Simply the Best

di Etace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's a Hard Life ***
Capitolo 2: *** Under Pressure ***
Capitolo 3: *** Let me Entertain You ***
Capitolo 4: *** It's a Kind of Magic ***
Capitolo 5: *** The Great Pretender ***



Capitolo 1
*** It's a Hard Life ***



Era incredibile quanti corsi di laurea potesse raggruppare una materia settoriale e complessa come la biochimica.

Ed era incredibile che lui, Roger Taylor, fosse finito proprio in un’università di seconda categoria come quella federale.

La sua mancata ammissione a Cambridge era stata vissuta come un’onta dalla sua famiglia. Dopotutto suo padre, un ricco e rinomato dentista londinese, si era laureato con il massimo dei voti proprio a Cambridge, e così suo zio, suo nonno e perfino quello stronzo di suo cugino.

Era come se avesse mancato di rispetto a una tradizione di famiglia.
Guardò di nuovo l’orario delle lezioni, traendo un sospiro rassegnato. Oggi avrebbe avuto due ore di biochimica, due di parodontologia, altre due di anestetologia e per finire in bellezza ben tre ore di farmacologia. Roger piegò malamente il foglio e lo ficcò nella borsa. Questi erano matti se credevano che uno studente avrebbe potuto frequentare un delirio del genere. Era chiaro che doveva fare una selezione, visto che era uno e non trino.

“D’accordo, oggi seguo biochimica e farmacologia” pensava abbacchiato, mentre si dirigeva verso l’aula “Domani mi faccio anestetologia, biologia molecolare e parodontologia. O c’era istologia?- si bloccò -Aspetta… Domani è martedì, quindi c’è … Che palle, non me lo ricordo”

E così iniziò a frugare nella borsa per recuperare la scheda con l’orario delle lezioni, solo che, ovviamente, questa era sparita. Tirò fuori un paio di block-notes sbrindellati, le sigarette, le chiavi della macchina, le bacchette da batterista, il portafoglio ma niente, la borsa adesso era vuota e quella scheda del cavolo era scomparsa.

Roger imprecò, com’era difficile la vita. Tra l’altro non si ricordava nemmeno più quali corsi avrebbe avuto oggi. Decise comunque di entrare e di sedersi in fondo, mantenendo il più possibile un profilo basso. Non erano proprio ben visti i figli di papà in un’università del genere e lui non aveva voglia di guai.

Solo che, ovviamente, un tizio dall’aria poco amichevole gli si parò davanti. Sembrava il classico sessantottino rissoso.

-Scusami, ti dispiace? Quello è sempre stato il mio posto- gli fece notare con voce indisponente.

-Non mi pare che ci sia scritto il tuo nome- gli rispose Roger con tono polemico, notando però che si erano avvicinati altri quattro tipi molesti.

-Se è per quello non ho nemmeno le iniziali nella camicia. Perché non ti vai a comprare la laurea invece di rompere le palle a noi, fighetto?-

“Ma vaffanculo” pensò Roger, decidendo tuttavia di inghiottire il rospo. Gli mancava solo una rissa il primo giorno di lezione e suo padre lo avrebbe diseredato del tutto. Prese le sue cose e si alzò di malavoglia, cercando con lo sguardo un altro posto libero, che non fosse nelle prime file. Lo trovò laterale sulla sinistra, accanto a un ragazzo dai capelli cespugliosi, chino su un libro.

-Scusa è libero?- gli chiese -Dei coglioni mi hanno rubato il posto-

Costui sollevò il capo, mostrando dei penetranti quanto intelligenti occhi azzurri.

-Certo- soggiunse, spostando le sue cose per fargli spazio.

-Grazie- mormorò Roger, sedendosi pesantemente al suo fianco. Lo guardò di sbieco: il suo vicino aveva un aspetto dimesso, era completamente spettinato e aveva già ripreso a leggere il suo manuale. Il tipico secchione che non ha una vita al di fuori dello studio.

-Che tu sappia, il prof è sempre quello di biochimica 1?- gli chiese Roger, tanto per intavolare un discorso.

Il giovane alzò un attimo gli occhi, non sembrava molto propenso a socializzare.

-Non saprei. Non ho frequentato biochimica 1-

-Ah, scusami- si scusò Roger, teso -Che corso fai?-

-Astrofisica-

“Merda” pensò Roger, impressionato, ma senza darlo a vedere.

-Però, deve essere un corso complesso-

-Non così tanto, se ti piace- minimizzò il ragazzo, distogliendo lo sguardo per dedicarsi di nuovo agli appunti, scritti con una calligrafia ordinata ma microscopica.

Anche Roger distolse lo sguardo e decise di lasciarlo stare. A quanto pare si era seduto di fianco a un secchione, ecco perché il posto era libero.

Solo che poi il giovane biondo notò qualcosa di interessante, molto interessante per i suoi gusti. Appoggiato al muro giaceva infatti il logoro astuccio di uno strumento musicale, che aveva tutta l’aria di essere una chitarra o qualcosa di simile.

Roger assottigliò le palpebre pesanti e lo guardò di sbieco. Possibile che il secchione asociale suonasse?

“Nah” giudicò, scuotendo la testa con fare annoiato “Questo non sa neanche distinguere un sol da un la”

Ma come Roger pensò così, ecco che il ragazzo al suo fianco gli pose la fatidica, sorprendente domanda.

-Tu suoni?- gli chiese infatti a bruciapelo, cogliendolo completamente impreparato.

-Scusa?- gli domandò infatti Roger, stupito.

-Sei un batterista, vero?- insistette costui. Roger aprì e chiuse la bocca, era interdetto.

-Come fai a saperlo?-

-Si vede dalle dita- gli rivelò l’altro, accennandogli un sorriso -E anche dal modo in cui ti muovi-

Roger si guardò le mani e puoi guardò lui, incredulo. 
-Sono senza parole- gli rispose, ricambiando il sorriso -Non credevo di essere così riconoscibile-

-No figurati, sono io che sono un po' ossessionato in fatto di musica-

-Ossessionato?- ripeté, sempre più sorpreso -Aspetta, fammi indovinare. Quella chitarra appoggiata al muro è tua, vero?-

-L’hai notata- gli sorrise nuovamente il vicino -Ogni tanto strimpello-

-Ma dai. Genere?- domandò Roger, interessato.

-Rock, per lo più, ma sono aperto un po' a tutto. Tu?-

E così iniziarono a conversare, coinvolti e interessati, con il tipico entusiasmo di due persone che condividono la stessa passione.

-…E posso dirti tranquillamente che la musica è tutta la mia vita- esclamò Roger, quasi dimentico di essere a un corso universitario -Se non l’avessi, a quest’ora probabilmente sarei ricoverato in qualche ospizio a ingurgitare della naftalina. Comunque io sono Roger-

-Piacere, Brian- gli strinse la mano, in modo energico e gentile al contempo -Scusa ma ora sta per iniziare la lezione, non posso perdermi una parola-

Roger si zittì e forzò un sorriso. E chi aveva voglia di ascoltare biochimica, ora che aveva iniziato a parlare del virtuosismo tecnico di Ginger Baker?

Comunque il ragazzo di nome Brian era stato sorprendente, era sì un secchione, però era anche forte e aveva una cultura musicale di tutto rispetto, si vedeva che c’era dentro fino al collo.

Ah, la musica, benedetta musica, solo lei riusciva a rendere interessante anche chi non lo era per niente.

E lì in mezzo c’erano dei soggetti noiosi. Roger infatti si era guardato intorno, osservando la variopinta fauna studentesca. Non c’era una ragazza carina neanche per sbaglio, notò con amarezza, e in compenso era già entrato il professore incaricato per la lezione. Era un tizio in sovrappeso e mal vestito, con due grossi baffi uno più corto dell’altro. A Cambridge, uno così, lo avrebbero come minimo buttato fuori a calci nel sedere.

“Che università del cavolo” pensò il giovane Roger, con arroganza.

-Comunque, è anche la mia di vita-

Roger si voltò di scatto verso Brian.

-Cosa?- gli sussurrò, colto alla sprovvista.

-La musica- gli sorrise il ragazzo riccio -Non per sembrarti sfacciato, ma io e un mio amico abbiamo una band e ce la caviamo anche benino, solo che il batterista ci ha mollato. Se ti interessa, posso lasciarti un numero-

Roger Taylor sgranò gli occhi dalla sorpresa, ma reagì d’istinto e scosse la testa -No, grazie. Mi manca solo fare parte di una band ed è la volta buona che mio padre mi ammazza-

-Perché? Cos’ha contro le band?-

-Niente, in realtà. Ha semplicemente qualcosa contro tutto quello che faccio io, se capisci cosa intendo-

-Capisco la situazione- gli rispose comprensivo, per poi rivolgere tutte le sue attenzioni al professore, che aveva iniziato la lezione.

Roger, a differenza sua, non riusciva a stare poi molto attento.

La biochimica non gli piaceva, in realtà il suo intero corso di laurea -odontoiatria e protesi dentaria- non gli piaceva poi tanto. Ma d’altronde era il suo destino e il batterista sapeva che poteva considerarsi fortunato. Era conscio che c’erano persone che lottavano anche solo per pagare la retta di un’università pubblica e non elitaria come quella…


 

Farrokh Bulsara, a differenza di Roger Taylor, non era nato in una famiglia ricca e sofisticata. Lui infatti era un ragazzo immigrato in Inghilterra e, per studiare, doveva lavorare. Ora poi a maggior ragione, visto che aveva iniziato a convivere con la sua ragazza.

Quel giorno era in un ritardo mostruoso, tanto per cambiare. Ma non perché avesse perso l’autobus o altre cause di forza maggiore, era in ritardo perché aveva semplicemente impiegato troppo tempo a prepararsi. E infatti bisognava vederlo per capire quanto dedizione scrupolosa riservasse al suo look stravagante. Sembrava quasi che Farrokh, o Freddie, come preferiva farsi chiamare, volesse nascondere le sue origini dietro i vestiti eccentrici che indossava. Si vedeva infatti che non era londinese, e questo sembrava pesargli come chissà quale macigno.

E d’altronde, gli sguardi sprezzanti che riceveva sovente sia dagli studenti che dai professori non lo aiutavano a sentirsi integrato. Però adorava l’Inghilterra, e probabilmente si sarebbe gettato nel Tamigi piuttosto che tornare a Zanzibar.

Comunque, con ben mezz’ora di ritardo, il giovane  Freddie entrò nell’aula, interrompendo la lezione senza fare troppi complimenti. Era affannato, moro e vestito in modo a dir poco vistoso, con pantaloni a zampa larga che sembravano troppo lunghi e una giacchetta vintage che sembrava troppo corta. In compenso, però, il suo fisico affusolato sembrava dipinto col pennello, tanto era perfetto e valorizzato.

-Scusi, scusi, scusi!- esordì, rivolto al professore -Ho avuto un inconveniente con il mio gatto, mi perdoni-

Il professore di biochimica strinse forte le labbra e lo fulminò con lo sguardo, continuando la lezione complessa.

Il sorriso di Freddie scomparve. Egli si defilò e si sedette nel posto più laterale che trovò libero. Anzi in quello dopo, visto che una ragazza l’aveva letteralmente fulminato con lo sguardo.

-Ma da dove è uscito quello?- sussurrò Roger, divertito -Non l’ho mai visto-

-Fa design- si limitò a rispondergli Brian, reticente come al solito.

-Design? E perché segue biochimica?-

-Non ne ho idea-

-Che strano tipo- sussurrò Roger, scuotendo la testa.

-Magari per lui quello strano sei tu- lo sorprese Brian, di nuovo.

Roger lo guardò, perplesso.

Ecco cosa succedeva a non essere stati ammessi a Cambridge: come per magia, diventi più strano del tipo vestito da saturday night fever il lunedì mattina.




 

 

 

 

 

 

Note

Sapevo che sarebbe successo, era solo questione di tempo e di spezzare il ghiaccio.

Non dico che ho fatto come Rami Malek e che mi sono guardata tutti i loro video/foto/interviste, però ci sono andata vicino, e mi sono fatta un’idea ben chiara di tutti e tre. Tre, perché John Deacon è troppo più giovane per frequentare l’università nei loro stessi anni... Ma arriverà, presto o tardi. Sappiate comunque che cercherò di trattarli bene e di non mancare loro di rispetto, anche se qualche accenno Freddie/Roger temo ci sarà (anzi, senza temo, visto che l'ho già scritto xD).
Poi un'ultima cosa. So bene che Roger si unirà agli Smile leggendo un annuncio in bacheca, e infatti così accadrà anche qui, anche se fra un po'... Vorrei infatti cercare di rispettare il più possibile i fatti realmente accaduti, ovviamente romanzandoli un po' proprio come ha fatto il film Bohemian Rhapsody, però l'idea di fondo dicamo che è questa.

Come avete notato, il linguaggio sarà un pochino scurrile , chiedo scusa nel caso a qualcuno dia fastidio.

Spero che vi sia piaciuto,
Etace

 

 

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Capitolo 2
*** Under Pressure ***


 

-Amore? Sei poi andato al corso di biochimica?-

Freddie esitò e inserì un altro gettone nella cabina telefonica. Mary, la sua ragazza, era dolce come il miele ma quando si arrabbiava erano guai.

-Ci sono andato, sì- mormorò il giovane -Solo che…-

-Solo che?-

-Ho dimenticato di metterti la firma-

-Cosa!? Ma non ci posso credere! Ma perché sei sempre così distratto!? Possibile che…-

Freddie allontanò la cornetta dall’orecchio e si appoggiò alla parete della cabina telefonica, in attesa che la sua ragazza finisse gli improperi. Estrasse anche una sigaretta e se la mise dietro l’orecchio, tra i capelli lunghi e un po' mossi.

Mary aveva ragione, lui stesso si sentiva incorreggibile.

-Hai ragione, amore- sussurrò infatti, ma ovviamente fu inutile.

-No! Non mi interessa di avere ragione! La ragione si dà ai matti!- sbraitò Mary dall’altro capo del ricevitore -Ti chiedo un favore, uno, e tu non riesci a portarlo a termine! Pensi solo a te stesso e a quelle diavolo di strofe che…-

-Ascolta, ti risolvo in parte il problema- la interruppe -Chiedo gli appunti a qualcuno, così almeno hai la lezione-

-Ma non ci pensare neanche!- strillò la sua fidanzata.

-Ora devo salutarti, amore della mia vita-

-Freddie!! Non riattaccare!-

-Ti amo-

-Se osi riattaccare, io…!-

Freddie riattaccò e uscì dalla cabina, accendendosi la sigaretta. Non fece in tempo a fare quattro passi che un uomo, un muratore al lavoro in un cantiere, gli fischiò dietro. La futura rockstar velocizzò il passo, facendo finta di non vederlo.

 

 


 

 

“Una band…”

Roger ci stava pensando troppo spesso.

Aveva già fatto parte di una band, in realtà era da quando aveva otto anni che faceva parte di gruppi musicali, solo che ora si era dato altre priorità e aveva confinato la sua più grande passione al mero ruolo di hobby. D’altronde non era l’amore a portare a casa il pane, come soleva dire suo padre. La musica era la sua vita, l’odontoiatria il suo lavoro, e questo era quanto.

...Tuttavia, se al posto di suonare da solo, avesse suonato con qualcun altro non sarebbe stata la stessa cosa? Che male c’era?

-Ha sempre la testa per aria! Si dimentica tutto, te lo giuro!-

Roger si voltò e vide due ragazze di passaggio. Una di loro, bionda e molto carina, si stava sicuramente lamentando del fidanzato, Roger ci avrebbe scommesso.

-Pensa solo a scrivere, il resto per lui non conta niente, nemmeno io!- la sentì dire.

-Mary non dire così, lui ti adora, e poi è così dolce- gli rispose l’amica, allontanandosi per il cortile dell’ateneo insieme a lei.

-Lo so che è dolce, purtroppo- ammise la ragazza di nome Mary -Però tu non sai cosa vuol dire convivere con un uomo che...-

“Donne” pensò Roger, chiudendo il manuale di farmacologia “Sempre a rompere le palle”.

Le donne erano delle scocciatrici, e lui non era per niente concentrato nello studio. La verità era che Roger si sarebbe pigliato volentieri un calcio nel sedere, piuttosto che starsene lì a studiare farmacologia, ma questi erano dettagli. Si sentiva sotto pressione, terribilmente annoiato, tristemente insoddisfatto. Decise quindi di alzarsi dalla panchina e di farsi un giro. Tra l’altro era anche una giornata calda e soleggiata, inusuale per essere ottobre, per cui passarla a studiare gli pareva davvero un delitto. Solo che...

Solo che si sentiva osservato. Gli sembrava che gli studenti non avessero altro da fare se non seguirlo con lo sguardo e giudicarlo. Sia chiaro, Roger era consapevole di essere più bello della media, sapeva di piacere e di ispirare invidia, tuttavia quegli sguardi insistenti erano diventati come dei macigni, difficili sia da sostenere che da ignorare.

Decise pertanto di raggiungere il parcheggio, prendere la sua adorata Jaguar e andare in centro città a farsi un giro in santa pace. Entrò perciò dentro l’università, attraversò tutto il salone principale e andò verso il parcheggio, ovviamente custodito e a pagamento, dove riposava la sua ragazza dalle quattro ruote.

Per farlo, però, incappò presso la bacheca degli avvisi, che si trovava come di consueto all’uscita principale dell’università. Decise di fermarsi, colto da un’idea improvvisa.

“Chissà se…” si chiese, pensando all’annuncio che poteva aver affissato Brian “Ci guardo, così, per curiosità”.

Iniziò a leggere i vari avvisi: lezione di salsa e balli caraibici, lezioni private di francese, di spagnolo, gruppi di lettura…

Occupato com’era a scandagliare la bacheca, Roger non si era accorto che alla sua destra c’erano un paio di occhi scuri che lo osservavano, indecisi.


Freddie era appena arrivato e lo stava guardando da lontano, furtivamente. Quando si dice il destino… Lui voleva uno studente di biochimica e su chi si andava a imbattere? Ma sul ragazzo più bello, più snob e più british di quel corso, naturalmente. Infatti, come Roger si sentiva bello e degno di ammirazione, così Freddie non si piaceva, era duro con se stesso e non si perdonava niente. Si vergognava delle sue origini, detestava la mediocrità -a cui si era ingiustamente condannato- e soprattutto odiava i suoi denti più di qualsiasi altra cosa. Era infatti nato con due incisivi in più, un'anomalia del tutto innocua ma portatrice di conseguenze estetiche (e canore) che a lui procuravano un grande imbarazzo. E Roger, in tutto questo, era il classico tipo che lo faceva sentire a disagio: bello come il sole, deliziosamente occidentale e ricco. In poche parole, rappresentava tutto ciò che Freddie avrebbe voluto essere.
...E avere. 
Ma questa era una parentesi delicata, e non sarebbe opportuno aprirla ora.

Ma malgrado questo quadro di insicurezze, la futura rockstar aveva del fegato. Non si piangeva addosso, reagiva, e camminava con le spalle dritte e la testa alta.
Così fece anche quel giorno con Roger, celando come al solito la timidezza dietro al suo look sfacciato e sensuale.

-Ciao, tesoro. Posso disturbarti?- gli chiese con calma apparente, accarezzandolo con lo sguardo.

Roger si voltò verso di lui, lo riconobbe e aggrottò le sopracciglia bionde.

-Ehm, ciao? Dimmi tutto- gli rispose un po’ stranito, guardandolo dalla testa ai piedi. Il giovane Freddie indossava un paio di pantaloni bianchi e inguinali che lasciavano ben poco all’immaginazione, e una maglietta sottile sui toni dell’arancio, aderente come una seconda pelle.

-Tu eri al corso di chimica ieri, vero?- gli chiese infatti, cercando di sembrare disinvolto.

-Sì, biochimica- gli confermò Roger, un po’ perplesso -Perché?-

-Non è che potresti farmi un favore?-

-Se posso, come no-

Il giovane Freddie gli rivolse un sorriso a bocca chiusa, piacevolmente sorpreso.

-Grazie mille- gli rispose, sciogliendosi un po' -Sai, non conosco nessuno del corso e allora mi sono detto chissà, magari il biondino di ieri oltre a essere bello, è anche gentile-

“Biondino?” si allarmò subito Roger, imbarazzato “Oh, merda, questo ci vuole provare”

-Beato te, tra parentesi- continuò Freddie, appoggiandosi al muro -Anche io avrei voluto i capelli biondi e gli occhi azzurri-

-Nah, sono sopravvalutati- gli rispose il batterista -Ascolta, amico, sono lusingato ma ti interrompo subito, perché io…-

-Faccio prestissimo! Avrei solo bisogno degli appunti per la mia ragazza-

-Non… Aspetta cosa? La tua ragazza!?- ripeté Roger, stordito dalla rivelazione.

-Sì- gli rispose -Ieri non è potuta venire a lezione perché lavorava e allora aveva mandato me, solo che io faccio tutt’altro e non le ho nemmeno firmato la presenza. Si è imbestialita, ma ha ragione-

-Hanno sempre ragione- borbottò Roger, ancora scosso. Era certo che quel ragazzo fosse omosessuale. Ci avrebbe scommesso la macchina, il che era tutto dire per uno come lui.

-Mi faresti davvero un favore enorme- aggiunse Freddie, accennandogli un altro sorriso sempre e rigorosamente con le labbra serrate. Sembrava quasi che stesse flirtando con lui, o forse era solo il suo modo di fare che era sensuale per natura. Roger nel dubbio arrossì.

-A dire il vero non ho preso chissà quali appunti, insomma, non credo che lei ci capirebbe qualcosa, li capisco a stento io. Poi era la prima lezione e sai, le prime lezioni sono sempre un po' inutili. Il ragazzo alto di fianco a me, però…-

-Freddie!- lo interruppe all’improvviso una voce femminile e un po’ autoritaria -Non starai chiedendo gli appunti a quel ragazzo che non conosci, vero!?!-

Roger si voltò e riconobbe la ragazza bionda e carina che aveva visto brontolare poco fa.

-Lo sto facendo per te, mi amor- replicò quest’ultimo cercando di baciarla, ma Mary gli mise una mano sopra la bocca.

-Scusalo- esclamò rivolta a Roger -Non ha un briciolo di ritegno-

-Sei tu che ne hai troppo- replicò Freddie -Poi questo biondino è tanto gentile, com’è che ti chiami, caro?-

-Roger Taylor, odontoiatria- si presentò.

-Freddie… Freddie. De…-

-Design- lo anticipò Roger -Lo so-

-Si vede!?- esclamò Freddie tutto contento, facendo sorridere Mary.

-Sì, abbastanza- scherzò Roger -Comunque, se hai bisogno degli appunti te li do, non è un problema-

-Hai visto?- disse Freddie rivolto alla ragazza, la quale sorrise a Roger.

-Ti ringrazio molto, in teoria sarebbero per me, non certo per lui. Comunque io sono Mary- gli tese la mano -La ragazza del designer qui presente-

-Roger, piacere- rispose questi, ricambiando la sua stretta.

-Quindi stai studiando per diventare dentista?- gli chiese gentilmente Mary, tanto per fare conversazione.

Roger alzò le spalle, come se si fosse rassegnato al suo destino -A quanto pare…-

Lei gli sorrise, Freddie invece aveva abbassato lo sguardo.

-È sicuramente un lavoro molto remunerativo- gli fece notare Mary, stringendo la mano del suo fidanzato.

-Sì, quello è vero- concordò Roger -Ma non so se ne vale la pena. Sarà che sono dentisti anche mio padre, mio nonno e mio zio e l’idea di ridurmi come loro mi inquieta-

-Non so perché ma ti capisco- gli rispose lei, garbata come al solito, Freddie invece si limitò a sorridere.
Roger decise di cambiare discorso.

-Sentite, non è che conoscete un locale dove le band si esibiscono dal vivo?-

Mary alzò le spalle -Ce ne sono tanti, in realtà-

-Perché?- chiese subito Freddie -Tu suoni?-

Roger lo guardò con tanto d’occhi. Di nuovo quella domanda in meno di ventiquattro ore!?

-Sì, suono- gli rispose, cauto -Non dirmi che anche tu lo hai notato dalle mie mani?-

Freddie aggrottò le sopracciglia -No, figurati- gli rispose subito -Era solo per sapere. Cosa suoni?-

-La batteria-

-La batteria!?- questa volta gli sfuggì un sorrisone, rivelatore della sua dentatura -Favoloso! Adoro la batteria, la trovo energetica!-

-Perché? Esiste uno strumento che non adori?- gli chiese dolcemente Mary, Freddie le sorrise.

-Anche io l’adoro- concordò Roger -Praticamente sono nato con le bacchette in mano-

-Io invece suono il pianoforte e… E canto, anche- gli rese noto, stringendo forte la mano di Mary -Ma suoni tipo in una band?-

-No, però ieri mattina ho conosciuto un tipo che pareva interessato a reclutarmi- precisò Roger.

-Ah, dai, casomai…-

-Scusa ma ora devo andare, ho un corso tra dieci minuti. Parodontologia, brutta roba- lo interruppe bruscamente, mentendo -Ci si vede in giro, ragazzi. È stato un piacere-

-Ciao, il piacere è stato nostro- lo salutò Mary, Freddie invece si limitò a fare un cenno.

La ragazza lo guardò, intuendo il suo cruccio.

-Dai, piccolo- lo consolò, sorridendogli dolcemente -Prima o poi troverai una band che ti adotterà-

-No, sono io che devo adottare una band, non il contrario- le sorrise, ma con la scintilla della determinazione nello sguardo.

 

 

“…Cantare con quella malocclusione dentale? Deve essere pazzo. Chi mai lo accetterebbe?” pensava Roger, mentre si dirigeva verso la macchina.

Bisogna dire che Roger non era perfido o superficiale, semplicemente era stato abituato a una certa schiettezza mentale, che gli impediva di infiocchettare la realtà. Per sfondare nel mondo dello spettacolo, oltre al talento occorrevano anche il carisma -indispensabile sul palco- e la bellezza, soprattutto quando ci si trova agli esordi e non si è raccomandati. Quel ragazzo straniero non era brutto, ma non era neanche adeguato ai gusti dell’audience occidentale.

La gente voleva sentirsi compresa e spalleggiata dalla musica, pretendeva di rispecchiarsi in essa e in chi la suonava. Chi mai in Europa si sarebbe rispecchiato in quel Freddie? Nessuno, naturalmente…

Roger non poteva avere idea di quanto stesse sbagliando, non aveva nemmeno il più vago, remoto sospetto di ciò che sarebbero diventati da qui a qualche anno, e d’altronde è proprio questo il bello della vita, la sua imprevedibilità.




 

 

 

 

Note

Ciao ragazzi! Questo era il secondo capitolo, spero che vi sia piaciuto :)

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Capitolo 3
*** Let me Entertain You ***


 

Cercasi batterista con esperienza per spettacoli, feste ed esibizioni varie ed eventuali, preferibilmente in stile Ginger Baker/Mitch Mitchell.

Se interessati, contattare il numero 592/487654

No perditempo.



 

Roger lesse l’avviso almeno dieci volte, con una stretta allo stomaco.

Possibile che quella band doveva cercare proprio un batterista? Cos’era, una prova di resistenza a cui lo sottoponeva il destino? Brian e Tim non potevano cercare un violinista, un trombettiere, un sassofonista!? Proprio un batterista!

Tra l’altro lo aveva chiamato perfino un suo caro amico per informarlo di quello stesso avviso, segno che il suo compagno di corso doveva averlo appeso in più luoghi, non solo nell’ateneo.

Una band.

E farmacologia? E biochimica? E la palestra? E le ragazze? E parodontologia?

Non che la musica fosse l’ultima delle sue priorità, anzi, era la prima, visto aveva preso in affitto una stanza insonorizzata solo per poter suonare ogni volta che voleva senza disturbare la quiete pubblica, tuttavia il dovere lo chiamava, e a gran voce. Dopotutto, si era iscritto all’università per diventare dentista, non per suonare gratuitamente in locali squallidi e di terza categoria.

Però, se quell’astrofisico trovava il tempo di gestire una band, perché non doveva riuscirci anche lui?

Più passavano i secondi, più lui si sentiva indeciso, teso. L’ultima volta che aveva suonato in una band era stato un disastro totale. “Mai più” si era detto, risoluto. La smania di diventare una rockstar gli era passata da un pezzo: troppe porte in faccia, troppe delusioni, litigi, incomprensioni, solo che...

Solo che quel giovane gli ispirava. Aveva tutta l’aria di essere un fenomeno, uno di quei geni musicali che possiedono l’orecchio assoluto e che sentono le melodie dalla sola lettura dello spartito.

Avevano parlato il giorno prima, poco prima che cominciasse la lezione…

 

-Ma come siete organizzati?- gli aveva chiesto Roger, cercando di risultare casuale -Nel senso, quante volte provate alla settimana?-

-Quando c’era il batterista di prima, anche tre volte, sempre alla sera tardi. Adesso che lui è stato ammesso ad Harvard, io e Tim abbiamo un po' mollato. Poi c’è stata l’estate, l’inizio dei corsi, i traslochi, e sai come succede, ci si perde di vista. Non ci esibiamo da una vita-

Roger accennò un sorriso -Deve essere una figata esibirsi-

Anche Brian sorrise tra sé e annuì -Non puoi immaginare quanto. Non l’hai mai fatto?-

-No. O quanto meno, non sul serio-

-Bisogna provare per capire. Ti dà una potentissima scarica di vibrazioni positive, è come stare in un campo magnetico di adrenalina ed entusiasmo- cercò di descrivergli -Ascolta, se vuoi venire anche solo per capire se siamo musicalmente compatibili, ti posso lasciare il numero di Tim-

-No, meglio di no- aveva declinato Roger, a malincuore -Magari vi vengo a vedere, quando fate serata-

-Magari- concordò con lui, forzando un sorriso.

-E magari mi porto anche il tipo dell’altra volta, te lo ricordi? Quello che è arrivato in ritardo-

-Il designer?-

Roger annuì -Ma lo sapevi che ha una ragazza!?- aggiunse, come se gli avesse rivelato chissà quale scoop.

Brian però alzò le spalle, poco impressionato -Buon per lui-

-Come buon per lui? Non ti è sembrato un po’ molto gay?-

 

 


 

 

-…Figaro no, è inflazionato- esclamò Freddie, sdraiato sul letto con due gatti appollaiati di fianco -Non trovi sia inflazionato, amore mio?-

Mary, che stava cercando di studiare, alzò un attimo gli occhi al cielo e gli sorrise.

-Tesoro, sto cercando di studiare-

-Anche io-

-No, tu stai scrivendo dei testi-

-Sì, ma questo- esclamò Freddie, sollevando il blocco -Questo ha del potenziale, solo che non riesco a esprimerlo. È come se le parole fossero bloccate dentro di me e avessero bisogno di una chiave per uscire fuori-

Mary sospirò, preoccupata. Non stentava a crederci, dopotutto quante volte lo aveva sorpreso sveglio, in piena notte, e preda di un frenetico fervore creativo?

-Troverai la chiave- gli sorrise.

-Certo che la troverò- le rispose Freddie, sicuro di sé. Poi le sorrise e allungò un braccio verso di lei, Mary colse l’invito e lo raggiunse sul letto. Tanto sapeva che quando c’era lui in casa, di studiare non se ne parlava nemmeno. Perciò si sdraiò al suo fianco e si lasciò abbracciare, spingendosi in mezzo a due gattoni, che poltrivano irremovibili come due scogli.

-Come ti è sembrato il biondino di ieri?-

-L’aspirante dentista che non vuole diventare dentista?- gli chiese lei -Hm. Simpatico, forse un po' spocchioso-

-Per me è fantastico- si sbilanciò, senza neanche rendersene conto -E d'altronde, quando nasci biondo, bello e ricco è chiaro che la vita ti ha sorriso e ti ha voluto premiare con dei doni che andrebbero come minimo condivisi. Vorrei essere come lui-

-Ma tu sei molto meglio di lui- gli fece notare Mary dolcemente, voltandosi dalla sua parte. Ora i loro nasi quasi si sfioravano, tanto erano vicini.

Freddie le fece un bel sorriso, senza paura di mostrarle i denti -Lo pensi davvero? Anche se lui è così bello?-

-Non lo trovo così bello- minimizzò Mary, accarezzandogli la frangia.

-Oh, dai, è bellissimo-

-Bellissimo…?- ripetè lei, perplessa.

-Beh, sì- le rispose, sicuro -Ha gli occhi azzurri, un fisico scolpito e i suoi capelli, oltre a essere biondi, hanno tutta l’aria di essere anche…- la guardò ed esitò: Mary aveva cambiato espressione.

-Morbidi- finì, un po' imbarazzato

-Sembra quasi che tu lo trovi più bello di me-

-No!- negò subito, arrossendo -Figurati… È che sono un po' invidioso, tutto qui-

Peccato solo che lui non era mai stato un tipo invidioso. Se voleva qualcosa, Freddie se la prendeva, punto.

-Però, c’è una cosa che io ho e che Roger non ha- le disse, afferrandole la mano -Una cosa bellissima, che vale più di tutte le sue fortune messe assieme-

-La voce?- ipotizzò lei, un po' abbacchiata.

-Tu-

Mary non poté che sorridere. Non si sa bene come o perché, ma lui riusciva sempre a trovare le parole giuste, a dire ciò che lei agognava di sentirsi dire. Era romantico in modo quasi poetico, commovente.

Gli diede un bacio e aderì sul suo corpo, ma non fece in tempo a intrecciare le gambe tra le sue che Freddie si girò dall’altra parte.

-Allora, com’è Figaro?- le chiese invece, riprendendo il blocco in mano. Mary lo guardò un po’ delusa, avrebbe approfondito quell’iniziativa volentieri.

-Hmm- sussurrò, accarezzandogli il braccio -È carino…-

-Mi dici qualche altro nome italiano, possibilmente eufonico?-

-Perché italiano?-

-Perché l’Opera è nata in Italia- le rispose Freddie, accarezzando il proprio micio tutto nero.

Mary fece un’espressione stupita. Avrebbe voluto chiedergli un "E allora?", ma preferì non farlo. Si limitò ad alzarsi dal letto: il momento intimità, a quanto pare, era finito prima ancora di iniziare. I gatti, in compenso, non si erano spostati di un millimetro.

-D'accordo, quindi… Leonardo?- tentò, svogliata, mentre si avvicinava alla scrivania. 

-Nah…-

-Michelangelo-

-Troppo lungo- obbiettò subito Freddie.

-Dante?-

-Troppo corto- rispose altrettante rapido.

-Morricone?- azzardò Mary dopo un po', puntando sul famoso compositore.

-Troppo contemporaneo-

La ragazza alzò gli occhi al cielo e continuò a pensare, cercando di riordinare un po' i vari e variopinti vestiti sparsi un po' ovunque.
-Cicerone?- disse poi, contenta della sua trovata. Ma l'altro la smontò subito.

-Oddio, Mary! Ho detto eufonico!-

-E che ne so io di che cosa è eufonico per te!- replicò, lanciandogli addosso una sciarpa viola che usavano entrambi.

Freddie gliela lanciò di rimando, dispettoso -Qualcun altro?-

-Sto pensando!- gli rispose, per poi tornare ad aprire il suo manuale per l’esame di fisica. Lesse l’incipit del capitolo, che recitava le seguenti parole:

“Galileo Galilei was an Italian astronomer, physicist and engineer, sometimes described as the father of…"

-Amore?- lo chiamò Mary, sollevando la testa.

-Hm?-

-Che ne dici di Galileo?-

 


 

 

Tutuuu tutuuu…

Il suo telefono di casa squillava…

“Cosa cazzo sto facendo?” pensava Roger, agitato sulla sedia “No, adesso riaggancio. In dicembre ho tipo quarantatré esami, come potrò…”

-Pronto?-

Il batterista biondo si irrigidì e sgranò gli occhi. Era troppo tardi.

-Ehm, Brian? Sei tu?-

-Sì?- rispose l’altro -Chi parla?-

-Ciao, sono Roger, il tipo di biochimica, non so se ti ricordi-

-Ma certo, il batterista!- lo riconobbe subito -Come stai?-

-Bene, grazie. Tu?-

-Non male. Dimmi, avevi bisogno di qualcosa?-

Roger chiuse gli occhi -Ascolta, riguardo a quel posto vacante nella tua band… È ancora libero? Perché sarei interessato-

Brian sorrise sulla cornetta, sorpreso -Abbiamo sentito due ragazzi parecchio bravi, però sentiremo più che volentieri anche te, Roger. Ti va bene stasera alle 22:00?-

-Certo, siete qui nel campus?-

-No, Tim non vive al college. Però abita qui vicino, hai presente il nuovo osservatorio di astronomia che hanno aperto da poco, quello vicino alla questura?-

-In realtà no…-

-Okay, ehm… Harrods?- propose Brian, immaginando che non tutti avessero una passione per le stelle come lui.

-Sì!- rispose subito il ragazzo biondo -Harrods, certo. Come no-

-Bene, da Harrods prosegui dritto…-

Roger si appuntò tutte le indicazioni stradali a penna, sotto gli appunti di farmacologia.

Appena terminò la chiamata sorrise, con un sorriso aperto e spontaneo.

Una band.

E chi l’avrebbe più studiata quella palla di farmacologia?











Note
Ciao amici.
Sappiate che con questo capitolo ho superato una fase di blocco e d'ora in poi la storia sarà più semplice da scrivere e più interessante da leggere. Ho già le idee piuttosto chiare. Come avete visto, qui siamo ancora in una fase del tutto embrionale rispetto alla creazione di Bohemian Rhapsody. Ho sempre pensato Freddie ce l'abbia avuta per la testa almeno per qualche anno, magari degli spezzoni, prima di perfezionarla con la band. 
Sono consapevole che alcune cose non aderiscono alla realtà (non so, ad esempio, se Mary abbia mai frequentato l'università), ma spero che vi piaccia comunque!
A presto,
E.


 

 

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Capitolo 4
*** It's a Kind of Magic ***



Se c’era una cosa che Mary adorava, quella era il suo ragazzo. Freddie aveva qualcosa di magico, che riusciva sempre a strapparle un sorriso. Perfino dopo una stressante giornata di lavoro da BiBA, il negozio di vestiti in cui era stata assunta come commessa, il suo coinvolgente ragazzo riusciva a trascinarla fuori per bere qualcosa.

Aveva molta voglia di vivere, Freddie, era esuberante e sopra alle righe, anche se purtroppo le circostanze della vita avevano influito negativamente perfino su di lui. Anche lui doveva lavorare per guadagnarsi da vivere e anche lui aveva alle spalle una famiglia difficile. I suoi genitori infatti non erano di mentalità aperta, erano molto legati alla loro cultura zoroastriana e suo padre era convinto che Freddie si fosse iscritto a economia e commercio, non a design. Certo, prima o poi il giovane glielo avrebbe dovuto dire. Almeno il giorno della laurea…

-Amore, tua madre ha chiamato anche oggi- lo informò Mary.

-Che palle- esclamò Freddie, sdraiandosi sul letto seminudo e con un asciugamano intorno ai capelli lunghi e bagnati.

Mary si sporse per dargli un bacio -Non puoi continuare a evitarli-

-Certo che posso, se non gli rispondo-

-Freddie…-

-Non mi va- le disse, guardandola negli occhi -Sono soffocanti e antidiluviani, mi irritano-

-Ma sono comunque i tuoi-

-Sai cosa ha detto mio padre l’ultima volta che mi ha visto?- replicò Freddie, accendendosi una sigaretta -Mi ha detto: “Farrohk! Quando capirai che sei un uomo e non una donna!? Tagliati quei capelli!”- scimmiottò la voce del padre -“E quei vestiti da battona? Vatti a cambiare!”-

Malgrado tutto, quell’imitazione tragicomica fece ridere Mary. -Ha detto da battona!?- gli chiese infatti, incredula.

-No, non ha detto da battona, però il senso era quello-

-Non oso immaginare come ti eri conciato- aggiunse lei, guardandolo con aria affettuosa.

Freddie sorrise tra sé, divertito -Invece ero sobrio…- mentì - Avevo solo un paio di pantaloni di pelle e il tuo pellicciotto-

-Il mio…!- Mary si frenò, pazientemente. Ormai ci aveva fatto l’abitudine, non era la prima volta che il suo ragazzo le rubava i vestiti dall’armadio o i trucchi dalla trousse. E quanto gli donavano, tra l’altro!

-E sotto al MIO pellicciotto cosa ti eri messo?-

-Una collana di mia sorella- le rispose lui, con un sorrisetto colpevole.

-Eccolo!- esclamò, divertita -Lo capisci che non puoi vestirti così, quando vai da tuo padre?-

-È proprio quando vado da mio padre, che mi vesto così-

-Ma perché sei così scemo?-

-E tu perché sei così bella?- le rispose a tono, ricambiando il suo sorriso. Mary gli rubò la sigaretta dalle labbra per un tiro, senza smettere di guardarlo.

Era difficile tenergli il muso, soprattutto quando aveva quel sorriso malandrino. Sembrava che avesse la scritta “baciami” stampata in fronte.

Si abbassò su di lui e lo baciò, vinta come sempre dal suo fascino unico e conturbante. Le sue labbra erano unite e asciutte, poco propense a dischiudersi. Mary schiacciò la sigaretta nel portacenere così da potersi trascinare contro di lui e cingerlo meglio, con entrambe le braccia, ma lui la fermò.

-Amore mio- la chiamò, dolcemente -Stiamo per uscire, te lo ricordi?-

-Non possiamo starcene a casa?-

-Staremo a casa, quando saremo vecchi- le rispose, alzandosi dal letto con un colpo di reni.

-D'accordo... - mormorò, ma non si arrese -Dopotutto, se dici di no al sesso, vuol dire che ci tieni proprio tanto a uscire-

Freddie si bloccò e si voltò verso di lei con gli occhioni spalancati. Mary aveva appena pronunciato la parolina magica: sesso.

-Beh, ora che ci penso… Non ci corre dietro nessuno, no?-

 

 

 



 

 

Roger si guardò intorno: in quella cantina sembrava che fosse scoppiata una bomba. C’erano spartiti per terra, cartoni della pizza, lattine, riviste di musica, di donne nude, cianfrusaglie varie ed eventuali e una batteria vecchia e malconcia  accantonata in un angolo. Fu la prima cosa che Roger notò, a dire il vero.

-Ciao, io sono Tim- gli si presentò un tizio allampanato, moro e di bell’aspetto -Voce e basso-

-Roger, piacere- esclamò costui, lanciando un’occhiata a Brian, che era seduto con una chitarra elettrica di fianco.

-Brian mi ha parlato di te, ha detto che sei molto bravo-

Roger aggrottò le sopracciglia, sorpreso. Beh, sì, era molto bravo, però Brian non l’aveva mai sentito prima d’ora…

-Me la cavo- rispose umilmente.

-Questo lo valuteremo- esclamò Tim, secco -Posso farti prima qualche domanda di circostanza?-

-Tim, dai, non rompere le palle- si intromise Brian ma il cantante lo ignorò.

-Da quanto tempo suoni?- gli chiese invece, iniziando l'interrogatorio.

-Da quando sono nato- gli rispose Roger, sinceramente.

-Beatles o Rolling Stones?-

-Dipende dalle canzoni-

-Non prendi posizione?- lo punzecchiò Tim.

Roger corrugò la fronte, tranquillo -No, l’ho appena presa. Dipende dalle canzoni che si confrontano-

-Va bene, e cosa ascolti di solito?- continuò Tim.

-Me stesso- gli rispose Roger, senza paura di risultare sfacciato. Brian apprezzò e sorrise; Tim, invece, no.

-Te stesso?- ripeté infatti, con una punta di sarcasmo.

-Suono la batteria appena ho un secondo libero, non ho proprio tempo di ascoltare la musica degli altri-

Tim fece un’espressione sorpresa -Sembri molto sicuro di te-

-Lo sono-

Il cantante si mise a sedere e si aprì una lattina di birra, sembrava per qualche ragione infastidito. 

-Sai, Roger, anche il ragazzino di prima, quel John, lo era- disse infatti, con un’aria vagamente strafottente -Solo che invece di suonare la batteria, suonava il basso. Non è il tuo caso, vero?-

-Ho la faccia di uno che suona il basso!?- lo sfidò Roger, infiammandosi -Suono solo la batteria, poi è chiaro che se mi dai una chitarra so strimpellare qualcosa, però il mio strumento principale è la batteria-

-E comunque il ragazzino di prima era un fenomeno- si intromise Brian, per quietare gli animi.

-Sì, ma era un bassista, Bri- esclamò Tim, scocciato -Cosa ce ne facciamo di un bassista che si spaccia per batterista?-

-Niente. Ma posso dire che era un fenomeno per la sua età?- insistette Brian.

-Ehm, ragazzi?- si intromise Roger, muovendo la mano per attirare la loro attenzione -Quindi? Che faccio?-

-Dai, Roger, mettiti in posizione e facci sentire quello che sai fare- esclamò Tim. Brian allora si alzò subito dalla poltrona e afferrò la sua adorata Red Special, la chitarra elettrica che aveva realizzato con suo padre, e se la mise a tracolla.

-Ti accompagno- rispose poi all’espressione interrogativa di Roger, con la luce della passione a illuminargli lo sguardo. Il giovane non sembrava nemmeno più lui con quella chitarra tra le braccia. Era come se fosse rinato e risplendesse della luce riflessa della musica.

Roger gli sorrise ed estrasse dalla custodia le sue adorate bacchette, quelle fortunate, quelle che preferiva. Si posizionò in quella batteria un po' datata, dal seggiolino sgangherato. Niente a che vedere con la sua preziosa  Sleishmann.

-Allora- esclamò, facendo roteare le bacchette tra le dita -Cosa volete ascoltare, signori?-

 

 


 

 

-Ti amo, ti amo, ti amo…- gli ripeteva ininterrottamente Mary, stesa sotto di lui, unita a lui con anima e corpo.

La sua voce era dolce e melodiosa. Non era intonata, o forse era semplicemente troppo insicura per lasciarsi andare al canto, ma aveva una voce bella e rassicurante. E questo gli bastava.

-Ti amo, ti amo, ti amo così tanto…-

Ma quel ragazzo con i capelli scuri e le lentiggini, quello bello che aveva visto durante la lezione di tecnologie tessili, ecco lui aveva un accento latino davvero sensuale, e gli aveva sorriso.

Freddie strinse forte Mary contro di sé.

O forse si era rivolto alla ragazza che gli era di fianco? No, aveva sorriso a lui. Ed era bello, oh, quanto era bello.

-E tu mi ami?- la sentì ansimare, avvertendo subito il peso del suo sguardo.

Era bello, ma mai bello quanto Roger Taylor, naturalmente. Il biondino volava decisamente in alto…

-Certo che ti amo, amore mio- le rispose lui, prontamente. Ed era vero, l’amava sul serio. Mary era la persona che amava di più al mondo.

-Sei la persona che amo di più al mondo- glielo disse, certo di renderla felice. E infatti lei gli sorrise e chiuse gli occhi, ribaltando la testa sul cuscino.

Ogni volta che era dentro di lei, gli sembrava di morire, ma non aveva ancora ben chiaro se in senso positivo o negativo.

I don't want to die.

Certo, ciò che provava in quei momenti era indiscutibilmente piacevole, a volte perfino meraviglioso.

Ma non così meraviglioso da doverle ripetere “ti amo” senza sosta, come per rimanere ancorato alla realtà e non lasciarsi sopraffare dall’intensità del piacere.

Non così meraviglioso come avere un Roger sorridente e inginocchiato ai propri piedi.

-Oh, Freddie!- la sentì strillare, prossima all’orgasmo.

I sometimes wish I'd never been born at all…


 


 

 

-Brian? Posso dire una cosa?- domandò Roger, mentre si dirigevano verso le rispettive auto, parcheggiate nel vialetto sotto casa di Tim.

-Dimmi-

-Tim mi sta sulle palle-

Brian ridacchiò -No, dai, bisogna conoscerlo, è un tipo un po' particolare… Comunque è bravo-

-Col basso- aggiunse Roger, senza potersi trattenere -Perché, quanto a voce, non mi sembra un granché-

Brian alzò le spalle e si pettinò i folti capelli con le dita, un po' imbarazzato. Era evidente che concordava con lui, ma gli scocciava ammetterlo.

-Tu invece sei davvero bravo- cambiò discorso -Hai un ottimo orecchio-

-Grazie, amico- lo ringraziò Taylor, lusingato -Anche tu vai alla grande-

Il chitarrista gli sorrise e continuò a camminare. Roger aveva sentito quella credenza per cui i geni erano degli incompresi e dei solitari, ma non avrebbe mai creduto che ne avrebbe incontrato uno vero, in carne ed ossa. Perché Brian era un genio, e non solo nell’astrofisica o nei gelidi calcoli matematici, era proprio un passo avanti in tutto, magico quasi. Lo aveva accompagnato con la chitarra come se avesse saputo fin dall’inizio dove volesse arrivare con le melodie, e la loro musica si era amalgamata così bene, che sembrava avessero provato per settimane.

O era stato un caso, o come musicisti erano proprio sulla stessa lunghezza d’onda.

-Senti, ti posso chiedere una cosa?-

-Dimmi- lo esortò di nuovo il chitarrista.

-Perché sei sempre da solo? A lezione, in giro per il college, in mensa… Sei sempre da solo, eppure sei simpatico-

-Perché sono esigente. Amo circondarmi solo da persone che ritengo meritevoli-

-Oh, e io sono meritevole per te?-

-Tutti i bravi musicisti sono meritevoli per me-

-Grazie- gli sorrise, sempre più lusingato -Allora mi fate poi sapere se sono dentro?-

Brian alzò le sopracciglia e gli sorrise -Roger- lo chiamò dolcemente -Ma tu sei dentro-

Il ragazzo biondo sgranò gli occhi -Sul serio?-

-Vuoi scherzare? Gli altri erano indietro anni luce rispetto a te!-

Roger sorrise, orgoglioso. Sapeva di essere bravo e aveva ricevuto molto spesso dei complimenti, ma ricevere le lodi da un musicista competente come il suo nuovo amico era tutta un’altra storia.

-Ti ringrazio. Ci metto il cuore quando suono-

-Si vede, anzi, si sente. Forse giusto il ragazzino con il basso ti superava…- scherzò, facendogli l’occhiolino.

-Non provocare un batterista, amico. Potresti ritrovarti con una bacchetta in un occhio, per non dire da un’altra parte-

L'altro rise e gli accennò una risposta di questo tenore: "So che i batteristi sono delle brutte persone, non c'è bisogno che me lo ricordi". Sicuramente, tra tutti i batteristi che aveva incontrato e sentito, Roger era stato senza dubbio il migliore. Anche perché oltre alla tecnica, il bel giovane aveva anche la passione. Si scatenava quando batteva a tempo su quei piatti, era energico, allegro, e trasmetteva tutta la sua adrenalina al pubblico. Inoltre possedeva una presenza scenica accattivante, qualità non indifferente in un settore come quello.

-Ma quindi presto ci esibiremo?- gli domandò Roger, infervorato.

-Spero proprio di sì- gli sorrise Brian -Ma non correre, dobbiamo ancora cominciare a provare-

-Certo- annuì, serio. Ma poi lo guardò -Ma quindi? Quando ci esibiamo?-

Brian ridacchiò, divertito -Rog, bisogna essere bravi per esibirsi, perché fare delle figure di merda è un attimo-

-Ma noi siamo bravi- esclamò Roger, convinto -È Tim quello meno bravo-

-La vuoi smettere di parlare male di Tim?- lo sgridò Brian, ma lo fece scherzando.

-Lo dico per noi, ci servirebbe un cantante degno di questo nome. Un cantante bravo, ma bravo sul serio; e carismatico. E figo, possibilmente-

-E dove lo troviamo un cantante così? Non credere che sia facile-

-So che non è facile, però... Va bè, lascia stare- rinunciò, lasciando cadere il discorso. Nel frattempo avevano raggiunto le rispettive automobili. Quella di Roger era una costosissima Jaguar, nera e tirata a lucido, quella di Brian invece era una dignitosa utilitaria.

-Sei senza macchina, vedo- esclamò infatti il chitarrista, guardando con tanto d’occhi quella spider.

-Hai visto quanto è bella la mia signora?- gli chiese Roger, lucidando la fiancata dell’auto da una macchiolina -La amo-

Brian sorrise -Che romantico. Dai, adesso andiamo a casa chè sono già le due di notte. Non so te, ma io domani mattina ho lezione alle 8:00-

-Io non frequento le lezioni alle 8:00 per principio, sono un obiettore di coscienza- scherzò Roger.

-Se avessi da preparare fisica nucleare, andresti a lezione anche di notte, fidati-

-Fisica nucleare? Mi mette ansia solo il nome!- esclamò Roger, ironico, aprendo lo sportello della macchina.

-A me metterebbe ansia guidare una macchina come quella- gli rispose a tono, divertito -Ah, Roger?-

-Sì?-

-Benvenuto negli Smile-

-Grazie- gli sorrise, montando in auto.

…E quindi ora faceva parte di una band. Una band con un nome decisamente irrisorio per un futuro dentista, ma tant’è. Brian aveva la stoffa di compiere grandi imprese, e comporre altrettanti successi e questo bastava.

Roger sorrise tra sé e mise in moto la sua grintosa amica.

Suo padre lo avrebbe ammazzato.

 

 


 



Mary sorrideva ormai da dieci minuti. Uno dei tre gatti di Freddie si era accucciato sul letto accanto a lei e faceva rumorosamente le fusa, sembrava un trattore.

Lei lo accarezzò dolcemente e poi guardò il suo ragazzo, che stava scrivendo qualcosa velocemente, la mano gli scorreva come se avesse avuto cinque piccoli razzi al posto delle dita.

Alla fine avevano deciso di non uscire, anche perché a lui era venuta un’idea. Una di quelle sue idee creative che potevano lasciarlo seduto su quella sedia anche 32 ore di fila.

Mary sapeva che era rigorosamente vietato parlare, in quei momenti di creatività. Era una regola aurea per andare d’accordo con lui.

Lui non voleva essere interrotto mentre componeva e quanto si arrabbiava, se succedeva! Le litigate peggiori che avevano avuto, erano state causate proprio da quello. Freddie perdeva la ragione in quei frangenti, diventava isterico, però dopo sbollentava e le chiedeva sempre scusa. La ragazza ormai c’era abituata.

-Come si chiama!- gridò Freddie all’improvviso, facendola sussultare -Mary! Come si chiama quel ballo spagnolo con le nacchere?-

Costei aggrottò le sopracciglia, colta alla sprovvista -Un ballo spagnolo con le nacchere?-

-Ma sì!- insistette lui, impaziente -Dai, quel ballo a coppie con quei vestiti strani… Come si chiama!?-

-Non saprei proprio. Non so, tango?- tentò, senza sapere nemmeno lei quello che diceva.

-Macché, il tango non è spagnolo- la corresse vistosamente infastidito, con le mani tra i capelli -Oddio, che vuoto!-

Mary si morse il labbro, agitata -Ehm… Flamenco?-

-FANDANGO!- gridò lui, esultante -Fandango! Fandango!-

“Fandango?” pensò lei, incredula, guardandolo mentre si appuntava quello strano nome sul foglio “Prima Galileo e adesso il fandango. Ma cosa diavolo sta scrivendo?”

-Tesoro?-

-Non adesso- le rispose lui bruscamente, continuando a scrivere.

La ragazza si zittì e riprese ad accarezzare il gatto. L’amore comporta sacrifici, si nutre di pazienza e richiede comprensione, ma come potevano trascorrere tutta la vita così? E se avessero avuto dei bambini? I neonati mica stanno zitti. E poi Freddie doveva trovarsi un lavoro serio. Mary non voleva dirglielo, ma lo pensava. La passione per la musica era sacrosanta, ma non è con la passione che si pagano l’affitto e le bollette, purtroppo.

-Fanculo!-

La sua improvvisa imprecazione fece sussultare perfino il gatto. Freddie aveva appallottolato il foglio e l’aveva lanciato direttamente nel cestino.

-Cosa c’è, adesso?- gli domandò Mary, alzandosi a sedere sul letto.

-Non riesco a concentrarmi qui dentro- le rispose velocemente lui, infilandosi un paio di pantaloni a caso per uscire -Vado a prendere un po' d’aria-

-Come sarebbe vai a prendere un po’ d’aria?- ripeté lei, sconvolta - Freddie, sono le due di notte, dove credi di…?-

-Ciao, amore mio- la interruppe lui, andando verso la porta.

-Freddie, aspetta!- si alzò lei, cercando di coprirsi col lenzuolo -FREDDIE!- gridò ma invano: il ragazzo aveva già sbattuto la porta.

Mary rimase sbalordita, a bocca aperta. I due gattoni, almeno, avevano ripreso a fare le fusa.

 

 

Freddie camminava a passo svelto, non sapeva nemmeno lui per dove. Era notte, c’era un freddo pungente ed era buio, ma lui continuava a passeggiare, aveva bisogno di ossigenarsi il cervello congestionato di parole, strofe e melodie..

Beelzebub! Cosa diavolo faceva Beelzebub? O era Scaramouche? No, Scaramouche balla il Fandango… Scaramouche, Scaramouche, will you do the Fandango?! For me, for me!”

-Stai bene, amico?-

Freddie sussultò, tanto era immerso nei suoi pensieri. Un uomo con i baffi e il grembiule stava spazzando alle porte di un locale notturno.

-Scusami- aggiunse questi, con la sigaretta in bocca -Ti ho spaventato?-

-No, stavo solo pensando- gli rispose Freddie, guardando il locale alle sue spalle. Aveva luci basse e rossastre, doveva essere uno strip club o comunque un posto vietato ai minori.

"Emerald Bar", lampeggiava la scritta all'ingresso.

-Che posto è quello?- gli domandò, curioso.

-Un gayclub- gli rispose il tale, accennandogli un sorriso. Freddie si irrigidì di colpo e dischiuse le labbra, non se lo aspettava.

-Tra un quarto d’ora stacco- aggiunse, incoraggiato dalla sua espressione meravigliata -Se mi aspetti, ti offro volentieri qualcosa da bere. Mi deprime fare sempre la parte dello spettatore in un posto come questo- scherzò, ammiccante -Mi chiamo Samuel, Sammy per gli amici-

-Freddie- si presentò, un po' a disagio -Ti ringrazio per la proposta, ma non posso accettare. Ho una ragazza che mi aspetta, e... Insomma, non è il caso-

-Ah, sì, capisco. Una ragazza. Meravigliose creature, le ragazze- annuì Sammy in modo lievemente beffardo, gettando il mozzicone di sigaretta per terra e calpestandolo con la suola della scarpa -Comunque, quando deciderai di spiegare le ali e spiccare il volo, Freddie, noi saremo qui-

Freddie non rispose, solo lo guardò entrare nel locale e chiudersi la porta alle spalle. Rimase fermo lì per un po', col sospiro che si condensava in nuvole di fumo gelido.

Beelzebub has a devil put aside for me.

Freddie sorrise, ecco cosa aveva fatto Beelzebub.

 











 

 

 
 
Note
Ciao, eccomi di nuovo :)
Comunque che dire, ci stiamo finalmente addentrando nel cuore storia… Come sempre, alcune cose sono vere e altre sono completamente inventate da me, ma mi piace fare questo mix, in fondo stiamo sempre parlando di una fanfiction.
Sammy, per chi non lo avesse notato, è il Sammy di “Spread your Wings”, da cui Freddie avrebbe tratto ispirazione ;)
Fandango, Scaramouche, Galileo sono tutti nomi presi (ovviamente!) dalla nostra Bohemian Rhapsody. Adoro il verso "Scaramouche! Scaramouche will you do the fandango!?", quel pezzo mi fa morire, ve lo giuro xD

 
A presto e grazie mille per tutto,
E.

 

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Capitolo 5
*** The Great Pretender ***





-Dove diavolo sei stato tutta la notte?-

Mary era fuori di sé. Il suo cosiddetto ragazzo era tornato a casa alle quattro del mattino. Passate. C’era già il sole che albeggiava tra le nuvole.

-Amore mio…-

-No! Adesso mi dici dove diavolo sei stato!- strillò lei, spingendolo via, arrabbiata -Io sono stanca, hai capito? Non puoi fare sempre quello che ti pare, perché la vita è dura per tutti, non solo per te!- continuò a sgridarlo, anche se lui le aveva dato le spalle -E anche io ho i miei problemi, anche io avrei bisogno di sostegno e tu dovresti aiutarmi, non uscire in piena notte senza dirmi niente! FREDDIE! Mi stai ascoltando!?-

Il ragazzo, infatti, le aveva dato le spalle. Si era piegato a frugare nei cassetti e aveva tirato fuori una matrioska di porcellana, tutta variopinta, che aveva nascosto per bene sotto gli indumenti. Si alzò in piedi e gliela porse.

-Aprila, amore mio- la invitò dolcemente.

-Freddie, non sono in vena di scherzare-

-Per favore- insistette lui, con uno sguardo luminoso e vellutato -Aprila-

Mary afferrò l’oggetto colorato e iniziò a smontarlo con stizza, pezzo per pezzo. Arrivò alla bambolina più piccola, l’aprì e, sorpresa, ci trovò dentro un anello di giada.  Sollevò il gioiello tra le dita, a bocca aperta, ma quando alzò lo sguardo, rimase ancor più colpita: Freddie era in ginocchio.

 

 

Tre mesi dopo...

 

 

L’appello di dicembre era passato, e quanti esami aveva dato Roger?

Nessuno, naturalmente.

In compenso, però, non aveva mai suonato così spesso come in quel momento. Lui e Brian erano instancabili, condividevano quella grande passione e si esercitavano insieme ogni volta che potevano, al punto che stare senza suonare era diventato un peso per loro, un disagio. Studiavano e si scambiavano gli spartiti perfino durante le lezioni, parlavano di musica al telefono e in mensa durante la pausa pranzo, visto che Roger ormai aveva preso l’abitudine di sedersi di fianco a lui.

Freddie da parte sua aveva notato questa loro sintonia. Aveva intuito che Roger era stato preso nella band e gli aveva sentiti parlare proprio di questo, per i corridoi dell’ateneo. I due giovani parlavano di melodie, di tecniche, di musicisti famosi e di come o quando incontrarsi per esercitarsi.

Freddie avrebbe pagato qualsiasi cosa per ascoltare i loro discorsi o per intervenire nella conversazione, visto che anche lui aveva degli argomenti di discussione. Eccome, se ne aveva. 

Solo che, per quanto possa sembrare inverosimile, visto il suo look appariscente e un po' promiscuo, la futura rockstar celava un carattere timido e insicuro. Passava da momenti in cui si credeva un mito leggendario, ad altri in cui si riteneva mediocre e al di sotto della media.

Il suo genio musicale non era ancora stato riconosciuto e la sicurezza si nutre anche del riconoscimento, necessita di un raffronto esterno.

-Sono bravi, sono davvero bravi- esclamò a Mary, guardando i due amici con la coda dell’occhio -Li ho sentiti suonare l’altra sera e ci sanno proprio fare. Faranno della strada-

Mary lo guardò tristemente e poi volse lo sguardo su Roger e Brian, che ridevano fra loro a qualche tavolo di distanza.

-Perché non vai da loro a dirglielo?- lo spronò, prendendogli una mano con la sinistra, quella con l’anello -Li renderesti felici-

-Non mi va…- borbottò Freddie, rimescolando il suo cous cous con la forchetta.

-Non ti va?- ripeté lei 

-No, che senso avrebbe? Tanto lo sanno già-

-E allora? Dai… Non fare il timido-

Lui alzò gli occhi al cielo ma alla fine volle darle ascolto. Non era la prima volta che Mary gli dava buoni consigli.

-Va bene- cedette infatti, facendola sorridere -E comunque non sono affatto timido- E forte di questo assunto, si alzò dalla sedia, si lisciò le pieghe della giacca gialla a strisce nere e si avvicinò loro, con le spalle dritte e la testa alta.

-Ciao, ragazzi, come va?- esclamò ai due, cercando di darsi un tono -Non so se vi ricordate di me-

Roger e Brian si voltarono verso di lui, stupiti.

-Ciao- lo salutò subito Brian.

-Ehi. Tu sei… Freddie? Dico bene?- esclamò Roger, guardandolo dritto negli occhi. 

-E tu sei Roger- gli rispose lui, cercando di non arrossire -Ho sentito che stasera suonate al Bluelagoon. Pensavo di passare a vedervi-

-Grazie, amico- rispose Roger.

-Speriamo ne valga la pena- rispose invece Brian, più compassato.

-Ne sono certo, si vede che siete bravi. Il vostro cantante invece chi è?-

Roger afferrò la sua lattina di cola e lanciò uno sguardo divertito a Brian.

-Si chiama Tim Steffel- gli rispose quest’ultimo -Ma non credo che tu lo conosca, non frequenta l’università-

-Ah, d’accordo- esclamò Freddie, forzando un sorriso -Deve essere un cantante molto bravo, se suona anche il basso-

-Se la cava, sì- gli confermò Roger, spiccio.

-Bene. Allora in bocca al lupo per stasera- terminò Freddie, visto che stava iniziando a sentirsi di troppo.

-Crepi- gli rispose Brian -Facci sapere com’è andata, mi raccomando-

-Certo-

-Ciao…- lo salutò Roger, senza nemmeno guardarlo.

-Hai avuto anche tu l’impressione che volesse chiederci qualcosa?-

Roger alzò le spalle e si accese una sigaretta. Si guardò indietro e Freddie distolse subito lo sguardo.

-Nah…-


 


 

 

La melodia scorreva con delicatezza sul pianoforte, era orecchiabile e coinvolgente, originale. Mary era dietro di lui, rimasta attonita dalla bellezza di quelle note. Fissava le sue dita affusolate muoversi agili sulla tastiera, senza nemmeno l’ombra di uno spartito a tracciarne il percorso. Freddie guardava di fronte a sé in un punto imprecisato del muro. Sembrava distratto, ma invece era profondamente concentrato.

-Oh, Freddie- esclamò, appena lui smise di suonare quelle note sperimentali.

Il ragazzo si voltò subito verso di lei, teso -Allora? Che te ne pare?-

Mary era commossa -È meravigliosa-

-Sul serio?- le chiese, sorridendo.

-Te lo giuro sulla mia vita. Anzi sulla tua, visto che per me è ancora più importante- gli rispose Mary -È bellissima-

-Ha del potenziale- minimizzò lui, tornando a guardare i tasti del piano.

-Ha più che del potenziale- lo esortò, convinta -È fantastica, tu sei fantastico-

-Così però mi monto la testa-

-Fai bene a montartela-

E infatti, uno dei motivi per cui Mary sopportava quotidianamente lui e tutte le sue pesanti -nonché egoiste- esigenze da compositore, era proprio quello: Freddie era bravo. Ma non bravo come può essere un talentoso musicista del conservatorio, era più che bravo, mille volte più che bravo. Era stupefacente, ecco, forse la parola giusta era quella. 

Bravo in modo eccessivo, quelle bravure che ti imbarazzano e ti fanno sentire una nullità cosmica.

Adesso poi che aveva acquistato un pianoforte e Mary aveva sentito sempre più spesso le sue note prendere forma, se n’era ancora più convinta. Per questo sopportava in silenzio i suoi exploit col pianoforte alle tre del mattino o le sue continue dimenticanze: ne valeva la pena.

Certo, i vicini, poveretti, non la pensavano proprio allo stesso modo. Fatta eccezione per la vecchietta del piano di sopra, che era semplicemente entusiasta, il signore magrebino che abitava nella porta affianco aveva chiamato le forze dell’ordine almeno quattro volte. E in effetti Mary non poteva dargli torto, essere svegliati in piena notte quando l’indomani si deve andare a lavorare è terribile, però al tempo stesso sapeva che il genio musicale di Freddie meritava di essere sostenuto e giustificato, e infatti aveva pagato tutte le multe di tasca sua, visto che lui aveva mollato il lavoro.

Ma non le importava. O meglio… Un po' sì, in effetti, però aveva deciso che ne valeva la pena, almeno per adesso.

-Ma noi non dovevamo uscire?- gli chiese, visto che erano già le 21 passate.

Freddie infatti era seduto di fronte al pianoforte e non sembrava molto propenso all’idea di prepararsi. 

-Sì… Aspetta un attimo, provo una cosa- esclamò, mentre improvvisava una melodia nuova.

Mary sollevò gli occhi al cielo -D’accordo. Mi preparo io, intanto?-

-Sì, sì… Preparati tu, tesoro- le rispose con aria assente. Mary lo guardò male e prese le prime due cose che le capitarono in mano. In mezzo a quella confusione colorata di vestiti, trovare qualcosa che ancora le apparteneva era un’impresa.

E oltretutto, la camicetta viola che le aveva regalato sua madre era tutta stropicciata. Segno che sicuramente lui l’aveva indossata di nascosto.

Mary strinse i pugni e si voltò di scatto, pronta a mangiargli la faccia, solo che proprio in quel momento, Freddie iniziò a intonare una canzone inedita, che le fece morire le parole in gola. Il suo cuore si scaldò, i suoi nervi si rilassarono e come per magia, Mary si dimenticò i motivi per cui fosse arrabbiata.

-Sei incredibile- gli disse infatti, non appena lui ebbe finito -Dovresti far ascoltare queste strofe anche a Brian e a Roger-

-Non lo so…- le rispose Freddie, titubante.

-Perché non lo sai? Se sentissero quello che componi, o se ti sentissero anche solo cantare, si innamorerebbero subito di te-

-Grazie- le rispose, sorridendo.

-È la verità- lo rassicurò, piegandosi per baciarlo sulle labbra -Non ringraziarmi-

-Il fatto è che non so se saprei accettare un no come risposta- si sbottonò Freddie -Mi angoscia pensare che ciò che io considero perfetto, a loro possa fare schifo-

-Ma a loro non farà schifo, non puoi fargli schifo, è impossibile-

-Sono inglesi, Mary …- 

-E allora?- domandò lei, convinta -Anche io sono inglese, eppure ho adorato tutto ciò che mi hai fatto sentire-

-Ma tu sei un angelo, non fai testo-

-Ma piantala o ti infilo il rimmel in un occhio- lo minacciò, facendolo sorridere.

Un sorriso mesto, incupito dai pensieri negativi e dalla paura per il futuro.


 


 

 

La musica ha un che di tirannico. Se non la non a mantieni allenata tutti i giorni, allora le dita perdono in scioltezza e agilità, l’orecchio si impigrisce e l’ispirazione si infiacchisce.

Tim Staffel non suonava tutti i giorni come Brian e Roger.

Anzi, a volte non si era nemmeno presentato alle prove perché, come soleva dire, il capo gli aveva imposto gli straordinari fino a tarda sera.

E di fronte a una scusa del genere, Roger e Brian non potevano certo proferire parola. Anzi, si mettevano nei suoi panni e aprivano le braccia, impotenti ma dispiaciuti.

In realtà, però, Tim non aveva dei veri e propri doppi turni.

C’era una rockband piuttosto conosciuta nel quel di Londra, ritenuta anche molto promettente, con cui il ragazzo aveva iniziato ad instaurare particolari trattative.

Gli Humpy Bong, così si chiamava questo gruppo, aveva iniziato a fargli delle proposte anche danarose molto interessanti, a cui resistere stava diventando veramente difficile.

L’idea di lasciare gli Smile era sempre più concreta e ricorrente nella mente di Tim, a tal punto che aveva pensato bene di non presentarsi più alle prove. Quella sera stessa, poi, avrebbero dovuto esibirsi dal vivo, per la prima e probabilmente ultima volta. Roger e Brian non se lo immaginavano neanche, ovviamente. Malgrado gli Smile avessero dovuto entrare in scena dopo mezzanotte,  loro due alle 21 erano già arrivati e pronti, anche per poter vedere le altre band che concorrevano...

 

-E i soldi? Dove li metti?-

-Li guadagniamo facendo serata-

Brian ridacchiò, disilluso -Sì, come no. E magari diventiamo anche famosi e andiamo in giro in limousine-

-Guarda che io ho i piedi per terra- gli rispose Roger, mentre si preparava per lo spettacolo -Sto studiando per fare l’odontoiatra, quindi puoi immaginare quanto sogno di diventare famoso. Tuttavia, sarebbe comunque una cosa divertente da fare, così, nel tempo libero e senza impegno-

Il chitarrista scosse la testa -Roger, io non mi metto a suonare per la strada come un barbone, è chiaro?-

-Perché no?- scherzava il biondo -Tu suoni la chitarra e io… che so, il violino, e con quello che racimoliamo, mi ci pago la benzina-

-Sicuro, guarda. Consideralo già fatto- ridacchiò, divertito -Soprattutto perché non voglio perdermi lo spettacolo di un batterista che suona il violino. Davvero, mi interessa-

-Ti suono anche le maracas, se necessario- gli rispose Roger, a metà tra il serio e il faceto -Come sto?- gli chiese poi.

-Sei un gran figo- gli rispose Brian -E io?-

-Bri, tu sei uguale a stamattina quando eravamo a lezione-

-No, ho messo il polsino rock- ironizzò, mostrandogli il polso -Devi stare più attento, Rog-

-Mi perdoni- lo prese in giro, alzandosi in piedi per cedere il posto ad altri musicisti. Entrambi si alzarono e uscirono dal piccolo camerino del locale, usato quotidianamente dalle varie band esordienti.

-Ascolta ma Tim?-

-Sta arrivando…- gli rispose Brian -Mi ha telefonato oggi pomeriggio per dirmi che avrebbe tardato-

-Ok- borbottò Roger, preoccupato -Ma secondo te ha provato?-

-Supppongo di sì… Altrimenti ce l’avrebbe detto. Insomma, se non avesse provato, non staremmo per esibirci, no?-

 

 


 

 

-Adesso chiudi bene gli occhi, se no non finiamo più!-

-Li ho chiusi!- brontolò Freddie, già vestito per la serata.

-Chiudili di più!- ridacchiò Mary, armata di eye-liner -Sono io che devo vedere, non te!-

Freddie sbuffò ma almeno chiuse del tutto la palpebra, così da permettere alla ragazza di finire il make-up. Costei gli tracciò la linea nera e affusolata sulla rima superiore, cercando di essere precisa il più possibile.

-Ecco qui- esclamò soddisfatta, allontanandosi per guardarlo meglio. Il ragazzo si guardò subito nello specchio e sorrise a bocca chiusa

-Bello- sentenziò, guardandosi gli occhi truccati di nero da diverse angolazioni.

-Ti piace?-

-Molto, però voglio imparare a farmelo da solo, non posso sempre chiederlo a te- le rispose Freddie.

-Imparerai presto-

-Dubito, l’eye-liner non mi viene mai. O lo faccio troppo grosso o mi viene perfetto in un occhio e di merda nell’altro-

Mary rise, sistemandogli la frangia mora -È un grande classico-

Si guardarono entrambi negli occhi, innamorati l’uno dell’altra.

-Ma guardati quanto sei bella- le disse, sincero -E anche il rossetto è bellissimo. Ti sta d’incanto-

-Grazie, è un rosa… Acceso-

-Ciclamino- la corresse di getto, senza nemmeno pensarci.

Mary alzò un sopracciglio -Prego?-

-Rosa ciclamino- ribadì il giovane con ovvietà.

-Oddio, Freddie!- Mary rise, divertita -Non puoi sapere come si chiamano i toni del rosa!-

-Perché?- ridacchiò anche lui -Devo saperlo, sto studiando design!-

Mary scosse la testa -Ma smettila che lo sapevi anche all’asilo!-

-Forse…- ammise, cingendole la vita -Non sono abbastanza macho, per te?-

-No, vai benissimo per me- gli rispose lei, baciandolo sulle labbra.

Il vero problema, pensava silenziosamente Mary mentre lo baciava, era che forse lei non andava abbastanza bene per lui…

Ma quando si ama tanto una persona, si fa di tutto pur di tenersela stretta, e si arriva perfino a negare l’evidenza. Si staccò da lui e cessò di baciarlo, visto che quei brutti pensieri l’avevano indisposta.

-Come sto?- gli domandò solo, facendo un passo indietro.

Freddie la guardò di sfuggita -Sei bellissima, come sempre-

-Lo pensi davvero?- gli chiese, temendo che glielo dicesse solo per farle un piacere.

-Ma certo, amore- le rispose, sempre davanti allo specchio -Non è che potresti prestarmi la lacca?-

 

 

 


 

 

-Tim! Cazzo!- sbraitò Roger, non appena vide sopraggiungere il terzo e ultimo componente della band -È quasi mezzanotte! Tra un quarto d’ora tocca a noi!-

-Sono qui, ragazzi, calmatevi- rispose loro il cantante, togliendosi la giacca bagnata di pioggia -Ho avuto dei problemi al lavoro, non è colpa mia-

-Fino a mezzanotte!?-

-Dai, Rog, è arrivato- lo interruppe Brian, diplomatico come al solito -È tutto a posto. Allora sei carico, Tim?-

-Certo, carichissimo...- mentì, spudoratamente.

Intanto, nel pubblico, Mary e Freddie erano a sedere vicini con altri ragazzi.

-Tra poco tocca a loro- le disse Freddie, rileggendo la scaletta del locale -Dovrebbero essere subito dopo questi ragazzi-

-Meno male, comincio a essere stanca…-

-Stanca!?- esclamò Freddie con la sigaretta in bocca, fingendosi scandalizzato -Non usare questa parola oscena quando sei con me! Su, bevi- le passò il suo drink -L’alcool fa bene-

Lei sorrise ma obbedì, divertita.
Finalmente, con dieci minuti di ritardo, gli Smile entrarono in scena. Gli applausi non furono particolarmente scroscianti, ma ciò valse anche per gli altri gruppi, non solo per loro. Per le persone quella musica suonata dal vivo era solo un pretesto come un altro per uscire, non lo scopo principale. E mentre Tim presentava al microfono il gruppo e il nome delle due canzoni che avrebbero suonato, il pubblico chiacchierava, distratto e irrispettoso.

Freddie lanciò un’occhiata infastidita a due tizi che ridevano a voce alta, ma Mary gli afferrò un braccio, fermandolo prima che si alzasse in piedi…

-Calmati- gli sussurrò tra i denti, lui non le rispose ma almeno restò seduto al suo posto, evitando di immischiarsi in varie ed eventuali risse. Ascoltò Tim e poi guardò prima Brian e poi Roger. Quest’ultimo aveva i capelli biondi spettinati, le palpebre come sempre a mezz’asta e uno sguardo velatamente strafottente.

Era proprio un gran figo.

Avrebbe voluto farlo notare anche a Mary e sfogarsi con lei, ma capiva che non poteva. C’era un limite a tutto.

Ma per fortuna, ecco che Brian iniziò a suonare la chitarra. Un assolo breve che fu subito accompagnato dalla batteria di Roger. Freddie li ascoltò con un sorriso stampato sulle labbra.

-Sono bravi. Questi due sono davvero bravi- esclamò a Mary, esaltato.

Solo che, come Tim iniziò a cantare, il sorriso gli morì sulle labbra. 

Voce rauca in modo spiacevole, spenta, intonata ma fuori tempo. La performance di Tim era obiettivamente mediocre. Teneva in braccio il basso ma lo strimpellava solo ogni tanto.

Mary stessa aggrottò le sopracciglia -Il cantante però non mi sembra un granché- gli sussurrò all’orecchio per farsi sentire oltre la musica.

Freddie annuì, teso -No, infatti non lo è-

E ovviamente quando il frontman sbaglia, tutto il gruppo affonda inevitabilmente. E infatti i fischi del pubblico arrivarono, spietati e inesorabili, insieme alle risate.

-Amore, vai a casa-

-Come?- gli domandò lei, sorpresa.

-Prendi un taxi e fatti accompagnare a casa- le ripeté Freddie, passandole una banconota da dieci sterline -Io devo fermarmi qui-











Note
Ciao, ragazzi! Scusate l'attesa, spero che questo capitolo vi sia comunque piaciuto :)
Non vedo l'ora di arrivare al punto in cui i ragazzi formano i Queen, ve lo giuro! Il nostro mitico, adorato Freddie qui è un po' sottotono ma avrà modo di riscattarsi (e tanto già lo sapete!).
A presto, nella speranza di leggere qualche vostra impressione!

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