3 thing cannot be long hidden the sun, the moon and the truth

di ArwenDurin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Premessa:
questo racconto sara suddiviso in 3 capitoli da diversi pov, quindi è per questo che anche se così corto, ha un capitolo a sè

 
 
"I was there for you before.
I’ll be there for you again
I’ll always be there for you."



Il suono della macchina riproduceva un bip regolare e non vi era nessun rumore, così l'uomo di fronte a quel letto di ospedale poteva sentire il suo respiro pesante, anche se cercava di cancellarlo e celarlo inutilmente.
Avrebbe dovuto saperlo, continuava a rimproverarsi nella sua mente, l'aveva visto d'altronde dopo il matrimonio, lui si era fatto trovare nel suo appartamento e aveva visto i suoi occhi contornati di rosso, il tremolio leggero del suo corpo…i segnali di un cuore spezzato. Glielo aveva detto, l'aveva avvertito, ma suo fratello era tutt'altro che saggio quando si trattava del suo migliore amico.
Eppure, avrebbe dovuto prevederlo.
Ma era sfuggito al suo controllo e con i "se" o i "ma" non andava da nessuna parte, era inutile rimpiangere il passato. Le emozioni non potevano trapelare mai da lui, non erano nient'altro che un segno di debolezza, e piuttosto svantaggiose nel suo lavoro; eppure un magone era appollaiato lì nel suo stomaco, e non voleva andarsene.
Chiuse gli occhi per un secondo, avvicinandosi poi alla testa riccioluta dell'uomo sul letto.
«Oh fratellino, che cosa hai combinato?» Un sussurro flebile che rimbombò in quel silenzio, e soltanto quando uscì dalla stanza riuscì a tirare un sospiro, cercando di scacciare, opprimere, e spazzare via quell’opprimente sensazione che lo stava soffocando. Improvvisamente , sentì prima di vedere, chi stava per arrivare e il volto di Mycroft si contrasse per qualche secondo, non meravigliandosi di trovare il dottor Watson che piuttosto trafelato, lo aveva raggiunto.
«Come sta?»
Non si perse nemmeno nei saluti, il respiro quasi gli mancava per aver corso persino più del previsto ma non importava, nulla era più importante, piuttosto deducibile.
«È stabile, i medici sapevano quello che aveva preso... è una nostra regola, Sherlock lascia sempre una lista.»
John scosse il capo contrariato, un sorriso di rabbia gli deformò il volto.
«Devo vederlo.»
La preoccupazione era percepibile nella sua voce, ma  Mycroft si ergeva davanti alla porta senza un accenno di volersi spostare da essa, tra lui e il punto debole di suo fratello. Avrebbe potuto allontanare John da Sherlock se avesse voluto, ma a quale scopo? Certo, era colui che sconvolgeva l’equilibrio e lo stato emotivo del fratello, ma non poteva più farci nulla oramai, erano troppo legati. O John o la droga, e il maggiore degli Holmes preferiva di certo la seconda opzione, oltretutto il dottor Watson era un brav’uomo, di quelli di cui ti puoi fidare. E Mycroft lo faceva, doveva farlo per essere corretti, perché lui era necessario ed era l’unico di cui Sherlock si fidava e inconsciamente, John era l’unico a capirlo davvero.
 Ma non poteva, ne voleva, allentare la protezione su Sherlock ragione per cui disse.
«Lei deve capire dottor Watson, che queste sono questioni familiari, dopo le sue recenti nozze e il suo ritorno da poco dalla luna di miele, potevo anche non chiamarla.»
John aggrottò le sopracciglia.
«Sarebbe stato inopportuno, non crede?»
Mycroft fece roteare l'ombrello, una smorfia attraversò il suo viso per qualche secondo.
«Inopportuno è un aggettivo interessante, se l'ho chiamata è per una ragione, non crede?»
«Credo che sia perché suo fratello è un pazzo!» Sentenziò, mettendosi in punta di piedi per riuscire a vedere Sherlock, e Mycroft lo lasciò fare lasciandogli un assaggio prima di ciò che sapeva che l’avrebbe sconvolto. Rimase fermo e calmo forse troppo per la pazienza limitata del medico che si innervosì, percepibile per come batté un piede e poi contrasse la mascella. Il maggiore degli Holmes avrebbe continuato a testare quanto tenesse a suo fratello, fin dove si spingesse ciò che lui dichiarava affetto nei suoi riguardi, e l’avrebbe fatto per più tempo se le circostanze fossero state diverse.
«Se ha qualcosa da dire, lo dica e basta!»
A quel punto gli occhi di Mycroft si tinsero di una luce scura, inquietante e ferma.
«L'ho fatto perché Sherlock più volte, sotto l'effetto della droga, ha chiamato il suo nome... dice di averlo fatto per un caso, sono state le sue parole ma c’è dell’altro: lei deve capire, mio fratello è un'anima piuttosto sensibile anche se fatica ad ammetterlo. Si è trovato da solo, e l'unico amico rimasto era la droga, ed ecco il risultato.»
«Ma non è da solo! Ha Molly, Greg...me.» John deglutì pesantemente e l’altro sorrise leggermente.
«Lei crede che con loro, ho fatto lo stesso giochetto che feci con lei al nostro primo incontro? Nessuno conta quanto lei per mio fratello, dottor Watson. Se lo ricordi.»
Del disappunto si impadronì del suo tono, e il suo volto si contrasse contro se stesso per aver lasciato trapelare ciò; lui che aveva un posto prestigioso nel governo inglese, controllava i servizi segreti, e poteva rovinare od alzare la reputazione di qualcuno, non riusciva a tenere "sott’occhio" suo fratello e quel dottore.
Non era riuscito a fermare la catastrofe, nonostante così prevedibile, nonostante tutto le emozioni umane soprattutto quelle sentimentali, erano sempre state fuori dalla suo comprensione, ciò gli era stato chiaro fin dall’inizio. In una vasca di pesci rossi, pronti ad accoppiarsi e cedere ai più vili desideri, lui era sempre stato qualcos’altro.
«Adesso voglio vederlo, quindi piazzi il suo risentimento da un'altra parte e mi faccia passare.»
Si impettì il militare posizionandosi di fronte a lui, e Mycroft vide perché Sherlock ne era così attratto, lo lesse nel luccichio dei suoi occhi blu, così tornò affabile e annuì, sposandosi dalla porta.
«Nessuno è esente da colpe, ma gli stavo solo spiegando la vitale importanza che lei ha per Sherlock. Vada pure, e vegli su di lui, per favore.»
Quel per favore, fu più un ordine che un invito, poteva fidarsi di John poiché nei suoi occhi poteva vedere qualcosa che non aveva mai capito, né visto, in nessun’altro luogo se non nell’essere vivente che era suo fratello: il cuore di Sherlock.


Angolo Autrice: 
Ciao a tutti! Sta fanfiction era ferma da un anno XD ma sono contenta di riuscire a riscriverla! Anche perché ho trovato recentemente una fanart che mi ha ispirato un’altra scena che metterò in altri capitoli eheh 😏
E sarà divisa in 3 capitoli in tre differenti POV, come dicevo su, ho voluto dividerlo così perché mi sembra più ordinata come cosa, piuttosto di tutti i capitoli assieme.
Il POV di Mycroft, pg che adoro! È la prima volta che lo scrivo, quindi spero di essermi avvicinata non dico di averlo fatto perfetto quantomeno, all’IC.
Mi scuso se ci saranno errori, ma non ho beta.
 
Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà! 💗 💗


 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


"Tell me what's been happening, what's been on your mind
Now I know, it's got a hold
Don't let go, keep a hold
If you look into the distance, there's a house upon the hill
Guiding like a lighthouse to a place where you'll be
Safe to feel at grace 'cause we've all made mistakes
If you've lost your way
I will leave the light on"
-Leave a Light On :Tom Walker
 


Fu un sollievo vedere finalmente Sherlock sdraiato da qualche parte, anche se sul divano e non sul letto dove testardamente si rifiutò di andare, poiché John stette in agonia per quell’ora in cui l’altro barcollò, anche se leggermente, quando salì le scale dell’appartamento.
E mentre lo guardava stando attento a ogni suo passo, rimanendo nella distanza appropriata per dargli la privacy, ma pronto a sorreggerlo in caso ne avesse avuto bisogno, si ricordò i giorni d’angoscia che passò e furono lì davanti ai suoi occhi per qualche istante.
 

La stanza era silenziosa e Sherlock era così inerme e fragile su quelle lenzuola, che sembrava affondare in esse e pian piano svanire, una visione che bloccò John per qualche istante con il cuore pesante e la vista improvvisamente annebbiata.
Gli ci volle qualche secondo prima che potesse riprendere il controllo del suo corpo.
«Sei un idiota.» La voce gli tremò ma non si fermò, strinse i pugni, chiuse gli occhi e continuò anche se l'altro era in overdose.
«Bastava una parola, una stupidissima frase e sarei venuto da te! Ma no, il grande detective vuole fare tutto da solo!»
Inspirò e decise che quella distanza era abbastanza, così si avvicinò e si sedette nella sedia accanto al letto, abbassò la voce rendendosi conto soltanto ora di aver usato probabilmente un tono troppo alto per un ospedale.
«Tu non sei solo Sherlock, anche se ti atteggi come se lo fossi. Ci sono tante persone che ti amano, mi chiedo se te ne rendi conto, oppure se te ne importi.» Sospirò portandosi una mano al viso, rimase per un po' così fermo e in silenzio cercando di scacciare ciò che lo tormentava da dentro. Quando fu pronto, portò lo sguardo di nuovo su di lui e gli prese la mano che poggiava sul letto, poi si protese verso Sherlock, il volto era così vicino al suo da poter vedere l’ombra delle sue ciglia e sentire il suo respiro.
«Quando ti sveglierai, perché lo farai, la mia faccia sarà la prima cosa che vedrai, mi hai capito, Sherlock Holmes? Non ti lascio.»
Sarebbe rimasto lì il tempo necessario, qualche giorno o qualche ora, Mary avrebbe capito e d'altronde nessuno l'avrebbe fermato nel suo intento, nemmeno Mycroft.
 
John scacciò quel ricordo e la vista annebbiata tornò nella norma, perché lui il capitano John Watson, doveva avere il controllo mentre Sherlock aveva bisogno di lui.
«Per l’amor di Dio, John! Fammi queste domande e falla finita.» Il brontolio di Sherlock non lo toccò minimamente, ma piuttosto lo fece sorridere. Watson guardò l’appartamento che non vedeva da parecchio tempo- erano in effetti mesi che non sentiva lo strambo detective- ed era rimasto lo stesso, fatta per l’eccezione per la sua poltrona che mancava dal salotto, qualcosa colpì il suo petto allo spazio vuoto.
«Sarebbe inutile, non ti pare? Avrai già capito le domande.»
A quel punto lo guardò, i suoi riccioli scuri scompigliati adornavano il divano mentre l’altro lo fissava, c’era qualcosa nel suo silenzio, lo avvertì nella sua pelle.
«Sì, l’ho fatto per un caso, sì era il modo più efficace e sì, sono stato rimproverato abbastanza da mio fratello quindi non ti ci mettere anche tu.»
John sospirò e lo guardò con il capo inclinato, voltando le spalle alla poltrona mancante e al quel fastidioso pizzico di dolore che sentiva nel petto.
«Piuttosto di mettere così stupidamente a rischio la tua vita, avresti potuto chiamarmi, avvisarmi.»
«Perché? Tu non vivi più qui.»
Quelle parole furono un ulteriore fitta di dolore, chiuse gli occhi mentre la sua mano sinistra tremava e a quel punto si abbassò al livello di Sherlock.
«Ho aspettato 3 dannati mesi per avere tue notizie!»
Holmes lo guardò, nella profondità dei suoi occhi verde –acqua c’era una ferita, piccola ma percepibile come quando ti tagli le dita con la carta, non lo vedi ma lo avverti il dolore al dito.
«John, ascolta il tuo dovere l’hai fatto, non c’è bisogno di rinfacciarci niente. Adesso sto bene e non ho bisogno di una balia.»
«Piantala! Non vado da nessuna parte.»
Sherlock a quel punto, come fosse stato ferito di una grave offesa, gli voltò le spalle e stettero così per vari minuti senza parlarsi e forse passarono persino ore… mentre John fu costretto a sedersi sulla poltrona del detective, perdendosi in un muto e riflessivo silenzio. Persino la luce del sole che entrava dalle verande muovendo la polvere, produceva più rumore di quel silenzio che nascondeva più parole e risentimenti di qualsiasi altro. Ma John rimase lì, non si mosse e attese che l’altro gli parlasse ancora.
«Mary sarà in pensiero, e tu puoi tornare dove vuoi davvero stare, tutto questo è soltanto una ridicola precauzione voluta da mio fratello, ma farò finta di assecondarlo per ora.»
Lo stava escludendo, allontanando e negando ogni tentativo di avvicinamento da parte dell’ex-soldato, era come se stesse cercando di smentire le parole di Mycroft di poco fa, come se le avesse sentite…ma per quanto eccezionale fosse Sherlock Holmes, era pur sempre incosciente in quel momento e dunque era impossibile che l’avesse fatto.
Era soltanto il solito testardo e arrogante  con qualche punta di freddezza in più, John non doveva preoccuparsene, eppure… quel suo essere impenetrabile più del solito gli creava delle strane sensazioni.
«Se la smettessi di comportanti come un bambino viziato, vedresti che non è cambiato nulla tra me e te!»
Scoppiò, non si trattenne non più e per quanto non lo guardò, sentì lo sguardo del detective su di lui, scavare, scannare e percuotere ogni minima traccia di emozione nascosta nella sua sfuriata.
«Se osservassi, invece di ostinarti a non farlo, vedresti che non è così!» Alzò il tono di voce e a quel punto lo guardò, nei suoi occhi brillò una scintilla di dolore che però non fermarono John, per quanto lo avvertì come uno spillo nel suo cuore.
«Adesso sarebbe colpa mia!» Esclamò spingendo d’impeto la poltrona del detective e provando un astio immenso, pensò che avrebbe potuto odiarlo in tutto ciò che provava per lui…eppure, bastò che l’altro chiudesse gli occhi per qualche secondo, per dagli il tempo di abbassare la sua rabbia e le sue difese.
«John, mi dispiace.»
Il dottore aprì la bocca per rispondere ma non riuscì a dire nulla, era ancora sconvolgente quanto il detective fosse cambiato e più umano di due anni fa…si guardarono per un altro minuto poi Sherlock si alzò e ignorò ogni possibile tentativo di John di fermarlo. Si diresse in cucina e mise il bollitore del tè in funzione, nessuno dei due parlò persi nei reciproci pensieri, e quando gli portò una tazza non ci fu bisogno che dicesse null’altro.
«Sei una prima donna, lo sai?» Un piccolo sorriso abbozzò le labbra di John alla sua stessa esclamazione.
«Non sono l’unico.»
Si guardarono e una piccola risata fuoriuscì da entrambi, soltanto loro erano in grado di scherzare in determinate circostanze.
Sherlock poi abbassò lo sguardo e poggiò la tazza sulla poltrona dove si era seduto e si schiarì la gola.
«Quindi…rimani?»
«Adesso chi è che afferma l’ovvio?»
Il detective alzò gli occhi al cielo, ma John poté vedere l’ombra di un sorriso colorare le sue labbra. Il silenzio tornò tra loro, ma diverso questa volta, poiché di quelli tranquilli e pacifici che può esserci solo tra due persone in profonda intimità.
 
Passarono vari giorni e Sherlock si era quasi ripreso, o almeno in parte, poiché qualcos’altro accadde con la signora Watson, sua moglie o forse doveva dire ex?
Si scoprì chi era e che aveva sempre mentito a John, persino sulla gravidanza perché il figlio non era suo. Sta di fatto che per via di quel macello, lo sparo al suo amico Sherlock da parte di quella donna che John non aveva mai conosciuto e il vario trambusto emotivo, Sherlock era ancora “sotto stretta sorveglianza” per usare le parole che Mycroft avrebbe usato. In tutto ciò, dopo averlo di nuovo visto inerme e essersi preso cura di lui più possibile, John non era riuscito a vederlo per qualche giorno.
Ci fu però Molly al suo posto, colei con il quale stranamente si trovava ora in quel bar nel tardo pomeriggio, dove lei aveva voluto che si incontrassero. Il tempo era mite e l'unica agitazione regnava tra loro due, anche se non John non sapeva bene il perché.
Si sforzò in un piccolo sorriso.
«Allora, come sta l'idiota?» L'aveva tempesta di messaggi e chiamate ma non poteva non chiedere.
«Sta meglio, continua a farfugliare frasi poco carine...si  vede che si sta riprendendo.»
John annuì, comprensivo.
«È incredibile fin dove si spingerebbe per un caso o per mostrare la sua intelligenza...»
A quel punto lo sguardo di Molly si fece scuro, prese la sua grande tazza di caffè lungo e ne bevve un sorso.
«Questa è la ragione che lui vuol far credere sia la principale, ma non è solo questo.»
Un sorriso tirato si fece spazio tra le sue labbra, mentre poggiò la tazza.
«Ho parlato con Mycroft, o almeno lui ha parlato con me, non lo trovi incredibile? Pensava che non sapessi ma invece l'avevo già capito.»
Il medico a quel punto si fece confuso, stare con Holmes qualche giorno aveva reso la ragazza più criptica del solito, o forse lui non aveva mai notato questo suo lato. Bevve un lungo sorso del suo caffè.
«Cosa intendi?» fu costretto a chiedere.
Molly lo guardò.
«Certo che sei piuttosto ottuso, per essere il partner di Sherlock.»
A quel punto la sua mano tremò mentre afferrò di nuovo la tazza, dove bevve qualche sorso prima di continuare.
«Tu hai una visione di lui piuttosto idolatrante, lo vedi come un uomo al di sopra di comuni passioni o sentimenti...»
«È così che lui si descrive, il sociopatico iperattivo, ricordi?»
Si mosse sulla sedia, punto sul vivo e non riuscì più a bere.
«Sì, ma sappiamo entrambi che non è così, per dirla in maniera semplice lo farò tramite la deduzione, come piace tanto a Sherlock. Bene,» Incrociò le mani sul tavolo e le torturò rivelando l’ansia e la difficoltà che provava nel dire ciò che stava per dire, ma quando John incontrò il suo sguardo sembrò più adulta, era meno impacciata della "solita Molly”, una donna sicura di sé.
«Ti chiedo quindi di non pensare a lui come Sherlock Holmes, ma come uomo, ok? Ripensa al matrimonio, perché è andato via così presto? Perché proprio quando tu ti sei trasferito con Mary, si è buttato nella droga? Perché con me, ogni volta che avevi un appuntamento con una donna, si lamentava regolarmente secondo te?»
John si appoggiò allo schienale della sedia, lo sguardo basso e un groviglio allo stomaco da impedirgli quasi di respirare: era lì, era sempre stato tutto davanti al suo naso e lui lo sapeva! Ma aveva preferito ignorare, per paure passate di ciò che era o ciò che lui e Sherlock potevano essere.
«Gelosia, disperazione.» Le parole rotolarono fuori dalla sua bocca pesanti come macigni, non osò guardare Molly ma la sentì sospirare.
«Ma non può essere, lui non…io.» Si stoppò, e deglutì incapace di aggiungere altro, alzò lo sguardo sulla ragazza disperso, con il cuore che batteva velocemente nel petto e gli occhi di Molly si addolcirono quando si posarono su di lui.
«Lui ha una dipendenza da te, è solo senza di te.»
«Questo è assurdo.»
Era la seconda persona a dirglierlo, e John si sentì debole e barcollante nel suo essere, voleva alzarsi e andarsene ma Molly glielo impedì fermandolo per un braccio.
«Sai che questa è la verità, smettila di avere paura e vai da lui tu che puoi,» Si stoppò abbassando lo sguardo.
«Tu che hai il cuore di Sherlock… sei fortunato lo sai? Ma ho capito e sono andata avanti, ora spetta a te fare il passo.»
Ci fu asprezza nella sua voce nell'ultima frase e quando incontrò i suoi occhi, vide gli scuri di lei luccicare, prima che mettesse qualche soldo sul tavolo e uscisse dal bar.
Gli ci volle qualche secondo per alzarsi da lì, il caffè oramai era freddo e non aveva avuto intenzione né la voglia di finirlo, i rumori della folla erano affievoliti come aliti di brezza di sottofondo quando fai una passeggiata. John non era distante da Baker Street dove doveva andare, ma quando fu davanti alla porta nera non si comportò da soldato. Piuttosto camminò sul marciapiede per qualche secondo, rimuginando sulle parole di Molly, su quello che avrebbe voluto dire e su come Sherlock avrebbe reagito; aveva bisogno di rifletterci su...forse quella notte, quindi non gliene avrebbe parlato.
E poi potrei sconvolgerlo, potrei agitarlo e quindi lui potrebbe non cenare, siamo quasi all'ora di cena.
Salì nell'appartamento con un sospiro.
 
Quando arrivò a casa non ricordò nemmeno come fosse finito sulla poltrona, uno dei pochi superstiti ancora non imballati in quella dimora che presto non sarebbe stata più sua. Era d’accordo con Sherlock con sarebbe tornato al 221 B, glielo aveva proposto nello stesso istante in cui John stava per chiederglierlo due sere fa dopo la chiacchierata con Molly e ricordava che nel mentre, il suo sguardo si era appoggiato sulla sua poltrona che era tornata al suo posto.
Accarezzò distrattamente il bracciolo marrone della poltrona e fece scorrere lo sguardo su qualche foto rimasta appesa al muro, non c’era traccia di colei che non era più sua moglie, erano sparite come se non fossero mai esistite, esattamente come lei. Piuttosto nelle immagini spuntava lui con sua sorella, lui da piccolo, la sua carriera militare…e poi qualcuna in compagnia dei suoi amici. Gli occhi di John furono catturati da una in particolare, una superstite del suo matrimonio, dove però c’erano soltanto lui e Sherlock. La osservò e si passò una mano sul viso e sbatté le palpebre per guardandola ancora: il sorriso tirato di Sherlock ma gli occhi dai colori più splendidi esistenti, che non riuscivano a sfuggire nemmeno a una macchina fotografica. In essi c’era del dolore scritto in fondo alle sue pupille ma erano luminosi lì con John vicino, soltanto con lui e con nessun’altro del gruppo. Il medico si alzò avvicinandosi all’immagine, sentendo il suo cuore scandire i suoi passi mentre prese la foto in mano e fu lì quando vide il suo sguardo rivolto al suo migliore amico, compagno e persona più importante della sua vita, che John sentì il respiro fermarsi per qualche secondo. Realizzò un fatto che era sempre stato visibile ai suoi occhi e al suo cuore, ma sempre nascosto dalla nebbia di risentimento, paura e troppo amore…
Perché Sherlock aveva ragione, qualcosa tra loro era cambiato… e lui che cosa aveva fatto? Era fuggito e aveva sposato una donna che nemmeno aveva mai amato. La stessa che poi aveva sparato proprio all’uomo che più contava per lui.
Dannazione.
Poggiò la foto con poca delicatezza, arrabbiato con se stesso, sentendosi in colpa e scosse il capo con un sorrisetto di scherno vergognandosi per tutto il tempo che ci aveva messo a capire davvero.
Eppure era sempre stato lì anche da parte sua, era scritto nel suo sguardo adorante non rivolto alla moglie, né alla folla, ma soltanto al suo testimone di nozze lì di fianco a lui in quella foto, come quando nella luna di miele un velo di tristezza e dubbio lo accompagnò su come mai Sherlock fosse andato via prima dal matrimonio e gli avesse rivolto quel sorriso spento e quello sguardo prima di andarsene. Dio quello sguardo…non era riuscito a toglierselo dalla mente, eppure si era detto di non preoccuparsi anche se fu inutile. O del fatto che lo perdonasse sempre, per ogni cosa, perché sarebbe sempre tornato da lui.
Era sempre stato lì e lui lo sapeva!
Non è mai stata lei, sei sempre stato tu.

Angolo Autrice: 
Ciao a tutti!
Ecco a voi il secondo POV, il più ostico per me quando si tratta di John bbc soprattutto s3
😅, ma spero di averlo fatto bene XD o quantomeno, vicino all’IC.
Sul fatto di Molly vorrei dire due paroline, uno ho voluto darle l’evoluzione e lo spazio che merita, non è stupida e non mi piace come l’hanno trattata i moftiss nel finale della s3 (sto zitta sulla s4 <.<) quindi ho voluto che fosse lei che “svegliasse” John, o almeno gli desse la spinta necessaria. E due una delle frasi più Johnlock la dice proprio lei “you look sad when you think he can’t see you” quindi ho voluto che fosse lei, ce la vedo proprio l’amica di Sherlock che vuole aiutarlo, quindi per me ci sta
😊.
 
Sì, Sherlock ha varie emozioni qui XD e la canzone T.T penso ci stia per loro, anche per Mycroft e Sherlock, ma cmq mi fa pensare a Sherlock che appunto affronta la droga ma non è solo in questo percorso.
 

💞Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

 

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


 
"I choose to love you in silence for in my silence I find no rejection.
I choose to love you in my loneliness for in my loneliness no one owns you but I.
I choose to adore you from a distance for distance shields us both from pain. I chose to imprison you in my thoughts cause in my thoughts, freedom is for me to decide
I choose to kiss you on the wind for the wind is gentler than my lips. I choose to hold you only in my dreams for in my dreams there is no end."

-rumi

 
 
Sentì i suoi passi nelle scale e dalla cadenza e velocità, capì che volesse dirgli qualcosa motivo per cui Sherlock, appena lo avvertì  arrivare nell’appartamento, si voltò verso di lui.
«Ehi Sherlock.» Ed eccolo lì, John e la sua voce a riempire di nuovo quelle mura che erano state così silenziose per così tanto tempo, averlo lì era la notizia migliore di sempre! Ma dall’altra aveva paura, soprattutto con il suo blogger in agitazione così nervosa, da mordersi le labbra e stringere la mano sinistra così forte che le sue nocche diventarono bianche.
Se doveva buttarsi nuovamente da qualche tetto per dar a John anche soltanto un briciolo di felicità, l’avrebbe fatto senza pensarci, ma paradossalmente era colui che affondava il suo cuore. Averlo di nuovo lì per casa e abituarsi alla sua presenza, era qualcosa di confortante e spaventoso allo stesso tempo perché che cosa avrebbe fatto se fosse andato via di nuovo? Se fosse stato questo che voleva dirgli, in quale braccia oscure si sarebbe gettato? Diceva di averlo fatto per un caso e da una parte era vero, ma sapeva che avrebbe potuto fingere di non essere un drogato-chi meglio poteva fingere?- piuttosto di non esserlo davvero.
Nonostante ciò si preparò al meglio che poteva, portando le mani dietro la schiena.
«Sei tornato prima dalla tua uscita con Mike.»
John crucciò le sopracciglia e annuì.
«Sì ehm beh, voglio chiederti una cosa.»
«Lo so.»
Watson tirò un sospiro prima di continuare.
«Prima che tutto questo casino succedesse vorrei saperlo, avrei preferito saperlo prima ma non ho avuto...ascolta, devi soltanto dirmerlo,» Inspirò prima di aggiungere «Perché andasti via dal mio matrimonio?»
Sherlock rimase impietrito, un "oh" non pronunciato sulle labbra, ed eccolo lì l'unico uomo che riusciva davvero a sorprenderlo; lo osservò per capire se ci fosse dell'altro sotto e c'era dal tremore leggero nel suo corpo e dal luccichio nei suoi occhi blu, ma voleva una risposta a quella domanda.
«Davvero, John? È...semplice, avevo assolto il mio compito e mi stavo annoiando sai che...»
«No, no Sherlock.» Lo interruppe con determinazione.
Sherlock si bloccò e si avvicinò a lui, assottigliando lo sguardo e raccogliendo informazioni.
È diverso.    
«Mio fratello! Ho notato che parlate spesso ultimamente, quale idiozia ti ha detto a questo proposito? Che si è inventato...»
«Molly.» Lo interruppe nuovamente, non togliendo lo sguardo dal suo, una luce così potente negli occhi che come una marea stava per afferrarlo e farlo annegare nelle sue acque, Sherlock si sentì inerme in quelle onde blu.
«John questo non...» Si bloccò, incerto su come proseguire.
Aveva cercato di celare i suoi sentimenti con la mente più affine di tutte proprio Mycroft, quando l’aveva trovato a casa sua dopo quel dannato matrimonio, lì seduto sulla poltrona di John…aveva celato il luccichio nei suoi occhi, eppure qualcun altro che poco aveva considerato, aveva capito. Ora dunque, anche John sapeva e Sherlock deglutì non riuscendo a rispondere, a negare, né aggiungere altro.
«Dimmi perché te ne sei andato dal mio matrimonio.»
Il suo sguardo conteneva la stessa insistenza della sua frase e Sherlock fu costretto a sospirare.
«Non ha importanza.»
Gli occhi del blogger si fecero scuri, un’ombra li attraversò motivo per cui il detective si schiarì la gola, cercando di riprendere un controllo che oramai aveva perduto.
«John, io...»
«No, adesso ascoltami. Quello che mi ha detto Molly io lo sapevo e lo vedevo, ma negavo a me stesso questa possibilità e sono stato un folle.» Le scuse per gli anni persi, i momenti ignorati e gli sguardi dimenticati, erano presenti nelle sue parole mentre gli si avvicinò ulteriormente. Uno sguardo pieno di dolcezza e passione che come un fuoco sembrava possedere ogni parte del suo corpo.
Anche Sherlock lo sapeva, o almeno, aveva intuito un interesse nei suoi confronti ma non questo, John aveva sposato un'altra persona e lui aveva sofferto, come mai avrebbe creduto possibile per una mente razionale come la sua. Ma per John, la sua assenza, lo rendevano scioccamente sentimentale; non poteva farci più nulla, non dopo anni di lotta inutile.
Ma egoisticamente, non voleva rivivere tutto e ricadere in delle emozioni che l’avevano portato quasi all’autodistruzione, tra cui la rabbia del fatto che John non passò per mesi, non voleva che poi tutto ricominciasse.
Controllo. Riprendi il controllo di te stesso.
«John, aspetta...»
Sorrise, uno di quelli che sciolse il suo cuore e in Sherlock tornò la paura poiché ciò che contava di più era vedere John di nuovo sorridere, non avrebbe mai pensato di diventarci dipendente da volerne sempre e costantemente, ma era così.
Li adorava o meglio, li amava.
«Non credi che abbiamo aspettato abbastanza?» Le sue piccole mani erano intorno al suo viso ora e Sherlock dovette abbassare lo sguardo per resistere.
«Potresti pentirtene, dopo.»
«Smettila di dire assurdità.»
Aveva le labbra pericolosamente vicine alle sue, lì sulla punta dei piedi pronto ad un passo che Sherlock aveva sempre desiderato ma mai pensato di meritare, si bloccò togliendo le sue mani dal viso e incontrando i suoi occhi sentì il "suono" del suo cuore spezzato.
«No, John.»
Non voglio rovinarti la vita, di nuovo.
Poggiò i piedi a terra il blogger, un perché scritto nelle sue labbra al posto del bacio che doveva esserci.
«Tu non stai seguendo la logica, e Mary...»
«Non ti azzardare a mettere di mezzo lei, Sherlock! Non provarci nemmeno a nominare una donna che nemmeno è esistita, credi che possa amare qualcuno che non ha nemmeno avuto il coraggio di rimanere e spiegarmi ma piuttosto scrivermi che ha dovuto nascondermi tutto, persino un figlio che non era mio? Che è scappata per proteggermi e un susseguirsi di inutili parole sentimentali? Perché quello che ha fatto dopo aver preso i documenti che Magnussen è stato semplicemente fuggire… no, Mary non centra.»
Gli toccò il braccio per poi afferrarlo con forza, una forte rabbia che scorreva in quella stretta.
«Non è lei, non paragonarti a Mary, tu sei migliore e ci sei sempre stato. La verità l’ho capita è un’altra perché non è lei che...»
«John!» Lo interruppe con un tremolio.
Non voglio essere una seconda scelta.
«Sei arrabbiato e stai seguendo questa emozione, tu sei spesso impulsivo e questo può portarti ad azioni o parole che vorresti non aver mai fatto o detto. Nonostante tutto tu hai sposato Mary, tu l'hai scelta.»
I loro occhi si incontrarono e John lesse più di quanto avesse voluto e fu qui che Sherlock decise di voltargli le spalle, guardò verso la finestra e sul tempo cupo che stava percorrendo Londra.
«Tu non mi credi.»
Ed ecco che pronunciò la frase in un sussurro tinto di rabbia e si distanziò da lui, la pioggia cominciò a battere mentre delle lacrime salate bagnavano il volto del detective.
«Sei un idiota, ma se non è questo quello che vuoi...me ne andrò.» E senza aggiungere altro, si fiondò fuori dall'appartamento.
 
In pochi secondi la pioggia aumentò, mentre sentì John scendere le scale con tutte le emozioni che lo dominavano e le gocce divennero sempre più persistenti.
John è fuori sotto la pioggia e non ha l’ombrello.
Fu questo il pensiero improvviso che percorse la mente di Sherlock e che lo spronarono ad avvicinarsi all’attaccapanni, ma fu lì che notò la fede d’oro a terra e capì. Realizzò il rumore metallico che aveva zittito e ignorato, sovrastato da ben altre fragili emozioni, era appartenuto a quell’anello e lo vide: John che scuoteva il capo deluso alla sua figura di spalle, mentre si toglieva quella fede nuziale che per lui non era nient’altro che un anello senza alcun significato, un peso che stava lasciando alla porta di Baker Street.
Sherlock riaprì gli occhi, uscendo dal suo palazzo mentale, gli stava dando una scelta e nello stesso tempo comunicando ogni cosa: di quanto lei non fosse importante, che chi credeva di amare non esisteva, dunque nemmeno il suo sentimento per lei e che era tutto in mano a lui.
Gli stava lasciando il suo cuore a pezzi quanto il suo.
Cosicché il detective prese l’ombrello e con una corsetta, raggiunse John vicino alla strada.
«John!»  
Lo chiamò con più disperazione di quanto volesse e lui si voltò, abbassando la mano con il quale stava chiamando il taxi e nei suoi occhi blu rivide i suoi stessi sentimenti.
«Sherlock.»
Come disse il suo nome e come lo guardò, da lì null’altro ebbe importanza, Sherlock lasciò cadere l’ombrello e le gocce di pioggia accompagnavano i due uomini mentre lentamente si avvicinarono. Quando furono così vicini da condividere il respiro, si guardarono per un istante, entrambi mascherarono le lacrime nella pioggia e presto le mani di John furono di nuovo nel suo volto.
Non c’era fretta, non c’era bisogno di averne non dopo tutto quel tempo di parole non dette e sentimenti non espressi…semplicemente John carezzò il suo volto, dagli zigomi alti, alle guance e infine le labbra, poi portò le loro fronti ad incontrarsi. Sherlock seguì ogni suo movimento, ogni suo respiro condiviso con lui e lentamente chiusero gli occhi assieme, prima di far unire le loro labbra.
Lì davanti Baker Street bagnati fradici e con qualche persona che li guardava o ignorava passandogli soltanto accanto, si stavano baciando non fregandosene dei pensieri degli altri per una volta. Non importava chi avrebbe parlato o cosa avrebbero detto, le parole erano superflue esattamente come loro due non ne avevano bisogno. Poiché bastavano i loro cuori che battevano all’unisono, le loro risatine a fine di quel bacio e il riunirsi delle loro labbra che ancora si cercavano…lì insieme a dirsi tutto ciò che c’era da dire.


Angolo Autrice: 
Ciao a tutti! Potevo concludere questo racconto mettendo il pov di colui di cui più di tutti  ho fatto, ovvero Sherlock :P? Pss, no XD
 
La scena del bacio sotto la pioggia con la scena a rallentatore, almeno io me la sono vista così, mi è rimasta in mente per parecchio tempo e cercavo di collocarla da qualche parte finché non è arrivata sta fanfiction e finalmente l’ho scritta!

 
💞Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

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