Luna

di Crudelia 2_0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cinque anni dopo ***
Capitolo 3: *** Primo tentativo ***
Capitolo 4: *** La visita ***
Capitolo 5: *** Perseveranza ***
Capitolo 6: *** Di ricerche e pessimi amici ***
Capitolo 7: *** Reazioni e... ***
Capitolo 8: *** ... conseguenze! ***
Capitolo 9: *** Non è un appuntamento ***
Capitolo 10: *** Luna piena ***
Capitolo 11: *** Sulla buona strada ***
Capitolo 12: *** Iniziative pericolose ***
Capitolo 13: *** Sorprese ***
Capitolo 14: *** Il compleanno ***
Capitolo 15: *** Al successo! ***
Capitolo 16: *** Di male in peggio ***
Capitolo 17: *** Solitudine ***
Capitolo 18: *** L'intervento di Kathleen ***
Capitolo 19: *** L'intervento di Kathleen - Seconda parte ***
Capitolo 20: *** Greyback ***
Capitolo 21: *** Avvistamento ***
Capitolo 22: *** La (quasi) fine dei problemi ***
Capitolo 23: *** Quiete prima... ***
Capitolo 24: *** ... del processo ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Luna
 
 
Prologo ˗ Hermione non sa mentire
 
 
 


Luglio 1998
 

 
Il sole era bollente nell'aria immobile di metà luglio: impossibile esporsi, era faticoso anche respirare.
Harry e Ron erano coricati all'ombra di una grande quercia in riva al Lago Nero. L'erba offriva loro un po' di frescura, le foglie un po' di riparo dai raggi implacabili.
Ron masticava un filo d'erba tra i denti mentre lo sguardo si perdeva nei giochi di luce creati dai rami. A intervalli regoli apriva la bocca, poi scuoteva la testa e la richiudeva.
La situazione andava avanti da svariati minuti, all'insaputa di un distratto Harry dagli occhi chiusi e il sorriso beato perso in chissà quali pensieri.

«Harry» esordì alla fine Ron, dopo aver raccolto tutto il proverbiale coraggio Grifondoro. «Sono preoccupato».
Harry aprì subito gli occhi e lanciò all'amico un'occhiata sospettosa sotto le sopracciglia corrugate. «Che intendi?»
Ci pensò molto prima di rispondere, continuando a rigirarsi il filo d'erba tra le labbra.
«Mi preoccupa Hermione» disse con tono grave tinto di colpevolezza.

Harry si alzò su un gomito per osservare meglio l'amico. Ora, che Ron avesse delle preoccupazioni a due mesi dalla fine di una guerra magica che aveva sconvolto l'intero modo magico inglese era comprensibile, ma che si preoccupasse per Hermione - Hermione che lavorava instancabilmente per ricostruire Hogwarts, che studiava nei ritagli di tempo seguendo ossessive tabelle di ripasso per i M.A.G.O., che l'aveva lasciato un mese prima sollevandolo del peso che iniziava a sentire per essere alla sua altezza - era un'altra questione.
«Pensi abbia un altro...» esitò, masticando la parola tra i denti. «uomo?»
Ron arrossì in zona orecchie, ma non incrociò lo sguardo dell'amico. «No, non penso questo.» disse con tutta calma.
L'improvvisa aria composta di Ron fece trillare un campanello d'allarme nella testa di Harry.
«Allora cosa?» chiese confuso, ma con una punta di sollievo. Vedere i suoi due migliori amici allontanarsi per colpa di una terza persona non era ciò che più desiderava al momento. Certo, sarebbe successo, ma non ora.

Ron sospiro, profondamente e a lungo. La voce cavernosa con cui disse la frase seguente face capire quanto ci avesse pensato e quanto poco amasse la conclusione a cui era giunto. «Penso che sia un lupo mannaro».
Un silenzio attonito seguì la frase, prima che Harry produsse una risata a metà strada fra l'incredulo e uno sbuffo. Cercò di frenarsi subito: ricordava quanto lo feriva quando Ron e Hermione non credevano alle sue teorie su Draco al sesto anno, ma un sorriso impunito restò ancorato agli angoli della bocca.
«Un lupo mannaro?»
Ron annuì secco. Ancora non lo guardava, pallido sotto le lentiggini.
Harry lo guardò a bocca aperta per una decina di secondi prima che il suo cervello si scuotesse dallo shock e mandasse qualche parola alle corde vocali.
«Dai, Ron, è impossibile! Quante lune piene abbiamo passato insieme in tenda?». No, non era quello che aveva pensato di dire. Voleva suonare comprensivo più che esasperato.
Ron strinse le labbra. «Due, dalla battaglia di Hogwarts.»
«Oh». Questo cambiava le cose.

La serietà e l'accuratezza delle informazioni di Ron fecero stringere lo stomaco ad Harry. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma ogni frase suonava ridicolmente vuota. Prima che parlasse di nuovo passò tanto tempo che il discorso poteva essere caduto nel vuoto.
«Venerdì c'è la luna piena» disse, tornando a sdraiarsi sulla schiena.
Aveva iniziato a prestare attenzione al calendario lunare da quando il piccolo Teddy era per metà sotto la sua responsabilità. Per ora si era rivelata una precauzione inutile: Teddy non subiva minimamente l'influenza lunare. Forse diventava un pochino irritabile, ma Harry sospettava che l'ultima volta la colpa più che della luna fosse della tisana al finocchio che Andromeda l'aveva costretto a bere.
«Potremmo organizzare una cena» buttò l'idea.
Finalmente Ron si voltò nella sua direzione. «Così se non viene sappiamo il perché» sembrava sorpreso, come se fosse il piano più geniale che avesse mai sentito.
«Se invece si presenta possiamo stare tranquilli» disse Harry, alzandosi.
Diede una pacca alla spalla dell'amico poi, insieme, si avviarono al castello discutendo su quale squadra si sarebbe qualificata l'anno prossimo ai campionati di Quidditch.
 
 
 
«Come sarebbe a dire che non vieni?»
L'urlo suonò in Sala Grande soverchiando per un momento il brusio dei presenti. La McGranitt, all'altro lato del tavolo, si voltò con le labbra strette di disapprovazione.
«Ma, Ron...» Hermione annaspò per un momento, sorpresa dalla reazione spropositata dell'amico. «Mangiamo insieme tutti i giorni» concluse affondando la forchetta nei broccoli che continuava a rigirare nel piatto.
«Ma non è la stessa cosa!» rispose allargando esasperato le braccia. «È una festa! Invitiamo anche Luna, Neville e... magari mia sorella, non so... George»
«Non lo so, Ron.» infilò finalmente la forchetta in bocca, più per prendere tempo che per appetito. Masticò lentamente prima di costringersi ad ingoiare. «E poi la prossima settimana c'è il compleanno di Harry».
«Meglio ancora, due feste!». Soddisfatto dell'uscita torno ad attaccare il pollo.
«Cosa ne pensi, Harry?» chiese Hermione.

Ma Harry non li stava ascoltando: era alzato per metà sulla panca, impegnato a sbracciarsi per farsi vedere e raggiungere da Ginny, che aveva appena varcato la grande porta di legno.
Hermione strinse le labbra sconsolata. Venerdì c'era la luna piena. Avrebbe voluto stare da sola, ma sapeva che non sarebbe cambiato alcunché.
Con un gran sospiro allontanò il piatto da sé, ormai lo stomaco era irrimediabilmente chiuso.
 
 
 
Il venerdì arrivò troppo in fretta. I giorni passarono in un turbinio di riparazioni, lettere dal Ministero, organizzazione dell'anno scolastico seguente e frettolosi pasti in Sala Grande.
Hermione si era svegliata con la nausea: lo stomaco dolorosamente chiuso e il sapore di bile al fondo della gola. Si era costretta ad ingoiare qualche sorso di the, poi era scappata in biblioteca, grata che quel giorno le toccasse il compito di catalogare tutti i libri.
Più passavano le ore più si sentiva agitata: la gola secca e un peso in fondo allo stomaco che a intervalli regolari stritolava i muscoli.
Il pranzo lo saltò senza esitazioni, a chiunque venisse a chiedere informazioni diceva che era troppo indietro rispetto alla tabella di marcia che si era prefissata quella mattina. Non era stato difficile ingannarli ˗ neanche Ron, che ultimamente la scrutava con gli occhi socchiusi dal sospetto ˗, ma la situazione precipitò quando Ginny entro in una folata di capelli rossi e profumo di fiori.
Nauseante, pensò Hermione prima di sentirsi in colpa.

«Hermione» disse allegra appoggiandosi affianco ad una pila precaria di spessi volumi rilegati in pelle «Sono ore che ti ceco».
«Sono sempre stata qui» rispose scrivendo il titolo di uno spesso libro vicino al numero corrispondente.
«Non pensi sia il momento di prendersi una pausa?» chiese mordendosi un labbro e osservandola con attenzione. «Dovremmo iniziare a prepararci per stasera» continuò con tono distratto.
Hermione sospirò, non voleva andare a quella fasta. Erano giorni che la nausea la tormentava, inoltre si era intravista poco prima in uno specchio del bagno: le occhiaie erano blu e marcate come se non avesse dormito per notti intere e rendevano ancora più evidente il pallore anormale per un mese estivo e decisamente malaticcio.
«Non penso che verrò, Ginny» provò esitante.
«Non puoi non venire!» fu la risposta più che prevedibile. «Harry e Ron la stanno organizzando da giorni. E poi» alzò un dito per interrompere la protesta che era salita alle labbra di Hermione «ho già il vestito pronto.»
L’ennesimo sospiro lasciò le labbra di Hermione, ci passò la lingua sopra per inumidirle prima di posare la piuma sul tavolo e alzare gli occhi sull’amica.
«Ginny-»
«Hermione, stai bene? »  chiese con le sopracciglia aggrottate e l’aria preoccupata.
aHermione bbozzò un sorriso stanco, ma temette che il risultato fu solo una smorfia. «Sono solo stanca»  disse passando una mano tra i ricci scomposti e annodati.
«Te l’ho detto che ti serve una pausa». Senza aspettare una risposta catturò il polso di Hermione tra le dita calde e la trascinò fuori dalla biblioteca. Non ascoltò le sue proteste finché non furono arrivate nella stanza di Ginny, nel dormitorio Grifondoro.

«Ecco qui! »  disse la rossa on aria soddisfatta, mentre Hermione si lasciava cadere ansimante sulle lenzuola.
«Ho comprato questo vestito secoli fa, ancora uscivo con Dean»  iniziò a parlare frugando nell’armadio. « Non ricordavo neppure di averlo  ˗ e ormai per Harry ho già in mente un’altra sorpresa ˗ ma sono sicura che a te andrà benissimo». Emerse trionfante con in mano un abito celeste che Hermione, pur senza indossarlo, ritenne eccessivamente corto.
Si tirò a sedere con fatica, sembrava avesse raccolto tutte le sue forze per compiere quella semplice contrazione dei muscoli addominali.
«Ginny»  iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia»  Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo»  sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.  
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì»  rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
«Ginny»  la voce si spezzò sull’ultima sillaba «Sono incinta».










Note: perchè io inizi a scrivere nuove storie quando ho altre millemila cose da finire è un mistero destinato a rimanere irrisolto. Ma, come si dice, l'ispirazione!
Cercherò di essere quanto più puntuale con gli aggiornamenti, ma un piccolo incoraggiamento (o critica, anche, qualsiasi parere è ben accetto) sarebbe senz'altro d'aiuto per il seguito.
In ogni caso, grazie a chi è arrivato fin qui,

Crudelia 

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Capitolo 2
*** Cinque anni dopo ***


Capitolo 1 - Cinque anni dopo
 
 
 
Aprile 2003
 
 
 
«Non mi sembra una buona idea, Ginny» disse Hermione rigirando lo zucchero nella tazza di the.
Ginny alzò gli occhi al cielo, esasperata dalla risposta che era certa l'amica le avrebbe dato. Si porto la tazza alle labbra osservando la foto che ornava il mobiletto da salotto di Hermione: abbracciati e sorridenti, lei, Ron e Harry salutavano il fotografo agitando il diploma con lo stemma di Hogwarts. La tonaca nera la copriva, ma Ginny sapeva che la pancia di Hermione aveva già allora iniziato a mostrare la prima rotondità.
«Ci sarà anche Teddy» disse in tono distratto continuando ad osservare le fotografie. Quella accanto mostrava un'esausta, ma felice Hermione, tra le braccia stringeva un bambino dai grandi occhi neri che, contrariamente a tutte le aspettative, sorrideva.
«Sai bene quanto me quanto il suo essere un metamorfomago lo aiuti a non sentire i sintomi» rispose Hermione con lo stesso tono che usava quando doveva spiegare per l'ennesima volta qualche concetto ai suoi amici distratti. Era diventata madre, ma certe abitudini erano dure a morire
Ginny aprì la bocca per protestare, ma fu interrotta dall'entrata di Harry nella stanza.
«Uff» sbuffò buttandosi sulla poltrona «sono piccoli quanto uno snaso, ma hanno energia da vendere». Per confermare la sua teoria un urlo di vittoria provenne dalla camera vicina. Hermione sorrise condiscendente mentre la coppia si scambiava uno sguardo complice e concorde sull'avere figli un po' più in là.
«È quello che ti dico sempre, Harry» disse Hermione versando una tazza di the anche all'amico.
Harry accettò di buon grado, stava aggiungendo lo zucchero quando Ginny decise di esordire con quello che chiamava il Metodo Molly. «Hermione mi stava dicendo che sarebbe felicissima di venire alla festa di sabato.»
Harry alzò gli occhi verso di lei aprendosi in un largo sorriso. «Davvero?»
Hermione le lanciò un'occhiata che avrebbe avuto il potere di incenerire. «Veramente io-» fu interrotta da un altro urlo, questa volta seguito da inconfondibili rumori di piedi che corrono.
Teddy si fermò in scivolata a pochi centimetri dal basso tavolino di vetro, i capelli azzurri coordinati alla maglietta con un sorridente dinosauro.
«Primo!» urlo, gettando i pugni chiusi in aria in segno di vittoria. Vittoria breve: fu travolto e buttato a terra. Dopo una scaramuccia di alcuni secondi per chi riuscisse ad alzarsi prima il secondo contendente si eresse trionfante.
«Non è valido» disse scrollandosi sulle spalle i lunghi capelli neri «Tu hai le gambe più lunghe.» Lo guardò ancora un attimo con la piccola bocca atteggiata in una smorfia di disprezzo, poi scoppiarono a ridere entrambi.
«Cosa state combinando?» chiese Hermione sorridendo e spostando il vassoio più lontano, dove sarebbe stato più al sicuro.
«Siamo riusciti a fare una cosa pazzesca!» disse Teddy alzandosi con un salto. «Dai, Kat, faglielo vedere!» saltò sul posto, emozionato.
La bambina, al contrario, posò tranquilla una piccola macchina arancione sul tavolo. Sorrideva, ma l'emozione in lei si mostrava scintillando nei grandi occhi scuri e sgranati.
«Al mio tre» disse solenne incontrando lo sguardo del bambino. Teddy annuì serio, i capelli che cambiavano colore in una più profonda sfumatura di blu.
«Uno, due...» entrambi fissarono la macchinina con uguale concentrazione, le sopracciglia aggrottate e i pugni chiusi. «Tre!»
Subito non successe nulla, poi, lentamente, la macchina iniziò a muoversi. Dapprima lentamente, in un paio di secondi aveva già percorso metà della lunghezza del tavolino. Accelerò finché non andò a sbattere contro il vassoio con una vibrazione prolungata e acuta.
«Si!» entrambi i bambini gettarono e la braccia all'aria, saltando con grandi sorrisi.
«Hai visto? Hai visto, mamma?» la bambina saltò sulle ginocchia di Hermione abbracciandola stretta con le braccia esili strette al collo.
«Siete stati bravissimi!» rispose accarezzando i capelli della figlia. Differenti nel colore, aveva ereditato dalla madre gli stessi capelli ricci e cespugliosi, complici il carattere dinamico della bambina e i giochi vivaci, finivano sempre con l'apparire selvaggi.
«È stata mia l'idea, Teddy non riusciva all'inizio.» spiegò con tono emozionato che non riusciva a nascondere un pizzico di orgoglio per essere riuscita ad insegnare qualcosa al bambino più grande.
«Sei stata brava, Kathleen» intervenne Harry dal divano di fronte. «Se continui così diventerai una perfetta Corvonero, ancora più intelligente della mamma.»
Hermione sbuffò, la bambina rise felice prima di saltare sul tappeto e iniziare a correre verso la stanza. «Arrivo prima io!» urlò rivolta a Teddy che subito si precipitò sulla sua scia.
«Sei partita prima!» lo sentirono urlare dal corridoio, ormai era già sparito.
 
«Che tipetta» commentò sorridendo Harry riprendendo in mano il the, ormai raffreddato. «Ogni tanto mi spaventa.»
«Già.» sospirò Hermione, portandosi la tazza alla bocca.
Ginny fu rapida a cambiare discorso, ma Hermione non stava più ascoltando.
Kathleen era una bambina straordinariamente precoce per la sua età. Solitamente tranquilla e curiosa, aveva iniziato a imparare a leggere le prime parole molto prima dei suoi coetanei. Hermione non se n'era sorpresa: fin dalla tenera età le leggeva storie e favole, la preoccupazione era arrivata quando aveva capito che la bambina non sopportava sapere meno cose di Teddy. Le aveva spiegato che non era possibile farle iniziare la scuola con l'amico di un anno più grande, ma si era mostrata testarda: per una settimana si era rifiutata di parlare finché Hermione non si era esasperata. Il giorno dopo Kathleen si era svegliata felice come una settimana prima.
Quella fu la prima volta che Hermione si scontrò con la caparbietà della figlia, ma ancora non aveva capito la causa.
Iniziò a sospettare qualcosa nei mesi successivi, quando ciclicamente la bambina si mostrava irritata, capricciosa e quasi malata.
Ne aveva avuta piena comprensione una sera qualunque dell'anno prima quando Kathleen si era rifiutata di assaggiare una carota. Dopo l'ennesimo urlo Hermione aveva deciso una punizione e la bambina l'aveva sfidata fissandola negli occhi. Da lì se ne accorse. Le iridi verticali e una sfumatura gialla e ferina nello sguardo, aveva alzato gli occhi alla finestra e la luna piena l'aveva guardata ghignando con la sua luce eterea.
Per la prima volta quella notte Hermione ebbe paura di sua figlia.
Si era ripromessa di non averne, di non allontanare la sua bambina per una rabbia che non le apparteneva, ma a volte le risultava difficile.
Deglutì, posando la tazza sul tavolo consapevole che con lo stomaco chiuso non sarebbe più riuscita ad ingoiare nulla.
Se doveva essere sincera, temeva seguisse le orme del padre: non una perfetta Corvonero, ma una piccola, subdola Serpeverde.
Si rimproverava ogni volta dopo tali pensieri, sostenendo che nessuna madre avrebbe pensato cose tanto orribili del proprio figlio, ma una parte della sua mente - quella insolitamente ghignante, che sussurrava e insinuava con la voce sibilante del medaglione di Salazar - le suggeriva che non abortire era stata una pessima scelta.
«...emmeno venti, che ne dici?»
Hermione tornò alla realtà accorgendosi che entrambi i suoi amici la stavano fissando.
«Scusa?»
«Dicevo» iniziò Ginny umettandosi le labbra «non saremmo nemmeno venti.»
«Dai, Hermione, Teddy compie sei anni.» rincarò la dose Harry.
Li guardò ancora un attimo scettica, indecisa.
«Non so...» si morse un labbro.
«Non puoi farla vivere per sempre in una campana di vetro.»
Incontrò gli occhi nocciola di Ginny. Non c'era bisogno di parole, fra loro.
«Va bene» asserì, tuttavia poco convinta. Dall'altra stanza arrivarono tonfi e un lamento. «Ah, i miei libri, Teddy!»
 
 
 
Hermione indossò gli occhiali da sole mentre usciva dalla metropolitana. La primavera era arrivata presto, offrendo un sole caldo combattuto da una fresca brezza.
Non era la prima volta che portava la figlia a Diagon Alley, ma la bambina saltava emozionata a pochi passi da lei, le trecce che dondolavano simmetriche sulla schiena fasciata dal vestito verde pastello.
Arrivata alle strisce pedonali si fermò e aspettò la madre, come le era stato insegnato.
«Mamma, a Teddy piacerà il nostro regalo?» chiese prendendo la mano che Hermione le stava tendendo.
«Lo scopriremo presto, amore» rispose.
La bimba annuì. «Io lo spero, a me piace»
«Sicuramente gli piacerà il tuo biglietto» disse Hermione. Kathleen la ricompensò con un sorriso smagliante e fiero. Aveva lavorato tutta la settimana per fare un biglietto d'auguri per l'amico, "deve essere il più bello" aveva deciso. Aveva disegnato loro due intenti a volare su manici di scopa persi nel cielo, i cappelli di Teddy gialli come il sole. Sullo sfondo: Hogwarts.
Raggiunsero il Paiolo Magico leggermente in ritardo, ma Hermione ovviò il problema dirigendosi lesta verso il camino, dedicando a Tom un saluto frettoloso, ma cordiale.
«Ricorda...»
«Bocca e occhietti chiusi» finì per lei la figlia con una risatina. Non era la prima volta che si spostavano usando la Metropolvere.
Hermione prese una manciata di polvere e con l'altro braccio sollevò Kathleen, appoggiandola su un fianco con le sue braccia strette al collo.
Entrò nel camino e guardò la figlia. Kathleen era già pronta: le labbra strette tra loro e gli occhi serrati. Non resistette e scoccò un bacio sul nasino della figlia, facendola ridere.
Con il suono della risata della figlia nelle orecchie aprì la mano e gettò la polvere.
«La Tana!»
 
 
Il salotto era già gremito di gente, il tappeto sporco di cenere e fuliggine.
Kathleen si dimenò tra le sue braccia per scendere e correre a giocare.
«Non dimenticare di salutare Molly e ringraziarla» si raccomandò mentre posava la figlia a terra e le sistemava la gonna.
«Sì, mamma» rispose, ma stava già correndo verso il cortile.
Hermione la guardò con l'ombra di un sorriso finché non sparì, poi iniziò a farsi strada con lo sguardo tra tutti i presenti. Ginny le aveva detto non più di venti persone, ma doveva immaginare che non sarebbe stato vero: i Weasley - specialmente quelli imparentati con i Potter - non erano capaci a fare feste intime.
Salutò Charlie, ben felice di avere una scusa per allontanarsi dalla logorroica cognata francese. Si fermò ad informarsi degli affari di George e discutere dell'ultimo caso che aveva creato scalpore al ministero con Percy. Finalmente vide Harry tra la folla, ma lo perse quando fu fermata da Minerva.
Dopo svariati minuti riuscì ad entrare in cucina, dove Molly ancora sistemava gli ultimi dettagli per la cena.
«Oh, Hermione, cara» la salutò mentre con un colpo di bacchetta mandava un paio di piatti a lavare. «Benvenuta! E dov'è la piccola Kathleen?»
Hermione posò il pacchetto per Teddy sulla piccola montagnola che si era creata sul tavolo. «L’ho persa subito, è scappata a giocare non appena siamo arrivate»
Le due donne condivisero un sorriso che solo le madri che combattono quotidianamente con i propri figli possono conoscere.
«Harry e Ginny sono di là» disse come se avesse percepito la sua domanda.
«Grazie, Molly» rispose sorridendo.
Trovarli tuttavia fu di nuovo una piccola avventura.
«Hermione!» Si girò verso la voce in tempo per vedere Ginny che si avvicinava nella sua direzione con due bicchieri in mano. «Sei arrivata finalmente»
Accettò il bicchiere bevendo un sorso. «Sono arrivata già da un po', ma non riuscivo a trovarvi fra tutta questa gente»
Lo sguardo di vago rimprovero fu ignorato con naturalezza. «Oh, ecco Harry. Harry, Harry! Siamo qui!» chiamò alzandosi sulle punte.
Hermione soffocò il sorriso nel bordo del bicchiere.
 
 
La cena arrivò e passo in un'atmosfera felice e rilassata. Nonostante i membri dell'Ordine trovassero ogni occasione come buona per riunirsi e festeggiare, era sempre bello passare del tempo insieme.
Hermione stava partecipando attenta ad una conversazione su un articolo uscito da poco su Trasfigurazione Oggi con Minerva quando Victorine, i grandi occhi sgranati e pieni di lacrime urlò con voce indignata. «Mammaaa, Kathleen mi ha morso!»
Kathleen spuntò all'improvviso al suo fianco: i capelli spettinati dai giochi, le guance accese e in viso l'espressione che indossava ogni volta che era pronta a combattere.
Hermione gettò uno sguardo al cielo e non si stupì di vedere la luna già sorta.
«Non è vero, ha iniziato lei!» iniziò a difendersi cercando con lo sguardo la madre lungo il tavolo. Teddy comparve rapido al suo fianco e subito annuì solidale.
Fleur corse dalla figlia e iniziò a guardarle il braccio, senza mancare di lanciare uno sguardo altezzoso sopra la spalla nella direzione di Hermione.
«Mamma, non è vero!» Kathleen venne nella sua direzione «Lei non voleva farmi giocare»
«E tu l'hai morsa?» chiese Hermione alzando le sopracciglia. Non avrebbe difeso la figlia per partito preso.
Kathleen si tormentò l'orlo della gonna, segno che aveva torto e ne era consapevole.
«Sì» bisbigliò con voce lieve.
Hermione sospirò. «Kathleen, sai che è sbagliato»
«Lo so!» disse alzando la testa e incrociando i suoi occhi neri.
Hermione aprì la bocca, ma la bimba la precedette. «Ma lei diceva di non posso giocare alla famiglia perché non ho un papà e non so come fare»
Hermione la guardò senza parole. Kathleen sapeva ogni cosa: chi era suo padre e perché non potevano stare insieme. Sapeva che ne soffriva, nonostante sapesse che il padre faceva parte dei "cattivi", ma sperava che nessun bambino sarebbe mai stato così crudele da farglielo pesare.
«Vieni qui» disse con tenerezza facendo salire la bambina sulle sue ginocchia. «Sai che non è vero»
La bimba tirò su con il naso. «Sì, ma lei ha detto che non posso»
Hermione le catturò una lacrima approfittandone per stringerla a sé. «Kat, solo perché non hai un papà non vuol dire che non puoi fare qualcosa»
«Mamma...»
«Sì, amore?»
«Anche Teddy non ha un papà, ma lui ha Harry»
Minerva accanto a loro con molto tatto distolse lo sguardo, lasciando a madre e figlia lo spazio di cui avevano bisogno. Hermione quasi non se ne accorse: niente faceva male come veder sua figlia soffrire.
«Amore, ascoltami» iniziò facendo alzare il viso alla bambina per incrociare i suoi occhi. «Ti prometto che appena risolviamo il problema con la luna penseremo anche a questo, d'accordo?»
La bimba annuì, facendo un sorriso lacrimoso, poi gettò le braccia al collo di Hermione e la strinse stretta. Se la mamma faceva una promessa era sicura l'avrebbe mantenuta.
Hermione ricambiò l'abbraccio con lunghe carezze sulla schiena della bambina. Come la faccenda del padre, era stata costretta a spiegarle anche i sintomi che sentiva ogni mese allo spuntare della luna piena. "Il problema con la luna", l'avevano chiamato. Un modo carino per indicare la sgradita e ingombrante eredità paterna.
«Guarda, Kathleen, Teddy sta iniziando ad aprire i regali» la chiamò Minerva.
Hermione ringraziò la donna con un sorriso mentre la figlia si sistemava meglio sulle sue ginocchia e si sporgeva curiosa verso il punto dove Teddy scartava i regali.
Teddy aprì entusiasta una nuova scopa giocattolo da parte del padrino, un maglione di Molly, il libro sui dinosauri di Kathleen e Hermione e una scatola con alcuni scherzi di George. Alla fine del cumulo e molti sorrisi e ringraziamenti dopo era rimasta una sola scatola. Semplice e di legno intagliato, stonava un po' fra tutta la carta da regalo colorata.
Teddy la aprì con espressione seria alzando semplicemente il coperchio. Guardò il contenuto in silenzio per un paio di secondi prima di cercare Harry e chiedere «Che cos'è?»
Lasciò cadere il coperchio scoprendo così tante sfere nere e lucide, piccole come la capocchia di uno spillo.
«Biglie» disse Kathleen, protesa il più possibile sulle ginocchia della madre.
«No, amore. Sono occhi di scarafaggio» la corresse Hermione, le sopracciglia corrugate e perplesse per lo strano regalo.
Minerva, al suo fianco, sfubbò una risata. «Tipico si Severus» iniziò sorridendo «fare un regalo che nessun bambino al mondo apprezzerebbe»
«Severus?» chiese Hermione girandosi nella sua direzione «Intende il professor Piton?»
«Proprio lui» annuì Minerva.
«C'ho sempre detto che era brav'uomo» disse Hagrid con tono pericolosamente commosso «Mandare regali al piccolo Teddy».
Hermione lo guardò stranita.
«Ero convinto fosse ancora in Amazzonia» intervenne Charlie «È già tornato, Minerva?»
«Oh, no. Sta ben attento a tenersi alla larga da me dal nostro ultimo incontro»
Con la sempre più pressante sensazione di essersi persa molte cose - l'ultima volta che Hermione aveva visto Piton era stata in una stanza d'ospedale, l'ultima volta che aveva sentito il suo nome l'uomo aveva appena scritto e pubblicato un libro di pozioni - si convinse a chiedere spiegazioni.
«In Amazzonia?» chiese quindi, alternando lo sguardo tra Charlie e l'anziana professoressa.
«Sì,» confermò quest'ultima «si è deciso a fare il ricercatore quando gli ho proposto di tornare a Hogwarts. E così ho perso il miglior insegnante di pozioni che abbia mai avuto» finì in tono amaro.
«E quando tornerà?» chiese ancora, di getto.
Minerva la guardò stupita. «Se lo conosco bene avrà già raccolto tutti gli ingredienti di cui aveva bisogno, ma starà lontano finché non avrà la certezza che io abbia già trovato un nuovo professore»
Hermione non rispose e la conversazione proseguì.
Fissò la scatola di legno contenente quello strano regalo mentre una mano, inconsapevolmente, accarezzava i capelli di sua figlia. Un'idea aveva iniziato a farsi strada nella sua mente, doveva solo ottenere tutte le informazioni per realizzarla.

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Capitolo 3
*** Primo tentativo ***


Capitolo 2 – Primo tentativo
 


 
Maggio 2003
 

 
Hermione ci aveva riflettuto a lungo e attentamente, ed era giunta alla conclusione che quella fosse l'unica soluzione possibile.
Sentiva un vago senso di anticipazione alla bocca dello stomaco se pensava che mancavano pochi giorni a ciò che si era prefissata.
Sospirando, poggiò i gomiti sulla scrivania e iniziò a massaggiarsi le tempie. Era stanca. Da quando il signor Smith aveva preso il comando dell'ufficio e Jessica si era licenziata -e a ragione, a suo parere, a seguito delle avances forzate dell'uomo- Hermione era sobbarcata di lavoro.
Non che non lo amasse, certo, ma essere una donna in carriera e al contempo madre era faticoso.
Chiuse gli occhi, ormai consapevole che la concentrazione per quel giorno se n'era ormai andata, e cercò di ignorare i brontolii che la pancia continuava a produrre, insistente, da quando il solo the che era riuscita ad ingoiare quella mattina non era più sufficiente.
Non che fosse in ritardo: lei e Kathleen avevano instaurato una routine perfetta.
Ogni giorno la sveglia suonava impeccabile alle sei e mezza, Hermione si alzava, lavava e vestiva dedicando un'intera mezz'ora solo a se stessa.
Alle sette svegliava la figlia, insieme facevano colazione e poi la preparava per la giornata all'asilo. Per entrambe, la parte più faticosa dell'intera procedura era domare i capelli.
Alle otto salutava la figlia con un lungo abbraccio e la guardava, avvolta nel grembiulino inamidato, finché non si sedeva a giocare con gli amici. Da lì usciva in fretta e al primo vicolo si smaterializzava al Ministero.
Le giornate erano lunghe e faticose, staccava alle quattro in punto e, anche se Voldemort fosse tornato ad architettare la conquista del mondo magico, si sarebbe diretta a prendere la figlia. Passavano insieme il resto del pomeriggio prima di una cena leggera e, finalmente, la nanna.
Tutto procedeva liscio con le sole eccezioni del martedì e giovedì, durante i quali Kathleen frequentava le lezioni di danza, e il venerdì, in cui Hermione si fermava in ufficio fino alle otto per sbrogliare il lavoro che non avrebbe svolto nel weekend.
Tutto perfetto, appunto. Il motivo per cui non era riuscita a fare colazione era l'ansia costate che la attanagliava, a volte così improvvisa da stringerle lo stomaco come un attacco di panico.
Gettò un'occhiata frettolosa dell'orologio. Ancora due ore, sospirò.
Prese tra le mani i documenti per i nuovi accordi con i maridi della Manica, ma li posò dopo aver letto solamente le prime due righe. Per tre volte.
Alla fine decise di alzarsi e recarsi alla finestra, alla busta che da quella mattina la stava aspettando. Inutile ignorare ciò che continuava a distrarla. Con un lieve sorriso aprì la carta stropicciata.
 
Cara Hermione,
ancora una volta, come sempre, devo darti ragione: questo viaggio è favoloso.
Al momento siamo in una foresta al sud della Spagna (zanzare e umidità a non finire) e non avrei mai pensato che potesse avere questa atmosfera. E pensare che siamo stati vicino alla Foresta Nera per sette anni!Luna dice che penso questo perché l'ho sempre visitata di notte e forse ha ragione. Tra l'altro, è sempre forte! Conosce un sacco di proprietà e ingredienti, per ogni pianta sa dire la famiglia e il nome in latino.
Ogni giorno penso che dovevo essere un pazzo per aver esitato ad accettare la sua proposta, quando tutto questo finirà penso che mi mancherà molto.
Comunque anch'io mi sto dando da fare: ho già trovato diverse cose che interesseranno a George e saranno utili per il negozio.
Adesso devo andare, riesco a spedire questa lettera perché abbiamo fatto tappa in un paesino sperduto, ma siamo solo di passaggio.
Spero che anche voi stiate bene, specialmente Kat e un in bocca al lupo (metaforicamente!) per la prossima luna piena. Un bacio dal suo zio preferito.
Sempre vostro,                                     
Ron
 
Hermione sorrise: Ron era davvero lo zio preferito di Kathleen ed era piuttosto triste quando aveva scoperto che si sarebbe allontanato per un viaggio di sconosciuta durata.
In ogni caso, le lettere arrivavano. Anche se quella che stringeva tra le mani era arrivata in consistente ritardo: la luna piena era passata già da una settimana.
Si morse un labbro, alzando il viso verso il soffitto e senza realmente vederlo. I suoi pensieri finivano sempre lì: unica, fissa, indesiderata meta.
Se aveva deciso era ora che facesse qualcosa, prima che le informazioni che aveva tanto faticosamente ottenuto diventassero così vecchie da essere inutilizzabili.
Raccolse a piene mani il suo coraggio e si sedette alla scrivania, prese un foglio e iniziò a scrivere un biglietto a Molly per chiederle il favore.
 
 
 
«Sei sicura di aver preso tutto? Non potrò venire a portartelo»
«Sicura, mamma»
Hermione guardò sua figlia annuire con espressione decisa. Con lo zaino sulle spalle e le due trecce nere sembrava un piccolo boy scout pronto all'esplorazione.
Sentì le labbra curvarsi e lo sguardo addolcirsi. «Andiamo allora»
 
Kathleen non aveva smesso un momento di parlare, eccitata.
«Sì, Kat, ma stai ferma»
La bambina si immobilizzò subito, permettendo alla madre di chiudere tutti i bottoni del grembiulino giallo.
«Mi raccomando, lupacchiotta, Molly ti verrà a prendere e non voglio capricci» iniziò guardandola direttamente negli occhi. Le riusciva facilmente dalla posizione accovacciata che aveva assunto.
«Sì, mamma»
«E questa notte dovete dormire, non fare la furbetta con Teddy»
Kathleen sorrise come solo i bambini che sono stati scoperti sanno fare. Hermione la guardò eloquente e la bimba scoppiò a ridere.
«Faremo i bravi, promeeesso»
«Mh, speriamo. Altrimenti sarà l'ultima volta»
Insieme si diressero verso la porta.
Hermione si abbassò per abbracciare la figlia. La strinse forte e a lungo, le sarebbe mancata anche se avrebbe dormito solo una notte fuori casa. E con Molly, per giunta.
«Ti voglio bene, mamma»
«Anche io, amore» rispose trattenendola ancora un po' «Tanto tanto»
Si scambiarono un bacio, poi la lasciò andare.
 
 
 
Hermione fece vagare lo sguardo dal biglietto che aveva in mano all'edificio di fronte.
Strano, ecco l'unica parola che le saltava alla mente. Le sembrava strano che un uomo diventato tanto influente si fosse trasferito in un quartiere tanto anonimo.
In ogni caso, il cartello con la via non mentiva ed Hermione era più che certa delle sue forti.
Si avvicinò al portone di legno indecisa su cosa fare: se avesse suonato ora non l'avrebbe fatta salire, usare un'Alohomora su un'abitazione babbana le sembrava azzardato (e immorale).
Spostò il peso da un piede all'altro indecisa su come procedere. Si morse un labbro e propri in quel momento la porta si aprì.
Hermione fece un salto indietro e altrettanto fece la donna che se l'era trovata di fronte.
«Mi scusi signora, non volevo» disse facendo un passo indietro.
La donna la guardò con attenzione, sembrò fare fatica per metterla a fuoco con i piccoli occhi azzurri nascosti dietro una spessa montatura e una montagna di rughe.
«Oh, cara» sembrò sorpresa «non preoccuparti» sorrise deliziata, come se essere spaventate sull'uscio di casa fosse ciò che desiderava. «Sei venuta per Paoline, cara?»
«C-come?»
«Paoline, cara» ripeté senza perdere il sorriso deliziato «mi ha detto ieri che stava aspettando sua nipote»
«Oh-no. No, stavo cercando il professor Piton» rispose Hermione, leggermente confusa.
«Oh cara, cara» la donna si portò una mano rugosa alla guancia, l'espressione dispiaciuta in viso «penso tu abbia sbagliato edificio» scosse la testa con le labbra strette, sembrava avesse subito lei stessa quel dispiacere.
Hermione sbattè le palpebre confusa. «Uhm» riportò lo sguardo al biglietto, studiandolo «Eppure mi hanno detto che abitava qui»
«Oh, cara» l'anziana allungò una mano verso quella di Hermione «Mi dispiace»
Poi, lentamente, arrancando dietro un bastone che sembrava avvizzito tanto quanto la proprietaria, la donna iniziò a camminare allontanandosi come se non avesse appena dato ad Hermione una notizia con lo stesso tono con cui si porgono delle condoglianze.
Hermione la guardò con gli occhi sgranati ancora qualche momento, accorgendosi solo in quel momento di tenere aperto con una mano il pesante portone di legno. Scosse la testa come per schiarirsi le idee e fece un passo all'interno, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lei con in un tonfo.
Sì trovò in un ingresso semibuio e fresco, l'umidità le fece scorrere un brivido di freddo sulle gambe lasciate scoperte dal vestito: sembrava che le temperature estive non avessero intaccato quell'antro buio e piastrellato.
«Sesto piano» mormorò fra sé Hermione, mettendo il piede sul primo scalino e iniziando a salire le scale.
 
Esclusa qualche finestra dai vetri patinati che comunque non facevano entrare abbastanza luce, i piani si susseguivano nella stessa cornice buia e triste, senza che i proprietari caratterizzassero l'entrata alle loro abitazioni.
Hermione arrivò al sesto piano con le cosce che bruciavano e il fiato corto. Prese due respiri profondi e poi, raccogliendo la determinazione che l'aveva guidata fin lì, premette il dito sul campanello.
Dovette aspettare quasi un minuto prima che iniziassero a sentirsi i primi passi, durante il quale Hermione si morse il labbro combattuta tra insistere o aspettare.
La porta si aprì ed Hermione, per la seconda volta della giornata, si trovò a sgranare gli occhi.
«Oh tesoro, sembra che qualcuno sia nei guai»
Lo sconcerto non permise all'irritazione per essere stata apostrofata con tanta familiarità di palesarsi subito. Fece scorrere lo sguardo sulla donna, osservando i capelli neri sparsi sulle spalle, la camicia con i primi bottoni aperti che lasciavano intravedere il solco tra i seni e non arrivava a coprire le cosce formose. Dal numero di pieghe che presentava l'indumento non era difficile capire ciò che aveva intrattenuto la donna durante la notte.
«Mi scusi» iniziò Hermione titubante cercando di ignorare l'espressione languida della donna «cercavo il professor Piton»
Si voltò verso il campanello, ma l'elegante scritta in corsivo le restituì lo sguardo mostrando placide le parole S. T. Piton. 
«Oh, un professore» rispose appoggiandosi allo stipite e iniziando a giocare con una ciocca di capelli. «Chissà se tratta tutte le studentesse come ha fatto con me» commentò maliziosa occhieggiando le gambe di Hermione.
Hermione iniziava a sentirsi scocciata dal tono continuamente allusivo della donna. Aveva anche l'inspiegabile sensazione che la donna stesse cercando di sedurla da quando aveva aperto la porta.
Si trattenne dallo sbuffare, ma la voce tradì tutta la sua impazienza. «Signora, vorrei sapere se il signor Piton abita qui, altrimenti mi dispiace che sia stata tanto disturbata per nulla»
La donna la degnò di una lunga occhiata maliziosa, mentre un angolo della bocca si alzava lentamente a formare un ghigno. «Certo, tesoro»
Hermione aprì la bocca, esasperata. Che razza di risposta era quella?
«Grazie per la sua disp-»
«Granger»
Hermione alzò lo sguardo e no, quella giornata non era destinata a finire con due sole sorprese.
Sentì le guance ardere e la bocca asciugarsi insieme alla capacità di sillabare un saluto educato e cordiale. Incapace di trattenersi abbassò gli occhi sull'uomo, ma tutto, a partire dai lunghi capelli neri, indicava che era proprio colui che stava cercando. Tuttavia sentì una stretta allo stomaco nello scoprire il suo ex professore - per Merlino, il suo ex professore- in quei panni. O meglio, nei pochi che lo ricoprivano. Esclusi un paio di lunghi pantaloni neri l'uomo non indossava nulla sulla pelle diafana che faceva ben poco per nascondere muscoli sodi e sottili che mai, mai Hermione avrebbe immaginato sotto tutte le vesti nere che era solito indossare.
Deglutì a vuoto obbligandosi a riportare gli occhi in quelli scuri dell'uomo.
«P-professor Piton» bisbigliò.
L'unica risposta che ottene fu un inarcarsi di sopracciglio.
Hermione si morse un labbro, indugiando con lo sguardo sulla donna - Godric, doveva proprio mordersi un dito in quel modo? -al loro fianco.
«Avrei...» si schiarì la voce «Vorrei scambiare due parole con lei, signore»
Se possibile il sopracciglio guadagnò ancora centimetri, ma l'uomo fece un passo indietro e tanto fece fare alla donna, prendendola per un gomito.
«Prego, Granger. Puoi aspettarmi in salotto» e senza aspettare una risposta si diresse verso quella che Hermione immaginò essere la sua stanza.
Titubante, accettando quelle poche parole come un invito, Hermione entrò nella casa. Il salotto era perfettamente visibile dall'ingresso quasi inesistente. Hermione si diresse in quella direzione cercando di fare minor rumore possibile, ma si fermò dopo pochi passi, senza sapere cosa fare.
La stanza era ancora immersa nella semioscurità propria della notte. Nella poca luce che filtrava era possibile vedere un divano, un basso tavolino su cui erano dimenticati due calici e una bottiglia di vino vuota per due terzi e una grande libreria. Il dettaglio più curioso era un grande camino che occupava un'intera parete.
Hermione si chiese distrattamente con chi Piton intrattenesse contatti via Metropolvere, ma fu distratta dal segno chiaro e perfettamente distinguibile del rossetto sul bordo di uno dei bicchieri.
Per un attimo fu attraversata da un moto di irritazione, probabilmente per aver scoperto l'uomo in una situazione tanto intima e per come entrambi gli amanti non avessero fatto nulla per nascondere la situazione.
Espirò lentamente, sentendo sotto la suola delle scarpe il morbido tessuto di un tappeto.
«Granger». Non l'aveva sentito, fece appena in tempo a girarsi che la stanza fu invasa dalla violenta luce mattutina. «Non è mia abitudine accogliere ospiti in questo modo»
Erano delle scuse?
Se era un tentativo per accoglierla in modo più educato avrebbe dovuto lavorarci: le parole cortesi facevano a pugni con il linguaggio del corpo. Piton infatti la guardava accigliato a pochi passi di distanza, le braccia incrociate e la bocca tesa in una linea sottile.
Hermione si prese qualche istante per riflettere - e per ringraziare che si fosse vestito, sebbene temesse che la camicia bianca potesse essere quella che la donna aveva poco prima indossato.
Dov'era finita, poi?
«Mi dispiace di aver interrotto...» il tentativo si perse nel vuoto. Come avrebbe dovuto continuare? La sua notte di divertimenti, la sua mattinata promettente, l'incontro con la sua compagna?
«Vai al sodo, Granger. Sono un uomo impegnato»
Oh, non ne dubitava!
«Sono qui per chiederle un favore» disse allora, incrociando le braccia e raccogliendo tutta la dignità che aveva per apparire una donna adulta.
Piton la osservò qualche istante. «È stata Minerva a darti il mio indirizzo?»
Hermione alzò le sopracciglia, sorpresa dal cambio improvviso. «Sì»
L'uomo storse la bocca, come se fosse esattamente la risposta che si era immaginato.
Hermione aspettò che dicesse qualcosa, ma l'uomo continuò a guardarla.
«Dunque?»
«Ho bisogno di una pozione» il tono secco ebbe il potere di scollarle dalla lingua quella risposta.
«Tu?» alzò le sopracciglia.
«Non io personalmente, no» si morse un labbro «si tratta di un bambino» disse esitante. Ad un tratto l'idea che tanto le era parsa ottima risultò ridicola. Con quale coraggio si presentava alla porta di un uomo che non vedeva da anni per chiedergli un favore che non aveva alcun diritto di riscuotere?
Con la disperazione di una madre, rispose una parte della sua mente.
«Ti sembra un ente di beneficenza questo, Grenger?» il tono strascicato, lento nascondeva un principio di irritazione che Hermione conosceva bene.
Decisamente, l'incontro stava andando sempre peggio.
Hermione passò una mano tra i capelli, sospirando.
«Non le chiederei questo se non sapessi che è l'unico che può aiutarmi» suonava molto come una lusinga, ed Hermione odiava sembrare il tipo di persona che dispensa complimenti vuoti per ottenere un po' di compiacenza.
«E cosa avrei in cambio?»
«C-come?» lo guardò sbattendo le palpebre.
«In cambio, Granger. Tutto ha un prezzo» rispose acido, un ghigno sinistro incurvava un angolo della sua bocca.
«Qualsiasi cosa». Troppo irruenta, troppo disperata.
Vide il ghigno intensificarsi e si diede uno schiaffo mentale per non essere stata capace di aspettare. Avrebbe dovuto contrattare, non vendersi in quel modo.
Piton iniziò ad avvicinarsi. Lento, felino, fino ad arrivare a pochi centimetri da Hermione.
«Qualunque cosa è una frase pericolosa da pronunciare» le disse sussurrando all'orecchio.
Hermione sentiva il cuore battere impazzito contro le costole, riuscì a stento a deglutire.
«I-io...»
«Specialmente per una donna così giovane» continuò. Hermione non lo vide muoversi, ma fu sicura di sentire il calore della sua mano sulla coscia. Sobbalzò, facendo un passo indietro.
«Non sono quel tipo di donna, professore». Ma non c'era la giusta convinzione che avrebbe voluto nella sua voce, sembrava timorosa con le parole che uscivano a stento tra il suo ansimare.
Piton non rispose, limitandosi a guardarla ghignando.
Si guardarono in silenzio, quasi studiandosi, finché l'uomo non alzò un sopracciglio e fece vagare lo guardo allusivo lungo il corpo di Hermione. «No?»
«No!» fu quasi un ringhio, poi Hermione gli passò accanto senza premurarsi di evitarlo. Sentì una scossa quando la sua spalla urtò il bicipite sodo dell'uomo, ma la ignorò fin quando l'eco della porta che si era sbattuta alle spalle non lasciò le sue orecchie.
«Oh, ma non finisce qui, professore» sputò fra i denti mentre si precipitava giù per gli scalini. «Non finisce qui».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ed eccoci al secondo capitolo! Finalmente Piton fa la sua comparsa, sebbene in una veste che nessuno si sarebbe mai aspettato.
Spero vi abbia un pochino incuriositi, il prossimo capitolo arriverà domenica prossima (che penso diventerà il giorno di aggiornamento). Nel frattempo, se volete farmi sapere ciò che pensate di questo capitolo mi fate felicissima: qualsiasi parere è meglio di nessun parere!
Colgo anche l’occasione per ringraziare chi ha recensito e insetito la storia tra le seguite, preferite e ricordate-
 
Alla prossima,
Crudelia  

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Capitolo 4
*** La visita ***


 
Note: rullo di tamburi… CE L’HO FATTA! Ecco il nuovo capitolo, perfettamente puntuale. Lo so, c’è dello strabiliante. Ma non vi abituate a due aggiornamenti a settimana, non vi vizierò così spesso.
Comunque, parlando di cose serie: ho lavorato al capitolo piuttosto in fretta e spero mi perdonerete eventuali errori. In realtà, non mi convince del tutto, ma ci tenevo ad un aggiornamento puntuale.
Ancora una cosa. A chi recensisce: grazie, grazie, grazie. Siete splendidi. Questo è per voi,
 
Crudelia
 
 
 
 
 
 
 
La visita
 
 
 
Ginny si morse un labbro, pensierosa. Prese un biscotto dal vassoio e se lo rigirò tra le mani, senza addentarlo né spezzarlo.
«Vuoi sapere cosa ne penso?»
Hermione non disse niente, prendendo un sorso del suo te. Se aveva raccontato tutto a Ginny era per avere un parere esterno, inoltre sapeva che l'amica le diceva sempre ciò che pensava. Né più né meno.
Quindi aspettò che Ginny rompesse a metà il biscotto mentre raccoglieva le idee.
«Non vorrei che si rivelasse un altro Smith, ecco»
Hermione sbattè le palpebre, perplessa.
«Smith»
Ginny annuì. «Zacharias»
Entrambe bevvero dalle tazze, in silenzio. Hermione sapeva che quanto successo con Zacharias era stato un errore e non aveva affatto collegato le due cose. Aveva incontrato Smith per caso quasi un anno prima, si era mostrato gentile con Kathleen, da cosa nasce cosa e si era ritrovata invischiata in una pseudo-relazione alquanto discutibile.
Ogni volta che se ne parlava Ron rideva per dieci minuti buoni.
«Non succederà» borbottò con la fronte aggrottata.
«Hermione» iniziò Ginny lentamente. «Il fatto è che quando Kathleen è contenta tu sei... coinvolta»
«Ovvio che sono coinvolta, Gin, è mia figlia»
«Non era quello che intendevo» disse svelta Ginny. «Intendo che se un uomo la fa felice tu sei più disposta a... cedere. Ecco!»
Hermione la guardò scettica. «È successo solo una volta»
Ginny si strinse nelle spalle. «Io te l'ho detto» sospirò, inutile insistere con Hermione. «Hai sentito Ron, ultimamente?» chiese per cambiare discorso.
Hermione annuì. «L'ultima sua lettera è arrivava dalla Spagna, ma è stata consegnata piuttosto in ritardo»
Ginny era d'accordo. «Anche a noi ha scritto dalla Spagna» disse riferendosi a sé e ad Harry. Hermione, segretamente, un po' invidiava il modo in cui gli amici si consideravano un'unica entità.

Come se fosse stato chiamato, la porta si aprì in quel momento. «Sono a casa» sentirono la voce di Harry dal salotto.
«Siamo in cucina» gridò Ginny.
Herry entrò con ancora addosso la divisa da Auror, gli occhi scintillanti e un sorriso smagliante.
«Oh! Ciao, Hermione» disse passandole accanto, quando arrivò vicino a Ginny si chinò a baciarla sulle labbra. Hermione distolse lo sguardo.
«Harry, tesoro» iniziò Ginny. «Che ne dici di cambiarti e raggiungerci? Hermione ci deve parlare»
«Uhm, sì. Sì, certo!» Harry lasciò la stanza un po' perplesso, ma tutti sapevano che se Ginny gli chiedeva qualcosa con quel tono non sapeva dire di no.
 
 
 
Alla fine convincere Harry era stato più facile del previsto. Da quando Piton era uscito dall'ospedale e Harry era riuscito ad ottenere un colloquio con lui aveva iniziato a nutrire per l'uomo una fervente ammirazione. Venerazione, sosteneva Ginny ogni Natale, quando Harry si preoccupava di far recapitare al professore una bottiglia del miglior Whisky Incendiario in circolazione.
«Strano, però» disse dopo un po', dopo aver accettato senza problemi che Piton esaminasse Teddy. «Hai detto che la prima volta ti ha detto di no?»
Hermione si irrigidì. Sulle gambe, pur fasciate da un paio di jeans, senti l'ombra delle dita di Piton accarezzarle la pelle.
Rabbrividì. «S-sì, ma ha subito cambiato idea quando ha incontrato Kathleen» cercò di sviare l'amico.
«Mmmh» Harry si accarezzò pensieroso il mento. «Beh, in fondo chi riuscirebbe a dire di no a quella bambina?» concluse sorridendo.
«Già» asserì Hermione. «Tanto più con il vestito che le ha regalato Ginny per il compleanno»
I due amici si sorrisero ed Hermione si concesse un sospiro di sollievo. Lo annegò nella seconda tazza di the, per questo si perse l'occhiata che Ginny le rivolse sopra la ceramica.
 
 
 
Convincere Andromeda era stato un altro paio di maniche, ma la donna aveva deciso di mettere da parte le sue reticenze se ciò avesse giovato a Kathleen.
Tuttavia, alle sue condizioni.
Tanto per cominciare dovevano essere presenti il maggior numero possibile di adulti, e Piton non doveva mai essere lasciato solo con il bambino.
Pur trovando il tutto eccessivo Hermione aveva acconsentito a mandare un gufo al professore per sapere se fosse stato d'accordo. Contro ogni aspettativa, aveva accettato.
«Certo, è ben poca cosa cosa rispetto al resto» aveva commentato Harry. Hermione non aveva capito a cosa si rifesse, ma aveva scritto un altra lettera perché l'incontro avvenisse quanto prima.
Ed ecco perché quel sabato pomeriggio erano riuniti alla Tana - cosicché gli adulti presenti fossero Hermione, Harry, Ginny, Molly e Arthur. Andromeda si era rifiutata di presenziare.
Hermione si avvicinò alla finestra e scostò una tenda. Ancora niente, ma lo stomaco non voleva smetterla di contorcersi.
 
 
 
«No, Teddy, non hai capito niente!» Kathleen posò la matita sul tappeto su cui stavano colorando e si alzò a sedere sulle ginocchia. Si scostò i capelli dalla fronte prima di ricominciare. «È come Batman che ti fa paura, ma è buono. Perché sconfigge i cattivi.»
Teddy continuò a colorare i capelli di arancione al bambino del disegno. Si limitò a stringersi nelle spalle. «Ho capito, Kat. Non ti arrabbiare.»
La bambina sbuffò, poi decise di tornare a coricarsi e riprendere a colorare. «Bah, non mi avresti chiesto del mantello allora»
«Tutti i supereroi ce l'hanno. Anche Zorro»
«Ma Zorro non fa paura!» Kathleen lo guardò a bocca aperta: era chiaro che l'amico non avesse ragione. Doveva dare ragione a zia Ginny: i maschi non capisco proprio niente.
Alzando gli occhi al cielo prese la matita verde, pronta a colorare l'albero.
«E poi la mamma mi ha detto che lo zio Harry lo stima molto»
«E cosa vuol dire?»
«Non lo so» rispose Kathleen, ma era evidente che se la madre sosteneva una cosa doveva essere corretta.
Teddy sbuffò, ma non era realmente irritato con l'amica. Ne erano una prova i capelli, rimasti della solita sfumatura celeste.

«Kat, Teddy, venite! È arrivato» giunse la voce di Ginny dal salotto al piano inferiore. Kathleen scattò in piedi, aveva già fatto due passi quando Teddy la richiamò.
«Kat, bisogna mettere a posto»
Kathleen si voltò un po' stupita, non ci aveva pensato.
Fece un verso impaziente. «Ma è arrivato»
«Ho capito, ma bisogna mettere a posto» ripeté il bambino.
Kathleen tornò indietro a passi pesanti, prese le matite a manciate e cercò di comprimerle il più in fretta possibile dentro il portapenne. Fatto quello lo lanciò sul tavolo. «Ecco fatto. Dai!» senza curarsene oltre prese il bambino per mano e iniziò a correre. Pur avendo uno svantaggio iniziale Teddy si riprese e la superò, arrivando primo alla fine delle scale e nel salotto.
«Primo!» gridò girandosi e gettando le braccia al cielo. Kathleen arrivò e gli capitolò addosso. «Non vale, hai le gambe più lunghe» disse, la bocca atteggiata in un broncio.
Prima che la solita pantomima andasse avanti Hermione si schiarì la voce, attirando l'attenzione dei due bambini.
Quando si accorsero dell'uomo entrambi parvero impallidire.
«Teddy, questo è il professor Piton» disse Hermione.
Decisamente, il bambino era impallidito.
 
 
 
Teddy continuava a guardare Piton con le labbra strette. Hermione lo guardava e si sforzava di sedare il sorriso.
Come con Kathleen, Piton aveva rivolto le stesse domande e fatto lo stesso incantesimo, la penna al suo fianco aveva segnato ogni risposta con puntuale precisione.
«Bene, avrei una richiesta» iniziò Piton drizzando la schiena e scostandosi i capelli con un gesto che Hermione non mancò di notare. «Sai farmi vedere il tuo colore naturale di capelli?»
«Certo!» rispose pronto Teddy e, per la prima volta, sorrise all'uomo. Senza fatica e senza sforzo i suoi capelli cambiarono colore, mostrando il loro naturale marrone chiaro. Hermione vide Harry sgranare gli occhi e, ad una seconda occhiata, la vista del bambino risultò come un pugno allo stomaco: la somiglianza con Remus era impressionante.
«A scuola li tengo così» spiegò timidamente il bambino, ignaro di ciò che gli adulti stavano provando.
Piton annuì, continuando a guardarlo. Non aveva dato segni di riconoscimento, né alcuna emozione era emersa dalla profondità dei suoi occhi.
«Sai farli diventare più lunghi?» chiese.
Questa volta Teddy dovette impegnarsi. Chiuse gli occhi e storse il naso, dopo un secondo i capelli si allungarono oltre le spalle.
«Un po' di più?» chiese ancora Piton, un sopracciglio arcuato.
Teddy si sforzò un po' più a lungo, ma non successe nulla. Aprì gli occhi, l'espressione quasi colpevole.
«Non ci riesco» disse, la voce flebile.
Piton fece un gesto vago con la mano, minimizzante. «Più corti?»
Teddy storse di nuovo il naso, l'espressione ancora più concentrata. Strinse le labbra e corrugò la fronte finché i capelli non furono più lunghi di qualche centimetro.
Aprì gli occhi, in attesa. Sembrava ancora più piccolo.
«È il massimo?» chiese Piton con voce strascicata.
Il bambino annuì, visibilmente dispiaciuto. Hermione sentì Harry irrigidirsi al suo fianco e fare mezzo passo in avanti.
«Non importa, era molto difficile» concluse Piton segnando qualcosa sulla pergamena. Ad Hermione quella frase suonò come un tentativo di rassicurare il bambino, e un po' della tensione che le stava tendendo le spalle si disperse.
«Abbiamo finito?» chiese Harry, visibilmente teso.
«Ancora una cosa» rispose Piton, tuttavia stava chiudendo la pergamena. «Sai cambiare i connotati della tua faccia?» fece rivolto al bambino.
Teddy sgranò gli occhi. Prima di rispondere fece vagare lo sguardo fino al padrino, ma non ottenne che un cenno di incoraggiamento.
«La mia faccia?»
Piton a quel punto fece un passo indietro, riponendo la pergamena in una tasca dei pantaloni. «Come ho detto, era difficile.» Si ritrasse ulteriormente, incrociò le braccia e attese.

Ci fu un momento di silenzio durante il quale nessuno si mosse, poi Hermione fece un passo in avanti. «Sei stato bravissimo, Teddy» disse sorridendo. Lo aiutò a scendere dal tavolo chiedendosi perché non l'avesse fatto Piton come la volta precedente aveva aiutato Kathleen. «Che ne dite di andare fuori a giocare, adesso?»
Kathleen fu veloce a saltare giù dal divano su cui aspettava l'amico e precipitarsi al suo fianco.
«Possiamo, mamma?» chiese trepidante, le gambe che continuavano a muoversi.
«Certo, tesoro» rispose sorridendo. «Ma non uscite»
«Evvai!» Kathleen saltò sul posto finché l'amico non la raggiunse, poi, senza un'altra parola, entrambi corsero in cortile.
Hermione scambiò un sorriso con Harry, che come lei non aveva perso neanche una mossa dei bambini. Quando tornò a guardare Piton scoprì i suoi occhi già su di sé.

«Allora, professore?» chiese con la bocca asciutta.
Piton si prese lunghi istanti di riflessione prima di rispondere. Quando lo fece la sua voce era lenta, come se stesse misurando le parole man mano che le pronunciava. «Penso che possa essere una questione di intenzione»
«Cosa intende?» chiese Harry, le sopracciglia corrugate sopra gli occhiali rotondi.
«Lupin non voleva un figlio. Era troppo terrorizzato di trasmettere la sua malattia» fece una pausa, come aspettandosi di essere contraddetto, ma nessuno intervenne. «Al contrario, Grayback non aveva altro scopo che infettare quante più persone possibile. Posso immaginare che durante... l'atto» i suoi occhi indugiarono su Hermione, ma lei strinse i denti, cercando di non mostrare emozioni «il suo obiettivo fosse mettere al mondo un altro...»
«Infetto?» tentò Harry.
«Stavo per dire licantropo, Potter, ma può andare anche la tua versione»
«Quindi non c'è soluzione?» chiese Hermione, la voce tremante e le braccia incrociate nel tentativo di nascondere le mani che si ostinavano a tremare.
«Non ho detto questo» disse Piton. «Ho solo bisogno di tempo»
Hermione lo guardò negli occhi. Come già era successo nel suo laboratorio si perse nelle sue iridi scure. Inutile ribadire quanto l'uomo le sembrasse cambiato, ma c'era qualcosa, quando lui parlava con quella voce vellutata e calma, che la faceva sentire rassicurata, tranquilla, protetta.
«Se è tutto allora» Harry fece qualche passo avanti e iniziò a parlare con il professore, ma Hermione non sentì il discorso.
 
Questione di intenzione.
Infetto...
 
Le parole dell'uomo continuavano a risuonarle in testa, conficcandosi sempre più in profondità fino a raggiungere il cuore. Hermione aveva l'impressione che se avessero continuato a spingere in quel modo si sarebbe spezzato.
 
Ma cosa abbiamo qui...
 
«Hermione, stai bene?» Ginny le posò una mano sul braccio ed Hermione annuì automaticamente, abbozzando un sorriso che voleva essere rassicurante, ma che risultò essere solo una smorfia.
«Granger, una parola ancora»
Hermione alzò gli occhi e si accorse che l'uomo era già sulla porta, aperta alle sue spalle.
«Certo.» Si avvicinò, cercando di non arrossire per la sua mancanza di buone maniere, ma non fu sicura di avere successo.
Quando fu vicina all'uomo, sull'uscio, riuscì a sentire gli schiamazzi che facevano i bambini in un angolo del cortile.
«Vorrei tenere tua figlia in osservazione, se possibile»
Hermione corrugò la fronte. «In osservazione?»
L'uomo annuì, ma non aggiunse altro. La stava guardando attentamente ed Hermione provò l'istinto di di nascondersi dai suoi occhi. Si passò una mano tra i capelli, chinando la testa.
«Le manderò un gufo...»
 
Un bel bocconcino...
 
Annaspò. «Un gufo...» Ma erano parole vuole, non ricordava come doveva finire la frase.
«Granger?»
 
Morbida, morbida.
 
«Hermione?»
 
Mi piace la pelle morbida...
 
Una mano si allungò verso il suo braccio e la respinse facendo un passo indietro. Qualcosa di duro colpì la sua schiena e il dolore riuscì a diradare la voce nella sua mente.
«Professor Piton» mormorò, ma non seppe neanche lei il motivo.
«Hermione, stai bene?» Hermione sbattè le palpebre più volte finché il mondo non tornò a fuoco. Harry la stava guardando preoccupato, una mano sulla sua spalla.
«Harry» disse, confusa.
«Hai dimenticato qualcosa, Hermione? Il professor Piton se n'è andato cinque minuti fa»
Hermione scosse la testa. «No, no, solo...» si passò le mani sulle braccia: aveva i brividi. «Stavo solo pensando»
Harry la guardò perplesso ancora qualche istante, Hermione si costrinse a sorridere.
«Va bene. Entriamo allora»
Si fece guidare in cucina e accettò la tazza di the. Pur essendo metà pomeriggio era all'improvviso stanca.

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Capitolo 5
*** Perseveranza ***


 
Note; ecco finalmente il nuovo capitolo! In ritardo come non mai, e me ne scuso, ma purtroppo il computer aveva un guasto e non ho potuto fare nula. Spero che il capitolo valga l'attesa. Come sempre, se volete farmi sapere cosa ne pensate mi rendete la persona più felice del mondo. 
Ancora una cosa: grazie a chi legge e ha inserito la storia tra seguite, ricordate e preferite, siete più di quanti osassi sperare.
Passo e chiudo.
Crudelia





 



Perseveranza
 
 
 
«Mamma, fa caldo»
Kathleen strascicò le parole, Hermione sbuffò con uno sguardo eloquente.
La bambina smise di insistere, sapeva perfettamente quando sua madre stava per raggiungere il limite, e quel giorno era pericolosamente vicina a raggiungerlo. Non che non avesse capito quanto fosse importante essere carine per "fare una bella impressione" all'uomo che stavano andando a trovare - che l'avrebbe aiutata, se fosse stata brava, e non avrebbe più avuto tutti quei problemi con la luna - ma preferiva mille volte avere i suoi pantaloncini e giocare con la sabbia con Teddy.
«Posso avere un gelato?» si arrischiò a chiedere, la voce sottile. La mamma giel'aveva promesso, anche se il giorno prima. E la mamma manteneva sempre le sue promesse.
 
Hermione abbassò gli occhi sulla figlia. Sebbene i capelli erano pettinati in due alti codini che le lasciavano scoperti il collo e la schiena, le guance erano accese dal calore che il vestitino blu non riusciva a disperdere. La trovava estremamente carina, sentì il cuore intenerirsi davanti ai suoi grandi occhi neri. Sorrise.
«Va bene» iniziò, carezzandole la testa. In fondo mancava ancora parecchio prima che arrivassero a destinazione. «Lo mangeremo in metropolitana»
La bambina sorrise felice, poi iniziò ad avviarsi saltando pochi passi davanti la madre.
 
 
 
Il campanello suonò per due secondi, e per altrettanti la sua eco continuò a trillare.
Hermione strinse un po' di più la mano della figlia cercando di nascondere quanto fosse agitata e si concesse di sperare, mentre l'ultimo riverbero del suono sbiadiva, che non comparisse un'altra donna succinta e lasciva ad aprire la porta.
Si sistemò con un gesto involontario i capelli, scompigliandoli ancora di più. La porta si aprì mentre la mano scendeva a sistemare la cinghia della borsa sulla spalla.
«Professor Piton» aveva la bocca asciutta, ma sperò non fosse troppo evidente il sollievo che l'aveva colta alla vista dell'uomo.
«Granger». Secco, asciutto, le braccia incrociate sulla soglia. La mancanza di cortesia la fece quasi sorridere, inspiegabilmente.
Deglutì, non sapendo bene come continuare. Sentiva la mano sudare contro il palmo di sua figlia, così immobile che quasi si era dimenticata di lei.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua. «Spero non le dispiaccia una nostra visita, professore».
«Nostra?» l'uomo alzò le sopracciglia, sorpreso.
Hermione accennò con la testa in direzione della figlia e solo allora gli occhi dell'uomo lasciarono i suoi per abbassarsi.
«Avanti, presentati» la incoraggiò Hermione, sperando che la vista dell'uomo non intimorisse troppo la figlia. Ma Kathleen non era come Hermione e, sotto lo sguardo orgoglioso della madre, tese la manina in alto verso l'uomo.
«Kathleen Jean Granger» scandì come le era stato insegnato.
 
Hermione sorrise, Piton inarcò un sopracciglio, Kathleen attese.
L'uomo indugiò con gli occhi sulla bambina per diversi secondi. Osservò la mano tesa nella sua direzione, i lunghi capelli ordinati e gli occhi neri che aspettavano con trepidazione. Analizzò i lineamenti infantili che ricordavano la studentessa determinata che era stata sua madre e quasi sorrise davanti a quella bambina che lo guardava seria e computa nel suo vestitino blu macchiato di gelato al cioccolato.
«Severus Tobias Piton» si trovò quasi sorpreso nello scoprirsi intento ad allungare la mano a stringere quella calda della bambina.
Kathleen si aprì in un sorriso raggiante che le illuminò il viso e le guance paffute. Si voltò verso la madre, sorpresa, comunicandole con gli occhi quanto fosse felice che l'uomo - un professore! - le avesse stretto la mano e le avesse risposto con tanta formalità.
Hermione ricambiò il sorriso della figlia e così non vide il lampo che passò negli occhi dell'uomo. Quando tornò a guardarlo era ormai scomparso, sul viso la solita assente espressione.
L'uomo si prese ancora un momento per osservare le due donne, poi fece un passo indietro. «Prego».
 
Il cuore di Hermione fece un balzo nel suo petto a quella insperata vittoria, ma, timorosa che il professore cambiasse idea, si sbrigò a far varcare la soglia alla figlia e seguirla. Di nuovo si trovò al centro del salotto, sul morbido tappeto, senza sapere cosa fare.
«Mamma, guarda, ha più libri di te!» La voce meravigliata di Kathleen ruppe il silenzio. Anche se la bambina aveva solo bisbiglio, fu come un urlo. Hermione annuì, la gola troppo secca per parlare e sorpresa che la figlia avesse parlato di propria iniziativa. Ma, continuava a ripetersi, non c'era motivo per cui la bambina dovesse temere Piton: non aveva idea di quanto, negli anni, l'uomo avesse terrorizzato la madre, né di quali atti si fosse macchiato.
Piton si schiarì la gola, se era rimasto sorpreso dall'uscita della bambina non lo diede a vedere. Stava in piedi a braccia incrociate, in attesa.
Hermione deglutì, cercando le parole. Nella sua mente, per quella che poteva essere la centesima volta, passò il dubbio su quanto quell'idea potesse essere folle. Fu rapida a sopprimerlo.
«Dunque...» iniziò. Si morse un labbro. Perché non si era preparata un discorso prima?
«Avevo capito si trattasse di un bambino» commentò Piton, come se il discorso fosse già avviato e quelle fossero le sue conclusioni.
«Fa differenza?» sentì una punta di aggressività nella sua voce.
Piton inarcò un sopracciglio. «Potrebbe.»
Oh, Godric, l'aveva indisposto.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
«Professore, mi dispiace. Le devo delle spiegazioni»
«Tu credi?» chiese sarcastico.
Hermione si morse l'interno della guancia per sopprimere la risposta tagliente che le era nata sulle labbra: assecondarlo su quel fronte non l'avrebbe portata a nulla.
«Kathleen è mia figlia»
«L'avevo immaginato»
Ma certo, si era presentata con il suo cognome.
«E immagino anche che Weasley non sia il padre»
«No» riuscì a rispondere con tono strozzato. Non sapeva come l'uomo avesse ottenuto certe informazioni, ma non voleva chiederselo in quel momento. Sotto le dita sentiva la spalla calda e morbida della figlia e si chiese come potesse apparire ai suoi occhi. Ridicola, pensò.
Piton inarcò un sopracciglio. Hermione prese fiato. Era più che chiaro il significato di quella muta domanda, ma aveva sperato che fosse arrivata un po' più in là.
Speranza vana, Piton l'aveva accolta la volta precedente dicendole sono un uomo impegnato e vai al sodo. Quindi.
«Fenrigreibeck» disse in fretta, masticando la parola fra i denti.
Passò un attimo di silenzio.
«Come?»
Insiprò. «Fenrir Grayback» ripeté più lentamente.
 
Poté contare i battiti del suo cuore mentre l'uomo assimilava la risposta. Immaginò i ragionamenti dell'uomo dietro gli occhi neri: nessuno più di lui poteva conoscere la realtà dietro quel nome e ciò che implicava.
Alla fine, parve annuire. O forse fu solamente l'impressione di Hermione, desiderosa di una reazione da parte dell'uomo.
Piton abbassò lo sguardo, soffermandosi per la seconda volta sulla bambina. «Lo sa?» chiese, quasi assorto.
«Sì» rispose Hermione, più tranquilla ora che la conversazione tornava su un terreno meno pericoloso. «Ho preferito che lo sapesse da me»
Questa volta fu sicura di vederlo annuire. «Capisco» disse lentamente, portando lo sguardo di nuovo ai suoi occhi. C'era qualcosa di nuovo, nelle sue iridi, che sembrava approvazione. Era una scintilla che Hermione aveva visto così di rado che non era affatto sicura fosse vera.
«Ha problemi con i pleniluni, vero?»
Hermione rilasciò il fiato che non si era accorta di aver trattenuto mentre in nodo nello stomaco si scioglieva dopo giorni. Era grata che Piton avesse capito senza che lei si dovesse prodigare in spiegazioni lunghe e complesse.
Annuì, le labbra strette per trattenere un'emozione che aveva paura a definire perché andava oltre la gratitudine rasentando la commozione.
Piton tornò ad osservare Kathleen che ricambiò il suo sguardo tranquilla. Sapeva perché la madre l'aveva portata da quell'uomo e non ne aveva paura. Piton si passò un dito sulle labbra sottili studiando la bambina per diversi secondi. Alla fine parve prendere una decisione e annuì a se stesso.
«Venite con me» disse sbrigativo, mentre a grandi passi usciva dal salotto per dirigersi verso una camera alla fine del corridoio.
Hermione perse Kathleen per mano e seguì l'uomo, già scomparso nella stanza.
 
Varcata la soglia fu subito chiaro che quello fosse un laboratorio. Un grande tavolo di legno dominava la stanza, schiacciato dal peso di tre grandi calderoni, uno di questi borbottava scaldato da un fuoco lento. La stanza era in penombra, ma Piton accese con un gesto noncurante della bacchetta alcune torce mentre era impegnato a liberare un angolo del tavolo da fogli pieni di appunti, libri aperti e ingredienti a metà della loro lavorazione.
Hermione si concesse un attimo per esaminare gli scaffali che occupavano lo spazio fino al soffitto: era possibile trovare ogni genere di ingrediente ordinatamente imbottigliato e catalogato. Si scoprì a sopprimere un moto di ammirazione per l'organizzazione dell'uomo.
«Ecco, sali»
Tornò a guardare Piton e scoprì che si stava rivolgendo alla figlia.
Kathleen alzò gli occhi sgranati verso Hermione. Non era una bambina timida, solitamente, ma non era neanche del tutto immune all'aura autoritaria che emanava l'uomo. Specialmente, pensò Hermione, per una bambina cresciuta senza figure maschili escluse quelle di Ron ed Harry. E Harry non era un esempio di autorevolezza...
Hermione annuì e Kathleen fece un passo in avanti. Si bloccò a metà strada, tormentando fra le mani l'orlo della gonna.
Hermione aprì la bocca per incoraggiarla, ma Piton fu più veloce.
«Sei mai stata dal dottore?» chiese alla bambina con tono di voce calmo.
Kathleen annuì, leggermente intimidita.
«Sarà uguale, devo farti una visita» le spiegò. Hermione lo guardò sorpresa, scoprendosi a pensare che non l'aveva mai sentito parlare in quel modo e su quanto avesse potuto essere un professore migliore se soltanto si fosse rivolto ai suoi studenti con quel tono al posto del solito capace di dare i brividi. Non che adesso la sua voce non avesse procurato i brividi ad Hermione, specie con quelle vibrazioni roche che non gli aveva mai sentito e che attribuiva ai danni alla gola, ma... No, no! Non erano pensieri che doveva fare.
Fu distratta dalla voce di Kathleen, e si sentì in colpa per non aver pensato alla figlia dedicando così tanti pensieri all'ex professore. «Non riesco a salire, è troppo alto»
Hermione iniziò a camminare verso la figlia, ma ancora una volta Piton fu più veloce. Si chinò verso Kathleen e la afferrò sotto le ascelle per issarla sul tavolo, con una disinvoltura che fece schiudere la bocca ad Hermione.
Kathleen si sistemò la gonna sulle ginocchia mentre guardava Piton afferrare tra il mucchio una pergamena pulita e una penna.
«Quando sei nata?» chiese.
« Il 30 gennaio 1999» rispose Kathleen. L'uomo segnò la risposta alzando le sopracciglia, ma non commentò.
«Dove?»
«Al San Mungo» rispose Hermione. Si era avvicinata al tavolo e osservò la calligrafia sottile dell'uomo, trovandola familiare dopo tanti anni.
Piton si alzò sistemandosi meglio davanti a Kathleen, prese la bacchetta e le diede due colpetti sulla testa. «Ha avuto malattie?» chiese nel frattempo.
«No» rispose Hermione.
«Fratture?»
«Nemmeno»
Piton annuì, nello stesso momento un'aura blu iniziò a diffondersi dai contorni della bambina che si guardò le mani sbalordita. La penna, rimasta in equilibrio sulla pergamena, iniziò ad annotare informazioni come il peso, l'altezza e il gruppo sanguigno di Kathleen.
«Allergie?»
«Alle fragole»
Piton annuì serio, una ruga si stava formando tra le sopracciglia corrugate.
«E qui?» chiese all'improvviso, quasi sorpreso.
Hermione abbassò gli occhi sulle ginocchia della figlia, graffiate e sbucciate.
«Sono caduta dalla bici» rispose Kathleen tranquilla. Per tutto il tempo non aveva smesso di osservare l'uomo con una luce curiosa negli occhi.
Piton inarcò un sopracciglio, Hermione immaginava che non si aspettava così tanta confidenza da parte di una bambina.
Borbottò qualcosa che non riuscì a comprendere mentre passava il pollice sui graffi. Non appena il dito finì la sua carezza  la pelle si mostrò morbida e rosea come sempre.
«Ooh!» Kathleen inspirò rumorosamente, portandosi le mani alla bocca aperta. «Ma non hai usato la bacchetta!»
Hermione trattenne il respiro quando sentì sua figlia rivolgersi al professore con tanta familiarità. Non le aveva spiegato il rispetto che avrebbe dovuto mostrare, ma non immaginava sarebbe successo.
Quella visita continuava a riservarle troppe sorprese.
Piton non mostrò alcuna reazione. «Non è necessario usare una bacchetta per compiere incantesimi, è solo un mezzo per incanalare la magia» spiegò.
«Ma la mamma la usa sempre» disse Kathleen, seguendo l'uomo con lo sguardo e protendendosi nella sia direzione.
Hermione toccò la mano della figlia guardandola eloquente: se Kathleen iniziava a fare domande era difficile uscirne, e quello non era il momento migliore per iniziare.
«Cosa succede durante la luna piena?» chiese Piton. Si era spostato più in là, iniziando a trafficare con alcune boccette.
«Kathleen diventa irritabile, nervosa-»
«Devo capire che non sai gestire i capricci di una bambina, Granger?»
«Certo che no!» Hermione strinse i denti, piccata. Non era tanto la domanda sarcastica ad averla ferita, quanto più il cambio di tono. «Non è solo questo»
Piton si fermò a metà di un movimento voltandosi nella sua direzione. Una mano sorreggeva ancora un'ampolla davanti ai suoi occhi e la posa faceva risaltare in modo naturale il bicipite sotto la camicia. Hermione incontrò i suoi occhi e ne rimase incatenata.
Era cambiato. Negli anni in cui non l'aveva visto qualcosa di viscerale era successo all'uomo. Sebbene apparentemente era uguale a prima, la scintilla nei suoi occhi raccontava un'altra storia. Ed Hermione si scoprì curiosa di conoscerla, non solo per il tono vellutato con cui aveva parlato alla figlia rassicurandola ogni volta.
Lentamente, Piton abbassò il braccio fino a posare la boccetta sul tavolo, su cui produsse un acuto tintinnio. Si avvicinò con calma, ma Hermione non perse il movimento con cui si scostò i capelli dalla faccia. All'improvviso se lo trovò più vicino di quanto avesse immaginato, fu costretta ad alzare il viso per incontrare i suoi occhi.
«Permettimi» disse con voce roca.
Hermione deglutì, facendo un passo indietro. Continuava a sentirsi frastornata.
«Ascoltami, Kathleen» iniziò con voce rassicurante, chinandosi per essere allo stesso livello della bambina. «Adesso conterò fino a tre s tu dovrai pensare a cosa succede quando c'è la luna piena. Non ti farà male»
Kathleen annuì, seria, stringendo leggermente le labbra.
«Uno, due...» le dita di Piton andarono al mento della bambina, fermandosi in una lieve carezza che non le permetteva di distogliere lo sguardo. «Tre»
E poi fu silenzio.
Hermione trattenne il fiato colta dall'intensità di quello sguardo. Vide gli occhi neri riflettersi in quelli altrettanto scuri dell'uomo e agì prima di pensare.
«No!» disse scostando in malo modo la mano dell'uomo da sua figlia. «È soltanto una bambina»
Si voltò verso Kathleen e non si stupì di trovarla con il fiato affannoso.
«Stai bene, amore?» le chiese avvicinandosi. Kathleen annuì, ma aveva le lacrime agli occhi.
«Non mi ha fatto male» trovò la forza di dire, con voce esile.
Hermione lanciò un'occhiata furente a Piton mentre stringeva a sé la bambina, ma fu accolta da un'alzata di sopracciglio del tutto indifferente.
«Adesso è finita, vai un attimo di là. Ti raggiungerò subito» disse alla figlia, stringendola ancora fra le braccia mentre l'aiutava a scendere dal tavolo.
Si voltò verso Piton e aspettò che la sua attenzione tornasse su di lei: l'uomo era intento a seguire con gli occhi la bambina finché non sparì oltre la porta.
 
«Ma cosa pensava di fare?»
«Dovevo capire» fu la risposta, laconica.
«Avrebbe potuto chiedere»
«La tua risposta è stata del tutto inesauriente, Granger. Questo non è cambiato negli anni»
Hermione subì il colpo in silenzio, incrociando le braccia. Lo guardò aspettando qualcosa, ma Piton era tornato alle sue carte.
Decise di soprassedere. «Ha qualche idea?»
«A che proposito?» chiese strascicando le parole, senza alzare gli occhi dalla pergamena che aveva tra le mani.
«Speravo potesse fare qualcosa per aiutarla». Forse fu il tono, forse fu la nota amara e rassegnata che Hermione non riuscì a nascondere che fece alzare gli occhi a Piton.
La scrutò per qualche istante, alla fine posò il foglio.
«Cosa hai provato finora?»
«Abbiamo provato la pozione Antilupo, ma non ha funzionato»
«Evidentemente. Il sangue dei mannari ha una parte di veleno e tua figlia non ne ha a sufficienza»
Non ne ha a sufficienza, quindi soltanto in parte.
«Mi hanno anche consigliato di farla rilassare, per questo abbiamo iniziato con la danza»
Piton sbuffò, indice di quanto trovasse ridicola quell'idea.
Hermione si morse un labbro, indecisa. «Lei cosa pensa?» chiese alla fine.
Piton tornò a toccarsi le labbra con la mano prima di rispondere, valutando le possibilità.
«Potrebbero esserci alcune... varianti»
Hermione sentì il cuore saltare un battito.
«E sarebbe disposto a provarle? Potrebbe brevettarle se funzionassero, io non le chiederei niente e le sarei per sempre riconoscente di ciò che avrebbe fatto per me e-»
«Mi stai vendendo tua figlia come cavia?» la interruppe.
«No...» sussurrò in risposta, troppo sbigottita. «No, io...» la frase sfumò nel silenzio. Si passò le mani sulla faccia.
«Non so più cosa fare» e di colpo non era più importante apparire forte davanti a sua figlia, davanti a Piton. Non era importante che la vedesse sconfitta. Prese fiato coprendosi gli occhi con una mano e stringendo le palpebre perché le lacrime che premevano non uscissero. La verità era che se neanche quell'ultima possibilità non avesse funzionato si sarebbe dovuta rassegnare a vedere sua figlia deperire e peggiore ad ogni luna piena, vederla regredire ad un animale.
Il tempo si dilatò fra loro senza che Hermione ci desse peso, concentrata soltanto sul suo respiro e a riprendere il controllo il prima possibile per uscire da quella stanza piena di fumo.
«Anche Lupin ha avuto un figlio»
«S-sì, Teddy» rispose con voce flebile, alzando lo sguardo.
«Vorrei esaminare anche lui» Piton la guardava attentamente standole di fronte. Hermione non era sicura di quando si fosse avvicinato.
«È un sì? Vuole provarci?» L'uomo alzò gli occhi al cielo per il tono palesemente sorpreso, ma annuì con un cenno del capo.
«Oh, grazie professore» Hermione scattò in avanti prendendo una mano dell'uomo fra le sue. La sentì calda tra le dita. «Grazie, davvero, io... Grazie»
«È presto per i ringraziamenti, Granger» disse Piton sfilando tranquillo la mano tra le sue. «E ora fuori da casa mia, sono impegnato.»
«Certo» rispose, e non poté trattenere un sorriso.
 
Tornò in corridoio, consapevole della presenza dell'uomo dietro di lei. L'aria era sorprendente fresca fuori dal laboratorio buio e umido.
«Kathleen?» chiamò.
«Sono qui, mamma». La bambina sbucò dal salotto, tra le mani aveva un libro che si era portata da casa.
«Vieni, andiamo» Hermione la chiamò a sé tendendole una mano che la bambina accettò prontamente.
Si fermarono davanti alla porta. «Arrivederci, professore. E grazie ancora»
L'uomo accettò con un cenno della testa mentre apriva la porta alle due donne.
«Arrivederci» ripeté Hermione.
«Ciao, professore» le fece eco Kathleen, agitando la mano e sorridendo all'uomo.
Piton si appoggiò allo stipite della porta guardandole scendere le scale. Era rimasto sorpreso dalla prima visita e lo era ancora di più dalla seconda, ma, se non altro, la situazione aveva acceso in lui il barlume della curiosità.
Sentendo la voce acuta della bambina che riempiva di domande la madre non poté impedire ad un angolo della bocca di incurvarsi verso l'alto.
Chiuse la porta qualche istante dopo, la mente già piena di idee che avrebbe dovuto verificare.

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Capitolo 6
*** Di ricerche e pessimi amici ***


Note: sono sempre convinta di non farcela in tempo, invece: eccolo! In questo capitolo, finalmente, scopriamo un po’ dei pensieri del nostro professore preferito, sperando di avergli reso giustizia (incrocio le dita!).
Ancora una cosa piccola piccola: a chi ha recensito, grazie grazie grazie. Siete fantastici, e non mi stancherò di dirvelo!
 
Crudelia
 
 
 
 
 
 
 
 
Di ricerche e pessimi amici
 
 
 
Minerva osservava attenta il prato oltre la finestra. Sentiva dietro le spalle i documenti abbandonati sulla scrivania che richiamavano la sua attenzione, ma era troppo in ansia per dedicarvi la sua concentrazione.
Ansia forse non era la parola giusta.
Attesa. Stava aspettando.
Lo stava aspettando.
Da quando  Hermione le aveva chiesto, così casualmente che avrebbe potuto non accorgersene se il soggetto in questione fosse stato una persona diversa, informazioni sul suo attuale domicilio sapeva che sarebbe stata questione di giorni prima che l'uomo venisse a farle visita. Era sorpresa che fossero passato quasi due mesi.
In ogni caso, aspettava. È in ritardo, pensò.
Ma non era vero: mancavano due minuti alle dieci. Evidentemente quegli anni di riposo gli avevano fatto passare l'abitudine di presentarsi a qualsiasi appuntamento con cinque minuti d'anticipo.
Sorrise al pensiero, le mani giunte e lo sguardo perso.
Quando l'orologio a pendolo nel suo ufficio suonò il primo ritocco dell'ora vide la sua figura comparire al fondo del sentiero, nero contro il verde dell'erba smeraldina.
«È arrivato» disse, e sentì il sorriso nella sua voce.
«Puntuale come sempre, mia cara» commentò Silente alle sue spalle.
 
«Oggettivamente, Minerva, tutta questa messa in scena è nauseante» disse Severus posando la tazzina sul piattino.
«Mi fa piacere sapere che prendere un the con una vecchia amica lo trovi nauseante» rispose Minerva. Nascose un sorriso nella tazza e prese un biscotto dalla scatola di latta che l'uomo continuava ad ignorare.
L'uomo alzò gli occhi al cielo. Le era mancato, ma non glielo avrebbe detto.
«Allora,» iniziò dopo un attimo di silenzio «che novità mi porti?»
«Non fingere di non sapere della Granger, Minerva. So che sei stata tu a sguinzagliarmela contro» rispose con tono secco.
«Suvvia, Severus» Minerva sbuffò una risata «Sguinzagliare, non è certo un cane da caccia»
«No» iniziò lentamente. Minerva conosceva quel tono, e si preparò al colpo che ne sarebbe seguito. Irrigidì impercettibilmente le spalle. «È un altro tipo di canide il problema»
Per l'appunto.
Sospirò con lieve disappunto e posò la tazza per prendere tempo. Raccolse bene le idee prima di iniziare a parlare: voleva essere chiara e non dare margine a fraintendimenti. O non dare margini affatto, Severus era capace di attaccarsi ad ogni più piccolo cavillo.
«Tu non lo sai, Severus. Hermione in questi anni-»
«Non iniziare, Minerva» la interruppe. «Ho accettato di aiutarla»
«Hai- come?»
«Oh, non essere così sorpresa. Pensavo mi considerassi una buona persona» ghignò mentre prendeva la tazza fra le dita e assaporava un lungo sorso di the.
Lei continuava a guardarlo con gli occhi sgranati, lui sfoggiava la sua aria superiore, comodo sulla poltrona.
«Ma certo che sei una brava persona!» buttò fuori. «È solo... Sono... Ecco, è tutto» balbettò.
«Inaspettato?» concluse lui inarcando un sopracciglio. Minerva aveva asserito che le era mancato: ecco, ora cambiava idea. Il lato ghignante, supponente e sarcastico di Severus Piton non le era mancato per niente.
«Inaspettato, sì» soffiò. «Non è proprio il termine che avrei usato io» borbottò contro la tazza che si era portata alle labbra. Il the ormai si era fatto freddo.
«Mi ha incuriosito» ammise Piton. E il tono, morbido e scorrevole, era proprio quello di un'ammissione fatta ad un'amica, una conclusione a cui è giunti dopo averci a lungo riflettuto e non aver trovato nessun punto oscuro o di cui vergognarsi.
Minerva lo guardò meglio e si scoprì felice di vederlo in quel modo. Era rilassato.
Poteva contare sulla punta delle dita le volte in cui l'aveva visto in tale stato d'animo, e tutte risalivano agli ultimi quattro anni, da quando era stato dimesso. E in buona parte di queste, doveva ammettere, era complice un bicchiere (o parecchi di più) pieno di qualche sostanza più o meno alcolica.
«Se il tuo obiettivo non è rimproverarmi perché sei qui?» chiese, le sopracciglia aggrottate.
Piton posò la tazza e si alzò, sistemando con un gesto la camicia leggera. «Vorrei visitare la biblioteca» chiese.
 
 
 
Buona parte del pomeriggio era già passata quando Severus decise che la biblioteca non avrebbe potuto fornirgli più materiale di quello che aveva già raccolto. Avrebbe approfondito le sue ricerche nel suo laboratorio, per adesso si sarebbe limitato a raccogliere le copie dei libri che gli servivano e rimpicciolirle fino a farsele entrare nelle tasche.
Uscì dalla biblioteca e attraversò i lunghi corridoi di pietra fino all'ufficio della preside. Non camminava a grandi falcate com'era solito fare durante gli anni d'insegnamento, ma camminò con calma, godendosi la luce obliqua del sole e la calma che garantiva l'assenza degli studenti, tutti in Sala Grande per la cena. Non si pentiva della scelta che aveva fatto: lasciare l'insegnamento in favore della ricerca. Aveva scritto un libro perché, era da dire, che l'unico che avesse potuto approfittare delle sue conoscenze nell'ambito delle pozioni fosse stato Potter era davvero uno smacco. Inoltre, ciò che ne aveva guadagnato gli garantiva di sostenersi durante i suoi viaggi. E non c'era niente, niente di meglio. Nessun piano folle dell'Oscuro Signore, nessuna missione suicida da parte di Silente. Solo i suoi desideri, i suoi tempi, la sua libertà.
Come aveva detto, non se ne pentiva. Tuttavia, Hogwarts, la casa che per tanti anni l'aveva accolto, avrebbe sempre avuto un posto nel suo cuore.
 O quel che ne rimaneva. Metaforicamente, insomma.
Raggiunse il gargoyle dell'ufficio del preside attraversando bande di sole obliquo.
«Maine Coon» disse alla statua, che si spostò. Iniziò a salire le scale con uno sbuffo, pensando che si era passati da un preside che come parola sceglieva nomi di dolci ad una che sceglieva razze di gatto.
Bussò leggero, ma non aspetto una risposta per entrare. Minerva era seduta alla scrivania, una piuma in mano.
«Oh, Severus» disse alzandosi e occhieggiando l'orologio. «Ti fermi a cena?»
«Cenare con bambini rumorosi era proprio ciò che desideravo per concludere questo viale delle rimembranze» rispose sarcastico.
La donna gli lanciò una delle sue famose occhiate mentre ritirava i documenti, ma non disse niente. Entrambi sapevano che per molto tempo l'ironia era l'unica cosa che gli era rimasta.
«Hai trovato ciò che ti serviva?» chiese per cambiare discorso mentre lo accompagnava all'uscita. Almeno quello non glielo avrebbe negato.
«Qualcosa» rispose evasivo. Non voleva sbilanciarsi: troppe idee gli affollavano la mente e ancora non aveva finito tutte le sue indagini. Aveva impiegato troppo tempo ad Hogwarts, il suo prossimo consulente non avrebbe gradito una visita all'ora di cena.
Non che gli importasse.
«Spero di vederti presto, Severus» iniziò Minerva quando arrivarono al pesante portone di quercia.
Severus si girò nella sua direzione in tempo per cogliere il lampo di affetto che le attraversò lo sguardo.
Si schiarì la voce. «Ho ancora un favore da chiederti, Minerva»
La donna annuì, in attesa. «Devo sapere l'indirizzo della Granger»
Annuì di nuovo, per niente sorpresa. «Ti farò avere un biglietto»
«Al più presto» aggiunse Severus, eloquente.
Minerva sorrise. «Perché tanta fretta, vuoi mandarle un mazzo di fiori?»
L'uomo alzò gli occhi al cielo. «Sei insopportabile, Minerva»
Per tutta risposta, lei rise.
 
 
 
I cancelli ancora lo riconoscevano, ma non grazie al Marchio Nero questa volta, pesava mentre attendeva nello studio in cui era stato accompagnato.
In realtà si stava scocciando: poteva saltare tutte quelle procedure guidate dalla mera cortesia.
«Stavo cenando, Severus» la voce strascicata di Lucius gli arrivò alle orecchie prima della sua figura. Elegante e pettinato come se l'ospite a cena fosse stato il Ministro in persona, Malfoy lo squadrò con aria altezzosa fermo sulla soglia.
«Mi chiedo sempre perché tu continui a vestirti come se dovessi presenziare ad un gala quando non puoi uscire di casa» fu la risposta, pronta.
Passarono un paio di attimi di silenzio, poi Malfoy sorrise. Un sorriso vero, sebbene velato di tristezza. Severus si avvicinò e si strinsero la mano. Per loro, un gesto più intimo di un abbraccio.
«Cosa posso fare per te, amico mio?» chiese ricomponendosi.
«Vorrei visitare la tua biblioteca, Lucius»
 
 
«Perché non finisci di cenare al posto di starmi tra i piedi?» chiese sgarbatamente Severus strappando un libro dalle mani di Malfoy. Ciò che Lucius stava facendo aveva un nome ben preciso: ostruzionismo.
«Sono sicuro che Narcissa mi perdonerà» rispose mellifluo, un sorrisino agli angoli della bocca. «E poi non ho spesso l'onore di avere ospiti così interessanti»
Severus sbuffò. «Ho saputo che hai dato un ballo per il tuo compleanno» rispose mentre soppesava un tomo, indeciso se farne una copia o meno.
«Ballo al quale tu ti sei premurato di non venire»
«Ero in Amazzonia» disse pronto. Forse un po' troppo: si aspettava quella domanda e aveva già deciso quale sarebbe stata la risposta.
«Pare che questi viaggi ti impediscano di partecipare a molti compleanni»
Severus alzò gli occhi al cielo, prendendo un altro libro e cominciando a sfogliarlo. Non sapeva come Malfoy venisse a conoscenza di alcuni dettagli: non poteva uscire dal maniero, ma nulla di ciò che succedeva al di fuori delle mura passava inosservata alla sua attenzione.
«Renditi utile, Malfoy, portami da bere» disse.
Lucius si allontanò un paio di passi e chiamò un elfo domestico solo leggermente meno tremante che hai tempi oscuri. Severus notò distrattamente che non aveva nessun dito fasciato, tanto meno le orecchie.
Avrebbe fatto piacere saperlo alla Granger,  pensò. E subito si chiese come quel pensiero gli fosse saltato alla mente. Aveva pensato troppo a sua figlia, quel giorno, concluse.
«Anatemi, controincantesimi e pozioni curative. Una lettura leggera» commentò Lucius gettando un'occhiata sopra la sua spalla.
«Sto facendo delle ricerche» rispose Severus, voltandosi e prendendo tra le dita il bicchiere che l'altro gli stava porgendo.
«E non mi dirai di cosa si tratta.» Non era una domanda, e Severus non si preoccupò di fingere mentre faceva tintinnare il vetro contro l'altro.
Vuotò il contenuto in un sorso e il brandy pregiato che Lucius era solito offrire gli scivolò per la gola bruciando. «Quando avrò successo, forse» rispose con voce roca tornando ai libri.
Lucius andò ad accomodarsi in una poltrona, tra le mani aveva un libro e, a parte alzarsi per riempire i bicchieri, stette in silenzio permettendo a Severus di concentrarsi.
«Hai consultato altre fonti?» chiese dopo quelle che potevano essere state ore. Aveva la voce roca e gli occhi appannati.
«Sono stato a Hogwarts» rispose distratto, aveva trovato qualcosa d'interessante, finalmente.
«Ah, i Malfoy ancora una volta secondi» sospirò con fare teatrale Lucius prima di svuotare con un sorso un altro bicchiere e tornare a chiudersi nel suo silenzio.
Passarono alcuni minuti prima che Severus si alzò di scatto e iniziò a raccogliere tutto ciò che aveva sparso sul tavolo.
«Devo andare, Lucius»
«Così di fretta?» chiese strascicato. Aveva bevuto troppo.
«Devo controllare alcune cose»
«Certo, certo» agitò il bicchiere nella sua direzione. «ricordati di controllare anche di non lasciare troppi bastardi per il mondo»
Severus alzò gli occhi al cielo. «Sei insopportabile, Lucius»
Per tutta risposta, lui rise.
 
 
 
Hermione si asciugò le mani mentre con un gesto abituato del fianco chiudeva lo sportello della lavastoviglie. Gettò lo strofinaccio nel lavandino e, nel farlo, andò a sbattere contro una sedia. Sbuffò, massaggiandosi il fianco. Doveva smetterla di pensare ad altro quando doveva fare attenzione.
«Sono puliti, mamma?» Kathleen arrivò di corsa e si fermò davanti a lei, mostrando i denti con un sorriso al limite della smorfia.
«Splendenti» rispose Hermione sorridendo. Kathleen saltò sul posto e corse via.
Mentre si dirigeva nella sua camera per cambiarsi, Hermione la vide coricata sul tappeto intenta a colorare.
In camera, si tolse i jeans con un sospiro di piacere. Era stanca, e non aveva aspettato altro che vestirsi comoda per tutto il giorno. I pantaloni di seta grigia scivolarono sulla pelle ed Hermione si godette la sensazione che le davano. Quando Ginny gliel'aveva regalato aveva detto che era eccessivo, ma adesso era più che contenta di godersi quel lusso.
Si infilò la canottiera sottile e pensò che non vedeva l'ora di infilarsi anche sotto le coperte. Aveva dormito male. La notte scorsa non aveva fatto altro che pensare all'incontro alla Tana con Piton: le aveva detto che voleva tenere Kathleen sotto osservazione, ma ricordava poco o niente di ciò che le aveva detto dopo, le orecchie spiacevolmente piene della voce di Grayback.
Ma non era a quello che doveva pensare, quanto più a cosa avrebbe dovuto fare con l'ex professore. Contattarlo, aspettare che si facesse sentire lui?
Come in risposta ai suoi dubbi, il campanello suonò.
«Mamma, hanno suonato» la chiamò Kathleen dal salotto.
«Arrivo» disse uscendo dalla camera e infilandosi una vestaglia bianca.
Aprì la porta chiedendosi chi mai potesse essere a quell'ora e rimase a bocca aperta: tutti i suoi dubbi si erano concretizzati davanti alla sua porta.
 
 
 
Severus si stava ancora maledicendo per aver accettato tutto quell'alcool da Lucius, che l'aveva lasciato con un sapore amaro in bocca e lo stomaco sottosopra dopo la materializzazione, quando la porta si era aperta.
Tutto si aspettava, fuorché vedersi Hermione Granger aprirgli la porta avvolta in una vestaglia che non ci provava nemmeno a coprire la profonda scollatura, e ciò che scopriva.
«Oh» disse. Evidentemente se n'era accorta anche lei, perché la vide arrossire fino ai riccioli scarmigliati.
«Oh, ciao professore» alzò gli occhi oltre la spalla della donna e vide la bambina guardarlo dal divano su cui era inginocchiata. La vide subito sparire.
A quel punto decise di prendere la situazione in mano. «Granger» e alzò un sopracciglio, aspettando che lei facesse il suo compito di padrona di casa.
«Oh, prego» si scosse, facendo un passo indietro.
Severus entrò e subito il profumo della casa lo colpì alle narici e allo stomaco. Si era dimenticato cosa volesse dire quando era una donna ad occuparsi di una casa.
Si schiarì la voce.
«Desidera qualcosa, professore?» chiese Hermione e lo sguardo di Severus fu di nuovo catturato dalla sua figura. La guardò attentamente senza riuscire a decifrare quella sensazione. Forse, pensò, forse vederla vestita in quel modo la faceva sembrare ancora più giovane. Gli occhi scivolarono lungo le sua gambe lasciate nude dai pantaloncini scoprendole sode e lievemente abbronzate.
«Non ce ne sarà bisogno» rispose alla fine. Decisamente, doveva smettere di bere, soprattutto se non mangiava nulla dalla mattina. «Sono venuto per la bambina» si sforzò di spiegare.
«Oh» ripeté lei. «Kathleen, vieni qui» chiamò poi dopo un'occhiata sospettosa all'uomo.
La bambina arrivò subito, un pigiamino rosa a coprirla e un grosso cane di peluche nero stretto sotto il braccio. Alzò gli occhi neri su Severus e l'uomo si stupì, non per la prima volta, di come fosse una bambina silenziosa.
«Il professore è qui per te» spiegò Hermione poggiandole una mano rassicurante sulla spalla, poi tornò a guardarlo.
Severus si prese tutto il tempo per osservare le due donne, poi gettò un'occhiata all'orologio. Immaginava la bambina dovesse andare a dormire fra poco, quindi decise di sbrigarsi.
Allungò una boccetta con la pozione a cui aveva lavorato alla bambina, che la prese senza esitazione.
«Bevi questa»
«Cos'è?» chiese rapida Hermione, il sospetto macchiava la sua voce.
«Una pozione, Granger»
«Questo lo vedo» lo guardò stringendo le labbra e lui si obbligò a sopprimere l'istinto di arricciare le labbra in un sorriso.
«Manca una settimana alla luna piena, voglio iniziare a studiarne gli effetti» le spiegò.
Hermione annuì, poi abbassò gli occhi per incontrare quelli della figlia e annuì anche a lei, sorridendole incoraggiante.
Kathleen strappò la boccetta con una manovra che avrebbe soffocato il cane se fosse stato vero.
«Puzza» commentò, storcendo il naso. Alzò gli occhi su Piton, ma lui si limitò ad alzare le sopracciglia. Fece un grosso respiro poi, con gli occhi strizzati, la vuoto. Quando tornò ad abbassarla fece una storia disgustata che risultò comica sulla sua faccina.
Prima che Hermione potesse lodarla Severus intervenne. «Tutta, Kathleen» disse, mantenendo comunque la voce tranquilla.
La bambina lo guardò con i grandi occhi supplicanti, ma non protestò e ingoiò anche l'ultimo sorso con le stesse smorfie di prima.
Appena finito consegnò la boccetta alla madre e corse a bere.
Severus la osservò finché non la vide sparire, poi si girò e iniziò a camminare verso la porta.
«Controllala, vorrei sapere se ci sono delle reazioni»
«Reazioni? Quali reazioni?» chiese Hermione seguendolo. Quasi dovette correre: lui aveva già aperto la porta senza aspettarla.
«Non lo so» rispose lui. Era già sullo zerbino, ma si voltò nella sua direzione. «Ma non si può mai sapere in fase di sperimentazione»
Hermione lo guardò corrucciata, non le piaceva e non c'era bisogno che glielo dicesse.
«Va bene» disse alla fine, più per osservanza dell'educazione che altro.
L'uomo annuì poi, prima che la tentazione di gettare un ultimo sguardo a quelle gambe lo convincesse a desistere, si voltò e sparì con uno schiocco.

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Capitolo 7
*** Reazioni e... ***


Note: ecco il nuovo capitolo! È piuttosto importante, in realtà, quindi se notate errori o, al contrario, vi è piaciuto fatemelo sapere e io sarò felice.
Ancora una cosa: visto il periodo che tutti stiamo vivendo mi impegnerò affinché possa esserci un altro capitolo pronto per metà settimana (e vi avverto, sarà il mio preferito finora!). Quindi, visto che io sarò buona con voi, voi siatelo con me (perché in fondo, gente, non possiamo uscire di casa: che vi costa lasciarmi una recensione?Sconfigge la noia!)
Detto questo, un abbraccio
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Reazioni e...
 
 
 
 
«È già andato via?» chiese Kathleen affacciandosi al salotto.
«Uhm» Hermione scosse la testa, sbattendo le palpebre. Era rimasta a guardare il punto in cui era scomparso per una decina di secondi buoni, prima che la figlia la riscuotesse. «Sì, è già andato via» bisbigliò chiudendo la porta. Com'era possibile che ad ogni loro incontro la lasciava con più domande di quante ne avesse in precedenza?
Era la quintessenza dell'ermetismo, quell'uomo.
«Come ti senti?» chiese a Kathleen, che ne frattempo era tornata alla sua occupazione precedente.
«Bene» rispose la bambina prendendo la matita arancione. «Ma puzzava davvero tantissimo. Era come...» alzò gli occhi al soffitto cercando la parola giusta. Fu una pausa piuttosto lunga, durante la quale Hermione si accomodò in poltrona con un libro fra le mani. Evidentemente la volta chiara non era in grado di offrire un termine adeguato. «Un broccolo marcio!» disse infine, soddisfatta.
«Un broccolo marcio?» Non sapeva come le fosse venuto in mente un paragone simile, sicuramente Hermione non lasciava marcire la verdura in casa.
«Puzzava» rispose la bambina, annuendo e guardandola con gli occhioni neri sgranati.
«Ma tu li mangi, i broccoli» disse Hermione, cercando di comprendere.
Kathleen si strinse nelle spalle: per lei era chiaro. C'erano volte in cui diceva ad Hermione che non poteva capire perché era grande, quella era probabilmente una di quelle volte.
«Comunque, cambio di programma questa sera» cambiò discorso. «Dormi con me»
Kathleen scattò in piedi con un salto. «Davvero?» gridò.
Hermione annuì, sorridendole.
«Evvai!» saltò la bambina. «Hai sentito, Scuro? Si dorme nel lettone di mamma stasera» disse al cane peluche facendolo volare e riprendendolo tra le mani.
 
 
 
Kathleen aveva un mucchio di cose preferite, pensava mentre si avvicinava al petto di sua madre per farsi abbracciare sotto le coperte. C'era Scuro: il suo peluche preferito, il viola: il suo colore preferito, i pancakes come colazione della domenica e la storia prima della nanna. Quello era il suo momento della giornata preferito: la mamma non la lasciava finché non si addormentava, ma spesso Kathleen non riusciva ad ascoltare la storia fino alla fine.
Comunque tra le sue cose preferite c'erano anche delle persone. Teddy, ad esempio, che era suo amico. Però in quel caso si diceva migliore amico, non preferito, anche se non sapeva il perché. In fondo, Teddy era l'amico che lei preferiva, non il migliore. Infatti non le regalava mai la merenda come Phil faceva con Violet all'asilo.
Avrebbe potuto chiedere alla mamma perché si diceva migliore amico e non preferito, ma immaginava che le avrebbe fatto un discorso sull'uso delle parole che non l'avrebbe soddisfatta. La mamma però era l'unica che sapeva tutto, solo una persona sembrava sapere più cose (ma ancora non ne era sicura. Avrebbe dovuto controllare, perché la sua mamma sapeva davvero tante, tante cose). Avrebbe dovuto chiedere al professore, pensò sentendo il caldo avvolgerla. Al professore vestito di scuro, che era andato a trovarle quella sera, che le aveva dato la pozione che puzzava di broccolo e che si era dimenticata come si chiamava.
 
 
 
Hermione fu svegliata da qualcosa che tremava. Un terremoto, pensò. Ma poi si accorse che a tremare non era il letto, ma qualcosa nel letto.
La seconda cosa che realizzò - troppo poco per essere un pensiero, troppo per essere una sensazione - fu il caldo. Qualcosa davanti a lei stava andando a fuoco.
Aprì gli occhi e il suo cervello ci mise un attimo a far convergere i suoi pensieri con l'immagine che li confermava e smentiva tutti.
È Kathleen.
È Kathleen. Sta tremando. È bollente.
Kathleen sta tremando ed è bollente.
«Oh Dio» forse lo pensò, forse lo disse, scattando in ginocchio sul letto e scostando con un solo gesto il lenzuolo e la coperta sottile. Toccò la fronte della bambina e ritrasse le dita come scottata.
Si sporse ad accendere la lampada sul comodino e le si bloccò il respiro. Kathleen stava in una pozza di sudore: i capelli appiccicati alla fronte e le guance rosse. Tremava talmente tanto da sembrare scossa dalle convulsioni.
«Kathleen» la scosse leggermente, cercando di svegliarla. «Kathleen, amore, svegliati»
Dio, le tremavano le mani.
«Kathleen!» e la voce.
No, no, no! Doveva mantenere la calma.
Doveva abbassare la temperatura, per prima cosa. Subito.
Si alzò e corse in cucina. Svoltò l'angolo troppo in fretta, scivolò e colpì la porta con la spalla e con il fianco. Non se ne curò. Mise una ciotola a riempirsi sotto l'acqua fredda e nel frattempo prese dei cubetti di ghiaccio.
Quando tornò in camera, non più di un minuto dopo, le sembrò di aver perso ore.
Bagnò la fronte della bambina, parlandole piano come a confortarla.
Cambiò l'acqua due volte quando si ricordò di avere una bacchetta, che l'acqua avrebbe potuto appellarla, ma, soprattutto, che quella reazione non era normale.
Non a giugno, non se fino a qualche ora prima stava bene.
Reazione. Reazione, reazione, reazione...
Non si può mai sapere in fase di sperimentazione.
«Oh.»
 
 
 
Non ci aveva riflettuto molto prima di impugnare la bacchetta e materializzarsi. Che poi fosse sconsigliato farlo con una bambina così piccola e che fosse un'ora imprecisata tra le due e le quattro di notte non è che le importasse più di tanto.
Aprì il portone con un Alohomora così potente che rischiò di scardinarlo, ma non si fermò finché non arrivò davanti alla sua porta. Premette il campanello e non lo lasciò finché non la vide aprirsi.
Kathleen, tra le sue braccia, non aveva smesso di tremare. Come se non bastasse, aveva iniziato a farfugliare frasi e parole che Hermione non riusciva ad afferrare.
«Faccia qualcosa» disse appena incontrò i suoi occhi. Una supplica, ma, ancora, cosa le importava?
Piton aprì di più la porta e tese le braccia.
«No» ringhiò Hermione, stringendosi la bambina al petto.
L'uomo strinse le labbra, ma non commentò. «Nel mio letto» disse soltanto, scostandosi quanto bastava.
Hermione superò esitante il laboratorio, poi si infilo nella stanza dalla quale si intravedeva un letto. Le coperte erano spostate da un lato, segno che l'uomo stava dormendo fino a poco prima. Con premura, coricò la bambina al centro del materasso. Per un attimo l'immagine della donna che le aveva aperto la porta la prima volta le balenò nella mente, e si chiese cosa facesse Piton nel letto in cui aveva appena posato sua figlia.
Scosse la testa per scacciare il pensiero e si concentro sul togliere i capelli dalla faccia di Kathleen. La treccia in cui li aveva legati prima che andassero a dormire si era già tutta scomposta, come al solito.
«Spostati, Granger» una mano ferma sulla sua spalla la costrinse ad allontanarsi. «E apri la finestra»
Come se avesse sempre saputo dove trovarla, Hermione si diresse verso la finestra. La spalancò e tornò in fretta vicino alla figlia Piton le stava picchiettando leggero sulla fronte con la bacchetta.
«Bisogna abbassare la temperatura» disse. Con un altro colpo di bacchetta fece comparire una ciotola e delle pezze. Lui, evidentemente, di avere una bacchetta non se n'era dimenticato.
Hermione si ritrovò un fazzoletto in mano e, come aveva fatto in precedenza, iniziò a passarlo sulla fronte e sul viso della bambina. Piton fece lo stesso con i polsi e le caviglie, poi sparì.
Tornò poco dopo, Hermione stava risciacquando il fazzoletto.
«Da quanto tempo sta così?» chiese, la voce bassa e tranquilla.
«Mezz'ora, forse di più» rispose Hermione.
«E pensavi di aspettare ancora un po' di più, Granger?»
Hermione alzò gli occhi su di lui e lo guardò per la prima volta. Fu il tono sarcastico a scuoterla, o forse il fatto che Piton la stesse rimproverando pur non avendo idea del panico che provava una madre. Sentì una vampata di rabbia avvolgerla e subito dopo si sentì, finalmente, sveglia. Ma soprattutto, libera dal terrore che da quando si era svegliata si era ancorato al suo stomaco rendendole difficile anche respirare.
Piton, in ogni caso, era tornato a chinarsi sulla bambina.
«Non basta» sussurrò, parlando a se stesso.
 
«Granger?» cercò i suoi occhi, ma la donna li aveva tutti rivolti alla figlia.
«Hermione?» riprovò. E funzionò.
«Sì?» chiese lei, suonava e sembrava stanca. E giovane.
«Bisogna spogliarla. Non può stare così»
Hermione strinse le labbra, ma annuì dopo un secondo di esitazione. Lui aspettò, le mani congiunte tra loro: non si sarebbe mai permesso di toccare la bambina.
Hermione tolse prima i pantaloni, quando fu il turno della maglia alzò gli occhi verso i suoi.
«Mi aiuti»
Severus si sedette al bordo del letto, sull'altro lato della donna. «Come?»
«La sostenga» disse semplicemente. Prese la figlia sotto le ascelle e spinse in posizione seduta, appoggiandola contro l'uomo. Severus sentì il suo peso contro il braccio. La sostenne con l'altro mentre Hermione iniziava a sfilarle un braccio. Si perse ad osservare i movimenti della donna: ogni gesto faceva trasparire amore e attenzione verso quella bambina, quel fagotto che appoggiato al suo braccio sembrava ancora più caldo, più piccolo, più fragile. Sentiva il suo profumo di bambina raggiungerlo, i suoi tremori vibrargli fino alla cassa toracica.
«Mamma» biascicò la bambina quando Hermione le sfilò la maglietta dalla testa.
«Sono qui, amore» sussurrò in risposta. Severus ammirò come il tono rimase tranquillo e rassicurante, ma non fu quello a fargli mancare un battito. L'aveva riconosciuto. Il modo, le parole, una donna si era rivolta a lui con la stessa attenzione e le stesse parole così tanti anni prima da essere doloroso ricordarlo.
Hermione piegò il pigiama, ma l'uomo non osò muoversi. Quando le mani della donna allontanarono Kathleen dal suo braccio incontrò i suoi occhi, un muto ringraziamento nello sguardo. Annuì, alzandosi, sentendo freddo dove fino a un attimo prima il corpo della bambina l'aveva scaldato e ricordandosi solo in quel momento di non essersi ancora rivestito del tutto.
Lo attraversò fugacemente il pensiero di dover ringraziare una qualsiasi entità perché la bambina non si era appoggiata al suo braccio sinistro.
Si schiarì la voce, chinandosi per prendere la boccetta che aveva recuperato poco prima. Per dargliela, comunque, fu costretto a sedersi nuovamente.
«Kathleen» la chiamò, mentre con una mano sorreggeva la sua nuca, così piccola.
«Kathleen» ripeté, e questa volta vide le sue iridi scure lampeggiare sotto le palpebre.
«Mamma» disse ancora una volta la bambina.
«No, non proprio» disse. «Sono il professor Piton. Bevi questo, Kathleen»
La bambina aveva gli occhi pesanti, la stava già perdendo. «Kathleen» la chiamò ancora una volta. «Bevi questo» le avvicinò la boccetta alla bocca, sfruttando il lampo che le vide negli occhi.
Lei capì, si sforzò.
«Brava, così. Bevi» sussurrò, e continuò finché non fu vuota. «Brava, Kathleen. Sei stata brava» le ripeté, lasciandole andare lentamente la testa. Ma lei non se n'era accorta: stava già dormendo.
 
Hermione aveva trattenuto il fiato. Pensava che, respirando, avrebbe rotto l'incantesimo.
Perché lo era, un incantesimo.
Piton aveva tranquillizzato la figlia, l'aveva svegliata, l'aveva fatta bere. L'aveva curata.
E tutto con un'attenzione che lei non gli aveva creduto possibile. Sembrava si fosse dimenticato di lei in quei momenti, del tutto assorto dal suo lavoro. Ma poi l'aveva visto drizzarsi e alzarsi. Era andato a chiudere la finestra e lei non era stata in grado di distogliere gli occhi, rimproverandosi perché lo stava fissando sfacciata.
«Vieni, Hermione» la chiamò quando fu davanti alla porta. Un chiaro invito, ma lei non voleva accettare. Posò gli occhi su Kathleen e finalmente la vide tranquilla. Niente scosse, niente caldo innaturale. Solo la sua bambina.
«Dormirà fino a domani, non si sveglierà» spiegò.
Hermione esitò ancora un momento, poi si alzò. Posò un bacio sulla fronte di Kathleen, ringraziando di sentirla soltanto tiepida, e seguì l'uomo, che chiuse silenziosamente la porta alle sue spalle.
Si fece guidare in salotto, ancora un po' scossa. Le malattie di Kathleen erano all'ordine del giorno, ma mai l'aveva vista così. La luce soffusa di una lampada che illuminava l'ambiente la fece sentire meglio, infondendole un'aria di familiarità e sicurezza.
Si passò la mano tra i capelli, ancora scompigliati dal sonno e si accorse di com'era vestita: era partita così in fretta da non prendere nemmeno la vestaglia e le scarpe. Sarebbe arrostita, ma la voce dell'uomo non gliene diede il tempo.
«Tieni» disse semplicemente. Hermione alzò lo sguardo e lo vide porgerle un bicchiere pieno per metà di una sostanza trasparente che subito reputò alcolica.
«Grazie, ma non...» la frase le morì in bocca. Stava osservando il bicchiere teso nella sua direzione quando la sua attenzione era stata catturata da ciò che era impresso sulla pelle dell'uomo. Pensava che il Marchio Nero fosse sparito con la sconfitta di Voldemort, invece eccolo lì: leggermente sbiadito, ma con i contorni di un nero quasi violaceo, come una ferita infetta, rigettata.
Deglutì. «Non bevo» sussurrò.
Piton si strinse nelle spalle, allungandosi per posare il bicchiere sul basso tavolino e offrendole così ancora una volta la vista del suo corpo.
Come lei, era scalzo, ma non fu questo a sconvolgerla. Era particolarmente informale, come un babbano appena uscito dalla palestra. I pantaloni neri, larghi, lo coprivano fino alle ginocchia e insieme  alla maglia a maniche corte, aderente, lasciavano scoperti la pelle pallida e i muscoli sodi, longilinei. Percorse con gli occhi l'addome piatto, le spalle larghe, il collo sfregiato da segni biancastri e, infine, incontrò i suoi occhi.
Piton alzò in sopracciglio ed Hermione si sentì avvampare. Si era accorto del suo esame e aveva aspettato che lo concludesse. Lo vide prendere un sorso dal bicchiere con quello sguardo beffardo che le fece asciugare la bocca.
Per stemprare la tensione Hermione si avvicinò al tavolo e prese il bicchiere che prima le era stato offerto. «Ho cambiato idea» farfugliò prima di ingollare un sorso.
Pessima, pessima idea. Il liquore le bruciò la gola e l'esofago, fino allo stomaco, facendole sentire a fuoco non solo le guance, ma tutta se stessa.
Si schiarì la gola per evitare di tossire come una ragazzetta scoperta a fumare la sua prima sigaretta, ma dall'angolo della bocca di Piton che vide curvarsi verso l'alto immaginò di non esserci riuscita. Ma poi, dannazione, possibile che ogni gesto di quell'uomo dovesse essere sempre lento, elegante, quasi lascivo?
Era sua la colpa, benedetto Godric.
Ma per quanto ne dicesse i suoi occhi continuavano imperterriti a tornare sulla figura dell'uomo, mollemente appoggiato allo schienale del divano e intento a guardarla. Pareva godersela un mondo, a vederla a disagio.
Hermione prese un altro sorso, senza rischiare di strozzarsi, questa volta, e decise di ricambiare lo sguardo. Quello che sentiva nello stomaco non era solo il caldo del liquore, ma un tepore gentile, accogliente che sembrava avesse tutte le sfumature della gratitudine. Di nuovo.
E sentiva quella parola, quel grazie, in fondo alla gola come un boccone troppo grosso da ingoiare, ma impossibile da sputare fuori.
Prese un ultimo sorso, posò il bicchiere, si fece coraggio e parlò. «È strano vederla vestito in questo modo.» Decisamente, non era quello che voleva dire. Diede la colpa all'alcool, al poco sonno.
Piton sbuffò una risata. «Da quando ho il piacere di dormire senza il timore di essere chiamato dall'Oscuro Signore ho scoperto il piacere di dormire... comodo» disse l'ultima parola in un sussurro, appoggiando le labbra al bordo del bicchiere e fissandola negli occhi con un lampo di malizia. Ad Hermione sembrò che quel comodo volesse essere un sinonimo di nudo, e lo stomaco affondò in una parte imprecisata del pavimento sotto i suoi piedi. Quando lo vide avvicinarsi, poi, il cuore iniziò a battere impazzito.
Piton, tuttavia, si fermò distante da lei e posò il suo bicchiere, vuoto.
Hermione si schiarì un'altra volta la gola, chiedendosi perché lei fosse in fiamme mentre l'uomo sembrava pienamente padrone di sé e della situazione.
«Volevo...»
«È tardi, Hermione. Torna da tua figlia» le disse.
Hermione annuì, senza discutere. Era tornato ad essere il professore, sebbene il tono secco cozzava con la delicatezza con cui aveva pronunciato il suo nome.
«Buonanotte, professore» si congedò con un sorriso appena accennato.
Piton annuì. «Buonanotte.» Ed Hermione immaginò il suo nome scivolargli ancora una volta dalla bocca.

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Capitolo 8
*** ... conseguenze! ***


Note: ecco, amici, il nuovo capitolo, lunghissimo! Se penso che l'ho partorito (perché di parto si è trattato: faticoso, doloroso, sudato e sanguinato) in così pochi giorni non posso crederci. Spero di non essere sprofondata nell'OOC (in tal caso fatemelo sapere) e di strapparvi un sorriso in uno di questi lunghi giorni.
Un abbraccio,
Crudelia
 
PS. a tutti coloro che hanno recensito: vi adoro!
 
 
 
 
 
 
...conseguenze!
 
 
 
 
Hermione aprì gli occhi su una parete ricoperta di libri. Il suo primo pensiero fu: ma quanti libri, quest'uomo non possiede altro.
Il secondo e il terzo pensiero furono, non in quest'ordine, ricordare chi era l'uomo in questione e Kathleen.
Si alzò di scatto, trovandosi a sedere in un letto che non era il suo con la figlia placidamente addormentata accanto. Si chinò sulla bambina e posò le labbra sulla sua fronte, sentendola fresca e asciutta. Sorrise e si alzò. Chiuse la porta alle sue spalle e camminò a piedi nudi senza fare rumore lungo il corridoio, quando arrivò al salotto lo trovò inondato della luce del sole mattutino.
Il padrone di casa, perfettamente vestito negli usuali pantaloni neri e camicia bianca (cosa che la fece pensare, nascondeva vestiti in altre parti della casa oppure era entrato nella stanza mentre lei e la bambina stavano dormendo?), era in piedi davanti alla libreria, un libro aperto tra le mani. Hermione conosceva quella posizione: la assumeva sempre quando doveva consultare un preciso dettaglio e sapeva dove trovarlo. Non un lettura di piacere, quindi.
«Buongiorno, professore» esordì, facendo qualche passo in avanti.
L'uomo non diede alcun segno di sorpresa, semplicemente annuì, come se avesse sempre saputo della sua presenza. «Granger»
Lei fece solo in tempo a pensare che era tornato al cognome, poi lui parlò di nuovo.
«È arrivata quella per te, poco fa» indicando con un gesto della testa una busta abbandonata in mezzo al tavolo spoglio.
Hermione si avvicinò e il cuore le saltò in gola quando riconobbe il simbolo che ne indicava la provenienza.
«Il Ministero!» disse, quasi strozzandosi con la parola. Lesse in fretta la missiva. Era in ritardo, in ritardo mostruoso.
«Che ore sono?» chiese alzando lo sguardo spaventato verso l'uomo.
«Le dieci» rispose pigro.
«Oh Merlino, perché non mi ha svegliato?!» chiese, la busta abbandonata tra le mani.
Finalmente Piton alzò lo sguardo su di lei. La guardò con aria di sufficienza prima di inarcare un sopracciglio. «E perché avrei dovuto?»
«Oh, Merlino» ripeté passandosi le mani tra i capelli, che erano un disastro. «Smith mi licenzierà»
Piton sbuffò, o forse fu solo una sua impressione. Non poté accertarsene, perché l'uomo aveva nuovamente chinato il volto e i capelli erano scivolati a coprirlo.
«Devo andare» bisbigliò, ma non riusciva a muoversi. «Io...»
«Sbrigati, Granger, se devi» la sollecitò Piton.
«Ma Kathleen...»
«Non la mangerò, Granger, se è questo che temi» la interruppe di nuovo.
«Oh, no, io...» possibile che qualsiasi cosa dicesse dovesse sempre finire con il sentirsi così in imbarazzo? «Non intendevo, se non vuole non...»
«Ho badato per anni a ragazzini pestiferi, una bambina non mi ucciderà»
«Non so cosa dire, io...»
«Granger» chiuse il libro di scatto, per dare peso alle sue parole. «Puoi evitare di vanificare il mio sacrificio presentandoti a lavoro ed evitando un licenziamento» la guardò eloquente e la scintilla che passò nei suoi occhi le disse che, se non fosse sparita subito e se avesse potuto, le avrebbe tolto una decina di punti.
Hermione non poté trattenere un sorriso. «Sì, signore». Prese la bacchetta e si smaterializzò, l'ultima cosa che vide fu l'uomo che alzava gli occhi al cielo.
 
 
 
Non andava. Non funzionava, e non capiva il perché. Aveva fatto tutte le ricerche e sperimentazioni del caso, non avrebbe mai dato un pastrocchio senza garanzie ad una bambina. Ma, ancora, non aveva funzionato.
Era frustrante non sapere cos'era andato storto: aveva seguito tutti i passaggi correttamente ed apportato modifiche personali. E, tendenzialmente, le sue modifiche avevano il vizio di andare a buon fine.
Non si spiegava quindi quella reazione. Immaginava che qualcosa sarebbe successo: la pozione doveva scatenare reazioni nella bambina, era ciò che voleva, ma non così, non quello. Aveva fatto bene Hermione a spaventarsi, anche se non glielo avrebbe detto: per curare la bambina le aveva dato una dose della pozione di guarigione che sarebbe stata sufficiente per un uomo adulto, in abbondanza, figurarsi per quel fagotto che non pesava trenta chili bagnato.
Mancava qualcosa alla soluzione, qualcosa di non prettamente fisico, ma magico. Qualcosa che sentiva appena al di fuori della sua portata, doveva solo...
«Dov'è la mamma?»
Piton alzò di scatto la testa e vide Kathleen all'entrata della stanza. Non si era ancora vestita e le gambe paffute e i capelli simili ad un groviglio la facevano apparire ancora più piccola. Si stava strofinando un occhio e su una guancia aveva ancora il segno rossastro di una piega del cuscino.
«A lavorare» rispose Severus tornando a leggere.
«E io?»
«Mi pare che tu non vada a lavorare». Nel silenzio che seguì Severus tornò ad immergersi nel libro, ritrovando immediatamente la concentrazione necessaria per escludere tutto ciò che non riguardava il "Trattato sulla modifica delle pozioni magiche e le loro conseguenze".
«Ho fame» fu interrotto di nuovo.
Questa volta si prese il suo tempo prima di guardarla, quando alzò gli occhi se la trovò davanti, perfettamente vestita nel suo pigiama rosa e con i capelli ancora in disordine.
Lanciò un'occhiata all'orologio. «È troppo tardi per fare colazione» disse. E con quello, per lui il discorso era chiuso. Chinò la testa, ma non aveva fatto i conti con la caparbietà della bambina.
«Ma io ho fame» disse spingendo in avanti il labbro inferiore.
Severus la guardò un secondo, intensamente. Quando capì che la bambina non avrebbe cambiato espressione si alzò, rivolgen gli occhi al cielo.
«Ti darò un'arancia» disse dirigendosi verso la cucina.
«Va bene» rispose la bambina trotterellando dietro di lui. Strano, pensò. Si sarebbe aspettato delle rimostranze.
Severus prese il frutto, un coltello e un piatto e li mise di fronte alla bambina, che ne frattempo si era seduta su una sedia. Poi si appoggiò al banco della cucina, le braccia incrociate.
Kathleen fece vagare lo sguardo dall'arancia all'uomo un paio di volte. «Me la tagli, per favore?» chiese infine.
«Un per favore apre mille porte» disse avvicinandosi e iniziando a sbucciare l'arancia con gesti rapidi e puliti.
«L'ho dice anche la mamma!» disse la bambina con un tono che Piton reputò troppo alto. Grugnì qualcosa in risposta, buttò la buccia del frutto, si lavò le mani e tornò in salotto.
Si sedette in poltrona e guardò il libro che aveva posato poco prima. Lo valutò con gli occhi, pensando a quanto sarebbe riuscito a leggere prima di venire nuovamente interrotto. Scelse di non scoprirlo, prese la tazza di caffè che ormai aveva dimenticato tempo prima e la riscaldò con un colpo di bacchetta.
Il caffè era amaro e caldo lungo la gola, ma lo aiutava a pensare. Si diresse verso la finestra e si perse ad osservare la strada sottostante. Cos'era che continuava a sfuggirgli?
«Cosa fai?»
«Penso». Non si girò neppure a guardarla.
«A cosa?» Ecco perché non gli piacevano i bambini, già si era pentito di non aver costretto la Granger a prendere la bambina e portarla a chiunque fosse più paziente di lui.
«Cose mie» disse fra i denti.
«E sono bei pensieri?» Ecco, quella era una domanda che una bambina di cinque anni non avrebbe fatto.
Abbassò lo sguardo trovando quello nero della bambina già nel suo. Alzò un sopracciglio, sorpreso.
Kathleen si strinse nelle spalle.
«Devo lavorare» borbottò dirigendosi verso la poltrona.
«E io cosa faccio?» chiese Kathleen correndogli dietro.
«Cosa vuoi, ma stai in silenzio» aprì il libro, deciso ad ignorarla finché l'appetito di uno stomaco di un bambino in crescita non sarebbe tornato ad infastidirlo.
 
Peccato che fu il suo, di stomaco, il primo ad infastidirlo e a ricordargli che era dal giorno precedente che non mangiava nulla, esclusa la sua grandiosa idea di riempirsi la pancia con l'ottimo liquore di Malfoy. Si alzò sbuffando, ignorando gli occhi della bambina che si sentiva incollati addosso.
La cucina, asettica e ordinata come il resto della casa, era di stampo meramente babbano. Aprì il frigorifero, regalo di Minerva dei tempi in cui anche solo impugnare la bacchetta gli procurava fitte lancinanti che partivano dalle dita per arrivare fino al collo, ma lo trovò desolatamente vuoto. Non che fosse una novità: i suoi pasti venivano consumati in fretta, di solito fra un lavoro e un altro, spesso in piedi. Erano passati i giorni in cui a riempirlo era Minerva, che quando non era impegnata a ricostruire e far ripartire la scuola si occupava di somministrargli pappette e medicinali. Quel compito, adesso, se l'era sobbarcato la signora Wilkes, che viveva qualche piano sotto e lo trattava come un figliol prodigo. Severus sospettava fosse stata Minerva stessa ad incaricarla, ma non aveva mai avuto modo di accertarsene. In ogni caso, ora si trovava incapace di soddisfare i bisogni suoi e del piccolo essere umano che l'aveva seguito ed era intento ad osservare i ripiani vuoti sbirciando tra la sua gamba e lo sportello aperto.
Chiuse la porta dirigendosi verso la dispensa, sicuro di poter preparare almeno due sandwiches. Di nuovo si chiese quale assurda convinzione non l'avesse fatto insistere con la Granger per portare la bambina a qualcuno più capace di lui.
Quando porse il piatto pieno alla bambina lei lo guardò diffidente, come un animale selvatico a cui per la prima volta si offre del cibo. «È il pranzo?» chiese arricciando le labbra, dubbiosa.
Severus sbuffò, non aveva fatto tutte quelle storia con l'arancia. «Sì» rispose semplicemente.
«Davvero? Un panino?» c'era un sorriso nascosto dietro la bocca aperta per lo stupore. Gli occhi sgranati, così, erano ancora più grandi del solito.
«Evidentemente» rispose l'uomo strascicando le lettere.
«Wow!» gridò la bambina spiccando un saltello sul posto. «La mamma non mi fa mai mangiare panini a pranzo!» e scoppiò a ridere in un modo che Severus non poté che catalogare come felice. Si sedette e iniziò a mangiare continuando ad osservarla, quella bambina era strana. E non si riferiva ai suoi ereditati problemi di licantropia, no, ma al modo in cui si rapportava con lui, un adulto pressoché estraneo. Era fiducia, la sua, incondizionata. Ma non quel genere di fiducia intrisa di rispetto e timore che tutti i bambini mostrano nei confronti di un uomo che non conoscono, lei si abbandonava alle sue cure come se da sempre lui si fosse occupato di lei, come se da sempre fossero stati in contatto, come se da sempre fossero stati amici.
Strana, decisamente, confermò la sua mente. Come la madre, che fra tutte le possibilità si era rivolta a lui.
Comunque, per non sprecare il tempo del pasto che era certo la bambina avrebbe riempito con vuote chiacchiere ad un volume inaccettabile, le fece la domanda che avrebbe dovuto farle da quando l'aveva vista in piedi. «Come ti senti?»
«Bene» rispose senza alzare gli occhi dal suo panino, a cui diede un altro morso con evidente soddisfazione.
«Ricordi cos'è successo questa notte?»
Kathleen annuì, la bocca piena.
«E ricordi come ti sentivi?» chiese Piton. Era una domanda difficile, se ne rendeva conto, ma tanto valeva provare.
La bambina finì di masticare e inghiottì prima di rispondere. «Ero stanca, avevo tanto mal di testa e un gran caldo» iniziò, la fronte corrugata. Severus notò senza commentare il modo di esprimersi della bambina: inusuale, per la sua età.
«Nient'altro?» insistette.
«Avevo tanto male ai denti» disse portandosi una mano alla guancia. Rimase ferma qualche secondo in quella posizione, poi parve non darvi ulteriori pensieri e finì il suo pranzo in due enormi bocconi.
Severus la guardò con un sopracciglio arcuato. «Hai finito?»
Kathleen annuì, accennando un sorriso e prendendo con entrambe le mani il bicchiere di succo di zucca che aveva davanti. Lo vuotò guardandolo.
«Fammi vedere i denti, allora» disse Severus alzandosi e avvicinandosi alla sedia della bambina, dall'altra parte del tavolo.
«Sei un dentista?» chiese Kathleen, di nuovo l'ombra del sospetto a scurire le iridi.
«No» rispose, ormai davanti a lei.
«I miei nonni lo erano»
«Apri la bocca» disse Piton, ignorando del tutto l'ultimo commento della bambina. Sicuramente si riferiva ai nonni materni, per quanto poco ne sapesse di Grayback dubitava avesse origine da una coppia con un curioso lavoro babbano. Si concentrò sui denti della bambina, ma non vide nulla di strano esclusi i canini particolarmente appuntiti.
«Hai ancora male?»
«No»
 
Severus annuì, spedendo con un gesto della bacchetta i piatti e i bicchieri a lavarsi nel lavandino senza nemmeno guardare, già voltato per metà verso l'alta stanza.
«Anche la mamma lo fa» commentò Kathleen seguendolo, sul viso sempre quell'espressione lontanamente estasiata.
«Ovvio, qualsiasi mago dotato di buonsenso lo fa» disse, stufo di essere continuamente associato alla madre.
«Non è vero, lo zio Harry e la zia Ginny non lo fanno» disse Kathleen, nella voce la sfumatura leggermente più forte di chi è solito non amare essere contraddetto. Come la madre, appunto.
«Non me ne stupisco» sbuffò Piton.
«Insegnavi anche a loro, vero?» chiese guardando. Così facendo rischiò di inciamparsi, e questo le strappò un'altra risata.
«Sì» rispose forzato Severus. Odiava le domande così sfacciatamente curiose.
«Erano bravi?» continuò Kathleen, interessata.
«No» rispose, le labbra arricciate in un sorriso sarcastico.
«Neanche la mamma?» chiese la bambina. Le domanda risuonò allungata dalla delusione, veloce ad arrivare.
Severus abbassò gli occhi fino ad incontrare quelli altrettanto scuri più in basso e vedere il labbro inferiore già pronto a sporgersi in un broncio. Ora, non era un uomo incline ai complimenti, ma avrebbe davvero distrutto l'idea che tutte le bambine covano a quell'età che la madre è la persona migliore del mondo? Una voce, nella sua mente, rispose che no, non l'avrebbe fatto.
«No, tua madre era molto brava» sussurrò, consapevole di non star mentendo solo per farle un favore. Hermione Granger era stata la studentessa migliore probabilmente dai tempi di Minerva. Kathleen si aprì in un sorriso che le illuminò gli occhi e mise in mostra le fossette.
«Lo sapevo» disse, ma era un sussurro solo per se stessa, dedicato alla sua propria soddisfazione.
Severus smise di badarci, arrivò al laboratorio e si dedicò alla pozione a cui stava lavorando. Gli ingredienti erano già ordinatamente posizionati davanti al tagliere, pronti per essere lavorati. Accese il fuoco, lento, e iniziò a tagliare le radici mentre aspettava di sentire il composto sobbollire.
«Cosa fai?» La voce di Kathleen gli arrivò da un fianco, in basso.
«Una pozione» rispose con tono ovvio, assicurandosi che tutti i pezzi tagliati fossero della stessa misura.
«Sono anguille» disse Kathleen dopo un paio di minuti di silenzio, durante i quali aveva camminato per il laboratorio semibuio e osservato gli ingredienti esposti sugli scaffali.
Severus alzò la testa e cercò la bambina con gli occhi, la fronte corrugata. Quando individuò la fonte dell'equivoco la corresse. «Sono pelli di serpente, non anguille»
«Ah» disse la bambina senza distogliere lo sguardo dal barattolo. «I serpenti sono le anguille della terra» concluse infine, proseguendo con l'esame. Severus non la corresse, non era più suo compito cercare di insegnare qualcosa a giovani testardi.
Tornò al suo lavoro: versò le radici e mescolò finché la pozione non variò colore da un verde fangoso ad uno più chiaro. Adesso avrebbe dovuto aspettare due minuti prima di passare alla fase successiva in cui doveva mescolare ininterrottamente (otto giri in senso antiorario e uno in senso orario) finché non avesse cambiato ancora colore sfumando in un giallo carico. Durante l'attesa aprì la finestra per far uscire il fumo che sapeva si sarebbe prodotto e, con gesti consumati da un'abitudine consolidata, arrotolò le maniche della camicia ai gomiti.
«Posso vedere?» chiese Kathleen e senza aspettare una risposta spostò uno sgabello, trascinandolo per tutta la stanca con un rumore sferragliante, fino a posizionarlo vicino al calderone. Ci salì in ginocchio, appoggiò i gomiti al bancone e si sporse in avanti.
«Cos'è?» chiese con espressione curiosa, ma non ottenne risposta.
«Più indietro, Kathleen» disse Severus spostando lo sgabello con una mano senza fatica.
«Perché?»
«Perché il fumo ti arriva in faccia» rispose prendendo il mestolo. Guardò l'orologio, aspettò gli ultimi dieci secondi e iniziò a mescolare.
«Posso aiutarti?»
«No» sibilò fra i denti. La bambina parve delusa, ma non perse interesse per il suo lavoro. Continuò ad osservarlo in silenzio, soffocando esclamazioni sorprese quando la pozione borbottava e cambiava colore.
«È un tatuaggio?» chiese ad un tratto.
Severus la guardò un attimo senza capire, poi seguì la direzione del suo sguardo rivolta al suo braccio sinistro.
«Sì» rispose. Non aveva pensato potesse accorgersene, era così abituato ad essere solo che compiva quei gesti sovrappensiero. Per la sua stessa salute, poi, aveva imparato ad ignorare il Marchio Nero il più possibile.
«Ma va via?»
«No» rispose riluttante. La bambina si lanciò in una spiegazione su tatuaggi babbani in grado di essere lavati, ma lui la ascoltò solo a metà, vagliando nella sua mente la bellezza della possibilità di far sparire il segno che lo uguagliava a Caino.
«E perché l'hai fatto?»
Severus si distrasse, legando i suoi occhi a quelli della bambina. Aveva porto la domanda con innocenza, senza conoscere il reale significato del Marchio, ma ne rimase colpito. Nessuno, prima, gli aveva chiesto le sue motivazioni. Non Silente, che quando avrebbe potuto farlo aveva deciso di occuparsi prima di salvare i Potter. Non Minerva, che quando avrebbe potuto farlo aveva deciso che ormai era acqua passata. Non sua madre, che quando avrebbe potuto farlo si era limitata ad abbracciarlo piangendo. E adesso veniva a chiederglielo una bambina di cinque anni, che ancora puzzava di latte e del mondo conosceva solo la parte più colorata.
Severus tornò a metterla a fuoco e per la prima volta la vide veramente: una bambina marchiata dalla bellezza della madre e maledetta dell'eredità del padre. Provò per lei un viscerale moto di empatia, entrambi segnati, ma per lei, se avesse avuto successo, c'era ancora la speranza di un futuro alla luce del sole.
 
Forse le avrebbe risposto, ma fu interrotto dal suono del campanello. Masticando imprecazioni che una bambina non avrebbe dovuto sentire, abbandonò il suo lavoro per dirigersi alla porta.
«Signora Wilkes»
«Severus, caro» la donna anziana sorrise sotto le labbra rugose. «Non vorrei disturbarti, ma il lavandin- oh, caro, non sapevo avessi una figlia!» Severus abbassò lo sguardo e vide Kathleen al suo fianco.
«Non è mia-»
«Come ti chiami, cara?» chiese con un lampo deliziato negli occhi.
«Kathleen Jean Granger» rispose tendendo la mano come aveva fatto tempo prima con Piton.
«Oh, ma che bambina educata» disse la signora Wilkes congiungendo le mani davanti al petto. «Non mi sarei aspettata niente di diverso da tua figlia, Severus, caro»
A quelle parole la bambina scoppiò a ridere. Una risata di pancia, che le fece chiudere gli occhi. Severus avrebbe ribattuto, ma vedere quella reazione lo ammutolì. Nessuno, specialmente così giovane, rideva in quel modo in sua presenza.
«Tieni, cara» disse allungandole una caramella. «E puoi chiamarmi Annie»
«Grazie, Annie» rispose Kathleen accettando il dono con un sorriso. La donna la guardò contemplativa ancora qualche attimo, poi si voltò e iniziò a scendere piano i gradini con l'aiuto del bastone.
«A presto, miei cari» si congedò.
Severus aspettò di vederla scendere la prima rampa di scale senza cadere. Quella donna era così fragile che temeva potesse spezzarsi anche solo se qualcuno l'avesse guardata troppo a lungo. Infine chiuse la porta, e tornò al suo lavoro. Kathleen lo seguì scartando la caramella e infilandosela in bocca.
«È la tua mamma?» chiese arrampicandosi sullo sgabello.
«No» rispose Severus riprendendo il mestolo in mano e cercando di ricominciare il conteggio senza errori.
«E il tuo papà?»
«Cosa?» chiese Piton. Non avrebbe risposto a domande campate in aria senza un senso logico.
«Ce l'hai?» specificò Kathleen.
«Tutti ce l'hanno»
«Io no»
«Anche tu, Kathleen. Tutti ne hanno uno» specificò, deciso.
La bambina guardò assorta la pozione prima di rispondere. «Ma il mio era cattivo»
Severus alzò gli occhi al cielo, spazientito. Di primo acchito le avrebbe risposto che anche il suo lo era, ma avrebbe dato vita ad un ciclo di domande a cui non voleva rispondere. Così scelse il silenzio, ancora una volta, e lascio che invadesse lo spazio fra i loro corpi e fra i loro pensieri.
 
Dopo un po' Severus tornò ad osservare la bambina, rimasta in silenzio. Pareva tranquilla e serena, ma l'aria appesantita del laboratorio, il caldo e il buio avevano reso pesanti le sue palpebre. Decise che avrebbe smesso fra cinque minuti, l'ultima cosa che voleva era la faccia di una bambina addormentata nel suo calderone. Aspettò il tempo deciso, poi spense il fuoco e coprì la pozione: l'avrebbe lasciata a riposare tutta la notte prima di imbottigliarla. Iniziò anche a riordinare gli strumenti, ma il trambusto diede nuova vita alla bambina, che decise di partecipare.
«Posa quel coltello, Granger» abbaiò secco.
La bambina lo lasciò cadere di scatto, colta di sorpresa. Poi si riprese. «Granger?» chiese allungando le vocali oltremodo e storcendo il naso.
«È il tuo cognome, no?»
«Ma nessuno mi chiama così!» disse la bambina ridendo divertita. Cosa ci fosse da ridere, poi, Severus non lo capiva, ma decise che non gli interessa scoprirlo mentre si dirigeva un'altra volta verso la porta alla quale avevano bussato.
«Professor Piton» lo salutò Hermione sorridendo, molto più sicura di sé nei suoi completi da lavoro.
«Granger» annuì.
«Mamma!» Kathleen arrivò urlando e si fiondò ad abbracciare la madre, che si chinò ad accoglierla fra le sue braccia.
«Ciao, amore» sussurrò fra i suoi capelli e stampandole un bacio sulla testa.
«Come si è comportata?» chiese tornado a guardare l'uomo.
«È stata...» brava, fu la parola che si incastrò sul suo palato. Se avesse voluto essere onesto l'avrebbe pronunciata, ma non si sarebbe complimentato per una bambina capace di seguire le normali regole dell'educazione. «...civile» concluse, ma dal modo in cui Hermione gli sorrise capì che lei aveva capito.
«Volevo ringraziarla, professore» iniziò. «Vuole venire a cena da noi?»

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Capitolo 9
*** Non è un appuntamento ***


Note: a chi segue, ricorda, preferisce e, soprattutto, recensisce. Siete più di quanti immaginassi: vi adoro.
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Non è un appuntamento
 
 

 
 
«Poi non mi dire che non te l'avevo detto, perché io...» Hermione spostò il telefono da un orecchio all'altro, pizzicandolo con la spalla per avere le mani libere di sistemare la spesa. Così facendo, si perse un pezzo del discorso dell'amica. «...follia! Non so proprio come ti sia venuto in mente»
«Te l'ho detto, Ginny, voglio ringraziarlo» rispose paziente.
«Per averti tenuto la bambina? Hermione, l'avrebbe fatto chiunque»
«È di Piton che stiamo parlando»
«E allora? Cosa doveva fare, sbatterla fuori di casa? Era malata, per le mutande di Merlino»
«Non penso tu possa capire, Ginny. Tu non l'hai visto»
«Oh, no no no no no. No! Non ricominciare con la storia che è cambiato»
«Kathleen ne era entusiasta. È da tre giorni che non smette di parlare di lui»
«È una bambina curiosa, era una novità e si è emozionata. Tutto qui»
«Non è tutto qui, Ginny. Conosco mia figlia, non la vedevo così elettrizzata da quando abbiamo visitato il parco dei dinosauri la scorsa estate. Lì ha passato due settimane a parlarne»
Ginny non rispose subito, la linea silenziosa ronzò nell'orecchio di Hermione. Quando tornò a parlare lo fece con tono serio.
«Ti stai cacciando in un guaio più grosso di te, Hermione»
«Ginny» sospirò. «Puoi mettere da parte un attimo la tua voglia di farmi la paternale ed essere felice per me?»
«Felice che la mia migliore amica abbia un appuntamento con il nostro vecchio professore? Ma tu sei pazza»
«Non è un appuntamento!» disse, ma scoppiò a ridere.
«Mmh, se ne sei convinta. Comunque adesso devo andare. Ti richiamo domani, e voglio sapere tutto
«A domani» rispose e riattaccò ancora sorridendo.
 
Dire della cena a Ginny non si era rivelata una delle sue idee migliori, ma a qualcuno doveva dirlo per evitare di finire strangolata dal nodo che sentiva allo stomaco. Non si spiegava neanche il perché di tanta agitazione. O meglio, cercava di evitare di rispondersi perché, ogni volta che ci pensava, le affiorava alla mente l'immagine del professore che sogghignava posando le labbra sul bicchiere.
Gli aveva fatto quella proposta di getto, spinta dall'aver visto Kathleen così felice, ma non si era aspettata davvero che accettasse. Quando l'aveva fatto era sembrato stupito lui stesso. In ogni caso, non se ne pentiva, soprattutto perché Kathleen passava il tempo a parlare di lui chiamandolo confidenzialmente per nome, raccontando del suo laboratorio, dei suoi panini e della signora che dava le caramelle e chiamava tutti caro.
Non era stata una cattiva iniziativa, quindi. Soprattutto perché, per quanto ne dicesse Ginny, Piton stava offrendo davvero un grosso aiuto alla sua famiglia, senza chiedere nulla in cambio.
O almeno per ora. Forse.
 
«Mamma, posso aiutarti?» Kathleen le spuntò affianco muovendosi impaziente. Spesso cucinavano insieme, e alla bimba piaceva.
«Certo» rispose e aspettò che la figlia spostasse una sedia fino al bancone della cucina per essere alla stessa altezza della madre. Hermione iniziò a tagliare le carote che avrebbero usato per preparare la torta, Kathleen prendeva pezzo per pezzo e lo spostava in una ciotola.
«Il professore Severus ha un coltello più grande del tuo, mamma» commentò ad un tratto.
«Lo immagino, ma lui lo usa per le pozioni, non per cucinare»
«È vero» disse seria, spostandosi i capelli con il palmo della mano. «Usa anche le pelli di serpente, lo sai?»
«Davvero?»
«Sì, sì. Le tiene in un barattolo grande così» fece un gesto con le braccia tese per indicarne la grandezza.
Hermione rise. «Così grande, addirittura?»
«Davvero!» urlò la bambina, unendosi alla risata della madre.
Hermione la guardò beandosi di quella vista, poi continuò a cucinare cercando di spostare il discorso su altri terreni. Invano.
 
 
 
L'avevano invitato per le sette. Presto, ma la bambina si era svegliata per andare all'asilo e avrebbe avuto sonno. Aveva scelto il venerdì appositamente: se la serata fosse stata un fiasco avrebbero avuto un motivo valido per separarsi.
Hermione controllò un'ultima volta il trucco leggero allo specchio. Nulla di appariscente, lo stesso di tutte le mattine. Si rasettò ancora una volta i jeans e la maglia (sarebbe stato ridicolo presentarsi con i completi eleganti che usava in ufficio) e uscì dal bagno.
«Kat?»
«Sono qui, mamma»  rispose la bambina da dietro il divano, intenta a giocare con degli animaletti di plastica. Hermione annuì, senza sapere come occupare i cinque minuti restanti. Continuava a sentire la bocca dello stomaco chiusa da una morsa e non ne aveva motivo. A discapito delle parole di Ginny, non era la prima volta che invitava un uomo a cena, con sua figlia presente e soprattutto per lavoro. Quindi non c'era ragione per cui... oh, al diavolo, Ginny aveva ragione! La verità era che si sentiva-
 
Il campanello suonò in concomitanza con lo scroccare dell'ora. Hermione si avviò ad aprire la porta sorridendo involontariamente per la sua puntualità.
«Buonasera, professor Piton» lo salutò appena incrociò i suoi occhi.
«Granger» annuì in risposta.
«Ciao, professore!» Kathleen si materializzò vicino alle sue gambe con un sorriso smagliante, in una mano stringeva ancora un cavallino di plastica.
«Kathleen» disse semplicemente Severus, ma Hermione poté notare come i lineamenti del viso si fossero leggermente ammorbiditi.
«Prego, si accomodi» Hermione si spostò e chiuse la porta alle spalle dell'uomo, che con un solo grande passo era entrato nel salotto.
Appena tornò al suo fianco Piton, senza dire nulla, allungò nella sua direzione una bottiglia di vino.
«Oh, grazie professore» disse accettando la bottiglia e prendendola tra le mani. Fece attenzione a non sfiorare le sua dita nel farlo. «Non doveva»
«Educazione, Granger» rispose guardandosi attorno.
Certo, educazione, pensò Hermione. Per quale altro motivo avrebbe dovuto portare qualcosa a chi l'aveva invitato a cena?
Educazione, appunto.
«Bene! Possiamo accomodarci di là, direi» disse impacciata. Non sapeva come comportarsi, ma l'uomo annuì e lei fece un passo verso la cucina, aprendo la strada. Si aspettava che Kathleen la precedesse, come sempre, ma la bambina scelse di rimanere indietro, affiancandosi al professore.
«Io ho fame» gli disse alzando il viso nella sua direzione.
«Ma che sorpresa» commentò ironico Piton, ma un angolo della sua bocca era incurvato in un sorriso.
«E tu?» chiese la bambina. Hermione vide entrambe le sopracciglia dell'uomo alzarsi sorprese, e dovette sopprimere un sorriso. Immaginava che non molte persone nella sua vita si fossero preoccupate di fargli quella domanda, per quanto banale.
«Un po'» le concesse l'uomo, entrando in cucina.
 
Il tavolo era apparecchiato in modo semplice per tre, non voleva dare l'impressione di ostentare un lusso e delle maniere che non avevano. Erano abituate al minimo indispensabile, e, nel bene o nel male, era ciò che poteva offrire.
Tuttavia, Piton sembrava non farci caso: la sua attenzione era rivolta al disegno di Kathleen attaccato al frigorifero con una grande calamita a forma di smiley. Era un regalo che aveva ricevuto da sua figlia per la festa della mamma e le loro due figure, disegnate in modo approssimativo, erano abbracciate all'interno di un grande cuore rosso.
Hermione si schiarì la gola e subito si trovò gli occhi di Piton addosso.
«A lei l'onore, professore» disse porgendogli la bottiglia di vino. Lui la prese con espressione quasi indifferente, ma Hermione notò che non usò la stessa accortezza di lei poco prima. Le loro dita si sfiorarono per meno di un secondo, ma ad Hermione bastò perché il suo stomaco iniziasse a fare le capriole.
Piton aprì la bottiglia con la sua usuale eleganza, tolse il tappo senza quasi fare rumore e dal collo si sollevò una sottile striscia di fumo. Lei fece per porgergli un calice, in silenzio, perché le sembrava che parlando avrebbe guastato l'atmosfera. Anche Kathleen si era acquietata, in bilico sulla sua sedia. Ma l’uomo le sfilò il bicchiere prendendolo tra le dita lunghe, guardandola quasi con rimprovero, come se una donna non dovesse compiere simili azioni. Hermione accettò il tutto senza sentirsi sminuita, anzi, le parve di ricevere le attenzioni di un nobile lord ottocentesco.
Piton le restituì il bicchiere riempiendo più in fretta e con meno attenzione il suo. Quando ebbe finito posò la bottiglia e le si avvicinò di un passo, facendo toccare i loro calici con un lungo tintinnio.
«Alla padrona di casa» disse alzando il bicchiere e facendo un cenno con il capo nella sua direzione. Si portò il bicchiere alle labbra guardandola negli occhi.
Hermione si sentì avvampare e si sbrigò a bere dal suo bicchiere per ingoiare l'imbarazzo. Il vino la scaldò fino allo stomaco, lasciandole sulla lingua il suo sapore dolce e leggermente speziato.
«Anch'io voglio fare il brindisi!» disse Kathleen ad alta voce per attirare l'attenzione e sporgendosi sul tavolo per prendere con entrambe le mani la caraffa con il succo di zucca e versandosene nel bicchiere. Hermione si avvicinò al tavolo e si allungò per toccare con il calice il bicchiere che la bambina teneva sollevato.
«Cin cin!» dissero in coro, scambiandosi un sorriso. Quando Hermione si tirò indietro sfiorò con il gomito il braccio di Severus, accorgendosi solo allora di quanto fossero vicini.
Si morse le labbra. «Uhm, sì.» Posò il bicchiere e strofinò le mani sulle cosce, agitata.  «Prego, si accomodi» Gli indicò con un gesto della mano la sedia libera, si accorse solo dopo che così facendo se lo trovò seduto di fronte. Cercando di non farci caso, iniziò a servire la cena.
 
 
 
«La torta l'ho fatta anch'io» commentò Kathleen non appena ebbe ingoiato l'ultimo boccone.
«Era buona» rispose Piton, assaporando l'ultimo sorso di vino. Non gli sfuggirono il sorriso trionfante della bambina e lo sguardo metà sorpreso e metà ammirato della Granger alla sua risposta.
Si era accorto che le sue dimostrazioni di buone maniere l'avevano messa in imbarazzo, ma avrebbe dovuto immaginarlo: Hermione non era Narcissa e non era mai stata educata alle rigide e medievali trazioni dei maghi. Era più che consapevole della profonda differenza di una cena alla Tana e una in casa Malfoy, e avrebbe dovuto pensarci. Tuttavia, non l'aveva fatto.
La osservò mentre si alzava: il vino le aveva acceso le guance donando una sfumatura rosa e le aveva illuminato gli occhi. Sebbene non fosse un commensale facile da intrattenere, madre e figlia avevano portato avanti la conversazione spiegando le loro vite. Severus aveva scoperto così più cose di quante fosse davvero interessato. Aveva scoperto che a Kathleen piaceva l'asilo, ma da quando Teddy se n'era andato non era più divertente come prima, e non vedeva l'ora di andare a scuola. La sua amica era Mary, erano diventate amiche perché entrambe stavano spesso a casa malate e avevano difficoltà ad integrarsi con gli altri bambini. Invece, non sopportava Violet, il tipo di bambina vestita sempre alla moda e con ogni gioco capace di generare l'invidia dei coetanei. Le piaceva andare a danza, e da grande voleva diventare una ballerina. Mangiava i broccoli, ma non poteva soffrire le zucchine.
In compenso, Hermione era stata più riservata. Aveva fatto commenti brillanti sulla politica, sul suo lavoro e sul Ministero, ma nulla o quasi su questioni più private. Se possibile, il suo comportamento aveva accattivato la curiosità del professore, che più di una volta si era ritrovato a versarle il vino mentre annuiva alle sue parole, interessato.
 
«Possiamo andare, adesso?» chiese Kathleen. Severus si riscosse dai suoi pensieri, si era evidentemente perso parte della conversazione.
«Finisci il succo prima» rispose Hermione. Kathleen scivolò dalla sedia e bevve il succo rimasto in piedi, poi si avvicinò a Severus, leccandosi il labbro superiore.
«Vieni!» Gli prese una mano tra le sue e lo tirò in piedi. Severus assecondò i suoi movimenti lasciando un'occhiata interrogativa ad Hermione, che finse di non coglierla, intenta ad impilare i piatti sporchi.
«Ti faccio vedere la mia stanza» gli spiegò trascinandolo per il salotto verso una porta dalla parte opposta.
Severus si lanciò guidare ed entrò nella stanza con un pizzico di curiosità. Esclusa la sua camera d'infanzia, che in ogni modo si poteva definire tranne che adatta ad un bambino, e occasionalmente quella che Lily condivideva con la sorella, le uniche stanze che aveva visto erano quelle di Hogwarts. Osservò quindi con attenzione ogni dettaglio, aiutato da Kathleen che aveva iniziato ad illustrare il tutto con una spiegazione tutta d'un fiato da guida turistica.
«Lì ci sono il letto e l'armadio» disse indicando con una mano la parte a sinistra della stanza, con evidente disinteresse. Parve poi cambiare idea e si diresse verso il letto, lasciandolo ad aspettarla in piedi al centro di un tappeto.
«Lui è Scuro» disse tenendo tra le mani un peluche di un cane. «Me l'ha regalato zio Ron» Guardò il cane, gli schioccò un bacio sul muso e lo posò di nuovo sul cuscino.
«Poi qui c'è il baule con i giochi» disse correndo verso l'altra parete e indicando tutto con la mano. «Qui le mie cose di danza. Qui-ah, questa è la gabbia dei criceti, ma non ci sono più perché gli ho mangiati. Comunque, qui-»
«Come, li hai mangiati?» chiese Severus, visibilmente sorpreso.
«Sì, sì» Kathleen liquidò tutto con un gesto della mano. «Comunque, qui c'è la libreria» disse spostando una sedia su cui si mise in piedi per raggiungere gli scaffali più in alto.
Severus si avvicinò, quasi inconsapevolmente, e le si posizionò alle spalle per sorreggerla in caso di caduta.
«Qui ci sono le mie foto. Questa è la mia preferita» disse prendendo una cornice fra le mani. Era una foto babbana: Kathleen sorrideva immobile nel suo tutù bianco e intenta a sfoggiare una prima posizione il più possibile vicino alla perfezione.
«È dell'anno scorso, il mio primo saggio. Facevo il fiocco di neve» Piton annuì, ma aveva già smesso di guardarla. I suoi occhi erano stati catturati dalla foto affianco. Era una foto magica: Hermione era seduta su un muretto, Kathleen, in piedi al suo fianco, non poteva avere più di due anni, il vestito che indossava non nascondeva lo spessore del pannolino. Alle loro spalle c'era il mare. Hermione indicava qualcosa all'orizzonte quando chi scattava la foto doveva chiamarle, perché entrambe si giravano e iniziavano a salutare. Kathleen sorrideva e così facendo le cadeva il ciuccio dalla bocca. Hermione scoppiava a ridere.
Severus si ritrovò con la foto tra le mani senza sapere quando l'aveva raccolta. Erano belle, pensò, felici.
«Quella è stata la nostra prima vacanza insieme» spiegò Kathleen, che si era accorta del suo gesto. «Siamo andate in Francia»
Severus annuì posando la foto, ma senza riuscire a smettere di guardarla davvero.
«Questo invece è il mio libro preferito» disse Kathleen. Nel suo entusiasmo infantile era andata avanti, incurante dei pensieri che la foto aveva scatenato nell'uomo.
«Vieni a vederlo?» gli chiese. Severus si girò e la vide in piedi accanto al basso tavolino di plastica poco più avanti. Aveva spostato una sedia per fargli spazio e lui, non vedendo un'alternativa, si accomodò sulla sedia dolorosamente rosa, cercando di sopprimere una smorfia disgustata.
«La mamma me ne legge una tutte le sere» spiegò iniziando a sfogliare una copia illustrata delle Fiabe di Beda e il Bardo. «Questa è la mia preferita» continuò spingendo nella sua direzione il libro, aperto sulla fiaba dello Stregone dal cuore peloso.
Severus alzò un sopracciglio, si era aspettato una scelta diversa. «Davvero?» chiese.
«Sì, sì» rispose, poi si sporse nella sua direzione, appoggiando le braccia incrociate sul suo ginocchio. «Ti assomiglia, un po'»
Severus impiegò un po' a capire a cosa si stesse riferendo la bambina, troppo sorpreso dal sentire il suo peso contro la gamba. Aveva già provato la stessa sensazione la sera in cui l'aveva curata nel suo letto, ma ora era diverso, lo stava facendo di sua spontanea volontà. Sentì una curiosa stretta al petto, ma deglutì per ignorarla. Avrebbe avuto tutta la notte a disposizione per analizzarla.
«Non mi sembra» rispose alla fine. Kathleen si stava riferendo all'immagine dello stregone che occupava gran parte della pagina. Era rappresentato come un guerriero dalla forte bellezza fantastica.
«Ha i capelli lunghi come te» insistè la bambina, continuando a guardare l'immagine come se stesse riflettendo.
«E qual è la tua preferita?» chiese poi, alzando i grandi occhi verso i suoi. Non si era ancora sollevata del suo ginocchio e Severus provò in senso di familiarità che lo scaldò da dentro. L'aveva definita strana, in precedenza, ma adesso ciò che gli saltava alla mente e che cercava di respingere era la parola speciale. Era una bambina cresciuta da una madre giovanissima e sola, con problemi che avrebbero potuto avere gravi ripercussioni sul suo futuro, ma che nonostante questo si preoccupava di chiedergli quale fosse la sua fiaba preferita e lo guardava come se fosse stata pronta a rimettere in discussione il mondo dopo la sua risposta.
Severus aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse. Come se il suo corpo non gli appartenesse, poi, vide la sua mano alzarsi e posarsi sulla testa della bambina.
«Lo stregone dal cuore peloso è una bella storia, penso sia anche la mia preferita» sussurrò, lasciando scivolare la mano verso la nuca sottile e le spalle delicate in una carezza. Kathleen lo ricompensò con il sorriso più grande e luminoso che avesse mai visto, che Severus ricambiò con le sue labbra sottili sentendosi fortunato e indegno di accogliere un tale dono.
 
 
«Non pensi che sia ora di lasciar andare il professore, Kathleen?»
Entrambi si voltarono di scatto, ed Hermione si trovò così due paia di occhi neri puntati addosso.
Kathleen provò a mugugnare una lamentela, ma Piton si era già alzato, scostando con delicatezza la bambina dalle sue gambe. «Penso sia meglio» commentò, stirando una piega invisibile della camicia.
Hermione disse a Kathleen di cambiarsi mentre accompagnava il professore alla porta. Kathleen annuì «Buonanotte, professore Severus» urlò correndo verso il letto e buttandosi sopra. Severus sbuffò sentendosi apostrofare in quel modo.
Hermione uscì dalla stanza scuotendo la testa, ma senza trattenere un sorriso.
 
«Spero che non l'abbia importunata troppo, professore» disse mentre attraversavano il salotto.
«Affatto, Granger» commentò Piton. «È una bambina sveglia»
«Oh, lo è» sorrise Hermione. «A volte fin troppo»
Arrivarono alla porta ed Hermione l'aprì, Piton la varcò con passo prima di voltarsi nella sua direzione. Hermione si morse l'interno della guancia, indecisa, ma fu l'uomo a parlare per primo.
«Mi ha parlato dei criceti» disse Piton, quasi annoiato.
«Oh» Hermione si sentì impallidire. Si leccò il labbro superiore e poi si morse quello inferiore. «Gliel'ha detto» commentò alla fine, senza sapere cosa dire.
«Mi ha detto che li ha mangiati»
«Lei...» Hermione si passò una mano tra i capelli gettando un'occhiata alla porta da cui ancora si sentivano le molle del letto cigolare. «Lei non capisce, Kathleen non si controlla in quei momenti. È-»
«Non la sto giudicando, Hermione» la interruppe Piton. «Voglio solo capire»
Hermione si passò le mani sulle braccia. La sua voce calma e rassicurante le aveva fatto venire i brividi.
Annuì. «La ringrazio, signore» disse con decisione, ed entrambi capirono che la conversazione era stata chiusa. Ci sarebbe stato un momento in cui gli avrebbe spiegato tutto, in cui avrebbe visto, ma non quella sera. Non voleva rovinare la sottile atmosfera che si era creata: confortevole, tranquilla, intima.
Severus fece un passo in avanti ed Hermione sentì le sue dita calde avvolgerle il polso.
«Grazie a voi, signorina Granger» sussurrò contro il dorso della sua mano, gli occhi profondamente ancorati ai suoi. Le lasciò la mano con calma, senza abbandonare il suo sguardo, poi fece un passo indietro.
Un secondo dopo, era sparito.
Hermione chiuse la porte, ci appoggiò la fronte e chiuse gli occhi. Sentiva le guance in fiamme e il cuore correre nel petto.
«Oh, benedetta Morgana» sussurrò. Sulla mano sentiva ancora l'ombra delle sue dita.

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Capitolo 10
*** Luna piena ***


Note brevi brevi: grazie a chi legge, siete tantissimi, e un grazie speciale a Missandei9216, che ha corretto il capitolo. Senza di lei sarebbe un po’ meno bello e se ancora trovate errori la colpa è solo mia.
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
Luna piena
 
 
 
 
Hermione lo sapeva, che sarebbe stata una pessima giornata. Lo sapeva da quando a svegliarla non era stata la sveglia, ma i gemiti di Kathleen febbricitante nell'altra stanza. In più, pioveva.
Buttò con un sospiro le coperte di lato e andò dalla figlia. Quando si trovò poi al tavolo della cucina, con una tazza di caffè fumante davanti, non riuscì ad ingoiarne nemmeno un sorso: lo stomaco contratto e sulla lingua il sapore della bile.
Con un ennesimo sospiro fece, l'unica cosa che poteva farla sentire meglio, prese una piuma, la carta e chiamò un gufo perché spedisse la lettera.
 
 
 
Severus era un ottimo attore e questo era, ormai, appurato da tutta la comunità magica. Conseguenza trasversale di tutti gli anni passati nel doppiogiochismo: era un ottimo bugiardo. O almeno, credeva di esserlo, fino a quando non era stato costretto in un letto all'immobilità forzata, e aveva scoperto una spiacevole voce nella sua testa che rispondeva al nome di coscienza, e parlava con la fastidiosa voce di Silente. O forse, era perché aveva sognato Albus, che si vedeva i suoi occhi scintillanti dietro le retine. Anche da morto continuava a tormentarlo: si era svegliato in un bagno di sudore e non c'era stato modo di addormentarsi di nuovo.
Certo, tutto questo non sarebbe successo se al suo fianco avesse avuto un morbido e caldo corpo femminile con cui stancarsi prima. Se solo fosse riuscito a togliersi dalla mente gli occhi ambrati della Granger che lo guardavano da sopra il bicchiere. E le sue gambe. Chi l'avrebbe mai detto che la studentessa più brillante della sua età nascondesse gambe del genere sotto la nera gonna a pieghe della divisa?
Ma no, no! Stava lasciando vagare i pensieri su terreni da cui era meglio tenersi lontani.
Infatti, fu per questo che quando vide il nome del mittente sulla lettera, finse di non aspettare una missiva da parte sua da tre giorni. Se non fosse stato per il sorriso malizioso di Albus avrebbe anche potuto crederci.
 
 
 
Non suoni il campanello, per favore, era scritto nelle poche righe che aveva ricevuto. Per questo, quando fu davanti alla porta del loro appartamento, ancora umido per il temporale estivo, che stava imperversando da tutto il giorno e buona parte della sera, picchiò con tre colpi decisi il legno scuro.
La porta fu aperta qualche attimo dopo da un'Hermione che era l'immagine stessa della preoccupazione: capelli annodati in disordine, labbra strette, camicia spiegazzata.
«Buonasera, professore» sussurrò facendosi da parte.
«Buonasera, Hermione» rispose Piton entrando. Che qualcosa non andava l'aveva capito dal primo momento in cui i loro occhi si erano incontrati.
Il salotto era in penombra, l'unica luce proveniva dalla porta socchiusa della cucina. Severus immaginò che fossero provvedimenti presi per far sentire meglio la bambina, ma dubitava che le serrande chiuse bastassero a non farle subire l'influenza della luna.
«Sta dormendo, adesso» sussurrò Hermione torcendosi le mani.
«Capisco» commentò lentamente Piton, quasi sovrappensiero.
«Ha avuto la febbre tutto il giorno, ma è peggiorata da quando...» la frase le morì in gola, sfumando in un sospiro.
«Da quando è spuntata la luna» finì per lei l'uomo. La guardò con un sopracciglio alzato, ma chiaramente non era una domanda.
Hermione annuì con le labbra strette, visibilmente stanca.
«Hai lavorato oggi, Granger?»
«No» rispose lei corrugando la fronte, ma la distrazione fornita dalla domanda parve riscuoterla. «Non posso lasciarla con nessuno, quando è in queste condizioni».
Severus annuì, l'aveva immaginato. Come immaginava anche le implicazioni che poteva avere per una famiglia il mancare a lavoro così tanti giorni. Nonostante questo, Kathleen frequentava lezioni di danza. Severus sentì la fiamma dell'ammirazione accendersi per quella donna e, non per la prima volta, si chiese se dovesse affrontare tutto da sola.
«Posso vederla?» chiese.
Hermione valutò le risposte, soppesandolo con lo sguardo. Alla fine annuì, facendo strada verso la stanza della figlia.
«Faccia piano» si raccomandò, prima di aprire la porta.
 
L'aveva lasciata coperta dal lenzuolo, ma ormai l'aveva calciato lontano. I capelli erano un groviglio indistinto intorno al viso sudato, che si muoveva continuamente da una parte all'altra del cuscino, caduto per metà. Mani e piedi si muovevano frenetiche sotto le coperte, graffiando la sua stessa pelle.
Hermione sentì il cuore stringersi a quella vista. Vedere sua figlia soffrire in quel modo era come essere dilaniata dentro. Che madre era, se permetteva tutto questo?
«È sempre così?» Piton parlò, e lei parve ricordarsi solo allora della sua presenza al suo fianco.
Annuì soltanto, aveva la gola troppo asciutta e chiusa in un groppo doloroso.
L'uomo fece per fare un passo in avanti, ma la mano di Hermione scattò prima che potesse accorgersene. Lo afferrò all'altezza del gomito, senza accorgersi di star affondando le unghie nella stoffa.
«Non si avvicini!» sussurrò concitata.
Lui la guardò con le sopracciglia aggrottate. «Non la toccherò, Granger. Voglio solo-»
«Lei non capisce!» lo interruppe, infondendo la forza delle sue parole nella stretta che stava esercitando sulla sua pelle. «Kathleen non riesce a-»
Si interruppe con gli occhi sgranati.
Forse destata al suono del suo nome, Kathleen si era alzata a sedere. Aveva le labbra schiuse in un respiro affannato, e un ringhio stava nascendo dalla sua gola. Hermione non fece in tempo a pensare che doveva avvertite l'uomo, che la bambina era già scattata in avanti.
Hermione fece due passi in avanti e riuscì ad acchiapparla prima che travolgesse l'uomo, ma l'impatto la fece arretrare. Kathleen era violenta con se stessa e con gli oggetti, mai verso la madre, ma quando vedeva chiunque altro non riusciva a controllarsi.
Tra le sue braccia, iniziò a dimenarsi, ringhiare e graffiare per essere lasciata libera.
«Kathleen, tesoro, calmati» cercò di sussurrare Hermione al suo orecchio, ma la bambina urlava troppo perché potesse sentirla. «È il professor Piton, non ti farà nulla… ».
Kathleen trovò un appiglio nella sua spalla e fece forza, cercò di sporgersi, graffiando il collo ad Hermione, che continuava a tenerla troppo stretta perché avesse successo.
«Kathleen, è solo il professor Piton... solo Severus…» Ma Kathleen non la ascoltò, irrigidì tutti i muscoli e urlò con quanta rabbia aveva in corpo.
«Basta, Kathleen, ti prego!» gemette con voce strozzata, appoggiando la fronte sulla pancia della bambina.
«Lasciala, Hermione» sentì dire con calma alle sue spalle, ma scosse la testa, gli occhi chiusi, ancora contro il ventre sua figlia. «Lei non-»
«Lasciala, Hermione» ripeté. Hermione si voltò di tre quarti, per incontrare il suo sguardo, e lo trovò calmo e sicuro.
Forse fu la speranza, forse la disperazione. Rilassò le braccia: Kathleen non aspettò di toccare terra, che già era scattata verso l'uomo.
 
Severus sentì Hermione inspirare di colpo, ma non poteva permettersi distrazioni. Si accovacciò sui talloni giusto in tempo per accogliere Kathleen tra le braccia. Se fosse stato meno allenato, se nella sua vita non avesse dovuto affrontare uomini anche più grossi di lui, la violenza dell'impatto l'avrebbe fatto cadere. Invece, riuscì ad afferrare le mani della bambina, che sempre gli erano sembrate tanto fragili e che invece, in quel momento, scopriva piene di forza.
«Non le faccia del male!» sentì strillare Hermione con voce acuta, ma non ne aveva intenzione. Accortasi di avere le mani bloccate, Kathleen iniziò a scalciare e tentare di morderlo. Severus non pensò di limitare la sua forza perché tra le braccia teneva una bambina: con fermezza, la fece ruotare sul posto e la strinse al petto. Si sedette per terra e fece forza con le ginocchia per fermarle le gambe. Immobilizzata completamente, Kathleen urlò di nuovo. Con forza, con rabbia, con cattiveria.
Hermione gemette, portandosi le mani alla bocca, ma ancora Severus non la guardò. Aveva una possibilità sola, e sebbene la bambina fosse solo pelle su ossa fragili, sapeva che non sarebbe riuscito a tenerla a lungo con un braccio solo.
Fece forza per tenerla a sé con il braccio sinistro, ignorando le testate che la bambina scagliava contro la sua clavicola, e si fece scivolare la mano destra in tasca.
«Bevi, Kathleen» quasi ringhiò nel suo orecchio, cercando di far bere la bambina dalla boccetta che le avvicinava alle labbra. Ma Kathleen urlava e ringhiava, dimenando la testa da un lato all'altro.
Con un ultimo tentativo, Severus contrasse i muscoli addominali, allargò le gambe della bambina infilandoci i suoi piedi e catturò tra le sue cosce le sue mani. Con la mano sinistra ora libera strinse le sue guance fino a farle aprire la bocca. Con un ultimo gesto di violenza giustificata solo dalla disperazione, Severus obbligò la bambina a bere. Alcune gocce della pozione andarono a perdersi, cadendo lente sul collo e nel pigiama, ma non desistette.
Quando la boccetta fu vuota la allontanò dalla bocca della bambina e le lasciò la mandibola, su cui, bianchi e accusatori, svettavano i segni delle sue dita. Kathleen si contorse ancora, digrignando i denti, finché non irrigidì nuovamente i muscoli, puntando i piedi per terra e la nuca sulla spalla di Severus. Passarono alcuni attimi, eterni, in cui non si mosse. Poi, come un pallone bucato, iniziò a rilassarsi arrendendosi alle braccia dell'uomo.
Severus la accolse come la più fragile delle creature, entrambi ansimavano leggermente. Kathleen inspirò ed esalò un fiato lentamente,  poi aprì le palpebre appesantite, lo sguardo offuscato di chi si sveglia tra un intervallo e l'altro di una pesante malattia.
«Severus?» bisbigliò, la voce così sottile da sembrare prossima alle lacrime.
«Sì, Kathleen» rispose in un sussurro lui, chinandosi inconsapevolmente verso di lei come a proteggerla.
«Ho fatto male alla mamma?» chiese, e questa volta il tremolio indicava con chiarezza la presenza delle lacrime pronte a cadere dalle ciglia.
«No, la mamma sta benissimo. Non le hai fatto niente» la rassicurò. Le cinse una mano con la sua, più grande, stupendosi del suo calore e della sua morbidezza. Kathleen gli strinse le dita, forte.
«Ho tanto mal di testa» si lamentò, le palpebre sempre più pesanti e le parole strascicate.
«Lo so, passerà. Dormi adesso» Kathleen sospirò ancora una volta, ma senza traccia di tristezza. La testa le ricadde di lato, completamente rilassata.
Severus non osò muoversi, sentiva il morso pungente della colpa pizzicargli il fondo dello stomaco. L'aveva trattata con violenza, usando la sua forza bruta di uomo adulto contro il suo fragile corpicino di bambina, e lei, si era svegliata chiamandolo per nome, addormentandosi tra le sue braccia e tenendolo per mano.
Se la meritava, lui, sporco Mangiamorte, quella fiducia innocente?
E fu allora che capì, che ebbe la certezza che la pozione avrebbe funzionato. Si erano fidate di lui, madre e figlia, affidandosi alle sue mani.
Era la fiducia, l'ingrediente mancante. Non l'amore, come sosteneva Silente, ma qualcosa che ci andava spaventosamente vicino.
Alzò lo sguardo su Hermione, consapevole di non riuscire a mantenere la sua maschera inespressiva, e scoprì nei suoi la stessa meraviglia che sentiva anche lui.
Lei si avvicinò e si lasciò scivolare al suo fianco. Non davanti alla bambina, ma al suo fianco, e di nuovo Severus sentì lo stomaco stringersi. Posò una mano sul suo ginocchio e lui assecondò il suo movimento stendendo la gamba. Hermione si sporse per prendere la bambina e lui sentì scivolare la manina calda dalla sua. La guardò mettere a letto la bambina e baciarla sulla fronte, mentre si alzava sentendosi l'adolescente impacciato che non era più da molti anni.
Hermione coprì la figlia con il lenzuolo e si voltò, avvicinandosi a Severus fino a stargli di fronte. Aprì la bocca, poi parve cambiare idea e proseguì fino ad uscire dalla camera. Severus la seguì, chiudendo silenziosamente la porta alle sue spalle.
Lei proseguì di qualche passo, respirava profondamente, le braccia attorno al corpo per darsi conforto, poi rimase immobile, al fianco del divano. Severus la seguì e le si affiancò per vederne il volto, sebbene lei tenesse gli occhi puntati a terra.
Voleva scusarsi. Non l'avrebbe mai fatto, prima, ma ora non poteva più sopportare il peso della colpa che gli schiacciava gli organi e gli ricordava il sangue che gli sporcava le mani. E fu una goccia di sangue a catturare la sua attenzione: dal suo collo, lento, in netto contrasto con la sua pelle bianca, scendeva verso il colletto della camicia e oltre, verso il solco dei seni. Severus si immaginò di avvicinarsi e raccoglierlo con la bocca, sentire il suo sapore ferroso sulla lingua e risalire lungo tutto il graffio fino alla sua guancia, al suo mento, alla sua bocca.
Aprì la bocca, sulle labbra l'ombra delle scuse che si sentiva in obbligo di porgerle. Per come aveva trattato la bambina, per come aveva trattato lei durante gli anni in cui avrebbe dovuto iniziarla al sapere delle pozioni, per il modo in aveva cercato di allontanarla la prima volta che lei si era presentata al suo capezzale in cerca di aiuto.
Se non fosse stato per quella goccia di sangue, tentatrice, forse ce l'avrebbe fatta.
«Hermione» sussurrò, la voce roca.
 
Hermione quasi gemette quando sentì il suo nome pronunciato così vicino, dalla sua voce così roca e carezzevole. Rilasciò il fiato che non si era accorta di trattenere e alzò gli occhi verso i suoi. La preoccupazione che vi lesse la fece crollare.
Si voltò completamente nella sua direzione e posò la fronte sulla sua spalla. Un singhiozzo la fece tremare, violento, e in un ultimo tentativo di trattenere la tempesta che stava crescendo nel suo petto, artigliò con le mani la camicia ai suoi fianchi, piantando le unghie nei muscoli sottostanti.
«Hermione» ripeté l'uomo, ma c'era uno stupefatto allarmismo nella sua voce, ed Hermione non voleva questo.
«Grazie… » riuscì a far lasciare alle sue labbra. Sentì lacrime bollenti scorrerle sulle guance prima di vederle cadere sulla sua camicia bianca, lasciando un cerchio trasparente quasi perfetto. «Non aveva mai funzionato niente, prima» singhiozzò.
Dopo un tempo che parve infinito, l'uomo alzò le braccia. Hermione sentì una mano calda al fondo della schiena, che la spinse finché non si scontrò contro il suo petto solido, e l'altra alla base della nuca. Le dita tra i suoi riccioli iniziarono ad accarezzarle la pelle in piccoli cerchi, e questa volta non riuscì a trattenere il gemito che le lasciò le labbra sentendo i muscoli rilassarsi.
«I criceti... Li ha mangiati in un momento del genere?» sentì la sua voce vibrargli sotto l'orecchio, e la domanda non le sembrò così scomoda come poteva essere.
«Era così piccola… » sospirò. «Non se lo ricorda nemmeno».
«È per questo che non avete più il gatto?» Continuava ad accarezzarla, e la voce calda e tranquilla le provocava un rilassato senso di sonnolenza.
«Cosa? Grattastinchi?»
L'uomo sbuffò. «Che nome ridicolo» ma Hermione lo sentì a malapena.
«Come fa a sapere che avevo un gatto?»  scelse di chiedere, invece di rispondere.
«Sono stato un tuo insegnante per sei anni.» Nonostante il tono vagamente esasperato, sorrise, sentendosi avvolgere dal calore delle sue braccia. Alzò la testa, trovandosi i suoi occhi pericolosamente vicini.
«Nessuno si era mai preso così cura di lei» disse con un sussurro che aveva il sentore di una confessione.
Severus la guardò negli occhi a lungo, poi la mano scivolò dai suoi capelli alla sua guancia. Il pollice spazzò il solco umido lasciato da una lacrima e lambì una sbavatura del trucco che trovò adorabile.
«E di te, Hermione?»
Hermione sgranò gli occhi, sorpresa da tanta intimità. Schiuse le labbra, ma non riuscì a rispondere. Sarebbe stato troppo stringere la presa sulla sua camicia e avvicinarsi fino a baciarlo?
Aveva già stretto i pugni, a metà strada verso la sua bocca, quando lui spostò la mano. Le accarezzò il labbro inferiore con il pollice, tanto lentamente che Hermione si sentì morire, e  scese lungo il collo curandole i graffi sotto il palmo. Poi, con un gesto che la scaldò più di una notte di passione, le abbassò il mento e posò le labbra sulla sua fronte.
 

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Capitolo 11
*** Sulla buona strada ***


Note; nuovo capitolo amici! Prima di tutto, ringrazio ancora Missandei9216, che corregge i miei errori,e poi tutti voi: il calore con cui accogliete la mia storia mi riempie davvero il cuore in questi momenti difficili.
Passando a noi, questo capitolo è una specie di spartiacque, un “fine prima parte” potremmo dire (ma non temete, non ci stiamo ancora avvicinando alla fine). Quindi, come al solito, se volete farmi sapere il vostro parere è sempre ben accetto!
Un grande abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
Sulla buona strada
 
 
 
 
Avrà la febbre per i prossimi giorni, così si era congedato. Hermione aveva risposto dispiaciuta, perché Kathleen si sarebbe persa gli ultimi giorni d'asilo.
«Vorrei partecipare alla creazione della pozione, professore» così l'aveva fermato. In quel momento la sua preoccupazione non era ricevere una risposta negativa, ma sapere se si era rivolta a lui con il giusto appellativo. Non aveva mai chiamato con tanta formalità nessun uomo che aveva baciato. Ma si poteva chiamare bacio, il loro?
Un bacio mancato, piuttosto.
Ma era bastato. Era bastato a ricordarle che sì, era una madre, ma prima di tutto una donna, che sì, aveva dei desideri e, soprattutto, che il tocco di un uomo le era mancato. Non se n'era accorta, prima.
Aveva impiegato più di due anni, dopo la nascita di Kathleen, per affrontare il problema. Ron si era offerto di crescerla come sua figlia, ma Hermione aveva rifiutato, terrorizzata dalla parola moglie e dai doveri che ne conseguivano. Era stata Ginny, come al solito, ad aiutarla nel suo modo quasi invisibile, ma essenziale. Le aveva presentato un collega, un giocatore di Quidditch irlandese appena uscito dalla scuola. Hermione l'avrebbe scoperto solo in seguito che era più giovane dei vent’anni che le aveva dichiarato, ma in quel momento non le era importato. Non era stato un amplesso sconvolgentemente piacevole, ma le guance sbarbate e le mani morbide del ragazzo le avevano ricordato che non tutti gli uomini erano bestie orribili. Buona parte, forse, ma non tutti. Non si era neanche preoccupata di informarlo della bambina che la attendeva dormendo, affidata alle cure di un'altra donna amorevole.
C'erano stati altri uomini, dopo il giovane di cui si era anche dimenticata il nome. Uomini con cui aveva riscoperto il piacere di condividere una notte o qualcuna di più. Non aveva dimenticato Grayback, ma l'aveva messo da parte. Si era obbligata a farlo, per se stessa e per sua figlia.
Ciononostante, nessuna relazione era mai andata a termine. Tutti i tentativi si avviavano traballanti, qualcuno durava di più perché il lui in questione si sforzavano di piacere a Kathleen, ma Hermione aveva troncato i rapporti ogni volta: si sentiva a disagio, e non aveva bisogno dell'amore di nessun altro se aveva la sua bambina affianco.
Poi, era arrivato Severus. Lui non si era sforzato di piacerle (anzi, aveva cercato di allontanarla spaventandola), né aveva cercato di accattivarsi Kathleen. Aveva preteso professionalità e collaborazione, ma aveva ottenuto molto di più.
Erano solo sue impressioni, illusioni?
No, le sue carezze e il suo dito sulle labbra raccontavano una storia diversa. Le aveva sentite, le sue mani, tremare sulla sua schiena. Mani lunghe, eleganti, e dal grado di soddisfazione che aveva visto sul viso della donna che le aveva aperto la porta, la prima volta a casa sua, poteva solo immaginare i modi in cui era capace di usarle.
Comunque, sorprendendola, l'uomo aveva accettato di insegnarle ancora una volta. Sebbene ne fosse felice, Hermione non riusciva a non pensare che l'avesse fatto per togliersele di torno.
 
 
 
Le due settimane successive la fine dell'asilo furono per Hermione una ricerca continua di una routine che continuava a sfuggire.
Kathleen passava le mattine al campo estivo, saltuariamente alla Tana o da Andromeda, ma ormai, per l'esasperazione di Hermione, aveva deciso che le sue giornate non erano degne di essere vissute se non vedeva il professor Piton.
«Non è giusto che l'ultima volta che è venuto tu l'hai visto e io no, mamma!» sosteneva tutte le mattine mentre si vestiva, dopo aver scoperto che, anche quel giorno, i piani erano diversi dai suoi desideri.
«L'hai visto anche tu, ma non te lo ricordi» rispondeva, ogni giorno con un pizzico di pazienza in meno.
Ecco perché quando erano riusciti, infine, ad accordarsi per un giorno, erano ormai a metà luglio.
Kathleen (Hermione non aveva neanche pensato per un momento di escluderla, temeva che se avesse impedito alla figlia di vedere l'uomo si sarebbe trovata con una rivoluzione in casa, testarda com'era) si era preparata per il pomeriggio come se stesse andando in missione: cappellino con visiera per il viaggio, zainetto in spalla con quaderno e portapenne, merenda e acqua. Hermione riteneva il tutto eccessivo, ma non aveva cercato di dissuadere la bambina: doveva pur intrattenersi, mentre gli adulti preparavano la pozione, e non era sicuro per lei entrare nel laboratorio.
Nonostante quella notizia l'entusiasmo infantile non le era passato; aveva passato tutto il viaggio in metropolitana a parlare allegramente, una volta arrivata, si era praticamente fiondata sul campanello e quando la porta si era aperta aveva saltato di gioia.
«Ciao, Severus!» aveva gridato. Hermione aveva sorriso, sicura che se dall'altra parte ci fossero stati Harry o Ron gli sarebbe già corsa tra le braccia.
«Ciao, Kathleen» rispose calmo l'uomo, un angolo della bocca incurvato in un sorriso. Poi alzò gli occhi su di lei. «Hermione»
E lei si sentì sciogliere, al suono della sua voce. «Buongiorno, professore»
 
 
C'era una porta che si apriva su un balcone, vicino alla libreria. Kathleen lo sapeva perché l'aveva già vista, ma la volta scorsa era chiusa. Adesso, invece, era aperta, e avvicinandosi riusciva a sentire i rumori delle macchine che scorrevano al di sotto. Era più in alto del loro appartamento, quindi tutto era più interessante.
Avrebbe voluto uscire, ma per farlo avrebbe dovuto chiedere alla mamma, e non voleva disturbarla adesso che parlava con il professore. Le piaceva, il professore. Era intelligente come la mamma e, soprattutto, non la trattava come una bambina piccola.
La mamma le aveva promesso che le avrebbe aiutate con il loro problema con la luna (e l'aveva fatto!), ma le aveva anche promesso che, una volta risolto quello, sarebbero passate al secondo problema: trovare un papà. Il professore avrebbe risolto anche quel problema?
Kathleen sperava di sì. Sarebbe stato bello avere un papà così intelligente, che sapeva preparare tante pozioni e che assomigliava anche allo Stregone del suo libro. Certo, non sarebbe stato proprio il suo papà vero vero, ma poteva sempre accompagnarla a scuola e farle le foto durante le recite di danza. Come un papà vero, appunto.
E poi c'era ancora una cosa. Kathleen faceva finta di niente, ma se n'era accorta: Severus guardava la sua mamma proprio come lo zio Harry guardava la zia Ginny.
 
 
Hermione finì la frase portando gli occhi sulla figlia. Kathleen, poco più avanti, li stava fissando con espressione seria e contemplativa, la testa piegata da un lato.
«Tutto bene, Kat?» le chiese.
«Sì» rispose la bambina sbattendo le palpebre. Sebbene il tono fosse stato dei più innocui, Hermione la scrutò con gli occhi socchiusi. Kathleen era furba, ma non poteva ingannare la sua stessa madre. Quello sguardo e quel tono avevano un preciso significato: le era venuta un'idea.
Hermione sperò che non le avrebbe cacciate in una situazione imbarazzante.
«Ti ricordi cosa mi hai promesso a casa?» le chiese, sospettosa.
«Sì, mamma, di fare la brava» Kathleen rispose con un sorriso fin troppo smagliante. «Farò i compiti. Guarda: mi metterò qui!» E con espressione risoluta si sedette sulla poltrona che quotidianamente occupava l'uomo, sprofondando nel morbido cuscino di pelle. Scoppiò a ridere iniziando a frugare nel suo zainetto, Hermione scosse la testa.
 
 
Il laboratorio era semibuio, come la prima volta in cui ci era entrata, ma se l'era aspettato: la luce diretta del sole rischiava di danneggiare gli ingredienti.
Ciò che non si era aspettata era il comportamento dell'uomo, che le aveva preparato una postazione e consegnato un foglio con ingredienti e procedure da seguire, fine.
«Sei una strega adulta, saprai prepararti una pozione» si era congedato con tono pungente.
«Certo» aveva bisbigliato Hermione in risposta, ma lui si era già diretto dall'alta parte del tavolo a lavorare su qualcosa che sicuramente non le era dato sapere.
Hermione aveva osservato la pergamena che aveva tra le mani, non l'aveva giudicata troppo complicata (una curiosa variazione della Pozione Antilupo) e si era messa al lavoro.
Non le pesava il silenzio, eppure avrebbe voluto non essere trattata come un’estranea. O peggio, come qualcuno di cui non si sopporta nemmeno la presenza.
«Si è messa in testa di imparare a scrivere» disse quindi, riferendosi a Kathleen, cercando di avviare una conversazione.
Ottenne come risposta solo un mugugno che suonava del tutto disinteressato.
Strinse le labbra, dopo poco riprovò. «So che la Pozione Antilupo è un preparato illegale, spero che questo non le abbia procurato problemi» gli disse azzardando un'occhiata nella sua direzione. Reggeva tra le mani un mortaio, gli avambracci, lasciati scoperti, guizzavano ad ogni movimento delle mani, ma non la guardava.
«Ho fatto ciò che dovevo» rispose, secco, infastidito.
Hermione tornò al suo lavoro, stizzita. Voleva passare le successive ore in silenzio? Bene, l'avrebbe assecondato.
Con un colpo secco del coltello attaccò le radici che aveva precedentemente ordinato sul tagliere. Il taglio fu secco e rumoroso, come una scure, e metà delle radici caddero a terra per la violenza dell'impatto.
Piton alzò la testa di scatto, gli occhi fiammeggianti. «Solo perché ti ho messo a disposizione la mia dispensa, non significa che tu debba rovinarmi gli ingredienti, Granger» abbaiò.
«Oh, certo, Piton» rispose alzando gli occhi al cielo, sottolineando l’uso del cognome. Erano passati i giorni in cui la rabbia di un professore era in grado di terrorizzarla. Si era fatta influenzare dai suoi modi, ma non si sarebbe fatta prendere in giro.
Lui la guardò furibondo e lei sostenne il suo sguardo.
«Le ho chiesto di insegnarmi per non esserle di peso in futuro, ma se per lei è così fastidioso avermi intorno, me ne vado subito. Farò questa benedetta pozione da sola, e quando Kathleen sarà abbastanza grande le insegnerò come distillarla, grazie a questo foglietto che lei si è degnato di darmi!» concluse tutto d'un fiato agitando la pergamena nella sua direzione. Girò sui tacchi, decisa a non farsi dissuadere dai suoi occhi, e si diresse verso la porta.
«Hermione» sentì la sua voce alle spalle.
Che la chiamasse pure con quella voce calda e viscerale, con quel tono che suonava come una scusa, non si sarebbe fatta intenerire.
«Non siete un peso».
I piedi le si fermarono, come incollati al pavimento. La mano destra era già pronta sulla maniglia, ma non la abbassò, la sinistra stava stingendo così forte il foglio che sentiva le unghie premere contro il palmo.
Il cuore prese a batterle furioso nel petto, perché era esattamente quello che voleva sentirsi dire. Anzi, era anche qualcosa di più, perché lui aveva usato il plurale. Ma un’altra parte di lei, la parte della sua mente così determinata, da far decidere al Cappello Parlante che era meglio smistarla a Grifondoro, gridava con forza di non girarsi, di non cedere alla carezza della sua voce, di andarsene sbattendo la porta, e a mai più rivederci.
Strinse la maniglia con più forza. Bello, certo, ma Kathleen?
Può sopportare l'esistenza di un padre assente e criminale, sopporterà anche questo, bisbigliò la sua parte cinica. Ed era vero, Kathleen avrebbe capito, prima o poi. Ma lei sarebbe riuscita ad andare avanti dopo aver conosciuto il calore delle sue dita sulla pelle?
Inutile chiederselo, sapeva la risposta. Si voltò, senza avvicinarsi, le braccia incrociate sul petto. Lo vide vicino al suo calderone, intento a salvare il lavoro che aveva abbandonato.
«E non ho bisogno di insegnarti nulla, stavi facendo un ottimo lavoro»
Ed eccolo lì, il complimento che aveva cercato per sei anni. Era bella, l'approvazione. Così bella da farle saltare un battito e subito dopo inondarle le guance di calore.
Sciolse le braccia, ma non gli avrebbe dato soddisfazione. «Lo so» rispose.
Lui le lanciò un'occhiata, un angolo della bocca storto in un sorriso ironico, ed Hermione, guardandolo, poté sentire il muro delle sue convinzioni cadere.
«Perché ha accettato di insegnarmi, allora?» chiese. Si era avvicinata fino ad appoggiare il bacino sul lungo tavolo, al suo fianco.
«Perché me l'hai chiesto» rispose semplicemente, gettando la polvere nella pozione, che subito iniziò a sfrigolare. Hermione era tanto vicina che se avesse allungato una mano l'avrebbe toccato, ma si trattenne, con forza. Si staccò dalla postazione di lavoro e iniziò a camminare per il laboratorio, iniziando a capire perché aveva suscitato tanto entusiasmo nella figlia.
L'uomo si schiarì la gola. «In ogni caso, funzionerà meglio se sarai tu a prepararla»
«Perché?» chiese quasi distrattamente.
«Kathleen si fida di te» rispose. C'era davvero un pizzico di rammarico nella sua voce o se l'era immaginato?
Tornò al suo fianco e, con la scusa di porgergli il prossimo ingrediente, gli toccò deliberatamente la mano.
«Si fida anche di te,» aspettò di incontrare i suoi occhi «Severus».
Nell'immobile silenzio che seguì Hermione poté sentire le macerie nella sua mente essere polverizzate e spazzate via. Si era innamorata, addio buon senso.
Piton scivolò dalla sua mano e distolse lo sguardo, quando tornò a prendere il coltello lo fece con tanta forza, da far sbiancare le nocche. Per un attimo, Hermione temette che l'avrebbe colpita, ma lui ricominciò a tagliare, la mascella contratta.
Ritenendo più prudente allontanarsi, ricominciò l'attività precedente.
Gli ingredienti erano catalogati in un ordine che le sfuggiva, apparentemente illogico, ma dubitava fosse davvero così. Alla base di ogni barattolo c'era un'etichetta su cui, con la sua calligrafia magra e obliqua, aveva annotato nome e quantità. Hermione seguì le etichette con un polpastrello, finché non si imbattè in qualcosa di insolito.
Amazzonia; febbraio-aprile 2003
«Oh» si lasciò scappare dalle labbra. L'etichetta era posizionata sotto un sasso, ma era in realtà un ricordo. Hermione ne vide altri, perfettamente datati: India, Africa, Perù, perfino Artico. Erano ricordi dei suoi viaggi.
Pensava di non poter essere più sorpresa, ma poi la vide: una foto. Era attraversata a metà da una linea frastagliata, segno che tempo prima era stata strappata e poi aggiustata, e rappresentava un Severus giovane come mai avrebbe immaginato di vederlo, a fianco ad una donna. Hermione impiegò due secondi netti a capire che era sua madre.
«È l'unica foto magica che ho di lei» Si voltò di scatto, trovandoselo a fianco. Non l'aveva sentito avvicinarsi.
«Tutti abbiamo una foto del giorno del nostro diploma» sussurrò. Anche lei ne aveva una, in salotto.
«Ma penso di essere stato fortunato» iniziò l'uomo catturando i suoi occhi. «Io l'ho fatta in compagnia di mia madre»
Hermione impallidì. «Come-?» Fece mezzo passo indietro, come se l'avesse colpita fisicamente. «È stata Kathleen?» riuscì a chiedere, quasi senza voce.
Piton scosse la testa. «Non volontariamente. Mi ha detto che erano dentisti. Erano» sottolineò il verbo al passato in risposta alle sue sopracciglia corrugate.
Hermione si passò una mano tra i capelli. Era sempre doloroso, parlare dei suoi genitori. «All'inizio era difficile trovare un modo per andare in Australia» iniziò a spiegare. «Dovevo organizzare la mia vita e l'arrivo di Kathleen. Poi lei è nata e...» sbuffò, agitando una mano come ad indicare che ormai non era più importante. «Ci sono un sacco di problemi con un bambino piccolo. Per fortuna Molly è stata disposta ad aiutarmi, io... non so proprio cosa avrei fatto senza di lei» concluse.
Lui annuì senza guardarla con compassione, solo comprensione. Hermione si sentì invitata a continuare.
«Ma va bene così, loro sono felici nella terra in cui avrebbero voluto vivere. E poi non so se avrebbero retto il colpo di una nipotina come Kathleen» lo guardò eloquente, non c'era bisogno di spiegare di più.
Piton annuì di nuovo, le mani affondate nelle tasche. Fu nella rilassatezza della sua posa che trovò il coraggio di chiedere.
«Lei... tu, invece?»
Subito lo vide irrigidire le spalle, poi una risata sarcastica lasciò la sua bocca. «Siamo in vena di confessioni, mh?» Ma c'era una tale amarezza nella sua voce che Hermione non trovò risposta, se non uno stringersi nelle spalle.
«Non c'è molto da dire. Se n'è andata, Granger» disse con sguardo malinconico rivolto alla foto, ma non le sfuggì che aveva parlato al singolare.
Chinò lo sguardo, notando quanto fossero vicine le loro mani. «Hermione» lo corresse prendendogli il palmo caldo con il proprio.
Lui la guardò con un lampo di sorpresa negli occhi. «Hermione» le concesse, prima di stringerle le dita.
 
 
 
«Dunque, fammi vedere se ho capito. Non la vedi per anni, lei si presenta a casa tua e tu fai finta di volere del sesso in cambio del tuo aiuto così lei se ne va, ma lei torna con un soldo di cacio di figlia, tu accetti e finisci non solo per affezionarti alla bambina, ma anche per innamorarti della madre. Dico bene?»
«Salazar, Lucius! La fai apparire ancora peggiore di com’è» disse Severus, reclinando la testa sulla morbida poltrona e nascondendo gli occhi sotto la mano. Fece un sospiro tanto profondo da sconquassargli gli organi, ma Lucius si fece una grossa risata.
«Mi hai chiesto aiuto, cercavo di capire» rispose Malfoy con un finito tono innocente. Il sorrisetto sulle sue labbra, però, raccontava che si stava divertendo un mondo.
«Bastardo» disse tra i denti Piton. Poi, ancora senza degnarlo di un'occhiata, allungò il bicchiere. «Versa» intimò.
Lucius si allungò verso l'amico e gli riempì il bicchiere con la professionalità del buon padrone di casa esperto. «Ed ecco come, il grande Severus Piton, Ordine di Merlino di Prima Classe, braccio destro dell'ormai fu Signore Oscuro e spia del famoso Albus Silente, affronta i problemi»
Severus fu tentato di rispondere con un altro insulto, ma preferì riempirsi la bocca in altri modi.
 

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Capitolo 12
*** Iniziative pericolose ***


Note: ed eccoci ad un nuovo capitolo. Questa volta ho davvero rischiato di non pubblicare in tempo, ma ce l'ho fatta.
Ancora una volta, vi ringrazio tutti. Siete arrivati ad essere più di mille a leggere la mia storia, e ogni recensione, seguita, preferita e ricordata mi rende enormemente felice, e in questo periodo duro che non si sa quando finirà è la cosa più bella che possa esserci.
Spero, almeno un po', di rendervi il favore.
Un forte abbraccio,
Crudelia
 
P.S.: forse Hermione rischia di essere OOC (nella mia mente no, perché se è finita a Grifondoro un motivo dev’esserci), fatemi sapere il vostro parere.
 
 
 
Iniziative pericolose
 
 
 
 
Severus storse la bocca passandosi una mano tra i capelli: avrebbe dovuto farsi una doccia. E sebbene la pozione lo aiutasse leggermente con l'emicrania, il ghigno di Lucius rischiava di far precipitare la situazione.
«Avresti dovuto smettere di versarmi da bere dopo mezza bottiglia» borbottò rimproverando l'amico.
«E perdermi tutto il divertimento? Ma per chi mi hai preso…» strascicò Lucius in risposta. «Sono venuto a controllare che tu fossi ancora vivo, dovresti apprezzare questa grande dimostrazione di amicizia»
«A buttarmi giù dal letto, vorrai dire» lo corresse, acido.
«Perché, ci sei arrivato?» chiese Lucius con un sopracciglio arcuato.
Severus finì di chiudersi la camicia lanciando un'occhiata capace di uccidere che lasciò Malfoy del tutto indifferente. Avrebbe voluto ribattere, ma Lucius aveva ragione: al letto ci era arrivato a malapena, e non ricordava nemmeno come.
«Non avresti dovuto farmi bere così tanto»
«Sento la stessa frase da vent'anni»
Severus lo guardò torvo sopra le braccia incrociate. Sebbene Lucius spuntasse solo con mezzo busto dal suo camino non sembrava affatto curarsi della posizione di inferiorità, trattandolo con la solita superiorità e i modi da lord con il mondo in mano.
«Non accetto rimproveri da chi non può nemmeno uscire di casa» sbottò infine, deciso a non lasciar perdere. Ma da che mondo è mondo, Malfoy doveva avere l'ultima parola.
«Oh, ma abbiamo tutti le nostre restrizioni di guerra, non è vero, vecchio mio?» disse con tono apparentemente noncurante.
Severus gli lanciò un'altra delle sue occhiate, ma non rispose. Conosceva Lucius, sapeva quando era il momento di lasciar scorrere, ma soprattutto c'era un motivo se l'amico in entrambi i processi dopo la prima e la seconda guerra magica era uscito indenne. O quasi, almeno.
«In ogni caso non possono essere peggiori di questo» disse cadendo sul divano e fingendo di non aver capito il sottotesto. «Ho un mal di testa atroce» si lamentò chiudendo gli occhi e posandosi una mano sulla fronte.
«Sarà perché stai invecchiando» gli arrivò la voce strafottente di Lucius dal camino, ma prima che riuscisse a rispondere con una battuta pungente che conteneva la parola invecchiare e le sue nobili chiappe nella stessa frase, il campanello suonò.
Severus gemette prima di farsi forza con le mani sulle ginocchia per alzarsi. «Vedi di sparire, non vorrei che alla vecchia del piano di sotto venisse un infarto perché vede una testa bruciare nel mio camino».
Ignorando la risposta dell'amico, andò ad aprire.
La persona che si trovò davanti era così inaspettata che impiegò un paio di secondi a reagire, sebbene il consueto ciao, Severus! avesse già fatto breccia nel suo cervello.
«Dov'è tua madre?» fu la prima cosa che disse, brusco.
Il sorriso di Kathleen fu leggermente intaccato, ma non si spense. Comunque, si torse le mani prima di rispondere. «Al lavoro»
Severus la guardò meglio cogliendo con una sola occhiata il suo abbigliamento da piccolo scout: maglietta, pantaloncini e scarpe da ginnastica. I capelli erano legati in una coda e poi in una treccia sotto il cappellino verde con un logo stampato sopra. Ma fu quando vide come teneva le mani ancorate alle spalline dello zaino che un presentimento iniziò a pesargli alla bocca dello stomaco.
«Come sei arrivata qui?» chiese, aggrottando le sopracciglia.
«In metropolitana» rispose la bambina con tono ovvio, stringendosi nelle spalle.
Severus sospirò, facendo un passo indietro per farla entrare.
 
«Ti avevo detto di sparire!» disse Severus, entrando furioso nel salotto.
Lucius lo ignorò, stava guardando Kathleen contemplativo, il mento leggermente inclinato in alto e gli occhi socchiusi.
«E così è lei la piccola Granger» mormorò.
«E tu chi sei?» chiese Kathleen, curiosa, guardandolo in faccia senza timore.
Lucius scoppiò a ridere. «Che tipetta, uguale a sua madre!»
Severus si irrigidì. Sebbene Kathleen somigliasse ad Hermione aveva un altro genitore, un genitore che Lucius aveva conosciuto un po' troppo da vicino.
«Sparisci!» gli ringhiò contro. Era già pronto a gettargli una manciata di Polvere Volante in faccia, ma Malfoy aveva capito l'antifona: con il solito sorriso altezzoso agli angoli della bocca si ritirò con una fiammata verde.
«Siediti!» ordinò Piton quando il riverbero nel camino non si era ancora spento.
Kathleen si sedette sul divano in fretta, la faccia adesso seria di chi ha cambiato un guaio e sa di essere stato scoperto.
«Tua madre è al Ministero?» chiese Severus posizionandosi davanti a lei, le braccia conserte.
Kathleen annuì, la schiena dritta e le mani chiuse a pugno posate sulle ginocchia.
«Sa che sei qui?»
Questa volta scosse la testa, le labbra strette.
«Dove dovresti essere, adesso?» chiese lentamente.
«Al campo estivo» sussurrò la bambina con la speranza di non essere udita.
«Bene. Alzati e andiamo all-»
«No!» lo interruppe gridando.
Severus, già a metà strada verso la porta, si fermo e si voltò lentamente.
«Come?» chiese. Se non fosse stata una bambina e l'avesse conosciuto, Kathleen avrebbe capito che più la voce era calma e lenta più l'uomo era arrabbiato.
«Non voglio andare!» gridò in risposta, scattando in piedi. «Non mi piace il campo! Fa sempre caldo, i bambini più grandi mi prendono in giro e non posso mai parlare della magia e...» si guardò intorno, alla ricerca di un'altra motivazione per convincerlo. «Non voglio andare, voglio rimanere qui!»
Severus la guardò riprendere fiato dopo lo sfogo. Aveva le guance arrossate, i pugni stretti vicino al petto e negli occhi una minaccia di lacrime che non gli piaceva affatto. Un lieve pizzicore al petto lo fece tornare indietro: era solo una bambina, ed era stato tropo duro.
«Kathleen» iniziò lentamente, sedendosi sul divano per essere all'altezza dei suoi occhi. «Mi stai dicendo che sei scappata dal campo estivo?»
Kathleen annuì, tirando su con il naso. Severus notò con una punta di quello che poteva essere orgoglio che non aveva abbassato lo sguardo.
«Quindi non dovresti essere qui»
Sebbene non fosse stata una domanda, Kathleen scosse la testa. Una grossa lacrima sfuggì dal suo occhio per rotolare lenta sulla guancia.
Severus sospirò. Aveva già visto bambini piangere (troppi, da averne abbastanza per una vita), quindi non si seppe spiegare quella sensazione spiacevole che lo colse alla vista di quella gocciolina salata sulla guancia morbida della bambina, né l'istinto di asciugargliela con una carezza.
«Se la mamma ti porta in un posto, tu devi rimanerci. Lo capisci?»
Kathleen annuì ancora, soffocando un singhiozzo che comunque le scosse le spalle.
«Quindi adesso mi dirai l'indirizzo di questo campo e io ti riporterò lì, chiaro?»
Nonostante altre lacrime che scendevano, Kathleen scosse la testa, con forza.
«Kathl-»
«Non voglio!» lo interruppe.
«Non mi interessa cosa vuoi! Se tua madre ha deciso una cosa, così faremo. E non costringermi a chiamarla»
Kathleen lo guardò con gli occhi umidi e sgranati. Non sapeva che non aveva nessun modo per rintracciare la madre in tempi brevi, e si sentì un vigliacco per approfittarsi così della sua ingenuità.
Ma ancora, aveva fatto di peggio, gesti che avrebbe voluto dimenticare, perché sentirsi in colpa per una bambina con occhi troppo grandi da riempirle la faccia?
Kathleen, nel frattempo, vedendo che non desisteva, aveva estratto dallo zaino un quaderno che adesso gli stava porgendo. Severus osservò per qualche secondo la famigliare calligrafia di Hermione sulla pagina bianca prima di alzarsi e guidare la bambina fuori.
 
 
 
Per non essere ancora le nove faceva insopportabilmente caldo. Severus si chiese quindi come faceva Kathleen a saltellare invece che camminare, al suo fianco.
Ad un tratto, del tutto spontaneamente, aveva deciso di aggrapparsi alla sua mano, e da allora Severus le lanciava occhiate quasi meravigliate: la tristezza le era passata incredibilmente in fretta. Anche adesso, seduti sugli scomodi seggiolini della metropolitana, la bambina non gli lasciava la mano.
Ma almeno stava in silenzio, la sua emicrania era grata per questo.
«Sei ancora arrabbiato?» Chiese Kathleen, quasi avesse sentito i suoi pensieri.
«Non mi hai ancora detto come sei arrivata a casa mia» scelse di dire. Non le rispose, aveva l'impressione che se l'avesse fatto, contro ogni ragionevole dubbio, dalle sue labbra sarebbe uscito un no.
«Sì che te l'ho detto, in metropolitana» rispose la bambina alzando la testa per incontrare i suoi occhi.
Severus era più che consapevole che se a rispondergli in quel modo fosse stato uno dei suoi studenti con ogni probabilità si sarebbe trovato in punizione per una settimana, ma con quella bambina proprio non riusciva ad irritarsi.
«Come sapevi la strada?»
«L'ho fatta due volte con la mamma e- oh, guarda! Quella signora ha un gatto!» disse agitandosi sulla sedia e indicando una donna appena salita che si era seduta di fronte a loro, con un trasportino sulle ginocchia.
«Kathleen» la rimproverò, abbassandole il braccio con la mano. Nel farlo incontrò lo sguardo della donna, che gli rivolse un caldo sorriso di compressione. Severus se ne ritrovò disgustato, ma scelse di soprassedere. C'era ancora un punto che gli sfuggiva.
«Come hai fatto ad entrare, allora?»
«Ho suonato alla signora Anne. Le ho detto che ero uscita per prendere il gelato e si era chiusa la porta»
«Un gelato alle otto di mattina?»
Kathleen si strinse nelle spalle.
Severus la guardò sorpreso, inarcando un sopracciglio. Quella bambina era sveglia, troppo. E nella mente gli lampeggiò il pensiero che la colpa fosse di sua madre: più di una volta aveva avuto il sospetto che la trattasse come un'adulta. C'era però anche un lato positivo: se la bambina avesse ereditato le inclinazioni paterne a quell'ora si sarebbe trovato con un portone da riparare e una denuncia a carico di una bambina nemmeno sua.
Sbuffò a quell'eccesso di ironia. «Furba» si lasciò sfuggire.
Kathleen lo guardò con un sorriso furbo e compiaciuto. «Lo so» rispose, e Severus sbuffò un'altra volta.
Subito dopo si accigliò, non voleva darle l'impressione di apprezzare quel gesto sconsiderato. «Poteva succederti qualcosa»
«Ma sono stata attenta. Conosco le regole della strada» disse continuando a guardare gli occhi gialli del felino che spuntavano dalla gabbietta.
«Ma davvero?» chiese Severus ironico, alzando le sopracciglia.
«Sì! Devo aspettare il semaforo verde per attraversare la strada e guardare a destra e a sinistra, sapere dove vado e non cambiare strada, fare attenzione alle mie cose e non parlare con gli sconosciuti. A meno che non siano poliziotti, loro mi aiutano se ho bisogno»
«E tutto questo te l'ha insegnato tua madre»
«Certo!» rispose. Questa volta lo guardò, sorridendo.
«Perché sei già scappata una volta?»
«Nooo» rise. «Mi sono persa una volta in gita, ma ero piccola»
Severus alzo gli occhi al cielo a quella frase, senza capacitarsi di come ora potesse considerarsi grande, che nemmeno toccava il pavimento e i piedi si agitavano nel vuoto.
Avrebbe voluto approfondire la questione, ma erano arrivati alla loro fermata. Sempre tenendosi per mano, si avviarono all'esterno.
 
 
 
Individuare il campo estivo non fu difficile, soprattutto per gli schiamazzi che si spandevano nell'aria. Severus aveva convissuto con quel chiasso più della metà della sua vita, ed era un aspetto dell'insegnamento che non gli mancava affatto.
Il portone che dava accesso sul cortile era aperto, per favorire l'arrivo dei bambini. Severus e Kathleen lo varcarono il silenzio. Gli occhi dell'uomo vagarono per cogliere tutti i dettagli: il cortile era gremito di bambini che avevano la stessa età di Kathleen fino ad arrivare ad adolescenti allampanati intenti a giocare a palla, più in là si intravedeva un prato verde con un paio di altalene.
Kathleen lo guardava senza alcuna intenzione di allontanarsi. Severus stava per lasciarla quando venne loro incontro quella che immaginava essere un'animatrice. Poteva avere al massimo vent'anni, i capelli biondi legati in una coda disordinata e le gambe sode lasciate scoperte dai pantaloncini di jeans.
«Ciao, Kat!» la salutò sorridendo. «Sei arrivata, ti stavamo aspettando» sempre sorridendo alzò lo sguardo su Severus, tendendo la mano. «Mi chiamo Mary, lei dev'essere il padre»
Severus lasciò scorrere lo sguardo dalla mano tesa agli occhi un paio di volte, il tempo necessario perché la ragazza capisse che non aveva alcuna intenzione di stringergliela.
«No, per vostra fortuna. Non lascerei mai la bambina ad un branco di incompetenti come voi» disse brusco.
Il sorriso della ragazza scemò poco a poco fino a sparire, la mano abbandonata lungo il fianco. «Mi scusi?» trovò la forza di chiedere, con un pizzico di rabbia che a Severus non piacque per niente.
«La bambina era stata accompagnata qui già da sua madre, ed è riuscita ad allontanarsi. Spero per voi che questo sia un caso isolato e non una prassi»
La ragazza lo guardò stranita battendo le lunghe ciglia, alternando lo sguardo fra lui, la bambina e le loro mani intrecciate.
«Bene. Ti aspetto laggiù, Kat» disse infine, voltandosi. Severus la vide raggiungere un ragazzo e iniziare a parlare animatamente con lui, agitando le mani nella loro direzione.
«Forza, bambina» disse rivolto a Kathleen, spingendola in avanti con la mano che lei gli teneva sperando che si staccasse.
Ma lei alzò gli occhi su di lui, illuminati da una persistente e caparbia speranza.
«Devo andare?»
Lui alzò un sopracciglio, eloquente, aspettando che la bambina capisse. Se doveva essere sincero (e non lo voleva, dannazione, non gradiva affatto esserlo), trovava l'intera situazione alquanto spiacevole, ma aveva alternative?
Sì, gli rispose una voce nella sua mente, l'aveva. Poteva scrivere un gufo ad Hermione, avvertirla che la bambina era riuscita a raggiungerlo e occuparsi di lei per la giornata. L'aveva già fatto in fondo, no?
No. No, non poteva. Quella soluzione presupponeva un grado di intimità fra loro che era meglio non raggiungere.
«Lo dirai alla mamma?» la voce di Kathleen lo scosse dai suoi pensieri.
Aprì la bocca, ma non ne uscì un suono. Sì, per Merlino, , avrebbe dovuto dirglielo, e dirle anche di fare più attenzione a quella bambina che spariva non appena si voltava la testa.
«No» disse alla fine, arrendendosi all'evidenza. Tacere quell'incidente non gli sarebbe costato fatica, specialmente visti i mancati risvolti negativi. «Ma che non succeda più» si obbligò ad aggiungere, in tono severo.
Kathleen esplose in uno dei suoi sorrisi capaci di illuminarla, poi si gettò sulle sue gambe. «Grazie!» gridò stringendogli i fianchi.
Severus ebbe appena il tempo di poggiarle una mano alla base del collo, stupito, che era già corsa via ridendo.
 
 
 
Hermione si sedette in poltrona felice che la giornata fosse finita. Era stata lunga e faticosa, e faceva davvero troppo caldo.
Dopo aver fatto il bagno a Kathleen si era concessa una lunga doccia, e adesso era più che mai intenzionata a godersi la frescura seduta in poltrona a leggere un libro.
Lanciò un'occhiata alla figlia mentre apriva il libro, e la vide coricata per terra al centro di un lago di costruzioni. Probabilmente aveva appena distrutto un muro con il camion di plastica che aveva in mano. Tuttavia, anche l'altra mano era impegnata.
«Cos'hai lì, Kat?» chiese.
«Niente!» rispose in fretta la bambina, nascondendo l'oggetto bianco sotto la pancia.
«Ma come niente?»
«Niente!» ripeté, guardando la madre con gli occhi sgranati e leggermente allarmanti.
«È un regalo?» insistè Hermione, un sorriso agli angoli della bocca.
«È un segreto» disse un po' troppo forte la bambina.
«Un segreto» ripeté Hermione, il sorriso adesso per niente celato.
«Sì, non posso dirtelo»
Hermione lasciò cadere il discorso, gettando ogni tanto occhiate divertite alla bambina.
 
Fu verso sera che Kathleen confessò.
Hermione era alle sue spalle, intenta a pettinarle i capelli prima dimetterla a letto, mentre Kathleen si rigirava tra le mani quello che ormai la madre aveva identificato come un fazzoletto bianco.
«Mamma?»
«Sì?» rispose Hermione. Sapeva che le avrebbe svelato di cosa si trattava, ma non voleva metterle fretta.
«Ti devo dire una cosa».
 
 
 
Hermione picchiò la porta con tanta violenza da farsi male al palmo.
«Severus, apri! So che ci sei, quindi apri, o giuro che butto giù la porta!» urlò continuando a battere il legno.
«Oh, final-» ma non era lui. Ancora una volta, ad aprirle la porta fu una donna.
Hermione ebbe il tempo di constatare che almeno questa volta lei era vestita, che la donna si portò le mani alla bocca gemendo.
«Oh, mio Dio, è sposato!?» strillò.
«Dov'è?» chiese Hermione fra i denti, completamente disinteressata a rispondere ai dubbi della donna.
«In bagno» farfugliò questa in risposta, poi corse per le scale senza un'altra parola.
Hermione si chiuse la porta alle spalle senza curarsi del frastuono e si diresse a grandi passo verso la porta da cui proveniva il suono dell'acqua corrente.
«Severus!» esordì aprendo la porta con irruenza. «Esci da lì, dobbiamo parlare» gridò per farsi sentire sopra il frusciare dell'acqua.
«Severus!» gridò quando capì che non aveva intenzione di ascoltarla, sbattendo un piede a terra. Fu quando la porta del box si aprì che si rese appieno conto di quello che stava facendo.
«Hermione» la salutò calmo, un sopracciglio inarcato e un sorriso ironico all'angolo della bocca.
Lei fece un passo indietro e si voltò, sentendosi avvampare. Gli avrebbe lasciato giusto l'intimità di coprirsi, non aveva alcuna intenzione di cedere.
Quando lo vide muoversi si accorse di essere davanti allo specchio, leggermente appannato ai bordi. Lui uscì con calma e prese un asciugamano tra le mani.
Hermione lo vide passarselo sui capelli, frizionandoli leggermente per poi spingerli all'indietro.  Continuò a seguire con gli occhi la linea della nuca per proseguire verso le spalle e la schiena. La pelle pallida copriva i muscoli longilinei che lei aveva avuto l'opportunità di intuire dalle sue braccia, ma si accorse, con la gola secca, che era percorsa da tante e piccole cicatrici. Una più spessa, però, più larga e slabbrata, partiva dalla metà della colonna vertebrale e proseguiva in diagonale fino a...
Strizzò gli occhi, obbligandosi a non pensare a ciò che aveva effettivamente visto.
«Ebbene, cos'è tanto urgente da interrompermi con così tanta irruenza?» La sua voce gli arrivò pericolosamente vicino all'orecchio. Hermione spalancò gli occhi, scorgendo la sua figura dietro di sé. Aveva le mani appoggiate al lavandino, intrappolandola tra la ceramica e il suo corpo umido, ma non la stava toccando.
Deglutì, prima di rispondere. «Kathleen mi ha detto tutto». Voleva essere un'accusa, ma la voce le uscì più come un sussurro che andava a perdersi nella condensa.
«Ah» Severus disse compiaciuto, quasi fosse il punto a cui finalmente voleva arrivare. «Allora forse dovrei complimentarmi su come tu abbia cresciuto bene tua figlia»
Hermione si voltò, fulminandolo con lo sguardo.
«Avresti dovuto dirmelo!» disse, e questa volta c'era la giusta dose di rabbia nella sua voce. «Poteva succederle qualcosa»
Lui la guardò serio, ed Hermione si accorse di quanto effettivamente fossero vicini.
«Ma non è successo» rispose lui e lentamente alzò una mano fino al suo viso, dove spostò un ricciolo che era sfuggito al suo controllo. Hermione sentì la scia umida e calda delle sue dita sul collo.
«Non importa, avresti-»
«Cosa?» la interruppe lui. «Smeterializzarmi con la bambina? Presentarmi al Ministero? Mandarti un gufo e aspettare che ti raggiungesse in un paio d'ore? Deve imparare che non può fare sempre come vuole» concluse lui, la voce spedita che non tradiva l'irritazione.
Hermione lo guardò incrociando le braccia. «Infatti è in punizione» disse. Non voleva che pensasse che lei fosse una di quelle madri che in nome dell'amore che provano per il proprio figlio gli permettono qualsiasi cosa. Aveva imposto delle regole, e pretendeva che venissero rispettate.
Questo, però, lo sapeva anche lui. Per questo si era premurato di spiegare alla bambina il perché la stesse riportando dove doveva essere. Kathleen le aveva raccontato anche quello.
«C'è un motivo, se non vuole stare in quel campo» disse lui rompendo il silenzio.
«Lo so» rispose Hermione storcendo la bocca. «Me l'ha detto». E non le piaceva affatto, sapere che Kathleen non era contenta, ma non poteva certo affidarla tutti i giorni a Molly o ad Andromeda: era sua figlia, una sua responsabilità.
Responsabilità che stava condividendo con Piton, ultimamente.
Ignorò il pensiero, sbuffando. «Sono comunque arrabbiata» disse riportando gli occhi sull'uomo di fronte, il cui sorriso storto era tornato all'angolo delle labbra. «Ma penso di doverti anche ringraziare» si obbligò ad aggiungere.
«Arriverà il giorno» iniziò Severus avvicinandosi «che chiederò il prezzo...» Hermione chiuse gli occhi, cercando di ricordarsi come si respirava. Era così vicino che poteva sentirne il calore attraverso il vestito leggero che indossava e il profumo della sua pelle calda e non ancora del tutto asciutta. «per tutti questi favori» finì soffiando nel suo orecchio. Hermione sentì il suo fiato accarezzarle il collo e mandarle i brividi lungo la schiena.
Già una volta le era successo, ed era stata ad un soffio dal baciarlo. Quella mattina, però, si fece guidare dalla rabbia che ancora aleggiava nel suo stomaco.
Dopotutto, il professore non era l'unico a poter giocare quella carta.
Hermione aprì gli occhi e li fissò in quelli di Severus. Sciolse le braccia e con un dito, lentamente, iniziò a percorrere la pelle dell'uomo a partire dal polso.
«Forse...» sussurrò. Arrivò al bicipite e aprì la mano, facendo aderire il muscolo sodo al suo palmo. Avrebbe voluto guardarlo in faccia, ma si trovò ammaliata dal movimento dei muscoli al passaggio della sua mano e dall'incresparsi della pelle.
Sorrise, la mano scese lungo il petto e per l'addome piatto. «E forse io sarò ben contenta di pagarlo» finì alzando gli occhi su di lui.
Non aspettò che il senso delle sue parole fosse compreso dall'uomo, con uno scatto veloce della mano strinse l'asciugamano e lo fece cadere a terra. Fu rapida ad infilarsi sotto il suo braccio e sgusciare fuori dal bagno.
Mentre scendeva le scale poté quasi sentire il suo ringhio nelle orecchie.

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Capitolo 13
*** Sorprese ***


Note: buona domenica a tutti! Come sempre, come prima cosa vi ringrazio: siete sempre di più e le vostre recensioni mi rendono felicissima. Oggi capitolo lungo e, anche se non era ancora mia intenzione, più cupo del solito. Inoltre, è abbastanza importante per i prossimi capitoli.
Fatemi sapere cosa ne pensate. Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
Sorprese
 
 
 
 
 
 
Vivere tra i babbani costituiva una serie di sacrifici che Severus si era trovato ad accettare senza pensarci. In fondo, per lui, nato e cresciuto senza poter usare la magia, non era stato particolarmente difficile.
Il suo mantello, ad esempio, era uno di questi sacrifici e forse, pensandoci, l'unico che gli mancava.
Non rimpiangeva la sua vita: la tecnologia sopperiva alla mancanza della magia in modi comodi e puliti. Ad ogni invenzione non si sorprendeva come Arthur Weasley, con stupefatta ammirazione, e questo era forse l'unico motivo per cui poteva ringraziare suo padre.
In ogni caso, quando il telefono iniziò a squillare impiegò un paio di secondi a capire cosa fare. Riceveva telefonate così di rado che si dimenticava dell'apparecchio fino alla volta successiva in cui avesse iniziato a suonare.
«Pronto?» rispose perplesso, le sopracciglia aggrottate.
«Professore?»
«Granger?»
«Oh, ha funzionato, non ci speravo davvero!» la risata al telefono gli fece capire che sì, era lei, non uno scherzo.
«Posso chiederti come fai a sapere che ho un telefono?»
«Non lo sapevo, ma lo immaginavo. Siamo uguali, noi due, cerchiamo di vivere tra i babbani al massimo delle nostre possibilità»
Sebbene la logica fosse impeccabile, Severus impiegò un po' a rispondere. Siamo uguali, quelle parole continuarono a rimbombargli nella mente distaccate dal contesto.
«E come fai ad avere questo numero?»
Lei tossicchiò, probabilmente imbarazzata. «Guida telefonica» disse infine.
Severus rimase in silenzio, quasi per abitudine. Alla fine, si costrinse a dire «Ah», ricordandosi che lei non poteva vedere la smorfia di disapprovazione che gli storceva la bocca.
«Ho chiamato perché vorrei chiederti un favore» disse lei dopo alcuni di silenzio in cui la linea ronzò vuota tra loro.
«Lo aggiungerò alla lista» rispose Severus, senza traccia di reale rabbia nella voce. Ma lei questo lo sapeva, anche senza vederlo, e rise.
«Si tratta di Kathleen»
Certo che si trattava di Kathleen, tutto riguardava Kathleen. Per quale altro motivo l'avrebbe chiamato, per fare due chiacchiere?
Suvvia. Severus stava invecchiando, ma non stava diventando stupido. Se non fosse stato per la bambina lei non avrebbe mai chiesto il suo aiuto, avvicinandosi in modo tanto compromettente.
Era per questo che doveva tenerla lontana, sebbene ogni volta che la vedesse non riusciva a frenare le mani dal toccarla.
«Vorrei... Ecco, oggi è venerdì e... Kathleen...»
«Avanti, Hermione. Non puoi scagliare la pietra e nascondere la mano»
Lei sospirò rumorosamente prima di ricominciare a parlare, in tono lento. «Oggi è venerdì, e io starò al Ministero fino alle sette»
«E allora?» domandò, scontroso, quando lei non proseguì.
«Mi chiedevo...»
«Se potessi andare a prendere la bambina?»
Hermione non rispose subito, e Severus capì di aver indovinato. Non avrebbe ammesso che, in fondo in fondo, ci aveva sperato. Che apprezzava la presenza della bambina, ma, soprattutto, il suo modo di porsi, così spigliato e affettuoso.
«Non è un obbligo. So che sei impegnato e»
«Hermione...»
«A Kathleen farebbe piacere» concluse lei in fretta, interrompendolo.
«Va bene»
«Davvero?»
«Non farmi rimangiare ciò che ho detto» disse alzando gli occhi al cielo, ma poteva permettersi di sorridere, senza che lei lo vedesse.
«Grazie! Davvero, grazie. Non so come ringraziarti»
«Non ce n'è bisogno» sospirò lui. Ed era vero.
Avrebbe preso la bambina, le avrebbe viste ancora per qualche settimana, il tempo di accertarsi che la pozione funzionasse davvero, e poi le avrebbe lasciate andare. Fino alla luna piena, si diceva.
Avrebbe fatto ciò che era giusto, come sempre. Non solo per la bambina, che si meritava un padre degno di portare quel nome, ma soprattutto per Hermione. Non importava quanto lui ne avrebbe sofferto, quanto le sue labbra continuassero ad invitarlo, quanto i suoi sorrisi illuminassero le sue giornate.
Avrebbe conservato quei ricordi per un po', chiusi in un cassetto della sua mente. Li avrebbe accarezzati durante le notti silenziose e malinconiche che neanche la presenza di una donna riusciva a lenire, quando il morso dell'alcool diventava troppo profondo da sfociare nelle lacrime.
Le avrebbe conservate come una fotografia troppo bella da sciupare con sguardi continui, pensando a cosa sarebbe potuto essere se lui fosse stato un uomo diverso.
 
 
 
 
Severus era al limite del ritardo, ma era stata un'azione ponderata e approvata. Non aveva alcuna intenzione di accalcarsi con gruppi di genitori troppo desiderosi di rivedere i loro rampolli da ricordarsi di mantenere la distanza minima richiesta dall'educazione.
Era per questo che, quando finalmente varcò la porta del campo estivo, il sole aveva iniziato ad emanare la sua luce aranciata e le ombre ad allungarsi.
Il cortile, che la volta precedente aveva visto gremito di bambini, era adesso occupato da tre sole persone: un adolescente che ascoltava musica coricato su un muretto e due bambini intenti a giocare con la sabbia. Quando una di questi alzò lo sguardo Severus si accorse che era Kathleen.
La bambina sgranò gli occhi sorpresa, quasi sbigottita di vederlo lì, poi saltò in piedi e gli corse incontro, un sorriso enorme ad illuminarle il viso.
«Severus!» gridò placcandolo ai fianchi come l'ultima volta. «Sei venuto a prendermi?»
«Sì, Kathleen» rispose, senza riuscire a fare a meno di accarezzarle i capelli e ricambiare il sorriso.
Lei trattenne il fiato, gonfiando le guance. «E la mamma lo sa?» chiese trascinando l'ultima parola.
«È stata lei a chiedermelo» le assicurò Severus, il sorriso fermo agli angoli della bocca. Adesso capiva perché Hermione l'aveva stretta in quel modo quando aveva passato la giornata a casa sua: c'era un calore speciale nell'accoglienza di un bambino che è felice di vederti dopo un po' di tempo, nel modo in cui scintillano i suoi occhi e il suo corpo si protende per raggiungerti.
Severus ignorava quella sensazione, e ora nel provarla sentiva una stretta al cuore forte quasi da far male. O forse era sapere che ora che l'aveva scoperta, a più di quarant'anni, avrebbe dovuto lasciarla andare, e mai più provarla in vita sua.
Kathleen lo strinse ancora una volta. «Vado a prendere il mio zaino» disse, tornando ad alzare gli occhi su di lui. Poi, veloce com'era arrivata, si allontanò di corsa.
Severus la seguì con lo sguardo, prima che la sua attenzione fosse catturata da una donna che gli si stava avvicinando. Non era giovane come la ragazza che la prima volta l'aveva accolto, e vedendo una donna così matura capì che non avrebbe potuto cavarsela con un paio di frasi pungenti e uno sguardo truce.
«Salve, lei è...?» chiese quando gli fu di fronte. Sorrideva, ma c'era un lieve sospetto dietro le labbra tinte di rossetto.
«Severus Piton» rispose semplicemente. La donna non gli aveva teso la mano, e lui fece altrettanto.
«Mi chiamo Kate White, sono l'insegnante dei bambini» Severus annuì, non trovando niente da aggiungere. Che era un'insegnante l'aveva già capito, lo era stato per anni, riusciva a riconoscere il modo del tutto peculiare che avevano di muoversi tra gli studenti.
In quel momento arrivò Kathleen, cartella in spalla e sorriso al solito posto. «Possiamo andare?» chiese.
Severus non rispose, riportando lo sguardo sulla donna che aveva davanti che nel frattempo aveva stretto le labbra. Aveva una cartellina tra le mani, e questo era un altro motivo per cui Severus stava in guardia.
La signora White lasciò vagare lo sguardo da Kathleen a Severus, lo scrutò attentamente con gli occhi socchiusi e poi abbassò la testa sui fogli.
«Piton ha detto?» chiese, ma non si aspettava davvero una risposta. «Vediamo... Qui ho un signor Potter, diversi signori Weasley e anche una signora Tonks, ma nessun Piton. Per caso ha lei la delega?» finì, alzando gli occhi.
Severus la guardò un attimo perplesso. «Mi scusi?»
«È evidente di no» concluse lei, in un modo che a Piton ricordò spiacevolmente Dolores Umbridge. «La bambina non può venire con lei» sentenziò.
«Cosa?» gridò Kathleen dalla sua postazione al fianco di Severus. «Ma l'ha detto la mamma!» Continuò a protestare, la fronte aggrottata.
Severus le gettò un'occhiata cogliendo nel cipiglio la somiglianza con la madre. «Ci dev'essere un errore, signora. Hermione mi ha-»
«Hermione? La signora Granger?» lo interruppe.
Severus storse la bocca, ingoiando il disappunto con la voglia di precisare che, tecnicamente, era ancora signorina.
«Sì» disse tra i denti.
«Beh, è evidente che questo cambia le cose» borbottò, tornando con lo sguardo ai suoi documenti. A essere franco, Severus era stufo di ciò che per la donna era evidente: il suo soggiorno in quel campo era già durato troppo.
Sarebbe stato facile prendere la bacchetta, confonderla e andarsene. Avrebbe voluto, davvero.
Ma, ma. C'era sempre quel ma.
«Lei...» iniziò la donna, per poi bloccarsi di colpo. Severus la vide guardare Kathleen e poi lui, in fretta, alternando lo sguardo tra i loro occhi e i loro capelli neri. Vide la comprensione nascere dietro le sue retine e la sorpresa farsi largo sul suo viso. «Lei...?» ripeté, una muta domanda.
Ora, Severus ne aveva abbastanza di essere scambiato per il padre di quella bambina. Oh, si era affezionato, certo, non era così ipocrita da negarlo, ma esserne il padre?
No, era troppo.
Tuttavia, in alcune situazioni, mentire e fingere non poteva che giovare. Del resto, non era amico di un Malfoy per niente.
«Signora White» iniziò, sciogliendo le braccia per assumere una posa più accomodante. «Capisco le sue rimostranze, davvero, sono stato un insegnante anch'io. Ma vede, Hermione- la signorina Granger, mi ha...» indicò Kathleen con lo sguardo, sperando di essere compreso.
«Immagino lei conosca la loro situazione. Ciò che desidero» e si allungò per prenderle la mano, fissandola negli occhi. «È soltanto recuperare il tempo perduto... con Kathleen» e senza lasciarle gli occhi, si portò la mano alle labbra, sfiorandola. «Spero lei possa comprendere i desideri di un uomo pentito»
Quando la vide avvampare seppe di aver vinto, e si fece un appunto mentale di ringraziare Lucius e i suoi metodi.
 
 
«E poi sai cos'è successo oggi?» chiese Kathleen.
Stavano tornando all'appartamento di Severus, camminando tendendosi per mano sul marciapiede nella calda luce del tardo pomeriggio. Kathleen non saltava più, probabilmente troppo stanca dal pomeriggio passato a giocare: la mano che stringeva quella dell'uomo aveva il palmo sporco e le unghie cerchiate di nero.
«Mh?» rispose Severus.
La stava ascoltando davvero solo con mezzo orecchio. Non che non fosse interessato a quel che la bambina diceva, sebbene l'avesse stordito di chiacchiere appena lasciato il campo estivo, ma aveva la certezza che quel momento, la morbidezza della sua mano contro la sua, la sua voce infantile e acuta, sarebbero rimasti impressi in lui per più tempo di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere.
Si trovava in uno di quegli stati d'animo in cui tutto appare con nitidezza dolorosa, mantenendo comunque una calma piatta e apparente. Percepiva il mondo dietro un muro di vetro e lui, dall'altra parte, aspettava il momento in cui ciò che gli ruggiva nello stomaco sarebbe esploso.
Calma prima della tempesta, la chiamavano.
«Un bambino stava ridendo perché non ho un papà. Michael, si chiama» lo distrasse la bambina. «Ma sai cosa gli ho detto?»
Severus fece l'errore di immaginare che la bambina volesse davvero sentire una risposta, e ci pensò. Prima che formulasse una qualsiasi ipotesi (Kathleen rimaneva ancora un'incognita), lei ricominciò a raccontare.
«Gli ho detto: "L'hai visto chi mi ha accompagnato l'altro giorno? Guarda che è stato in prigione e se non mi lasci in pace te la vedrai con lui!" e se n'è andato di corsa. Che sciocco! Ma almeno non mi disturberà più. E comunque avevo deciso che-»
«Ferma, ferma!» la interruppe Severus. «Cosa gli hai detto?» Non si accorse di essersi fermato davvero, ma ora la guardava in faccia.
Lei alzò i grandi occhi su di lui con innocenza assoluta. «Che se non mi lascia in pace se la vedrà con te. Perché mi aiuti, no?»
«No, prima» la sollecitò, senza rispondere.
«Che ho disegnato gli alberi con le mani e la maestra mi ha detto che il mio era il più bello» rispose stringendosi nelle spalle.
Severus soppresse un sospiro spazientito. «Come sai che sono stato in prigione?»
«Aaah, quello. Me l'ha detto la mamma, prima di venire da te la prima volta»
Severus sbattè le palpebre, trovandosi senza parole da dire.
Lo sapeva, allora. L'aveva sempre saputo.
Perché non l'aveva mai guardato con paura, non si era mai sottratta alle sue mani?
Qualsiasi bambina sarebbe stata intimorita da lui, per Merlino, il figlio di Lupin lo era stato. Ma lei no, lo guardava sempre con quella fiducia incondizionata che adesso gli faceva venire voglia di abbracciarla, un istinto che non provava da anni.
E non hai paura? avrebbe voluto chiederle.
Ma sapeva la risposta: gli avrebbe detto no, con naturalezza. Perché per lei non era un delinquente, era il professore buono che l'aveva aiutata, perché così le era stato detto.
Ed eccolo, il fulcro della questione. Cosa le era stato detto.
Severus sapeva benissimo che nell'età in cui si trovava Kathleen le bambine ripetono pedissequamente comportamenti e parole dei genitori. Del suo caso, Hermione. Cosa doveva dedurne, che Hermione lo considerava assolto prima ancora di presentargli la bambina?
Impossibile, non dopo il suo comportamento vergognoso.
Eppure, lei era tornata. Ed era stata la sua perseveranza a segnare per la prima volta un punto a suo favore. Prima ancora della sua disperazione, dell'amore assoluto verso la figlia, della sua paura e della sua gratitudine.
Era stata la sua testardaggine a sbattergli in faccia che si era fatta donna.
«Che facciamo, andiamo?» chiese Kathleen, che aveva continuato a guardarlo, in attesa.
Severus annuì, troppo sopraffatto per parlare, e consapevole che ad ogni passo la scelta giusta diventava un macigno sempre più pesante. Ma, si ripeté, fino alla luna piena.  
 
 
 
Hermione aveva lo stomaco stretto.
Non che fosse una novità, ultimamente, ma quella sera le sembrava più un presentimento.
Era cominciato quella mattina, prima della telefonata a Severus, e aveva creduto fosse solo l'emozione di sentirlo dopo ciò che aveva fatto. Riflettendoci, più le ore passavano, più si sentiva peggio.
La telefonata era stata la causa. Si aspettava che lui l'avrebbe messa in imbarazzo o schernita per la sua audacia, forse si sarebbe addirittura scusato. Invece, nulla.
L'aveva sentito distante, quasi arreso. Non era la formalità che caratterizzava le loro conversazioni i primi tempi e neanche la freddezza che le aveva imposto quando avevano preparato la pozione per Kathleen insieme. Era come se si stesse allontanando, naufragando.
Si chiedeva se potesse essere una reazione al suo comportamento, ma, sebbene Severus avesse molti pregi, il tatto non era fra questi. Se avesse voluto allontanarla gliel'avrebbe detto, senza curarsi dei suoi sentimenti.
Giusto?
Forse. Ma era un pensiero che cozzava contro l'immagine delle sue dita che la accarezzavano lentamente.
In ogni caso, l'amarezza che aveva provato dopo aver riattaccato non aveva che confermato i suoi sentimenti. Se prima poteva ancora serbare dei dubbi,  ora le era impossibile.
Inoltre, la remota speranza che lui avrebbe ricambiato il favore invitandole a fermarsi a cena le fece premere il campanello in uno stato di agitazione evidente.
Ferma ad aspettare sull'anonimo zerbino restò ad ascoltare le voci che provenivano dall'interno. Le sembrava strano che Severus e Kathleen potessero fare tutto quel rumore, ma non ebbe il tempo di interrogarsi oltre che la porta si aprì.
«Ciao mamma!» disse Kathleen.
Hermione si abbassò prontamente ad abbracciarla, corrugando però la fronte. «Ciao, amore» rispose. «Come stai?»
«Bene» rispose Kathleen staccandosi. «Lo sai chi c'è? Lo zio Harry» disse rientrando, lasciandola sulla porta più perplessa di prima.
Harry?
Entrò in fretta sentendo al fondo della pancia l'ansia che si trasformava in apprensione.
«Harry!» disse arrivata in salotto. I due uomini stavano di fronte, Severus a braccia incrociate e palesemente contrariato. Non si voltò nella sua direzione, né diede segno di averla sentita.
«Ciao, Hermione» la salutò Harry, sforzandosi di stirare le labbra in un sorriso non riuscito. Era teso.
«Che ci fai qui?» chiese lei avvicinandosi. Inconsciamente, si spostò al fianco di Severus, fronteggiando l'amico. Quel gesto non passò inosservato a nessuno dei due uomini, sorprendendo Harry e peggiorando il cipiglio di Severus.
Harry si grattò la testa, in imbarazzo. «Dovevo controllare che Kathleen fosse qui» spiegò, criptico.
«Cosa intendi? Certo che era qui, ho chiesto io a Severus di prenderla» chiarì Hermione, cercando di capire cosa non andava. Nella casa c'era una tensione che non le piaceva, anche Kathleen aspettava silenziosa al suo fianco, facendo rimbalzare lo sguardo tra gli adulti.
«Mancava la delega» intervenne Severus per la prima volta. La voce, seppur tranquilla, tradiva una vena di rabbia che Hermione registrò con preoccupazione. Inoltre, continuava a non guardarla, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
«Oh» sospirò, colpendosi la fronte. «Mi dispiace, io- l'ho dimenticata. Spero che questo non abbia portato problemi» la sua affermazione fu accolta dal silenzio assoluto.
Harry la guardava attentamente, e rispose solo quando Hermione lo sollecitò alzando le sopracciglia.
«Vedi...» si leccò le labbra, cercando le parole giuste. Hermione notò solo allora che indossava la divisa rossa da Auror. «La maestra mi ha chiamato dopo che Kathleen era andata via. Diceva che era andata a prenderla un uomo... sospetto» concluse.
Hermione fece vagare lo sguardo da Harry a Severus iniziando a comprendere.
«Mi dispiace» ripeté. «Spero che tu non abbia dovuto confonderla per-»
«È questo il problema, Hermione» la interruppe Harry, la voce adesso più dura. «Non può confondere la maestra. Per la verità, non può confondere nessuno»
Hermione tornò a guardare Severus. Notò quanto era teso, quanto le spalle e la mascella fossero contratti, e provò la voglia di accarezzargli un braccio e sciogliere un po' di quella tensione. Ma lui continuava a non guardarla.
«Non capisco» sussurrò.
Ma fu Harry, ancora una volta, a rispondere. «Fa parte delle clausole per la sua libertà. Non può confondere, né lanciare un qualsiasi incantesimo offensivo, specialmente quelli senza perdono, su chicchessia. La pena sarebbe Azkaban»
Hermione si sentì impallidire, la gola secca.
Ora capiva la frase di Harry prima della visita di Teddy: È ben poca cosa cosa rispetto al resto... e lo era, davvero, ora capiva.
Ma c'era di più, sotto quella limitazione. Era la mancanza di protezione.
Ora comprendeva perché la sua casa non aveva protezioni, pur essendo un soggetto potenzialmente a rischio. E tutti i suoi viaggi? Come li aveva affrontati sapendo che in caso di pericolo non avrebbe neppure potuto schiantare la fonte dell'offesa?
Lo guardò con gli occhi sgranati, sapendo che lui sapeva tutto quello, tutti i rischi che aveva corso e continuava a correre.
«Per questo sono qui» continuò Harry. «Devo controllare la sua bacchetta»
Severus non si mosse, continuando a fissare caparbio il camino che gli stava di fronte. Una statua di sale, impassibile, impossibile carpire i suoi sentimenti, sul viso la solita maschera.
«Per favore, professore, sa bene cosa succederà se dovesse rifiutarsi» lo pregò Harry.
Per un momento Hermione temette che Severus avrebbe ignorato le conseguenze, facendosi arrestare pur di non chinare la testa al suo orgoglio. Ma poi, lentamente, lo vide sciogliere le braccia. Con calma sfilò la bacchetta dalla manica, con gesti misurati, come se si dovesse ricordare come muoversi dopo la lunga immobilità.
«Prego, Auror Potter» disse sarcastico sottolineando il ruolo di Harry e consegnandogli la bacchetta.
Harry accettò senza dire nulla, le labbra contratte e lanciando un'occhiata di sottecchi ad Hermione. Prese la bacchetta delicatamente ed eseguì un Prior Incantatio più complesso, iniziando ad esaminare tutti gli incantesimi che aveva compiuto.
Hermione guardò il processo con il cuore in gola, Severus tornò ad osservare ossessivo il camino.
L'incantesimo finì in silenzio e senza lasciare tracce. Harry restituì la bacchetta al legittimo proprietario con un sorriso mesto, quasi di scusa. «Ecco, professore. È tutto a posto»
Severus accettò con un cenno secco della testa, prese la bacchetta e la ritirò con gli stessi gesti meccanici di prima.
Harry cambiò il peso da un piede all'altro, ad un tratto a disagio. «Bene, io andrei allora» tentennò ancora un attimo prima di dirigersi verso il camino. «Hermione, ci pensi tu all'invito?»
Hermione lo guardò con la fronte corrugata, intenta com'era ad osservare Severus impiegò un po' a capire di cosa l'amico stesse parlando.
«Oh» si illuminò infine. «Sì, certo, ci penso io»
Harry annuì con un sorriso vero, poi in lampo di luce verde sparì nel camino.
 
Quando la fiammata fu spenta il silenzio iniziò ad occupare ogni spazio disponibile, come aria densa. Hermione abbassò lo sguardo incontrando i grandi occhi di Kathleen, che ricambiò spiazzata e stringendosi nelle spalle.
«Arrivo subito, perché non raccogli le tue cose?» le sussurrò chinandosi verso la figlia. Kathleen annuì e sparì verso la cucina ed Hermione si avvicinò in fretta a Severus, che continuava a rimanere immobile.
«Mi dispiace» bisbigliò quando fu al suo fianco. «Non ne avevo idea»
Editando, gli posò una mano sul braccio, sentendolo contratto sotto i polpastrelli. A quel tocco lui sospirò, lasciando andare tutta l'aria come se non respirasse da un po'.
«Non è colpa tua» disse infine, la voce bassa e roca che si sforzava di tenere sotto controllo.
«Non pensavo ci sarebbero stati problemi. Certo, avrei dovuto pensarc-»
«Ho dovuto fingere di essere suo padre» la interruppe. Hermione sentì i suoi occhi colpirla come uno schiaffo.
«Mi dispiace» bisbigliò in fretta. Ma non erano scuse sentite, l'aveva detto più per dovere e per coprire il suono della capriola che il suo cuore aveva fatto scendendo nello stomaco e saltando verso la gola. «Avrà notato i capelli e avrà tratto le sue conclusioni e-»
«Ma io non sono suo padre, Hermione» ringhiò.
Lei lo guardò esterrefatta. Era questo, il problema?
«Lo so. Mi dispiace» ripeté. «Ma ti ringrazio»
E anche se probabilmente era il momento peggiore, se ogni parte di lui gridava che voleva solo che lei se ne andasse, se non aveva nulla da guadagnarci e tutto da perdere, Hermione posò la testa sulla sua spalla e lo abbracciò ai fianchi.
Lo strinse forte, premendo il suo corpo caldo contro quello solido dell'uomo. Poi, sapendo che aveva poco tempo prima di essere allontanata, gli pose la domanda che l’amico le aveva ricordato. «Molly ti invita alla Tana per il compleanno di Harry»

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Capitolo 14
*** Il compleanno ***


Note: per prima cosa, come sempre, grazie a tutti voi. Siete sempre di più, e il vostro affetto mi rende davvero felice.
Oggi pubblico più tardi del solito, e mi scuso con chi aspettava il capitolo. Purtroppo ho avuto un blocco, e non riuscivo a scrivere: spero che questo non abbia influito sulla buona uscita del capitolo, ma sarete voi a dirmelo.
Un grosso abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Il compleanno
 
 
 
 
Contrariamente a quanto il buon senso avrebbe imposto, sentì il corpo rilassarsi, traditore. Avrebbe dovuto allontanarla, ma sapeva che se l'avesse toccata per scostarle le braccia avrebbe finito per stringerla a sua volta.
Reclinò il capo indietro e chiuse gli occhi, facendo un gran respiro.
«Che giorno sarebbe?» chiese sussurrando, sforzandosi di fare appello a tutto il suo autocontrollo.
«Questo venerdì» rispose Hermione, e Severus sentì le sue labbra sfiorargli la camicia mentre parlava. Apprezzava quegli indumenti per la loro comodità, ora si ritrovò a maledire il giorno in cui aveva deciso di farli diventare un'abitudine.
«Il giorno prima della luna piena» deglutì.
«Sì» asserì lei, e Severus sentì nuovamente il suo fiato caldo penetrare la leggera stoffa e ustionargli la pelle.
Sospirò, quello era un problema. Si era ripromesso di stare con loro fino alla luna piena, e quell'invito cadeva proprio al confine del suo addio.
Convincersi a lasciarle andare era già doloroso, ai limiti della violenza su se stesso, non voleva prolungare quell'agonia passando una serata in loro compagnia.
Però.
Le avrebbe forse riviste in futuro? Si sarebbe privato coscientemente dell'ultima occasione per vederle felici?
No.
No, perché era un ipocrita.
Tornò ad aprire gli occhi e spostò lo sguardo su quello aperto di Hermione. Come poteva notare solo adesso le leggere sfumature dorate che partivano dalla pupilla per diramarsi verso l'esterno?
Forse perché gli era vicina. Molto vicina, troppo vicina.
E se i suoi occhi erano a quella distanza significava che anche le sue labbra erano a pochi centimetri.
«Va bene» si sforzò di scollarsi dal palato.
 
Non aveva mai sentito un assenso tanto riluttante. E poi perché tutto quel dolore nei suoi occhi?
Poteva essere per ciò che era appena successo, e lei sentì una fitta di colpa trapassarle il petto. Si era affidata a lui sobbarcandogli i suoi problemi, non si era mai fermata a riflettere su quanti potesse averne a sua volta l'uomo.
Forse era perché si mostrava sempre così sicuro di sé e mai indeciso, ma lei era riuscita a scorgere oltre la sua maschera. Gli anni passati a non dover più fare il doppiogioco probabilmente l'avevano intaccata e lei non aveva fatto altro che infilarci le dita a forza e farla diventare uno squarcio, un crepaccio.
E tutto ciò che aveva trovato, alla fine, ora, era quel dolore, quel tormento che oscurava e turbinava nei suoi occhi.
Senza abbandonare i suoi occhi alzò una mano, lentamente. Gli sfiorò il braccio e il petto, con l'intento di arrivare alla sua guancia, ma all'ultimo secondo non trovò il coraggio di compiere un gesto così intimo. Posò la mano sul suo collo, caldo.
Lo vide sussultare, ma non si spostò. Hermione con il pollice gli accarezzò la pelle, dal verso l'altro, sentendo sotto il palmo la superficie irregolare della sua cicatrice. Il cuore di Severus batteva veloce sotto le sue dita, l'unico indizio che tradisse i suoi sentimenti. Hermione sapeva che bastava una leggera pressione dei polpastrelli per trarlo a sé.
Desiderava farlo. Desiderava scoprire il calore e il sapore delle sue labbra, ma, soprattutto, voleva confortarlo: baciarlo per aspirare parte di quel dolore e farlo suo.
«Mamma?»
Hermione vide gli occhi si Severus saettare dall'altra parte del salotto, ma non distolse i suoi.
«Sì, tesoro?» rispose, senza staccarsi dal corpo dell'uomo. Severus tornò a guardarla e lei vide una muta domanda nei suoi occhi.
«Cosa state facendo?» chiese Kathleen.
Hermione indugiò prima di rispondere. «Severus mi stava dicendo che verrà al compleanno dello zio Harry» disse infine, facendo scivolare la mano dal suo collo in una lunga carezza verso il petto e le braccia, che erano rimaste fermamente incrociate.
«Ah. Ed è un segreto?» ormai era vicino a loro e li guardava dal basso verso l'alto.
«No» rispose facendo finalmente un passo indietro. Sentì improvvisamente freddo, e il desiderio di abbracciarlo si fece più impellente che mai. E che Kathleen fosse lì non era davvero un problema: lei era cresciuta vedendo le dimostrazioni d'affetto fra i genitori, se anche sua figlia avesse visto la madre fare gesti affettuosi verso un uomo avrebbe capito. Sarebbe stato educativo, anzi.
Ma non lo fece.
«Dovremmo andare» sussurrò, senza muoversi.
«Va bene, io sono pronta» disse Kathleen, sistemandosi lo zaino in spalla. «Ciao, Severus!» trillò stringendogli i fianchi nell'abbraccio che ormai le era diventato abituale. «Ti aspetto, mamma!» gridò iniziando a correre verso la porta.
Hermione annuì distratta senza preoccuparsi, sapeva che Kathleen avrebbe al massimo sceso le scale senza uscire.
«Ci vediamo venerdì, allora» disse quando capì che l'uomo non avrebbe parlato.
Lui sospiro prima di annuire, secco.
Hermione tentennò ancora. Non voleva lasciarlo, ma capiva che lui non desiderava altro che rimanere da solo.
«Va bene» si rispose da sola, ma ancora non era pronta a lasciarlo. Non in quel modo, non senza un gesto di vicinanza fra loro. Anche se forse aveva già fatto troppo.
Lui continuava a guardarla, impassibile ed immobile. L'unico movimento che aveva fatto era stato accarezzare Kathleen quando lei l'aveva abbracciato.
Aprì la bocca, ma lui la precedette.
«Tua figlia ti sta aspettando» disse con tono roco che pareva provenire dalla profondità del suo petto.
«Lo so» annuì lei con la voce strozzata.
«È meglio che tu vada, Hermione»
Ma lei non voleva. Scosse la testa, sentendosi una bambina capricciosa.
Lui sospirò, sciogliendo le braccia, ed Hermione accolse quel gesto d'apertura con la disperazione che le cresceva nello stomaco. Da quando aveva visto Harry lì nel salotto aveva il brutto presentimento che l'avrebbe perso.
«Promettimi che verrai» disse con irruenza  aggrappandosi alla sua mano come un naufrago che scorge un salvagente dopo ore. «Ti prego, Severus» le vibrava la voce, ma non le importava. L'aveva già vista così esposta, anche se per Kathleen, e ora si mostrava così fragile per lui.
«Hermione» sussurrò.
«Ti prego» ripeté. Non sapeva spiegarsi perché fosse così importante, ma sapeva che non sarebbe uscita da quella casa finché non avrebbe avuto la certezza di rivederlo. Si portò la sua mano al viso e chiuse gli occhi. Non era una carezza spontanea, ma lei se la godette come se lo fosse, immergendosi nel suo palmo caldo.
«Devo andare» bisbigliò. Voltò il capo e posò un bacio sulla sua mano, poi si allontanò.
Lo vide guardarla con le braccia abbandonate lungo il corpo, e si voltò con il cuore stretto in una morsa.
 
 
 
«E poi tutti questi regali, non ha mica dieci anni» disse con un tocco di esasperazione Ginny, posando il pacco che Kathleen le aveva porto su un tavolo già ingombro di altri regali.
«È il suo compleanno, Ginny» rispose Hermione, con un lieve sorriso. Avrebbe voluto fare di più, ma era preoccupata.
«Stai bene, Hermione?» chiese Ginny guardandola di soppiatto.
«Bene, certo. E tu?»
«Tu mi stai nascondendo qualcosa» affermò, posandosi una mano sul fianco e voltandosi completamente nella sua direzione.
«Ma niente, Ginny. Non ti preoccupare» rispose evitando di guardarla negli occhi. Sapeva che se l'amica avesse insistito ancora un po' avrebbe finito col dirle ogni cosa.
Nonostante l'avesse pregato, Severus non le aveva risposto. Ecco perché quando si voltò, richiamata dal grido felice di Kathleen, provò sollievo nel vederlo varcare la porta della Tana.
Vide Kathleen volargli tra le braccia, le trecce e la gonna del vestitino bianco fluttuanti, e lui accoglierla con il sorriso sottile che era in grado di scaldarle il mondo.
Sentì una morsa allo stomaco e una scossa pervaderla, sebbene lui non l'avesse vista. Si avvicinò a Molly scambiando con lei alcune frasi di circostanza.
Hermione vide la donna sorridere e accettare la bottiglia che lui le porgeva con espressione compiaciuta. Dopo la padrona di casa arrivò il turno di Arthur e di Harry.
Sentì Ginny parlare affianco a sé, ma non registrò le parole. Si avvicinò a lui come in un sogno, camminando in uno stato quasi onirico. Si fermò di fronte a lui e avrebbe voluto toccarlo, ma non ne ebbe il coraggio.
«Sei venuto» disse, incredula, guardandolo con soggezione. Era completamente vestito di nero e la riportava all'immagine di lui che aveva durante i suoi anni scolastici. Se non fosse stato per i primi bottoni della camicia aperti avrebbe potuto crederci.
Lui alzò un sopracciglio. «Ti avevo detto che l'avrei fatto»
«Ma non ci credevo veramente» sussurrò lei in fretta. Il sollievo nella sua voce era palpabile.
Lui alzò un angolo della bocca in uno dei suoi sorrisi ironici, ma Hermione non sentì la risposta probabilmente pungente che gli era salita alle labbra perché Ginny scelse quel momento per intervenire.
«Salve, professore!» trillò al suo fianco, sorridendo.
«Signorina Weasley» Severus fece un cenno con il capo nella sua direzione. «Posso ancora chiamarti così?» chiese, il sorriso storto di nuovo presente.
Hermione strinse i denti, provando un inspiegabile moto di gelosia a vedere quel sorriso rivolto a qualcun altro. Sapeva che non ce n'era motivo: non c'era malizia nei suoi gesti e nelle intenzioni dell'amica, ma sapere che altri, oltre a lei, potevano goderne le fece provare un'altra stretta allo stomaco.
«Purtroppo sì, professore. Ancora non si è deciso» rispose Ginny con la sua espressione fintamente esasperata. «Charlie ha chiesto di lei, prima. Adesso è in cortile»
Severus si congedò con un altro cenno del capo, ma quando passò davanti ad Hermione catturò i suoi occhi e non li lasciò andare finché non fu uscito.
Hermione lasciò il fiato che non si era accorta di aver trattenuto. Erano magnetici, i suoi occhi, come sempre. Rimase a guardare il punto oltre il quale era scomparso con un senso di vaga delusione.
Ginny si schiarì la gola e si voltò. Quando incontrò i suoi occhi insinuanti Hermione si sentì avvampare. L’amica non disse niente, probabilmente capendo il suo stato d'animo, ma tornò indietro con le labbra strette e uno sguardo che prometteva che non era finita, affatto.
 
 
 
Era difficile, non guardarla.
Sebbene per tutta la cena lei fosse rimasta dall'altra parte del tavolo i suoi occhi continuavano a tornare alla sua figura. L'abito estivo lasciava scoperte gambe e braccia abbronzate, indugiando in una dolce scollatura che aveva tutte le carte in regola per farlo impazzire, e i capelli, raccolti sulla nuca, lasciavano sfuggire delle ciocche che le accarezzavano la fronte e il collo.
Ma, più di tutto, sorrideva. Aveva già intravisto sprazzi di quel sorriso in sua presenza, ma mai così luminoso. Così era già sufficiente perché lui non riuscisse a negarle nulla, ma dopo quella sera aveva l'impressione che avrebbe ucciso pur di non smettere di vederlo.
Assurdo, come se fosse nella condizione per farlo.
Se avesse voluto essere realistico, l'unica cosa che gli faceva capire era che doveva andarsene, correre il più fretta possibile lontano da lei e dalla sua vita, prima di rovinargliela più di quanto avesse già fatto.
Infatti se l'era già ripromesso. Fosse stato facile, l'avrebbe già fatto.
Prese un sorso dell'amaro che aveva offerto Arthur Wesley e in quel momento Hermione si girò nella sua direzione. Severus sentì una stretta allo stomaco quando il suo sorriso si aprì, completamente rivolto a lui.
Senza neanche rendersene conto, lo ricambiò. A lei si illuminarono gli occhi.
«Guarda, Severus! Ho trovato una pietra di luna» esclamò Kathleen, ad un tratto al suo fianco.
Severus chinò lo sguardo cercando di convincersi che non era dispiaciuto perché non poteva più guardare sua madre. Kathleen teneva sul palmo aperto una pietra bianca, ma era evidente che non era quella che sperava.
«Dove l'hai trovata?» chiese, vagamente curiosa.
«Sotto la siepe. L'ho pulita da tutta la terra» era evidentemente orgogliosa del suo lavoro.
«Quella non è una pietra di luna» le spiegò Severus, senza complimentarsi.
«Ah» rispose Kathleen, stringendo la bocca. Più che delusa sembrava pensierosa. «Ma ne ho altre, ti faccio vedere!» E senza aspettare o chiedere il permesso si arrampicò sulle sue ginocchia e iniziò a vuotarsi le tasche, mettendo in fila sul tavolo almeno una decina di altre pietre bianche.
«Nessuna di queste è una pietra di luna» disse Severus mentre ancora lei stava disponendo i sassi. Inconsciamente, aveva portato la mano libera sulla schiena della bambina per bilanciarla in caso di caduta, e si era sporto in avanti.
«E perché?» chiese la bambina, osservando le pietre in fila.
«Queste sono solo pietre da giardino. Le pietre di luna sono bianche con venature che cambiano colore a seconda della luce che riflettono» spiegò.
Kathleen rifletté in silenzio. «Ma questa ha le venature» disse, puntando con il dito una pietra bianca striata di nero.
«Ma sono nere, non colorate, e non cambiano in base alla luce» precisò.
«Mh» pensò Kathleen. Aveva le labbra strette, ma non sembrava triste per il suo mancato successo. «Va bene, vado a cercarne altre» concluse. Senza un'altra parola scivolò giù dalle ginocchia dell'uomo e corse verso la porta, per raggiungere Teddy e Victorine in cortile.
Severus guardò con la fronte aggrottata i sassi che gli erano rimasti davanti, quando tornò ad alzare lo sguardo si accorse del silenzio che era calato attorno al tavolo.
Non era un silenzio sbalordito, quanto più leggeva nei loro occhi... rispetto. Incontrò gli occhi di Hermione e lei sorrise, con una tenerezza che gli scaldò il cuore.
Qualcuno si schiarì la gola.
«Altro liquore, Severus?»
«Grazie, Arthur» rispose allungando il braccio.
 
 
 
La porta cigolava, nonostante fossero anni che Molly chiedeva ad Arthur di aggiustarla. Ormai era diventata parte di tutte quelle curiose caratteristiche della Tana.
Hermione se la chiuse con attenzione alle spalle, uscendo nella veranda. Sapeva di trovarlo lì, ma rimase comunque colpita quando vide la sua figura di schiena, chinata in avanti, i gomiti appoggiati alla balaustra di legno.
«Sei qui allora, non sei scappato» esordì avvicinandosi.
Lui non si voltò, rigirandosi tra le mani il bicchiere ancora mezzo pieno. «Con tutti gli auror che ci sono non riuscirei a fare più di due metri» ribatté burbero.
Lei ridacchiò. «Va bene, farò finta di credere che tu non sappia nasconderti»
Lui non rispose e per un po' entrambi rimasero ad osservare le stelle nel cielo scuro sopra di loro. Ogni tanto arrivavano gli schiamazzi dei bambini che giocavano nel cortile vicino, alla luce di alcune lampade incantate che galleggiavano lungo il perimetro.
«Quando sono partita con Harry e Ron, dopo la caduta del Ministero, ho lasciato Grattastinchi qui» iniziò Hermione per riempire il silenzio tra loro. «Quando la guerra è finita sono tornata e ho scoperto che Molly se n'era sempre occupata. All'inizio era arrabbiato con me, ma quando è nata Kat non la lasciava un secondo. Quando è morto lei ha pianto per settimane, ancora lo nomina ogni tanto»
Severus bevve un piccolo sorso. «Ma non prenderai un altro gatto»
Non era una domanda, ma Hermione scosse la testa. «No, non vorrei che succedesse ciò che è successo con i criceti»
«Non succederà, lo sai» disse lui, sicuro.
Hermione gli sorrise. Non per la sua frase, ma perché non voleva fare altro da quando era arrivato.
«Sono felice che ti sia qui, stasera» sussurrò.
Per la prima volta lui si voltò nella sua direzione. Le fece un sorriso con un angolo della bocca, ma anche nella semioscurità era chiaro si stesse sforzando.
Malinconico, ecco qual era la parola per descriverlo. Forse era la sua posa quasi abbandonata, arresa, il bicchiere che sorseggiava con lentezza, o forse il modo in cui guardava la luna.
«Vorrei chiederti una cosa» bisbigliò Hermione, avvicinandosi ancora. Adesso la sua gonna, mossa dalla brezza lieve, arrivava a sfiorargli le gambe.
«Mh» rispose lui, appena un colpo di gola. Hermione non seppe interpretarlo, le fu solo evidente la nota di amarezza presente anche in una sillaba così piccola e senza intonazione.
«Vorrei che tu passassi la giornata con noi, domani. Anche solo il pomeriggio e la sera»
L'intenzione era di pronunciare la frase in fretta, ma non riuscì a togliersi quel tono sussurrato da condivisione, confessione, segreto.
«Hermione» sospirò lui, drizzandosi. Posò le mani sul legno e lo strinse tanto forte da far sbiancare le nocche. Il bicchiere, al suo fianco in equilibrio, dondolò prima di stabilizzarsi. «So cosa vuoi, e lascia che te lo dica: è una pessima idea»
Ad Hermione si strinse lo stomaco. L'aveva capito.
Un secondo dopo si diede della stupida. Certo che l'aveva capito, tutti l'avevano capito. Non le rimaneva che scriversi in fronte che si era innamorata.
Era inutile fingere, allora, ma se c'era una cosa che aveva imparato dalle lezioni di seduzione che Ginny cercava di imporle era che confessare i propri sentimenti con il cuore in mano non porta da nessuna parte. Per questo si avvicinò ancora, appoggiandosi con il petto sul suo bicipite e posando una mano sulla sua.
«Non so di cosa stai parlando» bisbigliò, iniziando a disegnare piccoli cerchi con la punta delle dita sulla sua pelle.
«Lo sai benissimo» disse lui tra i denti. Hermione alzò lo sguardo per incontrare il suo, ma Severus fissava ostinato un punto all'orizzonte.
In fretta, Hermione si approfittò della sua distrazione per infilarsi sotto il suo braccio e posizionarsi davanti a lui, tra le sue braccia tese. Lui abbassò gli occhi su di lei, sembrando sorpreso, ma Hermione non gli diede il tempo di reagire. Posò una mano sul suo fianco e con l'altra iniziò a giocare con i bottoni della sua camicia.
«Vista la quantità di donne che ho visto uscire dalla tua porta non pensavo fossi il tipo d'uomo a cui piace farsi pregare» disse sorridendo maliziosa e scendendo con le dita verso il suo addome.
«È diverso» borbottò lui.
«È vero, io non mi accontenterei di passare solo una notte con te»
E alzò il mento, orgogliosa, sfidandolo a mettere in discussione le sue parole.
Ma lui fece un passo indietro, passandosi una mano tra i capelli. «Non ho bevuto abbastanza per questa conversazione» disse, parlando tra sé, e in un solo sorso vuotò quello che gli era rimasto nel bicchiere. Quando lo posò con forza sul legno Hermione sentì le vibrazioni del legno salirle lungo la colonna vertebrale. Tuttavia non aveva intenzione di demordere: spinse in un angolo nella sua mente la paura che iniziava ad attanagliarle lo stomaco e allungò di nuovo le braccia, aggrappandosi alla sua camicia.
«Perché continui ad allontanarti, a scappare da me?» La voce le vibrò di supplica, se fosse stata una donna diversa avrebbe sentito le lacrime salirle agli occhi.
«Lasciami, Hermione» sussurrò lui in risposta, un'eco della sua stessa disperazione nel suo timbro basso.
Lei scosse la testa, stringendo le labbra per impedire al singhiozzo che sentiva in gola di uscire. Com'era potuto precipitare tutto così velocemente?
Ma in fondo lo sapeva, che lui voleva andarsene. Non sarebbe stata lì a trattenerlo con le unghie e con i denti, altrimenti. Non voleva umiliarsi supplicandolo di rimanere, preferiva scontrarsi con le sue barriere e prenderle a pugni fino a scorticarsi le dita.
Spostò le mani con l'intento di aggrapparsi al suo colletto, ma lui fu più veloce, dimostrandole che fin'ora aveva scelto di assecondarla.
Le prese i polsi, cingendoli con le lunghe dita, e glieli portò dietro la schiena, immobilizzandola. Così facendo, però, fu costretto ad avanzare, ed Hermione si ritrovò stretta tra il suo corpo caldo e il legno del corrimano che le premeva contro i fianchi.
«Tu non sai che uomo sono» sussurrò con voce roca Severus. Voleva intimidirla, ma Hermione era troppo assuefatta dalla sua vicinanza per provare paura.
«So che ci hai sempre protetto quando eravamo studenti e adesso stai aiutando me e mia figlia senza voler nulla in cambio, ho davvero bisogno di sapere altro?» sussurrò conciata.
Lui ringhiò, frustrato, ma non trovò nulla da dire. Chinò la testa ed Hermione sentì i suo i capelli sfiorarle le guance.
«Perché?» le chiese lui tra i denti. Ormai la sua maschera era caduta, ed Hermione vedeva tutta la sua sofferenza negli occhi e la sentiva nella forza con cui lui le stringeva i polsi. Mai come allora provò la voglia di abbracciarlo, stringerlo, accarezzare la ruga di preoccupazione che gli si formava al centro delle sopracciglia finché non si fosse appianata.
«Perché io-»
«No!» la interruppe, lasciandola di colpo, come scottato.
Hermione si sentì vacillare, anche se era appoggiata al legno dietro di sé. Lo guardò allontanarsi e passarsi le mani sul viso, sentendosi più impotente che mai.
Non era sorpresa, tuttavia. Sapeva anche lei che a dirle, le cose diventano reali.
«Se solo tu-»
«Zitta, Hermione, ti prego» lui tese le mani nella sua direzione, i palmi aperti come se lei volesse ferirlo fisicamente. «Non parlare»
Lei lo guardò con gli occhi sgranati. Come poteva aiutare qualcuno che si rifiutava di essere avvicinato?
«Voglio solo proteggervi»
Fu un bisbiglio così sottile che non fu sicura di averlo sentito, ma vide le sue braccia cadere lungo i fianchi, senza forza, ed ebbe l'impressione di capire.
Non si era sbagliata allora, anche lui provava dei sentimenti nei suoi confronti.
«Da cosa?» trovò la forza di chiedere. Aveva la gola così secca che porre quella domanda le fece male. Anche gli occhi bruciavano, di lacrime non versate.
Lui la guardò ed Hermione si sentì affogare in quegli occhi, tristi da far male.
Una lacrima le si formò agli angoli degli occhi e lei chiuse le palpebre, per non farla scendere. O forse per ripararsi dalla risposta che sapeva sarebbe arrivata.
Ma non arrivò, al suo  posto sentì le sue mani calde sfiorargli le braccia e salire, lasciando brividi al loro passaggio, fino al collo, dove si fermarono.
«Hermione» sussurrò di nuovo, posando la fronte sulla sua. Sembrava una preghiera, ed Hermione si sentì avvolgere dal calore del suo amore, sentendosi quasi venerata.
Perché ora ne era certa, di essere ricambiata. Ne era sicura come credeva di sapere anche il motivo per cui lui continuava ad allontanarsi pur non riuscendoci: pensava di non esserne degno.
Lei alzò la testa, gli occhi socchiusi, abbandonata al suo tocco. Sentiva il suo petto oltre il sottile strato del suo vestito e, pur avendo voglia stringerlo, riuscì soltanto ad aggrapparsi ai suoi fianchi. Aveva paura che se si fosse mossa avrebbe spezzato l'incantesimo
Schiuse le labbra, sentendo nuovamente i suoi capelli solleticarle le guance, e sentì i suoi pollici accarezzarla. Rabbrividì per l'anticipazione di quel bacio.
Sentiva il suo respiro sfiorarle le labbra, ma il bacio non giunse.
La sua bocca andò a posarsi sul suo collo, ed Hermione gemette.
Gemette per la frustrazione, per non aver ancora scoperto il sapore della sua bocca, ma più del resto gemette per la fitta di piacere che la sensazione della sua lingua sulla sua pelle le lasciò.
Severus scese con la bocca fino alla clavicola prima di risalire, quando arrivò all'orecchio posò un altro bacio sull'incavo sensibile che lo divide dal collo.
«Non posso» sentì la sua voce roca entrarle dentro e scioglierla, ma non registrò le parole. Tutte le sue forze erano impiegate nel non aprire le mani per lasciarlo andare e non permettere alle lacrime di uscire, ma quando tornò ad avere la meglio sul suo respiro affannoso si accorse che lui si era già allontanato, senza guardarla.
Un attimo dopo la porta cigolò ed Harry comparve.
Hermione lo guardò sapendo che non sarebbe riuscita a nascondere niente all'amico. Vide le sue labbra muoversi, ma non sentì le parole che uscirono.
Come se fosse in un altro mondo vide Severus avvicinarsi a Harry, stringergli la mano e poi scomparire all'interno.
L'amico le si avvicinò, preoccupato.
«Stai bene?» le chiese, sfiorandole una spalla.
Lei annuì, sentiva ancora il cuore batterle furioso nel petto.
«Penso tu abbia un po' di cose da raccontarci»

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Capitolo 15
*** Al successo! ***


Note: buona Pasqua a tutti! Spero abbiate passato questa giornata di festa in modo lieto, nonostante la lontananza di amici e parenti. Prima di lasciarvi al capitolo vi chiedo soltanto una cosa: non odiatemi! In più, regalo punti a chi troverà il dettaglio indispensabile per il prossimo capitolo.
Un forte abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
Al successo!
 
 
 
 
Hermione si strofinò gli occhi con la mano: aveva dormito poco, e la luce del sole li faceva bruciare.
Per fortuna era sabato, non doveva lavorare e Kathleen non andava al centro estivo. Non che avere una bambina di cinque anni in casa fosse riposante. Quella mattina avevano: cucinato i pancakes, pulito le loro camere, giocato a preparare una pozione per allungare i capelli come quelli di Raperonzolo. Poi avevano preparato il pranzo, mangiato, riordinato, giocato a nascondino e finalmente Hermione si era dichiarata arresa.
Con uno sguardo desolato, notò che erano soltanto a metà pomeriggio. Per riposarsi si era fatta strappare da Kathleen la promessa di portarla al parco, più tardi, ma almeno ora poteva riflettere.
Si era tenuta impegnata con la figlia per evitarlo, ma non poteva rimandare l'inevitabile all'infinito. Quindi chiuse gli occhi, e iniziò a riflettere.
 
 
 
La Tana era silenziosa, dopo tante ore di festa. La cucina era ancora sporca, ma Ginny aveva insistito affinché Molly andasse a riposare.
Kathleen, rimasta senza compagni con cui giocare, era crollata sul divano e adesso dormiva con la testa appoggiata alle gambe di Harry. Hermione la guardò sorridendo con tenerezza.
«Allora» Ginny entrò nel salotto con le mani occupate da tre tazze di the, che distribuì prima di sedersi sulla poltrona. Hermione notò come le dita di Harry e Ginny si sfiorarono, il modo in cui i loro occhi si incontrarono sopra le mani tese. Anche solo scambiarsi un oggetto per loro era un atto d'amore.
«Ti ascoltiamo» continuò Ginny.
Hermione chinò lo sguardo rigirandosi la tazza tra le mani. Sospirò e ne prese un sorso, apprezzando come la bevanda calda sciogliesse un po' il groppo che sentiva in fondo allo stomaco da quando se n'era andato.
Un altro sorso, un'altra ondata di calore e iniziò a parlare.
 
Quando finì di raccontare il the si era fatto freddo, gli occhi di Harry enormi e le guance di Ginny pallide. Hermione era riuscita a trattenere le lacrime, ma sentiva la gola chiusa e la voce aveva tremato in più di un'occasione.
Gli amici non l'avevano mai interrotta, ascoltando le sue divagazioni e pensieri con attenzione.
Si scambiarono uno sguardo, adesso, poi Ginny posò la tazza e, con dolcezza, si avvicinò fino ad abbracciarla.
Hermione scoppiò in lacrime. Aveva consolato in quel modo Ginny molte volte durante gli anni a Hogwarts, quando per Harry non era altro che la sorellina del suo migliore amico, e adesso che il gesto veniva ricambiato capiva appieno il modo in cui Ginny si lasciava andare.
Faceva male. Faceva terribilmente male sentirsi rifiutati.
Non seppe quanto tempo durò, ma lentamente i singhiozzi di placarono fino ad esaurirsi. La mano di Ginny continuò lo stesso a percorrere cerchi confortanti sulla sua schiena, ad un ritmo lento e regolare.
Harry si schiarì la gola e Ginny gli lanciò un'occhiata di avvertimento. «Io non penso che non ti ami» disse titubante.
L'occhiata di Ginny divenne fulminante. Harry deglutì.
«Non fraintendetemi. Io penso... Insomma, ha detto "non posso" non "non voglio". Qualcosa vorrà pur dire, forse ha-»
«Lo stai giustificando, Harry?» lo interruppe Ginny, aggressiva nonostante la voce bassa.
«No! No, ma voglio dire...» si schiarì di nuovo la voce. «Forse non  può davvero. Da quel che ne sappiamo l'ultima donna che ha amato è stata mia mamma, e sappiamo tutti com'è andata a finire» concluse con una smorfia.
Ginny aprì la bocca per ribattere, ma Hermione la precedette.
«Hai ragione» bisbigliò, asciugandosi la guancia con il palmo. «Forse... dovrei solo chiederglielo»
«E pensi ti risponderebbe?» Chiese Ginny, ma adesso il tono era premuroso. Anche lei aveva sofferto per Harry, ma l'aveva perdonato per averla lasciata dopo la morte di Silente. Non riusciva ad immaginare una vita senza di lui, e adesso vedeva nell'amica il suo stesso struggimento.
«Non lo so» rispose Hermione. Aveva gli occhi rossi, ma sembrava più se stessa. «Ma come faccio a convincerlo senza parlargli?» Chiese alzando lo sguardo su Ginny.
La rossa sorrise leggermente, cercando di alleggerire l'atmosfera. «Ma Hermione, non ti ho insegnato proprio niente? È un uomo» finì con un sorrisetto malizioso che fece arrossire Harry fino alle orecchie.
Hermione ridacchiò, rigirandosi il fazzoletto umido tra le mani finché le dita di Ginny non toccarono le sue attirando la sua attenzione.
«Hermione» iniziò dolcemente. «Hai fatto la tua mossa, adesso tocca a lui esporsi»
 
 
 
Ancora una volta, Ginny aveva ragione. Era quasi frustrante che la sua consulente sentimentale fosse più piccola di lei, ma ancora dopo tutti quegli anni Hermione non aveva imparato nulla, come spesso le veniva ricordato.
Sospirò e tornò ad aprire gli occhi, fissandoli sull'orologio.
Adesso tocca a lui esporsi.
Di colpo si alzò, decisa. «Kat, sei pronta?»
«Sì, mamma» le urlo in risposta la bambina dall'altra stanza.
«Prendo la borsa e andiamo» disse Hermione, già intenta ad infilare il libro letto per metà nella borsa. Almeno al parco Kathleen avrebbe giocato con gli altri bambini e lei avrebbe potuto rilassarsi.
«Pronta!» gridò Kathleen posizionandosi davanti alla porta.
«Arrivo, tesoro, prendo solo l'acqua.»  Si diresse in cucina, tenuta semibuia per preservarla dal calore del sole estivo, e il campanello suonò. Hermione non si preoccupò: Kathleen era davanti alla porta e fu normale che fosse lei ad aprirla.
Aprì lo sportello del frigorifero allungandosi verso la bottiglia.
«Ciao, Severus!» trillò la voce di Kathleen dal salotto.
Hermione rimase pietrificata con le dita strette attorno al collo della bottiglia, il cuore iniziò a batterle furioso contro le costole.
Sentì la voce profonda di Severus rispondere e lo stomaco le si contrasse come per reazione naturale.
«Sei arrivato per venire al parco con noi?» chiese Kathleen.
Hermione non sentì la risposta. Dovette fare quasi violenza su se stessa per sollevare la bottiglietta e infilarla nella borsa.
Quando tornò ad affacciarsi dalla cucina lo vide ancora sulla soglia. Lui la guardò senza muoversi, aspettando una sua reazione. Da come i suoi muscoli erano tesi Hermione capì che se si fosse messa ad urlare lui avrebbe fatto un passo indietro e se e sarebbe andato senza esitazioni. Se l'avesse accettato, invece?
Adesso tocca a lui esporsi.
Ed era venuto. Sorrise.
 
 
 
La panchina all'ombra dell'albero era piacevolmente fresca. Kathleen era già corsa sullo scivolo e normalmente Hermione avrebbe aperto il suo libro per immergersi nella lettura, salvo lanciare periodiche occhiate di controllo alla figlia.
Severus si sedette al suo fianco, non troppo vicino. Fra loro c'era il giusto spazio affinché le loro mani potessero sfiorarsi se entrambi le avessero poggiate.
Lui si schiarì la gola. «È carino, qui»
Hermione sorrise al suo timido tentativo di iniziare una conversazione. Si era accorta di come lui fosse sulle spine, e questo la faceva ben sperare. «Sì, ci veniamo spesso» rispose.
Lui annuì, ma non aggiunse altro. Con lo sguardo seguì Kathleen salire sullo scivolo e darsi più spinta possibile per scendere in fretta.
Hermione intrecciò le mani e se le posò in grembo, senza sapere cosa dire. O meglio, erano tante le cose avrebbe voluto dirgli, cose di cui parlare, ma il parco non era il luogo adatto. Severus sembrava della stessa opinione.
«Perché sei venuto?» si arrischiò a chiedere, guardandolo con le palpebre abbassate.
Severus si voltò e incrociò i suoi occhi apertamente per la prima volta da quando si era presentato alla sua porta.
«Perché me l'hai chiesto» rispose, dopo attimi di silenzio.
«E se non te l'avessi chiesto?» chiese lei di getto, alzando il mento. «Fai sempre ciò che ti chiede la gente?»
Lui irrigidì la mascella ed Hermione si rese conto di ciò che aveva detto. Aveva passato la vita agli ordini di qualcun altro, e anche adesso la sua non era una piena libertà.
Non intendeva che non fosse un uomo capace di godere del suo libero arbitrio, ma non ebbe il tempo di scusarsi che lui rispose, con tono sorprendentemente dolce.
«Solo se le richieste corrispondono ai miei desideri»
Hermione lo guardò con attenzione. Quindi lo voleva, desiderava passare del tempo con loro.
«Perché te ne sei andato, ieri?» sussurrò. Non aveva intenzione di chiederglielo, non in quel momento e non in quel modo, ma le parole le erano sfuggite di bocca.
Era una domanda troppo impellente, e sentì lo stomaco chiudersi per l'anticipazione della risposta.
Severus non rispose subito. Sospirò e alzò il volto al cielo, osservando le nuvole bianche che contrastavano con la volta celeste. Hermione notò come il sole che filtrava dalle foglie creasse giochi di luce sulla sua camicia nera, alternando macchie di luce a zone d'ombra.
«Ho fatto molti sbagli in vita mia, Hermione» rispose lui con voce cupa.
Hermione continuò a fissarlo corrugando le sopracciglia. Era una confessione?
«Cosa intendi?» chiese. Ancora la sua voce era un sussurro. Deglutì a vuoto, iniziava a capire che quella che stavano per avere non sarebbe stata una conversazione facile.
Severus incrociò le braccia sul petto e allungò le gambe, apparentemente era una posa rilassata, ma Hermione vedeva la linea tesa delle spalle e della mascella.
«Kathleen è nata dal peggior Mangiamorte possibile» iniziò lui, lentamente. Hermione spostò lo sguardo sulla figlia, confusa. In quel momento la bambina stava giocando con la sabbia con un altro bambino, intenti a fare dei disegni con dei bastoncini.
«E Mangiamorte non lo era nemmeno. Grayback era un animale buono solo a spaventare i nemici e convincere i lupi mannari che perdere il controllo una volta al mese fosse divertente» proseguì, la voce che si faceva man mano più cupa.
Stette un momento in silenzio, come per raccogliere i pensieri, ed Hermione non osò interromperlo.
«C'è stato un momento della mia vita in cui quasi l'ho ammirato. Lui non si vergognava delle sue origini, di ciò che era diventato. Lo capisci questo?» chiese voltandosi nella sua direzione.
Hermione sussultò leggermente: sembrava così preso dal suo monologo da essersi dimenticato di lei, ma a quanto pare non era così.
Lui agitò una mano come se la risposta non fosse importante. «Probabilmente no. In ogni caso, era prima che capissi che lui era disposto a qualsiasi cosa pur di ottenere il suo obiettivo. Il fine giustifica i mezzi, ma anche questo è un concetto che tu non puoi capire. Comunque, questa era una delle migliori qualità dell'Oscuro Signore»
Si fermò un momento, per giudicare quanto fosse buona la parola che aveva appena usato. Non lo era, ma probabilmente non gliene vennero in mente altre, perché proseguì.
«Ciò che molti di voi dell'Ordine non eravate in grado di comprendere era come molti maghi potessero unirsi alla sua causa. Il Signore Oscuro non ricorreva alla violenza per convincere - era solo una forma per punire, ma questo lo si scopriva sempre quand'era toppo tardi, o un mezzo per ottenere la verità, che spesso già conosceva. No, per convincere a passare dalla sua parte sapeva essere... persuasivo. Scopriva ciò che più desideravi, e non si fermava finché non l'avessi ottenuto. Poteva essere qualsiasi cosa: potere, ricchezza, gloria. Potevi ottenere tutto se eri disposto a rispettare i suoi ordini»
Un'altra pausa, breve, solo il tempo di prendere il fiato. «Ed era bravo, in questo. Potevi star certo che ciò che avevi chiesto ti sarebbe stato dato, e anche di più»
Si fermò di nuovo. Aveva lo sguardo perso davanti a sé, come se stesse analizzando momenti ormai persi nel tempo, solo a lui accessibili.
Hermione si chiese cosa volesse dirle, ma non l'avrebbe interrotto. Sentiva quella confessione come qualcosa di profondamente intimo, un dono che lui le stava offrendo.
Si chiese se ciò che lui le stava dicendo l'avesse detto anche ad altri. Desiderò di no, di essere l'unica ad avere accesso ai suoi pensieri più intimi, ma non era sicura.
«In questo, io e Fenrir eravamo sorprendentemente simili» storse le labbra, come se la frase avesse un sapore troppo amaro per essere pronunciata, ma continuò. «Ciò che desideravamo, ciò che avevamo chiesto, era la stessa cosa: essere accettati per ciò che eravamo, essere apprezzati nonostante il resto del mondo ci vedesse come feccia»
Sputò le ultime parole con cattiveria, e per Hermione fu fin troppo facile immaginare a chi si stava riferendo.
«Lui era un lupo mannaro ai margini della società, ed io... io ero un reietto per natura. Non mi interessava la questione della purezza del sangue, quando mi sono unito ai Mangiamorte l'ho fatto esclusivamente per un senso di rivalsa. Quando il Signore Oscuro mi ha impresso il suo Marchio io mi sono sentito per la prima volta parte di qualcosa, apprezzato. Il mio valore, le mia capacità... le mie potenzialità, finalmente erano state riconosciute»
Si fermò di nuovo, ed Hermione notò come le sue parole fossero in grado di evocare immagini e sensazioni. Non le era difficile, adesso, immaginare perché Severus Piton, giovane sedicenne non apprezzato e alla ricerca del suo posto nel mondo, si fosse immischiato in qualcosa più grosso di lui.
Severus riprese, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. «Tutto questo prima di accorgermi di ciò che era veramente, ma questa è un'altra storia. Quel che sto cercando di dirti è che io e Grayback, sostanzialmente, siamo uguali» concluse.
Passarono diversi attimi di silenzio prima che Hermione capisse che aveva finito. Si sentiva frastornata, la testa imbottita come se fosse appena scesa da una di quelle giostre che girano su se stesse a velocità folle.
«Non è vero» si costrinse a dire attraverso le labbra intorpidite. «Tu non sei come lui... Ciò che hai fatto-» si fermò, senza sapere come continuare.
«Hai salvato Harry e tutti noi, e ancora adesso hai aiutato Kathleen. Tu sei una persona buona, Severus» finì, sporgendosi in avanti e prendendogli una mano tra le sue.
Lui la guardò, il viso non tradiva nessuna espressione, ma gli occhi erano un tumulto così violento da non poter capire quale emozione stesse per avere il sopravvento.
«Come puoi crederlo veramente?» chiese lui sussurrando. Sembrava una supplica, un gemito sofferente, ed Hermione si sentì stringere il cuore.
«Come puoi tu non vederlo» ribatté invece, dolcemente.
Lui aprì la bocca, probabilmente aveva sulle labbra già pronta una lista dei motivi per cui non si riteneva una persona da ammirare, ma Hermione non voleva ascoltarli. Si sentiva scaldare da una sensazione nuova, mai provata prima, che la faceva sentire piena dalla punta dei piedi fino alla testa.
Ora pensava di comprendere il motivo per cui si era allontanato, il motivo di quel non posso.
Ma era tornato, e le aveva spiegato.
«Non dire niente!» si affrettò a dire. Non voleva che lui rovinasse quella sensazione.
Anche se era impossibile che succedesse. Lui la guardò, e a poco a poco la tempesta nei suoi occhi iniziò a placarsi. Hermione pensò che ci sarebbe potuta morire, nei suoi occhi, e non avrebbe sofferto.
Lui la guardava con una tale intensità che si sentì arrossire. Non sapeva neanche quando si era avvicinato, sciogliendo le braccia e posando la mano che non stava stringendo la sua sullo schienale dietro di lei.
Strinse forte la mano e si accorse di avere le dita intrecciate con le sue. La stava per baciare. Pregò che la stesse per baciare.
«Mamma!»
Kathleen si avvicinò di corsa fino a sbattere con la pancia contro le gambe della madre. Hermione si scosse, ma era troppo frastornata per rispondere.
«Ho sete» disse Kathleen, senza accorgersi di nulla.
Hermione le porse la bottiglia con gesti automatici, ma si sentiva ancora le guance scottare. «Vieni a sederti» disse, non voleva che Kathleen bevesse correndo in giro.
La bambina aveva già tolto il tappo, ma si avvicinò.
«Bleah! Mamma non voglio mettermi vicino a te. Guarda, c'è uno scarafaggio!» gridò facendo una smorfia disgustata e andando a sedersi vicino a Severus.
Hermione alzò gli occhi al cielo, aveva l'impressione che Kathleen avrebbe scelto di sedersi vicino all'uomo anche se non ci fosse stato nessun animale.
«Tecnicamente, è uno scarabeo» puntualizzò, scacciando l'insetto con un gesto della mano.
Ma Kathleen non stava più ascoltando: restituì la bottiglietta e scappò via veloce com'era arrivata.
Hermione la seguì con lo sguardo osservandola giocare. Sorrise senza accorgersene.
«Se siamo fortunati, stasera dormirà»
Quando si voltò notò gli occhi di Severus già su di sé e un sorriso malizioso agli angoli dalla bocca. Si accorse di ciò che sembrava voler implicare la sua frase e arrossì.
«Non intendevo in quel senso!» si affrettò ad aggiungere, ma lui sogghignò.
Hermione si sarebbe offesa se quel ghigno non fosse stato così simile ad una risata.
 
 
 
Alla fine Kathleen si era addormentata davvero relativamente presto.
Hermione chiuse la porta della sua camera con un senso di vaga apprensione.
Severus le aveva somministrato la pozione un'ora prima tramonto, e nonostante la luna fosse sorta già da tempo non c'erano state complicazioni.
Si sentiva speranzosa, ma in fondo lui gliel'aveva detto che avrebbe funzionato.
Fece un paio di passi in avanti trovandosi affianco al divano. Lui era dall'altro lato, le braccia consente, ma rilassato. Hermione non avrebbe mai immaginato che avrebbero passato un pomeriggio insieme al parco discorrendo di qualsiasi cosa per poi mangiare insieme.
Come una famiglia.
E adesso?
«Allora» iniziò titubante, avvicinandosi ancora. Ora erano distanti solo per un paio di passi. «Cosa fai quando un esperimento va a buon fine?» chiese.
Dal modo in cui lui la guardò pensò fosse una domanda sciocca, ma era la prima a cui fosse riuscita a pensare.
Severus la studiò per qualche momento prima di sciogliere le braccia ed estrarre la bacchetta.
«Solitamente» iniziò, facendo apparire una bottiglia e due bicchieri. «Faccio un brindisi»
Riempì i bicchieri e gliene porse uno con estrema naturalezza, poi alzò la mano nella sua direzione.
«Al successo!» disse.
Hermione fece toccare i loro bicchieri incontrando il suo sguardo sopra le loro mani tese. «Al successo!»
 
 
Come da un bicchiere fossero finiti ad aver bevuto tre quarti della bottiglia era un passaggio che continuava a sfuggirgli. Purtroppo, sentiva la testa troppo ovattata per pensarci adeguatamente.
Stese le gambe, incrociando le caviglie e scivolando un po' di più sul divano. Hermione, al suo fianco, era seduta con le gambe piegate sotto il corpo e il capo poggiato sulla mano. Il gomito che reggeva il suo peso scavava un solco leggero nello schienale.
Era bella, pensò.
Aveva il bicchiere ancora mezzo pieno, ma lo vuotò prima di allungarsi per posarlo sul basso tavolino davanti a loro. Con la mano adesso libera iniziò a disegnare cerchi leggeri sull'avambraccio di Severus, che sentiva la pelle bruciare al suo tocco.
«Parlami dei tuoi viaggi»  sussurrò Hermione contemplando la pelle pallida che rabbrividiva sotto i suoi polpastrelli.
«Cosa vuoi sapere?» chiese lui.
Hermione ci pensò mordendosi il labbro, e Severus si perse ad osservare la sua bocca dimenticando all'istante cosa lei gli avesse chiesto.
«Qual è stato il tuo preferito» rispose alla fine.
Severus impiegò il suo tempo a rispondere, occupato ad osservare come l'alcool le avesse acceso le guance e i capelli scompigliati sfuggiti dall'acconciatura.
Ad essere sincero, avrebbe avuto qualche idea per spettinarla ancora di più.
«Il Perù» rispose con voce roca. «È un luogo pieno di magia ancora sconosciuta, scomparsa con le antiche popolazioni»
La spiegazione cadde nel vuoto. Era difficile concentrarsi, con tutto quel liquore in corpo e lei che lo toccava in quel modo.
Si voltò nella sua direzione trovandola vicina ed Hermione scelse quel momento per alzare gli occhi.
Forse fu la sua aria scarmigliata, forse gli occhi innocenti, o forse la percentuale di alcool nel suo sangue. O ancora, più precisamente, fu il sentimento che si era fatto strada nel suo petto.
Posò il bicchiere senza curarsi di accertarsi che non ne avesse versato il contenuto per terra, poi affondò la mano nei suoi riccioli e la avvicinò. Si concesse solo un attimo per osservare ancora i suoi occhi chiusi e le labbra socchiuse, poi la baciò.
Sentì una scarica elettrica percorrerlo dalla base della schiena fino alla nuca, e approfondì il bacio. Assaggiò le sue labbra morbide che avevano il retrogusto del liquore prima di accarezzarle con la lingua.
Hermione gemette e lui accolse quel gemito come acqua. Le morse il labbro inferiore come tante volte le aveva visto fare e la avvicinò ancora di più a sé.
La sentì rispondere al bacio con uguale intensità mentre le sue mani iniziavano a percorrere la sua schiena e si fermavano sulla nuca. Si trovò a soffocare un gemito quando lei gli tirò un labbro.
Non stava baciando una ragazzina, e quel pensiero gli mandò un'ondata di calore che si concentrò tutta sul basso ventre.
Si staccarono leggermente, per riprendere fiato. Severus si beò dei suoi occhi così vicini, ma non le diede il tempo di riprendersi che si era già impossessato della sua bocca.
Hermione rispose ansimando leggermente, piantando le unghie nella sua schiena. Evidentemente, condivideva il suo pensiero sul non essere abbastanza vicini, perché un attimo dopo si sedette sulle sue ginocchia, le cosce aperte a stringere le sue gambe.
Severus drizzò la schiena per raggiungere le sue labbra e immergersi completamente in lei. Sentì le sue mani viaggiare sui bottoni della sua camicia e fece lo stesso.
Le apri la camicetta con foga, avido di accarezzare la sua pelle con il palmo aperto. Fece aderire le sue dita completamente, percorrendole l'addome, la vita stretta, la schiena. Risalì con le mani, accarezzandole i seni.
Hermione gemette, gettando la testa indietro. Severus ne approfittò iniziando a baciarle la gola e la clavicola.
«Cristo, Hermione» ansimò, baciandole il solco tra i seni. «Fermami adesso, o non sarò in grado di farlo»
Lei fece risalire una mano sul suo collo fino ad afferrargli i capelli sulla nuca in un pugno stretto, costringendolo ad alzare il viso.
«E allora non farlo» gli soffiò sulle labbra prima di baciarlo. Severus la trasse a sé finché la loro pelle nuda non fu a contatto. Hermione strinse le cosce strofinandosi contro la sua erezione, e Severus gemette nella sua bocca.
Le accarezzò le gambe mentre lei infilò le mani sotto la sua camicia per toccare la sua schiena.
Fu un attimo, e si irrigidì.
Lei non poteva saperlo, ma Severus era certo che l'avesse vista. Probabilmente, nel suo bagno, aveva pensato che tutti i segni fossero il risultato delle torture dell'Oscuro Signore, ma non era così.
Hermione toccò con i polpastrelli i bordi slabbrati della sua cicatrice, e Severus si sentì percorrere da un brivido.
Come aveva potuto dimenticarsene?
Senza rendersene conto si alzò, spostandola di lato.
Iniziò a camminare, passandosi le mani sul viso e cercando di cacciare dalla mente le immagini che l'avevano assalito. Sentì Hermione parlare, ma non riuscì a capire cosa stava dicendo. Nella sua testa, suo padre si ergeva imponente con la cintura in mano. Cosa aveva fatto per meritarsi quella punizione? Non lo sapeva, ma era ciò che meritava, perché era soltanto un moccioso sporco e anormale.
Si sentì afferrare le braccia e si fermò. Hermione era davanti a lui, bellissima nella sua camicia aperta e gli occhiali luccicanti di lussuria.
Diglielo! ordinò una voce dentro di lui. Erano così tanti anni che non la sentiva che Severus faticò a riconoscerla.
Spiegale perché pensi di non essere in grado di fare da padre a sua figlia!
Ma la riconobbe. Era l'unica che gli avesse mai detto di seguire il cuore, l'unica che gli aveva detto di scusarsi con Lily fini a rendersi ridicolo pur di cercare di salvare il loro rapporto.
Non sei come tuo padre, Severus!
Un solo consiglio gli aveva dato, in tutta la sua vita. Glielo aveva sussurrato con gli occhi cerchiati e il labbro spaccato da un pugno. "Non far soffrire una donna, Severus. Mai, per nessun motivo".
E aveva fallito, fallito nell'unica promessa che le aveva fatto. Non era riuscito a fare altro che far soffrire le donne che aveva amato: sua madre, Lily, e ora Hermione.
Non ne aveva forse avuto la prova la sera prima, di quanto fosse in grado di annientarla?
Aprì la bocca, ma non ne uscì niente.
 
Hermione lo guardò con gli occhi sgranati, poi sentì la rabbia invaderla.
«Che significa?» sibilò, puntando i pugni sul suo petto. «Perché non mi dici niente, Severus? Perché continui ad avvicinarti e illudermi e-»
«Basta, Hermione» lui le cinse dolcemente i polsi e li allontanò, ma Hermione si scrollò le sue mani di dosso.
«No, io ti dico basta» gridò. «Sono stufa dei tuoi tira e molla! Non puoi fare il bello e il brutto tempo a tuo piacimento e pensare che io ti assecondi. Ho una figlia a cui pensare e tu non puoi-» Si fermò ansimando, il petto che si alzava in fretta al ritmo del suo respiro.
«Non posso aspettarti per sempre» constatò con un sussurro. Ma le fece male ammetterlo, tanto che iniziò a sentire il cuore oppresso.
Lui irrigidì la mascella ed Hermione vide scomparire dai suoi occhi la sfumatura di fragilità che era presente. Finché non l'aveva vista sparire non si era accorta fosse lì, e subito si pentì di ciò che aveva detto.
Dopo tutto ciò che lui le aveva rivelato quel pomeriggio come poteva parlare in modo così superficiale?
«E allora non farlo» rispose lui, e un attimo dopo scomparve.
Hermione sentì un verso strozzato crescerle nella gola. Si premette le mani sul petto cercando di allentare la tensione che sentiva, ma senza riuscirci.
Crollò sulle ginocchia fissando il punto in cui lui era rimasto, la camicia aperta e le lacrime a rigarle le guance.

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Capitolo 16
*** Di male in peggio ***


Note: come sempre, grazie a tutti voi, e complimenti a chi ha indovinato! Come si dice, a pensare male ci si azzecca. Comunque, capitolo breve ma intenso, questo, potremmo dire, e soprattutto difficile da scrivere.
Ancora come sempre, fatemi sapere che ne pensate.
Un abbraccio,
Crudelia
P.S.: ho pubblicato una piccola one-shot senza pretese, Intermezzi, che si pone come prequel di questa long. Se volete passare e farmi sapere le vostre impressioni siete più che benvenuti.
 
 
 
 
Di male in peggio
 
 
 
Ginny fu svegliata da un ticchettio insistente. Ancora con gli occhi chiusi, impiegò un attimo a ricordare.
La sera prima lei e Harry avevano condiviso un'altra tazza di the, parlando di tutto e niente fino a tarda ora come non succedeva da molto tempo. Erano accoccolati sul divano, e probabilmente lì si erano fermati.
Questo spiegava il suo mal di schiena. Si alzò stiracchiandosi per sciogliere i muscoli contratti, e andò alla finestra, dove il gufo che li aveva svegliati picchiava imbronciato il vetro.
«Arrivo, arrivo» bisbigliò, sistemandosi i capelli arruffati.
Harry, alle sue spalle, sbadigliò rumorosamente, gli occhi appannati sotto i capelli in disordine.
«Novità?» chiese per abitudine, pensando al caffè che avrebbe guastato fra pochi minuti. Non ricevendo risposta, si voltò.
Ginny era rimasta immobile alla finestra, la Gazzetta del Profeta appena consegnata tra le mani e le guance pallide. Con una pessima sensazione alla bocca dello stomaco Harry si avvicinò.
Ginny aspettò che finisse di leggere sopra la sua spalle, poi incontrò i suoi occhi, ora del tutto svegli. Non ci fu bisogno di parlare.
 
 
 
Lucius sedeva composto alla lunga tavola imbandita. Davanti a lui erano ordinatamente disposti dieci vassoi. Inutilmente, dal momento che erano più di vent'anni che la sua colazione consisteva in una tazza di the e una fetta di pane tostato imburrata.
Fetta che in quel momento giaceva abbandonata dopo solo un morso nel piatto. Anche il the si era fatto freddo, ma l'uomo se lo portò alle labbra senza curarsene: tutta la sua attenzione era catturata dall'edizione della domenica della Gazzetta del Profeta.
Dovette rileggere l'articolo tre volte prima di scuotersi, poi si alzò deciso a fare tutto ciò che era in suo potere per aiutare qualcuno senza uscire dai confini del suo castello. Scrisse un biglietto, sapendo che sarebbe stato ignorato.
 
 
 
Hermione aveva male agli occhi, di nuovo. Era la seconda notte che non dormiva e i cerchi sotto gli occhi si erano fatti più marcati, ma non si era truccata, non era importante.
Quando la sera prima, finalmente, era riuscita ad alzarsi, incurante dell'ora si era infilata sotto la doccia: si sentiva ancora il suo odore addosso. Quando poi era crollata sul letto non era riuscita a prendere sonno fino alle prime ore del mattino, quando il cielo ormai iniziava a rischiararsi.
Anche se era domenica aveva chiesto a Ginny di stare un paio d'ore con Kathleen. Era l'unica di cui si fidava visto il soggetto in questione.
Ora aveva i palmi sudati e lo stomaco in subbuglio, ma premette il campanello con un sospiro risoluto. Avrebbe voluto più tempo per riflettere sulla sera prima, ma pensava che risolvere subito sarebbe stato meglio, nonostante l'ultimo rimasuglio di mal di testa causato dal troppo bere.
La porta si aprì dopo attimi in cui il cuore si infranse contro il suo sterno con violenza, poi lui comparve.
Sotto gli occhi aveva segni scuri e un'ombra di barba sul mento, segni che condivideva lo stesso disagio di Hermione, ma gli occhi erano una lastra di ghiaccio nero.
Hermione si sentì senza fiato. «Dobbiamo parlare» esalò, cercando di fingersi più decisa di quanto in realtà fosse.
«Sì, dobbiamo» rispose Severus, e si voltò lasciandola sola sulla soglia. Hermione sbatté le palpebre, sorpresa e confusa: fra tutte le reazioni che si era aspettata, quella era la più inaspettata.
Entrò e si chiuse la porta alle spalle. Lui era nel salotto, Hermione lo vide ricevere una lettera via gufo e gettarla senza riguardo sul tavolo, in mezzo ad un mucchietto di altre buste, alcune aperte, molte chiuse.
Corrugò la fronte, iniziando a capire che qualcosa non andava, e non era la loro discussione della sera precedente.
Severus si voltò e incrociò le braccia sul petto. «Avanti, ti ascolto» disse.
Hermione schiuse la bocca per la sorpresa. «Tu ascolti me?» chiese piccata. «Non pensi dovrebbe essere il contrario?»
«Avanti, Hermione, non fingere. Ormai la farsa è caduta»
«Ma-» scosse la testa, senza capire. «Non so di cosa stai parlando» incrociò le braccia, imitando la sua posa e decisa a non farsi intimidire.
«Ah, non lo sai» sibilò velenoso. Hermione notò con allarme che aveva assunto lo stesso tono compiaciuto di quando interrogava Harry e il responso sarebbe stata una T, quando li scopriva in corridoio e aveva finalmente un motivo per punirli.
«Ecco di cosa sto parlando!» disse gettandole addosso qualcosa.
Hermione sentì un fruscio e prese tra le mani tremanti quello che si rivelò essere l'edizione domenicale della Gazzetta del Profeta.
Era ancora confusa, e arrabbiata, ma con preoccupazione chinò lo sguardo sulla prima pagina. L'immagine di un Severus accigliato ricambiò il suo sguardo prima che la sua attenzione fosse catturata dal titolo scritto in grossi caratteri.
 
Severus Piton: eroe redento o Mangiamorte ancora fedele?
 
«Non può essere» sussurrò, sopraffatta dal panico che iniziava ad attanagliarle il petto.
Alzò gli occhi sgranati e sconvolti su Severus, ma lui si limitò ad alzare lentamente un sopracciglio, guardandola con superiorità.
Hermione tornò a scrutare il quotidiano senza che lui avesse bisogno di insistere ulteriormente, spinta da una morbosa curiosità.
 
Tutti noi conosciamo la storia del famoso Severus Piton, fedele braccio destro dell'ormai sconfitto Signore Oscuro e scagionato con l'aiuto di alcuni facoltosi membri dell'Ordine della Fenice come lo stesso Harry Potter e Minerva McGranitt.
Ci siamo tutti commossi quando abbiamo scoperto la sua storia: Mangiamorte convinto che abbandona il lato oscuro per proteggere il figlio della donna che ha sempre amato e sconfiggere finalmente il Male.
Ma è davvero così?
Fonti del tutto attendibili e a lui vicine mi hanno raccontato che l'ex professore non è così convertito come ci ha fatto credere.
"Quando ho ricevuto il Marchio Nero mi sono sentito apprezzato" ha affermato il professore in un momento in cui si rilassava osservando innocenti bambini giocare in un parco. "Il Signore Oscuro era bravo, scopriva ciò che desideravi e faceva di tutto perché tu lo ottenessi".
Ma non finisce qui! Ciò che più sconvolgerà i miei fedeli lettori sarà scoprire il modo in cui ha parlato di un altro Mangiamorte: l'attuale scomparso Fenrir Greyback.
"Io e Fenrir siamo uguali" ammette chiamando l'ex (o forse no?) compagno confidenzialmente per nome. "Io lo ammiro, lui non si è mai vergognato delle sue origini e di ciò che è diventato. È giusto che i suoi geni abbiano seguito.
" continua.
La mia fonte non ha voluto rivelare altro, spaventata da questo ritorno al passato dell'uomo e dalle sue possibili reazioni.
Ma la domanda è, cari lettori: la lealtà di Severus Piton è mai cambiata? Abbiamo accettato nel nostro mondo un uomo ancora fedele all'Oscuro Signore?
 
Hermione si prese il suo tempo rileggendo l'articolo più volte.
Non era possibile, non poteva essere. Non voleva crederci.
«Non può essere» ripeté in un sussurro strozzato che le rese la voce acuta.
Alzò di nuovo gli occhi su di lui, la gola asciutta, ma Severus continuava a guardarla con la stessa rabbia malcelata.
«Non puoi pensare davvero che sia stata io» disse, abbandonando le braccia lungo i fianchi, ma continuando a stringere il giornale. Nonostante il tono incredulo era presente anche una vena di esasperazione.
«A quante persone pensi che abbia rivelato ciò che ho detto a te?» chiese, mantenendo a stento il controllo della voce.
Hermione sussultò. Allora era vero, era l'unica con cui si era confidato.
Sentì la tristezza farsi spazio nel groviglio degli altri sentimenti. Non era giusto. Era infantile e forse arrendevole pensarlo, ma non era giusto.
«Non l'avrei mai fatto, Severus» sussurrò. Iniziava a sentirsi schiacciare dal peso di quell'articolo. Non solo le accuse sulla sua lealtà, ma soprattutto le insinuazioni di come lui si rilassasse osservando bambini.
Come aveva fatto, poi?
 
Bleah! Mamma non voglio mettermi vicino a te. Guarda, c'è uno scarafaggio!
Tecnicamente, è uno scarabeo.
 
Ma certo, come aveva potuto non accorgesene? L'aveva addirittura catturata e imprigionata in un barattolo, poteva non averla riconosciuta?
Sì. Sì, poteva.
Era troppo intenta ad ascoltare l'uomo che aveva affianco e ad elaborare il significato intrinseco delle sue parole per notare un insetto insignificante.
Ma insignificante non era, affatto.
«E poi perché avrei dovuto farlo?» chiese, aggressiva. Sapeva che la sua rabbia era solo una facciata, adesso, per proteggersi dal suo errore. Come sapeva anche che assumere quel tono e porre quelle domande l'avrebbe fatta apparire agli occhi dell'uomo esattamente quello che lui pensava fosse: colpevole.
«Non lo so, dimmelo tu» rispose lui, e per la prima volta mostrò segni di sofferenza sul suo viso. «Cosa ti ha offerto, soldi?» E fece cadere le braccia lungo i fianchi, troppo pesanti per mantenere la loro posizione di difesa.
«E mi sarei venduta per così poco secondo te?» Possibile che non la conoscesse affatto, arrivando a credere che si sarebbe fatta corrompere?
«Pensi che non sappia cosa vuol dire crescere un figlio da solo?» sibilò velenoso.
«Oh, e come protesti? Tu non hai figli!» ribatté gridando, gettando i fogli che ancora aveva in mano sul tavolo.
Vide il giornale travolgere le lettere e farle cadere a terra. Alcune si scoprirono e riuscì a leggere qualche parole: traditore, bugiardo, assassino.
Si fermò ansimando.
Aveva esagerato, ma tutte le emozioni che aveva provato in quel periodo erano turbinate così in fretta dentro di lei da farle perdere il controllo. Ma più di tutto, più dei dubbi che Severus nutriva nei suoi riguardi (che una parte del suo cervello, quella incrollabilmente logica, poteva anche comprendere), era la delusione.
Hermione non era arrabbiata con Severus perché credeva che lei avesse spifferato per quattro soldi i suoi pensieri, era arrabbiata con lui perché la sera prima se n'era andato.
Tornò a guardarlo, la bocca già piena di frasi ragionevoli, di scuse e spiegazioni, ma le parole le morirono sulle labbra quando vide la sua espressione.
Non era rabbia, quella avrebbe potuto gestirla, era disgustoso.
«Severus...» iniziò, facendo un passo nella sua direzione. Ma lui la fermò, arretrando e alzando una mano per fermarla.
«Vattene, Hermione» gemette, la stessa accorata preghiera di quella sera sulla veranda. Hermione si sentì stringere il cuore al suono della sua voce: tutta la furia era scomparsa, lasciando il posto ad un'arresa impotenza. «Non ho bisogno di qualcuno che mi rinfacci i miei errori» continuò.
«Severus, se solo tu mi lasciassi spiegare» disse in fretta.
«Spiegare?» la interruppe, sputando la parola con scetticismo. «Spiegare cosa, Hermione, che mi hai preso in giro? Io mi sono fidato di te, ti ho aiutato e questo» disse raccogliendo il giornale e agitandolo nella sua direzione. «Questo è il tuo ringraziamento?»
Si fermò un momento a prendere fiato, ed Hermione lo guardò senza parole, gli occhi sempre più grandi.
«E cosa pensavi di ottenere ieri sera, altre confessioni nel tuo letto? In fondo un uomo appagato dice qualsiasi cosa, questo lo devi sapere anche tu!»
«No! Io-»
«E Kathleen? Hai coinvolto anche una bambina nella tua messinscena? Tutti quegli abbracci, quei discorsi, quanto di tutto questo era vero? Cosa hai offerto a lei per-»
Lo schiocco del palmo contro la guancia interruppe quel fiume di parole.
«Non osare» disse con tono fermo, il mento sollevato. Gli avrebbe permesso tutto, ma non insinuare che l'affetto di Kathleen fosse falso.
Non sua figlia, quello no.
Severus voltò lentamente il capo fino a far incontrare i loro sguardi. Aveva la mascella contratta e gli occhi fiammeggianti, ma Hermione non si fece spaventare dalla potenza della sua rabbia.
Abbassò piano la mano. Erano così vicini che se solo si fosse sbilanciata avrebbe fatto aderire i loro corpi.
Una parte di lei la sfidò a farlo. Un abbraccio. Bastava un abbraccio per sanare le loro distanze, per dimostrargli che l'amore che provava per lui, pur non avendolo mai dichiarato, non era finto.
Ed era la voce di Kathleen ad insistere. La voce della sua bambina che la guardava con occhi lacrimosi perché l'unica cosa che davvero desiderava era l'unica che Hermione non gli dava: un papà. Ma il suo orgoglio, il suo amor proprio ferito, gridava a pieni polmoni la sua protesta.
Strinse i denti con forza, impedendo alle lacrime che sentiva pizzicare dietro le palpebre di fare altra strada.
Amava sua figlia, amava se stessa e amava l'uomo che aveva davanti, ma capì che tutti e tre non potevano coesistere, non senza un sacrificio.
Era disposta a sacrificare se stessa per quell'unione?
No.
Con il cuore pesante fece un passo indietro, aprendo la bocca per dire le parole che Ron aveva desiderato gridare all'uomo per sei anni.
«Sei proprio uno stronzo!»
 
 
 
Il Mondo Magico era arretrato in molti modi, ma non quando una voce si doveva diffondere.
La notizia riguardante Severus Piton impiegò mezza giornata a raggiungere gli angoli di Londra, anche i più bui. I giorni seguenti furono consumati da bisbigli fatti di bocca in bocca ad ogni occasione: davanti alle vetrine di Diagon Alley, in attesa di comprare il pane, fra un sorso e l'altro di una Burrobirra e un'Acquaviola.
Le malelingue continuarono senza che le occhiate e le labbra serrate della Preside McGranitt potessero far niente per fermarle, alimentate dai sorrisini compiaciuti di Rita Skeeter. Circolarono senza sapere che l'articolo che le aveva scatenate era stato sufficiente perché una relazione ancora non iniziata finisse, perché due cuori si spezzassero e perché una bambina dovesse scoprire che, senza un motivo apparente, aveva perso l'uomo in cui riponeva le sue infantili speranze.
Ma tutte queste erano voci, volatili e astratte. E, soprattutto, non erano ciò che interessava all'uomo.
Avvolto da stracci sudici, impiegò giorni prima di riuscire a mettere le mani sul giornale. Era ormai stropicciato e ingiallito, ma ancora chiaramente leggibile.
Quando ebbe la conferma ai suoi sospetti l'uomo si lasciò andare a quella che, da lunghi anni, fu la sua prima risata.
 
 

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Capitolo 17
*** Solitudine ***


Note: ah, ragazzi, ve l'ho detto che amo l'angst, vero? Capitolo per lo più di passaggio, senza colpi di scena (ma arriveranno, dovrete solo pazientare un pochino), ma spero lo gradirete ugualmente. Nel frattempo, grazie a chi ha recensito, recensisce e recensirà (e un grazie speciale a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti. Cioè, wow!, è un onore che spero di non deludere!).
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
Solitudine
 
 
 
Hermione sentì un gufo picchiare alla finestra e sussultò. Si assicurò circospetta che Kathleen fosse impegnata e prese la busta che l'allocco le stava porgendo. Un'altra occhiata di sottecchi, poi la aprì.
Con sollievo, scoprì la cartolina che Harry e Ginny le avevano mandato dalle loro vacanze.
Sospirò, il suo segreto era ancora al sicuro.
«Kat, è anche per te» chiamò.
Kathleen arrivò di corsa ed Hermione le porse la cartolina, perdendosi ad osservarla.
Non che fosse davvero un segreto, aveva semplicemente evitato di sbandierare la paternità di Kathleen all'intera società. E quella riga, sebbene imboscata in un articolo con l'intento di gettare fango su qualcun altro, l'aveva fatta sussultare appena l'ebbe riletto con più attenzione e calma.
Soprattutto calma, e distanza da una certa persona.
Sapeva che se si fosse scoperto nessuno l'avrebbe accusata - di fatto, lei era la vittima - ma sapeva quanto le persone potessero essere crudeli, e non voleva che Kathleen si trovasse catapulta in un mondo dal quale veniva esclusa per una colpa che non era sua.
In ogni caso, le persone che sapevano la verità erano ben poche. Esclusa se stessa e Severus, rimaneva Bellatrix, che non era un problema, e Greyback. Se soltanto ci fossero stati dati certi su quest'ultimo sarebbe stata molto più tranquilla.
L'incognita era decidere se includere Kathleen o meno.
Sebbene Hermione avrebbe preferito di no, la scelta più razionale e meno protettiva avrebbe imposto il contrario. Kathleen avrebbe compreso finché fosse rimasta una bambina, ma una volta cresciuta l'avrebbe perdonata?
Hermione conosceva la risposta, perché sarebbe stata la stessa che avrebbe dato lei se si fosse trovata nella stessa situazione: no.
Aveva mentito ai suoi genitori per proteggerli e li aveva persi, non avrebbe fatto lo stesso errore con sua figlia.
Sospirando si avviò verso il divano. «Kathleen, vieni. Dobbiamo parlare»
Kathleen si avvicinò con espressione curiosa. «Cosa c'è?» chiese.
«Devo dirti una cosa» rispose Hermione, facendole segno di sedersi al suo fianco. Kathleen obbedì, arrampicandosi sul divano e sedendosi con le gambe raccolte sotto il corpo.
Hermione le accarezzò una guancia con un sorriso. «Ti ricordi quello che ti ho raccontato su tuo padre, vero?» Iniziò esitante.
«Sì, mamma, tutto» annuì la bambina seria.
Hermione si morse un labbro, indecisa su come continuare. «C'è una cosa che non ti ho detto» sospirò. «Ma devi promettermi che, se te lo dico, non andrai mai a cercarlo»
«Perché?» chiese Kathleen, confusa.
«Perché anche se sei sua figlia non vuol dire che non ti farebbe del male» cercò di spiegare.
«Ma nessun papà fa male ai suoi figli!» ribatté Kathleen.
Hermione strinse le labbra. Era un discorso complesso per una bambina di soli cinque anni, ma era importante che capisse.
«Kathleen, quello che sto cercando di dirti è che tuo padre non è morto, ma nessuno sa dove si trova. Anche quando sarai grande, Kat, devi promettermi che non andrai mai a cercarlo» finì guardandola negli occhi.
Kathleen la guardò con i suoi grandi occhi neri. Sembrava pensare, e per un momento Hermione temette che le avrebbe risposto di no, che se aveva un papà lo voleva anche incontrare.
«Va bene, mamma. Mi hai detto che era cattivo, io ci credo. Te lo prometto!» finì, seria.
Hermione si sentì invadere dal sollievo e si sporse per abbracciare la figlia. Se la strinse al petto, affondando il viso nei suoi capelli profumati di bambina.
«Grazie, tesoro» sussurrò.
Sentì le braccia della figlia stringersi al suo collo. «Ti voglio bene, mamma» sussurrò.
«Anche io, amore» rispose baciandole la testa. «Anche io»
Hermione rimase sul divano a godersi il calore che Kathleen le trasmetteva, seduta sulle sue ginocchia e intenta a giocare con i suoi capelli..
«Mamma?» esordì dopo un paio di minuti la bambina.
«Sì?» Rispose Hermione.
«A me non fa niente se non ho un papà, sto bene con te» iniziò, la fronte corrugata per la concentrazione. Hermione non disse niente, aspettando il ma che sapeva sarebbe arrivato.
«Posso chiederti una cosa?» chiese infatti.
«Certo, ti ascolto»
Kathleen tentennò ancora un momento, rigirandosi una ciocca dei capelli della madre attorno ad un dito. «Perché Severus non viene più da noi?»
Hermione si sentì stringere il cuore. Sospirò, poggiando il mento sulla testa della figlia.
«Ci ha aiutate: la pozione ha funzionato» cercò di spiegare, sforzando di ignorare le immagini che si presentavano nella sua mente.
«Ma io pensavo fosse nostro amico» si lamentò Kathleen, strascicando le vocali.
Hermione chiuse gli occhi. Non avrebbe pianto.
Lasciò che il silenzio si allungasse fra loro, prendendo il posto di una risposta. Poi, con una carezza, scostò la figlia da sé.
Non le chiese se l'uomo le mancava, ritenne più saggio cambiare discorso. «Preparati, usciamo»
«Dove andiamo?»
Hermione si schiarì la voce. «A prendere un gelato»
 
Alla fine prendere il gelato si era rivelata la decisione giusta: Kathleen non aveva più nominato Severus, né fatto altre domande sul padre naturale.
Avevano parlato della settimana passata, la prima di vacanza, e iniziato a fare progetti per le prossime settimane in cui Hermione non avrebbe lavorato. Avevano deciso una gita allo zoo e una al mare e, per una volta, entrambe furono felici di poter fare progetti senza lo spettro della luna piena su di loro.
Le vacanze erano il momento dell'anno che Hermione preferiva: poteva finalmente stare con la figlia senza interruzioni. Tuttavia, quei giorni erano macchiati da una malinconia che, ostinata, non voleva andarsene.
Due settimane. Erano passate due settimane da quando l'aveva visto.
Cacciò il pensiero, alzandosi dalla panchina su cui erano sedute.
«Kat, che ne dici di accompagnarmi a prendere dei documenti?»
Non avrebbe dovuto, ma tutto ciò che desiderava era avere la mente occupata.
Per sua fortuna, Kathleen acconsentì.
 
 
 
Le gite al Ministero, infine, divennero quasi un appuntamento settimanale.
Mai come quell'estate Hermione aveva lavorato a casa, ma solo in quei momenti sentiva la pressione che le attanagliava il petto allentarsi.
Durante la giornata riempiva lei e Kathleen di attività: entrambe potevano infatti sfoggiare un'abbronzatura invidiabile. Ma la stanchezza non era mai abbastanza da permetterle di dimenticare quel pensiero.
Non si riteneva una donna capace di permettere ad un uomo di scombussolare il suo intero essere, ma spesso si sentiva affondare dal peso dei ricordi che avevano condiviso.
Anche lui non trovava pace per il modo in cui si erano lasciati l'ultima volta?
Non sapeva darsi una risposta, e a volte non era neanche sicura di volerne una.
 
 
 
Tre settimane.
Tre settimane senza di lui.
Ma non era questo il pensiero di Hermione mentre attraversava l'atrio semideserto del Ministero. No, assolutamente.
La cartella che stringeva al petto era gonfia di documenti, si sarebbe fermata in ufficio soltanto per posarla e prenderne un altro paio. Pochi minuti.
«Mamma, posso buttare una moneta nella fontana mentre ti aspetto?» chiese Kathleen, occhieggiando l'elfo domestico d'oro.
«Certo» rispose Hermione frugando nella borsa in cerca di una moneta. Non aveva problemi a lasciare Kathleen da sola. Non solo perché sapeva essere una bambina responsabile e ormai conosceva il Ministro, ma soprattutto perché la guardia che controllava le bacchette all'arrivo, seppur sepolta dietro il suo giornale, non mancava mai di gettare qualche occhiata a sua figlia.
In ogni caso, come aveva predetto, non ci vollero più di due minuti.
Quando tornò nell'atrio trovò Kathleen intenta ad osservare con attenzione qualcosa nelle profondità della fontana.
«Mamma!» la chiamò quando la vide. «Guarda, ho incontrato lo zio Percy e mi ha fato un'altra moneta!» Le disse entusiasta mostrandole una moneta d'oro tenuta tra indice e pollice.
Come la madre, Kathleen era l'unica bambina in grado di trovare Percy interessante. La verità era che era affascinata da tutto ciò che l'uomo conosceva.
«Che bello! Da gettare nella fontana?» chiese Hermione ricambiando il sorriso.
«Mmmh» pensò la bambina imbronciando le labbra. «Non so, perché- oh, mamma guarda! È l'amico di Severus!»
Hermione si voltò in direzione dello sguardo di sua figlia, perso oltre la sua spalla. Dall'altra parte dell'atrio, appena uscito dall'ascensore, c'era Lucius Malfoy.
Alle sue spalle, Severus.
Hermione fece appena in tempo a chiedersi come Kathleen facesse a conoscerlo prima che lo stomaco iniziasse a fare le capriole e il cuore a batterle fin nelle orecchie.
Come se vedesse il mondo attraverso un velo, Hermione vide Kathleen partire di corsa e buttarsi a stringere i fianchi di Severus. Come al rallentatore, registrò le dita lunghe dell'uomo accarezzare la nuca della bambina stringendola brevemente a sé.
Non era possibile. No, no, non lo era.
Si accorse di aver seguito la figlia quando si fermò davanti ai due uomini, un groppo a serrarle la gola e gli occhi che pizzicavano.
Severus alzò lo sguardo, incatenando i loro occhi, ed Hermione si ritrovò costretta a ricordarsi come respirare. Il cuore le batteva ad una velocità tale da farle male, ma più di tutto soffriva perché anche lei avrebbe voluto imitare la figlia, premere il suo corpo contro quello solido dell’uomo e sentire la forza delle sue bracciaavvolgerla.
I palmi le formicolarono ricordando il calore della sua pelle, le sue labbra si schiusero in attesa. Di una parola o di un bacio, non avrebbe saputo dirlo.
«Miss Granger» la voce strascicata di Malfoy ruppe l'incantesimo tra i loro sguardi. «Che piacere. E qui la piccola... Granger, un piacere rivederti» finì, calcando leggermente il cognome come se sapesse.
«Anche io mi ricordo di te» rispose Kathleen con schiettezza. Aveva alzato la testa, ma con una mano si teneva ancorata alla camicia di Severus. «Ma non so come ti chiami» finì dopo una pausa, la bocca storta in una smorfia di disappunto.
Malfoy rise sorpreso, quasi di gusto, ed Hermione si stupì che un uomo del suo calibro fosse capace di un gesto del genere. Ma poi, rifletté, Lucius era padre, e le era fin troppo chiaro come diventare genitori potesse cambiare le persone.
Lo studiò mentre si presentava a Kathleen come un gentiluomo, stringendole la mano e facendola sorridere compiaciuta. Il discorso proseguì, ma lei smise di prestarci attenzione.
Non era l'unica ad essersi accigliata: quando voltò la testa trovo gli occhi di Severus su di sé.
Come se ancora non fosse abbastanza, il cuore le saltò in gola.
Sentì la bocca secca. I cerchi scuri sotto gli occhi che gli aveva visto l'ultima volta si erano fatti più accentuati. Sebbene sbarbato, era chiaro nella tensione delle sue labbra quanto quelle settimane l'avessero impensierito.
Perché, allora, non si era presentato alla sua porta?
«Dobbiamo andare» esordì lui con tono duro, distogliendo lo sguardo. Prese Malfoy per un braccio e lo costrinse a fare un passo indietro.
«Suvvia, Severus, non è così che si salutano due signore» sorrise affabile Malfoy, come se non si fosse accorto del loro gioco di sguardi.
«Dove andate? Non vieni con noi?» chiese Kathleen innocente. Aveva alzato i grandi occhi su Severus e, per la prima volta, lui esitò.
Strinse la mascella e si fermò a mezzo passo, e tanto bastò alla bambina perché si aggrappasse di nuovo alla sua camicia con i pugni stretti.
«Kathleen» sussurrò Severus, evidentemente colpito dalla reazione della bambina. «Devo accompagnarlo a casa» spiegò, posando le sue grandi mani su quelle più piccole della bambina, cercando di dissuaderla a lasciarlo andare.
«Perché? Non può andarci da solo?» insisté.
«Kathleen, basta» cercò di intervenire Hermione, ma, con orrore, si accorse che la sua voce tremava. Strinse i denti, imponendosi che non avrebbe permesso alle lacrime che le pizzicavano gli occhi di scendere.
«No, non può» rispose Severus, ritrovando un po' della sua compostezza.
«E perché?» Ma questa volta una lacrima si unì al tono lamentoso, rotolando sulla guancia. «Perché non vieni con noi?»
Severus sospirò. Poi, con un gesto che aveva già compiuto, ma nessun altro aveva visto, si chinò a raccogliere la goccia con il pollice.
«Vai con la mamma, Kathleen» le bisbigliò con una dolcezza che Hermione non gli aveva mai sentito. Anche Malfoy si era fatto serio, ma lui stava osservando la madre: non si era perso il cambio di espressione, da preoccupata tenerezza a disperata tristezza, né gli occhi pericolosamente lucidi.
«Ma io voglio stare con te» biascicò Kathleen, tirando su con il naso.
Severus espirò lentamente, ma fu ben attento a non alzare gli occhi per incrociare quelli della madre. Hermione, d'altro canto, si sentiva pietrificata, combattuta tra la voglia di evitare alla figlia quella sofferenza e il desiderio che Severus accettasse la sua offerta.
«Stavi gettando monete nella fontana prima, giusto?» Lei annui, le labbra strette per il repentino cambio di argomento.
«Ecco, lanciane una anche per me» continuò Severus porgendole una moneta.
Per accettarla Kathleen fu costretta a lasciarlo e Severus ne approfittò svelto per alzarsi e fare un passo indietro. Fece un cenno veloce con il capo, senza guardare nessuno, poi afferrò Malfoy per un gomito e lo trascinò verso i camini.
Hermione chinò la testa, sentendosi sconfitta ed amareggiata. Vide Kathleen infilarsi la moneta in una tasca, e non poté fare nulla per l'unica lacrima che le bagnò una guancia.
 
 
 
Tre settimane e due giorni.
Tre settimane e due giorni, ma non stava tenendo il conto.
Con le mani immerse nella schiuma nel lavandino, Hermione pensava esattamente a questo.
Lavare i piatti non era essenziale, ma mai come quella sera sentiva il bisogno di tenersi impegnata. L'occupazione che aveva scelto, tuttavia, le lasciava fin troppo margine di pensiero.
Tre settimane e due giorni.
Aveva finto di non soffrire finché era stata la rabbia a mantenere viva la loro separazione, ma da quando l'aveva rivisto si sentiva opprimere da un peso che le impediva di respirare, di dormire, di vivere.
Aveva fatto in modo che Kathleen fosse ancora più impegnata di prima, per evitare che si facesse domande, e aveva ottenuto buoni risultati: dopo cena la bambina crollava stremata, l'assenza dell'uomo in un angolo della sua mente.
«Mamma?»
«Sì?»
«Posso andare a giocare?»
«Sì»
Sapeva, però, che era solo questione ti tempo. Per quanto sarebbero riuscite a reggere quei ritmi?
Non a lungo, purtroppo.
La verità era che Hermione non voleva rispondere perché sapeva chi delle due avrebbe sofferto di più. Kathleen era una bambina, le sarebbe passato, avrebbe dimenticato con il tempo, ma lei? Lei sarebbe riuscita a rendere quella crepa nel suo cuore dolorosamente e irrimediabilmente vera?
Ricordava quanto Ginny soffrisse per Harry nonostante cercasse di dimenticarlo con altri ragazzi, e quanto tempo era occorso perché Ron smettesse di guardarla con occhi pieni di rimpianto, desiderio e sofferenza.
Ma, più di tutto, sapeva quanto i suoi sentimenti si erano fatti forti, quanto sentiva la mancanza delle sue carezze e dei suoi baci.
Sarebbe andata avanti, senza di lui, ma sapeva che mai più avrebbe provato simili sentimenti per qualcuno.
«Mamma?»
«Sì?»
«Ho lavato bene i denti?»
«Sì»
Si rigirò il piatto tra le mani togliendo il sapone da entrambi i lati.
Quanto tempo ci sarebbe voluto, per lei?
Non le importava dimenticarlo, sapeva che non ci sarebbe riuscita, tutto quel che desiderava era smettere di sentire il cuore battere con quella forza quando vedeva una lettera arrivare via gufo, le interiora contorcersi quando il campanello suonava, la testa iniziare a ronzare quando, anche da lontano, vedeva un uomo con i pantaloni neri e la camicia bianca.
Era masochista, da parte sua, desiderare ancora una speranza?
Forse no, se non ci fosse stato tutto quel non detto che c'era fra loro. Perché lui non le aveva permesso di dirlo, quel ti amo che si sentiva incastrato tra lingua e palato.
Forse si, dal momento in cui lui le aveva spedito per posta, pur di non vederla, il restante della pozione per Kathleen. Un addio, il suo, che altro?
«Mamma?»
«Sì, Kathleen, cosa c'è? Che altro, ancora?»
Il piatto le scivolò tra le mani cadendo nell'acqua e schizzando tutt'attorno. Hermione si accorse di aver alzato la voce e vide gli occhi sgranati di Kathleen. Si era ammutolita, chiedendosi cosa avesse fatto.
Chiudendo il rubinetto, Hermione si appoggiò con le mani al piano della cucina. Sospirò, gli occhi chiusi, preparandosi a scusarsi e spiegare alla figlia che non era colpa sua.
«Mamma, stai piangendo?»
La voce sottile di Kathleen le fece aprire gli occhi. Toccandosi la guancia scoprì di averla bagnata.
«Perché sei triste?» Le chiese Kathleen. Hermione sentì la sua mano calda sulla guancia e crollò in ginocchio, soffocando in malo modo un singhiozzo.
Kathleen le gettò le braccia al collo, e in risposta Hermione la strinse forte a sé.
«Non devi piangere, mamma. Non essere triste» cercò di consolarla la figlia.
A quelle parole Hermione sentì un'altra ondata di lacrime sommergerla. Affondò il viso nell'incavo tra il collo e la spalla della figlia, stringendo gli occhi.
«Non è colpa tua, amore» sussurrò. Sforzò la voce ad uscire dalla sua gola serrata, ma faticò a tenerla sotto controllo.
«Lo so, mamma. Anche a me manca Severus»
A quelle parole Hermione non poté impedirsi di gemere, un verso strozzato di dolore. Si sbilanciò all'indietro, poggiando la schiena sugli sportelli della cucina e tirando Kathleen sulle sue gambe. Se la strinse al petto, cercando di trarre da quell'abbraccio un po' di conforto per entrambe.
Certo che l'aveva capito, che lo sapeva. Per sua fortuna e sventura, Kathleen aveva la sua stessa intelligenza intuitiva.
Senza più dire una parola, madre e figlia rimasero sul freddo pavimento di piastrelle finché le guance di entrambe non furono di nuovo asciutte. Nel silenzio rotto solo dai loro battiti del cuore, Hermione aspettò che il respiro della figlia diventasse pesante e regolare. Quando successe la portò nel suo letto.
Insieme, abbracciata alla figlia, quella notte Hermione riuscì a dormire.

 

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Capitolo 18
*** L'intervento di Kathleen ***


Note: lo so, è così tardi che questo è praticamente un aggiornamento di giovedì. Ma, a mia discolpa, posso dire che sono stata così impegnata che ho dovuto partorire questo capitolo in un paio d'ore, perdonatemi gli errori che sicuramente ci saranno. Prima che mi condanniate alla gogna: no, non è finito qui, ma diventava troppo lungo e impossibile da pubblicare in serata. Quindi: volevate il capitolo, questo è ciò che vi tocca. 
Ovviamente si scherza, non vi ringrazierò mai abbastanza!
Un forte abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
 
 
L'intervento di Kathleen
 
 
 
 
Il penultimo giorno di agosto si erse su una Londra sonnacchiosa grigio e carico di nubi. Il risultato fu una cappa di afa e umidità capace di togliere il fiato.
A dar moto agli eventi che avrebbero mosso i giorni seguenti furono, in ordine, un uomo che aveva il vanto di essere passato inosservato per cinque anni, Ginny Weasley, Lucius Malfoy e, infine, Kathleen Granger.
 
 
 
Il primo era avvolto da una sudicia coperta sul tetto di un palazzo di fronte all'abitazione. Per quella sera aveva preso tutte le precauzioni possibili per non perdere il controllo. Precauzioni che avevano incluso un furto, un cadavere nascosto alla periferia della città e una buona dose di fortuna. Il cielo coperto, infatti, gli garantiva la stessa coperta fornita dalla pozione che custodiva con cura nella tasca superiore della camicia sbrindellata.
Stringendo tra le mani una tazza di caffè che aveva visto giorni migliori, iniziò la sua attesa.
 
 
 
Fra tutti, Ginny fu l'unica ad agire con scopi puramente altruistici.
Lei ed Harry erano appena tornati da una vacanza al sud dell'Inghilterra e Kathleen ed Hermione erano venute a trovarli.
Harry, che sfoggiava una discreta abbronzatura in grado di evidenziargli gli occhi verdi, rincorreva la bambina per tutto il prato, facendole emettere strilli acuti quando riusciva ad acchiapparla. Hermione li osservava con i gomiti appoggiati alla veranda, un bicchiere di limonata ghiacciata tra le mani.
Se Ginny non avesse già saputo tutto quello che tormentava l'amica l'avrebbe comunque indovinato: solo la sofferenza per un uomo, infatti, era in grado di far assumere agli occhi quella sfumatura di desiderio negati e agonia malcelata.
«Mi chiedo perché non lo lasci perdere» disse aggiungendo l'amica e appoggiandosi con il bacino sul legno. In quel modo poteva osservare tutte le espressioni di Hermione, e subito vide un lampo di dolore offuscarle gli occhi.
«Proprio tu me lo chiedi, Ginny? Dovresti capire...» rispose con un sorriso di triste ironia. La gettò un'occhiata, ma subito riportò gli occhi sulla figlia.
Ginny si morse un labbro, riflettendo.
La capiva, certo. Anche finita la guerra Harry aveva avuto ritrosie a ricominciare la loro storia interrotta troppo presto, eppure era riuscita a convincerlo.
Ovviamente, aveva impiegato mesi di vestiti scollati e sguardi languidi alternati a broncetti offesi, ma l'aveva convinto. E Harry lo sapeva, l'aveva sempre saputo, che era quella la scelta giusta, ma la paura poteva prendere il sopravvento.
E questa era un'altra cosa che Ginny capiva fin troppo bene.
Ciò che invece le era oscuro era perché Piton continuava a rifiutare una donna come Hermione. Ma, in fondo, da un uomo con il suo passato non ci si poteva aspettare altro.
«Che ne dici di una serata fra sole donne? Io, te e Kathleen?» le chiese, quasi per caso.
Hermione ci pensò mordendosi un labbro. «Non so. Non mi sembra una buona idea: c'è la luna piena e poi-»
«Kat!» la interruppe Ginny chiamando la bambina a gran voce. «Che ne dici di un pigiama party stasera?»
La bambina e Harry si fermarono al centro del prato, ansimanti, a guardarla.
«E io?» chiese Harry, il labbro inferiore sporto in avanti e un tono di voce da bambino innocente.
«Oh, tu potrai chiedere a George» liquidò la questione Ginny con un cenno della mano e uno sbuffo.
Allo stesso tempo, Kathleen accettò con un salto felice e un urletto che le fece alzare le braccia al cielo. Harry fu svelto ad approfitarsi di quel gesto iniziando a farle il solletico, e il loro gioco riprese.
«Ormai è andata» sospirò Ginny tornando ad appoggiarsi, fingendo di essere dispiaciuta.
Hermione la guardò con rimprovero, ma il sorriso sulle sue labbra era troppo evidente ad entrambe.
«Ah, Hermione, cosa faresti senza di me» si vantò Ginny, spingendosi una ciocca di capelli sulle spalle con fare teatrale.
 
 
 
In una tenuta nelle campagne inglesi, senza che nessuna delle due donne potesse saperlo, si era appena svolta una scena analoga. Condita da ironia e non detti Serpeverde.
Lucius sorseggiava dal suo bicchiere pigro, un sorrisetto beffardo a curvargli le labbra sottili. Se avesse saputo che vedere Severus innamorato fosse stato così divertente avrebbe fatto in modo di farlo succedere prima, per allietarsi anche gli anni passati di forzata reclusione.
«Per essere un uomo sposato, Lucius» iniziò Severus allontanando con gesti lenti il bicchiere ancora mezzo pieno. «Sei di vedute preoccupantemente aperte» finì. Parlava con voce strascicata, ma era lontano dall'essere ubriaco. Semplicemente, parlava riflettendo.
Il sorriso di Lucius sfumò in un ghigno.
«La vita è troppo breve per non passarla tra le gambe di qualcuno così disposto... ad aprirle»
L'occhiata che ricevette non poté nulla contro la risata maliziosa che gli era nata nel petto.
Decisamente, si stava divertendo.
Una parte di lui era consapevole che stare in casa così a lungo, con la sporadica compagnia di moglie e figlio e la troppa frequentazione di sbronze e pozioni contro il mal di testa lo stavano facendo ammattire, ma quel giorno gli era fin troppo chiaro il motivo della sua ilarità.
Che avesse torto, però, era tutto da dimostrare: se davvero avesse creduto nella fedeltà incondizionata il suo matrimonio non sarebbe certo durato così a lungo. A confermarlo, in più, era la fine che aveva rischiato di fare Severus: morire per proteggere il figlio della donna che aveva amato e mai stato ricambiato.
Lucius, almeno, aveva ben chiare le prerogative della vita: recluso, sì, ma vivo.
«Forse, amico mio» decise di rispondere infine. «Ma se non prendi tu il boccino lo farà la squadra avversaria»
Con un ultimo sorso di liquore si godette la vista di Severus che si irrigidiva e poi, come scottato, si alzava e usciva dallo studio. Ormai doveva essersi già smaterializzato quando il bicchierino che aveva posato con tanta violenza smise di vibrare sul basso tavolino di legno pregiato.
Scuotendo la testa con una smorfia a metà tra il divertito e l'esasperato, Malfoy si versò un altro bicchiere.
 
 
 
L'ultima ad agire, ma forse la più importante, fu Kathleen.
Aveva preso la sua decisione ormai da giorni, con una caparbietà e una decisione infantili e del tutto egoistici. Adesso, però, esitava.
Con i piedi nudi sullo sgabello di plastica che la aiutava ad arrivare al lavandino, si guardava allo specchio. Assomigliava alla mamma, lo sapeva e glielo dicevano tutti, ma gli occhi erano di quel padre e lei proprio non voleva.
Se avesse fatto quello che voleva fare, però, sarebbe diventata proprio come lui: cattiva.
Passandosi la boccetta tra una mano e l'altra corrugò la fronte. Aveva paura, ma era convinta che se l'avesse fatto sarebbe tornato. E, una volta tornato, tutti sarebbero stati più felici, soprattutto lei e la mamma. La mamma, specialmente.
Pensando a ciò che era successo pochi giorni prima, Kathleen prese la sua decisione: aprì la boccetta e la vuotò nel lavandino.
 
 
 
«Mamma, sono stanca. Posso andare a dormire?»
Hermione si voltò verso la porta. Kathleen era andata in bagno da poco, e lei era rimasta con Ginny sul divano.
«Di già?» chiese sorpresa. Kathleen era entusiasta della serata e non le era sembrata per nulla stanca.
La bambina strinse le labbra e annuì. Aveva le mani strette sull'orlo della maglietta ed Hermione la guardò preoccupata.
«Va bene, allora» disse alzandosi. «Vieni a salutare zia Ginny»
Kathleen si avvicinò di corsa e la cinse in un abbraccio frettoloso. «'Notte» farfugliò prima di fiondarsi nella sua cameretta.
Ginny la guardò interdetta per qualche secondo prima di alzare gli occhi su Hermione, ma anche la madre era rimasta a guardare la porta in cui la figlia era scomparsa con la bocca schiusa.
«Torno subito» bisbigliò come scusa, ma senza guardare l'amica.
Quando entrò nella camera della figlia, Hermione la trovò già sprofondata nel letto e con le coperte tirate fino al naso.
«Tutto bene?» chiese sottovoce, avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto. Iniziò ad accarezzare con mano lieve i capelli di Kathleen, ma lei si limitò, ancora una volta, ad annuire soltanto.
«Sei sicura?» insistette dolcemente.
Kathleen mosse la testa fino a far sbucare la bocca e il mento da sotto le coperte. «Sì, mamma. Ho solo sonno» fece una pausa, le labbra strette come se stesse pensando. «Zio Harry mi ha fatto correre tanto oggi» aggiunse.
Ad Hermione sembrava una scusa, ma Kathleen aveva gli occhi grandi e l'espressione triste ed insistere non le sembrava il caso.
«Ho visto. Ti sei divertita?» chiese allora.
Kathleen annuì di nuovo, ma per la prima volta un sorriso timido si affacciò sul suo viso.
Leggermente rincuorata, Hermione smise di fare domande. Si limitò a stare a fianco della figlia, canticchiando a bocca chiusa, finché i suoi occhi non si chiusero e il suo respiro si fece pesante. Solo allora si alzò, le lasciò un bacio sulla fronte ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
 
«Si è addormentata» disse una volta raggiunta Ginny sul divano. L'amica si era presa la libertà di preparare un the e le porse una tazza.
«Si sarà stancata, oggi» ipotizzò, ma anche il suo tono era esitante.
Hermione sospirò e prese un sorso della bevanda, che sentì scendere calda fino allo stomaco.
«Mi piacerebbe crederlo, ma la verità è che soffre anche lei» ammise, senza il coraggio di guardare in faccia l'amica.
Riconoscere che Kathleen soffriva a causa sua era doloroso. Se non fosse stato per lei, o meglio, se si fosse dimostrata più distaccata e meno presa, forse la bambina non si sarebbe affezionata così in fretta e con quella intensità a Severus. La scena di qualche sera prima, poi, l'aveva segnata. Hermione si era accorta di come, a volte mentre stava giocando, lo sguardo di Kathleen si facesse perso, la fronte corrugata e la bocca premuta sottile a rincorrere un'idea o un pensiero che era evidentemente spiacevole.
Si sentiva colpevole. Avrebbe dovuto proteggerla e invece aveva incastrato entrambe in una rete di sofferenza.
«Forse potresti fare qualcosa per rimediare» le arrivò la voce di Ginny.
Anche se sapeva che l'amica lo faceva in buona fede, Hermione si voltò piccata a quelle parole. Era facile, pronunciarle, ma in concreto cosa avrebbe potuto fare?
Rincorrerlo al Ministero e ridicolizzarsi davanti a Lucius Malfoy e a chiunque altro di passaggio? Raggiungerlo a casa sua e farsi sbattere fuori un'altra volta? Scrivergli una lettera che quasi sicuramente avrebbe stracciato prima ancora di leggere?
Diede le spalle all'antica e si diresse verso la finestra, la bocca tesa in una linea amara.
Se non avesse avuto così male al cuore ogni volta che anche solo lo pensava, se lo stomaco non avesse deciso di chiudersi in morse dolorose ad intervalli del tutto irregolari e apparentemente casuali forse avrebbe anche avuto la lucidità di pensare. Ma era difficile. Troppo. Maledettamente e dolorosamente difficile.
Scostò la tenda e alzò gli occhi al cielo. La brezza che aveva iniziato a soffiare quel pomeriggio aveva spazzato ormai quasi tutte le nuvole: il primo brandello di luna iniziava ad intravedersi tra gli strascichi di una nuvola. Hermione rimase a guardarla finché il suo primo raggio non iniziò ad illuminare la strada sottostante.
Per un attimo le parve una lama di speranza, poi accadde.
 
 
 
Severus non era ancora a letto. Ad essere sinceri, era più che consapevole che non sarebbe riuscito a dormire, quindi riteneva inutile coricarsi e passare le ore a rigirarsi tra lenzuola bollenti.
Molto meglio, invece, fingere di leggere la pagina che ormai da più di mezz'ora aveva davanti.
Aveva bevuto troppi caffè, e adesso il suo cervello continuava a riproporgli ad oltranza le frasi di Lucius contornate dal suo ghigno malefico.
Sapeva bene dove poteva ficcarsele, le sue frasi di circostanza. Nel...
Non finì il pensiero che il telefono iniziò a suonare.
Forse la caffeina, forse il presentimento che gli strinse lo stomaco a quel suono, ma più probabilmente l'idea di chi potesse essere l'unica persona che l'avrebbe chiamato lo fece scattare in piedi ed acciuffare l'apparecchio prima ancora che il secondo squillo sferzasse l'aria.
«Pronto?»
«Professor Piton? Sono Ginny Weasley»
«Wesley? Cos-»
«Non c'è tempo. Deve raggiungerci a casa di Hermione. Si tratta di Kathleen»
 
 
 
Tre minuti dopo stava bussando alla porta che fin troppo gli era familiare. Si sforzò di ingoiare il disagio che gli stava salendo dallo stomaco, ma con la gola secca si rivelò più difficile del previsto.
La porta si aprì silenziosamente, ad accoglierlo la faccia pallida di Ginevra Weasley.
«Professore» bisbigliò lei facendosi da parte.
«Weasley» rispose con un cenno della testa. Entrò nella casa e scandagliò l'ambiente con lo sguardo in cerca di un qualsiasi indizio. Quando non ne trovò, esclusi i cocci di una tazza buttati alla bell'e meglio sul tavolo, si voltò verso la sua ex studentessa.
Aveva la domanda già pronta sulle labbra, ma lei lo precedette. «Sono di là» gli spiegò continuando a parlare sottovoce e indicando con il mento la camera di Kathleen. «È meglio che entri da solo.» Esitò ancora un momento, poi deglutì e si voltò verso la cucina.
Severus la guardò allontanarsi, poi si diresse con passo spedito verso la porta. Sentiva uno sgradito senso di dejà vu, ma non riusciva a spiegarsene il motivo.
C'era la luna piena, lo sapeva (come se avesse potuto dimenticarsi di un evento tanto importante per quella bambina che anche importante lo era, per lui), ma la sua pozione avrebbero dovuto funzionare. Aveva funzionato davanti ai suoi occhi, per Salazar!
Bussò con una nocca, ma non aspettò la risposta. Abbassò la maniglia con la consapevolezza che se avesse dovuto aspettare non avrebbe più trovato il coraggio per incontrarla.
Il cuore mancò un battito quando la vide, ma lo ignorò.
Si avvicinò in silenzio, i suoi occhi addosso che si facevano man mano più grandi. E la voglia di baciarla non era mai stata così forte.
Si schiarì la gola.
Hermione era seduta sul bordo del letto con Kathleen tra le braccia, la testa appoggiata alle sue cosce.
Severus si abbassò in ginocchio davanti a loro e osservò la bambina. Era pallida e sudata, le labbra secche erano socchiuse in cerca di aria e tutto il corpo sembrava scosso da brividi violenti.
«Cos'è successo?» chiese, il sussurro rendeva la sua voce ancora più roca.
«Non lo so. Voleva dormire perché era stanca e quando è spuntata la luna è successo» spiegò Hermione. La voce le tremava e aveva gli occhi lucidi e Severus provò l'istinto di allungare la mano e stringere la sua.
Provò a sopprimerlo, ma poi il loro sguardi si incontrarono e rimasero incatenati per secondi che ebbero il potere di dilatarsi. Sentì il battito violento del cuore contro le costole e per la prima volta in vita sua agì senza curarsi delle conseguenze: allungò la mano e strinse quella di Hermione. Sentì le sue dita ricambiare la stretta con forza e disperazione, e chinò nuovamente lo sguardo.
Kathleen ansimava, ma non mostrava aggressività come la prima volta che l'aveva vista in balia della luna piena. Le toccò la fronte e la sentì bagnata di sudore freddo e appiccicoso.
Involontariamente, lei spostò il viso in direzione della sua mano e Severus intravide le iridi scure.
Come un'illuminazione, tutto si collegò nella sua mente con una chiarezza che solo chi ha conosciuto lo stesso male può riconoscere.
Tremiti. Incoscienza. Sudorazione fredda.
«Ha preso la sua pozione?» chiese con apprensione. Hermione sussultò e lui capì di essere stato troppo irruento, ma non se ne preoccupò.
«Hermione!» la richiamo. Lei aveva aperto le labbra, ma non aveva risposto abbastanza in fretta.
«Sì, gliel'ho data» bisbigliò, sulla difensiva.
«Non hai capito» quasi la interruppe lui, in fretta. «L'hai vista mentre la prendeva?»
Un lampo di comprensione le attraversò veloce lo sguardo. Severus non aspettò la conferma per alzarsi in piedi.
«Dove la tieni?»
«In bagno. Lo sportello in alto» rispose, ma lui era già uscito.
Ritornò pochi attimi dopo con una boccetta tra le mani. Senza guardarla, con gesti rapidi e precisi di un medico costrinse la bambina ad aprire la bocca ed ingoiare la pozione.
Ad Hermione non sfuggì la tenerezza delle sue dita sulla pelle della bambina e alzando gli occhi, incontrando quelli di Ginny che per il trambusto si era affacciata alla porta, si accorse di non essere l'unica.
Un lampo di trionfo le invase il petto, perché finalmente anche l'amica vedeva il motivo per cui non era stata capace a lasciarlo andare, ma fu rapido a scomparire.
Sulle sue gambe, Kathleen iniziò a tossire.
Prima che avesse il tempo di agire Severus infilò le mani sotto le ascelle della bambina e la aiutò a sedersi. Kathleen diede ancora un apio di colpi di tosse, poi aprì gli occhi.
Severus la guardò attentamente, una ruga di concentrazione tra le sopracciglia.
«Stai bene?» le chiese.
Kathleen alzò gli occhi verso Hermione, al suo fianco, poi chinò in fretta la testa. Annuì un paio di volte, le labbra serrate.
«Kathleen» iniziò Severus, la voce leggermente piegata in una vena severa. «Perché non hai preso la pozione?»
La bambina alzò la testa di scatto con gli occhi sgranati, era evidente che non si aspettava di essere scoperta così in fretta.
«L'ho presa!» si sforzò di dire, la voce resa acuta e tremante dalle lacrime che minacciavano di scendere.
«No, non è vero» disse duro Severus. Era certo di ciò che aveva visto: una crisi d'astinenza, pura e semplice.
Kathleen lo guardò e gli occhi le si riempirono di lacrime. Cercò di trattenere un singhiozzo, ma subito dopo un altro la scosse tutta facendole sobbalzare le spalle.
Hermione allungò una mano con l'intento di abbracciarla, ma la bambina si sbilanciò in avanti buttandosi tra le braccia di Severus.
L'uomo, per istinto, la cinse con una mano e gettò l'altra indietro per attutire la caduta. Alzò gli occhi su Hermione, confuso, ma lei non poté che ricambiare la sua incomprensione.
Sebbene, nel profondo, avesse già capito tutto.
«Non serve a niente piangere, bambina» disse tornando a rivolgersi a Kathleen. La voce bassa e carezzevole suonava dolce, ma non nascondeva una nota impacciata. «Però rispondi»
«Io- io» tentò Kathleen, la faccia affondata nel petto di Severus e le mani strette sulla sua camicia, così forte da far sbiancare le nocche.
«La mamma era triste e io-» Un altro singhiozzo. Severus alzò gli occhi su Hermione e vide la sua espressione. Nascondeva la bocca con una mano, ma le lacrime impigliate tra le ciglia sapevano di tenerezza e comprensione.
«Se io stavo male tu tornavi» confessò infine. I singhiozzi si erano leggermente placati, ma ancora non dava segno di voler mostrare il viso.
Severus cercò di scostarla gentilmente per le spalle, ma lei si mostrò irremovibile.
«Non andare via!» gridò la bambina. L'angoscia che sentì nella sua voce fece stringere la mascella a Severus e nascere un fiotto di senso di colpa nel suo petto. Aveva un sapore acido e bruciava come bile, Severus si obbligò ad ignorarlo, ma sentì nascere nelle sue mani lo stesso desiderio della bambina di stringerla in un abbraccio.
Facendo forza, la alzò sul letto. Inginocchiato fra le sue gambe cercò i suoi occhi.
«Kathleen, ascoltami»

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Capitolo 19
*** L'intervento di Kathleen - Seconda parte ***


Note: allora, amici, altro capitolo breve, ma è la continuazione di quello precedente. Ecco arrivare la luce di speranza che tutti stavamo aspettando, per il seguito aspetterò: oggi ho preferito lasciarvi con questa nota non troppo amara; penso ne abbiamo tutti bisogno. Nonostante la lunghezza spero lo apprezzerete: non è stato facile scriverlo, ma ne sono abbastanza soddisfatta. Inoltre, ci stiamo avviando verso l'epilogo, due o tre capitoli, penso, ma non di più.
Come sempre, grazie a tutti voi (non so se avete notato, ma abbiamo raggiunto le 100 recensioni!).
 
Un forte abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
L'intervento di Kathleen - Seconda parte
 
 
 
«Kathleen, ascoltami»
In ginocchio sul morbido tappeto bianco sporco, le mani appoggiate morbidamente sul lenzuolo stropicciato, Severus cercò gli occhi della bambina. Erano stanchi e arrossati, ma così grandi e tondi da sembrare senza fine.
Per la prima volta, Severus si accorse della sua bellezza. Non era come le bambine che spesso si era ritrovato a guardare con disapprovazione: tutte guance piene e rosee e occhioni e tenerezza. Kathleen aveva lineamenti fini, quasi schivi, e anche con i capelli più disordinati che mai Severus vide la donna che avrebbe potuto essere. Orgogliosa ed elegante. Come un lupo.
«Ascoltami» ripeté, ma con fatica, perché il cuore aveva deciso proprio in quel momento di strizzarsi e ricordargli che anche lui era umano e anche lui si inteneriva davanti ad una bambina.
«Sei arrabbiato con me?» chiese Kathleen, la voce strascicata e acuta. Severus notò la forza con cui strinse il fazzolettino di carta tra le mani.
Aprì la bocca, ma non ne uscì niente. Alzò lo sguardo verso Hermione, e trovò i suoi occhi già su di sé come uno Schiantesimo in pieno petto. Nonostante la tristezza, lo guardava con accusa e sfida.
È colpa tua, accusavano.
Ora risolvi la situazione, sfidavano.
Cercando di non fare danni, aggiunse tra sé. Ma su questo punto era alquanto dubbioso: quando mai nella sua vita era riuscito a non peggiorare una situazione? Persino sotto la guida di Silente non era riuscito a fare ciò che doveva.
«No» rispose riportando l'attenzione sulla bambina. «No» ripeté con più convinzione. Ancora una volta, come sempre, mentiva: era arrabbiato, accecato da un'ira furente, ma contro se stesso.
«E allora perché non stai con noi?» chiese ancora la bambina, con la sua ingenuità disarmante capace di ferire ancor più di un coltello affondato nelle carni.
Perché è un cretino, avrebbe risposto Lucius al suo posto. E nello stesso modo, forse in termini meno scurrili, anche Albus.
Deglutì, cercando le parole. O forse il coraggio necessario per ammettere la verità.
Ma qual era, quella verità? Non era più sicuro di saperlo, di vedere i suoi chiari confini. Come poteva spiegare ad una bambina che le voleva bene, si era innamorato di sua madre, che non avrebbe fatto altro che stringerle per tutta la vita, ma non poteva stare con loro?
Non aveva senso.
La vita non era in bianco e nero, ma di un grigio osceno. Lui l'aveva imparato nel peggiore dei modi, ma non avrebbe infranto l'infanzia, già di per sé breve, di quella bambina. Avrebbe lasciato che il tempo, nel suo incessante proseguo, facesse sbiadire il suo ricordo fino a renderlo un marginale personaggio dei suoi primi anni a cui ripensare occasionalmente con un breve sorriso.
Ancora una volta, quindi, mentì.
«Devo fare un viaggio, Kathleen. Molto lungo» rispose con la voce che riuscì a trovare, stupendosi di quanto ferma e poco dura suonasse.
«Dove vai?» Tirò su con il naso, ma sembrava leggermente rincuorata da quella spiegazione logica.
«Ancora non lo so, ma - lontano. È il mio lavoro» spiegò.
«E quando torni vieni da noi?» Chiuse gli occhi brevemente, concedendosi un lieve momento di debolezza.
Ancora domande, ancora coltellate a ciò che gli rimaneva del cuore, ancora dolore.
Anni e anni a cercare raffinate tecniche di tortura per carpire i segreti più oscuri quando è sufficiente lo sguardo e la fiducia di un bambino per far crollare anche il più stoico fra gli uomini. Il Signore Oscuro avrebbe dovuto saperlo.
Ma non ci avrebbe creduto, gli ricordò la sua coscienza nella crudele imitazione di Silente. Perché non è la bambina, ma ciò che provi per lei. È l'amore.
Tornò a guardarla e per la terza volta, e pensò l'ultima della sua vita, allungò una mano ad asciugarle una lacrima. «Sei stanca?» Le chiese, il pollice che si trascinava sulla pelle morbida come una carezza che aveva tutta la voglia di trasformarsi in un gesto consolatorio.
Kathleen strinse le labbra. «Un po'» ammise con quasi colpevole.
«Allora riposati- » gli sembrava inadatto concludere la frase in quel modo, ma non trovò altro da aggiungere.
Hermione parve accorgersene e spinse con gesti dolci e delicati la bambina a coricarsi. Severus, sempre consapevole della sua presenza al suo fianco, rimase incantato a guardarla. Guardare le sue mani, il suo lieve sorriso rassicurante, i suoi occhi traboccanti tenerezza.
Non aspettò che lei si voltasse nella sua direzione: scattò in piedi, ignorando il dolore alle articolazioni per la prolungata immobilità, e si diresse verso la porta.
Si accorse della presenza della Weasley. Lei, ammise, se l'era dimenticata, e con un tuffo al cuore si accorse che i suoi gesti non erano passati inosservati.
Sul viso della donna, comunque, non vide segni di scherno, ma una comprensione che lo lasciò confuso. Fece un passo avanti, e per un momento Severus pensò che avesse l'inconclusionata idea di fermarlo, ma lei voltò lo sguardo su Hermione.
«Ci penso io, stai tranquilla» sussurrò dolcemente.
Hermione si alzò, Severus iniziò a camminare.
 
 
Hermione si chiuse la porta alle spalle nel modo più silenzioso possibile, godendosi un'ultima occhiata di Kathleen abbracciata a Ginny.
Severus aveva quasi raggiunto la porta, ma lei coprì la distanza che li separava con pochi lunghi passi.
«Severus, fermati!» Gli intimò. Si sentiva lo stomaco aggravato da un peso che aveva tutto il sapore del senso di colpa, ma non l'avrebbe lasciato andare. Non c'era nessun Lucius Malfoy o impiegato impiccione in vista a impedirle di dire ciò che voleva.
«So che non sei stata tu, il mio comportamento è stato deplorevole, non c'è bisogno che mi ringrazi per stasera» rispose lui, tirando avanti e senza voltare lo sguardo.
«Fermati, ti ho detto!» Agguantò il suo polso con entrambe le mani e lo strattonò. Riuscì a farlo voltare per metà, e incontrò i suoi occhi ansimando leggermente.
«Spiegati» disse secca, prima che il riflesso della sua commozione intaccasse la sua decisione. Perché era stato toccato, dal gesto di Kathleen, lo aveva visto nel modo in cui l'aveva guardata, accarezzata. Se lei si sentiva in colpa come poteva sentirsi lui?
Ma no, no! Non era il momento di empatizzare. Doveva approfittarsi di quel dolore, quell'apertura, e affondarci il coltello fino al manico. Era crudele, ma non l'avrebbe fatto andare via senza le risposte che aspettava da tanto, troppo tempo.
Severus distolse lo sguardo e deglutì, ma non cercò di liberarsi dalla sua stretta. Le sue dita, anzi, ebbero un fremito, come se volessero stringerla ma fossero costrette a non farlo.
«So che non sei stata tu a fare quelle dichiarazioni, ho fatto le mie... indagini» disse lentamente, poco più di un sussurro.
«Questo non spiega proprio niente» infierì Hermione, nascondendosi dietro il tono petulante per non far trapelare quanto quella frase fosse bastata ad accendere una fiammella della speranza che credeva ormai spenta: lo sapeva. Non le aveva detto niente, ma lo sapeva, che non era stata lei.
L'uomo sospirò, ma continuò a fissare corrucciato un punto davanti a sé. «Sapevo che non eri stata tu e ho fatto in modo di scoprire il colpevole. Mi sono anche accertato che non... trapelino altre informazioni... importanti» concluse, piano.
Era un modo per dirle che aveva convinto Rita a non rivelare chi fosse la figlia di Greyback?
Lo guardò a bocca aperta, perché sembrava che la sua intuizione fosse giusta, sebbene non un muscolo nell'espressione dell'uomo si fosse mosso.
«Come?» sussurrò, ma subito si accorse che in verità non voleva saperlo, non voleva sprecare il tempo che aveva a disposizione con stupide domande su Rita Skeeter. «No, no - non importa» si corresse in fretta. «Non è importante, non stasera» si passò una mano sugli occhi.
All'improvviso si sentiva stanca. Stanca di nascondere segreti, stanca di combattere contro un uomo deciso a renderle la vita impossibile, stanca di doversi portare appresso gli strascichi di una guerra che la vedevano come vittima, ma che la macchiavano in tutti gli ambiti in cui fosse entrata.
«Perché non me l'hai detto, perché non sei tornato da me?» trovò la forza di chiedere. La gola le si chiuse in un groppo doloroso, ma si costrinse a continuare. «Perché sei fuggito quel giorno al Ministero, perché continui a scappare da me?» Stava urlando, ma non le importava. Sentiva la rabbia nei suoi confronti tornare ad infiammarle il petto, facendole venir voglia di colpirlo fino a farsi male e baciarlo fino a farsi mancare il fiato.
«Qual è il tuo problema, Severus?» Gli chiese, alzando le mani e spingendolo sul petto. Lui arretrò e non fece niente per fermarla, limitandosi a guardarla con quegli occhi che urlavano sofferenza e una supplica di pace. «È perché ho una figlia? Perché sono una Grifondoro?» Continuò implacabile, spuntando le parole con sarcasmo. «Perché farti vedere con me macchierebbe la tua reputazione da pozionista?» Ad ogni parola un colpo sul petto, e faceva male come se a riceverli fosse il suo stesso cuore. «Dio, Severus, cos'ho sbagliato, non sono abbastanza
Con entrambi i pugni chiusi sulla sua camicia lo spinse forte, facendolo arretrare fino a spingerlo con la schiena contro la porta. Avrebbe voluto continuare, ma si sentì schiacciare dal peso di quelle parole. Chinò la testa, ansimando e chiudendo gli occhi che sentiva pizzicare di lacrime.
Non voleva dire quello che le era scappato di bocca, i dubbi che le bruciavano dentro e che cercava di ricacciare. Ma loro, testardi, risalivano in superficie. Voleva delle spiegazioni, un dialogo razionale, ma aveva perso il controllo.
Subito dopo si sentì le guance inondare di uno scomodo calore. Si era comportata come una ragazzina e pretendeva che lui, uomo fatto e finito, la trattasse come sua pari.
Che stupida.
«No, non pensarlo nemmeno»
Fu un sussurro così basso che non fu sicura di averlo udito finché non sentì le sue mani posarsi sui suoi pugni chiusi, calde e rassicuranti. Con il pollice le accarezzò le nocche, leggero come una piuma, e forse fu per quello, quella sua delicatezza innata e nascosta come una debolezza, a far percepire ad Hermione con chiarezza il tremito delle sue dita.
«Non sei tu, Hermione» continuò con dolcezza. Le mani si spostarono lungo le braccia fino ad arrivare alle spalle e, lì, esitarono. Hermione pensò (sperò) che lui l'avrebbe stretta, invece la scostò da sé. «Non pensarlo, tu sei... troppo» le prese il mento tra le dita e la costrinse a fissarlo negli occhi.
Hermione cercò di evitarlo, ma la leggera pressione la costrinse a desistere. Appena cedette sentì il cuore sprofondare: le sue dita tremavano, ma i suoi occhi. Merlino, i suoi occhi! Erano gravidi di tenerezza, appesantiti da un senso di colpa e una rabbia così palesi da far male.
Hermione sentì lacrime calde sgorgare e bagnarle le guance, e non fece nulla per fermarle.
«Ma non lo capisci che tutti che entrano a far parte della mia vita finiscono con l'avere la loro rovinata?» Il tono era dolce, ma non abbastanza per rendere meno amare quelle parole e il loro significato.
Hermione scosse la testa, ma lui la tenne ferma, incatenata ai suoi occhi a subirne tutta la sofferenza ed impotenza.
«Non è vero» disse, testarda, assomigliando in quel momento più che mai a sua figlia.
«Sì, lo è» ribatté impietoso. «Lucius, Albus...» Prima ancora del nome Hermione ne sentì il colpo allo stomaco. «Lily»
«È la mia vita, so decidere per me!» Lo sfidò. Non avrebbe fatto in modo che il suo nome finisse ad allungare una lista e un peso che aggravava quell'uomo.
«No, non lo sei» bisbigliò lui, un angolo della bocca alzato in un tentativo di sorriso, ma che era solo tristezza.
Non poteva più guardarlo. Fece un passo indietro, chinando la testa. Lui la lasciò andare, abbandonando le mani lungo i fianchi. Chiuse gli occhi, Hermione, costringendosi a pensare. Non voleva, non poteva, lasciarlo scivolare via.
«E così parti» sussurrò, riempiendo il silenzio con l'unico argomento che le fosse venuto in mente.
«Sì» rispose solamente Severus, sospirando.
Hermione tornò a guardarlo. Si sentiva distrutta, emotivamente e fisicamente, ma alzò la testa con orgoglio. Sua figlia si era sacrificata perché tornasse e lei l'avrebbe trattenuto, continuando quella battaglia finché non avesse vinto: Severus era la prima cosa che la figlia le avesse chiesto esplicitamente, e l'avrebbe ottenuto.
Perché questo era ciò che voleva Kathleen, ma soprattutto era ciò che voleva lei.
«Puoi illudere Kathleen che è una bambina, ma non me. Hai intenzione di tornare?» Lo sfidò.
Severus sembrava impassibile, ma entrambi sapevano che quella non era solo una domanda, ma la risposta definitiva. Tutto o niente. Era con le spalle al muro, letteralmente, posto davanti ad un bivio: scegliere tra andarsene e restare, combattere e arrendersi, tra rimorsi e rimpianti.
Il silenzio si dilatò tra loro, ma Hermione non cedette. Non parlò, continuando a fissare l'uomo, decisa più che mai a non dargli appigli per evitare la domanda. Alla fine, lui cedette.
Con un sospiro chinò la testa e le spalle, come schiacciato dal peso che per troppo aveva retto e che era stanco di sopportare.
«Non posso rovinare anche voi» sussurrò, ancora una volta così piano che sarebbe stato facile fingere che quelle parole non erano mai state pronunciate.
Hermione lo guardò e nella mente le ripassarono le immagini di tutto ciò che avevano condiviso. Comprendeva le motivazioni dell'uomo, ma sapeva che entrambi si sarebbero pentiti se si fossero arresi. Così, quasi senza saperlo, pronunciò le uniche parole in grado di far cambiare idea all'uomo.
«Io ti ho già perdonato, Severus, perché non riesci a farlo anche tu?»
Lui alzò la testa di scatto, gli occhi sgranati e quasi spaventati, ma lei si avvicinò fino a prendergli una mano. Aveva dita sempre calde, ed Hermione ne approfittò, stringendole tra le sue, per rubargli un po' del suo calore e farlo proprio.
Non lo immaginava, e sussultò quando accadde, ma lui ricambiò la stretta. All'inizio con esitazione, poi con forza, quasi disperazione.
Hermione appoggiò la testa alla sua spalla e sospirò. Si pensa che i muri, a crollare, facciano rumore, ma la sua era stata una resa muta e dignitosa. Non c'era bisogno di parole, quella stretta, dal sapore dolceamaro, conteneva in sé tutto ciò che entrambi avevano bisogno di sapere. Era un'affermazione: sì, sarebbe tornato, e per rimanere.
E fu ciò che disse, con voce esitante e vibrante. «Quando tornerò... ti offrirò una cena»
Hermione si scostò, alzando la testa e mostrando un sorriso che di stare nascosto proprio non ne voleva sapere. «È un appuntamento?» Chiese, l'espressione leggermente maliziosa.
«Sono un uomo all'antica» ammise lui, un angolo della bocca alzato con ironia.
Hermione si alzò sulla punta dei piedi per arrivare alla sua bocca, ma lui, fluido, scivolò via dalle sue braccia. Con un passo all'indietro aprì la porta e uscì sul pianerottolo, senza mai lasciarle la mano.
Guardandola negli occhi, una scintilla di sfida e ironia nello sguardo, poso le sue labbra sul dorso della sua mano, ora caldo.
Hermione ricambiò l'occhiata riflettendo il suo stesso stato d'animo. Avrebbe aspettato, perché sapeva che lui sarebbe tornato.

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Capitolo 20
*** Greyback ***


Note: anche se in ritardo imperdonabile, ecco il nuovo capitolo, spero che l’attesa sia valsa a qualcosa, personalmente, non mi lascia del tutto soddisfatta. In ogni caso, come sempre, grazie a tutti voi.
 
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
Greyback
 
 
 
Era lì, appena al di là della quercia.
Facile. Era fin troppo facile.
Ghignò. Che diamine, se per una volta le cose gli andavano per il verso giusto non si sarebbe di certo lamentato.
Poteva sentire il suo odore anche a quella distanza: che non fosse una bambina come gli altri non poteva essere più evidente. Odorava di cucciolo addomesticato, ma lo sentiva, tutto il suo potenziale: aveva il suo sangue nelle vene, era sua figlia.
L'aveva spiata durante la luna piena e non aveva più dubbi. C'era un lupo, in lei, e lui le avrebbe insegnato a non reprimerlo, esprimendone il massimo potenziale.
Gli animali non sono fatti per vivere in gabbia, lui lo sapeva bene. Insieme, sarebbero stati liberi.
 
 
 
Hermione guardò Kathleen giocare tranquilla vicino all'altalena. Era quasi deserto, il parco, quel pomeriggio infrasettimanale.
Kathleen si era ripresa in fretta dall'avventura notturna di qualche giorno prima, ma non si era evitata una bella sgridata: era piccola, ma doveva esserle ben chiaro che mai, per nessun motivo, avrebbe dovuto mettere in pericolo la sua salute per attirare l'attenzione di qualcuno.
Nonostante questo, però, Hermione si sentiva segretamente contenta. Severus aveva accettato. Fra pochi giorni sarebbe partito per la Russia a cercare delle particolari radici che crescevano soltanto con il freddo. Le aveva confessato di aver accettato quel viaggio con l'intento di andare il più lontano possibile, ma nel modo in cui l'aveva detto entrambi avevano capito che la fredda solitudine delle steppe non avrebbe fatto altro che enfatizzare i suoi pensieri.
Avrebbe voluto stare con lui più a lungo, ma l'aveva salutata, guardandola con occhi capaci di farla bruciare. Era già stata guardata con desiderio da alcuni uomini, ma nessuno aveva quella passione ardente nello sguardo come Severus.
Distratta dal ricordo di quei momenti impiegò un po' ad accorgersi che il telefono stava squillando.
 
 
 
Si avvicinò mantenendo sulle labbra un sorriso sottile per non mostrare i denti rovinati e anneriti dal tempo. Era fortunato che fosse ancora così piccola da non far caso all'abbigliamento, perché chiunque avrebbe diffidato di un uomo con indosso laceri pantaloni grigi e una giacca che gli cadeva in lembi stropicciati ai lati del corpo.
«Ciao. Sei Kathleen, giusto?» Disse quando fu in vista, stupendo anche se stesso di quanto graffiante fosse diventata la sua voce in anni di quasi totale disuso.
Lei si voltò di scatto e lo guardò con i suoi grandi occhi neri così familiari. Il taglio era della madre, tondo ed innocente, ma il colore, il coloro era l'esatta sfumatura di nero che vedeva quando aveva la possibilità di guardarsi in uno specchio.
«Non avere paura. Mi chiamo Fenrir» continuò, vedendola immobile, ma non fece nulla per avvicinarsi.
«Non ho paura» rispose lei, con voce alta e cristallina, la fronte corrucciata ma il mento sollevato con orgoglio. Poi, forse ricordandosi che non avrebbe dovuto parlare con un uomo spuntato dal nulla, fece un passo indietro.
Era la prima volta che Fenrir aveva la possibilità di vederla così da vicino, e sentì un moto di violenta fierezza invaderlo.
Fece una risatina, che gli grattò la gola come tabacco. «Lo vedo, sei molto coraggiosa» la lodò, ma lei non cambiò atteggiamento, continuando a guardarlo con la stessa espressione di un cerbiatto messo in allarme da un rumore lontano.
«Sai chi sono, Kathleen?» continuò, calmo. «Sono il tuo papà»
Lei sgranò gli occhi e fece un altro mezzo passo indietro, ma non c'era reale convinzione.
«Io non devo parlare con te. Sei cattivo» disse, ma l'uomo aveva visto la nuova luce che le era comparsa nello sguardo: il riconoscimento di un simile appartenente alla stessa specie. 
Rise, sinceramente divertito. «E chi ti ha detto così, la mamma?»
Lei annuì, seria e accigliata. Era sulla difensiva, Greyback vedeva tutto il suo corpicino teso e pronto alla fuga.
«Ma io non ti farei mai del male, sono il tuo papà» disse cercando di sembrare rassicurante. Funzionò, perché le spalle si rilassarono, seppur impercettibilmente. «E poi se avessi voluto ferirti non mi sarei fatto vedere, non credi?» continuò sorridendo sghembo.
Gli angoli della bocca di Kathleen guizzarono verso l'alto, ma lei fu svelta a prenderne il controllo. Ormai, però, la vittoria era vicina. Nel suo sguardo c'era curiosità, adesso.
«Sei davvero il mio papà?» Chiese, inclinando la testa su una spalla.
Fenrir si leccò le labbra pensando a cosa rispondere. Doveva essere cauto, si disse. Un passo falso e tutto sarebbe stato rovinato.
«Certo che lo sono. Vuoi la prova?» Chiese sottovoce, chinandosi in avanti come per condividere un segreto. Lei annuì, protendendosi verso di lui quasi inconsapevolmente.
Greyback sfruttò quel vantaggio prolungando l'attesa. Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno li stesse guardando, poi si avvicinò di un passo alla bambina. Chinandosi ancora di più - era così piccola - sussurrò: «Sono un lupo anch'io, quando c'è la luna piena»
La reazione fu immediata: Kathleen trattenne il fiato rumorosamente, gonfiando le guance colorate dal sole e dal gioco.
«Davvero?» Bisbigliò, guardandolo con tanto d'occhi. Fenrir annuì, il sorriso che si faceva famelico sulle labbra.
«E se vieni con me ti spiegherò tutto» la invitò tendendole una grossa mano.
Kathleen fece scivolare gli occhi dal suo viso alla mano tesa, soffermandosi sui calli e sulle unghie lunghe, poi si voltò a vedere la madre.
«È bello essere un lupo, Kathleen. Vieni con me a scoprirlo» disse suadente l'uomo per richiamare la sua attenzione. La bambina si voltò verso di lui con ancora un'ombra di tentennamento sul viso. Lo guardò pensierosa, con occhi da adulta, occhi da animale che soppesa i rischi del concedere la sua fiducia.
«Solo per un po', poi torniamo a prendere la mamma. Non vuoi passare un po' di tempo con il tuo papà, Kathleen?»
La bambina fece vagare gli occhi ancora una volta sul suo viso, poi, senza ulteriori esitazioni, gli prese la mano.
 
 
 
«Pronto?»
«... -Ion... Io...»
«Cosa? Chi parla?» Chiese aggrottando la fronte e cercando di comprendere qualcosa sotto il rumore della linea disturbata. Dopo una pausa, la voce tornò di nuovo.
«Hermione? Sono io!»
«Ron?» Chiese Hermione aprendosi in un sorriso reso titubante dalla sorpresa.
«In persona»
«Oh, Ron, che sorpresa! Non immaginavo di sentirti. Dove sei? Come stai?» Iniziò a parlare in fretta.
«Siamo al nord della Francia, stiamo per tornare. Forse già stasera se non abbiamo imprevisti»
«Sono così felice. Sembrano passati secoli da quando sei partito» disse alzando gli occhi al cielo, di un azzurro infinito.
«A chi lo dici, ho così tante cose da raccontarti» Hermione poté sentire il sorriso anche senza vederlo, immaginando la felicità nei suoi occhi che sentiva trasparire così concretamente dalla voce.
«Anche qui sono successe molte cose» disse, quasi fra sé, pensando a ciò che era cambiato in quel breve lasso di tempo.
«Appena torno... Oh, scusa, devo andare. Penso che Luna stia di nuovo cercando di infilare qualcosa di vivo nelle valige. Ci sentiamo!»
Prima che Hermione riuscisse a rispondere la linea era già caduta. Ripose il telefono con un senso di felicità volatile: le era mancato, Ron. Erano mesi che non lo vedeva e, anche se sapeva che non avrebbe gradito subito il suo coinvolgimento con Severus, non poteva impedirsi di essere impaziente.
Desiderosa di condividere la notizia con la figlia, alzò gli occhi per ispezionare il parco, senza trovarla.
Così incredula da non voler prendere in considerazione l'ipotesi peggiore, passarono minuti prima che smettesse di girare per il parco con occhi spiritati. Poi, fu il panico.
 
 
 
«E che cosa fa un lupo?» Chiese Kathleen alzando i grandi occhi curiosi sull'uomo al suo fianco.
«Oh, molte cose» rispose deliziato.
«Sì, ma cosa?» insisté.
«Mh, vediamo» iniziò accigliandosi: non si era aspettato tutte quelle domande, ma forse avrebbe dovuto pensarci. «Ti piace correre?»
La bambina annuì, un sorriso agli angoli delle labbra.
«Ecco, un lupo corre quanto vuole, quando vuole» rispose con evidente soddisfazione.
«Wow» commentò Kathleen con un pelo di meraviglia. «Dev'essere bello»
«E lo è» fu la pronta risposta, detto sotto un ghigno compiaciuto. Anni e anni passati a mordere bambini e crescerli come mannari riluttanti quando la soluzione era costringere qualche donna ad aprire le gambe e avere cuccioli suoi. Se l'avesse saputo prima le cose sarebbero andate in modo diverso.
«Ma tu diventi proprio un lupo-lupo? Un lupo vero?» Continuò con le domande Kathleen, dopo un attimo di silenzio in cui l'immensità di poter fare ciò che voleva le si apriva davanti come un futuro mai considerato.
«Certo» rispose Greyback con una punta di orgoglio e incomprensibile.
«Ah» disse Kathleen, la fronte aggrottata. Lei, e lo sapeva, della luna piena subiva solo l'influenza negativa restando costretta in quel corpicino minuto.
«Ma lo diventerai anche tu, alla prossima luna piena» le disse l'uomo, un burbero e stentato tentativo forse di rincuorarla.
«E come?» Chiese guardandolo, la speranza che ballava nel fondo dei suoi occhi neri.
«Ti aiuterò io»
«Davvero?» Meraviglia, ecco l'emozione che le aveva fatto schiudere la bocca e alzare le sopracciglia.
L'uomo ghignò, senza rispondere. Certo, si disse, un morso e sarebbe stata sua. Perché non gli importava la fragilità delle sue ossa da infante e la bambagia in cui era cresciuta, lei era sua. Sangue del suo sangue, unico esemplare in grado di riportare in gloria i vecchi sogni. Un branco, loro due avrebbero creato e dominato un branco. E poi i suoi nemici avrebbero tremato.
 
 
 
La polizia babbana era stata allertata e una squadra di Auror era già stata dipanata per le ricerche. Harry si era attivato non appena Hermione aveva detto le poche informazioni indispensabili: si era materializzato al Ministero e mandava informazioni ogni ora sul telefono.
Hermione, troppo spossata, lasciava che fosse Ginny a leggere gli aggiornamenti. Tanto lo sapeva, che erano inutili.
Stava sul divano con la testa abbandonata tra le mani, le lacrime che bruciavano dietro le palpebre e che si rifiutava categoricamente di far cadere. Sentiva la nausea, mischiata ad un senso di totale impotenza, roderle lo stomaco e salire a chiuderle la gola. In più, il senso di colpa: come poteva non essersi accorta che Kathleen si era allontanata?
Senza che se ne accorgesse, un gemito strozzato lasciò la sua gola.
Sentì delle mani calde - forse di Ginny, forse di Molly - sulle spalle, e provò il bruciante desiderio di scostarle con un gesto brusco. Ma non fece nulla, immobile, impotente, in attesa.
Un crack fuori dalla porta fece muovere in allarme le due donne, ma non Hermione. Non era sua figlia, lo sapeva. Lo sapeva grazie allo stesso istinto che le aveva stritolato le viscere la prima volta che aveva incontrato gli occhi ancora velati di Kathleen e aveva capito che, nonostante tutto, lei l'avrebbe amata.
Il ricordo di quell'immagine le fece salire un'altra ondata di lacrime al viso, ma le ingoiò con il groppo doloroso che le rendeva difficile respirare.
La sua Kathleen, la sua bambina.
Le voci si spostarono in salotto e un Harry distrutto crollò sul divano di fronte, Hermione non alzò nemmeno la tesa. Quante ore erano passate.
Non lo sapeva. Tante, troppe. La sera era scesa da così tanto tempo che la luna spendeva con insolenza, incurante come sempre del loro dolore.
«Hermione» disse Harry cauto. Probabilmente aveva detto altro, ma aveva attirato la sua attenzione solo chiamandola per nome. «So che ti chiedo molto, ma prova a ricordare, non c'è nessun posto che ti aveva detto di voler visitare? Magari dove si rifugiava o che la faceva sentire al sicuro»
Iniziò a scuotere la testa prima ancora che finisse di parlare.
No, no, Kathleen non si allontanava. Conosceva le regole, non sarebbe mai scappata senza prima avvertirla. Era un concetto che conosceva bene, e ancora meglio dopo la punizione che le aveva dato per essere scappata dal centro estivo per andare da...
«Severus...» sussurrò, una preghiera a fior di labbra. «Severus» ripeté con maggior convinzione alzando la testa se incontrando lo sguardo di un Harry più che perplesso.
«Oh, come ho fatto a non pensarci prima?» Disse alzandosi, parlando fra sé, le mani tra i capelli. «Ma certo, devo andare da lui. Sicuramente, sicur-»
«Dove vai?» La interruppe Harry scattando in piedi, tutti i muscoli tesi e pronti all'azione.
Hermione si voltò, stupita e scrollata dall'irruenza della sua voce.
«Da Severus, ovvio. Sicuramente sarà là, da lui» spiegò con tono ovvio, perché era così chiaro che anche loro avrebbero dovuto capirlo.
«No, no. Tu non vai da nessuna parte» disse Harry, frapponendosi fra lei e la porta.
Hermione si fermò un momento per guardarlo con astio. Chi pensava di essere per impedirle di andare a trovare la sua bambina? Come pensava di poter comprendere la profonda angoscia che prova una madre che non conosce informazioni sulla posizione di suo figlio?
«Togliti, Harry» disse. Un sibilo minaccioso, una minaccia rabbiosa.
«No, Hermione. Sei troppo coinvolt-»
Non finì, perché Hermione fece quello che lui non si sarebbe mai aspettato: raccolse la tensione sulle cosce e scattò in avanti.
Se Harry non avesse avuto un addestramento da Auror probabilmente ce l'avrebbe fatta, ma lui riuscì ad agguantarla all'ultimo allungando un braccio e cingendole la vita. Hermione iniziò a scalpitare, bloccata impotente al suo petto, e avrebbe continuato finché non fosse riuscita a liberarsi se la porta non si fosse aperta proprio in quel momento.
«Eccomi, famiglia, sono tornato!»
Zaino in spalla, barba incolta e abbronzatura da viaggio, Ron entrò nella stanza con un sorriso felice che sfumò all'istante. Il suo sguardo si soffermò sulle espressioni angosciate della madre e di Ginny e sulla posa compromettente di Harry e Hermione. Poi, con voce cupa e le sopracciglia corrugate, diede voce ai suoi pensieri.
«Che sta succedendo?»
 
 
 
«Ma dove andiamo? Perché non c'è la mamma?»
Kathleen aveva freddo e iniziava ad avere paura. L'uomo - il suo papà - non le piaceva più così tanto come alla luce del parco. Le aveva promesso di riportarla indietro, invece erano in una casetta abbandonata e fredda, senza cena e senza mamma.
Lei voleva conoscerlo, è vero, ma ancora di più voleva tornare a casa.
«Dove andiamo?» chiese di nuovo, il tono lamentoso.
«Sta' zitta, bambina» rispose Greyback, senza guardarla. Stava leggendo dei fogli che occupavano tutto lo spazio dell'unico tavolo di legno nella stanza.
Kathleen si strinse le braccia al corpo. Se almeno fosse stata seduta su una poltrona le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini non avrebbero avuto i brividi, ma il pavimento era duro e ghiacciato.
«Ma tu-»
«Ho detto sta' zitta!» Gridò l'uomo colpendo con un pugno il tavolo.
Kathleen sussultò e sentì le lacrime traboccare dagli occhi e bagnarle le guance sporche.
«Voglio la mamma» si lamentò ancora, il corpicino tremante che comunque non si arrendeva.
Greyback buttò con violenza i fogli sul tavolo e si avvicinò al suo angolo fino a sovrastarla. Si chinò su di lei sfruttando la sua mole per incuterle ancora più paura, poi scoprì i lunghi e sporchi denti appuntiti in un sorriso che avrebbe detto rassicurante, ma che aveva tutta l'intenzione di essere una muta minaccia.
«Ti conviene stare in silenzio, bambina, perché se mi fai arrabbiare la mamma non la vedrai neanche più da lontano»
Terrorizzata, Kathleen affondò il viso tra le braccia conserte, bagnandole di lacrime e sforzandosi di soffocare i singhiozzi.
 
 
 
Molly se n'era accorta, che era cambiato. Forse non molto, forse qualcun altro non l'avrebbe notato, ma lei era sua madre e poteva dirlo: era cambiato.
Rom era rimasto seduto sul divano e aveva ascoltato il tutto con un cipiglio cupo e concentrato sul viso abbronzato. Mai una volta aveva interrotto se non per qualche domanda ben contestualizzata e atta a capire meglio.
Si era fatto uomo.
Se non fosse stata in una situazione tanto disperata, Molly avrebbe sorriso.
 
Per spiegare tutto a Ron alla fine si era deciso che lei rimanesse. Hermione aveva acconsentito in fretta. Non perché ne avesse voglia, ma perché perdere tempo in quel momento era la cosa peggiore che potessero fare.
Più che altro, comunque, era stata Ginny a parlare, e lei era rimasta ad ascoltare passivamente senza intervenire.
Ron non aveva commentato, e lei moriva dalla voglia di abbracciarlo. Se il senso di colpa che sentiva non l'avesse inchiodata al morbido cuscino si sarebbe già alzata e avrebbe iniziato a ragionare lucidamente.
Il telefono squillò e questa volta lo prese in mano per prima, per non disturbare il racconto di  Ginny.
Harry era stato conciso, ma quelle poche parole affondarono in lei come pugni e bastonate impietose.
 
Kathleen non è qui. Stiamo arrivando.

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Capitolo 21
*** Avvistamento ***


Note: eccomi tornata! Chiedo scusa a tutti per questa lunga attesa, ma il capitolo proprio non ne voleva sapere di uscire. Ho cercato di forzarlo, ma aggiornare due volte a settimana senza avere i capitoli pronti mi stava prosciugando; non era più un piacere per la creazione e condivisione della storia, ma si stava trasformando in un dovere. Quindi, piuttosto che sfornare un capitolo oggettivamente brutto come l’ultimo, ho preferito aspettare.
Sono soddisfatta di questo? No, ma è il meglio che sono riuscita ad ottenere.
Spero che a voi possa piacere di più, ma in caso contrario non esitate a armi notare i miei errori.
Vi rubo ancora un momento per ringraziarvi, tutti, da chi legge a chi recensisce. E un grazie speciale a chi si è preoccupato scrivendomi messaggi privati, questo capitolo è per voi.
 
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Avvistamento
 
 
 
 
 
Harry e Severus arrivarono pochi minuti dopo, stropicciati dal vento che scendeva impietoso dalle nuvole grigie e con l'espressione di chi avrebbe preferito trovarsi con chiunque tranne che la persona affianco.
Nonostante la piega contrariata della bocca, appena Severus scorse Hermione gli occhi si ammorbidirono assumendo una sfumatura preoccupata che a malapena fu nascosta dalla solita espressione imperturbabile.
Molly, così sensibile ai cambiamenti d'animo altrui, percepì subito quello sguardo, e si stupì nel sentirsene commossa. Ginny, attenta quanto la madre, notò anche l'espressione di Hermione: non era solo sollievo, era la gioia disperata di un uomo rimasto in prigionia che per la prima volta apre gli occhi ad un cielo luminoso, nonostante il sole bruci le retine fino alle lacrime. Ron, appena tornato da mesi a stretto contatto con un essere umano della portata di Luna Lovegood, si accorse di entrambe le cose e si stupì di tutte e due, ma, più di tutto, scoprì che per la prima volta vedere l'amore di Hermione palesemente indirizzato verso qualcun altro non lo ferì in profondità. Dentro di sé, se ne rallegrò, ripensando che poche ore prima aveva salutato una lunga chioma bionda con la stessa luce negli occhi.
 
 
 
Se quella bambina non avesse smesso di piangere avrebbe fatto in modo che smettesse personalmente. Odiava i piagnistei, ma ancor di più odiava vedere come i suoi geni, il frutto dei suoi lombi, la sua eredità, fosse così debole.
L'aveva scrollata, poco prima, e l'unica risposta che aveva ottenuto era stato un singhiozzo acuto e dei segni rossastri sul suo braccio pateticamente magro.
Avrebbe dovuto morderla, sperava soltanto che sarebbe sopravvissuta. Quell'esserino era l'unica possibilità di riscatto che aveva: di quei tempi muoversi per avere nuova carne fresca era troppo pericoloso. Un passo falso e si sarebbe trovato le bacchette degli Auror puntate in posti che avrebbe preferito tenere ben lontani da punte acuminate.
A proposito di bacchette, avrebbe dovuto procurarsene una nuova.
In attesa che il suo contatto si facesse sentire, avrebbe agito. La bambina sarebbe rimasta nella catapecchia, era troppo pericolosa e inesperta riguardo le sottili arti del muoversi con circospezione prima di un furto.
Uscì senza curarsi di spiegarle nulla e sbattendo la porta, il suo unico accorgimento fu quello di gettare un incantesimo affinché la figlia non uscisse e non venisse scoperta.
 
 
 
Hermione alzò la testa al suono della porta che si apriva. Sapeva che sarebbe stato lui grazie allo stesso istinto che le faceva capire che la figlia era troppo lontana da lei.
Si alzò di scatto, inciampandosi. Braccia pallide e accompagnate da capelli rossi la strinsero, ma non si curò di sapere chi fosse. Si precipitò nella sua direzione e un fianco colpì l'alto schienale di una poltrona, ma questa volta c'erano le sue braccia a prenderla.
Affondò il viso nel suo petto stringendo la camicia tra le dita, accorgendosi solo marginalmente di graffiarlo. Mormorò il suo nome, ma la voce fu soffocata dalla stoffa fresca che profumava di pozioni e di pioggia.
Sentì le sue mani - calde, sempre calde - sfiorarle i gomiti. Tremavano, e in quella sottile esitazione Hermione capì che desiderava stringerla tanto quanto lei: incurante dei graffi, incurante del dolore.
Le dita strinsero con più decisione i bicipiti e la scostò dolcemente dal suo corpo. Chinò leggermente la testa per incontrare i suoi occhi ed Hermione si perse nel suo sguardo come un annegato che smette di lottare perdendosi nella beatitudine dei flutti.
«Hermione» disse, e il tono sicuro non tradì l'apprensione che gli occhi urlavano.
Lei prese fiato, ma dalla bocca non uscì una risposta. Cosa avrebbe potuto dire, poi?
Sorprendersi che era arrivato? L'avevano chiamato, era ovvio che sarebbe venuto.
Strinse ancora le mani ai suoi fianchi, stringendo tra i pugni la camicia, desiderosa soltanto di sprofondare nuovamente nel suo abbraccio e di trovare a qualche giorno prima, quando lui la salutava con la bramosia negli occhi e sua figlia era al sicuro nel suo letto.
Il labbro inferiore le tremò, ma ancora non trovò la forza di dire nulla. Qualcosa, negli occhi di lui, la dissuase dal dare sfogo a tutta la sofferenza che sentiva al posto del cuore, un peso ancorato al diaframma che le impediva di respirare.
«Devo andare a cercarla» esalò, la supplica di una madre che fa male, che fa breccia anche nel cuore più duro.
Lui non rispose, inclinò leggermente la testa da un lato, studiandola. Gli occhi indugiarono sulla bocca, sul labbro che lei aveva morso nervosamente nelle ore precedenti fino a sentire il sapore del sangue sulla lingua. Con un gesto lento, quasi si muovesse contro i suoi pensieri razionali, alzò la mano fino a posarla sulla sua guancia. Il pollice accarezzò il labbro martoriato, e anche in un tocco così leggero Hermione riuscì a cogliere tutta la profonda voglia che aveva di lei.
«Lo sappiamo entrambi chi è stato» sussurrò Severus, la misera soluzione confessata come una colpa. Aveva gli occhi socchiusi, come se il vederla meno potesse fungere da barriera al dolore che sentiva di infliggerle con quella notizia.
Se non avesse avuto le sue mani addosso, probabilmente Hermione avrebbe accusato il colpo come uno schiaffo in pieno viso. Si accasciò un poco, sentendo tutta l'aria abbandonare i polmoni.
Si sentiva compressa: una mano che le stringeva la gola per non farla respirare e non le rendeva possibile pensare.
Avrebbe dovuto pensarci, si disse con rabbia. Perché lo sapeva, che correva quel rischio, eppure si era distratta. E ora si ritrovava così sconvolta da non riuscire a mettere in atto un piano ed essere concretamente utile alla ricerca di sua figlia.
Ma Kathleen era la parte migliore di lei, la bambina che aveva visto nascere, che aveva sentito crescere prima dentro di lei e poi l'aveva vista stentare i primi passi, i primi sorrisi. Aveva gioito per il primo dentino, passato notti insonni a massaggiarle la pancia e si era commossa fino alle lacrime la prima volta che si era sentita chiamare mamma e aveva ricevuto in regalo un disegno, anche se aveva comportato il divano macchiato e un tappeto rovinato.
Poteva essere solo una bambina, ma Kathleen era la sua vita e poteva forse un essere umano, una donna, vivere senza il suo cuore?
Non poteva perderla. Perderla avrebbe significato perdere se stessa, tutto ciò per cui aveva lottato, i desideri e i sogni e le idee per il futuro.
Sentì il desiderio di arretrare, sottrarsi alle mani calde che erano tornare a stringerle gli avambracci per sostenerla. Vedeva stampata sulle retine l'immagine ghignante di Greyback come lo era stato nel momento in cui si era liberato dentro di lei, piantando il suo seme in profondità e in modo ineluttabile. Ghignava soddisfatto, perché finalmente aveva ottenuto ciò che voleva. Non gli era bastato rovinarle la vita, era tornato per prendere Kathleen, con cui disgraziatamente condivideva il sangue.
Hermione sentì un verso strozzato, da animale braccato, risalirle la gola, ma lo soffocò insieme alle lacrime che sentiva pesanti negli occhi. Non avrebbe pianto.
Sentì rumori attorno a sé e tornò ad alzare lo sguardo, annebbiato.
«Lasciami andare, Hermione» disse Severus, guardandola con espressione attenta.
Hermione si accorse di star stringendo la sua camicia con tanta forza da avere le nocche bianche, ma non riuscì a rilassare le dita.
«Non posso perderla» disse, stranamente calma. La sua voce, alta e tranquilla, suonò così estranea da penetrare il caos che stava invadendo la stanza. Il silenzio calò e lei lo sentì amplificato come se fosse sola in mezzo alle dune. O forse era solo la calma piatta che era scesa nella sua mente a farle percepire ogni cosa distante.
«Non succederà, la troveremo» intervenne Harry.
Hermione si mosse lentamente, convalescente, girando il volto verso di lui. Dallo stato in cui vide i suoi capelli immaginò ci avesse passato le mani molte volte nel corso delle ultime ore.
«Io la devo trovare» rispose, il tono ancora distante, metallico, robotizzato. Aveva messo da parte i sentimenti per ragionare in modo lucido, ma si sentiva vuota, sfinita. Non poteva più sopportare tutta quell'angoscia, ma quella distanza non faceva che acuire il suo senso di colpa, come se rinnegare il dolore equivalesse a nascondere sotto il tappeto l'amore doloroso che sentiva nei confronti della figlia.
«No»
Hermione si voltò di scatto, gli occhi sgranati.
«Non ci sarai di nessun aiuto in questo stato»
Si scostò da Severus come se l'avesse colpita. Il suo tono duro la fece tornare ad essere la bambina spaventata che lo guardava tremante dietro un banco più pesante di lei.
«Non ti permettere. È mia figlia e-»
«E proprio perché è tua figlia che starai qui. Sei troppo emotiva e i tuoi sentimenti sono pericolosi» sancì interrompendola. Distolse lo sguardo e fece un cenno con la testa ad Harry, poi fece un passo indietro, pronto a voltarsi e andarsene.
Harry ricambiò il cenno, poi si voltò verso Ginny. Condivise con lei uno di quegli sguardi capaci di far nascere invidia a chiunque, da cui trasparivano amore e comprensione e totale fiducia.
Severus aveva già superato la porta, ma quando Hermione allungò la mano trovò subito il suo corpo. Lui si voltò per metà, guardandola da sopra una spalla con un'angolazione che metteva in risalto il suo naso aquilino.
«Riportamela, Severus» mormorò Hermione. Non c’era resa, nella sua preghiera, né rassegnazione. Era pura e semplice fiducia.
Gli occhi di lui si ammorbidirono, mostrando per un attimo la cruda preoccupazione e l'amore selvaggio che nutriva nei suoi confronti.
Annuì soltanto, ma per Hermione fu il gesto più carico di significato che avesse mai potuto fare.
 
 
 
Severus odiava il Ministero.
Non era un sentimento astratto, una generica mancanza di fiducia, era un odio viscerale, che sentiva nascere dai suoi ricordi. Era costretto a tornarci per ottenere il permesso per i suoi viaggi, saltuariamente accompagnava Lucius per quegli stupidi controlli a cui lo sottoponevano, ma ogni volta si tratteneva lo stretto necessario.
Ora, nella sezione Auror, alle calcagna di Potter e Weasley, si sentiva riportato indietro di anni, quando era costretto a fare da balia a quei due ragazzini troppo poco svegli per tenersi fuori dai guai.
Si appoggiò ad una scrivania, le braccia incrociate, mentre i due ragazzi frugavano tra documenti apparentemente mai messi in ordine.
«Miseriaccia, Harry, dovresti far ordinare l'archivio più spesso. È un inferno qua dentro!» si lamentò Ron scostandosi con una mano una ciocca di capelli troppo lunghi dalla fronte. Indossava ancora gli abiti con cui era tornato, e sembrava estraneo e fuori posto in un ambiente asettico come il Ministero.
«Non posso fare tutto io, Ron» rispose seccato Harry, la fronte corrucciata.
«Pensavo fossi il capo del Dipartimento» insisté il rosso, allargando le braccia esasperato.
La risposta fu un verso scocciato, più un tentativo di obbligarsi a non strozzarlo. «Guarda in quello scaffale, dovrebbe esserci una testimonianza di un ultimo avvistamento»
Ros si avvicinò senza commentare oltre verso i documenti che l'amico stava indicando, ma fu interrotto dalla voce lenta di Severus.
«Che sarà completamente inutile, Potter. Perfino un idiota come Greyback sa che deve tenersi ben lontano dal luogo in cui è stato visto»
Harry si voltò nella sua direzione con rabbia, negli occhi la stessa espressione di quando gli venivano tolti ingiustamente dei punti.
«Oh, e dove dovrebbe nascondersi allora?» Chiese sarcastico. Aveva l'impressione che l'uomo cercasse di fargli perdere tempo, ed era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.
«Dove l'ha sempre fatto: nei rifugi dei Ghermidori» rispose serafico Piton, alzando un sopracciglio con ovvietà.
«Li hanno già controllati tutti» intervenne Ron, lo sguardo che oscillava tra l'amico e l'ex professore, quasi volesse indossare il ruolo di pacificatore.
«Tutti quelli che avete scoperto, Weasley» fu la risposta.
Harry gettò i fogli per terra e si diresse a grandi passi verso l'uscita, costringendo tutti a muoversi in gran fretta.
 
 
 
«Avremmo dovuto pensarci prima» sussurrò Harry. Aveva la schiena appoggiata ad un tronco e la bacchetta in mano, lo sguardo fisso sulla casetta fatiscente in mezzo al verde che avevano davanti.
«Chiedere ai Mangiamorte di collaborare nelle indagini, intendo» continuò, non avendo ricevuto risposta. Lanciò un'occhiata al professore, poco distante, ma la sua espressione non tradiva emozioni.
«L'avevo capito, Potter» rispose secco, un bisbigliò che quasi poteva essere scambiato per il rompersi di un rametto.
Ron era dall'altra parte della radura, la prima squadra che avrebbe avvistato Greyback avrebbe mandato un segnale agli altri.
«Peccato l'insignificante problema che non possiamo intervenire con nessun incantesimo» continuò Severus. Il tono era acido, ma non c'era la rabbia a cui Harry era abituato.
Ad essere onesto, erano anni che non sentiva più quel disprezzo rivolto nei suoi confronti. Ginny amava prenderlo in giro dicendo che aveva iniziato a venerare l'ex professore, ma la verità era che sentiva una profonda ammirazione per quell'uomo. Lui stesso, pur essendo stato definito Ragazzo Prodigio e Salvatore del Mondo Magico, non sapeva se avrebbe avuto lo stesso coraggio necessario per sostenere per anni la maschera di spia.
«Io sono felice per lei e Hermione, sa?» Confessò a mezza voce, con un sorriso. Quella frase ebbe il potere di attirare la sua attenzione: Severus gli concesse una lunga occhiata, lanciata con aria guardinga. Ma non era necessario essere un esperto di cinesica per interpretare il sorriso aperto e sincero di Harry. Da tempo aveva capito che l'amica non avrebbe condiviso la sua vita con un uomo chiunque: bisognava essere speciali, per conquistare il cuore di Hermione.
«Penso davvero che-»
«Risparmiami il sermone, Potter» lo interruppe brusco, ma c'era un velo di imbarazzo nel modo in cui distolse lo sguardo per riportarlo alla catapecchia.
Harry aprì nuovamente la bocca. Iniziava a divertirsi, e avrebbe voluto insistere un pochino, ma ancora una volta fu zittito da un gesto brusco.
Bastò un cenno della mano di Piton perché svanisse il sorriso, quando vide ciò che l'uomo stava indicando sentì la tensione tornare a raccogliersi nelle spalle: Greyback, infagottato in un cappotto lacero, si stava facendo strada tra i cespugli.

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Capitolo 22
*** La (quasi) fine dei problemi ***


 
Note: ed eccoci qui! Nuovo capitolo, stessa fatica, ma spero vi piacerà tanto quanto quello scorso. A proposito, un grazie enorme a tutti voi: siete fantastici e senza il vostro costante supporto questa storia sarebbe probabilmente arenata.  
Un abbraccio,
Crudelia

 
 
 
 
La (quasi) fine dei problemi
 
 
 


C'era odore di pioggia, di terra bagnata. Kathleen lo sentiva anche dal suo angolino, accucciata con le ginocchia al petto e contro il muro.
Suo padre - ma no, no! non voleva più chiamarlo così - se n'era andato. Se fosse stata più coraggiosa, come lo era stata la mamma nelle avventure che le raccontava, sarebbe scappata. Ma aveva troppa paura.
Paura di restare sola, paura del buio del bosco, paura di perdersi. Soprattutto, paura di trovarsi quell'uomo davanti appena avrebbe aperto la porta, ghignante con il suo sorriso tutto denti aguzzi e terrore.
Quindi si rannicchiò un po' di più, le mani a stringere le caviglie e il viso affondato tra le gambe. Aveva fame, sete e freddo. E voleva andare a casa. Voleva la mamma, i suoi abbracci caldi e profumati come le torte della domenica. Voleva il suo peluche, le storie della buonanotte e il bacio del buongiorno.
Ma non solo quello. Si sarebbe accontentata anche delle cose brutte, pur di riavere la sua mamma: la spazzola che si incastrava nei capelli al mattino, gli sguardi di disapprovazione che non avevano bisogno di essere accompagnati da parole, le punizioni quando faceva qualcosa di sbagliato.
Anche quello andava bene, ma voleva andare a casa. E voleva la mamma e Severus e zio Harry e zia Ginny e Teddy e zio Ron e sì, anche Victorine andava bene. Solo, non voleva più essere sola.
No, proprio non voleva.
 
 
 
Si muoveva furtivo. Strisciava, quasi. Come un topo.
Severus sentì un moto di disgusto scuotergli lo stomaco. Ricordava, fin troppo bene, i giorni (gli anni!) in cui era stato costretto a stretto contatto con quella sottospecie di essere umano. Sadico e senza scrupoli parevano quasi complimenti per uno come lui, capace di mordere bambini, gioire di una morte e macchiarsi di peccati tanto orrendi quanto impronunciabili.
Ricordava fin troppo bene ciò che aveva detto ad Hermione, che l'aveva ammirato. Oh, ma quanti anni aveva quando un uomo poteva suscitare la sua stima per il solo semplice fatto che non si vergognava per ciò che era?
Sedici, probabilmente. L'età in cui era stato più stupido.
Proprio un coglione, a dir la verità, suonò strascicata la voce di Lucius nella sua mente, pronta a correggerlo sempre in peggio.
Ma era vero, comunque, dovette ammettere.
In quel momento, però, vedendo Greyback ridotto a poco più di un animale affamato, non ricordò nulla degli antichi sentimenti. Solo disgusto, appunto.
Greyback fece ancora qualche lungo passo, portandosi in prossimità del centro della radura, e si fermò, il viso in aria come se volesse annusare il vento.
Severus allungò alla cieca un braccio verso Potter. Agguantò la prima porzione di corpo che riuscì ad afferrare e lo spinse giù, verso l'umida terra fredda. Potter emise un morbido gemito, e Severus strinse ancora di più le dita sulla carne del giovane che si trovava contro il palmo.
Era una fortuna, per loro, che il cielo fosse pronto a scaricare in una notte sulla terra tutta l'acqua che aveva raccolto durante quei caldi mesi estivi. Le nuvole, nere come un fumo tossico, oscuravano luna e stelle.
Anche quella mancanza di luce, pensò Severus, era pura fortuna. Se fosse stato solo, immaginò, non sarebbe mai successo, ma era con Potter. E Potter era Potter, il Ragazzo Sopravvissuto Perché Ho Una Fortuna Sfacciata Ad Ogni Occasione Della Mia Vita.
Sentì il forte desiderio di sbuffare crescere nel petto, quasi isterico. Si schiacciò un po' di più contro la terra, sentendo l'umidità penetrare la camicia e infondergli nel petto e sull'addome una spiacevole sensazione di viscido freddo.
Passarono attimi immobili, poi Greyback ricominciò a camminare. Lentamente, come se al posto degli alberi fosse circondato da una folla di ammiratori urlanti, si avvicinò alla catapecchia. Tronfio, con un gesto inopportunamente esagerato, aprì la porta. Poi entrò.
 
 
 
«Tieni, cara, bevi un po'»
Molly poso l'ennesima tazza di the sul tavolo della cucina. Ginny alzò gli occhi al cielo, ma non commentò: l'idea inglese che il the avrebbe potuto risolvere tutti i mali del mondo si era un po' radicata anche in lei, in fondo.
Hermione prese la tazza tra le mani, per scaldarsi le dita, ma non l'avvicinò alla bocca. La tempesta di emozioni che aveva provato da quel pomeriggio l'aveva lasciata stanca, spossata. Non arresa, quello mai, ma anche l'angoscia che dormiva come un gatto pigro nel suo stomaco appariva ora offuscata.
«Grazie, Molly» biascicò, probabilmente troppo in ritardo. Ottenne comunque in cambio un sorriso smorto, appena un alzarsi degli angoli delle labbra.
«Vedrai che la troveranno. Sono in gamba, i nostri ragazzi» tentò di rassicurarla Arthur, arrivato e messo a correre della situazione per ultimo.
Hermione stirò le labbra in quello che nessuno mai avrebbe riconosciuto come sorriso, ma che tutti accettarono come risposta. Il problema non erano i ragazzi, come li aveva chiamati Arthur, ma la presenza di Severus. O meglio, la sua non presenza al suo fianco.
Era un uomo d'azione, e lo sapeva, eppure una parte di lei non poteva che desiderare che lui fosse rimasto al suo fianco, a rassicurarla sul fatto che gli Auror avrebbero fatto il loro lavoro e le avrebbero riportato sua figlia tutt'intera. Era egoista, come pensiero, ma non poteva evitarselo.
«Ho bisogno di una boccata d'aria» disse d'un tratto, un pensiero improvviso fattosi parole quasi a sua insaputa.
Uscì sulla veranda lasciando il the intoccato a raffreddarsi sul tavolo. Alzò gli occhi al cielo, sulle grosse nuvole nere, e iniziò ad aspettare la pioggia.
 
 
 
Harry aveva inviato il silenzioso segnale alle altre coppie di Auror, e sperò che arrivasse abbastanza in fretta da permettergli di non fare irruzione con Piton. Che, per inciso, non era affatto autorizzato a partecipare ad un'azione del genere. Se solo avesse perso il controllo, anche solo sferrato un pugno, avrebbe subito un processo.
Lasciò che lo sguardo vagasse nella sua direzione, e ancora una volta di pentì di aver permesso la sua presenza. Piton, pur mantenendo un contegno degno di nota, era chiaramente impaziente. La bacchetta era stretta saldamente in una mano e gli occhi fissi sulla porta. Se gli sguardi avessero il potere di bruciare l'intera casupola sarebbe già stata in fiamme.
«Ancora un attimo» sussurrò, come se dovesse giustificarsi davanti ad un uomo che neanche doveva essere lì.
Piton sbuffò, sprezzante. «Ho fatto irruzione anch'io in una casa, Potter. Non ci va così tanto»
Harry non rispose, poteva immaginare in quali frangenti l'uomo aveva invaso una proprietà altrui, ma lui rappresentava l'autorità e non poteva certo comportarsi come un pazzo.
«Un minuto» disse ancora, parlando a sé stesso. Se entro un minuto non li avessero raggiunti sarebbero intervenuti. Lui sarebbe intervenuto.
Rimase a fissare la lancetta dei secondi che si muoveva lenta verso la fine del tempo, poi si alzò.
«Ora»
 
 
Severus guardò Harry prendere fiato. Aveva dato la sua parola che non avrebbe preso iniziative, ma non era tanto sicuro di poterla mantenere.
Sfondare la porta, in ogni caso, risultava compromettente fin da subito anche per lui, per questo si limitò ad aspettare con le spalle al muro Potter che raccogliesse l'energia nelle cosce e nell'addome. Avrebbe potuto lanciare un incantesimo, ma il ragazzo (che evidentemente aveva imparato qualcosa durante il suo percorso di Auror) sapeva che se ci fosse stato un incantesimo protettivo sulla casa sarebbe stato respinto indietro e scoperto. Il Mondo Magico, e le sue difese, ancora non prendevano in considerazione gli attacchi perpetrati nel modo Babbano.
Gli occhi di Harry saettarono nella sua direzione, fece un breve cenno con la testa e colpì la porta che cedette con sorprendente facilità. Le vecchie assi di legno caddero sul pavimento con un tonfo sordo e polveroso, e i due uomini entrarono pestandole senza cura.
Severus si sarebbe aspettato un ambiente buio e fetido, ma la sua intuizione era giusta per metà. L'odore di muffa e alcol stantio era quasi nauseante, ma una piccola luce fioca illuminava la sola ed unica stanza. Era posata su un tavolo, apparentemente l'unico addobbo della casa, e gettava una luce inquietante sull'uomo chinato ad esaminare le carte sparse sulla superficie di legno.
Al suono della porta divelta l'uomo alzò lo sguardo, la sua espressione passò in pochi secondi da aggressiva a sarcastica, e Severus si ritrovò davanti agli occhi quel disgustoso sorriso capace di riportarlo indietro nel tempo, quando sulle sue spalle gravava non solo il mantello da Mangiamorte ma anche il fardello di spia.
«Ah, Harry Potter» sospirò Greyback allargando le braccia in segno di benvenuto e riuscendo a suonare deliziato. «E Severus, che piacere. È sempre bello ricevere visite da vecchi... amici»
Se anche fosse stato spaventato non l'avrebbe mai dato a vedere. Severus conosceva così bene il suo modo d'agire che non si preoccupò di rispondere e iniziò a frugare con lo sguardo la stanza. Era buia, sì, ma contava di vederla.
«Non fingere, Greyback. Sappiamo che la bambina è qui» disse Harry, parlando con tono alto e sicuro e senza distogliere gli occhi dal lupo mannaro. La bacchetta, stretta forte nelle sue dita, era scattata all'altezza del petto non appena aveva scorto la sua presenza.
Un altro punto per Potter, pensò sarcastica la sua mente nell'unico angolo non impegnato a seguire Grayback e cercare in ogni anfratto al contempo.
Greyback latrò quella che doveva essere una risata, e Severus si sentì nascere dei brividi al fondo della schiena. «Fingere? Non vedevo l'ora di vedervi» scoprì i denti aguzzi, una vomitevole minaccia.
Perché Kathleen non era ancora in vista? Non era forse lì, possibile che si fosse sbagliato?
«Basta con i giochetti, Fenrir, vogliamo la bambina» disse Severus con la voce dura.
C'era stato un tempo in cui il lupo mannaro era intimorito dal braccio destro di Voldemort, e al suono di quella voce un'eco di quel timore tornò a trillare nella sua mente. Fu lesto a nasconderlo dietro un sorriso.
«Ah, Severus, sempre così di fretta...» si leccò le labbra come un gatto e Severus capì ancor prima di sentire le sue parole che aveva sbagliato: un suo intervento era tutto quello che Fenrir aspettava.
«Non vuoi sentire la storia di come è stata messa al mondo? Mi sembra ancora di sentire l'odore della pelle di sua madre» chiuse gli occhi, evocativo. Anche la voce aveva assunto una particolare sfumatura: un uomo che si appresta a raccontare gli splendori passati.
Severus si impedì con violenza di rispondere, stringendo la mascella fino a farsi male.
«La bambina, Greyback. Dicci se è qui o puoi anche iniziare a sentire l'odore di Azkaban» lo riportò alla realtà Harry con voce dura. Lo teneva ancora sotto tiro con la bacchetta, ma non poteva essere più evidente che Greyback si curava di lui tanto quanto di un moscerino.
«No? Che peccato» un lampo malizioso passò nei suoi occhi, fissi in quelli di Severus. «Avrei condiviso con te l'immagine delle cosce di sua madre. A me le ha fatte vedere, tu puoi dire lo stesso?» E scoppiò a ridere, nel suo modo tanto simile ad un latrato, capace di mettere i brividi.
Severus distolse lo sguardo. Se non l'avesse fatto l'avrebbe colpito, lo sapeva. Il solo pensare ad Hermione, alla sua pelle (che lui aveva tanto accuratamente cercato di evitare per non impazzire) sotto le unghie luride di quel mezzo animale gli mandava il sangue al cervello, accecandolo di una rabbia troppo potente.
Harry disse qualcosa che interruppe a metà la risata sguaiata di Greyback, ma Severus non colse le parole: proprio in quel momento, l'aveva vista. Se ne stava accucciata in un angolo, le ginocchia strette al petto e gli occhi rossi di pianto. Era lontana, ancora più piccola di quanto apparisse normalmente, ma Severus vide con chiarezza la sua morbida bocca da bambina muoversi a formare il suo nome.
Senza distogliere gli occhi dai suoi, neri tanto come quelli del padre ma infinitamente più belli, alzò la bacchetta. Fu quasi un sussurro, una dolce promessa pronunciata con amore.
Con le orecchie piene del suono delle gocce che iniziavano a cadere, disse la parola che era al contempo una liberazione e una condanna.
«Stupeficium»
 
 
Harry vide il lampo rosso e l'uomo cadere con un crescente senso di orrore che gli cresceva nel petto. Non era dispiacere per la persona che era appena stata colpita, ma chi aveva lanciato l'incantesimo.
Come se vivesse una scena al rallentatore, si voltò verso Piton. «Che cosa le è saltato in mente? Non sa ch-» le sue parole vennero sommerse dall'arrivo di una Strillettera proveniente dal Ministero che iniziò ad elencare tutte le leggi e restrizioni che Severus aveva appena infranto con il suo gesto. Nello stesso momento, diversi pop che indicavano maghi appena materializzati circondò l'aria.
Harry, però, non colse niente di tutto quello. Con gli occhi sgranati, assisteva all'unica scena che mai avrebbe pensato di poter vedere in vita sua. Kathleen era spuntata all'improvviso dietro un angolo del tavolo, di corsa, le braccia tese e le guance bagnate di lacrime. Se Harry fu sorpreso dal vederla dirigersi verso Piton lo rimase ancora di più quando vide l'uomo abbassarsi su un ginocchio, aprire le braccia ed accogliere in un abbraccio la bambina.
Kathleen si strinse al suo collo afferrando con le mani pallide e tremanti il primo angolo di camicia che riuscisse ad afferrare. Affondò il viso nell'incavo tra il suo collo e la sua spalla, erompendo in un acuto singhiozzo di liberazione.
Severus si sollevò tenendola stretta contro il suo petto. Se la sistemò meglio facendola sedere su un avambraccio, poi alzò una mano ad accarezzarle i capelli. Harry lo vide chinare la bocca verso Kathleen e iniziare a sussurrarle qualcosa all'orecchio. Quelle furono le uniche parole che continuò a pronunciare. Ciò che disse a lui e agli altri Auror fu soltanto «Devo portarla da sua madre»
 
 
 
Hermione era rientrata quando il freddo della pioggia si era fatto intollerabile, ma non era più riuscita a stare ferma. Continuava a passeggiare irrequieta nello spazio tra il camino e il divano, camminando tanto che avrebbe potuto consumare il parquet.
Quando sentì aprirsi la porta era nell'angolo più lontano dalla porta, ma appena vide chi la stava varcando riempì in due rapidi passi lo spazio che mancava. Non ebbe bisogno di fare ulteriore strada, perché Severus si era abbassato e aveva permesso a Kathleen di correre tra le sue braccia.
«Mamma!» Gridò Kathleen, poi si schiacciò contro Hermione nello stesso modo in cui aveva fatto nella catapecchia, le stesse lacrime a rigarle le guance pallide.
«Mamma, non lo faccio più. Te lo prometto, non vado più via, davvero, mamma. Non voglio più stare da sola, non lo faccio più, veramente» singhiozzò contro il suo collo.
Hermione strinse la figlia al petto con tanta forza da farle male, ma non riuscì a lasciarla andare. Sentì crescere nel petto quell'amore violento che aveva sentito la prima volta che l'aveva stretta tra le braccia, tanto forte da farle venire le lacrime agli occhi.
Per la prima volta da quel pomeriggio si permise di lasciarle scorrere, preoccupandosi solo di stringerla ancora di più. Affondò il naso nei suoi capelli sottili, felice di sentire il suo caratteristico profumo di bambina sotto l'odore di sudore e polvere. Se la schiacciò al petto, come se dovesse far tornare il cuore al suo posto, inglobare una parte di sé che per troppo era stata distante, separata, amputata.
«Sono qui, amore. Sono qui» sussurrò sotto i singhiozzi di sua figlia. Ci sarebbe stato tempo per altro, dopo, ora voleva solo abbracciarla fino a ricordarsi ogni dettaglio che non aveva potuto avere sotto gli occhi in quelle lunghe, dannate ore.
Dopo un tempo che le parve infinito ma che avrebbe comunque prolungato, dopo che i singhiozzi di Kathleen si furono placati e la stretta delle sue mani passò da disperatamente angosciata a possessivamente affettuosa, alzò gli occhi, e ci mise un attimo a trovarlo.
Poco distante da loro, ma separato da tutti gli altri, le guardava con occhi così intensi da far male. Non si stava preoccupando di nascondere la preoccupazione che aveva provato e l'amore che ora lo stava invadendo alla vista di madre e figlia riunite. Hermione sentì l'amore che nutriva nei suoi confronti, mai concreto come in quel momento, scorrerle sotto pelle come un'onda che nasceva nel suo stomaco e si infrangeva nel suo sorriso. Provò affetto per la sua camicia macchiata di terra, per i suoi capelli visibilmente bagnati dalla pioggia, per i sottili angoli della bocca alzati in un lieve sorriso.
Provò l'irrefrenabile desiderio di baciarlo. Lì, davanti a tutti, con Kathleen stretta tra le braccia in prossimità di addormentarsi.
Avrebbe dovuto ringraziare Harry, Ron e probabilmente anche tutta quella squadra di Auror che aveva invaso il giardino, ma in fondo lo sapeva che il merito era suo.
Facendo forza sulla ginocchia, Kathleen ben salda fra le braccia e appoggiata al bacino, si alzò. Lui non distolse mai gli occhi dai suoi, scaldandola con la luce che scaturiva da quei pozzi neri, ed Hermione gli si avvicinò fino a sfiorarlo. Avrebbe voluto parlare, chiedere di andare a casa, ma sentiva la gola stretta in un morso doloroso e soffocante.
Senza sapere se era stata lei a cercarlo o lui ad andarle incontro, trovò la sua mano a metà strada. Severus intrecciò le sue dita calde e le strinse forte il palmo, infondendole la sua forza.
Stanca ed esausta, pur sapendo che qualcosa che avrebbe dovuto sapere era successo e non avrebbe portato a nulla di buono, Hermione sorrise. Con il corpo caldo di sua figlia premuto contro e la mano dell'uomo che amava stretta con la sua, si sentì, per la prima volta dopo molto tempo, completa.

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Capitolo 23
*** Quiete prima... ***


 
Note: perché io mi riduca sempre all’ultimo è un mistero che resterà irrisolto, quindi anche questa volta capitolo breve. Ma, ma, non ci si può proprio lamentare. Insomma, fatemi sapere che ne pensate (anche perché stavamo aspettando questo momento da quanto tempo?!).
In più, in questo capitolo c’è una frase tratta dalla canzone Luna, di Gianni Togni, che dà il titolo ed è stata l’ispirazione principale per questa storia.
E come sempre, grazie a tutti voi!
 
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 

Quiete prima…
 
 
 
 
Se Harry non fosse stato Harry probabilmente non si sarebbe trovato lì, ma Harry era Harry, e gli Auror lo tenevano in grande considerazione.
«Solo un paio d'ore» aveva assicurato, lasciandoli tornare a casa. Ma a Severus sarebbe bastato anche solo un minuto, per baciarla fino a toglierle il respiro.
Un bacio, soltanto. Un bacio dato in coscienza, non ottenebrati dall'alcol, era tutto ciò che chiedeva. Se lo sarebbe portato stampato nel cuore e nella mente, l'unica volta in cui avrebbe potuto stringerla e morderle le labbra, e poi che avrebbero fatto di lui ciò che volevano.
Era quell'incertezza, quel sapere che il tempo che avrebbero avuto a disposizione non sarebbe mai stato abbastanza, a impedirgli di distogliere gli occhi. Continuava a guardarle come se solo la loro vista sarebbe bastata a tenerlo in vita, abbeverandosi dell'amore che trasudavano i loro gesti.
In quel momento, ad esempio, avrebbe dovuto lasciarle sole, ma non riusciva a staccare i piedi dalla sottile linea che separava le piastrelle del salotto dal parquet della camera di Kathleen. La bambina era infiocchettata in un pigiamino lilla ed Hermione era seduta al suo fianco, canticchiando sottovoce a bocca chiusa.
Kathleen si era addormentata già da tempo, troppo spossata dalle forti emozioni, ma Hermione continuava ad accarezzarle i capelli con amore, sulle labbra un dolce sorriso che era riservato sempre e solo esclusivamente alla figlia.
«Sei un'ottima madre, Hermione» si sentì mormorare, parole coraggiose che non aspettarono il suo permesso per uscire.
«Mh?» Mugugnò Hermione, un verso a metà tra un assenso e una domanda. Alzò gli occhi su di lui e poi dal letto, rimboccò ancora una volta le coperte alla bambina e, dopo un ultimo bacio sulla fronte, si avvicinò alla porta per uscire.
Severus rimase a guardarla: così lontana da essere perfetta, ma così vicina da essere toccata.
Hermione chiuse la porta in silenzio, non aveva capito appieno le sue parole, sul viso ancora quel sorriso speciale dedicato tutto a Kathleen. Severus poteva ancora tirarsi indietro, cambiare frase e non palesare in modo così melenso quanto ai suoi occhi lei fosse senza macchia.
Ma non lo fece.
«Sei un'ottima madre» ripeté, ancora più piano di prima.
Hermione alzò gli occhi su di lui, una mano ancora sulla maniglia e le spalle appoggiate alla porta chiusa, e Severus fu certo, anche nella penombra del salotto, che le sue guance si fossero arrossate.
«Non è vero, faccio un sacco di errori» sussurrò in risposta. Poi deglutì, accorgendosi solo in quel momento di quanto fossero vicini. Il suo cuore iniziò a battere più forte, lo stomaco ad accartocciarsi. Sentiva le mani bruciare dalla voglia di allungarsi e appoggiarsi a lui, stringerlo, ma si impose di non cercarlo.
Fu Severus a farlo. Fece mezzo passo verso di lei, portandosi così vicini da sfiorarle il petto. Alzò una mano, piano, e le scostò un ricciolo dalla fronte. Seguì con un dito il profilo del suo zigomo, della guancia, fino a perdere le dita tra i capelli della sua nuca.
Hermione aveva socchiuso gli occhi, godendosi quelle carezze. Aveva il respiro accelerato, ma trattenne il fiato quando lui parlò.
«Sei troppo bella per sbagliare» le soffiò sulle labbra. Era vicino, così vicino che avrebbe appena dovuto chinarsi par baciarla, ma non lo fece. Iniziò ad occupare lo spazio tra loro lentamente, bruciando di desiderio, dandole il tempo per rifiutarlo, se l'avesse voluto.
Ed era a pochi millimetri da lei quando Hermione gemette un no.
«Non farlo» ansimò, gli occhi chiusi. «Non farlo, se non sei disposto a restare»
Severus rimase immobile, a quella derisoria e bruciante distanza, e aspettò finché lei non socchiuse gli occhi quel tanto che bastava per guardarlo. E vide dubbio, nelle sue iridi, paura di quel desiderio troppo grande che entrambi avevano cercato di ingabbiare facendosi solo del male. Aspettò di vedere le pagliuzze dorate vicine alle sue iridi, poi la baciò.
E fu come respirare di nuovo, come se per la prima volta l'ossigeno raggiungesse i polmoni.
Hermione gemette, di sollievo e attesa esaudita, e Severus ingoiò quel gemito come il più dolce del miele. Allungò anche l'altra mano, accarezzandole prima un fianco e poi portandola sulla sua schiena. Fece forza, dolcemente ma con fermezza, finché non sentì il suo corpo addosso. E un altro sospiro lasciò le sue labbra a sentire quelle dolci curve contro il suo corpo, troppo secco e troppo solo.
Spinse il palmo contro la sua nuca, facendole alzare il viso e approfondendo il bacio. Il caldo della sua lingua contro le labbra fu un caldo fuoco che scaldava come liquore.
Hermione rispose al bacio ad occhi chiusi e abbandonandosi completamente. Si aggrappo subito alla sua camicia, come se la tempesta di tutte quelle emozioni la minacciasse di portarla al largo. Poi fece risalire le mani sul suo petto fino a circondargli il collo, per stringerlo più forte e schiacciarsi su di lui.
Non seppe mai se fu lei a strappargli la camicia o lui a togliersela, seppe solo che stava baciando la sua pelle bianchissima mentre lui la accompagnava sul letto.
Hermione sentì le sue mani dappertutto, lunghe e languide carezze che risvegliavano brividi sulla sua pelle come fiori al lato di un sentiero. Ricambiò quella venerazione con tutto il suo sentimento, un po' graffiando e un po' stringendo, lasciando segni rossi ad ogni passaggio. Gettò la testa indietro quando lui le catturò un capezzolo fra le labbra e mugugnò qualcosa a metà tra un gemito e il suo nome che fece ridere Severus. Lei sentì quella risata vibrare sull'addome, la sua voce profonda una carezza che andò a piantarsi nel basso ventre come una spina di piacere.
Si vendicò stringendo in un pugno i suoi capelli e attirandolo su di lei per un altro bacio, denti su labbra e lingua sui denti. Gli morse una spalla e lui gemette, ma il segno rosso - quasi viola - che rimase fu una medaglia di valore.
Hermione sapeva di non avere un corpo perfetto: la gravidanza l'aveva segnata lasciandole strisce biancastre e la pelle ammorbidita, ma Severus seguì ogni linea con la punta della lingua, senza vergogna e senza orrore. Percorse il suo corpo, attraverso quelle linee, prima sui seni, poi sulla pancia, i fianchi e le cosce. Quando arrivò all'interno coscia Hermione gemette, ma lui non si fermò finché lei lo supplicò.
Severus la assecondò con un gemito e risalì fino al suo viso. Affondò in lei baciandola, lentamente, ad ogni bacio un affondo.
Impostò un ritmo squisitamente lento finché il desiderio non li costrinse ad amarsi con la passione che provavano da tempo.
Hermione si donò a lui soffocando un grido nella sua spalla e sentì Severus fare lo stesso.
Dopo avrebbe voluto stringerlo e stare con lui finché le era possibile, ma cadde addormentata al suo fianco come una bambina.
 
 
 
Quando si svegliò l'alba era ancora lontana, ma il cielo aveva già iniziato a rischiararsi.
Si mosse leggermente e sentì la mano di Severus aperta possessivamente sul suo ventre, vicino al seno, quasi volesse sostenerlo. Hermione posò la mano sulla sua e si sentì stringere un po' di più, la schiena piacevolmente a contatto con il petto di lui.
Si voltò nella sua stretta un po' a disagio, sentendo la mano di Severus che non abbandonava mai il contatto con la sua pelle, scivolando dalla vita alla schiena.
Incontrò i suoi occhi, ma non riuscì a fissare lì lo sguardo. Gli guardò le labbra, accarezzandole con un pollice.
«Non volevo svegliarti» mormorò, la voce impastata dal sonno.
«Ero già sveglio» le rispose, catturandole per un momento il pollice con la bocca.
Hermione sorrise quasi d'istinto, poi fece scivolare la mano sul suo collo e lo avvicinò per prendersi il bacio che le spettava.
Fu un bacio diverso dalla sera precedente. Un bacio lento, tranquillo, un riconoscersi di labbra che già si conoscono ma ancora assaporano il piacere dello scoprirsi.
Severus si separò dolcemente, trattenendole per un secondo il labbro inferiore. Hermione aprì gli occhi piano, immersa in un'atmosfera di pace che non sentiva da tempo.
«Sei rimasto» disse, quasi meravigliata nonostante la speranza che lo facesse. Nell'attesa della risposta si perse a seguire il contorno che i suoi denti avevano lasciato sulla sua spalla. Le piaceva, la sua pelle, così pallida che bastava stringere appena perché si arrossasse.
«Volevi che me ne andassi?» Chiese beffardo, accorgendosi con un sorrisetto malizioso del modo in cui le guance di Hermione si erano colorate.
Lei non rispose, limitandosi a colpirlo leggermente sul fianco. Lui sbuffò, Hermione immaginò più per accontentarla che per reale dolore, poi iniziò a muovere la mano sulla sua schiena il lenti cerchi. Hermione chiuse gli occhi sul suo petto, cullata dalle carezze delle sue mani e dal suono del suo respiro.
 
 
 
La seconda volta che si svegliò Severus si era mosso. Era coricato sulla schiena, ma continuava a muovere pigro le dita lungo la colonna vertebrale di Hermione, appoggiata al suo petto.
Hermione sorrise al pensiero che Severus era il tipo d'uomo da coccole post coito, e sperò che fosse l'unica, che mai nessuna prima potesse aver avuto il privilegio di svegliarsi con le carezze suadenti di Severus e i suoi occhi che avevano la capacità di assorbire la luce.
Poi pensò alle donne che aveva visto uscire da casa sua, e si accigliò. Un pensiero nacque nella sua mente, troppo scomodo per essere ignorato.
«Severus» chiamò.
Severus mugugnò un verso che lei sentì vibrare sotto le orecchie. Un verso pigro, come le sue carezze.
Hermione cercò di non farsi intenerire da quel suono caldo che le portava alla memoria il modo in cui l'aveva accarezzato la sera prima. «Parliamo di Rita Skeeter»
Severus alzò la testa fino ad incrociare il suo sguardo, le sopracciglia arcuate con sorpresa.
«Chiedo scusa?» Chiese con la vice arrochita da sonno, che mandò piacevoli, piccoli brividi sulla pelle di Hermione.
Lei si voltò sulla pancia, i gomiti e gli avambracci a sostenerne il peso, e lo guardò negli occhi. «Come hai fatto a convincerla a non dire nulla?»
Severus tornò ad appoggiarsi al cuscino e si concesse un mezzo sorriso. Catturò una ciocca dei capelli di Hermione e iniziò a rigirarsela tra le lunghe dita.
«Non lo sai?» Chiese con un angolo della bocca alzato con ironia. Aspettò a continuare, lasciando a cuocere Hermione nel suo brodo. Quando fu evidente che lei non avrebbe resistito oltre finì. «L'ho sedotta, ovviamente»
Hermione sentì gli occhi sgranarsi e il gelo diffondersi dal suo stomaco fino a raggiungere ed irrigidire tutti i muscoli, finché non si accorse che il velato sorriso ironico di Severus si stava trasformando in un ghigno soddisfatto e divertito.
Aprì la bocca per protestare, ma dovette combattere contro se stessa per non scoppiare a ridere.
«Severus Piton, sei impossibile!» Disse agguantando un cuscino e tirandoglielo addosso.
Lui intercettò il suo gesto con una mezza risata e riuscì a schivare il colpo, poi si approfittò dell'equilibrio ancora precario di Hermione per spingerla indietro e sovrastarla.
Le baciò il collo mentre lei cercava di ignorare i brividi e respingerlo, ma durò solo fino al momento in cui Severus catturò i suoi polsi e li portò sopra la sua testa.
«Hai colpito un professore, signorina Granger. Meno venti punti a Grifondoro» le mormorò all'orecchio.
Hermione gemette, il cuscino rimase abbandonato sul pavimento per le due ore successive.
 
 
 
«Puoi farti la doccia, se vuoi. La tua camicia è ancora sporca» disse Hermione chiudendosi i lacci della vestaglia. Si era appena infilata la sottile camicia da notte, Severus invece, nello stesso tempo, si era già vestito.
Rispose finendo di chiudere gli ultimi bottoni. «Il caffè andrà bene. Non voglio perdere...»
Si fermò a metà e alzò gli occhi, ma Hermione aveva già i suoi fissi su di lui.
Deglutì. «Tempo, lo so»
«Non voglio andare via, Hermione» cercò di spiegarsi in fretta lui, ma Hermione stava già annuendo. C'era stato un momento in quella notte, mentre lui la baciava con quella passione divorante da poter essere scambiata con la disperazione, che lei aveva capito. Aveva capito molto, più di quanto avrebbe voluto.
Aveva capito il suo silenzio, gli sguardi di Harry, la disapprovazione di Ron, tutti gli Auror radunati nel giardino. Aveva capito la sua riluttanza a volerle lasciar andare, la sua volontà di stare con lei tutta la notte, il suo amore strabordato dagli argini che si era imposto.
Aveva capito che aveva fatto ciò che non doveva fare. Per Kathleen, per sua figlia, per lei. Per loro.
«Ma dovrai farlo. Te lo faranno fare»  sussurrò. Non c'era arrendevolezza nel suo tono, solo la profonda delusione di un sogno infranto. «Sono stata con te solo per una notte, io-» cercò le risposte, una soluzione, sul soffitto, ma non trovò che vuota vernice. «Non deve finire così» concluse riportando gli occhi su di lui.
Severus la stava guardando con lo sguardo che Hermione sentiva bruciare dentro. Non parlava, ma erano quegli sguardi a rivelare tutti i suoi pensieri. Le emozioni scorrevano libere, un fiume in piena che non può essere controllato.
«Hermione, non sei obbligata a-»
«Ma siete qui allora!»
Kathleen spuntò dalla porta con i capelli più disordinati che avesse mai avuto e il peluche stretto sotto il braccio. La guancia aveva un segno rossastro diagonale che aveva come colpevole inconfutabile il cuscino, e sorrideva come se si fosse appena svegliata alla mattina di Natale.
«Severus, ci sei anche tu!» Esclamò ancora con tono allegro, correndo ad abbracciarlo. C'era sorpresa genuina nei suoi occhi, come se solo in quel momento si fosse accorta che il posto dell'uomo, generalmente, non era al fianco del letto di sua madre.
«Ci sono anch'io» confermò lui, sorridendo lievemente e posandole una grossa mano sulla testa. Kathleen alzò il viso facendosi scivolare il palmo fin sulla fronte, e sorrise.
Poi si staccò e corse ad abbracciare la madre, tuffandosi tra le sue braccia.
«Mammaaaa!» Gridò stringendo le braccia al collo di Hermione.
Severus pensò che un abbraccio del genere avesse il potere di soffocare, ma non poté evitare di sorridere. Sentì la commozione nascere nel suo petto: così belle, e le avrebbe mai riviste in una mattina del genere?
«Colazione, tesoro?»
«Oh sì, ho una fame!»
 
 
 
 Severus amava il caffè in un solo modo: molto lungo, molto nero, molto amaro. Senza quelle caratteristiche, era solo brodaglia.  Ne stava sorseggiando una grossa tazza appoggiato al piano della cucina inondata dal sole, godendosi le chiacchere allegre di Kathleen ed Hermione e mormorando qualche risposta se veniva interpellato.
Per lo più, però, le osservava.
«E non voglio sentire storie, Kathleen. La divisa della scuola avrà la gonna e tu metterai la gonna» stava dicendo Hermione, il tono serio mentre spalmava la marmellata su una fetta biscottata.
«Ma mamma, come si fa ad andare a scuola con la gonna? Non puoi fare niente» si lamentò Kathleen, le vocali allungate come ogni volta che il suo tono si faceva polemico.
«Non puoi fare sempre come vuoi. Poi devi imparare che-»
Il campanello suonò rompendo l'illusione di una vita normale. Gli occhi di Hermione si fecero subito attenti e posò il coltello di scatto sul tavolo. Era in piedi prima ancora che il caffè nella tazza di Severus riuscisse a stabilizzarsi, posato con violenza sul piano.
Mentre si avvicinavano alla porta allungò una mano e afferrò quella di Severus. Lui ricambiò la stretta con fermezza tra le dita calde, ed Hermione percepì ciò che con quel piccolo gesto stavano condividendo: era una promessa.
Di rivedersi ancora, di non lasciarsi.
Aprì la porta con una lieve esitazione, e la divisa rossa da Auror dell'uomo fu come uno schiaffo in pieno viso.
«Signor Piton, deve venire con noi»

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Capitolo 24
*** ... del processo ***


Note: Sono. Sempre. In. Ritardo.
Sono imperdonabile, lo so lo so, ma, se può rendermi meno colpevole, vi dico che sono stata impegnata a raccogliere nuovo materiale per i prossimi lavori (perché ce ne saranno, e anche molti - non vi libererete così facilmente di me)!
In ogni caso, un grazie infinito a tutti voi che mi avete accompagnato fin qua, sostenuto ed incoraggiato. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo, e io già sento la mancanza di questa storia.
Ma non voglio immelanconirvi (?) troppo, quindi vi lascio.
 
Un grosso abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
...del processo
 
 
 
 
Hermione seguì la schiena dell'Auror che le stava facendo strada con un senso di vaga soddisfazione: era bello sapere di avere ancora ascendente. Era entrata al Ministero quasi come se stesse facendo un'incursione, e non aveva lasciato la scrivania da cui pretendeva informazioni finché non le avevano concesso ciò che desiderava.
«Può vedere il professor Piton, signorina Granger, ma la prego smetta di urlare» le avevano detto. Ma a quel punto aveva già smesso, ricomponendosi con dignità e limitandosi a seguire con aria altezzosa l'Auror incaricato di farle strada.
L'uomo si fermò davanti una porta di legno scuro al centro di un corridoio ancora più nero, l'eco delle loro scarpe rimbombava ancora contro i muri quando parlò.
«Solo cinque minuti, signorina» le disse aprendo la porta, ma Hermione lo ascoltò a malapena.
Non aspettò che la porta fosse tutta aperta: intravide Severus seduto su una sedia a braccia incrociate e si precipitò all'interno. Ebbe appena il tempo di alzarsi - Hermione lo sentì sussurrare il suo nome con sorpresa - che lei gli aveva già gettato le braccia al collo.
«Severus» disse, il viso affondato nell'incavo della sua spalla. Lo strinse ancora di più, sentendo le sue mani forti che premevano contro la sua schiena facendo incontrare i loro corpi.
Hermione inspirò il suo profumo beandosi del suo calore. Non era passato molto tempo da quando l'avevano portato via, ma lei si era sentita angosciata a causa di quella distanza. Sapeva che il processo si sarebbe svolto a breve - Harry l'aveva avvertita con una Strillettera piuttosto corta e pacata - e sapeva anche di quanto la maggior parte dei maghi facenti parte del consiglio non aspettasse altro che un passo falso da parte dell'uomo (o di chiunque altro in stretta libertà a causa della vicinanza con Voldemort durante la guerra) per dimostrare che era impossibile redimersi.
La pena giusta per quelli come lui è Azkaban, aveva spesso sentito dire, ma non aveva mai assimilato fino in fondo il peso di tale affermazione.
«Hermione» lo sentì ripetere tra i suoi capelli, un sussurro pieno di sollievo e preoccupazione. «Che ci fai qui?»
Lei si staccò appena, solo lo spazio necessario per incontrare i suoi occhi. «Non potevo non venire» rispose con tono ovvio, ma era molto più tranquilla ora che l'aveva visto. «Stai bene?»
«Certo che sto bene» rispose in fretta lui, un pizzico d'orgoglio nella voce, la fronte corrugata.
Ma lo sapeva, Hermione, che non si sarebbe fatto piegare.  Allungò una mano verso la sua guancia e si stupì leggermente quando la sentì ruvida di barba. Aveva poco da sorprendersi, però: chinando lo sguardo vide la camicia ancora macchiata di terra.
Sorrise: non si era cambiato per stare con lei, e facendolo aveva accettato che lo vedessero in quelle vesti.
«Dov'è Kathleen?» Chiese Severus, distogliendola dai suoi pensieri.
Hermione ritornò ad incrociare i suoi occhi, velati di preoccupazione. Si sentì stringere il cuore nel vederli.
«Da Andromeda» rispose, passandosi una mano tra i capelli. «Avrei voluto portarla da Molly, ma non poteva e...» sospirò. «Era abbastanza sconvolta, le ho dovuto promettere che l'avrei portata qui» ammise guardandolo.
Severus espresse la sua disapprovazione storcendo la bocca in modo quasi comico, ma non disse niente, limitandosi a condividere un sospiro. Poi la guardò con tenerezza, passandole una mano tra i capelli scompigliati e una guancia pallida.
Sono contento che sia qui, esprimevano i suoi occhi, ed Hermione non aveva bisogno che lui lo dicesse per capirlo. Quando la sua mano arrivò alle labbra chiuse gli occhi, sentendoli bruciare di lacrime.
Sentì il suo pollice accarezzarle lentamente il labbro inferiore, e lei lo assecondò schiudendo la bocca. Sentì il suo fiato caldo, poi la sua bocca come una ventata d'aria fresca che riempie i polmoni.
Si aggrappò alla sua camicia gemendo con la gola, un verso quasi disperato più che di piacere. Si schiacciò al suo corpo sentendo le sue mani perdersi nei suoi capelli e poi tuffarsi sotto la sua camicetta. Rabbrividì quando le sue dita calde le sfiorarono i fianchi, e strinse i suoi capelli tra le mani per non permettergli di allontanarsi.
Ricambiò il bacio con tutta la sua forza, sentendo nello stomaco una bolla d'ansia che andava a sgonfiarsi e riempirsi ad ogni momento: come vasi comunicanti, si liberava del suo sentimento negativo assorbendo quello dell'altro.
Rimase incollata alle sue labbra anche quando l'ossigeno diventò poco e il cuore chiedeva battendo come un matto un po' d'aria. Ma non era disposta ad ascoltarlo, e nel modo in cui Severus le alzò una gamba e la spinse contro il muro capì che per lui era lo stesso.
Gli morse il labbro inferiore e infilò le mani fino a toccare la sua pelle. Accarezzò a palmo aperto tutta la sua schiena, sentendo le sue cicatrici come creste di montagna.
Lui si chinò a baciarle il collo e lei gemette.
«Severus-»
«Non dire niente» la interruppe, la voce roca dal desiderio pulsante che lei sentiva premere forte contro la sua coscia.
«Se fosse l'ultima volta, io-» si zittì perché lui si era alzato. Aveva posato un avambraccio vicino al suo viso e aveva portato il suo viso di fronte, tanto vicino da baciarlo.
«Hermione» si fermò, ansimante. Hermione vide il tormento oltre il desiderio, la paura oltre la passione. Sentì lo stomaco contorcersi e pregò che quel bacio focoso non fosse per lui un addio, come lei lo percepiva.
«Se non-» si fermò di nuovo, chinando lo sguardo come a poter trovare le parole giuste ai loro piedi. «Mi condanneranno» disse infine, come se volesse spiegarlo a lei più che cedere all'evidenza.
«Perché ti sei sacrificato, Severus? C'era Harry e-»
«Tu non l'hai vista!» Le disse, riportando gli occhi su di lei come uno schiaffo. Hermione sussultò quando vide la rabbia che bruciava al loro interno.
«Non dovevi, non-» cercò di far uscire le parole attraverso la gola secca, aggrappata alla sua camicia come un naufrago. «Non arrenderti, ti prego, io ti aspetto» sussurrò conciata, combattendo contro le lacrime per esprimere quelle poche parole.
Lui aprì la bocca, ma la porta si aprì in quel momento. Hermione si sentì richiamata, ma si rifiutò di staccarsi. Non finché non avrebbe ricevuto una risposta, Urlavano, supplicavano i suoi occhi.
E lui l'accontentò, un sussurro tanto lieve da farla tremare dentro e far uscire l'unica lacrima a cui lei permise di perdersi. Glielo disse mormorando tra i suoi capelli, un segreto confessato solo a lei e tenuto lontano dall'Auror che si stava avvicinando con la bacchetta già pronta nella mano.
«Ti amo anch'io»
 
 
 
Severus tornò a sedersi dopo minuti passati a consumare il pavimento della piccola stanza in cui era stato chiuso come uno straccio vecchio. La visita di Hermione l'aveva lasciato più agitato di quanto lo fosse all'inizio: non si aspettava di vederla, e scoprirla così preoccupata per lui gli aveva fatto perdere la calma, di nuovo.
Si era ripromesso di non farlo, ma il suo corpo era una tentazione a cui non era riuscito a resistere, soprattutto dopo quella notte, di cui portava ancora i segni sulla schiena.
Sospirando si passò le mani tra i capelli, i gomiti sulle ginocchia.
Era stato uno stupido.  Avrebbe dovuto aspettare, far fare a Potter il maledetto Auror e tenersi fuori da quel pasticcio. Invece si era fatto incantare dagli occhi tristi di quella bambina e come unico risultato si ritrovava chiuso in quella che era troppo bella per essere definita cella, ma troppo claustrofobica per essere una sala d'aspetto.
Complimenti, Severus, per spedire Greyback ad Azkaban hai acquistato un biglietto sullo stesso treno, vicini vicini come ai vecchi tempi.
Digrignò i denti con i viso affondato tra le mani. Alla fine era riuscito a portare a termine ciò che voleva tanto accuratamente evitare: rovinare la vita ad Hermione.
«Deficiente» sibilò tra i denti, tanto forte da far rimbombare la sua voce contro le pareti.
«Non mi aspettavo una festa, ma non è così che si accolgono gli amici, Severus»
Severus alzò la testa di scatto e subito incontrò un paio di occhi verdi che lo squadravano con un misto di severità e ansia sopra le lenti quadrate.
«Minerva» disse alzandosi, sperando che la donna non cogliesse la nota di sollievo autentico che la sua voce aveva tradito.
«Ancora una volta nei guai, giovanotto» disse Minerva con un sorriso timido sulle labbra strette.
Severus alzò un angolo della bocca in un lieve sorriso beffardo, ma si chinò ad accettare l'abbraccio leggero della donna che aveva il sapore dell'affetto materno.
Quella frese era una ricorrenza tra loro, una battuta consolidata tra amici di vecchia data. Minerva l'aveva pronunciata la prima volta durante il secondo anno ad Hogwarts di Severus, quando per la terza volta in un mese lui era finito nel suo ufficio in attesa di una punizione. Negli anni a venire si era ripetuta più volte ed era la prima cosa che Severus aveva sentito quando aveva aperto gli occhi in un'asettica stanza di ospedale.
Severus si drizzò schiarendosi la gola, leggermente imbarazzato. Era raro che Minerva esternasse con manifestazioni fisiche i suoi sentimenti, e ancora meno lui era abituato a riceverne.
«Non immaginavo mi fossero concesse due visite»
«Ho incontrato la signorina Granger, sì. Era piuttosto sconvolta» commentò Minerva.
Severus distolse lo sguardo con le labbra strette, sentendosi colto in fallo.
Minerva sospirò, ma raddrizzò subito le spalle assumendo quell'aria pratica che Severus, in tanti anni passati come suo collega, aveva imparato a conoscere.
«Ho poco tempo, Severus, quindi sarò diretta» esordì parlando con tono spiccio, i sentimentalismi ormai lasciati alle spalle.
Severus crollò sulla sedia e l'ascoltò come l'allievo che era stato, lei lo consigliò come la madre che avrebbe dovuto avere.
 
 
 
Severus non vedeva così tanta gente dal suo primo processo, ed era sorpreso che ce ne fosse così tanta ora.
Non sapeva con precisione quanto tempo fosse passato da quando era stato portato via da casa di Hermione - le ore sembravano dilatarsi all'infinito in quella stanza buia in cui come unica compagnia aveva una sedia.
Fu scortato al centro dell'aula da una mano ferma chiusa attorno al suo bicipite, ma non aveva alcuna intenzione di scappare.
«Non fare sciocchezze» si era raccomandata Minerva prima di lasciarlo, e, per una volta, aveva tutta l'intenzione di ascoltarla.
Abbracciò con uno sguardo la sala, mentendo a se stesso su chi stesse cercando, e una macchia di colore colpì i suoi occhi come un pugno. Stretta in un abito disgustosamente arancione, Rita Skeeter aspettava accomodata con le gambe incrociate e la pena pronta su una pergamena mezza piena di quelle che, Severus ne era sicuro, fossero scemenze.
Distolse gli occhi con un moto di disgusto, ma non fece in tempo a trovare chi effettivamente stava cercando che fu spinto sulla sedia al centro e le catene scattarono ai suoi polsi.
La parola criminale si illuminò come una luce al neon nella sua mente, luminosa e violenta, e cercò di ignorarla. Era un'etichetta da cui non si sarebbe mai liberato, come il marchio sul suo avambraccio.
Di colpo il borbottio cessò e tutti si alzarono in piedi. Nel silenzio teso e carico di aspettativa che anticipava l'entrata del Ministro, una voce sottile si alzò in quello che voleva essere un sussurro, ma risuonò come uno sparo in campo aperto.
«Mamma, perché ci sono le catene?»
Severus si voltò di scatto e individuò subito ciò - chi - che aveva tanto finto di non cercare.
Kathleen lo guardava con le labbra strette e le guance pallide, e Severus sentì la tenerezza invaderlo come un'onda alla vista della sua gonna blu e la maglietta bianca. Strinse i denti per impedirsi di risponderle: non era giusto che lo vedesse in quel modo, non era giusto che avesse vissuto ciò che le era successo e non era giusto che fosse condannata a quella maledizione.
Eppure, in un controsenso insensato e prepotente, sentiva che fosse maledettamente giusta la sua presenza.
Giusta perché Kathleen gli entrata sottopelle, fino al cuore. Con le sue domande scomode, le risate aperte e improvvise, gli abbracci stretti a togliere il fiato come se ogni volta fosse l'ultima.
Non fare sciocchezze, aveva detto Minerva, ma in quel momento, quando il Ministro si accomodava e tutti tornavano a sedersi, l'ultimo pezzo del puzzle andò al suo posto con una chiarezza assordante: se fosse stato necessario, Severus avrebbe fatto crollare il mondo per quella bambina tanto piccola quanto capace di riempirgli il cuore. E se era necessario andare ad Azkaban l'avrebbe fatto a cuor leggero: non condannato per i suoi reati da Mangiamorte, ma per il peccato di essere stato troppo protettivo con una bambina che aveva implorato il suo aiuto e riempito il suo mondo con occhi neri, supplicanti e pieni di speranza.
Il suo unico peccato - ironico a pensarci - era essersi comportato come un padre geloso nei confronti di sua figlia.
Se la sua situazione non fosse stata tanto precaria avrebbe riso. Perché Albus glielo aveva sempre detto, e non ci aveva mai creduto; perché Lucius aveva basato la sua intera esistenza sulla protezione di Draco, e lui l'aveva considerato un pazzo.
Avrebbe riso perché proprio lui fra tutti - Severus Piton - lui che aveva creduto che il suo cuore non sarebbe mai tornato alla vita dopo la morte di Lily, aveva trovato la sua redenzione nelle mani di una bambina che ancora non sapeva camminare da sola, ma reggeva sulle spalle il peso della luna.
Senza ascoltare il lungo elenco dei suoi crimini e dei vincoli a cui era sottoposto, che avrebbe dovuto conoscere e che aveva bellamente infranto, alzò gli occhi per incontrare quelli di Hermione.
La vide pallida e intenta a torturarsi le mani, ma le sorrise.
La vide sgranare gli occhi, poi, lentamente, anche lei ricambiò il sorriso. E c'era amore, sulle sue labbra, così tanto che sarebbe potuto bastare per entrambi se lui non avesse ricambiato con tale ardore.
Se non fosse stato per lei, per la sua visita improvvisa e caparbia mesi prima, non si sarebbe trovato in quella situazione, ma non riusciva a non vederla come una benedizione.
Distolse l'attenzione da lei solo quando il suo nome fu pronunciato con tanta enfasi da rendere necessaria una risposta.
«È consapevole delle restrizioni imposte alla sua persona, signor Piton?»
«Sì»
Solo sì, nessun segno di riconoscimento per l'autorità o di rispetto.
«E come si dichiara a seguito dell'infrazione di quest'ultime?»
«Colpevole»
Un brusio che correva lungo la sala come un'onda, ma ancora non gli importava.
«Silenzio! E può dirci, signor Piton, perché l'ha fatto?»
Questa volta si prese il suo tempo per rispondere. Riportò gli occhi ad Hermione, vedendola serena. Nel suo modo del tutto personale e particolare, lei aveva capito.
E guardò Kathleen, piccola e con gli occhi sgranati e attenti, che nonostante l'apprensione seguivano tutto con il desiderio di assorbire quante più informazioni possibili.
Lei lo guardò e fece un sorrisino piccolo, e Severus si sentì scaldare il cuore.
«Perché ho visto la bambina»
 
 
 
«Ti chiami Kathleen Jean Grenger, giusto?»
«Sì»
Sedeva dritta e composta sulla grande sedia, coraggiosa tanto da reggere lo sguardo di chi la interrogava senza timore. Doveva solo dire la verità, lo sapeva. Aveva paura, ma l'avrebbe fatto.
«Hai visto il signor Piton colpire con un incantesimo il signor Greyback?»
«Sì»
«Sai dire che incantesimo era?»
«Era rosso»
«Sei mai stata ferita dal signor Piton?»
«Ioo? No, no» trovò la forza di ridere, anche in quella situazione. «Mi ha anche guarito il ginocchio quando sono caduta dalla bici»
«Tua madre è mai stata ferita?»
«Ma no, neanche la mamma»
Un altro sorriso impertinente, se non fosse stata così piccola sarebbe stata richiamata all'ordine.
«Hai mai visto qualcun altro essere colpito dal signor Piton?»
«No, Severus ci ha aiutate, non fa male a nessuno. Ha colpito mio padre perché non voleva farmi andare a casa, e io volevo la mamma»
 
 
 
Minerva pensava che non sarebbe mai vissuta abbastanza per vedere un processo ribaltato e un uomo assolto grazie alla testimonianza di una bambina di cinque anni, ma quel giorno ebbe la dimostrazione che per quanto piccoli, ognuno può fare la differenza.
 
 
 
«Assolto»
Il martello colpì il legno e la sentenza fu pronunciata con un pizzico, quasi inudibile, di delusione.
Ci erano volute più di tre ore e la testimonianza di non poche persone, alcune tra le più influenti e famose del mondo magico.
Ciò che tutti seppero, grazie alla Gazzetta del Profeta del giorno dopo, fu l'eccezionale intervento della figlia del più pericolo lupo mannaro in circolazione capace di assolvere un noto Mangiamorte.
Che la loro vita sarebbe stata mostrata in prima pagina, però, interessava ben poco ai tre coinvolti principalmente.
 
Hermione non aspettò altro che quella parola per alzarsi, prendere Kathleen per mano, e correre al fondo delle gradinate per avvicinarsi il più possibile a Severus. Lui era circondato da curiosi e giornalisti, ma ignorò tutti e non guardò nessuno se non lei.
Avrebbe voluto abbracciarlo, ma si trattenne con le lacrime agli occhi.
Come se la sua dichiarazione non fosse bastata, Severus la sorprese ancora una volta. Tese una mano e le accarezzò una guancia, davanti a tutti, prendendosi tutto il tempo per sentire la morbidezza e il calore della sua pelle sotto i polpastrelli.
«Andiamo a casa» le sussurrò, e lei non aggiunse altro, trovando quelle poche parole essenziali e necessarie.
Accettò la sua mano, e insieme uscirono sotto la luce della luna.













 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


Epilogo - Natale
 
 
 
Hermione si svegliò lentamente e con la piacevole sensazione di aver riposato a lungo e al caldo. Tenne gli occhi chiusi per un po', godendosi il silenzio che giungeva dalla strada. Era un silenzio sonnacchioso, allegro, nato dalla neve che era caduta la sera prima.
Ripensarci ampliò il suo sorriso, e quasi per abitudine allungò le braccia verso il lato opposto del letto. Trovandolo freddo ricordò di essere sola.
Capitava ormai così di rado che se ne stupiva: Severus si fermava spesso a dormire con lei, un'abitudine che non aveva sconvolto Kathleen e che era diventata sempre più frequente.
Quella mattina però, la mattina di Natale, Severus aveva voluto lasciarle sole.
È giusto così, aveva detto, ma Hermione sospettava si trattasse di un altro momento in cui lui credeva di essere di troppo. Non aveva insistito, preferendo invitarlo comunque per quella mattina.
Insieme, dopo, sarebbero andati alla Tana per il pranzo.
Stirò le braccia in alto, cercando di convincersi a lasciare le calde coperte, ma prima che arrivasse a tale decisione qualcosa che sembrava possedere la forza di un tornado investì il suo letto.
«Mamma, è Natale! Svegliati!»
Kathleen gridò senza considerare che Hermione sarebbe potuta essere ancora addormentata, e si gettò su di lei con tutto il peso.
«Ci sono i regali, mamma, li ho visti!»
Due occhi neri e luminosi, contornati da capelli spettinati in ogni direzione, invasero il suo campo visivo. Kathleen aveva l'espressione allegra e furbetta che non presagiva mai nulla di buono.
«Buongiorno, amore» biascicò Hermione lentamente, con una carezza sulla sommità del suo capo.
«Su, su, andiamo!» gridò Kathleen già nell'altra stanza.
Hermione raccolse la vestaglia con un lieve sorriso agli angoli della bocca, pensando che ora, forse, capiva perché Severus avesse scelto di non essere presente quella mattina. Aveva imparato a conoscere ciò che amava l'uomo al mattino, e non erano cose adatte ad una bambina.
Quando raggiunse il salotto trovò Kathleen impaziente a saltellare da un piede all'altro davanti l'albero di Natale, le luci a brillare riflesse nei suoi occhi.
«Possiamo aprirli, mamma?»
Hermione sorrise al tono quasi supplichevole della bambina, si sedette accanto a lei e iniziarono a scartare i pacchetti.
 
Erano ormai circondate da mucchi di carta colorata quando suonò il campanello.
«Dev'essere Severus, perché non vai a vestirti?» disse Hermione alzandosi, il suggerimento che assomigliava più ad un ordine.
«Ma anche tu sei in pigiama» provò a protestare Kathleen, ma uno sguardo di Hermione la dissuase dall'insistere.
Aprì la porta con un senso di vaga anticipazione alla bocca dello stomaco, anche se l'aveva visto il pomeriggio prima.
Incontrò gli occhi e si sentì invadere da un calore già diventato familiare, ma ogni volta inaspettato. Severus le stava davanti interamente vestito di nero, con una scatola colorata tra le mani, ed Hermione percepì quel calore allargarsi tanto da iniziare a scorrere tra le vene, raggiungendo ogni angolo di lei.
Percepì il sorriso farsi indulgente, un bonario rimprovero, ma gli occhi gridavano tutto il suo amore.
«Avevamo detto niente regali» lo salutò, scostandosi per farlo passare.
«L'avevi detto tu, non io» Severus rispose facendo un passo in avanti, soffiandole sulle labbra tutta la sua petulante puntigliosità.
Hermione avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo, ma dita calde si strinsero attorno al suo mento e le labbra furono catturate in un bacio.
I baci di Severus non erano mai dolci, possedevano una languida morbidezza che aveva il potere di accendere il lei il desiderio al minimo tocco. Si sentì accarezzare dalle sue labbra e dalla sua lingua, che le sfiorò il palato senza chiedere permessi, ma conservando una delicatezza tale che avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa.
Hermione quasi gemette prima che lui si staccasse leggermente, rimanendo alla distanza di un battito cardiaco.
«Buon Natale» le sussurrò con voce roca, che la fece rabbrividire.
«Buon Natale» si sforzò di rispondere. Deglutì a vuoto, ma la voce le uscì più acuta di quanto avrebbe voluto. Si era riproposta di apparire naturale, ma seppe dal ghigno che Severus aveva sulla labbra di aver fallito.
Sentì le guance scaldarsi: ancora dopo tutti quei mesi baciare Severus le faceva quell'effetto.
Si schiarì la voce. «Vado a cambiarmi. Mi aspetti?»
«Preferirei venire con te, ma starò buono»
Hermione capì dopo due passi il sottotesto di quella frase. Tornò indietro per colpirlo su un fianco, le guance che scottavano e un sorriso sulle labbra.
 
 
 
«Per mee?» Kathleen sgranò gli occhi quando si vide porgere il pacco, e allungò le mani esitante.
«Dovresti fare in fretta, bambina, prima che salti fuori da solo» commentò Severus con una sfumatura divertita nella voce.
Quella frase fece sgranare ancor di più gli occhi a Kathleen e ricevere un'occhiata tra l'avvertimento e la preoccupazione da Hermione, ma l'unico risultato che ottennero fu un ampliarsi del suo sorriso beffardo.
Kathleen posò la scatola a terra e con pochi, rapido gesti sollevò il coperchio. Appena vide il contenuto aprì la bocca in un cerchio perfetto di stupore, senza emettere fiato o parola.
Hermione fece un passo in avanti per guardare e proprio in quel momento un muso peloso, con gli occhi socchiusi dal sonno, spuntò dalla scatola.
«Un gatto!» gridò Kathleen con un grosso sorriso e, senza ringraziare o degnare di un'altra occhiata gli adulti, prese il cucciolo tra le braccia e iniziò a parlargli fitto fitto sottovoce.
Hermione guardò la figlia con tenerezza prima di voltarsi verso l'uomo. Incrociò le braccia e lo guardò con quello che voleva essere uno sguardo severo, ma sapeva in partenza di aver fallito.
Severus le si avvicinò con un sorriso alle labbra che somigliava più ad un ghigno, e le circondò i fianchi con le braccia.
«Ti ho già detto che sei bellissima?» le sussurrò all'orecchio prima di scendere a postarle un bacio sul collo.
Hermione represse un sospiro. «Non ti farai perdonare con i complimenti»
Severus mugugnò qualcosa contro la sua pelle senza darle la possibilità di spostarsi, né ribattere altro.
«Ho un regalo anche per te» bisbigliò standole vicino.
«Avevamo-»
«Avevi» la interruppe, senza cattiveria ma con fermezza. Frugò in una tasca prima di tirarne fuori un piccolo oggetto avvolto da un fazzoletto rosso.
Hermione prese il regalo sfiorandogli le dita, grata della sua mano sul fianco a sorreggerla. Sentiva la gola secca, e un vago senso di colpa per non avergli fatto un regalo: per quanto lui ne dicesse, avevano davvero concordato insieme di non farsene.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma rimase con le labbra schiuse quando scoprì ciò che i lembi celavano.
«Una chiave?» chiese, o forse sospirò. Gli occhi avevano iniziato a pungere e in groppo in gola che assomigliava alla commozione a farle mancare il fiato. «È...»
«La chiave del mio appartamento, sì» finì Severus per lei, una particolare luce negli occhi.
Hermione avrebbe voluto rispondere con mille cose e rimanere in silenzio, baciarlo fino a fargli mancare l'aria e colpirlo perché far piangere una donna a Natale è il peggior crimine di cui macchiarsi. Rimase immobile a rigirarsi la chiave tra le mani, sapendo che quel regalo era simbolo della completa libertà di entrare nei suoi spazi, nella sua vita, in lui.
Si asciugò una lacrima con il palmo e alzò gli occhi su di lui. Tutte le parole si persero nel respiro tra la sua bocca e i suoi occhi, in cui Severus lesse tutto ciò che in quel momento lei non riusciva a dirgli.
E non le chiese altro. Strinse le braccia attorno al suo corpo e se lo premette contro, accarezzandole i capelli e il capo posato sul suo cuore.
Entrambi rimasero immobili, godendosi il momento. Dopo si sarebbero separati, dopo avrebbero dato un nome al nuovo arrivato, dopo sarebbero andati alla Tana e dopo ancora sarebbero tornati a casa ed Hermione si sarebbe presa il bacio che meritava.
Dopo, dopo quel giorno, dopo quei mesi, avrebbero vissuto la loro vita insieme, uniti come una famiglia.
Ma dopo. Per il momento, per entrambi, il mondo non era più grande che lo spazio necessario ad accogliere il corpo dell'altro.
E per tutta la loro vita insieme, quello spazio sarebbe bastato.
 
 
 
 
 
 
 



Ed eccoci arrivati a quest'epilogo, un po’ fuori stagione, che dire che sia arrivato in ritardo è fargli un complimento. Mea culpa, lo ammetto, ma scrivere la fine di questa storia mi rende felice e triste insieme, probabilmente per questo ho rimandato così a lungo.
Un piccolo appunto: so che il regalo di Severus a Kathleen può sembrare melenso e OOC, ma se ricordate si parlava di gatti già nel capitolo riguardante il compleanno di Harry. Una piccola precisazione, tutto qui!
Si sa che separarci dalle cose che amiamo è sempre difficile, ed è per questo che vi dico che non sarà l'ultima volta che vedrete Kathleen (perché diciamocelo, qualcuno crede veramente che resterà buona buona senza combinare nulla?). C'è già una one-shot mezza creata, ma non vi darò nessuna data di pubblicazione (che come abbiamo capito tutti non rispetterei mai, mannaggia a me!).
Prima di concludere con i dovuti ringraziamenti ancora una piccola notizia: ho già iniziato a scrivere una nuova long su questa ship, se non siete ancora stanchi di me potete già leggere il primo capitolo pubblicato sulla mia pagina.
Ed ora a voi. Sono grata più di quanto possa esprimere a questa storia per avermi fatto conoscere ognuno di voi, per il vostro affetto, le vostre parole e il vostro supporto costante senza il quale probabilmente questa storia sarebbe rimasta incompiuta e giunta alla fine solo nella mia mente.
Quindi un grazie a tutti voi, ancora.
 
Alla prossima e un grande abbraccio,
Crudelia

 

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