Forse era vero o forse, se ci fossero stati un Jaime Lannister o un Loras Tyrell, le cose sarebbero andate diversamente. Dopo la morte di Renly lei era fuggita senza voltarsi indietro, sicuramente alimentando quelle orribili dicerie che incolpavano lei per l’omicidio del re. Come se avrebbe mai potuto fare del male all’uomo che amava.

Tuttavia, pensandoci adesso, dopo aver conosciuto Jaime, non era più sicura che quello che provava per Renly fosse vero amore. Lui era stato il primo uomo, al di fuori della sua famiglia, a mostrarle rispetto e a trattarla come una donna. Aveva danzato con lei quando nessun altro sarebbe stato disposto a farlo, senza deriderla né oltraggiarla. Ricordava che le aveva anche fatto i complimenti per il suo abito e il modo in cui danzava. Allora Brienne era una ragazzina e aveva scambiato quella gentilezza per affetto nei suoi confronti, ma anche quando aveva scoperto la verità, ai suoi occhi Renly era rimasto un uomo buono e dolce per cui avrebbe dato la sua vita senza pensarci due volte. Ma si era trattato solo di una cotta, non di amore.

Era Jaime l’uomo di cui era innamorata. Lo aveva capito da quando si era aperto con lei o forse anche da prima, e, nonostante sapesse che era anch’esso un amore impossibile, Brienne ne era felice. Jaime la rispettava e, forse, la considerava anche un’amica. Sapeva che non sarebbe mai potuta essere più di questo per un uomo, ma le sarebbe bastato. Però le sarebbe piaciuto incontrarlo di nuovo, almeno un’ultima volta.
 


Alla fine Brienne dormì quella notte. Sognò Jaime che la nominava cavaliere e poi la poneva sotto la sua protezione, posandole il mantello rosso e oro dei Lannister sulle spalle. In quel mondo i colori erano vividi e intensi. Suo padre era al suo fianco insieme a Galladon, Renly e Lady Catelyn e tutti le stavano sorridendo affettuosamente.

Si svegliò prima che Jaime potesse sugellare la sua promessa con un bacio e forse fu meglio così. Rifugiarsi nei sogni era stupido e Brienne sapeva che niente di ciò che aveva visto si sarebbe mai potuto avverare.

Si alzò e si lavò la faccia e le mani. Era l’alba. Si chiese come stesse Jaime e a che punto fosse. Immaginava che avrebbero tenuto un ritmo serrato per arrivare alla capitale il prima possibile. Anche in gruppo non era sicuro viaggiare nei boschi in quel periodo.

Sentì bussare alla porta e si preparò a ricevere Peck. La colazione era, di nuovo, porridge e acqua.

«Buongiorno, Peck» lo salutò.

«B-Buongiorno, mia s-signora. D-Dormito bene?»

Lei annuì e ripeté la domanda anche a lui. Peck arrossì fino alla punta dei capelli.

«S-Sì, mia si-signora. G-Grazie, mia signora.»

«Puoi chiamarmi Brienne.»

Il ragazzo le sorrise e annuì.

«Posso chiederti come mai ti trovi qui?» gli disse. Brienne non era il tipo di persona che aveva bisogno di conversare con chiunque, ma era curiosa di conoscere meglio Peck.

Ed è l’unico con cui abbia interesse a parlare in questo luogo.

«Ero al se-servizio di Lord T-Tywin. Mi ha l-lasciato qui prima di to-tornare ad A-Approdo del Re.»

Brienne per poco non soffocò con il porridge.

«Tywin? Tywin Lannister era qui?!»

Peck annuì. «Se n’è a-andato quando S-Stannis Baratheon ha a-attaccato la ca-capitale. Un pa-paio di settimane p-prima del vostro a-arrivo.»

La rabbia che provò sentendo il nome di Stannis le impedì di mettersi a ridere. Il potente Tywin Lannister, il padre di Jaime, era stato lì poco prima di loro. Se Stannis non avesse attaccato Approdo del Re probabilmente sarebbero stati accolti da lui al loro arrivo a Harrenhal. Tywin avrebbe fatto giustiziare Locke e i suoi uomini per l’affronto subito dal figlio e Jaime lo avrebbe convinto a non fare del male a lei.

E forse lui sarebbe ancora con me.

Destino crudele. Negli ultimi tempi, si stava divertendo a farsi beffe di lei.

«Che ne è stato di Stannis?»

Il ragazzo scosse le spalle. «Non lo s-so. Lord T-Tywin ha vinto, ma…»

«Buongiorno!»

Locke entrò nella stanza, seguito da altri quattro uomini. Non era un buon segno.

Peck sta solo facendo il suo dovere. Lui lo lasceranno in pace.

«Buongiorno» rispose Brienne a denti stretti.

«Ti trovo splendida come sempre, mia signora» I suoi uomini risero alla battuta.

«Che cosa vuoi?» Non si sarebbe mostrata sottomessa, ma non era nemmeno il caso di inimicarseli del tutto.

«Uh, come siamo scontrose stamani. Dormito male, dolcezza?»

Locke le si avvicinò mentre gli altri la circondavano, restando però a distanza.

«Se ti manca il calore dello Sterminatori di Re, possiamo pensarci noi.»

Merda.

Non avevano nemmeno aspettato che fosse passato un giorno intero dalla partenza di Bolton per cercare di aggredirla nuovamente.

«M-Mio signore…»

«Vattene, ragazzino» lo allontanò bruscamente Locke. «Sei ancora piccolo per queste cose. Tra un annetto, magari…»

No. Peck questo non lo farebbe nemmeno tra vent’anni, lurido verme. Troverebbe una brava ragazza e sarebbe gentile con lei.

«M-Ma Brienne non s-sembra…»

«Peck» disse lei. «Sei un suo servitore adesso, gli devi obbedire. Vattene.»

«Hai sentito? Sciò, ragazzino. La tua amica ha voglia di cazzo.»

Brienne strinse i pugni.

«Hai fatto una promessa a Lord Bolton…»

«Non mi risulta.»

Bastardo.

Prima che Brienne potesse ribattere, due degli altri uomini la presero per le spalle, tirandola sul letto. Sentendo le loro mani così vicine alla sua pelle, Brienne si rese conto di quanti pochi indumenti ci fossero a separarla da quegli animali. Se avesse avuto la sua armatura, o anche solo dei pantaloni, si sarebbe sentita più al sicuro.

Devo colpirli solo con pugni. Se muovo le gambe, sono spacciata.

«Fermi! Lasciatela s-stare!»

Perché è ancora qui? 

«Sei fastidioso, ragazzino. Ti vuoi levare dalle palle?!»

«N-No. Q-Questo è sbagliato!»

«Va via, Peck!» gli intimò Brienne.

«L’hai sentita? Anche lei lo vuole.»

«N-Non è vero!»

È più insistente di quanto credessi.

«Giuro, se dici un’altra parola ti ammazzo, chiaro?»

«Ma...»

Anche ‘ma’ è una parola. Con un movimento repentino del braccio, Locke squarciò la gola di Peck da un orecchio all’altro.

«NOOO!»

Il ragazzo cercò di tamponare la ferita, inutilmente. I suoi occhi erano sbarrati per il terrore, mentre si accasciava a terra.

Brienne lo vide spegnersi di fronte ai suoi occhi. Quel povero ragazzo…

Jaime aveva perso una mano per salvarla da uno stupro e adesso Peck aveva perso la vita.

Non sono un cavaliere. Se lo fossi, non lascerei che gli altri soffrissero per me.

«Come hai potuto?!» gridò. «Era solo un ragazzo!»

«Ehi, io l’avevo avvisato» cercò di giustificarsi Locke. «Non mi ha voluto ascoltare. Ma la colpa è tua, puttana. Ha pensato che non ti stessi divertendo e ha voluto fare l’eroe.»

Brienne si sentì invadere da una furia cieca. L’avrebbe pagata. L’avrebbero pagata tutti per quello che avevano fatto.

«E ora sta lì buona, che mi hai già dato abbastanza problemi per oggi.»

Si avvicinò a lei, cominciando a sbottonarsi le brache, ma Brienne non lo lasciò avvicinare. Unendo le gambe, si lanciò in avanti con tutta la sua forza e riuscì a colpire Locke allo stomaco. Aveva mirato più in basso, ma l’attacco funzionò ugualmente. Grazie al movimento inaspettato, riuscì a liberarsi dalla presa dei due uomini che la tenevano ferma. Sentì il suono di stoffa strappata e capì che il suo abito si era rotto in qualche punto, ma a lei non importava.

Locke aveva usato un pugnale per uccidere Peck. Se fosse riuscita a sottrarglielo, avrebbe avuto una possibilità.

«Non ce la fai proprio a non causare problemi, vero?» esclamò Locke.

Cercò di darle un pugno, ma Brienne scartò di lato, colpendo nel frattempo un altro dei suoi scagnozzi. Egli perse l’equilibrio e Brienne riuscì a trattenerlo in tempo per impedirgli di cadere sul corpo di Peck.

Non è giusto. Non doveva andare così.

Quel momento di debolezza, però, diede a Locke la possibilità di saltarle addosso, facendola cadere a terra.

«Aiutatemi a tenerla ferma! Cazzo, quanto mi fai penare.»

Puoi anche lasciar perdere, non ti obbliga nessuno a stuprarmi.

Mentre i suoi uomini si avvicinavano, Locke era rimato sdraiato su di lei per trattenerla. Per Brienne lui aveva smesso di essere un uomo, perciò era convinta che non meritasse di essere sconfitto in modo cavalleresco.

«Argh! Ma che cazzo…»

Si allontanò da lei, tenendo una mano sul volto nel tentativo di fermare l’emorragia. Brienne sputò un pezzo del suo orecchio, schifata dal sapore amaro del sangue.

«Ti ha staccato un orecchio?» esclamò quello che si chiamava Jace. Brienne ricordò che l’uomo non spiccava per intelligenza.

«Maledetta stronza!»

Brienne si alzò in piedi, ma fu subito afferrata per le spalle da altri due uomini. Non poteva muoversi senza che uno di loro riuscisse a raggiungerla.

«Dovresti medicarti, milord» gli disse Jace. «Te la prepariamo noi nel frattempo?»

Locke provò a scuotere la testa, ma si dovette fermare.

«No. No, quella puttana mi ha rotto i coglioni a sufficienza per oggi!» Poi Brienne vide un lampo guizzare nei suoi occhi e temette che avesse in mente un destino ancora più crudele per lei.

Le si avvicinò e Brienne dovette trattenere un mezzo sorriso nel notare che, per sembrare minaccioso con lei, Locke doveva mettersi sulle punte dei piedi.

«Ti piace tanto comportarti come un animale, vedo.»

Solo se ho a che fare con altri animali.

Brienne fu felice di avere un ottimo autocontrollo. Se ci fosse stato Jaime al suo posto, avrebbe già detto almeno tre o quattro volte la cosa sbagliata.

«Conosco il posto adatto a te. Morden, Ras, portatela alla Fossa dell’Orso.»


 
L’avevano fatta scendere attraverso uno stretto cunicolo che sbucava in una grande arena piena di sabbia. Una volta al centro di essa l’avevano buttata a terra e si erano allontanati, chiudendo la grata del passaggio. Brienne non aveva nemmeno provato a seguirli, sapendo che sarebbe stato inutile. Si guardò intorno. L’arena era circondata da mura alte almeno sei metri, sulla cima delle quali erano situate delle sedie da cui potersi godere lo spettacolo. C’erano solo due ingressi: quello da cui era arrivata lei e un altro, sul lato opposto. Brienne aveva sentito parlare di simili fosse da combattimento, ma credeva che si trovassero tutte a Essos. E che vi prendessero parte solo esseri umani.

La Fossa dell’Orso. Quando era finita a terra aveva visto delle ossa e dei teschi umani, ma cercò di non pensarci. Si chiese se ci fosse veramente un orso lì e se l’avrebbero costretta a combatterlo. Forse Locke voleva solo spaventarla, costringendola ad ammettere che preferiva diventare il suo giocattolo personale piuttosto che rischiare di venire sbranata.

Evidentemente, non la conosceva ancora molto bene.

Si sedette con la schiena appoggiata al muro. Aveva ancora la bocca sporca di sangue e il lato sinistro del vestito era stato strappato, scoprendole la spalla. Alla fine, se l’era cavata con poco.

Peck…

Sentì le lacrime pungerle gli occhi ripensando a quel povero ragazzo, la cui unica colpa era stata quella di aver cercato di aiutarla. “Proteggi gli innocenti, difendi i deboli”. Se fosse stata un vero cavaliere, Peck sarebbe ancora vivo.

Appoggiò la testa sulle ginocchia, sospirando. Era solo il primo giorno e non credeva di riuscire a sopportarne molti altri della stessa risma. Forse, però, essere finita in quella fossa era un bene. Magari si sarebbero dimenticati di lei, lasciandola lì dentro a morire di fame; oppure esisteva davvero un orso e lei sarebbe diventata il suo cibo. In quel momento, le sembravano entrambe delle possibilità accettabili.
 


Il Sole era ancora alto nel cielo quando Brienne sentì dei rumori provenire da fuori la fossa. Alzò lo sguardo e vide gli spalti pieni. Le sedie situate sopra di lei erano ancora vuote, ma Brienne vide la folla attorno a esse diradarsi mentre si avvicinava qualcuno.

Locke sedette al centro e le rivolse un sorriso di sfida. Quell’espressione stonava con la benda che gli copriva la metà destra della faccia.

«Datele un’arma!»

Qualcosa cadde all’interno della fossa e Brienne si avvicinò cautamente a essa. Era una spada di legno, come quelle che si usavano per addestrare i bambini. Non sarebbe servita a niente, ma era comunque rassicurante non dover combattere a mani nude.

«Vedi di farmi divertire almeno in questo!» le gridò Locke, prima di ordinare che ‘l’altra bestia fosse liberata.’

Una delle porte si aprì e a Brienne si accapponò la pelle quando sentì il ruggito provenire da lì. Dopotutto, un orso c’era davvero. Non ne aveva mai visto uno, ma ricordava che qualcuno una volta lo aveva paragonato a lei. Chi l’aveva fatto evidentemente non ne aveva mai visto uno se non in un libro: quell’orso era decisamente più grosso di lei.

«Cerca di non farti ammazzare subito!»

Brienne tenne la spada di fronte al corpo, più per abitudine che per una vera utilità. L’orso non la stava ancora considerando. Si muoveva per l’arena e, per un momento, Brienne pensò che, se fosse stata abbastanza ferma, lui non l’avrebbe nemmeno vista.

L’orso alzò il muso verso di lei e rugliò. Le si avvicinò abbastanza lentamente e quando le fu vicino alzò una zampa, ma Brienne gli diede un colpo con la spada prima che potesse calare su di lei. Quel gesto mandò in confusione la bestia in un primo momento e poi la fece infuriare. Le corse incontro, ma lei riuscì a scartare di lato. Mentre lo faceva, ebbe l’impressione che la pelliccia dell’orso fosse marrone. Sbattè le palpebre, cercando di concentrarsi.

Ora devo pensare solo a difendermi.

L’orso era arrivato fino alla fine della fossa, prima di voltarsi e tornare nuovamente a fronteggiarla. Anche la sabbia stava assumendo un colore più definito, tendente anch’essa al marrone.

Spinta dalla curiosità e convinta che l’orso fosse ancora abbastanza lontano, Brienne osservò il suo abito. Era rosa.

Ma che cavolo…

Si sentì buttare a terra e la spalla sinistra le sembrò andare a fuoco. Riuscì a rimettersi in piedi in tempo per evitare che l’orso la schiacciasse sotto il suo peso. Quel momento di distrazione aveva permesso al suo avversario di colpirla.

«Oh, insomma, la smetti di fuggire?! Combatti, forza!»

Brienne avrebbe voluto dirgli che poteva venire a combatterlo lui il suo stupido orso, ma aveva imparato che abbassare la guardia, anche solo per un attimo, poteva risultarle fatale.
L’orso tornò subito all’attacco e, questa volta, Brienne decise di non limitarsi a scappare. Scartò di lato, molto più agile di lui, e lo colpì alla schiena con tutta la sua forza. Ovviamente, non servì a niente.

Più lo colpisco, più lui si infuria. Cosa posso fare?

L’orso la fronteggiò, ergendosi in tutta la sua stazza. Brienne provò un affondo alla gola, sperando che colpendo in un punto sensibile sarebbe riuscita a indebolirlo, ma lui intercettò il suo attacco e, con un’unica zampata, ruppe la spada e scaraventò nuovamente Brienne a terra.

È finita.

Sentì un tonfo dietro di sé, come se qualcosa fosse caduto sulla sabbia. Brienne sperò che uno di quegli uomini fosse stato abbastanza misericordioso da lanciarle un’altra arma, magari più letale della precedente.

Quando si voltò, però, non vide un oggetto, bensì una persona.

Jaime!

«Sta’ dietro di me.»

Brienne, ancora sorpresa per vederlo lì, riuscì a prendere ciò che restava della spada mentre si alzava.

«Scordatelo. Tu sta’ indietro, sono io ad avere la spada.»

Non lascerò che qualcun altro rischi la vita per me.

Jaime sbuffò.

«Di legno e un po’ rotta, mi pare» la afferrò per il braccio sano e si mise di fronte a lei. «Fai poche storie, donzella, e stai dietro di me.»

«Qual è il piano?»

Jaime si chinò a terra, raccogliendo una manciata di sabbia nella mano.

«Uscire da qui vivi, ovvio.»

Sì, ovvio.

Jaime lanciò la sabbia sul muso dell’orso, il quale indietreggiò, accecato.

«Corri!»

Corsero da dove era arrivato Jaime e Brienne si rese conto con orrore che non c’erano scale o funi con cui poteva essersi calato giù.

È saltato? Quest’idiota si è lanciato dentro una fossa profonda sei metri in cui c’era pure un orso?!

«Sali, presto!»

Brienne decise che lo avrebbe rimproverato in un secondo momento. Jaime la aiutò ad arrampicarsi e alcuni uomini la aiutarono a raggiungere la cima delle mura. Una volta su, Brienne si sporse verso Jaime, allungandosi il più possibile per cercare di raggiungerlo.

Più di così non riesco ad andare. Riuscirà ad arrampicarsi da solo per il primo pezzo?

«Ser Jaime, sbrigati!»

Jaime cercò di aggrapparsi a uno dei pilastri in legno che sorreggevano la struttura, ma con una mano sola non riuscì a tenere salda la presa e cadde di nuovo dentro la fossa. Atterrò in piedi senza difficoltà, ma fu ciò che vide alle sue spalle che fece perdere un battito al cuore di Brienne.

No. No, vi prego, lui no!

Il diversivo usato da Jaime era stato efficace, ma non poteva durare per sempre. L’orso aveva recuperato la vista e si stava dirigendo verso di lui. Jaime era bloccato contro il muro, perciò non avrebbe avuto scampo.

«Jaime!»

Un dardo si conficcò nella schiena dell’orso, facendolo indietreggiare e dando a Jaime il tempo di provare a risalire. Questa volta riuscì a restare aggrappato a uno dei pilastri e riuscì ad allungarsi abbastanza per afferrare le mani di Brienne.

Fu solo quando furono entrambi fuori da quella maledetta fossa che Brienne si concesse di tirare un sospiro di sollievo.

«Stai bene?» gli chiese.

Jaime si mise a sedere, ansimando.

«Sì, sì. Tu… Sei ferita.»

Brienne osservò per la prima volta le sue condizioni. Dal collo alla spalla sinistra era piena di sangue e notò la fine di tre tagli che probabilmente partivano dal collo. Se l’orso avesse inclinato gli artigli in un altro modo o fosse andato più in profondità, probabilmente sarebbe morta.

«Non è grave» mentì.

Jaime inarcò un sopracciglio, ma non ebbe tempo di ribattere.

«La puttana resta qui.»

Locke si era avvicinato a loro e sembrava parecchio infastidito.

Jaime si alzò, offrendo una mano anche a lei.

«Lady Brienne viene con me» Il suo tono era fermo e non ammetteva repliche.

«Lei è mia. Lord Bolton l’ha data a me.»

Non perché tu mi violentassi o mi facessi diventare la cena del tuo animaletto.

«Cosa credi che sia più importante per Lord Bolton?» rispose Jaime. «Che un verme abbia il suo giocattolo, o sapere che Tywin Lannister ha riavuto indietro suo figlio?»

Locke digrignò i denti, ma, per una volta, ebbe il buonsenso di tacere.

«Ah, e va bene, andatevene! Sono stufo di tutti e due!»

Brienne quasi non riusciva a credere che avrebbe sul serio lasciato quel luogo viva e illibata. E con Jaime.

«Bene. Mia signora.»

Jaime le fece cenno di precederlo, ma mentre si allontanavano, dovette rivolgersi a Locke un’ultima volta.

«Peccato per gli zaffiri.»

Brienne gli rivolse un’occhiataccia e Jaime si limitò a scrollare le spalle, sorridendole.
 


Qyburn le aveva medicato la ferita come meglio poteva, ma disse che le avrebbe dedicato più tempo una volta che fossero stati lontani da Harrenhal. Non c’era da fidarsi, Locke avrebbe anche potuto cambiare idea e decidere di farli restare. Montarono velocemente in sella e, per non perdere tempo a cercare un’altra cavalcatura, Brienne andò con Jaime.

Quando le mura della fortezza non furono che dei puntini all’orizzonte rallentarono la marcia e cominciarono a pianificare un rifugio per la notte.

«Tutto bene?» le chiese Jaime.

Lei annuì. Si sentiva spossata e temeva che presto le sarebbe anche venuta la febbre. Qyburn l’aveva avvertita del rischio di infezione.

«Ho notato che hai fatto un bel lavoretto a Locke, ottima mossa.»

Brienne non disse niente. In realtà, non riusciva ad essere felice per ciò che aveva fatto, perché la rabbia che l’aveva animata era stata causata dalla morte di Peck.

«So di Peck» le disse Jaime. «Almeno, penso che Locke si riferisse a lui quando ha parlato dello… del giovane servitore.»

Brienne era certa che non avesse usato quelle parole per riferirsi al ragazzo, ma fu grata a Jaime per il suo tatto.

«Mi dispiace. Temo di essere stato io a…»

«No» lo interruppe Brienne. «No, non è stata colpa tua. Peck era un ragazzo buono e coraggioso. Avrebbe cercato di fermarli in ogni caso. Sono io che avrei dovuto allontanarlo con più decisione, avrei dovuto…»

«No, Brienne, tu non dovevi fare niente.»

La strinse di più a sé e Brienne appoggiò la testa sulla sua spalla. Era caldo e le dava un senso di sicurezza e di familiarità.

Restarono in silenzio per alcuni minuti, poi Brienne disse:

«Sei saltato dentro quella fossa, vero?»

«Sì.»

Brienne alzò lo sguardo, incontrando i suoi occhi. Le era mancato quel verde profondo.

«Sei veramente un idiota.»

Il sorriso di Jaime fu l’ultima cosa che vide, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi.
 

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Capitolo 8
*** Jaime IV ***


JAIME IV


 
La febbre era arrivata veramente, come aveva predetto Qyburn. Purtroppo gli artigli dell’orso erano pieni di terriccio e sabbia e, non avendo potuto pulire subito la ferita, questa si era infettata. A ogni modo, il non-maestro aveva assicurato che non avrebbe avuto conseguenze gravi: due o tre giorni di febbre e poi sarebbe tornato tutto a posto. Jaime era stato in parte rincuorato da quelle parole, ma preferiva comunque occuparsi di Brienne il più possibile, sapendo che ogni ferita era diversa e che, talvolta, poteva degenerare in modi inaspettati.

Brienne non si dimostrò una terribile paziente. Diceva sempre di stare bene e di potercela fare da sola, ma, dopo poco, Jaime riusciva a convincerla ad appoggiarsi a lui e lasciarsi aiutare. Mentre cavalcavano Brienne spesso si addormentava contro di lui, anche per delle ore, e in quei momenti Jaime poteva rilassarsi, poiché sentiva sempre il suo respiro caldo sulla pelle, a volte regolare, a volte a scatti, ma sempre presente. Aveva scoperto che, in quei giorni, la sua paura più grande era risvegliarsi in un mondo opaco e spento perché Brienne se n’era andata e lui non era riuscito a salvarla.

«Siamo vicini a una locanda» disse Tom, uno dei cavalieri della loro scorta.

«Non ci fermeremo lì» rispose seccamente Walton Gambali d’Acciaio.

Jaime sbuffò. Quell’idiota si era fissato che le locande fossero pericolose e che fosse più sicuro morire di freddo nel bosco, rischiando di venire sbranati da qualche bestia feroce.

Ne ho già affrontata una e non vorrei doverlo rifare.

Jaime guardò Brienne mentre dormiva con la testa poggiata sulla sua spalla. Aveva ancora quell’orrendo abito rosa, sporco e anche strappato. Per farla stare al caldo le aveva dato il suo mantello, anche se lei aveva cercato di opporre resistenza e, ogni volta che credeva avesse freddo, tentava di restituirglielo. Inoltre, i viveri stavano cominciando a scarseggiare e avevano davanti a loro ancora un paio di settimane di cammino prima di arrivare ad Approdo del Re.

Volente o nolente, Gamabali d’Acciaio li avrebbe lasciati pernottare in quella locanda.

Jaime ricordò che era stato piuttosto semplice convincere Walton a tornare a Harrenhal per salvare Brienne, così tentò lo stesso trucchetto.

«Ser, dovremmo davvero dormire sotto un tetto questa notte. Abbiamo bisogno di altri viveri e a Brienne serve un abito nuovo.»

«Scordatelo, Sterminatore di Re» ribattè l’altro. «Siamo già abbastanza in ritardo a causa della tua amica. Non andremo in nessuna locanda.»

«Va bene, come vuoi. Vorrà dire che, una volta giunti alla capitale, dovrò informare Lord Selwyn Tarth che sua figlia è morta perché tu non le hai fornito le adeguate cure.»

Walton fermò il suo cavallo, voltandosi verso di lui.

«Ma questo non…»

«E dovrò dire a mio padre che hai voluto mantenere ritmi talmente serrati che la mia ferita alla mano è peggiorata al punto da richiederne l’amputazione.»

«Non è vero! Io non c’entro niente!»

Jaime fece spallucce. «Puoi provare a dirglielo. Sai, nonostante tutto quello che si dica su di lui, Tywin Lannister sa essere magnanimo. Ti taglierà la lingua o le mani, ma lascerà la tua grossa testa attaccata al resto del corpo.»

Walton digrignò i denti, ma alla fine accettò di pernottare nella locanda.

«Se veniamo derubati o uccisi o cose simili, sappiate che io vi avevo avvertiti.»
 


Una volta giunti alla locanda, Jaime accompagnò Brienne in una camera, mentre Qyburn si occupava di saldare il conto con la locandiera. Avevano abbastanza monete per pagare tre camere da letto e cinque pasti caldi.

Nella stanza era già stato acceso il fuoco e Jaime si beò di quel calore. Aiutò Brienne a sedersi sul letto, il quale sarebbe stato abbastanza grande per entrambi, anche se Jaime aveva già deciso che avrebbe dormito per terra.

A meno che lei non voglia diversamente.

«Come ti senti? Va meglio al caldo?»

Brienne annuì. Si era svegliata mentre si avvicinavano alla locanda e aveva tremato per tutto il tempo, tanto che Jaime aveva cominciato a preoccuparsi seriamente.

Probabilmente sono stato così anch’io, anche se non lo ricordo.

«Hai fame? Dovresti mangiare qualcosa.»

«Sì… Sì, mi va di mangiare.»

Gli sorrise, evento piuttosto raro, e Jaime ricambiò.

«Va bene. Vado a prendere la cena, tu puoi sdraiarti un po’ e metterti sotto le coperte, così starai più al caldo.»

«Grazie, ma sto già meglio.»

Tremava meno di prima, ma era ancora molto pallida, nonostante le fiamme proiettassero ombre rosse e arancioni sul suo volto.

«Hai ancora freddo.»

Brienne sbuffò. «Non così tanto. Sto bene, ser.»

Jaime sorrise. Aveva la forza di rispondergli a tono, era un buon segno.

Scese in taverna, dove Qyburn, Walton e Tom stavano già cenando.

«Come sta Lady Brienne?» gli chiese Tom appena lo vide.

«Va migliorando, ma è meglio se le porto la cena in camera.»

«Lo immaginavamo» rispose Qyburn. «Abbiamo chiesto a Jen se vi metteva da parte due porzioni di stufato. Vai pure a prenderle.»

Jaime annuì e raggiunse il bancone.

«Arrivo subito, caro!» esclamò una voce da una porta alla sua destra. Aveva solo intravisto la locandiera, ma gli era parsa una donna di mezza età bassa e molto in carne. Aveva pensato che somigliasse a sua zia Genna e quel gridolino allegro gliela ricordò ancora di più.

Mentre stava aspettando Jen la porta si spalancò e un gruppo di uomini ridenti entrarono nella locanda. Jaime riconobbe sul farsetto di un paio di loro le torri gemelle dei Frey.

«…e il modo in cui ha urlato. Cazzo, che spasso!»

«Be', io un po’ la capisco, però. Le hanno ucciso il figlio di fronte agli occhi.»

Il ragazzino che aveva parlato si beccò una manata in pieno petto da un omone grosso e molto ubriaco, a giudicare dall’odore.

«Ma che dici?! Quei cani maledetti hanno avuto ciò che meritavano. Viva Walder Frey! Viva Re Joffrey!»

A quell’ultima esclamazione, tutto il gruppo si esibì in grandi grugniti di approvazione.

Jaime rimase sorpreso da quelle parole. I Frey erano alleati degli Stark. Perché avrebbero dovuto appoggiare Joffrey? Forse quelli erano dei disertori? Oppure non erano veramente dei Frey? No, fatta eccezione per quello grosso, gli altri erano smunti e brutti come tutta la progenie di Walder il Ritardatario.

Spinto dalla curiosità e anche da un po’ di preoccupazione, Jaime decise di avvicinarli.

«Buonasera, miei lord» li salutò. Qualcuno si voltò a guardarlo e un paio storsero la bocca vedendo il suo moncherino. Nessuno lo aveva riconosciuto.

«Perdonatemi, vedo che portare lo stemma dei Frey» continuò Jaime.

«Aye, noi siamo Frey» rispose il più anziano della compagnia. «Qualche problema, storpio?»

Jaime si sforzò di ignorare l’insulto.

E poi cosa potrei dirgli? Sono davvero uno storpio.

«So che si è celebrato di recente il matrimonio di un Tully con un Frey. Mi chiedevo se voi ci foste stati.»

«Oh, puoi scommetterci! Che spettacolo, che spettacolo!» esclamò il grassone.

«Posso chiederti come hai avuto questa informazione?» chiese l’anziano.

«Ero al servizio di Lord Bolton, me lo ha detto lui» rispose prontamente Jaime. Sentendo nominare il lord di Capo Terrore, gli occhi di tutti si accesero.

«Ah, ma bene! Bene! Siamo amici, allora.»

Jaime non capì il perché di quelle parole.

«Cosa hai saputo sul matrimonio?» intervenne il ragazzo più giovane, che sembrava trovarsi a disagio lì.

Jaime fece spallucce. «Solo che doveva sposarsi Edmure Tully al posto di suo nipote. È successo qualcosa di particolare alla cerimonia?»

Tutti scoppiarono a ridere. L’omaccione si alzò e gli diede una pacca sulla schiena. Jaime riuscì a non perdere l’equilibrio.

«Ah, le Nozze Rosse le chiameranno! Cos’è successo di particolare, chiedi? I Frey hanno mandato un monito a tutti i Sette Regni: non si raggira il vecchio Walder.»

“Le hanno ucciso il figlio di fronte agli occhi.” 

“Viva Joffrey!”

Un dubbio si insinuò nella mente di Jaime, ma sembrava troppo orribile per poterlo prendere sul serio.

«In parole povere» spiegò il vecchio, «Robb e Catelyn Stark sono morti, suo zio è nostro prigioniero e tutto il loro esercito è stato annientato.»

Jaime non disse niente. Si mostrò calmo, anche se dentro di lui si agitavano mille emozioni contrastanti.

«Avresti dovuto vedere come stava bene il Giovane Lupo con una vera testa di lupo sulle spalle!»

Li hanno uccisi e mutilati mentre erano loro ospiti.

Ma la cosa peggiore, fu quando tutti alzarono i loro calici e gridarono all’unisono:

«I Lannister mandano i loro saluti!»

Jaime sbiancò.

Sul serio? Dannato Bolton, era solo un commento sarcastico!

«Sono coinvolti anche i Lannister?» riuscì a chiedere.

«Be', nessuno di loro era presente, ma ascoltando quelle note soavi era come averli accanto.»

Jaime deglutì a vuoto.

«“Ora le piogge piangono nella sua sala, senza nessuno a udirle.”»

«Oh, eccoti» Jen arrivò tutta trafelata, in mano reggeva un vassoio con due ciotole. «Scusa se ti ho fatto aspettare. Sono subito da voi, miei signori» aggiunse, rivolta ai Frey.

Jaime prese il vassoio senza dire una parola e ignorò anche il grassone che lo invitava a unirsi a festeggiare con loro.

«No, ragazzi. Sua moglie sta male e ha bisogno delle sue cure» sentì dire da Jen.

Si rese conto che non gli sembrava una brutta associazione: Brienne, sua moglie. Sarebbe stato bello.

Si bloccò di scatto davanti alla porta della loro stanza.

Brienne.

Catelyn Stark era morta. La donna a cui aveva giurato fedeltà, in cui credeva ciecamente, non c’era più. E lui ne era in parte responsabile.

Ah no, cazzo! Sono un Lannister, ma io non ho preso parte a quello scempio. È stato mio padre e io non me ne prenderò la colpa!

Il problema di dover dare quella terribile notizia a Brienne, però, persisteva. Jaime decise di aspettare almeno fino a quando non si fosse rimessa del tutto. Lady Catelyn era morta e quella realtà sarebbe stata ancora vera di lì a qualche giorno.

Sperò solo che quei maledetti Frey non facessero troppo baccano quella notte.
 


Fu Brienne ad aprire la porta, probabilmente sentendo le sue imprecazioni per non riuscire ad afferrare la maniglia senza far cadere a terra la loro cena.

«Potevi dirmi che eri qui, ti avrei aperto subito.»

«L’idea era di non farti alzare, donzella» disse Jaime, posando il vassoio sul tavolo. Aveva cercato di tenerlo in equilibrio sul braccio ferito con l’unico risultato di essersi solo fatto male.

«Ti sei fatto male?» chiese subito Brienne, avvicinandosi a lui.

Jaime la liquidò con un gesto della mano. «Sto bene. Tu, piuttosto, non dovresti affaticarti. Sei ancora debole.»

«Ce la faccio a stare in piedi.»

«Siediti, mangerai meglio.»

La indirizzò verso il letto e lei vi si sedette. Jaime le porse una ciotola di stufato e poi si sedette accanto a lei.

Consumarono il pasto in silenzio, il crepitio delle fiamme nel camino l’unico suono nella stanza. Era rilassante stare vicino a qualcuno senza il bisogno di parlare o fare qualcosa per rompere l’imbarazzo, poiché non ve ne era. Quel silenzio, quella pace tra di loro, sembrava solo… giusta. Era una bella sensazione.

Brienne mangiò tutto e Jaime fu felice di vedere che le era tornato l’appetito. Stava davvero guarendo, per fortuna.

«Vuoi che te ne vada a prendere un altro po’?» le chiese.

«No, ti ringrazio. Sono a posto.»

Jaime annuì. Si alzò per riporre le ciotole e versò un bicchiere d’acqua per Brienne.

«Bevi un po’.»

Lei obbedì. Mentre gli restituiva il bicchiere, il mantello le cadde dalle spalle, rivelando la fasciatura sulla sua spalla sinistra.

«Dovremmo cambiare la medicazione» le disse.

Brienne si guardò la spalla, anche se Jaime dubitava che potesse vedere molto.

«Non credo che serva, l’abbiamo cambiata oggi.»

«No, meglio non rischiare.»

Jaime si era fatto consegnare la sacca con i medicinali da Qyburn quando erano arrivati lì, dal momento che lui e Brienne erano gli unici ad averne bisogno e sarebbero stati insieme per tutto il tempo. Mentre prendeva una garza pulita, Brienne si tolse la vecchia, gettandola da parte.

«Com’è?» gli chiese.

Jaime osservò i tre tagli che partivano dal collo fino ad arrivare quasi sul petto.

Per poco non le ha staccato la testa.

Stavano diventando rosati e la pelle intorno era ancora un po’ arrossata, ma molto meno rispetto al primo giorno. Quando erano stati abbastanza lontani da Harrenhal e Qyburn le aveva potuto controllare la ferita con più attenzione, il collo e il petto di Brienne erano talmente rossi che Jaime aveva seriamente temuto per la sua vita.

«La pelle è ancora un po’ arrossata, ma l’infezione sta passando e la ferita cicatrizza bene.»

Sentì Brienne ridacchiare a quelle parole.

«Che c’è di così divertente?»

«Sembra di sentir parlare un maestro.»

Jaime sorrise a sua volta. «Sono diventato un esperto in ferite e infezioni, ultimamente.»

«Scusa» Lo sguardo di Brienne si era subito rabbuiato.

No, donzella, non fare così. Sorridi. Sei bellissima quando lo fai.

«Non scusarti, è vero. Spera che sia anche bravo come un maestro, perché al momento sei affidata alle mie cure, donzella.»

Brienne sbuffò, ma Jaime intravide comunque un sorriso sul suo volto. Mise due dita nel barattolo di crema che usava sempre Qybrun e cominciò a spalmarla intorno ai graffi. Sperò di essere delicato come lo era stata lei con lui.

«Ti ho fatto male?» le chiese, sentendola fremere.

«No, no. È… Dà solo un po’ di fastidio.»

Jaime annuì. Capiva la sensazione. Quando finì di applicare la medicazione e coprì di nuovo la ferita con una garza pulita, Brienne aveva ripreso a tremare.

«Hai freddo» disse Jaime e, prima che Brienne potesse provare a negare, aggiunse. «Mettiti sotto le coperte, io ravvivo un po’ il fuoco.»

Brienne obbedì. Si sdraiò sul fianco destro, così da non rischiare di premere sulla spalla ferita.

«Hai bisogno di qualcos’altro? Acqua?»

«No, ti ringrazio.»

Jaime annuì e si sdraiò a terra, accanto al letto. Avendo le coperte, Brienne non aveva bisogno del suo mantello, così poteva usarlo lui per tenersi al caldo.

«Che stai facendo?» gli chiese.

«Mi metto a dormire. Perché?»

«Non… Non stai scomodo… lì?»

Ovviamente, ma nel letto ci sei tu. A meno che…

«V-Voglio dire…» aggiunse lei, arrossendo. «C’è… C’è spazio per entrambi qui. Se… Se preferisci.»

Jaime era certo che fosse una pessima idea dormire insieme a lei, ma la sua schiena avrebbe avuto molto da ridire il mattino seguente se avesse rifiutato.

Abbiamo dormito vicino anche durante queste notti. Un letto non farà una grande differenza.

Jaime si tolse gli stivali, mentre Brienne si spostò di lato, facendogli spazio.

Si ritrovarono sdraiati faccia a faccia, entrambi appoggiati sulla parte del corpo sana. Jaime aveva il fuoco alle spalle, ma riusciva comunque a vedere le lentiggini sulle guance di Brienne, accentuate dal suo rossore. Restarono a fissarsi per quelle che parvero ore. Jaime non si sarebbe mai stancato dei suoi occhi, così profondi, così innocenti. Così blu.
Un tempo, credeva che fossero l’unica parte bella di Brienne, ma anche quella certezza era ormai venuta meno. Non era una bella donna, no, ma Jaime non era più sicuro di poterla definire brutta. Ricordava le sue gambe lunghe, la pelle diafana, i suoi modi gentili. Il modo in cui diventava completamente rossa ogni volta che era in imbarazzo, mettendo in risalto le lentiggini e i grandi occhi in un modo che, se non lo avesse sperimentato, Jaime non avrebbe mai creduto potesse risultare attraente.

Le osservò attentamente il volto, cercando di cogliere ogni dettaglio, ogni sua particolarità. Aveva ciglia molto lunghe, molto femminili, mentre il naso aveva una gobba, segno che era stato rotto in passato. Jaime ricordava che era così già prima che venissero catturati da Locke. Le labbra erano rosse e carnose.

Labbra fatte per essere baciate.

«Do-Dovremmo metterci a dormire.»

La voce di Brienne riportò i suoi pensieri sulla retta via.

«Sì, hai ragione» le sorrise. «Buonanotte, Brienne.»

Lei ricambiò il sorriso. «Buonanotte, Ser Jaime.»

Avrebbe voluto dirle che non c’era bisogno di quelle formalità, specie quando erano da soli, ma gli piaceva come suonavano quelle parole, Ser Jaime, pronunciate dalle sue labbra.

Brienne si addormentò poco dopo. Sembrava una ragazzina, raggomitolata sul fianco sotto le coperte. A Jaime fece molta tenerezza. Le esperienze che avevano vissuto insieme non l’avevano cambiata, non troppo almeno. Era ancora una giovane innocente con una smisurata fede nella cavalleria e nella lealtà.

Ti prego, non smettere mai di crederci. Anche se farà male, anche se è una bugia, tu non arrenderti mai. Perché, se lo facessi, non saresti più tu.

Sapeva che presto le avrebbe dovuto dare una brutta batosta. Brienne non avrebbe reagito bene alla morte di Catelyn Stark. Jaime non era bravo con i sentimenti, né sapeva come preparare qualcuno a ricevere una brutta notizia, ma doveva essere lui a dirglielo. Quegli altri idioti non avrebbero avuto un minimo di tatto. Qyburn forse sì, ma Jaime preferiva prima scoprire se lui fosse stato o meno a conoscenza del tradimento del suo signore.

“I Lannister mandano i loro saluti.”

Doveva dire a Brienne ciò che aveva fatto Lord Bolton? E in cui era coinvolto, involontariamente, anche lui? Lei si fidava di lui, lo considerava un cavaliere, perciò sapeva che Jaime non aveva niente a che fare con quanto accaduto alle Nozze Rosse. Per lei contava lui, non il suo nome. O almeno così sperava.
 


Fu svegliato da dei colpi alla porta. Aprì gli occhi in tempo per vedere Brienne fare lo stesso. Jaime non era abituato a dormire insieme a qualcuno, con Cersei non potevano correre un simile rischio, perciò era la prima volta che si svegliava accanto a un’altra persona. Pensò che non gli sarebbe dispiaciuto svegliarsi così ogni giorno.

Brienne gli rivolse un sorriso impacciato.

«Buongiorno. Credo che stiano bussando, vado a…»

«Resta giù» la interruppe Jaime, alzandosi in piedi. «Vado io.»

Walton Gambali d’Acciaio era di fronte alla loro porta e si stava massaggiando le tempie.

«Brutta sbronza ieri notte?» gli chiese Jaime, sogghignando.

«Taci! Ho avuto la pessima idea di accettare l’invito di quegli stupidi Frey, che hanno voluto brindare al fottuto matrimonio per tutta…»

«Sì, sì, non mi interessa. Fra quanto partiamo?»

Brienne, ovviamente, si era alzata a sua volta e Jaime non voleva che scoprisse cos’era successo alla sua lady in quel modo.

Walton sbuffò. «Appena siete pronti. Tom sta sellando i cavalli.»

Jaime annuì, poi si voltò a guardare Brienne.

«Chiedi se hanno degli abiti maschili da prestarci, quel vestito è troppo rovinato e leggero per lei.»

«Sì, sì, come vuoi» borbottò Walton, mentre se ne andava.

«Parlava del matrimonio a cui hanno partecipato Robb e Catelyn Stark?»

Jaime fece spallucce, fingendo di non sapere niente.

«Sanno se sono ancora da queste parti?» insistè Brienne. «Potremmo incontrarli e parlare direttamente con loro, senza bisogno che facciano un viaggio a vuoto a Harrenhal.»

Non preoccuparti, donzella, non c’è pericolo che lo facciano.

Quel pensiero, però, provocò una moto di rabbia in Jaime.

Bolton sapeva che Robb Stark non sarebbe mai arrivato alla Fortezza per sottoporre Brienne a  processo. Allora perché diavolo l’aveva fatta restare lì? Certo, è stato meglio di averla portata dai Frey, ma una volta che fosse tornato da solo, cosa le sarebbe accaduto?

L’avrebbe lasciata a Locke o l’avrebbe semplicemente uccisa lui.

Dopottutto, Brienne era una nemica della corona. Una nemica dei Lannister.

Quella consapevolezza gli fece venire i brividi. Come potevano salvare le giovani Stark ora che la loro famiglia era stata sterminata? Non poteva lasciare che fosse Brienne da sola a occuparsi di loro, sarebbe stato troppo pericoloso.

Potrei andare con lei. Saremmo un quartetto davvero bizzarro.

Ma il suo posto era nella Guardia Reale, accanto al re. Accanto a suo figlio. E Jaime sapeva che, se se ne fosse andato, se avesse abbandonato la sua famiglia e Cersei, loro non sarebbero mai stati al sicuro.

«…ime. Jaime!»

Brienne era di fronte a lui e aveva un’espressione preoccupata in volto.

«Cosa?»

«Stai bene? Sei diventato pallido all’improvviso.»

Jaime si passò la mano tra i capelli, cercando di calmarsi. Farsi tutti quei problemi in quel momento era inutile. Lui e Brienne dovevano necessariamente arrivare alla Capitale, da lì avrebbero deciso il da farsi.

«Sì, va tutto bene.»

«Sei sicuro? È per quello che ho detto su Re Robb?»

Jaime sbuffò. Perché pensava sempre di essere lei la causa dei suoi problemi?

«Mi dispiace, ma pensavo solo…»

«Non è per quello» la interruppe bruscamente Jaime.

Brienne si ritrasse, forse scossa per quel tono burbero.

«Allora che succede?»

Silenzio.

«Ser Jaime, ti prego.»

«Smettila, non è… non è niente, solo…»

Jaime sbuffò. Non voleva dirglielo, non ancora. Voleva qualche altro momento felice con lei prima di sganciare il barile. Ma se doveva essere così agitato e irascibile, tanto valeva togliersi il peso subito e farla finita.

Alzò lo sguardo verso di lei. Brienne era preoccupata per lui, temeva che avesse qualcosa che non andava e voleva disperatamente aiutarlo. Glielo leggeva negli occhi.

«Brienne, ascolta» cominciò, anche se non sapeva bene come dirlo.

«Sì?»

«Siediti.»

Brienne alzò gli occhi al cielo. «Sto bene, non ce n’è bisogno, dimmi solo…»

«No, sul serio. Per favore, devo parlarti di una cosa seria e ho bisogno che tu ti sieda» vedendola ancora titubante, aggiunse. «Non sto per darti una bella notizia, Brienne.»

Lei sembrò ancora più confusa per quell’affermazione, ma si decise a prendere posto sulla sedia. Il suo sguardo era ancora più preoccupato di prima e Jaime sapeva che, presto, quella preoccupazione sarebbe stata sostituita da dolore e sconforto.

Non avrebbe voluto vedere il suo sguardo che si spegneva, ma doveva guardarla negli occhi per farle sapere che era vero. Sapeva che non c’era nessun modo per addolcire la medicina, perciò le disse la verità, nuda e cruda.

«Catelyn Stark è morta.»

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Capitolo 9
*** Brienne IV ***


BRIENNE IV


 
Quattro giorni dopo si imbatterono in un’altra locanda e quella volta fu proprio Walton Gambali d’Acciaio a insistere affinché pernottassero lì. Brienne avrebbe preferito continuare il viaggio e passare meno tempo possibile nelle taverne, ma sapeva che quella era la soluzione più comoda e ragionevole.

“Catelyn Stark è morta.”

«…altra così presto, ma non mi lamento di certo.»

Brienne si voltò a guardare Jaime, il quale le stava parlando mentre consegnava il proprio cavallo allo stalliere. La donna si rese conto di star facendo lo stesso.

«Come?»

«Stavo dicendo che non mi aspettavo di trovare subito un’altra locanda sul nostro cammino.»

«Ah. Sì.»

Brienne lo precedette all’interno, ignorando il tentativo di Jaime di proseguire la conversazione. Andava così da giorni ormai.

“Catelyn Stark è morta. L’hanno uccisa insieme a suo figlio.”

Lui cercava di parlarle e Brienne gli rispondeva a monosillabi, se rispondeva. Una parte di lei sapeva che quello era un comportamento sciocco e infantile, ma non poteva farne a meno. Non voleva parlargli, a momenti non sopportava nemmeno la sua vista, poiché le aveva tenuto nascosta una verità che avrebbe dovuto svelarle nel momento stesso in cui l’aveva scoperta.


«Com’è successo?»

La sua voce era calma e fredda, non trasmetteva neanche un decimo dei sentimenti che stava provando.

«Hanno ucciso Robb Stark e poi lei, dopo il matrimonio.»

«L’hanno costretta a guardare suo figlio morire?!»

Jaime si passò una mano tra i capelli.

«Non lo so, forse. Non ne ho idea.»

«Come l’hai saputo?»

«L’ho sentito dire in giro.»

«Quando?»

Jaime sbuffò. «Per gli Dei, donzella! Cos’è, un interrogatorio?»

Brienne si alzò. Era più alta di lui, ma Jaime non si scompose.

«Quando lo hai saputo?»

«Ieri sera» rispose, senza distogliere lo sguardo.

Brienne provò l’impulso di dargli un pugno e si allontanò da lui per non farlo.

«E hai aspettato tutto questo tempo per dirmelo?»

La sua voce non era più controllata, era furiosa.

«Avresti dovuto dirmelo subito!»

«Stavi male, non volevo farti preoccupare inutilmente» cercò di giustificarsi lui.

«Stavo bene e avevo il diritto di sapere che la donna alla quale avevo giurato fedeltà non c’era più!»

Si voltò, dandogli le spalle. Sentiva le lacrime pungerle ai lati degli occhi, ma non avrebbe pianto, non di fronte a lui.

Lo sentì sospirare e fare un passo verso di lei, mantenendo però una certa distanza. Se avesse provato ad abbracciarla, forse Brienne glielo avrebbe lasciato fare.

«Mi dispiace, Brienne, ma che tu lo scoprissi ieri o oggi o fra una settimana, non faceva differenza. Lady Stark è morta e questo non lo puoi cambiare. Volevo solo proteggerti, fino a…»

«Vattene.»

La voce fu abbastanza ferma, ma dubitava che avrebbe potuto articolare frasi più lunghe con lo stesso tono.

«Brienne…»

«Vattene. Gli altri ci stanno aspettando e io devo ancora cambiarmi.»

Quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle, Brienne si lasciò sfuggire un singhiozzo.

 
Brienne scosse la testa, cercando di allontanare i ricordi, e chiese se erano disponibili cinque camere per quella notte. La locandiera, o meglio, la figlia della locandiera a giudicare dall’età, le disse che potevano avere tutte le stanze che avessero voluto e prese le monete che Brienne le diede, invitandoli ad accomodarsi per la cena.

«Credevo fossimo d’accordo che è più sicuro dormire vicini» le disse Jaime, mentre si sedevano a un tavolo. Qyburn, Walton e Tom si trovavano poco distanti.

L’ultima altra informazione sulle Nozze Rosse che aveva ricavato da Jaime, oltre al nome con cui erano diventate famose, era stata la partecipazione di Lord Bolton a quello scempio.

Da quel momento aveva smesso anche lei di fidarsi dei suoi compagni, anche se non si era mai fidata davvero di loro. L’unico con cui si sentiva al sicuro era Jaime.

Anche se mi ha mentito.

Brienne aveva avuto modo di riflettere sulle sue parole e non poteva che dargli ragione. Non si possono riportare in vita i morti, perciò il fatto che lei venisse a sapere del destino di Lady Catelyn in un determinato momento era indifferente. Sarebbe stata impotente ancora una volta. Come sempre.

«Se siamo all’aperto ed esposti a pericoli» rispose lei. «Qui siamo al sicuro. Inoltre così dormiremo entrambi più comodamente.»

«L’ultima volta non mi sembrava fosse andata male» borbottò Jaime, ma Brienne fece finta di non averlo sentito.

Non era andata male per niente. Brienne avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a quel momento, quando c’erano solo lei e Jaime, il suo calore e la luce del Sole che lo faceva sembrare un dio. Prima che il suo mondo andasse in pezzi.

Ci aveva pensato per giorni, ma non aveva idea di come riuscire a mantenere la sua promessa. Lady Catelyn non c’era più, ma questo non significava che lei potesse venire meno al suo giuramento. Il problema era che, se la loro madre e il loro fratello erano morti, e Grande Inverno non era più un luogo sicuro, dove avrebbe potuto condurre Sansa e Arya?

La porta della locanda si aprì ed entrarono un uomo e un ragazzo. L’adulto non era molto alto, ma aveva una corporatura massiccia e, a giudicare dal colorito delle sue guance, doveva essere ubriaco. Il giovane, d’altro canto, era smilzo e sobrio, e sembrava a disagio per il comportamento imbarazzante di quello che poteva essere suo padre.

Brienne li degnò di un’occhiata e poi tornò a concentrarsi sulla sua zuppa. Quando incrociò lo sguardo di Jaime, però, capì che qualcosa non andava.

«Che hai?» gli chiese.

Jaime sembrava irrequieto, ma cercò di minimizzare la cosa con un gesto della mano.

«Niente. C’è molto baccano qui» rispose.

In realtà, i nuovi arrivati si erano appena seduti e l’omone aveva smesso di sbraitare, quindi gli unici suoni erano il crepitio del fuoco nel camino e il vociare sommesso di Walton che stava raccontando qualcosa ai suoi compagni. Brienne non lo avrebbe certo definito “baccano”.

«Che ne dici se andiamo a mangiare in camera?» le propose, alzandosi in piedi.

Brienne inarcò un sopracciglio. Stava per dirgli che non avevano una camera loro e che comunque non vedeva il motivo di cenare su un minuscolo tavolino dove sarebbero stati decisamente scomodi – sebbene, pure in questo caso, l’ultima volta era stato tutt’altro che spiacevole – quando l’omone ricominciò a parlare.

«Ehi, ma io ti conosco!» esclamò e Brienne notò che si stava rivolgendo a Jaime. Per un momento temette che lo avessero riconosciuto e volessero fargli del male.

«Sì, ci siamo visti pochi giorni fa! Anche voi fate il giro delle locande, eh?»

Brienne rivolse uno sguardo interrogativo a Jaime, il quale imprecò sottovoce, poi, fingendo un sorriso, lo salutò con la mano.

«Fa’ finta di stare poco bene e andiamo su» le sussurrò.

«Perché?»

«Perché sì, donzella. Per favore.»

L’omone si alzò e, barcollando, si avvicinò al loro tavolo. Passò lo sguardo da lui a lei, poi scoppiò a ridere senza ritegno. Di solito gli uomini che la incontravano cercavano di mascherare il loro disgusto, almeno quelli più civili, ma lui era talmente ubriaco che aveva perso l’autocontrollo.

«Ah, amico» disse, dando una pacca sulla spalla di Jaime, il quale non sembrò apprezzare il gesto. «Va bene che sei storpio, ma sono sicuro che puoi trovarti una moglie decisamente più bella di questa cosa qui.»

Jaime allontanò la mano dell’uomo e lo fissò con disprezzo.

«Grazie della preoccupazione, amico, ma mia moglie è perfetta così com’è. Ora, se non ti dispiace, noi abbiamo da fare.»

L’altro rise di nuovo, ancora più forte se possibile, mentre Jaime le faceva cenno di seguirlo. Brienne si alzò, ma quando stava per chiedere spiegazioni su quella conversazione e sul perché quell’uomo credesse che lei fosse sua moglie, notò un dettaglio che fino a quel momento le era sfuggito.

Ricamate sulla casacca dell’uomo vi erano due torri collegate da un ponte. Lo stemma dei Frey.

«Coraggio, andiamo» le disse Jaime, posandole una mano sul braccio. Brienne lo allontanò e si avvicinò all’omone e al ragazzo, che nel frattempo li aveva raggiunti.

«Tu sei...» Prese un profondo respiro. Doveva mantenere la calma, non voleva causare spargimenti di sangue in quel posto. «Siete dei Frey del Guado?»

«Assolutamente sì. Posso aiutarti in qualche modo?»

«Sono sicuro di no, ma grazie dell’interessamento» intervenne Jaime. «Forza, moglie, andiamo…»

«Ho sentito parlare del matrimonio che si è celebrato alle Torri Gemelle» proseguì Brienne. Si sorprese del tono pacato con cui riusciva a parlare, ma ne fu felice.

Il suo interlocutore rise una risata sguaiata e alcune gocce di saliva arrivarono sulla casacca di Brienne. Una volta tanto fu felice di essere più alta della maggior parte degli uomini.

«Ah, sì! Le Nozze Rosse! Che spettacolo, che spettacolo! Vero, Wymar?»

Il ragazzo di nome Wymar passò lo sguardo da lui a lei, evidentemente nervoso.

«S-Sì, be', insomma…»

Almeno lui ha la decenza di non vantarsi per quell’empio atto.

«Ma certo, ma certo!» continuò l’omone, dando anche a lui una pacca sulla schiena. A quanto sembrava, era un suo gesto abituale.

«Che stai facendo?» le sussurrò Jaime da dietro.

«Ottengo informazioni.»

«Maledizione, Brienne, lascia perdere!» esclamò, mantenendo però un tono di voce sommesso. «Che te ne importa? Ormai è…»

Brienne si voltò a guardarlo e Jaime dovette leggere la furia nei suoi occhi, perché si zittì.

«Per me è molto importante sapere cos’è successo a Lady Catelyn.»

«Conoscevate la dannata lupa?»

Brienne aveva detto l’ultima frase a voce più alta del dovuto e i Frey si erano zittiti in tempo per sentirle nominare Lady Stark. Per un momento, lei e Jaime si scambiarono uno sguardo preoccupato, temendo di essersi messi nei guai, e Jaime osò anche alzare un sopracciglio, incolpando lei silenziosamente.

Prima che uno dei due potesse parlare, però, giunse in loro inconsapevole soccorso Wymar.

«Lady Stark era molto conosciuta sia al Nord che nelle terre dei fiumi. L’avranno sentita nominare di certo.»

«È così» confermò subito Brienne, tornando a fronteggiarli. «Mi hanno sempre detto che era una donna giusta e coraggiosa, dunque mi chiedevo come potesse essere stata uccisa in modo tanto barbaro.»

Sentì Jaime che le stringeva il braccio, probabilmente non apprezzando le parole da lei usate, ma a Brienne non importava. Massacrare degli ospiti sotto il proprio tetto durante un matrimonio era un gesto vile ed empio e come tale doveva essere considerato.

Fortunatamente nessuno dei due Frey volle discutere di quello.

«Se l’è meritato, la puttana» cominciò l’ubriaco. «Ha anche provato a minacciare mio zio, il grande Walder Frey, ma l’hanno zittita per bene. Le hanno aperto la gola da parte a parte ed è finita a fare compagnia ai pesci di cui porta il simbolo.»

Rise di nuovo. Jaime aumentò la presa sul suo braccio e Brienne non sapeva se avrebbe dovuto ringraziarlo o meno. Certo è che, se non ci fosse stato lui a tenerla, quell’uomo si sarebbe ritrovato con il setto nasale fracassato. E forse anche di peggio.

«Fedar, dai, non è bello comportarsi così» cercò di calmarlo il suo compagno, che in risposta ricevette una manata sul petto. Questa volta non si trattava di un gesto amichevole.

«Smettila di fare la fichettina, Wymar! Cazzo, sei la rovina della nostra famiglia, l’ho sempre detto io!»

A me sembra che sia l’unico salvabile, invece.

Ma Brienne non si sarebbe certo messa a difendere un Frey, nemmeno uno che sembrava pentito per ciò che la sua famiglia aveva fatto.

«Adesso può bastare, andiamocene» le sussurrò Jaime. Poi, a voce più alta, aggiunse:

«Sei ancora piuttosto debole, mia signora, e domani ci aspetta un lungo viaggio.»

Forse poteva anche ascoltarlo ormai.

Le hanno tagliato la gola e l’hanno gettata nel fiume.

Quell’immagine la fece rabbrividire, soprattutto perché l'ultima immagine di lei al campo Stark, forte, fiera e bellissima, era ancora vivida nei suoi ricordi.

Non potrò più rivederla.

«Certo, certo, avete ragione» rispose Fedar. «Andate pure, riposate e dormite sogni tranquilli. I Lannister vi mandano i loro saluti!»

Alzò il boccale di birra e brindò.
 


Brienne era praticamente corsa su per le scale e si era gettata nella sua stanza, ma non abbastanza in fretta da tenere fuori Jaime.

«Aspettami, maledizione» borbottò lui.

Brienne cominciò a percorrere la stanza a grandi passi. Cosa significava l’ultima frase detta da Fedar? Non era un modo di dire, almeno lei non lo aveva mai sentito. Era collegato alle Nozze Rosse? Quindi Jaime era coinvolto? No, Jaime no. Era un cavaliere, se avesse dovuto uccidere un nemico lo avrebbe fatto in battaglia, guardandolo dritto negli occhi. Con il Re Folle non lo aveva fatto, è vero, ma quello era un caso completamente diverso e particolare. Inoltre lui era prigioniero da più di un anno, non avrebbe potuto architettare una cosa simile. Però Fedar aveva nominato i Lannister, non una persona specifica. Tywin e Robb era in guerra, ma poteva il capostipite dei Lannister essere davvero così spietato? E vile, soprattutto vile.

«Sei soddisfatta adesso?» le chiese Jaime, il quale era rimasto in piedi di fronte alla porta, «Stai meglio ora che sai cos’è successo»

«Perché ha nominato i Lannister?»

Doveva saperlo, anche se non era certa di volerlo.

Ma Jaime non è responsabile, questo lo so.

Il suo sguardo, però, raccontava un’altra storia.

«Allora?» lo incalzò. «Cosa significa? La tua famiglia è coinvolta? Tu sei coinvolto?»

Lui è innocente, di sicuro.

«Io… Io non lo so di preciso.»

Brienne sbuffò.

«Be', qualcosa saprai, maledizione!» Non era solita imprecare, ma in quel momento doveva sfogarsi in qualche modo. «Da dove ha tirato fuori quell’ultima frase?»

Forse è solo un modo di dire che io non conosco. Oppure i Frey hanno semplicemente cambiato fazione, del resto non sono più alleati degli Stark, questo è evidente.

«Quella frase l’ho detta io.»

Brienne si fermò di fronte a lui. Rilassò le mani che non si era resa conto di aver stretto a pugno.

Anche l’ultima certezza che aveva era crollata.

È coinvolto anche lui. Proprio lui.

«Aspetta, fammi spiegare prima di giungere a conclusioni affrettate» disse Jaime, avvicinandosi. «Quando sono partito da Harrenhal ho detto a Lord Bolton di porgere i miei omaggi a Robb Stark e di dirgli che mi dispiaceva di non aver potuto partecipare al matrimonio, ma te lo giuro, Brienne, ero solo sarcastico. Ho fatto una battuta scherzosa che è stata rigirata nel modo sbagliato nel contesto in cui è stata utilizzata. Non avevo idea di cosa sarebbe successo, devi credermi.»

Brienne non sapeva se poteva farlo.

«Perché hai cercato di tenermi lontana dai Frey, allora?»

Jaime sbuffò. «Che bene ti ha fatto ascoltare il loro racconto, eh? Sei più felice adesso?»

«No, ma almeno sono più consapevole.»

«Più consapevole di cosa? Di come hanno brutalmente assassinato Lady Stark?»

«Di chi mi posso fidare e di chi no.»

Quelle parole lo fecero restare in silenzio per qualche secondo.

«Sapevi già di chi poterti fidare, Brienne.»

Il suo tono era dolce e comprensivo. Brienne provò l’impulso di gettarsi tra le sue braccia e piangere. Si voltò dall’altra parte, invece, dandogli le spalle.

Quante volte l’ho già fatto in questi giorni?

«Vattene. Sono stanca e voglio riposare.»

«Brienne…»

«Vattene» ripeté più seccamente lei.

«No, non puoi cacciarmi così.»

Odiava la sua insistenza.

«Vattene, Sterminatore di Re, prima che ti cacci via io stessa!» sbottò infine, tornando a guardarlo.

Avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole nell’istante in cui vide l’espressione sul suo volto, ma ormai era tardi. E la cosa peggiore era che Brienne sapeva perfettamente qual era stata la parola ad averlo ferito maggiormente. Non lo aveva più chiamato così da quando Jaime gli aveva raccontato la sua storia e, anche se per lei non rappresentava più un insulto, era così che lo aveva inteso in quel frangente.

Jaime le fece un cenno col capo.

«Molto bene. Buonanotte, Lady Brienne.»

La porta sbattè fragorosamente mentre lui usciva, lasciandola sola.

Brienne avrebbe voluto seguirlo, dirgli che le dispiaceva, ma non ne ebbe il coraggio. Non era nemmeno certa di riuscire a non dire nuovamente qualcosa di spiacevole, perciò fu meglio così. La notte le avrebbe portato consiglio, o almeno così sperava.
 


Non dormì molto e le poche volte in cui riuscì a chiudere gli occhi la sua mente si affollava di immagini tetre e dolorose. Vedeva il corpo senza vita di Lady Catelyn, gonfio a causa del contatto con l’acqua, trasportato a riva dalla corrente. Ricordava Jaime ferito e febbricitante dopo aver perso la mano della sua spada e lo sguardo che le aveva rivolto la sera precedente. Vedeva Peck che le sorrideva timidamente mentre una striscia rossa si allargava attraverso il suo collo. Talvolta compariva anche Renly, il viso dolce e giocondo come lo aveva visto la prima volta, ma la tunica sporca di sangue all’altezza del cuore.

Li aveva delusi tutti.

Si comportava come un cavaliere, desiderava esserlo, ma in fondo non era niente più di una sciocca ragazza che si era riempita la testa di sogni e canzoni i quali, però, non si sarebbero mai tramutati in realtà.

Quando i raggi del Sole penetrarono attraverso le imposte, Brienne decise di alzarsi. Si sentiva sfinita e il cuscino era completamente bagnato dalle sue lacrime. Lei non si era nemmeno accorta di aver pianto. Si passò l’acqua su viso e collo, sperando che servisse a sciacquare via parte dei dispiaceri delle ultime ore. O degli ultimi giorni, il che sarebbe stato anche meglio.

Mise gli stivali e indossò il mantello, pronta a partire non appena i suoi compagni si fossero svegliati. Aprì la porta e si ritrovò faccia a faccia con Jaime.

«S-Ser Jaime!»

«Buongiorno» la salutò lui. Era fermo in corridoio, ma non sembrava fosse intenzionato a scendere in taverna, né sembrava stesse per bussare alla sua porta.

«Sei mattiniero.»

Lui fece spallucce. «Anche tu. Ti va di fare colazione? Un ultimo pasto decente prima della partenza.»

«Sì, certo, va bene. Però, ecco…»

Brienne abbassò gli occhi, chiudendo e aprendo le mani. Lo aveva trattato crudelmente, insultandolo e mettendo in dubbio la sua sincerità, e non avrebbe sopportato altre settimane di viaggio senza prima essersi riconciliata con lui.

Sempre se lui vorrà perdonarmi.

«Per… Per ieri sera, io sono davvero mortificata…»

«Lascia stare, è tutto a posto» tagliò corto lui, dirigendosi verso le scale.

«No, non lo è! Sono stata crudele, io… Io so benissimo di potermi fidare di te, Ser Jaime» disse, guardandolo negli occhi. «Hai omesso di dirmi la verità per il mio bene e di questo ti sono grata. Anche se in futuro preferirei essere informata, di qualunque cosa si tratti.»

Jaime annuì. «Cercherò di tenerlo a mente.»

«Quindi… Puoi perdonarmi?»

Jaime le sorrise. «Certo che ti perdono, Brienne. È tutto a posto.»

Brienne tirò un sospiro di sollievo. Era una grande consolazione sapere di non aver perso la sua amicizia. Desiderava avere almeno quello che poteva.

«Un’ultima cosa, Ser» aggiunse, fermandolo di nuovo prima che scendesse le scale.

«Non fraintendere le mie parole, donzella. Mi piace che tu sia in vena di chiacchiere, ma ti sarei grato se le risparmiassi per dopo, quando avrò lo stomaco pieno e il mio cervello sarà più attivo.»

«È una cosa seria.»

Jaime restò in silenzio. Brienne trasse un profondo respiro prima di continuare.

«So che non ti piace essere chiamato “Sterminatore di Re”. No, fammi finire» disse, interrompendo le sue proteste sul nascere. «Ieri ero arrabbiata e ferita e l’ho detto come se fosse un insulto, ma non lo è. Non per me almeno. Io credo che tu abbia fatto la cosa giusta quel giorno, anche se non te lo avevo mai detto. Perciò voglio che tu sappia che se dovessi rivolgerti quell’appellativo, sarebbe inteso come un complimento da parte mia.»

Era riuscita a sostenere il suo sguardo per tutta la durata del discorso, ma alla fine dovette abbassare gli occhi. Aveva il volto in fiamme e si sentiva una stupida. Che bisogno c’era di fare quello sproloquio su come lei interpretava quelle parole? Jaime aveva detto di averla perdonata, tanto bastava.

Non si accorse che le si era avvicinato fin quando non sentì la sua voce.

«Grazie, Brienne. Sono felice che tu mi abbia detto la tua opinione, è molto importante per me.»

«Davvero?»

Jaime annuì, sorridendole come non aveva mai fatto prima. Brienne si impose di leggere solo gratitudine nel suo sguardo, ignorando gli altri sentimenti che potevano esservi racchiusi.
 
 


Note: Ciao a tutti ^^ Intanto colgo l’occasione per ringraziare chi segue questa storia e la recensisce, il vostro parere è molto importante per me.
Scrivere questo capitolo è stato molto difficile e non sono troppo convinta del risultato. Spero comunque che vi piaccia e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate :)
Alla prossima!

 

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Capitolo 10
*** Jaime V ***


JAIME V


 
La Fortezza Rossa non era cambiata dall’ultima volta in cui l’aveva vista. Jaime stava percorrendo il lungo corridoio che portava a quelle che il suo nuovo scudiero gli aveva indicato come le stanze di Tyrion.

Gli era mancato il suo fratellino ed era l’unica persona di cui potesse tollerare la compagnia in quel momento. Sarebbe andato anche da Brienne più tardi, ma per il momento non voleva disturbarla. L’aveva fatta scortare nelle sue vecchie stanze - dal momento che durante la sua assenza era stato nominato Lord Comandante della Guardia Reale - e aveva fatto capire chiaramente a suo padre che Brienne di Tarth era una sua ospite e come tale sarebbe stata trattata.

Bussò alla porta, ma non ricevette risposta. Fu tentato di entrare comunque, Tyrion non se ne sarebbe risentito, ma decise di lasciar perdere. Probabilmente era occupato altrove e non aveva voglia di vederlo. Dopotutto sembrava che tutta la sua famiglia lo avesse dimenticato.

«Lord Tyrion è ai giardini insieme a sua moglie, Lord Comandante.»

Quella voce melliflua non gli era mancata per niente, ma almeno adesso sapeva dove fosse suo fratello.

«Ci sei mancato, Ser Jaime.»

«Ne sono certo, Lord Varys» ribatté, avviandosi verso l’esterno. «Temo però che il sentimento non sia reciproco.»

Poi si fermò, ripensando alle parole dell’eunuco.

“Insieme a sua moglie.”

L’immagine di un volto giovane adornato da lunghi capelli scuri fece capolino nella sua mente, ma Jaime lo scacciò subito. Non era ancora pronto ad affrontare quel fantasma e l’odio che Tyrion gli avrebbe riversato contro una volta scoperta la verità.

«Sua moglie? Si è sposato...?»

Stava per dire “di nuovo”, ma si fermò in tempo. Anche se, probabilmente, Varys conosceva la storia di Tysha. Sembrava conoscere ogni segreto di tutti gli abitanti dei Sette Regni.

«Per ordine del lord tuo padre ha preso in moglie la giovane Sansa Stark, due lune or sono.»

Jaime avrebbe riso, se la situazione non fosse stata così tragica.

«Perché?»

Varys alzò le spalle.

«Sansa è l’erede di Grande Inverno. I loro figli domineranno sul Nord e sull’Ovest.»

E con Joffrey sul trono, mio padre si è assicurato il dominio su tutto il regno.
 


Incontrò Tyrion mentre tornava verso la Fortezza, da solo. Si era preparato all’eventualità di incontrare Sansa Stark, ma fu felice di non doverlo fare. Prima di prendere qualsiasi decisione avrebbe dovuto parlare con Brienne, anche se ormai non sapeva che cosa avrebbero potuto fare eccetto rapire sua cognata.

Quando suo fratello lo vide si fermò di scatto e Jaime notò l’orrenda cicatrice che gli percorreva la faccia. Doveva essersela procurata durante l’assedio di Stannis.

«Sto sognando o sei davvero tu?» gli chiese.

Jaime aprì le braccia, rivolgendogli un mezzo sorriso.

«In carne e ossa. Tutto intero, più o meno» aggiunse, sventolando il moncone in modo che lo vedesse.

Tyrion rise. Se fosse stato un altro, Jaime si sarebbe sentito offeso.

«Ma guardaci, fratellino: il Senzamano e il Senzanaso, ecco a voi i leoni di Castel Granito!»

«Così sei più bello» scherzò Jaime.

Tyrion scosse la testa, il suo solito ghigno stampato in volto.

«È bello rivederti, Jaime» disse, dandogli una pacca sulla gamba.

Era il primo gesto d’affetto che Jaime riceveva dalla sua famiglia.

«Ero venuto a cercarti nei tuoi alloggi, ma Varys mi ha informato che eri qui.»

«Ah, certo. Ti ha detto solo quello?»

«Mi ha informato della mia nuova cognata.»

Tyrion annuì.

«Già. Sansa Stark è un piccolo bocciolo di rosa. Poteva funzionare, sai? Per qualche giorno ho sentito che ci stavamo avvicinando. Almeno mi parlava tranquillamente e riusciva a guardarmi in faccia. Poi mio padre ha deciso di ucciderle la madre e il fratello.»

«È stato un gesto troppo vile anche per lui» commentò Jaime, il quale non aveva ancora perdonato i metodi barbari e disonorevoli di suo padre.

Anche se, chi sono io per giudicare l’onore altrui?

«Non dirglielo in faccia, però.»

«E tu e Sansa avete…?»

Se non avevano consumato, il matrimonio non era valido e questo avrebbe reso più semplice portare via la ragazza dalla capitale.

«Mi stai chiedendo se ho scopato una bambina la cui famiglia è stata brutalmente massacrata dalla mia?» gli domandò e a Jaime non sfuggì la nota di rimprovero nella sua voce. «Hai una così scarsa considerazione di me, fratello?»

«Ovviamente no. Anche in quei giorni buoni, quindi, non vi eravate avvicinati abbastanza da rendere il matrimonio valido» rilevò Jaime.

«Ne sembri quasi felice. Nostro padre, d’altro canto, è furioso.»

Jaime non ebbe difficoltà a crederlo.

Tywin avrebbe voluto che fosse lui il suo erede, ma Jaime aveva scelto un’altra strada, una in cui non erano inclusi dei figli. La sua unica speranza per una dinastia legittima risiedeva in Tyrion.

Avrebbe dovuto trovargli una sposa più disposta ad andare a letto con lui allora.

Tysha lo era stata. Suo padre gli aveva detto che lo faceva solo per i soldi dei Lannister, ma lui li aveva visti insieme. Aveva visto i suoi occhi e quelli gridavano quanto fosse innamorata di Tyrion.

E io ho rovinato tutto.

«Ti hanno mozzato anche le orecchie oltre che la mano?» chiese Tyrion.

«Come?»

«Ti ho fatto una domanda» spiegò lui.

Jaime sospirò.

«Scusa, non ti ho sentito.»

«Volevo sapere perché sei felice che il mio matrimonio non sia valido. C’è qualcosa su Sansa che non so? La vuoi sposare tu, per caso?»

Jaime rise all’idea. «Se è troppo giovane per te, figurati per me.»

«Allora cosa c’è?» incalzò Tyrion. «Grazie a nostro padre non ho più un lavoro, dunque ho tutto il giorno libero.»

Jaime sospirò.

«E ci servirà anche parte della notte. Prima però devo sapere una cosa: Sansa Stark è tua moglie, ma che ne è della sorella? Non l’hanno data in sposa a Tommen, vero?»

«Sarebbe stato divertente, ma no. Arya Stark è scomparsa dalla morte di suo padre.»

«Scomparsa?!»

Tyrion scosse la testa.

«Questi idioti hanno spie ovunque, eppure si sono lasciati scappare una ragazzina da sotto il naso. Sul serio, fratellino, perché tutto questo interesse per le giovani Stark?»

«Ceni nei tuoi alloggi, stasera?» chiese Jaime.

Tyrion aggrottò le sopracciglia, ma annuì.

«Da solo?»

«Oggi sì. Sansa è stata invitata a cenare con Margaery Tyrell e sua nonna.»

Jaime decise che di questo si sarebbe preoccupato in seguito.

«Bene. Allora mi unisco a te e ti racconto tutto. Così potrai anche farti due risate mentre mi vedi lottare con il cibo.»

Suo fratello annuì di nuovo, ma non sembrava troppo felice.

«Ti disturbo? Avevi altri progetti?»

«No, no. Vieni pure, sarà divertente.»


 
Le stanze dei Cavalieri della Guardia Reale erano situate tutte nella Torre delle Spade Bianche e anche per quello Jaime aveva dato a Brienne la sua vecchia stanza: in quel modo poteva tenerla sott’occhio e controllare che non si mettesse nei guai. In quel luogo erano virtù quali l’onestà e l’innocenza a mettere in pericolo le persone.

Mentre si avvicinava, udì delle voci vicino alla Sala Rotonda e ne riconobbe subito una.

«Che sta succedendo qui?» urlò per farsi sentire sopra gli insulti di Loras Tyrell, il quale aveva la spada in pugno.

Jaime notò che Brienne era stata di nuovo costretta a indossare un abito femminile.

Rosa. Sempre rosa. Almeno non le sta male quanto quell’altro.

«Ser Jaime» disse Loras, senza nemmeno provare a nascondere il suo disgusto. «Togliti di mezzo, la questione è tra me e questa donna.»

«Questa donna» ribatté Jaime, «è mia ospite, perciò se hai delle lamentele su di lei, puoi parlare direttamente con me. Adesso rinfodera la tua arma, Ser.»

«Non mi sorprendo che tu la difenda. Tra regicidi ci si intende.»

Jaime mosse il braccio per colpirlo, ma si rese conto che alla sua estremità non c’era nessun pugno. Riuscì a ritrarlo in tempo per evitare una figuraccia, grazie anche all’intervento di Brienne che si era messa in mezzo.

«Te l’ho già detto, Ser! Io non ho ucciso Renly! Non avrei mai potuto farlo. Era il mio re, avrei dato la vita per proteggerlo.»

«Solo parole!» sbottò Loras. «Se ci fossi stato io, lui adesso sarebbe vivo.»

«Sono molto curioso» disse Jaime. «Io non saprei come combattere un’ombra, ma non sarebbe male impararlo. Perciò dimmi, Ser Loras, come si uccide qualcosa che non ha un corpo?»

Loras aprì e chiuse la bocca più volte, cercando una risposta che non aveva.

«Il mio desiderio di proteggerlo non era inferiore al tuo» disse Brienne, gentilmente. «E se avessi potuto fare qualcosa per impedirlo, lo avrei fatto. Ma Renly era condannato e nessuno di noi avrebbe potuto salvarlo. Non possiamo fare altro che accettarlo.»

Le sue parole convinsero il cavaliere di fiori della sua sincerità. Il ragazzo rinfoderò la spada e a Jaime sembrò essere invecchiato improvvisamente. Renly era la sua anima gemella e si diceva che non vi fosse niente di peggiore della perdita della propria metà.

Jaime spostò inconsciamente lo sguardo su Brienne. Provò l’impulso di toccarla per assicurarsi che fosse veramente lì e non solo una visione della sua mente.

Non permetterò a nessuno di farle del male, fosse questo un uomo, un’ombra o un dannato Estraneo.

«È stata opera della strega di Stannis?» chiese Loras.

«Sì» rispose Brienne.

Il cavaliere sospirò, ma Jaime vide brillare una nuova luce nei suoi occhi. La luce della vendetta.

«Mi scuso per il mio comportamento, mia signora. E mi scuso anche con te, Lord Comandante.»

Jaime annuì.

«Hai subito una perdita terribile, Ser Loras, ma non significa che la tua vita sia finita. Sei giovane, amerai ancora, anche se non con la stessa intensità.»

Loras scosse la testa.

«Ti sbagli, Ser. Una volta che il Sole è tramontato, nessuna candela potrà mai rimpiazzarlo.»

Fece un inchino e se ne andò, lasciandoli da soli.

«Vorrei poter fare qualcosa per lui» disse Brienne.

«A meno che tu non sappia resuscitare i morti, non puoi fare niente. Cosa ci facevi qui?» le chiese per cambiare argomento.

«Ti stavo cercando. Prima non ho fatto in tempo a ringraziarti per avermi permesso di usare le tue stanze.»

«Era il minimo. Ti trovi bene?»

Brienne annuì.

«Hai tagliato i capelli» gli fece notare, arrossendo.

«E anche la barba. Ho di nuovo l’aspetto di un lord. Ti piacevo di più prima?» chiese, pregustando già la sua reazione imbarazzata.

«N-No! N-Non ho detto… Lascia stare!» sbottò. «Ero venuta anche per parlare di Sans…»

Jaime le strinse il polso talmente forte da farle male.

Devo spiegarle un paio di regole riguardo la sopravvivenza alla Fortezza Rossa.

«Non qui» sussurrò.

La trascinò dentro la Sala Rotonda, la quale era deserta, e chiuse la porta.

«Che succede?» gli chiese, massaggiandosi il polso.

«Scusami, ma è meglio se non urli ai quattro venti di essere un’alleata degli Stark.»

«Non l’ho urlato.»

«Dì qualcosa tra i corridoi di questo palazzo e orecchie indiscrete ne verranno a conoscenza in un battibaleno. E con orecchie indiscrete intendo soprattutto mio padre e Cersei.»

Brienne sembrò rabbuiarsi a quelle parole e Jaime non ne capì il motivo.

«Sei stato da lei?» chiese all’improvviso.

Jaime abbassò lo sguardo.

Sì, certo che era stato da lei. Le vecchie abitudini sono dure a morire.

L’aveva trovata nella sua stanza, ancora più bella di come la ricordasse grazie ai colori che splendevano su di lei. Aveva visto per la prima volta i suoi capelli dorati, uguali ai suoi, e gli occhi di un verde intenso.

E freddi. Tremendamente freddi.

Li aveva paragonati a quelli blu e vivaci di Brienne. Era certo che anche quelli di Cersei lo fossero stati, in un tempo lontano.

Eppure, anche consapevole dei suoi sentimenti per Brienne, anche se non aveva più pensato a sua sorella come alla sua amante da mesi, era ancora attratto da lei. Sapeva che, se Cersei lo avesse accolto, lui si sarebbe lasciato trasportare da quella passione morbosa che nutriva per lei.

Ma sua sorella era rimasta inorridita nel trovarselo di fronte, sporco e invecchiato. E storpio. Non lo aveva salutato, non gli aveva detto quanto le fosse mancato, non l’aveva neppure lasciato entrare nella camera. “Torna da me quando sarai più presentabile”, gli aveva detto.

E lui si era reso di nuovo presentabile, ma non era corso subito da Cersei, forse nella sciocca speranza che fosse lei ad andare a cercarlo.

Non lo farà. Devo essere io ad andare da lei, è sempre stato così.

Avrebbe ceduto, ma prima avrebbe passato un po’ di tempo con le persone veramente importanti per lui e che avevano un minimo di considerazione nei suoi riguardi.

«Sì» le rispose Jaime. «Ma mi ha cacciato subito. Andrò a salutarla meglio più tardi.»

Si rese conto troppo tardi di come potessero suonare quelle parole alle orecchie di Brienne.

«Cioè, no… Non intendevo…»

«Non importa» Brienne scosse la testa. «N-Non sono affari miei, non dovevo chiedertelo. Sansa e Arya. Parliamo di loro.»

La risolutezza nel suo tono gli fece capire che non sarebbero tornati sull’argomento ‘Cersei’.

«Dobbiamo andare da tuo padre e dirgli della promessa fatta a Lady Catelyn. Ci ho pensato e credo che la cosa migliore sia portare le ragazze alla Barriera, dal loro fratello bastardo. So che i Guardiani della Notte non accettano donne, ma sono due orfane a cui è rimasto solo il fratellastro, non credo che saranno così crudeli da tenerli separati.»

Jaime sospirò. Il piano di Brienne poteva funzionare, fatta eccezione per quei piccoli inconvenienti che si erano venuti a creare.

«Ho incontrato Tyrion prima di venire qui» le disse, sedendosi. Il Libro Bianco si trovava proprio di fronte a lui. «Siedi, devo parlarti.»

Brienne aggrottò le sopracciglia. «Non sono mai buone notizie quando mi dici di sedermi.»

Jaime ridacchiò. «Magari voglio solo che tu stia comoda. Forza, vieni qui» disse, indicando col moncone la sedia accanto a lui.

Brienne tentennò ancora qualche secondo, poi cedette e si sedette accanto a lui.

«In nostra assenza, Sansa Stark è diventata Sansa Lannister.»

La donzella sgranò gli occhi.

«Ha sposato Joffrey?!»

Jaime sbuffò. «Joffrey è un Baratheon, tecnicamente. No, ha sposato mio fratello Tyrion. Ma» aggiunse, prima che lei potesse ribattere, «non hanno ancora consumato, quindi il loro
matrimonio può essere annullato.»

«Perché non hanno consumato?»

Jaime fece spallucce.

«A quanto pare, lo sterminio della propria famiglia da parte di quella del marito non aiuta la libido di una donna.»

«E Arya? Anche lei è stata data in sposa a un Lannister?»

«No. Lei è scomparsa.»

«Scomparsa?»

Jaime annuì.

«Come… Com’è possibile?! E dov’è andata?»

«Se lo sapessi non direi che è scomparsa, donzella.»

Brienne sbuffò.

«Mi stai dicendo che delle due ragazze che dovevamo salvare, una è dispersa e l’altra è diventata tua cognata?»

«Già.»

Restarono in silenzio per qualche minuto. Brienne si stava sicuramente scervellando per capire come salvare entrambe, anche se Jaime era piuttosto certo che Arya Stark fosse ormai morta.

«Credo che Sansa abbia stretto un buon rapporto con la giovane Tyrell» disse Jaime, ricordandosi dove avrebbe passato la serata la ragazza.

«La regina Margaery?»

Jaime annuì. «Presto sarà di nuovo regina, sai?-

Brienne sgranò gli occhi.

«Lei? Sposata con quel…» evitò di dire cosa pensasse davvero di suo figlio in sua presenza e Jaime gliene fu grato. «Era la regina di Renly.»

«Sì, ma Renly è morto e il loro matrimonio non era stato consumato. Lui non ha nemmeno provato a fare il suo dovere, senza offesa» aggiunse, di fronte allo sguardo di fuoco che Brienne gli rivolse.

«Mi piace Margaery. È una ragazza dolce e gentile e a Sansa farà certamente bene avere un’amica» Poi il suo volto si illuminò. «Margaery mi conosce! Mi ha sempre trattata con gentilezza e rispetto, potrà aiutarmi ad avvicinarmi a Sansa.»

Jaime scosse la testa.

«Non correre troppo, Brienne» disse. «Non possiamo più dire apertamente quali erano i nostri obiettivi venendo qui. È meglio se non ti dimostri troppo amica di Sansa, almeno per il momento. Ha Margaery come alleata e Tyrion come marito. La tratterà bene, puoi fidarti di lui.»

«Quindi io non dovrei fare niente?» esclamò.

«Più o meno, esatto.»

«Jaime!»

«No, Brienne!» esclamò a sua volta, alzandosi in piedi. Una volta tanto, poteva sovrastarla. «Non ti avvicinerai a Sansa Stark finchè non sarò certo che questo non rappresenti una minaccia per te, sono stato chiaro? E per inciso, essendo tu una mia ospite, posso anche decidere di farti rinchiudere in qualche cella e lasciartici per il tempo che vorrò.»

Quelle parole ferirono Brienne, ma a lui non importò.

Non ho problemi a farmi odiare da te, se questo dovesse servire a tenerti in vita.

«Perché stare con Sansa dovrebbe mettere in pericolo me? E, in ogni caso, so come difendermi.»

Jaime scosse la testa.

«Sei un’ottima spadaccina e se qualcuno di queste pappamolli dovesse affrontarti sul campo di battaglia, lo manderesti a terra in un attimo. Ma qui non vigono le leggi della cavalleria o dell’onestà. Qui si combatte ogni giorno, senza mai impugnare una spada. Io non sono un esperto in questo tipo di lotta, lo ammetto, ma sono senz’altro migliore di te e alcuni di quelli da cui tu e Sansa dovete stare lontane fanno parte della mia famiglia. Posso proteggervi, Brienne, ma solo se tu farai quello che ti dico.»

Le prese il volto tra la mano e il moncone, guardandola dritta negli occhi. Lei sussultò, ma Jaime sapeva che non era a causa del suo arto mancante.

«Promettimi che non farai niente senza prima averne parlato con me e che, in generale, non farai niente di stupido. Promettimelo, Brienne.»

Il suo volto era un’unica macchia rossa, ma la sua voce non tremò quando rispose.

«Te lo prometto.»

Jaime annuì, soddisfatto, ma non si allontanò da lei. Non subito almeno. Il rossore sulle sue guance aveva messo in risalto le lentiggini. Prima di conoscere lei, non le aveva mai trovate attraenti, forse perché Cersei non ne aveva e, per lui, tutto ciò che non era sua sorella non era degno del suo interesse. I suoi grandi occhi apparivano ancora più profondi da vicino. Si chiese se anche le acque che circondavano Tarth avessero la stessa tonalità: avrebbe voluto vederle, un giorno.

«S-Ser Jaime…»

«Bene, questo è tutto.»

Si scansò bruscamente da lei e aprì il Libro Bianco, fingendo di essere indaffarato.

«Vai pure, io ora devo capire come si fa a fare il Lord Comandante.»

«Posso aiutarti?» gli chiese.

Jaime sorrise, ma rifiutò.

«Riposati, te lo sei meritato. Chiederò che ti venga portata la cena in camera.»

Brienne stava per ribattere, ma poi ci ripensò. Annuì e andò verso la porta. Prima che potesse uscire, Jaime disse:

«Tutti sanno che eri al servizio di Renly, quindi sapranno anche che conoscevi sua moglie.»

«S-Sì, immagino di sì.»

«Quindi non sarà strano vederti parlare con lei. Ogni tanto» aggiunse, notando una luce pericolosa far capolino nei suoi occhi. «Con discrezione e nominando Sansa Stark il meno possibile. Anzi, non nominandola affatto.»

Brienne gli sorrise e annuì, lasciando la stanza. Jaime sospirò.

Andrà da Margaery il prima possibile e chiederà subito di Sansa.
 


Jaime bussò alla porta della camera di Cersei, sperando di ricevere un benvenuto più caloroso dell’ultima volta. Con sua enorme sorpresa, fu Qyburn ad aprirgli.

«Queste sono le stanze della regina» gli fece notare.

«Sì, mio signore. Sua maestà ha richiesto un mio consulto per dei mal di testa che la affliggono. Col vostro permesso.»

Gli rivolse un mezzo inchino e se ne andò.

«Entra» ordinò una voce da dentro la stanza.

Jaime ubbidì e chiuse la porta alle sue spalle. Un’altra vecchia abitudine.

«Credevo che disprezzassi i maestri. Non ti sei mai fatta toccare da Pycelle.»

Cersei gli rivolse un sorriso di scherno, sorseggiando il suo vino.

«Credi che mi farei mettere le mani di quel viscido vecchio addosso? Qyburn mi piace, sa il fatto suo e sembra che se la cavi bene con i casi disperati» aggiunse, accennando al suo moncone.

Jaime annuì. «È migliore di molti maestri, non c’è dubbio. Stai bene, comunque? Ha parlato di mal di testa.»

«Certo, sto benissimo» rispose ridacchiando. «Dopotutto questo è stato un anno semplice e meraviglioso, no?»

«Sono stati tempi duri per tutti» le fece notare Jaime.

«Sono stati duri per me! Ho visto morire mio marito, la mia città è stata assediata e ho temuto per la vita mia e dei miei bambini! E tu dov’eri nel frattempo? Mi hai abbandonata.»

«Sarei tornato volentieri, ma Robb Stark mi ha tenuto un po’ occupato. E non è stato il solo» aggiunse, pensando a Locke.

«Bè, non ti saresti dovuto far catturare» sbottò lei, versandosi un altro calice di vino.

«Non l’ho chiesto io, Cersei. Va così in guerra: se vinci, torni a casa, se perdi, diventi prigioniero e speri che non ti taglino la testa. Come è accaduto invece a suo padre.»

«Oh, sei dispiaciuto per la perdita di Ned Stark? Non sapevo avessi un debole per lui.»

Jaime sbuffò. Vino e rabbia avevano un pessimo effetto sul carattere di sua sorella.

«Non è stata colpa sua o di quel suo dannato ragazzino se non eri qui» continuò Cersei. «Tu hai scelto di abbandonarmi.»

Jaime capì cosa voleva dire. Era partito per cercare Tyrion e aveva lasciato lei ad Approdo del Re. Per una volta aveva scelto suo fratello e questo Cersei non glielo avrebbe perdonato facilmente.

«Mio fratello era stato rapito mentre tu eri nel tuo castello, circondata dai tuoi alleati e dalle tue spie» disse. «Perché sarei dovuto restare qui a proteggere te dal niente mentre Tyrion rischiava la vita?»

«Perché dicevi di amarmi.»

Jaime sospirò. Per Cersei il suo amore rappresentava solo un’arma, da usare quando più le tornava comodo. Era lo strumento con cui lo governava e lo costringeva a piegarsi al suo volere.

Mi ami, devi stare dalla mia parte.” Era ciò che gli ripeteva ogni volta che Jaime doveva prendere le parti di uno dei suoi fratelli. Si vergognò al ricordo di quante volte quelle parole lo avessero convinto a voltare le spalle al povero Tyrion.

Dopo l’attacco a Ned Stark per le strade della città si era diretto subito all’accampamento di suo padre, senza nemmeno fermarsi a salutare Cersei. Se lo avesse fatto, sarebbe partito comunque? Preferì non scoprirlo.

«Il tuo anno non può essere stato peggiore del mio, sorella» ribatté infine Jaime, sollevando il moncone.

A quella vista, Cersei distolse lo sguardo.

«Togli quell’affare dalla mia vista! Ti farò fare una mano nuova, piena d’oro e di gemme, così sarai più guardabile.»

«Come desidera la mia regina» disse, facendo una riverenza.

«Vedo che almeno il tuo umorismo non è scomparso. Ora puoi andare.»

Jaime la osservò versarsi un altro bicchiere di vino. Era bellissima, ma c’era qualcosa in lei che gli fece provare ribrezzo al pensiero di averla amata. Tuttavia ormai si sentiva sufficientemente immune da lei da poter rischiare e scoprire quali fossero davvero i suoi sentimenti per lui.

«C’è altro, Lord Comandante?» gli chiese, notando che non se n’era andato.

«Ti sono mancato almeno un po’?»

Cersei si sedette sul suo divanetto.

«Che razza di domanda è?»

«Una domanda che viene spontaneo porre quando si sta lontani da casa per molto tempo. Finora l’unico che sembra essere felice del mio ritorno è Tyrion.»

Cersei ridacchiò. «Allora dovrebbe bastarti così. Di che altro ti importa?»

«Mi importa di te» Siete i miei fratelli, la mia famiglia. Perché è così difficile accettare che ami entrambi?

«Vuoi sapere se il mio letto è stato caldo anche in tua assenza, Jaime?» lo sfidò lei. «No, contento? Mi hai lasciata da sola.»

Jaime sospirò.

«Non ti ho chiesto se ti è mancato il tuo amante, ma se ti sono mancato io

«E che differenza c’è?»

Quella risposta fu più che sufficiente.


 
«Apprezzo il fatto che tu non presti attenzione ai miei patetici tentativi di usare una forchetta, ma potresti almeno guardarmi quando ti parlo?»

Tyrion era strano. Da quando lo aveva accolto in camera sua e per tutta la durata della cena aveva continuato a guardare la parete accanto al letto, come se vi fosse un’entità che Jaime non poteva individuare.

«Scusa, fratello, credevo volessi un po’ di privacy.»

«Se l’avessi voluta, avrei cenato da solo. Sul serio, Tyrion, mi dici che succede? Aspetti qualcuno per caso?»

Lui scosse la testa, ma a Jaime non sfuggì il lampo di preoccupazione nei suoi occhi.

«Parla» gli intimò.

«Non c’è niente da dire. Forza, fratellino, fammi vedere come si usa una forchetta» aggiunse, cercando di cambiare argomento.

«Non ho difficoltà a usarla contro di te, questo è certo. Andiamo, dimmi di cosa si tratta.»

«No» rispose secco lui.

«Tyrion, sono venuto a tirarti fuori dai bordelli più spesso di quanto avrei voluto. Ho visto cose che un fratello maggiore non dovrebbe vedere, eppure continuo a rispettarti. Non può essere niente di troppo grave.»

Tyrion cominciò a tentennare, ma ancora non rispose.

«Aspetti un uomo, per caso?» tentò Jaime. «Hai cominciato a frequentare gli uomini? Guarda che per me non ci sono problemi.»

«No, ci sono ancora molte donne che mi desiderano» ribatté lui. «E va bene, hai vinto! Non ti ricordavo così fastidioso. Forza, avvicinati.»

Jaime si sporse leggermente sul tavolo.

«Più vicino, sei lungo abbastanza!»

«La tavola sarebbe imbandita, nel caso tu non l’avessi notato.»

Si alzò e si inginocchiò accanto a lui nell’istante in cui una delle pareti si aprì e una ragazza entrò nella stanza.

«Oh, adesso capisco» disse Jaime.

«No, non capisci un cavolo! Mia cara, ti presento mio fratello Jaime» aggiunse, rivolto alla giovane.

Era una ragazza carina con grandi occhi scuri, una tipica bellezza straniera. E probabilmente era una puttana.

«Chiedo scusa per il disturbo, mio signore. Credevo fossi solo» disse lei.

«Non preoccuparti…»

«Shae.»

«Shae. Me ne stavo andando» disse, alzandosi in piedi.

«Puoi restare, Jaime» lo invitò Tyrion. «Basta che tu non vada da Cersei o da nostro padre a dire chi hai incontrato qui.»

«Ho la bocca cucita. Devo andare sul serio, però. Mi serve una sarta e temo di essere già in ritardo.»

«Una sarta?» chiese Tyrion.

«Brienne ha bisogno di abiti nuovi e dubito che ve ne siano molti della sua taglia qui a corte.»
«Ah, sì» disse Tyrion, rivolgendogli uno sguardo eloquente. «Commissionane qualcuno da togliere con facilità, ti sarà utile, soprattutto ora che hai una mano in meno.»

Jaime alzò gli occhi al cielo.

«Ti ho già detto che è una lady e che non ho strane intenzioni nei suoi confronti.»

«Credimi, nessuna donna si lamenterebbe se volessi scopare con lei. Tu che ne pensi, Shae?»

«Ha ragione lui, mio signore» rispose, rivolta a Jaime. «Sei un uomo bellissimo.»

«Non è che adesso decidi di passare al Lannister più alto, vero?» chiese Tyrion.

Lei rise e gli prese il volto tra le mani.

«No, perché a me interessa solo il mio leoncino. Non voglio nessun altro.»

Jaime sorrise di fronte a quella scena. Aveva sempre temuto che Tyrion non sarebbe mai riuscito a dimenticare Tysha, e forse quello era vero, ma almeno con Shae sembrava felice. Se solo quella stessa felicità l’avesse potuta trovare anche con Sansa, non avrebbe dovuto temere l’ira di Tywin.

«Bene, direi che sono di troppo» disse Jaime, richiamando l’attenzione dei due innamorati. «Buona notte. Shae, è stato un piacere.»

«Il piacere è stato mio.»

«Ah, Jaime» lo fermò Tyrion. «Chiedi il rosa e il giallo come colori, sono molto belli e stanno bene su quasi tutte le signore.»

Shae aveva un leggero abito rosa che risaltava sulla sua pelle ambrata. A Brienne, però, il rosa stava malissimo e il giallo non lo ispirava.

«Grazie, ma credo che andrò sul blu. Sono sicuro che sia il colore migliore per lei.»

Tyrion fece spallucce.

«Ok, come preferisci.»

Jaime aveva già la mano sulla maniglia, quando Tyrion lanciò un urlo.

«Jaime!!»

«Insomma, ma che vuoi?» sbottò lui.

Tyrion si era alzato in piedi e lo stava fissando con occhi sgranati.

«Che… Che cosa hai detto?»

«“Che vuoi?”» ripeté Jaime.

«No, prima!»

Jaime aggrottò le sopracciglia.

«Che penso che il blu stia bene…»

Merda.

L’ultima volta che si erano visti, Jaime non aveva idea di cosa fosse il blu.

«Quindi tu… Tu vedi…»

«Sì, vedo i colori, va bene?» sbottò Jaime.

«Per gli Dei!» esclamò Tyrion. «Per gli Dei! Per tutti i fottutissimi Dei!»

«Non bestemmiare.»

«Vedi i colori! Tu… Finalmente, Jaime! Non sai quanto ho aspettato questo momento. Oh, aspetta, aspetta. È lei, vero? È Brienne la tua anima gemella.»

Jaime sbuffò. Non gli andava di affrontare quel discorso.

«Può darsi, non lo so» minimizzò lui.

«Col cavolo che non lo sai. Quando è cominciato? Parla!»

«Meno male che ero io quello fastidioso» lo canzonò Jaime.

«Ma vaffanculo! Ti ho guardato seguire Cersei come un cagnolino per anni e ora che ti sei liberato di lei voglio sapere tutto. Forza, parlami della mia futura cognata.»

Jaime rise.

«Mi sa che corri un po’ troppo. E poi non credo che lei ricambi.»

«Sciocchezze, voi due siete destinati a stare insieme. Magari non fare troppo lo stronzo, non tutti lo apprezzano.»

«Grazie, vedo che hai una bella opinione di me.»

«Ti voglio bene, ma ti conosco e so che a volte puoi essere veramente insopportabile.»

Jaime annuì. Si era comportato da stronzo con Brienne, soprattutto all’inizio. Il loro rapporto, però, era migliorato, anche se non era certo che lei provasse qualcosa di più che semplice rispetto per lui.

«Lei non vede il mondo a colori» gli disse. Per la prima volta si rese conto di quanto quella verità fosse terribile: se anche avesse provato dei sentimenti per lui, un giorno avrebbe incontrato la sua anima gemella e lo avrebbe messo da parte.

Forse sono destinato ad amare donne che non mi ricambiano.

«Questo è impossibile» intervenne Shae, che era rimasta in silenzio fino ad allora. «Se lei è la tua anima gemella, tu sei la sua. Per forza.»

«Ha ragione» commentò Tyrion. «E poi che ne sai che non vede i colori?»

«Me lo ha detto lei» rispose semplicemente Jaime.

«E non potrebbe aver mentito?»

«Non credo…»

Poi, però, ricordò come era andata la conversazione.

«Di che colore vedi l’erba?»

«Verde. Mai vista diversamente

Lui aveva mentito pur di non dover affrontare la realtà. Scoprire di non appartenere a Cersei era stato un duro colpo per lui e aveva cercato di ignorarlo il più a lungo possibile. Forse era stato così anche per lei: Brienne aveva appena perso l’uomo di cui era innamorata e scoprire che la sua anima gemella era lo Sterminatore di Re doveva essere stato come ricevere uno schiaffo in faccia.

«Sicuro, sicuro?» incalzò Tyrion.

«Io… Non lo so, va bene?!»

«Tranquillo, lo so io per te» rispose, dandogli una pacca sul braccio.«Ora va’ a trovarle gli abiti più belli che ci siano e domani me la presenterai.»

«Scordatelo.»

«Va bene, mi presenterò da solo. Buonanotte, fratello» disse, spingendolo fuori e chiudendogli la porta in faccia.
 

         

  
           
           
NOTE AUTRICE:
Salve a tutti, sono tornata! Mi scuso per il ritardo con cui ho aggiornato, ma questo capitolo è stato un parto. Qualunque cosa scrivessi non mi soddisfaceva e avevo seriamente cominciato a temere che anche questa storia avrebbe fatto la stessa fine delle mie altre long (fine che avrei voluto evitarle XD). Non sono super-soddisfatta di come è venuto questo capitolo, ma spero comunque che vi sia piaciuto ^^. Ho inserito un po' di frasi e situazioni presenti nei libri, tipo la frase finale detta da Loras e gli appellativi usati da Tyrion per definire lui e Jaime. Spero di aver reso abbastanza bene Tyrion, non ho mai scritto di lui anche se è uno dei miei personaggi preferiti e mi piacerebbe sapere di avergli reso giustizia ^^" .
Comunque ormai siamo agli sgoccioli: il prossimo capitolo sarà un POV Brienne e poi c'è l'epilogo, nel quale ho deciso di inserire i POV di entrambi i personaggi ^^
Come sempre ringrazio chi ha letto il capitolo e sta seguendo la storia ^^ Fatemi sapere cosa ne pensate, ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Brienne V ***


BRIENNE V


 
Brienne aveva cercato di incontrare Margaery per tutta la mattina, ma Elinor, una delle sue accompagnatrici che aveva già incontrato all’accampamento di Renly, le aveva detto che sarebbe stata impegnata per la preparazione delle nozze e avrebbe poi pranzato nelle sue stanze con Sansa Lannister.

«Avrò premura di dirle che sei qui» le disse. «Ti ricorda con affetto e sono certa che sarà felice di rivederti.»

Dubitava che la futura regina provasse affetto per lei, dal momento che si erano scambiate solo poche parole, per lo più formali, ma ringraziò comunque Elinor per la sua cortesia e se ne andò.

Avrebbe quasi voluto chiedere se poteva pranzare con lei, ma ricordò l’ammonimento di Jaime riguardo a Sansa e decise di lasciar perdere. Inoltre non sarebbe stato educato presentarsi senza invito.

Decise di fare una passeggiata per i giardini di Approdo del Re e presto si ritrovò ad ammirare le sue scogliere e il mare blu sotto di esse. Si chiese se somigliasse al panorama di Tarth. Scese su uno dei promontori e si sedette a terra, lasciando che la brezza marina le scorresse sul viso e le scompigliasse la gonna.

Le dava fastidio dover indossare quegli abiti, ma erano gli unici che le erano stati forniti e doveva portarli per forza. Quel giorno aveva scelto un vestito rosso con le maniche fino al gomito e una scollatura leggera. Odiava gli abiti che mettevano in risalto il petto: nella maggior parte dei casi serviva a enfatizzare le curve di una donna, ma lei di curve non ne aveva e non le andava di renderlo più ovvio del dovuto.

Quell’abito non le dispiaceva, le stava abbastanza bene e non la faceva sentire eccessivamente ridicola. Era sicuramente meglio di quello indossato il giorno prima. Quantomeno in quell’occasione Jaime aveva avuto il buon senso di tacere, senza ridicolizzarla.

Si chiese cosa stesse facendo in quel momento.

Sarà insieme a Cersei. Sono stati lontani per molto tempo, devono recuperare.

Sospirò. Il pensiero di loro due insieme le faceva male. Durante il loro viaggio si era illusa di essere importante per lui, ma era solo perché non aveva alternativa. Là fuori era un viaggiatore storpio, ma qui era il Leone di Lannister, Lord Comandante della Guardia Reale.

E la sua anima gemella è qui.

O forse Cersei era solo la sua gemella. Brienne si era chiesta spesso se fosse lei l’anima gemella di Jaime Lannister: in teoria il legame dovrebbe essere reciproco, perciò se lei aveva iniziato a vedere i colori grazie a lui, doveva essere accaduto lo stesso a Jaime.

Però ha detto di averli sempre visti.

Tuttavia Brienne ricordò che lei stessa aveva mentito in quell’occasione, dichiarando di vedere ancora in bianco e nero. Forse lo aveva fatto anche lui, forse…

Scosse la testa, scacciando quei pensieri. E se anche fossero state anime gemelle? Non aveva importanza, perché lui amava Cersei e solo Cersei.

E, in ogni caso, non guarderebbe mai una come me.

Il fatto che le loro anime fossero legate non significava che dovessero amarsi. Jaime voleva Cersei e lei non avrebbe potuto fare niente per fargli cambiare idea.

«Ti disturbo, mia signora?»

Brienne si voltò sentendo una voce alle sue spalle. In fondo alle scale era comparso un omuncolo che si stava avvicinando a lei con passo ondeggiante. Indossava una casacca ricamata con il rosso e oro dei Lannister e aveva un’orrenda cicatrice sul volto.

Quel sorrisetto mi ricorda qualcuno.

«Mio lord» lo salutò lei, alzandosi in piedi.

«Oh, sei davvero un gigante» esclamò Tyrion. «Ti prego, rimettiti comoda. A me verrà il torcicollo e a te il mal di schiena se parliamo così.»

Non aveva tutti i torti. Si sedettero insieme sul muretto, ma Brienne non sapeva bene cosa aspettarsi da lui. Sapeva che Jaime gli voleva bene e che tra i suoi parenti era quello più umano e affidabile, ma si sentiva comunque a disagio a stare sola con lui.

«Perdona il mio aspetto» disse lui. «Spero non ti dia troppo fastidio la mia faccia.»

«Niente affatto» rispose prontamente lei. Non era un bel vedere, certo, ma chi era lei per giudicare l’aspetto fisico altrui?

Colse l’occasione per cercare di iniziare una conversazione.

«Posso chiederti com’è successo?»

«Un regalino della mia dolce sorella durante la Battaglia delle Acque Nere.»

Brienne sbiancò.

«Ma non… Non stavate combattendo contro Stannis Baratheon?»

«Esatto.»

«Allora perché…?»

«Mia sorella mi vuole morto dal giorno in cui sono nato» spiegò Tyrion. La sua voce suonava quasi divertita. «Quale occasione migliore di una battaglia per farmi fuori? Nessuno avrebbe potuto incolpare lei. Ti ha scioccato questa storia?»

«Un po’, sì. Siete fratelli» disse.

Tyrion fece spallucce.

«Ci amiamo molto e ce lo dimostriamo così» scherzò. «Jaime non ti ha detto che non siamo esattamente una famigliola unita e felice?»

Ricordò che l’uomo aveva accennato all’odio di Cersei per il loro fratello minore, ma Brienne non l’avrebbe mai creduta capace di ucciderlo.

Di che razza di donna è innamorato Jaime?

«Non stare ad angustiarti, mia cara» tagliò corto lui. «Ho un bel fratello che mi vuole bene e tanto mi basta. A proposito di Jaime, è passato da te stamani?»

«N-No, perché?»

Tyrion la squadrò da capo a piedi, mettendola in imbarazzo, e annuì.

«Già, dovevo capirlo dal vestito.»

Brienne aggrottò le sopracciglia. Cosa c’entrava Jaime con i suoi vestiti?

«Be', è stato un piacere averti conosciuta, ma ora devo andare» disse infine, alzandosi in piedi.

Brienne non dovette nemmeno alzare la testa per guardarlo in faccia.

«Torno anch’io. Penso che andrò a riposare un altro po’.»

Non che ne avesse davvero bisogno, ma, non sapendo cos’altro fare, preferiva rinchiudersi nella sua camera piuttosto che girovagare per il castello, rischiando di imbattersi in altri Lannister.

«Perfetto, allora facciamo la strada insieme. Ti offrirei il braccio, ma credo che sarebbe più un impiccio che un aiuto per te» disse ridacchiando.

Brienne sorrise. «Hai ragione, ma ti ringrazio comunque per il pensiero.»


 
Entrando nella Torre delle Spade Bianche, Brienne fu tentata di cercare Jaime nella Sala Rotonda, ma decise di attenersi al piano originale e andò in camera sua. Lui aveva sicuramente molte cose di cui occuparsi e sarebbe stato sciocco andare a infastidirlo inutilmente.

Brienne capì che le sue giornate si sarebbero divise tra la sua stanza e il tentativo di avvicinare Margaery e Sansa. Ma per quanto tempo sarebbe andata avanti così? Jaime aveva promesso di proteggerla, promessa che lei aveva accettato solo grazie all’intensità dal suo sguardo,

e al fatto che era troppo vicino a me per permettermi di ragionare lucidamente,

ma non avevano mai elaborato un vero e proprio piano. Portare Sansa alla Barriera era la scelta più saggia, il problema era come avrebbero fatta a farla uscire dalla città.

Entrò in camera e si diresse verso il letto, su cui trovò tre abiti che non aveva mai visto prima.

«Ma cosa…?»

Erano tutti sulle tonalità del blu e dell’azzurro e sembravano proprio della sua misura. Il primo aveva una larga scollatura e un corpetto imbottito, il secondo era un modello molto simile a quello che stava indossando, mentre il terzo era il più semplice, somigliava a una casacca e sul petto era ricamata una stella d’oro. Insieme a essi vi era anche un biglietto:


Mio padre non accetta che le donne non indossino le gonne, soprattutto in sua presenza, perciò temo che dovrai accontentarti. Tuttavia lasciami dire che il rosa non è assolutamente il tuo colore, mia signora. Trovo che il blu sia più adatto e spero proprio di non sbagliarmi. Mi auguro di aver indovinato le misure e che queste vesti siano di tuo gradimento. Ti aspetto a pranzo.
                                                                                                                                                                               Jaime



Brienne guardò quegli abiti con rinnovato interesse. Jaime li aveva fatti fare appositamente per lei.

Li osservò nuovamente, ma la sua preferenza iniziale non cambiò comunque. Prese il terzo abito, quello più sobrio e che nascondeva meglio il suo corpo, ma mentre lo sollevava, qualcosa scivolò a terra. Erano un paio di pantaloni. Brienne non capì come fossero finiti lì, ma poi un dubbio si insinuò nella sua mente: guardò anche gli altri abiti e, dentro la gonna di entrambi, vi erano dei pantaloni. Osservandoli bene, sembravano fatti apposta per abbinarsi ai rispettivi abiti. Jaime sapeva quanto le gonne la mettessero a disagio e aveva fatto in modo di farla sentire al sicuro, pur seguendo le direttive di Lord Tywin.

Brienne pensò che nessuno aveva mai compiuto un gesto così carino per lei.


 
«Sei in perfetto orario, mia signora. Prego, entra.»

Brienne cercò di non arrossire mentre entrava. Non si era ancora abituata a vederlo nei panni del Leone di Lannister e il suo aspetto la metteva in soggezione.

La sua camera era più spaziosa della sua, con un grande letto a baldacchino e un lungo tavolo, già imbandito per il loro pranzo.

«Vedo che hai ricevuto il mio dono» le disse, chiudendosi la porta alle spalle.

«Sì e ti ringrazio, sei stato molto gentile. Soprattutto per…» disse, sollevando la gonna e rivelando i pantaloni blu nascosti lì sotto.

Jaime sorrise soddisfatto.

«Ero certo che ti sarebbero piaciuti. E avevo anche ragione sul colore: il blu ti dona» disse, guardandola dall’alto in basso, ma senza il disprezzo a cui gli altri uomini l’avevano fatta abituare. «Mette in risalto i tuoi occhi.»

Brienne arrossì per quel complimento inaspettato.

«G-Grazie» mormorò, cercando di non risultare troppo impacciata.

Jaime le sorrise dolcemente e la invitò a sedersi. Le tenne la sedia finchè non si fu seduta e Brienne si sentì a disagio per quell’improvviso atteggiamento cavalleresco. Anche se si trattava di Jaime e sapeva che non l’avrebbe derisa o insultata, il timore di essere presa in giro non era ancora svanito del tutto.

«Ti direi di aver scritto di persona il biglietto, ma sarebbe una bugia» le disse. «Non ho mai avuto una buona grafia e con la mano sinistra riesco a malapena a tenere in mano una penna. Spero che mio fratello non abbia aggiunto qualche commento inopportuno.»

«È stato Lord Tyrion a scrivere il messaggio?» esclamò Brienne. «Ah, ora capisco.»

Jaime sgranò gli occhi, terrorizzato.

«Lo sapevo, dovevo farlo fare a qualcun altro. Cosa ti ha detto? Sappi che è uno stronzo dalla lingua lunga e non sa cosa sia il contegno.»

«Credevo gli volessi bene» disse Brienne, sorpresa per quelle parole.

«Con tutto il mio cuore, ma resta il fatto che è insopportabile.»

Brienne rise. «Comunque ha scritto tutto alla perfezione. L’ho incontrato stamattina e, vedendo il mio abito, aveva capito che non avevo ancora ricevuto il tuo dono.»

Jaime tirò un sospiro di sollievo.

«Anzi, ti dirò, l’ho trovato molto garbato. Non somigliava per niente all’uomo di cui avevo tanto sentito parlare.»

«Lo hai visto per troppo poco tempo, temo. Comunque, ignora i miei commenti: sono il fratello maggiore, devo trattarlo un po’ male. Ti assicuro che è la persona che amo e di cui mi fido di più al mondo, secondo solo a…»

Si zittì, prima di terminare la frase, ma Brienne capì comunque a chi si riferisse.

Secondo solo a Cersei.

Il clima di serenità che si era venuto a creare mutò in un attimo. Brienne non era più così sciocca da credere che un uomo potesse amarla, specie uno come Jaime Lannister, ma non credeva comunque che Cersei fosse la donna adatta a lui. Oltre al fatto che erano fratelli, la regina sembrava una persona spregevole e vendicativa. Aveva cercato di uccidere suo fratello, quello stesso fratello che Jaime amava moltissimo.

Sapeva ciò che sua sorella aveva fatto? Glielo avrebbe dovuto dire?

«Va tutto bene?» le chiese Jaime, riscuotendola dai suoi pensieri.

Brienne annuì. Non era compito suo impicciarsi delle faccende dei Lannister.

«Vuoi un po’ d’acqua? O per una volta accetti il vino?» le chiese, inclinando la testa di lato.

Brienne ci pensò un momento.

«Va bene» disse. «Un bicchiere solo però.»

Jaime sorrise, soddisfatto, e allungò la mano verso la brocca. La mano sbagliata. Brienne riuscì a prendere la brocca prima che cadesse a terra, ma parte del liquido si era comunque versato sulla tavola.

«Maledizione! Stupida mano inutile» esclamò Jaime.

Solo in quel momento Brienne si rese conto che sporgeva qualcosa dalla manica destra del cavaliere. Era un pezzo d’oro, minuziosamente rifinito per dargli la forma e l’aspetto di una mano. Il giorno precedente non lo aveva.

Brienne avrebbe voluto dire qualcosa, ma non le veniva in mente niente di carino. Quell’oggetto non sembrava minimamente funzionale, era solo pensato per celare il moncherino.

«Carino, vero?» disse Jaime, notando dov’era puntato il suo sguardo. «Il regalo di bentornato da parte della mia cara sorellina.»

«Non sembra molto utile.»

«Ovviamente. Non era quello il suo scopo.»

Rideva mentre parlava, ma quell’allegria non aveva raggiunto i suoi occhi.

È un ornamento. Lo so io e lo sa anche lui.

Cersei aveva voluto abbellirlo, come se fosse stato un oggetto rotto di cui non voleva far vedere la crepa.

«Però sono abbastanza sicuro che ricevere uno schiaffo con questa faccia piuttosto male» disse Jaime, cercando di trovare un lato positivo in quell’oggetto.

Brienne annuì, anche se non sapeva quanto un’utilità simile servisse: Jaime non era il tipo da andare in giro a picchiare la gente.

Alzò la brocca e versò il vino per Jaime e per se stessa. Non c’era molto altro da dire su quella mano, quindi tanto valeva cambiare argomento.

«Grazie» le disse Jaime. «Vogliamo brindare, mia signora?»

«A cosa vorresti brindare?» Non le sembrava che ci fosse qualcosa di cui essere felici in quella situazione, se non, almeno per lei, il fatto di essere ancora insieme. «E smettila di chiamarmi così, è strano.»

Jaime fece spallucce.

«Come vuoi, donzella.»

Brienne alzò gli occhi al cielo, facendo ridere di gusto il suo interlocutore.


 
Passarono tutta la giornata insieme, nessuno dei due consapevole del tempo che fosse passato fino a quando lo scudiero di Tyrion non andò a ricordare a Jaime della cena di famiglia di quella sera. Lui non sembrò esserne troppo felice, ma disse che si sarebbe cambiato e li avrebbe raggiunti.

Le augurò la buona notte e i due si separarono. Brienne si era ripromessa di andare a cercare Margaery di nuovo quel pomeriggio, ma quando lasciò le stanze di Jaime si rese conto che era già sera. Non le capitava spesso di dimenticare i suoi doveri e di non accorgersi dello scorrere del tempo, ma a quanto pare Jaime aveva quell’effetto su di lei.

Quando arrivò di fronte alla sua stanza, c’era Ser Loras ad aspettarla. I due non si erano più visti dal loro ultimo incontro e Brienne sperò che il cavaliere non fosse lì per accusarla nuovamente della morte di Renly.

«Lady Brienne» la salutò cortesemente.

«Ser Loras.»

«Se non ti è di disturbo, mia sorella avrebbe piacere a vederti.»

Brienne sgranò gli occhi.

«La regina Margaery?» chiese.

«Non mi risulta di avere altre sorelle» rispose Loras, scocciato.

«C-Certo» disse Brienne. «Con molto piacere.»

Loras annuì e le fece cenno di seguirla. Si addentrarono nei cortili della Fortezza Rossa e, per un momento, Brienne temette che Margaery fosse alla cena di famiglia dei Lannister. Non le avrebbe fatto piacere incontrarla lì, soprattutto se il Re e Cersei fossero stati presenti. Tuttavia Loras uscì dalla Fortezza e si diresse nei giardini, da dove proveniva un vociare concitato e un intenso profumo di rose.

Passarono accanto a molti servitori e dame, tutti con indosso lo stemma dei Tyrell. Alcune facce non le erano nuove, le aveva già incontrate all’accampamento di Renly o a Tarth, e si sentì a casa.

«Mia nonna ti aspetta nel gazebo dall’altro lato» annunciò Loras, facendo svanire la tranquillità di Brienne.

Lady Olenna Tyrell, la Regina di Spine. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe stata presente al matrimonio della nipote, ma sperava di poter incontrare Margaery da sola. Si fidava di lei, ma non sapeva cosa pensare del suo entourage e, soprattutto, di sua nonna, la quale non si era mostrata troppo entusiasta per l’alleanza con Renly.

Ormai, però, era lì e fuggire sarebbe stato impossibile. Ringraziò Loras e si avviò verso il luogo dell’appuntamento. Era buio, ma il giardino era pieno di candele che permettevano di vedere chiaramente le persone e l’ambiente circostante. Il gazebo era il luogo più illuminato e Brienne riuscì a distinguere le persone al suo interno anche a distanza. Vi era una donna anziana, dal portamento regale, che guardava le due giovani fanciulle sedute accanto a lei.

Queste erano occupate in un’allegra conversazione e sembrarono non accorgersi del suo arrivo fino a quando Lady Olenna non le parlò.

«Oh, per gli dei! Eccoti qui» disse, come se si conoscessero da sempre. «Ma guardati. Sei davvero incredibile. Ehi, tu!» esclamò poi, rivolta ad uno dei servitori. «Credi di riuscire a portare una sedia alla nostra ospite prima che arrivi l’Inverno? Questi idioti» aggiunse poi, tornando a rivolgersi a Brienne. «Mi chiedo perché continuo a tenerli al mio servizio.»

Brienne non sapeva cosa dire, ma di certo aveva appena capito come Lady Olenna si fosse guadagnata il titolo di “Regina di Spine”.

«Lady Brienne. Che piacere rivederti.»

Per sua fortuna Margaery venne in suo soccorso, alzandosi per accoglierla.

«Mia regina» Brienne fece un inchino, anche se nel suo solito modo impacciato. «Il piacere è tutto mio.»

Margaery le sorrise e tornò a sedersi. Fu in quel momento che Brienne si rese conto di chi era la ragazza seduta tra le due Tyrell. Aveva gli inconfondibili capelli rossi dei Tully e il volto austero di sua madre.

«Permettimi di presentarti Lady Sansa» disse Margaery. «Sansa, questa è la donna di cui ti ho parlato, ricordi?»

Brienne si sentì onorata per la considerazione che Margaery le mostrava e anche perché, inconsapevolmente, la stava aiutando.

Jaime mi ha detto di stare lontana da Sansa Stark, ma è stata la regina a farci incontrare e non ho intenzione di lasciarmi sfuggire questa occasione.

«È un onore conoscerti, Lady Sansa» disse, facendo una riverenza.

Sansa rispose con garbo, ma Brienne si rese conto che i suoi occhi non esprimevano emozioni, nonostante poco prima sembrasse felice a conversare con Margaery.

Il servitore arrivò con la sedia per Brienne e le quattro donne poterono cominciare a cenare. Il tavolo era imbandito con dolci e formaggi, alimenti molto diversi da quelli condivisi con Jaime, ma la sontuosità era quasi la stessa. Brienne non ricordava di aver mai passato così tanto tempo seduta a un tavolo.

«So che hai sconfitto mio nipote» disse Olenna, «mandandolo a terra come lo sciocco ragazzo che è.»

«Ser Loras ha combattuto con valore» lo difese Brienne, ma la donna la zittì con un gesto della mano.

«Sì, sì, poco importa. È un idiota e qualcuno avrebbe dovuto suonargliele prima. Temo sia un difetto degli uomini della nostra famiglia: tanta bellezza, ma poco cervello.»

«Nonna!» la ammonì Margaery. «Ti prego, hai già spaventato Sansa, non fare lo stesso anche con Brienne.»

«Mi pare che la nostra giovane amica non si tiri mai indietro da un nostro invito, perciò non l’ho spaventata così tanto evidentemente» ribatté lei. «Comunque, mia cara, gli dei ti hanno dato un dono unico: la stazza di un uomo. Devi usarlo bene.»

Brienne non riusciva a capire se Lady Olenna la stava adulando o insultando.

«Verrai al matrimonio, dopodomani?» chiese Margaery per cambiare argomento.

Brienne fu colta in contropiede, poiché non ci aveva ancora pensato. I banchetti la mettevano a disagio ed era certa che a nessuno sarebbe importato della sua assenza.

«Io… Non credo, mia signora. Non sono stata invitata e non…»

«Sei appena stata invitata» confermò Olenna. «Ti divertirai, vedrai.»

Ne dubito fortemente.

«Vieni, ti prego. Ne avrei molto piacere» le disse Margaery e quelle parole furono più efficaci.

Accettò, anche se in cuor suo sperava ancora di riuscire a evitarlo.

«Hai già conosciuto il re?» le chiese Olenna.

«No, non ne ho ancora avuto il piacere.»

Avrebbe evitato di incontrarlo per sempre se avesse potuto, ma doveva mostrarsi piacente di fronte alla sua futura moglie e a sua nonna. Sebbene forse rischiava di fare una brutta impressione su Sansa.

«Non è un piacere, fidati. È un piccolo mostro a cui non avrebbero mai dovuto dare la corona.»

Brienne sgranò gli occhi di fronte a quelle parole. La Regina di Spine non poteva davvero pensare quello di Joffrey, altrimenti non avrebbe potuto darlo in sposa a sua nipote.

Però quello che ha detto è vero. Joffrey è un mostro.

«Non siamo sue grandi fan» le spiegò Margaery. «Specie dopo quello che ci ha raccontato Sansa.»

«Ma allora… Non capisco, perché vuoi sposare un uomo simile?»

«Perché è necessario» rispose semplicemente lei. «Joffrey è il re che ci piaccia o meno. A ogni modo credo di avere una qualche influenza positiva su di lui. Forse potrei riuscire a cambiarlo.»

«Non farti illusioni» la contraddisse Sansa. Il suo sguardo si era rabbuiato da quando avevano iniziato a parlare del re bambino. «Lui non cambierà, non accadrà mai.»

Maragery le sorrise dolcemente, prendendole la mano, e Brienne ebbe l’impressione di stare assistendo a un gesto molto intimo.

«Perdonami, Sansa, questi discorsi ti hanno rabbuiata» le disse. «Parliamo di cose più felici. Domani ti va di accompagnarmi a scegliere i gioielli per le nozze? Il consiglio di un’esperta mi farebbe comodo.»

Sansa sembrò riacquistare un po’ di serenità e annuì.

«Credevo che i preparativi per il matrimonio fossero ormai ultimati» commentò Brienne.

Margaery ridacchiò e si sporse verso di lei, per non farsi sentire da Lady Olenna.

«Se fosse dipeso da me, sì, ma devo lottare contro il giudizio e le lamentele di mia nonna su ogni cosa.»

Brienne non ebbe difficoltà a crederlo.


 
Fu una serata piacevole. Lady Olenna sembrava insultare anche Margaery e Sansa, perciò Brienne suppose che fosse semplicemente il suo modo per dimostrare affetto. Quando anche l’ultima tartina al limone era stata mangiata e la luna era ormai alta nel cielo, Olenna decise che era il momento di ritirarsi. Lei e Margaery andarono insieme, mentre Brienne si offrì di scortare Sansa fino ai suoi alloggi.

Il primo tratto di strada lo fecero in silenzio e Brienne si rese conto che sarebbe stato più sicuro parlare in mezzo ai Tyrell che tra le mura della Fortezza Rossa, ma ormai non aveva scelta. Non sapeva quando avrebbe avuto nuovamente occasione di stare da sola con lei, quindi doveva agire. Jaime avrebbe capito.

«Non ti ho ancora fatto le mie condoglianze per la perdita dei tuoi genitori e di tuo fratello, mia signora» disse Brienne, mentre entravano nei cortili della Fortezza.

«Ti ringrazio» rispose lei, senza lasciar trapelare alcuna emozione. Probabilmente si era sentita ripetere quella frase fino alla nausea e di certo non le procurava alcun piacere: i morti non sarebbero tornati solo perché i vivi erano dispiaciuti.

«Ho avuto l’onore di conoscere tua madre, Lady Catelyn» continuò.

«All’accampamento di Renly, sì. Margaery me lo ha detto.»

«E sono stata al suo servizio» Quest’ultima informazione attirò l’attenzione di Sansa. «Lo sono ancora, in realtà.»

«Non eri al suo fianco però.»

A Brienne non sfuggì la nota di rimprovero nella sua voce e sentì i sensi di colpa tornare a galla.

«No, poiché mi aveva affidato un altro incarico. Dovevo scortare Ser Jaime qui, nella Capitale, per scambiarlo con te e tua sorella e riportarvi a casa.»

Gli occhi di Sansa si illuminarono all’improvviso.

«Allora sei qui per portarmi via!» esclamò, forse a voce un po’ troppo alta.

«Più o meno, ecco… Allora tu non eri sposata con Tyrion Lannister e Lady Catelyn…»

Allora aveva una vera casa a cui tornare.

«Quindi non farai niente?»

«Non ho detto questo! Solo… Sarà più difficile del previsto, ecco tutto. Ma non devi preoccuparti» disse, posandole una mano sulla spalla. «Io e Ser Jaime ti terremo al sicuro fino a quando non potremo andarcene.»

Sansa si scostò dal suo tocco.

«Lo Sterminatore di Re?! Stai dicendo che sei in combutta con lui?»

«In combutta? No, no. Come me ha giurato di riportarti a casa e…»

«È un Lannister e uno spergiuro! Non puoi essere così stupida da fidarti di lui!»

Brienne strinse i pugni, cercando di rispondere nel modo più chiaro e semplice possibile. Ser Jaime era un uomo d’onore e non era il nome della sua famiglia a determinare chi fosse. Tuttavia, capiva l’agitazione di Sansa e, dopotutto, lei stessa aveva pensato le stesse cose sullo Sterminatore di Re prima di conoscere l’uomo dietro la bestia.

«Mia signora, so che non è semplice, ma ti assicuro che Jaime è un brav’uomo. Ho viaggiato con lui, mi ha protetta e si è preso cura di me. Puoi…»

«Sei una sua alleata dunque» sentenziò Sansa.

Perché non riesco a farmi capire.

«Non proprio, io…»

«Lo sei o no?»

Brienne non sapeva che fare. Se avesse risposto di sì, Sansa l’avrebbe considerata una nemica. In caso contrario, non solo avrebbe mentito, ma avrebbe anche reso più difficile il compito di Jaime. E il suo aiuto era per loro indispensabile, specie per Sansa.

«Mi era sembrato di sentire una voce familiare.»

Sansa e Brienne si scambiarono uno sguardo preoccupato mentre si voltavano verso i nuovi arrivati.

Cersei, Jaime e Tyrion erano di fronte a loro e Brienne temette che avessero sentito la loro conversazione. Jaime le rivolse uno sguardo interrogativo, ma lei scosse la testa: non era il momento per le spiegazioni.

«Moglie. Lady Brienne» le salutò il folletto.

Sentendo il suo nome, una nuova luce brillò negli occhi di Cersei. La guardò dall’alto in basso e un sorrisetto di scherno comparve sul suo volto.

«Dunque sei tu la misteriosa donna che ha riportato mio fratello a casa.»

«S-Sì, maestà» rispose Brienne, accennando un inchino.

«Avevo sentito delle storie su di te, ma non immaginavo che fossi davvero così grande. Quanto sei alta?» chiese, senza mezze misure.

Brienne arrossì. Non le piaceva essere interrogata su certe questioni, anche se era evidente che raggiungeva quasi i due metri di statura. Tuttavia, inconsciamente, credeva di poter apparire più bassa se gli altri non avessero saputo la sua altezza precisa.

«Più alta di molti uomini» intervenne Jaime. «Sono certo che Lady Brienne e Lady Sansa stessero andando a riposare. Non disturbarle, Cersei.»

«Oh, non era mia intenzione» rispose lei con sguardo innocente. «Andate pure e siate ben riposate per il matrimonio del re. Piccola Sansa» aggiunse, avvicinandosi a lei. Brienne ebbe l’impulso di frapporsi tra le due, ma Cersei non avrebbe fatto del male alla fanciulla. Non in quel momento almeno.

Le mise le mani sulle spalle con fare affettuoso, dicendo:

«Mi sarebbe piaciuto vederti raggiungere l’altare insieme a Joffrey, ma purtroppo non è andata così. Almeno siamo comunque diventati una famiglia.»

Sansa annuì. «Anche a me è dispiaciuto molto non poter dimostrare appieno il mio amore e la mia fedeltà a Re Joffrey.»

Brienne fu colpita dall’abilità di Sansa di mentire. Sembrava quasi sincera e, se solo un momento prima non le avesse fatto capire che desiderava ardentemente lasciare quella città, Brienne le avrebbe creduto.

«Col vostro permesso» aggiunse poi Sansa. «Vorrei ritirarmi.»

«Ti seguo a ruota, mia signora» disse Tyrion, il quale era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Si avvicinò a lei, porgendole la mano. Sembrava alticcio. «Per quanto mi divertirebbe restare qui, ho proprio bisogno di una bella dormita.»

Sansa prese la sua mano e si incamminarono insieme verso le loro stanze. Erano una coppia bizzarra, l’orfana e il nano, ma Brienne fu felice di vederli insieme. Dopotutto, la stessa Sansa a cena aveva dichiarato che Lord Tyrion era gentile e buono con lei. Era stato l’unico, oltre ai Tyrell, ad averla trattata con un minimo di riguardo da quando era morto suo padre.

Concentrata com’era su di loro, non si era ancora accorta di essere rimasta da sola con i gemelli Lannister.

«Con… Con permesso» disse. «Mi ritirerei anch’io. Vi auguro la buona notte, Altezza, Ser Jaime.»

Non aspettò la loro risposta per andarsene.
 


Il giorno del matrimonio era infine arrivato. Brienne aveva ricevuto un secondo invito, questa volta scritto, da parte di Margaery e ormai non poteva più tirarsi indietro. Mai come in quel momento fu grata a Jaime per averle procurato degli abiti decenti. Si chiese se non lo avesse fatto proprio per il matrimonio, ma decise che non le importava.

Dopo il loro incontro nei cortili, Brienne avrebbe voluto cercarlo per parlargli di Sansa e del fatto che la ragazza non si fidasse assolutamente di lui, ma quando aveva bussato alla sua camera non aveva ricevuto risposta e non era in nessuna delle ale comuni della Fortezza, perciò aveva lasciato perdere. Non le andava di disturbarlo mentre era con i suoi confratelli o con suo padre.

O con Cersei.

Di certo lo avrebbe visto al matrimonio, ma dubitava che si sarebbero potuti scambiare più di un paio di cenni di saluto.

Sospirò. Odiava i banchetti e le feste, in più in quest’occasione tutti quelli che conosceva sarebbero stati lontani da lei: Jaime avrebbe partecipato in veste di Comandante della Guardia Reale, Margaery era la sposa e Tyrion era lo zio dello sposo, di conseguenza sarebbe stato al tavolo con il resto della famiglia, Sansa inclusa. Decise che si sarebbe fatta vedere dalla regina, in modo da farle sapere che aveva preso parte alle celebrazioni, e poi avrebbe inventato una scusa per ritirarsi prima. Aveva sentito dire che il banchetto sarebbe stato composto da settantasette portate, vi sarebbero stati eventi di musica e scherma, e una compagnia di nani proveniente dal continente orientale avrebbe messo in scena uno spettacolo. Brienne dubitava che la festa si sarebbe conclusa prima di notte inoltrata e non aveva intenzione di stare in mezzo a quella gente per tutto quel tempo.

Avrebbe voluto indossare di nuovo la casacca blu, ma decise di optare per l’abito tradizionale. Non pensava che Jaime l’avrebbe notata, ma almeno gli avrebbe fatto capire che apprezzava che le avesse fatto confezionare più abiti.

Si adattava perfettamente al suo corpo e, anche se la scollatura era più ampia di quanto avesse creduto all’inizio, era sicuramente uno degli abiti migliori che avesse mai indossato. Si pettinò i capelli all’indietro, essendo troppo corti per essere acconciati diversamente, e provò a darsi un leggero rossetto, ma le labbra diventarono troppo rosse e Brienne abbandonò ogni tentativo di truccarsi.

Uscì dalle sue stanze quando sentì il rintocco delle campane che annunciavano al regno di avere una nuova regina.

Dei, proteggetela. Lei sarà un’ottima regina, ma fate che possa cedere parte della sua bontà e saggezza anche al re.

Come gli altri conviviali che non avevano preso parte alla cerimonia, giunse nel parco in cui sarebbero avvenuti i festeggiamenti. Era una giornata splendida e tutto era addobbato con colori sgargianti. Brienne si chiese se fosse un buon presagio per il futuro del regno.

Fortunatamente, fatta eccezione per la famiglia reale, il pranzo era a buffet, così Brienne non dovette preoccuparsi di essere costretta a stare seduta accanto a persone sgradevoli o potenzialmente pericolose.

I primi ad arrivare furono i membri della Guardia Reale, capitanati da Jaime. Quando la vide, le rivolse un sorriso e un cenno del capo, che lei ricambiò. Arrivarono poi Tyrion e Sansa, insieme allo scudiero del nano, seguiti dalla Regina Madre, il principe Tommen, Mace Tyrell, Tywin Lannister e Lady Olenna. Quest’ultima fu la sola a rivolgerle un cenno di saluto.

Per ultimi, mano nella mano, arrivarono gli sposi. Furono accolti da urla di giubilo e applausi, a cui si unì anche Brienne, sebbene i suoi auguri fossero rivolti principalmente a Margaery.

La regina si fermò a salutare tutti e andò anche da lei.

«Lady Brienne. Sono così felice che tu sia venuta» disse, stringendole la mano.

«Non potevo mancare, Altezza. Congratulazioni a entrambi.»

Joffrey aveva seguito la sua consorte nei saluti e, per la prima volta, si era ritrovata faccia a faccia con lui. Era un ragazzo di bell’aspetto, giovane, con i capelli biondi e gli occhi verdi tipici dei Lannister.

Somiglia a Jaime.

«Sei tu quella che ha ucciso Renly Baratheon, vero?» le chiese, rivolgendole un mezzo ghigno.

«No, mio amato» intervenne Margaery. «Ti sbagli, Brienne non c’entra niente.»

«Peccato. Chi l’ha ucciso meriterebbe di diventare cavaliere.»

Brienne sentì la rabbia crescerle dentro. Renly era stato ucciso con l’inganno, dalla magia nera. Non era stato battuto lealmente in duello, ma assassinato nella notte perché il suo avversario aveva troppa paura per combatterlo.

«Ora dobbiamo raggiungere gli altri» disse Margaery, rivolgendole uno sguardo eloquente, probabilmente capendo che le parole di Joffrey l’avevano ferita. «Goditi il banchetto. Ci vediamo più tardi.»

Brienne riuscì a sorriderle mentre si allontanava verso la pedana.

Somiglia a Jaime, ma solo nell’aspetto.
 


Il re rimase seduto a mangiare per circa dieci minuti, poi volle vivacizzare la festa con uno spettacolo. La compagnia di guitti fece il suo ingresso dalle fauci di un leone di legno e il silenzio calò tra gli spettatori quando videro cosa stavano inscenando.

Erano cinque nani, ognuno vestito come i Cinque Re che si erano contesi il trono. Brienne si rifiutò di credere che quello con il sedere in bella vista fosse Renly, ma nessuno degli altri gli somigliava. Strinse i pugni e, quando cominciarono ad attaccarlo, insultando però il vero Renly, si allontanò dalle tavole imbandite. Il silenzio iniziale si era tramutato in risate e forse era quello che le aveva dato più fastidio. Camminò a testa bassa e non si accorse di essere andata a sbattere contro qualcuno.

«Oh! Chiedo scusa…»

«Non fa’ niente» Era Ser Loras.

Lo vide osservare oltre le sue spalle, verso quello scempio, e il suo volto divenne una maschera di furore. Comprendeva la sua rabbia, ma attaccare il re o fare delle scenate non avrebbe fatto che peggiorare le cose.

«Ser Loras…»

«È inaccettabile» disse a denti stretti. «Lui non era così.»

Brienne si voltò per vedere cosa stesse accadendo. Fortunatamente il nano-Renly era stato sconfitto e adesso se la stavano prendendo con il nano-Robb. Cercò lo sguardo di Sansa, ma non riuscì a vederla bene da quella distanza, anche se immaginava che avrebbe dato qualsiasi cosa per allontanarsi da quel luogo. O per riservare a Joffrey lo stesso destinato che era stato affidato a suo fratello.

«Renly non gli è mai piaciuto.»

Jaime si era avvicinato a loro e stava osservando anche lui l’osceno teatrino.

«Questo non significa che può dire certe cose!» sbottò Loras.

«È il re quindi può farlo. Ricorda, Ser Loras, che ora sei un confratello della Guardia Reale. Il tuo compito è proteggere il re, non ucciderlo. Adesso va'» aggiunse. «Fatti una bella camminata e calmati. Qui ce la caviamo da soli.»

Loras sembrò colpito dalle sue parole. Annuì e se ne andò.

«Sei stato gentile a lasciarlo andare» gli disse Brienne una volta rimasti soli.

Jaime fece spallucce.

«Loras deve accettare che Renly è morto e che adesso c’è un altro re.»

«Lo ha fatto mi pare» gli fece notare. «È entrato nella Guardia Reale di Joffrey, ma questo non significa che debba accettare una cosa del genere. Non è giusto, il re è veramente un…»

«Piano, donzella» la ammonì lui, afferrandole il braccio. «Insultare il re è alto tradimento.»

Brienne sospirò, ma rimase in silenzio. Quello spettacolo orribile andò avanti ancora per qualche minuto, finché Margaery non prese in mano la situazione. Sussurrò qualcosa al re e lui alzò le mani per richiamare l’attenzione del popolo.

«Miei lord e lady, che maleducato che sono» disse. «Che matrimonio è senza un ballo? Forza voi cinque, toglietevi di torno. Che inizino le danze!»

Lui e la regina furono i primi a scendere in pista, tra gli applausi e le acclamazioni degli invitati. Presto a loro si unirono molte altre coppie, inclusi Lord Tywin e Cersei.

Il clima della festa era tornato gioviale e a Brienne ricordò l’ultimo e unico ballo a cui avesse preso parte. Il ricordo di come Renly l’aveva stretta la faceva ancora arrossire e quello sarebbe rimasto per sempre il giorno più bello della sua vita, anche se il ballo era iniziato tutt’altro che bene.

Guardò le varie coppie danzare e ridere in mezzo al prato, quando sentì gli occhi di Jaime puntati su di sé.

«C-Cosa c’è?» gli chiese.

«Vedo che hai messo uno dei miei abiti.»

Brienne arrossì.

«S-Sì, mi sembrava la cosa più adatta.»

«Ottima scelta. Questo ti sta anche meglio dell’altro.»

Brienne sbuffò, evitando il suo sguardo. Anche Renly le aveva detto che era bella la sera in cui avevano danzato, ma ormai sapeva che i complimenti per lei nascevano da semplice gentilezza e non erano sinceri.

«Mi concederesti questo ballo, mia signora?»

Jaime si mise di fronte a lei e le porse la mano buona. Brienne quasi gli scoppiò a ridere in faccia.

«Come?»

«Balla con me» ripeté.

«Io… Ti ringrazio, ser, ma non so ballare.»

«Nemmeno io» rispose semplicemente lui. «Coraggio, rendiamoci ridicoli insieme.»

Brienne sbuffò.

«E perché dovrei farlo?»

«Perché sono il tuo cavaliere storpio preferito e tu muori dalla voglia di danzare con me.»

Brienne arrossì, soprattutto perché quelle parole non erano false, ma decise di concentrarsi sulla prima parte della frase.

«Ti piace essere storpio quando ti torna comodo.»

Jaime fece spallucce, rivolgendole poi un finto sguardo da cucciolo bastonato.

«Andiamo, donzella. Cosa devo fare per convincerti? Vuoi che mi metta in ginocchio?»

Brienne scosse la testa, ma quando vide che Jaime si stava davvero inginocchiando lo fermò.

«No, fermo, fermo! Ma che fai?» sospirò. «Sei davvero impossibile.»

«Lo prendo per un sì.»

Le prese la mano e cominciarono ad avvicinarsi alla folla danzante. Erano quasi arrivati quando sulla loro strada comparve Cersei. Appena la vide, Jaime le lasciò andare la mano. Quel gesto, anche se non era niente di grave, ferì Brienne.

«Lord Comandante» lo salutò Cersei. «A minuti porteranno il dolce. Puoi andare a controllare che sia tutto in ordine?»

Jaime aggrottò le sopracciglia.

«Se ne occupano in cucina.»

«Ovviamente. Ma mi sentirei più tranquilla se andassi a controllare tu personalmente.»

Jaime scambiò uno sguardo veloce con Brienne e annuì.

«Come desideri, Maestà. Mie signore.»

Si allontanò, lasciando le due donne da sole. Brienne decise che avrebbe fatto un inchino e se ne sarebba andata, ma Cersei parlò per prima.

«Lady Brienne, facciamo una passeggiata?»

La prese a braccetto e, riluttante, Brienne fu costretta a seguirla. Camminarono intorno ai ballerini e notò che Joffrey era tornato a sedersi e la compagna di ballo di Margaery era diventata Sansa. Le due ragazze sembravano divertirsi e Brienne ne fu felice.

«L’altra sera avevo bevuto troppo vino e temo di essere stata inopportuna» disse Cersei.

«Non hai fatto niente di male, Altezza.»

«Sei gentile, ma riconosco quando sbaglio. Questo mi ricorda che non ti ho ancora ringraziata per aver riportato a casa mio fratello sano e salvo. Eravamo terribilmente in pensiero per lui.»

«Davvero, non devi ringraziarmi. In realtà è stato lui a salvare me. Più di una volta.»

Ripensò a quando aveva impedito a Locke di stuprarla, a quando si era gettato in una fossa con dentro un orso per salvarla e a come l’aveva accudita durante la sua convalescenza. La verità era che lui aveva salvato lei, non il contrario.

«Ma davvero?» disse Cersei. Sembrava divertita. «Non ho mai sentito questa storia. In tal caso, però, devo avvertirti di una cosa.»

Erano arrivate dietro la tenda reale, lontano da occhi e orecchie indiscrete, e Cersei si fermò di fronte a lei.

«Non vorrei che ti facessi un’idea sbagliata. Tu per lui non conti niente. Nessuna conta qualcosa per lui, eccetto me. Perciò se anche dovesse mostrarsi gentile con te, regalandoti abiti o invitandoti a ballare, lo farebbe solo perché ha pietà di te. È una sua peculiarità, affezionarsi ai mostriciattoli e alle creature bizzarre, quindi non credere che lo faccia per amore nei tuoi confronti.»

Brienne aveva le mani incrociate dietro la schiena e le unghie si erano conficcate nella carne a forza di stringere. Il suo volto, però, rimase impassibile a giudicare dall’espressione delusa di Cersei.

Avrebbe voluto ribattere, perché anche se Jaime non l’amava, non era certo pietà quello che provava per lei, ma poi si rese conto di una cosa: Cersei si sentiva minacciata da lei e questo perché sapeva che Jaime era in grado di andare oltre le apparenze e amare qualcuno per ciò che era e non per come appariva. Bastava vedere quanto fosse affezionato al fratello nano per capirlo.

Lei non ha niente da offrire tranne la sua bellezza. E quella, un giorno, svanirà.

Il loro colloquio fu interrotto dall’annuncio del taglio della torta. Cersei le rivolse un ultimo sguardo carico di disprezzo e si allontanò. Brienne andò dalla parte opposta e si mescolò alla folla mentre il re tagliava la torta con la sua spada. Uno stormo di colombe si alzò in volo e, anche se lo spettacolo in sé era piuttosto bello, a Brienne fece impressione l’idea che quegli uccelli fossero nella torta che avrebbero dovuto mangiare.

Si guardò intorno per vedere dov’era Jaime. Si trovava davanti alla pedana e la stava fissando a sua volta. Lei gli fece un cenno e tornò a concentrarsi sugli sposi.

Sembravano una coppia felice mentre Margaery imboccava suo marito, ma Joffrey non riusciva mai ad accontentarsi.

«Zio» disse, rivolto a Tyrion.

In quel momento Brienne si rese conto che lui e Sansa si erano alzati da tavola e che il nano era bagnato.

«Servimi il vino» ordinò il re.

«Altezza, io e Lady Sansa vorremmo ritirarci…»

Joffrey lo ignorò. «No, no. Forza, dammi da bere. Questa torta è secca.»

Brienne vide Tyrion prendere la coppa del re, sul lato opposto della tavola degli sposi.

Gli bastava allungare la mano, non era necessario scomodare suo zio.

Joffrey prese la coppa e bevve con gusto.

«Zio, smettila di cercare di scappare» disse, notando che Tyrion aveva nuovamente cercato di allontanarsi. «Devi rest… Coff. Restare qui.»

«Maestà, per favore…»

«No, no… Coff, coff…»

Joffrey continuava a bere, ma più lo faceva più la tosse aumentava. Lo vide voltarsi verso Margaery e Brienne seppe cosa stava succedendo senza bisogno di sentirlo dire dalla regina.

Sta morendo.

Pensò che sarebbe dovuta essere triste. Quello era il figlio di Jaime ed era poco più di un bambino, eppure ebbe l’impressione che un masso enorme le venisse sollevato dalle spalle. Cercò Sansa con lo sguardo, ma non riuscì a trovarla. Sulla pedana, intanto, Cersei urlava disperata e Jaime era accanto a lei, incapace di aiutarla.

Per loro provò compassione. Provò compassione anche per Tyrion, quando sua sorella lo accusò di regicidio.

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


EPILOGO


 
Jaime entrò nella sua camera e chiuse la porta, appoggiandovisi contro. Era stata una giornata terribile. Avrebbero dovuto festeggiare i nuovi re e regina del continente occidentale, ma le celebrazioni si erano trasformate in un funerale.

Joffrey è morto.

Ricordava ancora le grida disperate di Cersei mentre rifiutava di accettare cosa stava accadendo. Erano stati necessari lui e altri due confratelli, più la voce imperiosa di suo padre per farla allontanare dal corpo del figlio. Jaime era almeno riuscito a trattenerla prima che si avventasse su Tyrion.

Aveva dato lui l’ordine di arrestarlo. Credeva che in quel momento fosse la cosa migliore: Cersei era troppo sconvolta per pensare lucidamente e Jaime temeva che avrebbe potuto uccidere Tyrion seduta stante se non fossero stati separati.

Loras aveva riaccompagnato Margaery nelle sue stanze, quelle che aveva occupato da quando era giunta alla Fortezza Rossa. La ragazza era sconvolta, anche se Jaime credeva che in fondo non le dispiacesse così tanto non dover condividere il letto e la vita con Joffrey.

Mio figlio è morto.

Si tolse bruscamente mantello e armatura e si versò un bicchiere di vino. Non beveva tanto quanto i suoi fratelli, ma in quel momento ne aveva bisogno.

Sentì dei colpi alla porta e decise di ignorarli. Aveva avuto una lunga ed estenuante conversazione con suo padre, durante la quale aveva capito chiaramente che Tyrion era davvero accusato di regicidio e che sarebbe rimasto in cella in attesa di un giudizio, seguita da un vano tentativo di calmare Cersei. Era esausto e non aveva intenzione di vedere nessuno.

«Ser Jaime?» chiese la voce oltre la porta.

«Entra.»

Brienne indossava ancora l’abito di quel pomeriggio. È bellissima.

Lei entrò e si chiuse la porta alle spalle, ma rimase a distanza senza dire niente.

«Cosa c’è?» Jaime cercò di parlare con il tono più neutrale di cui fosse capace, ma suonò comunque infastidito.

«Volevo… Volevo solo sapere se potevo fare qualcosa per te.»

Nonostante fossero insieme da mesi ormai, Jaime non si era ancora del tutto abituato alla sua gentilezza. Si rese conto che non trovava per niente strano il comportamento distaccato e quasi di disprezzo che gli riservava la sua famiglia, mentre non sarebbe dovuto essere così.

«Sto bene, non mi serve niente» rispose. Poi aggiunse, temendo di essere stato troppo brusco. «Grazie comunque.»

«Va bene. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. Buona…»

«No, aspetta» la fermò prima che potesse aprire la porta. «Hai sonno?»

Lei aggrottò le sopracciglia, sorpresa per quella domanda.

«Non direi.»

«Nemmeno io. Dai, siedi, resta un altro po’.»

Brienne tentennò un momento, poi si sedette di fronte a lui. Jaime ripensò all’ultima volta in cui si erano ritrovati così, in un clima molto più gioviale e rilassato.

«Tyrion è ancora nelle prigioni?» chiese Brienne.

«Sì e pare ci resterà per un po’.»

«Credi che sia stato lui?»

Jaime fece spallucce.

«Odiava Joffrey, come tutto il regno del resto, ma sarebbe stato uno stupido ad assassinarlo di fronte a tutta quella gente.»

Brienne annuì.

«E Sansa? È stata imprigionata anche lei? In mezzo alla confusione l’ho persa di vista.»

Jaime sbuffò. «Sansa è scomparsa. Fuggita subito dopo l’omicidio, probabilmente, fatto che avvalora ancora di più le accuse contro Tyrion.»

«Perché?»

«Perché lei è sua moglie e perché aveva più motivi di chiunque altro di volere Joffrey morto» spiegò semplicemente Jaime. «Sarebbe così strano se lo avesse ucciso lei?»

«Sansa non è un’assassina» la difese Brienne. «Voleva solo… Voleva scappare e ha colto l’occasione appena si è presentata.»

«Tu non le avevi parlato?» le chiese, ricordando il loro imbarazzante incontro qualche sera prima.

Brienne abbassò la testa.

«Sì, ma non era andata molto bene. Lei non… Non si fidava di noi.»

«Di noi o di me

«Non ti conosceva» continuò Brienne. «Io speravo che ci sarebbe stato il tempo per farle cambiare idea, ma ormai è fatta.»

Jaime annuì.
«Credi che dovrei essere triste?» le domandò a bruciapelo.

In tutta quella giornata terribile la cosa che gli aveva dato più fastidio era stata la sua apatia, nel migliore dei casi, di fronte alla morte del figlio. Aveva sofferto per la cattura di Tyrion e per il dolore di Cersei e Tommen, ma se non ci fosse stato quello, lui forse sarebbe stato addirittura sollevato che Joffrey non ci fosse più.

«No, non credo» rispose Brienne. «Era un mostro, lo sai anche tu. Hai il diritto di non essere addolorato.»

Forse aveva ragione. Jaime provò a ricordare un momento in cui Joffrey fosse stato buono, ma non gli venne in mente niente eccetto il suo primo vagito. Anche allora, quando aveva visto Cersei prenderlo in braccio per la prima volta, non aveva provato niente. Si era sempre detto che era stato un meccanismo di auto-difesa: lui non avrebbe mai potuto comportarsi come se fosse suo padre, quindi tanto valeva non affezionarglisi nemmeno come un padre. Tuttavia con Myrcella e Tommen era stato diverso, con loro aveva provato l’impulso di prenderli in braccio e dire che erano suoi. Forse già alla nascita aveva capito cosa sarebbe diventato Joffrey.

«Tua sorella come sta?» gli chiese poi.

Jaime scosse la testa.

«È furiosa e disperata. Joffrey era il suo primogenito, non supererà la sua morte facilmente. A proposito di Cersei» aggiunse per cambiare argomento. Non aveva più voglia di sentir parlare del re defunto. «Che cosa avete fatto dopo che mi ha cacciato?»

Brienne arrossì, aumentando la curiosità e il timore di Jaime.

«N-Niente di che. Abbiamo passeggiato e chiacchierato.»

Jaime rise. «Come due vecchie amiche?»

«Mi ha ringraziata per averti riportato a casa.»

«Tutto qui?»

Lei annuì, ma Jaime si rese conto che gli stava nascondendo qualcosa.

«Che altro?»

«N-Niente.»

«Brienne» la ammonì lui. «Me lo dici da sobria o devo farti ubriacare?»

Brienne sbuffò. «Puoi provarci» lo sfidò e Jaime le rivolse un sorrisetto compiaciuto.

«Attenta, potrei farlo davvero. Sarebbe divertente. Sul serio Brienne, cos’ha detto? Avete parlato di Sansa?»

Se Cersei avesse scoperto che Brienne era al servizio di Catelyn Stark, Tyrion avrebbe presto avuto una compagna di cella. Nel migliore dei casi.

«No, non abbiamo parlato di lei.»

«E di chi allora? Di me?»

Lo disse per scherzo, ma dal modo in cui Brienne sgranò gli occhi capì che aveva indovinato.

«Cosa ti ha detto?»

«N-Niente di che» tagliò corto lei, distogliendo lo sguardo.

«Brienne parla, maledizione!» sbottò. Doveva sapere che cosa si erano dette per essere certo che Brienne non si fosse scavata la fossa con le sue stesse mani.

«Solo che… Solo di non farmi illusioni.»

«Illusioni su cosa?»

«Su niente, va bene?!» esclamò lei, alzandosi in piedi. «Si è fatto tardi. Col tuo permesso, Ser.»

«No, no, aspetta!»

Allungò una mano per fermarla, ma alzò il braccio sbagliato e la colpì con la mano d’oro.

«Merda! Scusa, ti ho fatto male?»

Brienne scosse la testa. Lei stava bene, ma in compenso si era fatto male lui. Già da un paio d’ore aveva cominciato a sentire quel blocco d’oro troppo pesante e aveva la sgradevole sensazione che premesse sulla cicatrice.

«Non ti fa male tenerla tutto il giorno?» gli chiese Brienne.

Aveva dimenticato il suo desiderio di scappare ed era tornata la solita donzella premurosa di sempre. Jaime fece spallucce.

«Dai, fa’ vedere.»

«Sto bene, non c’è bisogno di…»

Ma Brienne gli aveva già preso il polso e stava slacciando la protesi. Quando tolse anche il cappuccio protettivo, Jaime la sentì trattenere il fiato.

«L’hai visto in condizioni peggiori, donzella.»

«Jaime!» lo rimproverò lei. «Guarda quanto è rosso. Vuoi che si infetti di nuovo per caso?»

In effetti la pelle intorno alla cicatrice era infiammata, mentre quella mattina aveva il solito colore rosato. Forse davvero avrebbe dovuto indossarla con più parsimonia.

Brienne prese a massaggiare il moncone e Jaime si sentì subito meglio.

«Ti faccio male?»

Jaime scosse la testa.

Rimasero lì per qualche minuto, Brienne a prendersi cura della sua ferita e Jaime ad ammirarla, ancora incredulo che lei fosse reale e insieme a lui.

“Guarda quanto è rosso.”

«Che cosa hai detto?» esclamò Jaime, ricordando le sue parole di poc’anzi.

«Non ho detto niente.»

«Prima!»

Brienne aggrottò le sopracciglia.

«Ti ho chiesto se ti facevo male?»

«No, non quello!»

Lei sbuffò.

«Non lo so, abbiamo detto tante cose.»

«Hai visto la ferita rossa

Brienne sbiancò sentendo quelle parole.

«N-No, io… Ho solo visto un…»

«Hai visto un colore, Brienne.»

Tyrion aveva ragione! Come sempre, del resto.

Lei abbassò la testa, lasciandogli andare il braccio.

«Sì, vedo i colori» disse evitando il suo sguardo. «Non è una gran cosa comunque. Il rossore è passato, cerca di non indossare quell’affare troppo a lungo, buonanotte.»

Di nuovo cercò di allontanarsi velocemente da lui.

«Maledizione, Brienne, perché ogni volta che parliamo di sentimenti devi scappare?»

Si fermò di fronte alla porta, senza voltarsi.

«Perché non… Non è importante e non ne voglio parlare.»

«Io invece ne voglio parlare, donzella.»

«Non ce n’è bisogno Ser, perché so già cosa vuoi dirmi.»

Jaime sbuffò.

«Se fuggi evidentemente non lo sai.»

Finalmente Brienne si decise a guardarlo. Era spaventata, glielo leggeva negli occhi, ma lui aveva sicuramente più paura di lei.

Mosse qualche passo nella sua direzione.

«Devo confessare che ti ho mentito, mia signora.»

Brienne aggrottò le sopracciglia, ma non si scansò quando le prese la mano.

«Ricordi cosa ti dissi quando ci siamo conosciuti?»

«Che ero la donna più brutta che avessi mai visto?»

Jaime scosse la testa.

«No e non mi pentirò mai abbastanza per il modo in cui ti ho trattata. Ti dissi di vedere l’erba verde e che era sempre stata così per me.»

Brienne si irrigidì.

«S-Sì lo ricordo, ma va bene così Jaime, davvero non...»

«Ho mentito» la interruppe lui. «Era la prima volta che la vedevo così.

«Ho sempre pensato di amare Cersei e non tolleravo il pensiero che ci potesse essere un’altra donna nella mia vita. Fino a quando non ho incontrato te. Da quando sei entrata nella mia vita è cambiato tutto e non parlo solo della percezione del mondo intorno a me: tu mi hai ricordato i valori in cui credevo un tempo, quei valori che avevo smarrito lungo la via. Mi hai fatto capire che c’è ancora del buono in me e che posso ancora essere un cavaliere degno di questo nome. Tu mi hai insegnato ad amare, Brienne, ad amare davvero e ora so che l’unica persona con cui voglio stare sei tu.»

Brienne aveva avuto gli occhi lucidi per tutto il tempo, ma lo aveva lasciato parlare e, verso metà della sua dichiarazione, aveva ricambiato la sua stretta di mano.

«Jaime…» cominciò, ma fu interrotta da dei colpi sulla porta.

«Sono occupato!» urlò Jaime, infastidito da quell’interruzione.

Il visitatore lo ignorò e aprì comunque la porta. Era una delle ancelle di Cersei e, quando li vide insieme, si fermò, probabilmente capendo di aver interrotto un momento intimo.

«Chiedo scusa, mio lord» disse.

«Cosa vuoi?» sbottò Jaime.

«La regina vorrebbe vederti. Dice che si tratta di vostro fratello il nano.»

«Si chiama Tyrion» la corresse lui. Guardò per un momento Brienne, la quale annuì brevemente.

«Dille che sono da lei fra un minuto» disse Jaime.

Non aveva alcuna intenzione di allontanarsi da Brienne, ma se Cersei aveva riacquisito il lume della ragione e accettato di rilasciare Tyrion non era il caso di farla adirare compromettendo inutilmente il destino del fratello.

«A-Allora io vado» disse Brienne, scostandosi da lui. Per un momento Jaime temette che la magia fosse finita e sarebbero tornati al punto di partenza, ma qualcosa nello sguardo di lei gli fece intuire che non era così. Avevano fatto un passo avanti nella loro relazione, un passo importante, e non sarebbero tornati indietro.

Jaime indossò la casacca che aveva lasciato sul letto e riprese la mano d’oro.

«Hai capito quello che ti ho detto prima?» chiese Brienne mentre indossava di nuovo la protesi.

«Sì, donzella, ma la vista del mio moncone fa infuriare Cersei e se voglio aiutare Tyrion dovrò cercare di farla stare il più calma possibile. Non preoccuparti, lo toglierò non appena sarò tornato qui» le promise per farla stare più tranquilla.

Brienne annuì.

Uscirono dalla stanza insieme. L’ancella lo stava aspettando in fondo al corridoio, mentre Brienne avrebbe svoltato a destra verso le sue stanze.

«Buona fortuna» gli disse, prima di allontanarsi. Dopo qualche passo però si voltò, il volto completamente rosso, e gli chiese:

«Ci… Ci vediamo domattina?»

Jaime le rivolse un sorriso radioso.

«Ovviamente, donzella.»


 
Cersei lo aspettava nel tempio di Baelor. Mentre andava, incrociò le Sorelle Silenti e capì che dovevano aver appena finito di vestire la salma di Joffrey.

Il tempio era più silenzioso del solito. Vi erano poche candele accese, per lo più era la luce lunare a illuminare la sala. Al centro, china sopra una bara, c’era Cersei. Jaime non ricordava di averla mai vista in quello stato. Indossava ancora l’abito della festa, ma i capelli erano sfuggiti alle forcine e le ricadevano in ciocche scomposte lungo le spalle.

«Cersei» la chiamò dolcemente.

Lei si voltò. Aveva il volto rigato di lacrime e singhiozzava.

«Jaime… Oh, Jaime…»

Aprì le braccia e Jaime andò da lei. La strinse a sé, passandole la mano sui capelli, lasciando che si sfogasse sulla sua spalla. Joffrey era stato cambiato d’abito e sui suoi occhi erano state poste due pietre dalle iridi verdi.

«Il nostro bambino, Jaime» mormorò Cersei tra i singhiozzi. «Il nostro piccolo bambino.»

Il nostro mostruoso bambino, Cersei.

Non aveva visto lacrime, né espressioni di dolore sincero tra gli invitati al banchetto. Joffrey era odiato da tutti, persino dai suoi padri: nemmeno a Robert era mai piaciuto, sebbene lui non avesse mai conosciuto il suo lato peggiore. Solo Cersei lo amava, probabilmente perché era sua madre, e una madre non riesce a vedere appieno i difetti del figlio, non al punto di smettere di amarlo.

«La pagherà» disse. «Jaime, giurami che quel mostriciattolo pagherà per ciò che ha fatto.»

Jaime la scostò da sé. Le prese il volto tra le mani, asciugandole le lacrime, e la guardò dritta negli occhi.

«Chiunque abbia assassinato nostro figlio la pagherà, te lo giuro, ma quel qualcuno non è Tyrion. Sai che non lo avrebbe mai…»

«No, no, no!» Cersei non volle nemmeno ascoltarlo. «So che non vuoi accettarlo perché gli vuoi bene, ma è stato lui. Devi ucciderlo, Jaime. Devi vendicare il nostro bambino. Ti prego, Jaime, fallo per me.»

Si sollevò sulla punta dei piedi e posò le labbra sulle sue. Jaime non ricordava più l’ultimo bacio che avevano condiviso. Gli mise le braccia intorno al collo e lo attirò a sé. Per un momento, Jaime le cinse la vita, ricambiando il gesto, ma per la prima volta da quando era nato, sentì che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stava facendo.

Si allontanò da lei, cogliendola di sorpresa: lui non si allontanava mai. Vide qualcosa cambiare nello sguardo di Cersei, ma decise di tornare all’argomento principale della loro conversazione, ovvero Tyrion.

«Che prove hai contro di lui?» le chiese.

Cersei raddrizzò le spalle e lo guardò con la fierezza della leonessa di sempre.

«Lo odiava e voleva destituirlo.»

Jaime evitò di riderle in faccia, anche se non riuscì a trattenere un sorrisetto.

«È questo che secondo te lo rende un assassino? Dimmi, Cersei, credi che fosse l’unico ad odiarlo? Credi che fosse l’unico a volere un re migliore?»

«No, naturalmente no» rispose lei. «Anche Sansa lo voleva.»

«E puoi biasimarla?»

«Uccidere Ned Stark è stato un terribile errore, ma la morte di Joffrey non glielo avrebbe riportato comunque, no?»

Jaime scosse la testa.

«Hai dimenticato tutto ciò che le ha fatto subire? Solo oggi ha deriso suo fratello con quell’insulso spettacolo.»

«Io l’ho trovato divertente» disse Cersei.

Jaime non ebbe difficoltà a crederlo.

«Sai che Sansa è fuggita?» aggiunse.

«Certo che lo so.»

«E secondo te chi la ha aiutata?»

Jaime fece spallucce. Poteva essere scappata da sola, per quanto ne sapeva, oppure era stata aiutata dai Tyrell. Non sarebbe stata un’ipotesi così azzardata, sembrava che fosse molto legata a quella famiglia, specie a Margaery. Non lo disse a Cersei, però: non voleva mettere un bersaglio sulla schiena della giovane regina.

«Forse la spada giurata di Catelyn Stark ha trovato il modo di allontanarla dalla città dopo aver perpetrato il suo crimine» disse Cersei.

Jaime si impose di mantenere la calma. Non c’era nessuna spada giurata degli Stark ad Approdo del Re, non una di cui Cersei fosse a conoscenza almeno.

Madre e Dei tutti che siete qui, fate che non l’abbia scoperto.

«Dov’è adesso quella grossa vacca che ti piace tanto?»

«Perché mi chiedi di Brienne adesso?» le chiese Jaime. Non era la prima volta che Cersei usava quel termine per definirla, ma non era il caso di preoccuparsi di ciò in quel momento. Doveva cercare di darle l’impressione che non gli importasse affatto di lei.

Non avrei mai dovuto invitarla a ballare.

«Ho avuto modo di incontrare spesso Qyburn» disse. «Vecchietto interessante. Sa molte cose ed è propenso a rivelarle.»

«Smettila di girarci intorno, Cersei» tagliò corto Jaime. «Che cosa stai cercando di dire?»

«Cerco di dire» rispose, avvicinandosi a lui. «Che la tua puttana e quel mostriciattolo di nostro fratello hanno le ore contate. Sono colpevoli di tradimento e per questo pagheranno.»

«Credi che nostro padre ti permetterà di uccidere suo figlio e l’erede di Tarth senza nemmeno una prova contro di loro?» Usare Tywin Lannister nelle discussioni con Cersei di solito era piuttosto efficace.

«Ce ne sono, sta’ tranquillo.»

Si voltò verso Joffrey, dandogli le spalle. Gli mise una mano sulla spalla e a Jaime sembrò essere tornata affettuosa.

«Va' a dire addio alla tua puttana, Lord Comandante. Il vostro tempo insieme è finito.»

Jaime strinse il pugno, ma non disse niente. Non c’era altro da aggiungere dopotutto.

Come ho potuto amarla?

Uscì dal tempio e si diresse ai suoi alloggi. Camminò lentamente, senza mostrarsi agitato o spaventato. In realtà si sentiva piuttosto tranquillo. Ripensò alle parole di Cersei durante il tragitto e quando si chiuse la porta della sua camera alle spalle, dovette concordare su una cosa: il suo tempo con Brienne era finito.
 

 
Brienne non era riuscita a chiudere occhio quella notte. Tornata nella sue stanze si era sdraiata sul letto ancora vestita e aveva fissato il soffitto, troppo scossa da quello che era successo per poter prendere sonno.

Se il fantasma della stretta di Jaime non fosse stato ancora presente sulla sua mano, avrebbe creduto di aver sognato.

È innamorato di me.

Era così strano da pensare e da credere, ma lui aveva chiaramente parlato di amore. Non se lo era immaginata, ne era quasi certa.

Non avrebbe voluto che se ne andasse, ma trattenerlo e togliergli la possibilità di aiutare suo fratello sarebbe stato ingiusto. Senza contare che Jaime avrebbe potuto odiarla se fosse successo qualcosa a Tyrion a causa sua.

Sperò che Cersei avesse davvero cambiato idea e rilasciasse il folletto. Brienne ricordava bene le sue urla di dolore di fronte al figlio morente ed era certa che avrebbe annientato chiunque fosse stato il responsabile della sua morte, ma prendersela con Tyrion solo perché il poveretto si trovava lì non era la soluzione.

Una parte di lei, quella più sciocca, sperava che Jaime andasse a farle visita dopo essere stato da Cersei. Ovviamente era un’idea insensata: Jaime era stanco, glielo aveva letto negli occhi, inoltre si erano promessi di vedersi l’indomani mattina quindi non aveva senso che andasse da lei in quel momento.

Brienne si decise infine a chiudere gli occhi e cercare di riposare. Il sonno la colse davvero solo verso l’alba.

Fu svegliata da qualcuno che bussava alla porta. Il suo cervello ci mise un po’ a ricordarsi di dover rispondere. Si alzò e per un momento credette che fosse Jaime, ma quando andò ad aprire si ritrovò di fronte lo scudiero di Tyrion. Le sembrava di ricordare che si chiamasse Podrick.

«Buongiorno» gli disse.

Lui arrossì senza un vero motivo.

«B-Buongiorno mia signora. Ser.»

Brienne inarcò un sopracciglio.

«Ser Jaime ti aspetta nella sala rotonda.»

Quelle parole resero Brienne immensamente felice, ma al ragazzo si limitò ad annuire e dire che sarebbe andata tra poco.

Lui fece un mezzo inchino e se ne andò. A Brienne ricordò Peck.

Si cambiò d’abito, indossando la casacca con la stella al centro, pettinò i capelli all’indietro cercando di dare loro un’unica direzione e uscì dalla stanza.

La porta della Sala Rotonda era aperta e Brienne poté subito vedere Jaime chino sul tavolo.

«Ser Jaime?» lo chiamò per rendere nota la sua presenza.

Jaime non si voltò.

«Entra e chiudi la porta.»

Brienne obbedì, ma la freddezza della sua voce la preoccupò.

«Podrick ha detto che volevi vedermi» gli disse.

«È così. Perdonami, non ho dormito molto bene.»

Finalmente si voltò a guardarla e Brienne notò che aveva delle evidenti occhiaie.

Si è pentito di quello che mi ha detto? Oppure…

«Com’è andata ieri sera?» chiese.

Jaime si rabbuiò.

«Cersei voleva solo sfogarsi. Tyrion resterà in cella.»

«Ma con quali prove?»

«L’odio verso Joffrey.»

Brienne sbuffò.

«Senza offesa, ma tutto il regno lo odiava, non è…»

«Per Cersei è un motivo più che valido» tagliò corto lui. «Basta, non ti ho fatta venire per questo.»

Brienne abbassò gli occhi, mortificata per averlo fatto arrabbiare. La conversazione della sera precedente sembrava ormai un sogno lontano.

«Guarda.»

Quando alzò gli occhi, Jaime era di fronte a lei e aveva in mano una spada. Gliela porse e Brienne la prese, osservando attentamente il pomello decorato e le increspature della lama.

«Acciaio di Valyria» disse.

«È tua.»

Brienne sgranò gli occhi.

«No, io non… non posso accettare.»

«La lama è stata ottenuta fondendo la spada di Ned Stark» spiegò Jaime. «La cosa migliore è utilizzarla per difendere sua figlia, non credi?»

«Ma Sansa è scomparsa.»

«Quindi non hai più intenzione di mantenere la promessa fatta a Lady Catelyn?»

Brienne osservò attentamente la spada. Era bellissima e incredibilmente leggera, una caratteristica di quel tipo di acciaio. Naturalmente voleva mantenere la sua promessa, ma Sansa era lontana e andare a cercarla avrebbe significato lasciare Jaime.

Ho dato la mia parola e questo viene prima di ogni altra cosa.

«Andrò a cercare Sansa Stark e la condurrò al sicuro al Castello Nero» disse Brienne.

Jaime annuì e le rivolse un sorriso triste.

«Bene. Ho un’altra cosa per te.»

«Jaime…»

«Ormai l’ho fatta fare, donzella» le disse, assumendo un atteggiamento più allegro. «I miei ultimi doni ti sono piaciuti molto.»

Brienne arrossì, ma lo lasciò fare. Quando era entrata non si era accorta del manichino coperto alla sua sinistra. Jaime tolse il velo per rivelare l’armatura più bella che Brienne avesse mai visto. Era rifinita in tutti i dettagli e il colore dell’acciaio era tendente al blu. La toccò e sentì che era dura e liscia. Vide che era della sua misura.

«Non è un viaggio semplice quello che devi affrontare» le disse Jaime, «e voglio poterti aiutare come meglio posso.»

Brienne annuì.

«Sei stato molto gentile. Ti prometto che la troverò, Jaime. Per Lady Catelyn e per te.»

Jaime fu sorpreso da quelle parole, ma si limitò ad annuire.

«Temo che il tempo non sia dalla nostra parte, mia signora. Devi partire il prima possibile.»

Jaime andò verso la porta.

«Indossa l’armatura, io ti aspetto qui fuori» disse e uscì.

Rimasta sola, Brienne si concesse un momento per rendersi conto di cosa stava succedendo. Stava per lasciare Approdo del Re e andare in cerca della fanciulla perduta, proprio come un cavaliere delle canzoni. Era quello che aveva sempre desiderato in fondo.

Non vedrò più Jaime.

Sapeva che si sarebbero dovuti separare un giorno. Erano troppo diversi e la loro lealtà risiedeva in persone diverse, eppure Brienne aveva creduto – sperato – che potessero restare insieme per sempre.

Avevano passato più di un anno fianco a fianco e l’idea che Jaime non sarebbe più stato con lei la spaventava. Soprattutto la terrorizzava l’idea che quello fosse un addio. Non voleva perdere di nuovo una persona che amava.

Ma se rifiutassi, se decidessi di restare, lo deluderei.

Brienne posò la spada sul tavolo e cominciò a indossare la nuova armatura.


 
«Davvero, Jaime, mi hai già dato abbastanza. Va bene così.»

«No, donzella, ti manca ancora qualcosa di importante.»

Quando era uscita dalla Sala Rotonda, Jaime le aveva rivolto un sorrisetto soddisfatto e le aveva detto che c’era un altro regalo per lei. Stavano percorrendo i corridoi della Fortezza Rossa e presto ne sarebbero usciti.

«Posso accettare solo un cavallo, nient’altro» sentenziò Brienne.

Di un cavallo aveva davvero bisogno, dal momento che non sarebbe stato saggio viaggiare a piedi lungo tutti i Sette Regni, cosa che avrebbe certamente dovuto fare dal momento che non aveva idea di dove fosse Sansa.

«Un cavallo lo avrai, ovviamente. Credi che ti lascerei andare a piedi?»

«Vuoi dire che c’è un altro dono oltre al cavallo?»

Jaime annuì.

«Jaime!»

«In realtà non è propriamente un dono» spiegò lui, mentre uscivano dalle mura della Fortezza.

Ad aspettarli c’erano due cavalli insieme a Podrick. Il ragazzo indossava il mantello da viaggio e aveva con sé una sacca.

Brienne rivolse a Jaime uno sguardo interrogativo mentre si metteva accanto al ragazzo, ponendogli una mano sulla spalla.

«Brienne, ti presento il tuo nuovo scudiero, Podrick Payne.»

Brienne sbuffò.

«Senza offesa, ma non ne ho bisogno.»

«Ma certo che ne hai. Forza, ragazzo, sellale il cavallo.»

«Subito, Ser.»

«Lui resta qui» disse a Jaime, una volta rimasti soli.

«In realtà sarebbe meglio di no» rispose. «Il ragazzo era lo scudiero di Tyrion. Cersei ha cercato di corromperlo perché testimoniasse contro di lui, ma Podrick ha rifiutato. Un gesto nobile che gli costerà la testa, a meno che non lasci subito la città.»

Brienne guardò il ragazzo mentre era alle prese con la sella del suo cavallo. Non sembrava un granché come scudiero, ma di sicuro si impegnava.

Proprio come Peck.

«Va bene, lo porterò con me» disse. «Ma se dovesse rallentarmi, lo lascerò in qualche villaggio e proseguirò da sola.»

Jaime alzò le mani in segno di resa. «Come desideri, mia signora.»

«Qui è tutto pronto, Ser» intervenne Podrick. «C-Cioè mia signora.»

Brienne rivolse uno sguardo scettico a Jaime, il quale si limitò a un’alzata di spalle. Aveva la sensazione che avrebbe lasciato Podrick molto presto.

«Ci dai ancora un momento, Pod?» gli chiese Jaime.

Il ragazzo annuì e si mise ad affaccendarsi con il suo cavallo.

Era infine giunto il momento dell’addio.

Brienne lo aveva accettato nel momento in cui aveva indossato l’armatura, ma era comunque doloroso. Era soprattutto un pensiero a toglierle il fiato.

Non lo rivedrò mai più.

«Dicono che le spade migliori hanno dei nomi» le disse Jaime.

Brienne strinse il leone dorato e ci pensò un momento. Le sue spade non avevano mai avuto nomi, nemmeno quella che aveva usato il giorno in cui Renly l’aveva accolta nella sua Guardia Reale. Ci aveva pensato, ma non era riuscita a trovare niente di significativo. Quella spada doveva essere destinata ai Lannister, a Jaime in particolare, ma lui aveva scelto di darla a lei. Per proteggerla anche da lontano. Per poter mantenere una promessa fatta insieme a lei.

«Giuramento» decise Brienne.

Jaime annuì, rivolgendole un sorriso sincero.

Non voglio lasciarlo.

Rimasero lì in piedi a guardarsi in silenzio, nessuno dei due capace di dire all’altro le ultime parole. Fu Jaime a decretare l’inizio della fine.

«Fa’ attenzione, ti prego.»

Brienne annuì. Si rese conto che i suoi occhi si stavano inumidendo e non voleva che Jaime la vedesse piangere. Gli girò intorno per allontanarsi, ma quando gli fu di spalle sentì la sua mano afferrarle il polso.

«Brienne, io…» le disse. «Quello che ho detto ieri sera…»

«No, non… non serve, Jaime, davvero.»

Anche se una parte di lei voleva la conferma che quella conversazione era esistita nella realtà, sapeva che sarebbe stato solo più doloroso lasciarlo in caso di risposta affermativa, pertanto preferiva tenersi il dubbio.

E poi Jaime fece una cosa che la sconvolse.

Le lasciò andare il braccio per portare la mano dietro la sua nuca e attirarla a sé. Quando le labbra di lui si posarono sulle sue, Brienne percepì una scossa lungo tutto il suo corpo.

Non era mai stata baciata prima di allora e non aveva idea di cosa dovesse fare. Naturalmente sapeva come funzionavano certe cose, aveva visto spesso due persone baciarsi, soprattutto durante la sua permanenza nell’accampamento di Renly, ma non credeva che sarebbe mai capitato a lei. All’improvviso si sentì terrorizzata, temendo di fare qualcosa di sbagliato e far pentire Jaime di quel gesto.

Lentamente provò a ricambiare, spingendo le labbra contro le sue e portando una mano sul braccio destro di Jaime. Lui prese quel gesto come un assenso e la baciò con più trasporto. Brienne cercò di seguire i suoi movimenti, sperando di non risultare troppo impacciata, ma quando Jaime le leccò le labbra, chiedendo il permesso di entrare, il suo cervello smise di funzionare e lei si lasciò andare. Portò le braccia dietro la nuca di Jaime, infilando le dita tra i suoi capelli morbidi, mentre lui le cinse la vita, attirandola ancora di più contro il suo corpo. Per la prima volta, Brienne si maledisse per aver indossato un’armatura.

Non seppe quanto tempo fosse passato e non le sarebbe nemmeno importato se i suoi polmoni non avessero reclamato a gran voce un po’ d’aria. Si staccò malvolentieri da lui e respirò a grandi boccate, ma senza allontanarsi troppo dal suo volto.

«Avrei dovuto farlo tempo fa» disse Jaime, dopo aver recuperato il fiato a sua volta.

Brienne si sforzò di mantenere un’espressione seria.

«Avevi detto di non essere interessato» rispose, ricordando la loro conversazione a Harrenhal.

«Ero un idiota allora.»

Questa volte rise, imitata da Jaime, e le due risate si scontrarono in un unico suono armonioso in mezzo a loro.

«Vorrei poter venire con te» le disse, tornando serio e allontanandosi un poco da lei.

Brienne sorrise.

«Lo vorrei anch’io, ma non puoi. Tuo fratello ha bisogno di te.»

Jaime annuì. Non si sarebbe mai perdonato se Tyrion fosse morto perché lui non si era impegnato abbastanza per salvarlo. Ed era proprio il bisogno di proteggere le persone che amava, a qualunque costo, ciò che più amava in Jaime.

«Promettimi che starai bene» le disse lui, guardandola dritta negli occhi. «Promettimi che non mi sveglierò un giorno per scoprire che il mondo ha perso tutto il suo splendore.»

Brienne gli sorrise, accarezzandogli il volto.

«Solo se tu prometterai lo stesso a me. Sta’ lontano dai pericoli e non fare niente di stupido.»

Jaime le rivolse uno dei suoi soliti sorrisetti.

«Non mi conosci, donzella?»

«È proprio perché ti conosco che lo dico!» esclamò lei. Jaime era pur sempre Jaime, fastidioso e strafottente. Aveva imparato ad amare anche questo suo aspetto.

«Sul serio, Jaime. Promettimi che farai attenzione.»

Lui le prese la mano e se la portò alle labbra, dandole un bacio leggero.

«Te lo prometto, Brienne» poi aggiunse, guardandola negli occhi. «Questo non è un addio. Noi ci rivedremo.»

Brienne sorrise e si ripeté quelle parole nella mente, come un mantra.

Non è un addio. Ci rivedremo.

Annuì e si chinò verso di lui per dargli un ultimo bacio a fior di labbra.

«Diventerai così rossa tutte le volte che ci baceremo?» la prese in giro Jaime.

Brienne sbuffò e si avviò verso il suo cavallo. Podrick la imitò, salendo in sella nel suo stesso momento.

Brienne guardò Jaime un’ultima volta prima di spronare il cavallo al trotto e lasciare la città.

 
Il regno era ancora invaso dalla guerra e ogni giorno centinaia di persone perdevano i loro cari in questo folle Gioco dei Troni.

Né Jaime né Brienne avevano davvero la certezza che si sarebbero rivisti, tuttavia entrambi sapevano una cosa:
finché il cielo sarebbe stato azzurro e la terra verde, potevano coltivare la speranza di riunirsi un giorno per vivere il loro amore in pace e serenità.
 
 
"Se tu avrai paura, no, non capirai
Che l'amore è giusto e non ti lascia mai
È perfetto il mondo dentro agli occhi tuoi
Con la gioia che c’è in te e in me
Agli altri noi diremo che
L'amore troverà la via.
"


FINE



 
 
NOTE AUTRICE:
FINE! È strano scrivere questa parola, non ci sono molto abituata ^^” Tirando le somme sono piuttosto soddisfatta di quello che è venuto fuori ed è gratificante riuscire finalmente a portare a termine una long ^^
Come vi avevo annunciato, il capitolo ha entrambi i POV, più una frase finale detto da esterni (aka me XD). Dal momento che avevo iniziato la storia con una citazione ho pensato di concluderla con un’altra, anche se non dello stesso spessore: la prima era una frase di Platone, mentre questo è il testo di una canzone de “Il Re Leone 2”. Mi sembrava che potesse starci, così l’ho messa (e poi adoro quel film, quindi era d’obbligo metterla, dai XD)
Un po’ mi dispiace che sia finita, un po’ sono felice chiaramente. Grazie infinite a tutti quelli che hanno seguito questa storia e mi hanno supportata, i vostri pareri per me sono sempre molto importanti *^* È stato un bellissimo viaggio, stranamente anche piuttosto breve XD, e spero che anche voi lo abbiate apprezzato ^^
E ora un po’ di auto-spam:
Duuuunque, dal momento che sono in fissa con i Braime (non si era capito, no XD) e ho molta voglia di scrivere (anche se in teoria non avrei tempo perché devo studiare, ma va be), ho alcuni progetti in cantiere di cui vi voglio mettere a conoscenza, se vi interessa ^^ Ho già iniziato a scrivere una Beauty&theBeast!AU (banale, lo so, ma era necessaria) che dovrebbe essere divisa in 4 o 5 capitoli massimo e penso che a breve pubblicherò il prologo. Poi la mia mente malata si è chiesta come sarebbe stato inserire i personaggi di GOT nel contesto di Final Destination, saga cinematografica che mi piace molto, dunque potrebbe arrivare anche una mini long di questo tipo. Però in questo caso non ho ancora scritto niente e le idee sono un po’ vaghe, perciò ci sta che non se ne faccia di niente XD
Infine, e questa forse a chi ha seguito True Colors potrebbe interessare già di più, potrebbe essere che in un futuro ipotetico (ci devo ancora pensare bene perché non ho idee chiare in mente) arrivi un sequel di questo long a partire da, ovviamente, l’incontro a Riverrun e poi divergerebbe dal finale della sesta stagione. In questo caso, però, i personaggi non sarebbero solo Jaime e Brienne, ma tutti quanti, perché da quella via andrei a riscrivere anche le stagioni successive (soprattutto l’ottava che ne ha decisamente bisogno -.-). Avrei quindi molte più storyline da gestire perciò devo pensarci. Per il momento la storia è conclusa qui, vedrò se riuscirò a riprenderla in mano in un secondo momento ^^ Intanto fatemi sapere se vi piacerebbe e se sareste interessati a vedere qualcuna di queste proposte :)
Scusate per questo sproloquio finale, ancora grazie per aver letto questa storia e a presto ^^
Baci, pampa

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