BOOM! di PattyOnTheRollercoaster (/viewuser.php?uid=63689)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno: nel quale si salta su una limousine (prologo). ***
Capitolo 2: *** Capitolo due: nel quale si fa una corsa. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre: nel quale si scoprirà che la cucina indiana è piccante ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro: nel quale ci si bagna. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque: nel quale si canta e si dipinge. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei: nel quale si va a trovare una persona cara. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette: nel quale si hanno delle notizie. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto: nel quale Robert ricorda diverse cose (Epilogo). ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno: nel quale si salta su una limousine (prologo). ***
BOOM!
Capitolo uno: Nel quale si salta
su una limousine(Prologo)
Kim
Quello era il primo punto della mia lista. Era folle, lo sapevo, ma non
potevo assolutamente tirarmi indietro. L’avevo appena
compilata, la lista, abbandonarla così era stupido.
Avanzai in mezzo alla folla, stringendo il cellulare nella tasca del
giubbotto. Scaricavo la tensione. Eccolo, il primo punto della lista.
Stava camminando tranquillamente alla sua macchina. Cioè,
alla sua limousine. Il mio bersaglio era Robert Pattinson, che
camminava verso la limousine. A tenergli aperta la portiera
c’era un signore che aspettava tranquillamente. Nessuno
poteva sospettare della ragazza magra, piatta come una tavola da surf e
pallida come un fantasma che camminava verso di loro.
Mi avvicinai sempre di più alla limousine. Robert era
già entrato e io distavo solo due metri dalla macchina.
Anche l’autista era entrato. Ormai ero arrivata. Aspettai che
la macchina si mettesse in moto poi, appena sentii il motore ruggire,
aprii di scatto la portiera dell’auto ed entrai, chiudendo la
porta con un rumore sordo.
Il tutto era durato nemmeno tre secondi. L’autista era
partito e, quando si accorse di me, era già andato avanti di
parecchi metri. “Hei!” mi apostrofò.
Non feci caso a lui e mi voltai verso il primo punto della mia lista,
che mi guardava allibito.
Rob
Osservavo quella strana ragazza che si era appena intrufolata nella
limousine che mi doveva riportare sano e salvo dalla convention fino a
casa mia. Evidentemente non ero abbastanza al sicuro. La ragazza in
questione aveva i capelli tagliati molto corti e neri. La sua faccia
era di un pallore mortale e aveva grosse occhiaie che le segnavano gli
occhi. Il suo corpo era magro e quasi spariva in mezzo alla pesante
camicia che portava. Mi sorrise, facendo comparire dei denti candidi e
squadrati.
“Ciao” disse.
“Ciao” risposi io atono. Forse era una fan di
Twilight o cose del genere, non la potevo sbattere fuori
dall’auto così. Inizialmente mi era venuta un
po’ di paura, ma poi pensai che era una ragazza, pure
deboluccia a quanto pareva, quindi, a meno che non avesse un coltello
in tasca, potevo stare tranquillo. Avevo il telefono in mano e stavo
per scrivere un messaggio ma, data la situazione, lo misi via. Greg,
l’autista, si fermò.
“La faccio subito scendere signore” disse aprendo
la portiera.
“No, no non importa” dissi alzando la mano. Solo
Dio sa perché mai lo dissi. La ragazza sorrise.
“Grazie” esclamò.
“Prego”. Nessuno di noi disse nulla per un
po’. Greg ricominciò a guidare lanciando ogni
tanto un’occhiata torva al sedile posteriore.
“Allora?” chiesi infine.
“Oh, già. Scusa. Mi chiamo Kimberly ma mi sembra
un nome tipo da pornostar, quindi mi faccio chiamare da tutti
Kim” disse la ragazza.
“Conosco diverse Kimberly” dissi io, “e
nessuna di loro è una pornostar”.
“E’ quello che pensi tu”
ribatté lei. Senza volerlo mi scappò una risata,
una specie di sbuffo, pensando alle ragazze che conoscevo di nome
Kimberly che, nel cuore della notte, s’infilavano
furtivamente in un locale di strip tease. “Comunque
… sono qui per la mia lista di cose da fare” disse
Kim frugando in una borsa verde e tirando fuori un foglio. Lo
dispiegò e me lo mise davanti indicando con il dito un punto
del foglio. C’era scritto: Lista delle dieci cose da fare
prima di … BOOM! Sotto, dove stava il dito di
Kim c’era scritto: 6-
Conoscere una persona famosa.
“Io sarei la persona famosa?”.
“Si, anche se avrei preferito qualcuno tipo Jimi Hendrix o
Gesù ma …” lasciò la frase
in sospeso.
“Ah, lo so. Gesù ha sempre il telefono staccato
quando lo chiami” dissi comprensivo. E questo fatto potrebbe
anche essere interpretato come un qualcosa di profondo.
“Assolutamente. Hai provato a chiamarlo anche tu?”.
“Già. Non si fa trovare facilmente”
dissi alzando le spalle. Kim rise. “Quindi … cosa
devo fare per esaudire la tua lista prima del boom?”.
“Ah, non so. A dir la verità non ci ho pensato
molto. Ho fatto la lista solo ieri sera. E sempre ieri sera ho saputo
che l’attore Robert Pattinson, che ho sempre solo sentito
nominare e di cui non ho visto nemmeno un film, sarebbe stato qui.
Perciò …”.
“Hm. Posso … non so, possiamo fare una foto
assieme” proposi.
Kim alzò le spalle. “Si, b’è,
potremmo. Peccato però, perché quando dicevo conoscere intendevo
proprio conoscere.
Quel che dici tu è più un’incontrare. Forse
dovrei cambiare la mia lista”.
“Peccato. Quella originale sarebbe più
bella”.
“Lo so” disse Kim con aria saccente. Mi venne
improvvisamente voglia di leggerla quella lista. Chissà cosa
c’era scritto.
“E cos’altro c’è scritto nella
tua lista?”.
“Hm … vediamo”.
Kim
Controllai tutte le possibilità. Avevo
l’opportunità di fare diverse cose, in quel
preciso momento. Scelsi la più semplice. “Trovato.
Numero 2: Mangiare in
un ristorante di lusso e poi scappare senza pagare”.
“Cosa?” chiese Robert.
“Che c’è di male? E’ tipo come
rubare una caramella o una figurina quando si è bambini. Tu
non l’hai mai fatto?”.
Ci pensò su un attimo, passandosi una mano fra i capelli.
“Una volta ho rubato una maglietta, ma ero al mercato, quindi
non vale”.
“Come non vale? Che vuol dire? Se lo rubi in un negozio
allora è furto vero?” chiesi scettica. Robert
cercò di giustificarsi, ma non c’erano scuse.
“Comunque” continuai, “ora posso dire di
conoscerti almeno un po’. Robert Pattinson è una
persona famosa che ha rubato una maglietta, a cui piacciono le
caramelle al limone, molto amichevole, che non si da’ troppe
arie e che ha il vizio di passarsi sempre una mano fra i
capelli”.
“Come fai a sapere che mi piacciono le caramelle al
limone?” chiese lui sospettoso.
“In realtà ti ho spiato” dissi
guardandolo negli occhi. “Non è vero”
dissi subito dopo. “E’ che sai di limone e
lì” dissi indicando una specie di tavolino
(dopotutto eravamo in una limousine … figo), “ci
sono delle caramelle al limone”.
“Wow” commentò lui.
“Perspicace”.
“Grazie”.
“A parte il fatto che non mi passo sempre una mano fra i
capelli … non credo che questo serva a
conoscermi”. Si sporse per parlare all’autista e
disse: “Greg portami all’ Huctchintosh”.
“Dove? Mi stai rapendo?” chiesi.
“Qui quella che ha fatto cose illegali sei tu, ladra di
figurine per bambini” mi fece notare Robert. E poi:
“Ti sto portando in un ristorante di lusso. Possiamo cenare,
così conoscerai una persona famosa, e poi potrai uscire
senza pagare”.
“E tu scapperai con me lasciando così il
conto?”.
“Non lo so. Forse pagherò solo la mia parte,
così non dovrò preoccuparmi di scappare e la tua
lista verrà rispettata”.
Sorrisi. “Ci sto” dissi tendendo una mano.
“E comunque sappi che è vero che ti passi sempre
la mano fra i capelli”.
“Ma no!” esclamò lui.
“Vedrai. Conterò quante volte lo fai”.
“D’accordo”.
E suggellammo il nostro patto con una stretta di mano.
State leggendo il primo capitolo
della prima fan fiction su Robert Pattinson che ho mai scritto! Devo
ammettere di non essere una sua fan proprio sfegatata, ma ho visto
molti dei suoi film (altri li devo ancora vedere, ma non si trovano da
nessuna parte, accidenti!) e sono orgogliosa di dire che conosco
abbastanza cose su di lui da scrivere una fic. Ad esempio il suo humor
noir e la sua paranoia sono famosi in tutto il mondo! XD
Comunque, mi raccomando, voglio leggere tante recensioeni, altrimenti
la cancello (perchè non ha senso tenerla -.-'').
Risponderò a tutte, come ho sempre fatto ^^ Non importa che
siano buone o cattive.
Ho già postato questa storia su un forum su Robert, e vi
consiglio di farci un giro. Il forum di chiama The Sun in a Smile, ed
è sul circuito di Forum Community.
B'è un bacio e un grazie in anticipo a tutti i lettori,
Patty. :3
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Capitolo 2 *** Capitolo due: nel quale si fa una corsa. ***
Capitolo due: Nel quale si fa una
corsa
Rob
“Sei a sette” mi avvisò Kim scartando un
pacchetto di grissini.
“Cazzo!” dissi togliendomi subito la mano dai
capelli.
“Hai visto? Oh guarda! Anche i grissini sono chic!”
disse tendendomi un grissino. Lo presi e lo esaminai. Che mai
avrà avuto di tanto chic non lo so, ma lo mangiai comunque.
“Non sono mai stata in un ristorante come questo”
continuò Kim guardandosi attorno.
In effetti l’Hutchintosh era davvero un bel ristorante. Mi ci
avevano invitato una volta ed era uno dei pochi ristoranti di lusso che
conoscevo. Eravamo arrivati presto, non erano nemmeno le sette e mezza.
“Tu qui ci sei già venuto, no?” chiese
Kim.
“Una volta sola. In genere non vado nei ristoranti. Sono
più un tipo da bar, o da serata a casa di un
amico” risposi.
“Ah. Ma questo è uno di quei ristoranti dove ti
servono mini porzioni su piatti giganti?”.
Sorrisi. “Certo. Sennò non è un
ristorante elegante”.
“Forse servono poco così le modelle anoressiche
non ingrassano” azzardò Kim.
“Probabile. Spero di non restare affamato. Il conto
sarà molto alto credo”.
“Dai scappa come me” tentò di
convincermi Kim. “Non dovrai pagare nulla e potrai mangiare
tutto quello che vorrai”.
“Mh … non so. E se mi riconoscono? Se dicono che
non pago le cene? Il mio agente mi ucciderà”.
“Allora, prima di tutto non è detto che veniamo
beccati. Secondo: hai paura che le tue legioni di fan prendano cattivo
esempio da te?” chiese la ragazza con voce critica.
“No però il mio agente, la volta scorsa che
è uscito un articolo brutto, mi ha sgridato”.
In quel momento arrivò una cameriera sorridente a prendere
le ordinazioni. Dopo che se ne fu andata Kim mi assalì:
“Che cos’è un articolo brutto? Stavi
sputando per terra? Mettendo dei soldi nel reggiseno di una lap dancer?
Eri travestito da pirata e/o da donna?” chiese con quella che
pareva genuina curiosità.
Sospirai. “Quello … la lap dancer” dissi
agitando una mano.
“Sul serio?” chiese lei stupita, “Io
dicevo tanto per dire”.
“Scherzo! No, nulla, ero solo un po’ ubriaco in
giro con alcuni amici”.
Kim parve delusa. “Peccato”. Le rivolsi uno sguardo
interrogativo, al che rispose: “Mi sarebbe piaciuto vederti
con un costume da pirata donna”.
“E tu potresti travestirti da pirata uomo”.
“Potrei”.
Dopo qualche minuto arrivarono i primi piatti che avevamo ordinato. Io
una cosa che, nel menù, era un risotto, ma in quel momento
sembrava più che altro un grumo di riso decorato come un
uovo di pasqua. Kim guardò il suo piatto e sorrise.
“Potrei mangiarlo in un boccone”.
“Cos’è?” chiesi sbirciando il
piatto.
“Non mi ricordo più, era scritto tipo in francese.
L’ho preso solo per quel motivo. E perché costava
trentadue dollari”.
“Trentadue?” deglutii. Osservai il mio piatto e,
ragionando, pensai che non avevo proprio pensato realmente a quanto
potevo spendere. Anche se credo di potermelo permettere.
Kim
Presi la forchetta e infilzai quelli che parevano funghi.
…
Erano funghi. Solo con un sapore strano.
“Sai che a Budapest fanno i cappelli con i funghi?”
dissi improvvisamente.
“A Budapest?” chiese Robert guardandomi
interrogativo. “Sei stata a Budapest?”.
“Si. Un paio di anni fa. Per …
visitarla”.
“B’è ovvio. Dimmi un po’,
perché hai fatto quella lista?” chiese Robert
prendendo una forchetta e tentando di infilzare un sedano elegantemente
poggiato sul piatto.
“Ma sono io che devo conoscerti” obbiettai.
“E’ vero. Allora facciamo così: tu mi
fai una domanda e poi te ne faccio una io”.
“D’accordo”.
“Però dobbiamo rispondere sinceramente”.
Feci un impercettibile pausa. “D’accordo”
ripetéi.
“Allora … vai”.
Ci pensai su un secondo. “Quanti anni hai?”.
“Ventitré”.
“Ok”.
“Ora tocca a me. In effetti hai fatto una domanda
interessante. Tu quanti anni hai?”.
“Ventuno. Comunque … perché vuoi sapere
qualcosa su di me? Non credevo di essere così
interessante”.
“Boh. Forse perché sei entrata nella mia macchina
all’improvviso, quindi m’interessa sapere qualcosa
di più sulla sconosciuta che mi ha rapito”.
“Ah. Capito” dissi. Avevo già finito di
mangiare quella che credo fosse semplice pasta con i funghi con un nome
francese e funghi molto costosi. “Ho finito la mia porzione
per anoressiche”.
“Non è che puoi criticare le anoressiche. Anche tu
sei molto magra”.
“Lo so ma io mica muoio di fame. Anzi mangio come un cammello
a digiuno appena arrivato in una oasi”.
“Bel paragone” disse Robert. Un cameriere prese i
nostri piatti e li portò via. “Se non sbaglio il
secondo è un po’ più grande”.
“Peccato. Continuiamo con le domande. Hai passato qualche
episodio traumatico nella tua infanzia?” chiesi. Era una
domanda legittima.
Robert ci pensò su. “Credo che la cosa
più traumatica fosse mia sorella che mi vestiva da
ragazza”.
“Wow. Questo si che è bello forte” dissi
agitando una mano.
“Probabilmente si. Non so però se ha avuto una
ripercussione così forte su di me. Forse se non lo avesse
fatto ora io sarei uno di quei tipi orrendi palestrati che vincono un
sacco di gare di body building”.
“O, se avesse esagerato, ora potresti essere un travestito
che canta in un locale” azzardai.
“Può essere. Ha tirato fuori il mio lato
femminile” disse esibendo un sorriso stupido.
“Buon per te”.
“Perché hai deciso di fare la lista?”
chiese Robert. Eccola, la domanda temuta.
“Perché mi devo trasferire in un paesino piccolo e
infimo, da mio zio, e prima di rimanerci incastrata volevo far qualcosa
di bello, per me”. Una di quelle stronzate che farei meglio a
ricordarmi, prima che qualcuno me lo domandi di nuovo.
“Ah si? Dove?”.
“Mah, un paese sconosciuto fuori, molto fuori, New
York”.
“Non sarà così fuori mano, spero, da
non poter venire a trovarti”. Ma ci stava provando? Un
cameriere posò un fumante piatto di frutti di mare di fronte
a me.
“Non lo so. Potrebbe essere più lontano del
previsto.” meglio mettere subito in chiaro le cose.
“Passiamo a fatti più sconcertanti e che,
sicuramente, le tue fan pagherebbero per sapere”.
“E cioè?” chiese Robert accennando un
sorriso e infilzando una mini-patata.
“Ad esempio” ci pensai un attimo. “Quanto
è grande” dissi lentamente, al che Robert rimase a
bocca a aperta con la forchetta a metà strada fra il piatto
e la bocca, “il tuo appartamento?”.
Robert rise, e anche io, passandomi una mano sugli occhi. Era un
periodo in cui ero un po’ stanca. “E’
enorme!” disse infine.
“Oddio!” esclamai scandalizzata, sorridendo.
“Allora, siccome siamo in tema: qual è stata la
tua peggior esperienza con un ragazzo?”.
“Oh sicuramente quando avevo quattordici anni. Mi piaceva un
mio compagno di classe, che aveva un nome secondo me molto sexy: Kyle.
Un giorno una mia amica mi invitò a casa sua e
c’era pure lui. Siccome lei sapeva che a me piaceva Kyle
allora con una scusa ci lasciò da soli. All’inizio
è stato bruttissimo, del tipo che non riuscivo nemmeno a
parlare, poi lui si è avvicinato e mi ha baciata. Ero
contentissima! Fosse continuata così sarebbe stato uno dei
miei ricordi più belli … ma, ovviamente qualcosa
doveva andare storto”.
“Ora sono proprio curioso” disse Robert.
“Era perfetto. Finché Kyle non ha iniziato ad
… emozionarsi, diciamo”. Robert scoppiò
a ridere. “Cosa ridi? Ma cosa ridi? E’ stato
imbarazzante! Orribile. Non sapevo cosa fare perciò sono
scappata via e, per il resto dell’anno scolastico, non
l’ho nemmeno guardato in faccia. Io volevo solo una bacio
casto e romantico, come nei poemi. Lui invece si è
… cavolo, non mi piace nemmeno dirlo”.
“I poemi nascondono molto di più” disse
Robert come se la sapesse lunga.
“Avevo solo quaatordici anni, non m’interessava per
nulla fare … certe cose”. Robert continuava a
ridere e, mio malgrado, sorridevo anche io. “Ok. Lasciamo
stare, un po’ mi pento per quello che ti ho raccontato. Non
ricordarti di nulla. Tu piuttosto: cosa mi racconti sulla fantomatica
prima volta?”.
“Oh” disse Robert smettendo di ridere e fissando il
piatto. “Te lo devo proprio dire?”.
“Non ti sto chiedendo com’è stato. Solo
se ti viene in mente qualcosa di curioso al riguardo”.
Robert ci pensò su un attimo.
“B’è … mi ricordo benissimo
come mio padre ci sgamò in pieno. Era appena tornato dal
lavoro e io neanche mi ero accorto di che ore fossero. Eravamo proprio
… proprio lì, che … si,
vabé hai capito, eravamo lì. E mio padre spalanca
la porta, rimane lì per tre secondi, lunghissimi secondi, e
poi chiude”.
Scoppiai a ridere. “Che brutto! Io credo di non aver mai
parlato con i miei genitori di certe cose. E’ un tacito
accordo. Ma questa è fantastica!” esclamai.
“E’ bruttissimo. Quando avrai dei figli
raccomandagli di chiudere la porta a chiave” disse Robert
cupamente.
Rob
Dopo che finimmo di mangiare, con tanto di dolce e caffè,
una cameriera ci portò il conto. Presi il portafoglio e
controllai cos’avevo dentro. Neanche volendo sarei riuscito a
pagare tutta la cena. Mi ripromisi di uscire con più soldi
in tasca, probabilmente un barbone stava meglio di me. Ok, no,
probabilmente no.
Il nostro tavolo stava accanto alla porta delle cucine. Ora capivo
perché Kim aveva insistito per sedersi lì. Feci
finta di lasciare dei contanti nel libretto di pelle nera che mi
avevano portato e, velocemente, mi alzai e feci segno a Kim di
seguirmi. Entrammo furtivamente nelle cucine. All’inizio
nessuno si accorse di noi, che avanzavamo velocemente in direzione di
una porticina che appariva così lontana. Ad un tratto un
cuoco ci fermò.
“Signori, non potete stare qui” disse facendoci
segno di uscire.
Kim era paralizzata e mi lanciò uno sguardo. Io, preso da
un’improvvisa ispirazione, mi rivolsi al cuoco:
“Questo è il peggior ristorante in cui ho mai
mangiato” dissi puntando un dito sul petto del
pover’uomo e avanzando. “E’ scandaloso!
Dovrebbero venire a farvi chiudere!”. E, arrabbiato,
m’incamminai verso la porta, seguito da Kim. Uscimmo dalla
porta delle cucine e stavamo proprio sorpassando il cancelletto sul
retro che un cameriere si affacciò alla porta e ci
guardò malevolmente.
Presi Kim per mano. “Corri!”.
Corremmo lungo tutto il vicolo e sbucammo lungo la strada principale,
inondata di luce. Dalla porta davanti del ristorante stavano arrivando
altri due camerieri. Kim gemette e riprese a correre. Urtavamo un sacco
di persone e, fra quasi cadute e grida di scusa e di protesta,
arrivammo di fronte ad un negozio dove si accalcavano diverse persone.
Ci infilammo fra la folla e riprendemmo fiato.
Dopo un paio di minuti Kim prese dalla borsa la lista e una biro e, con
un sorriso divertito e soddisfatto, tracciò una riga sul
punto due.
Buon salve lettori (il buon salve
si applica a tutte le ore del giorno). Come vi è parso
questo capitolo? Vi è piaciuta la parte delle domande? Come
vedete alcune cose che ho detto sono vere, e cioè che Robert
veniva usato dalle sue sorelle come una Barbie, altre sono ovviamente
finte. -.-'' Questo perchè vorrei che la storia risultasse
realistica.
Tanto per incuriosirvi un po' vi dico che nel prossimo capitolo
parleremo di Mc Donald, scopriremo che Kim ci nasconde un qualche
segreto, e infine vedremo Robert alle prese con la cucina indiana!
Continuate a segurmi e saprete che cosa succederà!
E ora le risposte ai miei recensitori;
Satyricon: grazie mille per la recensione, sei stata la prima
recensitrice, hai vinto un 'Grazie mille piccola' da parte di Robert!
XD A parte le scemenze, spero che continuerai a seguirmi, dimmi che ne
pensi di questo Rob di cui mi sono praticamente inventata il carattere!
XD
Luxi: ciao! Ho riconosciuto il tuo nick di forumcommunity!
B'è, mi raccomando, non svelare niente a nessuno sul finale,
sarà un segreto fra noi due. Mhuahahhaha! Ci sentiamo sul
forum ^^
PlInCy4: wow questa si che è una grande dimostrazione di
fedeltà! B'è, se ti può consolare, i
capitoli non sono molti, quindi non dovrai sottoporti alla tortura di
recensire la mia storia per così tante volte! XD Grazie
mille, spero che questo capitolo ti sia piaciuto, a presto!
Ringrazio i lettori silenziosi e chi ha messo la fic tra le Seguite e i
Preferiti! ^^ Ci vediamo nel prossimo capitolo, che sarà ben
lungo adesso che ci penso. Un saluto,
Patty.
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Capitolo 3 *** Capitolo tre: nel quale si scoprirà che la cucina indiana è piccante ***
Capitolo tre: Nel quale si
scoprirà che la cucina indiana è piccante
Rob
Dopo aver ripreso fiato ci spostammo dalla folla. Erano quasi le undici
di sera.
“Dove abiti?” chiesi a Kim.
“Ora da nessuna parte. Ho una prenotazione in un hotel a,
tipo, una stella” disse lei mordendosi un’unghia.
“Vuoi che ti accompagni fino a lì?
Dov’è?”.
“Un po’ fuori città a dire il vero. Sei
sicuro che mi vuoi accompagnare? Guarda che ce la faccio”.
“Si, sicuro. Chiamo la macchina”.
“Addirittura. Tecnicamente è l’autista
che mi accompagna, non tu. Non prenderti i suoi meriti”.
“Giusto, povero Greg. Allora andiamo in autobus”.
Aspettammo l’autobus per un quarto d’ora buono.
Però almeno non faceva freddo, era estate. Kim mi
raccontò di come era venuta a Londra per incontrare sua
madre, ma non disse poi molto altro. Più di tutto, mi chiese
di me.
“Allora, hai impegni da superstar che ti aspettano? Qualcosa
come partecipare a programmi tv, o andare alle prime dei film, cose
così?”.
“Non lo so, a dir la verità. Lo sa il mio agente,
ma non mi dice mai nulla che non sia importantissimo. Oppure me lo dice
ma io me lo dimentico. Mi pare di dover andare a
un’intervista la settimana prossima, a parlare con una
giornalista e poi con delle ragazze”.
“Ah, tipo quelle cose vinci
un’intervista con Robert Pattinson comprando hamburger da Mc
Donald?” chiese lei.
“Credo di si. Una cosa del genere. Però non mi
piacerebbe essere sponsorizzato da Mc Donald” dissi.
Arrivò l’autobus e salimmo, senza biglietto, fra
le altre cose, ma a quell’ora chi ci avrebbe fermato?
“B’è anche io mi vergognerei parecchio.
Mi farei sponsorizzare da una multinazionale che cosparge il mondo
grassi saturi di dubbia provenienza”.
“Di sicuro non è carne di mucca”
osservai. C’era un posto libero e lo cedetti a Kim, che si
sedette volentieri. Sembrava parecchio stanca, aveva le occhiaie e il
viso più pallido di prima.
“Veramente … è carne umana!”
disse facendo una smorfia strana. Risi. Per il resto del viaggio fino
alla periferia di Londra continuavamo a controllare ad ogni fermata che
non ci fossero i controllori e parlammo di Mc Donald e Krusty Burger
che, anche se non esisteva, aveva la colpa di aver quasi ucciso Spider
Pork nei Simpson.
Quando arrivammo alla fermata Kim mi guidò verso il suo
hotel ad una stella (era davvero solo una!) e l’accompagnai
fino alla sua stanza. La camera era piccola e c’era un bagno
con una doccia stretta stretta, un piccolo armadio e un letto a due
piazze che sembrava fatto di marmo. Per terra c’era un
borsone da ginnastica nero con dentro un sacco di vestiti e diversi
documenti. Kim raccolse tutto in fretta e chiuse la lampo del borsone,
poi lo gettò sul letto, dove si sedette.
“Senti com’è duro questo
letto” disse picchiando forte una mano sul materasso. Mi ci
sedetti, cercando di rimbalzare, ma non ci fu verso.
“Cazzo ma è fatto di pietra!” quasi
urlai.
“E’ bruttissimo dormirci su” disse Kim.
Rimasi pensoso per un po’. “Vado un secondo al
bagno” disse Kim.
Mi era venuta la folle idea, solo per un secondo, solo per colpa di
quello stupido materasso troppo duro, che avrei potuto invitare Kim a
casa mia. Abitavo da solo da un po’, anzi, con
l’unica compagnia del mio cane. Però mi piaceva
quando vivevo con un mio amico, un po’ di tempo fa. Adesso
quando tornavo a casa era tutto silenzioso, troppo, per quello a cui
ero abituato. Forse potevo ancora assaporare qualche momento di
turbolenta e chiassosa vita in comune. Avrei potuto invitare Kim da me,
e non per essere gentile ma per puro egoismo. Forse avrei anche potuto
aiutarla a completare la sua lista. In fondo il mio aiuto le era stato
utile al ristorante. Stavo pensando a tutte queste cose quando sentii
un tonfo provenire dal bagno.
Leggermente preoccupato mi alzai e andai alla porta.
“Kim?” chiesi bussando con una nocca. Niente.
“Kim tutto bene?” chiesi di nuovo. E di nuovo,
nessuna risposta da dentro. Cominciavo a preoccuparmi. “Ok
… mi sto spaventando” dissi alla porta.
“Ora entro, se stai facendo qualcosa che non dovrei vedere
affari tuoi! Io entro lo stesso per vedere se stai bene!” e,
così dicendo, aprii la porta.
Kim era distesa a terra, con le gambe piegate in una strana
angolazione, a causa delle dimensioni ridotte del bagno. Il busto era
scivolato dentro la cabina doccia e le gambe stavano fuori.
Osservandola meglio vidi che le colava sangue dal naso.
“Cazzo” sussurrai. Presi in fretta il cellulare e
intanto mi inginocchiai accanto a lei. Non c’era campo.
“Porca troia!”.
Cercai di ripassare velocemente tutto quello che avevo imparato sul
pronto soccorso, solo che era stato in terza media, quindi feci molta
fatica. “Kim” dissi esitante. “Kim
alzati, per favore” dissi toccandole un braccio.
“Cazzo, cazzo!” dissi scuotendola sempre
più forte e dandole piccoli schiaffi sulla guancia.
Improvvisamente vidi gli occhi muoversi sotto le palpebre.
“Kim?” la chiamai senza più toccarla.
Lei aprì gli occhi, sembrava mettere a fuoco molto
difficilmente. Cercò di alzarsi, ma ricadde
all’indietro, così la sostenni. “Ti
senti bene?” chiesi.
“Ma ti pare?” disse lei portandosi una mano alla
testa. La sollevai e la feci alzare. Lei, lentamente, si mise di fronte
al piccolo specchio. Si sciacquò la faccia e la bocca, poi
si risedette sul letto.
“Scusa … ho la pressione bassa, mi capita a
volte” disse, come se fosse colpa sua.
“Ma no figurati. Mi sono spaventato un sacco”.
“Menomale, però, che c’eri”
disse lei sorridendo.
“Già”. Restammo un po’ in
silenzio, forse per sentire meglio quel momento così strano.
Alla fine, presi fiato e dissi: “Ti va di venire da
me?”.
“Eh?”.
“Hai capito. Ti va di stare un po’ a casa
mia?”.
“E perché? Pensi, tipo, che possa svenire di
nuovo? O ti sto simpatica?”.
“Credo tutte e due” dissi pensandoci su e
passandomi una mano fra i capelli.
Si, lo faccio, e a volte me ne rendo pure conto.
Kim
Certo, avrei risparmiato dei soldi. Sarei potuta dormire in un letto
comodo. Non sarei stata tutto il tempo da sola. Però tutti
questi validi motivi non mi convinsero, finché Robert non
disse: “Potrei aiutarti con la tua lista”.
Questo sì che era conveniente! Lo guardai un secondo.
“Non lo fai per secondi fini?” chiesi sospettosa.
“Quali secon …? Oh! No, no ma va!” disse
lui leggermente imbarazzato.
“Aspetta, che secondi fini hai capito?!” chiesi
alzando le mani.
“Che secondi fini intendevi?”.
“Ovviamente ho pensato che mi avresti costretta a venire con
te al Polo Nord per sfruttare la manodopera dei pinguini”.
Robert sorrise. “No, niente secondi fini”.
Porsi la mano. “D’accordo” dissi
stringendo la sua, leggermente ruvida e molto più grande
della mia. “Che mano grande che hai” osservai
mettendo a confronto le nostre mani.
“E’ per … scaccolarmi meglio”
disse in una riuscitissima imitazione del lupo di Cappuccetto Rosso.
“Ah! Che schifo!” dissi ridendo e togliendo la mia
mano.
“Comunque … se vieni da me, tanto vale venirci
ora. Vado a vedere se puoi disdire la prenotazione. Intanto puoi
prendere le tue cose”.
“Ok”.
Rob si alzò e uscì, mentre iniziavo a prendere
alcuni oggetti ancora sparpagliati per la stanza. Dopo pochi minuti fu
di ritorno. “Giù non c’è
nessuno” disse.
“Siamo in un hotel ad una stella” gli feci notare.
“Appunto” disse lui guardandosi attorno e
passandosi una mano fra i capelli. Non si toglierà mai quel
vizio.
“B’è posso rimanere per
stanotte”.
“Ok” disse subito Robert alzando le spalle. Si
sfilò le scarpe e si sdraiò sul letto.
“Pensavo che sarei rimasta da sola” obbiettai
leggermente confusa e un po’ seccata. Dovevo soffrire di
amnesia, non ricordavo di averlo mai invitato a dormire nella mia
stanza. Nel mio letto di marmo.
“Ah” disse lui stupito quanto me. Stava per
alzarsi, quando scossi la testa.
“Non importa”. Mi sedetti sul letto e,
involontariamente, sbadigliai. Probabilmente non mi interessava
più di nulla se non di dormire. Il mio cervello si stava
già spegnando, al punto che avrei fatto qualsiasi cosa per
poter chiudere gli occhi.
“Oh se vuoi posso dormire a terra” disse Robert
alzandosi a sedere.
“Se ci tieni, però personalmente non me ne frega
niente”. Eh già, proprio qualsiasi cosa.
“Sul serio?”.
“Si. Mi sa che sono troppo stanca, pure per parlare.
Spostati” dissi tirando le coperte. Lui si alzò e
io, toltami le scarpe, mi coricai voltata di lato verso la parete,
facendogli spazio. Poco dopo sentii il materasso muoversi sotto il suo
peso. “Notte” dissi allungando una mano e spegnendo
la luce.
Rob
Dalla finestra della piccola stanza entrava un sottile raggio di luce
lunare, che però illuminava ogni cosa.
Potevo scorgere il contorno di Kim benissimo, come se qualcuno lo
avesse disegnato con un pastello bianco su un cartoncino nero. Vedevo
il suo piccolo naso dritto leggermente all’insù,
le guancie lisce, le palpebre che tremavano al movimento degli occhi,
le labbra leggermente dischiuse, una mano che usciva dalla coperta e
l’afferrava, con le dita sottili e magre, che davano
l’impressione di non poter stingere nulla troppo forte.
Con gesti lenti ma meccanici, come se li avessi fatti milioni di volte,
cinsi la vita di Kim con un braccio e appoggiai la mia guancia ai suoi
capelli. Lei si mosse improvvisamente e io mi scostai velocissimo. Non
volevo che sapesse cos’avevo fatto. Involontariamente,
voltandosi, appoggiò la testa alla mia spalla,
intrappolandomi il braccio fra lei e il materasso. Lentamente lo mossi
e lo portai al suo fianco.
Per un po’ di tempo rimasi così: steso a pancia in
su mentre con un braccio, quello intrappolato, cingevo la vita di Kim,
stringendola debolmente a me. Non potevo stringerla troppo forte
altrimenti si sarebbe spezzata, pensavo.
Cominciavo a credere che quell’incontro fosse stato fortuito.
Che è una cosa buona saltare nelle macchine altrui.
Kim
Quando mi svegliai mi ritrovai spiaccicata addosso a Rob,
così mi alzai in fretta e mi cambiai. Prima che si
svegliasse riuscii a riordinare la valigia e a dire alla direttrice
dell’hotel (una vecchietta rachitica che andava in giro con
dei maglioni del secolo scorso in estate) che annullavo la
prenotazione. Non credo ci sia rimasta troppo male, ci sarà
stata abituata.
Quando tornai su Robert era sveglio e pronto.
“Buongiorno” dissi.
“Giorno” disse lui cordiale.
“Spero che non ti rimangerai quello che hai detto ieri,
perché ho appena fatto le valige e disdetto la
prenotazione”.
“Non c’è problema. Facciamo colazione?
Ho fame”.
“Hai ragione, ieri abbiamo mangiato solo quel pasto infame
nel ristorante di lusso” confermai. “Andiamo, ti
offro una colazione nel posto più bello che ho mai
visto”.
“Davvero? Grazie. Che posto è?”.
“Non te lo dico. Lo vedrai quando arriveremo”.
“Ma è lontano?”.
“Mica tanto. Dieci minuti in autobus”.
“Ah … ma perché non mi dici che posto
è?”.
“Perché è, tipo …
è troppo bello per descriverlo!”.
“Però …”.
Continuammo così per tutta la strada fino a là.
Alla fine era diventato un gioco: Robert non voleva veramente sapere
che posto era, e io volevo pazzescamente dirglielo.
“Ecco: siamo giunti!” dissi indicando una piccola
porticina in legno scuro. Robert inspirò ed
espirò.
“E’ il giorno più bello di tutta la mia
vita!” disse. Sorrisi e lo spinsi dentro, non si stancava mai
di dire stronzate.
Entrammo. Dopo un piccolo corridoio dove il barman ci salutò
c’era una sala circolare dal soffitto alto, coperto da una
volta a crociera interamente affrescata, mentre sulle pareti erano
appesi diversi quadri. Negli angoli c’erano delle colonne
finemente lavorate che riportavano un motivo a fiori rampicanti, che
arrivavano fino al soffitto. Su questa sala si affacciava un altro
salone, la cui ringhiera seguiva la forma circolare delle pareti.
“Andiamo di sopra?” chiesi a Robert.
“Ok” disse osservando gli affreschi che si
stagliavano sul soffitto. Salimmo delle strette scale e arrivammo al
piano superiore. Scegliemmo un tavolo che si affacciava sulla sala
sottostante. Da lì si potevano vedere benissimo gli
affreschi. Non appena prendemmo posto un cameriere si
avvicinò e ci portò i menù.
“Grazie” dissi sorridendo.
“Capisco perché non potevi descrivermi questo
posto: sarebbe stato troppo complicato. Però è
bello”.
“A me piace un sacco. Devi sapere che questo è uno
dei caffè più antichi di Londra, dove si
riunivano artisti, filosofi, scrittori e tutti quelli là. A
volte stavano qui pure tutto il giorno”.
“A fare?”.
“A boh. A scrivere forse, o anche solo a parlare,
tipo”.
Robert sorrise e aprì il menù. Ordinai una
cioccolata alla menta e una brioche alla crema (non fatelo mai, menta e
crema non vanno d’accordo). Robert invece si tenne sul
classico (caffè, credo che ne sia drogato), però
prese anche una treccia alla cioccolata.
“B’è … è davvero
bello” disse Rob guardando alcuni quadri, di cui era coperta
anche la stanza di sopra. “Ci vorrebbe una guida
però, sembra di stare in una galleria
d’arte”.
“Di solito i camerieri sono molto gentili e ti raccontano
tutto, se vuoi, però posso dirti qualcosa io. Anche se
rischio di annoiarti”.
“Se ti va …” e così presi a
parlare. Robert era un ascoltatore davvero attento. Dopo pochi minuti
smisi di preoccuparmi di essere noiosa e cominciai a parlare delle cose
più impensate.
“In questo posto ci venne anche Salvador Dalì, e
…”.
“Dalì? Sul serio? Mi piace un sacco
Dalì” disse Robert.
“Ma va?” chiesi stupita. Ok, io ho una venerazione
per quell’uomo … Dalì, non Robert.
“Quando avevo tipo quattordici anni mi ero presa una specie
di cotta per Dalì. Peccato che era un amore platonico e a
senso unico”.
“Si? Anche io mi sono un po’ fissato con lui in un
periodo. Ero in Spagna perché dovevo fare un film sulla vita
di Dalì e ho letto la sua autobiografia”.
“L’hai letta? Anche io!” esclamai.
“Per forza, io ero Dalì”.
“Davvero?” sorrisi come un’ebete. Anche
se non era quello vero, si poteva dire che avevo incontrato Salvador
Dalì. La mia mente contorta poteva affermarlo, quindi io ero
felice.
Finimmo la colazione e andammo in centro, dov’era la casa di
Robert. “Eccoci” disse lui aprendo la porta di una
normalissima casetta.
“Non so perché, ma mi aspettavo che vivessi in una
super mega villa hollywoodiana come si deve. Mi deludi” dissi
entrando. In effetti la casa era davvero modesta, sia in dimensioni che
in arredamento.
“Lo so, me lo dicono tutti. Però che me ne faccio
di una casa grande? Io sono solo uno. E poi dovrei pulirla tutta
quanta, sarebbe un casino. Ti faccio vedere la tua stanza”.
Mentre ci incamminavamo ci venne incontro un cagnolino bianco molto
carino che mi fermai ad accarezzare. La mia stanza, come ormai era
soprannominata, era davvero bella. C’era pure un balcone che
dava sulla strada. “Allora, ti piace?” chiese
Robert.
“Si. E’ bella” dissi avviandomi verso la
porta-finestra. La aprii e uscii sul balcone. C’era un vento
frizzante quel giorno. Il sole era già alto (ci eravamo
alzati tardissimo), ma non faceva troppo caldo perché
l’aria rinfrescava ogni cosa.
“Da qui si vede la cupola di una chiesa che, boh, non so come
si chiama” cominciò Rob da sopra la mia spalla,
“Però, se ti interessa, possiamo andarla a
visitare. Mi sembra che sei una a cui piace fare la turista”.
“Hai ragione. E potrei anche fare la turista esperta
perché ho studiato un sacco di storia dell’arte a
scuola”.
“Davvero? All’università?”.
“All’Accademia” dissi.
“Belle Arti?” chiese lui. Io annuì.
“Wow. Bello. Potresti farmi un ritratto”.
“Narcisista” gli dissi.
“Perché? Solo perché voglio vedere come
disegni?”.
“Magari un giorno capiterà
l’occasione” concessi.
Rob
In quel momento squillò il cellulare e dovetti rispondere.
Era il mio agente, che mi diceva che dovevo fare delle foto e quindi
andare in studio.
“Devo andare” dissi a Kim mettendo il telefono in
tasca. “Tu … non lo so, fa’ quello che
vuoi. Spero di fare presto”.
“D’accordo. Grazie, eh? Per farmi stare
qui” mi disse lei mentre uscivo dalla porta.
Io speravo davvero di fare presto, ma sul serio. Purtroppo le foto mi
occuparono tutto il pomeriggio e, tempo di tornare, si erano fatte le
sette e qualcosa. Il cielo era già quasi buio a causa di una
massa di nuvole di tempesta che si erano posizionate proprio sopra la
città. Quando arrivai a casa entrai, notando subito un odore
pungente ed insolito.
“Kim? Che cos’è
quest’odore?” chiesi avanzando fino in cucina.
Lì trovai Kim, in mezzo a pentole e tegami vari.
“Dove li tieni i tovaglioli?” mi chiese senza
nemmeno voltarsi. Io li presi, osservando la tavola. Era apparecchiata
per due e c’era su un piattone di carne e uno di riso.
“Hai cucinato? Ma non dovevi” dissi meravigliato
osservando la tavola.
“Ti sto invadendo casa, è il minimo. Fra
l’altro mi sono tolta uno sfizio, una cosa che volevo fare da
un po’. Questa è cucina indiana. A dir la
verità io ho preparato solo la carne, perché mi
avevano dato la ricetta, il resto l’ho ordinato”.
“Ah. Non ho mai mangiato indiano”.
“Io solo una volta, un sacco di anni fa. E’
buono” cercò di rassicurarmi Kim, forse
perché avevo una faccia poco convinta.
“C’è sempre una prima volta”
dissi accomodandomi. Kim servì quello che doveva essere
l’antipasto. Leggermente esitanti, lo assaggiammo. Non era
male, forse troppo speziato per i miei gusti, ma molti miei amici mi
avevano detto che era una caratteristica della cucina indiana, quindi
non mi lamentai. Era davvero molto buono, tutto quanto,
finché non mi servii di riso. Ormai rassicurato, parlavo con
Kim del più e del meno, e misi in bocca un enorme boccone di
riso.
Inizialmente, masticandolo, sentii qualcosa di strano ma non ci feci
caso. Dopo appena due secondi non potevo più resistere.
“Pizzica” biascicai mentre un senso di orrendo
fastidio mi invadeva la bocca. “Hm! Merda!”
esclamai, poco romanticamente.
“Pizzica così tanto?” Chiese Kim
guardando il riso. Io annuii con decisione. Deglutii a fatica e presi
un sorso d’acqua. Non bastò per placare il mostro
che avevo in bocca. Ne bevvi ancora, stavolta prendendola direttamente
dalla bottiglia. Continuai a bere mentre Kim, superato il momento di
shock, rideva come se le facessero il solletico.
Ed ecco il tanto atteso (seh! XD)
terzo capitolo! E' un po' lungo, più lungo degli altri di
sicuro. Forse qualcuno potrà notare che mentre scrivevo
questo a scuola stavo facendo l'Illuminismo, quindi mi sono ispirata ai
caffè nati in quel periodo per il bar dove Kim e Rob vanno a
mangiare. Un'anticipazione per il prossimo capitolo: vedremo Rob e Kim
impegnati in un piccolo viaggio, che starà a segnare
un'altro punto sulla lista di cose da fare. ^^ Spero di avervi
incuriositi almeno un po'.
Satyricon: grazie per la recensione! Sono contenta che la fuga di
Robert ti abbia fatta ridere! Ma te lo immagini? XD Mhuahahha!
Comunque, come vedi a questo povero ragazzo gliene capitano di ogni
quando ha a che fare con il cibo! Adesso poverello ha pure la lingua
che pizzica! XD Comunque, in questo capitolo cominciano a nascere dei
sentimenti, almeno da parte di Robert! Ma ... e lei? Hummm! Comunque
grazie ancora, un bacio! ^^
Xx_scritrice88_xX: b'è ancora non ti posso svelare cosa
succedrà, ma il tuo dubbio non è proprio del
tutto corretto, c'è un piccolo particolare che
cambierà la storia! Non ti preoccupare, nonostante ad un
certo punto prenda una piega un po' triste, credo che ci siano delle
parti abbastanza divertenti in questa fic. Ad esempio quella che hai
appena letto: Rob e la cucina indiana! Mhauahhaha! Penso che un giorno
verrà a conoscenza di questa storia e mi
picchierà per averla scritta, tu che dici? XD
Grazie a tutti coloro che hanno letto! Mi raccomando, una recensione
è d'obbligo. Altrimenti la scrittrice resta in pena! XD Al
prossimo capitolo,
Patty.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro: nel quale ci si bagna. ***
Capitolo quattro: Nel quale ci si
bagna
Rob
Dopo che mi fui ripreso aiutai Kim a lavare i piatti e a mettere tutto
a posto. In alcuni punti della bocca sentivo ancora un leggero
pizzicore. Dopo il disastro del riso Kim non lo volle assaggiare,
così lo lasciammo lì, incapaci di buttarlo via.
“Hai qualcosa da fare domani?” chiese Kim
guardandomi di sbieco mentre strofinava con vigore un piatto.
“No nulla, che io sappia” risposi.
“Dovresti comprarti un agenda, sai?”.
Sospirai. “Lo so”.
“B’è comunque, se ti va, potresti
accompagnarmi al mare”.
“Domani? Si. Fa parte delle cose da fare nella
lista?”.
“Esatto. Però volevo andarci stasera. Anche
ora” disse Kim tutta contenta.
Non mi ci volle più di un secondo per decidere.
“D’accordo”. Cominciai a pensare che
forse Kim, nonostante fosse saltata nella mia macchina, era una persona
davvero affascinante. Io non avevo mai creduto all’amore a
prima a vista, quindi questa, o era mera attrazione fisica, o era
quello.
Finimmo di mettere a posto la cucina e uscimmo. “Tu non hai
la macchina?” chiese Kim.
“Si, ma non mi piace molto guidare. E’ solo per
necessità. Odio il traffico”.
“Allora guido io. Se partiamo ora quanto potremmo metterci ad
arrivare al mare?”.
“Un po’” risposi.
“Ti da fastidio? Potremmo anche andare domani”
propose Kim.
“No, fa niente. Andiamo”.
Salimmo in macchina e il viaggio iniziò. Accendemmo la radio
ma continuavamo a cambiare stazione per vedere se c’era
qualche canzone che valeva la pena di ascoltare. Dopo
mezz’ora ci rinunciammo; possibile che alla radio o parlino o
mandino in onda canzoni orribili? Arrivammo al mare molto tardi, verso
mezzanotte e mezza. Kim parcheggiò vicino alla spiaggia e
scese dall’auto. Era raggiante.
Non si vedeva quasi niente. Le uniche fonti di luce che
c’erano venivano dai lampioni della strada. In giro
c’era ancora parecchia gente però.
“Cosa prevede la lista?” chiesi.
“Prevede” disse lei tirando fuori dalla tasca il
pezzetto di carta, “passeggiare in riva al mare al tramonto.
Hm … non ricordavo la clausola del tramonto.
L’abbiamo mancato”.
“Potremmo però restare qui fino
all’alba. E’ una cosa simile”.
“Giusto. Andiamo” disse Kim. Scendemmo in spiaggia
e ci togliemmo le scarpe, lasciandole vicino ad un castello di sabbia
mezzo distrutto. Avevo dei pantaloni lunghi, così me li
tirai su fin sopra al ginocchio, invece Kim aveva su dei pantaloncini
che arrivavano a metà coscia.
La sabbia era umida e fredda sotto i piedi però non mi
dispiaceva per niente la sensazione che dava. Quando entrammo in acqua
invece ci scaldammo leggermente, perché era piacevolmente
tiepida. Le onde erano molto piccole e s’infrangevano piano
sulla riva. Kim osservava la vastità dell’acqua,
come se non avesse mai visto nulla di più bello.
Improvvisamente presi con le mani chiuse un po’
d’acqua e la lanciai addosso a Kim.
“Hey!” protestò lei sorridendo.
Cominciammo a schizzarci d’acqua come due bambini. Eravamo
entrambi buoni combattenti e finimmo col bagnarci tutti e due.
Trascinai Kim fuori dall’acqua.
“Perché non facciamo un bagno?” chiesi.
“Si hai ragione! E’, tipo, il cliché dei
cliché fare il bagno di notte al mare ” disse lei
sfilandosi le scarpe.
Mi tolsi maglietta e pantaloni e Kim fece lo stesso. Nonostante
sembrasse così poco femminile sotto i larghi abiti che
indossava, forse anche a causa dei capelli tagliati corti, era molto
bella. Era davvero magrissima, forse troppo, salutarmente parlando,
però aveva un’eleganza che si trova raramente
nelle persone. Inoltre le sue forme erano delicate ma sinuose, cosa che
non si notava normalmente. La sua pelle era bianca come la neve e
contrastava con i capelli nerissimi. Si lo so, sembra che sto
descrivendo Biancaneve però … ci va molto vicino.
Corremmo verso l’acque e, quando ero arrivato più
o meno alle ginocchia, mi immersi completamente. Nuotai un
po’ e, quando tornai su, vidi emergere anche Kim.
“E’ stata una buona idea” mi disse
nuotando.
“Già. Ho già fatto il bagno di notte al
mare, è sempre bellissimo”.
“Io è la prima volta che vengo al mare”
disse lei.
“Sul serio? Non ci sei mai mai mai venuta?” chiesi
esterrefatto.
“Mai mai mai” confermò lei scuotendo la
testa. “Andiamo dove non si tocca”.
“Dobbiamo stare attenti però a non perdere di
vista il castello di sabbia dove abbiamo lasciato le cose”
osservai dando un’occhiata alla riva.
“Ok”.
Ci avviammo sempre più in fondo e, ad un certo punto:
“Io non tocco” disse Kim.
“Io si. Però solo con le punte”.
“Allora continuiamo”. Ci spingemmo ancora un
po’ più in là, dove non toccavo.
“E’ un po’ inquietante” disse
Kim, “Siamo in mezzo al mare, dove non tocchiamo, e la
corrente potrebbe spingerci ovunque. Potrebbero anche esserci dei pesci
strani”.
Sorrisi. “I pesci non ti faranno nulla. Hanno più
paura loro di te. E comunque siamo vicini alla riva, se la corrente si
fa più forte possiamo sempre tornarcene indietro”.
“Se lo dici tu” disse Kim.
Ad un tratto si immerse e, sotto all’acqua, mi
tirò per un braccio facendomi segno di scendere. Io mi
immersi. Sotto l’acqua riuscivo a scorgere pochissimo la
figura che era Kim. In superficie qual cosina si vedeva, grazie alla
luce lunare, ma sotto non si distingueva quasi nulla. Sentii delle mani
che mi cercavano e così presi quelle di Kim fra le mie.
Sentii le sue mani che percorrevano le mie braccia e, lentamente, mi
abbracciò. Il suo tocco era reso delicato
dall’acqua. La strinsi anch’io e tornammo in
superficie.
Senza smettere di abbracciarmi Kim disse: “Grazie per tutto
quello che fai. Sei gentile”.
Kim
Mi sentivo al sicuro. Era molto strano. In genere non mi fidavo subito
delle persone, mi ci voleva molto tempo per instaurare una vera
amicizia. Però con Robert era diverso. Era talmente aperto,
e a volte così ingenuo, tanto che sembrava un bambino. Non
si poteva non fidarsi di lui. Era cristallino, un diamante.
“Io …” disse Robert, “siamo
arrivati in un punto dove tocco” disse guardandosi indietro.
“La corrente devi averci riportati indietro” dissi
guardando oltre la sua spalla la spiaggia. “Ecco il castello
di sabbia” dissi indicando un punto alla nostra destra.
“Ci siamo spostati” disse Robert. Sentii i piedi
toccare qualcosa e, inizialmente, pensai fosse un pesce.
“Tocco anch’io” dissi poi.
Robert si strinse ancora a me. Sentii che posava il viso
nell’incavo del mio collo. Improvvisamente slacciò
il nostro abbraccio, prese il mio viso fra le mani e mi
baciò.
Fu improvviso. Fu immediato.
Intenso.
Caldo … poi finì.
Robert, veloce come prima, si staccò da me, lasciandomi
andare il viso. Sembrava anche lui leggermente stupito di quello che
era appena successo.
“Ah … scusa. Non dovevo. Forse hai anche un
fidanzato, io non lo so”. Non mi guardava più in
faccia e continuava a passarsi una mano sui capelli, appiattiti
dall’acqua.
“Non ho nessun fidanzato, se è questo che ti
preoccupa” dissi con un leggero sorriso, stringendomi nelle
spalle, divertita dalla sua reazione. “Piuttosto sarebbe
terribile scoprire che tu ne hai uno”.
“Un fidanzato?” chiese lui alzando lo sguardo,
“No nessun fidanzato” disse sorridendo e scuotendo
la testa. “Nemmeno una fidanzata, se lo vuoi
sapere”.
“Anche se ce l’avessi non mi interesserebbe
granché” dissi cingendo le spalle di Robert. Non
erano esageratamente larghe. Aveva un fisico asciutto, non troppo
muscoloso. Proprio come piaceva a me. Inoltre, aveva dei capelli
fantastici, in fondo capivo perché continuava a toccarseli.
Anche io lo avrei fatto se fossi stato in lui. “A proposito,
tu non lo sai, ma anche questo può essere considerato un
punto della mia lista” dissi.
“Ah invece lo so. Tutte le ragazze vogliono stare con
Robert” disse lui posando le sue grandi mani sulla mia
schiena e facendo aderire i nostri corpi.
“No, tutte le ragazze vogliono avere una passionale storia
d’amore”.
“Aah” esclamò lui.
“Capito” disse. Ancora, si avvicinò al
mio viso e mi baciò.
Rob
Eravamo di nuovo sulla spiaggia. Dopo essere usciti eravamo andati a
prendere le nostre cose e, in qualche modo, avevamo cercato di
asciugarci. Ci eravamo rimessi i vestiti ma tutti e due avevamo delle
chiazze di umido sul pantaloni e Kim anche sulla maglia.
Tornammo alla macchina, dove Kim segnò altri due punti
sull’ormai famigerata lista e poi la lasciò sul
cruscotto.
Ormai erano le due passate, ma c’erano alcuni negozi che
ancora erano aperti. Si vede che quello era un posto per turisti.
Trovammo un signore molto gentile che ci vendette una coperta,
nonostante stesse ormai chiudendo il negozio, e tornammo in spiaggia.
Stendemmo la coperta a terra e ci sdraiammo. C’erano un sacco
di stelle in cielo, per quanto non ci facessi molto caso in quel
momento, sentendo affianco a me la presenza di Kim. Mi sentivo come se
fossi alla mia prima cotta adolescenziale.
Restammo così sdraiati a parlare guardando il cielo. Dopo un
po’, quando la gente fu del tutto sparita, mi girai di lato e
poggiai una mano sul ventre di Kim. Mi chinai a baciarla ancora una
volta.
Era come se fosse la prima volta che facevo cose del genere. Mi sentivo
agitato e il mio cuore batteva così forte che pensavo
sarebbe scoppiato.
Kim mi guardava negli occhi. Mi passò delicatamente una mano
sul viso, sfiorò i miei occhi chiusi, le mie labbra e
arrivò al petto. Poi, con tocco delicato, mi
sfilò la maglia. Improvvisamente, non so bene come, mi
ritrovai sotto di lei. Le sfilai a mia volta la maglietta ancora umida,
ricominciando a baciarla. Improvvisamente mi ricordai che eravamo in
spiaggia.
Presi un lembo della coperta e lo portai sopra di noi.
Restammo intrappolati lì dentro. C’era buio,
frenesia e ansiti. E faceva anche parecchio caldo.
Ed ecco il quarto capitolo. Un
po' corto, lo so. Aspettate frementi, mi raccomando, perchè
nel prossimo capitolo scopriremo che cosa nasconde Kim, il motivo della
sua lista! Andare a vivere fuori New York? Che cavolata! La lista ha un
significato ed uno scopo ben preciso! Ed ora, i recensitori:
Satyricon: hey grazie mille per i complimenti! Sono contenta che la mia
fic sia divertente. ^^ B'è, ovviamente Kim
nasconde qualcosa, altirmenti che fic sarebbe? :D Come ho
già detto, aspetta il prossimo capitolo per scoprire di che
cosa si tratta. Al prossimo capitolo! ^^
Nymph: grazie mille per la recensione e i complimenti. A dir la
verità non so a chi di preciso mi sono ispirata per il
personaggio di Kim, ma se dovessi dire a chi somiglia di
più, direi che somiglia al personaggio di Juno (che potrai
conoscere nel film intitolato, appunto, Juno). Poi,
b'è, devo ammettere di aver messo molto di me nel suo
personaggio, sia per quanto riguarda il carattere che i suoi gusti e le
sue particolarità, anche se le ho un po' ingigantite per
farle adattare meglio ad una storia. Spero di essere stata esauriente
^^ ciao e grazie ancora!
Xx_scritrice88_xX: i tuoi dubbi verranno chiariti ma non cantare
vittoria troppo presto! Quello che Kim ci svelerà nel
prossimo capitolo è una cosa molto triste, anche se non
definitiva. Mamma mia quanto sono enigmatica! XD Ora vado a
nascondermi, nel caso Rob stia venendo a cercarmi con un coltello per
averlo pure fatto bagnare nell'oceano! XD Anche se, diciamolo, dovrebbe
ringraziarmi per quel che gli ho fatto fare in questo capitolo. Ma che
poVcello! XDD
ilachan89yamapi: he lo so la lista sarebbe d'obbligo. Te scherzi ma
anche io ho la mia lista delle cose da fare almeno una volta nella
vita! ^^ Realizzare quelle cose è sempre molto divertente, e
anche molto stupido! Ma con gli amici ci si diverte a fare cose
stupide, no? Grazie per la recensione ^^
E ora un grazie a tutti coloro che hanno messo la fic fra i Preferiti e
le Seguite. Siete molti più di quanti mi aspetassi. Se devo
essere sincera non credevo che BOOM!
avrebbe avuto tutto questo successo! Grazie mille ragazzi, davvero,
siete magnifici! ^^
Un sincero grazie
by
Patty.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque: nel quale si canta e si dipinge. ***
Capitolo cinque: Nel quale si
canta e si dipinge
Kim
“Forse dovrei dirti una cosa” dissi a Rob mentre,
stretta al suo petto, mi accarezzava i capelli.
“Cioè?”.
“Secondo te questa è, tipo, la storiella estiva di
due persone che si annoiano? Guarda che devi dire la verità,
non devi dire di no solo per farmi piacere” dissi alzandomi
sui gomiti.
Ci pensai davvero. Ci pensai per diverso tempo. Alla fine giunsi alla
conclusione: “No. Non direi proprio. Non dico di essere
innamorato di te, però mi piaci. Tanto. Potrei innamorarmi,
anche se questo mi è capitato una volta sola in tutta la
vita”.
Presi fiato. Questa cosa non l’avevo detta a nessuno tranne
che ai più cari amici, e ovviamente anche la famiglia lo
sapeva. “Ho fatto la mia lista l’altro giorno,
appena dopo aver finito di fare degli esami. Dovranno darmi il
risultato fra” contai sulle dita, “cinque giorni
ancora”.
Robert si era fatto serio. Non capiva ancora quello che dicevo, ma con
una premessa del genere non poteva che essere una cosa brutta.
“Ho fatto quella lista” deglutii, ricacciando sul
fondo dello stomaco un groppo che mi si era incastrato in gola
“nel caso i risultati degli esami siano stati, insomma,
pessimi. Ora … se mi dici che quello che abbiamo fatto non
è stata una cosa così, allora
…”.
“No. No non lo è stata” disse Robert
mettendosi seduto di scatto. Mi coprii con la coperta e mi sporcai un
po’ di sabbia. Mi sentivo il cuore in gola.
“Non è vero che devo andare a vivere fuori New
York” dissi guardandolo negli occhi. “Ho il
cancro”.
Rob
Non riuscivo a parlare. Non riuscivo nemmeno a capire di cosa stavamo
parlando.
Il mio cuore aveva smesso di battere per un po’. Le mie
viscere erano sparite, mi sentivo svuotato di tutto. Senza cuore, senza
stomaco, senza cervello. Solo un guscio.
“Che cosa?” chiesi, e tutto mi ritornò
dentro con violenza.
“Non farmelo ripetere” disse Kim. Ovviamente non
avrei voluto risentirlo.
Restammo in silenzio.
Ma perché appena trovavo qualcuno con cui volevo stare, con
cui mi trovavo bene, doveva succedere questo? Significava che
c’era poco tempo? Probabilmente Dio non mi amava. Mi aveva
dato qualcosa di bello, qualcosa per cui valeva veramente la pena
svegliarsi la mattina, e me lo portava via così, subito.
Come dandomi un assaggio di dolce per poi strapparmelo dalle mani.
Presi una decisione. Forse per me, per il puro egoismo di poter stare
ancora con Kim. Forse per lei, per aiutarla.
Mi alzai, cercando maglietta e pantaloni. Kim mi osservava in silenzio,
vagamente dispiaciuta. “Non fare quella faccia.”
dissi, “Guarda, è l’alba. Non volevi
camminare sulla spiaggia all’alba?” chiesi
risoluto. Volevo essere naturale. Certo, non potevo fare finta che non
fosse successo nulla, ma non volevo sprecare un attimo. Mi inginocchiai
di fronte a Kim. “Non perdiamo tempo, ok?” dissi
guardandola negli occhi. Tutti e due sapevamo bene a che cosa mi
riferivo ma preferivamo non dirlo ad alta voce.
“D’accordo” disse lei sorridendo.
Era l’alba. Camminammo lungo la riva osservando il sole, che
si rifletteva sull’acqua dell’oceano. Era un
momento di calma apparente. Sembrava che non dovesse succedere nulla di
più. In effetti era già successo di tutto.
La calma dopo la tormenta. Era qualcosa di surreale.
“Come … quando l’hai
scoperto?” chiesi con una voce strana.
“E’ stato cinque anni fa” disse Kim come
se stesse parlando di quando era andata a comprare la frutta al
mercato. “Quando mi sono ammalata a casa c’erano
solo mio fratello e mio padre. In realtà io abito in
America, sono venuta qui solo sotto consiglio del mio medico, tipo
… più di un anno fa. Ho fatto una cura e sono
quasi guarita ma il cancro si potrebbe sempre presentare di nuovo. Gli
esami li ho fatti per vedere se è guarito del tutto. Mi
hanno chiaramente detto che se la malattia c’è
ancora potrei … avere poco tempo”.
“Ma … forse un’altra cura. Hai detto che
sei quasi guarita” azzardai.
“Si lo so. Ma non mi va di fare un’altra
chemio”. Alla parola chemio
sussultai. Sembrava peggiore la malattia se si parlava di chemio. Kim
continuò imperterrita: “Piuttosto di stare sempre
negli ospedali e non guarire mai preferisco stare fuori, anche se per
poco, e fare quello che voglio io”.
“Vivere la vita è quello che dobbiamo fare in
fondo. Forse è una scelta giusta” dissi molto
filosoficamente.
“Ma chi sei, Aristotele? Da dove ti escono?”.
“Dal …” cominciai, ma Kim mi
fermò.
“Zitto. Non dirlo. Rovineresti l’alba”
disse schiacciandomi una mano sulla bocca.
Kim
“E ora cosa facciamo?” chiese Robert.
“Ora gli insegniamo il tuo nome” dissi cercando di
accarezzare sulla testa il pappagallino.
“Perché il mio?”.
“E’ più corto” dissi
eloquentemente.
“Potremmo insegnargli a dire solo Kim, o Rob”.
“Vediamo” dissi inginocchiandomi per trovarmi alla
stessa altezza del pennuto. Mi guardava in modo intelligente, di sicuro
sarebbe riuscito a capire subito di cosa parlavamo.
Eravamo in uno zoo. Io non ci ero mai stata a causa delle cure, ma era
sempre stato un mio sogno fin da bambina e, ovviamente, dovevo farlo
prima o poi. Appena glielo avevo detto Robert si era ingegnato per
trovare uno zoo il più vicino possibile. In quel momento
eravamo lì, di fronte ad un pappagallo colorato, e volevamo
insegnargli i nostri nomi.
“Kim” dissi al pappagallo. Quello non
profferì parola, né diede segno di aver capito
alcunché. “Dove ce le hanno le orecchie i
pappagalli? Io non gliele vedo”.
“Le avrà più o meno dove le abbiamo
noi” disse Robert abbassandosi a osservare
l’animale, che piegò di scatto la testa.
“Non è detto. Le cavallette le hanno
sull’addome” dissi.
“Ma di sicuro lui no”.
“Riproviamo. Kim!” esclamai. Il pappagallo si
rifiutava. Ci prendeva in giro osservandoci con un vago sorriso e
sfidandoci a farlo parlare. Pensava di essere al sicuro solo
perché fra noi e lui c’era una gabbia.
“Rob!” tentò Robert.
“Rob” dissi io. “Rob, Kim. Kim,
Rob!”.
“E dai!” esclamò Robert. “Non
è così difficile. Parla … ok, che cosa
vuoi in cambio?”.
“Vive in uno zoo, ha tutto quello che gli serve”
obbiettai.
“Ha uno sguardo troppo intelligente per essere un pappagallo.
Di sicuro vorrà qualcosa da noi” disse Rob
guardando malevolmente il pennuto che, per tutta risposta, fece
schioccare il becco.
Riprovai: “Rob!”.
E Robert disse: “Kim!”.
Quindi, ormai arresosi al nostro comando, egli parlò:
“Rob! Kim!” disse con voce gracchiante. Dopo due
secondi: “Rob! Kim!”.
“Si!” esclamai voltandomi verso Robert. Lui mi
diede un grosso bacio sulla bocca e sorrise. Restammo ancora un
po’, finché il pappagallo non disse:
“Rob! Ha un pooorro sul naso! Rob!”. Quindi Robert
si volle allontanare.
“Era carino” obbiettai mentre lui mi trascinava via.
Visitammo tutto lo zoo e comprammo in due una porzione maxi di zucchero
filato rosa.
La gabbia più bella era quella della tartaruga che si
chiamava Mzee. Era australiana e stava nella gabbia con un cucciolo di
ippopotamo che aveva perso la mamma, e ora erano diventati amici. Tutte
queste cose ce le disse il custode. Se portavano via Mzee il cucciolo
si arrabbiava e non mangiava più, così avevano
deciso di lasciarli assieme.
“Da grande lavorerò in uno zoo” dissi
convinta.
“Starai in una gabbia?” mi chiese Rob.
“Sarebbe anche meglio di quello che spero io. Tipo in quella
di Mzee, o delle tartarughe marine”.
“Io starei in quella degli elefanti”.
“Ti piacciono gli elefanti?” chiesi.
“Veramente mi piacciono di più le pantere, ma non
starei mai in gabbia con loro. Per … ovvi motivi”
precisò Robert.
“Se gli elefanti sapessero che sono solo un ripiego si
arrabbierebbero a morte con te”.
“Non glielo dire allora” disse lui cingendomi la
vita con una mano.
Tornammo a casa di Robert solo verso le quattro di pomeriggio. A
metà strada lui insistette per fermarsi in un colorificio e,
quando tornò indietro, aveva con sé diversi
fogli, matite, pennelli, tempere, acquarelli, pastelli, di tutto!
“E’ per il disegno che mi hai promesso”
disse rispondendo al mio sguardo indagatore.
“D’accordo. Però così mi fai
venire voglia di disegnare” obbiettai.
“E tu disegna”.
“Farò il tuo ritratto, però poi ho
voglia di cercare un bel paesaggio e dipingerlo”.
“Ah come fanno vedere nei cartoni animati? I pittori francesi
coi baffetti, la maglietta a righe e il cappellino che dipingono per
strada?”.
“Esatto!” dissi io.
“E a che posto pensavi?” mi chiese mentre ci
avviavamo verso casa.
“Non ne ho idea. Però non credo che ci siano tanti
paesaggi qui in città, vero?”.
“Dovremmo uscire da Londra per trovare un paesaggio. Andare
in campagna. Però conosco un bel posto qui vicino, ti ci
porto. E’ vicino al fiume”.
“Ma è in piena Londra?”.
“Si però … non puoi capire
finché non lo vedi. Non ti fidi del mio giudizio
artistico?” chiese indignato.
Sorridendo dissi: “Mi fido”.
Quella sera Robert si sedette, in modo così semplice e
naturale, al tavolo della cucina. Aveva una mano poggiata sul legno del
tavolo e teneva con le dita il ritmo di una canzone che non conoscevo.
Con l’altra mano si sosteneva la testa, voltata verso di me.
Aveva un leggerissimo sorriso, quasi non si notava. Era ancora migliore
di quello della Monna Lisa. Dava luminosità al suo viso in
modo impercettibile però ero sicura che se non ci fosse
stato il suo volto sarebbe cambiato completamente.
“Non mi è venuto molto bene” commentai
quando ebbi finito. “Ho messo un paio di ombre solo su di te,
il resto è bianco”.
“Vediamo” disse allungando una mano. Gli porsi il
disegno. Restò a guardarlo per lungo tempo. “Ti
è venuto bene. Però pensavo che … sono
io ad avere bisogno di un ritratto tuo, non il contrario”.
“E’ come se ci fossi perché
l’ho fatto” protestai.
“Aspetta” dissi riprendendomi il disegno. Quando
glielo restituii ci avevo scritto in basso a destra il mio nome e una
dedica:
A Robert.
Grazie
per essere una persona così
diversa
e uguale a me.
Ricorda
di dimenticarmi
In
fretta.
Robert lesse. Poi si alzò e mi abbracciò.
“Anche con tutta la buona volontà …
sarebbe difficile dimenticarmi di te” disse stringendomi
così forte che avevo paura di sentire male.
“Il mio egocentrismo è molto felice”
dissi.
“Adoro il tuo egocentrismo” disse sciogliendo
l’abbraccio e sorridendo. “Tutti vogliono sempre
far vedere il loro lato migliore, però è meglio
non fingere”.
“Sai” dissi pensierosa, “credo che tu non
lo faccia. Non ne sono sicura, però mi sembri la persona
più sincera che abbia mai conosciuto. A parte dei vecchi
amici, forse”.
Robert mi condusse nella sua stanza, mentre il cane ci ballava fra i
piedi. “Ti piace?” chiese accendendo la luce.
“Carina. Hai un chitarra, suoni?” chiesi, vedendo
la chitarra classica poggiata in un angolo.
“Da un bel po’”.
“Posso sentire?”.
“Mi pare il minimo. Tu mi hai fatto un disegno,
dovrò pur ricambiare” disse prendendo lo strumento
e sedendosi sul letto. Io mi misi di fronte a lui.
Cominciò a pizzicare le corde in modo così calmo
che le note sembravano uscire da qualche altra parte. Chiusi gli occhi
e mi stesi. La melodia era così dolce che non ci si poteva
non rilassare. Il mondo era sicuramente fermo in quegli istanti. Tutti
stavano ascoltando. Come non avrebbero potuto? Improvvisamente, ma
così delicatamente che era perfetto, Robert
iniziò a canticchiare. Non erano parole, solo un suono
regolare proveniente dalla sua gola, talvolta grave, talvolta acuto.
Finì piano, come era iniziato.
Sentii la chitarra posata a terra e poi Robert, che si sdraiava accanto
a me e poggiava il viso al mio ventre.
Ad un tratto mi alzò la maglietta e cominciò a
darmi piccoli baci e morsetti.
“Credo seriamente che tu abbia qualche problema con il cibo
se tratti le tue fidanzate allo stesso modo di una bistecca”
dissi.
“Le altre no, solo tu. Hai un’aria
appetitosa”.
“Che doppio senso”.
“C’e l’ho messo apposta”
replicò lui. Si allungò lungo il letto e spense
la luce, per tornare a tormentare il mio corpo, ormai schiavo delle sue
carezze.
Rob
“Ecco qua” dissi indicando fieramente
l’albero.
“Wow, ma è bellissimo!” disse Kim
sorridendo e stringendo il cavalletto.
Eravamo sulle rive del Tamigi. Quello era un posto che mi piaceva
molto. Non c’era nulla nel raggio di un kilometro circa,
tranne questo ciliegio. Stava lì tutto solo accanto
all’acqua, però era molto suggestivo.
Kim cominciò a gironzolare per trovare
l’angolazione adatta per dipingere. Ero molto curioso di
sapere come sarebbe venuto il quadro. Forse non lo avrebbe dipinto
tutto in un giorno, anzi, probabilmente non lo avrebbe fatto,
però la curiosità mi uccideva.
Purtroppo c’era una cosa che dovevo fare.
“Io vado” dissi a Kim. Lei si voltò
verso di me. Improvvisamente lasciò a terra tutto quello che
aveva in mano e mi corse incontro. Mi si gettò addosso con
tale slancio che indietreggiai di almeno un metro. Mi scoccò
un bacio sulla guancia e poi se ne andò.
Rimasi per un secondo folgorato. Come uno scemo che non capisce nulla
mi arrampicai sulla strada, dove c’era Greg con la macchina
ad aspettarmi. Per la prima volta in tutto il tempo che lo conoscevo
lui sorrise e mi aprì la portiera.
“Dove la porto signore?” chiese una volta entrato,
tornato quello serio -e un po’ inquietante- di sempre.
“Alla prima libreria che trovi” dissi.
“D’accordo signore”, e mise in moto.
Credo che Greg fosse stato un agente della CIA, o magari
dell’FBI; forse mi faceva da autista solo come copertura. Ma
perché mi faccio i viaggi?
Comunque … fu più difficile di quanto pensassi.
Avevo dato un’occhiata alla lista di Kim e avevo visto il
titolo di un libro: Racconti
sparsi che ho trovato in soffitta. L’autore non
c’era scritto. Kim mi aveva raccontato che aveva iniziato a
leggerlo, poi l’aveva perso (solo lei poteva farlo). Quindi
mi ero messo alla ricerca del libro.
Ci misi più di un’ora e, quando lo trovai, ero
dall’altra parte della città. Lo feci incartare
dalla commessa e uscii dal negozio.
Appena messo piede fuori mi scontrai con qualcuno.
Tipico. Sempre a me succedono queste cose. Credo di essere
predestinato, o qualcosa del genere: se c’è
qualcosa di strano, come Kim, o di pericoloso, come mio padre
quand’è incazzato, state sicuri che mi
troverà. Devo fare molta attenzione quando cammino per la
strada, o forse sono solo paranoico.
“Kristen! Che ci fai qui?” dissi osservando meglio
la ragazza che mi stava di fronte.
“Ciao. Sono a casa di alcuni amici, per le vacanze”
disse lei stupita.
“Come stai? Da un po’ che non ci vediamo”
dissi raccogliendo una borsa che le era caduta nello scontro.
“Tutto bene, si. E tu?”.
Sbuffai. “Potrebbe andar meglio”.
“E’ successo qualcosa?” mi chiese
vagamente preoccupata e incuriosita.
“Mah, si … una tipa”. Non mi andava di
raccontare quello che era successo, in fondo erano affari di Kim.
“Ah” disse Kristen con un mezzo sorriso.
“Capito. E’ per lei?” chiese indicando il
libro impacchettato.
“Si” dissi passandomi una mano fra i capelli.
Recentemente mi accorgevo di quando lo facevo.
“Sai, mi ha telefonato Nikki, vuole che facciamo una specie
di rimpatriata prima di iniziare Eclipse. Avevo idea di chiamarti
appena tornata a casa” disse.
“E per quando?”.
“Nikki diceva domani sera. In una trattoria che conosce. Tu
vieni?”.
“Hemm …”
“Puoi portare anche … la ragazza dei tuoi
pensieri” disse.
“Posso? Non saremo solo noi?” chiesi.
“No, figurati. Ci saranno un po’ di persone in
effetti. Nikki ha detto a tutti di invitare qualcuno, se
vogliono”.
“Ah bene. Allora dove? A che ora?” mi informai.
“Ti spiego. E’ un posto un po’ complicato
da raggiungere …”.
Quando tornai erano quasi le cinque. Prima di arrivare chiamai Kim, per
essere sicuro che fosse ancora lì. La raggiunsi sulla riva
del fiume e osservai il dipinto. Praticamente c’era solo il
ciliegio dipinto a macchie nervose e veloci, e una piccola porzione di
fiume ed erba. Non era male.
“Hey ciao. Fa molto stile impressionista” dissi
apparendo dietro di lei e poggiandomi sulla sua spalla. “E a
te piace com’è venuto?”.
“Abbastanza. Lo sai, forse potrei considerare anche questo un
punto della lista”.
“Potresti?”.
“In realtà volevo fare tipo un murales, ma questo
è meglio”.
“Se va bene a te … ti ho preso un
regalo” dissi poggiandole sulle ginocchia il pacchetto.
“Wow grazie” disse. “Adoro spaccare la
carta” e così dicendo strappò
l’involucro colorato. “Cos’è?
Oh … bellissimo!” disse spalancando gli occhi.
“Grazie” mi disse voltandosi e dandomi un bacio.
“Figurati. Mi è ci è voluto un sacco
per trovarlo, sai? Dov’eri arrivata?”.
“Quasi a metà” disse.
In macchina, con l’agente Greg, Kim cercò il punto
del libro dov’era rimasta. Speravo che sarebbe riuscito a
finirlo.
“Ah, a proposito” dissi ricordandomi
improvvisamente di Kristen. “Mi hanno invitato ad una cena,
domani sera. Andiamo?”.
“E’ una cena per star del cinema?” chiese
Kim.
“Più o meno. Nel senso che ci saranno delle star
del cinema, però ci saranno anche altre persone”
chiarii.
“Ok, andiamo. Ci potrà essere qualcuno che
conosco?”.
“Non lo so. Forse potresti conoscere … Nikki
Reed?” tentai.
“Si! Si certo che la conosco! Ha fatto un film bellissimo, si
chiama Lords of Dogtown.
E’ un film …”
“L’ho visto” la interruppi.
“Perché l’ha fatto la stessa regista che
diretto Twilight,
quindi ero curioso”.
“Davvero? Dovrò vederlo questo film: Twilight. Quando
è uscito sapevo che c’era, solo che tutti ne
parlavano allora lo odiavo”. Mi uscì un suono fra
una sbuffo e una risata. “Non puoi immaginare. Ovunque mi
girassi sentivo parlare di quello. Perciò mi sono rifiutata
di guardarlo”.
“B’è io non lo guarderò certo
con te. Sarebbe brutto guardare con qualcun altro un film dove ci sono
io. E poi faccio la parte di un morto vivente un po’
emo”.
“Ma non l’hai visto?” chiese lei
incredula.
“Si, ma solo alla prima. Poi basta” precisai.
Ed ecco svelato il misterioso
mistero! Allora, vi dico subito di non arrivare a conlusioni affettate:
ci sono buone probabilità di sopravvivenza come di ... morte
imminente! Mhuahahah! No, ok, che cattiva che sono.
Un paio di appunti: le cavalette hanno davvero le orecchie ai lati
dell'addome; Mzee la tartaruga e il cucciolo di ippopotamo
esistono davvero (solo che stanno in Australia mi pare, e l'ippopotamo
ha perso la madre nello tzunami avvenuto qualche anno fa, suppongo lo
ricordiate tutti).
Poi, qui vediamo Kim disegnare, non volevo che fosse un genio, quindi
diciamo solo che è molto brava a disegnare.
La parte che volevo tanto dire: Greg l'autista doveva essere solo una
comparsa, ma è tanto simpatico! XD
E infine, spero di non aver fatto arrabbiare qualche emo a bestia o
qualche Twilight fan convinto con la battuta del vampiro emo. E'
tutto.
Satyricon: grazie per i complimenti. Mi dispiace ma riguardo a Kim
è così, vedremo cosa accadrà in
seguito. Grazie mille comunque, ciao! ^^
ilachan89yamapi: che ne dici del Robert triste version, o Rob
che vuole corrompere il pappagallo? XD Grazie della recesione ^^
Xx_scritirce88_xX: ta-daaan! Il mistero è svelato. Spero di
non essere caduta nel banale o nel troppo triste, che dici?
Nymph: in effetti non ci vuole molta fantasia. Una lista di cose da
fare prima che accada qualcosa d'importante! Ma che cosa potrebbe
essere in una fic? XD Tanto così, per curiosità:
per la storia in generale mi sono ispirata ad un film molto bello con
Jack Nicholson e Morgan Freeman che si chiama Non è mai troppo tardi.
Grazie a tutti i lettori e chi ha messo la fic fra preferite e seguite
(siete così tanti *O*). Al prossimo capitolo,
Patty.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei: nel quale si va a trovare una persona cara. ***
Capitolo sei: Nel quale si va a
visitare una persona cara
Rob
“Guarda che non devi essere così
formale” dissi aspettando fuori dal camerino di un negozio.
“Non è per essere formale, gli abiti formali sono
scomodi. Però almeno vorrei avere dei vestiti
nuovi”.
“Come preferisci. Vediamo” dissi aprendo un
po’ la tendina del camerino.
“Ma si, va bene” osservò Kim guardandosi
allo specchio. “Questa cosa non fa molto film americano per
teenager?” chiese poi.
“Questa cosa, cosa?”.
“Questo andare per negozi e provare vestiti, andare ad una
cena con gente famosa, bella, ricca eccetera eccetera”.
“Può darsi. Molte persone sarebbero felicissime di
venire a cena con me”.
“All’inizio magari. Poi scoprirebbero tutti i tuoi
difetti” disse Kim ridacchiando.
“Si … però allora è
così con tutti, perché tutti abbiamo
difetti” precisai.
“E’ vero. Però … io adoro
quando ti passi la mano fra i capelli, anche se è un vizio.
Vorrei essere la tua mano per poter affondare nei tuoi
capelli” disse sorridendo e togliendosi camicia e jeans.
“Giusto, anche a me piace il fatto che tu dica sempre tipo in ogni frase
di senso compiuto”.
“Ah lo so che lo faccio. Però devo
smettere”.
Alla fine comprammo davvero poco, Kim non era una che perdeva tempo in
shopping. Ringraziai il cielo per questo.
Tornati a casa pianificammo il prossimo punto da compiere nella lista.
Telefonammo da ogni parte per avere a disposizione, per noi, in
qualunque parte dell’Inghilterra, una mongolfiera. Anche io
in effetti trovavo bello farci un giro, anche se era stata
un’idea di Kim. Non trovammo nulla, però non ci
perdemmo d’animo e decidemmo di cercare ancora.
Nel frattempo, fra una cosa e l’altra, arrivò sera
e ci preparammo per uscire.
Eravamo, ovviamente, in orario, dato che Kim aveva insistito per uscire
quasi un’ora prima a causa del traffico (ma secondo me era
perché non voleva assolutamente arrivare in ritardo).
Restammo davanti al ristorante per un po’ finché,
dopo cinque minuti, non vedemmo arrivare un nutrito gruppo di persone.
Kim non me l’aveva detto, però si vedeva che era
agitata.
“Hey tranquilla … capito?” le dissi
dandole un bacio sulla fronte.
“E’ che … sono i tuoi amici. E se non
gli sto simpatica?” chiese osservando la gente che arrivava.
“E allora? E poi è impossibile che tu non stia
simpatica nemmeno a uno di loro. Sono almeno una ventina, non sarai un
caso così disperato”. Per quella mi beccai un
pugno sul braccio. “Comunque io, fossi in te, mi preoccuperei
di più del mio abbigliamento”.
“Perché?” chiese Kim stupita.
Considerando che stavamo per entrare in un ristorante quasi di lusso
Kim era un po’ fuori luogo: portava una gonna lunghissima
arancione che faceva molto hippy e una camicia bianca da uomo con un
laccio sul davanti per adattarla meglio al suo corpo minuto. D'altronde
neanche io ero un esempio d’eleganza: portavo solo una delle
mie solite camicie a quadri (che Kim aveva detto mi davano
l’aspetto di un forte boscaiolo) e jeans.
Quando tutti arrivarono ci furono i soliti saluti e le presentazioni.
La cena fu piacevole. Mi ritrovai seduto fra Kim e Kristen, poteva
essere imbarazzante, dato che un po’ di tempo fa mi era
venuta una cottarella per Kristen, invece fu tutto normale.
“Allora Kim? Lavori o stai studiando?” chiese
Kristen addentando in modo famelico una bistecca.
“Ho appena finito l’accademia di Belle Arti, quindi
adesso penso che andrò alla ricerca della fortuna come
artista squattrinata”.
“L’arte non è una cosa poco sicura? E se
non sfondassi?”.
Da come l’aveva detto sembrava un po’ una critica.
Infatti capii che Kim era combattuta su come rispondere. Alla fine
optò per un: “Guarda, un tovagliolo a forma di
fiore!”. Forse questa è la cosa migliore da dire
quando non vuoi rispondere male, anche se ovviamente non serviva a
deviare il discorso. Con il senno di poi mi dissi che solo Kim poteva
dire una cretinata del genere.
“Robert hai una cosa sul naso” disse Kim
strofinandomi un dito addosso. “E’ una ciglia.
Dicono che se esprimi un desiderio stingendo forte una ciglia fra due
dita si avvera”.
“Sul serio? Dammi qua” dissi cercando di
riprendermi la mia ciglia.
“Ma l’ho presa io” protestò
Kim.
“Si ma la ciglia è mia, faceva parte di
me” dissi. “Facciamo così: teniamo la
ciglia fra un mio dito e un tuo dito”.
“Ok”.
Posai il mio indice su quello di Kim, dove c’era la ciglia.
Non pensai veramente al mio desiderio, invece osservai Kim. In fondo
era lei il mio desiderio in quel momento, quindi cosa c’era
di meglio che guardarla? Quando finimmo la ciglia rimase attaccata al
mio dito, così la soffiai via.
Kim
“Cosa fate domani?” chiese Kristen. Quella ragazza
aveva qualcosa di simpatico e di antipatico al tempo stesso,
però era divertente.
“Domani … oh, dobbiamo assolutamente trovare
qualcuno che ci porti a fare un giro in mongolfiera” risposi.
“Avete già trovato?”.
“Veramente no. Proprio niente” disse Robert.
“Allora aspettate. Chiamo un mio amico, ha una mongolfiera,
vive a una decina di kilometri da Londra. E’ un
problema?”.
“Assolutamente no” disse Robert. “No
vero?” mi chiese.
“No” dissi.
“Aspettate qui” disse Kristen. Si alzò e
si diresse al bagno, per parlare al cellulare senza il borbottio di
fondo della sala gremita di gente. Poco dopo tornò, un
sorriso stampato in volto. “Fatto. Domani alle dieci da
questo mio amico. Vi spiace se vengo anche io insieme a voi? Solo per
andare a trovarlo”.
“Ma certo non c’è problema”
dissi subito.
“E’ un amico di famiglia, lo conosco da quando ero
piccola”.
“Anche io voglio avere un amico di famiglia che ha una
mongolfiera” mi lamentai.
“Io voglio avere un amico di famiglia che mi presti tutti i
suoi cd” disse Robert.
“Hai già un sacco di cd” gli feci notare.
“Ma ne voglio di più” disse lui come se
fosse la cosa più ovvia.
Il giorno dopo, assieme a Kristen, andammo fuori città,
verso le campagne dove non c’praticamente nulla. Era un bel
posto comunque. Arrivammo in un paesino piccolissimo e, dopo averlo
sorpassato, all’ultima, la più piccola, lontana,
nascosta casuccia … ci fermammo.
Dietro alla casa c’era un cortile enorme, da dove spuntava un
pallone rosso fuoco. Che bello!
Kristen scese, andando a salutare questo signore dall’accento
francese con una folta barba bianca e una ragazza che doveva avere
più o meno la sua stessa età (o forse era un
po’ più grande). Il signore, Henry, disse che ci
avrebbe offerto la colazione, dato che eravamo arrivati con almeno
un’ora di anticipo e, quando Robert disse che avevamo
già mangiato, lui esclamò: “Non
importa! La colazione è il pasto più importante
della giornata, è meglio farne due!”.
“Se è così allora
…” dissi entrando in casa scoccando un occhiata a
Robert, che guardava il signore divertito.
Fu la colazione più calorica e buona di tutta la mia vita!
C’erano creps da spalmare con la nutella, torta, pan di
spagna. Da bere succo, latte, caffè o addirittura cioccolata
calda (in realtà non era pronta, ma la moglie di Henry,
Camille, si offrì di prepararcela). Alla fine ero pienissima.
“Dov’è il bagno?” chiesi
alzandomi.
“In fondo al corridoio sulla sinistra” disse
Camille.
“Io vado a preparare la mongolfiera” disse Henry
alzandosi.
Mi incamminai al bagno ma, poco dopo, mi accorsi che Robert mi seguiva.
“Ciao” dissi. “Da quanto tempo che non ci
vediamo”.
“Già … volevo sapere solo, stai
bene?” mi chiese.
“Si. Tutto a posto, perché?” chiesi
stupita.
“No, per sapere” disse lui. In quel momento
intravidi Kristen nel corridoio.
“Non ti preoccupare. Va’ via” dissi
spingendolo lontano dal bagno.
In effetti Robert aveva visto giusto, non stavo troppo bene.
Però poteva anche essere dovuto a qualcos’altro.
Mi sciacquai la faccia con calma, mi asciugai e sistemai i capelli.
Ormai erano cresciuti dall’ultima chemioterapia,
però erano tutti sparati in diverse direzioni. Ma preferivo
tenerli così: meglio averli disordinati che non averli del
tutto. E poi non mi andava di andare dalla parrucchiera, ogni volta che
ci andavo mi annoiavo a morte e non vedevo l’ora di andarmene.
Uscii dal bagno.
In fondo al corridoio c’era Kristen premuta contro Robert
(premuto contro il muro) in un bacio a dir poco mozzafiato.
Mi paralizzai per un istante. Il respiro mi divenne difficile e mi si
cominciava a formare un groppo in gola. In quell’istante
Kristen si staccò da Robert e mi guardò. Anche
lui si voltò, con una faccia un po’ sconvolta.
Nei pochi nano-secondi che avevo cercai di riprendermi, facendo un
forte respiro.
Cominciai a camminare per uscire di casa e, ovviamente, Robert
cominciò: “Kim, un attimo. Non ho iniziato
io”.
“Ovviamente. Kisten è talmente forte da averti
arpionato al muro e quasi ucciso con la sua saliva” dissi
uscendo in salotto.
Raggiunsi in fretta la mongolfiera, prendendo al volo la mia borsa.
Salii nella cesta di vimini dove io ed Henry avremmo viaggiato. Dietro
di me venne Robert ma, prima che potesse salire, dissi ad Henry:
“Parti”.
Lui mi guardò interrogativo. Nel frattempo Robert si stava
per arrampicare sulla cesta.
“Lui non viene” dissi staccando la sua mano dalla
mongolfiera. Senza aggiungere altro Henry tolse le corde che tenevano
la mongolfiera legata a terra.
Mentre ci alzavamo, sentendo l’aria scorrere sul volto,
guardavo Robert, che mi osservava per metà stupito e per
metà dispiaciuto (e forse anche per un quarto arrabbiato).
Lo salutai con la mano e sorrisi debolmente.
“Dove ti porto?” mi chiese Henry.
“Potresti arrivare fino a qui?” chiesi,
ricordandomi improvvisamente di avere una cartina
dell’Inghilterra nella borsa.
“Agli ordini signorina” disse lui osservando il
punto indicato dal mio dito.
Viaggiammo per delle ore. Nel frattempo ebbi il tempo di pensare.
In fondo stavo realizzando quello che volevo. E poi quella era la MIA
lista di cose da fare. Non la lista delle cose da fare CON ROBERT. Al
diavolo! Quella sera sarei passata a prendere le mie cose e sarei
sparita.
Era bello viaggiare in mongolfiera. Si poteva vedere tutto
dall’alto, le persone erano piccole come formiche. Mi sentivo
parte del mondo come non mai nel vedere tutti quei paesaggi magnifici,
ma nel contempo, guardando le forme di vita che si agitavano
giù in basso, mi sentivo distante da loro. Era una
sensazione stranissima.
Alle quattro e mezza del pomeriggio circa, arrivammo dove volevo essere.
“Dove ti lascio?” chiese Henry.
“Vediamo …” strinsi un po’ gli
occhi per individuare il posto dove volevo andare,
“Lì!” dissi indicando un punto ben
preciso.
“Li?” mi chiese Henry.
“Devo vedere una persona” spiegai.
“Capisco” disse sorridendo. Atterrammo con un
sobbalzo che mi fece reggere forte alle corde della mongolfiera, ma che
per Henry non fu altro che un piccolo sbuffo. Sbarcai e lo ringraziai.
“Grazie mille. Quanto ti devo?”.
“Nulla, figurati. Mi ha fatto piacere portarti qui”.
“Grazie. Non devi restare per portarmi indietro, preferisco
fare da sola. Ah … se quando arrivi c’è
ancora Robert digli pure di tornare a casa”.
“D’accordo”.
“Ciao Henry”.
“Ciao” disse lui, e alzò il fuoco per
far volare il pallone.
Camminai affianco alle lapidi grigie ben allineate. Alla fine trovai
quella giusta. Mi sedetti a gambe incrociate e posai la borsa. Tirai
fuori la lista e cancellai due punti.
“Hai visto ma’? Mi manca solo finire di leggere il
mio libro. Sono anche riuscita a venire a trovarti, visto?”.
Rimasi un po’ in silenzio, di fronte alla tomba di mia madre.
Un tremolio mi percorse la schiena. “Alla fine …
anche la mia passionale storia d’amore è durata
poco. Proprio come avevo scritto qui” dissi con voce
leggermente tremante, mentre una lacrima salata mi scendeva lungo la
guancia e si fermava sulla mia bocca. Tirai fuori la lingua e
l’assaporai, sentendo salato e dolce allo stesso istante.
Sentivo la voce di Robert aleggiare per le campagne inglesi.
Però sapevo che lui non era lì con me.
Rob
Quando tornai a casa mi sentii stranamente sconvolto. Andai in camera
mia, dove ormai dormiva anche Kim, forse nella speranza di vederla
improvvisamente lì, a finire di leggere il suo libro.
Però non c’era, quindi mi dovetti accontentare di
guardare le sue cose, sparse per la stanza assieme alle mie.
Stordito, come se mi avessero dato una martellata in testa, mi sedetti
sul divano.
Avevo detto la verità: non ero stato io a baciare Kristen,
era stato il contrario. Mi aveva braccato così
all’improvviso che non mi ero neanche reso conto di quello
che succedeva.
Solo in quel momento realizzai quanto mi mancava Kim. Ci conoscevamo da
pochissimo, è vero, però avevamo passato i
precedenti giorni assieme ventiquattr’ore su ventiquattro.
Davvero, sentivo di conoscerla come persona.
Era gentile, solare, adorava tutto ciò che c’era
di semplice. Per lei tutto quello che a me sembrava scontato o banale
aveva un significato diverso. Mi faceva vedere le cose da un altro
punto di vista. Le piacevano i dolci di qualsiasi tipo e odiava il
cocco. Quando leggeva teneva sempre un dito fra le labbra,
mordicchiandosi l’unghia. Non organizzava mai le sue
giornate, le prendeva semplicemente così, come venivano. E
si arrabbiava da matti quando guardava il telegiornale e sentiva
notizie di politici che avevano fatto qualcosa di stupido. Sapevo che
non era molto per dire di conoscere una persona, però a me
bastava.
Il sole era calato, ma io non mi ero neanche disturbato ad accendere la
luce, così c’era penombra nella casa.
Il campanello suonò, facendomi sussultare. Mi alzai pensando
che fosse Kim. Infatti era lei.
Aprii subito la porta.
“Kim!” esclamai. Cercai di abbracciarla, ma lei si
ritrasse.
“Sono venuta a prendere le mie cose” disse con voce
risoluta, nonostante gli occhi leggermente arrossati, come se avesse
pianto. Mi dispiacque di averla fatta piangere.
“Aspetta” dissi bloccandole l’entrata.
“Non mi fai passare?” chiese.
“No, perché in realtà è
stata lei a baciare me. Io sono il baciato! Mi è
praticamente saltata addosso” sputai le parole in modo
davvero poco convincente.
“Non sembravi per nulla dispiaciuto” disse piano
guardando a terra.
“E’ che è stato improvviso”
dissi alzando le braccia. In un peto secondo Kim
s’infiltrò nell’appartamento e
andrò dritta a prendere le sue cose.
“No, aspetta che fai?” chiesi inseguendola.
“Se una persona ti blocca la strada tu non devi
passare”.
“Se quella persone si distrae oppure si merita che gli
passino oltre, posso eccome. Anzi … devo passare
oltre” disse alzando la testa.
“Oltre a me? Ma perché non mi vuoi più
o perché credi che sia uno stronzo?”.
“Non lo so” disse alzando le spalle.
“Dimmelo tu, ma dimmi la verità. Sei uno
stronzo?”.
“Si, ma non in quel senso”.
Kim si morse un labbro, guardandomi e soppesando le mie parole. Credo
che fosse una delle decisioni più difficili a cui fosse mai
stata sottoposta. Aspettai, tremando alla sentenza.
Come in un sogno si avvicinò e mi diede un bacio sulla
guancia, cingendomi le spalle e poi posando la testa sul mio petto.
Chiusi gli occhi e ispirai il suo profumo. Sapeva di dolce, ma non
troppo forte: era proprio come piaceva a me.
Allora. Prima di tutto precisiamo
che non odio Kristen Stewart o qualcosa del genere, è solo
che volevo una piccola arrabbiatura fra Kim e Robert. Come vedete tutto
è già risolto. Fra parentesi, secondo me la
Stewart è una delle giovani attrici più
promettenti del momento. :) I prossimi due capitoli, vi avviso, sono
gli ultimi, e sono vergognosamente corti, ma spero vi accontentiate. ^^
Passiamo ai ringraziamenti per chi ha messo la fic tra preferiti o
seguite. Mamma mia ragazzi! Non pensavo che questa fic piacesse tanto,
grazie davvero di cuore per seguire la storia, non so proprio che dire
per farvi capire quanto vi sono grata! <3
Satyricon: grazie mille per i complimenti. Si, lo so, lo scorso
capitolo, e pure questo, sono pieni di cose romanticose e
strappalacrime. Ma non disperare! Presto scopriremo come
andrà a finire, e ti dico subito che non mi piacciono i
finali troppo tirsti (a buon intenditor poche parole u_u).
B'è, si sa che Robert è un grande filosofo! Non
chiediamogli però da dove gli escano! XD
ilachan89yamapi: oddio forse sei una delle poche persone che non se lo
aspettavano della malattia. Ogni volta che qualcuno avanzava
quell'ipotesi io facevo *ma pork...!* Però almeno un paio di
persone le ho sorprese, meno male! XD Grazie per la recensione, al
prossimo capitolo.
Nymph: si, forse leggendola la fic non ricorda il film (forse
perchè la gente è più concentrata su
Robert XD); ma l'idea di base è più o meno la
stessa. ^^ Comunque hai ragione, il cancro è una
delle malattie peggiori che esistono. Purtroppo anche io ho avuto a che
farci, ed è davvero terribile. Ma non ti preoccupare per Kim
;)
Xx_scritrice88_xX: mhuahahah! Aiuto! Un vampiro emo mi sta mandando
lettere minatorie! XD Me è felice di esse stata spassosa,
grazie mille! Non preoccuparti, il prossimo capitolo è
(haimè) il penultimo, ma già sapremo se
andrà a finire bene. Poi c'è un piccolo epilogo
tutto dal punto di vista robertiano. B'è, grazie per avermi
seguita fino a qui! <3
Al prossimo capitolo miei cari lettori!
Patty.
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Capitolo 7 *** Capitolo sette: nel quale si hanno delle notizie. ***
Capitolo sette: Nel quale si
hanno delle notizie
Kim
Affianco a me Robert si torceva le mani per l’agitazione.
Credo che in quel momento fossi io la più calma fra tutti e
due, nonostante il medico dovesse parlare con me, a proposito di me.
Era giunto il momento, no? Era l’ora della verità.
Ero stranamente calma … le cose sarebbero andate bene, a
prescindere dal verdetto.
“Kimberly?” mi chiamò il dottore
sbirciando nella sala d’aspetto.
Entrai nel suo ufficio e mi sedetti sulla sedia di plastica bianca. Era
scomoda. Il dottore si avvicinò e posò alcuni
documenti sulla scrivania.
Si sedette di fronte e me e sorrise.
“Oh” dissi io. “Quindi …
è tutto finito” dissi con una specie di
singhiozzo. Mi schiarii la gola. “E’ …
eh!” risi. Mi venne da ridere e mi portai una mano alla bocca.
Il dottore si alzò. “E’ meglio che vai,
Kimberly”.
“Si?” dissi rialzandomi.
“Si. E non voglio vederti mai più”.
Incontrollabile, abbracciai il primario che mi aveva guarito.
“Grazie”.
“Sono felice che tu stia bene” disse ricambiando
l’abbraccio. Mi diede alcuni documenti e aprì la
porta dell’ufficio.
“Si, anche io. Cioè … ovvio,
cioè …”. Il dottore rise e mi diede una
spintarella verso il corridoio, tornando dentro l’ufficio.
Mi sentivo strana. Dall’età di undici anni, quando
avevo scoperto di avere la leucemia, mi sembrava di portare addosso
qualcosa di sporco, come una camicia da lavare che odora di chiuso.
Avevo iniziato a studiare in casa proprio quando invece dovevo iniziare
a uscire con i miei amici, a fare cose stupide in giro. Fino a quando
non ebbi diciannove anni feci una vita dentro e fuori gli ospedali,
più dentro probabilmente. L’unica cosa che ero
riuscita a fare era studiare arte, ma con qualche mese di pausa ogni
tanto.
Solo in quel momento mi resi conto che era tutto finito.
Era finito.
E l’unica cosa che volevo fare in quel momento era dirlo a
Robert.
Sorridendo fra me e me mi avvicinai alla porta della sala
d’aspetto dove l’avevo lasciato prima ma lui non
c’era. Mi incamminai verso il fondo del corridoio e vidi
qualcuno che prendeva a pugni una macchinetta del caffè.
Solo un drogato di caffè come lui poteva farlo. Vedendomi
arrivare si voltò e rimase a guardarmi con
un’espressione stravolta. Gli sorrisi.
Robert mi corse incontro, felicissimo, e mi
sollevò, facendomi girare. Finimmo in un abbraccio,
dondolandoci. “Kim” sussurrò al mio
orecchio.
In quel momento mi sentii molto fortunata.
“Hem … scusa” disse una voce esitante
affianco a noi. Ci voltammo, incuriositi. Un ragazzina di circa dodici
anni dai capelli rossi e mossi era in piedi affianco a noi. Aveva un
piccolo naso all’insù, costellato di lentiggini.
“Ciao … volevo chiederti solo una cosa”
disse rivolta a Robert.
“Certo” fece lui.
“Tu sei Robert Pattinson?” chiese la ragazzina.
“Hee … si” disse lui passandosi una mano
fra i capelli.
“Oh, b’è … bene”
disse lei. “Senti … me lo faresti un
autografo?”.
“Tutto quello che vuoi” disse Robert. La ragazzina,
andando quasi in estasi, tirò fuori dallo zaino una penna e
quello che evidentemente era il diario di scuola, e li porse a Rob. La
adoravo per com’era carina!
“Come ti chiami?” chiese lui prendendoli.
“Miky”.
“Ok” disse lui scrivendo sul diario.
“Ecco fatto” disse porgendoglielo. Miky era
raggiante, io sbirciai il diario.
“Ma … certo che scrivi proprio da cani”
dissi.
“Non è vero” disse lui.
“Invece si. Diglielo che è vero” dissi
alla ragazzina.
Lei esaminò per bene la dedica, poi:
“B’è …”.
“Ma non è giusto, vi siete coalizzate contro di
me!” esclamò Robert.
“Perché abbiamo ragione” dissi
mettendomi affianco a Miky.
“Già” disse lei sorridendo e annuendo.
“Siete fidanzati?” chiese poi.
Io e Robert ci guardammo.
“Certo!” disse poi lui scoccandomi un bacio sulle
labbra.
“Siete carini” disse Miky. “Io devo
andare, mia mamma mi aspetta. Ciao” salutò con la
mano e fece per andare, poi si fermò: “Posso dire
ai miei amici di averti incontrato?” chiese a Robert.
“Certo, a che serve incontrare lui se poi non ce ne
vantiamo?” le dissi. Lei sorrise, salutò
un’ultima volta e scappò.
Io e Robert ci guardammo ancora, poi, stringendoci in un semi
abbraccio, ci incamminammo fuori dall’ospedale.
C’era il sole quel giorno, e la gente che andava in giro per
le strade mi pareva tutta fantastica. Ognuno di loro aveva una storia,
aveva qualcosa di interessante da raccontare.
Robert si chinò su di me e mi diede un bacio sulla fronte,
poi mi prese una mano nella sua.
“Sai, venendo qui ho visto che c’è una
mostra di Salvador Dalì” dissi.
“Ma va?”.
Rob
Era tardi quando mi svegliai. Forse le tre mattino, circa.
Non riuscivo a riprender sonno. Mi alzai piano dal letto per non
svegliare Kim e andai in cucina. Non so bene perché, ma la
cucina è come un luogo di ritrovo per me, ogni volta che non
ho nulla da fare io vado in cucina. Automaticamente. Forse
perché è accogliente.
Presi un bicchiere di succo e mi sedetti al tavolo.
Quella era una giornata da segnare sul calendario. Dico sul serio. Dopo
essere usciti dall’ospedale io e Kim non sapevamo cosa fare,
così proposi di andare a fare un giro. Senza neanche volerlo
ci ritrovammo di fronte alla mostra di Salvador Dalì, e dopo
aver visto i suoi quadri da psicopatico posso solo dire che
quell’uomo o era un genio o era pazzo.
C’è una sottile differenza fra i due, la gente di
rado la coglie.
Comunque, non so quanto tempo restammo lì, ma quando
uscimmo, ancora camminando a zonzo, scoprimmo che c’era un
luna park ambulante in città, di quelli che viaggiano di
posto in posto. Persi metà del mio patrimonio lì,
molto probabilmente. Andammo sulla ruota panoramica (un classico), su
uno di quei giochi spastici dove t’imbragano e giri in aria
come un dannato, sugli autoscontri per non ricordo più
quante volte. E poi, non per vantarmi, ma vinsi un peluche.
Quando tornammo a casa Kim telefonò a suo padre e suo
fratello e stettero al telefono per delle ore, mentre io cucinavo.
Volevo farle una sorpresa e preparare qualcosa di buono, ma devo dire
di non essere un cuoco provetto, però lei mangiò
tutto.
Che bella la vita.
Credo che quella sera, quando tornai a dormire, oltre a Kim abbracciai
pure il mio nuovo peluche nel sonno.
Penultimo capitolo! Allora, siete
contente? A dir la verità sono proprio cattiva,
perchè non ho mai pensato di far morire Kim, mi sono
affezionata al suo personaggio (uno scrittore non dovrebbe mai farlo,
altrimenti come fa poi quando al personaggio capita qualcosa di male?
u_u). B'è, come vi avevo già annunciato questo
capitolo è molto corto. Anche il prossimo lo
sarà, è un epilogo, e contiene l'intera lista di
Kim! *ohhh!*
E ora rispondo alle recensioni:
Nymph: per fortuna Kim non ha mollato Robert. Altrimenti la fic si
sarebbe fatta troppo drammatica, e già cè un
grosso problema drammatico da risolvere (la malattia). Ma grazie
all'intervento divino (insomma, non proprio, diciamo solo grazie alla
mia indole tenerosa), lei sta bene, lui sta bene, Kristen è
andata a trovare il suo ragazzo, e tutti sono felici e contenti! XD
Comunque, grazie per la recensione. Caspita il fatto che tu sia
arrivata a leggere fin qua mi lusinga! ^^
Xx_scritrice88_xX: eh lo so, Kris in questa fic è proprio
cattiva, ma dai, la perdoniamo perchè in fondo ci sono
così tante persone che la odiano solo perchè
esiste, porella! Allora, spero che questo quasi-finale ti sia piaciuto,
ovviamente non poteva finire male! ;) Grazie per essere arrivata fino a
qui nella lettura, uno smack! ^^
Le recensioni sono diminuite, forse è una forma di protesta
per la tristezza del capitolo precedente. XD Ma spero che con questo
capitolo siate soddisfatti; i lieto fine sono a volte scontati, lo so,
ma noi autori cerchiamo di fare quello che possiamo. Oltrettutto per
questa storia Robert Pattinson ne ha passate di ogni: ha rubato ad un
ristorante, si è mangiato un risotto piccante, è
andato in giro in una località marittima con i vestiti
bagnati, è stato mollato prima di andare in mongolfiera! Se
gli facevo pure morire la tipa mi prendeva e mi uccideva! XD
Comnque sia, grazie a tutti coloro che leggono, siete dei grandi! Ci
vediamo nell'epilogo! Un bacio a tutti <3
Patty.
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Capitolo 8 *** Capitolo otto: nel quale Robert ricorda diverse cose (Epilogo). ***
Capitolo otto: Nel quale Robert ricorda diverse
cose (Epilogo)
Rob
L’altro giorno ho trovato questa in un cassetto. E’
passato un sacco di tempo, cavolo! Kim ci ha anche fatto degli appunti
affianco, leggerli è stato strano, mi ha fatto ricordare
tante cose.
Lista delle cose da fare prima di … BOOM!
1 Avere una passionale
e corta storia d’amore. Fatto, e direi con
più che soddisfacenti risultati! E per fortuna non
è stata nemmeno corta come storia.
2 Mangiare in un
ristorante di lusso e uscire senza pagare. Fatto, la cena
era davvero poca però era buona, e quei camerieri correvano
davvero veloce.
3 Andare allo zoo.
Una delle giornate da ricordare in vita mia.
4 Passeggiare in riva
al mare al tramonto. Quasi fatto, nel senso che ho
passeggiato all’alba al posto che al tramonto.
Però in compenso ho fatto il bagno di notte (e anche altro
… scandaloso!)
5 Finire quel libro che
avevo incominciato a leggere che poi ho perso. Finito.
Davvero bello, ve lo consiglio!
6 Conoscere una persona
famosa quanto Gesù o Salvador Dalì.
Non so se Robert sia famoso quanto Salvador Dalì (quanto
Gesù no di sicuro), però facciamo finta di si.
7 Dipingere un murales.
Non è un murales, è solo un dipinto, ma secondo
me è meglio! Un grazie a Robert per avermi portata vicino
all’albero.
8 Volare su una
mongolfiera. Non era una delle mie giornate migliori, ma
non la cambierei per nulla al mondo.
9 Salutare la mamma.
Anche questo fatto. Era da un sacco che non ci facevamo una
chiacchierata come quella Ma’!
Kim non si smentisce mai. Tutto quello che dice è fuori
luogo, è stupido, oppure è contorto.
Chissà se Kim si ricorda ancora della lista? Ma certo! Non
può averla dimenticata! Oggi è un giorno
speciale, perciò credo che gliela porterò quando
tornerò in ospedale. Per fortuna questa volta è
lì dentro per un motivo molto meno serio e più
bello dell’ultima volta che c’è stata.
Un motivo piagnone, urlante e che mangia come un dannato.
Comunque, dato che oggi è nato sul serio qualcosa da questa
nostra avventata e del tutto irresponsabile relazione, credo che
dovremmo bruciare questa lista. Come se fosse un rito.
Ora so per cosa stava il BOOM! Era un’esplosione, si. Una di
quelle forti e assordanti, che ti cambiano la vita. Il suo nome, dice
lei, somiglia a quello di una pornostar, ma io credo che sia il nome
più adatto invece. Irriverente, semplice ma complicato,
caloroso, divertente.
La mia espolosione si chiama Kim. BOOM!, è solo un altro
modo per chiamarla.
Aspettate con pazienza l’esplosione che
sconvolgerà le vostre vite, sarà luminosa e
fantastica.
Fine
Questa storia non
è stata scritta a fini di lucro. Tutti i riferimenti a fatti
realmente accaduti è puramente casuale. Non conosco Robert
Pattinson e lui non ha dato l’autorizzazione per scrivere
questa fic (ma di sicuro gli piacerebbe vivere una passionale storia
d’amore come questa … perciò mi
ringrazierebbe XD).
Ed eccoci, siamo giunti fino alla
fine. Spero che vi sia piaciuta questa storia sul caro homo Robert
Pattinson. :) Ho un'altra storia su di lui, ma non so quando la
posterò, adesso inzia la scuola e ci saranno tante cose da
fare, nel caso però che questa vi sia piaciuta e voleste
leggerne un'altra sappiate che la prossima s'intitola: Who's my son's father?
Ma non vi anticiperò altro.
Xx_scritrice88_xX: non potevo ovviamente far morire Kim, è
così simpatica! ^^ Grazie per la recensione, spero che tu
sia rimasta soddisfatta dalla fine di questa storia. Un grazie enorme.
<3
Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito, siete state un
valido aiuto per migliorare la storia sempre di più! Grazie
mille a:
PlInCy4
Luxi
Satyricon
Xx_scritrice88_xX
ilachan89yamapi
Nymph
Oltretutto ringrazio le 13 persone che hanno messo la fic fra i loro
Preferiti, mi stupisco che siate così in tanti! Comunque
grazie mille per aver letto la mia storia! E poi, ovviamente, un grazie
ai 14 che hanno seguito assiduamente la storia, mettendola appunto fra
le storie Seguite ^^
Un grazie
di cuore. Senza di voi questa storia non sarebbe potuta esistere.
Patty.
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