melissa1
Il suono della chitarra elettrica
risuonava potente nelle
orecchie di Melissa, talmente forte da essere percepito persino da Dess
e Rex,
seduti nel suo stesso tavolo, in mensa. Tamburellava le dita sul tavolo
a ritmo
di musica; l’heavy metal s’intonava perfettamente
con il frastuono delle menti
della mensa scolastica e del suo attuale umore.
“ Solo un’ora,
Melissa. Solo un’ora.”, cercava di
convincersi, sperando addirittura di riuscirci. Ancora pochi minuti e
l’insopportabile rumore sarebbe lentamente scemato con i
ragazzi, portando con
sé il sapore aspro e sgradevole del senso di costrizione e
quello liscio e
vagamente dolciastro della noia: uno schifoso mix tra un limone non
maturo
premuto sulla sua lingua con un retrogusto di bibita sgasata.
La batteria detonò nuovamente
e timpani di Melissa,
distraendola dall’insopportabile rumore della sua stessa,
affollata mente.
Un pensiero arrivò da Rex,
chiaro e cristallino: “Forza
Cowgirl, sei forte, puoi farcela ”.
Quante volte si era sentita spronata a
essere forte?
Lei aveva sopportato per sedici maledetti anni
migliaia di
voci nella sua testa, credendosi pazza, impazzendo davvero per
sopportarle
tutte. Si logorava dentro, corrodendo tutto ciò che era,
distruggendosi poco
alla volta.
Quante volte era scappata dalle lezioni,
correndo in bagno a
rigettare tutto ciò che nemmeno mangiava, sopraffatta dalla
nausea causata del
rivoltante miscuglio di sapori?
Quante volte aveva aspettato con
impazienza l’arrivo
dell’ora blu, il suo maestoso silenzio, la
possibilità di avere la propria
mente tutta per sé, senza doverla condividere con nessuno?
Quante volte si era rifugiata dietro un
paio di cuffie,
heavy metal e una maschera fredda e impassibile per nascondere la
sofferenza?
Quante
volte, per l’esattezza?
“Troppe”.
L’aveva forse resa forte? No,
solo più debole e vulnerabile.
Sopraffatta
da se stessa e dagli altri.
Tutto questo non la stava uccidendo,
distruggendola pezzo
per pezzo?
Una violenta ondata di nausea la
percosse scuotendola, sino
alle fondamenta.
Si portò una mano inguantata
allo stomaco e l’altra alla
bocca.
Rex la guardò chiaramente
preoccupato; Dess si limitò a
un’occhiata nella sua direzione, semi-nascosta dagli occhiali
scuri,
impossibile da decifrare.
Melissa sentiva maledettamente bene il
sapore della forte
ansia degli studenti, acida come il latte scaduto e nauseabondo come
del
formaggio andato a male: durante la prossima ora ci sarebbe stato un
compito di
storia mostruosamente difficile.
Allontanò il vassoio del
pranzo, disgustata.
Odiava la Bixby
High
School ogni secondo di più.
Melissa si strappò le cuffie
dalle orecchie, con un gesto
profondamente irritato, spense il lettore CD e lo ficcò con
ferocia nella
borsa.
I due midnighter vicino a lei la
seguirono con lo sguardo,
sgomenti. Lei gli scoccò un’occhiata fredda, che
andava a coprire quella di
profondo dolore.
Mancava poco al suono della campanella.
Avrebbe resistito.
Si concentrò sui pensieri dei
suoi due amici. Da Rex
percepiva, come al solito, un senso di pacatezza e serenità,
mischiato alla
preoccupazione per lei. Sapeva di legno e muschio, con un retrogusto
leggermente salato.
Dalla piccola Dess, invece, percepiva
pura euforia: aveva
lavorato tutta la notte a nuove armi, passando ore a scoprire nuovi
paradigmi e
a fare calcoli, sussurrando nuovi nomi ai suoi amati pezzi di metallo.
A volte
sembrava che Dess si nutrisse
di cifre e numeri. Contemporaneamente un sapore
metallico le punse la lingua,
insieme a
un nuovo sapore, secco e acidulo insieme.
Ghignò, sondando attentamente
la mente di Dess.
“La Regina
delle stronze”.
Sì, era un titolo che le si
addiceva.
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