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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Parte Prima - Uno Sguardo Indiscreto *** Capitolo 2: *** Parte Seconda - Un Destino Capriccioso *** Capitolo 3: *** Parte Terza - Una Domanda Scomoda ***
Capitolo 1 *** Parte Prima - Uno Sguardo Indiscreto ***
Parte prima:
Uno sguardo indiscreto
Tutti voi conoscete
la storia. Tutti voi conoscete Amu, Ikuto, Tadase e i Guardians, nonché le loro
mirabolanti avventure.
Dimenticatele.
Perché quello che
voglio farvi scoprire oggi è ciò che sta dietro le quinte di questa
favolosa storia.
Lasciate dunque che
vi accompagni dove tutto ebbe inizio ma mai avrà una fine: in una stanza buia,
piuttosto stretta, illuminata solo dalla fioca luce di una decina di schermi
addossati ad una delle pareti. Di fronte agli schermi v’è una poltrona, una
grande poltrona, di quelle che solo i peggiori malvagi avrebbero il diritto di
avere. Giriamo ora attorno a questa poltrona, svelandone l’occupante...
...
...
...eh?
Ehm... c’è nessuno?
Abbiamo sbagliato orari? L’occupante della poltrona è andato al bagno?
«Ehi, sono qui!»
...hmm?
«Ho detto che sono qui! Abbassa quella telecamera,
troglodita mongoflettico d’un cameraman!»
D’accordo,
d’accordo, ma che modi...Ehm. Comunque sia.
Ed ecco che ci
ritroviamo davanti a... ehm... aspettate... regia? Credo che ci sia qualcosa
che non va. Questa è una bam-...
«Piantala di blaterare! Qui l’unica autorizzata a farlo
sono io! E si può sapere chi ti ha dato l’autorizzazione di venire qui? Hai un
permesso scritto? Ah, no? Allora smamma, e in fretta, anche!»
“...e così venimmo sbattuti fuori.”
La piccoletta, alta sì e no un metro e una ciliegia,
assomigliava pericolosamente ad un personaggio disegnato da POP[KA1],
non fosse stato per la strana aura che emanava, così simile a quella di un
essere umano ed altrettanto pericolosa.
Teneva la testa leggermente inclinata verso sinistra, la
guancia paffuta abbandonata sul palmo della mano, e sgranocchiava lentamente un
pawky al cioccolato (sì, lo so, voi normalmente lo chiamereste “mikado”, ma non
vi consiglio di farlo in sua presenza...), fissando gli schermi di fronte a lei.
In uno di questi, su cui il suo sguardo era focalizzato
in quel momento, si potevano vedere tre ragazzi: gli eroi della storia di cui
parlava prima il nostro sfortunato cameraman.
Attualmente stavano confabulando sul da farsi, dato che
il cattivo di turno («Quel dannato direttore... mi chiedo, perché non sono
ancora andata a farlo fuori? Perché? E’ lui la causa di tutti i mali!» urlò la
bambina, alzandosi in piedi sulla poltrona e puntando il dito contro lo schermo
– e per poco non soffocandosi con il pawky) era riuscito a rubare il tesoro di
turno e portarselo nel suo malefico covo (di turno).
L’aitante ragazzo dai capelli neri tirò fuori dalla tasca
qualcosa di simile ad una carta di credito, mostrandola ai compagni.
«Microfono sulla cinque» sussurrò la bambina, mentre le
s’illuminavano gli occhi.
In quel momento, una voce rimbombò nella stanza: «Questa
carta attiva l’ascensore che porta all’ufficio di Gozen. L’ho rubata qualche
tempo fa. »
«Oh, Ikuto, sempre il migliore!» sorrise la bambina,
tutta contenta. «Che cosa faremmo senza di te?»
«Ma possiamo andarci solo in tre» continuò il ragazzo
«Altrimenti rischieremmo di venire scoperti»
La bimba roteò gli occhi per l’ovvietà della scelta.
Ikuto, Amu e Tadase; il primo perché il suo arco ancora
non era finito, la seconda perché era la protagonista e il terzo... perché era
il fastidioso ed egocentrico completamento del triangolo e purtroppo non se ne
poteva fare a meno.
«Quasi quasi cambio e ci mando Utau» borbottò la bambina,
annoiata «Insomma, tanto per cambiare. Tadase non può essere sempre lì in mezzo
a rompere le uova nel paniere, santa carota» e concluse l’affermazione dando un
morso secco al suo pawky.
I ragazzi nello schermo si apprestarono ad entrare
nell’ascensore per mezzo della carta, ma... la porta non si aprì. Tutti e tre
rimasero scioccati; in particolare, Amu aveva assunto la sua tipica espressione
da “...eh?”.
Il pawky cadde a terra con un sordo “tac”.
La bambina era scioccata più di tutti gli altri messi
insieme.
Balbettò qualcosa d’insensato, gli occhi che scorrevano
sullo schermo come alla ricerca di un cartello “Sorridi! Sei su Candid
Camera!”.
«No... » disse, stringendo i pugni «No, no, no, no, no,
NO!»
Iniziava a girarle la testa. Cosa stava succedendo? Le
cose non dovevano andare così! Se i ragazzi non avessero scoperto chi era Gozen
e tutto il resto, Ikuto non sarebbe mai stato veramente libero, e allora addio
alla sua Amuto Ending! Non poteva succedere!
E mentre la bambina si disperava, mani tra i capelli
(urlava qualcosa del tipo “ohnno, ohnno, ohnno,
stupidastupidastupidaimpiccionarompiuovanelpanierechecosadevofarciconteseisemprelìprontaaincasinarmilavita[...]”
- il resto lo lascio alla vostra fantasia, perché questa conosce parole più
lunghe di quelle di Mary Poppins), la porta del suo piccolo studio si aprì, e i
nostri tre eroi fecero il loro ingresso... dove non avrebbero mai dovuto.
«Seriamente, Ikuto, e io che credevo che fossi certo che
dovessimo passare di là... » si stava lamentando Amu.
«Io ne ero certo...»
borbottò lui in risposta.
«Avanti, Ikuto-niisan, a tutti può capitare di
sbagliarsi... » lo rassicurò un bonario (ed alquanto irritante) Tadase,
entrando per ultimo.
La bambina, ancora le mani tra i capelli come una
perfetta idiota, si girò lentamente e li vide.
«AH!» esclamò, e i tre risposero con un “ah!” spaventato
di rimando.
Poi silenzio.
Tadase guardò Amu.
Amu guardò Ikuto.
Ikuto guardò la bambina con un’espressione incredula che
per nulla gli si addiceva.
«...io l’avevo detto che non era la porta giusta».
«Kyaaaaa!» un secondo urlo da parte della bambina lacerò
i loro timpani facendoli sobbalzare; di contro, lei perse l’equilibrio e ci
mancò poco che cadesse dalla poltrona, non fosse stato che riuscì ad aggrapparsi
al bracciolo appena in tempo e rimase lì, coi piedi a penzoloni (già, era bassa
fino a quel punto), indicandoli con l’indice dell’altra mano.
«C-c-che ci fate voi qui?!» esclamò, impanicata. Amu
avrebbe potuto giurare di vedere la sua anima uscirle dalla bocca e il suo
sguardo farsi vacuo per lo shock.
«Chi sei tu, piuttosto!» chiese Tadase, in un attimo di
inaspettato coraggio.
Ma nessuno fece in tempo a ricevere una risposta, perché
proprio in quel momento una parte perfettamente circolare di soffitto cadde
davanti a loro.
Dal buco che si era creato, scese a quel punto un bambino
biondo vestito stile “Mission Impossible”, calandosi con un rampino. Atterrò e
sfoderò quello che doveva essere un sorriso affascinante, ma sul suo volto di
bimbo sembrava più che altro la smorfia di chi si è trovato un panino ammuffito
nello zaino.
«Hikaru!» esclamò la bambina, riprendendo improvvisamente
coscienza di se stessa e spostando l’indice dai tre eroi al nuovo arrivato.
«Taiyaki Kid!» strillò invece Amu, esterrefatta,
indicandolo a sua volta.
Il bimbo, con un ghigno di sufficienza, fece “no” con il
dito, per poi batterlo un paio di volte sulla spilla argentea che portava sul
petto.
«Ero stufo di farmi chiamare così da tutte le fangirls
inglesi che girano per il web. Ora sono uno Spy Kid!» dichiarò, accompagnando
l’ultima frase con una posa che più che altro si addiceva ad una Superchicca.
...silenzio, rumore di cicale provenienti da chissà dove.
Ora le anime che cercavano la strada verso l’aldilà erano
quattro.
«Okay, okay, ragazzi, è ora che ci pensi io a sistemare
le cose»
Queste parole vennero pronunciate da una voce sconosciuta che sembrava
provenire da sotto terra (e, dico, chi mai poteva avere la malsana idea di
nascondersi là sotto? Il Bau-bau? Il mostro di Loch Ness? Heidi?). Quando un
dolce aroma di tè pervase l’aria, comunque, tutti capirono chi stava arrivando.
Con il suo solito sorriso e l’immancabile tazza di tè in
mano, Tsukasa-san, il primo King’s Chair, emerse dal pavimento dopo aver
scardinato una lastra di quest’ultimo.
La bambina ebbe nuovamente qualcuno contro cui puntare il
dito, e questa volta era furente.
«Ma insomma, vi siete messi in combutta per distruggermi
la tappezzeria o cosa?!» strillò, esasperata «Non ce l’avete un contegno? Una
morale?»
«Scusate il disagio, sono venuto a prendere questo bel
bambino e riportarlo a casa» rispose Tsukasa, rivolgendo ad Hikaru un sorriso
ancor più dolce del suo tè e ignorando la povera bambina.
Il piccoletto, al contrario delle aspettative, parve
terrorizzato dalla proposta del custode del Planetario. «NO!» urlò,
improvvisamente a un passo dalle lacrime. Si voltò verso Amu, unico viso a lui
noto, lo sguardo supplicante «Non credete a quello che dice! In realtà non è
una brava persona! Lui... lui mi ha... mi ha...»
«Ti ha...?!» esclamarono i ragazzi, sconvolti al solo
pensiero di cosa un uomo adulto come Tsukasa potesse aver fatto a quel povero e
tenero bambino.
«...mi ha costretto a bere tè con lui tutto il giorno, e
parlava di strane uova che non vengono fuori dalle galline, e poi ogni tanto mi
diceva che avevo perso il mio uovo o che strappare le pagine ai libri dovrebbe
essere un crimine, e io avevo tanta paura perché sono sicuro di non saper fare
le uova, ma lui...».
“Spatatunf!” fu più o meno il suono dei corpi dei ragazzi
che caddero a terra.
«Avanti, Hikaru-chan, fa’ il bravo e vieni con me, o a
casa si preoccuperanno...» disse gentilmente Tsukasa, uscendo dal buco nel
pavimento («E’ irreparabile, irreparabile... la giornata di oggi mi costerà una
fortuna, porca carota!» fu il borbottio sommesso della bambina).
«Non voglio!» piagnucolò Hikaru, e grossi lacrimoni gli
scorrevano lungo il viso «Io... io voglio fare lo Spy Kid! Lo voglio davvero!»
«Abbi pazienza, piccolo, non si può diventare spie così, da
un giorno all’altro... »
«Già, ha ragione Tsukasa-san, ci sono cose che non si
possono fare così in fretta» confermò Amu, intromettendosi nella discussione.
«Esatto. Come conquistare il mondo, ad esempio» le diede
man forte Tadase.
«O ritrovare la libertà perduta» aggiunse Ikuto, che si
era sentito in dovere di dire qualcosa anche lui.
«Oppure... imparare a cucinare»
«Oh, fare gli onigiri, ad esempio... ci ho messo secoli
ad imparare per bene» annuì ancora Tadase, seriamente. //“onigiri are
serious business” u_u//
«Davvero?» chiese Amu, interessata «A me ha insegnato mia
mamma... lei è un genio, in queste cose, pensa che il suo tempura fatto in
casa...»
«ORA BASTAAAAAAAA!»
Chi aveva urlato era la bambina, che finalmente aveva abbandonato
la posizione a penzoloni dalla poltrona (seppur con un po’ di fatica) e adesso
era di fronte a loro, i pugni stretti sui fianchi con fare autoritario.
«Non. Ne. Posso. Più. Porca. Carota.» disse,
accompagnando ogni parola con un colpo sulla testa di uno dei malcapitati.
«Tu!» ordinò, indicando Hikaru «Smetti di piagnucolare e
torna a casa immediatamente. Che poi a tuo nonno vengono i complessi e pensa
cose complicate come catturare l’Embrione, cercare distruggere quei poveri
scemi dei Guardians per poi fallire miseramente e cose del genere. E tu!» passò
ora ad indicare Tsukasa «Accompagnalo. Non dirgli cose strane che potrebbero
spaventarlo, fila dritto a casa sua E BASTA. Ah, e mi aspetto un risarcimento
per la tappezzeria. E per quanto riguarda voi
tre...» lanciò ora un’occhiataccia ai protagonisti «Visto che ormai vi
siete introdotti qui e non c’è modo di rispedirvi nella vostra storia senza
aver prima risistemato le cose, vedrò di trovare qualcosa in cui possiate
rendervi utili. Quindi, seduti!».
Il trio deglutì all’unisono e obbedì. Perfino Ikuto
era stranamente spaventato dal quella stramba bimbetta.
Mentre Tsukasa ed Hikaru sparivano nel buco del pavimento
(«E ricordate, ragazzi: io sapevo tutto» sorrise l'uomo con fare misterioso), la padrona di casa tirò fuori da
chissà dove un altro pawky e se lo mise in bocca come farebbe un ispettore di
polizia con il suo sigaro.
«Allora, Trio Medusa, la situazione è questa» spiegò,
autoritaria, senza nemmeno lasciare che si fossero ripresi dal trambusto di
poco prima «Normalmente, io controllo le storie in modo che tutto vada per il
meglio. Sono una specie di “Destino vivente”, comando i vostri mondi come mi
pare e piace. In particolare, in questo momento stavo cercando di fare in modo
che tu» indicò Amu «capissi bene che cosa provi per lui» e spostò l’indice su un
perplesso Ikuto.
I due si scambiarono una fugace occhiata; Amu arrossì e
rischiò di mettersi a fumare come una pentola a pressione, mentre Ikuto
semplicemente distolse lo sguardo, perso per un attimo nei suoi pensieri.
Tadase, col cervello bacato che si ritrovava, non capì
esattamente cosa intendesse la bambina. Alzò la mano come uno studente che
chiede la parola alla maestra.
«Scusa... ma il lavoro di cui parli... insomma...
solitamente non è ciò che fanno gli dei?» chiese, indicando poi verso l’alto.
(La cosa incredibile era che avesse creduto ad ogni singola parola, cosa che in
condizioni normali non dovrebbe accadere).
«Tsk» sospirò la bambina «Parlo spesso con gli dei, che
credi»
«Quindi... il Destino è una parte scissa dagli dei, ma
tuttavia crede in loro... » ragionò lo shota biondo tra sé.
«Certo che no» rise lei «Ma ti pare? Li conosco troppo
bene. Sarebbe come credere nel postino» ridacchiò un attimo, poi tornò seria e
autoritaria come poco prima «Dunque, io stavo facendo benissimo il mio lavoro,
quando c’è stato... come lo chiamereste, voi? Un bug di sistema.»
«Il Destino può subire un bug? Come un computer?» chiese
una perplessa Amu appena ritornata di un normale colore rosa, più dissimile dai
suoi capelli di quanto non fosse poco prima.
«Non proprio» spiegò la bambina, scuotendo la testa
«Normalmente non dovrebbe accadere. Assolutamente. Voglio dire, che
succederebbe se ogni due per tre il sistema si bloccasse e l’equilibrio dei
mondi si alterasse? Sarebbe un disastro!» si morse la punta del pollice,
nervosa e irritata al contempo «Il problema è derivato da un agente esterno.
Come un virus, che si è infiltrato e ha creato il bug»
I tre inclinarono la testa di lato. Tutto quel paragonare
il sistema del Destino ad un computer era piuttosto ridicolo.
«Ma... chi si metterebbe mai a creare un virus per
alterare il Destino?» chiese dunque Ikuto, dopo un’attenta riflessione (di
circa un paio di secondi, perché dopotutto lui era Ikuto).
Gli occhi della bimba s’illuminarono. Finalmente una
domanda sensata. «So perfettamente chi è. In effetti, è proprio...».
Ci fu un silenzio carico di aspettativa.
Passò un secondo. Ne passarono due. Rapidamente i secondi
erano diventati dieci.
La bambina stava stringendo i pugni fino a far sbiancare
le nocche; lo sguardo, che pareva improvvisamente assatanato, era puntato verso
il basso, e le labbra erano curvate in un sorriso malefico. Emanava un’aura
peggiore di quella di Utau Hoshina alla scoperta dei veri sentimenti di Ikuto.
I ragazzi rabbrividirono.
«Fate...» disse la bambina con tono lugubre. «Quella
dannata, dannatissima Fate!» urlò poi, puntando il dito verso un punto
indefinito di fronte a lei senza apparente motivo (a quella piccoletta doveva
proprio piacere indicare le cose, nonostante sia un gesto altamente maleducato
e disprezzato da molte società).
«Perciò» dichiarò, lo sguardo non meno assatanato di
prima «Dobbiamo andare a prenderla. Quella codarda si nasconde in un altro
mondo sperando che io non riesca a trovarla. Ma!» fece una pausa e tirò fuori
dal nulla l’ennesimo pawky compiendo un ampio arco con il braccio con fare
teatrale «Io so perfettamente come
fare».
Amu e Tadase, terrorizzati, si erano entrambi
istintivamente aggrappati a un braccio di Ikuto.
La bambina chiuse gli occhi e agitò il pawky nell’aria, e
attorno a lei apparve un cerchio magico che pareva appena uscito da un certo maho-shoujo delle CLAMP. Dalla
punta cioccolatosa del pawky si sprigionò dunque una luce accecante, mentre la
piccola mormorava delle parole inudibili.
Quando la luce si spense, sembrava che non fosse cambiato
nulla. Ma, sbattendo le palpebre e guardando più attentamente, si poté notare
che davanti alla bambina era comparso qualcosa.
Un onigiri... un onigiri dotato di occhi e bocca, che ora
sonnecchiava con una grossa bolla che si gonfiava e ritirava al ritmo del suo
russare.
«Ci si rivede, eh, Konami[KA2]?»
disse soddisfatta la bambina, con un ghigno che ancora pareva malefico.
Prese dunque in mano l’onigiri vivente (al tocco della
sua mano, la bolla scoppiò e quello si svegliò di soprassalto) e tornò ad
avvicinarsi ai ragazzi.
«Quest’affare ci porterà nel mondo in cui si trova quella
stupida codarda traditrice del suo sangue» disse, lasciandolo cadere di
malagrazia in mezzo a loro. «Pronti? Tre, due, uno...»
I ragazzi, volenti o nolenti, furono avvolti da una luce
giallastra e degli strani simboli iniziarono a girare loro intorno (simboli
che, a quanto pare, erano stranamente simili a ciliegie, mele, mirtilli e
frutta in generale... non esattamente gli ideogrammi sconosciuti e misteriosi
che si vedevano nei manga, ma bisogna dire che facevano comunque la loro bella
figura), mentre l’onigiri chiamato Konami sorrideva allegramente.
Solo allora ad Amu venne in mente una cosa.
«Non ci hai ancora detto il tuo nome!» esclamò, curiosa.
La bambina sorrise, enigmatica. «Ma certo» disse,
rimettendosi il pawky in bocca e scostandosi i capelli dal viso con l’altra
mano «Il mio nome è Kim[KA3].
Destino del mondo al vostro servizio»
E avrebbe aggiunto un breve inchino, se solo non fossero
scomparsi tutti un attimo dopo.
[KA2]Questo
nome è un (pessimo) gioco di parole tra un anagramma del nome “Mokona” e la
vera e propria “Konami”, casa giapponese di videogames, tra qui quelli di Shugo
Chara. Giuro che non so come abbia fatto a venirmi in mente una cosa del genere
xD
[KA3]Lo
so, la cosa suona piuttosto egocentrica. E lo è. Il fatto è che sognavo da
secoli di scrivere una FF in cui fossi la protagonista onnipotente, perciò
eccola qui xD
Capitolo 2 *** Parte Seconda - Un Destino Capriccioso ***
Ed eccoci al secondo capitolo di questa strana storia!xD
Non avrei mai creduto che potesse effettivamente
piacere a qualcuno (trovo che le mie battute siano sinceramente penose, ma se
vi fanno ridere tanto meglio, è una botta di salute per la mia autostima=D),
e invece...
Ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno lasciato
una recensione, mi fate tanto contenta ^_^
Parte
Seconda: Un Destino capriccioso
L’atterraggio fu piuttosto veloce e doloroso.
Tutti, perfino Ikuto e i suoi riflessi felini, finirono
per terra a gambe all’aria, doloranti.
Solo la bambina era atterrata in piedi con grazia, come
trasportata dal vento, e aveva già preso a guardarsi intorno.
Erano in una città. Una città che brulicava di gente di
ogni tipo, ma soprattutto di ogni razza: ecco là un ciarliero folletto che chiedeva
indicazioni a un nano scorbutico, o un elfo che teneva per mano una ragazza con
un occhio solo, e poco più avanti una libreria la cui insegna recitava “Libri
di Magie per tutti i gusti”.
Ma la cosa più stupefacente di quella città erano i
palazzi. Tanti, altissimi, e completamente fatti di vetro, o così sembrava. La
luce mattutina attraversava la trasparenza di quegli edifici, amplificandosi e
creando un’atmosfera ancora più magica.
«Oh, no» disse Kim, portandosi le mani al viso in
un’espressione terrorizzata.
I ragazzi distolsero lo sguardo dalla magnificenza di
quella città e lo posarono sulla bambina, stupiti.
«Oh, no» ripeté lei. «Questo è... no, non è possibile...
Konami!»
La polpetta bianca la guardò stralunata con un sorriso
ebete e un filo di bava che le usciva dalla bocca.
«Non mi sembra così male» azzardò timidamente Tadase,
cercando di rassicurare la piccolina.
«No, no, non capite» spiegò lei, accucciandosi con la
testa tra le mani «Io lo so dove siamo. Questo mondo è ancora del tutto instabile,
in fase di creazione... luoghi ed avvenimenti cambiano in ogni secondo,
potremmo ritrovarci da un momento all’altro in mezzo ad una guerra, o in un
buco nero, o... »
I tre la guardarono senza capire bene.
«Oh, insomma!» esclamò Kim, esasperata «Questo mondo l’ho
creato io, in prima persona e senza deleghe. E’... una storia che ho scritto. »
fece una breve pausa, arrossendo per la strana rivelazione. Non è facile
ammettere in pubblico di essere un’aspirante scrittrice, specie quando hai
appena catapultato i tuoi interlocutori nel mondo da te creato. Si riprese dopo
un paio di secondi, e continuò: «Tutto ciò che accade qua è conseguenza di ciò
che ho deciso che sarebbe dovuto accadere... ma il problema è che non ho deciso
niente di definitivo!»
Un barlume di consapevolezza attraversò finalmente gli
occhi dei ragazzi.
«Quindi, se restiamo qui per troppo tempo... » incominciò
Amu, preoccupata.
«...noistessi
potremmo venire cancellati a causa dell’instabilità di questo mondo» concluse
Ikuto, accigliato.
«Come facciamo? Stare qui è pericoloso!»
«Dannatissima Fate, aveva previsto tutto...» ringhiò Kim,
stringendo i pugni. «Ma un modo c’è. Se riusciamo a trovare i...»
Proprio in quel momento, ci fu qualcosa di simile
all’onda d’urto di un’esplosione, che fece tremare tutto il territorio
circostante. Neanche a dirlo, Kim era così leggera che fece un volo di due
metri, mentre Amu cadde di gran carriera addosso ad Ikuto. E Tadase... che fine
fece Tadase? Mah, tanto a nessuno importava, quindi perché preoccuparsene.
«Ahia... » si lamentò Amu in direzione delle ginocchia
sbucciate.
«Certo che ti diverti proprio a cadermi addosso, eh? »
sorrise invece Ikuto, con una punta della sua solita malizia.
«Certo che no! E poi non è mica così frequente!»
«Aspetta, fammici pensare... la prima volta che ci siamo
incontrati, poi quella volta del gelato... »
«Sono stati casi, casi,
ti dico!»
«Allora pensi di lasciarmi qui a terra ancora per molto o
cosa?»
E mentre un’Amu rossa come un pomodoro si alzava in piedi
in tutta fretta, Kim (miracolosamente illesa... di che cos’era fatta quella
bambina? Cemento armato?) drizzò la testa.
«Eccoli» sussurrò, sorridendo in un improvviso sbalzo
d’umore. «Sapevo che Shirley e Jason[1]
non potevano essere lontani»
Un attimo dopo era sparita di corsa tra la folla,
lasciando i nostri amici al loro destino.
«Ehi!» protestarono in coro Amu e Ikuto, e si
affrettarono a correrle dietro.
Per fortuna la bambina non era andata molto lontano: la
ritrovarono infatti poche decine di metri più avanti, avvinghiata alla gamba di
uno scioccato ragazzo dai corti capelli neri e gli occhi color nocciola. Una
biondina attraente quanto esterrefatta assisteva alla scena con una punta di
irritazione.
«Kim!» la chiamò Amu, contrariata, senza tuttavia poter
fare a meno di degnare di uno sguardo affascinato il ragazzo a cui la bambina
si era appiccicata «Cosa credevi di fare, lasciandoci lì? E chi sono questi
due?»
«Chi siete voi,
piuttosto» sbuffò minacciosamente la bionda, che pareva aver trovato in Amu la
persona perfetta su cui scaricare la sua crescente irritazione «Si può sapere
che modo di fare è questo? Si arriva e ci si appiccica come zecche ai ragazzi
altrui? C’è sicuramente una voce del codice penale che punisce atti del
genere!»
Amu inizialmente arretrò di un passo, spaventata, ma quel
comportamento le ricordò parecchio quello di Utau e non poté fare a meno di
reagire. «Non è mica colpa mia se questa tizia se ne va in giro a fare quello
che vuole! » disse, esasperata «E si può sapere chi ti dà il diritto di
giudicare la gente? Smettila di stressarti tanto!»
«Io giudico chi mi pare e piace, specialmente quando si
tratta di chi arriva e molesta il mio Jason[2]!»
«Ehm... avanti, ragazze, calmatevi» s’intromise un pacato
Ikuto, regalando alla bionda uno dei suoi sorrisi maliziosi «Capisco quanto tu possa
tenere a quel ragazzo, ma se dai un’occhiata potrai constatare che se la sta
cavando benissimo anche da solo».
Lei ed Amu tornarono a voltarsi, e videro che in effetti
Jason non se la stava passando male: aveva convinto la bambina a staccarsi
dalla sua gamba e ora la teneva in braccio. Sembrava che avessero iniziato una
coinvolgente sfida a carta-forbice-sasso.
«Dannazione, Jason! Si può sapere che stai facendo,
ora?!»
Il ragazzo, sorpreso, tornò a guardare la sua compagna,
come se si fosse appena ricordato che anche lei era lì.
«Oh, scusa, Shirley. Avevo dimenticato che c’eri anche
tu» disse, innocentemente.
Ecco, come volevasi dimostrare.
Shirley si portò le mani al viso e si appoggiò
drammaticamente alla spalla di Amu «Come si fa a non stressarsi, con uno così?
Come?» piagnucolò, disperata.
Intanto, Kim stava sussurrando qualcosa nell’orecchio di
Jason.
Lui annuì e alzò il pollice per poi rimettere a terra la
bambina, che si affrettò a prendere Amu e Ikuto per la collottola e allontanarli
di qualche metro.
«Questi due sono Shirley e Jason» sussurrò, in una
spiegazione che in qualche modo ricordava molto un documentario di Super Quark
«Sono i protagonisti della storia; essendo loro il centro dei cambiamenti
principali di questo mondo, restando vicino a loro siamo più o meno al sicuro».
«Protagonisti?» chiese Amu, stranita.
«Come sarebbe a dire “più o meno”?» disse invece Ikuto, a
disagio.
«Lasciate perdere, è così e basta. Ora osservate eimparate come si comporta una coppia»
Nel frattempo, Tadase si svegliò e si ritrovò da solo.
Solo, insieme ad un onigiri.
Gli girava la testa, si sentiva stordito. Che era
successo? Una specie di terremoto...
Ma soprattutto, dov’erano finiti gli altri?
Era fuori questione che l’avessero lasciato da solo:
Hinamori-san non avrebbe mai fatto niente del genere. Doveva essere successo
qualcosa, un incidente, e lui e Konami erano gli unici a non averne risentito
gli effetti.
Probabilmente, una banda di tremendi criminali aveva
approfittato della scossa di terremoto per prenderli di sorpresa, dopodiché
aveva rapito le ragazze e Ikuto-niisan per chiedere un riscatto o costringerli
a mendicare per strada.
Sì, doveva essere andata proprio così, mentre lui era
svenuto a terra. (Notare come la fantasia di Tadase tessesse trame rigogliose
pur di non ammettere di essere stato brutalmente scaricato).
Prese dunque in mano Konami «Ma noi li andremo a
salvare!» dichiarò, convinto.
Beh, almeno avesse saputo da che parte cominciare a
cercare.
Jason si avvicinò ad una contrariata Shirley che gli dava
la schiena e le toccò timidamente una spalla, come a scusarsi.
Lei si voltò appena, giusto per lanciargli
un’occhiataccia e tornare a mettere il broncio.
«Avanti, Zucchero, non fare così...» la pregò il ragazzo,
la voce un po’ cantilenante mentre le avvolgeva le braccia attorno alle spalle.
«Ah, questa sì che è bella. E’ la tua battuta migliore,
non è vero?» ribatté lei, acida, fingendo di ignorare il respiro del ragazzo
sul suo collo «E’ assurdo, semplicemente assurdo» continuò, adirata «E’ vero
che voi maschi siete tutti uguali, ma tu sei in assoluto il peggiore. Non solo
sei un pervertito, ma anche un pedofilo!»
«Oh, su, non dire sciocchezze» sorrise lui, pizzicandole
una guancia «Quella è una bambina, piatta come una tavola. E’ molto più
divertente provarci con te».
Quella frase pose fine al litigio, ma lasciò il segno di
cinque dita rosse sulla faccia di Jason[3].
Kim si stava letteralmente rotolando dalle risate (in
fondo era stata lei a creare quello strano e devastante rapporto di coppia),
Amu era leggermente scandalizzata e Ikuto sorrideva tra sé.
«Senti, Shirley» squittì la bambina, non appena ripresasi
dalla crisi di ridarella «Ho un favore da chiederti»
La ragazza la squadrò da capo a piedi con sufficienza, ma
ora che non era più avvinghiata a Jason pareva sopportarla di più.
«Sarebbe?»
«Tu sei una strega, no?» chiese la bambina, retorica
«Potresti darmi una mano a trovare una persona? Dovrebbe trovarsi qui nei
paraggi».
La ragazza rivolse uno sguardo a Jason, che alzò le
spalle mentre ancora si massaggiava la guancia. «Sei tu il capo, Zucchero.
Nonché la telepate. Se c’è qualcuno in grado di trovare una persona nel raggio
di cento chilometri, direi che sei tu».
Lei arrossì appena ed annuì. In fondo era il minimo che
potesse fare per scusarsi con quella nanerottola. «Chi dovrei cercare?»
«Un’idiota di nome Fate» rispose Kim, candidamente,
sfoderando un sorriso a trentadue denti «La riconoscerai subito, ha un ego che
si estende da qui alla Via Lattea».
Shirley sorrise, beffarda. «Dieci secondi» disse,
semplicemente, e a quelle parole Kim e Jason videro bene di allontanarsi di
qualche passo.
«Che sta facendo?» chiese Amu, perplessa, vedendo la
ragazza chiudere gli occhi e congiungere le mani.
«Per la più santissima carota, Amu, tu ti trasformi, non dovrebbe essere così
scioccante vedere un semplice incantesimo di rintracciamento» sbuffò Kim in
risposta «Piuttosto, la differenza sostanziale tra te e lei è che Shirley il
suo ragazzo se lo tiene stretto. In modo molto tsun-tsun, devo ammetterlo, ma
ha i suoi buoni motivi. Tu, invece?» e sottolineò le ultime parole con uno
sguardo accusatorio.
Ikuto e Amu si scambiarono nuovamente una veloce
occhiata, e lei sarebbe ritornata in modalità pentola a pressione, se proprio
in quel momento Shirley non avesse completato il suo incantesimo.
«Dieci secondi esatti» proclamò la bionda, soddisfatta
del risultato. «La persona che cercate... beh, è proprio lì dietro» li informò,
indicando un vicolo alla loro destra, dove erano ammucchiati diversi sacchi
dell’immondizia.
Kim si diresse a passo svelto verso il vicolo,
trascinandosi dietro Amu e Ikuto per sicurezza.
Diede dunque un calcio ad un sacco della spazzatura, e da
dietro di esso apparve una bambina terrorizzata che le assomigliava parecchio,
fatta eccezione per i lunghi capelli castani ed ondulati e l’espressione molto
più innocente.
«Fate» sibilò Kim, riacquisendo l’aura satanica.
«So... sorellina... » piagnucolò invece lei.
«Si può sapere che ti è preso? Che avevi in mente? Come
hai osato tentare di rivoltarmi contro il mondo da me stessa creato? E
soprattutto, come ti è passato per la testa di cercare di rovinare la mia Amuto
Ending?» strillò Kim, incurante delle lacrime di Fate.
«Ma... ma tu... tu pensi sempre a quello, non vieni mai a
giocare con me... quando eravamo piccole gestivamo sempre i destini assieme,
mentre ora tu ti occupi solo di quegli stupidi shoujo... pensavo che se ti
avessi creato qualche problemino, saresti venuta a cercarmi... »
L’espressione di Kim si addolcì un poco «Ciò non toglie
che ti sei comportata malissimo» la rimproverò «Mi spieghi come fanno questi
due» indicò Amu e Ikuto, dietro di lei «a mettersi insieme, se non fai svolgere
la storia come si deve?»
Fate congiunse gli indici, dispiaciuta «Scusa...
davvero... »
Finalmente, Kim sorrise alla sorella «Ok. Ma non mi serve
che ti scusi, voglio solo che tu faccia tornare l’ascensore alla normalità».
Oh, che bel momento di amore tra sorelle. Più o meno.
«... »
«Beh? »
«Sorellina... di che ascensore stai parlando? Io avevo solo
tolto di mezzo il direttore Hoshina per un po’... » (Cosa di cui nessuno si era
minimamente accorto).
Kim, Amu e Ikuto rimasero di sasso.
«Dobbiamo immediatamente ritrovare Konami! » esclamò la
bambina, nel panico più assoluto. Se non era stata Fate a fare tutto quel
casino, significava che c’era qualcun altro a rigirare il destino dei suoi
amati manga. Chi poteva essere?
Beh, non c’era tempo per farsi tante domande: tirò fuori dalla tasca un pawky e
lo agitò svelta nell’aria per ritrovare Konami e tornare indietro.
Inaspettatamente, non funzionò.
Proprio così, si resero conto i ragazzi, quando Kim
spezzò a terra il duecentonovantatreesimo pawky.
Erano bloccati laggiù.
Konami era introvabile.
Non ci sarebbe stato modo di tornare nei loro mondi, mai
più.
Quattro anime cercarono la via per il paradiso in
quell’istante di spietata consapevolezza.
Ma... seriamente, se Fate alla fin della fiera non
c’entrava nulla, chi era stato l’artefice del complotto?
Chi sedeva ora sulla poltrona di Kim, a controllare il Destino
dei mondi?
Questa stanza è
davvero comoda, sapete?
Senza quella
mocciosetta intorno, voglio dire. Era talmente rumorosa... ma non credo che
sarà più un problema. E ora, per festeggiare la riuscita del nostro nuovo
reality, chi vuole un martini?
Ah, regia... sì, mi
ritiro dal ruolo di cameraman. Ho trovato un lavoro molto più interessante.
Nel frattempo, Tadase.
«Sono certo che ci siamo quasi, Konami! Questo è il Polo
Nord, giusto? Sono sicuro che i rapitori hanno portato qui gli ostaggi! Forza e
coraggio, li ritroveremo e li porteremo a casa sani e salvi!»
[1] Palesemente,
questi due poveri disgraziati sono i protagonisti dell’universo-storia in cui i
nostri amici sono capitati. Essi fanno parte della storia inventata da Kim
stessa (ovvero da me! Oh, il debutto di Shirley e Jason al pubblico.... che
emozione! >//<).
[2] Tanto
per la cronaca, i due non sono affatto fidanzati né niente del genere.
Tuttavia, Shirley è piuttosto possessiva nei suoi confronti (qualcosa che ha
che fare con le diverse situazioni in cui si sono trovati... beh, è una lunga
storia). Jason, dal canto suo, si diverte molto a prenderla in giro.
[3] Cosa
che, notare, capita piuttosto spesso. Perciò, ragazzi, non provate troppa pena
per Jas, perché il più delle volte se lo merita u_u
Capitolo 3 *** Parte Terza - Una Domanda Scomoda ***
Note dell’autrice (?): Lo so, il capitolo 2 è stato
piuttosto confusionario. Da una parte perché l’avevo scritto in un lasso di
tempo compreso tra l’una e le quattro di mattina, dall’altra perché senza
troppe spiegazioni dovrei avervi dato un quadro piuttosto chiaro della
confusione provata dai poveri protagonisti di SC, che ci stanno capendo ancora
meno di voi. Ma da questo capitolo in poi ci sarà più tranquillità e più tempo
per le spiegazioni, quindi tenete duro!
Grazie mille inoltre a tutti quelli che hanno
recensito ^__^
Parteterza:
Una domanda scomoda
Su un pianeta lontano dieci milioni di anni luce e tre
dimensioni spazio-temporali dalla vostra comoda poltrona, una piccola testolina
stava fumando.
«Dunque, l’idea è che siamo bloccati qui? »
«Affermativo!»
«Konami non è più rintracciabile? »
«Affermativo!»
«Non abbiamo idea delle cause per cui ciò è avvenuto? »
«Affermativo!»
«Moriremo qui, senza denaro, né cibo, né acqua?»
«Aff...! »
«Dannazione, Fate! Se rispondi ancora una volta
“affermativo” con quella tua vocetta squillante e serena, giuro che ti meno a
sangue, ti ammazzo e poi ti mangio!» abbaiò Kim, esasperata, afferrando la
piccoletta per la collottola con aria pericolosamente famelica. Si trovavano in
un viottolo laterale praticamente deserto, ben nascoste ai passanti da un
cumulo di sacchi di spazzatura (già, non è bello da dire ma è così). Il che in
parte spiega perché Kim non fosse particolarmente di buon umore.
«Sorellina... ti fuma la testa...»
«Me ne infischio! Io voglio la mia poltrona, a casa, ed è tutta colpa tua e di quella
tua stupida faccia ebete se invece sono bloccata qui a girarmi i pollici!»
«Ha ragione, sai, dovresti calmarti un po’... »
intervenne Amu, seppur incerta, allontanando Fate dall’ira funesta del Destino
dei Mondi e prendendola in braccio. «Siamo in una situazione sgradevole, è
vero, ma non è detto che non riusciremo a tirarcene fuori, no? (e poi,
seriamente, la tua testa fuma...)»
Per tutta risposta, Kim la fulminò con un’occhiataccia.
«Ma cosa puoi saperne, tu?» sbottò «Tu sei un’eroina mahou-shoujo, diamine, tu
riesci sempre a tirartene fuori. E lo
sai perché? Perché c’è gente come me, là fuori, che passa le giornate a
controllare che tu lo faccia. Quindi non azzardarti anche solo a pensare di dirmi che andrà tutto bene!»
«Sorellina, la testa...»
«COSA CAVOLO C’E’ CHE NON VA CON LA MIA TESTA?!»
«E’ mezz’ora che cerchiamo di dirtelo... sta...
fumando... » ripeté Fate, indicandola, e finalmente Kim le prestò attenzione.
«...eh?»
La bambina voltò lentamente il capo verso la vetrina di
un negozio lì accanto, e vide con orrore il filo di fumo nero che effettivamente partiva dalla sommità
della sua testa, la quale, lentamente ma inesorabilmente... «... sta andando a
fuoco?!» strillò la bimbetta, andando completamente nel panico mentre cercava
in qualche modo di spegnere con le mani quel singolare falò. Non ce ne fu
bisogno, perché un attimo dopo le piombarono in testa cinque litri o giù di lì di
acqua gelida.
«Shirley!» fu il coro accusatorio di tutti i presenti.
La bionda quindicenne alzò le spalle, quasi la cosa non
la riguardasse. «Beh, che c’è? Stava andando a fuoco.» disse, indifferente,
dandosi una controllata alle unghie nel frattempo.
«E dovevi proprio usare la magia e infradiciarla dalla
testa ai piedi?» sbuffò Jason, il suo assolutamente-non-ragazzo, prendendo la
piccola tra le braccia con fare protettivo, mentre quella aveva iniziato a
tremare come una foglia. «Guardala, sembra un pulcino.»
Kim approfittò dell’occasione per accoccolarsi in braccio
a Jason, che fece apparire dal nulla un asciugamano (ah, che bella la magia!) e
incominciò ad asciugarle i capelli tamponandoli. L’occhiataccia che gli lanciò
Shirley semplicemente non aveva prezzo.
«Beh, comunque sia, una domanda ce l’avrei anch’io.» fece
la ragazza, celando con poco successo il proprio disagio «Che ci facciamo
ancora qui? Io e Jason, intendo dire. Vi abbiamo aiutato a trovare la
marmocchia numero due » accennò a Fate con la testa «quindi non sarebbe ora di
dirci arrivederci e tanti saluti?»
Gli sguardi che le vennero rivolti da tutti i presenti
(ad eccezione di Ikuto, che da bravo lup- ehm, gatto solitario trovava la sua domanda molto ragionevole) potevano
essere letti nell’aria: “Perfida. Egoista. Asociale. Scommetto che non hai
nemmeno un amico.” Ma Shirley era troppo abituata a sguardi del genere per
prendersela troppo.
Kim, ancora accoccolata in grembo a Jason, sospirò. «Te
lo posso anche spiegare, ma devi promettermi che crederai a quello che ti dirò
e non darai di matto, ok?»
L’occhiataccia (l’ennesima) che le lanciò Shirley di
rimando non era per niente incoraggiante.
Kim decise di continuare comunque. «Tu e Jason...»
incominciò, con cautela. «...siete i protagonisti di una storia. E non è una
strana metafora per dire che ognuno di noi è protagonista della propria storia
o balle varie: intendo proprio un racconto, un libro, inchiostro su carta. »
Stranamente, né Shirley né Jason furono particolarmente
scioccati da questa affermazione. Si limitarono a scambiarsi un’occhiata che
diceva: “Beh, in fondo dovevamo aspettarcelo”.
Amu ne approfittò per fare una domanda a sua volta. «Si
può sapere perché a noi l’hai sbattuto in faccia brutalmente, mentre con questi
due ci vai piano, misurando le parole col contagocce?» chiese, scocciata.
«Perché tu non hai tendenze omicide, a differenza di una
certa altra protagonista qui presente.» rispose Kim, candidamente. Il fatto che
tutti avessero puntato lo sguardo verso Shirley fu puramente casuale.
«Cooomunque, dicevo. La vostra storia, purtroppo, è ancora in costruzione. Ci
sono ancora un sacco di punti fondamentali da definire, segreti incredibili da
svelare e character design da
approfondire, di conseguenza la realtà a noi circostante è tremendamente
instabile. In particolare, quella lontana dai protagonisti è completamente
fuori dal mio controllo. Ma se rimaniamo accanto a voi, invece, è probabile che
la stabilità fornita dagli eventi già decisi ci risparmi di cadere in un buco
nero o venire cancellati dalla storia, dandoci il tempo di trovare un modo per
tornarcene a casa. Tutto chiaro?»
«E’ probabile?»
chiese Ikuto, sempre più dubbioso del fatto che fosse rimasto un solo luogo
sicuro al mondo... in quel mondo,
almeno.
«Sì, probabile. Come ho detto, i buchi nella trama sono
ancora piuttosto consistenti e concernono anche i protagonisti stessi, quindi
non posso garantire al 100% la nostra sicurezza, nemmeno accanto a loro. Dopo
tutto, ci eravamo piuttosto vicini, quando siamo stati investiti da quell’onda
d’urto...» all’improvviso, le si illuminarono gli occhi. «Ma certo! L’onda
d’urto!» esclamò, battendosi un pugno sul palmo dell’altra mano. «Dev’essere
stato lì che abbiamo perso...»
Nel frattempo, Tadase.
«Lo sai, Konami, incomincio a pensare che le indicazioni
forniteci da quel tricheco non fossero poi così attendibili.»
Il piccolo onigiri vivente, comodamente adagiato sulla
spalla del ragazzo, sbatté le palpebre un paio di volte in un gesto di
comprensione, o forse solo perché era l’unica cosa che sembrava in grado di
fare.
«Voglio dire, fino al “Gira a destra al secondo iceberg e
dritto per cinquecento metri”, c’ero...» continuò Tadase, guardandosi attorno
pensoso. «Ma questo “Volta a sinistra e segui le orme dei pinguini imperatori
fino alla baia delle orche assassine”... non riesco proprio a raccapezzarmici.
Vedi qualche pinguino in giro?»
Konami fissava il cielo del Polo Nord con espressione
assente.
«Oh, ma che sciocchina che sei. I pinguini non volano!»
la redarguì dolcemente Tadase. «Vabbé. Comunque sia, dobbiamo riuscire ad
arrivare da Hinamori-san e gli altri prima che i rapitori perdano la pazienza e
decidano di far loro del male... una direzione o l’altra, è lo stesso! Il cuore
mi dirà dove andare!»
...convinto lui.
Kim e gli altri (beh, Shirley con moooolta calma, a dire
il vero) corsero a rotta di collo verso il punto di cui l’onda d’urto li aveva
colpiti e sbalzati in aria, dividendoli malauguratamente da Konami e... uhm,
chi c’era d’altro? Oh, beh, comunque l’importante era che lì avevano perso
Konami, quindi forse era lì che avrebbero potuto ritrovarla.
«Se la conosco bene, è altamente improbabile che si sia
mossa da dove l’abbiamo lasciata... è troppo pigra.» spiegò Kim, che essendo
bassa e dunque tendenzialmente lenta si stava facendo portare in braccio da
Jason. «L’unico problema è che qualcuno potrebbe averla schiacciata o
raccolta... allora saremmo davvero nei guai. »
Arrivati a quella che pareva loro la zona giusta, si
misero tutti a cercare per terra Konami (o almeno qualche chicco di riso, o
un’alga spiaccicata), ma senza successo.
«Aaaaah, perché, perché, perché oggi non me ne va bene
una?» si lamentò Kim, per poi dar sfogo alla sua frustrazione tirando i capelli
alla sorella, che cominciò a piangere chiedendo perdono. «E’ tutta colpa tua,
dannata Fate! Si può sapere che ti è saltato in mente di farmi venire fin qui?
Dannata, stupida mocciosa!»
«Kim! Non fare male a Fate!» la rimproverò Amu, a cui da
tempo si era risvegliato lo spirito di sorella maggiore. «Poverina, è così
piccola! E voleva solo stare con te... non essere cattiva!»
Kim smise di strattonare la sorellina, raggelata in
un’espressione basita. «Cattiva? Io
sarei cattiva con lei?» rivolse a Fate uno sguardo disgustato. «Sì, come no.»
sospirò, la lasciò andare e si rassettò il vestito. «Bene. Ora... Shirley, ma
ti sembra questo il momento di arrivare?»
La ragazza, che se l’era presa veramente molto comoda, si era infatti appena riunita al gruppo.
Non si degnò nemmeno di rispondere alla sua creatrice: si limitò ad un’alzata
di spalle.
Kim sospirò di nuovo, scuotendo la testa. «Vabbé.
Comunque, ci sono un paio di domande che gradirei fare a te e a Jason, giusto per
capire a che punto siamo della storia e non correre rischi inutili. Rispondete
sinceramente, anche se alcune potrebbero essere un tantino imbarazzanti, ok?»
Altra alzata di spalle da parte di Shirley, un sorriso
disponibile da parte di Jason. Amu e Ikuto, non avendo niente di particolare da
fare oltre aspettare che un buco nero li inghiottisse, rimasero lì ad ascoltare
e farsi così un po’ di fatti altrui.
«Ok, incominciamo. Vi siete già persi nella foresta?»
«A-ha.» confermò Shirley.
«Sì, qualche giorno fa.» rispose Jason.
«D’accordo. Dopodiché avete soggiornato per un po’ nel
villaggio dei folletti?»
Shirley rabbrividì alla sola parola ‘folletti’, e quella
era già di per sé una risposta. Le avevano fatto una testa così con le loro
vocette squillanti, tanto che ora li odiava come nessun’altra creatura.
«Sì, ci siamo trattenuti giusto il tempo necessario a
riprenderci dalla nostra piccola avventura nella foresta.» rispose Jason per
lei.
«Tsk.» fece Shirley. «”Avventura”, la chiami tu. “Tentato
suicidio”, lo chiamo io.»
«Beeene.» continuò Kim. «Avete già passato una notte
qui?»
«Sì.»
«Sì.»
«Siete stati al Centro Dislocamenti?»
«Eh?»
«No, non ancora.»
«Al negozio di cristalleria magica?»
«Decisamente no, me ne ricorderei.»
«No.»
«Vi siete baciati?»
«NO!»
«...sì.» ammise Jason con un certo imbarazzo, sfregandosi
la nuca.
Shirley cambiò colore nel giro di uno punto tre secondi.
«CHE COSA?!»
«No, ecco...» il ragazzo arretrò di qualche passo, per
timore che Shirley potesse saltargli addosso da un momento all’altro (cosa che
normalmente gli avrebbe fatto piacere, ma non con intenzioni omicide annesse). «Ha
chiesto di dire la verità e... insomma, è la verità. »
«Allora com’è che non mi ricordo assolutamente nulla del
genere?» ringhiò Shirley.
«E’ che... ti ricordi l’altro giorno, nelle Ombre[1]?
E-eri così sconvolta, e io ero talmente preoccupato e... insomma, è successo, e
quando ti sei svegliata, ieri mattina, avevi dimenticato tutto...» tentò di
spiegare, confusamente.
La modalità pentola-a-pressione di Shirley era diversa da
quella di Amu. I liveli di rossore e vapore erano più o meno gli stessi, ma la
biondina aveva la particolarità di aprire e serrare i pugni a scatti,
producendo uno sfrigolio pericolosamente simile a quello della corrente
elettrica.
Per questo, il mio consiglio sincero è sempre stato: MAI
far arrabbiare o imbarazzare una strega. E’ pericoloso e non sempre si rimane
vivi per raccontarlo.
Kim, l’unica che non sembrava impaurita da lei, la tirò
delicatamente per un gomito (la parte più alta del suo corpo che era in grado
di raggiungere). «Ehi, Shir, non è una cosa di cui ti devi imbarazzare.» disse,
con un sorrisetto che doveva essere rassicurante ma in realtà significava “Soprattutto
perché mi diverte un mondo”. «Sono cose che capitano, in momenti di crisi. Non
sapevate cosa stavate facendo. Jason ci è rimasto molto male quando ha scoperto
che non te ne ricordavi, e non te ne ha parlato solo perché temeva che tu
reagissi... beh, così. Quindi tranquilla, ok?»
Shirley non si tranquillizzò per niente finché non fu
riuscita a dare un altro schiaffo a Jason, ma per lo meno si limitò a quello.
«Certo che però è molto comodo...» stava ragionando
Ikuto, intanto. «Amu... ti capita spesso di perdere la memoria?»
«No... ma, aspetta, che razza di domanda è?!» esclamò
lei, arrossendo di colpo.
Ikuto sospirò. «Niente... dovrò trovare un altro modo.»
«”Un altro modo”...? D-di-di-di che stai parlando?»
«Ho detto che non era niente... roba da grandi...»
«Piantala di prendermi in giro!»
«Sei sempre così violenta.» stava piagnucolando Jason nel
frattempo, premendosi contro la guancia la borsa del ghiaccio che aveva appena
fatto apparire. «Era solo un bacio, non è che abbia fatto niente di male...» la
fissò di sottecchi, per poi aggiungere in un borbotto: «Senza contare che sei
stata tu a saltarmi addosso, tanto per cominciare.»
«Ma che dici, io non farei mai niente del genere!»
esclamò Shirley, ancora paonazza.
«Non te lo ricordi, ma l’hai fatto!» l’aggredì Jason di rimando,
evidentemente più che scocciato. «Eri tutta un “Jason, oddio, ho fatto una cosa
orribile!”, con quegli occhioni pieni di lacrime, mentre ti tenevi così stretta
a me che pensavo non mi avresti più lasciato andare... che cosa dovevo fare,
Shirley? Rimproverarti per esserti andata a cacciare in quella situazione o,
non lo so, prenderti a schiaffi per farti riprendere? Io...» abbassò lo sguardo,
anche lui parecchio rosso in viso. «Volevo solo che smettessi di piangere.»
Shirley ammutolì, completamente colta alla sprovvista da
quello sfogo improvviso. Un pomodoro si sarebbe sentito profondamente umiliato
dal colore così splendidamente rosso che aveva assunto il viso della giovane
strega.
Per una di quelle ragioni che solo gli scrittori possono
comprendere, grandi lacrime stavano rotolando incontrollatamente sulle guance
di Kim, mentre assistiva alla scena. «Così innamorati... così innamorati...»
continuava a sussurrare tra sé, consumando un fazzoletto dopo l’altro.
«Lo sai, Amu?» disse invece Ikuto, continuando ad
osservarli con un’espressione sconvolta. «Mi sono sempre segretamente lamentato
di te e di come fossi spesso incomprensibile e difficile da avvicinare, ma ora
mi sento molto fortunato ad averti.»
Non si può dire che Amu arrossì, perché il rossore non
era mai svanito dalle sue guance. «S-s-si può sapere di che parli?»
«Niente. Roba da grandi.»
«Ancora?!»
«Sei... un’idiota!» l’urlo di Shirley interruppe tutta la
serie di considerazioni, lasciando tutti quanti senza parole. Il povero Jason
in particolare. «Un grande, grandissimo idiota!» continuò, i pugni stretti fino
a far sbiancare le nocche. «Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai
conosciuti!»
Amu, a cui le parole di Jason avevano innescato la modalità
dere-dere, aveva voglia di prendere Shirley per le spalle e chiederle cosa
diamine non andasse nel suo cervello.
Ikuto era considerevolemente spaventato da una ragazza
instabile perfino più di sua sorella, e se la sarebbe filata molto volentieri.
Kim aveva bisogno di un’altra scatola di fazzoletti.
Fate, poco toccata dal trambusto intorno, stava
rifornendo la sorella e buttando via i kleenex usati.
Jason stava considerando di prendere veramente a schiaffi
la ragazza di cui era innamorato.
Ma nessuno ebbe il tempo di fare alcuna di queste cose, perché
un attimo dopo la terra scomparve da sotto i loro piedi, e si ritrovarono di
punto in bianco a precipitare.
...nel frattempo, Tadase.
«Konami, pensi che se trovassimo dei delfini, che, si sa,
sono intelligentissimi, potremmo cavalcarli e farci portare al covo dei
rapitori?»
Konami fissava Tadase con ammirazione. O, più
probabilmente, dormiva a occhi aperti.
«Sì, lo so.» disse Tadase, guardando l’orizzonte lontano.
«Modestamente, anche a me pare un’ottima idea.»
Più vado avanti e più la storia diventa sclerata!
Ommioddio o___o”
Mi scuso per Shirley e i suoi sbalzi d’umore, hai
suoi buoni motivi... nel prossimo capitolo sarà approfondita la sua storia
situazione mentale grazie a un incontro ravvicinato... con Ikuto!?
Riusciranno i nostri protagonisti a tornare ognuno
a casa propria, o il malvagio cameraman avrà la meglio su tutti? (a proposito,
in questo capitolo non s’è fatto vedere... starà tramando qualcosa?)
E poi: riuscirà Tadase a ritrovare i suoi compagni?
Ne dubito, ma tanto: a nessuno importa. xD
Continuate a seguirmi e a recensire nonostante le
demenzialità che scrivo, mi raccomando!
[1] Le
“Ombre” sono un quartiere, se così si può dire, della città in cui si trovano
adesso i ragazzi. Come si può intuire dal nome, non è un posto molto
raccomandabile, ma, per motivi negati alla nostra comprensione, Shirley ha
finito per andarcisi a ficcare in piena notte, così che Jason è dovuto andare a
salvarla. Per così dire, visto che sono rare le occasioni in cui Shirley abbia
bisogno realmente di essere salvata, e quella di cui parliamo non era
esattamente una di queste. Ma è una lunga storia.