The Bleeding Saga - 2 - Funeral for a Friend

di Rin Hisegawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. chapter one; ***
Capitolo 2: *** II. chapter two; ***
Capitolo 3: *** III. chapter three; ***
Capitolo 4: *** IV. chapter four; ***
Capitolo 5: *** V. chapter five; ***
Capitolo 6: *** VI. chapter six; ***
Capitolo 7: *** VII. chapter seven; ***
Capitolo 8: *** VIII. chapter eight; ***
Capitolo 9: *** IX. chapter nine; ***
Capitolo 10: *** X. chapter ten; ***
Capitolo 11: *** XI. chapter eleven; ***
Capitolo 12: *** XII. chapter twelve; ***
Capitolo 13: *** XIII. chapter thirteen; ***
Capitolo 14: *** XIV. chapter fourteen; ***



Capitolo 1
*** I. chapter one; ***


Capitolo #1;

Il sole era appena sorto nel cielo, e riversava una pallida luce argentata attraverso la tenda leggera. La stanza, in quella penombra calda, sembrava molto più accogliente di quanto non fosse in realtà. Il pavimento di legno era coperto di fogli di carta appallottolati, provette, alcune delle quali gocciolavano liquidi di colori improbabili, e quelli che sembravano pezzi di metallo. Alle pareti, sugli alti scaffali, una vasta gamma di strumenti tra cui ancora provette, bisturi, beute, un fornello elettrico e altri oggetti di forma insolita. In questa accozzaglia di materiale, spiccavano una cinquantina di contenitori tappati, di varie forme e dimensioni, che contenevano frattaglie non meglio identificabili immerse nella formaldeide.
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami, nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante.
Quando il campanellino sulla porta principale tintinnò, rivelando l’arrivo di un visitatore, l’uomo afferrò uno straccio che teneva sul tavolo, e prese ad asciugarsi le mani. Lo straccio si tinse di rosso, e l’uomo lo gettò di nuovo sulla superficie metallica con noncuranza, mentre nel corridoio che conduceva al laboratorio iniziava a farsi più chiaro un rumore di passi leggeri. Il visitatore sbatté appena le nocche sul legno della porta, per avvertire della sua presenza.
- E’ permesso? - chiese.
Era la voce di una ragazza, e non poteva avere più di vent'anni. L’uomo non rispose. Sempre dandole le spalle, si avvicinò ad un lavandino piuttosto in ombra rispetto al resto della stanza, e prese a lavare gli strumenti che aveva appena usato.
- Mi hanno detto che lei è il maggior esperto di anatomia qui - continuò la ragazza - quindi mi chiedevo se può fare qualcosa per questo...
L’uomo si voltò appena, lanciandole un’occhiata di sbieco. Era una ragazza esile, non molto alta, con i capelli quasi argentati tagliati corti. La frangia, tinta di viola pallido, le copriva interamente la metà sinistra del volto. Indossava il kimono delle allieve dell’accademia per shinigami, ma la manica sinistra era strappata e rivelava un braccio sottile e coperto di sangue, percorso per lungo da una profonda ferita ancora aperta. Era molto pallida, ma l’espressione del viso era rilassata, come se non stesse provando dolore.
- Non sono un medico. Il mio lavoro non consiste nel curare le ferite - rispose l’uomo con voce tagliente.
- Ah - disse lei semplicemente, con voce piatta - Allora, sembra che dovrò dire addio al mio braccio, eh?
Lui si voltò di nuovo, sorpreso. Quella conversazione stava prendendo una piega decisamente surreale: sembrava che alla ragazza non importasse effettivamente nulla di essere curata. Il tono leggero con cui aveva pronunciato quelle parole, però, gli aveva fatto venire in mente un suo vecchio progetto.
- Aspetta! - replicò, perchè lei si era già allontanata per uscire.
La ragazza si voltò immediatamente; l’uomo fece altrettanto, fissandola da lontano, con il volto, o per meglio dire la maschera, ancora in ombra. Poteva percepire la curiosità di lei nell’aria. Non trepidazione, o speranza. Solo semplice curiosità.
“Ha l’espressione di una che non ha niente da perdere.” pensò “Proprio quello che fa al caso mio.”
- Mi serve un assistente. Curerò il tuo braccio, a patto che tu accetti di rimanere qui e lavorare per me.
Lei inclinò la testa da un lato, le sopracciglia aggrottate, vagamente sospettosa. Poi sorrise.
- Ok. - disse, semplicemente.
L’uomo fece un passo avanti, uscendo dal cono d’ombra.
- Kurotsuchi Mayuri - si presentò.
La ragazza ebbe un sussulto fissando la maschera che gli copriva il volto, attraverso cui due occhi ambrati la osservavano con solennità. Lui si accorse della reazione e chiese, con un leggero tono di sfida:
- Qualcosa non va?
- Niente affatto! - rispose lei, velocemente – Io sono Rin.
Kurotsuchi la osservò per un attimo, ma decise di non domandarle il cognome. Non aveva bisogno di sapere altro, in effetti; per lui Rin non era niente più del lavoro che avrebbe potuto svolgere nel laboratorio.
- Bene. Siediti lì. Dovrò farti un’anestesia totale, sarà un’operazione piuttosto lunga. - disse Kurotsuchi, indicando con un cenno della testa il tavolo al centro della stanza.
- Ok. - ripeté lei.
Sedette dove le era stato detto e, tenendo in grembo il braccio sanguinante, prese ad osservare l’uomo che preparava gli strumenti dell’operazione. Tranne quei freddi occhi color ambra, più inquietanti della maschera che celava il resto del viso, le mani erano l’unico dettaglio che rivelasse che si trattava veramente di un essere umano.
Erano mani pallide, quasi bianche, e le unghie erano tinte di nero. Tuttavia, quando Kurotsuchi si avvicinò per praticarle l’iniezione di anestetico, Rin si rese conto che non erano gelide come si aspettava. Con sua grande sorpresa, la scoperta la tranquillizzò, e si sentì un po’ più fiduciosa, un attimo prima di cadere nel sonno profondo causato dall’anestesia.
Quando si svegliò, Rin si rese conto di essere stata adagiata su un futon. Il sole era ormai alto nel cielo, ma filtrava appena attraverso le tende chiuse disegnando linee prive di senso sulla semplice coperta blu.
La ragazza si guardò attorno: la stanza era molto sobria, col pavimento in legno e una grande porta finestra, che probabilmente dava sul retro della casa. Sulla parete alle sue spalle c’era un armadio a muro, mentre nell’angolo di fronte a lei un tavolo e una sedia, entrambi di legno, si scorgevano indistintamente nella penombra densa e calda che pervadeva l’ambiente.
Il braccio sinistro le faceva male. Rin tentò di muoverlo, ma una fitta di dolore la costrinse a cambiare idea. Dal polso alla spalla, fitte bende macchiate di rosso coprivano la ferita. Appoggiandosi al gomito sano, la ragazza riuscì a mettersi a sedere. In quel momento, il campanellino sulla porta principale tintinnò.
Kurotsuchi comparve sulla porta, tenendo in mano un bicchiere pieno di un liquido azzurro intenso.
- Non toccare la fasciatura per nessun motivo - disse.
Rin avrebbe avuto un sacco di domande da rivolgergli, ma rimase in silenzio, fissando la mano di lui che stringeva il bicchiere, l’unica cosa di quell’uomo che non le incutesse timore.
- Bevi questo.
- Che cos’è? - chiese Rin sospettosa.
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata tagliente.
- Non è veleno, se è questo che vuoi sapere. Non è nel mio interesse ucciderti.
La ragazza bevve diligentemente il liquido azzurro. Era amaro, e le dette una sensazione di torpore che le rendeva difficile persino rimanere seduta. Sentiva il volto in fiamme, e la stanza sembrava ruotare attorno a lei. Istintivamente tentò di coprirsi gli occhi con le mani, ma una nuova, lancinante fitta di dolore al braccio ferito la fece sussultare.
Poi sentì che due mani forti la sorreggevano e la aiutavano a stendersi di nuovo. Kurotsuchi le stava dicendo qualcosa, ma non era in grado di capire. Tutto, intorno a lei, stava diventando buio.
L’uomo sedette in un angolo della stanza, gli occhi fissi sulla figura stesa sul futon. Non aveva nessuna voglia di tornare al laboratorio. Grovigli di pensieri gli attraversavano la mente, gli sarebbe stato impossibile rimettersi a lavoro anche se avesse voluto. Quando quella ragazza era entrata  nei quartieri della dodicesima Divisione aveva visto in lei l’occasione che aspettava de mesi: era una persona del tutto priva di interesse per la propria vita, e quello sguardo scevro di paura o timidezza rivelava chiaramente che non aveva niente da perdere.
Le aveva detto che sarebbe stata la sua assistente, ma lei non poteva sapere che il lavoro che Kurotsuchi svolgeva ormai da tredici anni spesso necessitava di qualcuno su cui provare gli esperimenti. E che, in mancanza d’altro, questi esperimenti lui li compiva su se stesso.
È per questo motivo, pensò l’uomo sogghignando amaramente fra sé, che nessuno aveva mai accettato prima l’incarico che Rin, con tanta ingenuità, aveva accolto con il sorriso sulle labbra. Non si trattava solo di essere lo scienziato, ma anche la cavia.
La ragazza si mosse nel sonno. La medicina che le aveva somministrato era molto potente, abbastanza forte da farla dormire per dodici ore, considerato il suo fisico esile. Tuttavia, Kurotsuchi alzò la testa, sospettoso. Non poteva permettersi di fare errori. Un’occasione del genere forse non gli sarebbe più capitata.
Invece, Rin dormiva tranquilla, con un’espressione rilassata e indifesa dipinta involto. Fissandola, l’uomo provò un moto di rabbia verso di lei. Come poteva essere così rilassata, in casa di uno sconosciuto e senza nemmeno la zanpakuto con sé? Kurotsuchi si alzò di scatto, e uscì a grandi passi dalla stanza, diretto verso il laboratorio.
Se avesse cominciato subito, forse sarebbe riuscito a combinare qualcosa di buono prima del calar del sole.

Lo shinigami dai capelli biondi stava dritto di fronte a lei, brandendo la zanpakuto con fare minaccioso. Rin non riusciva a muoversi. Aveva già perso molto sangue e l’attacco che il suo avversario le aveva lanciato le impediva di fare qualunque movimento. Poi, un lampo di luce argentata. Di chi era la voce che stava urlando? Rin si svegliò con un grido. La ferita le faceva un male terribile.
- Stai ferma.
Qualcuno era inginocchiato accanto a lei nel buio, e armeggiava con le bende attorno al suo braccio. Lentamente, i ricordi degli ultimi cinque giorni tornarono alla luce nella mente della ragazza: il duello, il lungo cammino per raggiungere il laboratorio di Kurotsuchi e poi l’operazione. Il resto del tempo lo aveva trascorso in uno stato di dormiveglia febbricitante, interrotto ogni tanto solo per assumere qualche farmaco.
- Devo toglierti le bende.
Lei non rispose. Se ne rimase immobile, raggomitolata nella coperta, osservando l’uomo sciogliere con delicatezza la fasciatura che le stringeva il braccio. Le mani di lui si muovevano rapide ed esperte, e le bende a poco a poco si srotolavano ammucchiandosi sul pavimento.
C’era qualcosa di rassicurante nei suoi gesti lenti e calcolati, e Rin si ritrovò a pensare che alla fine forse non era caduta nella trappola di un pazzo.
- Ho ricostruito la maggior parte dei muscoli senza troppi problemi, ma alcuni nervi e le articolazioni erano compromesse. - disse Kurotsuchi con tono grave. - E’ stato necessario creare dei sostegni esterni perchè tu potessi muovere di nuovo il braccio.
Rin lanciò un’occhiata alla ferita. Una lunga fila di ordinati punti di sutura era interrotta all’altezza del gomito, del polso e della spalla da quello che sembrava un rudimentale esoscheletro di metallo. I punti in cui questa struttura si interrompeva erano stati attentamente fasciati con lacci di cuoio, ma nel muoversi Rin si rese conto che questa specie di armatura era saldata ai resti delle sue articolazioni.
Fissò Kurotsuchi, un po’ perplessa.
- Il metallo è...?
- Non c’era altra soluzione. - tagliò corto lui, cogliendo il suo sguardo. - Dal punto di vista pratico, in realtà, un arto meccanico è notevolmente superiore a uno normale: puoi ritenerlo un ottimo scambio. Tuttavia, questi metodi di cura sono considerati poco ortodossi dall’opinione comune, perciò quando sei in pubblico fai in modo di coprire la ferita.
Rin non rispose. Se il braccio meccanico si fosse rivelato veramente migliore di un braccio normale, ottimo. Se invece fosse stato peggiore, beh, infondo un mero surrogato era pur sempre meglio che niente.
Kurotsuchi raccolse le bende da terra e si allontanò dalla stanza, senza aggiungere altro. Il sole aveva cominciato a spuntare a est, promettendo un’altra soffocante giornata estiva, ma a lui non importava. Nel laboratorio, raccolse dal tavolo tutti gli strumenti che aveva utilizzato per medicare la ferita di Rin e li gettò via. Non poteva permettersi di lasciare in giro le tracce di un simile intervento.
Rimase nel laboratorio gran parte della mattinata, cercando di concentrarsi su un esperimento che portava avanti oziosamente da un paio di mesi, e intanto rimuginando tra sé riguardo agli eventi accaduti di recente. Non si era mai interessato apertamente alle faccende della Soul Society che non lo riguardassero direttamente, ma da qualche settimana erano giunte alle sue orecchie voci secondo cui Urahara Kisuke, il Capitano della dodicesima Divisione, era stato accusato di aver creato qualcosa che andava oltre la semplice illegalità. Se Urahara fosse stato condannato, Kurotsuchi avrebbe sicuramente ottenuto il suo posto in qualità di attuale Vice-Capitano.
Naturalmente, anche Kurotsuchi aveva i suoi scheletri nell’armadio. Per questo motivo, aveva deciso di restarsene in silenzio e aspettare finché il Consiglio non avesse preso una decisione. Non poteva certo permettersi di perdere la promozione a Capitano a causa di una semplice negligenza.
Questa situazione lo rendeva nervoso.

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Capitolo 2
*** II. chapter two; ***


Verso le tre del pomeriggio Kurotsuchi sentì bussare alla porta del laboratorio.
- Che cosa vuoi? - chiese, infastidito.
Anche se non era stata invitata ad entrare, Rin fece capolino nella stanza. Nonostante la lunga convalescenza sembrava in ottima forma, e sorrideva soddisfatta in direzione di Kurotsuchi. Assieme ai pantaloni della divisa da shinigami indossava una maglietta senza maniche bianca, al posto della casacca. Con i resti di quest’ultima, aveva ricavato quello che sembrava un lungo guanto che le copriva tutto il braccio ferito, fermato all’altezza del polso e della spalla da due serie di lacci intrecciati.
Allo sguardo di disapprovazione che Kurotsuchi le restituì, replicò con un altro sorriso divertito. L’idea di togliersi dai piedi non l’aveva neppure sfiorata. L’uomo si voltò di nuovo in direzione del tavolo, ben deciso a ignorarla. Non era ancora il momento per lei di frequentare il laboratorio, non prima di aver dimostrato almeno un minimo di affidabilità e capacità.
Tuttavia, Rin non sembrò far caso all’atmosfera poco ospitale con cui era stata accolta. Si sedette su un tavolino situato sul lato sinistro della porta, e prese ad armeggiare con i vari pezzi del fornellino elettrico smontato che vi aveva trovato sopra. Quando lo ebbe rimontato, saltò giù dalla sua postazione e prese ad osservare le scaffalature. Kurotsuchi non diceva niente.
- Se vuoi che diventi la tua assistente, dovrai insegnarmi che cosa fare, - disse infine lei con tono leggero, osservando con grande curiosità le grottesche forme all’interno dei barattoli.
- Quando ne avrò bisogno te lo dirò. Fino ad allora, ti consiglio di non intrometterti.
Rin si voltò a fissare l’uomo chino sul tavolo da lavoro, si strinse nelle spalle e riprese a camminare su e giù per il laboratorio. Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di sbieco. Certamente, la ragazza non era un tipo facilmente impressionabile. Era anche piuttosto intelligente, sebbene l’intelligenza potesse a volte rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Decise di farle qualche domanda, metterla alla prova.
- Hai ucciso uno shinigami per procurarti quella divisa? - le chiese con noncuranza.
Rin non esitò un attimo a rispondere.
- No. È mia.
Kurotsuchi le lanciò un lungo sguardo indagatore.
- A quale divisione appartieni, dunque?
- Non sono di nessuna divisione, - disse lei dopo una pausa. Il suo tono di voce voleva suonare sicuro, ma Kurotsuchi notò che, mentre parlava, Rin teneva gli occhi fissi a terra. – Il giorno delle cerimonie... ho avuto un contrattempo.
Sollevando il viso si trovò faccia a faccia con l’uomo, che le lanciò un’occhiata impassibile. Si voltò in fretta, incapace di sostenere il peso di quello sguardo freddo. Poi, Kurotsuchi spostò l’attenzione sulla fasciatura.
- Capisco, - disse con voce piatta.
Si allontanò di nuovo. Rin rimase immobile, le spalle appoggiate contro il muro, incerta sul da farsi. Doveva dirgli la verità? Cosa avrebbe fatto se un giorno le guardie si fossero presentate da Kurotsuchi e lo avessero accusato di nascondere una criminale?
- Kurotsuchi-san...
L’uomo si voltò immediatamente, una provetta a mezz’aria; Rin sentì le parole morirle in gola. Cosa sarebbe successo se Kurotsuchi avesse deciso di consegnarla? Si detestava.
Lei, convinta che niente ormai avesse più importanza, non aveva il coraggio di rovinarsi la reputazione di fronte a quell’uomo.
Aveva creduto che, una volta perdute tutte le persone a lei care, sarebbe stata libera di non provare più paura né vergogna e che non le sarebbe importato più di niente. E invece, ecco che già si preoccupava di non perdere la fiducia di un perfetto sconosciuto.
“Gli esseri umani sono veramente delle creature disgustose.” pensò “Senza un briciolo di autonomia, sempre alla ricerca di una spalla a cui appoggiarsi.”
- Cosa c’è? - chiese Kurotsuchi. Non c’era rabbia o fastidio nel tono della sua voce, solo curiosità e un leggero accento di sorpresa, perchè era da molto tempo che nessuno lo chiamava più “Kurorsuchi-san”.
Rin si rese conto che non avrebbe potuto continuare. Maledicendo se stessa e la propria debolezza si portò sulla difensiva, assumendo quella che sperava essere un’espressione indifferente.
- Non fa niente, scusa.
Da come lui la guardò, la ragazza capì di non essere riuscita a ingannarlo; tuttavia, Kurotsuchi non fece altre domande. Rin, appena poté, sgattaiolò fuori dalla laboratorio e si chiuse nella sua stanza, dove l’uomo non avrebbe potuto piantarle addosso gli occhi color ambra che, ormai ne era certa, avevano il potere di cogliere con chiarezza ogni sfumatura del suo umore.

Il laghetto era poco profondo e l’acqua trasparente come uno specchio lasciava scorgere con chiarezza il fondale di sassi lisci e ovali. Rin se ne stava in piedi al centro, ad occhi chiusi, i pantaloni arrotolati fin sopra il ginocchio, lasciandosi accarezzare dalle leggere onde che increspavano la superficie luccicante. La brezza serale faceva mormorare le foglie degli alberi circostanti.
Lo stridio di un pipistrello uscito a caccia prematuramente riportò la ragazza alla realtà, facendola sussultare. Il cielo si era ormai tinto di nero a est, e il tramonto era frammentato in un mosaico di pagliuzze dorate e malva. Era in ritardo, e quella sera si sarebbe tenuta la festa in suo onore, per celebrare la promozione all’accademia degli shinigami. Rabbrividendo leggermente, uscì dall’acqua e raccolse le proprie cose sparse sull’erba. Il vento sapeva di pioggia ed erba appena tagliata. Rin s’incamminò lungo il sentiero, canticchiando una canzone.
Non appena ebbe imboccato la strada che portava alla villa, capì subito che qualcosa non andava. La sua era una delle antiche famiglie nobili della Soul Society, e per questo disponeva di agi e ricchezze. In genere, quando qualcuno dei padroni restava fuori fino a tardi, il guardiano dei cancelli accendeva una fila di torce lungo la recinzione per illuminare la strada di casa. Quella sera, tutto era spento.
Camminando a passo sempre più spedito, Rin attraversò i cancelli e si inoltrò nel giardino in stile giapponese. Anche le scuderie erano buie, cosa insolita per quell’ora. Adesso, la ragazza quasi correva. Col fiatone, raggiunse la porta e bussò con entrambi i pugni sul legno scuro. Si sentiva pervasa da un terrore irrazionale che le scorreva addosso come un liquido freddo e soffocante.
- C’è nessuno?- quasi gridava.
Quando ormai cominciava a pensare di non poter più attendere un solo istante, la porta si aprì. Sulla soglia apparve suo fratello maggiore, Hikaru, con indosso il kimono da shinigami e una strana espressione dipinta in volto. Cercò di sorridergli.
- Hikaru! Dove sono tutti?
Lui le restituì un sorriso enigmatico, ma i suoi occhi rimasero privi di qualsiasi espressione. Rin si sentì gelare, senza sapere perchè.
- Credevo che saresti tornato solo domani. Ti hanno dato un giorno di permesso?
Hikaru era un membro della Guardia, e trascorreva gran parte del suo tempo lontano da casa.
- Diciamo che sono venuto qui a sistemare una faccenda che avevo in sospeso.
Si voltò, e solo allora Rin scorse delle tracce di sangue sulle mani di lui.
- Sei ferito? Dove sono finiti tutti? Hikaru, sei strano... c’è qualcosa che non va?
Intanto, i due avevano attraversato un lungo corridoio ed erano entrati in una grande sala quadrata col pavimento di legno, e al centro un tavolo basso circondato da cuscini.
- Siediti, Rin.
Lei ubbidì.
- Quello che sto per dirti ti sconvolgerà, ma non devi interrompermi per nessun motivo. Vedrai che, quando ti avrò spiegato tutto, capirai.
Che cosa significava? Cosa c’entrava tutto ciò con la festa? E che fine aveva fatto la sua famiglia?
- Qualche mese fa, - proseguì Hikaru - ricevetti una lettera da un mio collega che stava svolgendo indagini da queste parti comunicandomi di aver avviato un’operazione di spionaggio con l’intento di smascherare un influente, ma ovviamente sconosciuto, contrabbandiere. Mi invitava a unirmi a lui nell’intento e, cosa più interessante, mi offriva la possibilità di salire immediatamente di grado nel caso in cui l’operazione fosse andata a buon fine.
- Io accettai subito. Il bersaglio era un gruppo di persone che acquistava Gigai per poi rivenderli a scienziati che li utilizzavano per i loro esperimenti. Dapprima, ero convinto che i contrabbandieri agissero per mezzo di un corriere che si spostava in queste zone, e che la vera e propria sede distante chilometri dal luogo dell’azione; è così che di solito vanno le cose. Ma poi, col tempo, mi sono reso conto che in realtà il cervello di tutta l’impresa era situato in questo posto. Per la precisione, in questa casa.
Rin si sentì mancare il fiato. Uno strano presentimento iniziò ad affacciarsi alla sua mente, ma tentò di scacciarlo e si costrinse a rimanere in silenzio, e ascoltare ciò che suo fratello aveva ancora da dirle.
- Venni così a sapere, da fonti indubbiamente attendibili, che il contrabbandiere in questione era nientemeno che nostro padre. Avrebbe voluto mettermi a conoscenza del fatto nel giro d’un paio di anni, nella speranza di trarre vantaggi dall’avere un figlio nella Guardia, pronto a difenderlo nel caso che fosse stato scoperto.
- Tuttavia, Rin, tuo fratello non è un codardo nè uno stolto. Non avrei mai appoggiato i suoi folli piani di potere. Ho detto a quell’uomo che l’avrei consegnato alla legge assieme a nostra madre, sua complice in tutta questa storia, e a tutti i suoi seguaci, se non si fosse costituito spontaneamente: si è rifiutato, mi ha chiamato figlio degenere e ha minacciato di disconoscermi dicendo, in effetti a ragione, che la sua parola valeva molto più della mia e che nessuno avrebbe mai osato accusarlo di un crimine talmente assurdo.
Rin non credeva alle proprie orecchie. Non riusciva a capacitarsi del fatto che la ricchezza di suo padre provenisse da un traffico illecito di cui neppure i figli erano a conoscenza, nè tantomeno che lui, l’uomo che li aveva cresciuti, fosse disposto a rinunciare a loro pur di non perdere la propria posizione.
- Nostro padre, malgrado tutto, aveva ragione. - continuò Hikaru. - Se avessi detto alla Guardia che un personaggio così influente, per di più legato a me da un vincolo di sangue, era il fantomatico contrabbandiere di cui tutti tanto parlavano, mi avrebbero preso per pazzo. Ma giustizia doveva essere fatta.
- Ho finto di dover tornare alla caserma, ma in realtà sono rimasto per giorni in questa zona, controllando ogni vostro singolo movimento da lontano. Ho atteso che tu uscissi. In un primo tempo sembrava impossibile riuscire nell’impresa, la sera c’era sempre troppa confusione in giro per la villa. Ma stasera ce l’ho fatta: ho finto di aver ottenuto un giorno di permesso e mi sono presentato al cancello come se niente fosse. Sapevo che nostro padre mi avrebbe presto messo alle calcagna un suo qualche galoppino, dovevo agire in fretta. Ho ucciso tutta la servitù che ho incontrato sul mio cammino.
La ragazza si portò le mani alla bocca per impedirsi di gridare. Cominciava a capire.
- Tu hai... hai ucciso...?
- Ho dovuto farlo, Rin. Il progetto a cui stavano lavorando era qualcosa in grado di spazzar via l’intera Soul Society in un soffio. Ho dato loro una possibilità, ma non hanno voluto accettare le mie condizioni. Era la sola cosa da fare.

- NO!
Si svegliò di soprassalto. La stanza era ancora immersa nell’oscurità più fitta e i rami degli alberi si stagliavano neri contro il blu del cielo, fuori. Rin si tirò su a sedere e si passò una mano sulla fronte sudata. Si accorse di avere le guance umide, e si affettò ad asciugare gli occhi con una manica.
Di nuovo quel sogno. Lo aveva fatto milioni di volte negli ultimi giorni, tanto che a volte faticava a credere che fosse accaduto davvero. Poi si guardava attorno nella stanza sconosciuta, si legava le bende attorno al braccio ferito e si preparava a cominciare un altra giornata della sua nuova vita. Il tempo che si frapponeva fra il presente e quella fatidica notte sembrava sempre non accumularsi abbastanza in fretta.
Sospirò. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Un’ombra, in piedi sulla soglia, la stava fissando a braccia conserte. La ragazza si rese conto che probabilmente, mentre sognava, doveva aver gridato piuttosto forte, e se ne vergognò. Avrebbe fatto bene ad imparare a controllarsi.
- Stai bene?
Kurotsuchi si avvicinò al futon, e rimase a fissarla dall’alto con occhio indagatore. Rin fece segno di si con la testa, ma non disse niente. Non si aspettava una simile domanda.
- Non era mia intenzione svegliarti, Kurotsuchi-san. - riuscì a dire infine- Credo di aver sognato qualcosa di spiacevole, e ho gridato.
- Che genere di cosa spiacevole?
La ragazza capì che era inutile mentire, ma tentò ugualmente. Di dire la verità, non ne aveva il coraggio.
- Non ricordo.
- Quella di raccontare menzogne è una tua scelta, - rispose Kurotsuchi con voce piatta - ma sapere se posso fidarmi di chi lavora per me è un mio diritto.
Rin fissò le mani di lui, strette a pugno lungo i fianchi. Scoprì che le era più facile parlare guardando le mani di Kurotsuchi, piuttosto che i suoi occhi: ogni volta che incontrava il suo sguardo, infatti, percepiva la distanza enorme che separava quell’uomo dal resto del mondo.
- Hai ragione – rispose - ma queste sono cose di cui non voglio parlare.
Per un attimo, pensò che Kurotsuchi le avrebbe fatto notare che lei non era minimamente nella condizione di dettare le regole. Iniziò a cercare affannosamente un modo per glissare sulla risposta. Invece, Kurotsuchi si diresse di nuovo verso la porta e si voltò a fissarla dalla soglia.
- Alzati. È il momento di cominciare il tuo apprendistato.
Un angolo nella mente di Rin fu remotamente grato all’uomo, consapevole che quello era solo un espediente per distrarla dalle sue preoccupazioni. La parte cosciente di lei, tuttavia, continuava a ripetersi di fare attenzione e misurare le parole.
Si avviarono insieme lungo il corridoio buio, senza dire altro. I laboratorio era già illuminato, e sul tavolo era sparpagliata la consueta massa caotica di oggetti, che brillavano sinistri nella luce artificiale. Evidentemente, Kurotsuchi era a lavoro quando lei si era svegliata. Doveva aver gridato veramente forte, se lui era riuscito a sentirla da laggiù.
- Spero che tu non sa una persona impressionabile.
Rin spostò lo sguardo sul tavolo illuminato dal neon, e si rese conto che il mucchio di stracci sanguinolenti adagiato lì sopra aveva una forma umana, nonostante fosse apparentemente privo di tutti e quattro gli arti.
- E’ su questo che stavi lavorando, Kurotsuchi-san?- chiese, gli occhi fissi sul cadavere.
L’uomo le lanciò un’occhiata di sbieco, senza dire niente. La ragazza alzò lo sguardo di rimando, sentendosi gli occhi di lui puntati addosso: la stava mettendo alla prova. Se si aspettava che avrebbe urlato, allora non sapeva con chi aveva a che fare.
- Immagino che si tratti di un’altro “metodo di ricerca poco ortodosso”, eh?
Kurotsuchi continuava a guardarla con la coda dell’occhio, in silenzio. Poi, inaspettatamente, esplose in una risata priva di gioia. Rin si voltò, stupita.
- Quindi per te non ci sono problemi a fare esperimenti su un cadavere. - disse infine lui, riacquistando il suo solito tono freddo e distaccato. Era un’affermazione, non una domanda.
- No - rispose comunque lei.
- Prendi dall’armadio il contenitore 23.
Rin si avvicinò al grande mobile di legno pieno di scaffalature, ognuna delle quali conteneva una notevole quantità di bottiglie, vasetti e barattoli sigillati. Ciascuno era contrassegnato dalla propria etichetta, con un numero di riconoscimento e la composizione del suo contenuto. Quello che la ragazza aveva in mano era pieno di un liquido verdastro, in cui galleggiavano delle sfere argentee di varie dimensioni.
Rin si diresse verso il tavolo e porse il contenitore a Kurotsuchi, che lo prese dalle sue mani e lo sollevò un attimo, tenendolo in controluce. Le gocce argentee brillarono sinistramente, ondeggiando sinistramente nella sostanza che le avvolgeva.
- Non c’è molto che possa insegnarti partendo da un cadavere. - disse Kurotsuchi, lanciando un’occhiata distratta al mucchio informe sul tavolo - Ma al momento non dispongo di un numero tanto alto di cavie da poterle sprecare per semplici dimostrazioni.
Rin si chiese remotamente che cosa Kurotsuchi intendesse per cavie, ma decise semplicemente di non porsi il problema. Tornò a concentrarsi sul barattolo numero 23, che adesso era aperto sul tavolo e emanava un leggero fumo verde acido.
- Normalmente, la prima cosa da fare quando si sta per affrontare un esperimento è addormentare la cavia. Questo nel caso che non si vogliano studiare eventuali reazioni del soggetto, chiaramente, perchè in quel caso serve che esso sia cosciente. È ovvio che, adesso, questo passaggio possiamo ometterlo comunque.
Rin annuì in silenzio. Sapeva bene che l’unico modo per rimanere con Kurotsuchi era dimostrarsi un’abile apprendista, e al momento non aveva nessun altro posto dove andare. L’idea di lavorare al laboratorio le piaceva: lì era al sicuro e avrebbe potuto fare qualcosa di utile, nel bene o nel male.
- Questa sostanza, - Kurotsuchi indicò con un cenno il barattolo appoggiato sul tavolo - permette di concentrare il Reiatsu di qualunque individuo in un singolo punto. Questo processo separa il Reiatsu dal corpo e lo immagazzina in questa sfera argentata.
Così dicendo, l’uomo aveva immerso una mano nel liquido verde e ne aveva estratto una delle bilie lucenti, grande più o meno come una nocciola.
- Adesso osserva.
Kurotsuchi fece scivolare la sferetta luccicante tra le dita, e la appoggiò sul corpo steso sul tavolo. Immediatamente, la pelle fredda e tumefatta del cadavere iniziò ad assorbire l’oggetto, come avrebbe fatto uno specchio d’acqua con un sassolino.
- Dopo qualche giorno dalla morte, il Reiatsu comincia ad abbandonare spontaneamente il corpo che lo ospitava. In questo caso, però, il cadavere dovrebbe essere ancora abbastanza recente.
- A cosa serve il Reiatsu una volta separato dal corpo?
Kurotsuchi non rispose. Alzò la testa di scatto.
- Silenzio!
Il campanellino alla porta d’ingresso tintinnò, seguito dal consueto rumore di passi sul pavimento in legno del corridoio. Kurotsuchi raccolse uno straccio dal tavolo e si asciugò le mani.
- Fallo sparire, quello - disse, accennando al Reiatsu, perfettamente visibile sul piano da lavoro - Farò in modo che il nostro ospite non debba entrare nel laboratorio.
Sparì oltre la porta e lungo il corridoio buio, in direzione dei passi. Qualche istante dopo, Rin udì una voce sconosciuta dire qualcosa, e Kurotsuchi rispondere con freddezza. La luce dell’ingresso si accese.
Tuttavia, la ragazza non aveva tempo per seguire la conversazione in quel momento. Se lo sconosciuto fosse entrato nel laboratorio e avesse visto il Reiatsu, probabilmente sia lei che Kurotsuchi avrebbero passato dei guai. Non si intendeva molto di bioetica, ma non era necessaria una grande esperienza per capire che quello che stavano facendo non era del tutto lecito.
Raccolse il tubo di vetro e lo tenne per un attimo in controluce. Il neon giallo pallido, attraverso il vetro blu, risplendeva spettrale e minaccioso. Rin sentì un brivido lungo la schiena, sebbene nel laboratorio vi fosse un piacevole tepore. Non era freddo, quello che sentiva addosso, ma la consapevolezza che la sua vita stava scivolando via senza uno scopo, senza una giustificazione. Si sentiva così da quella fatidica notte, dopo ciò che era successo nella villa con suo fratello.
Si sentiva come se, dopo quell’evento, non esistesse nessuna azione al mondo in grado di riscattarla, di dare un motivo al suo essere ancora in vita. Sospirò, e abbassò il braccio. La luce scivolò dalla superficie di vetro con un ultimo scintillio.
Intanto, le voci nell’ingresso si erano fatte più concitate, e Rin sentì salire la curiosità di sapere che cosa stava succedendo. Improvvisamente, si rese conto che quella di riordinare il laboratorio era stata solo una scusa, inventata da Kurotsuchi per impedirle di origliare la conversazione: non servivano più di tre minuti per trovare un buon nascondiglio ad un oggetto piccolo come una sferetta di Reiatsu, mentre la discussione fra i due uomini si stava protraendo ormai da almeno un quarto d’ora.
Infilandosi distrattamente il tubo azzurro in tasca, Rin prese a risalire il corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile con i piedi scalzi sul legno. Arrivata a metà strada, si immobilizzò nell’ombra. Da lì non poteva vedere i due uomini che discutevano, ma le voci giungevano ben chiare, e non avrebbe corso il rischio di essere scoperta.
- ...al processo, che si terrà tra tre giorni.
- Sarà condannato a morte?
C’era una sfumatura di vaga apprensione nella voce di Kurotsuchi, un tono che Rin non gli aveva mai sentito. Ma di chi stavano parlando? L’altro, che Rin immaginò essere uno shinigami di rango inferiore, rispose:
- Si vocifera che Urahara Taichou verrà esiliato assieme ai suoi complici. In questi giorni è stata svolta una perquisizione piuttosto capillare nelle sue stanze, e non pare che non siano state trovate prove sufficienti per una condanna maggiore.
Kurotsuchi non replicò. Nonostante fosse appena uscita dall’accademia per shinigami, Rin aveva già sentito il nome di Urahara prima di allora. Kisuke Urahara era il capitano della dodicesima Divisione, di cui Kurotsuchi Mayuri era Vice. Era la divisione degli scienziati, e circolava voce tra i membri delle altre squadre che nei suoi laboratori fossero compiuti spesso esperimenti che superavano i limiti della legalità. Dopo aver trascorso una settimana in casa di Kurotsuchi, Rin poteva confermare queste voci.
Tuttavia, di Urahara si sentiva parlare tra gli shinigami semplici come di una persona intelligente ed equilibrata, abile e leale. Perchè era stato condannato, allora? Kurotsuchi era in qualche modo coinvolto in tutta questa faccenda? La voce della guardia distolse Rin da queste elucubrazioni.
- Kurotsuchi-sama, ho buone ragioni di credere che, una volta allontanato Urahara, le sarà chiesto di salire al grado di Taichou. Non è ancora niente di ufficiale, ma le consiglio di prepararsi ad una simile proposta.
- Lo terrò presente. - rispose semplicemente lui.
Rin era rimasta immobile nel suo angolo, paralizzata per lo stupore. La faccenda doveva essere seria, se comprendeva l’estradizione di un capitano dalla Soul Society. Tuttavia, l’affermazione dello shinigami significava anche un’altra cosa: che Kurotsuchi doveva essersi dimostrato estraneo ai progetti di Urahara, oppure abbastanza scaltro da riuscire a conservare la fiducia del Consiglio nonostante tutto.
L’uomo continuava a parlare, ma Rin non ascoltava più da un pezzo. Voleva saperne di più, anche se si rendeva conto che, probabilmente, non era nemmeno suo diritto farlo. Congedandosi con parole molto formali, la guardia se ne andò; il campanellino sulla porta tintinnò di nuovo la sua nota cristallina, poi il silenzio riprese ad aleggiare nella casa. Rin non si mosse di un millimetro, domandandosi come avrebbe fatto adesso ad andarsene da lì: per tornare al laboratorio, Kurotsuchi doveva necessariamente imboccare quel corridoio.
La risposta arrivò prima del previsto.
- E’ parte del tuo carattere fare il contrario di ciò che ti viene chiesto?
Nella voce di lui c’era una nota di vago divertimento, ma il tono era tagliente come al solito. Rin non rispose, sapendo di essere decisamente dalla parte del torto.
- Vieni qui.
Non potendo negare la propria presenza, la ragazza uscì allo scoperto. Si fermò a qualche passo di distanza da Kurotsuchi, fissando ostinatamente un punto del pavimento.
- Immagino che adesso vorrai delle spiegazioni, ma non ho intenzione di perdere tempo a raccontarti tutto. Se sei interessata, i dubbi dovrai toglierteli da sola tra tre giorni, al processo. Altrimenti, dimentica tutto.
Rin non credeva alle proprie orecchie. Non era in collera con lei, che aveva origliato cose così importanti?
Kurotsuchi sorrideva.
Forse, allora, quell’uomo era effettivamente pazzo.

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Capitolo 3
*** III. chapter three; ***


La Sede del Consiglio era più imponente di come se la era immaginata. In piedi di fronte all’immenso portone di legno scuro, Rin osservava l’edificio a naso all’insù. La parete di intonaco bianco si innalzava per parecchi piani, spiccando nitida contro l’azzurro sereno del cielo. Il tetto, simile a quello di una pagoda cinese, era quasi invisibile sulla sommità: se ne scorgevano solo i bordi di mattoni rossi, che spuntavano ai lati dell’edificio come un orlo sottile.
- Muoviti, Rin. La voce di Kurotsuchi la riportò alla realtà. Con passo incerto, la ragazza seguì l’uomo oltre il portone, dentro al Tribunale. Un turbine di pensieri le affollava la mente. Non era forse una follia, per una probabile ricercata, introdursi così impunemente nel cuore della Seireitei?
Anche se lo fosse stato, la ragazza sapeva bene di non poterci fare nulla. Da tempo ormai aveva scartato l’idea di confessare a Kurotsuchi la propria condizione; inoltre, la gente non aveva ancora cominciato a parlare, e probabilmente il fatto che un’intera famiglia nobile fosse stata sterminata era stato insabbiato dalle autorità. Presumibilmente, il Consiglio ignorava l’identità dell’assassino.
Come se non bastasse, Rin aveva la quieta certezza che, se qualcuno avesse sospettato di lei, sarebbe già venuto a cercarla da tempo. Il fatto di aver potuto vivere fino a quel momento era di per sé una garanzia. Sospirò con scarsa convinzione, chiedendosi se era veramente possibile considerare vantaggiosa tutta quella assurda situazione: cosa le importava, infondo, di vivere o morire?
Al suo fianco, Kurotsuchi si fermò di botto. Erano entrati in un’ampia sala rettangolare, con il pavimento di legno e le pareti spoglie. Una decina di shinigami, fra Capitani e vice-Capitani, parlavano tra loro. Quando i due fecero il loro ingresso, alcuni si voltarono ad osservarli e uno, un uomo mingherlino con i capelli chiarissimi, passando lanciò a Kurotsuchi un’occhiata piena d’odio. Rin si domandò remotamente chi fosse, ma prima che potesse chiederlo a Mayuri l’uomo se n’era già andato.
Intanto, Kurotsuchi aveva attraversato la sala e si era soffermato davanti alla porta situata sul lato opposto, dove due shinigami in divisa nera stavano facendo la guardia. Mayuri chiese qualcosa, che Rin non riuscì ad udire. Uno dei due fece un cenno con la testa.
- Andiamo. - disse Kurotsuchi, voltandosi verso Rin. Lei si affrettò a seguirlo.
La guardia li condusse attraverso un lungo corridoio rivestito di legno, con la parete destra interamente occupata da finestre con il vetro a ghigliottina, attraverso cui la luce entrava prepotentemente riversandosi sul gruppo di passaggio. Rin chiuse gli occhi, assaporando il sole tiepido sulla pelle, e per un attimo sentì di non odiare poi tanto la vita. Kurotsuchi camminava in silenzio qualche passo davanti a lei.
- Dove stiamo andando? - chiese la ragazza.
- Voglio parlare con Urahara prima che cominci il processo.
Rin non replicò. Si limitò a seguire Kurotsuchi, in silenzio, fino alla porta blindata infondo al lungo corridoio. Altri due shinigami, armati di tutto punto, facevano la guardia e, al loro passaggio, si scambiarono uno sguardo severo. Mayuri sembrò non farci neppure caso.
- Aspettate qui. - disse la guardia che li aveva scortati non appena furono nella stanza.
Era un ambiente piuttosto triste, c’erano scure pareti spoglie e un lungo tavolo con tre sedie situato orizzontalmente al centro. Una porta si apriva sulla parete di fronte e, chiaramente visibile, un kekkai attraversava per lungo l’intera stanza impedendo di raggiungere l’altra parte. Rin immaginò che dovesse trattarsi di una qualche misura di sicurezza, e si chiese che genere di criminali fossero rinchiusi nelle prigioni della Soul Society.
Poi, d’improvviso, la porta dall’altro lato della stanza si aprì. Entrarono due shinigami dall’aspetto solenne, che si fermarono quasi immediatamente per lasciare spazio ad un terzo uomo. Questi indossava il kimono bianco dei prigionieri, ed aveva i polsi stretti in un paio di manette, che tintinnavano ad ogni suo passo. Rin, dal suo angolo, notò che sembrava perfettamente tranquillo e a suo agio, nonostante tutto.
Urahara si avvicinò al tavolo, a testa china, e si sedette sulla sedia dal suo lato del kekkai. I capelli biondi e spettinati gli coprivano gli occhi, rendendo impossibile stabilire la sua espressone. Tuttavia, l’angolo sinistro della bocca era piegato in un leggero sorriso.
- Ti ringrazio per la visita, Mayuri-san. - disse. Il suo tono era leggero, come se la situazione non lo riguardasse minimamente. Anche le labbra di Kurotsuchi si piegarono in un ghigno.
- Di niente.
- Ci sono un paio di cose che devo dirti, anche se c’è un po’ troppa gente in questa stanza, - continuò Urahara, accennando alle guardie in piedi davanti alle porte. Poi alzò la testa, e fissò Rin dritta negli occhi. – E poi c’è lei, - disse tranquillamente.
- Puoi parlare, - rispose Kurotsuchi. - Né lei né quelle guardie hanno le basi per capire ciò che non devono sapere, se misuri le parole.
Kisuke rise.
- Beh, direi che hai ragione, Mayuri-san.
Rin osservò il volto rilassato dell’uomo e i suoi occhi verdi, sorridenti e completamente privi di paura, e si chiese se fosse molto saggio o piuttosto molto stupido. Tuttavia, la sua espressione e i suoi gesti ispiravano fiducia; persino Kurotsuchi sembrava più rispettoso verso di lui, ma naturalmente questo poteva essere legato al fatto che Urahara era il suo Capitano.
- Piuttosto, Mayuri-san... - Kisuke si fece serio di colpo. - sembra che diventerai Capitano. Congratulazioni.
Kurotsuchi non rispose.
- Sono lieto di poter lasciare il mio posto ad una persona affidabile... Vorrei che continuassi quei progetti che sono costretto a lasciare a metà, spero che tu capisca.
Una persona affidabile... di che progetti stava parlando? Non erano molte le accezioni in cui si poteva considerare Kurosuchi “una persona affidabile”, almeno nel senso comune del termine. Inoltre, Rin sapeva bene che Urahara era stato messo in carcere per aver compiuto esperimenti illeciti su un Gigai... quanto poteva valere il criterio di giudizio di un uomo simile?
Urahara sembrò cogliere l’espressione scettica di Rin, così si affrettò a cambiare argomento. Era chiaro che di lei, invece, non si fidava per niente.
- Che cosa si dice del processo, là fuori? - chiese.
- Non molto, - disse Kurotsuchi, vago. - Si parla della possibilità di un tuo esilio permanente nel mondo degli umani, in ogni caso. Non è un argomento di cui quegli ipocriti discutono volentieri.
Urahara rise.
- Sei cinico come al solito, eh?
La conversazione proseguì ancora per un po’ su un tono leggero, ma Rin capì che gli argomenti importanti dovevano ancora essere trattati. Sapeva che entrambi gli shinigami stavano aspettando il momento giusto, in modo da potersi scambiare le informazioni senza che le guardie se ne accorgessero.
- Ti trasferirai nelle stanze riservate al Capitano, immagino, - disse ad un tratto Kisuke con leggerezza.
Kurotsuchi fece un cenno con la testa, ma Rin notò il lampo che attraversò il suo sguardo dopo che Urahara ebbe pronunciato quelle parole.
- Spero che sia rimasto qualcosa del laboratorio, visto l’impegno che le guardie hanno dimostrato durante l’ispezione, - replicò Mayuri, sogghignando. Il volto sotto la maschera, però, era contratto per la tensione.
- Diciamo... - Urahara si avvicinò il più possibile al kekkai, per non essere udito dalle guardie. - ... che ci sono ancora cose su cui si può lavorare... una volta trovata la chiave.
Esitò un attimo, lanciando un’occhiata nervosa allo Shinigami dietro di lui poi, con un lampo un po’ inquietante negli occhi chiari, continuò:
- Quello riuscito meglio lo hanno preso, ma ce ne sono altri piuttosto carini, se capisci quello che intendo.
- Dove devo cercare? - lo interruppe Kurotsuchi, la voce ridotta ad un bisbiglio.
- Basta così! - intervenne una guardia, avvicinandosi. Mayuri si voltò, lanciandogli un’occhiata fulminante. Rin si voltò a osservare la scena, tranquilla: le frasi che lui e Urahara si erano scambiati non erano abbastanza per poterne ricavare informazioni utili ad incolpare Kurotsuchi.
Ad ogni buon conto, comunque, l’uomo si voltò per allontanarsi, congedandosi da Kisuke con un cenno del capo. Anche Urahara fu avvicinato dalle guardie, per essere nuovamente scortato nella sua cella. Tuttavia, un attimo prima di scomparire oltre la porta infondo alla stanza, si voltò e puntò l’indice in direzione del pavimento, sorridendo. Rin si accorse di quel gesto, e lanciò a Kurotsuchi un’occhiata perplessa, ma lui la fulminò con lo sguardo e le fece segno di andare via.
Percorsero il corridoio fino alla sala centrale, sempre scortati dalla guardia ed in perfetto silenzio; nella grande stanza, gli altri Shinigami parlavano tra loro aspettando l’inizio del processo. La guardia si allontanò, tornando alle sue mansioni, ma non prima di aver lanciato a Kurotsuchi un’occhiata sospettosa.
L’uomo non sembrò neppure farci caso.
Si avvicinò invece al muro e vi appoggiò la schiena. Rimase così immobile, a braccia incrociate e con gli occhi chiusi, fino al momento in cui un altro shinigami non si affacciò da un portone annunciando che i Capitani potevano cominciare a prendere posto nel tribunale.
Rin, in qualità di semplice Dea della Morte, era costretta ad aspettare fuori la fine del processo. Altri, come lei, erano rimasti nella sala, e chiacchieravano tranquillamente tra loro in un angolo. Rin si sedette al lato opposto della stanza, e ne approfittò per riordinare le idee.
Urahara aveva detto che c’erano cose “su cui si poteva ancora lavorare” nel laboratorio. Era chiaro che si stava riferendo a qualche esperimento lasciato a metà. Tuttavia, la chiave per accedere a questi oggetti, di qualunque cosa si trattasse, era nascosta in un luogo di cui solo Kisuke era a conoscenza. Per finire, prima di allontanarsi lo shinigami aveva indicato il pavimento. Certamente le due cose erano collegate, ma in che modo? Il laboratorio era forse una stanza segreta sotterranea? Oppure la chiave era sepolta da qualche parte?
- Non ti ho mai visto da queste parti. Sei una recluta?
Una voce la riportò bruscamente alla realtà. Rin alzò gli occhi e, in piedi di fronte a lei, scorse una bella ragazza dai folti capelli biondo-rosicci, che le sorrideva.
- Mi chiamo Rin, - si affrettò a rispondere, tendendole la mano e cercando di suonare il più amichevole possibile. Non era facile essere cortesi, e al contempo preoccuparsi di rivelare il meno possibile su di sé.
- Matsumoto Rangiku, molto lieta, - rispose la ragazza, stringendole confidenzialmente la mano.
Sembrava non aver neppure notato il fatto che Rin si era presentata senza dire il proprio cognome; o non le importava, oppure semplicemente lo considerava un comune gesto di prudenza. Si sedette a gambe incrociate accanto a lei, e riprese:
- Dicevo, non ti ho mai visto in giro... di che Divisione sei?
- Ehm... - questa domanda, Rin non se la era mai posta. - Della dodicesima...
Era la soluzione più logica. Visto e considerato che si era presentata al tribunale in compagnia del vice-Capitano. Rangiku le lanciò un’occhiata di sbieco.
- Poverina. - disse, semplicemente. Rin alzò un sopracciglio.
- Perchè dici così?
La sua interlocutrice scoppiò in una risata cristallina prima di rispondere:
- Beh, principalmente perchè Kurotsuchi verrà sicuramente eletto Capitano... Tu sei una matricola, forse non hai ancora avuto a che fare con lui, ma ti assicuro che quando lo avrai conosciuto meglio capirai cosa intendo dire.
Rin dovette concentrarsi per non mettersi a ridere anche lei. Quella affermazione così schietta e sincera, effettivamente, non faceva che confermare l’idea di Mayuri che lei stessa si era costruita. Tuttavia, doveva riconoscere che, a lei personalmente, il vice-Capitano della dodicesima Divisione non aveva mai fatto niente di male. In qualche circostanza, anzi, l’aveva persino aiutata.
- Beh, in realtà l’ho già conosciuto, - rispose, cercando di apparire indifferente. - E’ vero, ogni tanto ha delle uscite un po’ inquietanti... ed è decisamente spregiudicato... però non ho motivo per odiarlo. Lui... è stato buono, con me.
Rangiku si voltò verso di lei, sorridendo.
- Forse non ci crederai, ma capisco perfettamente quello che intendi dire.

- Kurotsuchi- sama.
Mayuri si voltò. Il processo era appena terminato, e gli shinigami presenti avevano cominciato a lasciare la sala. Urahara era stato dichiarato colpevole e, come previsto, condannato all’esilio nel mondo degli umani.
- Gin Ichimaru, quale onore!
L’angolo sinistro della bocca di Kurotsuchi si piegò nel solito sogghigno di scherno. Anche Gin sorrideva, la parte superiore del volto coperta dai folti capelli chiarissimi.
- Potrei dire lo stesso, signor futuro Capitano della dodicesima Divisione... sempre che non salti fuori qualche nuovo scheletro dall’armadio, eh?
- Ognuno ha i suoi scheletri, Gin, solo che a quanto pare alcuni di noi sanno camuffarli meglio di altri.
Gin ridacchiò, avvicinandosi a Kurotsuchi. Si fermò a pochi passi da lui, sempre senza staccargli lo sguardo di dosso. Mayuri rimase immobile, in attesa di una replica.
- Naturalmente. - rispose Gin, tranquillissimo. - Ma adesso non sono qui per raccontarti i fatti miei; era mia intenzione darti un consiglio.
- Parla, Ichimaru. Sai quanto apprezzi i tuoi suggerimenti.
- Sai, Kurotsuchi-san... credo che dovresti scegliere meglio le tue amicizie.
Mayuri rimase un attimo interdetto. Cosa intendeva dire? Ichimaru non perdeva occasione per scatenare un battibecco, ma quell’affermazione sembrava del tutto campata in aria.
- Sto parlando della ragazza che era con te prima del processo. Hai creduto alle sue balle, oppure vuoi farmi pensare che non ti sei neppure informato sulla sua provenienza? Non voglio immaginare che tu abbia deciso di difenderla...
- Non ho idea di che cosa tu stia dicendo, Ichimaru.
- Beh, allora mi spiegherò meglio; lascia che ti dica il cognome della tua amica: Hisegawa. Quella ragazza è Rin Hisegawa.
Hisegawa? Tutti nella Soul Society sapevano che quella era una delle cinque famiglie più antiche del posto; allora perchè la figlia di una casata così influente avrebbe dovuto presentarsi alla sua porta ridotta in quello stato? E soprattutto, perchè nessuno era ancora venuto a cercarla?
Gin sembrò avergli letto nel pensiero.
- Per l’esattezza, Rin è l’unico membro degli Hisegawa ad essere ancora in vita. Per quello che ne sappiamo, a dire il vero, è stata lei ad uccidere tutti gli altri. I corpi sono stati trovati straziati nella residenza di famiglia tre giorni fa, e lei è l’ultima persona ad esser stata vista nelle vicinanze. La tua amica è un’assassina, Kurotsuchi-sama.
Gin sembrava veramente felice di portare simili notizie. Dal canto suo, Kurotsuchi non fece una piega. Rimase in silenzio, aspettandosi una nuova affermazione tagliente di Ichimaru, che puntualmente arrivò.
- La consegnerai al Consiglio dei 46, adesso? Lo avrei fatto io, ma non volevo toglierti la soddisfazione...
Mayuri rise. Una risata assolutamente priva di divertimento.
- Prego, puoi farlo tu se vuoi. La faccenda non mi riguarda affatto.
Si voltò, ed uscì dal Tribunale.
- Hai parlato con qualcuno mentre ero al processo?
- Solo con una certa Rangiku Matsumoto. Mi è sembrata una tipa a posto.
- Misura le parole, quando sei con i membri delle altre Divisioni. Potresti pentirti di esserti lasciata sfuggire più del necessario.
Suonava vagamente come una minaccia. Rin decise di ignorare quella particolare sfumatura della frase, per concentrarsi sull’immediato futuro.
- Dove stiamo andando, Kurotsuchi-san?
- Al laboratorio della dodicesima Divisione. C’è una faccenda che devo risolvere prima che lo faccia qualcun altro, e prima mettiamo le mani su quei Gigai meglio è.
Allora era proprio di Gigai che Urahara stava parlando quando aveva detto che erano rimasti alcuni oggetti nel laboratorio! Rin non aveva mai visto un vero Gigai da vicino, ed era piuttosto incuriosita. Per questo, riusciva a capire anche l’impazienza di Kurotsuchi.
- E’ questa.
La casa di Urahara era un edificio bianco situato al primo piano, nei quartieri della dodicesima Divisione. Vi si accedeva mediante un sistema di terrazzamenti in legno, che fungeva da corridoio lungo tutte le abitazioni. La porta era semi aperta, ma all’interno era tutto buio.
- Entriamo.
Rin seguì con circospezione Kurotsuchi nella stanza immersa nell’oscurità. Gli oggetti si distinguevano a mala pena come ombre fiocamente illuminate dal flebile fascio di luce che attraversava la soglia, e tutto era immobile e silenzioso. Rin rimase in piedi al centro della stanza, incerta sul da farsi. Kurotsuchi, invece, sembrava non avere difficoltà a vedere al buio.
- Dev’essere qui, da qualche parte, - disse.
Il tono della sua voce era nervoso, impaziente. Rin si chiese di che cosa stesse parlando, e immaginò dovesse trattarsi della chiave. Urahara non era riuscito a rivelarne il vero nascondiglio, se si escludeva quel gesto un attimo prima di andarsene: in basso.
Kurotsuchi doveva essere giunto alla stessa conclusione, perchè si chinò ad osservare il pavimento sotto una scrivania in un angolo. Imprecò a mezza voce.
Un rumore nella stanza adiacente fece trasalire Rin, che balzò all’indietro urtando una sedia.
- Chi va là? - fece una voce concitata. Dal buio giunse un rumore di passi.
- Sono guardie. Dannazione!
Kurotsuchi lanciò una gelida occhiata a Rin, prima di prendere a guardarsi intorno in cerca di un nascondiglio. La stanza era decisamente minimalista, e non c’erano punti in cui rifugiarsi. Senza contare il fatto che fuggire dalla porta era fuori discussione, perchè avrebbe significato entrare nel cono di luce, e dunque essere scoperti. Intanto, le guardie si avvicinavano.
- Kuro...
- Stai zitta!
Kurotsuchi afferrò Rin per un polso e la trascinò verso il muro alle sue spalle. Cercando di starsene il più possibile vicina alla parete, Rin sentì il polso che Mayuri stringeva raffreddarsi, come se dentro le sue vene stesse scorrendo dell’acqua gelida. Col passare dei secondi, la sensazione si estese a tutto il corpo, rendendola quasi incapace di respirare. Kurotsuchi, al suo fianco, aveva chiuso gli occhi.
Rimasero lì, immobili, osservando le guardie farsi sempre più visibili a mano a mano che si avvicinavano. Un paio di volte, uno dei due shinigami urlò “chi va là?”, ma poi entrambi rinunciarono e tornarono nell’altra stanza, pensando che l’intruso fosse riuscito a sfuggire.
Quando le guardie furono di nuovo scomparse, Mayuri lasciò il polso di Rin, e le fece segno di uscire. Silenziosamente, sgattaiolarono fuori dalla stanza, nella luce del sole.
- Che cos’era?
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di traverso.
- Che cosa?
- Quella sensazione... prima, quando sono arrivate le guardie.
- Era un sistema utile per non farci scoprire. È la stessa tecnica che usano i camaleonti per nascondersi, solo che, invece di limitarsi al mimetismo, siamo diventati parte dell’oggetto che abbiamo toccato.
- E’ una cosa che si può imparare?
- No che non puoi, - Mayuri sogghignò.- Questo è il risultato di un esperimento.
Rin osservò la schiena dell’uomo, che camminava pochi passi avanti a lei. Un esperimento? Questo voleva forse dire che Kurotsuchi si era servito di se stesso come cavia per le proprie ricerche?
- A quanto pare, per adesso dovremo rinunciare al laboratorio.- La voce di Mayuri era appena udibile a causa della brezza serale che aveva preso a soffiare dietro di loro. - Saremo costretti a rimandare le ricerche a quando sarò diventato Capitano.
Rin annuì con convinzione, anche se Kurotsuchi le dava le spalle e non poteva vederla. Non le importava quello che gli altri shinigami pensavano della dodicesima Divisione: era quello l’unico luogo in cui potesse stare, e per questo avrebbe difeso la sua posizione con le unghie e coi denti. 

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Capitolo 4
*** IV. chapter four; ***


Era impressionante vedere come, dopo l’esilio di Urahara, i membri della dodicesima Divisione si fossero avvicinati al loro vice-Capitano. Nel giro di qualche giorno, Rin aveva fatto la conoscenza di quasi tutti i sottoposti di Kurotsuchi, e di un buon numero di shinigami delle altri Divisioni.
Nonostante questo, la ragazza continuava a trascorrere gran parte del suo tempo in laboratorio; il fatto di essere in buoni rapporti con Mayuri Kurotsuchi era per molti una garanzia di inaffidabilità, così gli Dei della Morte di rango inferiore a quello di vice-Capitano stavano ben attenti ad avere a che fare con lei il meno possibile. Semplicemente, la consideravano “strana”.
- Stai facendo un buon lavoro per essere una principiante.
Rin trasalì. Kurotsuchi si era avvicinato silenziosamente a lei, con un sorriso poco rassicurante dipinto in volto. Le appoggiò una mano sulla spalla.
- Però ti consiglierei di non scaldare quella provetta, a meno che non stia cercando di far saltare in aria il laboratorio.
Kurotsuchi le tolse di mano lo strumento, sempre con quel suo sogghigno stampato in faccia. Rin si sentì arrossire, e si detestò per questo: Mayuri voleva metterla in difficoltà, e lei stava solo facendo il suo gioco.
- Devo andare alla Sede del Consiglio; ti affido la situazione, è meglio per te se cerchi di non fare disastri.
Prima che la ragazza potesse replicare, Kurotsuchi era già scomparso oltre la porta. Per un attimo, Rin fu tentata dall’idea di inseguirlo e chiedergli spiegazioni, domandargli che cosa si aspettava che facesse nel tempo che lui era via, ma poi l’orgoglio ebbe il sopravvento. Strinse i pugni per impedirsi di tremare, a causa di quel misto di collera e timore che stava affiorando rapidamente nel suo animo, e fece un profondo respiro. Sarebbe andato tutto bene. Era un giorno come qualunque altro, e gli altri Shinigami sembravano essere tutti a conoscenza dei loro rispettivi compiti. Era sufficiente continuare quello che aveva cominciato.
Per un paio d’ore, tutti lavorarono in silenzio. Solo un paio di volte, qualcuno degli assistenti più giovani andò da Rin a domandare un consiglio, ma niente a cui lei non fosse in grado di rispondere. Nel tempo che aveva trascorso presso Kurotsuchi era rimasta quasi sempre in laboratorio, assieme a lui, osservando quello che faceva e cercando di memorizzare tutto. Adesso era il momento di far vedere quanto valeva.
Verso le undici del mattino, però, cominciarono i primi problemi.
La porta principale tintinnò, e un ragazzo piuttosto alto, con corti capelli castani e l’espressione vivace, fece capolino nel laboratorio annunciando:
- Rin-san, ho portato gli Hollows che abbiamo catturato durante l’ultima ricognizione nel mondo degli umani. Dove preferisci che li mettiamo?
“Mettiamo?” pensò la ragazza fra sè, domandandosi come fosse possibile costringere un Hollow a rimanere in un qualsiasi posto senza che distruggesse tutto. Poi, però, un quesito più urgente si affacciò nella sua testa: cosa voleva farci Kurotsuchi-san con degli Hollows vivi?
- Kurotsuchi non vi ha detto niente a riguardo? - chiese al ragazzo, cercando di non mostrarsi troppo sorpresa dal fatto che un gruppo di shinigami avesse intenzione di portare un numero imprecisato di anime dannate nel laboratorio.
Il giovane si strinse nelle spalle.
- Direi che se non ti servono subito, possiamo metterli nel sotterraneo come al solito.
“Come al solito”. Rin cercò di non stupirsi troppo del fatto che il laboratorio fosse provvisto di un sotterraneo, e si concentrò invece sul misto di gelosia e collera derivante dal fatto che Kurotsuchi si era “dimenticato” di farglielo sapere. Benissimo.
- Direi che il sotterraneo è perfetto. Veniamo subito a darti una mano.
Si voltò verso il gruppo di shinigami chino sul tavolo da lavoro e li squadrò attentamente. Scelse i due dall’aspetto più solido: anche se probabilmente gli Hollows erano stati sedati, sarebbe stato meglio prendere una precauzione in più.
- Hamano, Yoshizumi, venite con me.
I due si allontanarono dal loro lavoro e si affrettarono a seguire Rin e il giovane shinigami attraverso il corridoio, fino alla porta principale. All’esterno, legati con quelli che sembravano giganteschi guinzagli fatti di Reiatsu, c’erano i tre Hollows che la dodicesima Divisione aveva catturato.
Due di loro erano piuttosto grandi, il primo con lunghe braccia nere e le mani palmate, l’altro altissimo e filiforme, ma dall’aspetto nel complesso abbastanza fragile. Il terzo invece era decisamente più piccolo, delle dimensioni di un cane. Aveva il corpo tozzo simile a quello di un’iguana e una lunga coda che sferzava l’aria. Era l’unico ad apparire perfettamente cosciente.
Notando che Rin fissava il piccolo Hollow, il ragazzo fece una risata.
- Ti piace, Rin-san? Deve essere un ottimo soggetto di studio; nonostante sia così piccolo è stato veramente un osso duro da catturare!
Rin rispose con un sorriso che sperava risultasse tranquillo e sicuro di sè.
- Portiamoli dentro.
Un po’ trascinandoli con le catene di Reiatsu e un po’ sollevandoli di peso, i quattro shinigami riuscirono a portare gli Hollows fino nei sotterranei. Mentre si riposava dalla fatica, Rin ne approfittò per guardarsi attorno: il laboratorio era una gigantesca stanza rettangolare di umidi mattoni grigio scuro, con il soffitto a volta. La parete di fondo era coperta da una grande scaffalatura di legno nero, stipata di libri dall’aspetto umidiccio. Dall’altro, lato, su un lungo tavolo di metallo, erano disposti in perfetto disordine mucchi e mucchi di strumenti da lavoro.
La cosa più sorprendente, tuttavia, era l’apparecchiatura posta davanti alla parete centrale: un sistema di tubature e enormi vasche in vetro, piene di un liquido verde giallastro illuminato dall’interno da una luce fioca, da cui pendevano desolati alcuni elettrodi e un respiratore.
Senza esitazione, il giovane shinigami aveva attraversato la stanza e si era fermato in piedi di fronte a uno dei contenitori, scrutandolo con le mani sui fianchi.
- Direi che questo va bene. - esclamò infine. - Aiutatemi a portare quell’Hollow.
Con grande sforzo, i quattro sollevarono il mostro dalle mani palmate fin sopra le loro teste, poi lo fecero cadere nell’acqua verdastra. L’Hollow rimase immobile, come paralizzato, fissandoli attraverso il vetro con le cavità nere che erano i suoi occhi. Il ragazzo che lo aveva portato al laboratorio prese a fissare gli elettrodi sulla superficie della vasca.
- Accendi quell’interruttore, Rin-san.
La ragazza ubbidì, e immediatamente l’intero macchinario prese a ronzare. L’Hollow nel liquido ebbe un sussulto, poi tutto tacque, fatta eccezione per i rari ticchettii provenienti da un apparecchio per gli elettrocardiogrammi posto accanto alla struttura.
- Adesso facciamo lo stesso con l’altro.
Il ragazzo sembrava quasi divertirsi. Rin lo osservava mentre preparava le apparecchiature canticchiando, e si chiese che motivo avesse per farlo. Non che lavorare per Kurotsuchi fosse qualcosa di terribile, però a lei non importava veramente di rendersi utile. A dire il vero, non le importava più niente di niente. Percepì chiaramente un brivido lungo la schiena: era veramente vita, quella?
Improvviso, un rumore alle sue spalle fece trasalire Rin. Immediatamente, tutti e quattro gli shinigami si voltarono verso la fonte, che si rivelò essere il piccolo Hollow dal corpo di iguana. Questo, non si sa come, era riuscito a liberarsi del Reiatsu, e adesso sbuffava nella loro direzione, pronto alla carica.
- Accidenti, questo è un problema! - disse il ragazzo, ogni segno di allegria ormai scomparso dal volto pallido.
- Non essere sciocco, - rispose Hamano, spavaldo - Cosa vuoi che faccia una mezza calzetta del genere?
Il giovane gli lanciò un’occhiata di sbieco, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
- Non sottovalutarlo. È piccolo, ma ha dato da lavorare a sei delle nostre migliori matricole.
- Noi non siamo matricole, - esclamò l'altro con un ghigno. - E siamo in quattro. Sarà un gioco da ragazzi.
Così dicendo, si scagliò sul piccolo Hollow che, senza esitazione, fece un balzo avanti ed estrasse gli artigli. Un attimo dopo, Hamano si ritraeva con il braccio sinistro sanguinante.
- Cosa facciamo, Rin-san? Chiese il ragazzo.
Gli altri aspettavano che lei trovasse una soluzione. Rendersi conto di questo aiutò Rin a schiarirsi le idee, e in un certo senso le dette fiducia. Una soluzione c’era per forza, e lei l’avrebbe scovata. Intanto, il piccolo Hollow impazzito era balzato sul tavolo da lavoro e aveva preso a rovesciare contenitori e provette. Era incredibilmente veloce.
Cercando di muoversi in punta di piedi, Rin si avvicinò al tavolo senza far rumore. L’Hollow non sembrava fare caso a lei. Allora, la ragazza raccolse da terra un pezzo di vetro tra gli oggetti che il mostro aveva mandato in frantumi, e lo scagliò nella sua direzione. Il frammento colpì l’Hollow su una zampa, aprendo un taglio profondo, e cadde di nuovo a terra.
Immediatamente, l’essere si voltò di scatto, emettendo un lungo lamento acuto simile a un ululato. Rin era a pochi passi da lui, ancora tesa in avanti dopo aver scagliato il colpo, e quindi troppo instabile sulle gambe per poter scappare. Rimasero a fissarsi per una frazione di secondo, che però le parvero ore.
Poi, senza preavviso, l’Hollow spiccò il balzo; tuttavia, invece di aggredire Rin, raggiunse l’imboccatura delle scale e cominciò a salire precipitosamente i gradini, ventre a terra. Il giovane shinigami che lo aveva catturato la prima volta gridò qualcosa che Rin non udì: appena ripresasi, si era gettata all’inseguimento senza riflettere oltre. Sentiva il rumore dei passi di Hamano e Yoshizumi alle sue spalle, ma sapeva che i due, troppo impulsivi, le sarebbero stati di scarso aiuto.
“Devo fermarlo prima che raggiunga il laboratorio, devo fermarlo adesso!” continuava a ripetersi. Raggiunse l’ingresso, e mentre finalmente toccava il pavimento di legno si rese conto di ciò che aveva detto il ragazzo: la porta è aperta. Con un brivido lungo la schiena, osservò il piccolo Hollow scomparire nella macchia d’alberi alla destra della casa. Avrebbe dovuto inseguirlo?
L’idea in sè appariva come la più sensata, ma c’erano degli aspetti della situazione che non potevano essere ignorati: innanzitutto, la difficoltà di individuare un Reiatsu debole come quello del piccolo Hollow in un luogo come la Seireitei; la creatura non sarebbe stata così sciocca di tenere alta la propria forza spirituale al momento della fuga.
Inoltre, una volta uscito dal territorio della dodicesima Divisione il mostro sarebbe probabilmente incappato nei membri dell'undicesima, che avevano la fama di grandi combattenti: senza dubbio, in tal caso sarebbe stato sconfitto. La soluzione migliore era quella di lasciar perdere l’Hollow, e concentrarsi sui danni causati al laboratorio: due cavie in un solo giorno erano più che sufficienti.
Rin si voltò verso il trio che la fissava sbigottito, domandandosi che cosa avrebbe fatto. La ragazza tentò di assumere nuovamente un’espressione tranquilla e, per essere più convincente, azzardò un mezzo sorriso:
- E’ andato verso i quartieri dell'undicesima Divisione, non abbiamo il diritto di inseguirlo. Non è necessario che Kurotsuchi-san venga messo al corrente dell’accaduto.
Gli altri sembravano della stessa opinione. Nessuno voleva ritrovarsi nei guai per colpa di un mostriciattolo sfuggito loro di mano. Yoshizumi tentò una risata, ma non riuscì a nascondere il proprio nervosismo.
- Torniamo dentro. Dobbiamo rimettere tutto in ordine prima che il vice-Capitano arrivi qui.

Nonostante fosse ancora sorvegliata dalle guardie, la casa dove aveva abitato il Capitano Urahara era facilissima da raggiungere per Mayuri. Adesso che quella ragazzina non era con lui, poteva utilizzare le abilità ottenute dai vari esperimenti effettuati su se stesso, per non farsi notare.
In un attimo era dentro. La stanza era buia come la prima volta che ci era entrato, eccezion fatta per la luce accecante proveniente dal riquadro della porta. Alcune sedie e numerosi oggetti erano sparsi a terra, coperti da un leggero strato di polvere: gli shinigami avevano sicuramente frugato dappertutto in cerca di prove, ma a quanto pareva alla fine avevano dovuto darsi per vinti.
Kurotsuchi lanciò un’occhiata alle due guardie sulla porta: erano immobili, e gli davano le spalle. Non si erano accorte di niente, esattamente come aveva previsto. Senza fare rumore, l’uomo attraversò un buio corridoio e si introdusse nella prima stanza che trovò. Era completamente vuota, eccezion fatta per un futon abbandonato in un angolo, una lampada a muro in stile giapponese e alcuni oggetti sparsi a terra, appena distinguibili nell’oscurità.
“Deve averla nascosta sotto le assi del pavimento” L’unica soluzione per trovare ciò che stava cercando era individuare un punto cavo nel parquet della casa, ma la superficie da analizzare era decisamente troppo vasta perchè potesse riuscirci da solo. Fortunatamente, Mayuri conosceva abbastanza bene il Capitano Urahara.
Senza esitazione, si diresse verso la lampada appesa al muro, e rimase immobile ad osservarla, pensieroso. Se Kisuke immaginava che avrebbe potuto essere scoperto, sapeva che anche la sua abitazione sarebbe stata messa a soqquadro. L’unico indizio che aveva buone possibilità di sopravvivere ad un’ispezione capillare era qualcosa che non sarebbe stato possibile rimuovere.
Come ragionamento era un po’ contorto, ma Kurotsuchi sapeva di non avere molte altre possibilità: dovendo cercare in tutta la casa avrebbe impiegato mesi, anche con l’aiuto di Rin. Sbatté col pugno chiuso sul legno del pavimento. Il parquet emise un rumore sordo.
Le dita di Kurotsuchi corsero con trepidazione lungo la linea tra il pavimento e la parete, in cerca di un appiglio che gli permettesse di sollevare l’asse. Quando le sue unghie incontrarono un leggero dislivello, fece una leggera pressione sui polpastrelli e allontanò la mano dal suolo. Una tavoletta di legno, non più di trenta centimetri quadrati, si sollevò dal parquet.
Nel piccolo spazio sottostante c’era solo una piccola e malridotta chiave argentata. Kurotsuchi la raccolse, un’espressione di gioia folle riflessa negli occhi ambrati. Adesso, era il suo momento.
Si sollevò in piedi di scatto, ben deciso a mettersi a cercare la porta nascosta che conduceva al laboratorio segreto. Certamente doveva essere stata celata accuratamente, altrimenti qualcuno degli Shinigami di guardia l’avrebbe trovata.
Invece, un frastuono improvviso proveniente dal corridoio lo fece, suo malgrado, trasalire. Probabilmente, qualcuna delle guardie aveva deciso di fare un giro di ricognizione.
“Dannazione!”
Con un rapido gesto, Mayuri fece scivolare la chiave in una tasca e, altrettanto velocemente, raggiunse la parete più buia della stanza e premette la schiena contro di essa. Gli shinigami si potevano ora distinguere chiaramente, e si stavano avvicinando sempre di più.
- Se continua di questo passo, saremo costretti ad abbandonare le ricerche senza aver trovato nulla.
- Deve esserci per forza una stanza segreta, comunque. Non voglio credere che Urahara stesse lavorando soltanto su un Gigai: era un progetto troppo ambizioso per realizzarne solo una copia.
- E’ quello che penso anch’io, ma presto verrà eletto un nuovo Capitano per la dodicesima Divisione, e chiaramente è qui che dovrà trasferirsi no?
Seguì un attimo di silenzio. Kurotsuchi era tentato dall’approfittare di quegli ultimi secondi per andarsene, ma la conversazione lo interessava troppo. Se le cose si mettevano male, avrebbe sempre potuto uccidere le guardie. Anche se, naturalmente, questo avrebbe significato rallentare le indagini, e con quelle i suoi stessi piani.
Una delle due guardie parlò di nuovo, stavolta in un sussurro.
- Dicono che sarà Kurotsuchi a diventare Capitano.
L’altro non rispose.
- Se vuoi il mio parere, quello è un pazzo. E sicuramente se la intendeva con Urahara. Quando metterà piede in questa casa, sarà esattamente come se l’ex-Capitano non fosse mai stato esiliato.
Mayuri rise fra sè e sè.
Come se l’ex-Capitano non fosse stato esiliato? Quello shinigami era davvero ottimista. Urahara era un ottimo scienziato, certo, ma gli mancava quella spregiudicata freddezza che lo avrebbe potuto rendere perfetto. Mayuri pensò a se stesso, ormai diventato una cavia per i suoi medesimi esperimenti.
Sogghignò.
L’arma vincente che mancava all’ex-Capitano era il disprezzo per la propria vita... E, di quello, Kurotsuchi-sama ne possedeva in abbondanza.

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Capitolo 5
*** V. chapter five; ***


Di nuovo quel sogno.
Era così realistico che gli sembrava ancora di sentire le mani bagnate dal sangue vischioso e caldo. Era forse quella la sua maledizione?
Uccidere non gli faceva paura, i cadaveri non lo disgustavano affatto. C’era, anzi, una sorta di gioia folle nella sua passione per gli esperimenti. Una sensazione di potere esaltante, ma allo stesso tempo incredibilmente triste. Ogni notte, continuava a vedere i volti di coloro che aveva torturato. Non c’era disperazione, non c’era sofferenza. Anche in quel caso, solo il piacere di sentire il coltello affondare nella carne. La gioia dell’esperimento riuscito. Il sangue scivolava sulle sue dita, sotto il suo sguardo impassibile. E da qualche parte, dentro di lui, qualcosa gridava, inascoltato.
Kurotsuchi si alzò dal futon, e raccolse la sua maschera. Ancora una volta, si ripeteva la scena di milioni di altre notti. Meccanicamente, si sarebbe diretto verso il laboratorio, per continuare l’esperimento lasciato a metà.
Avrebbe lavorato per lunghe ore, alla debole luce del neon, fino al sorgere del sole. Il sapore della morte lo faceva sentire bene.
Si soffermò ad osservare la maschera. Era come fissare se stesso, nè più nè meno. Ed era così codardo, eppure così rassicurante, poter odiare una maschera anzichè il proprio volto. Quel volto non era altro che un nuovo cadavere su cui lavorare. Solo un cadavere ancora in vita.
Indossò la maschera, e uscì dalla stanza in silenzio. La porta della camera di Rin era chiusa, e dall’interno non proveniva nessun rumore. A volte, Mayuri sentiva qualcosa di molto simile alla solidarietà per quella ragazza, che aveva stravolto la propria vita con le sue stesse mani e si era allontanata da essa calpestando le macerie. In un certo senso, quello era coraggio.
Un soffio di vento fece ondeggiare il fondo del suo kimono, e Kurotsuchi si rese conto di essere in piedi in mezzo al corridoio, immobile, senza un motivo apparente. Ormai, gli era persino passata la voglia di rinchiudersi in laboratorio. Tornò nella sua stanza.
Tuttavia, anche rimettersi a dormire sembrava impossibile. Si lasciò cadere pesantemente a terra, la schiena appoggiata al muro, con la maschera ancora indosso. Chiuse gli occhi.
Intorno a lui, le cose stavano inesorabilmente cambiando. L’esilio del Capitano Urahara, l’arrivo di Rin, la scoperta della chiave per aprire il laboratorio nascosto. Cercò nella tasca del kimono, ed estrasse il piccolo oggetto luccicante. Si soffermò ad osservarlo.
Era una chiave come tante altre, dal lungo stelo argentato, con una sottile seghettatura sul fondo.
“E pensare che un simile giocattolo è la soluzione a tutto.” Aggrottò la fronte. Dov’era quel “tutto” che tanto si affannava a cercare?
Lo scricchiolio della porta che si spalancava gli fece distogliere lo sguardo dalla chiave. Rin, in piedi sulla soglia, lo osservava incerta.
- Ho sentito dei rumori, - disse infine - non sapevo che fossi tu, e mi sono preoccupata.
Cercò di suonare naturale, ma la sua voce tremava.
- Nessuno sarebbe talmente sciocco da introdursi nei quartieri della dodicesima Divisione di notte.
Rin rimase un po’ interdetta.
- Beh... immagino di no, in effetti. - riuscì a dire infine.
I due rimasero a fissarsi per un attimo, in silenzio. Mayuri si aspettava che Rin si sarebbe scusata e ne avrebbe approfittato per distogliersi da quella conversazione imbarazzante il più in fretta possibile, ma lei non lo fece. Al contrario, si diresse verso l’uomo, i piedi scalzi che non facevano alcun rumore a contatto col pavimento. Sedette di fronte a lui.
- Quella è la chiave del laboratorio di Urahara?- chiese a bruciapelo.
Kurotsuchi si limitò ad annuire. Sperava, rimanendo impassibile, di far capire a Rin che non aveva voglia di mettersi a discutere. Voleva soltanto rimanere da solo.
- Posso vederla?
La ragazza allungò la mano, fiduciosa, aspettando che l’uomo le porgesse la chiave. Kurotsuchi fece cadere l’oggetto nel piccolo palmo di lei, e rimase ad osservarla con occhio inquisitore. Senza neppure farci caso, Rin sollevò la chiave all’altezza del proprio volto e la osservò luccicare alla luce debole della luna.
- E’ piccola- disse infine- Anche la porta deve essere piccola... vero?  
Mayuri non rispose. L’osservazione era banale, ma forse li avrebbe portati sulla buona strada. Quella ragazzina era ancora inesperta su molte cose, ma sicuramente non era una sciocca. Riprese la chiave, e se la fece scivolare in tasca senza rispondere.
Rin continuò a fissarlo, immobile.
- Che cosa vuoi ancora? - chiese lui, cominciando a spazientirsi.
La ragazza abbozzò un mezzo sorriso.
- Niente. Stavo solo riflettendo.
Non le avrebbe dato la soddisfazione di chiederle che cosa stesse pensando. Rin, dal canto suo, non sembrava aspettarsi una simile domanda.
- Kurotsuchi-san, quando indossi la maschera è per impedire agli altri di capire i tuoi sentimenti dall’espressione del tuo volto, vero?
Mayuri si voltò a guardarla, sorpreso. Lei non ci fece caso.
- Ormai, è inutile che continui a portarla.
Stavolta, l’uomo non riuscì a trattenersi.
- Che significa?
- L’espressione dei tuoi occhi, e il movimento delle tue mani, sono quelli che rivelano cosa provi veramente. Si può recitare col volto e con le parole, ma basta un minimo gesto per tradire uno stato d’animo. Lo sapevi questo?
Kurotsuchi sogghignò. Non c’era niente di indagatore nel tono della voce di lei; quella frase era una semplice osservazione, era stata pronunciata col tono di chi parla del tempo.
Eppure, aveva fatto centro.
- Immagino che adesso vorrai darmi un buon consiglio.
Rin sorrise a sua volta, adesso più tranquilla.
- Non ho nessun consiglio da dare, invece. Però c’è qualcosa che vorrei chiedere.
Nessuna risposta. Rin interpretò quel silenzio come un’esortazione a continuare. Con una leggera esitazione, disse:
- Vorrei poterti guardare in faccia, almeno per una volta.
Kurotsuchi non replicò neanche stavolta. I due rimasero a fissarsi per un attimo, perfettamente immobili, poi l’uomo chiuse gli occhi. Era il suo modo per dire che si, andava bene.
Rin sollevò lentamente le mani fino al volto di lui. La maschera, ormai un semplice strumento senza vita, era fredda al tatto e incredibilmente leggera. Privo delle familiari iridi ambrate ad attenuarne la durezza, il volto sogghignante appariva ancora più grottesco e sinistro.
Poi, la ragazza sollevò lo sguardo.
Kurotsuchi aveva riaperto gli occhi, e la fissava con un’espressione di sfida dipinta in volto, quasi volesse invitarla a dire qualcosa, se ne aveva il coraggio. Rin, però, non aveva nulla da dire; voleva osservare quei lineamenti una volta per tutte, assorbirne ogni dettaglio e non dimenticarlo più, per ricordarli ogni qual volta si fosse domandata cosa c’era al di là di quella maschera impenetrabile.
Gli occhi ambrati continuavano a scrutarla intensamente, in parte nascosti da una frangia sottile e un po’ disordinata, che ricadeva in avanti, fino all’altezza della bocca. La debole luce che entrava nella stanza dalla finestra aperta illuminava i lisci capelli di lui, che erano di un azzurro intenso, facendoli apparire quasi argentati; senza la maschera indosso, Kurotsuchi non faceva affatto paura.
I bei lineamenti del viso erano resi più duri dall’espressione severa e dalle due cicatrici che, partendo dalla mandibola, attraversavano in obliquo la sua guancia sinistra. Quando un soffio di vento gli scompigliò i capelli, Rin si rese conto con un misto di orrore e sorpresa che Kurotsuchi aveva davvero svolto esperimenti su se stesso. Dove avrebbero dovuto esserci le orecchie, erano invece fissate alla stessa pelle delle strutture in ferro, che ricordavano vagamente un paio di branchie. Non erano disgustose da vedere, ma ugualmente Rin sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena: fino a che punto si era spinta la follia di quell’uomo?
Immobile, le mani che stringevano la maschera ancora sollevate, la ragazza sentiva di non poter sopportare ancora a lungo quello sguardo severo piantato addosso.
“Non avrei dovuto chiedergli di vedere il suo volto. La maschera era un filtro, permetteva a lui di non essere capito, e a me di non capire. Non era necessario arrivare fino a questo punto” Adesso il mistero era risolto, la magia era finita. Rin si sentiva come un sacerdote a cui è stato dimostrato che gli dei in cui aveva creduto fino a quel momento in realtà non esistono.
Anche Kurotsuchi-san era un mero essere umano, una creatura vulnerabile con un volto e delle cicatrici, che sentiva il freddo e la fame, la gioia, la stanchezza e il dolore. Quella maschera poteva celare tali sentimenti, ma niente poteva riuscire a eliminarli del tutto.
Quasi le avesse letto nel pensiero, Mayuri allungò la mano, in attesa che lei gli restituisse la maschera. Rin, tuttavia, non si mosse: niente sarebbe stato come prima, neppure se avessero continuato per sempre a fingere le cose si sarebbero sistemate.
Kurotsuchi le strinse la mano attorno al polso sinistro, con delicatezza, costringendola ad abbassare le braccia. Lei rimase così, inerte, senza avere il coraggio di dire una parola. Sentiva le lacrime premere ai lati degli occhi, ma non aveva intenzione di cedere.
Perchè quella reazione? Lei non era tipo da piangere per un nonnulla. Era da quella sera di un mese prima che non si sentiva così; la sera in cui suo fratello l’aveva tradita. In un angolo remoto della sua mente, si chiese perchè doveva essere così dipendente dalle altre persone.
Senza volerlo, la maschera le scivolò di mano.
- Che c’è? Hai paura di me?
Kurotsuchi aveva ripreso la sua espressione di scherno, le labbra increspate in un sorriso obliquo. Nei suoi occhi, tuttavia, per una volta non c’era ombra di cattiveria. Lasciò andare il polso di Rin, per stringere la mano intorno al suo collo. La ragazza poteva sentire la leggera pressione delle dita di lui contro la pelle.
La stava mettendo alla prova.
- E’ così? Ti faccio paura?
Sogghignava.
Rin non rispose. Non sapeva cosa dire. Si limitò a continuare a guardarlo negli occhi, con la stessa espressione incerta di poco prima. No, non era paura il sentimento che provava. Solo un’immensa tristezza, e la sensazione di aver voluto ottenere più di quanto non le spettasse. Si chiese se Kurotsuchi fosse in collera con lei, ma non seppe darsi risposta.
Con suo grande stupore, però, l’uomo allentò la presa. Adesso il suo volto era serio, e il respiro regolare. Non c’era segno di rabbia nei suoi gesti. Appoggiò il palmo della mano sulla guancia di lei.
- Vattene, adesso.
Senza farselo ripetere, Rin si alzò di scatto e, quasi correndo, si precipitò nella sua stanza. Una volta dentro, si chiuse la porta alle spalle, e vi si sedette con la schiena appoggiata. Solo allora, nell’oscurità del suo rifugio, si sentì di nuovo al sicuro.

La mattina successiva, Rin fu svegliata dal sole che, prepotentemente, graffiava con i raggi dorati le sue palpebre chiuse. Schermandosi il volto col dorso della mano, la ragazza rimase per qualche istante immobile, distesa sulla schiena, in ascolto.
Dal cortile di fronte, portato dalla brezza mattutina, si udiva indistintamente il suono di alcune voci.
Rin, dall’interno della stanza, non poteva cogliere l’intera discussione; tuttavia, qualche parola giunta alle sue orecchie la indusse ad alzarsi in fretta: era soltanto immaginazione, o una delle voci aveva appena pronunciato il suo nome?
Col cuore in gola, ed una spiacevole sensazione di certezza a serrarle lo stomaco, la ragazza percorse il corridoio in punta di piedi, e si soffermò a pochi passi dalla porta. Da quella posizione, riusciva a scorgere l’intera scena, senza essere vista.
Kurotsuchi, le mani pallide strette a pugno lungo i fianchi, discuteva a bassa voce con quelle che sembravano due guardie armate di tutto punto. I kimono e le armi erano le stesse che Rin aveva visto indosso agli shinigami che avevano condotto lei e Mayuri da Urahara Taichou.
Che cosa volevano quei soldati?
La risposta era fin troppo semplice e la ragazza, paralizzata dalla sorpresa e dal timore, non potè far altro che restarsene nascosta ad ascoltare la conferma.
- Kurotsuchi fuku-Taichou, è giunta voce che sta ospitando una ragazza di nome Rin Hisegawa.
Mayuri non rispose. La guardia continuò, incoraggiata da quel silenzio:
- Sicuramente lei non è a conoscenza del fatto che...
Un brusco gesto del suo interlocutore ridusse le parole dello shinigami a un mormorio confuso.
- So già tutto, grazie.
La guardia rimase a bocca aperta, senza sapere come replicare a un’ammissione così esplicita. Anche Rin, nascosta nell’ombra, tratteneva il fiato.
- E non ha intenzione di fare niente?
- Non vedo come la cosa potrebbe riguardarmi.
- Ma... -  tentò di riprendersi lo shinigami - quella ragazza è un’assassina... ha ucciso l’intera famiglia... non si conoscono le cause del suo gesto...
- Le ho detto che non sono interessato.
La seconda guardia, più anziana della prima e con’espressione più risoluta, si fece avanti.
- Sappiamo che Rin Hisegawa è qui, Kurotsuchi. Ci lasci fare il nostro lavoro, è disdicevole che protegga un’assassina, visto che presto sarà eletto Capitano della dodicesima Divisione...
Mayuri non si mosse. Per un attimo, a Rin sembrò che stesse riflettendo sulle parole della guardia. Con un brivido, la ragazza si chiese quale sarebbe stata la sua scelta, di fronte ad un’affermazione del genere.
Poi, Kurotsuchi scoppiò in una risata crudele, priva di gioia. I due shinigami si guardarono per un attimo, incerti sul da farsi.
- Certo, sono convinto che il mondo sia pieno di pazzi disposti a diventare Capitano della dodicesima Divisione al mio posto... Perchè certamente non vi aspetterete che io accetti la nomina, se mi private così del mio vice-Capitano...
Le guardie rimasero in silenzio, palesemente domandandosi quale fosse il significato di una simile affermazione. Rin, invece, era quasi certa di aver capito; tuttavia, le era ugualmente difficile credere alle proprie orecchie: Kurotsuchi-san aveva pensato a lei come possibile vice-Capitano?
Con stupore, si rese conto che probabilmente era davvero questo ciò che l’uomo intendeva dire. Eppure, non l’aveva nemmeno mai vista estrarre la spada. Per essere eletto fuku-Taichou, uno shinigami deve essere in grado almeno di eseguire uno shikai...
Nel frattempo Mayuri, seccato dall’improvviso mutismo delle due Guardie, si era diretto verso la porta di casa. Raggiunta la soglia, i suoi occhi ambrati incontrarono quelli stupefatti di Rin, che lo fissava dal suo angolo in ombra.
- Ne parleremo con il Consiglio!
La voce dello shinigami giunse inaspettatamente lontana alle loro orecchie. Senza smettere di fissare Rin negli occhi, Kurotsuchi gridò di rimando:
- Aspetterò la risposta con trepidazione!
La ragazza scorse i due shinigami allontanarsi, discutendo rabbiosamente fra loro. Poi, le venne in mente qualcosa. Non avrebbe potuto giurarlo, ma le era sembrato di scorgere un bagliore divertito nello sguardo di Kurotsuchi. Quando si voltò di nuovo verso l’uomo, però, questi si era già allontanato.

- E così il tuo nome completo è Rin Hisegawa, - disse Mayuri, una volta che Rin lo ebbe seguito in casa.
La ragazza rimase ferma a fissare la sua schiena, senza capire dove volesse andare a parare.
- Si, - rispose semplicemente. Kurotsuchi non replicò.
Era difficile indovinare che cosa stesse pensando, chino sull’esperimento lasciato a metà. La maschera copriva interamente il suo volto e le mani, che si muovevano con gesti rapidi e nervosi, tradivano soltanto una leggera tensione, derivante probabilmente dalla chiacchierata con le guardie.
L’atmosfera si stava facendo insopportabile per Rin. Un milione di domande le salivano alle labbra per rimanere non formulate, per morirle in gola nel terrore di voler sapere troppo.
La sera precedente, la ragazza non era riuscita a scorgere la sottile linea che separa ciò che è possibile da ciò che è rischioso, e si era spinta oltre. Adesso, era ben decisa a non provarci di nuovo. Era troppo presto, e la ferita era ancora aperta. Lo capiva dal fatto che non le era possibile evitare di chiedersi che espressione avesse il volto di Mayuri in quel momento.
Tuttavia, voleva parlare.
- Quello che ha detto la Guardia non è del tutto vero.
Kurotsuchi interruppe il proprio lavoro e si voltò a guardarla. I suoi occhi erano privi di emozione.
- Ho già detto che i dettagli non mi interessano.
Rin rimase interdetta un attimo, chiedendosi quanti passi la separassero ancora dalla linea sottile. Decise di buttarsi, di rischiare ancora.
- Ma sono io a volerne parlare! Non sto cercando di giustificarmi, credi che uccidere una persona sia più facile che ucciderne dieci? Credi che sia stato piacevole tenerlo segreto? Voglio che la gente sappia, voglio che mi giudichi, se lo ritiene necessario! Preferirei che dicessi di odiarmi piuttosto che affermare in continuazione che non te ne importa niente!
Durante lo sfogo di Rin, Mayuri non le aveva staccato gli occhi di dosso. Aveva interrotto il suo lavoro, abbandonando gli strumenti sul tavolo, e la sua espressione si era gradualmente trasformata da disinteressata in attenta.
- D’accordo, - disse, quando la ragazza si fu un po’ ripresa - ti ascolterò, ma non aspettarti di impietosirmi.
Lei, scioccamente, annuì.
Il racconto di Rin era confuso e pieno di dettagli insignificanti. Ancora, dopo quasi cinque mesi, le era più facile ricordare il colore del sangue rappreso sulle sue dita piuttosto che le ultime parole di suo fratello.
Le giustificazioni che Hikaru aveva mosso a sua difesa erano scivolate via dalla mente della ragazza come acqua nell’istante esatto in cui aveva compiuto quell’ultimo, estremo gesto, per poi tornare ogni notte a perseguitarla negli incubi e svanire di nuovo, al risveglio.
- ... e poi sono arrivata qui, - concluse Rin, con un sospiro. Le sembravano trascorse ore da quando aveva cominciato quella lunga spiegazione; si sentiva stanca, stanca e desolata.
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di sbieco.
- Sei venuta qui. Perchè volevi vivere.
Rin lo guardò, non sapendo cosa rispondere. Lo sguardo di Kurotsuchi era minaccioso.
- Volevi vivere. Ecco perchè non mi interessa la tua storia; perchè, qualunque cosa tu decida di fare della tua esistenza, sceglierai sempre di uccidere piuttosto che di essere uccisa. Sei un essere umano, e in quanto tale sei custode solo di te stessa.
Era questa la risposta a tutto? Dolorosamente, la ragazza sapeva che Mayuri aveva perfettamente ragione. forse, da Kurotsuchi avrebbe potuto imparare la lezione più importante. Eppure, per quanto la risposta fosse così vicina, le mani tese di Rin non riuscivano ad afferrarla.
In silenzio, intanto, l’uomo era tornato al suo lavoro.

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Capitolo 6
*** VI. chapter six; ***


Il vecchio se ne stava seduto immobile, gli occhi socchiusi, la schiena ben dritta nonostante l’età. La lunga barba bianca gli ricadeva in grembo, conferendogli l’aspetto di un eremita o un saggio. Il giovane shinigami in piedi di fronte a lui attendeva, in rispettoso silenzio.
- Sono certo che hai agito con le migliori intenzioni, ragazzo, ma avresti fatto meglio a consultarti prima con me o con il tuo Capitano.
L’altro abbassò un poco la testa, in gesto di scusa, ma le sue labbra si incresparono in un leggero sorriso di scherno. Il vecchio non se ne accorse, oppure non ci fece caso.
- Non ho intenzione di punirti per le tue azioni, ma vorrei che capissi la situazione in cui ci troviamo adesso, Ichimaru. Kurotsuchi è l’unico disposto ad accettare il ruolo di Capitano dopo l’esilio di Urahara.
- Kurotsuchi non è una persona affidabile, venerabile Genryuusai, - rispose Gin senza alzare la testa, un tremito di collera repressa nella voce.
Il vecchio gli lanciò uno sguardo di affettuoso rimprovero, come farebbe un padre nei confronti di un figlio un po’ troppo impulsivo.
- Non puoi giudicare le persone con tanta leggerezza, ragazzo. Io ho fiducia in Kurotsuchi, e sono convinto che le sue azioni sono mosse, se non dalla nobiltà d’animo, da una notevole quantità di criterio.
Il giovane shinigami strinse i pugni, contrariato.
- Quell’uomo sta proteggendo un’assassina! La legge vuole che Rin Hisegawa riceva la giusta punizione: con il suo comportamento, Kurotsuchi va contro alle regole della Soul Society!
- Ichimaru, - nel tono di Genryuusai c’era una nota di impazienza. - tieni Rin Hisegawa fuori da questa storia. Se il tuo problema è che Kurotsuchi sta difendendo una potenziale omicida, la risposta è: sei davvero convinto che rendere pubblico un simile evento migliorerebbe le cose?
Gin sollevò la testa di scatto, perplesso. Cosa intendeva dire Genryuusai con quelle parole?
- Prova a pensarci, - continuò il vecchio. - Incarcerare quella ragazza porterebbe tre conseguenze principali. Per prima cosa, perderemo il Capitano della dodicesima Divisione che, come hai detto tu, ha deciso di schierarsi dalla parte di Hisegawa.
“Questo non fa che confermare la mia teoria” pensò amaramente il giovane shinigami. Nella sua ottica, non sarebbe apparso improbabile che Mayuri difendesse Rin ben sapendo che era un’assassina, o addirittura proprio perchè lo era.
- Secondo, getteremmo disonore sulla famiglia Hisegawa. Non possiamo permetterci una cosa simile, le famiglie nobili della Soul Society vanno diminuendo sempre di più e Rin, fino a prova contraria, è l’ultimo membro vivente della sua casata.
- E infine terzo. Ichimaru, ragazzo mio, credi davvero che in tempi come questo il Consiglio dei 46 possa occuparsi di faccende come un processo? Quella ragazzina è appena in grado di badare a se stessa, e non abbiamo neppure prove sufficienti a dimostrare che lei sia l’assassina. Se vuoi il mio parere, anzi, è del tutto innocente. Perciò, dimentica questa storia.
Genryuusai sorrise bonariamente in direzione di Gin.
- Và, ragazzo, e non preoccuparti di faccende più grandi di te.
Il giovane shinigami, livido di rabbia, si inchinò rigidamente in direzione del vecchio. Non riusciva a capire come fosse possibile che, persino in un luogo come la Seiretei, le apparenze contassero più della legge.
- Ai suoi ordini, signore.
Un attimo prima di scomparire oltre la porta, si voltò verso il vecchio, lanciandogli uno sguardo di puro odio. Genryuusai era immobile, e lo fissava con sincera preoccupazione. Gin si allontanò in fretta: era stato sconfitto su tutta la linea.

- Non avrei dovuto vederlo, vero?
In piedi al centro della stanza, Rin non riusciva a distogliere gli occhi dal gigantesco contenitore pieno di liquido cristallino. Un consistente numero di elettrodi erano fissati alla superficie vetrosa e liscia, e dai macchinari circostanti proveniva un ritmico ronzio.
- No. Non avresti dovuto impicciarti.
Kurotsuchi la fissava dalla soglia, lo sguardo furente e i pugni stretti lungo i fianchi.
La ragazza si voltò lentamente, un’espressione rilassata dipinta in volto. Sembrava trovare l’intera faccenda interessante, divertente magari. Quando parlò non c’era traccia di paura nella sua voce.
- Beh, direi che ormai è troppo tardi, no?
All’interno del contenitore, immersa nel liquido, c’era una sagoma grande più o meno come una mela, dalla forma vagamente umanoide. Immobile.
- Vattene.
Rin non si mosse.
- Ho detto vattene.
- Che cos’è, Kurotsuchi-san?
Silenzio. L’uomo mosse qualche passo avanti, furente, fino a raggiungerla al centro della stanza. Sentiva il sangue pulsargli alle tempie, le dita delle mani contrarsi per la collera repressa.
Quella ragazzina si era spinta troppo oltre.
Fino a quel momento, Kurotsuchi l’aveva lasciata giocare in laboratorio e, perchè no, in alcuni casi era persino stata utile. Ma adesso, Rin stava esagerando. Aveva profanato il suo progetto più segreto.
- Sembra quasi...
Le dita di Kurotsuchi si strinsero sulle sue spalle, fino a farle male. Lei però non si mosse.
- Stai mettendo seriamente alla prova la mia pazienza, ragazzina.
- ... sembra quasi un essere umano.
Le mani di Kurotsuchi ebbero un tremito, poi l’uomo le allontanò da Rin rapidamente, come se si fosse scottato. Come lo aveva capito? Con che diritto era arrivata fino a quel punto?
Mayuri sapeva, era certo anzi, di aver compiuto un grosso errore: aveva lasciato troppa libertà a quella giovane shinigami, le aveva permesso di sapere cose di cui non avrebbe mai dovuto essere a conoscenza.
L’uomo era consapevole di ciò che sarebbe successo poi: uno sbaglio durante un esperimento è irreparabile. Il risultato finale, dopo l’errore, non è quello che ci si sarebbe aspettati; le correzioni comportano modifiche, e modificare significa alterare l'intero progetto.
Adesso, c’erano solo due modi per risolvere la faccenda. Primo: liberarsi al più presto di Rin, prima che quella ragazza creasse ulteriori problemi. Secondo: fidarsi di lei, e cercare di farne un’alleata.
La prima scelta era decisamente la più semplice; cosa importava se si era illuso fino a quel momento di poter ottenere qualcosa da lei? Del progetto che custodiva in quella stanza, Mayuri non ne aveva mai parlato con nessuno, neppure con Urahara. Era il suo segreto.
I suoi occhi scivolarono sulla ragazza, in piedi davanti a lui. Si sentiva decisamente più tranquillo, una volta presa la sua decisione. Avrebbe potuto andare avanti anche da solo, non aveva poi davvero bisogno di un’assistente. Avrebbe potuto ricominciare da capo, esattamente come prima.
Eppure, c’era qualcosa che non andava.
- Scusami, Kurotsuchi-san.
Rin gli dava le spalle, e continuava a fissare la piccola sagoma nel contenitore, ma la sua voce suonava chiaramente dispiaciuta. Con evidente sforzo, la ragazza allontanò lo sguardo dall’esperimento, e si voltò verso Mayuri.
- Non avrei dovuto impicciarmi. Non posso dimenticare tutto, ma se vuoi non ne parlerò più.
Si sforzò di sorridere.
Gli ultimi mesi, Kurotsuchi li aveva trascorsi cercando di fare di Rin un valido assistente. Un sacco di tempo e lavoro gettati via, se adesso avesse rinunciato. Sentiva di non potersi fidare di quella promessa, eppure non poteva neppure essere così incoerente con se stesso.
Nonostante non avesse bisogno di lei, necessitava comunque di un vice-Capitano.
- Quella che vedi, ragazzina, – disse, quasi orgoglioso, - è la prima creatura vivente interamente artificiale che sia mai stata creata.

- E’ incredibile...
Al termine della spiegazione, Rin si sentiva più confusa di prima.
- Sembra assurdo che quella cosa debba crescere fino a diventare una persona come me e te.
Kurotsuchi le scoccò un’occhiata severa.
- Non sarà come me e te.
Lui, invece, capiva benissimo.
Un essere umano è qualcosa di estremamente complesso. Certo ci sono i muscoli, le ossa, il sangue. Il cuore e il cervello non sono altro che organi, tangibili, che è possibile riprodurre perfettamente in laboratorio.
L’anima, invece, è qualcosa che non si può copiare fedelmente.
Per quanto quella creatura potesse essere perfetta, i suoi sentimenti, le sensazioni, la concezione di “bene” o “male” non avrebbero mai potuto dipendere da lei.
- Togliti dalla testa di creare dal nulla un essere senziente. “Lei” sarà esattamente come io ho deciso che sia, nè più nè meno. I suoi istinti sono artificiali, esattamente come il suo corpo.
Rin appariva perplessa.
- Ed è questo ad impedirle di essere “umana”?
- Esattamente.
La ragazza non capiva. Cosa c’era di diverso fra quella creatura, che stava crescendo in una provetta, e lei? Il suo aspetto, infondo, non dipendeva forse dai cromosomi dei suoi genitori? E il suo carattere, sebbene si fosse formato col tempo, non era fondato su una disposizione di base, che era in lei da quando era nata?
Dov’era dunque la linea che separa l’essere umano dal... da cosa?
- Allora, Kurotsuchi-san... se non è un essere umano... che cos’è?
Mayuri le dava le spalle, armeggiando con gli elettrodi sulla superficie di vetro.
- Un esperimento. Solo un semplice esperimento, anche se è il più ambizioso che io abbia mai tentato di realizzare. Non ti credevo così sentimentale da preoccuparti per la sua condizione.
Le lanciò un’occhiata al di sopra della spalla, sogghignando con malignità. Rin sembrò non accorgersene nemmeno, e prese a girellare oziosamente per la stanza, mentre l’uomo continuava ad armeggiare con gli innumerevoli cavi collegati ai macchinari.
Dopo un attimo di silenzio, come uscendo da una riflessione, la ragazza disse, pensosamente:
- Prima hai detto “lei”. È una femmina?
Kurotsuchi si voltò di scatto, sorpreso dalla domanda. Rin era tornata a fissare la figura che galleggiava nel liquido cristallino, indifesa, con uno strano sorriso dipinto in volto.
- Nemu. – disse infine.
- Cosa...?
- Non vorrai continuare a chiamarla “esperimento”!
Kurotsuchi si voltò, esasperato.
- Ti ho appena detto che è esattamente di questo che si tratta. Non affezionartici troppo, nel giro di qualche mese la ricerca sarà conclusa.
Rin assunse un’espressione scettica. Cosa significava “la ricerca sarà conclusa”? Quella creatura era destinata a evolversi, a essere utilizzata per qualche strana ricerca collaterale, oppure...? Come molte altre volte prima, la ragazza decise di non chiederlo a voce alta. Con quell’uomo, era meglio tenere per sè le congetture, e aspettare di vedere i fatti.
Una cosa, però, poteva sempre domandarla.
- In cosa consiste l’esperimento?
Mayuri si voltò, e la sua espressione faceva capire che, probabilmente, si era aspettato una simile domanda. Smise di armeggiare con gli strumenti, e si voltò anche lui verso “Nemu”. Non rispose subito. Rin aspettava, trepidante. Infine, Kurotsuchi disse:
- Quando arriverà il momento, lo scoprirai.

Quella notte, dopo molto tempo, Rin sognò di nuovo suo fratello.
Hikaru se ne stava da solo, in piedi di fronte al cancello di casa, e le dava le spalle. Era il tramonto, ed il cielo si stava tingendo di rosa e arancio. Gli alberi erano immobili e non si udiva nessun suono, come se il tempo si fosse fermato.
- Hikaru...
Come sempre, in quel genere di sogni, Rin era consapevole di ciò che l’uomo aveva fatto. Eppure, come ogni volta, si avvicinò a quella figura così familiare, incapace di sottrarsi al senso di colpa con cui ormai si era abituata a convivere.
- Rin.
La voce di suo fratello la spaventò, scatenando in lei un tremito involontario che le svuotava la mente da qualunque pensiero... come quando, da piccola, attendeva la punizione per qualche malefatta. Adesso, però, sentiva che c’era in gioco qualcosa di più serio di un semplice castigo.
Hikaru si voltò di scatto verso di lei, che dovette trattenersi dal lanciare un grido. Le pupille di lui erano minuscole negli occhi dilatati, e il volto era sfigurato da un’orrenda espressione di trionfo. Non mosse le labbra, eppure Rin ebbe l’impressione di udire la sua voce, come proveniente da molto lontano.
Era solo un sogno, frutto dell’immaginazione, e non aveva il dono della parola; tuttavia, poteva essere udito. Diceva soltanto ciò che Rin si aspettava di sentire. Suo fratello parlava attraverso di lei, dalle profondità del suo essere.
- Sei condannata!
Arretrando nell’erba bagnata di rugiada, Rin si sentì afferrare da una paura come non ne aveva mai provata prima. Per quanto si sforzasse di muovere le gambe quelle non si spostavano di un millimetro, come se anche lei fosse divenuta parte di quel mondo freddo e silenzioso, fatto di foglie che non stormiscono e cieli eternamente al tramonto. Hikaru alzò il braccio destro. Stringeva in pugno la spada.
- NO!
Le parole le uscirono dalle labbra con tutta la loro forza, spezzando in profondità la quiete di quel luogo. La mano tesa del fratello, alta contro l’arancio della volta celeste, sembrava essere attraversata dai raggi del sole morente, quasi che fosse fatta di vetro.
“E’ solo un ombra,” si disse Rin “Solo un sogno, e io devo resistere finchè mi sveglierò.”
- Tu non puoi farmi niente! - esclamò, a voce alta.
Le tornavano in mente le parole di Kurotsuchi: sceglierai sempre di uccidere piuttosto che di essere uccisa.
Solo adesso capiva che era vero.
La sagoma di Hikaru appariva sempre più sbiadita, a mano a mano che lei acquistava coraggio. Era decisa, voleva finirla una volta per tutte. Non provava tristezza, non sentiva alcun desiderio, nè alcun rimorso; solo collera, collera incontrollabile.
- Non mi importa cosa vuoi da me! Se ti metterai di nuovo sul mio cammino, ti ucciderò ancora! E se tornerai, lo farò un’altra volta! Sei tu ad aver sbagliato, Hikaru, smetti di perseguitarmi!
D’un tratto, una folata di vento scosse le cime degli alberi. I rami cominciarono ad ondeggiare, frusciando, e tra l’erba i grilli presero a intonare la loro melodia serale. Basse verso est, le prime stelle fecero capolino nel cielo che andava man mano scurendosi, mentre il sole scompariva rapido a occidente.
Hikaru era ormai un’ombra indistinta in quel luogo dove il tempo aveva ripreso a scorrere. Prime di svanire nel nulla, però, fece in tempo a gridare:
- Hai vinto, ragazzina. Ma verrà il giorno in cui dovrai tornare, e allora sarà per sempre.
Rabbrividendo piacevolmente nel percepire il tocco della brezza sulla pelle, Rin esplose in una calda risata, la prima dopo moltissimo tempo.
Le parole di Hikaru non avevano più alcun senso per lei, ormai.
Era riuscita a sconfiggere parte del fantasma di se stessa: in quel momento, le sembrava che nient’atro fosse importante.

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Capitolo 7
*** VII. chapter seven; ***


I dieci Capitani erano disposti in piedi, con aria solenne, in due file ordinate che formavano una sorta di corridoio attraverso la stanza luminosa. seduto sul suo seggio che dava le spalle alla parete frontale, il venerabile Capitano della prima Divisione, Yamato Genryuusai, fissava la porta all’altro capo della sala con un’espressione di assente serenità.
- Kurotsuchi Mayuri, - annunciò la guardia alla porta, scostandosi con un movimento solenne, frutto di lunghi anni di esperienza.
I membri della dodicesima Divisione, che erano stati convocati per l’occasione, si voltarono all’unisono verso l’entrata. Tra loro Rin Hisegawa, con il suo nuovo abito da shinigami, si fece sfuggire un leggero sorriso. Kurotsuchi-san era entrato nella stanza, in silenzio, con il suo solito passo deciso. Attraverso la maschera terrificante, gli occhi ambrati erano incessantemente fissi su Genryuusai, che a sua volta lo osservava con un misto di compiacimento e attesa.
Mayuri si fermò al centro della sala.
Dalla sua posizione in prima fila, Rin riusciva perfettamente a vedere la scena. Il vice-Capitano era silenzioso e tranquillo, benchè vigile come al solito. Indossava la sua uniforme da shinigami, e portava la spada fissata alla cintura del kimono.
Nonostante fosse vietato dalle leggi della Seiretei, Kurotsuchi Mayuri continuava a portare con sè la zanpakuto ovunque andasse. Rin lo detestava per questo, e allo stesso tempo lo ammirava: d’altra parte, lei aveva dovuto ricorrere a trucchi ben più meschini per avere sempre con sè la propria arma...
- Kurotsuchi fuku-Taichou. - La voce di Genryuusai era roca e solenne, come quella di chi è ormai abituato a ripetere, ancora ed ancora, una stessa formula all’infinito.
- Genryuusai-sama.
Nessuno si mosse. Mayuri si inchinò impercettibilmente in direzione del vecchio, che annuì. Poi, alzando appena una mano, gli fece segno di seguirlo dietro ad una tenda posta infondo alla sala, alle sue spalle.
Ordinatamente, i tredici Capitani – Genryuusai e Kurotsuchi in testa – si spostarono nella stanza adiacente. Era molto ampia e scarsamente illuminata, con le pareti scure e gradinate di legno disposte ad anfiteatro. Seduti sulle gradinate, i membri del Consiglio dei 46 al gran completo.
Il vice-Capitano della dodicesima Divisione rimase in piedi al centro della stanza, fronteggiandoli. Un giovane shinigami semplice mosse qualche passo incerto verso di lui, e gli sfilò dal braccio la fascia che contraddistingue il ruolo di fuku-Taichou.
Nella sala adiacente, Rin e gli altri membri della Divisione numero dodici attendevano, in silenzio. A loro non era permesso entrare e prendere parte alla cerimonia, tuttavia era loro dovere rimanere lì, in attesa, per accogliere il nuovo Capitano quando si fosse presentato loro.
Genryuusai si avvicinò a Mayuri, camminando lentamente.
- Onorevoli signori del Consiglio! - disse il vecchio, con voce sicura - Sono qui oggi per chiedere la nomina di Kurotsuchi Mayuri come Capitano della dodicesima Divisione. Attendo risposta.
Una figura vestita con un kimono interamente bianco si alzò da uno dei sedili incima alle gradinate. Parlò.
- Kurotsuchi Mayuri. Da quanto tempo sei vice-Capitano?
- Quasi quattro anni.
- Sei in grado di creare un bankai completo?
- Lo sono.
- Dimostralo.
Kurotsuchi estrasse la spada dal fodero. Il sogghigno dipinto sulla maschera nascondeva le sue labbra, anch’esse piegate in un sorriso malvagio. Gli occhi ambrati erano freddi e privi di gioia.
- KONJIKI ASHISOJI JIZOU!
La zanpakuto scomparve, in una nuvola di fumo. Al suo posto, una gigantesca figura confusa iniziò a prendere forma. I membri del Consiglio si ritrassero involontariamente contro le gradinate, alcuni di loro riparandosi il volto con le mani. Mayuri non si mosse.
Dietro di lui, si ergeva un mostro orribile, a metà strada tra un neonato e un verme, giallastro, con un’aureola dorata e, attorno al collo, quello che sembrava un mantello rosso. Le orbite dei suoi occhi erano vuote e le mani, piccole e rattrappite, si muovevano lentamente come per afferrare l’aria. L’espressione degli shinigami che osservavano fu dapprima di chiaro disgusto, poi qualcuno di loro si alzò in piedi. Infine, l’uomo interamente vestito di bianco disse:
- Richiamalo!
Mayuri ubbidì. Il mostro scomparve com’era venuto, con un suono sibilante e una spirale di fumo, tornando ad essere la curiosa spada dalle tre lame dorate che costituiva lo shikai Ashisoji Jizou.
- Basta così, è sufficiente, - l’uomo vestito di bianco aveva un’espressione grave. Cominciò a discendere lentamente le gradinate. Nessuno parlava.
- Kurotsuchi Mayuri, - estrasse la propria zanpakuto dal fodero. - membro della dodicesima Divisione, ex-vice Capitano della dodicesima Divisione, membro del Centro di Ricerca Scientifica della Soul Society. Giuri di servire la seiretei con tutte le tue forze e tutto il tuo potere, e di guidare con saggezza la tua Divisione per il bene della Soul Society?
- Giuro.
Sollevò la spada, e la lama scintillò nella pallida luce della stanza.
- Per il potere del Consiglio dei 46, io ti nomino Capitano della dodicesima Divisione di shinigami della Seiretei.
Appoggiò lievemente la spada sulla spalla di Mayuri, che si inchinò come un cavaliere medievale che riceva l’investitura. Genryuusai si avvicinò. Il vecchio teneva in mano la tradizionale giacca del Capitano, bianca con il numero della Divisione dipinto in nero sulla schiena. La appoggiò sulle spalle di Kurotsuchi, che rimase un attimo immobile prima di alzarsi di nuovo.
Il neo-Capitano della dodicesima Divisione si voltò lentamente verso Genryuusai, in silenzio. Per qualche istante, nessuno parlò. Era come se tutti gli occupanti della stanza stessero aspettando che svanisse l’alone di solennità ancora percepibile, per timore di spezzarlo con inutili parole.
Poi, l’uomo vestito di bianco disse:
- Kurotsuchi Taichou, chi chiedi come tuo vice-Capitano?
Kurotsuchi alzò tranquillamente gli occhi ambrati, e parlò con voce chiara e forte.
- Chiedo Rin Hisegawa come mio vice-Capitano.
Mormorii stupefatti percorsero le gradinate.
Rin Hisegawa.
La ragazza che aveva ucciso la sua intera famiglia. Colei che era sfuggita alla condanna solo perchè il Consiglio aveva scelto di evitare un simile scandalo. Insomma, una criminale.
- Kurotsuchi Taichou, sei convinto della tua richiesta?
Lo shinigami che aveva posto la domanda fu messo a tacere da un’occhiata di fuoco. I mormorii perplessi si estinsero lentamente. Solo Genryuusai, a bassa voce, disse: - Ne sei sicuro, Kurotsuchi-sama? Sei al corrente delle voci che...
- Come ho già detto alle guardie che avete mandato a casa mia, sono disposto a rinunciare alla mia carica di Capitano se non posso avere Hisegawa come vice. Nessun altro all’interno della mia Divisione sarebbe in grado di occupare quel posto.
- Beh, in tal caso... - nella voce dello shinigami del Consiglio c’era una sfumatura speranzosa. - ... potremmo cercare tra i membri delle altre Divisioni, non sei obbligato a scegliere un tuo diretto sottoposto.
- Rin Hisegawa, - replicò semplicemente Kurotsuchi. E non disse altro.

Il giovane Dio della morte dai capelli scuri fissava la ragazza seduta in un angolo, il mento sulle ginocchia e gli occhi chiusi. Da quando Kurotsuchi si era allontanato nell’altra sala, agli shinigami semplici era stato concesso di sedersi, e lei se ne era rimasta immobile in quella posizione.
Il ragazzo sapeva chi era. Ne aveva sentito parlare da un senpai, qualche mese prima. Rin, la giovane aiutante del vice-Capitano: silenziosa, intelligente e straordinariamente rapida ad apprendere. Qualcuno la descriveva come la ricercata che aveva ucciso la propria famiglia in un momento di follia, altri come l’amante del fuku-Taichou. Lui, dal canto suo, non sapeva a cosa credere.
Vedendola adesso, raggomitolata in un angolo e con un mezzo sorriso placido dipinto in volto, non sembrava così straordinaria. Aveva l’aspetto di una comunissima ventunenne, piuttosto mingherlina per la sua età, completamente innocua e decisamente poco provocante.
- Rin Hisegawa! - uno shinigami del Consiglio faceva il suo ingresso nella stanza, dritto e impettito nel suo kimono bianco. Rin aprì gli occhi di colpo, come un gatto che scruta una preda, e si alzò in piedi.
- Sono io.
Lo shinigami la squadrò da capo a piedi, come se anche lui stesse valutando quanto potesse esserci di vero nelle voci che circolavano. Poi, forse decise di lasciar perdere, perchè le disse:
- Seguimi.
La ragazza fece come le era stato detto, e fu condotta al centro della sala semicircolare, nel posto dove prima era stato in piedi Kurotsuchi. Il nuovo Capitano della dodicesima Divisione adesso era appoggiato ad una parete alle sue spalle, immerso nella semi oscurità. Rin scorse i suoi occhi ambrati brillare nel buio, inquietanti e rassicuranti al contempo.
"Kurotsuchi-san, che cosa mi faranno?"
- Tu sei Rin Hisegawa?
La ragazza fissò lo shinigami che gli aveva posto la domanda, sgomenta. L’avevano scoperta? Mayuri-san l’aveva consegnata al Consiglio? Incerta, si voltò verso Kurotsuchi, che piegò impercettibilmente la testa in un piccolo cenno d’assenso.
- Si, - rispose Rin, fiduciosa.
- Sei in grado di creare uno shikai completo?
Questa seconda domanda insospettì la ragazza ancora di più, ma Kurotsuchi le aveva fatto capire che doveva rispondere, e così fece.
- Si.
- Dimostralo.
Prendendo il coraggio a quattro mani, Rin raddrizzò la schiena e fissò lo shinigami biancovestito. Non aveva più paura. Portò la mano destra al nastro scarlatto che portava avvolto tra i capelli, e sciolse il nodo con cui l’aveva legato. Immediatamente, la striscia di tessuto assunse le sembianze di una katana.
Era una zanpakuto sottile, più corta di quelle normali, con l’elsa nera a cui erano fissati un lungo filo cremisi e due campanellini. Rin la impugnò.
- Tintinna, Koumaru!
La zanpakuto scomparve per un attimo, come l’immagine in un televisore mal sintonizzato, poi riapparve. Adesso la lama era dritta, nera e a doppio taglio, come quella di una daga medievale. Di tanto in tanto, emetteva lievi bagliori argentati.
Nessuno disse niente. I membri del Consiglio sembravano intenti a scavare nella propria mente, in cerca di una legge o un cavillo che impedisse a Rin di diventare vice-Capitano. Non riuscirono a trovarne: le voci erano solo voci, e la ragazza era perfettamente capace di creare uno shikai completo.
- Rin Hisegawa, - il tono dello shinigami biancovestito era intriso di collera repressa. - Deponi la tua arma. E’ sufficiente così.
Rin gli lanciò un rapido sguardo indagatore: - E adesso?
- Sei in grado di eseguire lo shikai della tua zanpakuto. Kurotsuchi Taichou...
Mayuri uscì dall’ombra, impassibile. L’espressione sul suo volto era difficile da interpretare. Si avvicinò a Rin, sempre più perplessa.
- Inginocchiati, - le ordinò lo shinigami vestito di bianco. Rin si affrettò ad ubbidire: non sapeva come dovevano svolgersi le cerimonie di nomina interne alla Seiretei, perchè non aveva mai partecipato ad un simile evento prima.
Kurotsuchi parlò.
- Rin Hisegawa, - alla ragazza sembrò strano sentirgli pronunciare il suo nome completo, era la prima volta che lo usava per rivolgersi direttamente a lei - giuri di onorare il compito che ti verrà assegnato e servire la Seiretei con lealtà e giustizia?
- Giuro.
- In qualità Capitano, io ti nomino luogotenente della dodicesima Divisione.
La fredda lama della zanpakuto di Kurotsuchi sfiorò leggermente la spalla destra di Rin, per poi sollevarsi di nuovo.
- Alzati, - le disse Mayuri. Rin fece come le era stato detto.
- Questa devi portarla sempre con te, - interloquì Genryuusai, porgendole la fascia di vice che prima era appartenuta a Mayuri.
Rin la prese, annuendo in silenzio.
- Siete liberi di andare, adesso.

- Silenzio!
La guardia nella stanza adiacente sibilò il basso ammonimento nervosamente, senza convinzione. Da quando Rin si era allontanata, i mormorii fra gli shinigami della dodicesima Divisione si erano fatti più insistenti, più concitati.
- Perchè il Consiglio l’ha fatta chiamare?
- Che cosa avrà combinato?
- Non vorranno eleggerla vice-Capitano?
Era sceso il silenzio, un attonito silenzio carico di astio. Poi, le voci irose si erano levate di nuovo, più taglienti di prima.
- Non è possibile!
- Potrebbe essere un’assassina!
- Non ha abbastanza esperienza per diventare vice-Capitano!
La porta infondo alla sala si aprì lentamente, e due figure emersero dall’oscurità retrostante. Kurotsuchi Mayuri indossava la casacca da Capitano. Il numero dodici, nero in campo bianco, spiccava sulla sua schiena. Nessuno disse niente.
Dietro di lui, Rin Hisegawa camminava a testa china, consapevole dell’assurdità della situazione. La fascia del vice-Capitano, che si era legata al braccio destro – al sinistro non aveva potuto, a causa delle vecchie ferite - le sembrava pesantissima. Più pesanti erano però gli sguardi degli altri shinigami, tutti crudelmente puntati su di lei.
Genryuusai comparve a sua volta da dietro la porta, con un sorriso placido dipinto in volto.
- Shinigami della dodicesima Divisione, questo è il vostro Capitano, Kurotsuchi Mayuri.
Solo dalle prime file si levò qualche mormorio, che poteva essere di congratulazioni come di dissenso. Non era l'informazione che volevano, questa lo sapevano già...
- E lei è il vostro vice-Capitano, Rin Hisegawa.
Il silenzio che seguì l’affermazione fu rotto immediatamente da un coro bisbigliante.
- Allora era vero?!
- Com’è possibile?
- E’ ingiusto!
Stavolta, l’astio era chiaramente percepibile nei sussurri degli shinigami. Rin abbassò lo sguardo, a disagio. Non le importava cosa pensavano gli altri, certo che no... tuttavia, era perfettamente consapevole di non meritare affatto il ruolo assegnatole.
Kurotsuchi aveva chiaramente notato la disapprovazione nei volti e nelle parole dei suoi sottoposti, ma non disse nè fece niente per far cambiare loro idea. Rin comprese che, se voleva chiarire la questione con gli altri, avrebbe dovuto farlo da sola.
I mormorii non accennavano a diminuire. L’espressione del Capitano della dodicesima Divisione era impassibile, distaccata. Rin sollevò appena gli occhi, fissandolo interrogativamente.
- Andiamo, - disse Mayuri semplicemente.
Attraversò a lunghi passi la sala, senza guardare il gruppo degli shinigami, caduto improvvisamente nel silenzio più attonito. Rin lo seguì rapidamente, evitando di alzare lo sguardo da terra. Attraversarono i lunghi corridoi dell’edificio del Consiglio e ben presto furono liberi, all’esterno.
Nell’aria fresca e luminosa della tarda mattinata, la ragazza si sentì come se avesse appena ripreso a respirare. Nessuno li aveva fermati, nessuno aveva impedito loro di uscire. Era tutto finito.
Eppure, c’era ancora una cosa che aveva bisogno di sapere.
- Kurotsuchi-san... - esordì, con tono incerto.
Sapeva che sarebbe stato inutile chiedergli “perchè proprio io”. Mayuri non amava dare spiegazioni del genere. La domanda che voleva rivolgergli era un’altra.
- Come facevi a sapere che sono in grado di eseguire uno shikai?
Kurotsuchi la fissò distrattamente, apparentemente senza prestare troppa attenzione alla sua domanda. Prese a camminare lungo la strada, intenzionato a tornare il prima possibile ai suoi esperimenti.
- Quando sei arrivata al laboratorio, con il braccio ridotto in quello stato... era già ovvio.
Sembrava infastidito: un simile quesito richiedeva complesse spiegazioni, e Mayuri non sembrava desideroso di parlare. Scelse accuratamente le parole, in modo da doverne usare il minor numero possibile:
- Le lesioni ai tendini e ai muscoli erano chiaramente dovute ad un afflusso eccessivo di Energia Spirituale... della tua Energia Spirituale. Qualcosa di incontrollato, di una potenza superiore a quella che saresti stata in grado di sopportare. Del livello di un bankai.
Rin sussultò, e rallentò il passo. Kurotsuchi ignorò la sua reazione.
- Naturalmente, per riuscire a realizzare un bankai, è necessario saper creare uno shikai completo.
Lo shinigami continuò a camminare, incurante del fatto che Rin si era ormai fermata. Il cuore della ragazza batteva all’impazzata e, benchè si sforzasse, le sue gambe si rifiutavano di muoversi. Si sentiva la testa completamente sgombra.
Kurotsuchi si voltò appena, sogghignando.
- E’ per questo che ti ho suggerito di non far vedere in giro quelle ferite, cosa credevi? - una pausa studiata: il Capitano si stava godendo il risultato della sua brillante deduzione. Lanciò a Rin un’occhiata perforante. - Non dirmi che, intelligente come sei, non eri arrivata a capirlo da sola...

Ichimaru stava in piedi, in un angolo dell’ampia stanza scarsamente illuminata. Un uomo alto, dai lisci capelli castani, gli dava le spalle seduto ad una bassa scrivania.
- E così l’hanno eletta vice-Capitano, Aizen-sama, - esordì Gin, la collera graffiante che gli alterava la voce solitamente pacata. - Kurotsuchi ha insistito per avere lei come luogotenente, e non ha voluto sentire ragioni...
Una breve risata.
Senza neppure voltarsi a guardare il suo interlocutore, l’uomo che rispondeva al nome di Aizen appose il timbro del Capitano della quinta Divisione sulla lettera che stava scrivendo. Il discorso del suo fuku-Taichou non riusciva ad interessarlo completamente.
- Pensi davvero che questo sia un problema, mio giovane ed inesperto Ichimaru? - domandò con voce gentile, socchiudendo le labbra in un blando sorriso. - Se quella Rin Hisegawa occupa un posto che noi vorremmo libero per qualcuno “dei nostri”, sarà mia cura personale liberare quel particolare posto per colui che deve venire.
Si alzò in piedi. Lo sguardo, generalmente limpido e rassicurante, era adesso pervaso da un’ombra di perversa soddisfazione.
- Ho sentito che un gruppo dei nostri shinigami semplici ha trovato un Hollow sfuggito ai laboratori di Kurotsuchi aggirarsi per i quartieri della quinta Divisione... scommetto che, con un po’ di allenamento, potrebbe diventare un fantastico cagnolino da riporto, non lo pensi anche tu...? 

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Capitolo 8
*** VIII. chapter eight; ***


L’elsa della katana era fredda a contatto con i palmi delle mani coperti di sudore.
Riusciva a percepire ogni cosa attorno a sè.
Il sibilo del vento tra le piante. Il suono leggero della cascata nel giardino in stile zen. L’aria fresca che le solleticava la pelle del volto, congelando le lacrime che le rigavano le guance.
Le era quasi impossibile distinguere i colori, in quel labirinto di ombre spettrali. Niente si muoveva tranne le foglie degli alberi, in alto, sopra la sua testa. L’erba, il ruscello, la casa lontana: tutto sembrava grigio fango nella luce irreale dell’immensa luna piena.
La ferita al lato sinistro del volto le faceva male, e il sangue le scivolava giù lungo il naso, mescolandosi alle lacrime, gocciolandole in bocca e sui vestiti. Con un occhio ridotto alla semi cecità, era difficile distinguere la giusta profondità delle cose. Si passò una mano sulla faccia per asciugarsi alla meglio.
"Che fine ha fatto?" si chiese Rin, guardandosi attorno.
Appoggiò la schiena contro il tronco di un albero: voleva essere certa di non venire colpita alle spalle. Hikaru, suo fratello, l’assassino dei loro genitori, era da qualche parte nel giardino scuro. Non riusciva a percepire la sua presenza, eppure sapeva che non si era allontanato.
Aveva intenzione di ucciderla.
Per orgoglio, era stato capace di sterminare suo padre e sua madre. Adesso, per codardia, avrebbe fatto lo stesso con sua sorella. E lei era completamente sola.
- Cosa pensi di fare, sorellina?
Una risata di scherno raggiunse le orecchie di Rin, che immediatamente alzò lo sguardo. Dai rami dell’albero a cui si era appoggiata, Hikaru la fissava sogghignando. I suoi capelli biondi si muovevano appena nella brezza notturna, quella stessa brezza che a lei sembrava adesso un vento gelido. Hikaru balzò a terra, brandendo la propria zanpakuto.
- Non sei neppure in grado di difenderti, non è vero? Non sai neanche creare uno shikai completo!
L’orgoglio ebbe per un attimo il sopravvento sulla paura nel cuore di Rin. Con un balzo, la ragazza si allontanò dal suo riparo, furente. Il sangue le pulsava nelle orecchie, ferocemente, stordendola.
- Questo è ciò che credi tu, Hikaru. Ho sempre saputo il nome della mia zanpakuto.
Suo fratello sembrò interdetto per un attimo, poi parve rilassarsi.
- E’ tutto un bluff. Non è possibile che una mezza calzetta come te conosca il nome della propria zanpakuto.
Rin sorrise tristemente.
- Il suo nome è già nella tua mente fin dal primo momento in cui impugni la spada, Hikaru... basta sapere dove trovarlo.
- Dimostramelo, e combatteremo alla pari.
Il ragazzo lanciò una fugace occhiata al suo shikai, una Morning Star con l’impugnatura di circa un metro, che terminava nella lama di un pugnale. Con la stessa espressione di poco prima, spostò lo sguardo sulla zanpakuto di Rin.
- E’ una sfida, - le disse a voce bassa. La collera era chiaramente percepibile nel tono della sua voce.
Rin trattenne il respiro.
Pur conoscendo il vero nome della sua zanpakuto, fino a quel momento non aveva avuto bisogno di utilizzarlo. Lo custodiva come un segreto, in attesa del momento giusto per rivelarlo al mondo.
Adesso era quel momento.
- Tintinna, Koumaru!
La lama a doppio taglio, dai contorni confusi, iniziò ad ardere. Rin la fissò, stupefatta.
Hikaru, dal canto suo, sembrava infastidito. Aveva giocato col fuoco, ed era rimasto scottato. Tuttavia, riprese rapidamente la fiducia in sè: Rin sapeva creare uno shikai; avrebbe anche saputo utilizzarlo?
- Fammi vedere di cosa sei capace!
Hikaru si lanciò contro la sorella, brandendo l’arma con ferocia.
Rin fece appena in tempo a scansarsi, prima che la Morning Star la colpisse dritto in volto. Cercò l’equilibrio, voltandosi appena in tempo per scorgere Hikaru che si preparava ad un nuovo attacco. Saltò.
Anche stavolta, l’attacco del fratello la mancò per un soffio.
- Che fai, Rin? - la canzonò lui - Scappi?
La ragazza si soffermò un attimo, ferita da quell’improvvisa affermazione.
Hikaru aveva ragione.
Da quando era nata, non aveva fatto altro che scappare.
Era entrata all’Accademia perchè quello era ciò che volevano i suoi genitori.
Aveva ottenuto i migliori voti, perchè era più semplice studiare sodo piuttosto che discutere.
E, quella sera, aveva trascorso metà del tempo a desiderare che niente fosse accaduto, e l’altra metà a nascondersi.
Hikaru gridò qualcosa, ma Rin lo udì appena. Si sentiva il volto in fiamme, e le punte delle dita le prudevano: il sangue, che usciva copiosamente dalla ferita sul suo volto, stava lentamente abbandonando le zone periferiche del suo corpo.
Doveva agire.
La Morning Star si abbatté di nuovo su di lei con forza. Rin la vide tracciare una scia metallica nell’aria, prima di percepire il dolore lancinante alla spalla sinistra. Non c’era tempo per pensare.
- MAWASU, KOUMARU!
Un lampo di luce argentata scaturì dalla spada di Rin, che rimase immobile impugnando l’arma. Per un folle attimo, pensò che il colpo di suo fratello avesse in qualche modo danneggiato Koumaru, ma poi si rese conto che ciò che stava accadendo era tutta opera sua.
La zanpakuto stava raggiungendo il bankai.
La ragazza non ebbe tempo di chiedersi “come” o “perchè”. Il lampo d’argento investì con una forza inaudita Hikaru; Rin lo sentì gridare, ma non riuscì a scorgere niente al di fuori del proprio braccio, che ancora stringeva l’elsa di Koumaru.
Le energie la stavano rapidamente abbandonando.
I muscoli della ragazza erano tesi per lo sforzo di trattenere l’arma. Probabilmente, quelli della sua mano sinistra stavano cedendo, ma l’idea di mollare la presa la spaventava. Gridò.
La spalla ferita le faceva male. Il resto del braccio era insensibile, immerso nella luce argentata.
Davanti a sè, scorse Koumaru accennare la forma del bankai.
Poi, più nulla.

Il dolore al braccio sinistro non era niente a confronto con le fitte che sentiva alla testa.
Per un attimo, Rin rimase distesa a terra, chiedendosi cosa fosse successo. Il sole mattutino le sfiorava il volto, provocandole una piacevole sensazione di tepore. Sentiva la pelle delle guance stranamente tesa, e i suoi abiti erano umidi. Pensò che si trattasse della rugiada mattutina.
- Sono ancora viva.
Stranamente, questa consapevolezza non la rendeva affatto felice. Tentò di aprire gli occhi: il sinistro era incrostato di sangue rappreso. Lo sfiorò con la mano destra: aveva bisogno di acqua, per lavarsi, per bere... Si sentiva la gola in fiamme.
Con un enorme sforzo, riuscì a mettersi a sedere. Lottando contro se stessa per non svenire di nuovo, fissò la mano ferita. Fortunatamente, il sangue le impediva di distinguerne i contorni.
Quando la testa smise di girarle, si sollevò in piedi. Il ruscello era a pochi passi da lei, udiva il rumore dell’acqua che scorreva lì vicino. Si trascinò fino alla riva, e tuffò il braccio destro nell’acqua. Bevve avidamente.
Dissetata, il sangue sembrò ricominciare a scorrerle nelle vene, e la mente a schiarirsi. Si sentiva ancora debole, ma adesso riusciva a respirare regolarmente e a pensare. Immerse di nuovo la mano nel ruscello cristallino, e stavolta usò il liquido fresco per lavarsi il volto.
Ogni cosa si tinse di scarlatto.
Finalmente pulita, Rin tentò di aprire l’occhio sinistro, e la realtà la investì con violenza: da esso, era praticamente cieca. Aveva quasi del tutto perso il senso della profondità. Un tremito inarrestabile giunse a scacciare l’iniziale torpore che aveva pervaso le sue membra: non sarebbe più potuta guarire, d’ora in poi la metà sinistra del mondo sarebbe rimasta al di fuori della sua portata.
Rimase scioccata per qualche attimo, ma la consapevolezza prese presto il posto del terrore: non poteva farci niente, ormai: inutile pensarci, inutile rimuginare su ciò che era stato. Era inutile perfino essere tristi dal momento che, più di un semplice occhio, aveva perso ogni cosa che le era appartenuta fino ad allora.
Decise di non parlare di queste cose mai con nessuno; se fosse sopravvissuta, avrebbe avuto bisogno di mostrarsi in tutte le proprie forze. Uno shinigami privo del senso della profondità... un nemico sottovalutabile, oppure un inutile alleato.
La ragazza si stese di nuovo sull’erba. Quello che aveva scambiato per rugiada sui propri vestiti era in realtà sangue rappreso. Osservandolo, spesso e ormai scuro sul tessuto un tempo bianco del suo kimono, sorrise amaramente. Il dolore era passato.
Rimase immobile, riflettendo: non aveva fretta; dopo tanto tempo, si sentiva di nuovo libera. Nessuno le avrebbe detto cosa, fare, o come comportarsi. Nessuno le avrebbe fatto sentire il peso della sua nobile posizione, e nessuno le avrebbe imposto la propria autorità. Era libera da chiunque, ma soprattutto era libera da se stessa.
Non c’era più nessuno da proteggere.
Se avesse scelto di vivere, lo avrebbe fatto esclusivamente per sè. Se fosse morta, nessuno avrebbe pianto. Era libera dall’odio e dall’amore, come può esserlo una creatura priva di uno scopo. Il mondo era un alto muro di pietra, e lei si sentiva come una pianta rampicante cresciuta, per caso, proprio su quel muro.
Chiuse gli occhi, ancora sorridendo, e si riaddormentò per risvegliarsi solo a notte inoltrata.
Alla luce delle stelle, ancora stordita, osservò con sguardo distaccato i contorni confusi di ciò che restava del suo braccio sinistro. si tolse la parte superiore del kimono, rimanendo con solo le fasce a coprirle il petto e il ventre, e con la stoffa creò un bendaggio di fortuna. L’aria notturna era fredda, ma sfiorava le sue spalle come se giungesse da una distanza infinita. In quel momento, per Rin era difficile distinguere ciò che era reale dall’immaginazione.
Una volta che si fu assicurata della stabilità della sua benda, la ragazza si mise in cammino attraverso il buio.
Non aveva un’idea di dove andare, nè aveva un luogo da raggiungere. Sapeva solo che la morte era ormai lontana, e che inquanto viva avrebbe necessitato di cibo, acqua e cure. Se non le avesse ottenute, pazienza: la fame e il freddo si sarebbero occupati presto di lei, debole e ferita com’era. Ma Rin non era il tipo da arrendersi senza almeno tentare.
“Dodicesima Divisione.”
Uscì dal cancello, con passo incerto, e prese a scendere il sentiero. Tutto le appariva così chiaro, adesso...
Il pianto incessante che udiva provenire dall’albero di ciliegio non era altro che il richiamo, triste e ripetitivo, di un qualche volatile notturno in cerca di prede. I movimenti rapidi e sinuosi alle sue spalle erano frutto del vento che, fischiando, faceva ondeggiare l’erba smeraldina come le onde di un mare tempestoso.
E quella sensazione di ansia, di triste inquietudine repressa, era semplicemente la consapevolezza di essere ancora in vita, mista al senso di colpa causato da quella stessa certezza.
Era già tardi, eppure non c’era fretta di arrivare.

Sul fare dell’alba, raggiunse i quartieri della dodicesima Divisone. Non c’era anima viva in giro, e il sole appena visibile all’orizzonte gettava lunghe ombre deformi sull’ampia strada sterrata. Le finestre di tutti gli edifici erano chiuse, e i vetri riflettevano l’abbagliante arancio infuocato delle prime luci mattutine.
In quell’atmosfera surreale, Rin camminò con passo deciso verso il laboratorio del vice-Capitano, e spalancò la porta. Si sentiva stranamente elettrizzata, trepidante.
L’abbondante perdita di sangue l’aveva stordita, lasciandole la mente annebbiata e pervasa da un senso di quieta serenità che si adattava difficilmente alla situazione in cui si trovava. Il vento mattutino, subdolo e pungente, le scompigliava i capelli gelandole la punta delle dita, e contribuiva a tenerla sveglia.
Il mondo tutto attorno si muoveva, e lei riusciva a scorgerne ogni singolo dettaglio.
Percorse il corridoio con passo deciso: pochi metri la separavano dalla sua meta.
Lottando contro l’impulso di scoppiare a ridere, come colta da un’improvvisa follia, sfiorò con le nocche della mano destra la porta di legno che conduceva alla sala principale del laboratorio, emettendo un breve rumore sordo.
- E’ permesso? - chiese, con voce sicura.
Senza attendere risposta, entrò.
- Mi hanno detto che lei è il maggior esperto di anatomia qui - continuò la ragazza - quindi mi chiedevo se potesse fare qualcosa per questo...
L’uomo si voltò appena.
- Non sono un medico. Il mio lavoro non è curare le ferite.
Era alto, e indossava il kimono scuro degli Shinigami.
- Ah, - disse Rin, squadrandolo, troppo occupata a valutare ogni singolo dettaglio di quel luogo per preoccuparsi di ciò che le era stato detto.
Si voltò per andarsene. Rinunciare adesso, non equivaleva a suicidarsi. Sarebbe morta dissanguata, forse: ma aveva fatto tutto il possibile, non aveva niente da rimproverarsi. Si sentiva come chi, tornato a casa dopo una giornata di duro lavoro, desidera soltanto andare presto a dormire.
- Aspetta, - la voce dell’uomo la fece voltare nuovamente, sulla soglia della porta, indispettita.
Per un folle attimo, detestò quello shinigami che aveva accettato di salvarle la vita.
- Mi serve un assistente. Curerò il tuo braccio, a patto che tu accetti di rimanere qui e lavorare per me.
Rin riflettè per qualche istante, la testa inclinata da un lato, prendendosi tutto il tempo che le occorreva a decidere: rifiutare sarebbe equivalso a condannarsi. Non c’era più niente da fare nel mondo per lei, adesso. Eppure, di fronte ad una scelta consapevole neppure lei era in grado di dire “morte”, senza esitazione. Era arrivata fin lì, sebbene non si aspettasse davvero di ricevere aiuto. E adesso... adesso doveva accettare.
- Ok - inutile chiedersi il perchè di una simile scelta.
Davvero, per la prima volta dopo molto tempo ora sentiva di essere pienamente in possesso della propria libertà.

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Capitolo 9
*** IX. chapter nine; ***


Qualche settimana dopo la sua nomina a Capitano, Mayuri decise che era giunto il momento di verificare il successo del proprio progetto più ambizioso.
Nel sotterraneo del laboratorio scientifico, la teca coperta di cavi e sensori che ospitava Nemu aveva cominciato ad emettere leggerissimi ticchettii cadenzati, e l’elettrocardiogramma sul monitor del computer acceso giorno e notte scandiva le pulsazioni regolari della creatura ancora addormentata.
Sebbene i migliori scienziati alle dipendenze di Kurotsuchi Taichou avessero seguito con scrupolosa attenzione ogni singola tappa del processo di crescita del feto, al momento della “nascita” il Capitano non volle nessuno dello staff assieme a lui all’interno del laboratorio.
Per un’intera notte, rimase chiuso nei sotterranei tra i cavi elettrici e gli apparecchi chirurgici, nel tentativo di inserire un Gikon all’interno del Gigai neonato. Era un’operazione lunga e faticosa, ce richiedeva molta abilità manuale e una notevole dose di attenzione; fino a quel momento, si vociferava che solo Urahara Taichou fosse riuscito ad ottenere in proposito un parziale risultato... e comunque, ciò che si sapeva sull’argomento erano soltanto voci.
Un essere umano generato dalla fusione di due elementi artificiali è dotato di caratteristiche differenti da quelle degli uomini comuni: più silenziosa, generalmente apatica, di solito dotata di abilità auto-rigeneranti, una simile creatura è in grado di crescere e svilupparsi in un tempo notevolmente più breve di quello necessario al suo corrispettivo “biologico”, per poi stabilizzarsi e trascorrere gran parte della propria vita nelle sembianze da essa scelte.
Nel caso di Nemu, Mayuri l’aveva creata partendo dalle cellule del proprio corpo. Per questo motivo, se tutto fosse andato bene, la bambina avrebbe ereditato tutte le caratteristiche che l’uomo aveva ottenuto dagli esperimenti fatti su di sè: sarebbe stata più forte e veloce del normale, e dotata di una resistenza maggiore alle ferite e alle lesioni.
Se il progetto fosse fallito... beh, Kurotsuchi preferiva non pensarci. Del resto, a lui non interessava ottenere un essere vivente dalla propria ricerca; quello che voleva era dimostrare la propria capacità di creare la vita. Ciò che sarebbe successo dopo, quello non lo riguardava affatto.
Non ancora.
Un lieve fruscio distolse il Capitano dalle proprie riflessioni. Maledicendosi mentalmente per essersi distratto in un momento simile, Mayuri allontanò le mani dalla profonda ferita che aveva aperto nel ventre della creatura addormentata. All’interno, brillava qualcosa di simile ad una piccola bilia azzurro madreperlato.
La bambina si mosse appena nel sonno. Il Gikon era penetrato nella carne, e l’energia spirituale aveva raggiunto il cuore con successo. Adesso cominciava la parte peggiore, perchè la creatura da quel momento sarebbe stata in vita a tutti gli effetti, e Kurotsuchi non poteva rischiare di alterare le caratteristiche dell’anima artificiale praticandole un’anestesia.
Doveva richiudere a mani nude la ferita, il più rapidamente possibile, prima che si formasse un’emorragia.
Nemu emise un sussulto inconsapevole, troppo debole persino per aprire gli occhi.
Muovendo febbrilmente le dita sporche di sangue sul tavolo da lavoro in cerca dell’ago e del filo da sutura, imprecò a mezza voce. Non poteva ancora permettersi di lasciarla morire... non adesso che l’esperimento durato mesi era quasi concluso! Non adesso, che era ad un passo dal coronare un progetto pianificato per anni!
Si concentrò sul lungo taglio verticale, iniziando a tracciare una fila di punti ordinati che unissero i due lembi, nella speranza che non fosse già troppo tardi, così preso da non accorgersi di ciò che accadeva al di là della sua postazione da lavoro.
La porta del laboratorio, sulla sommità della fredda scala di pietra, si aprì cigolando leggermente. Un raggio di sole mattutino si intrufolò con violenza nella stanza scarsamente illuminata, frammentandosi sulle superfici convesse dei contenitori sugli scaffali.
Rin fece capolino cautamente dal sottile spiraglio tra lo stipite e la maniglia, certa di essere cacciata a male parole nel giro di poco tempo, ma non sentendo alcuna voce provenire dal laboratorio scivolò dentro di soppiatto e si sedette, in silenzio, sull’ultimo gradino della scala. Kurotsuchi non alzò neppure lo sguardo.
L’esserino steso sul tavolo giaceva inerte, respirando ora a fatica. Era impossibile decifrare l’espressione del Capitano della dodicesima Divisione attraverso la maschera che gli copriva il volto, ma l’affannarsi delle sue mani e la testa china sulla creatura morente lasciavano intuire tutta la sua apprensione.
Per lunghissime ore, Rin osservò il suo superiore lottare contro la potenza del Gikon, che andava logorando quel Gigai ancora incompleto. Senza muoversi nè fiatare, la ragazza osservava rapita l’abilità con cui l’uomo riusciva a tenere sotto controllo, seppur faticosamente, ogni singolo aspetto dell’operazione.
La vista del sangue non la impressionava.
Con la testa completamente vuota, rapita dalla magia che il Capitano stava creando, per la prima volta le sembrò di essersi avvicinata di un passo alla comprensione di ciò che significa vivere, o forse morire.
L’ultimo punto di sutura, quello che sigilla il Gikon all’interno del Gigai, o quello che permette ad un braccio devastato di riprendere a funzionare, è l’istante che segna il passaggio di quel confine labile che separa l’"essere” dal “non essere”.
"Infondo, io e Nemu siamo così simili..."
L’essenza della vita che, improvvisamente, prende a scorrere all’interno di quel guscio vuoto che era il corpo, riempiendo tutti gli angoli lasciati disabitati dalle emozioni.
"Non sarà mai in grado di provare gioia, perchè è stata creata così..."
Ripensando alle parole di Mayuri, la ragazza sentì una fitta di dolore al petto.
"I suoi istinti sono artificiali, esattamente come il suo corpo." Secondo lui, Nemu non sarebbe stata umana perchè non era stata creata in modo tale da provare amore, odio, paura o tristezza, felicità o simpatia, timore della morte o gioia di vivere. E allora lei, Rin, che cos’era?
- Dannazione!
L’imprecazione fece sussultare la giovane shinigami, persa nei propri pensieri. Sollevò lo sguardo di scatto, in tempo per vedere Mayuri che gettava a terra uno straccio grondante sangue, e dirigersi a grandi passi verso di lei. Il luogo dove fino a poco prima era stato chino a lavorare era costellato di strumenti medici grottescamente intrisi di rosso scuro.
Un fagottino scomposto stava immobile nel bel mezzo di quel caos, apparentemente esangue.
Rin distolse lo sguardo, incapace di decifrare la sensazione di disagio che una simile vista le causava, ma presto tornò a sbirciare l’angolo buio, non potendosi trattenere dalla curiosità di scoprire cos’era andato storto.
Fu allora che la vide.
La creatura si era mossa. Impercettibilmente, ma si era mossa... era ancora viva!
- Aspetta!
Senza riflettere, Rin balzò in piedi e si parò di fronte al suo Capitano. Una mossa molto rischiosa.
Mayuri alzò gli occhi, le iridi ambrate che brillavano sinistramente nella penombra.
- Cosa vuoi? - sussurrò con voce minacciosa.
- E’ viva, Kurotsuchi-san!
Lui le lanciò un’occhiata raggelante.
- Certo che è viva, - replicò, la collera che tremava nel suo tono basso e pacato. - E adesso, togliti di mezzo.
Rin non riusciva a capire.
- Ma allora...?
- L’esperimento è terminato, - tagliò corto lui.
- Io non...
Quella sciocca ragazzina insistente, non se ne sarebbe andata finchè non avesse ricevuto le dovute spiegazioni.
- E’ terminato. E’ soltanto Gigai con un Gikon all’interno; niente che non fosse già stato fatto da Urahara.
- E adesso... cosa intendi farne di lei?
C’era una nota di rimprovero nelle sue parole. Kurotsuchi oltrepassò Rin con indifferenza, e prese a salire le scale.
- Quello è un inutile pezzo di carne. Fanne ciò che credi, non ho bisogno di un simile fastidio.

Con mani tremanti, Rin sollevò lo straccio coperto di sangue che avvolgeva la bambina, leggermente inorridita al pensiero di cosa avrebbe potuto trovarvi al di sotto.
Kurotsuchi Taichou si era già allontanato dal laboratorio, richiudendo la porta dietro di sè.
Adesso, Nemu era immobile, supina, le piccole mani strette a pugno e il respiro regolare. Il taglio sul suo ventre era stato accuratamente ricucito, e sulla pelle delicata della neonata faceva bella mostra di sè una lunga fila di punti di sutura.
Era ancora viva e, all’apparenza, in buona salute, per quello che le consentiva la sua condizione attuale.
Rin sorrise impercettibilmente, l’angolo sinistro della bocca leggermente piegato all’insù. Non rivolse nessuno sguardo intenerito alla bambina: non era in grado di provare compassione per lei, o affetto, o istinto di protezione.
Quel sorriso era per Mayuri: tutti quei discorsi, l’indifferenza, la crudeltà... eppure, Nemu non l’aveva uccisa. L’aveva lasciata lì, semplicemente addormentata, le aveva dato una possibilità. Se fosse stata in grado di farsi notare, se qualcuno avesse avuto pietà di lei, sarebbe rimasta in vita.
Per questo motivo, e non per altri, Rin decise che si sarebbe presa cura della bambina finchè non fosse diventata in grado di cavarsela da sola. Aveva raccolto il sasso che Kurotsuchi le aveva scagliato, e ormai era troppo tardi per tirarsi indietro: era una testimone, una “sopravvissuta”, non poteva ignorare i fatti a cui aveva assistito.
- Vieni, Nemu, - disse, ben sapendo che la neonata non poteva capire le sue parole. - Anche se non sei all’altezza di ciò che gli altri si aspettano da te, non per questo meriti di morire, sai?
La ragazza risalì silenziosamente le scale, e sgattaiolò fuori dalla porta cercando di fare il minor rumore possibile. Non aveva voglia di vedere nessuno, perchè se avesse incontrato qualcuno dei membri della dodicesima Divisione avrebbe dovuto spiegargli il motivo per cui aveva deciso di “salvare” un esperimento fallito.
- Le creature artificiali crescono più rapidamente degli umani, - pensò, sentendosi rassicurata da una simile considerazione. - Tra non molto, anche Nemu sarà in grado di badare a se stessa, e di difendersi da sola.
Svoltò un angolo, poi un altro, percorrendo in punta di piedi i lunghi corridoi ben illuminati dal sole del primo pomeriggio. Non c’era anima viva, e Rin benedisse una simile fortuna mentre scrutava attraverso una porta prima di sgattaiolare via, nella sua stanza buia e fresca, lontano da qualunque rischio.
- Starai qui, - disse a Nemu col tono di chi non ammette repliche, raccogliendo una coperta e sistemandola in un angolo in modo da farne un giaciglio. - Non è molto, ma è tutto quello che posso offrirti.
Era sciocco, da parte sua, parlare con la bambina come se quella potesse rendersi conto di ciò che le veniva detto. In un certo senso, però, era anche piacevole: finalmente qualcuno in grado di ascoltare, senza fare domande, senza polemizzare, senza chiedere spiegazioni o rispondere con violenza. Rin si voltò di nuovo verso la neonata, per ammonirla:
- Cerca di non piangere troppo, altrimenti ci butteranno fuori entrambe. E questo significherebbe solo Rukongai... ma tu nemmeno sai cos’è il Rukongai, immagino.
In ogni caso, non c’era bisogno di chiedere a Nemu di stare in silenzio: sembrava essere la cosa che in assoluto riusciva a fare meglio. Se ne stava rannicchiata nel suo angolo, i pugni stretti, la bocca serrata.
Adesso che aveva aperto gli occhi, grandi e scuri come due pezzi di carbone, guardava Rin con un’espressione mesta ma tenace. La giovane Shinigami pensò che la ferita dovesse farle male, perchè Nemu respirava a fatica, ma non si lamentava minimamente.
Le faceva tornare in mente una storia, che qualcuno le aveva raccontato un giorno all’Accademia.
Per passare il tempo e distrarre la bambina, non conoscendo favole e non sapendo come alleviare il dolore in altro modo, prese a raccontare. Nemu ascoltava, come se capisse, fissandola intensamente con gli occhi sbarrati.
- Tanto tempo fa, in un bosco, vivevano una quercia millenaria e un salice piangente.
La quercia era alta, e robusta, con un grande tronco solido e le radici ben piantate nel terreno – tu non le hai mai viste quelle querce, Nemu, ma esistono davvero... sono così grandi che anche tendendo al massimo le braccia non è possibile circondarle completamente. – Il salice invece era curvo, e sottile, e i suoi rami pendevano verso il basso, fino a toccare l’acqua del fiume che scorreva lì vicino. Sembrava non avere la forza per protendersi verso l’alto come tutti gli altri alberi, e quindi era triste e si sentiva solo.
La quercia invece era sempre al centro dell’attenzione, e tutte le piante del bosco la lodavano dicendo che era indistruttibile, e che i suoi rami un giorno avrebbero toccato il cielo – è inutile che mi guardi così. Nelle storie, anche le piante parlano. – Insomma, per questo motivo la quercia si sentiva la più importante, e prendeva in giro il salice perchè era debole e curvo.
Una notte scoppiò una terribile tempesta, e cominciò a spirare un potentissimo vento da nord, che portava con sè la pioggia, i tuoni e i lampi. La quercia, che era alta e imponente, svettava su tutti gli altri alberi e fu presto colpita da un fulmine. Il tronco cedette, e l’albero crollò a terra carbonizzato.
Il salice piangente, invece, che era sottile e flessibile. si lasciò scuotere dalle raffiche di vento per tutta la durata della bufera, finchè non tornò il sereno.
La mattina successiva, dove prima c’era stata la robusta quercia, c’era soltanto un moncherino di tronco bruciato e spezzato; invece il salice, che aveva saputo piegarsi sotto la furia della tempesta, era al suo solito posto nei pressi del fiume, in perfetta salute.
Rin sbirciò la bambina, che sembrava più tranquilla e sul punto di addormentarsi.
A bassa voce, parlando più per se stesse che per la neonata, concluse:
- Anche tu sei il salice, Nemu... durante la tua vita ti offenderanno, e ti maltratteranno, e approfitteranno del tuo silenzio per dire parole crudeli contro di te. Ed è proprio quello steso silenzio che ti permetterà di andare avanti...
- ...perchè tu non farai gli stessi errori che ho fatto io.

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Capitolo 10
*** X. chapter ten; ***


Quell’anno, l’estate scivolò nell’autunno un poco alla volta, in modo naturale, così che nessuno dovette meravigliarsi troppo del cielo grigio, gli alberi spogli, le ululanti raffiche di vento che si levavano di tanto in tanto dal bosco silenzioso, scuotendo le finestre e fischiando negli anfratti.
Col passare dei giorni, il clima divenne più fresco, e l’aria tagliente intrisa di quell’odore che non è un odore, la sensazione del freddo che si insinua attraverso la sciarpa, e dalle narici fino alla gola.
Nel poco tempo libero che le era rimasto, Rin amava passeggiare nel boschetto di betulle sul retro degli edifici della dodicesima Divisione, mano nella mano con Nemu. La bambina aveva ormai imparato a camminare e, molto più veloce ad apprendere di qualunque essere umano, era in grado di parlare in maniera già piuttosto corretta. Anche il suo aspetto, nonostante fossero passati soltanto pochi mesi dalla sua “nascita”, era quello di una bimba di circa due anni.
Ciò detto, tuttavia, va aggiunto che la piccola era comunque esile, non mangiava molto e parlava ancor di meno, ma osservava in silenzio ogni cosa e memorizzava, per poi ripensare a ciò che aveva visto e riflettere, e utilizzare ciò che aveva appreso nel momento più opportuno.
- Guarda laggiù, Nemu... quello è un pettirosso. - Rin indicò alla bambina un puntolino marrone sul tappeto erboso, che si muoveva freneticamente qua e là cercando di smuovere la terra gelata con la punta del becco.
Nemu allungò il collo, nel tentativo di distinguere il ventre scarlatto della bestiola, e socchiuse i grandi occhi scuri. Aveva le guance arrossate per il freddo, e le dita della sua piccola mano, stretta in quella di Rin, erano gelide come il vento che spirava intorno.
- Rientriamo in casa, adesso. Ti stai congelando...
La bambina scosse vigorosamente la testa, e la lunga treccia di capelli scurì oscillò ritmicamente frusciando contro gli abiti pesanti. Staccò le dita dalla presa leggera della Shinigami, e mosse qualche passo sul suolo scricchiolante, in direzione del pettirosso.
Scorgendo la figurina nerovestita che si avvicinava, l’uccellino aprì di colpo le ali e spiccò il volo. Nemu lo guardò allontanarsi tra i rami degli alberi, una silenziosa creaturina scura che si stagliava contro il grigio perlato del paesaggio circostante.
- Se n’è andato, - considerò, a bassa voce, il tono a metà strada tra il sorpreso e il dispiaciuto. Rin si avvicinò a lei, e si chinò al suo fianco. Rimasero immobili, una accanto all’altra, ad osservare le piccole zolle di terra che l’animaletto aveva smosso.
- E’ l’ora di andare, Nemu.
Rialzatasi, la giovane shinigami prese ad allontanarsi lungo il sentiero sterrato che attraversava il boschetto, indietro, verso i laboratori. La piccola dai lunghi capelli corvini restò indietro per qualche istante, godendosi la fugace solitudine di quella abbagliante visione invernale... poi, voltando rapida la testa verso la ragazza che si allontanava, le corse dietro con tutta la forza consentitale dalle sue gambette sottili.

- Stai mettendo alla prova la mia pazienza, Kurotsuchi Taichou?
Il sogghigno malvagio solcava le labbra di Ichimaru, conferendo ai suoi lineamenti aggraziati una sfumatura di folle gioia perversa.
- No, Ichimaru, affatto... credo che nessuno sia riuscito a non notare la tua divisa da Capitano... a proposito, congratulazioni per la nomina.
Mayuri, il tagliente sarcasmo che lo contraddistingueva chiaramente percepibile attraverso il tono della sua voce, accennò un inchino in direzione di Gin, con scherno. Impallidendo visibilmente per la collera repressa, il nuovo Capitano della terza Divisione si sforzò di sorridere di rimando.
- Gira voce che ultimamente la nobile Divisione dodici stia facendo incetta di anime dannate per i suoi esperimenti... immagino che quell’assassina stia facendo un ottimo lavoro come fuku-Taichou... o si è forse guadagnata il tuo rispetto in altro modo? Si dice che passi gran parte del suo tempo in compagnia di una bambina...
Riacquistata la consueta sicurezza nei modi, Ichimaru si scostò una ciocca di capelli argentei dagli occhi a mandorla. Sapeva di aver colto nel segno: cosa sarebbe risultato meno svantaggioso per il bene della dodicesima Squadra, dire che Nemu era la figlia di Rin, o ammettere che si trattava di un esperimento proibito? In entrambi i casi, a risposta non avrebbe contribuito ad alimentare la popolarità di Kurotsuchi Taichou...
- E’ la verità. I membri della Divisione gliel’hanno affidata perchè ultimamente c’è molto lavoro, nei laboratori, - confermò Mayuri, gelido. Fece una pausa, in attesa che le sue parole facessero effetto. Cosa gli importava dell’opinione della gente? Qualche pettegolezzo non lo avrebbe certo portato sulla forca...
- Quanto zelo! Allora immagino che sarete voi a catturare quel Menos che, si dice, si aggiri ultimamente nei pressi della Soul Society...
Kurotsuchi alzò lo sguardo di scatto, stupito. Un Menos Grande? Nei pressi della Soul Society? Com’era possibile tutto ciò? E, soprattutto... perchè nessuno aveva ancora fatto niente per fermarlo?
- Pare che sia decisamente potente... è strano, di solito i Menos non si spingono in luoghi tanto frequentati dagli Shinigami... - la voce di Gin era dolce, pacata, quasi la cosa non lo riguardasse affatto. Sembrava, anzi, che il neo-Capitano celasse una sorta di gioia folle in quel suo imperscrutabile sogghigno, quasi che fosse lieto di poter essere il primo a portare simili, catastrofiche notizie.
- Chi è? - Mayuri replicò, tagliente - Chi è che mette in giro simili sciocchezze?
Ichimaru sorrise, fingendo stupore.
- Oh, ma non sono sciocchezze, Kurotsuchi Taichou! Aizen Sosuke l’ha detto, e un tipo ligio al dovere come lui non è persona da inventare storie tanto pericolose, non trovi? Dice di averlo visto aggirarsi nei pressi del bosco adiacente ai locali della quinta Divisione che, se non erro, sono confinanti con i laboratori...
Socchiuse gli occhi, malvagio. Le scure pupille sottili luccicarono sinistramente del riflesso del sole mattutino.
- Auguro alla tua Divisione di trovare quel Menos per primi, Capitano... - scimmiottò l’inchino che prima lo stesso Mayuri gli aveva sarcasticamente rivolto poi, sollevato lo sguardo, continuò. - Ma ecco che arriva la tua famigliola al gran completo... sarà meglio che vi lasci da soli! Arrivederci a presto, Kurotsuchi-sama!
Con un aggraziato ondeggiare del mantello da Capitano, Gin si voltò senza neppure ascoltare la risposta di Mayuri al suo congedo: non gli importava niente di lui, a dire il vero. Era soltanto uno sbruffone con qualche rotella fuori posto, e sarebbe sicuramente finito in un guaio più grosso di lui entro breve.
Quello che davvero importava al giovane Capitano dai capelli argentati, in realtà, era Rin Hisegawa: la traditrice avrebbe dovuto pagare, pagare per le proprie malefatte che fino ad allora erano rimaste impunite e per tutto ciò che non le era stato ancora riconosciuto come una colpa.
Per esempio, il gettare disonore sulla Seireitei.
L’aver contrastato il tentativo, da parte di alcuni esponenti di punta delle Divisioni, di porre al comando persone garantite che agissero secondo i loro piani.
L’aver mandato a monte un progetto, durato lunghi anni, che comprendeva fra le altre cose l’estradizione di Urahara dalla Soul Society con le peggiori accuse...
E lei, senza neppure saperlo, aveva occupato quel posto che, affidato nelle giuste mani, avrebbe potuto garantire ad Aizen e Ichimaru un sicuro controllo sulla Squadra Scientifica. Doveva essere necessariamente eliminata.
- Quel Menos capita proprio al momento giusto. Un ottimo espediente per eliminare una presenza indesiderata, non è vero Aizen-sama? - sogghignò Gin, senza voltarsi indietro, scivolando silenzioso lungo gli stretti corridoi tra un edificio e l’altro della Seireitei.

- Cosa vuoi?
- Ti stavamo cercando.
- Sai bene che devi farti vedere il meno possibile in giro con “quella”.
- Non posso mica lasciarla da sola, non è in grado di badare a se stessa...
Kurotsuchi dedicò a Nemu un’occhiata carica di disgusto, prima di concentrarsi nuovamente sul suo vice-Capitano.
- Ti avevo anche detto di nascondere meglio quel braccio.
- Mi sono stancata di essere trattata come una ricercata costretta a nascondersi!
- E’ esattamente quello che sei, infondo.
Rin lanciò a Mayuri uno sguardo gelido, sentendo la collera crescere da un punto imprecisato in mezzo al petto... ma non era i momento di lasciarsi dominare dalla rabbia, non di fronte al Capitano almeno. Discuterci sarebbe stato inutile, se non folle, come cercare di contrastare la caduta dell’acqua di una cascata.
- Sei particolarmente amichevole, oggi, Kurotsuchi-san - non potè risparmiarsi dal commentare.
Il Taichou non rispose, limitandosi a voltarsi e riprendere il proprio cammino. Era già seccante l’aver incontrato Ichimaru, anche senza che quella sciocca ragazza dovesse insistere a tormentarlo.
- Che cosa dovevi dirmi? - si arrese infine, seppur senza voltarsi, visto che Hisegawa fuku-Taichou non accennava a desistere.
Lei corse avanti qualche passo, in modo da camminare al suo fianco; ancora piccola e indubbiamente minuta, Nemu trotterellava affannosamente qualche passo indietro.
- Non è niente di serio, a dire la verità... - iniziò la giovane shinigami, con dipinta in volto un’espressione che sembrava suggerire tutto il contrario. - ... tuttavia c’è qualcosa che non ti ho detto, e che credo dovresti sapere.
Scrutandola con la coda dell’occhio, Mayuri scorse la tensione attraversare fugacemente il volto della sua vice-Capitano. Sebbene si sforzasse di apparire naturale e tranquilla, quasi divertita, era chiaro che la ragazza aveva da comunicare qualcosa di molto diverso da una buona notizia.
- Ho sentito dire che c’è un Menos Grande, in giro per la Seireitei, - continuò Rin, con tono colloquiale. Il Capitano, che camminava qualche passo avanti a lei, rallentò e tese le orecchie: dove voleva arrivare, con una simile affermazione? Che la giovane Shinigami avesse deciso di cambiare argomento? Oppure stava tentando di affrontare il discorso partendo da lontano?
- Suppongo sia la verità, anche se è stato Ichimaru a mettere in giro simili voci, - replicò Kurotsuchi, leggermente infastidito. Avrebbe preferito una conversazione più diretta, piuttosto che stare lì ad arrovellarsi riguardo alla presenza o meno di un singolo Hollow nella Soul Society. Se davvero fosse diventato pericoloso, l’undicesima lo avrebbe soppresso.
- Ti preoccupa tanto la presenza di quella creatura? - Scettico, il Capitano si voltò a fissare la sua interlocutrice, l’impazienza chiaramente percepibile nella voce tagliente.
Deglutendo a vuoto, Rin distolse lo sguardo dalle terribili iridi ambrate di lui.
- Non è questo, no, - mormorò, senza sapere da che parte cominciare - Il fatto è che io... credo di sapere da dove proviene quel Menos. Ho riconosciuto il suo Reiatsu, o meglio... credo che lui abbia fatto sì che potessi riconoscerlo.
Stupefatto, Mayuri mosse qualche passo in direzione del suo vice-Capitano. La raggiunse, soffermandosi col volto a poche decine di centimetri dal suo, fissandola con uno sguardo da cui lei non avrebbe potuto sottrarsi.
C’era collera, in quegli occhi, ma anche tensione e qualcosa di simile alla paura. Quando parlò, lo fece con una voce bassa e sicura, col tono di chi non ammette esitazioni.
- Vuoi dire che quell’Hollow sta cercando te? - chiese, severo.
Rin esitò per un istante, incerta su cosa rispondere. Kurotsuchi non conosceva gli avvenimenti di quel giorno, nel laboratorio, quando lui se n’era andato e lei si era lasciata sfuggire quella piccola creatura simile a un cane dall’aspetto tanto insignificante. Avrebbe dovuto parlargliene? No, lui l’avrebbe odiata per questo.
- Ascoltami bene, ragazzina
L’improvvisa apprensione con cui il Capitano aveva pronunciato quelle parole fece sussultare la giovane shinigami, che tornò a scrutarlo con il terrore puro dipinto nello sguardo: avrebbe preferito essere interrogata, sarebbe stato meglio se lui l’avesse presa per folle, piuttosto. Quella sicurezza, quella preoccupazione da parte del Taichou, come se anche lui fosse al corrente di qualcosa riguardo all’intera faccenda, era più spaventosa del suo volto adirato.
- Ci sono persone che vorrebbero vederti morta, Rin, è necessario che questo tu lo sappia, - la Hisegawa non aveva mai sentito un simile tono usato dal Capitano. Sembrava adirato, ma non solo... se non fosse stato per l’espressione incollerita degli occhi attraverso le orbite della maschera che gli copriva il volto, Rin avrebbe potuto tranquillamente definirlo preoccupato.
Preoccupato per lei. Istintivamente, parlando, Kurotsuchi Taichou aveva afferrato la giovane shinigami per le spalle, quasi volesse scrollarla.
- Qualunque cosa tu decida di fare, guardati da Gin Ichimaru e da Sosuke Aizen. - continuò, la voce ormai ridotta ad un sussurro - L’idea di mandarti contro un Menos potrebbe essere stata loro. Cerca di non fare sciocchezze, perchè arriverà il giorno in cui non ci sarà la dodicesima Divisione a proteggerti, e allora dovrai cavartela da sola, o morire.
Aveva parlato duramente. Quasi riscuotendosi dalle proprie riflessioni, il Capitano Kurotsuchi allontanò le mani dalle spalle di Rin, e mosse qualche lento passo indietro senza staccare gli occhi dai suoi.
Si era lasciato prendere dall’odio verso i suoi oppositori, forse, o forse aveva permesso che fosse un sentimento ben diverso dalla collera a dominare le sue parole? Questo non poteva dirlo, e neppure gli importava. Tutto ciò che era chiaro, adesso, era che Rin avrebbe dovuto cavarsela da sola. Vivere o morire, combattere o rinunciare, erano scelte che la giovane shinigami aveva già dovuto compiere una volta, nel corso della propria vita.
Sarebbe stata in grado di farlo di nuovo? Lui, questo non lo sapeva. Non gli importava neppure, a dire il vero.
L’importante, in quel momento, era soltanto che Rin Hisegawa si dimostrasse in grado, ancora una volta di scrivere autonomamente il proprio destino.

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Capitolo 11
*** XI. chapter eleven; ***


Il laboratorio era immerso nell’oscurità, come al solito.
Con lo sguardo rivolto all’unica, flebile luce della lampada sul tavolo, Rin stava china sul proprio lavoro, il volto contratto per la concentrazione. I riflessi argentei degli strumenti chirurgici giocavano sui suoi lineamenti, distorcendoli, e gettando lunghe ombre grottesche sulle poche superfici illuminate.
La concezione di “tempo” sembrava svanire, all’interno del laboratorio.
Il frizzante vento primaverile fischiava fuori dalle finestre chiuse, tra una casa e l’altra e nel boschetto di betulle. Il sole, pallido e ancora avvolto dalla bruma mattutina, era appena sorto oltre le cime degli alberi a est.
Sapeva di non potersi trattenere a lungo sul suo progetto: tra breve Nemu, che adesso aveva l’aspetto di una bambina di dieci anni, si sarebbe svegliata. Non era il caso di lasciarla da sola a gironzolare per casa, con Mayuri così nervoso per l’enorme mole di lavoro che si era ultimamente auto imposto. Rin aveva più volte ammonito la piccola al riguardo, ma in ogni caso preferiva non favorire un suo incontro ravvicinato con il Capitano della dodicesima Divisione.
- Prima o poi, anche lui dovrà abituarsi alla presenza di Nemu.
Le preoccupazioni di Rin erano diventate più “quotidiane” negli ultimi tempi, e la ragazza aveva accolto di buon grado questo cambiamento. Con il lavoro a cui pensare, e le piccole faccende di ogni giorno da portare a termine, gli incubi e i brutti ricordi erano stati pian piano spazzati via in un angolo della mente, ad aleggiare costanti ed impalpabili su ogni più piccolo aspetto della sua esistenza.
Da tempo ormai alla shinigami non capitava più di sognare Hikaru: semplicemente, le giornate si trascinavano avanti e avanti, senza alcun cambiamento nè dal punto di vista organizzativo nè da quello emotivo. Tutto appariva statico, come l’interno di un grosso acquario in cui pesci si affannano avanti e indietro senza mai poter andare oltre le quattro pareti di vetro.
Persa in queste riflessioni, Rin prese a lavare i ferri da chirurgo che aveva appena finito di utilizzare, stando attenta a non tagliarsi; ma, improvvisamente, percepì qualcosa che la fece sobbalzare.
Con un tintinnio sinistro, lasciò cadere i suoi strumenti nel lavabo metallico. Che cos’era quella sensazione? Sembrava l’energia emanata da un Reiatsu molto potente, un Reiatsu malvagio che lei conosceva. Dove aveva già provato un simile senso di inquietudine?
D’istinto, la sua mente le restituì l’immagine di un laboratorio più piccolo, e di tre giovani shinigami che si lanciavano di corsa su per una scala di pietra a chiocciola, inseguendo qualcosa. Un Hollow apparentemente innocuo, dalle fattezze di un cane, incredibilmente veloce.
Era fuggito.
Adesso, l’energia spirituale che Rin percepiva era incredibilmente più forte, ma indubbiamente riconoscibile. Quando due creature dotate di Reiatsu si incontrano si “memorizzano” a vicenda e, se hanno la possibilità di vedersi nuovamente, si riconoscono l’un l’altro anche a distanza di anni.
La shinigami ne era sicura: l’Hollow era vicino. Era arrivato fin lì per lei, voleva vendicarsi. Aveva atteso per tutto quel tempo, crescendo e rafforzandosi, in attesa della resa dei conti.
Interrompendo a metà ciò che stava facendo, Rin si precipitò al piano superiore e corse fuori, nello spiazzo lastricato di fronte ai laboratori della dodicesima Divisione. Schermandosi il volto con una mano per proteggersi dalla luce eccessiva, socchiuse gli occhi cercando di concentrarsi sull’energia spirituale della creatura che stava cercando.
Proveniva da un punto imprecisato, poco lontano, a est.
Correndo a perdifiato in quella direzione, la ragazza raggiunse in breve tempo un ampia radura erbosa nel bel mezzo del boschetto limitrofo. Si era mossa con un unico pensiero in testa: scovare l’Hollow e liberarsene, prima che esso potesse fare danni. Non aveva pensato ad altro, nè alla distanza da percorrere, nè all’entità del pericolo. Adesso, non avrebbe saputo dire in che direzione si trovava il luogo da cui era partita.
Il mostro era accucciato di fronte a lei, enorme e imponente, come un gigantesco lupo che aspetta la sua preda.
I contorni della massiccia figura erano leggermente indistinti nella bruma mattutina, quasi che l’essere fosse un tutt’uno con l’ambiente circostante.
La maschera, che definiva grottescamente i tratti somatici dell’Hollow, era di forma tondeggiante ma con lineamenti spigolosi; le orbite vuote erano allungate e leggermente oblique come quelle di un gatto, e il naso era costituito da due piccole narici verticali.
Non aveva un’espressione vera e propria, e lo squarcio scuro che si apriva tra la mandibola e la mascella presentava due file ordinate di piccoli denti radi e appuntiti.
Per qualche terribile, lunghissimo istante, Rin non potè fare altro che restarsene immobile in un angolo dello spiazzo, seminascosta dagli alberi, osservando il mostro che si ergeva, monumentale, di fronte a lei. Durante gli anni all’Accademia, la shinigami aveva affinato le pratiche di controllo del Reiatsu: adesso, tenere bassa la propria Energia Spirituale era l’unica cosa sensata da fare, mentre elaborava affannosamente un piano d’attacco e uno di eventuale difesa.
"Un Menos Grande," pensò pietrificata, scrutando con le pupille dilatate le grosse zampe dalle dita uncinate che raspavano nel terreno sottostante con crescente nervosismo. Non riuscendo più a individuare il Reiatsu della sua vittima, l’Hollow stava iniziando ad infuriarsi. Era il momento di agire.
D’impulso, Rin balzò fuori dal suo nascondiglio liberando al contempo la piena potenza della sua Energia Spirituale.
Percependo quell’improvvisa variazione, la creatura titanica si voltò di scatto verso la ragazza, emettendo un ringhio prolungato e selvaggio: si era accorto della sua presenza.
Ignorando lo sgomento che la vista di quelle orbite vuote puntate verso di lei le procurava, Rin si mordicchiò leggermente il labbro inferiore per impedirsi di tremare. Non c’era più tempo per le incertezze, ormai.
Portò una mano al nastro rosso che ricadeva sulla sua spalla e, afferrandolo, gridò le parole di evocazione di Koumaru.
L’Hollow faceva ciondolare ritmicamente la testa da una parte all’altra, in attesa, chiedendosi forse quale fosse il modo più divertente per eliminare quel moscerino importuno. Era una creatura elementare, dalla struttura fisica ingombrante e l’intelligenza ridotta; tuttavia, Rin riusciva a percepirne l’incredibile forza, un’energia primitiva che solo un’ entità selvaggia può sviluppare.
- Non ho paura di te, mostro!
Sebbene fosse consapevole che l’Hollow non era in grado di capire, la ragazza gridò il suo avvertimento con tutto il fiato che aveva in corpo. Un simile essere istintivo sarebbe stato certamente in grado di percepire la paura: per questo motivo, la giovane shinigami era fermamente intenzionata a non mostrarne affatto.
Balzò in avanti, ignorando l’impulso a sottrarsi dal folle combattimento in cui si era lanciata. Il suo avversario non sembrava frettoloso di attaccare: forse il gatto avrebbe giocato per un po’ con la sua preda, prima di mangiarla in un solo boccone.
Stringendo la katana con entrambe le mani, come per sorreggersi a quella tagliente ultima speranza, Rin menò un fendente in direzione della beffarda maschera d’osso. Non avrebbe permesso che il suo errore – lasciar scappare un piccolo Hollow dal laboratorio, quasi tre anni prima – si ripercuotesse su altri innocenti.
- Muori, maledetto! - esclamò tra i denti, premendo la lama della zanpakuto sul resistente volto animalesco. Il mostro parve quasi non accorgersi dell’aggressione.
Sollevò appena la testa, seguendo pigramente con lo sguardo privo di occhi la caduta della shinigami che, adesso, si preparava ad atterrare sul tappeto erboso della radura: nonostante i lunghi anni di addestramento, Rin non aveva mai avuto a che fare con un nemico così potente.
I piedi della ragazza raggiunsero il suolo con tutta la violenza imposta dalla forza di gravità. Appoggiò una mano sulla terra umida, un ginocchio piegato, ansante. Il colpo di spada inferto alla enorme creatura di fronte a lei aveva contribuito ad indebolirla, ma non sembrava aver sortito alcun effetto sulla sua vittima.
- Maledizione! - imprecò di nuovo, mentre l’ Hollow sollevava una zampa possente a pochi passi da lei.
Il movimento fu troppo rapido perchè Rin, china a terra, potesse scansarsi. Con un tuffo al cuore, la ragazza registrò nella mente l’artiglio arcuato del mostro, proteso in avanti, che si insinuava nella carne del torace, all’altezza delle costole.
Gemette, sputando una boccata di sangue.
Come aveva potuto essere tanto imprudente? Lasciare la guardia abbassata, spudoratamente distratta nonostante fosse a conoscenza delle potenzialità del suo nemico. Stava combattendo con la mente da un’altra parte, non era nelle condizioni psicologiche adatte ad affrontare un simile scontro.
- Muoviti, Rin - si disse - Ancora una volta, è per la tua vita che stai combattendo!
Per salvarsi la vita, dunque.
Non ne valeva la pena. Chi c’era adesso da proteggere, a chi stava correndo in aiuto?
La risposta la investì come una doccia gelata, più dolorosa della ferita nel fianco inflittale dal mostro.
Nessuno. Non avrebbe aiutato nessuno. La sua vita, o la sua morte, non sarebbero servite a cambiare le cose. Per tre anni, si era affannata a “darsi un senso”: aveva fallito. Di nuovo, avrebbe dovuto fare i conti soltanto con i propri errori.
- Io ti ho lasciato fuggire. Se non posso sconfiggerti, espierò con la morte il mio peccato!
Senza riflettere, Rin spiccò un secondo balzo in direzione dell’ Hollow. La paura era scivolata via dal suo corpo come un manto gelido rimasto a terra, sul pavimento erboso, nel momento in cui si era librata nel salto. Tesa in avanti, la ragazza piegò leggermente il gomito sinistro indietro, prendendo lo slancio per menare un fendente agli occhi dell’avversario.
Il mostro la seguì con lo sguardo.
Esaltata, la giovane shinigami increspò le labbra e scoprì i denti: sorrideva, nell’ebbrezza dello scontro, gli occhi che brillavano per l’impazienza e la curiosità di scoprire chi dei due sarebbe sopravvissuto.
Poi, l’ Hollow fece qualcosa di inaspettato.
Fulminea, la creatura si eresse sulle zampe posteriori, inarcando la schiena e piegando il collo in avanti, come un orso pronto ad attaccare. Aprì le braccia a semicerchio, come in un macabro abbraccio, le unghie incurvate verso l’interno e i palmi delle grottesche mani aperti a ventaglio.
Rin era in gabbia.
Sospesa in aria nell’istante del salto, non aveva punti d’appoggio sufficienti a modificare la propria traiettoria. Il suo sguardo saettò dall’una all’altra delle grandi zampe feroci, Era la fine, l’avrebbe colpita.
Incapace di trovare una soluzione, la ragazza chiuse gli occhi per un istante, di nuovo terrorizzata. Un’ondata di odio nei confronti di se stessa la assalì con violenza.
- Non ho neppure il coraggio di guardare la morte in faccia?
Si costrinse a schiudere le palpebre. Le braccia del mostro si stavano muovendo rapidamente, le mani artigliate erano a pochi metri da lei. Rin aggrottò le sopracciglia, pallidissima, attendendo il colpo che avrebbe messo fine alla sua vita.

- ASHISOJI JIZOU!
In un primo momento, la ragazza non comprese quello che stava succedendo attorno a lei. L’enorme braccio dell’ Hollow, che un istante prima la stava raggiungendo da un punto a sinistra, fuori dalla portata della sua spada, adesso stava ritirandosi fulmineamente lungo il fianco del suo proprietario, profondamente ferito.
Alla zampa, mutilata, mancavano ora tre delle cinque dita artigliate.
Rin si accasciò a terra, incassando con difficoltà il colpo causato dal violento impatto col suolo. Si sentiva a pezzi, distrutta nella mente più che nel corpo, stordita dalla rapida continuità con cui si erano svolti gli ultimi eventi.
Un’alta figura vestita di nero, con quello che sembrava un mantello o un cappotto bianco svolazzante, atterrò qualche metro di fronte a lei. Alla ragazza furono necessari alcuni istanti per riuscire a capire.
- Kurotsuchi-san...?
L’uomo non si mosse di un millimetro, schermando con il proprio corpo e la lama della sua spada la giovane Shinigami accasciata a terra. Non disse nulla.
L’ Hollow gemeva di fronte ai due minuscoli umani, incapace comprendere quello che era accaduto. Indietreggiò di qualche passo, vagamente intimorito, continuando a fissare la zanpakuto di Mayuri con tutto l’ odio e la diffidenza che potevano trapelare attraverso le orbite vuote.
Kurotsuchi attendeva, immobile, il secondo attacco. I suoi occhi ambrati seguivano ogni singolo movimento del mostro di fronte a lui, e un’espressione di folle trepidazione emanava attraverso il ghigno malvagio della maschera che gli copriva il volto.
Tuttavia, quel secondo attacco non venne.
Un prolungato lamento squarciò il silenzio della radura con improvvisa e assordante violenza, poi l’ Hollow si voltò fulmineo dando le spalle al Capitano della dodicesima Divisione. Kurotsuchi fletté le gambe e impugnò più strettamente la spada, pronto al balzo che gli avrebbe permesso di affondare le tre lame nella nuca del mostro.
Saltò.
Il mostro fu più veloce, enormemente veloce. In un attimo anch’esso fu in alto, lanciato con tutta la velocità che gli permettevano le sue zampe d’orso in direzione di un varco scuro apertosi a squarciare il cielo della Soul Society.
Era la “porta” che l’Hollow aveva usato per introdursi nel mondo delle anime e che, allo stesso modo, gli era servita per allontanarsene. Una porta che, con molte probabilità, qualcuno doveva aver aperto per lui.
Kurotsuchi ricadde a terra, a pochi passi da Rin che giaceva immobile. Il volto inespressivo non tradiva alcuna emozione ma i suoi occhi, ben visibili attraverso la maschera, ardevano di collera repressa. Il nemico era fuggito.
Lanciando uno sguardo colmo di rimprovero alla figura stesa esanime a terra, il Capitano diminuì la propria Energia Spirituale, lasciando che Ashisoji Jizou tornasse a essere una semplice zanpakuto. Non poteva sopportare che l’ Hollow fosse sopravvissuto.
Una collera crescente si fece strada nella sua mente, sopraffacendolo.
Quella sciocca ragazza! Se non fosse stato per le sue inutili manie presenzialiste, adesso il mostro sarebbe stato sconfitto. Mayuri aveva percepito il suo Reiatsu con estrema chiarezza, nel momento stesso in cui il demone si era introdotto nella Soul Society. Si aspettava quell’attacco, sapeva che il Menos Grande sarebbe arrivato prima o poi. Forse, Rin pensava che non sarebbe intervenuto?
Kurotsuchi si voltò in direzione dei laboratori, e mosse qualche passo. Avrebbe potuto tornare a casa da sola, quella sciocca ragazza, non appena si fosse svegliata. La sua incolumità non lo riguardava affatto.
Fece per allontanarsi, ostentando indifferenza, cercando di mantenere viva in sè quella collera che lo aveva animato durante il combattimento, quell’odio che lo rendeva così deciso nelle proprie risoluzioni...
Poi, sconfitto, tornò indietro in direzione del corpo esanime steso sull’erba umida.
Ancora una volta, quella sciocca non era stata in grado di cavarsela da sola. Era stato inutile il suo coraggio, dal momento che pensava di non potersi fidare di nessuno. Era vana la sua fretta di morire, morire per un senso di colpa del tutto ingiustificato.
Eppure, Kurotsuchi non potè fare a meno di pensarlo osservando l’esile petto che si alzava e si abbassava al ritmo di un respiro regolare, in qualche angolo della sua mente forse anche Rin era consapevole che, in quel momento, lui si sarebbe voltato...

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Capitolo 12
*** XII. chapter twelve; ***


Quando Rin si risvegliò dal suo stato di incoscienza, il Sole aveva ormai da tempo superato il culmine del suo viaggio attraverso il cielo, e stava lentamente declinando in direzione dei netti contorni dei monti, a ovest.
Ancora leggermente confusa, la ragazza si alzò a sedere e si guardò attorno. Qualcuno – sicuramente Nemu – aveva medicato la ferita sul suo fianco, e l’aveva accuratamente bendata con candide garze. In un angolo, appoggiati su un basso mobiletto di legno, c’erano uno yukata accuratamente piegato e un paio di calzini puliti.
Sentendosi fisicamente in ottimo stato, Rin si alzò dal futon su cui era stata adagiata e indossò gli abiti che le erano stati lasciati. Si trattava di un kimono di buon tessuto, color petrolio, decorato con una fantasia di fiori di ciliegio sui toni del verde scuro e blu notte, con qualche piccola rifinitura color crema. La fascia attorno alla vita era blu anch’essa, fermata dietro la schiena dal consueto – e vistoso – fiocco di stoffa pesante.
Era molto tempo che Rin non vedeva abiti così sfarzosi, abituata com’era al semplice shihakusho nero, e accolse una simile novità con lusingato stupore. Per la prima volta da anni, osservò compiaciuta l’immagine che lo specchio le restituiva: una ragazza snella e minuta di circa ventitrè anni, vestita in modo elegante e dal portamento eretto, come si confà all’erede di una delle famiglie più antiche nella Soul Society.
Sospirando, la ragazza chiuse l’anta dell’armadio a muro e si infilò i leggeri calzini color crema, secondo la tradizionale usanza di non indossare calzature all’interno delle abitazioni. Chi voleva ancora prendere in giro?
Non era più l’erede di una nobile casata, non lo era più da molto tempo ormai. Con indosso un simile kimono pregiato, era soltanto una poveraccia che giocava a fare la principessa: aveva lottato e perso tutto, e non era neppure riuscita a morire in modo dignitoso.
Di nuovo, era in vita soltanto grazie all’aiuto del Capitano della dodicesima Divisione.
Aprì lentamente la porta della sua stanza, percependo immediatamente la leggera variazione di temperatura all’esterno: stava calando la sera, e fuori si era alzato da poco un vento leggero.
Voleva vederlo.
Sebbene non avesse niente da dirgli, consapevole che le parole di ringraziamento le sarebbero morte in gola, sentiva la necessità di mostrare gratitudine a quell’uomo che, per due volte, le aveva salvato la vita. Silenziosa, percorse il corridoio buio in direzione del laboratorio, certa di trovarlo chino su qualche nuovo esperimento.
Socchiuse la porta, cercando di non fare rumore.
La stanza ampia e fredda era immersa nell’oscurità, e non c’era anima viva all’interno. I macchinari, che di solito emettevano ronzii e ticchettii, erano adesso spenti e addormentati. Non c’erano strumenti abbandonati sul tavolo, nè segni di un recente utilizzo delle apparecchiature.
Perplessa, Rin richiuse la porta del laboratorio. Era strano, da parte di Kurotsuchi-san, starsene tutto il giorno lontano dai suoi preziosissimi progetti scientifici. Sembrava che tutti i membri della Divisione si fossero volatilizzati, e Rin si sentiva sola, immersa in un mondo fatto di silenzio e mistero, al centro del nulla.
Con un ingiustificato senso di crescente inquietudine, la ragazza percorse il corridoio nella direzione opposta a quella in cui era venuta, camminando stavolta a passo spedito. Raggiunta la porta chiusa della stanza di Kurotsuchi, sfiorò con la punta delle dita il legno sottile, incerta sul da farsi.
Non era sicura di quello che avrebbe detto, una volta entrata. Probabilmente, il Capitano l’avrebbe respinta a male parole, adirato perchè lei si era permessa di entrare nelle sue stanze senza essere stata invitata. Tuttavia, questo era esattamente ciò che aveva voglia di fare, e perciò l’avrebbe fatto.
Senza neppure curarsi di bussare – le probabilità di ricevere in risposta un cortese invito ad accomodarsi rasentavano lo zero – la ragazza aprì la porta scorrevole con delicatezza, e solo allora sbatté leggermente il pugno chiuso sul legno, per annunciare la propria presenza.
- Kurotsuchi-san...
L’uomo stava steso sul suo futon, un braccio sul volto a nascondergli gli occhi, apparentemente addormentato. Indossava ancora la parte inferiore dello shihakusho, ma la casacca da Capitano e la maschera sogghignante erano state abbandonate con malagrazia in un angolo. Respirava lentamente, in modo regolare, come chi è immerso in un sonno profondo.
Sentendosi vagamente a disagio – non aveva mai colto Mayuri in atteggiamenti umani, prima di allora – Rin fece per allontanarsi dalla stanza, in silenzio. Si era appena voltata, quando la voce di Kurotsuchi la costrinse a soffermarsi sulla soglia, incerta sul da farsi.
- Cosa vuoi, ragazzina?
Tornò a fissarlo, vagamente innervosita. Il Capitano della dodicesima Divisione, alzatosi a sedere, la scrutava con diffidenza, un sopracciglio leggermente sollevato.
- Io... niente, in realtà. Quando non ho visto nessuno in laboratorio mi sono preoccupata... - improvvisò la giovane shinigami, cercando di suonare naturale.
- Non ne avevi motivo, - rispose lui, freddamente - Gli altri membri del Comitato di Ricerca sono alla mensa, a quest’ora, come ogni altro giorno da quando sei arrivata qui. E’ ovvio che non ci sia nessuno in laboratorio.
Una ciocca di lisci capelli azzurri scivolò sugli occhi di lui, e il capitano sollevò la mano destra per scostarla. La manica dello shihakusho scivolò leggermente verso i gomito, mostrando un taglio netto e profondo all’altezza del polso dell’uomo. Il sangue era già rappreso, ma era evidente che Mayuri non aveva fatto niente per medicarsi, poichè il liquido scarlatto copriva abbondanti porzioni di pelle, e le tracce lasciate dalle gocce lungo il braccio ferito erano seccate senza che nessuno si preoccupasse di asciugarle.
- Kurotsuchi-san, cosa...?
Immediatamente, Rin raggiunse l’uomo e, senza riflettere, afferrò la mano insanguinata fra le sue. Preoccupata, esaminò il profondo taglio che attraversava il polso.
- Perchè non l’hai medicato? - chiese, una punta di rimprovero nella voce.
Era la prima volta che la ragazza criticava apertamente il suo superiore, e lo fece con una tale amarezza nella voce che il Capitano rimase un istante interdetto, prima di replicare col consueto “non sono cose che ti riguardano”.
Indirizzando verso l’uomo una risoluta occhiata di rimprovero, Rin chiese semplicemente:
- Dove sono le bende?
- Ti ho detto che non è affar tuo.
La giovane shinigami poteva sentire la tensione crescere nel tono di voce di Mayuri. La sua testardaggine contribuì a innervosirla.
- Ti sei ferito per colpa mia, quindi in realtà direi che la cosa mi riguarda eccome, - rispose freddamente. Poi, di nuovo, - Dove sono le bende?
- Nel primo cassetto di quel mobile dietro di te. Nessuno ti ha chiesto aiuto, comunque.
Voltandosi per prendere i bendaggi che le servivano, Rin si scoprì a sorridere fra sè e sè.
"Kurotsuchi-san, ti fa così paura l’idea di apparire vulnerabile?"
Prese a fasciare il polso ferito del Capitano, a testa china, gli occhi fissi sul lavoro accurato che stava facendo. Le dita dell’uomo erano gelate a causa della quantità di sangue perso, e il suo volto appariva decisamente più pallido del normale.
- Ti ha quasi lacerato una vena piuttosto grande, Kurotsuchi-san. Non è una sciocchezza come volevi farmi credere, e tu lo sai.
- Pensi davvero che un taglietto del genere sia sufficiente a mettermi fuori gioco?
Rin sollevò gli occhi, lanciandogli uno sguardo privo di espressione.
- Pensi davvero che quello non tornerà?
Kurotsuchi rimase un attimo in silenzio, fissando accigliato la giovane shinigami, prima di replicare con voce tagliente:
- In ogni caso, io.. ti proibisco di tornare a cercarlo, è pericoloso.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, incredula:
- Me lo proibisci? Con che diritto?
- Sono il tuo Capitano.
- E io eseguo i tuoi ordini di Capitano, come ho sempre fatto. Gli ordini, e nient’altro. Riguardo alla mia vita, decido da sola cosa è giusto e cosa non lo è.
- Cosa è giusto, dici, - il tono di Mayuri era adesso più minaccioso - Se pensi che sia giusto ucciderti, beh, fai pure! Non sperare che io venga a salvarti la pelle anche stavolta, ragazzina presuntuosa! E’ questo il valore che dai alla tua vita?
La collera di Rin era così forte da annebbiarle la mente, impedendole di ragionare. Aveva smesso di armeggiare con le bende, adesso, per concentrarsi interamente sul volto furente del suo interlocutore.
- Proprio tu parli di valore! - la rabbia le faceva tremare la voce, e sentiva le lacrime premere agli angoli degli occhi - Sei un omicida, non ti sei fatto scrupoli ad abbandonare Nemu a se stesa dopo essertene servito per i tuoi esperimenti. Sei un pazzo, privo di morale ed egoista!
Si era spinta troppo oltre, ancora. Terrorizzata, Rin attese, tremante per la collera, continuando a fissarlo con profondo rimprovero, aspettando di udire il verdetto, la punizione per la sua insolenza.
Kurotsuchi, accigliato, adesso stava fissando le bende sul suo braccio senza dire una parola. A disagio, Rin fece per allontanarsi da quell’uomo che, adesso, la intimoriva come non mai, ma appena lei si mosse questi allungò istintivamente le mani, afferrandola per i polsi. Non poteva scappare.
"Non avrei dovuto parlargli così," rifletté, consapevole di aver detto più di quello che pensava. Il Capitano era stato buono con lei, a suo modo. Le aveva offerto un riparo, un lavoro, un motivo di vita. Aveva diviso con lei la propria esistenza, da tre anni a quella parte, senza chiederle spiegazioni o giustificazioni.
La dodicesima Divisione era stata per Rin l’unico luogo sicuro da quando la sua famiglia era stata sterminata.
Abbassò gli occhi, assalita dal senso di colpa, consapevole che ormai era troppo tardi per chiedere perdono, che Kurotsuchi-san non avrebbe accettato le sue scuse. Si sentiva lo sguardo penetrante di lui puntato addosso, e quella consapevolezza le negava il coraggio di giustificarsi per le parole appena pronunciate.
- Hai ragione, ragazzina... sono esattamente quello che hai detto. - La voce di Mayuri era calma, adesso; seria, ma priva di qualunque tipo di risentimento, o di emozione. Rin sussultò, sentendolo parlare in quel modo: come se per lui fosse naturale, perché non gli importava affatto di essere giudicato da lei.
Eppure, il Capitano esitò un istante, continuando a stringere fra le dita i sottili polsi della giovane shinigami. Per la prima volta da quando l’aveva incontrato, l’uomo sembrava incerto sulle parole da usare.
- Egoista, spregiudicato, amorale, folle... puoi chiamarmi come vuoi. E’ tutto vero, sono consapevole di esserlo. Lo siamo tutti, qui, o almeno continuerai a pensarlo finchè non farai pace con te stessa. Perchè vedi, Rin... quello che non riesci a perdonarci, l’unica realtà dei fatti... è che tu sei esattamente come noi.
La ragazza alzò lo sguardo, lottando contro le lacrime. Era tutto vero, e lei suo malgrado lo sapeva: Kurotsuchi-san aveva perfettamente ragione. Vivere nel laboratorio, accettare le leggi imposte dal Comitato Scientifico, ripetersi ogni giorno di “non avere colpa”, era soltanto un subdolo modo per scaricare le colpe su qualcun altro.
Andare avanti senza rimorsi, con la convinzione di stare solo “eseguendo gli ordini”, e chiamare “pazzo” Mayuri per le sue scelte, ma continuare ad assecondarlo, era solo il pavido tentativo di difendersi gridando “mi è stato detto di farlo, non è colpa mia”.
Kurotsuchi-san aveva accettato il suo ruolo di capro espiatorio, come Urahara per primo. Gli errori, le follie, gli sbagli che avvenivano nel laboratorio venivano imputati sempre e solo a lui: in questo modo, gli animi fragili degli altri membri della Divisione potevano mondarsi da ogni peccato, semplicemente pronunciando le fatidiche parole: “perchè è così che mi è stato ordinato di fare”.
Sopraffatta da simili considerazioni, Rin distolse nuovamente lo sguardo dagli occhi ambrati di Mayuri, senza riuscire a trovare le parole adatte alla situazione. Avrebbe voluto scusarsi, forse, oppure ringraziarlo. E dirgli che le dispiaceva di non aver capito, di essergli grata per tutto ciò che aveva fatto a suo vantaggio. Concetti chiari nella sua mente, ma impossibili da esprimere in modo concreto.
- Ti chiedo... scusa, Kurotsuchi-san, - fu tutto ciò che la ragazza riuscì a mormorare.
In risposta alle sue incerte parole, o forse un istante prima che la frase fosse stata interamente pronunciata, Mayuri chiuse gli occhi ambrati allentando la presa ai polsi di Rin, poi fece scivolare lentamente i palmi delle mani su quelli di lei. La ragazza alzò appena la testa quando il Capitano, cauto ma deciso, si chinò per avvicinare le proprie labbra alle sue.
Si baciarono a lungo, lasciandosi andare completamente alla sensazione piacevole che il reciproco contato provocava, allontanandosi soltanto per sdraiarsi sul soffice futon al centro della stanza.
Non c’era bisogno di altre parole.
Era sbagliato, forse, ricorrere ad un simile atto per colmare il vuoto interiore che in quel momento li pervadeva. E ancor più sbagliata era la necessità, più fisica che affettiva, che li aveva spinti fino a quel punto. Se le avessero chiesto se amava il Capitano Kurotsuchi, Rin non avrebbe saputo cosa rispondere: lo stimava, certo, lo ammirava, gli era riconoscente... ma amarlo? Cosa può significare “amare” per un cuore che si è chiuso a qualunque sentimento, e che vive solo per il puro bisogno di esistere?
"So che avrò di che pentirmene." fu il pensiero che percorse in modo vago la mente di Rin, appena sopra il confine che separa ciò che è percepibile da ciò che non lo è. Poco più che inconscio, e del tutto trascurabile: il mondo avrebbe continuato a girare, anche l’indomani, anche senza di lei.
Per questo motivo, e non per amore, avrebbe lasciato che le cose andassero così, come dovevano andare. Perchè respingere il Capitano, rifiutare quel surrogato di affetto che lui, per la prima volta, sembrava disposto a dimostrarle, non era davvero in suo potere. Era più facile vivere così, illudendosi di essere importante per qualcuno, accontentandosi senza porsi troppe domande di quella specie di felicità che sembrava alla fine spettarle...
"Forse, in un altro mondo, tutto avrebbe potuto essere diverso..."
Ma quel mondo non c’era stato, quella in cui la giovane shinigami stava vivendo era l’unica realtà possibile. Non poteva nascondersi e scappare, ma solo cogliere ogni singolo lato positivo e farne tesoro.
Le passeggiate nel bosco assieme a Nemu.
Il sole mattutino che filtra attraverso la finestra socchiusa del laboratorio.
I sorrisi degli altri membri della dodicesima Divisione.
E adesso, soltanto per qualche ora, il piacere fine a se stesso; dimenticare tutto ciò che esiste “fuori”; ricevere, se non altro, un po’ di calore umano...

Raggomitolata in un angolo del futon Rin dormiva profondamente, le mani vicino al volto, il respiro regolare. Il candido petto nudo si sollevava e si abbassava, silenzioso, impercettibilmente, quietamente.
Immerso nel buio della notte ormai calata, Kurotsuchi scrutava quella figura esile con un’espressione indefinibile dipinta in volto: rifletteva. Conosceva ogni singolo dettaglio di quella ragazzina dal carattere insolito e il fisico minuto, sapeva tutto di lei e gli era capitato più volte, nel corso degli esperimenti, entrarci in contatto, studiarla, osservarne ogni dettaglio...
Eppure, stavolta era inevitabile per il Capitano guardarla con occhi diversi: i lineamenti così familiari del volto, le gambe sottili, la pelle chiara... tutto per lui era nuovo, come se lo vedesse per la prima volta, come se finalmente capisse che anche quella giovane, indistruttibile nonostante l’apparente fragilità, era un essere umano...
Come lui, o forse migliore di lui: non si era mai ritenuto perfetto, semplicemente aveva sempre pensato che essere se stesso fosse il miglior modo che aveva per vivere. E lei aveva distrutto questa convinzione: essere se stessa la stava uccidendo.
Aggrottando le sopracciglia ad un simile pensiero, Kurotsuchi raccolse la parte superiore dello shihakusho, che giaceva abbandonata in un angolo. Era più freddo, adesso che era calata la notte.
Con un ampio movimento silenzioso, stese la stoffa scura sulla piccola sagoma raggomitolata al suo fianco: non per proteggere quella ragazza, ma solo per far pace con se stesso, per poter dire “ho fatto tutto ciò che potevo per lei”.
La selezione naturale decide quali esemplari di ogni razza sono inadatti a continuare a vivere sulla Terra. Gli uccellini deboli cadono dal nido, e il pesce grosso mangia il pesce piccolo.
Lui aveva cercato di convincere Rin a non andare in cerca del Menos che già una volta l’aveva sconfitta: a parte questo, non c’era altro a cui avesse il diritto o il dovere di pensare.

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Capitolo 13
*** XIII. chapter thirteen; ***


Il mattino si insinuò prepotentemente tra le palpebre chiuse di Rin Hisegawa, con il suo silenzio e la sua gelida determinazione.
Nonostante si fossero inequivocabilmente presentate le avvisaglie di un’imminente e tiepida estate, l’universo circostante appariva agli occhi della ragazza come freddo, muto, incurante. Lontano, a est, si sentiva fin troppo chiaramente il pulsare spasmodico e martellante di un’immensa e famelica forma di vita.
”E’ lui. E’ qui per me, e io devo andare ad affrontarlo.”
Voltando appena lo sguardo in direzione dell’uomo addormentato, la giovane shinigami permise all’ultimo sorriso di scivolare sul suo volto contratto: era strano, commovente quasi, vedere quel viso solitamente corrucciato disteso in un’espressione di pura tranquillità. Gli occhi ambrati e penetranti celati dalle palpebre chiuse, i capelli lisci e sottili sparsi scompostamente sulla stoffa del futon e sulla sua fronte, il petto nudo che si sollevava impercettibilmente, costantemente al ritmo del suo respiro...
Provando una sorta di riconoscenza e qualcosa di molto simile all’affetto, Rin piegò accuratamente la casacca del kimono che lui le aveva prestato, e la appoggiò delicatamente in un angolo, dove avrebbe potuto vederla appena si fosse svegliato. Era più caldo, adesso, poichè il sole si era già affacciato in quel brandello turchese di cielo che si scorgeva chiaro e luminoso attraverso le imposte semichiuse.
Con passi leggeri ma sicuri, la ragazza scivolò fuori dalla stanza del Capitano. Si guardò attorno, circospetta, facendo capolino dalla soglia, ma fortunatamente tutti dormivano ancora: se qualcuno l’avesse vista aggirarsi per l’edificio a quell’ora e seminuda, certamente sarebbe stato difficile evitare i pettegolezzi l’indomani.
Doveva andare, il tempo era poco e la distanza da coprire tanta. Avrebbe indossato il suo shihakusho, e impugnato la zanpakuto: se avesse vinto, lo avrebbe fatto secondo le regole della Seireitei. Se fosse morta, sarebbe stato con onore.
”E’ tornato nel luogo dove ci siamo scontrati la prima volta... Che sfrontato! Mi sta invitando ad andare a cercarlo!” constatò la ragazza, reprimendo un moto di rabbia, mentre inseguiva quell’Energia Spirituale che lei sola poteva sentire.
Ancora, quel richiamo silenzioso era dedicato esclusivamente alla piccola shinigami con cui il Menos aveva un conto in sospeso. Era lei che voleva, lei che avrebbe ucciso. Inaspettatamente, Rin si scoprì a domandarsi il perchè.
”Sta cercando me... un tale spirito vendicativo, una simile ostinazione... mi chiedo come sia possibile che io sola possa percepire questo Reiatsu. Eppure... se Kurotsuchi Taichou fosse in grado di sentirlo, sono certa che mi avrebbe impedito di andare, nonostante tutto ciò che ha detto ieri sera.”
Ieri sera.
Con una fitta di dolore al petto, Rin sentì i ricordi della giornata precedente riaffiorare dalla sua memoria vividi e reali come se li avesse da poco vissuti. Le labbra di Mayuri sulle sue, i suoi occhi dorati, il contatto del futon contro la schiena mentre, in silenzio, si scambiavano ciò che di più simile all’amore erano in grado di generare...
Era proprio necessario rischiare la vita in un momento simile? Era inevitabile abbandonare tutto nell’istante in cui aveva ottenuto ciò che più desiderava, e allontanarsi da Kurotsuchi-san proprio adesso che lo sentiva così vicino?
”E fuggiresti di fronte al dovere? Getteresti al vento l’orgoglio per qualcosa che, forse, non si può neppure chiamare affetto?”
Rin chiuse gli occhi, lasciando che la risposta giungesse, dolorosamente, da sola. Lo avrebbe fatto, soltanto un paio di anni prima.
”Adesso è cambiato tutto. Non posso lasciare che sia qualcun altro a risolvere i miei problemi, quindi cercherò quel mostro prima che sia lui a venire da me.”
Intanto che si perdeva nelle proprie riflessioni Rin aveva raggiunto, silenziosa, il limitare della radura dove aveva la prima volta incontrato l’oscura presenza dell’Hollow che la braccava.
- Guardami, ti sto cercando! Non sono più la tua preda, Menos, sono venuta qui per mia volontà e per mia volontà combatterò contro di te!
Un rumore sordo, repentino, esplose dagli alberi alle sue spalle. Senza che alla shinigami fosse dato il tempo di riflettere, un’imponente figura fatta di ombre si avventò su di lei, feroce, lesta, armata di tutto il rancore che la stessa oscura presenza aveva nutrito e alimentato nel tempo.
HAR! HAR! HAR!
Il latrato, che voleva forse essere una risata di scherno, risuonò nelle orecchie della ragazza mentre saltava all’indietro per schivare il primo, poderoso attacco nemico. Non c’era tempo per fermarsi a pensare, nè per sferrare un’offensiva soddisfacente. Tutto ciò che poteva essere fatto, per ora, era semplicemente evitare di essere ferita.
- E’ il mio secondo combattimento con questa specie di orso gigante... dovrei avere imparato qualcosa dal primo scontro, ma perchè allora tutto mi sembra così confuso?
Il ghigno beffardo e zannuto dipinto sull’enorme maschera d’osso baluginò a qualche centimetro dal volto della ragazza, mentre l’Hollow tentava di chiudere le fauci scattanti sull’esile corpo protetto solo dal sottile shihakusho di stoffa nera.
Sono ancora troppo inesperta, dannazione! Debole per le ferite, e ancor più debole se paragonata a lui!
Rin strinse i denti, scartò di lato, mosse rapidamente la mano in direzione del nastro rosso che portava legato ai capelli. Con un gesto convulso, sciolse il soffice nodo dalle ciocche argentate.
- TINTINNA, KOUMARU!
Un lampo di luce, poi un suono, forse un lamento o un grido; la ragazza non avrebbe saputo dirlo. Nel pugno chiuso, l’elsa lucente di una spada dalla lama a doppio taglio. Stupito, interdetto, diffidente, alla sua vista l’Hollow strisciò silenzioso di un passo o due più indietro.
Adesso tocca a me, brutto bestione! - sogghignò la Shinigami, soppesando la propria zanpakuto con la mano sinistra per saggiarne la presa. Qualunque cosa fosse accaduta poi, gliel’avrebbe fatta pagare.
Un grido, simile ad una risata o al ringhiare profondo di una qualche creatura ancestrale.
Sentendosi pervadere da un timore inconsapevole, come non credeva essere in grado di provarne, il Capitano della dodicesima Divisione raggiunse, ansante, l’ampia e segreta radura nel bosco ai confini della Seireitei. Nel raggio di qualche decina di metri, gli alberi e il sottobosco erano stati spezzati e pendevano stanchi, bruciacchiati e anneriti come se vi fosse appena precipitata una pioggia di lapilli incandescenti.
- Ma che diavolo...? - mormorò tra se e se Kurotsuchi, portando istintivamente la mano destra all’elsa della zanpakuto legata alla cintura. Sapeva di starsi recando sul luogo di una battaglia; tuttavia, non avrebbe mai pensato di potersi trovare di fronte ad un simile, desolante spettacolo.
Lo sprigionarsi di una potente e ben nota fonte di Energia Spirituale, qualche miglio più a est dal luogo in cui si trovava, aveva rivelato con chiarezza a Mayuri che Rin Hisegawa aveva liberato il proprio shikai. Senza un minuto di esitazione, maledicendo mentalmente la testardaggine del suo giovane vice-Capitano, lo Shinigami si era precipitato sul luogo dello scontro nella speranza di giungere in tempo per fare qualcosa.
Era strano, adesso, eppure così reale, il paesaggio devastato che la lotta tra l’Hollow e la ragazza aveva generato. Colei che, poche ore prima, aveva dormito al suo fianco con indosso la casacca del suo kimono come unica coperta, adesso era in piedi, sanguinante, sola, dove lui non avrebbe potuto raggiungerla.
- Questa non è la stessa evocazione che hai mostrato al Consiglio dei 46, ragazzina. Sai perfettamente che richiamare il bankai è qualcosa che va ben oltre le tue attuali capacità...
... Bankai.
E’ necessaria una fonte di reiatsu immensa per poter evocare ed utilizzare una simile tecnica. Generalmente, soltanto i Capitani sono in grado di sfruttarla, e spesso anche un Capitano ha difficoltà a mantenere la zanpakuto in quella forma troppo a lungo.
Rin Hisegawa aveva superato se stessa, i propri limiti, la propria resistenza. Un ampio kekkai di solida Energia spirituale circondava, come una cupola impenetrabile, il luogo dello scontro. A mantenere salda questa resistente barriera, una bandiera scarlatta dall’asta sottile troneggiava al centro dello spiazzo che un tempo era stato erboso, piantata dalla stessa Shinigami nel terreno coperto di cenere.
Una robusta catena, lunga quanto il raggio della semisfera che costituiva la parete del kekkai, terminava in un corto pugnale dalla lama aguzza e sottile. Rin Hisegawa stringeva in pugno quella debole arma, coperta di polvere e sangue da capo a piedi, fronteggiando il crudele nemico che, ferito e furente, troneggiava di fronte a lei con tutta la sua collera primitiva.
- Sciogli il bankai, sciocca ragazzina, o finirai ammazzata! - gridò rabbiosamente Kurotsuchi, avventandosi contro l’invisibile ma resistente parete di Reiatsu. Non c’era niente da fare. Se non fosse stata la proprietaria di Koumaru a decidere di richiamare la zanpakuto, soltanto la sua morte avrebbe potuto annullare la barriera di Energia che li separava.
- Maledizione! - imprecò il Capitano, stringendo i pugni fino a cacciarsi le unghie nei palmi delle mani.
- Non richiamerò Koumaru, Capitano. Questa è la mia battaglia, non la tua, - replicò la giovane Shinigami, senza neppure voltarsi, serrando le dita insanguinate attorno all’elsa del corto pugnale. Non avrebbe accettato il disonore di dichiararsi sconfitta. Non avrebbe permesso a Kurotsuchi di uccidere il suo nemico, facendola apparire una inutile ragazzina bisognosa di protezione.
Con le ultime forze rimaste, la giovane balzò in avanti, verso il muso ghignante dell’Hollow che incombeva molti metri sopra di lei. Il suo braccio sinistro, quello che lo stesso Mayuri una volta aveva già medicato, era ridotto nella stessa condizione di quando la ventunenne Hisegawa si era presentata nel laboratorio in cerca delle sue cure.
Stavolta, non sarebbe stato necessario.
”Per lei era troppo tardi anche prima che arrivassi.”
Il gelo provocato da una simile consapevolezza parve colmare l’aria circostante, soffocandolo, rendendo ogni cosa più buia e silenziosa di come fosse davvero. Nonostante si muovesse ancora, nonostante saltasse, schivasse, colpisse e tentasse in ogni modo di mantenersi ancora in vita, il vice-Capitano della dodicesima Divisione aveva ormai oltrepassato quella linea sottile che distingue il “possibile” dall’”impossibile”.
Lei stava morendo guardando in faccia il nemico. Finché avesse avuto fiato, avrebbe combattuto per se stessa, per ciò che era stata, per la consapevolezza di non aver del tutto perso la battaglia.
Un lampo, un ringhiare sommesso, neppure un grido dalle pallide labbra della Shinigami.
”Avrebbe meritato una vita migliore, quella ragazzina,” si ritrovò a considerare Kurotsuchi, osservando l’esile figura stesa sul suolo polveroso, che stavolta non si sarebbe rialzata.
Con un leggero crepitio sommesso, il kekkai si dissolse nel nulla assieme a ciò che restava di Koumaru. Tornato finalmente in libertà, il gigantesco e macabro Hollow ferito emise un potente grido di vittoria, più simile ad un lamento feroce, prima di balzare lontano in cerca del passaggio che gli avrebbe permesso di fare ritorno nel Hueco Mundo.
Con un’espressione di muto dolore nelle iridi ambrate, Kurotsuchi osservò la possente figura allontanarsi nel folto degli alberi. Non l’avrebbe inseguito, stavolta sentiva che la sua morte non sarebbe servita a farlo stare meglio. La vendetta non gli avrebbe potuto portare sollievo, non gli avrebbe restituito ciò che, per freddezza o per pura inesperienza, non era alla fine riuscito ad ottenere davvero.
Non si sentiva triste: Rin Hisegawa aveva finalmente raggiunto ciò che da tempo andava cercando. Un motivo per rimanere in vita, un motivo per lottare, un motivo per cui morire rinunciando alla stessa esistenza con un sorriso. Aveva trovato qualcosa per cui valesse la pena di essere forte, delle persone da amare, un luogo da difendere. Dalle macerie del proprio passato, aveva pazientemente riempito tutti gli spazi vuoti che si erano creati nel suo cuore, ricostruendosi un equilibrio mentale che le permettesse di andare avanti.
Kurotsuchi era pazzo, era insensibile e spregiudicato, e lo sapeva. L’aveva raccolta come un gatto per strada, l’aveva coinvolta nelle proprie follie, l’aveva costretta, con l’inganno o con la persuasione, a prendere parte al suo insano modo di esistere.
Dapprima lei si era ribellata, aveva tentato di scorgere, attraverso la maschera, il suo lato più umano, un aspetto di sè che il Capitano della dodicesima Divisione non avrebbe mai voluto mostrare. Credeva di averla perduta.
Poi, però con suo grande stupore, aveva visto la giovane shinigami tornare un passo indietro, accettare i suoi lunghi silenzi, impegnarsi anima e corpo nel suo lavoro di laboratorio e cercare, attraverso una strada nuova, il passaggio che le avrebbe permesso di varcare finalmente quel muro.
Lentamente, Kurotsuchi raggiunse il corpo senza vita del suo vice-Capitano, adagiato a terra su un fianco come se stesse dormendo. Con delicatezza, raccolse quella pallida e immobile figura: era strano, non la ricordava così piccola e minuta.
Un rivolo di sangue scarlatto scivolava, silenzioso e costante, dalle ampie ferite sul braccio di Rin fino alla punta delle sue dita. Con un ticchettio regolare e costante, le gocce cadevano a terra confondendosi con la cenere e l’erba secca, ancora, e ancora, e ancora.
Il sole splendeva, alto e beffardo, lassù in alto nel cielo privo di nubi. Da qualche parte, lontano, la vita riprendeva a scorrere nel mondo, frenetica, ignara.
Con la collera e l’ira repressa dipinte nello sguardo dorato sotto la fredda maschera scura, Kurotsuchi attraversò la Seireitei noncurante delle occhiate stupite dei pochi mattinieri che si erano già svegliati. Cosa gli era mai importato, infondo, dell’altrui opinione? E adesso, perchè mai avrebbe dovuto interessargli?
Per quanto lo riguardava, nessun essere vivente sulla faccia della terra avrebbe mai più potuto meritare la sua attenzione. Tutto era muto, stupido, inutile, cieco; nessuno sarebbe riuscito neppure a vedere la cima del muro che lo separava dal resto del mondo, figuriamoci a raggiungerla e superarla!
Rin Hisegawa, invece, lei quel muro l’aveva già varcato.

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Capitolo 14
*** XIV. chapter fourteen; ***


Attraversò la Seireitei in silenzio, senza mai voltarsi indietro, col suo solito passo deciso e la schiena ben dritta, restituendo con risoluta freddezza le lunghe occhiate che i rari passanti gli dedicavano.
La maschera demoniaca dai lineamenti sogghignanti non bastava a nascondere il folle, istintivo furore che baluginava, a tratti, nelle iridi dorate. Le pallide braccia coperte di cicatrici stringevano, quasi a volerla nascondere al resto del mondo, l’esanime e sanguinante figura dai tratti così familiari...
Entrò nei laboratori della Sezione Scientifica, in perfetto silenzio, lanciando gelide occhiate distanti all’immobile realtà che adesso lo circondava. Vedeva più oscura ogni cosa, nella fulgida luce del giorno beffardo che, crudelmente, le aveva strappato in un attimo l’unica persona a cui tenesse davvero.
Oltrepassò in pochi e rapidi passi il cantuccio nascosto in cui stavo accucciata, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi per paura di scorgere, ancor prima del ghigno infernale che nascondeva il reale dolore del suo volto, la piccola mano insanguinata che spuntava, priva di vita, tra le pieghe dello shihakusho a brandelli che lui sorreggeva.
Un unico movimento, un ampio e nervoso gesto della mano nella mia direzione: mi caddero in grembo, un po’ sporchi e strappati, la fascia del vice-Capitano e il drappo di stoffa scarlatta che lei era solita portare legato ai capelli, dietro all’orecchio destro.
Fu in questo modo che divenni luogotenente della dodicesima Divisione: senza una cerimonia, nè festeggiamenti, nè lodi. Col cuore pesante ed oppresso dal pianto e dalla disperazione, con la certezza di avere perduto per sempre la mia alleata, la mia amica, mia madre.
Stringendo tra le dita la stoffa leggera col simbolo del cardo inciso sulla piastra di legno, serrai le labbra fino quasi a farle sanguinare, per impedirmi di scoppiare in lacrime di fronte al mio Capitano.
Non avrebbe tollerato una simile debolezza. Aveva sempre detestato la mia sola esistenza, e per ogni giorno trascorso nel mondo da quando ero nata fino a quell’evento era soltanto lei che dovevo ringraziare. E adesso, ne ero certa, colui che per la scienza e la tecnica era stato mio padre, mi aveva lasciato in vita solo per rispetto del ricordo che conservava in sè di quella persona.
Ero io, ad esserle stata più vicina negli ultimi tempi. Io avevo assorbito i suoi insegnamenti, avevo imparato il suo modo di combattere, avevo ascoltato le sue storie. Io ero il salice che lei aveva piantato, e nonostante la tempesta non mi sarei mai spezzata, perchè sapevo piegarmi sotto il peso del dolore e portare in silenzio il mio fardello, fino quasi a farlo sembrare più leggero.
Lui era la quercia, e nonostante i suoi modi prepotenti e determinati potessero a volte farmi del male, era il suo animo stavolta ad essere stato davvero colpito dall’accaduto. Io non potevo far niente per lui, eravamo due mondi distanti. Rimasi in silenzio, come sempre, in attesa, sapendo che se mai mi fosse successo di deludere ancora qualcuno, stavolta non ci sarebbe stata una ragazza dai capelli argentei e il sorriso gentile a risollevarmi e prendermi per la mano.

Seppellimmo Rin Hisegawa con una semplice cerimonia silenziosa, io e gli altri ragazzi della dodicesima Divisione, senza che nessuno, o quasi, giungesse dalle altre Squadre del Gotei a portare le sue condoglianze.
Soltanto un giovane dai capelli corvini, uno shinigami della terza Divisione di nome Felio Sanada, mi raggiunse un giorno nei pressi della tomba per esprimere il proprio dispiacere. Brevemente, raccontò la sua storia.
Aveva conosciuto Rin all’Accademia per shinigami, molti anni prima, quando erano poco più che bambini. Erano diventati subito grandi amici, e lui ricordava quei giorni col sorriso, come se parlandone li stesse rivivendo, nella mente, uno ad uno.
Si era innamorato di lei, credo, anche se non me lo disse chiaramente. Era triste, nel guardare la misera croce di pallido legno leggero, e forse anche lui come me si chiedeva se Rin fosse davvero andata, come dicevano, in un luogo migliore.
E io, intanto, avevo preso la mia decisione.
- Vorrei che questa la tenessi tu, - gli dissi semplicemente, al momento del congedo, porgendogli la fascia di stoffa scarlatta che avevo accuratamente conservato dal giorno in cui il Capitano me l’aveva affidata.
Lui mi lanciò un’occhiata stupita, esitante: non capiva.
- Sono sicura che lei avrebbe voluto parlarti un’ultima volta, e salutarti come si deve. - spiegai, in uno dei miei rari momenti di loquacità.
Quel ragazzo dagli occhi color smeraldo, un po’ imbarazzato nell’accettare l’oggetto che gli porgevo, risvegliava in me una sensazione che sulle prime mi fu impossibile decifrare. Il suo modo di manifestare il dolore, con controllata ma disarmante spontaneità, era così diverso dalla fredda collera cieca che Kutotsuchi-sama si ostinava a mostrare!
Sanada-sama, senza timore di apparire “troppo umano”, esprimeva il cordoglio con i gesti e le parole di chi ha perso una persona a lui cara. Mio padre, pur avendo provato per Rin un sentimento che era il più simile all’amore, non riusciva a far altro che mostrare il proprio dolore attraverso l’ira, l’odio, la rabbia.
Da giorni, ormai, nessuno lo vedeva più aggirarsi per la Sezione Scientifica come un tempo era solito fare. Se ne stava rinchiuso da solo, nel suo silenzioso laboratorio sotterraneo, senza uscire neppure per consumare i pasti o dormire nella propria stanza. Non voleva incontrare nessuno, e nessuno avrebbe voluto vederlo: sebbene non riuscissero a condividere la sua visione delle cose, tutti avevano capito che sarebbe stato meglio lasciare che il Capitano elaborasse il proprio lutto nella maniera che riteneva più opportuna.

Trascorsero le settimane, e finalmente Kurotsuchi-san riemerse dall’oscurità del suo laboratorio. Era magro, e ancora più pallido di quanto già non fosse; molto più silenzioso, i suoi occhi da dietro la maschera fissavano il mondo con una freddezza che nessuno aveva mai visto.
Una spessa sciarpa di stoffa pesante copriva interamente il suo collo, nascondendo alla vista la pelle che la scollatura dello shihakusho avrebbe altrimenti lasciato scoperta. Era strano, più strano del solito, e compiva i propri esperimenti con uno zelo ed un accanimento che avevano qualcosa di insano e febbrile.
Quando mi resi conto di ciò che aveva fatto, fu quel giorno che mio padre iniziò a farmi davvero paura.
Credeva che non lo vedessi, forse, o forse aveva deciso che non gli importava. Se qualcuno delle altre Divisioni avesse anche solo immaginato ciò che io con questi occhi ho visto, adesso Kurotsuchi certamente non sarebbe più Capitano.
Sulla pelle cinerea del torace e della schiena si aprivano una serie di lunghe e profonde incisioni, ricucite piuttosto maldestramente per mezzo di spessi punti da sutura. Non c’era bisogno di chiedere spiegazioni per comprendere il motivo di simili ferite: Kurotsuchi Mayuri era tornato ad essere la cavia di se stesso.
In cerca di un motivo per poter dimenticare, gettandosi nel lavoro nella speranza di sfuggire dal resto del mondo, una volta esaurito il materiale su cui compiere i propri esperimenti il Capitano non si era fermato. Aveva sperimentato sul proprio corpo, considerandosi alla stregua di un cadavere: infondo cos’è, una creatura priva di una ragione e uno scopo, se non un cadavere che ancora cammina?
Mi avvicinai, desolata, a quell’uomo che nonostante tutto consideravo mio padre. Non avrei saputo cosa dirgli, nè che fare, e se lui si fosse voltato forse sarei semplicemente scoppiata a piangere.
Ma lui non lo fece, non mi guardò neppure.
Rimase immobile, ignorandomi, il volto coperto dalla maschera che fissava un punto lontano fuori dalla finestra, in direzione della piccola croce di legno, sulla collina. Non gli importava di me, non gliene sarebbe mai importato.
Lo sapevo, lo avevo sempre saputo, era semplicemente il nostro modo di esistere l’uno per l’altro, il nostro equilibrio particolare. Eppure quel giorno, per la prima volta, mi posi la domanda che ancora oggi continua a tormentare le mie ore: con quale diritto, o con che orgoglio, posso vantare il privilegio di essere tuttora al suo fianco...?
Per quale motivo sono io, Nemu Kurotsuchi, ad essere rimasta ancora in vita...?

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