Lost World

di Cry_Amleto_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Nightmare or remembrance] ***
Capitolo 2: *** [To kill him] ***
Capitolo 3: *** [Selfish] ***
Capitolo 4: *** [Mission] ***
Capitolo 5: *** [Forigive him] ***
Capitolo 6: *** [I'm sorry] ***
Capitolo 7: *** [ Father ] ***
Capitolo 8: *** [ 4th July ] ***



Capitolo 1
*** [Nightmare or remembrance] ***


We said goodbye, that's what you told me once
So many time we've made our peace[...]
(Ci siamo detti addio, questo è ciò che una volta mi dicesti
Ci siamo riconciliati tantissime volte[...])

La luna piena illuminava a giorno tutto ciò su cui posava attenzione. Alcuni suoi raggi si infiltrarono tra le ante aperte di due balconi, nella camera da letto patronale di una sontuosa villa nella città di Malibù. Raggiunsero due figure maschili stese su di un enorme letto che troneggiava al centro della stanza, coperte da un lenzuolo candido. Uno dei due – il più massiccio – era vigile nonostante la tarda ora e accarezzava con lo sguardo il volto addormentato dell'altro, che rannicchiato su se stesso, contro il petto del primo, sembrava quasi un bambino al suo confronto. L'espressione di quest'ultimo sembrò come accartocciarsi, visibilmente in preda a terribili incubi.

Li vide entrare alla spicciolata, lentamente, i camici bianchi da cui si intravedevano le divise militari, i guanti in lattice immacolati che fasciavano loro le mani.
Gli puntarono un faro al neon contro, accecandolo e costringendolo a distogliere lo sguardo, denudandolo delle ombre nelle quali era abituato a confondersi.
Cambiò leggermente posizione, spostando il peso da un piede all'altro, e lo strano materiale traslucido e vischioso che lo legava ad un muro di cemento si adattò ai suoi movimenti. 
Con la testa reclinata verso il basso e il corpo debole, infiacchito dalla prigionia, si lasciò esaminare da quegli pseudo-scienziati che borbottavano commenti a cui non volle prestare attenzione. 
Dopo un arco di tempo che non riuscì a quantificare, uno degli uomini gli si avvicinò. 
Inizialmente non riuscì a mettere a fuoco che il suo profilo scuro che si stagliava sulla luce accecante del faro. Poi, la voce dell'uomo che gli era dinanzi ordinò di abbassare i riflettori. Una voce che gli strinse il cuore in una morsa nostalgica. 
E poi eccoli. 
Quei due grandi e profondi occhi celesti che amava come nessun'altra cosa al mondo, lì, nei suoi. 
Gli sorrise, Tony Stark, sorrise a Steve Rogers. 
Un sorriso che gli morì sulle labbra quando, scavando in quelle due pozze oceaniche, le trovò troppo torbide, prive di quella luce che lo aveva fatto perdutamente innamorare di lui.
No. Quell'uomo che indossava quel camice, che lo squadrava con sguardo da predatore, che aveva piegato le labbra in un ghigno scoprendo i suoi bianchissimi denti perfetti, non poteva essere il suo Steve.
Eppure... Eppure era lui. Era indubbiamente lui. 
Quest'ultimo gli si avvicinò, il passo lento e felpato di una belva che si accosta alla sua preda.
Si fermò solo quando pochi centimetri separavano i loro volti, tanto che l'inventore percepì sugli zigomi il respiro caldo del Capitano.

«Esperimento numero 1»

Tre parole secche, pronunciate dalla voce di colui che amava, che spalancarono le porte dell'Inferno.

C'era solo dolore.
Lampi di luce violetta improvvisi che illuminavano le mani o il ghigno del carnefice incaricato.
La voce di Steve che, dopo ogni seduta, lo accarezzava suadente e dolce come miele, promettendo una nuova vita nata dal dolore. Nata dalla pazzia.
E urlò.
Urlò il nome di quell'uomo identico al suo Steve, eppure così nettamente diverso.
Urlò.
Gli urlò di smetterla.
E implorò.
Implorò la fine di quei tormenti.
Implorò.
Gli implorò di ucciderlo.

Si svegliò di scatto, madido di sudore, urlando. Una voce preoccupata lo chiamava per nome. Quella voce.
Si alzò repentinamente dal letto, un gemito lasciò le sue labbra.
E incrociò nuovamente quello sguardo di zaffiro.
Era lo sguardo giusto. La luce che brillava sotto di esso era visibile anche nell'oscurità della notte.
Sì.
Era il suo Steve.
E quella in cui si trovava era la loro camera da letto.
Si rifugiò nuovamente sotto le coperte, nascondendosi tra le braccia muscolose del Capitano, che prese a cullarlo accarezzandogli ritmicamente i capelli.

Quel sogno... Perché aveva sognato uno Steve che si dilettava a farlo torturare? Perché, se avrebbe affidato a quest'ultimo la propria vita senza pensarci due volte? Eppure quelli non sembravano sogni... erano troppo veri, troppo dolorosi per esserlo. Come se fossero ricordi soppressi, immersi nel fango della propria memoria.
Con la mente ed il cuore turbati, respirò a fondo l'odore del suo uomo, lasciandosi condurre dalla sua dolce voce consolatoria verso un sonno senza sogni.

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Capitolo 2
*** [To kill him] ***


[...]But this is love, I'll never give you up
I know your love has come home to me[...]
([...]Ma questo è l'amore, non rinuncerò mai a te
So che il tuo amore è tornato a casa da me[...])

Le lenzuola fresche di bucato gli accarezzavano dolcemente il corpo nudo.
La fredda brezza notturna che lo raggiungeva tramite le finestre dei balconi aperti era mitigata dal calore emanato dal corpo disteso accanto al suo, che sembrava volersi nascondere ed aggrapparsi alla propria figura. 
Passò distrattamente una mano tra i capelli scuri dell'altro, mentre indugiava con lo sguardo sul suo volto addormentato baciato dai raggi lunari e sulla cicatrice che gli percorreva la fronte, nascosta al pubblico da folte ciocche castane. Percorse quest'ultima con un dito, mentre la sua espressione si faceva via via più grave. Sotto quel tocco, il moro si agitò chiamandolo per nome. Lo cullò dolcemente, finché non si riaddormentò. 
I suoi pensieri – i suoi sensi di colpa – non riuscivano a dargli tregua neanche in quel momento, con tra le braccia dell'uomo che amava, colui che a breve avrebbe sposato. Il suo sguardo dunque si posò sull'elegante cerchietto argenteo alla base del suo anulare sinistro, fatto brillare dai raggi lunari. Ripercorrendo con gli occhi le linee leggiadre disegnate su di esso e che ormai aveva imparato a memoria. 
Spostò nuovamente lo sguardo sul suo compagno.

Anthony Edward Stark.
Iron Man.
Un uomo dai mille difetti ma che aveva sacrificato se stesso più di una volta per salvare il mondo, senza alcuno scopo se non quest'ultimo. 
Quel grande, piccolo uomo che giaceva addormentato tra le sue braccia.
Braccia che non si ritenevano degne di quel privilegio.

Steven Grant Rogers.
Captain America.
La cui immagine di uomo rigido, fermo nelle proprie convinzioni e di grande moralità celava la propria natura tutt'altro che priva di macchie. 
Un uomo da un passato oscuro e mostruoso, un passato che aveva cercato di distruggere in tutti i modi, senza riuscirci. 
Un uomo che non meritava di essere amato e che eppure stava per coronare i suoi sogni di felicità,  cosa non concessa ad uomini molto più degni di lui.

L'inventore si agitò nuovamente tra le sue braccia, distogliendolo da quei pensieri. Un gemito sfuggì dalle labbra di Tony, in preda ad uno dei soliti incubi che tormentavano le sue notti. Con le sopracciglia aggrottate dalla preoccupazione, prese a cullarlo, mormorandogli parole di conforto che però non bastarono a calmarlo. Il moro iniziò a sudare copiosamente e ad agitarsi nel letto sempre più, facendosi sfuggire mormorii sconclusionati. Vista la piega che aveva preso la situazione, Steve prese a scuoterlo per una spalla cercando di svegliarlo. Lo chiamò fermamente per nome più volte, senza alcun risultato. Poi Tony spalancò gli occhi, urlando il nome del Capitano, e si alzò di scatto dal letto per andare a rifugiarsi contro la parete. L'inventore lo guardava terrorizzato, il respiro affannoso che gli sconquassava le spalle. Lo guardava dritto negli occhi eppure sembrava non riconoscerlo come se si fosse ritrovato accanto ad un mostro. 
Il mostro che Steve era
Lo aveva scoperto. In qualche modo, Tony aveva scoperto chi era davvero. Dio stesso, impietosito, poteva avergli svelato la verità che si ostinava a nascondere. Lo sapeva, il "Capitano", che non avrebbe potuto nasconderglielo a lungo. Solo... Sperava di avere più tempo.

Con un nodo alla gola, si alzò a sedere, allungando una mano verso di lui, pronto a fornirgli delle spiegazioni. A quel gesto, però, l'inventore sembrò calmarsi e si gettò tra le sue braccia con impeto, quasi con disperazione, tremando come una foglia. 
Steve prese a cullarlo dolcemente, mormorandogli parole che sperava essergli di conforto. Gli ripeteva che lui c'era, che non sarebbe andato da nessuna parte, che non lo avrebbe lasciato solo. E in cuor suo ringraziava, ringraziava con tutto se stesso, per questo tempo in più che gli era stato concesso. Quando Tony finalmente si riaddormentò, sgusciò fuori dalle coperte. Con lo sguardo puntato verso il basso – verso quell'anello e la promessa che esso sanciva – si avviò lentamente verso la cucina, il pavimento di marmo freddo che lo faceva rabbrividire a contatto con i piedi nudi.

Era davvero giusto sposare quell'uomo a cui aveva nascosto così tanto? Sarebbe stato davvero tanto mostruoso da tradirlo in quel modo? 
Eppure lo aveva già fatto. Lo aveva tradito quando aveva pronunciato quel "sì". Lui... Non ce l'aveva fatta, quando Tony gli aveva fatto quella proposta, non ce l'aveva fatta a dir di no alla cosa che più bramava al mondo. Incredibile quanto in là potesse spingersi il proprio egoismo.

Arrivato in cucina, fu sorpreso di trovare le luci già accese. Il suo sguardo si posò sulla minuta figura che occupava la sedia dove di solito sedeva l'inventore, un bicchierino di Martini in mano. La bottiglia al suo fianco era vuota per tre quarti.

«Non sei troppo giovane per bere così tanto, Victoria?» chiese, tagliando il silenzio in cui era avvolta la villa.

La ragazza si girò di scatto, posando i suoi grandi occhi marroni, così simili a quelli del padre, nei suoi. Ma diversamente da quello di Tony, lo sguardo che Victoria Maria Stark gli rivolgeva era carico di diffidenza, quasi astio.

«Vick.» lo corresse subito, sbottando «Nessuno mi chiama Victoria. E comunque, sono "abbastanza grande" da avere le forze e le abilità per azionare e far funzionare un portale spazio-dimensionale, un cocktail in più non è nulla in confronto.»

Il Capitano si portò una mano alla nuca, grattandosela. Non si era mai sentito così a disagio come sotto lo sguardo di quella ragazzina che sembrava conoscere gli antri più oscuri della propria anima.

«Dovresti lasciarlo in pace, sai? Mio padre intendo.» gli disse Vick, senza staccare neanche per un attimo lo sguardo freddo da quello di Steve. «I suoi sentimenti sono sinceri.»

«Anche i miei lo sono.» ribatté il Capitano aggrottando le sopracciglia «Non so perché tu abbia questa pessima opinione di me ma-»

Fu interrotto dalla roca risata priva di reale divertimento della ragazza.

«Solo il fatto che James Barnes sia vivo e vegeto anche in questa dimensione, rende il tuo rapporto con l'Oltre – o Hydra come lo chiamate qui – sottinteso. Cosa pensavi, che sarei venuta qui senza informarmi di come fosse messa... la situazione?» La voce di Victoria era secca, con una sfumatura derisoria che non mascherava il proprio disprezzo verso l'altro. «Lascialo in pace, lo hai già fatto soffrire abbastanza.»

Ad udire quelle parole, Steve sbiancò di colpo. Come era possibile che quella ragazzina sapesse così tanto di lui? Era sicuro che non ci fosse nessun documento che lo segnalava come membro dell'Hydra, niente che facesse sorgere neanche il benché minimo sospetto.

«Non dirò nulla a mio... a Tony, non ci tengo a inimicarmelo, perché so che non mi crederebbe mai senza le prove che effettivamente non ho. Ma ti conviene lasciarlo prima che le cose diventino troppo serie. Sai come si dice: "Le bugie hanno le gambe corte."» continuò la figlia dell'inventore, posando il proprio sguardo sull'anello indossato dall'anulare della mano sinistra del Capitano, l'espressione disgustata di chi ha appena visto un enorme ratto.
Per riflesso a quello sguardo, Steve strinse le dita, come per evitare che l'anello scivolasse via e con esso la felicità che rappresentava.

No, non poteva rinunciare ad un futuro felice – anche se illusorio – al fianco della persona che amava più della propria stessa vita. Era l'unica cosa che desiderava. Sì, il suo era un comportamento egoista, ma non poteva svelare a lui il proprio oscuro passato o l'avrebbe odiato, ripudiandolo, arrivando a dargli la caccia, forse. D'altra parte, Tony era sempre stato sincero con lui soprattutto per quando riguardava i suoi "peccati" di gioventù... Lo stava tradendo. Stava tradendo la persona che più amava al mondo per non rinunciare a lui, per non gettare all'aria tutto ciò stavano lentamente costruendo insieme.

Un castello di carte.

I suoi pensieri, misti ai sensi di colpa, gli fecero dimenticare la presenza della ragazzina. Con le sopracciglia aggrottate, la mano sinistra stretta in un pugno e la destra a coprirla con fare quasi protettivo, tornò sui suoi passi, infilandosi nuovamente oltre la porta della camera che condivideva con l'inventore. Si infilò velocemente le scarpe e la felpa della tuta di cui già indossava i pantaloni, prese dal cassetto del proprio comodino le chiavi della sua moto e fece per andarsene, senza una meta precisa, solo il più lontano possibile, per schiarire i propri pensieri.
Esitò sull'uscio, voltandosi verso il profilo addormentato di Tony. Si soffermerò sul suo volto, sulle sue labbra dalla curva imbronciata e le sopracciglia leggermente aggrottate, l'espressione di un bambino a cui avevano tolto il peluche preferito. Ed effettivamente dalla sua posa, con le braccia allungate verso la parte di letto precedentemente occupata dal Capitano, sembrava che qualcosa gli fosse stato improvvisamente sottratto. Steve dovette resistere all'impulso di tornare da lui, di stringerlo, mormorandogli ancora una volta che lui era lì, che non lo avrebbe mai lasciato.
Ma era una menzogna.
Una menzogna, come quella che il Capitano stava raccontando a se stesso.
Non sarebbero mai stati felici, non finché avrebbe continuato a nascondergli cosa aveva fatto al mondo, a lui.

Vick non si girò verso di lui quando se ne andò chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. Sentì la moto accendersi, poi lo scoppiettio del suo motore farsi sempre più distante.
Sorrise, guardando all'interno del bicchiere che impugnava, ormai vuoto.
Fu un sorriso carico di una tristezza infinita. E tali furono anche le sue parole che rimbombarono tra le pareti della villa che aveva improvvisamente assunto un aspetto spettrale, emanando un senso di abbandono come mai prima.

«È proprio vero. Non puoi fare a meno di ucciderlo.»

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Capitolo 3
*** [Selfish] ***


[...]Like a river, always running
I keep losing you[...]
([...]Come un fiume, sempre in movimento
Continuo a perderti[...])

A svegliarlo fu il freddo. 
Un freddo non dovuto alla brezza leggera proveniente dal balcone, anzi, più che vero e proprio freddo era mancanza di calore. Il calore di Steve.
Socchiuse pigramente gli occhi, facendoli viaggiare su quel lato terribilmente vuoto del letto. Dovette reprimere un moto di fastidio. D'altronde, non era abituato a svegliarsi da solo in quel letto gigantesco, non più dall'ultimo mese. Si alzò lentamente, stiracchiandosi. Lanciò un'occhiata distratta alla sveglia elettronica posta sul comodino: 8.02, segnava.

«Friday, dov'è Steve?» chiese, infilandosi la prima maglietta che gli capitò a tiro.

Neanche il tempo di farla rispondere, che sentì la moto del Capitano parcheggiare sotto casa. Passandosi una mano tra i capelli, cercando di dare un senso alla matassa informe che erano diventati, uscì dalla stanza. Si diresse verso l'ingresso per poi appoggiarsi al muro, le braccia conserte aspettando il suo ingresso. Lo accolse con uno di cui sorrisi che l'inventore rivolgeva solo a lui, di quelli di una dolcezza insospettabile in uno come Tony Stark. Si diresse pigramente verso di lui, mettendo su un cipiglio barbaro.

«Spero che la missione che l'ha costretto a lasciare il letto sia stata di vitale importanza, Capitano.» lo apostrofò, il tono severo mitigato dal sorrisetto che non lasciava le sue labbra.

In tutta risposta, Steve gli porse una scatola di ciambelle fumanti, rispondendo al suo sorriso con uno altrettanto dolce.

Nel piegare le labbra all'insù, il biondo sentì un nodo stringergli la gola: non era una bugia anche quella timida curva? Aveva vagato in sella alla propria moto senza meta, cercando inutilmente di fare ordine tra i propri pensieri, fin quando aveva visto il sole spuntare all'orizzonte. Per lunghi istanti aveva preso in considerazione l'idea di fuggire, sparire, per non dover tornare dallo sguardo fiducioso e ignaro di Tony, per non essere più costretto a mentirgli. Il proprio egoismo aveva trionfato di nuovo, però. Si era fermato a prendere le ciambelle alla pasticceria preferita del moro, sia per giustificare la sua assenza, sia per riveder spuntare quel sorriso che a lui solo rivolgeva, un sorriso destinato a scomparire non appena si fosse spezzata l'illusione.

Tony gli sottrasse rapido la confezione dalle mani, prima di sorridergli soddisfatto: «Bravo il mio soldatino.»

Il biondo rise, ma la sua fu una risata leggermente forzata a causa dei pensieri che gli ronzavano in testa. L'inventore, che non faceva che mascherare i propri pensieri con espressioni artificiose, non poté non accorgersene. La luce nel proprio sguardo repentinamente cambiò. Infilò una mano nella scatola sottraendone velocemente un dolce glassato.

«Che hai?» gli chiese, dando poi il primo morso, senza staccare neanche per un istante gli occhi ambrati dai suoi cerulei.

A volte Steve rimaneva stupito dalla perspicacia del compagno, di solito così concentrato su se stesso da non curarsi minimamente di chi o cosa lo circondava.

«Niente.» fu rapido a rispondere, forse un po' troppo rapido. Sotto lo sguardo indagatore di Tony, non poté far altro che aggiungere: «Mi chiedevo solo quanto ancora durerà la quiete prima della tempesta.»

Non era proprio una menzogna, quella. Era passato un mese dall'ultimo evento catastrofico/apocalittico/potenzialmente mortale, ma entrambi erano a conoscenza del fatto che quella "pace" non sarebbe durata a lungo. Dopotutto, le premesse c'erano tutte. Victoria Stark era arrivata da un'altra dimensione solo per metterli in guardia, e, a test genetici fatti, non c'era motivo di dubitare di lei. L'Oltre - l'organizzazione che nella loro dimensione portava il nome di "Hydra" ma molto più potente di quest'ultima, considerato che aveva preso possesso del proprio mondo riuscendo a spazzar via o "assorbire" le stesse minacce che erano bastate a reprimere l'Hydra – stava arrivando.

E poi c'era anche un altro problema, uno che riguardava Tony ma che non aveva ben compreso. Aveva ascoltato di sfuggita una conversazione tra i due Stark quando era sceso nel laboratorio per parlare un po' con l'inventore. Il moro aveva iniziato a trascorrere molto tempo tra quelle pareti con la "figlia", scoprendo in lei una mente acuta pari solo alla propria e, in qualche modo che non sapeva spiegare, si era sentito quasi fiero di quella ragazzina di diciassette anni capace di star dietro, come nessun altro prima di lei, alle sue folli idee e geniali invenzioni. I due stavano discutendo di qualcosa riguardo al reattore e all'Oltre, il tono grave quanto infervorato, quando il Capitano aveva fatto la sua comparsa. La discussione, poi, sembrava essere scivolata via e Steve si era detto che, probabilmente, non erano cose che gli riguardavano o che poteva comprendere. Con che diritto gli avrebbe dovuto chiedere di più, se era il biondo il primo a non dire niente all'inventore? Se ci fosse stato qualcosa di serio in ballo, Tony lo avrebbe informato, ne era certo.

«Non devi preoccupartene, Ghiacciolo, ho saputo che Iron Man se ne sta occupando personalmente, quindi possiamo stare tranquilli.» gli disse il moro facendogli l'occhiolino, prima di fiondarsi su di un'altra ciambella. Notando che però Steve non accennava a cambiare espressione, con un sospiro abbandonò il dolce insieme alla scatola. Gli circondò il collo con le braccia, avvicinandosi finché i loro volti non furono l'uno ad un soffio dall'altro.

«Che ne dici se ora vai a vestirti come si deve mentre io mi faccio una doccia e mi assicuro che Tory non mi hackeri la cartella con le tue foto da nudo, e poi usciamo?» gli mormorò suadente, le labbra a pochi millimetri dalle sue.

«Hai delle mie foto... da nudo?» gli chiese quindi Steve, un mormorio presto interrotto dalla voce squillante della ragazza che trillò attraverso gli altoparlanti sparsi per casa: «Ho detto che non mi devi chiamare così, Tony! E poi non ci tengo a vedere i nudi di quel vecchietto, grazie!»

«E dai, Tory, Tony, suonano bene! E poi ti assicuro che questo ultra-novantenne di "vecchio" non ha proprio niente.» rispose ad alta voce, per poi strizzare un occhio verso il Capitano.

Poi gli diede le spalle, incurante dei borbottii della Stark, incamminandosi verso la sala da bagno.

«Sbrigati Capiscle, ho intenzione di portarti in un certo posto e per arrivarci non ci vuole esattamente poco.» gli disse continuando a camminare, poi si girò brevemente verso di lui «Ma sono sicuro che ti piacerà.»

Tony gli rivolse un ultimo sorriso, di quelli tanto ampi e brillanti che facevano invidia ad Apollo stesso.
Steve ne fu abbagliato.

"Ancora un po', ancora un po' ", continuava a ripetersi.

Egoista.

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Capitolo 4
*** [Mission] ***


[...]Like a fire, always burning
I’ll be here for you[...]
([...]Come un fuoco, sempre a bruciare
sarò qui per te[...])
 
Il suo compito era proteggerlo.
Sarah glielo aveva chiesto fino al suo ultimo respiro, di vegliare su di Steve, e per Bucky – o James, come si ostinava a chiamarlo lei, con quel suo sorriso materno – quella sarebbe sempre stata la sua missione prioritaria.
Era così a Brooklyn, quando Steve non era che uno scricciolo d’uomo, tanto leggero che pareva fatto di freddo, con uno sguardo ceruleo che per contro ribolliva d’un fuoco che richiamava le fornaci degli dei.
Era così contro i tedeschi, quando il Prometeo incatenato in quel corpo troppo gracile e debole venne liberato, e il piccolo Stevie lasciò spazio a Captain America.
Era così quando Bucky riuscì a scuotersi di dosso il Winter Soldier e a trovare la forza di allontanarsi da lui, temendo di perdere il controllo e fargli del male, di nuovo.
James Buchanan Barnes era lo scudo dietro cui Steven Grant Rogers poteva riparasi, quando quello stellato pesava troppo per essere tenuto alto.
Lo avrebbe salvato da tutto, da tutti, anche dal Soldato d’Inverno, anche da se stesso.
E questa sua missione lo aveva portato a perderlo, forse per sempre.
 
Lo sapeva che il figlio di Howard era importante per lui.
Ricordava il dolore opaco che corrompeva le sue iridi, quando Steve lo aveva trovato – alcuni mesi dopo la scomparsa dell’inventore -, l’aspetto da ferita aperta che aveva assunto il suo sorriso, prima così brillante da essere accecante. Sulle labbra sentiva ancora il sale delle lacrime che il Capitano piangeva nel sonno, nei primi tempi.
Ma si era illuso di potergli bastare.
 
Quando l’Hydra lo aveva rapito, aveva pregato Dio affinché Steve non si mettesse in testa di andarlo a salvare, che non buttasse in quel modo la sua vita. Non se lo sarebbe mai perdonato. Invece era venuto, portando con sé Stark. Era un tipo intelligente, Anthony, questo non lo si poteva negare: lo aveva capito, aveva capito Steve. Con il senno di poi, sembrava averlo compreso più di Bucky stesso. Sicuramente, era riuscito a proteggerlo senza ferirlo. Non come aveva fatto lui.
Farlo rinchiudere era un errore, il proprio istinto glielo aveva gridato fin da prima di dare l’ordine, ma aveva una Missione: doveva proteggerlo, a qualunque costo.
“Il fine giustifica i mezzi”, si diceva mentre Steve urlava di essere lasciato andare, che aveva qualcuno da andare a salvare.
Il Capitano non aveva più voluto vederlo, da quell’ultima volta, quando era andato a trovarlo in cella. Non aveva saputo del ritorno degli altri Avengers e del loro piano per riprendersi Iron Man. Non aveva potuto restargli accanto quando credevano l’inventore morto. Non gli aveva dato l’opportunità di scusarsi. D’altronde, cos’altro poteva aspettarsi? Steve gli aveva dato tutta la sua fiducia e lui lo aveva tradito.
Ben presto si era trovato senza un posto dove andare: di tornare indietro, in quella caffetteria che sembrava distante mondi da New York, non se ne parlava, non prima di aver chiarito con il Capitano; alla Torre, insieme agli altri Vendicatori, si sentiva terribilmente fuori posto e i lunghi silenzi di Steve quando si trovava nelle sua stessa stanza pesavano come macigni; non percependo alcuno stipendio, non poteva permettersi di prendere in affitto un appartamento.
L’aiuto era arrivato da dove non si sarebbe mai aspettato.
 
Tony Stark lo aveva trovato in un pub di Brooklyn. Aveva ordinato uno scotch mentre si sedeva sullo sgabello accanto a lui, senza guardarlo.
 
«Grazie.» era la prima parola che Stark gli aveva rivolto.
 
Poi si era voltato verso di lui, un sorrisetto sghembo sulle labbra e una mano a portare verso queste ultime il tozzo bicchiere dal liquido ambrato.
Bucky lo aveva guardato sorpreso: aveva capito a cosa il milionario si riferisse - Grazie per aver cercato di proteggere Steve, grazie per essergli stato accanto quando io non potevo - , ma mai avrebbe scommesso che una parola del genere sarebbe potuta uscire da quelle labbra sottili, non rientrava nel personaggio. Forse lo aveva giudicato troppo frettolosamente.
 
«Ho sentito che cerchi casa.» aveva continuato Tony, girandosi nuovamente al bancone, senza più aspettare una risposta che non ci sarebbe stata. «E si dà il caso che io abbia qualche appartamento sparso per New York, a prender polvere. Potrei, diciamo, prestartene uno finché non trovi un lavoro per trovarti un altro posto o, più semplicemente, pagarmi l’affitto.»
 
L’inventore aveva attirato l’attenzione del barman e ordinato un secondo giro per sé ed il Soldato.
 
«Non credo che riuscirei a pagare un mese d’affitto di uno dei tuoi attici neanche con dieci anni di stipendio.» aveva ribattuto Bucky, non senza un sorrisetto, ringraziando per l’alcolico con un cenno del capo.
 
«Barnes, non mi crederai tanto al verde o tanto sadico da voler spennare uno dei più cari amici di Steve!» aveva esordito, guardandolo di sbieco «E io avevo in mente qualcosa di più rustico, a Brooklyn, magari. Da adolescente c’erano volte in cui per un po’ volevo fingermi un povero, comune mortale.» Il proprio sguardo ambrato aveva brillato ferino per qualche attimo.
 
«Di sicuro non potresti essere comune neanche volendo. Ancor di meno povero.» l’ex sergente aveva buttato giù di un fiato il liquore «Non credo che Steve mi definisca ancora così.»
 
Amico, amante. Aveva messo fine a tutto ciò che erano stati quando aveva dato quell’ordire, non si illudeva del contrario.
 
«È vero, hai fatto incazzare Capiscle, ma ciò non toglie che continui ad essere l’uomo per cui è venuto in lacrime alla mia porta, quando l’Hydra ti ha preso.» la piega del suo sorriso si era fatta amara, mentre davanti ai propri occhi scene del proprio “soggiorno” alla loro base avevano iniziato a scorrere violente «Gli passerà. Ha bisogno di te. Siete o non siete il fantastico duo di novantenni in erba?»
 
Un paio di sorsi, ed anche il suo bicchiere fu vuotato. Intenzionato a tornare a casa sobrio – c’era Steve ad aspettarlo -, l’inventore fece per alzarsi, facendo segno all’altro di seguirlo.
 
«Perché mi stai aiutando? Non credevo di esserti simpatico.» aveva quindi domandato guardingo Bucky, alzandosi a sua volta.
 
«Oh, Barnes, ti assicuro che quando ti ho trovato in quello che era il mio letto con Steve, nudo come mamma ti ha fatto, ho preso seriamente in considerazione l’idea di richiamare l’armatura e farti saltare la testa. Sarebbe stato poetico, in un certo qual modo. Ciò che all’epoca mi impedì di riverniciare la stanza con la tua materia grigia, è ciò che mi spinge ad aiutarti ora: Steve. Come ho detto, ha bisogno di te. E ne avrà bisogno specialmente tra qualche mese.»
I due avevano lasciato il locale, iniziando a camminare per le strade di Brooklyn. La primavera era ancora lontana e quella sera il clima era particolarmente rigido. Tony aveva affondato le mani nel completo di alta sartoria, cercando di scaldarle. Procedeva avanti di qualche passo rispetto all’altro, le spalle leggermente curvate. Da quella prospettiva, al Soldato gli ricordava Steve, lo Steve che era stato prima del siero: sembrava così piccolo e gracile, senza la sua armatura, eppure intestardito a voler salvare il mondo.
Si riscosse. Il Meccanico aveva detto qualcosa che non gli quadrava.
 
«Perché? Cosa gli accadrà?»
 
La sua voce era tesa, ora, affilata. Si era fermato, afferrando l’inventore per un braccio affinché facesse altrettanto. Lo aveva fatto voltare verso di lui, ma Tony non era intenzionato ad incrociare il suo sguardo.
 
«Cosa ti hanno detto riguardo alla mia “resurrezione”?» gli aveva chiesto l’inventore, spiazzandolo.
 
«Che hai preso una pillola che ti ha dato una morte apparente, in modo da...»
 
«Ho mentito.» lo aveva interrotto, secco.
 
Solo allora aveva osato sollevare gli occhi ambrati in quelli di un azzurro che non si poteva che definire denso  dell’altro.
 
«Quello che ho buttato giù era sicuramente cianuro.» aveva continuato il Meccanico.
 
«Allora come...»
 
Tony aveva battuto velocemente due dita al centro del proprio petto, sul reattore, facendolo brillare per qualche attimo più intensamente.
 
«Questo non è quello che ho creato io. A quanto mi ha detto Victoria, negli ultimi tre anni, quando mi davate per morto, mi trovavo in… quest’altra dimensione, a fare da baguette congela-scongela per l’Oltre, un’organizzazione – se così la vogliamo chiamare – che nel nostro mondo corrisponde all’Hydra, e che, tipo, governa tirannicamente ogni angolo del loro mondo. Non mi ha voluto dire molto di più, anche se in sogno, qualche volta, certi ricordi… Beh, fatto sta che il nuovo reattore è una bomba, potente, molto più potente di quanto immaginassi all’inizio, mi riduce l’invecchiamento cellulare, ha smaltito il cianuro, cose così. Fatto sta che non dura in eterno, dovrebbe essere sostituito con uno nuovo ogni sette-otto mesi, e noi qui non abbiamo tecnologia abbastanza sviluppata per costruirne uno ex-novo. Ho provato a ritornare ad utilizzare i miei, ma nel giro di un paio d’ore si riducono ad ammassi fumanti di metallo. Quello che sto provando a dire è che… non mi resta molto tempo, per eccesso, direi altri sei mesi. Poi il reattore smetterà di fare il suo lavoro. Non so neanche se la mia dipartita avverrà in modo rapido, con il reattore che, non so, magari esplode, o se saranno le schegge di quella dannata bomba a darmi il benservito.»
 
Gli si era seccata la gola, all’inventore. Quello che aveva detto al Soldato lo aveva realizzato già da un po’, ma dirlo ad alta voce rendeva tutto troppo reale. Aveva fatto viaggiare lo sguardo altrove, prima di riposarlo sull’altro. L’espressione di Bucky era congelata, lo sguardo incredulo, mentre lentamente assimilava quel fiume di informazioni.
 
«Steve lo sa?» gli aveva chiesto telegrafico dopo un lungo silenzio, sebbene la risposta si leggesse chiaramente nello sguardo di Stark.
 
«No» il tono di Tony era quanto mai amareggiato.
 
«Pensi di sposarlo lo stesso?»
 
«Sì.»
 
«Quando hai intenzione di dirglielo, allora?»
 
«Mah, la speranza di trovare una soluzione non mi ha ancora abbandonato. Io e mia… Victoria, ci stiamo lavorando su giorno e notte. Se alla fine non ci sarà più nulla da provare, cercherò di sparire nel modo meno doloroso possibile per lui.»
 
«Hai intenzione di scappare via, così, senza dirgli niente?! Dopo averlo anche sposato?!»
 
Il braccio metallico del Soldato si era stretto dolorosamente intorno alla sua spalla.
Dalle labbra corrugate di Tony era fuggito un mugugno di dolore.
 
«Nella mia vita non ho mai desiderato niente come sposarlo. Sono egoista, lo so. Ma vorrei… essere felice solo un po’, finché mi è concesso. Biasimami pure, se vuoi, ma voglio credere ad un futuro in cui riusciamo a restare insieme e ad essere entrambi felici. Nel caso in cui non ci siano più speranze, farò in modo che sarà lui a volersene andare. Sono particolarmente bravo a farmi odiare, è una dote naturale.»
 
Il sorrisetto sarcastico del Meccanico non mitigava per niente il tormento del suo sguardo.
Bucky lo aveva lasciato come se scottasse.
 
«Ed è qui che entro in gioco io, non è vero?» Barnes aveva fatto scioccare la lingua «Vuoi che sia lì, dopo, ad aiutarlo a rimettere insieme ai pezzi, magari spingendolo ad odiarti ulteriormente.»
 
«Non ti facevo così perspicace, soldatino.»
 
«Non funzionerà.»
 
«Invece sì, se giocheremo bene le nostre carte.»
 
«Non voglio mentirgli. Nascondergli una cosa del genere è sbagliato.»
 
«Ma, se non dovessi trovare una soluzione al mio problemino, è tutto ciò che possiamo fare, per Steve.»
 
«Per Steve.» si era ritrovato a ripetere a fior di labbra.
 
Entrambi sentirono improvvisamente un forte bisogno d’alcool. Non avrebbero dovuto lasciare quel bancone da bar.
 
Era passato quasi un mese da quella chiacchierata. Tony era stato di parola: gli aveva fornito un appartamento completamente arredato con vista mozzafiato che dava sul ponte di Brooklyn. Per il Soldato, di rustico quel posto non aveva assolutamente niente, ma almeno non era fatto di vetro e non era ad un’altezza vertiginosa. Il miliardario non gli faceva mancare nulla e l’unica cosa che aveva voluto in cambio – oltre la promessa di prendersi cura di Steve dopo, ovviamente – era stata l’opportunità di giocare un po’ con il suo braccio bionico. Ogni volta che aveva bisogno di scrollarsi di dosso la frustrazione causata dagli scarsi risultati delle proprie ricerche, l’inventore andava a trovarlo, borsa degli attrezzi alla mano. A volte rimanevano in silenzio, quest’ultimo rotto solamente dal rumore metallico degli utensili; altre volte si ritrovavano a parlare degli argomenti più disparati, del tempo, dei propri trascorsi, del nuovo lavoro che aveva trovato Bucky – in un fastfood poco distante dall’appartamento -, parlavano sempre di Steve, mai di ciò che Tony gli aveva detto quella fatidica sera. L’evoluzione del braccio del Soldato andava a pari passo a quella del loro rapporto. In un certo qual modo, tra i due si formò in poco tempo una strana amicizia, basata sopratutto sul bisogno di proteggere il Capitano - l’unica persona per la quale entrambi avrebbero dato la loro vita - e la necessità di dividere il pesante fardello che quell’ingombrante segreto aveva caricato loro sulle spalle.
Il Meccanico non aveva giorni precisi in cui faceva la sua comparsa sull’uscio del Soldato: capitava che non si facesse sentire per giorni, per poi andarlo a trovare nelle ore più disparate tre-quattro giorni di fila. Era l’unico che sapeva dove abitava, quindi quando quel pomeriggio sentì bussare alla porta non si scomodò ad alzarsi dal divano, lo sguardo puntato sulla sit-com trasmessa alla televisione.
 
«Tony, entra! La porta è aperta!» si limitò ad urlare.
 
La voce che rispose alle sue spalle, però, non apparteneva all’inventore.
 
«Non pensavo che voi due fosse così in confidenza.» formulò quella voce dolcemente familiare.
 
Bucky si girò lentamente, come se temesse di farlo scappare, gli occhi leggermente sgranati.
 
«Steve.»

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Capitolo 5
*** [Forigive him] ***


[...]If you're ready, heart is open
I'll be waiting, come find me[...]
([...]Se sei pronto, il cuore è aperto
Ti aspetterò, vieni a trovarmi[...])

 
«L'anno scorso, no, quattro anni fa – scusami eh, faccio ancora un po' di confusione – ho conosciuto questo ragazzino, Peter, Peter Parker. Beh, non è che l'ho proprio conosciuto l'anno... quattro anni fa, diciamo che l'ho formalmente incontrato. Conoscevo i loro genitori. Con Richard ho condiviso alcuni corsi al M.I.T., e prima che si sposassero ci provai con Mary, la madre - di Peter, non di Richard. Dovevo testare la sua fedeltà. Tra amici ci si aiuta, no? Gran bella donna, Mary. È stata una delle poche a dirmi di no. Sono stato anche ai suoi primi compleanni - di Peter, non di Mary.»
 
L'attenzione di Steve era concentrata sulle mani dello Stark impegnate a muoversi accompagnando le sue parole, più che su queste ultime. Erano su uno degli jet di ultima generazione dell'inventore, diretti verso una destinazione che rimaneva ancora ignota al Capitano. "Fidati", gli aveva detto Tony, e Steve lo aveva seguito. 
Il miliardario aveva parlato tanto, anche più del solito, durante il viaggio in macchina che li aveva portati all'aeroporto privato dello Stark. Poi salito a bordo, improvvisamente, si era azzittito. Lo aveva guardato a lungo, piantando le iridi nocciola in quelle celesti dell'altro. Steve aveva quasi potuto percepire la pressione di quello sguardo. Di nuovo, dopo la notte precedente e l'ennesimo incubo del Meccanico, si chiese cosa cercasse Tony dentro i suoi occhi. Dopo un po' le labbra dell'inventore si erano aperte in uno di quei sorrisi che destinava solo a lui, durante i quali gli occhi gli brillavano di una luce capace di stregarlo sempre. Lo ricordava, Steve, il Vuoto che aveva visto in Tony, anni – vite – prima. La consapevolezza che questo fosse stato soppiantato da quel luccichio per merito suo, ogni volta lo inorgogliva. Poi ricordava cosa aveva fatto, cosa gli taceva, e si sentiva sempre un po' più sporco nel restituirgli il sorriso.
Subito dopo Tony aveva iniziato a raccontare.

«Quando Richard e Mary sono morti in quell' "incidente" - sai, ho scoperto che lavoravano per lo S.H.I.E.L.D., e quello che è accaduto loro tutto è tranne che un incidente, ne sono sicuro. Stavo dicendo... Sì, quando sono morti ho continuato a tenere un occhio sul ragazzo. Se fossero stati credenti, Richard e Mary avrebbero voluto me come suo padrino, me lo dicevano sempre. Ma ti rendi conto? Me come figura para-genitoriale di qualcuno. Lo so, è assurdo. Comunque, a distanza di sicurezza, ho... vegliato su di lui? No, detto così fa strano. Insomma, ho tanti soldi da non sapere come spenderli, mandare qualche assegno agli zii suoi tutori non mi avrebbe di certo mandato sul lastrico. Simpatici gli zii, comunque. Anche se avrebbero dovuto insistere di più per far frequentare al ragazzino arti marziali. Prima era così mingherlino e facile da pestare per quei bulli coglio- Lo so, lo so. Linguaggio. Anche se tipi come Flash Thompson farebbero meglio a estinguersi, per un futuro migliore. Beh, sì, è normale tenersi informati sulla sua vita scolastica, no? E poi è un piccolo genio, quel ragazzino. Sta facendo uno stage nella Stark Industries, sai? Quando l'ho rivisto, dopo... il varco, mi ha riempito la maglia dei Black Sabbath di muco. Resta un mocciosetto, anche con quasi venti anni di vita e un morso di ragno radioattivo alle spalle.»

Lo sguardo di Tony si era fatto lontano mentre parlava, la curva del proprio sorriso più dolce, d'un affetto che si poteva paragonare a quello che veniva destinato a Steve, ma che era tutt'altra cosa. 
Il Capitano conosceva Peter di vista, non ci aveva mai parlato. Nei primi tempi dopo la scomparsa dell'inventore, lo aveva trovato più volte seduto difronte alle porte chiuse del laboratorio di quest'ultimo, gli occhi rossi di pianto, immobile, come se aspettasse che le porte si aprissero a rivelare il sorriso di Tony. Qualche volta si era seduto accanto a lui. Avevano condiviso lunghi silenzi d'attesa.

«Gli vuoi bene.» Quella di Steve non fu una domanda, né un'accusa o un rimprovero, ma una constatazione che fece con un sorrisetto intenerito sulle labbra.

Come colto in fallo, il miliardario fu rapido a distogliere lo sguardo, leggermente imbarazzato.

«Non... proprio. È logorroico, rumoroso, non ha filtri tra bocca e cervello, non gli si scaricano mai le batterie e non ha nessun pulsante di spegnimento... È solo che è così curioso, e fa sempre le domande giuste.»

Tony alzò lo sguardo su di lui, ammutolito, come se si aspettasse un rimprovero da parte sua, consapevole che chiunque altro gli avrebbe detto che sarebbe stato un pessimo esempio per un ragazzino di quindici anni in piena crescita. Invece Steve si allungò verso di lui, senza far perdere dolcezza alla piega delle labbra, e gli infilò una mano tra i capelli.

«Trovo che sia stupendo come tu te ne sia preso cura. In questi anni l'ho incrociato spesso in giro per la Torre, sembra un bravo ragazzo.»

«Lo è.» confermò Tony, allungandosi per rubargli un bacio casto, un 'semplice' sfioramento di labbra e di anime, un ringraziamento per l'ennesima dimostrazione di fiducia in lui riposta. Poi tornò ad appoggiare la schiena alla poltrona imbottita.
«Ha la mania di invischiarsi in faccende troppo pericolose, sai? A quindici anni è stato morso da questo ragno radioattivo, mentre giocava a fare il piccolo chimico all'Oscorp. E cosa fa? Mica mantiene un profilo basso per non finire nei guai, no signore. Si mette una tutina rossa e degli occhialini da piscina e gioca a fare il supereroe, "l'amichevole Spiderino di quartiere". Da non credere. Ma d'altronde, con il suo senso di giustizia e di responsabilità, avrei dovuto immaginarlo che sarebbe finita così. E poi spunta Green Goblin e prima che possa intervenire e metterlo in guardia, ecco che si precipita a combatterlo. E ovviamente chi poteva essere il cattivone di turno se non Victor Osborn, il padre del suo migliore amico? Non mi è mai andato a genio, Osborn, così losco, molto alla cattivo dei fumetti. Ma l'hai vista la sua mascella? Peter si sarebbe dovuto fare due domande solo per quella. Fatto sta che il ragazzo ha lasciato andare Goblin, per non fare un torto a Harry, ossia Orborn Junior. Poco dopo Osborn Senior scopre l'identità del Bimbo Ragno, lo mette alle strette e fa per ucciderlo, ed Harry si mette in mezzo, sbucando fuori all'improvviso– questi adolescenti di oggi... Anche io ero così? Beh, forse ero peggio. Anzi, sicuramente lo ero. Che stavo dicendo... Sì, Osborn Junior si mette in mezzo, ma non come penserebbe una persona sana di mente, proteggendo il suo migliore amico, ovvio che no. Si schiera dalla parte del padre, convincendolo a lasciare stare "l'inutile seccatura" rappresentata da Peter e aprire allegramente un'attività di famiglia dedita alla conquista del mondo. Quindi riempie di botte il ragazzo e se ne va via col padre. Ah, lo so che, tra Orborn uno, Osborn due e il ragazzo, è un enorme casino. Hai bisogno di un disegnino?»

Così dicendo, Tony iniziò a tastarsi le tasche alla ricerca di una penna. 
Steve aveva aggrottato le sopracciglia via via che continuava a raccontare, tanto che la ruga tra le sopracciglia finì per risultare incredibilmente profonda.

«No, ho capito. Non mi aspettavo che, così giovane, avesse già questi trascorsi. È dura essere traditi da chi ci sta più a cuore.»

Nel pronunciare quelle parole il Capitano aveva distolto lo sguardo, puntandolo altrove, verso qualcuno la cui immagine gli si impose prepotentemente. Intuendo cosa stesse passando per la testa di Steve, l'inventore gli afferrò con delicatezza il mento, facendogli alzare lo sguardo verso di lui. Gli sorrise dolcemente.

«Poco dopo, li presi io stesso, gli Osborn, maledicendomi per aver aspettato troppo e avergli permesso di malmenarlo. Ero pronto a spaccare loro quell'enorme mascella, sia a padre che a figlio, ma prima che potessi farlo Harry ha messo k.o. il padre e mi si è consegnato spontaneamente. Quando ha fatto per parlare mi aspettavo che mi chiedesse il numero di un buon avvocato, invece sai che ha detto? "Come sta Peter?"»

La mano callosa di Tony abbandonò il mento del Capitano per posarsi sul ginocchio di questo. Gli indirizzò un altro sorriso prima di continuare.

«Uscì fuori che il ragazzo aveva fatto quello che aveva fatto perché non c'erano alternative. Il padre avrebbe ucciso Peter, era deciso. Quello era l'unico modo per fargli perdere interesse nel ragazzo. Pur di salvargli la vita, Harry è stato disposto a finire in prigione – per convincere Osborn di essere passato al lato oscuro aveva dovuto far fuori anche un paio di civili – ma, soprattutto, è stato disposto a farsi odiare a morte da Peter.»

Quando l'inventore tacque tra i due scese il silenzio. Steve, assorto, metabolizzava le parole di Tony; Tony non si perdeva una singola espressione di Steve.
L'atmosfera venne alleggerita dall'ingresso di un'aitante hostess che servì loro lo 'spuntino da bordo', salmone fresco e calici di vino bianco.
Quando il miliardario impugnò le posate, il Capitano si portò una mano alle labbra, come a saggiare la consistenza delle parole che presto avrebbero composto, poi ruppe il silenzio.

«Lo ha mai perdonato?»

Tony tagliò un boccone e se lo portò alle labbra, continuando a percorrere con gli occhi i suoi tratti del viso.

«Sì.» gli rispose infine «Non me l'ha detto a chiare lettere, ma ogni mercoledì prende un taxi per il penitenziario. Ha iniziato quattro anni fa, poco dopo la sua condanna, e continua tutt'oggi. A meno che non abbia una predilezione per gli ambienti cupi, umidi, freddi e maleodoranti, suppongo che l'abbia perdonato. In realtà credo che le abbia capite subito le intenzioni del giovane Osborn, è un tipetto fin troppo sveglio il ragazzo.»

L'inventore aveva spostato la sua attenzione sul calice di vino, sollevandolo e muovendo il polso in modo circolare. Nel pronunciare le ultime parole, un angolo delle sue labbra si era sollevato in un sorrisetto storto.
Il Capitano aveva afferrato il bordo del tavolino di legno, stringendolo leggermente.

«Perché me ne hai parlato, Tony?» chiese alla fine.

«Perché entrambi sappiamo che il Soldato Baguette ti ha rinchiuso in quella cella non per farti un torto, ma per proteggerti. Ti saresti fatto uccidere, Steve. E come pensi che mi sarei sentito io, se avessi buttato alle ortiche la tua vita per me? Ti ricordo che mi ero immolato per tenerti al sicuro. Non smetterò mai di essergli grato per averti impedito di commettere quella pazzia.»
Il tono dell'inventore era diventato grave. Sollevò una mano per accarezzare con le punta delle dita il profilo di Steve. Il suo sguardo severo si addolcì.

«Non avrei mai potuto perdonarmelo se ti fosse successo qualcosa, Steve» scandì piano.
Il Capitano strinse le labbra in una linea sottile. Le nocche sbiancarono strette al tavolo. Le grandi mani tremarono leggermente.

«Il tuo corpo martoriato era su ogni schermo, le tue urla rimbombavano per tutta la Torre. Ti sentivo morire – morire a causa mia, a causa del mio egoismo - e l'unica cosa che potevo fare era prendere a pugni una parete che non sarebbe mai ceduta.»

Abbassò lo sguardo, espirando forte dal naso, mentre quel senso d'impotenza provato in quel frangente tornava ad investirlo in pieno con la forza di un treno.

«Quando chiudo gli occhi, vedo di nuovo il tuo... cadavere pendere da quel nastro trasportatore, ti vedo mentre sei lì, grigio, su quel tavolo da obitorio e certe volte... certe volte non ti svegli, e io resto lì, a guardarti mentre diventi sempre più freddo e le tue urla che rimbombano ancora, ancora e ancora. Perché io... Perché, Dio, Tony, io ho fatto tardi. Se non ti fossi salvato da solo, ti avrei perso per sempre. E questo solo perché... perché Barnes mi teneva chiuso lì. Se mi avesse aiutato a riportarti a casa subito, quel... mostro non ti avrebbe fatto questo.»

Tremava, Steve, mentre si sporgeva verso Tony e gli scostava il ciuffo di capelli sulla fronte, baciando la cicatrice che la percorreva, le grandi mani tremule lasciate tra le sue ciocche. Strinse gli occhi in un espressione sofferente, mentre l'inventore faceva scorrere di lato il tavolino e lo tirava a sé, stringendolo in un abbraccio protettivo. Il calore dell'inventore, il suo calore vivo, riuscì a scacciare via quelle immagini che tornavano a tormentarlo quando meno se lo aspettava.

«Quando mi sono consegnato all'Hydra, sapevo che sarei morto, e mi andava ben...»

«Come hai potuto pensare che andasse bene così?! La tua vita per quella di Bucky?! Credi davvero che avrei accettato un prezzo così alto?!» lo interruppe Steve, alterato, sciogliendosi dall'abbraccio per guardarlo negli occhi.

«No, non ho mai pensato che avresti accettato, per questo non ti ho detto niente. Non sei il tipo che lascia indietro uno dei propri uomini...»

«Tony! Tu non sei uno...» lo interruppe nuovamente il Capitano, per poi essere messo a tacere dall'urgenza nello sguardo dell'inventore.

«Sei andato avanti, Steve. Ed è normale che sia sucesso. È vero, ti avevo promesso che sarei tornato, ma che fossi sopravvissuto era un'idea troppo inverosimile. Se fossi davvero morto di sicuro non avrei voluto che tu stessi ad aspettarmi a vita. Anzi, a ripensarci bene, quello è stato un comportamento davvero egoista e meschino da parte mia... Ma che ci vuoi fare, alla fin fine sono pur sempre Tony Stark.»
Il milionario sospirò, portandosi pollice ed indice della mano destra a stropicciarsi le palpebre. Poi, con serietà mortale, gli prese le mani, ancora scosse dai tremiti, e se le portò alle labbra, sfiorandone con queste le nocche. Fu lì che soffiò le parole successive.
«Quello che sto cercando di dire è che... tu avevi Barnes. Lo avevi ritrovato – grazie a me, modestamente – e stavi vivendo con lui la tua vita. L'ho vista quella luce nel tuo sguardo, sai, quella che rivolgevi a lui e che prima era destinata a me. L'ho visto il tuo dolore quando quelli dell'Hydra l'hanno preso. Sapevo che se ti avessi lasciato andare da solo ti saresti fatto uccidere. L'unica cosa che potevo fare era permettere al tuo Soldato di renderti felice come io non ero – e probabilmente non sarei stato – mai in grado di fare. Era nei piani morire per mano loro, per non essere più il fantasma del passato che tormenta il tuo presente e futuro.»
 
Dall'intreccio di corde vocali che era la gola di Steve, sfuggì un suono basso a metà tra un singhiozzo e un gemito.

«È-È vero. Io... Tu non tornavi. Tutti dicevano che eri morto. Sono stato al tuo funerale. I-io ho perso la speranza. Poi quando ho incontrato Bucky... Mi è sembrato di essere tornato il ragazzino di Brooklyn, di aver resettato tutto, di poter re-iniziare a vivere da prima che il mio migliore amico cadesse da quel treno. Ho... Ho fatto finta che tutto ciò che era successo dopo - i settant'anni nel ghiaccio, gli Avengers, tu - non fossero che ricordi altrui, che non mi appartenessero. E Bucky... Bucky riusciva a mantenere viva quell'illusione, proteggendomi da un mondo che non riuscivo più ad affrontare. Ma lui... lui non è te. Per quanto abbia provato a convincermi del contrario, lui non ha mai avuto il potere per sostituirti. Quando sei tornato... Anche se ero con lui, non riuscivo a smettere di pensarti. E mi sentivo in colpa, con te, per non aver mantenuto la mia promessa, e con lui... per non essere riuscito ad amarlo come amo te.»

Affondava nei suoi occhi, Steve, affondava nello sguardo scuro dell'altro e non riusciva più a risalire, imprigionato da quelle sabbie mobili di emozioni.

«Anche per questo lo devi perdonare, Steve, perché ha creduto di poterti bastare, perché voleva solo proteggere la persona a cui più tiene. Barnes non mi è mai stato simpatico, di questo non ne faccio segreto a nessuno, ma non si merita di perdere il suo migliore amico.»
Posò un altro bacio tra le nocche, prima di abbassare le mani e sorridergli sbarazzino.
«E poi la settimana prossima ci sposiamo.»

A quel commento, tutta la tensione del Capitano sembrò sciogliersi come neve al sole. Quasi iniziò a ridere. Di certo sorrise, e fu uno di quei larghi, genuini sorrisi di cui l'inventore si era perdutamente innamorato.

«Tutto questo discorso per riempire il mio lato di chiesa, Stark?» gli chiese divertito.

«Non di una chiesa, tecnicamente. Ma in ogni caso non ce lo voglio Wilson come testimone di nozze. E lo so che, sempre tecnicamente, sarebbe il tuo testimone di nozze e che quindi potresti scegliere chiunque, ma... il Falchetto, davvero?»

E in quel momento la risata del Capitano proruppe spontanea, rimbalzando libera e sonante tra le pareti del jet.

«Sam è un bravo ragazzo» lo rimproverò bonariamente, per poi aggiungere con un sorrisetto a fior di labbra «Ma hai ragione, non può essere lui il mio testimone. Non è lui il mio migliore amico.»
~o~
«Io trovo un posto dove parcheggiare e ti raggiungo. Inizia ad avviarti. Interno 104-B, undicesimo piano a sinistra.»

Tony lo aveva lasciato davanti un alto ed enorme complesso residenziale sull'Atlantic Avenue. Nel salire la scalinata quasi monumentale che conduceva all'interno, Steve non poté che chiedersi come avesse fatto il suo amico a permettersi un posto del genere. Ebbe il forte sospetto che ci fosse stato lo zampino dell'inventore. Fu quindi con un sorriso sulle labbra che scivolò attraverso il portone principale, aperto da un'anziana signora in uscita, e prenotò l'ascensore della scala B. Fu solo davanti alla porta 104 che l'incurvatura abbandonò le sue labbra, lasciando spazio ad una forte insicurezza. Portò alle labbra il pugno che aveva alzato per bussare e si era arrestato a mezz'aria. Era quella la cosa giusta da fare? La risposta era indubbiamente sì. Ma aveva il coraggio di farlo? Certo, Bucky lo aveva fatto rinchiudere in una cella, ma anche il Capitano sentiva di avere le proprie colpe. Non erano diventati forse amanti quando, in fondo al proprio cuore - sotto cumuli di macerie accumulati in tre anni – amava ancora Tony? Non lo aveva forse anche lui tradito, prima col pensiero, poi tornando dall'inventore?
Fece un respiro profondo, aggrottando le sopracciglia. Doveva riprendersi il proprio migliore amico, questa era la missione primaria. Tutto il resto avrebbe aspettato.
Bussò.

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Capitolo 6
*** [I'm sorry] ***


[...]If you're certain for forever
I'll be waiting, come find me[...]
[...] Se stai cercando il per sempre
Ti aspetterò, vieni a trovarmi [...]
«E così ti sposi.»
«Già.»
«Con il figlio di Howard.»
«Così pare.»
«Se me l'avessi detto settant'anni fa, ti avrei dato del pazzo.»
«Settant'anni fa era illegale. E non c'era Tony.»

 
Dopo quello scambio di battute, Bucky si gettò contro lo schienale del divano con uno sbuffo, gli occhi chiusi e la testa reclinata all'indietro.
Steve invece rimase ritto in piedi, irrigidito e un po' impacciato, gli occhi fissi sulla figura dell'ex-sergente. Spostò il peso da un piede all'altro, facendo lievemente scricchiolare le assi del parquet. Era in quella posizione da dieci minuti abbondanti, i più popolati da un silenzio opprimente. Il Soldato batté con la mano bionica sul posto al suo fianco, invitando il Capitano a sedersi. Dopo un breve tentennamento, Steve eseguì lentamente, quasi temesse che gesti anche solo leggermente più irruenti potessero spazzare via quella quiete che sembrava presagire tempesta. Il silenzio regnò sovrano nuovamente e il Capitano prese a grattarsi il retro del collo, a disagio. Fu di nuovo Bucky il primo a parlare, senza muoversi, gli occhi ancora chiusi.

«Mi dispiace, Steve.» 
Solo a quel punto si girò verso di lui - il blu fisso nel blu, sguardi speculari quanto diametralmente opposti -, per poi continuare.
«Sapevo che non avrei dovuto farti rinchiudere. Dio, lo sapevo nel momento stesso in cui ho dato l'ordine, ma Steve...»

Il Capitano lo interruppe tempestivamente, un sorrisetto incerto sulle labbra. 
«L'ho capito, Buck. Ci ho messo un po', ma ho capito che l'hai fatto per proteggermi. Probabilmente mi hai salvato la vita e di questo non avrei dovuto che esserti grato. È solo che...»

«Non potevi startene con le mani in mano, non mentre l'uomo capace di conquistare il cuore di Captain America moriva.» concluse per lui l'ex-sergente con una nota tra l'amaro e il rassegnato nella voce.
 
Steve strinse le labbra in una linea sottile messo di fronte a quella che era la sua colpa nei confronti dell'altro. Distolse lo sguardo, puntandolo sulla birra aperta abbandonata sul tavolino dinanzi al divano.

«Bucky mi dispiace» disse tutto d'un fiato. «Sono stato pessimo nei tuoi confronti. Ti ho usato egoisticamente per sopperire alla mancanza di Tony. Sai che ti ho sempre voluto bene, sei e rimarrai per sempre il mio migliore amico, colui che mi è rimasto vicino nei miei momenti più oscuri. Darei la vita per te, ma...»

«...Ma non sono lui.» gli sorrise dolcemente, per poi stringergli la spalla con una mano – quella sana, umana, che usava per infondergli calore – e lo scosse leggermente, come era solito fare quando erano ragazzini. «Va tutto bene, Stevie. Questo non cambierà niente. Sei ancora la mia missione e non sarà certo questo a placare i miei istinti da mamma-chioccia, non ti illudere.»

Steve gli sorrise e il suo fu uno di quei sorrisi larghi, tutto denti e rughette agli occhi, uno di quelli che ricordavano a Bucky il piccolo ragazzino che era stato e che raramente Captain America mostrava. La Guerra aveva portato via tanto.

«E poi sai,» continuò l'ex-sergente, notevolmente più rilassato, un sorriso a fior di labbra «quello Stark non è troppo male. Certo, è pelino più arrogante e narcisista di Howard, ma è stato lui a trovarmi questo posto. In cambio mi ha chiesto solo il permesso di smanettare col mio braccio di tanto in tanto. Forse mi mette dei razzi. Pensa, con quelli potrò proteggere la tua candida virtù da tutti coloro che proveranno a toccare pettorali, bicipiti, qualunque altra cosa, del figlio prediletto d'America.»

In risposta a quell'ultima frase, le guance del Capitano si imporporarono. Spintonò il Soldato, scatenando la risata di quest'ultimo. Ridendo insieme, i due ragazzini di Brooklyn si ritrovarono.

~o~
 
Tony passeggiava per il South Oxford Park con la testa tra le nuvole, le braccia abbandonate pigramente lungo i fianchi. Le immagini di quel sogno non gli davano tregua. Gli occhi di Steve, quegli occhi che non potevano appartenere a lui, gli davano il tormento. Lo sguardo che il Capitano aveva in quell'incubo era quanto di più lontano da quello in cui si era specchiato al risveglio. C'era qualcosa di spietato, in quelle iridi: erano due mortiferi pezzi di ghiaccio affilati. E poi il suo ghigno mentre i suoi leccapiedi lo torturavano ancora, ancora ed ancora. Un brivido gli scosse la spina dorsale. Era stato tutto troppo reale per essere solamente un frutto della propria fantasia. Era tutto davvero accaduto, ne era certo. Mentre concedeva a Steve e Bucky tempo per riconciliarsi, aveva chiamato Victoria per chiedere delucidazioni, ma quella, dopo un lungo silenzio, aveva chiuso la telefonata con un telegrafico "Ne parliamo quando torni", lasciandolo ancora più confuso.
Si massaggiò distrattamente il lembo di pelle sopra il reattore, sospirando.
Lanciò uno sguardo distratto al cellulare per controllare l'orario e fu solo a quel punto che se ne accorse: distratto dai propri pensieri, aveva ignorato il fiume di notifiche arrivatogli. 
La sicurezza della villa a Malibù era stata violata.

~o~
 
Steve si passava tra le mani la bottiglia di birra fredda che Bucky gli aveva offerto, mentre l'ex-sergente gli raccontava diversi aneddoti sul fastfood dove lavorava e sulla sua clientela. Stava raccontando di una coppia di vegani particolarmente esigente, quando il Capitano, chiaramente distratto, lo aveva interrotto.
 
«Sto davvero facendo la cosa giusta?»
L'ex-sergente lo guardò stranito, quindi continuò in un mormorio. 
«A sposarlo. Sto per fare la cosa giusta? Nonostante ciò che ho fatto...»

La sua voce si abbassò fino a spegnersi. Il sorriso era nuovamente scomparso lasciando posto ad un'espressione tormentata.
La consapevolezza illuminò fulminea lo sguardo di Bucky. D'altronde, era l'unico, insieme al Capitano, a sapere. I tratti del Soldato si accartocciarono in un'espressione severa.

«Non dirmi che ancora te ne fai una colpa.»

Appena Steve distolse lo sguardo, colpevole, Bucky gli afferrò il mento e lo costrinse ad incontrare i suoi occhi.

«Non potevi sapere come sarebbe andata a finire.» continuò l'ex-sergente.

A quel punto il Capitano si alzò in piedi di botto, per poi fare un passo e lì fermarsi, come se avesse improvvisamente perso ogni energia. Incrociò le braccia, incurvando le spalle, come sorpreso da un gelido colpo di vento.

«Invece sì che lo sapevo. Ho siglato un contratto col diavolo, Buck. Il prezzo è stata la mia anima, il mio onore, la mia coscienza, e probabilmente sarà anche l'amore di Tony.»

Il Soldato si alzò a sua volta, lentamente.

«Un contratto che hai firmato per me, a causa mia» disse, prendendo Steve per un braccio. «Quindi se c'è qualcuno da incolpare per ciò che è successo ad Howard e sua moglie, sono io. E mi va anche bene così, ho perso il conto delle vite che l'Hydra mi ha fatto strappare.»

«No, Bucky, no» quello del Capitano fu un mormorio basso, sconfitto. «Non capisci? Howard mi aveva trovato, ben prima dello S.H.I.E.L.D., e io invece di dimostrargli la mia gratitudine ho preferito tenere fede ad un patto con l'Hydra vecchio di anni, senza neanche sapere se sarebbe davvero servito a qualcosa.»

Fece una pausa, durante la quale sentì le forti braccia dell'ex-sergente cingerlo in un abbraccio da dietro, protettivo.

«Ho venduto loro quelle informazioni sul siero del super-soldato, rubandole mentre Howard mi raccontava di suo figlio, del grande uomo che pensava sarebbe diventato, mentre mi mostrava i disegni che faceva Tony da piccolo sul grande Captain America.»
Dovette serrare le labbra, Steve, per non far fuggire quel singulto che premeva contro le corde vocali. Non avrebbe pianto lacrime, non ne era degno.
«Ho tolto la vita ai genitori dell'unica persona con la quale vorrei passare il resto dei miei giorni.»

C'era tanto dolore, in quella voce, e Bucky non poté che sentirsi responsabile. Era per la sua salvezza dalla caduta mortale da quel treno che Steve si era macchiato, tuffandosi nei più loschi affari.

«Ma hai provato ad avvertirli, quando hai capito le intenzioni dell'Hydra...» provò a dire quasi timidamente il Soldato.

«Sì, e li ho messi sull'auto responsabile dell' "incidente" che li ha uccisi.» lo interruppe il Capitano con amarezza.

L'unica cosa che riuscì a fare l'ex-sergente fu abbracciarlo ancora più strettamente, mentre il silenzio pesava su di loro, li schiacciava.

«Sai qual è stata la cosa peggiore?» chiese dopo alcuni attimi Steve, atono. «Non hanno lasciato nessuna prova della mia colpevolezza. Hanno distrutto ogni documento, fatto sparire persone, mi hanno ri-congelato e architettato tutto affinché si pensasse che fossi rimasto per tutto il tempo lì, sotto il ghiaccio. A volte sono tentato di confessarglielo, a Tony, per ricevere finalmente la punizione che merito, ma sono troppo codardo, troppo egoista.»

"Che gran casino", pensava intanto Bucky "Hanno entrambi segreti così enormi dentro, che potrebbero spazzar via in un attimo l'illusione di felicità in cui vivono. Eppure desiderano così tanto che la cosa funzioni, da convivere con la consapevolezza dell'inevitabile, tragico crollo del loro castello di carte."

Aveva socchiuso le labbra per dargli una risposta che sperava essere il più rincuorante possibile, quando il cellulare del Capitano prese a vibrare insistentemente. Steve si sciolse dall'abbraccio, destinandogli un sorrisetto appena accennato, che non raggiungeva gli occhi. Accettò la chiamata e neanche il tempo di accostare il dispositivo all'orecchio, che la voce di Tony lo raggiunse alterata.

«La villa è sotto attacco. Dobbiamo tornare, subito. Mi sono fatto prestare dalla Hill uno dei supersonici dello S.H.I.E.L.D. Muovi quel sederino da galleria d'arte che ti ritrovi, ti aspetto giù in macchina.»
Non ebbe tempo di spiccicare parola, Steve, che l'inventore mise fine alla chiamata.

Con un sospiro, si avviò verso la porta.

«Casini?» chiese nient'affatto sorpreso il Soldato.

«Come sempre.» fu la risposta sospirata del Capitano.

Poco prima che Steve solcasse l'uscio, Bucky lo richiamò frettolosamente.

«Ehi, Stevie, sarò un testimone di nozze impeccabile.»

Il Capitano si illuminò a quel punto, un sorriso minuscolo quanto grato sulle labbra. Il suo migliore amico gli aveva detto di essere felice, con quella frase per nulla scontata, e gli aveva dato la sua benedizione, nonostante tutto. Non sentiva di meritare niente di tutto quello, ma annuì senza aggiungere altro, lo sguardo più eloquente di quanto potessero esserlo delle parole. Aveva ancora quel sorrisetto sulle labbra, Steve, mentre i suoi passi rimbombavano tra le pareti del corridoio vuoto.

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Capitolo 7
*** [ Father ] ***


[...]I see you, you're in the darkness
Blinding lights right where your heart is[...]
[...]Ti vedo, sei nell'oscurità
Luci accecanti proprio dove si trova il tuo cuore[...]


Il letto in cui è sprofondato è enorme. No, un attimo, è lui ad essere piccolo. Sì. Giusto. Ha cinque anni e sette mesi. Questo è il quinto giorno in cui la febbre lo costringe a letto. Il medico di famiglia ha consigliato a suoi genitori di portarlo in ospedale, tre giorni fa. Howard ha detto di no. Maria ha abbassato lo sguardo. Sono quasi cinque giorni che non vede i suoi genitori, esattamente dal momento in cui sono usciti dalla sua stanza in compagnia del dottore. Jarvis viene di tanto in tanto a dargli medicine e misurare la febbre. Gli porta biscotti di nascosto e gli racconta le marachelle dei cani di Ana, sua moglie.

Ma il piccolo Anthony ha sentito anche altre storie durante le feste indette dai suoi genitori: ha sentito i bambini parlare degli splendidi regali che ricevevano quando venivano colpiti da un raffreddore, e che per avere l'ultimo modello di Hi!Robot gli sarebbe bastato sudare correndo un po' e sedersi tra due balconi aperti. Il figlio di Howard aveva ascoltato quei racconti rapito e sorpreso, non avendo mai ricevuto trattamenti simili. Questo però non lo aveva detto agli altri, aveva fatto un incerto cenno del capo quando gli avevano chiesto se anche a lui succedeva lo stesso. All'inizio aveva pensato che non avesse mai ricevuto giocattoli nuovi per un raffreddore perché non era un bambino sufficientemente bravo e a modo. Si era comportato al meglio delle sue possibilità per soddisfare e rendere fieri di sé i genitori, guadagnandosi tiepidi sorrisi da parte della madre e sguardi vitrei dal padre. Quando il fatidico raffreddore era arrivato, sei mesi prima quella terribile febbre, senza che lo facesse in alcun modo di proposito - si era addormentato per sbaglio nella vasca da bagno la sera prima -, era andato dalla madre a riferirglielo. Lei lo aveva guardato distrattamente allacciandosi lo splendido vestito blu che avrebbe indossato quella sera - sua madre amava quel colore - e gli aveva detto di parlarne con Jarvis mentre imbucava la porta. Il piccolo Anthony era stato deluso da quel comportamento ma si era detto che, probabilmente, un raffreddore era qualcosa di troppo banale rispetto agli importanti impegni della madre. Quindi aveva scrollato le spalle e continuato a mantenere un comportamento impeccabile. Aveva continuato a sperare.

Tony - come lo chiamano Jarvis e Ana di nascosto da sua padre - si sta contorcendo nel letto in preda a fortissimi dolori e allucinazioni causate dalla febbre. Si ritrova ad urlare, a volte sono semplici grida di dolore, altre invoca il padre e la madre. È durante uno di questi ultimi episodi che afferra la manica del maggiordomo impegnato a detergergli la fronte bollente con un panno umido. Il figlio di Howard lo sguarda con i suoi grandi occhi arrossati ed umidi, prima di mormorare timidamente: «Jarvis, voglio la mamma ed il papà.»
Ha capito infatti che non sono regali quelli che vuole in quel momento, non se ne farebbe niente. Vuole solo la sua mamma e il suo papà al suo fianco, perché Jarvis ed Ana non sono la stessa cosa e lui sente male ovunque. Tony non si lascia scoraggiare quando il maggiordomo gli comunica che Maria non tornerà prima del weekend successivo e che Howard è impegnato in importanti questioni.
«Per favore Jarvis» gli sussurra con un filo di voce. «Ho bisogno di papà...»
Quando dopo quindici minuti esatti - due per salire le scale e percorrere il lungo corridoio al quarto piano, dieci davanti alla porta chiusa dello studio del padre, come sempre accade, uno per ricevere la risposta e due per tornare indietro, conta mentalmente il piccolo - il maggiordomo ritorna, Anthony riesce a leggere la risposta alla sua richiesta nel suo sguardo impietosito.
«Signorino, suo padre la convoca nel suo ufficio» gli dice quasi con tono di scuse. «Ha dato istruzioni secondo le quali lei non si debba far aiutare da nessuno. Ma signorino, permettete almeno che io...»
Non gli permette di concludere la frase. Il giovane Stark stringe le labbra in una linea sottile. Sul suo volto di bimbo stona un'espressione troppo adulta. Con un gesto secco si sbarazza delle coperte e si drizza seduto. Un capogiro lo coglie facendolo appoggiare pesantemente alla spalliera del letto. Non accetta aiuti, non in quel momento, non mentre percorre le scale, il corridoio, nemmeno quando è costretto a restare barcollante difronte alla porta dello studio, aspettando i canonici dieci minuti, lì dove non c'è niente a cui appoggiarsi. Sente la testa girare vorticosamente, la vista appannata, lo stomaco stretto dalla nausea, un groppo alla gola per il nervosismo. Ed ecco che finalmente, dopo un tempo che sembra infinito, arriva l' "avanti" del padre. Anthony non ricordava ci volesse tanta forza a spingere la pesante porta in mogano.
Howard Stark è seduto alla sua ordinata scrivania, gli occhi concentrati su dei documenti che impugna. Non solleva lo sguardo su di lui per molto tempo e il piccolo inizia a sentirsi davvero, davvero stanco. Si avvicina alla sedia di pelle posizionata davanti alla scrivania e fa per occuparla, quando la voce del signor Stark interrompe l'opprimente silenzio.
«Ti ho forse permesso di sederti, Anthony?» lo apostrofa duro, mentre fa scorrere la penna in un'ultima firma. Solo a quel punto solleva gli occhi vitrei e severi su di lui.
Il silenzio si protrae ancora a lungo, e Tony sente sempre di più girargli la testa. Non sa quanto tempo ancora riuscirà a restare in piedi prima di crollare.
È quando le ginocchia molli lo portano quasi in ginocchio, che finalmente Howard parla: «Mi è stato riferito che trascorri tutto il tuo tempo a letto, facendoti servire e riverire dai domestici che ti imboccano, lavano, e portano al bagno. Non mi sembra di avere un disabile in linea di discendenza. Questo non è il comportamento degno di uno Stark. È biasimevole il tuo distogliere il signor Jarvis dai suoi compiti d'amministrazione con richieste simili a quella che mi ha inoltrato per tuo conto.»
Le parole di Howard sono dure e severe, fatte per distruggere ed annientare ogni possibile tentativo di ribattere. Il piccolo Anthony trema, annichilito, mentre il silenzio si protende ancora e Howard va a caccia della seppur minima imperfezione nel figlio. Dalla sua espressione, si direbbe che ne ha trovate fin troppe.
Poi c'è il suono di una cintura slacciata e quelle parole, quelle che non lasceranno mai più la sua memoria, quelle che gli verranno ripetute ancora ed ancora, quelle che continuano a tormentare i suoi incubi.
«Sei una vergogna per gli Stark. Togliti la maglietta, mani sulla scrivania. Non osare cadere.»

~o~


L'uomo che ha tutto e niente, così lo definisce Yinsen. Tony gli rivolge un sorriso storto, lo sguardo basso. Non commenta. Non dice che quella di non avere niente più che una scelta è l'unica opzione. Non può permettersi di rovinare altre cose, altri momenti, altre persone. È il Mercante di Morte. È troppo simile a suo padre. Non sa prendersi cura neanche di se stesso, come può essere degno di essere padre? Quest'ultima parola è un cubetto di ghiaccio che gli corre lungo la spina dorsale. Rimanere solo è misericordia, forse l'unico vero atto di gentilezza che un egoista, narcisista ed egocentrico come lui può compiere durante la sua esistenza.

~o~


Pepper vuole dei bambini. Non è una sorpresa per Tony. Lo vede nello sguardo della donna quando prende in braccio per la prima volta Nathaniel Pietro Barton, il giorno del suo battesimo. L'aveva visto anche prima, ogni volta che passeggiando nel parco si erano imbattuti in passeggini e bimbi che si arrampicavano sulle giostre. E l'espressione che la signorina Potts gli rivolge ogni volta è sempre così triste, rassegnata. Pepper non ha mai chiesto – non c'è stato bisogno – ma ha capito. È anche per questo che se ne è andata, Tony ne è abbastanza sicuro. Ma non può andare diversamente, pensa versandosi l'ennesimo doppio Scotch. Tony Stark non è fatto per essere padre.

~o~


Se avesse mai avuto un figlio, vorrebbe che fosse come Peter Parker. C'è questa luce nel suo sguardo, questa speranza nel domani che neanche un futurista come il Meccanico ha mai posseduto. E poi è un ragazzo intelligente, così intelligente. Ha capito molto prima di Tony la differenza tra giusto e sbagliato. L'ha visto, ha visto il vero lui, e nonostante questo continua a idolatrarlo, a credere in Iron Man. Stark sorride all'ennesima domanda curiosa di Spiderman, lì in laboratorio. Gli scompiglia i capelli, passandogli accanto. Peter sbuffa, rosso. Tony ride. L'ombra di Howard continua a incombere su di lui.

~o~


«E così sono diventato padre, eh?» La voce di Tony è distorta dal manico cacciavite che ha tra i denti. Con ultimo sbuffo, riesce a girare il bullone. Con un colpo di reni, scivola da sotto il motore dell'auto. Le rotelle della tavola su cui è steso stridono leggermente. Si alza a sedere, guardando Victoria. In risposta la ragazzina gli si avvicina con un panno umido, togliendogli le tracce dell'olio da motore dalla fronte e dalla guancia. Una volta fatto, gli rivolge un mezzo sorrisetto e scatta a sedere su di uno sgabello poco distante.
«Sì. L'hai fatto. Ci sei sempre stato, per me. Ci siamo presi cura l'uno dell'altra. Devo dire che non te la sei cavata affatto male. Guarda qui come son venuta su!» Vick ride. Tony non riesce ad unirsi. C'è qualcosa nell'espressione della ragazza che gli fa sott'intendere un "ma".
La risata della giovane Stark si spegne velocemente, cogliendo lo sguardo del padre.
«Non amavi la mamma, sai? Certo, le volevi un gran bene, questo lo so. Ma amore, di quello vero, non l'hai provato sul serio nei suoi confronti. Me l'ha detto lei, anche se non c'era veramente bisogno. Mi disse che un tempo avevi amato, amato intensamente. Poi le cose erano andate male e non c'era stato più molto amore che ti rimanesse, come se ti fossi scaricato. Le uniche batterie di riserva che avevi erano ciò che provavi per me, diceva. Ma non le importava molto, sai? Sapeva di essere l'unica che tu avresti mai potuto amare dopo di lui.»
Tony la guarda con occhi sgranati per tutto il racconto, è un cervo investito dai fari di un auto. Abbassa lo sguardo sulle proprie mani. Gli occhi d'ambra inciampano sulla base dell'anulare sinistro.
«È sempre stato lui, vero? È sempre stato Steve.» La piega delle labbra del genio è triste, mentre il sussurro scivola via.
Vick non ha bisogno di rispondere. Gli poggia una mano sulla spalla, un bacio leggero su una guancia, e scivola via.

~o~


Le nocche di Tony erano sporche di rosso mentre scavava tra i cumuli di calcinacci, ciò che è fino a poche ore prima era la sua casa, il suo nido sicuro. La gola gli faceva male ma non smetteva di urlare il nome di colei che, anche se da così poco, era sua figlia. Le braccia di Steve erano lì a sorreggerlo quando cadde, sfinito. Il Capitano gli posò un bacio sulla fronte, tenendolo stretto. Lo guardò fisso negli occhi, cercando di infondergli speranza.
«Tony» disse la voce di Steve.
Iron Man si irrigidì. Captain America si schierò davanti a lui, le gambe larghe e i pugni alzati, protettivo.
Lo sguardo ambrato di Stark non avrebbe potuto essere più inorridito.
Davanti a loro, un'altro Steve Rogers si erigeva tra le macerie, circondato da soldati. Un ghigno orribile si aprì sul volto così simile a quello amato.
«Tony, Tony, Tony.» Il proprio nome era veleno su quelle labbra carnefici. «Ecco dov'eri. Bisogna ritornare a casa.»

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Capitolo 8
*** [ 4th July ] ***


[4th July]

[…]If you're ready, heart is open
I'll be
waiting, come and find me […]
[…] Se sei pronto, il cuore è aperto
Ti aspetterò, vieni e trovami […]

 
 
È il quattro luglio.
Il suo cinquantesimo compleanno è passato, due mesi prima, silenziosamente nella baita calda e ritirata. Non ci sono stati i fuochi d’artificio che ora illuminano, lontani, la notte.
È da solo, sul porticato, i raggi della luna fanno brillare le striature grigie ai lati delle tempie.
Tra le mani ha un bicchiere di vetro, all’interno un dito di scotch. Non beve più, neanche champagne, ma quel dito se lo deve concedere ogni tanto, ogni quattro luglio. Non può essere altrimenti.
Sono passati nove anni, quasi dieci.
Si è sposato, certo che l’ha fatto.
Hanno avuto una figlia. Non è riuscito a darle il nome di Victoria. L’hanno chiamata Morgan. È un piccolo urgano di quattro anni con un sorriso enorme e un’intelligenza fuori misura.
Non è innamorato di sua moglie, non davvero. Lei lo sa.
Alla fine Victoria – sua figlia, la sua bambina perduta - aveva ragione.
Anche dopo tutto questo tempo, il cuore di Tony Stark sarebbe sempre appartenuto a Steve Rogers.
 

~o~

 
Steve Grant Rogers era un uomo testardo.
Lo era stato quando era alto un metro e una spanna, lo era nel completo attillato di Capitan America.
Per questo ha detto di no. Ha detto di no, mentre Tony diceva di sì. Non avrebbe lasciato che il genio finisse nelle mani di un criminale che indossava la sua faccia – è davvero così diverso da te, Steve? -, non per una ragazzina appena conosciuta, non per la salvezza del mondo intero. Non lo aveva già perso abbastanza volte?
 
«No» insistette, la presa salda intorno al braccio di Tony impedendogli di fare un altro passo avanti.
 
«È quello che vuole» ribatté l’altro Steve, lo sguardo vitreo negli occhi di Capitan America. «Ha solo dimenticato.»
 
Bastò un solo istante. Capitan OLTRE si avvicinò ad Iron Man, giusto il tempo per attivare, vicino al suo orecchio, un dispositivo dal rumore stridente.
 
«Ricorda, Tony Stark» l’ordine del Falso era mitigato da una piega leggera sulle labbra, tornato velocemente sui suoi passi.
«Per il momento mi ritiro» aggiunse. «Posso lasciarti un po’ di spazio, tesoro. Ma non farmi attendere troppo. La piccola Tory ti aspetta, dopotutto.»
 
Tony registrò a stento le ultime parole, la vista confusa, le ginocchia deboli. Sarebbe rovinato a terra se Steve non lo avesse preso. Le proprie palpebre caddero pesanti, mentre lo sguardo era ancora ostinatamente puntato sulla lunga giacca nera dallo stemma rosso che si allontanava con passi misurati.
 

~o~

 
Le mani stringevano il volante, le nocche bianche. Occhiaie profonde gli solcavano il volto, accentuate da un pallore mortale. Iron Man era in auto, l’armatura lontana, a casa. No, non a casa. Non c’era più una casa. E non si riferiva alla distrutta villa di Malibù, nè alla Stark Tower. Non era mai esistita una casa. Stev-… Rogers gli aveva mentito. Per tutto questo tempo, non aveva fatto altro.
E lo avrebbe sposato, sì, avrebbe sposato l’assassino dei suoi genitori.
Chiuse brevemente gli occhi, un gemito gli graffiò sordo la gola.
Accostò velocemente l’auto a bordo strada, precipitandosi fuori. Si portò una mano al collo, cercando di respirare attraverso la crisi di panico. Strizzò gli occhi iniettati di lacrime, accucciandosi con la schiena contro lo sportello, la testa portata verso l’alto e gli occhi puntati al cielo privo di stelle.
Steve non aveva osato rispondergli quando gli aveva chiesto, quando lo aveva supplicato, di negare ciò che i suoi ricordi stavano portando a galla. Lo rivedeva ogni volta che chiudeva le palpebre – video di Steve che fruga tra i documenti di Howard, di Steve che sorride gentilmente a sua madre, di Steve che manda i suoi genitori a morire quel 16 dicembre del 1991 – ma ciò che lo perseguitava più di ogni altra cosa era proprio lo sguardo freddo, impenetrabile del Capitano quando la verità era arrivata a galla. Non aveva neanche provato a giustificarsi. Era rimasto immobile, i piedi saldi a terra e la schiena dritta, la posizione di Capitan America pronto alla battaglia.
Mi avresti combattuto, Steve? Se invece di andarmene fossi restato e avessi permesso alla rabbia di esplodere, avresti ucciso anche me?
Non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo, forse perché poteva immaginare quale fosse la risposta.
Sì. Lo faresti.
L’attacco di panico cedette posto a singhiozzi feroci che gli percossero implacabili le spalle.
Serrò nuovamente gli occhi. Finse di credere che fosse solo tutto un brutto sogno, uno degli ennesimi, da cui non riusciva a svegliarsi.
Appena la vista si schiarì abbastanza da mettere a fuoco l’asfalto sotto di sé, rimontò in macchina.
Acceso da una nuova determinazione mise in moto l’auto, le labbra strette in una linea sottile.
Non era quello il momento di affrontare il cocente tradimento, aveva una figlia da salvare e un patto da stringere col diavolo.
 

~o~

 
Una luce troppo luminosa, spietata, gli aggrediva gli occhi costantemente nella cella asettica. Era incatenato al muro come un animale, tenuto in piedi dai legami troppo corti.
Non poteva dormire.
Non poteva smettere di pensare.
Non poteva smettere di sentire le urla di Victoria mentre la torturavano, proprio davanti a lui, con l’unico intento di fargli del male.
Non poteva smettere di vedere la luce abbandonare per sempre quegli occhi così simili ai suoi.
A Tony, invece, non era stato torto un capello. L’Altro lo teneva semplicemente lì, sveglio, nutrendolo attraverso la stessa strana sostanza che lo teneva ritto contro la parete bianca. Lo andava a trovare di tanto in tanto, diviso dal genio da una lastra di vetro infrangibile.
Gli parlava per ore, dipingendo con voce imbevuta di miele un futuro idilliaco con loro due come unici protagonisti.
Gli ripeteva quanto lo amasse, che tutto ciò a cui lo stava sottoponendo era per il suo bene, per renderlo più forte, capace di governare il mondo al suo fianco.
Gli raccontava quanto a lungo avesse cercato di portarlo con sé, fallendo con i Chitauri e un dio burattino della sua stessa magia, riuscendoci con i Cybermen, solo per essergli sottratto di nuovo.
Gli diceva del patto stretto con Obadiah Stane affinché lo consegnasse a lui una volta catturato, del proiettile che aveva sfondato il cranio di colui che era stato il suo mentore – un gesto di misericordia, il tuo Steve lo aveva già ridotto in un tale stato… –.
Iron Man rimase in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo vacuo immobile davanti a sé. Avrebbe solo voluto che tutto, che i tormenti, che la sua vita avesse fine. Era terribilmente stanco. Era terribilmente solo.
 

~o~

 
«Steve… oh mio Dio, Steve! Perché l’hai fatto?!»
 
Tony non riuscì a distogliere lo sguardo dalla scena che si profilava davanti ai suoi occhi, interrompendo bruscamente i suoi passi in fuga per precipitarsi al suo fianco. C’era così tanto sangue. Tenette le mani premute contro la ferita larga un pugno sul busto del Capitano, le lacrime che gli offuscavano lo sguardo.
 
«Andrà tutto bene… Starai bene. Lo prometto. Tieni duro, okay?»
 
Le parole che uscivano dalle labbra cercavano più di convincere il genio stesso che il biondo. Steve posò debolmente una delle sue grandi mani – sono sempre state così calde, Steve, perché adesso tremano fredde? – su quelle di Iron Man. Gli sorrise, il Capitano, un sorriso ampio, rosso del sangue che continuava a tossire, un tentativo fallace di rassicurazione.
Un gemito angosciato lasciò le labbra del moro.
 
«Perché l’hai fatto, non dovevi metterti in mezzo…!»
 
Tony non riuscì più a trattenere le lacrime che piovvero calde sulle loro mani intrecciate, intrise di rosso.
Steve sollevò la mano tremante, portandola al viso di Tony, asciugandolo teneramente. Dipinse una scia vermiglia sul suo zigomo e il genio non poté che soffocare l’ennesimo singhiozzo.
 
«Io ti amo, Tony Stark» rispose semplicemente il Capitano, un minuscolo sorriso, timido, sulle labbra macchiate di sangue.
 
Il genio si portò una mano alla bocca, incapace di esprimersi, incrociando gli occhi cerulei oltre il velo di lacrime. Fu a quel punto che notò il laccio legato al collo di Steve. Due fascette dorate catturarono brevemente i raggi lunari che filtravano nella fitta boscaglia. I loro anelli. Tony poté sentire di nuovo il crudele tintinnio metallico che il proprio fece, gettato sul parquet prima di chiudersi la porta della stanza dell’hotel alle spalle, prima di correre tra le braccia del proprio carnefice, dell’assassino del suo Steve.
 
Le mani di Iron Man non tremarono mentre finalmente compì la scelta giusta. Raggiunse il laccio, sciogliendolo delicatamente. Prese in mano i cerchi d’oro, scegliendo il più grande. Vi posò sopra un bacio dolce prima di accogliere con premura la mano sinistra di Steve nella propria. Il Capitano non proferì parola, limitandosi a guardarlo con occhi che avrebbero potuto illuminare il mondo, nonostante il volto sempre più pallido.
Lentamente, chiedendo il permesso con lo sguardo, Tony iniziò ad infilare l’anello all’anulare di Steve.
 
«Con questo anello ti sposo e unisco il mio cuore al tuo con amore e devozione» mormorò piano e a discapito di tutto sorride, Stark, il volto inondato di lacrime.
 
Rogers raccolse piano la fede più piccola, infilandola al dito dell’uomo che non avrebbe mai potuto smettere di amare.
 
«Con questo anello ti sposo e prometto di proteggerti, sostenerti e incoraggiarti nelle gioie e nel dolore» fu il mormorio commosso di Steve, soffocato dalle labbra di quello che, agli occhi d’Amore, era suo marito.
In quel bacio morirono e rinacquero insieme tante volte da non poterle contare.
 
Ma anche quella piccola eternità ebbe fine.
Il latrato dei cani e le urla degli uomini che li inseguivano giunsero chiari fino a loro. Quanto tempo li separava dalla cattura?
 
«Devi andare, Tony» mormorò il Capitano con un filo di voce, lo sguardo limpido, sereno, felice.
 
Iron Man può solo scuotere la testa, accasciandosi contro l’ampio petto di Steve, facendo attenzione ad evitare la ferita. Aggiunse in silenzio il sale delle lacrime al rosso che consumava ogni speranza di un futuro. Immancabili le forti braccia di Steve avvolsero Tony, cullandolo piano.
 
«Puoi… promettermi una cosa… eh… tesoro?» chiese il Capitano con un filo di voce.
 
I denti candidi affondarono nel labbro inferiore del moro, trasformando l’urlo che il suo cuore incitava in un gemito sommesso.
 
«Tutto quello che vuoi» rispose, il capo premuto ad ascoltare il battito sempre più lento del suo cuore.
«Vivi.»
 

~o~

 
Buon 102° compleanno, Steve.
 
Solleva il bicchiere di whisky alla luna, mentre una lacrima solitaria gli solca la guancia, lambendo le labbra tese in un accenno di sorriso.
Un cerchietto dorato riflette per qualche attimo i raggi candidi, nascosto tra i bottoncini della camicia bianca. Portò una mano lì, aggrappandosi all’anello fino a sbiancarsi le nocche. Grazie al reattore fornitogli dall’Altro Capitano, era sfuggito alla morte per altri dieci anni. Aveva vissuto, proprio come gli aveva promesso. Ma ora era abbastanza, poteva riposare.
 
«Io ti amo, Steve Rogers.»
Aspettami, tesoro, ti ritroverò.
 
 

«Luna
Mezza luna o piena
Serena
Passi e te ne vai
Guarda
Con che pena si muore
D'amore
Quaggiù»

- Luna, Riccardo Cocciante
Notre Dame de Paris, Musical

 
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E niente. Finita. Caput. Ci ho messo 4 anni, wow. Il 2016 sembra un puntino lontanissimo nello spazio tempo. E questo finale in realtà è molto molto diverso rispetto a quello che avevo ideato all'inizio.
Volevo darvi un lieto fine ma beh, è successa la vita. Tony e Steve sono cambiati in questi quattro anni, anch'io lo sono. Un lieto fine non era la conclusione giusta a questa storia che mi ha accompagnato nei periodi più osceni della mia adolescenza, quindi tant'è. Vi voglio bene.
 
Vi ringrazio davvero davvero tanto per tutto il sostegno che mi avete dato nel corso di questi anni - se c'è qualcuno che ha iniziato quel tanto tanto tempo fa battete un colpo se siete arrivati fin qui, vi meritate l'applauso e il bacio accademico. Love u.
 
P.s.: Vi incollo qui i link delle canzoni della trilogia, più quella legata alla conclusione di questa storia. È cosa buona e giusta.
Lost time:
https://www.youtube.com/watch?v=G0VoZ7tubV0&feature=emb_title
Lost creatures:
https://www.youtube.com/watch?v=tfY4OfUXiYU&feature=emb_title
Lost worlds:
https://www.youtube.com/watch?v=7rSesUyoKtM&feature=emb_title
+1:
https://www.youtube.com/watch?v=xYFG4rHh2Z8&feature=emb_title
 
 
 
 
  
 

 

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