La RIBELLIONE

di Frenkuc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I-Si comincia ***
Capitolo 2: *** II-Io sto bene? ***
Capitolo 3: *** III-Genna ***
Capitolo 4: *** III-Clara ***
Capitolo 5: *** IV-I tre cavalli ***



Capitolo 1
*** I-Si comincia ***


Forse è questo che provano i ladri prima di un colpo. Lo stomaco sottosopra, la testa vuota come se non avessi più il controllo sul tuo corpo, il battito del cuore che accelera e una strana sensazione di pesantezza sul petto, come se qualcuno lo stesse premendo col palmo della mano. Io queste sensazioni le sto provando tutte. Questa mattina non mi sentivo così e nemmeno i giorni precedenti, al contrario il nostro intento lo vedevo chiaro e necessario, soprattutto necessario. Scuotere gli eventi dare una scossa alla routine, ad un’abitudine che ci ha resi schiavi e sottomessi a un sistema sbagliato pregiudicando qualsiasi tipo di scelta.
Mentre sono sull’autobus controllo ancora l’interno dello zaino. La maschera è ancora li. Ogni volta che richiudo la zip viene cancellata dalla mia memoria. Ho pensato molto a questo giorno a quando sarebbe arrivato ed ero impaziente di potervi partecipare. Prendere parte a qualcosa di così…grande e unico! Avremmo fatto la storia! Riapro lo zaino e la maschera c’è ancora è uguale al mio Fargo, ed è proprio uno dei motivi per cui l’ho scelta. Mi ricorda il mio cucciolo. Gli ho detto ciao stamattina ed è stato stranamente difficile. Magari è per questo che mi sento così. O magari è perché, per non destare il minimo sospetto, non ho salutato a dovere i miei genitori. Chissà cosa ne penseranno loro di tutta questa storia. La leggeranno da internet? O la vedranno in TV o forse verranno chiamati direttamente.
Questa notte non ho dormito per l’agitazione. Non era nervosismo era emozione pura come se stessi aspettando il regalo più bello di tutta la mia vita. Quello che provo adesso invece è del tutto diverso. Sono confusa, persino la musica mi rende irrequieta. Tra poco dovrò scendere e cambiare mezzo. Ma i miei capiranno? Potranno comprendere ciò che accadrà a breve? Mi sosteranno? O si vergogneranno di me? Sicuramente solleverò qualche dubbio questo non è un comportamento da me, io sono una “brava ragazza” che rispetta i ruoli e fa quello che le viene detto. Ma ora sono stanca, ho bisogno di un vero cambiamento di uno che porti a vere soluzioni. Prendo il secondo autobus, soltanto questa città può trasformare un viaggio di mezz’ora in una spedizione di due ore. Niente da fare, la musica non funziona stamattina, ma non la spengo perché l’alternativa sarebbe sentire sospiri nervosi che ti arrivano dritti in faccia, telefonate infinite ad un volume improponibile e ultimo, ma non ultimo lo stridio dei freni. La musica è un buon aiuto per tutto questo. Girandomi vedo due compagne, ma non mi avvicino benché parlare aiuterebbe sicuramente ad alleviare la tensione non posso interferire col piano. Lo abbiamo studiato fin nei minimi dettagli e questo comprende che al di fuori della sala assemblee i rapporti che abbiamo normalmente con i nostri compagni, devono rimanere tali. Non credo proprio che tutti abbiano seguito alla lettera le regole, conosco delle persone che non avranno resistito alla tentazione e spero che non saranno un problema. E se ci fossero problemi? Non è certo la prima volta che mi faccio questa domanda, ma quando un evento è lontano nel tempo è più facile darsi risposte e calmarsi. Adesso però mancano pochi minuti per arrivare a scuola e circa un’ora prima che tutto inizi.

«Ora, compagni, com’è fatta questa nostra vita? Ammettiamolo: è infelice, gravosa e breve. Nasciamo; ci danno quel po’ di cibo che ci consente di restare vivi; chi di noi è in grado di lavorare viene costretto a farlo finché possiede ancora un briciolo di energia, e poi, nel preciso istante in cui la nostra utilità viene meno, ci macellano in maniera orrenda e crudele! Ma ciò fa semplicemente parte dell’ordine naturale delle cose? è forse dovuto al fatto che la nostra terra è tanto povera da non poter garantire un vita decorosa a chi l’abita? No, compagni, mille volte no! Che fare dunque? Ebbene: impegnarci giorno e notte, anima e corpo per il rovesciamento di questo sistema! Questo è il messaggio da tenere a mente compagni: Ribellione! Non posso dire quando sarà, se tra una settimana o tra cent’anni, ma così come sono sicuro di star calpestando il pavimento, so per certo che presto o tardi la nostra voce la sentiranno dall’altra parte del mondo. Ricordatevi inoltre che la vostra determinazione non dovrà mai vacillare. Non fatevi sviare dalle chiacchere. Se vi diranno che la vostra prospettiva è la loro, non ascoltate! Sono tutte menzogne. Loro non badano ai nostri interessi, solo ai loro. E fate che tra noi ci sia perfetta unione, perfetta comunanza nella lotta. Tutti la fuori sono nemici, ma noi siamo compagni!»

Queste le parole che due anni fa mi hanno tenuta incollata alla sedia, desiderosa di fare qualcosa che avrebbe cambiato drasticamente la nostra vita. Non ho mai voltato le spalle perché credevo e credo nel messaggio che vogliamo trasmettere. Scendo dall’autobus ricontrollo lo zaino. La maschera è sempre lì un po’ spiegazzata, fa quasi paura, ma forse non è la maschera in se a farmi sudare freddo al momento. Sono arrivata e ora non si torna indietro. Mentre percorro il parco che mi separa dalla scuola ripasso tutto nella mia mente un’ultima volta e probabilmente i miei compagni intorno a me stanno facendo lo stesso, lo si capisce dal silenzio interrotto solo dall’avanzare dei nostri passi quasi all’unisono. Dai nuovi arrivati fino ai veterani della quinta. Chi ha scelto di scendere da letto questa mattina per venire a scuola è coinvolto è complice di quella che si prospetta essere la più grande Occupazione della storia.
 
 
 
«Ok ragazzi, per favore non perdiamo tempo che ho già mal di testa» dice la professoressa entrando in aula. A quanto pare il buongiorno non usa più da quando ha cominciato ad insegnare, più o meno una quarantina di anni fa. «Devo interrogare e spero che siate preparati perché non ho voglia di riprendere in mano l’argomento, perciò chi fa scena muta prende due» Da quando ha varcato la soglia dell’aula non ha ancora guardato negli occhi i suoi studenti. Ha messo la borsa sulla cattedra, aperto il registro, si è seduta prendendo una penna dalla tasca con la quale cominciare la sua valutazione mattutina. Ma non ha ancora alzato la testa. Ottimizzare il tempo è una delle cose che le riesce meglio ultimamente: sapendo bene che la maggior parte dei ragazzi della sua classe non ha ancora scartato il libro di testo dal cellofan gli chiama uno ad uno, facendo in questo modo l’appello e allo stesso tempo l’aggiornamento delle valutazioni sul registro. Tutto in tempo record. Una pratica tra l’altro molto usata anche dai suoi colleghi. Ma la verità è che se pochi secondi prima fosse entrata in aula dando il buongiorno alla sua classe, forse si sarebbe resa conto di star cadendo in una trappola «Mattei? No?! due! Vanni? No?! due!» Passa in rassegna altri tre nomi prima di accorgersi che qualcosa non va «Ragazzi allora?! Ci sveglia...» Non riesce a finire la frase. Finalmente alza lo sguardo scoprendo che l’intera classe silenziosamente la sta fissando. I ragazzi sono seduti composti immobili ai loro posti e fissano la loro insegnante attraverso delle maschere di animali. Pecore, cavalli, cani, gatti. La donna dopo 10 secondi di sgomento riapre bocca «Ragazzi ora basta, state rischiando grosso! Toglietevi quelle maschere e continuiamo con la lezione, prima che vi scriva un rapporto o vi sospenda tutti!» Nessuna reazione da quella minaccia «Molto bene, non mi resta che accontentarvi dunque!» si rimette gli occhiali sul naso mentre prende il registro per scrivere il rapporto più lungo e infuriato della sua carriera «L’unica cosa che avete azzeccato sono le maschere, sapevo già di stare insegnando ad un branco di bestie, ma questa è la prova ufficiale che avevo ragione» un botto improvviso dal corridoio la fa trasalire mentre i suoi studenti rimangono impassibili. Un altro botto più vicino. La docente stringe la penna, come se potesse impedirle di cadere nel vuoto. Il suo sguardo si sposta dalla porta agli alunni e viceversa «Qualsiasi cosa stiate architettando non è divertente né tanto meno favorirà la vostra situazione!» Un altro botto sempre più vicino. Intanto pare che il corridoio abbia preso vita, riempiendosi di passi e bisbigli. La donna smette di parlare alzandosi di scatto dalla sedia appena vede la porta aprirsi.
Entrano quattro ragazzi alti, grossi di schiena e spalle, che indossano delle maschere da animali. Due cani, due maiali. I due maiali che entrano nella stanza per secondi sono uno bianco e uno nero. Gli alunni della classe si alzano appena i due si mostrano loro «Ora basta! Basta!!» urla la professoressa «Siete usciti di testa!! Non avete idea di quello che state facendo è una follia!!!» Il ragazzo con la maschera da maiale bianco fa qualche passo verso la cattedra, guarda il registro scorrendo con il dito l’elenco degli alunni e i voti accanto a questi «Lei è molto severa» dice con voce ovattata. La donna non riesce ad aprire bocca. Si sente in trappola, tradita e impaurita. È già accaduto in altre scuole. Studenti che letteralmente colpiscono i docenti con sedie, caschi o a mani nude filmano tutto e poi spopolano sulla rete dei malati. Ma nessuno qui sta filmando niente, né si muove né dice niente! I pensieri dell’insegnante si accavallano impedendole di reagire. Possibile che stesse capitando a lei? Proprio in quel momento? Proprio a me? Il maiale bianco fa un altro passo avanti facendone fare due indietro alla donna «Che…che cosa volete?» Riesce a dire con un filo di voce «Mi farete del male?»
«No» rispese secco il maiale bianco «Che vuole dire? Non volete farmi niente?»
«Lei vuole che le facciamo qualcosa?»
«Assolutamente no!»
«E allora perché e lo chiede?» Il corpo rigido di lei si scioglie lievemente; non sa perché ma crede alle parole di quel ragazzo, forse perché nonostante la situazione nonostante abbia il completo controllo, continua a darle del Lei. La donna prende coraggio e allunga la mano verso la cattedra per prendere la borsa. Prendere il telefono e chiamare qualcuno, ecco quello che va fatto. Appena si avvicina un dei cani sbatte con violenza una mazza di legno sulla borsa, facendola indietreggiare fino all’estremità dell’aula. «Avevi detto che non mi volevate ferire!»
«Infatti» continua il maiale bianco «Ora dovrebbe uscire dall’aula»
«No!!» urla lei
«La prego professoressa, i suoi colleghi l’aspettano nel cortile»
«I miei colleghi? Ragazzi, ma che state facendo?» i suoi occhi sfiniti si riempiono di lacrime e le gambe le cedono sul pavimento. Riesce solo a singhiozzare. Il maiale bianco le si avvicina «Chiudete la porta» dice ai due cani entrati con lui. Lei non riesce a muoversi. È debole, stanca e impaurita si copre il viso con le mani per non guardare più la sua classe che silenziosa, sta assistendo a tutto questo o meglio sta partecipando. Lui le si avvicina sempre di più. Lei Vuole solo piangere. Il maiale bianco si inginocchia. La donna è afflitta, riesce solo a scorgere tra le dita bagnate il pavimento, l’ombra del ragazzo che si avvicina e poi una scritta “HAVE A NICE DAY!”. Si toglie le mani dal viso. Il maiale bianco le porge il suo termos, un regalo che la figlia le aveva fatto per affrontare quelle lunghe giornate fredde. Lo prende tra le sue mani sentendolo ancora tiepido, sentendo qualcosa che la fa calmare «Beva e si riprenda» la donna è ancora più confusa, ma segue il “consiglio” cercando di riattivarsi. «Cosa avete in mente?» riesce a dire dopo qualche secondo, non ricevendo risposta «Ora dovrebbe proprio seguirci fuori dall’aula» le dice il maiale bianco aiutandola ad alzarsi. La docente a quel punto si incammina lentamente verso la porta che le viene aperta da uno dei due cani mostrandole il corridoio riempito di studenti, anche loro con maschere di animali. Prima di uscire rivolge un ultimo sguardo ai suoi ragazzi. Era stata la loro professoressa per tre anni, ma più gli guardava, più aveva la sensazione di trovarsi di fronte a un gruppo di sconosciuti. Entra in corridoio. Tutte quelle maschere, tutti quei ragazzi la seguivano con la testa. Lei si volta verso il maiale bianco, come se in quel breve colloquio avuto poco prima fossero diventati amici. «Non deve avere paura, nessuno le farà del male, deve solo scendere al piano terra e uscire nel cortile dove l’aspettano i suoi colleghi» detto questo il maiale bianco, quello nero e i due cani entrano nell’aula accanto dalla quale già si potevano sentire le imprecazioni che il professor Fugi stava rivolgendo alla sua classe di alunni mascherati e impassibili. La professoressa a piccoli passi raggiunge la tromba delle scale, senza mai essere persa di vista da tutti quegli animali. Che posso fare? Si chiede, consapevole di non poter far molto in realtà. Una donna contro un centinaio di giovani ragazzi e ragazze? Raggiunto il piano terra gira a sinistra per raggiungere il cortile come le è stato detto. La porta dietro di lei viene chiusa appena varcata la soglia. Tra la stretta delle sue mani il termos è quasi tornato caldo. Arrivata al cortile vede i suoi colleghi e gli inservienti, seduti o intenti a camminare nervosamente avanti e indietro. Quando la vedono però si bloccano un istante. La professoressa Elena, collega e amica le si avvicina abbracciandola facendola crollare di nuovo nel pianto.
Dopo qualche minuto il professor Fugi varca la porta del cortile. È pallido, ma si capisce che quello è il risultato di tanta rabbia che sfociata in paura, gli ha tolto completamente il fiato. Si guarda in torno, poi con una mano si trascina lungo la parete sedendosi pesantemente al suolo «Che sta succedendo?» chiede al collega di chimica accanto a lui
«Non lo so, è assurdo»
«Che intenzioni hanno?» continua il signor Fugi «Qualcuno ha un cellulare?»
«No gli hanno sequestrati tutti»
«Ma che… sono dei ragazzini per la miseria» dice asciugandosi la fronte con la manica del cardigan «Come hanno fatto? Insomma, stamattina era tutto normale giusto? Giusto?» chiede ai presenti cercando approvazione.
«Stamattina avevano già le maschere» esordisce un’inserviente appoggiata alla rete poco più avanti del professor Fugi «Cosa? No, me ne sarei accorto»
«Non tutti l’avevano, ma alcuni sì. Ho visto che le indossavano prima di salire»
«Perché non ha detto nulla!» La incalza una professoressa dall’altro lato del cortile «Pensavo fosse una cosa organizzata con l’Istituto!» si giustifica «è comunque un liceo d’arte no?!» fa passare qualche secondo di silenzio. Se lo merita di vedere la faccia pentita della donna che le stava dando della stupida «Ho visto alcuni ragazzi indossarle, poi poco dopo l’inizio delle lezioni quattro studenti sono venuti da me passando dalla porta dietro la portineria. Due con maschere da cani, due con maschere da maiali uno bianco e uno nero»
«Perfetto!» dice il professor Monfino camminando verso il centro del cortile «Questo ci è utile, se lei è la prima che hanno preso e sono passati dalla porta che dà alla vostra area di lavoro vuol dire che quei quattro, i capi o almeno questo è quello che sembrano, avevano lezione di incisione alle prime ore!»
«Lei gli conosce?» gli chiese l’inserviente
«Sinceramente? Non ho riconosciuto neanche i miei di studenti stamattina, è stato surreale» fa una pausa. Si passa una mano sul viso per scacciare qualsiasi pensiero di nervosismo o paura. Fa un giro su se stesso «Lei!» dice indicando la professoressa Tonneri seduta sui gradini di pietra sbocconcellati «Lei ha avuto lezione in quell’aula stamattina! Chi sono i quattro animali? Chi sono i due maiali?» La donna, il quale appellativo le è stato concesso solo alla nomina di professoressa meno di un mese prima, non riesce a rispondere. Non tanto per lo shock, anche se quella mattinata le aveva procurato ben più di questo, ma perché non ha la minima idea di che faccia abbiano i suoi alunni. È riuscita certo a farsi un’idea, ma ancora fatica a mettere a fuoco i volti in corrispondenza dei nomi. «Non avrai risposta mi sa» dice un inserviente con un forte accento del sud «Nemmeno io ho capito chi sono quei quattro e con quelle maledette maschere certo non puoi sapere chi ti trovi davanti! Si distinguono a mala pena i ragazzi dalle ragazze e in tutta la scuola ci saranno 800 studenti!». La porta del cortile si riapre e i presenti fanno spazio a un nuovo arrivo «Ma stanno prendendo tutto il corpo docenti?» Bisbiglia la professoressa alla sua collega stringendo ancora il suo adorato termos «Cosa vogliono farci?» Le chiede ancora
«Non lo so, ma intrappolati qui tutti ammassati in un unico punto, siamo bersagli facili» sentendo quella frase dei brividi percorsero la schiena di tutti i presenti. La porta del cortile rimarrà chiusa per quasi mezz’ora, dopo l’arrivo degli ultimi due docenti rimasti e Rosa, la signora che gestisce la piccola biblioteca al terzo piano dell’edificio.
Tre cani si presentano nel cortile davanti al corpo docenti dell’istituto o almeno a quella parte che aveva lezione quel giorno «Buongiorno» comincia uno dei tre facendo un passo avanti «Vi pregherei di uscire e dirigervi all’ingresso principale» nessuno accenna a muoversi «Sarebbe utile» continua il cane «che vi dirigeste alla porta principale…»
«No!» Urla il professor Fugi che nel frattempo ha ripreso le forze. Il Professor Fugi insegna Storia dell’Arte da quando ancora la Storia dell’Arte non esisteva, si diceva che probabilmente era trisnonno e che riusciva a raggiungere il secondo piano dove faceva lezione, con l’aiuto di un ascensore che il Duce aveva fatto costruire solo per lui e del quale nessuno conosceva l’ubicazione. Quale altra spiegazione ci poteva essere? C’era più aria che muscoli nel suo corpo eppure eccolo lì in prima linea, pronto a battersi se necessario. Con lo spirito di un generale si mette faccia a faccia col cane da pastore che ha davanti «Pensi che io non sappia chi sei?!! Noi conosciamo ognuno di voi ragazzi! E conosciamo le vostre famiglie!! Voi state solo peggiorando una situazione a cui già dovrete rispondere severamente!!»
«Lei sa chi sono?» chiede il cane
«Certo che lo so, dovete farla finita con questa pagliacciata…» il ragazzo si avvicina all’insegnante, toccando con la punta del naso della maschera quella dell’uomo, in modo da farsi vedere bene attraverso i fori per gli occhi
«Me lo dica»
«Che, che cosa?»
«Mi dica chi sono. Dica il mio nome, se lo farà mi toglierò la maschera e lo stesso faranno gli altri» il docente lo fissa. Cerca di ricordare gli occhi che attraverso la maschera non cedono lo sguardo. Cerca un particolare nell’abbigliamento, purtroppo molto simile a quello dei suoi due complici che obbedienti aspettano la risposta. «Le sto dando una grande opportunità» continua «Ora è lei che tiene le redini del suo futuro, non vorrà tradire la sua presa non rispondendo a una semplice domanda?» questo è un indizio e il professor Fugi lo sa, perché spesso dice questo ai suoi studenti durante le interrogazioni o almeno lo dice a quegli che considera, come lo potremo dire gentilmente usando le stesse parole dell’uomo? Persi in partenza. Ma invece che aiutarlo quella frase blocca i suoi pensieri ormai consapevole che, benché la persona che gli sta davanti è certamente un suo studente, lui non riesce a capire chi è «Per favore» dice poi il cane «Vorrei che usciste e vi dirigeste verso la porta principale» mentre docenti e inservienti lasciano il cortile il professor Fugi non accenna a lasciare la presa continuando a fissare il suo ignoto studente. Col cortile vuoto l’uomo si sente libero di abbassare la testa e raggiungere i suoi colleghi. «Non vi accadrà niente» lo rassicura il cane prima che l’uomo giri a sinistra percorrendo il corridoio verso l’Ottagono.
 In quel breve tragitto il professor Monfino ha preso nota di tutto quello che sta accadendo, qualcuno dovrà pur riferire i particolari alle autorità. Lungo il corridoio da entrambi i lati, una fila di ragazzi e ragazze con indosso maschere da pecora e pollame seguono il gruppo di “ostaggi” con lo sguardo senza accennare il benché minimo movimento. Sembrano soldati. Dalla fila di destra, la parte che dà sul secondo cortile dell’Istituto, adibito a palestra per le ore di educazione fisica, Monfino intravede altri animali cani, cavalli, asini e qualche pecora. Sembra che stiano costruendo qualcosa, ma non capisce di che si tratta; vede delle stecche molto lunghe e della stoffa ampia che qualche pecora è intenta a stendere sul pavimento. Solo questo, il corridoio non è lungo e onestamente non vuole restare in quell’edificio un minuto di più.
Arrivato all’Ottagono il professor Fugi vede i suoi colleghi fermi davanti alla porta. Ritrovando la sua verve aumenta il passo fino alla prima fila del gruppo. I quattro ragazzi che gli avevano sequestrati dalle loro aule quella mattina si frappongono tra loro e l’uscita dall’incubo. I due maiali, bianco e nero, al centro aspettano che i loro compagni si sistemino lungo i lati dell’Ottagono prima di cominciare.
«Buongiorno a tutti» comincia il maiale bianco «So che abbiamo creato non pochi disagi questa mattina…»
«Voglio uscire!!!» Grida una delle inservienti dal centro del gruppo «dovete farmi uscire di qui!!» il suo grido però non accenna a manifestarsi in azioni violente, quindi il maiale continua
«Uscirete fuori, nel portico troverete due scatole contenenti gli effetti che avete lasciato nelle classi. Ora avrei solo una richiesta»
«Non puoi chiederci niente!!» dice qualcuno. Il maiale bianco fa un sospiro e continua
«Quando contatterete la polizia, dovrete consegnare un messaggio» fa un’altra pausa per evitare di essere interrotto nuovamente «Un messaggio da parte di Palladineve e Napoleone»
Il professor Lombi, che quell’anno ha iniziato a insegnare matematica si ritrova paralizzato. I suoi colleghi sono corsi via e probabilmente qualcuno sta già avvisando la polizia, ma lui non riesce a muoversi. Alcuni hanno avvisato le persone nel parco che ignare di quello che era appena accaduto si stavano godendo quella mattina fredda e soleggiata, ma lui non riesce a muoversi. Basta così poco per farlo crollare? Solo due giorni prima scherzava con una collega sul fatto che avrebbero dovuto liberare un po’ di cattedre ammuffite, che c’era un tempo per tutti e che per molti questo era finito. Eppure è lui quello immobile; quello che non riesce a togliersi dalla mente l’immagine dei suoi studenti con indosso le maschere, immobili, impassibili, minacciosi. Quando i due maiali avevano fatto irruzione nella sua aula quella mattina, qualcosa si era fermato in lui. L’unico movimento che riesce a portare a termine è la rotazione del corpo verso la porta da cui era appena uscito. Un calcinaccio gli sfiora la scarpa cadendo dall’alto, ma l’uomo nemmeno se ne accorge. Non si accorge che dall’alto altri maiali e cani lo stanno osservando, aspettando impazienti che se ne vada. Lombi insegna matematica ed è un codardo questo ormai l’ha capito. Viene raggiunto da una collega tornata indietro per portarlo via. Scuotendolo un po’ lo guida verso l’uscita del parco, dove intanto alcuni carabinieri si preparano ad entrare.

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Capitolo 2
*** II-Io sto bene? ***


Quattro carabinieri in uniforme percorrono la strada sterrata del parco senza troppa fretta «Non saremo pochi?» Chiede uno, il più giovane «Tutte quelle persone sono state tenute in ostaggio»
«Stai per caso proponendo un blitz? Ma dai!» risponde il suo collega, il più vecchio dei quattro «Sono ragazzi è il periodo delle occupazioni o autogestioni o altre cose pensate per non fare lezione, anche mia figlia l’ha fatto nella sua scuola»
«Quelle persone sono uscite sconvolte, hanno parlato di maschere e mazze di legno, non pensa ci sia qualcosa di più?»
«Le persone spaventate tendono ad esagerare, non è certo la prima volta. Nessuno comunque è uscito ferito quindi anche se hanno delle mazze non le hanno usate, anche se ne avevano l’occasione. E poi le maschere? Andiamo! Saranno foto di animali su carta stampate e ritagliate, non mi preoccuperei» Il carabiniere più giovane si volta verso gli altri due colleghi per cercare un appoggio, ma sono distratti non hanno ascoltato una parola e questo basta per capire da che parte stanno.
«E il messaggio allora?»
«Quale? Quello da parte di Palladineve e Napoleone?» dice virgolettando i due nomi «Per favore! credo che più prendiamo sul serio questa faccenda più facciamo il loro gioco»
«Ma hanno chiesto di contattare una persona specifica, perché? che nesso c’è?»
«Ora basta, ti ho detto che non devi dargli importanza, altrimenti quei ragazzini si faranno prendere sempre più la mano»
Poco prima di arrivare davanti all’edificio, i primi colleghi arrivati sul posto raggiungono il nuovo gruppo per informarli della situazione «Porte bloccate, tutte sia davanti che dietro, persino alcune finestre più accessibili sono state sigillate» dice mentre indica i vari punti dell’edificio «Possiamo richiedere un mezzo che ci porti fino in cima, vede la su c’è un terrazzo da cui si può accedere, ce l’hanno riferito alcuni docenti»
«Non credo ci sarà bisogno di scomodare nessuno, mettendogli un po’ di pressione se la faranno sotto e usciranno con la coda tra le gambe» accenna una risatina vista l’ironia della metafora. Il suo collega più giovane non è ancora convinto «Si è visto qualcuno fino ad ora?» chiede poi «No, nessun movimento il che è strano, saranno più di 800 la dentro, ma non vola una mosca voi che mi dite del messaggio? È stato recapitato?»
«Ma figuriamoci!» riprende irritato il più anziano «Non andrò a disturbare un mio superiore per una ragazzata come questa! tanto più contattare un avvocato che si trova da tutt’altra parte, probabilmente con le mani in caso molto più importante di questo! No no no, la cosa la finiamo noi adesso e vedrete che mi ringrazierete di aver sistemato tutto in fretta vista la pila di documenti che ci aspetta». La squadra si avvicina alla scuola una delle più grandi e belle della città, ma che avvolta nel silenzio pare un edificio infestato. L’unico rumore è il suono dell’accensione del megafono nelle mani del carabiniere anziano «5 euro che gli faccio uscire in meno di cinque minuti»
«Bene, faccio partire il tempo». Pronto per andare in scena l’uomo si convince di non essere più lui o meglio cerca di visualizzare se stesso con le sembianze di un duro, uno di quegli con cui non vorresti mai avere a che fare. Tre respiri profondi e parte «A tutti gli studenti occupanti l’edificio di Porta Romana, siete ancora in tempo per rimediare al vostro errore. Occupare un edificio pubblico è reato, ma vogliamo assicurarvi che noi vogliamo solo parlare» si ferma e aspetta che qualcuno si faccia vivo. Il più giovane non riesce a staccare gli occhi dalla terrazza nella quale si intravede del movimento «Ha visto» gli dice il più anziano «e non è ancora passato un minuto» aspettano di vedere bene le facce dei ragazzi, le quali sono effettivamente coperte da maschere di animali della fattoria e come gli ostaggi avevano tentato di spiegare poco prima, l’effetto non era affatto piacevole. Due di loro si avvicinano di più al balcone per farsi vedere bene. Due ragazzi, un maiale bianco e uno nero. Il carabiniere riporta il megafono alla bocca «Bene ottima scelta, adesso però dovete scendere, state commettendo un reato e alcuni di voi sono maggiorenni, non penso di dovervi spiegare cosa comporta» Non riceve risposta. Continua «Quello che vi ho detto però è vero, non avete fatto male a nessuno e noi non siamo qui per impedirvi di protestare pacificamente…» L’accensione di un secondo megafono fa eco al discorso dell’uomo «Buongiorno» dice il maiale bianco. I carabinieri si guardano perplessi. Buongiorno? «Avete capito ciò che vi ho detto? Non state facendo un favore a voi stessi…»
«Buongiorno» ripete il ragazzo. Il giovane collega si avvicina al più anziano
«Gli risponda»
«Cosa!?»
«Ricambi il saluto, provi»
«Buongiorno» risponde seccato e sempre più infastidito
«Qual è il suo nome» continua il maiale bianco. L’uomo esita. Non è sicuro di come rispondere a quella domanda, per quegli come lui l’identità può fare la differenza tra la vita e la morte. Ma quegli sono solo studenti e la sua priorità farli uscire «Sono il carabiniere Marco Cellai ragazzino e se non uscite entro il prossimo minuto passerete dei guai molto seri!»
«Io sono Palladineve signore, piacere» è uno scherzo? Pensa l’uomo rosso dalla rabbia. Il maiale continua «Sfortunatamente temo di non poter obbedire ai suoi ordini signore»
«Questo è tutto da vedere stronzetto! Se non uscite di vostra volontà saremo noi ad entrare! E sì, nel caso te lo stessi chiedendo, vi arresteremo tutti!»
«Noi abbiamo fatto una richiesta molto specifica signore» continua il ragazzo senza il minimo accenno di timore per le parole appena pronunciate dall’autorità «Vogliamo far valere il nostro diritto di cittadini»
«Non avete nessun diritto!!» Il carabiniere perde la pazienza. Lottava con le figlie ogni giorno allo stesso modo e la supponenza di piccole donne e piccoli uomini che si credono già grandi e navigati lo faceva sempre andare in bestia «Voi vi dovete mettere in testa che se continuate su questa linea, vi giocate il futuro!!»
«Noi signore siamo persone, siamo cittadini. Sì abbiamo occupato la nostra scuola, sì ci rendiamo conto della sua posizione, ma noi abbiamo eccome dei diritti» alla fine della frase il tono del ragazzo si fece più grave «Noi non siamo un mondo a parte nella società, noi non siamo carne da macello, menti da sfruttare o da comandare; Futuri uomini e future donne che nell’apatia vivono una vita costruita in base ai comodi di pochi; Noi non siamo questo, noi non diventeremo questo. Ci stiamo giocando il futuro mi dice? E quale futuro avremo mai ci chiediamo quando un paese orgoglioso di chiamarsi democratico lascia indietro i più deboli, i più abbietti, considerandoli solo numeri da sfruttare in campagne politiche il quale scopo non è altro che la vittoria finale. Loro giocano sulla nostra pelle signore! Il mondo gioca con la nostra vita e con la vita di persone come lei! Che imperterrite si alzano la mattina nella speranza che il presente non sia così brutto come il giorno prima. Lei pensa che siamo diversi? Io dico che siamo uguali! Lei non lo vede signore? Non vede cosa ci stanno facendo? A cosa ci stanno riducendo? E le dirò una cosa, noi possiamo solo definirci fortunati! E ci dicono che siccome possiamo considerarci tali allora che diritto abbiamo di arrabbiarci, che diritto abbiamo di provare a cambiare le cose; Ma noi diciamo no signore! Perché invece pensiamo sia un nostro diritto, ma soprattutto un nostro dovere farci sentire, alzare la testa, dimostrare che è giusto scuotere le coscienze di chi può agire! E non parlo di cariche alte signore quelle hanno la loro partita da giocare, sto parlando di persone come lei, come i suoi colleghi, come noi, come il personale della nostra scuola e di tutte le scuole e di tutti gli uffici del mondo! Parlo del popolo signore, parlo della gente alla quale viene insegnato che la loro presenza non conta, se non per far avanzare la dannata ruota del mercato. Siamo più di questo! Noi siamo più di questo!» A quest’ultimo grido altri ragazzi tra maiali, pecore e cani si fanno avanti con quello che pare essere un lungo tappetto «Noi siamo qui per farci ascoltare, per fare in modo che la nostra e la vostra voce signore non passi inosservata» Mentre il ragazzo parla gli altri sistemano il lungo tappeto ancora arrotolato sul cornicione del terrazzo «Siamo dalla vostra parte, dalla parte di chi è stanco di essere preso in giro» una volta fatto i compagni del maiale bianco si scansano lasciando una pecora e un gatto alle estremità del telo. Il maiale bianco sale su un appoggio e la sua figura, già longilinea e imponente si slancia ancora di più verso l’alto «Noi non usciremo signore, no! Noi abbiamo tutta l’intenzione di perseguire il nostro obbiettivo, uno scopo che accomuna tutti noi! Andremo avanti perché sappiamo che è giusto» mette un piede sul tappeto, sporgendosi tanto da far avanzare di qualche passo i carabinieri ancora in ascolto sotto di lui «Perché se oggi non era un giorno importante adesso lo è diventato! e lei ne fa parte signore, tutti voi fate parte della nostra lotta, ma non come nemici no! Noi siamo compagni siamo dalla stessa parte, combattiamo lo stesso nemico un sistema che si è trasformato in impero, un impero che ci racconta la bugia più grande di sempre. Che stiamo bene» il maiale e l’uomo si guardano. Sono lontani, ma l’uno percepisce chiaramente lo sguardo dell’altro, poi il ragazzo si rivolge ai sui compagni «Ma noi stiamo bene?» un grido di No! risuona dalla terrazza e dall’intero edificio, come se anche lì stessero seguendo la vicenda «Noi stiamo bene?!» e ancora No!! «Questo mondo sta bene?» e per la terza volta NO!! Gli occhi del ragazzo tornano a posarsi su quegli del carabiniere e lo fanno per dire questo «E lei signore? Lei sta bene?» La domanda non riceve risposta. L’uomo è stordito e incantato allo stesso tempo. L’unica cosa a cui pensa è Edmund Burke, l’ha studiato con la figlia per un’interrogazione. La teoria del sublime. Quei ragazzi bruciano, quel ragazzo arde di qualcosa, si dice mentre lo guarda, mentre cerca una risposta negli anfratti del suo buonsenso che al momento pare concordare in tutto e per tutto con quelle parole «Non si deve preoccupare signore» continua il ragazzo «Noi combatteremo questa battaglia anche per lei, perché noi sappiamo che gli imperi si sgretolano davanti alla cecità del tempo, ma crollano davanti alla fame del popolo, davanti a un grido che dice solo BASTA!» e a quella parola il ragazzo solleva il piede dal tappetto e il gatto e la pecora alle sue estremità lo srotolarono mostrando al gruppo impietrito sotto di loro quella che sembra un’enorme bandiera: larga tutto il cornicione, abbastanza lunga da coprire metà delle colonne sottostanti, verde, con sopra una sola parola, scritta in bianco, così grande da poter essere vista dall’entrata del parco: RIBELLIONE. Si solleva un grido da parte di tutti gli animali che riempie l’intero parco «Signore cosa dobbiamo fare?» chiede il carabiniere più giovane al più anziano che ancora pensa che vorrebbe rispondere alla domanda che gli è stata posta, ma quello che gli ronza nella mente è io sto bene davvero? L’uomo torna al presente quando il maiale riprende la parola facendo tornare la calma tra suoi compagni «E dunque signore, consegnerà il messaggio?» l’unico suono che interrompe quei pochi secondi di riflessione, sgomento e confusione è quello di un timer che avvisa i presenti che sono passati 5 minuti.

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Capitolo 3
*** III-Genna ***


​Genna si gode il sole di quella mattina cullata dolcemente dal leggero movimento del mare che fa oscillare appena la sua barca. Il caffè che si è preparata poco prima aspetta di essere bevuto accanto ad una piccola radio che trasmette musica jazz e che piano piano, la fa scivolare nel sonno da cui si è appena svegliata. Il jingle delle notizie giornaliere parte dopo l’ultima nota –Aggiornamento sull’invasione della Siria, profughi usati per ricattare l’Europa…Calo di nascite, l’Italia è sempre più vecchia lo confermano i dati Istat…Situazione migranti, non accennano a fermarsi gli arrivi…Sport, calcio, l’Italia vola agli Europ…- Le dita affusolate di Genna spostano nervosamente il pulsante della radio da on ad off. Si lascia cadere sulla sdraio passandosi le mani sul viso consapevole di essere tornata nel mondo reale «Giornataccia?» Una voce sopra di lei la fa sobbalzare «Si rilassi sono io»
«Sì, avevo sentito un sputo prepotente e una camminata sciatta avvicinarsi» dice al suo vicino di barca Enzo con un sorriso sarcastico
«Sempre molto buona»
«A che cosa dobbiamo il piacere?»
«Al suo ottimo caffè e ai cornetti più buoni d’Italia» Dice l’uomo sventolando il sacchetto di una pasticceria «Si accomodi» questo teatrino era diventato un’abitudine per i due: ogni mattina Genna prepara il caffè, Enzo porta due cornetti, uno vuoto integrale l’altro farcito alla crema poi Genna prende le carte e mentre giocano a briscola sul ponte di quella piccola barca, spostano la conversazione da un argomento all’altro, prima dell’ora di pranzo quando Enzo alzandosi la invita ad unirsi a lui per continuare le loro discussioni.
A vederli pare difficile pensare che apprezzino la compagnia l’una dell’altro. Lui è grosso e rotondo, porta sempre gli occhiali da sole anche quando il sole non c’è a causa di una malattia oculare degenerativa, per questo motivo la sua barba è lunga e incolta sempre meno curata man mano che i mesi passano. Non ostante la gioventù passata nell’esercito il suo aspetto è trasandato ora più che mai nei suoi giorni da pensionato. Genna è una donna alta e snella, la testa sempre volta all’orizzonte e il passo svelto e sicuro. La sua barca l’ha ereditata dalla nonna materna, una piccola sarta inglese che ha sua volta l’aveva avuta da suo marito. Genna amava quella barca come aveva amato sua nonna, che le aveva insegnato tutto quello che valeva la pena sapere sulla vita: come vestirsi semplicemente, ma con decoro, come muoversi con sicurezza e a testa alta e soprattutto come amare il prossimo. Benché quest’ultimo punto può sembrare la banale conclusione di un’eredità tutta al femminile, Genna lo ha trasformato nel suo credo personale. La sua gioventù è stata costellata di infinite cause da combattere per il bene del prossimo: guerra, povertà, istruzione, ambiente, parità di ceto e genere, era la più accanita manifestante o questo le piaceva credere quando ripensava a quei giorni sempre in giro non solo con la speranza, ma con la certezza di rendere il mondo un posto migliore per tutti. Dopo qualche tempo la certezza tornò ad essere speranza che si trasformò nella memoria flebile di cui, di tanto in tanto, Genna si nutriva per ritrovare se stessa. «Deve pescare» dice Enzo alla donna vedendola incerta sulla prossima mossa «Certo, mi scusi» dice lei destandosi dai pensieri; la sua mano è molto lontana dalla vittoria, quindi liscio «Questa mattina l’ho vista pensierosa, c’è qualcosa che la preoccupa? I nipoti stanno bene?»
«O caro signor Enzo a casa non potrebbero stare meglio, grazie. No, ultimamente rifletto spesso»
«Eh cara signora, riflettere troppo fa male mi dia retta» dice mentre si prende due punti con una briscola «Cerchi di rilassarsi davvero quando è in vacanza, altrimenti a che le serve»
«Ha ragione dovrei approfittare di questi momenti, ma la condanna di chi pensa è essere prigioniero della consapevolezza dell’irraggiungibilità della soluzione delle cose»
«Dovrebbe anche comprarsi un lettore cd, così la smette di ascoltare le notizie» dice l’uomo prima di sputare nuovamente in mare
«Per trasformarmi in un vecchio zotico come lei?»
«Mi dia retta le dico, ho smesso di invecchiare quando mi sono tolto l’orologio dai polsi e ho tagliato i ponti con le cronache nere, rosa, beige e quello che vuole»
«Lei è da studio clinico lo sa?»
«Sì, ho delle alghe in certi punti del corpo che farebbero accapponare la pelle a tutto Oxford» Genna accenna una risata fioca, uno dei tanti effetti collaterali del fumo di cui per anni era stata dipendente. Giocano ancora due partite prima che il cellulare di Genna cominci a squillare. Guarda lo schermo, è il numero della stagista dello studio. La donna alza gli occhi al celo e riattacca. Cerca sempre di prendersi quanto più tempo possibile per stare lontana dalla sua rutine che prevede il contatto costante con persone scontente, le quali necessitano a loro volta di un altro paio di persone (una di queste di solito è lei) per far fronte a una situazione la quale necessiterebbe solo di un confronto aperto davanti a un piatto di pasta per risolversi. D’altra parte se le persone fossero più ragionevoli lei non avrebbe un lavoro, un lavoro nel quale è particolarmente brava e di questo a volte si rimprovera. Quello che la disturba ultimamente è il sentirsi bene ogni volta che il suo cliente riesce a prendere più del dovuto. Le è sempre piaciuto vincere, su tutto e tutti, ma forse a causa di una ritrovata saggezza le sembra ormai quasi inopportuno essere soddisfatta di una matrimonio che va in pezzi, di famiglie che vanno in pezzi, di bambini vanno in pezzi. Diventare avvocato era stata una scelta basata sempre sull’ideale imprescindibile di amare il prossimo e fare la differenza per questo. Guardandosi indietro non saprebbe dire quando la situazione è cambiata o se invece, quell’animo competitivo non fosse stato sempre parte di lei in qualche modo. Le domande le si affollano in testa e il cellulare comincia a squillare di nuovo. È un altro stagista «Se deve rispondere può farlo, oggi sto vincendo a mani basse e posso anche aspettarla mentre parla al telefono compiacendomi un po’» le dice Enzo. Genna gli sorride da dietro le carte «Non si preoccupi, possono cavarsela anche senza di me e la fortuna ha tendenzialmente la forma di una ruota signore» dice prendendosi con un asso un carico da 11 punti «Credo di aver perso il conto»
«Sì lo credo anche io» il telefono squilla ancora è uno dei suoi soci. Due stagisti e un socio? Il suo sguardo preoccupato fa sollevare ad Enzo le mani dal tavolo che le fa cenno di rispondere. La donna prende la chiamata «Dove diavolo eri!» la voce del socio arriva fino alle orecchie di due pesciolini che spaventati scappano «Stiamo cercando di chiamarti e tu che fai?!»
«Vediamo di andarci piano, fatti passare questa boria o riattacco»
«Non puoi fa…» Genna riattacca. Enzo ride soddisfatto
«Non la manda a dire lei giusto?»
«Questi ragazzetti prima chiamano e poi si permettono anche di fare la voce grossa, poveretti» i due amici sorridono quando il telefono ricomincia a squillare. Genna risponde «Ok sono calmo adesso, davvero»
«Ottimo, racconta»
«È successa una cosa incredibile». Il socio le racconta che mezzora prima l’ufficio era stato contattato dalle forze dell’ordine del commissariato di Firenze. Con loro aveva parlato un agente il quale richiedeva specificatamente la presenza di un mediatore legale per conto di Palladineve e Napoleone due ragazzi che, insieme ad altri studenti del liceo artistico di Posta Romana, avevano messo in atto un’occupazione decisa e soprattutto premeditata. Le raccontò delle maschere e del corpo docenti e di servizio costretti ad uscire contro la loro volontà quella mattina stessa. Ormai era già qualche ora che i ragazzi erano chiusi all’interno della scuola senza mostrare il minimo cedimento davanti ai carabinieri che avevano minacciato di entrare con la forza «Hanno chiesto un legale e poi silenzio, nessuno ha saputo più nulla»
«Se è uno scherzo non fa ridere, ho sentito stamattina le notizie alla radio, nessuno parla di questo»
«Non ancora per fortuna, mi hanno detto di mantenere la riservatezza, ma non credo che riusciranno a tenere il silenzio per molto, basta che qualcuno in quella scuola posti qualcosa e la storia farà il giro del mondo» e Genna in effetti si domanda perché non sia già successo «Devi assolutamente venire qui, hanno detto che apriranno le porte solo al loro legale, dicendo inoltre che hanno tutta l’intenzione di pagare! Te ne rendi conto?!» Genna si alza dalla sedia e scende in cabina, lasciando Enzo sul ponte «Posso essere da voi tra un paio di ore»
«Ok ma sbrigati! Un agente verrà a prenderti alla stazione. Ci vediamo sul posto» Tornata sul ponte si infila il cappotto e prende la borsa con alcuni documenti e il suo tablet (non sapendo bene cosa potrebbero chiederle, prende tutto quello che può servire) poi dalla tasca del cappotto tira fuori un mazzo di chiavi che consegna ad Enzo «Mi spiace, credo che dovrò rifiutare l’invito per il pranzo»
«Lo credo bene! Si guardi, guardi i suoi occhi come brillano adesso! Vada, mi racconterà tutto appena torna» Genna posa una mano sulla spalla dell’amico e scende dalla sua amata barca per dirigersi a tutta velocità alla stazione.

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Capitolo 4
*** III-Clara ***


​Clara non si è ancora svegliata. Più i giorni passano più i motivi per alzarsi dal letto non sono sufficientemente convincenti. Riesce solo ad aprire leggermente gli occhi per intravedere i raggi del sole passare dalle persiane della sua camera, capendo che il giorno è già cominciato da qualche ora. Si passa una mano tra i capelli accorgendosi che ha ancora la treccia della sera prima e sollevando leggermente la testa vede che ha anche il vestito della sera prima. Sprofonda nel cuscino mugolando, stirandosi, percependo una forte fitta alla testa che non le permette più di stare in quella posizione. Un motivo l’ho trovato alla fine, pensa mentre si alza barcollante con lo scopo di trovare un antidolorifico. Si guarda allo specchio, è ancora truccata e non staccando gli occhi dal suo riflesso si toglie il tubino e i braccialetti. Si butta sotto la doccia sentendo tutta la pesantezza del trucco scivolarle via e questo le dà un po’ di sollievo. Dopo aver trovato una tuta abbastanza grande per dimenticare anche la costrizione fisica del tubino, si reca in cucina e apre lo scaffale dei medicinali cercando quello a cui ancora il suo corpo non si è abituato, sperando che agisca in fretta. La casa è silenziosa. Tutti i suoi abitanti sono a lavoro: i suoi genitori e le sue sorelle. Clara è l’unica molecola di vita in quel cubo di cemento arredato. Si lascia cadere sul divano stronfiando, poi prende il computer sul tavolo di fronte e lo accende, benché la luce dello schermo le provoca fastidio e il rumore del motore le fa fischiare le orecchie. Controlla le email, nessuna novità. Torna sul desktop e apre il file del suo curriculum e come fa da qualche tempo lo legge. Non fa altro se non ripassare davanti a tutte le sue informazioni, studi e esperienze di tirocinio senza mai trovare la volontà di inviarlo a qualcuno. Non è che non abbia mai controllato le varie offerte. Dalla fine del master ha cercato annunci e presi i recapiti, per non parlare dei contatti ottenuti durante gli anni di università, che spera ancora si facciano vivi prima o poi. Ma per ora è questa Clara, una creatura che vive solo della speranza che qualcuno la trovi e non è il massimo per una laureata in giornalismo. Si tiene sempre informata sull’attualità e si è creata un blog dove vorrebbe scrivere del suo punto di vista in completa autonomia, ma che per adesso ha solo una bella Homepage. Spenge il computer e accende la televisione, è già in quell’ora della mattina dove i protagonisti sono programmi di cucina e salute. È così scoraggiante che fa zapping fino a un canale che trasmette serie TV poliziesche ventiquattr’ore su ventiquattro. Le repliche di Law & Order hanno un effetto calmante sui mille pensieri che turbano la mente di Clara. Mai come in quel periodo si era sentita così inutile e inadatta alla situazione; Si chiede sempre più spesso se tutta quella fatica sia valsa a qualcosa, se i complimenti ricevuti erano dettati da un sentimento sincero, se era la vita a remarle contro o se stava facendo tutto da sola. Forse è anche troppo, sono solo le 11:40 è troppo presto per riflessioni simili. Entra nell’indagine che i protagonisti dell’episodio stanno seguendo completamente, dimenticando di essere Clara, di essere a casa sua e di provare un certo fastidio verso se stessa. Il telefono di casa la trascina via proprio nel momento dell’ultimo interrogatorio, quando il colpevole messo alle corde finalmente cede. Lo lascia squillare quattro volte, sarà un call center pensa e dopo il settimo squillo torna il silenzio. Sorride compiaciuta poco prima che gli squilli ricomincino. Come una sedicenne borbotta una parolaccia e si alza trascinandosi al telefono rispondendo «Pronto?» dice riuscendo ad emettere un flebile suono, d’altronde quella era la prima parola della mattina «Cavolo Clara il telefono!» Sua sorella minore la sta chiamando dalla scuola
«Cristo santo cosa ti urli! Vai a studiare sei a scuola!» Clara si ferma strofinandosi gli occhi con l’indice e il pollice. Esagera sempre magari sua sorella ha bisogno di lei «Che è successo?»
«Vuol dire che non lo sai?! Ottimo!»
«Cosa?» sente che d’altra parte del telefono sua sorella sta scalpitando
«Non hanno detto niente ai telegiornali o su internet sei sicura?»
«Non lo so! Come faccio a saperlo se non mi dici cosa!»
«Ascolta, ti ricordi della Monni?»
«No»
«Ma dai Cla, la Monni! La Monica!» ma come parla pensa la non ancora giornalista «Dai! Andavamo alle medie insieme»
«È così importante che me la ricordi anche io? È una tua amica, ho capito dacci un taglio»
«Ok ascolta, ci siamo sentite stamattina e lei mia ha detto una cosa o meglio già la confabulava, ma a quanto pare oggi l’ha fatto davvero, l’hanno fatto davvero!» ti prego dimmi che non ha solo perso la verginità, riflette Clara mentre si siede accanto al telefono «A Porta Romana hanno occupato»
«Sai che notizia»
«No Cla non hai capito è pazzesco quello che hanno fatto!» il viso di Clara man mano che la sorella racconta si fa sempre più serio e attento: gli studenti di un’intera scuola che indossano maschere da animali, il personale accompagnato fuori, la polizia che scende a patti con i due leader della protesta. Gli occhi della ragazza passano dal vuoto vitreo della sconsolazione al luccichio di chi ha davanti a se lo scopo della vita. Deve entrare in quella scuola
«Devi darmi il numero della tua amica»
«No, senti mi ha detto che non dovevo dirlo a nessuno, né postare niente»
«Sarò discreta promesso»
«No!»
«Cerca di ragionare, se riesco ad entrare posso anche rassicurarti sulla situazione, non sei preoccupata per la tua amica?»
«Dovrei?»
«Ma scherzi! Certo, potrebbe succedere di tutto e credimi durante occupazioni come questa in genere le cose degenerano sempre»
«Ma i carabinieri non sono entranti e poi Monica è minorenne non la possono toccare, ne arrestare» Eccolo lì, il dubbio che piano piano cresce nella sua sorellina. Clara lo percepisce bene il dubbio, lo avverte come il rumore di una campana d’avvio di un incontro di box, Din. 
«I carabinieri hanno dato la loro parola? Si sono pronunciati a favore? Di solito avvertono prima di fare irruzione con la forza e se quello che mi dici è vero allora lo hanno già fatto e come minimo si stanno preparando ad entrare» mentre dice questo Clara ha ripreso il computer e adesso naviga in rete scorrendo le notizie e le immagini sull’Istituto d’Arte di Porta Romana, cercando di capire qualcosa anche sulla zona circostante «Secondo» continua «Non guarderanno in faccia nessuno quando entreranno, figurati controllare le carte di identità di tutti. E poi Monica non è quella con la terza e che indossa sempre i tacchi? Quella che compra le birre per tutti da quanto sembra grande»
«Ma allora la ricordi!» Certo che se la ricorda. Clara ha una memoria fotografica, ma è solo un’altra delle qualità fornitole, secondo sua madre, dal nostro signore
«Dico solo che non penso che oggi sia andata a scuola in pigiama e con l’orsetto, certo non sembra una del terzo anno»
«E dopo?»
«Dopo tutti passeranno dei guai, compresa lei. Ma dai! Sequestro di persona, minacce e percosse»
«No questo non l’ha detto!»
«E te lo direbbe?» il silenzio di sua sorella le parla distintamente, dice Mh… «Ora devo tornare in classe Cla»
«Va bene, comunque io mi preparo per andare la, se cambi idea sappi che stavolta avrò il telefono con me. E comunque grazie per avermelo detto, tu mi salvi sempre»
«Ok adesso vado eh, ciao» appena interrotta la telefonata Clara torna in camera sua prende un paio di jeans, un maglione e i suoi adorati stivali tuffandocisi dentro, poi infila tutto ciò che può servirle nello zaino: taccuino per appuntare qualche domanda, un vecchio mp3 che usa come registratore per non destare sospetti, tre penne nere, due snack, una bottiglia d’acqua, il portafogli e il telefono che ha appena segnalato l’arrivo di un messaggio.
 
 
 
Palladineve è seduto alla scrivania di quella che fino a poche ore prima era l’area professori, guardando i suoi compagni dalla finestra che dà sul cortile. Erano passate circa due ore dalla richiesta di un legale e adesso potevano solo attendere il suo arrivo. Viene raggiunto da Napoleone che appoggia la schiena alla finestra per parlare faccia a faccia con l’amico «Hai avuto notizie?» chiede «No, tu?» Napoleone scuote la testa «Ci avranno presi in giro?»
«No credo ci abbiano ascoltati, l’importante è non cedere o andare nel panico, sarebbe inutile»
«A quel punto scatterebbe il piano B giusto?»
«Sì, ma solo nel caso in cui dovesse servirci davvero» anche Napoleone si mette a guardare i suoi compagni. La calma che percorre quell’edificio e i suoi abitanti lo rende soddisfatto. Ma non si può ancora abbassare la guardia. Palladineve pensa lo stesso, ormai troppe persone sono coinvolte e se qualcosa dovesse sfuggirli di mano? La sua gamba comincia ad agitarsi. Napoleone gli mette una mano sulla spalla «Guardami» gli dice «Andrà bene, sta andando bene»
«Stiamo facendo la cosa giusta vero?» chiede Palladineve prendendo la mano del suo compagno «Assolutamente».

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Capitolo 5
*** IV-I tre cavalli ***


Eccolo lì, impegnato come sempre a fare quello che gli altri gli dicono. Da quando la nostra occupazione è cominciata non ha fatto altro che andare in su e in giù sempre preso da tante cose da fare, ignorandomi; non che i giorni precedenti siano stati diversi. Ogni attimo di intimità sempre interrotto bruscamente da qualche telefonata o messaggio. Però è anche per questo che mi sono innamorata di lui o forse dire innamorata per la nostra candida età è troppo? Diciamo che mi piace particolarmente e che io incredibile, ma vero, piaccio particolarmente a lui. Per questo ho deciso di passare sopra a tutto e di portarli qualcosa da mettere sotto i denti «HIIIIII» gli urlo arrivandogli alle spalle. Lui si gira non troppo sorpreso e sento la sua risata uscire dalla maschera, che è un cavallo come la mia, ma di un colore più scuro «HIIIIII»
«Cosa vuole da me questa cavalla imbizzarrita» dice prendendomi i fianchi «Cavalla? Ma no signore! Puledra al massimo! E non vuole niente, se non dare qualche zucchero al suo ragazzo» gli sventolo le patatine e la coca-cola prese dalle macchinette, prima che un branco di pecore e cani finisse tutto «Wow, ed è sicura questa puledra di non volere niente in cambio?»
«Forse una cosa» sollevo la maschera per dargli un bacio, ma lui con la mano mi ferma «Che c’è?»
«Lo sai che non possiamo togliercele»
«Gio l’ho solo alzata un po’»
«Sì, ma guarda che non ci mettono niente a mandare un drone e farci una foto» ancora col drone! «E quindi? Come possiamo stare insieme?» Questo bel ragazzo mi piace particolarmente perché si pone il problema di accontentare tutti, lo so che questo poco fa era motivo di fastidio, ma comincia a diventare tutto più sopportabile se questo tutti comprende anche la sottoscritta. Vedendomi infastidita mi prende la mano e mi porta al terzo piano, ma una volta arrivati in cima invece di andare dritto per la biblioteca, Gio gira due volte a destra in un piccolo anfratto nascosto. Che vi dicevo! Ci mettiamo seduti togliendoci quelle maschere pesanti «Caspita, sono calde!» dice asciugandosi la fronte, mentre io gli scosto qualche ciuffo di capelli dal viso. Poi la mia mano passa sulla guancia che tiro dolcemente verso di me per dargli finalmente quel bacio. Ci guardiamo sorridendo «Contenta?»
«Direi che ho abbastanza autonomia adesso» gli allungo le patatine che lui apre e comincia a mangiare. Lo sapevo che aveva fame, infatti si finisce il pacchetto e la bibita senza dire una parola. «Com’è andata stamattina?» gli chiedo dopo che ha finito di divorare il divorabile «Che vuoi dire? Mi sembra bene»
«Intendo stamattina, quando sei uscito di casa»
«O io» fa una pausa «io non sono tornato a casa ieri, ho detto ai miei che dormivo dal Mosi e così ho fatto» le mie orecchie stendono a credere di aver sentito quella frase
«Non hai salutato, ma perché? Perché non hai dormito a casa?»
«Ma dai, hai idea di quanto sarebbe stato difficile? probabilmente non sarei qui adesso» mi guarda vedendo comprensione nei miei occhi. Io stessa questa mattina ho avuto difficoltà a far finta di niente con i miei, pensando alle loro reazioni e domande. Mi chiedo in quanti abbiano sofferto così. Però in certo senso questo rende ancora più importante la nostra causa «A che pensi?» mi chiede «A come sarà stato difficile per tutti uscire di casa stamattina»
«Non per tutti credimi, conosco dei ragazzi che non si sono fatti problemi»
«Non è una bella cosa»
«Sì, sono strani» Ci sono delle parole proibite in certe situazioni o luoghi. Per esempio è meglio non dire “bomba” su un areo o “di chi è questa borsa?” all’interno di un museo. Come in questo caso si può certo evitare di definire “strani” dei ragazzi con gli occhi delle forze dell’ordine puntati addosso
«Pensi che creeranno problemi?»
«Ma figurati! Sono bravi ragazzi e poi gli conosco, rispondono direttamente a P e N. Non agiscono di loro iniziativa» Speriamo sia vero. Mi avvicino a lui poggiando la testa sulla sua spalla e già questo mi dà un po’ di coraggio. È incredibile quanta forza riesca a darmi questo ragazzo. Al di là delle mille responsabilità che si prende, a volte anche con troppa leggerezza secondo me, quando gli stai vicino ti dà la sensazione di essere al sicuro. È quell’amico che sai che ci sarà sempre per te anche dopo una vita di silenzi, senza rabbia o rancore. Lui è semplicemente lui e non prova ad essere diverso vuole solo rendersi utile, vuole solo esserci per chi ha bisogno di aiuto. Come poteva non piacermi particolarmente. Per cercare di alleggerire la tensione che questa giornata sta caricando sulle nostre spalle, ci perdiamo in una lunga, ma sempre ritemprante discussione nerd. Ci troviamo molto d’accordo sulla tredicesima rigenerazione del dottore, apprezzandone ogni particolare per poi ricascare sulla solita diatriba del è veramente giusto dire che la saga di Dragonball Gt non è da prendere più in considerazione? E poi ci perdiamo puntualmente nei Meme e nelle loro intrinseche verità. C’è niente di meglio?
Un rumore ci fa trasalire e dalla sorpresa ci rimettiamo le maschere. È il rumore di passi che si avvicinano e più sono vicini a noi e più capisco di chi si tratta. Tiro un sospiro di sollievo. Riconoscerei quei tacchi ovunque. «Cosa c’è?» mi chiede Gio sentendomi sospirare
«È Monni» e come se l’avessi pronunciato 5 volte, Monni compare davanti a noi con maschera di equino compresa
«O dio! spero di non aver interrotto niente, di nuovo»
«Che c’è Monni?» le chiedo
«Vi cercavo o meglio cercavo te, lui lo cerca qualcuno di sotto. Hanno bisogno dicono»
«Bene» Gio si sorregge al mio ginocchio per alzarsi «Vi lascio sole» Monni mi guarda o meglio nota la mia testa ciondolare dal movimento della maschera «Dai avrete tutto il tempo per fare le vostre cose» si siede accanto a me, lamentando dolore ai piedi a causa di quelle bellissime scarpe che si ostina a indossare. Le metto una mano sulla spalla per consolarla dalle fitte pungenti che avverte ai talloni «Non è stato molto saggio mettersi queste stamattina, che palle!»
«Se vuoi ho un paio di scarpe in più nello zaino e penso di avere anche dei mocassini aperti nell’armadietto di sopravvivenza»
«Beh di certo non dico di no a tanta gentilezza, ma dimmi un po’» dice dandomi un colpetto col suo gomito ossuto «Che facevate qua sopra? Tutti rimpiattati, accucciati, nascosti»
«Vuoi proprio saperlo?»
 «Altro che»
«Stavamo apprezzando il Meme sulla Civil War» mentre parlo Monni si rimette le scarpe e barcollante si alza «Quello dove Dr Strange crea un passaggio dimensionale e poi lo richiude di botto tagliando di netto il braccio a Thanos» continuo imitando la vignetta mentre le vado dietro giù per le scale seguendo il suo passo lento e dolorante «Pensa a quanto dolore avrebbe risparmiato questa mossa, che tra l’altro usano, quindi non capisco…»
«Ok lo so che sembra strano e non si capisce, ma io sto correndo via de te e i tuoi discorsi»
«No sì l’ho capito e sei anche stranamente veloce signor Gregory»
«Questa l’ho capita anche io» dice sorridendo e rallentando per permettermi di aiutala poggiandosi a me «Ora ti faccio mettere i mocassini, vedrai come stai meglio»
«Grazie Bert»
«Allora, come mai mi cercavi? Era importante o volevi solo essere inopportuna come sempre»
«O dio sì che era importante» dice colpendosi il muso della maschera col palmo della mano «Pare che stia arrivando»
«Chi?»
«Il legale che P e N hanno chiesto e questo vuol dire che ci hanno ascoltato Bert» Ma nel sentirla pronunciare questa frase avverto una certa incertezza. Arriviamo al secondo piano dove si trova anche il mio armadietto di sopravvivenza. Monni si siede mentre le cerco le scarpe tra coperte, sacco a pelo, cibo istantaneo e bustine di thè «C’è qualcosa che non va?» le chiedo
«Beh non è proprio la mia giornata tipo questa. A quest’ora avremmo avuto storia e io starei nella più totale fase di ciondolamento della giornata, seduta al mio posto accanto al termosifone, guardando fuori, stupendomi di vedere uno scoiattolo e magari anche sonicchiando un po’» trovati i mocassini glieli porgo e mi siedo accanto a lei. Mi avvicino in modo che gli altri non faccino troppo caso alla nostra conversazione. Ci sono anche dei cani in corridoio e non so perché ho la sensazione che qualche “strano” si nasconda proprio tra loro «Sembra assurdo anche a me, ma ci stiamo muovendo bene»
«A sì? Non lo so Bert, sarà la fame o il fatto che stanotte non sia riuscita a chiudere occhio, ma ora vedo le cose da un’altra prospettiva»
«Che vuoi dire?»
«Stavo pensando a cosa guadagneremo da questa storia. Noi, io, te e Gio cosa ci accadrà quando anche i giornali lo verranno a sapere?»
«È per questo che indossiamo le maschere e nessuno deve assolutamente comunicare con l’esterno, Palladineve è stato chiaro su questo se riusciamo a mantenere un basso profilo riusciremo a cavarcela»
«E se dovesse andare male? Ci hai pensato a questo?» altro che mi dico, ma credo anche fermamente nella causa
«Sì ci penso»
«E che risposte ti dai? Io so solo che l’unica fortuna che abbiamo è non essere maggiorenni, altrimenti il rischio sarebbe stato maggiore. Ma comunque non ce la caveremo con poco possono rovinarci»
«Monni lo so che sei preoccupata, ma siamo qui insieme perché abbiamo a cuore che ci ascoltino. Noi stiamo facendo qualcosa di incredibile come mai visto prima! Lo hai sentito Palladineve? È riuscito a convincere la polizia a darci ascolto solo dicendo la verità, il suo pensiero, il nostro pensiero»
«Il nostro? E se non lo fosse? se non fosse il nostro di pensiero, ma solo quello di P, N e un’altra manciata di persone?»
«Monni qui dentro siamo più di una manciata, siamo tanti quasi l’intero liceo e siamo uniti! Pensa a quando arriveremo anche agli altri! Stiamo facendo la storia Monni! Io e te, la storia! Adesso non lo puoi vedere perché la stai vivendo, ma un giorno parleranno di tutto questo» La mia amica mi guarda senza dire una parola. Sembra più calma, ma è difficile dirlo, Monni ha sempre avuto la straordinaria capacità di rendersi impenetrabile «Io non so se hai ragione» mi dice «Forse sì forse no, ma per come sono le cose ad ora quello che ci aspetta fuori dalla porta di questo posto, non è quello che abbiamo lasciato stamattina. Tutto cambierà e potrebbe essere nel bene, ma se fosse nel male? Quanto sei disposta a rischiare?» Una pecora si affaccia nel corridoio «Ragazzi sta arrivando! L’avvocato sta venendo qui!» segue un grido di gioia dei presenti che subito si precipitano a curiosare pur ricordandosi che il piano prevede comportamenti ben diversi perché tutto fili liscio. «Vado a cercare le altre» dico alzandomi «Vuoi venire come me?»
«Tra un momento, ho ancora un po’ di dolore»
«D’accordo» mentre mi avvio per le scale avverto un suono. Non sono totalmente sicura, ci sono tanti rumori di esaltazione in questo momento, ma potrei giurare di aver sentito una specie di cinguettio. Però io devo avere fiducia nella mia amica perché sono convinta che lei non si volterebbe per controllare e quindi non lo faccio nemmeno io, dirigendomi invece verso le aule di moda, dove dalle grandi finestre riesco a scorgere la donna che abbiamo assunto per fare in modo che la nostra occupazione possa passare alla fase due.

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