Red right hand 3

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sacro vincolo ***
Capitolo 2: *** Il veleno della discordia ***
Capitolo 3: *** Le Sibille ***
Capitolo 4: *** Prigione e seduzione ***
Capitolo 5: *** Un passato che non passa ***
Capitolo 6: *** Caccia selvaggia ***
Capitolo 7: *** Profonda oscurità ***
Capitolo 8: *** Macerie di sangue (PT.I) ***
Capitolo 9: *** Macerie di sangue (PT.II) ***
Capitolo 10: *** Tramontare ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il sacro vincolo ***


1. IL SACRO VINCOLO

“Still your hands,
and still your heart,
for still your face comes shining through.
And all the morning glows anew,
still your mind,
still your soul.
For still, the fire of love is true,
And I am breathless without you.”
(Breathless, Nick Cave and the Bad Seeds)
 
Settembre 1916, Somme.
Amabel si svegliò di soprassalto a causa di un rumore improvviso. Solo due ore prima si era appisolata accanto al letto di un soldato a cui avevano estratto una cinquantina di frammenti di metallo dalla schiena. Era stata un’operazione lunga e sfiancante, e il sonno aveva sopraffatto la ragazza in pochi minuti. Si stropicciò gli occhi e si alzò per controllare i pazienti: uno di loro si stava lamentando mentre dormiva; era il sergente maggiore Shelby. Stava avendo un incubo, sussultava tra le lenzuola, borbottava tra sé, e con le dita si graffiava il volto coperto dalle bende.
“Sergente! Sergente, svegliatevi!” sussurrò Amabel, non voleva disturbare anche gli altri soldati. Trattenne un grido quando la mano del sergente le agguantò il polso. Gli occhi dell’uomo erano di un azzurro tempestoso, simili a un cielo sul punto di esplodere.
“Sergente, siete al sicuro. Non c’è nulla da temere.”
Tommy lasciò andare il braccio della dottoressa e si mise seduto, sentiva la testa pulsare e il sudore che gli imperlava la fronte.
“Oh … io … perdonatemi, dottoressa.”
“Non vi preoccupate. Piuttosto, parlatemi del vostro incubo.”
Amabel si sedette sul letto e aggiustò il lenzuolo sulle gambe del sergente in modo che non prendesse freddo, era una nottata particolarmente fresca. Gli versò dell’acqua e lo aiutò a bere. Tommy respirava a fondo per riprendere il controllo della situazione, ma lo sguardo apprensivo della dottoressa non era d’aiuto.
“Vi preoccupate troppo, dottoressa. Io me la cavo.”
“Beh, preoccuparmi è il mio lavoro. Che razza di medico sarei se non mi prendessi cura dei miei pazienti?”
Poche settimane prima la dottoressa si era seduta accanto a lui e gli aveva letto delle poesie con quella sua vocina dolce e ingenua che poteva appartenere soltanto ad una ragazza di venti anni. Tommy non era un appassionato di poesia, a stento aveva imparato a leggere e a scrivere, eppure era rimasto affascinato da quelle parole semplici e profonde al tempo stesso.
“Siete un ottimo medico, non abbiate dubbi.”
“Vi ringrazio. – sorrise Amabel – Ora raccontatemi perché vi stavate agitando.”
“Voi non mollate mai la presa, eh?” scherzò Tommy, al che la dottoressa ridacchiò.
“Perché mollare la presa quando la tengo ben stretta fra le mani?”
Tommy rimaneva stupito ogni volta che si confrontava con lei, gli teneva testa con una facilità disarmante.
“Sognavo quei fottuti tunnel, sporchi, infiniti, infestati dal tanfo dei morti. Ho rivissuto il momento in cui i nemici ci hanno sorpreso, le urla, lo sparo, l’esplosione.”
“Non ricordate altro del vostro incidente? E’ passato parecchio tempo, potrebbero essere affiorati altri ricordi che vi tormentano.
Tommy bevve di nuovo, più per evitare lo sguardo della ragazza che per necessità.
“Dopo l’esplosione l’unica cosa che ricordo è la vostra voce che mi dice di fidarmi di voi.”
“Sono davvero brava a dare consigli, vero?” disse Amabel facendo spallucce. Tommy rise, si sentiva più sollevato di pochi minuti prima.
“Sì, siete piuttosto brava.”
Di colpo Amabel diventò seria e Tommy si irrigidì, sotto quella tenda il pericolo era costante.
“Devo comunicarvi una notizia, sergente.”
“Sarebbe?”
“Ho spedito una lettera alla vostra famiglia perché vengano a prendervi settimana prossima a Londra. Ho chiesto al Comando Militare di congedarvi e la mia richiesta è stata accolta. Tornerete a casa. La guerra per voi è finita. Inoltre, vi toglieremo le bende al volto tra un paio di giorni.”
Tommy si portò una mano sul cuore per accertarsi che battesse ancora dopo quella notizia. Non pensava di tornare a casa tanto presto. Anzi, non pensava di tornare vivo.
“Perché lo avete fatto? Sono ancora in grado di scav…”
“No! – lo interruppe Amabel – Voi non avete nessun obbligo a restare. Vi sto offrendo la possibilità di evadere da questo orrore e vorrei che la coglieste. E’ l’unica possibilità che avete, tra due settimane non concederanno più congedi. Ho faticato per farvi tornare a casa.”
Tommy sospirò, sopraffatto da una miriade di emozioni: paura, gioia, dolore, smarrimento.
“Grazie. Grazie davvero, dottoressa. Voi non eravate costretta a farlo.”
Amabel gli toccò la spalla con un gesto quasi impercettibile, eppure Tommy rabbrividì.
“L’ho fatto perché volevo. La vostra famiglia vi aspetta.”
“E voi quando tornerete a casa?” domandò Tommy.
“Non lascerò questi uomini fino a quando la guerra non cesserà.”
Tommy negli occhi della dottoressa lesse una tenacia che nessun soldato aveva mai dimostrato. Lei era forte, decisa, e non avrebbe permesso alla guerra di scalfirla.
“Affronterete l’inferno, dottoressa.”
“Prima o poi tutti dovremo incontrare il diavolo in vita nostra.”
Tommy avrebbe voluto abbracciarla – per consolarla, per consolarsi – ma si limitò ad annuire.
“Vi va di leggermi una delle vostre poesie? Mi piacerebbe condividere con voi un ultimo momento.”
Amabel tirò fuori dalla tasca del camice un piccolo libro dalla copertina logora, all’interno le pagine erano segnate dagli angoli piegati, e aprì un brano a caso.
“Nella vita ci sono giorni pieni di vento e pieni di rabbia. Ci sono giorni pieni di pioggia e pieni di dolore, ci sono giorni pieni di lacrime; ma poi ci sono giorni pieni d’amore che ci danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni.” (Notte Infinta di Romano Battaglia)
E in quella notte buia entrambi si chiesero se avrebbero mai trovato un amore che li avrebbe fatti andare avanti.
 
 
Settembre 1925, Birmingham.
 
Tommy osservava il lento scorrere dell’acqua del canale dalla finestra del vecchio appartamento di Small Heath. In quella casa fatiscente era nato, cresciuto, era diventato un soldato prima e un gangster poi. In quelle quattro mura era racchiusa tutta la sua vita. I timidi raggi del sole piombavano nella stanza illuminando la coltre di polvere che ricopriva i mobili. Tommy sospirò. Era stanco, ma per la prima volta si trattava di una stanchezza buona. Non aveva dormito la notte precedente perché il pensiero dell’imminente matrimonio lo aveva tenuto sveglio. In quel letto aveva pensato a tante cose – a sua madre, ai suoi fratelli, alla guerra, a Greta – ma non aveva mai pensato che un giorno si sarebbe spostato. Per di più, cosa ben più incredibile, non aveva mai pensato che avrebbe sposato una donna come Amabel. Era difficile credere che una come lei, ragazza dabbene dell’alta società e in gamba come poche persone, sarebbe diventata la moglie di un povero zingaro proveniente da uno dei più degradati quartieri di Birmingham.
Quel vorticare di pensieri si interruppe quando la porta si spalancò, rivelando un Arthur assonnato sulla soglia.
“Ohi, Tom! Tra due ore ti sposi. Sei pronto?”
Arthur era lucido, ma sarebbe durato poco, e sorrideva allegro. Tommy spense la sigaretta sul davanzale della finestra, si alzò e si passò una mano sul viso.
“Sono pronto. Ti va un goccio di whiskey?”
“No, niente alcol fino alla fine della messa.” Disse Polly, che era comparsa alle spalle di Arthur. Aveva i bigodini fra i capelli, la sigaretta in bocca e una tazzina di the in mano.
“Agli ordini!” esclamò Arthur, poi scese in cucina per sgranocchiare qualcosa. Polly si prese qualche istante per studiare Tommy: all’apparenza era calmo come sempre, eppure un leggero tremore del labbro superiore tradiva la sua maschera stoica.
“Guarda, Tommy Shelby che è terrorizzato dal matrimonio.”
Tommy sbuffò e si accese un’altra sigaretta, ci avrebbe pensato il profumo a celare la puzza di fumo.
“Non sono terrorizzato. E’ solo che …”
“Hai paura di rovinare tutto con Amabel.” Concluse Polly per lui. Tommy annuì.
“Con lei non posso sbagliare. Non devo sbagliare.”
La zia bevve un sorso di the senza staccare gli occhi da lui.
“Allora non sbagliare.”
 
Amabel mangiucchiava un biscotto mentre intorno a lei Ada e Diana si affaccendavano per preparare abiti, scarpe e trucco.
“Altro caffè, dottoressa?” domandò Jalia reggendo la caffettiera. Amabel scosse la testa e automaticamente prese un altro biscotto.
“Sto bene così, grazie. Verrai con Michael al matrimonio?”
Jalia tossì per l’invadenza di quella domanda; la dottoressa Hamilton non aveva peli sulla lingua.
“Cosa vi fa credere che io e il signor Gray abbiamo una tale confidenza?”
“Jalia, non sono mica tonta. Lo so che voi due siete amici. Venire al matrimonio insieme non fa di voi una coppia.” Disse Amabel, e nel frattempo aveva addentato un altro biscotto.
“No. – disse Jalia – Non verrò al matrimonio con il signor Gray. Tra di noi c’è solo una profonda stima, nulla di più.”
Amabel stava per replicare quando Diana fece irruzione in cucina con le gote arrossate.
“Bel, ti ricordi che oggi ti sposi? Sei in ritardo!”
“E’ solo un matrimonio, non un affare di stato. Calmati, sorellina. Andrà tutto bene.”
Amabel aveva preso i preparativi del matrimonio con serenità. Aveva organizzato tutto senza troppo stress, in fondo sapeva esattamente cosa voleva. Il rito sarebbe stato celebrato nella cattedrale cittadina e la festa si sarebbe tenuta in aperta campagna come voleva la tradizione zingara. Amabel non desiderava un matrimonio normale, lei voleva qualcosa di bizzarro e diverso, qualcosa che avrebbe lasciato un segno.
“Io ero agitatissima il giorno del mio matrimonio.” Disse Ada, e Amabel sbatté le palpebre per tornare alla realtà.
“Eri bellissima. Polly mi ha mostrato una foto, avevi un vestito adorabile.”
“Ed ero anche molto giovane!” ribatté Ada ridendo.
Amabel lanciò un’occhiata al pendolo, era il momento di prepararsi.
“Signore mie, che questa giornata abbia inizio!”
 
La cupola della chiesa di Saint Philip si stagliava contro il cielo azzurro come fosse un sole di pietra. L’imponente facciata della chiesa in pieno stile barocco donava all’edificio una bellezza eterna, come se il tempo si fosse congelato e tutti potessero godere per sempre di quella meraviglia. Tommy gettò la sigaretta a terra e la calpestò, incurante dell’erba sottostante. Gli invitati erano arrivati e attendevano all’interno, all’ombra da una giornata particolarmente soleggiata. Si trattava di poche persone: la famiglia Shelby al completo, zio Charlie e Curly, Diana e la signora Miles, la famiglia Lee, e alcuni colleghi di Amabel. Tommy aveva chiamato Oliver più e più volte per convincerlo a venire, ma non aveva mai ricevuto una risposta. Amabel si sarebbe sposata senza Evelyn e Oliver al suo fianco, per lei era doloroso anche se non lo dava a vedere.
“Ci siamo.” Disse Michael.
Un’auto parcheggiò a un metro dalla chiesa, dal finestrino si intravedevano quattro donne. Ada scese dal lato del conducente e Diana dal lato del passeggero, insieme si voltarono verso Tommy e Michael.
“Tommy, entra dentro. Non puoi vedere la sposa prima delle nozze, porta sfortuna!” gli ricordò la sorella.
Tommy fece un mezzo sorriso e rivolse un saluto verso l’auto, sicuro che Amabel lo avesse visto. Quando i due uomini si furono allontanati, Amabel scese e Polly le sistemò il vestito.
“Pronta?”
“Prontissima.”
Diana, con indosso il suo abitino color pesca dalle maniche gonfie, raccattò un cestino colmo di petali di rose e si piazzò davanti alla sposa. Ada e Polly presero Amabel a braccetto perché loro l’avrebbero accompagnata all’altare.
“Andiamo.”
 
 
Quando l’organo intonò la marcia nuziale, Tommy si rese conto che stava davvero per sposarsi. Non era più un evento ipotetico, era una realtà che camminava verso di lui. Portò lo sguardo su Amabel e di colpo tutte le preoccupazioni svanirono. Era la donna più bella che avesse mai visto. Sorrideva agli invitati man mano che avanzava, stretta fra Ada e Polly, con Diana che gettava petali di rose sul pavimento per l’entrata degna di una sposa. Amabel indossava un abito semplice: un tubino bianco lungo fino al ginocchio con lo scollo a barca e uno scialle altrettanto bianco per coprire la pelle in bella mostra, dato che si trovavano pur sempre in una chiesa. Una sottile cintura di perle le avvolgeva la vita e i capelli, acconciati in una treccia decorata da perline e nastrini bianchi, erano coperti da un velo ricamato; era il velo che sua madre aveva indossato quando si era sposata.
“Thomas, stai bene?”
Tommy sbatté le palpebre e si rese conto che Amabel era arrivata all’altare, perciò fece un passo indietro per lasciarle lo spazio necessario.
“Adesso che ci sei sto bene.”
Amabel sorrise e annuì, mentre Tommy deglutì per il nervosismo.
“Possiamo cominciare.” Disse Polly al prete, e andò a sedersi insieme al resto della famiglia.
Dopo la predica del prete, qualche lacrima di Diana e un paio di risate di Arthur, il rito giunse alla parte centrale.
“E dunque vuoi tu, Thomas Michael Shelby, prendere come tua legittima sposa la qui presente Amabel Marie Hamilton?”
Tommy si girò verso Amabel e sorrise compiaciuto, dopodiché tornò a guardare il prete.
“Lo voglio.”
“E vuoi tu, Amabel  Marie Hamilton, prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Thomas Michael Shelby?”
A quel punto fu Amabel a guardare Tommy e a sorridere facendogli l’occhiolino.
“Lo voglio.”
“Per l’autorità conferitami da Cristo Nostro Signore e dalla Chiesa di Roma, io vi dichiaro marito e moglie. Potete baciare la sposa.”
Un applauso chiassoso proruppe intorno a loro mentre si baciavano.
 
Amabel non immaginava che i Lee avessero organizzato una festa tanto bella. Al centro dello spiazzo, un vasto terreno nel mezzo della campagna, si alzava un grande tendone simile a quello del circo ornato da festoni e fiori colorati. Tutto intorno l’area era occupata da auto, carrozze, e altri caravan. Due ragazze della famiglia Lee accolsero Amabel con una coroncina di fiori che le deposero sul capo in segno di rispetto, poi la trascinarono verso il tendone. All’interno il clima era surreale, quasi magico. L’ambiente era illuminato da una serie di lanterne disseminate qua e là che creavano ombre dinamiche sui drappi colorati. Il lungo tavolo posto al centro era coperto da tovaglie di pizzo ricamate e sopra vi erano caraffe di vino e piatti fumanti che emanavano un odore gradevole.
“Era così che te lo aspettavi?” chiese Tommy, togliendosi la giacca per appenderla alla sedia.
“Sì. – disse Amabel – Anzi, è di gran lunga migliore di quello che mi aspettavo.”
“Un brindisi agli sposi!” grida zio Charlie.
Tutti gli invitati sollevarono i calici laccati d’oro, compresi gli sposi, e bevvero alla salute della coppia.
“Tieni, bevi tu per me.” disse Amabel cedendo il proprio calice intatto a Tommy. Lui mandò giù l’alcol in un colpo solo.
“Un medico non beve neanche nel giorno del suo matrimonio?”
Amabel rise e gli diede un pizzicotto sul braccio, al che Tommy si finse offeso.
“Uno bravo no.”
“Non devi sempre essere pronta a salvare il mondo, Bel. Anche tu meriti un po’ di riposo.”
“Disse l’uomo che non dorme mai a causa degli affari.”
“Mmh.”
“Questo è il suono che fa Tommy Shelby quando sa che sua moglie ha ragione.” Disse Bel, e rise per l’espressione accigliata del marito.
Era strano ed emozionante pensare a lui come a suo marito, eppure la fede dorata che luccicava all’anulare ne era la prova concreta.
“Dopo questo affronto domattina farò ricorso per annullare il matrimonio, eh.”
Amabel lo attirò a sé per baciarlo e Tommy si sciolse come neve al sole.
“Tu resterai sposato con me fino a quando non moriremo.”
“Non chiedo di meglio, signora Shelby.”
 
Verso le undici di sera la musica riprese a riecheggiare nel tendone invitando tutti a prendere parte alle danze. Amabel era stata rapita dalle donne dei Lee e costretta a ballare per tutta la serata, mentre Tommy beveva e rideva per l’incapacità della moglie in fatto di coordinazione. Diana se ne stava seduta per terra a giocare con Charlie, il bambino non sembrava affatto stanco e continuava ad inseguire la piccola palla che Curly gli aveva regalato.
“Palla!” esclamò il piccolo facendo rotolare il giocattolo verso Diana.
“Sì, Charlie, stiamo giocando a palla. E stiamo giocando da due lunghissime ore ormai.”
Fuori dal tendone, Finn fumava in compagnia di Martin, un nuovo membro dei Peaky Blinders che sostituiva Isaiah. Da qualche tempo Diana e Finn si erano allontanati. Certo, stavano ancora insieme, ma lui passava più tempo a Birmingham che a Londra a girare tra i pub e a combinare chissà quali disastri. La ragazza un momento prima temeva che Finn la tradisse, ma l’attimo dopo si ricredeva perché sapeva che lui l’amava e non le avrebbe mai fatto del male.
“Questa è tua?”
Diana alzò gli occhi e vide qualcuno che le porgeva la palla di Charlie. Era un ragazzo alto e snello, ricci neri come la pece e brillanti occhi verdi. Ai lobi delle orecchie portava due orecchini a cerchio.
“Sì, è del bambino. Ti ringrazio.”
“Io sono Milos Lee, sono il nipote di Johnny Dogs.” Disse lui tendendo la mano.
Diana la strinse con una certa fretta, non capiva perché uno dei Lee si fosse avvicinato a lei.
“Io mi chiamo …”
“Diana Hamilton. Tu sei la sorella della sposa. Lo so.”
Diana rimase sorpresa, ma cercò di non darlo a vedere. Mostrarsi vulnerabili con gli sconosciuti era un male, così le aveva insegnato Bertha.
“Sembri sapere parecchie cose di me.”
Milos sfoggiò un sorriso malizioso che fece arrossire Diana.
“Io sono uno informato su parecchie cose, soprattutto su quelle che attirano la mia attenzione.”
“Levati dalle palle, amico.” Tuonò Finn, appostato alle spalle di Diana.
La ragazza si mise in piedi, si pulì il vestito e prese Charlie in braccio.
“Tranquillo, Finn. Milos mi ha solo riportato la palla di Charlie, non è successo niente.”
Finn gettò un’occhiataccia a Milos, che invece ridacchiò con fare divertito.
“Diana ha ragione, le ho solo consegnato il ninnolo del bambino.”
Finn mosse un passo verso l’altro ragazzo con lo sguardo minaccioso, i suoi occhi erano scuri di rabbia.
“Non pronunciare il nome della mia donna. E adesso sparisci prima che finisca male per te.”
Milos fece un inchino e regalò un sorriso a Diana, la quale mascherò il rossore sulle gote distogliendo lo sguardo.
“Buonasera, milady.”
Non appena il ragazzo fu lontano, Diana colpì Finn alla nuca.
“Sul serio, Finn? ‘La mia donna’? Potevi fare di meglio. Hai fatto la figura dell’idiota.”
“Cos’è, ti sta simpatico quel mezzo uomo? Non essere stupida.”
Diana abbracciò Charlie più stretto per trovare un pizzico di conforto almeno nel bambino.
“Ma che cosa ti succede? Tu non sei così, Finn.”
 
Amabel fu lieta quando si sedette per riposarsi dalle danze sfrenate. Si tolse le scarpe sotto il tavolo, si versò un bicchiere d’acqua e sgranocchiò un pezzetto di pane. D’improvviso due mani le coprirono gli occhi, erano callose e odoravano di tabacco.
“Thomas, lo so che sei tu.”
L’attimo dopo le labbra di Tommy le lasciarono un bacio sulla spalla scoperta dallo scollo del vestito.
“Sono sempre io, tesoro. Come fai a capirlo ogni volta? Insomma, anche le mani di Arthur sono simili alle mie.”
Amabel gli accarezzò delicatamente le mani e Tommy fu percosso da un brivido lungo la schiena.
“Lo capisco perché sul palmo hai una piccola cicatrice che ti sei procurato in guerra. Io conosco il tuo corpo a memoria, Thomas.”
In effetti, una minuscola cicatrice biancastra segnava la mano di Tommy nel punto in cui si era infilzato con una scheggia durante un turno di scavo a Somme.
“Questo mi spaventa. Il fatto che tu mi conosca è terrificante perché vuol dire che non posso mentire con te.”
“Perché dovresti mentirmi? Tu con me non devi essere Tommy il gangster. Tu per me sei solo Thomas.”
“Il tuo Thomas.”
“Il mio Thomas.” Disse Amabel, e gli diede un bacio sulla cicatrice.
La loro conversazione fu disturbata dal suono del violino che aveva fatto zittire tutti i presenti. Milos era salito su un tavolo e stava suonando il vecchio strumento che un tempo era appartenuto a suo nonno.
“E’ una vecchia ballata del folklore zingaro. Viene suonata quando una coppia si sposa, è un augurio di felicità e prosperità.”
“Dobbiamo ballare? Dimmi che non dobbiamo ballare, le mie gambe non ce la fanno più.”
Amabel sbuffò quando Tommy la obbligò a raggiungere il centro del tendone. Tutti gli invitati si erano messi in cerchio attorno a loro, alcuni canticchiavano a bassa voce, altri facevano piccoli passi di danza, e altri ancora osservavano la scena. Amabel appoggiò la testa contro la spalla di Tommy e lui fece incastrare le loro dita mentre muovevano i primi passi di un lento.
“Devo darti una bella notizia, Bel.”
“Dimmi pure.”
“Ho vinto le elezioni. Sono ufficialmente un membro del Parlamento. Me lo hanno riferito stamattina.”
Amabel sorrise e strinse più forte la sua mano, al che Tommy sorrise a sua volta.
“Sono davvero contenta. Adesso può iniziare un nuovo capitolo della tua vita.”
Tommy le fece compiere una giravolta e poi le stampò un bacio sulle labbra.
“Della nostra vita.”
“Suona bene, sai.” Disse Amabel accoccolandosi con la guancia sul suo petto.
 
 
Amabel scese dall’auto con un rantolo, era stanca e aveva male ai piedi per tutti i balli che aveva fatto. Si fermò qualche istante ad ammirare la loro nuova casa, piccola ma molto graziosa. Amabel aveva lasciato la casa di famiglia nelle mani di Jalia perché altrimenti la ragazza non avrebbe avuto un altro posto e anche perchè era troppo grande per condividerla con Tommy e Charlie. Avevano preferito un’abitazione più intima e accogliente, che sapesse di famiglia.
“Aspetta.” Disse Tommy.
Amabel si sistemò meglio lo scialle sulle spalle dal momento che la brezza notturna era fredda.
“Che succede?”
“Tradizione vuole che lo sposo porti in braccio la sposa in casa loro.”
“Oh, no. Non ci pensare! Da quando rispettiamo la tradizione?”
Le proteste di Amabel non servirono a nulla. Tommy, anziché prenderla a mo’ di sposa, la caricò in spalla come fosse un sacco di patate.
“Visto? Noi non rispettiamo mai la tradizione.”
Amabel scoppiò a ridere, la sua risata rimbombò nella loro nuova casa come fosse un augurio. Tommy la portò in braccio fino al soggiorno, dove lei finalmente cadde sul divano e poté togliersi le scarpe.
“Sei un farabutto, Shelby.”
“Fa parte del mio fascino.” Ribatté Tommy versandosi il whiskey nel bicchiere.
Si sedette accanto alla moglie, si liberò della giacca e si accese una sigaretta. Il silenzio era piacevole, loro si parlavano anche senza parlare. Charlie restava a dormire da Polly, perciò quella notte era tutta per loro.
“Thomas …”
“No. Se devi parlare di qualche problema, non farlo. Godiamoci questa pace ancora per un po’.”
“Volevo soltanto dirti che ho comprato un regalo di benvenuto per Charlie, è un trenino intagliato da uno dei migliori artigiani di Birmingham.”
Tommy sorrise portandosi il bicchiere alle labbra. Amabel riusciva sempre a dimostrarsi la persona giusta con cui condividere la sua vita.
“Lo vizi troppo.”
“Certo che lo vizio! Hai visto che faccino paffuto ha? E’ troppo tenero!” disse Amabel, e i suoi occhi si spostarono su una foto del bambino posta sul camino.
Tommy abbozzò un sorriso stanco, era stata una lunga e faticosa giornata.
“Charlie ti adora, sai.”
Amabel si tirò su a sedere e gli diede un bacio sulla guancia ben rasata.
“E io adoro voi.”
Tommy si sporse per lasciarle un tenero bacio sulla bocca.
“Ho un regalo per te. Seguimi.”
Mano nella mano si diressero al piano superiore, dove si collocavano due camere da letto e un secondo bagno, e Amabel sorrideva raggiante. Sul letto c’era un pacchettino quadrato incartato e chiuso da un fiocco rosso.
“Posso aprirlo?”
“Certamente.”
Amabel scartò il pacchettino con la curiosità dipinta negli occhi, di solito Tommy faceva dei regali molto azzeccati. All’interno, custodito in un panno di velluto nero, c’era un sottile e rigido bracciale d’oro giallo con una frase incisa: eternamente tuo.
“Thomas, è meraviglioso. Io … non ho parole.”
Tommy l’aiutò ad appuntare il bracciale al polso e vi posò un bacio sopra.
“Non sono bravo nelle dichiarazioni d’amore, però mi sembrava carino dirti quando ci tengo nel giorno del nostro matrimonio. Poi ho capito che devo dirtelo ogni giorno, quindi ho pensato di regalarti un bracciale da indossare sempre. E’ un modo per ricordarti che io sono eternamente tuo, Bel. Tuo e di nessun altro.”
“Mio.” Sussurrò Amabel, dopodiché gli circondò il collo con le mani per baciarlo.
Tommy la strinse a sé come fosse la sua àncora di salvezza. Il bacio crebbe di intensità, ogni volta che erano vicini bruciavano come fiamme. Amabel gli sfilò il panciotto e subito gli sbottonò la camicia bianca. Tutte le volte che si baciavano sembrava la prima. Tommy si ritrovò seduto sul bordo del letto, a petto nudo, gli occhi che brillavano per l’eccitazione.
“Bel. La mia Bel.” disse Tommy in tono suadente, e le sue mani andarono a posarsi sui fianchi della moglie.
 Amabel gli passò le mani fra i capelli e lui emise un sospiro, era esausto. E non solo era esausto per via di quella giornata, ma lo era soprattutto per tutti i demoni che gli pesavano sulle spalle dai tempi della guerra.
“Va tutto bene. Sei a casa.”
Tommy la fece sedere sulle gambe e affondò il viso nella curva del collo, al sicuro dal mondo esterno.
“Sì, sono a casa.”
Amabel gli accarezzò gli zigomi con la punta delle dita, un tocco delicato che solo un’anima tormentata come lui meritava.
“Fai l’amore con me, Thomas.”
Tommy la guardò e si morse le labbra, il desiderio divampava come una scintilla in lui. La face sdraiare sotto di sé e iniziò a lasciarle baci umidi sul collo e sulle clavicole. Con le mani abbassava lo scollo del vestito perché la sua bocca lambisse altra pelle. Amabel faceva scorrere le mani sulle spalle muscolose di Tommy, scendendo verso i muscoli guizzanti della schiena, era tutta pelle calda e segnata da cicatrici.
“Fammi tuo, ti supplico.” Mormorò Tommy tra i baci.
 Amabel, ben lieta di accontentarlo, ribaltò la posizione trovandosi a cavalcioni su di lui. Tommy era uno che voleva mantenere il controllo ossessivo di ciò che gli capitava, sia in famiglia sia negli affari. Soltanto con Amabel si abbandonava alla pace, permetteva a se stesso di spogliarsi dei panni da gangster per vestire quelli di uomo. Sentiva l’esigenza vitale di ricevere calore, amore, sostegno e lei era la persona perfetta. Amabel aveva conosciuto il vero Thomas, quello giovane e spensierato prima della guerra, quello ferito durante la guerra, e poi quello rovinato e spezzato dentro dopo la guerra. Lei conosceva la sua anima, e lui non aveva paura di mostrargliela. Soltanto tra le braccia della sua Bel riscopriva la sua umanità.
“Thomas, va tutto bene?”
Amabel era spaventata dall’espressione alienata con cui la stava fissando Tommy, quegli occhi azzurri erano persi in chissà quali pensieri.
“Sì.”
Tommy la baciò perché non facesse altre domande, ne aveva abbastanza di parlare per quella sera. Abbassò la zip dell’abito bianco e lo fece ruzzolare sul pavimento, poi riprese a baciarla come fosse la sola cosa a tenerlo in vita. Tommy gettò la testa indietro con un gemito quando Amabel gli slacciò i pantaloni.
“Bel, ti prego.”
Si baciarono con una foga tale da mozzare il fiato. Nudi tra le lenzuola, i loro corpi si unirono e aderirono perfettamente l’uno all’altro. Con il respiro accelerato, Tommy allungò le mani all’indietro afferrando la testiera. Amabel si abbassò a baciare i muscoli tesi del petto e dell’addome facendolo rabbrividire. Mosse i fianchi e Tommy accompagnò ogni movimento, e intanto continuavano a scambiarsi baci voraci. Ogni spinta era il giusto stimolo per accrescere il piacere. I loro gemiti si alternavano ai baci ricolmi di foga. Le mani di Tommy si staccarono dalla testiera per stringere quelle di Amabel mentre i loro corpi reclamavano maggiore contatto. Con la fronte poggiata sulla spalla di Tommy, Amabel annaspava a quella sensazione di beatitudine che derivava da quell’abbraccio peccaminoso.
“Guardami.” Disse Tommy, la voce ridotta a un soffio.
Amabel, sebbene la vista un poco annebbiata, lo guardò e sorrise perché le labbra di lui erano rosse di baci.
“Mi piace molto quello che sto guardando.”
Tommy ridacchiò e fece risalire le mani sui capelli della moglie per sciogliere uno dei nastri bianchi che reggevano l’acconciatura. Fece un nodo stretto e lo allacciò al polso di Amabel.
“E’ così che siamo noi e che dovremo essere sempre: uniti, legati stretti.”
“Te lo prometto.” Disse Amabel, e una certa emozione le colorava la voce.
Tommy non era un uomo particolarmente aperto in fatto di sentimenti, perciò ogni dichiarazione valeva più dell’oro.
“Ti amo, Thomas. Infinitamente.” Aggiunse lei.
Tommy sorrise mentre giocava con il nastro attorno al polso della moglie.  
“Ti amo anche io.”
Questa volta il bacio che si diedero fu lento, stracolmo di sentimento, travolgente. Tommy la fece scivolare sotto di sé e Amabel gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi. Le unghie della ragazza affondavano nella pelle di Tommy mentre riprendevano a fare l’amore. Quando il piacere giunse all’apice e loro crollarono abbracciati tra le lenzuola, era quasi l’alba.
Tommy posò la testa sul petto di Amabel, il naso che sfiorava il seno destro, e cercò di recuperare le forze. Si fissò la fede per qualche secondo, dorata e lucente alla fioca luce della lampada.
“Mi sfinisci, Bel. Non sono più giovane come un tempo.”
Amabel si mise a ridere e gli diede un buffetto sul naso.
“Tommy Shelby che invecchia? Nah, non ci credo.”
Tommy si fece più vicino a lei, con le dita tracciava segni immaginari sulla sua coscia nuda.
“Sarà meglio dormire un po’, tra poche ore Charlie sarà di ritorno.”
 
Tommy si svegliò solo quando percepì una serie di bruschi colpi alla porta. Amabel dormiva ancora, perciò si rivestì in silenzio e andò ad aprire. Era Polly che aveva riaccompagnato Charlie.
“Papà!” disse il bambino allungando le braccia verso il padre.
 Tommy lo prese e il piccolo si accoccolò contro la sua spalla.
“Suppongo che tu e Amabel abbiate passato una nottata fantastica.” Disse Polly ridacchiando.
“Va a fare ciò che devi fare, Pol. Ci si vede.” Replicò Tommy, chiudendosi la porta alle spalle. Quando entrò in cucina, Amabel stava preparando la colazione. La ragazza andò subito a baciare la guancia paffuta di Charlie.
“Buongiorno, tesoro.”
“Mamma!”esclamò il piccolo accarezzando i capelli di Amabel in maniera maldestra.
Amabel sbarrò gli occhi, era la prima volta che Charlie la chiamava ‘mamma’. Era strano dato che tutti parlavano di Grace in modo che lui la ricordasse. Tommy, invece, non sembrava affatto turbato.
“Charlie, io non sono la tua mamma. Io sono Bel.” chiarì Amabel, e per un momento Charlie sembrò oscurarsi in volto.
“Bel, non importa. – disse Tommy – Charlie può chiamarti come vuole. Anche ‘mamma’ va bene.”
Tommy aveva usato il solito tono fermo che inibiva qualsiasi obiezione: lui aveva parlato e gli altri dovevano adeguarsi.
“D’accordo.”
Nel frattempo Charlie era scivolato via dall’abbraccio del padre per arrampicarsi sulla sedia e mangiare un biscotto. Amabel sussulto quando Tommy le accarezzò il collo.
“Non tormentarti. Charlie sa quello che fa, è un bambino intelligente.”
“Come suo padre.” Disse Amabel ridendo.
“Come suo padre, sì.”
Si riunirono intorno al tavolo, Charlie seduto in braccio ad Amabel e Tommy che gli ripuliva il mento dalle briciole. La colazione passò tra bevande calde, biscotti dolci e risate.
Eppure quella gioia ben presto sarebbe stata spezzata perché la fumosa Birmingham nascondeva una nuova minaccia.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccomi tornata con l’ultima parte della storia.
Saranno dei capitoli ricchi di colpi di scena, sangue, violenza e amore: insomma, una tipica storia di Peaky Blinders!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
 
P.S. come sempre vi ricordo che le citazioni a inizio capitolo sono riprese dalla colonna sonora della seria tv.

 

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Capitolo 2
*** Il veleno della discordia ***


2. IL VELENO DELLA DISCORDIA

“I drank some dirty water
Shook evil hands
I’ve done some bad things
And they get easier to do.”
(Rocking Horse, The Dead Weather)
 
Sei mesi dopo, Londra.
 
Il Parlamento di Londra era un viavai di gente, funzionari, parlamentari, cittadini. Tommy si fece strada a fatica per entrare nell’austero edificio e dirigersi nel suo ufficio. Quella mattina il Parlamento si riuniva e lui doveva proporre una diminuzione delle tasse nei quartieri poveri di Birmingham. A tal fine Ada aveva scritto un discorso efficace che convincesse gli altri membri a cedere alla richiesta, e poco importava se le parole fossero dettate da una comunista per un laburista: l’importante era vincere a qualunque costo. La sua segretaria – Danielle – si alzò non appena lo vide varcare le porte dell’ascensore.
“Buongiorno, signor Shelby.”
“Buongiorno. Quali sono i miei impegni per oggi?”
Danielle, una giovane donna dai capelli rossi sempre ben pettinati e un paio di occhiali tondi sul naso, sbirciò tra le pagine dell’agenda.
“Tra un’ora c’è la riunione del Parlamento. A pranzo siete ospite di Walter Chase per la questione dei treni. Poco fa ha chiamato vostra moglie per avvisarvi che lavorerà fino a tardi in clinica.”
Tommy sospirò, lui e Amabel non avevano avuto un momento di pace quella settimana. Si erano addormentati separati a orari diversi, si erano incontrati casualmente una mattina prima di andare a lavoro, e avevano scambiato poche parole su Charlie e sul party che stavano organizzando.
“Va bene. Grazie, Danielle. Un’ultima cosa: manda un mazzo di fiori a mia moglie firmato ‘Thomas’.”
“Certo, signor Shelby.”
Tommy si chiuse in ufficio, prese posto sulla comoda poltrona e si accese una sigaretta. Tirò fuori dalla valigetta il taccuino in cui Ada gli scriveva i discorsi e indossò gli occhiali da vista per ripassare.
 Una ventina di minuti dopo Danielle fece capolino nella stanza.
“Mi dispiace disturbarvi, signor Shelby, ma c’è una visita per voi.”
“Prego.”
Tommy aggrottò la fronte quando vide entrare un prete: abito lungo e nero, calvo, piccoli occhi grigi e barba curata.
“Hugo? Sei proprio tu?”
Hugo Keller in passato era stato un soldato della marina che aveva combattuto a Somme con Tommy. Durante un attacco un pezzo di metallo gli aveva danneggiato i tessuti ossei e la gamba gli era stata amputata da Amabel.
“Sono proprio io. E tu sei arrivato al Parlamento, sergente maggiore Shelby!” disse Hugo sorridendo. I due uomini si salutarono con breve abbraccio.
“Nessuno mi chiama così da molto tempo. Arrivare in Parlamento non è stato facile, ma alla fine ce l’ho fatta. Nulla sfugge al mio controllo. Prego, siediti. Ti posso offrire un whiskey?”
“Volentieri.”
Hugo si sedette mentre Tommy riempiva due bicchieri col suo whiskey irlandese preferito che arrivata direttamente dal Garrison.
“Sei diventato prete, eh? Da non credere.” Disse Tommy, e mando giù un sorso di alcol.
“Dopo la Francia la mia vita era distrutta. Ho impiegato tre anni per accettare la perdita della gamba e per imparare ad usare le stampelle. Ora uso una gamba di legno, non è il massimo ma almeno appaio normale. La fede mi è stata molto d’aiuto. Sono il parroco della Saint Augustine.” Spiegò Hugo, la mano che sfiorava il supporto di legno sotto la toga.
Tommy lasciò perdere il bicchiere, il whiskey si era fatto improvvisamente amaro.
“La Francia ha distrutto tutto: c’è chi ha perso la vita, chi la gamba, e c’è chi ha perso la testa. Tutti abbiamo perso qualcosa su quel fottuto campo di battaglia.”
“Tu, invece, sembri aver guadagnato molto dalla fine della guerra. A Birmingham circolano delle voci sulla tua famiglia.” disse Hugo con nonchalance.
Tommy ebbe l’impressione che quell’incontro non fosse una visita di cortesia.
“Perché sei qui, Hugo? Ormai sono a Londra da sei mesi, eppure tu mi vieni a trovare soltanto ora. Se hai sentito delle voci sulla mia famiglia, sai che tendo a non fidarmi molto.”
Hugo ruotò il bicchiere e il whiskey macchiò la toga, ma lui continuava a fissare Tommy con i suoi occhi vagamente divertiti.
“I Peaky Blinders sarebbero disposti a fare affari con un prete?”
“Che genere di affari?”
Tommy si guardò la fede e avvertì una morsa allo stomaco al pensiero di deludere Amabel.
“La settimana prossima arriverà a Londra un carico di oppio che verrà poi smistato tra i gangster della città. Io ho intenzione di comprare un paio di chili per creare un mio business. La chiesa è la copertura perfetta per la vendita di droga. Non ho abbastanza soldi e protezione per l’acquisto, perciò vorrei che tu diventassi il mio socio.” Disse Hugo.
“Tu vuoi i miei soldi e i miei uomini per comprare due chili di oppio? E’ assurdo.”
“Invece è una mossa intelligente. Non appena venderò le prime dosi, ti restituirò i soldi. Se diventassimo soci in affari il nostro guadagno potrebbe triplicare. Andiamo, Tommy, tutti vogliono più denaro.”
Tommy ghignò, quell’offerta era ridicola per uno che veniva dai bassi fondi. L’oppio nelle grandi città era lo sballo dei poveri, i ricchi si orientavano verso nuove droghe ed erano disposti a pagare fiumi di denaro.
“Io sono già ricco, non ho bisogno dei tuoi fottuti soldi. Spacciare porta sempre una marea di problemi. Tieniti quella merda per te. I Peaky Blinders non si immischiano negli affari di droga.”
“Parli così perché sei un parlamentare oppure perché hai sposato la bella dottoressa? Cazzo, Amabel Hamilton è tua moglie!” esclamò Hugo ridendo.
Tommy in un raptus di rabbia afferrò Hugo per il colletto e lo sbatté contro la scrivania, i suoi occhi azzurri erano quasi neri.
“Non nominare mia moglie. Se tu provi ad avvicinarti a lei in qualche modo, giuro che do fuoco alla tua fottuta gamba di legno e poi te la faccio ingoiare. Sono stato chiaro?”
Hugo deglutì, spaventato. Annuì piano e allontanò le mani di Tommy dalla propria gola.
“Sei stato cristallino.”
“E adesso sparisci, Hugo. Non farti più vedere.”
 
Una settimana dopo, Birmingham.
 
Charlie sbuffava imitando il rumore di una locomotiva mentre giocava con il suo nuovo trenino; sembrava essere diventato il suo giocattolo preferito. Amabel si stava truccando e sorrideva guardando il bambino attraverso lo specchio. Quella sera si teneva la festa di inaugurazione del nuovo orfanotrofio dedicato a Grace. Amabel era stata nominata direttrice dell’istituto da Arthur – su ordine di Tommy – poiché lui era il presidente esecutivo della Shelby Company Limited. Mentre Amabel si infilava le scarpe, Tommy entrò in camera da letto con il fiatone dovuto alla corsa.
“Scusami, lo so che sono in ritardo. Mi cambio la cravatta e possiamo andare.”
“Thomas, abbiamo ancora tempo. Puoi farti un bagno e cambiare abiti tranquillamente. Inoltre, io devo ancora vestire Charlie.”
In effetti, il piccolo era ancora in pigiama ed era scalzo, e i capelli scuri erano una zazzera confusa di ciuffi. Tommy accarezzò la testa del figlio, poi iniziò a spogliarsi.
“Va bene.”
Un’ora dopo Tommy scese in soggiorno vestito di tutto punto. Stava bisticciando con il papillon come suo solito, e ciò fece ridacchiare Amabel.
“Vieni qua, ci penso io.”
Tommy le mise le mani sui fianchi per avvicinarla e lei alzò gli occhi al cielo, certe cose non cambiavano mai.
“Come farei senza di te, Bel?”
“Andresti in giro con il papillon slacciato, di cattivo gusto!” scherzò lei, e intanto le sue dita veloci armeggiavano con il farfallino.
Tommy si prese qualche secondo per ammirare sua moglie con quell’abito verde smeraldo che abbracciava le sue forme sinuose. Le labbra coperte dal rossetto rosso erano piegate in un sorriso.
“Sei bella.”
“Oh, lo so. Questo abito è stato cucito a mano per me dalla mamma di Oliver, è un’ottima sarta.”
Amabel si rabbuiò al pensiero di Oliver, era una ferita ancora aperta. Il suo migliore amico ignorava ogni lettera e ogni chiamata, si era addirittura fatto negare dalla governante quando Amabel era volata a New York per cercare di far pace. Tommy le sfiorò la guancia per richiamare la sua attenzione.
“Non è colpa tua, Bel. E’ colpa mia, della vita che faccio e dei nemici che mi procuro. Tu sei perfetta.”
“Non sono perfetta. Non lo sarò mai. Andiamo, o faremo tardi sul serio.”
Amabel gli diede un bacio a stampo, dopodiché si infilò il soprabito e prese Charlie per uscire di casa.
 
Il Grace Shelby Institute si ubicava nella periferia di Birmingham, nel bel mezzo di un ampio terreno acquistato dalla Shelby Company Limited. I balconi erano decorati da fiocchi bianchi e fili di luci, così come l’ingresso era ornato da un tappeto rosso e due angeli di marmo ai lati del portone. Uno dei camerieri si affrettò ad aprire lo sportello ad Amabel, che scese dall’auto con Charlie in braccio. Il bambino era particolarmente timido in mezzo alla folla. Tommy consegnò le chiavi al ragazzo affinché parcheggiasse la macchina nello spazio apposito.
“Alla buon’ora! Vi davamo per dispersi.” Esordì Ada andando loro incontro. Amabel mise giù Charlie e gli strinse la manina per non lasciarlo da solo.
“Thomas ha fatto un po’ tardi, ma nulla di grave. Gli ospiti sono tutti arrivati?”
“Sì, i ricchi di Londra e Birmingham sono arrivati.”
“E noi siamo pronti a prendere i loro soldi per aiutare questi bambini.” Disse Amabel ridacchiando.
Ada annuì, in fondo togliere ai ricchi per dare ai poveri da sempre era stata un’ottima strategia.
“Sono tutti impazienti di vedervi. Siete la coppia che fa faville!”
Tommy roteò gli occhi, detestava quel mondo fatto di cerimonie futili, ma si fece coraggio in memoria di Grace.
“L’attesa è finita.”
Ada prese Charlie a carico mentre Tommy e Amabel facevano il loro ingresso a braccetto con dei sorrisi esagerati. Tutto quello era un puro e semplice spettacolo. Salutarono numerosi parlamentari accompagnati dalle consorti, industriali di alto profilo, qualche ufficiale dell’esercito, e anche alcuni membri dell’alta società di Birmingham.
“Oh, eccovi qua! Siete una coppia squisita!” esclamò Delma Bennett, cinquantenne regina dei salotti londinesi.
Era la vedova del ministro dell’economia Bennett, la donna più ricca e benvista della City e dintorni, anche a Birmingham. Era una donna alta e snella, elegante e fine nei movimenti, conosceva tutti i pettegolezzi del Regno Unito e nessuno scandalo le sfuggiva.
“Signora Bennett, voi siete troppo gentile. E siete anche elegante come sempre.” disse Amabel.
“Mia cara, mi lusingate con le vostre belle parole. Come mai siete in ritardo? Avete per caso avuto qualche problema?”
Tommy strinse Amabel a sé per dimostrare a Delma che tra di loro non c’era nessun problema e che speculare non era necessario.
“La verità è che abbiamo perso tempo perché sono rimasto a fissare la mia bellissima moglie troppo a lungo. Insomma, avete visto Amabel? Lei è meravigliosa!”
“Anche tu sei meraviglioso, mio caro.” Disse Amabel rivolgendo un’occhiata tenera a Tommy.
“Ah, il vero amore! – disse Delma – Colgo l’occasione per presentarvi mia figlia. Giselle! Giselle, bambina mia, vieni!”
Pochi secondi dopo a loro si avvicinò una ragazza all’incirca di venti anni, capelli biondi in morbidi boccoli che cadevano sulle spalle, viso tondo e pelle di porcellana, occhi grandi contornati da lunghe ciglia. Indossava un abito lilla di tulle e al collo portava una piccola croce d’oro.
“Giselle Bennett, piacere di conoscervi. Mia madre dice belle cose di voi.”
“E noi diciamo cose belle di vostra madre. Il piacere è nostro.” Replicò Amabel, e a causa di quel sorriso finto cominciava a farle male la bocca.  
Giselle annuì, però tutta la sua attenzione era concentrata su Tommy che chiacchierava con Delma sul taglio delle aiuole in giardino. Tommy si guardò attorno e intravide alcuni uomini di spicco con cui desiderava scambiare quattro chiacchiere.
“Vogliate scusarmi, ma devo parlare con qualche parlamentare. Gli affari non riposano.”
“Vai pure, tesoro. Ci deviamo dopo.” Disse Amabel, quindi gli baciò la guancia.
Tommy fece una sorta di inchino alla tre donne, dopodiché raccolse un bicchiere di champagne e raggiunse i suoi colleghi.
“Cosa possiamo fare per aiutare queste povere creature?” domandò Delma.
Amabel stabilì un contatto visivo con Lizzie e con un cenno della mano la invitò a unirsi alla conversazione.
“Lei è Lizzie Stark, la mia collaboratrice. Si occupa delle donazioni, perciò potete considerarla il vostro punto di riferimento.”
Lizzie strinse la mano prima a Delma e poi a Giselle con un sorriso cortese, ma qualcosa nel suo sguardo trasudava turbamento.
“Venite con me, signora Bennett. Vi faccio conoscere i bambini in modo da capire meglio come poterli aiutare.”
“Certamente! Giselle, cara, fai compagnia alla dottoressa Hamilton.”
Mentre Lizzie e Delma si recavano dai bambini, Giselle e Amabel iniziarono a passeggiare tra gli ospiti per i saluti. Arthur e Michael fumavano seduti in un angolo appartato, Ada e Linda chiacchieravano con Polly bevendo champagne, e Diana bisticciava con Finn per chissà quale motivo.
“Deve essere brutto vivere all’ombra di una defunta.” Disse Giselle d’un tratto.
Amabel la guardò con un misto di incredulità e curiosità.
“In che senso? Non vi capisco.”
Giselle agguantò una flute di champagne e sorseggiò il liquido dorato con un sorrisetto irritante sulle labbra.
“Nel senso che deve essere brutto vivere all’ombra di Grace. Avete sposato il suo uomo, fingete di essere la madre di suo figlio, e ora dirigete un orfanotrofio a suo nome con una puttana.”
Amabel per la sorpresa arrestò di colpo il passo, sembrava che i muscoli del corpo si fossero congelati.
“Perché parlate in questo modo, signorina?”
Giselle abbandonò il bicchiere sul tavolo del buffet e trafisse Amabel con i suoi occhi divertiti.
“Dico solo la verità. Tutti a Small Heath hanno fatto un giro con Lizzie Stark, persino io.”
Ora Amabel capiva perché Lizzie fosse tanto provata prima, ma non capiva perché Giselle le stesse servendo una notizia tanto scandalosa su un piatto d’argento.
“Direi che possiamo mettere da parte i convenevoli. Vieni nel mio orfanotrofio, insulti me e Lizzie, e soprattutto guardi mio marito. Che cosa vuoi, Giselle?”
“I gossip di cui parla mia madre sono noiosi. E’ molto più divertente sparlare di una dottoressa dell’alta società che sposa un gangster spietato e giocano a fare la famigliola perfetta. Tu sei solo la brutta copia di Grace.”
Amabel sorrise ad una delle ospiti, poi tornò a guardare Giselle con disprezzo.
“E’ anche divertente sparlare di una ragazzina ricca che frequenta i bordelli di Small Heath e gioca a fare la santarellina. Non sfidarmi, Giselle.”
Giselle non disse nulla, sorrise e chinò il capo per congedarsi. Si ricongiunse alla madre e insieme si fermarono a parlare con altre donne.
“Va tutto bene?” domandò Polly alle spalle di Amabel.
“Non lo so.Quella ragazzina non mi piace per niente.”
 
Diana uscì in terrazza con le mani che tremavano per la rabbia. Aveva discusso di nuovo con Finn, e questa volta la causa era stata l’ennesima ubriacatura del ragazzo. Il venticello freddo di marzo fece rabbrividire la ragazza, ma aveva lasciato la giacca dentro e non voleva recuperarla per non incrociare Finn.
“Hai deciso di congelare?”
Diana sussultò e, voltandosi, si rilassò quando riconobbe Milos. Era vestito da cameriere e reggeva un vassoio di bicchiere vuoti.
“Che ci fai tu qui?”
“Amabel mi ha assunto come cameriere per stasera. Sai, devo pur mantenermi con qualche lavoretto. Prima litigavi col tuo uomo, perché?”
Diana non si era accorta di lui perché di solito non prestava mai attenzione ai camerieri, e si vergognò di quella sua mancanza di rispetto nei confronti di semplici lavoratori.
“Io e Finn abbiamo avuto una banale discussione. Cose che capitano.”
“E allora perché hai gli occhi lucidi? Avanti, racconta.”
Diana si sarebbe voluta tirare indietro, però non sapeva con chi altro parlarne dal momento che a Londra non aveva amiche fidate e Amabel si divideva tra la clinica e la famiglia.
“Abbiamo litigato perché si è dimenticato del nostro anniversario. Io ci tengo molto a questi eventi e lui lo sa, ma semplicemente non gli importa di farmi felice. Io … non so … credo che lui non mi ami più.”
Milos appoggiò il vassoio per terra e si affiancò alla ragazza, che fece un passo per prendere le distanze. C’era qualcosa in lui che la metteva in soggezione.
“Penso che Finn sia un coglione, e non ti offendere. Lo penso perché nessuno sano di mente si lascerebbe sfuggire una ragazza come te.”
“Tu non mi conosci.”
Diana arrossì quando Milos si morse il labbro con lo sguardo di chi la sa lunga.
“Io ti conosco, milady. E se tu fossi mia, non ti lascerei andare per nessun motivo al mondo.”
Quel momento di intimità fu spezzato da un grido che sembrò squarciare il cielo.
 
Amabel scattò in piedi quando un urlo rimbombò nella sala. Il silenzio piombò tra gli ospiti mentre si sollevavano altre grida. Tommy e Arthur si precipitarono nel punto in cui giacevano a terra tre uomini: tutti e tre parlamentari e avversari di Tommy.
“Spostatevi!” strillò Amabel, e si faceva strada a gomitate.
Si inginocchiò vicino ai corpi per controllare i sintomi: uno aveva perso conoscenza, un altro si premeva le mani sullo sterno per il dolore e l’altro ancora aveva la pelle bluastra.
“Prima che si sentissero male hanno detto qualcosa? Hanno fatto qualcosa?”
“Mio marito si lamentava perché il suo champagne aveva un sapore strano.” Rispose una signora tra le lacrime, la moglie di quello con la pelle blu.
Amabel raccattò il calice e lo annusò, poi versò un po’ di champagne sulla stoffa del proprio vestito procurando un buco.
“Chiamate i soccorsi! Presto!”
“Bel, che succede?” domandò Tommy.
Il terrore negli occhi della moglie lo stava mandando nel panico. Amabel gli parlò all’orecchio perché gli altri non ascoltassero.
“Nel loro champagne c’era acido solforico, è inodore e incolore. Sono stati avvelenati.”
“Questo è un fottuto problema. Sono miei rivali politici, tutti penseranno che li abbiamo avvelenati noi.”
“Aiuto! Venite! Aiuto!”
Amabel riconobbe la voce di Diana e corse nella direzione opposta della sala. La sorella era in ginocchio e teneva sul grembo la testa di Milos. Il ragazzo respirava a fatica e la sua pelle stava iniziando a diventare blu.
“Ha bevuto lo champagne anche lui?”
“Sì. – disse Diana – Noi stavamo parlando in terrazza e siamo rientrati quando abbiamo sentito le urla. L’attimo dopo Milos è caduto a terra agonizzante.”
“C’è qualcosa che possiamo fare?” chiese Polly, il volto oscurato dalla preoccupazione.
“Diamo del latte a chi è ancora cosciente, aiuterà a diluire la soluzione nello stomaco. Per l’uomo svenuto non possiamo fare molto. Mi raccomando: nessuno di loro deve vomitare, altrimenti sarà peggio. Dobbiamo aspettare i soccorsi  e pregare che non muoia nessuno.”
Polly, Ada e Lizzie si adoperarono per recuperare il latte mentre Amabel faceva avanti e indietro per accertarsi che a tutti battesse ancora il cuore. Tommy si era appartato in un angolo con i fratelli e il cugino.
“Sono stati avvelenati, quindi adesso siamo nella merda. Cercate chiunque risulti sospetto, spiate nei cappotti e nelle borse, perquisite la cucina. E che nessuno lasci l’orfanotrofio fino a mio ordine.”
Tommy si sentiva osservato, quasi come se qualcuno lo stesse sorvegliando. Si girò e incontrò lo sguardo di Giselle Bennett fisso su di lui. La ragazza gli rivolse un sorriso malizioso.
“Thomas!” lo chiamò Amabel.
Tommy lanciò un’occhiataccia a Giselle prima di tornare da sua moglie.   
“Voglio sapere cosa sta succedendo a mio marito! Voi gli avete fatto questo! Voi sporchi zingari dei bassi fondi!” stava sbraitando la signora Morrison, moglie dell’uomo privo di sensi.
“Non siamo stati noi, ve lo giuro. Qualcuno ha manomesso lo champagne a nostra insaputa! Non avremmo mai messo a rischio una serata destinata ai bambini!” stava ribattendo Amabel.
“Signora Morrison, – disse Tommy – è comprensibile che voi diate la colpa a noi perché vostro marito e gli altri due parlamentari sono avversari del mio partito, ma vi assicuro che non è così. Non farei mai una cosa del genere. La politica è politica, la vita priv…”
“Basta! Voi e le vostre belle parole! Tutti conosco la vostra reputazione, ma stanno zitti per timore di una vendetta da parte vostra!” disse la signora Morrison.
Tra i presenti serpeggiò un sussulto di stupore. Per quanto Tommy provasse a ripulire il proprio nome, c’era sempre qualcuno pronto a ricordargli il suo posto. Lui veniva da Small Heath, era cresciuto nel lerciume, ed era diventato più sporco di quelle strade. Amabel lesse negli occhi di Tommy una profonda delusione, pertanto decise di intervenire.
“Anche vostro marito ha fatto cose discutibili per arrivare in Parlamento. Vi ricordo che voi provenite da un quartiere periferico di Londra noto per lo spaccio di oppiacei. Vedete? Tutti abbiamo i nostri peccatucci da nascondere!”
Lizzie trattenne una risata e Polly nascose un sorriso divertito nello scialle avvolto sulle spalle.
“I soccorsi sono qui!” annunciò uno dei camerieri.
La signora Morrison avrebbe voluto continuare quell’affronto ma dovette girare i tacchi e seguire suo marito sull’autoambulanza.
 
Amabel camminava avanti e indietro nel corridoio della clinica. Sebbene l’ospedale di Birmingham fosse il più vicino all’orfanotrofio, lei aveva preferito curare i quattro uomini nella propria clinica per dimostrare a tutti che gli Shelby non erano colpevoli dell’avvelenamento. Dalla stanza uscì Brian Walter, medico militare specializzato in tossine.
“Come stanno?” chiese Amabel con apprensione.
“Sono tutti vivi. L’uomo privo di sensi è in coma indotto per prevenire qualsiasi crisi, lo sveglieremo fra due giorni quando l’effetto dell’acido sarà esaurito. Gli altri due uomini respirano bene e abbiamo provveduto a diluire l’acido nel loro stomaco, domani potranno uscire. Il ragazzo, invece, ha avuto una lieve reazione ma lo terremo in osservazione per questa notte.” Disse Brian.
“Oh, grazie al cielo! E grazie a te, Brian!”
“Il merito è anche tuo. Il latte è stato una mossa intelligente, e di certo da te non mi aspettavo di meno. Vado a parlare con i famigliari, scusami.”
Rimasta da sola, Amabel si sedette e buttò fuori l’aria che aveva trattenuto. Quella serata si era rivelata un disastro, l’ennesimo errore a cui avrebbero dovuto rimediare.
“Bel.”
La voce inconfondibile di Tommy la costrinse ad abbandonare le proprie riflessioni.
“Brian ha detto che stanno tutti bene, soprattutto Milos. Di là come vanno le cose?”
“La signora Morrison ha deciso di denunciare noi due per tentato omicidio. Le mogli degli altri due uomini hanno fatto qualche scenata ma niente di più.”
“Una denuncia? Non è il momento giusto per essere denunciati! Thomas …”
Tommy le mise le mani sulle spalle facendo una lieve pressione per zittirla.
“Andrà tutto bene, tesoro. Chiamerò il capo della polizia, gli darò una bella somma e chiuderà un occhio. Troverò il colpevole e gli taglierò le palle. Non devi temere.”
“Le ultime parole famose.”
Amabel si scostò con una scrollata di spalle, quelle rassicurazioni non riuscivano a placarla.
“Bel, non fare così.”
“Faccio così perché questo è un problema enorme! Chi è stato? Questa volta chi è che ce l’ha con gli Shelby? Chi è il nemico?”
Tommy stava per controbattere quando dal fondo del corridoio sbucò Arthur.
“Abbiamo perlustrato tutto quel cazzo di orfanotrofio e abbiamo anche chiesto in giro se qualcuno avesse visto una persona sospetta.”
Tommy notò nel tono del fratello una reticenza che lo metteva in allarme.
“Parla, Arthur.”
“Una coppia ha visto una donna aggirarsi in cucina.”
“E quindi? La donna com’era?”
“Beh … ecco … dicono che fosse abbastanza alta, capelli castani, vestita di verde.” Rispose Arthur.
Tommy capì al volo perché il fratello fosse tanto riluttante a parlare.
“Cazzo! Alta, capelli castani, vestito verde … e’ Amabel!”
Amabel sbarrò gli occhi, quella descrizione le calzava a pennello. Certo, era stata in cucina per augurare buon lavoro ai camerieri ma non si era minimamente avvicinata allo champagne.
“Io sono andata in cucina solo per controllare che fosse tutto tranquillo! Io … non farei mai …”
Tommy le prese dolcemente la mano e ne baciò il dorso, un modo per calmarla.
“Lo so che non sei stata tu. E’ assurdo solo pensarci. Però quei ricconi del cazzo là fuori credono che sia tu, perciò dobbiamo stare molto attenti a come ci muoviamo. E’ chiaro che qualcuno stia cercando di fregarci.”
“Questo potrebbe avere a che fare con i Peaky Blinders?” domandò Arthur.
“No. – rispose Tommy – Credo che abbia a che fare con la politica. Qualcuno del partito rivale potrebbe aver inscenato tutto questo per far ricadere la colpa su di noi. Arthur, trova chiunque sia stato. Non importa i mezzi che userai, quanta gente corromperai, quanto sangue verserai. Trova chi sta cercando di distruggere la mia reputazione.”
 
Diana non amava gli ospedali in quanto li reputava luoghi di dolore e morte. Sua mamma era morta in ospedale dandola alla luce. Eppure quella notte decise di restare a sorvegliare Milos per assicurarsi che stesse bene, anche perché la sua famiglia non aveva il telefono e non poteva essere avvisata. Johnny Dogs sarebbe arrivato a darle il cambio più tardi, nel frattempo lei teneva un occhio sul ragazzo e uno su libro che portava nella borsetta.
“Sono morto e questo è il paradiso?” farfugliò Milos, aprendo gli occhi piano per abituarsi alla luce. Diana richiuse il libro e si sedette sul letto. Milos era pallido e freddo, ma tutto sommato stava bene.
“Se questo fosse il paradiso, ci sarebbero gli angeli.”
“Ci sei tu, giusto? Sei il mio angelo. Senza di te sarei morto in quella sala. Grazie.”
La mano di Milos strinse quella di Diana, che non si tirò indietro. La pelle del ragazzo era callosa e piena di cicatrici dovute al duro lavoro, però era una sensazione stranamente piacevole.
“Non sono un angelo. Sono soltanto la sorella di un medico che sa come comportarsi quando qualcuno sta male.”
“Sei fantastica lo stesso.”
Gli occhi verdi di Milos erano talmente penetranti che Diana staccò la mano dalla sua e tornò a sedersi lontana. Non era corretto quel comportamento da parte di una signorina impegnata.
“Johnny Dogs arriverà a momenti.”
“Perché avete chiamato mio zio? Io voglio che sia tu a restare con me.” si lamentò Milos facendo il broncio.
“Non è possibile. Io devo tornare a Londra domattina presto perché c’è scuola.”
“La verità è che non puoi restare per colpa di Finn. Il tuo ragazzo è geloso e tu vuoi evitare un altro litigio. Sei un po’ codarda, Diana Hamilton.”
“Devi smetterla di parlare male di Finn. Io sto cercando di essere tua amica ma tu mi stai mettendo a dura prova.” Disse Diana, irritata. Milos sorrise compiaciuto.
“Questo vuol dire che la mia tattica di seduzione sta funzionando.”
Diana, innervosita da quelle parole irrispettose, si infilò il soprabito e aprì la porta.
“Sei davvero un essere spregevole.”
Detto ciò, lasciò la stanza e un Milos ancora sorridente.
“Ed è per questo che le piaccio.”
 
Erano le undici e mezzo quando il pendolo dello studio rintoccò facendo staccare Tommy dalle carte che stava leggendo. Il bicchiere era quasi vuoto, la sigaretta tra le labbra era quasi finita e i suoi occhi bruciavano per la stanchezza. Si era messo al lavoro da quando erano tornati dall’ospedale. Amabel e Diana avevano chiacchierato un po’ prima di andare a dormire, mentre Charlie sonnecchiava già da tempo. Lui come al solito non riusciva a risposarsi, pertanto si era messo ad analizzare le informazioni che aveva sui membri del Parlamento per tentare di risalire al colpevole. Le ipotesi erano due: o i testimoni avevano mentito per dare la colpa ad Amabel oppure c’era davvero una donna simile a lei che si era aggirata per la cucina. Tommy si affacciò alla finestra per lasciare che il freddo gli rinfrescasse corpo e mente. Le stelle brillavano seguite da grossi nuvoloni grigi che forse si sarebbero tramutati in pioggia.
“Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.”
Tommy abbozzò un sorriso mentre Amabel lo abbracciava da dietro e gli lasciava un bacio tra le scapole.
“Suppongo che tu stia citando qualche grande autore.”
“Supponi bene, mio caro. E’ una frase di Dante Alighieri, uno dei preferiti di mia madre. Lei adorava leggere libri seduta davanti al caminetto con la sua tazza di the fumante.”
Loro due non parlavano spesso dei loro genitori, sebbene fossero accumunati dall’essere orfani, ma quelle rare volte in cui succedeva si creava sempre una sorta di silenzio comprensivo.
“Mi dispiace, Bel. Mi dispiace per tutto quanto.”
“Non dire così. Guardarmi.”
Tommy si voltò tra le braccia di Amabel e le accarezzò le guance con i pollici.
“Ho incasinato di nuovo le nostre vite. Forse entrare in Parlamento è stata un’idea del cazzo.”
“Sei troppo intelligente e furbo, ecco perché quei politici sono spaventati da te. Loro conoscono Tommy Shelby, sanno di cosa sono capaci i Peaky Blinders, dunque temono che tu possa spazzarli via. L’avvelenamento è un modo per sabotare la tua brillante carriera in Parlamento. Troveremo un modo per cavarcela anche questa volta.”
“Siamo sopravvissuti alla guerra, possiamo sopravvivere anche a questo.” Disse Tommy. Amabel annuì e lo abbracciò affondando la guancia contro la sua spalla. Tommy la strinse a sé baciandole la fronte.
“I tuoi polmoni fanno un brutto rumore. Smettila di fumare come un turco.”
“Era strano che tu non mi avessi ancora dato uno dei tuoi pareri medici.”
Amabel si mise a ridere e portò lo sguardo su di lui, che la stava guardando dall’alto.
“Hai sposato un medico, pessima scelta.”
“La scelta migliore della mia vita.”
Amabel lo baciò con trasporto, voleva che quel tocco gli trasmettesse le giuste emozioni, e Tommy l’assecondò. Avrebbe voluto concludere quella nottata con passione tra le lenzuola, ma Diana dormiva nella stanza accanto alla loro e Charlie si era sistemato al centro del loro letto, perciò dovette rinunciare all’idea.
“Andiamo a dormire, Thomas. Abbiamo avuto una giornata sfiancante.”
Quando si misero a letto, attenti a non disturbare Charlie, Tommy si lasciò sfuggire un sorriso: sua moglie e suo figlio accanto a lui erano la perfetta visuale di cui godere prima di chiudere gli occhi.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Beh, i problemi sono cominciati subito col botto. Chissà cosa vuole questa signorina Bennett.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 3
*** Le Sibille ***


3. LE SIBILLE

“Oh, grief, please, tell me why
That girl has more gold than I
More gold than I, more beauty, more fame
Yet for he it will be the same.”
(I Wish, The Unthanks)
 
Due settimane dopo.
Finn sobbalzò quando Amabel impregnò il cotone di alcol per disinfettargli la ferita.
“Come spiegherai a Diana che ti sei rotto il naso?”
“Diana non dovrà conoscere i dettagli. Le dirò che stavo lottando con Martin per scherzo e che mi ha rotto il naso per sbaglio.” Rispose lui digrignando i denti per il dolore.
Non appena Amabel aveva messo piede in clinica, Emily le aveva detto che suo cognato si trovava nel suo ufficio da mezz’ora e che aveva il naso fratturato.
“E in realtà com’è successo? Diana dice che ultimamente ti cacci sempre nei guai.”
“Io e Martin siamo andati al Garrison per bere e c’erano due idioti che ci infastidivano, perciò i cazzotti sono stati la conseguenza logica.”
“Logica. – ripeté Amabel – Quella qualità che manca ai Peaky Blinders. Con la violenza non si risolve tutto, Finn. Giocare d’astuzia è la vera conseguenza logica.”
Finn si tirò indietro quando Amabel si avvicinò con una nuova garza, però dovette arrendersi allo sguardo truce della donna e farsi medicare.
“Anche Diana dice che sono stupido. Voi femmine siete troppo esigenti.”
“Io non ho detto che sei stupido, dico che ti comporti come se lo fossi. Qual è il problema fra te e Diana? L’ho capito che le cose tra di voi non vanno bene come prima.”
Amabel aveva sorpresa Diana a piangere un paio di volte per colpa dei continui litigi di Finn, ma la sorella minore non aveva mai vuotato il sacco per proteggere il ragazzo.
“Non lo so. Penso che … io e Diana vogliamo cose diverse. Insomma, questo è il suo ultimo anno di liceo, poi sicuramente vorrà studiare all’università. Qualche tempo fa mi ha detto che vorrebbe studiare veterinaria e restare a Londra, ma io …”
“Tu vuoi restare a Birmingham.” concluse Amabel per lui.
Finn annuì, i suoi occhi erano pieni di sensi di colpa.
“All’inizio vivere con lei a Londra mi sembrava fantastico, in fondo tutti vogliono stare sempre con la persona che amano. Poi è diventato tutto strano, volevo tornare a Birmingham e lavorare per la famiglia, e così ho fatto. Però ogni volta che torno qui nel frattempo mi perdo un pezzo di Diana, e io non ce la faccio più.”
Amabel, che capiva quelle insicurezze dovute alla giovane età di Finn, gli circondò le spalle in un abbraccio materno.
“Se la relazione con Diana ti fa stare male, è meglio finirla. Lo so che sono la sorella e dovrei difenderla, però vedo che entrambi soffrite e non è giusto.”
Finn appoggiò la testa sulla spalla di Amabel per lasciarsi consolare dall’unica persona con cui poteva parlare dei propri sentimenti.
“Ci penserò. Grazie, Amabel.”
“Prego. Adesso vai al secondo piano a farti fasciare per bene il naso, poi puoi andare.”
Amabel lo aiutò ad indossare la giacca, gli diede un bacio sulla guancia e lo accompagnò al secondo piano. L’ora successiva si dedicò alle visite di routine nel reparto pediatrico, fece un paio di iniezioni e pianificò gli interventi di quella settimana con un team di chirurghi.
“Dottoressa Hamilton.” La chiamò Emily, l’infermiera che lavorava al suo fianco dai tempi della guerra.
“Dimmi.”
“C’è una signora che vi aspetta all’ingresso. Dice che ha urgente bisogno di parlare con voi.”
“Ci vado subito, grazie.”
Amabel imboccò il corridoio che conduceva al piano terra con il sospetto che la sua visitatrice potesse essere Polly. Negli ultimi due giorni aveva lamentato dei frequenti mal di testa, forse si era convinta a farsi visitare. L’espressione serena di Amabel si tramutò in disprezzo quando riconobbe sua zia Camille.
“Salve, zia. Sei invecchiata dall’ultima volta che ci siamo viste.”
“Le buone maniere non sono parte del tuo corredo genetico, nipote cara.” Replicò la donna con stizza.
Indossava un abito nero che metteva in risalto le rughe del viso e i capelli bianchi intrecciati sulla nuca.
“Tagliamo corto. Perché sei qui, zia?”
“Ho saputo che ti sei sposata. E’ possibile che debbano essere gli estranei a darmi certe informazioni su mia nipote? E’ inammissibile!”
Quel tono accusatorio ricordava ad Amabel quando la zia la rimproverava perché da piccola saltava nelle pozzanghere sporcandosi i vestiti anziché imparare a cucire come le sue coetanee.
“Non è affar tuo come conduco la mia vita. Io non ti devo dire proprio niente. Lascio che siano gli altri a parlare per me.”
“No, no. – obiettò Camille – Tu non me lo hai detto perché hai sposato quel criminale di Tommy Shelby. Sapevi che ti avrei sgridata come fossi una scolara indisciplinata.”
“E’ vero, temevo di dover sopportare i tuoi stupidi commenti sul mio matrimonio. Hai sempre avuto la cattiva abitudine di dare le tue opinioni non richieste, zia.”
Camille si portò una mano sul cuore come se quelle parole fossero una freccia in pieno petto.
“Mi accusi di impicciarmi? Scusami se voglio solo preservare il buon nome della nostra famiglia.”
Amabel emise una risata sarcastica, in quella situazione non c’è nulla di divertente.
“E quale famiglia? Diana abita a Londra con la sua balìa, Evelyn è andata a vivere in America dopo aver preso la sua fetta di eredità, e io non invito la mia unica zia al mio matrimonio. Beh, direi che il tuo concetto di famiglia va riconsiderato.”
“Sei tu che hai deciso di distruggere tutto alleandoti con certa gentaglia. Evelyn ha parlato con l’ispettore Campbell perché era la cosa giusta da fare.” Disse Camille, le mani che tremolavano per la rabbia.
“Per colpa dell’ispettore Campbell sono stata arrestata e incarcerata sotto false accuse, sono stata sedata e picchiata, sono stata rapita e costretta a dire addio al mio migliore amico. Evelyn si è fidata dell’uomo sbagliato come sempre. Deduco che mia sorella abbia ereditato da te la pessima scelta in fatto di uomini.”
“Anche tu non sei brava a scegliere gli uomini. Almeno io ho sposato tuo zio che era un uomo rispettato dalla comunità, mentre tu hai sposato uno zingaro che fa il criminale e ora si finge una persona perbene.”
Amabel si guardò intorno per assicurarsi che nessuno le guardasse, poi strinse i polsi della zia e si avvicinò al suo orecchio.
“Zio Mark era un uomo orribile, ti tradiva e ti picchiava ogni volta che ne aveva l’occasione. Thomas sarà pure uno zingaro e un criminale, ma almeno ama la sua famiglia e non alza le mani. Buona giornata, zia Camille.”
Camille sbarrò gli occhi mentre Amabel si voltava per tornare nel suo ufficio. Sua nipote era ormai perduta per sempre.
 
Ada canticchiava intanto che risaliva le scale per andare a trovare Amabel. Come se fosse stata evocata, Amabel sbucò dall’angolo con la fronte corrugata.
“Stai bene?”
“Sì. – disse Amabel – E’ solo che gli affari di famiglia mi fanno il sangue amaro. Tu sei qui per dirmi qualcosa?”
“E’ arrivata questa lettera per te, sembra un invito.”
Ada le consegnò una busta color avorio decorata da un nastrino bianco. Amabel riconobbe la busta e l’aprì con riluttanza, consapevole che il contenuto fosse indice di una tragedia imminente.
“Carissima Amabel Hamilton, il gruppo del Ladies’ Institute vi invita a partecipare al salotto che avrà luogo il giorno quattordici Marzo alle ore sedici. Siete pregata di indossare una gonna e un foulard color pastello. Inoltre, portate un libro a vostro piacere di cui discutere con il resto del gruppo. Cordiali saluti, Delma Bennett .”
“Che diamine è?” chiese Ada, stupita.
“Il Ladies’ Institute è uno dei club femminili più in voga del Regno Uniti. Il capo attuale è Delma Bennett. Le donne ricche si riuniscono in gruppo per discutere di libri, musica e arte, ma perlopiù spettegolano. Mia mamma era un membro del club, infatti quando ero bambina ha cercato di farmi iscrivere ma mio padre si oppose perché riteneva che fosse un covo di vipere.” Spiegò Amabel, e d’improvvisò si sentì stanca come non mai.
“E scommetto che ti hanno invitata perché sei la moglie di un parlamentare. Che disgrazie, eh.”
“Così non mi aiuti, Ada. Quelle donne sanno essere malvagie.”
Ada si sedette sulla scrivania per accarezzare le mani di Amabel.
“Hai sposato Tommy, direi che una manciata di ricche sbruffone non ti possono affatto spaventare. E poi, non andare sarebbe considerato come un atto ignobile.”
“Hai ragione. Il quattordici è dopodomani, quindi ho il tempo necessario per trovare un foulard color pastello. Ti rendi conto? Che richiesta assurda!”
Le due donne si misero a ridere sciogliendo la tensione venutasi a creare.
“Si va a fare shopping!” esclamò Ada.
 
Tommy si muoveva con cautela mentre entrava in casa, attento a non svegliare la sua famiglia. Era mezzanotte, pertanto immaginava che la moglie e il figlio dormissero già da qualche ora, invece rimase sorpreso dalla luce che proveniva dal salotto. Seduti sul divano c’erano Arthur e Michael, mentre Amabel stava in piedi davanti al camino.
“Che succede?”
“Abbiamo perlustrato di nuovo l’orfanotrofio e non abbiamo trovato niente.” Spiegò Arthur, il sigaro tra le labbra e un bicchiere di whiskey in mano.
 Tommy abbandonò la valigetta a terra, si tolse il cappello e il cappotto, poi si sedette sulla poltrona.
“Allora i testimoni hanno mentito per dare la colpa ad Amabel.”
 “Quindi in mano non abbiamo nulla. Che si fa adesso?” domandò Amabel.
“Niente. – disse Tommy – Per il momento non facciamo niente. Non abbiamo prove concrete, i testimoni non sono attendibili e lo scandalo è ancora fresco. Più indaghiamo, peggio è. Quando le acque si saranno calmate, torneremo a cercare il colpevole.”
Arthur e Michael annuirono, dopodiché lasciarono l’abitazione. Rimasti da soli, Amabel e Tommy avevano finalmente un momento per parlare.
“Devo dirti una cosa, Bel.”
“Non premette niente di buono questo esordio. Che succede?”
Tommy si accese una sigaretta nella speranza di alleviare la tensione, invece i muscoli delle spalle sembravano sempre più rigidi.
“Ti ricordi il soldato Hugo Keller? Gli hai amputato la gamba a Somme, poco prima della mia partenza.”
Amabel deglutì e sentì un formicolio in tutto il corpo, odiava ricordare eventi e persone connessi alla guerra.
“Sì, me lo ricordo. E’ morto?”
“No, è decisamente vivo. E’ diventato prete e vive a Londra. Due settimane fa è venuto a trovarmi per discutere di un affare.”
“Che tipo di affare?”
Tommy stappò l’elegante bottiglia di vetro per versarsi il whiskey e lo bevve in una sola sorsata.
“Voleva che gli prestassi soldi e uomini per comprare un carico di oppio.”
“Certo. – disse Amabel – Ovviamente la gente ti viene a trovare solo per la droga. Perché me lo dici solo ora? Credevo di essere stata chiara: io ti sposo se tu mi rendi partecipe degli affari dei Peaky Blinders. Non stai rispettando il patto, Tommy.”
Tommy inarcò il sopracciglio a quel diminutivo, sapeva che l’unico obiettivo della moglie era farlo innervosire per costringerlo a confessare.
“Non te l’ho detto per era inutile farti preoccupare. Ho rifiutato senza esitare. La droga è un cattivo affare, soprattutto perché ormai i ricchi non si accontentano più dell’oppio ma vogliono roba più forte. E poi, non ci si può fidare di un prete che vuole comprare della droga.”
“Quindi se ti avesse offerto di comprare roba più forte per far sballare i ricchi, tu avresti accettato? La cosa non mi sorprende affatto.”
“Non è come pensi, Bel.”
Amabel si passò le mani fra i capelli, era esausta e voleva soltanto che quella giornata terminasse al più presto.
“E com’è? Dimmelo.”
“I Peaky Blinders non trattano gli affari di droga, lo sai. Anche se mi avesse proposto della fottuta roba buona, non avrei accettato. Ho una reputazione già sporca che sto faticando a mantenere piuttosto pulita.”
Tommy e Amabel si scambiarono una lunga occhiata con la quale l’uno cercava di leggere i pensieri dell’altro in una tacita conversazione.
“Ti credo, Thomas. So che per mantenere una bella facciata faresti di tutto, anche rinunciare ai soldi che ti procurerebbe lo spaccio.”
“Che c’è? Ti sento arrabbiata. Ho fatto qualcosa di male?”
“No. – disse Amabel – Ho litigato con zia Camille stamattina, quindi adesso mi sento emotivamente a pezzi. Lei e i suoi stupidi pregiudizi sugli zingari! Ha sposato un uomo violento e ha il coraggio di fare la ramanzina a me, da non credere!”
“E’ comprensibile il comportamento di tua zia. Lei è come tutti gli stronzi dell’alta società: credono di avere il mondo tra le mani e i poveri possono pure crepare. Tu sei un’eccezione alla regola.”
Amabel sospirò, tutta la tristezza del mondo sembrava essere ricaduta su di lei.
“Io sarei come lei se non fossi partita per la guerra. Per quanto la Francia sia stata atroce, mi ha reso la donna che sono oggi.”
Tommy si protese e le prese dolcemente le mani, poi ne baciò le nocche una a una.
“Tu sei così da sempre, Bel. Sei pura, e neanche la guerra ha distrutto la tua purezza. E non importano i commenti degli altri, importa solo quello che proviamo noi.”
Lo sguardo di Amabel cadde sul bracciale che portava al polso: eternamente tuo. Sorrise d’istinto.
“Ti amo, Thomas. Nonostante tutto.”
L’attimo dopo Tommy la baciò con urgenza, in quel bacio c’era tutta la voglia di dimenticare una brutta giornata e di andare a letto con maggiore serenità.
“Nonostante tutto.”
 
Due giorni dopo.
Amabel tamburellava le dita sullo sterzo mentre guidava verso il Ladies’ Institute. Il foulard color cipria che aveva acquistato su consiglio di Ada giaceva sul sedile del passeggero, lo avrebbe indossato soltanto all’arrivo. Il libro che aveva scelto di portare era ‘’La carta da parati gialla’’ di Charlotte Perkins Gilman, il preferito di sua madre. Imboccò King’s Road e proseguì per altri quindici metri, dopodiché svoltò per varcare i cancelli dell’istituto. Il giardino era ben curato, le aiuole erano tutte della stessa misura, i fiori spuntavano tra i fili d’erba ben idratati, e una serie di panchine di pietra erano disseminate qua e là. L’edificio in passato era stato un avamposto militare, perciò era imponente e privo di decorazioni, a parte le tendine di pizzo volute dal gruppo femminile. Amabel parcheggiò, si allacciò il foulard al collo e recuperò la borsa. L’ultima volta che era stata lì aveva accompagnato sua madre e insieme avevano passeggiato in giardino giudicando le letture portate dagli altri membri.
“Amabel, che piacere!” la accolse Delma con un sorriso.
“Salve signora, Bennett. Il piacere come sempre è mio.”
“Venite, mia cara. Vi stanno tutte aspettando.”
Delma la guidò nel salone principale attraverso un lungo corridoio costellato di antichi dipinti di valore e vasi d’argento. Le signore smisero di squittire quando Amabel fece il suo ingresso. Si sentiva a disagio con tutti gli occhi puntati addosso, non amava quell’attenzione indesiderata.
“Amiche, vi presento Amabel Hamilton Shelby.” Disse Delma.
Amabel tossì per smorzare l’imbarazzo.
“Buon pomeriggio.”
Dal gruppo di donne emerse un volto noto: Evelyn.
“Ciao, sorellina.”
Per un momento ebbe la sensazione che fosse un’allucinazione. Insomma, com’era possibile che Evelyn fosse lì? Ormai viveva in America da mesi grazie all’eredità e non aveva motivo di tornare a Birmingham, una città che odiava. Sbatté le palpebre più volte per avere la certezza che tutto fosse reale: sì, sua sorella Evelyn era davvero davanti ai suoi occhi. Era sempre la stessa, i soliti lunghi capelli chiari, i soliti occhi luminosi, e soltanto i fianchi sembravano un poco più larghi. Era diventata una donna adulta, non era più la ragazzina che Amabel ricordava.
“Evelyn … io non mi aspettavo che tu fossi in città.”
“Ho ricevuto l’invito della signora Bennett e ho colto l’occasione di farti una sorpresa. Non sei contenta di rivedermi?”
Quando Evelyn l’abbracciò, Amabel fu scossa da un brivido spiacevole lungo la schiena. Era come se fosse tutto sbagliato. Ricambiò l’abbraccio solo per non destare sospetti nelle donne che le guardavano.
“Sono contenta.”
“Bene! – esclamò Delma – adesso, amiche mie, spostiamoci in salotto per una tazza di the.”
 
Amabel beveva il the distrattamente, non ne gustava neanche il sapore o il calore. Tutta la sua attenzione era focalizzata su Evelyn che era seduta di fronte a lei e ridacchiava. Aveva notato un dettaglio inquietante: la sorella portava una fede all’anulare sinistro. Si era sposata? E con chi? Perché era tornata? Tutte quelle domande vorticavano nella mente di Amabel tanto da causarle il voltastomaco.
“Amabel, state bene? Vi vedo pallida.” Disse Giselle Bennett.
Amabel depose la tazzina sul tavolino con un sorriso di cortesia.
“Sto bene. Sono stanca, in clinica c’è sempre molto lavoro.”
“Non sarete mica incinta?!” domandò Peggy Wells, generando un risolino tra le altre donne.
“Oh, no. – rispose Amabel – Io non sono incinta. Non per il momento.”
“E come mai? Voi e Tommy siete sposati da sei mesi, è strano che non abbiate ancora un figlio.” commentò Delma, sorridendo oltre il bordo della tazza.
“Forse uno dei due non può avere bambini?” insistette Pearl Gibbon, la seconda donna più pettegola di Londra dopo Delma.
Amabel si allentò il foulard alla gola che all’improvviso sembrava soffocarla e abbozzò un sorriso.
“Io e Thomas stiamo bene. Possiamo entrambi avere figli.”
“E perché non siete ancora genitori?” chiese Evelyn, una vena di cattiveria tingeva la sua voce. Amabel odiava parlare di maternità, il ricordo della sua perdita era ancora una ferita aperta e quella curiosità morbosa era come sale che bruciava. Voleva scappare via, piangere il suo dolore in silenzio, ma si ricordò che quelle donne erano lì per giudicare ogni sua mossa. Ecco perché decise di ridacchiare proprio come facevano quelle pettegole.
“La verità è che io e Thomas non facciamo l’amore molto spesso perché siamo entrambi molto impegnati. Inoltre, e lo dico in via ufficiosa solo a voi, stiamo lavorando ad un nuovo progetto per rivalutare i quartieri poveri della città. Capite? Non ho mai la possibilità di sfiorare mio marito neanche per sbaglio!”
Il gruppo di donne scoppiò a ridere come Amabel aveva previsto. Quelle come loro – ricche e privilegiate – cercavano quel tipo di storielle per rendere più sopportabili le loro vite noiose. Tutto era spettacolo, e Amabel aveva messo in piede uno show con i fiocchi.
“Siete giovane, potete aspettare un altro pochino.” Disse Delma, ma quella gentilezza era solo un modo per fingersi dalla parte dei buoni.
Era risaputo che stesse cercando un marito per Giselle affinché qualcuno si occupasse dell’azienda di famiglia e fornisse un erede. Amabel, che non aveva voglia di fomentare quella discussione, annuì e sorrise.
“Ho solo ventinove anni, ho ancora tempo.”
“Ho vinto io, sorellina.” Esordì Evelyn dal nulla.
Il chiacchiericcio si placò lasciando spazio ad un silenzio religioso. Amabel trucidò la sorella con lo sguardo.
“E cosa avresti vinto?”
“Ho avuto un figlio, si chiama Joseph.”
Amabel non resse quella notizia. Si alzò senza scusarsi e corse in bagno, dove vomitò quel poco che aveva mangiato a pranzo e il the. Si appoggiò contro la parete nel tentativo di riprendere il controllo sul proprio corpo. Si sciacquò la bocca e il viso, mentre faceva dei respiri profondi.
“Non hai una bella cera, Bel.”
Evelyn sorrideva divertita sulla soglia della porta. Amabel chiuse gli occhi nella speranza che svanisse, invece era ancora là.
“Spifferi tutto a Campbell, insulti Bertha, lasci Birmingham, ti sposi e diventi madre. Per la miseria, chi sei tu? Questa non è mia sorella.”
“Nessuno ha detto che sono tua sorella. Non lo sono da molto tempo ormai. E sì, ho un marito e un figlio meravigliosi.”
Amabel stava per uscire dal bagno quando si voltò verso la sorella con espressione confusa.
“Chi è tuo marito?”
“E’ Robert Kimber. Il figlio di Billy Kimber.”
“Tu hai sposato il figlio di Kimber? Hai sempre giudicato me per aver scelto Thomas e tu sposi il figlio di uno dei gangster maggiori di Birmingham? Tu sei impazzita!”
Evelyn aggrottò le ciglia e incrociò le braccia al petto, come faceva quando era bambina e pretendeva un nuovo vestito.
“Robert non è come Tommy. I Kimber hanno una posizione importante in società, non sono degli zingaracci che arrancano per essere rispettati. Mi dispiace, Bel, ma hai perso.”
Dopo che Evelyn la lasciò da sola, Amabel tornò a vomitare più per cercare invano di espellere la delusione che per necessità.
 
Quando Amabel si sedette di nuovo in salotto, e questa volta con lo stomaco in subbuglio, Delma stava parlottando con una donna dai lunghi capelli bianchi. Era anziana, indossava un abito nero che toccava terra, e le dita erano ornate da anelli di ogni genere. I suoi occhi azzurri si concentrarono su Amabel e la sua bocca sorrise, dopodiché riprese a parlare con Delma.
“La conoscete? E’ una zingara che vive in una baracca fuori città.” Disse Giselle, accarezzando col dito il bordo della tazza di the.
“Dovrei conoscere tutti gli zingari del Regno Unito solo perché ho sposato Thomas? Non siate ridicola, signorina Bennett. E’ come presupporre che voi conosciate tutte le ragazzine spocchiose e viziate di Londra solo perché siete una di loro.”
Le donne sedute mormorano per lo stupore, non era il modo di rivolgersi ad una signorina dabbene. Evelyn ridacchiò coprendosi la bocca con la mano.
“Oh, Amabel, sei la solita maleducata. Zia Camille si vergognerebbe di te.”
Amabel, che non sopportava neanche più la vista della sorella, non la degnò di uno sguardo.
“Taci, Evelyn. Questa è una conversazione fra persone dotate di un minimo di personalità e intelligenza.”
Prima che Evelyn replicasse innescando un litigio, Delma si avvicinò a braccetto con la donna anziana.
“Amiche mie, vi presento Ozana. E’ la sensitiva e cartomante migliore del Regno. L’ho invitata per rendere questo salotto molto più interessante grazie alla lettura delle carte. Ebbene, chi vuole iniziare?”
“Voi.” Disse Ozana indicando Amabel. La sottoscritta scosse la testa.
“No, grazie. Io sono una donna di scienza, non mi fido di queste pratiche … magiche.”
“Non avrai mica paura di semplici carte?” la schernì Evelyn.
Amabel accettò solo per togliere quel sorriso trionfante dalla faccia della sorella.
“E va bene. Leggetemi le carte, su.”
Ozana si sedette di fronte a lei, mescolò il mazzo delle carte e le dispose al rovescio sul tavolino di vetro.
“Scegliete tre carte.”
Amabel guardò le carte, le cosiddette ‘Sibille’ – finemente decorate a mano – e ne selezionò tre a caso, o così credeva. Ozana studiò la sua scelta, sembrava turbata dal responso delle carte.
“Avete scelto la Rivelazione, il Protettore e l’Amore. Sono carte che parlano chiaro. La Rivelazione al negativo simboleggia menzogne e calunnia. Il Protettore vi suggerisce di fare attenzione a quelli che considerate amici. E l’Amore è una carta in positivo che indica l’affetto in famiglia e la passione di un uomo per voi.”
“Pensavo peggio.” Commentò Amabel con scetticismo.
Poi accadde qualcosa di strano: Ozana prese la sua tazza di the e ne osservò il fondo su cui si erano depositati alcuni residui.
“Il peggio è qui, in questa tazza. Siete circondata dai nemici. Siete in pericolo. Un’ombra oscura distende la sua mano su di voi. Vedo un bambino. Un bambino morto senza essere ancora nato. Io vedo …”
“Basta!” gridò Amabel.
Come faceva una estranea a sapere che lei aveva perso un bambino? Non era magia, quella era una vera e propria indagine. Evelyn non sorrideva più, eppure nel suo sguardo vagava un senso di vittoria.
“Dottoressa Hamilton, mi dispiace. Sono mortificata.” Disse Delma.
 Amabel sapeva che quella era una recita, in fondo tutte quelle donne volevano quel tipo di notizie per fare pettegolezzi.
“E’ tardi. – disse Amabel – Devo tornare a Birmingham. Grazie per l’ospitalità. Buona serata.”
Amabel camminò lentamente verso l’uscita, poi accelerò il passo perché voleva scappare da quell’edificio prima di crollare.
 
Erano le otto di sera quando Tommy lasciò il Parlamento. Era stata una giornata piena di riunioni e incontri, e la stanchezza si mescolava all’irritazione. Voleva tornare a casa per godersi sua moglie e suo figlio come un uomo comune. La segretaria schizzò in piedi quando Tommy uscì in corridoio.
“Signore, fuori sta diluviando. Vi procuro un ombrello?”
“Non preoccuparti, la mia auto è vicina. Buonanotte, Danielle.”
“Buonanotte anche a voi, signor Shelby.”
Tommy aveva una sensazione insolita che lo opprimeva dalla mattina, era come se qualcosa stesse andando nel verso sbagliato. Fuori il cielo stava scatenando il panico tra i cittadini con tuoni, fulmini e pioggia fitta. Faceva freddo e Tommy si strinse nel soprabito, nonostante la pioggia stesse penetrando nei vestiti. Ad un certo punto riconobbe un’auto appostata sul ciglio del marciapiede opposto. Al suo interno si vedeva solo una figura indistinta, poteva essere un uomo o una donna. Tommy entrò di nuovo in Parlamento e raggiunse l’archivio al pianterreno, dopodiché usò la porta sul retro per uscire. Decise di lasciare la macchina nel parcheggio in modo da far credere al pedinatore che fosse ancora a Londra, nel frattempo andava verso la stazione per tornare a Birmingham col treno.
Acquistò un biglietto in prima classe, salì a bordo e si sedette al riparo dagli altri viaggiatori.
“Buonasera.” squittì una voce sottile.
Tommy si girò e Giselle Bennett gli sorrise. Indossava un cappotto rosa confetto che la faceva somigliare ad una bambolina.
“Buonasera, signorina. Non è tardi per viaggiare?”
“Sto andando a Birmingham per assistere una conoscente molto malata.” rispose Giselle, e prese posto sul sedile accanto a Tommy.
“Vi fa onore.”
Tommy continuava a lanciare occhiate avanti e indietro, a destra e a sinistra, per essere certo che nessun altro lo stesse seguendo.
“E voi come mai rincasate così tardi? Vostra moglie deve sentirsi molto sola.”
Giselle si sbottonò il cappottino per lasciare intravedere lo scollo del vestito, ed era inusuale indossare un simile capo per andare a badare ad una malata.
“Mia moglie conosce i miei orari e li rispetta, anche perché sono simili ai suoi.”
“Allora vorrà dire che siete voi a sentirvi molto solo.”
Tommy era infastidito dal tono mieloso della ragazza, cercava di attirare invano la sua attenzione.
“Non mi sento mai solo. Vedete questa fede? Ecco, mi ricorda che ho sposato una donna meravigliosa che amo e che rispetto.”
Giselle ammiccò e si tolse il capotto, rivelando un abito nero stretto e di pizzo. Tommy aveva il sospetto che la ragazza fosse su quel treno proprio per lui.
“E vostra moglie riesce a soddisfare ogni vostro appetito? Immagino che un uomo come voi abbia una fame da lupi.”
“Signorina Bennett, vi conviene tacere prima che sia troppo tardi.”
Tommy inspirò bruscamente quando Giselle gli strizzò la coscia.
“Voi siete un uomo libero, selvaggio, perverso. Reclamate un pasto appagante che Amabel non vi può offrire. Io, invece, posso offrirvi delle meraviglie.”
Giselle gli baciò il collo e con la mano salì verso il cavallo dei pantaloni, al che Tommy si alzò con uno scatto di rabbia.
“Questi giochetti del cazzo non funzionano con me. Torna a casa a fare la brava bambina.”
La ragazza si mise a ridere e scosse la testa.
“Non sono mai stata una brava ragazza, signor Shelby, e non ho intenzione di diventarlo adesso che ho trovato una preda squisita.”
Tommy la guardò con disgusto, quella viziatella stava giocando a sedurlo per il solo scopo di rendere la sua noiosa vita più eccitante. Peccato che lui non era mai la preda, lui era sempre il predatore.
“Lasciami in pace, Giselle.”
Abbandonò la prima classe per rintanarsi nell’ultimo vagone, quello dove viaggiavano i meno abbienti ma dove si sentiva più al sicuro.
 
Dopo aver chiuso la porta a chiave, Tommy si appoggiò contro la superficie e sospirò. Era esausto sia nel fisico sia nella mente. All’improvviso si rese conto che dalla cucina provenivano dei singhiozzi. Appese il soprabito e il cappello e mise a terra la valigetta, poi seguì il rumore. Amabel era seduta a tavola e piangeva.
“Bel.”
Lei si asciugò le lacrime con le maniche della camicetta e finse un sorriso.
“Bentornato, caro. Com’è andata la giornata?”
Tommy si inginocchiò davanti a lei e le afferrò le mani tremanti. Era sconvolta.
“Che succede? Stai male? Charlie sta male?”
“No, no. Charlie sta bene, dorme tranquillo nella sua stanza. Anche io sto bene.”
“Tu non stai bene. Che c’è?”
Amabel non riuscì a trattenersi e lasciò che le lacrime le bagnassero le guance.
“Oggi pomeriggio sono andata al Ladies’ Institute su invito di Delma Bennett. C’era Evelyn. Lei ha sposato il figlio di Billy Kimber e hanno un figlio di nome Joseph.”
“Oh, Bel …”
“Ascoltami. – disse Amabel – Hanno invitato una certa Ozana, una sensitiva cartomante, che nei fondi del the ha letto che ho perso un bambino. Come diavolo fa a saperlo? Le uniche persone a conoscenza di questo segreto siamo tu, io, Oliver …. Warren.”
“Ti giuro che troverò quel bastardo e lo torturerò fino a quando non confesserà a chi ha rivelato il tuo segreto.” Disse Tommy, la rabbia che vibrava nella sua voce.
“Warren è un problema secondario. Evelyn e Robert Kimber sono la nostra priorità. Io credo che loro possano aver causato l’avvelenamento all’inaugurazione dell’orfanotrofio. Pensaci: Evelyn compare due settimane dopo l’accaduto. Non è una coincidenza, non quando mia sorella è sposata con il figlio di un gangster.”
Sebbene le lacrime, Amabel era lucida e determinata come sempre. Tommy le baciò il dorso delle mani con dolcezza.
“Domattina ci organizziamo col resto della famiglia per saperne di più. Sistemeremo anche questo fottuto casino. Te lo prometto.”
“Va bene.”
“Guardami, Bel.”
Tommy sentì il cuore fare un tonfo quando gli occhi rossi di Amabel si posarono su di lui. Nessuno aveva il diritto di far piangere sua moglie.
“Sto bene, Thomas. Devo solo elaborare tutte le spiacevoli novità.”
“Ora non me ne frega un cazzo di Warren, di tua sorella, dei Peaky Blinders. Ora penso solo a te.”
“Concedimi una sola notte per soffrire e piangere mia sorella. Domani tornerò ad essere la donna di sempre.”
Tommy intrecciò le dita con quelle di Amabel e fu costretto ad annuire.
“Una sola notte. Evelyn non merita le tue lacrime.”
Amabel abbozzò un sorriso triste, si alzò e si diresse in camera da letto.
“Buonanotte.”
“Bel.”
“Sì?”
L’attimo dopo Tommy si avventò su di lei con un bacio passionale, un monito per ricordarle che lei meritava solo amore.
“Ti amo. Ti amo. Ti amo.”
Amabel non replicò, non ne aveva la forza, quindi si limitò a baciarlo ancora.
“Lo so, Thomas.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Evelyn ha fatto la sua comparsa e subito ha messo in chiaro che è tornata più arrabbiata di prima. E poi questa Giselle ne combina una più del diavolo. Chissà!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 4
*** Prigione e seduzione ***


4. PRIGIONE E SEDUZIONE

‘’I don’t matter where you bury me,
I’ll be home and I’ll be free.
It don’t matter anywhere I lay,
All my tears be washed away.”
(All My Tears, Ane Brun)
 
Tre giorni dopo
Diana uscì di casa alle sette e mezzo in punto per andare a scuola. Mancavano pochi mesi agli esami di fine liceo, dunque quella quotidiana maratona stava per volgere al termine. Imboccò il solito viale fischiettando una canzone che la signora Miller cantava sempre mentre faceva i servizi.
“Diana!”
Finn scese dall’auto e corse da lei, aveva due occhiaie scure intorno agli occhi tipiche di chi non dorme bene da giorni.
“Che ci fai qui, Finn? Mi hai detto che avresti passato questa settimana a Birmingham.”
“Sono qui perché devo parlarti. In verità, è da un po’ che volevo dirtelo ma non ho mai trovato il coraggio.”
Diana si strinse i libri al petto come fossero uno scudo per difendersi dalle parole di Finn.
“Di cosa vuoi parlare?”
“Diana, tu sei una ragazza fantastica. Sei bella, intelligente, spiritosa e io ti ammiro per questo. Però l’ammirazione non basta, ci vuole l’amore. E io non so se provo ancora amore per te.”
Finn faceva fatica a parlare, soprattutto perché gli occhi della ragazza si stavano riempiendo di lacrime.
“Non sai se mi ami? Io non capisco …”
“Diana, tra di noi è finita. Io non ti amo più.”
Fu allora che Diana gli tirò uno schiaffo. Era ferita, arrabbiata e delusa da lui. Ci aveva sempre creduto nella loro storia, nel profondo aveva capito che Finn era l’amore della sua vita e ora quella fantasia era crollata.
“Non voglio vederti mai più. Per me sei morto, Finn Shelby.”
“Diana … per favore …”
Dal finestrino sbucò la testa di Martin, sigaretta in bocca e la faccia di uno che ha fatto baldoria per tutta la notte.
“Finn, muoviti. Mi sto pisciando addosso!”
Diana scosse la testa e si allontanò a passo spedito in direzione di casa sua, non aveva la forza di andare a scuola e fingere di stare bene. Lei non stava affatto bene. Finn ritornò in auto col cuore pesante e un nodo alla gola, ma con la certezza di aver fatto la cosa giusta.
 
Amabel arrivò in orfanotrofio in tarda mattinata, dopo aver visitato alcuni pazienti in clinica. Lizzie l’aveva chiamata perché due bambini avevano la febbre alta e lei si era precipitata senza esitazione. Quando entrò nell’edificio, riconobbe Michael che chiacchierava con Lizzie.
“Buongiorno. Michael, come mai da queste parti?”
“Tommy mi manda a controllare l’orfanotrofio.”
“Vieni con me.”
“Li trovi al primo piano sulla sinistra.” Disse Lizzie, dopodiché sparì in cucina per dettare il menù della giornata.
Amabel e Michael salirono in silenzio, quasi come se nessuno dei due volesse affrontare la vera questione.
“Allora, come vanno le cose fra te e Jalia? Mi sembrate molto amici.”
“No. – obiettò Michael – Non è come credi. Fra me e Jalia non c’è niente. Io sono innamorato di un’altra che purtroppo non posso avere.”
“Michael Shelby che non può avere una donna? Bizzarro!” lo canzonò Amabel con una risatina.
“Lei è sposata.” Spiegò Michael, e nei suoi occhi quasi si intravedeva il cuore spezzato.
“Oh, mi dispiace. Situazioni del genere non sono mai facili. C’è speranza che lei e il marito si lascino?”
“No. Sono una delle coppie più solide che io abbia mai conosciuto. Si amano per davvero.”
“Ah, capisco. Troverai una persona che saprà amarti.”
Michael avrebbe voluto dirle che non ci sarebbe mai stata un’altra persona perché lui voleva quella donna, avrebbe preferito una vita senza amore piuttosto che senza di lei.
“Già. Ecco, siamo arrivati.”
I due bambini in questione – Jasper ed Harry – erano coperti fino al naso. Erano pallidi e sudaticci, tipici sintomi della febbre.
“Ehilà, ragazzi. Come va?” domandò Amabel.
“Uno schifo. Sto per morire.” Disse Jasper, e tossì.
Amabel si accorse subito che le lenzuola si imbrattarono di piccole goccioline di sangue.
“Ragazzi, che sintomi avete?”
“Febbre, naso e gola che bruciano, tosse e dolori alla schiena.” Disse Harry, che era bianco come un cencio.
 Amabel si voltò verso Michael con sguardo atterrito.
“Michael, esci subito!”
“Che succede?”
“E’ la febbre spagnola. I bambini sono affetti dal virus. Sigilla questa ala dell’edificio e porta gli altri residenti in clinica. Dì a Emily di recuperare tutti gli antibiotici del magazzino e portameli qui. Ora!”
Amabel spinse Michael fuori dal corridoio prima che lui potesse replicare. Chiuse la porta a chiave, si infilò guanti e mascherina per prevenire il contagio.
“Dottoressa, è grave? Stiamo davvero per morire?” chiese Jasper.
“Non morirà nessuno, ve lo prometto. E’ solo che dobbiamo isolare l’orfanotrofio per impedire la dispersione del virus. Con i giusti antibiotici vi potrò curare. Tornerete a stare bene.”
Amabel si sforzava di sorridere ma la paura dei due bambini la faceva stare male. Erano malati già da due giorni e la malattia uccideva i contagiati in tre giorni, quindi Jasper ed Harry avevano solo altre ventiquattro ore prima di collassare. Non avevano molto tempo, tutta la loro speranza era nelle mani di Michael. Un urlo agghiacciante spezzò il silenzio.
“Che c’è? Chi ha gridato?” chiese ancora Jasper.
L’attimo dopo qualcuno bussava in maniera forsennata alla porta.
“Dottoressa, sono la cuoca. Ci sono degli uomini armati di sotto.”
“Dove sono Michael e Lizzie?”
“La signorina Stark è rimasta con i bambini e il signor Gray sta parlando con quegli uomini. Io sono scappata per avvisarvi.”
Amabel per un momento rivisse la paura che aveva provato quando Campbell l’aveva arrestata, era gelida e terrificante. Jasper ed Harry dovevano essere curati, gli altri bambini dovevano essere sgomberati e lei aveva una famiglia da cui tornare. Non c’era tempo per la paura.
“C’è un modo per uscire dall’orfanotrofio senza essere visti?”
“C’è un tunnel che parte dalle cantine e arriva al cancello principale. Ci posso arrivare.”
“Ascoltami bene: esci dall’edificio e raggiungi l’ospedale più vicino. Dì ai medici che abbiamo due bambini affetti da febbre spagnola e che abbiamo bisogno di aiuto. Devi fare il più in fretta possibile. Sono stata chiara?”
“Sì, dottoressa. Faccio subito come mi dite.”
Amabel sentì i passi della cuoca allontanarsi e pregò che la donna riuscisse a cavarsela senza essere scoperta.
“Ragazzi, i soccorsi arriveranno presto. Io, però, adesso devo lasciarvi per andare di sotto.”
“No! Resta con noi!” la supplicò Harry.
“Non posso fare molto per voi adesso, ma posso aiutare i vostri amici. Capite, vero?”
“Vai. – disse Jasper – I nostri amici hanno bisogno di te. Ci penso io ad Harry.”
Jasper era solo un anno più grande di Harry ma era molto coraggioso, perciò Amabel annuì e lasciò la camera. Scese di corsa nell’atrio togliendosi i guanti e la mascherina per non spaventare i bambini. Si nascose dietro il muro per capire chi fossero gli intrusi e vide un prete che puntava la pistola contro Michael. Aveva la vaga sensazione di conoscerlo. Poi all’improvviso fu travolta dai ricordi: sangue, urla, una gamba mozzata.
“Hugo Keller!”
Hugo sollevò lo sguardo su di lei e sorrise, finalmente il suo obiettivo era lì.
“Dottoressa Hamilton, che piacere rivedervi. Sono onorato che vi ricordiate di me.”
Michael sanguinava dal sopracciglio a causa di un colpo inferto col calcio di una pistola, mentre Lizzie si era parata davanti ai bambini per proteggerli.
“Certo che mi ricordo. Ricordo ogni soldato che ho curato. Noto che hai recuperato l’arto mancante.”
Hugo si alzò la tunica nera per mostrarle una gamba di legno usurata dal tempo.
“Una gamba di legno vi sembra un arto recuperato? No, non lo è. E’ colpa vostra se sono ridotto così.”
“E’ colpa mia? Io ti ho salvato la vita. La scelta era semplice: o la tua vita o la tua gamba, dunque ho sacrificato la parte minore.” Disse Amabel con voce ferma.
“Dovevate lasciarmi morire.”
“Beh, la prossima volta accontenterò la tua richiesta.”
Hugo, anziché offendersi, si mise a ridere. C’era un non so che di malvagio in quelle risa.
“Capisco perché Tommy vi abbia sposato: siete una valida risorsa per i Peaky Blinders.”
“Per questo ti ricordo che non devi mai e poi mai sfidare i Peaky Blinders. Ci saranno gravi conseguenze per te, Hugo.”
“Tommy ti ammazzerà!” intervenne Michael, il sangue gli colava lungo la guancia.
 “Se prima non lo ammazzo io.” replicò Hugo spingendo la pistola contro la tempia di Michael.
“Perché sei qui, Hugo? Non capisco la ragione. Credo che per un prete sia un orribile peccato minacciare dei bambini indifesi.” Disse Amabel.
Hugo le rivolse un sorrisino ilare, trovava tutta quella faccenda divertente.
“Non sono qui per i bambini. Sono qui per voi, dottoressa. Tommy ha una cosa che appartiene a me e io ora ho una cosa che appartiene a lui.”
“Certo, sei qui perché Tommy non ti ha dato i soldi per comprare la droga. Sebbene tu stia minacciando sua moglie, la sua amica e suo cugino, sappi che lui non scenderà mai a patti con te. I Peaky Blinders non vogliono avere a che fare con la droga.”
Amabel fece un passo indietro quando Hugo camminò verso di lei con la pistola puntata.
“La droga è solo una piccola parte di ciò che Tommy Shelby mi ha negato. Voi non sapete la verità, vero?”
“Di che cazzo stai parlando?” chiese Michael.
Hugo lo colpì al volto facendolo ruzzolare sul pavimento e Lizzie si prodigò per aiutarlo, mentre Amabel restava immobile in preda alla confusione.
“Quale verità?”
“Ora vi racconto. – disse Hugo – Anni fa sono tornato a Birmingham per completare gli studi religiosi e prendere i voti, ed è stato allora che ho conosciuto Ada Shelby. Lei è la donna più bella che io abbia mai visto. Un giorno mi recai a casa degli Shelby per chiedere la sua mano ma Arthur e John mi picchiarono e mi gettarono in strada perché non ero degno della sorella. Cercai di contattare Tommy ma lui era difficile da rintracciare, e intanto Ada aveva sposato Freddie Thorne. Capite? Tommy decide sempre per tutti. Lui comanda e gli altri eseguono come schiavetti. E non ho ancora capito perché una donna come voi abbia sposato un mostro come lui.”
Amabel sentiva la gola secca, il racconto di Hugo le aveva prosciugato le parole. Era credibile quella storia, del resto Tommy aveva il difetto di pretendere che tutti seguissero i suoi comandi e nessuno aveva la possibilità di sfuggirgli.
“Mi dispiace.” Mormorò Amabel, avvilita.
“Vi dispiace? Da voi mi aspettavo un maggiore conforto. Dottoressa, vi siete fatta risucchiare dal marciume di Small Heath.”
“Anche tu sei stato risucchiato dal marciume. Eri un brav’uomo, poi sei diventato prete e ora fai affari con gli oppiacei. Una delusione d’amore non trasforma una persona così tanto. Tu sei sempre stato questo, un uomo ferito dalla vita che cerca il riscatto per emergere dall’ombra. Hugo, tu sei qui perché vuoi il posto di Tommy. Tu vuoi prenderti i Peaky Blinders e impossessarti di Birmingham.” disse Amabel con fermezza.
La storia dell’uomo innamorato e rifiutato poteva anche essere vera, ma Hugo mirava soltanto al potere. Il prete, infatti, ridacchiò e annuì.
“Ad un uomo senza gamba, senza amore e senza Dio non resta che la vana speranza del potere.”
“Appunto, vana.” Commentò Michael.
Lizzie lo reggeva e gli tamponava il sangue che usciva dalle ferite al volto.
“Per quanto mio marito possa amarmi, non rinuncerà mai al potere per salvarmi. Puoi anche ammazzarmi, Hugo.” Disse Amabel.
Il divertimento di Hugo svanì, sostituito da un’espressione accigliata.
“Mi state dicendo che Tommy Shelby rinuncerebbe all’amore della sua vita?”
“Sì. – asserì Amabel – Uomini come voi solo in parte pensano all’amore. Siete troppo ossessionati dal potere per rendervi conto di quello che vi gira intorno.”
Fu allora che Hugo puntò la pistola contro la fronte di Amabel, però lei non mosse un muscolo. In guerra aveva sfidato la morte e non la temeva più come prima.
“Io vi ucciderei pure, ma a qualcuno farebbe molto male. Sapete, dottoressa, Tommy non è l’unico ad essere innamorato di voi.”
“Non essere ridicolo!”
Lizzie notò che Michael aveva sbarrato gli occhi e che si stava mordendo il labbro quasi a sanguinare.
“Michael, ma che cazzo!” sussurrò lei, disperata.
Se c’era una cosa che negli anni aveva capito di Tommy era che odiava quando qualcuno toccava ciò che era di sua proprietà.
“La vostra amica ha capito tutto.” disse Hugo, e stava di nuovo sorridendo.
Amabel, invece, era più smarrita che mai.
“Capito tutto di che? Io … non ho idea di cosa tu stia parlando.”
Hugo si inginocchiò accanto a Michael e gli diede un colpetto sul naso con la pistola.
“Andiamo, cuginetto, sputa il rospo.”
Amabel a quel punto temeva che Warren c’entrasse qualcosa, in fondo era tipico di lui invischiarsi con gente poco raccomandabile per riconquistarla.
“Michael, parla. Adesso.”
 “No.”
Hugo, che voleva animare l’atmosfera, passò un braccio intorno alle spalle del ragazzo e lo costrinse ad alzare il mento per guardare Amabel.
“Dottoressa, Michael è innamorato di voi.”
Amabel si portò una mano sul cuore che batteva all’impazzata. Quello era un grosso problema, uno di quelli che avrebbe spaccato a metà la famiglia.
“Non dire … non dire idiozie. Michael è innamorato di una donna … lui …”
Le parole le morirono in bocca a causa dello sguardo di Michael: era tutto vero.
“Sono mortificato, Amabel. Io sono innamorato di te dal giorno in cui mi hai chiesto quella consulenza sulle spese del matrimonio di tua sorella. Poi tu hai scelto Tommy e io mi sono fatto da parte. Ora siete sposati e presto avrete un bambino, io non potevo confessarti i miei sentimenti. Mi dispiace.”
Amabel gli diede le spalle e si passò le mani fra i capelli. Tommy lo avrebbe scoperto e avrebbe ucciso il cugino per quei sentimenti sbagliati. Però i suoi pensieri si focalizzarono su altro: come faceva Hugo a conoscere un segreto tanto intimo di Michael?
“Evelyn. E’ stata Evelyn a dirti che Michael è innamorato di me.”
“Finalmente siete giunta alla soluzione.” Disse Hugo.
“Tutta questa è solo una messa in scena ideata da Evelyn. Scommetto che anche l’avvelenamento all’inaugurazione sia stata una sua idea.”
“Che stronza.” Sussurrò Lizzie, schifata da quel raggiro.
“Puoi anche dire a mia sor…”
Amabel si interruppe quando udì le sirene delle autoambulanze che superavano il cancello dell’orfanotrofio. I soccorsi per Jasper ed Henry erano arrivati. Hugo tastò la tasca della tunica nera e tirò fuori un biglietto.
“Questo è da parte di Evelyn.”
Dopo che Amabel ebbe accettato il biglietto, Hugo e i suoi uomini scapparono dalla porta sul retro in cucina. Pochi secondi dopo i medici entrarono.
 
Tommy ritornò a Birmingham all’incirca alle otto di sera. Amabel lo aveva chiamato nel pomeriggio per fargli il resoconto della giornata: gli aveva detto di Jasper ed Harry, di Hugo e del coinvolgimento di Evelyn. Nella sua voce ad un certo punto Tommy aveva avvertito una reticenza, sembrava che Amabel volesse dirgli qualcosa di brutto e che alla fine avesse deciso di tenerlo per sé. Le avrebbe posto il quesito a casa. Per la testa aveva tanti pensieri, dal Parlamento a Hugo, da Evelyn agli affari illegali dei Peaky Blinders. L’unica luce in quelle tenebre era la sua famiglia. Tornare a casa, passare del tempo con Amabel e Charlie, vederli dormire, erano queste le cose per cui valeva la pena vivere. Difatti, sorrise quando vide la luce accesa in camera da letto. Entrò, abbandonò a valigetta e si tolse il soprabito, dopodiché salì al secondo piano.
“Bel? Charlie? Sono a casa!”
Dato che nessuno rispondeva, immaginava che gli stessero facendo uno scherzo o che fossero impegnati in chissà quale gioco. Benché Amabel fingesse di non essere in parte infantile, adorava giocare con Charlie perché la faceva sentire una bambina. Quasi gli prudevano le mani dalla voglia di abbracciare moglie e figlio.
“Sono qui, amo … e tu che cazzo ci fai in casa mia?”
“Bentornato, signor Shelby.”
Giselle Bennett era sdraiata sul letto senza vestiti. Era nuda, completamente nuda. Indossava solo un collier di smeraldi attorno al collo esile. Tommy si voltò per non guardarla e grugnì.
“Tu sei una fottuta pazza! Come cazzo ti viene in mente? Copriti!”
“Non fate il timido, signor Shelby. Sono solo una donna che cerca la vostra attenzione.”
Tommy sentì le mani di Giselle sulle spalle ed ebbe un fremito di ribrezzo. Era tutto sbagliato.
“La mia attenzione è rivolta solo a mia moglie. Ora rivestiti e levati dalle palle!”
Giselle, che non era abituata ad essere denigrata, gli si parò davanti e gli baciò il mento. Tommy si tirò indietro ripulendosi con la manica della camicia.
“Oh, suvvia, non fate così. Possiamo divertirci insieme, Thomas.”
Allora Tommy aprì gli occhi e li fissò in quelli di Giselle.
“Non chiamarmi così, cazzo. Ora prendi i tuoi fottuti vestiti ed esci da casa mia!”
“E se invece restassi? Tu hai la fama di uno dalle grandi scopate.”
Giselle cercò di toccarlo ancora ma Tommy l’afferrò per il polsi, quel giochetto non era divertente.
“L’unica che può scoparmi è mia moglie.”
La ragazza gli sfuggì dalla presa e iniziò a saltellare per tutta la stanza, ma Tommy continuava a guardare il muro.
“Amabel è noiosa! Pensa sempre ai bambini, alla clinica, ad essere gentile ed educata. Mi dà il voltastomaco. E poi il suono della sua voce? E’ così pacata quando parla che mi viene voglia di darle un pugno in faccia!”
“A quanto pare tu avresti molto da imparare da lei. Gentilezza ed educazione ti mancano. Tua madre lo sa che fai la stronza nel tempo libero?”
La risata di Giselle risuonò in tutta la camera facendo saltare i nervi di Tommy.
“Mia madre è una povera idiota. Lei crede che io venga a Birmingham per fare compagnia ad una mia amica malata, invece me ne vado a zonzo nei quartieri malfamati in cerca di avventure. Sai, ho fatto anche un giro con Lizzie Stark.”
“Non me ne frega un cazzo di quello che fai a Birmingham. Ora devi solo andartene da casa mia.”
Giselle si mise a frugare nel portagioie di Amabel, era strano che una donna dell’alta società avesse soltanto due paia di orecchini e una collana d’oro.
“Prima che torni la tua dolce mogliettina?”
“Sei una donna e non posso prenderti a calci in culo, quindi ti conviene andartene con le buone.” La minacciò Tommy con voce glaciale.
“Ma a me piacciono le cattive. Tu e tua moglie vi dedicate al sadomaso? Ti piace procurare o ricevere dolore? Secondo me sei bravo con la frusta, Tommy. Vuoi prova su di me?”
Tommy si girò verso di lei con lo sconcerto stampato in volto.
“Ti piace il sesso? Va bene. Ti piacciono anche le forme estreme? Va bene. Devi dare fastidio a me e ad Amabel? No, cazzo! Giselle, esci da questa casa con le tue gambe oppure sarò costretto ad agire di persona.”
“Sei fottutamente sexy quando mi minacci.” Disse Giselle leccandosi le labbra.
Tommy era stufo di quel teatrino, quindi si mise a raccattare gli abiti della ragazza per cacciarla via.
“Questi sono tuoi, vattene.”
Giselle gli diede una gomitata nelle costole e i vestiti caddero dalle mani di Tommy, che sbuffò per l’irritazione.
“Nessuno osa rivolgersi a me in questo modo. Sei stato molto cattivo. Meriti una punizione, signor Shelby.”
“Te ne devi andare.”
Tommy ispirò forte quando Giselle gli strinse la mano sul cavallo dei pantaloni. Le dita della ragazza quasi gli si conficcavano nella carne per quanto era serrata la presa.
“E’ così che ti piace, Tommy? Ti piace quando ti stringo così forte?”
“Vaffanculo, Giselle.”
“Thomas, siamo tornati!” gridò Amabel dal piano di sotto.
 Tommy andò nel panico quando dei passi veloci si stavano dirigendo in camera da letto. Amabel fece il suo ingresso con Charlie in braccio e un sorriso che si spense subito.
“Ma che … diamine … Thomas?!”
Amabel coprì gli occhi di Charlie e se lo premette contro il petto perché non guardasse quella situazione compromettente.
“Salve, dottoressa.” Disse Giselle sorridendo.
“Per quale assurdo motivo sei senza vestiti? Rivestiti immediatamente!”
Amabel uscì dalla stanza a passo svelto, voleva evitare di assistere ancora a quella scena pietosa. Aveva avuto fin troppe brutte sorprese in una sola giornata.
“Bel! Aspetta!”
Tommy la rincorse e la bloccò in soggiorno. Charlie ridacchiò senza motivo, non capendo le condizioni disastrose del momento.
“Thomas, che ci faceva Giselle nuda nella nostra camera da letto?”
“Lei … non lo so.”
“Ero qui per invitare Tommy a passare la notte con me. Peccato abbia rifiutato!” intervenne Giselle, ora vestita.
Amabel aprì la porta principale e indicò fuori.
“Sparisci da questa casa seduta stante!”
Giselle sorrise un’ultima volta a Tommy prima di uscire. Sgusciò nel buio di Birmingham confondendosi tra le ombre.
“Bel, lei stava solo cercando di mettere zizzania tra di noi. Non è successo niente.” Disse Tommy, e chiuse la porta per seguire la moglie in soggiorno.
“Ti credo. Però non è bello tornare a casa e trovare il proprio marito in compagnia di una ragazza nuda.”
Amabel andò in camera di Charlie e prese una valigia in cui gettò alcuni vestiti.
“Che fai? Perché prepari una cazzo di valigia?”
“Perché ho bisogno di andare via e Charlie viene con me. Lo so che fra te e Giselle non è successo niente, ma non riesco a dormire nel nostro letto. Andiamo a stare da Polly, tu vieni con noi?”
“Stai esagerando, Bel. Andare via non serve a niente, soprattutto adesso che abbiamo quella stronza di tua sorella col fiato sul collo. Kimber avrà sguinzagliato i suoi uomini per tutta la città in cerca di un momento per colpirci.” Disse Tommy, e si accese una sigaretta per allentare il nervosismo.
“Robert Kimber ed Evelyn vogliono incontrarci. Leggi questo.”
Tommy lesse il biglietto che Hugo aveva recapitato e che conteneva poche parole:  Per Amabel e Tommy: Venerdì, ore 21, Luxury Club.
“Il Luxury il night club che Robert ha aperto circa un mese fa. Perché voglio incontrarci?”
“Non ne ho idea. Sai com’è, Hugo era troppo impegnato a minacciarci per spiegarci bene le cose.” Ribatté lei con stizza.
Amabel era sempre gentile, pertanto quella sua freddezza era un sintomo di stanchezza tanto fisica quanto mentale.
“Dopodomani li incontreremo per sapere cosa vogliono. Per adesso, ti prego, resta qui.”
Tommy prese Charlie in braccio e buttò a terra la valigia, al che Amabel si accasciò contro la parete.
“Sono stremata, Thomas. Oggi ho rischiato di perdere due bambini. L’influenza spagnola si sta diffondendo e non è possibile curare tutti. Mia sorella e suo marito tramano contro di noi. Tu devi mantenere una facciata pulita per il Parlamento.”
Tommy depose il figlio nella culla e si inginocchiò davanti alla moglie.
“E’ stata una giornata di merda, però è finita. Siamo a casa, è questo tutto ciò che conta. Ogni tanto devi ignorare le cose brutte per non lasciarti travolgere. Bel, tu sei estremamente sensibile e questo spesso ti distrugge. Non è  compito tuo salvare tutti.”
Amabel gli scostò una ciocca di capelli neri dalla fronte e si perse nei suoi azzurri, poi si fece scappare un piccolo sorriso.
“Hai ragione.”
“Non dobbiamo fare tutto da soli. Dobbiamo affrontare le cose insieme, Bel. Per lungo tempo ho guidato i Peaky Blinders da solo, senza chiedere aiuto a nessuno e senza accettare consigli, e questo fino al tuo arrivo. Siamo una famiglia e andiamo avanti tutti insieme.”
Una tremenda sensazione attanagliò lo stomaco di Amabel, era nauseante.
“A proposito della famiglia, devo dirti una cosa prima che tu venga a saperlo da altre persone.”
“Dimmi pure.”
“Promettimi che non andrai su tutte le furie, Thomas. Promettimelo.”
Tommy corrugò le sopracciglia, il tono di sua moglie celava di certo una pessima notizia.
“Te lo prometto. Avanti, dimmi.”
“Ecco … oggi Hugo ha detto una cosa che riguarda Michael. Eh … io … non … Thomas …”
“Bel, parla ora.”
Amabel fece un respiro profondo e fissò gli occhi du Tommy, a testa alta avrebbe affrontato quella atroce verità.
“Michael è innamorato di me.”
Tommy lasciò le mani di Amabel, la sua espressione era indecifrabile, né triste né felice. Era impassibile, ed era quell’impassibilità che faceva paura.
“Cazzo.”
“Thomas, mi disp …”
“No. – disse lui – Va tutto bene. Ti ho fatto una promessa e sto mantenendo la calma a tutti costi. Capisco Michael, è facile innamorarsi di te. Però tu sei mia, no? Ami me, hai sposato me, hai una famiglia con me.”
“Sì! Certo che io amo te, Thomas. Da morire.”
Amabel si chinò per baciarlo e Tommy la strinse a sé per avvicinarla. Per quanto fosse tentato di continuare a baciarla, Tommy si staccò di colpo e prese la testa di Amabel fra le mani.
“Guardami, Bel. Al polso indossi un bracciale che ti ricorda che io sono eternamente tuo, però tu devi tenere a mente ogni fottuto secondo che tu sei mia. La fede al dito significa che noi siamo legati finchè non crepiamo, cazzo.”
Amabel captava la rabbia di Tommy guizzargli sotto i muscoli, era un fascio di nervi che gli riluceva negli occhi. Toccava a lei domare la bestia.
“Me lo ricordo. Thomas, io amo soltanto te. Non c’è nessun altro uomo. Hai capito? Amo solo te. Non farti venire strane idee.”
Tommy si sforzò di sorridere per apparenza, ma dentro di lui si dibatteva un’ira che gli inghiottiva l’anima.
“Ho capito.”
Stavano per baciarsi di nuovo ma furono disturbati dal pianto di Charlie che doveva essersi svegliato a causa di un incubo. Amabel sorrise.
“Mi sa che stanotte avremo un ospite nel letto.”
 
 
Tommy spalancò gli occhi che erano ancora le due del mattino. Charlie dormiva rannicchiato contro Amabel, la quale aveva una mano sulla schiena del bambino a mo’ di protezione. Benché fosse una visuale serena, Tommy sentiva ancora la rabbia che gli ribolliva nel sangue. Facendo attenzione a non svegliare la famiglia, si rivestì e scese in strada. Sarebbe tornato prima che fosse diventato giorno. Guidò verso casa di Polly con la sola voglia di pareggiare i conti con Michael. Nessuno aveva il permesso di mettere gli occhi su Amabel, specialmente i suoi parenti. Casa della zia era buia e silenziosa, gli abitanti di certo dormivano beati. Il vialetto era semi-illuminato dai lampioni, le auto erano parcheggiate e solo il verso di qualche insetto riempiva l’atmosfera. Bussò ripetutamente finchè il corridoio non si illuminò e Polly aprì la porta. Portava i bigodini ed era assonnata, il trucco era colato intorno agli occhi.
“Tommy, che cazzo ci fai qua? Sono le due del mattino, per la miseria! E’ successo qualcosa?”
“Devo parlare con Michael. E’ urgente.”
“Eccomi.” Disse Michael, che scendeva le scale mentre si infilava la giacca da camera.
“Amabel mi ha detto tutto.”
“Tutto cosa? Che diamine succede?” domandò Polly, smarrita.
Michael sbiancò.
“Tommy, io posso spiegarti tutto … non è come … io …”
“Non mi devi spiegare un cazzo.”
Poi accadde tutto in fretta: Tommy agguantò Michael per il colletto della giacca e gli tirò un pugno tanto forte da spaccargli il naso. Le sue nocche era sbucciate e sanguinanti.
“Tommy, ma che cazzo!” strillò Polly, piegandosi sul figlio per aiutarlo.
Tommy non fu intimorito dalla zia, trucidava Michael con lo sguardo.
“Amabel è mia moglie, chiaro? E’ mia, cazzo! E se tu ti avvicini ancora a lei, io ti faccio fuori senza pensarci due volte.”
 
Quando Tommy si chiuse alle spalle la porta di casa, sospirò per scacciare la tensione accumulata.
“Thomas, dove sei stato? La tua mano è sporca di sangue.”
Amabel se ne stava in cima alle scale con le braccia incrociate ed espressione cupa.
“Ho ricordato a Michael qual è il suo posto.”
Tommy non rimase ad ascoltare la replica della moglie, si rifugiò nello studio per bere whiskey e fumare.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Michael ha confessato e ora deve subire l’ira di Tommy. Giselle ne ha combinata una delle sue, e vi posso anticipare che ne combinerà delle altre!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.  

 

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Capitolo 5
*** Un passato che non passa ***


5. UN PASSATO CHE NON PASSA

“All these folk, they think that I’m evil
Like I am the living devil himself.”
(Evil, Nadine Shah)
 
Una settimana dopo.
Jalia e Diana passeggiavano fra le bancarelle per scegliere cosa comprare. Charlie, comodo nel passeggino, indicava con meraviglia tutto ciò che era colorato.
“Allora, come mai siete a Birmingham?” domandò Jalia, e intanto riempiva un cestino di mele.
Diana abbottonò meglio il giubbotto di Charlie perché non prendesse freddo.
“Perché a Londra mi sento sola. Qui ci siete tu, Amabel, Charlie. Insomma, qui mi sento a casa.”
“E qui c’è anche Finn.”
Diana trasalì nell’udire quel nome. Finn. L’aveva lasciata circa una settimana prima con la ragione più crudele del mondo: aveva smesso di amarla. La ragazza aveva pianto fino ad addormentarsi, aveva trascorso giorni interi sotto le coperte, aveva letto e riletto ‘Romeo e Giulietta’ consumando le pagine. Proprio come la coppia veronese, anche lei e Finn avevano avuto una tragica fine.
“Non sono qui per lui. Anzi, non voglio neanche vederlo. Sono tornata perché mi manca casa mia.”
Jalia le scostò una treccia dalla spalla e le sistemò un ciuffo ribelle.
“Signorina, a casa vostra c’è sempre posto per voi. Vostra sorella è molto gentile a lasciare che io me ne occupi.”
“Lo sai che Amabel ti vuole bene. Si fida di te tanto da affidarti la casa dove siamo cresciute. E anche io mi fido di te.”
Jalia non aveva mai avuto intorno persone buone, tutti avevano sempre giudicato il colore della sua pelle senza conoscerla. Per gli altri era sporca, veicolo di infezioni, e quindi aveva vissuto da emarginata. Conoscere Amabel Hamilton aveva migliorato la sua vita e sarebbe stata grata a vita per quella fortuna.
“Grazie, signorina. Cosa volete mangiare a pranzo? Il piccolo Charlie ci farà compagnia.”
“Salve, bella donzella!”
Le due ragazze sobbalzarono per lo spavento. Alle loro spalle c’era Milos con un sorriso smagliante.
“Tu mi pedini?” chiese Diana, infastidita.
“In verità, lavoro con mio padre al mercato ogni fine settimana. Vendiamo il pesce che peschiamo dalle nostre parti.”
“Noi dobbiamo andare.” Disse Jalia, e prese Diana a braccetto per allontanarla dal ragazzo. Diana represse un grido quando Milos le balzò davanti con un salto.
“Ti va di fare un giro con me? So che tu e faccia-di-topo vi siete lasciati, perciò ora sei libera di uscire con me.”
“Finn non è una faccia di topo!”
“Però ha il cervello minuscolo come un topo se ha mollato una come te.” replicò lui con quel suo tono sicuro.
Diana intravide un paio di giovani Peaky Blinders camminare lungo il canale, tra cui Martin, ed era certa che avrebbero riferito a Finn di averla vista con un altro.
“Sì. – disse lei – Vengo a fare un giro con te. Però ti avverto: se provi a mettermi le mani addosso, lo dico ad Arthur e poi devi pregare che lui non ti ammazzi.”
Milos per un momento sembrò impaurito, poi si rilassò e sorrise come suo solito.
“D’accordo. Andiamo, principessa?”
Jalia guardò la coppia allontanarsi in direzione del centro con perplessità.
“Sai una cosa, Charlie? Tu sei proprio fortunato ad essere ancora un bambino.”
 
Emily era stupita dal modo in cui Amabel riusciva ad intrattenere una decina di bambini. Quella mattina la dottoressa si era presentata nel reparto pediatrico con un buffo cappello piumato e uno strano mantello di velluto blu. La febbre spagnola aveva ucciso uno dei piccoli pazienti, pertanto Amabel stava cercando di risollevare il morale dei bambini affinché non si perdessero d’animo.
“Cantaci una canzone!” esclamò uno dei bambini, Jasper dell’orfanotrofio.
Amabel si inchinò in maniera maldestra per far ridere tutti.
“Come desiderate, monsieur.”
La dottoressa salì in piedi su una sedia, tossì e si aggiustò il cappello per apparire ancora più divertente.
“La barchetta in mezzo al mare è diretta a Santa Fè, dove va per caricare mezzo chilo di caffè. La comanda un capitano con la barba rossa e blu, fuma un sigaro toscano e proviene dal Perù. Ha molto coraggio perchè l’equipaggio in quella barchetta non c’è! Il nostro brav’uomo fa il cuoco, il nostromo e si aggiusta il gilè. La barchetta in mezzo al mare è diretta a Santa Fè, dove va per caricare mezzo chilo di caffè!”
“Sei stonata!” strillò Jane tra le risate.
Amabel finse di essersi offesa, scese dalla sedia e mise il broncio.
“Voi siete un vero pubblico ingrato! Non capite il vero talento!”
Quello era uno spettacolo che avevano inventato lei e Oliver quando lavoravano assieme a New York, ecco perché Amabel provava una fitta di dolore da quando aveva indossato il cappello.
“Dottoressa.” La richiamò Emily con occhi spenti.
“Che succede?”
“Si tratta degli esami di Spencer. I polmoni cederanno nelle prossime settimane. Secondo il dottor Perry non c’è nulla da fare.”
Il sorriso di Amabel appassì come un fiore calpestato. Aveva preso Spencer in cura due mesi fa ed era convinta che pian piano si sarebbe ripreso, poi il bambino era stato trasferito in pneumologia sotto la supervisione del dottor Perry perché le sue condizioni si era aggravate.
“Tu sei assolutamente sicura? I risultati potrebbero essere sbagliati, in fondo capita spesso che i campioni in laboratorio vengano contaminati.”
Emily toccò il gomito di Amabel in una muta consolazione.
“Mi dispiace, dottoressa.”
“Devo tornare a casa. Avvisa Ada che mi prendo la mattinata di permesso.”
Amabel lasciò il reparto col mantello che le svolazzava intorno e un peso opprimente sulle spalle. Nella sua mente c’era un solo pensiero: salvare Spencer.
 
Tommy perse la concentrazione quando la porta di casa cigolò mentre veniva aperta e chiusa. Stava preparando uno dei tanti discorsi da propinare in Parlamento, ma quella distrazione lo costrinse ad accantonare il lavoro. Sospettava che Giselle si fosse introdotta in casa loro ancora una volta, quella ragazza era capace di tutto. Spiando in cucina, vide Amabel che apriva la credenza e si versava del vino in un calice. Era pallida e aveva gli occhi lucidi, le sue mani tremavano senza controllo.
“Bel.”
La donna sobbalzò, versandosi qualche goccia di vino sulla giacca.
“Dannazione! Mi hai fatto prendere un colpo. Perché sei a casa? Credevo fossi a Londra.”
“Sono rimasto qui per cambiare la serratura della porta in modo che non possa intrufolarsi nessun altro. Bel, stai bene?”
Amabel non rispose, anzi si riempì ancora il bicchiere e tracannò il contenuto in un colpo solo.
“Amabel.” Disse Tommy.
La moglie alzò lo sguardo su di lui, era triste come poche volte.
“Non sto bene per niente, Thomas. Io … non sto bene.”
Tommy ebbe l’impulso di abbracciarla ma lei si tirò indietro.
“Non fare così. Sono giorni che non parliamo, vai via presto e torni tardi per non incontrarmi. Sto impazzendo.”
“Allora non avresti dovuto rompere il naso di Michael.”
“Mi dispiace, eh? Ho combinato un fottuto casino ma quello stronzetto andava rimesso in riga. Ho solo protetto ciò che mi appartiene!”
Amabel emise un verso a metà tra il divertimento e il disgusto.
“Ma sentilo il gangster come parla delle sue proprietà!” lo beffeggiò lei.
Tommy cercò di mantenere la calma solo perché sua moglie era stravolta.
“Va bene, sei arrabbiata e vuoi ferirmi. Ricorda, però, che tu non sei una mia proprietà. E io non sono un gangster quando sto con te.”
“Come ti pare. Ora non ho tempo da perdere.”
Amabel corse in camera da letto senza degnarlo di uno sguardo. Tommy si accese una sigaretta per lenire il nervosismo. Stava per tornare nello studio quando udì un boato provenire dal piano superiore. Risalì le scale in preda alla paura che fosse successo qualcosa di brutto. Sua moglie era seduta a terra circondata da libri, fogli e qualche disegno di anatomia.
“No, no, no, no!”
Tommy la prese per le spalle e la obbligò a guardarlo in faccia.
“Bel, che cazzo sta succedendo? Dimmelo!”
Sebbene lei non volesse mostrarsi vulnerabile, si accasciò contro il petto di Tommy e sospirò. Per quanto fosse adirata con lui, quelle braccia avevano sempre il sapore di casa.
“Ieri notte abbiamo perso una bambina e ora ne stiamo per perdere un altro. Spencer ha solo otto anni, è intelligente e molto dolce, ed io gli ho promesso che sarebbe tornato a giocare con sua sorella. Sono tornata a casa per cercare una cura nei diari e nei libri di mio padre. Thomas, io non posso lasciarlo morire.”
La camicia di Tommy ben presto si bagnò di lacrime. Finalmente Amabel stava cedendo ad un pianto liberatorio che spazzasse via tutti i brutti pensieri.
“Shh, amore. Andrà tutto bene. Sono sicuro che troverai una soluzione per salvare Spencer. Sei un medico in gamba, ce la farai.”
“Non so se ce la faccio questa volta.”
Tommy le sollevò il mento e le asciugò le lacrime con i pollici, era atroce vederla piangere.
“Sì che ce la farai. Tu sei così, Bel: combatti fino a quando non vinci.”
Amabel sorrise, gli occhi che ora brillavano di una nuova luce positiva. Tommy era un uomo chiuso e stoico, eppure aveva un suo lato romantico che tirava fuori nel momento giusto. Lì, davanti a lei, bello come non mai, c’era Thomas.
“Il mio Thomas.”
“Solo tuo.”
Tommy si chinò per baciarla e lei accettò la sua bocca senza esitare. Era un bacio amaro in cui confluivano tristezza, dolore, perdono, amore. Amabel incominciò a sbottonargli il gilet per poi gettarlo sul pavimento. Si misero in piedi e, continuando a baciarsi, arrivarono al letto. Tommy si sedette con Amabel sulle gambe, e uno spogliava l’altro tra i baci. Le loro mani si fecero subito desiderose di maggiore contatto, si toccavano con brama febbrile. Tommy spostò le corde del reggiseno per baciarle il collo e scendere verso le clavicole. La pelle della moglie era fredda ma era pur sempre piacevole. Amabel lo intrappolò in un bacio impetuoso come se la sua vita dipendesse da quel tocco. I minuti successivi furono un vorticoso scambio di baci e carezze, pelle contro pelle senza barriera alcuna.
“Pace?” mormorò Tommy, baciando il polso di Amabel dove era allacciato il bracciale.
“Forse.”
Tommy le infilò le mani tra i capelli castani e la baciò con impeto maggiore. Orami nudi, i loro corpi si congiunsero. Amabel muoveva i fianchi, dettando il ritmo di quell’unione viziosa, e Tommy la stringeva a sé quanto più possibile. Entrambi ansimavano mentre le loro labbra si cercavano per altri baci. Amabel affondò le dita nelle spalle di Tommy e lui colse l’occasione per accarezzarle i seni con la bocca. Le spinte rallentarono d’improvviso e loro ne approfittarono per guardarsi negli occhi. Nonostante tutto, si sorrisero. Amabel gli accarezzò la nuca con le unghie mentre Tommy si imbambolava ad ammirarla.
“Bel, io …”
“Lo so. – disse lei – Anche io.”
Lentamente Tommy la portò sotto di sé senza staccare gli occhi dai suoi, era attraverso lo sguardo che si capivano. Amabel fece scivolare le mani sui glutei di Tommy e lo guidò dentro di sé ancora e ancora. Dal canto suo, Tommy gemette sulla bocca della moglie e poi la baciò con estrema passione. Come la sigaretta che si consuma ad ogni tiro, ogni spinta consumava loro con uno straordinario appagamento. Fecero l’amore fino a quando ne ebbero la forza, fino a quando non furono sazi l’uno dell’altro.
 
Alle otto Arthur guidava in direzione del Luxury Club, uno dei locali notturni più in voga della città che apparteneva a Robert Kimber. Amabel guardava fuori dal finestrino con fare disinteressato, Birmingham scorreva oltre il vetro senza che lei se ne rendesse davvero conto. Tommy, seduto davanti accanto al fratello, la osservava attraverso lo specchietto.
“Bel, devo avvisarti di …”
“Sì. – lo anticipò lei – Lo so che non devo parlare come mio solito.”
“No. Intendevo dire che devi parlare come tuo solito. Devi dare il peggio di te con Kimber e Evelyn. Puoi farlo?”
“Avrai il peggio di me.”
Arthur rise e tirò su col naso, la cocaina iniziava a farlo sentire allegro. Una ventina di minuti dopo si fermarono in un vicolo secondario, buio e puzzolente, a pochi metri dal locale.
“Arthur, tu aspettaci qui. Nel caso le cose si mettessero male, dobbiamo essere in grado di andarcene in fretta.”
“Certo, Tom.” Rispose il fratello, dopodiché salì di nuovo in auto e si accese un sigaro.
Tommy si sistemò meglio la pistola nella fondina dopo aver controllato il numero dei proiettili.
“Bel, tu porterai un coltello con te. Non voglio obiezioni.”
“Come vuoi.” Disse lei, rassegnata.
Tommy le sbottonò il soprabito e le infilò il coltello della cintura che reggeva la gonna.
“Sei pronta a rivedere tua sorella?”
Prima che Tommy potesse dire altro, Amabel gli stampò un bacio sulle labbra.
“No. Non sono pronta.”
 
Amabel voleva scappare via, sfondare le porte del Luxury pur di respirare aria fresca. Un lacchè li stava scortando all’interno del night club, un enorme stanzone munito di palchi su cui le ballerine si esibivano in abiti succinti per viscidi uomini che pagavano fior di quattrini. L’odore di tabacco, oppio e alcolici si mescolava rendendo saturo l’ambiente. Era talmente soffocante il calore che Amabel stava sudando. Tommy le mise una mano sulla schiena nel tentativo di tranquillizzarla, ma lei restava tesa come una corda di violino.
“Va tutto bene, amore. Tranquilla.” Le sussurrò all’orecchio, al che Amabel sembrò calmarsi un po’.
Intanto l’uomo li aveva condotti in una piccola stanza con ampia visuale sull’interno del locale. Ad accoglierli c’erano Evelyn e un giovane uomo ben vestito.
“Buonasera, Amabel e Tommy. Io sono Robert Kimber, ma per gli amici sono Bobby.”
Bobby era alto, aveva lucenti capelli neri pettinati all’indietro e due occhi neri che esprimevano una certa malizia. Al suo fianco, come una marionetta con un bel vestito, Evelyn sorrideva divertita.
“Ciao, sorella. Accomodatevi.”
Amabel e Tommy presero posto con circospezione, del resto anche le sedie potevano essere usate come armi.
“Perché ci convochi?” chiese Tommy, non aveva voglia di perdere tempo in futili cerimonie. Bobby versò due bicchieri di tequila e ne offrì uno a Tommy, che accettò solo per non innervosire il padrone di casa.
“Tu sei qui per affari, mentre Amabel è qui perché voglio conoscere mia cognata.”
“Attento con i gradi di parentela, io non sono tua cognata.” Disse Amabel, voce ferma e occhi puntati sulle proprie unghie.
“Non essere scortese, Amabel.” La rimproverò Evelyn.
“Beh, sarei cortese se mi aveste invitata al matrimonio. Certo, non avrei mai preso parte ad una simile pagliacciata, ma sarebbe stato apprezzato il pensiero.”
Bobby, invece di offendersi, abbozzò un sorriso.
“Evelyn mi ha avvertito che hai un carattere peperino, ma la realtà sta superando l’aspettativa.”
“Già. – disse Amabel – Sono una donna piena di sorprese.”
Tommy ghignò mentre si accendeva una sigaretta, sua moglie sapeva essere pungente alle volte.
“Dunque, per quali affari mi hai chiamato?”
Bobby spostò lo sguardo da Amabel a Tommy senza turbamento, tutto in lui era controllato.
“Rivoglio il business che hai preso a mio padre. La tua attività di allibratore è diventata legale e hai triplicato il guadagno, ma lo hai potuto fare solo grazie agli affari che hai rubato ai Kimber. Mi devi rendere ciò che mi spetta.”
“No.” Disse Tommy.
Evelyn si voltò verso Bobby, ma lui stava fulminando Tommy con gli occhi.
“Non scherzare con me, Shelby. Quei soldi non ti appartengono. Hai rubato quello che è sempre stato della mia famiglia!”
“Le cose stanno così: ho fatto affari con tuo padre, l’ho ucciso e ho riempito il vuoto che lui ha lasciato. Le corse illegali e legali di Birmingham e di Londra appartengono ai Peaky Blinders. Io non ti devo proprio un cazzo.”
Bobby si alzò in piedi con uno scatto tale da far ribaltare la sedia a terra.
“Tu devi ridarmi il dominio su quelle corse! Non capisci, Tommy? La prossima non avvelenerò dei fottuti parlamentari, io ammazzerò la tua famiglia. Tua zia sarà la prima. Polly è una donna deliziosa, sai.”
“Polly ti taglia le palle e se le mangia a colazione.” Replicò Tommy con nonchalance.
“E come fa a tagliarmi le palle se io le mozzo le mani? So che Amabel è brava ad amputare parti di corpo.”
“Con Hugo ho sbagliato, avrei dovuto mozzargli la testa.” disse Amabel.
Evelyn emise un verso strozzato, come faceva quando da bambina faceva i capricci.
“Non sei intelligente come pensi, Amabel.”
“Non parlare di intelligenza con me, sorellina. Sai, a te il quoziente intellettivo manca. Hai sposato questo idiota, quindi direi che tu sia abbastanza stupida.” Ribatté Amabel lanciando un’occhiata perfida alla sorella.
“Io ho provato ad essere gentile ma voi non state collaborando.” Disse Bobby.
Tommy, stanco di quel farfugliare inutile, fumò la seconda sigaretta.
“Non siamo qui per collaborare. Sei un coglione se pensi che gli Shelby possano scendere a patti con te. Mettitelo in quella fottuta testa: io non ti restituisco un cazzo. Quegli affari sono dei Peaky Blinders da anni ormai, quindi i Kimber sono fuori dal giro. Impara a fare soldi in un’altra maniera.”
“Non vi conviene mettervi contro di noi.” Minacciò Evelyn.
Amabel sbuffò, innervosita dal comportamento infantile della sorella, e fece spallucce.
“Avete causato un avvelenamento alla nostra festa, avete incolpato me, avete permesso che Hugo minacciasse me e dei poveri bambini. Io direi che voi stessi vi siete messi contro di noi per primi. Occhio per occhio, Evelyn. Ad ogni colpa corrisponde una pena.”
“Tu non oseresti mai punirmi.”
“Non sfidarmi, sorella. Non ti conviene mettere alla prova la mia pazienza.”
Bobby mise una mano sulla spalla di Evelyn per allontanarla e per avvicinarsi a Tommy.
“Ultima chance: prendere o lasciare.”
Tommy sorrise e gli spense la cicca della sigaretta sul bavero della giacca.
“Ho già preso tutto da tutto padre.”
 
Amabel tornò a respirare quando uscirono dal Luxury. Il vento freddo era un toccasana per la sua pelle accaldata.
“Quel coglione pensava davvero che io gli restituissi gli affari delle corse. Deve essere proprio stupido.” Disse Tommy, e diede un calcio ad un sassolino per sbollire la rabbia.
“Era un pretesto. – disse Amabel – Bobby sapeva che avremmo rifiutato e ora ha la legittimità di attaccarci. Questo incontro è stato una stupida scusa.”
“Tom!” gridò Arthur all’improvviso.
Amabel non ebbe il tempo di capire perché l’attimo dopo Tommy la spinse a terra. Avvertì un dolore lancinante al braccio, poi vide l’asfalto sporco di sangue. Benché avesse la vista appannata, vide Tommy tirare fuori la pistola e sparare verso il locale. Anche Arthur si era avvicinato per sparare. Poco dopo il rumore assordante degli spari finì, il silenzio tornò a regnare nella strada illuminata solo dall’insegna del Luxury.
“Bel! Ehi, stai bene?”
Amabel si accorse che Tommy e Arthur la stavano aiutando a rimettersi in piedi. Era stordita dal dolore.
“Che … è successo?”
“Leviamoci dalla strada.” Suggerì Arthur.
Una volta al riparo nell’auto, Amabel si toccò il braccio dolorante.
“Dannazione! Mi hanno sparato!”
Tommy, seduto affianco a lei, le tolse il soprabito e le sbottonò la camicetta per controllare la ferita.
“Sei stata colpita di striscio. Nulla di grave. La ferita non è profonda ma il sangue non si ferma.”
“Dammi la cravatta.” Disse Amabel, digrignando i denti per il dolore. Tommy si slacciò la cravatta e l’avvolse intorno alla ferita per arrestare la micro emorragia.
“Arthur, portaci in clinica!”
“No, no. – si rifiutò Amabel – A casa ho quello che mi serve per medicarmi.”
 
Tommy si sciacquò le mani dopo aver aiutato Amabel a coprire la ferita con una benda sterile. La dottoressa si era medicata per bene senza lamentarsi, sebbene fosse il suo primo proiettile. Un medico, diceva suo padre, non si lamenta mai del dolore.
“Come ti senti?”
“Mi sentirò meglio dopo aver ingerito un potente antidolorifico.” Rispose lei, e frattanto si infilava una maglietta pulita.
Charlie sarebbe rimasto con Jalia e Diana, pertanto Amabel poteva liberamente gettare la camicetta sporca di sangue nella vasca; ci avrebbe pensato l’indomani a pulire. Tommy rientrò in soggiorno con un bicchiere pieno di whiskey e si lasciò cadere sul divano, era sfinito.
“Che ne pensi di tutta questa faccenda? Voglio un tuo parere spietato.”
Amabel allungò le gambe su quelle di Tommy e poggiò la testa su un cuscino, le pulsavano le tempie.
“Penso che Evelyn abbia perso del tutto la ragione. Bobby l’ha plagiata, è evidente. Insomma, non è mai stata ragazza dal carattere forte ma penso che lui l’abbia manipolata a suo piacimento. Chissà come si sono conosciuti.”
“Sì. – convenne Tommy – Bobby le ha fatto il lavaggio del cervello. Evelyn gli serve per conoscerci, per arrivare a noi in maniera più diretta e personale.”
“Bobby rivuole il posto di suo padre, vero?”
Tommy sospirò e mandò giù un sorso di alcol.
“Vero. Bobby è il primogenito, quindi il posto del padre spetta a lui di diritto.”
“Peccato che tu abbia ucciso suo padre per accaparrarti quel posto.” Disse Amabel.
“Erano gli inizi dei Peaky Blinders, avevo fame di soldi e di potere. Prendere gli affari di Kimber era l’unico modo per assicurare alla mia famiglia un posto di rilievo nel giro delle corse. Ero giovane e irresponsabile.”
Amabel si mise a sedere e notò che Tommy era diventato triste, perso in chissà quale vecchio ricordo.
“Eri ferito, Thomas. Eri tornato a casa da un anno e il dolore della guerra ti dava il tormento, cercavi solo una via di fuga dai ricordi traumatici.”
“Smettila di leggermi dentro, Bel.” mormorò Tommy.
Amabel aprì la bocca per parlare ma la richiuse perché un flebile rumore catturò la sua attenzione. Afferrò la mano di Tommy in una morsa ferrea.
“C’è qualcuno in casa.”
Tommy mise da parte il bicchiere e tese l’orecchio, poi captò un debole ‘click’. Un istante dopo la finestra si ruppe sparpagliando i vetri sul tappeto persiano pregiato. Tommy in una frazione di secondo riconobbe che l’oggetto lanciato contro la finestra era una granata.
“Bel!”
Amabel venne scaraventata da Tommy dietro il divano con una forza tale da impattare con la nuca contro il pavimento. Poi accadde tutto in fretta. La granata esplose. Il divano fu scagliato in corridoio e loro si ritrovarono schiacciati contro la parete opposta. Il frastuono dell’esplosione le faceva fischiare le orecchie e girare la testa. Sembrava di stare chiusi in una bolla e che il mondo esterno fosse lontano anni luce.
“Tommy Shelby!” gridò una voce maschile.
Amabel vide due uomini col volto coperto entrare in casa con le pistole sguainate: erano lì per ucciderli. Quando il fischio nelle orecchie si fu assopito, Amabel si sentì trascinare sul parquet per i capelli.
“Lasciami!”
“Ora ci andiamo a divertire noi due.” disse l’uomo sogghignando.
“Non toccare mia moglie!” gridò Tommy, ma l’altro uomo lo spinse contro la parete e gli puntò la pistola alla fronte.
“Non stabilisci tu le regole del gioco. Non stabilisci proprio un cazzo. Qui comandiamo noi.”
“Se le fate del male, io torturerò voi e le vostre famiglie fino alla morte. Mi pregherete di ammazzarvi in fretta per non soffrire ancora.”
“Bla, bla, bla. Sta zitto, zingaro.”
Tommy era abituato al fracasso causato dalle esplosioni, eppure quella granata gli aveva procurato un lieve sanguinamento dalle orecchie. Sbarrò gli occhi quando sentì Amabel gridare come una disperata.
 
Amabel si dimenava mentre l’uomo la sbatteva contro la cucina. Si premette contro il piano cottura per prendere le distanze, ma lui l’agguantò per il polso per strattonarla verso di sé.
“Non fare la schizzinosa. Adesso ci divertiamo, bambolina.”
Amabel si ricordò del coltellino di Tommy nella cintura della gonna e sorrise trionfante.
“Sì, ci divertiamo!”
Fece scattare il coltellino e lo infilzò nell’occhio dell’uomo, poi gli tirò il braccio destro e gli sbatté la testa contro la credenza. Nei mesi precedenti aveva fatto qualche lezione di autodifesa con Arthur ed era lieta che quegli insegnamenti stessero tornando utili. L’uomo aveva fatto cadere l’arma e ululava di dolore mentre il sangue gli colava lungo il viso. Amabel raccolse la pistola e, malgrado la mano tremante, gli piantò un proiettile nella schiena.
“Che cazzo succede?” strillò l’altro uomo dal soggiorno.
Amabel si catapultò nell’altra stanza per aiutare Tommy e minacciò l’intruso con la pistola.
“Succede che ho sparato al tuo amico. Ora abbassa quella pistola oppure il prossimo proiettile te lo ritrovi conficcato nel cervello.”
Tommy rimase stupito dalla ferocia di Amabel, non credeva che quella donna sempre gentile potesse avere anche un lato tanto oscuro.
“La puttanella sa il fatto suo.” La canzonò l’uomo, la sua pistola sempre puntata su di lei. Tommy ebbe l’opportunità di attaccarlo alle spalle, quindi lo tramortì con la gamba del tavolino e iniziò a prenderlo a pugni. Ben presto le sue mani si coprirono di sangue, le nocche si spaccavano ad ogni cazzotto, la rabbia aumentava ad ogni colpo assestato.
“Thomas, basta!”
Tommy si bloccò di colpo, le mani e la camicia rosse di sangue, lo sguardo infuriato.
“Che cazzo è successo?”
Arthur entrò camminando piano sui vetri e sul legno spezzato. Aiutò Tommy a tirarsi in piedi e gli tolse una piuma del divano dai capelli.
“Perché sei qui, Arthur?”
“Perché al Garrison un paio di stronzi ubriachi parlavano di alcuni irlandesi venuti in città per lavorare per Kimber. Secondo Polly stava per succedere qualcosa e mi ha mandato a controllare.”
“E’ successo decisamente qualcosa.” disse Amabel.
Aveva gettato via la pistola ma le tremavano ancora le mani, non era abituata a commettere tutta quella violenza. Tommy si avvicinò a lei e le accarezzò la guancia, lasciandole una striscia rossa sulla pelle.
“Stai bene?”
“No. Non sto affatto bene! Ho appena usato una fottuta pistola! E ho anche detto una parolaccia! E ho ucciso un uomo! Oh, misericordia!”
Amabel si lanciò fra le braccia di Tommy per farsi consolare, non ne poteva più di quelle emozioni negative che le opprimevano l’anima.
“Lo stronzo è vivo purtroppo.” Comunicò Arthur dalla cucina.
“La tua mira è perfettamente pessima, tesoro.” disse Tommy.
“Che facciamo, Thomas?”
“Ce ne andiamo. Non siamo al sicuro a Birmingham. Bobby sta reclutando chiunque per ammazzarci. Dobbiamo nasconderci.”
“E Charlie?”
“Non può venire con noi. Ada lo porterà in un posto sicuro.”
Amabel strillò quando udì un colpo di pistola. Arthur tornò in soggiorno e sparò anche all’altro uomo.
“Ora gli stronzi sono morti stecchiti.”
“E’ giusto così.” Disse Tommy.
Amabel, benché sapesse che in fondo era davvero giusto così, provò un forte senso di colpa che di sicuro le avrebbe dato il tormento negli anni futuri.
“Prendete qualche vestito e tornate a Small Heath, è il posto più sicuro per voi.”
“Aspettate un attimo. – disse Amabel – Charlie è a casa mia con Diana e Jalia. Potrebbero essere in pericolo?”
“Arthur, tu va a prendere Charlie e le ragazze. Io e Bel andremo nella vecchia casa di Small Heath.” Disse Tommy.
 
Amabel uscì dal bagno con addosso la camicia da notte. Dopo essere tornati a Small Heath, lei e Tommy si erano lavati, avevano bruciato i vestiti sporchi nel camino e avevano cambiato le lenzuola. Tommy stava seduto sul bordo del suo vecchio letto – quello su cui aveva dormito dall’età di dieci anni – con la sigaretta in bocca e una bottiglia di whiskey ai piedi. Il materasso scricchiolò quando Amabel si sedette.
“Hai avuto notizie da Arthur?”
“Sì, ha chiamato poco fa. Michael accompagnerà Jalia e Diana a Londra, mentre Ada sta portando Charlie da qualche parte fuori città.”
“Dove di preciso?”
“Non lo so. Anzi, non dobbiamo saperlo. E’ per il bene di Charlie.”
“Giusto.”
Tommy le cinse le spalle con un braccio e le baciò la testa.
“E’ un fottuto casino.”
“E’ colpa di entrambi questa volta. Nessuno dei due ha pensato agli effetti delle azioni che abbiamo fatto: tu non sapevi che Bobby ti avrebbe dato la caccia quando hai preso il posto del padre ed io non sapevo che Evelyn avrebbe voluto la mia morte quando le ho permesso di allontanarsi dalla famiglia. Stiamo pagando per le nostre scelte sbagliate.”
Un raggio di luna si rifletté sul pavimento usurato, quasi a voler essere testimone di quelle confidenze.
“Ce la faremo anche questa volta, Bel.”
Amabel prese il viso di Tommy tra le mani e lo baciò come a suggellare quella promessa: qualunque cosa fosse accaduta, loro sarebbero rimasti insieme. Il bacio fu interrotto da ripetuti colpi alla porta.
“E’ Arthur?”
Tommy le fece segno di stare in silenzio, raccattò la pistola dal comodino e dalla finestra sbirciò la strada.
“Possiamo aprire, è un amico.”
Quando aprirono la porta, ad Amabel quasi mancò il respiro.
“Oliver?!”
Oliver se ne stava sulla soglia con gli occhi rossi di pianto.
“Sono stato io, Amabel. Sono stato io l’artefice di tutto questo.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Che dire, Bobby ed Evelyn hanno davvero un caratteraccio!
Gli Shelby sono davvero in pericolo questa volta.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

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Capitolo 6
*** Caccia selvaggia ***


6. CACCIA SELVAGGIA

“The hole in my chest, it twists like a knife
Taking over my body, taking over my life.
I can’t thinking of nothing, no one else gonna do
I’m haunted by the living, yeah.”
(The Longing, Imelda May)
 
Il giorno dopo
Finn non si capacitava del numero spropositato di libri presenti nella camera di Diana. Lui aveva letto alcuni di quei volumi, altri non li aveva mai visti, altri ancora erano nuovi. La sera prima lui e Michael avevano accompagnato Diana e Jalia a Londra per allontanarle dalla furia di Bobby Kimber, e lui era rimasto a dormire sul divano per precauzione. Al suo risveglio la signora Miles gli aveva offerto biscotti e the, lui aveva spazzolato tutto e poi si era messo a girovagare per casa.
“Finn!” esclamò Diana uscendo dal bagno già vestita di tutto punto.
Le lunghe trecce castane erano legate da sottili nastri azzurri.
“Io … ehm … volevo prendere un libro.”
Diana stava per replicare quando dalla porta fece capolino la testa di Milos.
“Buongiorno, principessina. Ti sono mancato?”
“E tu che cazzo ci fai qua?” chiese Finn, irritato dalla presenza dell’altro ragazzo.
Milos lo ignorò, lo superò e andò da Diana per lasciarle un bacio a stampo sulla bocca. La ragazza arrossì e si toccò le labbra con le dita.
“Qualcuno vuole una tazza di the? Latte? Biscotti?”
Diana si precipitò in cucina con i due ragazzi al seguito, desiderava essere risucchiata da una voragine nel pavimento piuttosto che sopportare quel supplizio. Jalia quasi sputò il the quando vide il trio entrare nella stanza.
“Milos, perché sei qui?”
Milos si sedette sul tavolo, incurante degli stivali che disseminavano fango sulle sedie, e rubò una mela dalla cesta.
“Perchè così mi ha ordinato Johnny Dogs. E anche perché voglio proteggere la mia Diana.”
Il the che Finn stava bevendo si era fatto di colpo amaro, perciò abbandonò la tazza nel lavandino.
“La tua Diana? Passate parecchio tempo insieme voi due.”
“Sì. – disse Milos – Abbiamo passato una bellissima giornata al museo. Tu sai cos’è un museo, Finn Shelby?”
Diana si infilò in bocca due biscotti per non parlare, in fondo parlare con il boccone era un gesto di maleducazione.
“E’ il posto dove stanno le cose … antiche.” Disse Finn.
Milos scoppiò a ridere.
“Sei proprio ignorante.”
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: Finn colpì Milos con un cazzotto facendo cadere  a terra la cesta di frutta.
“Mettitelo in quella fottuta testa: Diana non è la tua principessa!”
 
 
Tommy cercava ad ogni costo di non muoversi per non svegliare Amabel che dormiva fra le sue braccia. Il letto era piccolo ed erano costretti a stare attaccati, non che gli dispiacesse, però lui non ce la faceva più a starsene con le mani in mano. Sospirò.
“Brontoli già alle prime luci del mattino?”
Senza aprire gli occhi, Amabel si voltò e poggiò la testa sul petto del marito. Con i polpastrelli segnava il contorno dei tatuaggi.
“Ben svegliata.”
“A cosa pensi, Thomas?”
Tommy sospirò ancora, una sua cattiva abitudine. Fissava il soffitto mentre con la mano accarezzava il braccio di Amabel.
“Stavo pensando che dovremmo lasciare Birmingham per un po’. Restare a Small Heath è un fottuto errore. Bobby potrebbe mandare i suoi tirapiedi e distruggere il quartiere.”
Amabel si mise seduta e si passò le mani fra i capelli, era ancora assonnata a causa di una notte trascorsa nel dormiveglia.
“Hai ragione. Dove potremmo andare? Exmouth e Bakewell sono da escludere perché Evelyn sa che in passato ci siamo nascosti lì.”
“Dammi il tempo di pensare ad un posto. Nel frattempo dobbiamo vestirci perché gli altri arriveranno tra poco per una riunione di famiglia.”
Tommy aprì la finestra e ispezionò il vicolo nel caso vi fosse qualcuno appostato. Bel andò in bagno e si sciacquò la faccia con l’acqua fredda per scacciare il sonno, ma non sembrava funzionare. Riempì la vasca, si sfilò la camicia da notte e si immerse nell’acqua calda.
“Ti posso fare compagnia?” chiese Tommy, appostato contro lo stipite della porta.
“Certo, mio caro.”
Tommy si sedette sul bordo della vasca e con la mano sfiorò la superficie dell’acqua che emanava vapore bollente.
“Cosa ho fatto per meritare una moglie così bella?”
Amabel sorrise ad occhi chiusi e toccò la mano di lui che giocava sull’acqua.
“Beh, hai fatto numerosi sacrifici di sangue e gli dèi hanno risposto alla tua richiesta.”
Tommy ghignò, quella era davvero un’ottima osservazione.
“Ringraziamo gli dèi.”
“Certo.”
Amabel si morse le labbra quando Tommy fece scivolare l’indice dal collo verso l’incavo dei seni per poi arrivare alla pancia.
“Peccato che non abbiamo tempo, avrei un paio di idee per intrattenere la mia bellissima moglie.”
“Puoi sempre conservare quelle idee per tempi più tranquilli. Tua moglie non vede l’ora di essere intrattenuta.”
Tommy fece una breve risata, dopodiché si chinò per baciarla e Amabel gli circondò il collo con le mani facendo scorrere l’acqua calda lungo le sue spalle.
“Basta. – mormorò Tommy – Altrimenti non riesco a fermarmi, Bel.”
“Può bastare per ora. Solo per ora.” Disse Amabel con un sorriso malizioso.
Tommy le diede un bacio sulla fronte e scese in cucina per versarsi un bicchiere di whiskey. L’alcol era sempre un buon modo per iniziare la giornata.
 
“Thomas, vieni qui!”
Tommy si mise la sigaretta in bocca e salì di sopra, dove Amabel si stava vestendo.
“Che c’è?”
“Non riesco a mettere il cardigan. Questa ferita fa parecchio male.”
Amabel si era cambiata la fasciatura al braccio martoriato dal colpo di striscio della pistola, ma non riusciva a finire di vestirsi a causa del dolore. Tommy le tolse di mano il cardigan e pian piano l’aiutò a indossarlo.
“Ecco fatto.”
“Grazie.”
Tommy si abbassò a baciarle il collo mentre le stringeva i fianchi per attirarla a sé. Amabel si abbandonò a quelle labbra che la facevano sospirare di piacere, strinse fra le dita i capelli neri di Tommy. Un momento dopo Amabel si ritrovò contro la parete e la bocca di Tommy sul petto che le baciava la porzione di seno lasciata scoperta dal reggiseno.
“Thomas ...”
Nel frattempo Tommy le aveva sollevato la gonna e le stava accarezzando le cosce con le sue mani callose, e Amabel non poteva chiedere di meglio.
“Oh, diamine! Non ho visto niente!” disse Ada coprendosi gli occhi con le mani.
Amabel si abbassò la gonna e Tommy si sistemò i capelli, entrambi erano divertiti per essere stati beccati come due adolescenti.
“Andiamo di sotto.”
Quando si riunirono col resto della famiglia, Amabel ebbe un tuffo al cuore nel rivedere Oliver. Era sempre lo stesso, stesso taglio di capelli, stesso tipo di abbigliamento, stesso orologio, eppure c’era qualcosa di strano in lui che glielo faceva vedere quasi come fosse un estraneo. Oliver, dal canto suo, la guardò per una frazione di secondo prima di spostare l’attenzione sul pulviscolo danzante.
Tommy si appoggiò contro la cucina, si accese una sigaretta e prese un tiro.
“Oliver, ieri sera hai detto che è colpa tua. Che cazzo significa?”
Ada strizzò la mano di Oliver per incoraggiarlo a parlare senza timore.
“Sì, ehm … è vero. E’ colpa mia. Quando Evelyn ha lasciato Birmingham, dopo aver prelevato la sua parte di eredità, è venuta da me a New York in cerca di ospitalità. L’ho accolta in casa, l’ho aiutata a trovare nuove amiche e le ho anche trovato un impiego come volontaria nell’ospedale dove lavoro. Un giorno è tornata a casa dicendo che aveva conosciuto un ragazzo in chiesa e che era stato un colpo di fulmine. Da allora hanno cominciato a frequentarsi fino a quando si sono sposati di nascosto e hanno lasciato l’America.”
Amabel avvertì un forte senso di nausea ma tenne duro per non crollare davanti a tutti. Sempre a testa alta, come le diceva sua madre da bambina. Polly notò l’espressione sconvolta di Amabel, dunque decise di intervenire.
“Non vedo come possa essere colpa tua. Hai solo ospitato una ragazza. Certo, una ragazza davvero stronza, ma pur sempre bisognosa di aiuto.”
“Ecco … io …”
“Parla, Oliver.” Lo intimò Tommy con quel tono che non ammetteva repliche.
Oliver fece un respiro profondo.
“Ho chiesto a Evelyn di aiutarmi a ripulire la soffitta dagli scatoloni che contenevano vecchie cartelle mediche, e tra quelle c’era anche la cartella di Amabel. C’erano scritte tutte le informazioni, da Verdun a Somme, dal ritorno a casa al ricovero in clinica. Evelyn ha cominciato a fare domande ed io mi sono sfogato raccontandole tutto. Ero così arrabbiato con Amabel che non ho pensato alle conseguenze. Inoltre, non credevo che Evelyn avrebbe usato questa scoperta contro sua sorella.”
Arthur e Ada si scambiarono un’occhiata scioccata, era bizzarro che una persona trasparente come Amabel avesse un segreto racchiuso in una cartella clinica.
“Di quale segreto si tratta?” chiese Polly con fare circospetto.
Amabel si portò una mano allo stomaco, la sensazione di nausea era aumentata, le girava la testa e si sentiva svenire. Il suo più grande dolore era stato sbandierato ai quattro venti come fosse una sciocchezzuola.
Tommy sentì una rabbia cieca montargli dentro, nessuno aveva il permesso di ferire sua moglie.
“Era ovvio che Evelyn avrebbe usato quel fottuto segreto contro Amabel. Cazzo, Oliver, sei proprio un coglione!”
“Quale cazzo è il segreto?” chiese ancora Polly.
“Non sono cazzi tuoi, Pol.” replicò Tommy puntando il dito contro la zia.
Amabel, che non ne poteva più, lasciò la stanza per andarsi a rifugiare in camera.
Arthur sputò nel bicchiere vuoto e si avvicinò a Tommy, che si era acceso l’ennesima sigaretta.
“Ci spiegate che cazzo sta succedendo?”
“Succede che Evelyn e Bobby conoscono un particolare del passato di Amabel che a voi non interessa. Ora il vero problema è capire cosa fare con quello stronzo di Bobby. Sono stato chiaro, eh? Il resto non sono cazzi vostri.”
“Bobby vuole riprendersi gli affari del padre, mi sembra chiaro.” Disse Ada.
“Grazie al cazzo, Ada! – disse Tommy – Fin lì ci siamo arrivati tutti. Perché rivuole ora il posto del padre? Poteva tornare anni fa e reclamare il giro di corse, invece torna solo a Birmingham e di punto in bianco dichiara guerra ai Peaky Blinders.”
“Sotto c’è chiaramente qualcosa.” commentò Polly, la sigaretta che pendeva fra le dita.
“Tu sai qualcos’altro?” domandò Ada a Oliver.
“No. – rispose Oliver – Io non ho mai conosciuto Bobby, Evelyn non lo ha mai portato a casa. Si sono sposati nell’arco di due mesi e sono scappati da New York nel cuore della notte. Non so molto altro.”
“Allora puoi andartene a fanculo.” Disse Tommy.
Arthur rise e si lisciò i baffi, qualche residuo di oppio gli macchiava ancora gli angoli della bocca.
“Tommy!” lo rimproverò Ada, in fondo Oliver era anche suo amico.
“Che c’è? Questo stronzo molla la sua migliore amica quando Bertha muore, si fa negare, non viene al nostro matrimonio e spiffera segreti solo perché è incazzato. Non lo ammazzo di botte solo perché Amabel non me lo perdonerebbe mai.”
“Mi sono allontanato da Amabel per una valida ragione.” Ribatté Oliver, sicuro di sé.
Tommy gettò la sigaretta nel lavandino e trucidò l’uomo con gli occhi.
“Tutti in questa stanza hanno persona una persona amata, eppure nessuno ha abbandonato la famiglia. Per Amabel sei come un fratello, ma tu non te la meriti una persona come lei nella tua miserabile vita di merda. Ora va via da questa città e non tornare.”
Oliver non aggiunse altro, non c’erano parole che potessero sciogliere la matassa in cui si era ingarbugliato il suo rapporto con Amabel. Raccattò la sua valigia, baciò Ada sulla guancia e uscì di casa in direzione della ferrovia.
Tommy stappò una nuova bottiglia di whiskey e bevve direttamente dall’orlo, aveva bisogno che l’alcol lo colpisse rapido ed efficace come un fulmine.
“Ora faremo così: Arthur, tu chiedi in giro informazioni su Bobby Kimber. Ada, tu bada alla clinica in assenza di Amabel. E tu Polly, scopri qualcosa su Evelyn e sulla sua nuova famiglia. Io e Amabel lasceremo Birmingham perché è diventata troppo pericolo. Bobby avrà già mandato altri uomini a cercarci.”
“Sapete già dove andare?” chiese Arthur.
“No. – disse Tommy – Bakewell, Exmouth e Londra sono da evitare. Avete suggerimenti?”
“Potreste andare a stare in uno dei caravan dei Lee. Johnny Dogs sta giù al fiume. Sarete al sicuro.”
“Va bene. Organizza tutto.”
 
Tommy salì in camera per recuperare la giacca e trovò Amabel rannicchiata sul letto a guardare fuori dalla finestra.
“Bel, stasera andremo a stare da Johnny Dogs. Prendi quello che ti serve.”
“Va bene.” disse lei, la voce era particolarmente spenta.
Tommy sospirò, si sedette sul letto e le toccò la spalla.
“Non è il momento di rimuginare su Oliver ed Evelyn. Lo so che ti fa stare male, però adesso ho bisogno che tu sia combattiva. Bobby non avrà nessuna pietà di noi.”
Amabel si girò verso di lui con espressione impassibile, era una maschera indecifrabile.
“E noi non avremo nessuna pietà di lui.”
“Come desideri.”
Dopo che Tommy se ne fu andato chissà dove, Amabel scese in cucina per prepararsi un caffè. Sobbalzò per lo spavento quando trovò Polly intenta a fumare e sorseggiare the.
“Ciao, mia cara. Siediti, voglio fare quattro chiacchiere.”
“Vuoi sapere qual è il segreto che nascondo da anni?”
“No. – disse Polly – Io ho già capito che cosa nascondi. Ho vissuto la stessa cosa.”
Amabel per la prima volta si sentì capita, quindi si sedette e strinse la mano di Polly.
“Anche tu hai perso un figlio?”
“Ne ho persi tre. Prima che Michael e Anna nascessero, ho perso il mio primo figlio a causa di una brutta caduta. Poi Michael e Anna mi sono stati portati via e mio marito è morto. Di colpo sono rimasta da sola, però occuparmi di Tommy e dei suoi fratelli mi ha dato un po’ di pace. Io lo vedo che crescere Charlie ti fa bene.”
“Amo tantissimo Charlie, ma non è mio figlio e non è mio nipote. E’ il figlio di Grace. Io non posso essere una brutta copia di Grace.”
Polly si protese per accarezzare le guance di Amabel, era così giovane in quel momento.
“Oh, dolce Amabel. Tu non sarai mai la brutta copia di Grace. Tu sei la migliore versione di te stessa. Tommy mi ha detto che Charlie ti ha chiamato ‘mamma’, immagino che tu ti sia spaventata.”
“Da morire. – disse Amabel – Io non voglio che Charlie pensi a me come a sua madre. Io sono soltanto la moglie di suo padre.”
“Qui ti sbagli. Tu una seconda madre per Charlie, lui stravede per te. La tua paura è che Tommy sia in parte ancora innamorato di Grace.”
Amabel distolse lo sguardo perché incapace di reggere quella verità. Polly era così sin da ragazza, lei sapeva scorgere le ombre in tutti e sapeva leggere fra le righe.
“E’ vero. Thomas è fantastico con me, eppure ho come la sensazione che il suo cuore appartenga anche a Grace. Ecco perché non voglio che Charlie pensi a me come ad una madre.”
“Devi parlarne con Tommy, solo lui può darti la risposta di cui hai bisogno. E per quanto riguarda la tua perdita, ne sono addolorata.”
“Grazie, Polly. Grazie davvero.”
Le due donne si abbracciarono per cullarsi l’una nel dolore dell’altra, un abbraccio che stava a significare ‘ti capisco, sono con te’. Un abbraccio che sapeva risanare le crepe.
 
Alle sette di sera la famiglia si riunì nella saletta privata del Garrison. Il tavolo era coperto da bicchieri, bottiglie di whiskey irlandese, brocche di birre e noccioline. Il piccolo ambiente era saturo di fumo, una sottile nube bianca era sospesa sopra le loro teste. Amabel, seduta accanto a Lizzie e Arthur, giocava con la fede mentre aspettavano l’arrivo di Tommy. Come se fosse stato evocato, Tommy si intrufolò nella saletta e per prima cosa si scolò un bicchierino di whiskey.
“Ho scoperto delle cose che non piaceranno a nessuno.”
“Cioè?”
Tommy si portò la sigaretta alle labbra e fece due tiri, la sua espressione era più seccata del solito.
“Bobby ha preso metà giro di corse dei Sabini a Londra, lo hanno pagato un sacco di soldi. Pare che i Sabini abbiano ceduto perché sono a corto di denaro dopo che abbiamo ucciso il loro leader.”
“Pensavo peggio.” Commentò Polly, buttando fuori il fumo della sigaretta.
“Il peggio deve ancora venire, Pol. Arthur ha scoperto che i fratelli di Bobby sono morti sotto circostanze misteriose.”
“Ecco la copia del referto medico che mi hanno spedito da New York.” disse Arthur sbattendo sul tavolo una cartella medica.
Amabel allungò le mani e incominciò a leggere il referto con l’occhio esperto del medico.
“Le misteriose circostanze a noi sono note: Andrew e Jake hanno riportato pelle bluastra, bava alla bocca e intestino ustionato, quindi il medico legale ha ipotizzato un avvelenamento ma non lo ha confermato.”
“E se non lo ha confermato non hanno potuto avviare un’indagine.” Aggiunse Tommy.
“Esatto. – disse Amabel – Credo che Bobby abbia avvelenato i fratelli con l’acido solforico, lo stesso usato per causare l’avvelenamento alla nostra festa.”
“Quello stronzo ammazza i fratelli, torna a Birmingham, compra le corse dai Sabini e prende di mira i Peaky Blinders. Direi che è uno stronzo piuttosto impegnato.” Disse Polly, e bevve un sorso di chissà quale alcolico.
Tommy si passò una mano sul viso, poi si accinse a fumare l’ennesima sigaretta sotto lo sguardo irritato della moglie.
“Ha fatto fuori i fratelli per avere l’eredità del padre. Ora torna in città perché vuole ripristinare i vecchi affari di famiglia. E’ uno stronzo che sta creando dei fottuti problemi.”
La porticina della saletta si spalancò e il barista comparve sulla soglia, era allibito.
“C’è una signorina che vuole parlare con voi. Con tutti voi.”
La famiglia si spostò nel salone principale per capire chi fosse la signorina in questione. Giselle Bennett stava al centro della stanza con un pacco regalo fra le mani. Sorrideva maligna.
“Buonasera, famiglia Shelby. Che piacere rivedervi.”
“Il sentimento non è reciproco.” Ribatté Ada, accigliata.
Tommy si mise le mani in tasca e puntò gli occhi su Giselle, quasi volesse trafiggerla solo col pensiero.
“Scommetto che sei qui per rompere le palle.”
“Purtroppo non mi occupo io delle tue palle, altrimenti saresti molto più rilassato.” Disse Giselle ridacchiando.
Amabel arrossì sia per la gelosia che per il modo sconsiderato di parlare della ragazza.
“Che cazzo vuoi, Giselle?”
La ragazza sorrise con quel suo fare malizioso, poi aprì la porta e fece un cenno del capo.
“Sono qui per consegnare un regalo ad Amabel e per un omaggio da parte di Evelyn e Bobby. Prego, portate pure l’omaggio!”
 Due uomini scaricarono sul pavimento il corpo di un uomo moribondo. Era Michael col volto tumefatto e coperto di sangue. Era quasi irriconoscibile.
“Michael!”
Polly si premurò di pulire il sangue con delicatezza, mentre le mani tremavano per la paura e l’orrore. Amabel afferrò il secchio del ghiaccio dal bancone, lo mise dentro ad un canovaccio e si inginocchiò accanto a Michael.
“Ci penso io, Polly.”
Mentre Polly teneva la testa del figlio sul grembo, Amabel passava il ghiaccio sui tagli e sui lividi per attenuare il dolore con il freddo. Michael l’agguantò per la mano stringendola forte.
“Amabel …”
“Ehi, va tutto bene. Starai bene.”
“Sarò un mostro.” Sussurrò lui a fatica, e un rivolo di sangue gli colò lungo il mento.
Amabel gli accarezzò la fronte e sorrise per rassicurarlo.
“Sarai bello come sempre.”
A Tommy non piacque quello scambio di battute, pertanto tornò a concentrarsi su Giselle che stava ridacchiando.
“Abbiamo intercettato Michael sul treno e lo abbiamo invitato per una piacevole passeggiata in campagna. Deve essere inciampato in qualche rovo, sa essere un ragazzo molto maldestro.”
“Ora per quale motivo non dovrei andare da Bobby e staccargli la testa, eh?”
“Non lo farai perché Bobby avrebbe potuto prendere Diana e invece ha preferito Michael. Sono certa che tu sia grato per questo omaggio, del resto è quello che sogni di fare da quando Michael ha confessato di essere innamorato di tua moglie.”
Polly lanciò un’occhiata piena di odio a Tommy, che mantenne la sua tipica fermezza.
“Non gradisco chi pesta a sangue uno della mia famiglia. Riferisci a Bobby che i Peaky Blinders hanno appena accettato la guerra.”
Giselle rise e fece un inchino, dopodiché consegnò il pacco ad Amabel.
“Divertitevi!”
Non appena Giselle lasciò il Garrison, si scatenò l’isteria. Polly, Ada e Arthur inveivano contro Tommy. Amabel e Lizzie cercavano di fare il possibile per aiutare Michael.
“Questa è colpa tua! Se mio figlio è stato ridotto così perché è innamorato di Amabel!” urlò Polly battendo le mani sul petto di Tommy.
“No. – obiettò Tommy – Michael è stato ridotto così perché Evelyn ha voluto risparmiare Diana ma ha comunque voluto colpire noi. Non c’entrano un cazzo i sentimenti, qui c’entrano solo gli affari.”
“Però devi ammettere che Giselle ha fatto un ottimo lavoro nel distruggere la faccia di Michael.” Disse Ada, le gote rosse dalla rabbia.
“Io ammetto solo che Michael è un coglione per essersi invaghito della donna sbagliata. Non ammetto, però, che sia stato pestato da Kimber. E per quanto riguarda Giselle, smettetela di parlare di lei come se fosse mia amica!”
“Non è tua amica una così?” domandò Arthur ghignando.
Tommy gli diede uno spintone e lo fulminò con gli occhi.
“Sta zitto, idiota.”
“Ehi! – berciò Amabel – Smettetela di litigare. Le ferite di Michael vanno curate prima che si infettino. Dobbiamo portarlo nello studio di mio padre. Adesso!”
Arthur e Polly si caricarono Michael sulle spalle mentre Lizzie correva davanti a loro per andare ad aprire lo studio.
Tommy adocchiò la busta ai piedi di Amabel e non osò immaginare che regalo le avesse fatto Giselle.
“Che c’è là dentro?”
Amabel sbirciò nella busta e tirò fuori una stecca nera non troppo lunga.
“E’ un frustino da fantino?”
“E’ un frustino da sadomaso.”
“Ah, ecco … E che razza di regalo è?”
Tommy avrebbe riso se la serata fosse stata meno tragica, pertanto si limitò a toglierle l’oggetto di mano e stamparle un bacio sulla bocca.
“Sei troppo ingenua, Bel. Troppo.”
 
Era assurdo che Amabel avesse sempre le mani sporche di sangue da quando aveva conosciuto la famiglia Shelby. Per quanto sfregasse la saponetta, l’alone rossastro non si lavava via. Michael era sotto morfina, i dolori erano sopportabili e il viso era stato medicato alla perfezione con disinfettante e garze sterili. La saponetta ricadde nell’acqua con un tonfo sonoro.
“Brutta giornata?”
La voce dolce di Lizzie fece voltare Amabel con un mezzo sorriso.
“Sì, direi proprio di sì. Prima sei stata grandiosa con le bende. Grazie.”
“E’ stato un piacere. E sono io che devo ringraziare te per tutto quello che hai fatto per me. Nessuno avrebbe messo una ex prostituta a capo di un orfanotrofio. E’ l’opportunità che sta cambiando la mia vita.”
Amabel fu travolta dall’abbraccio di Lizzie e affondò il viso nei suoi capelli. Quella solidarietà femminile era ciò di cui aveva bisogno.
“Non dirlo neanche. Tu meriti il mondo, Lizzie. Sei straordinaria e non permettere a nessun uomo di dire il contrario. I bambini ti adorano, sei una risorsa preziosa per l’orfanotrofio e sei un’amica speciale per me.”
“E io non mi unisco all’abbraccio?” domandò Ada, sbucando dal corridoio.
Amabel allargò le braccia e le tre ragazze si strinsero tra le risate. Erano quei piccoli momenti di gioia che valeva la pena vivere.
 
Tommy scrutava la strada con massima attenzione, non sia mai che qualcuno o qualcosa sfuggisse al suo controllo. Nel frattempo Arthur fumava un sigaro sdraiato sulle sedie della sala d’attesa. Lo studio era polveroso e puzzava di chiuso, non veniva aperto da mesi ormai poiché la clinica assorbiva tutto il tempo di Amabel. Il cappotto nero di Tommy era striato di grigio sull’orlo a causa della polvere. Quel silenzio fu spezzato dall’arrivo di Polly, annunciato dai tacchi che picchiavano contro il pavimento sporco.
“Allora, ora che si fa?”
“Io e Arthur abbiamo un piano.” Disse Tommy.
Infilò la mano in tasca e imprecò quando si rese conto di aver finito le sigarette.
“E quale sarebbe?”
Arthur si mise a sedere e si lisciò i baffi, non sembrava turbato più di tanto.
“E’ un buon piano, Pol. Stai tranquilla.” 
“Questo vuol dire che è un piano di merda.” Replicò Polly, disgustata.
Tommy si allontanò dalla finestra e si lasciò cadere su una sedia, poi sospirò.
“Il piano prevede che noi ci nascondiamo. Io e Amabel andremo dai Lee. Finn e Milos restano a Londra con Diana e Jalia. Lizzie e Ada raggiungono Charlie. Arthur e Linda andranno a stare in una delle nostre proprietà fuori Birmingham. Restate solo tu e Michael.”
“Io e mio figlio andremo in un posto ignoto per stare alla larga da te e dai fottuti guai che ti porti dietro.”
“Polly, basta. – disse Tommy – Michael è stato attaccato perché Bobby Kimber vuole indietro gli affari di famiglia. Non c’entra niente che Giselle sia una fottuta squilibrata o che Michael sia innamorato di Amabel. E’ una questione di affari, cazzo.”
Polly emise una risata stridula.
“Però è strano che Giselle abbia proprio beccato Michael.”
“Tu pensi che io abbia pagato Giselle per aggredire tuo figlio, vero?”
“So che non lo hai fatto, ma so anche che ne saresti capace. Sai essere fottutamente geloso.”
Tommy annuì e fece spallucce, poco gli importava il giudizio altrui sulla propria personalità.
“Sai com’è, il tesoro del re non si tocca.”
“Tieniti ben stretto quel tesoro, è facile perderlo.”
Quella specie di sentenza rimase sospesa nell’aria. Polly si era zittita e Tommy non sapeva come reagire. Davvero stava rischiando di perdere Amabel?
 
Amabel incespicava mentre lei e Tommy si dirigevano verso il fiume guidati da Johnny Dogs. Era notte fonde, il vento sbatacchiava fra gli alberi e i rami sembravano mani sinistre pronte e ghermire i passanti.
“Voi non siete una da campagna, dottoressa.” Scherzò Johnny.
“Io amo la camp … Oh, santo cielo!”
Tommy prese la mano di Amabel prima che lei scivolasse su una pietra. Johnny rideva a crepapelle.
“Forse è la campagna che non ama voi.”
“Può darsi.”
Da lì in poi Amabel proseguì aggrappata al braccio di Tommy, ogni passo era un probabile caduta con annesso grave trauma cranico. Quando raggiunsero la piana, una donna li attendeva con una lanterna a illuminarle il viso paffuto. Era Marie, la sorella di Johnny.
“Buonasera. Il vostro caravan è pronto.”
“Grazie. Ci penso io adesso.” Disse Tommy.
Recuperò la lanterna e le chiavi, poi disse qualcosa nell’orecchio a Johnny e si avviò verso la loro dimora provvisoria.
“Finalmente ho la possibilità di vivere come una zingara.” Disse Amabel, e per un soffio evitò di cadere a faccia in giù.
“Questa vita non fa per te, Bel. Tu sei troppo …”
“Sono troppo snob per questa vita?”
Tommy si fermò e si girò scuotendo la testa.
“Non sei snob. Sei precisa e sedentaria, spostarsi di continuo e vivere alla giornata non fa per te.”
“Mmh, vero. Su, entriamo, fuori si gela.”
L’interno del caravan era piccolo ma accogliente. Una tavola quadrata di legno era attaccata al muro e fungeva da tavolo, accompagnato da due sgabelli di legno grezzo. Un letto singolo era incassato nell’angolo, munito di lenzuola e due coperte, e sopra di esso pendeva un crocifisso.
“Che te ne pare?” domandò Tommy, curioso.
“Beh, è rustico.”
“Non va per te, eh?”
“A Somme stavamo peggio. Gli alloggi dello staff medico erano penosi quanto quelli dei soldati. Io ed Emily dormivamo nello stesso sacco a pelo, a terra, con una sola coperta. Eppure siamo tutti sopravvissuti.”
Tommy spesso dimenticava che Amabel aveva vissuto la guerra. Lei era sempre così elegante e fine che risultava difficile immaginarsela sporca di terra e sangue dentro ad un tendone militare.
“Ti amo, Bel.”
Amabel fu contenta e stupita al contempo quando Tommy la baciò. La stringeva così forte come se avesse paura che lei potesse scappare.
“Ti amo anche io. Va tutto bene?”
“Sono solo stanco.”
“Sarà meglio dormire un poco.”
 
I muscoli di Amabel reclamavano pietà. Dopo essersi messa a letto sembrava che il corpo avesse iniziato a dolerle. Era terribilmente esausta. Nel caravan faceva freddo nonostante avesse addosso la giacca da camera, dunque sistemò sul piumone una seconda coperta. Tommy finì di fumare la sigaretta, chiuse a chiave la porta e si infilò a letto.
“Non hai freddo, Thomas?”
Tommy, infatti, se ne stava in boxer e con le braccia fuori dalle coperte.
“Lo hai detto tu: siamo sopravvissuti alla guerra.”
“Sì, ma non per morire di polmonite.” Disse Amabel.
Tommy, anziché darle retta e vestirsi, posò la testa sul suo petto e le avvolse la vita con un braccio. Il letto non era spazioso e loro dovevano stringersi il più possibile, ma di certo non era un problema.
“Sto caldo qui.”
Amabel rise quando lui le solleticò l’incavo tra i seni con la punta del naso.
“Sei uno scemo.”
“Sono tutto quello che vuoi, amore.”
Tommy cominciò a respirare sempre più lento e Amabel gli diede un bacio sulla testa.
“Buonanotte, Thomas.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Giselle ha fatto ancora la sua comparsa causando una grossa frattura nella famiglia.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 7
*** Profonda oscurità ***


7. PROFONDA OSCURITA’

“I’ll walk to the depths of the deepest dark forest,
Where people are many and their hands are all empty,
Where hunger is ugly and the souls are forgotten,
Where black is the colour and none is the number.”
(A Hard Rain’s Gonna Fall, Laura Marling)
 
Un brivido di freddo percosse Amabel costringendola a cercare calore in Tommy. Quando la sua mano toccò il vuoto, spalancò gli occhi e non trovò nessuno.
“Thomas?”
Non ricevette risposta. Il caravan era vuoto, non c’erano rumori di nessun tipo e le lenzuola erano tiepide. Fuori era ancora buio, l’orologio da taschino di Tommy segnava le due del mattino. Amabel scostò la tendina e scorse una figura che avanzava nell’oscurità. Era Tommy. Aprì la fine stretta e si sporse oltre il bordo.
“Thomas! Thomas! Torna qui!”
Il vento fischiava forte e sferzava la superficie del fiume come fossero colpi di frusta. Amabel si infilò il soprabito e le scarpe per uscire nella tempesta ventosa.
“Thomas!”
Tommy non si girava, sembrava che non la stesse ascoltando affatto, anzi continuava a camminare senza esitare. L’acqua del fiume schizzava sulla camicia da notte facendo rabbrividire Amabel, che invano si stringeva nel soprabito. Tommy era giunto a riva, si fermò un momento e poi si immerse nel fiume.
“No! Thomas!”
Con quella temperatura bassa rischiava un’ipotermia che lo avrebbe ucciso. Amabel corse verso di lui, le scarpe affondavano nella terra umida e rallentavano i suoi passi come sabbie mobili.
“Thomas! Thomas! Thomas!”
Amabel si gettò in acqua e fatica tentò di raggiungere Tommy. La camicia da notte e il soprabito erano bagnati e appesantivano la sua avanzata, ma lei non si fermava. Stava per cadere quando riuscì ad afferrare la mano di Tommy. Lui si bloccò e si voltò lentamente, il suo volto era bianco come un cencio e il suo sguardo era perso nel vuoto.
“Thomas!”
Amabel gli tirò uno schiaffo tanto forte da lasciargli il segno sulla guancia. Come se un incantesimo si fosse spezzato, Tommy emise un rantolo e sbatté le palpebre.
“Bel! Che cazzo …”
“Thomas, dobbiamo uscire dal fiume. Andiamo, dai!”
Mano nella mano tornarono a riva e da lì verso il caravan. Erano fradici, infreddoliti e con la pelle coperta dai brividi. Tommy si accasciò sul letto e si passò le mani fra i capelli. Amabel gli mise una coperta sulle spalle e iniziò a sfregare le mani lungo le sue braccia per riscaldarlo.
“Che cosa è successo?”
“Un incubo ad occhi aperti.” Disse Tommy.
“Adesso ci cambiamo i vestiti e dopo parliamo. Ci verrà un malanno altrimenti.”
I minuti successivi furono dominati dal silenzio mentre si toglievano i vestiti bagnati per indossarne altri asciutti, dopodiché Amabel mise sul fuoco la teiera perché una bevanda calda sarebbe stata ottimale. Trasalì quando Tommy l’abbracciò.
“Stai bene.” disse lui a bassa voce.
Amabel gli circondò il collo con le mani e gli diede un casto bacio sulle labbra.
“Sì, sto bene. Ero in pericolo nel tuo incubo?”
“Tu stavi gridando, eri ricoperta di sangue, con te c’era Charlie. Poi ho visto anche John, lui mi diceva di entrare nell’acqua e lasciarmi affogare. E ho visto la guerra, ho sentito le esplosioni, ho assaporato di nuovo la terra. C’era sangue dappertutto. Cazzo!”
Tommy diede un pugno alla mensola della cucina e questa cadde trascinando con sé i sacchetti di spezie. Amabel gli prese le mani e lo fece accomodare sul letto.
“Ehi, calmati. Sei qui e sei vivo. Io sono qui e sto bene.”
“Non facevo incubi da mesi, cazzo. Sono un fottuto casino.” Disse Tommy, affranto.
“E’ normale che gli incubi siano tornati. E’ lo stress causato dalla faccenda di Bobby che ti sta destabilizzando. Lo stress post traumatico non passa, si mette da parte e poi torna a galla nei momenti di tensione.”
“E qual è l’effetto che lo stress post traumatico ha su di te?”
Amabel non si aspettava quella domanda, in fondo era lei che di norma consolava gli altri ed essere scoperta non le piaceva.
“Mi ammazzo di lavoro per cercare di salvare le vite che non ho salvato in Francia.”
“Siamo due cadaveri che camminano, Bel.”
Quelle parole facevano male perché erano vere: le loro anime erano morte su quel campo di battaglia, solo i loro corpi avevano fatto ritorno dalla guerra.
“E’ per questo che ci siamo ritrovati, no? Per essere cadaveri insieme.”
Tommy fece una messa risata e le diede una gomitata giocosa nelle costole.
“Tu sei un cadavere piuttosto attraente.”
Amabel rise mentre si sforzava di trattenere le lacrime.
“Neanche tu sei tanto male.”
Tommy l’attirò a sé e si lasciò confortare dal calore di Amabel che gli ricordava casa.
 
Due giorni dopo
Il maltempo non dava tregua da due giorni. Pioveva senza sosta giorno e notte, spesso il vento provocava vere e proprie bufere e pareva che sulle montagne vi fosse del nevischio. Tommy entrò nel caravan e trovò Amabel china a scrivere su un foglio.
“Bel, ancora? E’ da ieri che stai scrivendo.”
“Lavoro. – lo corresse lei – Sono riuscita a portare con me i diari di mio padre e forse ho trovato una soluzione per salvare Spencer. Certo, è un tentativo disperato ma è comunque meglio di niente. Domattina puoi spedire questo telegramma per me?”
“Chiederò a Johnny Dogs di portarlo direttamente in clinica.”
“Ti ringrazio.”
Tommy prese in consegna il biglietto e appese il soprabito alla sedia, poi si accese una sigaretta che gli aveva procurato la sorella di Johnny.
“Ti va di fare quattro chiacchiere?”
“Vuoi parlare di Evelyn.” Disse Amabel.
Il pensiero di sua sorella l’aveva tormentata, era come un uncino conficcato nel cervello che strappava i tessuti e faceva male.
“Lo so che non vuoi nemmeno sentire il suo nome, ma ho bisogno del tuo parere. E’ fondamentale sapere cosa ne pensi, i tuoi dubbi, le tue ipotesi.”
Amabel sfiorò la copertina dei diari del padre con un senso di nostalgia soffocante. Quanto avrebbe voluto che i suoi genitori fossero lì per aiutarla.
“Va bene, ti dirò ciò che penso. In primis, non è troppo casuale che Bobby abbia proprio trovato Evelyn? Insomma, New York è una metropoli e ce ne sono fin troppe di ragazze.”
“Tu credi che Bobby abbia puntato ad Evelyn dall’inizio?”
“Sì. – disse Amabel – E’ assurdo che il figlio di Kimber abbia sposato proprio mia sorella! Sono convinta che Bobby abbia mirato ad Evelyn perché io e te stiamo insieme. Mia sorella è il cavallo di Troia perfetto per fare irruzione negli affari dei Peaky Blinders.”
Tommy gettò via il mozzicone della sigaretta e se ne portò un’altra alle labbra, sebbene tutto quel fumare non allentasse la tensione.
“Bobby potrebbe aver seguito Evelyn da Birmingham a New York?”
“Bobby ha conosciuto Evelyn qui. Michael ha controllato le finanze di Evelyn e ha scoperto che la sua parte di eredità è stata trasferita su un conto bancario del Regno Unito. Evelyn a chi potrebbe mai affidare i suoi soldi? Zia Camille usa ancora il conto del marito defunto, io e Diana condividiamo il conto perché lei è minorenne, e quello dei nostri genitori è stato chiuso dopo la loro morte. Qual è la conclusione?”
“Che affidiamo i nostri soldi alle persone di cui ci fidiamo. Evelyn ha trasferito la sua eredità sul conto di Bobby.” Disse Tommy.
Amabel annuì, ed era contenta e avvilita di avere ragione.
“Credo che Bobby abbia usato i soldi di Evelyn per pagare i Sabini. Non attingerebbe mai al proprio denaro per acquisire delle corse illegali.”
“A questo ci avevo pensato anche io. Evelyn è così stupida da farsi fregare i soldi dal marito. Con rispetto parlando, ovviamente.”
“E’ vero, Thomas. Mia sorella è stupida, molto stupida. E non capisco se stia ragionando con la sua testa oppure se venga controllata dal marito.”
“Lo sai anche tu che Evelyn non ragiona mai con la sua testa. Ad un certo punto si è trovata da sola e Bobby ha approfittato della sua debolezza per avvicinarsi a lei.”
“Ed è colpa mia. Non avrei mai dovuto arrendermi con lei. E’ una ragazza troppo fragile per cavarsela da sola.” Disse Amabel, sospirando.
Tommy si chinò a baciarle la fronte e si attorcigliò al dito una sua ciocca di capelli.
“Non è colpa tua se Evelyn è fragile. Tu e Bertha avete fatto del vostro meglio per insegnare a lei e a Diana ad essere donne forti e indipendenti. Il problema è che Evelyn si è lasciata trascinare da tua zia Camille.”
“Esatto. Zia Camille ha convito Evelyn che l’unico scopo di una donna è essere moglie e madre, e ci è risuscita perché io non ero a casa. Io ho lasciato mia sorella da sola quando aveva bisogno di me.”
“Tu non ti stavi divertendo in giro per il mondo. Eri in guerra, cazzo. Non devi incolparti per aver salvato le vite di quei soldati. Fanculo zia Camille, fanculo Evelyn, fanculo tutto quello che la gente pensa di te! A soli venti anni ti sei sporcata le mani di sangue mentre tentavi di ricucire quegli uomini. Hai sopportato l’inferno proprio come noi che stavamo sul campo.”
“Thomas …”
Tommy la prese per il mento costringendola a guardarlo in faccia.
“Io sarei morto in quel cazzo di tunnel se non ci fossi stata tu. Tu hai salvato me, Bel. Ricordatelo sempre.”
“Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Come si inserisce Giselle in tutto questo? Lei e Bobby devono essersi conosciuti in qualche modo.”
Tommy fece spallucce, purtroppo le sue informazioni avevano dei limiti.
“Non lo so. In giro nessuno sa niente. Bobby è andato via da Birmingham a soli dieci anni ed è tornato a venticinque, cosa sia successo nel frattempo è un mistero. Forse si sono incontrati a New York.”
“Oppure Giselle ha fatto irruzione anche in casa di Bobby.” Disse Amabel ridendo.
 Tommy, invece non rideva, era impassibile come suo solito.
“E ora vuoi chiedermi anche tu se ho pagato Giselle per pestare Michael?”
Amabel corrugò la fronte e scosse la testa.
“Chi te lo ha chiesto?”
“Polly pensa che io abbia ingaggiato Giselle per dare una lezione a quello stronzo di Michael. Ci credi anche tu?”
“No! – replicò Amabel – Se tu volessi dare una lezione a Michael lo faresti con le tue mani, non pagheresti qualcuno per fare il lavoro sporco.”
“Grazie per la fiducia, eh.” Disse Tommy, stizzito.
La sigaretta si era consumata tutta, la gettò fuori dalla finestrella e si riempì un bicchiere di whiskey.
“Smettila di fumare e di bere tanto. Lo sai che ti stai danneggiando.”
“Almeno morirò contento.”
“Thomas!” lo rimproverò Amabel, e gli tirò un ceffone sulla spalla.
Tommy rise senza divertimento.
“Mi fai ridere quando ti arrabbi. Somigli ad un barboncino col broncio.”
“E’ la prima volta che ricevo un simile complimento o insulto, dipende dai punti di vista.”
“Mmh, chissà quali complimenti ti fa Michael.” Disse Tommy, la voce dura come marmo. Amabel non sorrideva più, l’atmosfera si era fatta cupa e preoccupante.
“Michael non mi ha mai fatto complimenti, è sempre stato al suo posto. E non vedo cosa c’entri questo col nostro discorso.”
“Uno innamorato di mia moglie c’entra sempre.”
“Forse hai bevuto un po’ troppo, Tommy. Vai a prendere una boccata d’aria.”
Per un istante si guardarono in tralice, entrambi erano nervosi e sul punto di gridarsi addosso.
“Sto bene qua.”
“Fa come vuoi.”
Amabel prese i diari del padre e uscì dal caravan per passeggiare fino all’altra sponda del fiume. Sebbene facesse freddo e piovigginasse, tutto era meglio che sopportare un Tommy Shelby geloso e infuriato.
 
Jalia attraversava il corridoio con la cesta dei panni sporchi tra le braccia. Poiché non riusciva a stare con le mani in mano, aveva deciso di aiutare la signora Miles con le faccende di casa. Diana si trovava in cucina insieme a Milos per tentare di infornare i biscotti, e lei si era congedata per non disturbare. Mentre si dirigeva al piano superiore, scorse Finn che si aggirava nella camera di Diana.
“Finn, non puoi stare qui. E’ la stanza privata della signorina Hamilton.”
Il ragazzo, colto in flagrante, nascose dietro la schiena qualcosa.
“Ehm … sì, io … stavo controllando … che fosse tutto apposto.”
Jalia inarcò il sopracciglio, quella era bugia che non funzionava, e spalancò la porta.
“Fingo di crederci. Esci, forza!”
Finn imprecò a bassa voce quando dal fondo del corridoio vide avanzare Diana e Milos.
“Cos’abbiamo qui? Un ficcanaso.” Lo canzonò Milos.
“Stavo solo controllando che non ci fosse nessuno nella stanza.”
Milos entrò nella camera e si mise a girovagare di qua e di là con un sorriso malizioso sulle labbra.
“Questo cassetto è stato aperto. Finn, non dirmi che sei un ladro di mutandine!”
Fin arrossì di rabbia dalla punta dei capelli alla punta dei piedi.
“Che cazzo hai detto?”
Diana si mise in mezzo ai due ragazzi per evitare che si azzuffassero.
“Basta! State calmi! Finn, che ci facevi davvero in camera mia?”
“Te l’ho già detto.”
Milos sghignazzò, divertito dall’espressione imbarazzata di Finn.
“Dovresti controllare le sue tasche, magari ha rubato un tuo reggiseno per poterlo annusare.”
“Ti spacco la faccia, coglione!” lo minacciò l’altro ragazzo.
Jalia afferrò Finn per le spalle e lo tenne fermo, non era il caso di assecondare una rissa tra imbecilli. Diana spostò lo sguardo dall’uno all’altro ragazzo, dopodiché si avvicinò al comò e aprì il cassetto per capire se Finn avesse preso qualcosa.
“E questo cos’è?”
Nascosto fra gli indumenti, c’era un biglietto piegato che riportava il nome della ragazza.
“E’ la lista di cose che il pezzente ha rubato.” Disse Milos.
Diana lo fulminò con gli occhi.
“Chiudi il becco, Milos!”
“E’ … una cosa per te.” confessò Finn, il rossore che gli affluiva sulle gote.
Diana, curiosa più che mai, lesse il biglietto ad alta voce.
Subito a me il cuore si agita nel petto solo che appena ti veda, e la voce non esce, e la lingua si spezza. Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, e gli occhi più non vedono, e rombano le orecchie. E’ una poesia di Saffo.”
“Sì. – disse Finn – Mi ricordo che l’estate scorsa tu me la leggesti in riva al mare.”
Diana sorrideva, le brillavano gli occhi, nello stomaco sentiva le farfalle che facevano un gran baccano.
“Perché hai scritto questo biglietto per me?”
“Perché io …”
Finn si zittì. Diana andava protetta e lui era una minaccia, pertanto si liberò dalla presa di Jalia e andò via di casa sbattendo la porta. Diana si portò una mano sul cuore, batteva forte come accadeva ogni volta che si trattava di Finn.
 
Polly fumava placidamente mentre osservava la pioggia battere contro i vetri.
“Mamma.” Disse Michael alle sue spalle.
Era sceso faticosamente in cucina, sentiva ancora i muscoli indolenziti per via del pestaggio.
“Siediti. Dobbiamo parlare.”
Il ragazzo si sedette digrignando i denti, la pelle del viso irritata gli tirava e gli faceva male.
“Di che cosa dobbiamo parlare?”
Polly spense la sigaretta nel posacenere e si alzò per preparare il the, la bevanda giusta per affrontare un discorso difficile.
“Di Amabel. Com’è successo?”
“Mamma …”
“Rispondi.”
Michael aveva la testa che pulsava, non dormiva bene da due giorni e sua madre non faceva altro che peggiorare le sue condizioni.
“E’ successo e basta. Un giorno è entrata nel mio ufficio per avere una consulenza sul matrimonio di Evelyn con Jacob Cavendish, era elegante e sembrava intelligente. Era la donna più bella che io avessi mai visto. Da quel momento i miei sentimenti per lei sono andati aumentando fino ad innamorarmene.”
“Lei è la moglie di Tommy, dannazione!” disse Polly.
“Lo so! Ho abbandonato ogni speranza quando ho capito che fra lei e Tommy c’era qualcosa. Anche oggi non ho pretese di alcun tipo perché so che Tommy mi ammazza se provo a prendermi sua moglie. E so anche che Amabel è innamorata persa di lui e non potrebbe mai amare me.”
Polly si addolorò per la tristezza nella voce del figlio. Un amore non ricambiato era una ferita aperta che bruciava.
“Come faceva Evelyn a saperlo?”
“Ti ricordi l’inaugurazione della clinica? Ecco, quella sera mi ero incantato a guardare Amabel ed Evelyn me lo ha fatto notare. Le ho raccontato tutto nella speranza di trovare un minimo di sollievo. Ho un fatto un errore madornale, mamma.”
Michael poggiò la fronte sul tavolo, attento a non spostare le garze, ed emise un verso strozzato. Polly si abbassò a baciargli la testa.
“Non sapevi che Evelyn avrebbe usato contro di te questa cosa. Cazzo, nessuno si aspettava che quella ragazza si rivoltasse contro di noi. Mi dispiace solo che tu non sia venuto da me.”
“E cosa avresti detto? Che dovevo stare lontano da Amabel, che dovevo smettere di pensare lei, che Tommy si sarebbe incazzato come una bestia.”
“Sì. – confermò Polly – Ti avrei detto queste esatte parole perché Tommy Shelby odia chi tocca ciò che gli appartiene. Una parte di lui ti odierà a vita.”
“Non permetterò a Evelyn di spaccare in due la nostra famiglia. Quando tutto sarà finito, mi trasferirò a New York. Oliver dice che è una città ricca di opportunità per i giovani.”
“E’ giusto così, figlio mio.”
 
Amabel fece ritorno al caravan circa due ore dopo il litigio con Tommy. Dopo la passeggiata, si era seduta sulla riva a lanciare sassolini in acqua e infine aveva scambiato qualche chiacchiera con Marie. Chiusasi la porta alle spalle, sussultò quando trovò Tommy seduto sul letto con gli occhiali da vista e il giornale sulle gambe.
“Sei rimasto qui tutto il tempo?”
Tommy annuì senza staccare gli occhi dall’articolo sullo sport.
“Sì. Stando al giornale, il cavallo di Bobby Kimber ha vinto le corse stamattina. Che bastardo.”
Amabel si sporse oltre il giornale per leggere e un nome le balzò all’attenzione: Belcharles.
“Hai fatto correre un cavallo anche tu?”
Tommy sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso, lieto che lei avesse notato quel dettaglio.
“Hai presente quando ci incontravamo in quella villetta fuori città? Uno dei cavalli è un bellissimo purosangue nero che ho comprato a Liverpool dopo la nascita di Charlie. Io e Curly lo abbiamo allenato meglio che potevamo e lo abbiamo iscritto alla gara. Il suo nome è l’unione di ‘Bel’ e ‘Charles’.”
“Hai chiamato sul serio un cavallo come me e Charlie?”
Amabel si lasciò sfuggire un sorriso raggiante, quello era un bel gesto d’amore. 
“Sì.”
“Oh, Thomas!”
Il giornale cadde quando Amabel si fiondò su Tommy per abbracciarlo. Odorava di tabacco e whiskey, e lei pensò che non ci fosse odore migliore al mondo.
“Mi dispiace per prima. Sono stato uno stronzo.”
“Lo so.”
Tommy fece una breve risata. Se c’era una cosa a cui non avrebbe mai rinunciato era l’affetto di Amabel. Per quanto fosse profonda l’oscurità della sua vita, lei sarebbe sempre stata la sua alba che risorgeva ogni giorno scacciando via le tenebre della notte.
“E non chiamarmi Tommy, ti prego. Lo detesto.”
Amabel lo guardò negli occhi – meravigliosamente azzurri – e allungò le dita per toccargli il viso.
“D’accordo, Thomas.”
Tommy le stampò un paio di baci sulla bocca facendola ridere. Amabel si scostò per togliersi il cappotto e le scarpe, ormai aveva ricominciato a diluviare e uscire non era fattibile. Si sbottonò la camicetta mentre dava un’occhiata al contenuto nella pentola preparata da Marie.
“Che roba è? Non ha un buon profumo.”
Tommy studiava il modo in cui il petto di Amabel si incurvava sul seno, quasi gli sembrava di poter sentire il suo cuore battere. Aveva voglia di assaporare quella pelle che conosceva bene, di toccare quel corpo dalle forme armoniose.
“Thomas, mi stai ascoltando? Marie dice di aver cucinato carne e verdure, ma a me sembra che dentro la pentola ci sia del pesce avariato.”
“Perché è probabile che ti spaccino il pesce per carne. Marie abita vicino al fiume, cosa credi che cucini?”
Amabel fece una smorfia di repulsione, forse lei cucinava meglio anche senza sapere fare una frittata.
“Lo sai che tra le cose di Bertha ho trovato il suo libro di ricette? Dovremmo imparare a cucinare.”
“Dovremmo?” chiese Tommy, metà basito e metà divertito.
“Secondo te cucino solo io? No, mio caro! Non abbiamo domestiche, perciò dovremmo imparare entrambi a cucinare.”
Tommy non disse nulla, anzi l’abbracciò da dietro e le sfiorò il collo con la mano. Amabel rabbrividì. La finestra si spalancò di colpo facendo entrare freddo e pioggia. Amabel si affrettò a richiuderla per impedire al gelo di penetrare all’interno.
“Vieni qui, Bel.” Disse Tommy, le mani in tasca, la sigaretta all’angolo della bocca.
Amabel si appoggiò sul bordo del piccolo tavolo e gli tolse la sigaretta per buttarla nel lavandino.
“Che c’è?”
Tommy tracciò il contorno delle sue labbra col pollice, il palmo della sua mano era fresco contro la guancia di lei.
“Un desiderio.”
Amabel rise a quel riferimento, il ricordo di quella loro prima giornata trascorsa insieme era ancora vivido.
“Quale sarebbe?”
“Stanotte ti voglio tutta per me.” sussurrò Tommy.
La spinse dolcemente per farla sedere sul tavolo. Amabel gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi e incominciò a sbottonargli la camicia.
“Sono più che felice di esaudire questo desiderio.”
Senza indugiare oltre, Tommy la bacio con impeto. Fuori il cielo tuonava e la pioggia scrosciava forte, ma per una volta dimenticarono il mondo esterno e si dedicarono l’uno all’altro. Il bacio diventò sempre più passionale, le mani erano in preda all’euforia di toccare quanta più pelle possibile, e i vestiti cadevano uno ad uno. Tommy le abbassò la spallina del reggiseno e scese a baciarle il collo e le clavicole, poi la sua bocca scivolò verso il seno.
“Lo sai che mi fai fottutamente perdere la testa, Bel?”
Amabel sorrise contro la bocca di Tommy, poi gli succhiò il labbro facendolo gemere.
“Oh, lo so.”
Tommy le sollevò la gonna per sfilarle l’intimo, frattanto continuava ad irretirla di baci. Amabel gli baciò il collo mentre gli slacciava i pantaloni, quindi si avvicinò di più a lui. Si staccarono per un momento quando un ramo colpì la fiancata del caravan. La pioggia cadeva a raffica mescolandosi alle urla del vento, sembrava l’anticamera dell’inferno. Tommy si era rabbuiato, quei rumori gli rammentavano il caos della guerra.
“Guardami. – disse Amabel – Pensa soltanto a me, Thomas.”
Tommy la guardò con insistenza per qualche secondo, i battiti del cuore rallentarono e l’agitazione improvvisa andava scemando.
“Sono a casa.”
Lei gli massaggiò le spalle per alleviare i muscoli tesi, era un metodo che le aveva insegnato Oliver per calmare gli attacchi di panico dopo la Francia.
“Sei a casa. Ci sono io con te.”
Lui annuì, e per fortuna il suo respiro era di nuovo regolare. Con le mani accarezzò le cosce di Amabel facendole venire la pelle d’oca.
“Sì, ci sei tu.”
“Pensa a noi, Thomas.”
Allora Amabel lo baciò e gli mise le mani sui fianchi per guidarlo dentro di sé. Tommy emise un gemito roco per quella sensazione appagante che gli pervadeva il corpo. Trovarono presto il ritmo giusto e ogni movimento era un delizioso afflusso di piacere. Amabel si aggrappò alle spalle di Tommy e si beò dei muscoli tonici della schiena, perciò affondò le unghie in quella carne bianca. In risposta, Tommy gemette ancora e si spinse in lei facendo emergere un guizzo di goduria. Gli ansimi di Amabel erano un incentivo a proseguire. Quando lei gettò la testa all’indietro, Tommy ne approfittò per lasciarle un bacio sulla vena pulante del collo. Tra di loro il piacere scorreva come il sangue scorreva nelle vene, caldo e vivo.
Tommy sorrise e le baciò la fronte, al che Amabel posò la guancia contro il suo petto. Trascorsero svariati minuti in silenzio nel tentativo di placare i battiti e smorzare i respiri concitati. Dopo essersi separati, Tommy si mise sul letto a fumare.
“Questa non era una delle idee per intrattenerti, ma ha superato le mie aspettative.”
“A Giselle dispiacerà sapere che non abbiamo bisogno di un frustino.” Disse Amabel.
Si sedette a cavalcioni sul bacino di Tommy e gli stampò un bacio sul naso. Tommy rise mentre espirava il fumo in una striscia bianca in dissolvenza.
“Io ho solo bisogno di mia moglie. Il resto può andarsene a fanculo.”
“Romantico.” Chiosò Amabel.
“Lo so.”
Tommy le diede una pacca giocosa sul sedere che la fece trasalire. In fin dei conti stare con una donna dabbene dell’alta società alle volte era divertente.
“Thomas.”
“Mmh?”
“Ma se buttassi via quella sigaretta e facessi l’amore con me?”
Gli occhi di Tommy si illuminarono, lei sapeva come attirare la sua attenzione.
“Lo facciamo lento come piace a noi?”
“Sì.”
Intanto le dita di Tommy le avevano sganciato il reggiseno e ora le toccavano teneramente i seni.
“E vuoi sentire ogni minimo dettaglio?”
“Sì.”
Amabel gemette quando la bocca di Tommy, calda e piena, le blandì il petto di baci umidi.
“Sarai accontentata, amore mio.”
Il resto della nottata trascorse tra baci e intime carezze, e poco importava se tutto intorno a loro stava andando in malora.
 
Diana fissava il pendolo oscillante con una terribile ansia che le faceva dolere lo stomaco. L’orologio segnava mezzanotte e un quarto. Londra era avviluppata in un temporale che non accennava a smettere. E poi, cosa ben peggiore, Finn non era ancora rientrato. Verso le undici Jalia e la signora Miles, stanche di aspettare, erano andate a dormire e solo Milos le aveva fatto compagnia per un po’. Il ragazzo, però, si era appisolato sul divano da un’orai oramai. Diana immaginò il peggio: Finn ubriaco marcio da qualche parte, Finn picchiato a sangue, o addirittura Finn senza vita. Quel pensiero le suscitò una tale paura che si mise a piangere senza volerlo. Si accorse delle lacrime solo quando queste le bagnarono il mento. I suoi occhi lucidi strabuzzarono quando la porta d’ingresso cigolò per segnalare l’arrivo di qualcuno.
“Finn!”
Finn era zuppo d’acqua, il soprabito gocciolava sul parquet e sul suo viso la pioggia sembrava un pianto. Diana si lanciò su di lui per stritolarlo in un abbraccio.
“Oh, Finn, ero così preoccupata per te! Ho temuto il peggio. Io temevo che gli uomini di Kimber ti avessero trovato e che … che … “
“Sto bene, Diana.” Assicurò lui, eppure il suo tono di voce era spento.
“Sicuro? Sei ferito? Vieni accanto al fuoco! Ti preparo qualcosa di caldo? Vuoi una coperta?”
“No.”
Diana rimase ferita quando Finn la ignorò e salì le scale per raggiungere la camera degli ospiti. Lei riuscì ad intrufolarsi nella stanza prima che il ragazzo chiudesse la porta.
“Esci. Va a dormire. Scommetto che al tuo ragazzo dà fastidio se resti qui.”
“Milos non è il mio ragazzo!”
“E lui lo sa?”
Finn si spogliò velocemente per evitare di prendersi un malanno, anche se a quel punto poteva già essersi beccato l’influenza. Diana era rossa di vergogna perché era la prima volta che si trovava in presenza di un ragazzo mezzo nudo.
“F-fin che s-stai fac-cendo?”
Finn spense il lume sul comodino e si mise a letto, al riparo dal freddo notturno.
“Buonanotte.”
Fu così che Diana inaspettatamente compì un gesto che spiazzò il ragazzo. Si infilò sotto le coperte e si rannicchiò contro di lui.
“Non cacciarmi. Ti prego.”
“Diana …”
“Non lasciarmi da sola stanotte.” Lo supplicò Diana, gli occhi ancora rossi di pianto.
“D’accordo.”
La mano di Finn si piazzò delicatamente sul fianco della ragazza, che si rilassò a quel tocco.
“Ho pensato al tuo biglietto per tutto il giorno. Sei stato molto dolce. Inoltre, ora hai davvero una bella grafia e scrivi bene.”
“Quel biglietto è una stronzata. Non avrei dovuto scriverlo.”
“Perché lo hai scritto? Io credevo che tu … tu non mi amassi più.”
Finn deglutì. Aveva mentito per così tanto tempo che adesso affrontare la verità era doloroso.
“Non lo so il perché.”
“Finn, ho bisogno di sapere la verità perché mi manchi. Mi manca quello che eravamo.”
“E Milos? Siete andati al museo, vi siete baciati e avete anche fatto i biscotti insieme.”
Diana si mise seduta, era irrequieta come un uccellino in gabbia.
“Volevo farti ingelosire. Sapevo che Martin ti avrebbe detto di avermi visto con Milos e speravo che tu reagissi in qualche modo. Invece non hai fatto nulla e ho capito che non ti interessa più di me. Quel bacio con Milos non vale niente per me. Mentre lo baciavo io pensavo a te. Io penso sempre a te.”
Finn sorrise a trentadue denti, quello era tutto ciò che voleva sentirsi dire da quando aveva messo piede in casa.
“Anche io penso sempre a te, Diana.”
Diana si avventò su di lui per baciarlo come non faceva da settimane. Avvertì le mani di Finn sui fianchi e approfondì il bacio abbracciandolo più stretto.
“Sei tutto quello che voglio, Finn Shelby.”
In un baleno Diana si ritrovò sotto il corpo di Finn, si baciavano con affanno dopo una lunga mancanza. Le piccole mani di Diana si posarono sul petto del ragazzo con un leggero tremolio. Finn dovette staccarsi per non metterla a disagio.
“Non dobbiamo correre.”
“Sì, lo so. Scusami, mi sono lasciata trasportare dal momento.”
Finn ricadde sul materasso con un sorriso da ebete.
“Dormi con me stanotte?”
“Tutte le notti da adesso in poi.”
Diana si addormentò serena dopo tanto tempo, cullata dalle braccia dell’unico ragazzo a cui apparteneva il suo cuore.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questo capitolo è piuttosto positivo. Amabel e Thomas hanno trascorso del tempo – ottimo, direi – insieme e Diana e Finn sono finalmente tornati insieme.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 8
*** Macerie di sangue (PT.I) ***


8. MACERIE DI SANGUE PT. I

“There’s a devil inside of me,
and he’s holding on
and I don’t know if he’s staying or for how long.
Polling at my heart strings,
Kicking in my mind
And I’m so sad to say he’s got me thinking about the bad parts of my life.”
(Devil inside me, Frank Carter & The Rattlesnakes)
 
Tommy avrebbe voluto tendere la mano e prendere la bottiglia di whiskey che Johnny gli aveva fatto recapitare la sera prima. Si era svegliato che pioveva ancora a dirotto, il cielo era un manto grigio scuro solcato da nuvoloni neri minacciosi. La testa gli doleva, le tempie pulsavano, e le cicatrici gli prudevano. Amabel dormiva serena, i capelli castani sparpagliati sul cuscino come fili di bronzo. Si era svegliato di soprassalto nel cuore della notte con il frastuono della guerra nella testa. Sua moglie, troppo stanca, non si era accorta di niente e lui si era stretto a lei per cercare un rifugio sicuro. Solo all’alba la sua mente sembrava essersi quietata, così era riuscito a riprendere il controllo della situazione ma aveva abbandonato la speranza del sonno.
“Thomas.” Mugugnò Amabel, affondando la guancia nel cuscino.
Tommy, seduto sul bordo del letto, si voltò per salutarla.
“Buongiorno.”
Amabel si accorse subito che qualcosa non andava, suo marito era pallido e due cerchi neri gli deturpavano gli occhi. Gli accarezzò la nuca dolcemente.
“Stai bene?”
“Sto bene. Mi danno solo fastidio queste cicatrici del cazzo.”
“Lo sai che è colpa della pioggia che stuzzica il tessuto cicatriziale.”
Tommy abbozzò un mezzo sorriso, era confortante sapere che sua moglie avrebbe sempre avuto una spiegazione medica.
“Lo so.”
Amabel si sollevò per baciargli la spalla dove figurava una brutta cicatrice frastagliata.
“Lascia che sia io a prendermi cura di te.”
Tommy tornò a sdraiarsi, il lenzuolo copriva appena la sua nudità, e Amabel si meravigliò per la centesima volta della bellezza di quel corpo marmoreo.
“Nella mia fottuta testa c’è qualcosa che non va. La guerra non mi dà pace.”
Amabel baciò una piccola cicatrice sul bicipite destro, la sua bocca era calda sulla pelle fredda di lui. Scese a baciare le altre cicatrici sul petto e sull’addome, mentre con la mano gli dava tenere carezze.
“Potremmo provare a vedere un medico. So che a Londra c’è un terapeuta esperto di stress post traumatico. Lo so che questa opzione non ti piace, ma potrebbe essere la soluzione che ci serve.”
Tommy le rivolse un’occhiata confusa.
“Ci serve? A te non serve mica uno strizzacervelli.”
“Invece sì. – disse Amabel – Io sono al tuo fianco in ogni cosa che fai. Anche io mi porto dietro il trauma della guerra e della perdita di mio figlio. Il fatto che io sorrida sempre non vuol dire che sto bene. Nessuno di noi è tornato dalla Francia. Siamo tutti morti in quel fango e in quel sangue.”
Tommy ricordava la prima volta che aveva conosciuto Amabel, all’epoca era una ventenne che si faceva spazio nel mondo degli adulti e soprattutto una donna che si faceva spazio nel mondo degli uomini. Era giovane, piena di speranze ed era innocente. Sebbene fosse pura, Amabel si era dimostrata forte sin da subito. Lei non vacillava mai, era determinata, era testarda e tutti pensavano che una così non potesse essere vulnerabile ma Tommy aveva capito che Amabel aveva solo imparato a seppellire il dolore e lo faceva in maniera straordinaria.
“Pensi che un medico possa davvero aiutarci?”
“Sì, Thomas. La sofferenza forse non andrà via, ma noi staremo un pochino meglio.”
Tommy chiuse gli occhi e l’abbracciò per ricavare consolazione da quelle braccia. Oltre alla sua famiglia, solo Amabel aveva conosciuto Thomas. Il vero Thomas. Il ragazzo malizioso, divertente, sempre pronto allo scherzo, quello romantico e spensierato. Ed era stanco di Tommy, l’uomo oberato dalle responsabilità, il criminale, l’assassino, e il suo unico desiderio era quello di vivere finalmente libero.
“Aiutami, Bel.”
Amabel se lo strinse al petto e gli baciò la testa, il mix di alcol e fumo impregnava le lenzuola.
“Ci penso io a te.”
 
Finn scese in cucina con un sorriso radioso che avrebbe illuminato tutta Londra.
“Buongiorno, signor Shelby. Cosa gradite per colazione?” domandò la signora Miles.
Diana, seduta a capotavola, nascondeva un sorrisetto dietro la tazza di the.
“Prendo una fetta di crostata.”
Jalia si era svegliata alle sei per preparare la crostata di mele – una sua specialità – ed era contenta che tutti ne avessero preso una fetta.
“Com’è? Ci ho aggiunto un pizzico di vaniglia.”
“Ottima.” Rispose Diana, che piluccava il dolce con la forchettina.
Al contrario, Finn stava già divorando la seconda fetta ricoprendosi di briciole.
“E’ buonissima.”
“Finn, sei tutto sporco. Sei proprio un bambino!”
Diana si protese sul tavolo per pulire la bocca di Finn col tovagliolo. Erano così vicini che il profumo della ragazza lo inebriava. Finn fissò le labbra di Diana e dovette reprimere l’impulso di baciarla.
“Buongiorno, gente!” strillò Milos entrando in cucina con un enorme mazzo di fiori.
La signora Miles storse il naso perché era allergica alle primule.
“E quelli da dove vengono?”
Milos poggiò i fiori sul tavolo e scoccò un bacio sulla guancia di Diana.
“Sono uscito per comprare questi fiori a Diana. Un bel mazzo per una bella ragazza.”
Jalia inarcò le sopracciglia, quel ragazzo non le stava per niente simpatico.
“Hai rubato le primule dal parco qui vicino? Sono le stesse che ho visto la settimana scorsa. Inoltre, la carta è tutta rovinata.”
Finn rise e quasi si soffocò con la crostata, e la signora Miles gli diede dei colpetti sulla schiena per farlo ingoiare.
“Comprare, rubare, che differenza sottile!” disse Milos con nonchalance.
“Bene. – disse Diana – Milos, va a rimettere le primule al loro posto. Non vorrei mare un mazzo di fiori sulla coscienza. Lo faresti per me?”
Milos gonfiò il petto come un gallo, persuaso dallo sguardo dolce di Diana.
“Farei di tutto per te, mia bella signorina.”
Quando Milos uscì di casa con le primule sotto braccio, Diana fece cenno a Finn di seguirla.
“Io e Finn andiamo ad esercitarci al pianoforte.”
“Da quando Finn suona?” chiese Jalia, la fronte corrugata.
La signora Miles sospirò e scosse la testa.
“Quei due non stanno andando a suonare, fidati.”
 
Diana prese posto sul tappeto di fronte al camino e incominciò a sfogliare ‘La piccola Fadette’,  il libro che aveva scelto di leggere quella settimana. Finn stava supino accanto a lei e guardava il lampadario di cristallo appeso al soffitto.
“Che libero è?”
“E’ un romanzo di George Sand. Vuoi sapere una curiosità? L’autrice è Amantine Dupin che, essendo donna, pubblicava le sue opere sotto pseudonimo maschile. Incredibile!”
“Tu vuoi fare la scrittrice?”
Diana smise di leggere, quella domanda l’aveva in qualche modo turbata.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché ti piace leggere e dici sempre che ci sono poche scrittrici donne.” Disse Finn.
“E come vedi molte donne desiderose di scrivere usavano nomi falsi.”
Finn si mise dritto, colpito dalla reticenza della ragazza.
“Stai evitando la mia domanda. Perché?”
Diana accantonò il libro e si portò le ginocchia al petto, si sentiva smarrita tutt’un tratto.
“Io non so cosa voglio fare. Insomma, ho diciotto anni e fra tre mesi avrò la licenza di scuola superiore. Mio padre diceva sempre che avrei dovuto seguire le orme di Amabel, diventare un medico come tutti i membri della famiglia. Ero sicura di questo fino a quando Evelyn non ha intrapreso gli studi per diventare maestra, allora ho capito che forse anche io potevo scegliere un’altra strada.”
Finn si avvicinò a lei per circondarle le spalle con un braccio, voleva farla sentire protetta.
“Hai mai pensato a cosa scegliere?”
“Io amo leggere e amo gli animali. Credo di dover scegliere tra le due.”
“Vuoi diventare veterinario? E’ una bella cosa.”
Diana si abbandonò a lui, voleva essere sicura che almeno Finn fosse una costante nella sua vita.
“Io vorrei allevare cavalli. Il cuore mi esplodeva di gioia quella volta che Tommy mi ha fatto visitare il maneggio dei Carleton. May è davvero brava, mi piacerebbe essere in gamba come lei.”
“Tu sei già in gamba, Diana. Sei fottutamente in gamba. Puoi fare quello che vuoi perché sei capace. Se lavorare con i cavalli è la tua passione, puoi farlo.”
“Ho paura di deludere Amabel. Lei si aspetta che io diventi medico.”
“No. – disse Finn – Tu non deluderai mai Amabel. Tua sorella vuole solo la tua felicità e ti appoggerà qualunque cosa sceglierai. Se c’è una cosa che ho imparato di Amabel è che non abbandona le persone che ama.”
“Oh, Finn! Cosa farei senza di te?”
Finn arrossì e si grattò il mento, non era avvezzo a quelle attenzioni.
“Ascolta, Diana … ecco … sono stato un vero stronzo con te. Ti ho fatto credere di non essere importante, ti ho fatto del male perché mi ubriacavo e me ne stavo sempre in giro con gli amici. Ho dovuto lasciarti per non ferirti più, anche se ti amavo. Anzi, io ti amo. La morte di Isaiah …”
“E’ stata un brutto colpo. Lo capisco, e mi dispiace di non esserti stata affianco come dovevo. Ci siamo feriti abbastanza, direi che possiamo anche smetterla.”
Diana gli sfiorò le mani con la punta delle dita, un soffice tocco che nascondeva un grande sentimento.
“Vuoi essere di nuovo la mia ragazza?”
“Io sono sempre stata la tua ragazza.”
Finn si chinò a baciarla e Diana sorrise senza alcun terrore. Bertha aveva ragione a dire che se qualcosa è destinato a fare parte della tua vita nulla potrà mai farlo andare via.
 
La signora Miles servì la cena alle otto in punto. Tutti si erano accomodati intorno al tavolo, mani pulite e tovagliolo sulle gambe. Finn e Diana erano seduti di fronte, si lanciavano occhiatine fugaci e teneri sorrisi. Jalia, che li aveva visti baciarsi, in cuor suo ne fu più che felice.
“Mangiamo? Muoio di fame.” Esordì Milos.
“Certo. – disse la signora Miller – La cena è servita, prego.”
La signora Miles era una donna votata al dovere, severa, ma con un animo buono. Diana si trovava bene in sua compagnia, spesso suonava per lei e insieme ricamavano. Benché la mancanza di Bertha fosse una presenza costante, la nuova governante era un’ottima aggiunta alla famiglia.
“E’ squisito.” Si complimentò Jalia, il suo piatto era già mezzo vuoto.
“Ti ringrazio, cara. Il segreto è far rosolare la carne nel vino buono. Un vino scadente fa una cena scadente.”
“Lo dice anche zia Polly.” Disse Finn, e intanto affondava la forchetta nella purea di patate.
“Polly cucina bene. Prepara delle cenette niente male.” disse Diana.
“Mia madre cucina meglio.” Intervenne Milos, infastidito.
Diana non lo stava degnando di uno sguardo e quella indifferenza lo faceva ingelosire. Sembrava che la ragazza fosse di nuovo in sintonia con Finn. Jalia intercettò gli occhi furenti di Milos su Finn e si preoccupò.
“Sono sicura che tua madre sia bravissima. Allora, dopo cena chi vuole un altro pezzo di crostata?”
In quel momento un boato rimbombò in tutto l’appartamento. Finn e Milos schizzarono in piedi, pronti a qualsiasi evenienza. La signora Miles si parò davanti a Diana e Jalia per difenderle. Tre uomini fecero irruzione in cucina con le armi spianate. Uno di loro indossava un passamontagna che lasciava intravedere solo due occhi scuri come la pece.
“Buonasera a tutti. Scusate l’intrusione!”
“Scusa un cazzo! - disse Finn – Che cazzo volete da noi? Lo sapete che io sono il fratello di Tommy Shelby?”
L’uomo rise e depose la pistola sul tavolo in un atto di sfida.
“Allora prendi quella cazzo di pistola e sparami. Se sei un vero Shelby, mi ammazzerai senza pensarci troppo.”
Finn era tentato di impugnare la pistola e salvare la situazione, ma al tempo stesso non voleva deludere le aspettative di Diana. La ragazza, infatti, gli stringeva la mano tremante di paura.
“Allora? Sto aspettando quel fottuto proiettile nelle cervella, Finn Shelby!”
“No.”
“Lo faccio io.”
Milos afferrò la pistola e la puntò contro l’uomo, il dito aleggiava sul grilletto. Lo sconosciuto rimase impressionato e batté le mani, la sua stessa crudeltà lo divertiva.
“Oh, abbiamo un uomo con le palle in questa casa!”
“Lascia quella pistola, Milos. Lascia quella fottuta pistola!” disse Finn, la voce dura, la mascella serrata.
“Perché? Questi stronzi vogliono ammazzarci come cani! Dobbiamo pur difenderci!”
Finn captava l’agitazione di Diana, la ragazza tremava come una foglia sbatacchiata dal vento. Jalia e la signora Miles si abbracciavano per trovare conforto l’una nell’altra.
“Perché noi abbiamo una sola pistola e loro sono armati. Coglione!” sbraitò Finn.
“Effettivamente il tuo amico ha ragione.” Disse l’uomo mascherato, l’accento di Birmingham era marcato.
“Che cosa volete? Soldi? Gioielli? Possiamo darvi tutto.” Disse la signora Miles.
L’uomo finse di riflettersi e poi fece spallucce, quindi si sedette sul tavolo con le braccia conserte.
“Noi siamo qui per una certa Diana Hamilton. Chi è di voi tre?”
Diana sussultò e rafforzò la presa sulla mano di Finn, che la coprì del tutto col proprio corpo.
“Tu non avrai Diana.”
“Io dico di sì. Non vogliamo di certo far arrabbiare Bobby Kimber, vero? Può essere controproducente irritare il suo umore instabile.”
“Evelyn non mi farebbe mai una cosa del genere!” disse Diana.
“A Evelyn non frega un cazzo di te. Non lo avete ancora capito? Ai Kimber interessano solo i loro affari. Ora, o venite con me con le buone oppure con le cattive. Decidete.”
Milos ebbe la folle idea di avvicinarsi all’uomo e puntargli la pistola al petto.
“Vaffanculo, amico!”
L’uomo mascherato ghignò. Artigliò il polso di Milos e lo piegò fino a spezzargli l’osso. Recuperò la pistola e col calcio colpì il ragazzo alla fronte.
“Sei un fesso, amico.”
Finn si piegò per aiutare Milos e ricevette un calcio sul mento che gli riempì la bocca di sangue.
“No!” gridò Diana, lanciandosi su Finn.
La ragazza raggelò quando avvertì la pistola contro la nuca.
“Vieni con noi e ai tuoi amichetti non sarà fatto alcun male.”
“D’accordo.”
“No, signorina Hamilton!” disse la signora Miles con le lacrime agli occhi.
Diana assunse la postura fiera e altera che Amabel le aveva insegnato: una donna non abbassa mai il capo dinanzi ad un uomo.
“Evelyn non permetterà a nessuno di farmi del male.”
L’uomo mascherato fece un cenno col capo e un suo collaboratore strattonò Diana fuori dall’appartamento. Finn spintonò l’uomo mascherato schizzando sangue per terra.
“Se le torcete un solo capello, giuro che vi farò pentire di essere nati.”
“Perdi in partenza. Io mi sono già pentito di essere nato.”
Finn si scagliò contro di lui con una rabbia inaudita, nessuno osava trattare uno Shelby come fosse spazzatura. L’uomo mascherato gli serrò la mano intorno alla gola ed esercitò una lieve pressione che fece diminuire l’afflusso di ossigeno al ragazzo.
“Mi sa che ti portiamo con noi, Shelby. Sarà un vero spasso squartarti e giocare con le tue budella.”
Finn ricadde a terra e si portò una mano al collo per massaggiarsi, faceva fatica a respirare. Il terzo uomo raccolse Finn dal pavimento e lo trascinò verso il camion che li attendeva fuori.
 
Quando Tommy tornò, Amabel stava giocando con la figlia di Marie a nascondino. Le loro risate riecheggiavano nella tenda.
“Amabel.”
La donna si allarmò subito perché, se Tommy l’aveva chiamata per nome, era successo di sicuro qualcosa di brutto.
“Che c’è?”
“Vieni con me, per favore.”
Amabel fu sopraffatta dall’angoscia quando fuori trovò Polly, Michael e Arthur.
“E’ morto qualcuno?”
“Non ancora.” rispose Arthur, beccandosi uno scappellotto da Polly.
Tommy le toccò il gomito per farsi guardare, e negli occhi di sua moglie lesse il terrore puro.
“E’ successo un imprevisto. Finn e Diana sono stati rapiti da Kimber.”
Amabel rimase immobile per qualche secondo nel tentativo di elaborare quella nuova – e tremenda – informazione.
“Non è vero. Non può essere vero. Tu … tu mi avevi promesso di proteggere Diana … tu … tu mi hai raccontato un sacco di balle!”
Tommy non si mosse quando sua moglie gli diede diversi pugni sul petto. Era ferita e arrabbiata, non ci si poteva aspettare che rimanesse gentile anche in un simile contesto.
“Oh, povera. – disse Polly – Sono certa che Evelyn non farà del male a Diana. E’ sua sorella.”
Amabel si lasciò abbracciare da Polly come fosse sua madre, e in quel momento aveva tanto bisogno che ci fosse sua madre a rasserenarla.
“Adesso ci fidiamo di quella stronza?” domandò Arthur lisciandosi i baffi.
Tommy lo trucidò con lo sguardo, non era l’occasione adatta per scherzare.
“Non ci fidiamo di lei, ma speriamo che almeno tratti bene sua sorella. E’ Finn che mi preoccupa. Bobby lo torturerà pur di ferirci.”
“E che facciamo? Non sappiamo dove li hanno portati, non sappiamo dove sia Bobby e non abbiamo un cazzo di indizio!” sbottò Michael.
Il suo volto era ancora bendato, qualche chiazza rossiccia imbrattava le garze ma nulla lo avrebbe trattenuto dal supportare Amabel in una tale circostanza.
“Ce ne occupiamo io e Arthur.” Disse Tommy.
“Ovvio. – disse Amabel – Tanto non conta che la vita di due ragazzini è in pericolo! A te interessano solo gli affari e la vittoria! Sei proprio uno stronzo!”
Tommy restò saldo, mani in tasca, sigaretta in bocca, e gli occhi fissi davanti a sé. Non fu nemmeno turbato quando Amabel andò via insieme a Polly.
“Qual è il vostro piano? So che ne avete uno. Me lo ha detto mamma.” Disse Michael.
“Impara a farti i cazzi tuoi e campa cent’anni.” Replicò Tommy.
Arthur scoppiò a ridere per la faccia da pesce lesso di Michael, dopodiché lui e Tommy salirono in auto per mettere a punto il loro piano.
 
Evelyn era stufa di starsene chiusa in casa per tutto il weekend. Bobby era andato a Manchester per comprare un paio di cavalli da corsa e si era rifiutato di portarla con sé adducendo la scusa che una moglie non deve intromettersi negli affari del marito. Joseph era in compagnia della sua tata, quindi non poteva nemmeno stare con suo figlio. Aveva provato a leggere qualche libro ma si era annoiata subito dopo poche pagine. La sua solitudine fu interrotta quando una delle cameriere bussò alla porta del soggiorno.
“Signora, c’è un telegramma da vostro marito. E’ urgente.”
“Portamelo.”
Evelyn trattava la servitù con superbia come le aveva insegnato zia Camille. Quella gentaglia lavorava per lei, serviva lei, e pertanto dovevano essere trattati come l’ultima ruota del carro.
“Ecco a voi.”
“Ora sparisci.”
La ragazza consegnò il telegramma, si inchinò e uscì velocemente per tornare alle proprie mansioni. Evelyn rimase delusa quando lesse il messaggio del marito: ‘’Sono rimasto bloccato alla stazione di Manchester a causa di un guasto dei treni. Tornerò appena posso.’’.
Sperava che Bobby rientrasse in tempo per partecipare alla cena di Delma Bennett, una di quelle per cui valeva la pena indossare il vestito migliore e i gioielli più preziosi. Invece avrebbe trascorso la serata in quella villa enorme, da sola, con un vuoto nel petto.
“Bobby! Bobby! Andiamo, fatti vedere!” stava gridando una voce in corridoio.
Evelyn si ritrovò Giselle Bennett in abito da sera e una pesante pelliccia bianca.
“Signorina Bennett, cosa ci fate qui? E perché cercate mio marito?”
“Cerco vostro marito per una faccenda alquanto incresciosa. E’ in casa?”
“No, è rimasto bloccato a Manchester a causa di un malfunzionamento del treno. Potete riferire a me.” disse Evelyn.
Giselle sbuffò, sembrava una bambina insoddisfatta del suo nuovo giocattolo.
“Devo parlare direttamente con vostro marito. Voi non potete capire.”
“E chi dice che non posso capire?”
“Bobby. Secondo vostro marito voi siete troppo fragile per occuparvi di certe cose.”
Evelyn strinse i pugni per l’irriverenza di quella ragazza.
“Allora è bene che io dimostri a mio marito non essere fragile come pensa. Ebbene, qual è la faccenda incresciosa?”
Giselle tirò fuori dalla pochette una pipa e l’accese, almeno sperava di risollevarsi l’umore con un po’ di oppio.
“Uno dei suoi uomini mi ha detto di aver portato due ragazzini al vecchio mulino dei Kimber.”
“Due ragazzini? – fece Evelyn – Non capisco.”
“Non avevo dubbi! Comunque, non conosco i dettagli. So solo che Bobby deve presentarsi al vecchio mulino per risolvere la faccenda.”
“Ci penso io.”
Giselle ridacchiò.
“Credete davvero di essere in grado di occuparvene? Siete davvero una donna esilarante!”
Evelyn si innervosì per quella derisione, non era di certo colpa sua se era nata donna e se non poteva occuparsi degli affari degli uomini.
“Uscite da questa casa immediatamente!”
“Non c’è bisogno di scaldarsi tanto. Me ne sarei andata lo stesso, ho una cena a cui devo partecipare. Mia madre alle volte riesce a irritare parti di me che neanche pensavo di avere!”
“Andatevene.” Disse Evelyn.
Giselle sorrise e le mandò un bacino con la mano, dopodiché ancheggiò fino alla sua auto.
Evelyn sentì due lacrimoni correrle lungo le guance e subito le asciugò, doveva essere forte e dimostrare a Bobby di essere la moglie perfetta.
“Cameriera!”
“Sì, signora?”
“Chiama l’autista e digli di accompagnarmi al vecchio mulino dei Kimber. Alla svelta!”
“Certo, signora.”
 
Evelyn si pentì di aver seguito il proprio – stupido – istinto. Il vecchio mulino era immerso nel nulla. Si trattava di un rudere nella campagna intorno a Birmingham che un tempo aveva ospitato una decina di macinatori per la preparazione del pane. Ora era solo una proprietà fatiscente e abbandonata, circondata da chilometri di campi coltivali e canali di irrigazione.
“Siete sicura di voler scendere, signora?” chiese l’autista.
Evelyn sospirò, aveva paura ma al tempo stesso era mossa da un insolito coraggio. Una flebile luce proveniva dall’interno del mulino.
“Sono sicura.”
“Volete che io sia con voi?”
“No, ci penso da sola. Tu resta qui e sii pronto a ripartire in qualsiasi momento.”
“Come volete, signora.”
Era buio pesto, fortuna che i fari della macchina illuminavano il tragitto sino al portone scardinato. Non appena superò la soglia, una trave cadde a un metro da lei. Evelyn strillò e subito si tappò la bocca con le mani. Il vociferare che fino ad allora si era sentito all’improvviso si bloccò. Un uomo mascherato avanzò dal buio come fosse un angelo della morte.
“Chi abbiamo qui? Una bella intrusa.”
“Sono Evelyn Kimber! La moglie di Bobby!”
L’uomo parve stranito dalla sua presenza, ma si premurò di porgerle la mano per scavalcare la trave caduta.
“Perché siete qui? E vostro marito dov’è?”
“Mio marito è impossibilitato. Ha mandato me al suo posto.”
“Noi pensavamo che avrebbe mandato Giselle.”
“No. – disse Evelyn – La signorina Bennett ha altri impegni per stasera. Per caso vi disturba che io sia qui?”
“Assolutamente no. Mi stupisce, ecco. Il signor Kimber di solito si occupa degli affari di persona.”
“Beh, io sono sua moglie e anche io posso occuparmi degli affari. Dove sono i ragazzini che avete preso?”
L’uomo mascherato rimise la pistola nel fodero con un sospiro, quella donna era appena diventata una seccatura.
“Venite con me.”
Evelyn inciampò un paio di volte mentre saliva le ripide scale al seguito dell’uomo, la cui maschera metteva in mostra solo due occhi annoiati. Giunti al primo piano, furono ostacolati da un tronco spezzato posizionato di traverso.
“Abbiamo sistemato i due bastardini nell’ex magazzino della farina.” Spiegò l’uomo.
Evelyn superò il tronco e si diresse verso l’unica porta integra nell’intero edificio.
“E’ aperta?”
“Si apre solo dall’esterno, quindi abbassate la maniglia e la magia è fatta!”
Quell’uomo si stava visibilmente divertendo a canzonarla, la bocca mascherata era di certo dispiegata in un sorriso. Evelyn si fece coraggio e abbassò la maniglia, il cuore pompava il doppio nel normale.
 
Diana camminava avanti e indietro da ore, le scarpe si erano incrostate di terra e polvere del tutto. Il vestito azzurro che indossava era macchiato di farina e del sangue di Finn.
“Secondo c’è una via d’uscita?” domandò, e intanto ispezionava ogni angolo.
Finn, accasciato contro la parete, si passò una mano sul viso.
“Sì, la fottuta porta da cui siamo entrati.”
Diana comprendeva la reazione del ragazzo, quindi andò a sedersi accanto a lui e gli prese le mani.
“Scusami. Entrambi ci troviamo nei guai. Come ti senti?”
“Meglio, più o meno. Mi dispiace che tu sia qui per colpa di quello stronzo di Kimber.”
“Almeno siamo insieme.”
Finn incastrò le dita con quelle di Diana e strinse forte.
“Non permetterò a quei bastardi di farti del male.”
Lei stava per ribattere quando udirono la maniglia che veniva abbassata. Finn strinse le braccia intorno a Diana facendole da scudo.
“Tu?!”
Diana aveva la bocca spalancata per lo stupore e la delusione: Evelyn era appena entrata nella stanzetta.
“Diana? Finn? Oh, cielo … siete voi i ragazzini rapiti!”
“Non ci vuole un fottuto genio per capirlo.” Disse Finn, il sapore del sangue in bocca gli dava la nausea.
Evelyn fece un passo avanti ma Diana ne fece due indietro.
“Diana, sono io. Sono tua sorella!”
“Ah, sì? Chi diamine rapisce la propria sorella?”
“Non è come credi. Io non c’entro niente. E’ stata un’idea di Bobby. Lo avrei fermato se lo avessi saputo.”
Evelyn cercò ancora di avvicinarsi ma Finn le sbarrò la strada.
“Non ti avvicinare a Diana. Tu non sei più parte della famiglia.”
“Potete fidarmi di me, nonostante tutto.”
“No. – disse Diana – Tu hai perso ogni diritto di fiducia.”
Evelyn aveva iniziato a piangere senza rendersene conto, divisa tra l’amore per sua sorella e l’amore per suo marito.
“Ti supplico, Diana. Vi posso portare a casa. Parlerò io con Bobby e lo convincerò a tenervi fuori da questa storia.”
“Troppo tardi. Non puoi correggere gli errori che hai commesso. Lo capisci che hai sposato il nemico? Lo capisci che niente sarà più come prima?”
“Io … mi dispiace.”
Diana sentiva le lacrime pungerle gli occhi ma si impose di non piangere.
“Ti dispiace? Tu hai distrutto la nostra famiglia! Sei venuta al funerale di Bertha solo per insultarla, hai preso l’eredità di papà e te ne sei andata senza dire niente. Sei tornata con marito e figlio e non hai pensato neanche per un istante di cercare le tue sorelle. Tu non sei più una Hamilton. Tu non sei più nostra sorella.”
“Non dire così. Io ti voglio ancora bene!”
Sebbene col cuore a pezzi, Diana mantenne la sua risolutezza.
“Sparisci, Evelyn. Preferisco marcire qui dentro che venire con te.”
 
Tommy consumò la sigaretta e la gettò in mezzo all’erba, e quella sera nemmeno il fumo avrebbe alleviato la sua tensione.
“Ascoltatemi: abbiamo poche ore per trovare Finn e Diana. Faremo un controllo a tappeto dei probabili luoghi in cui Kimber può averli portati. Non ci fermeremo fino a quando non li troveremo.”
“Ho un’idea. – disse Michael – Forse hanno usato il vecchio mulino dei Kimber per tenerli prigionieri. E’ un luogo sicuro, abbandonato, lontano da occhi indiscreti.”
“Non sono lì. Quella proprietà non è più dei Kimber, appartiene ad un privato.” Disse Arthur.
“Ci diamo una mossa? Quei due potrebbero essere già morti!” disse Amabel.
“Michael, tu guiderai una decina di uomini negli appartamenti di Bobby in città. Gli altri si divideranno gli appartamenti fuori città. I Lee, invece, controlleranno il resto, stazione, canale, gallerie. Amabel, tu va a prendere la macchina di Johnny.”
“Tu e Arthur che cosa farete?”
Arthur diede uno schiaffo sulla fronte al cugino e scoppiò a ridere.
“Io e Tom andiamo a farci una birra.”
“Non è vero.”
Tommy rivolse un’occhiataccia glaciale al Michael, era stanco di quel suo ficcanasare.
“Te l’ho detto prima: campi cento anni se ti fai i cazzi tuoi. Ora muovi il culo e comunica ai Peaky Blinders i posti da controllare.”
Michael recuperò la lista delle proprietà di Kimber e si allontanò con Johnny Dogs.
“Ho come la sensazione che questo sia il tuo piano.” Disse Polly.
“Sai, Pol, tu hai sempre ragione.”
Amabel suonò il clacson, Tommy sistemò due pistole sotto la giacca e fece segno ad Arthur di salire in auto. Polly guardò il cielo e annuì come se le stelle le avessero confidato un segreto.
“Stanotte pioverà, Tommy. Sarà acqua o sarà sangue?”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Tommy ha sempre un piano, resta solo da capire quanto sia buono.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 9
*** Macerie di sangue (PT.II) ***


9. MACERIE DI SANGUE PT. II

“There’s a devil inside of me
And there’s one inside of you.
A terrible terrorist
Tormenting me in my abyss
[…]  so tell me how you deal with that devil in your heart,
‘cos everytime I think we are done
I find I’m right back at the start.”
(Devil Inside Me, Frank Carter & The Rattlesnakes)
 
Amabel parcheggiò fuori dai cancelli del vecchio mulino. In fondo si potevano scorgere i fari accesi di un’auto, forse era l’autista di Evelyn.
“Prima sono stata brava?”
Arthur rise e Tommy annuì sorridendo appena.
“Una vera star del cinema!” esclamò Arthur.
“Sì, sei stata brava. Però credo che Polly abbia capito qualcosa.” disse Tommy.
Amabel si appuntò la sciarpa al collo per ripararsi dal freddo pungente della notte.
“Polly intuisce sempre qualcosa. Ha quel suo modo misterioso di leggere fra le righe.”
“Perché è una sensitiva.” Disse Arthur.
“Vero. – disse Amabel – Allora, andiamo? Evelyn è già arrivata.”
Tommy si appoggiò contro il cofano della macchina e si accese una sigaretta, era troppo tranquillo.
“Aspettate. Arriva qualcuno.”
Arthur e Amabel furono accecati da una terza auto che usciva da un sentiero sterrato sul lato destro della strada. La breccia schizzava mentre le ruote giravano fino a fermarsi. Giselle smontò con l’eleganza con cui avrebbe percorso un tappeto rosso.
“Buonasera! Vi sono mancata?”
Amabel contrasse la mascella, non capiva cosa c’entrasse quella ragazza.
“Tu non dovresti essere la stronzetta che si è alleata con Billy Kimber?”
“Oh, capisco. – disse Giselle – Il tuo maritino non ti ha detto niente. Sei davvero un bambino cattivo, Tommy Shelby. Le bugie meritano una giusta punizione.”
“Giselle fa parte del piano.” Disse Tommy.
“Come al solito non ci dici mai un cazzo!” si lamentò Arthur.
Amabel guardò in tralice il marito, si sentiva tradita da quella mancanza di dialogo.
“Capisco. Beh, speriamo che la signorina si sia quantomeno resa utile.”
Giselle ridacchiò e fece l’occhiolino ad Amabel.
“Io sono sempre utile, tesoro. Troverete Evelyn e tre uomini nel mulino. Sappiate che Bobby lascerà Manchester fra due ore, non avete molto tempo.”
“Grazie, Giselle. La tua proposta è appena stata accettata.” Disse Tommy.
Giselle annuì, si avvicinò a Tommy e gli diede un bacio sulla guancia.
“E’ un piacere fare affari con te, signor Shelby.”
Dopo che la ragazza si fu allontanata, Amabel tirò un pugno a Tommy sul braccio.
“Mi fai schifo.”
“Cazzo, Tom! Fai così ogni fottuta volta: te la sbrighi sempre da solo. Vaffanculo.” Disse Arthur.
Tommy spense la sigaretta sotto la scarpa, si aggiustò il soprabito e mise le mani in tasca.
“Non perdiamo tempo in cazzate. Andiamo.”
Amabel e Arthur camminavano avanti lasciando Tommy da solo, come se ora fossero loro ad escludere lui. Presto l’alba sarebbe sorta, ma l’oscurità si avvolgeva intorno a loro per celare gli orrori della notte.
 
Evelyn stava scendendo la ripida scalinata quando udì un vocio sommesso provenire dall’ingresso del mulino.
“Che succede?”
“Niente. Venite di qua.” Disse l’uomo mascherato.
Si infilarono in un corridoio lungo e angusto, la muffa sulle pareti si appiccicava agli abiti. Sbucarono in un piccolo atrio, al centro c’era una sedia e sulla destra una finestra con il vetro crepato.
“Che ci facciamo qui? Dobbiamo andarcene. Devo subito chiamare mio marito.”
“No. – disse l’uomo – Voi dovete restare qui al sicuro. Abbiamo spedito un telegramma a vostro marito avvisandolo che abbiamo portato voi e i ragazzini al vecchio mulino. Presto Bobby sarà qui.”
Evelyn si sedette e si portò le mani fra i capelli. Era assurdo che Bobby avesse fatto rapire Diana, l’unica persona innocente in quella guerra con gli Shelby. Suo marito le aveva promesso fin dall’inizio che Diana sarebbe stata risparmiata, che l’avrebbero strappata dalle grinfie di Amabel per salvarla dalla contaminazione degli zingari. Ecco perché non capiva quel drastico cambio di rotta, ed era ferita.
“Date da bere a Diana e Finn? Sembravano disidratati.”
L’uomo mascherato inarcò il sopracciglio in un gesto superbo.
“Secondo voi rapiamo due mocciosi per dar loro da bere? Non se ne parla.”
“Quella è mia sorella! Deve essere trattata con i guanti bianchi!” chiosò Evelyn.
“E questo è il mio lavoro: prendere cose e persone ed incassare i soldi. Non ho tempo per i trattamenti di favore, nemmeno per vostra sorella!”
Evelyn notò che l’uomo per la seconda volta guardava verso la porta come se aspettasse qualcuno. Bobby ci avrebbe impiegato del tempo per tornare da Manchester, quindi chi stava arrivando?
“Aspettiamo qualcuno? Siete agitato.”
“Non sono agitato. E’ solo che odio i ritardatari. Ho chiamato alcuni miei uomini come rinforzo, ma a quanto pare stanno tardando.”
Evelyn stava per propinare la centesima lamentela quando spalancò la bocca per la sorpresa. Amabel era appena entrata nell’atrio.
“Ciao, Evelyn. Contenta di rivedermi?”
“T-tu? Che … che … che diavolo succede?”
Dal corridoio uscirono anche Arthur e Tommy, i cappelli che sottolineavano la loro appartenenza ai Peaky Blinders.
“Già, io. – disse Amabel – Sono qui per te. Per farti aprire gli occhi su tuo marito.”
Evelyn si appiattì contro la parete come se volesse farsi inglobare dal cemento e scomparire.
“Questo è un vostro piano. Come avete fatto?”
Amabel prese posto sulla sedia, accavallò le gambe e sospirò.
“E’ andata più o meno così.”
 
Tre giorni prima, Small Heath.
Amabel iniziò a tamponare le ferite di Michael con del cotone idrofilo imbevuto di disinfettante. Polly faceva avanti a indietro sussurrando parole incomprensibili, forse stava pregando.
“Polly, ho bisogno di altre garze. Puoi andarle a comprare in farmacia, per favore?”
“Sì, sì. Certo. Ci vado subito.”
Non appena Polly lasciò lo studio, Tommy e Arthur entrarono nella saletta destinata alle visite. Amabel si era infilata i guanti per spalmare una pomata cicatrizzante sul viso martoriato di Michael.
“Avete una soluzione per risolvere la faccenda con Bobby?”
“Sì. – disse Tommy – Penso di avere un’idea abbastanza decente.”
“Sarebbe?” domandò Arthur.
Tommy si sedette sulla scrivania e si portò una sigaretta alle labbra, incurante di trovarsi in un’area medica.
“Posso usare una persona vicina a Bobby per spiarlo e manipolarlo. La mia idea è quella di isolare Evelyn perché è il pezzo debole.”
“Isolare la regina, come negli scacchi.” Disse Amabel, che ricordava ancora quando lui le aveva insegnato la strategia.
“Esatto. Facciamo leva su Evelyn perché è fragile ed è più probabile che si arrenda. Per convincerla a stare dalla nostra parte dobbiamo dimostrarle quanto sia meschino suo marito. Metterli l’uno contro dall’altro è la nostra unica soluzione.”
“E come facciamo? Quel coglione di Bobby è riuscito a plagiare Evelyn.” Disse Arthur.
Fu allora che Amabel ebbe un lampo di genio.
“Io lo so! L’unico modo per mettere Evelyn contro Bobby è usare Diana. Se facciamo credere a Evelyn che Bobby è disposto a fare del male a Diana, sono certa che farà di tutto pur di aiutare sua sorella.”
Arthur borbottò qualcosa e poi diede un colpetto sulla spalla del cugino senza ricevere risposta.
“E’ morto?”
“No. E’ sotto anestesia, sta dormendo.” disse Amabel.
“Usare Diana è una mossa intelligente, ma dobbiamo studiare la cosa bene.” Disse Tommy.
“Un rapimento. – disse Arthur – Potremmo inscenare il rapimento di Diana.”
“Beh, il rapimento di Diana susciterebbe di sicuro qualcosa in Evelyn.” Commentò Amabel.
Un taglio sulla guancia di Michael stava sanguinando sporcandole la mano, quindi si affrettò a tamponare la micro emorragia.
“Rapiamo Diana e poi? Ci serve un piano ben organizzato.” Sottolineò Tommy.
“Ci serve anche qualcuno che rapisca Diana, ci serve un luogo lontano da Birmingham, ci serve una fottuta scusa per attirare Evelyn fuori di casa.” Disse Arthur lisciandosi i baffi.
Amabel sbuffò, le ferite continuavano a perdere sangue e pus e lei non sapeva quale curare prima.
“Fra tre giorni a Manchester il cavallo di Bobby correrà, giusto? Potrebbe essere l’occasione che ci serve!”
Tommy annuì piano, iniziava a capire il ragionamento di sua moglie.
“Possiamo bloccare Bobby a Manchester con la scusa di un guasto al treno. Nel frattempo facciamo sapere a Evelyn che suo marito ha ordinato il rapimento di Diana.”
“Evelyn vorrà sicuramente accertarsi che Diana stia bene, pertanto andrà nel luogo dove è stata portata dai rapitori. Dopodiché mandiamo un telegramma a Bobby in cui gli viene comunicato che Giselle ha preso Diana. In questo modo avremo Evelyn e Bobby nello stesso luogo.” Aggiunse Amabel.
Arthur storse il naso e scosse la testa, non gli piaceva quell’idea estrema.
“E dove cazzo troviamo qualcuno che rapisca una ragazzina, che blocchi Bobby e che faccia arrivare la notizia a Evelyn? Ci serve qualcuno di fiducia.”
Tommy guardò Michael e sorrise.
“Ho la persona giusta per un lavoro sporco.”
 
“Resta in macchina. Me la sbrigo da solo.” Disse Tommy, dopodiché raggiunse il punto di incontro.
Johnny Dog scartò il panino che gli aveva preparato sua sorella e si mise a mangiare.
Tommy si strinse nella giacca per ripararsi dal freddo serale, quello era un marzo particolarmente gelido.
“Signor Shelby.” Disse Giselle.
Era una macchina bianca fra il buio.
“Giselle. – la salutò lui – Sono qui solo per affari.”
“Affari, piacere, tutto è connesso! Mi annoi.”
Tommy sollevò un angolo della bocca, la ragazza aveva un modo tutto suo di essere bizzarra.
“Ascolta, ho bisogno delle tue capacità. Saresti disposta a fregare Bobby Kimber?”
“Dipende. – disse Giselle – Io che cosa ci guadagno?”
“Tu cosa vuoi?”
“Il posto di Bobby. Se ti aiuto, tu mi lasci gli affari dei Kimber.”
“Vuoi entrare nella malavita di Birmingham? E’ azzardato.”
Giselle fece spallucce, estrasse una sigaretta dal cappotto e l’accese.
“La malavita è divertente. Io cerco solo il divertimento. Sono come Dorian Gray, solo molto più bella e sensuale.”
Tommy colse il riferimento grazie alle chiacchiere di Amabel e Diana, le quali erano capaci di parlare di libri per ore intere.
“Va bene. Il posto e gli affari di Kimber saranno tuoi, a patto che non intralcino i Peaky Blinders.”
“Non darei mai fastidio agli Shelby, non sono così stupida. A meno che tu non voglia farti cavalcare da me come se fossi un cavallo pazzo da domare.”
“Ci pensa mia moglie a domarmi. Vuoi sapere di che si tratta?”
“Ti ascolto.”
“Io manderò due dei miei uomini a Manchester per bloccare Bobby simulando un falso guasto in stazione. Tu, invece, dovrai dire ad Evelyn che Diana è stata rapita su ordine di Bobby e che è stata portata al vecchio mulino dei Kimber. Dopo dovrai far sapere a Bobby che Evelyn ha portato Diana al vecchio mulino. Ci stai?”
Le labbra di Giselle si piegarono in un ghigno compiaciuto. Si sputò sulla mano e l’allungò verso di lui.
“Ci sto.”
Anche Tommy si sputò sulla mano e suggellò il patto con lei.
 
“Quindi Giselle ha tradito la fiducia di mio marito? Non mi sorprende.” Disse Evelyn.
Amabel si alzò per avvicinarsi alla sorella ma Evelyn si tirò indietro.
“Tuo marito ha anche tradito la tua fiducia. Non capisci, Evelyn? Bobby ha mandato due uomini ad aggredire me e Thomas. Ha fatto pestare Michael. Avrebbe anche rapito Diana, se avesse potuto.”
“No. Siete stati voi a rapire Diana! Bobby non lo farebbe mai! Siete voi i mostri!”
“Davvero? – si intromise Tommy – Tu non conosci Bobby. Scommetto che vi siete conosciuti qui a Birmingham e che poi vi siate ritrovate a New York per un matrimonio lampo.”
Evelyn distolse lo sguardo, irritata che le sue carte fossero state scoperte.
“E’ vero. Ho conosciuto Bobby ad una festa a casa di Delma Bennett. Come fate a saperlo?”
“Hai trasferito la tua eredità su un conto bancario inglese, pertanto dovevi essere già innamorata di lui.” Spiegò Amabel.
Da fuori giunsero dei rumori, sembravano ruote sulla breccia e motori borbottanti. Arthur si affacciò e grugnì.
“I bastardi sono arrivati. Che facciamo?”
“Adesso Evelyn scoprirà che cosa pensa Bobby di lei.” Disse Tommy.
“E cosa dovrebbe pensare? E’ ovvio che mi ama!”
Amabel lanciò un’occhiata pietosa alla sorella.
“Ne sei sicura?”
 
Il piano di Amabel e Tommy stava proseguendo come aveva stabilito: volevano che Bobby parlasse male di Evelyn affinché lei si convincesse di aver sposato l’uomo sbagliato.
Bobby Kimber entrò nel mulino scortato da quattro uomini armati. Era ben vestito, pettinato, e con il suo tipico atteggiamento tronfio.
“Buonasera.” disse Tommy.
Bobby rimase spiazzato, la sigaretta gli sfuggì di mano e serrò la mascella.
“Che cazzo ci fai tu qua? E’ la mia proprietà, stronzo!”
“Sono venuto qui a parlare con te.”
“Tu e quella troietta di Giselle avete scopato talmente bene da diventare alleati, eh.”
Tommy si accese una sigaretta ed espirò il fumo in faccia a Bobby, che tossicchiò.
“Giselle non è il mio tipo.”
“Ah, giusto. Tu scopi solo la tua bella mogliettina.” Replicò Bobby.
“E’ così che si comporta un uomo sposato.”
Bobby rise, prese un’altra sigaretta e se la mise in bocca.
“Un uomo sposato non sempre va a letto con la propria moglie. Fare sesso con la stessa donna diventa noioso.”
“Dici? – fece Tommy – Io non posso saperlo. Sono un marito fedele.”
“Sei fedele come un cane. Io, invece, sono libero come un falco.”
Tommy si appoggiò al muro, spense la sigaretta sotto la suola e ne prese un’altra.
“Tradire Evelyn ti diverte? Che strano modo di divertirsi.”
“Io mi diverto anche a far pestare tuo cugino. Mi diverto a ordine la tua morte e quella di Amabel. Mi diverto a distruggere casa tua. Mi diverto!”
Bobby stava superando ogni inibizione, si lasciava andare come se si sfogasse davvero per la prima volta in vita sua.
“Tu meriti di crepare perché uno dei tuoi uomini ha osato toccare Amabel.”
“Non fare così, Tommy. Ho ordinato il pestaggio di tuo cugino per impedirgli di avvicinarsi a tua moglie. Dovresti ringraziarmi.”
“Ringraziarti? Non dire stronzate. Tu dovrai morire.” Lo minacciò Tommy.
Bobby fece una risata breve e nervosa, sembrava quasi spaventato dalla prospettiva della morte.
“Non posso lasciare mio figlio.”
“Ci pensa Evelyn a vostro figlio.”
“Evelyn? Non essere idiota, Shelby. Quella donna è troppo stupida per prendersi cura di un bambino. E’ una vera incapace!”
Tommy sorrise divertito, era quello il bersaglio a cui mirava dall’inizio della conversazione.
“Non è carino parlare così di tua moglie.”
“Ho sposato Evelyn solo per avere i suoi soldi. E’ una viziata, una imbecille ed è davvero frivola. Cazzo, avrei dovuto sposare Amabel! Lei sembra molto matura e intelligente, e a quanto pare scopa bene.”
Tommy afferrò Bobby per il bavero della giacca e lo spinse contro la parete. Uno degli uomini gli puntò la pistola alla tempia.
“Non parlare di Amabel, oppure ti ficco la mano in gola e ti strappo le corde vocali una ad una.”
“Uh! – disse Bobby – E’ vero quello che dicono di te in giro: ti scaldi se qualcuno osa parlare di tua moglie. Questo è un punto di debolezza, Tommy Shelby.”
Tommy gli tirò una ginocchiata all’inguine tanto forte da far piegare Bobby in due dal dolore. La pistola stava per sparare ma Bobby fermò il suo uomo con un cenno della mano.
“Questo zingaro di merda non deve ancora morire. Devo prima accaparrarmi i suoi affari.”
“Dovrai spararmi quel cazzo di proiettile in testa per avere i miei affari.”
Bobby si mise dritto, nonostante il dolore, e sorrise.
“Tu non uscirai vivo da questo fottuto mulino. Sei da solo e io ho quattro uomini con me. Sei un fottuto morto che respira!”
Fu Tommy questa volta a sorridere.
“E secondo te io vengo qua da solo?”
Bobby spalancò gli occhi quando il piccolo vestibolo si riempì di Peaky Blinders. Arthur in una mano teneva la pistola e nell’altra teneva la lametta estratta dal cappello.
“Questo che cazzo significa? Pensavo fossi venuto a parlare in maniera pacifica.”
“Mentre noi parlavamo, Arthur ha radunato i Peaky Blinders. Sei davvero un coglione come tuo padre. Anche lui si è fatto fregare da noi perché era un tonto.” Disse Tommy.   
Arthur diede una spallata a Bobby ridendo, la dose di droga stava facendo effetto.
“Te lo ricordi, Tom? Hai sparato a Billy Kimber dritto in fronte! Cazzo! Quel proiettile gli è entrato in quel fottuto cervello! Vaffanculo!”
Bobby aveva perso la sua verve, non rideva più, un’ombra gli vagava negli occhi.
“Volete ammazzare anche me? Fareste questo a Evelyn?”
Un picchiettio riecheggiò nel silenzio mentre Evelyn, Amabel e Diana scendevano le scale. Bobby diventò pallido, non si aspettava che sua moglie fosse lì, e imprecò a bassa voce.
“Sei un lurido verme. Mi fai schifo.” Disse Evelyn, occhi lucidi e voce tremante.
“Non è come pensi!” tentò di giustificarsi Bobby.
“Ho sentito tutto, Bobby. Ero in cima alle scale. Ho dovuto ascoltare tutte le cose orribili che pensi di me e che mi hai fatto. Miseria, quanto sono stata stupida! Credevo davvero che tu mi amassi, che fossi il marito e il padre perfetto, e invece a te interessavano solo gli affari. Mi hai sposato per avere la mia eredità e per avere informazioni sui Peaky Blinders. Ti odio!”
Evelyn subito proruppe in un pianto disperato, faceva male aver scoperto la verità. Per un anno si era affidata ad un uomo che l’aveva sfruttata, tradita, che l’aveva considerata una donna priva di valore.
“Evelyn, stanno cercando di dividerci. Io nostro am…”
Bobby si zittì quando Evelyn gli tirò uno schiaffo che gli lasciò il segno sulla guancia.
“Tu per me sei morto. E sei morto anche per nostro figlio. Non ti permetterò di rovinare ancora le nostre vite. Addio, Bobby.”
Diana abbracciò Evelyn e la portò fuori perché tornassero a Birmingham, al sicuro dalla furia di Bobby e di Tommy.
Amabel stava sorridendo, compiaciuta che sua sorella avesse compreso i suoi errori e che fosse tornata dalla parte giusta.
“E tu che cazzo ridi, puttana?” inveì Bobby.
Tommy gli diede un pugno nello stomaco che gli causò un rantolo.
“Non chiamarla così.”
“Sono delle puttane. Amabel, Evelyn, Diana, sono tre stronze succhia-cazzi.”  Sibilò Bobby.
Prima che Tommy lo colpisse di nuovo, Amabel si piazzò tra i due per guardare Bobby dritto in faccia.
“Uomini, meschine creature. Voi uomini offendete una donna quando non sapete gestirla. Trattate male le donne perché siete privilegiati, perché avete il potere, perché ci ritenete delle stupide bambole che devo soddisfare ogni richiesta. Ci usate, si tradite, ci insultate, ci picchiate, addirittura ci ammazzate. E non vi basta mai per sfamare il vostro ego da maschio alfa. Tu hai plagiato Evelyn perché è una donna ingenua che dà fiducia agli uomini sbagliati, hai giocato sulla sua fragilità per piegarla al tuo volere, e ti fa rabbia che abbia avuto il coraggio di mollarti. Ora io mi riprendo mia sorella e tu resterai qui a supplicare per la tua miserabile vita.”
Bobby non disse nulla, si limitò ad annuire e a sorridere. Tommy capì subito che qualcosa non stava andando nel verso giusto. Polly lo aveva avvisato: sarebbe piovuto sangue.
“Bel, esci! Esci!”
Poi accadde tutto in un istante. Due bombe esplosero facendo crollare il vecchio mulino.
 
Amabel strisciò sull’erba mentre alle sue spalle il mulino cadeva a pezzi mattone dopo mattone. Aveva la vista appannata e le orecchie che fischiavano. Si mise in ginocchio in cerca di ossigeno, le dolevano i polmoni. Sentiva il dolore pungolarle tutto il corpo. La caduta le aveva lussato la caviglia, però si sforzò per mettersi in piedi. Aveva i vestiti sporchi di sangue, ma non era suo, dunque apparteneva a una delle persone intrappolate sotto le macerie.
“Amabel!”
Michael correva verso di lei a perdifiato, e poco importava che le garze si inumidivano di sudore facendogli provare un terribile bruciore al viso.
“Michael? Che … che …”
Amabel ebbe un giramento di testa e Michael la prese prima che cadesse.
“Ehi, ci sono io. Sei ferita? E questo sangue?”
“Sto bene. Il sangue … non è …”
Una mano sbucò da sotto una lastra di pietra, poi l’altra, e infine una testa. Era Finn.
“Aiuto!”
Amabel si precipitò da lui e spostò il lastrone, poi lo aiutò ad alzarsi. Il ragazzo aveva qualche ferita superficiale e un braccio probabilmente rotto.
“Stai bene? Tommy e Arthur?”
“Sono ancora là sotto. Tommy era vicino alle scale e Arthur stava alle sue spalle.”
Michael fece sedere Finn sull’erba e gli ripulì i graffi sanguinanti con il fazzoletto estratto dalla giacca. Intanto Amabel stava ispezionando il materiale crollato in cerca degli altri. Udì appena un respiro accelerato giungere dal centro del crollo, perciò cominciò a togliere i mattoni per trovare la persona. Era Arthur che faticava a respirare per via di una trave di legno sul petto.
“Arthur! Aspetta, ci penso io. Tra poco starai meglio.”
Benché fosse pesante, Amabel fece ricorso ad ogni fibra del suo corpo per sollevare la trave e tirare fuori Arthur.
“Tom. Dov’è mio fratello? E Finn?”
“Sono qui!” gridò Finn, il viso contratto dal dolore.
“Tu e Michael cercate gli altri, io penso a Thomas.” Disse Amabel.
Avrebbe voluto vomitare perché il dolore che provava era lancinante, di certo la sua pelle si sarebbe ricoperta di lividi, ma l’idea di perdere Tommy la stava dilaniando.
Michael e Arthur scavavano con le mani in cerca degli altri, e ben presto molte voci si sollevarono tra le macerie. A poco a poco sempre più persone emergevano vive dal crollo.
“Thomas! Thomas! Thomas!”
Amabel per un momento ebbe la sensazione di rivivere la guerra. Le bombe, il sangue, le ossa spaccate, il dolore della perdita, la vittoria della morte sulla vita.
“Qui!” strillò una voce alla sua destra.
Lei si affrettò a spostare due pietre mentre la speranza di ritrovare Tommy si faceva spazio nel suo cuore. Il suo sorriso fiducioso si spense quando riconobbe il volto di Bobby. Cercò di allontanarsi ma Bobby le strinse le mani intorno a collo stringendo forte.
“Muori, puttana!”
Caddero sull’erba. Bobby la sovrastava e le sue mani continuavano a serrarsi come una morsa d’acciaio. Amabel divincolava le gambe e lo picchiava con le mani, ma i suoi occhi cominciavano ad oscurarsi a causa della mancanza di ossigeno. Sentiva l’energia vitale abbandonarla, i muscoli perdevano tonicità, i polmoni si svuotavano. La sua mente la riportò al primo incontro con Tommy, i suoi occhi incredibilmente azzurri, i capelli neri setosi, quel sorriso furbesco e quel comportamento da ragazzo ribelle. Poi vide le sue sorelle, Evelyn e Diana che improvvisavano un valzer mentre lei suonava il piano. Vide Bertha in cucina che sfornava i biscotti al limone. E vide i suoi genitori seduti su una riva che la invitavano a raggiungerli. Amabel stava per andare da loro quando qualcosa di appuntito le punse il fianco. Era il coltello che Tommy le aveva raccomandato di portare sempre con sé. Sbarrò gli occhi e si concentrò per recuperare il coltello, malgrado fosse stordita dalle mani di Bobby che la strangolavano. Agguantò il coltello, con la mano coprì gli occhi del suo aggressore per disorientarlo, e infine gli diede il colpo. Bobby strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca, sia per la sorpresa sia per il dolore. Amabel lo spinse di lato e gli piantò di nuovo il coltello nello stomaco.
“Bel!”
Amabel fu sollevata da due mani e si voltò brandendo il coltello, spaventata. Si rilassò quando vide Tommy. Una ferita alla fronte sanguinava, ma era illeso perlopiù.
“Thomas! Sei vivo!”
Si gettò fra le braccia di Tommy affondando il viso nella curva del collo, facendosi cullare dall’odore consueto di whiskey e tabacco.
“Sono vivo.”
“Ti amo.” Sussurrò Amabel abbracciandolo più forte.
Tommy le diede un bacio sulla fronte mentre le accarezzava la schiena. La sua attenzione, però, era concentrata su Bobby che si stava lentamente dissanguando tra pene atroci. La gioia durò un secondo perché, se Bobby fosse morto, Amabel non se lo sarebbe mai perdonato. Uccidere un uomo avrebbe rovinato per sempre la sua vita. Lei non doveva sopportare un simile peso per il semplice fatto di aver lottato per difendere la propria vita.
“Tom! Cazzo, non muori mai!” scherzò Arthur.
Insieme a lui c’era anche Michael, le garze che gli coprivano il volto erano sporche di sangue fresco, sudore e polvere.
“E’ morto?”
Tommy scosse la testa, la sua espressione era una maschera di rabbia e dolore per non essere arrivato in tempo per salvare Amabel. Michael si rese conto che Bobby sarebbe morto in pochi minuti di emorragia, la pozza di sangue sull’erba si espandeva rapidamente.
“Posso curarlo. – disse Amabel – Io l’ho ferito ma posso tentare di salvarlo.”
Tommy rifletté velocemente, non c’era altro tempo da perdere. Strappò la pistola dalla mano di Arthur e sparò a Bobby. Amabel emise un grido e si tappò le orecchie, sebbene lo sparo fosse già esploso. Tommy buttò a terra la pistola con un sospiro di stanchezza.
“Non meritava di essere salvato. Ho fatto ciò che era giusto.”
Arthur circondò le spalle di Amabel col braccio e la trascinò lontana dal corpo.
“Andiamo, dai. Torniamo a casa.”
Arthur caricò Amabel e Finn su un’auto e ordinò ad uno dei superstiti di accompagnarli in clinica per essere medicati.
“Lo so cosa hai fatto.” Disse Michael.
Tommy lo guardò in tralice, era indispettito dalla presenza del cugino.
“Tu che cazzo ci fai qui?”
“Mamma ha detto che avevate un piano. Hai insistito troppo perché non venissi al vecchio mulino, quindi ho dedotto che eravate qui.”
“Vaffanculo, Michael.”
Tommy si incamminò verso le auto, voleva andare in clinica per stare con Amabel e tornare a casa per rivedere Charlie. Pretendeva un briciolo di paradiso in quella serata infernale.
“Manterrò il tuo segreto.” Asserì Michael.
“Di quale segreto parli?”
“Bobby stava per morire per emorragia e sarebbe stata colpa di Amabel. Entrambi sappiamo che lei non sopporterebbe di aver ucciso una persona, anche se per legittima difesa. Gli hai sparato per farle credere di averlo ucciso tu. Lo avrei fatto io se avessi potuto.”
Tommy si girò con la furia che gli infiamma lo sguardo.
“Lo avresti fatto perché la ami? Michael, mettiti in quella fottuta testa di merda che Amabel non sarà mai tua. Lei è tutto ciò che voglio. Sarei disposto ad ammazzarti per lei.”
Michael sostenne lo sguardo di Tommy, era una sfida che procedeva in parità.
“Anche io sono innamorato di lei, Tommy. Capisco cosa provi. Passo notti intere a chiedermi quale sia il sapore della sua pelle, quanto siano morbide le sue labbra, a quanto vorrei che i suoi sorrisi fossero rivolti a me.”
“Non sai che ti perdi. E non lo saprai mai perché Amabel è mia. Smettila di pensare a lei. Lascia Birmingham e non tornare.”
 
La clinica era gremita di persone bisognose di assistenza. Molti Peaky Blinders si erano salvati, solo un paio erano morti, ma le ferite erano alquanto gravi. Amabel si tolse il soprabito rovinato e si infilò il camice per dare una mano alle infermiere. Il dottor Perry uscì dalla sala operatoria stravolto dalla stanchezza e ritrovò il corridoio pieno di feriti.
“Amabel, che succede?”
“C’è stato un crollo al vecchio mulino. Queste persone necessitano di cure. Io mi occupo dei miei cognati, tu dai una mano ad Emily.”
Amabel stava per andare da Finn quando Perry la bloccò tenendola per il polso.
“Il tuo collo ha delle ecchimosi tremende. Qualcuno ti ha strangolata? Tuo marito …”
“No! Thomas non c’entra niente! Un ladro è entrato in casa per rubare e ha trovato me.”
Il dottore non ci credeva, però decise di lasciar perdere per non mettersi contro gli Shelby. In città circolavano brutte voci su di loro.
“Va bene. Hai bisogno di assistenza anche tu.”
“No, no. Io sto bene!”
Amabel si voltò per allontanarsi dal collega e andò a sbattere contro Tommy.
“Tu ora ti levi questo camice e ti fai medicare.”
“Thomas, io devo aiutare questa gente.”
“E’ un ordine, Amabel.” Disse Tommy con tono perentorio.
“No.”
Amabel trasalì quando Tommy le sfiorò il collo livido.
“Fatti controllare. Non posso vederti così.”
“E va bene.”
Amabel fu invitata da una infermiera ad accomodarsi nella stanza dove lavorava il dottor Blake, uno dei più anziani assunti alla clinica.
“Siediti, Amabel. Diamo un’occhiata al collo e alla caviglia. Hai detto che è entrato un ladro in casa, giusto?”
“Sì. – confermò lei – Ho lasciato la porta aperta per posare a terra la spesa e il ladro è entrato. Ha tentato di stozzarmi quando mi sono avvicinata al telefono per chiedere aiuto.”
Amabel digrignò i denti quando le dita del medico tastarono le ecchimosi sulla trachea.
“Un ladro piuttosto violento. Il collo è gonfio e i lividi stanno diventando blu-violacei. Respiri bene?”
“Piuttosto bene. Ho bisogno di un po’ di ossigeno, di ghiaccio e di riposo.”
“Hai fatto la diagnosi da sola.” Disse Blake sorridendo.
“Sì, in fondo non è nulla di grave. Vorrei solo tornare a casa a dormire.”
“D’accordo. Ti prescrivo qualcosa per il dolore e il gonfiore. Mando un’infermiera a fasciarti la caviglia. Aspetta qui.”
Rimasta da sola, Amabel si guardò allo specchio con disgusto. Il collo era irriconoscibile, la pelle rigonfia e screpolata, e aveva due occhiaie scure intorno agli occhi.
“Amabel!”
Diana la stritolò in un abbraccio caloroso, e Amabel si abbandonò all’affetto della sorella.
“Ciao, piccoletta. Stai bene? Finn e gli altri?”
“Io sto bene. Finn aspetta che gli preparino il gesso. Gli altri stanno abbastanza bene, perlomeno sono vivi. Tu come stai? Hai un aspetto … tremendo.”
“Me la cavo.”
“Sei uno straccio.” Commentò una voce di donna.
Nella stanza entrò anche Evelyn con un bambino in braccio. Amabel abbozzò un sorriso.
“E’ tuo figlio?”
“Sì. Vi presento, Joseph.”
Diana baciò la guancia di Joseph e poi lo prese fra le braccia per cullarlo. Amabel si limitò ad accarezzargli la manina, era troppo stanca per mostrarsi più espansiva.
“Che farai adesso, Evelyn? Torni a casa con noi?”
“No. – rispose Evelyn – Non tornerò mai a casa con voi. Nonostante tutto, non mi sento più parte della famiglia. Io e Joseph andremo a stare al Convento di Saint Mary, una delle suore era amica di nostra madre e ha detto che possono assumermi come perpetua.”
“Evelyn, non devi allontanarti. Io e Amabel siamo le tue sorelle, malgrado i nostri trascorsi burrascosi.” Disse Diana.
Evelyn si sedette sul lettino e si toccò la fede, un’ombra tetra le attraversò il viso.
“Siamo sorelle di sangue, ma abbiamo commesso troppi errori per tornare ad essere sorelle anche nel cuore. Non sopporto che Tommy abbia ucciso mio marito.”
“Scherzi? Bobby è colpevole tanto quanto Thomas. Bobby ha commissionato il mio omicidio. Evelyn, per la miseria, te ne rendi conto?” si difese Amabel.
“Amavo Bobby con tutta me stessa. Malgrado i tradimenti e gli affari sporchi, io lo amavo. Io non sono come voi due. Io desideravo una famiglia di cui prendermi cura.”
“Ah, sì? – sbottò Diana – Sei ridicola. Studiare e lavorare non vuol dire che non devi avere una famiglia. Amabel è una donna indipendente, ha studiato e lavora da anni, questo la rende forse meno donna? No! Lei si è sposata, ha messo su famiglia e continua a prendersi cura di me. Sei proprio una sciocca, Evelyn! Zia Camille ci riempiva di bugie. Il matrimonio non è tutto, non deve essere la massima aspirazione di una donna perché c’è molto di più. C’è la soddisfazione personale che vale mille volte di più di una storia d’amore!”
Amabel studiò Evelyn, la schiena dritta e lo sguardo determinato, e fu allora che seppe di averla persa per sempre.
“Diana, non importa. Evelyn ha fatto la sua scelta quando ha sposato Bobby. Non ci considera più la sua famiglia.”
Evelyn riprese Joseph e andò verso la porta, si girò per un ultimo momento.
“Statemi bene, sorelle mie.”
Diana scoppiò a piangere e Amabel, sebbene il dolore, dovette consolare la sorella minore. Ormai erano rimaste da sole.
 
Salve a tutti! ^_^
I Peaky Blinders ce l’hanno fatta ancora una volta, anche se Diana e Amabel hanno perso un pezzo importante.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 10
*** Tramontare ***


10. TRAMONTARE

“Love is blindness,
I don’t want see.
Won’t you wrap the night around me?
Oh, my heart, love is blindness.”
(Love is blindness, Jack White)
 
Un mese dopo, aprile.
Tommy rincasò alle otto di sera. Era sfinito da una giornata di intenso lavoro che lo aveva sballottato da una riunione all’altra, da un brunch ad una cena. Si chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò con un sospiro. La luce del soggiorno era accesa e si udivano risate gioiose. Dallo stipite osservò Amabel e Charlie giocare davanti al camino con dei trenini.
“Ciuf! Ciuf! Ciuf!” diceva il bambino muovendo il giocattolo verso Amabel.
“Posso giocare anche io con voi?” domandò Tommy.
“Papà!”
Charlie corse verso il padre che lo prese in braccio al volo e gli diede un bacio sulla guancia.
“Ah, che belli i miei ometti!” esclamò Amabel.
Tommy si chinò a baciarla e poi lei si accoccolò contro la sua spalla. Charlie allungò le braccia verso Amabel per accarezzarle il viso con fare maldestro.
“Possiamo parlare, Bel?”
Amabel si agitò per il tono cupo usato dal marito, di solito precedeva una disgrazia.
“Certo. Nel frattempo faccio addormentare Charlie.”
Tommy si versò del whiskey mentre Amabel si sedette sul divano con Charlie tra le braccia. Iniziò a cullarlo canticchiando una filastrocca della buonanotte. Il bambino socchiuse gli occhi pian piano.
“Sei meravigliosa con lui. Sei un’ottima mamma.” Disse Tommy.
Amabel sorrise e baciò la fronte del piccolo senza mai smettere di dondolarlo.
“In questo caso sono la matrigna buona! Allora, di cosa dobbiamo parlare?”
“Sei stata licenziata dalla Shelby Company Limited.”
“Come, scusa?!”
Tommy ghignò per l’espressione infuriata della moglie, aveva anche smesso di cullare Charlie.
“Non è come sembra. Sei stata licenziata perché ho aperto una nuova società a nome tuo e di Ada: la Hamilton & Thorne Society. E’ la giusta manovra per ripulire il nostro nome. Abbiamo usato la clinica per riciclare il denaro sporco, ma ora che sono un parlamentare le cose devono cambiare. E’ quello che volevamo, no? Una vita tranquilla.”
Amabel studiò Tommy, il labbro superiore tremolava leggermente perché mentiva.
“Bugiardo. Qual è il vero motivo?”
Tommy si versò altro whiskey e lo tracannò in un colpo solo.
“Voglio che tu e Ada usiate la nuova società per fare opere di bene. Entrambe siete intelligenti, determinate e avete delle idee brillanti. Inoltre, Lizzie e Polly sono dalla vostra parte. Ho preso una decisione.”
“Quale decisione?”
Tommy fece un respiro profondo, sembrava che stesse per spifferare chissà quale verità.
“Non voglio più essere Tommy. E’ diventato troppo pericoloso, soprattutto ora che in città ci sono nuove forze in campo. Giselle ha preso il posto di Kimber, i Sabini si stanno riorganizzando e i nipoti di Adrian stanno tornando alla rimonta. Ho paura per la nostra famiglia. Adesso ho te e Charlie, ho troppo da perdere.”
“E da quando ti spaventa la concorrenza? Thomas, non ti capisco.”
“Da quando ho qualcuno per cui vale la pena vivere. Gli Shelby hanno troppi nemici, non potrei mai lasciare te e Charlie indifesi. I Peaky Blinders continueranno ad occuparsi delle corse legali e illegali grazie alla Shelby Company Limited sotto la supervisione di Arthur e Michael. Io, però, lavoro al parlamento e devo allontanarmi dalla malavita. E tu meriti di avere una società tutta tua per rendere migliore Birmingham.”
Amabel si accorse che Charlie si era addormentato e lo depose sulla poltrona accanto al camino con una coperta addosso.
“In pratica i Peaky Blinders continuano con gli affari illegali senza me e te?”
“Più o meno. Io e te dobbiamo ripulirci. Io ho la nomea di gangster e tu sei stata marchiata perché hai sposato me.”
“Tu lo sai che non mi interessano le etichette. La gente può pensare quello che vuole di me. E sai anche che io sono al tuo fianco sempre, nella legale e illegale sorte. Non ti ho sposato per i tuoi soldi, per la tua fama, io ti ho sposato solo per amore.”
Tommy le accarezzò il dorso della mano e annuì.
“Lo so, però questa vita non fa più per me. Cazzo, sono stanco da morire. Un altro giorno fra sparatorie, minacce e morti non lo reggo. Ho bisogno di pace adesso.”
Amabel capì allora che Tommy non poteva continuare così, la sua anima era distrutta dai traumi e aveva bisogno di riposare la mente.
“Va bene, Thomas. Se questo è quello che vuoi.”
“Io voglio te e Charlie.” sussurrò Tommy.
Amabel gli strinse le mani e gli baciò le nocche, poi gli diede un bacio sulle labbra.
“Io e Charlie siamo qui per te. Sempre.”
 
Due mesi dopo, giugno.
La spiaggia di Exmouth si stendeva sotto il cielo azzurro di inizio estate. L’aria era calda e piacevole, e la sabbia non era ancora bollente come sarebbe diventata nel giro di due settimane. La famiglia Shelby si era riunita nella casa al mare degli Hamilton per festeggiare Diana che aveva ottenuto la licenza superiore pochi giorni prima. Mentre tutti celebravano tra whiskey e dolci, Amabel scese in spiaggia per una passeggiata meditativa. Aveva scoperto qualcosa che stava per sconvolgere la sua vita, perciò aveva bisogno di un momento per riflettere.
“Cosa farai adesso, Diana?” domandò Linda, addentando un pezzo di torta al cacao.
Diana si pulì la bocca dalle briciole e sorrise.
“Io e Finn vogliamo trasferirci in Galles per aprire un maneggio. In Galles abita mia zia, una vera appassionata di animali, che possiede un enorme casolare. Le farebbe piacere avere un po’ di compagnia. E inoltre voglio studiare per diventare veterinaria, qualcuno dovrà pur curare i cavalli!”
“Finn, andrai a spalare la merda in Galles? Ottimo!” scherzò Arthur lisciandosi i baffi.
Finn sbuffò e scosse la testa, dopodiché mise un braccio sulle spalle di Diana.
“Andrò a fare un lavoro onesto, cosa sconosciuta a questa famiglia.”
Tutti scoppiarono a ridere, in fondo non era un segreto che gli Shelby non bramavano un lavoro comune e legale.
“Il nostro Finn è un uomo ormai. Ci rende molto fieri!” disse Polly sorridendo.
Diana e Finn avevano discusso con Tommy della loro decisione in quanto avevano bisogno di un finanziamento per avviare l’attività. Tommy aveva affidato la questione ad Amabel e Ada, le quali avevano usato la Hamilton & Thorne Society per elargire il prestito. Finalmente Finn poteva liberarsi della vita tossica di Birmingham e godersi un’esistenza serena.
“Chi vuole altra torta?” chiese Lizzie.
Mentre tutti cercavano di accaparrarsi una fetta di dolce, Tommy notò l’assenza di Amabel e la vide camminare lungo la riva del mare.
“Va da lei.” gli suggerì Ada.
Tommy si tolse le scarpe e si arrotolò i pantaloni, odiava la sabbia che si infilava dappertutto.  Amabel guardava l’acqua, le piccole onde che correvano a riva per poi morire, quasi lottassero per sopravvivere.
“Bel.”
La moglie trasalì e si portò una mano sul petto. Sembrava triste.
“Mi è venuto un colpo!”
Un soffio di vento fece scivolare una ciocca dallo chignon e Tommy si premurò di scostarglielo dagli occhi.
“Perché sei qui tutta sola? Di sopra stanno mangiando il dessert. Qualcosa non va? Sei preoccupata per Spencer?”
“Oh, no. Spencer sta bene, gli appunti di mio padre sono stati fondamentali per salvarlo. Sono qui perché mi andava di stare un po’ da sola. Giselle aveva ragione: non posso essere gentile e disponibile per tutto il tempo.”
“Nessuno vuole che tu sia gentile e disponibile tutto il tempo. E’ normale avere un momento di incertezza, però vorrei che tu ne parlassi. Bel, io ti racconto sempre i miei incubi e i miei dubbi. Anche tu puoi parlare con me.”
Amabel accennò un piccolo sorriso, falso quanto i finti bottoni laccati d’oro del suo vestito.
“Ehm … Thomas, ascolta … E’ successa una cosa.”
L’espressione di Tommy si indurì all’istante, il timore che sua moglie stesse male per qualche ragione lo agitava.
“Cosa?”
Amabel fece un passo indietro e gli diede le spalle, le ginocchia tremavano a causa dell’ansia. Tommy le mise le mani sulle spalle applicando una forza minima per farle capire che lui era lì a sostenerla.
“Amabel, che c’è?”
“Sono incinta.”
Per un secondo il tempo sembrò essersi congelato, il mare si era ritirato, il cielo si era spento, e il mondo aveva smesso di girare. Poi Tommy sorrise raggiante e l’abbracciò da dietro, premendo le labbra sulla spalla della moglie.
“E’ una notizia fantastica! Non sei contenta?”
“No.”
Amabel si staccò da lui e incrociò le braccia sotto il seno. Non osava nemmeno guardarlo in faccia.
“Perché no? Io pensavo che fosse quello che volevamo.”
“Lo volevamo? Non ne abbiamo mai parlato.”
Tommy non capiva perché lei fosse tanto sulla difensiva, ma lo infastidiva quella freddezza.
“Non ti seguo, Amabel. Avremmo dovuto programmarlo? Cazzo, queste cose capitano e basta!”
“Già, capitano. E finiscono pure.” Replicò lei, acida.
Tommy si diede dello stupido per non aver intuito prima la paura di Amabel legata al trauma.
“Tu hai paura di perdere il bambino.”
“La prima volta è andata male, magari anche questa volta finirà in maniera tragica. Sai com’è, a quanto pare sono una pessima madre!”
“Che cazzo dici? Non è stata colpa tua. Amabel, sei un medico e sai come funzionano queste cose. Non essere ridicola, sei fin troppo intelligente.”
Amabel si passò le mani sul viso, era reduce da una nottata insonne provocata da questa novità che stava scompaginando tutti i suoi piani.
“E se perdessi il nostro bambino? Io non riuscirei a superare il dolore questa volta.”
Tommy l’abbracciò e le accarezzò i capelli per calmare il suo respiro concitato.
“Questa volta potrebbe essere diverso. E se perdessimo il nostro bambino, lo affronteremmo insieme. Però, ti prego, non ti far risucchiare dalla paura. Ti ricordi cosa disse Oliver?”
“Che il problema è solo nella mia testa.” Disse Amabel, e si strinse a lui.
“Esatto. Credevi di non poter avere figli, invece sei rimasta incinta di nuovo. Adesso devi solo allontanare la paura. Ci sta capitando un miracolo, Bel. Io e te stiamo per avere un figlio.”
Amabel sorrise per la prima volta da quando aveva letto i risultati delle analisi. Oliver le aveva sempre detto che il blocco era nella sua testa, che la paura era la vera morte della sua speranza di avere un figlio. E dal momento che aveva affrontato la guerra, poteva affrontare anche i suoi timori.
“Va bene. Cercherò di pensare positivo.”
Tommy le sollevò il mento e si chinò a baciarla lentamente mentre la teneva stretta a sé.
“Di quanto sei?”
“Un mese e mezzo. Ero convinta che le mestruazioni fossero saltate per colpa dello stress, però qualche giorno fa ho deciso di fare gli esami del sangue. Mi dispiace non avertelo detto subito.”
“L’importante è che tu abbia avuto il tempo necessario per elaborare la notizia.”
Amabel gli diede un bacio a stampo e lo abbracciò forte. La paura non sarebbe andata via per magia, ma poteva vincerla giorno dopo giorno.
“Sarà dura, Thomas.”
“Ce la faremo anche questa volta. Lo diciamo agli altri?”
Amabel non rispose, prese la mano di Tommy e insieme tornarono in casa. Gli altri stavano ancora mangiando e bevendo tra risate e battute.
“Ah, siete vivi!” disse Polly, la sigaretta tra le dita e un ghigno malizioso.
“Dobbiamo comunicarvi una notizia. Una bella notizia.” Annunciò Tommy.
Tutti gli occhi si puntarono su Amabel, che deglutì e si morse le labbra. Si rilassò un poco quando Tommy le circondò la vita col braccio.
“Io e Thomas aspettiamo un bambino!”
“Lo sappiamo. – disse Finn – Polly ce lo ha detto poco fa.”
“L’ho letto nei fondi del the questa mattina.” Spiegò Polly .
Tommy lanciò un’occhiataccia alla zia, sin da bambino non sopportava quella saggezza mistica di cui Polly si vantava di continuo.
“Congratulazioni, sorellona!” strillò Diana gettandosi addosso alla sorella.
Di conseguenza si scatenò un tripudio di complimenti, applausi e fischi, qualche abbraccio e qualche pacca sulla spalla. Tommy prese Charlie in braccio e gli pettinò i capelli disordinati.
“Stai per avere un fratello o una sorellina, Charlie. Sei contento?”
“Sì! Possiamo giocare insieme?”
Amabel rise e gli fece il solletico sul pancino, e il piccolo si dimenò.
“Assolutamente sì.”
Tommy attirò Amabel a sé e le stampò un bacio sulla fronte. Dopotutto la Francia gli aveva regalato una famiglia.
 
Quattro mesi dopo, ottobre.
Tommy aprì lo sportello e aiutò Amabel a scendere dall’auto. Faceva fresco, quindi Amabel si coprì meglio con lo scialle che un tempo Bertha aveva cucito per lei. L’ingresso del White Rose era un viavai di camerieri, autisti e clienti di alto profilo. Era il ristorante più in voga della città, frequentato solo da gente ricca che voleva ostentare la propria ricchezza mangiando piatti che non erano un granché. L’alta società di Birmingham era un grande circo e tutti erano attori mediocri, Amabel lo aveva sempre pensato.
“Ti ricordi questo posto, Thomas?”
“Sì. – confermò Tommy – E’ dove abbiamo parlato per la prima volta dopo il tuo ritorno. Mi avevi colpito subito.”
“Invece io volevo starti il più lontano possibile.” disse lei ridacchiando.
“Direi che il tuo tentativo è fallito, per fortuna.”
Amabel si toccò la pancia mentre si abbandonava a quel ricordo. Era incinta di quattro mesi, il seno era più grande, i fianchi più larghi ed era più stanca, ma quella sera non aveva rinunciato all’incontro che si sarebbe tenuto nel ristorante. Aveva in mente un’idea e avrebbe ottenuto i consensi necessari per metterla in pratica.
“Lei è già qui.” bisbigliò Tommy.
All’interno si stava bene, l’odore di cibo si librava nell’aria e la musica del pianoforte allietava l’atmosfera. Amabel e Tommy furono condotti dal cameriere al loro tavolo, dove la loro ospite li stava già aspettando.
“Buonasera. Scusa il ritardo, ho finito poco fa il turno in clinica.” Disse Amabel.
Tommy le tolse lo scialle dalle spalle e poi la fece accomodare sulla sedia come un vero gentiluomo. Si sbottonò la giacca e prese posto accanto a lei.
“Buonasera a voi. Tranquilli, nel frattempo ho bevuto due flute di champagne che ovviamente pagate voi. Lavori ancora nelle tue condizioni?”
Giselle Bennett indossava uno sgargiante abito viola che faceva risaltare i capelli biondi acconciati in piccoli boccoli. Il suo atteggiamento da ragazza innocente mascherava piuttosto bene il suo comportamento da serpe velenosa.
“Lavoro perché altrimenti mi annoierei. Non sono una che se ne sta con le mani in mano.”
“Beh, potresti restare a casa e tenere le mani nei pantaloni di Tommy. Sono certa che a lui non dispiaccia affatto.” ribatté Giselle ammiccando verso Tommy.
“Sta buona, Giselle. Sta buona.” L’ammonì lui.
La ragazza gli fece l’occhiolino e sorseggiò altro champagne. Il rossetto rosso lasciava un segno sul calice ad ogni sorso.
“Faccio la cattiva altrimenti mi annoierei. Allora, perché mi avete invitata a cena?”
“Io e Ada abbiamo un’idea.” Disse Amabel, determinata come sempre.
“Oh, povera me. Di che si tratta?”
“Vorremmo aprire un laboratorio dove le donne, sia povere sia ricche, possano imparare un mestiere. Si potrebbe anche annettere un edificio per ospitare le donne che non hanno una dimora.”
Tommy mandò giù il whiskey che aveva ordinato nella speranza che quella cena trascorresse in fretta, era stanco e voleva levarsi Giselle di torno il prima possibile.
“Capisco. – disse Giselle – Perché mai creare un laboratorio?”
“Perché le donne hanno bisogno di lavorare. L’indipendenza economica è importante. Molte sono vittime di una famiglia meschina, di un marito violento, o semplicemente di una società che le vuole annullare. Il laboratorio darebbe la possibilità a queste donne di imparare un mestiere e poi di lavorare in modo da essere libere di scegliere della propria vita. Ti parlo da donna a donna, Giselle.”
Giselle si chiuse in un silenzio religioso. Si limitava a fissare le bollicine che salivano e scendevano nel suo calice di champagne. Amabel toccò la mano di Tommy sotto il tavolo per ricevere sostegno.
“Che ne pensi?” domandò Tommy, curioso.
“Amabel ha ragione, noi donne abbiamo bisogno di stabilità economica personale per liberarci da chi vuole tenerci ingabbiate. E io che ruolo giocherei in tutto ciò?”
“Ho bisogno che tu e tua madre coinvolgiate le donne dell’alta società perché integrarle nel progetto ci assicura denaro e pubblicità.” Spiegò Amabel.
“D’accordo. – acconsentì Giselle – E’ un bel progetto. Io e mia madre saremo a disposizione della Hamilton & Thorne Society con molto piacere.”
Amabel e Giselle si strinsero la mano, in fondo entrambe stavano ricavano profitto dall’accordo, la prima guadagnava la giusta visibilità per il progetto e la seconda poteva fingere ancora di essere la ragazza immacolata che tutti credevano.
Amabel si alzò piano, recuperò la borsa e si incamminò verso la parte opposta del locale.
“Ora scusatemi ma devo andare alla toilette. Voi ordinate la cena senza di me.”
 “Vescica debole, eh.” Commentò Giselle.
“E’ incinta.” Replicò Tommy.
“Sei un fottuto bastardo, Tommy Shelby. Hai trovato una donna con le palle più grosse delle tue. Non farti scappare Amabel.”
Tommy rimase sorpreso, non si aspettava che proprio Giselle si schierasse dalla parte di Amabel considerate le loro passate traversie.
“Lo so.”
Amabel si sciacquò le mani e si sistemò i capelli, del resto quel locale era pieno di gente facoltosa che avrebbe giudicato il suo aspetto. Sulla porta si imbatté in una donna che entrava.
“Oh, perdonatemi!”
“Amabel.”
Evelyn era sbiancata, sembrava quasi che avesse visto un fantasma.
“Ciao. – disse Amabel, apatica – Mi pedini?”
“No, certo che no. Sono qui per cenare. Sei incinta, congratulazioni!”
Amabel arricciò il naso a quella gentilezza che strideva con le precedenti azioni della sorella. Evelyn era la stessa di sempre, capelli perfettamente pettinati, occhi luminosi e trucco perfetto, ad essere nuovo era solo l’abbigliamento scuro in segno di lutto.
“Stento a credere che tu sia contenta per me. Come sta Joseph?”
“Bene, cresce in fretta. E’ un bambino buono. Mi ricorda Diana quando era piccola.”
“Mi fa piacere. Ora devo tornare di là, Thomas mi aspetta.”
Amabel stava per andarsene ma la sorella l’afferrò per il braccio.
“Aspetta. Devo dirti una cosa prima che tu venga a saperlo da qualcun altro. Ho lasciato il convento, ora io e Joseph viviamo con zia Camille.”
“Almeno la vecchia bisbetica è in compagnia adesso. Mi dispiace solo per il piccolo!”
Evelyn non rise, lei adorava zia Camille e non aveva mai compreso il disprezzo che Amabel proava per quella donna.
“Lasciami parlare. Il mese prossimo mi trasferirò a Boston insieme al mio nuovo marito.”
Amabel sgranò gli occhi. Quella rivelazione fu tanto inaspettata quanto surreale che la fece ridacchiare.
“Bobby è morto poco tempo fa e tu hai già trovato un sostituto? Sei davvero in gamba nella caccia gli uomini, zia Camille ti ha ammaestrata bene!”
“Mi sposo con George Cavendish, il cugino di Dominic e Jacob.”
Le risate si placarono subito a quelle parole che avevano mozzato il fiato di Amabel per qualche secondo. Tirò a sé la sorella per bisbigliarle all’orecchio.
“Ti ricordo che siamo state indagate per la morte dei suoi cugini. Non è una saggia decisione. Anzi, è la decisione più stupida che tu possa prendere! Abbiamo fatto di tutto pur di ammettere la nostra innocenza, non puoi rovinare tutto.”
Evelyn si liberò con uno strattone e rivolse uno sguardo truce alla sorella maggiore.
“George è uno sciocco, non è pericoloso. Ha anche perso un braccio in guerra, quindi è già tanto che abbia trovato una donna disposta a sposarlo. Non scoprirà mai la verità.”
“Tu lo sposi solo per i soldi, vero? Misericordia, Evelyn! Forse sarebbe il momento di smetterla di ragionare secondo gli insegnamenti di quella vecchia pazza di Camille!”
“E cosa dovrei fare? Studiare? E’ troppo tardi. Lavorare? Non fa per me. Io desidero solo una vita agiata, George lavora in banca e riceve una pensione per l’arto mancante.”
Era paradossale che Evelyn parlasse di farsi mantenere da un uomo quando Amabel pochi minuti aveva parlato di indipendenza economica femminile con Giselle.
“Non è tardi per studiare. Puoi ancora seguire un corso per infermiere ed essere assunta nella mia clinica. Sono propensa a perdonarti, Evelyn.”
Evelyn raddrizzò la schiena come aveva insegnato loro la madre, bisognava mantenere un certo contegno dignitoso in ogni circostanza, soprattutto nelle avversità.
“Io non sono come te e Diana. Non mi piace perdere tempo sui libri, non mi piace impegnarmi per lavorare, e non mi piace la vita modesta che avete scelto. Tu sei sempre stata la migliore, Amabel. Tu sei la più bella, la più intelligente, la più gentile, e gli uomini si innamorano sempre di te. Oggi sei una donna realizzata, hai una clinica tutta tua, hai un marito che stravede per te e hai due figli.”
Amabel avvertì una fitta al petto, un dolore cupo che le invadeva le arterie pompando sangue amaro.
“Non sono così. Io sono andata in guerra, ho faticato per affermarmi nel mondo medico, ho perso un figlio e spesso faccio fatica a gestire l’indole di mio marito. Quella Amabel che conoscevi, spensierata e gentile, non esiste più. E’ morta in Francia. La vita è difficile per tutti, anche per me! Tu potevi avere tutto, lavoro, fama, amore, eppure hai intrapreso sempre la strada sbagliata. Non è colpa mia se la tua vita è andata a rotoli, è solamente colpa tua.”
Evelyn incassò il colpo in silenzio, abbassò gli occhi e si morse l’interno della guancia. Amabel le accarezzò la guancia e le baciò la fronte.
“Buona fortuna per tutto, Evelyn. Ti voglio bene.”
Quando Amabel tornò al tavolo, Tommy si accorse del suo smarrimento.
“Tutto bene?”
“Alla grande.”
Tommy scorse Evelyn sedersi accanto ad un uomo dai capelli fulvi e capì che sua moglie non stava bene come fingeva di essere.
 
Due mesi dopo, dicembre.
Amabel agguantò Charlie per la caviglia prima che il bambino cadesse dal letto. Stava facendo pratica con le capriole da un paio di settimane e il più delle volte finiva con un bernoccolo sulla fronte.
“Sei spericolato come tuo padre.”
Charlie si rituffò nel letto e iniziò a rotolarsi fra le coperte mentre la sua risata innocente risuonava nella camera da letto.
“Qualcuno mi ha chiamato?”
Tommy entrò nella stanza con addosso solo i pantaloni, la sua resistenza al freddo era uno dei pochi risvolti positivi della guerra. Ricordava ancora le interminabili notti di gelo che aveva trascorso nelle gallerie con Danny e Freddie, e quel freddo spesso gli pungolava ancora le ossa.
“Charlie ha deciso che rompersi il collo con le capriole sia una splendida idea.”
Il bambino rise ancora e tentò un’altra capriola ma Tommy lo fermò in tempo.
“Direi che per stasera può bastare.”
Tommy si sdraiò sul letto a pancia in giù e Charlie lo imitò, erano così simili con i capelli scuri e gli occhi azzurri. Amabel depose sul comodino il libro che stava leggendo e con un sospiro frustrato si mise più comoda contro i cuscini.
“Come ti senti?” chiese Tommy, e intanto accarezzava i capelli di Charlie.
Amabel negli ultimi tempi non era stata bene, la stanchezza e lo stress l’avevano costretta a letto per evitare l’interruzione della gravidanza.
“Annoiata, triste, e ancora annoiata.”
“No. – intervenne Charlie – Triste no!”
Amabel sorrise quando il bambino le strinse le esili braccia intorno al collo. Per essere tanto piccolo, dava gli abbracci migliori.
“Non sono più triste. Grazie per l’abbraccio.”
Charlie si rannicchiò contro di lei e appoggiò la manina sulla pancia, gli piaceva capire quando il nuovo arrivato si sarebbe fatto sentire.
“Eccolo!”
Anche Tommy mise la mano sulla pancia della moglie e avvertì un calcio.
“E’ forte. Polly dice che sarà una femmina.”
“E Polly di solito ha sempre ragione.” Aggiunse Amabel con un sorriso.
“Vero. – asserì Tommy – Charlie, è ora di andare a dormire. Domattina ti devi svegliare presto per andare a giocare con Karl.”
“Ciao!” disse Charlie, poi lasciò un bacino sulla guancia di Amabel.
“Buonanotte, tesoro.”
Mentre Tommy faceva addormentare il bambino, Amabel si concentrò di nuovo sulla lettura. Stava leggendo ‘La signora di Wildfell Hall’ di Anne Brontë , un romanzo epistolare su una tale Helen Graham che fugge da un matrimonio infelice. Era così immersa in quelle pagine da non accorgersi di Tommy che la guardava dallo stipite della porta con un sorriso.
“Questo libro ti piace molto, eh.”
Entrambi rammentavano ancora il loro primo viaggio in treno, fingendosi sposati, durante il quale lei si era estraniata mentre leggeva ‘I fiori del male’ di Baudelaire e lui si era perso ad ammirarla.
“E’ molto bello, sì. Ti leggo qualcosa?”
“Certamente.”
Quello era diventato un loro intimo rituale: ogni volta che Amabel incominciava un libro, selezionava alcune frasi e gliele leggeva. Tommy non era un amante dei libri, però non avrebbe mai rinunciato al loro momento.
“Questa mi piace: Lo condurrò per mano finché non avrà la forza di procedere da solo; e toglierò dal suo percorso quante più pietre potrò, e gli insegnerò a evitare quelle rimaste o a camminare saldamente sopra di esse. Che te ne pare?”
“Bella. – disse Tommy – Che significa per te?”
Si distese sul fianco per guardare sua moglie mentre attaccava con una delle sue prolisse spiegazioni letterarie, una delle tante cose che amava di lei.
“Mi piace perché mi fa pensare all’amore. Se ci pensi bene, è proprio quello che facciamo con le persone che amiamo, le aiutiamo a camminare superando gli ostacoli insieme a loro. Questo libro è pieno di frasi di questo genere perché in pratica la trama rig …”
“Quanto sei bella.”
Amabel si interruppe e arrossì, i complimenti improvvisi la mettevano a disagio.
“Cosa c’entra questo con il libro?”
“Non c’entra niente. E’ solo che sei bella quando parli di libri. Hai una luce tutta tua.”
“Grazie, credo.”
Tommy si sporse per baciarla, era troppo bella per non farlo. Amabel sorrise sulle sue labbra prima di approfondire il contatto. Il bracciale d’oro tintinnò quando si strinsero l’uno all’altro per baciarsi ancora. Amabel gli accarezzò il collo, fece scivolare la mano sulla spalla, lungo il braccio e poi sul fianco per tirarlo più vicino. La pelle di lui era fredda contro il palmo caldo, creando un mix perfetto.
“La mia Bel.”
Tommy le baciò il collo lentamente per poi scendere a baciarle il petto. Amabel non indossava il reggiseno e, quando la camicia da notte si spostò, un seno fu a  disposizione di Tommy. Lei emise un piccolo gemito per la delicatezza e la sicurezza con cui lui la stava trattando. Tornarono a baciarsi con maggiore trasporto, le bocche ansimavano, le mani si cercavano frenetiche. Amabel si scostò con un sorriso soddisfatto e passò una mano fra i capelli neri di Tommy, i suoi accattivanti occhi azzurri non smettevano di guardarla.
“Ti amo, Thomas.”
Tommy le stampò un paio di baci sulla bocca facendola ridere.
“Anche io.”
 
Tre mesi dopo, marzo.
Amabel spingeva la legna nel camino con l’attizzatoio, più per tedio che per necessità. A Birmingham pioveva ormai da tre giorni senza sosta. Era impossibile uscire a causa delle strade allagate, dei trasporti pubblici sospesi e delle forti raffiche di vento. Chi abitava in campagna era stato ospitato in città perché il vento aveva divelto i tetti e distrutto le tegole. Anche i bambini dell’orfanotrofio erano stati accolti in città, in una struttura messa a disposizione dal sindaco. La corrente era stata messa fuori uso, soltanto gli ospedali, centri medici minori e la centrale di polizia erano ancora in funzione. Amabel non ne poteva più di starsene rintanata in casa per colpa del maltempo e della gravidanza, sperava che quella monotonia finisse presto.
“Bel, dove sono le altre candele?”
“Nel terzo cassetto sulla destra. Sono quelle rosse avanzate da Natale.”
Il salotto era disseminato dalle candele, da coperte e tazze di the. Charlie non c’era poiché la situazione era precipitata prima che Tommy potesse recuperarlo, pertanto il bambino si trovava con Polly, Ada e Karl. La casa senza Charlie era ancora più spenta.
“Per fortuna abbiamo una scorta di candele. Questo fottuto tempo di merda sembra non volersene andare.”
Tommy dispose le candele sul tavolino e si sedette di fronte al camino per ardere altra legna. Amabel, avvolta in una coperta sul divano, fissava il fuoco che divampava.
“Oggi nostro figlio è irrequieto. Mi sta dando il tormento.”
“Deve aver preso da me.” la schernì Tommy, ma lei non sorrise.
“Sono seria, Thomas. Ho dolori dappertutto. Non ne posso più.”
Amabel si mise seduta e bevve la camomilla bollente che fumava nella tazza. Il tepore della porcellana fra le mani era piacevole.
“Manca poco. Il dottore ha detto che tra un paio di settimane dovrebbe nascere.”
“E da quando noi crediamo al dottor Smith? Ti ricordo che anche io sono un medico!”
Tommy inarcò il sopracciglio e si mise una sigaretta in bocca, dopodiché l’abbandonò sul tavolino visto che non poteva fumare vicino a sua moglie.
“Amore, tranquilla. Fai un bel respiro.”
“Non voglio stare tranquilla!”
La calma di Tommy innervosì ancora di più Amabel, che mise il broncio e sbuffò.
“Vuoi qualcosa da mangiare? Di solito il cibo ti calma.”
“Stai davvero cercando di zittire le mie lamentele col cibo? Ottima mossa!”
“Il cibo con te funziona sempre.”
Amabel finalmente sorrise, sebbene i segni della stanchezza rendessero mesto il suo sorriso. Tommy le portò una confezione di biscotti alla nocciola che aveva preparato Jalia, e sua moglie mangiucchiò in silenzio.
“I biscotti erano buoni. Ora va un pochino meglio.”
“Meno male, non avrei sopportato i tuoi lamenti ancora per molto.” Scherzò Tommy.
Amabel si allungò con l’intento di colpirlo alla nuca ma la pancia le impediva movimenti azzardati.
“Ringrazia questo pancione che ti ha salvato da uno scappellotto.”
Tommy si inginocchiò davanti a lei e le sollevò la camicia da notte, le dita che le sfioravano le cosce.
“Conosco un metodo per farti rilassare.”
“Non mi sembra il caso, Thomas.”
“E’ sempre il caso.”
Amabel rabbrividì quando le labbra fredde di Tommy le toccarono l’interno coscia, era una sensazione paradisiaca. Nel frattempo lui con le mani le accarezzava le ginocchia, beandosi del calore di quella pelle. Di colpa si accese la luce e Amabel sospirò di sollievo, almeno qualcosa stava tornando alla normalità.
“Va a chiamare Polly per sapere come stanno lei e Charlie.” Ordinò lei.
Tommy fece una smorfia, era stato interrotto sul più bello, non aveva mai odiato l’elettricità come quella sera.
“Thomas! Vieni subito!”
Amabel se ne stava seduta sul bordo del divano con una pozza d’acqua ai piedi.
“Cha diavolo è?”
“Si sono rotte le acque. Sto per partorire.”
L’autocontrollo di Amabel era invidiabile, respirava come le aveva consigliato il dottore alternando respiri brevi e lunghi. Tommy, invece, aggrottò le sopracciglia nel panico.
“Non puoi partorire ora che la città è bloccata! Cazzo!”
“Thomas. – disse Amabel – Ascoltami bene, avvisa Polly e avvisa la clinica. Va tutto bene, abbiamo tempo. Le contrazioni inizieranno a breve e potrebbero passare alcune ore prima del parto.”
Tommy imprecò a bassa voce ma seguì il suggerimento della moglie. Compose il numero della zia e attese una risposta con il cuore gli batteva in gola.
“Qui Polly Gray. Chi parla?”
“Pol, sono Tommy. Amabel sta per partorire. Io non so che cazzo fare!”
“Tommy, stai … calmo … ar- … -est … asp- …”
“Pol? Pol?”
La corrente era di nuovo morta, trascinando con sé anche la linea telefonica. Tommy sbatté la cornetta contro la parete, non era il momento giusto per essere isolati. Quando fece ritorno in salotto, Amabel era pallida come un cencio.
“La linea è andata a farsi fottere. Bel … che hai?”
“Le contrazioni sono iniziate prima del previsto. Non credo manchi molto al fatidico evento.”
“Proprio stasera? La città è impallata dal diluvio, non riusciremo mai ad arrivare in clinica.”
Amabel aveva il respiro alterato, stava sudando freddo anche se sentiva caldo.
“Ed è per questo che faremo nascere nostro figlio in casa.”
“Eh? Scherzi? Non è divertente, cazzo!” si lamentò Tommy.
“Lo so che non è divertente, ma non abbiamo … ah, che dolore! Non abbiamo altra scelta. Questo bambino nascerà con o senza il tuo aiuto, Thomas!”
Tommy si passò le mani sul viso stravolto, non era pronto ad un simile evento, non era capace di reggere quella tensione.
“Io non so se ce la faccio. Cazzo, far nascere un bambino è da matti!”
Amabel digrignò i denti per via di un’altra fitta di dolore, però rise per il terrore negli occhi del marito.
“Hai scavato gallerie per ore intere, hai disinnescato bombe, ti hanno spezzato la schiena, e hai paura di far nascere tuo figlio? Suvvia, Tommy Shelby è molto più forte di così.”
Tommy voleva ribellarsi ma il dolore che stava provando sua moglie era un incentivo ad accettare. Seguendo la logica, erano isolati e la clinica era troppo lontana per raggiungerla, perciò non restava che partorire in casa.
“Va bene. Che cosa serve? Andiamo di sopra?”
“Non ce la faccio ad andare in camera da letto. Lo faremo qui. Ci serve … oh, questa ha fatto male! Dicevo, ci serve una bacinella di acqua calda, tanti asciugamani, garze sterili, guanti, e ago e filo.”
“Che cazzo ci devo fare con ago e filo?”
“Per mettere eventuali punti di sutura.”
Tommy impallidì, aveva i capelli appiccicati alla fronte dal sudore.
“Dove vanno i punti?”
“Thomas, ti supplico di fidarti di me. Sarai fantastico. Ora va a prendere l’occorrente, non manca molto.”
Tommy, sebbene sopraffatto dall’agitazione, rimediò il necessario in fretta. Si fermò un attimo in cucina per prendere una bottiglia di whiskey come supporto psicologico e fisico.
“Ecco, c’è tutto. Adesso?”
Amabel si piegò in due dal dolore, segno che il momento atteso era sempre più vicino, e cercò di respirare come le era stato insegnato.
“Aiutami a farmi sedere sul pavimento.”
Tommy  aveva le mani che tremavano mentre aiutava la moglie ad appoggiare la schiena contro il divano. Un’altra contrazione scosse Amabel, che per il dolore eccessivo strinse forte la mano del marito.
“Questa è una fottuta pazzia.”
“Almeno potrai dire di aver fatto nascere tuo figlio.” disse Amabel ridendo.
Tommy si fece scappare un mezzo sorriso, malgrado la preoccupazione fosse più opprimente.
“Quanto dobbiamo aspettare?”
“Le contrazioni sono sempre più ravvicinate e dolorose, al massimo dobbiamo aspettare un paio d’ore.”
Il tono di voce di Amabel era cambiato e non per colpa del dolore, c’era una punta di angoscia che macchiava le sue parole.
“Va tutto bene, Bel?”
“Ho paura che le cose possano andare male e che il bambino possa …”
“Non succederà. Il bambino starà bene, te lo prometto. E’ uno Shelby, se la caverà perfettamente.”
Amabel appoggiò la testa sul petto del marito e si lasciò cullare dal suo odore tipico di fumo e alcol. Tommy provava a tranquillizzarla accarezzandole i capelli e baciandole la fronte ogni tanto, anche se il dolore aumentava di minuto in minuto.
Un’ora dopo Amabel si avvinghiò a Tommy quando il dolore si fece ormai insopportabile.
“Thomas, è ora. Lavati le mani con l’acqua bollente e infilati i guanti, dobbiamo prevenire qualsiasi infezione. Poi sistema un paio di asciugamani sul pavimento.”
Tommy accontentò ogni richiesta in pochi minuti. Stappò il whiskey e ne bevve un lungo sorso nella speranza che l’alcol lo aiutasse a sopravvivere a ciò che lo attendeva.
“Ci sono.” Disse, ma non era poi così convinto.
Amabel era sbiancata, sudava e rabbrividiva, e i suoi lineamenti era contratti dalla sofferenza.
“Sto per morire, me lo sento.”
“Allora siamo in due.” chiosò Tommy.
“Siamo sopravvissuti alla Francia, un parto non dovrebbe essere così terrificante.”
“Questo è fottutamente terrificante, forse più della Francia.”
Amabel scoppiò a ridere e fu trafitta da un’altra contrazione. Capì che quello era il punto di non ritorno.
“Dammi la mano e non lasciarla per nessuna ragione al mondo.”
“Non ti lascio, Bel. Sono qui.”
Tommy non credeva che Amabel avesse tanta forza, gli stava stritolando la mano come avrebbe fatto Arthur durante un combattimento.
“Questo è il momento in cui mi sproni a spingere o mi dici qualcosa di rassicurante.”
“Ah, sì, sì … certo … ehm …”
Tommy non sapeva cosa dire, nessun uomo della sua famiglia aveva mai assistito ad un parto né tantomeno ne aveva partecipato attivamente. Quando Ada aveva partorito, lui e i fratelli erano andati al Garrison a bere. Quando Grace aveva dato alla luce Charlie, lui era rimasto in cucina con Arthur a bere. Ora, invece, non poteva sfuggire e doveva addirittura incitare Amabel.
“Non sei d’aiuto, Thomas!”
Amabel non ne poteva più del dolore, la fatica sembrava lacerarle la pelle dall’interno, e di certo guidare il marito non era facile. Ogni spinta sembrava sempre più straziante, la testa le girava, le gambe si erano intorpidite, e la camicia da notte era zuppa di sudore.
“Un’altra spinta, Bel. Ci siamo quasi!”
Tommy sbarrò gli occhi quando Amabel gli strinse talmente tanto la mano da far defluire il sangue dalle nocche. Amabel aveva dimenticato ogni consiglio del medico, ora si affidava solo all’istinto.
“Non ce la faccio più.”
“Sì che ce la fai. Stai facendo un ottimo lavoro … e vedo la testa!”
Amabel voleva sbellicarsi dalle risate per l’incapacità del marito, ma il suo corpo stava perdendo energia ad ogni spinta. Tommy aveva le mani imbrattate di sangue e liquido amniotico, e fortuna che indossava i guanti.
Una decina di minuti dopo un vagito riecheggiò in tutta la casa.
“E’ una femmina. Nostra figlia è una femmina!” disse Tommy, gli occhi lucidi per la gioia.
Immerse la piccola nella bacinella per lavarla alla meglio e l’avvolse in una copertina di Charlie, dopodiché la diede ad Amabel.
“Ciao. Sono la tua mamma. Sei bellissima!”
Tommy si lasciò cadere accanto a loro e ingurgitò quanto più whiskey possibile come ricompensa.
“Come sta? E tu come stai?”
Amabel fece i primi accertamenti – battito del cuore e polmoni – e sembrava che la bambina stesse piuttosto bene.
“Sembra stare bene. Io sto uno schifo, ma non credo siano necessari i punti.”
“Non avrei avuto il coraggio di farlo.” Confessò Tommy.
La porta di ingresso si spalancò e Polly entrò in casa accompagnata da Arthur. Tommy si tolse i guanti e abbracciò il fratello.
“E’ nata.”
Polly si inginocchiò affianco ad Amabel e accarezzò la guancia della neonata.
“E’ una femmina, lo sapevo. Come si chiama?”
Amabel guardò bene sua figlia, la felicità era talmente grande che si mise a piangere.
“Famiglia, vi presento Octavia Shelby.”
 
Amabel aprì gli occhi solo quando fuori si fece giorno. Poche ore prima Arthur era riuscito a contattare la clinica e a far arrivare un’autoambulanza a casa loro in modo da portare sia lei che la bambina in un luogo adatto. Il maltempo era scemato nel frattempo, la corrente era tornata e le strade erano state liberate dall’acqua.
“Amabel!”
Diana irruppe nella stanza come un tornado. Recava con sé un pacco regalo.
“Diana, che ci fai qui?”
“I treni sono stati rimessi in funzione e io e Finn ci siamo precipitati a Birmingham dopo la chiamata di Polly. Sono così felice per la mia nipotina!”
La ragazza si chinò sulla culla accanto al letto della paziente e osservò con amore la nipote che dormiva serena.
“Si chiama Octavia Jane Shelby.” Disse Amabel.
“Capisco. – disse Diana – ‘Octavia’ era il secondo nome di nostra madre.”
“E ‘Jane’ era il secondo nome della madre di Thomas. Abbiamo voluto creare un terzo nome.”
“E’ bellissimo. Questo è per voi!”
Amabel scartò il regalo e all’interno trovò una copertina bianca ricamata a mano e un paio di orecchini di perle.
“Non dovevi, Diana. Grazie mille, lo apprezzo molto.”
Il loro abbraccio fu spezzato dall’ingresso di Tommy, che era tornato a casa per un cambio d’abiti.
“Disturbo?”
“Certo che no. Vi lascio soli. Io vado a dire a Finn quanto è bella nostra nipote!” disse Diana.
Tommy baciò la fronte di Octavia e poi andò a sedersi vicino alla moglie.
“Ho una cosa per te.”
Dalla tasca interna della giacca tirò fuori un piccolo cofanetto di velluto rosso.
“Cos’è?”
“Un regalo per la nascita di nostra figlia. Su, aprilo.”
Amabel non aveva mai visto una collana tanto bella: un piccolo rubino scintillante era incastonato in una rosa di diamantini che brillavano vistosamente.
“Oh, Thomas, è … perfetta!”
“E’ solo una sciocchezza.”
“Una sciocchezza che costa parecchio.”
Tommy le appuntò il gioiello al collo e toccò il rubino con delicatezza.
“Perfetta.”
Amabel gli tirò la cravatta per baciarlo, un muto ringraziamento per tutto quello che aveva sopportato nelle ore passate.
“Grazie, Thomas. Davvero.”
Entrambi sapevano che quel ringraziamento non riguardava solo il parto, riguardava anche gli ultimi tre anni che avevano vissuto insieme tra litigi, violenza, salvataggi spericolati e tanta speranza.
 
 
Salve a tutti! ^_^
L’idea di Tommy che fa nascere un bambino mi divertiva troppo e ho deciso che andava scritta, anche se potrebbe uscire fuori dal personaggio.
Alla fine le cose stanno tornando al loro posto.
Manca un capitolo alla fine.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


EPILOGO: RISORGERE

“He's a god, he's a man
He's a ghost, he's a guru
They're whispering his name
Through this disappearing land
But hidden in his coat is a red right hand.”

(Red Right Hand, Nick Cave and the Bad Seeds)
 
Sei mesi dopo, agosto.
Amabel guidava verso la periferia di Birmingham con le dita che tamburellavano sullo sterzo per il nervosismo. Pochi minuti prima Johnny Dogs l’aveva chiamata in clinica perché raggiungesse il Red Dragon, un enorme magazzino militare abbandonato che i cinesi avevano trasformato in una palestra. Uscita dai confini cittadini, si ritrovò immersa nel buio pesto. I fari illuminavano un sentiero stretto e sterrato che si dirigeva verso la zona nord. La campagna intorno sembrava sterminata e pericolosa, i rami degli alberi simili a braccia rachitiche pronte a ghermirla. Sussultò quando un gufo planò sopra il tettuccio dell’auto. La campagna non faceva per lei. Mezz’ora dopo intravide due pire bruciare e capì che il luogo era quello. Lo spiazzale del magazzino era gremito di persone, uomini ubriachi e sotto l’effetto di qualche droga, giovani ragazzi che brindavano e alcune donne che civettavano fra di loro sedute sui cofani delle auto.
“Ehi, bella signora, cerchi divertimento?” domandò un uomo, accasciandosi contro il finestrino.
“Non ti conviene darmi fastidio.” Disse lei in tono perentorio.
“E perché? Tu chi cazzo sei?”
“Amabel Hamilton Shelby.”
L’uomo si tirò indietro con la paura stampata in volto, nessuno voleva inimicarsi Tommy Shelby.
“Scusatemi, dottoressa. Cercate vostro marito?”
“Ci penso io, Jim. Torna a ubriacarti.” Intervenne Johnny Dogs.
Amabel parcheggiò nei pressi del cancello, lontano dalla folla, e recuperò la valigetta. Johnny le tolse la borsa di mano un po’ bruscamente, sebbene il suo gesto avesse l’intenzione da gentiluomo.
“Che ha combinato questa volta Thomas?”
“Venite con me, dottoressa.”
Amabel fu condotta all’interno del magazzino, uno spazio grande e arredato solo da un ring da combattimento, sacchi e altri attrezzi da allenamento. Tommy stava fumando accanto ad un lottatore col viso insanguinato. Si illuminò quando vide Amabel andargli incontro. I tacchi picchiettavano sul pavimento come se una pistola scaricasse proiettili per terra. Camminava a testa alta e schiena dritta, il portamento di una donna pronta a tutto.
“Bel, eccoti.”
“Sono reduce da un turno di sedici ore in clinica, sono stanca e vorrei tornare a casa dai bambini. Quindi che diavolo avete combinato questa volta?”
Tommy la prese da parte per parlarle lontano da orecchie indiscrete.
“Non avrei voluto trascinarti qui, ma Arthur ha fatto un casino a cui dobbiamo rimediare.”
Amabel avrebbe voluto andarsene seduta stante, era troppo sfinita per sopportare altri problemi, ma Tommy aveva quello sguardo supplichevole che riusciva sempre a convincerla.
“E va bene. Che devo fare?”
“Arthur e Johnny Dogs hanno organizzato un combattimento clandestino con il figlio dei cinesi senza chiedere il permesso a nessuno. Arthur lo ha ridotto male, gli ha spaccato la faccia e non smette di sanguinare.”
“Se il ragazzo muore, i cinesi faranno guerra ai Peaky Blinders.” Aggiunse Amabel.
“Esatto. – disse Tommy – Devi salvare il ragazzo. Non è il momento per una fottuta guerra con i cinesi. E devi farlo prima che il padre e i fratelli lo scoprano.”
“Questo ti costerà caro, Shelby.”
Tommy le prese la mano di nascosto, non voleva che qualcuno lo vedesse compiere un gesto affettuoso.
“Farò tutto quello che vorrai. Ora, per favore, aiutaci.”
Amabel alzò gli occhi al cielo e annuì, non avrebbe mai lasciato la città sull’orlo di un’ennesima diatriba.
“Dov’è il ragazzo? E Arthur sta bene?”
“Quello stronzo di Arthur sta benissimo, ci penso io. Johnny ti porterà dal ragazzo.”
Mentre Amabel seguiva Johnny, scorse Tommy schiaffeggiare Arthur e rimproverarlo per la sua pessima iniziativa.
“E’ qui.” Disse Johnny Dogs.
Amabel varcò una tenda sgualcita e unta ed entrò in una stanzetta che un tempo doveva essere il deposito delle provviste. Il ragazzo in questione stava sdraiato su una brandina malmessa, si lamentava e si dimenava. La sua faccia era spaventosa, una poltiglia di carne massacrata e sangue. La spalla era chiaramente lussata. Dalla maglietta spuntava una costola. Una delle gambe non si muoveva.
“E’ mostruoso.” Mormorò Amabel, turbata da quella vista.
Johnny guardò il ragazzo e scosse la testa, del resto era anche colpa sua se adesso rischiavano una faida con i cinesi.
“Tommy dice che potete aiutarlo. Ce la fate?”
“Forse. In guerra ho curato parecchi soldati conciati peggio di lui, ma allora avevo gli strumenti adatti. Non possiamo portarlo in ospedale o in clinica, perciò non so quanto possa essere d’aiuto il mio intervento.”
“Puoi farcela.” Disse una voce alle sue spalle.
Michael era appena entrato e se ne stava appoggiato alla parete con le mani in tasca. Era da tempo che loro due non stavano insieme nella stessa stanza. Amabel lo ignorò, quindi aprì la valigetta e raccolse il necessario.
“Johnny, prendi un secchio di acqua fredda e degli stracci. Prima pensiamo alla faccia, poi al resto.”
Rimasti da soli, Michael fece un passo avanti e Amabel indietreggiò.
“Tommy ti ordina di starmi lontano?”
“Non essere ridicolo, Michael. Non siamo qui per discutere della tua cotta ma per salvare una vita.”
“La mia non è una stupida cotta.” Replicò lui con disappunto.
Amabel stava per rispondere quando Johnny rientrò con un secchio pieno e una busta di pezze bianche.
“Johnny, ora dovrai gettare l’acqua fredda sulla faccia del ragazzo.”
“Sicura? Non è un po’ … barbaro.”
Amabel inarcò il sopracciglio.
“Sono io il medico. Il sangue va lavato in fretta e una secchiata d’acqua è il metodo più rapido ed efficace.”
Sebbene scettico, Johnny rovesciò l’acqua addosso al ragazzo. Il sangue schizzò sulla parete, sul materasso della brandina e sul pavimento. Il ragazzo imprecò per il dolore, ma Amabel ora poteva costatare per bene i danni.
“L’occhio sinistro è del tutto chiuso, mentre il destro è gonfio. Il labbro e il naso sono spaccati. La mascella è fuori sede. Anche la spalla è fuori sede. La gamba destra, invece, sembra aver perso sensibilità. La costola presenta solo gonfiore ed ecchimosi, per fortuna oserei dire.”
“Cazzo, Arthur lo ha fracassato.” Giudicò Johnny.
“Già. – disse Amabel – E sarà difficile renderlo presentabile per evitare che i cinesi ammazzino Arthur. Mettiamoci al lavoro.”
Michael si levò la giacca e la gettò a terra per avvicinarsi alla brandina.
“Che facciamo?”
“Dobbiamo praticare una riduzione della lussazione, cioè dobbiamo rimettere in sede la spalla grazie alla tecnica di Ippocrate.”
Johnny e Michael si scambiarono un’occhiata confusa, al che Amabel sbuffò.
“La tecnica prevede che io tenga il braccio lussato dal polso per applicare una trazione con un angolo di quarantacinque gradi. Voi immobilizzate il ragazzo sul letto e io applico la manovra.”
Johnny e Michael premettero il ragazzo sul materasso affinché non si muovesse, Amabel gli afferrò il polso e ruotò il braccio come previsto dalla tecnica ippocratea. Il ragazzo lanciò un urlo simile a quello di un toro ruggente.
“Fatto?”
“Fatto. – confermò Amabel – Ora passiamo alla mascella.”
“Ci penso io. Ho rimesso in sesto molte mascelle dei miei uomini.” Disse Johnny, fiero di sé.
Amabel lo lasciò fare e, dopo un rumore strano e un altro grido, la mascella era tornata al suo posto.
“Ottimo lavoro. Adesso io penso alla faccia. Voi trovate qualcosa di non troppo duro per tenere la costola.”
Nella mezz’ora successiva Amabel si affaticò per disinfettare e ricucire le ferite, per aprire l’occhio sinistro ammaccato, per sistemare la costola, per risvegliare la gamba. Tommy la raggiunse mentre stava controllando di aver curato ogni lacerazione.
“Come va?”
“Non tanto bene. La faccia andrà guarendo nelle prossime settimane e la spalla entro due mesi migliorerà, ma temo che la gamba non tornerà a funzionare. Anche la vista all’occhio è decisamente peggiorata, suppongo che vedrà ombre sfocate.”
“Merda. Arthur ha creato un fottuto cadavere!”
Tommy diede un calcio al secchio che si schiantò contro la parete con un forte clangore. Amabel gli cinse il collo con le mani e gli massaggiò la nuca per calmarlo.
“Possiamo risolvere la cosa, Thomas. Ci sono io con te.”
“Questi sono i fottuti casini del cazzo a cui abbiamo rinunciato tempo fa.”
Tommy tentò di scansarsi ma lei lo tenne stretto.
“Lo so, ma la vita è imprevedibile. Arthur ha combinato un disastro e tocca a noi risolverlo. E se pagassimo i cinesi? Il figlio è comunque vivo, magari una bella somma di denaro placherà la loro voglia di vendetta.”
“Tommy, i cinesi sono arrivati!”
Michael irruppe nella stanza obbligandoli a staccarsi. Amabel per qualche assurda ragione si sentì in imbarazzo, non era giusto che Michael soffrisse per colpa sua.
“Arriviamo.”
 
Amabel stava al fianco di Tommy mentre i cinesi entravano nel magazzino. Il padre della vittima, il signor Chang, era un uomo minuto e dal viso rugoso, i suoi occhi a mandorla sprizzavano odio.
“Zingari, voi siete sempre in mezzo. Ah, noto che con voi c’è anche la regina di Birmingham.”
Amabel si morse la lingua per non ribattere e non peggiorare le cose, ma Tommy aggrottò la fronte in segno di fastidio.
“Mia moglie ha salvato tuo figlio, quindi eviterei le battutine del cazzo.”
Il signor Chang sbatté il bastone sul pavimento e si mise a ridere.
“Salvato, dici? Tuo fratello ha ridotto mio figlio ad un cane bastonato. Il mio povero ragazzo non ci vede più da un occhio e ha perso una gamba. Ti sembra che la tua troietta lo abbia salvato?”
Tommy non batté ciglio, si limitò ad increspare le labbra in una piccola smorfia contrariata.
“Ti diverti, stronzo?”
“Sì, mi diverte il fatto che ora ti atteggi a re quando tutti sanno che hai abbandonato il ruolo da leader perché stai in parlamento. Sei un fottuto pagliaccio, zingaro.”
Chang rise di nuovo insieme ai suoi figli, due ragazzi alti e robusti che lo avevano accompagnato. Amabel era stufa di essere insultata perché era una donna e perché era la moglie di Tommy Shelby, e le risate schernitrici dei tre uomini le facevano montare dentro una rabbia feroce.
“Ho salvato l’inutile vita di tuo figlio, direi che dovresti avere almeno la decenza di tacere.”
Chang storse il naso a quell’affronto, nella sua famiglia nessuna femmina si era mai permessa di parlargli con tanta sfacciataggine.
“Tacere, e perché? Solo perché me lo ordina quella che si scopa uno sporco zingaro?”
Fu allora che Amabel strappò la pistola dalla mano di Johnny Dogs e la puntò contro il signor Chang. Tommy non rimase stupito dal gesto, piuttosto fu meravigliato di come la moglie impugnasse l’arma senza tentennare. La sua mano era ferma come quella di un cecchino.
“Smettila di zittirmi con gli insulti, altrimenti ti sparo dritto in faccia. La mia mira è discretamente buona.”
Nel magazzino era calato il silenzio, tutti gli occhi erano fissi sulla dottoressa che sembrava una leonessa in procinto di sbranare la preda. Chang sorrise divertito.
“Sei una donna, non hai le palle di sparare.”
“Lei non ha le palle, ecco perché è intelligente.” disse Tommy, e un certo orgoglio colorava la sua voce.
“Vaffanculo.” Grugnì Chang a denti stretti.
Fu allora che Amabel premette il grilletto. Il proiettile colpì il ginocchio del signor Chang, che cadde a terra lasciando una striscia di sangue sul pavimento lurido.
“Il prossimo te lo ficco in mezzo agli occhi.” disse lei.
Michael abbassò lo sguardo perché non riusciva a riconoscere in Amabel la donna amorevole e gentile di un tempo. Stare con Tommy aveva indurito il suo carattere e l’aveva resa simile a lui.
“Prendi tuo figlio e andate via da qui. Nessuna faida tra di noi. Considera la restituzione di tuo figlio come una tregua.” Disse Tommy, le mani in tasca, la sigaretta tra le labbra.
I figli di Chang raccolsero sia il padre sia il fratello, e soprattutto l’umiliazione della sconfitta.
“Siete dei maledetti.” Biascicò Chang, il viso bianco dal dolore.
Tommy sorrise, un ghigno che somigliava a quello che Lucifero doveva aver sfoggiato prima di cadere.
“Va in città e dì a tutti che Tommy Shelby è tornato.”
 
Amabel se ne stava seduta sul cofano della macchina, sventolandosi con un ventaglio che Diana le aveva portato dalla Grecia. Era pieno agosto, faceva caldo, ma soprattutto a disturbarla era l’afa soffocante.
“Bel.”
Tommy stava fumando mentre camminava verso di lei, il passo sicuro di un re che sa di aver conquistato ancora una volta il proprio regno.
“Michael prima ha distolto lo sguardo dopo che ho sparato.”
“Ti importa il giudizio di Michael?”
Amabel giocava con la fede, una vecchia abitudine ormai, e sospirò.
“Ho sparato ad un uomo senza alcun timore. Non ho provato pietà o senso di colpa neanche per un istante. Sono forse diventata un mostro?”
“No. Sei diventata una donna consapevole. Non sei solo un medico, una moglie e una madre, sei una donna che sa quello che vuole ed è disposta ad affrontare chiunque pur di far prevalere la propria persona. Hai sparato ad un topo di fogna, non ad un innocente. E poi hai colpito il ginocchio, io l’avrei colpito quantomeno nelle palle.”
Amabel rise e si morse il labbro perché avrebbe dovuto meditare ancora sulla faccenda, invece Tommy aveva già disciolto ogni dubbio.
“Grazie, Thomas.”
“Grazie a te per risolvere i casini della fottuta famiglia Shelby.”
“Sempre.”
“Torniamo a casa?”
Tommy tese la mano e Amabel l’afferrò con un sorriso.
 
Tre mesi dopo, novembre.
Tommy scrutava la folla mentre lo champagne gli rinfrescava la gola secca. Si trovava al party che Amabel e Ada avevano organizzato per inaugurare il ‘Laboratorio delle donne’, il centro per insegnare un mestiere alle donne di Birmingham e dintorni. Il laboratorio si ubicava nei pressi della chiesa di Saint Chad in modo che tutti potessero fare un’offerta oppure spargere la voce. Si sa, i parrocchiani hanno la chiacchiera facile. Amabel stava parlottando con suor Anne, una giovane donna che era ben disposta ad insegnare il ricamo in laboratorio.
“Ehi, cazzone.” Esordì Arthur, già al terzo bicchiere di chissà cosa.
“Arthur. – lo salutò Tommy – Che vuoi?”
“Ti ho visto col musone e ho pensato di farti compagnia.”
Diana e Finn ridevano così forte da far girare tutti gli invitati, ma nessuno osava spezzare la gioia di una giovane coppia. Charlie giocava con Karl a nascondino. Octavia, invece, sonnecchiava fra le braccia della madre. La bambina aveva i capelli castani della madre e le sue lunghe ciglia, ma aveva gli occhi azzurri del padre, un segno distintivo che fosse una Shelby.
“Non ho il musone.”
“Quelle due si faranno ammazzare. Tutti odiano le donne intelligenti.” Disse Arthur.
Tommy già ci aveva pensato che Ada e Amabel stavano per diventare un bersaglio. Molte delle donne che avrebbero ospitato potevano essere le figlie, le sorelle e mogli di uomini disposti a tutto pur di mantenere il controllo.
“Lo so.”
Arthur si lisciò i baffi, non vi erano residui di polvere bianca, ma il suo alito sapeva di alcol.
“Avresti dovuto impedirlo a tua moglie.”
“Se tu passassi cinque minuti con Amabel, capiresti che fermarla è impossibile. Parla sempre dei diritti delle donne, dell’indipendenza femminile, di libri e citazioni colte che a volte capisce da sola. Non posso fermarla, Arthur. Lei è il tipo di persona che serve a Birmingham. Amabel e Ada sono davvero in gamba, e impedire loro di fare qualcosa equivale ad affrontare la loro ira.”
Arthur ridacchiò, sapeva bene che Ada avrebbe puntato i piedi e avrebbe strillato fino a quando non sarebbe stata accontentata.
“E come pensi di proteggerle?”
Tommy finì lo champagne in una sola sorsata, il suo sguardo fisso su Amabel che sorrideva.
“Con i Peaky Blinders.”
“Ma non ti eri tipo ritirato?”
“Non in via definitiva. Sai che fine ha fatto Michael?”
Arthur si oscurò in viso, spense il sigaro nel posacenere e raccattò un altro bicchiere di champagne.
“E’ partito stamattina per New York.”
“Meglio così. Una nuova città lo aiuterà a schiarirsi le idee.” Disse Tommy, la sigaretta tra le dita.
“Non pensi di esagerare, Tom? Cazzo, Michael è uno di famiglia. Non vale la pena litigare col tuo stesso sangue per una donna.”
“Non si tratta di una donna qualunque. Si tratta della mia Amabel. E nessuno, tantomeno mio cugino, può rovinare il mio matrimonio.”
“Tom …”
Tommy liquidò il fratello con una pacca sulla spalla e si allontanò dal bancone, non aveva voglia di ribadire sempre lo stesso concetto, ovvero che sua moglie sarebbe rimasta sua fino all’ultimo respiro.
“Mi concedete questo ballo, signora Shelby?”
Amabel sorrise e si voltò verso Tommy che le stava porgendo la mano. Octavia ora giocava col figlio di Arthur, quindi accettò l’invito del marito senza remore.
“Ma che galanteria, signor Shelby. Voi riuscite sempre a stupirmi.”
Iniziarono a ballare sulle note del pianoforte che Diana stava suonando per deliziare gli ospiti. Amabel sentiva la mano calda di Tommy accarezzarle piano la schiena e si abbandonò a quel momento di pace, uno dei pochi nelle loro vite frenetiche. Posò la guancia contro la spalla del marito mentre continuavano ad ondeggiare a suon di musica.
“Cosa c’è che non va, Thomas? Lo percepisco che sei preoccupato.”
Quando Amabel sollevò il mento per guardarlo negli occhi, Tommy ne approfittò per rubarle un bacio.
“Niente. Sono solo stanco.”
“Non è vero, ma ne discuteremo a casa.”
Tommy d’istinto rafforzò la presa intorno al corpo di Amabel, voleva sentirla vicina il più possibile.
“Non è serata, Bel. Lascia perdere.”
Amabel avrebbe voluto insistere, ma lo sconforto negli occhi di Tommy la fece desistere.
“Va bene. Però ricordati che io ci sono sempre.”
“Lo so, amore. Lo so.”
 
Due mesi dopo, gennaio.
Quella domenica mattina Amabel si svegliò alle sei e mezzo del mattino. Era ancora piuttosto buio, fuori pioveva e sembrava che durante la notte avesse anche nevicato tanto era gelida l’aria. Tommy stranamente dormiva ancora, ciò significava che doveva essere rincasato tardi. Si infilò la giacca da camera e andò a controllare i bambini. Charlie dormiva con la boccuccia semiaperta e i capelli sparati sul cuscino, mentre Octavia dormiva a pancia in giù e col ciucciotto stretto fra le dita. Le venne in mente di regalarsi un bagno caldo, quindi baciò la fronte dei bambini e si chiuse in bagno. L’ultimo anno era stato frenetico tra il lavoro in clinica, il Laboratorio, il trasferimento di Diana e Finn in Galles, e di certo non era facile tenere a bada i Peaky Blinders.
Amabel si immerse nell’acqua calda e lasciò che ogni preoccupazione abbandonasse la sua mente.
“Bel.”
Riconobbe quella voce roca all’istante, l’avrebbe riconosciuta fra mille. Tommy la fissava dalla soglia del bagno, la sigaretta all’angolo della bocca, una tazzina di the fumante fra le mani.
“Thomas, buongiorno. Già fumi? Sento i tuoi polmoni maledirti.”
“Non sono di certo i primi a maledirmi.”
Amabel sorrise, quell’uomo aveva sempre la risposta pronta, ed era un aspetto che ammirava di lui.
“Vuoi unirti a me?”
“Speravo che me lo chiedessi.”
Tommy chiuse gli occhi quando il suo corpo spossato venne a contatto con il calore dell’acqua, voleva godersi quella sensazione gradevole. Amabel iniziò a massaggiargli i muscoli rigidi delle spalle, e ogni tanto ci scappava anche un bacio. Lui sospirava pesantemente a quelle attenzioni, solo Amabel sapeva come farlo sentire meglio.
“Dovresti farti controllare quella spalla, sento che il muscolo è troppo teso. Forse si tratta di un’infiammazione.”
“Tra il medico e la moglie la linea è sottile.” Disse Tommy, divertito.
“Simpaticone. – replicò lei – Io lo dico solo per il tuo bene.”
Amabel gli baciò un paio di cicatrici mentre faceva scorrere le dita fra le ciocche nere. Tommy odorava di fumo e whiskey combinati alla colonia, un odore che lei aveva imparato ad apprezzare col tempo. Tommy le accarezzò la coscia muovendo il dito come se componesse una parola.
“Eternamente tuo.” Sussurrò, posandole un bacio sul ginocchio.
Amabel lo abbracciò incrociando i polsi sul suo petto e gli sfiorò il lobo dell’orecchio con la bocca quando gli parlò.
“Maledetti siano i vostri occhi: m’hanno stregata e m’hanno diviso in due. Una metà di me è vostra, l’altra metà è ancor essa vostra.”
“Shakespeare. – disse Tommy – Lo hai letto il mese scorso.”
“Siete un ottimo osservatore, signor Shelby.”
Tommy sorrise e la guardò negli occhi, poi si avvicinò per baciarla. Fu un semplice tocco di labbra, una frase incompiuta ma in grado di comunicare molto.
“Osservo solo ciò che mi interessa.”
“Ah, quindi state ammettendo che siete interessato a me?”
Amabel adorava giocare, quel sorrisetto furbo sulle labbra, il sopracciglio flesso, e Tommy si faceva sempre coinvolgere.
“Sì, lo ammetto. Anzi, addirittura ammetto di essere innamorato perso di voi.”
Amabel aprì la bocca simulando una fasulla sorpresa e si portò le mani sul cuore, teatrale come solo lei sapeva essere.
“Signor Shelby, voi mi fate battere il cuore con simili parole!”
Tommy le prese la mano per baciarne il dorso delicatamente.
“Allora siate mia, signorina Hamilton.”
“Provate a prendermi.”
Amabel in una manciata di secondi uscì dalla vasca, indossò l’accappatoio e fuggì via. Tommy la trovò in cucina con un ghigno dipinto sulle labbra.
“Siete una preda difficile, signorina.”
“Oppure voi siete troppo lento.”
Amabel studiò la figura di suo marito, i capelli bagnati, le goccioline che scorrevano sul petto, l’asciugamano appoggiato intorno ai fianchi, e quell’espressione di sfida che lo caratterizzava.
“State mettendo a dura prova la mia pazienza. Se vi prendo, non ci sarà alcuna pietà per voi, signorina Hamilton.”
Tommy rise quando Amabel scappò di nuovo, ed era certo che l’avrebbe trovata in soggiorno. Infatti, sua moglie lo aspettava accanto al camino, ma balzò in piedi quando stava per prenderla.
“Non sarà così facile catturarmi, signore!”
“Avete intrapreso una strada tortuosa, mia cara.” Disse Tommy, e non smetteva di sorridere.
La risatina di Amabel riecheggiò mentre gli sfuggiva ancora una volta. Tommy andò nel suo studio, sicuro che lei fosse lì, e si sentiva come un adolescente alle prese con la prima cotta. Lei era capace di farlo sentire ancora felice, leggero, e soprattutto lo faceva sentire soltanto Thomas. Varcata la porta, vide che Amabel si era seduta sul divanetto e sorrideva. Tommy le mise le mani sulle spalle e le baciò i capelli bagnati.
“Trovata.”
“Tu mi troverai sempre, Thomas.”
Amabel lo attirò a sé per baciarlo con passione, ormai il tempo dei giochi era finito. Tommy la fece posizionare sul proprio bacino e le abbassò l’accappatoio sulle spalle per baciarle il collo. Uno si spingeva contro l’altro perché la brama di sentirsi vicini li consumava. Ben presto furono nudi, le mani che imprimevano carezze di fuoco, labbra che mordevano e succhiavano, e tutta pelle accaldata che si mescolava. Lo studio si riempì di gemiti mentre loro perseveravano in quell’abbraccio languido.
“Amabel.”
Amabel si spaventò quando Tommy usò il suo nome completo, lo faceva solo nelle occasioni disperate. Difatti, nei suoi occhi azzurri vagava un sospetto sentimento di paura.
“Sì?”
“Tu mi ami, vero?”
In quelle semplici parole c’era tutto il peso di un uomo schiacciato dal tormento, torturato dai propri demoni, e che ogni giorno faticava per restare vivo.
“Certo che ti amo.”
Amabel gli diede un bacio carico di dolcezza, voleva fargli sentire il proprio sostegno. Tommy avvinghiò le braccia intorno a lei come fosse l’unica speranza di vita. Sembrava un bambino terrorizzato.
“Resta con me.”
“Sono qui. Sono sempre qui.”
Amabel lo strinse come avrebbe fatto con i figli, un abbraccio materno che a Tommy mancava da anni. Lei non era soltanto sua moglie, era l’unica persona in grado di scorgere le sue crepe e di ripararle. Ma per riparare ai danni di Tommy c’era bisogno di una mole spropositata di pazienza e amore, e Amabel temeva di non riuscire a tenere il passo.
“Sono un fottuto casino, Bel.”
“Sì, sei un casino enorme, però sei anche un casino piuttosto affascinante.”
“Ah, grazie.”
Finalmente Tommy ridacchiò e Amabel gli stampò un bacio sulla bocca.
“Sei tanto bello quando ridi, Thomas.”
“Tu, invece, sei bella sempre.”
“Le senti le farfalle che sbattono le ali nel mio stomaco?” scherzò lei, scatenando una risata generale.
“Dirò ad Arthur di non farti più bere whiskey.”
Amabel gli fece la linguaccia e poi scoppiò a ridere.
“Sei un guastafeste! Comunque, che ne dici di fare colazione?”
Tommy controllò il pendolo che segnava le sette e cinque, era ancora presto e loro potevano ancora approfittare di quei momenti di solitudine.
“L’unica cosa che voglio adesso è stare in mezzo alle tue gambe.”
“Thomas!” lo rimproverò lei.
Tommy trovava ilare che sua moglie provasse vergogna, ma del resto era pur sempre una donna dabbene cresciuta nell’alta società e non era avvezza a quel tipo di espressioni.
“Sta zitta e baciami.”
Amabel non se lo fece ripetere due volte e ingaggiarono l’ennesimo bacio passionale. L’ora successiva trascorse tra risatine, confessioni e gemiti.
 
Un mese dopo, febbraio.
Diana stava servendo dei crostini preparati da Jalia con il sorriso più cortese di cui disponesse. L’intera famiglia Shelby, i Lee, Jalia, la signora Miles e qualche altro amico di famiglia si erano riuniti all’orfanotrofio per festeggiare il primo compleanno di Octavia. Amabel pensava che fosse giusto portare un po’ di festa anche tra i quei bambini.
“Ciao.”
Voltandosi, Diana incontrò il sorriso di Milos. Non si vedevano da tempo ormai, ma il ragazzo non era affatto cambiato, eccezione fatta per i capelli più lunghi.
“Ciao anche a te. Sei qui con Johnny?”
“Sì. Non vuoi avermi tra i piedi?”
La ragazza arrossì per l’imbarazzo. Milos non aveva perso la cattiva mania di guardarla con quei suoi occhi magnetici.
“Vuoi un crostino?”
“No, grazie. Senti, Diana, lo so che le cose tra di noi sono andate … male, però vorrei che non ci fossero rancori.”
“Nessun rancore. Anzi, ho sbagliato io a farti credere che ci fosse qualcosa tra di noi.”
Milos sorrise, ma non sembrava compiaciuto come suo solito.
“Lo sapevo. Si vedeva chiaramente che sei innamorata di Finn. E’ un ragazzo fortunato ad averti.”
“G-grazie.” Balbettò lei, vergognosa.
“So che vi siete trasferiti in Galles. Com’è?”
“E’ bellissimo. Mia zia ha un casolare stupendo e Finn si sta adoperando per renderlo un maneggio adatto ai cavalli. Io sto studiano veterinaria a Londra, quindi faccio su e giù tra il Galles e l’Inghilterra.”
“Sembri molto felice.” Disse Milos, e una vena di tristezza gli pungeva la gola.
“Sono felice.” Lo corresse Diana.
“Diana, vieni a darmi una mano!” la richiamò Lizzie dalla cucina.
“Va pure. E buona fortuna per tutto.”
Diana serrò le dita intorno ai manici del vassoio e sorrise con la convinzione di chi ha solo da guadagnarci dalla vita.
“Grazie, Milos.”
Amabel dondolava Octavia sulle ginocchia mentre fissava con insistenza l’ingresso dell’orfanotrofio. Tommy era in ritardo. Arthur era lì, perciò lui doveva trovarsi da solo chissà dove.
“Arriverà.” Disse Polly, seduta accanto a lei con un bicchiere di champagne.
Come se fosse stato evocato, Tommy superò il portone e salutò Charlie che stava giocando con alcuni bambini. Amabel andò dritta verso di lui con la preoccupazione che si dibatteva in lei.
“Thomas, stai bene?”
Tommy la ignorò del tutto, prese Octavia in braccio e la strinse a sé.
“Buon compleanno, stellina.”
La bambina lo abbracciò a sua volta, gli occhi azzurri che guardavano il padre con tutto l’amore del mondo. Amabel sorrise d’istinto.
“Possiamo parlare?”
Tommy consegnò Octavia alle cure di Polly e seguì Amabel in giardino, al riparo dalla curiosità degli ospiti.
“Che succede? Perché sei venuto in ritardo?”
Sul balcone faceva freddo, Amabel tremava e Tommy le accarezzò le braccia per scaldarla.
“Perché ho visto un medico. Sono andato dal terapeuta che mi hai consigliato.”
“Senza di me? Credevo che volessi andarci insieme.”
“No. – disse Tommy – E’ una cosa che devo fare da solo. Ho bisogno di farla da solo. Devo fare un po’ di ordine nella mia testa prima di condividere la cosa con te. Mi capisci, vero?”
Amabel annuì, benché piuttosto delusa per essere stata messa da parte, ma sapeva che in fondo era giusto così.
“Certo che ti capisco. Per me conta solo che tu stia bene.”
“Grazie.”
Tommy ora la guardava con una strana luce degli occhi tanto da farla arrossire.
“Perché mi guardi così, Thomas?”
“Perché ho una moglie splendida.”                                                             
Amabel si strinse nelle spalle, sia per il freddo sia per l’imbarazzo, e scosse la testa.
“Mi sa tanto di sviolinata prima di annunciare una catastrofe. Che hai combinato?”
 Tommy l’afferrò per i fianchi e l’avvicinò per stamparle un bacio sulla bocca.
“Niente. Sono solo felice di averti con me.”
Amabel stava per ribattere quando il suo sorriso si spense di colpo. In giardino, appena sceso da un’auto, c’era Oliver con un mazzo di rose in mano.
“Oh, cielo!”
 
Oliver era appena giunto a destinazione su invito di Polly e Ada. Le due donne lo avevano tartassato di lettere e telefonate per persuaderlo ad essere a Birmingham per il compleanno di Octavia. E lui alla fine aveva ceduto perché la voglia di rivedere la sua migliore amica superava l’orgoglio. Dopo aver fatto i primi due scalini, vide Amabel camminare verso di lui con passo lento. Sul volto della donna si alternavano stupore e paura.
“Oliver, tu … che ci fai qui?”
“Sono venuto per Octavia, so che oggi compie un anno. Oh, queste sono per te!”
Amabel accettò le rose con un cenno del capo, non riusciva a spiccicare parola tanto era forte l’emozione.
“Mi manchi tanto, Amabel. So di averti ferita e non me lo perd- …”
Oliver fu bloccato dalle braccia di Amabel che lo avvolgevano in un caloroso abbraccio. Si erano mancati a vicenda.
“Ti voglio bene, Olly. E ti perdono tutto. Ti prego di perdonare anche me.”
“Sei perdonata. Ti voglio bene anche io, amica mia.”
Tommy, i gomiti posati sulla balaustra, si accese una sigaretta mentre osservava i due amici ricongiungersi.
“Sembra che quei due non riescano a stare lontani.” Commentò Polly, palesandosi al suo fianco.
“Almeno ora Bel ha il cuore in pace. Stava male per la perdita di Oliver.”
Polly gli aggiustò il colletto della giacca con fare materno, stessa azione che ripeteva da quando lui era piccolo.
“E tu come stai?”
Tommy gettò un’occhiata a Charlie e Octavia che mangiavano la torta, ridevano allegramente.
“Io me la cavo. La vita mi ha dato Bel, Charlie e Octavia, quindi direi che sta bilanciando la merda della guerra. Non posso perdere la mia famiglia.”
“Lo so, ed è per questo che dovrai rigare dritto. Se Amabel ti pianta, Thomas morirà per sempre. Negli ultimi tre anni ho rivisto il ragazzo di un tempo, quello prima della Francia. Ti ho visto ridere di nuovo, scherzare, aprire il tuo cuore ad una donna, e ho visto che i ricordi della guerra ti fanno meno male. Io conosco il vero Thomas e sono felice che stia tornando pian piano.”
Era proprio questo il miracolo che si era compiuto in quegli anni: il Thomas sepolto dal dolore stava emergendo, stava lottando per tornare ad essere il ragazzo di una volta, quello che imitava le voci, che sapeva ridere, quello che sapeva vivere. E Amabel riusciva a tirare fuori il meglio di lui. Eccetto la sua famiglia, soltanto Amabel lo conosceva davvero. Conosceva i suoi abissi e vi navigava senza timore.
“Tommy Shelby non mi lascerà mai, ma almeno a porte chiuse Thomas potrà esserci.”
Polly gli baciò la guancia e gli sistemò una ciocca di capelli, l’affetto che provava per suo nipote era pari a quella che provava per suo figlio.
“Bravo il mio ragazzo.”
 
Amabel si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Aveva il respiro accelerato come se avesse corso per chilometri. Invece, aveva fatto un incubo in cui stava scappando dalle bombe. Il letto era vuoto, Tommy doveva essersi svegliato tempo prima. Decise di andare a dormire nella stanza dei bambini in modo da riempirsi la testa con i loro visini dolci per spazzare via l’angoscia del brutto sogno. Si allarmò quando si accorse che Octavia non era nella culla, mentre Charlie sonnecchiava abbracciato al suo orsetto di peluche. Si precipitò al piano di sotto per avvisare Tommy, ma si commosse quando vide che padre e figlia dormivano sul divano. Si sedette sulla poltrona per ammirare quella scena assai tenera: Octavia dormiva con la schiena contro il petto di Tommy e la sua manina stringeva il dito del padre.
“Bel.”
Tommy sbatté le palpebre e nell’oscurità scorse l’ombra di sua moglie. 
“Scusa. Siete così belli e non volevo svegliarvi.”
“Tranquilla. Quando mi sono alzato Octavia cercava di uscire dalla culla, quindi l’ho presa per farla addormentare.”
“Tua figlia è ribelle come te.” disse Amabel sorridendo.
Tommy si mosse con cautela, anche se la bambina aveva il sonno profondo, e si mise seduto sul bracciolo del divano.
“Tu perché sei sveglia?”
Amabel si agitò sulla poltrona, di solito era lui ad avere gli incubi e lei lo consolava.
“Brutto sogno.”
“La guerra?”
“Sì. – ammise lei – Nel sogno scappavo dalle bombe. Correvo su un campo minato. Però adesso è passato, sto bene.”
Tommy conosceva la sensazione di stravolgimento causato da un incubo, ecco perché non credette a quella bugia. Amabel si inginocchiò accanto a Octavia per accarezzarle la guancia paffuta, sembrava un angelo mentre dormiva tutta rannicchiata sotto la copertina.
“Noi non stiamo bene, Bel.”
“Shh, non dire così. Abbiamo Charlie e Octavia, quindi stiamo più che bene.”
Tommy si spostò nello studio per fumare, aveva bisogno di allentare l’improvvisa tensione che gli gravava sulle spalle. Era così perso nei suoi pensieri da non accorgersi di Amabel che lo abbracciava da dietro.
“Che hai, Thomas?”
Tommy si stropicciò gli occhi arrossati dalla stanchezza. Neanche il fumo era d’aiuto.
“Oggi il terapeuta mi ha fatto parlare di Grace, come mi fa sentire averla persa. Mi è capitato di sognarla ultimamente.”
Amabel ghiacciò sul posto. Lo costrinse a voltarsi e nel suo sguardo lesse una determinazione irremovibile.
“Perché non me lo hai detto? Avrei potuto aiutarti magari.”
“Perché mi sembra brutto parlare con te di Grace. Con quale coraggio dico a mia moglie che sogno una donna che ho amato?”
Tommy si scostò e si appoggiò allo scrittoio con i pugni, era sfinito e la sua mente non voleva dargli tregua. Amabel gli accarezzò la schiena nuda con dolcezza.
“Thomas, va tutto bene. Noi non siamo una coppia normale, abbiamo sfide da affrontare che gli alti non hanno e va bene così. Grace non è solo la donna che un tempo amavi, è anche la madre di Charlie. E io amo quel bambino come se fosse mio, quindi è bene parlarne.”
“Polly mi ha detto tutto. Mi ha detto che hai paura di essere la brutta copia di Grace e che io possa ancora essere innamorato di lei. E’ vero?”
Amabel sospirò e annuì, anche se lui le dava ancora le spalle.
“E’ vero. Tu e Grace siete stati una bella coppia, vi siete mollati e ripresi, ancora mollati e ripresi, e certi amori non si dimenticano. Per di più è stata la prima donna a darti un figlio.”
Tommy allora si voltò e il suo sguardo si addolcì nel vedere Amabel stretta nelle spalle, con l’espressione di una bambina spaurita.
“La mia storia con Grace è stata importante, ci siamo amati e odiati ma siamo sempre stati insieme. E sì, è stata la prima a rendermi padre. Non potrò dimenticarla mai perché è stata una parte fondamentale della mia vita.”
“Lo so. – interruppe Amabel – Io non ti chiedo di dimenticarla, non potrei mai. E’ solo che … che …”
“Che hai ancora paura.” Concluse Tommy.
Amabel si appoggiò allo scrittorio passandosi le mani fra i capelli, era ancora turbata dall’incubo e quella conversazione stava peggiorando le cose.
“E’ solo che ti amo troppo per perderti, Thomas. Non posso stare con te se il tuo cuore pensa ad un’altra donna.”
“Non c’è nessun’altra donna. Ci sei tu, Bel. Ci sei sempre stata. Greta è stato il mio primo amore, giovane e allegro, e dopo di lei credevo che non avrei mai più amato. Poi ho conosciuto una ragazzina che faceva la dottoressa e mi ha salvato la vita, dandomi la speranza di andare avanti. E’ stato allora che ho capito che in qualche modo io e te ci saremmo ritrovati. E mentre ti aspettavo ho incontrato Grace, ci siamo innamorati e abbiamo avuto un figlio. Cose che capitano di continuo.”
“Non direi proprio.” Ridacchiò Amabel.
Tommy le sfiorò la fronte con le labbra e le prese le mani.
“Ho amato molto Grace, davvero molto, e la sua morte mi ha distrutto. Però oggi sono qui, vivo, con due splendidi figli. E sai perché? Perché io stavo aspettando te, Amabel. Io ho sempre aspettato che quella dottoressa tornasse per salvarmi di nuovo. Sei arrivata, mi hai stravolto e sono diventato tuo marito. Tu non sei la brutta copia di Grace perché di Grace c’è n’è una sola. Tu sei Amabel Hamilton, sei unica e sei la donna della mia vita.”
“Oh, Thomas …”
Tommy le sollevò il mento con le dita e le stampò un bacio sulla bocca.
 “Stasera Polly ha detto che finalmente riesce a vedere il vecchio Thomas. Grazie a te sono tornato a ridere, a vivere decisamente meglio, e mi rendi felice. Tu e i bambini avete migliorato la mia vita di merda.”
“E hai paura di perdere tutto.” continuò Amabel per lui.
“Stasera alla festa ho capito che io non valgo niente senza di voi. Sento di nuovo di essere Thomas e non voglio che questa sensazione se ne vada.”
Amabel provò un moto di tremenda dolcezza per Tommy. Per quanto agli occhi della città fosse un uomo spietato, per lei restava quel ragazzo ammiccante che aveva conosciuto dieci anni prima. Era palese che la seduta col terapeuta stesse facendo emergere le sue paure ed era una cosa che detestava perché sentiva di star perdendo il controllo.
“Tesoro, tu non perderai me e i bambini. Noto che la tua mente è stata messa a dura prova e ora la terapia porta a galla le tue emozioni. Stai solo reagendo alla terapia. Anche io mi sentivo così quando Oliver era il mio psicologo, e fa parte del processo di guarigione. Tu hai bisogno di guarire, Thomas.”
Tommy posò la fronte sulla spalla della moglie e inspirò il suo profumo, un miscuglio di lavanda e crema per bambini.
“Sì, hai ragione. Ho bisogno di guarire.”
“E per la questione di Grace, ti prometto che non avrò più alcun timore. Mi fido di te.”
Tommy per un istante rivide la ragazzina di venti anni che lo aveva curato, giovane e intimorita, ma pur sempre salda nelle sue scelte.
“Bene così.”
“Dovremmo andare a dormire. Octavia non può passare la notte sotto quella copertina leggera.” Disse Amabel.
Fece per alzarsi quando Tommy le avvolse le braccia intorno ai fianchi. Le diede un bacio sul ventre che fece rabbrividire Amabel.
“E se riportassi Octavia in camera sua e poi tornassi qui?”
Tommy si era già abbassato a baciarle il collo mentre le sue mani vagavano sotto la camicia da notte per toccare le cosce della moglie.
“Mio marito ha in mente qualcosa?”
“Ti voglio addosso per tutta la notte.”
Bel lo attirò un bacio passionale, mordendogli il labbro e accarezzandogli le spalle muscolose.
“Allora ti aspetto.”
Tommy le regalò un sorriso colmo di malizia prima di tornare in salotto per occuparsi della bambina.
 
Tre mesi dopo, maggio.
Amabel si riparò gli occhi dalla luce mentre tentava di leggere il telegramma speditole da Diana. Era un sabato mattina soleggiato, faceva abbastanza caldo, e il rumore del mare era un suono piacevole. Tommy aveva deciso di portare la famiglia ad Exmouth per trascorrere una giornata lontano dalla clinica e dal parlamento, e soprattutto dai Peaky Blinders. Octavia e Charlie costruivano castelli di sabbia con l’aiuto del papà, che sembrava piuttosto bravo nella realizzazione delle torri.
“Diana scrive che all’università sta andando bene e che Finn si impegna molto per il maneggio. Scrive anche che ad agosto verranno a trovarci per comunicarsi una notizia importante. Secondo te hanno già comprato un cavallo?”
Tommy lanciò un’occhiata obliqua a sua moglie, alle volte sapeva essere davvero ingenua.
“Si sposano.”
“Come, scusa?”
“Due settimane fa ho beccato Finn a Londra che girovagava tra le gioiellerie. Abbiamo comprato insieme un anello di fidanzamento, quindi suppongo che quella sera stessa le abbia fatto la proposta.”
Amabel lo colpì alla nuca con il cartoncino del telegramma.
“Due settimane?! Finn vuole chiedere la mano di Diana e tu non me lo dici? Miseriaccia, Thomas!”
“Non prendertela con me. Finn mi ha fatto giurare di non dirti niente perché temeva che tu glielo avresti impedito. E non dire di no! Lo sappiamo tutti che per te lo studio viene prima di tutto, soprattutto del matrimonio.”
“Papà!” esclamò Octavia tuffandosi fra le braccia del padre.
Charlie, dal canto suo, andò a farsi coccolare da Amabel.
“Diana ha solo diciannove anni! Il matrimonio è alquanto precoce!”
“Bel, il fatto che tu ti sia sposata a ventinove anni non implica che anche per tua sorella sia così.” Disse Tommy.
Amabel si fece abbracciare da Charlie per trovare conforto.
“Stai dicendo che mi sono sposata da vecchia? Ti ricordo che tu hai trentasette anni!”
“Questo che diavolo c’entra? Stai accampando scuse stupide per non far sposare tua sorella.”
Octavia si staccò dal padre e tornò a giocare con la sabbia, subito seguita anche da Charlie. Amabel si alzò e si scrollò i granelli dalla gonna con fare nervoso.
“Non ti avvicinare a me, Shelby! Traditore!”
Tommy rise per quell’indole infantile della moglie che riusciva ad oscurare anche quella dei figli.
“Ah, sì? Eppure l’altra notte mi pregavi di avvicinarmi tra un gemito e l’altro.”
“Thomas! Ci sono i bambini!” lo incalzò lei, schiaffeggiandogli il braccio.
Tommy le tirò un lembo della gonna per gioco, era divertente prenderla in giro.
“Quanto sei carina con le guance arrossate!”
“Smettila! Ti picchio con il rastrello!”
Amabel raccattò il rastrello dei bambini e lo brandì come fosse un’arma mortale.
“Provaci!”
Tommy incominciò a indietreggiare fino a quando si mise a scorrazzare verso la riva. Amabel lo rincorse ridendo a crepapelle, si sentiva più piccola di Charlie. Difatti, anche i bambini si misero a strillare e a correre per tutta la spiaggia. Amabel inciampò e cadde addosso a Tommy. Si ritrovarono l’uno sopra l’altro con le onde che gli coprivano d’acqua.
“Mi hai preso.” Disse Tommy, sorridente.
Amabel si sistemò a cavalcioni e gli puntò il rastrello alla gola, ma continuava a ridacchiare senza sosta.
“Sei mio prigioniero.”
Octavia e Charlie si buttarono su di loro, le loro risate cristalline creavano una perfetta sintonia con il mormorio delle onde. Tommy fu sopraffatto dalla felicità in quel momento, con la sua famiglia riunita, con il divertimento come motivo-chiave di quella giornata.
“Gelato! Mamma! Gelato!” strillò Octavia indicando un carretto dei gelati.
“Volete il gelato, piccoli? Andiamo!”
Tommy riuscì ad alzarmi e Amabel gli spazzolò la camicia per eliminare i residui di sabbia, però restavano comunque bagnati e spettinati. I bambini si stavano già incamminando verso il carretto mentre decidevano quale gusto scegliere.
“Credi che Diana mi chiederà di essere la sua testimone di nozze?” domandò Amabel.
Tommy le circondò le spalle con il braccio e le baciò la tempia, poi fece incastrare le loro dita.
“Credo di sì. Allora, gelato al gusto nocciola?”
“Mi conosci troppo bene, Thomas.”
 
 
Un anno dopo, marzo 1926.
Amabel stava scribacchiando degli appunti sul nuovo paziente arrivato in clinica. Aveva passato la giornata al Laboratorio con Ada per conoscere le nuove donne iscritte e per salutare quelle abitudinali, e poi in tarda serata era andata in clinica per il consueto giro di visite. Al suo ritorno, all’incirca le nove di sera, Jalia aveva già messo a letto i bambini. La ragazza era la governante della casa e la tata di Charlie e Octavia, Amabel aveva piena fiducia di lei ed era bello ritrovare un’amica dopo una lunga giornata. Tommy le aveva addirittura comprato un piccolo appartamento a pochi isolati da casa loro per dimostrare a Jalia che lei prima di tutto era una di famiglia.
Amabel trasalì quando scattò la serratura della porta principale. La testa di Tommy fece capolino un secondo dopo.
“Bel, sono l’una e un quarto del mattino. Lavori ancora?”
“Anche tu lavori ancora. E poi volevo aspettarti.”
Tommy si liberò del soprabito, si sbottonò il panciotto e la cravatta, e si versò del whiskey. Era stata una giornata tremenda, di intenso lavoro e ricca di pranzi di affari. Voleva solo dimenticare tutto e riposare. Appena si sedette sul divano, Amabel prese posto sulle sue gambe e lo intrappolò in un bacio famelico.
“Ti sono mancato così tanto?”
Tommy le diede una pacca su sedere che fece sussultare la moglie, ma questa volta non lo rimproverò.
“Sai giorno è oggi? Intendo dopo la mezzanotte.”
“Sì, oggi è l’undici marzo. Non capis … oh, certo. E’ il nostro anniversario ufficiale.”
“Ci siamo conosciuti esattamente dieci anni fa.”
Tommy lasciò il bicchiere sul tavolino da caffè e avvolse le braccia intorno ad Amabel per sentirla vicina. Si allungò per frugare nella tasca interna della giacca e tirò fuori il fazzoletto ricamato che Amabel gli aveva donato anni prima.
“E che vi dice che io non sia un cavaliere? E voi, voi siete sicura di non essere una donzella in pericolo?”
“In pericolo vi troverete voi se non terrete quella bocca chiusa, sergente maggiore Shelby. Sono una donna, mica una stupida.”
“Siete una splendida donna.”
Gli occhi di Amabel si fecero lucidi perché quelle erano le prime battute che si erano scambiati dieci anni prima.
“Ci contreremo ancora, dottoressa?” aggiunse Tommy, replicando la stessa domanda.
“Chissà.”
Anche Tommy aveva gli occhi che pizzicavano per l’emozione. Per un istante furono di nuovo in Francia, lei giovane dottoressa inesperta e lui soldato spericolato, due mondi opposti che collidevano inaspettatamente.
“La mia donzella.”
Amabel scacciò le lacrime con una risata, sebbene un groppo in gola le impediva di parlare.
“Ehm … prima stavo leggendo il diario di mia madre che Diana mi ha portato a Natale. All’ultima pagina c’era una nota scritta di pugno suo: ricordate che al tramonto segue sempre una nuova alba, perché non c’è oscurità che riesca ad annullare la luce.
“Tu sei la mia luce, Bel?”
“Solo se tu sei la mia, Thomas.”
Si baciarono con un tale sentimento che avrebbero fatto impallidire l’amore decantato per secoli dai poeti.
“Ti amo.” Disse Tommy.
“Ti amo anche io.” Disse Amabel.
E per quanto Birmingham fosse tenebrosa, loro avrebbero sempre trovato conforto l’uno nella luce dell’altra.
 
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci giunti alla fine di questa avventura.
Ho voluto mostrare chi è davvero Tommy aldilà del gangster. Credo sia stato giusto far vedere la sua parte più umana, quella che è morta in Francia e che io ho voluto recuperare perché questo personaggio è quello che è grazie alla sua fragilità. Alcuni di voi potrebbero trovare il mio Tommy diverso e opposto a quello della serie tv, ma in verità ho voluto scrivere del Tommy prima della guerra perché è un argomento che ha suscitato il mio interesse.
Detto questo, GRAZIE A VOI CHE SIETE STATI CON ME E AVETE SEGUITO LA STORIA.
Un grande abbraccio,
La vostra Lamy__
 
PS. HO INTENZIONE  DI TORNARE CON UNA NUOVA STORIA  SU PEAKY BLINDERS (STO GIA’ LAVORANDO ALLA TRAMA), NON VI LIBERETETE DI ME! SPERO CHE CI SARETE ANCORA.
 
 
 

 

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