Euphoria

di _euph0rja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Un biglietto." ***
Capitolo 2: *** "Errore mio" ***
Capitolo 3: *** "If these walls could talk" ***
Capitolo 4: *** "Don't leave me." ***
Capitolo 5: *** "Ghost of you." ***
Capitolo 6: *** "Want you back." ***
Capitolo 7: *** "Memory." ***
Capitolo 8: *** "Comparsa." ***
Capitolo 9: *** "One peace of me." ***
Capitolo 10: *** "Rain." ***
Capitolo 11: *** "Supereroi." ***
Capitolo 12: *** "Welcome Back." ***
Capitolo 13: *** "I." ***



Capitolo 1
*** "Un biglietto." ***


'Tengo stretto il biglietto 
mentre inseguo un'altro sogno,
intanto abbraccio il destino
restando a tu per tu col mondo.'

 

Cara mamma,

sono su un treno diretto chissà dove.
Scusa se non ti ho avvertita, ma è cambiato tutto così in fretta. 
Ho preferito non dirti nulla di questo viaggio inaspettato anche per me. 
So che te lo starai chiedendo: sì, ieri ci sono andata dal dottore. 
Mi ha detto che sto bene e che sto migliorando. Dovevi vedermi, il sorriso che andava da un orecchio all'altro. 
Ti ricordi cosa ti dicevo da piccola? 'Appena guarisco, me ne vado'. Tu stavi zitta e sorridevi. 
Beh, ho deciso di farlo. 
Ero la prima a prendere il biglietto di sua volontà, sai? 
A quanto mi hanno detto gli altri passeggeri, il posto in cui siamo diretti è molto bello, ma molti sono costretti ad andarci. 
Io no, sono felice di farlo. 
Finalmente sono libera da tutto il dolore che mi ha perseguitato da quando sono nata. 
Finalmente non devo più avere paura di correre troppo velocemente o di fare sforzi troppo grandi. 
Fammi una promessa mamma. Prima di rivederci, fai pace con papà. 
Non vi ho mai sopportati quando urlavate; la nuova fidanzata di papà mi sta anche antipatica, tu e lui state meglio insieme. 
Mi ricordo che, quando non riuscivo a dormire da piccola, invece di raccontarmi le storie delle solite principesse, mi raccontavi la storia di come tu e papà vi siete conosciuti. 
Diciamocelo, papà sa proprio scegliere le parole giuste, eh? 
E quei fiori poi! Te li portava ogni anno, il giorno del vostro anniversario. Non si è mai scordato quanto ti piacessero. 
Ti ricordi quella volta che avevate litigato e lui ti ha fatto trovare 100 dei tuoi fiori preferiti? Scusa, ma non ricordo il nome; non l'ho mai capito in realtà! 
Sai mamma, è sempre stato inutile nascondersi da me. 
Ti sentivo, sai, quando piangevi accanto al mio letto la notte, credendo che io dormissi. 
Ti sentivo quando pregavi; quando accostavi l'orecchio vicino al mio cuore per sentire se battesse ancora. 
Ti vedevo darti colpe su colpe; colpe che non avevi. 
Non sei stata tu a decidere di farmi nascere così; non sei stata tu a farmi piangere. 
Anzi, ti devo tante scuse, mamma. 
Mi dispiace di averti fatto preoccupare per una vita intera; scusa per averti fatto piangere e per averti urlato contro senza motivo. 
Scusa se mi sfogavo con te e finivo per spaccare il porta foto che hai fatto riparare troppe volte. 
Non ti ho mai detto bugie, mamma. 
Neache ora te ne sto dicendo, sono davvero felice. 
Forse... Te ne ho detta una. 
'Le rimangono poche ore. Vuole farsi ricoverare o vuole uscire?' eh già, mamma. 
È stata questa la frase del dottore. 
Indovina cosa ho scelto. 
Quando ti rendi conto di avere poche ore per fare tutto quello che volevi, il tempo sembra scorrere più in fretta. 
Sai cosa ho fatto? Ho baciato Ale! 
Sono andata da Martina e l'ho abbracciata chiedendole scusa per tutto quello che le ho fatto passare. 
Sono andata da papà a dirgli quanto gli voglio bene. 
E.. ho scritto questa. 
Grazie, per avermi fatto sorridere anche quando il mondo mi crollava addosso. 
Mamma! Il treno è quasi arrivato, devo andare. 
Mi raccomando, fai quello che ti ho detto! Fai pace con papà e continua a vivere. 
Non mi dimenticare, mamma! 
Salutami tutti e, spero di vederti il più tardi possibile. 
Comunque qua è bellissimo, da quello che si vede dai finestrini. È tutto bianco! 
Mi piace! 
Ti voglio bene, mamma.

Tua Figlia.
 

 

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Capitolo 2
*** "Errore mio" ***


"Tu non meriti
tutto il mio amore.
Perché sai,
potevo dartene tanto
e sarebbe stato
sincero, sempre.
Ci ho messo tanto,
ci ho rimesso tanto,
ma alla fine l'ho capito.
Non meriti niente."

 

Ho dovuto lasciarti, per imparare ad amarmi.

Forse un giorno le nostre strade si incroceranno ancora.
Ci guarderemo tra i passanti e le automobili, e magari accadrà di nuovo come quando ci siamo conosciuti.
Magari pioverà e andremo entrambi sotto lo stesso portico, sullo stesso gradino e fradici a causa delle lacrime di qualcuno.
Ci guarderemo ancora e ancora, scrutandoci a vicenda e cercando di capire se siamo ancora noi.
E allora te ne uscirai con una delle tue solite frasi. 
'Chi non muore si rivede'. E io come al solito ti guarderò male e, invece di farti una linguaccia, ti ignorerò.
E forse all'ora noterai il mio cambiamento.
Guarderai le forme più accentuate e i vestiti più colorati; noterai il mio sguardo, e capirai che i miei occhi non ti guardano più come prima.
Andremo ad un bar e tu ordinerai il tuo solito caffè e lo farò anch'io, invece della solita cioccolata.
Mi chiederai come va l'università, ti chiederò come va il lavoro.
Mi dirai che la tua vita ha subito tanti cambiamenti e ti risponderò allo stesso modo.
E in quel momento arriverà la domanda tanto odiata, 'perché mi hai lasciato?'.
E io ti guarderò, cercando di farti capire tutto senza spiccicare parola.
Ma tu non sei mai riuscito a capire i miei sguardi.
'Non ti ho lasciato, mi sono salvata.' 
E tu stringerai i pugni chiedendomi cosa significa, pensando di esser stato male solo tu.
Ti spiegherò che tu mi annullavi, che sottostavo a te e tu neanche ti rendevi conto del dolore che mi procuravi.
Ti dirò che mi sono fatta del male per te, che mi hai causato più dolore tu di chiunque altro.
Ti urlerò contro che mi hai rubato anni e mi hai fatta marcire dentro.
Tu mi risponderai che mi hai amata tanto e io ti dirò che amare significa accettare, no cambiare.
Ti dirò che amare significa ridere, litigare per poi finire a letto, no con una guancia rossa e gonfia.
Ti dirò che sono cambiata per te. 
Mi chiederai di tornare da te.
Mi calmerò, ti guarderò e cercherò di capire se sei cambiato.
Mi alzerò, prenderò la borsa e ti dirò che tu non cambierai mai.
Ti volterò le spalle e chiuderò la porta di quel bar, sperando che con quella porta si chiuda anche il mio passato e che la pioggia lavi via il dolore.

Un giorno succederà tutto questo, al momento devo ancora imparare a lasciati andare.

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Capitolo 3
*** "If these walls could talk" ***


"If these walls could talk,
I'd hope they wouldn't say anything."


Se questi muri potessero parlare ti racconterebbero di me.
Ti direbbero che sono sbadata, la maggior parte delle volte imbranata e per terra.
Ti parlerebbero di come inizio a ridere istericamente quando mi piace qualcuno, o di come rido in generale per tutto.
Ti direbbero che, la maggior parte delle volte, dopo che rido istericamente, scoppio a piangere.
Ti racconterebbero di come mi imbarazzo e inizio a muovere freneticamente la gamba destra quando sono in ansia.
Ti direbbero che sono insicura, che prima di uscire mi cambio almeno quattro volte e altre dieci mi guardo allo specchio.
Ti direbbero che, quando guardo il mio riflesso, fisso i miei occhi per vedere se gli altri possono capire quello che provo.
Ti parlerebbero delle mie ansie e paure; di come mi muovo in continuazione e rido per non piangere.
Ti direbbero che la mattina, in strada, sto bene da sola e con la musica. 
Ti svelerebbero che mi imbarazzo davanti alla gente che non conosco, che odio mangiare in pubblico perché mi vergogno e che mando gli altri ad ordinare da mangiare.
Ti direbbero che mi sento sempre in debito dopo un sorriso e che ho paura a sorridere ma lo faccio senza accorgermene.
Ti svelerebbero che, quando ascolto la musica, mi piace stare chiusa in camera al buio. Sola con me stessa e i miei ricordi.
Ti racconterebbero dei miei sogni: di quelli già realizzati, quelli spezzati e quelli chiusi a chiave nel cassetto.
Ti parlerebbero della mensola con tutti i miei quaderni, alcuni bianchi altri meno.
Ti parlerebbero dei miei libri, di come mi sento mentre li leggo.
Ti svelerebbero ogni mia cazzata, ogni segreto che non ho mai pronunciato ad alta voce, ma che loro conoscono.
Si vanterebbero di conoscermi così bene e di essere gli unici.
Si vanterebbero di essere la mia casa, il mio rifugio e il mio posto sicuro.
Si vanterebbero di essere stati gli unici ad avermi vista per come sono davvero.
Ti direbbero perché ci sono, come ho fatto a costruirli e a rinchiudermici dentro.
Ti sussurrerebbero che ho paura e che, anche se mi piace il buio, ogni tanto una luce servirebbe anche a me.

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Capitolo 4
*** "Don't leave me." ***


"Solo perché non capite
certe cose, non significa
che siano sbagliate."

La mentalità di adesso è troppo limitata.
L'essere diversi è visto come una cosa negativa, se non sei come gli altri sei fuori della società.
Non si accettano i cambiamenti perché, se le cose cambiano, le persone non sanno se possono controllarle.
Non si può controllare il pensiero di qualcuno, gli altri non possono decidere come qualcuno essere.
C'è chi si deve nascondere per non essere giudicato o preso a pugni.
C'è chi deve nascondere il proprio amore per paura.
Anche uno sguardo fa male, forse più delle mani.
Si ha paura delle reazioni di chi si ha accanto.
Come possono reagire i tuoi genitori sapendo che il loro unico figlio maschio è gay?
La paura di aprire bocca, di deludere le persone che ti hanno visto crescere.
-Alec, andiamo.- mio padre mi distrae dai miei pensieri.
-Arrivo.- sospiro alzandomi dal letto e seguendolo fuori dalla casa.
Cammino verso la macchina e, una volta davanti, prendo posto nei sedili posteriori, dietro il guidatore. Apro il finestrino quando mio padre mette in moto; il nuovo profumo mi fa venire la nausea e soffrire di mal d'auto non aiuta.
Il viaggio non dura tanto e, poco dopo, siamo davanti la porta degli Atson.
-Scendete.- mio padre posteggia e io scendo con calma, anche se dentro di me la felicità cresce. 
Bussiamo e la signora Atson, Liz, spunta alla porta. 
-Eccovi! Dai che fra poco è pronto!- è sempre molto felice questa donna, ha sempre il sorriso sulle labbra. 
Ci abbraccia uno per uno, e si sofferma su mia madre, anche troppo. Noto che si dicono qualcosa all'orecchio, ma sono troppo lontano per sentirle. Ma gli sguardi che mi lanciano, mi fanno capire subito l'argomento. Io e Sophie, la seconda figlia degli Atson. 
Parlando del diavolo... - Ciao Alec! - mi abbraccia come se non ci vedessimo da settimane. 
-Ciao Sophie- ricambio l'abbraccio. 
È una ragazza molto bella, occhi e capelli castani. 
Entrambi sappiamo che i nostri genitori ci vorrebbero vedere come una coppia, ma lei sa che io ho interesse per altro e lei è fidanzata. Si vede che è innamorata, quando parla del suo lui ha una luce negli occhi indescrivibile, sorride come non fa per altro. 
-Alec, ti dispiace andare a chiamare David? - annuisco alla donna, avviandomi verso l'ultima porta del corridoio. 
Busso ma non ricevo risposta. Riprovo altre due volte e, alla terza non risposta, entro. 
Sento il mondo crollarmi addosso, la mia unica certezza scomparire. 
-Che stai facendo!?Scendi subito da lì!- tento di avvicinarmi, ma David mi ferma.                                                                                                                                            Si volta verso di me, i suoi occhi non esprimono niente. 
-Non puoi fare più niente, Alec. Non puoi più salvarmi.- sorride malinconico.
-Che vuoi dire?!- tento di avvicinarmi, ma ad ogni mio passo, si sporge sempre di più oltre la finestra. 
-Sai, Alec..., avevi ragione quando dicevi di volerlo tenere per te. La gente non è mai riuscita capirci.- scuote la testa- Ti sembra mondo un posto dove non puoi essere te stesso? Dove non puoi esprimere i tuoi sentimenti per paura delle parole o di finire in ospedale con lividi dappertutto? Sognavo di poter vivere come tutti, di mettere la paura da parte... Poi sei arrivato tu.- sorride mentre guarda fuori, poi si volta verso di me. 
Una lacrima gli scorre sul volto; quel volto che ho accarezzato e baciato innumerevoli volte, quel volto che mi ha fatto tornare a sorridere. 
-Sei entrato dalla porta di casa con quel cappellino  che odio e, che pur sapendolo, continui a mettere. Eri un ragazzino, devo dirtelo, all'inizio ti odiavo.- ride guardandomi -Te lo dissi in faccia una volta! Mi hai guardato malissimo. Ci odiavamo, forse solo perchè non potevamo amarci... Mi ignoravi, allora io ti prendevo per il culo per farmi notare. Cercavo in tutti i modi di stare accanto a te e farti sorridere e, quando ci sono riuscito, mi sono sentito in un altro mondo. Mi sono innamorato di te la prima volta che hai sorriso, ma forse ero troppo stupido per capirlo.- abbassa lo sguardo mentre tanti ricordi mi tornano in mente. 
-Mi sembrava impossibile innamorarmi di un ragazzo; innamorarmi di te... Quando mi baciasti per la prima volta, non sapevo che fare, sapevo solo che era la cosa giusta.- mi guarda e io, come la prima volta, mi perdo in quel verde. 
Ho sempre amato i suoi occhi. Sono gli occhi della prima persona che mi ha amato davvero. 
-Perché? Perché vuoi lasciarmi da solo?- delle lacrime mi bagnano il viso. 
-Non ce la faccio più, Alec!- si porta una mano tra i capelli, tirandoli leggermente. 
-Non riesco più a vivere! Respiro con la paura di uscire e ricevere altri pugni, non riesco a guardarmi allo specchio senza distogliere lo sguardo per i lividi. Che vita è una dove non puoi neanche amare chi vuoi?  Non voglio più avere paura Alec.- singhiozza, le guance arrossate e gli occhi pieni di dolore -Non voglio più svegliarmi e addormentarmi con l'ansia di iniziare un nuovo giorno.- non ho mai pensato che potesse sentirsi così.. 
Si è sempre dimostrato forte e io non mi sono mai accorto della corazza che si era costruito addosso. 
Sono stato così cieco.. 
-Non sei solo! David, ti prego, non lasciarmi!- mi avvicino, ma mi fermo appena si sporge un po' più fuori dalla finestra. 
-Scusa, scusa se non ti ho dimostrato abbastanza quanto ti amo. Scusami, ma, ti prego, non lasciarmi..-singhiozzo, i suoi occhi sono fissi in un punto ben preciso. 
-Avvicinati.- mi prende il viso tra le mani e mi bacia. 
No ne avrò mai abbastanza dei suoi baci, delle sue labbra, di lui. 
Si stacca lentamente da me e punta i suoi occhi nei miei. 
-Ti amo così tanto.- una lacrima mi bagna il viso ancora umido per le lacrime precedenti. Sorride... è così bello quando sorride. 
-Anch'io, tanto.- mi accarezza la guancia -Ma il mondo non è fatto per tutti.- la sua mano scivola via dalla mia guancia, lui scivola via da me. 
Troppo tardi mi sono accorto che il mondo non era fatto per lui. 
Era troppo buono per un mondo così crudele.

 

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Capitolo 5
*** "Ghost of you." ***


La gente inizia a sedersi, il prete scruta tutti dall'altare. Io, dal mio canto, mi rigiro il foglietto stropicciato fra le mani, mentre la mia gamba continua a tremare.
Mai mi sarei aspettato di dover fare un discorso del genere, di dire certe cose.
Mia moglie, al mio fianco, singhiozza guardando con occhi spenti il centro dell'altare.
Non sento più il cuore battere... la mia testa non fa altro che girare da tre giorni a questa parte. La mia vita si è fermata tre giorni fa, tre giorni fa ho smesso di piangere.
Mi alzo dal mio posto per salire sull'altare, passo accanto a quel pezzo di legno che, strano a dirsi, contiene la mia vita.
L'ultima volta che sono salito su questo altare è stato il giorno del mio matrimonio. Com'è strana la vita, che strani gli eventi che ti mette davanti...
La 'vita'... sembra che stia lì a guardarti soffrire con un sorriso, sta lì a guardarti cadere.
Davanti al microfono non trovo la forza di alzare lo sguardo e sorbirmi la pietà della gente. Un sospiro lascia le mie labbra e desidero che la terra mi trascini giù.
Apro la bocca, ma nessun suono lascia le mie labbra. Sento i piedi bloccati sul pavimento, quasi sento il sangue che smette di circolarmi nelle vene, ma mi ricredo pensando che sarei già steso morto sul pavimento e le bare sarebbero due.
Fisso il mio sguardo su quel pezzo di legno, sperando di vederlo sparire o forse.. No, non sparirà.
Guardo mia moglie, il dolore le si legge in faccia e, ancora, mi domando come faremo non appena rientreremo a casa, come andremo avanti.
Spiego il foglietto fra le mani, la mia mano trema mentre alzo gli occhi verso il tetto senza sapere come parlare. Con quale forza guardare la gente davanti a me.
Eppure parlo, e me ne accorgo solo dalle espressioni della gente.
“La seconda volta che sarei voluto salire su questo altare sarebbe stato il giorno del suo matrimonio, quando la mia mano si sarebbe posata sulla sua spalla e gli avrei regalato un sorriso.
Sarebbe stato il giorno in cui lo avrei lasciato andare via da me, ma non per sempre. Non come adesso. Non avrei mai pensato che sarei vissuto abbastanza per questo giorno, ed era meglio così.
Tutti sapete che sono una persona organizzata, spettatore della vita solo se so gli eventi; ma, questa, non è una cosa che si programma. Non si programma perdere un figlio, non si programma un risveglio senza di lui.” ripiego il foglietto e trovo il coraggio di guardare la gente davanti a me, trovo la forza di lasciare che guardino i miei occhi, lascio che vedano il mio dolore.
“A Jonathan piaceva disegnare.. era un sognatore, glielo dicevo sempre. Gli dicevo sempre tante cose, 'non lasciare i vestiti in giro Jonathan' o 'J non bere troppo'” mi perdo fra i ricordi “Non gli potrò più dire queste cose.. non gli potrò più dire quanto gli voglio bene, quanto io sia orgoglioso di lui. Quel pezzo di legno contiene la mia vita, mio figlio giace lì dentro!” il mio dito è puntato verso quella bara.
“Un genitore non dovrebbe mai assistere al funerale di suo figlio.” lancio uno sguardo a mia moglie che, dopo giorni, mi guarda di nuovo negli occhi “Avrei voluto accompagnarlo al collage, avrei voluto vedere una partita allo stadio con lui. Volevo vederlo crescere, diventare uomo lasciandosi alle spalle i giochi da bambino. Forse gli dovevo più carezze... più abbracci. Siamo degli idioti a pensare di avere tanto tempo, di averlo illimitato; Abbiamo i secondi contati, le carezze contate. Il tempo non lo si può riavvolgere, non è una vecchia videocassetta. Non potrò più rivivere i momenti insieme a lui, non potrò più svegliarmi e andare nella sua camera con la convinzione di trovarlo lì con l'album da disegno.” chiudo gli occhi, sento un nodo in gola, come se qualcuno stesse stringendo le proprie mani sul mio collo fino a farmi smettere di respirare.
E, da una parte, vorrei davvero che quel qualcuno ci fosse.
I miei occhi cercano quelli di mia moglie, ma lei tiene lo sguardo basso e una foto di nostro figlio fra le mani.
Punto il mio sguardo accanto alla bara, il sole forma un piccolo cerchio accanto ad essa. Strano come solo quel pezzo sia baciato dal sole.
“Ho paura. Ho paura di tornare a casa e realizzare davvero che lui non c'è più, ho paura di risvegliarmi domani e smettere di vivere. Ho paura di dimenticare la sua voce, di non ricordare più il suo odore e dimenticare come ci si sentisse in un suo abbraccio. Ho paura di scordare il suo sorriso, di non riuscire più ad entrare nella sua camera senza piangere. Ho paura del giorno in cui prenderò le sue cose e le metterò in degli scatoloni, ho paura di abbandonarlo del tutto. Ho paura di non riuscire più a ricordare il suo colore preferito o di non ricordare il suono della sua risata. Ho paura di dimenticare il suo tocco. E ho paura di non dimenticare tutto ciò, di vivere per sempre una vita spenta, perché non so se riuscirò a chiamarla ancora vita.” una lacrima mi scorre sul viso e scuoto la testa cercando di fuggire da questo posto, da questo momento.
Voglio tornare a quella sera, dargli un bacio sulla fronte e chiedergli come sta. Voglio tornare a quella sera e domandargli di andare a vedere la partita l'indomani, per poi chiedergli della sua ragazza.
“Ho paura del domani, del futuro senza di lui. Ma domani arriverà, mi sveglierò e saprò che lui non è nella sua camera, né a scuola e neanche al parco col suo album da disegni. Scenderò in cucina e, come un giorno come un altro, andrò a lavoro. Ma non sarà più come prima. Niente sarà più come prima. Il mondo ricomincerà a girare per tutti, ma non per me e lei” guardo mia moglie che ricambia il mio sguardo, il suo volto coperto dalle lacrime.
“E, se potete, abbracciate i vostri figli, io non posso più farlo. Non posso più sentire il suo corpo contro il mio, né la sua voce chiamarmi 'papà'.” sospiro e fisso quel cerchio di luce.
Lui è qui, è con me e lo sarà per sempre.
“Il mondo... non è un posto fatto per tutti.” scendo dall'altare mentre la gente applaude, forse cercando di darmi forza.
Ma era lui la mia forza.
Passo accanto alla bara e mi fermo. Accarezzo la foto di mio figlio, mi abbasso e lascio un bacio pieno di lacrime su quel pezzo di legno, sperando che lui lo abbia sentito...ovunque si trovi.
“Resta con me, ti prego...” sussurro sulla bara e sento delle braccia esili circondarmi.
Incontro il viso di mia moglie, l'abbraccio e le lascio un bacio sulla fronte tenendola stretta a me, come se avessi paura che potesse andare via anche lei.
“Ce la faremo..” sussurra, e cerca di crederci anche lei.
“Dobbiamo farcela, lui vorrebbe così..”
E le lacrime continuano a bagnarmi il volto, mentre i suoi amici portano la bara fuori dalla chiesa, continuando a ripetere il suo nome.
E mi unisco a loro, urlando il nome di mio figlio.
“Ti vorrò sempre bene, dammi la forza di tornare a guardare il cielo e vederti Jonathan.”

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Capitolo 6
*** "Want you back." ***


"No matter how long you're gone,
I'm always gonna want you back.
I know you know,
I will never get over you.
No matter where I go,
I'm always gonna want you back.
Want you back."




Fisso la bottiglia di birra che tengo stretto fra le dita. La scuoto insieme alla mia testa e un sospiro lascia le mie labbra.
Vorrei che la vita avesse il tasto replay; riavvolgere il tempo, i momenti, viverli a pieno magari.
Il mare è mosso, le onde sbattono incazzate contro gli scogli. Per la testa mi passa il pensiero di buttarmi e unirmi a loro, urlare tutta la mia rabbia. O, invece, calarmi lentamente in acqua e riempire l'oceano con le mie lacrime, sfogando tutto il mio dolore.
“Sempre qui?” il mio migliore amico prende posto sul muretto, accanto a me.
“Sempre qui..” sussurro guardando l'oceano. Do un sorso alla mia birra prima che Michael me la strappi di mano finendola.
“Serviti pure.” lo guardo male quando ridacchia accennando un sorrisetto.
“Non è da me chiedere.” poggia la bottiglia accanto a sé e si volta guardando anche lui le onde.
Sospiro continuando a fissare il mare.
“Ti ricordi quando siamo venuti qui per la prima volta?” ridacchia il mio migliore amico alzando la testa verso il cielo.
Ridacchio “Come dimenticarlo, eravamo ubriachi marci e ci siamo fatti il bagno vestiti.”
“Si, alle tre di notte e in pieno inverno” ride guardandomi.
Io, dal mio canto, mi perdo nel vuoto mentre nella mente mi raffiorano tanti ricordi.
Come quella volta che abbiamo scommesso a chi stava più tempo sott'acqua o su chi avesse le palle per buttarsi dalla scogliera più alta. Inutile dire che ha vinto lui.
Lui ha sempre avuto più palle di me, non si è mai preoccupato del giudizio altrui o di farsi male; voleva solo divertirsi, ridere e godersi il momento.
“L'acqua era gelata quella sera...” mi guarda alzando un angolo delle labbra “Come tante altre sera, d'altronde.”
Annuisco. “Micheal..” sussurro, quasi volessi che non mi sentisse. Mi guarda in risposta, aspettando che finisca la frase. “Perché... Perché a te?” abbasso nuovamente lo sguardo non riuscendo a guardare la sua espressione.
“Me lo sono chiesto anch'io.” guarda il mare. Le onde sono talmente forti che qualche goccia d'acqua ci è arrivata ai piedi.
“Sai..” torna a parlare, accigliandosi “Credo di aver smesso di farmi questa domanda da un bel po'. Forse quasi subito. Ad un certo punto capisci che è inutile chiederselo, perché tanto non riceverai risposta da nessuno. Non puoi fare altro che far finta di niente e pregare coloro che ti circondano di trattarti come una persona normale, non come un malato terminale.” ridacchia. Non ho mai capito come riuscisse a ridere di questo.
“Non fare quella faccia Cole.” mi da un colpo sulla fronte. “Dovrei stare nel letto a deprimermi ed aspettare la mia fine? Non credo proprio. Ci rido sopra, la prendo per il culo questa malattia.” un sorriso gli appare sul viso.
“Non ti meriti niente di tutto questo.” lo guardo e quasi invidio la sua forza, il suo modo di superare le cose e andare avanti.
Ma io lo conosco, conosco il mio migliore amico meglio delle mie tasche. Lui sta male, si sente incapace e inutile contro qualcosa più grande di lui.
“La malattia non guarda in faccia nessuno quando colpisce. Non le importa se la vita di quella persona fa già schifo di suo, se quella persona sta male psicologicamente. Colpisce duramente, colpisce e basta, Lei arriva e poi tocca a te combatterla, anche quando sai che non c'è più niente da fare.” la sua mascella si indurisce. I suoi occhi verdi si scuriscono.
La vita è una merda.
“Continua a prenderla per il culo, Mike, ti prego.” lo guardo cercando di forzare un sorriso.
Lui mi sorride al suo solito modo da ragazzino che la sa lunga, e mi da un colpo con la sua spalla.
“Da quando sei così sdolcinato Cole?” ride.
Sbuffo “Non posso esserlo nemmeno una volta?”
“Tutte le volte che vuoi, fratello.” sorride. Sorride. E' sempre stato questo il suo modo di combattere la vita. E' fatto così.
“E' stato straziante vederti lì, oggi.. I tuoi genitori erano distrutti.” una lacrima abbandona i miei occhi al ricordo di questa giornata.
Abbassa lo sguardo “Mi dispiace così tanto di avergli dato così tante preoccupazioni..” sospira.
“Forse è meglio così, no? Hanno meno problemi adesso.” finge un sorriso.
“Non sei mai stato un problema e lo sai. Loro tu vogliono bene.” lo guardo negli occhi per fargli capire che, quello che sto dicendo, è la verità.
“Andrai avanti, va bene?” ricambia lo sguardo.
Scuoto leggermente la testa mentre i miei occhi si fanno lucidi “Non posso.. non ci riesco Micheal.”
“Si che ci riesci! Tu devi andare avanti Cole! Non buttare la tua vita, le persone sono solo di passaggio.” mi mette una mano sulla spalla ma è come se non lo sentissi.
“Cole, promettimelo.” mi guarda negli occhi “Promettimi che domani ti sveglierai e tornerai al college, che starai con Lili e non butterai la tua vita. Promettimi di tornare a sorridere, di tornare a goderti la vita. Fallo per me, fratello...” una lacrima abbandona i suoi occhi.
“Sei mio fratello Cole, se smetti di vivere per me non me lo perdonerò mai. Meriti di sorridere, Cole, di ridere e di avere tutta la felicità che riesci a strappare da questa vita. Ti prego, promettimi che tornerai ad essere felice.” mi guarda aspettando una risposta.
Le mie guance sono umide, ma me ne frego. “Te lo prometto.”
Devo farlo, per me e per lui.
Sorride “Tutto quello che abbiamo passato, tu eri al mio fianco. E ora sei con me per l'ultima corsa.”
“Non posso fare a meno di chiedermi se questa è l'ultima volta che vedrò il tuo viso..” queste parole lasciano le mie labbra mentre lui si alza dal muretto per mettersi alle mie spalle.
Poggia una mano sulla mia spalla “No, giuro che ti racconterò tutto quando ti rivedrò, avremo tanto da dirci.”
Porto una mano sulla sua, ma non sento niente.
La birra mezza vuota è nella mia mano, il mio sguardo è puntato sulle onde che, piano piano, smettono di infrangersi contro gli scogli.
Guardo il sole calare, rifugiarsi da questa vita.
“Te lo prometto, fratello..” sussurro, bevendo l'ultimo sorso di birra.

 

 

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Capitolo 7
*** "Memory." ***


E guarda quel bambino, seduto sulla finestra a guardare la città lì fuori.
Lo vedi? Sta piangendo.
Tutti i bambini stanno giocando, altri hanno i libri di scuola in mano.
Il bambino si sente diverso; anche lui vuole andare a scuola, anche lui vuole giocare con gli altri.
Prima anche lui era con loro; prima anche lui rideva e si divertiva. 
È cessato tutto all'improvviso. 
Piano piano la vita che aveva gli veniva strappata dalle mani. 
Prima le radio, poi la scuola. Le occhiatacce e poi.. 
Due uomini alla porta, due fucili puntati addosso a lui e a sua madre. 
Colpi alla testa, una ferita al braccio. Le lacrime sul viso della donna che l'aveva messo al mondo, mentre lui cercava di non piangere. 
'Mamma va' tutto bene, ci sono io a proteggerti.' un abbraccio, forse l'ultimo. 
Il suo peluche a forma di panda tutto sporco e strappato gli venne tolto; urla e colpi. Una lingua straniera che non aveva mai sentito, ma che suonava così cattiva. 
Occhi iniettati di odio. 
'Cosa ho fatto?' si chiedeva. 
'Sei ebreo' gli veniva risposto. 
Tante donne spaventate, bambini che piangevano e uomini che cercavano di proteggere le proprie mogli. 
Bastonate e colpi di fucili per chi usciva dalla fila. 
Tutti in ordine, come la fila Indiana a scuola; ma quella non era una scuola. 
Giorni a lavorare, la madre tornava piangendo dopo essere sparita per ore e non diceva mai niente. Si stampava un bel sorriso in faccia e abbracciava il figlio. 
Ma il bimbo se ne era accorto: lividi sul corpo della donna e sangue sulle gambe e sui vestiti. 
Ma la madre sorrideva, per lui. 
'Mamma, dov'è papà?' 
'Ci verrà a prendere quando usciamo.' rispondeva la donna. 
Ma la verità era che non sapeva più niente del marito, era sparito settimane prima. 
'Mamma mi hanno rasato i capelli' disse piangendo il bimbo. 
'Sei bellissimo anche così, tesoro.' lo abbracciava la donna. 
'Mamma mi hanno disegnato il braccio!' 
'Mamma, mi hanno fatto spogliare davanti ad un dottore'. 
'Mamma quando viene papà?' 
'Mamma voglio andare a casa, non mi piace stare qui.' 
'Mamma dove sei?' 
Un ordine, una doccia, venti secondi, tanto fumo e una lacrima.



 

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Capitolo 8
*** "Comparsa." ***


"Se hai bisogno di una mano,
prendi la tua e stringila forte."


Certe volte vorrebbe far vedere al mondo com’è davvero.
Vorrebbe gridare a quella che la indica sempre che indicarla non serve a niente, che sa già di essere sbagliata.
Vorrebbe dire a tutti quelli che sparlano di lei, che li sente e fare i falsi con lei non funziona.
Vorrebbe girarsi e urlare quando la guardano e cercano di farla sentire inadeguata.
Vorrebbe smettere di sentire quando la insultano, ribellarsi quando l’accerchiano, ridono e le fanno del male.
Ma non ci riesce.
Vorrebbe dire a tutti che lei già lo sa; sa di essere sbagliata, strana e inadeguata.
Vorrebbe dire che ricordarglielo non serve a niente.
Vorrebbe far capire che sotto quell’aria da dura c’è il vuoto, che le loro parole la spezzano sempre un po’ di più; che si sente sola, che ha paura del domani.
Vorrebbe dire che la notte si addormenta con la paura di risvegliarsi e affrontare un altro giorno; vorrebbe dire che ha l’ansia di entrare in classe la mattina.
Vorrebbe dire che additarla non serve perché ormai non riesce neanche a guardarsi allo specchio.
Vuole dire che desidera sparire.
Vuole far vedere al mondo che l’hanno cambiata, che sono riusciti nel loro intento.
Vuole dire che ora non si fida più di nessuno, che parlare è diventato complicato, che adesso grazie a loro è solo il dolore che la fa sentire viva, perché farsi male è diventata l’unica fuga dal vuoto che ha dentro.
Vuole dire che le loro parole non se ne vanno, e che ancora oggi se le porta dietro, che sono segni indelebili di un passato da dimenticare.
Vuole dire che adesso non sa neanche lei com’è davvero, che ha più maschere che sorrisi.
Perché la gente vuole questo; vuole sempre una risposta positiva perché devi stare sempre bene, perché gli altri hanno problemi più grandi, perché “è solo un periodo”, perché “sei piccola per conoscere i veri problemi”.
Le persone vogliono questo, e lei li accontenta; perché il mondo non vuole sapere come stai davvero.
In fondo lei lo sa.. sa che la gente è ingiusta e farebbe di tutto per farti male. Sa che i loro gesti prima o poi la porteranno a fare qualcosa di brutto.
Pensa di essere in più, sbagliata, non voluta. L’hanno convinta di questo e nessuno riuscirà a farle cambiare idea.
Sa che le persone non sono un porto sicuro e sa che, per salvarsi, deve aiutarsi da sola; ma sa anche che ad un certo punto dovrà mettere da parte il passato e iniziare a vivere davvero.
Le persone cercheranno sempre un pretesto per sentirsi forti e di farti sentire una comparsa in questo mondo di falsi attori.
Tutti siamo bravi a sentirci forti ma nessuno lo è per davvero.
Perché, in fondo, la verità è una sola: “Se hai bisogno di una mano, prendi la tua e stringila forte”.



 

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Capitolo 9
*** "One peace of me." ***


'𝑶𝒉𝒂𝒏𝒂'

Amo le serate come questa; amo sentire la tua voce che mi racconta vecchie storie, che mi rassicura e mi svela tante verità. 
Noi due sedute in due poltrone davanti alla tua finestra, in una sera d'estate. Una delle poche serate dove nell'aria alleggia un senso di allegria e verità, dove il vento fresco ti arriva agli occhi costringendoti a chiuderli.
Ma il vento fresco te lo godi lo stesso, anche se ti da fastidio agli occhi.
Parliamo della tua famiglia, degli strani avvenimenti sia belli che brutti. 
Come quella volta che tu e il vicino avete litigato per il rumore che causava a tarda notte col motorino; o come quella volta in cui sei stata accanto a tua nipote per mesi per un intervento al cuore.
Mi parli della tua vita come se i ricordi fossero l'unica cosa che ancora ti fanno sorridere.
Mi racconti di come tuo marito non ti facesse mancare niente, né a te né alle vostre figlie.
Mi parli di come le tue bimbe erano belle quando erano ragazzine e tanti uomini gli andavano dietro.
Mi racconti di come tu e tuo marito accoglievate il vostro primo nipote in casa; dormiva nel mezzo del lettone, poi la mattina lo preparavi con abiti da sartoria e tuo marito lo portava con sé in giro per il vecchio quartiere dove ancora abiti.
Un po' come un Re fa conoscere al proprio figlio, futuro sovrano, il suo regno.
Io le ho sempre immaginate così, le tue storie. La tua vita.
Tuo marito era il Re di un vecchio regno mal visto da tutti nella nazione, tu la sua Regina bella e temuta chiamata col nome della Madonna.
Le vostre figlie belle e ricce avevano i capelli scuri, il padre molto gentile ma anche burbero con loro.
L'abitudine del tuo amato di fumare e nascondere cioccolatini e caramelle nel primo cassetto del suo comodino.
Tu e le tue figlie che litigate tante volte, ma altrettante vi abbracciate. Anche con una forbice nel fianco.
E poi i vostri nipoti, il principe prediletto e i suoi fratelli e cugini. 
Magari al Re non andava al genio il marito della sorella maggiore, ma ci fece l'abitudine.
E mentre tu e il tuo amato andate ad invecchiare, i vostri nipoti crescono e creano una famiglia; una piccola bambina viene al mondo dando il via ad una nuova generazione. 
E lei cresceva amata, circondata dalla sua famiglia; magari con qualche giornata in campagna a pranzare e ridere tutti insieme e giocare con le vecchie carte.
Poi però il suo mondo e quello di tutta la famiglia va in pezzi in un unico istante che era popolato dalla gioia.
Il cuore del re, che aveva donato tanto amore, piano smette di battere e, da una parte, smette di battere anche quello di tutti gli altri.
E con gli anni le cose andavano sempre peggio; il principe prediletto divenne più freddo per aver perduto colui che gli aveva fatto da padre.
La Regina cade sul suo trono e dalla sua stanza esce raramente, come se in quella stanza lo sentisse ancora vicino.
E la piccola bambina cresce segnata da una perdita che non doveva avvenire. 
Per lei il Re era come la colla che teneva insieme tutta la famiglia. Quando la colla ammuffisce, non fa più effetto.
E, ogni tanto, si perde nei suoi pensieri più negativi e l'unica salvezza è lui: la sua anima, il suo letto, la sua stella.
E, raramente, si ritrova con la Regina in quella vecchia camera dov'erano custoditi tanti ricordi. E parlano.
Parlano dei vecchi ricordi, del cambiamento della gente e del loro cuore, della sua mancanza.
Parliamo così, noi. Quando siamo in quella camera è come se lui fosse lì ad ascoltarci.
Sente le nostre risate per vecchie e nuove cose, sente tuo nipote gridare e ridere... Sente te che desideri tornare da lui.
E, io so, che vede anche tutta la disperazione nel mio sguardo all'udire quelle parole.
Perché forse io sono troppo codarda per pensare un futuro senza te. 
Non mi ci vedo a crescere senza queste serate, senza la tua voce, senza i tuoi sorrisi. 
Non ce la faccio a vedere la nostra famiglia distruggersi completamente.
Mi distruggerei anch'io. Non voglio perdere la mia ancora.
Questa sera mi hai raccontato di come il tuo nipotino venne da te, qualche giorno fa, quando stavi male, ad ascoltare il battito del tuo cuore e a dirti 'respira'.
Mi hai detto che desideri vedere tuo nipote, il tuo principe, sposarsi.
Mi hai detto che la tua amata collana andrà a me, per la centesima volta.
Mi hai detto che le persone sono cambiate e preferivi com'erano prima.
Anch'io, anch'io vorrei aver vissuto prima e avere i tuoi stessi ricordi.
Vorrei esserci stata quando tuo marito portò la televisione in casa, sorprendendo le vostre figlie.
Vorrei esserci stata quando facevate le scampagnate d'estate.
Vorrei avervi vissuto di più.
Voglio che tu continui ad essere la regina del tuo regno, perché le cose possono sempre aggiustarsi.
Voglio che tu continui ad essere la mia regina, per favore.

-Lettera ad una donna importante.

 

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Capitolo 10
*** "Rain." ***


'Ricorda, le cose belle 
iniziano sempre con
un po' di paura.'

La pioggia batte sulla vetrata del vecchio bar del quartiere.
I pochi clienti all'interno fanno silenzio e il leggero rumore di caffè che viene versato nelle tazze, il tepore caldo e i sorrisi della gente rendono tutto più tranquillo.
Un ragazzo fa il suo ingresso, il campanello suona come ad avvertire dell'arrivo di un nuovo cliente.
I capelli bagnati dalla pioggia e lo sguardo vuoto.
-Ragazzo, stai bene? Vuoi sederti?- la proprietaria del negozio, un'anziana signora che riesce a farti sentire sempre a casa, si affianca al ragazzo.
-No.. Volevo dire ehm.. Si, grazie.- alza di poco la testa, osservando la donna che sorride.
-Hai bisogno di qualcosa?- le guance arrossate dal caldo, gli occhi attenti e allegri e la bocca piegata in un leggero sorriso.
-Di un abbraccio.. Solo questo.- le labbra del ragazzo tremano, ma non dal freddo. 
Alza il viso verso l'alto, un vecchio trucco per trattenere le lacrime. 
Arriva tanto freddo ai tuoi occhi, e le lacrime scompaiono. 
-Oh, ragazzo. Liz, porta due cioccolate calde, grazie.- una ragazza dietro il bancone sorride e annuisce, iniziando a preparare le cioccolate richieste. 
La donna trascina il ragazzo ad un tavolo, vecchio e arrugginito, depositato all'angolo della stanza. 
-Giovane, raccontami. Cosa è successo?- 
Il ragazzo alza il viso, stringe le mani in due pugni. 
-Lei ama qualcuno?- la donna rimase paralizzata da quella domanda insolita. 
-Perché... perché me lo chiedi, ragazzo?- 
-Sa, da un po' avevo un peso al petto. C'erano giorni in cui non riuscivo a mangiare. Certe volte non ridevo per giornate intere; mi sentivo bloccato. 
E sa perché? Per amore.- ride, ride per trattenere quelle lacrime che tentano di scappare al suo controllo. 
Orgoglio, fottuto orgoglio. 
-Ah ragazzo.. Posso raccontarti una storia?-
Egli annuisce, mentre due tazze fumanti vengono poggiate davanti a loro. 
-Grazie cara.. Molti anni fa una ragazza conobbe un giovane. Alto, di bell'aspetto e di buona famiglia. Lei era una ragazza senza autostima, era molto chiusa e non si fidava di molti. Piano piano i due si conobbero, fecero amicizia, fino a diventare inseparabili. 
Qualcuno dice che, in un amicizia tanto forte, prima o poi uno dei due finisce per innamorarsi... La ragazza si innamorò di quel bel ragazzo che le dava tante attenzioni. Che le prendeva sempre la mano quando erano insieme, che le raccontava tutto. 
La ragazza lo disse alle amiche, e venne a sapere che lui non provava niente per lei se no un profondo bene: un 'bene dell'anima' diceva lui. 
Sai cosa successe un giorno? La giovane non ce la fece più. Aveva un peso allo stomaco che non la faceva neache dormire. 
Glielo disse, confessò il suo amore pur sapendo di essere rifiutata. 
Quella notte pianse come non mai ragazzo, come non mai.- la donna abbassa lo sguardo, mentre sorseggia la sua cioccolata. 
-Sono sicura che tu ora starai pensando che l'amore è bastardo. Che fa solo soffrire. 
Ma non è così, l'amore ti salva. 
Non c'è felicità senza sofferenza. Perché la felicità arriva sempre dopo, è sempre stato così.-
Il ragazzo la guardò -Lei non mi vuole, io mi sento solo un coglione per averci sperato, per aver rovinato tutto. Io non dovevo innamorarmi.. Non dovevo.- una lacrime sfugge dal controllo ostinato del giovane. 
-Hai fatto bene a dirglielo, e sai perché? Perché meglio soffrire ma avere un peso in meno che soffrire con un macigno nel petto. Sei ancora giovane, ragazzo, sai quante volte soffrirai ancora? Uhh, ne hai tante da passare ancora! L'amore arriva, giovane, ma non subito.- la donna sorrise mentre con la mente viaggiava nei ricordi. 
-Come finisce la storia?-
-Pochi giorni dopo, la ragazza stava ancora male. Un giorno decise di andare a bere qualcosa, una cioccolata calda, si dice che fosse. Entrò in un piccolo bar di periferia, pioveva e lei entrò con tutti i capelli bagnati e i vestiti gocciolanti. Si avvicinò al bancone e chiese una cioccolata calda e al contempo la chiese anche un ragazzo al suo fianco. 
Lei non lo guardó neanche ma, appena la cameriera disse 'la cioccolata è pronta' entrambi alzarono lo sguardo, ed entrambi presero la stessa tazza. Si litigarono, si dice. 
Alla fine il ragazzo fece il primo passo e le chiese di sedersi allo stesso tavolo, quello che lui usava sempre. Era un vecchio tavolo all'angolo del bar, nascosto da tutti. 
La ragazza accettò. Parlarono per ore e ore. 
La cioccolata si raffreddó, nessuno dei due prestò più attenzione alla tazza, troppo impegnati a parlare. 
Si dice che si sposarono e che l'uomo morì in guerra 10 anni dopo. Si dice che la donna non si risposó e che comprò il locale nel quale si erano conosciuti, conservando per anni quel tavolo all'angolo nascosto da tutti.-
Un dolce e malinconico sorriso alleggiava sul viso dell'anziana donna. 
Il viso del ragazzo era ricoperto di lacrime. 
L'orgoglio era sparito, lasciando posto ad una facciata di tanta sofferenza. 
-È... una storia molto bella, signora..- venne interrotto dalla donna che lo avvolse tra le sue braccia. 
-Ma quale signora, non sono così vecchia eh, tutti mi chiamano nonna Betta, e tu mi chiamerai nonna Betta. Sono stata chiara, ragazzo?- il sorriso contagioso, le braccia del ragazzo si avvolseró intorno al corpo di nonna Betta. E, per la prima volta in quella giornata, sorrise. Un sorriso vero. 
-Grazie, grazie di tutto.- la donna a quelle parole strinse ancora di più il ragazzo. 
-Ricordatelo, giovane, l'amore non si cerca, si trova per caso e arriva quando dai tutto per perso.- si separano, entrambi con gli occhi lucidi e un sorriso sulle labbra. 
-Devi tornare a casa?- egli annuisce - Bene, ti accompagna Liz con la macchina, sta ancora piovendo.- batte le mani chiamando la giovane ragazza ad alta voce. 
-Betta, dimmi.- la ragazza aveva i capelli ricci scuri allacciati dietro la testa, e tra le mani uno strofinaccio. 
-Il tuo turno è finito, accompagna.. Ehm.. Come ti chiami, giovane?- 
-David, mi chiamo David.- si passa una mano sul retro della testa imbarazzato dallo sguardo delle due donne. 
-Ecco, accompagna David, a casa.- la ragazza annuisce sorridente.
-Aspetta, prendo la borsa e arrivo. Grazie Betta.-
La donna sorrise -Ah, voi giovani.. Bene, David, torna presto.-
Liz esce da dietro il bancone e arriva davanti al ragazzo -Su, la macchina è qua accanto.-
Arrivati alla macchina e, una volta messa in moto, Liz prende parola. 
-Ti ha raccontato la storia della cioccolata calda e del vecchio tavolo?-
-Come fai a sap...-
-Stava piangendo, l'avevo capito. Tu hai capito che la ragazza in realtà è lei, vero?-
-Cosa? No..- il ragazzo era confuso. 
-Come no? Non ti sei accorto com'era vecchio il tavolo dov'eri seduto?- sorrise ella e, solo in quel momento, David si accorse della bellezza della ragazza.
-Si, è vero...-
-Che ti ha detto?-
-Che l'amore può arrivare nei momenti peggiori...-

 

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Capitolo 11
*** "Supereroi." ***


"Ho fatto dell'autodistruzione la mia armatura."
 

Non sono cresciuto con i supereroi.
Non avevo qualcuno che mi rimboccasse le coperte e mi desse il bacio della buonanotte sulla fronte.
Non avevo qualcuno che mi asciugasse le lacrime quando piangevo.
Non avevo qualcuno che mi abbracciasse quando avevo paura.
Non avevo qualcuno che mi rimproverasse quando rompevo qualcosa.
Non avevo qualcuno che mi insegnasse cosa volesse dire crescere.

Non sono cresciuto con i supereroi.
Papà era sempre a lavoro, mamma era troppo occupata.
Ho imparato a rimboccarmi le coperte da solo.
Ho smesso di aspettare il bacio della buonanotte.
Ho smesso di avere paura dei mostri sotto il letto.
Ho iniziato a fare attenzione a non rompere niente.
Ho imparato ad allacciarmi le scarpe da solo, sbagliando e cadendo.
Ho imparato da solo le buone maniere a forza di ricevere urla per uno sbaglio.

Non sono cresciuto con i supereroi.
Non ho mai ricevuto la favola della buonanotte.
Non mi addormentavo con le ninna nanne, le urla erano la musica di tutti i giorni.
Ho imparato a crescere.
Ho iniziato a cavarmela da solo.
Ho smesso di desiderare un abbraccio.
Ho imparato che nessuno sarebbe arrivato ad asciugarmi le lacrime.
Allora lo facevo da solo.

Non sono cresciuto con i supereroi.
La mamma se ne è andata e io ho iniziato ad uscire.
All'improvviso non mi importava più fare bella impressione, non mi importava di tornare tardi.
Papà ha iniziato a bere e io ho cominciato a fumare.
Cappuccio in testa e auricolari nelle orecchie, ho imparato a non farmi notare.

Non sono cresciuto con i supereroi.
Il papà era l'amico di tutti i figli maschi, la mamma la loro prima donna.
Per me mio padre non era nessuno a cui importasse di me.
Per me mia madre era assente.
Ad essere madre padre sono bravi tutti, chiunque è capace di mettere al mondo un figlio; ma ad essere mamma papà ci vuole tanto lavoro.

Non sono cresciuto con i supereroi.
Ho imparato a crescere da solo.
Non ho avuto i consigli per il primo appuntamento.
Non ho avuto qualcuno che mi aiutasse a fare la barba la prima volta.
Non ho avuto qualcuno a cui presentare la mia prima ragazza.
Non ho avuto nessuno che mi desse la sua benedizione.
Non avevo nessuno ai colloqui scuola-famiglia.
Non ho avuto nessuno quando mi sono rotto il braccio col primo motorino.
Non ho avuto papà con cui passare le domeniche a guardare la partita.
Non ho avuto mamma che mi tormentava per la fidanzata.

Non sono cresciuto con i supereroi.
Ho imparato a farcela da solo.
Ho imparato che non avevo bisogno di nessuno oltre a me stesso.
Ho imparato a crescere.
Ho imparato ad andarci piano.
Ho imparato a non correre.
Ho imparato a crearmi la mia famiglia da solo.
Ho imparato che devo essere geloso di mia figlia.
Ho imparato che devo raccontare le favole a mio figlio.
Ho imparato a guardare mia moglie con amore.
Ho imparato a non urlare mai davanti ai bambini.

Non sono cresciuto con i supereroi.
Ho fatto crescere i miei figli con una spalla su cui contare.
Ho fatto crescere i miei figli con qualcuno da chiamare mamma papà.
Non ho fatto sentire ai miei figli i piccoli litigi con mia moglie. 
Ho fatto crescere i miei figli asciugandogli le lacrime.
Li ho abbracciati e ho cacciato via i mostri da sotto il letto.
Li ho fatti ridere.
Ho fatto l'interrogatorio al primo fidanzato di mia figlia e l'ho abbracciata quando tornava a casa, felice o in lacrime. 
Ho guardato le partite con mio figlio e l'ho aiutato a farsi la barba la prima volta. 
Ho fatto i complimenti a mia moglie per ogni vestito che indossava, anche quelli per stare in casa.

Ho imparato che la vita non va sempre come si desidera. 
Ho imparato che la vita è bastarda e che il destino non esiste. 
Sei tu che ti crei la tua vita, il tuo percorso. 
Ho imparato che più vuoi una cosa più non l'avrai. 
Ho imparato che se vuoi qualcosa devi sudare per averla. 
Ho imparato che serve sempre una mano in guerra.

Non sono cresciuto con i supereroi,
ma lo sono diventato, per me.

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Capitolo 12
*** "Welcome Back." ***


                                                                                                                                                                                                                       "E si ricordò di troppe cose,                                                                                                                                                                                                                                che, a sentirle tutte insieme,                                                                                                                                                                                                                              gli fecero male al petto."



l'autista segue quello che gli ho detto, e l'auto si ferma davanti all'edificio che ha ospitato quasi tutta la mia adolescenza.
.
apro la portiera .
Esco dall'auto e mi dirigo verso la scuola. 
Mi è mancato questo posto, queste mura... Queste persone.
Le persone mi guardano come se fossi un fantasma, mentre cammino verso l'entrata principale mi accorgo di riuscire a riconoscere la maggior parte dei volti.
Molti mi guardano con espressione arrabbiata, altri spaventata, ed altri senza nessun interesse.
Vedo che molti si ricordano di me.
Rido fra me, ricordando cosa ho fatto passare a questa scuola.
Entro dentro l'edificio e qualcuno sbatte contro di me. Alzo il volto per squadrare colei che mi è venuta addosso.
sorrido, un sorriso non piacevole.
La ragazza si blocca, mi squadra cercando di realizzare chi ha davanti.
Rido. Rido perché mi piace l'espressione sulla sua faccia, mi fa sentire potente.
Lei piange, e quelle lacrime mi fanno sentire bene, forte. 

mi pietrifico, e la ragazza ne ha approfitta per andare via.
Mi volto verso la voce che ha richiamato la mia attenzione.
Sorrido, e mi muovo in avanti per abbracciarla.
Ma lei si scansa. Torno al mio posto e la guardo male.
ghigno.
Ride  
La guardo interrogativa.

Mi guarda.

mi blocca Ride.
Continua.

E ride, ancora. Sembra che sia uno spettacolo, tutti ci osservano in silenzio.
sputa con rabbia.
non rispondo.
la guardo senza sapere cosa dire.
E lei continua, non si ferma. Vuole farmi sentire tutto il dolore che gli ho causato.
delle lacrime mi scorrono sul viso, le mie mani tremano.
La gente guarda, si diverte.
apro bocca, vedendo che lei non avrebbe continuato.
Ride, e ride ancora.
Mi prende il polso, trascinandomi per le scale. 
Arriviamo sul tetto.
Usciamo e sbatte la porta dietro di noi.
Indica il parapetto con il dito
Le parole mi muoiono in gola.
Mi sembra come se il cuore avesse smesso di battere per qualche secondo.
Sam...
mi interrompe con un gesto della mano.
Piange.
E con lei anch'io.
mi guarda.
Sorride, annuisce. ride senza guardarmi.
ride, ancora.
La guardo, cercando di fare un passo verso di lei.
Alza il volto e punta il suo sguardo nel mio.
si passa le mani fra i capelli.
Alza le maniche della sua felpa e quello che vedo mi fa gelare il sangue.
urla arrabbiata.
Fa dei passi verso di me. 
Si ferma a guardarmi, a pochi centimetri dal mio volto.
cerco di parlare ma lei non me lo lascia fare.
Ben tornata, questo sarà il tuo inferno personale.> se ne va, sbattendo la porta dietro di sé.
Cosa ho combinato?

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Capitolo 13
*** "I." ***


'Ci sono due motivi per cui la 
gente cambia:
ha aperto gli occhi
o ha chiuso il cuore.'

È come se mi sentissi vessata da tutto.
Capitano, quei momenti, in cui non capisco come sto. 
Sento solo un grande vuoto nel petto, come se mancasse qualcosa... qualcuno. 
Capitano, quei momenti, in cui sento il cuore pesante. 
Troppo pieno, gonfio per via delle lacrime che ho trattenuto tante volte. 
Capitano, quei momenti, in cui sento la gola stringersi e la voglia di urlare aumentare. 
Sento il bisogno di urlare quello che provo, cosa sento dentro di me tutte quelle volte in cui faccio finta di non sentire. 
Poi, però, appena apro la bocca è come se la voce scomparisse tutto d'un tratto. 
E rimango lì: bloccata con le mani in tasca, le cuffiette nelle orecchie e la mente in confusione. 
Ho troppe cose da dire e poco coraggio per farlo.
Spesso penso strane cose, che a molti risulterebbero sbagliate.
'Che cosa ci sto a fare qui?' 
Ho la brutta abitudine di sentirmi sempre di troppo. 
Durante una conversazione, in classe, persino in una passeggiata con amici. 
Anche a casa. 
Guardo i miei genitori con mio fratello, seduti a tavola a mangiare e ridere e penso 'Stanno così bene senza di me..' e sorrido al pensiero di loro senza di me. 
Magari avrebbero meno delusioni, più sorrisi e farebbero meno sforzi. 
Guardo i miei amici ridere e penso 'Possono stare anche senza di me.'
Mi sento inutile, una delusione. 
Creo litigi e discussioni. Causo lacrime. 
Mi sento in colpa per qualsiasi cosa, anche per stare così. 
Capitano, quei momenti, in cui la musica è l'unica cosa che mi capisce. 
Quei momenti, per niente rari, chiusa in camera e la musica a tutto volume, lasciando il mondo fuori. 
Perché in quei brevi ma intensi 2:56 minuti, tutto scompare. 
Nella mia testa c'è solo quella canzone. Nient'altro. 
Ed è così che vorrei essere la maggior parte del tempo: calma, felice. 
Sono arrabbiata col mondo, anche se la colpa è solo mia. 
Sono arrabbiata con le persone che mi stanno intorno, anche se la colpa è solo mia. 
Sono arrabbiata con me stessa, ed è solo colpa mia. 
Ci sono persone che non riescono a superare un cambiamento, e la mente cerca in tutti i modi di non andare avanti. 
La persona non supera nulla, accumola solo rabbia e tanto dolore. 
Ho il brutto vizio di trattenere la rabbia. 
Ho il brutto vizio di non parlare. 
Ho creato un muro intorno a me, che mi blocca dal chiedere aiuto. 
Posso parlare del perché sto male, ma non dirò mai la vera ragione. 
Anche chi pensa di sapere tutto di me, di conoscermi, di aver abbattuto ogni barriera intorno a me, non sa nulla. 
Non sa niente di tutte le volte in cui mi sento vuota.
Non sa niente di tutte le lacrime trattenute e della rabbia repressa.
Non sa nulla delle volte in cui mi sono dovuta rialzare da sola. 
Non sa nulla di me. 
I demoni di qualcuno non si possono contare. 
Non si possono definire, spiegare. 
Non ricordo l'esatta volta in cui non sono riuscita a rialzarmi. 
Ma, da quel momento, qualcosa è scattato in me. Quasi come un metodo di protezione. 
E continuo a sentirmi una completa idiota per tutte quelle volte in cui sono rimasta fregata dalle persone e ho detto 'ora basta', per poi cedere perché, in fondo, io sono troppo buona con gli altri. 
Perché io credo sempre che la gente possa cambiare, che la gente debba ricevere una seconda possibilità. 
Le persone che mi circondano sono come le fondamenta di una torre. 
Quando un pezzo di fondamenta crolla, tutto cambia. Piano piano le fondamenta crollano e la torre cede. E si distrugge. 
È come se dipendesse troppo dalle persone che mi circondano. 
Quando una persona se ne va, il mio mondo crolla. 
Forse perché già troppe persone sono andate via. 
Mi aggrappo al loro ricordo, come se fosse l'unica possibilità che ho. 
Non vado avanti. 
Ma, nonostante io abbia delle persone accanto, sento di non meritarle, anche se sono loro a farmi andare avanti. 
Devo tante scuse, a tante persone. 
Migliore amica, scusa se sono un completo disastro. 
Migliore amico, scusa se ti faccio preoccupare. 
Genitori, scusate se causo delusioni e problemi. 
Fratello, scusa se non sono la sorella che meriti. 
Compagne, scusate se sono entrata nella vostra vita. 
Le persone ti salvano la vita a volte; io devo tanto a loro, non me li merito.

Io, alla fine, chi sono? 
Sono una ragazza del liceo; studio psicologia perché da grande vorrei aiutare le persone a sorridere, perché la vita non è vita se non si sorride. 
Sono una ragazza che ama leggere, estraniarsi dalla realtà. 
Sono una ragazza che adora la musica, perché riesce a calmarla. 
Sono una ragazza che sa cosa vuol dire soffrire. 
Sono una ragazza chiusa, scontrosa il più delle volte e che può sembrare antipatica ma se tieni a lei, ti regala il cuore. 
Sono una ragazza che ha fatto errori, tra cui donare troppo cuore a chi non lo merita. 
Sono una ragazza che ha due genitori, un fratello, due migliori amici e una classe perfetta.
Sono una ragazza che, da fuori, appare con la vita perfetta, ma non lo è affatto. Perché, chi sembra che abbia la vita perfetta, in realtà non è così. 
Sono una ragazza senza autostima e che non crede in sé stessa. 
Però, sono una ragazza semplice, che non desidera altro se non un abbraccio ogni tanto. Che vuole solo contare qualcosa per qualcuno, che vuole qualcuno che abbia paura di perderla.

Io sono la ragazza seduta sull'autobus, con le cuffie nelle orecchie, lo zaino in spalla e un libro tra le mani. 
Io sono la ragazza che non parla, ma scrive.

-Euphoria

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