Nessuno Mi Ha Mai Chiamato Col Mio nome

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Il capitano ha lasciato Amanda, ed è felice.
Patrizia ha trovato il suo amore, ed è felice.
Sua madre già la vede con l'abito da sposa, e sprizza gioia da tutti i pori.
L'unico che non è felice sono io.
Porto gli ingombranti nomi dei miei nonni, dietro al mio. Marco Severo Antonio. Nessuno mi ha mai chiamato col mio nome.
Sono quello che viene comunemente definito un 'nerd'; lo sono sempre stato, fin dalle medie.
Di quelli che indossano il maglioncino a scacchi quando gli altri portano la camicia mimetica, o i pantaloni grigi con la riga quando vanno di moda i jeans strappati.
Alle superiori ero la lode dei professori e i miei compagni mi detestavano, lasciandomi isolato quando mi andava di fortuna.
Ho imparato a memoria stecche infinite di Divina Commedia, ma non farò mai innamorare una ragazza. E soprattutto, lei non si innamorerà mai di uno come me. Non mi piangerà nemmeno, quando saprà che sono morto compiendo il mio dovere.
Io la amo. La amo da sempre, da quando scendeva in Sicilia tutte le estati, per le vacanze. Siamo cresciuti insieme, abbiamo giocato insieme. Lei a tredici anni è sbocciata come una rosa e io sono rimasto lì ad ammirarla, vivendo ogni anno nella speranza di poterla rivedere per quelle tre settimane.
La amo. E non glielo potrò mai dire. Non vedrò più il suo sorriso, i suoi riccioli di seta.
Il sangue mi lascia, pian piano. La voce che mi chiama si fa sempre meno distinta, più lontana. Lei non se ne accorgerà nemmeno, che non ci sono più.
 
- Presto! chiamate un'ambulanza! -l'urlo del maresciallo echeggiò attraverso lo spiazzo, ed oltre, verso la boscaglia intorno a quel casale. Qualcuno si mosse, mentre altri erano ancora impegnati nella ricerca del fuggitivo. Lui doveva occuparsi di quel ragazzino.
Non aveva mai visto il sangue di un collega, in trent'anni di servizio. Adesso ne aveva cosparse mani e divisa, e sentiva che, se nessuno l'avesse aiutato in fretta, il panico l'avrebbe stretto in pugno impedendogli di fare un'altra mossa.
- Severino.. Severino!
 
Smettila di chiamarmi col nome di mio nonno..
 
Gli occhi del ragazzo restavano liquidi, vuoti. Le sue braccia abbandonate contro il grigio del terreno. Il suo respiro quasi nullo.
- Lasci, maresciallo. Lasci a me.- quella voce lo scosse dall'intrico dei propri pensieri - dobbiamo portarlo via di qui.
Il capitano insisteva. Si piegò sulle ginocchia, fece scivolare il corpo del giovane contro di sé, poi uno scatto e lo raccolse fra le braccia. Sembrava un gigante, pensò Cecchini. Un gigante con in braccio un bambino.
 
Perché questo era, suo nipote. Poco più che un bambino..
 
- Il proiettile ha perforato lo stomaco; sarà un intervento molto, molto delicato. Pregate per lui.- queste, le parole di uno dei medici in corsia. Aspre, dirette come una pugnalata.
Il maresciallo abbassò il viso, cercando di evitare che gli altri intorno vedessero le lacrime.
- Che dirò a sua madre..?
 
Gliel'avevano affidato col cuore, e lui col cuore l'aveva accolto in casa. Non poteva, non aveva le parole per dire ai suoi cugini che il loro unico figlio non ancora venticinquenne forse non avrebbe passato le ventiquattr'ore..
 
Il telefono squillò in piena notte, percuotendo il sonno già labile delle donne di casa Cecchini.
- O mio Dio.. o mio Dio.. fa’ che non sia successo niente..- Caterina si alzò, e tremante raggiunse il corridoio. Non era la prima volta, per lei: la voce di suo marito che le annunciava un'azione, che non sarebbe rientrato alla solita ora. La lunga notte, la lunga attesa a pregare. Il cuore gonfio di paura e le lacrime agli occhi.
Il tempo era passato, Nino era invecchiato e passato di grado, e gli appuntamenti con quella tensione erano andati pian piano diradando.
Adesso, per la prima volta in tanti anni, alla telefonata che annunciava un'azione seguiva quella che Caterina definiva l'altra.
 
Patrizia si alzò a sedere sul letto e si mise in ascolto. Ecco. Questa volta, era arrivata anche l'altra. Un peso giù dal cuore allo stomaco. Era successo qualcosa a papà.
- Patrizia.. Patrizia..- sua madre comparve nello specchio della porta. Le tremava la voce.
- Mamma.. - lei si sollevò in piedi, di scatto - papà.. papà sta bene?
La donna annuì, appena. Strinse le mani fra loro, prese il respiro:
- Hanno sparato a Severino..
 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Patrizia sentì un vuoto aprirsi all'improvviso sotto i suoi piedi.
 
Le luci della strada scorrevano rapide, ad interrompere il buio, a dare un ritmo al suo silenzio. Le mani strette sul volante, gli occhi avanti a sé, nella traccia dei fari. Il respiro affannoso ed impaurito di sua madre.
Il cuore le saliva e scendeva dalla gola. Speriamo non sia niente di grave, continuava a ripetersi. Non aveva mai provato un brivido del genere, niente di così terribile. Non per suo cugino.
La sequenza dei lampioni si interrompeva e riprendeva, a scandire i suoi ricordi, fotogramma dopo fotogramma.
La prima immagine che aveva di Severino era il divano di casa. Il divano, la penombra del salotto illuminata solo dall'alone azzurro della tv. La finestra aperta, una cicala che ronzava, il residuo di tepore di una caldissima giornata di Luglio.
- Che c'è stasera di bello? - la sua voce un filo indifferente, i passi a piedi nudi verso il divano.
- Spiderman..- la risposta un po' stanca di suo cugino, il riflesso della tv sulla superficie dei suoi occhiali.
- Beh, carino..
Gli si sedeva accanto come ogni notte, e come ogni notte non arrivava a vedere la fine del film.
 
Eppure non ti do fastidio, quando mi scivoli contro la spalla e ti addormenti davanti alla tv..
la voce di Severino si caricava di un filo di rancore, mentre voltava il viso dall'altra parte.
Lo scenario si spostava come nei sogni; Patrizia chinava gli occhi e si rivedeva vestita di quell'abito bianco. I riccioli sparsi sulle spalle nude, ed intorno il profumo di una notte di metà primavera.
 
La Festa dell'Arma si era conclusa con quel ballo in bianco, come voleva la tradizione del Comando di Perugia.
Passo dopo passo, Patrizia aveva sceso lo scalone, seconda in bellezza soltanto a sua sorella, e mano nella mano con lei aveva raggiunto i cavalieri in divisa. Mano tesa, un sorriso. Uno scambio di sguardi con Laura, e Massimiliano aveva chiesto alla sorellina di ballare.
- E tu? - le aveva mormorato all'orecchio, come a chiederle il permesso per quel minuscolo atto contrario al galateo.
- Ho un cavaliere..- Laura l'aveva indicato con un leggero cenno del viso.
Rigido dentro la divisa, aria sperduta e occhi velati di tristezza, Severino stringeva fra le mani i guanti e non smetteva di fissare Patrizia dall'angolo in cui s'era esiliato.
- Sempre la solita..- Massimiliano s'era allontanato con un gesto d'intesa, e la principessa del ballo aveva ignorato tutti gli sguardi che la accarezzavano, gli inchini e i sorrisi per raggiungere il suo brutto anatroccolo a lato di una delle finestre che separavano la sala dalla terrazza.
 
- Ehi..
- Ciao..- il ragazzo aveva abbassato appena il viso.
- Che c'è? - lei s'era piegata appena a cercare di scoprire i suoi occhi.
- Niente..
- Non mi sembra..- lei aveva teso la mano - mi concedi questo ballo?
Il ragazzo aveva risollevato lo sguardo, ed aveva osato puntarsi un dito al petto, interrogativo.
- Sì, tu. Vuoi ballare con me? - le era sembrato rimanere senza respiro, mentre annuiva appena e raccoglieva quella manina nella propria.
Un lunghissimo istante di silenzio, a farsi cullare dalla musica. Uno scambio di sorrisi. Quella sera, Severino era malinconico, sembrava un'altra persona. Niente chiacchiera elaborata, niente movimenti impacciati e veloci. Solo lunghi sguardi non corrisposti in un'unica direzione.
- Perché non le chiedi di ballare?
La domanda di Laura lo sorprese come una secchiata d'acqua gelida.
- I..io? Cosa..? Chi..?
- Lo sai benissimo, chi. Perché non le chiedi di ballare? - il viso di Laura s'era fatto vicinissimo, nella sua voce c'era un pizzico di pepe.
Lui aveva perso per un istante il respiro, poi s'era lasciato andare, e aveva risposto:
- Non mi dirà mai di sì. Non a me.
- Se non glielo chiedi, non lo saprai.
Lo sguardo celeste di Laura adesso era serio, e materno. S'era sciolta dal suo abbraccio, gli aveva trattenuto appena le dita. Poi aveva piegato il viso, aveva sorriso di nuovo, luminosa, prima di lasciarlo andare:
- Chiediglielo con parole tue.
 
Patrizia aveva ballato stretta al capitano, aveva ballato e riso abbracciata a suo padre. E adesso raccoglieva una tartina dal buffet con quell'aria finto imbronciata che l'aveva fatto innamorare. Raccogliere il respiro, cercare da qualche parte le parole, stringere in mano i guanti di pelle nera come un amuleto portafortuna; Severino aveva levato il passo e l'aveva raggiunta, viso a viso.
- Mi chiedevo se per una pura casualità dovuta alla presenza di entrambi in questo preciso punto..
A quel naso in su tanto rigido ed impettito dentro la divisa nera, Patrizia emise un sospiro:
- Ssì.. ciao, Severino.. - voltò le spalle, e sicura sui tacchi prese la direzione della terrazza, lasciandolo come sempre lì piantato e deluso.
- Lo sapevo.. inutile anche provare.. eppure non ti do fastidio, quando mi scivoli contro la spalla e ti addormenti davanti alla tv..
Quella voce la sorprese a poca distanza dalla balconata, sotto la luce della luna. Ricordava d'essersi voltata, di averlo guardato come fosse stato un alieno.
- Scusa?
Severino non aveva risposto; si era diretto alla balconata, lontano da lei quanto bastava per evitare il suo contatto. Si era appoggiato con le braccia, aveva depositato i guanti e s'era sfilato gli occhiali abbassando di nuovo il viso.
- Scusa, cos'hai detto? - lei aveva provato ad insistere, quasi sperando che adesso suo cugino spuntasse fuori da qualche parte come per magia e ricominciasse la solita solfa da dizionario Garzanti. Lui l'aveva guardata per un istante, e scuotendo appena la testa era tornato a rivolgersi alla luna.
- Ma che c'hai-? - lei l'aveva raggiunto, osando sfiorargli il braccio - è da un po' di giorni che sei strano.. prima le rose, poi quel biglietto.. e adesso ti comporti così.. che ti succede?
- Niente..- la voce del ragazzo s'era incrinata.
Io ti amo da sempre e non te ne sei mai accorta, avrebbe voluto dirle. Non mi hai mai neanche guardato..
- Sono trasparente..- in un sospiro, diede voce ai propri pensieri, sempre cercando di non guardarla per non mostrarle occhi lucidi.
- Ma che accidenti stai dicendo..? - lei gli aveva circondato il braccio con le mani, facendoglisi quasi addosso - per favore, risputa mio cugino..
A quelle parole, dette con l'esatto tono buffo del maresciallo, il ragazzo si lasciò andare ad un minuscolo sorriso. Un leggero morso alle labbra, e tornò a guardare la luna.
- Severino..- la voce della ragazza aveva caricato un pizzico di rimprovero.
- Io mi chiamo Marco.
- Che? Ma sei sicuro di stare bene?
Lui aveva risposto estraendo il proprio documento militare dalla tasca di retro dei pantaloni, aprendolo sulla balconata.
Nella foto in bianco e nero non ce l'aveva, la faccia da piccolo idiota che si portava dietro tutte le mattine. Sembrava un altro, pensò Patrizia, osservandola a lungo. Era carino.
- Questo.. non sei.. tu.- ci puntò sopra il dito, convinta che suo cugino fosse ancora nascosto da qualche parte e che stesse per saltare fuori da un momento all'altro col proprio documento autentico.
- Questo è Marco.- replicò lui, leggero.
Lei abbassò il viso e sotto la foto trovò tre nomi.
- Marco Severo Antonio..? Hai tre nomi?
Lui fece appena spallucce.
- Questa me la devi spiegare.. come mi devi spiegare le rose e il biglietto. - lei si voltò schiena alla balconata, incrociando le braccia e aspettando risposta.
-..Non ti interessa.
- Questo lascialo dire a me. Dai, avanti..!
Un cenno della mano, quasi un ordine. Lui raccolse il respiro.
-..Con parole tue.
La voce di Patrizia lo fece sorridere ancora.
- Io sono cresciuto in Sicilia.- sollevò di nuovo le spalle - Severino era mio nonno paterno. Tipo autoritario. La tradizione di famiglia, sul primo maschio, imponeva il nome del nonno paterno. A mia madre la cosa non è mai piaciuta; suo padre si chiamava Antonio, tutto un altro nome. Ci ha pensato un po', e per non offendere nessuno mi ha chiamato Marco. Con il nome del patriarca subito dietro e quello di suo padre al terzo posto, medaglia di bronzo. Ma la tradizione è tradizione, e nessuno mi ha mai chiamato col mio nome.
Lei lo ascoltava, affascinata. Per la prima volta, scopriva l'anima segreta del ragazzo con cui divideva i propri spazi da quasi un anno. Il suo vero viso, i suoi occhi senza schermi protettivi. Le mani levate in aria come gabbiani in volo, il sorriso sincero. E parole uscite dalle sue labbra senza star tanto a studiarle.
- Che c'è? - lui aveva notato quello sguardo su di sé, e aveva interrotto il racconto.
- Niente.. puoi tenerti mio cugino e buttare via la chiave.
Un'altra espressione alla Cecchini, e il ragazzo rise ancora.
- Sei carino. Non l'avevo mai notato.
Adesso l'espressione di Patrizia era incuriosita, assorta. Il gomito sulla balconata, il mento sul palmo, e quella cascata di riccioli di miele che andavano ognuno per conto suo, liberi e ribelli come la padrona.
- Smettila..
- Smettila che?
- Di prendermi in giro.
- Non ti sto prendendo in giro.
- Ok..- lui s'era staccato dalla balconata, aveva inforcato di nuovo il suo schermo di protezione.
- Ehi! dove scappi? Mi devi spiegare ancora il perché del biglietto e delle rose!
Lui s'era fermato, s'era voltato appena:
- Il biglietto era il mio in bocca al lupo per la tesi.
- E le ventiquattro rose rosse firmate l'ammiratore segreto?
Patrizia gli arrivò di fronte, incrociando di nuovo le braccia, decisa a sentirsi dire la verità.
Lui smise di pensare, e le poggiò una mano sul fianco, scivolandole addosso, viso a viso.
- Le rose erano perché non ti dimenticassi di me..
 
Questa sul Garzanti non c'è, pensò Patrizia. E questo non è Severino.
Severino era il bambino gracile e un po' impacciato che non seguiva i cugini negli spericolati giochi delle antiche estati, era il ragazzino malinconico e sfigato che osservava gli altri da lontano, ben nascosto e al sicuro dietro gli occhiali, con un libro fra le dita e chissà quale strampalato discorso in mente.
Lei era cresciuta libera e felice, estate dopo estate, nelle lunghe vacanze alla casa dei nonni. Ricordava i sorrisi abbronzati dei cugini, I piedi nudi sulla spiaggia, i tuffi dal vecchio pontile di legno, le corse in bicicletta, le grida e le risate.
E sì, Severino.. o Marco, aveva ragione. Era sempre stato trasparente, lui, ai suoi occhi di bambina e poi di ragazza.
 
Lei era cresciuta, s'era iscritta all'università, aveva smesso di seguire i genitori in vacanze che ormai non le facevano più piacere, per partire alla scoperta del mondo con le sue amiche. E il ricordo di quello strano ragazzino s'era perso, sbiadito come una vecchia fotografia in seppia o bianco e nero.
Poi Massimiliano, il capitano. Quello bello e fidanzato, il suo primo amore grande ed impossibile. Le perle preziose di ogni suo sguardo, di ogni piccola affettuosa attenzione, le goffe gelosie di papà.
Erano serviti sei mesi di Erasmus, per riuscire a toglierselo dalla testa, almeno a metà. Sei mesi lontana da lì, da cui era tornata più saggia e più donna.
Poi gli occhi celesti di Laura, i suoi sorrisi e i piccoli momenti di malinconia da condividere abbracciate sul letto. In lei aveva trovato una sorella maggiore, Massimiliano la donna per la vita, la donna da seguire a centinaia di chilometri da lì. Patrizia lo guardava, in lui non vedeva più quello che un tempo aveva creduto il grande amore. E un pochino rideva di sé, viso a viso con la stessa luna.
E poi quel giorno. Quel giorno che secondo suo padre avrebbe dovuto cambiare tutto, e invece per lei non aveva cambiato niente.
 
- Caterina, guarda chi è arrivato! - la voce del maresciallo annunciava, carica di gioia, quella figura magra e timida comparsa sullo specchio della porta.
Baci, abbracci, sorrisi. Una festa a cui lei aveva risposto col suo piccolo broncio di serie.
Severino, il cugino gracile e sfigato, era cresciuto. Diplomato perito elettronico, s'era arruolato nell'Arma, rendendo orgoglioso quel suo padre dal nome impronunciabile che l'aveva caldamente raccomandato presso il cugino, chiedendogli il favore di accoglierlo in casa e fargli un po' da padre, ora che lo trasferivano proprio nella caserma della sua città.
A lei non aveva fatto piacere, dover condividere tempi e spazi proprio con lui, il meno simpatico fra tutti i suoi cugini. L'aveva accettato, suo malgrado. Tutto qui.
 
- Che bravo, eh! Parla come un libro aperto!
Il maresciallo gli allungava qualche orgoglioso schiaffetto sulla guancia, e lui restava lì impalato a battere i tacchi, dandogli del lei e aprendo bocca solo per esprimere una marea di frasi studiate a puntino.
 
Che noia.. che tremendo sfigato.. per fortuna, i suoi viaggi su e giù da Perugia per l'università glielo tenevano lontano quanto bastava..
Come le dava fastidio, il trovarselo fra i piedi ad ogni passo, e quanto la irritava, suo padre, quando non mancava occasione per appiopparglielo come guardia del corpo ad ogni festa, ripetendo a parenti, amici e conoscenti che quello era il promesso sposo di sua figlia..
Patrizia conosceva suo padre tanto bene da saperlo, che non avrebbe mai applicato le tradizioni di famiglia su di lei, soprattutto perché avrebbe avuto a che fare con la mamma..
Le scappò un impercettibile sorriso, adesso che i passi la stavano conducendo verso quella corsia d'ospedale.
Non aveva un ricordo legato a Severino che non fosse stato di un momento in cui l'aveva trattato male. Neanche uno, almeno nei primi sei mesi della loro forzata convivenza.
L'occhialuto secchione aveva occupato il proprio posto in caserma e in quella casa, senza altre pretese oltre a quella di far capire agli altri che esisteva anche lui.
In caserma lo rispettavano; in fondo, avevano ben altro da fare che perdere tempo con l'ultimo arrivato. Le amiche di Patrizia lo prendevano in giro, e lei non aveva mai mosso un dito altro che per dar loro ragione. Era stata cattiva, pensò. Cattiva, spietata.
L'aveva abbandonato fuori dal portone di casa con una scusa pur di non averlo fra i piedi ad una festa, più di una volta gli aveva risposto male pur non avendone motivo.
E forse adesso era troppo tardi per chiedergli scusa..
 
Lui non si era mai ribellato, non le aveva mai urlato contro come forse avrebbe meritato. Neanche quando, per allontanarlo dalla propria stanza, gli aveva tirato un asciugamano riuscendo a trascinargli a terra gli occhiali e a mandarli in mille pezzi.
 
Quella era stata la prima volta in cui suo cugino aveva espresso parole sue.
 
- Non fa niente.. lascia stare..
Leggero, velato. Aveva sollevato appena la mano per evitare che lei, mortificata, cercasse di aiutarlo. Aveva raccolto tutto e non le aveva appoggiato lo sguardo addosso per almeno una settimana.
Per la prima volta, le aveva fatto provare qualcosa di diverso dal fastidio, le aveva fatto desiderare di chiedergli scusa.
 
Dopo quella volta, erano iniziate le nottate davanti al cineforum televisivo.
Senza chiedere più del titolo in programmazione, lei gli s'era seduta accanto e l'aveva visto indifferente invece che esagitato come suo solito. Non ci aveva fatto caso più di tanto: forse suo cugino era solo stanco, dopo una giornata di lavoro..
Una notte, due, tre. L'estate era volata, e quella era diventata una graziosa abitudine, oltre al primo fotogramma di Severino in un attimo in cui non veniva trattato male.
Il film andava avanti, e gli occhi di Patrizia si chiudevano pian piano. Non se n'era mai accorta, di crollargli addosso, fino a quella volta in cui risvegliandosi aveva trovato quella spalla contro il proprio viso.
S'era scossa, s'era allontanata, confusa.
- Guarda che puoi stare; non mi dai fastidio..- la voce del ragazzo era tranquilla. Un leggerissimo sorriso, ed aveva rivolto di nuovo il viso allo schermo.
 
Poi, la sera della festa. Averlo lì davanti, che parlava e si muoveva in un modo nuovo, non suo, l'aveva spiazzata.
La sua mano non era grande come quella di Massimiliano, pensò. Non era la mano di un uomo forte e robusto, del principe azzurro che aveva sempre sognato, però era calda da bruciare, contro il suo fianco.
Rimase a fissarla per un attimo, mordendosi appena le labbra. Lui capì, la liberò all'istante da quel contatto, sollevando entrambe le mani come in segno di resa, e scuotendo appena la testa:
- Scusa.. non era mia intenzione..
- No, niente..- lei intrecciò le dita, stringendo le mani fra loro.
- Non sono esattamente il tipo di cavaliere che vorresti.. lo so..- lui abbassò il viso, e rialzandolo si aprì in un sorriso - ma nonostante l'avverso moto degli astri di questa notte, come peraltro spesso accade nei miei confronti..
- Smettila.- lei si fece seria, sollevando entrambe le mani come a proteggersi da altre parole complicate. Lui aggrottò appena le sopracciglia.
- Smettila, di recitare..
- Continuo a non capire suddetta affermazione..- lui provò ad insistere, ma Patrizia era Patrizia, e una volta scoperte le carte con lei non si poteva tornare indietro.
- Se quello di stasera sei davvero tu.. allora butta la maschera. Sei un ragazzo intelligente.. e mille volte meglio di come appari.
Adesso lo sguardo della ragazza s'era fatto infinitamente dolce e comprensivo, e lui non trovò più il coraggio di incrociarlo di nuovo. Il cuore gli diede un balzo nel petto, quando la sua manina gentile tornò a raccogliergli il braccio fra le dita.
- E grazie, per le rose.. non sei il mio principe azzurro.. ma non ti dimenticherò mai.
L'aveva lasciato a metà terrazza, incrociandosi le dita sulle labbra a mò di promessa.
E poi, più nessuna parola. Lui indossò di nuovo la sua maschera da secchione, per lasciarla cadere solo in rare occasioni di scambi di sguardi.
 
Marco era scomparso, come le scritte sulla sabbia sotto le onde del mare, per comparire di nuovo solo adesso, oltre il vetro di quella stanza del reparto terapia intensiva.

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