the dirt of laydust

di beechleaf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Laydust ***
Capitolo 2: *** Steelman ***
Capitolo 3: *** come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 4: *** un ottimo potenziale ***
Capitolo 5: *** al n°3 di Gentle Street ***
Capitolo 6: *** Guadagnarsi il rispetto ***



Capitolo 1
*** Laydust ***


CAPITOLO 1 – LAYDUST
Hollowind è un’immensa megalopoli, definibile quasi come stato. Cinquant’anni fa è riuscita, grazie all’Editto di Merlino, a debellare la dittatura delle famiglie arcane, e da allora ne combatte i rimasugli sopravvissuti alla Purga. I dipartimenti lottano ogni giorno contro minacce esterne ed interne: ordinano, rivelano e perseguitano tutti coloro che tentano di rovesciare il nuovo equilibrio conquistato con il sangue di migliaia di morti.
Ma gli Arcanisti non si fermeranno e nessuno dovrà abbassare la guardia.
 
Lo “stato” di Hollowind appare diviso: le Nebbie Arcane, un misterioso fenomeno di entità magica hanno separato la megalopoli in decine e decine di Isole urbane, metropoli sicure in un mare di Nebbie. Grazie alla dirompente evoluzione tecnologica, basata sui Glifi, simboli magici controllati dal Regime statale, le Isole vantano svettanti palazzi e macchinari, treni e armi da fuoco evolute. La base di tutto è la manalite, mana cristallizzato che funge da base per ogni composto Glifico, utilizzata come carburante, catalizzatore o per tracciare i glifi.
In mezzo a questo calderone di giochi di potere, scontri razziali, caccia alle streghe e malavita, risiede una piccola Isola Urbana di nome Laydust.
 
Laydust è un’isola dedita alla lavorazione di massa di qualsiasi tipo di materiale metallico, non c’è da stupirsi che essa fosse in antichità chiamata “Granfornace” dai nani che la abitavano. Dopo la formazione del Neo-regime di Hollowind e l’ingresso alla società di ogni tipo di Razza, la città venne ribattezzata Laydust (in Elfico, lingua più comune).
Benché il nome fosse cambiato, il compito della città è rimasto il medesimo: scavare, lavorare e vendere i metalli provenienti dalla terra.
L’antica città è accerchiata da possenti mura di pietra e gli unici ingressi alla metropoli sono 4 Porte ai vertici della città: Porta D’Oro, Porta Smeraldo, Porta Rubino e Porta Cobalto. In corrispondenza di ogni porta c’è una stazione del treno, unico mezzi di trasporto di persone e oggetti, mezzi rivoluzionari capaci di unire le varie isole urbane tra loro. Le due stazioni di Porta d’Oro e Rubino sono aperte al pubblico e sono le uniche due vie per cui i civili possono entrare o uscire dalla città; le altre due invece sono usate per il trasporto di minerali e prodotti finiti nel caso della porta Cobalto, e Stazione Militare nel caso della porta Smeraldo.
Laydust appare fortemente industrializzata e tutta la città si sviluppa grazie alle Fabbriche della famiglia nanica dei Merula. Il capostipide dei Merula, Aristide, non è il signore della città, ma è rispettato e temuto come, se non di più, del sindaco Arcangeli, che appare più che altro una macchietta al suo confronto.
 
La malavita esiste, come in tutte le città, è un dato di fatto, ma la polizia non si fa scrupoli a combatterla usando ogni mezzo disponibile, dal più “diplomatico” al meno…
La polizia di Hollowind è divisa in diversi “distretti” che ricalcano il motto della Megalopoli: Ordina, Rivela, Perseguita. Ogni distretto ha il proprio ruolo nella gestione dell’ordine pubblico, dal semplice controllo del traffico, alla più decisamente mortale caccia agli Arcanisti.
Tra le fila dei poliziotti ci sono anche i Glifisti, esperti dell’arte Glifica e soldati capaci di manipolare la Manalite per replicare la magia dei vecchi Arcanisti. Benché il paese si ritenga “pura da ogni forma di magia”, questo è palesemente non vero, in quanto l’uso di glifi (ovviamente controllato e regolarizzato dallo stato) ha permesso ad Hollowind di crescere industrialmente come non mai.
In ogni casa è presente almeno un glifo, che sia un Glifo-radio, un Glifo-Luce per accendere le lampade o un Glifo-Motore per le auto, ma sono in pochi a poterli tracciare. Quindi è naturale che una risorsa così potente e varia sia stata immediatamente integrata nei ranghi militari.
 

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Capitolo 2
*** Steelman ***


CAPITOLO 2 – STEELMAN
Anno 11 dm, dopo la Purga
 
Dodici rintocchi squarciarono l’afosa notte di Laydust, tutta la città sembra assopita in un pigro sonno, ogni casa è quieta sotto i raggi argentei della splendida luna. Una notte così dolce che par strano possa essere teatro di un orrido avvenimento. In una villa, vicino al centro, risiedeva un’antica e nobile famiglia Elfica, gli Steelman. Aliuvial e Ologeon Steelman erano i fieri genitori di un giovane rampollo di nome Elmorn.
Gli Steelman erano una famiglia ritenuta da tutti di successo, come di successo erano i suoi componenti: il Signor Ologeon era un bravissimo ingegnere meccanico e Aliuvial era un portento nell’arte glifica.
Il figlio non sarebbe stato da meno, ereditando le capacità dei genitori, ma i Signori Steelman non ebbero modo di scoprirlo…
Nessuno seppe mai come i Coniugi Steelman scomparvero, ma non trovarono mai alcun motivo di una possibile fuga, e la possibilità di un rapimento ben congegnato divenne l’opzione più plausibile. Nessuno cercò di reclamare la paternità del colpo che fu così ben architettato da far brancolare nel buio gli agenti per molto tempo, finché lo archiviarono come mai risolto.
Il piccolo Elmorn fu cresciuto ed accudito dal Maggiordomo, nuovo tutore del piccolo più ricco di Laydust, che lo protesse dal mondo esterno in qualunque maniera.
Il piccolo cresceva viziato dai domestici della villa Steelman, poteva fare qualunque cosa, tranne entrare nell’ufficio dei suoi compianti genitori. All’età di 20 il giovane Elmorn, ancora scapestrato e impulsivo, con il favore della notte entrò nella stanza dei suoi, sperando di trovare delle risposte. La stanza era molto polverosa e buia, ma non sembrava in alcun modo “strana” o “particolare” come aveva per anni ipotizzato. Era una stanza semplice, con degli scaffali in mogano pieni di libri sulle pareti, vecchi appunti riguardanti parti meccaniche e strani glifi appesi su tavole di sughero, e al centro della stanza c’era un grosso tavolo con due sedie. Sul tavolo c’erano pagine e pagine di appunti scritti, ma non sembravano scritti né in comune né in elfico...era più un insieme di scarabocchi, simboli e disegni; eppure la grafia ordinata e sottile era sicuramente quella della madre Aliuvial. E i disegni, di tratti molto più decisi, erano stati fatti del padre Ologeon. Non aveva senso, perché scrivere in codice? Cosa stavano facendo i suoi genitori?

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Capitolo 3
*** come tutto ebbe inizio ***


CAPITOLO 3 - COME TUTTO EBBE INIZIO
Anno 46 dm, 20 Dicembre
01.36 di sera
E’ notte a Laydust, il cielo stellato fa compagnia ai gatti che zampettano per gli stretti vicoli della città in cerca di qualche rimasuglio di cibo che i pub, le taverne e i ristoranti hanno gettato. Quella mattina Laydust era stata in festa, la Mascherata è un’evento tradizionale di tutta Hollowind, dove ogni cittadino festeggia mangiando, bevendo e mascherandosi con vivacissime maschere artigianali. La festività è anche una scusa per il sindaco per dar lustro alla propria città agli occhi del governo.
La notte ha però trasformato le risate in un bieco silenzio, spezzato dal fischiare del vento. Le luci, i colori, impallidiscono di fronte alla tenebrosa luna, che stanotte è a malapena visibile nel firmamento. I pochi cittadini svegli festeggiano improvvisando dei Glifo-fuochi d’Artificio, per la rabbia degli stanchi agenti che con passo pesante girano per le strade.
Un colpo, un corpo a terra, del gin sparso, del sangue, sei scuri stivali che si riflettono negli occhi di un uomo che muore.
 
Anno 46 dm, 27 Dicembre
8.35 di mattina
Nel distretto Ordine, quella mattina c’era una strana aria, molti agenti vagavano senza meta per tutto il distretto, cercando di ignorare il tempo che lentamente scorreva, tutto sembrava sospeso in un limbo senza tempo...Un elfo, sui 45 anni sedeva sulla scrivania sorseggiando del caffè nero da una tazza di porcellana. Il colletto di una camicia, chiusa con una cravatta di seta, spuntava da un lungo impermeabile scuro le cui esili spalle erano coperte da lunghi capelli blu notte con ciuffi bianchi. Il giovane Elfo, che grazie ai Geni Elfici vantava un’età apparente sui 20 anni umani, cercò con la mano il coltello che suo padre adottivo, il maggiordomo, gli aveva regalato per i 20 anni; gli dava sicurezza.
Guardò il piccolo orologio posato sulla scrivania: 8:35 di mattina.
Si alzò, di lì a pochi minuti avrebbe avuto un appuntamento con il Superiore, il Capitano Iphilbor, veterano della purga e uno dei poliziotti più acclamati di tutta Hollowind.
Percorse il sottile corridoio che separava la Hall centrale dagli uffici del dipartimento. Entrò nella stanza di attesa, aspettandosi di trovare davanti a sé una vuota, sporca e sudicia stanza con delle panchine in legno appoggiate al muro. Si sbagliava, in parte. La stanza era sudicia, squallida e sporca, ma non era vuota, anzi, davanti a sé Elmorn vide altri tre agenti. Due umani, uno adulto e uno un po’ più anziano e una Gnoma dai capelli rossi, che sedevano muti in attesa.
Il più vecchio si alzò dalla sedia quasi di scatto. Era un uomo sulla 50ina, portava un cappello da pescatore consunto, una camicia grigia e stivali militari. La barba incolta mal nascondeva le cicatrici del volto che alla luce del sigaro che stava fumando apparivano scure pieghe nella pelle. Si avvicinò a Elmorn con passo veloce:
.
rispose freddamente Elmorn: odiava le perdite di tempo.
Non poté neanche finire la frase che fu interrotto dalla gnoma, che ora si era affiancata a Henry. Aveva dei lineamenti lisci, labbra carnose e occhi di un verde brillante; malgrado non fosse giovanissima, per la sua razza doveva essere più che attraente. 
Chico non così in fretta. Ti conviene ascoltare l’Agente Fitch, è tuo superiore in grado, e poi fidati, se dipendesse da me non ti vorrei di certo in squadra, troppo maleducato e inesperto… 
. Aveva parlato l’uomo seduto sulla panchina più lontana dal gruppo, con la faccia affondata nelle mani. L'uomo era sempre stato lì, in silenzio, ma era come se fosse appena apparso nella scena, cosa assai improbabile a giudicare dalla stazza decisamente poco minuta. Il battibecco lo aveva alquanto irritato, abbastanza da farlo alzare per camminare in modo insignificante, con le rughe del viso piegate in una smorfia quasi disgustata, verso gli altri.
Stava per rivolgersi a Steelman  ma la discussione fu interrotta dal lento cigolare della porta dello studio di Iphilbor.
Un piccolo manichino di legno taglia Nano spingeva la porta, Elmorn era a conoscenza dell’esistenza della Marionetta di Iphilbor, (un complicato Famiglio Glifico controllato dal Capitano, incanto caratteristico che gli appioppò il soprannome di “Il Marionettista”) ma la faccia appena accennata e le giunture metalliche mosse da invisibili cavi, facevano ancora accapponare la pelle di Elmorn. 

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Capitolo 4
*** un ottimo potenziale ***


CAPITOLO 4 - UN OTTIMO POTENZIALE
 
Quando la porta si aprì le narici di Elmorn furono invase dal forte odore di Tabacco e Scotch, accompagnate dal ronzare di una vecchia radio nascosta nella penombra della stanza. Lo studio di Iphilbor era quanto più lontano da uno studio curato e pulito. Bottiglie su bottiglie di Alcol erano accatastate in bilico per terra in un angolo, le pareti ingiallite mostravano macchie e crepe che con noncuranza erano state coperte con delle vecchie fotografie. Al centro della stanza c’era una pesante e antica scrivania, e seduto dietro di essa, un vecchio Mezz’elfo fumava la pipa.
Iphilbor era un mezz’elfo alto, molto magro ed emaciato, con la barba incolta e sottile, con un Derma-glifo inciso sulla testa completamente calva. Elmorn riconosceva il glifo: ogni Glifista riconosciuto dallo stato ha inciso sul corpo un Derma-Glifo di controllo, esso permette all’incantatore di effettuare magie semplici senza dover disegnare un Glifo. Queste particolari magie si chiamano “trucchetti“ e non necessitano di consumare manalite in quanto  il Derma-Glifo si attiva attingendo direttamente dalla forza vitale del Glifista. Il derma-glifo è per molti Glifisti motivo di vanto o onta da nascondere, le motivazioni stanno nel rischio elevato di contrarre la peste arcana durante l’incisione, nonché gli sguardi di timore che spesso i cittadini rivolgono verso i possessori di questo glifo. La precisa forma circolare con un insieme di rune all’interno del derma-glifo è riconoscibile da tutti come “L’Occhio Azzurro“, “Marchio dell’Incantatore“, “Bacio del Diavolo“, a seconda che il termine sia dispregiativo o meno. Anche Elmorn ne aveva uno dietro la nuca, ma soleva nasconderlo con i lunghi capelli per non dare troppo nell’occhio.
Il viso di Iphilbor non appariva solo scavato dalla vecchiaia, ma sembrava deformato, come se fosse stato modellato con dell’argilla da uno scultore che aveva solo una vaga idea di come fosse fatto un volto. 
A quanto pare l'energumeno che aveva parlato prima si chiamava Butch.
Disse Iphilbor con voce rauca, spostando da un cumulo di fogli un dossier aperto con sopra una foto di un’agente, un umano con dei bruni capelli ricci e due paia di cespugliosi baffoni.

Henry, Abrìl e Butch se ne andarono senza proferir parola, lasciando Elmorn da solo con Iphilbor, accompagnato solo da un’interminabile serie di domande.
Elmorn batteva le dita sulla scrivania come se stesse picchiettando su un pianoforte, lo faceva inconsciamente quando era nervoso. Per un tempo che pareva interminabile l’elfo guardò dritto negli occhi Iphilbor, che di rimando lo fissava con sguardo freddo e privo di emozione.
lo apostrofò Iphilbor.
le parole sgusciarono dalla bocca di Elmorn prima ancora che si rendesse conto di quel che stava dicendo
. Iphilbor guardò intensamente il suo manichino che ora era seduto su uno sgabello vicino alla porta, in attesa. Quando riprese a parlare la sua voce era poco più di un bisbiglio, e non parlò in comune, ma in Elfico .
Elmorn non sapeva bene cosa dire, aveva intrapreso la carriera da agente per poter indagare sulla sorte dei suoi genitori, e Iphilbor gli stava offrendo un posto di rilievo all’interno del distretto! Ma tutta la questione gli puzzava, cosa voleva il Capitano da lui? Cosa sapeva sul suo conto? 
Iphilbor non aspettò risposta.
Iphilbor fece un cenno al manichino che aprì la porta, poi riprese a parlare in comune, quasi urlò:
Elmorn annuì lentamente e si diresse verso la porta, verso la sua nuova squadra, verso un nuovo capitolo della sua vita.

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Capitolo 5
*** al n°3 di Gentle Street ***


CAPITOLO 5 -  al n°3 di Gentle Street
 
Elmorn sentì la pesante porta di legno dello studio di Iphilbor chiudersi, poi più nulla, il silenzio della stanza di attesa era spezzata solo dal ronzio nella testa di Elmorn, le ultime notizie lo avevano sconvolto. 
Agente, se una leggenda come il Capitano ti ha voluto con noi devi essere una specie di super-soldato> aveva parlato Abrìl, rompendo il silenzio, mettendo enfasi sulla parola “Agente” con un vago sentore di disgusto nella voce.
disse Butch mettendosi tra Abrìl e Elmorn. Sia Butch che Abrìl si guardavano in cagnesco, Henry invece sorrideva, anzi era quasi divertito.
Henry prese la spalla di Elmorn con una mano e lo condusse verso la Hall .
Elmorn non sapeva come rispondere, per quanto la domanda fosse semplice e chiara la risposta non lo era affatto. . Elmorn si trovava a disagio ogni volta che doveva spiegare le proprie mansioni, lui si era sempre ritenuto un’eccezione: in pochi hanno la fortuna di diventare Glifisti di stato, e praticamente nessuno dopo esserci riuscito si diletta nello studio di una nuova materia, come l’ingegneria.
Tuonò  Henry.  L'agente Henry era davvero di ottimo umore.
Raccattati i due agenti, tutta la squadra salì su una volante della polizia, una Cadillac nera pece, verso la casa di Jonathan Swith. 
diceva Henry   Al posto di guida sedeva Henry e Elmorn, al suo fianco, non potè non notare la guida “sportiva” e la totale noncuranza delle norme di sicurezza stradale. Già stava rimpiangendo la sua bellissima auto, guidata dal suo autista personale, quando Henry inchiodò davanti ad un vecchio palazzo in mattone. Butch non sembrava infastidito dalla corsa ad ostacoli che aveva guidato Henry e Abrìl era troppo indaffarata a limarsi le unghie per accorgersi di qualunque cosa. 

L’aria era umida e pesante, e i pochi metri di vialetto bastarono al gelo di dicembre per accoltellare i polmoni di Elmorn. Henry fece cenno ad Abrìl che scomparve diretta verso il retro dell’abitazione, e a Butch che si mise al lato della porta d’ingresso con la rivoltella in mano pronto ad intervenire. 
disse Henry bussando per tre volte sul portone di legno. .
Nessuno rispose.
Nessuno rispose per ben un minuto.
Bastò un cenno del capo di Henry e un calcio ben assestato di Butch per entrare nell’abitazione. I tre agenti entrarono in quello che è definibile un piccolo salotto: nella stanza vi erano una libreria, un tavolino, una radio e un paio di divani marrone d’epoca posizionati in modo da avere un rapido accesso ad una vetrinetta con delle bottiglie di superalcolici. 
C'era un po' di polvere sul pavimento, e sui mobili… c'era polvere praticamente ovunque. Vicino al divano, per terra sul tappeto, c'era una bottiglia di bourbon mezza vuota.
Lentamente Elmorn avanzò tenendo stretto sul pugno l'elsa del coltello nascosto in una tasca dell'impermeabile. Più si avvicinava alla porta che collegava la stanza al resto della casa, più sentiva il suo cuore battere a martello e i muscoli irrigidirsi. Aprì lentamente la porta e sbirciò dentro. Vedeva una stanza delle stesse dimensioni della sala, ma sembrava quasi non appartenere per nulla a quella casa tanto era diversa in stile rispetto la sala: era una cucina, polverosa anche lei, ma dall'aspetto molto più ordinato e pulito della sciatta saletta. Elmorn entrando notò che vicino alla zona cottura c'era un calendario, quasi tutti giorni erano pieni degli appunti più disparati riguardanti una comune giornata di un cittadino comune: andare al cinema, visita dal medico, lavoro, andare al circo e così via. Elmorn si appuntò tutti gli appuntamenti del mese di Dicembre su un taccuino, "meglio sapere che ignorare" diceva sempre, ma era più che altro una scusa che si ripeteva per giustificare la sua mania di perfezionismo. Mentre scriveva, si accorse che Abríl era entrata in casa, riusciva a distinguere a malapena cosa stava dicendo nell'altra stanza. 
diceva Abríl
Finito di scrivere Elmorn tornò indietro. 
.

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Capitolo 6
*** Guadagnarsi il rispetto ***


 I quattro agenti salirono le scale che conducevano al piano superiore. 

Butch annusò l'aria, c'era qualcosa di strano nel suo sguardo, un misto di concentrazione e disgusto. Effettivamente l’aria aveva qualcosa di strano, un odore acre, misto al freddo pungente dell’inverno,  permeava la stanza, ma se non fosse stato per Butch, Elmorn non se ne sarebbe mai accorto. Butch si voltò quasi di scatto, cercò lo sguardo di Henry, che annuì in risposta . Il volto di Henry era contratto in uno sguardo spaventato. 

Elmorn si guardò intorno, si trovava in una specie di largo corridoio, pieno di foto alle pareti, che divideva due stanze, una a destra e una sulla sinistra. In fondo al corridoio c’era una finestra aperta, che si affacciava sul giardino. Abrìl, leggera come una piuma, saltellò verso la porta di sinistra, coltello alla mano, e appoggiò l’orecchio alla serratura. Butch fece lo stesso, anche se con passo ben più pesante, avvicinandosi alla porta di destra. Che spettacolo buffo vedere un gigante come Butch e uno scricciolo come Abrìl muoversi all’unisono. Elmorn invece, si guardò intorno: la moquette grigia ormai vecchia e ingiallita era piena di piccoli frammenti di vetro, oltre che sporcata da qualcosa che probabilmente era caduta a terra. Una grossa macchia si intravedeva davanti alla porta di sinistra, posizionata poco dietro a Butch. 

L’agente Henry si chinò un attimo per controllare un grosso pezzo di vetro vicino a lui: 

-So che Swith ha un eccentrico gusto nell’arredamento, ma non sapevo che le schegge di vetro siano un MUST negli arredamenti alla moda. Fate attenzione, non sappiamo questo vetro da dove provenga, evitiamo di tagliarci.- 

Henry prese la spalla di Elmorn con fare quasi paterno, bisbigliando:

disse stizzito Elmorn fissando il viso rabbuiato di Henry, che anche se visibilmente scocciato, non rispose e si limitò ad un cenno con il capo.

Elmorn si accostò a Butch, in posizione dietro alla porta, aspettando il segnale di Henry. L’agente Fitch incominciò con le dita il conto alla rovescia. 

TRE… 

DUE… 

UNO… 

SBAM… . 

Le due porte furono aperte di scatto con tanta foga che Elmorn potè giurare di aver visto il pomello della porta piegarsi per un istante di fronte alla ferrea presa di Butch. Le due porte non erano state chiuse a chiave, “bene” pensò Elmorn “almeno non dovremo recuperare le schegge di legno”.

Un intenso odore di Morte invase le narici di Elmorn, che si coprì il naso con la manica, cercando di non respirare. Elmorn guardò la buia stanza che si parava dinnanzi, era la camera da letto di Swith. Cercò con la mano il glifo-luce della stanza, accese le lampade e gettò uno sguardo d’insieme. Era una stanza particolare, più simile ad un magazzino di mobili dalle fattezze più disparate che una camera vera e propria. L’elemento “atipico” però non era lo sfatto letto a baldacchino di un orribile verde pisello, o gli armadi in ciliegio che poco avevano a che fare con le pareti azzurrine, la cosa “strana” era più che altro la presenza di un cadavere sul pavimento. Il corpo apparteneva indubbiamente all’agente Swith, stessi capelli ricci e baffoni che aveva visto in foto, ma il viso gonfio e la pelle bianca e secca del defunto agente non incoraggiavano di certo ad avvicinarsi per accertarsene. 

Da dietro le sue spalle sentì prima la voce di Abrìl declamare poi i passi affrettati di Henry che cigolavano verso le sue spalle.

Disse Butch, era a disagio, era chiaro che quella situazione non gli piaceva per nulla.

L’agente Fitch però non stava ascoltando, fissava il cadavere con occhi spenti, il suo sguardo guizzava dalla pozza di sangue sul tappeto al volto dell’amico. stava bisbigliando con un filo di voce. 

provò a dire Abrìl avvicinandosi all’agente Fitch.

Disse Abrìlsi fece da parte, lasciando il passaggio per Butch e Henry. Henry seguì passivamente Butch fino al piano di sotto, calpestando per sbaglio delle schegge di bottiglia che erano sul pavimento, Elmorn prese mentalmente memoria della cosa e si girò a fissare Abrìl.

Elmorn fissò il pallido cadavere dell'agente Swith. La ferita sul petto era strana, come se fosse "sporca". Si avvicinò a grandi passi, non poteva resistere, ogni cellula del suo esile corpo voleva indagare. stava per toccare la ferita per studiarlo da vicino quando la minuta mano di Abríl lo prese per la collottola e con forza inaudita lo scaravento di un paio di metri più in dietro. 

La gnoma con si avvicinò cautamente al cadavere,continuando a fissare Elmorn con sguardo torvo. incominciò quindi a studiarne la ferita (con i guanti, e, ovviamente, ben attenta a non lasciar tracce) e, nel mentre, mugugnava, come quando si pensa ad una canzone e la si canta a bocca chiusa e ripeteva ogni cosa che scopriva. Dopo qualche minuto si mise a parlare con voce forzatamente più calma:

disse Elmorn a denti stretti, odiava la sensazione di essere in qualche modo “controllabile”, di prendere ordini.

Abrìl scattò in piedi, aveva gli occhi iniettati di sangue, Elmorn quasi trasalì per l’orrore. 

Quell'ira era un pugno ghiacciato nello stomaco di Elmorn

provò a spiegare Elmorn, quella conversazione lo aveva messo sulla difensiva.

per cortesia smettila di gongolare e renditi utile. Controlla i pezzi di vetro che si trovano vicino alla porta> La gnoma aveva detto “per cortesia” ingoiando un grosso rospo che aveva in gola. La discussione era chiusa.

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