Prisoners

di hollien
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Scleri pre-capitolo: Questo è un misero tentativo di scrivere una mini-long su Death Note. Non era mia intenzione, giuro; ma sapete quando vi prende quella vena artistica e improvvisate all’ultimo secondo? Ecco. Questo è più o meno quello che mi è successo mentre scrivevo tutt’altra trama rispetto a quella che andrete a leggere. *fa spallucce*
Sinceramente non so ancora dove andrò a parare alla fine di questa storia, ma vi prometto fuochi d’artificio. (?) E giuro che dopo questa mi darò al fluff. Basta disgrazie.  
Detto ciò, voglio fare un ringraziamento speciale a coloro che hanno recensito la mia ultima storia. Mi avete riempito il cuore di gioia e presto risponderò alle vostre recensioni. <3 Ringrazio in anticipo anche coloro che leggeranno questo mio nuovo “esperimento” e che mi faranno sapere cosa ne pensano.  
P.S: Non escludo che il rating possa cambiare da arancione a rosso. 
Disclaimer: I personaggi di Death Note non mi appartengono, ma se mi appartenessero avrei donato quel tanto di dignità (e neuroni) a Misa per mandare finalmente a quel paese Light una volta per tutte. Altro che dimezzare la sua vita per due volte, tzè.


 
 Prisoners


Capitolo I




Light studiò il suo percorso di rinvenimento passo dopo passo: dapprima i muscoli della fronte avevano subito un raggrinzimento, poi si era aggiunta la contrazione delle dita dei piedi insieme ad un movimento comico della bocca, come se stesse gustando qualcosa – probabilmente stava immaginando di divorarsi qualcosa che conteneva una quantità spaventosa di saccarosio – e, per concludere, lo sbattere quasi impercettibile delle palpebre.
Gli concesse a malapena i secondi per mettere a fuoco la sua figura perché, nel medesimo istante in cui lo vide orientare lo sguardo onice su di lui, un commento caustico sorse dalle sue corde vocali.
«Per essere uno che soffre di insonnia, ce ne metti di tempo a riprendere conoscenza.»
Il suo interlocutore non rispose nell’immediato, no. Aveva ben pensato di ignorarlo per guardarsi attorno ed esaminare la situazione con occhio analitico.
Per spezzare una lancia in suo favore, ma solo nella sua testa, anche lui stesso, quando era rinvenuto, aveva focalizzato la sua attenzione sull’ambiente circostante piuttosto che cercare di conversare con l’uomo svenuto che stava sul versante opposto al suo – non sarebbe stato un dialogo avvincente e proficuo, in ogni caso.
Gli ci era voluto più di qualche istante per liberarsi dalla sensazione di stordimento che gli aveva compromesso l’intero sistema e rinfrescare la memoria.
L’ultimo ricordo nitido che era riuscito a ripescare era quello in cui, dopo essersi congedato dalla sala principale del Quartier Generale, si era messo alla ricerca di Ryuzaki, il quale si era assentato misteriosamente per più di un’ora.
Il pensiero che avesse potuto aver intuito qualcosa lo aveva reso irrequieto, perciò aveva deciso di sgattaiolare via dalle noiose chiacchiere degli altri membri della Task Force, non senza prima aver scoccato un’occhiata gelida in direzione di Rem.
Si era ben ragguardato dal farsi vedere, ovviamente. Già i rapporti fra lui e quello Shinigami erano appesi ad un filo sottile. Non si poteva certo permettere il lusso di mostrare apertamente la sua repulsione verso quell’essere fin troppo umano per meritare di esser definito un Dio della Morte.
Se non fosse stato per lei, quell’ultimo periodo sarebbe stato senz’altro più facile. A causa del suo stretto coinvolgimento con Misa, invece, – Light non riusciva davvero a spiegarsi cosa l’avesse fatta affezionare al punto da spingersi a morire per lei se fosse stato necessario – aveva pensato di far pendere sulla sua testa la minaccia di ucciderlo come un’indesiderata spada di Damocle.
L’unico modo che aveva per non farla crollare era quello di proteggere la ragazza che era entrata di prepotenza nella sua vita, procurandogli molte più seccature che vantaggi.   
Sebbene fosse “smemorato” e diventasse urticante quando era in astinenza di mele, Light apprezzava di gran lunga Ryuk a Rem. Almeno lui con la sua imparzialità non gli causava grandi problemi.
Una volta uscito di scena, il primo posto in cui Light si era diretto per cercare Ryuzaki era stato la lor–sua camera da letto - non lo avrebbe stupito scoprirlo rannicchiato sul materasso mentre digitava come un automa sulla tastiera del portatile.
Dopo aver scorto le lenzuola immacolate, aveva provato a sbirciare anche nel bagno, tuttavia nemmeno lì aveva trovato traccia del divoratore seriale di dolci. “Dove sei, L” si era domandato nervosamente, gli occhi puntati rigorosamente davanti a sé. Non aveva permesso ad alcuna espressione facciale in particolare di emergere perché, in quel palazzo mastodontico, le telecamere erano pronte a registrare qualsiasi battito di ciglia sospetto. “Non puoi permetterti di sparire. Non adesso, ad un passo dalla mia vittoria.” 
All’improvviso, gli era transitata nella testa l’idea di andare a controllare la zona dell’eliporto, un posto dove lui e Ryuzaki si erano recati un paio di volte nel periodo in cui erano stati ammanettati l’uno all’altro.
Mentre Light aveva passato la maggior parte del tempo ad ammirare il tappeto di stelle che si estendeva sulle loro teste con un sorriso genuino ad increspargli le labbra, L, spesso e volentieri, aveva tenuto il capo chino, le mani infossate goffamente nelle tasche dei jeans.
«Pensavo avessi piacere a venire quassù, Ryuzaki» lo aveva incalzato Light ad un certo punto mentre si chiedeva cosa stesse passando per la mente inaccessibile di quest’ultimo.
L aveva scollato le iridi plumbee dalla pavimentazione per indirizzarle su di lui. «Sì», aveva assentito con il suo consueto, inesistente entusiasmo. «Mi stavo solo chiedendo se avrei sentito una cosa» aveva aggiunto poi, guadagnandosi una sua occhiata disorientata.
«Quale cosa?»
Lo aveva osservato scuotere brevemente il capo corvino. «Niente, Light-kun.» Uno dei suoi sorrisetti di fabbrica gli aveva dipinto successivamente le labbra. «Torniamo dentro? Ho voglia di una fetta di cheesecake.»
Light non aveva insistito sulla questione, pensando che fosse una delle solite stranezze in cui Ryuzaki si era intrattenuto nella sua testa.
Si era dunque limitato a sbuffare prima di intimarlo a ridurre le dosi di zuccheri se non voleva trovarsi sdentato prima del tempo. L, dal canto suo, aveva fatto un gesto lavativo con le spalle, dopodiché lo aveva sorpassato, trascinandoselo dietro di sé come un pacco postale.
Il se stesso senza ricordi aveva adempiuto al suo compito come si aspettava: aveva protestato, ma alla fine aveva seguito Ryuzaki dovunque desiderasse, minimizzando il tutto con una risata.
Alle volte gli sembrava impossibile di essere stato quel ragazzo.
Si sentiva così diverso ora. Così consapevole. Così onnipotente. E quello stesso senso di onnipotenza era ciò che gli era scorso nelle vene mentre i suoi occhi avevano finalmente adocchiato la figura del detective sotto lo scroscio battente della pioggia.
Light aveva fatto aderire una mano alla parete, esitando a farsi avanti. Aveva sempre pensato che L fosse una sorta di macchina costantemente operativa. Incrollabile. Inscalfibile; eppure, in quel frangente, mentre l’acqua avviluppava la sua figura arcuata, aveva scorto in lui la vulnerabilità di un semplice essere umano.
Se lo avesse deluso vedere il suo rivale per eccellenza in quello stato o meno, Light non avrebbe saputo dirlo.
Non aveva fatto in tempo a richiamare la sua attenzione, alla fine. Si era sentito afferrare malamente da dietro nel medesimo istante in cui aveva mosso un passo, un bavaglio intriso di anestetizzante per farlo assopire all’altezza del naso.
Ed ecco svelato perché ora si trovava in quella situazione poco auspicabile.
Quando aveva dischiuso le palpebre, una fitta di panico lo aveva assediato perché aveva creduto erroneamente di aver commesso un passo falso e che, dopo averlo stordito, qualcuno di non meglio identificato ne avesse approfittato per sbatterlo in cella.
Si era tranquillizzato solo nel momento in cui le sue iridi caramello si erano scontrate con la figura di Ryuzaki, la quale sedeva inerme su una sedia collocata di fronte a sé.   
Le probabilità che fosse una messa in scena per incastrarlo erano discretamente alte, ma aveva un talento innato quando si trattava di uscire da situazioni scomode ed impreviste – anche se, ad essere onesti, non sapeva come avrebbe reagito il se stesso con i ricordi di Kira durante la sceneggiata che L aveva escogitato servendosi della collaborazione di suo padre.   
Era grato di aver rinunciato alla proprietà del quaderno perché esisteva la remota possibilità che, a causa del suo istinto di preservazione, avrebbe tentato di uccidere l’uomo che gli aveva dato la vita.
Avrebbe provato rimorso? Ne dubitava.
Aveva messo in conto sin dal principio che per costruire il mondo ideale, libero dalla malvagità che pullulava in ogni angolo del pianeta, avrebbe potuto ricorrere anche ai mezzi più spietati. Sacrificare i membri della sua famiglia era tra questi. 
Non era stato necessario, alla fine; e per come si era evoluta l’intera situazione era stato meglio così.
Il problema era che adesso aveva un altro grattacapo da risolvere: era rinchiuso dentro una stanza spoglia, senza uno straccio di finestra che lo aiutasse a capire in che zona del Kantō si trovasse – ammesso che fosse ancora in Giappone –, dalle deprimenti pareti grigiastre, in certi tratti scrostate e illuminata da un paio di luci scarne. Come se non bastasse, un pungente odore di muffa invadeva l’ambiente, il quale gli provocava spesso e malvolentieri uno sgradevole senso di nausea.   
Per non parlare del fatto che era legato mani e piedi ad una sedia tremendamente scomoda, lui, che non meritava niente di meno che sedersi su un trono.
All’improvviso, a sferzare quell’atmosfera statica ci pensò il quesito che pose L, il quale sembrava aver ritrovato il magico dono della parola dopo diversi minuti di silenzio stampa. 
«A cosa stai pensando, Light-kun?»
D’istinto, gli occhi di Light svettarono verso il soffitto. «Non lo so, Ryuzaki. Effettivamente mi stavo domandando come fosse il tempo fuori.»
Tutto il sarcasmo con cui aveva intriso le sue parole non dovette essere sufficiente perché L rispose un: «penso stia ancora piovendo» che lo lasciò alquanto perplesso.
O lo stava prendendo per i fondelli – molto probabile –, oppure il narcotizzante che avevano usato su di lui doveva avergli scombinato qualcosa nel cervello.   
Decise di ignorare quella pressante pulsione di voler replicare per le rime in favore di una domanda più inerente al contesto e decisamente più intelligente.
«Hai una vaga idea di chi potrebbe averci fatto questo?»
Vide L assentire placidamente con il capo. «In realtà, sì.»
Quell’affermazione, anche se di poco, lo confortò. Almeno avrebbe trovato il modo di vendicarsi su chiunque si fosse permesso di trattare il Dio di un Nuovo Mondo in quella maniera oltraggiosa. 
«Ovvero?» lo incalzò.
«Tu, Light-kun.»
Le palpebre di Light stralunarono non appena recepì il messaggio. «Cosa?»
«Esiste una buona percentuale che tu abbia pianificato tutto affinché qualcuno entri qua dentro, mi uccida, e faccia in modo che la Task Force ci trovi prima che a te possa accadere qualcosa.»
Light si trovò a meditare sull’ipotesi del detective con le labbra semi-dilatate per lo sbigottimento. Era assurdo che L fosse arrivato a dedurre un’eventualità simile, eppure doveva ammettere che era talmente nelle sue corde come piano che quasi mise in discussione il fatto di averlo ideato e di esserselo misteriosamente dimenticato nel mezzo.
Ormai si poteva dire che fosse avvezzo ai vuoti di memoria.
No, impossibile”, rifletté una frazione di secondo più tardi. Per quanto gli sarebbe piaciuto, era pronto a mettere la mano sul fuoco che non era lui l’artefice di quel rapimento, ma qualcun altro che gliela avrebbe pagata cara molto presto.
«Il fatto che tu stia valutando la mia ipotesi mi porta a pensare che sia così, Light-kun» postillò L, ridestandolo dal suo flusso di coscienza.
Light scrollò istantaneamente il capo. «No, Ryuzaki. Stavo solo meditando sul fatto che la tua stupidità mi lascia senza parole.» Si costrinse ad ingerire un ghigno quando aggiunse con sbeffeggio: «sai, comincio a crederti quando dici che se non stai seduto in quella tua posizione strampalata le tue facoltà intellettive si abbassano del quaranta per cento.»
Già. Chissà come doveva sentirsi L adesso che il loro sequestratore lo aveva obbligato a sedere come un normale essere umano e non con le ginocchia raggomitolate al petto.
Avrebbe anche potuto azzardare che fosse normale – e stranamente piacevole da guardare – se non fosse stato per le borse nere e pesanti che gli marcavano gli occhi da pesce lesso.
«Quarantadue, a dire il vero», obiettò il detective.   
Lo stilettò con lo sguardo. «Hai davvero voglia di polemizzare in un momento simile?» fece retorico, ma la retorica, avrebbe dovuto intuirlo, non faceva per uno come L.
«Controbattere a quello che dici, ultimamente, è quasi balzato in testa alla classifica dei miei hobby preferiti.»
Per la seconda volta in una manciata di minuti, Light si ritrovò con gli occhi innalzati in direzione del cielo. «Fammi indovinare: al primo posto c’è divorare dolci fino a quando non ti verrà il diabete?»
Osservò gli angoli della bocca di L incresparsi leggermente all’insù. «Light-kun mi conosce bene ormai.»
Prima che potesse reprimerlo, un sorrisetto attraversò i suoi lembi rosei. «Direi di sì dopo due mesi di forzata convivenza.»
Non aveva fatto in tempo a realizzare di essersi liberato dalle catene che lo avevano tenuto a stretto contatto con Ryuzaki che si era trovato nuovamente incatenato da un’altra parte – senza contare i cinquanta lunghissimi giorni che aveva passato in cella con i polsi consumati e legati dietro la schiena.
Doveva trattarsi di una maledizione.  
«Sono già passati due mesi?» Lo vide orientare gli occhi verso l’alto, come se si stesse addentrando nei meandri di ricordi lontani. «Sono volati.»
Parla per te” avrebbe voluto replicare Light d’impulso, ma optò per un cenno di assenso con il capo e l’esalazione di un finto malinconico: «Già, sembra ieri.»
Continuare ad assumere l’atteggiamento sprezzante che aveva utilizzato fino a quell’istante non avrebbe giovato alla sua posizione. Non aveva ancora trionfato sulla sua battaglia contro L, e ora come ora si era aperta una nuova parentesi imprevista, perciò si costrinse a nascondersi dietro ad una facciata di remissività. 
Era sicuro che il Light di quegli ultimi tempi avrebbe adottato quello stesso tipo di comportamento.
«Davvero non hai alcuna idea di chi possa averci fatto questo, Ryuzaki?» azzardò nuovamente, assumendo l’espressione più timorosa che fosse in grado di esibire.
Quest’ultimo fece scivolare lo sguardo su di lui. «Le possibilità sono molteplici, Light-kun. Dopotutto sono in molti a volermi togliere di mezzo.»
Di fronte a quell’asserzione, Light colse la palla al balzo. «Potrebbe essere stato un altro Kira» disse quasi con urgenza, le pupille dilatate per rendere la sua foga più veritiera possibile. «Magari dopo la morte di Higuchi ne è nato uno nuovo, no? Ma se questo fosse il caso…» Si addentò il labbro inferiore con marcata enfasi, incamerando il capo nelle spalle. «Saremmo spacciati.»
«Non si tratta di un nuovo Kira. Né tantomeno del primo o del secondo» dichiarò L, senza titubare un secondo.
Light fece in modo di nascondere sotto i suoi ciuffi castani il baluginio pericoloso che gli attraversò le pupille.
«Cos’è che ti fa essere così certo che non sia così?»
Lo osservò assumere un’aria meditante, e Light era certo che si sarebbe portato l’indice alla bocca se solo non avesse avuto le braccia bloccate dietro la spalliera della sedia.
«Per quanto riguarda un possibile nuovo Kira, il mio sesto senso» spiegò con il suo consueto timbro di voce indolente. «Il secondo, invece, immagino stia frignando per la scomparsa del suo amato; mentre il primo…» Un mezzo sorriso avanzò sui lembi marmorei di L, il quale mise Light in allerta. Sapeva già cosa avrebbe affermato successivamente, e quella consapevolezza non poté che fargli ribollire la bile nello stomaco. «È davanti a me. Considerando ciò–»
«Non ci posso credere!» Eruppe con così tanta veemenza che le gambe della sedia strisciarono rumorosamente sul pavimento. Non si preoccupò di mantenere un contegno. Una reazione del genere non avrebbe dovuto destare sospetti, non quando in due mesi non aveva fatto altro che sbottare in faccia a Ryuzaki ogni volta che lo accusava di essere Kira. «Ancora con questa storia? Quand’è che ti metterai il cuore in pace? Io e Misa siamo innocenti. Lo sai anche tu che ogni prova a nostro carico è stata invalidata dalla regola dei tredici giorni! E, in ogni caso, mi hai tenuto sott’occhio per mesi, ventiquattro ore su ventiquattro, senza mai notare nulla di sospetto. Possibile che non ti sia bastato?» Quando si acquietò, rilasciò un sospiro esasperato, fissando poi le iridi a quelle imperscrutabili del detective. «Devi accettare di esserti sbagliato, Ryuzaki. Non sei invincibile, perciò piantala con le tue accuse infondate.»
Seguirono degli istanti di silenzio ecclesiastico in cui Light credette di aver zittito il detective, incassando una piccola vittoria personale di cui si sarebbe dovuto gongolare interiormente, purtroppo; tuttavia avrebbe dovuto sapere che quest’ultimo sarebbe tornato all’attacco.
Era sempre stato così tra loro. Nessuno dei due era disposto a deporre le armi. Ma, in fondo, non era quella tenacia che rendeva L il suo rivale più temibile? L’unico che ritenesse all’altezza di poter competere con lui in uno spettacolare quanto elettrizzante testa a testa?
Senza L non avrebbe avuto ostacoli e a quell’ora, probabilmente, sarebbe già divenuto il Dio di un Nuovo Mondo; ma senza un avversario come L da contrastare, la sua vita non sarebbe stata meno noiosa di quando aveva messo le mani sul Death Note quel fatidico giorno nel giardino della sua scuola superiore.
«È conveniente», commentò L con tono tutt’altro che casuale.  
Light fece flettere un sopracciglio, scrollandosi di dosso i pensieri di quegli ultimi secondi. «Che cosa?»
«La regola dei tredici giorni.» Osservò il detective far ciondolare la testa su un lato mentre lo guardava sbiecamente. «Sembra quasi fatta apposta per scagionarvi, non trovi anche tu?»
Aveva del surreale come L riuscisse ad indovinare ogni cosa con quell’accuratezza. Ciò che era appurato era che non si era guadagnato il titolo dei migliori tre detective del mondo immotivatamente, tuttavia era altrettanto certo che, senza uno straccio di prova che potesse incriminarlo in maniera definitiva, tutte quelle parole equivalevano a non avere niente.
Forte di quella consapevolezza, Light permise ad un breve sorriso privo di contentezza di stagliarsi sulle sue labbra. «Qualsiasi cosa non avvalori la tua tesi ti sembra conveniente, Ryuzaki. Tu vuoi che io sia Kira» “per qualche motivo perverso”, omise. Con la stessa velocità con cui era comparso sul suo volto, quel sorriso si dissolse nell’atmosfera, lasciando spazio ad un’espressione ferita. «Il tuo primo vero amico un accidenti» chiosò con un’amarezza che non dovette nemmeno simulare.
Si augurò che il loro sequestratore si palesasse il più in fretta possibile ed esternasse quale fosse il suo desiderio perché non ne poteva più di stare incollato a quella sedia che era un attentato alla sua colonna vertebrale, men che meno condividere le stesse particelle di ossigeno con Ryuzaki.
Lo aveva già tollerato abbastanza per i suoi gusti.
L mosse spasmodicamente i piedi nudi, i quali riuscirono a calamitare lo sguardo di Light su di essi. Se c’era una cosa che aveva sempre trovato bizzarra era che non avesse mai trovato disgustoso il fatto che il detective avesse la mania di rimanere scalzo. Forse si era abituato talmente tanto alle stranezze di quest’ultimo che il fatto che non amasse indossare le scarpe era passato in secondo piano.
«Per quel che vale, sei davvero la prima persona che abbia mai considerato mio amico, Light-kun», ammise. Considerando che era un bugiardo compulsivo, esattamente come lui, Light preferì credere che fosse una delle solite affermazioni fatte per fargli abbassare la guardia. «Solo non permetto che questo influenzi il mio giudizio.»
Non appena recepì il messaggio, Light fece schioccare la punta della lingua sul palato. «Non temere. La tua infantilità è sufficiente ad annebbiare la tua inesistente oggettività.»
Quell’accusa dovette aver centrato un punto particolarmente sensibile perché L replicò un pungente: «Detto da te è un complimento, Light-kun.»
Un suo sopracciglio venne percorso da un tremito.
Avrebbe dovuto dimostrarsi superiore. Non dare bado al suo patetico tentativo di aizzarlo. Ma la vocina meschina nella sua testa gli fece presente che se fosse rimasto in silenzio sarebbe stato come dargliela vinta.
E non esisteva nessuna realtà in cui Light Yagami la dava vinta ad L.
Cominciò così l’ennesima battaglia di botta e risposta al veleno, degno di due scolari della scuola elementare, la quale trovò presto il suo epilogo quando entrambi udirono il crepitio tagliente di una porta che veniva spalancata con lentezza studiata, a tratti raccapricciante, facendoli voltare. 
La figura silenziosa che si presentò all’interno della stanza, interrompendo l’incessante battibecco fra lui ed L, indossava una ridicola mantella nera con il cappuccio, la quale impedì ad entrambi gli investigatori coinvolti nel caso Kira di scorgergli il volto, così come le sue fattezze.
L’unica cosa che Light poté affermare con assoluta certezza era che quest’ultima sporgeva in avanti con il busto, in una postura così tipicamente da L che se non lo avesse avuto davanti a sé avrebbe pensato immediatamente fosse lui.
Era un tentativo di imitarlo per schernire il suo orrendo portamento ricurvo? Si chiese con la fronte leggermente aggrottata. Più di ogni altra cosa, però, si domandò se quello sconosciuto fosse a conoscenza dell’identità di L e se fosse quello il motivo del rapimento.
Ciò che non tornava, però, era la sua presenza lì.
Quando nessuno parve intenzionato a voler interrompere quel silenzio opprimente che era calato come un sipario nella stanza, Light decise di intervenire.
«Alla buon’ora.» Benché non avesse utilizzato alcuna nota di stizza, convenne che non fosse stato l’esordio migliore che potesse fare. Fino a quando non gli fossero state chiare le intenzioni di quel tipo ambiguo che li aveva rapiti, pensò, era meglio che non giocasse troppo con il fuoco. Una volta appreso il suo obiettivo, gli avrebbe fatto saggiare la sua crudele vendetta. Nessuno poteva permettersi di umiliarlo in quel modo e restare impunito. «Ti stavamo aspettando.»
In risposta ricevette una risata viziosa quanto agghiacciante. Si elevò nell’aria, saturandola di un sapore che definire ferroso sarebbe stato un eufemismo.
Il fatto che gli avesse rammentato quella di Ryuk fece accrescere nello stomaco di Light un’inquietudine che mascherò in maniera magistrale.
Le risa del loro sequestratore si assopirono poco più tardi, lasciando nuovamente spazio ad un silenzio rigido, che non seppe se fosse il caso di fendere nuovamente.
Per qualche strana ragione, Light voltò il capo verso L come un magnete, cercando di intercettare quali fossero le sue considerazioni.
Tutto si aspettò tranne che scontrarsi con un’espressione contratta ai limiti del possibile e le iridi ridotte a due fessure.
Gli aveva scorto un’espressione analoga una volta soltanto, ovvero quando il secondo Kira – quando era accaduto, né lui né L sapevano che si trattasse di Misa – aveva risposto al loro messaggio sulla Sakura TV, citando gli Dei della Morte e i loro occhi.
«Ryuzaki.»
A Light sembrò logico utilizzare il suo pseudonimo per ridestarlo da quello stato semi-catatonico, tuttavia accadde qualcosa che lo lasciò attonito.
Fu il tipo incappucciato a rispondere con un tono di voce intriso di divertimento. Il vero problema, in realtà, non fu che avesse replicato lui, quanto il fatto che il timbro, seppur ovattato per colpa del copricapo, era tremendamente somigliante a quello di L.   
«Ryuzaki, eh?»
Sebbene Light non potesse vedere in che direzione stessero guardando gli occhi dell’estraneo, era palese che non si stesse rivolgendo a lui, perciò il suo sguardo torbido guizzò nuovamente su L in cerca di risposte.
Dalla reazione che aveva avuto era evidente che doveva sapere qualcosa.
Notò subito che i suoi muscoli facciali erano ancora corrugati in un’espressione annichilita, come se avesse appena visto un fantasma. 
La frase che la figura incappucciata esalò successivamente gli fece temere di non esser andato troppo lontano dalla realtà. 
«Non sapevo avessi sofferto la mia morte al punto tale da appropriarti del nome del mio alias.»
Light sgranò le palpebre.
Oh, no.
Quella voce non era simile a quella di Ryuzaki.
Era totalmente uguale.
Fu sul punto di domandare impulsivamente che fottuto scherzo fosse quello, ma l’altro lo ammutolì quando si liberò tempestivamente della propria copertura, mettendo alla luce il suo aspetto.
Tutto quello che Light avrebbe voluto esternare rimase incespicato nelle corde vocali.
No, pensò.
Non poteva essere vero.
Doveva trattarsi di un delirio della sua mente.
Eppure quelli erano i suoi capelli corvini scompigliati, i suoi occhi onice e profondi come i fondali degli oceani, il suo derma marmoreo, la sua postura ricurva e il pollice agganciato al labbro inferiore. E la maglia bianca a maniche lunghe, i jeans larghi e rimborsati, i piedi nudi...
Quel ragazzo era L tanto quanto quello che sedeva sul fronte opposto al suo.
L’unica vera differenza era che la versione in piedi vestiva sulle labbra un sorriso malizioso, subdolo, che mai nella sua vita avrebbe pensato di poter scorgere sul viso tanto conosciuto del detective.
Improvvisamente, Light sentì l’urgenza di distogliere gli occhi da quel volto sgradevole e aggrapparsi a quello del suo, di L, il quale era tornato a calzare la sua rituale espressione abulica.
E mentre Light cercò di combattere quella sensazione di aridità che gli assediava la gola, il timbro atipicamente austero di Ryuzaki sferzò quell’atmosfera di stallo, pronunciando una singola lettera.
«B




 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Scleri pre-capitolo: Secondo la mia tabella di marcia avrei dovuto pubblicare il capitolo almeno una settimana fa, tipo. Chiedo venia, ma tra un impegno e l’altro, e un’indecisione e l’altra sul come sviluppare al meglio la trama di questa mini-long, giungo a voi solo oggi. Btw, cosa dire al riguardo? Beh, innanzitutto che è stata una faticaccia *si asciuga il sudore*, in particolar modo ho trovato macchinoso gestire il personaggio di Beyond, ma tutto sommato mi ritengo soddisfatta del risultato. Mi auguro che possiate apprezzare e che mi facciate sapere cosa ne pensate. Qualsiasi tipo di recensione, positiva o negativa/costruttiva che sia, sarà ben accetta.   
Ringrazio moltissimo Relie Diadamant e Marlena_Libby per aver recensito il capitolo precedente e ringrazio anche coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, ricordate e seguite. <3
Disclaimer: I personaggi di Death Note non mi appartengono, ma se mi appartenessero B non sarebbe morto e avrebbe fatto una capatina nella storia principale di Death Note. Così, giusto per mettere un pizzico di pepe in più. (?)



Prisoners
 

 
Capitolo II
 
 
 


Era calato un silenzio spettrale all’interno della stanza.
In antitesi, nella mente di Light era venuto a crearsi un sovraffollamento di domande sgomitanti, le quali cercavano di prevaricare l’una sull’altra.
Il primo quesito che si era innescato era stato: “B?” Dopodiché era stato un susseguo di: “un altro tizio da una sola lettera? Identico ad L? Che siano gemelli? Che sia anche lui un detective?
Aveva escluso l’ultima a priori, perché quale detective li avrebbe rapiti, rinchiusi in un luogo apparentemente sperduto e legati a delle sedie?
A onore del vero, nemmeno L, pur essendo il miglior detective del mondo, utilizzava metodi che si potessero considerare ortodossi; ma non si era mai spinto eccessivamente oltre, non se la situazione non lo richiedeva.
Light avrebbe sollevato gli occhi al cielo se solo non avesse rischiato di attirarsi addosso degli sguardi indesiderati.
Stupidamente, si era trovato a giustificare in maniera involontaria le torture a cui L lo aveva sottoposto. Pedinamento, spionaggio, imprigionamento, convivenza forzata: tutto quel supplizio per poi lasciarlo libero – anche se era più corretto dire che lo avevano obbligato a lasciarlo andare perché, in caso contrario, chissà per quanti mesi ancora L lo avrebbe tenuto legato a sé, rendendo la sua intera esistenza un calvario.
A conferma di ciò era l’espressione lievemente rabbuiata che il Detective aveva assunto quando Aizawa-san lo aveva esortato per l’ennesima volta a lasciarlo andare, facendo leva sul fatto che, se Light e Misa fossero stati i due Kira, sarebbero già dovuti essere morti da un pezzo.
Light aveva esultato interiormente come un bambino al melodioso risuono delle manette mentre gli venivano sganciate dal suo polso sinistro, ma allo stesso tempo non si era risparmiato una critica interiore ad indirizzo di quegli allocchi dei membri della Task Force, suo padre compreso.
La verità era che nessuno di loro aveva mai preso realmente in considerazione che Light potesse essere Kira, al che Light se ne era quasi risentito. Solo una mente brillante come la sua avrebbe potuto prendersi carico della redenzione del genere umano, ma gli tornava comodo che loro non lo credessero. Era anche grazie a questa loro “mancata collaborazione mentale” che Light era riuscito rimanere sempre un passo in avanti rispetto a L, alla fine. Quel momento propizio, però, stava rischiando di esser minato dall’intrusione imprevista della copia sputata di Ryuzaki, la quale si stava frizionando il pollice sulle labbra incurvate all’insù.    
«Se sei qui, deduco che le notizie che ho ricevuto sulla tua morte fossero false.» Era stato L a parlare, troncando quella tetra tranquillità che aveva colmato l’atmosfera. 
Il suo interlocutore innalzò le spalle come un rapace. «Chissà, magari potrei essere un fantasma.»
«Se lo fossi, non ti saresti ridotto a questo» lo apostrofò L, muovendo spasmodicamente le dita dei piedi. «Sono sinceramente incuriosito di sapere come hai fatto.»
Un ghigno lezioso echeggiò nella stanza. «Dovresti sapere che sono un attore di grande talento.»  
«Così come un eccelso imitatore», chiosò L.
Light colse immediatamente la nota di disprezzo con cui il suo rivale aveva intriso il tono di voce.
Contrariamente, B aveva snudato i denti in un sorriso giocondo, fanciullesco di fronte alle parole di L, come se gli avesse appena rivolto un complimento sincero.
«Come vedi, ho perfezionato il mio aspetto.» Schiuse le braccia, facendo un gesto plateale verso di sé. «Ora non c’è niente che mi differenzi da te.»
Quindi quello non è il suo vero aspetto” considerò Light, ma più aguzzava lo sguardo per riuscire a scorgere delle differenze tra lui ed L – quello originale – più rimaneva con un pugno di mosche in mano.
Era spaventosamente identico, e per riuscire ad imitarlo in quel modo significava che aveva trascorso anni ad osservarlo, studiarlo in ogni suo minimo particolare; e tutto si poteva dire tranne che L fosse un elemento facile da riprodurre fedelmente.
Un brivido di raccapriccio attraversò la colonna vertebrale di Light.
Se lui si era sentito violato durante la settimana in cui erano state fatte installare cimici e telecamere nella sua casa, con lui che, perlomeno, ne era al corrente, non riusciva ad immaginare a cosa dovesse esser stato sottoposto L.
Neanche Misa, con tutta l’ossessione che poteva nutrire nei suoi confronti, si sarebbe spinta a tanto – anche perché dubitava che sarebbe stata in grado di spiarlo senza che lui se ne accorgesse.
La voce di B s’impose repentina nei suoi pensieri. «Ma tornando a noi: quanto pensi ci sia voluto a simulare un arresto cardiaco, essermi fatto trasportare via dalla mia cella e aver ucciso i tre medici che volevano aprirmi come una cavia da laboratorio?»
«Poco, deduco.»
«Sette minuti.» Il suo sorriso si ampliò, tanto che gli angoli della sua bocca sembrarono fare a staffetta per raggiungere le estremità del suo volto. «Per i primi due è bastato un taglio netto alla gola, mentre l’ultimo doveva aver fatto arti marziali. Mi ha pure procurato un livido.» Si andò a sfregare con le unghie il punto in cui doveva aver colpito l’uomo di cui aveva appena parlato, dopodiché con aria gongolante aggiunse: «sono stato ben felice di cavargli gli occhi con il bisturi dopo averlo strangolato.» 
Light dovette sopprimere un conato di vomito quando la sua mente traditrice immaginò la scena.
Già l’odore che invadeva quel luogo sudicio si faceva via via sempre più nauseabondo. Se ora veniva costretto ad ascoltare i racconti macabri di quel pazzo non poteva assicurare che non avrebbe dato di stomaco.
Non appena si ristabilizzò, serrò forte le arcate dentali.
La parte più irrazionale di Kira che albergava dentro di sé raschiava affinché ponesse fine alla vita di quel criminale, ma con i polsi serrati saldamente dietro alla schiena era impensabile che riuscisse a scrivere il suo nome sul pezzo di Death Note che teneva nascosto fra gli ingranaggi del suo orologio; anche se avesse potuto, poi, non aveva la più pallida idea di quale fosse la sua vera identità.
L doveva conoscerla, ma cercare di estorcergliela sarebbe stato come ammettere di essere Kira. O quantomeno, avrebbe aumentato a dismisura le probabilità che lo fosse.
Poteva sempre avvalersi della regola dei tredici giorni per rimarcare il fatto che era impossibile che lo fosse, tuttavia, a forza di insistere, era certo che Ryuzaki non si sarebbe fatto scrupoli a testarne la sua veridicità.
E a quel punto sì che sarebbe stato nei guai.
Ad interrompere quel ciclo infinito di ragionamenti fu il riflesso improvviso che attraversò la stanza.
Gli occhi di Light si allargarono a dismisura quando si accorse che B teneva tra le dita un coltello. Lo osservò far ruotare il manico sul palmo con maestria, dopodiché cominciò ad avanzare verso di loro con il suo immancabile sorriso sinistro.
Il suo respiro divenne più frenetico, il cuore che gli martellava nella cassa toracica mentre si faceva sempre più pressante la necessità di fuggire. 
All’ultimo, Light vide B virare verso L, e mentre la cosa avrebbe dovuto consolarlo, il suo livello di agitazione non fece altro che incrementare.  
Voleva ucciderlo?
«Dì un po’, L: ti sono mancato?» gli chiese quando fiancheggiò il detective. Flesse il capo su un lato. «Perché tu mi sei mancato, sai?» proseguì con voce volutamente melliflua, facendo aderire poi la lama affilata del suo coltello sul pomo d’Adamo di L. «Mi è mancato perseguitarti come il peggiore dei tuoi incubi.»
«Non darti così tanto credito, B» asserì imperturbato L nonostante avesse un’arma addossata alla carotide che avrebbe potuto porre fine alla sua esistenza in un nanosecondo. «Sei stato a malapena un pensiero transitorio nella mia testa anche durante gli omicidi di cui sei stato l’artefice a Los Angeles.»
Light rimase allibito.
Quell’idiota non aveva nemmeno la possibilità di difendersi nell’eventualità che quel folle lo attaccasse e si permetteva di aizzarlo senza farsi alcuna remora?
«Bugiardo, bugiardo, bugiardo» reiterò il suddetto folle con animosità, facendo per affondare maggiormente la lama nel derma latteo di L, un’azione che portò Light quasi ad esporsi.
Se non lo fece fu solo perché la tranquillità di Ryuzaki non poteva essere una farsa. Per quanto potesse sembrare il contrario a causa della sua natura passiva, quest’ultimo ci teneva alla pelle.
Non si sarebbe mai esposto in quella maniera se non avesse avuto la certezza che colui che gli stava dinnanzi non lo avrebbe ammazzato seduta stante.
«Ti sei appropriato del mio pseudonimo. Hai ingaggiato Naomi Misora perché lavorasse sotto le tue direttive, perciò sono stato molto di più di quello che dici.»
La fronte di Light venne percorsa da un fremito al nome della donna.
Era a conoscenza del fatto che L avesse lavorato con l’ex-agente dell’FBI che lui stesso aveva mandato al patibolo dopo che si era avvicinata pericolosamente alla verità, tuttavia, fino a quell’istante, non aveva mai saputo fino a che estensione.
«Apprendere della sua morte non mi ha fatto piacere, sebbene sia stata lei a smascherarmi» aveva continuato B, orientando lo sguardo verso il soffitto come era solito fare Ryuzaki quando si perdeva nelle sue meditazioni. «Era una donna pura. Timida, ma estremamente determinata.» Gli parve di cogliere l’ombra di un sorriso sulle sue labbra. «Mi piaceva investigare con lei.» I suoi occhi plumbei strapiombarono fulminei sul Detective, gli spigoli della bocca raggrinziti come una pallina di carta. «E tu hai lasciato che la uccidessero.»
Quell’accusa dovette smuovere qualcosa dentro L perché replicò un sibilante: «non sapevo nemmeno si trovasse in Giappone.»
«Avresti dovuto immaginarlo» fece l’altro d’impeto, dopodiché, con un movimento rapido ed esperto della mano, fece scivolare l’estremità del pugnale sulla gola di L, creandovi una ferita che, se solo quel folle avesse voluto, gli sarebbe stata fatale.
Light lo osservò portarsi la lama sporca di sangue all’altezza delle labbra, lambendola poi con la punta della lingua.
Nonostante il disgusto e lo sconcerto per quel gesto, Light si concentrò maggiormente sul fatto che quello che sembrava essere il gemello cattivo di L aveva la fissazione di colpevolizzarlo per ogni singola cosa.
Doveva nutrire un odio ben più radicato del suo per dei motivi che ancora non aveva chiari.
Quasi come se l’avesse chiesto ad alta voce, benché parzialmente e non in maniera dettagliata, B diede risposta al suo tacito quesito. 
«Avresti dovuto immaginarlo, così come avresti dovuto immaginare che A si sarebbe tolto la vita. Così come avresti dovuto immaginare che avrei reso la tua misera vita un inferno, ad ogni costo.» Un ghigno raccapricciante sfilò suoi lembi, reso ancora più atroce dalla dentatura macchiata di sangue. «Ho creduto per anni che fossi una creatura incapace di provare affetto, ma sei stato imprudente di fronte alle telecamere, Detective. Ora so qual è il tuo punto debole.» Il suo sguardo malizioso balzò improvvisamente alla sua sinistra: «dico bene, Light Yagami?»     
Per la prima volta da quando si era palesato all’interno di quella stanza, B lo aveva interpellato, gli occhi accesi di una luce perversamente sinistra.
Light non celò la sua ostilità quando fece approdare gli occhi su di lui.
Non avrebbe mai chinato la testa di fronte ad un assassino.
Nemmeno il Light senza i ricordi di Kira lo avrebbe fatto.
«A cosa ti riferisci?»
Vide B esibire una smorfia accesa di contrarietà. «Sei meno astuto di quanto immaginassi.»
Quella dichiarazione gli fece accartocciare lo stomaco su se stesso, ma si costrinse ad ingerire la voglia sfrenata di reclamare la sua superiorità in favore di un’asserzione che contenne una dose strabordante di sarcasmo: «perché non m’illumini?»
«Light-kun» lo chiamò L, come ad intimarlo a non oltrepassare il limite se non voleva compromettere la sua posizione.
Nonostante Light si fosse premurato di mantenere un’espressione stoica, quel patetico tentativo di L di metterlo in guardia non fece altro che alimentare la sua ira.
Con chi credeva di avere a che fare? Con il primo agnellino indifeso che passava per strada? Oh, no. Lui era Kira. Il Dio di un Nuovo Mondo. Farsi intimorire dalla specie che più odiava non rientrava nei suoi piani. Né ora né mai.
Questo non significava che sarebbe stato incauto, però.
Era in una posizione di netto svantaggio, tuttavia era chiaro come la luce del sole che quel tizio puntava ad L. Però, ora che Light razionalizzava le insinuazioni di B…cosa significava che L era stato imprudente di fronte alle telecamere? Per quanto tempo li aveva osservati prima di mettere in atto quel sequestro? E lui cosa c’entrava?
Si addentrò talmente tanto in quei quesiti che non si accorse che B si era scollato dalla sua postazione e gli si era avvicinato.
Solo quando scorse un’ombra stagliarsi su di lui, Light sollevò languidamente la testa, trovandosi le orbite inquietanti di quel folle addosso.
Ora che gli era così vicino notò qualcosa di cui prima, a causa della lontananza e della luce soffusa della stanza, non avrebbe potuto rendersi conto.
Il colore delle iridi era diverso.
Aveva cercato di celarlo abilmente con quelle che dovevano essere delle lenti a contatto colorate, ma non era stato sufficiente. Non per Light, il quale, oltre a conoscere L meglio di chiunque altro, aveva uno spirito di osservazione ineguagliabile.
Era stato grazie a quello se era riuscito a scampare da molteplici situazioni sconvenienti.
B dovette accorgersi del fatto che Light se ne fosse reso conto perché, ad un tratto, le sue labbra si tesero in un sorriso soddisfatto.
La fronte di Light s’aggrottò.
Non gli piaceva. Per niente.
Al di là di quella sottile discrepanza, quello era il volto di Ryuzaki; e Light non riusciva ad accettare che potesse esser attraversato da un’espressione differente da quella che era stato abituato a scorgere quotidianamente.
Mentre quel pensiero si faceva incalzante nella sua mente, si sentì ghermire il mento dalle dita gelide di B.
Neanche a dirlo cercò istantaneamente di evadere da quel tocco indesiderato, ma quest’ultimo gli impedì di sottrarsi, solidificando l’impugnatura al punto che a Light sfuggì un rantolo di dolore.
B si liberò in un risolino acuto, sussurrando qualcosa di simile a “non abbiamo gli stessi gusti” e Light non anelò altro se non avere il Death Note tra le mani, scrivere il suo nome e…no, un arresto cardiaco era niente rispetto ai danni che quell’energumeno stava recando al suo orgoglio.
Una sensazione di appagamento gli attraversò la spina dorsale al pensiero di dare sfogo alle sue fantasie più recondite. Chi offendeva Dio non poteva rimanere impunito, e Light non era conosciuto per la sua magnanimità quando qualcuno osava umiliarlo.  
Mentre progettava come ucciderlo nel modo più atroce possibile, B, senza allentare la presa su di lui, fece una piroetta di novanta gradi, lasciando che lo sguardo di Light si scontrasse con quello di L.  
Light si prodigò fulmineamente a far svanire qualsiasi traccia di malizia dal suo viso, sostituendo ad essa un’espressione di allarmismo.
Per un attimo aveva permesso al suo desiderio di vendetta di prendere il sopravvento, dimentico del fatto che il Detective si trovasse nella sua stessa stanza. 
Se fece in tempo a scacciarla prima che L se ne potesse accorgere non avrebbe saputo dirlo perché il suo sguardo onice non era puntato su di lui.
Era puntato su B.
Si sentì trafiggere da una stilettata di incredulità.
L non gli aveva mai levato gli occhi di dosso nell’arco di un anno e mezzo. Mai una volta. Perché Light era Kira. Il suo rivale per eccellenza. La sua nemesi.
Fece conficcare le unghie nei palmi delle sue mani, l’unico movimento che gli era possibile fare, chiedendosi perché la sua attenzione non fosse rivolta a lui, allora.
E se gli interessasse di lui più di quanto gli interessi di te?” interrogò la vocina perfida del suo inconscio. “Quel tipo è un assassino, eppure L si fa chiamare con il suo pseudonimo. Credi davvero si farebbe mai chiamare Kira se tu morissi?
Light scosse impercettibilmente il capo.
No.
Quella situazione gli stava facendo perdere la lucidità.
Light Yagami era l’unico vero avversario di L. L’unico che potesse competere con il giovane uomo che si era guadagnato il titolo dei tre detective migliori al mondo.
Nessun altro era alla sua altezza se non Light.   
Quel pensiero – o autoconvincimento – placò per un istante la bile che aveva cominciato a fermentargli nel fegato, ma fu una sensazione che durò per il tempo di un battito di ciglia perché si trovò improvvisamente le labbra di B addossate all’orecchio.
«Vuoi sapere qual è il vero nome di L, Light-kun?» Utilizzò di proposito il modo in cui era solito chiamarlo L e, come se non bastasse, le narici di Light vennero investite da una pungente fragranza dolciastra.
Possibile che gli avesse copiato anche la passione per i dolci?
Quella domanda passò tempestivamente in secondo piano quando B pronunciò le parole successive: «Perché, sai, io posso vederlo
Light si dovette avvalere di tutto il suo autocontrollo per non tradirsi con le sue stesse mani.
Quella frase era una dichiarazione che lasciava spazio ad una sola interpretazione, almeno per Light, il quale percepì il gelo attraversargli i vasi sanguigni quando registrò il messaggio.
B aveva…gli occhi dello Shinigami?
Ma se quello era davvero il caso, allora significava che, oltre a sapere con certezza che Light era Kira – non sapeva se disperarsene o meno –, anche quel folle possedeva un Death Note.
Perché non usarlo, allora? Si chiese. Perché, se era vero che nutriva quell’odio viscerale nei confronti di L, non lo aveva ancora ucciso scrivendo il suo nome sul quaderno?
«Quindi?» lo pungolò B, facendo sfregare alcune ciocche corvine sul suo derma scoperto.  
Dimmelo, dimmelo, dimmelo” latrava insistentemente una voce animalesca all’interno della sua testa, rimbombando come un mantra; ma no, si disse. Non poteva lasciarsi sedurre in quel modo dalla prospettiva di sapere ciò che bramava da un anno e mezzo a quella parte.
«C-cosa significa che riesci a vederlo?» Light s’incespicò di proposito sulle parole, per dare l’aria di una persona che non aveva la più vaga idea di che cosa stesse parlando. «E poi perché dovrebbe interessarmi il nome di L, per di più in questa situazione? Io non sono Kira.»
Un sorriso scaltro germogliò sulle labbra di B. «Non ho mai insinuato che lo volessi sapere perché sei Kira.» Si arrovellò il labbro inferiore con il pollice. «Siete amici, no? Gli amici dovrebbero essere sinceri gli uni con gli altri.» Ghignò in modo raccapricciante, aguzzo. «Te lo chiedo di nuovo, Light-kun: vuoi sapere qual è il suo nome? Dimmi di sì e non solo te lo dirò, ma ti lascerò pure andare.»
Light esaminò tutte le combinazioni possibili ed immaginabili nella sua testa se avesse scelto di rispondere affermativamente.
Era sufficiente per incriminarlo, o avrebbe potuto avvalersi della scusante che B gli aveva servito su un piatto d’argento nel caso in cui fosse risultato sospetto?
Scorse il volto di L, ed era pronto a giurare che la tonalità della sua pelle si era fatta più bianca di almeno una gradazione, sebbene sembrasse umanamente impossibile.
Quella fu la conferma che B non stava mentendo quando diceva di conoscere il suo vero nome, ma era altrettanto vero che Light non aveva garanzie che glielo avrebbe rivelato una volta esternata la volontà di volerlo conoscere.  
Si trovava ad un bivio. E qualsiasi sentiero avesse deciso di imboccare sarebbe stato un grande rischio.
Quando l’ago della bilancia pendette più da una parte rispetto all’altra, Light non tardò a far conoscere il suo responso.
«No, non m’interessa.»
Percepì l’incurvamento verso l’alto degli angoli della bocca di B dissolversi non appena elaborò la sua risposta negativa.
«Che delusione, Light Yagami. E io che credevo che fossi pronto a tutto pur di…» Non concluse la frase perché si liberò in uno sbuffo pesante. «Così mi costringi a passare al piano successivo.»
In men che non si dica, Light si ritrovò il coltello che B aveva usato precedentemente su L serrato alla carotide.
I suoi occhi caramello strabuzzarono e, per la prima volta da quando aveva realizzato di essere sotto sequestro, un moto di vera paura lo scosse.
«Perché lo fai?» domandò in un verso soffocato, stando attento a non dimenarsi se non voleva essere il fautore della sua stessa morte. «Cosa speri di guadagnare se mi uccidi, eh? Dimmelo!»
Ti ammazzo, bastardo. Giuro che ti ammazzo!” gridava nel frattempo belluina la voce dentro di sé, e Kami-sama solo sapeva quanto avrebbe voluto soddisfare quel desiderio. Strangolare quell’essere con le sue mani ed assistere crudelmente alla luce fievole venirgli meno nelle pupille.
«Cosa spero di guadagnarci, mi chiedi?» reiterò B, senza occultare la sua perplessità. Rise meschinamente, scendendo poi a bisbigliargli al padiglione auricolare: «perché non provi a dare un’occhiata davanti a te?»
Light avrebbe voluto abbaiargli contro le peggiori minacce di morte, ma non poteva, non con un’arma puntata alla gola; perciò ingerì per l’ennesima volta il suo orgoglio e fece come gli era stato intimato.
Ciò che vide ebbe del surreale.
L’avvallamento della fronte, le sopracciglia che pendevano verso il basso e i denti leggermente digrignati: quelli erano i segni inequivocabili di una persona adirata.
Peccato solo che quella persona fosse L.  
L, che stava manifestando ed era in grado di manifestare rabbia.
Oh, no” rifletté Light, le labbra dischiuse per lo sconcerto. “No, non mi venire a dire che…
B aveva dichiarato di conoscere il punto debole di Ryuz–no, di L, perché L era stato imprudente di fronte alle telecamere.
Aveva mostrato affetto. Un affetto reale, e non artefatto come Light aveva sempre creduto.  
Nelle ore precedenti quella scoperta sarebbe stata la sua arma vincente. In quel caso, invece, era la sua peggior condanna.
B voleva vendicarsi di L e avrebbe affondato il coltello dove faceva più male.     
A dispetto del pensiero che aveva appena elaborato nella testa, B lo scagionò dalla sua stretta ed arretrò, detonando in una risata che definire appagata sarebbe stato un eufemismo grande come un grattacielo.
Rise così tanto che finì per incurvarsi in avanti più di quanto non fosse già, le braccia circuite all’addome.
Quando finalmente mise un freno a quelle risate avvizzite, si diresse nuovamente verso L con una camminata a tratti oscillante, quasi come se fosse stato ubriaco. Cosa che probabilmente era, ma di compiacimento.
Una volta raggiunto, gli raccolse il volto marmoreo tra le mani e lo obbligò a volgere il capo nella sua direzione. «Non puoi capire quanto mi piaccia vederti così, L» soffiò con eccitazione a pochi millimetri dalle labbra, e Light venne attraversato da una fitta di orrore all’idea che avrebbe potuto annullare quella breve distanza che li divideva.
«Trovo che la tua ossessione nei miei confronti sia a dir poco deprimente» fece L monocorde. «Non hai mai pensato di trovarti un passatempo alternativo, B?»
«Deprimente?» chiese l’altro, e Light avvertì una nota destabilizzata nel suo tono di voce.
L la ignorò volutamente, continuando: «Anzi, ora che ci ho ragionato più a fondo penso che patetico sia più approp–»
B gli sferrò un pugno in pieno volto, impedendo ad L di concludere la frase.
Quest’ultimo si lambì con la punta della lingua il rivolo di sangue che aveva iniziato a colargli da un angolo della bocca. «Colpire una persona che non si può difendere…» mormorò, ricollocando il capo in verticale, «è sleale, persino per te.»
B caricò un altro colpo. Questa volta non si infranse sul viso del detective, ma rimase lì. A mezz’aria. Immobile.
Dopo un breve istante, B si decise a portarsi la mano incriminata alla bocca, addentandosi l’indice. «Mi sono intrattenuto più del dovuto» affermò quasi sovrappensiero, lasciandosi andare poi ad un mezzo riso strozzato. «Voglio lasciarvi del tempo per riflettere.» Sorrise lugubremente da sopra una spalla. «Specialmente a te, Light-kun. Sai, semmai dovessi cambiare idea.»
Light lo dardeggiò con lo sguardo e questo non fece altro che far ampliare il suo sorriso.
A parte chiosare un “presto arriverà qualcuno a portarvi da mangiare”, B non aggiunse altro.
Si dileguò dalla stanza, lo spettro delle sue risate che li accompagnarono fino a quando non si chiuse la porta alle spalle, lasciandoli soli.
Si poteva dire che quella fosse la quiete dopo la tempesta, tuttavia entrambi, guardandosi, ebbero la netta sensazione che, dopo quella calma inattesa, sarebbe sopraggiunta una nuova tormenta, più potente rispetto alla precedente.
«Immagino tu abbia delle domande da pormi» intervenne L ad un certo punto con una disinvoltura indubbiamente forzata.  

Per uscire indenne da quella situazione, Light doveva escogitare un piano.
E al più presto.
Occhieggiò L da sotto le ciglia folte, le labbra ridotte a due linee sottili. «Ne ho diverse, in realtà; ma ce n’è una che mi preme particolarmente.» Fece fatica a trattenere il veleno quando proseguì con imperiosità: «Spiegami chi diavolo è B.»


 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Scleri pre-capitolo: Okay, questo capitolo è stato ufficialmente un parto. Mi auguro davvero che non sia venuto fuori una schifezza perché non lo sopporterei. (?) No scherzo, però giuro che è stato difficile scriverlo. L’ostacolo maggiore è stato senza dubbio gestire L e Light che iniziano a dirsi la verità su certi aspetti. Con loro bisogna andarci con i piedi di piombo, decidere i tempi giusti, ponderare le loro parole…una faticaccia, in sostanza; ma non voglio scocciarvi con i miei problemi esistenziali, perciò vi lascio procedere con la lettura nella speranza che possiate gradire e che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Intanto i miei ringraziamenti vanno a Relie_Diadamant e Marlena_Libby per aver recensito il capitolo precedente. Grazie di cuore. <3 E un grazie va anche a coloro che hanno inserito questa storia nelle preferite/seguite/ricordate. 
See you next time!
P.s: Ho creato la mia pagina su Facebook. Non so se sia stata una buona idea, ma intanto vi lascio qua l’indirizzo: 
https://www.facebook.com/96hollienefp/?modal=admin_todo_tour
Disclaimer: I personaggi di Death Note non mi appartengono, ma se mi appartenessero quei componenti ingrati della Task Force avrebbero ricevuto la mia giustizia divina - *strizza un occhio a Light* - per aver snobbato L e aver dato bado a Near. Tzè.  
 


Prisoners


Capitolo III





«Spiegami chi diavolo è B.»
Ad essere onesti, Light non avrebbe voluto che uscisse come un imperativo, per di più così irruento. Non era il tipo di persona che si faceva sopraffare dall’ansia, ma quella situazione si stava rivelando più snervante di quanto avesse messo in preventivo.
Si era trovato un coltello alla gola, maledizione.
Non si era mai sentito così vicino all’altro mondo come in quel frangente, nemmeno stando incatenato ventiquattro ore su ventiquattro per ben due mesi alla persona che aveva giurato di scovarlo e che aveva la piena autorità di condannarlo alla pena di morte.
Era paradossale che stando vicino ad L, invece di percepirsi in pericolo costante, Light si sentisse quasi al sicuro. Probabilmente era dato dal fatto che il Detective fosse un elemento totalmente imprevedibile e che, di conseguenza, averlo sotto il suo occhio vigile gli permetteva di avere un controllo che gli sarebbe stato impossibile avere se fossero stati distanti.
Non avrebbe pensato la stessa cosa tempo prima. Di sicuro non quando L si era presentato improvvisamente all’Università, dichiarando di essere l'investigatore che gli stava dando la caccia.
Ricordava ancora i tripli salti carpiati che gli aveva fatto il cuore nel petto e l’immensa fatica che aveva fatto nel rimanere impassibile sebbene il suo acerrimo nemico gli fosse seduto di fianco, pronto a scrutare ogni minima avvisaglia che avesse lasciato intuire della colpevolezza.
Avrebbe meritato un premio per come se l’era giocata magistralmente nonostante i nervi a fior di pelle.  
Scacciò lontano quei pensieri tramite un impercepibile scrollo delle spalle.
Per quanto lo facesse sentire meglio, non era il momento di autoelogiarsi per le sue innate doti attoriali. Aveva bisogno di tutta la sua concentrazione sulla situazione attuale per cercare di capire come scampare ad un’eventuale morte precoce.  
Ciò che era certo era che Light non poteva permettersi di morire. Il suo lavoro sarebbe rimasto incompiuto e nessuno sarebbe stato all’altezza di prendere in mano la sua eredità.
Come se non fosse tutto già abbastanza critico, l’unica persona che avrebbe avuto le redini del potere di Kira dopo la sua dipartita sarebbe stata Misa.
Non solo lei”, gli suggerì una vocina remota nella sua mente. “Anche B.” 
Per l’amore del cielo, rifletté Light con il muscolo cardiaco che gli galoppava come un cavallo imbizzarrito nel torace. Se già lo preoccupava ciò che avrebbe potuto combinare Misa senza il suo ausilio, chissà cosa avrebbe potuto fare quel folle. 
«È una mia vecchia conoscenza», si decise a rispondere L dopo una lunga pausa di riflessione. Evidentemente non aveva riflettuto abbastanza perché non gli disse nulla di cui non fosse già al corrente.
«È tutto quello che hai da dire?»
L annuì placidamente con il capo. «È tutto ciò che c’è da sapere.»
«Mi prendi in giro?» domandò stralunato. «Se non lo avessi notato, questa tua vecchia conoscenza ha in mente di ammazzarci.»
Il suo interlocutore gli scoccò un’occhiata interrogativa. «E cosa puoi fare tu per cambiare la situazione, Light-kun?» lo incalzò. «Servirti dei tuoi poteri da Kira?»
Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non inveire che , lui era Kira e se solo non fosse stato così cocciuto gli avrebbe detto come si chiamava quel maledetto energumeno.
Optò per rispondere in altro modo, alla fine.
«Non vuoi avere pietà di me nemmeno in questa circostanza?» sussurrò, abbassando lievemente la testa.
Quel tono di voce rammaricato non gli fece ottenere l’effetto sperato, anzi. «Tu ne hai avuta per i criminali che hai ucciso?»
«Io non sono Kira!» esclamò Light con esasperazione, gli occhi che sembravano sputare lingue di fuoco per quanto erano traboccanti di collera. Non riusciva a credere che nonostante la situazione in cui si trovavano quell’idiota insensibile avesse ancora voglia di dibattere sul discorso. «Sono stanco di ripeterlo» proseguì poi, scuotendo il capo con amarezza.
L’altro fece ciondolare la testa corvina su un lato. «B sembra pensarla come me», disse con incuranza.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere – sarebbe stato così utile in quell’istante –, L si sarebbe già trovato tre metri sotto il terreno, possibilmente quello più fangoso e putrido.  
«Ti fidi delle illazioni di un pazzo?»  
«Errato. Mi fido delle mie. Se poi vengono avvalorate tanto meglio. Nonostante la sua pazzia, B ha una mente brillante; perciò–»
«Dacci un taglio, L.»
Light non avrebbe ascoltato quelle idiozie un minuto di più.
Come poteva lodare con quella serenità un tizio che aveva minacciato di tagliare ad entrambi la gola una decina di minuti prima?
A lui non si azzardava a fargli un complimento neanche per sbaglio e, quando lo faceva, sembrava più una presa per i fondelli che un apprezzamento.
La giustificazione che L gli aveva fornito quando lo aveva affrontato sul discorso era stata: “Non c’è bisogno di incrementare ulteriormente il tuo ego”, ed era morta lì, perché la fetta di torta alle fragole aveva vinto la sua piena attenzione mentre Light era stato miseramente “cestinato”.
«Ryuzaki» si sentì correggere, ma vide L pentirsene repentinamente, tantoché andò a ghermirsi il labbro inferiore con i denti.
Ormai il danno era stato fatto e Light non perse tempo a rincarare la dose, un sorriso fasullo stampato sulle labbra. «Noto che ci tieni particolarmente a farti chiamare con il nome di un assassino.»
Se l’intenzione di L era quello di svilirlo, lui avrebbe fatto altrettanto, senza farsi alcuno scrupolo.
L, in risposta, incassò il capo nelle spalle come una tartaruga. «È il mio retaggio.»
Light percepì la rabbia che gli aveva avviluppato lo stomaco assopirsi nel suo stomaco, come se gli avessero gettato sopra una secchiata d’acqua. «Il tuo retaggio?» mormorò, cercando di decodificare che cosa potesse voler intendere.
L’altro annuì nuovamente, facendo svettare lo sguardo onice verso il soffitto. «Se B è diventato ciò che vedi è solo perché non sono stato in grado di salvarlo quando avrei dovuto.»
Le labbra di Light si dilatarono per lo sconcerto. O era impazzito definitivamente, o L aveva appena fatto un’ammissione di colpa. Sincera e umana, per di più.
L dovette scrutare con la coda dell’occhio la sua espressione attonita perché gli angoli della sua bocca slittarono appena verso l’alto. «Mi sembri stupito, Light-kun», commentò. 
Light assentì a stento con la testa. «Come potrei non esserlo?» gli chiese, senza pretendere una risposta in cambio. «Hai appena ammesso di aver fallito in qualcosa.»
«È la prima volta che lo ammetto ad alta voce.» Lo osservò far calcare le dita dei piedi sul pavimento, come per scaricare la tensione. «Ti sembrerà impossibile, Light-kun, ma da adolescente ero ancora più distaccato di quanto non sia adesso.» 
Non ci credo.” Erano quelle le parole che dibatterono per fuoriuscire dalle corde vocali di Light, ma si costrinse a rimanere in silenzio.
Qualsiasi sillaba di troppo avrebbe potuto compromettere la possibilità di ottenere delle risposte dal detective, il quale non sembrava più restio come qualche minuto prima a rivelare dei dettagli sul loro sequestratore.
Mentre attendeva che L proseguisse con le delucidazioni, la mente di Light si soffermò a riflettere su una parte della dichiarazione del detective.
Aveva parlato di adolescenza come se fosse una fase della sua vita lontana, il che significava che l’aveva superata, forse anche ampiamente; ma, se era davvero così, significava che gli anni che li dividevano erano più di quanto credesse.
Nel tempo, Light aveva stimato che li distanziassero un paio di anni al massimo. L’aspetto fanciullesco di L, poi, non aveva fatto altro che rafforzare quell’idea. A quanto pareva aveva preso un grosso granchio. 
Come se gli avesse letto nel pensiero, L s’interpose tra i suoi ragionamenti dicendo: «Ho meno di trent’anni, se ti interessa saperlo.»
Lo fece sorridere il modo in cui il Detective si era affannato – per quanto fosse possibile affannarsi per un’ameba come L – a difendere la sua giovane età.
«Eri preoccupato che ti avrei considerato un vecchio?» interrogò Light, ridacchiando sommessamente.
«Converrai anche tu, Light-kun, che esser considerato sia “vecchio” che “pervertito” possa nuocere gravemente alla mia reputazione.»
Avrebbe voluto replicare che la sua apparenza era più che sufficiente a rovinare la sua fama.
Non lo disse. E questa volta, stranamente, non fu perché era una frase che avrebbe potuto aumentare la sua percentuale di essere Kira, ma perché non lo pensava davvero.  
L non era brutto, o meglio: non lo era nel senso comune del termine.
Aveva il colorito di un cadavere, degli occhi che potevano fare concorrenza a quelli di un panda e la schiena incurvata per colpa delle sue pessime abitudini posturali, ma non era brutto.    
Era trasandato ai limiti del legale, quello sì.
Light non sarebbe uscito fuori di casa nemmeno con l’estremità di un’unghia conciato in quel modo sciatto.
Per lui, l’apparenza era il biglietto da visita che gli garantiva di entrare nelle grazie di chiunque lo circondasse. Non aveva bisogno di curarsi eccessivamente visto che la natura gli aveva regalato un aspetto più che avvenente per un giapponese; inoltre, avendo ricevuto un’educazione esemplare, era in grado di comportarsi esattamente come la società si aspettava che si comportasse in qualsiasi situazione.
Aveva ereditato la compostezza di sua madre e il carisma di suo padre, il miscuglio perfetto per ingraziarsi il mondo intero. Già, tutti tranne il giovane uomo che lo stava fissando con le sue iridi profonde ed imperscrutabili come l’acqua torbida di pozzi che non conoscevano fine.
Tra i suoi innumerevoli talenti, Light era in grado di comprendere la psicologia delle persone. Se così non fosse stato non sarebbe mai stato in grado di raggiungere i risultati che aveva ottenuto da quando era entrato in possesso del quaderno; eppure L era così lontano da lui. Dalla sua percezione.
Quando credeva di averlo finalmente capito, spogliato delle sue apparenze – perché era appurato ormai che, come lui, anche L calzava delle maschere a seconda delle occasioni – in realtà era ben distante dall’averci veramente capito qualcosa. 
Lo gettava in un circolo di frustrazione senza fine, ma allo stesso tempo non poteva che essere affascinato dal suo nemico giurato.
Se fosse stato facile, non ci sarebbe stato nemmeno gusto.
Percependo di esser rimasto in silenzio per troppo tempo, Light trasse le sue considerazioni. «È la prima cosa che mi riveli di te.» Avrebbe fatto un gesto espositivo con la mano, ma non gli fu possibile. «La tua età, dico» specificò.
Era vero che non gli aveva svelato la sua età esatta, ma adesso, perlomeno, sapeva dove collocarlo, ovvero tra i ventiquattro e i ventisette anni.
«È incorretto», replicò asciutto L. «Ti ho detto che ho vissuto per cinque anni in Inghilterra.»
«Hai detto che è impossibile risalire all’identità di L partendo da lì.»
«E tu vuoi risalire alla mia identità.»
Non si trattò di una domanda, ma Light fece un cenno affermativo con il capo. «Sì.»
Il dilatamento degli occhi del suo interlocutore fu tutto un programma, oltre che estremamente comico. Coglierlo in fallo lo dilettava, ma non poteva perdere tempo dietro a quelle sciocchezze, perciò proseguì: «ci conosciamo da un anno e mezzo, e mentre tu sai tutto di me, io non so niente di te.» Fece ciondolare il capo su un lato. Era stufo di ripetere gli stessi movimenti, ma d’altronde non aveva ampio spazio per gli spostamenti. «Non trovi che sia iniquo?»
Dopo aver analizzato le sue parole, L scrollò le spalle. «Non è iniquo. Tu sei il mio sospettato.» Fu tutto quello che replicò, come se quella risposta potesse essere sufficiente.
Poteva esserlo, potenzialmente. Ma non per Light.       
«Potremmo essere entrambi morti entro oggi, L.» Quest’ultimo non contestò. Né il suo nome, né tantomeno le sue parole. «Cosa cambierebbe?»
Era ovvio che non avrebbe lasciato che quel folle di B lo uccidesse con quella facilità, ma non c’era bisogno che L venisse a conoscenza delle sue macchinazioni. In più, Light era certo che il loro sequestratore stesse seguendo quello scambio di battute, perciò sarebbe stato da idioti rivelare il suo piano. Un piano di riserva che avrebbe attuato solo se la situazione avesse preso la piega più estrema.
Light intravide il seme del dubbio impiantarsi nella mente del suo rivale, ma non seppe definire fino a che punto.
«Non ti dirò il mio nome, Light-kun.»
Che risposta scontata” pensò, esibendo una smorfia. «Tu non sei solo il tuo nome.»
«È come se lo fossi.»
Non lo disse con sofferenza, anzi. Il tuo tono rimase sprovvisto di ogni emotività, eppure Light percepì ugualmente una fitta di amarezza fendere l’atmosfera.
Fece per aprire bocca, ma L lo anticipò, ammutolendolo.
«Sono un orfano.»      
Non avrebbe dovuto stupirlo, per certi versi. Se non errava, aveva letto da qualche fonte – quando L lo aveva sfidato in diretta nazionale aveva cercato qualsiasi informazione possibile su di lui – che aveva risolto il suo primo caso importante a nove anni.
Nessun genitore avrebbe permesso al proprio figlio di invischiarsi in situazioni rischiose ad un’età simile.
Suo padre ancora faticava ad accettare che fosse coinvolto nel caso Kira, e lui ne aveva quasi diciannove, di anni. Per non parlare del fatto che era lui Kira, e che quindi, fino a prova contraria, non correva il pericolo di essere ucciso da se stesso.
«Mi dispiace» mormorò, e si sorprese della sincerità con cui lo disse. Benché si trattasse del suo nemico, non era così insensibile. Circa.  
«Non ti rammaricare, Light-kun.» Il Detective fece calamitare il suo sguardo plumbeo verso il soffitto sordido. «Non ricordo nemmeno i volti dei miei genitori, ma suppongo sia meglio così visto che sono morti entrambi.»
«Come?» si trovò a chiedere Light ancor prima che se ne rendesse conto. «Se posso chiedere», aggiunse successivamente.
Non era da lui essere così impetuoso, ma gli capitava spesso e malvolentieri di uscire dai suoi schemi quando L era coinvolto.
«Sono stati uccisi» spiegò laconico e neutrale come solo lui sapeva essere quando raccontava un evento spiacevole. «Facevano parte della malavita, e in quel tipo di giri, a meno che tu non sia il capo, non sei destinato a vivere a lungo. E così è stato.» Fece scendere lo sguardo sulle dita dei piedi, le quali subirono una contrazione. «I topi piccoli sono sempre i primi a morire.»
Dire che Light rimase esterrefatto di fronte a quella rivelazione sarebbe stato un eufemismo.
L’investigatore più famoso al mondo, detenente del titolo dei tre detective più rinomati…figlio di due criminali.
Non sarebbe stata una storia piacevole nemmeno se raccontata di fronte ad una tazza di caffè.
«Mi dispiace» ripeté di nuovo, ma stavolta non fu sentito come in precedenza per una ragione ben precisa. Una ragione che L colse istantaneamente. «Dici davvero, Light-kun?» “Dopotutto erano persone malvagie. Quelle che vorresti estirpare dal mondo.
Di fronte a quell’implicazione di fondo, la fronte di Light subì un avvallamento. «Se dicessi di sì, crederesti comunque a ciò che vuoi tu, dico bene?»
«Certamente» affermò L con una faccia su cui avrebbe stampato volentieri un pugno se solo non avesse avuto le mani legate – le corde erano talmente strette che il sangue fluiva a fatica nei vasi.
L’unica cosa che riconosceva al suo “alter-ego” senza ricordi era che avesse trovato il coraggio di far coincidere le sue nocche al volto di L ogni volta che sorpassava il limite – poi se le prendeva di santa ragione anche lui, ma ne valeva assolutamente la pena.
Quando la parola “bastardo” fu sul punto di eludere le sue corde vocali, Light la rispedì nello stomaco per l’ennesima volta da quando aveva fatto la spiacevole conoscenza del Detective.   
«Quindi sei stato adottato, suppongo.»
Fece virare il discorso dove desiderava lui, e incredibilmente il divoratore seriale di dolci continuò a dargli corda.
Benché fosse alquanto sospetto come atteggiamento, decise di non curarsene.
«Esattamente.»
«Da…?»
«Un orfanotrofio.»
Le sue sopracciglia brune cimarono. «Mai da una famiglia?»
Scosse ripetutamente il capo da sinistra a destra. «Se avessi avuto un aspetto promettente come il tuo, Light-kun, sarei stato senz’altro la prima scelta.» Ecco. Erano in momenti come quelli che Light non riusciva a capire se L lo stesse prendendo bellamente per i fondelli o se gli stesse facendo un complimento; ma conoscendo l’elemento, era molto più probabile la prima opzione. «Ero strano. Diverso. E i bambini diversi non piacciono a nessuno.»
Light si obbligò a masticare un “non è vero.”
Su che base poteva affermare che non lo fosse? Lui aveva una famiglia. Una famiglia che lo amava incondizionatamente. Persino i genitori dei suoi cosiddetti amici si recavano dai suoi, di genitori, dicendogli che avrebbero tanto voluto un figlio impeccabile ed educato come lui.
«In ogni caso, io una famiglia ce l’ho» dichiarò L, prendendolo in contropiede. «Senza, non sarei mai diventato il detective che sono oggi.»
Light rimase con la bocca socchiusa per un istante quando colse la breve ombra di un sorriso genuino attraversargli le labbra; dopodiché gli sfuggì una mezza risata nasale che gli fece ottenere un’occhiata disorientata.
«Cos’è che ti fa ridere, Light-kun?»
Scosse brevemente il capo. «Niente, è solo che…» Cercò di pescare dalla sua mente le parole più adatte per esprimere ciò che pensava. «Ti stai rivelando molto più umano di quanto potessi credere.»
«Io sono sempre molto umano», controbatté l’altro quasi indispettito.
«Dipende dai punti di vista», obiettò a sua volta. «Per me è disumano che una persona ti svegli alle tre di mattina perché ha voglia di divorarsi una cheesecake intera.»
Quante volte era stato costretto a sorbirsi l’odore nauseabondo di dolce a quell’orario improponibile. Lo aveva già detto che odiava le cose zuccherate?
L alzò le spalle. «A me sembra perfettamente normale.»
Suo malgrado, Light si trovò ad abbozzare un sorriso. Era piuttosto certo che il se stesso che aveva vissuto quelle circostanze avrebbe tanto voluto che L ci si strozzasse con una fragola. Almeno avrebbe recuperato gli arretrati di sonno che aveva per colpa di quell’insonne. 
«Come ho già detto: punti di vista.»
Non era opinabile, a dire il vero; ma decise di sorvolare perché la conversazione stava andando fuori rotta.
Mentre rifletteva sul come ottenere nuove informazioni su di lui e su B, le parole di quest’ultimo s’incunearono nella mente di Light, così come la reazione che era riuscito a scaturire in un essere apparentemente amorfo come il Detective.
«Dimmi un’altra cosa,» mormorò non appena si convinse ad accantonare momentaneamente i suoi piani originali: «cos’era quella reazione?» 
L sollevò un sopracciglio inesistente. «Temo dovrai essere un po’ più specifico di così, Light-kun.»
Light non seppe dire se stesse interpretando la parte del finto tonto o se davvero non aveva capito a cosa stesse facendo riferimento. Per fugare ogni dubbio, andò dritto al punto. «Sto parlando di quando B mi ha puntato il coltello alla gola.»  
«Oh,» sillabò L, trascinandosi quella vocale per un paio di secondi con fare teatrale, provocandogli un moto di irritazione. Di certo non aveva un futuro come attore. «Perché sei mio amico, Light-kun. Ci tengo alla tua incolumità.»
La fronte di Light venne attraversata da un fremito. Quella storia dell’amico cominciava a dargli sui nervi. «Ma tu credi che io sia Kira» rimarcò, come se quel fatto fosse sufficiente a confutare l’affermazione del Detective.
«Sì.»
«E saresti pronto a mandarmi al patibolo.»
L assentì nuovamente con il capo.
«Come puoi dire che tieni alla mia incolumità, allora?» sbottò, snudando i denti. Era un controsenso unico.
Lo sguardo torbido di L si fece inflessibile. «Te l’ho già detto, Light-kun: non metto davanti i miei sentimenti alla giustizia. Sono un suo servitore, e fintanto che avrò respiro nel petto non smetterò di perseguire il giusto.»
Dopo un momento di silenzio, Light si abbandonò ad una risata priva di gioia. «E io che ho pensato fossi umano» sibilò, e a quanto pareva dovette colpirlo su una ferita già aperta perché le labbra del suo interlocutore si ridussero a due linee sottili. «Non biasimo B per–»
«Non mettere bocca su cose che non ti riguardano, Yagami-kun. Tu non sai niente di me e B.»
L’aperta ostilità di L nei suoi confronti, così come il fatto che tornò a chiamarlo come era solito fare all’inizio della loro conoscenza, fu come ricevere un gancio destro in pieno volto.
«Allora dimmelo» stridette imperioso, i morsi della rabbia che gli stavano tormentando lo stomaco. «Dimmi chi è lui per te.»
L sembrò prendersi una pausa di meditazione prima di reclinare il capo e avere la sfrontatezza di chiedere: «È gelosia quella che avverto, Light-kun?»
Gelosia.
Gelosia.
Gelosia.
Quella parola echeggiò nel suo cervello come un mantra, lasciandolo frastornato.
Lui…geloso? Di cosa? In che senso? Certo, gli faceva accartocciare l’intestino il pensiero che il suo avversario potesse avere un rivale che temesse più di quanto temesse lui, ovvero Kira; ma era ben lontano dall’essere geloso. Lontano anni luce.
Rise, perciò. «Che razza di castelli ti sei costruito nella testa, L?»
«Nessun castello. La mia era mera curiosità.»
«Beh, hai fatto un grosso buco nell’acqua,» fece con una punta di petulanza. «Le tue abilità deduttive cominciano a fare cilecca.»
L scrollò le spalle. «Sarà.»
Le sopracciglia di Light pendettero verso il basso.
Come osava insinuare che non stesse dicendo il vero? Light Yagami aveva sempre ottenuto tutto ciò che desiderava dalla vita ancora prima che sapesse di desiderarlo, perciò non aveva alcun motivo di provare un sentimento tormentoso come la gelosia.   
«Dopotutto non mangio dolci da una quantità indefinita di ore e sono costretto a stare seduto in questa posizione assolutamente inadeguata per la mia persona» proseguì con le sue considerazioni L, «ma da B non potevo che aspettarmi questo.»
Improvvisamente Light venne colto da un’illuminazione che non tardò a palesare.
«Siete cresciuti insieme» dichiarò, senza porlo sottoforma di quesito. L, di fronte alla sua asserzione repentina, indirizzò lo sguardo su di lui, senza tradire alcuna emozione. «Sì, non può essere altrimenti. Entrambi siete cresciuti nello stesso orfanotrofio dove, a quanto pare, hanno l’abitudine di attribuirvi una sola lettera. E ha parlato anche di un certo A...» Era immerso nelle sue analisi e, quando lo era, non c’era niente che potesse frenare quel flusso di ragionamenti. «Non si tratta di un orfanotrofio normale, dico bene? Hai detto che B ha una mente brillante, perciò deduco che accolga solo bambini di una spiccata intellettualità.» Gli sfuggì una breve risata che non voleva essere caustica, ma che uscì come tale. «Cos’è? Un allevamento di piccoli orfani prodigio fatti in serie per farli diventare dei detective come te?»
Il silenzio di L alluse al fatto che avesse fatto centro.
I lembi rosei di Light si divisero.
Dire che quella scoperta non lo allietò era a dir poco riduttivo perché, in buona sostanza, anche se fosse riuscito a sbarazzarsi di L, avrebbe avuto qualcun altro alle calcagna, pronto a mettere i bastoni in mezzo alle ruote del suo impero. 
Ma io non voglio nessun altro che non sia L.”
Per un attimo, Light percepì un battito più energico degli altri tambureggiargli nel petto.
Cos’era stato quel pensiero? Da dove era saltato fuori e con quale autorizzazione si era imposto nella sua mente?
Era pura follia pensare che lui volesse L. O magari poteva volerlo, ma come suo rivale. E lui soltanto. Motivo per il quale non avrebbe permesso a nessun altro di interferire, o di sostituirlo in caso fosse stato lui a vincere; perché non doveva dimenticare che vincere significava l'inevitabile morte di L.
Light chiuse le mani a riccio, conficcandosi le unghie nei palmi. Dopodiché saldò le iridi a quelle plumbee del Detective, immaginandosi per una frazione di secondo come sarebbe cambiata la sua esistenza una volta che quest’ultimo non ci fosse più stato.
Non era che non avesse mai immaginato la sua dipartita, tuttavia quella realtà non gli era mai sembrata così vicina e concreta. 
Venne distolto da quello scenario dall’ingresso di un uomo tarchiato, tatuato in diverse zone del corpo, non troppo alto, calvo e dai lineamenti decisamente europei. Tra le mani nerborute stringeva un vassoio con sopra due piccole ciotole dai ricami orientali, quelle che presumibilmente dovevano contenere qualcosa da mangiare per loro.
B non aveva mentito, dunque; ma, si chiedeva Light, a quale scopo procurargli da mangiare se quello che voleva ottenere era una vendetta su L? Voleva prolungare la loro permanenza in quella sottospecie di sotterraneo in cui li aveva rinchiusi per godersi il loro lento logoramento?
Le possibilità erano infinite e Light, non avendo ancora stilato un prospetto chiaro su B, non era in grado di stabilire quale tra le sue ipotesi fosse quella giusta.
Dannazione. Gli sarebbe bastato così poco per farlo fuori e levarsi da quell’impiccio: un nome e abbastanza spazio per riuscire a mettere mano sul pezzo di Death Note recluso nel suo orologio. 
Era stata una fortuna che non glielo avessero tolto.
L’intruso non spiaccicò una sillaba. Si limitò ad avanzare nella loro direzione per poi depositare sul pavimento, esattamente in mezzo fra lui ed L, ciò che teneva tra gli organi prensili.
Doveva trattarsi di uno scherzo, pensò Light stralunato. Come diamine pensava che sarebbero riusciti ad avvicinarsi alle pietanze legati alle sedie com’erano?
Non fece in tempo a dischiudere le labbra e commentare aspramente le sue azioni che si sentì strizzare improvvisamente il volto nella presa ferrea e callosa dell’uomo.
Sgranò gli occhi mentre quest’ultimo si chinò alla sua altezza, scoprendo i denti giallognoli e acuminati. «E quindi sarebbe questo qui il bel faccino che ha ucciso mio fratello?» alitò, rivelando un forte accento americano. 
«Oh, beh: sarò ben contento di farlo a pezzi.» 
Da quel momento in poi fu una lenta e inesorabile discesa nell’oblio.




 

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Note finali: Il rating potrebbe alzarsi nel prossimo capitolo e potrebbero essere aggiunti dei nuovi "warning".   

 

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