Demoni a Natale

di Storytime_Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Demoni a Natale ***
Capitolo 2: *** Il mio Carceriere ***
Capitolo 3: *** Catena, frusta e tradimento ***
Capitolo 4: *** Lord Bane ***
Capitolo 5: *** Magnus contro Bane ***
Capitolo 6: *** Team Building ***
Capitolo 7: *** Liadara ***
Capitolo 8: *** My boy ***



Capitolo 1
*** Demoni a Natale ***


Demoni a Natale

 

I love you

 

Magnus Bane aveva tante speranze per questo primo Natale con Alec. Aveva pianificato un avvento pieno di momenti speciali, di ricordi da conservare per sempre. Per prima cosa avrebbero visitato i mercatini tirolesi: nessuno poteva resistere a quell'atmosfera magica, le luci, il profumo di spezie e di vin brulè. Poi il programma prevedeva un giro per vedere gli alberi di Natale più spettacolari, da Parigi a Tokyo a Singapore. Avrebbero pernottato nella sua baita in mezzo alla neve, già immaginava le carezze sul tappeto di fronte al camino acceso. Magari sarebbe riuscito a fargli superare quell'assurdo tabù. Ormai facevano l'amore regolarmente, ed era fantastico. Alexander era così innocente, esuberante, per lui tutto era nuovo, speciale e fantastico e anche Magnus, nonostante i trecento anni di esperienza, riscopriva la meraviglia nascosta in ogni gesto, ogni bacio, ogni tocco. Però appena la bocca di Magnus si spostava verso il basso sentiva Alec irrigidirsi, bloccarsi. Lo stregone sapeva di non dover insistere, il suo compagno aveva bisogno di seguire i suoi tempi e lui non voleva pressarlo. Detto ciò...
Il telefono lo riscosse dai suoi pensieri.

Era Isabelle. C'era stata un'esplosione sospetta nel centro di Brooklyn, parecchi cadaveri, tutti mondani. Tracce di una pentacolo per terra suggerivano che degli aspiranti maghi incompetenti avessero scelto proprio il periodo delle feste per evocare un demone. “Potresti venire a dare un'occhiata? Magari riesci a scoprire con cosa abbiamo a che fare”.
Pochi minuti dopo Magnus era chino a terra fra i resti fumosi del vecchio edificio.
“Allora, ci capisci qualcosa?” disse Jace con impazienza.
Magnus si alzò lentamente e lo squadrò con un pizzico di alterigia: “Sì, ci capisco qualcosa”. Poi si rivolse a Alec e Isabelle: “È un seguace di Asmodeo, un Galb, un demone del fuoco piuttosto forte e molto capriccioso. Questi pazzi non avevano nessuna possibilità di riuscire a controllarlo. E nemmeno il potere necessario per costringerlo a manifestarsi”.
“E allora come è arrivato qui?” chiese Clary.
“Non avevano il potere per costringerlo” ripeté lo stregone, “ma questo pentagramma è sufficiente per permettergli passare, se è lui a volerlo. E a giudicare dal quello che vedo, lo voleva eccome”.

Il demone pareva divertirsi molto in giro per la città. Dava fuoco ad edifici a caso lungo il suo cammino, faceva esplodere tubature del gas e aveva una spiccata predilezione per gli alberi addobbati: forse gli piaceva vedere le stringhe di luci che scoppiavano o magari godeva delle urla dei passanti... La cosa peggiore, però, era che lungo il suo percorso si trovavano spesso uno o più cadaveri carbonizzati. E alla maggior parte mancava la testa.

Tutti gli Shadowhunters, Alec in primis, erano stati chiamati in servizio a tempo pieno. E addio progetti per le feste.
Magnus aveva pensato di dare una mano – più per stare con Alexander che perché ve ne fosse un reale bisogno - ma non voleva apparire assillante. E comunque aveva da fare, doveva ultimare il regalo per il suo nephilim preferito. Alec non era tipo da ornamenti ma l'ala d'angelo in acciaio, appesa a un cordino di cuoio antracite era molto semplice, quasi austera, e legava stupendamente con le magliette nere che portava sempre. Sul retro aveva inciso il suo vero nome in indonesiano, la lingua che aveva imparato da bambino. La scritta era totalmente invisibile, le lettere di fuoco apparivano solo con un incantesimo di rivelazione, ma lui non aveva intenzione di farlo sapere ad Alec. Almeno non ancora, era troppo presto. Però gli faceva piacere pensare al suo nome a contatto con la pelle dello Shadowhunter. In fondo era molto meno di ciò che Alec già condivideva con il suo parabatai.
Magnus si rigirò il ciondolo fra le dita: mancava solo l'incantesimo. Cosa scegliere? Guarigione? Alec aveva già una runa per questo. La capacità di evocare un portale per casa sua? O magari era eccessivo, meglio l'istituto? Inutile pensarci, era una magia troppo potente, il ciondolo non avrebbe retto. Un segnalatore allora? Magari per i veleni, o per la magia nera. Poteva servire, certo, ma era impersonale.
Mise una mano in tasca e trovò l'omamori che portava sempre con sé. Sorrise. Fortuna e protezione. Erano concetti effimeri, impalpabili, spesso mutevoli. L'incantesimo richiedeva tempo e precisione assoluta. Magnus si mise al lavoro.

Gli Shadowhunters ci avevano messo giorni per rintracciare il Galb. A differenza di molti altri demoni non si era fatto un covo nelle fogne o nei tunnel sotto New York, troppo umidi per lui. Finalmente, il pomeriggio della vigilia, lo avevano rintracciato nella zona dei capannoni industriali. Alec, Jace e Izzy seguirono la fuliggine fra i vecchi container. Fu Isabelle la prima a vedere l'ombra nel deposito di legname.
“Ha scelto bene” mormorò Jace, “un unico ingresso e un sacco di materiale infiammabile”.
Fece cenno ad Alec di appostarsi in alto coll'arco e tenere sotto tiro il portone, poi lui e Izzy si catapultarono all'interno sperando di prendere di sorpresa la creatura.
Il Galb, un grosso mostro alato, con orecchie a punta, corna da caprone e una spessa pelle rossiccia, era pronto. Con un movimento delle ali proiettò un'ondata di fuoco in direzione dei ragazzi che si tuffarono appena in tempo dietro a una catasta di assi grezze. L'incendio si propagò a una velocità innaturale, l'aria si fece subito torrida e quasi irrespirabile. Jace si sporse per lanciare un paio di pugnali in rapida successione poi si fece avanti brandendo la spada ma il suo attacco era solo un diversivo per permettere a Isabelle di usare la frusta. La ragazza mirò alle ali, sperando di bloccare a terra il demone e, contemporaneamente, di neutralizzare la sua arma più potente. Il Galb era antico e molto scaltro, percepì il movimento dell'aria dietro di lui e schivò senza voltarsi. Con una zampata il demone squarciò la fiancata del deposito e si alzò in volo. Fu la freccia di Alec a trapassargli l'ala e farlo precipitare fra i capannoni. In pochi attimi i ragazzi gli furono addosso. Ancora una volta l'essere cercò di sfuggire al combattimento diretto. Ormai erano al limitare della zona di stoccaggio e il Galb ne approfittò, fece esplodere un negozio di liquori dall'altra parte della strada costringendo Isabelle a staccarsi dal gruppo per soccorrere i mondani intrappolati all'interno. Gli altri proseguirono l'inseguimento ma il demone li intralciava dando fuoco a tutto quello che trovava: chioschi, cassonetti, impalcature, ogni cosa che bruciava facilmente. Dopo più di due ore Jace e Alec riuscirono a costringerlo in un vicolo cieco. La battaglia fu brutale ma breve. Alec bersagliò il Galb con una raffica di frecce e Jace approfittò del momento per passargli sotto la guardia e trafiggerlo.
Dopo un inseguimento così lungo la battaglia era stata paradossalmente facile. Nessuno si era ferito, nemmeno un graffio. E c'era ancora tempo per tornare all'istituto e festeggiare con gli altri. Chiamarono Clary all'istituto e si diressero di nuovo ai magazzini per recuperare i pugnali di Jace.

Appena la ragazza gli aveva fatto sapere che la bestiaccia era stata eliminata Magnus aveva prenotato - con l'aiuto di un pizzico di magia - un tavolo in un ristorante delizioso, a sbalzo sulla fiancata del Monte Bianco. Molto romantico e di sicuro impatto.
Poi aveva chiamato Alexander.

Il cellulare di Alec aveva squillato mentre si facevano strada fra i capannoni deserti.
“Certo, sì, volentieri, arrivo subito, non vedo l'ora”.
Chiusa la conversazione il ragazzo si voltò verso gli amici e balbetto qualche frase sconnessa: “Per la festa... ecco... io non.... cioè, è che avevo già preso altri impegni... E' Natale e...”
Isabelle rise: “Con Magnus, lo sappiamo. Vai, vai pure. Divertiti!”

Alec era in ritardo, come al solito. Lo stregone sì controllò per la quinta volta allo specchio ma era impeccabile. Per l'occasione si era fatto fare una giacca nuova: di velluto nera con revers in raso, unici tocchi di colore i bottoni di smeraldo e dei vortici rossi e verdi che partivano dalla spalla sinistra e correvano lungo la manica. Completavano l'ensamble pantaloni neri attillati, una camicia di raso rosso scuro, un panciotto dorato e stivaletti neri con profili rossi. Un po' di glitter e l'ombretto rosso rendevano il look natalizio, elegante, sexy... perfetto.
Mancava solo Alexander. Con un sospiro Magnus prese qualche libro antico, un paio di pergamene e delle boccette dall'aria misteriosa e dispose il tutto ad arte sulla scrivania. Il Sommo Stregone di Brooklyn ha una reputazione da difendere, non poteva certo farsi trovare sulla porta ad aspettare il suo ragazzo. Soprattutto non la notte di Natale.

Magnus capii che aveva fatto male i suoi conti nel momento stesso in cui Alec varcò la porta: aveva il fiatone, la maglietta strappata era incrostata di sangue rappreso, i capelli sembravano più arruffati del solito e uno sbaffo nero gli rigava una guancia.
“Mi spiace, sono in ritardo, lo so, mi do una lavata e sono da te” si scusò lo Shadowhunter.
Magnus lo squadrò da capo a piedi. “Non ti preoccupare, avevo da fare. Una giornata pazzesca,” disse portandosi le mani alla testa con gesto teatrale. “In effetti, sono veramente troppo stanco per uscire... preferirei una pizza take-away se non ti spiace troppo. Perché non ti fai una bella doccia calda mentre preparo?”
Alec si chinò in avanti e gli sfiorò le labbra con un bacio: “Grazie. Ti amo!”
Lo stregone sospirò. Quel bacio valeva mille cene sulla neve.

Davanti alla pizza fumante – capricciosa per lui, prosciutto e funghi per Alec – Magnus chiese notizie: “Allora cos'è successo?”
“Ci ha preso di sorpresa. Il Galb era stato bandito e stupidamente avevamo abbassato la guardia. Voglio dire, quanti demoni possono aggirarsi per i magazzini di New York?”
Magnus fece un cenno di assenso.
“E invece no. Siamo passati davanti a un deposito di cotone grezzo – anche quello molto infiammabile - quando ci è saltata addosso la femmina. Erano in coppia i maledetti”.
“Quindi il maschio vi aveva attirati deliberatamente lontano dalla compagna...” ragionò Magnus.
“Esattamente. Ma quando siamo tornati indietro abbiamo fatto una strada diversa e le sono passato accanto. Sono stato uno stupido, non ero attento. È sbucata fuori all'improvviso, mirava al cuore...”
Magnus rabbrividì.
“Per fortuna c'era Jace, ha visto il movimento e mi ha spinto via. Me la sono cavata con un graffio, era più piccola del maschio ma aveva artigli piuttosto lunghi” aggiunse portando la mano al fianco.
“Sei stato ferito da un demone, fammi vedere potrebbe...”
“Non è niente, è bastata la iratze per curarmi. Sia questo che le bruciature”.
“Quali bruciature?”
“Beh, la femmina era molto più combattiva, non cedeva terreno, non fuggiva. Ha attaccato Jace con un colpo di coda, lui ha battuto la testa, sembrava intontito. Mi sono avvicinato per trascinarlo via proprio mentre lo bersagliava con una specie di palla di fuoco. Quando ci siamo rialzati Izzy l'aveva eliminata”.
“Mi è sempre piaciuta quella ragazza”.
“Sì, Isabelle è tosta, non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno da un Galg. Comunque, siamo entrati nel capannone e abbiamo trovato il nido. C'erano due tipi di uova...”
“Due tipi, non mi risulta...”
“Già, beh, alcune erano color ambra, gelatinose appese alla parete e altre, per terra, sembravano avvolte in una specie di ragnatela. Jace si è messo a rompere le prime che si stavano già schiudendo, io mi sono diretto a quelle nelle ragnatele”.
Alec fece una pausa e rabbrividì: “Ho estratto il pugnale e ho tagliato l'involucro dell'uovo più vicino. Solo che non era un uovo. Era una testa, la testa di una ragazzina. Ti ricordi i corpi decapitati? Avevamo trovato un cimitero di crani fracassati. In quel momento Izzy ha visto un bagliore nell'ombra. Uno di quei mostri neonati era arrivato a un bozzolo e gli aveva dato fuoco. Si stava mangiando il cervello...”
Magnus guardò la pizza con aria disgustata e posò la fetta.
Alec scosse la testa e diede un bel morso alla sua: “Per questo ci abbiamo messo un po'”.
“Ma appena abbiamo finito di bonificare la zona sono venuto qui di corsa” aggiunse con un sorriso.

Finito di mangiare Magnus sparecchiò con uno schiocco delle dita e si sedettero davanti al camino scoppiettante (lo stregone ne aveva fatto apparire uno, già perfettamente addobbato, all'inizio di dicembre). Raccontò ad Alec qualche aneddoto divertente su natali passati, parlò di Dickens, del Perù e di Versailles ma fu ben attento a evitare qualsiasi accenno a vecchie fiamme.
Da parte sua Alec gli confessò di quando, da bambini, lui e Jace avevano regalato un serpente a Isabelle pensando di farle uno scherzo e di come lei li avesse ringraziati e si fosse avvolta il rettile attorno al collo.

“Ma benché si fosse innamorata del suo nuovo animaletto domestico, sapeva benissimo che avevamo cercato di spaventarla e, per evitare che lo dicesse a mamma e papà, io e Jace abbiamo dovuto promettere che ci saremmo occupati del cibo per il serpente. Per anni abbiamo passato ore nelle fogne per procurarci la “pappa” di Slyther”.
Dopo un paio di drink e qualche altra storiella si erano spostati in camera da letto. Magnus aveva messo le lenzuola di raso dorato, sia perché erano perfette per l'atmosfera natalizia, sia perché gli ricordavano la loro prima volta – a volte era un vero un sentimentale.

Ora Alexander era fra le sue braccia, nella classica posizione a cucchiaio. Si era addormentato appena aveva poggiato la testa sul cuscino e Magnus si godeva il suo respiro e il profumo della sua pelle e del bagnoschiuma al muschio bianco.
Se a inizio anno qualcuno gli avesse detto che avrebbe passato il 25 dicembre a casa, per giunta con la sola compagnia di un nephilim addormentato, lo avrebbe preso per pazzo.
Magnus era immobile, avvolgeva Alec con un braccio, la mano appoggiata sul suo petto. Desiderava ardentemente accarezzarlo, ma il suo cucciolo aveva bisogno di dormire.
Certo che era dura resistere.
Voleva sfiorargli i capezzoli, prima uno poi l'altro, scendere giù, tracciare il contorno di quegli addominali da urlo. Poi ancora più giù, seguire l'invito del triangolo che spariva all'interno dei boxer neri, aderenti, di Calvin Klein (sì, qualche tempo fa gli aveva sostituito tutta la biancheria, ma non era certo che il ragazzo se ne fosse accorto). Giù, giù... Poteva quasi sentire la sua mano che si stringeva attorno pelle vellutata...
Nei suoi pantaloni rossi con le renne qualcosa si svegliò all'improvviso e, in completa autonomia, andò a sfregarsi contro quei boxer attillati.
Fu un attimo, un movimento fulmineo che lo colse alla sprovvista. Magnus si trovò sulla schiena a fissare gli occhi ridenti di Alexander.
“Per caso qualcuno stava facendo pensieri sconci la notte di Natale?” disse il ragazzo, con un sorriso birichino.
Lo stregone era stato preso completamente contropiede e riuscì solo a farfugliare un “Pensavo stessi dormendo”.
“Gli Shadowhunter non dormono mai” rispose Alec mentre, sorreggendosi con una mano sola, gli sfiorava il rigonfiamento del pigiama.
A Magnus scappò un gemito ed era tutto l'incoraggiamento di cui l'altro aveva bisogno.
La mano si infilò sotto l'elastico e strinse un poco.
Lo stregone perse completamente il controllo. Non controllava più il respiro, anzi non respirava affatto. Non controllava più il cuore, che batteva all'impazzata. Non controllava più i suoi occhi da gatto, che riflettevano il cielo di quelli di Alexander.
Fece per ricambiare le carezze ma Alec si bloccò, gli occhi ora scuri come un mare in tempesta. Scosse la testa e gli prese il braccio portandoglielo sopra la testa, poi fece lo stesso con l'altro.
“Non ti muovere” sussurrò.
Si chinò a baciarlo mentre la mano tornava sotto il pigiama.
Magnus sentiva i denti sul proprio orecchio, la bocca sul collo, la scia di fuoco della sua lingua sul petto. Oddio. Stava morendo. Gli mise una mano nei capelli per tirarlo a sé ma ancora una volta Alec si fermò.
“No, no. Stai al tuo posto” lo rimproverò con un sorriso.
Era una tortura. Il clave avrebbe dovuto chiedere ad Alexander di condurre gli interrogatori: in meno di cinque minuti chiunque avrebbe confessato qualsiasi cosa. Magnus non ce la faceva più, ero certo di essere al limite.
Alexander lo guardò negli occhi e mormorò: “Buon Natale Magnus”.
Poi spostò la mano e abbassò la testa...

Parte 2 - Ripensamenti

Alex si svegliò con il sole di dicembre che filtrava fra le tende. Subito i ricordi della notte precedente lo sommersero come una marea. Cosa aveva fatto? Perché? Dio mio... Si tirò su di scatto. Doveva andarsene. Ora, prima che Magnus aprisse gli occhi.
Ma non poteva. Non poteva lasciare che lo stregone si svegliasse da solo, già aveva incasinato tutto.
Corse in bagno e si appoggiò alla porta, come se dovesse tenere fuori tutti i demoni di Edom.
Non che non fosse stato bello, anzi. Era stato... magico. Anche a Magnus era piaciuto, di questo era certo: a un certo punto aveva visto crepitare piccole scintille blu lungo il corpo ambrato dello stregone...
Solo che lui quelle cosa non le faceva e basta. Era un Lightwood. Cioè, sicuramente Izzy... ma non voleva nemmeno pensarci. Non c'era niente di male, anzi. Ma lui, lui non... Come avrebbe potuto guardare in faccia Magnus? Cosa gli era preso? E sì che non aveva nemmeno bevuto.
Doccia. Ci voleva un doccia.

Magnus si svegliò. Fissava il soffitto, proprio come l'aveva fissato la notte prima, quando Alec gli aveva fatto tenere le braccia sopra la testa. Ma l'aveva sempre saputo che Alexander era nato per comandare. Gli pareva ancora di sentire la sua bocca. Era stato... magico. E il sesso dopo... oddio! Poi gli aveva dato il suo regalo – che gli stava fantasticamente – e avevano fatto l'amore ancora e ancora, fino ad addormentarsi l'uno fra le braccia dell'altro.
Si voltò verso il compagno solo per trovare il letto vuoto.

No. No. Dentro di se lo sapeva che era troppo presto, che Alec non era pronto. E ora se n'era andato. Se sapeva che era presto perché non lo aveva fermato? Era solo un egoista. Per un po' di piacere aveva rovinato tutto. La storia più importante degli ultimi cent'anni. Anzi, la più importante della sua dannatissima vita. Compagno, amico, amante, Alexander era tutto e di più.
In quel momento sentì accendersi l'acqua della doccia.
Era ancora lì! Ma nonostante questo sapeva che qualcosa non andava: Alec non si alzava mai prima di lui senza motivo, svegliarsi l'uno accanto all'altro era il momento più bello della giornata

Sarebbe uscito dal bagno, avrebbe salutato Magnus con un sorriso, raccolto i vestiti e, con la scusa di un'urgenza, sarebbe tornato all'istituto dove si sarebbe chiuso in camera per il resto della vita. Semplice, lineare. Un piano perfetto.
Si avvolse un asciugamano intorno alla vita, prese un bel respiro e aprì la porta.

“Hey Magnus, ben svegliato”. Il tono pareva falso anche alle sue stesse orecchie.
La maglietta era ai piedi del letto. Si avvicinò. Alla maglietta. Al letto. A Magnus.
“Alec. Oggi sei mattiniero”. Anche la sua voce era tesa. I suoi occhi pieni di dubbi, paura, speranza.
Ma che cavolo stava facendo? Come potevano un amore così grande, delle sensazioni così belle, essere sbagliate? Alec poteva sentire il cuore di Magnus martellare insieme al suo.
Al diavolo la sua eterna insicurezza: “Senti, dobbiamo parlare di ieri sera...”
Magnus scattò a sedere. “Sì certo. Io...” Non riuscì a proseguire. Sapeva cosa sarebbe successo dopo. Era stato uno sbaglio, doveva rifletterci, era meglio se non si fossero visti per un po'. Cazzo! (Lui non imprecava mai, ma a volte non si può farne a meno).
Il ragazzo fece un altro passo avanti. Il suo cuore sapeva cosa voleva. E il suo corpo anche. Lasciò cadere l'asciugamano. “Penso che tu mi debba qualcosina...” disse con un sorriso.
Lo stregone rimase senza fiato. Quel corpo perfetto, nudo tranne per le rune e l'ala d'angelo sul petto... “Sei sicuro?”
Alec si guardò: “Tu che ne dici?”
Magnus aveva ritrovato la sua flemma: “Dico, Shadowhunter, che devi tornare a letto. Subito”.

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Capitolo 2
*** Il mio Carceriere ***


Il mio carceriere

 

“Mai? Non sei mai andato a sciare? Nemmeno una volta?”
“Sai Magnus, non è che gli Shadowhunter facciano molte vacanze. A parte Alicante e qualche toccata e fuga con i portali non sono praticamente mai uscito da New York”.

Magnus Bane si alzò in piedi battendo la mani: “E' deciso! Domani andiamo in Svizzera”.
Alec sospirò: “Domani abbiamo la riunione del consiglio, lo sai”.
“Oh e va bene, devi sempre rovinare tutto. Facciamo sabato. Ma niente scuse!”
“Non so” tergiversò il ragazzo, “Non ho molta voglia di fare la figura dell'imbranato davanti a dozzine di bambini delle elementari...”
“Ogni tuo desiderio è un ordine! Niente bambini, anzi nessuno al mondo a parte noi”.

Sabato mattina, quando Alec suonò alla porta, Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, era pronto: giacca da snowboard a disegni geometrici bianchi, neri e giallo fluorescente con l'interno blu elettrico e pantaloni in tinta, scarponi bianchi, maschera nera e fascia per capelli multicolore.
Il ragazzo non aveva voluto farsi accompagnare a far compere perché “aveva già tutto” e ora entrò tutto fiero, con un sorriso più scintillante del solito: “Che ne dici? Non sembro già uno sciatore provetto? Il sotto era di mio padre, lo aveva lasciato all'istituto. Incredibile pensare che una volta fosse così magro!”
Indossava la solita giacca a vento nero, il berretto nero di lana a coste e un paio di improbabili pantaloni da sci elasticizzati anni '70, indovinate un po', neri anche loro. Magnus aprì la bocca per dire qualcosa ma quando Alec si voltò per farsi ammirare la richiuse subito. In fondo lui c'era vissuto negli anni '70, e anche se oggi nessuno sarebbe andato sulle piste così, quei vecchi pantaloni lo fasciavano proprio bene. Sì, sì, proprio un didietro da urlo...
“Sei perfetto! Andiamo”.
Con uno svolazzo aprì un portale nel salotto e con un unico passo si trovò davanti al suo chalet in montagna.
Alec lo seguì subito e rimase esterrefatto. Oltre alla piccola costruzione rustica non si vedeva assolutamente niente di artificale, solo neve e abeti a perdita d'occhio. E le montagne più alte e più spettacolari che avesse mai visto.
“Wow, sembra una cartolina!”
“Non male vero? Vengo qui quando ho bisogno di riflettere. O semplicemente per allontanarmi da vampiri fastidiosi e invadenti. Tutto intorno ho eretto una barriera di energia per tenere lontani i curiosi e impedire ai clienti di rintracciarmi”.
“Magnus, è fantastico! Solo non ci sono piste...”
Un battito di mani e la neve fresca sulla fiancata della montagna si appiattì come se vi fosse appena passata una schiera di gatti delle nevi.
“... ne impianti di risalita”.
“Se vuoi posso portare qui una seggiovia ma pensavo di usare i portali, molto più rapido” disse lo stregone mentre con altro rapido movimento faceva apparire due dischi di luce, uno accanto a loro, l'altro in cima alla pista.
Alec rise: “Sei matto ma ti amo! Andiamo!”
“Non ti manca qualcosa?” Un ultimo schiocco di dita e apparvero gli sci: neri con frecce d'argento per Alec, gialli fluorescenti con intarsi blu per lui.

L'inizio fu deprimente, almeno per Alec. Magnus invece si divertiva come un matto a vedere Alec a terra. Con un perfetto stile a sci uniti andava a fermarsi accanto al ragazzo, calcolando perfettamente la frenata in modo da coprirlo di neve. Dopo le prime due volte Alec decise di vendicarsi e gli tirò una manciata di neve. Si tolsero gli sci e cominciò una battaglia di palle di neve accanita e senza quartiere. Magnus adorava la risata di Alec ma come si suol dire, in guerra e in amore... Con un movimento delle dita materializzò una decina di palle di neve che andarono a colpire il ragazzo.
“Così non vale! Mi arrendo alla tua evidente superiorità bellica!”

“Al vincitore va la gloria e il trofeo” sentenziò lo stregone reclamando un bacio.
Si staccarono a corto di fiato, occhi negli occhi.
“Un premio di consolazione per lenire il dispiacere?” chiese Alec.

Quando si rimisero gli sci andò meglio, l'addestramento di Alec gli venne in aiuto: agilità, equilibrio e coordinazione erano doti essenziali per ogni Shadowhunter. Magnus si lasciava raggiungere e poi sfrecciava via. Non si sentiva così spensierato da anni.
La giornata era spettacolare, il cielo azzurro, la neve scintillante, il sole sempre più caldo. Troppo. Una lastra di neve si staccò dal picco e rovinò verso di loro.

Alec girava per la baita in preda allo sconforto.
Durante la valanga aveva avuto paura di morire. Poi aveva avuto paura che Magnus fosse morto. Erano finiti fra gli alberi, probabilmente lo stregone aveva battuto la testa contro un pino, o un abete o qualsiasi cosa fosse, e aveva perso conoscenza. Lo aveva sollevato di peso e portato a spalla fino alla baita. Per fortuna la porta non era chiusa a chiave.

L'interno era piccolo, almeno per gli standard di Magnus, ma arredato con il solito gusto scenografico e impeccabile. Di fronte all'enorme camino di pietra che faceva da padrone su un lato della stanza era sistemato un divano in velluto verde muschio con cuscini scarlatti ricamati a motivi floreali. Il tavolo da pranzo in legno dorato era affiancato da due panche rustiche, un folto tappeto color panna e due enormi dipinti ad olio creavano un'atmosfera calda e intima. Accanto al divano un mobile bar particolarmente ben fornito contrassegnava la casa come appartenente a Magnus Bane. Sulla destra Alec vide una cucina moderna ma confortevole. Restavano due porte. Aprì la più vicina, la camera da letto di Magnus.
Era incredibile. Tutta la parete di fondo era un'unica immensa vetrata che dava su chilometri e chilometri di foreste innevate che scintillavano al solo. Al centro della stanza troneggiava un enorme letto in legno coperto da piumone rosso, una moltitudine di cuscini e petali di rosa. Sul comodino, accanto alla lampada ricavata da un vecchio ramo contorto, Magnus aveva sistemato una bottiglia di champagne, due calici di cristallo e un vaso con una singola rosa bianca. Alec abbassò lo sguardo sul suo amante e la tenerezza ridivenne timore. Scostò il piumone e lo fece sdraiare. Provò a svegliarlo ma lo stregone emise un flebile gemito senza aprire gli occhi.
Alec si sedette sul bordo del letto e prese una mano di Magnus fra le sue. Era calda ma non bollente. Gli posò un bacio sulla fronte e decise di chiamare Jace: dovevano tornare a casa subito. Accese il cellulare ma non c'era campo – forse perché erano nel bel mezzo del nulla o forse per via della barriera magica. Mise la mano in tasca per prendere il suo stele ma la giacca era strappata e lo stele non c'era. Doveva averlo perso durante la slavina. Un bastoncino sepolto da qualche parte in un bosco innevato: peggio del proverbiale ago in un pagliaio.

L'uomo si svegliò con un mal di testa da record. Si guardò intorno: un letto soffice, mura di legno, mobili rustici ma di buon gusto... Niente di familiare. Dove diavolo era finito?
Si tirò a sedere ma tutto sembrò girargli attorno.

Subito un ragazzo con due fantastici occhi blu gli si avvicinò. Aveva un'espressione preoccupata: “Magnus ti sei ripreso? Dimmi, come stai? Tutto bene?”
L'uomo si concentrò. Niente. “Scusa, chi sei? E se è per questo... chi sono io?”
“Magnus, sono io, Alec, Alexander Lightwood... non mi riconosci? Oddio Magnus, dimmi che mi stai prendendo in giro...”
“No, io... no. Non ti conosco”. Fece una pausa. “Magnus? E' il mio nome?”
“Sì, certo. Sei Magnus Bane... il mio ragazzo”.
“Ragazzo? Mi dispiace ma ho veramente mal di testa, non riesco a connettere”.
“Riposati, dormi un po'... Ci sono io”.

Quando Magnus aveva ripreso conoscenza Alec aveva ringraziato l'Angelo: emergenza passata, ora potevano tornare all'istituto con un portale e chiamare un medico.
E invece...

Mentre Magnus dormiva Alec aveva finito di perlustrare la baita. L'enorme armadio in camera era quasi vuoto, c'erano solo una dozzina di pigiami dalle fogge più disparate, un paio di pantofole di peluche a forma di renna e un incongruo completo da sera con i baveri in paillette turchesi.
La porta che non aveva ancora aperto si rivelò essere il bagno. Anch'esso terminava con una parete vetrata ed era decisamente più grande del salotto. Conteneva un'immensa vasca a idromassaggio incassata nel pavimento in pietra, una doccia in cristallo trasparente grande abbastanza per due o forse anche quattro persone, un lavandino appoggiato su un lungo mobile quasi interamente ricoperto da barattoli di creme, unguenti, profumi, flaconcini di olii profumati e bottigliette di glitter colorato. A una parete erano appesi due accappatoi morbidissimi: quello rosso scuro aveva una M d'oro ricamata, quello nero una A... Alec sentì un'ondata di calore nel petto. Magnus aveva preparato tutta la casa per lui. Non riusciva ancora a capacitarsi che quell'uomo così straordinario fosse il suo ragazzo. Sperava solo che quando si fosse svegliato se ne sarebbe ricordato.

Magnus dormì per tre ore filate e quando si svegliò trovò il ragazzo bruno seduto sul suo letto a fissarlo. Fece un flebile sorriso, il loro discorso precedente era stato alquanto confuso.
“Come va? Adesso ti ricordi? Di noi voglio dire” disse Alec con evidente apprensione.

“No, io... no. Meglio se mi ripeti un po'”
Il ragazzo gli passò una mano fra i capelli.
“Ahi!”
“Hey, hai un bel bernoccolo” tentò di scherzare Alec mentre dentro di sé elencava tutte le possibilità: commozione cerebrale? Ematoma interno? Cosa poteva causare un'amnesia? Sarebbe passata da solo o poteva invece peggiorare?
“Niente di che, ho la testa dura. Credo”.
“Già, beh, vediamo... cosa ti ricordi? Sai di essere il sommo stregone di Brooklyn vero? Perché se te lo ricordi magari potresti aprire un portale così...”
“Uno stregone? Intendi come nel mago di Oz?” Poi capì: “Vuoi dire che sono un attore, faccio il mago in qualche film?” Voltò la testa verso lo specchio nell'angolo, “Sì, direi che è possibile. Sono decisamente attraente, lo charm non mi manca... ”
Alec provò a spiegare ma più parlava e più Magnus sembrava scettico. Isabelle sarebbe di certo riuscita a convincerlo, e anche Jace. Ma lui era troppo insicuro, impacciato, continuava a inciampare sulle parole.

Magnus - in mancanza di meglio si riferiva a se stesso così, ma chi diamine può credere che Magnus Bane sia un nome? - si era formato un'opinione precisa di quanto stava accadendo.
All'inizio aveva provato a dare ascolto al ragazzo ma era presto diventato ovvio che Alexander Gideon Lightwood era un povero pazzo, il che era un peccato perché era davvero un bocconcino appetitoso... Cianciava di magia, stregoni, vampiri e lupi mannari, diceva di essere un cacciatore di mostri che per pura sfortuna aveva perso la sua bacchetta magica.

Non che l'uomo avesse scordato proprio tutto, ogni tanto aveva qualche flash, come una fotografia. Ricordava una casa con soffitti alti, quadri antichi, mobili sontuosi ed eleganti. Era casa sua, ne era certo. Ricordava anche un adorabile gattino che mangiava da una ciotola d'oro. Quindi doveva essere ricco. Molto ricco.
E ricordava la sensazione di svegliarsi accanto alla persona amata - anche se non ricordava chi fosse - quindi probabilmente era sposato.
Ora si trovava in una piccola baita fra i monti, con un bernoccolo di tutto rispetto e con la sola compagnia di un ragazzo che indossava un maglione bucato! Se uno più uno fa due, era stato rapito e probabilmente a quest'ora sua moglie aveva ricevuto una richiesta di riscatto.

Quella sera Alec gli aveva messo davanti una ciotola di zuppa Campbell (orribile, sicuramente cucinare non era un suo talento) e gli aveva parlato per ore cercando di convincerlo della sua assurda storia. Ma oltre a essere delirante Alec era anche forte - nel pomeriggio Magnus l'aveva visto spaccare la legna e quei muscoli non erano lì solo per bellezza - quindi aveva deciso che la cosa più saggia fosse assecondarlo, fingere di concentrarsi e muovere le dita per “fare una magia”. Perlomeno il ragazzo aveva smesso di cercare il contatto fisico.

La mattina successiva Magnus venne svegliato dal sole fuori dalla finestra. Si alzò con uno sbadiglio e aprì la porta della camera. Alec era già vestito e gli rivolse un sorriso luminoso: “Buongiorno bella addormentata, come va la testa?”
L'uomo fece mezzo passo indietro e vide lo sguardo del ragazzo incupirsi.

“Ancora niente?”
Lui scosse la testa ma non rispose, girò su se stesso e rientrò in camera chiudendosi la porta alle spalle.
“Magnus, ti prego, parlami”.
La porta rimase chiusa. Alec poggiò la fronte contro il legno, strinse gli occhi e, in preda alla disperazione, tirò un pugno allo stipite.
Dentro la stanza Magnus indietreggiò mettendo il letto fra sé e la porta. Si chiese se il suo carceriere avesse un'arma.
Passò quasi un'ora, dal salotto non proveniva alcun suono. Magnus aprì la porta di uno spiraglio e guardò fuori. La casa sembrava deserta. Sul tavolo c'era piatto con dei biscotti e un biglietto. Sgranocchiò un frollino stantio e dispiegò il foglio: Ciao Magnus, sono andato a cercare lo stele. Torno fra un paio d'ore. Non ti preoccupare. Ti voglio bene. Alec
Magnus rabbrividì. Si guardò intorno e vide la sua tenuta da sci (adesso indossava un pigiama di flanella con fiocchi neve disegnati sopra). Si vestì in fretta e provò la maniglia senza molta speranza: sarebbe dovuto uscire da una finestra. Invece la porta era aperta. Il ragazzo era troppo sicuro di sé.
Fuori non c'era niente. Alberi, neve, cielo blu, picchi innevati ma nient'altro. Niente strada o sentiero, niente auto, niente case nemmeno in lontananza. Fin dove poteva vedere, solo natura incontaminata. Allontanarsi senza meta fra le montagne d'inverno pareva un suicidio, ma il suono del pugno sul legno della sera prima lo convinse a provare. Doveva scendere, se c'era un villaggio era a valle. Si mise in marcia fra gli alberi, zigzagando un po' nella speranza di far perdere le sue tracce.

Quando vide la porta della baita aperta Alec si rese conto di aver fatto un'errore enorme.
Mentre correva nella neve facendo appello a risorse che non pensava di avere continuava a maledirsi. Magnus era scappato. Era scappato da lui!

Per fortuna le tracce erano evidenti e ci mise poco a raggiungerlo. Magnus lo aveva sentito e aveva allungato il passo ma l'abbigliamento imbottito lo impacciava e l'allenamento da Shadowhunter aveva reso Alec agile e veloce. Prese Magnus per un braccio e lo fece voltare.
“Cosa diamine pesavi di fare?!” urlò. “Sei completamente impazzito? Dove credevi di andare?”
Alec era arrabbiato con se stesso, con la sua negligenza. Il suo unico amore aveva bisogno di aiuto e lui lo lasciava da solo. Avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo!
Ma questo Magnus non lo poteva sapere, vedeva solo un'esplosione di rabbia e occhi neri di tempesta. Però mentre camminavano verso la baita pensò che forse era stato troppo duro nel giudicare il ragazzo. Nonostante il suo tentativo di fuga non aveva alzato le mani su di lui. La sua rabbia pareva venata di sollievo e paura. Ma paura di cosa?

Il rimorso lacerava Alec. Più volte aveva aperto la bocca per scusarsi, spiegare, ma poi aveva scosso la testa e continuato a camminare.
Una volta alla baita si guardò intorno sperando in un'illuminazione. Lo sguardo si posò sul mobile bar. “Magnus siediti, scaldati un po', intanto preparo un paio di cocktail. Gin o whisky?”

L'uomo scosse la testa: “Sono stanco, se posso andrei a dormire”.
“Ma certo, scusa, vai pure. Buonanotte”. Magnus che rifiutava un drink, il cuore di Alec precipitò ancora più in basso. Cosa aveva combinato?
Quella sera, quando fu certo che Magnus si fosse addormentato, Alec uscì nel buio. La luna piena sembrava un portale nel cielo, i picchi in lontananza zanne appuntite. Mille demoni si ergevano fra lui e New York. In piedi nel silenzio della notte sentì una lacrima rigargli la guancia.

La mattina seguente, dopo colazione, Alec lo aveva chiuso a chiave in camera ed era uscito di nuovo. In preda allo sconforto Magnus si era lasciato cadere sul letto. Aveva scoperto che pensando a nomi di oggetti spesso vedeva qualche immagine. Libro: un polveroso tomo antico. Grattacielo: lo skyline di New York. Stelle: lui che indicava le costellazioni a qualcuno... Non erano passati neanche cinque minuti prima che il ragazzo tornasse e spalancasse la porta con un tonfo.
“Non posso!” disse con la voce alterata dal tormento interiore. “Per l'Angelo non posso lasciarti rinchiuso. Ti prego Magnus, dimmi cosa devo fare?”

Lui era stato zitto, ad aspettare.
“Io devo uscire, ma se tu scappi... là fuori non c'è niente... rischi di morire!”
“Non che mi piaccia stare rinchiuso come un pesce in un acquario” disse Magnus facendo cenno all'enorme finestra, “ma capisco il tuo punto di vista. Suppongo che se fossi al tuo posto anch'io ti chiuderei a chiave”.
Alec scosse la testa: “No, non lo faresti mai. Rinchiudere qualcuno di innocente è sbagliato, è inumano...” Si passò una mano nei capelli ribelli e riprese: “Forse non ti ricordi di me, ma io mi ricordo di te. Ti conosco e so, so, che ti te mi posso fidare. Ti prego, dammi la tua parola che non cercherai di andartene”.
Magnus aveva inclinato la testa e sorriso: “Certo. Starò qui buono, buono”.
Alec lo aveva guardato fisso per un attimo, aveva annuito, lo aveva ringraziato ed era uscito.
Era veramente stupido! Poco dopo Magnus, vestito di tutto punto, aveva aperto la porta. Eppure quello sguardo, così carico di fiducia illimitata, non lo lasciava in pace. Dannazione!
Era rientrato, si era tolto la giacca e si era seduto davanti al fuoco ad aspettare.

Mentre frugava fra la neve smossa a mani nude, Alec continuava a ripensare alla loro situazione. La baita era tagliata fuori dal mondo, prima di tornare al luogo dell'incidente aveva provato a esplorare un po' ma senza allontanarsi troppo: se gli fosse successo qualcosa, se si fosse perso o peggio, cosa sarebbe successo a Magnus?
A farlo soffrire veramente però era lo sguardo dell'uomo che amava: al posto del desiderio vedeva disprezzo, al posto della fiducia, paura. La scintilla che amava tanto sembrava sparita. Se Alec accennava all'amore che li univa lo stregone si ritraeva disgustato. Era come stare con uno sconosciuto. Con uno sconosciuto che lo odiava.

Nei giorni seguenti Alec aveva provato a risvegliare i ricordi di Magnus in ogni modo. Gli aveva parlato della prima volta che si erano visti, di come Magnus lo avesse messo in imbarazzo flirtando davanti a tutti, del demone che avevano evocato e di come lui avesse quasi fatto uccidere Jace. Aveva raccontato del loro primo bacio, del primo appuntamento, ma lo stregone aveva solo alzato gli occhi al cielo. Alec non era stupito: Magnus era così incredibilmente bello, intelligente, affascinante, poteva avere ai suoi piedi qualunque uomo, donna o fatato, perché mai avrebbe dovuto credere di aver scelto un ragazzo come lui, uno così, così... normale. Di sicuro era una fortuna che non si sarebbe ripetuta: se Magnus avesse dovuto scegliere oggi fra stare con lui o con un Galg, probabilmente avrebbe scelto il Galg.

Ogni giorno Alec usciva e stava via ore. Tornava fradicio e infreddolito, a volte sconsolato, altre arrabbiato, ma sempre senza stele. Ma i problemi non erano finiti: la baita era pensata per qualcuno in grado di imbandire la tavola con la magia e in casa non c'era praticamente nulla da mangiare. Se solo avesse avuto il suo arco, ma Magnus lo aveva convinto che nemmeno il guerriero più zelante si porta le armi sulle piste da sci. Non avrebbe dovuto dargli retta.
Dovendo razionare il cibo Alec scaldava la zuppa in scatola per Magnus e si limitava a pulire la pentola, ma si rendeva conto che nonostante l'allenamento e la resistenza degli Shadowhunter stava diventando sempre più debole.

“Magnus non so come fare. Senza stele e senza portali siamo bloccati. Le scorte stanno per finire. Devi aiutarmi o... Nemmeno tu puoi sopravvivere senza mangiare!”
“Se almeno mi dicessi da che parte è il villaggio più vicino potremmo...”
“Non lo so! Te l'ho già detto un milione di volte. Sei tu che mi hai portato qui!”
“Certo, capisco. Scusa, mi ero dimenticato”.
“Non mi credi. Non c'è niente da fare, esco di nuovo. Devo trovare lo stele. Devo”. Sulla porta si voltò indietro: “Mi raccomando, non ti muovere, fuori si gela! Ci dovrebbe essere abbastanza legna ma se aspetti un attimo te ne porto ancora un po'”
Magnus cominciava ad affezionarsi al ragazzo. Era fuori di testa, certo, ma era premuroso, arguto, divertente... e dolce. Fare il sostenuto stava diventando difficile e quando Alec rientrò con le braccia cariche di legna lo fermò: “Ormai è tardi, fra poco farà buio. Il tuo stele lo cercherai domani. Anzi, domani ti aiuto anch'io”. Meglio che stare in casa a far niente.
“Prendo una torcia. Ma grazie, se non trovo niente stasera, domani andiamo insieme”.

Parte seconda - Scambio di ruoli

 

Erano passate già tre ore. Fuori era buio pesto. Magnus cominciava a preoccuparsi. E se il ragazzo non fosse tornato? Andò in cucina per prendere qualcosa da mangiare. C'era veramente pochissimo. Un'unica scatola di zuppa, qualche biscotto, fine. Zuppa e biscotti, le stesse cose che aveva mangiato in quei giorni. Che aveva mangiato lui. Ma Alec? Lo aveva mai visto mangiare qualcosa?
Guardò fuori dalla finestra. Nulla. E se gli fosse capitato qualcosa?

Magnus frugò in tutti i cassetti. Niente da fare, non c'era una seconda torcia. Ma c'erano alcune candele. Ne accese una e mise le altre nella tasca della giacca insieme all'accendino. Aprì la porta e uscì.
Le tracce si allontanavano in salita, poi fra gli alberi. Camminò per quasi venti minuti prima di vedere il ragazzo a terra.
“Hey, forza, svegliati” lo scosse. “Dobbiamo tornare a casa!”
Per fortuna Alec lo guardò con quei meravigliosi occhi azzurri e mormorò “Magnus... sei tu...”
“Sì, sì, sono io. Adesso però alzati...”
Ma Alexander aveva chiuso gli occhi. L'altro provò a scuoterlo ancora, a chiamarlo. Poi, sentendosi un po' stupido, giocò l'ultima carta: “In piedi! Sei o non sei uno Shadowhunter?”
Vide il ragazzo riaprire gli occhi e, con uno sforzo sovrumano, tirarsi su. Metà trascinandolo e metà sorreggendolo Magnus riuscì a riportare entrambi alla baita.
Fece sdraiare Alec davanti al camino mentre con un gesto della mano faceva avvampare il fuoco ormai spento. Non se ne accorse nemmeno, occupato com'era a sfilare i vestiti bagnati al ragazzo. Aveva le membra ghiacciate, le labbra blu, rischiava l'assideramento. Prese il piumone dal letto e glielo buttò sopra poi si alzò per preparare l'ultima scatola di zuppa.
“Magnus... non andare.. non mi lasciare... no, NO!”
“Sono qui, sono qui cucciolo, non ti preoccupare, non vado da nessuna parte”. Cucciolo? Ma da dove gli era venuta?
Ma Alec continuava a dibattersi, cercando di alzarsi, in preda a chissà quale allucinazione.
L'uomo sospirò e si sdraiò accanto a lui, passandogli una mano intorno alle spalle. Subito Alec si calmò, si accostò meglio e posò la testa nell'incavo della sua spalla. Strano come quel giovane corpo gli si adattasse alla perfezione, come sembrasse naturale stare così vicini.

Verso mezzanotte il ragazzo scottava da morire e alternava momenti di incoscienza a deliri febbricitanti. Magnus era riuscito a fargli mandar giù qualche cucchiaiata di zuppa e, per la prima volta, aveva considerato seriamente la loro situazione. Finora si era appoggiato ad Alec: in fondo ci si aspetta che sia il rapitore a occuparsi del vitto e alloggio della vittima, o no? Ma adesso il gioco delle parti si era capovolto, ora era Alexander a dipendere da lui. E lui non era pronto. Non c'era niente da mangiare e nessun mezzo di trasporto, non aveva il cellulare e quello del ragazzo era scarico.
Come erano arrivati fin lì? Forse li aveva accompagnati un complice di Alec, ma chi mai avrebbe lasciato un ragazzo di diciotto vent'anni da solo con la vittima di un sequestro, senza armi, senza alcun modo per tornare a valle o per comunicare.

Troppi pezzi del puzzle non combaciavano.
Alexander emise un gemito e Magnus si avvicinò per controllarlo e cambiargli la pezza bagnata sulla fronte. Guardando quel volto pallido, stravolto dalla febbre ebbe un altro flash. Era chino sullo stesso ragazzo che, anche in quel ricordo, era malato o forse ferito, ma questa volta era lui, Magnus Bane, a pregarlo di non lasciarlo solo, di tornare a vivere. Di farlo per lui.
Quindi era vero che si conoscevano. Che una volta si erano amati. Forse si erano lasciati e il suo compagno non si era rassegnato? Forse lo aveva tramortito e portato nel bosco sperando di riaccendere una fiamma ormai spenta? Ma questo non spiegava come fossero arrivati fin lì.
E a proposito di fiamma: quando aveva acceso il camino? Proprio non ricordava... Ma ora c'erano cose più importanti a cui pensare. Alexander doveva riprendersi. Aveva mille domande da fargli ma non era solo quello: aveva bisogno di rivedere quegli occhi di cielo. E per farlo guarire doveva per prima cosa trovare da mangiare. Per chissà quale perverso meccanismo, pur non ricordando niente del suo passato, ricordava come costruire trappole artigianali da bracconaggio. Non poteva immaginare di averlo imparato in Scozia più di cento anni prima. Frugò dappertutto ma non trovò né corda né spago. Però c'era un arazzo di lana grossa che forse poteva servire al caso suo. Con pazienza passò la notte a disfarlo e prima dell'alba piazzò alcune trappole nel bosco, con un paio di biscotti sbriciolati come esca.

Intanto, all'istituto, Jace stava impazzendo. Alcuni giorni prima aveva sentito freddo e paura irradiarsi dalla sua runa parabatai. Era successo qualcosa ad Alec. Lo aveva chiamato subito ma il telefono restava muto. Aveva cercato di rintracciare Magnus ma anche lo stregone era irreperibile. La sensazione era svanita e lui si era rilassato un po' ma aveva continuato a cercare il suo migliore amico. Nessuno l'aveva visto.
Il giorno dopo Alec non era ancora tornato e Jace aveva messo in piedi una squadra di ricerca. Aveva informato Izzy e Clary, certo, ma aveva allertato anche Simon e Luke. Avevano controllato tutti i posti più probabili e molti di quelli improbabili ma i giorni passavano senza novità.

Poi la sera precedente, dopo quasi una settimana dalla sparizione di Alec, c'era stato il tracollo. Il freddo era ricomparso, ma più intenso, doloroso, e poco dopo Jace aveva cominciato a sudare e sentirsi debole. Suo fratello stava male. Molto, molto male.
Luke aveva avvertito il branco, Simon aveva chiamato Raphael, Izzy si era messa in contatto con Meliorn. Alec e Magnus parevano scomparsi dalla faccia della terra.
Jace aveva provato a trovarli usando la runa di localizzazione ma senza risultato. Rimaneva solo la runa parabatai per rintracciarlo ma Clary si era opposta fermamente: quando l'aveva usata Alec era quasi morto... Era stato proprio Magnus a tenerlo in vita. Avrebbero avvertito l'amica di Magnus, Catarina: se proprio Jace doveva rischiare che almeno chiamasse lo strega più esperta in magie di guarigione.

Alla baita Alec sembrava star meglio, la febbre era calata e lui era lucido, anche se era troppo debole per camminare, stava seduto, parlava, riusciva persino a scherzare.
Magnus si trovava sempre più spesso a gravitargli intorno. Quel ragazzo lo faceva sentire bene, completo. E poi era sexy da morire. Quando gli aveva tolto i vestiti bagnati non aveva potuto fare a meno di notare gli addominali scolpiti coperti da tatuaggi, la pancia piatta, le gambe lunghe e muscolose. Ora che il cibo non era più un problema e che lui non si sentiva più in pericolo la visione di quel corpo perfetto continuava invadere i suoi pensieri. Avrebbe voluto che la situazione fosse diversa, che si fossero conosciuti in modo normale, magari a una festa. L'avrebbe invitato fuori per un drink oppure a vedere un film. E poi forse avrebbe potuto sfiorare quelle labbra con le sue...

“Adesso basta Magnus Bane, smettila! Stai fantasticando sul tuo rapitore per la miseria! Cos'è, la sindrome di Stoccolma?” Ma per la verità quella era una versione a cui non credeva più nemmeno lui. Alexander era un bravo ragazzo, ne era certo. Come fossero finiti in quella assurda situazione però restava un mistero.

Alec aveva smesso di cercare di convincere Magnus dell'esistenza dei nascosti. Senza alcuna prova chiunque lo avrebbe preso per pazzo e lui di prove non poteva offrirne. Però le cose non andavano male, era quasi sicuro che lo stregone avesse cominciato a guardarlo con un'espressione più dolce. E qualche volta – ci avrebbe giurato – lo aveva sorpreso a lanciargli occhiatine incandescenti. Era certo che con un po' di pazienza la memoria di Magnus sarebbe tornata, pian piano i ricordi stavano riemergendo, aveva colto allusioni al gatto, ai ristoranti di New York, al giubbotto di montone di nero che avrebbe voluto avere dietro... bisognava solo aspettare. Non che la cosa gli dispiacesse: passare qualche giorno con Magnus Bane era comunque un regalo.

Poi quella sera era iniziata la tosse. Nel giro di poche ore era passata da qualche colpetto sporadico a violenti accessi che lasciavano il ragazzo senza respiro. La febbre era risalita, la testa pareva sul punto di esplodere e gli dolevano tutte le ossa come se fosse stato stritolato da un demone.

Magnus faceva tutto il possibile ma nella baita non c'era nessun medicinale. Con le erbe giuste avrebbe potuto preparare una tisana curativa, ne era certo. Aveva provato a cercare nel sottobosco intorno alla casa ma d'inverno non cresceva niente. Intanto il ragazzo continuava a peggiorare, erano passati due giorni e ora Magnus non riusciva più a svegliarlo nemmeno per farlo bere.
Il respiro rantolante era quasi una benedizione, confermava che Alec stava tenendo duro. Ormai Magnus aveva dovuto ammettere di essere perdutamente innamorato. Quel giovane perennemente spettinato aveva fatto breccia nella sua corazza, la sua dolcezza aveva spazzato via la diffidenza, e ora, prima ancora che potesse confessargli i suoi sentimenti, il destino glielo stava portando via.

Verso le due l'uomo, stremato dai giorni insonni, si appisolò con la testa sul tavolo. Si svegliò di scatto: non doveva essere passato molto tempo, il fuoco era ancora acceso. Silenzio. Era stato il silenzio a svegliarlo. Alec non respirava.
“Alexander!” Scattò in piedi e corse al letto di fortuna che aveva allestito vicino al fuoco. “Rispondimi! Non provarci nemmeno a morire! Svegliati!”
Magnus provò a fargli la respirazione bocca a bocca, il massaggio cardiaco (ma come diavolo si fa?) ma sentiva la disperazione crescere, le lacrime riempirgli gli occhi. “Alexander no, no!” Poi la rabbia prese il sopravvento. L'uomo posò le mani sul petto del ragazzo e fece appello a tutto il suo essere, alla sua essenza, al suo potere. Aveva gli occhi chiusi e non vide la luce sprigionarsi sotto i suoi palmi, però sentì il petto di Alec sussultare. Sentì la forza che fluiva da sé al ragazzo e fu assalito da un'ondata di visioni, ricordi, memorie. Alec che rideva, gli occhi scintillanti e la testa cosparsa di neve. Alec che veniva verso di lui il giorno del matrimonio, serio e risoluto. Alec forte e concentrato con l'arco teso fra le mani. Alec fra le sue braccia. Che lo baciava. Che lo trascinava in camera.
Alec che lo fissava con sguardo preoccupato: “Magnus, tutto ok? Dimmi qualcosa”.
Lo stregone si lasciò scappare una risata nervosa: “Tutto ok? Tu chiedi a me se è tutto ok? Credevo di averti perso. Credevo... Ma stai bene. Stai bene vero? Ho fatto in tempo...”
“Sto beniss...”
La risposta fu interrotta da un bacio violento, disperato.
Alec ci mise un attimo a capire: Magnus Bane era tornato. Ed era di nuovo suo. Prese il compagno per la giacca del pigiama e lo tirò a se. Finirono distesi sul letto, senza fiato, le mani che cercavano i bottoni, la pelle bollente.
Ansimante Alec si alzò su un gomito e lo guardò negli occhi da gatto: “Dimmelo ti prego, dimmi chi sei”.
“Ti accontento subito Shadowhunter: sono l'incommensurabilmente potente Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, Maestro indiscusso di Stile, nonché unico amante di Alexander Gideon Lightwood”.
Il ragazzo sorrise, il primo vero sorriso da tempo: “Mi piace questa definizione, soprattutto l'ultima parte. Ma credo che dovrai darmi una prova...”
“Vorrei, credimi, ma forse preferisci tornare all'istituto, ti staranno cercando...”
“Jace! Izzy! Staranno dando di matto. Puoi portarci direttamente lì?”
Magnus lo guardò storcendo il naso: “Mi sa che prima ci serve una doccia, e anche un cambio d'abito”. Schioccando le dita fece apparire vestiti nuovi per entrambi. Ah, la magia, che meraviglia!
“Quasi dimenticavo”, un altro piccolo movimento e Alec si ritrovò in mano il suo stele, bagnato ma intatto.
Alec sorrise: “Grazie. Adesso però la doccia che mi hai promesso”.

L'acqua scorreva lungo gli addominali di Alec, disegnando ragnatele lucenti sulle rune tatuate, le ciocche bagnate gli cadevano ribelli sulla fronte. Magnus si prese un momento per ammiralo, lasciò cadere l'asciugamano che aveva annodato intorno alla vita e si unì a lui. Alec gli lanciò un timido sorriso, fece scivolare le braccia dietro le sue spalle e lo trasse a se con una dolcezza quasi timorosa. Lo stregone gli mise una mano sulla nuca per attirarlo più vicino, l'altra scese fino all'incavo della schiena. Le loro labbra si sfiorarono liberando una scossa di elettricità magnetica, poi si unirono fameliche. La bocca di Magnus si soffermò sul collo di Alec, tracciò scie bollenti sulle sue clavicole poi tornò a salire, a reclamare il suo posto. Magnus sentì il sorriso di Alec contro le labbra ma dopo pochi secondi il suo cucciolo si scostò in cerca del bagnoschiuma.
“Adesso il dovere, ti dimentiche sempre del dovere”.

“Che ci vuoi fare, sono un ragazzaccio”.
Alec versò il bagnoschiuma e gli passò la spugna sul petto, piano, sulle spalle, poi giù lungo le gambe, fermandosi abbastanza per una carezza intima. Poi ancora su, glutei, schiena. Come faceva uno stregone ad avere un fisico così perfetto? Magnus gemeva piano e si godeva il momento: presto sarebbe venuto il suo turno. Gli prese la spugna e sorrise mentre le mani cercavano nuovi angoli da insaponare, le labbra nuovi punti da baciare.
Usciti dalla doccia Magnus gli porse l'accappatoio nero e infilò quello rosso. Per qualche tacito accordo né l'uno né l'altro avevano osato toccarli durante quei giorni disperati.
Alec passò una mano sulla A ricamata. “Ti amo, Magnus Bane”.
“Ti amo anch'io Alexander. Adesso e per sempre”.

Quando Clary irruppe nella stanza, Jace stava per attivare la runa parabatai. Catarina, in piedi al suo fianco, era pronta a intervenire in caso di emergenza. Entrambi si voltarono verso la ragazza trafelata.
“Fermi! Sono tornati! Sono qui!”

“Alec è qui? Sta bene?” saltò su Jace. “Perché se sta bene lo ammazzo!”
“Clary, tesoro, c'è anche Magnus?” intervenne Catarina.
“Sì, ci sono tutti e due. Sono all'ingresso”.
Quando arrivarono nel salone dell'istituto Izzy stava contemporaneamente abbracciando e sgridando il fratello: “Ci hai fatti preoccupare da morire. Fatti vedere, perché sei così magro?”
Clary si rifugiò fra le braccia di Magnus: “Ragazzi, cosa vi è successo, come state?”
“Bene biscottino, adesso bene”.
Jace prese Alec per un braccio: “Era Christopher? E' tornato? Vi ha fatto del male?”
“No, tranquillo, siamo solo andati a sciare”.
“A sciare? Ma la runa... So che stavi male, pensavo stessi morendo”.
“Beh, non ci sono andato lontano. E' bello rivederti, rivedervi tutti. Siamo venuti un attimo a tranquillizzarvi ma siamo veramente stanchi, credo che dovremmo andare a casa...”
“Cosa vuol dir non ci sei andato lontano?” cercò di capire Isabelle, ma venne sovrastata da Jace: “Mica vorrai sparire di nuovo con lo stregone? Starai scherzando? Casa tua è l'istituto, e da qui non ti muovi”. La tensione e la paura degli ultimi giorni avevano fatto riemergere tutti i pregiudizi che gli erano stati inculcati dalla nascita: in realtà stimava Magnus, gli stava anche simpatico, ma Alec era troppo importante, era il suo parabatai, suo fratello, il suo migliore amico.
A quelle parole sferzanti Magnus si era irrigidito ma Alec era stato più veloce e con un passo si era messo fra lui e Jace: “Lo stregone mi ha salvato la vita! E, se la cosa non ti fosse ancora chiara, il mio posto è con lui, casa mia è al suo fianco”.
Per Magnus vedere qualcuno dare una tirata d'orecchi al biondino era sempre un piacere, ma che fosse stato proprio Alec era quasi incredibile. E lo aveva fatto per difendere lui! Nessuno lo aveva mai protetto, nemmeno da bambino. Sorrise: davvero Alexander non cessava mai di stupirlo.
Ignaro di tutto Alec fece un respiro profondo e continuò: “Scusate ragazzi, non voglio litigare, sicuramente non adesso. So che vi abbiamo fatti preoccupare ma non avevamo modo di comunicare, davvero. Appena possibile vi spiegheremo con calma, però adesso, vi prego, lasciateci andare a casa. Abbiamo bisogno di stare... sì insomma... insieme”.
Mise un braccio sulle spalle del compagno e si rivolse a Catarina che era rimasta un po' in disparte: “Se per te non è un problema magari domani potresti venire a dare un'occhiata alla testa di Magnus, ha preso una bella botta”.
“Non serve, cucciolo, sto bene. Ogni ricordo è tornato al suo posto”
Alec e Catarina lo ignorarono.
“Certo sarò lì in mattinata”.
“Va bene, se serve a farvi smettere di farmi da chioccia mi farò visitare...” capitolò Magnus alzando gli occhi al cielo. Poi si rivolse all'amica: “Non troppo presto però, stanotte abbiamo da fare”.

Sdraiati fra le lenzuola, con le dita intrecciate, Alec e Magnus traevano forza l'uno dalla presenza dell'altro.
Fu lo stregone a rompere il silenzio.

“Sai, ho sempre odiato mio padre per avermi reso quello che sono. Diverso, un mostro con occhi da gatto, sempre temuto, deriso o emarginato. Avrei dato qualunque cosa per poter vivere una vita normale”. Fece una pausa, si voltò verso il ragazzo e passò un dito lungo il contorno del suo viso. “Oggi, per la prima volta, gli sono stato grato. Se non avessi avuto la mia magia ti avrei perso. Alexander, ti stavo perdendo”.
“La magia è solo una parte. Sentivo il tuo coraggio, la determinazione, la generosità”. Avrebbe voluto aggiungere l'amore ma la timidezza lo bloccò. “Io sono qui per merito tuo. Mi hai salvato la vita, ancora una volta. Sono io che... A volte mi chiedo come fai a...”
“Cosa...?”
“Sono io a essere inutile. Quando avevi bisogno di me non sono stato capace di fare niente. Siamo quasi morti di fame! Non ero lucido, riuscivo solo a pensare che non ti ricordavi di me, che senza di te, io...” Sospirò cercando le parole giuste, come poteva spiegargli ciò che significava per lui? Il desiderio di stare insieme, di conoscere ogni suo pensiero, di proteggerlo da tutto e da tutti. Ma anche l'importanza di sentirsi apprezzato e magari anche desiderato. Di vedere l'Alexander forte, agile e sicuro riflesso nei suoi occhi, ed erano occhi fantastici. Era impossibile condensare tutto in poche parole, i sentimenti che non riusciva a esprimere parvero crescere fino a fargli male al petto. “Non mi lasciare Magnus” esplose, “ti supplico, non mi lasciare mai”.
Lo stregone si appoggiò a un gomito e gli rivolse una strana occhiata e un mezzo sorriso: “Sciocco, sarebbe impossibile. Non hai ancora capito? Anche se dovessi perdere la memoria mille volte, anche se entrambi perdessimo la memoria, ci ritroveremmo sempre, e ogni volta mi innamorerei di te. Ancora... e ancora... e ancora”. Dopo ogni ancora Magnus lo baciava, baci lunghi dolci e pieni d'amore.

 

Parte 3 - Un giro di vite

 

Gli uomini e le donne entrarono in silenzio e presero posto attorno al grande tavolo in cristallo. Solo quando tutti si furono seduti Imogen Herondale si alzò in piedi.
“Bene, siamo tutti presenti. Ho convocato questa riunione perché è ora di affrontare il problema della sede di New York”.

Un uomo di mezz'età, tarchiato e leggermente sovrappeso si lasciò scappare un gemito. Gli occhi dell'inquisitrice lo incenerirono ed egli parve rimpicciolire sul suo scranno.
La donna annuì: “Pur non avendolo espresso in maniera elegante, credo che la reazione del signor Brookwell rispecchi quella di molti. New York. Sembra che tutti i problemi dell'ultimo anno nascano lì. E il motivo è semplice”.
Fece una pausa per assicurarsi di avere la totale attenzione dei membri del Conclave e riprese: “Come tutti sapete l'addestramento dei nostri giovani inizia molto presto. A dodici anni la maggior parte dei ragazzi ha ricevuto la sua prima runa ed è pronto per partecipare alle missioni più semplici. Questo fa sì che quando i giovani raggiungono il loro pieno potenziale fisico abbiano già una discreta esperienza e siano in grado di elaborare strategie, guidare missioni e gestire le emergenze. Dopo il periodo di servizio attivo, con la saggezza maturata nel tempo, molti di noi,” e fece un gesto onnicomprensivo rivolto ai presenti, “si trasferiscono ad Alicante e a lavori di maggiore responsabilità”.
“E' la tradizione e ha sempre funzionato egregiamente” intervenne una donna dall'aspetto arcigno.
“Vero. Ma non dimentichiamoci che i ragazzi degli istituti sono poco più che adolescenti. Hanno bisogno di regole chiare e disciplina, e a volte serve un giro di vite per la loro stessa sicurezza”.
Fissò lo sguardo su Maryse Lightwood: “Forse saprete che qualche giorno fa uno dei nostri più promettenti Shadowhunter ha rischiato di morire. E non in battaglia, ma a cause delle azioni sconsiderate di uno stregone. Ma peggio, ha rischiato di morire a causa dell'eccessiva fiducia che sia lui che altri giovani di quell'istituto ripongono nei nascosti!”
Mormorii di disapprovazione serpeggiarono per la sala.
“Alexander Lightwood aveva già disonorato se stesso, la sua famiglia e tutto il clave abbandonando sull'altare Lydia Branwell, la figlia di una delle più rispettate famiglie di Alicante. E lo aveva fatto per lo stesso stregone, Magnus Bane”.
I commenti si fecero più accesi e Imogen dovette picchiare il pugno sul tavolo per riportare la calma. “Silenzio prego. Silenzio!”
Fissò i membri del Conclave uno per uno prima di proseguire.
“Ma il problema non è circoscritto a Alexander. A New York sono molti i giovani che intrattengono rapporti di amicizia con i nascosti. Fra questi Isabelle Lightwood - l'altra vostra figlia, vero Maryse? - ha dimostrato un certo attaccamento per un Seelie di nome Meliorn, mentre la nuova arrivata, Clary Fairchild...”
“La figlia di Valentine!”
“Sì, proprio lei. Non solo la ragazza ha per miglior amico un vampiro, ma guarda a Lucian Greymark, un lupo mannaro, come a un padre. Il loro esempio è stato seguito da molti altri giovani che, pur in maniera meno eclatante, hanno legato con i nascosti di New York”.
Le reazioni spaziarono fra l'indignazione dei vecchi conservatori e i commenti favorevoli di alcuni membri più progressisti.
“Capisco che alcuni di voi possano non vedere problema ma vi prego di riflettere su questo: il nostro lavoro è mantenere l'ordine e la sicurezza nelle città. E' perciò necessario che non vi siano né favoritismi né legami fra chi ha il compito di imporre la legge e le persone che essi devono tenere sotto controllo”.
Il discorso dell'inquisitrice fu molto convincente e presto il Conclave giunse a una decisione unanime. Fu emanata una direttiva specifica per New York che vietava ogni relazione sentimentale fra gli Shadowhunter e i nascosti e che scoraggiava fortemente di instaurare amicizie personali con appartenenti alle altre specie.

Fu mandata Maryse Lightwood a informare i membri dell'istituto. Quando tutti furono presenti lesse il comunicato, ripiegò il foglio con cura e aggiunse: “I vostri telefono privati sono stati schermati da chiamate e messaggi provenienti da nascosti. Oggi comunicazione sarà filtrata dal centro operativo. La sanzioni per chiunque fosse sorpreso a violare il decreto saranno molto severe, e in casi estremi potranno comprendere il trasferimento ad altra sede, il rimpatrio forzato ad Alicante o addirittura la derunizzazione. Ritenetevi avvisati”.
Clary fu la prima a farsi avanti: “Maryse la prego, non è possibile! Luke è l'unico padre che io abbia mai conosciuto e Simon... Simon è diventato un vampiro per causa mia! Sono stata io ad avvicinarlo a questo mondo, a metterlo in pericolo... Ha dovuto lasciare la sua famiglia, la sua vita i suoi amici... Non posso abbandonarlo!”

“Non hai scelta mia cara. Avete esagerato e ora tutto l'istituto ne paga le conseguenze.”
Poi si rivolse all'assemblea in attesa: “Potete andare. Alec, Isabelle e tu Clary, restate”.
Jace aveva messo un braccio attorno alle spalle di Clary e non accennava a muoversi.
“Jace, anche tu” ordinò la donna indicando la porta.
Il ragazzo fece per protestare ma Clary lo spinse lievemente: “Vai. Ci vediamo dopo”.

Quando furono soli Maryse li guardò uno ad uno: “Vi renderete conto che questo provvedimento si è reso necessario a causa vostra, per via dei vostri legami con i nascosti”.
“I nascosti, come li chiami tu, sono nostri alleati” saltò su Isabelle. “Senza di loro non avremmo mai fermato Valentine né...”

“Silenzio! Noi siamo qui per controllare i demoni e supervisionare la attività delle razze inferiori. E' il nostro compito e voi lo state compromettendo”. Prese un bel respiro e continuò: “Avrete modo di rifletterci a lungo poiché per voi la situazione è un po' differente. Non vi è permesso uscire dall'istituto né avere alcun contatto con i nascosti se non durate le missioni. Missioni che dovranno essere approvate da me”.
Alec guardò sua madre, la determinazione gli illuminava lo sguardo di riflessi d'acciaio: “Devo andare da Magnus. Devo parlargli, subito”.
“Assolutamente no. Tutti i nascosti verranno informati a tempo debito. Tu in particolare non dovrai più vedere Magnus Bane”. Poi addolcì la voce guardando il figlio: “Ti ha quasi ucciso”.
Facendo appello a tutta la sua pazienza Alec cercò di mantenere il tono neutro: “Mamma, ti ho già spiegato...”
“Sì, mi hai spiegato. Mi hai spiegato che Magnus ti ha portato in un posto isolato, da cui era impossibile tornare senza il suo aiuto e dove nessuno poteva rintracciarvi. E dove sei quasi morto. Dovrei forse ringraziarlo? Ma ora basta discutere! Gli ordini sono ordini: attenetevici. Conoscete le conseguenze”.
Detto questo girò sui tacchi e si allontanò senza voltarsi indietro.

Clary scoppiò in lacrime e Jace, che era rientrato appena aveva visto uscire Maryse, corse ad abbracciarla.
“Vedrai che non durerà, appena si saranno calmati un po' allenteranno la presa”.

“Ma Simon... è tutta colpa mia. Come farà...”
“Simon è in gamba”, rispose Jace. “Ma non ditegli che l'ho detto: negherò tutto. E poi c'è Luke con lui. Se la caverà alla grande, vedrai”.
Clary si asciugò lacrime e fece un mezzo sorriso.
Isabelle intanto camminava avanti e indietro furiosa: “Come osano! Ci hanno messi in castigo come bambini! Non possiamo uscire di casa? Ma stiamo scherzando? Vado dove mi pare e mi vedo con chi voglio. Mamma non si è mai curata di noi e ora...”
Alec era immobile, distante, immerso in chissà quali pensieri e Jace si trovò a dover ricoprire la scomoda, e per lui inusuale, posizione di paciere del gruppo: “Izzy devi calmarti, ragionare. Ora il Conclave è sul piedi di guerra, cercano qualcuno da usare come esempio. Non dargli questa soddisfazione”.
Clary si era ripresa e annuì: “Dobbiamo aspettare l'occasione giusta. Simon e gli altri ci hanno sempre aiutati, presto il clave avrà bisogno di loro e allora dovranno cambiare idea”
Izzy la interrupe: “No, Clary, tu non sai come sono, come ragionano. Il Conclave userà i nascosti come ha sempre fatto. Quando gli serviranno esigerà la loro collaborazione, come se gli fosse dovuta. Come se per un nascosto rischiare la vita per i nephilim fosse un onore. Poi, passata l'emergenza, addio. Non capiscono e non capiranno mai”.
“Non è così, non possono...”
“Mi spiace piccola, ma Izzy ha ragione” la bloccò Jace. “Ho visto membri del Conclave buttare piatti e bicchieri solo perché li aveva toccati un lupo mannaro o uno stregone. Per loro non sono solo razze inferiori, sono empi” .

Ancora discutendo si diressero tutti verso la sala comune, solo Alec rimase in piedi da solo a fissare il vuoto.

 

Parte 4 -Non ho scelta

Ormai Jace e gli altri uscivano quasi unicamente per lavoro e limitavano il più possibile i contatti con tutti i nascosti.
Isabelle, Clary e Alec erano praticamente agli arresti domiciliari. Maryse non li aveva persi di vista un attimo e non aveva autorizzato nessuna loro missione.

Passata la rabbia iniziale le ragazze si erano rassegnate alla vita in istituto. La storia di Isabelle con Meliorn era finita da un pezzo e Raphael, di cui il Conclave non sapeva niente... beh, forse era un bene che non potesse incontralo. Clary, finiti gli allenamenti, passava il suo tempo scrivendo lettere chilometriche a Simon, dipingendo o chiacchierando con Jace.
Chi non riusciva a riprendersi era Alec. Senza la scintilla di Magnus a illuminarlo, il mondo sembrava coperto da una ragnatela polverosa. Si era buttato sul lavoro per tenere la mente occupata, seguiva ogni caso come se ne andasse della sua vita, era perennemente in contatto con Jace pronto a fornirgli aggiornamenti o informazioni utili e la sera si allenava fino allo stremo delle forze nella speranza di stancarsi abbastanza per riuscire a dormire. Ma appena chiudeva gli occhi i ricordi dei momenti passati con Magnus lo assalivano impedendogli di riposare.
Durante le prime settimane aveva combattuto. All'insaputa degli amici ogni giorno chiedeva colloquio a sua madre o si recava dall'inquisitrice, presentava prove dell'affidabilità di Magnus e degli altri nascosti, citava precedenti che aveva trovato spulciando vecchi libri polverosi e diari dimenticati. Sempre senza ottenere niente. Imogen Herondale aveva messo in chiaro che, se anche un giorno il Conclave avesse deciso di allentare il divieto, avrebbe tollerato solo normali amicizie con i nascosti: mai e poi mai avrebbero permesso a uno Shadowhunter di frequentare uno stregone. A quel punto la donna aveva rabbrividito disgustata e aveva aggiunto: “Avresti dovuto sposare Lydia quando potevi, adesso è tardi. Per il tuo bene, farai meglio a rassegnarti”.
Da quel giorno aveva smesso di riceverlo.

Essendo l'unico del gruppo che poteva uscire liberamente dall'istituto, Jace faceva da corriere per le lettere che si scambiavano Clary e Simon, a volte incontrando direttamente il vampiro, altre usando Maya come intermediaria.
Prima di uscire chiedeva sempre anche ad Alec se avesse un messaggio per Magnus ma l'amico scuoteva la testa: “No, lascia stare, non saprei cosa scrivere”. Poi un giorno aveva strappato un pezzo di carta e scarabocchiato qualcosa, lo aveva piegato in due e glielo aveva consegnato. “Solo questo... se lo vedi dagli questo”.

Jace aveva guardato il fratello e a un suo cenno d'assenso aveva aperto il biglietto. Vi era una sola parola: ASPETTAMI.

Magnus Bane era infuriato. La magia gli si condensò fra le mani e lui la spedì a schiantarsi contro il mobile bar, fracassando le bottiglie e proiettando schegge di vetro ovunque. Chairman Meow si era rintanato sotto il divano e lo guardava con apprensione. Quando aveva ricevuto il messaggio del clave non era riuscito a crederci: … in accordo con i principi costituenti... volto a riportare l'ordine... divieto assoluto... tutti i nascosti dovranno tassativamente... Aveva appallottolato il foglio e lo aveva ridotto in cenere. E pensare che una volta ci avrebbe riso sopra. Certo, New York gli era sempre piaciuta, ma poteva benissimo vivere altrove: il Perù era sempre una possibilità, o Milano, adorava Milano. E Tokyo in quegli ultimi anni vibrava di novità. Inoltre fra poco quei vecchi burocrati sarebbero andati in pensione, bastava aspettare. Cos'erano dieci o vent'anni per un immortale? Niente, un sospiro nel vento.
Ma ora non era più così. Ora c'era Alexander. Ogni giorno era importante, meraviglioso, imperdibile. Come osava il Conclave mettersi tra loro!
Più volte aveva chiesto sue notizie Jace ma il biondino si limitava a scuotere la testa e sospirare.
Alec stava male ma lui non riusciva a essere triste, la rabbia soffocava ogni altro sentimento. Il Conclave gliel'avrebbe pagata. Era o non era il Sommo Stregone di Brooklyn?
Per giorni aveva ipotizzato, sezionato e poi scartato varie idee, poi era arrivato il biglietto: ASPETTAMI.
Cosa diavolo voleva dire?
Quello sì, lo aveva spaventato. Alec era fatto così. Rifletteva sulle cose incessantemente, ne analizzava ogni aspetto, ogni conseguenza. E poi, quando tutto quello che si era tenuto dentro diventava troppo, faceva qualcosa di avventato. Sorrise ripensando al matrimonio, Alec era sceso dall'altare, lo aveva raggiunto in mezzo alla navata, lo aveva preso per il bavero della giacca e lo aveva baciato davanti a tutti. Era stato un primo bacio indimenticabile. Ma poi c'era la volta che aveva rischiato la vita per rintracciare Jace con la runa parabatai ed era quasi morto, e ancora, pochi giorni fa, quando era uscito al gelo di notte per cercare lo stele. No, quella singola parola vergato in fretta su un foglio di quaderno non lo tranquillizzava affatto. Era ora di agire, prima che Alec facesse qualcosa di stupido.

I messaggi di fuoco di Magnus raggiunsero i più influenti nascosti di New York. La mattina dopo si presentarono tutti alla sua porta, senza eccezioni: vampiri, stregoni, lupi mannari, goblin, folletti, persino la regina dei seelie.
Magnus li accolse con un sorriso e dei drink. Una volta che tutti si furono accomodati cambiò tono.

“Tutti noi pensavamo di aver fatto un passo avanti. Che finalmente, dopo secoli, il clave avesse cominciato a considerarci, se non loro pari, almeno alleati degni di rispetto. E ora questo. Sapete a cosa ha portato la divisione delle razze nell'Europa degli anni '40? Ma noi non staremo a guardare. Non possiamo lasciare che ci trattino come paria!”
Luke, facile a infiammarsi, fu subito dalla sua parte: “Il branco non può tollerare un simile trattamento! Dobbiamo fermarli!”
“A cuccia lupo, non siamo in grado di portare avanti una guerra contro i nephilim e lo sai. Il tuo branco finirebbe sterminato. La mia congrega non si unirà alla battaglia” sentenziò Raphael.
La regina Seelie sorrise: “Conosco Magnus da tempo. Non è così avventato”. Poi si rivolse allo stregone: “Dicci cos'hai in mente”.
“Sua altezza ha ragione, così come ha ragione Raphael. La guerra aperta sarebbe un suicidio. Ma ha ragione anche Lucian: dobbiamo fermarli e dobbiamo farlo ora, prima che la situazione ci sfugga di mano”.
“E quindi?”
“Semplice: resistenza passiva. Se siamo collaboriamo tutti potremo forzargli la mano”.
Raphael si era fatto attento: “Esattamente cosa intendi?”
“Semplice. Non li aiuteremo più, smetteremo di essere al loro servizio. Basta portali, basta pozioni o contro-incantesimi. Non forniremo nessuna informazione, non parteciperemo a nessuna riunione e non risponderemo a nessuna domanda. In nessun caso. Finora ci hanno tenuti in scacco perché non siamo mai riusciti a trovare un accordo fra noi, ma oggi è diverso. Se un nascosto verrà minacciato gli Shadowhunters si troveranno davanti un fronte unito”.
Simon rise: “Grande! Funzionerà di certo! Ho sempre detto che sei un figo!”
“Un figo... Suppongo di doverlo prendere come un complimento” disse Magnus.
“Noi siamo con te” asserì Luke.
“Non si sono mai resi conto della nostra forza. E' ora che imparino la lezione. I seelie approvano la proposta”.
Anche Raphael annuì: “Può andare. Lo faremo”.
Magnus sorrise compiaciuto. Non aveva idea di cosa stesse accadendo in quel preciso momento ad Alicante.

Alec fu fatto entrare nella stanza. Attorno al tavolo di cristallo il Conclave era già riunito.
“Ebbene? Spero tu non ci abbia fatto perdere tempo prezioso per lamentarti ancora una volta delle nuove direttive, perché in tal caso...”

“No. Niente del genere”. Alec fece un respiro profondo. “Sono qui per chiedere formalmente che mi vengano cancellate le rune”.
Maryse si alzò di scatto: “Alexander, sei impazzito?”
Anche gli altri erano rimasti a bocca aperta: mai, da quando erano stati creati i nephilim, uno Shadowhunter aveva intenzionalmente rinunciato al suo status. Le derunizzazione era la punizione suprema, il massimo disonore.
“Alexander Lightwood, forse non ti rendi conto di cosa stai dicendo. Cosa comporti esattamente quello che chiedi” disse Imogen Herondale con voce dura. “Non solo non avrai più i poteri delle rune, ma non potrai più entrare nell'istituto o venire ad Alicante. Sarai bandito per sempre dalla nostra società”.
Alec annuì: “Non ho scelta”.
“Benissimo. Se questa è la tua decisione, presentati fra una settimana. Convocherò i fratelli silenti”.
“Imogen ti prego, non puoi, mio figlio...”
“Seduta Maryse. Tuo figlio ha deciso”.

Nei giorni seguenti Izzy notò che suo fratello era più taciturno del solito. Una sera, a cena, decise che era ora di chiarire: “Hey Alec. Cosa ti rode? Dillo alla tua sorellina”.
Lui alzò lo sguardo dal piatto che non aveva toccato: “Niente di nuovo. Il solito”.
“Non mi freghi, ti conosco da quando sono nata, sai? E' da lunedì che sei più strano del solito. Ti fermi imbambolato a fissare stanze vuote, non parli, non ti sei neppure allenato...”
“Non ne avevo voglia, è vietato anche prendersi un paio di giorni di pausa?”
“Siamo solo preoccupati per te, non tagliarci fuori” disse Clary sporgendosi in avanti.
Jace guardò le ragazze poi di nuovo Alec: “Se c'è qualcosa che ti rode, sputa il rospo”.
“Beh, suppongo che tanto prima o poi avrei dovuto dirvelo comunque... Me ne vado”.
Attorno al tavolo calò il silenzio.
“Lasci New York?” chiese Clary. “Chissà, forse è la scelta giusta. Ricominciare da capo intendo. Ma dove pensi di andare?”
“E' una pazzia! Hai già chiesto il trasferimento? Si può ancora annullare” saltò su Izzy.
Jace lesse la determinazione nei suoi occhi e annuì: “Siamo parabati, legati per sempre. Dove vai tu vado anch'io. Clary?”
Alec alzò una mano: “No, calma! Non lascio New York, lascio solo l'istituto. Pensavo di trasferirmi da Magnus per un po'”.
Isabelle guardò il fratello come se gli fossero spuntate le corna: “Credi che te lo lasceranno fare? Ma non li hai sentiti? Se metti il naso fuori dall'istituto finisci come minimo in Siberia!”
“Provare a rivedere Magnus, poi, vorrebbe dire...” Jace si bloccò. “Alec dimmi che non è vero. Dimmi che non ci stai neppure pensando!”
Le ragazze lo guardarono confuse ma Jace le ignorò: “Sei fuori di testa? Lasceresti tutto per lui? Tutto quello che sei? Tutto quello che siamo!” Si voltò verso Izzy: “Spiegaglielo tu! L'istituto è la nostra vita, siamo nati per essere Shadowhunters, soldati, guerrieri, lui non può...”
Isabelle cominciava a capire e si girò lentamente verso il fratello in cerca di una conferma. O meglio, di una smentita.
Lui la guardò e sorrise tristemente: “Non posso fare altro”.
“Jace, non ho capito, cosa sta succedendo?” chiese Clary.
“Succede che questo cretino vuole farsi togliere le rune. Abbandonarci per sempre”.
Clary si portò una mano alla bocca: “Ma... ma non può... Io ho vissuto da mondana per tutta la vita eppure oggi non riuscirei a tornare indietro. Ho sempre sentito un vuoto dentro, sempre. Essere una Shadowhunter mi ha reso intera. Alec, tu hai sempre vissuto qui, gli amici, la famiglia, i successi... tutta la tua vita è qui”:
“Non solo” le spiegò Jace. “Quando hai un parabatai gli doni una parte del tuo spirito. Senza la runa sarebbe incompleto per sempre. E io con lui”.
Alec abbassò gli occhi: “Lo so, ci ho pensato. Jace, non voglio farti soffrire, è solo pensando a te che ho tenuto duro finora. Ma tu hai Clary, le missioni, so che anche Isabelle ti starà vicino... Sei sempre stato il più forte: ce la farai”.
“Non è per me che mi preoccupo!”
Alec si alzò in piedi e quasi gridò: “Ma non capite? Il vuoto che ho dentro adesso è mille volte peggio di qualsiasi altra cosa! Così non riesco a vivere. Non posso!” Poi si calmò e con voce bassa e stanca aggiunse: “Nemmeno per te Jace. Mi dispiace”.
“Il biglietto... Aspettami. Voleva dire questo? Avevi già deciso?”
Alec annuì: “La legge vale per gli Shadowhunter. Finché resto uno Shadowhunter avranno il potere di esiliarmi, rinchiudermi, qualsiasi cosa, ma se non lo sono più non avranno più alcun potere”.
“Magnus lo sa?” intervenne Isabelle.
“No. E vi prego di non dirglielo. Lui... Ma per me è davvero l'unica scelta possibile”.

Ad Alicante l'atmosfera era tesa. L'iniziativa di Magnus si era fatta notare e creava non pochi problemi. Per l'inquisitrice era diventata una questione di principio. Cedere ai nascosti avrebbe voluto dire perdere potere, influenza, credibilità. Nei confronti delle razze inferiori, delle giovani leve ma soprattutto degli altri membri del clave. Ma alcuni membri del Conclave cominciavano a dubitare della decisione presa.
A New York c'erano alcuni covi di vampiri fuori controllo, nessuna novità, solo che questa volta nessuno sapeva dove si ritrovassero né da dove venissero. Nessuno aveva visto niente.
Le missioni più semplici si complicavano. Nessuno violava gli accordi, ma spesso i cacciatori scoprivano che qualche mannaro aveva inavvertitamente cancellato le tracce che stavano seguendo o che il demone che inseguivano era in realtà un mutaforme burlone.
I seelie agivano in maniera diversa. La regina aveva dato ordine che rispondessero ad ogni domanda degli Shadowhunters nella maniera più ambigua possibile. Non potendo mentire avevano sviluppato un rara abilità nel rigirare la realtà e dare risposte facilmente malinterpretabili.
In più, ogni volta che serviva un portale o un incantesimo, per quanto piccolo, diventava sempre più difficile ottenerlo. La resistenza aveva valicato i confini di stato, molti stregoni si erano convinti che presto la politica il clave avrebbe segregato tutti i nascosti, e sempre più numerosi avevano aderito alla politica di non cooperazione.
Si rischiava una guerra, sostenevano i detrattori di Imogen Herondale, e per che cosa? Un paio di ragazzini che volevano rotolarsi nel fango con i nascosti? Che facessero pure, crescendo gli sarebbe passata.

Jace, Isabelle e Clary ne discutevano da ore ma alla fine avevano deciso. L'unico che poteva far cambiare idea ad Alec era Magnus. Epoi, aveva il diritto di sapere.
Andò Jace: era l'unico che potesse uscire indisturbato dall'istituto.

Quando Magnus aprì la porta il ragazzo rimase stupito dal suo abbigliamento. Aveva visto lo stregone indossare smoking con le paillette, pantofole di peluche a coniglio e persino una giacca interamente fatta di specchietti ma mai lo avrebbe immaginato in pelle nera, borchie e maglietta militare (seppur con strappi fatti ad arte).
Magnus seguì il suo sguardo: “Oh, questo? Ho appena partecipato a un piccolo consiglio di guerra, niente di che”.
Velocemente Jace spiegò il piano di Alec e fu lieto di vedere lo stregone rabbuiarsi. Aveva temuto che Magnus approfittasse dell'occasione per avere Alec tutto per sé.
“Appena ho letto quel biglietto ho capito che avrebbe fatto qualcosa di stupido” sentenziò Magnus. “Dovete fermarlo. Il clave cederà ma abbiamo bisogno di più tempo”.
“Abbiamo?”
“I nascosti. Non penso ti sia sfuggito che nessuno collabora più con voi Shadowhunter... serve solo più tempo, alla prima vera emergenza il Conclave dovrà scendere a patti”.
“Vampiri e lupi mannari che lavorano insieme, non ne avevo idea. Pensavo fossero solo, non so, offesi”.
“Beh, almeno i muscoli non ti mancano...” mormorò Magnus.
Jace fece finta di non aver sentito: “Comunque quanto al tempo, beh, non ne avete. Alec andrà dai fratelli silenti lunedì”.
“Avete aspettato che mancassero due giorni per dirmelo?! Cosa credete, che io faccia magie?” Alzò le spalle: “Cosa che in effetti faccio, e anche piuttosto bene, aggiungerei...”
“Ce l'ha detto solo oggi. L'ho lasciato che riempiva un paio di scatoloni con le sue cose”.
Magnus prese a camminare per il salotto, facendo rimbalzare una piccola sfera crepitante da una mano all'altra. “Più pressione” disse comprimendo la sfera. “Serve molta più pressione”.
“Vuoi parlargli tu? Credi che ti starà a sentire?”
“Chi Alexander? No, certo che no. Quando decide qualcosa è testardo come un mulo. E se pensa di proteggere qualcuno non lo smuoverebbe nemmeno un titano. No, mi riferivo del clave. E con quella gente la logica non serve. Dai retta a me, ho conosciuto la mia dose di dittatori”.
Parlarono a lungo e alla fine della serata nessuno dei due era soddisfatto. Il piano era azzardato, Jace era disposto a rischiare e sapeva che lo stesso valeva per gli altri, ma si trattava di giocarsi il tutto per tutto all'ultimo momento. Se non avesse funzionato...

Lunedì mattina, alle prime luci dell'alba, Alec guardò la sua stanza per l'ultima volta. Era esattamente come l'aveva trovata quando si era trasferito lì da bambino, non l'aveva mai personalizzata, non c'era niente di cui avrebbe potuto sentire la mancanza. Casa sua era nell'attico di Magnus, solo lì si sentiva in pace e riusciva davvero a rilassarsi. E di sicuro dormiva meglio accanto a Magnus che in quel letto freddo e vuoto. Raddrizzò le spalle e uscì.

In piedi, davanti alla porta della sala riunioni di Alicante, Alec estrasse il suo stele. Un'altra ultima volta. Cos'era senza? Inutile, ecco cos'era, ne aveva avuto la prova in montagna. Ma Magnus valeva questo e altro.
Senza esitazione abbassò la maniglia ed entrò.

Il Conclave era già riunito e dietro di loro stava una figura solitaria, un uomo alto, magro, vestito unicamente di una tunica incolore con il cappuccio che nascondeva tutto il viso tranne le labbra cucite.
Il Console si alzò in piedi: “Alexander Gideon Lightwood, consapevole delle conseguenze e senza alcuna coercizione, hai liberamente deciso di spogliarti delle rune che ti rendono uno Shadowhunter?”
Alexander fissò l'uomo dritto negli occhi: “Voi mi ci avete costretto, privandomi della libertà che è diritto di ognuno. Io ho scelto di non sottostare ai vostri soprusi. Quindi sì, ho deciso”.
L'uomo si guardò intorno, le espressioni dei presenti erano divise, le fazioni si facevano sempre più definite. Fu Imogen a prendere la parola: “Bene. Togliti la maglia”.
Con un unico movimento fluido Alec si sfilò la maglietta nera e la lasciò cadere a terra. I tatuaggi che lo marchiavano come uno Shadowhunter erano solcati da innumerevoli cicatrici a testimonianza delle battaglie combattute per difendere il mondo dai demoni.
Il fratello silente si avvicinò, alzò il suo stele e in quel momento le porte si spalancarono di colpo.
Magnus, elegantissimo nel suo tuxedo preferito, fece un piccolo gesto di saluto ad Alec, un cenno con la testa in direzione di Maryse e, superando il ragazzo, avanzò verso il centro della sala.
“Come ha fatto a entrare! Fuori di qui! Portatelo subito fuori di qui!” gridò l'inquisitrice balzando in piedi.
Con un singolo movimento quasi noncurante Magnus fece apparire una cortina magica fra sé e il Conclave.
“Come ho fatto? Da sempre i nephilim si avvalgono dei migliori stregoni per innalzare le loro barriere. E da sempre, il migliore sono io” disse facendo un inchino. “Ma, come certo indovinerete, non sono qui per vantarmi...”
“Magnus basta, vattene finché puoi” bisbigliò Alec cercando di non farsi sentire dai membri del clave.
Lo stregone si voltò un attimo: “Ssh cucciolo, non ti preoccupare e lasciami lavorare”.
Cercò di sembrare sicuro: Alexander non poteva sentire il suo cuore che batteva all'impazzata né vedere il rivolo di sudore che gli colava lungo il collo.
Ma il ragazzo conosceva Magnus, aveva imparato a distinguere quel suo modo di nascondere la tensione sotto una patina di arguzia, di mascherarla con sorrisi che non raggiungevano gli occhi e movimenti più affettati del solito. Sapeva anche che qualsiasi intromissione da parte sua avrebbe solo peggiorato la situazione: uno stregone che irrompe ad una riunione del Conclave rischia l'arresto e quella barriera poteva essere vista come un atto di guerra.

“Ebbene” riprese lo stregone rivolto all'assemblea, “pare che qui vi sia un piccolo problema. Per l'esattezza direi un eccesso di intolleranza e sete di dominio. Ma di chi, mi chiedo? E perché?” Fece spaziare lo sguardo sulle persone riunite e lo puntò su Imogen.
“La legge è severa ma è la legge. E la nuova legge stabilisce...”

“Ah sì, la nuova legge. Una legge che priva i giovani della propria libertà, che discrimina i nascosti rendendoli legalmente indegni. Una legge che sembra fatta apposta per fomentare una rivolta. E' questo che volete? Una guerra contro stregoni, vampiri, fatati e mannari, per una volta uniti contro un nemico comune?”
Intorno al tavolo nessuno fiatava. “Ma non solo”. Magnus si volse un attimo verso Alec poi tornò a guardare il Conclave. “Cancellando le rune di Alexander Lightwood, privandolo del suo diritto di nascita, voi create un martire. Un simbolo per altri giovani come lui, giovani che hanno combattuto contro Valentine, che hanno imparato quanto è pericoloso considerarsi superiori, quanto è facile che questo sentimento sfugga di mano e si trasformi in odio. Davvero siete pronti a questo?”
Come in risposta a un segnale sulla porta apparvero un decina di giovani Shadowhunter. Jace, Isabelle e Clary formavano la punta, dietro di loro Lydia Branwell, Andrew Underhill e parecchi altri. Non dissero niente, fermi, in silenzio dimostravano la loro solidarietà.
Magnus alzò un sopracciglio: “Allora, cosa vogliamo fare?”
“Io non... Forse...” il Console balbettava, la prospettiva di una guerra sembrava sempre più probabile e sempre più assurda.
“Ci sarebbero centinaia di morti” disse qualcuno.
“Non alzerò le armi contro mia figlia” sentenziò il signor Branwell.
“Abbiamo già perso troppi uomini a causa di Valentine”.
“Che scopino con chi gli pare, qualche fatina ce la siamo fatta tutti” fu il commento di un uomo dalle guance rubizze e la voce tonante.
Magnus gli strizzò l'occhio mentre Imogen Herondale lo fulminava con lo sguardo. La donna cercò di prendere la parola ma il Console aveva ritrovato la sua sicurezza e la prevenne: “Silenzio! Non una parola: direi che ha già fatto abbastanza danni”.
Poi si rivolse al Conclave: “Propongo di abrogare seduta stante il decreto riguardante l'istituto di New York, in attesa di poterlo ridiscutere con calma. Qualcuno è contrario?”
Prima ancora di sentire le risposte Isabelle era saltata al collo di Jace gridando: “Ce l'abbiamo fatta!”
Clary batteva le mani e Underhill dispensava pacche sulle spalle a tutti.
Quando tutti si furono calmati un po' Magnus si schiarì la voce. “E per quanto riguarda Alexander?” chiese.
“Portatevelo via, sparite dalla mia vista” tuonò il Console, ma un sorriso gli incurvava le labbra. Quella dimostrazione di amicizia e solidarietà aveva smosso qualcosa che credeva morto da tempo.
Magnus raccolse la maglietta da terra e la porse ad Alec. Adorava vederlo senza vestiti, ma non era qualcosa che desiderasse condividere.
“Andiamo” disse prendendolo sotto braccio, “siamo stati qui fin troppo”.

 

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Capitolo 3
*** Catena, frusta e tradimento ***


Catena, frusta e tradimento

 

Alec rotolò su sé stesso, finì il movimento in ginocchio. Lo stiletto dardeggiò avanti infilzando lo skithle più vicino e riducendolo in polvere. Senza fermarsi fece un arco con il braccio opposto e la spada angelica ne falciò altri tre. Una capriola lo allontanò dai cinque demoni che gli si avvicinavano da dietro.
Gli skithle sono esseri simili a ragni, abbastanza lenti, il corpo corazzato di diametro fra i dieci e i trenta centimetri e lunghe zampe pelose. Hanno un'unica arma, il loro morso in grado di addormentare la vittima quasi istantaneamente, ma presi singolarmente non sono particolarmente pericolosi. Il problema è che non girano mai da soli ma in colonie di centinaia di individui e, una volta neutralizzata la vittima, la prosciugano completamente lasciando un guscio vuoto.
Alec grondava sudore. Lo stanzone era buio pesto - l'unica luce era quella fornita delle lame angeliche – e lui non aveva avuto il tempo di attivare la runa della visione notturna. Vedeva gli skithle all'ultimo momento, quando gli erano già quasi addosso e finora lo avevano salvato solo i riflessi fulminei propri degli Shadowhunter. In un angolo vicino al soffitto due occhi d'oro osservavano la scena, una voce pesantemente camuffata ogni tanto gli dava qualche consiglio con tono divertito: “Attento dietro”, “Oh, oh, vengono giù dall'alto”, “Vai così che ce la fai”.
Alec sapeva che una volta sconfitte le bestiacce avrebbe dovuto affrontare il loro padrone ma ora non poteva distrarsi.
Magnus, dov'era Magnus? Lo stregone lo aveva chiamato quasi un'ora prima, sembrava abbastanza tranquillo, voleva solo un parere. “Senti, sono passato da un cliente, non c'era ma ho trovato un pentacolo, piccolo niente di che, credo non sia nemmeno stato attivato, ma intorno c'è una strana polvere. Ti spiace venire a dare un'occhiata?”
Alec era andato subito all'indirizzo indicato e ora eccolo qui, a combattere per la sua vita e probabilmente anche per quella di Magnus.
A ogni fendente di spada i demoni colpiti esplodevano in una nuvola di polvere nera che si spandeva nell'aria e rendeva ancora più difficile vedere. Alec non poteva fermarsi un secondo per riprendere fiato o usare le rune, i bastardi erano dappertutto. Lo stiletto disegnava scie luminose tutto intorno, la spada roteava incessante. Finalmente Alec si rese conto che i demoni stavano diminuendo, ne restavano forse una dozzina. Fece un affondo bandendo il più grosso. Ce l'aveva quasi fatta.
Dall'alto arrivò una risata di scherno, una scintilla, poi una luce abbagliante che lo lasciò cieco per una frazione di secondo. Quanto bastava perché uno degli ultimi skithle riuscisse a calarsi sul suo collo.
Buio, luce, buio, la sensazione di vorticare, cadere, poi più niente.

Asmodeo fissava la polla delle visioni con evidente soddisfazione. Aveva dovuto dare il suo aiuto a Mordred in cambio della bottiglia, ma ne era valsa la pena. Finalmente suo figlio stava prendendo atto delle sue vere capacità, la sua natura demoniaca si stava risvegliando. Poi, insieme, avrebbero sottomesso l'intero Edom. Era bastata una piccola illusione per spingere lo Shadowhunter a tradire Magnus, ad aprire la voragine che aveva permesso al principe dei demoni di insinuarsi nel cuore del figlio. L'inviato di Asmodeo aveva liberato il piccolo demone di Mordred, questi era entrato nella mente di Magnu facendo da tramite fra padre e figlio, alimentando l'odio e fortificando il sangue demoniaco, il sangue che Magnus si rifiutava di accettare.

Com'era bello così indifeso, completamente in suo potere. Ancora svenuto, con una benda sugli occhi e la maglietta resa trasparente dall'acqua usata per togliergli la polvere di demonee, Alec era tenuto in piedi dalle catene che partivano dai posi si agganciavano ad un anello nel soffitto. Magnus gli tracciò il contorno della mascella con l'unghia e il ragazzo si mosse. Lo stregone fece un passo indietro per fargli credere di essere da solo.
Alec si svegliò. Era fradicio e aveva freddo. Pesanti catene gli trattenevano i polsi e le caviglie. Provò a tirare con tutte le sue forze, strattonando fino a farsi male ma l'acciaio non cedeva.
Magnus, seduto in silenzio un angolo, sorrideva dei suoi sforzi.
“Allora Alexander, hai finito?” La voce era dura, tagliente, irriconoscibile. Ma c'era un'unica persona al mondo che lo chiamava così.
“Magnus? Magnus sei tu? Cosa sta succedendo. Dove siamo?”
“Succede, mio caro, che non è mai saggio far arrabbiare uno stregone. Il sangue demoniaco rende difficile perdonare. Molto difficile. Più è potente uno stregone, più è forte il suo sangue e più la sua ira è da temere” rispose Magnus. “E tu, Alexander Lightwood, sei stato così stolto da tradire un principe”.
Alec sussultò come se fosse stato schiaffeggiato. Underhill. Magnus lo aveva visto baciare Underhill.
Lo stregone si avvicinò lentamente, gli fece sparire la benda dagli occhi e Alec vide il kriss, l'arma con cui si era suicidata la madre di Magnus. Le cose andavano di male in peggio.
E' ora, figlio mio, fallo soffrire come lui ha fatto soffrire te. Prenditi la tua vendetta, Asmodeo gli sussurrava nella mente.
La punta del coltello si appoggiò alla gola di Alexander traendo un'unica piccola goccia di sangue. “Magnus per l'Angelo, fermati. Ascoltami. Pensavo fossi tu, davvero”. Ma non era del tutto vero e Alec lo sapeva.
Quella sera, alla festa, aveva bevuto troppo ed era uscito per schiarirsi le idee. Magnus aveva un impegno, non era potuto venire, e lui si sentiva così solo. Gli mancava la sua voce, il suo corpo, le sue labbra, tutto. Lo voleva disperatamente. L'alcool gli aveva aumentato la libido e il desiderio lo faceva star male. Quando era uscito anche Underhill, Asmodeo aveva fatto la sua mossa. Una piccola illusione e Alec aveva visto l'uomo che amava. Normalmente uno Shadowhunter, con la vista potenziata, vedeva attraverso la magia ma l'inviato di Asmodeo aveva il potere di uno dei grandi demoni. L'inganno aveva funzionato. Alec aveva baciato le labbra di Magnus, anche se il loro sapore era diverso, lo aveva tirato a se, pur rendendosi conto che aveva il profumo di un altro. Quando l'illusione si era dissolta era tardi.
Magnus si era liberato presto e aveva raggiunto l'Hunter's Moon. Era rimasto lì, dall'altra parte della strada, a guardare i due corpi avvinghiati illuminati dall'insegna al neon.

La lama saettò verso il basso strappando la maglia di Alec, poi fece un lento circolo, sfiorando appena la pelle. Spirali sul suo cuore.
Alec sentiva la paura mischiarsi al desidero. Gli sfuggì un gemito. Gli occhi da gatto erano freddi, estranei, ma era sempre Magnus, l'uomo che amava più della sua stessa vita. Il corpo traditore rispose alla sua vicinanza, al suo respiro.
Magnus se ne accorse e qualcosa in lui si ribellò, il kriss divenne una rosa rossa, i movimenti ancora più lenti più sensuali. Gli occhi tornarono neri, profondi, colmi di amore e tristezza.
Asmodeo proiettò nella mente di Magnus le immagine del bacio, le mani di Alec fra i capelli di Underhill, le loro bocche unite...
Alec vide gli occhi del suo uomo cambiare ancora una volta, la postura divenne più distante, il sorriso un ghigno. Notò per la prima volta la lieve nebbia nera che circondava lo stregone.
“Chissà forse potrei anche perdonarti”, disse lo stregone lasciando cadere la rosa. Si allontanò verso il fondo della stanza e tornò con in mano una frusta. “Ovviamente dovresti pagare per quello che hai fatto”.
Lo schiocco fece sobbalzare Alec: “Magnus ti prego, mi spiace davvero. Io... ”
“Vediamo, sei uno Shadowhunter, la battaglia è la tua vita”. Fece un cenno col capo in direzione della pila di armi che gli aveva tolto di dosso dopo un'accurata perquisizione. “Un colpo per ogni arma, ci stai? Quattro pugnali, lo stiletto, la spada e l'arco. Sette colpi. Se non fiati ti prometto che sarai perdonato e ti renderò il vecchio Magnus Bane. Se esiterà ancora”.
Magnus sentì Asmodeo ridere nella sua mente: Così si fa figliolo. Gioca con lui, fallo supplicare.
“Tesoro, non farci questo... non sei tu. E' una magia. Resisti, lotta per noi”
Dentro la sua mente Magnus combatteva contro quel demone che era fuso a una parte di lui. Lasciò cadere la frusta. La rabbia, il dolore, la paura. Il sangue demoniaco li bramava e li usava come armi, ma Magnus era il sommo stregone di Brooklyn. E amava Alexander. A un gesto dello stregone le catene si aprirono e Alec quasi cadde in avanti. “Vattene Alexander, adesso!” gridò Magnus Bane. Guardò le armi a terra e aggiunse più piano, “Uccidimi se vuoi. Chiama i tuoi amici Shadowhunter. Oppure vattene e non tornare mai più, ma sappi che se mi capiterai di nuovo davanti sarò io a ucciderti”. L'altalenare di tristezza e odio rispecchiavano la sua mente sempre più in bilico fra bene e male.
Asmodeo urlò: Cosa fai! Non lasciarlo libero. Scatena la tua rabbia. Falla finita con lui!
Magnus era distrutto, il cuore a pezzi, il demone stava vincendo e lui doveva salvare Alexander. Doveva. A costo della vita. Dell'anima.
La porta sembrava chiamarlo. Alec fece un passo avanti. Voleva fuggire, dimenticare. Dimenticare la voce tagliente, le catene, gli occhi dorati che lo guardavano lottare. Quell'uomo era pazzo, malvagio, bellissimo, incredibile, generoso, dolce... oddio...

Se se ne fosse andato adesso avrebbe perso tutto. Tutto quello che avevano costruito, tutto ciò che lo rendeva felice. E Magnus... Magnus avrebbe perso la sua anima e il suo cuore.
Un patto è sempre vincolante, soprattutto per un demone. Se voleva salvare Magnus doveva costringere il demone a onorare la sua parola. Si chinò e raccolse la frusta.
“Cosa pensi di fare con quella?” rise Magnus.
Alec fece un altro passo avanti, prese la mano dello stregone e la chiuse intorno all'impugnatura dell'arma: “Me lo hai promesso. Sette colpi e sarò perdonato”.
Poi senza lasciargli il tempo di rispondere si sfilò i brandelli della maglietta, tornò al suo posto e, girato di schiena afferrò la catena con entrambe le mani.
Asmodeo sorrise. Quei colpi avrebbero distrutto il cuore del figlio. Magnus sarebbe stato suo per sempre. Usò ogni briciolo di potere per dare forza al demone:
“Un patto è un patto” disse Magnus, “Ma sappi che se ti sfuggirà un solo gemito l'accordo sarà nullo”.
Alec annuì e strinse la presa.
Il primo colpo fu una striscia di fuoco sulla pelle.
Magnus chiuse gli occhi e rivide il bambino che era stato, e quel bambino piangeva.
Il demone lo costrinse a continuare. Il bracciò scese ancora. E ancora. E ancora. Dove i segni si incrociavano usciva sangue. Scarlatto sulla pelle candida.
Guardati, provi piacere, lo sento. La sensazione di tenere la frusta in mano, il ragazzo inerme, il potere... Ma io ti capisco. Il tuo piccolo nephilim soffre. Per te. A causa tua. Sei eccitato, vorresti leccare il suo sangue, prenderlo lì dove sta. Magari quando avrai finito potrai farlo...
Alec non fiatava, l'unico rumore era quello dell'arma. E, nella testa di Magnus, della risata di Asmodeo.
Ma come fai a pensare che qualcuno possa amarti? Sei un abominio, figlio mio, accettalo. Accettati. Solo io posso volerti bene.
Mancava un colpo, Magnus era distrutto: “Basta Alexander, vattene ti prego”.
“Fallo, Magnus. Devi farlo o sarà tutto inutile”. Mettici tutto il tuo odio, il tuo rancore, la tristezza. Non lasciare niente. Alec non riuscì a esprimere quello che pensava ma non ce ne fu bisogno.
Il braccio si sollevò un'ultima volta, il colpo fu più forte dei precedenti, più disperato. Alec lanciò un grido silenzioso e inarcò la schiena ma non gli uscì alcun suono.
In quel momento Asmodeo urlò di dolore, l'incantesimo cedette e si riversò su di lui bruciandolo come acido. Vide la nuvola nera esplodere dal corpo dello stregone, dissolversi nell'aria e svanire. Ma ormai era tardi, quell'idiota di suo figlio aveva distrutto la fiducia dello Shadowhunter, lo aveva allontanato per sempre. Neanche un vero angelo avrebbe potuto continuare ad amare dopo quello che aveva subito.

Alec si voltò e cadde in ginocchio, guardava Magnus avvicinarsi a lui. Da quella prospettiva sul pavimento non poteva non notare l'erezione che premeva contro i pantaloni di pelle attillati.
“Ti è piaciuto” disse sbalordito.

Si tirò in piedi con la sola forza della determinazione: “Bene, il mio compito l'ho svolto”.
Magnus cercò di barricarsi dietro una corazza di ironia: “Il bellissimo principe ha rotto l'incantesimo e salvato la bella addormentata”
“Già, beh. Il principe non sapeva che la bella addormentata amasse la frusta. Addio Magnus Bane”.
Il ragazzo prese le sue armi e, a torso nudo, si diresse verso la porta. Quando gli passò accanto, Magnus lo prese per un braccio: “Alexander, aspetta. Io... ti prego, almeno lasciami curare le tue ferite. Ti supplico, amore”.
Alec si liberò dalla sua stretta: “Non mi toccare. Non osare toccarmi mai più”.
“Alexander perdonami, io non... Fammi quello che ti ho fatto io, di più se vuoi, ma perdonami”.
Alec voltò la testa e lo incenerì con lo sguardo: “Io non frusto la gente Magnus. Non sono come te”.
Uscì dalla porta e si diresse a grandi passi verso l'istituto, le gocce di sangue che tracciavano la via.

Magnus era a terra, le lacrime gli rigavano il volto. Restò così per ore, immobile. Il demone era sconfitto ma era troppo tardi. La sua oscurità aveva allontanato Alexander per sempre. Il cuore era così pesante, faceva così male. Lì, in ginocchio, rivedeva mille immagini del suo amato. E fra le tante c'era anche quella del ragazzo che si reggeva alla catena.

Alec spalancò le porte dell'istituto come una furia. Jace e Isabelle stavano controllando le difese dell'istituto, lo videro arrivare senza maglia, gli occhi che mandavano lampi.
Jace gli andò incontro: “Ehi amico, cos'è successo?”
“Niente, lasciami in pace” rispose secco Alec senza rallentare.
Quando gli passò accanto Jace notò la schiena. “Ma cosa... Sono segni di frusta quelli? Cos'è stato?” disse correndo per stargli al passo.

“Un demone. Non ti preoccupare, non c'è più”.
Erano arrivati davanti alla porta di Alec. “Aspetta, lascia che dia un'occhiata. Hai usato la iratze?”
“Vattene Jace, lasciami in pace”
“Alec asp...”
Non riuscì a finire la frase, un pugno di Alec lo mandò a sbattere conto la parete. “Ho detto lasciami-in-pace” urlò entrando in camera e sbattendo la porta.
Jace si massaggiava la mascella. Non era arrabbiato, solo preoccupato: cos'era accaduto al suo parabatai? Alec non era violento, non lo aveva mai colpito fuori dagli allenamenti, nemmeno da bambini, quando litigavano per qualsiasi cosa.

Alec si sedette con la testa fra le mani, la mente in subbuglio. Era un debole. Aveva fallito, deluso tutti. Si era convinto che sarebbe riuscito a rompere quel dannato incantesimo, abbracciare Magnus e dirgli che andava tutto bene. E ce l'aveva quasi fatta. Ma poi … quale mostro si eccita frustando la persona che ama? Certo, anche lui con il kriss, ma non era la stessa cosa. O forse sì?Paura, amore, senso di colpa, incertezza: quando si mischiano le emozioni il risultato è esplosivo e imprevedibile.

Lo stregone si alzò di scatto, si guardò intorno e irrigidì le spalle. “Datti un contegno Magnus Bane, sei il Sommo Stregone di Brooklyn, non una ragazzina piagnucolosa. Sapevi che non poteva durare. Sapevi che non dovei lasciarlo entrare. Nessuno rimane dopo aver visto il demone”.
Doveva andarsene da quella la città. Ricominciare da capo. Niente di nuovo, l'aveva già fatto: questa volta non era diversa dalle altre. Neanche un po'.

Nel suo appartamento lo aspettavano solo ricordi di Alec, Magnus non se la sentiva di affrontarli, meglio perdersi per le vie della città deserta. Tornò a casa un paio d'ore prima dell'alba e, esausto, crollo sul letto. Domani trasloco, pensò prima di sprofondare nell'oblio. Domani mattina.

Alec non riusciva a stare fermo, a pensare. Aveva davvero creduto di poter reggere il peso del dolore di Magnus, della sua angoscia.
Una notte di tanto tempo prima, su un tetto, Magnus gli aveva detto che la magia non poteva creare le paure, poteva solo farle emergere.

Tutta l'arguzia, il distacco e l'ironia, tutto il glitter, i colori sgargianti e il savoir-fair, tutto ciò che Magnus mostrava agli altri era una maschera, una maschera che lo proteggeva da un mondo che lo aveva sempre rifiutato. La madre che per via dei suoi occhi si era tolta la vita, il patrigno che aveva cercato di ucciderlo, le persone - uomini e donne - che aveva amato e che erano scappate quando lui aveva osato svelare i suoi segreti. Magnus celava la sua paura da secoli, secoli in cui si era impedito di amare. Per non venire ferito, per non essere abbandonato. E lui aveva fatto proprio come tutti gli altri, al primo barlume di oscurità, era scappato lasciandolo solo.
Solo. Magnus era solo e ferito.
Alec agguantò una maglietta dall'armadio, la infilò e uscì dalla porta.
Mancavano un paio d'ore all'alba ma Jace, preoccupato per il fratello, era già in piedi. “Alec dove vai? Se ti fermi un attimo e mi spieghi cos'è successo forse posso aiutarti...”
“Jace, mi dispiace per ieri, davvero” disse mentre iniziava a correre. “Ma adesso non ho tempo”.

Per fortuna aveva le chiavi. Arrivato all'appartamento dello stregone entrò in silenzio e lanciò un rapido sguardo in salotto. Magnus non era lì. Aprì la porta della camera da letto.
Dormiva, i capelli spettinati, il volto rigato dall'eyeliner e dalle lacrime, per terra una pila disordinata di vestiti.

Magnus. Il suo Magnus. Era bellissimo.
Alec si maledisse per la sua stupidità. Perché aveva dubitato? Magnus era estremo in tutto, forse aveva dentro un abisso, ma lo teneva sotto chiave da centinaia di anni. E poi, cos'era in confronto al mare di luce, di generosità e altruismo che lo facevano brillare? Per quell'uomo poteva reggere tutto l'Edom sulle spalle.
Si spogliò in silenzio, lasciando cadere i suoi abiti in cima alla pila, e si infilò nel letto accanto al suo unico amore.

Magnus sognava. Alexander era accanto a lui, lo guardava con tenerezza, i suoi splendidi occhi brillavano. Sorrise nel sonno. Sentì il tocco della sua pelle, la dolcezza del suo bacio. Poi vide il mondo spaccarsi e lui e precipitò: la catena, la frusta, il kriss. La schiena insanguinata del suo nephilim mentre lo lasciava per sempre. Una nuova lacrima gli colò lungo la guancia. “Alexander” mormorò a fior di labbra.
Alec lo guardava dormire. Vide il sorrise, poi il dolore. Lo abbracciò piano: “Amore, sveglia”.

Il sogno continuava, Alexander era lì con lui. Ma nei sogni non si sentono i profumi. “Cucciolo? Sei davvero tu? Sei... tornato?”
Alec sorrise: “Scusa se ci ho messo tanto. Sai che a volte sono un idiota”.

Nella profondità di Edom, Asmodeo vide Alexander tenere stretto suo figlio, sentì la speranza e la gioia guarire il cuore di Magnus. Dannato nephilim! Un'ondata di fuoco mandò in frantumi la pozza della visione e si propagò per chilometri. I demoni fuggirono terrorizzati dinanzi all'ira del loro signore.

Il sole scintillava sulla terra ghiacciata, New York era si stava svegliando lentamente. All'istituto Isabelle spalancò la porta di Jace un tonfo. Clary, seduta sul letto accanto allo Shadowhunter, fece un salto indietro: “L'occhio, gli era finito qualcosa in un occhio”.
Jace alzò un sopracciglio: “Izzy, si bussa prima di entrare...”
La ragazza non gli prestò attenzione: “Continuo a pensarci e non mi quadra. Per niente”.
“Parli di Alec” disse Jace, e non era una domanda.
Lei annuì: “Non è stato un combattimento, non c'era nessun demone. Alec non è certo un codardo e...”
“E non aveva ferite sulle braccia né sul petto, solo sulla schiena. Lo so. Ho visto”.
“E poi i polsi. Hai notato i segni sui polsi?”
“E' stato fatto prigioniero?” esclamò Clary. “Da chi?”
“Non lo so, e non capisco perché non me l'abbia detto. Sono il suo parabatai, fra noi non ci possono essere segreti” rispose il ragazzo.
“Mio fratello è sempre stato un po' insicuro. Forse gli dava fastidio essersi fatto fregare e non voleva che lo sapessimo...” intervenne Izzy.
“No, non cercava di nascondere le ferite. E poi”, disse Jace massaggiandosi la mascella. “quella non era vergogna, era rabbia”.
“Non so gli Shadowhunter, ma fra i mondani se qualcuno ti fa del male lo dici alle autorità, agli amici... a qualcuno” ragionò Clary. “Se stai zitto o è per vergogna o è per coprire l'aggressore”.
“Quindi potrebbe essere stato qualcuno che conosceva, di cui si fidava?”
“Il che spiegherebbe la rabbia” assentì Isabelle. “Se un amico mi facesse qualcosa del genere gli caverei gli occhi!”
Jace si fece pensieroso: “Alec è sempre stato intransigente su ciò che è giusto e ciò che non lo è... Mi vengono in mente solo tre persone, forse quattro, che cercherebbe di difendere anche su una cosa così grave. Credo potrebbe farlo per me, magari anche per te Clary ma – non offenderti – prima ce ne parlerebbe. Sicuramente per Isabelle”.
“Hey! Lo so che la frusta è la mia arma ma...”
“Rilassati Izzy, lo so. E poi tu eri con noi”.
“Resta il quarto...”
Clary scosse la testa con decisione: “No. Non ci credo. Magnus non potrebbe mai... cioè non vedete come lo guarda? Lo ama alla follia...”
“Beh, mettiamola così” disse Isabelle dura. “Se non è stato lui possiamo sempre chiedergli se ha qualche informazione”.

“Uhm, tre Shadowhunters alla mia porta di prima mattina... Visita di lavoro o di cortesia?” li salutò Magnus. “Ma vi prego, entrate. Posso offrirvi un drink? O forse a quest'ora è meglio un tè?”
I ragazzi lo squadrarono: dolcevita di cashmere viola, gilet damascato sui toni del verde bottiglia, jeans fascianti di velluto liscio, collane d'oro, anelli, trucco perfetto, un ciuffo viola fra i capelli... Ma non voleva dire nulla.

Fu Isabelle la prima a parlare: “Ciao Magnus, scusa se ti disturbiamo, solo che... hai visto Alec ultimamente?”
Jace non aveva tempo per i giri di parole: “Basta coi convenevoli. Dov'eri ieri? Anzi, facciamo così, dicci direttamente cosa gli hai fatto!”
L'espressione di Magnus, di solito impenetrabile, dovette tradire qualcosa.
“Non posso crederci! Perché?” gridò Izzy mentre Jace portava la mano all'elsa della spada.
“Diglielo Magnus, digli che non c'entri!” supplicò Clary.
“Scusa, biscottino. Sfortunatamente è tutto vero” rispose Magnus con tono contrito.
Come nella scena di un film muto i tre ragazzi rimasero pietrificati vedendo Alec apparire nel vano della porta dietro a Magnus. Era l'ultimo posto dove avrebbero mai immaginato potesse essere. Almeno senza armi in mano. Ma Alec indossava solo i pantaloni e la collana con l'ala d'angelo, aveva la pelle umida per la doccia e si stava frizionando i capelli con un asciugamano bianco. Sembrava... rilassato. Vedendo gli amici la sua espressione si incupì. Magnus si sentiva già abbastanza in colpa senza bisogno del loro intervento.
Lo stregone non lo aveva sentito arrivare e continuò: “A rischio di ripetermi, vi dirò quello che ho già detto a Maryse qualche mese fa: questa è una cosa fra me e Alexander. Se lui vuole che sparisca dalla sua vita deve solo dirlo. Ma se è disposto a perdonarmi, mi atterrò al suo insindacabile giudizio”.
Mentre Magnus parlava, il volto di Alec si aprì in un sorriso, in silenzio fece un passo avanti, si chinò un poco e gli depositò un bacio sul collo. Di riflesso lo stregone alzò il braccio e gli scompigliò i capelli.
Quel piccolo discorso aveva dato a Jace il tempo per riprendersi dalla sorpresa.
“Alec, che ci fai qui? Come puoi anche solo sopportare di stargli vicino!” sibilò a denti stretti.
“A mia parziale discolpa” disse Magnus, “potrei menzionare che c'era di mezzo un incantesimo...”
“... un grande demone...” aggiunse Alec.
“... e forse dovrei aggiungere un pizzico di lussuria”.
“Magnus Bane!” lo rimproverò Alec passandogli le braccia intorno alle spalle a abbracciandolo da dietro, “Non mentire ai miei amici”.
“Oh, e va bene! Forse un po' più di un pizzico!”
La risata di Alec gli lasciò sul volto uno di quei rari sorrisi in grado di illuminare una stanza, quelli che gli facevano scintillare gli occhi e apparire la fossetta sulla guancia.
Isabelle prese Jace per la manica della giacca e lo trascinò verso l'ingresso: “Beh, se qui è tutto a posto direi che noi abbiamo parecchie cose di cui occuparci. Arrivederci ragazzi”.
Jace cercò di opporsi ma Clary gli diede l'ultima spintarella e chiuse la porta.
Mentre si tenevano per mano, Magnus e Alec sentirono i commenti degli amici che scendeva le scale.
“Per l'Angelo, Izzy, è tuo fratello!”
“Esatto. E, come ha detto Magnus, non sono affari nostri. Alec è felice”
“Molto felice direi” intervenne Clary.
“Ma non hai visto com'era conciato ieri sera? Credi che non succederà più?”
“Credo che se lo ha perdonato lui, non sta a te...”

Le voci, sempre più lontane, sparirono nel nulla.
“Allora, a proposito di quella lussuria...” meditò Magnus.
“Magnus Bane! Sai che sei insaziabile?!” esclamò Alec mentre gli slacciava il primo bottone dei jeans.

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Capitolo 4
*** Lord Bane ***


Lord Bane

 

 

Pioveva. Non credete a chi vi dice che la pioggia di marzo è rinfrescante, che porta l'odore della primavera. New York sotto la pioggia è triste, grigia e arrabbiata. Simon era l'eccezione. Entrò all'istituto come fosse casa sua, il solito sorriso sulle labbra e, gocciolante, corse da Clary: “Ciao amica! Che bello vederti! Come va la vita da Shadowhunter?”
“Simon!” disse lei abbracciandolo. Poi si voltò verso la zona degli schermi: “Ragazzi! C'è Simon”.

“Hurrah,” rispose Jace con tono laconico, guadagnandosi una gomitata da Isabelle.
“Simon, ciao. Qual buon vento?”
“Beh volevo vedervi salutarvi... e poi avrei un piccolo favore...”
“Ma certo! Dicci tutto”.
“Ti ricordi Ambra? Quella ragazza che faceva il liceo con me? Quella con i capelli biondi, corti, un po' cicciottella..:”
“Quella che leggeva sempre?”
“Proprio lei. Beh, l'ho incontrata l'altro giorno ed è... strana. Cioè, strana strana. Non mi ha riconosciuto, faceva jogging...”
“Non è che tu sia così memorabile” precisò Jace. “Avrà deciso di dimagrire. Che ti importa”.
“Sì. No. Davvero, era... diversa. Brusca, sicura di se. Comunque ero un po' preoccupato e sono passato da casa sua e sua madre, sai com'era sua madre, serena calma... Ma forse tu non l'hai mai conosciuta?”
“No in effetti..”
“Ecco allora sua madre era fuori di se. Amber non sapeva dove fossero le cose in casa, non ricordava la sua scuola, gli amici, niente. E' diventata un'altra persona, con altre abitudini, altri modi di fare e di parlare. Non so, ho pensato che magari una fata, sai come in quel film...”
“Le fate non fanno queste cose” disse Isabelle, “ma se ti fa stare più tranquillo vengo con te”.
“Oh oh... appuntamento!” rise Jace.
“Cretino!”

Isabelle e Simon tornarono tornarono qualche trasportando una ragazza in stato di incoscienza.
“Simon ha ragione” affermò Izzy. “Ha decisamente qualcosa che non va, ho dovuto sedarla per farla venire qui. La porto in una cella, per sicurezza”. Poi si rivolse ad Alec: “Ti spiace chiamare Magnus?”

“Certo, vado subito”
“Noi intanto diamo un'occhiata ai database, vediamo se troviamo qualcosa di simile”

Clary, Jace e Alec scoprirono che nell'ultimo mese erano stati segnalati parecchi episodi analoghi, solo che essendo casi sporadici sparsi per il mondo nessuno aveva fatto il collegamento”.
Magnus e Izzy li raggiunsero con aria truce: “La ragazza è diversa perché non è lei. L'ho esaminata bene e non c'è dubbio”.

“Un mutaforme?” ipotizzò Jace.
“No, niente del genere. Clary ti ricordi quando hai viaggiato per cercare il segnalibro? Stessa cosa. Solo che qualcuno è riuscito a rendere permanete il passaggio. L'ospite non perde la memoria e può restare qui a tempo indeterminato”.
“Ma perché? Cosa vogliono da noi?”
Izzy scosse la testa: “Non sappiamo, Amber si rifiuta di parlare”.
“Dobbiamo avvertire la mamma” disse Alec. “Deve sapere”.

Maryse si presentò il giorno dopo accompagnata da Imogen Herondale e altri tre membri del clave. Dopo aver ascoltato Isabelle, Simon e Magnus si recarono alla cella e vi restarono tutta la giornata.
La sera Maryse chiamò i ragazzi: “Abbiamo un problema molto più serio del previsto. Il mondo da cui proviene quella ragazza era molto simile al nostro ma circa un mese fa tutto è cambiato. C'è stata una guerra, tutti gli Shadowhunter sono stati spazzati via, i nascosti sono stati confinati a Idris e ora il mondo intero è nelle mani di uno Stregone”.

“Tutto il mondo? In così poco tempo? Ma com'è possibile?” esclamò Clary.
“Pare che abbia un potere inimmaginabile, si è unito a un Grande Demone e riesce a elargire parte della sua magia ai suoi servitori più fedeli. Ha ridotto l'umanità in schiavitù creando plotoni di persone senza una volontà propria che rispondono al volere dei suoi comandanti”.
“Quindi queste persone sono scappate”, dedusse Isabelle.
“Magari fosse così. Mentre lo stregone comanda sulla terra, il demone ha preso possesso di tutti i piani demoniaci. Ora hanno deciso di espandere il loro regno di terrore ad altre realtà. E hanno scelto la nostra”. Maryse fece una pausa: “Quegli uomini sono ricognitori, mandati a controllare e riferire. Fra poche settimane il grande capo in persona prenderà possesso del corpo del suo alter-ergo nel nostro universo e scoppierà una guerra di proporzioni mai viste”.
“Dobbiamo fermarlo. Si sa chi è questo pseudo-dittatore? Basta catturalo prima dello scambio di corpi e siamo a posto” disse Jace pratico.
Maryse guardò Alec, l'unico che non aveva ancora aperto bocca: “Si fa chiamare Lord Bane”.

 

L'ultimo Shadowhunter

 

 

“Lo uccideranno! Lo capite questo? Se ha quel genere di poteri non rischiareranno”. Alec era furioso.
Jace annuì: “Temo che tu abbia ragione. La sicurezza del mondo prima di quella del singolo. E' così che ragiona il clave”.

“Ma Magnus è nostro amico!” saltò su Clary. “Dobbiamo dirglielo”.
“E dobbiamo fermare quel Lord Bane prima che ci renda tutti zombie senza cervello!” aggiunse Isabelle.

“Grazie ragazzi” disse Magnus con un sorriso triste. “La vostra lealtà mi commuove. Ma capite che non posso andare in giro a distruggere il mondo. Prendo le mie cose...”
Alec lo fermò: “Tu non vai da nessuna parte. Abbiamo ancora qualche settimana. Basterà fermarlo prima di allora”.

“E se non dovessimo riuscirci?”
“Allora... allora ci penseremo!”
“Ma è facile” disse Simon che li aveva raggiunti a casa di Magnus. “Tu entri nel corpo di Lord Bane, dici a tutti di liberare gli schiavi, poi non so, ti butti da una rupe, o prendi del veleno o tutti e due, e prima di morire, zac! torni qui. Così lui muore e fine!”
Jace lo guardò come se gli fosse spuntata un'altra testa: “Sai che non è una brutta idea. Può funzionare, lo battiamo al suo stesso gioco! Simon, a volte sei anche utile!”
Simon gonfiò il petto e sorrise: “Il diurno colpisce ancora”.
Alec si era girato verso Magnus: “Cosa c'è? Sembra un buon piano”.
“Se Lord Bane ha in mente di passare di qui sicuramente avrà preso le sue precauzioni. Un normale stregone non potrebbe in alcun modo bloccare il passaggio, ma se si è unito ad Asmodeo... Per lui è uno scherzo innalzare una barriera del genere. Se chi lascia il suo corpo non può entrare nell'altro, finisce nel limbo per l'eternità”.
“Allora passeremo noi, se non se lo aspetta sarà facile ucciderlo”.
Questa volta fu Clary a scuotere la testa: “hanno ucciso tutti gli Shadowhunter, ricordate? Non avremo un corpo in cui entrare”.
“Dobbiamo riparlare con Amber. Forse ci siamo persi qualcosa. Simon, porta Magnus da te, nascondilo!” disse Alec. “Vi raggiungiamo appena possibile”.

Alec, Jace, Clary e Isabelle dovettero penare un po' prima di ottenere il permesso di parlare con la prigioniera ma alla fine ebbero il permesso.
Amber sedeva dritta sulla panca di metallo e sorrise vedendoli entrare. Alec entrò per ultimo e l'espressione della ragazza si trasformò in un ghigno di derisione: “Alexander Lightwood. Che piacere rivederti!”

“Lo conosci” incalzò Jace. “Quindi ci sono degli Shadowhunter nel tuo mondo”.
“Già, mi ero scordata fosse uno di voi. Il giocattolino di Lord Bane” disse scoppiando a ridere.
“Giocattolino? Cosa vuoi dire? Parla o ti faccio smettere io di ridere!”
“Niente, niente. Alexander è il favorito del nostro signore. Accanto a lui in ogni momento, sai com'è, lo porta alle cene, ai discorsi, ai consigli di guerra... quelle cose lì”.
“E noi? Nessuno di noi?”
“Nessun'altro. Nello specifico,biondino, ricordo di aver visto la tua testa su una picca”.
Clary emise un gemito e si portò la mano alla gola.
Alec non si fece impressionare: “Capito. Qui abbiamo finito, andiamo”.
“Buona fortuna Alexander, fammi sapere come va!” disse Amber con un'ultima risata.

Alec non volle aspettare, Magnus aveva lasciato nel suo appartamento una pozione per lo scambio di corpi – meno comoda del portale usato da Clary ma altrettanto efficace – e lui aveva fretta.
“Dov'è il problema? Se l'altro me è sempre al suo fianco sarà facile trovare il momento giusto. Con un po' di fortuna sarò di ritorno prima di cena”.

I ragazzi non erano d'accordo ma Alec non gli diede scelta.
Si divisero, Alec e Isabelle a casa di Magnus, Jace e Clary da Simon.
Quando Clary raccontò le novità Magnus saltò in piedi, prese Jace per le braccia e lo scosse: “Dobbiamo fermarlo. Adesso!”
“Magnus calmati, Alec è in gamba, sa come cavarsela. E poi Lord bane non sospetterà niente”.
“No, forse no, ma non cambia niente. Non hai visto cosa gli ho fatto io quando quel demone ha creato la connessione con mio padre? E ti assicuro che ho combattuto, ho combattuto tutto il tempo. Ma se avessi accettato il legame... Lord Bane non sa amare. Ha detto che era il suo giocattolino. Non il suo compagno o amante o il suo secondo. Ha detto giocattolino”.
“Pensi che potrebbe fargli del male?”
“Non lo penso, biscottino, ne sono certo. Andiamo”.
Magnus aprì un portale per casa sua, ma era troppo tardi. Il corpo di Alec giaceva in stato di incoscienza sul divano, Isabelle gli aveva buttato sopra una coperta.
Lo stregone gli corse accanto: “Alexander, torna da me, ti prego”.
“Non puoi fare qualcosa? Riportarlo qui?”
“No, quella pozione non funziona così, c'è un minimo di tempo - se l'ha bevuta tutta almeno otto ore - solo dopo può chiederci di aprire un portale”.
Isabelle si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla: “Ce la farà, vedrai. Tornerà”.

I ragazzi lasciarono Magnus a vegliare sul corpo di Alec e tornarono all'istituto per convincere Maryse a dargli un po' più di tempo.
Nell'attico il tempo passava con una lentezza infinita. Magnus era disperato. Ancora una volta Alexander rischiava la vita.

Il corpo di Alec reagiva a ciò che accadeva alla sua mente. Magnus sentì il cuore battere più forte, il sudore coprirgli la pelle e prese la sua decisione. Alec aveva sopportato di tutto per lui, era ora di ricambiare.

Questa storia contina nel prossimo capitolo!

 

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Capitolo 5
*** Magnus contro Bane ***


Magnus contro Bane

 

Quando Jace e Clary tornarono all'appartamento trovarono una strega mai vista prima. I lunghi capelli viola erano il suo segno demoniaco, la pelle diafana e gli occhi neri e profondi come pozzi la rendevano bellissima. Jace non riuscì a trattenere un verso d'apprezzamento. Clary, meno incline a farsi abbagliare da bellezze femminili la squadò con sospetto: “Chi sei tu? Dov'è Magnus?”
La donna fece cenno al divano opposto a quello di Alec. Magnus era sdraiato proprio come il ragazzo: “Il mio Maggy mi ha chiesto un piccolo favore, come potevo rifiutare?”
“Quale genere di favore?” si inserì Jace.
“Qualcosa in cui sono più brava di lui” sorrise. “Voleva raggiungere il suo cucciolo, e io ho un debole per le grandi storie d'amore!”
Jace fece un respiro profondo per cercare di mantenere la cama: “Ti spiace spiegarti meglio, per favore?”
Una risata cristallina fece tintinnare i bicchieri del mobile bar.
“Quanta impazienza! Venite sedetevi, parleremo davanti a un drink”
“E' proprio amica di Magnus” sussurrò Clary accomodandosi al tavolo.
“Magnus ci ha spiegato che non poteva entrare nel corpo di Lord Bane. Cos'è cambiato?”
“Nulla. Infatti lui non è lì”.
“Allora dov'è?”
“In un mondano qualsiasi, uno degli aiutanti o dei generali, non ricordo”.
“Ma si può fare?” chiese Clary, “Credevo che si potesse viaggiare solo nell'altro se stesso”.
“Infatti è così” sorrise la strega. “Con la magia normale”
Fece una piccola pausa e sorseggiò il suo cocktail. “Poi c'è la magia nera. Questo incantesimo voi la chiamereste possessione”.
“Magia nera!” ansimò Clary.
“La magia nera è vietata” spiegò Jace, “non solo perché immorale, ma anche perché il prezzo è altissimo. Cosa ha dovuto pagare Magnus”.
“La possessione è una pratica normale fra i demoni ma nessun altro può praticarla. Tranne noi stregoni. Possiamo usare il nostro sangue demoniaco ma c'è un piccolo rischio. Per questo non lo fa nessuno, ma Maggy ha insistito tanto!”.
“Quale rischio?”
“In quel momento siamo come demoni, e possiamo essere banditi. Se succede, la parte umana muore e lo stregone rinasce come demone nel piano da cui proveniva il suo sangue. Nel caso di Magnus, Edom se non sbaglio”.
“Magnus potrebbe diventare un demone?”
“A lui non piacerebbe”. Un ultimo sorriso: “Altri potrebbero trovarlo liberatorio”.

Magnus era stordito. Si diete una rapita occhiata e il suo umore precipitò: uniforme grigia in lana grezza, pantaloni larghi, giacca lunga con la cintura e le spalline dorate. Anche un po' di pancia! Per fortuna aveva un pizzico di magia, non molta e non originale, solo quella che Asmodeo aveva elargito ai generali per tenere sotto controllo le truppe.
“Comandante? Mi scusi Signore, mi ha sentito?”

Era un ragazzo allampanato, con i brufoli e i capelli a spazzola. Indossava la stessa uniforme-informe ma senza spalline.
Magnus si calò nel ruolo: “Se balbetti sottovoce, ragazzo come faccio a capirti!”
“Sissignore, scusi signore. La legione è pronta per l'ispezione signore”.
“Andiamo. Spero siano in messi meglio di ieri”.
“Signore? Devono partire per ispezionare l'Upper East Side, per controllare che tutto funzioni a dovere”.
Cominciamo bene, vediamo di farci scoprire nei primi cinque minuti... “Certo. Avevo pensieri più importanti per la testa. Vai, vai, falli andare”:
“Signorsì signore” disse il ragazzo battendo i talloni e allontanandosi.
Perché diavolo ho preso ispirazione dal terzo Reicht, fra tutti i periodi storici possibili? Magnus si guardò in giro. L'ufficio era piuttosto grande, sotto la finestra troneggiava un'enorme scrivania di mogano completamente coperta di carte. Guardò fuori dalla finestra: Lord Bane risiedeva alla Casa Bianca. Forse qualcosa in comune ce l'avevano. Aprì l'agenda del comandante: ore 18.00, cena di stato. L'occasione perfetta per studiare un po' la situazione.

Con indosso l'alta uniforma, Magnus si fece scortare al luogo del ricevimento. Il suo posto non era al tavolo del Comandante Supremo ma comunque molto centrale, aveva una visuale perfetta. Qualche minuto dopo le 18.30 suonarono le trombe, tutti si alzarono in piedi e Lord Bane fece il suo ingresso trionfale. L'uniforme color smeraldo era attillata nei posti giusti, i bottoni avevano diamanti incastonati, le spalline erano d'oro puro e decine di medaglie scintillanti gli ornavano il petto. Una pavone in mezzo a uno stormo di piccioni: ora capiva il perché delle divise tristi dell'esercito. Dietro al Lord camminava Alec. Era vestito per la festa anche lui, ma con colori meno sgargianti: una giacca di velluto lilla polvere, una camicia di seta color panna con i volants, pantaloni a mezza coscia stile rinascimento, calze di seta bianche e scarpe con le fibbie d'oro. Era uno spettacolo. Ma per una volta Magnus non aveva tempo per fantasticare sul corpo di Alexander: da fuori sembrava tutto a posto ma lui lo conosceva abbastanza da vedeva che camminava a fatica, che il volto era troppo pallido, le occhiaie troppo marcate. Aveva le mani unite dietro la schiena ma vide che nessuno commentava.

Durante la cena Lord Bane mangiava e beveva di gusto, rideva con i suoi vicini e ogni tanto prendeva un boccone di cibo e lo accostava alle labbra di Alexander. La prima volta il ragazzo aveva voltato la faccia. Senza smettere di parlare Lord Bane gli aveva appioppato un manrovescio che lo aveva fatto cadere dalla sedia. Alec si era tirato su a fatica, con le mani ancora legate dietro la schiena, e Magnus aveva visto che gli sanguinava il labbro. Lord Bane si era voltato a guardarlo e aveva riso. Poi aveva preso un pezzo di pollo e glielo aveva strofinato dolcemente sul taglio prima di farglielo mangiare. Magnus aveva assagiatoquel pollo: era piccante.

La cena fu una tortura. Lord Bane si divertiva a umiliare Alexander. Quando non aveva voglia di imboccarlo lo faceva mangiare da un piattino come un cane, alternava carezze e punizioni senza una ragione apparente. Alec resisteva, ubbidiva ai voleri dello stregone ma gli occhi erano pieni di ribellione. Magnus guardò Lord Bane e si rese conto che se n'era accorto. Non poteva aspettare, doveva agire quella notte stessa.
Dopo la cena ci furono i balli, poi uno spettacolo di fuochi d'artificio, il discorso e il brindisi. Erano le tre di notte quando finalmente gli attendenti accompagnarono Magnus nei suoi appartamenti. Ora doveva solo rintracciare le stanze di Lord Bane, trovare un modo per entrarci superando controlli e sigilli, cercare un'arma (non poteva portarsela dietro, la magia l'avrebbe segnalata), ucciderlo e salvare Alexander. Niente di che, normale routine.

Magnus stava girando da un po' per i corridoi tutti uguali quando udì le voci. Si avviò in fretta in quella direzione. Lord Bane era sulla porta, Alexander nudo e semincosciente era riverso sul pavimento. Quattro guardie erano accorse all'ordine del loro signore.
“Portatelo via, sapete cosa dovete fare. Ma state attenti: se muore non vedrete l'alba di domani. E non rovinategli il viso!”
Mentre gli passavano davanti trascinando Alec per le braccia una delle guardie lo vide: “Comandante!”
“Riposo. Ditemi, cos'è successo?”
“Niente signore, lo stupido si è ribellato di nuovo. Strano però, erano mesi che non succedeva”.
“Non capisco perché Lord Bane si prenda la briga” aggiunse un altro prima di rendersi conto con chi stesse parlando. Batté i tacchi e fece un mezzo inchino: “Mi scusi Signore, sicuramente il nostro Lord Comandante ha motivi che un umile guardia come me non è in grado di comprendere”.
“Farai bene a ricordarlo”, disse duramente Magnus. “Fate strada, vengo con voi”.
Il quel momento Lord Bane apparve da dietro l'angolo: “Ah, comandante Demitrius, ancora in piedi? Venga la prego, prendiamo un ultimo drink insieme”.
Prima di seguire se stesso nella suite, Magnus si voltò verso le guardie. “Passerò appena ho finito”.
Bane si lasciò cadere elegantemente su una poltrona di broccato: “Allora Demitrius, come vanno le ispezioni? Avete scovato qualche altro topo di fogna?”
Magnus non aveva idea di cosa stesse parlando e optò per un commento generico: “Signore, sa come sono i topi, bravissimi a nascondersi. Ma noi siamo cacciatori provetti”.
Lord Bane rise e fece apparire due drink “Lei mi piace comandante, mi piace”.
“Posso avere l'ardire di chiederle cosa è successo?” chiese Magnus facendo cenno alla porta.
“Sa com'è con i ragazzi, ogni volta che pensi di avergli insegnato qualcosa ti deludono”. Poi gli occhi da gatto si fecero duri e freddi: “Ma imparerà. Forse dovrò passare alle maniere forti ma, per il demone, imparerà”.
Maniere forti? L'immagine di Alexander sul pavimento gli balenò davanti agli occhi. Perché, finora aveva usato i guanti di velluto?
Lo stregone dovette notare qualcosa e lo fissò: “Forse ha qualcosa a che ridire Comandante Dimitrius?”
Magnus alzò le mani: “No, certo che no. Ai giovani serve la disciplina. Mi chiedevo solo se, sempre con il massimo rispetto, oggi il signorino mi sembrava un po' provato, mi chiedevo se è in condizioni di reggere la giusta punizione”.
Lord Bane rise: “Forse lei non lo sa, ma Alexander è l'ultimo degli Shadowhunter. Reggerà. Quella razza maledetta ha una resistenza incredibile, non sarà certo qualche costola rotta ad ammazzarlo”.
Il cuore di Magnus saltò un battito. Calma, doveva stare calmo. Per Alec. Ma non aveva più tempo e nemmeno autocontrollo. Ostentò uno sbadiglio: “Se permette domani devo alzarmi presto”.
“Vada, vada pure. Credo che dormirò anch'io”.

Magnus si avvicinò al mobile bar per posare il bicchiere. Coprendo la visuale di Lord Bane con il proprio corpo prese il cavatappi. Si avvicinò al Bane di questo universo per porgergli la mano. Uno strattone, una mossa fulminea, la punta nel cuore. Poi, in fretta prima che potesse gridare, gli avrebbe premuto un cuscino del divano sulla faccia. O almeno quella era l'idea.
Prese la mano di Lord Bane e lo tirò verso di sé. Un attimo dopo un flusso di magia lo scaraventò contro la parete opposta. Magnus boccheggiò ma ebbe la presenza di spirito di usare la poca magia che aveva per insonorizzare la stanza: ci mancava solo che arrivassero le guardie.
Bane gli strinse un laccio magico intorno al collo e cominciò a stringere: “Allora Comandante Demitius... chi sei veramente?”
Magnus riuscì a prendere una bottiglia a caso dal carrello – Campari italiano – e gliela scaraventò contro. Appena l'altro perse la presa sulla magia si tuffò dietro al divano.
“Io sono te. Ma meglio!” Sembrava una citazione da un film.
“Sarà, ma devo dire che io sono decisamente più bello” scherzò Bane incenerendo il divano.
Giocava al gatto col topo, lanciando la magia in modo che Magnus riuscisse a schivarla. Serviva un'idea, un diversivo, qualsiasi cosa. Magnus evitò l'ultima sfera d'energia con una capriola che lo portò in camera da letto. Si infilò il cavatappi in tasca, prese il bastone appendiabiti e aspettò. Appena Bane girò l'angolo uso la sua abilitò nel Shaolinquan per atterrarlo. Il cavatappi nel collo finì l'opera.
Mentre moriva Lord Bane guardò Magnus e la comprensione si fece strada nel suo sguardo dorato: “E' il tuo... per questo è ancora forte... Sei qui per lui...” chiuse gli per un attimo, poi con l'ultimo soffio di vita prese la mano di Magnus: “Non perderlo, non fare come me... non resisteresti”.

Magnus uscì in corridoio e fermò il primo soldato che incrociò: “Tu, ragazzo! Portami da Alexander Lightwod. Mi stanno aspettando”.
Scesero varie rampe di scale, Lord Bane aveva usato la magia per creare delle vere e proprie segrete in stile medievale, con muri in pietra, umidità, muffa e tutto il resto.
La guarda si fermò davanti a una spessa porta di legno: “E' qui Signore”.
Magnus spalancò la porta ed ebbe un terribile deja-vu. Alexander era sospeso per le braccia, girava lentamente su se stesso. La testa ciondolava sul petto, la schiena era martoriata dalla frusta. Su un braciere strumenti dall'aria sinistra brillavano incandescenti. Notò una B impressa a fuoco all'altezza del cuore.
Il suo piccolo. Se solo avesse avuto la sua magia, di quel posto infernale non sarebbe rimasta nemmeno la polvere.
Si fece forze a continuò la recita: “Bene. Avete fatto un buon lavoro. Ma forse non abbastanza”. Si voltò verso le guardie. “Lasciateci soli”.
“Sissignore” risposero gli uomini all'unisono. Uno prese il coraggio a due mani e aggiunse: “La prego di stare attento al volto Signore, o Lord Bane...”
“Con chi credi di parlare!? Sparite, subito!”

Appena le guardie furono uscite richiudendosi la porta alle spalle Magnus si avvicinò ad Alec. Prese il fazzoletto dalla tasca e si mise a tamponargli delicatamente le ferite. A fatica Alec alzò lo sguardo, lo fissò per un attimo e fece un tremulo sorriso: “Per l'Angelo Magnus, meno carezze e tirami giù di qui...”
Magnus si immobilizzò, si guardò le mani: erano ancora quelle del Comandante Dimitrius: “Alexander, come...”
“Dopo quella storia... con Valentine... più attento... gli occhi... l'espressione... fra mille”, ansimò Alec.
Con la Morte di Lord Bane ogni legame fra quel mondo e Asmodeo era stato reciso, la gente si stava svegliando alla trance ipnotica e i generali avevano perso il loro potere, quindi Magnus dovette cercare le chiavi, che per fortuna erano sul tavolino accanto a una lunga pinza e un coltello affilato. Aprì le catene, accompagnò Alec fino a uno sgabello e cercò qualcosa da bere. Come una magia l'acqua parve ridare un po' di forze al ragazzo.
“Mi spiace farti fretta, ma dobbiamo andarcene subito, prima che tornino le guardia” disse lo stregone.
“Magnus non possiamo, bisogna fermare Lord Bane”.
Lo stregone guardò l'unica piccola macchia di sangue sulla sua divisa: “E' morto Alexander. Non farà più del male a nessuno”.
Magnus si portò al centro della cella e parve parlare al nulla: “Liadara, ci serve il portale, siamo pronti”.

A New York la donna dai capelli viola sorrise a Clary e Jace: “Eccoli che tornano”. Poi si rivolse a Magnus: “Maggy, calma, lo sai che mi ci vuole qualche minuto”.

Magnus aiutò Alexander ad alzarsi. “Ti ho visto, al banchetto, mi spiace tanto. Se solo avessi avuto la mia magia! Ma tu eri fantastico, resistevi a tutto. Cos'hai fatto per farlo infuriare così”.
Alec arrossì: “Voleva, beh lo sai. Ma non potevo Magnus, ho provato a fingere che fossi tu, ho lasciato che mi spogliasse ma poi, quando mi ha sfiorato... Temo di avergli dato una ginocchiata”.
In quella terribile tetra prigione Magnus rise: “Tipica mossa della raffinata arte della guerra degli Angeli direi!”
Alec sogghignò: “Tipica mossa di Isabelle!” Poi tornò serio: “Avrei avuto mille possibilità, ma non si fidava. Mi sono svegliato di qua già con le mani legate e me le hai liberate tu ora. Credo che Alexander vivesse così, penso lo slegassero solo quando non c'era Bane”.
Magnus annuì: “Conosceva il valore degli Shadowhunter. E il tuo”.
“Può essere, o forse era solo un sadico” rispose Alec mentre davanti a loro si apriva il portale che li avrebbe riportati a casa e ai loro corpi. “Tu invece? Senza magia come hai fatto?”
Magnus alzò le spalle: “Un cavatappi. I classici funzionano sempre”.

I due uomini si svegliarono nei loro corpi, nell'appartamento di Magnus, attorniati dagli amici. Pacche sulle spalle, sorrisi, domande e sollievo. Alec era quasi incredulo che non gli facesse male niente ma era il vantaggio del viaggio fra realtà: ciò che succede di là, resta di là. L'altro Alec si sarebbe svegliato pieno di lividi e con la schiena a pezzi, ma libero.
Salutata Liadara anche gli Shadowhunters tornarono all'istituto, dovevano parlare con Maryse, aggiornarla della morte di Lord Bane, dello scampato pericolo e della liberazione di un mondo intero. Avevano deciso che fosse meglio non parlare della – enorme – parte avuta da Magnus in tutto ciò: la sua partenza per un altro universo poteva sembrare un tentativo di fuga e non era il caso di dare al clave altre ragioni per sospettare dello stregone.

Era notte. Il loft pareva troppo grande e troppo vuoto senza Alexander, ormai si era abituato ad averlo accanto quasi tutte le sere. Magnus si appoggiò al parapetto del balcone e guardò giù. Le strade di New York si srotolavano ai suoi piedi come nastri dorati sui pacchi di Natale.
Ripensò a Lord Bane. Il suo crudele alter-ego era apparso due mesi prima, proprio quando lui, pensando di essere stato tradito, aveva ceduto al demone e ferito Alexander. Ma in qualche modo Alec lo aveva perdonato e tutto era tornato a posto. Solo che per Bane doveva essere andata diversamente: il suo amato nephilim non era tornato indietro, non aveva accettato la sua oscurità. E l'uomo era crollato, aveva ceduto alle lusinghe del padre, indurito il suo cuore, ed era nato Lord Bane. Uno stregone così potente da sottomettere il mondo intero in pochi giorni. Ma non forte abbastanza da lasciar andare Alexander.

Ma se aveva così tanto potere come aveva fatto Magnus a ucciderlo?
Non perderlo, non fare come me... non resisteresti”.
Bane lo sapeva perché l'aveva già provato e non aveva resistito. Quando si era scontrato con Magnus ci aveva giocato un po', qualche scarica di energia e due o tre palle di fuoco, tanto per divertirsi. Poi aveva atteso la morte liberatoria. Il suo ultimo sguardo era stato sereno, forse perché adesso sapeva che da qualche parte, in un'altra vita, lui e Alexander erano ancora insieme.

Alec si era girato e rigirato nel letto vuoto. La sua stanza, mai particolarmente bella, sembrava asettica e fredda.
Quando entrò nell'appartamento di Magnus, lo stregone era ancora in balcone. Alec sorrise e, facendo piano, lo raggiunse. Gli posò una mano sulla spalla: “A cosa pensi?”

Magnus non parve sorpreso nel trovarselo accanto, continuò a guardare la città: “A me, a lui... Sai Alexander, mi sono reso conto che eravamo davvero la stessa persona”.
Alec gli mise un mano sotto il mento: “Guardami Magnus, mostrami tuoi occhi”.
Lo stregone si voltò verso il suo ragazzo ma Alec scosse la testa: “No, voglio vedere i tuoi occhi, quelli veri”.
Magnus esitò. Lord Bane non nascondeva mai gli occhi da gatto, li ostentava con fierezza, li usava per mettere in soggezione i mondani, per ricordargli che non era come loro. Anche lui li aveva esibiti quel pomeriggio di due mesi prima. Mostrandoli ad Alexander gli avrebbe ricordato le crudeltà subite, sia da Lord Bane che da se stesso, gli avrebbe dimostrato che i due erano uno. Ma Alec aspettava e Magnus ubbidì.
Vide un sorriso dolce nascere sul viso del suo ragazzo. “Per niente. Non vi assomigliate per niente. I suoi occhi erano di freddo metallo” disse con un piccolo brivido. “I tuoi sono oro fuso, caldi come te”.
Magnus arrossì un poco. “Come mai sei venuto?” chiese cercando di cambiare discorso. “Non che mi spiaccia, ben inteso...”
Ora era Alec ad essere a disagio: “Speravo non me lo chiedessi. Ho fatto la doccia, bollente. Due, tre volte, mi sento sporco, sento le sue dita su di me, dappertutto”. Prese coraggio e aggiunse: “Toccami Magnus, ti prego cancella quella sensazione”.
“Alexander, se tutti i favori che mi chiedi assomigliassero a questo sarei l'uomo più felice del mondo”.
Lo prese per una mano e lo condusse in camera. Si liberarono dei vestiti e lo stregone fece sdraiare Alexander in mezzo al letto. A cavalcioni su di lui si prese tempo per passare in rassegna tutti i punti che si sentiva in dovere di toccare: la curva del viso, un po' ispida per la barba della sera, il contorno delle labbra, morbide e piene, l'incavo della gola con la pelle così delicata. Doveva tracciare le rune sul suo corpo, una per una, seguire il contorno degli addominali scolpiti, poi quel punto speciale, appena sopra l'osso del bacino, per sentire i suoi brividi di piacere. A quel punto bisognava far scivolare le mani sulle sue spalle e scendere giù, fino ad avvolgere quelle natiche perfette che lo facevano morire. Infine avrebbe dovuto dedicare attenzione alle parti che Bane non aveva avuto il diritto di sfiorare. Magnus si mise al lavoro, lentamente. Molto lentamente.

Poi, quando il suo cucciolo stava già implorando pietà, decise che per sicurezza era meglio ricominciare, questa volta con la bocca.

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Capitolo 6
*** Team Building ***


Team building

Attenzione: questa storia è basata sulla serie televisiva: Max Lightwood è sopravvissuto ed è un ragazzino piuttosto sicuro di sé e non sempre adorabile. Il suo modo di parlare è quello tipico dei 10 anni, quindi alcune frasi non sono stilisticamente eleganti, ma è voluto.

Gli alberi fuori dalle finestre dell'istituto mostravano orgogliosi le nuove foglie, i due ciliegi si pavoneggiavano nella loro livrea rosa. Incredibile come vi siano periodi in cui non c'è un attimo di tregua, missioni, crisi, problemi, il mondo da salvare... e poi mesi così tranquilli che ci si potrebbe quasi annoiare. Se non ci fosse Magnus.
“Alec, hai avuto la notizia” disse Izzy sbucando all'improvviso dietro al fratello.

“No, quale?” replicò lui senza togliere gli occhi dal giardino: per una volta il suo ragazzo aveva dimenticato tutta la sua compostezza e correva sul prato cercando di far alzare in volo – senza usare la magia - l'aquilone di Madzie. La bambina rideva così tanto che Alec la vide cadere a terra tenendosi il pancino. Ancora una volta si trovò a pensare che Magnus sarebbe stato un padre fantastico.
“Alec? Ci sei?”
“Sì, sì certo. Dicevi?”
Isabelle sbuffò: “Se hai letto del raduno”.
“Quale raduno? Mannari?”
“E' l'ultima trovata del clave: team building per Shadowhunters. Lo scopo è di promuovere una sana competitività fra gli istituti e al contempo permettere ai membri di città diverse di conoscersi per favorire una più efficiente collaborazione futura. Almeno questo è quello che dice il volantino. In effetti si tratta di un weekend nei boschi, con competizioni, gare e quant'altro”.
“Spero che sia opzionale...”
Isabelle scosse la testa: “Lo staff dell'istituto verrà ridotto al minimo, tutti i giovani devono partecipare obbligatoriamente”. Anticipando l'obbiezione del fratello aggiunse: “Ci saranno portali per un ritorno rapido in caso di emergenze”.
“Fantastico”.
“Non è tutto, si devono formare delle coppie. Aspetta che cerco il regolamento”. Prese il tablet che teneva in mano e scorse le videate. “Ecco qui: ogni Shadowhunter fra i quindici e i trent'anni potrà scegliere il compagno che preferisce, anche al di fuori del suo istituto di provenienza, purché di età superiore ai dieci anni, per formare una coppia che parteciperà...”
Per fortuna c'era Jace, ecco un altro pro nell'avere un parabatai: una cosa in meno di cui preoccuparsi.
“Tu con chi vai?”
“Indovina? Sono stata precettata da Max che mi ha supplicato in ginocchio di portarlo, senza un adulto non potrebbe partecipare” disse Izzy con una smorfia. “Jace ovviamente va con Clary”.
“Ovviamente”. Dannazione, e adesso?
Però forse una soluzione c'era.

Alec si presentò a casa di Magnus con due sacche stile militare.
“Ti ho visto con Madzie oggi pomeriggio” disse quando ebbero finito di salutarsi.

“Che ci vuoi fare, non riesco a negarle niente, lo sai”.
“Sarà, ma non so chi dei due si stesse divertendo di più”.
“Stare con lei è così... rinfrescante. E a proposito di rinfresco, posso offrirti qualcosa da bere?”
“No, grazie, veramente sono venuto per chiederti una cosa. So che non è il tuo genere, però pensavo...” Alec fece una pausa e ricominciò: “Il clave ha organizzato una serie di gare, due giorni e due notti, da qualche parte nello Yosemite”.
“Non ti preoccupare per me, vai e divertiti”.
“Sì... no. Insomma, volevo chiederti se faresti coppia con me”.
“Alexander non credo che il regolamento includa gli stregoni”.
“Ah, ma io ho imparato da un ottimo avvocato: non li include ma non li esclude neanche. L'unico limite è che il compagno abbia più di dieci anni, e credo che da quel punto di vista non ci siano problemi”.
Magnus sorrise ma il panico gli trapelava dallo sguardo. Alberi, natura incontaminata, gare di Shadowhunters. No, non era una buona idea. “Per quanto io apprezzi il tuo invito, temo che dovrò gentilmente declinare. Mi spiace ma davvero non fa per me”. Aveva ancora gli incubi della giungla del Perù.
Alec non batté ciglio: “Nessun problema, lo immaginavo”, si voltò verso l'ingresso e, prima di uscire, aggiunse: “Underhill sarà felice di sapere che accetto la sua offerta”.
Fermo dietro la porta chiusa Alec contò fra sé: cinque, quattro, tre, due, uno...
“Ma ripensandoci, credo che un po' di esercizio fisico mi farebbe bene” disse Magnus spalancando l'uscio.
Alec annuì serio e gli passò uno dei borsoni: “Il tuo equipaggiamento”.
Quando il tuo ragazzo è un potente stregone devi sempre tenerti qualche carta da giocare. Nominando Underhill probabilmente sarebbe riuscito a indurre Magnus a correre la maratona di New York senza vestiti. Oddio, forse per quello bastava chiedere.

Convincere il clave che il regolamento non escludeva i nascosti non era stata una passeggiata ma ne era valsa la pena. Magnus aveva dato la sua personale interpretazione della divisa da gara che gli era stata fornita: la maglietta a manica lunga era sparita e lo stregone indossava il gilet da caccia a pelle, i jeans dovevano aver avuto un brutto incidente perché avevano tagli sulle ginocchia e dietro, all'attaccatura delle cosce. I classici anfibi neri erano personalizzati con stringhe argentate e una M d'oro sul lato. Visto che il manuale non faceva accenno ad eventuali accessori, Magnus aveva sostituito la fibbia della cintura con un teschio tempestato di cristalli, si era messo un bracciale d'oro all'avambraccio destro e aveva completato il look con innumerevoli catene, ciondoli e anelli. Il suo tipico taglio di capelli era stato arricchito da punte verde bosco “per mimetizzarsi meglio” e il trucco comprendeva kajal particolarmente marcato e strisce da commando che gli facevano risaltare gli zigomi. Alec sentiva l'impellente bisogno di trascinarlo in camera e toglierli tutto...

Il clave faceva sempre le cose in grande: per l'event aveva affittato un intero camping e ottenuto il permesso di recintare diversi chilometri quadrati di foresta. Il grande prato che faceva da punto d'incontro era gremito di Shadowhunter di tutte le età. Uomini e donne ridevano, scherzavano e gridavano in tutte le lingue, ma intorno ad Alec e Magnus pareva crearsi una bolla di spazio invalicabile ai margini del quale cessava ogni discorso.
“Te l'avevo detto che non era una buona idea”.

“Rilassati, ti guardano perché sei uno schianto! Vedrai che gli passa”.
Per fortuna poco dopo furono raggiunti da Jace e Clary e infine videro arrivare anche Isabelle e Max. Il ragazzino era emozionatissimo e parlava a raffica, vantandosi di tutte le imprese incredibili che avrebbe compiuto. Quando arrivarono vicino al gruppo Max si bloccò un attimo, poi andò dritto dal fratello: “Che cosa ci fa lui qui? Non è uno Shadowhunter, non può restare!”
“Max!” intervenne Alec, “Pensavo avessi imparato un po' di educazione dall'ultima volta. Chiedi subito scusa”.
“Lascia perdere” disse Magnus, chinandosi poi per essere all'altezza del ragazzino, “Sono qui perché tuo fratello mi ha invitato a unirmi a lui per le gare, proprio come Isabelle ha chiesto a te di fare coppia”.
“Non è la stessa cosa! Io sono uno Shadowhunter!” rispose Max piccato. Poi, sporgendosi verso Jace bisbigliò in maniera appositamente udibile: “E poi guarda come si è conciato!”
Con la scusa di andare a salutare Aline, Magnus li lasciò soli per evitare al ragazzino l'umiliazione di farsi sgridare davanti a un nascosto.

Aline e Helen salutarono Magnus con vero entusiasmo e, con un po' di imbarazzo, gli mostrarono i loro anelli di fidanzamento. Helen stava per chiedere se anche Magnus e Alec avessero ufficializzato il loro rapporto quando l'altoparlante annunciò la prima gara: “Si tratta di una gara di orientamento. Nella foresta scorre un fiume che, in un solo punto, si allarga a formare una pozza. Starà a voi trovarla per primi”.
Le coppie di disposero lungo lato nord del prato, al colpo di pistola la gara ebbe inizio. Presto i concorrenti si sparsero per la foresta, Alec guidò Magnus verso est, via dalla folla.
“Allora, come funziona, si va a caso sperando di non perdersi?” chiese lo stregone.
Alec si picchiò un dito contro la tempia; “Si usa questa. Se c'è un unico fiume tutti gli animali andranno lì ad abbeverarsi, e la pozza è la zona dove l'acqua è più tranquilla. Basta trovare un sentiero di cervi o cinghiali, seguirlo e il gioco è fatto. Per questo ci siamo allontanati dagli altri, avrebbero coperto le tracce”.
Camminarono per meno di dieci minuti prima che Alec si mettesse a correre: “Vieni Magnus, ci sono delle impronte!”
L'agilità degli Shadowhunter lo faceva muovere tra le asperità del terreno senza sforzo apparente, evitando radici, saltando tronchi caduti e trovando sempre la via più libera. Lo stesso non si poteva dire per Magnus.
Alec si voltò e vide che il suo compagno era rimasto parecchio indietro e faticava a tenersi al passo.
“Sicuro che non posso usare la magia?”
“Sicurissimo, nessuno può. Niente rune, niente incantesimi, pozioni o oggetti magici. La zona è piena di sigilli che inibiscono qualsiasi magia”.
Il sole che filtrava fra gli alberi accendeva la pelle di Magnus di chiazze dorate, lo stregone aveva il fiatone e un rametto impigliato fra i capelli. Alec tornò indietro e senza dire una parola lo baciò con un'urgenza disperata. “Sai che ti dico? Al diavolo la gara, godiamoci la passeggiata ai nostri ritmi”.
“Credo mi serviranno tante pause come questa” sentenziò Magnus.
Mentre seguivano il sentiero parlarono di tutto, fecero qualche altra “pausa” e si fermarono in silenzio a osservare il passaggio di una famiglia di cervi. Era quasi ora di pranzo quando sentirono lo scrosciare del fiume. Le tracce dei cervi puntavano verso valle ma Alec si fermò: “Shh, ascolta”.
“Non sento niente, cosa c'è?”
“Vieni, seguimi”.
Alec guidò Magnus su da una piccola scarpata e poi ancora verso nord. Come un prestigiatore che esegue il suo trucco migliore, il ragazzo scostò un cespuglio: dopo il buio della foresta il fiume illuminato era quasi accecante. Il rumore che Alec aveva seguito era quello di una piccola cascata, un salto di pochi metri ma di grande impatto. Cadendo dall'alto l'acqua creava una tenda scintillante, gli spruzzi bagnavano le foglie intorno rendendo il verde ancora più brillante.
“Speravo ti sarebbe piaciuto...” disse Alec un po' impacciato.
“E' bellissimo, un angolo di paradiso”.
“Visto che siamo un po' sudati, magari varrebbe la pena di rinfrescarci un po'” aggiunse.
“Alexander Lightwood! Non mi starai mica proponendo di fare la doccia insieme sotto una cascata in mezzo al bosco?” disse Magnus fingendosi scandalizzato.
Alec rise e si sfilò la maglietta: “Sai che non potrei mai!”
Con i soli boxer, Alec entrò nel fiume e lasciò che l'acqua della cascata gli scivolasse addosso: “Dai vieni! E' stupendo”.
“Tu sei stupendo”, rispose Magnus con li occhi appannati dal desiderio.
Si tolse tutto tranne le catene e il bracciale e, con lo sguardo fisso in quello di Alec, raccolse un po' d'acqua e se la passò sul petto per togliersi la polvere e il sudore. Alexander deglutì mentre Magnus si avvicinava a lui, continuando a passarsi la mano sul corpo. Lo stava facendo apposta, per farsi guardare, per eccitarlo: “Allora, che ne dici? Ti piace quello che vedi?”
Alec allungò una mano e lo tirò dietro la tenda d'acqua. Le labbra si unirono, i corpi aderivano l'una all'altro.
“Dammi i boxer” sussurrò Magnus.
In evidente imbarazzo il ragazzo annuì e fece quanto gli era stato chiesto. Magnus si sporse un attimo per lanciarli sulla riva, accanto ai suoi vestiti, poi aggiunse: “Bravo. Adesso girati, appoggiati alle rocce per me”.
Alec riuscì solo a gemere mentre il suo uomo lo faceva morire lentamente.

Quando tornarono sulla riva Magnus si rivestì in fretta ma Alec girava a vuoto: “Magnus dove hai lanciato i miei boxer? Dannazione non li trovo!”
L'uomo fece dondolare l'indumento. “Questi li tengo io” disse mettendoli nella tasca del gilet.
“Sei matto? Non posso mica tornare senza biancheria!”
“Perché? Hai intenzione di toglierti i pantaloni in pubblico?”
“No, certo, ma...”
Inutile, Magnus era già partito fischiettando verso valle.

Furono l'ultimo gruppo a raggiungere la pozza, parecchio tempo dopo tutti gli altri. Il ritardo non fece che attirare ancora una volta tutti gli sguardi su di loro
“Eccovi! Cominciavamo a pensare che vi foste persi, Clary voleva venirvi a cercare!” disse Jace appena li vide.
“Devo ammettere che sarebbe stato imbarazzante” rispose Magnus con una strizzatina d'occhio e dando un paio di pacche alla tasca del gilet - quella che conteneva i boxer di Alec - facendolo arrossire violentemente. Con uno sorriso complice Isabelle passò una mano fra i capelli fradici del fratello.
Max li squadrò con sussiego: “Vorrei dire che vi abbiamo battuto ma non c'è gusto, tutti vi hanno battuto! Comunque noi siamo arrivati nei primi trenta, vero Isabelle?”
“Giusto Max, sei stato molto veloce”.
“Già, e Alec... se vuoi la prossima volta faccio io coppia con te, così non devi portarti dietro quel peso,” aggiunse il ragazzino prima di correre da alcuni amici.
Alec era basito, suo fratello stava passando ogni limite: “Magnus mi dispiace, io non so cosa gli sia preso. Non è mai stato così intollerante o... non so davvero”.
Magnus gli posò una mano sul braccio: “A volte il disprezzo maschera la paura. Credo sia solo geloso, forse ha paura di perderti”. In quel momento videro avvicinarsi alcuni membri dell'istituto, i capelli biondi di Underhill facilmente riconoscibili nel gruppo. “A volte succede anche a me” mormorò Magnus.

Per pranzo era stata organizzata una grigliata lungo le rive del fiume. Alec, Jace e gli altri, stanchi dell'eccessiva attenzione, trovarono un punto un po' appartato dove furono raggiunti da Ailne e Helen e alcuni altri membri dell'istituto. Max, che avrebbe voluto sedersi accanto ai suoi compagni di accademia teneva il muso. Anche questo era colpa dello stregone: gli stava rovinando la giornata!
Magnus sedeva un po' in disparte, sulle radici sporgenti di una quercia, la schiena appoggiata al tronco e gli occhi socchiusi. Senza farsi notare osservava il suo ragazzo scherzare con gli amici e i fratelli. Una volta aveva detto ad Alec che mandare all'aria il matrimonio era una cosa che aveva fatto per se stesso, e forse era vero. Con Lydia avrebbe rinnegato il suo essere, non sarebbe mai stato veramente felice. Ma scegliere lui, uno stregone con una reputazione tutt'altro che impeccabile, era stato vero coraggio. Mentre ripensava alle occhiate e ai commenti degli altri Shadowhunter, mentre li rivedeva spostarsi per non rischiare di toccarlo, mentre riudiva i commenti di Max, Magnus si chiedeva se stare con Alexander non fosse un atto di egoismo, se non rischiasse di rovinargli la vita.
In quel momento Alec alzò lo sguardo, per un attimo parve spaesato, poi scorse Magnus all'ombra della quercia e si illuminò. E quella luce spazzò via ogni dubbio, ogni incertezza.

Dopo mangiato tornarono tutti alla prato dove si svolgevano le gare individuali.
“Cosa vuol dire: tutti devono partecipare ad almeno una gara? Magnus mi spiace, non lo sapevo... cioè non è che… non penso che...”

“Non sono tutte gare fisiche” precisò Isabelle, “so che c'è anche un quiz sulla conoscenza dei demoni, potrebbe essere adatto a te Magnus”.
Lo stregone inarcò un sopracciglio: “Non penso, partirei con un vantaggio impari”. Poi si rivolse ad Alec: “Facciamo così, tu vai a divertirti con l'arco e non ti preoccupare per me. Qualcosa troverò”.
Alec annuì un po' preoccupato e si lasciò condurre via.

La gara di tiro con l'arco si teneva in un campo poco distante, i bersagli di paglia erano sistemati a cinquanta di metri di distanza, il minimo data la forza e la precisione degli Shadowhunter. A differenza di Jace, a cui il pubblico dava la carica, Alec non amava essere guardato, la gente lo innervosiva. Il primo gruppo di arcieri si mise in posizione e scoccò le frecce. Tutti colpirono il bersaglio, alcuni in centro, altri meno. Alec era nel secondo gruppo. Mentre si apprestava al tiro già si immaginava le risate se avesse mancato del tutto il bersaglio. Essere senza biancheria lo destabilizzava ancora di più, gli sembrava che ogni persona presente glielo leggesse in faccia, che tutti fissassero lui. Il sudore gli colava negli occhi, sbatté le palpebre e scoccò la freccia. Colpì il bersaglio sul secondo anello: non tirava così male da anni. Fu comunque abbastanza per passare il primo turno.
I bersagli furono spostati indietro di dieci metri e i concorrenti rimasti si prepararono. Isabelle e Max stavano guardando, e aveva notato anche altri membri dell'istituto. Calma, Alec, respira. Prese la mira e scoccò. Un po' meglio, la freccia aveva colpito il cerchio rosso, anche se quasi sul bordo.

Passarono i turni e rimasero in dieci. I bersagli vennero sostituiti prima da piattelli, poi fagiani. All'ultimo turno erano in tre. Vennero liberati dei piccoli demoni alati. Gli esseri si librarono sopra la folla in cerca di una preda, gli arcieri aspettavano il via. Quando i demoni cominciarono la picchiata si udì il fischio. Max era là in mezzo, doveva proteggerlo. Alec aveva la mente vuota, la folla era sparita, c'erano solo Max e i demoni. Senza pensare estrasse tre frecce dalla faretra e prima che gli altri potessero anche solo prendere la mira i demoni esplosero in una nuvola di polvere. Dal pubblico esplose un boato di applausi, Max saltò la barricata e gli corse incontro gridando: “E' mio fratello! Quello è mio fratello!”, poi parve vergognarsi della sua reazione da bambino, si fermò e si limitò a un abbraccio contenuto.
Quasi di corsa raggiunsero la pedana dove stavano per cominciare le gare da spada under quindici, Max era il migliore del suo corso ma la giovane età giocò a suo sfavore, a dieci anni la lunghezza del suo affondo non era paragonabile a quella di un quattordicenne. Alec e Izzy gli fecero mille complimenti per il suo quindicesimo posto.
Ogni tanto Alec si guardava in giro sperando di vedere Magnus ma lo stregone pareva scomparso nel nulla. Jace e Clary, finite loro competizioni, li avevano raggiunti per assistere alla gara di precisione con la frusta di Isabelle ma lo yin fen le aveva leggermente appannato i riflessi e la ragazza si dovette accontentare di entrare nei primi venti.

Finite le ultime gare, l'altoparlante chiamò tutti ad assistere alle premiazioni. L'atmosfera era festosa, ad ogni nome tutti applaudivano mentre i compagni d'istituto dei premiati lanciavano grida di gioia. Il primo posto di Alec coll'arco e quello di Jace con la spada portarono l'istituto di New York al secondo posto nelle classifiche generali.
Mancavano ancora un paio di risultati: nunchaku, arti marziali e lancio dei pugnali ma nessuno di loro aveva partecipato.
“Peccato, ci sarebbe bastato poco, anche un quinto posto”, commentò Jace competitivo come sempre.
“Dai, abbiamo ottenuto un ottimo piazzamento, adesso però mi aiuti a trovare Magnus?”
In quel momento il vociare della folla cambiò tono sovrastando la voce dell'annuciatore. Qualcuno alzò il volume dell'altoparlante: “Silenzio, per favore. Silenzio! Ripeto, terzo posto nel torneo di arti marziali, come rappresentante dell'istituto di New York, Magnus Bane”.
Alec lanciò un occhiata al palco dove Magnus, scintillante come sempre, stava stringendo la mano all'organizzatrice e ritirando il suo premio. Il ragazzo si fece largo sgomitando fino al palco e, ancora incredulo, strinse Magnus in un abbraccio e lo baciò davanti a tutti. “Ecco dove ti eri cacciato, ti ho cercato dappertutto!” Cercò la mano di Magnus e, mentre tornavano dal gruppo, affrontò gli sguardi curiosi con un sorriso. Che guardassero pure, quell'uomo fantastico era suo.
Intanto anche gli altri li avevano raggiunti e si stavano congratulando con Magnus e festeggiando la vittoria del New York Institute. Magnus rispondeva a tutti con il suo sorriso più affascinante e aneddoti sugli anni passati in Tibet e i vantaggi dell'allenamento dei monaci Saholin.

Al calar della notte gli Shadowhunters cominciarono a dirigersi verso i bungalow che gli erano stati assegnati a inizio giornata. Nella ressa Max era sparito, Isabelle con i capelli in disordine e il fiatone chiese al fratello di darle una mano: “Sarà da qualche parte con gli amici ma è tardi e non riesco a trovarlo”.
Girando fra i bungalow, i ragazzini avevano trovato uno dei giudici del torneo di arti marziali che commentava la gara con un amico, e si erano nascosti ad ascoltare:
“Incredibile, il terzo posto a uno stregone! E' una vergogna per gli Shadowhunter, avresti dovuto fermarlo” diceva una voca rauca.
“Cosa credi, che non ci abbia provato? Ho truccato gli abbinamenti, guarda. Nella prima gara gli ho messo Hirestraight, sai, il campione di Chicago. Un incontro corto, pensavo, così ce lo togliamo di torno. Beh, corto è stato corto. Quel dannato l'ha atterrato in meno di cinque minuti!”
“Cinque minuti contro Hirestraight? Ma come diavolo?”
“E non è tutto. Nel secondo girone si è trovato contro il favorito...”
“Chi, Tian Wu?”
“Proprio lui. E' stato un incontro incredibile, più di mezz'ora di pura arte. Tian è un fulmine, l'hai visto combattere, ma Bane... Sembrava non muoversi affatto, ma quando il colpo arrivava lui non era lì, poi un singolo gesto, apparentemente privo di sforzo e il campione era a terra con il braccio dietro la schiena. Dovevi vedere i colpi che si scambiavano, sembravano danzare”.
“Pare che lo stregone abbia un nuovo fan...”
“Uno? Dovevi esserci, al primo incontro la gente lo scherniva, fischiava. Poi, dopo la vittoria contro Tian Wu il clima è cambiato. Io l'avevo presentato, ovviamente, tutti sapevano chi fosse, ma un paio di persone nella folla hanno cominciato a chiamarlo Oro. Non so se per il colore della pelle o per il bracciale all'avambraccio che brillava mentre si muoveva, fatto sta che ora del quarto incontro si sentiva solo quel grido: “Oro, oro, oro!” Sembravano impazziti”
“Oro, oro, ma poi ha perso”.
“Sì e no. Fino ai quarti di finale aveva combattuto contro avversari maschi, poi si è trovato davanti Charlotte Duchamp, la ragazza che poi ha vinto”.
“La Duchamp è un cobra, lo dicono tutti. Colpisce e si ritira, impossibile toccarla”.
“Forse, ma Bane si è avvicinato a lei, le ha sussurrato qualcosa nell'orecchio, si è girato ed è uscito dal ring”.
“Cioè si è ritirato?”
“Ha detto che lui viene da un altro secolo, che non colpisce le donne, nemmeno in allenamento”.
“Cavolo la Duchamp sarà stata furiosa! L'ho vista un paio di volte, una vera femminista”.
“Già, così pensavo. Non so cosa lui le abbia detto ma prima di lasciare il ring si sono fatti l'inchino e lei sorrideva”.
I due uomini si allontanarono ma gli amici di Max avevano sentito abbastanza: “Che figo! Max, Bane è amico tuo, vero? Ce lo fai conoscere?”
“Sì dai, presentacelo. Oro, oro!!”
Alec era arrivato in quel momento e sorrideva ascoltando i ragazzini inneggiare al suo uomo, anche se la cosa dell'oro non la capiva. La risposta di Max fu una doccia fredda: “Ma siete degli allocchi, credete proprio a tutto! Quello è solo uno stregone, avrà usato qualche sporco trucco magico! Pensate che è così scarso che ha fatto arrivare ultimo mio fratello alla gara di orientamento!”
Alec uscì dall'ombra, prese il fratellino per un braccio e lo trascinò fra gli alberi.
“Maxwell! Adesso basta! Sei insultante con Magnus e con me. Con quell'astio assurdo ti stai rendendo ridicolo davanti a tutti. Se mamma e papà sono stati troppo occupati per insegnarti la buona educazione sappi che penserò io”
“Alec, non è colpa mia, è lui che bara”.
“Magnus è la persona più onesta che io conosca, ma non è questo il punto. Se ti sento dire un'altra cattiveria contro di lui o chiunque altro ti assicuro che non potrai sederti per una settimana”.
Max sgranò gli occhi: “Non oseresti! Non sono più un bambino, sono uno Shadowhunter!”
“Se ti comporti da bambino, verrai trattato da bambino, ritieniti avvisato” disse Alec con sguardo duro. Poi sospirò e aggiunse: “Adesso sbrigati, Isabelle ti sta aspettando”.

Il sole del secondo giorno sorse su un campo in piena attività. Per la mattinata erano previste numerose gare informali e divertimenti per tutti, mentre i team dei tre istituti finalisti, New York, Mumbai e Parigi, avrebbero affrontato l'ultima prova: la caccia.
Magnus si era svegliato tardi. Il giorno prima non aveva perso occasione per ricordare ad Alec il loro piccolo segreto, si era divertito a vederlo arrossire ogni volta che metteva la mano in tasca. In un momento in cui era certo farla franca, gli aveva infilato la mano nel retro dei pantaloni per accarezzare quel fondoschiena da urlo. Il risultato era che entrambi erano arrivati a sera pieni di desiderio represso. Appena avevano chiuso la porta del bungalow, Magnus era caduto in ginocchio davanti al compagno. “Vieni qui” gli aveva detto con voce roca.

Alec si era slacciato i jeans mentre si avvicinava, poi gli aveva messo la mano tra i capelli per attirarlo più vicino. Solo a ripensarci...
Non che il resto della notte fosse stato meno appagante: passata l'urgenza si erano dedicati alla vaniglia. Ore di carezze, baci e dolcezza...
Adesso invece Alexander non era accanto a lui e il sole gli arrivava dritto negli occhi. Non aveva la minima voglia di partecipare a nessuna caccia, anzi voleva solo cercare il suo ragazzo e tornare a letto.
In quel momento si aprì la porta: “Forza dormiglione! Fra venti minuti si parte!”
“E il caffé? Non posso alzarmi senza caffé,” brontolò Magnus
“Eccolo” disse Alec porgendogli un bicchiere stile Starbuck's. “Adesso dimmi che mi ami”.
“Ti amo, ti adoro, sei il miglior ragazzo del mondo” rispose Magnus mentre attirava a sé per un bacio.

Arrivarono all'ultimo: senza magia eyeliner, gel e glitter richiedono il loro tempo. Magnus aveva optato per un look in linea con il personaggio: oro, oro ovunque, dall'ombretto ai lacci degli anfibi, dalle collane e gli orecchini fino alla punta dei capelli.
Isabelle fece un rapido riassunto delle regole: “Allora, tre zone della foresta sono state recintate, una per istituto. In ognuna sono stati evocati dei mastini infernali: la squadra che ne rende inoffensivi di più vince, se riesci a catturarli senza ucciderli valgono doppio” disse mostrando la rete in dotazione.

“Fantastico, mi sono svegliato all'alba per fare l'accalappia cani. Quale modo migliore di iniziare la giornata?” commentò Magnus.
Jace lo ignorò: “Come ci organizziamo, solite coppie?”
“A me va bene” disse Isabelle, “Max sei pronto?”
“Prontissimo!”

Al via i ragazzi si dispersero nuovamente per la foresta. Magnus parlava del più e del meno, evitando accuratamente ogni allusione al combattimento del giorno prima. Un forte rumore nel sottobosco fece bloccare Alec, che con un'unica mossa era già in ginocchio con una freccia incoccata nell'arco. Il cervo passò di corsa, come avesse il diavolo alle calcagna. Pochi secondi dopo un mastino balzò in mezzo allo spiazzo erboso. Vide i cacciatori e si fermò ringhiando.
Alec si spostò di qualche centimetro per avere la linea di tiro libera ma Magnus tese una mano per fermarlo. “Aspetta,” disse piano, “guardalo, è solo un cucciolone”.

Il cucciolone arrivava appena sotto la spalla di un uomo, aveva la bocca piena di denti dall'aspetto letale, la schiena ricoperta di aculei e gli occhi rossi come il sangue.
“Magnus, cosa fai?”
Ma lo stregone si era portato fra Alec e la bestia.
“Non è un mostro”, spiegò piano “I mastini infernali nascono a Edom ma sono come me, solo uno dei genitori è un demone”.
Alec guardò la bestia ringhiante: non aveva proprio nulla in comune con Magnus.
“Qui bello, vieni. Nessuno ti farò del male...”
Il cane si avvicinò di qualche passo, poi balzò.
Magnus rotolò di fianco, posizionandosi ancora fra la belva e la freccia.
“Hai visto? Si stava avvicinando..”
“Per sbranarti! Magnus per l'Angelo, spostati”.
“Alexander, per una volta, fidati di me”.
“Io... va bene, fai come vuoi. Ma lo tengo sotto tiro”.
Magnus non lo stava più ascoltando: “Forza cucciolo, vieni da Magnus... Qui bello...”
Incredibile a dirsi, dieci minuti dopo Magnus aveva la mano appoggiata sulla testa della bestia e lo stava grattando dietro le enormi orecchie: “Chi è un bravo cagnolino...”
“Magnus, sei incredibile, folle ma incredibile. Non so cosa dire”.
“Che ci vuoi fare, gli animali mi adorano,” poi lanciò un'occhiata ad Alec: “E non solo loro”.
Si stavano dirigendo verso i giudici quando udirono un grido.
“Isabelle!”
Alec, Magnus e il cane corsero in direzione del suono. Isabelle stava tenendo a bada cinque mastini con la frusta, Max indietreggiava piano di fronte al sesto. Il bambino teneva la spada in mano e non mostrava paura, cercava il momento giusto per attaccare. Alec scoccò una freccia al cane davanti al fratello e corse ad aiutare Izzy che era stata accerchiata. Non vide Max fare un ultimo passo indietro e scivolare nella gola del fiume.
Magnus era troppo lontano. D'istinto si appellò alla sua magia, proprio come quando Alec si era lasciato cadere dal terrazzo. Niente di complicato, se non fosse stato per quei sigilli! La sua magia era bloccata, intrappolata da una barriera di forza. Ma lui era il Sommo Stregone di Brooklyn e il fratellino del suo ragazzo stava per morire. Costrinse il suo potere a ubbidirgli, ad allungarsi e afferrare il ragazzino. Bruciava da morire e la maggior parte veniva risucchiata dai sigilli. “Alexander, presto! Prendilo... non resisterò.. molto”.
Alec si voltò e prese atto della situazione. Mancava un solo mastino, se ne sarebbe occupata Isabelle. In un istante fu sul bordo per precipizio, la mano salda intorno al braccio del fratello. Con un unico gesto lo issò e lo prese in braccio. “Tutto bene Max?”
“Certo, ma mettimi giù adesso!”
Alec scosse la testa con finta disperazione e si voltò verso Magnus. Lo stregone era a terra, privo di forze.
In un attimo gli fu accanto: “Magnus, rispondimi!”
“Ce l'ho fatta?” ansimò senza alzare la testa, “L'hai preso?”
“Sì, Max sta bene, benissimo? Ma tu?”
“Solo... un po'… stanco”. Poi guardò oltre la spalla di Alec e aggiunse: “Avete degli ottimi siglilli... complimenti”.
L'uso della magia aveva fatto suonare gli allarmi nel centro di comando e una squadra della sicurezza si era trasportata sul posto.
“Cosa sta succedendo qui? Questo stregone ha provato a usare la magia?”
Il cane era scattato fra Magnus e la minaccia e ringhiava il suo avvertimento, Alec era cercava di calmarlo mentre Isabelle, che aveva appena eliminato l'ultimo mastino infernale, non aveva idea di cosa stesse succedendo.
Fu Max a fare un passo avanti. “Magnus Bane mi ha salvato perché stavo cadendo” disse indicando il burrone.
Le guardie guardarono Magnus che si limitò a un cenno d'assenso, poi si scambiarono un rapido cenno d'intesa. “Fortuna che era presente. Mi raccomando, ringrazialo ragazzino”, dissero prima di andarsene.

La gara finì senza sorprese e con una vittoria schiacciante dell'istituto di New York.
“E adesso cosa ne facciamo di lui?” chiese Clary guardando il mastino. “Non credo che Chairman Meow sarebbe felice del nuovo compagno di stanza”.

“Per me potrebbe anche restare” rispose Magnus, “ma temo che in città le regole sugli animali demoniaci siano alquanto severe. Non ti preoccupare, ho un amico nell'outback Australiano, che sarà felice di prendersene cura”.
“Il giudice Morhill ha promesso di occuparsene fino a domani” aggiunse Alec.

Il pomeriggio fu molto più tranquillo, vi furono discorsi, riunioni, lezioni su vari argomenti, presentazioni di armi e programmi innovativi per la gestione degli istituti. Durante i simposi era prevista una cena a buffet.

Magnus, che non partecipava, ne approfittò per riposare un po', anche se non riuscì a trovare né una bella costata al sangue né dei drink seri. Oh beh, gli svantaggi della vita nella natura. Scoprì invece che il programma per la serata era stato modificato all'ultimo minuto e ora comprendeva un ballo al chiaro di luna. Finalmente qualcosa che pareva fatto per lui. Camminò quasi un'ora prima di riuscire a uscire dalla zona di anti-magia poi, finalmente libero di usare i portali, passò il resto del pomeriggio a fare shopping in Rodeo Drive .
Quando, dopo cena, Alec entrò nel loro bungalow Magnus non c'era ma sul letto trovò uno smoking con la fascia in vita, camicia plissettata e papillon di seta. Sopra era appoggiato un biglietto d'avorio: “Passo a prenderti per le nove. Ti amo. Magnus”.

Alec sorrise e si preparò con cura.

Isabelle e Clary stavano confrontando i loro regali: Izzy aveva ricevuto un abito lungo fino ai piedi di paillettes scarlatte con uno spacco chilometrico e la scollatura sulla schiena che arrivava alla vita.
Per Clary, Magnus aveva scelto qualcosa di un po' meno provocante: un corpino di seta cobalto da cui partivano strati su strati di chiffon di varie tonalità, dal celeste al blu oltremare, il tutto tempestato di minuscoli cristalli lucenti. Ovviamente per entrambe aveva pensato anche alle scarpe e agli accessori. Per pura bontà d'animo aveva recuperato un completo anche per Jace.
Più difficile era stato trovare lo smoking perfetto per lui. Ne aveva provati decine: non voleva esagerare, doveva essere qualcosa di elegante e raffinato ma che urlasse guardami. Alla fine trovò quello che cercava: pantaloni scuri e giacca ricamata a piume di pavone sui toni del bordeaux, petrolio e blu notte con solo qualche piccolo tocco d'oro per dare luce.

Alexander si sentiva come una ragazzina al primo appuntamento. Fuori la musica era già iniziata e lui non riusciva a stare fermo, aveva controllato l'ora almeno dieci volte negli ultimi due minuti. Quando Magnus bussò alla porta ed entrò Alec rimase senza parole. Come faceva ogni volta a essere più spettacolare della precedente? La giacca metteva in risalto le spalle larghe, l'eyeliner sottolineava gli occhi leggermente allungati, l'ombretto blu era cosparso di brillantini che, sulla destra, scendevano a disegnare una curva sulla guancia. E poi c'erano quelle labbra...
Magnus si avvicinò e gli appuntò una singola rosa d'oro al taschino: “Dobbiamo andare”.

Alec annuì, incapace di formulare un pensiero coerente. Voleva portarlo a letto subito, ma voleva anche tenerlo stretto sotto le stelle. Ma era un frana a ballare. Oddio.
Come sempre Magnus pareva leggergli la mente: “Rilassati, nei lenti guido io”.

Nonostante l'organizzazione dell'ultimo minuto, il ballo era un evidente un successo. Loro cinque erano gli unici ad avere abiti adatti, cosa che permetteva a Magnus di pavoneggiarsi in maniera ignobile e a Isabelle di godersi l'ammirazione dei ragazzi da cui si trovò subito circondata. Clary, meno esibizionista, si scherniva con un sorriso e indicava Jace che, da parte sua, continuava a chiedersi come avesse fatto Magnus a convincerlo a indossare quel dannatissimo smoking. Tutti ridevano, ballavano, si scambiavano racconti più o meno seri sulle battaglie e gli allenamenti; nascevano nuove amicizie e quelle vecchie si rafforzavano. Nonostante i dubbi dell'inquisitrice, il team building aveva dato i frutti sperati.

Dopo qualche ballo Alec si era scusato ed era andato a riprendere fiato su un divanetto accanto a Clary e Jace. Magnus, nel suo elemento, sembrava instancabile. Era fantastico guardarlo ballare, si era tolto la giacca e il papillon e aveva slacciato la camicia fino all'ombelico. Era provocante, sexy, magnetico. E, proprio come il giorno prima alla cascata, si stava muovendo per lui. Non lo guardava ma anche così lo sapevano entrambi: ogni passo, ogni spinta del bacino, ogni lento roteare della testa era pensato per essere visto da dove sedeva Alec. Senza voltarsi Magnus allungò un braccio e gli fece cenno di raggiungerlo.
Come tirato da un filo invisibile Alec si avvicinò senza protestare. La musica era ipnotica, gli occhi di Magnus così profondi. Lo stregone gli girava intorno, lo sfiorava, si strofinava.

“Smettila Magnus, ti prego...”
“Oppure?”
“Oppure... non lo so. Hai idea di cosa mi stai facendo?”
“Perfettamente”, rise lo stregone.
Alec lo attirò a se e lo baciò. Il contatto si trasformò da disperato, quasi violento a lungo dolce e sensuale.

Max era nascosto fuori dal bungalow di Alec e Magnus. Li aveva visti entrare quasi di corsa quindi aveva pensato che sarebbero usciti altrettanto in fretta, invece erano lì dentro da un secolo: cosa accidenti stavano facendo? Il ragazzino stava aspettando Magnus, voleva parlargli, scusarsi, ma non davanti al fratello! Stava perdendo ogni speranza quando la porta si aprì e Alec uscì per andare a prendere qualcosa da bere. Max aspettò che il fratello fosse fuori vista, fece un respiro profondo e bussò.
Quando lo stregone vide il bambino sulla soglia, impacciato ed esitante, capì subito perché era venuto. Una parte di lui avrebbe voluto aiutarlo ma sapeva che era una cosa che doveva fare da solo. Si infilò la vestaglia di raso e si sedette in silenzio.

Max spostava il peso da un piede all'altro, indeciso su come iniziare: “Io... sono venuto per chiederti scusa. Cioè... non sono molto bravo ma volevo dirti che mi dispiace”.
Era identico al fratello. Altri colori, lineamenti diversi, ma lo stesso modo di fare, di incespicare nelle parole quando era agitato, di portarsi la mano alla testa.
“Vai avanti”.
Il ragazzino parve spiazzato, non sapeva cos'altro dire. Cerò di riordinare le idee: “Sono stato antipatico e invece tu mi hai salvato... Non è colpa tua. Cioè... non è perché sei uno stregone, è solo che... lui sta sempre con te e... ” abbassò la voce a un mormorio appena udibile: “Scusa”.
Magnus fece cenno alla sedia dall'altra parte del tavolo e il ragazzino si sedette a disagio.
“Sai Max, certe volte, per essere felici, bisogna scegliere: fra una cosa e l'altra, fra una persona e un'altra”.
Max si guardò le mani sotto il tavolo.
“Però,” riprese Magnus con tono più allegro, “ci sono volte in cui non è necessario, si può avere tutto. Alexander non deve scegliere fra te e me, può voler bene a tutti e due”.
Max lo guardava pieno di speranza: “Credo che Alec abbia ragione: sei stato fantastico oggi. A me non piace tanto che mio fratello abbia qualcuno, ma forse, se proprio non può farne a meno, va bene che sia tu”.
“Grazie Maxwell” rispose serio Magnus. “Adesso magari ti va una partita a scacchi? Alexander mi ha detto che sei un campione”.
Il ragazzino annuì con entusiasmo e corse a prendere la scacchiera dal tavolino.

Alec tornò quasi un'ora dopo: “Non ci posso credere, quel moccioso è sparito di nuovo...”
“Sssh” disse Magnus indicando il bambino che dormiva con la testa appoggiata al tavolo.

“Cosa ci fa qui?” bisbigliò Alec.
“E' arrivato quando sei uscito. Abbiamo parlato, ci siamo chiariti, abbiamo giocato a scacchi e ora siamo grandi amici”.
Alec scosse la testa, solo Magnus poteva incantare quella testa dura in meno di un'ora. Prese il fratellino in braccio più delicatamente possibile, il ragazzino aprì un occhio, disse qualcosa e si riaddormentò contro la spalla del fratello.
“Lo porto da Isabelle, torno subito” disse piano.
Mentre lo guardava uscire con il bambino in braccio Magnus si disse che un giorno Alec sarebbe stato un padre meraviglioso.

 

 

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Capitolo 7
*** Liadara ***


Liadara

 

Attenzione: Questa storia è particolarmente a Demoni a Natale e a Magnus verso Bane. Per chi non e avesse lette aggiungo un piccolo spoier in fondo (da leggere prima di iniziare).

 

Nessuno stregone, si sa, fa mai niente per niente, che siano soldi, oggetti preziosi o favori, c'è sempre un prezzo da pagare.

Quando Alec entrò a casa di Magnus non si aspettava di vedere la ragazza dai capelli lilla semi-sdraiata sul suo divano. Indossava una cosa leggerissima, un vestito da sera o una camicia da notte, Alec non ne era sicuro, e un diadema d'argento fra i capelli.
Lei gli lanciò un sorriso impertinente: “Guarda chi c'è! Ciao bellino!”
Dalla direzione della camera da letto arrivò una voce: “Tesoro, chi è?”
La donna alzò la voce squillante: “Maggy, è arrivato il tuo cucciolino!”
Chi diavolo era? Come sapeva... Alec era quasi certo di averla già vista ma proprio non ricordava dove. Magnus – Maggy? - le aveva parlato di lui? E la chiamava tesoro?
Prima che Alec potesse mettere ordine nei propri pensieri Magnus apparve, vestito unicamente con i pantaloni in pelle e un sorriso radioso, e lo salutò con un bacio.
“Ciao amore. Mi sei mancato”.
“Anche tu”, rispose Alec in evidente imbarazzo di fronte alla sconosciuta.
Magnus seguì il suo sguardo: “Ti ricordi di Liadara? Ci ha tirati fuori dai sotterranei della Casa Bianca. E' mia ospite per qualche giorno, una settimana o giù di lì”.
Ecco quando l'aveva vista! Quel giorno, quando erano rientrati nei loro corpi, Alec era rimasto un po' intontito per qualche minuto, cosa comprensibile considerando le ore passate a ricevere le attenzioni di Lord Bane. Gli amici gli si erano affollati intorno e la strega era andata via subito, in tutto l'aveva scorta solo qualche attimo.
“Magnus ma è proprio bellino bellino! Hai sempre gusti fantastici”, trillò lei. “Sei proprio sicuro che non voglia giocare un po' con noi?”
“Sì, Lia, sono sicuro. Non gli piacerebbe”.
Lei mise il broncio: “Sarebbe così divertente!”
“Lia!”
Alec si era perso, e la ragazza lo aveva notato: “Maggy guardalo! Com'è tenero con quegli occhioni smarriti! E' così innocente, davvero non ha idea di cosa stiamo parlando?”
“Non lo so, adesso smettila di dargli fastidio” la riproverò Magnus trattenendo a stento un sorriso.
Alec non si stava divertendo per niente: era stanco, imbarazzato e confuso. Non era certo così che aveva pensato di passare la serata.
Chairman Meow scelse quel momento per dargli il benvenuto strusciandosi contro le sue gambe Liadara saltò in piedi con un gridolino: “Ma che bel micetto!” Il suo vestito era completamente trasparente, si vedeva il perizoma turchese che indossava sotto. Alec sgranò gli occhi per la sorpresa e lei gli fece l'occhiolino poi, con una mossa studiata , si girò dando la schiena a Magnus e si piegò in avanti per accarezzare il gatto.
Lo sguardo di Magnus fu attratto da quel cordino turchese, i discorsi di prima si trasformarono in una fantasia: era sdraiato sul letto, Alexander alla sua destra, Liadara a sinistra, entrambi avevano la testa appoggiata a lui, le gambe intrecciate. Morbide e vellutate quelle di Lia, lunghe e forti quelle di Alec. Teneva una mano a coppa sul seno di lei, l'altra in alto ad accarezzare i capelli di lui. Poi lo baciava... E lì la fantasia scoppiò come una bolla di sapone. Quel genere di cose, con Lia, le aveva fatte parecchie volte, ma con Alec era diverso. Quando erano insieme esisteva solo lui, le sue labbra, la sua pelle, il suo respiro... non aveva né voglia né tempo per pensare a qualcun altro, chiunque fosse.

Alec guardò Liadara che giocava col gatto, poi Magnus, imbambolato a fissare il suo didietro.
Si alzò di scatto. “Sarà meglio che vada. Magnus, ci vediamo quando sei libero” disse prendendo la giacca e chiudendosi la porta alle spalle. Con un po' più forza del necessario.

Magnus si voltò verso la ragazza: “Lia, non puoi fare sempre così, esageri con gli scherzi”.
“Dai Maggy, una volta non eri così brontolone!” rise lei.

Mentre tornava verso l'istituto Alec continuava a pensare a Liadara. Come osava? Flirtare in modo così spudorato con il suo ragazzo davanti a lui. E Magnus? Perché non aveva detto niente? Come faceva a sopportarla, con tutte quelle risatine e la voce così acuta che sembrava parlasse sempre col punto esclamativo. Ma, non solo non gli dava fastidio, pareva pure divertirsi! Certo, lui non era un esperto, ma probabilmente per uno a cui piacciono le donne quella era sexy... E sicuramente era disponibile.
Era appena arrivato all'istituto quando gli squillò il cellulare: Magnus. Al diavolo, non aveva nessuna voglia di parlargli, non ora. Rifiutò la chiamata e mise il silenzioso.

Nella sala di comando tutto era tranquillo, c'era solo Jace, le ragazze erano ad allenarsi insieme. Alec guardò il fratello, se c'era qualcuno che poteva illuminarlo quello era lui.
“Ascolta, ti ricordi quando io e Magnus ci siamo ritrovati in quell'altro universo...”
“Non vi ci siete ritrovati, ci sei andato apposta e Magnus ti è venuto dietro per salvarti la pelle!”
“Sì, ok, il punto è un altro. Ti ricordi la strega che ci ha tirati fuori?”
La bocca di Jace si incurvò in un sorrisino: “Sì, certo, come potrei non ricordarla...”
“So che è una domanda strana ma come la descriveresti?”
“Hey, ma da quando ti interessano le ragazze?”
“Dai assecondami”.
“Ok, vediamo un po', lunghi capelli viola, pelle candida, un vitino da vespa, enormi occhi espressivi, labbra piene, seno alto e ben fatto. Direi un misto fra una principessa delle favole e una pornostar”.
“Una cosa?”
“Lascia perdere, un film che mi passato Simon, niente. Decisamente molto, molto bella”.
“Lo immaginavo” sospirò Alec. “E' a casa di Magnus per una settimana”.
Jace fece un fischio sottovoce e gli diede una pacca d'incoraggiamento sulla spalla poi, vedendo la sua espressione abbattuta, aggiunse: “Dai, lo sai che Magnus ti è fedele, non ti preoccupare”.

Forse la notte porta consiglio, o forse furono le tredici telefonate non risposte di Magnus che trovò al risveglio, ma la mattina dopo Alec si sentiva decisamente più ottimista: Jace aveva ragione, lui e Magnus ne avevano superate tante, troppe per preoccuparsi di una stupida strega procace. E poi, in fondo, Liadara li aveva aiutati, avrebbe dovuto esserle grato. No, forse quello era chiedere troppo.
Dopo colazione chiamò Magnus, si scusò per il telefono in silenzioso e gli chiese se gli andasse un po' di sushi per cena. Sentì Magnus rilassarsi, riuscì quasi a vedere il suo sorriso mentre gli diceva che conosceva un posticino fantastico... Tutte paranoie, non c'era nessun problema!

La sera si preparò cura, scelse dei jeans puliti una maglietta con lo scollo a V, Magnus le adorava e mettevano in mostra l'ala d'angelo.
Il suo uomo era bellissimo come sempre, il sushi era ottimo, la serata perfetta.
“Senti, posso chiederti come mai quella ragazza è venuta a stare da te?” Perché? Perché diamine l'aveva tirata in ballo? Alec avrebbe voluto prendersi a calci.
“Ma niente, era una promessa”.
“Che promessa?” Ma non era capace di stare zitto?
Magnus sospirò, prese un uramaki e spiegò: “Quando sei andato da Lord Bane ci siamo preoccupati, volevo venire da te ma non potevo. L'unica possibilità era una possessione...”
“Sì, me l'hai detto”.
Lui annuì: “Conosco Liadara da un po', è l'unica di cui mi posso fidare per la magia nera, quindi ho chiesto il suo aiuto. Il suo prezzo è stato un favore”.
Alec non sapeva se chiedere spiegazioni circa la magia nera o il favore. Optò per la prima: “Ti sei tirato in casa un'esperta di magia nera?”
“Non è come credi. Lei... Ho conosciuto Liadara a una festa tanti anni fa, circa cinquanta o sessanta. Lei è una a cui piace divertirsi e anch'io, in quel periodo, non cercavo niente di serio, una notte di follie, champagne, balli, eccessi... Ci siamo rivisti dopo qualche mese, e poi ancora, sempre per caso. Ci è voluto tempo prima che si fidasse di me e io di lei. Prima che mi raccontasse la sua storia”. Lo fissò negli occhi e Alec capì.
“Resterà fra noi”.
Magnus parlava piano, si prendeva il suo tempo: “Ogni stregone è figlio di un demone ma pochi sopravvivono oltre i primi anni di età, in alcuni casi il sangue demoniaco è troppo forte, il marchio troppo debilitante, ma di solito sono i genitori stessi a uccidere i piccoli, oppure gli abitanti dei villaggi. Il figlio di un demone è una maledizione, un abominio, fa paura. E' così per tutti, ognuno di noi ha un passato simile. Tranne Liadara. Sua madre era un'adoratrice del diavolo, lei voleva quel bambino a tutti i costi. Sotto la luna piena di Beltane ha tracciato un pentacolo con il suo stesso sangue per richiamare un incubo, lei... Il risultato di quella notte è stato Liadara. Sua madre l'ha amata, ogni giorno le diceva che era bellissima, speciale, ogni giorno le insegnava qualcosa. Ma la magia che imparava era impura, la magia del diavolo”.
“Magia nera”, bisbigliò Alec.
“Magia nera. Quando divenne donna, il suo potere esplose. Era in grado di fare cose terribili e le faceva. Era convinta fosse giusto, ma non era colpa sua, le era stato insegnato così. Sua madre le diceva chi maledire, chi ammaliare, chi... uccidere. Ma gli adolescenti sono ribelli, non si lasciano comandare. Un giorno sua madre le proibì di vedere un ragazzo, non voleva che si legasse a qualcuno, voleva i poteri della figlia per sé, e Liadara colpì. Aveva solo dieci anni. In molti, nel suo villaggio, sospettavano fosse una strega, ma quando sua madre morì senza motivo se ne convinsero. Vennero a cercarla con le torce e i picconi. In prima fila, accanto al padre, c'era il ragazzino che le piaceva”.
Era tardi, il locale si stava svuotando. Alec guardò la luna fuori dalla vetrina del ristorante e provò pena per la ragazzina spaventata.
“Nel panico Liadara diede fuoco al villaggio e scappò. E' quasi un miracolo che abbia imparato a distinguere il bene dal male. Lei... ha usato il divertimento, il sesso e le luci per nascondersi dall'oscurità che aveva dentro”.
Come me. Magnus non lo disse, ma Alec glielo lesse nello sguardo.
“Forse è per questo che ama tutto ciò che appare puro e leggero. Per lei tutto fatuo è effimero, non prende nulla sul serio. In molte cose è rimasta bambina, credo sia per questo che non riesco ad arrabbiarmi con lei. Forse un giorno si sentirà abbastanza forte da abbassare l'armatura...”. Magnus tacque un attimo, poi parve riscuotersi: “Non usa più la magia nera, beh, raramente, ma quando ne ho avuto bisogno non ha esitato ad aiutarmi. In cambio di un favore, favore che ora è venuta a riscuotere. Devo dire che è stata incredibilmente onesta”.
Alec lo guardò in attesa.
“Un favore è come un assegno in bianco” spiegò Magnus. “Gliel'ho concesso perché... dovevo trovarti. Ma la parola di uno stregone è vincolante, mi avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa, assolutamente qualsiasi. Invece si è limitata a qualche ingrediente raro e un po' di ospitalità e un consiglio”.

Uscirono nella notte, la storia di Liadara aveva lasciato dietro di sé un'atmosfera pesante. Si salutarono con un bacio quasi casto e un abbraccio un po' troppo forte.
Nel suo letto, Alec pensava a Liadara e a Magnus, così simili, così capaci di comprendersi a vicenda. Entrabi scintillanti, eccessivi... immortali. Avevano speso quasi tutta la serata a parlare di lei: era chiaro che Magnus la ammirava, che gli dispiaceva per lei, che avrebbe voluto aiutarla. Che gli piaceva.

I giorni passavano e Alec sentiva la mancanza di Magnus.
Si faceva sentire spesso ma poi non faceva che parlare della ragazza: io e Liadara andiamo a pattinare, ti va? Lia vuole fare un giro a Woodbury, ci accompagni? Vieni con noi a Broadway stasera? Alec aveva smesso di rispondere.

I giorni passavano e Magnus sentiva la mancanza di Alexander.
Facevano fatica a trovare momenti per stare soli e Alec sembrava sempre più distante. Non lo chiamava mai, spesso non rispondeva alle telefonate, i messaggi che si scambiavano sembravano finti. In compenso Liadara era sempre più effervescente. Era a casa sua perché aveva appena comprato un nuovo appartamento a Budapest e aveva venduto il suo. Non aveva tenuto conto dei vicini: per rendere credibile il trasloco aveva dovuto mandare alcuni operai, far fare qualche lavoro, quindi si era trovata senza un tetto. Poi c'era la seconda parte del favore: ridecorare.

“Maggy hai un gusto incredibile! Voglio che faccia tutto tu, ovviamente come piace a me!”
Fece una piroetta in mezzo al salotto di Magnus, la gonna salì fin sopra i fianchi e inondò la stanza di fiocchi di neve. “E sai cosa mi piace vero? Ghiaccio, vetri, specchi...”
“Azzurro, bianco, argento, lo so” finì Magnus.
Lei gli diede un bacio sulla bocca: “Perfetto! Domani andiamo a Budapest! Ho prenotato una stanza al New York Palace, vicino all'opera! Stiamo una settimana!”
Magnus sorrise, adorava l'opera, voleva bene a Liadara, ma soprattutto voleva tornare alla sua vita. Alla sua vita con Alec.

Da quella volta allo chalet Magnus aveva preso l'abitudine di avvisare Catarina ogni volta che intendeva stare via per qualche tempo, un po' perché era prudente, ma in gran parte perché se non l'avesse fatto lei gli aveva promesso fuoco e fiamme.
Fu così che Alec riuscì a scoprire che fine avesse fatto il suo ragazzo. Erano due giorni che non lo sentiva e adesso era irreperibile. Era ora di chiarire le cose, di fare le domande giuste. Ma Magnus era con la strega sexy, in un hotel di lusso, dall'altra parte del mondo. Pregò Catarina di aprirgli un portale e andò a cercarlo.

La nuova casa di Liadara, all'ultimo piano di un'antica palazzina del centro, aveva enormi vetrate che davano sul Danubio. Gli operai avevano messo a posto l'impianto elettrico e imbiancato tutto, ma adesso cominciava il bello. Magnus, in piedi in mezzo al soggiorno deserto, girava lentamente su se stesso, lasciando libera l'immaginazione.
“Allora? Cosa facciamo Maggy? Fammi vedere!”

Lui sorrise: “ Vediamo, direi... cominciamo dai pavimenti, marmo bianco, lucido, per i riflessi, poi le pareti. Bianche anche loro?”
“Specchi!” disse Liadara saltando su e giù, “voglio tanti specchi!”
“E specchi siano” disse Magnus coprendo interamente tre pareti.
“Che bello Maggy! Guarda! Ci sono mille me!”
Magnus sorrise: “L'ultima la facciamo partire dal bianco a terra fino al celeste, poi prosegue sul soffitto diventando un cielo di primavera”.
“E' fantastico! Mi piace tantissimo!” poi si fermò con la testa in su: “Manca qualcosa, come nelle chiese, lì ci sono sempre gli angeli. A me però non piacciono gli angeli”.
Magnus la guardò meditabondo, Lia non stava mai ferma, un momento qui, quello dopo lì... “Il vento” disse lanciando un piccolo incantesimo: “Cosa ne dici delle nuvole che soffiano i quattro venti?”
Lei batté la mani: “Sei un genio! E poi? Che mobili mettiamo?”
“Due divani moderni, con struttura in acciaio lucido e cuscini azzurro chiaro, e una poltrona classica, importante, con lo schienale alto, ma bianca screziata d'argento. In centro un tavolino ponte in vetro”. Sopra fece apparire un vaso d'argento con un bouquet di fiori bianchi e celesti. “Poi serve un po' di calore, un bel tappeto soffice, bianco anche lui”.
“Adoro tutto! Il lampadario Maggy! Mi metti un lampadario di cristallo?”
“Certo tesoro” disse Magnus schioccando le dita.
Tende di voile cosparse di brillantini, cuscini bianchi con ricamati cristalli di neve d'argento, candelabri d'argento che proiettavano mille fiammelle negli specchi...
Quando Lia fu soddisfatta passarono in camera da letto. Magnus fece apparire un enorme letto a baldacchino king size con tende bianche e argento e lenzuola di seta e riusciva solo a pensare a come sarebbe stato bello Alec lì sopra: “Lia, ascoltami, io non posso. Davvero non posso. Domani finiamo ma poi devo tornare. So che te l'ho promesso ma...”
Lei rise, la sua risata cristallina parve rimbalzare negli specchi: “Maggy, amore, ti manca il tuo cucciolo! Lo so, lo vedo! Bastava chiedere! Prometto, giurin giuretto, che domani sera sarai a casa”.
Magnus sorrise: “Grazie piccola”.
“Adesso però smettiamo, mi sono stancata! Andiamo a fare un giretto lungo il fiume e poi a mangiare!”

Alec era arrivato al New York Palace Hotel da quasi un'ora. Seduto nella lobby ad aspettare ripassava il discorso che aveva preparato. Poi li vide arrivare. Liadara rideva appesa al braccio di Magnus, entrambi elegantissimi e pieni di luce attiravano lo sguardo di tutti. Senza riflettere si spostò dietro ad una colonna.
“Allora domani finiamo di arredare l'appartamento? Non vedo l'ora. Sei veramente il migliore! Ma lo sapevo, lo sapevo che mi servivi tu!”

I due erano spariti oltre le porta a vetri ma Alec era inchiodato alla colonna di marmo. Ogni parola era una coltellata. Finiamo di arredare l'appartamento. Quindi andavano a vivere insieme? Certo, lei era bellissima – almeno a sentire Jace – ma era tutto così improvviso. Mi servivi tu. Anche a me, avrebbe voluto urlare.
Ormai sapeva abbastanza, inutile insistere. Seduto al tavolino di una piccolo bar fatato sentì la tristezza trasformarsi in rabbia. Strinse la mano attorno all'ala d'acciaio e se la strappò dal collo. Al diavolo! Sul tavolo davanti a lui, il ciondolo splendeva lucente come un nuovo amore. Un inganno, una stupida menzogna.
“Ciao! Serve compagnia?”
Alec alzò gli occhi. Una ragazza dai riccioli scuri gli sorrideva maliziosa.
“No, io... Scusa non... sono gay” balbettò Alec impacciato come sempre. “Ho un ragazzo. Cioè avevo”.
“Magnus Bane!”
“Come?” Alec la fissò stupito, come faceva a saperlo? Ma lei stava guardano verso la porta. Alec si voltò piano. Magnus. Magnus era appena entrato nel locale. Con Liadara.

Lo stregone aprì la porta per Lia ed entrò.
“Magnus Bane!”

Guardò verso la ragazza che lo aveva chiamato – l'aveva incontrata un paio di volte da Ragnor - ma il sorriso gli morì sulle labbra. Accanto alla brunetta c'era Alexander. In due passi gli fu accanto.
“Alexander, tesoro”. L'ala d'angelo sul tavolo sembrava un grido muto. “Cosa fai qui?”
“Niente, una cosa di lavoro. Adesso devo andare” rispose Alec freddo. Si alzò, lasciando il ciondolo sul piano di formica.
Magnus lo prese per un braccio: “Cucciolo, cosa c'è?”
Alec si girò di scatto, un animale preso in un angolo: “C'è che sei uno stronzo! Io non sono abbastanza per il Sommo Stregone, va bene, lo posso anche capire!”, la voce alta attirava l'attenzione di tutti i presenti ma ormai ad Alec non interessava più, “Ma un uomo con anche solo un pizzico di rispetto, senso dell'onore, di decenza avrebbe almeno avuto il coraggio di dirmelo in faccia! Magari prima di trasferirsi dalla sua nuova fiamma!” Una singola lacrima scivolò dall'angolo dell'occhio e scese lentamente. Magnus allungò un dito e la raccolse. Alec sembrava pietrificato, incapace di muoversi mentre la bocca di Magnus si avvicinava alla sua.
“Mai” gli sussurrò contro le labbra. “Non potrei mai lasciarti. Per me esiti solo tu” disse prima di baciarlo. Alec non si mosse, non abbassò la testa verso il compagno, non ricambiò il bacio.
Magnus prese l'ala d'angelo dal tavolo, delicatamente, come se fosse fragile, se la mise sul palmo della mano, e la girò sul retro. Chiuse gli occhiò: Nam mihi Eppur Si caritas. Una scritta di fuoco apparve sul retro del ciondolo.
“Cosa...?”
“E' il mio vero nome. Volevo stesse sempre accanto alla tua pelle”.
Alzò la collana: “Alexander, sei in ogni mio pensiero, ogni battito del mio cuore. Ti prego”.
Alec annuì piano e altrettanto piano Magnus gli passò le mani dietro al collo e riallacciò il cordino di cuoio.
Occhi negli occhi, le braccia cercarono la vita del compagno...
E Liadara lanciò un gridolino di gioia scoppiando in un applauso festoso a cui uno a uno si unirono tutti gli altri avventori del locale.
Alec non riuscì a trattenere una risata: come sempre aveva ragione Magnus, era impossibile arrabbiarsi con quella ragazza. Ignorò lei e tutti gli altri, attirò il suo uomo un po' più vicino e lo baciò, un bacio di quelli che ti lasciano senza respiro, che fanno fermare il tempo e impazzire il cuore.

Fuori le stelle si riflettevano nel Danubio, Magnus e Alec camminavano mano nella mano mentre Liadara chiacchierava incessantemente su com'erano romantici, sulla sua nuova casa, su che designer fantastico fosse Magnus e su qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione. Davanti al ponte delle catene Magnus si fermò a guardare Alec: “Devo restare ancora un giorno, finire di mettere a posto l'appartamento di Lia”. Sorrise vedendo il rossore che colorava le guance di Alec. “Ti prometto che sarò a casa prima di sera”.
“Nessun problema. Sarò lì ad aspettarti” rispose Alec con un groppo in gola.

“No, no, no! Non va bene per niente! Maggy non puoi lasciarlo andare!”si intromise Liadara. “Ci sono! Facciamo così...” cercò nella pochette d'argento e porse una tessera a Magnus. “A casa mia c'è già il letto, un letto bellissimo, vero tesoro? Allora, io dormo lì, e voi vi godete l'albergo da bravi piccioncini!”
“Io... domani devo essere all'istituto”.
“Alexander, New York è solo a un portale di distanza” disse Magnus.

Si salutarono con un abbraccio e Liadara percorse il ponte verso casa sua. Mentre tornavano all'Hotel, Alec si rivolse a Magnus: “Senti, solo per togliermi una curiosità, ma cos'era quella storia di giocare insieme?”
Lo stregone scoppiò a ridere e scosse la testa: “Te lo spiego quando sarai più grande!”

“Magnus!”

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SPOILER: In Demoni a Natale Magnus regala ad Alec un ciondolo in acciaio a forma di ala d'angelo. Oltre a essere incantato con Fortuna e Protezione, Magnus ha inciso sul retro il suo nome in indonesiano ma, per paura che fosse un gesto troppo impegnativo, la scritta è visibile solo con un incantesimo di cui Alec non è a conoscenza.

In Magnus contro Bane Alec è in pericolo in una dimensione alternativa. Per raggiungerlo lo stregone chiede aiuto a Liadara, una sua amica, per praticare la possessione demoniaca, rito di magia nera. La ragazza resta a guardia dei corpi e alla fine apre un portale per riportarli a casa.

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Capitolo 8
*** My boy ***


My Boy

 

 

Una piccola storia dolce che può inserirsi in qualsiasi punto di calma prima del matrimonio. Spero vi piaccia.

 

La pila di testi antichi traballò pericolosamente mentre Eugenius Hex sfilava una grosso volume polveroso dal fondo.
“Attento, non siamo mica giocando a Jenga!” esclamò Magnus alzando i grimori grazie a un pizzico di magia.

L'altro stregone non gli diede retta e appoggiò il tomo accanto alle decine di altri sparpagliati sul pavimento. Lo sfogliò pensieroso poi batté il dito su una pagina: “Guarda qui! Forse se unissimo alla cenere di vampiro del fosfato di zinco...”
“... diventerebbe instabile! Le candele non sarebbero in grado di arginare il flusso temporale”.
L'uomo scartabellò in una pila di fogli sulla scrivania poi trionfante estrasse una pergamena coperta di geroglifici: “Gli egizi parlano di usare polvere di artigli di licantropo per aumentare la stabilità dei pentagrammi, vedi?”
Magnus allargò le mani in segno di resa: “Val la pena di tentare”.
Il pentacolo era complesso, ogni punta della stella centrale conteneva pentacoli minori tracciati con tre tipi di polveri diverse, un intrico di simboli arcani riempiva il pentagono centrale
“Siamo pronti!” esclamò Hex. “Fra poco potrò vedere il passato!”
Magnus guardò l'amico: “Ti rendi conto che stiamo cercando di squarciare il velo del tempo solo perché hai perso il cane?”
Eugenius lo squadrò con cipiglio feroce: “Ti ho già spiegato che non è tracciabile: ci ho provato ma ciotole e collare appartengono a me, mi sono auto-trovato una decina di volte! Dimmi che per il tuo stupido gatto non avresti fatto lo stesso!”
Magnus ebbe la decenza di arrossire: “Va bene, va bene, proviamo...”
Insieme intonarono l'incantesimo e avvicinarono le candele ai due simboli rossi. Il fuoco corse lungo le linee fino a raggiungere il centro, si alzò un muro di fiamme blu e nel centro apparvero scintille cremisi.
“Ci siamo, sta funzionando!”
L'aria si condensò in un vortice percorso da lampi rossi.
“O forse no...” Hex fece un passo indietro proprio mentre la tromba d'aria di piegava in cerca di un bersaglio. Il pentacolo parve esplodere e il turbine colpì Magnus che fu scaraventato a terra.
Eugenius si avvicinò guardingo: “Bane? Come va, sei vivo?”
Magnus si tirò su, spolverò gli abiti e si diede una rapida occhiata: “Stranamente direi di sì, neanche un graffio. Sono a posto anche i vestiti, nemmeno una bruciacchiata. Adesso mi credi se ti dico che senza ali di manticora non può funzionare?”
“Sì signor so-tutto-io, ti credo”.
“Ecco, allora, io vado al mio appuntamento e tu te ne vai in India, in fondo il cane è il tuo. Trova quella bestiaccia alata e ci rivediamo domani sera”.
“Sempre il solito! Va bene, a ognuno la sua caccia!”
Magnus rise e aprì un portale per casa sua, aveva bisogno di tempo per prepararsi prima dell'arrivo di Alexander.

Era quasi una settimana che non riuscivano a passare una serata insieme, troppo lavoro, troppi demoni, troppo tutto, ma finalmente stasera era tutta per loro! Alec prese dal cassetto una maglietta nuova, comprata per l'occasione, e si passò la mano fra i capelli. Dieci minuti dopo era davanti a casa di Magnus. Suonò al campanello e attese. Nessuna risposta. Provò altre due volte, forse Magnus era ancora nella doccia. Per fortuna aveva le chiavi. C'era un rumore strano, sembrava quasi un miagolio. Chairman Meow gli si strusciò contro in segno di benvenuto: non era lui. Alec segì il rumore fino alla camera da letto. Il suono, che ora sembrava stranamente simile al singhiozzare di un bambino, veniva dallo spazio fra il muro e la cassettiera.
In effetti era proprio un bimbo di tre o quattro anni. Aveva un caschetto di capelli neri, abiti enormi - ma quella non era la giacca di paillettes nere di Magnus? - e sedeva rattrappito nell'angolo come un animaletto in trappola. Alec si accucciò per essere alla sua altezza.
“Ehi, piccolo... cosa c'è che non va?” Oh mamma, perché non c'era Clary con lui? O Isabelle. Chiunque. Lui era una frana con i bambini.
Il bimbo smise di piangere e alzò gli occhi. Occhi da gatto. Ma gli stregoni potevano avere figli?!
“Ciao! Mi sai dire il tuo nome?”
Il piccolo tirò su col naso, si passò un pugnetto lurido sulla guancia per asciugare le lacrime e lo fissò con gli occhi sgranati. Alec provò a fargli un sorriso incoraggiante e vide il bambino illuminarsi e venirgli incontro. Dove diamine era finito lo stregone?
In preda al panico Alec provò a chiamarlo: “Magnus!? Ci sei?”
Il bambino, che intanto stava cercando di arrampicarglisi in braccio scoppiò a ridere: “Sono qui!!”
Sbilanciato dal bambino e dalla risposta Alec cadde al indietro con il piccolo, che ora rideva ancora più forte, sopra di lui. La giacca era scivolata dalle spalle ossute, i pantaloni enormi erano rimasti nell'angolo e il bambino - Magnus? - indossava solo una maglietta oversize.
“Sei... sei davvero Magnus? Magnus Bane?”
“Maggus Bane! E tu come ti chiami?”
“Alexander... Alec”.
Mentre si rialzava il bambino gli tirò la maglietta: “Aleccande, dov'è la mia mamma?”
La mamma? Qui serviva aiuto, e in fretta. “Sì, aspetta un attimo, adesso devo fare una telefonata, poi la cerchiamo va bene?”
Il bambino annuì con aria grave.
Mentre chiamava Jace e gli altri Alec rifletteva in fretta. Ammettendo che bambino fosse davvero Magnus, cosa gli era successo? Chi lo aveva ridotto così?
“Hai finito? Io ho fame!”
Alec guardò giù e vide che il bimbo lo aveva seguito in salotto. Stava per rispondergli quando Magnus notò il gatto e con un'altra risatina corse a prenderlo. Chairman Meow amava le coccole e le comodità e quel piccolo uragano decisamente non lo convinceva: rapido come un filmine si nascose sotto il divano. Sdraiato sulla pancia il bambino allungava il braccio per cercare di raggiungerlo ma Chairman era rintanato troppo in fondo. Nuove lacrime cominciarono a formarsi in quegli occhi lucenti, poi l'espressione divenne più risoluta, scintille blu circondarono il divano e lo sollevarono da terra, abbastanza perché Magnus potesse passarci sotto, prendere al gatto e passargli la mano sul pelo. “Aleccande! E' mobbido!”

Alec si trovò a sorridere, almeno finché, distratto dal gatto, Magnus non lasciò cadere il divano. Per fortuna si era spostato da sotto ma lo spavento gli fece mollare il micio e correre a nascondersi dietro le gambe dell'unico adulto.
“Dai, vediamo cosa c'è da mangiare”.

“Pancake!!” urlò il bambino correndo in cucina.
Almeno quelli li sapeva preparare... circa. Magnus, appollaiato su uno sgabello troppo alto, parve gradire.
Mentre mangiava suonarono alla porta: erano arrivati i rinforzi.
“Allora, qual'è l'emergenza?” chiese Jace.
Alec fece un cenno verso il bancone dove il bambino, completamente imbrattato di sciroppo d'acero, stava divorando il quarto pancake.
“Ma che carino!” esclamò Clary. “Chi è?”
“Magnus” disse Alec in tono piatto.
Tre paia di occhi si girarono su di lui per poi passare al bambino.
“Mag... sei sicuro?”
Mentre Alec raccontava come l'aveva trovato, il bambino aveva finto di mangiare ed era saltato giù dallo sgabello (finendo lungo disteso per terra) e si era unito a loro. Il discorso era noioso e Magnus aveva deciso di esplorare un po'.
“Dov'è andato?” chiese Clary allarmata.
Appena lo chiamarono il bambino riapparve: aveva trovato la scatola dei gioielli e adesso aveva una ventina di collane attorno al collo, bracciali a entrambe le braccia e intorno alle caviglie e un'espressione soddisfatta. Si rivolse al Alec: “Guadda che bello!”
“Sì, sei bellissimo. Ma adesso dimmi, ti ricordi cosa stavi facendo prima che arrivassi io?”
“Ero solo e mi sono spaventato...”
“Io chiamo Catarina” decise Clary prendendo il cellulare e spostandosi in un'altra stanza.
Intanto Iabelle tornò a rivolgersi al bimbo: “Ancora prima, prima di rimanere da solo, cosa facevi?”
Il bimbo fece spallucce.
“Dai prova a pensarci!” disse Jace un po' scocciato.
Magnus si aggrappò forte ai pantaloni di Alec, alzò il mento, fissò Jace con le pupille strette e disse: “Brutto!”
Isabelle si mise in mezzo fra i due: “Sì è proprio brutto. Tu invece sei bravissimo. Adesso dicci, prima c'era qualcuno?”
Il bimbo chiuse gli occhi poi esclamò: “Ex. Giocavo con Ex!”
“Cos'è un ex?” chiese Jace, guadagnandosi un'altra occhiataccia.
“Ex è un signoe. Grande. Con la coda”.
“Uno stregone” disse Izzy tirando fuori il tablet per fare una rapida ricerca. “Ecco qui: Eugenius Hex, uno stregone di Dublino. C'è anche una foto, coda e tutto”. Mostrò lo schermo al bambino: “E' lui?”
“Ha fatto il fuoco!”
Finita la telefonata Clary era tornata: “Catarina non ha mai sentito nulla di simile, bisogna scoprire come è stato fatto l'incantesimo, insomma, serve questo Hex. Si è offerta di venire a tenere Magnus ma era molto presa in ospedale, c'è stato un incidente ferroviario e avevano decine di feriti. Lo ho detto che c'era bisogno...”
“Hai fatto bene. Allora, io, Alec e Isabelle andiamo a Dublino. Clary, tu hai fatto la babysitter vero? Quindi del piccolo è meglio se ti occupi tu. Conviene portarlo subito all'istituto,” decise Jace.
Clary sorrise e tese una mano al bambino: “Vieni, io e te andiamo a fare un giretto”.
Magnus le diede la mano, almeno finché non vide che Alec non li stava seguendo. Poi puntò i piedi e cercò di liberarsi dalla presa. “Voio lui!” gridò puntando il ditino verso Alec.
“Beh, almeno siamo sicuri che è proprio Magnus,” rise Isabelle.
“Dai piccolo, dobbiamo andare” cercò di convincerlo Clary mentre si avvicinava per prenderlo in braccio.
Magnus si divincolò urlando come se lo stessero uccidendo: “Aleccandeeeee!”
Clary lanciò un grido, lasciò il bambino e si strinse la mano con l'altra: “Mi ha bruciato!”
Sentendosi libero Magnus si fiondò verso il suo beniamino che d'istinto lo tirò su. Jace fece un passo avanti:. “Non è così che si fa! Smettila subito e chiedi scusa, se no...”
A questo punto fu Alec a girarsi per mettere la spalla opposta fra Jace e Magnus: “Se no cosa? E' un bambino, ed è spaventato. Cosa ti aspetti che faccia?”
Ormai al sicuro, Magnus disse la sua: “Io voio tae con Aleccande”.
I quattro adulti si guardarono sconfitti.
“Va bene, allora io, Jace e Clary andiamo a Dublino a cercare questo Hex...” disse Izzy.
“E io?” chiese Alec anche se conosceva già la risposta.
“Tu stai qui col tuo ragazzo...”
Vedendo il panico negli occhi del suo parabatai Jace aggiunse: “Una serata soli soletti, cosa vuoi di più?”
Prima di uscire Isabelle guardò il fratello: “Divertitevi! E mi raccomando, fagli fare un bel bagno”.
Ma perché esistono le sorelle? Alec guardò Magnus che saltava sul divano. Fra le lacrime, lo sciroppo d'acero e i peli di gatto era veramente sporco. Con un sospiro andò in bagno e si guardò intorno. Questo Magnus era troppo piccolo per fare la doccia da solo e insieme... decisamente no. Per fortuna c'era anche una bella vasca. Una volta piena chiamò il bambino e gli tolse la maglietta. Era magrissimo. Mentre lo guardava giocare nella vasca si trovò a pensare che il piccolo Magnus era tutto una contraddizione: cercava la mamma e aveva il fisico di chi è abituato a mangiare poco, come doveva essere stato il suo Magnus a quell'età, però gli risultava che lo stregone fosse entrato in possesso dei suoi poteri, occhi da gatto compresi, da più grandicello, verso i cinque o sei anni, forse anche di più. Quando erano insieme era pieno di vita e sicuro di sé, come qualcuno che sa di essere amato, e subito dopo appariva il bimbo spaventato, abituato ad essere rifiutato da tutti.
Uno schizzo d'acqua e una risata lo riscossero dai suoi pensieri. Nella vasca navi pirata dorate si inseguivano intorno al bambino, le cannonate mandavano spruzzi ovunque. In qualche modo Alec riuscì a lavare il piccolo corsaro e ad avvolgerlo in un morbido asciugamano azzurro. Dopo avergli raccomandato di non muoversi Alec andò a guardare nella cassettiera in cerca di qualcosa da mettergli. Tornò con una delle magliette più semplici e aderenti di Magnus ma il bambino non era d'accordo.
“No! E' brutta Aleccande! Non mi piace” disse scappando via.
Magnus rideva del nuovo gioco, girava intorno al divano, passava sotto il tavolo e dietro alle sedie. Dopo una decina di minuti buoni Alec cominciò a pensare che inseguire un moccioso nudo mentre cerchi di infilargli una maglietta sarebbe un ottimo allenamento per qualsiasi Shadowhunter. Alla fine decise che non ne valeva la pena, tornò in camera e tirò fuori una canottiera di lurex nero con la scritta Sexy in paillettes d'oro: Magnus la indossò senza fare storie.
Ormai era tardi e il piccolo, dopo una giornata piena di emozioni, era stravolto. Cominciò a piagnucolare e a chiedere con insistenza della mamma. Alec lo mise a letto e, dopo avergli augurato la buonanotte e dato un bacio sulla fronte, spense la luce. Si buttò sul divano: era stanchissimo anche lui e voleva solo dormire un po'... Un suono leggero e ritmico lo costrinse ad alzarsi. Dalla stanza buia veniva un pianto soffocato intriso di tristezza. Il bambino era rannicchiato in posizione fetale e cercava di nascondere i singhiozzi. Quando vide la sagoma di Alec nel buio si spostò verso l'angolo del letto, la paura riflessa negli occhi d'oro. Alzò un braccio come a proteggersi la testa: “Papà... no... ti prego”.
Bastardo! Cosa gli aveva fatto quel mostro? Si fermò per non spaventarlo ancora di più: “Ehi tesoro, sono io, Alexander”.
Il bambino abbassò appena il braccio per sbirciare da sopra: “Aleccande?”
Alec sorrise e si sedette sul letto: “Proprio io. Dai, vieni qui”.
Magnus gli gattonò incontro e nascose la testolina nell'incavo della sua spalla. Mentre gli carezzava i capelli morbidi e puliti Alec si trovò a desiderare che il patrigno di Magnus fosse ancora vivo: quanto avrebbe voluto mettergli le mani addosso.
Quando il bambino si fu addormentato lo rimise giù delicatamente ma il piccolo aprì un occhio e mormorò qualcosa. Alec si sdraiò accanto a lui: “Dormi bene amore mio, sono qui accanto a te”.
Era un bambino adorabile ma Alexander era preoccupato e gli mancava il suo Magnus. Cosa stavano facendo Jace, Izzy e Clary?

Arrivati a Dublino i ragazzi si erano resi conto che non avevano considerato il fuso orario: erano le quattro di mattina. Aspettarono l'alba per passare all'istituto di Dublino: era prassi parlare con gli Shadowhunters locali prima di procedere a interrogare qualcuno sul loro territorio. Dopo una rapida spiegazione il capo dell'istituto chiamò due giovani perché li assistessero. Roisin e Connor erano gemelli, entrambi rossi di capelli e pieni di lentiggini sembravano la caricatura dell'irlandese tipo. Fratello e sorella erano allegri e felici di aiutare: Eugenius Hex non era uno stregone molto rinomato e dovettero cercare il suo indirizzo nel database.
Raggiunsero casa sua, a Dundrum, in poco più di mezz'ora e suonarono alla porta. Lo stregone doveva essere un tipo molto amichevole o molto imprudente, perché non aveva eretto sigilli intorno alla sua abitazione e bastò una runa di apertura per entrare. La scena che li accolse era di caos totale, pile di libri, pergamene, boccette e ciotole e occupavano ogni superficie disponibile. Un ampio spazio in centro al salotto era l'unico libero da scartoffie ma mostrava tracce di un pentagcolo ormai inservibile. Jace aveva compiuto una rapida perlustrazione dell'appartamento: “Qui non c'è, se n'è andato, e il letto non è stato usato”.

I ragazzi si divisero per cercare qualche indizio di cosa fosse successo.
“Guardate questi appunti,” disse Isabelle mostrando un foglio completamente ricoperto di annotazioni e linee.
“Cosa dicono?” chiese Clary.
“Non è tanto quello che dicono, ma vedi, sono due calligrafie diverse. E questa mi è familiare”.
Jace si sporse per dare un'occhiata: “Hai ragione, sembra quella di Magnus”.
“Conviene mandare una foto a New York per chiedere un confronto calligrafico” consigliò Connor.
“Se Magnus ha collaborato a questo... macello con Hex potrebbe non trattarsi un attacco o una vendetta, magari è stato solo un incidente,” ipotizzò Roisin.
“In effetti,” intervenne Clary, “Magnus diceva di aver giocato con Hex, non sembrava spaventato...”
“Quindi non è detto che lo stregone sia scappato. Aspettiamo il risultato del confronto poi chiediamo in giro”.
“Io resto qui, in caso torni,” decise Isabelle, “intanto vedo se trovo qualcos'altro di utile”.
Quando arrivò la conferma che il fogli era stato effettivamente scritto da Magnus, Clary e Jace girarono per il quartiere facendo domande a baristi e negozianti. Connor e Roisin allargarono il perimetro di ricerca al resto di Dublino.
Dalla descizione di mondani e nascosti Eugenius Hex sembrava essere un uomo molto tranquillo, non frequentava locali e andava ovunque con il suo bastardino grigio di nome Soot. Negli ultimi giorni tutti i vicini lo avevano incontrato più volte girare per la zona in cerca del cane scomparso. Clary staccò uno dei volantini che lo stregone aveva appeso a tutti i lampioni offrendo una lauta ricompensa per qualsiasi notizia su Soot.

Una sferzata di magia lo colpì alla spalla mandandolo a sbattere contro il muro due metri più in là. Attraverso gli occhi annebbiati Alec vide il bambino davanti a sé con le braccia ancora protese in avanti.
Era cominciato tutto in maniera molto semplice: dopo colazione Alec aveva ricevuto un messaggio: data l'assenza di Jace e Isabelle serviva la sua presenza in istituto. Il ragazzo aveva chiesto a Magnus di preparasi ma il bambino si era intestardito: l'istituto era il posto brutto dove lo voleva portare la ragazza dai capelli rossi e lui non ci sarebbe andato. No, no e poi no. Alec aveva cercato di spiegargli che doveva andare per forza, era il suo lavoro, ma a tre anni i ragionamenti non sempre funzionano. Il capriccio di Magnus era normale, comprensibile ma la magia rendeva tutto più complicato. La rabbia del bambino si era trasformata in sfere di energia che aveva lanciato prima contro i mobili e infine contro Alec stesso.

Adesso, con la spalla sanguinante e un braccio inservibile, il ragazzo guardava il bambino sgranare gli occhi, finalmente consapevole di cosa aveva combinato. Lo vide abbassare le braccia che quasi gli caddero ai fianchi e scoppiare in un pianto disperato e pieno di dolore, molto diverso dai singhiozzi tristi delle altre volte. Senza riflettere Alec usò la velocità degli Shadowhunter e in un momento gli fu accanto, il braccio buono che lo stringeva a se: “Amore, tesoro, calma, non è successo niente, va tutto bene”.
Preso di sorpresa dalla vicinanza e dall'abbraccio il bambino smise improvvisamente di piangere, lo sguardo si spostava da Alec alla porta e indietro: “Aleccande va via?”
Alec deglutì, l'insicurezza di Magnus la conosceva bene: “No piccolo, ascoltami. Te l'ho già detto tanto tempo fa ma tu non puoi ricordarti: io non vado da nessuna parte, sarò sempre accanto a te. Qualsiasi cosa tu faccia”:
Il bimbo tirò su col naso e alzò piano una mano, sfiorando la spalla insanguinata di Alec con un ditino.
“Sì, beh, adesso mettiamo a posto tutto. Ma tu mi devi aiutare. Alzò la maglietta sul fianco esponendo la iratze: “Vedi questo disegno qui? Adesso lo facciamo brillare ma tu devi tenere la maglietta così, sei capace?”
Alec prese lo stilo con il braccio buono e lo passò sulla runa: bruciava da morire ma si sforzò di sorridere.
“Perfetto, adesso cosa ne dici se facciamo un patto? Prima andiamo a fare shopping...” Non poteva certo portarlo in giro in cannotiera da uomo e nient'altro. “... poi andiamo all'istituto e dopo, se fai molto il bravo, ti porto...” Cosa piaceva a Magnus che fosse adatto anche a un bambino? “alla fattoria degli animali”.
“Che cos'è?” chiese il bambino sospettoso.
“Ci sono conigli, galline, oche, puoi accarezzare le caprette e magari fare un giro su un pony”.
Il bambino ci pensò su e assentì. “Adesso choppin!”
Alec rise, “Va bene, ma prima andiamo a lavarci i denti”.
In bagno Alec prese lo spazzolino di Magnus e mise un po' di dentifricio. “Digrigna i denti che laviamo quelli davanti”.
Il bimbo ubbidì ma appena sentì il sapore di menta sputò tutto nel lavandino. “Non mi piace! Bleah!”
“Sono d'accordo ma adesso apri grande”.
Magnus chiuse la bocca e mosse la testa da destra a sinistra cercando di evitare quel terribile supplizio.
Ormai Alec aveva finito la pazienza. “Magnus Bane! Adesso basta capricci, per oggi ne hai fatti abbastanza! Apri la bocca, subito”.
Quell'uomo era strano, diverso da tutti. Non era scappato da lui, non lo chiamava mostro o Ab-omino e adesso, anche dopo che gli aveva fatto male, non aveva paura di lui. Magnus aprì la bocca: Aaaaah”.
“Bravo bambino,” disse Alec strofinandogli i denti di dietro. “Adesso possiamo andare”.
Fortunatamente c'era un grande negozio di abbigliamento infantile nello stesso isolato. La commessa che li accolse guardò il bambino semi svestito con curiosità.
“Abbiamo avuto un piccolo incidente al parco, ci serve... tutto”.
La donna sorrise a quel giovane papà così carino e tirò fuori un completo con pantaloncini blu e maglietta a righe.
“Aleccande, è brutto!”
Con un gesto di scuse Alec spiegò: “A Magnus piacciono i colori vivaci...”
“Beh, per maschietti usano tanto il blu e grigio ma vediamo un po' cosa trovo”. Tornò poco dopo con un paio di bermuda arancioni che incontrarono il gusto di Magnus. “C'è anche la maglietta abbinata,” disse mostrando una maglietta blu scuro con il numero tre arancione sulla schiena.
Lo sguardo del bambino non necessitava commenti.
“Non si preoccupi, diamo un'occhiata e vediamo se troviamo qualcosa che gli piace” disse Alec. Magnus vagò fra gli espositori con aria sempre più sconsolata, verso la fine del reparto si mise a correre: “Quella! Voio quella!”
Era entrato nella zona bambina e aveva preso una maglietta bianca con un grosso cuore di paillettes, di quelle che se le muovi cambiano colore. Continuava a far scorrere la manina: rosso, arcobaleno, rosso, arcobaleno. “Aleccander ti preeego!”
“Certo campione, è perfetta” disse cercando la taglia giusta e infilandogliela.
Alla cassa la commessa li guardò perplessa: “Non so se sua moglie sarà contenta...”
“Non si preoccupi, sono certo che il mio compagno la adorerà,”(in fondo l'aveva scelta lui) rispose Alec facendo arrossire d'imbarazzo la ragazza.

Dopo aver pagato si issò il bambino in spalla e, salutata la signorina gentile, si avviarono all'Istituto.
Quando entrarono nella sala schermi tutti gli si fecero intorno per vedere il bimbo sulle spalle di Alec: “Ehi, chi è questo giovanotto?”
“Jace, Clary e Isabelle sono in missione speciale, lui è un testimone chiave. Me ne occupo finché non risolvono il caso”.
Alcune ragazze si offrirono di badare al bambino ma Alec rifiutò e, dopo essersi fatto fare un breve resoconto del problema, andò in ufficio e chiuse la porta. Mentre lo Shadowhunter confrontava carte e rapporti Magnus giocava tranquillo sul tappeto con alcuni vecchi soldatini di Max: l'istituto non era così male se poteva stare vicino ad Alec.
Pranzarono in sala mensa poi Alec si rivolse al bambino: “Non mi ricordo, adesso cosa dovevamo fare?”
“Fattoria!” urlò Magnus saltando su e giù.

Mentre guardava il bambino nutrire i conigli e grattare una capretta dietro le orecchie Alec, fuori dal recinto, gli scattava alcune foto. Quanto gli mancava il suo ragazzo, sarebbe stato bellissimo averlo accanto, potergli passare un braccio intorno alla vita e magari fotografare un bambino proprio come quello... il piccolo Magnus alzò lo sguardo, sorrise e lo salutò con la manina. In quel momento gli volò in mano un messaggio di fuoco. Alec superò la staccionata con un balzo e gli fu accanto: era un biglietto di Eugenius Hex: Ho trovato tutto. Ci vediamo stasera da me.

Alec chiamò subito gli altri che si stavano preparando per un viaggio in India: dopo aver trovato la parola manticora sottolineate tre volte avevano usato la pipa di Hex per attivare la runa tracciante e adesso stavano per partire. Soot li guardava dal basso in alto: ovunque fosse stato, aveva deciso che era ora di tornare a casa e aveva grattato alla porta finché Isabelle non gli aveva aperto. Jace era ancora al telefono quando il cane si alzò e cominciò ad abbaiare in direzione del tavolo: pochi istanti dopo apparve un portale e Eugenius Hex, inciampando in un vecchio tomo, fece il suo ingresso non proprio regale.
Casa sua era stata invasa da Shdowhunters! Allarmato tentò di fare una passo indietro ma si trovò bloccato dalla scrivania:

“Si calmi Signor Hex, per favore. Non vogliamo farle del male...”
Eugenius Hex intanto aveva visto il cane e si era scordato di tutto il resto. Troppo impegnato a fare le feste a Soot, li ascoltava con un orecchio solo: “Avete ritrovato il mio cane! Grazie, grazie davvero”.
“Non siamo qui nemmeno per il cane, ci serve il suo aiuto”.
“Serve a Magnus,” precisò Clary.
Finalmente l'uomo parve riscuotersi: “Magnus? Cos'è successo a Magnus?”
Jace fece un rapido riassunto della situazione e Clary gli mostrò una delle foto che Alec le aveva girato. Borbottando fra sé, Eugenius Hex cominciò a girare fra i vari libri e a cercare appunti e ingredienti: “L'instabilità del flusso... troppa polvere di artiglio, ne serviva meno... se ci aggiungi la scarica... aveva ragione...” I ragazzi lo lasciarono fare mentre con uno schiocco di dita puliva dai residui del vecchio pentacolo e si apprestava a tracciarne uno nuovo. Soot lo osservava con interesse, attento a non toccare le linee di polvere nera.
“Non è complicato, dovrebbe funzionare... sì, sì, senza dubbio. Adesso dobbiamo riportalo qui”.
Si voltò verso gli Shadowhunter “Dov'è adesso Magnus?”
“E' a casa sua. Con un nostro amico”.

Grazie a un secondo portale pochi minuti dopo il gruppo era a casa di Magnus. Alec e il bambino erano tornati dalla fattoria da quasi un'ora e adesso erano impegnati a disegnare capre e conigli sui blocchi dello stregone.
Appena entrarono dalla porta Eugenius Hex cercò con lo sguardo il suo amico. Il bimbo alzò lo sguardo, lanciò un'occhiata circospetta agli amici d Alec, poi notò l'altro stregone e sorrise: “Ciao Ex! Sono andato sul pony!”
“Magnus! Come ti sei ridotto?”
Intanto Jace e gli altri avevano notato lo stato della casa, i mobili distrutti, il muro mezzo bruciacchiato: “Cos'è successo qui? Vi hanno attaccati?”
Alec guardò il bambino che abbassò lo sguardo sul disegno: “Ho fatto i capricci...”
Dopo qualche spiegazione, Isabelle disse che Hex aveva preparato un pentacolo per far tornare Magnus alla normalità. Fu Clary a pensare ai vestiti: “Non può trasformarsi con quelli addosso, sarebbe peggio dell'incredibile Hulk”.
Nessuno colse il riferimento ma Alec annuì e andò a prendere qualcosa per Magnus. Pochi minuti dopo la comitiva, sempre più numerosa, era di nuovo nell'affollato salotto di Dublino.
Alec fece spogliare il bambino - non voleva rovinare la maglietta nuova, vero? - e gli diede un paio di boxer di Dolce e Gabbana di Magnus.
“Sono gandissimi!”
“Tienili su con la mano, bravo”.
Alec guardava il pentacolo con aria assorta: “Come sappiamo che funzionerà? Avete fatto qualche prova? E' davvero sicuro?”
“E' sicuro” affermò Hex.
“Allora prova col cane”.
Lo stergone scosse la testa: “Ho ali di manticora per una sola volta, e comunque è progettato per ripristinare il normale flusso temporale all'interno di un soggetto. Se non vi sono alterazioni non avrà nessun effetto”. Poi si rivolse al bambino: “Ok Magnus, adesso entra nel centro, attenzione a non calpestare le righe, poi do fuoco al tutto, potrebbe esserci un po' di vento ma è normale...” Alla parola fuoco il bambino si era attaccato ad Alec: “No, no, no!”
“Questa volta devi proprio ubbidire, due minuti e sarà tutto finito,” provò a convincerlo Isabelle.
Alec vide quegli occhi d'oro guardarlo con un misto di speranza e fiducia, la manina che cercava la sua e stringeva forte. Voleva bene a quel bambino ma amava l'uomo, doveva riaverlo indietro. Però...
“Hai detto che stavi con me...” mormorò Magnus.
Alec si abbassò e gli diede un buffetto sul naso: “Hai ragione, una promessa è una promessa”.
Mentre parlavano Isabelle guardò Jace: “Che fine ha fatto mio fratello, sai, quello terrorizzato perché lo lasciavamo con un bambino...”
“Dev'essere con il mio parabatai. Ti ricordi, quel ragazzo, che quando è arrivata Clary aveva la stessa empatia di un muro di mattoni?”
Ignorando del tutto la loro conversazione Alec entrò nel pentacolo con passo deciso e guidò il bambino accanto a sé: “Andiamo insieme”.
“Alec, cosa diamine fai!” esclamò Jace, “Esci subito”.
“Sì, signor Lightwood, è meglio che lei venga fuori, non è sicuro”.
Alec fulminò lo stregone con lo sguardo: “Lei mi ha garantito che non c'era alcun pericolo per nessuno, ha detto che a chi non avesse subito alterazioni temporali non sarebbe successo niente. Era una menzogna?”
“No, in teoria è così, però...”
“Non c'è un però. O è sicuro oppure non se ne fa niente. Non rischierò la vita di Magnus su un suo però”.
Eugenius Hex era sbalordito. Già era strano che degli Shadowhunter potessero interessarsi alle condizioni di un nascosto, ma che uno di loro mettesse a rischio la propria vita solo per tranquillizzare uno stregone era inconcepibile. Fece un cenno d'assenso e si avvicinò con la candela. Alec guardò il bambino spaventato: “Vieni più vicino e tienti forte a me”.
In quel momento le fiamme divamparono, scintille rosse partirono dai cinque angoli per confluire sul bambino. Alec sentì la mano di Magnus salire lungo il suo corpo, dal polpaccio, alla coscia, al fianco. Quando le fiamme si abbassarono i ragazzi videro Alec e Magnus allacciati in un bacio rovente.
“Direi che ci siamo riusciti,” disse Jace con un sorriso.
Tutti scoppiarono in un applauso, solo Eugenius Hex era pietrificato dallo stupore: Magnus non era uno che sbandierasse la sua vita privata e l'amico non aveva idea della sua storia con uno Shadowhunter.
Magnus sorrise agli amici mentre Clary gli porgeva la pila di vestiti: “Grazie, biscottino. Ora, per quanto io adori stare in un pentacolo mezzo nudo con Alexander, qualcuno mi sa dire cos'è successo?”
“Non ricordi niente?” chiese Hex.
“Ricordo che stavamo cercando il tuo cane, che peraltro vedo hai trovato, poi sono tornato a casa e ho fatto un sogno strano...” L'occhio gli cadde sulla magliettina col cuore buttata sulla sedia. “... Non era un sogno?”
Alec scosse la testa: “Eri un bambino adorabile, sai, sono stato in dubbio se tenerti così...”. Magnus rise e gli diede un altro bacio.

I ricordi erano confusi e frammentati e a casa Magnus rimase di stucco davanti alle condizioni dell'appartamento, si rimboccò le maniche e mise tutto a posto. Anche con la magia ci volle un po', per tutto il tempo non disse una parola e evitò di guardare Alexander. Entrambi sapevano che stava ripensando al colpo con cui aveva ferito Alec - sarebbero bastati pochi centimetri per centrare il cuore - e al modo in cui anni prima aveva ammazzato il patrigno. Fu Alec ad avvicinarsi e a posargli una mano sulla spalla: “Te l'ho già detto allora: non è successo niente, davvero”.
Magnus si voltò furioso: “Niente! Ti ho quasi ucciso e non è successo niente?”

“Uno Shadowhunter dovrebbe riuscire a schivare l'attacco di uno stregone di tre anni”. Prese il cellulare e si sedette sul divano. “Vieni, guarda” disse mostrandogli le foto. “Vedi il sorriso? E qui sei sulle mie spalle, ho chiesto a una signora di farci una foto. Fidati, è stata una giornata bellissima, se non fossi stato così preoccupato per te rientrerebbe fra le migliori. Serve sempre un po' di impegno, anche con i bambini. Ma ne vale la pena”.
Magnus fissava le immagini, non si ricordava di aver mai sorriso in quel modo da piccolo, di essere stato così spensierato. E Alec con un bambino sulle spalle era così sexy...
“Credo di non aver mai capito appieno cosa hai passato, ma vedere quel bambino, vedere te, così... Avrei voluto poter prendere l'uomo che ti ha fatto sentire in quel modo e...”
“Alexander, grazie”.
Lo sguardo fra i due era pieno d'amore, poi in un attimo divenne più profondo e intenso. Con un unico rapido movimento Magnus gli salì a cavalcioni sulle gambe, muovendosi per sfregarsi contro di lui. Gli passò una mano dietro la testa e gli morse piano il labbro inferiore, l'altra mano, dietro la schiena, spinse su la maglietta.
“Magnus, ti amo” gemette Alec.
“Oh cucciolo, ti amo anch'io. Non sai quanto”, gli mormorò contro le labbra.

Qualche ora dopo, sdraiati uno accanto all'altro, le mani intrecciate, i due uomini si godevano il lusso di stare vicini.
Sulla sedia, piegati ordinatamente sopra le cose di Alec, c'erano un paio di pantaloncini arancioni e una maglietta con un cuore di paillettes.

 

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