La Terza Faccia della Medaglia

di aurora giacomini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono Tornata ***
Capitolo 2: *** Il Mondo Corre? ***
Capitolo 3: *** Merito di Morire? ***
Capitolo 4: *** Nei Miei Occhi si Vede il Diavolo? ***
Capitolo 5: *** Cosa Devo Capire? ***
Capitolo 6: *** Voglio Morire? ***
Capitolo 7: *** Unici e Irripetibili? ***
Capitolo 8: *** La Mia Verità? ***
Capitolo 9: *** Ho Provato Piacere? ***
Capitolo 10: *** Chi Ho Strangolato? ***



Capitolo 1
*** Sono Tornata ***


31/01/2020


Nota D'Autore: Nel testo ho inserito una citazione al Manga/Anime "Death Note" ho reso la citazione "a indovinello", ma se non vuoi rischiare nessuno spoiler salta quella parte, in pratica ti consiglio di recuperarlo, non ti perdi nulla, ho evidenziato il punto con "*" ti basta andare al rigo sotto.

 



La Terza Faccia della Medaglia







1

Sono Tornata

 

 

Ciao, Amico Lettore,

 

Uh? Cos'è quella faccia? Cos'è, ti eri dimenticato di me? Mi spezzi il cuore...

Quanti anni sono passati....? Fammi pensare... è l'Ottobre 2029... nove anni... wow...!

Ah, ora capisco cos'è quell'espressione... pensavi forse che non sarei rimasta ad osservare chi, fra i mille passanti, avrebbe infine raccolto il mio quaderno...?

Ti ho visto!

Ho memorizzato il tuo volto.

Non è stato facile trovarti: sei un po' diverso da nove anni fa... ma i tuoi occhi così curiosi... come potrei dimenticarli?

Per questo motivo ora, nella tua posta, c'è questa lettera.

Ma no, ma calmati! Perché ti guardi alle spalle, non sono mica lì... che sciocchino che sei...!

Però è anche colpa mia... il tono di questa lettera è un pochino aggressivo... hai ragione...

Fermo lì! Andare alla Polizia non cambierà nulla... non ti scrivo mica dal manicomio... sono libera, libera come un uccellino... ahahah!

Ma è stato difficile... davvero difficile rivedere la luce del sole, rivederla senza che una finestra si sovrapponesse fra me e lei... così difficile...!

Ma smettila di preoccuparti! Non voglio farti del male... sciocco! Come potrei? Siamo amici, Io e Te, no...?

Ho capito, sei un po' arrabbiato con me... ma davvero, risponditi sinceramente, davvero avresti continuato a leggere quel quaderno, se mi fossi mostrata in tutto e per tutto a te? Se ti avessi mostrato parte della mia oscurità? Del mio marciume?

Io sono anche questo... quante volte te lo devo dire? Sono un essere umano...

Sapevo che avresti continuato a leggere: la paura non riesce a superare la tua curiosità... mi piaci un sacco!

Immagino che ti starai chiedendo come io sia riuscita ad uscire da quell'inferno... beh, potremmo cominciare da lì, che ne dici?

Oh, avanti... lo so che sei curioso! Ne abbiamo appena parlato!

Non fare il difficile...!

Guarda che sono sempre quella ragazza timida ed introversa... ho solo nove anni in più: ventotto, se lo vuoi sapere.

Giuro che non ti farò del male. Voglio solo che tu sappia come sono arrivata a questo punto, nulla di più. Okay?

Abbiamo un legame tu ed io, un legame che non è ancora il momento di spazzare...

Bravo, rilassati... va tutto bene.

Ti ho ingannato? Non proprio... ti ho solo mostrato una faccia della mia medaglia, poi un pezzettino dell'altra... ma lo sai che le medaglie hanno tre facce?

Sei intelligente, probabilmente avrai già capito da cosa è composta la mia terza faccia, il cuore della medaglia... ma ne parliamo alla fine, va bene?

Vorrei poter tornare indietro e cancellare le rivelazione che ti ho fatto alla fine di quel quaderno, lo voglio quanto non lo voglio affatto... capisci?

Non importa...

Come sempre ti scriverò al presente, senza omettere ciò che provavo o pensavo, del tutto ignara di cosa sarebbe successo il momento successivo.

Torniamo a nove anni fa...

 

 

'Spack' è questo il suono che ha appena fatto il quaderno, schiantandosi al suolo...

Mi ero dimenticata di aver ancora un foglio... l'avevo nascosto sotto il misero coso che hanno il coraggio di chiamare 'materasso'... bah...

Oh! Sei tu che lo raccoglierai? No... sei andato dritto... quante persone passano qua sotto, del tutto ignare della vita oltre queste mura...

Ma d'altro canto, perché dovreste soffermarvi su qualcosa di così triste e misero...? No, non ve ne faccio una colpa...

Ah, sarai tu a raccoglierlo... però cavolo, sei troppo piccolo... ehi!

Stupido marmocchio... ha pestato il quaderno... e... e l'ha calciato...

Mah... forse da lì sarà più facile vedere il tuo viso... il nuovo possessore del quaderno... che c'è? Ho amato Death Note... va bene...? *Certo, fino alla morte della lettera dodici... se l'hai visto sai di chi parlo, altrimenti meglio, o ti farò spoiler... se non l'hai visto recuperalo, che aspetti?

Uh! Ti vedo! Non sfogliarlo in quel modo... ti rovinerai il finale... guarda che lo vedo che non sei orientale... non puoi cominciare a leggere da quel lato... ecco, meglio che lo rimetti giù... bene... non eri tu...

Sto cominciando a pensare che il quaderno rimarrà lì... forse avrei dovuto pensare ad un modo più intelligente di farlo uscire da qui... ma quale? Ed in ogni caso ormai è tardi...

Chissà se i miei genitori passeranno questo mese...? E se fossero loro a raccoglierlo... non voglio neppure pensarci...!

Eh niente... non mi resta che starmene qui seduta ad aspettare...

Alcuni neppure si accorgono di metterci i piedi sopra... cavolo, siete così distratti da quella diavoleria che chiamate cellulare, telefono intelligente... nah, smartphone suona meglio... però, d'altra parte, non è che in questa zona ci sia molto da vedere...

Però se fossi lì fuori... con voi... chissà se mi guarderei attorno, e voltandomi verso questo spoglio edificio, cosa vedrei?

Aspetta! Devi essere tu! Sì, guarda che sguardo curioso che hai! Sì, raccoglilo!

Oh, diavolo sì! Eccoti! Stai fermo un secondo... okay... okay, il tuo viso è impresso nella mia retina... che bello... chissà dove ti metterai a leggerlo...? Nella tua stanza? Sul balcone? In soggiorno...? Mi piacerebbe vedere il tuo viso mentre lo leggi, mi piacerebbe davvero tanto... ma sono comunque felice che l'abbia preso tu... so che non lo getterai via... lo so.

 

E questo che è successo dopo che ho lasciato cadere il quaderno... ho continuato a scriverti su quel foglio dimenticato, e l'ho ricopiato in questa lettera, speravo tanto di potertela dare...

 

Ora che il quaderno è svanito, non lo so... sento di aver perso un pezzo di me... sento che i demoni, i quali sono riuscita a far stare lontano mentre ero impegnata a scrivere il quaderno, e recuperare fogli per completarlo, beh, stanno tornando...

La prima cosa che vedo, chiudendo gli occhi... è lei... Eleonora... non riesco più ad immaginarla viva... vedo solo i suoi spenti occhi spalancati e vuoti... vedo il sangue colare dalle sue labbra aperte per un grido senza voce... mi guarda... mi maledice...

Non volevo farle del male... ma l'ho fatto... volevo solo proteggerla... ma l'ho uccisa...

In questo tossico miasma di dolore, c'è spazio anche per una domanda: davvero mi ricambiava...? O voleva solo che la liberassi...? Però mi aveva detto che le piacevo... in quel corridoio, quando ci siamo scontrate, quando le sono finita contro... davvero l'ha detto? Non lo so più... non lo saprò mai...

“Lek.” Un infermiera apre la porta, “vieni.”

Guardo la corpulenta donna che ho davanti e, ancora una volta, penso che lei non mi piace per nulla... ha i capelli neri come la morte -tinti, ovviamente- e unticci... mi danno fastidio, mi danno di sporco... la sua voce è peggio di un megafono difettoso... inutile... non mi piace.

“Vengo, Signorina...” le rispondo. Sono obbligata a rivolgermi a lei in quel modo...

“Il Professor Grandi ha deciso di prendere in esame il tuo caso.” Mi dice, con quel suo tono rognoso... uh, quando vorrei farle male... mi dispiace, ma è un istinto prepotente, quando la vedo.

Ad ogni modo, il Professor Grandi? Mai sentito nominare... sarà lui ad occuparsi di me, dunque...? Cavolo... ci sono voluti quasi cinque anni... bah, meglio tardi che mai...!

“Su, accelera il passo!” Mi ordina.

Nonostante la sua mole, devo dire che è piuttosto veloce... ma in ogni caso, vorrei vedere lei a camminare con queste ciabatte e le caviglie ammanettate da quest'insulsa catena...vorrei proprio vederla...! No, meglio: vorrei metterle la catena intorno al collo e tirare, tirare...

“Da questa parte.” Svolta in un ala adiacente alla sala 'ricreativa', se davvero posso chiamarla così, un punto dove non passo da quando mi hanno messo dentro...

L'odore di morte, merda, piscio, sangue, ormoni, disinfettante e chissà che altro, si attenua leggermente, ma dire che svanisce sarebbe una frottola... è come uno spettro che impregna, infesta il muro e le persone... non sono bastati cinque anni a farmici abituare... non ti ci puoi abituare...

Ma aspetta un secondo! Cavolo, me n'ero quasi dimenticata... a mezzanotte sarà tutto finito! Evocherò il Licantropo e uscirò da questa fogna! Devo solo avere pazienza, ancora un po' di pazienza...

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Capitolo 2
*** Il Mondo Corre? ***


2

Il Mondo Corre?

 

 

Cosa c'è? Non ti aspettavi di ricevere un'altra mia lettera così presto? Ho aspettato che tu andassi a dormire, prima di metterla nella tua casetta...

Ah, prima che mi dimentichi... nella precedente lettera ho commesso un errore... ti ho detto di avere ventotto anni... ma dal 2016 ad ora ne sono passati tredici... ho trentuno anni... non te n'eri accorto, vero? Fa niente... anche io sono un po' distratta...! Pensavo di essere ancora quella ragazzina... pensavo che gli anni trascorsi da quel Natale fossero meno... che ci vuoi fare?

Comunque, quando ho lasciato cadere il quaderno ne avevo ventidue o ventitré.

Eh già... alla fine sono diventata adulta... quasi non me ne sono accorta...

Non hai cercato di andare alla Polizia, vero? Tanto che potrebbero farci? Non ho lasciato le mie impronte digitali sul foglio... non sono mica stupida...

Spero davvero che tu ora sia più calmo. Tanto non c'è modo che tu possa impedirmi di recapitarti queste lettere... puoi ignorarmi... certo, ma non smetterò di scriverti...!

Non ho ancora finito con te.

Sai, pensavo che sarebbe carino se anche tu mi lasciassi una lettera... mi aiuteresti a capire cosa provi e cosa pensi... certo che m'importa di te, penavi di no? Che sciocchino...

Lasciala pure nella tua casella, la prenderò e leggerò, promesso!

Ma ora è il caso di continuare... anche lo spaccato qui sotto risale a quel periodo, a quel foglio volante e dimenticato... a poco dopo che hai raccolto il quaderno...

 

La puzza, questo puzzo di morte e... bon, non ripeto; mi tormenta... davvero mi tormenta...! Almeno nella mia microscopica cella posso aprire la finestra (una robina di qualche centimetro quadrato) e respirare un po' di sano smog... ma in questo corridoio.... mi sento soffocare... mi sento sporca.

“Non ho tempo da perdere!” Il donnone si volta verso di me, piantandomi addosso quei suoi occhietti da ratto malefico. Non mi fraintendere, adoro i ratti... -oh, che carini!!!- Ma lei è malvagia... è lurida dentro e fuori... forse...

Non te lo nascondo: vorrei farle male... ma non per ricavarne piacere sessuale... no, sarebbe impossibile con lei... vorrei solo farle male, lo ribadisco.

“Mi scusi, ma è complicato camminare in questo modo, signorina...” le rispondo invece, mantenendo l'attitudine che da sempre mi caratterizza: l'educazione. E' più forte di me: spesso mi riduco persino all'umiliazione... spesso appaio melliflua, viscida, falsa e tutto ciò che vuoi... ma per me è importante... è una questione di rispetto verso sé stessi, prima di tutto.

“Se non avessi ammazzato quei poveracci, razza di demonio! Ora saresti libera di camminare come cazzo ti pare.”

Dalle labbra mi sfugge un gemito: dolore, sofferenza, solitudine, consapevolezza, rimorso e rabbia...

“Che hai da mugugnare? Cammina!” Mi ordina, con quel suo fare perentorio e sgradevole.

“Mi scusi...” replico, chinando il capo.

“Dovrebbero metterli al muro, quelli come te.” Infierisce.

“Ha ragione...” le rispondo. In realtà non pensavo che mi sarebbe uscito, volevo solo pensarlo... cioè, non pensarlo... è venuto da sé... beh, hai capito...

Si blocca, e per poco non sbatto la faccia fra le sue scapole... contro quel suo muro flaccido che chiama, presumo, schiena.

“Lo sai cosa succederebbe se ora ti spaccassi il cranio contro il muro?” Mi domanda, voltandosi lentamente verso di me.

Beh, si sporcherebbe... riporterei danni celebrali, se non muoio... e per ultimo, ma non meno importante: fra me e lei non vi sarebbe più differenza: saremmo entrambe delle assassine... se muoio...

“Le chiedo scusa, non pensavo di aver parlato ad alta voce...” le dico, cercando di nascondere il terrore e il disgusto che m'incute... non voglio darle soddisfazioni.

“Nessuno se ne dispiacerebbe.” Mi dice, come se non avessi aperto bocca.

Mi limito ad annuire, desidero solo che si volti e continui a camminarmi davanti.

“Mi prendi per il culo, stronza?!” Urla, urla come se le avessi pestato un callo...

E' inutile: ormai ha deciso che la sto sfidando...

“Non oserei mai, signorina...” replico, cercando di calmarla.

Mi afferra per i corti capelli che ora sono costretta a portare, ma non abbastanza corti da sfuggire alle sue tozze manone... posso sentire il dolore diramarsi per tutto il cuoio capelluto: ho sempre sofferto molto il fatto che mi tirassero il capelli... sempre. Sento che le radici vengono strappate, e non posso reprimere le lacrime che mi velano la vista.

“Sei una merda!” Il primo pugno mi colpisce le costole, già incrinate per una caduta in bicicletta quando ero bambina. Il dolore che provo è azzurro chiaro e tondeggiante... mi spezza il fiato.

Non mi colpirà mai in viso: è la prima regola che imparano: non lasciare tracce visibili... non sul volto...

“Per favore...” ho difficoltà a parlare, ma il desiderio di sfuggire, almeno in parte, al dolore, mi costringe a sforzarmi, “per favore... mi lasci andare...”

“Una merdaccia schifosa!” Il secondo colpo arriva allo stomaco. La sensazione è quella di dover vomitare, poi la forza d'urto si propaga anche al diaframma, quindi il respiro scompare... in quel frangente temi che non tornerà più, che non sarai mai più in grado di respirare... fa paura...

Non me ne sono resa conto, non mi sono resa conto di cadere... eppure il mio viso impatta contro il duro pavimento, per un momento è tutto bianco... bianco come il dolore che si propaga dalla mandibola e dallo zigomo sinistro.

“Merda!” La sento imprecare, mentre mi afferra per le spalle e tira verso l'alto.

Ho difficoltà a mantenermi sulle gambe, mi sento debole... il dolore mi confonde...

“Se qualcuno fa domande, sei caduta, chiaro?” Mi sibila, con tono appena meno crudele, ma sempre più minaccioso.

Assaporo il gusto ferroso, ramato e grigio del mio stesso sangue, il sangue che, placidamente, sgorga dal labbro inferiore. “Sì... signorina... sono caduta...” è la risposta di un'automa, di chi ha paura, di chi è sconfitto e debole.

La odio, lo ripeto... ma non per quello che fa: riesco a comprenderla... anche lei è debole, una sconfitta, una borderline... è un essere terrorizzato, come tutti noi, dallo stesso terrorismo di questo mondo acuminato ed inospitale... ha paura del tempo che passa: ha i capelli tinti di un nero troppo impetuoso e volgare per la sua età -stimo attorno alla sessantina-; terrorizzata da un corpo che, molto probabilmente, non riconosce più come suo; da una bellezza esotica, ancora intravedile, ormai lontana e sfumata; da un mondo che corre veloce e non aspetta chi, come me, si ferma e dimentica di correre con esso... il suo aspetto fisico mi disturba molto di più.

Non giustifico la sua cattiveria e rabbia, anche perché io sono la sua vittima meno vulnerabile, ma la comprendo. Per questo, a volte, il desiderio di ferirla è pari a quello di cingerla fra le braccia e farla sentire al sicuro, protetta dal corpo e la mente di un suo simile.

Il mondo non ha tempo per quelli come noi, è un cavallo a cui hanno incendiato la coda: corre e non si guarda indietro... non si domanda neppure nulla, corre e basta... ma c'è chi corre in sintonia, addirittura più veloce, del nostro piccolo pianeta blu: nevrotici iperfunzionanti... anche loro mi fanno tenerezza...

Forse il nostro mondo corre perché, come detto prima, è un piccolo pianeta blu nell'immensità di uno spazio troppo, davvero troppo grande... nah, questa è una stronzata... ma mi andava di scriverla. Sono le persone a correre, non il mondo...

Non pretendo che qualcuno mi capisca, davvero: ho smesso di pretenderlo, ma vorrei tanto che qualcuno ci provasse... come io ci provo con voi, tutti voi... genere umano. Certo, probabilmente non risolvo nulla... ma ci provo... io ci provo.

 

“Ti brucerà un pochino, mi spiace...”

Sobbalzo dalla sorpresa, non mi ero accorta di essere in infermeria... come ci sono arrivata? Chissenefrega, ora c'è Rose davanti a me...

“Scusami, non volevo spaventarti...” Rose mi sorride, che bel sorriso ha... “dove sei stata, questa volta...?” Mi domanda, continuando a prendersi cura del mio viso.

“Mi chiedevo il perché alcune persone non riescano a correre col mondo...” le rispondo, guardando i suoi limpidi occhi scuri, neri come una notte senza astri, concentrati sul mio labbro.

Sorride, sorride sempre quando le parlo delle mie riflessioni... è un sorriso pieno di beffa, ma a me piace... a me piace lei...

“Meglio: non me lo stavo chiedendo... stavo solo analizzando il perché... credo...” aggiungo.

“E a quale conclusione sei giunta?” Mi chiede, prendendo dell'altro disinfettante.

Non mi prende sul serio, lo so: è stupida... ma non in senso offensivo, lo è davvero... non riesce a scindere i nostri due ruoli: infermiera vs paziente di un istituto psichiatrico... da per scontato che io sia fuori di testa... non riesce a vedere la mia umanità, ma neppure la sua... è limitata... colta, laureata e tutto ciò che vuoi, ma limitata.

“A nessuna in particolare... in vero, come ti ho già detto: non sono esattamente alla ricerca di una risposta, sono più interessata ai processi che m' inducono a pormi dei quesiti...”

“Molto interessante.” Annuisce.

So che ha capito il senso delle mie parole, ma non le prende sul serio.

A volte mi piace che lei sia stupida e non mi prenda seriamente... tipo quando dico cose di questo tipo:

“I tuoi capelli rossi mi fanno pensare alle fiamme dell'inferno, poiché desiderarti in questo modo è sicuramente peccato...” sussurro, sfiorandole i morbidi e profumati boccoli.

Una risata cristallina le sfugge dalle turgide labbra rosa: non usa il rossetto, mai... ma io sono contenta: non mi piace.

“Sciocca...” mi carezza la guancia sana, “sono troppo grande per te.”

Non è vero: ha solo cinque anni più di me... a malapena sfiora la trentina...

“Mi dispiace giocare il ruolo di un vecchio porco...” le dico, annusando il suo odore, “ma tanto non mi prendi sul serio... e le molestie di questo tipo, che ci piaccia o meno, nel tuo lavoro sono comuni. Inutile fingere un perbenismo che non ci appartiene... anche perché non lo sarebbe neppure: è una negazione volontaria della realtà.”

Solleva lo sguardo. Potrei perdermi in quelle pozze nere... desidero farlo...

“Certo che ti prendo sul serio, sciocca.” Mi sorride.

No... non lo fai, ma è perfetto così... credimi...

“Lo so, scherzavo. Sei buona con me.” Le dico.

Resta in silenzio per qualche secondo. In realtà non c'è bisogno che lei parli, so benissimo cosa vuole dirmi...

“E' stata la Graziella a farti male?”

Ecco, appunto...

Le sorrido, “no. Vedi, non è facile muoversi con queste catene alle caviglie... inoltre mi perdo nella mia mente... non ricordo neppure di essere caduta.”

A cosa servirebbe dire la verità? Mettere Rose in una posizione di coscienza scomoda; inguaiare il donnone... e peggiorare la mia situazione.

“Devi stare più attenta, sciocca che sei!”

Ha accettato la mia versione, non importa se sa che ho mentito... non importa... è un tacito accordo.

“Pensi che se ci fossimo incontrare fuori da qui... non lo so...” non ricordo bene dove volevo andare a parare, quindi decido che la frase può anche concludersi lì.

“Sono etero, mi piacciono gli uomini...” specifica, come se non conoscessi il significato che, in questo caso -diverso/altro- , regala a questa situazione...

“Va bene.” Annuisco.

“Anche essere gay, va bene.” Mi sorride, fraintendendo le mie parole.

L'assecondo: “grazie.”

 

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Capitolo 3
*** Merito di Morire? ***


3

Merito di Morire?

 

 

Il foglio volante finiva con quel: 'L'assecondo: “grazie”.'

Sulla base di ciò, mischierò i ricordi con l'interpretazione, abbi pazienza se alcune cose risulteranno sballate.

Non dirmi che sei di nuovo sorpreso o a disagio... ho detto che non ho ancora finito con te... stai buono... per favore. Lo dico e lo ripeto: non ho la benché minima intenzione di nuocerti, quindi, da bravo, stai calmo...

Riprendiamo.... okay?

Tanto lo so che vuoi sapere... ormai ho capito come funzioni.

 

Mi sorride di nuovo, un sorriso sincero ma vuoto.

“Stavo andando all'appuntamento con, penso, qualcuno interessato al mio caso...” le dico quando, terminato col labbro, si concentra sullo zigomo scorticato e dolorosamente pulsante.

“Uno psichiatra?” Chiede.

Beh... direi... ma forse non era così scontato....? Non lo so.

“Sì. Finalmente qualcuno si ricorda che esisto...” dico.

“Io non mi dimentico mai di te.” Afferma, il suo tono è talmente risoluto che mi mette a disagio... che cosa significa?

“Davvero?” Le domando, il sorriso, che m'increspa il viso, mi regala un nota di dolore sulla parte sinistra.

“Certo.” Annuisce.

“Questo mi fa sentire meno sola...” confesso. Non m'importa se mente o meno... non m'importa. Certo, non ti nascondo che, da quando sono qui dentro, le interazioni umane hanno avuto un'impennata... ma... boh... non lo so se va bene, non l'ho ancora capito.

Rose si limita a sorridere, mi piace il suo sorriso... mi piacciono le rughe che le si formano ai lati della bocca, sul quel mare di morbido ebano che è la sua pelle...

“Pensi che io meriti di morire?” Le chiedo, cogliendoci entrambe di sorpresa.

“E questo cosa centra?” Questa volta mantiene l'attenzione sulla cute lesa.

Già... cosa centra? Ma... con cosa poi? Era meglio chiedere: 'e questa da dove esce?' O cose così, insomma...

“Ho ucciso una ragazza...” sussurro.

Rimane in silenzio, talmente a lungo che comincio a pensare di non averlo detto a voce, ma poi: “hai ucciso più di una ragazza...” il suo tono è incolore.

M'irrigidisco, “no... è stato il Licantropo... sono stati quei tre idioti ed Eleonora... io, dal canto mio... forse, potevo scegliere di morire per salvare Eleonora... questa è la mia colpa... oltre al fatto che l'ho uccisa...” mi blocco, “ma non volevo farlo... non ero padrona del mio corpo...”

“Va tutto bene... è finita.” Finalmente mi guarda, mi guarda ma non mi vede... come tutti...

“Non trattarmi così... non sono matta... per favore...” mi sento male, sento che il lettino potrebbe ingoiarmi, ma solo dopo avermi masticata... dopo avermi triturata... ma forse mi sputerebbe...?

 

Ma che cazzo dico?!

Ignorami...

Faccio una pausa, dopo completo la lettera...

 

 

“Va tutto bene, Esmeralda... stai pagando per le tue colpe. Okay?” Mi domanda, posandomi una mano sul ginocchio.

Il mio cervello smette di funzionare: il sangue si concentra più a sud... molto più a sud...

Ma dura poco, troppo poco...

“Quindi non merito di morire...?” Le domando, dimenticando di nuovo il mio sesso ormai umido.

Eleonora non mi scatenava spesso istinti bassi... quasi mai, invero... ma Rose... Rose tira fuori la bestia che ho dentro... probabilmente è una questione di maturità.

“La morte potrebbe essere una liberazione... e, perdona la franchezza, non penso che tu dovresti essere libera, non ancora.”

Non mi piace quello che ha detto, non mi piace per nulla... mi da fastidio, mi fa incazzare!

Ma ha ragione...

“Mi piace quando mi parli così... come se fossimo alla pari...”

Toglie la mano, ma ormai non cambia nulla: il mio cervello rivuole tutto il nutrimento possibile.

“Noi siamo alla pari, magari in modo non convenzionale, ma lo siamo.” Sorride.

Non vuol dire nulla, lo sappiamo entrambe... ma va bene così...

“Va bene, grazie...”

Sto per dire qualcos'altro, sicuramente stavo per farlo, ma la porta scorrevole si apre.

Il donnone ci guarda, esita prima di parlare: sta tastando il terreno, vuole capire se ho parlato.

“Rosemary, ci siamo? Il Professor Grandi non ha tempo da buttare!” Dice, quando si convince che ho tenuto la bocca chiusa.

Mi ero praticamente, no, totalmente dimenticata di lui.

“Ho fatto, Graziella.” Le dice Rose, poi torna sul mio viso, “ci vediamo, magari senza che tu sanguini.” Mi strizza l'occhio.

“Grazie per tutto, infermeria Rosemary.” Uso questa formalità solo per il donnone: non voglio che lei sappia che sto bene con Rose...

Il rumore delle mie catene, sembra ora assordante e fuori luogo in quel silenzio carico di cose pensate e non dette... tre cervelli agitati, tre cervelli diversi, molto differenti tra loro.

 

Seguo il donnone in silenzio, respiro persino più piano (anche se fa male comunque), temendo che il minimo sospiro possa scatenare ancora la sua ira. Ovviamente non ho detto nulla a Rose del mio povero costato, ragione in più per non fare arrabbiare di nuovo la cosa che, un tempo, ne sono certa, fosse una donna... una bella donna.

“Di qua.” Il donnone svolta ancora, questa volta in un ala di cui, sinceramente, ignoravo l'esistenza.

A momenti mi si ferma il cuore: sul fondo del nuovo corridoio c'è un ascensore...!

Sono quasi sicura di averti già spiegato perché li odio... ci sono rimasta bloccata da bambina... anzi, ti scrissi esattamente: 'centoventi secondi sufficienti ad istallare per sempre in me la paura per essi...' eh, se non avessi un'ottima memoria, come pensi farei a continuare la mia testimonianza? Controlla pure, se vuoi.

E ora? Cosa diavolo faccio?!

Sento il panico che sale... pochi metri, solo pochi maledetti metri!

Bum... bum... bum... il sangue che, impetuoso scorre, mi assorda... bum... bum...bum... colpi di cannone, altroché...

Dante style... svengo.

 

“Hey, bella addormentata...” una voce mi costringe a riemergere.

“Non mi chiamo Aurora...” replico, sono infastidita perché, se non ricordo male, sono le stesse parole che mi disse Alessia, dopo che svenni... dopo che scontrai Eleonora... manca solo qualche 'cazzo' qua e là...

“Qualcuno si è svegliato col piede sbagliato...” ma Rose sorride: il mio tono, le mie parole, persino le mie intenzioni non possono toccarla... non sono nulla per lei.

“Scusami...” lo dico per me stessa, poiché, lo ripeto: per lei non sono nulla.

“Non riesci proprio a starmi lontana, eh?” Incrocia le braccia al petto, ma continua a sorridermi.

Faccio di no con la testa, “pare proprio così...”

“Cosa è successo...?”

Bugia o verità...? La scelta fra le due implica qualche cambiamento...? Non ne ho idea...

Cosa ci ricavo a svelarle la mia fobia per gli ascensori? Magari potrebbe parlare con qualcuno e aiutarmi...?

Bah, vada per la bugia.

“Non ne ho idea... mi è venuto un capogiro, poi è diventato tutto nero...” le dico.

“Ho pensato che potresti aver sbattuto la testa più forte del previsto,” dice, dandomi le spalle per, boh, prendere o fare qualcosa sulla sua scrivania. “Ma la tac non rivela danni, vedi?” Si volta e mi mostra una lastra del mio cranio... come se ci potessi capire qualcosa...

“La mia testa ha quella forma?” Le chiedo. In realtà non ci vedo nulla di strano, mi piacerebbe studiarla con maggior cura, ma non ho voglia di fare la persona normale... questo è un lusso che solo qui posso concedermi.

Ride, “è piccolina.”

Come prego? Ma scelgo di rimanere in silenzio.

“La trovo adorabile.” Aggiunge, senza abbassare il negativo del mio cervello.

Voglio essere lasciata sola...

“Non mi dici nulla?” Chiede, cercando di muovermi ad un dialogo che solo una di noi vuole sostenere.

Pensa a qualcosa di stupido... qualcosa da matta... vi ucciderò tutti? No... meglio di no... troppo violento.... ah, trovato!

Mi volto verso di lei e le sorrido, “anche oggi si scopa domani.” Dico, tornando immediatamente seria.

“Come?” Il suo sorriso s'incrina.

Ma io mi limito a fissarla... sono circondata da matti... ormai ho imparato a farlo...

“Va bene, ti lascio dormire... mi dispiace, ma devi stare legata.”

Oh, non posso mica avere una mood positiva e ben disposta 24h su 7d, eh... sono un essere umano.

Se ne va, ed io mi chiedo se, stare sola con i miei demoni, lontano dalla mia piccola, letteralmente, finestra sul mondo, fosse realmente ciò che volevo... ma ora non ha più nessuna importanza... mi convinco che volevo stare sola...

Voglio piangere per il dolore fisico e mentale che provo.

Non è la prima volta che vengo picchiata qua dentro... non sarà neppure l'ultima... ma mi fa sentire piccola e indifesa... sbagliata. Soprattutto se penso che potrei, facilmente, davvero ucciderli tutti... soprattutto se penso che, alla fine, essere picchiata mi piace... perché me lo merito... merito di soffrire...

Merito di soffrire... ma non di morire... nella morte c'è pace? Davvero non merito che mi sia rubata la luce?

Davvero penso che continuando a scervellarmi troverò una risposta? Forse non cerco una risposta... forse, molto semplicemente, il caos della mia mente è meno sconclusionato del mondo che mi circonda... chissà...?

Voglio piangere, ma i miei occhi rimangono asciutti... cos'è questo strano sortilegio?

Muovendomi, al massimo che i lacci a polsi e caviglie mi consentono, mi dimeno, cercando di usare i muscoli dell'addome, quelli del costato dolorante...

Penso che il verso che mi sfugge, in qualche modo, sia quello di quando un ratto viene investito... vedo le stelle, ma i miei occhi rimangono secchi.

Ma non voglio che a farmi piangere siano i miei demoni... sono troppo fragile ora... non voglio... non voglio!

Mi dimeno fino a quando il dolore non diventa straziante... forse sto rischiando di farmi davvero male... ma a chi importerebbe...? Forse riuscirei persino a forarmi un polmone... una morte un po' dolorosa, presumo... ma... no... no... non merito di morire... devo soffrire...

Urlo, consapevole che, nessuno a parte me, ascolterà il grido... ho detto ascolterà... non: sentirà...

E ora rido, rido perché realizzo che, incredibilmente, quel dolore che mi terrorizzava tanto, ora sia meglio di quello mentale... come sono arrivata a questo punto...?

E sia, allora... e sia...

Mi costringo a tornare indietro...

Con gli occhi della memoria, rivedo il corpo straziato della Prof di ginnastica... quei suoi bellissimi occhi blu, ora spenti e ciechi... le sue mani, strette in un pugno che, son sicura, non è mai stato sferrato... no, erano chiusi perché stava cercando di tenersi la sua vita... forse la sua anima... ma quella le è scivolata via dalle dita... le stesse dita che, solo poche ora prima della sua morte, mi tenevano la nuca contro il suo addome... così protettive, calde e materne...

E' morta perché io sono viva... e no, non credo che, anche potendo, darei la mia vita per la sua... no, non perché devo soffrire... ma perché sono egoista...

Il suo ventre esposto... il suo sangue... posso ricordare la sensazione di gelo, quando mi ci sono inzuppata le ginocchia... ne ricordo l'odore... ricordo il terrore, il disgusto e il senso di colpa, per quel disgusto...

Cos'è....? Cos'è quel bagliore verde...? Si sta lentamente affievolendo... perché?

Perché ho portato la notte sui verdi occhi di Eleonora... l'ho uccisa...

Basta, ti prego basta...! Basta!
Basta!!!

Gemo, rischio di strozzarmi con i miei stessi rantoli, con la mia stessa saliva... col mio stesso vomito... urlo, grido e mi dispero... ma oramai sono prigioniera dei miei demoni...

Ma non sono morta... non quella notte... non in quel manicomio...

L'erba cattiva è difficile da uccidere.

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Capitolo 4
*** Nei Miei Occhi si Vede il Diavolo? ***


4

Nei Miei Occhi si Vede il Diavolo?

 

 

E' comodo non aver paura di terminare la carta... ci pensi mai?

Ci ho messo quindici capitoli per scrivere la storia di una giornata/due... un quaderno standard e qualche foglio... cosa pensi che potrei fare se avessi a disposizione l'intera Foresta Amazzonica...?

Sto scherzando... diamine come sei serioso...! Non vedo la tua faccia, ma posso immaginarla...

A volte temo che tu sia in collera con me... certo, forse queste lettere invadono la tua quotidianità, ti fanno sentire insicuro nel luogo in cui, per definizione, suppongo, dovremmo sentirci maggiormente a nostro agio... casa. Ma lo ripeto ancora: tu, da me, non hai nulla da temere... non voglio farti del male... voglio solo la tua attenzione...!

La scelta di raccogliere quel quaderno è stata tua, ricordatelo...

E' arrivato il momento di dirti una cosa: nel caso mi succedesse qualcosa, ho incaricato la mia compagna di consegnarti una lettera 'diversa', in qualche modo, da tutte queste... c'è tutta la verità, riassunta in breve... non posso rischiare che tu non sappia... non posso permetterlo...!

Fino ad allora, continuerò a scriverti e consegnarti queste benedette lettere...

Cosa c'è? Pensi forse che la Dea dal Cappuccio Nero non mi prenderà con sé? Guarda che verrà anche per te... viene per tutti... 'se hai vissuto, certamente morirai...' questa frase non è mia, lo presa da una storia di una giovane scrittrice o aspirante tale: Aurora qualcosa... affronta spesso temi come la morte... non siamo troppo diverse, lei ed io... quasi fossimo la stessa persona o parte di essa... le facce della stessa medaglia...

Ad ogni modo, vuoi sapere come ho fatto a non morire, quella sera, soffocata dal mio stesso vomito? Beh, lo vorrei sapere anche io... anche se, ho ragione di pensare che sia stata Rosemary a salvarmi...

Andiamo avanti...

 

 

 “Io so volare molto bene...” mi dice Carmela, una donna dalla pelle olivastra, gli occhi verde scuro e i capelli corvini. Mi ricorda Esmeralda del Gobbo di Notre Dame, nella trasposizione Disneyana... è una donna di quaranta, forse quarantacinque anni... bella da far paura, ma fuori come un balcone...

“Dove hai imparato...?” Le domando, ben conscia di aver affrontato l'argomento ormai troppe volte.

Mi guarda con quelle sue lanterne verdi, nei suoi occhi c'è la follia e l'innocenza di una bambina... questo mi ha sempre trattenuta da usarle violenza, dal costringerla ad aprire le gambe per me... dall'avere la sua lingua fra le mie cosce... non potrei mai violare qualcosa di così innocente e puro... non sono un mostro.

“Perchè, tu non sei capace?” Sembra sbalordita.

“No, purtroppo non mi sono mai applicata...” le sorrido.

Mi guarda in silenzio per qualche secondo... mi fa paura quando lo fa... lei mi vede, mi vede dentro... è cosciente di chi io sia, so che lo è.

“Cosa vuol dire, applicata? Perchè non parli normalmente?” Mi domanda, corrugando leggermente la fronte... ora sì che sembra davvero una bambina... “mi prendi in giro?”

“Ma certo che no... scusami, sono un po' matta...” le dico.

Il sorriso, che spunta sulle sue labbra, le illumina il volto: è contenta che a tutto ci sia stata spiegazione. “Sei matta!” Ride.

“Sì, tutta matta!” Rido con lei, rido senza divertirmi... rido per non piangere.

“Ho ucciso sette persone, una per ogni peccato capitale.” Dice, di punto in bianco, trapasandomi con lo sguardo.

In realtà si trova in questo manicomio -si, continuerò a chiamarlo così- criminale, perchè ha ucciso la figlioletta di appena tre mesi, lasciandola affogare nell'acqua del bagnetto. Fu un incidente, ma questo l'ha mandata fuori di testa, riducendola nello stato in cui versa al momento. Lo stato che, infine, l'ha indotta ad uccidere il suo compagno con delle forbici...

So queste cose perchè alla gente piace parlare, e a me piace ascoltare... ma di Alessio, la persona che mi fornisce un quadro generale sulle persone ricoverate qui, beh, ne parliamo dopo.

“Hai fatto bene.” Le dico, assumendo un'espressione risoluta.

Annuisce, “lo penso anche io... i peccatori devono morire...!” Si blocca e irrigidisce come se l'avesse morsa un ragno, “ma siamo tutti peccatori? Sono io una donnaccia peccaminosa?!” (quel 'sono io' è una caratteristica della sua lingua madre: l'Inglese, dove, per fare una domanda, tipo: sono matta? Si dice: Am I Crasy? Ovvero Verbo essere -To be- prima del Soggetto quindi: To Be+ Soggetto) Urla, mentre abbondanti lacrime, come una lente, rendono le sue iridi ancora più grandi e luminose.

“Ma certo che no. Non pensarlo neppure...” le dico, cercando di calmarla prima che perda... beh, quel poco autocontrollo che le rimane... diventa violenta quando si agita...

“Sei sicura? Chi te l'ha detto?” E' in bilico fra calmarsi e scoppiare.

“Dio, mi ha detto che sei la sua pecorella preferita...” ma immediatamente dopo, mi pento... uh, se me ne pento...

“Tu non parli con Dio! Sei una bugiarda!!!” Scatta in piedi, “maledetta! Bugiarda, bugiarda!!!” Mi punta il dico contro, mentre nei suoi occhi, l'innocenza viene inghiottita dalla follia.

“Scusami, Carmela... ma ora calmati, per favore...” porto le mani in avanti: cerco di prevenire una lotta.

“Sono io Carmela? Sei una bugiarda! Non mi fido di te! Nei tuoi occhi vedo il diavolo! Bugiarda!!!” Urla. Ma per il momento va tutto bene... per quanto le cose, in un tale manicomio, possano andare bene...

Intorno a noi, gli altri ricoverati, si agitano, allarmati dalle urla di Carmela...

Nei miei occhi vede il diavolo...? Cosa significa?

“Che sta succedendo qui?!” E' la voce di Alessio, l'OSS (Operatore Socio Sanitario) di turno. “Su, tutti nelle vostre camere, la ricreazione è finita!”

Non me lo faccio ripetere...

 

Nei miei occhi si vede il diavolo...? Certo, sono stata io la prima a dire che Carmela mi vede... ma... ma è matta, giusto? Ma se la follia le avesse aperto una 'porta mistico-sensoriale'? Non so esattamente cosa intendo, non chiedere...

Se quest'abilità le permettesse di vedere davvero l'anima, la vera essenza della gente...?

Il diavolo... la non morale, l'amoralità.... ma io non ne sono priva... giusto? Io comprendo la differenza fra giusto e sbagliato, fra positivo e negativo... non uso bene e male, non credo al bene e al male...

Ho ucciso una ragazza... la mia anima è macchiata, rotta... lurida... ma io non sono malvagia... giusto? Io posso scegliere se compiere un'azione atta a nuocere o meno... ho la morale...

Di conseguenza...

“Pronto? C'è nessuno in casa?” Alessio mi sventola la mano davanti agli occhi.

“Nei miei occhi vedi il diavolo, Alessio?” Gli domando.

Lui si ritrae e i suoi occhi, celesti come il ghiaccio, si socchiudono appena, “eh?”

“Ti ho domandato se nei miei occhi vedi la bestia, l'amorale... il diavolo...” insisto.

“No... non penso... che razza di domande. Non hai proprio niente da fare tu, ah?” Mi sorride, ha un brutto sorriso: lo spazio, fra i suoi piccoli dentini gialli e marroni, è troppo grande.

“Sono in un manicomio... cosa debbo fare se non pensare...” mi appoggio al muro, sotto la finestrella.

“E' per colpa di Berserk?”

Berserk, il capolavoro di Kentarõ Miura, Alessio ne è ossessionato... si è pure fatto tatuare il simbolo del sacrificio dietro al collo... come Guts... anche a me piaceva molto, ho finito di leggere il manga, certo, fin dove l'autore era arrivato prima che finissi qua dentro...

Alessio mi porta alcuni comics, ma sono quelli che ho già letto...

“No... non centra nulla...” gli rispondo.

“Sei arrivata ai Cinque Della Mano di Dio...?”

Ecco che attacca...

“Ehi, ho ancora cinque minuti... quindi...” mi dice, dopo aver riassunto ciò che già sapevo sul manga.

Abbasso gli occhi sul cavallo dei suoi pantaloni: il suo membro è duro, pulsa e spinge contro il tessuto bianco della divisa.

All'inizio mi faceva schifo, mi sentivo sporca nel masturbarlo... ora è solo un'azione meccanica... qualcosa che mi consente di vivere alla meno paggio qui dentro...

Quando libero il suo pene, dalla prigionia di pantaloni e boxer, si libera anche del calore e l'odore del suo sesso... non è sgradevole, ma non posso neppure dire che mi piaccia, insomma...

Qualche volta cerca di ottenere di più, ma la mia bocca non lo accoglierà e la mia verginità rimarrà intatta... cazzo se rimarra intatta... a tutto c'è un limite...

Al movimento dalla mia mano si aggiunge quello dei suoi fianchi. Mi stringe fra le braccia, alitandomi nell'orecchio: “sì... piccola... sì... sì... piccolina...” dice sempre la stesse cose, quello è il suo repertorio...

Non provo nulla, assolutamente nulla... ma, forse, stare fra le sue braccia, in fondo, e dargli piacere... forse, forse non mi dispiace... ma non sento nulla: a sud tutto è calmo e asciutto.

Si separa di scatto da me, per liberarsi nel piccolo water di metallo.

“Ti è piaciuto...?” mi chiede, mentre tira lo sciacquone. La sua voce trema, il suo corpo trema...

“Alessio...” abbasso la testa, ogni volta la stessa domanda...

“Non preoccuparti, ti guarirò io.” Mi sorride come fosse il mio salvatore.

Alessio è convinto che l'omosessualità sia una malattia, è convinto, forse, che se continuerà a mettermi il cazzo in mano, prima o dopo, mi piacerà... guarirò... non fa una piega...! Forse, fuori da qui gliel'avrei mozzato... togli il forse.

“Non stai pensando di evirarmi, vero?” Ma sorride.

Sì, Alessio... non so come tu abbia fatto ad intuire i miei pensieri, ma sì... fuori da qui te l'avrei staccato a morsi, quel lombrico...

“No... non sono in grado di concepire qualcosa di così violento... e tu mi piaci, Alessio... sei molto bello e virile.” Mi costa una fatica immane... ma... ma va bene così... lo terrà buono per un'altro po'...

Si avvicina sorridente e mi bacia in bocca... questo, questo mi fa molto più schifo.

Non siamo nulla... forse spazzatura... a nessuno importa se maltratti un sacco di monnezza...

“Ah, prima che me ne scordi!” Stava per lasciare la mia cella, ma si volta. “Domani alle cinque vengo a prenderti: lo psichiatra, Grandi, tornerà per incontrarti.”

Domani non sarò qui... 'sta notte invocherò il Licantropo... fottetevi tutti...!

“Ti ringrazio, Alessio.” Gli sorrido.

“Ciao!” Apre la porta ed esce. Anche con la porta chiusa, riesco a sentirlo cantare: “ ... a volte un temporale non ci faceva uscire... un uomo di un certa età, mi offriva spesso sigarette turche, ma... spero che ritorni presto l'era del cinghiale biancooooh...!”

L'era del Cinghiale Bianco... Battiato... anche a me piace molto... ci sono troppe similitudini fra me e lui... non va bene... io non violenterei mai qualcuno di indifeso... vero? Non sarà il prossimo stadio, giusto?! Ma... negli occhi di Alessio, si vede il diavolo...?

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Capitolo 5
*** Cosa Devo Capire? ***


5

Cosa Devo Capire?

 

 

Che pioggia...!

Forse dovresti sostituire la casetta delle lettere: ho notato che alcune buste sono umide... lo dico per te. Ma forse si sono bagnate quando il postino le ha inserite... vai a sapere tu.

Mi piace la pioggia... mi piace davvero tanto... e a te?

Ad ogni modo, anche quella notte pioveva, slavinava forte.

 

 

Guardo la pioggia cadere. E' davvero bella sotto i lampioni arancio... mi fa stare bene...

Fa un freddo cane, ma di chiudere la finestra neanche a parlarne...! Lo spettro del tanfo mi soffoca...

Voglio aspettare che la notte sia più profonda... sento che è meglio...

Ho il cuore in gola: non importa se il tempo è passato, tanto tempo, una parte di me crede che il Licantropo potrebbe decidere di uccidermi...

Vorrei tanto poter trascorrere il tempo dell'attesa facendomi una doccia... mi sento sporca... come al solito, ormai. Ma, forse, per quanto potrei mai strofinare, il puzzo mi è penetrato fin nel midollo... magari non si toglierà più...

E' stupido, ma, guardando la pioggia che scroscia ritmata sul marciapiede, mi chiedo se... se ad interrompere il suo scrosciare melodico, potessi giungere tu... là sotto e, volgendo lo sguardo in alto, senza timore che le gocce possano ferirti, mi guarderesti... mi urleresti che è tutto okay... che fuori da qui... che fuori da qui ci sarai tu... che sarai mio amico...

Ma tu non verrai... ed io continuerò a pensarti... ad immaginare la tua voce ed il tuo odore, magari anche il tuo calore corporeo...

“Spegnere le luci!” E' la voce del donnone... dunque sono le nove... troppo presto...

Per poco non mi ammazzo per spegnere la luce e buttarmi nel coso che devo chiamare letto... non voglio farla incazzare... il costato duole ancora...

La porta si apre, ma io sono al sicuro... credo.

La porta si richiude, sì, sono al sicuro... credo.

Sei mai stato prigioniero? Non per forza in una galera, non fraintendermi... che poi, anche se ci sei stato, a me cosa importa...? Non potrei giudicarti: sono un'assassina...

No, quello che intendevo non era per forza una prigione fisica... sei mai stato prigioniero delle tue emozioni, delle tue paure... dei tuoi demoni...? Ne hai? Come si chiamano? ... Ti fanno tanta paura? Riesci a combatterli?

Io ne avevo anche prima di diventare un'assassina... erano voci che mi dicevano cose... di fare cose... ma erano voci nella mia testa, non fuori da essa: non sono schizofrenica... mi inducevano a pensare delle cose... cose brutte, socialmente inaccettabili...

Forse tu hai già deciso che sono fuori di testa... e forse hai ragione... ma non sono cattiva... non voglio esserlo.

 

Una campanile lontano, o quasi, rintocca dodici rintocchi... è mezzanotte... è ora...

Non esito, ho esitato abbastanza... recito il testo che, ormai troppi anni fa, ho imparato a memoria... il fatto che sia in Inglese non è un problema: lo parlo perfettamente o quasi.

Te l'ho riporto incompleto, non posso rischiare che ti salti il pallino di evocarlo... non posso indurti a simile tentazione... non voglio metterti in pericolo...

 

“Thou who in the darkness of the world finds rest. Thou who at my call shall rise like the brightest star in the sky... (...) Hear my call, slave of the human voice (...) Hear my call, I command you to show yourself and put your every limb at my service.
(...) In the darkness of the night I call upon you, be my servant, be my hands (...)
Thou who are lord and slave, come to my call (...)”

 

Il 'Thou' è Inglese 'Arcaico', ormai non si usa più (tranne, se non sbaglio, in Scozia e Nord Inghilterra): sostituito dal più comune 'You'.

 

-Tu che nelle tenebre del mondo trovi riposo. Tu che al mio richiamo sorgerai come l'astro più luminoso del cielo... (...) Ascolta il mio richiamo, schiavo della voce umana (...) Ascolta il mio richiamo, ti ordino di mostrarti e mettere al mio servigio ogni tua membra.
(...) Nel buio della notte io ti invoco, sii mio servo, sii le mie mani (...)
Tu che sei signore e schiavo, accorri al mio richiamo (...)-

 

Nel caso tu non parlassi l'Inglese...

 

Tremo, tremo dentro e fuori... sono spaventata ma felice.

I secondi, scanditi dal battito del mio cuore, passano lenti... o così mi sembra...

Ma non succede nulla...

Assolutamente nulla...

Che abbia sbagliato qualcosa?

No! Impossibile...!

La recito una seconda volta, poi una terza... ma, nel mio piccolo spazio vitale, rimango sola...

“Merda!” Lo urlo, incurante delle conseguenze.

Che occorra il libro rosso?

Effettivamente, quando è comparso davanti a me, quella notte, avevo appena aperto il libro...

“Merda!” Ribadisco.

“La tua pronuncia mi fa accapponare la pelle... creatura...”

La saliva mi va di traverso... passeranno diversi secondi prima che io riesca a fermare la tosse e a parlare...

“Sei venuto...” dico, guardando gli occhi, ora blu chiaro, del Licantropo. “Sei davvero qui...!”

“Ti credevo diversa. Migliore di coloro che, loro malgrado, sono in parte passati a miglior vita, ed in parte responsabili della tua detenzione.”

“Non voglio chiederti di uccidere nessuno... non potrei... solo una persona deve morire, e la ucciderò con le mie mani!” Dico, cercando di ignorare il forte sentimento che mi provoca la sua presenza.

“Perché dunque, hai disturbato il mio riposo?” La sua voce non è cambiata di una virgola: sembra ancora che provenga da ovunque e da nessuna parte...

“Scusami...” sono realmente dispiaciuta.

“Parla dunque, creatura.” Mi esorta.

“Vorrei che tu mi facessi uscire da qui...” gli dico.

Lui ride, è una risata assordante e muta, allo stesso tempo. “Devo dunque togliere la vita ad un tuo simile.”

“No! Assolutamente no!” Scuoto la testa con vigore. “Non sarai il mio pugnale... non sarai un mio oggetto... tu non sei un oggetto...!”

Con l'enorme artiglio della mano sinistra si gratta lo spazio fra le grandi e nere orecchie, “non ti comprendo.”

“Potresti, per cortesia, sfondare il muro e farmi evadere?” Gli domando.

Ride di nuovo, “sono lusingato, ma non posso farlo.”

Lusingato?

“Non capisco...” ammetto.

Assume la posa di un bodybuilder, “i miei muscoli possono lacerare qualunque cosa, ma non sono fatto per questo. Io uccido, e poiché ciò che mi chiedi di straziare non è carne...”

Cosa!? NO!

“Non puoi fare un'eccezione?! Poi, lo giuro, non ti disturberò mai più!” Urlo, forse gemo.

“Mi dispiace, creatura. Non si può.” Scuote il testone peloso.

Non sono una persona insistente...

“Non c'è nulla che io possa fare per dissuaderti?”

Ma neppure arrendevole...

“Ordinami di uccidere tutti coloro che potrebbero frenare la tua fuga.” Lo dice come se la richiesta fosse quella di raccogliere dei fiori...

“No.” Non esito neppure un secondo: non posso privare della luce persone che non centrano nulla... persone che hanno una casa e una famiglia da cui tornare. “Non sei un oggetto, ed io non macchierò ancora la mia anima... non fino a quando le mie mani si stringeranno attorno al collo di Alessia...!”

“Non hai ancora capito, non è così?” Mi domanda.

Cosa? Mi sono persa qualcosa?

“Non ho capito...” gli dico.

“Lo vedo.” Mi risponde.

“Cosa devo capire?” Insisto.

“Lo devi capire da te.” Sorride, mostrandomi le enormi fauci bianche.

“Questo non è molto d'aiuto...” lo guardo come una bambina guarda suo padre, magari dopo che le ha detto che deve andare a letto senza cena.

“Fatti aiutare allora. Ma sono certo che puoi trovare la risposta, infondo al cuore o alla mente, come preferisci, già la conosci.”

“Credo sia una di quelle volte che gli indovinelli non mi piacciono...” sussurro.

In risposta, lui ride.

“Posso farti una sola domanda? Poi ti lascerò in pace....”

“Questa cos'era?” Ride di nuovo.

“Sei di buon umore, eh...? Comunque, posso farti un'altra domanda oltre a questa e alla precedente?”

Annuisce, “prego.”

“Tu lo sapevi vero, lo sapevi che ero io... che ero io quella notte di tanti anni fa... perché mi hai lasciata andare?”

I suoi occhioni blu mi scrutano, “volevi vivere.”

“Questa è la risposta?!” Sono allibita.

Annuisce, “lo sappiamo entrambi.”

“Cosa? Che volevo vivere? Come può essere il motivo per la quale ancora respiro?!”

“Sei una strana creatura, lo siamo entrambi.” Sorride ancora.

...sono senza parole...

“Non fare quella faccia, avanti.”

“E quale altra espressione dovrei assumere, di grazia?” Sembra un grugnito, più che la mia voce.

“Non lo so.” Ammette.

“Ecco, appunto...”

“Sei in collera con me, creatura?” Mi domanda, senza lasciare i miei occhi.

“No... è una mia scelta quella di non fare di te un'arma... una mia scelta.”

“Molto bene, allora mi congedo. A mai più rivederci, mi auguro.”

“Te lo auguri...?” Sento una punta di dolore.

“Te lo auguro.” Mi dice.

“Non ti capisco... non mi vuoi uccidere, dunque... non capisco.”

“Sì, capisci.”

No...

“Va bene... addio... ehm...?”

In realtà non va niente bene...

“Non ha importanza, non ricordo il mio nome... è passato troppo tempo.” Mi sorride.

“Mi dispiace...” sussurro.

“Perché mai?” Inclina la testa da un lato.

Mi stringo nelle spalle, “non lo so di preciso... qualcosa mi dice che essere senza avere un nome... boh, sia sbagliato... ma forse è solo un concetto umano... diamo un nome ad ogni cosa, giochiamo a fare Dio...”

“Vedi che le risposte sono già tue?” Mi sorride.

Ne dubito...

“Ti ringrazio comunque...” gli dico.

Scompare un secondo prima che la porta si apra... sono nella merda fino al collo...

“Ho tollerato per diversi minuti il tuo chiacchierio, ma ora basta! Hai svegliato Lorena!” Il donnone ha gli occhi fuori dalle orbite...

Lorena, una signora che quando comincia ad urlare... altro che Arpie...

In effetti, ora la sento pure io...

“Mi scusi...” lo dico anche se so che non mi scuserà.

“Ti pentirai di avermi fatto perdere l'occasione di una notte tranquilla.”

So che me ne pentirò...

“Mi dispiace...” abbasso il capo.

“Ti farò sputare sangue!” Poi mette la testa fuori dalla porta, “taci, maledetto demonio!” Strilla, inveendo contro la povera matta.

Anche Lorena se ne pentirà... probabilmente verrà picchiata fino a perdere conoscenza... come al solito...

Te l'ho detto: non siamo persone... siamo meno che spazzatura...

Forse ti domandi perché io non abbia chiesto al Licantropo di uccidere il donnone... beh, bella domanda. No, seriamente... lui non è una mia proprietà... lui non è un oggetto...

Il colpo mi raggiunge il basso ventre senza che io me ne accorga... non so neppure con cosa mi abbia colpito... cado a terra.

“Hai capito, merdaccia?!” Comincia a colpirmi l'addome con potenti calci.

No... non ho capito, non so di cosa parla...

“Hai...” calcio.

“Capito...” altro calcio.

“Merdaccia?!” Sì, altro calcio.

Svengo pochi secondi dopo.
 

Non capii cosa intendesse il Licantropo e neppure il donnone, ma della seconda, beh, che me ne fregava...?

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Capitolo 6
*** Voglio Morire? ***


6

Voglio Morire?

 

 

Oggi c'è il sole... non mi piace il sole. Mi guasta l'umore... mi fa sentire esposta e vulnerabile...

Ad ogni modo, andiamo avanti... ti va?

 

 

Al mio risveglio, credo non più di sei ore dopo: il sole non è ancora sorto. Mi ritrovo con la guancia appoggiata ad una pozza di vomito e sangue...

Il dolore, nell'area addominale, beh... è tremendo.

E allora urlo, urlo per il dolore, per la frustrazione, per l'umiliazione che provo, per il senso d'impotenza, per non averli ammazzati tutti, per credere ancora, che ucciderli non fosse giusto.

Grido e piango finché il dolore alla gola supera quello dello sterno... grido sperando che lei torni e mi uccida, una buona volta! Grido e piango sperando di soffocarmi, non ce la faccio più... sono al limite, ho raggiunto il mio punto di rottura, che qualcuno metta fine alla mia dannata esistenza!

Ma le mie grida non attirano nessuno, solo altre grida di chi, presumibilmente, si è spaventato per le mie. Probabilmente il donnone ha lasciato il piano per dormire in uno degli uffici...

E' per disperazione che faccio ciò che faccio... mi mordo i polsi... prima uno, affondandoci i denti... all'inizio senza troppa convinzione: fa un male cane... ma poi, poi mi recido le vene... le strappo...

Poi, quando la testa comincia a diventare leggera ed il freddo aumenta, il secondo...

Perdo conoscenza pensando che, alla fine, un modo per uscire da quel manicomio l'ho trovato...

Il suicidio è una prerogativa umana... ed io odio ed amo esserlo...

 

Ma no... non sono morta...

Non ci ho forse messo abbastanza impegno? Perché la vita si ostina tanto a tenermi con sé?! Tempo dopo avrei avuto modo di apprezzarne l'ironia, ma ora è troppo presto per parlarne.

Non ho alcuna voglia di descriverti le settimane passate in ospedale... non ne ho proprio voglia...

Vediamo cosa successe al mio ritorno... in quel... manicomio.

Quando incontrai il Professor Grandi.

 

“E' un piacere conoscerti, finalmente.” Grandi mi sorride, ha un sorriso calmo e malinconico. “Avevo cominciato a pensare che gli Dei non volessero quest'incontro. Tu cosa ne pensi?”

Gli Dei...?

“Non so cosa dirle...” gli rispondo, giocando con le fasciature che ancora mi circondano i polsi.

Lui sorride, un sorriso falso e forzato, “non è importante ai fini del nostro incontro, o forse sì?”

Non è troppo vecchio per questi giochini? Avrà una sessantina d'anni, ma è già bianco come fosse una caricatura dell'inverno.

“Perché ha preso in esame il mio caso?” Gli domando. E' la cosa che più mi preme sapere.

“Non ho ancora preso in esame il tuo caso.” Mi risponde. “Prima devo valutare se ne vali lo sforzo, e se quello che ho visto in te rispecchia il vero.” Dice, sedendosi oltre la grossa scrivania.

E la prima volta che lo vedo... per quanto ne so. Glielo faccio notare.

Ride.

Cazzo c'è da ridere?! Mi fa innervosire! Non ci posso fare niente!

“Ho letto qualunque cosa da leggere vi fosse su di te.”

Ma come si esprime...

Poi un'altro pensiero mi balena nel cervello... ma subito mi calmo: non è stato lui a raccogliere il quaderno... ma se tu fossi suo figlio...?

Nah.
E poi... che mi cambia?

“E cosa pensa di me...?” Gli domando.

“Vuoi una sigaretta?” Mi domanda, mentre fruga nella tasca interna del camice.

Ha totalmente ignorato la mia domanda...

“Sì, per favore.”

“Spero che le malboro ti piacciano.”

No, mai piaciute... ma in guerra ogni buco è trincea. Shh, shh, non importa... l'importante è che mi piaccia la metafora.

“La ringrazio.” Dico, afferrando la sottile cosa che mi porge direttamente dal pacchetto. Ho le mani libere: è stato lui a pretendere che mi liberassero dalla manette.

“Ecco qua.” Mi porge anche un accendino, un comunissimo Bic... chissà perché mi aspettavo qualcosa di... boh... diverso.

Appena il fumo raggiunge la punta della lingua... beh, mi vien da vomitare... subito dopo la gola comincia a bruciare.

“Lei non fuma?” Gli domando, cercando di reprimere dei conati e la tosse.

“Ho smesso, ma mi piace che qualcuno mi fumi vicino.” Mi sorride, poi aggiunge: “è palese il fatto che tu non ci fossi più abituata.”

Rimango un momento basita, “cosa intende?”

Continua a mantenere quell'espressione sorniona, “ti è stato trovato un pacchetto di sigarette in tasca, quando sei stata arrestata.”

Un pacchetto di Camel Blue...

“Un pacchetto di Camel Blue con ancora dodici sigarette rimanenti.” Mi dice.

Mi sento la testa leggera, quasi fossi in preda ad un infinito capogiro... questo si prova quando non fumi da tempo.

“Non capisco... non capisco cosa sta succedendo...” ammetto, cercando di evitare che la cosa mi sfugga totalmente di mano... non capisco cosa stia accadendo, mi sembra assurdo tutto ciò.

“Stiamo avendo una conversazione. Tu percepisci la cosa in modo diverso?”

Non se la vuole proprio togliere quell'espressione...

“Cosa?” Sono confusa, e non faccio nulla per nasconderlo... che senso avrebbe?

“Che cos'è che ti confonde?” Si porge in avanti. Ora posso sentire il suo odore... profumo da donna, qualcosa adatto ad una ventenne, massimo trentenne... su una donna più matura risulterebbe volgare.

Decido che la sincerità è la via più facile per uscire dall'impaccio, “questa conversazione segue regole che non conosco... a tratti la percepisco come surreale...”

Si ritrae come colto da un benessere improvviso... non te lo nascondo: l'ho immaginato sulla tazza...

“Bene, molto bene.” Annuisce soddisfatto. Doveva aver un gran mal di pancia... okay, la finisco.

Cosa è bene?

“Cosa è andato bene?” Gli domando.

Unisce le mani, in quel momento noto la fede al suo dito, e le sfrega come una mosca, producendo un suono – non so perché- che mi piace molto. “Abbiamo stabilito che sei in grado di sostenere una conversazione normale, o per lo meno, di notare quando questa non lo è.”

Oh, ora è tutto chiaro!

“Non credo di aver capito...” dico, mentre mi guardo intorno per trovare un posto dove lasciar cadere la cenere. Ma non lo trovo, così il palmo della mia mano diventa il posacenere.

“Hai percepito un'anomalia nel modo in cui conducevo il discorso. Ciò esclude, almeno a livello teorico, una buona parte di patologie mentali.” Lo sfregamento delle sue mani continua... una parte di me spara che non smetta mai.

Vabbè, il professore è lui...

“Mi fa piacere, suppongo...” dico, lasciando che altra cenere cada nel mio palmo.

“Ma se non sei una sociopatica, cosa ti ha spinto ad uccidere nove persone?” Continua.

Come può dire se lo sono o meno...? Non possono bastare pochi scambi di battute... o sì?

E davvero è già il momento di affrontare il discorso saliente?

“Non ho ucciso nove persone... ne ho uccisa una... e non volevo farlo...” mi spengo la sigaretta sul palmo... mi sembra l'unico modo, ora come ora, per impedire che gli occhi freddi e vuoti di Eleonora mi accusino.

Lo sfregamento cessa.

Odio questo silenzio...

“E' stato un mostro...” scuote la testa, “un mostro evocato da un libro, fra l'altro, mai ritrovato.” Appoggia la schiena alla, presumo, morbida seduta. “Lo capisci che non posso crederti?”

Certo che sì... non so neppure se tu mi credi...

“Lo capisco perfettamente, ma ciò non implica che io stia mentendo.” Gli rispondo, guardandolo dritto negli occhi.

“Sei convinta di ciò che dici.” Il suo tono è scettico e lievemente derisorio.

Dunque?

Ma lui non parla... mi fissa come se la mia faccia potesse dirgli ogni cosa.

“Non dico mai cose che non penso davvero, tranne quando è mia espressa intenzione mentire... ma tutti mentono... questo non fa di me un mostro o una pazza.” Dico, quando il silenzio rischia di assordarmi.

“La cosa che mi lascia maggiormente basito...” stringe le labbra, ed io penso che quei corti baffetti gli solletichino il naso.

La cosa che lo lascia maggiormente basito...?

Ma lui sta zitto.

“Io penso che tu abbia qualche problema, se vogliamo esprimerci come comuni mortali...”

Ma...?

Perché deve fare così?

C'è un ma?

“Ma è troppo presto per esprimere un giudizio su di te. Ed è troppo presto anche per parlare di alcune cose, prima devo riuscire ad inquadrarti per bene.” Mi dice.

Beh... direi...

“E' inoltre prematuro...”

Cosa?

“Ma vorrei che tu ragionassi attentamente su un quesito.”

Quale?

Mi fissa in silenzio.

“Sì?” Lo incoraggio.

“Tornerò fra tre giorni.”

Okay, va bene... dunque mi prende in considerazione... ma a cosa devo pensare?

“Mi ha detto di ragionare su qualcosa...” dico.

Lui annuisce.

Mi prende per il culo?

Passano i secondi...

“Vuoi morire?” La sua voce profonda squarcia il silenzio, un silenzio ormai saturo di voci spiacevoli... di sguardi violenti ed accusatori.

Perché rivolgermi la domanda al, tra virgolette, negativo? Perché non mi ha chiesto se voglio vivere...?

Ed io... io voglio morire o voglio vivere?

“Perché...?”

Ma lui m'interrompe, “no, no, no...! Mi risponderai tra tre giorni.”

Non mi sono bastati più di vent'anni... cosa potrei mai risolvere in tre giorni...? E davvero ci ho pensato...? Voglio davvero chiedermelo...? Voglio davvero saperlo?

“Come desidera....” gli rispondo.

“Abbiamo molto di cui parlare.” Si alza.

Se lo dice lui...

“La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato...” per fortuna i resti della mia fumata sono nella mano sinistra, così posso usare la destra per stringergli la mano.

“E rifletti anche su cosa, per te, significa dolore.” Forse me lo sono immaginato, ma credo che lui abbia fugacemente rivolto l'attenzione alla mano chiusa.

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Capitolo 7
*** Unici e Irripetibili? ***


7

Unici e Irripetibili?

 

 

Non volevo, ma ci pensai, ci pensai davvero...

Le domande rivolte da qualcuno di esterno sono diverse... ti fanno sentire più... non saprei... importante... può essere?

Fra le cose che capii, una mi ferii molto: stavo perdendo me stessa.

Sì, fu una consapevolezza che penetrò nel mio cervello alla stregua di un proiettile... forse mi sorprese come ora sorprende te... da un rigo all'altro... senza preavviso alcuno.

Mi ero lasciata sopraffare dalle mie emozioni... dalla mia ignoranza... dalla mia incapacità di riconoscermi ignorante...

Ho peccato di superbia...

Ho pensato di esserne immune... questo fa di me un ignorante di infima categoria...

Ti ho preso in giro... mi sono presa gioco di me stessa!

Prima non ero migliore, ma ero me stessa... ora... non lo so... paio solo una folle che rincorre il tempo. L'epilogo non è lontano, ma davvero questo è il ricordo che intendo lasciare di me?

Non te lo nascondo... ho paura, ora ho più paura che mai...

Ora sono consapevole della mia stupidità... la rabbia sta lentamente affiancandosi al dolore e alla paura... e questo senso di vuoto e d'impotenza non fa che aumentare... lento, ma inesorabile come le lancette che fisso quando, per pensare e ricordare, distolgo gli occhi dal foglio.

Ho sprecato la cosa più preziosa che avevo... che mai avrò: il tempo.

Il pensiero è stato scatenato dagli occhi della mia compagna... te l'ho detto: è stato come un proiettile... l'ho guardata negli occhi e ci ho visto il mio riflesso... ho visto la mia miseria...

Mi ha sorriso... un sorriso incerto e morbido e, molto semplicemente, tutto è stato chiaro... ha fatto una male tremendo.

Le ho preso il viso fra le mani, ho studiato il mio riflesso quasi in preda ad una psicosi... ma i miei occhi nei suoi non facevano che biasimarmi e deridermi...

E allora le ho chiesto perdono... le ho chiesto perdono per quello che non le ho dato... per il valore che non le ho mai riconosciuto... le ho chiesto perdono perché nei suoi occhi non la vedevo più, vedevo solo me stessa... forse ho sempre e solo visto me stessa...

Lei, dolce come il succo di una fragola selvatica, mi ha sorriso... mi ha sorriso anche se non mi comprendeva... non poteva farlo. Ma l'amo non per il suo cervello, ma per la sua umanità... per la sua incredibile capacità di empatizzare. E' una versione perfetta di una delle mie capacità, una forma di intelligenza a cui non posso neppure ambiare a toccare, non davvero. Lei mi capisce senza doverlo fare davvero.

Avevo bisogno di annullarmi e di elevare lei... avevo bisogno di sentirmi ed apparirle fragile e sconfitta, in modo che lei si sentisse potente... in modo da chiederle perdono per essermi sempre sentita superiore a lei... così mi sono lasciata cadere sulle ginocchia e, cingendole i fianchi con le braccia, ho appoggiato la guancia al suo ventre. Volevo comunicarle, forse con i miei modi perversi, che se voleva... che se voleva poteva farmi qualsiasi cosa... poteva anche privarmi della vita... ero totalmente priva di difese.

Il pensiero di supplicarla di picchiarmi mi ha attraversato la mente così tante volte da farmi girare la testa... volevo sentire dolore... volevo che ad infliggermelo fosse lei: la donna a cui non ho mai fatto del male e mai ho desiderato fargliene... la donna che non sopporto di veder soffrire... la donna che se non sorride... non lo so... tutto è sbagliato e triste... come una lenta agonia che può solo sfociare nella morte del mio Io.

Volevo che mi percepisse vulnerabile e patetica...

Ma la parola sarebbe stata una manifestazione del mio essere, il mio pensiero e desiderio... un ordine... ed io non potevo essere e non potevo desiderare... non era giusto... ero solo un sacco di carne e ossa... qualcosa che doveva essere privo di vita.

Lei, ovviamente, non ha fatto nulla per nuocermi... anzi: ha preso a carezzarmi la nuca... in silenzio... sapeva che anche una parola avrebbe potuto mandarmi in pezzi.

E ho provato dolore... tanto dolore nel sentirmi carezzare con tanta dolcezza... mi ha consolata senza chiedermi il perché stessi agendo in quel modo. Ho provato dolore perché ero fra le braccia di qualcuno che non merito... di qualcuno che, a volte, mi domando se ho conquistato con l'inganno... non le ho mai nascosto la mia natura, ma ho l'impressione che se le dessi tutta me stessa... tutta la mia luce e la mia oscurità... non lo so... le farei del male... ed io, lo giuro, non potrei mai trarre giovamento dal suo dolore... preferirei ingoiare dell'acido...

Ma allo stesso tempo, mi domando se lei non meriti di vedermi nella mia interezza... se non spetti a lei la decisione di soffrire o meno per me... ma ho paura, non lo nego, di perderla... non potrei sopportare un istante della mia vita senza di lei... non ora che conosco il suo odore; il suo calore; il suo sapore; il suono della sua voce; il colore, in ogni sua sfumatura, dei suoi occhi; la sensazione della sua energia vitale quando si fonde alla mia... non potrei continuare ad esistere...

Ma so di essere egoista... sono umana.

Prima che giunga la fine lo farò... le dimostrerò quanto il mio amore sia grande... merda... un'altra manifestazione di egoismo... il suo libero arbitrio contro i miei sensi di colpa... qua dov'è il confine fra bene e male? Non riesco a vederlo...

Certo, te l'ho già detto che non credo al bene e al male... ma sono comodi, quindi per convenzione li utilizzerò...

Il problema sono io... non il fatto che non riesca a vedere un confine che neppure ho la certezza che esista... sono sempre e solo io il problema... se non fossi come sono... forse...

Non lo so... potrei impazzire dietro questo ragionamento...

Forse non lascerò niente dietro di me... niente di buono... magari solo un flebile ricordo destinato a morire ancor prima di esistere davvero... ma ho il desiderio di lasciare una traccia del mio passaggio su questa terra... una testimonianza su ciò che infinite miliardi di possibilità, fattori, casualità, istanti e tutto ciò che può essere inserito nel calcolo delle probabilità ha dato vita all'autore di queste lettere... questa persona... io. Io fra i miliardi di miliardi che sono esistiti e che esisteranno ancora nei millenni avvenire... io che come te sono unica e irripetibile... esisteranno e sono esistite copie di te e me... ma non eravamo e non saremo noi... qualcosa ci differenzia... fosse un neo sull'altro lato del collo o una singola molecola... un pensiero leggermente diverso... non esisteremo mai più come esistiamo ora... neppure il riflesso nello specchio è noi... c'è sempre qualcosa di diverso... cose piccole piccole, tipo la luce o anche solo la nostra percezione... ma quello che vediamo non siamo davvero noi... siamo unici, nel bene e nel male... siamo frutto di troppi fattori, ambientali, sociali, genetici... troppi, davvero troppi perché si possano ripetere... dettagli come un starnuto o il battito d'ali di una farfalla... nessun momento è uguale ad un'altro... ciò rende le variabili infinite e noi unici.

Ti ho regalato, ti regalo e ti regalerò parte di quello che ho nella testa... non ha importanza se ciò che affermo sia giusto o sbagliato, logico o illogico, utile o inutile... non me ne frega niente se ci trarrai degli spunti per riflettere o se lo leggerai passivamente... non m'importa. Io sono parte di ciò che ti do, e tu sei gli occhi che vedranno ancora e ancora la luce di una stella morta. Sei testimone della mia esistenza, sei una prolunga della mia vita, di ciò che sono stata, che sono e che, se non mi dimenticherai, continuerò ad essere.

Ti ho mostrato parte della mia umanità, parte di frammenti di casualità che, come pezzi di un mosaico, hanno formato ciò che sono, qualcosa, lo ripeto, di unico e irripetibile.

E tu, tu sei d'accordo con ciò che affermo o hai una teoria diversa, o ancora, non te ne frega un mazza di queste cose?

A prescindere, sappi che per me tu sei unico e irripetibile... di te ho un viso e degli occhi curiosi, qualcosa che in combinazione esisterà ancora, ma che non sarai mai più tu... sono felice di aver visto e capito di aver visto, qualcosa di unico e irripetibile.

Forse non ti aspettavi questo tipo di lettera, ma io avevo bisogno di scrivertela... avevo bisogno di darti un altro pezzettino di me...

A presto, Amico Lettore.

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Capitolo 8
*** La Mia Verità? ***


8

La Mia Verità?

 

 

Non sono mai stata brava a parole, per questo scrissi questa lettera.

Te la riporto fedelmente. L'ho conservata.

 

-E' successo. Ma non riesco a farmene una ragione, non riesco davvero ad accettare che questa sia la mia vita.

Perchè io? Questo non faccio che chiedermi, perchè io...?

Voglio dire, guardami... ti sembra il caso?

Volevo fare l'attrice. L'attrice di teatro... mi piace fare teatro, mi piace dare un nome alle innumerevoli maschere. Amo il poter lasciare le mie misere vesti per indossarne di nuove, di diverse.

Ma non posso, sono prigioniera delle mie stesse sbarre. Sono troppo egoista per esserlo davvero, per essere coraggiosa, per essere, sì, per essere davvero menefreghista.

Sono una codarda, la vita la voglio vivere davvero, ma non ci riesco.

Il mio è un lento annichilimento, una freddezza di scarsa qualità, un cinismo sforzato che, sì, sfocerà per forza nel nichilismo o nell'autodistruzione.

Sono brava a farmi del male. Il mio è un agire subdolo e codardo, lo riconosco.

Non mi piaccio, non nel modo che vorrei.

Seppur non trovo ragioni per vivere, eccomi qui... ancora una volta a scrivere di me, a raccontarmi, a cercare la comprensione e la patia di estranei, a chiedere aiuto senza volerlo davvero... voglio solo esistere, esistere per qualche minuto nella tua mente, nella tua vita.

Vorrei dare un senso al vuoto che sento nel petto.

Vorrei che la fredda lucidità lasciasse spazio alla follia, una follia morbida e tiepida, una follia senza dolore.

Ma non lo voglio davvero... amo la mia storta razionalità, amo il modo in cui, una mente come la mia, mi fa sentire.

So di essere brillante, è inutile che io finga una modestia che so non appartenermi.

Ed ora, la domanda delle domande. La domanda che mi è stata rivolta con connotazione negativa: voglio morire?

Sì, voglio morire per smettere di sentire dolore, un dolore di cui non capisco l'utilità. Voglio morire sperando in una nuovo corpo, una nuova storia, una nuova vita. Non migliore, non peggiore, solo diversa. Nei giochi in, chiamiamoli così, digitale, ho sempre passato ore a caratterizzare il mio personaggio, il mio avatar. Non era migliore di me, non era bello o brutto, era solo diverso... ho sempre amato vedere, studiare e sentire il cambiamento di una forma, di una persona, di un oggetto... di qualunque cosa. Sono terribilmente affascinata dalla mutevolezza. Ma sono incapace di farlo su me stessa, di farlo davvero, in qualsivoglia modo.

Voglio morire perché non trovo una ragione valida per vivere: non ho prospettive valide. Voglio morire perché percepisco me stessa e il mondo come qualcosa di sbagliato, come due elementi incompatibili fra loro. E non mi riferisco ad un abbinamento come: calzetti più sandali... capisco la voglia di sentire le dita libere, ma il piede saldo... non è esteticamente sexy, ma ne capisco l'utilità. Io che utilità ho in questo mondo? Quale utilità ha il mondo?

Perché questa brama dell'utile? Cosa vuol dire? Che senso ha un simile accanimento?

Beh, credo sia per il mio bisogno spasmodico di controllo e di comprensione. Ho bisogno di essere in controllo, ho bisogno di capire perché uno più uno fa due! E sai cosa mi disturba immensamente? Il dubbio, il dubbio che uno più uno possa fare undici, o nulla, o qualsiasi altra cosa! Perché mi disturba così tanto???

Ho atteggiamenti maniacali, quasi mai manifesti in azioni fisiche. Ma nella mia mente, uuh, nella mia mente avviene il finimondo per nulla e tutto (cose equivalenti, se posso)! Sono di un egocentrismo spiazzante... tutto è in relazione a me, a come io lo percepisco... faccio ciò che critico maggiormente all'essere umano: adeguare tutto a sé.

Voglio morire perché scoprire cosa e se qualcosa c'è... beh, l'apoteosi del piacere, per quanto mi riguarda...

Voglio morire perché sento che qualcosa non va in me... ho pensieri che so che non vanno bene, se così posso esprimermi...

Voglio morire perché i sensi di colpa mi divorano dall'interno... sono come un cancro soffocante e troppo ingombrante per convivere con il mio, altrettanto, enorme ego!

Sono sensibile quanto fredda e razionale, se di raziocinio sì può parlare... sono come tanti esseri in un solo corpo... un corpo troppo piccolo e fragile per contenerci tutti... forse sono bipolare, ma confesso che soffrirei di una diagnosi tanto scontata... sì, perché io sono diversa... amo e odio esserlo, ma è più amore.

Non ho finito di elencare i motivi validi per porre fine a questa mia esistenza, ma non trovo argomentazioni valide per un orecchio esterno, dunque passiamo allo step successivo: cos'è per me il dolore.

Cosa è il dolore...?

Vediamo... tralasciando la parte scientifica del perché e del percome sentiamo dolore (sono conscia del fatto che esistano individui incapaci di percepire fisicamente... eh, la genetica, quale straordinaria ed inquietante meraviglia...) direi che non l'ho ancora davvero capito.

Mentre per il dolore fisico capisco lo scopo, l'utilità... per quello dello spirito... ah, grosso punto interrogativo...

Ma la domanda è cos'è per me...

Cos'è per me il dolore...?

Non lo so... credo che sia quella voragine nel petto, a cui prima accennavo... letteralmente un buco, una mancanza... la sensazione di non poter essere davvero felice, di non potermi sentire davvero al sicuro... la sensazione che una parte di me mancherà per sempre...

Da quel buco nel petto entra freddo... un freddo strano che, per ragioni a me sconosciute, perde la consueta colorazione azzurra-blu, e diventa invece nerastra... ma un nero semi trasparente... non so come descriverlo esattamente. Una mancanza di luce incompleta, non elegante... non mi piace...

Non lo so che cos'è il dolore.-

 

Mi guarda come se non riuscisse a capire a quale strana specie di disgustoso insetto io appartenga.

“Mi scusi, non sono davvero capace di esprimermi come conviene, non verbalmente... mi scuso anche per averle dato del 'tu'...”
Pensavo di parlare a te, in alcuni momenti...

Mi guarda per qualche altro secondo. No, non riesce a capire quale nome dare al mio corpo con sei zampette.

“Vuoi una sigaretta?” Mi chiede.

“Se posso... magari... la ringrazio...” deglutisco, in attesa di un qualsivoglia verdetto.

Apre una metà del camice e, come tre giorni prima, comincia a frugare all'interno del taschino. “Questa è la tua verità?”

Ottima domanda...

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Capitolo 9
*** Ho Provato Piacere? ***


9

Ho Provato Piacere?

 

 

“Penso di sì.” Dico, aspirando profondamente dal cilindro imbottito di tabacco e catrame. “O per lo meno, è la cosa più onesta che riesco a dire a me stessa.”

“Capisco.” Annuisce. Ma io penso che no, non abbia capito.

E sono uno scarabeo, mi piacciono gli scarabei... se fossi un insetto è questo che vorrei essere. Hanno una bella corazza, sono lucenti e nobili, venerati dagli antichi Egizi e non solo.

“Le porgo ancora le mie scuse per aver scelto di scriverle una lettera, e per averlo fatto dandole del 'tu'...” dico, adocchiando un posacenere selvatico comparso probabilmente per evitare un epilogo simile a quello di tre giorni fa.

“Non ho argomentazioni da sollevare riguardo il modo in cui hai scelto di rispondermi. Fra l'altro, non ti chiederò neppure di darmi del 'tu', penso che ti metterei a disagio.” Si schiarisce la gola, “no, la cosa che mi preme chiarire è il motivo per cui ancora ti scusi. E' importante l'impressione che dai di te, non è così?”

Non è totalmente esatto.

“Vede, mi è stata insegnata l'educazione, un educazione rigida fatta di disciplina e cortesia.” Rispondo.

Mi sorride, un sorriso schifato ed ebete... o così lo vedo io. “Non è quello che intendevo.”

Lo so.

“Mi piace essere educata e cortese, lo trovo necessario. Trovo inoltre indispensabile non solo sfoggiare tale forma, ma sentirmi in pace con me stessa. Almeno sulle piccole grandi cose della vita...”

“Va bene. Ritengo non vi sia nulla di male nello sfoggio, come l'hai chiamato tu, di simili virtù. Mi domando solo quale sia lo scopo ultimo. E se, in realtà, questa non sia altro che una farsa.”

Mi fa innervosire...

“Non vedo benefici nel fingere qualcosa che non sono, nel mostrare qualcosa che non mi appartiene.” Replico, sono piuttosto piccata e penso che la cosa sia palese.

“Non lo so, ragazza...”

Ragazza? Vabbeh...

“Ho l'impressione, se mi è permesso il francesismo, che tu mi stia prendendo per il culo.”

Non ci posso fare nulla, una risata collerica mi sfugge dalle labbra, “mi scusi?”

Sorride, sorride come qualcuno che è appena riuscito a pestare la coda ad un serpente ed evitare i suoi denti velenosi, “mi sbaglio? Me lo puoi dire se è così.”

“Si sbaglia.” Lotto per mantenere una parvenza di decenza. “Non sarei apposto con me stessa, in caso contrario...”

“Però, trucidare nove persone pare non riuscire a ledere il tuo nobile animo.” Continua a sorridere pensando che i denti non lo possano più raggiungere, ma sarà cosciente del fatto che alcuni serpenti sono in grado di sputare? Che ne sa a quale razza appartengo...

“Mi sta ferendo... e le ripeto che ho ucciso una sola persona... e ancora, ripeto: non volevo farlo.” Forse sono un lombrico. “Ho sicuramente dei problemi, nessuno lo nega. Ma mi sottraggo dell'effige di mostro che sta dipingendomi addosso.”

“E questo linguaggio ricercato ma immaturo, quale scopo ha?” Sorride sornione.

Cos'ha che non va il mio vocabolario...?

“Non uso mai questo schema linguistico quando mi rivolgo a coetanei o gente che non reputo in grado di comprenderlo o apprezzarlo.” E' quasi un ringhio quello che emetto.

“Quindi sei tu a decidere chi ne è, in qualche modo, meritevole?” Comincia a sfregarsi le mani. Il suono mi rilassa a tal punto che vorrei ringraziarlo e scusarmi.

“E' così...” sussurro, decisamente più calma.

“Ti reputi superiore?” Le sue mani continuano a carezzarsi vicendevolmente.

“O notevolmente inferiore... dipende dai punti di vista. Chi non usa a suo vantaggio le proprie abilità per sopperire alle mancanze...?”

“E di un intelligenza fuori dal comune.” Aggiunge.

“No. Penso di essere molto intelligente, è vero, ma non sono Dio. Non sono un essere perfetto né che vi si avvicina. Come entrambi sappiamo il QI è una castronata: esistono diversi tipi di intelligenza: quella emotiva, quella logico matematica, o ancora, quella linguistica... ma non possediamo una sola di queste; bensì, una sorta di miscuglio con diversi picchi e avvallamenti, se posso chiamarli così.”

“Castronata? Cosa significa?” Mi domanda.

Questo è tutto ciò che ha estrapolato...? Forse vuole solo farmi incavolare...

“Sciocchezza, è un altro modo per dire sciocchezza.” Gli rispondo, concentrandomi sul suono prodotto dalla pelle delle sue mani.

“E perché non hai usato questo termine? Invece di uno che, francamente, dubito sia Italiano.”

“Abitudine colloquiale, suppongo. Non ho idea quando, dove o perché sia diventato parte del mio lessico, nel caso se lo stia domandando.”

“Interessante.” Annuisce.

Davvero? Beh, potrebbe...

“Mi fa piacere.” Dico.

“Sei il caso che più è disposto al dialogo.” Dice.

Un caso... sono solo un caso? E la mia appartenenza al mondo dei viventi? Ah, chissenefrega!

“Ma mi stai dicendo tutto e nulla. Sfoggiare una parlantina ricca non mi aiuta, fino in fondo, a capire chi ho davanti.”

Ah, ora sono un 'chi', un qualcuno... che cambiamento...! Ad ogni modo, se lui facesse le domande giuste io non avrei remore a rispondere. Quindi che chieda quello che davvero vuole sapere! Santo cielo, e sono io quella che mette in piedi delle farse! Persino il suono sta cominciando a perdere i suoi effetti benefici... mi sto irritando.

“Non ho problemi a rispondere alle sue domande... non mi pare di aver eretto alcun muro.” Gli rispondo.

“Non solo sei disposta al dialogo. Vedo un enorme, soffocante brama di espressione.” Continua, come se non avessi fiatato, “ma ti rifiuti di essere, fino in fondo, sincera con me.”

“E' vero, ho bisogno di comunicare.” Dico, ormai ho capito che il discorso può seguire solo una regola di svolgimento, e non è la mia. Ma sono disposta a chinare la testa ed assecondarlo.

“Cosa mi nascondi?” I suoi occhi si riducono a due fessure. “Vedi, io posso anche stare qui in silenzio per tutta la durata della seduta. Lo stipendio arriverà comunque sul mio conto, alla fine di questo mese. Quella che ha qualcosa da perdere qui... sei tu.”

Come se fossi un idiota! E' una minaccia? Mi sta minacciando?!

“Lo so... ci sto provando...” replico.

“Non abbastanza.” Lo sfregamento cessa. Ora deve stare molto attento a ciò che pronuncerà...

“Mi dispiace, ma le garantisco che non posso fare meglio di così! Se le mi dice quello che vuole, allora io glielo darò! Maledizione!” E' quasi un urlo.

“Ah, eccola qui!” Si ritrae soddisfatto, “la tua essenza: la rabbia.”

Rimango in silenzio, incapace di controllare il tramare scoordinato dei miei arti.

“Tutti abbiamo un essenza basilare, qualcosa che, appunto, è alla base del nostro carattere. Ma è una condizione mutevole. Ora, cosa l'ha incarnata nella tua persona?”

“Sto male...” dico, dopo diversi secondi spesi a regolarizzare il respiro e calmare le mani.

“Questo penso fosse palese. Ma cosa ti fa stare male? La rabbia non è mai fine a sé stessa: c'è bisogno di frustrazione, dolore, paura... e altri condimenti. Quindi, cosa ti tormenta?”

“Ho una voragine nel petto... qualcosa che non so come colmare... qualcosa che comincio a chiedermi se vada richiusa.” Sospiro, “mi domando se sia giusto soffrire in questo modo.”

“Non è quello che è ho chiesto.”

Ho capito... ci sto arrivando.

“Sono tormentata dalla mia incompetenza. Dalla brama di mutare l'immutabile... da occhi verdi, spenti ed accusatori...” rispondo, l'ho fatto quasi involontariamente.

“Ora cominciamo a parlare la stessa lingua, ma non è ancora abbastanza. Di chi sono quegli occhi? Sono reali o sono una trasposizione di una paura?”

“Sono reali... erano della ragazza di cui ero innamorata... la stessa vita che ho preso...”

“Come ti fanno sentire?”

Non esito, “sudicia.”

“Sei sempre stata omosessuale?”

Ma che diavolo...? Non mi piace per nulla il modo in cui conduce il discorso: saltando da una parte all'altra...

“Si nasce.” Dico, a denti stretti.

“Mi dispiace, non è quello che intendevo. Riformulo, sei sempre stata conscia del tuo orientamento sessuale?”

“Sì.”

“Ti ha causato problemi, nel corso della vita? Nel rapporto con gli altri?”

“No, mai.”

“E a te? Ha mai causato problemi?”

“No.”

“Quindi sei attratta del tuo stesso sesso.”

“E' un problema?” Di nuovo qualcosa di simile ad un ringhio.

“Potrebbe, se le vittime fossero tutte donne, ma così non è. Inoltre non è una scienza esatta: maggiormente una probabilità. Uomini etero che uccidono donne; uomini gay che uccidono uomini; donne etero che uccidono uomini; donne gay che uccidono donne; gente che uccide qualcuno della sua stessa etnia.” Conclude, ma non c'era bisogno di farmi tutto l'elenco: conosco le casistiche.

“Quindi?” Domando.

“Hai mai provato il desiderio di uccidere qualcuno?”

Ora finge che non l'abbia fatto? Oppure è solo un modo per impostare il discorso? Poco importa.

“Non esattamente. Ma mi sono spesso domandata cosa avrei provato. Come mi sono domandata quale sapore possa avere il mango o il sushi... sono curiosa.”

“Il sapore di un cibo è un po' diverso dall' uccidere, dal privare della vita, o no?” Mi domanda, “o forse stai cercando di darmi un'altra chiave di lettura?”

“Dico solo che ho il brutto vizio di pensare troppo, di pormi domande su domande...”

“Ed è come l'avevi immaginato? Cosa si prova a togliere la vita?” Si sporge in avanti, appollaiandosi sul bordo della scrivania.

“Paura...”

“Paura per le conseguenze?” Ha un profumo diverso questa volta, forse colonia a... alle castagne? Possibile?

“Non so rispondere a questa domanda, ma non posso escludere che in gran parte si tratti di questo. Non sono credente, non temo l'ira di un Dio, né un inferno...”

“Cosa temi, allora? Cosa temevi subito dopo?”

“Era l'incapacità di porre rimedio a qualcosa di così troppo più grande di me, che mi spaventava. Il terrore di dover spiegare quello che avevo fatto... gli sguardi che si sarebbero sommati al suo...” deglutisco, “mi feriva la consapevolezza che non avrei mai più potuto interagire con lei... sapere chi sarebbe diventata...”

“Hai provato piacere?”

Senza rendermene conto comincio a piangere, “credo di sì...”

“Era un piacere d'intelletto o più animale?”

“Non lo so...” tirò su col naso. "Potrei avere ricordi distorti dal senno di poi."

“Provaci.”

“Credo... che fosse... che fosse entrambe le cose...”

“Hai provato un appagamento sessuale?”

“Non so rispondere... può essere, non ricordo con lucidità quei momenti...”

“Stai mentendo?” Si avvicina ancora al mio viso.

“Non lo so... ho avuto delle fantasie violente verso delle donne che reputavo attraenti, ma prima di allora erano solo cose nella mia testa, cose che sapevo non avrei mai attuato! Mai e poi mai!!!”

“E allora perché hai ucciso?”

“Non volevo farlo... e sicuramente non l'ho fatto per piacere...! Lei sarebbe dovuta morire per soffocamento... ed io le ho stretto le mani alla gola... era una forza superiore a muovere il mio corpo, io non volevo farlo!” Piango e urlo.

“Nessuna delle vittime è stata strangolata. A che gioco stai giocando?”

Credo di aver perso i sensi: non ricordo più nulla.

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Capitolo 10
*** Chi Ho Strangolato? ***


10

Chi Ho Strangolato?

 

 

Ecco un'altra lettera, so che sei curioso di sapere che diavolo stava succedendo! Lo ero anche io, ma continuerò a narrare i fatti col senno di allora, esattamente come se non conoscessi l'epilogo...

Ancora una volta faccio appello alla tua umanità, ti chiedo di ricordare chi sei... un essere umano, esattamente come me.

Mettiti comodo, amico mio.

 

 

'Nessuna delle vittime è stata strangolata.' Parole che schizzano in giro per la mia povera scatola cranica, s'infrangono contro le pareti della stessa per poi riformarsi più acuminate di prima.

Le ho stretto le mani attorno alla gola, l'ho uccisa! L'ho strangolata... so di averlo fatto... ho premuto le mie labbra contro le sue... ho usato una simile violenza da farci sanguinare entrambe... posso ancora sentire la sua gola calda sotto le mie dita, il vibrare delle sue corde vocali... vibravano talmente forte da farmi formicolare le mani...

E se nessuno avesse esplorato le cantine? No, dai! Non è possibile che il suo cadavere giaccia ancora nell'umida oscurità intrisa di salume e puzza di piedi (per i formaggi), non è possibile! Quel posto sarà stato rivoltato come un calzino... devono averla trovata!

Ma aspetta un secondo... e se... no! Il pensiero potrebbe condurmi alla follia... non oso nutrire simili speranze, sarebbe una violenza troppo grande da infliggermi... ma... se...

“Sorgi e splendi!” La voce di Rose mi sottrae troppo bruscamente ai miei pensieri, ma questa volta gliene sono piuttosto grata...

“Ciao, Rose...” le sorrido.

“Come ti senti? Hai sbattuto lo zigomo contro la scrivania.” Dice, avvicinandosi al bordo del mio letto.

“L'ho rotta?” Faccio forza sui gomiti, sollevando il busto quanto le cinghie mi consentono.

“Cosa?” Un sorriso incerto le increspa le labbra carnose.

“La scrivania...” sorrido, ma il tentativo di battuta non sembra aver sortito gli effetti desiderati.

“No, sciocca che sei!” Mi volta le spalle per prendere qualcosa dal suo carrellino.

“Rose.” Dico, guardandole le scapole che premono contro il tessuto bianco del camice, appena nascoste dalla cascata di boccoli rossi, “posso farti una domanda?”

“Certo, ma sappi che sto per fidanzarmi!” Si volta verso di me con un cerotto in mano.

Diamine... ho capito che sai di essere bella...! Ma il mio mondo non ruota attorno a ciò che nascondi fra le cosce!

“E' possibile sopravvivere ad uno strangolamento?” Le chiedo.

Le sue mani si fermano a pochi centimetri dal mio viso, il cerotto aperto a metà, “hai intenzione di fare del male a qualcuno?” Non mi piace il suo tono.

“No! Certo che no!” Urlo, “no! E' una cosa che ho letto...” mento.

Il suo viso si distende, “dipende.” Dice, applicando il medicamento appena sotto l'occhio sinistro. “Molta rilevanza ha anche la rottura del osso ioide; l’osso ioide è tenuto in sede da due muscoli chiamati muscolo geinioideo e stiloideo, che si attaccano alla faccia anteriore del corpo; sulla faccia posteriore, concava, è presente un legame con la membrana tiroioidea. E' l'unico osso che non si articola con altri! Vedi, nei casi d'impiccagione o strangolamento è praticamente una regola trovarlo fratturato.”

Queste informazioni, per quanto interessanti, non lo nego, non mi servono a niente...

“Continua, ti prego.” La invito. “Cosa succede se si frattura?”

“I sintomi sono diversi: difficoltà a deglutire, a respirare... può causare raucedine...”

Prima che continui dico: “ma la sua rottura non è sinonimo di morte? Giusto? E' possibile avvertirne la rottura durante lo strangolamento? Non lo so, al tatto o al udito?”

“Forse all'udito, non ho mai strangolato nessuno, sciocca!” Ride.

Cosa centra...?

“Ascolta, ma se la pressione è molto forte, sicuramente si è fratturato, giusto?”

Annuisce, “di sicuro.”

“Ma non è un verdetto di morte...” rifletto, cercando di ricordare se nella gola di Eleonora ho sentito qualcosa andare in pezzi, “ma se il soggetto è giovane, è possibile che fosse ancora piuttosto morbido, no? Quindi un suono assolutamente diverso da qualcosa di duro e rigido, no?”

“Certo, è molto cartilaginoso prima dei trent'anni.” Mi sorride.

“Ci vogliono diversi minuti prima di morire, no?” E' difficile, ma cerco di riportare alla mente quei momenti.

“Dipende da soggetto a soggetto, ma sì, ci vogliono diversi minuti.”

Bene, per ora sembra disposta a soddisfare le mie curiosità, probabilmente le piace il suo lavoro...

“E' possibile confondere gli occhi di un morto con quelli di un vivo?” Le chiedo.

“Certo, soprattutto se il tempo trascorso non è molto.”

Quindi potevano essere così appannati e spenti per la paura...?

“E' possibile che chi viene strangolato impieghi del tempo per tornare a respirare normalmente...?” Ma mi blocco, qualcosa mi è tornato alla memoria.

NO! Io non l'ho strangolata! Le ho tappato naso e bocca!!! Perché ricordo il calore del suo collo? La vibrazione della gola? Se non era Eleonora... allora attorno a quale collo ho stretto le mani...? Cosa diavolo mi sta succedendo...?! Perché ho dei ricordi falsi?! Fino a questo momento ne ero talmente convinta... ho davvero ucciso qualcun'altro? Ma se nessuna delle vittime è stata strangolata... non capisco, mi sembra di impazzire!!!

 

 

Certo che potevo evitare di riportarti quest'enorme malinteso, ma ho anche detto che ti avrei riportato fedelmente i fatti... ne ero davvero convinta... sappilo. E comunque, non è stato totalmente inutile...

 

 

“Hey... perché piangi?” Il viso di Rose è molto vicino al mio, ma i contorni sono indistinguibili...

Sono gemiti animali quelli che mi sgorgano dalla gola, non parole. Solo dolore e paura, no, terrore e angoscia... mi sento sopraffare da qualcosa di nero e freddo, così pesante che potrebbe uccidermi.

“Cosa c'è che non va in me...?” gemo.

 

“Ho bisogno di parlare col mio avvocato, Alessio.” Gli dico, mentre lui lascia cadere un paio di comics sul mio letto.

Vedo il suo pomo d'Adamo andare su e giù mentre ridacchia, mostrandomi i suoi orribili dentini, “e io cosa posso farci?”

“Prestami il cellulare.” Dico, guardandolo negli occhi.

“E' proibito e lo sai.” Mi si avvicina, “vuoi mettermi nei guai?”

“Anche quello che facciamo quando nessuno ci vede, è proibito, ma...” sto giocando col fuoco, lo so molto bene. Ma la paura deve arrendersi alla necessità.

I suoi occhi color ghiaccio si socchiudono, è uno sguardo pieno di rabbia, rancore, paura e minaccia, “non mi piace quello che stai facendo.”

Sì, l'avevo capito...

“Per favore. Non voglio essere costretta a minacciarti, quindi te lo chiedo per favore.”

“Tu che minacci me?” La sua voce trema.

“Se non vuoi lasciarmi usare il cellulare, ti prego di inviare un e-mail o un messaggio. Ti darò i suoi contatti. Ho bisogno di sapere... Alessio, ti prego!”

“Anche se lo dicessi a qualcuno, chi pensi che ti crederebbe?” La sua voce è un sibilo che arriva come un caldo, fetido soffio sul mio viso.

E' il momento di usare tutto il coraggio e dimenticare il significato di paura, “sicuro di voler rischiare?”

La sua mano destra arpiona la mia gola, mi spinge fino a quando spalle e nuca impattano contro il muro.

Sento le sue unghie spingere contro la carne fino ad infilarvisi, avverto il pulsare dell'arteria contro il palmo della sua mano come tonfi sordi, il calore mi invade l'intero cranio, e subito dopo è come se si stesse gonfiando... sento la pressione del sangue spingere da dietro i bulbi oculari. Non riesco a non pensare al mio osso ioide... si spezzerà?

“Tu che minacci me?” La sua voce gronda d'ira, ma comincia ad essere complicato comprendere il senso di ciò che dice... come se fosse un'altra lingua, sussurrata da qualcuno di lontano... sempre più distante... per qualche strana ragione, mi piace...

Guardo fisso le sue iridi, dalla colorazione più chiara delle mie, vedo i capillari gonfiarsi e conferire ai suoi occhi una sfumatura rossastra, quasi demoniaca... probabilmente anche i miei occhi appaiono così... forse anche quelli di colui o colei che ho strangolato... chissà?

“Ti... ti pre... prego...” rantolo. Non so per quale motivo, in realtà, io stia supplicando per la mia vita... forse l'immenso bisogno di sapere... forse quello.

Le immagini sono strane: è come se non avessero alcun senso, forma o colore... mi sento strana. Sento che le ginocchia, ovunque esse siano, stanno per cedere, sto per arrendermi... non so neppure se sto lottando o se sono immobile: è difficile percepirsi in momenti come quello...

Pochi secondi prima di svenire, sento la mano di Alessio staccarsi violentemente dalla mia carotide, le sue unghie lacerano via brandelli di carne e pelle: sento il famigliare bruciore dei graffi.

“Che cazzo stai facendo?!” Grida qualcuno.

Cado, ma riesco a frenare la caduta con le mani e ginocchia, pochi secondi ed il mondo che mi circonda ha di nuovo un vago senso. Tossisco e mi massaggio la gola, non provo esattamente dolore, ma è come se la sua mano fosse ancora lì e schiacciasse.

Fra tutti i visi che potevano torreggiare sopra di me, recando l'effige del salvatore, mai e poi mai avrei pensato di vedere quello di Graziella... quello del donnone...

“Tutto apposto?” Si inginocchia, pesantemente, davanti a me, posandomi le manone sulle spalle. “E' finita, va bene?”

Cosa sta facendo? Cos'è questa dolcezza? Questa premura nei modi?

“Grazie...” rantolo, stordita da molte cose diverse fra loro.

Quale strano fenomeno... violentare, ma non riuscire a tollerare che qualcun'altro lo faccia... quale strano e misterioso meccanismo...! Ma, ahimè, così comune...

“Grazie per avermi salvato...” rimarco, quasi a volerle spiegare il significato delle sue azioni, quasi a volerlo rendere indelebile e significativo.

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