L’ombra del diavolo

di Chiaretta160311
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un’infanzia turbolenta ***
Capitolo 2: *** Un’insolita offerta ***



Capitolo 1
*** Un’infanzia turbolenta ***


Sono qui, sul bordo della strada senza sapere dove andare o cosa fare della mia vita. Ho 12 anni e sono da sola, di nuovo. 

Sicuramente la mia condizione attuale è migliore di quella in cui vivevo fino a pochi minuti fa ma nonostante ciò ho paura, non so come farò a procurarmi da vivere ma devo arrangiarmi e devo farlo in fretta, non posso permettere che mi trovino e mi trascinino di nuovo con loro. Sono stata anni tra le loro grinfie, non ricordo cosa vuol dire passare un giorno senza il loro fiato sul collo, senza le loro parole gelide. Mi hanno raccolta dalla stessa strada su cui sono ora all’età di 6 mesi, non ho mai realmente capito perché mi trovassi lì, ho spesso pensato di essere sbucata fuori dal freddo cemento che poco dopo la mia comparsa si è richiuso sotto di me; nessuno è mai venuto a cercarmi, nessuno mi ha vista arrivare e nessuno prima di loro si è curato di me. Mi hanno lasciata lì, una bambina di pochi mesi, con indosso solo una canottiera, niente vestiti e niente coperta, una scena molto diversa da quella che si vede nei film, l’immensa chiesa si ergeva davanti a me e io me ne stavo lì immobile. Non ricordo quel giorno ma mi è stato raccontato più di una volta da quei preti che sono stati per me famiglia e morte. Fino ai 3 anni tutto andava bene, passavo le mie giornate all’interno di quell’enorme chiesa scoprendo giorno dopo giorno i vari meandri che nascondeva come se la struttura stessa volesse mantenerli puri, i primi anni mi nascondevo lì quando scappavo, poco prima che giungesse l’ora di andare a letto, per avere qualche minuto in più per giocare, più avanti con gli anni sarebbero diventati il mio rifugio, libero da urla, croci e magici elisir, potevo stare da sola con i miei pensieri, presto però quei cantucci in cui la chiesa mi custodiva furono scovati dai due preti che uno dopo l’altro distruggevano i miei sogni di serenità e mi trascinavano ancora una volta nella loro follia. 

Non ho mai capito cosa avesse scatenato quest’odio infinito nei miei confronti, per i pochi ricordi che avevo erano sempre stati affettuosi e molto pazienti con me, ma il giorno del mio terzo compleanno tutto cambiò; la favola della buonanotte fu sostituita da un testo in latino che non capivo per nulla, e la mia stanza dei giochi fu trasformata della stanza delle torture. Ho qualche ricordo felice di noi tre insieme prima del mio terzo compleanno ma con il passare degli anni questi si sbiadiscono sempre di più fino a somigliare più ad un sogno che ad un reale ricordo.

 

Nonostante qualcosa della loro personalità amorevole rimane impressa nella mia mente ancora oggi, prima della mia vita alla chiesa non ho memoria di nulla, solo un’immagine confusa in testa che spesso mi appare in sogno; un bambino, un rosso sfocato e un forte profumo di vaniglia, delle urla che sembrano provenire da una donna in lontananza e gli occhi di questo bambino fissi su di me, sembrano smarriti, tristi e assomigliano vagamente ai miei ma credo sia solo un’illusione creata dal mio cervello formata da ciò che conosce, ovvero me, e ciò che avrei sempre desiderato, un fratello, qualcuno con cui condividere le avventure e le sventure, qualcuno dietro cui ripararsi quando il mondo fa paura, qualcuno che non ho mai avuto e probabilmente non avrò mai. I miei dodici anni, in breve, li ho vissuti tra torture ed esorcismi, tra croci ed acqua santa e adesso sono davvero stanca di essere perseguitata per motivi che nemmeno riesco a comprendere. 

Mi sono seduta sul bordo di quella strada, triste ma libera, da sola, senza nulla da mangiare o da bere ma finalmente libera. Devo ammettere che questo sentimento ha un sapore che non mi aspettavo, somiglia ad una di quelle medicine dolci, che emanano un profumo delizioso e che qualsiasi bambino acconsentirebbe a prendere, una volta mandata giù però ha un retrogusto amaro, quasi acido, un sapore che non ti aspetti e che in alcun modo potevi prevedere ma che ti rimarrà sulla lingua e in fondo alla gola per un tempo infinito, durerà tanto da farti chiedere se ne sia valsa la pena di assaporare quel dolce nettare iniziale per poi convivere con quel retrogusto acre e pungente.

Mi ricordo di aver pensato esattamente questo il giorno in cui sono fuggita da quella che era stata casa mia e ripensando a questi tre anni trascorsi vagando per le strade sono sempre più cosciente della mia imprudenza e disperazione che mi hanno portato dove sono ora. L’unico modo per recuperare qualcosa da mettere sotto i denti era rubacchiare nei vari mercati locali che si tengono una volta la settimana; i primi mesi sono stata beccata più di una volta dal venditore di turno a sottrarre qualcosa dalla sua bancarella proprio sotto il suo naso, nel migliore dei casi vedendo che ero una semplice bambina e immaginando fosse il frutto di qualche marachella infantile mi lasciavano andare con un dolce rimprovero e uno scappellotto quasi affettuoso, nel peggiore dei casi però la mia faccia d’angelo non bastava e come successe una volta in cui rubai o meglio provai a rubare una torta per quello che doveva essere il mio compleanno, il mercante, per nulla contento del gesto, dopo avermi strappato di mano la prelibatezza mi diede più di uno scappellotto affettuoso e mi mandò via un po’ zoppicante e con qualche livido. Negli anni fortunatamente sono riuscita ad affinare le mie doti da ladra sempre di più fino a diventare quasi un’ombra, divento invisibile tra la gente e prima che qualcuno si accorga del furto sono lontana dal mercato o al sicuro in una di quelle piccole vie con una brutta reputazione in cui chiunque preferisce non andare. Dal mio punto di vista queste vie sono le più sicure, riesco a sopportare qualche gruppetto di delinquenti da strapazzo che passano di lì alla ricerca di qualche malcapitato da rapinare, in questi anni ho guardato da lontano diversi corsi di arti marziali e difesa e devo ammettere di aver appreso molto, più di chi quei corsi li pagava fior fior di quattrini, forse perché mentre mentre per loro era un hobby o una passione per me è fondamentale per sopravvivere. Nonostante non mi lamentassi troppo della mia vita giunta a quel punto devo ammettere che avrei apprezzato avere qualcuno con cui parlare di tanto in tanto, a volte mi capitava di passare dalla biblioteca più vicina e scambiare due parole con il vecchio bibliotecario che mi mandava via poco dopo perché disturbavo i lettori, d’altronde lui era l’unico che era disposto a rivolgermi uno sguardo o meglio un orecchio, nessuno con una vista sana avrebbe prestato attenzione ad una bambina con abiti sudici e strappati e i capelli lunghi e annodati.. Ho pregato tante volte di rimanere da sola durante i miei primi 12 anni ma quando realizzi che gli unici con cui parli sono i cani randagi che ogni tanto girano intorno a quella che è diventata la tua panchina capisci che hai davvero mandato la tua vita a puttane, e pensare che questo lo crede una ragazza di 15 anni che dovrebbe ancora vedere il mondo con occhi pieni di gioia e vivacità, l’universo per lei dovrebbe essere dipinto di colori sgargianti e accesi invece gli unici colori che conosco io sono il grigio della strada e il blu del cielo notturno che mi ritrovo a fissare nelle notti in cui l’insonnia mi pervade e mi giro e rigiro sulla quella panchina che sembra fatta di crudo cemento.

Ogni tanto qualche cucciolo, sperduto quanto me, sale sulla panchina in cerca di coccole; presa dal fastidio di chi è stato appena svegliato cerco di scacciarlo ma più provo ad allontanarlo e più si avvicina con quello sguardo da cane bastonato, masticato e poi sputato dal mondo sulla strada e lo vedi nei suoi occhi tristi e nel suo pelo arruffato e pieno di fango che come te quel cucciolo è un randagio e non puoi fare altro che accoglierlo e permettergli di dormire approfittando del tuo calore, sperando che un giorno quello stesso calore qualcuno lo darà a te. Io non so perché lui decida di avvicinarsi proprio a me, cosa legga nei miei di occhi, occhi che non dormono quasi mai, occhi che hanno smesso di guardare con piacere da anni o che forse non hanno mai imparato a farlo. Nonostante il mio disprezzo per il mondo i cani li ho sempre apprezzati, riescono a gioire della loro giornata grazie a un semplice pezzo di pane duro regalatogli da qualche passante e che magari non era davvero rivolto a loro ma era soltanto scivolato dalle mani del bambino troppo impegnato a giocare o dell’adulto il cui sguardo è concentrato sul telefono; nonostante ciò loro sono felici ugualmente perché quel pezzo di pane è un dono e nulla potrà fargli cambiare idea, ripongono sempre una certa fiducia e speranza nel genere umano nonostante quest’ultimo li abbia calpestati più e più volte. Nonostante io ammiri questi animali non mi riconosco affatto in loro, infatti dovendomi paragonare ad un animale credo sceglierei il gatto, in particolare un gatto nero, uno di quelli che gira per le strade e se te lo ritrovi davanti speri solo che se ne vada più in fretta possibile, uno di quei gatti che non vedi mai con i suoi simili ma lo incontri ogni tanto da solo che vaga e se i vostri sguardi si incrociano lui è il primo ad evitarti e cambiare direzione mentre tu fai lo stesso; uno di quei gatti che non sono nati per stare sul divano di una vecchia signora che li vizia con le più prelibate squisitezze e li coccola fino a quando non gli si arriccia il pelo, non sarebbe fatto per quella vita, o magari non ha mai avuto la fortuna di conoscerla quella vecchia signora che lo porterebbe a casa senza pensarci due volte.

Una notte dopo un brusco risveglio a causa di un sogno ricorrente che ormai facevo tutte le notti, un sogno che mi riportava in quella chiesa, qualche anno prima, e mi vedeva in preda a una crisi di pianto, in lontananza sentivo grasse risate poi il nulla, un schermo nero e mi svegliavo sudata, con il cuore che batteva più veloce di quanto credevo fosse capace; rimanevo sdraiata sulla solita panchina, guardavo per un po’ il cielo nero puntellato qui e lì da qualche stella fino a quando la tachicardia si affievoliva e gli occhi si chiudevano di nuovo. Quella notte però pochi minuti dopo che il sonno mi cogliesse fui svegliata da un rumore di passi lenti che si faceva sempre più vicino, da quando dormivo in strada qualsiasi rumore insolito mi svegliava così mi misi a sedere cercando di identificare la fonte di quel rumore e in lontananza vidi un’ombra, un uomo alto claudicante intorno alla sessantina con in mano un bastone che lo aiutava a reggersi in piedi e a camminare poco più veloce di un animale in fin di vita; aveva la schiena curva e un volto rilassato, con qualche cicatrice che rimandava ad una vita che sicuramente non era stata spesa dentro un ufficio. Mi incuriosì particolarmente, quella in cui dormivo io era una zona poco raccomandabile ed era difficile se non impossibile che qualcuno passasse di lì nel bel mezzo della notte. Capitava che qualche turista sperduto vagasse per quella zona della città dopo una sbronza in cerca di un taxi o qualcuno che lo aiutasse a capire dove si trovava o magari che qualche spacciatore incontrasse lì i suoi clienti in modo da non essere visto; quel vecchio signore non sembrava appartenere a nessuna delle due categorie, sapeva dove stava andando e di sicuro non era il tipo di persona che gira per le strade di notte per racimolare qualche soldo. 

Mentre cercavo di capire a chi appartenesse quella figura e perché fosse lì, l’uomo si avvicinava sempre di più a me e non sapendo se allontanarmi o rimanere e capire le sue intenzioni ero ancora seduta quando lui era ormai a pochi passi da me.

Una volta arrivato abbastanza vicino da essere sicuro che lo sentissi mi guardò negli occhi per qualche secondo e le uniche parole che mi rivolse furono “Hai fame?”.

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Capitolo 2
*** Un’insolita offerta ***


Non sapevo se accettare la sua proposta, avrei apprezzato un pasto caldo dopo mesi in cui i miei unici pasti erano costituiti da qualche pezzo di pane duro e, nei giorni migliori, qualche piccolo assaggio di formaggio. 

Nonostante la fame, sentivo di non potermi fidare di quel tipo losco; era rimasto a fissarmi senza proferir parola dopo la sua offerta ed era ancora lì impalato, inarcato sul bastone e un po’ tremolante, non so se per il freddo o perché le sue gambe non erano più forti come una volta. Nel silenzio tombale della notte si sentì un rumore provenire dal mio stomaco, un brontolio sommesso, quasi un sospiro che dall’interno mi chiedeva disperatamente di accettare l’offerta del vecchio e godere finalmente di un pasto degno di questo nome. Non potendo rifiutare una richiesta che veniva direttamente da me mi alzai piano, come se un eccessivo spostamento d’aria avrebbe fatto perdere l’equilibrio a quell’uomo, che era ormai troppo vicino a me. Non mi diede nemmeno il tempo di raddrizzarmi che aveva già iniziato a camminare, lasciandomi indietro, e dirigendosi verso la locanda più vicina. 

Era l’unico luogo nei dintorni in cui non avevo mai osato rubare, era troppo vicino a “casa mia” e il proprietario non aveva affatto una buona reputazione. 

La notte era silenziosa e anche dentro la locanda non si sentiva volare una mosca; appena varcata la soglia il proprietario si girò verso di noi e, dopo averci lanciato una rapida occhiata, tornò alle sue faccende non curandosi di noi. Doveva essere abituato a vedere gente di ogni sorta in quella bettola, non eravamo diversi da tanti altri. Guardandomi intorno la mia idea prese sempre più valore, solo tre tavoli erano occupati e nessuna di quelle persone sembrava essere il classico tipo che incontri per strada tutti i giorni. Ad un tavolo sedevano due ragazzi, uno dei quali aveva i vestiti sporchi di terra e di qualcosa che sembrava essere sangue incrostato; probabilmente aveva avuto una qualche rissa e non voleva, o non poteva, tornare a casa per ripulirsi prima di andare a mangiare qualcosa; i due ragazzi erano in silenzio e si fissavano l’un l’altro, ogni tanto uno dei due abbassava lo sguardo per prendere un boccone ma nulla di più. Gli altri due tavoli erano occupati da una persona ciascuno; in uno aveva preso posto una figura di cui non riuscivo ad identificare il sesso perché vestita completamente di nero e con un cappuccio che gli copriva totalmente la faccia; in mano aveva un boccale di vino, riempito d’acqua fino all’orlo, e la sorseggiava come se fosse una bevanda di alta qualità. All’ultimo tavolino era seduta una donna, con abiti succinti ma molto eleganti, prendeva piccoli bocconi dal suo piatto di pasta e la mangiava lentamente; probabilmente aveva da poco finito il suo turno di lavoro e dopo aver soddisfatto a dovere il suo ultimo cliente si era concessa un pasto notturno prima di andare a dormire.

Il vecchio signore mi aveva brevemente superata e si stava dirigendo verso un tavolo solitario vicino al muro, dopo essersi seduto mi fece cenno con il bastone, in legno e perfettamente intagliato, di sedermi di fronte a lui. Iniziò a fissarmi con occhi severi ma allo stesso tempo curiosi, non distoglieva lo sguardo nemmeno per un attimo, ma allo stesso tempo non sembrava avesse intenzione di parlarmi. Il proprietario della locanda si avvicinò, qualche minuto dopo, con fare scocciato, per prendere i nostri ordini e andarsene subito dopo senza il minimo di cortesia o ospitalità. Aspettammo un po’ prima di ricevere il nostro ordine, tempo in cui l’uomo continuò a guardarmi incessantemente, in alcuni momenti il suo sguardo sembrava quasi addolcirsi mentre in altri avrei giurato fosse lì per uccidermi. Nonostante quell’uomo fosse difficile da decifrare ero sempre più convinta, che dietro quella maschera di cicatrici, ci fosse una figura interessante che aveva tanto da raccontare.

Nel esatto momento in cui il locandiere poggiò l’ordine sul tavolo e si allontanò abbastanza da non essere più a portata di orecchio, il vecchio prese un sorso dal suo bicchiere di vino e iniziò a parlare con una voce bassa e rauca  “Lei forse non sa chi sono io, ma io la conosco da tutta una vita.” fece una breve pausa e poi “Conosco la verità sulla sua vita all’interno della chiesa e ogni dettaglio della sua vita sulla strada.”

Per la prima volta dopo anni qualcosa o meglio qualcuno era riuscito a far sorgere in me un sentimento ormai represso, qualcosa che si avvicinava pericolosamente alla paura. Quel caro vecchietto che sembrava un signore tanto onesto e tanto per bene forse non era esattamente chi mi aspettavo; mi aveva incantato con quell’aspetto indifeso e quel suo bastone ma dietro quella maschera si nascondeva un uomo molto diverso. Nonostante questo primo accenno di paura non mostrai la minima esitazione e continuai a mangiare come se mi avesse raccontato una storiella di poco conto. “La osservo da un bel po’ ormai, l’ho seguita nel modo che mi pareva più discreto per anni e, quando non ero io a sorvegliarla da lontano, avevo sempre qualche occhio qui e lì che la osservava.” Le sue parole si facevano sempre più inquietanti ma la mia maschera di tranquillità rimaneva intatta mentre prendevo grossi bocconi di carne. “Sono fermamente convinto del fatto che lei sia molto più di ciò che quei due preti da quattro soldi volevano farle credere, signorina” provò ad accennare un sorriso anche se il risultato non fu ottimale “E credo sinceramente che sia finalmente arrivato il momento che lei venga insieme a me.” A queste parole anche l’ultimo accenno di serenità che mi era rimasto cadde e feci per alzarmi, prontamente, come se se lo aspettasse, alzò il suo bastone e mi bloccò e, con uno sguardo tutt’altro che rassicurante, mi disse “Non creiamo futili spettacoli in un luogo pubblico, mi stia a sentire e non se ne pentirà.” Ritornai a sedermi al mio posto, più per la paura che per una sincera valutazione della sua offerta e, guardandomi intorno, notai che tutto ad un tratto nella sala tutti si stavano spogliando di un indumento dopo l’altro. Sentivo la donna lamentarsi dell’improvviso innalzamento della temperatura e la figura dal sesso non meglio identificato si abbassò il cappuccio rivelando una lunga chioma bionda. Persino il locandiere uscì per qualche secondo dalla sala, per prendere una boccata d’aria a causa del caldo intenso. Sulla fronte del signore di fronte a me vedevo scivolare lenta un gocciolina di quello che doveva essere sudore mentre io mi accucciavo sempre di più nella mia felpa e tremavo leggermente. Non riuscivo a comprendere come fosse possibile che tutti nella stanza sentissero caldo da un momento all’altro, era una notte di gennaio, il periodo non  si prestava ad alte temperature. Ciò che però mi lasciava più perplessa era il fatto che tutti loro avessero avvertito questo improvviso calore quando io non avevo notato il minimo cambiamento di temperatura. “Lei non sente caldo vero? Come pensavo” prese fiato “E’ lei a provocare l’innalzamento di temperatura quindi non ne è affetta” era come se mi avesse letto nel pensiero, ma cosa intendeva? Non potevo essere stata io a fare una cosa tanto impossibile. Nonostante provassi a convincermi in tutti i modi che quell’uomo fosse folle e cercasse soltanto di entrare nelle mie grazie, per non solo quale scopo, non potevo negare l’evidenza e, con una rinnovata curiosità, gli feci un cenno con la testa per invitarlo a continuare il discorso “Sappia che ci sono tante cose di lei che lei stessa non conosce ma io potrei aiutarla a far luce sul suo passato e potrei aprirle una strada verso un futuro che non la vede a dormire su un panchina.” La proposta iniziava a farsi allettante; avevo spesso pensato a come sarebbe stato il mio futuro se non avessi cambiato vita, se non avessi trovato un modo per renderla meno miserabile, adesso quell’uomo sbucato dalla nebbia, mi stava offrendo ciò che avevo sempre desiderato e molto di più. Non poteva non essere una trappola, ero cresciuta sapendo che nessuno ti regala nulla “Dove sta la fregatura?” furono queste le prime parole che rivolsi all’uomo “Non c’è nessuna fregatura, come la chiama lei, farà parte della setta gestita da me in cui affineremo le sue doti di ladra e manipolatrice e la inizieremo all’assassinio.” Non avevo mai pensato a nulla del genere ma, adesso che tutto ciò mi si presentava davanti, mi sembrava un prezzo molto basso da pagare per capire chi ero e da dove venivo. Vivevo da anni come una fuorilegge ormai e più di una volta mi era capitato di arrivare abbastanza vicina all’uccidere qualcuno; il pensiero non mi sconvolgeva anzi, mi incuriosiva, quasi mi allettava. La paura era scomparsa così com’era arrivata e volevo scoprire di più, su quell’uomo, su di me e su questa fantomatica setta “Ci sto.” “Bene partiremo subito, appena finirà il suo pasto, non credo lei abbia qualcuno da salutare.” E aveva ragione, non sarei mancata a nessuno in quella vita, ero un’ombra, e quell’ombra stava per svanire. “A proposito, io sono il signor Vadiolo, è un piacere.” si presentò “Eva, vedremo se sarà un piacere.” Ci stringemmo la mano e, dopo aver pagato, ci dirigemmo verso la porta.

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