Breve storia del Piccolo Regno di alessandroago_94 (/viewuser.php?uid=742337)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Breve storia Piccolo 1
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
C’era una volta, nel remoto Nord, una valle che d’estate
pullulava di fiori e di vita. Era la valle dei Piccoli Regni, dove tanti re e
tante regine governavano in pace e prosperità.
Tra i Piccoli Regni esistevano legami molto forti, e spesso e
volentieri i sudditi sceglievano i consorti presso il regname confinante, e
così anche i regnanti stessi.
I legami di sangue e il luogo ameno avevano creato un
giardino dell’Eden.
Mentre nella fertile valle la vita era scandita dalla
raccolta della frutta, dalle risate e dall’amore, su un alto colle che
s’affacciava sull’oceano tempestoso, imponente sui Piccoli Regni, un altro
Regno solitario proseguiva la sua esistenza.
Gli abitanti dei Regni della valle non sopportavano molto
quelli della montagna, in primo luogo per un dato di fatto; era vero che quel
poderoso rialzamento del suolo li proteggeva dalla furia dell’oceano, ma di
sera esso gettava la sua ombra su tutto ciò che aveva ai suoi piedi, ostruendo
l’adorata luce.
Quindi, chi poteva vivere lassù, se non persone dall’istinto
almeno di base malevolo? La luce era tutto, e quella montagna con la sua ombra
ne privava la vallata diverse ore prima del tramonto.
Ma poco importava, poiché i Piccoli Regni a valle erano
pacifici e non possedevano né un esercito né il popolo era in grado di serbare
un rancore tale da dichiarare una guerra o una qualche disfida. Tutto finiva
lì, in una tolleranza reciproca che andava oltre a ogni possibile tensione.
Nella vallata, d’altronde, l’estate era sempre più lunga e la
civiltà fioriva; i bambini correvano lungo le strade a spargere profumati
petali di rose, mentre gli adulti si dedicavano alla raccolta dei frutti e
degli ortaggi. Gli anziani erano ben disposti a raccontare una storia a
chiunque capitasse di fronte a loro, lieti e desiderosi di trasmettere messaggi
di pace e prosperità.
Anche lassù, sul Piccolo Regno della montagna ci doveva
essere un clima così disteso, ma a valle nessuno poteva affermarlo, poiché non
c’erano scambi commerciali o altri contatti. Semplicemente, le esistenze dei
Regni di Valle e del Regno di Montagna continuavano in modo pacifico ma
indipendente.
Ogni tanto, qualcuno da giù alzava lo sguardo verso i monti,
e soprattutto verso quel monte specifico, l’unico abitato e l’unico così
imponente, e immaginava la vita lassù.
Mai nessuno però ebbe il coraggio di affrontare la scalata
per saperne qualcosa di più, e nemmeno i vecchi avevano racconti da offrire a
riguardo.
NOTA DELL’AUTORE
Piccolo esperimento letterario; non ho mai scritto una
favola, e ci tenevo a provarci. Questa inoltre è a più capitoli.
Non so se ci sono riuscito, ma spero di aver fatto un lavoro dignitoso.
Cercherò di aggiornare il più rapidamente possibile, magari
anche un breve capitolo al giorno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Breve storia cap 2
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
Venne un giorno in cui l’idilliaco equilibrio vacillò.
Dopo un lungo viaggio, dal remoto Sud giunse un principe
dalle vesti sontuose e il modo di fare alquanto superbo; colui era seguito da
un grande esercito e le sue insegne raffiguravano un rapace intento a dilaniare
un coniglio.
Gli abitanti dei Piccoli Regni restarono interdetti e tanti
Re lo invitarono al loro desco, ma egli non era giunto per tergiversare. Le sue
spade si fecero valere, imponendosi immediatamente su tutti i sudditi inermi.
Quell’estate non vide gli uomini della valle occuparsi dei
frutti, e nemmeno i vecchi ben disposti a raccontare qualche storia sull’uscio
di casa; essi erano diventati schiavi del tiranno, che aveva conquistato tutti
i Piccoli Regni della valle in meno di tre mesi.
Tutti i pacifici sovrani erano stati catturati, imprigionati
e successivamente costretti a diventare i servi del Re del Sud; essi portarono
il peso delle pietre con cui fu costruito un nuovo e sfarzoso palazzo
imperiale.
I Regni divennero parte di un Impero, e i sudditi divennero
schiavi.
Nessuno sapeva però che il superbo e spietato Re proveniente
dal Sud aveva nelle vene l’indole bellica, essendo discendente dei cosiddetti
Conquistatori, giunti nel meridione da terre ancora più meridionali mettendole
in ginocchio e rendendole schiave. Egli, che adesso si faceva chiamare
semplicemente Imperatore, aveva quella mentalità e niente e nessuno poteva
mutarla.
Suo padre l’aveva cresciuto combattendo e non voleva
rinunciare alla guerra.
La sete di potere l’aveva portato a lasciare le terre paterne
per portare avanti un’avventura nuova, come avevano fatto i suoi antenati
diverso tempo addietro. Era acciecato da questa rabbia primordiale e quelle
persone inadatte alle armi lo facevano ridere forte.
Li trattò da guitti, facendoli schernire dai suoi fedeli
soldati, alcuni dei quali erano anche imparentati con lui. Infatti, nella sua
guardia personale erano inclusi i quattro spietati fratelli minori che
l’avevano seguito alla ricerca di gloria e di fama. Essi erano ancora più
bigotti del maggiore e non avevano rimorsi nella loro ferocia.
Durante quella misera estate, diressero tutti i loro sforzi
nel distruggere i ricchi frutteti dei Piccoli Regni, e ciò in vista
dell’inverno, senza ascoltare le suppliche degli inermi sudditi, che invece si
erano sempre scaldati con i resti delle potature autunnali e non con i tronchi.
I Conquistatori non vollero ascoltare, mentre il loro
fratello maggiore già si crogiolava tra immense ricchezze.
E così venne il primo inverno da trascorrere in schiavitù per
i popoli della valle, e quell’inverno fu lunghissimo, fatto di fame e di
freddo.
Quando tornò l’estate, gli uomini ormai senza diritti furono
impiegati nello scavare pozzi per fornire acqua corrente alla reggia imperiale,
così non ci fu raccolto se non quel poco di radici che le donne riuscirono a
far essiccare.
L’inverno successivo fu ancora peggiore e la gente morì a
frotte, soprattutto i bambini e gli anziani.
Immerso nei suoi agi, l’Imperatore lo trascorse tuttavia
molto bene, senza importarsi degli schiavi. I suoi fratelli l’attorniavano e si
divertivano più di lui, scaldati dai tronchi degli alberi da frutto, che
continuamente crepitavano nei grandi camini in pietra. Mai la loro esistenza
era stata così facile.
Il terzo inverno dopo la conquista fu però rovinoso anche per
la corte imperiale, giacché gli alberi da frutto erano finiti e non c’era più
un solo albero da abbattere per scaldarsi.
Gli schiavi superstiti avevano lavorato all’estrazione di
minerali utili alla forgiatura di nuove armi, e non c’era stato tempo per
mandarli tra i boschi delle montagne a raccogliere legname.
Ci provarono l’estate successiva, ma quei boschi erano così
lontani e gli schiavi così provati, magri e stanchi che fu tutto inutile.
Solo allora la sua attenzione si focalizzò sull’unico Regno
vicino con cui finora non aveva mai avuto contatti; quello della Montagna.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Breve storia del Piccolo Regno III
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
Non che quel Piccolo Regno avesse fatto di tutto per
continuare a passare inosservato.
Giunsero infatti tra gli schiavi alcuni messaggeri che
sparsero la voce di come si stesse bene lassù; là ancora gli uomini erano
liberi e vivevano di frutta e di castagne. I bambini erano sani e grassi e i
vecchi desiderosi di raccontare storie.
Questi messaggeri pare fossero uomini che venivano proprio
dalla Montagna, desiderosi di intervenire di fronte alla disfatta dei loro
fratelli della Valle, ormai decimati da freddo e carestie.
Gli schiavi così iniziarono a disertare e fuggivano di notte,
utilizzando tutte le loro ultime forze per raggiungere la Montagna e la
successiva salvezza.
Di fronte alla fuga dei sottomessi e alla catastrofe del suo
Impero, l’ormai magro Conquistatore si innervosì e impose ai suoi soldati di
controllare i confini, ma la fuga proseguiva lo stesso.
L’ennesimo inverno si prospettò terribile e solo allora il
Conquistatore, con il sostegno dei fratelli, si decise a voler dichiarare
guerra al Piccolo Regno rimasto inviolato e isolato fino a ora.
Fu radunato l’esercito per la prima volta dopo quattro anni,
ma gli uomini erano così indeboliti da non essere in grado di combattere. Come
se non bastasse, una pestilenza si abbatté sulla vasta Valle e sterminò
migliaia di uomini, senza alcuna distinzione tra schiavi e padroni.
Impossibilitato a fare la guerra e avvolto dalle nevi
dell’ennesimo e rigido inverno, il Conquistatore rabbioso dovette prendere una
drastica decisione.
Di tornare indietro nemmeno se ne parlava; già immaginava le
risa di suo padre, al cospetto del suo fallimento. Combattere non si poteva, e
nemmeno andare avanti così.
Il Regno lassù era ancora ricco e florido, di giorno e di
notte in tutto l’Impero si poteva avvertire il leggero odore di fumo e di
arrosto di quei montanari, quindi sicuramente erano ricchissimi.
L’imperatore si fece narrare le storie su quella civiltà e
apprese che era governata da una Regina, ormai sul trono da tempo immemore. In
virtù di ciò, egli decise di compiere una mossa strategica per la prima volta
in vita sua; chiedere la mano della ricca signora.
Lui d’altronde non aveva ancora trent’anni, era giovane, e
lei doveva essere molto anziana, quindi sarebbe anche vissuta poco. Poi, egli
sarebbe stato libero di governare in solitaria anche sulla Montagna,
depredandola e aggiogandola.
Allora incaricò un messo di recarsi lassù; si trattava del
miglior parlatore tra i suoi uomini, e fu vestito come un sovrano. Gli consegnò
una pergamena arrotolata e tante raccomandazioni.
L’uomo si dimostrò risoluto e si mise in viaggio subito.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Breve storia piccolo 4
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
Per giorni interi l’Imperatore attese una risposta.
Quando il suo uomo fece ritorno, l’accolse con un grande
sorriso e tante speranze, che furono infrante dall’espressione abbattuta
dell’uomo.
“Mio Imperatore, ho fatto tutto il possibile” affermò,
allargando le braccia con impotenza, “ma questa Regina proprio non ne vuol
sapere di sposarsi”.
Il Conquistatore imprecò malamente, passandosi una mano sulla
fronte prima di tornare a parlare.
“L’hai vista? Come ti è sembrata?”
Al cospetto di quella domanda, il messo sbiancò.
“Oh, no! Non l’ho vista, a nessun straniero è concesso
incontrarla”.
Il sovrano s’irrigidì ed esplose, al cospetto di tale
risposta.
“Come osi rispondermi che non l’hai nemmeno vista? Somaro, ma
che razza di ambasciatore sei…! Dovevi parlare con lei e insistere affinché ti
concedesse un’udienza”
Di fronte all’ira del proprio signore, l’ambasciatore chinò
il capo e rimase smorto e pallido finché lo sfogo non fu concluso.
“Mi spiace, ho fatto tutto il possibile, però le sentinelle
non lasciano attraversare a nessuno il confine” provò a scusarsi, ma inasprì
soltanto il suo nobile interlocutore.
“Ogni notte, da mesi, frotte di lerci schiavi attraversano
quel confine e vengono accolti con calore dentro le mura. E tu cosa sei, più
ignorante e incapace di uno schiavo? Vattene, prima che ti faccia punire”.
L’improvvisato ambasciatore non se lo fece ripetere due
volte.
Sconsolato, affamato e agghiacciato, il Conquistatore rimase
immobile per ore senza sapere più che pesci pigliare. Promise che avrebbe
punito ogni affronto e che quella Regina presto sarebbe stata piegata al suo
volere. Però avrebbe dovuto attendere la buona stagione, per agire.
E, nonostante i mille e più patimenti, la buona stagione
tornò e le giornate ripresero ad allungarsi.
La grande Valle, povera, si risvegliò dal gelo invernale
ancora più provata dell’anno precedente.
Quella buona stagione, tuttavia, non sarebbe stata come
quelle prima. Un unico ordine risuonò ovunque; ogni schiavo doveva lavorare
ogni lembo di terra disponibile e coltivare tutta la verdura possibile.
Si doveva produrre grano per il pane e i mulini dovevano
essere rimessi presto in sesto.
Anche gli uomini del Conquistatore furono messi a lavorar la
terra e questi se ne lagnarono molto, per mesi, eppure a fine stagione
nonostante i grandi sforzi erano riusciti a riacquistare peso e ad avere la
dispensa piena.
A quel punto, giunse il momento di agire.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Breve piccolo regno 5
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
L’imperatore si vestì d’oro e di diamanti.
Trasportato su una lettiga, gli schiavi che ne portavano il
peso gemevano di tanto in tanto dallo sforzo.
Il suo esercito era tornato a presentarsi splendente come un
tempo, anche se non più agguerrito alla medesima maniera, poiché i guerrieri
avevano utilizzato più le vanghe che le spade nell’ultimo periodo. Ma tutto
questo per il Conquistatore contava ben poco, tanto il Piccolo Regno della
Montagna era una realtà come quelle che aveva sottomesso senza nemmeno perdere
un sol uomo, quindi di rischi se ne correvano ben pochi.
Le armi erano state curate più della preparazione fisica,
poiché dovevano risplendere e incutere timore.
Sicuro di sé, l’Imperatore si fece portare fino alle pendici
del monte, per poi iniziare a farlo scalare dai suoi uomini.
Sembrava un luogo desolato, avvolto da un fitto bosco e con
un solo sentiero percorribile, di terra battuta. Eppure, ben presto, agli occhi
degli uomini affaticati dalla salita apparve una sorta di muraglia di legno,
bassa ma rialzata proprio sul sentiero, e in effetti era una vera e propria
porta cittadina.
Al di là si intravedeva ancora del bosco, probabilmente era
lì che era stato segnato il confine.
A sorvegliare la porta c’erano tre uomini disarmati, vestiti
però di lucente velluto rosso.
“Altolà” intimò uno di essi, per nulla intimorito al cospetto
di tutti quegli uomini armati.
Mentre i primi giungevano al confine, tantissimi altri ancora
marciavano più a valle e il clangore era assordante, ma nulla incupiva quegli
strani individui.
Allora l’Imperatore fece cenno agli uomini che aveva di
fronte a sé e li fece indietreggiare, per poi farsi portare da solo al cospetto
degli apparentemente inermi individui.
“Signori, aprite questa porta. Vengo in pace” sancì il
Conquistatore, mollemente adagiato tra gioielli e profumati cuscini. I tre
uomini non fecero una piega, solo quello che aveva intimato lo stop si fece
avanti di due passi, mettendosi al cospetto del grande sovrano.
“Spiacente, il confine non può essere attraversato da uomini
armati” sancì subito con voce squillante, cosicché anche le prime fila dei
guerrieri poté udirlo.
“Sapete chi sono io, villici?”
Il Conquistatore chiese con tono provocante, ma non ancora
irritato. Tuttavia, il guardiano scosse il capo negativamente.
“Mi dispiace, non importa chi siete. Se avete uomini armati
al vostro seguito, non venite in pace e non potete entrare. Deponete ogni arma
e scendete dalla lettiga, se volete varcare il confine” affermò con impassibile
risolutezza.
Il sovrano deglutì.
Socchiuse gli occhi, in preda all’ira; una parte di sé già
suggeriva di spaccare tutto, però non voleva mostrarsi così spietato al
cospetto di quelli che sembravano dei sempliciotti.
“Sono qui per parlare con la vostra Regina. Se io non posso
entrare, e vi avverto, non spoglierò delle armi i miei uomini, né metterò piede
sulla nuda terra, allora che sia lei a mostrare magnanimità e a venire da me”.
Anche l’ultimo intento diplomatico però andò in frantumi,
poiché il guardiano scosse di nuovo il capo.
“Spiacente, la nostra Regina non può incontrare nessuno,
tantomeno stranieri armati”.
Se il Conquistatore aveva ancora un pizzico di pazienza, i
suoi uomini no. I suoi fratelli, che avevano udito tutto, a soli pochi passi
dal colloquio, furono assaliti da una così grande rabbia che incitarono i
guerrieri a fare del loro peggio.
L’Imperatore poté solo vedere le frecce incendiarie che si
conficcavano sulle assi di legno della porta, e udire il fragore di migliaia di
spade che venivano sguainate dai foderi.
I tre guardiani vestiti di lucente velluto furono costretti a
fuggire al cospetto di così tanta ira generale e collettiva.
Dopo qualche minuto la porta cedeva e svelava il largo
sentiero ghiaioso che conduceva direttamente al nucleo del Piccolo Regno di
Montagna.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Breve storia 6
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
Il Piccolo Regno superstite era una roccaforte in vetta a un
monte sempre più aguzzo. Le alte mura in pietra arenaria erano invalicabili, si
prospettava un assedio.
Il Conquistatore permise ai suoi uomini di sistemarsi
comodamente, tanto le guardie sulle mura apparivano disarmate e per nulla
intenzionate a nuocere agli aggressori.
Nessuno tra i guerrieri sapeva capacitarsi di quanti abitanti
potesse avere quel nucleo abitato isolato, e nemmeno di quanto fosse grande; le
mura nascondevano tutto, e la parte più alta della città era avvolta dalla
fitta nebbia tipica delle alte quote.
I suoi fratelli giunsero nervosi al suo cospetto e gli
chiesero il permesso di scagliare altre frecce, ma egli non acconsentì.
“Avete già preso l’iniziativa, in precedenza. Questo
concepitelo come una gentile concessione che vi ho fatto” rispose con finta
magnanimità, “adesso obbedite e mettetevi comodi; inizia l’assedio”.
Per quanto tempo quei montanari inermi potevano fare la parte
del topo in trappola? Qualche giorno, al massimo.
Mentre l’Imperatore faceva montare la sua grande tenda, un
forte vocio percorse i suoi uomini; infatti la grande porta della città si era
aperta giusto di uno spiraglio, per lasciar uscire un’ambasciata composta da un
sol uomo a cavallo, che sventolava una pacifica bandiera bianca.
Sorrise il sovrano, credendo che già stesse giungendo la
resa.
“Fatelo passare, e che non gli venga torto un capello”
ordinò, perentorio.
Così l’ambasciatore giunse indenne fino alla lettiga
imperiale, con il Conquistatore che aveva di nuovo preso posizione su di essa.
Attorno a loro si raccolse una fittissima e silenziosa folla.
“Arrendetevi subito e non vi sarà fatto alcun male” esordì
l’Imperatore, cercando di mostrarsi risoluto e impassibile anche quando il suo
cuore già era pieno di gioia per la vittoria facile.
L’ambasciatore discese dal cavallo, un baio abbastanza
vecchio e mezzo azzoppato, e si rivelò un nanerottolo. Bassissimo di statura,
anche se agile.
Quando si tolse il cappuccio che copriva parte del volto,
mostrò tutto il suo strabismo.
“I… io… non qui… per una… re… re… resa” disse, balbettando in
modo fastidiosissimo.
Il Conquistatore si ritrovò a provare un profondo fastidio.
“Non ho capito, nano. Puoi ripetere?”
“Io… non… qui… per…”.
“In ginocchio. Subito! Riconosci il tuo nuovo sovrano e fai
aprire le porte della città, che non vedo l’ora di conoscere la tua Regina”
ordinò allora l’Imperatore, ormai rabbioso di fronte al balbuziente deforme.
L’ambasciatore strabico però scosse la testa e sorrise,
mostrando una bocca di denti giallastri e marci.
“La…
mia… Regina… mi… man… da… a…
dir… vi… di… andarvene!”
Un Oh! generale si
alzò dai soldati, colpiti dal messaggio appena recepito con grande fatica. Poi,
i fratelli del Conquistatore iniziarono a sghignazzare e a prendere in giro
l’uomo, rivolgendogli tutte le peggiori offese del mondo.
L’Imperatore alzò la mano destra e impose il silenzio, mentre
si mordeva nervosamente il labbro inferiore. Anche a lui era bruciata quella
stoccata.
“La tua Regina ha mandato a parlamentare con me un
balbuziente, invece di uno dei suoi uomini migliori. Ha inoltre rifiutato ogni
mia richiesta di matrimonio e di collaborazione, impedendo ai miei uomini più
volte di varcare il confine. Quindi per me quest’ultima burla è una chiara
dichiarazione di guerra” sancì.
Un urlo di gioia si levò da tutto l’esercito, e i guerrieri
iniziarono a battere le spade contro gli scudi, generando un rumore assordante.
“Torna dentro a quelle mura e riferisci che presto del
Piccolo Regno della Montagna resterà solo un mucchio di cenere. Se la tua
Regina vuole salvare almeno la dignità, faccia uscire il suo esercito e ci
combatta senza pietà, anche se noi alla fine l’avremo vinta. Faccia in fretta,
però; noi inizieremo oggi stesso a costruire lunghe scale, e presto saremo
dentro le mura”.
L’ambasciatore fece allora un piccolo inchino di cortesia e
tornò in sella al suo cavallo, allontanandosi tra gli sberleffi e le urla di un
esercito rabbioso. Il Conquistatore controllò che non gli fosse fatto alcun
male, poiché egli doveva riferire ciò che aveva udito alla Regina.
Solo quando l’uomo fu tornato dentro le mura tornò a far
tacere i suoi guerrieri, ordinando loro di iniziare a tagliare alberi, giacché
le scale dovevano essere fabbricate al più presto, al massimo entro la sera del
giorno successivo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Breve storia 7
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
Già nel primo pomeriggio del giorno successivo erano pronte
le scale.
Dall’alto delle mura, nessuno aveva ancora mostrato qualche
capacità bellica o anche solo di difesa. Il nulla.
Ghignando, convinto di averla vinta a breve, il Conquistatore
si affrettò ad organizzare le prime squadre che sarebbero entrate in città,
scegliendo i migliori scalatori tra i più rapidi dei suoi uomini. Era tutto
pronto, entro sera l’ultimo dei Piccoli Regni sarebbe stato suo, e assieme a
esso anche tutte le sue ricchezze. E pure la sua riottosa Regina.
Già l’Imperatore immaginava di costringerla a sposarlo, o
addirittura di mandarla da suo padre affinché la prendesse come concubina,
umiliandola per la sua età.
Quando i guerrieri caricarono sulle spalle le scale e
iniziarono a muoversi verso le mura, tuttavia, accadde qualcosa che frenò
nuovamente le mosse degli assedianti.
Tutti si fermarono a guardare la grande porta cittadina che
si apriva, e di nuovo si pensò alla resa. E invece uscirono frotte di persone,
che iniziarono a schierarsi davanti alla città come un esercito.
Con crescente nervosismo, il Conquistatore notò che c’erano
anche numerose donne, e pure vecchi e tanti bambini in quella sorta di esercito
improvvisato.
Rimase ancora più perplesso quando la folla mostrò di
stringere tra le mani dei mazzettini di fiori freschi, al posto delle spade e
degli archi.
Una figura piccina si staccò dalla massa e si diresse a passo
svelto verso l’immobile esercito armato, che era rimasto a fissare la scena
come se fosse rimasto sospeso nel tempo.
Si trattava di una bellissima bambina bionda, che avanzò
senza alcuna paura fino ai guerrieri che ancora portavano le lunghe scale sulle
spalle, e li oltrepassò.
Quando finalmente vide l’Imperatore, gli andò incontro
festosa. Il sovrano fermò con un gesto delle mani i suoi fratelli, che già
temendo un qualche inganno avevano proteso le spade.
“Cosa vuoi, bambina?” domandò il Conquistatore, con una
smorfia di rabbia impressa sul viso.
“Tieni” disse la piccola, con voce infantile.
Allungò all’uomo sulla lettiga un mazzettino di fiori del
tutto identico a quello che avevano in mano gli uomini del Piccolo Regno di
Montagna.
“Non lo voglio” affermò, gettandolo in terra con un solo
manrovescio. Temeva anche che fosse avvelenato.
“Fai male a non volerlo” mormorò la bambina, chinandosi a
raccoglierlo dal fango.
A quel punto, il sovrano fece cenno agli schiavi di portarlo
davanti a tutti i suoi guerrieri, in modo che lo schieramento avversario
potesse udire le sue parole, e il suo desiderio fu immediatamente esaudito.
“Non so a cosa sia dovuta quest’ultima farsa, ma sappiate che
avete oltrepassato ogni limite” gridò con tutta la voce che possedeva. “Non
avete nemmeno avuto il coraggio di mostravi armati, e avete mandato prima un
balbuziente e poi una bambina a parlamentare con me. Siete un branco di
codardi! Solamente dei codardi” rimarcò il concetto.
Iroso, notando che nessuno faceva una piega, decise di
insistere.
“Sappiate che i miei uomini non combatteranno contro donne,
vecchi e bambini disarmati. Per noi, la guerra è già vinta. Fate uscire la
vostra Regina dalle mura, in modo che possa inchinarsi a me e giurarmi fedeltà
eterna!”
Ma nessuno ancora si mosse.
Scuotendo il capo con ira, il Conquistatore urlò ancora più
forte.
“Cosa credete di fare, eh? Di provocarmi? Io sarò il fuoco
che divorerà il vostro minuscolo Regno…”. Le urla colleriche si interruppero
quando le mani della bambina sfiorarono le sue.
La piccola, che aveva finito di raccogliere i fiorellini
sparsi a terra dal manone del sovrano, era tornata a suo fianco e aveva stretto
le sue piccole dita calde su quelle callose del guerriero. Egli era rimasto
senza parole.
Distrutto dall’impotenza e avendo perso all’improvviso il
filo del discorso, abbassò lo sguardo sulla piccola, deciso a punirla con
forza. Ma quando incontrò il suo sguardo puro e benevolo, non ne ebbe il
coraggio.
“Vieni con me, Imperatore. Ti farò conoscere la mia Regina”
gli sussurrò, quasi fosse un infantile segreto.
L’uomo, come sopraffatto da qualche magia, strinse la mano
della piccola nella sua e scese dalla lettiga, incuriosito. Poi, s’incamminò da
solo, seguendola.
Quando giunse al cospetto degli abitanti del Piccolo Regno di
Montagna, convinto che a quel punto sarebbe apparsa la Regina, il sovrano cercò
di stare al gioco. Eppure, si ritrovò sommerso da una pioggia di petali di
fiori, buttati giù dalle mura.
Anche gli abitanti gliene lanciarono.
Sotto quella pioggia profumata, il Conquistatore percorse il
varco che si era aperto tra la folla e, lasciandosi alle spalle il suo
esercito, entrò disarmato e solo in città.
A quel punto, i suoi fratelli pensarono che fosse tutto
perduto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
Breve storia cap 8
BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO
Ordinarono la carica, i fratelli del Conquistatore, e gli
uomini risposero urlando, interrompendo quel silenzio innaturale che li aveva
avvolti per un poco.
I grandi guerrieri mulinarono le spade, gli arcieri tesero
gli archi; ma poi i petali profumati e leggiadri di migliaia di fiori li
avvolsero tutti, trasportati da un venticello tiepido di fine estate, cosicché
i loro cuori si sciolsero.
Ben presto, su un tappeto di petali dai molteplici colori,
furono abbandonate le spade e le armi. I nemici divennero amici, mentre una
musica leggiadra riempiva l’aria, trasportata dal tiepido venticello, che alla
terra aveva già donato ogni petalo rimasto.
Così gli abitanti del pacifico Piccolo Regno di Montagna
vinsero una guerra persa in partenza; con l’orgoglio fino alla fine,
rispondendo con fiori e musica alla barbara violenza. E i guerrieri del
Conquistatore, che in vita loro avevano solo distrutto, rimasero estasiati
dall’atmosfera di pace e dal piacere della musica, suonata da sapienti bardi,
che pizzicavano le loro chitarrine e tanti altri strumenti.
Il Conquistatore stesso, entrato in città, restò immerso
nella medesima atmosfera, avvolto da musica e da benessere pacifico.
L’ambasciatore balbuziente non gli risultò più inopportuno o
fastidioso, quando tornò ad avvicinarlo per fargli visitare il Piccolo Regno
racchiuso tra quelle mura. E godette del contatto puro di quella bambina, che
l’accompagnò a sua volta.
Per la prima volta in vita sua si sentì un uomo benevolo, con
il cuore pieno d’amore e di voglia di vivere e di rispettare.
Non rimase quindi molto sorpreso quando gli fu spiegato, tra
un balbettio e un altro, che quel Piccolo Regno non aveva una Regina in carne e
ossa, ma che era governato da un’Idea resa realtà dalla lealtà dei suoi
cittadini; la Democrazia.
Tutti potevano esprimere il loro parere in libertà e non
esisteva la sottomissione né la schiavitù. Si parlava di diritti e doveri, e
non di obblighi. Nessuno veniva cresciuto con una mentalità militare, o
schernendo gli altri, bensì con l’insegnamento ad amare e a rispettare la
Natura e il prossimo.
Il Conquistatore rimase così colpito da quella visita da
sentire dentro di sé il rimorso per tutto quello che aveva combinato in vita
sua.
Eppure, al di là delle mura, i suoi fratelli erano gli unici
a non gioire. Si erano messi in disparte, dopo aver tentato in tutti i modi di
far redimere i loro uomini e di costringerli a riprendere le armi in mano, ma
niente da fare.
La situazione era rimasta così festosa e immutata.
“Sono un popolo di stregoni” affermò uno di essi.
“Siano maledetti. Chissà cosa stanno inculcando a nostro
fratello” disse un altro.
“E i nostri compagni d’arme? Avete visto come li hanno
ridotti?”
“I più grandi guerrieri ora sono pecorelle e si dedicano a
balli e festeggiamenti con il nemico, invece di sottometterlo” concluse
l’ultimo.
Rimasero così torvi e lontani dagli altri finché il loro
fratello maggiore, sul giungere della sera, tornò dai suoi uomini.
Gli andarono subito incontro, ma egli parve che fosse illuminato
da un’aura nuova; non indossava più gioielli e diamanti, né esigeva la lettiga.
Era vestito come un comune servitore e donava sorrisi a chiunque.
A quella vista, capirono che anche lui era irreparabilmente
cambiato.
Molto scossi, si diedero alla fuga e tornarono a valle,
decisi più che mai ad abbandonare quelle terre a loro dire ormai maledette. E
fosse mai che quel maleficio cambiasse anche loro…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Epilogo ***
Epilogo
EPILOGO
Fu così che l’Impero fu sciolto. La Democrazia prese il suo
posto.
Il Piccolo Regno di Montagna aveva reso grande la sua Idea di
giustizia e libertà.
Il Conquistatore visse in pace il resto dei suoi giorni tra i
suoi sudditi, ormai cittadini al suo pari, e li aiutò a ricostruire tutto ciò
che egli aveva distrutto. Presto tornarono i fiori anche a valle, assieme agli
alberi e a tanta frutta matura, e vissero tutti felici e contenti.
Molto più a Sud, i fratelli fuggiti erano tornati dal loro
padre ed erano stati sbeffeggiati dalla corte intera; trattati da falliti e miserabili,
provarono a conquistare un Regno tutto loro mettendosi alla testa di un
esercito di mercenari, ma perdettero ogni guerra e anche i soldati, quando
ebbero finito i soldi per pagarli.
Morirono lontani dal fratello maggiore, eppure all’ultimo
furono costretti a riconoscere che forse quella che loro avevano considerato
una stregoneria forse era una benedizione.
Era molto meglio la pace e la dignità che una guerra continua
fatta di vinti e di vincitori. E stare dalla parte dei vinti li aveva molto
provati.
Ma più a Nord, sì, là si continuò a vivere felici e contenti
fino ai giorni nostri, e così sarà per tutto il tempo che verrà.
NOTA DELL’AUTORE
Ringrazio le pazienti lettrici giunte fin qui.
Ho scritto questo testo in un paio di giorni, spinto da una
forte ispirazione. Non so se è una favola vera o se si può considerare tale,
però ho cercato anche di offrirvela poco alla volta, come si fa ai bambini per
mandarli a dormire. Ogni sera, un frammento di favola.
Vi chiedo scusa, nel senso che non volevo trattarvi da
bambini piccoli, ma il mio intento era solo quello di dare più forma da fiaba
al testo.
Ripeto; non so se è una cosa decente, questo me lo direte voi
se vi andrà e vi prego di essere sinceri, per me è stata una sorta di prova,
essendo nuovo del genere.
Grazie di cuore per tutto!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3881185
|