The Bleeding Saga - 2 - Funeral for a Friend di Rin Hisegawa (/viewuser.php?uid=46208)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. chapter one; ***
Capitolo 2: *** II. chapter two; ***
Capitolo 3: *** III. chapter three; ***
Capitolo 4: *** IV. chapter four; ***
Capitolo 5: *** V. chapter five; ***
Capitolo 6: *** VI. chapter six; ***
Capitolo 7: *** VII. chapter seven; ***
Capitolo 8: *** VIII. chapter eight; ***
Capitolo 9: *** IX. chapter nine; ***
Capitolo 10: *** X. chapter ten; ***
Capitolo 11: *** XI. chapter eleven; ***
Capitolo 12: *** XII. chapter twelve; ***
Capitolo 13: *** XIII. chapter thirteen; ***
Capitolo 14: *** XIV. chapter fourteen; ***
Capitolo 1 *** I. chapter one; ***
Capitolo #1;
Il sole era appena sorto nel cielo, e riversava una pallida luce
argentata attraverso la tenda leggera. La stanza, in quella penombra
calda, sembrava molto più accogliente di quanto non fosse in
realtà. Il pavimento di legno era coperto di fogli di carta
appallottolati, provette, alcune delle quali gocciolavano liquidi di
colori improbabili, e quelli che sembravano pezzi di metallo. Alle
pareti, sugli alti scaffali, una vasta gamma di strumenti tra cui
ancora provette, bisturi, beute, un fornello elettrico e altri oggetti
di forma insolita. In questa accozzaglia di materiale, spiccavano una
cinquantina di contenitori tappati, di varie forme e dimensioni, che
contenevano frattaglie non meglio identificabili immerse nella
formaldeide.
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile
a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla
porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami,
nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto
da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile
sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante.
Quando il campanellino sulla porta principale tintinnò,
rivelando l’arrivo di un visitatore, l’uomo
afferrò uno straccio che teneva sul tavolo, e prese ad
asciugarsi le mani. Lo straccio si tinse di rosso, e l’uomo
lo gettò di nuovo sulla superficie metallica con noncuranza,
mentre nel corridoio che conduceva al laboratorio iniziava a farsi
più chiaro un rumore di passi leggeri. Il visitatore
sbatté appena le nocche sul legno della porta, per avvertire
della sua presenza.
- E’ permesso? - chiese.
Era la voce di una ragazza, e non poteva avere più di
vent'anni. L’uomo non rispose. Sempre dandole le spalle, si
avvicinò ad un lavandino piuttosto in ombra rispetto al
resto della stanza, e prese a lavare gli strumenti che aveva appena
usato.
- Mi hanno detto che lei è il maggior esperto di anatomia
qui - continuò la ragazza - quindi mi chiedevo se
può fare qualcosa per questo...
L’uomo si voltò appena, lanciandole
un’occhiata di sbieco. Era una ragazza esile, non molto alta,
con i capelli quasi argentati tagliati corti. La frangia, tinta di
viola pallido, le copriva interamente la metà sinistra del
volto. Indossava il kimono delle allieve dell’accademia per
shinigami, ma la manica sinistra era strappata e rivelava un braccio
sottile e coperto di sangue, percorso per lungo da una profonda ferita
ancora aperta. Era molto pallida, ma l’espressione del viso
era rilassata, come se non stesse provando dolore.
- Non sono un medico. Il mio lavoro non consiste nel curare le ferite -
rispose l’uomo con voce tagliente.
- Ah - disse lei semplicemente, con voce piatta - Allora, sembra che
dovrò dire addio al mio braccio, eh?
Lui si voltò di nuovo, sorpreso. Quella conversazione stava
prendendo una piega decisamente surreale: sembrava che alla ragazza non
importasse effettivamente nulla di essere curata. Il tono leggero con
cui aveva pronunciato quelle parole, però, gli aveva fatto
venire in mente un suo vecchio progetto.
- Aspetta! - replicò, perchè lei si era
già allontanata per uscire.
La ragazza si voltò immediatamente; l’uomo fece
altrettanto, fissandola da lontano, con il volto, o per meglio dire la
maschera, ancora in ombra. Poteva percepire la curiosità di
lei nell’aria. Non trepidazione, o speranza. Solo semplice
curiosità.
“Ha l’espressione di una che non ha niente da
perdere.” pensò “Proprio quello che fa
al caso mio.”
- Mi serve un assistente. Curerò il tuo braccio, a patto che
tu accetti di rimanere qui e lavorare per me.
Lei inclinò la testa da un lato, le sopracciglia aggrottate,
vagamente sospettosa. Poi sorrise.
- Ok. - disse, semplicemente.
L’uomo fece un passo avanti, uscendo dal cono
d’ombra.
- Kurotsuchi Mayuri - si presentò.
La ragazza ebbe un sussulto fissando la maschera che gli copriva il
volto, attraverso cui due occhi ambrati la osservavano con
solennità. Lui si accorse della reazione e chiese, con un
leggero tono di sfida:
- Qualcosa non va?
- Niente affatto! - rispose lei, velocemente – Io sono Rin.
Kurotsuchi la osservò per un attimo, ma decise di non
domandarle il cognome. Non aveva bisogno di sapere altro, in effetti;
per lui Rin non era niente più del lavoro che avrebbe potuto
svolgere nel laboratorio.
- Bene. Siediti lì. Dovrò farti
un’anestesia totale, sarà un’operazione
piuttosto lunga. - disse Kurotsuchi, indicando con un cenno della testa
il tavolo al centro della stanza.
- Ok. - ripeté lei.
Sedette dove le era stato detto e, tenendo in grembo il braccio
sanguinante, prese ad osservare l’uomo che preparava gli
strumenti dell’operazione. Tranne quei freddi occhi color
ambra, più inquietanti della maschera che celava il resto
del viso, le mani erano l’unico dettaglio che rivelasse che
si trattava veramente di un essere umano.
Erano mani pallide, quasi bianche, e le unghie erano tinte di nero.
Tuttavia, quando Kurotsuchi si avvicinò per praticarle
l’iniezione di anestetico, Rin si rese conto che non erano
gelide come si aspettava. Con sua grande sorpresa, la scoperta la
tranquillizzò, e si sentì un po’
più fiduciosa, un attimo prima di cadere nel sonno profondo
causato dall’anestesia.
Quando si svegliò, Rin si rese conto di essere stata
adagiata su un futon. Il sole era ormai alto nel cielo, ma filtrava
appena attraverso le tende chiuse disegnando linee prive di senso sulla
semplice coperta blu.
La ragazza si guardò attorno: la stanza era molto sobria,
col pavimento in legno e una grande porta finestra, che probabilmente
dava sul retro della casa. Sulla parete alle sue spalle c’era
un armadio a muro, mentre nell’angolo di fronte a lei un
tavolo e una sedia, entrambi di legno, si scorgevano indistintamente
nella penombra densa e calda che pervadeva l’ambiente.
Il braccio sinistro le faceva male. Rin tentò di muoverlo,
ma una fitta di dolore la costrinse a cambiare idea. Dal polso alla
spalla, fitte bende macchiate di rosso coprivano la ferita.
Appoggiandosi al gomito sano, la ragazza riuscì a mettersi a
sedere. In quel momento, il campanellino sulla porta principale
tintinnò.
Kurotsuchi comparve sulla porta, tenendo in mano un bicchiere pieno di
un liquido azzurro intenso.
- Non toccare la fasciatura per nessun motivo - disse.
Rin avrebbe avuto un sacco di domande da rivolgergli, ma rimase in
silenzio, fissando la mano di lui che stringeva il bicchiere,
l’unica cosa di quell’uomo che non le incutesse
timore.
- Bevi questo.
- Che cos’è? - chiese Rin sospettosa.
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata tagliente.
- Non è veleno, se è questo che vuoi sapere. Non
è nel mio interesse ucciderti.
La ragazza bevve diligentemente il liquido azzurro. Era amaro, e le
dette una sensazione di torpore che le rendeva difficile persino
rimanere seduta. Sentiva il volto in fiamme, e la stanza sembrava
ruotare attorno a lei. Istintivamente tentò di coprirsi gli
occhi con le mani, ma una nuova, lancinante fitta di dolore al braccio
ferito la fece sussultare.
Poi sentì che due mani forti la sorreggevano e la aiutavano
a stendersi di nuovo. Kurotsuchi le stava dicendo qualcosa, ma non era
in grado di capire. Tutto, intorno a lei, stava diventando buio.
L’uomo sedette in un angolo della stanza, gli occhi fissi
sulla figura stesa sul futon. Non aveva nessuna voglia di tornare al
laboratorio. Grovigli di pensieri gli attraversavano la mente, gli
sarebbe stato impossibile rimettersi a lavoro anche se avesse voluto.
Quando quella ragazza era entrata nei quartieri della
dodicesima Divisione aveva visto in lei l’occasione che
aspettava de mesi: era una persona del tutto priva di interesse per la
propria vita, e quello sguardo scevro di paura o timidezza rivelava
chiaramente che non aveva niente da perdere.
Le aveva detto che sarebbe stata la sua assistente, ma lei non poteva
sapere che il lavoro che Kurotsuchi svolgeva ormai da tredici anni
spesso necessitava di qualcuno su cui provare gli esperimenti. E che,
in mancanza d’altro, questi esperimenti lui li compiva su se
stesso.
È per questo motivo, pensò l’uomo
sogghignando amaramente fra sé, che nessuno aveva mai
accettato prima l’incarico che Rin, con tanta
ingenuità, aveva accolto con il sorriso sulle labbra. Non si
trattava solo di essere lo scienziato, ma anche la cavia.
La ragazza si mosse nel sonno. La medicina che le aveva somministrato
era molto potente, abbastanza forte da farla dormire per dodici ore,
considerato il suo fisico esile. Tuttavia, Kurotsuchi alzò
la testa, sospettoso. Non poteva permettersi di fare errori.
Un’occasione del genere forse non gli sarebbe più
capitata.
Invece, Rin dormiva tranquilla, con un’espressione rilassata
e indifesa dipinta involto. Fissandola, l’uomo
provò un moto di rabbia verso di lei. Come poteva essere
così rilassata, in casa di uno sconosciuto e senza nemmeno
la zanpakuto con sé? Kurotsuchi si alzò di
scatto, e uscì a grandi passi dalla stanza, diretto verso il
laboratorio.
Se avesse cominciato subito, forse sarebbe riuscito a combinare
qualcosa di buono prima del calar del sole.
Lo shinigami dai capelli biondi stava dritto di fronte a lei, brandendo
la zanpakuto con fare minaccioso. Rin non riusciva a muoversi. Aveva
già perso molto sangue e l’attacco che il suo
avversario le aveva lanciato le impediva di fare qualunque movimento.
Poi, un lampo di luce argentata. Di chi era la voce che stava urlando?
Rin si svegliò con un grido. La ferita le faceva un male
terribile.
- Stai ferma.
Qualcuno era inginocchiato accanto a lei nel buio, e armeggiava con le
bende attorno al suo braccio. Lentamente, i ricordi degli ultimi cinque
giorni tornarono alla luce nella mente della ragazza: il duello, il
lungo cammino per raggiungere il laboratorio di Kurotsuchi e poi
l’operazione. Il resto del tempo lo aveva trascorso in uno
stato di dormiveglia febbricitante, interrotto ogni tanto solo per
assumere qualche farmaco.
- Devo toglierti le bende.
Lei non rispose. Se ne rimase immobile, raggomitolata nella coperta,
osservando l’uomo sciogliere con delicatezza la fasciatura
che le stringeva il braccio. Le mani di lui si muovevano rapide ed
esperte, e le bende a poco a poco si srotolavano ammucchiandosi sul
pavimento.
C’era qualcosa di rassicurante nei suoi gesti lenti e
calcolati, e Rin si ritrovò a pensare che alla fine forse
non era caduta nella trappola di un pazzo.
- Ho ricostruito la maggior parte dei muscoli senza troppi problemi, ma
alcuni nervi e le articolazioni erano compromesse. - disse Kurotsuchi
con tono grave. - E’ stato necessario creare dei sostegni
esterni perchè tu potessi muovere di nuovo il braccio.
Rin lanciò un’occhiata alla ferita. Una lunga fila
di ordinati punti di sutura era interrotta all’altezza del
gomito, del polso e della spalla da quello che sembrava un rudimentale
esoscheletro di metallo. I punti in cui questa struttura si
interrompeva erano stati attentamente fasciati con lacci di cuoio, ma
nel muoversi Rin si rese conto che questa specie di armatura era
saldata ai resti delle sue articolazioni.
Fissò Kurotsuchi, un po’ perplessa.
- Il metallo è...?
- Non c’era altra soluzione. - tagliò corto lui,
cogliendo il suo sguardo. - Dal punto di vista pratico, in
realtà, un arto meccanico è notevolmente
superiore a uno normale: puoi ritenerlo un ottimo scambio. Tuttavia,
questi metodi di cura sono considerati poco ortodossi
dall’opinione comune, perciò quando sei in
pubblico fai in modo di coprire la ferita.
Rin non rispose. Se il braccio meccanico si fosse rivelato veramente
migliore di un braccio normale, ottimo. Se invece fosse stato peggiore,
beh, infondo un mero surrogato era pur sempre meglio che niente.
Kurotsuchi raccolse le bende da terra e si allontanò dalla
stanza, senza aggiungere altro. Il sole aveva cominciato a spuntare a
est, promettendo un’altra soffocante giornata estiva, ma a
lui non importava. Nel laboratorio, raccolse dal tavolo tutti gli
strumenti che aveva utilizzato per medicare la ferita di Rin e li
gettò via. Non poteva permettersi di lasciare in giro le
tracce di un simile intervento.
Rimase nel laboratorio gran parte della mattinata, cercando di
concentrarsi su un esperimento che portava avanti oziosamente da un
paio di mesi, e intanto rimuginando tra sé riguardo agli
eventi accaduti di recente. Non si era mai interessato apertamente alle
faccende della Soul Society che non lo riguardassero direttamente, ma
da qualche settimana erano giunte alle sue orecchie voci secondo cui
Urahara Kisuke, il Capitano della dodicesima Divisione, era stato
accusato di aver creato qualcosa che andava oltre la semplice
illegalità. Se Urahara fosse stato condannato, Kurotsuchi
avrebbe sicuramente ottenuto il suo posto in qualità di
attuale Vice-Capitano.
Naturalmente, anche Kurotsuchi aveva i suoi scheletri
nell’armadio. Per questo motivo, aveva deciso di restarsene
in silenzio e aspettare finché il Consiglio non avesse preso
una decisione. Non poteva certo permettersi di perdere la promozione a
Capitano a causa di una semplice negligenza.
Questa situazione lo rendeva nervoso.
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Capitolo 2 *** II. chapter two; ***
Verso le tre del
pomeriggio Kurotsuchi sentì bussare alla porta del
laboratorio.
- Che cosa vuoi? - chiese, infastidito.
Anche se non era stata invitata ad entrare, Rin fece capolino nella
stanza. Nonostante la lunga convalescenza sembrava in ottima forma, e
sorrideva soddisfatta in direzione di Kurotsuchi. Assieme ai pantaloni
della divisa da shinigami indossava una maglietta senza maniche bianca,
al posto della casacca. Con i resti di quest’ultima, aveva
ricavato quello che sembrava un lungo guanto che le copriva tutto il
braccio ferito, fermato all’altezza del polso e della spalla
da due serie di lacci intrecciati.
Allo sguardo di disapprovazione che Kurotsuchi le restituì,
replicò con un altro sorriso divertito. L’idea di
togliersi dai piedi non l’aveva neppure sfiorata.
L’uomo si voltò di nuovo in direzione del tavolo,
ben deciso a ignorarla. Non era ancora il momento per lei di
frequentare il laboratorio, non prima di aver dimostrato almeno un
minimo di affidabilità e capacità.
Tuttavia, Rin non sembrò far caso all’atmosfera
poco ospitale con cui era stata accolta. Si sedette su un tavolino
situato sul lato sinistro della porta, e prese ad armeggiare con i vari
pezzi del fornellino elettrico smontato che vi aveva trovato sopra.
Quando lo ebbe rimontato, saltò giù dalla sua
postazione e prese ad osservare le scaffalature. Kurotsuchi non diceva
niente.
- Se vuoi che diventi la tua assistente, dovrai insegnarmi che cosa
fare, - disse infine lei con tono leggero, osservando con grande
curiosità le grottesche forme all’interno dei
barattoli.
- Quando ne avrò bisogno te lo dirò. Fino ad
allora, ti consiglio di non intrometterti.
Rin si voltò a fissare l’uomo chino sul tavolo da
lavoro, si strinse nelle spalle e riprese a camminare su e
giù per il laboratorio. Kurotsuchi le lanciò
un’occhiata di sbieco. Certamente, la ragazza non era un tipo
facilmente impressionabile. Era anche piuttosto intelligente, sebbene
l’intelligenza potesse a volte rivelarsi un’arma a
doppio taglio.
Decise di farle qualche domanda, metterla alla prova.
- Hai ucciso uno shinigami per procurarti quella divisa? - le chiese
con noncuranza.
Rin non esitò un attimo a rispondere.
- No. È mia.
Kurotsuchi le lanciò un lungo sguardo indagatore.
- A quale divisione appartieni, dunque?
- Non sono di nessuna divisione, - disse lei dopo una pausa. Il suo
tono di voce voleva suonare sicuro, ma Kurotsuchi notò che,
mentre parlava, Rin teneva gli occhi fissi a terra. – Il
giorno delle cerimonie... ho avuto un contrattempo.
Sollevando il viso si trovò faccia a faccia con
l’uomo, che le lanciò un’occhiata
impassibile. Si voltò in fretta, incapace di sostenere il
peso di quello sguardo freddo. Poi, Kurotsuchi spostò
l’attenzione sulla fasciatura.
- Capisco, - disse con voce piatta.
Si allontanò di nuovo. Rin rimase immobile, le spalle
appoggiate contro il muro, incerta sul da farsi. Doveva dirgli la
verità? Cosa avrebbe fatto se un giorno le guardie si
fossero presentate da Kurotsuchi e lo avessero accusato di nascondere
una criminale?
- Kurotsuchi-san...
L’uomo si voltò immediatamente, una provetta a
mezz’aria; Rin sentì le parole morirle in gola.
Cosa sarebbe successo se Kurotsuchi avesse deciso di consegnarla? Si
detestava.
Lei, convinta che niente ormai avesse più importanza, non
aveva il coraggio di rovinarsi la reputazione di fronte a
quell’uomo.
Aveva creduto che, una volta perdute tutte le persone a lei care,
sarebbe stata libera di non provare più paura né
vergogna e che non le sarebbe importato più di niente. E
invece, ecco che già si preoccupava di non perdere la
fiducia di un perfetto sconosciuto.
“Gli esseri umani sono veramente delle creature
disgustose.” pensò “Senza un briciolo di
autonomia, sempre alla ricerca di una spalla a cui
appoggiarsi.”
- Cosa c’è? - chiese Kurotsuchi. Non
c’era rabbia o fastidio nel tono della sua voce, solo
curiosità e un leggero accento di sorpresa,
perchè era da molto tempo che nessuno lo chiamava
più “Kurorsuchi-san”.
Rin si rese conto che non avrebbe potuto continuare. Maledicendo se
stessa e la propria debolezza si portò sulla difensiva,
assumendo quella che sperava essere un’espressione
indifferente.
- Non fa niente, scusa.
Da come lui la guardò, la ragazza capì di non
essere riuscita a ingannarlo; tuttavia, Kurotsuchi non fece altre
domande. Rin, appena poté, sgattaiolò fuori dalla
laboratorio e si chiuse nella sua stanza, dove l’uomo non
avrebbe potuto piantarle addosso gli occhi color ambra che, ormai ne
era certa, avevano il potere di cogliere con chiarezza ogni sfumatura
del suo umore.
Il laghetto era poco profondo e l’acqua trasparente come uno
specchio lasciava scorgere con chiarezza il fondale di sassi lisci e
ovali. Rin se ne stava in piedi al centro, ad occhi chiusi, i pantaloni
arrotolati fin sopra il ginocchio, lasciandosi accarezzare dalle
leggere onde che increspavano la superficie luccicante. La brezza
serale faceva mormorare le foglie degli alberi circostanti.
Lo stridio di un pipistrello uscito a caccia prematuramente
riportò la ragazza alla realtà, facendola
sussultare. Il cielo si era ormai tinto di nero a est, e il tramonto
era frammentato in un mosaico di pagliuzze dorate e malva. Era in
ritardo, e quella sera si sarebbe tenuta la festa in suo onore, per
celebrare la promozione all’accademia degli shinigami.
Rabbrividendo leggermente, uscì dall’acqua e
raccolse le proprie cose sparse sull’erba. Il vento sapeva di
pioggia ed erba appena tagliata. Rin s’incamminò
lungo il sentiero, canticchiando una canzone.
Non appena ebbe imboccato la strada che portava alla villa,
capì subito che qualcosa non andava. La sua era una delle
antiche famiglie nobili della Soul Society, e per questo disponeva di
agi e ricchezze. In genere, quando qualcuno dei padroni restava fuori
fino a tardi, il guardiano dei cancelli accendeva una fila di torce
lungo la recinzione per illuminare la strada di casa. Quella sera,
tutto era spento.
Camminando a passo sempre più spedito, Rin
attraversò i cancelli e si inoltrò nel giardino
in stile giapponese. Anche le scuderie erano buie, cosa insolita per
quell’ora. Adesso, la ragazza quasi correva. Col fiatone,
raggiunse la porta e bussò con entrambi i pugni sul legno
scuro. Si sentiva pervasa da un terrore irrazionale che le scorreva
addosso come un liquido freddo e soffocante.
- C’è nessuno?- quasi gridava.
Quando ormai cominciava a pensare di non poter più attendere
un solo istante, la porta si aprì. Sulla soglia apparve suo
fratello maggiore, Hikaru, con indosso il kimono da shinigami e una
strana espressione dipinta in volto. Cercò di sorridergli.
- Hikaru! Dove sono tutti?
Lui le restituì un sorriso enigmatico, ma i suoi occhi
rimasero privi di qualsiasi espressione. Rin si sentì
gelare, senza sapere perchè.
- Credevo che saresti tornato solo domani. Ti hanno dato un giorno di
permesso?
Hikaru era un membro della Guardia, e trascorreva gran parte del suo
tempo lontano da casa.
- Diciamo che sono venuto qui a sistemare una faccenda che avevo in
sospeso.
Si voltò, e solo allora Rin scorse delle tracce di sangue
sulle mani di lui.
- Sei ferito? Dove sono finiti tutti? Hikaru, sei strano...
c’è qualcosa che non va?
Intanto, i due avevano attraversato un lungo corridoio ed erano entrati
in una grande sala quadrata col pavimento di legno, e al centro un
tavolo basso circondato da cuscini.
- Siediti, Rin.
Lei ubbidì.
- Quello che sto per dirti ti sconvolgerà, ma non devi
interrompermi per nessun motivo. Vedrai che, quando ti avrò
spiegato tutto, capirai.
Che cosa significava? Cosa c’entrava tutto ciò con
la festa? E che fine aveva fatto la sua famiglia?
- Qualche mese fa, - proseguì Hikaru - ricevetti una lettera
da un mio collega che stava svolgendo indagini da queste parti
comunicandomi di aver avviato un’operazione di spionaggio con
l’intento di smascherare un influente, ma ovviamente
sconosciuto, contrabbandiere. Mi invitava a unirmi a lui
nell’intento e, cosa più interessante, mi offriva
la possibilità di salire immediatamente di grado nel caso in
cui l’operazione fosse andata a buon fine.
- Io accettai subito. Il bersaglio era un gruppo di persone che
acquistava Gigai per poi rivenderli a scienziati che li utilizzavano
per i loro esperimenti. Dapprima, ero convinto che i contrabbandieri
agissero per mezzo di un corriere che si spostava in queste zone, e che
la vera e propria sede distante chilometri dal luogo
dell’azione; è così che di solito vanno
le cose. Ma poi, col tempo, mi sono reso conto che in realtà
il cervello di tutta l’impresa era situato in questo posto.
Per la precisione, in questa casa.
Rin si sentì mancare il fiato. Uno strano presentimento
iniziò ad affacciarsi alla sua mente, ma tentò di
scacciarlo e si costrinse a rimanere in silenzio, e ascoltare
ciò che suo fratello aveva ancora da dirle.
- Venni così a sapere, da fonti indubbiamente attendibili,
che il contrabbandiere in questione era nientemeno che nostro padre.
Avrebbe voluto mettermi a conoscenza del fatto nel giro d’un
paio di anni, nella speranza di trarre vantaggi dall’avere un
figlio nella Guardia, pronto a difenderlo nel caso che fosse stato
scoperto.
- Tuttavia, Rin, tuo fratello non è un codardo nè
uno stolto. Non avrei mai appoggiato i suoi folli piani di potere. Ho
detto a quell’uomo che l’avrei consegnato alla
legge assieme a nostra madre, sua complice in tutta questa storia, e a
tutti i suoi seguaci, se non si fosse costituito spontaneamente: si
è rifiutato, mi ha chiamato figlio degenere e ha minacciato
di disconoscermi dicendo, in effetti a ragione, che la sua parola
valeva molto più della mia e che nessuno avrebbe mai osato
accusarlo di un crimine talmente assurdo.
Rin non credeva alle proprie orecchie. Non riusciva a capacitarsi del
fatto che la ricchezza di suo padre provenisse da un traffico illecito
di cui neppure i figli erano a conoscenza, nè tantomeno che
lui, l’uomo che li aveva cresciuti, fosse disposto a
rinunciare a loro pur di non perdere la propria posizione.
- Nostro padre, malgrado tutto, aveva ragione. - continuò
Hikaru. - Se avessi detto alla Guardia che un personaggio
così influente, per di più legato a me da un
vincolo di sangue, era il fantomatico contrabbandiere di cui tutti
tanto parlavano, mi avrebbero preso per pazzo. Ma giustizia doveva
essere fatta.
- Ho finto di dover tornare alla caserma, ma in realtà sono
rimasto per giorni in questa zona, controllando ogni vostro singolo
movimento da lontano. Ho atteso che tu uscissi. In un primo tempo
sembrava impossibile riuscire nell’impresa, la sera
c’era sempre troppa confusione in giro per la villa. Ma
stasera ce l’ho fatta: ho finto di aver ottenuto un giorno di
permesso e mi sono presentato al cancello come se niente fosse. Sapevo
che nostro padre mi avrebbe presto messo alle calcagna un suo qualche
galoppino, dovevo agire in fretta. Ho ucciso tutta la
servitù che ho incontrato sul mio cammino.
La ragazza si portò le mani alla bocca per impedirsi di
gridare. Cominciava a capire.
- Tu hai... hai ucciso...?
- Ho dovuto farlo, Rin. Il progetto a cui stavano lavorando era
qualcosa in grado di spazzar via l’intera Soul Society in un
soffio. Ho dato loro una possibilità, ma non hanno voluto
accettare le mie condizioni. Era la sola cosa da fare.
- NO!
Si svegliò di soprassalto. La stanza era ancora immersa
nell’oscurità più fitta e i rami degli
alberi si stagliavano neri contro il blu del cielo, fuori. Rin si
tirò su a sedere e si passò una mano sulla fronte
sudata. Si accorse di avere le guance umide, e si affettò ad
asciugare gli occhi con una manica.
Di nuovo quel sogno. Lo aveva fatto milioni di volte negli ultimi
giorni, tanto che a volte faticava a credere che fosse accaduto
davvero. Poi si guardava attorno nella stanza sconosciuta, si legava le
bende attorno al braccio ferito e si preparava a cominciare un altra
giornata della sua nuova vita. Il tempo che si frapponeva fra il
presente e quella fatidica notte sembrava sempre non accumularsi
abbastanza in fretta.
Sospirò. Poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Un’ombra, in piedi sulla soglia, la stava fissando a braccia
conserte. La ragazza si rese conto che probabilmente, mentre sognava,
doveva aver gridato piuttosto forte, e se ne vergognò.
Avrebbe fatto bene ad imparare a controllarsi.
- Stai bene?
Kurotsuchi si avvicinò al futon, e rimase a fissarla
dall’alto con occhio indagatore. Rin fece segno di si con la
testa, ma non disse niente. Non si aspettava una simile domanda.
- Non era mia intenzione svegliarti, Kurotsuchi-san. -
riuscì a dire infine- Credo di aver sognato qualcosa di
spiacevole, e ho gridato.
- Che genere di cosa spiacevole?
La ragazza capì che era inutile mentire, ma tentò
ugualmente. Di dire la verità, non ne aveva il coraggio.
- Non ricordo.
- Quella di raccontare menzogne è una tua scelta, - rispose
Kurotsuchi con voce piatta - ma sapere se posso fidarmi di chi lavora
per me è un mio diritto.
Rin fissò le mani di lui, strette a pugno lungo i fianchi.
Scoprì che le era più facile parlare guardando le
mani di Kurotsuchi, piuttosto che i suoi occhi: ogni volta che
incontrava il suo sguardo, infatti, percepiva la distanza enorme che
separava quell’uomo dal resto del mondo.
- Hai ragione – rispose - ma queste sono cose di cui non
voglio parlare.
Per un attimo, pensò che Kurotsuchi le avrebbe fatto notare
che lei non era minimamente nella condizione di dettare le regole.
Iniziò a cercare affannosamente un modo per glissare sulla
risposta. Invece, Kurotsuchi si diresse di nuovo verso la porta e si
voltò a fissarla dalla soglia.
- Alzati. È il momento di cominciare il tuo apprendistato.
Un angolo nella mente di Rin fu remotamente grato all’uomo,
consapevole che quello era solo un espediente per distrarla dalle sue
preoccupazioni. La parte cosciente di lei, tuttavia, continuava a
ripetersi di fare attenzione e misurare le parole.
Si avviarono insieme lungo il corridoio buio, senza dire altro. I
laboratorio era già illuminato, e sul tavolo era
sparpagliata la consueta massa caotica di oggetti, che brillavano
sinistri nella luce artificiale. Evidentemente, Kurotsuchi era a lavoro
quando lei si era svegliata. Doveva aver gridato veramente forte, se
lui era riuscito a sentirla da laggiù.
- Spero che tu non sa una persona impressionabile.
Rin spostò lo sguardo sul tavolo illuminato dal neon, e si
rese conto che il mucchio di stracci sanguinolenti adagiato
lì sopra aveva una forma umana, nonostante fosse
apparentemente privo di tutti e quattro gli arti.
- E’ su questo che stavi lavorando, Kurotsuchi-san?- chiese,
gli occhi fissi sul cadavere.
L’uomo le lanciò un’occhiata di sbieco,
senza dire niente. La ragazza alzò lo sguardo di rimando,
sentendosi gli occhi di lui puntati addosso: la stava mettendo alla
prova. Se si aspettava che avrebbe urlato, allora non sapeva con chi
aveva a che fare.
- Immagino che si tratti di un’altro “metodo di
ricerca poco ortodosso”, eh?
Kurotsuchi continuava a guardarla con la coda dell’occhio, in
silenzio. Poi, inaspettatamente, esplose in una risata priva di gioia.
Rin si voltò, stupita.
- Quindi per te non ci sono problemi a fare esperimenti su un cadavere.
- disse infine lui, riacquistando il suo solito tono freddo e
distaccato. Era un’affermazione, non una domanda.
- No - rispose comunque lei.
- Prendi dall’armadio il contenitore 23.
Rin si avvicinò al grande mobile di legno pieno di
scaffalature, ognuna delle quali conteneva una notevole
quantità di bottiglie, vasetti e barattoli sigillati.
Ciascuno era contrassegnato dalla propria etichetta, con un numero di
riconoscimento e la composizione del suo contenuto. Quello che la
ragazza aveva in mano era pieno di un liquido verdastro, in cui
galleggiavano delle sfere argentee di varie dimensioni.
Rin si diresse verso il tavolo e porse il contenitore a Kurotsuchi, che
lo prese dalle sue mani e lo sollevò un attimo, tenendolo in
controluce. Le gocce argentee brillarono sinistramente, ondeggiando
sinistramente nella sostanza che le avvolgeva.
- Non c’è molto che possa insegnarti partendo da
un cadavere. - disse Kurotsuchi, lanciando un’occhiata
distratta al mucchio informe sul tavolo - Ma al momento non dispongo di
un numero tanto alto di cavie da poterle sprecare per semplici
dimostrazioni.
Rin si chiese remotamente che cosa Kurotsuchi intendesse per cavie, ma
decise semplicemente di non porsi il problema. Tornò a
concentrarsi sul barattolo numero 23, che adesso era aperto sul tavolo
e emanava un leggero fumo verde acido.
- Normalmente, la prima cosa da fare quando si sta per affrontare un
esperimento è addormentare la cavia. Questo nel caso che non
si vogliano studiare eventuali reazioni del soggetto, chiaramente,
perchè in quel caso serve che esso sia cosciente.
È ovvio che, adesso, questo passaggio possiamo ometterlo
comunque.
Rin annuì in silenzio. Sapeva bene che l’unico
modo per rimanere con Kurotsuchi era dimostrarsi un’abile
apprendista, e al momento non aveva nessun altro posto dove andare.
L’idea di lavorare al laboratorio le piaceva: lì
era al sicuro e avrebbe potuto fare qualcosa di utile, nel bene o nel
male.
- Questa sostanza, - Kurotsuchi indicò con un cenno il
barattolo appoggiato sul tavolo - permette di concentrare il Reiatsu di
qualunque individuo in un singolo punto. Questo processo separa il
Reiatsu dal corpo e lo immagazzina in questa sfera argentata.
Così dicendo, l’uomo aveva immerso una mano nel
liquido verde e ne aveva estratto una delle bilie lucenti, grande
più o meno come una nocciola.
- Adesso osserva.
Kurotsuchi fece scivolare la sferetta luccicante tra le dita, e la
appoggiò sul corpo steso sul tavolo. Immediatamente, la
pelle fredda e tumefatta del cadavere iniziò ad assorbire
l’oggetto, come avrebbe fatto uno specchio d’acqua
con un sassolino.
- Dopo qualche giorno dalla morte, il Reiatsu comincia ad abbandonare
spontaneamente il corpo che lo ospitava. In questo caso,
però, il cadavere dovrebbe essere ancora abbastanza recente.
- A cosa serve il Reiatsu una volta separato dal corpo?
Kurotsuchi non rispose. Alzò la testa di scatto.
- Silenzio!
Il campanellino alla porta d’ingresso tintinnò,
seguito dal consueto rumore di passi sul pavimento in legno del
corridoio. Kurotsuchi raccolse uno straccio dal tavolo e si
asciugò le mani.
- Fallo sparire, quello - disse, accennando al Reiatsu, perfettamente
visibile sul piano da lavoro - Farò in modo che il nostro
ospite non debba entrare nel laboratorio.
Sparì oltre la porta e lungo il corridoio buio, in direzione
dei passi. Qualche istante dopo, Rin udì una voce
sconosciuta dire qualcosa, e Kurotsuchi rispondere con freddezza. La
luce dell’ingresso si accese.
Tuttavia, la ragazza non aveva tempo per seguire la conversazione in
quel momento. Se lo sconosciuto fosse entrato nel laboratorio e avesse
visto il Reiatsu, probabilmente sia lei che Kurotsuchi avrebbero
passato dei guai. Non si intendeva molto di bioetica, ma non era
necessaria una grande esperienza per capire che quello che stavano
facendo non era del tutto lecito.
Raccolse il tubo di vetro e lo tenne per un attimo in controluce. Il
neon giallo pallido, attraverso il vetro blu, risplendeva spettrale e
minaccioso. Rin sentì un brivido lungo la schiena, sebbene
nel laboratorio vi fosse un piacevole tepore. Non era freddo, quello
che sentiva addosso, ma la consapevolezza che la sua vita stava
scivolando via senza uno scopo, senza una giustificazione. Si sentiva
così da quella fatidica notte, dopo ciò che era
successo nella villa con suo fratello.
Si sentiva come se, dopo quell’evento, non esistesse nessuna
azione al mondo in grado di riscattarla, di dare un motivo al suo
essere ancora in vita. Sospirò, e abbassò il
braccio. La luce scivolò dalla superficie di vetro con un
ultimo scintillio.
Intanto, le voci nell’ingresso si erano fatte più
concitate, e Rin sentì salire la curiosità di
sapere che cosa stava succedendo. Improvvisamente, si rese conto che
quella di riordinare il laboratorio era stata solo una scusa, inventata
da Kurotsuchi per impedirle di origliare la conversazione: non
servivano più di tre minuti per trovare un buon nascondiglio
ad un oggetto piccolo come una sferetta di Reiatsu, mentre la
discussione fra i due uomini si stava protraendo ormai da almeno un
quarto d’ora.
Infilandosi distrattamente il tubo azzurro in tasca, Rin prese a
risalire il corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile con i
piedi scalzi sul legno. Arrivata a metà strada, si
immobilizzò nell’ombra. Da lì non
poteva vedere i due uomini che discutevano, ma le voci giungevano ben
chiare, e non avrebbe corso il rischio di essere scoperta.
- ...al processo, che si terrà tra tre giorni.
- Sarà condannato a morte?
C’era una sfumatura di vaga apprensione nella voce di
Kurotsuchi, un tono che Rin non gli aveva mai sentito. Ma di chi
stavano parlando? L’altro, che Rin immaginò essere
uno shinigami di rango inferiore, rispose:
- Si vocifera che Urahara Taichou verrà esiliato assieme ai
suoi complici. In questi giorni è stata svolta una
perquisizione piuttosto capillare nelle sue stanze, e non pare che non
siano state trovate prove sufficienti per una condanna maggiore.
Kurotsuchi non replicò. Nonostante fosse appena uscita
dall’accademia per shinigami, Rin aveva già
sentito il nome di Urahara prima di allora. Kisuke Urahara era il
capitano della dodicesima Divisione, di cui Kurotsuchi Mayuri era Vice.
Era la divisione degli scienziati, e circolava voce tra i membri delle
altre squadre che nei suoi laboratori fossero compiuti spesso
esperimenti che superavano i limiti della legalità. Dopo
aver trascorso una settimana in casa di Kurotsuchi, Rin poteva
confermare queste voci.
Tuttavia, di Urahara si sentiva parlare tra gli shinigami semplici come
di una persona intelligente ed equilibrata, abile e leale.
Perchè era stato condannato, allora? Kurotsuchi era in
qualche modo coinvolto in tutta questa faccenda? La voce della guardia
distolse Rin da queste elucubrazioni.
- Kurotsuchi-sama, ho buone ragioni di credere che, una volta
allontanato Urahara, le sarà chiesto di salire al grado di
Taichou. Non è ancora niente di ufficiale, ma le consiglio
di prepararsi ad una simile proposta.
- Lo terrò presente. - rispose semplicemente lui.
Rin era rimasta immobile nel suo angolo, paralizzata per lo stupore. La
faccenda doveva essere seria, se comprendeva l’estradizione
di un capitano dalla Soul Society. Tuttavia, l’affermazione
dello shinigami significava anche un’altra cosa: che
Kurotsuchi doveva essersi dimostrato estraneo ai progetti di Urahara,
oppure abbastanza scaltro da riuscire a conservare la fiducia del
Consiglio nonostante tutto.
L’uomo continuava a parlare, ma Rin non ascoltava
più da un pezzo. Voleva saperne di più, anche se
si rendeva conto che, probabilmente, non era nemmeno suo diritto farlo.
Congedandosi con parole molto formali, la guardia se ne
andò; il campanellino sulla porta tintinnò di
nuovo la sua nota cristallina, poi il silenzio riprese ad aleggiare
nella casa. Rin non si mosse di un millimetro, domandandosi come
avrebbe fatto adesso ad andarsene da lì: per tornare al
laboratorio, Kurotsuchi doveva necessariamente imboccare quel corridoio.
La risposta arrivò prima del previsto.
- E’ parte del tuo carattere fare il contrario di
ciò che ti viene chiesto?
Nella voce di lui c’era una nota di vago divertimento, ma il
tono era tagliente come al solito. Rin non rispose, sapendo di essere
decisamente dalla parte del torto.
- Vieni qui.
Non potendo negare la propria presenza, la ragazza uscì allo
scoperto. Si fermò a qualche passo di distanza da
Kurotsuchi, fissando ostinatamente un punto del pavimento.
- Immagino che adesso vorrai delle spiegazioni, ma non ho intenzione di
perdere tempo a raccontarti tutto. Se sei interessata, i dubbi dovrai
toglierteli da sola tra tre giorni, al processo. Altrimenti, dimentica
tutto.
Rin non credeva alle proprie orecchie. Non era in collera con lei, che
aveva origliato cose così importanti?
Kurotsuchi sorrideva.
Forse, allora, quell’uomo era effettivamente pazzo.
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Capitolo 3 *** III. chapter three; ***
La Sede del Consiglio
era più imponente di come se la era immaginata. In piedi di
fronte all’immenso portone di legno scuro, Rin osservava
l’edificio a naso all’insù. La parete di
intonaco bianco si innalzava per parecchi piani, spiccando nitida
contro l’azzurro sereno del cielo. Il tetto, simile a quello
di una pagoda cinese, era quasi invisibile sulla sommità: se
ne scorgevano solo i bordi di mattoni rossi, che spuntavano ai lati
dell’edificio come un orlo sottile.
- Muoviti, Rin. La voce di Kurotsuchi la riportò alla
realtà. Con passo incerto, la ragazza seguì
l’uomo oltre il portone, dentro al Tribunale. Un turbine di
pensieri le affollava la mente. Non era forse una follia, per una
probabile ricercata, introdursi così impunemente nel cuore
della Seireitei?
Anche se lo fosse stato, la ragazza sapeva bene di non poterci fare
nulla. Da tempo ormai aveva scartato l’idea di confessare a
Kurotsuchi la propria condizione; inoltre, la gente non aveva ancora
cominciato a parlare, e probabilmente il fatto che un’intera
famiglia nobile fosse stata sterminata era stato insabbiato dalle
autorità. Presumibilmente, il Consiglio ignorava
l’identità dell’assassino.
Come se non bastasse, Rin aveva la quieta certezza che, se qualcuno
avesse sospettato di lei, sarebbe già venuto a cercarla da
tempo. Il fatto di aver potuto vivere fino a quel momento era di per
sé una garanzia. Sospirò con scarsa convinzione,
chiedendosi se era veramente possibile considerare vantaggiosa tutta
quella assurda situazione: cosa le importava, infondo, di vivere o
morire?
Al suo fianco, Kurotsuchi si fermò di botto. Erano entrati
in un’ampia sala rettangolare, con il pavimento di legno e le
pareti spoglie. Una decina di shinigami, fra Capitani e vice-Capitani,
parlavano tra loro. Quando i due fecero il loro ingresso, alcuni si
voltarono ad osservarli e uno, un uomo mingherlino con i capelli
chiarissimi, passando lanciò a Kurotsuchi
un’occhiata piena d’odio. Rin si domandò
remotamente chi fosse, ma prima che potesse chiederlo a Mayuri
l’uomo se n’era già andato.
Intanto, Kurotsuchi aveva attraversato la sala e si era soffermato
davanti alla porta situata sul lato opposto, dove due shinigami in
divisa nera stavano facendo la guardia. Mayuri chiese qualcosa, che Rin
non riuscì ad udire. Uno dei due fece un cenno con la testa.
- Andiamo. - disse Kurotsuchi, voltandosi verso Rin. Lei si
affrettò a seguirlo.
La guardia li condusse attraverso un lungo corridoio rivestito di
legno, con la parete destra interamente occupata da finestre con il
vetro a ghigliottina, attraverso cui la luce entrava prepotentemente
riversandosi sul gruppo di passaggio. Rin chiuse gli occhi, assaporando
il sole tiepido sulla pelle, e per un attimo sentì di non
odiare poi tanto la vita. Kurotsuchi camminava in silenzio qualche
passo davanti a lei.
- Dove stiamo andando? - chiese la ragazza.
- Voglio parlare con Urahara prima che cominci il processo.
Rin non replicò. Si limitò a seguire Kurotsuchi,
in silenzio, fino alla porta blindata infondo al lungo corridoio. Altri
due shinigami, armati di tutto punto, facevano la guardia e, al loro
passaggio, si scambiarono uno sguardo severo. Mayuri sembrò
non farci neppure caso.
- Aspettate qui. - disse la guardia che li aveva scortati non appena
furono nella stanza.
Era un ambiente piuttosto triste, c’erano scure pareti
spoglie e un lungo tavolo con tre sedie situato orizzontalmente al
centro. Una porta si apriva sulla parete di fronte e, chiaramente
visibile, un kekkai attraversava per lungo l’intera stanza
impedendo di raggiungere l’altra parte. Rin
immaginò che dovesse trattarsi di una qualche misura di
sicurezza, e si chiese che genere di criminali fossero rinchiusi nelle
prigioni della Soul Society.
Poi, d’improvviso, la porta dall’altro lato della
stanza si aprì. Entrarono due shinigami
dall’aspetto solenne, che si fermarono quasi immediatamente
per lasciare spazio ad un terzo uomo. Questi indossava il kimono bianco
dei prigionieri, ed aveva i polsi stretti in un paio di manette, che
tintinnavano ad ogni suo passo. Rin, dal suo angolo, notò
che sembrava perfettamente tranquillo e a suo agio, nonostante tutto.
Urahara si avvicinò al tavolo, a testa china, e si sedette
sulla sedia dal suo lato del kekkai. I capelli biondi e spettinati gli
coprivano gli occhi, rendendo impossibile stabilire la sua espressone.
Tuttavia, l’angolo sinistro della bocca era piegato in un
leggero sorriso.
- Ti ringrazio per la visita, Mayuri-san. - disse. Il suo tono era
leggero, come se la situazione non lo riguardasse minimamente. Anche le
labbra di Kurotsuchi si piegarono in un ghigno.
- Di niente.
- Ci sono un paio di cose che devo dirti, anche se
c’è un po’ troppa gente in questa
stanza, - continuò Urahara, accennando alle guardie in piedi
davanti alle porte. Poi alzò la testa, e fissò
Rin dritta negli occhi. – E poi c’è lei,
- disse tranquillamente.
- Puoi parlare, - rispose Kurotsuchi. - Né lei né
quelle guardie hanno le basi per capire ciò che non devono
sapere, se misuri le parole.
Kisuke rise.
- Beh, direi che hai ragione, Mayuri-san.
Rin osservò il volto rilassato dell’uomo e i suoi
occhi verdi, sorridenti e completamente privi di paura, e si chiese se
fosse molto saggio o piuttosto molto stupido. Tuttavia, la sua
espressione e i suoi gesti ispiravano fiducia; persino Kurotsuchi
sembrava più rispettoso verso di lui, ma naturalmente questo
poteva essere legato al fatto che Urahara era il suo Capitano.
- Piuttosto, Mayuri-san... - Kisuke si fece serio di colpo. - sembra
che diventerai Capitano. Congratulazioni.
Kurotsuchi non rispose.
- Sono lieto di poter lasciare il mio posto ad una persona
affidabile... Vorrei che continuassi quei progetti che sono costretto a
lasciare a metà, spero che tu capisca.
Una persona affidabile... di che progetti stava parlando? Non erano
molte le accezioni in cui si poteva considerare Kurosuchi
“una persona affidabile”, almeno nel senso comune
del termine. Inoltre, Rin sapeva bene che Urahara era stato messo in
carcere per aver compiuto esperimenti illeciti su un Gigai... quanto
poteva valere il criterio di giudizio di un uomo simile?
Urahara sembrò cogliere l’espressione scettica di
Rin, così si affrettò a cambiare argomento. Era
chiaro che di lei, invece, non si fidava per niente.
- Che cosa si dice del processo, là fuori? - chiese.
- Non molto, - disse Kurotsuchi, vago. - Si parla della
possibilità di un tuo esilio permanente nel mondo degli
umani, in ogni caso. Non è un argomento di cui quegli
ipocriti discutono volentieri.
Urahara rise.
- Sei cinico come al solito, eh?
La conversazione proseguì ancora per un po’ su un
tono leggero, ma Rin capì che gli argomenti importanti
dovevano ancora essere trattati. Sapeva che entrambi gli shinigami
stavano aspettando il momento giusto, in modo da potersi scambiare le
informazioni senza che le guardie se ne accorgessero.
- Ti trasferirai nelle stanze riservate al Capitano, immagino, - disse
ad un tratto Kisuke con leggerezza.
Kurotsuchi fece un cenno con la testa, ma Rin notò il lampo
che attraversò il suo sguardo dopo che Urahara ebbe
pronunciato quelle parole.
- Spero che sia rimasto qualcosa del laboratorio, visto
l’impegno che le guardie hanno dimostrato durante
l’ispezione, - replicò Mayuri, sogghignando. Il
volto sotto la maschera, però, era contratto per la tensione.
- Diciamo... - Urahara si avvicinò il più
possibile al kekkai, per non essere udito dalle guardie. - ... che ci
sono ancora cose su cui si può lavorare... una volta trovata
la chiave.
Esitò un attimo, lanciando un’occhiata nervosa
allo Shinigami dietro di lui poi, con un lampo un po’
inquietante negli occhi chiari, continuò:
- Quello riuscito meglio lo hanno preso, ma ce ne sono altri piuttosto
carini, se capisci quello che intendo.
- Dove devo cercare? - lo interruppe Kurotsuchi, la voce ridotta ad un
bisbiglio.
- Basta così! - intervenne una guardia, avvicinandosi.
Mayuri si voltò, lanciandogli un’occhiata
fulminante. Rin si voltò a osservare la scena, tranquilla:
le frasi che lui e Urahara si erano scambiati non erano abbastanza per
poterne ricavare informazioni utili ad incolpare Kurotsuchi.
Ad ogni buon conto, comunque, l’uomo si voltò per
allontanarsi, congedandosi da Kisuke con un cenno del capo. Anche
Urahara fu avvicinato dalle guardie, per essere nuovamente scortato
nella sua cella. Tuttavia, un attimo prima di scomparire oltre la porta
infondo alla stanza, si voltò e puntò
l’indice in direzione del pavimento, sorridendo. Rin si
accorse di quel gesto, e lanciò a Kurotsuchi
un’occhiata perplessa, ma lui la fulminò con lo
sguardo e le fece segno di andare via.
Percorsero il corridoio fino alla sala centrale, sempre scortati dalla
guardia ed in perfetto silenzio; nella grande stanza, gli altri
Shinigami parlavano tra loro aspettando l’inizio del
processo. La guardia si allontanò, tornando alle sue
mansioni, ma non prima di aver lanciato a Kurotsuchi
un’occhiata sospettosa.
L’uomo non sembrò neppure farci caso.
Si avvicinò invece al muro e vi appoggiò la
schiena. Rimase così immobile, a braccia incrociate e con
gli occhi chiusi, fino al momento in cui un altro shinigami non si
affacciò da un portone annunciando che i Capitani potevano
cominciare a prendere posto nel tribunale.
Rin, in qualità di semplice Dea della Morte, era costretta
ad aspettare fuori la fine del processo. Altri, come lei, erano rimasti
nella sala, e chiacchieravano tranquillamente tra loro in un angolo.
Rin si sedette al lato opposto della stanza, e ne approfittò
per riordinare le idee.
Urahara aveva detto che c’erano cose “su cui si
poteva ancora lavorare” nel laboratorio. Era chiaro che si
stava riferendo a qualche esperimento lasciato a metà.
Tuttavia, la chiave per accedere a questi oggetti, di qualunque cosa si
trattasse, era nascosta in un luogo di cui solo Kisuke era a
conoscenza. Per finire, prima di allontanarsi lo shinigami aveva
indicato il pavimento. Certamente le due cose erano collegate, ma in
che modo? Il laboratorio era forse una stanza segreta sotterranea?
Oppure la chiave era sepolta da qualche parte?
- Non ti ho mai visto da queste parti. Sei una recluta?
Una voce la riportò bruscamente alla realtà. Rin
alzò gli occhi e, in piedi di fronte a lei, scorse una bella
ragazza dai folti capelli biondo-rosicci, che le sorrideva.
- Mi chiamo Rin, - si affrettò a rispondere, tendendole la
mano e cercando di suonare il più amichevole possibile. Non
era facile essere cortesi, e al contempo preoccuparsi di rivelare il
meno possibile su di sé.
- Matsumoto Rangiku, molto lieta, - rispose la ragazza, stringendole
confidenzialmente la mano.
Sembrava non aver neppure notato il fatto che Rin si era presentata
senza dire il proprio cognome; o non le importava, oppure semplicemente
lo considerava un comune gesto di prudenza. Si sedette a gambe
incrociate accanto a lei, e riprese:
- Dicevo, non ti ho mai visto in giro... di che Divisione sei?
- Ehm... - questa domanda, Rin non se la era mai posta. - Della
dodicesima...
Era la soluzione più logica. Visto e considerato che si era
presentata al tribunale in compagnia del vice-Capitano. Rangiku le
lanciò un’occhiata di sbieco.
- Poverina. - disse, semplicemente. Rin alzò un sopracciglio.
- Perchè dici così?
La sua interlocutrice scoppiò in una risata cristallina
prima di rispondere:
- Beh, principalmente perchè Kurotsuchi verrà
sicuramente eletto Capitano... Tu sei una matricola, forse non hai
ancora avuto a che fare con lui, ma ti assicuro che quando lo avrai
conosciuto meglio capirai cosa intendo dire.
Rin dovette concentrarsi per non mettersi a ridere anche lei. Quella
affermazione così schietta e sincera, effettivamente, non
faceva che confermare l’idea di Mayuri che lei stessa si era
costruita. Tuttavia, doveva riconoscere che, a lei personalmente, il
vice-Capitano della dodicesima Divisione non aveva mai fatto niente di
male. In qualche circostanza, anzi, l’aveva persino aiutata.
- Beh, in realtà l’ho già conosciuto, -
rispose, cercando di apparire indifferente. - E’ vero, ogni
tanto ha delle uscite un po’ inquietanti... ed è
decisamente spregiudicato... però non ho motivo per odiarlo.
Lui... è stato buono, con me.
Rangiku si voltò verso di lei, sorridendo.
- Forse non ci crederai, ma capisco perfettamente quello che intendi
dire.
- Kurotsuchi- sama.
Mayuri si voltò. Il processo era appena terminato, e gli
shinigami presenti avevano cominciato a lasciare la sala. Urahara era
stato dichiarato colpevole e, come previsto, condannato
all’esilio nel mondo degli umani.
- Gin Ichimaru, quale onore!
L’angolo sinistro della bocca di Kurotsuchi si
piegò nel solito sogghigno di scherno. Anche Gin sorrideva,
la parte superiore del volto coperta dai folti capelli chiarissimi.
- Potrei dire lo stesso, signor futuro Capitano della dodicesima
Divisione... sempre che non salti fuori qualche nuovo scheletro
dall’armadio, eh?
- Ognuno ha i suoi scheletri, Gin, solo che a quanto pare alcuni di noi
sanno camuffarli meglio di altri.
Gin ridacchiò, avvicinandosi a Kurotsuchi. Si
fermò a pochi passi da lui, sempre senza staccargli lo
sguardo di dosso. Mayuri rimase immobile, in attesa di una replica.
- Naturalmente. - rispose Gin, tranquillissimo. - Ma adesso non sono
qui per raccontarti i fatti miei; era mia intenzione darti un consiglio.
- Parla, Ichimaru. Sai quanto apprezzi i tuoi suggerimenti.
- Sai, Kurotsuchi-san... credo che dovresti scegliere meglio le tue
amicizie.
Mayuri rimase un attimo interdetto. Cosa intendeva dire? Ichimaru non
perdeva occasione per scatenare un battibecco, ma
quell’affermazione sembrava del tutto campata in aria.
- Sto parlando della ragazza che era con te prima del processo. Hai
creduto alle sue balle, oppure vuoi farmi pensare che non ti sei
neppure informato sulla sua provenienza? Non voglio immaginare che tu
abbia deciso di difenderla...
- Non ho idea di che cosa tu stia dicendo, Ichimaru.
- Beh, allora mi spiegherò meglio; lascia che ti dica il
cognome della tua amica: Hisegawa. Quella ragazza è Rin
Hisegawa.
Hisegawa? Tutti nella Soul Society sapevano che quella era una delle
cinque famiglie più antiche del posto; allora
perchè la figlia di una casata così influente
avrebbe dovuto presentarsi alla sua porta ridotta in quello stato? E
soprattutto, perchè nessuno era ancora venuto a cercarla?
Gin sembrò avergli letto nel pensiero.
- Per l’esattezza, Rin è l’unico membro
degli Hisegawa ad essere ancora in vita. Per quello che ne sappiamo, a
dire il vero, è stata lei ad uccidere tutti gli altri. I
corpi sono stati trovati straziati nella residenza di famiglia tre
giorni fa, e lei è l’ultima persona ad esser stata
vista nelle vicinanze. La tua amica è
un’assassina, Kurotsuchi-sama.
Gin sembrava veramente felice di portare simili notizie. Dal canto suo,
Kurotsuchi non fece una piega. Rimase in silenzio, aspettandosi una
nuova affermazione tagliente di Ichimaru, che puntualmente
arrivò.
- La consegnerai al Consiglio dei 46, adesso? Lo avrei fatto io, ma non
volevo toglierti la soddisfazione...
Mayuri rise. Una risata assolutamente priva di divertimento.
- Prego, puoi farlo tu se vuoi. La faccenda non mi riguarda affatto.
Si voltò, ed uscì dal Tribunale.
- Hai parlato con qualcuno mentre ero al processo?
- Solo con una certa Rangiku Matsumoto. Mi è sembrata una
tipa a posto.
- Misura le parole, quando sei con i membri delle altre Divisioni.
Potresti pentirti di esserti lasciata sfuggire più del
necessario.
Suonava vagamente come una minaccia. Rin decise di ignorare quella
particolare sfumatura della frase, per concentrarsi
sull’immediato futuro.
- Dove stiamo andando, Kurotsuchi-san?
- Al laboratorio della dodicesima Divisione. C’è
una faccenda che devo risolvere prima che lo faccia qualcun altro, e
prima mettiamo le mani su quei Gigai meglio è.
Allora era proprio di Gigai che Urahara stava parlando quando aveva
detto che erano rimasti alcuni oggetti nel laboratorio! Rin non aveva
mai visto un vero Gigai da vicino, ed era piuttosto incuriosita. Per
questo, riusciva a capire anche l’impazienza di Kurotsuchi.
- E’ questa.
La casa di Urahara era un edificio bianco situato al primo piano, nei
quartieri della dodicesima Divisione. Vi si accedeva mediante un
sistema di terrazzamenti in legno, che fungeva da corridoio lungo tutte
le abitazioni. La porta era semi aperta, ma all’interno era
tutto buio.
- Entriamo.
Rin seguì con circospezione Kurotsuchi nella stanza immersa
nell’oscurità. Gli oggetti si distinguevano a mala
pena come ombre fiocamente illuminate dal flebile fascio di luce che
attraversava la soglia, e tutto era immobile e silenzioso. Rin rimase
in piedi al centro della stanza, incerta sul da farsi. Kurotsuchi,
invece, sembrava non avere difficoltà a vedere al buio.
- Dev’essere qui, da qualche parte, - disse.
Il tono della sua voce era nervoso, impaziente. Rin si chiese di che
cosa stesse parlando, e immaginò dovesse trattarsi della
chiave. Urahara non era riuscito a rivelarne il vero nascondiglio, se
si escludeva quel gesto un attimo prima di andarsene: in basso.
Kurotsuchi doveva essere giunto alla stessa conclusione,
perchè si chinò ad osservare il pavimento sotto
una scrivania in un angolo. Imprecò a mezza voce.
Un rumore nella stanza adiacente fece trasalire Rin, che
balzò all’indietro urtando una sedia.
- Chi va là? - fece una voce concitata. Dal buio giunse un
rumore di passi.
- Sono guardie. Dannazione!
Kurotsuchi lanciò una gelida occhiata a Rin, prima di
prendere a guardarsi intorno in cerca di un nascondiglio. La stanza era
decisamente minimalista, e non c’erano punti in cui
rifugiarsi. Senza contare il fatto che fuggire dalla porta era fuori
discussione, perchè avrebbe significato entrare nel cono di
luce, e dunque essere scoperti. Intanto, le guardie si avvicinavano.
- Kuro...
- Stai zitta!
Kurotsuchi afferrò Rin per un polso e la trascinò
verso il muro alle sue spalle. Cercando di starsene il più
possibile vicina alla parete, Rin sentì il polso che Mayuri
stringeva raffreddarsi, come se dentro le sue vene stesse scorrendo
dell’acqua gelida. Col passare dei secondi, la sensazione si
estese a tutto il corpo, rendendola quasi incapace di respirare.
Kurotsuchi, al suo fianco, aveva chiuso gli occhi.
Rimasero lì, immobili, osservando le guardie farsi sempre
più visibili a mano a mano che si avvicinavano. Un paio di
volte, uno dei due shinigami urlò “chi va
là?”, ma poi entrambi rinunciarono e tornarono
nell’altra stanza, pensando che l’intruso fosse
riuscito a sfuggire.
Quando le guardie furono di nuovo scomparse, Mayuri lasciò
il polso di Rin, e le fece segno di uscire. Silenziosamente,
sgattaiolarono fuori dalla stanza, nella luce del sole.
- Che cos’era?
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di traverso.
- Che cosa?
- Quella sensazione... prima, quando sono arrivate le guardie.
- Era un sistema utile per non farci scoprire. È la stessa
tecnica che usano i camaleonti per nascondersi, solo che, invece di
limitarsi al mimetismo, siamo diventati parte dell’oggetto
che abbiamo toccato.
- E’ una cosa che si può imparare?
- No che non puoi, - Mayuri sogghignò.- Questo è
il risultato di un esperimento.
Rin osservò la schiena dell’uomo, che camminava
pochi passi avanti a lei. Un esperimento? Questo voleva forse dire che
Kurotsuchi si era servito di se stesso come cavia per le proprie
ricerche?
- A quanto pare, per adesso dovremo rinunciare al laboratorio.- La voce
di Mayuri era appena udibile a causa della brezza serale che aveva
preso a soffiare dietro di loro. - Saremo costretti a rimandare le
ricerche a quando sarò diventato Capitano.
Rin annuì con convinzione, anche se Kurotsuchi le dava le
spalle e non poteva vederla. Non le importava quello che gli altri
shinigami pensavano della dodicesima Divisione: era quello
l’unico luogo in cui potesse stare, e per questo avrebbe
difeso la sua posizione con le unghie e coi denti.
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Capitolo 4 *** IV. chapter four; ***
Era impressionante
vedere come, dopo l’esilio di Urahara, i membri della
dodicesima Divisione si fossero avvicinati al loro vice-Capitano. Nel
giro di qualche giorno, Rin aveva fatto la conoscenza di quasi tutti i
sottoposti di Kurotsuchi, e di un buon numero di shinigami delle altri
Divisioni.
Nonostante questo, la ragazza continuava a trascorrere gran parte del
suo tempo in laboratorio; il fatto di essere in buoni rapporti con
Mayuri Kurotsuchi era per molti una garanzia di
inaffidabilità, così gli Dei della Morte di rango
inferiore a quello di vice-Capitano stavano ben attenti ad avere a che
fare con lei il meno possibile. Semplicemente, la consideravano
“strana”.
- Stai facendo un buon lavoro per essere una principiante.
Rin trasalì. Kurotsuchi si era avvicinato silenziosamente a
lei, con un sorriso poco rassicurante dipinto in volto. Le
appoggiò una mano sulla spalla.
- Però ti consiglierei di non scaldare quella provetta, a
meno che non stia cercando di far saltare in aria il laboratorio.
Kurotsuchi le tolse di mano lo strumento, sempre con quel suo sogghigno
stampato in faccia. Rin si sentì arrossire, e si
detestò per questo: Mayuri voleva metterla in
difficoltà, e lei stava solo facendo il suo gioco.
- Devo andare alla Sede del Consiglio; ti affido la situazione,
è meglio per te se cerchi di non fare disastri.
Prima che la ragazza potesse replicare, Kurotsuchi era già
scomparso oltre la porta. Per un attimo, Rin fu tentata
dall’idea di inseguirlo e chiedergli spiegazioni, domandargli
che cosa si aspettava che facesse nel tempo che lui era via, ma poi
l’orgoglio ebbe il sopravvento. Strinse i pugni per impedirsi
di tremare, a causa di quel misto di collera e timore che stava
affiorando rapidamente nel suo animo, e fece un profondo respiro.
Sarebbe andato tutto bene. Era un giorno come qualunque altro, e gli
altri Shinigami sembravano essere tutti a conoscenza dei loro
rispettivi compiti. Era sufficiente continuare quello che aveva
cominciato.
Per un paio d’ore, tutti lavorarono in silenzio. Solo un paio
di volte, qualcuno degli assistenti più giovani
andò da Rin a domandare un consiglio, ma niente a cui lei
non fosse in grado di rispondere. Nel tempo che aveva trascorso presso
Kurotsuchi era rimasta quasi sempre in laboratorio, assieme a lui,
osservando quello che faceva e cercando di memorizzare tutto. Adesso
era il momento di far vedere quanto valeva.
Verso le undici del mattino, però, cominciarono i primi
problemi.
La porta principale tintinnò, e un ragazzo piuttosto alto,
con corti capelli castani e l’espressione vivace, fece
capolino nel laboratorio annunciando:
- Rin-san, ho portato gli Hollows che abbiamo catturato durante
l’ultima ricognizione nel mondo degli umani. Dove preferisci
che li mettiamo?
“Mettiamo?” pensò la ragazza fra
sè, domandandosi come fosse possibile costringere un Hollow
a rimanere in un qualsiasi posto senza che distruggesse tutto. Poi,
però, un quesito più urgente si
affacciò nella sua testa: cosa voleva farci Kurotsuchi-san
con degli Hollows vivi?
- Kurotsuchi non vi ha detto niente a riguardo? - chiese al ragazzo,
cercando di non mostrarsi troppo sorpresa dal fatto che un gruppo di
shinigami avesse intenzione di portare un numero imprecisato di anime
dannate nel laboratorio.
Il giovane si strinse nelle spalle.
- Direi che se non ti servono subito, possiamo metterli nel sotterraneo
come al solito.
“Come al solito”. Rin cercò di non
stupirsi troppo del fatto che il laboratorio fosse provvisto di un
sotterraneo, e si concentrò invece sul misto di gelosia e
collera derivante dal fatto che Kurotsuchi si era
“dimenticato” di farglielo sapere. Benissimo.
- Direi che il sotterraneo è perfetto. Veniamo subito a
darti una mano.
Si voltò verso il gruppo di shinigami chino sul tavolo da
lavoro e li squadrò attentamente. Scelse i due
dall’aspetto più solido: anche se probabilmente
gli Hollows erano stati sedati, sarebbe stato meglio prendere una
precauzione in più.
- Hamano, Yoshizumi, venite con me.
I due si allontanarono dal loro lavoro e si affrettarono a seguire Rin
e il giovane shinigami attraverso il corridoio, fino alla porta
principale. All’esterno, legati con quelli che sembravano
giganteschi guinzagli fatti di Reiatsu, c’erano i tre Hollows
che la dodicesima Divisione aveva catturato.
Due di loro erano piuttosto grandi, il primo con lunghe braccia nere e
le mani palmate, l’altro altissimo e filiforme, ma
dall’aspetto nel complesso abbastanza fragile. Il terzo
invece era decisamente più piccolo, delle dimensioni di un
cane. Aveva il corpo tozzo simile a quello di un’iguana e una
lunga coda che sferzava l’aria. Era l’unico ad
apparire perfettamente cosciente.
Notando che Rin fissava il piccolo Hollow, il ragazzo fece una risata.
- Ti piace, Rin-san? Deve essere un ottimo soggetto di studio;
nonostante sia così piccolo è stato veramente un
osso duro da catturare!
Rin rispose con un sorriso che sperava risultasse tranquillo e sicuro
di sè.
- Portiamoli dentro.
Un po’ trascinandoli con le catene di Reiatsu e un
po’ sollevandoli di peso, i quattro shinigami riuscirono a
portare gli Hollows fino nei sotterranei. Mentre si riposava dalla
fatica, Rin ne approfittò per guardarsi attorno: il
laboratorio era una gigantesca stanza rettangolare di umidi mattoni
grigio scuro, con il soffitto a volta. La parete di fondo era coperta
da una grande scaffalatura di legno nero, stipata di libri
dall’aspetto umidiccio. Dall’altro, lato, su un
lungo tavolo di metallo, erano disposti in perfetto disordine mucchi e
mucchi di strumenti da lavoro.
La cosa più sorprendente, tuttavia, era
l’apparecchiatura posta davanti alla parete centrale: un
sistema di tubature e enormi vasche in vetro, piene di un liquido verde
giallastro illuminato dall’interno da una luce fioca, da cui
pendevano desolati alcuni elettrodi e un respiratore.
Senza esitazione, il giovane shinigami aveva attraversato la stanza e
si era fermato in piedi di fronte a uno dei contenitori, scrutandolo
con le mani sui fianchi.
- Direi che questo va bene. - esclamò infine. - Aiutatemi a
portare quell’Hollow.
Con grande sforzo, i quattro sollevarono il mostro dalle mani palmate
fin sopra le loro teste, poi lo fecero cadere nell’acqua
verdastra. L’Hollow rimase immobile, come paralizzato,
fissandoli attraverso il vetro con le cavità nere che erano
i suoi occhi. Il ragazzo che lo aveva portato al laboratorio prese a
fissare gli elettrodi sulla superficie della vasca.
- Accendi quell’interruttore, Rin-san.
La ragazza ubbidì, e immediatamente l’intero
macchinario prese a ronzare. L’Hollow nel liquido ebbe un
sussulto, poi tutto tacque, fatta eccezione per i rari ticchettii
provenienti da un apparecchio per gli elettrocardiogrammi posto accanto
alla struttura.
- Adesso facciamo lo stesso con l’altro.
Il ragazzo sembrava quasi divertirsi. Rin lo osservava mentre preparava
le apparecchiature canticchiando, e si chiese che motivo avesse per
farlo. Non che lavorare per Kurotsuchi fosse qualcosa di terribile,
però a lei non importava veramente di rendersi utile. A dire
il vero, non le importava più niente di niente.
Percepì chiaramente un brivido lungo la schiena: era
veramente vita, quella?
Improvviso, un rumore alle sue spalle fece trasalire Rin.
Immediatamente, tutti e quattro gli shinigami si voltarono verso la
fonte, che si rivelò essere il piccolo Hollow dal corpo di
iguana. Questo, non si sa come, era riuscito a liberarsi del Reiatsu, e
adesso sbuffava nella loro direzione, pronto alla carica.
- Accidenti, questo è un problema! - disse il ragazzo, ogni
segno di allegria ormai scomparso dal volto pallido.
- Non essere sciocco, - rispose Hamano, spavaldo - Cosa vuoi che faccia
una mezza calzetta del genere?
Il giovane gli lanciò un’occhiata di sbieco,
mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
- Non sottovalutarlo. È piccolo, ma ha dato da lavorare a
sei delle nostre migliori matricole.
- Noi non siamo matricole, - esclamò l'altro con un ghigno.
- E siamo in quattro. Sarà un gioco da ragazzi.
Così dicendo, si scagliò sul piccolo Hollow che,
senza esitazione, fece un balzo avanti ed estrasse gli artigli. Un
attimo dopo, Hamano si ritraeva con il braccio sinistro sanguinante.
- Cosa facciamo, Rin-san? Chiese il ragazzo.
Gli altri aspettavano che lei trovasse una soluzione. Rendersi conto di
questo aiutò Rin a schiarirsi le idee, e in un certo senso
le dette fiducia. Una soluzione c’era per forza, e lei
l’avrebbe scovata. Intanto, il piccolo Hollow impazzito era
balzato sul tavolo da lavoro e aveva preso a rovesciare contenitori e
provette. Era incredibilmente veloce.
Cercando di muoversi in punta di piedi, Rin si avvicinò al
tavolo senza far rumore. L’Hollow non sembrava fare caso a
lei. Allora, la ragazza raccolse da terra un pezzo di vetro tra gli
oggetti che il mostro aveva mandato in frantumi, e lo
scagliò nella sua direzione. Il frammento colpì
l’Hollow su una zampa, aprendo un taglio profondo, e cadde di
nuovo a terra.
Immediatamente, l’essere si voltò di scatto,
emettendo un lungo lamento acuto simile a un ululato. Rin era a pochi
passi da lui, ancora tesa in avanti dopo aver scagliato il colpo, e
quindi troppo instabile sulle gambe per poter scappare. Rimasero a
fissarsi per una frazione di secondo, che però le parvero
ore.
Poi, senza preavviso, l’Hollow spiccò il balzo;
tuttavia, invece di aggredire Rin, raggiunse l’imboccatura
delle scale e cominciò a salire precipitosamente i gradini,
ventre a terra. Il giovane shinigami che lo aveva catturato la prima
volta gridò qualcosa che Rin non udì: appena
ripresasi, si era gettata all’inseguimento senza riflettere
oltre. Sentiva il rumore dei passi di Hamano e Yoshizumi alle sue
spalle, ma sapeva che i due, troppo impulsivi, le sarebbero stati di
scarso aiuto.
“Devo fermarlo prima che raggiunga il laboratorio, devo
fermarlo adesso!” continuava a ripetersi. Raggiunse
l’ingresso, e mentre finalmente toccava il pavimento di legno
si rese conto di ciò che aveva detto il ragazzo: la porta
è aperta. Con un brivido lungo la schiena,
osservò il piccolo Hollow scomparire nella macchia
d’alberi alla destra della casa. Avrebbe dovuto inseguirlo?
L’idea in sè appariva come la più
sensata, ma c’erano degli aspetti della situazione che non
potevano essere ignorati: innanzitutto, la difficoltà di
individuare un Reiatsu debole come quello del piccolo Hollow in un
luogo come la Seireitei; la creatura non sarebbe stata così
sciocca di tenere alta la propria forza spirituale al momento della
fuga.
Inoltre, una volta uscito dal territorio della dodicesima Divisione il
mostro sarebbe probabilmente incappato nei membri dell'undicesima, che
avevano la fama di grandi combattenti: senza dubbio, in tal caso
sarebbe stato sconfitto. La soluzione migliore era quella di lasciar
perdere l’Hollow, e concentrarsi sui danni causati al
laboratorio: due cavie in un solo giorno erano più che
sufficienti.
Rin si voltò verso il trio che la fissava sbigottito,
domandandosi che cosa avrebbe fatto. La ragazza tentò di
assumere nuovamente un’espressione tranquilla e, per essere
più convincente, azzardò un mezzo sorriso:
- E’ andato verso i quartieri dell'undicesima Divisione, non
abbiamo il diritto di inseguirlo. Non è necessario che
Kurotsuchi-san venga messo al corrente dell’accaduto.
Gli altri sembravano della stessa opinione. Nessuno voleva ritrovarsi
nei guai per colpa di un mostriciattolo sfuggito loro di mano.
Yoshizumi tentò una risata, ma non riuscì a
nascondere il proprio nervosismo.
- Torniamo dentro. Dobbiamo rimettere tutto in ordine prima che il
vice-Capitano arrivi qui.
Nonostante fosse ancora sorvegliata dalle guardie, la casa dove aveva
abitato il Capitano Urahara era facilissima da raggiungere per Mayuri.
Adesso che quella ragazzina non era con lui, poteva utilizzare le
abilità ottenute dai vari esperimenti effettuati su se
stesso, per non farsi notare.
In un attimo era dentro. La stanza era buia come la prima volta che ci
era entrato, eccezion fatta per la luce accecante proveniente dal
riquadro della porta. Alcune sedie e numerosi oggetti erano sparsi a
terra, coperti da un leggero strato di polvere: gli shinigami avevano
sicuramente frugato dappertutto in cerca di prove, ma a quanto pareva
alla fine avevano dovuto darsi per vinti.
Kurotsuchi lanciò un’occhiata alle due guardie
sulla porta: erano immobili, e gli davano le spalle. Non si erano
accorte di niente, esattamente come aveva previsto. Senza fare rumore,
l’uomo attraversò un buio corridoio e si
introdusse nella prima stanza che trovò. Era completamente
vuota, eccezion fatta per un futon abbandonato in un angolo, una
lampada a muro in stile giapponese e alcuni oggetti sparsi a terra,
appena distinguibili nell’oscurità.
“Deve averla nascosta sotto le assi del pavimento”
L’unica soluzione per trovare ciò che stava
cercando era individuare un punto cavo nel parquet della casa, ma la
superficie da analizzare era decisamente troppo vasta perchè
potesse riuscirci da solo. Fortunatamente, Mayuri conosceva abbastanza
bene il Capitano Urahara.
Senza esitazione, si diresse verso la lampada appesa al muro, e rimase
immobile ad osservarla, pensieroso. Se Kisuke immaginava che avrebbe
potuto essere scoperto, sapeva che anche la sua abitazione sarebbe
stata messa a soqquadro. L’unico indizio che aveva buone
possibilità di sopravvivere ad un’ispezione
capillare era qualcosa che non sarebbe stato possibile rimuovere.
Come ragionamento era un po’ contorto, ma Kurotsuchi sapeva
di non avere molte altre possibilità: dovendo cercare in
tutta la casa avrebbe impiegato mesi, anche con l’aiuto di
Rin. Sbatté col pugno chiuso sul legno del pavimento. Il
parquet emise un rumore sordo.
Le dita di Kurotsuchi corsero con trepidazione lungo la linea tra il
pavimento e la parete, in cerca di un appiglio che gli permettesse di
sollevare l’asse. Quando le sue unghie incontrarono un
leggero dislivello, fece una leggera pressione sui polpastrelli e
allontanò la mano dal suolo. Una tavoletta di legno, non
più di trenta centimetri quadrati, si sollevò dal
parquet.
Nel piccolo spazio sottostante c’era solo una piccola e
malridotta chiave argentata. Kurotsuchi la raccolse,
un’espressione di gioia folle riflessa negli occhi ambrati.
Adesso, era il suo momento.
Si sollevò in piedi di scatto, ben deciso a mettersi a
cercare la porta nascosta che conduceva al laboratorio segreto.
Certamente doveva essere stata celata accuratamente, altrimenti
qualcuno degli Shinigami di guardia l’avrebbe trovata.
Invece, un frastuono improvviso proveniente dal corridoio lo fece, suo
malgrado, trasalire. Probabilmente, qualcuna delle guardie aveva deciso
di fare un giro di ricognizione.
“Dannazione!”
Con un rapido gesto, Mayuri fece scivolare la chiave in una tasca e,
altrettanto velocemente, raggiunse la parete più buia della
stanza e premette la schiena contro di essa. Gli shinigami si potevano
ora distinguere chiaramente, e si stavano avvicinando sempre di
più.
- Se continua di questo passo, saremo costretti ad abbandonare le
ricerche senza aver trovato nulla.
- Deve esserci per forza una stanza segreta, comunque. Non voglio
credere che Urahara stesse lavorando soltanto su un Gigai: era un
progetto troppo ambizioso per realizzarne solo una copia.
- E’ quello che penso anch’io, ma presto
verrà eletto un nuovo Capitano per la dodicesima Divisione,
e chiaramente è qui che dovrà trasferirsi no?
Seguì un attimo di silenzio. Kurotsuchi era tentato
dall’approfittare di quegli ultimi secondi per andarsene, ma
la conversazione lo interessava troppo. Se le cose si mettevano male,
avrebbe sempre potuto uccidere le guardie. Anche se, naturalmente,
questo avrebbe significato rallentare le indagini, e con quelle i suoi
stessi piani.
Una delle due guardie parlò di nuovo, stavolta in un
sussurro.
- Dicono che sarà Kurotsuchi a diventare Capitano.
L’altro non rispose.
- Se vuoi il mio parere, quello è un pazzo. E sicuramente se
la intendeva con Urahara. Quando metterà piede in questa
casa, sarà esattamente come se l’ex-Capitano non
fosse mai stato esiliato.
Mayuri rise fra sè e sè.
Come se l’ex-Capitano non fosse stato esiliato? Quello
shinigami era davvero ottimista. Urahara era un ottimo scienziato,
certo, ma gli mancava quella spregiudicata freddezza che lo avrebbe
potuto rendere perfetto. Mayuri pensò a se stesso, ormai
diventato una cavia per i suoi medesimi esperimenti.
Sogghignò.
L’arma vincente che mancava all’ex-Capitano era il
disprezzo per la propria vita... E, di quello, Kurotsuchi-sama ne
possedeva in abbondanza.
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Capitolo 5 *** V. chapter five; ***
Di nuovo quel sogno.
Era così realistico che gli sembrava ancora di sentire le
mani bagnate dal sangue vischioso e caldo. Era forse quella la sua
maledizione?
Uccidere non gli faceva paura, i cadaveri non lo disgustavano affatto.
C’era, anzi, una sorta di gioia folle nella sua passione per
gli esperimenti. Una sensazione di potere esaltante, ma allo stesso
tempo incredibilmente triste. Ogni notte, continuava a vedere i volti
di coloro che aveva torturato. Non c’era disperazione, non
c’era sofferenza. Anche in quel caso, solo il piacere di
sentire il coltello affondare nella carne. La gioia
dell’esperimento riuscito. Il sangue scivolava sulle sue
dita, sotto il suo sguardo impassibile. E da qualche parte, dentro di
lui, qualcosa gridava, inascoltato.
Kurotsuchi si alzò dal futon, e raccolse la sua maschera.
Ancora una volta, si ripeteva la scena di milioni di altre notti.
Meccanicamente, si sarebbe diretto verso il laboratorio, per continuare
l’esperimento lasciato a metà.
Avrebbe lavorato per lunghe ore, alla debole luce del neon, fino al
sorgere del sole. Il sapore della morte lo faceva sentire bene.
Si soffermò ad osservare la maschera. Era come fissare se
stesso, nè più nè meno. Ed era
così codardo, eppure così rassicurante, poter
odiare una maschera anzichè il proprio volto. Quel volto non
era altro che un nuovo cadavere su cui lavorare. Solo un cadavere
ancora in vita.
Indossò la maschera, e uscì dalla stanza in
silenzio. La porta della camera di Rin era chiusa, e
dall’interno non proveniva nessun rumore. A volte, Mayuri
sentiva qualcosa di molto simile alla solidarietà per quella
ragazza, che aveva stravolto la propria vita con le sue stesse mani e
si era allontanata da essa calpestando le macerie. In un certo senso,
quello era coraggio.
Un soffio di vento fece ondeggiare il fondo del suo kimono, e
Kurotsuchi si rese conto di essere in piedi in mezzo al corridoio,
immobile, senza un motivo apparente. Ormai, gli era persino passata la
voglia di rinchiudersi in laboratorio. Tornò nella sua
stanza.
Tuttavia, anche rimettersi a dormire sembrava impossibile. Si
lasciò cadere pesantemente a terra, la schiena appoggiata al
muro, con la maschera ancora indosso. Chiuse gli occhi.
Intorno a lui, le cose stavano inesorabilmente cambiando.
L’esilio del Capitano Urahara, l’arrivo di Rin, la
scoperta della chiave per aprire il laboratorio nascosto.
Cercò nella tasca del kimono, ed estrasse il piccolo oggetto
luccicante. Si soffermò ad osservarlo.
Era una chiave come tante altre, dal lungo stelo argentato, con una
sottile seghettatura sul fondo.
“E pensare che un simile giocattolo è la soluzione
a tutto.” Aggrottò la fronte. Dov’era
quel “tutto” che tanto si affannava a cercare?
Lo scricchiolio della porta che si spalancava gli fece distogliere lo
sguardo dalla chiave. Rin, in piedi sulla soglia, lo osservava incerta.
- Ho sentito dei rumori, - disse infine - non sapevo che fossi tu, e mi
sono preoccupata.
Cercò di suonare naturale, ma la sua voce tremava.
- Nessuno sarebbe talmente sciocco da introdursi nei quartieri della
dodicesima Divisione di notte.
Rin rimase un po’ interdetta.
- Beh... immagino di no, in effetti. - riuscì a dire infine.
I due rimasero a fissarsi per un attimo, in silenzio. Mayuri si
aspettava che Rin si sarebbe scusata e ne avrebbe approfittato per
distogliersi da quella conversazione imbarazzante il più in
fretta possibile, ma lei non lo fece. Al contrario, si diresse verso
l’uomo, i piedi scalzi che non facevano alcun rumore a
contatto col pavimento. Sedette di fronte a lui.
- Quella è la chiave del laboratorio di Urahara?- chiese a
bruciapelo.
Kurotsuchi si limitò ad annuire. Sperava, rimanendo
impassibile, di far capire a Rin che non aveva voglia di mettersi a
discutere. Voleva soltanto rimanere da solo.
- Posso vederla?
La ragazza allungò la mano, fiduciosa, aspettando che
l’uomo le porgesse la chiave. Kurotsuchi fece cadere
l’oggetto nel piccolo palmo di lei, e rimase ad osservarla
con occhio inquisitore. Senza neppure farci caso, Rin
sollevò la chiave all’altezza del proprio volto e
la osservò luccicare alla luce debole della luna.
- E’ piccola- disse infine- Anche la porta deve essere
piccola... vero?
Mayuri non rispose. L’osservazione era banale, ma forse li
avrebbe portati sulla buona strada. Quella ragazzina era ancora
inesperta su molte cose, ma sicuramente non era una sciocca. Riprese la
chiave, e se la fece scivolare in tasca senza rispondere.
Rin continuò a fissarlo, immobile.
- Che cosa vuoi ancora? - chiese lui, cominciando a spazientirsi.
La ragazza abbozzò un mezzo sorriso.
- Niente. Stavo solo riflettendo.
Non le avrebbe dato la soddisfazione di chiederle che cosa stesse
pensando. Rin, dal canto suo, non sembrava aspettarsi una simile
domanda.
- Kurotsuchi-san, quando indossi la maschera è per impedire
agli altri di capire i tuoi sentimenti dall’espressione del
tuo volto, vero?
Mayuri si voltò a guardarla, sorpreso. Lei non ci fece caso.
- Ormai, è inutile che continui a portarla.
Stavolta, l’uomo non riuscì a trattenersi.
- Che significa?
- L’espressione dei tuoi occhi, e il movimento delle tue
mani, sono quelli che rivelano cosa provi veramente. Si può
recitare col volto e con le parole, ma basta un minimo gesto per
tradire uno stato d’animo. Lo sapevi questo?
Kurotsuchi sogghignò. Non c’era niente di
indagatore nel tono della voce di lei; quella frase era una semplice
osservazione, era stata pronunciata col tono di chi parla del tempo.
Eppure, aveva fatto centro.
- Immagino che adesso vorrai darmi un buon consiglio.
Rin sorrise a sua volta, adesso più tranquilla.
- Non ho nessun consiglio da dare, invece. Però
c’è qualcosa che vorrei chiedere.
Nessuna risposta. Rin interpretò quel silenzio come
un’esortazione a continuare. Con una leggera esitazione,
disse:
- Vorrei poterti guardare in faccia, almeno per una volta.
Kurotsuchi non replicò neanche stavolta. I due rimasero a
fissarsi per un attimo, perfettamente immobili, poi l’uomo
chiuse gli occhi. Era il suo modo per dire che si, andava bene.
Rin sollevò lentamente le mani fino al volto di lui. La
maschera, ormai un semplice strumento senza vita, era fredda al tatto e
incredibilmente leggera. Privo delle familiari iridi ambrate ad
attenuarne la durezza, il volto sogghignante appariva ancora
più grottesco e sinistro.
Poi, la ragazza sollevò lo sguardo.
Kurotsuchi aveva riaperto gli occhi, e la fissava con
un’espressione di sfida dipinta in volto, quasi volesse
invitarla a dire qualcosa, se ne aveva il coraggio. Rin,
però, non aveva nulla da dire; voleva osservare quei
lineamenti una volta per tutte, assorbirne ogni dettaglio e non
dimenticarlo più, per ricordarli ogni qual volta si fosse
domandata cosa c’era al di là di quella maschera
impenetrabile.
Gli occhi ambrati continuavano a scrutarla intensamente, in parte
nascosti da una frangia sottile e un po’ disordinata, che
ricadeva in avanti, fino all’altezza della bocca. La debole
luce che entrava nella stanza dalla finestra aperta illuminava i lisci
capelli di lui, che erano di un azzurro intenso, facendoli apparire
quasi argentati; senza la maschera indosso, Kurotsuchi non faceva
affatto paura.
I bei lineamenti del viso erano resi più duri
dall’espressione severa e dalle due cicatrici che, partendo
dalla mandibola, attraversavano in obliquo la sua guancia sinistra.
Quando un soffio di vento gli scompigliò i capelli, Rin si
rese conto con un misto di orrore e sorpresa che Kurotsuchi aveva
davvero svolto esperimenti su se stesso. Dove avrebbero dovuto esserci
le orecchie, erano invece fissate alla stessa pelle delle strutture in
ferro, che ricordavano vagamente un paio di branchie. Non erano
disgustose da vedere, ma ugualmente Rin sentì un brivido
freddo correrle lungo la schiena: fino a che punto si era spinta la
follia di quell’uomo?
Immobile, le mani che stringevano la maschera ancora sollevate, la
ragazza sentiva di non poter sopportare ancora a lungo quello sguardo
severo piantato addosso.
“Non avrei dovuto chiedergli di vedere il suo volto. La
maschera era un filtro, permetteva a lui di non essere capito, e a me
di non capire. Non era necessario arrivare fino a questo
punto” Adesso il mistero era risolto, la magia era finita.
Rin si sentiva come un sacerdote a cui è stato dimostrato
che gli dei in cui aveva creduto fino a quel momento in
realtà non esistono.
Anche Kurotsuchi-san era un mero essere umano, una creatura vulnerabile
con un volto e delle cicatrici, che sentiva il freddo e la fame, la
gioia, la stanchezza e il dolore. Quella maschera poteva celare tali
sentimenti, ma niente poteva riuscire a eliminarli del tutto.
Quasi le avesse letto nel pensiero, Mayuri allungò la mano,
in attesa che lei gli restituisse la maschera. Rin, tuttavia, non si
mosse: niente sarebbe stato come prima, neppure se avessero continuato
per sempre a fingere le cose si sarebbero sistemate.
Kurotsuchi le strinse la mano attorno al polso sinistro, con
delicatezza, costringendola ad abbassare le braccia. Lei rimase
così, inerte, senza avere il coraggio di dire una parola.
Sentiva le lacrime premere ai lati degli occhi, ma non aveva intenzione
di cedere.
Perchè quella reazione? Lei non era tipo da piangere per un
nonnulla. Era da quella sera di un mese prima che non si sentiva
così; la sera in cui suo fratello l’aveva tradita.
In un angolo remoto della sua mente, si chiese perchè doveva
essere così dipendente dalle altre persone.
Senza volerlo, la maschera le scivolò di mano.
- Che c’è? Hai paura di me?
Kurotsuchi aveva ripreso la sua espressione di scherno, le labbra
increspate in un sorriso obliquo. Nei suoi occhi, tuttavia, per una
volta non c’era ombra di cattiveria. Lasciò andare
il polso di Rin, per stringere la mano intorno al suo collo. La ragazza
poteva sentire la leggera pressione delle dita di lui contro la pelle.
La stava mettendo alla prova.
- E’ così? Ti faccio paura?
Sogghignava.
Rin non rispose. Non sapeva cosa dire. Si limitò a
continuare a guardarlo negli occhi, con la stessa espressione incerta
di poco prima. No, non era paura il sentimento che provava. Solo
un’immensa tristezza, e la sensazione di aver voluto ottenere
più di quanto non le spettasse. Si chiese se Kurotsuchi
fosse in collera con lei, ma non seppe darsi risposta.
Con suo grande stupore, però, l’uomo
allentò la presa. Adesso il suo volto era serio, e il
respiro regolare. Non c’era segno di rabbia nei suoi gesti.
Appoggiò il palmo della mano sulla guancia di lei.
- Vattene, adesso.
Senza farselo ripetere, Rin si alzò di scatto e, quasi
correndo, si precipitò nella sua stanza. Una volta dentro,
si chiuse la porta alle spalle, e vi si sedette con la schiena
appoggiata. Solo allora, nell’oscurità del suo
rifugio, si sentì di nuovo al sicuro.
La mattina successiva, Rin fu svegliata dal sole che, prepotentemente,
graffiava con i raggi dorati le sue palpebre chiuse. Schermandosi il
volto col dorso della mano, la ragazza rimase per qualche istante
immobile, distesa sulla schiena, in ascolto.
Dal cortile di fronte, portato dalla brezza mattutina, si udiva
indistintamente il suono di alcune voci.
Rin, dall’interno della stanza, non poteva cogliere
l’intera discussione; tuttavia, qualche parola giunta alle
sue orecchie la indusse ad alzarsi in fretta: era soltanto
immaginazione, o una delle voci aveva appena pronunciato il suo nome?
Col cuore in gola, ed una spiacevole sensazione di certezza a serrarle
lo stomaco, la ragazza percorse il corridoio in punta di piedi, e si
soffermò a pochi passi dalla porta. Da quella posizione,
riusciva a scorgere l’intera scena, senza essere vista.
Kurotsuchi, le mani pallide strette a pugno lungo i fianchi, discuteva
a bassa voce con quelle che sembravano due guardie armate di tutto
punto. I kimono e le armi erano le stesse che Rin aveva visto indosso
agli shinigami che avevano condotto lei e Mayuri da Urahara Taichou.
Che cosa volevano quei soldati?
La risposta era fin troppo semplice e la ragazza, paralizzata dalla
sorpresa e dal timore, non potè far altro che restarsene
nascosta ad ascoltare la conferma.
- Kurotsuchi fuku-Taichou, è giunta voce che sta ospitando
una ragazza di nome Rin Hisegawa.
Mayuri non rispose. La guardia continuò, incoraggiata da
quel silenzio:
- Sicuramente lei non è a conoscenza del fatto che...
Un brusco gesto del suo interlocutore ridusse le parole dello shinigami
a un mormorio confuso.
- So già tutto, grazie.
La guardia rimase a bocca aperta, senza sapere come replicare a
un’ammissione così esplicita. Anche Rin, nascosta
nell’ombra, tratteneva il fiato.
- E non ha intenzione di fare niente?
- Non vedo come la cosa potrebbe riguardarmi.
- Ma... - tentò di riprendersi lo shinigami -
quella ragazza è un’assassina... ha ucciso
l’intera famiglia... non si conoscono le cause del suo
gesto...
- Le ho detto che non sono interessato.
La seconda guardia, più anziana della prima e
con’espressione più risoluta, si fece avanti.
- Sappiamo che Rin Hisegawa è qui, Kurotsuchi. Ci lasci fare
il nostro lavoro, è disdicevole che protegga
un’assassina, visto che presto sarà eletto
Capitano della dodicesima Divisione...
Mayuri non si mosse. Per un attimo, a Rin sembrò che stesse
riflettendo sulle parole della guardia. Con un brivido, la ragazza si
chiese quale sarebbe stata la sua scelta, di fronte ad
un’affermazione del genere.
Poi, Kurotsuchi scoppiò in una risata crudele, priva di
gioia. I due shinigami si guardarono per un attimo, incerti sul da
farsi.
- Certo, sono convinto che il mondo sia pieno di pazzi disposti a
diventare Capitano della dodicesima Divisione al mio posto...
Perchè certamente non vi aspetterete che io accetti la
nomina, se mi private così del mio vice-Capitano...
Le guardie rimasero in silenzio, palesemente domandandosi quale fosse
il significato di una simile affermazione. Rin, invece, era quasi certa
di aver capito; tuttavia, le era ugualmente difficile credere alle
proprie orecchie: Kurotsuchi-san aveva pensato a lei come possibile
vice-Capitano?
Con stupore, si rese conto che probabilmente era davvero questo
ciò che l’uomo intendeva dire. Eppure, non
l’aveva nemmeno mai vista estrarre la spada. Per essere
eletto fuku-Taichou, uno shinigami deve essere in grado almeno di
eseguire uno shikai...
Nel frattempo Mayuri, seccato dall’improvviso mutismo delle
due Guardie, si era diretto verso la porta di casa. Raggiunta la
soglia, i suoi occhi ambrati incontrarono quelli stupefatti di Rin, che
lo fissava dal suo angolo in ombra.
- Ne parleremo con il Consiglio!
La voce dello shinigami giunse inaspettatamente lontana alle loro
orecchie. Senza smettere di fissare Rin negli occhi, Kurotsuchi
gridò di rimando:
- Aspetterò la risposta con trepidazione!
La ragazza scorse i due shinigami allontanarsi, discutendo
rabbiosamente fra loro. Poi, le venne in mente qualcosa. Non avrebbe
potuto giurarlo, ma le era sembrato di scorgere un bagliore divertito
nello sguardo di Kurotsuchi. Quando si voltò di nuovo verso
l’uomo, però, questi si era già
allontanato.
- E così il tuo nome completo è Rin Hisegawa, -
disse Mayuri, una volta che Rin lo ebbe seguito in casa.
La ragazza rimase ferma a fissare la sua schiena, senza capire dove
volesse andare a parare.
- Si, - rispose semplicemente. Kurotsuchi non replicò.
Era difficile indovinare che cosa stesse pensando, chino
sull’esperimento lasciato a metà. La maschera
copriva interamente il suo volto e le mani, che si muovevano con gesti
rapidi e nervosi, tradivano soltanto una leggera tensione, derivante
probabilmente dalla chiacchierata con le guardie.
L’atmosfera si stava facendo insopportabile per Rin. Un
milione di domande le salivano alle labbra per rimanere non formulate,
per morirle in gola nel terrore di voler sapere troppo.
La sera precedente, la ragazza non era riuscita a scorgere la sottile
linea che separa ciò che è possibile da
ciò che è rischioso, e si era spinta oltre.
Adesso, era ben decisa a non provarci di nuovo. Era troppo presto, e la
ferita era ancora aperta. Lo capiva dal fatto che non le era possibile
evitare di chiedersi che espressione avesse il volto di Mayuri in quel
momento.
Tuttavia, voleva parlare.
- Quello che ha detto la Guardia non è del tutto vero.
Kurotsuchi interruppe il proprio lavoro e si voltò a
guardarla. I suoi occhi erano privi di emozione.
- Ho già detto che i dettagli non mi interessano.
Rin rimase interdetta un attimo, chiedendosi quanti passi la
separassero ancora dalla linea sottile. Decise di buttarsi, di
rischiare ancora.
- Ma sono io a volerne parlare! Non sto cercando di giustificarmi,
credi che uccidere una persona sia più facile che ucciderne
dieci? Credi che sia stato piacevole tenerlo segreto? Voglio che la
gente sappia, voglio che mi giudichi, se lo ritiene necessario!
Preferirei che dicessi di odiarmi piuttosto che affermare in
continuazione che non te ne importa niente!
Durante lo sfogo di Rin, Mayuri non le aveva staccato gli occhi di
dosso. Aveva interrotto il suo lavoro, abbandonando gli strumenti sul
tavolo, e la sua espressione si era gradualmente trasformata da
disinteressata in attenta.
- D’accordo, - disse, quando la ragazza si fu un
po’ ripresa - ti ascolterò, ma non aspettarti di
impietosirmi.
Lei, scioccamente, annuì.
Il racconto di Rin era confuso e pieno di dettagli insignificanti.
Ancora, dopo quasi cinque mesi, le era più facile ricordare
il colore del sangue rappreso sulle sue dita piuttosto che le ultime
parole di suo fratello.
Le giustificazioni che Hikaru aveva mosso a sua difesa erano scivolate
via dalla mente della ragazza come acqua nell’istante esatto
in cui aveva compiuto quell’ultimo, estremo gesto, per poi
tornare ogni notte a perseguitarla negli incubi e svanire di nuovo, al
risveglio.
- ... e poi sono arrivata qui, - concluse Rin, con un sospiro. Le
sembravano trascorse ore da quando aveva cominciato quella lunga
spiegazione; si sentiva stanca, stanca e desolata.
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di sbieco.
- Sei venuta qui. Perchè volevi vivere.
Rin lo guardò, non sapendo cosa rispondere. Lo sguardo di
Kurotsuchi era minaccioso.
- Volevi vivere. Ecco perchè non mi interessa la tua storia;
perchè, qualunque cosa tu decida di fare della tua
esistenza, sceglierai sempre di uccidere piuttosto che di essere
uccisa. Sei un essere umano, e in quanto tale sei custode solo di te
stessa.
Era questa la risposta a tutto? Dolorosamente, la ragazza sapeva che
Mayuri aveva perfettamente ragione. forse, da Kurotsuchi avrebbe potuto
imparare la lezione più importante. Eppure, per quanto la
risposta fosse così vicina, le mani tese di Rin non
riuscivano ad afferrarla.
In silenzio, intanto, l’uomo era tornato al suo lavoro.
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Capitolo 6 *** VI. chapter six; ***
Il vecchio se ne stava
seduto immobile, gli occhi socchiusi, la schiena ben dritta nonostante
l’età. La lunga barba bianca gli ricadeva in
grembo, conferendogli l’aspetto di un eremita o un saggio. Il
giovane shinigami in piedi di fronte a lui attendeva, in rispettoso
silenzio.
- Sono certo che hai agito con le migliori intenzioni, ragazzo, ma
avresti fatto meglio a consultarti prima con me o con il tuo Capitano.
L’altro abbassò un poco la testa, in gesto di
scusa, ma le sue labbra si incresparono in un leggero sorriso di
scherno. Il vecchio non se ne accorse, oppure non ci fece caso.
- Non ho intenzione di punirti per le tue azioni, ma vorrei che capissi
la situazione in cui ci troviamo adesso, Ichimaru. Kurotsuchi
è l’unico disposto ad accettare il ruolo di
Capitano dopo l’esilio di Urahara.
- Kurotsuchi non è una persona affidabile, venerabile
Genryuusai, - rispose Gin senza alzare la testa, un tremito di collera
repressa nella voce.
Il vecchio gli lanciò uno sguardo di affettuoso rimprovero,
come farebbe un padre nei confronti di un figlio un po’
troppo impulsivo.
- Non puoi giudicare le persone con tanta leggerezza, ragazzo. Io ho
fiducia in Kurotsuchi, e sono convinto che le sue azioni sono mosse, se
non dalla nobiltà d’animo, da una notevole
quantità di criterio.
Il giovane shinigami strinse i pugni, contrariato.
- Quell’uomo sta proteggendo un’assassina! La legge
vuole che Rin Hisegawa riceva la giusta punizione: con il suo
comportamento, Kurotsuchi va contro alle regole della Soul Society!
- Ichimaru, - nel tono di Genryuusai c’era una nota di
impazienza. - tieni Rin Hisegawa fuori da questa storia. Se il tuo
problema è che Kurotsuchi sta difendendo una potenziale
omicida, la risposta è: sei davvero convinto che rendere
pubblico un simile evento migliorerebbe le cose?
Gin sollevò la testa di scatto, perplesso. Cosa intendeva
dire Genryuusai con quelle parole?
- Prova a pensarci, - continuò il vecchio. - Incarcerare
quella ragazza porterebbe tre conseguenze principali. Per prima cosa,
perderemo il Capitano della dodicesima Divisione che, come hai detto
tu, ha deciso di schierarsi dalla parte di Hisegawa.
“Questo non fa che confermare la mia teoria”
pensò amaramente il giovane shinigami. Nella sua ottica, non
sarebbe apparso improbabile che Mayuri difendesse Rin ben sapendo che
era un’assassina, o addirittura proprio perchè lo
era.
- Secondo, getteremmo disonore sulla famiglia Hisegawa. Non possiamo
permetterci una cosa simile, le famiglie nobili della Soul Society
vanno diminuendo sempre di più e Rin, fino a prova
contraria, è l’ultimo membro vivente della sua
casata.
- E infine terzo. Ichimaru, ragazzo mio, credi davvero che in tempi
come questo il Consiglio dei 46 possa occuparsi di faccende come un
processo? Quella ragazzina è appena in grado di badare a se
stessa, e non abbiamo neppure prove sufficienti a dimostrare che lei
sia l’assassina. Se vuoi il mio parere, anzi, è
del tutto innocente. Perciò, dimentica questa storia.
Genryuusai sorrise bonariamente in direzione di Gin.
- Và, ragazzo, e non preoccuparti di faccende più
grandi di te.
Il giovane shinigami, livido di rabbia, si inchinò
rigidamente in direzione del vecchio. Non riusciva a capire come fosse
possibile che, persino in un luogo come la Seiretei, le apparenze
contassero più della legge.
- Ai suoi ordini, signore.
Un attimo prima di scomparire oltre la porta, si voltò verso
il vecchio, lanciandogli uno sguardo di puro odio. Genryuusai era
immobile, e lo fissava con sincera preoccupazione. Gin si
allontanò in fretta: era stato sconfitto su tutta la linea.
- Non avrei dovuto vederlo, vero?
In piedi al centro della stanza, Rin non riusciva a distogliere gli
occhi dal gigantesco contenitore pieno di liquido cristallino. Un
consistente numero di elettrodi erano fissati alla superficie vetrosa e
liscia, e dai macchinari circostanti proveniva un ritmico ronzio.
- No. Non avresti dovuto impicciarti.
Kurotsuchi la fissava dalla soglia, lo sguardo furente e i pugni
stretti lungo i fianchi.
La ragazza si voltò lentamente, un’espressione
rilassata dipinta in volto. Sembrava trovare l’intera
faccenda interessante, divertente magari. Quando parlò non
c’era traccia di paura nella sua voce.
- Beh, direi che ormai è troppo tardi, no?
All’interno del contenitore, immersa nel liquido,
c’era una sagoma grande più o meno come una mela,
dalla forma vagamente umanoide. Immobile.
- Vattene.
Rin non si mosse.
- Ho detto vattene.
- Che cos’è, Kurotsuchi-san?
Silenzio. L’uomo mosse qualche passo avanti, furente, fino a
raggiungerla al centro della stanza. Sentiva il sangue pulsargli alle
tempie, le dita delle mani contrarsi per la collera repressa.
Quella ragazzina si era spinta troppo oltre.
Fino a quel momento, Kurotsuchi l’aveva lasciata giocare in
laboratorio e, perchè no, in alcuni casi era persino stata
utile. Ma adesso, Rin stava esagerando. Aveva profanato il suo progetto
più segreto.
- Sembra quasi...
Le dita di Kurotsuchi si strinsero sulle sue spalle, fino a farle male.
Lei però non si mosse.
- Stai mettendo seriamente alla prova la mia pazienza, ragazzina.
- ... sembra quasi un essere umano.
Le mani di Kurotsuchi ebbero un tremito, poi l’uomo le
allontanò da Rin rapidamente, come se si fosse scottato.
Come lo aveva capito? Con che diritto era arrivata fino a quel punto?
Mayuri sapeva, era certo anzi, di aver compiuto un grosso errore: aveva
lasciato troppa libertà a quella giovane shinigami, le aveva
permesso di sapere cose di cui non avrebbe mai dovuto essere a
conoscenza.
L’uomo era consapevole di ciò che sarebbe successo
poi: uno sbaglio durante un esperimento è irreparabile. Il
risultato finale, dopo l’errore, non è quello che
ci si sarebbe aspettati; le correzioni comportano modifiche, e
modificare significa alterare l'intero progetto.
Adesso, c’erano solo due modi per risolvere la faccenda.
Primo: liberarsi al più presto di Rin, prima che quella
ragazza creasse ulteriori problemi. Secondo: fidarsi di lei, e cercare
di farne un’alleata.
La prima scelta era decisamente la più semplice; cosa
importava se si era illuso fino a quel momento di poter ottenere
qualcosa da lei? Del progetto che custodiva in quella stanza, Mayuri
non ne aveva mai parlato con nessuno, neppure con Urahara. Era il suo
segreto.
I suoi occhi scivolarono sulla ragazza, in piedi davanti a lui. Si
sentiva decisamente più tranquillo, una volta presa la sua
decisione. Avrebbe potuto andare avanti anche da solo, non aveva poi
davvero bisogno di un’assistente. Avrebbe potuto ricominciare
da capo, esattamente come prima.
Eppure, c’era qualcosa che non andava.
- Scusami, Kurotsuchi-san.
Rin gli dava le spalle, e continuava a fissare la piccola sagoma nel
contenitore, ma la sua voce suonava chiaramente dispiaciuta. Con
evidente sforzo, la ragazza allontanò lo sguardo
dall’esperimento, e si voltò verso Mayuri.
- Non avrei dovuto impicciarmi. Non posso dimenticare tutto, ma se vuoi
non ne parlerò più.
Si sforzò di sorridere.
Gli ultimi mesi, Kurotsuchi li aveva trascorsi cercando di fare di Rin
un valido assistente. Un sacco di tempo e lavoro gettati via, se adesso
avesse rinunciato. Sentiva di non potersi fidare di quella promessa,
eppure non poteva neppure essere così incoerente con se
stesso.
Nonostante non avesse bisogno di lei, necessitava comunque di un
vice-Capitano.
- Quella che vedi, ragazzina, – disse, quasi orgoglioso, -
è la prima creatura vivente interamente artificiale che sia
mai stata creata.
- E’ incredibile...
Al termine della spiegazione, Rin si sentiva più confusa di
prima.
- Sembra assurdo che quella cosa debba crescere fino a diventare una
persona come me e te.
Kurotsuchi le scoccò un’occhiata severa.
- Non sarà come me e te.
Lui, invece, capiva benissimo.
Un essere umano è qualcosa di estremamente complesso. Certo
ci sono i muscoli, le ossa, il sangue. Il cuore e il cervello non sono
altro che organi, tangibili, che è possibile riprodurre
perfettamente in laboratorio.
L’anima, invece, è qualcosa che non si
può copiare fedelmente.
Per quanto quella creatura potesse essere perfetta, i suoi sentimenti,
le sensazioni, la concezione di “bene” o
“male” non avrebbero mai potuto dipendere da lei.
- Togliti dalla testa di creare dal nulla un essere senziente.
“Lei” sarà esattamente come io ho deciso
che sia, nè più nè meno. I suoi
istinti sono artificiali, esattamente come il suo corpo.
Rin appariva perplessa.
- Ed è questo ad impedirle di essere
“umana”?
- Esattamente.
La ragazza non capiva. Cosa c’era di diverso fra quella
creatura, che stava crescendo in una provetta, e lei? Il suo aspetto,
infondo, non dipendeva forse dai cromosomi dei suoi genitori? E il suo
carattere, sebbene si fosse formato col tempo, non era fondato su una
disposizione di base, che era in lei da quando era nata?
Dov’era dunque la linea che separa l’essere umano
dal... da cosa?
- Allora, Kurotsuchi-san... se non è un essere umano... che
cos’è?
Mayuri le dava le spalle, armeggiando con gli elettrodi sulla
superficie di vetro.
- Un esperimento. Solo un semplice esperimento, anche se è
il più ambizioso che io abbia mai tentato di realizzare. Non
ti credevo così sentimentale da preoccuparti per la sua
condizione.
Le lanciò un’occhiata al di sopra della spalla,
sogghignando con malignità. Rin sembrò non
accorgersene nemmeno, e prese a girellare oziosamente per la stanza,
mentre l’uomo continuava ad armeggiare con gli innumerevoli
cavi collegati ai macchinari.
Dopo un attimo di silenzio, come uscendo da una riflessione, la ragazza
disse, pensosamente:
- Prima hai detto “lei”. È una femmina?
Kurotsuchi si voltò di scatto, sorpreso dalla domanda. Rin
era tornata a fissare la figura che galleggiava nel liquido
cristallino, indifesa, con uno strano sorriso dipinto in volto.
- Nemu. – disse infine.
- Cosa...?
- Non vorrai continuare a chiamarla “esperimento”!
Kurotsuchi si voltò, esasperato.
- Ti ho appena detto che è esattamente di questo che si
tratta. Non affezionartici troppo, nel giro di qualche mese la ricerca
sarà conclusa.
Rin assunse un’espressione scettica. Cosa significava
“la ricerca sarà conclusa”? Quella
creatura era destinata a evolversi, a essere utilizzata per qualche
strana ricerca collaterale, oppure...? Come molte altre volte prima, la
ragazza decise di non chiederlo a voce alta. Con quell’uomo,
era meglio tenere per sè le congetture, e aspettare di
vedere i fatti.
Una cosa, però, poteva sempre domandarla.
- In cosa consiste l’esperimento?
Mayuri si voltò, e la sua espressione faceva capire che,
probabilmente, si era aspettato una simile domanda. Smise di armeggiare
con gli strumenti, e si voltò anche lui verso
“Nemu”. Non rispose subito. Rin aspettava,
trepidante. Infine, Kurotsuchi disse:
- Quando arriverà il momento, lo scoprirai.
Quella notte, dopo molto tempo, Rin sognò di nuovo suo
fratello.
Hikaru se ne stava da solo, in piedi di fronte al cancello di casa, e
le dava le spalle. Era il tramonto, ed il cielo si stava tingendo di
rosa e arancio. Gli alberi erano immobili e non si udiva nessun suono,
come se il tempo si fosse fermato.
- Hikaru...
Come sempre, in quel genere di sogni, Rin era consapevole di
ciò che l’uomo aveva fatto. Eppure, come ogni
volta, si avvicinò a quella figura così
familiare, incapace di sottrarsi al senso di colpa con cui ormai si era
abituata a convivere.
- Rin.
La voce di suo fratello la spaventò, scatenando in lei un
tremito involontario che le svuotava la mente da qualunque pensiero...
come quando, da piccola, attendeva la punizione per qualche malefatta.
Adesso, però, sentiva che c’era in gioco qualcosa
di più serio di un semplice castigo.
Hikaru si voltò di scatto verso di lei, che dovette
trattenersi dal lanciare un grido. Le pupille di lui erano minuscole
negli occhi dilatati, e il volto era sfigurato da un’orrenda
espressione di trionfo. Non mosse le labbra, eppure Rin ebbe
l’impressione di udire la sua voce, come proveniente da molto
lontano.
Era solo un sogno, frutto dell’immaginazione, e non aveva il
dono della parola; tuttavia, poteva essere udito. Diceva soltanto
ciò che Rin si aspettava di sentire. Suo fratello parlava
attraverso di lei, dalle profondità del suo essere.
- Sei condannata!
Arretrando nell’erba bagnata di rugiada, Rin si
sentì afferrare da una paura come non ne aveva mai provata
prima. Per quanto si sforzasse di muovere le gambe quelle non si
spostavano di un millimetro, come se anche lei fosse divenuta parte di
quel mondo freddo e silenzioso, fatto di foglie che non stormiscono e
cieli eternamente al tramonto. Hikaru alzò il braccio
destro. Stringeva in pugno la spada.
- NO!
Le parole le uscirono dalle labbra con tutta la loro forza, spezzando
in profondità la quiete di quel luogo. La mano tesa del
fratello, alta contro l’arancio della volta celeste, sembrava
essere attraversata dai raggi del sole morente, quasi che fosse fatta
di vetro.
“E’ solo un ombra,” si disse Rin
“Solo un sogno, e io devo resistere finchè mi
sveglierò.”
- Tu non puoi farmi niente! - esclamò, a voce alta.
Le tornavano in mente le parole di Kurotsuchi: sceglierai sempre di
uccidere piuttosto che di essere uccisa.
Solo adesso capiva che era vero.
La sagoma di Hikaru appariva sempre più sbiadita, a mano a
mano che lei acquistava coraggio. Era decisa, voleva finirla una volta
per tutte. Non provava tristezza, non sentiva alcun desiderio,
nè alcun rimorso; solo collera, collera incontrollabile.
- Non mi importa cosa vuoi da me! Se ti metterai di nuovo sul mio
cammino, ti ucciderò ancora! E se tornerai, lo
farò un’altra volta! Sei tu ad aver sbagliato,
Hikaru, smetti di perseguitarmi!
D’un tratto, una folata di vento scosse le cime degli alberi.
I rami cominciarono ad ondeggiare, frusciando, e tra l’erba i
grilli presero a intonare la loro melodia serale. Basse verso est, le
prime stelle fecero capolino nel cielo che andava man mano scurendosi,
mentre il sole scompariva rapido a occidente.
Hikaru era ormai un’ombra indistinta in quel luogo dove il
tempo aveva ripreso a scorrere. Prime di svanire nel nulla,
però, fece in tempo a gridare:
- Hai vinto, ragazzina. Ma verrà il giorno in cui dovrai
tornare, e allora sarà per sempre.
Rabbrividendo piacevolmente nel percepire il tocco della brezza sulla
pelle, Rin esplose in una calda risata, la prima dopo moltissimo tempo.
Le parole di Hikaru non avevano più alcun senso per lei,
ormai.
Era riuscita a sconfiggere parte del fantasma di se stessa: in quel
momento, le sembrava che nient’atro fosse importante.
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Capitolo 7 *** VII. chapter seven; ***
I dieci Capitani erano
disposti in
piedi, con aria solenne, in due file ordinate che formavano una sorta
di corridoio attraverso la stanza luminosa. seduto sul suo seggio che
dava le spalle alla parete frontale, il venerabile Capitano della prima
Divisione, Yamato Genryuusai, fissava la porta all’altro capo
della
sala con un’espressione di assente serenità.
- Kurotsuchi Mayuri, -
annunciò la guardia alla porta, scostandosi con un movimento
solenne,
frutto di lunghi anni di esperienza.
I membri della dodicesima
Divisione, che erano stati convocati per l’occasione, si
voltarono
all’unisono verso l’entrata. Tra loro Rin Hisegawa,
con il suo nuovo
abito da shinigami, si fece sfuggire un leggero sorriso. Kurotsuchi-san
era entrato nella stanza, in silenzio, con il suo solito passo deciso.
Attraverso la maschera terrificante, gli occhi ambrati erano
incessantemente fissi su Genryuusai, che a sua volta lo osservava con
un misto di compiacimento e attesa.
Mayuri si fermò al centro della sala.
Dalla
sua posizione in prima fila, Rin riusciva perfettamente a vedere la
scena. Il vice-Capitano era silenzioso e tranquillo, benchè
vigile come
al solito. Indossava la sua uniforme da shinigami, e portava la spada
fissata alla cintura del kimono.
Nonostante fosse vietato dalle
leggi della Seiretei, Kurotsuchi Mayuri continuava a portare con
sè la
zanpakuto ovunque andasse. Rin lo detestava per questo, e allo stesso
tempo lo ammirava: d’altra parte, lei aveva dovuto ricorrere
a trucchi
ben più meschini per avere sempre con sè la
propria arma...
-
Kurotsuchi fuku-Taichou. - La voce di Genryuusai era roca e solenne,
come quella di chi è ormai abituato a ripetere, ancora ed
ancora, una
stessa formula all’infinito.
- Genryuusai-sama.
Nessuno si
mosse. Mayuri si inchinò impercettibilmente in direzione del
vecchio,
che annuì. Poi, alzando appena una mano, gli fece segno di
seguirlo
dietro ad una tenda posta infondo alla sala, alle sue spalle.
Ordinatamente,
i tredici Capitani – Genryuusai e Kurotsuchi in testa
– si spostarono
nella stanza adiacente. Era molto ampia e scarsamente illuminata, con
le pareti scure e gradinate di legno disposte ad anfiteatro. Seduti
sulle gradinate, i membri del Consiglio dei 46 al gran completo.
Il
vice-Capitano della dodicesima Divisione rimase in piedi al centro
della stanza, fronteggiandoli. Un giovane shinigami semplice mosse
qualche passo incerto verso di lui, e gli sfilò dal braccio
la fascia
che contraddistingue il ruolo di fuku-Taichou.
Nella sala adiacente,
Rin e gli altri membri della Divisione numero dodici attendevano, in
silenzio. A loro non era permesso entrare e prendere parte alla
cerimonia, tuttavia era loro dovere rimanere lì, in attesa,
per
accogliere il nuovo Capitano quando si fosse presentato loro.
Genryuusai si avvicinò a Mayuri, camminando lentamente.
-
Onorevoli signori del Consiglio! - disse il vecchio, con voce sicura -
Sono qui oggi per chiedere la nomina di Kurotsuchi Mayuri come Capitano
della dodicesima Divisione. Attendo risposta.
Una figura vestita con un kimono interamente bianco si alzò
da uno dei sedili incima alle gradinate. Parlò.
- Kurotsuchi Mayuri. Da quanto tempo sei vice-Capitano?
- Quasi quattro anni.
- Sei in grado di creare un bankai completo?
- Lo sono.
- Dimostralo.
Kurotsuchi
estrasse la spada dal fodero. Il sogghigno dipinto sulla maschera
nascondeva le sue labbra, anch’esse piegate in un sorriso
malvagio. Gli
occhi ambrati erano freddi e privi di gioia.
- KONJIKI ASHISOJI JIZOU!
La
zanpakuto scomparve, in una nuvola di fumo. Al suo posto, una
gigantesca figura confusa iniziò a prendere forma. I membri
del
Consiglio si ritrassero involontariamente contro le gradinate, alcuni
di loro riparandosi il volto con le mani. Mayuri non si mosse.
Dietro
di lui, si ergeva un mostro orribile, a metà strada tra un
neonato e un
verme, giallastro, con un’aureola dorata e, attorno al collo,
quello
che sembrava un mantello rosso. Le orbite dei suoi occhi erano vuote e
le mani, piccole e rattrappite, si muovevano lentamente come per
afferrare l’aria. L’espressione degli shinigami che
osservavano fu
dapprima di chiaro disgusto, poi qualcuno di loro si alzò in
piedi.
Infine, l’uomo interamente vestito di bianco disse:
- Richiamalo!
Mayuri
ubbidì. Il mostro scomparve com’era venuto, con un
suono sibilante e
una spirale di fumo, tornando ad essere la curiosa spada dalle tre lame
dorate che costituiva lo shikai Ashisoji Jizou.
- Basta così, è
sufficiente, - l’uomo vestito di bianco aveva
un’espressione grave.
Cominciò a discendere lentamente le gradinate. Nessuno
parlava.
-
Kurotsuchi Mayuri, - estrasse la propria zanpakuto dal fodero. - membro
della dodicesima Divisione, ex-vice Capitano della dodicesima
Divisione, membro del Centro di Ricerca Scientifica della Soul Society.
Giuri di servire la seiretei con tutte le tue forze e tutto il tuo
potere, e di guidare con saggezza la tua Divisione per il bene della
Soul Society?
- Giuro.
Sollevò la spada, e la lama scintillò nella
pallida luce della stanza.
- Per il potere del Consiglio dei 46, io ti nomino Capitano della
dodicesima Divisione di shinigami della Seiretei.
Appoggiò
lievemente la spada sulla spalla di Mayuri, che si inchinò
come un
cavaliere medievale che riceva l’investitura. Genryuusai si
avvicinò.
Il vecchio teneva in mano la tradizionale giacca del Capitano, bianca
con il numero della Divisione dipinto in nero sulla schiena. La
appoggiò sulle spalle di Kurotsuchi, che rimase un attimo
immobile
prima di alzarsi di nuovo.
Il neo-Capitano della dodicesima
Divisione si voltò lentamente verso Genryuusai, in silenzio.
Per
qualche istante, nessuno parlò. Era come se tutti gli
occupanti della
stanza stessero aspettando che svanisse l’alone di
solennità ancora
percepibile, per timore di spezzarlo con inutili parole.
Poi, l’uomo vestito di bianco disse:
- Kurotsuchi Taichou, chi chiedi come tuo vice-Capitano?
Kurotsuchi alzò tranquillamente gli occhi ambrati, e
parlò con voce chiara e forte.
- Chiedo Rin Hisegawa come mio vice-Capitano.
Mormorii stupefatti percorsero le gradinate.
Rin Hisegawa.
La
ragazza che aveva ucciso la sua intera famiglia. Colei che era sfuggita
alla condanna solo perchè il Consiglio aveva scelto di
evitare un
simile scandalo. Insomma, una criminale.
- Kurotsuchi Taichou, sei convinto della tua richiesta?
Lo
shinigami che aveva posto la domanda fu messo a tacere da
un’occhiata
di fuoco. I mormorii perplessi si estinsero lentamente. Solo
Genryuusai, a bassa voce, disse: - Ne sei sicuro, Kurotsuchi-sama? Sei
al corrente delle voci che...
- Come ho già detto alle guardie che
avete mandato a casa mia, sono disposto a rinunciare alla mia carica di
Capitano se non posso avere Hisegawa come vice. Nessun altro
all’interno della mia Divisione sarebbe in grado di occupare
quel
posto.
- Beh, in tal caso... - nella voce dello shinigami del
Consiglio c’era una sfumatura speranzosa. - ... potremmo
cercare tra i
membri delle altre Divisioni, non sei obbligato a scegliere un tuo
diretto sottoposto.
- Rin Hisegawa, - replicò semplicemente Kurotsuchi. E non
disse altro.
Il
giovane Dio della morte dai capelli scuri fissava la ragazza seduta in
un angolo, il mento sulle ginocchia e gli occhi chiusi. Da quando
Kurotsuchi si era allontanato nell’altra sala, agli shinigami
semplici
era stato concesso di sedersi, e lei se ne era rimasta immobile in
quella posizione.
Il ragazzo sapeva chi era. Ne aveva sentito
parlare da un senpai, qualche mese prima. Rin, la giovane aiutante del
vice-Capitano: silenziosa, intelligente e straordinariamente rapida ad
apprendere. Qualcuno la descriveva come la ricercata che aveva ucciso
la propria famiglia in un momento di follia, altri come
l’amante del
fuku-Taichou. Lui, dal canto suo, non sapeva a cosa credere.
Vedendola
adesso, raggomitolata in un angolo e con un mezzo sorriso placido
dipinto in volto, non sembrava così straordinaria. Aveva
l’aspetto di
una comunissima ventunenne, piuttosto mingherlina per la sua
età,
completamente innocua e decisamente poco provocante.
- Rin Hisegawa!
- uno shinigami del Consiglio faceva il suo ingresso nella stanza,
dritto e impettito nel suo kimono bianco. Rin aprì gli occhi
di colpo,
come un gatto che scruta una preda, e si alzò in piedi.
- Sono io.
Lo
shinigami la squadrò da capo a piedi, come se anche lui
stesse
valutando quanto potesse esserci di vero nelle voci che circolavano.
Poi, forse decise di lasciar perdere, perchè le disse:
- Seguimi.
La
ragazza fece come le era stato detto, e fu condotta al centro della
sala semicircolare, nel posto dove prima era stato in piedi Kurotsuchi.
Il nuovo Capitano della dodicesima Divisione adesso era appoggiato ad
una parete alle sue spalle, immerso nella semi oscurità. Rin
scorse i
suoi occhi ambrati brillare nel buio, inquietanti e rassicuranti al
contempo.
"Kurotsuchi-san, che cosa mi faranno?"
- Tu sei Rin Hisegawa?
La
ragazza fissò lo shinigami che gli aveva posto la domanda,
sgomenta.
L’avevano scoperta? Mayuri-san l’aveva consegnata
al Consiglio?
Incerta, si voltò verso Kurotsuchi, che piegò
impercettibilmente la
testa in un piccolo cenno d’assenso.
- Si, - rispose Rin, fiduciosa.
- Sei in grado di creare uno shikai completo?
Questa
seconda domanda insospettì la ragazza ancora di
più, ma Kurotsuchi le
aveva fatto capire che doveva rispondere, e così fece.
- Si.
- Dimostralo.
Prendendo
il coraggio a quattro mani, Rin raddrizzò la schiena e
fissò lo
shinigami biancovestito. Non aveva più paura.
Portò la mano destra al
nastro scarlatto che portava avvolto tra i capelli, e sciolse il nodo
con cui l’aveva legato. Immediatamente, la striscia di
tessuto assunse
le sembianze di una katana.
Era una zanpakuto sottile, più corta di
quelle normali, con l’elsa nera a cui erano fissati un lungo
filo
cremisi e due campanellini. Rin la impugnò.
- Tintinna, Koumaru!
La
zanpakuto scomparve per un attimo, come l’immagine in un
televisore mal
sintonizzato, poi riapparve. Adesso la lama era dritta, nera e a doppio
taglio, come quella di una daga medievale. Di tanto in tanto, emetteva
lievi bagliori argentati.
Nessuno disse niente. I membri del
Consiglio sembravano intenti a scavare nella propria mente, in cerca di
una legge o un cavillo che impedisse a Rin di diventare vice-Capitano.
Non riuscirono a trovarne: le voci erano solo voci, e la ragazza era
perfettamente capace di creare uno shikai completo.
- Rin Hisegawa,
- il tono dello shinigami biancovestito era intriso di collera
repressa. - Deponi la tua arma. E’ sufficiente
così.
Rin gli lanciò un rapido sguardo indagatore: - E adesso?
- Sei in grado di eseguire lo shikai della tua zanpakuto. Kurotsuchi
Taichou...
Mayuri
uscì dall’ombra, impassibile.
L’espressione sul suo volto era difficile
da interpretare. Si avvicinò a Rin, sempre più
perplessa.
-
Inginocchiati, - le ordinò lo shinigami vestito di bianco.
Rin si
affrettò ad ubbidire: non sapeva come dovevano svolgersi le
cerimonie
di nomina interne alla Seiretei, perchè non aveva mai
partecipato ad un
simile evento prima.
Kurotsuchi parlò.
- Rin Hisegawa, - alla
ragazza sembrò strano sentirgli pronunciare il suo nome
completo, era
la prima volta che lo usava per rivolgersi direttamente a lei - giuri
di onorare il compito che ti verrà assegnato e servire la
Seiretei con
lealtà e giustizia?
- Giuro.
- In qualità Capitano, io ti nomino luogotenente della
dodicesima Divisione.
La fredda lama della zanpakuto di Kurotsuchi sfiorò
leggermente la spalla destra di Rin, per poi sollevarsi di nuovo.
- Alzati, - le disse Mayuri. Rin fece come le era stato detto.
- Questa devi portarla sempre con te, - interloquì
Genryuusai, porgendole la fascia di vice che prima era appartenuta a
Mayuri.
Rin la prese, annuendo in silenzio.
- Siete liberi di andare, adesso.
- Silenzio!
La
guardia nella stanza adiacente sibilò il basso ammonimento
nervosamente, senza convinzione. Da quando Rin si era allontanata, i
mormorii fra gli shinigami della dodicesima Divisione si erano fatti
più insistenti, più concitati.
- Perchè il Consiglio l’ha fatta chiamare?
- Che cosa avrà combinato?
- Non vorranno eleggerla vice-Capitano?
Era
sceso il silenzio, un attonito silenzio carico di astio. Poi, le voci
irose si erano levate di nuovo, più taglienti di prima.
- Non è possibile!
- Potrebbe essere un’assassina!
- Non ha abbastanza esperienza per diventare vice-Capitano!
La
porta infondo alla sala si aprì lentamente, e due figure
emersero
dall’oscurità retrostante. Kurotsuchi Mayuri
indossava la casacca da
Capitano. Il numero dodici, nero in campo bianco, spiccava sulla sua
schiena. Nessuno disse niente.
Dietro di lui, Rin Hisegawa camminava
a testa china, consapevole dell’assurdità della
situazione. La fascia
del vice-Capitano, che si era legata al braccio destro – al
sinistro
non aveva potuto, a causa delle vecchie ferite - le sembrava
pesantissima. Più pesanti erano però gli sguardi
degli altri shinigami,
tutti crudelmente puntati su di lei.
Genryuusai comparve a sua volta da dietro la porta, con un sorriso
placido dipinto in volto.
- Shinigami della dodicesima Divisione, questo è il vostro
Capitano, Kurotsuchi Mayuri.
Solo
dalle prime file si levò qualche mormorio, che poteva essere
di
congratulazioni come di dissenso. Non era l'informazione che volevano,
questa lo sapevano già...
- E lei è il vostro vice-Capitano, Rin Hisegawa.
Il silenzio che seguì l’affermazione fu rotto
immediatamente da un coro bisbigliante.
- Allora era vero?!
- Com’è possibile?
- E’ ingiusto!
Stavolta,
l’astio era chiaramente percepibile nei sussurri degli
shinigami. Rin
abbassò lo sguardo, a disagio. Non le importava cosa
pensavano gli
altri, certo che no... tuttavia, era perfettamente consapevole di non
meritare affatto il ruolo assegnatole.
Kurotsuchi aveva chiaramente
notato la disapprovazione nei volti e nelle parole dei suoi sottoposti,
ma non disse nè fece niente per far cambiare loro idea. Rin
comprese
che, se voleva chiarire la questione con gli altri, avrebbe dovuto
farlo da sola.
I mormorii non accennavano a diminuire. L’espressione
del Capitano della dodicesima Divisione era impassibile, distaccata.
Rin sollevò appena gli occhi, fissandolo interrogativamente.
- Andiamo, - disse Mayuri semplicemente.
Attraversò
a lunghi passi la sala, senza guardare il gruppo degli shinigami,
caduto improvvisamente nel silenzio più attonito. Rin lo
seguì
rapidamente, evitando di alzare lo sguardo da terra. Attraversarono i
lunghi corridoi dell’edificio del Consiglio e ben presto
furono liberi,
all’esterno.
Nell’aria fresca e luminosa della tarda mattinata, la
ragazza si sentì come se avesse appena ripreso a respirare.
Nessuno li
aveva fermati, nessuno aveva impedito loro di uscire. Era tutto finito.
Eppure, c’era ancora una cosa che aveva bisogno di sapere.
- Kurotsuchi-san... - esordì, con tono incerto.
Sapeva
che sarebbe stato inutile chiedergli “perchè
proprio io”. Mayuri non
amava dare spiegazioni del genere. La domanda che voleva rivolgergli
era un’altra.
- Come facevi a sapere che sono in grado di eseguire uno shikai?
Kurotsuchi
la fissò distrattamente, apparentemente senza prestare
troppa
attenzione alla sua domanda. Prese a camminare lungo la strada,
intenzionato a tornare il prima possibile ai suoi esperimenti.
- Quando sei arrivata al laboratorio, con il braccio ridotto in quello
stato... era già ovvio.
Sembrava
infastidito: un simile quesito richiedeva complesse spiegazioni, e
Mayuri non sembrava desideroso di parlare. Scelse accuratamente le
parole, in modo da doverne usare il minor numero possibile:
- Le
lesioni ai tendini e ai muscoli erano chiaramente dovute ad un afflusso
eccessivo di Energia Spirituale... della tua Energia Spirituale.
Qualcosa di incontrollato, di una potenza superiore a quella che
saresti stata in grado di sopportare. Del livello di un bankai.
Rin sussultò, e rallentò il passo. Kurotsuchi
ignorò la sua reazione.
- Naturalmente, per riuscire a realizzare un bankai, è
necessario saper creare uno shikai completo.
Lo
shinigami continuò a camminare, incurante del fatto che Rin
si era
ormai fermata. Il cuore della ragazza batteva all’impazzata
e, benchè
si sforzasse, le sue gambe si rifiutavano di muoversi. Si sentiva la
testa completamente sgombra.
Kurotsuchi si voltò appena, sogghignando.
-
E’ per questo che ti ho suggerito di non far vedere in giro
quelle
ferite, cosa credevi? - una pausa studiata: il Capitano si stava
godendo il risultato della sua brillante deduzione. Lanciò a
Rin
un’occhiata perforante. - Non dirmi che, intelligente come
sei, non eri
arrivata a capirlo da sola...
Ichimaru stava in piedi, in un
angolo dell’ampia stanza scarsamente illuminata. Un uomo
alto, dai
lisci capelli castani, gli dava le spalle seduto ad una bassa scrivania.
-
E così l’hanno eletta vice-Capitano, Aizen-sama, -
esordì Gin, la
collera graffiante che gli alterava la voce solitamente pacata. -
Kurotsuchi ha insistito per avere lei come luogotenente, e non ha
voluto sentire ragioni...
Una breve risata.
Senza neppure
voltarsi a guardare il suo interlocutore, l’uomo che
rispondeva al nome
di Aizen appose il timbro del Capitano della quinta Divisione sulla
lettera che stava scrivendo. Il discorso del suo fuku-Taichou non
riusciva ad interessarlo completamente.
- Pensi davvero che questo
sia un problema, mio giovane ed inesperto Ichimaru? -
domandò con voce
gentile, socchiudendo le labbra in un blando sorriso. - Se quella Rin
Hisegawa occupa un posto che noi vorremmo libero per qualcuno
“dei
nostri”, sarà mia cura personale liberare quel
particolare posto per
colui che deve venire.
Si alzò in piedi. Lo sguardo, generalmente limpido e
rassicurante, era adesso pervaso da un’ombra di perversa
soddisfazione.
-
Ho sentito che un gruppo dei nostri shinigami semplici ha trovato un
Hollow sfuggito ai laboratori di Kurotsuchi aggirarsi per i quartieri
della quinta Divisione... scommetto che, con un po’ di
allenamento,
potrebbe diventare un fantastico cagnolino da riporto, non lo pensi
anche tu...?
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Capitolo 8 *** VIII. chapter eight; ***
L’elsa della
katana era fredda a contatto con i palmi delle mani coperti di sudore.
Riusciva a percepire ogni cosa attorno a sè.
Il sibilo del vento tra le piante. Il suono leggero della cascata nel
giardino in stile zen. L’aria fresca che le solleticava la
pelle del volto, congelando le lacrime che le rigavano le guance.
Le era quasi impossibile distinguere i colori, in quel labirinto di
ombre spettrali. Niente si muoveva tranne le foglie degli alberi, in
alto, sopra la sua testa. L’erba, il ruscello, la casa
lontana: tutto sembrava grigio fango nella luce irreale
dell’immensa luna piena.
La ferita al lato sinistro del volto le faceva male, e il sangue le
scivolava giù lungo il naso, mescolandosi alle lacrime,
gocciolandole in bocca e sui vestiti. Con un occhio ridotto alla semi
cecità, era difficile distinguere la giusta
profondità delle cose. Si passò una mano sulla
faccia per asciugarsi alla meglio.
"Che fine ha fatto?" si chiese Rin, guardandosi attorno.
Appoggiò la schiena contro il tronco di un albero: voleva
essere certa di non venire colpita alle spalle. Hikaru, suo fratello,
l’assassino dei loro genitori, era da qualche parte nel
giardino scuro. Non riusciva a percepire la sua presenza, eppure sapeva
che non si era allontanato.
Aveva intenzione di ucciderla.
Per orgoglio, era stato capace di sterminare suo padre e sua madre.
Adesso, per codardia, avrebbe fatto lo stesso con sua sorella. E lei
era completamente sola.
- Cosa pensi di fare, sorellina?
Una risata di scherno raggiunse le orecchie di Rin, che immediatamente
alzò lo sguardo. Dai rami dell’albero a cui si era
appoggiata, Hikaru la fissava sogghignando. I suoi capelli biondi si
muovevano appena nella brezza notturna, quella stessa brezza che a lei
sembrava adesso un vento gelido. Hikaru balzò a terra,
brandendo la propria zanpakuto.
- Non sei neppure in grado di difenderti, non è vero? Non
sai neanche creare uno shikai completo!
L’orgoglio ebbe per un attimo il sopravvento sulla paura nel
cuore di Rin. Con un balzo, la ragazza si allontanò dal suo
riparo, furente. Il sangue le pulsava nelle orecchie, ferocemente,
stordendola.
- Questo è ciò che credi tu, Hikaru. Ho sempre
saputo il nome della mia zanpakuto.
Suo fratello sembrò interdetto per un attimo, poi parve
rilassarsi.
- E’ tutto un bluff. Non è possibile che una mezza
calzetta come te conosca il nome della propria zanpakuto.
Rin sorrise tristemente.
- Il suo nome è già nella tua mente fin dal primo
momento in cui impugni la spada, Hikaru... basta sapere dove trovarlo.
- Dimostramelo, e combatteremo alla pari.
Il ragazzo lanciò una fugace occhiata al suo shikai, una
Morning Star con l’impugnatura di circa un metro, che
terminava nella lama di un pugnale. Con la stessa espressione di poco
prima, spostò lo sguardo sulla zanpakuto di Rin.
- E’ una sfida, - le disse a voce bassa. La collera era
chiaramente percepibile nel tono della sua voce.
Rin trattenne il respiro.
Pur conoscendo il vero nome della sua zanpakuto, fino a quel momento
non aveva avuto bisogno di utilizzarlo. Lo custodiva come un segreto,
in attesa del momento giusto per rivelarlo al mondo.
Adesso era quel momento.
- Tintinna, Koumaru!
La lama a doppio taglio, dai contorni confusi, iniziò ad
ardere. Rin la fissò, stupefatta.
Hikaru, dal canto suo, sembrava infastidito. Aveva giocato col fuoco,
ed era rimasto scottato. Tuttavia, riprese rapidamente la fiducia in
sè: Rin sapeva creare uno shikai; avrebbe anche saputo
utilizzarlo?
- Fammi vedere di cosa sei capace!
Hikaru si lanciò contro la sorella, brandendo
l’arma con ferocia.
Rin fece appena in tempo a scansarsi, prima che la Morning Star la
colpisse dritto in volto. Cercò l’equilibrio,
voltandosi appena in tempo per scorgere Hikaru che si preparava ad un
nuovo attacco. Saltò.
Anche stavolta, l’attacco del fratello la mancò
per un soffio.
- Che fai, Rin? - la canzonò lui - Scappi?
La ragazza si soffermò un attimo, ferita da
quell’improvvisa affermazione.
Hikaru aveva ragione.
Da quando era nata, non aveva fatto altro che scappare.
Era entrata all’Accademia perchè quello era
ciò che volevano i suoi genitori.
Aveva ottenuto i migliori voti, perchè era più
semplice studiare sodo piuttosto che discutere.
E, quella sera, aveva trascorso metà del tempo a desiderare
che niente fosse accaduto, e l’altra metà a
nascondersi.
Hikaru gridò qualcosa, ma Rin lo udì appena. Si
sentiva il volto in fiamme, e le punte delle dita le prudevano: il
sangue, che usciva copiosamente dalla ferita sul suo volto, stava
lentamente abbandonando le zone periferiche del suo corpo.
Doveva agire.
La Morning Star si abbatté di nuovo su di lei con forza. Rin
la vide tracciare una scia metallica nell’aria, prima di
percepire il dolore lancinante alla spalla sinistra. Non
c’era tempo per pensare.
- MAWASU, KOUMARU!
Un lampo di luce argentata scaturì dalla spada di Rin, che
rimase immobile impugnando l’arma. Per un folle attimo,
pensò che il colpo di suo fratello avesse in qualche modo
danneggiato Koumaru, ma poi si rese conto che ciò che stava
accadendo era tutta opera sua.
La zanpakuto stava raggiungendo il bankai.
La ragazza non ebbe tempo di chiedersi “come” o
“perchè”. Il lampo d’argento
investì con una forza inaudita Hikaru; Rin lo
sentì gridare, ma non riuscì a scorgere niente al
di fuori del proprio braccio, che ancora stringeva l’elsa di
Koumaru.
Le energie la stavano rapidamente abbandonando.
I muscoli della ragazza erano tesi per lo sforzo di trattenere
l’arma. Probabilmente, quelli della sua mano sinistra stavano
cedendo, ma l’idea di mollare la presa la spaventava.
Gridò.
La spalla ferita le faceva male. Il resto del braccio era insensibile,
immerso nella luce argentata.
Davanti a sè, scorse Koumaru accennare la forma del bankai.
Poi, più nulla.
Il dolore al braccio sinistro non era niente a confronto con le fitte
che sentiva alla testa.
Per un attimo, Rin rimase distesa a terra, chiedendosi cosa fosse
successo. Il sole mattutino le sfiorava il volto, provocandole una
piacevole sensazione di tepore. Sentiva la pelle delle guance
stranamente tesa, e i suoi abiti erano umidi. Pensò che si
trattasse della rugiada mattutina.
- Sono ancora viva.
Stranamente, questa consapevolezza non la rendeva affatto felice.
Tentò di aprire gli occhi: il sinistro era incrostato di
sangue rappreso. Lo sfiorò con la mano destra: aveva bisogno
di acqua, per lavarsi, per bere... Si sentiva la gola in fiamme.
Con un enorme sforzo, riuscì a mettersi a sedere. Lottando
contro se stessa per non svenire di nuovo, fissò la mano
ferita. Fortunatamente, il sangue le impediva di distinguerne i
contorni.
Quando la testa smise di girarle, si sollevò in piedi. Il
ruscello era a pochi passi da lei, udiva il rumore dell’acqua
che scorreva lì vicino. Si trascinò fino alla
riva, e tuffò il braccio destro nell’acqua. Bevve
avidamente.
Dissetata, il sangue sembrò ricominciare a scorrerle nelle
vene, e la mente a schiarirsi. Si sentiva ancora debole, ma adesso
riusciva a respirare regolarmente e a pensare. Immerse di nuovo la mano
nel ruscello cristallino, e stavolta usò il liquido fresco
per lavarsi il volto.
Ogni cosa si tinse di scarlatto.
Finalmente pulita, Rin tentò di aprire l’occhio
sinistro, e la realtà la investì con violenza: da
esso, era praticamente cieca. Aveva quasi del tutto perso il senso
della profondità. Un tremito inarrestabile giunse a
scacciare l’iniziale torpore che aveva pervaso le sue membra:
non sarebbe più potuta guarire, d’ora in poi la
metà sinistra del mondo sarebbe rimasta al di fuori della
sua portata.
Rimase scioccata per qualche attimo, ma la consapevolezza prese presto
il posto del terrore: non poteva farci niente, ormai: inutile pensarci,
inutile rimuginare su ciò che era stato. Era inutile perfino
essere tristi dal momento che, più di un semplice occhio,
aveva perso ogni cosa che le era appartenuta fino ad allora.
Decise di non parlare di queste cose mai con nessuno; se fosse
sopravvissuta, avrebbe avuto bisogno di mostrarsi in tutte le proprie
forze. Uno shinigami privo del senso della profondità... un
nemico sottovalutabile, oppure un inutile alleato.
La ragazza si stese di nuovo sull’erba. Quello che aveva
scambiato per rugiada sui propri vestiti era in realtà
sangue rappreso. Osservandolo, spesso e ormai scuro sul tessuto un
tempo bianco del suo kimono, sorrise amaramente. Il dolore era passato.
Rimase immobile, riflettendo: non aveva fretta; dopo tanto tempo, si
sentiva di nuovo libera. Nessuno le avrebbe detto cosa, fare, o come
comportarsi. Nessuno le avrebbe fatto sentire il peso della sua nobile
posizione, e nessuno le avrebbe imposto la propria autorità.
Era libera da chiunque, ma soprattutto era libera da se stessa.
Non c’era più nessuno da proteggere.
Se avesse scelto di vivere, lo avrebbe fatto esclusivamente per
sè. Se fosse morta, nessuno avrebbe pianto. Era libera
dall’odio e dall’amore, come può esserlo
una creatura priva di uno scopo. Il mondo era un alto muro di pietra, e
lei si sentiva come una pianta rampicante cresciuta, per caso, proprio
su quel muro.
Chiuse gli occhi, ancora sorridendo, e si riaddormentò per
risvegliarsi solo a notte inoltrata.
Alla luce delle stelle, ancora stordita, osservò con sguardo
distaccato i contorni confusi di ciò che restava del suo
braccio sinistro. si tolse la parte superiore del kimono, rimanendo con
solo le fasce a coprirle il petto e il ventre, e con la stoffa
creò un bendaggio di fortuna. L’aria notturna era
fredda, ma sfiorava le sue spalle come se giungesse da una distanza
infinita. In quel momento, per Rin era difficile distinguere
ciò che era reale dall’immaginazione.
Una volta che si fu assicurata della stabilità della sua
benda, la ragazza si mise in cammino attraverso il buio.
Non aveva un’idea di dove andare, nè aveva un
luogo da raggiungere. Sapeva solo che la morte era ormai lontana, e che
inquanto viva avrebbe necessitato di cibo, acqua e cure. Se non le
avesse ottenute, pazienza: la fame e il freddo si sarebbero occupati
presto di lei, debole e ferita com’era. Ma Rin non era il
tipo da arrendersi senza almeno tentare.
“Dodicesima Divisione.”
Uscì dal cancello, con passo incerto, e prese a scendere il
sentiero. Tutto le appariva così chiaro, adesso...
Il pianto incessante che udiva provenire dall’albero di
ciliegio non era altro che il richiamo, triste e ripetitivo, di un
qualche volatile notturno in cerca di prede. I movimenti rapidi e
sinuosi alle sue spalle erano frutto del vento che, fischiando, faceva
ondeggiare l’erba smeraldina come le onde di un mare
tempestoso.
E quella sensazione di ansia, di triste inquietudine repressa, era
semplicemente la consapevolezza di essere ancora in vita, mista al
senso di colpa causato da quella stessa certezza.
Era già tardi, eppure non c’era fretta di arrivare.
Sul fare dell’alba, raggiunse i quartieri della dodicesima
Divisone. Non c’era anima viva in giro, e il sole appena
visibile all’orizzonte gettava lunghe ombre deformi
sull’ampia strada sterrata. Le finestre di tutti gli edifici
erano chiuse, e i vetri riflettevano l’abbagliante arancio
infuocato delle prime luci mattutine.
In quell’atmosfera surreale, Rin camminò con passo
deciso verso il laboratorio del vice-Capitano, e spalancò la
porta. Si sentiva stranamente elettrizzata, trepidante.
L’abbondante perdita di sangue l’aveva stordita,
lasciandole la mente annebbiata e pervasa da un senso di quieta
serenità che si adattava difficilmente alla situazione in
cui si trovava. Il vento mattutino, subdolo e pungente, le scompigliava
i capelli gelandole la punta delle dita, e contribuiva a tenerla
sveglia.
Il mondo tutto attorno si muoveva, e lei riusciva a scorgerne ogni
singolo dettaglio.
Percorse il corridoio con passo deciso: pochi metri la separavano dalla
sua meta.
Lottando contro l’impulso di scoppiare a ridere, come colta
da un’improvvisa follia, sfiorò con le nocche
della mano destra la porta di legno che conduceva alla sala principale
del laboratorio, emettendo un breve rumore sordo.
- E’ permesso? - chiese, con voce sicura.
Senza attendere risposta, entrò.
- Mi hanno detto che lei è il maggior esperto di anatomia
qui - continuò la ragazza - quindi mi chiedevo se potesse
fare qualcosa per questo...
L’uomo si voltò appena.
- Non sono un medico. Il mio lavoro non è curare le ferite.
Era alto, e indossava il kimono scuro degli Shinigami.
- Ah, - disse Rin, squadrandolo, troppo occupata a valutare ogni
singolo dettaglio di quel luogo per preoccuparsi di ciò che
le era stato detto.
Si voltò per andarsene. Rinunciare adesso, non equivaleva a
suicidarsi. Sarebbe morta dissanguata, forse: ma aveva fatto tutto il
possibile, non aveva niente da rimproverarsi. Si sentiva come chi,
tornato a casa dopo una giornata di duro lavoro, desidera soltanto
andare presto a dormire.
- Aspetta, - la voce dell’uomo la fece voltare nuovamente,
sulla soglia della porta, indispettita.
Per un folle attimo, detestò quello shinigami che aveva
accettato di salvarle la vita.
- Mi serve un assistente. Curerò il tuo braccio, a patto che
tu accetti di rimanere qui e lavorare per me.
Rin riflettè per qualche istante, la testa inclinata da un
lato, prendendosi tutto il tempo che le occorreva a decidere: rifiutare
sarebbe equivalso a condannarsi. Non c’era più
niente da fare nel mondo per lei, adesso. Eppure, di fronte ad una
scelta consapevole neppure lei era in grado di dire
“morte”, senza esitazione. Era arrivata fin
lì, sebbene non si aspettasse davvero di ricevere aiuto. E
adesso... adesso doveva accettare.
- Ok - inutile chiedersi il perchè di una simile scelta.
Davvero, per la prima volta dopo molto tempo ora sentiva di essere
pienamente in possesso della propria libertà.
|
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Capitolo 9 *** IX. chapter nine; ***
Qualche settimana dopo
la sua nomina a Capitano, Mayuri decise che era giunto il momento di
verificare il successo del proprio progetto più ambizioso.
Nel sotterraneo del laboratorio scientifico, la teca coperta di cavi e
sensori che ospitava Nemu aveva cominciato ad emettere leggerissimi
ticchettii cadenzati, e l’elettrocardiogramma sul monitor del
computer acceso giorno e notte scandiva le pulsazioni regolari della
creatura ancora addormentata.
Sebbene i migliori scienziati alle dipendenze di Kurotsuchi Taichou
avessero seguito con scrupolosa attenzione ogni singola tappa del
processo di crescita del feto, al momento della
“nascita” il Capitano non volle nessuno dello staff
assieme a lui all’interno del laboratorio.
Per un’intera notte, rimase chiuso nei sotterranei tra i cavi
elettrici e gli apparecchi chirurgici, nel tentativo di inserire un
Gikon all’interno del Gigai neonato. Era
un’operazione lunga e faticosa, ce richiedeva molta
abilità manuale e una notevole dose di attenzione; fino a
quel momento, si vociferava che solo Urahara Taichou fosse riuscito ad
ottenere in proposito un parziale risultato... e comunque,
ciò che si sapeva sull’argomento erano soltanto
voci.
Un essere umano generato dalla fusione di due elementi artificiali
è dotato di caratteristiche differenti da quelle degli
uomini comuni: più silenziosa, generalmente apatica, di
solito dotata di abilità auto-rigeneranti, una simile
creatura è in grado di crescere e svilupparsi in un tempo
notevolmente più breve di quello necessario al suo
corrispettivo “biologico”, per poi stabilizzarsi e
trascorrere gran parte della propria vita nelle sembianze da essa
scelte.
Nel caso di Nemu, Mayuri l’aveva creata partendo dalle
cellule del proprio corpo. Per questo motivo, se tutto fosse andato
bene, la bambina avrebbe ereditato tutte le caratteristiche che
l’uomo aveva ottenuto dagli esperimenti fatti su di
sè: sarebbe stata più forte e veloce del normale,
e dotata di una resistenza maggiore alle ferite e alle lesioni.
Se il progetto fosse fallito... beh, Kurotsuchi preferiva non pensarci.
Del resto, a lui non interessava ottenere un essere vivente dalla
propria ricerca; quello che voleva era dimostrare la propria
capacità di creare la vita. Ciò che sarebbe
successo dopo, quello non lo riguardava affatto.
Non ancora.
Un lieve fruscio distolse il Capitano dalle proprie riflessioni.
Maledicendosi mentalmente per essersi distratto in un momento simile,
Mayuri allontanò le mani dalla profonda ferita che aveva
aperto nel ventre della creatura addormentata. All’interno,
brillava qualcosa di simile ad una piccola bilia azzurro madreperlato.
La bambina si mosse appena nel sonno. Il Gikon era penetrato nella
carne, e l’energia spirituale aveva raggiunto il cuore con
successo. Adesso cominciava la parte peggiore, perchè la
creatura da quel momento sarebbe stata in vita a tutti gli effetti, e
Kurotsuchi non poteva rischiare di alterare le caratteristiche
dell’anima artificiale praticandole un’anestesia.
Doveva richiudere a mani nude la ferita, il più rapidamente
possibile, prima che si formasse un’emorragia.
Nemu emise un sussulto inconsapevole, troppo debole persino per aprire
gli occhi.
Muovendo febbrilmente le dita sporche di sangue sul tavolo da lavoro in
cerca dell’ago e del filo da sutura, imprecò a
mezza voce. Non poteva ancora permettersi di lasciarla morire... non
adesso che l’esperimento durato mesi era quasi concluso! Non
adesso, che era ad un passo dal coronare un progetto pianificato per
anni!
Si concentrò sul lungo taglio verticale, iniziando a
tracciare una fila di punti ordinati che unissero i due lembi, nella
speranza che non fosse già troppo tardi, così
preso da non accorgersi di ciò che accadeva al di
là della sua postazione da lavoro.
La porta del laboratorio, sulla sommità della fredda scala
di pietra, si aprì cigolando leggermente. Un raggio di sole
mattutino si intrufolò con violenza nella stanza scarsamente
illuminata, frammentandosi sulle superfici convesse dei contenitori
sugli scaffali.
Rin fece capolino cautamente dal sottile spiraglio tra lo stipite e la
maniglia, certa di essere cacciata a male parole nel giro di poco
tempo, ma non sentendo alcuna voce provenire dal laboratorio
scivolò dentro di soppiatto e si sedette, in silenzio,
sull’ultimo gradino della scala. Kurotsuchi non
alzò neppure lo sguardo.
L’esserino steso sul tavolo giaceva inerte, respirando ora a
fatica. Era impossibile decifrare l’espressione del Capitano
della dodicesima Divisione attraverso la maschera che gli copriva il
volto, ma l’affannarsi delle sue mani e la testa china sulla
creatura morente lasciavano intuire tutta la sua apprensione.
Per lunghissime ore, Rin osservò il suo superiore lottare
contro la potenza del Gikon, che andava logorando quel Gigai ancora
incompleto. Senza muoversi nè fiatare, la ragazza osservava
rapita l’abilità con cui l’uomo riusciva
a tenere sotto controllo, seppur faticosamente, ogni singolo aspetto
dell’operazione.
La vista del sangue non la impressionava.
Con la testa completamente vuota, rapita dalla magia che il Capitano
stava creando, per la prima volta le sembrò di essersi
avvicinata di un passo alla comprensione di ciò che
significa vivere, o forse morire.
L’ultimo punto di sutura, quello che sigilla il Gikon
all’interno del Gigai, o quello che permette ad un braccio
devastato di riprendere a funzionare, è l’istante
che segna il passaggio di quel confine labile che separa
l’"essere” dal “non essere”.
"Infondo, io e Nemu siamo così simili..."
L’essenza della vita che, improvvisamente, prende a scorrere
all’interno di quel guscio vuoto che era il corpo, riempiendo
tutti gli angoli lasciati disabitati dalle emozioni.
"Non sarà mai in grado di provare gioia, perchè
è stata creata così..."
Ripensando alle parole di Mayuri, la ragazza sentì una fitta
di dolore al petto.
"I suoi istinti sono artificiali, esattamente come il suo corpo."
Secondo lui, Nemu non sarebbe stata umana perchè non era
stata creata in modo tale da provare amore, odio, paura o tristezza,
felicità o simpatia, timore della morte o gioia di vivere. E
allora lei, Rin, che cos’era?
- Dannazione!
L’imprecazione fece sussultare la giovane shinigami, persa
nei propri pensieri. Sollevò lo sguardo di scatto, in tempo
per vedere Mayuri che gettava a terra uno straccio grondante sangue, e
dirigersi a grandi passi verso di lei. Il luogo dove fino a poco prima
era stato chino a lavorare era costellato di strumenti medici
grottescamente intrisi di rosso scuro.
Un fagottino scomposto stava immobile nel bel mezzo di quel caos,
apparentemente esangue.
Rin distolse lo sguardo, incapace di decifrare la sensazione di disagio
che una simile vista le causava, ma presto tornò a sbirciare
l’angolo buio, non potendosi trattenere dalla
curiosità di scoprire cos’era andato storto.
Fu allora che la vide.
La creatura si era mossa. Impercettibilmente, ma si era mossa... era
ancora viva!
- Aspetta!
Senza riflettere, Rin balzò in piedi e si parò di
fronte al suo Capitano. Una mossa molto rischiosa.
Mayuri alzò gli occhi, le iridi ambrate che brillavano
sinistramente nella penombra.
- Cosa vuoi? - sussurrò con voce minacciosa.
- E’ viva, Kurotsuchi-san!
Lui le lanciò un’occhiata raggelante.
- Certo che è viva, - replicò, la collera che
tremava nel suo tono basso e pacato. - E adesso, togliti di mezzo.
Rin non riusciva a capire.
- Ma allora...?
- L’esperimento è terminato, - tagliò
corto lui.
- Io non...
Quella sciocca ragazzina insistente, non se ne sarebbe andata
finchè non avesse ricevuto le dovute spiegazioni.
- E’ terminato. E’ soltanto Gigai con un Gikon
all’interno; niente che non fosse già stato fatto
da Urahara.
- E adesso... cosa intendi farne di lei?
C’era una nota di rimprovero nelle sue parole. Kurotsuchi
oltrepassò Rin con indifferenza, e prese a salire le scale.
- Quello è un inutile pezzo di carne. Fanne ciò
che credi, non ho bisogno di un simile fastidio.
Con mani tremanti, Rin sollevò lo straccio coperto di sangue
che avvolgeva la bambina, leggermente inorridita al pensiero di cosa
avrebbe potuto trovarvi al di sotto.
Kurotsuchi Taichou si era già allontanato dal laboratorio,
richiudendo la porta dietro di sè.
Adesso, Nemu era immobile, supina, le piccole mani strette a pugno e il
respiro regolare. Il taglio sul suo ventre era stato accuratamente
ricucito, e sulla pelle delicata della neonata faceva bella mostra di
sè una lunga fila di punti di sutura.
Era ancora viva e, all’apparenza, in buona salute, per quello
che le consentiva la sua condizione attuale.
Rin sorrise impercettibilmente, l’angolo sinistro della bocca
leggermente piegato all’insù. Non rivolse nessuno
sguardo intenerito alla bambina: non era in grado di provare
compassione per lei, o affetto, o istinto di protezione.
Quel sorriso era per Mayuri: tutti quei discorsi,
l’indifferenza, la crudeltà... eppure, Nemu non
l’aveva uccisa. L’aveva lasciata lì,
semplicemente addormentata, le aveva dato una possibilità.
Se fosse stata in grado di farsi notare, se qualcuno avesse avuto
pietà di lei, sarebbe rimasta in vita.
Per questo motivo, e non per altri, Rin decise che si sarebbe presa
cura della bambina finchè non fosse diventata in grado di
cavarsela da sola. Aveva raccolto il sasso che Kurotsuchi le aveva
scagliato, e ormai era troppo tardi per tirarsi indietro: era una
testimone, una “sopravvissuta”, non poteva ignorare
i fatti a cui aveva assistito.
- Vieni, Nemu, - disse, ben sapendo che la neonata non poteva capire le
sue parole. - Anche se non sei all’altezza di ciò
che gli altri si aspettano da te, non per questo meriti di morire, sai?
La ragazza risalì silenziosamente le scale, e
sgattaiolò fuori dalla porta cercando di fare il minor
rumore possibile. Non aveva voglia di vedere nessuno, perchè
se avesse incontrato qualcuno dei membri della dodicesima Divisione
avrebbe dovuto spiegargli il motivo per cui aveva deciso di
“salvare” un esperimento fallito.
- Le creature artificiali crescono più rapidamente degli
umani, - pensò, sentendosi rassicurata da una simile
considerazione. - Tra non molto, anche Nemu sarà in grado di
badare a se stessa, e di difendersi da sola.
Svoltò un angolo, poi un altro, percorrendo in punta di
piedi i lunghi corridoi ben illuminati dal sole del primo pomeriggio.
Non c’era anima viva, e Rin benedisse una simile fortuna
mentre scrutava attraverso una porta prima di sgattaiolare via, nella
sua stanza buia e fresca, lontano da qualunque rischio.
- Starai qui, - disse a Nemu col tono di chi non ammette repliche,
raccogliendo una coperta e sistemandola in un angolo in modo da farne
un giaciglio. - Non è molto, ma è tutto quello
che posso offrirti.
Era sciocco, da parte sua, parlare con la bambina come se quella
potesse rendersi conto di ciò che le veniva detto. In un
certo senso, però, era anche piacevole: finalmente qualcuno
in grado di ascoltare, senza fare domande, senza polemizzare, senza
chiedere spiegazioni o rispondere con violenza. Rin si voltò
di nuovo verso la neonata, per ammonirla:
- Cerca di non piangere troppo, altrimenti ci butteranno fuori
entrambe. E questo significherebbe solo Rukongai... ma tu nemmeno sai
cos’è il Rukongai, immagino.
In ogni caso, non c’era bisogno di chiedere a Nemu di stare
in silenzio: sembrava essere la cosa che in assoluto riusciva a fare
meglio. Se ne stava rannicchiata nel suo angolo, i pugni stretti, la
bocca serrata.
Adesso che aveva aperto gli occhi, grandi e scuri come due pezzi di
carbone, guardava Rin con un’espressione mesta ma tenace. La
giovane Shinigami pensò che la ferita dovesse farle male,
perchè Nemu respirava a fatica, ma non si lamentava
minimamente.
Le faceva tornare in mente una storia, che qualcuno le aveva raccontato
un giorno all’Accademia.
Per passare il tempo e distrarre la bambina, non conoscendo favole e
non sapendo come alleviare il dolore in altro modo, prese a raccontare.
Nemu ascoltava, come se capisse, fissandola intensamente con gli occhi
sbarrati.
- Tanto tempo fa, in un bosco, vivevano una quercia millenaria e un
salice piangente.
La quercia era alta, e robusta, con un grande tronco solido e le radici
ben piantate nel terreno – tu non le hai mai viste quelle
querce, Nemu, ma esistono davvero... sono così grandi che
anche tendendo al massimo le braccia non è possibile
circondarle completamente. – Il salice invece era curvo, e
sottile, e i suoi rami pendevano verso il basso, fino a toccare
l’acqua del fiume che scorreva lì vicino. Sembrava
non avere la forza per protendersi verso l’alto come tutti
gli altri alberi, e quindi era triste e si sentiva solo.
La quercia invece era sempre al centro dell’attenzione, e
tutte le piante del bosco la lodavano dicendo che era indistruttibile,
e che i suoi rami un giorno avrebbero toccato il cielo –
è inutile che mi guardi così. Nelle storie, anche
le piante parlano. – Insomma, per questo motivo la quercia si
sentiva la più importante, e prendeva in giro il salice
perchè era debole e curvo.
Una notte scoppiò una terribile tempesta, e
cominciò a spirare un potentissimo vento da nord, che
portava con sè la pioggia, i tuoni e i lampi. La quercia,
che era alta e imponente, svettava su tutti gli altri alberi e fu
presto colpita da un fulmine. Il tronco cedette, e l’albero
crollò a terra carbonizzato.
Il salice piangente, invece, che era sottile e flessibile. si
lasciò scuotere dalle raffiche di vento per tutta la durata
della bufera, finchè non tornò il sereno.
La mattina successiva, dove prima c’era stata la robusta
quercia, c’era soltanto un moncherino di tronco bruciato e
spezzato; invece il salice, che aveva saputo piegarsi sotto la furia
della tempesta, era al suo solito posto nei pressi del fiume, in
perfetta salute.
Rin sbirciò la bambina, che sembrava più
tranquilla e sul punto di addormentarsi.
A bassa voce, parlando più per se stesse che per la neonata,
concluse:
- Anche tu sei il salice, Nemu... durante la tua vita ti offenderanno,
e ti maltratteranno, e approfitteranno del tuo silenzio per dire parole
crudeli contro di te. Ed è proprio quello steso silenzio che
ti permetterà di andare avanti...
- ...perchè tu non farai gli stessi errori che ho fatto io.
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Capitolo 10 *** X. chapter ten; ***
Quell’anno,
l’estate scivolò nell’autunno un poco
alla volta, in modo naturale, così che nessuno dovette
meravigliarsi troppo del cielo grigio, gli alberi spogli, le ululanti
raffiche di vento che si levavano di tanto in tanto dal bosco
silenzioso, scuotendo le finestre e fischiando negli anfratti.
Col passare dei giorni, il clima divenne più fresco, e
l’aria tagliente intrisa di quell’odore che non
è un odore, la sensazione del freddo che si insinua
attraverso la sciarpa, e dalle narici fino alla gola.
Nel poco tempo libero che le era rimasto, Rin amava passeggiare nel
boschetto di betulle sul retro degli edifici della dodicesima
Divisione, mano nella mano con Nemu. La bambina aveva ormai imparato a
camminare e, molto più veloce ad apprendere di qualunque
essere umano, era in grado di parlare in maniera già
piuttosto corretta. Anche il suo aspetto, nonostante fossero passati
soltanto pochi mesi dalla sua “nascita”, era quello
di una bimba di circa due anni.
Ciò detto, tuttavia, va aggiunto che la piccola era comunque
esile, non mangiava molto e parlava ancor di meno, ma osservava in
silenzio ogni cosa e memorizzava, per poi ripensare a ciò
che aveva visto e riflettere, e utilizzare ciò che aveva
appreso nel momento più opportuno.
- Guarda laggiù, Nemu... quello è un pettirosso.
- Rin indicò alla bambina un puntolino marrone sul tappeto
erboso, che si muoveva freneticamente qua e là cercando di
smuovere la terra gelata con la punta del becco.
Nemu allungò il collo, nel tentativo di distinguere il
ventre scarlatto della bestiola, e socchiuse i grandi occhi scuri.
Aveva le guance arrossate per il freddo, e le dita della sua piccola
mano, stretta in quella di Rin, erano gelide come il vento che spirava
intorno.
- Rientriamo in casa, adesso. Ti stai congelando...
La bambina scosse vigorosamente la testa, e la lunga treccia di capelli
scurì oscillò ritmicamente frusciando contro gli
abiti pesanti. Staccò le dita dalla presa leggera della
Shinigami, e mosse qualche passo sul suolo scricchiolante, in direzione
del pettirosso.
Scorgendo la figurina nerovestita che si avvicinava,
l’uccellino aprì di colpo le ali e
spiccò il volo. Nemu lo guardò allontanarsi tra i
rami degli alberi, una silenziosa creaturina scura che si stagliava
contro il grigio perlato del paesaggio circostante.
- Se n’è andato, - considerò, a bassa
voce, il tono a metà strada tra il sorpreso e il
dispiaciuto. Rin si avvicinò a lei, e si chinò al
suo fianco. Rimasero immobili, una accanto all’altra, ad
osservare le piccole zolle di terra che l’animaletto aveva
smosso.
- E’ l’ora di andare, Nemu.
Rialzatasi, la giovane shinigami prese ad allontanarsi lungo il
sentiero sterrato che attraversava il boschetto, indietro, verso i
laboratori. La piccola dai lunghi capelli corvini restò
indietro per qualche istante, godendosi la fugace solitudine di quella
abbagliante visione invernale... poi, voltando rapida la testa verso la
ragazza che si allontanava, le corse dietro con tutta la forza
consentitale dalle sue gambette sottili.
- Stai mettendo alla prova la mia pazienza, Kurotsuchi Taichou?
Il sogghigno malvagio solcava le labbra di Ichimaru, conferendo ai suoi
lineamenti aggraziati una sfumatura di folle gioia perversa.
- No, Ichimaru, affatto... credo che nessuno sia riuscito a non notare
la tua divisa da Capitano... a proposito, congratulazioni per la
nomina.
Mayuri, il tagliente sarcasmo che lo contraddistingueva chiaramente
percepibile attraverso il tono della sua voce, accennò un
inchino in direzione di Gin, con scherno. Impallidendo visibilmente per
la collera repressa, il nuovo Capitano della terza Divisione si
sforzò di sorridere di rimando.
- Gira voce che ultimamente la nobile Divisione dodici stia facendo
incetta di anime dannate per i suoi esperimenti... immagino che
quell’assassina stia facendo un ottimo lavoro come
fuku-Taichou... o si è forse guadagnata il tuo rispetto in
altro modo? Si dice che passi gran parte del suo tempo in compagnia di
una bambina...
Riacquistata la consueta sicurezza nei modi, Ichimaru si
scostò una ciocca di capelli argentei dagli occhi a
mandorla. Sapeva di aver colto nel segno: cosa sarebbe risultato meno
svantaggioso per il bene della dodicesima Squadra, dire che Nemu era la
figlia di Rin, o ammettere che si trattava di un esperimento proibito?
In entrambi i casi, a risposta non avrebbe contribuito ad alimentare la
popolarità di Kurotsuchi Taichou...
- E’ la verità. I membri della Divisione
gliel’hanno affidata perchè ultimamente
c’è molto lavoro, nei laboratori, -
confermò Mayuri, gelido. Fece una pausa, in attesa che le
sue parole facessero effetto. Cosa gli importava
dell’opinione della gente? Qualche pettegolezzo non lo
avrebbe certo portato sulla forca...
- Quanto zelo! Allora immagino che sarete voi a catturare quel Menos
che, si dice, si aggiri ultimamente nei pressi della Soul Society...
Kurotsuchi alzò lo sguardo di scatto, stupito. Un Menos
Grande? Nei pressi della Soul Society? Com’era possibile
tutto ciò? E, soprattutto... perchè nessuno aveva
ancora fatto niente per fermarlo?
- Pare che sia decisamente potente... è strano, di solito i
Menos non si spingono in luoghi tanto frequentati dagli Shinigami... -
la voce di Gin era dolce, pacata, quasi la cosa non lo riguardasse
affatto. Sembrava, anzi, che il neo-Capitano celasse una sorta di gioia
folle in quel suo imperscrutabile sogghigno, quasi che fosse lieto di
poter essere il primo a portare simili, catastrofiche notizie.
- Chi è? - Mayuri replicò, tagliente - Chi
è che mette in giro simili sciocchezze?
Ichimaru sorrise, fingendo stupore.
- Oh, ma non sono sciocchezze, Kurotsuchi Taichou! Aizen Sosuke
l’ha detto, e un tipo ligio al dovere come lui non
è persona da inventare storie tanto pericolose, non trovi?
Dice di averlo visto aggirarsi nei pressi del bosco adiacente ai locali
della quinta Divisione che, se non erro, sono confinanti con i
laboratori...
Socchiuse gli occhi, malvagio. Le scure pupille sottili luccicarono
sinistramente del riflesso del sole mattutino.
- Auguro alla tua Divisione di trovare quel Menos per primi,
Capitano... - scimmiottò l’inchino che prima lo
stesso Mayuri gli aveva sarcasticamente rivolto poi, sollevato lo
sguardo, continuò. - Ma ecco che arriva la tua famigliola al
gran completo... sarà meglio che vi lasci da soli!
Arrivederci a presto, Kurotsuchi-sama!
Con un aggraziato ondeggiare del mantello da Capitano, Gin si
voltò senza neppure ascoltare la risposta di Mayuri al suo
congedo: non gli importava niente di lui, a dire il vero. Era soltanto
uno sbruffone con qualche rotella fuori posto, e sarebbe sicuramente
finito in un guaio più grosso di lui entro breve.
Quello che davvero importava al giovane Capitano dai capelli argentati,
in realtà, era Rin Hisegawa: la traditrice avrebbe dovuto
pagare, pagare per le proprie malefatte che fino ad allora erano
rimaste impunite e per tutto ciò che non le era stato ancora
riconosciuto come una colpa.
Per esempio, il gettare disonore sulla Seireitei.
L’aver contrastato il tentativo, da parte di alcuni esponenti
di punta delle Divisioni, di porre al comando persone garantite che
agissero secondo i loro piani.
L’aver mandato a monte un progetto, durato lunghi anni, che
comprendeva fra le altre cose l’estradizione di Urahara dalla
Soul Society con le peggiori accuse...
E lei, senza neppure saperlo, aveva occupato quel posto che, affidato
nelle giuste mani, avrebbe potuto garantire ad Aizen e Ichimaru un
sicuro controllo sulla Squadra Scientifica. Doveva essere
necessariamente eliminata.
- Quel Menos capita proprio al momento giusto. Un ottimo espediente per
eliminare una presenza indesiderata, non è vero Aizen-sama?
- sogghignò Gin, senza voltarsi indietro, scivolando
silenzioso lungo gli stretti corridoi tra un edificio e
l’altro della Seireitei.
- Cosa vuoi?
- Ti stavamo cercando.
- Sai bene che devi farti vedere il meno possibile in giro con
“quella”.
- Non posso mica lasciarla da sola, non è in grado di badare
a se stessa...
Kurotsuchi dedicò a Nemu un’occhiata carica di
disgusto, prima di concentrarsi nuovamente sul suo vice-Capitano.
- Ti avevo anche detto di nascondere meglio quel braccio.
- Mi sono stancata di essere trattata come una ricercata costretta a
nascondersi!
- E’ esattamente quello che sei, infondo.
Rin lanciò a Mayuri uno sguardo gelido, sentendo la collera
crescere da un punto imprecisato in mezzo al petto... ma non era i
momento di lasciarsi dominare dalla rabbia, non di fronte al Capitano
almeno. Discuterci sarebbe stato inutile, se non folle, come cercare di
contrastare la caduta dell’acqua di una cascata.
- Sei particolarmente amichevole, oggi, Kurotsuchi-san - non
potè risparmiarsi dal commentare.
Il Taichou non rispose, limitandosi a voltarsi e riprendere il proprio
cammino. Era già seccante l’aver incontrato
Ichimaru, anche senza che quella sciocca ragazza dovesse insistere a
tormentarlo.
- Che cosa dovevi dirmi? - si arrese infine, seppur senza voltarsi,
visto che Hisegawa fuku-Taichou non accennava a desistere.
Lei corse avanti qualche passo, in modo da camminare al suo fianco;
ancora piccola e indubbiamente minuta, Nemu trotterellava
affannosamente qualche passo indietro.
- Non è niente di serio, a dire la verità... -
iniziò la giovane shinigami, con dipinta in volto
un’espressione che sembrava suggerire tutto il contrario. -
... tuttavia c’è qualcosa che non ti ho detto, e
che credo dovresti sapere.
Scrutandola con la coda dell’occhio, Mayuri scorse la
tensione attraversare fugacemente il volto della sua vice-Capitano.
Sebbene si sforzasse di apparire naturale e tranquilla, quasi
divertita, era chiaro che la ragazza aveva da comunicare qualcosa di
molto diverso da una buona notizia.
- Ho sentito dire che c’è un Menos Grande, in giro
per la Seireitei, - continuò Rin, con tono colloquiale. Il
Capitano, che camminava qualche passo avanti a lei, rallentò
e tese le orecchie: dove voleva arrivare, con una simile affermazione?
Che la giovane Shinigami avesse deciso di cambiare argomento? Oppure
stava tentando di affrontare il discorso partendo da lontano?
- Suppongo sia la verità, anche se è stato
Ichimaru a mettere in giro simili voci, - replicò
Kurotsuchi, leggermente infastidito. Avrebbe preferito una
conversazione più diretta, piuttosto che stare lì
ad arrovellarsi riguardo alla presenza o meno di un singolo Hollow
nella Soul Society. Se davvero fosse diventato pericoloso,
l’undicesima lo avrebbe soppresso.
- Ti preoccupa tanto la presenza di quella creatura? - Scettico, il
Capitano si voltò a fissare la sua interlocutrice,
l’impazienza chiaramente percepibile nella voce tagliente.
Deglutendo a vuoto, Rin distolse lo sguardo dalle terribili iridi
ambrate di lui.
- Non è questo, no, - mormorò, senza sapere da
che parte cominciare - Il fatto è che io... credo di sapere
da dove proviene quel Menos. Ho riconosciuto il suo Reiatsu, o
meglio... credo che lui abbia fatto sì che potessi
riconoscerlo.
Stupefatto, Mayuri mosse qualche passo in direzione del suo
vice-Capitano. La raggiunse, soffermandosi col volto a poche decine di
centimetri dal suo, fissandola con uno sguardo da cui lei non avrebbe
potuto sottrarsi.
C’era collera, in quegli occhi, ma anche tensione e qualcosa
di simile alla paura. Quando parlò, lo fece con una voce
bassa e sicura, col tono di chi non ammette esitazioni.
- Vuoi dire che quell’Hollow sta cercando te? - chiese,
severo.
Rin esitò per un istante, incerta su cosa rispondere.
Kurotsuchi non conosceva gli avvenimenti di quel giorno, nel
laboratorio, quando lui se n’era andato e lei si era lasciata
sfuggire quella piccola creatura simile a un cane
dall’aspetto tanto insignificante. Avrebbe dovuto
parlargliene? No, lui l’avrebbe odiata per questo.
- Ascoltami bene, ragazzina
L’improvvisa apprensione con cui il Capitano aveva
pronunciato quelle parole fece sussultare la giovane shinigami, che
tornò a scrutarlo con il terrore puro dipinto nello sguardo:
avrebbe preferito essere interrogata, sarebbe stato meglio se lui
l’avesse presa per folle, piuttosto. Quella sicurezza, quella
preoccupazione da parte del Taichou, come se anche lui fosse al
corrente di qualcosa riguardo all’intera faccenda, era
più spaventosa del suo volto adirato.
- Ci sono persone che vorrebbero vederti morta, Rin, è
necessario che questo tu lo sappia, - la Hisegawa non aveva mai sentito
un simile tono usato dal Capitano. Sembrava adirato, ma non solo... se
non fosse stato per l’espressione incollerita degli occhi
attraverso le orbite della maschera che gli copriva il volto, Rin
avrebbe potuto tranquillamente definirlo preoccupato.
Preoccupato per lei. Istintivamente, parlando, Kurotsuchi Taichou aveva
afferrato la giovane shinigami per le spalle, quasi volesse scrollarla.
- Qualunque cosa tu decida di fare, guardati da Gin Ichimaru e da
Sosuke Aizen. - continuò, la voce ormai ridotta ad un
sussurro - L’idea di mandarti contro un Menos potrebbe essere
stata loro. Cerca di non fare sciocchezze, perchè
arriverà il giorno in cui non ci sarà la
dodicesima Divisione a proteggerti, e allora dovrai cavartela da sola,
o morire.
Aveva parlato duramente. Quasi riscuotendosi dalle proprie riflessioni,
il Capitano Kurotsuchi allontanò le mani dalle spalle di
Rin, e mosse qualche lento passo indietro senza staccare gli occhi dai
suoi.
Si era lasciato prendere dall’odio verso i suoi oppositori,
forse, o forse aveva permesso che fosse un sentimento ben diverso dalla
collera a dominare le sue parole? Questo non poteva dirlo, e neppure
gli importava. Tutto ciò che era chiaro, adesso, era che Rin
avrebbe dovuto cavarsela da sola. Vivere o morire, combattere o
rinunciare, erano scelte che la giovane shinigami aveva già
dovuto compiere una volta, nel corso della propria vita.
Sarebbe stata in grado di farlo di nuovo? Lui, questo non lo sapeva.
Non gli importava neppure, a dire il vero.
L’importante, in quel momento, era soltanto che Rin Hisegawa
si dimostrasse in grado, ancora una volta di scrivere autonomamente il
proprio destino.
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Capitolo 11 *** XI. chapter eleven; ***
Il laboratorio era
immerso nell’oscurità, come al solito.
Con lo sguardo rivolto all’unica, flebile luce della lampada
sul tavolo, Rin stava china sul proprio lavoro, il volto contratto per
la concentrazione. I riflessi argentei degli strumenti chirurgici
giocavano sui suoi lineamenti, distorcendoli, e gettando lunghe ombre
grottesche sulle poche superfici illuminate.
La concezione di “tempo” sembrava svanire,
all’interno del laboratorio.
Il frizzante vento primaverile fischiava fuori dalle finestre chiuse,
tra una casa e l’altra e nel boschetto di betulle. Il sole,
pallido e ancora avvolto dalla bruma mattutina, era appena sorto oltre
le cime degli alberi a est.
Sapeva di non potersi trattenere a lungo sul suo progetto: tra breve
Nemu, che adesso aveva l’aspetto di una bambina di dieci
anni, si sarebbe svegliata. Non era il caso di lasciarla da sola a
gironzolare per casa, con Mayuri così nervoso per
l’enorme mole di lavoro che si era ultimamente auto imposto.
Rin aveva più volte ammonito la piccola al riguardo, ma in
ogni caso preferiva non favorire un suo incontro ravvicinato con il
Capitano della dodicesima Divisione.
- Prima o poi, anche lui dovrà abituarsi alla presenza di
Nemu.
Le preoccupazioni di Rin erano diventate più
“quotidiane” negli ultimi tempi, e la ragazza aveva
accolto di buon grado questo cambiamento. Con il lavoro a cui pensare,
e le piccole faccende di ogni giorno da portare a termine, gli incubi e
i brutti ricordi erano stati pian piano spazzati via in un angolo della
mente, ad aleggiare costanti ed impalpabili su ogni più
piccolo aspetto della sua esistenza.
Da tempo ormai alla shinigami non capitava più di sognare
Hikaru: semplicemente, le giornate si trascinavano avanti e avanti,
senza alcun cambiamento nè dal punto di vista organizzativo
nè da quello emotivo. Tutto appariva statico, come
l’interno di un grosso acquario in cui pesci si affannano
avanti e indietro senza mai poter andare oltre le quattro pareti di
vetro.
Persa in queste riflessioni, Rin prese a lavare i ferri da chirurgo che
aveva appena finito di utilizzare, stando attenta a non tagliarsi; ma,
improvvisamente, percepì qualcosa che la fece sobbalzare.
Con un tintinnio sinistro, lasciò cadere i suoi strumenti
nel lavabo metallico. Che cos’era quella sensazione? Sembrava
l’energia emanata da un Reiatsu molto potente, un Reiatsu
malvagio che lei conosceva. Dove aveva già provato un simile
senso di inquietudine?
D’istinto, la sua mente le restituì
l’immagine di un laboratorio più piccolo, e di tre
giovani shinigami che si lanciavano di corsa su per una scala di pietra
a chiocciola, inseguendo qualcosa. Un Hollow apparentemente innocuo,
dalle fattezze di un cane, incredibilmente veloce.
Era fuggito.
Adesso, l’energia spirituale che Rin percepiva era
incredibilmente più forte, ma indubbiamente riconoscibile.
Quando due creature dotate di Reiatsu si incontrano si
“memorizzano” a vicenda e, se hanno la
possibilità di vedersi nuovamente, si riconoscono
l’un l’altro anche a distanza di anni.
La shinigami ne era sicura: l’Hollow era vicino. Era arrivato
fin lì per lei, voleva vendicarsi. Aveva atteso per tutto
quel tempo, crescendo e rafforzandosi, in attesa della resa dei conti.
Interrompendo a metà ciò che stava facendo, Rin
si precipitò al piano superiore e corse fuori, nello spiazzo
lastricato di fronte ai laboratori della dodicesima Divisione.
Schermandosi il volto con una mano per proteggersi dalla luce
eccessiva, socchiuse gli occhi cercando di concentrarsi
sull’energia spirituale della creatura che stava cercando.
Proveniva da un punto imprecisato, poco lontano, a est.
Correndo a perdifiato in quella direzione, la ragazza raggiunse in
breve tempo un ampia radura erbosa nel bel mezzo del boschetto
limitrofo. Si era mossa con un unico pensiero in testa: scovare
l’Hollow e liberarsene, prima che esso potesse fare danni.
Non aveva pensato ad altro, nè alla distanza da percorrere,
nè all’entità del pericolo. Adesso, non
avrebbe saputo dire in che direzione si trovava il luogo da cui era
partita.
Il mostro era accucciato di fronte a lei, enorme e imponente, come un
gigantesco lupo che aspetta la sua preda.
I contorni della massiccia figura erano leggermente indistinti nella
bruma mattutina, quasi che l’essere fosse un
tutt’uno con l’ambiente circostante.
La maschera, che definiva grottescamente i tratti somatici
dell’Hollow, era di forma tondeggiante ma con lineamenti
spigolosi; le orbite vuote erano allungate e leggermente oblique come
quelle di un gatto, e il naso era costituito da due piccole narici
verticali.
Non aveva un’espressione vera e propria, e lo squarcio scuro
che si apriva tra la mandibola e la mascella presentava due file
ordinate di piccoli denti radi e appuntiti.
Per qualche terribile, lunghissimo istante, Rin non potè
fare altro che restarsene immobile in un angolo dello spiazzo,
seminascosta dagli alberi, osservando il mostro che si ergeva,
monumentale, di fronte a lei. Durante gli anni all’Accademia,
la shinigami aveva affinato le pratiche di controllo del Reiatsu:
adesso, tenere bassa la propria Energia Spirituale era
l’unica cosa sensata da fare, mentre elaborava affannosamente
un piano d’attacco e uno di eventuale difesa.
"Un Menos Grande," pensò pietrificata, scrutando con le
pupille dilatate le grosse zampe dalle dita uncinate che raspavano nel
terreno sottostante con crescente nervosismo. Non riuscendo
più a individuare il Reiatsu della sua vittima,
l’Hollow stava iniziando ad infuriarsi. Era il momento di
agire.
D’impulso, Rin balzò fuori dal suo nascondiglio
liberando al contempo la piena potenza della sua Energia Spirituale.
Percependo quell’improvvisa variazione, la creatura titanica
si voltò di scatto verso la ragazza, emettendo un ringhio
prolungato e selvaggio: si era accorto della sua presenza.
Ignorando lo sgomento che la vista di quelle orbite vuote puntate verso
di lei le procurava, Rin si mordicchiò leggermente il labbro
inferiore per impedirsi di tremare. Non c’era più
tempo per le incertezze, ormai.
Portò una mano al nastro rosso che ricadeva sulla sua spalla
e, afferrandolo, gridò le parole di evocazione di Koumaru.
L’Hollow faceva ciondolare ritmicamente la testa da una parte
all’altra, in attesa, chiedendosi forse quale fosse il modo
più divertente per eliminare quel moscerino importuno. Era
una creatura elementare, dalla struttura fisica ingombrante e
l’intelligenza ridotta; tuttavia, Rin riusciva a percepirne
l’incredibile forza, un’energia primitiva che solo
un’ entità selvaggia può sviluppare.
- Non ho paura di te, mostro!
Sebbene fosse consapevole che l’Hollow non era in grado di
capire, la ragazza gridò il suo avvertimento con tutto il
fiato che aveva in corpo. Un simile essere istintivo sarebbe stato
certamente in grado di percepire la paura: per questo motivo, la
giovane shinigami era fermamente intenzionata a non mostrarne affatto.
Balzò in avanti, ignorando l’impulso a sottrarsi
dal folle combattimento in cui si era lanciata. Il suo avversario non
sembrava frettoloso di attaccare: forse il gatto avrebbe giocato per un
po’ con la sua preda, prima di mangiarla in un solo boccone.
Stringendo la katana con entrambe le mani, come per sorreggersi a
quella tagliente ultima speranza, Rin menò un fendente in
direzione della beffarda maschera d’osso. Non avrebbe
permesso che il suo errore – lasciar scappare un piccolo
Hollow dal laboratorio, quasi tre anni prima – si
ripercuotesse su altri innocenti.
- Muori, maledetto! - esclamò tra i denti, premendo la lama
della zanpakuto sul resistente volto animalesco. Il mostro parve quasi
non accorgersi dell’aggressione.
Sollevò appena la testa, seguendo pigramente con lo sguardo
privo di occhi la caduta della shinigami che, adesso, si preparava ad
atterrare sul tappeto erboso della radura: nonostante i lunghi anni di
addestramento, Rin non aveva mai avuto a che fare con un nemico
così potente.
I piedi della ragazza raggiunsero il suolo con tutta la violenza
imposta dalla forza di gravità. Appoggiò una mano
sulla terra umida, un ginocchio piegato, ansante. Il colpo di spada
inferto alla enorme creatura di fronte a lei aveva contribuito ad
indebolirla, ma non sembrava aver sortito alcun effetto sulla sua
vittima.
- Maledizione! - imprecò di nuovo, mentre l’
Hollow sollevava una zampa possente a pochi passi da lei.
Il movimento fu troppo rapido perchè Rin, china a terra,
potesse scansarsi. Con un tuffo al cuore, la ragazza
registrò nella mente l’artiglio arcuato del
mostro, proteso in avanti, che si insinuava nella carne del torace,
all’altezza delle costole.
Gemette, sputando una boccata di sangue.
Come aveva potuto essere tanto imprudente? Lasciare la guardia
abbassata, spudoratamente distratta nonostante fosse a conoscenza delle
potenzialità del suo nemico. Stava combattendo con la mente
da un’altra parte, non era nelle condizioni psicologiche
adatte ad affrontare un simile scontro.
- Muoviti, Rin - si disse - Ancora una volta, è per la tua
vita che stai combattendo!
Per salvarsi la vita, dunque.
Non ne valeva la pena. Chi c’era adesso da proteggere, a chi
stava correndo in aiuto?
La risposta la investì come una doccia gelata,
più dolorosa della ferita nel fianco inflittale dal mostro.
Nessuno. Non avrebbe aiutato nessuno. La sua vita, o la sua morte, non
sarebbero servite a cambiare le cose. Per tre anni, si era affannata a
“darsi un senso”: aveva fallito. Di nuovo, avrebbe
dovuto fare i conti soltanto con i propri errori.
- Io ti ho lasciato fuggire. Se non posso sconfiggerti,
espierò con la morte il mio peccato!
Senza riflettere, Rin spiccò un secondo balzo in direzione
dell’ Hollow. La paura era scivolata via dal suo corpo come
un manto gelido rimasto a terra, sul pavimento erboso, nel momento in
cui si era librata nel salto. Tesa in avanti, la ragazza
piegò leggermente il gomito sinistro indietro, prendendo lo
slancio per menare un fendente agli occhi dell’avversario.
Il mostro la seguì con lo sguardo.
Esaltata, la giovane shinigami increspò le labbra e
scoprì i denti: sorrideva, nell’ebbrezza dello
scontro, gli occhi che brillavano per l’impazienza e la
curiosità di scoprire chi dei due sarebbe sopravvissuto.
Poi, l’ Hollow fece qualcosa di inaspettato.
Fulminea, la creatura si eresse sulle zampe posteriori, inarcando la
schiena e piegando il collo in avanti, come un orso pronto ad
attaccare. Aprì le braccia a semicerchio, come in un macabro
abbraccio, le unghie incurvate verso l’interno e i palmi
delle grottesche mani aperti a ventaglio.
Rin era in gabbia.
Sospesa in aria nell’istante del salto, non aveva punti
d’appoggio sufficienti a modificare la propria traiettoria.
Il suo sguardo saettò dall’una all’altra
delle grandi zampe feroci, Era la fine, l’avrebbe colpita.
Incapace di trovare una soluzione, la ragazza chiuse gli occhi per un
istante, di nuovo terrorizzata. Un’ondata di odio nei
confronti di se stessa la assalì con violenza.
- Non ho neppure il coraggio di guardare la morte in faccia?
Si costrinse a schiudere le palpebre. Le braccia del mostro si stavano
muovendo rapidamente, le mani artigliate erano a pochi metri da lei.
Rin aggrottò le sopracciglia, pallidissima, attendendo il
colpo che avrebbe messo fine alla sua vita.
- ASHISOJI JIZOU!
In un primo momento, la ragazza non comprese quello che stava
succedendo attorno a lei. L’enorme braccio dell’
Hollow, che un istante prima la stava raggiungendo da un punto a
sinistra, fuori dalla portata della sua spada, adesso stava ritirandosi
fulmineamente lungo il fianco del suo proprietario, profondamente
ferito.
Alla zampa, mutilata, mancavano ora tre delle cinque dita artigliate.
Rin si accasciò a terra, incassando con
difficoltà il colpo causato dal violento impatto col suolo.
Si sentiva a pezzi, distrutta nella mente più che nel corpo,
stordita dalla rapida continuità con cui si erano svolti gli
ultimi eventi.
Un’alta figura vestita di nero, con quello che sembrava un
mantello o un cappotto bianco svolazzante, atterrò qualche
metro di fronte a lei. Alla ragazza furono necessari alcuni istanti per
riuscire a capire.
- Kurotsuchi-san...?
L’uomo non si mosse di un millimetro, schermando con il
proprio corpo e la lama della sua spada la giovane Shinigami accasciata
a terra. Non disse nulla.
L’ Hollow gemeva di fronte ai due minuscoli umani, incapace
comprendere quello che era accaduto. Indietreggiò di qualche
passo, vagamente intimorito, continuando a fissare la zanpakuto di
Mayuri con tutto l’ odio e la diffidenza che potevano
trapelare attraverso le orbite vuote.
Kurotsuchi attendeva, immobile, il secondo attacco. I suoi occhi
ambrati seguivano ogni singolo movimento del mostro di fronte a lui, e
un’espressione di folle trepidazione emanava attraverso il
ghigno malvagio della maschera che gli copriva il volto.
Tuttavia, quel secondo attacco non venne.
Un prolungato lamento squarciò il silenzio della radura con
improvvisa e assordante violenza, poi l’ Hollow si
voltò fulmineo dando le spalle al Capitano della dodicesima
Divisione. Kurotsuchi fletté le gambe e impugnò
più strettamente la spada, pronto al balzo che gli avrebbe
permesso di affondare le tre lame nella nuca del mostro.
Saltò.
Il mostro fu più veloce, enormemente veloce. In un attimo
anch’esso fu in alto, lanciato con tutta la
velocità che gli permettevano le sue zampe d’orso
in direzione di un varco scuro apertosi a squarciare il cielo della
Soul Society.
Era la “porta” che l’Hollow aveva usato
per introdursi nel mondo delle anime e che, allo stesso modo, gli era
servita per allontanarsene. Una porta che, con molte
probabilità, qualcuno doveva aver aperto per lui.
Kurotsuchi ricadde a terra, a pochi passi da Rin che giaceva immobile.
Il volto inespressivo non tradiva alcuna emozione ma i suoi occhi, ben
visibili attraverso la maschera, ardevano di collera repressa. Il
nemico era fuggito.
Lanciando uno sguardo colmo di rimprovero alla figura stesa esanime a
terra, il Capitano diminuì la propria Energia Spirituale,
lasciando che Ashisoji Jizou tornasse a essere una semplice zanpakuto.
Non poteva sopportare che l’ Hollow fosse sopravvissuto.
Una collera crescente si fece strada nella sua mente, sopraffacendolo.
Quella sciocca ragazza! Se non fosse stato per le sue inutili manie
presenzialiste, adesso il mostro sarebbe stato sconfitto. Mayuri aveva
percepito il suo Reiatsu con estrema chiarezza, nel momento stesso in
cui il demone si era introdotto nella Soul Society. Si aspettava
quell’attacco, sapeva che il Menos Grande sarebbe arrivato
prima o poi. Forse, Rin pensava che non sarebbe intervenuto?
Kurotsuchi si voltò in direzione dei laboratori, e mosse
qualche passo. Avrebbe potuto tornare a casa da sola, quella sciocca
ragazza, non appena si fosse svegliata. La sua incolumità
non lo riguardava affatto.
Fece per allontanarsi, ostentando indifferenza, cercando di mantenere
viva in sè quella collera che lo aveva animato durante il
combattimento, quell’odio che lo rendeva così
deciso nelle proprie risoluzioni...
Poi, sconfitto, tornò indietro in direzione del corpo
esanime steso sull’erba umida.
Ancora una volta, quella sciocca non era stata in grado di cavarsela da
sola. Era stato inutile il suo coraggio, dal momento che pensava di non
potersi fidare di nessuno. Era vana la sua fretta di morire, morire per
un senso di colpa del tutto ingiustificato.
Eppure, Kurotsuchi non potè fare a meno di pensarlo
osservando l’esile petto che si alzava e si abbassava al
ritmo di un respiro regolare, in qualche angolo della sua mente forse
anche Rin era consapevole che, in quel momento, lui si sarebbe
voltato...
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Capitolo 12 *** XII. chapter twelve; ***
Quando Rin si
risvegliò dal suo stato di incoscienza, il Sole aveva ormai
da tempo superato il culmine del suo viaggio attraverso il cielo, e
stava lentamente declinando in direzione dei netti contorni dei monti,
a ovest.
Ancora leggermente confusa, la ragazza si alzò a sedere e si
guardò attorno. Qualcuno – sicuramente Nemu
– aveva medicato la ferita sul suo fianco, e
l’aveva accuratamente bendata con candide garze. In un
angolo, appoggiati su un basso mobiletto di legno, c’erano
uno yukata accuratamente piegato e un paio di calzini puliti.
Sentendosi fisicamente in ottimo stato, Rin si alzò dal
futon su cui era stata adagiata e indossò gli abiti che le
erano stati lasciati. Si trattava di un kimono di buon tessuto, color
petrolio, decorato con una fantasia di fiori di ciliegio sui toni del
verde scuro e blu notte, con qualche piccola rifinitura color crema. La
fascia attorno alla vita era blu anch’essa, fermata dietro la
schiena dal consueto – e vistoso – fiocco di stoffa
pesante.
Era molto tempo che Rin non vedeva abiti così sfarzosi,
abituata com’era al semplice shihakusho nero, e accolse una
simile novità con lusingato stupore. Per la prima volta da
anni, osservò compiaciuta l’immagine che lo
specchio le restituiva: una ragazza snella e minuta di circa
ventitrè anni, vestita in modo elegante e dal portamento
eretto, come si confà all’erede di una delle
famiglie più antiche nella Soul Society.
Sospirando, la ragazza chiuse l’anta dell’armadio a
muro e si infilò i leggeri calzini color crema, secondo la
tradizionale usanza di non indossare calzature all’interno
delle abitazioni. Chi voleva ancora prendere in giro?
Non era più l’erede di una nobile casata, non lo
era più da molto tempo ormai. Con indosso un simile kimono
pregiato, era soltanto una poveraccia che giocava a fare la
principessa: aveva lottato e perso tutto, e non era neppure riuscita a
morire in modo dignitoso.
Di nuovo, era in vita soltanto grazie all’aiuto del Capitano
della dodicesima Divisione.
Aprì lentamente la porta della sua stanza, percependo
immediatamente la leggera variazione di temperatura
all’esterno: stava calando la sera, e fuori si era alzato da
poco un vento leggero.
Voleva vederlo.
Sebbene non avesse niente da dirgli, consapevole che le parole di
ringraziamento le sarebbero morte in gola, sentiva la
necessità di mostrare gratitudine a quell’uomo
che, per due volte, le aveva salvato la vita. Silenziosa, percorse il
corridoio buio in direzione del laboratorio, certa di trovarlo chino su
qualche nuovo esperimento.
Socchiuse la porta, cercando di non fare rumore.
La stanza ampia e fredda era immersa
nell’oscurità, e non c’era anima viva
all’interno. I macchinari, che di solito emettevano ronzii e
ticchettii, erano adesso spenti e addormentati. Non c’erano
strumenti abbandonati sul tavolo, nè segni di un recente
utilizzo delle apparecchiature.
Perplessa, Rin richiuse la porta del laboratorio. Era strano, da parte
di Kurotsuchi-san, starsene tutto il giorno lontano dai suoi
preziosissimi progetti scientifici. Sembrava che tutti i membri della
Divisione si fossero volatilizzati, e Rin si sentiva sola, immersa in
un mondo fatto di silenzio e mistero, al centro del nulla.
Con un ingiustificato senso di crescente inquietudine, la ragazza
percorse il corridoio nella direzione opposta a quella in cui era
venuta, camminando stavolta a passo spedito. Raggiunta la porta chiusa
della stanza di Kurotsuchi, sfiorò con la punta delle dita
il legno sottile, incerta sul da farsi.
Non era sicura di quello che avrebbe detto, una volta entrata.
Probabilmente, il Capitano l’avrebbe respinta a male parole,
adirato perchè lei si era permessa di entrare nelle sue
stanze senza essere stata invitata. Tuttavia, questo era esattamente
ciò che aveva voglia di fare, e perciò
l’avrebbe fatto.
Senza neppure curarsi di bussare – le probabilità
di ricevere in risposta un cortese invito ad accomodarsi rasentavano lo
zero – la ragazza aprì la porta scorrevole con
delicatezza, e solo allora sbatté leggermente il pugno
chiuso sul legno, per annunciare la propria presenza.
- Kurotsuchi-san...
L’uomo stava steso sul suo futon, un braccio sul volto a
nascondergli gli occhi, apparentemente addormentato. Indossava ancora
la parte inferiore dello shihakusho, ma la casacca da Capitano e la
maschera sogghignante erano state abbandonate con malagrazia in un
angolo. Respirava lentamente, in modo regolare, come chi è
immerso in un sonno profondo.
Sentendosi vagamente a disagio – non aveva mai colto Mayuri
in atteggiamenti umani, prima di allora – Rin fece per
allontanarsi dalla stanza, in silenzio. Si era appena voltata, quando
la voce di Kurotsuchi la costrinse a soffermarsi sulla soglia, incerta
sul da farsi.
- Cosa vuoi, ragazzina?
Tornò a fissarlo, vagamente innervosita. Il Capitano della
dodicesima Divisione, alzatosi a sedere, la scrutava con diffidenza, un
sopracciglio leggermente sollevato.
- Io... niente, in realtà. Quando non ho visto nessuno in
laboratorio mi sono preoccupata... - improvvisò la giovane
shinigami, cercando di suonare naturale.
- Non ne avevi motivo, - rispose lui, freddamente - Gli altri membri
del Comitato di Ricerca sono alla mensa, a quest’ora, come
ogni altro giorno da quando sei arrivata qui. E’ ovvio che
non ci sia nessuno in laboratorio.
Una ciocca di lisci capelli azzurri scivolò sugli occhi di
lui, e il capitano sollevò la mano destra per scostarla. La
manica dello shihakusho scivolò leggermente verso i gomito,
mostrando un taglio netto e profondo all’altezza del polso
dell’uomo. Il sangue era già rappreso, ma era
evidente che Mayuri non aveva fatto niente per medicarsi,
poichè il liquido scarlatto copriva abbondanti porzioni di
pelle, e le tracce lasciate dalle gocce lungo il braccio ferito erano
seccate senza che nessuno si preoccupasse di asciugarle.
- Kurotsuchi-san, cosa...?
Immediatamente, Rin raggiunse l’uomo e, senza riflettere,
afferrò la mano insanguinata fra le sue. Preoccupata,
esaminò il profondo taglio che attraversava il polso.
- Perchè non l’hai medicato? - chiese, una punta
di rimprovero nella voce.
Era la prima volta che la ragazza criticava apertamente il suo
superiore, e lo fece con una tale amarezza nella voce che il Capitano
rimase un istante interdetto, prima di replicare col consueto
“non sono cose che ti riguardano”.
Indirizzando verso l’uomo una risoluta occhiata di
rimprovero, Rin chiese semplicemente:
- Dove sono le bende?
- Ti ho detto che non è affar tuo.
La giovane shinigami poteva sentire la tensione crescere nel tono di
voce di Mayuri. La sua testardaggine contribuì a
innervosirla.
- Ti sei ferito per colpa mia, quindi in realtà direi che la
cosa mi riguarda eccome, - rispose freddamente. Poi, di nuovo, - Dove
sono le bende?
- Nel primo cassetto di quel mobile dietro di te. Nessuno ti ha chiesto
aiuto, comunque.
Voltandosi per prendere i bendaggi che le servivano, Rin si
scoprì a sorridere fra sè e sè.
"Kurotsuchi-san, ti fa così paura l’idea di
apparire vulnerabile?"
Prese a fasciare il polso ferito del Capitano, a testa china, gli occhi
fissi sul lavoro accurato che stava facendo. Le dita
dell’uomo erano gelate a causa della quantità di
sangue perso, e il suo volto appariva decisamente più
pallido del normale.
- Ti ha quasi lacerato una vena piuttosto grande, Kurotsuchi-san. Non
è una sciocchezza come volevi farmi credere, e tu lo sai.
- Pensi davvero che un taglietto del genere sia sufficiente a mettermi
fuori gioco?
Rin sollevò gli occhi, lanciandogli uno sguardo privo di
espressione.
- Pensi davvero che quello non tornerà?
Kurotsuchi rimase un attimo in silenzio, fissando accigliato la giovane
shinigami, prima di replicare con voce tagliente:
- In ogni caso, io.. ti proibisco di tornare a cercarlo, è
pericoloso.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, incredula:
- Me lo proibisci? Con che diritto?
- Sono il tuo Capitano.
- E io eseguo i tuoi ordini di Capitano, come ho sempre fatto. Gli
ordini, e nient’altro. Riguardo alla mia vita, decido da sola
cosa è giusto e cosa non lo è.
- Cosa è giusto, dici, - il tono di Mayuri era adesso
più minaccioso - Se pensi che sia giusto ucciderti, beh, fai
pure! Non sperare che io venga a salvarti la pelle anche stavolta,
ragazzina presuntuosa! E’ questo il valore che dai alla tua
vita?
La collera di Rin era così forte da annebbiarle la mente,
impedendole di ragionare. Aveva smesso di armeggiare con le bende,
adesso, per concentrarsi interamente sul volto furente del suo
interlocutore.
- Proprio tu parli di valore! - la rabbia le faceva tremare la voce, e
sentiva le lacrime premere agli angoli degli occhi - Sei un omicida,
non ti sei fatto scrupoli ad abbandonare Nemu a se stesa dopo essertene
servito per i tuoi esperimenti. Sei un pazzo, privo di morale ed
egoista!
Si era spinta troppo oltre, ancora. Terrorizzata, Rin attese, tremante
per la collera, continuando a fissarlo con profondo rimprovero,
aspettando di udire il verdetto, la punizione per la sua insolenza.
Kurotsuchi, accigliato, adesso stava fissando le bende sul suo braccio
senza dire una parola. A disagio, Rin fece per allontanarsi da
quell’uomo che, adesso, la intimoriva come non mai, ma appena
lei si mosse questi allungò istintivamente le mani,
afferrandola per i polsi. Non poteva scappare.
"Non avrei dovuto parlargli così," rifletté,
consapevole di aver detto più di quello che pensava. Il
Capitano era stato buono con lei, a suo modo. Le aveva offerto un
riparo, un lavoro, un motivo di vita. Aveva diviso con lei la propria
esistenza, da tre anni a quella parte, senza chiederle spiegazioni o
giustificazioni.
La dodicesima Divisione era stata per Rin l’unico luogo
sicuro da quando la sua famiglia era stata sterminata.
Abbassò gli occhi, assalita dal senso di colpa, consapevole
che ormai era troppo tardi per chiedere perdono, che Kurotsuchi-san non
avrebbe accettato le sue scuse. Si sentiva lo sguardo penetrante di lui
puntato addosso, e quella consapevolezza le negava il coraggio di
giustificarsi per le parole appena pronunciate.
- Hai ragione, ragazzina... sono esattamente quello che hai detto. - La
voce di Mayuri era calma, adesso; seria, ma priva di qualunque tipo di
risentimento, o di emozione. Rin sussultò, sentendolo
parlare in quel modo: come se per lui fosse naturale, perché
non gli importava affatto di essere giudicato da lei.
Eppure, il Capitano esitò un istante, continuando a
stringere fra le dita i sottili polsi della giovane shinigami. Per la
prima volta da quando l’aveva incontrato, l’uomo
sembrava incerto sulle parole da usare.
- Egoista, spregiudicato, amorale, folle... puoi chiamarmi come vuoi.
E’ tutto vero, sono consapevole di esserlo. Lo siamo tutti,
qui, o almeno continuerai a pensarlo finchè non farai pace
con te stessa. Perchè vedi, Rin... quello che non riesci a
perdonarci, l’unica realtà dei fatti...
è che tu sei esattamente come noi.
La ragazza alzò lo sguardo, lottando contro le lacrime. Era
tutto vero, e lei suo malgrado lo sapeva: Kurotsuchi-san aveva
perfettamente ragione. Vivere nel laboratorio, accettare le leggi
imposte dal Comitato Scientifico, ripetersi ogni giorno di
“non avere colpa”, era soltanto un subdolo modo per
scaricare le colpe su qualcun altro.
Andare avanti senza rimorsi, con la convinzione di stare solo
“eseguendo gli ordini”, e chiamare
“pazzo” Mayuri per le sue scelte, ma continuare ad
assecondarlo, era solo il pavido tentativo di difendersi gridando
“mi è stato detto di farlo, non è colpa
mia”.
Kurotsuchi-san aveva accettato il suo ruolo di capro espiatorio, come
Urahara per primo. Gli errori, le follie, gli sbagli che avvenivano nel
laboratorio venivano imputati sempre e solo a lui: in questo modo, gli
animi fragili degli altri membri della Divisione potevano mondarsi da
ogni peccato, semplicemente pronunciando le fatidiche parole:
“perchè è così che mi
è stato ordinato di fare”.
Sopraffatta da simili considerazioni, Rin distolse nuovamente lo
sguardo dagli occhi ambrati di Mayuri, senza riuscire a trovare le
parole adatte alla situazione. Avrebbe voluto scusarsi, forse, oppure
ringraziarlo. E dirgli che le dispiaceva di non aver capito, di
essergli grata per tutto ciò che aveva fatto a suo
vantaggio. Concetti chiari nella sua mente, ma impossibili da esprimere
in modo concreto.
- Ti chiedo... scusa, Kurotsuchi-san, - fu tutto ciò che la
ragazza riuscì a mormorare.
In risposta alle sue incerte parole, o forse un istante prima che la
frase fosse stata interamente pronunciata, Mayuri chiuse gli occhi
ambrati allentando la presa ai polsi di Rin, poi fece scivolare
lentamente i palmi delle mani su quelli di lei. La ragazza
alzò appena la testa quando il Capitano, cauto ma deciso, si
chinò per avvicinare le proprie labbra alle sue.
Si baciarono a lungo, lasciandosi andare completamente alla sensazione
piacevole che il reciproco contato provocava, allontanandosi soltanto
per sdraiarsi sul soffice futon al centro della stanza.
Non c’era bisogno di altre parole.
Era sbagliato, forse, ricorrere ad un simile atto per colmare il vuoto
interiore che in quel momento li pervadeva. E ancor più
sbagliata era la necessità, più fisica che
affettiva, che li aveva spinti fino a quel punto. Se le avessero
chiesto se amava il Capitano Kurotsuchi, Rin non avrebbe saputo cosa
rispondere: lo stimava, certo, lo ammirava, gli era riconoscente... ma
amarlo? Cosa può significare “amare” per
un cuore che si è chiuso a qualunque sentimento, e che vive
solo per il puro bisogno di esistere?
"So che avrò di che pentirmene." fu il pensiero che percorse
in modo vago la mente di Rin, appena sopra il confine che separa
ciò che è percepibile da ciò che non
lo è. Poco più che inconscio, e del tutto
trascurabile: il mondo avrebbe continuato a girare, anche
l’indomani, anche senza di lei.
Per questo motivo, e non per amore, avrebbe lasciato che le cose
andassero così, come dovevano andare. Perchè
respingere il Capitano, rifiutare quel surrogato di affetto che lui,
per la prima volta, sembrava disposto a dimostrarle, non era davvero in
suo potere. Era più facile vivere così,
illudendosi di essere importante per qualcuno, accontentandosi senza
porsi troppe domande di quella specie di felicità che
sembrava alla fine spettarle...
"Forse, in un altro mondo, tutto avrebbe potuto essere diverso..."
Ma quel mondo non c’era stato, quella in cui la giovane
shinigami stava vivendo era l’unica realtà
possibile. Non poteva nascondersi e scappare, ma solo cogliere ogni
singolo lato positivo e farne tesoro.
Le passeggiate nel bosco assieme a Nemu.
Il sole mattutino che filtra attraverso la finestra socchiusa del
laboratorio.
I sorrisi degli altri membri della dodicesima Divisione.
E adesso, soltanto per qualche ora, il piacere fine a se stesso;
dimenticare tutto ciò che esiste
“fuori”; ricevere, se non altro, un po’
di calore umano...
Raggomitolata in un angolo del futon Rin dormiva profondamente, le mani
vicino al volto, il respiro regolare. Il candido petto nudo si
sollevava e si abbassava, silenzioso, impercettibilmente, quietamente.
Immerso nel buio della notte ormai calata, Kurotsuchi scrutava quella
figura esile con un’espressione indefinibile dipinta in
volto: rifletteva. Conosceva ogni singolo dettaglio di quella ragazzina
dal carattere insolito e il fisico minuto, sapeva tutto di lei e gli
era capitato più volte, nel corso degli esperimenti,
entrarci in contatto, studiarla, osservarne ogni dettaglio...
Eppure, stavolta era inevitabile per il Capitano guardarla con occhi
diversi: i lineamenti così familiari del volto, le gambe
sottili, la pelle chiara... tutto per lui era nuovo, come se lo vedesse
per la prima volta, come se finalmente capisse che anche quella
giovane, indistruttibile nonostante l’apparente
fragilità, era un essere umano...
Come lui, o forse migliore di lui: non si era mai ritenuto perfetto,
semplicemente aveva sempre pensato che essere se stesso fosse il
miglior modo che aveva per vivere. E lei aveva distrutto questa
convinzione: essere se stessa la stava uccidendo.
Aggrottando le sopracciglia ad un simile pensiero, Kurotsuchi raccolse
la parte superiore dello shihakusho, che giaceva abbandonata in un
angolo. Era più freddo, adesso che era calata la notte.
Con un ampio movimento silenzioso, stese la stoffa scura sulla piccola
sagoma raggomitolata al suo fianco: non per proteggere quella ragazza,
ma solo per far pace con se stesso, per poter dire “ho fatto
tutto ciò che potevo per lei”.
La selezione naturale decide quali esemplari di ogni razza sono
inadatti a continuare a vivere sulla Terra. Gli uccellini deboli cadono
dal nido, e il pesce grosso mangia il pesce piccolo.
Lui aveva cercato di convincere Rin a non andare in cerca del Menos che
già una volta l’aveva sconfitta: a parte questo,
non c’era altro a cui avesse il diritto o il dovere di
pensare.
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Capitolo 13 *** XIII. chapter thirteen; ***
Il mattino si
insinuò prepotentemente tra le palpebre chiuse di Rin
Hisegawa, con il suo silenzio e la sua gelida determinazione.
Nonostante si fossero inequivocabilmente presentate le avvisaglie di
un’imminente e tiepida estate, l’universo
circostante appariva agli occhi della ragazza come freddo, muto,
incurante. Lontano, a est, si sentiva fin troppo chiaramente il pulsare
spasmodico e martellante di un’immensa e famelica forma di
vita.
”E’ lui. E’ qui per me, e io devo andare
ad affrontarlo.”
Voltando appena lo sguardo in direzione dell’uomo
addormentato, la giovane shinigami permise all’ultimo sorriso
di scivolare sul suo volto contratto: era strano, commovente quasi,
vedere quel viso solitamente corrucciato disteso in
un’espressione di pura tranquillità. Gli occhi
ambrati e penetranti celati dalle palpebre chiuse, i capelli lisci e
sottili sparsi scompostamente sulla stoffa del futon e sulla sua
fronte, il petto nudo che si sollevava impercettibilmente,
costantemente al ritmo del suo respiro...
Provando una sorta di riconoscenza e qualcosa di molto simile
all’affetto, Rin piegò accuratamente la casacca
del kimono che lui le aveva prestato, e la appoggiò
delicatamente in un angolo, dove avrebbe potuto vederla appena si fosse
svegliato. Era più caldo, adesso, poichè il sole
si era già affacciato in quel brandello turchese di cielo
che si scorgeva chiaro e luminoso attraverso le imposte semichiuse.
Con passi leggeri ma sicuri, la ragazza scivolò fuori dalla
stanza del Capitano. Si guardò attorno, circospetta, facendo
capolino dalla soglia, ma fortunatamente tutti dormivano ancora: se
qualcuno l’avesse vista aggirarsi per l’edificio a
quell’ora e seminuda, certamente sarebbe stato difficile
evitare i pettegolezzi l’indomani.
Doveva andare, il tempo era poco e la distanza da coprire tanta.
Avrebbe indossato il suo shihakusho, e impugnato la zanpakuto: se
avesse vinto, lo avrebbe fatto secondo le regole della Seireitei. Se
fosse morta, sarebbe stato con onore.
”E’ tornato nel luogo dove ci siamo scontrati la
prima volta... Che sfrontato! Mi sta invitando ad andare a
cercarlo!” constatò la ragazza, reprimendo un moto
di rabbia, mentre inseguiva quell’Energia Spirituale che lei
sola poteva sentire.
Ancora, quel richiamo silenzioso era dedicato esclusivamente alla
piccola shinigami con cui il Menos aveva un conto in sospeso. Era lei
che voleva, lei che avrebbe ucciso. Inaspettatamente, Rin si
scoprì a domandarsi il perchè.
”Sta cercando me... un tale spirito vendicativo, una simile
ostinazione... mi chiedo come sia possibile che io sola possa percepire
questo Reiatsu. Eppure... se Kurotsuchi Taichou fosse in grado di
sentirlo, sono certa che mi avrebbe impedito di andare, nonostante
tutto ciò che ha detto ieri sera.”
Ieri sera.
Con una fitta di dolore al petto, Rin sentì i ricordi della
giornata precedente riaffiorare dalla sua memoria vividi e reali come
se li avesse da poco vissuti. Le labbra di Mayuri sulle sue, i suoi
occhi dorati, il contatto del futon contro la schiena mentre, in
silenzio, si scambiavano ciò che di più simile
all’amore erano in grado di generare...
Era proprio necessario rischiare la vita in un momento simile? Era
inevitabile abbandonare tutto nell’istante in cui aveva
ottenuto ciò che più desiderava, e allontanarsi
da Kurotsuchi-san proprio adesso che lo sentiva così vicino?
”E fuggiresti di fronte al dovere? Getteresti al vento
l’orgoglio per qualcosa che, forse, non si può
neppure chiamare affetto?”
Rin chiuse gli occhi, lasciando che la risposta giungesse,
dolorosamente, da sola. Lo avrebbe fatto, soltanto un paio di anni
prima.
”Adesso è cambiato tutto. Non posso lasciare che
sia qualcun altro a risolvere i miei problemi, quindi
cercherò quel mostro prima che sia lui a venire da
me.”
Intanto che si perdeva nelle proprie riflessioni Rin aveva raggiunto,
silenziosa, il limitare della radura dove aveva la prima volta
incontrato l’oscura presenza dell’Hollow che la
braccava.
- Guardami, ti sto cercando! Non sono più la tua preda,
Menos, sono venuta qui per mia volontà e per mia
volontà combatterò contro di te!
Un rumore sordo, repentino, esplose dagli alberi alle sue spalle. Senza
che alla shinigami fosse dato il tempo di riflettere,
un’imponente figura fatta di ombre si avventò su
di lei, feroce, lesta, armata di tutto il rancore che la stessa oscura
presenza aveva nutrito e alimentato nel tempo.
HAR! HAR! HAR!
Il latrato, che voleva forse essere una risata di scherno,
risuonò nelle orecchie della ragazza mentre saltava
all’indietro per schivare il primo, poderoso attacco nemico.
Non c’era tempo per fermarsi a pensare, nè per
sferrare un’offensiva soddisfacente. Tutto ciò che
poteva essere fatto, per ora, era semplicemente evitare di essere
ferita.
- E’ il mio secondo combattimento con questa specie di orso
gigante... dovrei avere imparato qualcosa dal primo scontro, ma
perchè allora tutto mi sembra così confuso?
Il ghigno beffardo e zannuto dipinto sull’enorme maschera
d’osso baluginò a qualche centimetro dal volto
della ragazza, mentre l’Hollow tentava di chiudere le fauci
scattanti sull’esile corpo protetto solo dal sottile
shihakusho di stoffa nera.
Sono ancora troppo inesperta, dannazione! Debole per le ferite, e ancor
più debole se paragonata a lui!
Rin strinse i denti, scartò di lato, mosse rapidamente la
mano in direzione del nastro rosso che portava legato ai capelli. Con
un gesto convulso, sciolse il soffice nodo dalle ciocche argentate.
- TINTINNA, KOUMARU!
Un lampo di luce, poi un suono, forse un lamento o un grido; la ragazza
non avrebbe saputo dirlo. Nel pugno chiuso, l’elsa lucente di
una spada dalla lama a doppio taglio. Stupito, interdetto, diffidente,
alla sua vista l’Hollow strisciò silenzioso di un
passo o due più indietro.
Adesso tocca a me, brutto bestione! - sogghignò la
Shinigami, soppesando la propria zanpakuto con la mano sinistra per
saggiarne la presa. Qualunque cosa fosse accaduta poi,
gliel’avrebbe fatta pagare.
Un grido, simile ad una risata o al ringhiare profondo di una qualche
creatura ancestrale.
Sentendosi pervadere da un timore inconsapevole, come non credeva
essere in grado di provarne, il Capitano della dodicesima Divisione
raggiunse, ansante, l’ampia e segreta radura nel bosco ai
confini della Seireitei. Nel raggio di qualche decina di metri, gli
alberi e il sottobosco erano stati spezzati e pendevano stanchi,
bruciacchiati e anneriti come se vi fosse appena precipitata una
pioggia di lapilli incandescenti.
- Ma che diavolo...? - mormorò tra se e se Kurotsuchi,
portando istintivamente la mano destra all’elsa della
zanpakuto legata alla cintura. Sapeva di starsi recando sul luogo di
una battaglia; tuttavia, non avrebbe mai pensato di potersi trovare di
fronte ad un simile, desolante spettacolo.
Lo sprigionarsi di una potente e ben nota fonte di Energia Spirituale,
qualche miglio più a est dal luogo in cui si trovava, aveva
rivelato con chiarezza a Mayuri che Rin Hisegawa aveva liberato il
proprio shikai. Senza un minuto di esitazione, maledicendo mentalmente
la testardaggine del suo giovane vice-Capitano, lo Shinigami si era
precipitato sul luogo dello scontro nella speranza di giungere in tempo
per fare qualcosa.
Era strano, adesso, eppure così reale, il paesaggio
devastato che la lotta tra l’Hollow e la ragazza aveva
generato. Colei che, poche ore prima, aveva dormito al suo fianco con
indosso la casacca del suo kimono come unica coperta, adesso era in
piedi, sanguinante, sola, dove lui non avrebbe potuto raggiungerla.
- Questa non è la stessa evocazione che hai mostrato al
Consiglio dei 46, ragazzina. Sai perfettamente che richiamare il bankai
è qualcosa che va ben oltre le tue attuali
capacità...
... Bankai.
E’ necessaria una fonte di reiatsu immensa per poter evocare
ed utilizzare una simile tecnica. Generalmente, soltanto i Capitani
sono in grado di sfruttarla, e spesso anche un Capitano ha
difficoltà a mantenere la zanpakuto in quella forma troppo a
lungo.
Rin Hisegawa aveva superato se stessa, i propri limiti, la propria
resistenza. Un ampio kekkai di solida Energia spirituale circondava,
come una cupola impenetrabile, il luogo dello scontro. A mantenere
salda questa resistente barriera, una bandiera scarlatta
dall’asta sottile troneggiava al centro dello spiazzo che un
tempo era stato erboso, piantata dalla stessa Shinigami nel terreno
coperto di cenere.
Una robusta catena, lunga quanto il raggio della semisfera che
costituiva la parete del kekkai, terminava in un corto pugnale dalla
lama aguzza e sottile. Rin Hisegawa stringeva in pugno quella debole
arma, coperta di polvere e sangue da capo a piedi, fronteggiando il
crudele nemico che, ferito e furente, troneggiava di fronte a lei con
tutta la sua collera primitiva.
- Sciogli il bankai, sciocca ragazzina, o finirai ammazzata! -
gridò rabbiosamente Kurotsuchi, avventandosi contro
l’invisibile ma resistente parete di Reiatsu. Non
c’era niente da fare. Se non fosse stata la proprietaria di
Koumaru a decidere di richiamare la zanpakuto, soltanto la sua morte
avrebbe potuto annullare la barriera di Energia che li separava.
- Maledizione! - imprecò il Capitano, stringendo i pugni
fino a cacciarsi le unghie nei palmi delle mani.
- Non richiamerò Koumaru, Capitano. Questa è la
mia battaglia, non la tua, - replicò la giovane Shinigami,
senza neppure voltarsi, serrando le dita insanguinate attorno
all’elsa del corto pugnale. Non avrebbe accettato il disonore
di dichiararsi sconfitta. Non avrebbe permesso a Kurotsuchi di uccidere
il suo nemico, facendola apparire una inutile ragazzina bisognosa di
protezione.
Con le ultime forze rimaste, la giovane balzò in avanti,
verso il muso ghignante dell’Hollow che incombeva molti metri
sopra di lei. Il suo braccio sinistro, quello che lo stesso Mayuri una
volta aveva già medicato, era ridotto nella stessa
condizione di quando la ventunenne Hisegawa si era presentata nel
laboratorio in cerca delle sue cure.
Stavolta, non sarebbe stato necessario.
”Per lei era troppo tardi anche prima che
arrivassi.”
Il gelo provocato da una simile consapevolezza parve colmare
l’aria circostante, soffocandolo, rendendo ogni cosa
più buia e silenziosa di come fosse davvero. Nonostante si
muovesse ancora, nonostante saltasse, schivasse, colpisse e tentasse in
ogni modo di mantenersi ancora in vita, il vice-Capitano della
dodicesima Divisione aveva ormai oltrepassato quella linea sottile che
distingue il “possibile”
dall’”impossibile”.
Lei stava morendo guardando in faccia il nemico. Finché
avesse avuto fiato, avrebbe combattuto per se stessa, per
ciò che era stata, per la consapevolezza di non aver del
tutto perso la battaglia.
Un lampo, un ringhiare sommesso, neppure un grido dalle pallide labbra
della Shinigami.
”Avrebbe meritato una vita migliore, quella
ragazzina,” si ritrovò a considerare Kurotsuchi,
osservando l’esile figura stesa sul suolo polveroso, che
stavolta non si sarebbe rialzata.
Con un leggero crepitio sommesso, il kekkai si dissolse nel nulla
assieme a ciò che restava di Koumaru. Tornato finalmente in
libertà, il gigantesco e macabro Hollow ferito emise un
potente grido di vittoria, più simile ad un lamento feroce,
prima di balzare lontano in cerca del passaggio che gli avrebbe
permesso di fare ritorno nel Hueco Mundo.
Con un’espressione di muto dolore nelle iridi ambrate,
Kurotsuchi osservò la possente figura allontanarsi nel folto
degli alberi. Non l’avrebbe inseguito, stavolta sentiva che
la sua morte non sarebbe servita a farlo stare meglio. La vendetta non
gli avrebbe potuto portare sollievo, non gli avrebbe restituito
ciò che, per freddezza o per pura inesperienza, non era alla
fine riuscito ad ottenere davvero.
Non si sentiva triste: Rin Hisegawa aveva finalmente raggiunto
ciò che da tempo andava cercando. Un motivo per rimanere in
vita, un motivo per lottare, un motivo per cui morire rinunciando alla
stessa esistenza con un sorriso. Aveva trovato qualcosa per cui valesse
la pena di essere forte, delle persone da amare, un luogo da difendere.
Dalle macerie del proprio passato, aveva pazientemente riempito tutti
gli spazi vuoti che si erano creati nel suo cuore, ricostruendosi un
equilibrio mentale che le permettesse di andare avanti.
Kurotsuchi era pazzo, era insensibile e spregiudicato, e lo sapeva.
L’aveva raccolta come un gatto per strada, l’aveva
coinvolta nelle proprie follie, l’aveva costretta, con
l’inganno o con la persuasione, a prendere parte al suo
insano modo di esistere.
Dapprima lei si era ribellata, aveva tentato di scorgere, attraverso la
maschera, il suo lato più umano, un aspetto di sè
che il Capitano della dodicesima Divisione non avrebbe mai voluto
mostrare. Credeva di averla perduta.
Poi, però con suo grande stupore, aveva visto la giovane
shinigami tornare un passo indietro, accettare i suoi lunghi silenzi,
impegnarsi anima e corpo nel suo lavoro di laboratorio e cercare,
attraverso una strada nuova, il passaggio che le avrebbe permesso di
varcare finalmente quel muro.
Lentamente, Kurotsuchi raggiunse il corpo senza vita del suo
vice-Capitano, adagiato a terra su un fianco come se stesse dormendo.
Con delicatezza, raccolse quella pallida e immobile figura: era strano,
non la ricordava così piccola e minuta.
Un rivolo di sangue scarlatto scivolava, silenzioso e costante, dalle
ampie ferite sul braccio di Rin fino alla punta delle sue dita. Con un
ticchettio regolare e costante, le gocce cadevano a terra confondendosi
con la cenere e l’erba secca, ancora, e ancora, e ancora.
Il sole splendeva, alto e beffardo, lassù in alto nel cielo
privo di nubi. Da qualche parte, lontano, la vita riprendeva a scorrere
nel mondo, frenetica, ignara.
Con la collera e l’ira repressa dipinte nello sguardo dorato
sotto la fredda maschera scura, Kurotsuchi attraversò la
Seireitei noncurante delle occhiate stupite dei pochi mattinieri che si
erano già svegliati. Cosa gli era mai importato, infondo,
dell’altrui opinione? E adesso, perchè mai avrebbe
dovuto interessargli?
Per quanto lo riguardava, nessun essere vivente sulla faccia della
terra avrebbe mai più potuto meritare la sua attenzione.
Tutto era muto, stupido, inutile, cieco; nessuno sarebbe riuscito
neppure a vedere la cima del muro che lo separava dal resto del mondo,
figuriamoci a raggiungerla e superarla!
Rin Hisegawa, invece, lei quel muro l’aveva già
varcato.
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Capitolo 14 *** XIV. chapter fourteen; ***
Attraversò la
Seireitei in silenzio, senza mai voltarsi indietro, col suo solito
passo deciso e la schiena ben dritta, restituendo con risoluta
freddezza le lunghe occhiate che i rari passanti gli dedicavano.
La maschera demoniaca dai lineamenti sogghignanti non bastava a
nascondere il folle, istintivo furore che baluginava, a tratti, nelle
iridi dorate. Le pallide braccia coperte di cicatrici stringevano,
quasi a volerla nascondere al resto del mondo, l’esanime e
sanguinante figura dai tratti così familiari...
Entrò nei laboratori della Sezione Scientifica, in perfetto
silenzio, lanciando gelide occhiate distanti all’immobile
realtà che adesso lo circondava. Vedeva più
oscura ogni cosa, nella fulgida luce del giorno beffardo che,
crudelmente, le aveva strappato in un attimo l’unica persona
a cui tenesse davvero.
Oltrepassò in pochi e rapidi passi il cantuccio nascosto in
cui stavo accucciata, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi
per paura di scorgere, ancor prima del ghigno infernale che nascondeva
il reale dolore del suo volto, la piccola mano insanguinata che
spuntava, priva di vita, tra le pieghe dello shihakusho a brandelli che
lui sorreggeva.
Un unico movimento, un ampio e nervoso gesto della mano nella mia
direzione: mi caddero in grembo, un po’ sporchi e strappati,
la fascia del vice-Capitano e il drappo di stoffa scarlatta che lei era
solita portare legato ai capelli, dietro all’orecchio destro.
Fu in questo modo che divenni luogotenente della dodicesima Divisione:
senza una cerimonia, nè festeggiamenti, nè lodi.
Col cuore pesante ed oppresso dal pianto e dalla disperazione, con la
certezza di avere perduto per sempre la mia alleata, la mia amica, mia
madre.
Stringendo tra le dita la stoffa leggera col simbolo del cardo inciso
sulla piastra di legno, serrai le labbra fino quasi a farle sanguinare,
per impedirmi di scoppiare in lacrime di fronte al mio Capitano.
Non avrebbe tollerato una simile debolezza. Aveva sempre detestato la
mia sola esistenza, e per ogni giorno trascorso nel mondo da quando ero
nata fino a quell’evento era soltanto lei che dovevo
ringraziare. E adesso, ne ero certa, colui che per la scienza e la
tecnica era stato mio padre, mi aveva lasciato in vita solo per
rispetto del ricordo che conservava in sè di quella persona.
Ero io, ad esserle stata più vicina negli ultimi tempi. Io
avevo assorbito i suoi insegnamenti, avevo imparato il suo modo di
combattere, avevo ascoltato le sue storie. Io ero il salice che lei
aveva piantato, e nonostante la tempesta non mi sarei mai spezzata,
perchè sapevo piegarmi sotto il peso del dolore e portare in
silenzio il mio fardello, fino quasi a farlo sembrare più
leggero.
Lui era la quercia, e nonostante i suoi modi prepotenti e determinati
potessero a volte farmi del male, era il suo animo stavolta ad essere
stato davvero colpito dall’accaduto. Io non potevo far niente
per lui, eravamo due mondi distanti. Rimasi in silenzio, come sempre,
in attesa, sapendo che se mai mi fosse successo di deludere ancora
qualcuno, stavolta non ci sarebbe stata una ragazza dai capelli
argentei e il sorriso gentile a risollevarmi e prendermi per la mano.
Seppellimmo Rin Hisegawa con una semplice cerimonia silenziosa, io e
gli altri ragazzi della dodicesima Divisione, senza che nessuno, o
quasi, giungesse dalle altre Squadre del Gotei a portare le sue
condoglianze.
Soltanto un giovane dai capelli corvini, uno shinigami della terza
Divisione di nome Felio Sanada, mi raggiunse un giorno nei pressi della
tomba per esprimere il proprio dispiacere. Brevemente,
raccontò la sua storia.
Aveva conosciuto Rin all’Accademia per shinigami, molti anni
prima, quando erano poco più che bambini. Erano diventati
subito grandi amici, e lui ricordava quei giorni col sorriso, come se
parlandone li stesse rivivendo, nella mente, uno ad uno.
Si era innamorato di lei, credo, anche se non me lo disse chiaramente.
Era triste, nel guardare la misera croce di pallido legno leggero, e
forse anche lui come me si chiedeva se Rin fosse davvero andata, come
dicevano, in un luogo migliore.
E io, intanto, avevo preso la mia decisione.
- Vorrei che questa la tenessi tu, - gli dissi semplicemente, al
momento del congedo, porgendogli la fascia di stoffa scarlatta che
avevo accuratamente conservato dal giorno in cui il Capitano me
l’aveva affidata.
Lui mi lanciò un’occhiata stupita, esitante: non
capiva.
- Sono sicura che lei avrebbe voluto parlarti un’ultima
volta, e salutarti come si deve. - spiegai, in uno dei miei rari
momenti di loquacità.
Quel ragazzo dagli occhi color smeraldo, un po’ imbarazzato
nell’accettare l’oggetto che gli porgevo,
risvegliava in me una sensazione che sulle prime mi fu impossibile
decifrare. Il suo modo di manifestare il dolore, con controllata ma
disarmante spontaneità, era così diverso dalla
fredda collera cieca che Kutotsuchi-sama si ostinava a mostrare!
Sanada-sama, senza timore di apparire “troppo
umano”, esprimeva il cordoglio con i gesti e le parole di chi
ha perso una persona a lui cara. Mio padre, pur avendo provato per Rin
un sentimento che era il più simile all’amore, non
riusciva a far altro che mostrare il proprio dolore attraverso
l’ira, l’odio, la rabbia.
Da giorni, ormai, nessuno lo vedeva più aggirarsi per la
Sezione Scientifica come un tempo era solito fare. Se ne stava
rinchiuso da solo, nel suo silenzioso laboratorio sotterraneo, senza
uscire neppure per consumare i pasti o dormire nella propria stanza.
Non voleva incontrare nessuno, e nessuno avrebbe voluto vederlo:
sebbene non riuscissero a condividere la sua visione delle cose, tutti
avevano capito che sarebbe stato meglio lasciare che il Capitano
elaborasse il proprio lutto nella maniera che riteneva più
opportuna.
Trascorsero le settimane, e finalmente Kurotsuchi-san riemerse
dall’oscurità del suo laboratorio. Era magro, e
ancora più pallido di quanto già non fosse; molto
più silenzioso, i suoi occhi da dietro la maschera fissavano
il mondo con una freddezza che nessuno aveva mai visto.
Una spessa sciarpa di stoffa pesante copriva interamente il suo collo,
nascondendo alla vista la pelle che la scollatura dello shihakusho
avrebbe altrimenti lasciato scoperta. Era strano, più strano
del solito, e compiva i propri esperimenti con uno zelo ed un
accanimento che avevano qualcosa di insano e febbrile.
Quando mi resi conto di ciò che aveva fatto, fu quel giorno
che mio padre iniziò a farmi davvero paura.
Credeva che non lo vedessi, forse, o forse aveva deciso che non gli
importava. Se qualcuno delle altre Divisioni avesse anche solo
immaginato ciò che io con questi occhi ho visto, adesso
Kurotsuchi certamente non sarebbe più Capitano.
Sulla pelle cinerea del torace e della schiena si aprivano una serie di
lunghe e profonde incisioni, ricucite piuttosto maldestramente per
mezzo di spessi punti da sutura. Non c’era bisogno di
chiedere spiegazioni per comprendere il motivo di simili ferite:
Kurotsuchi Mayuri era tornato ad essere la cavia di se stesso.
In cerca di un motivo per poter dimenticare, gettandosi nel lavoro
nella speranza di sfuggire dal resto del mondo, una volta esaurito il
materiale su cui compiere i propri esperimenti il Capitano non si era
fermato. Aveva sperimentato sul proprio corpo, considerandosi alla
stregua di un cadavere: infondo cos’è, una
creatura priva di una ragione e uno scopo, se non un cadavere che
ancora cammina?
Mi avvicinai, desolata, a quell’uomo che nonostante tutto
consideravo mio padre. Non avrei saputo cosa dirgli, nè che
fare, e se lui si fosse voltato forse sarei semplicemente scoppiata a
piangere.
Ma lui non lo fece, non mi guardò neppure.
Rimase immobile, ignorandomi, il volto coperto dalla maschera che
fissava un punto lontano fuori dalla finestra, in direzione della
piccola croce di legno, sulla collina. Non gli importava di me, non
gliene sarebbe mai importato.
Lo sapevo, lo avevo sempre saputo, era semplicemente il nostro modo di
esistere l’uno per l’altro, il nostro equilibrio
particolare. Eppure quel giorno, per la prima volta, mi posi la domanda
che ancora oggi continua a tormentare le mie ore: con quale diritto, o
con che orgoglio, posso vantare il privilegio di essere tuttora al suo
fianco...?
Per quale motivo sono io, Nemu Kurotsuchi, ad essere rimasta ancora in
vita...?
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