Come lacrime da una stella

di padme83
(/viewuser.php?uid=116620)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nights in black satin ***
Capitolo 2: *** Blessed are the broken ***



Capitolo 1
*** Nights in black satin ***


O ricordo lontano,
ultima stella pallida
della mia notte atroce,
oserò mai strapparti
ciò che sola possiedi?
 
Cesare Pavese – Prima di “Lavorare stanca”
(19 maggio 1928)
 
 
 
 
 
 
 
~ Nights in black satin ~
 
 
 
 
 
 
 
Nights in white satin
never reaching the end,
letters I've written
never meaning to send.
Beauty I'd always missed
with these eyes before,
just what the truth is
I can't say anymore.
'Cause I love you,
yes I love you,
oh how I love you.
 
 
 
 

 
Londra, primi mesi del 1900
 
 
 
Sei ovunque[1].
Presenza discreta ma costante.
 
 

Sei nell'aroma pungente del primo tè del mattino, nel calore della tazza sotto le mie dita intorpidite, nel retrogusto amaro che indugia sulle labbra mentre cerco di riempirmi a forza lo stomaco, ingurgitando inquieto qualsiasi cosa sia in grado di darmi il coraggio necessario a reggermi in piedi e a tenere alta la testa – in apparenza, almeno. In fondo, è questione di poco, una manciata di ore soltanto, il tempo sufficiente a trascinarmi, in qualche modo, fino a sera. Niente di più.
(Niente – di – più)
Sei nell'acqua della vasca che lenta scivola sulla mia pelle gelida, nell'effluvio stucchevole di una saponetta che neppure rammento di aver comprato, nel tepore sprigionato dall'asciugamano umido nel momento in cui mi avvolgo nel primo – e ultimo – abbraccio che riscalderà la mia giornata.
Mi illudo che possa bastare.
Non basterà.
 



Sei ad aspettarmi a ogni angolo di strada, tra i riflessi beffardi del sole sopra le insegne opache dei negozi, nell'espressione pettegola e piena di curiosità di una vicina che mi chiede quando, e con quale incarico, comincerò a insegnare a Hogwarts.
«Presto», rispondo.
La voce non si incrina, il sorriso rimane composto, educato, sereno persino – ma una morsa d'acciaio mi comprime con violenza la gola e il petto.
Quando riuscirò a prendere in mano una penna, un libro o una pergamena senza che l'ennesima parte di me si frantumi e si disperda come cenere nel vento.
Perché sei anche . Racchiuso tra le pagine ingiallite di compagni nei quali ho da sempre riposto una cieca fiducia, e che in un istante di cruda, brutale consapevolezza, si sono rivelati in tutta la loro agghiacciante miseria – null'altro che subdoli traditori, cumuli di parole incapaci ormai di regalarmi alcun conforto, nessun appiglio cui aggrapparmi mentre attorno a me il suolo trema, si spacca e mi inghiotte – ci inghiotte, la inghiotte! –, ancora, ancora e ancora.
Amici che ho amato con sincero ardore, guide preziose nei giorni difficili, mi torturano ora come i più crudeli fra gli aguzziniprivandomi di ogni difesa residua.
 



Sei alle mie spalle, ombra cupa fra le ombre che mi seguono strisciando attraverso le vie della città, nei movimenti scattanti e nervosi degli stranieri in cui per caso mi imbatto, nei barbagli di pallido oro che scorgo al collo o alle orecchie o ai polsi di ignare e indifferenti sconosciute.
Sei nei profumi che hanno infine scordato l'arte di colorare di vita l'aria che mi invade i polmoni – ché ogni cosa ha perso consistenza e nitore da quando non cammini più al mio fianco, ma vaghi furioso – deluso? Smarrito? Disperato? – per il mondo, nascosto chissà dove, come, con chi.
Sei nell'oscurità del crepuscolo che avanza implacabile, nella tempesta dei miei sonni brevi e spezzati, nei baci roventi che bagnano il cuscino quando è il mio stesso corpo a non rassegnarsi alla tua assenza e a cercare spasmodico tracce di te fra le pieghe vuote delle lenzuola. Solo, angosciato, inizio a toccarmi, trattenendo a stento i singhiozzi, poi di colpo mi blocco – che senso avrebbe provarci adesso, senza le tue mani ad accompagnarmi, senza la tua bocca che mi assaggia lasciva, ingorda, smaniosa, feroce e possessiva e tuttavia così tenera, dolce (oh, Dio, sì, sì bredhu, sì! Dolce – sinceramente, tremendamente, dannatamente dolce).
In quelle notti calde e infinite, trascorse a fare l’amore sfumando l'uno nell'altro, quasi fossimo un'entità unica, incorporea, angelica, l’Universo intero si fermava, con stupore e riverenza, solo per inchinarsi al nostro divino cospetto.


 
 
Sei nel ticchettio logorante della pendola all’ingresso, tic-toc, tic-toc, tic-toc, nella pioggia che batte ossessiva contro i vetri delle finestre, nel sussurro spettrale degli spifferi fra gli interstizi delle porte e dei muri.
Sei nella promessa d’imperituro inverno portata dall'arrivo improvviso di una tormenta di neve.
Sei nelle lacrime che non sono più capace di versare.
Dormire è impossibile – oltre il buio delle palpebre serrate, l'immagine di noi è marchiata col fuoco.

 
 
Sei la terra e la morte[2].
Sei il desiderio immutabile che secca il sangue, morde le vene e tritura le ossa.
Sei il grido che non posso – non riesco, non voglio – soffocare.
Sei l’eterno rimpianto, il rimorso bruciante, il dolore che non concede tregua – sei la rabbia, la paura, la colpa.
Sei il mio riflesso perfetto, lo specchio del mio odio, il sepolcro dei miei sogni infranti.
Sei l’ultima stella, pallida e sperduta nel chiarore dell’alba, la cometa che trafigge il nero impenetrabile del firmamento, l’astro luminoso al quale rivolgo le mie preghiere furibonde, tormentate, acri.
Sei la memoria, il pensiero fisso nella mente, la maledizione del ricordo.
Sei l’oblio, il rifugio, l’abbandono.
Sei il pulsare aritmico, incessante e ostinato del mio cuore – del tuo cuore, dei nostri cuori.
 
 
 
Gellert Gellert Gellert
 
 
 
Mio blu
mio amore
mio cielo
mio tutto
ascoltami
voltati
guardami
sono qui
mi vedi?
Parlami
accarezzami
stringimi
baciami
 
 
Ma se ti svegli
e hai ancora paura
ridammi la mano
cosa importa
se sono caduto
se sono lontano


 
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 815}
 
 
 
[1] I riferimenti e i richiami a Ovunque e a Sleeping Sun (e in misura minore ad altre storie) sono naturalmente voluti, così come tutte le ripetizioni.
[2] Cosa ve lo dico a fare? Si è infilata lì in mezzo praticamente da sola (Cesare PaveseLa terra e la morte).


 
 
 

 

 
Nota:

Buon pomeriggio a tutt* e ben ritrovat*!
 
Cominciamo questo 2020 con qualcosina di leggero e poco impegnativo (!), giusto per esorcizzare le vibrazioni malefiche dovute alla fine delle vacanze e al ritorno al solito tran – tran.
 
I mesi successivi alla morte di Ariana (con tutto ciò che ne consegue) sono stati senza dubbio quelli più difficili nella vita di Albus: immagino che in qualche modo lui abbia cercato di andare avanti, ma la botta che ha preso è bella forte e dubito che si sia tirato su da un giorno all’altro. Le cose, penso, cominceranno a cambiare quando effettivamente si trasferirà in pianta stabile a Hogwarts, ma per il momento la strada per risalire dal gorgo è ancora molto, molto lunga e accidentata. Però… sapete bene che da queste parti c’è sempre un “però”.
 
L’idea sarebbe quella di dare il via a una nuova raccolta di flash (un po’ sperimentali magari), ma, tanto per cambiare, non sono per ora in grado di offrirvi delle certezze. La storia dunque è postata come completa, poi eventualmente si vedrà.
 
Intanto, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questa discreta dose di angst direttamente iniettata in vena. La struttura e lo stile sono un po’ diversi dal solito (ho riadattato una vecchia idea della raccolta sui Rumbelle – che in quanto a tormento&disperazione non hanno niente da imparare da nessuno). In qualsiasi caso, lasciate che vi rassicuri: è soltanto un momento, necessario ma destinato a essere superato (pur lasciando addosso al nostro sfortunato beniamino una notevole quantità di cicatrici indelebili).
 
SoundtrackNights in white satin, The Moody Blues (il cambio nel titolo è una licenza poetica).
Bonus trackHotel Supramonte, Fabrizio De André.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questo raccontino in uno degli elenchi messi a disposizione da EFP.
 
Alla prossima!
 
Un bacio :*
 
 
padme

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Blessed are the broken ***


Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

 
Cesare Pavese – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
(22 marzo 1950)
 
 
 
 
 
 
 
 
~ Blessed are the broken ~
 
 
 
 
 
 
 
And I want you
and blessed are the broken
and I beg you.
No loneliness, no misery is worth you.
Oh tear his heart out cold as ice it's mine.
 
 
 
 

 
Hallstatt, primi mesi del 1900
 
 
«Ancora, svelto, versane ancora!»
Sussulto in preda ad un vago spavento. Il rantolo che mi prorompe dalle labbra è stridulo, raccapricciante, una parodia grottesca e oscena del suono della mia voce.
Non riesco nemmeno a ricordare da quanto tempo mi trovo seduto al bancone di questa sudicia taverna; so soltanto che, dopo l'ennesimo boccale di un liquido denso e stucchevole che l'oste si è ostinato a spacciare per la migliore birra d’Austria, mi sono sentito incredibilmente leggero, vacuo, euforico, come non capitava ormai da mesi.
Ho rinunciato presto a tentare di alzarmi. Per i corvi di Odino, l'ultima volta che ci ho provato l’intero locale ha cominciato d’improvviso a vorticarmi attorno; le gambe hanno preso a tremare in modo incontrollato, costringendomi alla resa, tra le sonore risate del mio compagno di bevute – come accidenti si chiama? Hans, Leopold, Friedrich? – che mi ha invitato (obbligato) a dar fondo a tutte le scorte della locanda insieme a lui e ai suoi sguaiati sodali.
Non mi sono tirato indietro.
Tutto, pur di non affrontare un altro dannatissimo istante da solo.
Tutto, pur di non pensare.
Diavolo, che questa serata di bagordi non finisca mai! Che il cupo oblio con cui l’alcol ha avvolto i miei sensi non mi abbandoni più!
Non voglio pensare, non voglio pensare, non voglio pensare.
Non voglio pensare a te.
Mein blau, mein lieber.
A te, che sei il mio angelo caduto, il pugnale che mi trafigge il petto, il vampiro che si sazia attraverso il sangue delle mie vene – e senza perdere mai una goccia della tua grazia invincibile, della tua splendente purezza. A te, che sei l’ossigeno di tutti i miei respiri, la Stella Polare cui sempre rivolgo lo sguardo, il ricordo straziante che non smette mai, mai, di mordermi l'anima con i suoi denti aguzzi e implacabili.
Ascolto il tuo cuore pulsare accanto al mio, fiero, vigoroso, ed è per me come il canto ammaliante di mille sirene – un richiamo struggente e dolcissimo che ha il potere di incatenarmi a sé con la sola forza del suo battito incessante.
Mi libererò mai di te, della tua assenza dolorosa e tenace?
No, no – non posso, non devo, non voglio.
Preferirei morire piuttosto.
A volte, mio blu, mi arrendo alla smania che mi consuma, è potente e distruttiva e nella mia mente la sua immagine appare chiara, violenta: ha le sembianze di un enorme demone di fuoco, un drago furioso che mi divora vivo, mi mastica la testa, la ingoia e la risucchia in un gorgo ardente e mortifero – un inferno incrostato d'infamia e rimorso, un pozzo buio rivestito d'odio, rabbia, brama smodata – colpa –, dal quale non sembra esserci alcun ritorno, nessuna via di salvezza.
E quanto male che fa, questa voragine nera che tritura le costole e perfora i polmoni.
Di notte, poi, la sensazione si amplifica all’infinito, e la precisa consapevolezza di essere sempre, costantemente, sul punto di frantumarmi in milioni di pezzi diventa spaventosa, insostenibile. Di notte, la corazza d’acciaio che con tanta fatica mi sono costruito addosso inizia a tremare, a sfaldarsi. Di notte, il drago si contorce, si dimena, sibila, si insinua tra le crepe, sale strisciando su per la spina dorsale e mi rosicchia il cranio, mi sussurra nelle orecchie quello che senza di te ho perso; e quello che ancora perderò. Il drago mi rammenta, ogni notte, che tutti gli sforzi sono vani, che da se stessi non si può fuggire. Il nostro destino è in ciò che siamo, e ciò che siamo ci segue ovunque – è l'ombra scura che si proietta inesorabile – terribile – alle nostre spalle, che rimane attaccata alla suola delle nostre scarpe, mentre arranchiamo muti e disfatti in pieno deserto, bruciati dalla luce crudele e accecante del sole di mezzogiorno[1].
Mio blu, mio blu, la vedi, la avverti? Una bestia feroce ha fatto il nido nei recessi più nascosti della mia coscienza, ed è sufficiente la minima provocazione perché sollevi furibonda il muso cercando di avventarsi al collo di chiunque osi intralciare il mio cammino.
La bestia freme, si agita, scalcia, azzanna il freno per scappare, e solo il cielo conosce gli sforzi che finora ho compiuto per domarla. Ma davanti a ogni gesto, a ogni profumo, a ogni oggetto che mi riporta inevitabilmente da te, a ciò che avrebbe potuto essere e invece non sarà mai, riprende ad agitarsi e a picchiare duro contro le sbarre della sua prigione, e io desidero lasciarla andare – oh, quanto, quanto, quanto lo desidero! –, io voglio permetterle di risalire dalle viscere sino alla bocca per erompere finalmente in quelle urla disumane che troppo a lungo ho soffocato in gola.
Ora, mio blu, non ho altra compagnia che la sua. È lei a marciare al mio fianco durante le ricerche che, malgrado tutto, non ho interrotto, è lei a impormi di mangiare nei momenti in cui lo stomaco si rifiuta di ricevere il cibo, è lei a tirarmi su da terra se le ginocchia cedono e mi tradiscono, a cullarmi fra le sue braccia quando, esausto, sprofondo nel sonno, a sciogliere il gelo che, lontano da te, mi taglia e strappa via la pelle dalle ossa – come se fossi tu, amore mio, come se lei fossi tu.
La mia bestia nel cuore.
 
 
Albus Albus Albus
 
A che scopo conquistare il mondo, se non posso donarlo a te?
 
 
 
 
 
 
And I wait praying to the Northern Star,
I'm afraid it won't lead you anywhere.
He's so cold raining on the world tonight,
all the angels kneeling to the Northern Lights.
And I pray begging to the Northern Star,
I'm afraid it won't lead you anywhere,
he's so cold he will rule the world tonight,
all the angels kneeling to the Northern Lights,
kneeling to the frozen lights.
Feel their hearts they're cold as ice.
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 889}
 
 
 
[1] Siete appassionati di Star Wars? Avete letto la novellizzazione de “La vendetta dei Sith”, ad opera di Matthew Stover? No? Beh, dovreste.


 
 
 
 
 


Nota:

Buonasera!

Urca, un secondo aggiornamento a stretto giro, cosa starà mai succedendo? Niente, ovviamente, è come al solito un caso che questa settimana sia andata così.
 
Voglio innanzitutto ringraziarvi per l’apprezzamento che avete dimostrato nei riguardi dello scorso capitolo: non me lo aspettavo!  Grazie, davvero grazie, vi adoro e vi bacerei tutt*, se potessi!
 
Non ne ero in realtà molto convinta – non lo sono tuttora – e ho comunque continuato, in questi giorni, a rimuginarci sopra. Alla fine sono arrivata alla conclusione che un raccontino del genere non avesse molto senso gettato nel mucchio lì da solo, così ho pensato che valesse la pena provare a “sdoppiarlo”, ovvero a dar voce anche a Gellert, ovviamente prendendo in considerazione lo stesso particolare momento del loro rapporto (e anche in questo caso sono andata a cercare l’ispirazione in qualche vecchia idea).
Insomma, domenica vi siete beccati le seghe mentali post lutto\rottura traumatica di Albus, oggi vi sorbite quelle di Gellert (che per forza di cose viaggiano su binari un po’ diversi. Fatemi naturalmente sapere se ritenete il tutto verosimile). Non si dica quindi che faccio favoritismi.
 
Ho deciso però che questa mini-raccolta terminerà qui, sarà una sorta di dittico a sé stante.
 
Il titolo – che credo più banale di così non potrebbe essere – è la traduzione di una strofa (like tears from a star) della bellissima Fragile, di Sting.
 
Soundtrack: Northern Star, Hole.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa mini-raccolta in uno degli elenchi messi a disposizione da EFP.

Grazie a chi lo ha già fatto <3
 
Alla prossima, non so davvero dire quando e in che modo. Ci si prova sempre, eh, ma è veramente difficile trovare il tempo e le energie per tutto.
 
Mi trovate comunque, a ca**eggiare allegramente, su Lost Fantasy, se vi va :)
 
Un abbraccio grande, enorme, INFINITO :*
 
Vostra,
 
 
padme
 

 
 
P.S: ho deciso che Nurmengard si trova vicino a Hallstatt, in Alta Austria. Ditemi un po’ voi se il posto non è abbastanza magico.
 
 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3880748