BOOM!

di PattyOnTheRollercoaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno: nel quale si salta su una limousine (prologo). ***
Capitolo 2: *** Capitolo due: nel quale si fa una corsa. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre: nel quale si scoprirà che la cucina indiana è piccante ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro: nel quale ci si bagna. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque: nel quale si canta e si dipinge. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei: nel quale si va a trovare una persona cara. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette: nel quale si hanno delle notizie. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto: nel quale Robert ricorda diverse cose (Epilogo). ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno: nel quale si salta su una limousine (prologo). ***


BOOM!

Capitolo uno: Nel quale si salta su una limousine(Prologo)

Kim
Quello era il primo punto della mia lista. Era folle, lo sapevo, ma non potevo assolutamente tirarmi indietro. L’avevo appena compilata, la lista, abbandonarla così era stupido.
Avanzai in mezzo alla folla, stringendo il cellulare nella tasca del giubbotto. Scaricavo la tensione. Eccolo, il primo punto della lista. Stava camminando tranquillamente alla sua macchina. Cioè, alla sua limousine. Il mio bersaglio era Robert Pattinson, che camminava verso la limousine. A tenergli aperta la portiera c’era un signore che aspettava tranquillamente. Nessuno poteva sospettare della ragazza magra, piatta come una tavola da surf e pallida come un fantasma che camminava verso di loro.
Mi avvicinai sempre di più alla limousine. Robert era già entrato e io distavo solo due metri dalla macchina. Anche l’autista era entrato. Ormai ero arrivata. Aspettai che la macchina si mettesse in moto poi, appena sentii il motore ruggire, aprii di scatto la portiera dell’auto ed entrai, chiudendo la porta con un rumore sordo.
Il tutto era durato nemmeno tre secondi. L’autista era partito e, quando si accorse di me, era già andato avanti di parecchi metri. “Hei!” mi apostrofò.
Non feci caso a lui e mi voltai verso il primo punto della mia lista, che mi guardava allibito.

Rob
Osservavo quella strana ragazza che si era appena intrufolata nella limousine che mi doveva riportare sano e salvo dalla convention fino a casa mia. Evidentemente non ero abbastanza al sicuro. La ragazza in questione aveva i capelli tagliati molto corti e neri. La sua faccia era di un pallore mortale e aveva grosse occhiaie che le segnavano gli occhi. Il suo corpo era magro e quasi spariva in mezzo alla pesante camicia che portava. Mi sorrise, facendo comparire dei denti candidi e squadrati.
“Ciao” disse.
“Ciao” risposi io atono. Forse era una fan di Twilight o cose del genere, non la potevo sbattere fuori dall’auto così. Inizialmente mi era venuta un po’ di paura, ma poi pensai che era una ragazza, pure deboluccia a quanto pareva, quindi, a meno che non avesse un coltello in tasca, potevo stare tranquillo. Avevo il telefono in mano e stavo per scrivere un messaggio ma, data la situazione, lo misi via. Greg, l’autista, si fermò.
“La faccio subito scendere signore” disse aprendo la portiera.
“No, no non importa” dissi alzando la mano. Solo Dio sa perché mai lo dissi. La ragazza sorrise.
“Grazie” esclamò.
“Prego”. Nessuno di noi disse nulla per un po’. Greg ricominciò a guidare lanciando ogni tanto un’occhiata torva al sedile posteriore.
“Allora?” chiesi infine.
“Oh, già. Scusa. Mi chiamo Kimberly ma mi sembra un nome tipo da pornostar, quindi mi faccio chiamare da tutti Kim” disse la ragazza.
“Conosco diverse Kimberly” dissi io, “e nessuna di loro è una pornostar”.
“E’ quello che pensi tu” ribatté lei. Senza volerlo mi scappò una risata, una specie di sbuffo, pensando alle ragazze che conoscevo di nome Kimberly che, nel cuore della notte, s’infilavano furtivamente in un locale di strip tease. “Comunque … sono qui per la mia lista di cose da fare” disse Kim frugando in una borsa verde e tirando fuori un foglio. Lo dispiegò e me lo mise davanti indicando con il dito un punto del foglio. C’era scritto: Lista delle dieci cose da fare prima di … BOOM! Sotto, dove stava il dito di Kim c’era scritto: 6- Conoscere una persona famosa.
“Io sarei la persona famosa?”.
“Si, anche se avrei preferito qualcuno tipo Jimi Hendrix o Gesù ma …” lasciò la frase in sospeso.
“Ah, lo so. Gesù ha sempre il telefono staccato quando lo chiami” dissi comprensivo. E questo fatto potrebbe anche essere interpretato come un qualcosa di profondo.
“Assolutamente. Hai provato a chiamarlo anche tu?”.
“Già. Non si fa trovare facilmente” dissi alzando le spalle. Kim rise. “Quindi … cosa devo fare per esaudire la tua lista prima del boom?”.
“Ah, non so. A dir la verità non ci ho pensato molto. Ho fatto la lista solo ieri sera. E sempre ieri sera ho saputo che l’attore Robert Pattinson, che ho sempre solo sentito nominare e di cui non ho visto nemmeno un film, sarebbe stato qui. Perciò …”.
“Hm. Posso … non so, possiamo fare una foto assieme” proposi.
Kim alzò le spalle. “Si, b’è, potremmo. Peccato però, perché quando dicevo conoscere intendevo proprio conoscere. Quel che dici tu è più un’incontrare. Forse dovrei cambiare la mia lista”.
“Peccato. Quella originale sarebbe più bella”.
“Lo so” disse Kim con aria saccente. Mi venne improvvisamente voglia di leggerla quella lista. Chissà cosa c’era scritto.
“E cos’altro c’è scritto nella tua lista?”.
“Hm … vediamo”.

Kim
Controllai tutte le possibilità. Avevo l’opportunità di fare diverse cose, in quel preciso momento. Scelsi la più semplice. “Trovato. Numero 2: Mangiare in un ristorante di lusso e poi scappare senza pagare”.
“Cosa?” chiese Robert.
“Che c’è di male? E’ tipo come rubare una caramella o una figurina quando si è bambini. Tu non l’hai mai fatto?”.
Ci pensò su un attimo, passandosi una mano fra i capelli. “Una volta ho rubato una maglietta, ma ero al mercato, quindi non vale”.
“Come non vale? Che vuol dire? Se lo rubi in un negozio allora è furto vero?” chiesi scettica. Robert cercò di giustificarsi, ma non c’erano scuse. “Comunque” continuai, “ora posso dire di conoscerti almeno un po’. Robert Pattinson è una persona famosa che ha rubato una maglietta, a cui piacciono le caramelle al limone, molto amichevole, che non si da’ troppe arie e che ha il vizio di passarsi sempre una mano fra i capelli”.
“Come fai a sapere che mi piacciono le caramelle al limone?” chiese lui sospettoso.
“In realtà ti ho spiato” dissi guardandolo negli occhi. “Non è vero” dissi subito dopo. “E’ che sai di limone e lì” dissi indicando una specie di tavolino (dopotutto eravamo in una limousine … figo), “ci sono delle caramelle al limone”.
“Wow” commentò lui. “Perspicace”.
“Grazie”.
“A parte il fatto che non mi passo sempre una mano fra i capelli … non credo che questo serva a conoscermi”. Si sporse per parlare all’autista e disse: “Greg portami all’ Huctchintosh”.
“Dove? Mi stai rapendo?” chiesi.
“Qui quella che ha fatto cose illegali sei tu, ladra di figurine per bambini” mi fece notare Robert. E poi: “Ti sto portando in un ristorante di lusso. Possiamo cenare, così conoscerai una persona famosa, e poi potrai uscire senza pagare”.
“E tu scapperai con me lasciando così il conto?”.
“Non lo so. Forse pagherò solo la mia parte, così non dovrò preoccuparmi di scappare e la tua lista verrà rispettata”.
Sorrisi. “Ci sto” dissi tendendo una mano. “E comunque sappi che è vero che ti passi sempre la mano fra i capelli”.
“Ma no!” esclamò lui.
“Vedrai. Conterò quante volte lo fai”.
“D’accordo”.
E suggellammo il nostro patto con una stretta di mano.





State leggendo il primo capitolo della prima fan fiction su Robert Pattinson che ho mai scritto! Devo ammettere di non essere una sua fan proprio sfegatata, ma ho visto molti dei suoi film (altri li devo ancora vedere, ma non si trovano da nessuna parte, accidenti!) e sono orgogliosa di dire che conosco abbastanza cose su di lui da scrivere una fic. Ad esempio il suo humor noir e la sua paranoia sono famosi in tutto il mondo! XD
Comunque, mi raccomando, voglio leggere tante recensioeni, altrimenti la cancello (perchè non ha senso tenerla -.-''). Risponderò a tutte, come ho sempre fatto ^^ Non importa che siano buone o cattive.
Ho già postato questa storia su un forum su Robert, e vi consiglio di farci un giro. Il forum di chiama The Sun in a Smile, ed è sul circuito di Forum Community.
B'è un bacio e un grazie in anticipo a tutti i lettori,
Patty. :3

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Capitolo 2
*** Capitolo due: nel quale si fa una corsa. ***


Capitolo due: Nel quale si fa una corsa

Rob
“Sei a sette” mi avvisò Kim scartando un pacchetto di grissini.
“Cazzo!” dissi togliendomi subito la mano dai capelli.
“Hai visto? Oh guarda! Anche i grissini sono chic!” disse tendendomi un grissino. Lo presi e lo esaminai. Che mai avrà avuto di tanto chic non lo so, ma lo mangiai comunque. “Non sono mai stata in un ristorante come questo” continuò Kim guardandosi attorno.
In effetti l’Hutchintosh era davvero un bel ristorante. Mi ci avevano invitato una volta ed era uno dei pochi ristoranti di lusso che conoscevo. Eravamo arrivati presto, non erano nemmeno le sette e mezza.
“Tu qui ci sei già venuto, no?” chiese Kim.
“Una volta sola. In genere non vado nei ristoranti. Sono più un tipo da bar, o da serata a casa di un amico” risposi.
“Ah. Ma questo è uno di quei ristoranti dove ti servono mini porzioni su piatti giganti?”.
Sorrisi. “Certo. Sennò non è un ristorante elegante”.
“Forse servono poco così le modelle anoressiche non ingrassano” azzardò Kim.
“Probabile. Spero di non restare affamato. Il conto sarà molto alto credo”.
“Dai scappa come me” tentò di convincermi Kim. “Non dovrai pagare nulla e potrai mangiare tutto quello che vorrai”.
“Mh … non so. E se mi riconoscono? Se dicono che non pago le cene? Il mio agente mi ucciderà”.
“Allora, prima di tutto non è detto che veniamo beccati. Secondo: hai paura che le tue legioni di fan prendano cattivo esempio da te?” chiese la ragazza con voce critica.
“No però il mio agente, la volta scorsa che è uscito un articolo brutto, mi ha sgridato”.
In quel momento arrivò una cameriera sorridente a prendere le ordinazioni. Dopo che se ne fu andata Kim mi assalì: “Che cos’è un articolo brutto? Stavi sputando per terra? Mettendo dei soldi nel reggiseno di una lap dancer? Eri travestito da pirata e/o da donna?” chiese con quella che pareva genuina curiosità.
Sospirai. “Quello … la lap dancer” dissi agitando una mano.
“Sul serio?” chiese lei stupita, “Io dicevo tanto per dire”.
“Scherzo! No, nulla, ero solo un po’ ubriaco in giro con alcuni amici”.
Kim parve delusa. “Peccato”. Le rivolsi uno sguardo interrogativo, al che rispose: “Mi sarebbe piaciuto vederti con un costume da pirata donna”.
“E tu potresti travestirti da pirata uomo”.
“Potrei”.
Dopo qualche minuto arrivarono i primi piatti che avevamo ordinato. Io una cosa che, nel menù, era un risotto, ma in quel momento sembrava più che altro un grumo di riso decorato come un uovo di pasqua. Kim guardò il suo piatto e sorrise.
“Potrei mangiarlo in un boccone”.
“Cos’è?” chiesi sbirciando il piatto.
“Non mi ricordo più, era scritto tipo in francese. L’ho preso solo per quel motivo. E perché costava trentadue dollari”.
“Trentadue?” deglutii. Osservai il mio piatto e, ragionando, pensai che non avevo proprio pensato realmente a quanto potevo spendere. Anche se credo di potermelo permettere.

Kim
Presi la forchetta e infilzai quelli che parevano funghi.

Erano funghi. Solo con un sapore strano.
“Sai che a Budapest fanno i cappelli con i funghi?” dissi improvvisamente.
“A Budapest?” chiese Robert guardandomi interrogativo. “Sei stata a Budapest?”.
“Si. Un paio di anni fa. Per … visitarla”.
“B’è ovvio. Dimmi un po’, perché hai fatto quella lista?” chiese Robert prendendo una forchetta e tentando di infilzare un sedano elegantemente poggiato sul piatto.
“Ma sono io che devo conoscerti” obbiettai.
“E’ vero. Allora facciamo così: tu mi fai una domanda e poi te ne faccio una io”.
“D’accordo”.
“Però dobbiamo rispondere sinceramente”.
Feci un impercettibile pausa. “D’accordo” ripetéi.
“Allora … vai”.
Ci pensai su un secondo. “Quanti anni hai?”.
“Ventitré”.
“Ok”.
“Ora tocca a me. In effetti hai fatto una domanda interessante. Tu quanti anni hai?”.
“Ventuno. Comunque … perché vuoi sapere qualcosa su di me? Non credevo di essere così interessante”.
“Boh. Forse perché sei entrata nella mia macchina all’improvviso, quindi m’interessa sapere qualcosa di più sulla sconosciuta che mi ha rapito”.
“Ah. Capito” dissi. Avevo già finito di mangiare quella che credo fosse semplice pasta con i funghi con un nome francese e funghi molto costosi. “Ho finito la mia porzione per anoressiche”.
“Non è che puoi criticare le anoressiche. Anche tu sei molto magra”.
“Lo so ma io mica muoio di fame. Anzi mangio come un cammello a digiuno appena arrivato in una oasi”.
“Bel paragone” disse Robert. Un cameriere prese i nostri piatti e li portò via. “Se non sbaglio il secondo è un po’ più grande”.
“Peccato. Continuiamo con le domande. Hai passato qualche episodio traumatico nella tua infanzia?” chiesi. Era una domanda legittima.
Robert ci pensò su. “Credo che la cosa più traumatica fosse mia sorella che mi vestiva da ragazza”.
“Wow. Questo si che è bello forte” dissi agitando una mano.
“Probabilmente si. Non so però se ha avuto una ripercussione così forte su di me. Forse se non lo avesse fatto ora io sarei uno di quei tipi orrendi palestrati che vincono un sacco di gare di body building”.
“O, se avesse esagerato, ora potresti essere un travestito che canta in un locale” azzardai.
“Può essere. Ha tirato fuori il mio lato femminile” disse esibendo un sorriso stupido.
“Buon per te”.
“Perché hai deciso di fare la lista?” chiese Robert. Eccola, la domanda temuta.
“Perché mi devo trasferire in un paesino piccolo e infimo, da mio zio, e prima di rimanerci incastrata volevo far qualcosa di bello, per me”. Una di quelle stronzate che farei meglio a ricordarmi, prima che qualcuno me lo domandi di nuovo.
“Ah si? Dove?”.
“Mah, un paese sconosciuto fuori, molto fuori, New York”.
“Non sarà così fuori mano, spero, da non poter venire a trovarti”. Ma ci stava provando? Un cameriere posò un fumante piatto di frutti di mare di fronte a me.
“Non lo so. Potrebbe essere più lontano del previsto.” meglio mettere subito in chiaro le cose. “Passiamo a fatti più sconcertanti e che, sicuramente, le tue fan pagherebbero per sapere”.
“E cioè?” chiese Robert accennando un sorriso e infilzando una mini-patata.
“Ad esempio” ci pensai un attimo. “Quanto è grande” dissi lentamente, al che Robert rimase a bocca a aperta con la forchetta a metà strada fra il piatto e la bocca, “il tuo appartamento?”.
Robert rise, e anche io, passandomi una mano sugli occhi. Era un periodo in cui ero un po’ stanca. “E’ enorme!” disse infine.
“Oddio!” esclamai scandalizzata, sorridendo.
“Allora, siccome siamo in tema: qual è stata la tua peggior esperienza con un ragazzo?”.
“Oh sicuramente quando avevo quattordici anni. Mi piaceva un mio compagno di classe, che aveva un nome secondo me molto sexy: Kyle. Un giorno una mia amica mi invitò a casa sua e c’era pure lui. Siccome lei sapeva che a me piaceva Kyle allora con una scusa ci lasciò da soli. All’inizio è stato bruttissimo, del tipo che non riuscivo nemmeno a parlare, poi lui si è avvicinato e mi ha baciata. Ero contentissima! Fosse continuata così sarebbe stato uno dei miei ricordi più belli … ma, ovviamente qualcosa doveva andare storto”.
“Ora sono proprio curioso” disse Robert.
“Era perfetto. Finché Kyle non ha iniziato ad … emozionarsi, diciamo”. Robert scoppiò a ridere. “Cosa ridi? Ma cosa ridi? E’ stato imbarazzante! Orribile. Non sapevo cosa fare perciò sono scappata via e, per il resto dell’anno scolastico, non l’ho nemmeno guardato in faccia. Io volevo solo una bacio casto e romantico, come nei poemi. Lui invece si è … cavolo, non mi piace nemmeno dirlo”.
“I poemi nascondono molto di più” disse Robert come se la sapesse lunga.
“Avevo solo quaatordici anni, non m’interessava per nulla fare … certe cose”. Robert continuava a ridere e, mio malgrado, sorridevo anche io. “Ok. Lasciamo stare, un po’ mi pento per quello che ti ho raccontato. Non ricordarti di nulla. Tu piuttosto: cosa mi racconti sulla fantomatica prima volta?”.
“Oh” disse Robert smettendo di ridere e fissando il piatto. “Te lo devo proprio dire?”.
“Non ti sto chiedendo com’è stato. Solo se ti viene in mente qualcosa di curioso al riguardo”.
Robert ci pensò su un attimo. “B’è … mi ricordo benissimo come mio padre ci sgamò in pieno. Era appena tornato dal lavoro e io neanche mi ero accorto di che ore fossero. Eravamo proprio … proprio lì, che … si, vabé hai capito, eravamo lì. E mio padre spalanca la porta, rimane lì per tre secondi, lunghissimi secondi, e poi chiude”.
Scoppiai a ridere. “Che brutto! Io credo di non aver mai parlato con i miei genitori di certe cose. E’ un tacito accordo. Ma questa è fantastica!” esclamai.
“E’ bruttissimo. Quando avrai dei figli raccomandagli di chiudere la porta a chiave” disse Robert cupamente.

Rob
Dopo che finimmo di mangiare, con tanto di dolce e caffè, una cameriera ci portò il conto. Presi il portafoglio e controllai cos’avevo dentro. Neanche volendo sarei riuscito a pagare tutta la cena. Mi ripromisi di uscire con più soldi in tasca, probabilmente un barbone stava meglio di me. Ok, no, probabilmente no.
Il nostro tavolo stava accanto alla porta delle cucine. Ora capivo perché Kim aveva insistito per sedersi lì. Feci finta di lasciare dei contanti nel libretto di pelle nera che mi avevano portato e, velocemente, mi alzai e feci segno a Kim di seguirmi. Entrammo furtivamente nelle cucine. All’inizio nessuno si accorse di noi, che avanzavamo velocemente in direzione di una porticina che appariva così lontana. Ad un tratto un cuoco ci fermò.
“Signori, non potete stare qui” disse facendoci segno di uscire.
Kim era paralizzata e mi lanciò uno sguardo. Io, preso da un’improvvisa ispirazione, mi rivolsi al cuoco: “Questo è il peggior ristorante in cui ho mai mangiato” dissi puntando un dito sul petto del pover’uomo e avanzando. “E’ scandaloso! Dovrebbero venire a farvi chiudere!”. E, arrabbiato, m’incamminai verso la porta, seguito da Kim. Uscimmo dalla porta delle cucine e stavamo proprio sorpassando il cancelletto sul retro che un cameriere si affacciò alla porta e ci guardò malevolmente.
Presi Kim per mano. “Corri!”.
Corremmo lungo tutto il vicolo e sbucammo lungo la strada principale, inondata di luce. Dalla porta davanti del ristorante stavano arrivando altri due camerieri. Kim gemette e riprese a correre. Urtavamo un sacco di persone e, fra quasi cadute e grida di scusa e di protesta, arrivammo di fronte ad un negozio dove si accalcavano diverse persone. Ci infilammo fra la folla e riprendemmo fiato.
Dopo un paio di minuti Kim prese dalla borsa la lista e una biro e, con un sorriso divertito e soddisfatto, tracciò una riga sul punto due.




Buon salve lettori (il buon salve si applica a tutte le ore del giorno). Come vi è parso questo capitolo? Vi è piaciuta la parte delle domande? Come vedete alcune cose che ho detto sono vere, e cioè che Robert veniva usato dalle sue sorelle come una Barbie, altre sono ovviamente finte. -.-'' Questo perchè vorrei che la storia risultasse realistica.
Tanto per incuriosirvi un po' vi dico che nel prossimo capitolo parleremo di Mc Donald, scopriremo che Kim ci nasconde un qualche segreto, e infine vedremo Robert alle prese con la cucina indiana! Continuate a segurmi e saprete che cosa succederà!
E ora le risposte ai miei recensitori;

Satyricon: grazie mille per la recensione, sei stata la prima recensitrice, hai vinto un 'Grazie mille piccola' da parte di Robert! XD A parte le scemenze, spero che continuerai a seguirmi, dimmi che ne pensi di questo Rob di cui mi sono praticamente inventata il carattere! XD

Luxi: ciao! Ho riconosciuto il tuo nick di forumcommunity! B'è, mi raccomando, non svelare niente a nessuno sul finale, sarà un segreto fra noi due. Mhuahahhaha! Ci sentiamo sul forum ^^

PlInCy4: wow questa si che è una grande dimostrazione di fedeltà! B'è, se ti può consolare, i capitoli non sono molti, quindi non dovrai sottoporti alla tortura di recensire la mia storia per così tante volte! XD Grazie mille, spero che questo capitolo ti sia piaciuto, a presto!

Ringrazio i lettori silenziosi e chi ha messo la fic tra le Seguite e i Preferiti! ^^ Ci vediamo nel prossimo capitolo, che sarà ben lungo adesso che ci penso. Un saluto,
Patty.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre: nel quale si scoprirà che la cucina indiana è piccante ***


Capitolo tre: Nel quale si scoprirà che la cucina indiana è piccante

Rob
Dopo aver ripreso fiato ci spostammo dalla folla. Erano quasi le undici di sera.
“Dove abiti?” chiesi a Kim.
“Ora da nessuna parte. Ho una prenotazione in un hotel a, tipo, una stella” disse lei mordendosi un’unghia.
“Vuoi che ti accompagni fino a lì? Dov’è?”.
“Un po’ fuori città a dire il vero. Sei sicuro che mi vuoi accompagnare? Guarda che ce la faccio”.
“Si, sicuro. Chiamo la macchina”.
“Addirittura. Tecnicamente è l’autista che mi accompagna, non tu. Non prenderti i suoi meriti”.
“Giusto, povero Greg. Allora andiamo in autobus”.
Aspettammo l’autobus per un quarto d’ora buono. Però almeno non faceva freddo, era estate. Kim mi raccontò di come era venuta a Londra per incontrare sua madre, ma non disse poi molto altro. Più di tutto, mi chiese di me.
“Allora, hai impegni da superstar che ti aspettano? Qualcosa come partecipare a programmi tv, o andare alle prime dei film, cose così?”.
“Non lo so, a dir la verità. Lo sa il mio agente, ma non mi dice mai nulla che non sia importantissimo. Oppure me lo dice ma io me lo dimentico. Mi pare di dover andare a un’intervista la settimana prossima, a parlare con una giornalista e poi con delle ragazze”.
“Ah, tipo quelle cose vinci un’intervista con Robert Pattinson comprando hamburger da Mc Donald?” chiese lei.
“Credo di si. Una cosa del genere. Però non mi piacerebbe essere sponsorizzato da Mc Donald” dissi. Arrivò l’autobus e salimmo, senza biglietto, fra le altre cose, ma a quell’ora chi ci avrebbe fermato?
“B’è anche io mi vergognerei parecchio. Mi farei sponsorizzare da una multinazionale che cosparge il mondo grassi saturi di dubbia provenienza”.
“Di sicuro non è carne di mucca” osservai. C’era un posto libero e lo cedetti a Kim, che si sedette volentieri. Sembrava parecchio stanca, aveva le occhiaie e il viso più pallido di prima.
“Veramente … è carne umana!” disse facendo una smorfia strana. Risi. Per il resto del viaggio fino alla periferia di Londra continuavamo a controllare ad ogni fermata che non ci fossero i controllori e parlammo di Mc Donald e Krusty Burger che, anche se non esisteva, aveva la colpa di aver quasi ucciso Spider Pork nei Simpson.
Quando arrivammo alla fermata Kim mi guidò verso il suo hotel ad una stella (era davvero solo una!) e l’accompagnai fino alla sua stanza. La camera era piccola e c’era un bagno con una doccia stretta stretta, un piccolo armadio e un letto a due piazze che sembrava fatto di marmo. Per terra c’era un borsone da ginnastica nero con dentro un sacco di vestiti e diversi documenti. Kim raccolse tutto in fretta e chiuse la lampo del borsone, poi lo gettò sul letto, dove si sedette.
“Senti com’è duro questo letto” disse picchiando forte una mano sul materasso. Mi ci sedetti, cercando di rimbalzare, ma non ci fu verso.
“Cazzo ma è fatto di pietra!” quasi urlai.
“E’ bruttissimo dormirci su” disse Kim. Rimasi pensoso per un po’. “Vado un secondo al bagno” disse Kim.
Mi era venuta la folle idea, solo per un secondo, solo per colpa di quello stupido materasso troppo duro, che avrei potuto invitare Kim a casa mia. Abitavo da solo da un po’, anzi, con l’unica compagnia del mio cane. Però mi piaceva quando vivevo con un mio amico, un po’ di tempo fa. Adesso quando tornavo a casa era tutto silenzioso, troppo, per quello a cui ero abituato. Forse potevo ancora assaporare qualche momento di turbolenta e chiassosa vita in comune. Avrei potuto invitare Kim da me, e non per essere gentile ma per puro egoismo. Forse avrei anche potuto aiutarla a completare la sua lista. In fondo il mio aiuto le era stato utile al ristorante. Stavo pensando a tutte queste cose quando sentii un tonfo provenire dal bagno.
Leggermente preoccupato mi alzai e andai alla porta. “Kim?” chiesi bussando con una nocca. Niente. “Kim tutto bene?” chiesi di nuovo. E di nuovo, nessuna risposta da dentro. Cominciavo a preoccuparmi. “Ok … mi sto spaventando” dissi alla porta. “Ora entro, se stai facendo qualcosa che non dovrei vedere affari tuoi! Io entro lo stesso per vedere se stai bene!” e, così dicendo, aprii la porta.
Kim era distesa a terra, con le gambe piegate in una strana angolazione, a causa delle dimensioni ridotte del bagno. Il busto era scivolato dentro la cabina doccia e le gambe stavano fuori. Osservandola meglio vidi che le colava sangue dal naso.
“Cazzo” sussurrai. Presi in fretta il cellulare e intanto mi inginocchiai accanto a lei. Non c’era campo. “Porca troia!”.
Cercai di ripassare velocemente tutto quello che avevo imparato sul pronto soccorso, solo che era stato in terza media, quindi feci molta fatica. “Kim” dissi esitante. “Kim alzati, per favore” dissi toccandole un braccio. “Cazzo, cazzo!” dissi scuotendola sempre più forte e dandole piccoli schiaffi sulla guancia.
Improvvisamente vidi gli occhi muoversi sotto le palpebre. “Kim?” la chiamai senza più toccarla. Lei aprì gli occhi, sembrava mettere a fuoco molto difficilmente. Cercò di alzarsi, ma ricadde all’indietro, così la sostenni. “Ti senti bene?” chiesi.
“Ma ti pare?” disse lei portandosi una mano alla testa. La sollevai e la feci alzare. Lei, lentamente, si mise di fronte al piccolo specchio. Si sciacquò la faccia e la bocca, poi si risedette sul letto.
“Scusa … ho la pressione bassa, mi capita a volte” disse, come se fosse colpa sua.
“Ma no figurati. Mi sono spaventato un sacco”.
“Menomale, però, che c’eri” disse lei sorridendo.
“Già”. Restammo un po’ in silenzio, forse per sentire meglio quel momento così strano. Alla fine, presi fiato e dissi: “Ti va di venire da me?”.
“Eh?”.
“Hai capito. Ti va di stare un po’ a casa mia?”.
“E perché? Pensi, tipo, che possa svenire di nuovo? O ti sto simpatica?”.
“Credo tutte e due” dissi pensandoci su e passandomi una mano fra i capelli.
Si, lo faccio, e a volte me ne rendo pure conto.

Kim
Certo, avrei risparmiato dei soldi. Sarei potuta dormire in un letto comodo. Non sarei stata tutto il tempo da sola. Però tutti questi validi motivi non mi convinsero, finché Robert non disse: “Potrei aiutarti con la tua lista”.
Questo sì che era conveniente! Lo guardai un secondo. “Non lo fai per secondi fini?” chiesi sospettosa.
“Quali secon …? Oh! No, no ma va!” disse lui leggermente imbarazzato.
“Aspetta, che secondi fini hai capito?!” chiesi alzando le mani.
“Che secondi fini intendevi?”.
“Ovviamente ho pensato che mi avresti costretta a venire con te al Polo Nord per sfruttare la manodopera dei pinguini”.
Robert sorrise. “No, niente secondi fini”.
Porsi la mano. “D’accordo” dissi stringendo la sua, leggermente ruvida e molto più grande della mia. “Che mano grande che hai” osservai mettendo a confronto le nostre mani.
“E’ per … scaccolarmi meglio” disse in una riuscitissima imitazione del lupo di Cappuccetto Rosso.
“Ah! Che schifo!” dissi ridendo e togliendo la mia mano.
“Comunque … se vieni da me, tanto vale venirci ora. Vado a vedere se puoi disdire la prenotazione. Intanto puoi prendere le tue cose”.
“Ok”.
Rob si alzò e uscì, mentre iniziavo a prendere alcuni oggetti ancora sparpagliati per la stanza. Dopo pochi minuti fu di ritorno. “Giù non c’è nessuno” disse.
“Siamo in un hotel ad una stella” gli feci notare.
“Appunto” disse lui guardandosi attorno e passandosi una mano fra i capelli. Non si toglierà mai quel vizio.
“B’è posso rimanere per stanotte”.
“Ok” disse subito Robert alzando le spalle. Si sfilò le scarpe e si sdraiò sul letto.
“Pensavo che sarei rimasta da sola” obbiettai leggermente confusa e un po’ seccata. Dovevo soffrire di amnesia, non ricordavo di averlo mai invitato a dormire nella mia stanza. Nel mio letto di marmo.
“Ah” disse lui stupito quanto me. Stava per alzarsi, quando scossi la testa.
“Non importa”. Mi sedetti sul letto e, involontariamente, sbadigliai. Probabilmente non mi interessava più di nulla se non di dormire. Il mio cervello si stava già spegnando, al punto che avrei fatto qualsiasi cosa per poter chiudere gli occhi.
“Oh se vuoi posso dormire a terra” disse Robert alzandosi a sedere.
“Se ci tieni, però personalmente non me ne frega niente”. Eh già, proprio qualsiasi cosa.
“Sul serio?”.
“Si. Mi sa che sono troppo stanca, pure per parlare. Spostati” dissi tirando le coperte. Lui si alzò e io, toltami le scarpe, mi coricai voltata di lato verso la parete, facendogli spazio. Poco dopo sentii il materasso muoversi sotto il suo peso. “Notte” dissi allungando una mano e spegnendo la luce.

Rob
Dalla finestra della piccola stanza entrava un sottile raggio di luce lunare, che però illuminava ogni cosa.
Potevo scorgere il contorno di Kim benissimo, come se qualcuno lo avesse disegnato con un pastello bianco su un cartoncino nero. Vedevo il suo piccolo naso dritto leggermente all’insù, le guancie lisce, le palpebre che tremavano al movimento degli occhi, le labbra leggermente dischiuse, una mano che usciva dalla coperta e l’afferrava, con le dita sottili e magre, che davano l’impressione di non poter stingere nulla troppo forte.
Con gesti lenti ma meccanici, come se li avessi fatti milioni di volte, cinsi la vita di Kim con un braccio e appoggiai la mia guancia ai suoi capelli. Lei si mosse improvvisamente e io mi scostai velocissimo. Non volevo che sapesse cos’avevo fatto. Involontariamente, voltandosi, appoggiò la testa alla mia spalla, intrappolandomi il braccio fra lei e il materasso. Lentamente lo mossi e lo portai al suo fianco.
Per un po’ di tempo rimasi così: steso a pancia in su mentre con un braccio, quello intrappolato, cingevo la vita di Kim, stringendola debolmente a me. Non potevo stringerla troppo forte altrimenti si sarebbe spezzata, pensavo.
Cominciavo a credere che quell’incontro fosse stato fortuito. Che è una cosa buona saltare nelle macchine altrui.

Kim
Quando mi svegliai mi ritrovai spiaccicata addosso a Rob, così mi alzai in fretta e mi cambiai. Prima che si svegliasse riuscii a riordinare la valigia e a dire alla direttrice dell’hotel (una vecchietta rachitica che andava in giro con dei maglioni del secolo scorso in estate) che annullavo la prenotazione. Non credo ci sia rimasta troppo male, ci sarà stata abituata.
Quando tornai su Robert era sveglio e pronto.
“Buongiorno” dissi.
“Giorno” disse lui cordiale.
“Spero che non ti rimangerai quello che hai detto ieri, perché ho appena fatto le valige e disdetto la prenotazione”.
“Non c’è problema. Facciamo colazione? Ho fame”.
“Hai ragione, ieri abbiamo mangiato solo quel pasto infame nel ristorante di lusso” confermai. “Andiamo, ti offro una colazione nel posto più bello che ho mai visto”.
“Davvero? Grazie. Che posto è?”.
“Non te lo dico. Lo vedrai quando arriveremo”.
“Ma è lontano?”.
“Mica tanto. Dieci minuti in autobus”.
“Ah … ma perché non mi dici che posto è?”.
“Perché è, tipo … è troppo bello per descriverlo!”.
“Però …”.
Continuammo così per tutta la strada fino a là. Alla fine era diventato un gioco: Robert non voleva veramente sapere che posto era, e io volevo pazzescamente dirglielo.
“Ecco: siamo giunti!” dissi indicando una piccola porticina in legno scuro. Robert inspirò ed espirò.
“E’ il giorno più bello di tutta la mia vita!” disse. Sorrisi e lo spinsi dentro, non si stancava mai di dire stronzate.
Entrammo. Dopo un piccolo corridoio dove il barman ci salutò c’era una sala circolare dal soffitto alto, coperto da una volta a crociera interamente affrescata, mentre sulle pareti erano appesi diversi quadri. Negli angoli c’erano delle colonne finemente lavorate che riportavano un motivo a fiori rampicanti, che arrivavano fino al soffitto. Su questa sala si affacciava un altro salone, la cui ringhiera seguiva la forma circolare delle pareti.
“Andiamo di sopra?” chiesi a Robert.
“Ok” disse osservando gli affreschi che si stagliavano sul soffitto. Salimmo delle strette scale e arrivammo al piano superiore. Scegliemmo un tavolo che si affacciava sulla sala sottostante. Da lì si potevano vedere benissimo gli affreschi. Non appena prendemmo posto un cameriere si avvicinò e ci portò i menù.
“Grazie” dissi sorridendo.
“Capisco perché non potevi descrivermi questo posto: sarebbe stato troppo complicato. Però è bello”.
“A me piace un sacco. Devi sapere che questo è uno dei caffè più antichi di Londra, dove si riunivano artisti, filosofi, scrittori e tutti quelli là. A volte stavano qui pure tutto il giorno”.
“A fare?”.
“A boh. A scrivere forse, o anche solo a parlare, tipo”.
Robert sorrise e aprì il menù. Ordinai una cioccolata alla menta e una brioche alla crema (non fatelo mai, menta e crema non vanno d’accordo). Robert invece si tenne sul classico (caffè, credo che ne sia drogato), però prese anche una treccia alla cioccolata.
“B’è … è davvero bello” disse Rob guardando alcuni quadri, di cui era coperta anche la stanza di sopra. “Ci vorrebbe una guida però, sembra di stare in una galleria d’arte”.
“Di solito i camerieri sono molto gentili e ti raccontano tutto, se vuoi, però posso dirti qualcosa io. Anche se rischio di annoiarti”.
“Se ti va …” e così presi a parlare. Robert era un ascoltatore davvero attento. Dopo pochi minuti smisi di preoccuparmi di essere noiosa e cominciai a parlare delle cose più impensate.
“In questo posto ci venne anche Salvador Dalì, e …”.
“Dalì? Sul serio? Mi piace un sacco Dalì” disse Robert.
“Ma va?” chiesi stupita. Ok, io ho una venerazione per quell’uomo … Dalì, non Robert. “Quando avevo tipo quattordici anni mi ero presa una specie di cotta per Dalì. Peccato che era un amore platonico e a senso unico”.
“Si? Anche io mi sono un po’ fissato con lui in un periodo. Ero in Spagna perché dovevo fare un film sulla vita di Dalì e ho letto la sua autobiografia”.
“L’hai letta? Anche io!” esclamai.
“Per forza, io ero Dalì”.
“Davvero?” sorrisi come un’ebete. Anche se non era quello vero, si poteva dire che avevo incontrato Salvador Dalì. La mia mente contorta poteva affermarlo, quindi io ero felice.
Finimmo la colazione e andammo in centro, dov’era la casa di Robert. “Eccoci” disse lui aprendo la porta di una normalissima casetta.
“Non so perché, ma mi aspettavo che vivessi in una super mega villa hollywoodiana come si deve. Mi deludi” dissi entrando. In effetti la casa era davvero modesta, sia in dimensioni che in arredamento.
“Lo so, me lo dicono tutti. Però che me ne faccio di una casa grande? Io sono solo uno. E poi dovrei pulirla tutta quanta, sarebbe un casino. Ti faccio vedere la tua stanza”.
Mentre ci incamminavamo ci venne incontro un cagnolino bianco molto carino che mi fermai ad accarezzare. La mia stanza, come ormai era soprannominata, era davvero bella. C’era pure un balcone che dava sulla strada. “Allora, ti piace?” chiese Robert.
“Si. E’ bella” dissi avviandomi verso la porta-finestra. La aprii e uscii sul balcone. C’era un vento frizzante quel giorno. Il sole era già alto (ci eravamo alzati tardissimo), ma non faceva troppo caldo perché l’aria rinfrescava ogni cosa.
“Da qui si vede la cupola di una chiesa che, boh, non so come si chiama” cominciò Rob da sopra la mia spalla, “Però, se ti interessa, possiamo andarla a visitare. Mi sembra che sei una a cui piace fare la turista”.
“Hai ragione. E potrei anche fare la turista esperta perché ho studiato un sacco di storia dell’arte a scuola”.
“Davvero? All’università?”.
“All’Accademia” dissi.
“Belle Arti?” chiese lui. Io annuì. “Wow. Bello. Potresti farmi un ritratto”.
“Narcisista” gli dissi.
“Perché? Solo perché voglio vedere come disegni?”.
“Magari un giorno capiterà l’occasione” concessi.

Rob
In quel momento squillò il cellulare e dovetti rispondere. Era il mio agente, che mi diceva che dovevo fare delle foto e quindi andare in studio.
“Devo andare” dissi a Kim mettendo il telefono in tasca. “Tu … non lo so, fa’ quello che vuoi. Spero di fare presto”.
“D’accordo. Grazie, eh? Per farmi stare qui” mi disse lei mentre uscivo dalla porta.
Io speravo davvero di fare presto, ma sul serio. Purtroppo le foto mi occuparono tutto il pomeriggio e, tempo di tornare, si erano fatte le sette e qualcosa. Il cielo era già quasi buio a causa di una massa di nuvole di tempesta che si erano posizionate proprio sopra la città. Quando arrivai a casa entrai, notando subito un odore pungente ed insolito.
“Kim? Che cos’è quest’odore?” chiesi avanzando fino in cucina. Lì trovai Kim, in mezzo a pentole e tegami vari.
“Dove li tieni i tovaglioli?” mi chiese senza nemmeno voltarsi. Io li presi, osservando la tavola. Era apparecchiata per due e c’era su un piattone di carne e uno di riso.
“Hai cucinato? Ma non dovevi” dissi meravigliato osservando la tavola.
“Ti sto invadendo casa, è il minimo. Fra l’altro mi sono tolta uno sfizio, una cosa che volevo fare da un po’. Questa è cucina indiana. A dir la verità io ho preparato solo la carne, perché mi avevano dato la ricetta, il resto l’ho ordinato”.
“Ah. Non ho mai mangiato indiano”.
“Io solo una volta, un sacco di anni fa. E’ buono” cercò di rassicurarmi Kim, forse perché avevo una faccia poco convinta.
“C’è sempre una prima volta” dissi accomodandomi. Kim servì quello che doveva essere l’antipasto. Leggermente esitanti, lo assaggiammo. Non era male, forse troppo speziato per i miei gusti, ma molti miei amici mi avevano detto che era una caratteristica della cucina indiana, quindi non mi lamentai. Era davvero molto buono, tutto quanto, finché non mi servii di riso. Ormai rassicurato, parlavo con Kim del più e del meno, e misi in bocca un enorme boccone di riso.
Inizialmente, masticandolo, sentii qualcosa di strano ma non ci feci caso. Dopo appena due secondi non potevo più resistere. “Pizzica” biascicai mentre un senso di orrendo fastidio mi invadeva la bocca. “Hm! Merda!” esclamai, poco romanticamente.
“Pizzica così tanto?” Chiese Kim guardando il riso. Io annuii con decisione. Deglutii a fatica e presi un sorso d’acqua. Non bastò per placare il mostro che avevo in bocca. Ne bevvi ancora, stavolta prendendola direttamente dalla bottiglia. Continuai a bere mentre Kim, superato il momento di shock, rideva come se le facessero il solletico.




Ed ecco il tanto atteso (seh! XD) terzo capitolo! E' un po' lungo, più lungo degli altri di sicuro. Forse qualcuno potrà notare che mentre scrivevo questo a scuola stavo facendo l'Illuminismo, quindi mi sono ispirata ai caffè nati in quel periodo per il bar dove Kim e Rob vanno a mangiare. Un'anticipazione per il prossimo capitolo: vedremo Rob e Kim impegnati in un piccolo viaggio, che starà a segnare un'altro punto sulla lista di cose da fare. ^^ Spero di avervi incuriositi almeno un po'.

Satyricon: grazie per la recensione! Sono contenta che la fuga di Robert ti abbia fatta ridere! Ma te lo immagini? XD Mhuahahha! Comunque, come vedi a questo povero ragazzo gliene capitano di ogni quando ha a che fare con il cibo! Adesso poverello ha pure la lingua che pizzica! XD Comunque, in questo capitolo cominciano a nascere dei sentimenti, almeno da parte di Robert! Ma ... e lei? Hummm! Comunque grazie ancora, un bacio! ^^

Xx_scritrice88_xX: b'è ancora non ti posso svelare cosa succedrà, ma il tuo dubbio non è proprio del tutto corretto, c'è un piccolo particolare che cambierà la storia! Non ti preoccupare, nonostante ad un certo punto prenda una piega un po' triste, credo che ci siano delle parti abbastanza divertenti in questa fic. Ad esempio quella che hai appena letto: Rob e la cucina indiana! Mhauahhaha! Penso che un giorno verrà a conoscenza di questa storia e mi picchierà per averla scritta, tu che dici? XD

Grazie a tutti coloro che hanno letto! Mi raccomando, una recensione è d'obbligo. Altrimenti la scrittrice resta in pena! XD Al prossimo capitolo,
Patty.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro: nel quale ci si bagna. ***


Capitolo quattro: Nel quale ci si bagna

Rob
Dopo che mi fui ripreso aiutai Kim a lavare i piatti e a mettere tutto a posto. In alcuni punti della bocca sentivo ancora un leggero pizzicore. Dopo il disastro del riso Kim non lo volle assaggiare, così lo lasciammo lì, incapaci di buttarlo via.
“Hai qualcosa da fare domani?” chiese Kim guardandomi di sbieco  mentre strofinava con vigore un piatto.
“No nulla, che io sappia” risposi.
“Dovresti comprarti un agenda, sai?”.
Sospirai. “Lo so”.
“B’è comunque, se ti va, potresti accompagnarmi al mare”.
“Domani? Si. Fa parte delle cose da fare nella lista?”.
“Esatto. Però volevo andarci stasera. Anche ora” disse Kim tutta contenta.
Non mi ci volle più di un secondo per decidere. “D’accordo”. Cominciai a pensare che forse Kim, nonostante fosse saltata nella mia macchina, era una persona davvero affascinante. Io non avevo mai creduto all’amore a prima a vista, quindi questa, o era mera attrazione fisica, o era quello.
Finimmo di mettere a posto la cucina e uscimmo. “Tu non hai la macchina?” chiese Kim.
“Si, ma non mi piace molto guidare. E’ solo per necessità. Odio il traffico”.
“Allora guido io. Se partiamo ora quanto potremmo metterci ad arrivare al mare?”.
“Un po’” risposi.
“Ti da fastidio? Potremmo anche andare domani” propose Kim.
“No, fa niente. Andiamo”.
Salimmo in macchina e il viaggio iniziò. Accendemmo la radio ma continuavamo a cambiare stazione per vedere se c’era qualche canzone che valeva la pena di ascoltare. Dopo mezz’ora ci rinunciammo; possibile che alla radio o parlino o mandino in onda canzoni orribili? Arrivammo al mare molto tardi, verso mezzanotte e mezza. Kim parcheggiò vicino alla spiaggia e scese dall’auto. Era raggiante.
Non si vedeva quasi niente. Le uniche fonti di luce che c’erano venivano dai lampioni della strada. In giro c’era ancora parecchia gente però.
“Cosa prevede la lista?” chiesi.
“Prevede” disse lei tirando fuori dalla tasca il pezzetto di carta, “passeggiare in riva al mare al tramonto. Hm … non ricordavo la clausola del tramonto. L’abbiamo mancato”.
“Potremmo però restare qui fino all’alba. E’ una cosa simile”.
“Giusto. Andiamo” disse Kim. Scendemmo in spiaggia e ci togliemmo le scarpe, lasciandole vicino ad un castello di sabbia mezzo distrutto. Avevo dei pantaloni lunghi, così me li tirai su fin sopra al ginocchio, invece Kim aveva su dei pantaloncini che arrivavano a metà coscia.
La sabbia era umida e fredda sotto i piedi però non mi dispiaceva per niente la sensazione che dava. Quando entrammo in acqua invece ci scaldammo leggermente, perché era piacevolmente tiepida. Le onde erano molto piccole e s’infrangevano piano sulla riva. Kim osservava la vastità dell’acqua, come se non avesse mai visto nulla di più bello.
Improvvisamente presi con le mani chiuse un po’ d’acqua e la lanciai addosso a Kim. “Hey!” protestò lei sorridendo. Cominciammo a schizzarci d’acqua come due bambini. Eravamo entrambi buoni combattenti e finimmo col bagnarci tutti e due. Trascinai Kim fuori dall’acqua.
“Perché non facciamo un bagno?” chiesi.
“Si hai ragione! E’, tipo, il cliché dei cliché fare il bagno di notte al mare ” disse lei sfilandosi le scarpe.
Mi tolsi maglietta e pantaloni e Kim fece lo stesso. Nonostante sembrasse così poco femminile sotto i larghi abiti che indossava, forse anche a causa dei capelli tagliati corti, era molto bella. Era davvero magrissima, forse troppo, salutarmente parlando, però aveva un’eleganza che si trova raramente nelle persone. Inoltre le sue forme erano delicate ma sinuose, cosa che non si notava normalmente. La sua pelle era bianca come la neve e contrastava con i capelli nerissimi. Si lo so, sembra che sto descrivendo Biancaneve però … ci va molto vicino.
Corremmo verso l’acque e, quando ero arrivato più o meno alle ginocchia, mi immersi completamente. Nuotai un po’ e, quando tornai su, vidi emergere anche Kim.
“E’ stata una buona idea” mi disse nuotando.
“Già. Ho già fatto il bagno di notte al mare, è sempre bellissimo”.
“Io è la prima volta che vengo al mare” disse lei.
“Sul serio? Non ci sei mai mai mai venuta?” chiesi esterrefatto.
“Mai mai mai” confermò lei scuotendo la testa. “Andiamo dove non si tocca”.
“Dobbiamo stare attenti però a non perdere di vista il castello di sabbia dove abbiamo lasciato le cose” osservai dando un’occhiata alla riva.
“Ok”.
Ci avviammo sempre più in fondo e, ad un certo punto: “Io non tocco” disse Kim.
“Io si. Però solo con le punte”.
“Allora continuiamo”. Ci spingemmo ancora un po’ più in là, dove non toccavo. “E’ un po’ inquietante” disse Kim, “Siamo in mezzo al mare, dove non tocchiamo, e la corrente potrebbe spingerci ovunque. Potrebbero anche esserci dei pesci strani”.
Sorrisi. “I pesci non ti faranno nulla. Hanno più paura loro di te. E comunque siamo vicini alla riva, se la corrente si fa più forte possiamo sempre tornarcene indietro”.
“Se lo dici tu” disse Kim.
Ad un tratto si immerse e, sotto all’acqua, mi tirò per un braccio facendomi segno di scendere. Io mi immersi. Sotto l’acqua riuscivo a scorgere pochissimo la figura che era Kim. In superficie qual cosina si vedeva, grazie alla luce lunare, ma sotto non si distingueva quasi nulla. Sentii delle mani che mi cercavano e così presi quelle di Kim fra le mie. Sentii le sue mani che percorrevano le mie braccia e, lentamente, mi abbracciò. Il suo tocco era reso delicato dall’acqua. La strinsi anch’io e tornammo in superficie.
Senza smettere di abbracciarmi Kim disse: “Grazie per tutto quello che fai. Sei gentile”.

Kim
Mi sentivo al sicuro. Era molto strano. In genere non mi fidavo subito delle persone, mi ci voleva molto tempo per instaurare una vera amicizia. Però con Robert era diverso. Era talmente aperto, e a volte così ingenuo, tanto che sembrava un bambino. Non si poteva non fidarsi di lui. Era cristallino, un diamante.  
“Io …” disse Robert, “siamo arrivati in un punto dove tocco” disse guardandosi indietro.
“La corrente devi averci riportati indietro” dissi guardando oltre la sua spalla la spiaggia. “Ecco il castello di sabbia” dissi indicando un punto alla nostra destra.
“Ci siamo spostati” disse Robert. Sentii i piedi toccare qualcosa e, inizialmente, pensai fosse un pesce. “Tocco anch’io” dissi poi.
Robert si strinse ancora a me. Sentii che posava il viso nell’incavo del mio collo. Improvvisamente slacciò il nostro abbraccio, prese il mio viso fra le mani e mi baciò.
Fu improvviso. Fu immediato.
Intenso.
Caldo … poi finì.
Robert, veloce come prima, si staccò da me, lasciandomi andare il viso. Sembrava anche lui leggermente stupito di quello che era appena successo.
“Ah … scusa. Non dovevo. Forse hai anche un fidanzato, io non lo so”. Non mi guardava più in faccia e continuava a passarsi una mano sui capelli, appiattiti dall’acqua.
“Non ho nessun fidanzato, se è questo che ti preoccupa” dissi con un leggero sorriso, stringendomi nelle spalle, divertita dalla sua reazione. “Piuttosto sarebbe terribile scoprire che tu ne hai uno”.
“Un fidanzato?” chiese lui alzando lo sguardo, “No nessun fidanzato” disse sorridendo e scuotendo la testa. “Nemmeno una fidanzata, se lo vuoi sapere”.
“Anche se ce l’avessi non mi interesserebbe granché” dissi cingendo le spalle di Robert. Non erano esageratamente larghe. Aveva un fisico asciutto, non troppo muscoloso. Proprio come piaceva a me. Inoltre, aveva dei capelli fantastici, in fondo capivo perché continuava a toccarseli. Anche io lo avrei fatto se fossi stato in lui. “A proposito, tu non lo sai, ma anche questo può essere considerato un punto della mia lista” dissi.
“Ah invece lo so. Tutte le ragazze vogliono stare con Robert” disse lui posando le sue grandi mani sulla mia schiena e facendo aderire i nostri corpi.
“No, tutte le ragazze vogliono avere una passionale storia d’amore”.
“Aah” esclamò lui. “Capito” disse. Ancora, si avvicinò al mio viso e mi baciò.

Rob
Eravamo di nuovo sulla spiaggia. Dopo essere usciti eravamo andati a prendere le nostre cose e, in qualche modo, avevamo cercato di asciugarci. Ci eravamo rimessi i vestiti ma tutti e due avevamo delle chiazze di umido sul pantaloni e Kim anche sulla maglia.
Tornammo alla macchina, dove Kim segnò altri due punti sull’ormai famigerata lista e poi la lasciò sul cruscotto.
Ormai erano le due passate, ma c’erano alcuni negozi che ancora erano aperti. Si vede che quello era un posto per turisti. Trovammo un signore molto gentile che ci vendette una coperta, nonostante stesse ormai chiudendo il negozio, e tornammo in spiaggia. Stendemmo la coperta a terra e ci sdraiammo. C’erano un sacco di stelle in cielo, per quanto non ci facessi molto caso in quel momento, sentendo affianco a me la presenza di Kim. Mi sentivo come se fossi alla mia prima cotta adolescenziale.
Restammo così sdraiati a parlare guardando il cielo. Dopo un po’, quando la gente fu del tutto sparita, mi girai di lato e poggiai una mano sul ventre di Kim. Mi chinai a baciarla ancora una volta.
Era come se fosse la prima volta che facevo cose del genere. Mi sentivo agitato e il mio cuore batteva così forte che pensavo sarebbe scoppiato.
Kim mi guardava negli occhi. Mi passò delicatamente una mano sul viso, sfiorò i miei occhi chiusi, le mie labbra e arrivò al petto. Poi, con tocco delicato, mi sfilò la maglia. Improvvisamente, non so bene come, mi ritrovai sotto di lei. Le sfilai a mia volta la maglietta ancora umida, ricominciando a baciarla. Improvvisamente mi ricordai che eravamo in spiaggia.
Presi un lembo della coperta e lo portai sopra di noi.
Restammo intrappolati lì dentro. C’era buio, frenesia e ansiti. E faceva anche parecchio caldo.




Ed ecco il quarto capitolo. Un po' corto, lo so. Aspettate frementi, mi raccomando, perchè nel prossimo capitolo scopriremo che cosa nasconde Kim, il motivo della sua lista! Andare a vivere fuori New York? Che cavolata! La lista ha un significato ed uno scopo ben preciso! Ed ora, i recensitori:

Satyricon: hey grazie mille per i complimenti! Sono contenta che la mia fic sia divertente. ^^ B'è, ovviamente  Kim nasconde qualcosa, altirmenti che fic sarebbe? :D Come ho già detto, aspetta il prossimo capitolo per scoprire di che cosa si tratta. Al prossimo capitolo! ^^

Nymph: grazie mille per la recensione e i complimenti. A dir la verità non so a chi di preciso mi sono ispirata per il personaggio di Kim, ma se dovessi dire a chi somiglia di più, direi che somiglia al personaggio di Juno (che potrai conoscere nel film intitolato, appunto, Juno). Poi, b'è, devo ammettere di aver messo molto di me nel suo personaggio, sia per quanto riguarda il carattere che i suoi gusti e le sue particolarità, anche se le ho un po' ingigantite per farle adattare meglio ad una storia. Spero di essere stata esauriente ^^ ciao e grazie ancora!

Xx_scritrice88_xX: i tuoi dubbi verranno chiariti ma non cantare vittoria troppo presto! Quello che Kim ci svelerà nel prossimo capitolo è una cosa molto triste, anche se non definitiva. Mamma mia quanto sono enigmatica! XD Ora vado a nascondermi, nel caso Rob stia venendo a cercarmi con un coltello per averlo pure fatto bagnare nell'oceano! XD Anche se, diciamolo, dovrebbe ringraziarmi per quel che gli ho fatto fare in questo capitolo. Ma che poVcello! XDD

ilachan89yamapi: he lo so la lista sarebbe d'obbligo. Te scherzi ma anche io ho la mia lista delle cose da fare almeno una volta nella vita! ^^ Realizzare quelle cose è sempre molto divertente, e anche molto stupido! Ma con gli amici ci si diverte a fare cose stupide, no? Grazie per la recensione ^^

E ora un grazie a tutti coloro che hanno messo la fic fra i Preferiti e le Seguite. Siete molti più di quanti mi aspetassi. Se devo essere sincera non credevo che BOOM! avrebbe avuto tutto questo successo! Grazie mille ragazzi, davvero, siete magnifici! ^^
Un sincero grazie by
Patty.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque: nel quale si canta e si dipinge. ***


Capitolo cinque: Nel quale si canta e si dipinge

Kim
“Forse dovrei dirti una cosa” dissi a Rob mentre, stretta al suo petto, mi accarezzava i capelli.
“Cioè?”.
“Secondo te questa è, tipo, la storiella estiva di due persone che si annoiano? Guarda che devi dire la verità, non devi dire di no solo per farmi piacere” dissi alzandomi sui gomiti.
Ci pensai davvero. Ci pensai per diverso tempo. Alla fine giunsi alla conclusione: “No. Non direi proprio. Non dico di essere innamorato di te, però mi piaci. Tanto. Potrei innamorarmi, anche se questo mi è capitato una volta sola in tutta la vita”.
Presi fiato. Questa cosa non l’avevo detta a nessuno tranne che ai più cari amici, e ovviamente anche la famiglia lo sapeva. “Ho fatto la mia lista l’altro giorno, appena dopo aver finito di fare degli esami. Dovranno darmi il risultato fra” contai sulle dita, “cinque giorni ancora”.
Robert si era fatto serio. Non capiva ancora quello che dicevo, ma con una premessa del genere non poteva che essere una cosa brutta. “Ho fatto quella lista” deglutii, ricacciando sul fondo dello stomaco un groppo che mi si era incastrato in gola “nel caso i risultati degli esami siano stati, insomma, pessimi. Ora … se mi dici che quello che abbiamo fatto non è stata una cosa così, allora …”.
“No. No non lo è stata” disse Robert mettendosi seduto di scatto. Mi coprii con la coperta e mi sporcai un po’ di sabbia. Mi sentivo il cuore in gola.
“Non è vero che devo andare a vivere fuori New York” dissi guardandolo negli occhi. “Ho il cancro”.

Rob
Non riuscivo a parlare. Non riuscivo nemmeno a capire di cosa stavamo parlando.
Il mio cuore aveva smesso di battere per un po’. Le mie viscere erano sparite, mi sentivo svuotato di tutto. Senza cuore, senza stomaco, senza cervello. Solo un guscio.
“Che cosa?” chiesi, e tutto mi ritornò dentro con violenza.
“Non farmelo ripetere” disse Kim. Ovviamente non avrei voluto risentirlo.
Restammo in silenzio.
Ma perché appena trovavo qualcuno con cui volevo stare, con cui mi trovavo bene, doveva succedere questo? Significava che c’era poco tempo? Probabilmente Dio non mi amava. Mi aveva dato qualcosa di bello, qualcosa per cui valeva veramente la pena svegliarsi la mattina, e me lo portava via così, subito. Come dandomi un assaggio di dolce per poi strapparmelo dalle mani.
Presi una decisione. Forse per me, per il puro egoismo di poter stare ancora con Kim. Forse per lei, per aiutarla.
Mi alzai, cercando maglietta e pantaloni. Kim mi osservava in silenzio, vagamente dispiaciuta. “Non fare quella faccia.” dissi, “Guarda, è l’alba. Non volevi camminare sulla spiaggia all’alba?” chiesi risoluto. Volevo essere naturale. Certo, non potevo fare finta che non fosse successo nulla, ma non volevo sprecare un attimo. Mi inginocchiai di fronte a Kim. “Non perdiamo tempo, ok?” dissi guardandola negli occhi. Tutti e due sapevamo bene a che cosa mi riferivo ma preferivamo non dirlo ad alta voce.
“D’accordo” disse lei sorridendo.
Era l’alba. Camminammo lungo la riva osservando il sole, che si rifletteva sull’acqua dell’oceano. Era un momento di calma apparente. Sembrava che non dovesse succedere nulla di più. In effetti era già successo di tutto.
La calma dopo la tormenta. Era qualcosa di surreale.
“Come … quando l’hai scoperto?” chiesi con una voce strana.
“E’ stato cinque anni fa” disse Kim come se stesse parlando di quando era andata a comprare la frutta al mercato. “Quando mi sono ammalata a casa c’erano solo mio fratello e mio padre. In realtà io abito in America, sono venuta qui solo sotto consiglio del mio medico, tipo … più di un anno fa. Ho fatto una cura e sono quasi guarita ma il cancro si potrebbe sempre presentare di nuovo. Gli esami li ho fatti per vedere se è guarito del tutto. Mi hanno chiaramente detto che se la malattia c’è ancora potrei … avere poco tempo”.
“Ma … forse un’altra cura. Hai detto che sei quasi guarita” azzardai.
“Si lo so. Ma non mi va di fare un’altra chemio”. Alla parola chemio sussultai. Sembrava peggiore la malattia se si parlava di chemio. Kim continuò imperterrita: “Piuttosto di stare sempre negli ospedali e non guarire mai preferisco stare fuori, anche se per poco, e fare quello che voglio io”.
“Vivere la vita è quello che dobbiamo fare in fondo. Forse è una scelta giusta” dissi molto filosoficamente.
“Ma chi sei, Aristotele? Da dove ti escono?”.
“Dal …” cominciai, ma Kim mi fermò.
“Zitto. Non dirlo. Rovineresti l’alba” disse schiacciandomi una mano sulla bocca.

Kim
“E ora cosa facciamo?” chiese Robert.
“Ora gli insegniamo il tuo nome” dissi cercando di accarezzare sulla testa il pappagallino.
“Perché il mio?”.
“E’ più corto” dissi eloquentemente.
“Potremmo insegnargli a dire solo Kim, o Rob”.
“Vediamo” dissi inginocchiandomi per trovarmi alla stessa altezza del pennuto. Mi guardava in modo intelligente, di sicuro sarebbe riuscito a capire subito di cosa parlavamo.
Eravamo in uno zoo. Io non ci ero mai stata a causa delle cure, ma era sempre stato un mio sogno fin da bambina e, ovviamente, dovevo farlo prima o poi. Appena glielo avevo detto Robert si era ingegnato per trovare uno zoo il più vicino possibile. In quel momento eravamo lì, di fronte ad un pappagallo colorato, e volevamo insegnargli i nostri nomi.
“Kim” dissi al pappagallo. Quello non profferì parola, né diede segno di aver capito alcunché. “Dove ce le hanno le orecchie i pappagalli? Io non gliele vedo”.
“Le avrà più o meno dove le abbiamo noi” disse Robert abbassandosi a osservare l’animale, che piegò di scatto la testa.
“Non è detto. Le cavallette le hanno sull’addome” dissi.
“Ma di sicuro lui no”.
“Riproviamo. Kim!” esclamai. Il pappagallo si rifiutava. Ci prendeva in giro osservandoci con un vago sorriso e sfidandoci a farlo parlare. Pensava di essere al sicuro solo perché fra noi e lui c’era una gabbia.
“Rob!” tentò Robert.
“Rob” dissi io. “Rob, Kim. Kim, Rob!”.
“E dai!” esclamò Robert. “Non è così difficile. Parla … ok, che cosa vuoi in cambio?”.
“Vive in uno zoo, ha tutto quello che gli serve” obbiettai.
“Ha uno sguardo troppo intelligente per essere un pappagallo. Di sicuro vorrà qualcosa da noi” disse Rob guardando malevolmente il pennuto che, per tutta risposta, fece schioccare il becco.
Riprovai: “Rob!”.
E Robert disse: “Kim!”.
Quindi, ormai arresosi al nostro comando, egli parlò: “Rob! Kim!” disse con voce gracchiante. Dopo due secondi: “Rob! Kim!”.
“Si!” esclamai voltandomi verso Robert. Lui mi diede un grosso bacio sulla bocca e sorrise. Restammo ancora un po’, finché il pappagallo non disse: “Rob! Ha un pooorro sul naso! Rob!”. Quindi Robert si volle allontanare.
“Era carino” obbiettai mentre lui mi trascinava via.
Visitammo tutto lo zoo e comprammo in due una porzione maxi di zucchero filato rosa.
La gabbia più bella era quella della tartaruga che si chiamava Mzee. Era australiana e stava nella gabbia con un cucciolo di ippopotamo che aveva perso la mamma, e ora erano diventati amici. Tutte queste cose ce le disse il custode. Se portavano via Mzee il cucciolo si arrabbiava e non mangiava più, così avevano deciso di lasciarli assieme.
“Da grande lavorerò in uno zoo” dissi convinta.
“Starai in una gabbia?” mi chiese Rob.
“Sarebbe anche meglio di quello che spero io. Tipo in quella di Mzee, o delle tartarughe marine”.
“Io starei in quella degli elefanti”.
“Ti piacciono gli elefanti?” chiesi.
“Veramente mi piacciono di più le pantere, ma non starei mai in gabbia con loro. Per … ovvi motivi” precisò Robert.
“Se gli elefanti sapessero che sono solo un ripiego si arrabbierebbero a morte con te”.
“Non glielo dire allora” disse lui cingendomi la vita con una mano.
Tornammo a casa di Robert solo verso le quattro di pomeriggio. A metà strada lui insistette per fermarsi in un colorificio e, quando tornò indietro, aveva con sé diversi fogli, matite, pennelli, tempere, acquarelli, pastelli, di tutto!
“E’ per il disegno che mi hai promesso” disse rispondendo al mio sguardo indagatore.
“D’accordo. Però così mi fai venire voglia di disegnare” obbiettai.
“E tu disegna”.
“Farò il tuo ritratto, però poi ho voglia di cercare un bel paesaggio e dipingerlo”.
“Ah come fanno vedere nei cartoni animati? I pittori francesi coi baffetti, la maglietta a righe e il cappellino che dipingono per strada?”.
“Esatto!” dissi io.
“E a che posto pensavi?” mi chiese mentre ci avviavamo verso casa.
“Non ne ho idea. Però non credo che ci siano tanti paesaggi qui in città, vero?”.
“Dovremmo uscire da Londra per trovare un paesaggio. Andare in campagna. Però conosco un bel posto qui vicino, ti ci porto. E’ vicino al fiume”.
“Ma è in piena Londra?”.
“Si però … non puoi capire finché non lo vedi. Non ti fidi del mio giudizio artistico?” chiese indignato.
Sorridendo dissi: “Mi fido”.
Quella sera Robert si sedette, in modo così semplice e naturale, al tavolo della cucina. Aveva una mano poggiata sul legno del tavolo e teneva con le dita il ritmo di una canzone che non conoscevo. Con l’altra mano si sosteneva la testa, voltata verso di me. Aveva un leggerissimo sorriso, quasi non si notava. Era ancora migliore di quello della Monna Lisa. Dava luminosità al suo viso in modo impercettibile però ero sicura che se non ci fosse stato il suo volto sarebbe cambiato completamente.
“Non mi è venuto molto bene” commentai quando ebbi finito. “Ho messo un paio di ombre solo su di te, il resto è bianco”.
“Vediamo” disse allungando una mano. Gli porsi il disegno. Restò a guardarlo per lungo tempo. “Ti è venuto bene. Però pensavo che … sono io ad avere bisogno di un ritratto tuo, non il contrario”.
“E’ come se ci fossi perché l’ho fatto” protestai. “Aspetta” dissi riprendendomi il disegno. Quando glielo restituii ci avevo scritto in basso a destra il mio nome e una dedica:

A Robert.
Grazie per essere una persona così
diversa e uguale a me.
Ricorda di dimenticarmi
In fretta.

Robert lesse. Poi si alzò e mi abbracciò.
“Anche con tutta la buona volontà … sarebbe difficile dimenticarmi di te” disse stringendomi così forte che avevo paura di sentire male.
“Il mio egocentrismo è molto felice” dissi.
“Adoro il tuo egocentrismo” disse sciogliendo l’abbraccio e sorridendo. “Tutti vogliono sempre far vedere il loro lato migliore, però è meglio non fingere”.
“Sai” dissi pensierosa, “credo che tu non lo faccia. Non ne sono sicura, però mi sembri la persona più sincera che abbia mai conosciuto. A parte dei vecchi amici, forse”.
Robert mi condusse nella sua stanza, mentre il cane ci ballava fra i piedi. “Ti piace?” chiese accendendo la luce.
“Carina. Hai un chitarra, suoni?” chiesi, vedendo la chitarra classica poggiata in un angolo.
“Da un bel po’”.
“Posso sentire?”.
“Mi pare il minimo. Tu mi hai fatto un disegno, dovrò pur ricambiare” disse prendendo lo strumento e sedendosi sul letto. Io mi misi di fronte a lui.
Cominciò a pizzicare le corde in modo così calmo che le note sembravano uscire da qualche altra parte. Chiusi gli occhi e mi stesi. La melodia era così dolce che non ci si poteva non rilassare. Il mondo era sicuramente fermo in quegli istanti. Tutti stavano ascoltando. Come non avrebbero potuto? Improvvisamente, ma così delicatamente che era perfetto, Robert iniziò a canticchiare. Non erano parole, solo un suono regolare proveniente dalla sua gola, talvolta grave, talvolta acuto. Finì piano, come era iniziato.
Sentii la chitarra posata a terra e poi Robert, che si sdraiava accanto a me e poggiava il viso al mio ventre.
Ad un tratto mi alzò la maglietta e cominciò a darmi piccoli baci e morsetti.
“Credo seriamente che tu abbia qualche problema con il cibo se tratti le tue fidanzate allo stesso modo di una bistecca” dissi.
“Le altre no, solo tu. Hai un’aria appetitosa”.
“Che doppio senso”.
“C’e l’ho messo apposta” replicò lui. Si allungò lungo il letto e spense la luce, per tornare a tormentare il mio corpo, ormai schiavo delle sue carezze.

Rob
“Ecco qua” dissi indicando fieramente l’albero.
“Wow, ma è bellissimo!” disse Kim sorridendo e stringendo il cavalletto.
Eravamo sulle rive del Tamigi. Quello era un posto che mi piaceva molto. Non c’era nulla nel raggio di un kilometro circa, tranne questo ciliegio. Stava lì tutto solo accanto all’acqua, però era molto suggestivo.
Kim cominciò a gironzolare per trovare l’angolazione adatta per dipingere. Ero molto curioso di sapere come sarebbe venuto il quadro. Forse non lo avrebbe dipinto tutto in un giorno, anzi, probabilmente non lo avrebbe fatto, però la curiosità mi uccideva.
Purtroppo c’era una cosa che dovevo fare.
“Io vado” dissi a Kim. Lei si voltò verso di me. Improvvisamente lasciò a terra tutto quello che aveva in mano e mi corse incontro. Mi si gettò addosso con tale slancio che indietreggiai di almeno un metro. Mi scoccò un bacio sulla guancia e poi se ne andò.
Rimasi per un secondo folgorato. Come uno scemo che non capisce nulla mi arrampicai sulla strada, dove c’era Greg con la macchina ad aspettarmi. Per la prima volta in tutto il tempo che lo conoscevo lui sorrise e mi aprì la portiera.
“Dove la porto signore?” chiese una volta entrato, tornato quello serio -e un po’ inquietante- di sempre.
“Alla prima libreria che trovi” dissi.
“D’accordo signore”, e mise in moto. Credo che Greg fosse stato un agente della CIA, o magari dell’FBI; forse mi faceva da autista solo come copertura. Ma perché mi faccio i viaggi?
Comunque … fu più difficile di quanto pensassi. Avevo dato un’occhiata alla lista di Kim e avevo visto il titolo di un libro: Racconti sparsi che ho trovato in soffitta. L’autore non c’era scritto. Kim mi aveva raccontato che aveva iniziato a leggerlo, poi l’aveva perso (solo lei poteva farlo). Quindi mi ero messo alla ricerca del libro.
Ci misi più di un’ora e, quando lo trovai, ero dall’altra parte della città. Lo feci incartare dalla commessa e uscii dal negozio.
Appena messo piede fuori mi scontrai con qualcuno.
Tipico. Sempre a me succedono queste cose. Credo di essere predestinato, o qualcosa del genere: se c’è qualcosa di strano, come Kim, o di pericoloso, come mio padre quand’è incazzato, state sicuri che mi troverà. Devo fare molta attenzione quando cammino per la strada, o forse sono solo paranoico.
“Kristen! Che ci fai qui?” dissi osservando meglio la ragazza che mi stava di fronte.
“Ciao. Sono a casa di alcuni amici, per le vacanze” disse lei stupita.
“Come stai? Da un po’ che non ci vediamo” dissi raccogliendo una borsa che le era caduta nello scontro.
“Tutto bene, si. E tu?”.
Sbuffai. “Potrebbe andar meglio”.
“E’ successo qualcosa?” mi chiese vagamente preoccupata e incuriosita.
“Mah, si … una tipa”. Non mi andava di raccontare quello che era successo, in fondo erano affari di Kim.
“Ah” disse Kristen con un mezzo sorriso. “Capito. E’ per lei?” chiese indicando il libro impacchettato.
“Si” dissi passandomi una mano fra i capelli. Recentemente mi accorgevo di quando lo facevo.
“Sai, mi ha telefonato Nikki, vuole che facciamo una specie di rimpatriata prima di iniziare Eclipse. Avevo idea di chiamarti appena tornata a casa” disse.
“E per quando?”.
“Nikki diceva domani sera. In una trattoria che conosce. Tu vieni?”.
“Hemm …”
“Puoi portare anche … la ragazza dei tuoi pensieri” disse.
“Posso? Non saremo solo noi?” chiesi.
“No, figurati. Ci saranno un po’ di persone in effetti. Nikki ha detto a tutti di invitare qualcuno, se vogliono”.
“Ah bene. Allora dove? A che ora?” mi informai.
“Ti spiego. E’ un posto un po’ complicato da raggiungere …”.
Quando tornai erano quasi le cinque. Prima di arrivare chiamai Kim, per essere sicuro che fosse ancora lì. La raggiunsi sulla riva del fiume e osservai il dipinto. Praticamente c’era solo il ciliegio dipinto a macchie nervose e veloci, e una piccola porzione di fiume ed erba. Non era male.
“Hey ciao. Fa molto stile impressionista” dissi apparendo dietro di lei e poggiandomi sulla sua spalla. “E a te piace com’è venuto?”.
“Abbastanza. Lo sai, forse potrei considerare anche questo un punto della lista”.
“Potresti?”.
“In realtà volevo fare tipo un murales, ma questo è meglio”.
“Se va bene a te … ti ho preso un regalo” dissi poggiandole sulle ginocchia il pacchetto.
“Wow grazie” disse. “Adoro spaccare la carta” e così dicendo strappò l’involucro colorato. “Cos’è? Oh … bellissimo!” disse spalancando gli occhi. “Grazie” mi disse voltandosi e dandomi un bacio.
“Figurati. Mi è ci è voluto un sacco per trovarlo, sai? Dov’eri arrivata?”.
“Quasi a metà” disse.
In macchina, con l’agente Greg, Kim cercò il punto del libro dov’era rimasta. Speravo che sarebbe riuscito a finirlo.
“Ah, a proposito” dissi ricordandomi improvvisamente di Kristen. “Mi hanno invitato ad una cena, domani sera. Andiamo?”.
“E’ una cena per star del cinema?” chiese Kim.
“Più o meno. Nel senso che ci saranno delle star del cinema, però ci saranno anche altre persone” chiarii.
“Ok, andiamo. Ci potrà essere qualcuno che conosco?”.
“Non lo so. Forse potresti conoscere … Nikki Reed?” tentai.
“Si! Si certo che la conosco! Ha fatto un film bellissimo, si chiama Lords of Dogtown. E’ un film …”
“L’ho visto” la interruppi. “Perché l’ha fatto la stessa regista che diretto Twilight, quindi ero curioso”.
“Davvero? Dovrò vederlo questo film: Twilight. Quando è uscito sapevo che c’era, solo che tutti ne parlavano allora lo odiavo”. Mi uscì un suono fra una sbuffo e una risata. “Non puoi immaginare. Ovunque mi girassi sentivo parlare di quello. Perciò mi sono rifiutata di guardarlo”.
“B’è io non lo guarderò certo con te. Sarebbe brutto guardare con qualcun altro un film dove ci sono io. E poi faccio la parte di un morto vivente un po’ emo”.
“Ma non l’hai visto?” chiese lei incredula.
“Si, ma solo alla prima. Poi basta” precisai.




Ed ecco svelato il misterioso mistero! Allora, vi dico subito di non arrivare a conlusioni affettate: ci sono buone probabilità di sopravvivenza come di ... morte imminente! Mhuahahah! No, ok, che cattiva che sono.
Un paio di appunti: le cavalette hanno davvero le orecchie ai lati dell'addome; Mzee la tartaruga e il cucciolo di ippopotamo esistono davvero (solo che stanno in Australia mi pare, e l'ippopotamo ha perso la madre nello tzunami avvenuto qualche anno fa, suppongo lo ricordiate tutti).
Poi, qui vediamo Kim disegnare, non volevo che fosse un genio, quindi diciamo solo che è molto brava a disegnare.
La parte che volevo tanto dire: Greg l'autista doveva essere solo una comparsa, ma è tanto simpatico! XD
E infine, spero di non aver fatto arrabbiare qualche emo a bestia o qualche Twilight fan convinto con la battuta del vampiro emo. E' tutto.

Satyricon: grazie per i complimenti. Mi dispiace ma riguardo a Kim è così, vedremo cosa accadrà in seguito. Grazie mille comunque, ciao! ^^

ilachan89yamapi: che ne dici del Robert triste version, o Rob che vuole corrompere il pappagallo? XD Grazie della recesione ^^

Xx_scritirce88_xX: ta-daaan! Il mistero è svelato. Spero di non essere caduta nel banale o nel troppo triste, che dici?

Nymph: in effetti non ci vuole molta fantasia. Una lista di cose da fare prima che accada qualcosa d'importante! Ma che cosa potrebbe essere in una fic? XD Tanto così, per curiosità: per la storia in generale mi sono ispirata ad un film molto bello con Jack Nicholson e Morgan Freeman che si chiama Non è mai troppo tardi.

Grazie a tutti i lettori e chi ha messo la fic fra preferite e seguite (siete così tanti *O*). Al prossimo capitolo,
Patty.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei: nel quale si va a trovare una persona cara. ***


Capitolo sei: Nel quale si va a visitare una persona cara

Rob
“Guarda che non devi essere così formale” dissi aspettando fuori dal camerino di un negozio.
“Non è per essere formale, gli abiti formali sono scomodi. Però almeno vorrei avere dei vestiti nuovi”.
“Come preferisci. Vediamo” dissi aprendo un po’ la tendina del camerino.
“Ma si, va bene” osservò Kim guardandosi allo specchio. “Questa cosa non fa molto film americano per teenager?” chiese poi.
“Questa cosa, cosa?”.
“Questo andare per negozi e provare vestiti, andare ad una cena con gente famosa, bella, ricca eccetera eccetera”.
“Può darsi. Molte persone sarebbero felicissime di venire a cena con me”.
“All’inizio magari. Poi scoprirebbero tutti i tuoi difetti” disse Kim ridacchiando.
“Si … però allora è così con tutti, perché tutti abbiamo difetti” precisai.
“E’ vero. Però … io adoro quando ti passi la mano fra i capelli, anche se è un vizio. Vorrei essere la tua mano per poter affondare nei tuoi capelli” disse sorridendo e togliendosi camicia e jeans.
“Giusto, anche a me piace il fatto che tu dica sempre tipo in ogni frase di senso compiuto”.
“Ah lo so che lo faccio. Però devo smettere”.
Alla fine comprammo davvero poco, Kim non era una che perdeva tempo in shopping. Ringraziai il cielo per questo.
Tornati a casa pianificammo il prossimo punto da compiere nella lista. Telefonammo da ogni parte per avere a disposizione, per noi, in qualunque parte dell’Inghilterra, una mongolfiera. Anche io in effetti trovavo bello farci un giro, anche se era stata un’idea di Kim. Non trovammo nulla, però non ci perdemmo d’animo e decidemmo di cercare ancora.
Nel frattempo, fra una cosa e l’altra, arrivò sera e ci preparammo per uscire.
Eravamo, ovviamente, in orario, dato che Kim aveva insistito per uscire quasi un’ora prima a causa del traffico (ma secondo me era perché non voleva assolutamente arrivare in ritardo).
Restammo davanti al ristorante per un po’ finché, dopo cinque minuti, non vedemmo arrivare un nutrito gruppo di persone. Kim non me l’aveva detto, però si vedeva che era agitata.
“Hey tranquilla … capito?” le dissi dandole un bacio sulla fronte.
“E’ che … sono i tuoi amici. E se non gli sto simpatica?” chiese osservando la gente che arrivava.
“E allora? E poi è impossibile che tu non stia simpatica nemmeno a uno di loro. Sono almeno una ventina, non sarai un caso così disperato”. Per quella mi beccai un pugno sul braccio. “Comunque io, fossi in te, mi preoccuperei di più del mio abbigliamento”.
“Perché?” chiese Kim stupita.
Considerando che stavamo per entrare in un ristorante quasi di lusso Kim era un po’ fuori luogo: portava una gonna lunghissima arancione che faceva molto hippy e una camicia bianca da uomo con un laccio sul davanti per adattarla meglio al suo corpo minuto. D'altronde neanche io ero un esempio d’eleganza: portavo solo una delle mie solite camicie a quadri (che Kim aveva detto mi davano l’aspetto di un forte boscaiolo) e jeans.
Quando tutti arrivarono ci furono i soliti saluti e le presentazioni. La cena fu piacevole. Mi ritrovai seduto fra Kim e Kristen, poteva essere imbarazzante, dato che un po’ di tempo fa mi era venuta una cottarella per Kristen, invece fu tutto normale.
“Allora Kim? Lavori o stai studiando?” chiese Kristen addentando in modo famelico una bistecca.
“Ho appena finito l’accademia di Belle Arti, quindi adesso penso che andrò alla ricerca della fortuna come artista squattrinata”.
“L’arte non è una cosa poco sicura? E se non sfondassi?”.
Da come l’aveva detto sembrava un po’ una critica. Infatti capii che Kim era combattuta su come rispondere. Alla fine optò per un: “Guarda, un tovagliolo a forma di fiore!”. Forse questa è la cosa migliore da dire quando non vuoi rispondere male, anche se ovviamente non serviva a deviare il discorso. Con il senno di poi mi dissi che solo Kim poteva dire una cretinata del genere.
“Robert hai una cosa sul naso” disse Kim strofinandomi un dito addosso. “E’ una ciglia. Dicono che se esprimi un desiderio stingendo forte una ciglia fra due dita si avvera”.
“Sul serio? Dammi qua” dissi cercando di riprendermi la mia ciglia.
“Ma l’ho presa io” protestò Kim.
“Si ma la ciglia è mia, faceva parte di me” dissi. “Facciamo così: teniamo la ciglia fra un mio dito e un tuo dito”.
“Ok”.
Posai il mio indice su quello di Kim, dove c’era la ciglia. Non pensai veramente al mio desiderio, invece osservai Kim. In fondo era lei il mio desiderio in quel momento, quindi cosa c’era di meglio che guardarla? Quando finimmo la ciglia rimase attaccata al mio dito, così la soffiai via.

Kim
“Cosa fate domani?” chiese Kristen. Quella ragazza aveva qualcosa di simpatico e di antipatico al tempo stesso, però era divertente.
“Domani … oh, dobbiamo assolutamente trovare qualcuno che ci porti a fare un giro in mongolfiera” risposi.
“Avete già trovato?”.
“Veramente no. Proprio niente” disse Robert.
“Allora aspettate. Chiamo un mio amico, ha una mongolfiera, vive a una decina di kilometri da Londra. E’ un problema?”.
“Assolutamente no” disse Robert. “No vero?” mi chiese.
“No” dissi.
“Aspettate qui” disse Kristen. Si alzò e si diresse al bagno, per parlare al cellulare senza il borbottio di fondo della sala gremita di gente. Poco dopo tornò, un sorriso stampato in volto. “Fatto. Domani alle dieci da questo mio amico. Vi spiace se vengo anche io insieme a voi? Solo per andare a trovarlo”.
“Ma certo non c’è problema” dissi subito.
“E’ un amico di famiglia, lo conosco da quando ero piccola”.
“Anche io voglio avere un amico di famiglia che ha una mongolfiera” mi lamentai.
“Io voglio avere un amico di famiglia che mi presti tutti i suoi cd” disse Robert.
“Hai già un sacco di cd” gli feci notare.
“Ma ne voglio di più” disse lui come se fosse la cosa più ovvia.
Il giorno dopo, assieme a Kristen, andammo fuori città, verso le campagne dove non c’praticamente nulla. Era un bel posto comunque. Arrivammo in un paesino piccolissimo e, dopo averlo sorpassato, all’ultima, la più piccola, lontana, nascosta casuccia … ci fermammo.
Dietro alla casa c’era un cortile enorme, da dove spuntava un pallone rosso fuoco. Che bello!
Kristen scese, andando a salutare questo signore dall’accento francese con una folta barba bianca e una ragazza che doveva avere più o meno la sua stessa età (o forse era un po’ più grande). Il signore, Henry, disse che ci avrebbe offerto la colazione, dato che eravamo arrivati con almeno un’ora di anticipo e, quando Robert disse che avevamo già mangiato, lui esclamò: “Non importa! La colazione è il pasto più importante della giornata, è meglio farne due!”.
“Se è così allora …” dissi entrando in casa scoccando un occhiata a Robert, che guardava il signore divertito.
Fu la colazione più calorica e buona di tutta la mia vita! C’erano creps da spalmare con la nutella, torta, pan di spagna. Da bere succo, latte, caffè o addirittura cioccolata calda (in realtà non era pronta, ma la moglie di Henry, Camille, si offrì di prepararcela). Alla fine ero pienissima.
“Dov’è il bagno?” chiesi alzandomi.
“In fondo al corridoio sulla sinistra” disse Camille.
“Io vado a preparare la mongolfiera” disse Henry alzandosi.
Mi incamminai al bagno ma, poco dopo, mi accorsi che Robert mi seguiva. “Ciao” dissi. “Da quanto tempo che non ci vediamo”.
“Già … volevo sapere solo, stai bene?” mi chiese.
“Si. Tutto a posto, perché?” chiesi stupita.
“No, per sapere” disse lui. In quel momento intravidi Kristen nel corridoio.
“Non ti preoccupare. Va’ via” dissi spingendolo lontano dal bagno.
In effetti Robert aveva visto giusto, non stavo troppo bene. Però poteva anche essere dovuto a qualcos’altro. Mi sciacquai la faccia con calma, mi asciugai e sistemai i capelli. Ormai erano cresciuti dall’ultima chemioterapia, però erano tutti sparati in diverse direzioni. Ma preferivo tenerli così: meglio averli disordinati che non averli del tutto. E poi non mi andava di andare dalla parrucchiera, ogni volta che ci andavo mi annoiavo a morte e non vedevo l’ora di andarmene.
Uscii dal bagno.
In fondo al corridoio c’era Kristen premuta contro Robert (premuto contro il muro) in un bacio a dir poco mozzafiato.
Mi paralizzai per un istante. Il respiro mi divenne difficile e mi si cominciava a formare un groppo in gola. In quell’istante Kristen si staccò da Robert e mi guardò. Anche lui si voltò, con una faccia un po’ sconvolta.
Nei pochi nano-secondi che avevo cercai di riprendermi, facendo un forte respiro.
Cominciai a camminare per uscire di casa e, ovviamente, Robert cominciò: “Kim, un attimo. Non ho iniziato io”.
“Ovviamente. Kisten è talmente forte da averti arpionato al muro e quasi ucciso con la sua saliva” dissi uscendo in salotto.
Raggiunsi in fretta la mongolfiera, prendendo al volo la mia borsa. Salii nella cesta di vimini dove io ed Henry avremmo viaggiato. Dietro di me venne Robert ma, prima che potesse salire, dissi ad Henry: “Parti”.
Lui mi guardò interrogativo. Nel frattempo Robert si stava per arrampicare sulla cesta.
“Lui non viene” dissi staccando la sua mano dalla mongolfiera. Senza aggiungere altro Henry tolse le corde che tenevano la mongolfiera legata a terra.
Mentre ci alzavamo, sentendo l’aria scorrere sul volto, guardavo Robert, che mi osservava per metà stupito e per metà dispiaciuto (e forse anche per un quarto arrabbiato). Lo salutai con la mano e sorrisi debolmente.
“Dove ti porto?” mi chiese Henry.
“Potresti arrivare fino a qui?” chiesi, ricordandomi improvvisamente di avere una cartina dell’Inghilterra nella borsa.
“Agli ordini signorina” disse lui osservando il punto indicato dal mio dito.
Viaggiammo per delle ore. Nel frattempo ebbi il tempo di pensare.
In fondo stavo realizzando quello che volevo. E poi quella era la MIA lista di cose da fare. Non la lista delle cose da fare CON ROBERT. Al diavolo! Quella sera sarei passata a prendere le mie cose e sarei sparita.
Era bello viaggiare in mongolfiera. Si poteva vedere tutto dall’alto, le persone erano piccole come formiche. Mi sentivo parte del mondo come non mai nel vedere tutti quei paesaggi magnifici, ma nel contempo, guardando le forme di vita che si agitavano giù in basso, mi sentivo distante da loro. Era una sensazione stranissima.
Alle quattro e mezza del pomeriggio circa, arrivammo dove volevo essere.
“Dove ti lascio?” chiese Henry.
“Vediamo …” strinsi un po’ gli occhi per individuare il posto dove volevo andare, “Lì!” dissi indicando un punto ben preciso.
“Li?” mi chiese Henry.
“Devo vedere una persona” spiegai.
“Capisco” disse sorridendo. Atterrammo con un sobbalzo che mi fece reggere forte alle corde della mongolfiera, ma che per Henry non fu altro che un piccolo sbuffo. Sbarcai e lo ringraziai.
“Grazie mille. Quanto ti devo?”.
“Nulla, figurati. Mi ha fatto piacere portarti qui”.
“Grazie. Non devi restare per portarmi indietro, preferisco fare da sola. Ah … se quando arrivi c’è ancora Robert digli pure di tornare a casa”.
“D’accordo”.
“Ciao Henry”.
“Ciao” disse lui, e alzò il fuoco per far volare il pallone.
Camminai affianco alle lapidi grigie ben allineate. Alla fine trovai quella giusta. Mi sedetti a gambe incrociate e posai la borsa. Tirai fuori la lista e cancellai due punti.
“Hai visto ma’? Mi manca solo finire di leggere il mio libro. Sono anche riuscita a venire a trovarti, visto?”. Rimasi un po’ in silenzio, di fronte alla tomba di mia madre.
Un tremolio mi percorse la schiena. “Alla fine … anche la mia passionale storia d’amore è durata poco. Proprio come avevo scritto qui” dissi con voce leggermente tremante, mentre una lacrima salata mi scendeva lungo la guancia e si fermava sulla mia bocca. Tirai fuori la lingua e l’assaporai, sentendo salato e dolce allo stesso istante.
Sentivo la voce di Robert aleggiare per le campagne inglesi. Però sapevo che lui non era lì con me.  

Rob
Quando tornai a casa mi sentii stranamente sconvolto. Andai in camera mia, dove ormai dormiva anche Kim, forse nella speranza di vederla improvvisamente lì, a finire di leggere il suo libro. Però non c’era, quindi mi dovetti accontentare di guardare le sue cose, sparse per la stanza assieme alle mie.
Stordito, come se mi avessero dato una martellata in testa, mi sedetti sul divano.
Avevo detto la verità: non ero stato io a baciare Kristen, era stato il contrario. Mi aveva braccato così all’improvviso che non mi ero neanche reso conto di quello che succedeva.
Solo in quel momento realizzai quanto mi mancava Kim. Ci conoscevamo da pochissimo, è vero, però avevamo passato i precedenti giorni assieme ventiquattr’ore su ventiquattro. Davvero, sentivo di conoscerla come persona.
Era gentile, solare, adorava tutto ciò che c’era di semplice. Per lei tutto quello che a me sembrava scontato o banale aveva un significato diverso. Mi faceva vedere le cose da un altro punto di vista. Le piacevano i dolci di qualsiasi tipo e odiava il cocco. Quando leggeva teneva sempre un dito fra le labbra, mordicchiandosi l’unghia. Non organizzava mai le sue giornate, le prendeva semplicemente così, come venivano. E si arrabbiava da matti quando guardava il telegiornale e sentiva notizie di politici che avevano fatto qualcosa di stupido. Sapevo che non era molto per dire di conoscere una persona, però a me bastava.
Il sole era calato, ma io non mi ero neanche disturbato ad accendere la luce, così c’era penombra nella casa.
Il campanello suonò, facendomi sussultare. Mi alzai pensando che fosse Kim. Infatti era lei.
Aprii subito la porta.
“Kim!” esclamai. Cercai di abbracciarla, ma lei si ritrasse.
“Sono venuta a prendere le mie cose” disse con voce risoluta, nonostante gli occhi leggermente arrossati, come se avesse pianto. Mi dispiacque di averla fatta piangere.
“Aspetta” dissi bloccandole l’entrata.
“Non mi fai passare?” chiese.
“No, perché in realtà è stata lei a baciare me. Io sono il baciato! Mi è praticamente saltata addosso” sputai le parole in modo davvero poco convincente.
“Non sembravi per nulla dispiaciuto” disse piano guardando a terra.
“E’ che è stato improvviso” dissi alzando le braccia. In un peto secondo Kim s’infiltrò nell’appartamento e andrò dritta a prendere le sue cose.
“No, aspetta che fai?” chiesi inseguendola. “Se una persona ti blocca la strada tu non devi passare”.
“Se quella persone si distrae oppure si merita che gli passino oltre, posso eccome. Anzi … devo passare oltre” disse alzando la testa.
“Oltre a me? Ma perché non mi vuoi più o perché credi che sia uno stronzo?”.
“Non lo so” disse alzando le spalle. “Dimmelo tu, ma dimmi la verità. Sei uno stronzo?”.
“Si, ma non in quel senso”.
Kim si morse un labbro, guardandomi e soppesando le mie parole. Credo che fosse una delle decisioni più difficili a cui fosse mai stata sottoposta. Aspettai, tremando alla sentenza.
Come in un sogno si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia, cingendomi le spalle e poi posando la testa sul mio petto. Chiusi gli occhi e ispirai il suo profumo. Sapeva di dolce, ma non troppo forte: era proprio come piaceva a me.




Allora. Prima di tutto precisiamo che non odio Kristen Stewart o qualcosa del genere, è solo che volevo una piccola arrabbiatura fra Kim e Robert. Come vedete tutto è già risolto. Fra parentesi, secondo me la Stewart è una delle giovani attrici più promettenti del momento. :) I prossimi due capitoli, vi avviso, sono gli ultimi, e sono vergognosamente corti, ma spero vi accontentiate. ^^
Passiamo ai ringraziamenti per chi ha messo la fic tra preferiti o seguite. Mamma mia ragazzi! Non pensavo che questa fic piacesse tanto, grazie davvero di cuore per seguire la storia, non so proprio che dire per farvi capire quanto vi sono grata! <3

Satyricon: grazie mille per i complimenti. Si, lo so, lo scorso capitolo, e pure questo, sono pieni di cose romanticose e strappalacrime. Ma non disperare! Presto scopriremo come andrà a finire, e ti dico subito che non mi piacciono i finali troppo tirsti (a buon intenditor poche parole u_u). B'è, si sa che Robert è un grande filosofo! Non chiediamogli però da dove gli escano! XD

ilachan89yamapi: oddio forse sei una delle poche persone che non se lo aspettavano della malattia. Ogni volta che qualcuno avanzava quell'ipotesi io facevo *ma pork...!* Però almeno un paio di persone le ho sorprese, meno male! XD Grazie per la recensione, al prossimo capitolo.

Nymph: si, forse leggendola la fic non ricorda il film (forse perchè la gente è più concentrata su Robert XD); ma l'idea di base è più o meno la stessa. ^^  Comunque hai ragione, il cancro è una delle malattie peggiori che esistono. Purtroppo anche io ho avuto a che farci, ed è davvero terribile. Ma non ti preoccupare per Kim ;)

Xx_scritrice88_xX: mhuahahah! Aiuto! Un vampiro emo mi sta mandando lettere minatorie! XD Me è felice di esse stata spassosa, grazie mille! Non preoccuparti, il prossimo capitolo è (haimè) il penultimo, ma già sapremo se andrà a finire bene. Poi c'è un piccolo epilogo tutto dal punto di vista robertiano. B'è, grazie per avermi seguita fino a qui! <3

Al prossimo capitolo miei cari lettori!
Patty.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette: nel quale si hanno delle notizie. ***


Capitolo sette: Nel quale si hanno delle notizie

Kim
Affianco a me Robert si torceva le mani per l’agitazione. Credo che in quel momento fossi io la più calma fra tutti e due, nonostante il medico dovesse parlare con me, a proposito di me.
Era giunto il momento, no? Era l’ora della verità.
Ero stranamente calma … le cose sarebbero andate bene, a prescindere dal verdetto.
“Kimberly?” mi chiamò il dottore sbirciando nella sala d’aspetto.
Entrai nel suo ufficio e mi sedetti sulla sedia di plastica bianca. Era scomoda. Il dottore si avvicinò e posò alcuni documenti sulla scrivania.
Si sedette di fronte e me e sorrise.
“Oh” dissi io. “Quindi … è tutto finito” dissi con una specie di singhiozzo. Mi schiarii la gola. “E’ … eh!” risi. Mi venne da ridere e mi portai una mano alla bocca.
Il dottore si alzò. “E’ meglio che vai, Kimberly”.
“Si?” dissi rialzandomi.
“Si. E non voglio vederti mai più”.
Incontrollabile, abbracciai il primario che mi aveva guarito. “Grazie”.
“Sono felice che tu stia bene” disse ricambiando l’abbraccio. Mi diede alcuni documenti e aprì la porta dell’ufficio.
“Si, anche io. Cioè … ovvio, cioè …”. Il dottore rise e mi diede una spintarella verso il corridoio, tornando dentro l’ufficio.
Mi sentivo strana. Dall’età di undici anni, quando avevo scoperto di avere la leucemia, mi sembrava di portare addosso qualcosa di sporco, come una camicia da lavare che odora di chiuso. Avevo iniziato a studiare in casa proprio quando invece dovevo iniziare a uscire con i miei amici, a fare cose stupide in giro. Fino a quando non ebbi diciannove anni feci una vita dentro e fuori gli ospedali, più dentro probabilmente. L’unica cosa che ero riuscita a fare era studiare arte, ma con qualche mese di pausa ogni tanto.
Solo in quel momento mi resi conto che era tutto finito.
Era finito.    
E l’unica cosa che volevo fare in quel momento era dirlo a Robert.
Sorridendo fra me e me mi avvicinai alla porta della sala d’aspetto dove l’avevo lasciato prima ma lui non c’era. Mi incamminai verso il fondo del corridoio e vidi qualcuno che prendeva a pugni una macchinetta del caffè. Solo un drogato di caffè come lui poteva farlo. Vedendomi arrivare si voltò e rimase a guardarmi con un’espressione stravolta. Gli sorrisi.
Robert  mi corse incontro, felicissimo, e mi sollevò, facendomi girare. Finimmo in un abbraccio, dondolandoci. “Kim” sussurrò al mio orecchio.
In quel momento mi sentii molto fortunata.
“Hem … scusa” disse una voce esitante affianco a noi. Ci voltammo, incuriositi. Un ragazzina di circa dodici anni dai capelli rossi e mossi era in piedi affianco a noi. Aveva un piccolo naso all’insù, costellato di lentiggini. “Ciao … volevo chiederti solo una cosa” disse rivolta a Robert.
“Certo” fece lui.
“Tu sei Robert Pattinson?” chiese la ragazzina.
“Hee … si” disse lui passandosi una mano fra i capelli.
“Oh, b’è … bene” disse lei. “Senti … me lo faresti un autografo?”.
“Tutto quello che vuoi” disse Robert. La ragazzina, andando quasi in estasi, tirò fuori dallo zaino una penna e quello che evidentemente era il diario di scuola, e li porse a Rob. La adoravo per com’era carina!
“Come ti chiami?” chiese lui prendendoli.
“Miky”.
“Ok” disse lui scrivendo sul diario. “Ecco fatto” disse porgendoglielo. Miky era raggiante, io sbirciai il diario.
“Ma … certo che scrivi proprio da cani” dissi.
“Non è vero” disse lui.
“Invece si. Diglielo che è vero” dissi alla ragazzina.
Lei esaminò per bene la dedica, poi: “B’è …”.
“Ma non è giusto, vi siete coalizzate contro di me!” esclamò Robert.
“Perché abbiamo ragione” dissi mettendomi affianco a Miky.
“Già” disse lei sorridendo e annuendo. “Siete fidanzati?” chiese poi.
Io e Robert ci guardammo.
“Certo!” disse poi lui scoccandomi un bacio sulle labbra.
“Siete carini” disse Miky. “Io devo andare, mia mamma mi aspetta. Ciao” salutò con la mano e fece per andare, poi si fermò: “Posso dire ai miei amici di averti incontrato?” chiese a Robert.
“Certo, a che serve incontrare lui se poi non ce ne vantiamo?” le dissi. Lei sorrise, salutò un’ultima volta e scappò.
Io e Robert ci guardammo ancora, poi, stringendoci in un semi abbraccio, ci incamminammo fuori dall’ospedale.
C’era il sole quel giorno, e la gente che andava in giro per le strade mi pareva tutta fantastica. Ognuno di loro aveva una storia, aveva qualcosa di interessante da raccontare.
Robert si chinò su di me e mi diede un bacio sulla fronte, poi mi prese una mano nella sua.
“Sai, venendo qui ho visto che c’è una mostra di Salvador Dalì” dissi.
“Ma va?”.

Rob
Era tardi quando mi svegliai. Forse le tre mattino, circa.
Non riuscivo a riprender sonno. Mi alzai piano dal letto per non svegliare Kim e andai in cucina. Non so bene perché, ma la cucina è come un luogo di ritrovo per me, ogni volta che non ho nulla da fare io vado in cucina. Automaticamente. Forse perché è accogliente.
Presi un bicchiere di succo e mi sedetti al tavolo.
Quella era una giornata da segnare sul calendario. Dico sul serio. Dopo essere usciti dall’ospedale io e Kim non sapevamo cosa fare, così proposi di andare a fare un giro. Senza neanche volerlo ci ritrovammo di fronte alla mostra di Salvador Dalì, e dopo aver visto i suoi quadri da psicopatico posso solo dire che quell’uomo o era un genio o era pazzo. C’è una sottile differenza fra i due, la gente di rado la coglie.
Comunque, non so quanto tempo restammo lì, ma quando uscimmo, ancora camminando a zonzo, scoprimmo che c’era un luna park ambulante in città, di quelli che viaggiano di posto in posto. Persi metà del mio patrimonio lì, molto probabilmente. Andammo sulla ruota panoramica (un classico), su uno di quei giochi spastici dove t’imbragano e giri in aria come un dannato, sugli autoscontri per non ricordo più quante volte. E poi, non per vantarmi, ma vinsi un peluche.
Quando tornammo a casa Kim telefonò a suo padre e suo fratello e stettero al telefono per delle ore, mentre io cucinavo. Volevo farle una sorpresa e preparare qualcosa di buono, ma devo dire di non essere un cuoco provetto, però lei mangiò tutto.
Che bella la vita.
Credo che quella sera, quando tornai a dormire, oltre a Kim abbracciai pure il mio nuovo peluche nel sonno.




Penultimo capitolo! Allora, siete contente? A dir la verità sono proprio cattiva, perchè non ho mai pensato di far morire Kim, mi sono affezionata al suo personaggio (uno scrittore non dovrebbe mai farlo, altrimenti come fa poi quando al personaggio capita qualcosa di male? u_u). B'è, come vi avevo già annunciato questo capitolo è molto corto. Anche il prossimo lo sarà, è un epilogo, e contiene l'intera lista di Kim! *ohhh!*
E ora rispondo alle recensioni:

Nymph: per fortuna Kim non ha mollato Robert. Altrimenti la fic si sarebbe fatta troppo drammatica, e già cè un grosso problema drammatico da risolvere (la malattia). Ma grazie all'intervento divino (insomma, non proprio, diciamo solo grazie alla mia indole tenerosa), lei sta bene, lui sta bene, Kristen è andata a trovare il suo ragazzo, e tutti sono felici e contenti! XD Comunque, grazie per la recensione. Caspita il fatto che tu sia arrivata a leggere fin qua mi lusinga! ^^

Xx_scritrice88_xX: eh lo so, Kris in questa fic è proprio cattiva, ma dai, la perdoniamo perchè in fondo ci sono così tante persone che la odiano solo perchè esiste, porella! Allora, spero che questo quasi-finale ti sia piaciuto, ovviamente non poteva finire male! ;) Grazie per essere arrivata fino a qui nella lettura, uno smack! ^^

Le recensioni sono diminuite, forse è una forma di protesta per la tristezza del capitolo precedente. XD Ma spero che con questo capitolo siate soddisfatti; i lieto fine sono a volte scontati, lo so, ma noi autori cerchiamo di fare quello che possiamo. Oltrettutto per questa storia Robert Pattinson ne ha passate di ogni: ha rubato ad un ristorante, si è mangiato un risotto piccante, è andato in giro in una località marittima con i vestiti bagnati, è stato mollato prima di andare in mongolfiera! Se gli facevo pure morire la tipa mi prendeva e mi uccideva! XD
Comnque sia, grazie a tutti coloro che leggono, siete dei grandi! Ci vediamo nell'epilogo! Un bacio a tutti <3
Patty.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto: nel quale Robert ricorda diverse cose (Epilogo). ***


Capitolo otto: Nel quale Robert ricorda diverse cose (Epilogo)

Rob
L’altro giorno ho trovato questa in un cassetto. E’ passato un sacco di tempo, cavolo! Kim ci ha anche fatto degli appunti affianco, leggerli è stato strano, mi ha fatto ricordare tante cose.

Lista delle cose da fare prima di … BOOM!

1 Avere una passionale e corta storia d’amore. Fatto, e direi con più che soddisfacenti risultati! E per fortuna non è stata nemmeno corta come storia.

2 Mangiare in un ristorante di lusso e uscire senza pagare. Fatto, la cena era davvero poca però era buona, e quei camerieri correvano davvero veloce.

3 Andare allo zoo. Una delle giornate da ricordare in vita mia.

4 Passeggiare in riva al mare al tramonto. Quasi fatto, nel senso che ho passeggiato all’alba al posto che al tramonto. Però in compenso ho fatto il bagno di notte (e anche altro … scandaloso!)

5 Finire quel libro che avevo incominciato a leggere che poi ho perso. Finito. Davvero bello, ve lo consiglio!

6 Conoscere una persona famosa quanto Gesù o Salvador Dalì. Non so se Robert sia famoso quanto Salvador Dalì (quanto Gesù no di sicuro), però facciamo finta di si.

7 Dipingere un murales. Non è un murales, è solo un dipinto, ma secondo me è meglio! Un grazie a Robert per avermi portata vicino all’albero.

8 Volare su una mongolfiera. Non era una delle mie giornate migliori, ma non la cambierei per nulla al mondo.

9 Salutare la mamma. Anche questo fatto. Era da un sacco che non ci facevamo una chiacchierata come quella  Ma’!

Kim non si smentisce mai. Tutto quello che dice è fuori luogo, è stupido, oppure è contorto.
Chissà se Kim si ricorda ancora della lista? Ma certo! Non può averla dimenticata! Oggi è un giorno speciale, perciò credo che gliela porterò quando tornerò in ospedale. Per fortuna questa volta è lì dentro per un motivo molto meno serio e più bello dell’ultima volta che c’è stata. Un motivo piagnone, urlante e che mangia come un dannato.
Comunque, dato che oggi è nato sul serio qualcosa da questa nostra avventata e del tutto irresponsabile relazione, credo che dovremmo bruciare questa lista. Come se fosse un rito.
Ora so per cosa stava il BOOM! Era un’esplosione, si. Una di quelle forti e assordanti, che ti cambiano la vita. Il suo nome, dice lei, somiglia a quello di una pornostar, ma io credo che sia il nome più adatto invece. Irriverente, semplice ma complicato, caloroso, divertente.
La mia espolosione si chiama Kim. BOOM!, è solo un altro modo per chiamarla.
Aspettate con pazienza l’esplosione che sconvolgerà le vostre vite, sarà luminosa e fantastica.


Fine

Questa storia non è stata scritta a fini di lucro. Tutti i riferimenti a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Non conosco Robert Pattinson e lui non ha dato l’autorizzazione per scrivere questa fic (ma di sicuro gli piacerebbe vivere una passionale storia d’amore come questa … perciò mi ringrazierebbe XD).




Ed eccoci, siamo giunti fino alla fine. Spero che vi sia piaciuta questa storia sul caro homo Robert Pattinson. :) Ho un'altra storia su di lui, ma non so quando la posterò, adesso inzia la scuola e ci saranno tante cose da fare, nel caso però che questa vi sia piaciuta e voleste leggerne un'altra sappiate che la prossima s'intitola: Who's my son's father? Ma non vi anticiperò altro.

Xx_scritrice88_xX: non potevo ovviamente far morire Kim, è così simpatica! ^^ Grazie per la recensione, spero che tu sia rimasta soddisfatta dalla fine di questa storia. Un grazie enorme. <3

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito, siete state un valido aiuto per migliorare la storia sempre di più! Grazie mille a:
PlInCy4
Luxi
Satyricon
Xx_scritrice88_xX
ilachan89yamapi
Nymph

Oltretutto ringrazio le 13 persone che hanno messo la fic fra i loro Preferiti, mi stupisco che siate così in tanti! Comunque grazie mille per aver letto la mia storia! E poi, ovviamente, un grazie ai 14 che hanno seguito assiduamente la storia, mettendola appunto fra le storie Seguite ^^
Un grazie di cuore. Senza di voi questa storia non sarebbe potuta esistere.
Patty.

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