A strange class

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Cap 9 ***
Capitolo 10: *** Cap 10 ***
Capitolo 11: *** Cap 11 ***
Capitolo 12: *** Cap 12 ***
Capitolo 13: *** Cap 13 ***
Capitolo 14: *** Cap 14 ***
Capitolo 15: *** Cap 15 ***
Capitolo 16: *** Cap 16 ***
Capitolo 17: *** Cap 17 ***
Capitolo 18: *** Cap 18 ***
Capitolo 19: *** Cap 19 ***
Capitolo 20: *** Cap 20 ***
Capitolo 21: *** Cap 21 ***
Capitolo 22: *** Cap 22 ***
Capitolo 23: *** Cap 23 ***
Capitolo 24: *** Cap 24 ***
Capitolo 25: *** Cap 25 ***
Capitolo 26: *** Cap 26 ***
Capitolo 27: *** Cap 27 ***
Capitolo 28: *** Cap 28 ***
Capitolo 29: *** Cap 29 ***
Capitolo 30: *** Cap 30 ***
Capitolo 31: *** Cap 31 ***
Capitolo 32: *** Cap 32 ***
Capitolo 33: *** Cap 33 ***
Capitolo 34: *** Cap 34 ***
Capitolo 35: *** Cap 35 ***
Capitolo 36: *** Cap 36 ***
Capitolo 37: *** Cap 37 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


Dawn era convinta, anche a distanza di anni e con una situazione non proprio rosea, che la sua fosse stata una scelta ben ponderata.
Aveva riflettuto a lungo prima di scegliere la sua futura meta scolastica. Aveva girato almeno una dozzina di licei se per questo e con un po’ di fatica i suoi desideri e le sue speranze si raccolsero tutte nello stesso liceo.
Il facile era stato cancellare quegli ambienti, classico e linguistico, che non rientravano nelle sue corde e di cui aveva un’immagine piuttosto negativa.  D’artistico o tecnico non aveva nulla tra le mani e pertanto, affascinata dalle sue materie e dalle immense possibilità future, aveva virato sullo scientifico.
Già dal primo incontro d’orientamento si era innamorata di quel liceo e, durante l’estate di scambio tra medie e superiori, sperò diverse volte che arrivasse subito quel settembre tanto atteso. Con il passare delle primavere, però, pregava incessantemente che i periodi estivi si prolungassero come per magia, concedendole altre settimane di riposo.
Anche quel giorno d’ottobre liceale, però, sarebbe stato paragonato a una prigione nella quale non si sarebbe più fatta rinchiudere.
Non aveva nemmeno imparato a conoscere tutti i suoi compagni, cosa nascondesse il Preside ogni qualvolta si chiudeva a chiave nel suo ufficio, o cosa ci fosse nelle varie aule. Fin dal principio aveva dovuto fare i conti con i pregiudizi e le malelingue comuni in ogni classe.
Si passava dai segreti che svolazzavano da un’aula all’altra, ai primi segnali d’allontanamento per quegli studenti considerati dannosi per l’immagine pubblica.
Mostrarsi con uno che era grasso e flaccido, che mostrava un carattere insopportabile o che aveva un aspetto da nerd erano dei biglietti da visita che spingevano all’isolamento quasi totale.
Anche Dawn, purtroppo, era finita vittima di questo gioco.
Non ne era rimasta invischiata a causa del suo aspetto o del carattere, ma solo per essersi rifiutata di fare i compiti per una sua ex compagna, poi bocciata a metà giugno e costretta a cambiare liceo.
Quell’orribile chiacchiera messa in giro solo per screditarla la dipingeva come una matta capace di comunicare liberamente con la natura e che non aveva la minima intenzione di limitarsi o adeguarsi alla società che la circondava. A sentire quella definizione, si era pure chiesta da quando fosse diventata una rivoluzionaria che inneggia a chissà quale movimento politico e che stravede per strani comizi che parlano di diritti universali.
La sua empatia e la sua unicità erano gli unici elementi che quell’arpia aveva sfruttato per farla evitare come la peste.
Gli unici che in qualche modo riequilibravano quel trattamento infantile e che le donavano un pizzico di sollievo erano Zoey e Mike. La prima era la sua migliore amica e non si sarebbe mai curata troppo di quelle dicerie prive di fondamento, così come Mike che aveva avuto la fortuna di conoscerla oltre le apparenze.
Erano i soli, in tutta la classe, a rivolgerle la parola.
 
Anche quel giorno, non avendo motivo d’intrattenersi a scuola oltre il consueto, era già di ritorno a casa.
Le stupide malelingue le impedivano d’avere una vita sociale oltre le quattro mura costituite dal liceo e dalla sua abitazione. Mai avrebbe disdegnato un’uscita di gruppo per il centro oppure un bel film al cinema o ancora una pizza in uno dei ristorantini più semplici della città.
Tuttavia non poteva farlo.
Su Internet aveva letto che in ogni classe c’era un fantasma ignorato dall’intera comunità e di cui nessuno sapeva nulla.
Lei, purtroppo, rientrava in questo gruppetto. Aveva provato a scrollarsi di dosso quell’immagine, ma con scarsi risultati.
Più si avvicinava a qualcuno che era affine al suo carattere, più questa persona la cacciava in malomodo, aumentando il suo malessere e facendola sprofondare nel baratro più totale.
In questa lista c’erano da aggiungere quelli che si erano avvicinati solo per ferirla ancora di più e per rinforzare il suo status di fantasma scolastico.
L’unica cosa che poteva fare era quella di rassegnarsi: avrebbe ricordato il liceo come il periodo più triste e nebuloso della sua breve vita. Avvilita e stanca di quel trattamento, entrò in cucina e rivolse un sorriso alla madre intenta a preparare una torta di mele.
Girandosi verso il divano, notò il fratello impegnato con i compiti di matematica e, per non disturbarlo oltre, filò subito in stanza, non prima di aver preso un pacchetto di cracker dalla dispensa che suo padre cercava di tenere in ordine.
Dopo essersi distesa sul letto della sua camera a fissare il soffitto, i suoi pensieri caddero sull’unica attività che poteva svolgere. Non che amasse stare per ore attaccata al pc, ma quella era l’unica possibilità per far volare quelle ore di vuoto assoluto che non erano riempite da verifiche o compiti dell’ultimo minuto.
Posto sulla scrivania, l’immancabile portatile dotato di connessione Wi-Fi, le evitava d’avere troppi cavi in mezzo ai piedi.
Dopo averlo acceso, osservò la foto che i professori avevano scattato il giugno precedente, prima che tutti andassero in vacanza.
Davanti vi erano quelli definiti, affettuosamente o meno, i nanerottoli. Un termine che non aveva mai trovato eccessivamente dispregiativo e che era stato loro addossato da uno dei ragazzi più alti e presenti in seconda fila.
Dawn, anche se bassa, credeva di compensare a quella mancanza con qualcosa che gli altri non avevano, purtroppo, ancora notato.
Vicino a lei si era sistemato Cameron e subito dopo il buon vecchio Cody liberatosi dalla pazza Sierra, costretta alla seconda fila.
Davanti, inoltre, si poteva notare la figura della gotica Gwen, della bella Courtney, della strana Dakota e dell’insopportabile Anne Marie.
Dietro si ergevano quelli più alti.
Da destra verso sinistra vi era un buco per uno che in tutti quegli anni aveva sempre evitato le foto di gruppo e che, comunque, era sempre stato promosso. Il posto vacante non era mai stato riempito da nessuno e Scott, tipo alquanto bizzarro e singolare, con la sua assenza era come se fosse sempre presente. Si trascinava con fatica verso la sufficienza e al termine delle sei ore scolastiche, spesso spese in sonnellini e violenti discussioni con il Preside, tendeva a svanire in pochi attimi.
Nemmeno un minuto dal suono della campanella e la sua zazzera rossastra aveva già oltrepassato l’ampio cancello, evitando la gran baraonda.
Gli altri erano giunti a credere che i suoi impegni, urgenti o meno che fossero, gli avessero fatto trovare una qualche scorciatoia o che lo spingessero a calarsi dalla finestra del secondo piano pur di dileguarsi dalla calca che avrebbe riempito i corridoi.
I primi presenti in carne e ossa erano Mike e Zoey abbracciati, anche nella foto, come due bravi fidanzatini.
La classe era completa solo nel conteggiare, sempre alle spalle dei nanerottoli, anche Sierra, Brick, Jo e Lightning.
La prima, Sierra Wilson, all’apparenza era una ragazza come tante.
Se ci si soffermava solo sull’aspetto esteriore, nessuno avrebbe notato nulla, ma nel fissarla si notava un segno di squilibrio più che evidente. La ragazza, matta come poche, era ossessionata da Cody fin dal giorno in cui aveva aperto la porta dell’aula. Era stato il primo a mettere piede nella stanza e lei si era subito gettata tra le sue braccia, senza conoscere nulla dei suoi pregi o del suo carattere.
A quell’ora poteva anche entrare il più scorfano della scuola e non ci sarebbe stato nulla di cui sorprendersi se quell’esuberante ragazza si fosse appiccicata a lui. Quella era stata una bella fortuna per quelli entrati subito dopo e snobbati da Sierra con una fugace occhiata e con un digitare frenetico sulla tastiera per tenere aggiornati i suoi seguaci del blog.
Zoey, sbirciando sul suo monitor, era quasi convinta che avesse scritto a caratteri cubitali e con i colori dell’arcobaleno qualcosa simile a “HO INCONTRATO L’AMORE DELLA MIA VITA!!!”.
Con il passare dei mesi e degli anni la figura di Sierra come stalker si era ingigantita e per la sua sfortunata vittima quello era stato solo l’inizio di una tumultuosa storia d’amore.
Una serie di appuntamenti, di pedinamenti furtivi e di messaggi a ogni ora della notte, avevano spinto Cody al fissare sedute dallo psicologo e a informarsi tramite giudice per un’ingiunzione che vietasse alla compagna di avvicinarsi per più di 20 metri. Ci aveva riflettuto a lungo, ma poi era finito con il desistere e con l’accettare quella guardia del corpo che, negli ultimi periodi, gli faceva molto meno paura.
Vicino a Sierra, staccato di una ventina di centimetri, seppure il fotografo avesse chiesto di stringersi, vi era l’atletico, disciplinato e tranquillo Brick.
In quegli anni aveva affermato e aveva dimostrato la bontà dei suoi allenamenti in perfetto stile militare, le cui basi affondavano nel dovere di non lasciare mai indietro un compagno. Macchiarsi di un’azione così rivoltante, era un disonore che puniva con lunghe maratone, anche di decine di miglia, o con una serie infinita di flessioni e addominali.
Seppur s’impegnasse e cercasse sempre di calmare i bollenti spiriti, c’era una compagna, proprio alla sua sinistra, che non smetteva, neppure per un attimo, di stuzzicarlo e di rendere movimentate le sue giornate.
Jocelyn Grunge, chiamata da tutti semplicemente Jo per l’odio provato verso il proprio nome, era una delle ragazze meno femminili di tutto il liceo.
La prima volta che entrò in aula e che il prof alzò lo sguardo per collegare il nome sulla lista con un volto, si scontrò con la miopia dell’uomo quasi convinto che sul registro vi fosse un errore grossolano e che, in verità, la segretaria avesse intenzione di scrivere il semplice José.
Fu costretto a ripeterlo almeno tre volte prima d’essere certo che gli occhi furiosi di Jocelyn fossero abbinati a una ragazza che aveva detestato il suo nome di battesimo fin dal primo giorno della sua vita. Tutti l’avevano sempre confusa per un maschio e, nel crescere con quella brutta etichetta, lei si era animata di uno spirito di competizione che la vedeva prevalere sul sesso forte.
Era una ragazza e non si vergognava di dirlo a cuor leggero, anche se il suo scopo oltre a quello di stuzzicare i suoi compagni era di rivaleggiare e di superarli nelle loro attività preferite.
Dalla prima settimana, fino a quel pomeriggio, Jo aveva ottenuto il rispetto di Brick e dell’ultimo ragazzo nella foto che, nonostante i tanti anni passati insieme, la considerava comunque un uomo a tutti gli effetti.
Anche a distanza di tante primavere, Lightning non era cambiato per niente.
Confondeva ancora Jo per un maschio molto preparato, raggiungeva la sufficienza per puro miracolo e si confermava su livelli di stupidità che ogni anno aumentavano sempre più.
I capelli bianchi, suo segno distintivo, erano causa di un’esplosione nel laboratorio di chimica che aveva alterato irrimediabilmente il suo colorito naturale.
In una classe così sciroccata, Dawn si chiedeva come potesse sentirsi fuoriposto.
 
Stanca di rifletterci e di sprecare un altro pomeriggio, accese il portabile e iniziò con il classico giro sui siti che visitava spesso, per poi girare a casaccio in cerca di qualche notizia o informazione che rientrasse nei suoi interessi.
Dopo aver passato una buona mezzora a leggere alcuni racconti che aveva accumulato su Internet e libera dalle varie ricerche pretese dal prof di biologia, iniziò a scorrere i titoli di alcuni film in streaming che non aveva avuto ancora modo di osservare.
La sera precedente aveva terminato l’ultimo episodio di una saga lunga tre parti e avendo ancora tempo utile aveva spulciato la lista di nuove serie tv a cui dare un occhio.
Come di consueto, cliccando sul titolo, comparve una pubblicità ingannevole che chiuse frettolosamente, ignorando la possibilità di attivare il componente che le avrebbe permesso di bloccare simili seccature.
Interrottasi per un breve spuntino e per osservare la notifica di una notizia recente, era ritornata a immergersi nel sito di streaming, lasciandosi cullare dal ticchettare incessante degli orologi che scandivano quel tempo che andava sprecato.
“Che noia.” Sbuffò, puntando il cursore sul sesto episodio e aspettando il suo caricamento.
Mentre pazientava, un suono e una scheda catturarono la sua attenzione.
Allargò la visione di essa e vi trovò uno strano messaggio scritto a caratteri cubitali con una grafica abbastanza accattivante.
“SITO D’AIUTO.”
Vicino vi erano dei colori molto chiari e tenui che le donavano una sensazione di pace.
La sua mano catturata da quella situazione cliccò sul portale di accesso e in pochi minuti si ritrovò registrata a quel programma.
Era la prima volta che non studiava con attenzione ciò che aveva davanti.
Altre volte avrebbe fatto una ricerca mirata e, seguendo le opinioni degli altri, avrebbe accettato o rifiutato un invito che non le era stato nemmeno inviato.
Era solo pubblicità. Un po’ come quella che intasava i pc della scuola e che prometteva dimagrimenti rapidi in pochi giorni o che prometteva guadagni faraonici con attività di trading della durata di poche ore settimanali.
A queste sciocchezze lei non aveva mai creduto e il sito che si trovò davanti, se così poteva essere definito, era una semplice chat.
Fino a quel pomeriggio aveva sempre evitato i social network, ma in quel momento c’era cascata, catturata dai colori e dalla descrizione bizzarra.
Dopo la registrazione, su un foglio celeste comparvero quattro riquadri.
Il primo era l’home e mostrava l’aspetto generale del sito.
Il secondo era un richiamo d’aiuto, qualora qualche nuovo iscritto avesse avuto qualche dubbio.
Il terzo era ancora vuoto e Dawn intuì che si trattava della chat in sé.
Il quarto e ultimo invece era il regolamento.
Non ebbe nemmeno il tempo d’iniziare a spulciare quei pochi articoli sistemati in ordine che un messaggio con conseguente vibrazione arrivò al suo portatile.
Subito cercò di capire da dove venisse quel suono e poi notò la terza sezione muoversi appena.
Ci puntò il cursore e si spostò, credendo che fosse opera di un qualche virus che era entrato nel sistema e che si scontrava con il sistema di protezione. Iniziava, infatti, a pensare che quella situazione fosse una trappola per uccidere il pc di un qualche disgraziato smanettone.
“Benvenuto utente 0021.” 
La ragazza rilesse quelle poche parole.
Qualcuno non conosceva nemmeno il suo nome eppure nulla l’aveva già etichettata con un numero.
0021.
Manco fosse stata una qualche bestia destinata al macello.
“Sono una ragazza.” Rispose, sperando nelle sue scuse.
“Fa lo stesso.”
“Non mi sembra.”
“Prima d’iniziare è il caso che ti spieghi alcune cose. Io sono il tuo moderatore e ti consiglio di studiare il regolamento.”
“Lo stavo per fare.” Riprese la ragazza, mentre lo sconosciuto visualizzava senza rispondere.
Il loro breve dialogo era durato pochissimo e lui sembrava già svanito nel nulla.
Dawn non sapendo bene come comportarsi iniziò a sfogliare le pagine del regolamento, così come le era stato consigliato.
 
Art.1 Questo sito ha il solo scopo di consigliare le persone.
Art. 2 Qualsiasi decisione venga presa dall’utente, essa non è vincolata al futuro del moderatore.
Art. 3 Ogni utente ha diritto d’avere un moderatore, anche se il loro rapporto può cessare in ogni istante, qualora il comportamento di uno dei due non sia corretto.
Art. 4 L’utente ha il diritto di fare una sola domanda al giorno al suo moderatore e di scrivere con un linguaggio comprensibile.
Art. 5 Il moderatore ha il dovere di rispondere a quell’unica domanda.
Art. 6 Qualora l’utente facesse più di una domanda, il moderatore è libero di scegliere a quale rispondere e l’esclusa può essere ignorata o ripresa il giorno successivo.
Art. 7 Qualora sia il moderatore a rispondere con una domanda, allora l’utente ha diritto a una domanda bonus.
Art. 8 Il moderatore non può rifiutarsi, in alcun modo, di rispondere alla domanda, anche se essa risulta privata o fastidiosa.
Art. 9 L’utente non può cambiare moderatore e quest’ultimo non può chiedere o pretendere d’avere un sostituto.
Art. 10 Solo il moderatore può decidere se l’utente non ha più bisogno del sito.
 
La pagina era ancora molto lunga, ma Dawn preferì lasciare la scrivania con il pc ancora acceso.
Non aveva mai letto tante cavolate messe insieme.
Un sito che si preme d’aiutare il prossimo, manco fosse un gruppo di volontariato, senza parlare di guadagni da intascarsi non sarebbe mai esistito. Conscia di questa realtà che ormai aveva schiacciato il loro povero mondo, si distese nuovamente a letto e vi restò per una buona mezzora, prima che la chat desse segni di vita.
“Fai la tua domanda.”
Lei ignorò quel messaggio.
Perché avrebbe dovuto seguire l’ordine di un qualche sconosciuto?
Uno sconosciuto che poteva svanire qualora avesse deciso di accedere alla seconda schermata per cancellarsi da quel sito fantasioso e illuso di migliorare un mondo che, ormai marcio, non poteva essere sistemato in nessun modo.
“Qualsiasi cosa ci diremo, resterà tra noi.” Tentò nuovamente, scontrandosi con il silenzio della nuova utente.
Sapeva bene che era difficile crederci e che i novellini non avevano fiducia in quel regolamento che spesso li spingevano a cancellarsi, non prima d’aver mandato a quel paese il povero moderatore che aveva beccato quel ruolo ingrato.
Sperava, comunque, che l’utente 0021 fosse in qualche modo diversa e gli concedesse il beneficio del dubbio.
“Se il moderatore non risponde alle domande, potrebbe essere cacciato.”
“E va bene: di cosa dovrei parlare?” Chiese la giovane, battendo nervosamente quelle poche lettere e aspettando pazientemente che il moderatore rispondesse.
Sapeva che quello non era esattamente il modo migliore per fare conoscenza.
Insomma aveva solo una domanda giornaliera da poter usare e lei se ne usciva con qualcosa che non riguardava la sua guida. Poteva iniziare con il chiedere allo sconosciuto se fosse un uomo o una donna, quanti anni avesse e tutte le domande del caso.
Invece gli aveva posto un quesito esistenziale, giusto per conoscere la persona in base alla sua prima risposta.
Troppo facile per lei sentirsi dire un nome, qualche numero sparato a caso e qualcosa che poteva essere una semplice bugia. Prima voleva avere fiducia in quel moderatore e poi poteva approfondire il tutto, sbilanciandosi con nomi, età, luoghi e passioni.
“Puoi chiedere consigli, opinioni, conferme di qualsiasi cosa ti preoccupi.”
“Un po’ come uno psicologo.”
“Non proprio. Loro pretendono un tornaconto personale, mentre noi ci accontentiamo della felicità degli iscritti.”
“Che cosa nobile.” Ribatté sarcastica la giovane.
“Sei libera di parlarmi anche dei tuoi sogni: tanto non verrai giudicata in alcun caso.”
“Ci mancherebbe: nemmeno ci conosciamo.”
“Credi che abbia intenzione di rivelarti la mia identità? Siamo sulla stessa barca e non mi sembra saggio ostacolarci a vicenda.”
“Non voglio ostacolarti, ma mi hai appena fornito una domanda bonus.” Riprese Dawn con un sorriso appena accennato.
“Sembra che tu abbia seguito il mio consiglio. Strano per una che non ha molta fiducia nell’attività di un moderatore come me.”
“Mi leggi nel pensiero?”
“Fregata e anche per oggi il mio lavoro è fatto.”
“Ma tu sei…” E s’interruppe per evitare di fare una pessima impressione verso lo sconosciuto che doveva essere la sua guida.
“A domani utente 0021.”
“Sì, sì.”
“Ti consiglio di prepararti una lista delle domande da farmi che non sarà sempre così bello improvvisare con te.” Continuò lo sconosciuto, restando online per qualche attimo, quasi s’aspettasse una ribattuta da parte dell’utente, salvo poi chiudere tutto e facendo quindi comparire la schermata offline.
 
Dawn non si aspettava di finire a parlare con quel tizio.
Non sapeva niente di lui, ma l’idea di farsi aiutare da uno sconosciuto che non avrebbe mai visto e che non aveva pretese in fatto di denaro poteva essere interessante.
Aveva alcune cose da chiedere e di certo non riguardavano il futuro e l’indirizzo che aveva deciso di seguire finite le superiori.
Se era un sito d’aiuto, se oltre l’80% era soddisfatto dei loro consigli, se non avevano ancora chiuso la pagina per manifesta incapacità, se qualcuno poteva magari sfoggiare un titolo accademico in psicologia, allora i moderatori del sito dovevano essere veramente bravi e potevano aiutarla a emergere, facendola diventare una persona migliore.
Magari poteva far cambiare opinione agli altri, anche se questo significava parlare di quelli che l’avevano sempre esclusa e che l’avevano etichettata come una stramba. Ma se loro erano così fantastici e se avesse posto le domande nel modo opportuno, forse in poco tempo poteva farsi benvolere da tutti i suoi compagni, poteva accettare di uscire senza sentirsi presa di mira e poteva spiccare il volo, libera da ogni paura e dai vari nomignoli che le avevano affibbiato.
Esaltata per questa rinascita che sembrava a portata di mano, chiuse il pc che era ormai sul punto d’esplodere e si mise a scrivere le varie domande che poteva porre allo sconosciuto.
Il suo obiettivo era di riabilitarsi agli occhi degli altri in tempi record e ingenuamente contava i giorni che mancavano al prossimo ritrovo con almeno una buona fetta della sua classe.
Per rendere tutto più facile e per non farsi cogliere impreparata, decise che avrebbe racchiuso una singola persona per ogni domanda, senza considerare eventuali intoppi o difficoltà d’analisi per il moderatore. Pochi compagni significava pochi giorni e, in meno di tre settimane, sperava di diventare il collante di una sezione che era smembrata e sconvolta da pensieri divergenti.
Più sollevava lo sguardo verso il pc, più si sentiva pervasa da quel sogno innocente.
Vedendo quel foglio, una volta bianco e limpido, pieno di macchie e di strisce, si convinse che, nonostante fosse quasi impossibile, non doveva gettare la spugna. Non era da lei arrendersi dinanzi alla prima difficoltà e ora che poteva essere l’artefice di una nuova rinascita, non voleva crollare.
Solo la cena riuscì a sottrarla dal mondo virtuale che aveva attirato la sua attenzione e, durante le poche ore di veglia, ritornò su quel foglio che aveva abbandonato.
Per qualche strano motivo quel sito l’aveva conquistata.








Angolo autore:

Ryuk: Iniziamo con l'augurarvi una Buona Pasqua e con il riprendere dalle classiche tematiche di classe.

Storia lunga, vero?

Ryuk: Esatto, anche se in questo primo capitolo c'è stata una presentazione fugace dei vari personaggi e il problema di fondo è lampante.

Una chat inverosimile dove scrivere problemi e segreti. Difficile che esista, anche perchè potrebbe trattarsi di una fregatura.
Ma non mi dilungo troppo: è già una rottura leggere tutta sta roba. Se vi costringo a leggere anche i miei scleri, rischio di ritrovarmi sulla graticola.
Alla prossima!
 

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Si era chiesta cosa potesse dirgli.
Dopotutto si trattava di uno sconosciuto che poteva rompere le scatole e diventare ossessivo, anche se a fissare la chat da 20 minuti abbondanti poteva essere lei a rientrare in quella categoria.
“Fai la tua domanda.” Esordì lui, spingendo Dawn a domandarsi se qualcuno lo stesse informando dei suoi tormenti.
Come diamine faceva a sapere che era presente?
Parlava solo per esperienza personale oppure aveva i suoi buoni motivi per sospettare che qualcuno fosse incollato allo schermo in attesa di attaccare discorso?
“Non so che dire.”
“Ti consiglio di parlare di un qualche argomento che ti sta a cuore.”
“Questa regola dell’unica domanda giornaliera è una fregatura!” Sbottò Dawn.
“Come ti ho detto ieri pomeriggio, puoi chiedermi del lavoro, della scuola, di attività sportive, amicizie e quant’altro.”
“Credevo ci fosse un limite a tutto ciò.”
“Nessuno.”
“Prima però vorrei descriverti la situazione che gira attorno alla domanda odierna.”
“Ottimo utente 0021.”
“Non sono così sciocca da cadere in una domanda.”
“Sei stata brava ad abituarti a questa regola.” Si complimentò lo sconosciuto, facendo ridacchiare Dawn che non credeva di ricevere un simile segno d’apprezzamento.
“Sono più scaltra di quanto non sembri.”
“Ciò renderà più interessanti le mie giornate su questo sito.” Continuò il moderatore, fornendo alla giovane l’assist per una domanda che a Dawn non sembrava poi così importante.
Un altro utente sarebbe caduto nella sua trappola e avrebbe sprecato la domanda, chiedendogli cosa facesse nella vita e ritrovandosi con l’ovvia risposta dell’occupazione tempo pieno di un sito che richiedeva continui aggiornamenti.
“Ti parlerò di una mia cara amica.”
“Continua pure.”
“Ci conosciamo da molti anni e siamo cresciute come sorelle.”
“Un bel legame.” S’inserì, facendo annuire Dawn.
“Abbiamo passato l’asilo, le elementari, le medie e ora le superiori insieme. Ogni tanto litigavamo, come credo sia normale e poi tornavamo a essere amiche.”
“Normale.” Commentò il moderatore.
“Ci conosciamo da tanto e ci basta un’occhiata per parlare.”
“Questo è un bene.”
“Temo però che qualcosa nell’ultimo periodo si sia incrinato.”
“Potresti parlarne direttamente con lei.”
“Se è un qualcosa che ci riguarda, potrebbe anche mentire e questo mi ferirebbe.”
“Situazione particolarmente complicata.” Le fece notare lo sconosciuto.
“Le nostre famiglie si conoscono da molti anni e i nostri genitori spesso ci facevano passare l’estate insieme. Non so però il motivo per cui negli ultimi mesi, lei mi sembri distante e anche le telefonate tra mia madre e la sua si sono fatte assai rare.”
“Se è fidanzata o hanno qualche preoccupazione in famiglia, forse sono presi verso quella direzione.” Tentò il moderatore, facendola annuire.
“Io sono la sua migliore amica e la aiuterei se fosse in difficoltà.”
“Forse non sa come affrontare la questione e un tuo tentativo potrebbe metterla alle strette e renderla aggressiva.”
“Zoey non è cattiva.” Si lasciò sfuggire, dandosi subito della stupida per aver spifferato un nome che doveva rimanere quantomeno segreto.
“Non ho detto che lo sia.”
“Mi sembrava il contrario.”
“Anche tu, utente 0021, sei cambiata, quando ho parlato male di lei e l’ho definita in qualche modo violenta e aggressiva. Sai che l’immagine che ti ho mostrato non la rispecchia e hai voluto difendere la tua amica in un modo che dovresti apprezzare di più.”
“Ti chiedo scusa.”
“Non mi hai offeso e, anzi, mi hai aiutato a conoscerti meglio.”
“Che strano…” Sospirò Dawn, digitando quelle poche lettere.
“Comunque non posso darti la mia opinione a riguardo se prima non mi rivolgi la fatidica domanda.”
“Potresti sempre andartene dopo che te l’ho posta, magari formulando una qualche risposta priva d’efficacia.” Gli fece notare la giovane.
“Non sono una carogna.”
“Sappi che se mi prendi in giro, questo sarà l’ultimo pomeriggio che passiamo a chattare.”
“Che opinione scarsa che hai di me.” Ribatté con sarcasmo, facendo sorridere la sua interlocutrice.
“Come posso aiutare Zoey nel migliore dei modi?”
“Francamente ti risponderei che non puoi. Tuttavia c’è un qualcosa d’interessante in questa faccenda.”
“Non te ne andare.” S’inserì, temendo che lui se la svignasse.
“Devi affrontarla per sapere cosa la preoccupa.”
“Ho paura.”
“Utente 0021, l’amicizia che vi lega è più forte della paura che provi!”
“Io…”
“Se siete diventate amiche,  non dovresti temere il suo giudizio. Avete affrontato difficoltà ben peggiori di questa e un confronto spesso è la situazione più semplice per risolvere conflitti che ci sembrano insormontabili.”
“Ma noi…”
“Affrontando subito la questione, non dovrai aspettare il futuro. Lei si sentirà sollevata nel sapere di poter contare su una cara amica e, al contrario, non si sentirà delusa e sola, se dovessi rimanere nella stessa posizione che stai occupando ora.”
“È solo da due settimane che non parliamo.” Aggiunse lei, sperando di placare il furore di lettere che piovevano sotto i suoi occhi.
“Per due sorelle anche solo mezzora è già troppo.”
“Ma noi…”
“Tu l’hai definita come una sorella e due settimane di silenzio sono un periodo troppo ampio per un rapporto così speciale.”
“Non sapevo che fare.” Scrisse, sentendosi a un tratto in difficoltà.
“Avresti dovuto affrontare il problema.”
“Temevo mi ordinasse di rimanere fuori dalla sua vita.”
“Ascolta utente 0021: se anche dovesse accadere, tu saprai d’aver fatto il massimo per lei. Lei saprà che hai provato a impegnarti e apprezzerà la tua sensibilità.” Spiegò lo sconosciuto, dando qualche minuto a Dawn per riflettere.
Quel breve intervallo aveva quasi convinto il moderatore che lei se ne fosse andata, lasciando la chat aperta e confondendolo sulla sua scelta.
Non poteva sapere se lei era ancora presente con la testa tra le nuvole o se invece fosse già andata dalla sua amica.
Dovette aspettare quasi cinque minuti prima che il pc tornasse a vibrare.
Era riuscito a prepararsi pure un toast nell’attesa di una sua risposta e se nella successiva mezzora non avesse udito alcun suono, allora sarebbe andato offline. Invece l’utente si era ripresentata e fino a quando non fosse caduta in un’altra domanda, lui doveva rimanere con il profilo acceso.
“Non so quando affrontarla.”
“Hai avuto il coraggio di difenderla e di discutere con uno sconosciuto e ora non sai quando parlare con un’amica.”
“Ho paura d’essere ignorata e ferita.” Digitò la giovane.
“Neanche questa situazione mi sembra di tuo gradimento.”
“Già.”
“E se non sbaglio, in questo momento, sei già ferita e ignorata.” La colpì il moderatore, usando delle parole dure, ma efficaci.
“Temo il suo segreto.”
“Se non dovesse essere troppo privato o difficile da scrivere, ne potrai discutere con me domani.”
“L’avrei fatto comunque.” Picchiettò sulla tastiera, facendo sorridere lo sconosciuto che durante le brevi pause di visualizzazione e risposta mangiucchiava il suo toast, sorseggiando con calma la sua bibita ghiacciata.
 
Le 24 ore erano passate e il moderatore aveva notato che nessun messaggio era apparso sulla chat.
Il che per lui poteva essere interpretato in diversi modi.
Poteva essere un buon segno in quanto significava che l’utente si era confrontata con l’amica e che ora stavano sfruttando quel tempo per parlare.
Come poteva trattarsi di un segnale nefasto.
Un qualcosa che magari era legato alla fine del rapporto d’amicizia che legava le due, con l’utente 0021 atta a mantenere il silenzio per vendicarsi di uno sconosciuto virtuale.
Qualsiasi fosse la verità, lui non sapeva come comportarsi.
Fissare lo schermo in attesa di qualche parola oppure fare la prima mossa e digitare qualcosa che potesse svegliarla?
Ammettendo ovviamente che lei fosse presente.
Perché nel caso opposto, le parole sarebbero rimaste in chat fino a quando non avesse visualizzato.
E cosa poteva scriverle?
Non sapeva nemmeno come iniziare un dialogo con quella strana ragazza.
Non ebbe il tempo di ragionare su cosa scrivere che subito vicino al suo numero identificativo comparve una luce verde.
Quello era il segnale che attendeva.
L’utente 0021 era finalmente online.
“Spero che tutto sia andato bene.” Digitò, aspettando con calma i pochi secondi che mancavano a una sua risposta.
“Alla grande.”
“Si direbbe che tutto si sia sistemato.”
“Con quello che mi ha detto alla ricreazione, ora capisco il perché del suo silenzio.” Riprese la giovane, facendo riflettere il moderatore.
“Se non è troppo privato, puoi sempre raccontarmelo.”
“Mi ha pregato di non farlo.”
“Capisco.”
“Ti ringrazio per avermi aiutato.”
“Ricorda comunque che una sorella è presente anche quando si ha bisogno d’aiuto.”
“Lo so.” Ribatté Dawn.
“Dato che abbiamo risolto questo primo problema, puoi passare al secondo che ti preoccupa.”
“Quanti problemi credi che abbia?” Chiese la ragazza, cadendo nell’inganno del moderatore.
“Considerando l’ora credo tu sia stanca e vedrò di sorvolare su questa domanda.”
“Io…”
“Com’è stata questa giornata?” Domandò lo sconosciuto, aggiungendo, dopo la frase, una faccina con un ghigno.
“Buona.”
“Ora ricominciamo da capo: fai la tua domanda.” Riprese il moderatore che dal tono usato non era propenso a usare di nuovo quella tecnica.
“Posso solo dirti che la mia amica aveva dei gravi problemi in famiglia che si stanno per risolvere.”
“Non sei obbligata a parlarmene.”
“Mi sembra doveroso perché il problema odierno tocca quello di ieri.” Digitò velocemente lei, recuperando dalla borsa il pranzo che non aveva avuto modo di mangiare.
Mentre scriveva, rileggeva le parole del moderatore e vi rifletteva, cercando da sola una soluzione al problema che la infastidiva.
“Ti seguo.”
“La madre della mia amica ha un tumore che i medici stanno bloccando per tempo.”
“Cavolo.” Scrisse lo sconosciuto, pensando a quella novità inaspettata.
Tutto poteva immaginarsi, ma non che il motivo atto a dividere due ottime amiche fosse un qualcosa di così subdolo.
“Zoey mi ha evitato solo perché voleva stare vicina a sua madre.”
“Tutto ciò andava ben oltre le mie previsioni.”
“Quando me l’ha detto, sono sbiancata.”
“Lo immagino.”
“Io credevo di averle fatto qualche sgarbo, ma non potevo immaginare che lei fosse impegnata con la sua famiglia.”
“Questo ti ha fatto capire che, a volte, giudicare le persone, senza conoscere ciò che hanno passato, è la scelta più egoistica che noi possiamo fare.”
“Se penso che volevo allontanarmi da lei solo per il suo silenzio…mi sento anche peggio.” Picchiettò Dawn, facendo annuire lo sconosciuto.
“Non devi sentirti in colpa.”
“Di solito sono così curiosa che non mi fermo davanti a nulla.”
“La curiosità…una dote spesso utile, ma anche pericolosa.” Digitò il moderatore.
“Io non sono di questo avviso.”
“Utente 0021 spesso le cose più brutte capitano proprio per colpa della curiosità.”
“Non è vero.” Riprese con ostinazione Dawn, leggendo in tutto ciò una piccola punzecchiatura.
“Devi sapere che quando ero bambino, avevo un cucciolo. Era curioso…troppo per la sua inesperienza. Nonostante cercassi di addestrarlo, lui era speciale. Voleva sapere cosa ci fosse oltre la staccionata e un giorno, quando l’avevo lasciato libero, la curiosità rispose. Tornò indietro, ferito e con la coda tra le gambe. Il cucciolo imparò che il mondo è pericoloso e che spesso la curiosità porta solo guai.”
“Io…”
“Con questo non dico che la curiosità sia un demerito, ma a volte è meglio non ascoltarla.” Continuò, facendo annuire lievemente Dawn.
“Comunque credo che stiamo andando fuori discorso.”
“Sei tu, utente 0021, che stai sviando dal problema iniziale.”
“Forse hai ragione.”
“Torniamo a prima. Hai detto che la madre della tua amica si sta sopponendo ad alcuni trattamenti e che starà bene.”
“Infatti.”
“E hai parlato di un problema molto vicino a questo.” Continuò lo sconosciuto, spostando la sua attenzione verso il cellulare che con la sua suoneria l’aveva avvertito di un messaggio.
Tempo di una rapida scrollata e di uno sguardo disgustato ed era tornato a immedesimarsi nel problema della giovane, lasciando perdere le nuove offerte degli operatori.
“Temo che stia accadendo qualcosa di strano vicino a Zoey.”
“Prova a parlarmene.”
“Non è Zoey il problema, ma credo di essere io.” Picchiettò Dawn che ormai aveva mandato al diavolo i suoi propositi di anonimato.
“Sei così brava che sono sul punto di riempirti di domande.”
“Da un po’ provo invidia verso di lei.”
“L’invidia come sentimento è abbastanza normale, specie se qualcuno è più bravo di noi in qualcosa o ha qualche capacità che noi non abbiamo.” Le fece presente lo sconosciuto.
“Lo so.”
“È da quasi mezzora che parliamo e non mi hai detto quasi nulla di nuovo.”
“Lei è fidanzata e la invidio.” Digitò con rabbia, tradendo la sua proverbiale calma.
Era solo questo che le mancava.
Non si sentiva bella come una modella o una qualche attrice, ma non era nemmeno da buttar via.
Era carina, passabile e dall’ottimo carattere.
Tuttavia non riusciva ad accettare, d’essere ancora single.
Anche lei voleva qualcuno al suo fianco ed era solo questo che la disturbava.
Vedeva tante altre ragazze, anche più svampite, circondate da ragazzi.
Lei invece che era diligente e timida rimaneva in un angolo.
“Mi sto rotolando dalle risate.” Ribatté il suo moderatore, facendola infuriare ancora di più.
Una cosa che odiava era questa: non sopportava che qualcuno si facesse beffe di qualcosa che la preoccupava immensamente.
Già si vedeva vecchia, circondata da gatti pulciosi e residente in una catapecchia, mentre tutti la additavano come una pazza sclerotica e zitella per giunta.
“Mi piacerebbe avere qualcuno con cui stare.”
“Devi solo avere pazienza.” La rassicurò lo sconosciuto.
“Però…”
“Nessuno sarà sempre solo.”
“Non è solo questo.” Ammise lei, risvegliando il moderatore.
Quest’ultimo era stato propenso a darle altri 5 minuti del suo tempo.
Se lei, concluso quel margine, non avesse detto nulla di sensato, lui sarebbe uscito e avrebbe lasciato la discussione per l’indomani.
Secondo la sua modesta opinione, l’utente 0021 aveva pure le sue buone motivazioni, ma in quegli istanti si stava mostrando troppo appiccicosa.
Mai nella vita era stato costretto a tirar fuori le parole con la forza e le possibilità, almeno per lui, erano solo 2: o si divertiva con quel gioco che alla lunga stancava oppure era veramente in difficoltà.
“Non vorrei farti fretta, ma questo sito non va avanti senza dei discorsi chiari.”
“Chi mi preoccupa è il ragazzo di Zoey: Mike.”
Quelle poche parole risvegliarono l’interesse del moderatore che aveva abbandonato nuovamente i suoi propositi d’andarsene per ritrovarsi nel caos che tanto amava.
Ora non gli restava, per quel freddo, umido e piovoso pomeriggio che capire e trovare rimedio per un problema che l’utente considerava insormontabile.
Intanto però ripensava a cosa aveva appena imparato: lei provava invidia verso Zoey e il fidanzato di quest’ultima era mutato all’improvviso, senza che la stessa Zoey, impegnata con i suoi problemi familiari, se ne rendesse conto.
Senza saperlo si sarebbe ritrovato in un problema molto più intricato di come appariva dinanzi ai sui occhi.






Angolo autore:

Ryuk: Per un pelo ci dimenticavamo di aggiornare.

Sai che perdita.

Ryuk: Per me che sono puntuale è tutto.

Sì, sì...come vuoi.
In questo capitolo c'è stata l'introduzione di Zoey e poi via, via compariranno anche tutti gli altri.
Per il momento vi ringrazio dell'interesse e vi auguro una buona settimana.

Ryuk: Vedremo di aggiornare sabato o domenica.

Sono questi i due giorni che useremo di più.
Se poi dovessimo decidere qualche cambiamento, ve lo faremo sapere.
Alla prossima!
 

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Lo sconosciuto rilesse quelle poche parole con attenzione.
Aveva capito che Dawn provava invidia verso la buona stella di Zoey, ma ora aveva tirato in ballo anche il fantomatico Mike.
Non capiva cosa centrasse quella figura misteriosa con il suo problema.
Per quel poco che ne sapeva, lui era fidanzato con Zoey e in teoria non avrebbe dovuto perdere tempo con l’amica della propria ragazza.
Aveva imparato, tuttavia, che spesso ci sono i motivi più disparati per muoversi verso una determinata situazione e non gli sembrava il caso di rispolverare vecchi aneddoti o conversazioni morte con gli altri moderatori. Vantarsi di un qualcosa che non è poi così rilevante nemmeno ai tuoi occhi, potrebbe mai diventare interessante per un qualche altro tizio che chissà quante volte si è trovato davanti a un problema simile al tuo per poi risolverlo con un semplice sciocco di dita?
Il moderatore dall’alto della sua esperienza, minima rispetto agli altri capoccioni con cui condivideva la responsabilità del sito, sentiva di dissentire, anche se ciò si scontrava con il suo dannato orgoglio che gli ripeteva che ogni aiuto dato era una stella in più per quella chat ancora sconosciuta.
“Continua.” La esortò, digitando velocemente e accantonando quei pensieri che erano destinati a condurlo verso un vicolo cieco.
“Ho notato che Mike si comporta in modo insolito.”
“Forse stai solo esagerando.” Tentò, credendo, erroneamente, che la giovane utente stesse ingigantendo parte del suo racconto.
“Quando Zoey non aveva il problema in famiglia, era diverso.”
“Forse è solo preoccupato e di conseguenza anche il suo carattere è cambiato.” Spiegò, immaginando comunque che lei non avrebbe accettato quella soluzione.
“Non fraintendere, ma noi ci conosciamo da tempo e non l’ho mai visto così.”
“Mi piacerebbe sapere se provi qualcosa per lui.” Tentò il moderatore, evitando accuratamente una domanda.
Seppur fossero distanti, quel semplice quesito aveva scombussolato la sicurezza della giovane che si ritrovò ad arrossire come una stupida.
“Lui mi piace, ma solo come amico.”
“Questa faccenda del solo come un amico è tipica di voi ragazze.”
“Io invidio Zoey solo per il fatto d’avere un ragazzo, anche se Mike non è il genere di fidanzato che vorrei avere.”
“Posso solo immaginarlo.” Ribatté, facendole notare sottilmente che senza descrizioni precise, brancolava nel buio.
“È troppo appiccicoso.”
“Credo tu sia la prima ragazza che cerca qualcuno meno asfissiante.”
“Non voglio dire che è un male, ma forse lui esagera un po’ troppo.” Tentò Dawn, sperando di mettere una pezza a quello strano discorso.
“Comunque stiamo evitando, di nuovo, il problema originale.”
“Credo che Mike stia diventando appiccicoso anche nei miei confronti.”
“Spiegazione, prego.” Digitò la guida, aggiungendo comunque quell’indizio alla sua lista.
“Una volta, quando dicevo che andavo a fare compere, lui e Zoey non mi chiedevano con chi o se facevo tardi. In questi ultimi giorni, invece, Mike si è fatto più puntiglioso e assillante e vuole sapere ogni cosa di quel che faccio. Pensa che ieri è arrivato a chiedermi quante ore avessi passato davanti al computer e se mi ero concessa il giusto riposo. Francamente tutto questo interesse all’improvviso mi preoccupa ed è fuori luogo.”
“Inizio a odiare questo sito con la scusa delle domande.” Sbuffò il moderatore che avrebbe tanto voluto chiederle qualcosa di leggermente privato.
“Te l’avevo detto.” Lo punzecchiò Dawn che, se fosse stata presente nella stessa stanza della sua guida, avrebbe sentito un’imprecazione inadatta per simili contesti.
“Non so se mettendo in chiaro le cose, tu possa ottenere qualcosa.”
“Vorrei solo sapere cosa gli è preso.”
“La mia è solo una possibilità e quindi non prenderla troppo per buona, ma forse si sente trascurato.”
“Trascurato?” Chiese l’utente, scivolando nella domanda giornaliera.
“Vedi utente 0021, lui era abituato ad avere Zoey sempre attaccato e ritrovarsi senza di lei, è qualcosa di troppo difficile. Forse mi sbaglio, ma lui sta cercando qualcuno che possa, anche solo per poco tempo, occupare il posto della sua fidanzata. Magari non propriamente dal punto di vista sentimentale, ma da quello fisico.”
“Continuo a non capire.” Digitò la giovane, senza sapere cosa fare.
“Appurato che non provi interesse nei suoi confronti, sta a te decidere come comportarti.”
“Vorrei la tua opinione.”
“Mike sta cercando un appoggio, in attesa che i problemi di Zoey si azzerino.”
“Forse ho capito.”
“Lui non è interessato prettamente a te: si sente solo e sta cercando di trovare una figura che possa coprire il vuoto che la sua fidanzata ha lasciato.”
“Manco fosse morta.”  Digitò lei con rabbia sulla tastiera.
“Ricorda che la mia è una semplice supposizione e che potrebbe non rappresentare la realtà.”
“Lo so, ma non posso ignorarla.”
“Io credo che Mike abbia trovato in te la figura che può coprire a quest’assenza e pertanto ti prende in maggior considerazione.”
“Più ci penso e più arrivo alla conclusione che forse hai ragione.” Sospirò la giovane, dando un’occhiata alla foto che aveva sulla scrivania.
Non poteva credere che Mike si abbassasse a un simile livello e che cercasse, pur di stare meno male, qualcuno in grado di dargli conforto.
Dawn poteva capire Zoey. Lei era troppo impegnata con sua madre per accorgersi di un cambiamento così radicale nel suo tesoro, ma anche Mike stava un po’ esagerando. Era sempre stata dell’idea che un vero uomo si riconoscesse in situazioni come questa e da quel poco che aveva visto, era davvero delusa.
Non avrebbe mai accettato d’essere la sua sostituta e avrebbe fatto in modo di risvegliare Zoey il prima possibile.
“Ti sta trattando a metà tra una fidanzata e una sorella.”
“Che individuo.” Commentò lei con disgusto.
“Prima di offendere qualcuno, dovresti capire che cosa prova. Magari anche lui ha qualche problema in famiglia che lo spinge ad essere così bisognoso d’affetto.”
“O forse è solo il suo carattere.”
“Utente 0021 non ci siamo.” La rimproverò nuovamente il moderatore, sperando di portarla a più miti consigli. Non era nelle sue intenzioni farle provare odio verso qualcuno e quindi allontanarla dalle sue amicizie.
Lui era presente per l’esatto opposto e se era uno dei capi del sito, era solo per riavvicinare gli elementi di un gruppo e non per distanziarli ulteriormente o per rimarcare i rispettivi contrasti.
“Lui mi sta solo usando.”
“Forse hai ragione, ma chi te ne dà la certezza? Che diritto hai tu di presumere che la sua vita sia tutta rose e fiori? A volte voi utenti credete di vivere in una bolla di sapone e che le azioni degli altri vi sfiorino solo di striscio. Sappi che non è così.”
“Io…”
“La mia non è una predica nei tuoi confronti, ma crescendo capirai che alcune cose non sono sempre come appaiono in realtà.”
“Cosa dovrei fare quindi?” Chiese la giovane, pentendosi per quanto aveva scritto e riflettendo sulle parole dello sconosciuto.
Lei prima d’affrontare Zoey non sapeva nulla di sua madre e nemmeno Mike si era mai sbilanciato troppo nel parlare della sua famiglia. Aveva solo sentito che era figlio di un bancario di nome Vito e di un’insegnante russa d’atletica, una tale Svetlana.
Il resto era solo un enorme punto di domanda.
“Non ti sto dicendo d’evitare il dialogo, ma cerca di non  fargli pesare la cosa, se non c’è un motivo valido per farlo.”
“Io…”
“Se vuoi parlargli nel modo migliore, cerca di conoscere la sua sfera privata, i suoi timori, le sue ansie, le difficoltà che ha dovuto superare, e perché no, il suo passato. Potrebbe apprezzare i tuoi sforzi, potresti rafforzare ancora di più il vostro legame e ovviamente la cosa sarebbe assai benvista all’interno del tuo piccolo gruppo.”
“Non so nemmeno come fare.”
“Chiedi a tua sorella.” Digitò, lasciando quell’unico indizio e facendo comparire dopo pochi secondi il simbolo rosso affianco al suo nome nella chat.
Anche uno stupido avrebbe capito che lui era, con quella semplice azione, andato offline.
 
Costatato che era impossibile parlarci, anche Dawn chiuse il pc e alzò gli occhi al soffitto.
Doveva conoscere il passato di Mike e l’unica che aveva risposte a sufficienza, escluso la stalker Sierra che poteva far sapere a chiunque quanti pancake si era spazzolato Cody a colazione e con quanto sciroppo d’acero, era Zoey stessa.
“Che tipo impossibile.” Si ritrovò a sbuffare, tornando sul dialogo appena affrontato.
In quell’intenso scambio d’opinioni, lei ne era uscita sconfitta: aveva mostrato un lato del carattere che credeva di non possedere e che sperava rimanesse sempre rintanato in un angolo invisibile agli occhi altrui.
Non voleva essere ulteriormente esclusa solo perché aveva sclerato per cinque minuti scarsi, anche se negli ultimi giorni era sempre così.
Uno sconosciuto aveva avuto modo d’apprendere che lei non era così perfetta e buona come faceva credere a tutti. Com’era tipico nella normalità, anche lei aveva momenti in cui era odiosa e perfida. Altri nei quali cercava d’evitare problemi che potessero farle male o difficili da risolvere.
E se pensava che, almeno in teoria, aveva molti compagni con cui discutere, ecco che si sentiva anche peggio.
Già dopo una persona aveva l’emicrania e non osava pensare a cosa dovesse fare per ottenere l’apprezzamento degli altri.
Dopotutto se veniva evitata da tutti, forse un motivo c’era.
“Forse ho fatto qualcosa che li ha feriti.” Borbottò, anche se sapeva di non poter essere amica dell’intero mondo.
Con alcuni non aveva mai parlato perché il loro aspetto tradiva la possibile conversazione. I tipi poco raccomandabili, così da essere maggiormente chiari, non li aveva mai presi in considerazione e li aveva sempre scansati.
Tuttavia si sentiva in dovere di fare qualcosa. Credeva che, una volta risolta anche la questione di Mike, fosse compito suo avvicinarsi per fargli cambiare idea.
Per non dimenticarsi di quel problema, afferrò il cellulare e digitò il numero dell’amica.
Dovette aspettare alcuni secondi prima di sentire, all’altro capo, la voce squillante e allegra della rossa.
“Dawn cosa c’è?” Chiese subito, andando dritta al sodo.
“Volevo parlare con te e volevo sapere come stava tua madre.”
“Che carina e comunque sta bene.” Borbottò Zoey, emozionata nel sapere d’avere un’amica così speciale.
“Sapessi quanto mi fa piacere saperlo.”
“Non devi preoccuparti così tanto.”
“Sei come una sorella per me e non finirò mai di volerti bene.”
“Io...”
“Sapessi oggi quale scenata mi ha fatto mio padre perché ho perso l’autobus.” Sbuffò, sentendo Zoey ridacchiare.
“È ancora così protettivo?”
“Fin troppo.”
“Non dovresti lamentarti così: lui lo fa per il tuo bene.” Ribatté la rossa.
“Lo so, ma a volte vorrei che mi lasciasse maggiormente libera.”
“Mi sembra di sentire Mike.” Borbottò la rossa, ridacchiando appena.
“Mike?”
“Anche lui spesso si lamenta dei suoi vecchi.”
“Posso immaginarlo.” Sospirò Dawn, continuando a far perdurare quel gioco.
Ciò che stava raccontando a Zoey era solo un’innocente bugia atta a non farla soffrire eccessivamente.
Aveva tirato in ballo il povero genitore che era seduto comodamente sul suo divano, intento a leggere il quotidiano e a concedersi alcuni minuti di relax, dipingendolo come un padre iperprotettivo e apprensivo.
“A volte, quando viene da me, si mette a piangere senza motivo.”
“Forse è solo stressato.” Tentò la biondina.
“Si è lasciato sfuggire alcuni dettagli sulla sua famiglia cui non so se è il caso credere.”
“Non è che si senta isolato per il problema di questi ultimi giorni?” Chiese con paura e usando la massima delicatezza.
“Sai come viene chiamato suo padre?”
“Veramente no.”
“In città quando passa, in molti si girano e spettegolano sul suo conto. Sai non fa un bel lavoro, molti lo invidiano questo è vero, ma sentirsi chiamare strozzino non è il massimo della vita.”
“Cosa centra?” Domandò Dawn.
“Mike è troppo buono e Vito quando è ubriaco, non è tranquillo come appare.” S’innervosì Zoey, alzando leggermente il tono di voce.
“Però…”
“Credo abbia problemi in ufficio e si sfoga sulla moglie e Mike.”
“Non mi sembra un buon motivo.”
“Non conosco i dettagli, ma è da qualche settimana che Mike non è più lo stesso.”
“Si comporta bene con te?” Domandò Dawn, pronta anche a litigare con il moro pur di proteggerla.
“A volte sembra distratto e cerca qualcuno che lo consoli.”
“Possiamo solo stargli vicino?”
“E sperare che il brutto momento di Vito passi in fretta.” Sospirò la rossa, prima di scusarsi con l’amica e di concludere la chiamata.
Non era nelle sue intenzioni interrompere così quella chiacchierata, ma era appena giunta l’infermiera di sua madre per l’iniezione e lei voleva essere presente.
Non che ci fosse bisogno della sua figura, ma era solo per alleggerire la tensione e per rassicurare la malata.
 
Dawn, chiuso il cellulare, si distese sul letto e si mise a fissare il soffitto.
Aveva sfruttato il momento debole di Zoey per conoscere i problemi di Mike e da quel poco che aveva capito, anche lui aveva qualche segreto in famiglia.
Qualcosa che non avrebbe mai raccontato in giro, anche perché le malelingue potevano correre assai veloci.
Insomma quella faccenda di Vito, padre violento e vendicativo che si chiudeva in se stesso e che ignorava moglie e figlio, poteva giungere alle orecchie di qualcuno.
E questo qualcuno poteva rovinare una famiglia intera.
Dei pianti e della tristezza che essi provavano, Mike non aveva fatto parola ad anima viva.
Solo con Zoey si era sfogato e lei aveva svuotato il sacco in un momento di appannamento e di confusione totale.
Con maggior riflessione avrebbe evitato di farne parola proprio con Dawn.
Non perché temesse di vedere quel segreto reso di dominio pubblico, ma solo per la sua intraprendenza.
Dawn era alquanto singolare e, anche a sprezzo del pericolo, sarebbe stata capace d’affrontare quel bruto di persona.
Inconsciamente pregò che non facesse nulla di affrettato e che non dovesse litigare con Mike per il caratteraccio di quell’orco insensibile.






Angolo autore:

Ryuk: Chiediamo perdono, ma questo e il prossimo capitolo saranno un po' più corti del solito.

Spero sia l'unico caso di questa long e che non vi siano errori troppo grossolani.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Il moderatore aveva appena inserito i dati d’accesso per il sito che si ritrovò con un messaggio da leggere.
Per buona parte della sua infruttuosa giornata aveva pensato a cosa avesse spinto Mike a comportarsi in modo tanto strano con l’utente.
Era convinto della sua analisi e difficilmente l’avrebbe modificata senza ulteriori prove, ma doveva esserci per forza una ragione di fondo per quel cambiamento insolito.
“Grazie.”
“Hai risolto ogni cosa.” Sentenziò, mettendosi comodo e beandosi di quel semplice ringraziamento che altri sventurati non avevano manifestato nei suoi confronti. Alcuni, i più infami ovviamente, erano arrivati a minacciarlo, come se lui avesse la sfera di cristallo e potesse risolvere ogni cosa con un semplice sciocco di dita. Ciò l’aveva spinto, dopo almeno due tentativi fallimentari, a chiudersi in se stesso per evitare di rimanerci troppo male.
Passi il non dormire per una notte o il disagio di non riuscire a mangiare quanto si vorrebbe, ma rivedere costantemente la chat con minacce di morte non era assolutamente tollerabile.
“Non è stato facile, ma credo d’aver fatto il possibile.”
“Questo dovrebbe dirlo qualcuno che ignora la situazione.” Le fece notare il moderatore, mentre lei ripensava alle difficoltà affrontate.
Aveva dovuto prendere in disparte Mike durante la ricreazione, trascinandolo in biblioteca ed evitando accuratamente che Zoey li vedesse da soli. Nessuno poteva sapere come avrebbe preso una cosa simile e di certo Dawn non aveva intenzione di litigarci per un motivo quasi futile.
Sedutasi al suo posto preferito e controllato che la vecchia bibliotecaria fosse lontana per la sua solita tazza d’orzo, aveva affrontato Mike e non gli aveva lasciato il minimo scampo.
“Te la faccio semplice: anche lui aveva problemi in famiglia.”
“Lo sospettavo.”
“Come?” Chiese la giovane.
“Spesso un cambiamento così drastico avviene solo quando c’è qualcosa di strano vicino a noi.”
“Inizio a capire.”
“Comunque non mi hai ancora spiegato cosa è successo.” Digitò il moderatore, mentre sgranocchiava qualcosa.
“Ho parlato con Zoey come mi hai consigliato.”
“Brava.”
“Temo, però, di non aver seguito con attenzione i tuoi consigli.” Sbuffò Dawn, riflettendo sulla telefonata che aveva avuto il pomeriggio prima.
“Mi piace una persona che ammette i suoi sbagli.”
“Per convincerla ad aprirsi ho dovuto inventarmi qualcosa della mia famiglia.”
“È stata una bugia detta a fin di bene e non ha ferito nessuno.” Riprese lo sconosciuto, distendendo l’animo leggermente tormentato della biondina.
“Lo so.”
“Continua pure.”
“Zoey mi ha raccontato che il padre di Mike sta passando un brutto periodo e che a volte non riesce a trattenere la frustrazione.”
“Non aggiungere altro.” La interruppe, finendo il panino in pochi secondi e tornando subito operativo.
“Io…”
“Se il padre di Mike sta vivendo un brutto periodo, di conseguenza anche il figlio non se la passa bene. Ha la famiglia in condizioni precarie e la madre della fidanzata che si sta curando per un male orribile. Le poche certezze che credeva d’avere e che sperava rimanessero incrollabili, hanno iniziato a sbriciolarsi sotto i suoi piedi.
Non avendo nessuno cui rivolgersi, ha cercato qualcuno cui prestare le proprie attenzioni e ha trovato un’amica speciale che potesse risollevargli il morale.”
“Ti eri nascosto da qualche parte, per caso?” Chiese Dawn, non riscontrando il minimo errore in quel discorso impeccabile.
“Parlo solo per esperienza.”
“Tutti hanno dei problemi da risolvere.” Tentò lei, sperando che lui si aprisse a un nuovo confronto, senza tuttavia farlo cadere nel suo inganno.
“Vorrei sapere cosa gli hai detto.”
“So che è stata una mossa stupida, ma ho dovuto chiarirmi con lui.”
“Attenta a non rischiare troppo.” Le consigliò per evitare brutti episodi in futuro.
“Gli ho solo detto che se ha bisogno di qualcuno con cui parlare, può confidarsi anche con Zoey. Gli ho spiegato che non ho intenzione di abbandonarlo o di rinunciare alla sua amicizia, ma non voglio nemmeno essere trattata meglio solo perché non c’è nessun altro.”
“Avrà sicuramente capito che potevi soffrire.” Continuò il moderatore, facendo annuire nuovamente l’utente.
“E in famiglia mi ha promesso d’avere pazienza e d’affrontare il padre quando non ha scatti d’ira.”
“Scelta saggia.”
“Spero solo che Zoey non sia gelosa per questa chiacchierata.” Sviò la biondina, cambiando e spostando il discorso su un’altra persona.
“Zoey e Mike staranno bene e tu hai sistemato due legami che stavano per rompersi.”
“Ho chiesto a Mike se si era avvicinato perché provava qualcosa per me, ma ha negato.” Si rattristò appena, facendo riflettere il moderatore.
“Zoey è fortunata ad avere un’amica come te.”
“Davvero?” Chiese, formulando la terza domanda giornaliera e superando lo scoglio delle regole imposte dal sito.
Tanto per il moderatore quello non era un problema, poiché poteva inventarsi qualsiasi cosa pur d’evitare qualche richiamo.
“Un’altra ragazza avrebbe potuto approfittarsi della situazione e avrebbe cercato di fregare il fidanzato dell’amica.”
“Io non sono fatta così.”
“Ne sono piacevolmente sorpreso.”
“Non ci ho pensato nemmeno per un secondo.” Affermò Dawn.
“Avresti allontanato due persone che si amano e ti saresti fatta odiare da una cara amica.”
“E ora so che Mike non è mai stato interessato a me.” Riprese la giovane, demoralizzandosi un po’ per quel pensiero deprimente.
“Utente 0021… troverai anche tu qualcuno che ti renderà felice.”
“Lo spero.”
“E se mai dovessi aver bisogno di consiglio, potrai appellarti a questo sito.” Continuò, rassicurando la ragazza.
“Lo so.” Ribatté lei.
Il moderatore nel leggere la sua risposta, si assentò per qualche minuto.
Giusto il tempo di fare una telefonata, di sistemare un fascicolo e tornò a sedersi alla sua scrivania.
Normalmente non avrebbe abbandonato la sua postazione, ma voleva far scorrere un po’ di tempo da quel dialogo. Non voleva risultare troppo asfissiante e voleva dare all’utente la sensazione che su di lui poteva sempre contare.
Nonostante volesse star lontano appena 10 minuti, si ritrovò davanti al pc dopo quasi un’ora.
Sperava che lei non fosse rimasta appiccicata allo schermo, anche se la sfera verde vicino al suo numero lasciava presagire a quella possibilità.
“Mi spiace d’essere stato assente, ma ho avuto qualche problema.”
“Spero nulla di serio.” Rispose subito, facendo sorridere amaramente il moderatore che credeva di farle perdere troppo tempo su quel sito. Va bene chiedere consiglio e appoggio, ma non doveva restare online per tutte quelle ore, tralasciando tutti gli altri suoi impegni.
“Se non ti rispondo nell’arco di dieci minuti puoi anche uscire dal sito. Non sei vincolata in alcun modo all’attività che io svolgo abitualmente.”
“Lo so.”
“E comunque per oggi ho già risposto alla tua domanda.” Continuò, facendola lievemente innervosire.
“Che tipo impossibile.”
“Descrizione perfetta.”
“Non era un complimento.” Gli fece notare, mentre lei digitava quelle poche parole con un po’ di stizza.
Le seccava terribilmente di passare per una seccatura e per un numero.
Non voleva essere usata solo come passatempo per qualche stupido moderatore, anche se doveva ammettere che lui ci sapeva veramente fare.
Consigli sempre puntuali e precisi.
Situazioni dettagliate e studiate al massimo.
Esempi semplici ed elementari.
Era quasi sicura di non aver mai conosciuto una persona così.
Né nella vita reale che lei conosceva bene, né in quella virtuale che spesso le faceva spendere una buona mezzora dei suoi pomeriggi.
Da quando aveva scoperto quel sito, l’iniziale mezzora che si era ripromessa in quella chat era diventata un qualcosa paragonabile all’intero pomeriggio e a parte della sera.
“Ti aspetto con un nuovo problema.”
“Potrei anche non tornare.”
“Se credi di trovare qualcuno più bravo di me nel risolvere i problemi, ben venga. Io posso solo augurarti il meglio e che tu sia felice.”
“Io…”
“A volte sei bugiarda.” Ridacchiò lo sconosciuto.
“Un po’.”
“Non mi piacciono le bugie, né le ragazze che le raccontano.” La punzecchiò, uscendo dopo pochi secondi dal sito e facendo intendere a Dawn che la aspettava l’indomani con un nuovo problema che potesse risvegliarlo dall’apatia che lo circondava.
 






Angolo autore:

Come vi avevo anticipato questo sarà un capitolo un po' breve.

Ryuk: Dal prossimo sabato o domenica tutto dovrebbe tornare nella norma.

Sperando non vi siano errori, vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


Aveva aspettato pazientemente che lei si connettesse per oltre una settimana, ma nulla.
Quando ritornava a casa, accendeva il pc solo per vedere se lei era presente, restandone deluso e fissando lo schermo.
“Forse ho detto o fatto qualcosa che non va.” Credeva erroneamente, quando chiudeva, dopo pochi secondi, il computer, mettendosi a fare altro.
Ed era andato avanti così per molto tempo.
Sentiva che lei stava bene.
Ne aveva quasi la certezza, ma non sapeva il motivo per cui si ostinasse a restare fuori dal suo sito.
Era pronto a scommettere che quasi nessuno sapesse di quella faccenda.
Dopotutto l’utente 0021 non sembrava la tipica ragazza che faceva preoccupare gli altri. Lei era capace di ragionare senza farsi influenzare in alcun modo e non sembrava rassegnarsi dinanzi a qualche evento sfortunato.
Era questo che le invidiava.
Lui invece, cos’era?
Era sempre stato quello che non avrebbe voluto essere.
Non voleva essere il punto di riferimento per qualche sciroccato.
Non voleva aiutare le persone, quando loro avevano una vita migliore della sua.
Non desiderava diventare moderatore.
E invece il destino si era mosso diversamente. Come una madre che sceglie cos’è migliore per suo figlio, il destino gli aveva assegnato quell’obbligo.
La prima volta che aveva letto d’essere uno dei nuovi capi si era messo a fissare il soffitto color crema della sua stanza.
Si era chiesto quale maledizione avesse attirato su di sé per meritarsi quella roba. Già aveva poco tempo da spendere e in più doveva prestare aiuto a qualche soggetto dalla dubbia moralità.
All’inizio della sua avventura aveva fatto i conti con un 40enne reduce da un divorzio.
Come se lui sapesse qualcosa del vero amore e di come risolvere un problema così intricato.
Il suo istinto gli aveva consigliato d’avvertire l’idiota di turno, pregandolo di raccomandarsi a qualche sito d’incontri o a qualche psicologo che potesse aiutarlo.
Poi gli era capitato un medico che aveva alle spalle un’ottima carriera, ma che aveva sbagliato un intervento chirurgico, minando la salute di un paziente.
E anche in quel caso il moderatore era troppo giovane per capirci qualcosa. Divorzi, matrimoni, disgrazie…non l’avevano mai toccato da vicino.
Era un qualcosa su cui rifletteva distrattamente quando era intento a farsi il bagno e non era di certo un pensiero ricorrente, né tantomeno aveva intenzione che lo diventasse.
Se lui era il capo doveva, per il suo bene e per la sua salute, fregarsene altamente degli altri.
Doveva diventare un bastardo insensibile.
Qualsiasi cosa, anche la più rivoltante, gli scivolava addosso come se niente fosse.
Non era colpa sua se si era separato perché era stato beccato, durante una scappatella, da una consorte inferocita.
Non era colpa sua se la banca gli aveva pignorato la casa per affari sballati.
Non era colpa sua se era costretto al lastrico e se doveva mangiare con i barboni.
Non era colpa sua se i figli odiavano il padre perché troppo impegnato con i suoi viaggi d’affari.
E non era nemmeno colpa sua se il dottore aveva sbagliato intervento e ora era costretto a pagarne le conseguenze.
Lui poteva solo provare a essere nella loro situazione, anche se ogni soggetto che si avvicinava alla chat lo lasciava interdetto.
Era schifato dagli esseri che chiedevano consiglio e che respiravano la sua stessa aria. Avrebbe chiesto volentieri un ordine restrittivo per certi individui che non meritavano nemmeno di prestare il loro sangue a delle innocue zanzare.
Convinto che gli toccasse un altro idiota, anche quel pomeriggio aveva inserito i dati d’accesso.
Con l’ultimo caso risolto, quello di un lurido traditore, era convinto d’aver toccato il fondo.
Aveva passato qualche giorno sconcertato da quel pensiero, tanto da non aver nemmeno la forza d’entrare nel programma. Sperava che a random gli capitasse qualcosa di più leggero.
Un altro stupido idiota con problemi esistenziali lo avrebbe annientato totalmente.
Almeno non gli era capitato qualche assassino che gli chiedeva consiglio per non essere arrestato dalla polizia. Anche se sentiva che non sarebbero passati secoli, prima che qualche losco individuo lo minacciasse di morte pur di trovare un escamotage con cui perdere le tracce.
E invece il destino, di nuovo quel maledetto, aveva estratto per lui un numero leggero, quasi magico.
0021.
Il resto era stato un immenso colpo di fortuna.
Doveva risolvere i problemi di una ragazza che non sapeva come farsi degli amici.
Nel ripensare a ciò si ritrovò a ghignare appena.
Anche lui aveva lo stesso problema, anche se ormai era tardi per lamentarsi.
Non aveva più tempo per trovare qualcuno con cui condividere qualcosa. E con quello che aveva passato, poteva affrontare i problemi della ragazza con spensieratezza e con un’esperienza che non credeva di possedere.
Anche per quella serata non avrebbe avuto fortuna.
S’illudeva nell’indomani, sperando di non farsi troppo male.
 
Il moderatore non aveva mai creduto d’affezionarsi così a una persona.
Gli altri quando risolvevano i loro problemi, non si sforzavano mai in un complimento.
Notando che invece lei apprezzava i suoi sforzi, aveva trovato un motivo per non odiare eccessivamente quell’incarico.
E un semplice ringraziamento poteva smuoverlo più di quanto avesse mai fatto un obbligo in vita sua.
“Scusa.”
Quella sera, dopo quasi due settimane, trovò il suo messaggio.
Si ritrovò a sorridere e abbandonò subito i suoi programmi.
“Utente 0021, credevo fossi stata rapita dagli alieni.” Ribatté sarcastico.
“Non volevo stare tanto assente.”
“Non credere che le domande giornaliere si siano sommate tra loro: anche oggi hai diritto ad un solo quesito.”
“Credevo fossi felice di risentire la tua sciagura.” Digitò, facendolo sorridere.
“Ti regalerò una domanda bonus.”
“Che gentilezza.”
“Potevi avvertire che avevi intenzione d’andare in vacanza, almeno avrei trovato qualcosa di diverso da fare.”
“Non me lo aspettavo nemmeno io.” Riprese la giovane.
“Sicura di star bene?” Chiese il moderatore, facendo guadagnare la domanda bonus che le aveva promesso in precedenza.
“Sono stata impegnata con un progetto di scienze.”
“Immagino si tratti di uno di quelli dove si vincono coccarde e trofei di vario genere.”
“Solo i migliori in scienze della nostra scuola sono stati inseriti in graduatoria e doveva essere un lavoro di gruppo.”
“Di solito sono divertenti.” Le fece notare.
“Ero in mezzo ad una marea di sconosciuti e sono finita a far squadra con un mio compagno di classe.”
“Il meno peggio del gruppo.”
“Infatti.”
“Devo, quindi, supporre che tu sia rimasta assente per ultimare quel progetto.” Tentò, facendo sorridere Dawn che quasi si era dimenticata di quella mente brillante con cui stava dialogando.
“E a cercare di recuperare l’amicizia che avevo in sospeso con lui.”
“Ottimo lavoro.”
“Con quasi due settimane di collaborazione credo sia normale cercare di stringere amicizia.”
“Spero tu abbia risolto qualcosa.”
“Ho capito che mi stava lontano solo perché gli sembravo strana e quindi poco raccomandabile.” Riprese lei.
“A volte si sta lontani da alcune persone solo perché non ci fanno una bella impressione.”
“E tu cosa hai fatto durante questi giorni?” Domandò, spiazzandolo.
“Le solite cose.”
“Ricorda che devi rispondere alle mie domande.”
“Devo dire che mi mancava questo tuo carattere.”
“E quindi ti mancavo anch’io.” Digitò lei, facendolo sorridere.
“Almeno rendi interessanti queste giornate noiose che mi fanno compagnia.”
“Non ho ancora capito se studi o lavori.”
“Utente 0021, stai entrando nella mia sfera privata.” Le fece notare, senza tuttavia farle cambiare discorso e anzi spronandola a continuare.
“Credevo non avessi una vita privata.”
“Colpito e affondato.”
“Sii serio per una volta.” Lo pregò, facendolo annuire.
“Non mi hai ancora detto come vanno le cose con questo tuo nuovo amico.”
“Mi sembra che tu sia poco intenzionato a parlare della tua vita.”
“Possibilmente preferirei evitare.” Digitò lui, creandosi un alone di mistero.
“Userò la mia seconda domanda a riguardo.” Lo minacciò, sorridendo per quella possibilità.
“Non sono obbligato a risponderti.”
“Il regolamento dice diversamente.” Le fece notare la ragazza, copiando e incollando poco dopo l’articolo in questione.
“Che rottura.”
“A essere sinceri, Cameron aveva, grazie all’interesse e all’impegno di Mike e Zoey, già cambiato idea sul mio conto.”
“Una pubblicità positiva.”
“Non so cosa abbiano detto, ma ho notato che in molti mi guardano con occhi diversi.” Si rallegrò, credendo di non essere così lontana da creare un clima disteso vicino a sé.
Non voleva più essere evitata, presa in considerazione per ultima rispetto agli altri o essere fissata come se venisse da un altro pianeta.
“Cambi gli altri e anche il mondo che ti circonda cambierà.”
“Non credevo fosse così semplice.”
“Ti sembra semplice solo perché non hai trovato ancora alcun intoppo.”
“Non penso che esistano problemi in ciò.” Gli fece presente, senza convincerlo appieno.
“Se avessi voluto separare Mike da Zoey o se avessi informato quest’ultima del dialogo privato che hai avuto con il suo ragazzo, probabilmente sarebbe finita molto peggio.”
“Non ci avevo pensato.”
“I pensieri tristi sono sempre quelli meno considerati, ma non per questo inutili.”
“Forse hai ragione.”
“Ovvio che ho ragione. Sei fortunata ad avere un’amica come Zoey che ti sta aiutando a farti apprezzare. Se lei ti odiasse, per te sarebbe la fine.” Picchiettò lui.
“La mia classe mi allontanerebbe ancora di più.”
“Sei troppo minimalista.”
“Io…”
“Non sarebbe solo la tua classe a odiarti, ma l’intera scuola. Per i primi tempi ti additerebbero come una strega e verresti allontanata da tutti, in attesa che qualcuno si comporti peggio di te e che convogli verso di sé tutte queste bugie.”
“Tu sei un pessimista orribile.” Digitò nuovamente Dawn, senza trovare qualcosa con cui ribattere.
“Non conosco nessuno che sia uscito da una spirale così contorta.”
“Io allora sono fortunata.”
“Non immagini nemmeno quanto.”
“Anche se non credevo che i pettegolezzi fossero così orribili.” Sospirò lei.
“Le chiacchiere tendono a distruggere una persona e a farla sembrare un mostro.”
“Tu…”
“Conoscevo un tizio che era vittima di questi pettegolezzi e non ha fatto una bella fine. L’altezza, il peso, la crescita: sono tutti elementi che possono essere sfruttati per ferire qualcuno.”
“Già.”
“Io sono sempre stato sopra le parti e offese simili non mi hanno mai colpito o preso di mira. O forse è tipico del mio carattere ignorare certe provocazioni.”
“Però…”
“Non sempre si è fortunati, utente 0021.”
“Tu mi stai aiutando perché non vuoi che mi capiti la stessa cosa.” Tentò, facendolo sorridere appena.
“Tieniti stretta i legami che hai e che vuoi ricostruire: saranno i ricordi più belli della tua vita.”
“Tu…”
“Io, però, non ho ricordi positivi della mia gioventù.” Sospirò il moderatore, cercando di ricordare quell’orribile giorno di aprile che lo seguiva da una vita ormai.
Il sapere che, nonostante avesse dato il massimo, lui non era riuscito a sottrarlo da quella fine, lo rendeva infelice.
“Peccato.”
“Hai ancora una domanda da farmi, utente 0021.” Le ricordò, abbassando la testa e aspettando la vibrazione della chat.
“Prima vorrei dirti che ti sono grata di quello che fai per me.”
“Non occorre.”
“Invece sì. Mike, Zoey e Cameron sono tornati a essere miei amici solo grazie al tuo intervento.”
“Credo sia la prima o la seconda volta che qualcuno cerca di ringraziarmi.” Sorrise amaramente.
“Te lo meriti.”
“Fidati, utente 0021, se sapessi la verità, non diresti queste cose.”
“Sei stato tu a insegnarmi che certi segreti sono pesanti e non sono così belli come credi.” Riprese lei, facendolo annuire.
“Aspetto la tua domanda.”
“Tu hai detto che la tua vita non è stata facile, che hai vissuto molte esperienze negative e che non credi d’avere amici. Io non capisco come tu riesca a darmi simili consigli. A volte, quando leggo le tue parole, mi chiedo come tu faccia a conversare così tranquillamente, nonostante tutte le preoccupazioni che ti porti dentro. Credevo che la tua fosse una vita priva di senso, eppure riesci a resistere e a continuare. Cos’è che ti dà questa grande forza d’animo?” Domandò, spiazzandolo.
“Utente 0021: devo ricordarmi che sei una ficcanaso.”
“Hmm…”
“Devo onorare una promessa fatta a un amico di famiglia.”
“Io…”
“Ti parlavo di promesse, di chiacchiere e di ricordi…questo è quello peggiore.”
“Una promessa non può essere definita così.”
“Prima di salutarci, gli promisi, sotto sua richiesta, che mi sarei ricordato di lui e che avrei rispettato la sua volontà...qualunque essa fosse.”
“Tu…”
“Devo raccontare la sua storia ad altre persone per evitare che accada di nuovo.”
“Non capisco.”
“Quella mattina ero in ritardo e non dovevo.” Riprese, tirando un cazzotto alla sua scrivania e ferendosi la mano destra.
“È difficile seguirti, se parli così.”
“Lui non tornerà…sono passati troppi anni da allora.”
“Sei un pessimista orribile: te l’ho già detto.”
“Lui non tornerà perché è morto.”
“Morto?” Chiese Dawn preoccupata.
“Era stanco di quelle chiacchiere che tutti alimentavano. Io l’ho pregato d’ignorarle, ma lui non ne era capace.”
“Tu…”
“Non riusciva a scrollarsi di dosso quell’etichetta che gli avevano appiccicato e, nonostante lo difendessi, lo sostenessi e cercassi di renderlo partecipe delle varie discussioni, lui si allontanava sempre di più da me e dalla strada che stavo tracciando per lui…fino a quel giorno.”
“Io…”
“Il treno…sognavo di salirci sopra un giorno. Da quella data? Mai più.”
“Lui si è…”
“Suicidato alle 7 di una piovosa mattina.”
“Mi dispiace.”  Sussurrò lei, versando qualche lacrima e sfiorando lo schermo con le dita.
“Perfino il cielo sembrava piangere per quella morte inspiegabile che nessuno riusciva veramente a concepire a cuor leggero.”
“Ma…”
“La cosa che mi ha fatto più arrabbiare, anche alla luce dell’ambiente in cui stavamo, è stata l’ipocrisia dei nostri compagni. Loro dicevano d’averlo sempre difeso e protetto…menzogne solo per coprire la loro sporca coscienza.” Picchiettò, mettendoci tutta la rabbia che aveva in corpo e che si era risvegliata dopo tanti anni di placida calma.
“Mi dispiace.”
“Non è stata colpa tua…sono stato io a spingerlo a suicidarsi.”
“Non è vero.”
“Se non avessi ritardato, se non mi fossi fermato lungo la strada per comprarmi la merenda, lui sarebbe ancora vivo e non avrei mai visto la strada piena di macchine della polizia e di ambulanze, il suo corpo straziato e coperto dal telo su quei binari.”
“Voi…”
“Avevamo molti progetti e sogni. Volevamo girare il mondo, aprire una nostra agenzia privata, diventare i migliori nel nostro campo e divertirci il più possibile.”
“Però…”
“Il treno non ha mai voluto la mia vita, ma la sua…sì.” Sospirò il moderatore, cercando di recuperare la calma e di non fare mosse avventate.
Era proprio in simili situazioni che gli saliva il desiderio di punirsi per quella mancanza e per non averlo protetto e salvato dall’orribile mondo malato che, nero e maligno, si era cibato dei suoi sogni e delle sue speranze.
“Non dovresti deprimerti così.”
“È l’unica cosa che posso fare.” Sbuffò il moderatore.
“Non dovresti pensare a ciò che hai perso, ma a quello che hai ancora.”
“Io ho perso tutto: è questa la verità.”
“Non è vero.”
“E quando si perde tutto, poi non si ha più nulla da perdere e si può rischiare senza conseguenze.” Digitò, facendo riflettere la giovane.
“Tu hai ancora questo sito e tutto il resto.”
“Sono solo elementi virtuali che possono svanire in un secondo.”
“I miei ringraziamenti, però, resteranno per sempre.” Sorrise, spiazzando il moderatore.
“Fino a quando non riavrai la tua felicità.”
“Ti sbagli.”
“Utente 0021…è meglio se cambiamo discorso.” Picchiettò lui sulla tastiera, sperando di accantonare quei discorsi così pesanti.
“Mi sembra d’aver già usato la domanda giornaliera.”
“Dimentico spesso quanto tu sia astuta.”
“E non ci resta altro che parlarne domani.” Sorrise lei, facendo annuire la sua guida.
“D’accordo.”
“E ricorda di non scomparire come al tuo solito.” Riprese Dawn, facendolo sorridere e aspettando con calma che lui andasse offline.
 
Dopo aver chiuso il pc ed essersi distesa sul letto aveva ripensato a quelle parole.
Il suo moderatore non era l’individuo freddo e distaccato che credeva.
Anche lui aveva sofferto e Dawn avrebbe tanto voluto ricambiare il suo sostegno. Per fare ciò, però, doveva conoscerlo meglio.
E da quel poco che aveva ottenuto, lei sapeva che sarebbe stato molto complicato continuare.
Lui, probabilmente, si sarebbe chiuso a riccio e non avrebbe più fatto trapelare alcuna notizia sul suo conto.
Non perché non si fidasse di lei, ma solo per evitare di soffrire ancora.
Non avrebbe più raccontato nulla del suo passato e mai avrebbe fatto trapelare la sua vera identità con tutti i dati del caso.
Avrebbe sempre evitato domande troppo personali, a meno che non si trattasse di obblighi dettati dal regolamento.
Solo in quel caso avrebbe appoggiato le sue mani sulla tastiera.
Dawn intuendo questi pensieri, fin troppo elementari, aveva già steso una strategia infallibile.
Non sarebbe stata esime da rischi, ma doveva pur tentare per mettersi in pace la coscienza.
Venuta a sapere della vera identità del moderatore, lei avrebbe potuto agire con maggior convinzione.
Si accontentava di ben poco.
E poi sarebbe stata lei ad aiutarlo a uscire dal suo guscio.
Per fare ciò aveva bisogno di più notizie sul suo conto e pertanto doveva appellarsi a una figura precisa della sua scuola.
Qualcuno che nella sua classe era un autentico genio al computer e che poteva destreggiarsi senza problemi tra una moltitudine di programmi diversi.


















Angolo autore:

Ryuk: E ora chi sarà questo genio del computer?

Direi che è facilmente intuibile, dato che ho lasciato alcuni indizi in giro nei primissimi capitoli.
Per quanto riguarda la storia vedo che c'è un buon interesse e v'informo che tra un po' inizieranno i problemi belli tosti.
Per il resto in questa parte c'è il moderatore che si apre un po' troppo e veniamo a sapere che un suo amico di famiglia ci ha lasciato le penne.

Ryuk: Tra la malattia della madre di Zoey, il padre orco di Mike e questo conoscente del moderatore abbiamo iniziato con pesantezza fin dall'inizio.

Difficile dire se seguirò questa linea ancora a lungo o se cambierò qualcosina per non esagerare troppo.
Che altro dire?
Vi ringrazio per l'interesse, le recensioni e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


L’indomani Dawn era entrata decisa in aula.
E con altrettanta decisione si era avvicinata alla ragazza che poteva aiutarla con il moderatore del sito.
Dopotutto lei si vantava in continuazione di aver creato un blog perfetto, di poter conoscere ogni più piccolo segreto sui suoi compagni se si fosse messa a spulciare qualche programma a prova di bomba e di avere conoscenze da far impallidire qualche programmatore informatico.
Perché Sierra, era innegabile, anche durante le lezioni e le ricerche scolastiche era infallibile e assolutamente precisa.
Nulla le sfuggiva e anzi sapeva in anticipo qualsiasi cosa, compreso i segreti riguardanti il suo Cody.
Cosa avesse mangiato una settimana prima, annotandolo con precisione.
A che ora amasse fare la doccia, magari per spiarlo.
Perfino la verifica di francese di quando era in seconda media e nella quale aveva preso un misero 6 era finita sotto la sua lente d’ingrandimento.
In questo però si notava, oltre alla sua formidabile capacità, anche il suo problema più grosso: Sierra, a tratti, era peggio di una stalker.
Aggressiva, violenta e sadica…specie con quelli che offendevano il suo cucciolo. In questo molti la paragonavano a un qualche animale selvatico che avrebbe dato la vita per la sua creatura. Ed essendo Cody tutto il suo mondo, lei ne era terribilmente gelosa.
Infatti anche quella mattina Sierra, notando Dawn che si avvicinava ai loro banchi in seconda fila, aveva subito allontanato il suo ragazzo, per porsi dinanzi alla nuova avversaria.
Dawn, per sua fortuna, non era minimamente interessata a una guerra con lei.
Non era attratta in alcun modo da quello scricciolo, alto quasi quanto lei e che non riusciva mai a liberarsi dalla sua fidanzata.
“Posso chiederti una cosa, Sierra?” Tentò, cercando di calmare con un sorriso il suo sguardo truce.
“Dipende.”
“Hai impegni per questo pomeriggio?” Iniziò, andando dritta al sodo.
“Devo uscire con Cody.”
“Che peccato.” Sospirò la biondina.
“Qualche problema?” Chiese Cody, intromettendosi in quel dialogo tutto femminile.
“Qualcuno dice che Sierra sia la migliore in tutta la scuola a usare il computer.”
“Lo sono, ma ho altri impegni.” Affermò la diretta interessata, afferrando lo zaino e disponendolo sopra il banco.
“Forse il problema che ha bloccato il mio pc è irrisolvibile anche per lei.” La punzecchiò Dawn, sperando che lei non leggesse la sua provocazione.
“Se voi non usaste certi siti, forse il vostro computer potrebbe vivere qualche anno in più.” Ribatté Sierra, prendendo il libro di matematica e aprendolo dinanzi a sé.
“Ma si è installato all’improvviso.”
“Chissà come mai.” Riprese sarcastica.
“Se sei un genio al computer, dovresti risolvere tutto in pochi minuti.” Tentò Dawn, sfruttando anche la carta dei complimenti.
Lei stava usando tutte queste tecniche solo per un motivo.
Sierra era un genio al pc, questo era innegabile, ma in quanto a relazioni umane, essendo rimasta ferma solo a Cody, era lontana anni luce.
Ed essendo così distante era ingannabile, soggiogabile e alquanto malleabile.
“Sierra io credo…”
“No Cody…oggi ti avevo promesso d’uscire.”
“Usciamo sempre insieme, ma per una volta posso anche farcela da solo.”
“Ma come farai? Io sono l’unica che conosce tutte le tue allergie e che sa quali farmaci puoi assumere e quali no.”
“Non pensi di esagerare un po’ troppo?”
“E se ti perdessi per la città e qualcuno ti uccidesse? Io non ho intenzione di abbandonarti solo per un qualche pc infetto.” Sbraitò lei, voltandosi verso il fidanzato che, dinanzi al suo sguardo furioso, aveva vacillato per un breve istante.
“Ma che gusto ci provi nell’accompagnarmi da quello schifoso dentista?” Chiese lui, sperando di allontanarsela per qualche ora.
“Io…”
“Quando mi chiamerai stasera, ti racconterò tutto nel dettaglio, promesso.” Affermò il giovane, ponendo una mano sul cuore e alzando l’altra.
“Ma io…”
“E poi sai che non mi piacciono le ragazze che lasciano gli amici in difficoltà.” Sorrise lui, facendo annuire la fidanzata.
“Io…”
“Tu sai che ti adoro e che non potrei stare senza di te, ma amo ancora di più quando qualcuno s’impegna per aiutare i suoi amici.”
“Io non sono sua amica.” Obiettò Sierra.
“Questo è un motivo in più per aiutarla: potete diventare ottime amiche e così avresti qualcuno con cui confidarti.” Continuò il giovane.
“Il mio Cody…”
“Sempre che tu ne abbia voglia Sierra.” Riprese Dawn, sostenendo le azioni del ragazzo e leggendo nelle sue parole un aiuto insperato.
“Non sarà una cosa tanto lunga, vero?”
“Dipende tutto dalla tua abilità.” Ammise la biondina.
“Quando?” Chiese Sierra.
“Ti va bene questo pomeriggio alle 15 a casa mia?”
“Nessun problema.” Concluse la giovane stalker, facendo tirare un sospiro di sollievo al suo ragazzo che finalmente poteva liberarsi della sua seconda ombra.
 
Risolto quel dialogo bizzarro, Dawn aspettò con pazienza che entrasse il professore.
Per rafforzare la sua posizione e per azzerare i dubbi di Sierra, lei voleva sfruttare quelle ore scolastiche a suo vantaggio.
Magari facendole compagnia in aula oppure aiutandola in storia, materia che lei odiava e in cui faceva molta fatica, poteva ottenere un aiuto in più.
In fin dei conti aveva solo raccontato una piccola bugia a fin di bene.
Sapeva che si sarebbe mossa su un terreno incidentato e difficile, ma sperava che Sierra, conosciuta la verità, non le togliesse il suo aiuto e il saluto.
Perché anche con lei sentiva di avere qualche debole affinità.
Dopotutto anche lei odiava qualche materia scolastica e aveva le sue simpatie tra professori e compagni.
Anche lei sceglieva sempre le schiacciatine e il the verde dalle macchinette del caffè.
Anche lei non sopportava le ore di attività fisiche.
Anche lei, almeno una volta a settimana, si chiudeva in biblioteca per studiare e per ampliare gli appunti dei suoi quaderni.
E cosa più importante: anche lei, magari non ai suoi livelli, sarebbe stata gelosa se una ragazza avesse orbitato intorno al suo ipotetico fidanzato.
Dawn sapeva bene che questo era solo l’inizio.
Conoscendola, parlandoci e uscendoci, poteva ampliare le strane coincidenze.
Magari qualche film, libro, cantante o attore che incontrasse anche il suo apprezzamento.
Nonostante ciò, uscita da scuola, dovette aspettare per qualche minuto l’arrivo di Sierra e Cody.
Prima di loro erano sgusciati fuori tutti gli altri suoi compagni.
Scott era stato il primo ed era subito scappato, girando a sinistra, senza nemmeno salutarla e voltandosi indietro per verificare che nessuno lo seguisse.
Che comportamento bizzarro.” Pensò subito, decidendo in quel momento che lui sarebbe stato il prossimo della sua lista da conoscere.
Probabilmente l’avrebbe detto di qualsiasi ragazzo avesse avuto la sfortuna d’uscire in quegli istanti e dato che era stato il rosso, tanto valeva concentrarsi su di lui.
A distanza di una ventina di metri abbondanti ecco giungere Brick, Jo e Lightning che chiacchieravano amabilmente e che le rivolsero un breve cenno del capo.
Almeno loro, notò, l’avevano salutata a differenza del primo che era scappato, manco avesse visto uno spettro.
A pochi secondi di ritardo ecco Anne Marie e Dakota che parlottavano tra loro, ignorando tutti gli altri, senza tuttavia dimenticarsi di rivolgere un sorriso alla loro compagna di classe.
Un tempo né loro, né il gruppetto formato da Brick si sarebbe sognato di fermarsi, di salutarla e di sorriderle.
Avrebbero tirato dritto nel più bastardo dei modi e l’avrebbero fatta naufragare nella sua tristezza, spingendola a chiedersi cosa avesse fatto di male.
In ultima veniva il gruppetto più numeroso: davanti Cameron e Mike che discutevano dell’ultima lezione di scienze, mentre Gwen, Courtney e Zoey confrontavano le pagelle appena ricevute, promettendosi vicendevolmente che sarebbero state le migliori.
Un po’ di sana competizione che le aveva sospinte a diventare ottime amiche e che aggiungeva qualcosa al loro ottimo rapporto.
Dopotutto la dark superava le altre in chimica, la seconda batteva tutti in letteratura e la terza schiacciava le compagne nel campo di flessioni e addominali, guadagnandosi il soprannome di Commando Zoey, talmente tanto era dedita all’impegno sportivo.
“Vieni con noi, Dawn?” Le chiese Cameron, incrociando il suo sguardo.
“La prossima volta forse.”
“Stai aspettando qualcuno?” S’inserì Zoey.
“Dovrei uscire con Sierra, ma ancora non si vede.”
“Dovrai aspettare ancora un po’, dato che Cody è a colloquio con il prof di francese.” Ghignò Mike.
“Come al solito.” Aggiunse Gwen, rivolgendo all’ex compagna di banco un sorriso sincero.
“Se vuoi possiamo aspettarli con te.” Propose Courtney.
“Non preoccupatevi: sono molto paziente.” Riprese Dawn, facendo annuire i suoi compagni e ricevendo il loro augurio di buon pomeriggio.
Per quello che si apprestava a fare, lei aveva veramente bisogno di passare un ottimo pomeriggio.
 
A quasi 2 minuti di distanza sopraggiunsero anche Sierra e Cody.
La coppietta stava parlando amabilmente e a Dawn quasi seccava di doversi intromettere e d’interrompere il loro amoreggiare.
Silenziosamente si affiancò a loro e ascoltò l’intenso ciarlare della ragazza.
Non poteva credere che lei conoscesse ogni cosa del passato di Cody.
Certo la cosa poteva anche essere romantica, ma era quasi impossibile che lui le avesse raccontato certi dettagli.
E ciò rafforzava l’ipotesi della scuola: lei era una stalker.
Una maledetta stalker che con una parola offensiva e uno sguardo storto poteva rovinarti l’intera reputazione.
Perché ammettiamolo: Sierra conosceva tutto di quella scuola.
Sapeva della relazione che il capitano di rugby aveva con la leader delle cheerleader.
Sapeva di quanto la ragazza pompon non fosse la prima della sua sterminata lista.
Sapeva con quale voto erano giunti alle superiori tutti i ragazzi della scuola e, cosa più importante, conosceva in prima persona il Preside.
Ben presto però Dawn si risvegliò da questi pensieri: Cody aveva appena girato a destra, salutando le 2 e avviandosi verso il dentista.
“Non so dove sia casa tua Dawn e dovresti farmi da guida.”
“Subito.”
“Sei preoccupata?” Chiese Sierra.
“Tu come consideri le bugie dette a fin di bene?”
“A volte sono necessarie.”
“Per fortuna.”
“Perché me lo chiedi?” Insistette la stalker, spegnendo il cellulare per non essere disturbata.
“Non ho mentito sul problema al computer.”
“Ti conviene: non accetto scherzi simili.”
“Solo che non sono virus o che altro, ma voglio risalire all’identità di un tizio con cui parlo di solito via social.”
“Nulla di più semplice.” Ammise Sierra, notando come qualcuno le somigliasse sul piano dei tentativi di stalking.
“Credevo rifiutassi.”
“Risalire alla vera identità di qualcuno è una bella sfida tutte le volte e non mi sottraggo dinanzi ad un simile divertimento.”
“Sono felice di sentirtelo dire, anche se questo non è l’unico motivo.” Sussurrò Dawn.
“C’è altro?”
“Possiamo diventare amiche?”
“Sarò ingenua, Dawn, ma è da quando siamo compagne di classe che ti considero una mia amica.” Affermò Sierra, abbozzando un sorriso sincero.
“Allora perché…”
“T’ignoro?” La anticipò.
“Sì.”
“Perché sono molto gelosa e ho sempre paura che qualcuno mi porti via Cody.”
“Ma io non sono interessata a lui e non sono il tipo di ragazza che soffia il fidanzato a un’amica.” La rassicurò Dawn, recuperando dalla cartella un pacchetto di cracker e porgendoli a Sierra che accettò ben volentieri quel dono insperato.
“Più provo a crederci e più faccio fatica.”
“Lo sai Sierra, forse anch’io sarei come te, se avessi un ragazzo.” Si confidò Dawn.
“Vedi Dawn, se ti avessi permesso d’avvicinarti a me, sarei impazzita e questo avrebbe rovinato il mio rapporto con Cody.”
“Io…”
“Sarà infantile, ma io lo amo tanto.”
“Si nota.” Commentò Dawn, prendendo la sua bottiglietta d’acqua e sorseggiando con calma.
“Io vorrei avere delle amiche, ma se lo perdessi?”
“E se non accadesse?” Insistette Dawn.
“Io ho paura.”
“Ti posso capire, ma se non ti apri al mondo, significa che non hai fiducia in Cody.”
“Come?” S’innervosì Sierra, voltandosi alla sua destra.
“Tutti sanno che Cody è un ragazzo d’oro e che non farà mai nulla per tradirti.” Rispose la giovane.
“Sul serio?”
“A volte t’invidio, Sierra. Sei una bella ragazza, hai un fidanzato che ti adora e sei brava a scuola: cosa puoi volere di più?” Tentò, cercando di complimentarsi con lei.
“Proverò a fare come dici.” Promise Sierra, sperando di non doversene pentire.
“Fai bene.”
“Sappi però che se becco qualcuna a fargli gli occhi dolci, allora me la prenderò anche con te.” La avvertì, facendola sussultare.
“Davvero, Sierra?” Chiese con timore.
“Se qualcuno gli fa gli occhi dolci, potrei anche non rispondere delle mie azioni.”
“Abbi fiducia in Cody.” Ripeté Dawn, facendola sorridere.
“Ci proverò.”
“E comunque non dovresti arrabbiarti con me.” Protestò la biondina.
“Stavo solo scherzando.” Ammise la stalker, mentre l’amica l’avvertiva che finalmente erano giunti a destinazione.
 
Giusto il tempo di aprire la porta e di salutare la madre e le 2 si fiondarono in camera con Sierra che esaminava il pc con attenzione.
Qualcun’altra avrebbe studiato l’intera stanza, ma non Sierra.
Lei si era mossa come un automa verso il computer e lo aveva acceso subito.
“Buon modello e dal prezzo contenuto.” Commentò la stalker.
“Qualche idea su come muoverti?”
“Ho intenzione di usare un programma su chiavetta che mi permetta di risalire al codice identificativo del computer e quindi ai suoi dati completi.”
“Sembra complicato.”
“È più semplice di quanto non sembri.”
“Vorrei però avvertirti che questo tizio potrebbe essere esperto e coperto da questi tentativi.” Tentò Dawn, facendo ghignare l’amica che non aspettava altro.
“Sarà una bella sfida.”
“Sicura che non ci siano rischi?”
“Uno solo, ma molto piccolo.”
“Quanto piccolo?” Continuò Dawn.
“Il rischio si può verificare solo se lui ha installato un programma che ostacola la ricezione dei miei file e che lo avverte con delle vibrazioni continue, tipiche dei virus.”
“E se lui avesse questo programma?” Sussurrò la biondina.
“In tal caso lui potrebbe chiudere il contatto e renderebbe vani i nostri tentativi.”
“Spero solo sia una rarità.”
“In quattro anni di blog mi è capitato solo una volta.” Ammise Sierra, scrocchiandosi le dita e inserendo la chiavetta.
Letta la presenza dell’USB, fu il turno di Dawn che entrò nel sito in questione e che poi lasciò campo libero alla compagna.
“Ora è online.” Commentò Dawn, notando la lucina verde vicino al suo nome.
“Inizia la festa.” Sentenziò Sierra, cominciando la battaglia a suon di clic.
“Devo scrivergli qualcosa o non serve?”
“Sarebbe meglio evitare, Dawn, altrimenti rallenti il processo.” Borbottò la stalker, notando un movimento più lento nella ricezione dati.
“Io…”
“Cavolo, questo tizio è furbo.” Affermò Sierra.
“Come?”
“È appena andato offline e ha bloccato il processo.” Sbuffò la blogger professionista, provando a recuperare comunque qualche dato.
“E ora?”
“Aspetta…è tornato online?” Mormorò Sierra, fissando confusa la situazione.
“Cosa?”
“Utente 0021…prova un’altra volta a rovinare la pace del sito e ti banno per sempre.”
“Io…” Digitò Dawn, cercando di difendersi.
“Per questa volta chiuderò un occhio, ma considero come posta la tua domanda giornaliera.”
Il moderatore tornò, quindi, offline.
Sierra e Dawn si fissarono per alcuni secondi e poi la prima estrasse dalla porta la sua chiavetta.
“Non è andata bene, Sierra.”
“Come ti arrendi in fretta, amica mia.”
“Cosa?”
“Il mio programma avrà anche funzionato per due minuti scarsi, ma ha tirato giù questi dati.” Sorrise soddisfatta Sierra per quella battaglia non proprio vittoriosa.
“Tu…”
“Su questo documento Word abbiamo le poche informazioni ricevute.” Ammise la stalker, aprendo il file e leggendo le poche righe ottenute.
“Chi se l’aspettava.” Sorrise Dawn.
“Una bella sorpresa, vero?”
“Ora che so queste cose, posso parlarci con maggior sicurezza.”
“Credo bene.”
“Sierra…posso chiederti un’ultima cosa?” Domandò la biondina.
“Certo che sì.”
“Una sera vorresti venire a cena da noi?”
“Con o senza Cody?” Tentò Sierra con un sorriso divertito.
“Questo lo devi decidere da sola.”
“Ti saprò dire.” Soffiò, uscendo dalla casa dell’amica.
 
Notata la sua figura distanziarsi sempre più, Dawn si convinse che era riuscita a recuperare anche quell’amicizia in sospeso.
C’era riuscita quasi da sola, anche se a essere sinceri, in minima parte il merito doveva essere rivolto anche verso lo sconosciuto con cui parlava abitualmente.
E recuperata l’amicizia con Sierra, anche quella con Cody sarebbe venuta da sé.
In parte i due erano già amici, ma grazie alla sua fidanzata, potevano rafforzare tutto ciò.
Convinta di questo, lei tornò nella sua stanza, si voltò verso il pc e rilesse quelle poche righe che avevano estrapolato dalla connessione del moderatore.
E lei si sentì subito meglio.
Lo sconosciuto viveva nella sua città e, come se non bastasse, avevano anche la stessa età.














Angolo autore:

Rieccoci signori con un nuovo cambio di programmi.
O meglio Dawn fa una cavolata e il moderatore per un pelo non la banna.

Ryuk: Esiste banna?

Boh...dal verbo bannare, credo.
E comunque riesce a parlare con Sierra, la nostra adorata pazzoide.

Ryuk: Non era Izzy la nostra adorata pazzoide?

Come sei puntiglioso questa sera.
Per una volta, tuttavia, l'esclusione di Dawn era dovuta alla classica gelosia di Sierra. Niente di nuovo da questo punto di vista.

Ryuk: Per fortuna! Ero stanco di leggere di persone malate, padri al limite del violento o di conoscenti deceduti.

Se sapessi cosa mi frulla per la mente, non saresti così felice.
Per quanto riguarda la storia sono abbastanza soddisfatto e vi ringrazio per l'appoggio.
Vi auguro una buona settimana.

Ryuk: Alla prossima!






 

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


Lui non era uno sprovveduto.
Da quando aveva ricevuto l’incarico di moderatore e da quando aveva parlato con gli altri cinque capi, era passato quasi un anno.
Mai gli era capitato che qualcuno perpetrasse un’azione invasiva attraverso la connessione con il sito di cui era responsabile.
Aveva sentito da alcuni “colleghi” che poteva capitare, ma mai ci era andato a sbattere.
Con il passare dei mesi, degli utenti con cui parlare e delle problematiche da risolvere, quella paura era stata dimenticata. Quel pomeriggio, però, aveva avuto la riprova che il genere umano era subdolo e che poteva accoltellarti alle spalle senza esitazioni.
Dalle intense chiacchierate sul forum aveva sentito parlare di alcuni programmi, alcuni in fase sperimentale, che potevano bloccare certe intromissioni. Cercando sul web e confrontando le caratteristiche aveva optato per un qualcosa da 4 stelle su una scala di 5 e che, cosa più importante, era assolutamente gratuito.
Installato quel programma e comparsa l’icona rossa, il programmino era rimasto in silenzio come se stesse recuperando le forze o come se fosse un qualunque animale bisognoso del letargo.
E per tanti mesi, spostando il cursore o passandoci sopra con lo sguardo, il moderatore aveva creduto che stesse occupando spazio su disco per nulla e che forse era molto meglio disinstallarlo e passare a un qualche programmino più performante.
Alla fine, la persona che più reputava corretta e limpida, che a suo avviso era incapace di far attivare quell’innocuo processo spesso rallentato da altri programmi, era anche quella più misteriosa e che aveva cercato d’ingannarlo.
L’utente 0021 non sarebbe più stata la stessa persona ai suoi occhi.
Sapeva che tutte le persone mentivano e che avevano un lato oscuro, ma con lei aveva creduto d’aver avuto una botta di fortuna.
Accorgendosi che non era così, i risultati erano ancora sotto il suo sguardo stizzito, si odiò.
Aveva accettato di fidarsi di una persona che non conosceva e cui aveva raccontato alcuni segreti o dettagli del suo passato. Era convinto che fosse migliore di tanti altri e che potesse riversare su di lei le sue speranze, i suoi consigli e le sue aspettative. Sperava di inculcarle i suoi ideali e di riuscire a capirla senza farsi venire l’emicrania. Quella era solo un’illusione e così aveva scelto di rimanerne deluso.
Perfino quell’utente mentiva e non riuscendo ad accettare un fatto tanto evidente, lui si sarebbe sempre odiato.
 
Dawn entrò nella chat anche verso le 22 e notando che il moderatore era ancora assente uscì senza scrivere nulla.
Ora che aveva conosciuto la città dove viveva e quella generalità innocente dell’età, poteva avere più fiducia in lui. Non che non si fidasse, ma almeno poteva escludere la carta del pedofilo che adescava qualche ragazzina per poi approfittarsi della situazione.
Era solo un bisogno di sicurezza e niente più.
Tuttavia, chiedendo aiuto a Sierra e a Cody, sentiva d’aver fatto una mossa sbagliata.
Aveva recuperato due amicizie in un colpo solo, ma aveva rischiato, e forse era successo, di perdere il moderatore che la bacchettava e la consigliava.
Lui poteva benissimo rinunciare all’incarico, cancellandosi dal sito e lasciandola di sasso.
Sperava soltanto che non facesse quella pazzia, anche perché le sarebbe stato impossibile trovare quel ragazzo tra i tanti licei presenti in città e questo solo per chiedergli scusa.
Sperava di non avere sonni agitati e di riuscire a dormire senza essere preda dei sensi di colpa.
Chiuso il pc e sistemati gli abiti per l’indomani, si rigirò tra le coperte per almeno 20 minuti e poi si fermò a fissare il soffitto scuro della sua stanza.
Pian piano, cercando di dimenticare il pasticcio di quel pomeriggio, sprofondò nel mondo dei sogni e vi restò fino al suono stridulo e acuto della sveglia delle 7.
Appoggiata la mano e chiusa quell’orribile macchinetta, si stiracchiò e sbadigliò appena.
Si spostò, quindi, verso la tapparella e dopo averla alzata, si beò di quei raggi di sole che illuminavano la stanza.
Erano ben lontani dall’estate, ma quel tepore non era poi così male. Subito spalancò la finestra, poi scese in cucina, dove i genitori le avevano lasciato la colazione, e si sedette con calma.
Il liceo distava appena 15 minuti a piedi e poteva prendersela comoda.
Era ancora assonnata per rimuginare su quanto accaduto con il moderatore e, infatti, spese i suoi canonici 10 minuti di colazione con tutta calma, senza pensare a nulla di particolare.
Lavati i piatti e le tazzine, risalì al piano di sopra e si concesse un bel bagno caldo.
Altri 10 minuti erano volati per quell’attività che svolgeva ogni mattina e che, rilassandola, le permetteva di affrontare 6 ore di scuola con meno nervosismo.
Dopo essersi asciugata, sfruttando l’accappatoio color pesca, pettinò i lunghi capelli e poi filò dritta nella sua stanza, indossando i vestiti preparati la sera prima.
Chiuse le finestre e controllato che non vi fossero fornelli accesi, uscì dal suo appartamento e sigillò tutto a chiave. Scese le scale, aspettò il sopraggiungere di Zoey e Mike e insieme con loro varcò il cancello ed entrarono in classe, incrociando il professore della prima ora.
Questo era grosso come un armadio, leggermente scuro di carnagione, si raccontava che avesse svolto almeno cinque anni d’esercito e che, terminata la sessione, avesse espresso la volontà di diventare professore.
Quel gigante con la sua materia era abile di tenere in bilico metà scuola fino a giugno. Tutto perché Chef Hatchet, questo era il suo nome, faceva tesoro di un vecchio consiglio del suo mentore in armi. Ripeteva almeno una volta al giorno, spesso anche davanti a colleghi sbigottiti o a genitori inferociti per le ultime verifiche, che in guerra e a scuola nessuno regalava nulla e che pertanto era doveroso impegnarsi sempre al massimo.
Dovevano sudarsi il suo rispetto e sputare sangue, se volevano essere presi in considerazione per la promozione.
Non era cattivo, anche se voci di corridoio, parlavano di un neoiscritto, ritrovatosi con una verifica dallo 0 spaccato, impossibile da recuperare e paragonabile a una pietra tombale  sul proseguimento dell’anno: rimandato a botta sicura.
Inoltre, secondo la sua modesta opinione, non esistevano mezzi voti e spesso lasciava sconcertati anche i professori più retrò per quei pensieri validi forse negli anni 30. E non si abbassava a sotterfugi o a qualche accordo neppure nei colloqui o nei confronti con gli altri docenti, laddove fuoriusciva nuovamente l’insegnamento di uno dei suoi superiori, dove non esistevano cose a metà: o vivi o muori.
Quel credo snaturato aveva sterminato centinaia di ragazzi in quegli anni e gli era valso l’infelice soprannome di Prof Tritacarne.
I ragazzi appena lo incrociarono, lo salutarono, mentre lui li ignorò e corse alle macchinette per un ultimo caffè.
 
Chef Hatchet entrò in aula e poggiò con rabbia i suoi volumi sulla cattedra. Si sedette con calma, scrutò i ragazzini che aveva davanti e sfogliò il registro, fermandosi sulla lista dell’appello.
Dopo aver letto i nomi con la sua voce cavernosa, segnando l’unico assente, prese le ultime verifiche corrette e chiamò i suoi studenti. Arrivato a metà e dopo aver consegnato delle schede che segnavano diversi 6 tirati, girò il foglio di quello che non si era presentato.
“Se qualcuno dovesse sentire il signor Scott, gli dica che nell’ultimo compito ha preso 3.” Borbottò nervoso, ritornando a consegnare le verifiche.
Il rosso stava ripetendo per il quarto semestre consecutivo gli stessi sbagli degli anni precedenti. Era un miracolato che verso aprile si svegliava e recuperava tutte le materie in un colpo solo.
La primavera non era ancora cominciata ed era lecito aspettarsi che Scott giocasse ancora un po’, per poi risvegliarsi dal letargo. Si narrava che fosse un genio annoiato e svogliato, interessato solo a dormire e che recuperava in tempi record solo per evitarsi la rottura dei ripassi estivi.
Chef iniziò, quindi, la sua noiosa spiegazione, costringendo i suoi studenti a fare come cacchio volevano per sopportare quella noia infinita.
Perfino Dawn, che era sempre stata molto diligente, aveva preferito ignorare quelle nuove nozioni che scriveva alla lavagna, iniziando a riflettere.
Si girò, quindi, verso Zoey, incrociò il suo sguardo e poi si mise a studiare i suoi compagni.
Sentiva che non poteva sprecare una giornata così soleggiata senza tentare di ricostruire il legame con qualcuno della sua sezione. Avrebbe preferito tentare con Scott che sembrava quello più rognoso della classe, ma la sua assenza glielo impediva.
Si girò diverse volte, cercando di capire con quale compagno potesse tentare una sortita. Non se la sentiva di affrontare il trittico formato da Brick, Jo e Lightning e non voleva nemmeno confrontarsi con Anne Marie e Dakota.
Courtney non sembrava in giornata e l’unica con cui poteva osare era Gwen.
Quest’ultima in quei minuti non faceva altro che smanettare con il suo cellulare e anche quando Chef lasciò il posto agli altri colleghi, la situazione non era per niente migliorata.
Ogni tanto Dawn si voltava a fissarla e lei era persa a digitare con foga al suo ragazzo. Una volta questo fortunato era pure passato a prenderla in aula e tutti avevano potuto notare il figone che aveva fatto breccia nel cuore della darkettona.
Era uno della sezione C, desideratissimo, una cima in tutte le materie, abilissimo in ambito sportivo e leader di una band che spesso allietava le feste scolastiche con la sua presenza.
Voci di corridoio affermavano che Trent Davies fosse alla sua prima storia seria, che non avesse intenzione di perderla e che Gwen non potesse esserne più che felice.
Lei, d’altro canto, usciva da una relazione tormentata con il punk della scuola, un certo Duncan Wellington che dopo poche settimane si era legato a Courtney.
Per un po’ avevano discusso e a distanza di mesi la dark aveva trovato un altro ottimo motivo per ricominciare: quel ragazzo che per 6 ore l’aveva tenuta attaccata al cellulare.
 
Il prof di matematica era uscito alle 14 e aveva lasciato i suoi ragazzi intenti a prepararsi per tornare a casa.
Anche quella giornata era terminata e alcuni, mentre raccoglievano lo zaino, stavano pensando a come passare il pomeriggio.
Il gruppo di Brick era diretto alla sala giochi, mentre Anne Marie aveva proposto un giretto per il centro. Prima che Gwen riuscisse a sfuggirle, Dawn la seguì e raggiunto il cancello, iniziò a parlarle.
“Posso chiederti una cosa, Gwen?” Esordì, facendola sussultare.
“Sto andando di fretta.” Replicò scorbutica.
“Ci metterò un attimo.” Promise, incamminandosi con lei verso casa.
“Che cosa vuoi sapere?”
“Io voglio bene alla nostra classe, ma stare 6 ore al cellulare potrebbe costarti caro.”
“Mi capiresti, se fossi fidanzata.”
“So cos’hai passato con Duncan e sto dalla tua parte, però…”
“Io non sono stupida, Dawn.” Sbuffò la dark.
“Non ho detto questo.”
“Se non parli chiaro, potrei pensare di perdere solo tempo.”
“Posso essere tua amica?” Chiese la biondina con timore, facendo sobbalzare Gwen che aveva appena inviato un messaggio.
“Non lo siamo già?”
“Se lo fossimo, non te l’avrei chiesto.”
“Beh…ora che sto con Trent credo d’aver bisogno di qualcuno con cui parlare.” Ammise la dark con un sorriso abbozzato.
“Gwen, io…”
“E poi ho sentito cos’hai fatto per Sierra e gli altri.”
“Io…”
“Mi sono ricreduta sul tuo conto.” Affermò, fermandosi di scatto.
“Davvero?”
“All’inizio, non offenderti, credevo fossi stramba e che fosse meglio starti lontano.”
“Era vera la chiacchiera dei 6?” Domandò Dawn.
“I 6 della nostra classe…quelli che reputavo normali e, quindi, avvicinabili.”
“Mike, Zoey, Cameron e…” Iniziò a elencare la biondina, interrompendosi quasi subito.
“Sierra, Cody e Courtney.” Terminò la dark.
“Immaginavo di non essere tra questi.” Si rattristò, abbassando il capo e suscitando in Gwen un mix di sensi di colpa e rabbia. Era arrabbiata per aver giudicato una ragazza senza conoscerla e per averla esclusa con il timore di farsi contaminare. Allo stesso modo temeva di venire esclusa, solo perché la trovava simpatica e non era difficile farci conversazione.
“Ora lo sei.”
“Ne sei sicura?”
“Ammettiamolo Dawn: sei molto più normale di Courtney e Sierra.”
“Non dire così.”
“E se loro fanno parte del mio gruppo, allo stesso modo anche tu meriti di entrarvi.” Tossì la dark, risollevandole il morale.
“Io, però, non vorrei essere l’unica a meritarlo.”
“Sai bene che non dipende solo da me.” Affermò Gwen, recuperando la merenda che non aveva consumato durante la ricreazione delle 11 e porgendone una parte all’amica che fece lo stesso, contraccambiando con il suo pacchetto di cracker.
“Ma se riuscissi a farmi benvolere da loro, poi si potrebbe uscire insieme.”
“Ci sono alcuni problemi in questo tuo desiderio.” Scandì con calma, quasi non volesse farle aprire gli occhi con brutalità.
“Quali problemi?” Domandò curiosa, sorseggiando dalla sua bottiglietta d’acqua.
“Qualcuno non vorrà mai far parte del nostro gruppo.”
“Di chi parli?”
“Di Scott ovviamente.”
“E se Scott riuscisse a cambiare?” Chiese ingenuamente Dawn, facendo ridacchiare la dark che stava perdendo un mare di briciole e che si teneva la pancia per quella sciocchezza che aveva appena ascoltato.
“Stando con lui è più facile esserne contaminati.”
“Come?”
“Quando stavo con Duncan, era evidente che Scott non fosse in grado di farsi benvolere da qualcuno.”
“Non capisco.” Mormorò Dawn.
“Scott è diverso da te e non è propenso ad aprirsi al mondo.” Ammise la dark.
“Non ci credo.”
“Scott è un individuo marcio che evita di stare con gli altri. Dimmi Dawn…qualcuno della nostra classe sa dove abita? Conosciamo i suoi genitori? Nemmeno Sierra sa qualcosa sul suo conto e tu sai quanto sia impicciona.” Gracchiò Gwen.
“Io…”
“Duncan lo conosce, ma non lo capisce.”
“Forse Duncan mente.”
“Quale motivo può avere quell’idiota per mentire? La verità è che nessuno conosce Scott e tutti preferiscono stargli lontano.” Spiegò Gwen.
“Solo perché ignoriamo le sue origini, non significa che sia cattivo.”
“Non ho detto questo.”
“Se riuscissi a farci amicizia, lo accetteresti?” Chiese Dawn, facendo tentennare la dark.
“Ho provato a farci amicizia quando stavo con Duncan e, nelle poche volte che siamo usciti insieme, non sono riuscita a scucirgli nulla.”
“Però…”
“Se ci riesci e ne è convinto, allora non ho motivo di evitarlo.” Affermò Gwen, fermandosi davanti al semaforo e voltandosi verso l’amica.
“Farò del mio meglio, Gwen.”
“Se non dovessi farcela, puoi sempre venire da noi e ignorarlo.”
“E gli altri?” Chiese Dawn, facendola riflettere su quelli che aveva escluso dal suo gruppo.
C’era chi, come Scott, era un lupo solitario e non necessitava di persone che orbitassero intorno a lui, ma c’erano altri che avevano formato dei gruppetti per evitare la solitudine.
Se il rosso gli sembrava impossibile da scardinare, per gli altri era pronta a tenere una porta aperta.
Anche perché, paragonando tra loro i suoi compagni, la dark poteva notare che le uniche pazze della classe facevano già parte della sua cerchia di conoscenze.
“Se Brick e gli altri volessero, noi saremmo sempre pronti per una pizza.”
“Grazie Gwen.”
“E ora scusami Dawn, ma ho un impegno.”
“Immagino che Trent sia un bell’impegno.” Confermò la biondina, facendola arrossire appena e salutandola con un semplice abbraccio.
Mentre la dark si allontanava con il suo nero zaino sulle spalle, Dawn si sentiva soddisfatta. Sentiva che aveva fatto un bel balzo in avanti e che, forse, la ricostruzione completa della sua classe non era poi così lontana.
Vi era solo un ultimo osso da convincere e questo era il più duro di tutti. Dawn sperava che, aprendo il computer, il suo moderatore gli fornisse una soluzione a prova di bomba e che Scott accettasse di buongrado.
 
Pensando a questo, corse subito nel suo appartamento e si fiondò sul computer, sperando che lui fosse online.
Prima di accedere, e per la prima volta da quando si era registrata, aveva dovuto inserire la password e sullo sfondo era comparso una specie di timer.
Aveva provato a chiuderlo, ma il cursore non riusciva a farci nulla.
Era stata sul punto di ricaricare la pagina, ma prima di riuscirci, un messaggio vibrò sullo schermo, facendola sussultare.
Quel primo messaggio non era come gli altri: era molto più freddo e distaccato.
Non ricordava quel suo moderatore si fosse mai rivolto in quel modo, anche se con quello che aveva combinato, si aspettava una ramanzina.
Di certo quell’ultimatum le cascava addosso nel momento in cui aveva più bisogno d’aiuto.SSuesto sito 
“Non sfidare più la mia pazienza, ragazzina.”
“Io volevo solo conoscerti meglio.” Si difese, cercando di rabbonirlo.
“E a che scopo? Credi davvero che io abbia intenzione di pretendere un tuo aiuto?”
“Mi spiace.”
“La prossima volta che tenterai di rovinare il clima di questo sito, sappi che sarò costretto a espellerti.”
“Lo immaginavo.”
“Ora puoi anche andare.”
“Io…”
“Non hai capito? Non hai visto il timer della chat? Io e gli altri moderatori abbiamo deciso che per una settimana questo sito sarà inoperativo.”
“Ma…”
“Ringrazia pure la tua bravata se qualcuno deve rinunciare al nostro aiuto.”
“Io…”
“Oppure è solo grazie alla tua curiosità, stupida ragazzina.”
“Non sono stupida.”
“Comunque è solo colpa tua.”
“Ma io…”
“Se non avessi voluto conoscere la mia vita, ora non avremmo di questi problemi. È proprio vero che voi donne siete un flagello continuo.” Digitò sconsolato.
“Ti giuro che mi spiace.”
“Mi spiace…cosa vuoi che conti ormai?”
“Io…”
“Il sistema andrà in crash tra pochi minuti e noi dovremo ripararlo.” Picchiettò con foga, quasi gli seccasse perdere quel passatempo.
“E non c’è modo per risolvere le cose?”
“Dovevi pensarci prima.”
Giusto il tempo d’informarla di queste novità e il sito andò ufficialmente fuori uso. Una pagina grigia con un’enorme X rossa occupava l’intera chat e anche riaggiornando la connessione, nulla cambiava.
Dawn sentiva che quei 7 giorni sarebbero stati insostenibili senza quel sito. Sentiva chiaramente che sarebbe stata una sfida complicata e che il moderatore sarebbe rimasto deluso se lei non si sforzava di migliorare da sola. Per questo si era ripromessa che in quella settimana doveva agire.
Il primo con cui avrebbe parlato, era anche il più complicato. Era quello di cui aveva discusso con Gwen ed era quello che fuggiva da scuola alla pari di un ricercato politico.
La Iena, così era chiamato tra i corridoi della scuola per via del suo atteggiamento arrogante e per la risata fastidiosa, sarebbe stato l’obiettivo con cui si sarebbe confrontata.
Affrontandolo a muso duro non avrebbe risolto nulla, ma pedinandolo avrebbe scoperto cosa si ostinava a nascondere con tanto impegno.






Angolo autore:

E appare una Gwen selvatica che concede una speranza a Trent.
Durerà?
Saranno felici insieme?
E Duncan con Courtney?
E Scott sarà il solito malvagio o sarà positivo per una volta?

Ryuk: Come mai tutte queste domande?

Voglio catturare l'interesse dei lettori e mi piacerebbe sapere le vostre possibili ipotesi a riguardo.

Ryuk: Aggiungici la domanda sulla chat

Ritornerà come prima?
E Chef riuscirà a dare un buon vuoto prima dell'Apocalisse?
 
Ryuk: Belle domande, non c'è che dire.
 
Per il momento vi saluto e vi auguro una buona settimana: le risposte arriveranno. Prima o poi. Se ho voglia.
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


La mattina seguente e per le tre successive la fortuna non fu propriamente dalla sua parte: Scott Black non si era più fatto vivo.
Uno dei professori aveva affermato malignamente che forse era la volta buona che si ritirava e che se lo levavano dai piedi.
Dawn non lo conosceva così bene, ma in quel breve mese del terzo anno che aveva passato come sua compagna di banco, aveva percepito qualcosa di insolito.
Solo di venerdì aveva fatto ritorno: tutto per evitare il flagello del certificato medico e per non alimentare le false speranze di alcuni professori. Perché era vero che a Scott della scuola importava relativamente, ma nulla gli vietava di presentarsi e di far perdere tempo agli altri.
Non sapeva nemmeno perché si angustiava tanto. La preoccupazione della puntualità e della presenza non era nemmeno considerata dai suoi genitori che ignoravano ciò che provava.
E così giunse a scuola come se nulla fosse successo. Presentò la giustificazione, raccolse il libretto e si stravaccò al suo posto, dormendo beatamente.
Durante la ricreazione si era alzato e si era dileguato senza lasciare traccia, per poi tornare dopo pochi secondi dal suono della campanella. Dopo aver fissato storto l’idiota che si era messo sulla sua strada e averlo spostato con una spallata violenta, Scott era collassato sulla sua sedia, rimettendosi a dormire.
Per quelli che si alzavano nell’accogliere i professori, vi era sempre qualcuno che riposava beato e che russava.
E continuò così fino a pochi minuti alla fine delle lezioni.
Alle 13:57 aveva sollevato la testa, aveva sbattuto gli occhi, sbadigliando rumorosamente, ricevendo i rimproveri dalla docente di scienze e aveva raccolto il giubbotto, in attesa che la campanella delle 14 gli consegnasse l’agognata libertà.
Sentito il primo rintocco e raccolto lo zaino con un tale slancio da farlo quasi volare contro qualche banco vicino, se lo mise in spalla e uscì il più velocemente possibile.
Dawn nel vederlo, aveva tentato di stargli dietro, ma scese le scale, lui era diventato un puntino irraggiungibile. Poteva solo immaginare che, giunto al cancello, avesse girato a sinistra e che poi si fosse diretto verso la sua meta.
Nel saperlo lontano, si disse che poteva riprovarci lunedì, ma ben presto il martedì lo spodestò e il mercoledì allontanò i precedenti.
In quei tre giorni non era riuscita ad avvicinare il cancello che Scott se l’era già svignata. Riflettendoci durante quei lunghi e noiosi pomeriggi, lei aveva concluso che era impossibile stargli dietro e che forse era meglio assecondare Gwen e ignorarlo.
Poi, però, ricordava cosa aveva provato lei stessa sulla propria pelle. Quanto avesse sofferto in quegli anni quando era ignorata da tutti ed era costretta a stare in un angolo, scelta sempre per ultima in qualsiasi attività. E quella sofferenza doveva essere la stessa che Scott accettava ogni giorno in silenzio e che le faceva dubitare che lui fosse felice. Non aveva mai conosciuto una persona che accettasse d’essere completamente isolata e, quindi, anche il compagno doveva patire in qualche modo. L’abitudine di rimanere in disparte e in silenzio non erano le medicine migliori per estraniarsi dal mondo esterno. Tutti avevano bisogno di sfogarsi con qualcuno e lei avrebbe tentato qualsiasi cosa pur di farlo riemergere dall’abisso in cui annaspava e voleva affogare.
Giovedì, quando credeva d’essere destinata all’ennesimo buco nell’acqua, la fortuna girò dalla sua parte e le sorrise. Scott, infatti, scendendo le scale di corsa, era andato a sbattere contro un primino e l’aveva fatto volare via, perdendo comunque tempo.
Quello scontro, oltre a fargli perdere le staffe con imprecazioni da far impallidire i santi, gli aveva fatto perdere l’equilibrio e l’aveva fatto scivolare, battendo la caviglia su uno dei gradini malandati della struttura e costringendolo a sostenersi attraverso il passamano.
Nel vederlo in difficoltà, Dawn avrebbe tanto voluto aiutarlo, ma desistette. Se fosse uscita allo scoperto, le sarebbe stato difficile pedinarlo. Nonostante fosse contro ogni principio morale della sua famiglia, decise di sfruttare quella caduta e il suo zoppicare a suo vantaggio.
Scott, arrivato al cancello, girò subito a sinistra e zoppicò lungo il viale che anticipava il centro.
Affiancato il piccolo parco sulla sinistra e passate alcune panchine dove alcuni giovani chiacchieravano e amoreggiavano, era giunto nella grande piazza senza battere ciglio. Nel suo lento camminare, si era girato diverse volte e, rinfrancato dalla situazione a lui più congeniale, aveva sempre ripreso a muoversi.
Dawn pensava che si fermasse in qualche locale, ma evitati i migliori sulla piazza, si era chiesta a cosa mirasse. Per un po’ aveva creduto in un lavoretto come cameriere, ma i vari negozi incontravano il suo sguardo vitreo ed erano ignorati.
Solo una volta aveva aperto bocca per mandare a quel paese un ciclista imprudente che gli aveva tagliato la strada e contro cui avrebbe tirato volentieri lo zaino, se poi fosse stato in grado di correre. Invece continuava a colpirsi la caviglia malconcia e a imprecare contro quel primino che gli era costato un pomeriggio tranquillo.
La ragazza aveva, quindi, pensato che stesse ritornando a casa, oppure che i suoi genitori fossero in buoni rapporti con il farmacista. Niente: nemmeno l’attività del vecchio Dr.Wilson era stata presa in considerazione dal ragazzo che, solo nell’alzare lo sguardo e nel leggere un’insegna luminosa molto più lontana, sembrò illuminarsi e risplendere di luce propria.
Fu quando lo vide varcare la soglia di un negozietto che lei si nascose poco lontano, aspettando che uscisse.
I secondi divennero minuti e per ogni ticchettio dell’orologio, lei credeva d’essere stata sgamata e che lui avesse usato la porta di servizio. Magari inventandosi una scusa con cui far breccia nel cuore degli anziani proprietari, Scott avrebbe avuto modo di scappare da quella situazione.
Aveva già compiuto una decina di passi verso la porta automatica che lui, stringendo il portafoglio e lo zaino, tornò all’aperto.
Per un attimo restò paralizzata dal terrore che lui la potesse riconoscere, ma il compagno, nel fissare le piastrelle irregolari del marciapiede, aveva ignorato la sua presenza. Solo dopo aver superato il centro, il rosso si guardò di nuovo alle spalle, ricevendo conferma della sua iniziale sensazione: nessuno lo stava seguendo.
Risollevato da quella situazione, continuò verso la sua destinazione e decise di abbandonare quella sciocca abitudine di voltarsi, buona forse per qualche killer o per qualche politico dagli affari non proprio limpidi.
La grande piazza lasciò presto il posto ad alcune villette e a floridi giardini e poi all’ampia campagna.
Per una buona mezzora aveva zoppicato, gustandosi il silenzio che lo circondava e poi era entrato in una vecchia fabbrica in disuso. Era un’industria metalmeccanica che aveva chiuso anni prima a seguito della crisi economica e cui nessuno, anche grazie a delle recinzioni e un lucchetto ormai spaccato, non sarebbe mai riuscito ad accedere.
Scott aveva forzato la porta e aveva trasformato quell’ambiente grigio, umido, a tratti puzzolente e vuoto nella sua tana.
Fuori qualche vandalo aveva sporcato le candide mura bianche con frasi offensive rivolte al Sindaco e al governo che non faceva nulla per aiutare i disoccupati. Erano imprecazioni, minacce e disegni macabri che non erano di alcuna utilità.
Almeno l’interno non era stato danneggiato dalla furia di qualche criminale o dalla rabbia dei disoccupati e degli animalisti.
I pochi scatoloni che erano stati abbandonati, erano stati aperti e poi buttati via.
In ultima aveva pulito quel luogo malsano e vi aveva nascosto il suo segreto.
 
Scott era entrato nell’ampia sala principale e aveva appoggiato lo zaino al suolo, sedendosi su uno dei pochi scatoloni rimasti.
Dalla borsa tirò fuori alcuni giornali e alcune vaschette che furono svuotate in due ciotole distinte.
Si sguardò in giro e sorrise nuovamente, cacciando un lungo fischio e aspettando pazientemente il loro arrivo.
Sapeva che l’avevano sentito e presto il freddo pavimento fu toccato dal suo segreto. Dawn, in tutto questo, era rimasta in silenzio dietro una porta e aveva fissato i movimenti sicuri del compagno di classe.
Prima che potesse pensare che era il miglior momento per uscire allo scoperto, la sua attenzione fu catturata da due gattini che avanzavano verso Scott.
Il segreto che lui nascondeva a tutti era l’accoglienza che aveva rivolto a quei randagi. Un pomeriggio aveva trovato, lungo la sua strada, uno scatolone, una semplice lettera e quei cuccioli tanto sfortunati. Forse i proprietari non avevano spazio per loro e avevano sperato che la fortuna potesse permettere a quei cuccioli di trovare qualcuno che li accudisse.
Scott avrebbe tanto voluto portarli a casa, tanto i suoi genitori non gliel’avrebbero mai negato, ma preferì desistere. Sapeva che la sua famiglia era una di quelle che ingigantiva i suoi meriti e nelle chiacchiere con gli altri genitori avrebbero rovinato la sua immagine.
I cuccioli ormai lo conoscevano bene e non lo temevano in alcun modo. Lui si sedeva tranquillo e li fissava mangiare, giocare e dormire fino a tardi. Alcune volte li prendeva in braccio e li carezzava, sorridendo divertito.
Fino a quando ne fosse stato in grado li avrebbe accuditi e poi, quando sarebbero stati abbastanza grandi, li avrebbe lasciati liberi. Nella loro piccola fortuna, quei randagi erano stati anche molto sfortunati: il rosso non poteva offrirgli una vita degna di quel nome.
“Ecco dove vieni ogni pomeriggio.” S’inserì una voce, capace di risuonare tra quelle quattro mura e di bloccarlo.
Analizzando quella frase, intuì che era qualcuno di conosciuto.
Se fosse stato un poliziotto, non si sarebbe fatto troppi scrupoli a entrare con arroganza, per affrontarlo a brutto muso. Quella voce l’aveva fatto sussultare, anche se nel vedere avanzare una divisa conosciuta, si calmò e tornò a concentrarsi sui cuccioli che si erano ritratti appena.
“Ci conosciamo?”
“Avanti Scott non fare l’idiota.”
“Io non credo di conoscerti.” Ringhiò nervoso.
“Siamo nella stessa classe e in passato sei stato anche mio compagno di banco.”
“Guardandoti meglio…sei la squinternata che parla con gli animali.”
“Io non parlo con gli animali.”
“Tutti mentono quando la verità è lampante.” Ironizzò, inginocchiandosi sul freddo pavimento segnato dalla polvere.
“Io...”
“Come mi hai trovato?”
“Ti ho seguito.”
“Se mi hai seguito, vuol dire che ti serve qualcosa.”
“Precisamente.” Confermò, sforzandosi in un sorriso che potesse sconfiggere le difese alzate dal compagno di classe.
“Di che hai bisogno per levarti dalle scatole?” Chiese, andando dritto al punto e senza addolcire in alcun modo la pillola.
“Io vorrei solo conoscerti, Scott.”
“Perché dovrei parlare con una stramba come te?” Chiese, digrignando in denti in modo da risultare più minaccioso.
“Forse perché posso aiutarti.”
“Tu non puoi aiutarmi.” Mormorò sconsolato, mentre i due micetti litigavano tra loro per ricevere qualche carezza in più.
“Sì che posso.”
“In tanti ci hanno provato a parole e hanno fallito.”
“Io sono diversa.”
“Me ne sono accorto.” Ironizzò divertito.
“Permettimi di aiutarti.” Riprese Dawn, facendolo sbuffare.
“No.”
“Spiegami perché.”
“Io non ho bisogno del vostro aiuto perché me la sono sempre cavata da solo. Voi siete tutti uguali: promettete di aiutarmi e non sapete nemmeno come.” Ridacchiò sprezzante, continuando a giocare con i cuccioli.
“Se solo mi spiegassi come aiutarti.”
“Come fai a non capire che a questo mondo esistono delle persone che semplicemente non vogliono essere aiutate?” Brontolò seccato.
“Che cosa intendi fare con loro?” Domandò Dawn, cambiando discorso e indicando i suoi gatti.
“La cosa non ti riguarda.”
“Ti conviene rispondermi se non vuoi che qualcuno te li porti via.”
“Osa solo avvicinarti e ti uccido, stupida ragazzina!” Sbraitò, scattando in piedi e fronteggiando lo sguardo tranquillo della compagna.
“Non lo faresti mai.”
“Chi me lo vieta?” Sbuffò infastidito.
“Sei una persona di buon cuore, nonostante tu voglia dimostrare il contrario.” Replicò, indicando i cuccioli difesi fino a quel giorno.
“Ci mancava la lezione di psicologia inversa di una squinternata.” Mormorò sconsolato.
“Il vero squinternato sei solo tu.”
“Ne sei sicura?”
“Un’altra persona, avendo la possibilità di crescere, coglierebbe l’occasione.” Replicò, appoggiando una mano sulla sua spalla.
“Le mie scelte non sono legate alle tue.” Ringhiò, scostandosi da quel contatto.
“Smettila di usare le stesse frasi e improvvisa.”
“Possibile che il tuo cervello da gallina non capisca che non ho bisogno di nessuno e che, se sono solo, è perché mi fate schifo?” Sbottò, assumendo uno sguardo demoniaco.
“Chiaro e conciso per una volta.”
“Se mi avessi ascoltato, non avresti perso tempo.” Le fece notare, cogliendo un suo sospiro e ritrovando un silenzio rassicurante.
Spesso ammettere una verità negativa è l’arma migliore per allontanare certe seccature. Magari lei era come Duncan o Gwen che dinanzi al suo odio verbale, prendevano armi e bagagli e se ne andavano per la propria strada, desiderando vivamente che finisse investito da una qualche auto scura. Non che gli dispiacesse troppo quella remota possibilità, anche se dubitava che qualcuno ai piani alti volesse a ogni costo la sua anima putrefatta.
“Scott…hai mai trovato nulla per cui valesse la pena crescere?” Riprese lei, facendolo sussultare e spingendolo a credere che avesse un cervello inferiore a chiunque nella sua classe. Perché dinanzi alla possibilità di andarsene, alle possibili offese verbali che potevano piovere all’improvviso, Dawn non era arretrata di un millimetro e seguitava a importunarlo con le sue sciocche lezioni.
“Adesso sei tu a farmi sempre le solite domande.” Rispose, ghignando divertito.
“Vediamo se sono capace di sorprenderti.” Mormorò, facendolo tentennare.
“Te lo chiedo una volta sola: cosa ci fai ancora qui?”
“Se non mi sono arresa, è solo perché ho una proposta da farti.”
“Perché dovrei accettare l’idea di una matta?”
“Perché, se non lo fai, significa che non hai a cuore il futuro dei tuoi cuccioli. Pensavo volessi il meglio per loro, ma forse mi sbagliavo.” Soffiò, indicando i gatti che continuavano a giocare tra loro.
“Che cosa vuoi, Dawn?” La interrogò, sfruttando il suo nome e facendole intendere che era arrivato al limite della sua pazienza.
“Immagino che sia difficile venire qui ogni pomeriggio e se ci fosse un solo cucciolo sarebbe tutto più semplice.”
“Lo credi tu.”
“Se fosse uno solo, potresti portarlo anche a casa.”
“Cazzate.”
“E invece sono due.” Continuò Dawn, ignorando le sue proteste.
“Ti ho già detto che sono cazzate solo perché non mi conosci.”
“Io…”
“La verità è che avrei lo spazio per tenerli, ma se li porto a casa, i miei genitori non farebbero altro che atteggiarsi e raccontare frottole ai loro compari.”
“I tuoi genitori?”
“Su una cosa hai ragione: se ci fosse un solo cucciolo sarebbe meno faticoso, ma così non è.”
“Sai che questo non è un problema irrisolvibile, vero?” Domandò la giovane con un sorriso che suscitò nel rosso un moto di curiosità.
“Cos’hai in mente?”
“Ho due proposte da farti.” Ammise Dawn, avvicinandosi ai randagi che si fecero accarezzare ben volentieri da quella nuova mano amica.
“Sentiamo.”
“Io e mio fratello abbiamo sempre voluto degli animali e questi cuccioli porterebbero un bel po’ di gioia nella nostra casa.”
“Li vuoi tutti e due?” Chiese Scott, rapito da quel ragionamento.
“Non pensare che sia avida.”
“Con una proposta simile.” Commentò il rosso.
“Oppure potremmo dividerli.”
“Non saprei.”
“Possiamo incontrarci ogni giorno e farli giocare.” Propose Dawn, cercando di vincere sul tentennamento del compagno.
“Sembra che tu abbia già scelto anche per me.” Commentò il rosso.
“Accetti la mia proposta, Scott?”
“Non mi sembra di avere troppa scelta.” Nicchiò, scrollando le spalle e pensando che un eventuale rifiuto avrebbe potuto rovinare la sua esistenza. Sarebbe stata capace di far circolare la voce che era un debole e poi tutti sarebbero ritornati alla ribalta per infastidirlo, consci che non avrebbe alzato un dito per allontanarli.
“Ne sono felice.”
“C’è altro, ragazzina?” Chiese, intuendo dal suo sguardo qualche strana intenzione.
“Io accetto di accogliere uno di questi cuccioli a una condizione, Scott.” Sorrise per quell’idea che avrebbe potuto avvicinarli ulteriormente.
“Quale?”
“Devi permettermi d’aiutarti con le materie scolastiche.”
“È un ricatto.” Sbuffò il rosso.
“Ricatto o meno, se non vuoi correre il rischio di non vederli più, devi accettare.” Replicò lei, facendolo annuire.
“E quale cucciolo vorresti?” Chiese Scott, osservando il suo segreto che stava svanendo sempre più.
“I cuccioli sono tuoi e sta a te decidere.”
“Prenderò questo.” Borbottò risoluto il rosso, prendendo in braccio quello nero, mentre Dawn faceva lo stesso con quello rimasto al suolo.
“Mi lasci quello bianco?”
“Se vengo a sapere che non lo tratti con cura, questa città ti sembrerà fin troppo piccola per nasconderti.” La minacciò, puntandole contro uno sguardo spaventoso.
“Fidati di me.”
“Non avrai problemi?”
“Mio padre romperà per un po’, ma poi io e mio fratello riusciremo a convincerlo.” Sorrise, facendolo annuire.
“Sappi comunque che non è sufficiente per farmi cambiare idea sul tuo conto. Io non sono un ragazzo che è fatto per stare insieme alle persone, Dawn.”
“Perché?”
“Perché sono un idiota e combino sempre qualche casino che fa incazzare le persone.” Ammise sprezzante senza preoccuparsi di pesare troppo le parole.
“Io…”
“E comunque non sono il ragazzo che tutti credono.”
“E allora perché ti comporti in modo strano?” Domandò lei, stringendo il gattino che avrebbe portato a casa.
“Voglio soltanto trovare una risposta.”
“Quale?”
“Se te lo dicessi, sarebbe troppo facile.”
“Forse hai ragione.” Si arrese, accettando quelle parole e sentendosi comunque felice d’aver ottenuto qualcosa da quel dialogo con il compagno.
 
Scott e Dawn restarono in quella fabbrica abbandonata ancora per quasi due ore, fissando i cuccioli che si rincorrevano e parlottando della scuola.
Lei tentò di chiedergli se nell’ultima settimana aveva fatto manca solo per i gatti o perché stava realmente male, suscitando nel compagno una risata. Non gli fu difficile negare che si era assentato solo per alcune visite mediche e per passare il suo tempo con quel segreto che gli aveva dato un po’ di gioia.
Anche se all’apparenza poteva sembrare un individuo dalla dubbia moralità, per Dawn non era quel mostro dipinto dagli altri. Se fosse stato realmente un criminale, avrebbe fatto scempio del suo corpo, l’avrebbe sotterrata e di lei non vi sarebbe stata traccia.
Il suo unico timore era di passare per un debole e solo per questo l’aveva affrontata a muso duro non appena l’aveva vista farsi avanti e non appena aveva sentito di quella sua richiesta.
“Non fare parola a nessuno di questo posto e non parlare di questi gatti.”
“Perché?”
“Perché sì e non rompere.”
“Non capisco.” Ammise la biondina, prendendo la sua borsa.
“Possibile che voi ragazze non abbiate un po’ di buonsenso?”
“Che vuoi dire?”
“A noi uomini secca di passare per deboli, così come a voi donne secca di passare per delle sgualdrine o per delle galline senza cervello.”
“Ehi!” Sbottò, facendolo sorridere.
“La mia non voleva essere un’offesa.”
“Però lo era.”
“È di questo che parlavo, Dawn.”
“Potresti arrabbiarti?”
“Impari molto in fretta, forse non sei così stramba come ti credevo.” Ammise il rosso, facendola arrossire appena.
“Tu non sei così cattivo come vuoi farci credere.”
“Se lo dici tu.” Replicò annoiato.
Dawn nel girarsi, lo fissò nuovamente.
Non era più il ragazzo che aveva conosciuto anni prima. C’era un velo insolito che copriva il suo sguardo ed era quasi convinta che, da quando erano in classe insieme alle superiori, lui non avesse sorriso sinceramente nemmeno una volta. Conscia di questa triste verità, era tornata a concentrarsi sui gatti che giocavano tranquilli e aveva inspirato profondamente.
“Sei mai stato felice?” Chiese la giovane, prendendolo in controtempo e ottenendo come prima reazione un semplice ghigno.
“Perché me lo chiedi?”
“Potrei essermi fatta un’idea sbagliata.” Insistette, sistemandosi i capelli.
“Ho smesso di esserlo quando ho capito che tutti si avvicinavano solo per un motivo.”
“Quale?”
“Io non rinnego il mio aspetto o il mio carattere: tanto sono solo aspetti soggettivi e che possono trovare pareri divergenti.”
“Contorto, ma logico.” Commentò la ragazza.
“Forse un giorno potrei trovare qualcosa che mi soddisfi e che mi spinga a lottare, ma in tanti anni sono rimasto all’asciutto.” Spiegò, stiracchiandosi appena.
“Non hai trovato nulla?”
“Non ho ancora trovato qualcosa che mi sappia sconvolgere.” Precisò, prendendo lo zaino e recuperando una bottiglietta d’acqua che si portò alle labbra per rinfrescarsi la gola.
“In che senso?”
“Tu, Dawn, sei in qualche modo sconvolgente e questo mi spaventa. Hai una grande empatia e sei desiderosa di fare nuove conoscenze, nonostante il pericolo. Questo tuo lato è capace di spaventarmi, ma anche d’incuriosirmi. E quando una cosa mi attira, tendo a evitarla.”
“Tu mi stai evitando?”
“Se lo volessi con tutte le mie forze, non sarei nemmeno qui a parlarti. Ti sembrerà assurdo, ma se sei riuscita a farmi conoscere il tuo nome, allora vuol dire che mi hai sconvolto positivamente.” Sorrise appena.
“Ci stai provando con me, Scott?”
“Ti sembro il tipo?”
“Forse conoscendomi meglio, potresti fare una pazzia.” Lo punzecchiò, poggiandogli una mano sulla spalla destra.
“Credimi…non sarebbe possibile.” Replicò, scostandosi da quel contatto che trovava fuori luogo.
“Perché?”
“Perché sono un egoista e non amo impegnarmi per troppo tempo.” Nicchiò, rimettendosi in piedi e raccogliendo i giornali che aveva disposto al suolo in precedenza.
 


Angolo autore:

Ryuk: E con la comparsa di Scott vi verrà l'emicrania.
Un po' perchè è uno dei miei personaggi preferiti, ma resterete sorpresi dalla cura di questo personaggio.
Non che gli altri siano fine a sè stessi, ma con lui ho avuto un occhio di riguardo.

Ryuk: E quale sarà mai il segreto che Scott si ostina a nascondere?

I più avventati, conoscendo la mania di Ryuk, diranno "L'amore per la protagonista", ma non è così. Il suo segreto è molto più sottile e difficile da scoprire.

Ryuk: Vediamo se qualcuno riuscirà ad arrivarci.

Ovviamente non ci fermeremo solo a Scott, compariranno anche gli altri.
Lui è un ottimo personaggio intermedio, se così si può dire.
Alla prossima!
 

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Capitolo 9
*** Cap 9 ***


Le urla che si udirono tra quelle quattro mura riuscirono a spaventare anche i vicini di casa.
Il padre di Dawn appena visto il sacco di pulci che era entrato con la figlia aveva cacciato un grido degno di un qualche film horror. Aveva sbraitato, aveva tirato un cazzotto al muro, aveva osservato il micio che la figlia aveva trovato e aveva ascoltato con fastidio la sua storia.
Dawn, vedendolo perdere le staffe, aveva compreso il suo sbaglio, anche se non voleva riportarlo a Scott e fargli credere di essere una bugiarda.
Quando il suo vecchio aveva preteso spiegazioni, lei aveva inventato una storia talmente drammatica da far sciogliere anche un cuore di ghiaccio: il micio era stato trovato all’angolo di una strada in un piccolo scatolone zuppo al cui interno vi erano almeno altri sei gattini tutti morti, tranne quello che stringeva tra le braccia.
Nel vedere quella scena anche il fratellino era intervenuto e aveva iniziato ad accarezzare il batuffolo che la sorella aveva trovato. Anche la madre, nell’avvicinarsi al randagio, si era lasciata convincere e il capo famiglia ritrovatosi da solo, finì con l’alzarsi dalla sua sedia e osservò il loro nuovo ospite.
“La responsabilità maggiore sarà tua Dawn.”
“Mi permetti di tenerlo papà?”
“Consideralo come un anticipo per il tuo compleanno.” Nicchiò l’uomo.
“Grazie.”
“Domani vedremo di vaccinarlo e di comprargli ciò che serve.”
“Possiamo tenerlo?” Chiese la ragazza per sicurezza.
“Non voglio farmi odiare dai miei figli.” Sospirò il padre, mentre Dawn gli porgeva il cucciolo.
L’uomo, di solito freddo e distaccato per quanto riguardava gli animali, sorrise.
Era la prima volta che accarezzava un animale dopo la morte del vecchio Whisky. Aveva ancora negli occhi quel cagnolone che gli saltava sempre addosso e che si spostava solo con una montagna di coccole.
Gli si spezzò il cuore quando suo padre, il nonno di Dawn e George, era stato costretto a sopprimerlo poiché vecchio e seriamente malato. Aveva provato più volte a farlo desistere, ma quell’uomo già con i capelli brizzolati e con lo sguardo stanco, era rimasto inflessibile.
Erano stati i 15 anni più belli che avesse mai vissuto con quel San Bernardo, ma poi una puntura aveva messo fine alla sua gioia.
Solo qualche anno più tardi, Fred aveva capito quanto fosse stato difficile per suo padre muoversi verso quella direzione. Dopotutto aveva il terrore che il figlio trovasse l’amato cane morto nella sua piccola stanza oppure in giardino sotto l’ombra di un pioppo.
Accordatosi con l’amico veterinario, aveva evitato che Whisky soffrisse ancora.
Lo stesso Fred aveva trovato, alla morte del padre, un vecchio album di foto che ritraeva quel cucciolone e una volta di più aveva pianto.
Prima di quel giorno aveva già preso la decisione di non comprare più nessun animale.
E di questa scelta ne aveva parlato anche con i suoi figli, convinto che Dawn e George, rispettassero la sua volontà. La maggiore, invece, ben supportata dal fratello minore, aveva aperto la porta di quella casa al tenero trovatello e quegli occhietti vispi e azzurri avevano spazzato via anni di muro e di chiusura verso il mondo animale.
Preso tra le mani e fissatolo con attenzione, la figlia lo ringraziò con un bacio sull’ispida guancia.
Fred accarezzò lievemente il micio e poi lo mise al suolo per permettergli di conoscere il suo nuovo habitat.
Il cucciolo incuriosito dal mobilio si aggirò con circospezione, mentre i quattro lo osservavano divertiti.
A un certo punto, vedendo la padroncina salire le scale per raggiungere la sua stanza, tentò di starle dietro e dopo una quindicina di scalini si ritrovò nell’ampio corridoio del piano superiore.
La terza porta sulla sinistra era il regno di Dawn che si aprì al piccolo Max in tutto il suo splendore.
Nel sentire quelle soffici zampette camminare sul nudo pavimento, la ragazza si accucciò e lo riprese in braccio per trascinarlo sopra il letto.
Alzatolo verso il soffitto, lo strinse a sé e poi afferrò il computer, tenendolo vicino e accarezzandolo dolcemente.
Notato che il sito era ancora irraggiungibile, riprese la ricerca di scienze, anche se ben presto fu costretta a interrompere il suo lavoro: il cucciolo, facendosi spazio, si era appisolato sopra la tastiera e le impediva di continuare a scrivere.
 
La minaccia che Scott aveva ascoltato in quel pomeriggio era ben lontana dal poterlo spaventare seriamente.
Disteso sul suo letto, mentre i camerieri vezzeggiavano il nuovo membro della famiglia, si chiese come potesse essere possibile.
“Perché proprio lei?” Chiese, osservando le ombre riflesse dal lampadario e perdendosi su alcune forme inconsuete.
Quel comportamento e quella presa di posizione non se li aspettava da nessuno.
Poteva, forse, abbozzare un tentativo con Duncan, sempre che non fosse strafatto come il suo solito, o con quella sciacquetta che si portava dietro e che lo seguiva ovunque.
Improbabile, comunque, che capissero cosa lo stava tormentando nel profondo del suo cuore.
Nel delineare alcune ombre appese sul soffitto, scattò all’improvviso e iniziò a controllare i scaffali della vecchia libreria.
In mezzo a tanti volumi e a vecchi fogli impolverati, vi era un quaderno sgualcito che non aveva mai avuto il coraggio di restituire. La copertina rosa grinzosa richiamava una nota floreale e il suo contenuto puro e cristallino rispecchiava quella remota osservazione.
Ricordava limpidamente quel giorno. E anche se l’avesse dimenticato c’era la foto di terza media che gli rimembrava cosa aveva combinato qualche settimana prima.
In quella triste immagine, specchio del suo carattere viziato e immaturo, era rimasto solo e in disparte, mentre tutti si stringevano intorno a una ragazzina che aveva sempre detestato. Se qualcuno avesse bussato e gli avesse chiesto perché nascondeva quel segreto, lui avrebbe risposto che si vergognava di provare odio verso una compagna capace di catturare l’interesse degli altri e che riusciva a farsi benvolere da chiunque.
Lui, invece, si sentiva solo.
I genitori, essendo sempre lontani, lo abbindolavano con la promessa che presto sarebbero tornati e la servitù, troppo ingorda per accorgersi di qualche evoluzione negativa, non si curava minimamente di un ragazzo che stava sprofondando nel baratro.
Socchiudendo gli occhi, Scott si lasciò immergere da quel ricordo amaro che era riuscito a dargli una spallata verso la solitudine.
La cosa che gli faceva ribollire il sangue era stata la mancata punizione per alcuni suoi amici che, dinanzi al suo gesto, l’avevano etichettato come unico responsabile. Fu nel sentirsi schiacciato che capì la loro vera intenzione: l’amicizia superava certi confini e non si lasciava frenare dalla paura di una sospensione. Quei tizi non avrebbero mai meritato la sua amicizia, se avessero mostrato il loro vero volto e non l’avessero celato dietro una maschera capace di ingannare il prossimo.
“Era un pomeriggio come questo.” Soffiò Scott, togliendo un velo di polvere e aprendo il quaderno che conteneva ancora la prova tangibile del suo errore.
Dentro, allineati, firmati e decorati con un voto sempre superiore al sette, vi erano dei disegni per cui provava invidia. Lei era così brava a disegnare che quello gli sembrò il dispetto migliore con cui punirla.
Come sempre erano in giardino e come sempre lei stava disegnando qualcosa d’invisibile ai suoi occhi.
Stanco di quella figura sempre immobile e di essere canzonato dai suoi ex compagni che non lo credevano capace, si era avvicinato e aveva preso il suo quaderno.
Presa alla sprovvista, aveva impiegato qualche attimo per rialzarsi, ma oramai era tardi, se non per piangere e per correre dai professori. Scott, nel lasciar cadere quel quaderno dentro la fontanella, si sentì il più coraggioso di tutti e il grande leader che avrebbe sempre voluto essere.
Fu nel vederla lontana e piangente che qualcosa si sbriciolò. Le sue sicurezze incrollabili si erano sciolte e, per la prima volta, avvertì una sensazione ignota capace di farlo tremare.
Come un automa recuperò il quaderno ormai zuppo e cercò disperatamente di asciugarlo e di recuperare i disegni irrimediabilmente rovinati.
Non ebbe nemmeno il tempo di rientrare in classe per porre rimedio a quel disastro, che il Preside lo bloccò per un braccio e gli ordinò di tornare a casa. Scott, per un attimo, gli rivolse un’occhiata confusa e l’uomo lo squadrò come se fosse un delinquente della peggior specie.
“Qui i bulletti come te non sono ben accetti e vanno puniti: una settimana di sospensione.”
Quelle parole, quasi urlate, e la firma sul libretto furono capaci di accopparlo del tutto. Si aspettava, a questo punto, che i suoi amici intervenissero per sostenerlo e per condividere con lui la medesima punizione, ma dall’angolo in cui si erano nascosti, nessuno cacciò parola per fronteggiare il Preside.
Piegato da quella decisione, nascose il quaderno della compagna dentro lo zaino e si avviò verso casa, ignorando ogni richiamo del maggiordomo.
Richiusosi in stanza e contemplando il suo disastro, si buttò a letto, nascondendo la testa sotto il cuscino.
Sperava di riuscire a scusarsi, ma ogni volta che sfiorava quel danno, il coraggio svaniva come fumo al vento.
“Non volevo essere un bullo.” Mormorò, concentrandosi sul ritratto che aveva trovato all’interno del quaderno.
Sperò nel tatto di certe persone, ma era inutile pretendere il riserbo su quella faccenda: al suo ritorno tutti lo odiavano e tutti lo evitavano come se avesse la lebbra.
Chi mai si sarebbe avvicinato dopo quello che aveva combinato?
Perfino la vittima era cambiata per paura che qualcuno se la prendesse con lei. Scott aveva capito che Dawn avrebbe faticato parecchio prima di riporre la sua fiducia in qualcuno. Non era mai riuscito ad avere cinque minuti di tempo per affrontarla e per chiederle perdono e anche alle superiori la sua vita non era stata così irreprensibile.
Con il terrore di maltrattare un altro compagno di classe, si era isolato al mondo e fino a quel momento c’era riuscito alla perfezione. Non aveva trovato nessun motivo per rivolgersi agli altri e non aveva necessità di scusarsi con i due che, una volta suoi amici, erano rientrati a casa con le ossa rotte.
Eppure a distanza di tanti anni la sua ex vittima voleva concedergli una seconda possibilità, anche se sentiva di non averne più bisogno. Ormai era macchiato da quell’orribile ricordo e nemmeno un miracolo gli avrebbe restituito quei lunghi anni di anonimato.
“Devo chiederle scusa.” Sbuffò, riponendo il quaderno sulla vecchia libreria e tornando a distendersi sul letto, laddove poté finalmente riposare tranquillo.
 
Erano circa le dieci quando entrò a scuola.
Sapeva bene d’essere in ritardo e che saltare matematica non era la scelta più saggia, ma quella mattina non aveva sentito suonare la sveglia e il maggiordomo, forse per timore delle conseguenze future, non si era curato di buttarlo giù dal letto.
Seccato di doversi presentare al Preside per il permesso, ritornò in aula e passò il resto delle ore a fissare il panorama che si stendeva dalla finestra.
Era tutto così dannatamente noioso.
Eppure quella mattina si era fatto forza e aveva raggiunto la scuola, seppur sapesse a cosa andava incontro.
Non riusciva proprio a capire il perché quel giorno fosse tanto diverso rispetto a quello di qualche settimana prima. Non era raro, almeno per lui, svegliarsi oltre le dieci, riempire il suo libretto di assenze, accampare scuse su scuse e aspettare il pranzo servito dai vari camerieri. Era semplice rimanere a casa e pazientare che la mattinata scivolasse via, ma ancora più difficile era ammettere di dover andare a scuola e di dover, quindi, assistere alle ore soporifere dei prof.
Era capitato e non poteva negarlo, i registri erano ancora nell’archivio, che lui si fosse sempre assentato anche gli ultimi giorni di scuola. Dal primo anno la sua tradizione era sempre stata rispettata e in giugno vi attingeva come un drogato che pretendeva la sua dose dallo spacciatore di fiducia.
Gli era impossibile accettare di scattare una fotografia che avrebbe dimostrato la sua involuzione.
Avrebbe mandato qualche dipendente a prendere la pagella con le votazioni e poi si sarebbe rinchiuso nella sua stanza, sperando che l’estate non fosse troppo afosa da costringerlo d’uscire in giardino.
Che cosa avrebbe guadagnato nel tenere le foto di tutti quegli anni?
Si sarebbe solamente accorto che la sua vita era una schifezza e che nessuno si era avvicinato per provare a essergli amico.
Aveva sempre evitato tutte le feste e le rimpatriate che gli erano state proposte e anche se alcune volte era stato a pochi centimetri dal campanello dell’invitato, lui aveva sempre fatto marcia indietro, credendo di essere malvisto dai suoi stessi compagni, di non avere un regalo all’altezza e di non avere nessun argomento di cui discutere.
Il suo zaino, almeno per il primo anno, era stato riempito di biglietti e inviti che aveva sempre snobbato e che avevano alimentato il cestino dell’immondizia. Non lo faceva perché era ricco o perché doveva curare gli affari della sua famiglia, cosa che non gli era mai pesata particolarmente, ma solo perché temeva di rovinare il clima disteso e pacifico che si sarebbe creato.
Così come leggeva spesso nei manga, lui era il nemico imbattibile che, comparendo nella storia, permetteva ai vari protagonisti d’incontrarsi, di conoscersi e di aiutarsi per distruggerlo. Era una parte demenziale e infantile? Probabilmente lo era, ma almeno non otteneva la stessa percezione delle medie.
Prima era stato gonfiato e acclamato dalla comunità come il ragazzo migliore, salvo poi essere spodestato e ricevere l’aggettivo di calamità. Più alto era il piedistallo su cui l’avevano fatto arrampicare, più dolorosa era stata la botta nell’accorgersi che il salto era stato fatto senza rete e imbracatura.
La campanella di fine lezione lo ridestò da questi pensieri e, alzando lo sguardo, si accorse d’essere rimasto solo in aula. Quasi dimenticava che le ultime ore erano dedicate alle attività fisiche e che il prof non lo volesse mai nella sua squadra.
Sbuffando annoiato, raccolse lo zaino e sistemò il banco che mostrava dei lievi segni di scalfittura.
Scese le scale e guardatosi intorno, notò che la scuola ormai era deserta. Dall’ora mostrata sul display del cellulare, si accorse di non essere molto in ritardo, anche se non capiva il perché di quella fuga così repentina.
Accecato dal sole, sollevò lo sguardo al cielo e poi lo abbassò per verificare che la promessa ricevuta il giorno precedente fosse ancora valida. Davanti a sé vedeva soltanto la sontuosa limousine scura che l’aveva accompagnato quella mattina.
Si era cullato in un’illusione che lo spinse a proseguire per quel breve tratto, ad aprire la portiera, a sedersi e a chiudere gli occhi.
“Sono stanco di questa scuola.” Esordì, facendo ridacchiare il suo dipendente che ormai conosceva quelle parole a memoria.
“Ben arrivato signorino.” Lo accolse l’autista, facendolo sbuffare.
“Quali impegni dovrei avere per oggi?”
“Credo debba studiare: i suoi genitori non sarebbero felici di sapere che sta battendo la fiacca.”
“Sai quando ritorneranno?” Chiese il giovane, girandosi verso il finestrino.
“La prossima primavera.”
“Me lo aspettavo.” Sbuffò stanco, sbadigliando rumorosamente.
“Ci sono alcuni problemi a Ottawa e suo padre prevede che siano cose lunghe.”
“La prossima primavera…sempre che tutto vada bene, esatto?” Domandò il rosso, imitando lo stesso tono del suo vecchio.
“Temo di sì.”
“Improbabile che non ci siano problemi e questo vorrà dire che torneranno per Natale.” Brontolò Scott, facendo incupire il suo autista.”
“Già.”
“Lo sai Alfred…a volte non vorrei nemmeno essere nato.” Gracchiò, facendo abbassare lo sguardo all’unico dipendente che poteva considerare come un confidente fidato.
“Perché dice questo?”
“Non ricordo un singolo momento di felicità.”
“I suoi genitori fanno tutto questo solo perché desiderano il meglio per lei e per la signorina Alberta.”
“Quanto vorrei crederti.”
“C’è qualcosa che te lo vieta?” Tentò l’uomo, facendo ridacchiare nervosamente il giovane.
“Da oltre 10 mesi non ho notizie di mia sorella e i miei vecchi si mettono a girare per il mondo, senza preoccuparsi della mia felicità.”
“Signorino…”
“Saresti felice di rivedere tua moglie o tua figlia solo una volta l’anno?” Domandò, facendolo negare e sussultando per una frenata abbastanza brusca.
“Non proprio.”
“E poi sai che far piangere qualcuno non è una cosa di cui si dovrebbe andar fieri. I mie genitori hanno insabbiato la faccenda, ma io non ce la faccio.” Replicò, fissando alcuni pedoni che stavano attraversando di corsa sulle strisce.
“Solo questo?”
“Non ho intenzione di parlarne ancora.”
“Ti sei messo alle strette?” Chiese l’uomo, abbozzando un sorriso.
“Purtroppo sono solo un ragazzino che non crescerà mai.” Ammise deluso, abbassando la testa.
 
Nemmeno lei.
Aveva creduto che quel venerdì una piccola gioia sarebbe stata instillata nel suo cuore. Era solo per questo che era andato a scuola. Viveva nella speranza che Dawn lo aiutasse a lasciarsi il passato alle spalle e che cancellasse la presenza di quel quaderno che continuava a impensierirlo.
Più volte aveva provato a gettarlo nell’immondizia, ma quel gigante di carta veniva sempre ripreso e tornava al suo posto.
Durante un’estate aveva provato a ricopiare gli stessi disegni conservati a fatica, ma i suoi schizzi non erano degni nemmeno di un bambino piccolo.
Risvegliatosi dopo poco, era salito nella sua stanza e si era buttato sul morbido letto.
Era davvero patetico.
Aveva causato problemi a tutti e ora pretendeva che ci mettessero una pietra sopra.
“Sono davvero stanco.” Soffiò, mentre qualcuno bussava alla sua porta con veemenza.
“Che c’è?”
“Signorino qualcuno desidera parlare con lei.” Borbottò una cameriera.
“Riaggancia.”
“Ha detto che è veramente importante.”
“Non voglio sentire nessuno.” Replicò, trovandosi il telefono tra le mani.
“Riguarda la scuola.” Ammise lei, mentre lui richiudeva nuovamente la porta alle sue spalle.
Nel fare mente locale si chiese di chi potesse essere a conoscenza del suo numero.
Di certo i suoi compagni non potevano sapere nulla del suo indirizzo o di quale fosse il suo recapito. Men che meno i professori che non avevano nessuna scusa valida per tenere il numero di uno degli studenti più pigri e disinteressati dei vari corsi.
Il tutto doveva partire per forza dalla segreteria e, quindi, dal Preside. Il vecchio avrebbe sganciato una qualche bomba che lo avvertiva che aveva ancora pochissimi giorni d’assenza e che la bocciatura era dietro l’angolo.
A poco valevano i certificati medici o le morti consecutive di una dozzina di nonne, laddove le sue versavano in ottime condizioni psicofisiche.
Anche le sue scuse si rivoltavano contro e gli facevano fare la figura dell’idiota.
“Chi è che rompe?” Esordì, ricevendo una lieve risata per risposta.
“Me lo aspettavo che rispondessi così.”
“Chi sei?”
“Non ci parliamo da un giorno e già dimentichi la mia voce?”
“Come hai avuto il mio numero?” Domandò, tenendo un tono piuttosto piatto.
“Sì certo…io sto bene Scott, non c’è male. Mi aspettavo un saluto di questo genere…signorino.”
“Non sono in vena di scherzi Dawn.”
“Se ti sforzassi di sorridere, la vita non farebbe così schifo.” Replicò la compagna, facendolo sospirare.
“Chi ti ha dato il mio numero?”
“Sarai anche ricco e educato, ma con me sei piuttosto acido.”
“Rispondi alle mie domande.”
“Ho chiesto a Gwen di passarmi il tuo numero.”
“Perché? Noi due non abbiamo niente da dirci.”
“Mi dispiace di non essere riuscita a presentarmi al nostro appuntamento, ma il mio fratellino è ammalato e ha bisogno di me.”
“E tu Dawn? Sei davvero sicura di aver bisogno di me?” Domandò, facendola sussultare.
“Io…”
“Forse l’hai dimenticato, ma ti consiglio di tenermi a distanza. Non mi disturba essere il fantasma della nostra classe e forse è proprio questo ciò cui aspiro inconsapevolmente.”
“Che stai blaterando?”
“Se mai avessi voluto conoscere qualcuno, avrei accettato le vostre feste e non mi sarei nascosto.” Tentò, sentendola sbuffare.
“Sei un vero idiota.”
“Cosa?”
“È evidente che tu abbia bisogno di una spinta per essere felice.”
“Dovevi fare la psicologa e non stare nella nostra scuola.”
“Se vuoi domani sono libera.” Soffiò Dawn.
“Purtroppo sarò impegnato.” Mentì, sperando che lei cambiasse idea.
“Non riuscirai a scapparmi, Scott. Questa è una promessa.”
“Mi sembra più una minaccia, ragazzina.” Ribatté, sentendola ridere.
“Ci vediamo lunedì, signorino.”
“Purtroppo.”
Terminata la chiamata e restituito il telefono alla cameriera, tornò a distendersi, chiedendosi cosa si sarebbe dovuto aspettare per la prossima settimana.






Angolo autore:

Ryuk: Ma questo è il background di Scott?

Ti piacerebbe.
Se credi che questo sia il background di Scott allora stiamo freschi. Per il resto mi auguro che non vi siano grossi errori e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 10
*** Cap 10 ***


Sarebbe stato un lunedì intenso.
Contravvenendo a suo padre che le chiedeva di non andare a casa di un ragazzo, Dawn aveva deciso di fare comunque di testa sua. Avevano discusso anche la sera precedente riguardo quella cosa. Il suo vecchio non poteva sopportare l’idea che sua figlia fosse cresciuta così in fretta, che fosse quasi una donna e che qualcuno potesse sfruttarla per i suoi porci comodi. Lei sarebbe sempre stata la sua bambina e anche se affermava d’essere in grado di difendersi da sola, non poteva accettare che facesse visita a un ragazzo e che quest’ultimo potesse portargliela via.
Non era la prima volta che leggeva di notizie simili e sapere che la sua Dawn poteva finire tra le fauci di un qualche disgraziato, lo spingeva a sogni agitati. D’altro canto, però, era fiero che Dawn potesse riconoscere in anticipo un determinato pericolo, ma questo Scott non aveva di certo la sua fiducia. Poteva trattarsi di un lupo travestito da agnello e, in un momento di debolezza, poteva schiacciare anche le sicurezze della figlia.
Al contrario lei aveva fatto valere le sue ragioni.
Innanzitutto Scott non le sembrava un individuo così marcio o capace di approfittarsi della situazione.
Dopotutto si trattava soltanto di aiutare un compagno che era a un passo dalla bocciatura. Sembrava una cosa nobile e che chiunque avrebbe fatto, avendone le possibilità. Il suo unico dubbio derivava solo dalla pessima fama che sembrava convergere in un punto ben distinto della sua classe.
Scott non era mai stato un ragazzo semplice, ma non era responsabile del clima ostile che si respirava in aula. Si poteva anzi affermare che lui fosse completamente estraneo alla faccenda e che non si fosse nemmeno accorto delle divergenze che riempivano la sezione. Vuoi per quell’aria da menefreghista o per le assenze che accumulava, lui non aveva mai dato l’impressione di simpatizzare per il gruppo di Brick più che per quello di Gwen.
E anche quel lunedì non sembrava per niente propenso a schierarsi da una parte o dall’altra. Questo, in soldoni, era il suo grande merito: in mezzo a tanta confusione, laddove era facile unirsi a un gruppo che prometteva mari e monti, lui era sempre rimasto neutrale.
Non appena fossero rimasti soli, appurato che non vi fosse un gran bisogno di ripassare, gli avrebbe posto anche quella fatidica domanda.
“Sei sicura che sia il caso?” Chiese il rosso, voltandosi nella sua direzione e percorrendo il tratto di strada che li divideva dalla limousine, ridestandola dalle sue riflessioni.
“Certo.”
“Hai mai viaggiato così?”
“È la prima volta.”
“Ascolta Dawn…”
“Non ci ho ripensato e voglio aiutarti.” Borbottò, accennando a un sorriso che fece scrollare le spalle al compagno di classe.
“Sia chiaro che non sono né dalla tua parte, né da quella di Brick. Siete così stupidi da non capire che questi sono i migliori anni della nostra vita e i vostri gruppi si scannano come cane e gatto.” Ringhiò sommessamente.
“E tu allora che resti sempre in disparte?” Domandò a bruciapelo.
“Te l’ho già detto: resto in disparte perché non m’interessa niente di quello che fate.”
“Ma questi sono i migliori anni della nostra vita.”
“Tu e Duncan avete la dannata abitudine di ripetere a pappagallo tutti i miei discorsi.” Replicò infastidito, contorcendo le labbra a formare un ghigno terrificante.
“Perché non usi i tuoi stessi consigli?” Tentò, sperando che quei pochi metri potessero consegnarle qualche risposta soddisfacente.
“Perché non ho mai avuto disperato bisogno di usarli a mio vantaggio.”
“A me sembrava il contrario.” Sospirò, mentre lui allungava appena il passo per aprirle la portiera e per farla salire a bordo.
 
Scott aveva scrutato a lungo le persone che aveva incrociato durante quel breve tragitto.
Sarebbe stato imbarazzante oltre che umiliante se per la scuola fosse circolata la voce che se la intendeva con una come Dawn. Per carità non aveva nulla contro di lei: sembrava una brava ragazza, dolce, disponibile e senza troppi grilli per la testa. La sua opinione, però, si fermava qui e non sembrava avere nuove evoluzioni in questo senso.
Non poteva sapere se quella era solo una facciata, se lei in verità fosse molto più subdola di quello che appariva e se ambiva soltanto a qualcuno che la riempisse di denaro, di viaggi in giro per il mondo e altre cavolate simili.
Ogni ragazza aveva le proprie priorità e di per sé non aveva intenzione di appoggiare o di simpatizzare per un gruppo della sua classe. Le cose così come stavano andando, non gli dispiacevano troppo, anche se temeva che il ricatto perpetrato ai suoi danni da Dawn, potesse sconvolgere il piacevole equilibrio che si era creato con tanti sforzi dopo diversi anni di scuola.
“Buongiorno Alfred.” Esordì Scott, rivolgendosi al suo dipendente.
“Abbiamo ospiti questo pomeriggio.” Borbottò lui di rimando, intuendo che quello non sarebbe stato un semplice passaggio di cortesia.
“Lei è Dawn, una mia compagna di classe, e si è offerta di aiutarmi con le materie in cui sono carente.”
“Cioè tutte.” Puntualizzò l’autista.
“Anche se sarà una cosa lunga, proverò ad aiutarlo.” S’intromise Dawn, sperando di fare bella figura.
“Non preoccuparti per questo: tanto i suoi genitori sono già disperati e credono che la bocciatura sia dietro l’angolo.” Minimizzò l’autista.
“Questo lo sa già.” Replicò Scott, scrollando le spalle.
“E sa anche che una bocciatura, significherebbe trasloco?” Chiese l’autista.
“Questo non me l’hai detto, Scott.”
“Credevo fosse sottointeso.”
“Se non parli con nessuno, come fa a essere ovvio?” Domandò con stizza, scaturendo una risata nell’autista che faticava a trattenersi.
“Beh…i miei genitori hanno troppi soldi in ballo in Canada e una villetta a buon prezzo a Montreal la si trova sempre.”
“Montreal.” Ripeté lei.
“Oppure a Ottawa.” Borbottò l’autista.
“Alla fine è sempre mia madre a scegliere la città migliore.”
“Se venissi bocciato, ne sentiresti la mancanza.” Sospirò Dawn.
“Di che cosa? Delle tue chiacchiere?”
“Di questa città.”
“No.”
“Ma è casa tua.” Replicò infastidita.
“È il posto dove vivo e dove ho ricordi che vorrei solo dimenticare.” Ribatté, appoggiando i piedi sui sedili che aveva davanti a sé.
“Non può essere così.”
“Fidati Dawn, il nostro Scott è un ragazzo tutto d’un pezzo.” Lo derise l’uomo, facendolo ridacchiare.
“Un po’ come quando avevo cinque anni, eh Alfred?”
“Per non parlare dell’anno scorso: tua madre ci ha minacciato di mandarci nelle foreste amazzoniche se non fossi tornato a casa con una sufficienza entro dicembre.”
“Voi due siete d’accordo?” Chiese Dawn, fissandoli sconcertata.
“Non siamo mai d’accordo su qualcosa: è solo che non ci strapperemo i capelli se quest’anno dovesse finire male.” Ammise Scott, scrollando le spalle.
“Non puoi.”
“Chi me lo vieta?”
“Me l’hai promesso.”
“La mia parola d’onore vale davvero poco.” Nicchiò, percependo l’ennesima risata del suo dipendente.
“Non ho ancora capito perché la signorina debba aiutarla.” Borbottò l’autista, guardando verso lo specchietto retrovisore.
“Non voglio che Scott sia costretto a traslocare e poi i prof mi hanno promesso dei crediti extra se dovessi riuscire a farlo promuovere.” Mormorò lei con lieve imbarazzo.
“Certo che ha buongusto signorino.” Soffiò il vecchio Alfred, arrestando la limousine al primo semaforo.
“Eh?”
“È la prima volta che porta a casa una ragazza e si è scelto una delle più belle a mio avviso.” Ammise, facendo arrossire Dawn che non si aspettava un complimento simile.
“Sempre il solito seccatore.”
“La sua ragazza non sembra dello stesso avviso.” Sospirò, mentre Scott si voltava verso di lei e notava come avesse fatto centro.
“Io non sono…la sua ragazza.” Tentò lei, sperando che non percepissero il suo disagio.
“È solo una mia compagna: una delle tante che girano per la classe.” Minimizzò il rosso, sperando di zittirlo
“Se parlassi anche con gli altri, avresti qualche amico e non saresti sempre solo.” Mormorò delusa.
“Sono solo perché me lo merito.”
“Non capisco.”
“Ho i miei buoni motivi per ignorarti e tu li conosci bene.” Sbuffò, sperando che Alfred non si distraesse e non s’impicciasse più in quella discussione.
“Se li conoscessi, non ti darei fastidio.”
“Probabilmente hai resettato ogni cosa e non posso fartene una colpa. Sei una ragazza speciale e mi stupisco che tu non abbia dimenticato anche il mio nome.”
“Perché avrei dovuto?” Chiese, cercando di leggere nel suo sguardo, ma scontrandosi con la sua solita malinconia.
“Doveva essere solo uno stupido scherzo.”
“Posso sapere di che parli?”
“Era una giornata di sole, stavi disegnando all’ombra e non sopportando l’idea di vederti sola, ho provato a smuoverti un po’. Purtroppo sono stato così egocentrico e ho gettato il tuo quaderno di disegni nella fontanella. Il Preside era furibondo, sarebbe stato capace di sgozzarmi come un agnellino, ma ha deciso soltanto di espellermi per una settimana. Ho pensato a lungo a quello che ti avevo fatto. Ho provato perfino a ricopiare i tuoi disegni, ma sono un incapace totale. Non so perché, ma volevo che tu mi considerassi in qualche modo.” Mormorò affranto.
“Eh?”
“Non sopportavo che tu preferissi disegnare più che giocare con me. Forse sono sempre stato un bambino dispettoso o volevo solo vantarmi…ormai non ricordo più il vero motivo.” Soffiò dispiaciuto.
“Non è che l’hai fatto solo per attirare la mia attenzione?” Domandò curiosa.
“So solo che devo restituirti il quaderno e scusarmi per quello che ti ho fatto passare.”
“È per questo che sei così?”
“Questa è stata solo una riprova: sarei diventato così comunque.” Ammise, porgendole il quaderno sgualcito che aveva avuto a cuore di custodire fino a quel giorno.
“Io non so che dire."
“Non pretendo il tuo perdono, né che tu possa accettare tutto questo senza vendicarti: vorrei soltanto che tu la smettessi di tentare di farmi rientrare nei vostri gruppi. Io non voglio sbilanciarmi e non voglio nemmeno sbagliare per poi sentirmi dire che era molto meglio se rimanevo nel mio angolo.”
“Però…”
“Se resto nel mio angolo, se nessuno si preoccupa per me, non avrò il terrore dei sensi di colpa e potrò stare in pace.”
“Questo è egoismo.” Lo rimproverò lei, sfogliando il suo quaderno e studiando i vari disegni che vi erano all’interno.
“Può essere.”
“Dovresti comunque sapere che non porto mai rancore nel cuore.” Mormorò, non aspettandosi che lui le accarezzasse la guancia per ringraziarla, suscitandole tuttavia un moto di fastidio e ribrezzo.
Senza motivo alcuno o forse solo per una lieve vendetta, Dawn mosse istintivamente la mano libera, schiaffeggiandolo e ritrovandosi davanti il suo sguardo da cane bastonato.
“Perché?”
“Ti avrò anche perdonato, ma non accetto che tu possa approfittarti così di me.” Replicò infastidita.
“Io…”
“Sono felice che tu abbia fatto chiarezza, ma questo non significa che tu possa usarmi quanto ti pare e forse è meglio, per entrambi, se mi riporti a casa.”
“Se è questo che vuoi.” Soffiò, rivolgendosi ad Alfred e invitandolo ad accompagnare a casa la loro giovane ospite che, in quei cinque minuti scarsi, sarebbe rimasta in assoluto silenzio.
 
Scesa dalla limousine, stringendo la sua borsa e cercando le chiavi di casa, si fece una promessa.
Anche se voleva diventare amica di ogni compagno di classe, ciò non significava che il suo sogno fosse realizzabile. Non provava odio o rancore per quello che Scott le aveva confessato, non ne era assolutamente in grado dopotutto.
Tuttavia sentiva che Gwen aveva ragione. Scott era diverso da loro e non si sarebbe mai impegnato con tutte le sue forze per scegliere uno dei due gruppi.
Sulla sua lista, quella che aveva scritto su un foglio e che aveva ancora in bella mostra nella sua camera, era pronta a usare il bianchetto.
Vicino a Mike e a quelli con cui aveva segnato un buon rapporto, aveva usato l’evidenziatore verde, mentre con quelli non ancora affrontati, si era accontentata di lasciarli così.
Il nome di Scott, invece, sarebbe stato cancellato.
Non sarebbe mai più riuscita a guardarlo con gli stessi occhi e, seppur sentisse il suo cuore battere all’impazzata, aveva deciso che era molto meglio escluderlo dai suoi tentativi.
Lui era l’unico che sarebbe stato sempre un fantasma e che non avrebbe più avuto chance, sempre che la chat non tornasse a dare segni di vita e che il moderatore non fosse in grado di risolvere il problema che aveva inconsciamente creato.






Angolo autore:

Ryuk: Ne sappiamo un po' di più sul problema di Scott.

E in questo caso lo lasciamo in sospeso.
Avevo avvertito che non sarebbe stato un personaggio semplice e tra alcuni capitoli ne saprete di più.

Ryuk: Piccolo spoiler...nel prossimo capitolo dovrebbe tornare il moderatore.

Dovrebbe: non c'è nulla di sicuro.
Per quanto riguarda questo aggiornamento spero vi piaccia e che non vi siano troppi errori.
Detto questo e ringraziandovi per l'appoggio e per l'interesse, vi saluto e vi auguro una buona settimana.
A presto!
 

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Capitolo 11
*** Cap 11 ***


Courtney non era una ragazza così semplice.
Poteva passare dalla tipica dolcezza ad attimi d’insolita ferocia, capaci di far tremare anche il più duro degli insegnanti.
Eppure Dawn sentiva che dietro quella facciata, poteva nascondersi un lato che nessuno, tantomeno Duncan, era riuscito ancora a decifrare. Anche se qualcuno aveva da ridire, lei apparteneva al gruppo di Gwen e si era già sbilanciata in una determinata direzione.
Allo stesso modo anche Dawn poteva dire di essere più affine al gruppo della dark: dopotutto non aveva ancora costruito chissà quali legami con il gruppo di Brick.
Il fulcro di quella sezione era Scott: costretto a stare nel mezzo e a non sbilanciarsi.
A proposito di questo, ne aveva discusso a lungo con il rientrante moderatore.
 
“Lui ha bisogno di una mano.”
“Non m’interessa.”
“Ma è mai possibile che voi utenti siate così cocciute?” Chiese, non temendo più il vincolo delle domande bonus che era stato abolito con l’ultimo aggiornamento.
“Non doveva comportarsi così.”
“Perché prima desideri avere un ragazzo e poi quando uno si avvicina, decidi che non è quello giusto?”
“Non ho detto questo.”
“Lui ti piace?”
“Lui non mi piace, ma se anche fosse nei miei interessi, non doveva provarci dopo che l’avevo appena perdonato: sembrava quasi volesse approfittarsi della situazione.” Sviò, facendo sospirare il moderatore che aveva quasi dimenticato quanto fosse testarda.
“Spero che tu sia felice in qualche modo.”
“Ho deciso che lui non sarà mai mio amico.”
“Non accetto questa tua scelta, ma la rispetto.”
“Dovrei dargli una seconda possibilità?”
“Io lo conosco pochissimo e solo grazie alle descrizioni di queste ultime ore, ma da quello che mi hai riferito, potrebbe nascondere qualcosa.”
“Qualcosa?”
“Le persone non sono tutte uguali, ma ci sono cose che nessuno è in grado di dimenticare. Puoi sforzarti al massimo, ma tornano sempre indietro.”
“E?”
“Il passato ti divora e ti uccide poco alla volta.”
“E questo cosa centra con Scott?” Domandò la giovane.
“Se lui ne è pentito, può chiudersi in un angolo e restare così per sempre. Potrebbe anche rovinarsi e saresti tu ad avere parte del torto.”
“Perché?”
“Perché lui si è scusato, sperava di essere carino nei tuoi confronti, di abbattere le tue difese, ma tu l’hai ricacciato indietro. Se non dovesse crescere e migliorare sotto quest’aspetto, tu saresti responsabile della sua mancata crescita e della sua bocciatura.”
“Ci penserò.”
“Quando una ragazza dice che ci pensa, allora significa che le possibilità sono talmente scarse da rendere un miracolo come un evento quotidiano.” Digitò sarcastico il moderatore.
“Comunque non mi hai ancora detto niente riguardo quel mio famoso sbaglio.” Gli fece presente Dawn.
“E cosa dovrei dirti? Il programmino della tua amica ha fatto centro e ha elaborato i dati più semplici in assoluto. Purtroppo abbiamo la stessa età e condividiamo anche la sfortuna di vivere in questa città: una serie di belle coincidenze non credi?”
“Possiamo incontrarci?” Chiese Dawn.
“Non è ancora il momento.”
“E quando lo sarà?”
“Non sei la prima a chiedermi un incontro, utente 0021.”
“Davvero?”
“Cosa ti rende migliore rispetto a quelli cui non ho mai risposto in questo senso?”
“Non ti ho causato chissà quali problemi.”
“Questo sarebbe un punto a tuo favore, se non mi avessi costretto a stare su questo sito 24 ore su 24 per quasi una settimana. E solo perché qualcuno ha usato un programma invasivo che ha distrutto i codici di programmazione e che ci ha fatto rischiare una bella multa per dati sensibili trasmessi in giro per il mondo.”
“Ho capito.”
“Se non fosse che questi codici sono protetti da chiavi criptate cui possono accedere solo i moderatori e solo qualche hacker, che di sicuro non si preoccuperebbe mai di una chat simile, allora potrei anche affermare che sei causa di questo disastro.”
“Non volevo.”
“Questo me l’hai già detto qualche giorno fa.”
“Ma non ti ho detto che vorrei incontrarti per scusarmi di persona.” Digitò Dawn, sperando che accogliesse quel suo desiderio.
“Una persona qualunque si sarebbe scusata via chat o avrebbe preferito cancellarsi, pur d’evitare una simile umiliazione.”
“Io sono una ragazza speciale.”
“Ed io sono un ragazzo, per tua sfortuna.”
“Eh?”
“Se qualcuno venisse a sapere di questa cosa oltre che imbarazzante, potrebbe anche accusarmi di essere un manipolatore che adesca qualche ingenua ragazza.”
“Perché ti dipingi così male?”
“Perché una persona sconosciuta per ottenere la fiducia di qualcuno, si dovrebbe descrivere con i suoi difetti o con quello che pensano le altre persone.”
“Non ci incontreremo mai?” Domandò Dawn, sperando che lui potesse fornirle un’apertura in cui inserirsi.
“Facciamo così, in via del tutto eccezionale. Se riesci a migliorare la tua classe e mi presenti una prova lampante che non ci sono contrasti, allora potrei pensare d’incontrarti di persona.”
“Se mi chiedi questo, dai per scontato che io riesca a sistemare le cose.”
“Precisamente.”
“Non capisco perché dovremmo incontrarci quando tutto sarà risolto e non avrò, quindi, più bisogno di questa chat.”
“Non sei tu a dettare le regole.” Le fece presente il moderatore, mentre lei sbuffava infastidita.
“Sei così insopportabile a volte.”
“Se vuoi sapere una bella novità, un qualcosa che potrebbe restituirti il sorriso…beh tra qualche giorno uscirà una nuova app con la nostra bella chat.”
“Davvero?”
“Così potrai farmi domande e chiedermi consigli ogniqualvolta ne avrai bisogno.”
“Mi garantisci che risolti i problemi, non sparirai nel nulla come se niente fosse?”
“Hai la mia parola d’onore.” Picchiettò sulla tastiera, come se il suo famoso onore fosse un qualcosa di poi così vincolante.
“E quale sarebbe la prova lampante di cui avresti bisogno?”
“Non chiedo un qualcosa di scritto o una qualche registrazione audio: sarebbe fin troppo semplice manipolare o modificare qualche impostazione. Perfino un’idiota come me è capace di fare una cosa simile, ma una semplice foto che mostri la tua classe sorridente e che mi spinga a credere in una risoluzione perfetta, potrebbe essere sufficiente.”
“Una foto?”
“Non saprò mai chi sei, ma almeno avrò la certezza che tutto si è risolto meravigliosamente.”
“D’accordo.”
“Ricorda, però, che la tua classe dovrà essere al completo e, quindi, anche Scott dovrà essere presente da qualche parte.”
“Ma è impossibile.”
“Se mi vuoi incontrare di persona, non sentirò obiezioni di alcun genere.”
“Non ci riuscirò mai.” Si demoralizzò Dawn, abbassando la testa.
“Per il momento, fossi in te, cercherei di non forzare troppo la mano con questa tua prima sconfitta personale e proverei a concentrarmi sulla prossima della tua lista.”
“Come se convincere Courtney fosse una cosa così semplice.” Sospirò la giovane, iniziando a descrivere al moderatore con quale ragazza avrebbe avuto a che fare l’indomani.
 
Ce l’aveva proprio davanti.
Quando aveva sceso i gradini che si aprivano sull’atrio, non credeva che lei stesse per avviarsi verso il laboratorio di scienze.
C’era ancora la ricreazione prima che il prof aprisse il laboratorio al piano terra, distribuisse la correzione delle verifiche e pretendesse che qualcuno spiegasse alla classe il perché delle varie risposte o delle formule.
Eppure Dawn sentiva che quei pochi minuti erano l’unico lasso di tempo che poteva ritagliarsi in quella giornata. Se non la affrontava ora che era senza Duncan e che la tranquillità la faceva da padrone, avrebbe dovuto aspettare chissà quale giorno e di conseguenza l’appuntamento con il suo moderatore sarebbe slittato ulteriormente.
Ovviamente stava ignorando il problema massimo: Courtney non era così impossibile da convincere, così come il gruppo di Brick che non sembrava troppo distante dall’unirsi con quello di Gwen, ma Scott e la sua dannata apatia potevano essere uno scoglio insormontabile.
Si trattava d’affrontarlo nuovamente e di scusarsi, convincendolo a scattare una dannata foto che mai l’aveva visto presente. Poteva anche farlo rinsavire momentaneamente, ma aveva disperato bisogno di quella prova per incontrare il moderatore della chat. Cosa la spingesse verso quel desiderio, era inspiegabile.
Non l’aveva mai visto in vita sua, poteva benissimo essere rivoltante, ma quei suoi consigli l’avevano spinta verso un affetto virtuale che non le apparteneva di certo. Se poi il suo carattere fosse stato uguale a quello che aveva percepito durante le chat, si sarebbe innamorata pazzamente e avrebbe sentito con certezza d’aver trovato l’oro.
L’unico ostacolo era quel ragazzo fastidioso dalla zazzera rossa che stava imprecando contro le macchinette, colpevoli di avergli fregato qualche monetina, di non avergli sganciato la sua pizzetta preferita e di fargli perdere un sacco di tempo.
“Courtney…ti stavo cercando.” Esordì, bloccandola senza preavviso.
“C’è qualche problema, Dawn?” Chiese, mentre il suo piede si fermava per qualche secondo a mezzaria prima di posarsi sul gradino successivo.
“Volevo solo parlare.”
“E non potresti aspettare fine scuola?”
“Di solito con fine scuola scappi via in moto con Duncan.” Le fece notare con una nota di rimprovero nella voce.
“Giuro che quel punk alla fine si ritroverà con qualche osso rotto” Ringhiò nervosa, facendo fuoriuscire parte della sua collera repressa.
“Perché scusa?”
“Perché è così sbagliato che non impara mai dai suoi sbagli. Non gli basta avere una ragazza, lui deve fare il salame con le svampite in disco.”
“Sai bene com’è fatto e dovresti esserne abituata.” Borbottò Dawn in lieve imbarazzo, faticando a credere che miss perfettina si stesse lasciando andare senza freni.
“Maledetta quella volta che l’ho baciato e ho deciso di fregarlo a Gwen.” Sibilò, ripensando a tutti i problemi che quell’idiota le aveva causato.
“Alla fine, però, siete tornate amiche.”
“Solo perché l’ho aiutata con Trent e mi consiglia continuamente con quello stupido di Duncan. Come facesse a sopportarlo non ne ho idea.”
“Ma lui ti piace, vero?”
“Se la smettesse con certe compagnie, forse potrebbe piacermi anche di più.”
“Io non so se è il caso di darti un consiglio simile.” Tentò Dawn, rimanendo sul vago.
“Di che consiglio parli?”
“Mai pensato di minacciarlo?”
“Minacciarlo? E come?”
“Forse dovremmo parlarne in privato.”
“Scegli te dove andare.” Soffiò Courtney, apprestandosi a seguire la compagna che la ricondusse in classe.
Aperta la porta e appurato che non vi fosse nessuno, Dawn si sedette sopra la cattedra, aspettando che la compagna le chiedesse come procedere.
Non credeva d’essere diventata improvvisamente così interessante. E non credeva nemmeno di essere un’esperta in amore. Forse Courtney avrebbe fatto meglio a parlarne con Zoey e Gwen: loro sì la sapevano lunga in questa direzione. Dawn, al contrario, poteva parlare per quell’amore sopito e assai fantasioso rivolto verso lo sconosciuto della chat.
Non poteva, però, ammetterlo chiaramente.
Quella voce sarebbe girata per l’intero liceo in nemmeno mezza giornata, passando di bocca in bocca e coinvolgendo pure i professori che avrebbero distorto ulteriormente la verità, trasformandola in una sciacquetta che si divertiva in giro e che non aveva chissà quali problemi a cambiare un ragazzo al giorno.
E con quella voce a pesargli sulle spalle, sarebbe stata esclusa ancora di più, complicando di riflesso l’appuntamento che avrebbe organizzato da lì a breve.
“Vedi Courtney, anch’io sono innamorata.”
“Non sapevo fossi fidanzata.” Affermò, fissandola sconvolta.
“Non stiamo ancora insieme, ma parlandoci ho capito di non potergli stare lontana.”
“Davvero?”
“Inizialmente era restio a incontrarmi, ma attraverso una serie di minacce sono riuscita a scroccare un appuntamento.”
“E chi sarebbe questo ragazzo?”
“Non dirlo a nessuno ti prego, ma temo che Scott mi piaccia.” Mentì, ben consapevole che Courtney non avrebbe mai fatto circolare una voce simile per timore di fare i conti con quell’orribile individuo.
“Non posso crederci.”
“È così.”
“Come può una ragazza così dolce e delicata essere innamorata di uno così marcio e disgustoso?”
“Lui è migliore di quello che sembra.”
“Deve essere così per forza.” Sorrise, giungendo alla medesima conclusione.
“Non so come sia potuto accadere, ma un pomeriggio sono salita sulla sua limousine e da lì non abbiamo fatto altro che parlare e mi sono innamorata di lui.”
“Proprio vero che gli opposti si attraggono.” Costatò con un sorriso irritante.
“Ovviamente siamo ancora un po’ incerti e lui fatica a lasciarsi andare, ma possiamo dire che tra noi è sbocciato qualcosa.”
“Potrebbe essere amore.” Suggerì la castana.
“Credo che quest’amore sia ancora un po’ bloccato, ma posso garantirti che non passa un’ora senza che io pensi a lui.” Ammise, sfoggiando un lieve sorriso.
“Lui, però, è bravo a fingere che non ci sia niente a sconvolgerlo.”
“Anche se non sembra, è molto romantico.”
“Non per frenare il tuo entusiasmo, ma non capisco cosa centri Duncan.”
“Scusa se ti ho raccontato questa storia un po’ noiosa, ma non credo tu abbia minacciato seriamente quello sciocco.”
“È la seconda volta che mi consigli di minacciarlo.”
“Non dire a Duncan che sono stata io a consigliarti così…sai avrei paura delle conseguenze.”
“Quali conseguenze?”
“L’hai detto tu stessa che le sue compagnie non sono per niente tranquille e gira voce che in mezzo ci sia qualche delinquente noto alle forze dell’ordine.”
“Da quando ascolti simili voci?” Chiese Courtney, fissandola intensamente, mentre Dawn faceva ondeggiare i piedi, come se si trovasse su un’altalena.
“Da quando le mie compagne potrebbero correre qualche pericolo e finire malamente.”
“Io…”
“Anche se non rientro nei tuoi calcoli, io ti considero una compagna preziosa. E che razza di persona sarei, se ti lasciassi nei guai e non ti mettessi in allerta?” Domandò Dawn.
“Non è vero.”
“Eh?”
“Non è vero che ti ho sempre ignorato: è solo che non sapevo come coinvolgerti nelle mie discussioni. Tu sei sempre stata così pura e innocente che temevo ti facessi un’idea sbagliata sul mio conto.” Ammise senza troppi giri di parole.
“Abbiamo due concezioni opposte e forse non siamo poi così diverse.” La rincuorò Dawn, mentre Courtney apriva la finestra per far entrare un po’ d’aria e per controllare che Duncan non stesse facendo una delle sue solite cazzate.
“Che dovrei fare secondo te?”
“Prendi in disparte Duncan e lo metti davanti a una scelta: o te o i suoi amici.”
“Io…”
“Se lui ti ama, finirà con l’accontentarti.”
“Non rischio di passare come una ragazza insicura?”
“Spiegagli ciò che provi: sei così disperata che lui possa finire male a causa di queste sue maledette compagnie che non trovi altra soluzione se non metterlo spalle al muro.”
“Però…”
“Potrebbe chiederti un po’ di tempo per riflettere, ma se tiene a te, non potrà resistere e finirà con il darti la risposta che desideri.”
“Perché non ci ho pensato prima?” Chiese Courtney, picchiettandosi un dito sulla tempia destra.
“Le persone innamorate non colgono subito una risposta così elementale e preferiscono fare strani giri.”
“Quanto hai ragione, Dawn.”
“Sono felice di averti aiutato.”
“Più di quanto immagini e se avessi bisogno di qualcuno che possa migliorare il carattere di Scott, non esitare a chiedere.”
“Stai tranquilla Courtney: so come tenerlo in riga.” La rincuorò, non aspettandosi che la compagna si avvicinasse e la ringraziasse con un abbraccio goffo che doveva essere un’assoluta rarità per una così orgogliosa.




Angolo autore:

Ryuk: Courtney compare.

E ha problemi con Duncan.
Niente di nuovo a questo mondo.

Ryuk: A proposito di Duncan...beh prima o poi comparirà.

Mi sembrava ovvio.
È solo che non ricordo bene quando, ma è solo un dettaglio.
Detto questo vi ringrazio per l'interesse, vi saluto e vi auguro una buona settimana.
A presto!
 

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Capitolo 12
*** Cap 12 ***


Le restava il gruppetto di Brick.
A osservare quei cinque, che discutevano amabilmente tra loro, non le sembrava troppo difficile portare a termine il compito che si era prefissata.
Dakota era guidata dal suo cellulare e rappresentava un’entità manipolabile senza troppi grattacapi.
Non era una ragazza molto sveglia e il suo intelletto se non era alla pari di un Lightning qualunque ci andava dannatamente vicino. Si diceva che fosse fidanzata con un nerd informatico della sezione E, uno di quei geni che avrebbe potuto dibattere per delle ore con Sierra su quale programma era migliore per penetrare le difese del sito scolastico e per modificare i vari voti.
Subito dopo, almeno nella scala delle difficoltà, veniva Anne Marie.
Di lei era arcinota la sua mania di laccarsi i capelli e di credersi una diva, anche se in verità era alla pari di una qualche stella decaduta di quint’ordine.
Urlava, sbraitava e pretendeva che il mondo le stendesse il tappeto rosso, ripetendo come un disco rotto che un giorno sarebbe diventata una cantante alla pari di quelle che seguiva tramite i vari settimanali. Avrebbe spodestato quella Lady da strapazzo, avrebbe schiacciato la strega Shak e sarebbe rimasta in vetta come dischi più venduti per decenni.
In ultima venivano le stelle di quel gruppetto che, per quanto sembrasse disomogeneo, rappresentava una solida realtà nella loro sezione.
Il braccio armato, se così si poteva definire per via dei suoi muscoli e del suo scarso intelletto, era il filosofico Lightning. Non c’era verso di risvegliarlo dal suo torpore: era costantemente assente, anche se in quell’anno i sintomi sembravano ancora più preoccupanti.
Un semplice esempio? La sua media, mai impeccabile, era crollata e lo stava trascinando verso un punto di non ritorno. Se non fosse stato per Scott, desideroso di autodistruggersi, sarebbe stato lo scemo del villaggio e quello in cui i professori avrebbero sperato per un miracolo.
Di questa compagnia mancavano solo due ragazzi, talmente uniti nell’amicizia e nel destino, che sembrava quasi impossibile dividerli.
Poteva sembrare una coppietta come tante, ma ad alcuni era giunto il dubbio che il buon vecchio Brick, al momento della proposta, fosse stato friendzonato senza colpo ferire.
Ne era rimasto un bel legame che per qualche strano motivo si era rinsaldato ancora di più.
Quel giorno, tuttavia, Dawn non aveva intenzione di cominciare con Brick e Jo.
Affrontare i capi di un gruppo, così come aveva imparato durante la visione di qualche film, non era mai la soluzione migliore.
Prima doveva convincere i più vulnerabili, poi parlare con quello meno attento e in ultima lanciarsi sui leader. Ignorare le gerarchie e saltare subito verso il podio, le avrebbe causato una botta micidiale.
Sperava che aiutare Dakota, appoggiare Anne Marie e magari sostenere Lightning, fosse sufficiente a Brick e Jo per aprire la via del dialogo e per riunire le due fazioni che si erano andate a creare.
Da una parte Gwen e dall’altra Brick.
Entrambi sembravano spingere per un clima di pace, ma il loro dannato orgoglio sembrava un ostacolo insormontabile.
Se loro non rischiavano e non incollavano quei pezzi, Dawn era pronta e determinata a essere il collante di cui avevano bisogno. E in tal proposito ne aveva discusso appena 24 ore prima con il moderatore della chat.
 
“Sicura che sia l’opzione migliore?” La interpellò dopo aver ascoltato i suoi progetti.
“Quale altra scelta mi resta?”
“Potresti rassegnarti: hai conquistato un gruppo intero, perché non dovresti accontentarti?”
“Non voglio ricordare questi anni come una classe che non è riuscita a compattarsi.”
“Non credo di riuscire a essere imparziale in situazioni simili.”
“E la tua classe?”
“La mia classe non è unita da un legame poi molto profondo: se qualcuno affonda, lo lasciamo affondare senza ripensamenti.”
“La cosa mi sembra insensata.”
“Devi capire, utente 0021, che nessuna sezione è così fluida come speri. Ci sarà sempre un elemento discordante che rovinerà la melodia che vorresti creare.”
“Stai parlando di Scott?” Chiese Dawn.
“Anche nella mia scuola ci sono persone difficili, ma non è che in loro assenza qualcuno provi a sistemare la situazione. Quando ci sono sfiducia e scetticismo fin dal primissimo giorno, puoi stare certa che nessun miracolo può salvarti da una foto tanto ipocrita quanto inutile.”
“Dovrei rinunciare secondo te?”
“Qualunque sia la tua scelta, arriverai a un bivio.”
“Un bivio?”
“Puoi fallire miseramente o compiere questa grande impresa, ma c’è sempre un bivio ad aspettarti. Ogni giorno è un bivio continuo e se alcune volte puoi rimanere ferma, in attesa che qualcuno prenda una decisione al tuo posto, altre volte sarai costretta a chiudere gli occhi e a seguire il tuo cuore.”
“Di che bivio stai parlando?” Chiese nuovamente, preoccupata da quelle parole che avevano fatto vibrare il suo pc.
“I due gruppi possono unirsi o possono dividersi ancora di più.”
“Questo lo so.”
“Sai anche che passato il primo ostacolo, te ne troverai un altro sul tuo cammino?”
“Di che parli?”
“Non hai risolto tutti i problemi nei quali ti eri ficcata e il nome che hai cancellato dalla tua lista ritornerà con prepotenza.”
“Come?”
“Ammettiamo, per un solo istante, che tu sia così incredibile da riuscire a unire la classe, escludendo però dal calcolo quella macchia che tu detesti. Saresti soddisfatta nel notare che uno solo dei tuoi compagni è chiuso nell’angolo, mentre tu e gli altri potete divertirvi, quanto vi pare? E questo solamente perché non hai avuto pazienza e ti sei lasciata trascinare dalle emozioni.”
“Non so cosa pensare.”
“Lui resterà lì, tu potrai ridere quanto vuoi, ma in cuor tuo ti sentiresti colpevole. Volevi lottare fin dall’inizio perché tutti potessero essere sulla stessa lunghezza d’onda, ma nell’escludere una persona, trasformi il tuo impegno in una specie di dittatura.”
“Come?”
“Oggi è quello Scott, domani sarà un Mike che non ti suggerisce durante la verifica più importante dell’anno, dopodomani quello del progetto di scienze che vuole prendersi tutti i meriti e che vuole il trofeo tutto per sé. Alla fine crei un mondo distorto, la tua classe si disintegra di nuovo in milioni di pezzi e solo perché hai escluso una persona che non conosci a fondo.”
“Sei fin troppo negativo.”
“Non voglio distrarti dai tuoi progetti, ma basta una mela marcia per rovinare un cestino invitante.”
“Che cosa dovrei fare?”
“Utente 0021, giunti a questo punto, non riesco a darti un consiglio diretto.”
“Cosa?” Domandò sorpresa per quell’affermazione insolita e che non credeva di cogliere in una persona così preparata.
“Sappi, però, che se hai intenzione di fermarti e di non coinvolgere tutti nel tuo desiderio, noi non potremo mai incontrarci.”
“Non è giusto.”
“Non puoi chiedermi d’incontrarti così a cuor leggero.” Spiegò il moderatore, cercando le parole migliori con cui affrontarla.
“Avevi promesso.”
“Tante persone promettono e poi non mantengono. Perché dovrei essere tanto diverso da quelli che tu disprezzi tanto? Magari sono un po’ come Scott, magari sono un solitario…o forse sono un po’ come Mike, o come Gwen o come quella pazza amante dei blog.”

“Ti prego: voglio incontrarti.”
“Guarisci la tua classe e mi troverai all’indirizzo che più ti piace.”
“Devo guarire anche lui?” Domandò Dawn.
“Soprattutto.”
“Cercherò di fare del mio meglio.”
“So che pretendo troppo, anche perché io stesso non sono riuscito a far andare tutti d’accordo, ma confido in te, utente 0021.”
“Grazie della fiducia.”
“Sento che è ben riposta.” Digitò il moderatore, salutando la sua utente e augurandole buona fortuna per il suo nuovo obiettivo.
 
Da che aveva memoria, Dawn faticava a ricordare una ricreazione dove Dakota non mangiasse sempre le stesse cose.
Prendeva delle misere gallette di riso, una lattina di thè verde e poi si metteva in disparte ad ascoltare i discorsi di Brick e gli altri.
Quella mattina, tuttavia, era impegnata al telefono. Fin troppo impegnata per i gusti dei professori, tanto che il vecchio Hatchet le aveva messo una nota di richiamo sul registro e l’aveva spedita fuori dall’aula.
Che Chef non fosse uno stinco di santo questo era risaputo e la notizia che una delle sue allieve potesse essere scelta per un qualche spettacolo, non l’aveva di certo intenerito o spinto a chiederle un qualche autografo per premunirsi nel caso fosse diventata famosa e quel pezzetto di carta fosse arrivato a raggiungere un valore inestimabile.
Dawn sperava che, criticare un professore, le permettesse di fare breccia e le consentisse di aprire un dialogo con quella compagna che in tanti avevano sempre sminuito. A fissarla c’erano parecchie domande che ronzavano per la mente di Dawn. Per quale motivo Brick l’aveva scelta se poi quest’ultima era calcolata solo in minima parte? Era solo per senso di colpa o perché aveva letto in lei un qualcosa di raro e sconvolgente?
A queste domande nessuno era ancora riuscito a dare risposta, anche se la pietà suscitata da quella fanciulla poteva essere una spiegazione più che sufficiente.
“Se mia madre viene a sapere della nota, sono rovinata.” Mugugnò Dakota, rigirandosi il cellulare tra le mani, non sapendo se fosse il caso di mandarle un messaggino o di attendere d’essere sedute sullo stesso tavolo per la solita pizza del venerdì.
“E tu non dirglielo.” Tentò Dawn, facendola sussultare.
“Ottimo consiglio, non c’è che dire.” Replicò, girandosi a controllare da chi provenisse un’idea simile.
“Scusa, ma ho origliato senza volerlo.”
“E da quando uno origlia un qualcosa senza farsi gli affari propri?”
“Io…”
“Ci manca soltanto che mi metta a litigare con una squinternata: allora sì che la mia giornata può volgere davvero al meglio.” Sospirò con sarcasmo, addentando una galletta.
“Io sarò anche una squinternata, ma di certo non mi dispero per una nota.” Concesse, sedendosi vicino alla compagna.
“Quel prof è solo un invasato.”
“Oltre che burbero, tirannico e nevrotico.”
“Ottima descrizione, non c’è che dire.” Ridacchiò, sorseggiando la lattina di thè verde che era l’unica cosa passabile che riusciva a coprire il gusto disgustoso della sua merenda dietetica.
“Nessuno è perfetto.”
“Così dicono.”
“Anche se dubito che ti aspettassi da una squinternata come me, parole di disprezzo verso un professore che cerca solo di fare il proprio lavoro.”
“Io…”
“C’è sempre una sorpresa, anche nelle persone più odiate.”
“Perché credi che dovrei fare tanta fatica nell’odiarti?” Chiese Dakota.
“Non sei stata tu a dire che sono una matta?”
“Anche se sei diversa, ciò non significa che io provi odio verso di te.”
“Ma…”
“Non ne capisco il motivo, ma a volte credo d’invidiarti, Dawn.”
“Solo perché sono brava a scuola, ciò non significa che tu debba provare invidia.”
“Credi davvero che io provi invidia per la tua intelligenza?” Domandò Dakota, sfoggiando un sorriso irritante.
“In che cosa allora?”
“Sei una ragazza dolce come il miele e hai un carattere che si concilia con quello delle persone che ti circondano. Credimi: è un po’ difficile tenerti lontano, anche perché, ascoltando i pettegolezzi del gruppo di Gwen, riesci a toccare i tasti giusti.”
“E allora perché tutti mi evitavano?” S’informò Dawn, mangiucchiando un pezzo della sua merenda.
“Perché siamo degli idioti e non riusciamo a leggere aldilà del nostro naso.” Minimizzò, scrollando le spalle e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli.
“Tutto qui?”
“Penso di sì.”
“Forse prima sono stata un po’ bugiarda. Io credo che tu debba dire a tua madre di quella nota.”
“Quando mi sono svegliata questa mattina, sentivo a pelle che era una pessima giornata e che mi stavo gettando verso una direzione sbagliata.”
“La notte di solito porta consiglio.” Borbottò Dawn, facendola inspirare profondamente.
“Probabilmente l’angioletto che dovrebbe darmi qualche aiuto è in ferie e ha lasciato il suo posto a qualcuno che non ha le idee ben chiare.”
“E cosa avresti percepito?” Soffiò, sperando che Dakota continuasse a confidarsi.
“Non dovevo accettare chiamate importanti, mentre sono a scuola.”
“Se era una cosa importante, non dovresti prendertela eccessivamente con te stessa e poi tua madre potrebbe capire.”
“E con chi dovrei prendermela scusa?”
“Se una cosa ti sta a cuore e pensi che una telefonata potesse migliorare la tua giornata, perché dovevi farti qualche scrupolo? In fin dei conti si tratta della tua vita, della tua felicità e una madre dovrebbe sostenere e alimentare i desideri della propria famiglia.”
“Mia madre? Non capisce i miei sogni nemmeno se glieli scrivo in triplice copia.” Sputò acida, ricordandosi tutte le sue aspettative puntualmente scartate.
“Ma…”
“Dovevo dare retta a papà, quando mi pregava di andare a vivere con lui.”
“Non so.”
“Mi avrebbe garantito una vita fantastica, ma poi mamma sarebbe rimasta sola e non volevo vederla piangere.”
“Non capisco.” Borbottò Dawn, facendole alzare lo sguardo a fissare il sole.
“Che cosa vuoi capire? Sono figlia di divorziati: Pasqua da una parte, Natale da un’altra, una domenica dai nonni di città, quella successiva da quelli in periferia. La normale vita di una famiglia che non va più d’accordo.” Brontolò rassegnata.
“E non puoi nemmeno rinfacciarle questo per realizzare ciò che desideri.”
“Sarebbe una carognata e poi si trattava solo d’inseguire un sogno.” Sbuffò Dakota, scrollando le spalle come se quel desiderio si fosse appena frantumato.
“Non dovresti rinunciare mai ai tuoi sogni, Dakota.” La pregò Dawn, facendola sorridere mestamente.
“Sai cosa si prova?”
“Io ho un sogno che non realizzerò mai, ma continuo a provarci.”
“Quale?” Domandò la compagna, mentre la piccola Dawn continuava a sgranocchiare i suoi cracker leggermente salati.
“All’inizio desideravo diventare amica di tutta la classe, ma credo sia un sogno leggermente arrogante. Mi accontenterei, a questo punto, di vedere una buona sintonia.”
“Ma…”
“E tu, Dakota, vorresti rinunciare al tuo sogno solo perché tua madre si oppone e temi possa renderla infelice?”
“Dawn…”
“Quale sarebbe il tuo sogno? Giuro che non lo dirò a nessuno.” Promise, mentre la compagna si guardava intorno, sperando che non vi fosse nessuno a origliare la loro conversazione.
Appurato che la più vicina forma di vita fosse molto distante, si lasciò scappare un sospiro e poi si voltò verso di lei.
“La modella…vorrei fare la modella.” Rispose sinceramente, abbassando il tono di voce.
“È un sogno ambizioso non c’è che dire, ma potresti farcela.”
“Io…”
“È giunto il momento che tu prenda in mano la tua vita. Devi proseguire sulla tua strada e, anche se fallirai e temerai di aver deluso tua madre che vorrebbe vederti su altri orizzonti, non devi mai perdere di vista il tuo obiettivo. Pensi che, facendo la modella, potresti essere felice?”
“Ho già fatto i primi provini di nascosto.” Borbottò la compagna.
“E dalle telefonate importanti che stavi aspettando, intuisco che almeno uno ti è andato bene.”
“Sì.”
“Ovviamente non voglio essere artefice di un pessimo consiglio e non ti chiedo di abbandonare gli studi per inseguire il tuo sogno. Prova soltanto a tenere un equilibrio, parla con tua madre, invitala a qualche provino e falle capire quanto tu tieni a questo sogno.”
“Io…”
“E se poi sarà destino e la fortuna girerà per il verso giusto, ti auguro di essere in posa su qualche bella rivista, Dakota.”
“Me lo auguro anch’io.” Soffiò di rimando, mentre la campanella interrompeva la ricreazione.
“Credo sia il caso di andare, sempre che tu non abbia desiderio di un’altra nota e che tua madre non vada in bestia.”
“Un’altra nota? Se vuoi vedere mia madre che m’insegue per il giardino con tanto di mazza da golf, ti conviene trattenermi.”
“Lasciare un amico nei guai non può renderti felice o farti sorridere.” Spiegò Dawn, facendola annuire con convinzione.
“Beh…grazie Dawn.”
“L’ho fatto volentieri.”
“Sai…forse nemmeno il tuo di sogno è poi così lontano dal realizzarsi.” La rincuorò Dakota, seguendo la compagna per i corridoi della scuola e confidandole che anche Anne Marie aveva un sogno molto simile al suo.
Felice di averla liberata da quel fardello che Brick e gli altri non erano riusciti ad alleviare, si stupì di notare che quel piccolo gruppo non era poi così lontano da quello formato da Gwen.
Ne mancavano pochi e la loro classe sarebbe stata finalmente unita.






Angolo autore:

Ryuk: Oggi siamo leggermente di corsa e per questo ci scusiamo di eventuali errori e di questo angolo assai breve.

In più fa caldo, terribilmente caldo.
Sia dannata l'estate!
A presto!
 

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Capitolo 13
*** Cap 13 ***


Chi gli vietava di smembrare un gruppo che l’aveva sempre considerato e additato come una mela marcia?
Non aveva mai badato a simili considerazioni, ma nulla gli vietava di legarsi al dito quella provocazione e di meditare vendetta.
Prima o poi tutti avrebbero avuto quello che si meritavano e quel giorno, proprio perché non c’era nulla di diverso a riempire la classica monotonia di sei ore scolastiche, si era deciso di passare all’azione.
Era stata solo questione di tempo. Aveva provato a chiedersi perché dovesse abbassarsi a un livello inferiore e dibattere con qualcuno che non riusciva a sostenere la sua tesi e non aveva trovato risposta.
Doveva essere divertente privare un qualsiasi gruppo della sua solidità e prendere i suoi membri in disparte per annientarli. Non temeva di sporcarsi le mani e poi loro non avrebbero mai rischiato di dirglielo in faccia e di offenderlo in quel modo.
Serviva un genio per farglielo capire?
Dopotutto, se era sempre rimasto in un angolo a osservarli mentre cercavano di conquistare chissà cosa, un motivo doveva pur esserci.
E anche se si fosse lanciato e avesse incasinato tutto, cosa poteva rischiare?
Nessuno poteva prenderlo per la maglia e sbatterlo al muro, sempre che ne fosse capace e non si ritrovasse con un bell’occhio nero da esibire in pubblico.
Di certo non aveva un obiettivo in particolare e secondo molti, lui apparteneva alla categoria di quelli che vogliono solo vedere bruciare il mondo. Apocalittica ed estrema fino in fondo l’opinione dei suoi compagni di classe.
E se loro erano semplice feccia, chi gli vietava di parlare con l’unico che poteva comprenderlo, ma che aveva la fortuna di essere membro del gruppo di Brick?
Lightning sapeva bene cosa si provava a starsene in disparte. Era amico dei leader, ma non era preso in grande considerazione. E Scott in quel periodo, oltre a essere terribilmente annoiato e senza un passatempo degno di entusiasmarlo, si chiedeva perché non potesse stravolgere l’ordine prestabilito delle cose.
L’equilibrio non era così malvagio, ma il caos doveva essere qualcosa di molto meglio. E quella mattina, entrambi seduti sulle tribune della palestra ed esautorati da qualsiasi attività fisica, uno per la nota pigrizia che lo accompagnava e gli si appoggiava sempre sulla schiena e l’altro per un lieve infortunio alla caviglia destra, poteva arrischiarsi in quel compito.
“Una giornata equivale l’altra, giusto Lightning?” Esordì, notando come stesse guardando più il cellulare che le flessioni dei suoi compagni.
“Eh?” Sussultò il ragazzone, nascondendo quella distrazione che credeva gli permettesse quelle due ore scarse in santa pace. Gli pareva semplicemente impossibile che qualcuno si avvicinasse, sempre che non si trattasse di custodire lo zaino o per cronometrare quanto tempo impiegava prima di far sclerare il professore.
D’altro canto non si aspettava qualcosa dall’altro infortunato: alla fine si trattava di Scott e quest’ultimo non gli avrebbe rivolto la parola neanche se fosse stato imparentato con qualche personaggio famoso e avesse avuto una qualche influenza su quella scuola.
“Non sei stanco di essere quello che resta sempre in disparte?” Riprese il rosso, parlando velocemente e non dandogli il tempo di riflettere con la dovuta attenzione.
“Che te ne frega?” Replicò con irruenza.
“Non essere così aggressivo: noi due siamo più simili di quanto non sembri.” Ridacchiò, sfoggiando un ghigno diabolico.
“Io non voglio avere niente a che fare con te.”
“Questo è interessante: sei ignorato dai tuoi pochi amici e la cosa ti dà fastidio e non vuoi discutere con qualcuno che può capirti egregiamente.”
“Come?”
“Anch’io sono sempre stato escluso: dalla scuola, ai club sportivi e anche in famiglia sono quello più ignorato.”
“Io non sono come te.”
“Se non fossi come me, a quest’ora ti saresti già alzato e avresti chiesto al prof di aiutarlo a predisporre gli attrezzi per la prossima prova.” Replicò, fissando i suoi compagni che continuavano a saltellare come delle cavallette.
“Che cosa ti serve infine?”
“Vedi Lightning, ci sono persone che possono impegnarsi a fondo per un obiettivo che non raggiungeranno mai.”
“Di che parli?”
“Mike è il solito idiota che vuole essere fedele a Zoey, Cameron ambisce a diventare un genio, Courtney è una di quelle che ha predisposto la sua vita con chissà quanti anni di vantaggio, Dawn vorrebbe unire la classe in un unico gruppo, Gwen e i due fidanzatini sono troppo distratti per preoccuparsi degli altri, Dakota e la cantante continuano a pensare con un unico cervello, i tuoi amichetti desiderano solo comprovare la superiorità dei propri mezzi e poi ci siamo noi due: gli eterni indecisi.” Elencò distrattamente, senza preoccuparsi eccessivamente di stroncare le sicurezze del compagno.
“Che cosa…”
“O sfigati se preferisci.” Si corresse, inspirando profondamente.
“Non puoi pensare di conoscerli tutti.” Replicò il compagno, facendolo negare con decisione.
“In tutta la loro inadeguatezza e con i tipici fallimenti giovanili, posso dirti di aver conosciuto i tuoi amici meglio di te.”
“Mi stai solo provocando!” Ringhiò, facendolo sorridere.
“Forse…o forse sono spudoratamente sincero.”
“Non è vero.”
“Se non lo fossi, e mi ripeto per l’ultima volta, a quest’ora starei parlando da solo.” Seguitò, mostrando la genialità della sua tesi.
“Io…”
“Vuoi sapere chi di loro è un vigliacco? Vuoi sapere chi non riuscirà mai a stare sulle proprie gambe senza avere qualcuno che gli sorregga il culo?”
“No.”
“Pensavo volessi conoscere i miei difetti, ma evidentemente mi sbagliavo.” Mugugnò il rosso, scrollando le spalle.
“Non capisco a cosa tu stia mirando.”
“Ora che ti ho elencato queste semplici bugie, posso dirti con certezza di chi puoi avere fiducia e chi, invece, si meriterebbe un calcio ben assestato.”
“Ma davvero? Non pensavo fossi così sveglio e intraprendente.” Lo provocò, sfidandolo apertamente e cercando di non soccombere dinanzi alla sua logica schiacciante.
“Brick e Jo stanno con te solo per pietà.”
“Stai mentendo!” Tuonò, facendolo sospirare.
“Se l’ho notato io che me ne sono sempre fregato della vostra amicizia, fidati che non siamo poi così distanti dalla realtà.”
“E gli altri allora?” Domandò, esortandolo a continuare.
“Quelli del gruppo di Gwen sono coesi e non ti porgeranno mai un aiuto, Dakota e Anne Marie sono perse nel loro frivolo mondo, mentre Brick e Jo ti considerano solo un galoppino e sono capaci di badare ai fatti propri.”
“Eh?”
“Toglimi una curiosità: quanti segreti hai raccontato finora al tuo gruppetto?” Chiese il rosso, stiracchiandosi gli arti indolenziti.
“Credo una decina abbondanti.” Confessò, fissando negli occhi il compagno che gli stava facendo perdere tutte le sue sicurezze.
“E immagino che i tuoi amichetti abbiano contraccambiato, confidandoti chissà quali peccati e insicurezze giovanili. Magari sei venuto a sapere della nota allergia di Brick per il polline, oppure qualche rana ha spiazzato l’inflessibile Jo. O forse qualcuno ti ha detto che Anne Marie è stata cacciata mesi fa da una casa discografica perché ha fatto venire, con le sue pretese, l’emicrania al produttore.”
“Ma come fai a sapere tutte queste cose?” Chiese Lightning, suscitando nel compagno una risata.
“Non ti fidi di me, eppure hai ascoltato queste bugie, credendo che i tuoi amici ti avessero sempre ingannato e avessero giocato con il tuo cuore. Mi hai ascoltato perché nessuno ha contraccambiato le tue gentilezze e stai cercando qualcosa che possa saldare il debito che hanno contratto nei tuoi confronti.”
“Loro dicevano sempre che non era il tempo, né il luogo adatto.”
“Ma certo: finché gli raccontavi i tuoi segreti più inconfessabili o i tuoi peccati, poi loro non dovevano confessarti la loro terribile fobia degli aghi o dei serpenti.”
“Di che parli?”
“Sei d’accordo con me che in un gruppo che si rispetti deve esserci fiducia reciproca, vero?”
“Sì.”
“E la fiducia si merita.”
“Continuo a non capirti.” Ammise Lightning.
“Prova a guardarti intorno e capirai la differenza che c’è tra il gruppo di Brick e quello di Gwen.”
“Ne fai parte anche tu?” Domandò, credendo di aver intuito le sue intenzioni. Era convinto che lui volesse solo destabilizzare il suo gruppo, per trascinarlo in quello della dark e per ricevere una qualche ricompensa che finora non aveva ancora confessato.
“Non ci penso nemmeno lontanamente.”
“E allora perché cerchi di aiutarmi?”
“Perché mi annoio.” Borbottò, distraendosi a fissare gli esercizi degli altri.
“Ti annoi?”
“Quando non fai parte di un club, non hai grandi amici e la tua famiglia ti calcola solo marginalmente, dovresti ricercare un qualcosa che possa dare sfogo alla tua creatività. Duncan è troppo ottuso e si accontenta di malmenare e ricattare qualche stupido nerd per non avere preoccupazioni. Con tanto tempo libero mi erano rimaste solo due scelte: potevo trovarmi un hobby o divertirmi alle spalle di qualcuno.”
“E tu hai scelto?”
“Ho unito le cose: mi diverto alle spalle della classe e al contempo sto tentando di favorire la vostra conoscenza.”
“Che cosa nobile!” Commentò sarcasticamente Lightning.
“Io sarò anche nobile, ma non dire a nessuno che la tua famiglia sta pensando di trasferirsi in un altro Stato è una vera carognata.”
“Ma come…”
“Prima di lavorare preferisco indagare sulle persone che ricevono i miei aiuti.”
“Non mi hai detto come fai a saperlo.” Sputò nervoso, preoccupato che qualcuno sapesse di quel segreto che non aveva ancora sviscerato in giro.
“Conosco il Preside come le mie tasche, so come ricavarne i segreti, facendogli credere che diventerò una persona migliore e così ottengo tutte le mie informazioni.”
“Questa è violazione della privacy.”
“Oh…perché ti metti a usare parole simili? Basta che vai dal vecchio e gli chiedi qualche peccatuccio sul mio conto: lui sarà ben felice di risponderti.”
“Perché?”
“Perché è il nostro accordo: lui mi racconta i dettagli più scabrosi ed io gli concedo di raccontare qualcosa, semmai qualcuno avesse interesse nei miei confronti. In questo modo la tua accusa cade e si scontra con un semplice scambio di confidenze.”
“Ma che cavolo!” Imprecò, evitando di usare qualche espressione ben più colorita che, se fosse stata percepita dal professore o magari registrata da quel genio diabolico, gli sarebbe valsa un’espulsione con i controfiocchi.
“E poi ti parlo per esperienza: in alcuni momenti, quando sei in disparte, hai il mio stesso sguardo ed io devo essere l’unico ad averne il monopolio.”
“Anche tu?”
“So cosa si prova a viaggiare e ad abbandonare gli amici con cui hai legato e che non rivedrai mai più. La mia è solo una teoria, ma che senso ha costruire un rapporto se poi è destino che esso vada in frantumi?”
“Si tratta di essere felici.”
“E d’ingannare sé stessi. Guarda bene alle tue priorità: è meglio avere degli amici con cui ridere e scherzare o non ferire inutilmente il proprio cuore?”
“Scott…”
“In verità la mia famiglia non mi ha mai dato troppo peso, ma se i tuoi genitori ti calcolano per la loro felicità, allora potresti opporti e continueresti a venire in questa squallida scuola.”
“Ci sto ancora pensando.”
“Da una parte puoi resettare tutto e lasciarti questo alle spalle, dall’altra ti basta correggere il tiro e non faresti più parte della feccia che tutti evitano. La scelta è soltanto tua e non riguarda né me, né gli altri idioti che solo per miracolo riusciranno mai a darti ascolto.”
“Prima dicevi, però, che qualcuno potrebbe aiutarmi.” Obiettò, mettendo un freno ai suoi discorsi al limite del catastrofico.
“Non devi cercare troppo a lungo per le varie sezioni. Ti basta entrare nella nostra classe, guardarti intorno e noteresti che in alcune settimane Dawn è riuscita a costruire un buon rapporto con quelli del gruppo di Gwen oltre che con Dakota e Anne Marie.”
“Lei?” Chiese, fissando il compagno come se avesse appena detto una delle peggiori castronerie della sua breve vita.
“È diversa da come l’abbiamo sempre considerata.” Ammise, difendendo la seccatura da eventuali rimostranze.
“Non è che questo sia solo frutto di un tuo piano?” Continuò, dubitando della veridicità dei consigli di Scott.
“Perché dovrebbe?”
“Perché giorni fa l’ho vista salire sulla tua limousine.”
“Tutto qui? Esco pure con Duncan, ma non mi sembra che lui abbia strane tendenze o che mi abbia riempito il diario di cuoricini.” Replicò con ironia, augurandosi che il punk non cambiasse mai sponda e non lo trovasse un minimo attraente. Al solo pensarlo oltre a sentire la colazione ritornargli su, avvertì il ribrezzo e si strinse nelle spalle.
“Non intendevo dire questo.”
“Ah no?”
“Potresti provare qualcosa nei suoi confronti.”
“A differenza tua, che sbavi ancora dietro ad Anne Marie, nonostante ti abbia friendzonato per tre volte consecutive, io non mi sono mai illuso inutilmente. Nessuno concederà una speranza a chi è responsabile di un danno o a chi è solo feccia.” Borbottò il rosso, alzandosi dalla tribuna e avviandosi verso l’uscita, consapevole d’aver dato un aiuto prezioso alla compagna di classe.
 
Uscito in giardino, credeva di meritarsi un po’ di relax.
La cosa che, però, più odiava della palestra, oltre agli attrezzi marci e distrutti con cui si allenavano abitualmente, era da ricercare nello spazio che c’era sotto la platea dove aveva discusso con Lightning.
Quello era un posto a prova di bomba per evitare tutte quelle lezioni che tendevano a far addormentare le persone o per fumare e passarsi le soluzioni delle verifiche in santa pace.
E Scott aveva quasi dimenticato che quella era la tana del vecchio Duncan. Proprio questo maledetto tossico, così lo chiamava scherzosamente, gli si era fatto avanti, trascinando lo zaino e tenendo tra le labbra una sigaretta dalla dubbia provenienza.
Nel sentire il suo passo pesante e quella tosse che lo accompagnava da quasi due anni, capì subito chi era la sciagura che gli avrebbe rovinato anche quei pochi minuti.
“Dunky.” Lo accolse, girandosi a colpo sicuro.
“Fanculo te e quel soprannome del cavolo.”
“Hai bisogno di qualcosa?”
“Da quando hai problemi di cuore?” Chiese Duncan, guardando storto alcuni ragazzini di seconda che si allontanarono immediatamente.
“Tossico, punk e metallaro…fai davvero paura Dunky.” Borbottò Scott, assecondando le reazioni di quelli più giovani che probabilmente avrebbero fatto manca.
“Smettila di chiamarmi così.”
“Diventare un altro solo per colpire la tua famiglia, è stata una pessima scelta.”
“Smettila di tirare fuori questa storia e dimmi che intenzioni hai con quel babbeo di Lightning.”
“E da quando consideri importante ciò che dico? Solo perché sono l’unico che ascolta i tuoi scleri con Courtney, ciò non significa che m’importi qualcosa della tua vita.”
“Questo lo so.” Replicò, spegnendo l’entusiasmo dell’amico.
“Siamo alle solite.”
“E come sempre non mi spieghi nulla di ciò che è successo prima che entrassi in questa scuola.” Borbottò deluso il punk, aspettandosi una spiegazione valida.
“Sprecherei solo fiato.” Minimizzò, scrollando le spalle.
“Vorrà dire che andrò dal vecchio e gli chiederò qualche segretuccio sul tuo conto.”
“Guarda che con Lightning stavo solamente bluffando: adoro forzare l’archivio e leggere i vostri documenti privati.”
“Gli hai mentito?”
“Non indagherà mai con il Preside: ha troppa paura per avvicinarsi e per chiedergli qualcosa sul mio conto. E poi il vecchio sarebbe capace di espellerlo: potrebbe considerarlo come una scocciatura che lavora per mio conto e che intende solo fargli perdere le staffe.”
“E immagino che nell’archivio non ci sia nulla di sconvolgente sul tuo conto.” Intuì Duncan, facendolo annuire.
“C’è solo la storia della frattura al polso del primo anno e qualche scherzetto che non vale più nulla. Le parti più intriganti e che potrebbero danneggiare la mia immagine sono già state recuperate durante il terzo anno e puntualmente faccio una capatina in ufficio per essere certo che il vecchio non mi stia facendo qualche brutto tiro.”
“Sei una vera seccatura: atterri sempre in piedi!” Protestò Duncan, cercando l’accendino.
“Il mio passato, poi, è una grande voragine ed è meglio che tu non ne faccia parte.”
“Che freddezza!”
“Perché tu giochi per rendere felici gli altri, Dunky.”
“Io almeno parlo in faccia alle persone e non mi nascondo per la paura.”
“Già.” Confermò il rosso, sfoggiando un ghigno irritante.
“Che cosa vuoi ottenere con questo comportamento? Sai che nessuno ti seguirà mai se continui ad approfittarti delle debolezze altrui?” Chiese il punk, sperando che quello scambio l’avesse reso più malleabile e, quindi, più propenso a lasciarsi andare a confidenze.
“Purtroppo nemmeno tu, Dunky, meriti di conoscere i miei segreti.” Soffiò triste, regalandogli un raro sorriso.
“Dunky lo dici a tua sorella.”
“Proprio lei…hai tirato in ballo una che ha più voglia di viaggiare che neuroni per pensare.”
“Ne hai per tutti, vero?”
“A quanto pare.”
“Pare che non ci sia nessuno a meritarsi le tue parole d’elogio.”
“Così come sono considerato una persona disgustosa e la peggiore ad aver mai passeggiato per i corridoi della scuola, allo stesso modo, per ripicca, io mi sento di escludervi tutti dalla mia vita.” Ghignò, sedendosi sui gradini e credendo, con quelle parole infelici, di essersi tolto di torno anche il punk. Gli bastò rialzare lo sguardo per accorgersi che lui era ancora al suo posto e che ne aveva approfittato solamente per accendersi la sigaretta.
“Perché non ti fidi degli altri?” Chiese il punk, fissandolo intensamente.
“Nessuno ti para mai il culo, quando ne hai bisogno.”
“E quindi intendi scappare senza dare possibilità a Dawn e agli altri di conoscerti?”
“Precisamente.”
“Chi vuoi allontanare in questo modo? Dimmi solo questo.” Continuò Duncan, sfidando la poca pazienza dell’amico.
“Tutti quanti. Va bene?”
“Adesso sì che ci siamo.” Ghignò di rimando, facendolo sbuffare.
“E invece non ci siamo per niente, Dunky. Siamo al solito punto morto di ogni giovedì sera.”
“E quale sarebbe il tuo problema? Perché sei incazzato con il mondo intero?”
“Forse è il mondo intero ad avercela con me.” Obiettò il rosso.
“Non credo proprio.”
“Sai Dunky…avevo qualche amico anni fa, ma mi hanno voltato tutti le spalle. Non so perché l’abbiano fatto o se si sono pentiti della loro scelta, ma da quel giorno diffido di quelli che mi guardano e promettono di stare al mio fianco.”
“E quindi dubiti anche della tua classe.”
“Tieniti stretto quello che hai e che non vuoi perdere Duncan: un giorno potresti pentirti di aver dato qualcosa per scontato e a quel punto sarebbe troppo tardi per rimediare e per diventare una persona migliore.”
“Io…”
“Se sei fortunato, puoi mettere una pezza alla tua storia, mentre la mia è fin troppo rovinata per pregare in un miracolo.” Borbottò placido, alzando lo sguardo verso il cielo e distendendosi al suolo per riposare.
Di Duncan, per un po’, sentì solo il puzzo delle sue sigarette e poi la sua tosse si allontanò ancora, segno che c’era una lezione che non poteva perdere e che gli avrebbe permesso d’intravedere, anche se solo per pochi minuti, la sua adorata Courtney.
Scott, nel dischiudere gli occhi, pregò che almeno lui seguisse i suoi consigli e che non sprecasse la sua vita in azioni scellerate che potevano far soffrire chi lo circondava. Era ancora in tempo per risalire la china e per scrollarsi di dosso l’immagine di bullo che i primini gli avevano ingiustamente affibbiato.






Angolo autore:

Ryuk: E questo sarebbe lo stesso Scott di qualche capitolo fa?

Sorpreso?
Sono stato discretamente bravo.
Cosa ne dite, cari lettori? Sappiamo qualcosina in più sul passato di Scott e, senza volerlo, pure Lightning ci presenta le sue preoccupazioni.

Ryuk: Solo per l'aiuto involontario dato a Dawn, Scott meriterebbe una cena.

La fai facile Ryuk.
Il nostro Scott l'ho reso ambiguo al punto giusto.
Sperando che vi piaccia questa evoluzione, oltre all'introduzione di Lightning e Duncan, vi saluto e vi auguro una buona settimana.
A presto!




 

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Capitolo 14
*** Cap 14 ***


E pure Lightning era caduto nella sua trappola.
Brick non riusciva a credere che quello scemo facesse comunella con il gruppo di Gwen e che si divertisse in quel modo.
Poteva accettare Dakota che aveva un solo neurone a disposizione oppure Anne Marie che contava sulla sua bomboletta di lacca per prendere una decisione, ma era sgomento nel sapere che il suo migliore amico l’aveva tradito.
Gli restava pur sempre Jo, ma ciò non gli sembrava sufficiente.
Quando varcò la porta dell’aula quella mattina e lo vide parlare amabilmente con Cameron rimase scioccato: era come se avesse appena ricevuto il colpo da KO dal miglior pugile in circolazione.
E non stavano solo parlando, si stavano pure confrontando su dei ripassi che potessero migliorare la media scolastica di Lightning. Il secchione che aiutava l’ultimo in graduatoria: gli pareva di vederli già in biblioteca con il primo che sclerava per via della scarsa attenzione del secondo.
E non erano gli unici.
Dawn stava parlando con Gwen e Courtney, mentre Sierra stava spiegando ad Anne Marie e Dakota come implementare la loro fama anche fuori dalla scuola. Semmai fossero diventate una cantante e una modella famose, avrebbero avuto bisogno di quelle semplici nozioni e non avrebbero dovuto improvvisare durante le interviste o davanti a una chat di qualche blog.
Sparsi in giro vi erano Mike, Zoey e Cody che discutevano delle prossime prove e che osservavano la rinascita della loro classe, Jo che seguitava a chattare con sua madre e Scott che non accettava di alzare la testa dal banco.
Aveva quasi perso la partita.
E non era opera della diabolica Gwen o della civettuola Courtney. La vera responsabile era in mezzo tra loro e sorrideva come una stupida. Quella che non credeva capace di una simile azione, era stata la sua rovina completa: Dawn li aveva sempre presi in giro. Tuttavia c’era un’ultima carta che poteva sfruttare e non si trattava di ingoiare il rospo e di stringere la mano alla dark.
Chi poteva immaginarsi che lui fosse così disperato da calcolare il solitario della classe?
Jo, con un semplice sguardo, l’aveva pregato di ripensarci: non si fidava completamente di Scott e non era l’unica a dubitare della sua figura tutt’altro che rassicurante.
Annuendo verso la compagna e rincuorandola a suo modo, prese una sedia e si sedette vicino al rosso, convogliando verso di sé tutta l’attenzione e risvegliando il compagno che alzò lentamente la testa. I suoi occhi fiammeggiarono e sembravano capaci d’incendiare l’ambiente circostante, ma Brick non ci badò particolarmente.
Quella mossa, era certo, non se la sarebbe mai aspettata nessuno.
“Vorrei parlare con te qui fuori.” Esordì, facendogli socchiudere gli occhi, quasi stesse ragionando su quali impegni avesse in agenda.
“Hai disturbato il mio riposo.” Replicò, mentre una vena gli pulsava sulla fronte.
“Io…”
“Siamo al terzo piano, giusto?”
“Aha.”
“E un volo da qui non sarebbe niente male.” Continuò, facendogli intendere che era propenso a sbarazzarsi di lui se avesse continuato a importunarlo.
“Ho bisogno di un favore.”
“Un favore?” Chiese dubbioso, non aspettandosi che qualcuno avanzasse un problema nei suoi confronti.
“Il termine favore ti dice nulla?” Seguitò Brick, facendolo annuire.
“Se per un favore hai disturbato il mio riposo, significa che ci tieni particolarmente. Fai strada allora e ti seguirò.” Soffiò, aspettando che il compagno decidesse un posto sicuro in cui discutere.
Dovette pazientare ben poco e, complice la sua scarsa fantasia, si ritrovò in giardino. Svegliato presto dai suoi dipendenti, con tante rampe di scale fatte finora, era chiaro che il rosso fosse già incazzato.
E come se non bastasse aveva dovuto pure scucire 50 dollari a quel babbeo di Duncan che aveva dimenticato di fare colazione, di ricaricare il cellulare e di comprarsi le cicche. Detestava quelle giornate così sfortunate con tutto sé stesso.
Seduto all’ombra di un vecchio albero, aspettò che il compagno cominciasse a parlare.
“Voglio farti entrare nel mio gruppo!” Tuonò Brick, facendolo ghignare.
“Non ho fatto tutta questa strada per sentire cazzate!” Sibilò, inspirando profondamente.
“Non è una cazzata!”
“Lo stai facendo solo per paura di non confrontarti con Gwen e il resto della classe.” Borbottò Scott.
“Non è vero.”
“O forse hai paura di rimanere solo? Non preoccuparti Sergente, tutti restano soli prima o poi. E la tua proposta non m’interessa.” Continuò il rosso, rialzandosi in piedi e considerando quella discussione come già chiusa.
“Sei dalla sua parte, vero?” Ringhiò, notando come Scott si stesse avviando verso il portone.
“Dalla parte di chi?”
“Da quella di Gwen e Dawn ovviamente.”
“Che cosa infantile: credevo fossimo alle superiori, ma a quanto pare qui si ragiona come all’asilo e si tiene il broncio se qualcuno ti frega le caramelle o le figurine.” Commentò con ironia, sbeffeggiando le intenzioni di Brick.
“Non hai risposto alla mia domanda.”
“Vedi Brick: anche se avessi voglia e tempo di scegliere da che parte schierarmi, di certo non penserei a te.”
“Perché no?”
“Perché nel tuo gruppo non c’è nessuna ragazza di mio gradimento.”
“E in quello di Gwen?”
“Neanche, ma almeno c’è qualcuno che si sforza d’essere femminile.”
“Stai inventando un sacco di storie solo per pararti il culo: tu non sei mai stato come noi e nessuno ti vorrà mai.”
“Smettila di ricopiare le battute da cattivo di Duncan: lui almeno è convincente.” Borbottò seccato.
“Io…”
“E poi stai dando spettacolo: queste cazzate le so da una vita.”
“Pensavo che tu volessi aiutarmi.” Soffiò Brick, mandando in confusione il compagno per qualche secondo.
“Nient’affatto.”
“Credevo mi dovessi qualcosa per aver fregato Lightning con i tuoi trucchi.”
“Come fai a dirlo con tanta sicurezza?” Chiese, girandosi nuovamente.
“In questi anni non gli hai mai rivolto la parola, ma da quella mattina in palestra, il mio gruppo è andato per sempre.”
“Come sempre ti sbagli: è da quando avete diviso la classe secondo le vostre simpatie che i gruppi sono andati a fanculo.”
“Che stai blaterando?”
“Prendi le altri classi, Brick. Nessun problema, nessuna assemblea urgente con i professori, un clima disteso: questi elementi non ti suggeriscono nulla?” Elencò Scott, sbadigliando poco dopo.
“Assolutamente.”
“Voi vivete con il paraocchi: se fin dal primo giorno aveste cercato d’andare d’accordo, non vi sarebbero state seccature. Avreste avuto a che fare con un solitario che non vuole aggregarsi, ma poca cosa rispetto a provocazioni, ripicche e vendette giornaliere.”
“Non è vero!” Seguitò urlando e facendolo ghignare.
“Io ho solo fatto quello che mi riesce meglio: starmene in disparte e annientare le vostre certezze.”
“Ringrazia il cielo che non voglio sporcarmi le mani con te.”
“E nonostante questo mi vorresti nel tuo prestigioso club?” Lo interrogò dubbioso, quasi non riuscisse a capire come potesse perdonarlo per delle macchie così indelebili nei loro pessimi rapporti.
“Sono pronto a metterci una pietra sopra.”
“Deve essere sublime mischiare le carte e sperare che qualcuno si becchi una mano sfortunata.” Mormorò, abbozzando un sorriso.
“Allora?”
“Potrei accettare, ma ho bisogno di una garanzia.”
“Sentiamo.”
 “Sono pronto a ignorare le vostre offese a una condizione.”
“Quale?”
“Entrerò nel tuo gruppo, ma in cambio pretendo d’essere il capo.” Rispose, paralizzando il compagno che non si aspettava una richiesta così.
Perché pretendeva una cosa simile proprio ora?
Non era più semplice farsi avanti e pretendere una fetta della torta quando avevano appena iniziato a discutere? Così almeno da due gruppi, ne sarebbero nati tre e nessuno si sarebbe arrischiato a pestare i piedi al rispettivo vicino. Magari con fortuna il rosso si sarebbe beccato quella squinternata di Dawn, lei si sarebbe sentita parte di qualcosa e non sarebbe partita all’avventura per riunire tutti in un colpo solo.
Era davvero il caso di puntare tutto su quel cavallo imbizzarrito? Non rischiava una magra figura e d’essere disarcionato per quella mossa avventata che poteva ritorcerglisi contro?
Se aveva capito bene, per avere Scott e spiazzare gli altri, doveva rinunciare al suo ruolo e mandare tutto al diavolo. Non esisteva una via di uscita? Poteva benissimo rifiutarsi, ma ciò significava ritornare al punto di partenza.
Ma se gli avesse concesso anche quel desiderio, cosa avrebbe mai fatto il rosso per risollevare le sorti del suo gruppo? Si sarebbe schiodato dalla sua posizione? Avrebbe affrontato di brutto muso quelli del gruppo di Gwen? Avrebbe preteso che Dawn rimanesse zitta e non facesse più nulla?
Erano troppe le domande che gli vorticavano per la testa. Chi gli dava, poi, la certezza che il rosso non smembrasse il gruppo, per poi unirsi agli amici della dark?
Poteva riprendere il suo ruolo in una situazione simile?
E se Jo se ne fosse andata per sempre? Cosa ne sarebbe stato dell’amore che provava per lei?
“Non posso.”
“Beh…non mi è mai importato nulla del tuo gruppo: arrangiati!”
“Non volevi essere…”
“È sempre bello prendere per il culo quelli che mi svegliano di prima mattina. Con Dunky e con la sua cagnolina di solito è un po’ noiosetto, ma prendervi in giro e farvi credere che sono disposto a darvi una mano, è davvero fantastico.” Ridacchiò sprezzante, avviandosi verso l’atrio e lasciando il compagno sbigottito.
 
Possibile che nessuno capisse il suo dolore?
Eppure gli sembrava lampante. Se aveva creato quel gruppo, riempiendo la classe di dissidi e di vendette giornaliere un motivo doveva pur esserci.
Lui non era mai stato uno di quelli che riuscivano a prevalere sugli altri.
Non era come un Trent, un Alejandro o un Duncan che con il loro magnetismo riuscivano a piegare e a convincere gli altri. Era sempre stato un debole che fa il leone con casi umani ben peggiori.
Quella volta Gwen aveva preso e aveva fatto filotto. Gli aveva lasciato le briciole e prima che anche queste finissero sotto le sue grinfie, aveva preso in disparte Lightning, Jo e gli scarti per formare un gruppo tutto suo.
Dawn era stata accantonata per forza di cose: le voci che giungevano alle sue orecchie non erano poi così rassicuranti. Scott, al contrario, aveva fin da subito espresso la sua volontà di rimanersene in un angolo e non aveva mai accennato al minimo ripensamento.
Credeva che, alla luce di quanto accaduto in quelle settimane, il rosso si fosse dato una svegliata e avesse considerato come valida la proposta iniziale. Con Dawn che si era unita al gruppo di Gwen, Scott si sarebbe gettato a capofitto verso quella nuova esperienza.
E invece, anche ora che stava appoggiato sul suo banco, nei suoi occhi non traspariva niente di tutto questo.
Continuava a riposare, a messaggiare e a mangiare beatamente la sua merenda.
Poteva esistere realmente una persona capace di distaccarsi dagli altri con tanta forza?
Lui non ci sarebbe mai riuscito. Avrebbe sempre avuto qualcuno da cui dipendere e cui avrebbe cercato di regalare un sorriso.
E poco gli importava se la sua famiglia non approvava. Solo perché erano benestanti, ecco che i suoi vecchi se ne uscivano con le loro classiche sparate. Loro non volevano vedere il loro unico figlio insieme con una che valeva meno di zero.
Jo non valeva così poco. Magari non era attraente come le altre o non era l’esempio più femminile che potesse sfruttare, ma a lui piaceva per un lato tenero e indifeso che aveva mostrato assai raramente.
Eppure i suoi vecchi non lo capivano.
Un semplice artigiano che lavorava sodo e che trattava tutti con il dovuto rispetto, non doveva essere guardato dall’alto in basso da uno stupido avvocato di quint’ordine.
“Sembri arrabbiato.” Lo risvegliò Jo, facendolo sospirare.
“Un po’.”
“Immagino che Scott abbia confermato i tuoi sospetti.”
“Tu avresti voluto cedere il passo a uno simile?” Le chiese, vedendola stringersi nelle spalle e rischiando di far scivolare il giubbotto ancorato alla sedia sul pavimento.
“Ascolta Brick…perché non ci mettiamo una pietra sopra a questa storia?”
“Hm?”
“Eravamo immaturi quando credevamo di potercela fare da soli e ammettere uno sbaglio non è poi così umiliante come si può credere.”
“Io…”
“Perfino Lightning sembra felice.”
“Se non vuoi più rimanere, sei liberissima di andartene, ma io non posso accettare una cosa simile.”
“Perché no?”
“Sono troppo orgoglioso per essere la seconda o terza scelta di qualcuno. Ti rendi conto che aveva scelto perfino quel campagnolo di Ezequiel prima di me?” Chiese imbufalito, facendola annuire.
“Un confronto non significa che siamo disposti a fare pace.” Replicò, nonostante fosse quello il suo desiderio.
“Io…”
“Guardiamo in faccia alla realtà Brick: fino a quando c’era Lightning, allora si poteva anche credere che tutto andasse bene. Ora che è diventato amico di Gwen, lui non ha più molto tempo da dedicarci e in questo caso sembra che siamo diventati un’estensione del movimento di Scott.”
“Che significa?”
“Forse siamo dei solitari e se non ci diamo una svegliata, rischiamo di fare la sua stessa fine.” Borbottò la giovane, indicando il compagno che stava rivolgendo un’occhiata assassina al professore che aveva osato chiamarlo alla lavagna.
“Tu dici?”
“Anche se le nostre famiglie non accettano la nostra storia e tutto sembra andare male, ciò non significa che dobbiamo allontanare gli altri. Un giorno potremmo avere bisogno di loro , ma fino ad allora si può imparare dai propri sbagli.”
“Sei sicura che tutto ciò possa renderci felici?” Chiese Brick.
“Non ci renderà felici nella misura che intendiamo noi, ma potrebbe essere un’ottima valvola di sfogo.”
“Come sempre hai ragione.”
“Tra loro potrebbe esserci qualcuno che ha un ottimo consiglio e che potrebbe aiutarci a chiarire con Gwen, Courtney e gli altri.”
“Parli di Dawn?”
“Lei è l’unica che può ricreare il clima disteso dei primi giorni di scuola.”
“Tu hai sempre desiderato tutto questo, vero?” Domandò, fingendo di scarabocchiare qualcosa sul suo quaderno.
“Sarei una bugiarda se dicessi il contrario.”
“E perché non ti sei esposta e non me l’hai detto?”
“Perché temevo di perderti.”
“Ma io non sono…”
“Per i primi mesi credevo fossi cocciuto e senza speranze: solo più tardi ho capito che non era così, ma non potevo abbandonarti.” Spiegò, inspirando profondamente.
“Mi dispiace.”
“L’importante è che tu sia presente durante la ricreazione.” Mormorò divertita.
“Hai già preparato tutto?” Chiese sorpreso Brick, facendola annuire.
“Se avessi aspettato una tua mossa, sarei diventata vecchia e decrepita.” Replicò soddisfatta, sfoggiando un ghigno che si spense assai presto.
“Jocelyn…alla lavagna!” Ed ecco che il professore di matematica avrebbe messo in luce una volta di più la sua pessima preparazione con funzioni e limiti.




Angolo autore:

Questa sera sono dannatamente di corsa.

Ryuk: E ci saranno errori a destra e a manca.

Mi auguro di no.
Spero, comunque, che la serie vi piaccia e che appreziate l'ingresso di Brick e Jo. Tra un po' sapremo il perchè della nascita dei gruppi, ma la storia è ben lungi dall'essere vicina alla conclusione.
Ci sarà da divertirsi.
 

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Capitolo 15
*** Cap 15 ***


Aveva fatto il suo trionfale ritorno.
Credeva che nel vederla aprire la porta, lui stendesse un tappeto rosso e la riempisse di domande sul suo ultimo viaggio. Dubitava seriamente del suo conclamato disinteresse, ma di certo non s’immaginava che scrollasse le spalle e si accomodasse sul divano.
Che suo fratello non fosse poi così tollerante questa era una cosa risaputa.
Quando parlava con suo padre al telefono, ecco che gli prometteva di renderlo orgoglioso e di comportarsi bene, per poi, una volta chiuso il contatto, mandarlo fanculo e ipotizzare si trattasse di un figlio di buona donna.
“Come vanno le cose, fratellino?”
“Al solito.”
“Nessuna novità in questa città?” Seguitò, facendolo sospirare.
“Non c’è male: questa città è piena di gente stupida, ma è il rischio del mestiere dopotutto.” Borbottò eloquente, facendole capire che per gente stupida intendeva proprio lei.
“Non sembri felice di vedermi.” Borbottò la giovane, sedendosi vicino con lui che continuava a ignorarla e ad allontanare i souvenir che aveva disposto sopra il tavolino.
“Fanculo!”
“Mamma e papà vorrebbero sapere come vai a scuola.”
“E tu farai la spia.”
“Non mi pare di averti mai voltato le spalle.” Replicò nervosa.
“Incredibile che ti ricordi che vado ancora a scuola: credevo che in questi 11 mesi ti fossi fatta l’idea di essere rimasta l’unica beneficiaria dell’eredità dei nostri vecchi.”
“Che vai farneticando?” Continuò, scontrandosi con lo sguardo glaciale del minore.
“In 11 mesi nemmeno una fottuta telefonata o una cazzo di lettera. E ci sono così tanti secondi per chiedere a qualcuno tramite chat come sta o se ha bisogno di qualcosa.”
“Da quando sei così sfacciato?”
“Da quando siete diventati ingiusti. Quando avete bisogno di qualcosa o credete che qualche mia azione possa rovinare il nostro nome, allora vi fate avanti, tornate a casa e siete pronti a rompermi le palle. Poi tutto torna com’è giusto che sia, i vostri piani vanno alla grande, non c’è nessun’ombra sinistra per gli affari di papà e voi mi lasciate di nuovo qui.” Ringhiò con rabbia, prendendo una tazzina con una tale foga da rischiare di sbriciolarla.
“Ma io…”
“Quando, però, sono io ad aver bisogno di voi, ecco che m’ignorate.”
“Non è vero. Mamma e papà pensano in continuazione a te.”
“Ultimo messaggio dello scorso 14 marzo ed è già passato quasi un anno. E dimenticavo che era un messaggio destinato a un fornitore e che non ne sapevo nulla di una pratica smarrita. Queste sì che sono conversazioni che risvegliano l’amore figliale verso i propri vecchi.” Borbottò sarcastico, ricordando la rabbia con cui aveva lanciato il cellulare verso il letto.
“Io ti ho scritto tempo fa e non mi hai risposto.”
“Parli di quella scemenza datata 16 maggio? Hai mandato in prima linea una sconosciuta che mi ha mandato un messaggio senza senso, poi hai preso in mano il cellulare sperando di mettere una pezza alla cazzata di papà. Perfino per uno come me sei senza cuore.”
“Cosa ti aspettavi che facessi?”
“Tu speri tanto che la situazione ritorni come prima della vostra partenza, ma la verità è che nulla sarà più lo stesso.”
“Perché no?”
“Perché ho capito che per voi sono solo un deficiente che non capisce un cazzo e che merita di stare solo. È questo quello che pensate? Credi non sappia che tu sei la preferita di mamma e papà, mentre io vengo per ultimo? Perfino l’autista vale più di me e ora non mi frega niente della vostra reputazione.”
“Scott…”
“Se solo nonno fosse ancora vivo: non vivrei in questo modo e avrei qualche ricordo positivo.” Soffiò, riappoggiando la tazzina sul tavolino.
“Lui…”
“Voi l’avete fatto morire. Mamma e papà non sapevano che fosse malato e tu eri impegnata all’estero quando lui è venuto a mancare. Perché un ragazzo deve imparare a vivere così presto? Lui era l’unico che mi ascoltasse qui dentro e per colpa vostra ho perso anche lui.” Sputò nervoso, sentendo gli occhi pizzicare terribilmente e ricacciando, in un moto di orgoglio, indietro le lacrime.
“Mi dispiace.”
“Con i mi dispiace le persone non tornano indietro.” Replicò, alzandosi dal divano e ignorando la sorella maggiore.
“Scott…”
“Alfred: prepara la macchina che voglio andare a fare un giro!” Urlò, facendosi sentire per tutto il piano terra della grande villa, mentre l’autista usciva dalla cucina e annuiva con uno strano sorriso sulle labbra.
“Dove vuoi andare fratellino? Posso accompagnarti io se vuoi.” Si propose Alberta, ricevendo uno sguardo gelido come risposta.
“Dove devo andare non ho bisogno di una come te.”
“Ma io…”
“Non l’hai ancora capito? Sono stanco d’aver a che fare con voi: da oggi ignorami così come hai fatto in quest’ultimo anno e tornatene alla tua stupida vita! Vuoi che non ci siano preoccupazioni? Allora migliorerò la mia media così non tornerai a rompermi le palle!” Ordinò perentorio, indicandole la porta e avviandosi verso il garage, laddove sapeva che il caro Alfred l’avrebbe condotto dove più desiderava.
 
Dove poteva mai andare?
Se ci fosse stato un angolo di mondo incolto, libero, pulito e salubre, dove nessuno aveva ancora mai messo piede, ecco che ci si sarebbe fiondato alla velocità della luce.
Da che aveva memoria non ricordava un singolo momento di felicità e, incredibile o meno che fosse, ciò significava che odiava chiunque osasse scontrarsi con il suo sguardo. Perfino i lupi avevano un branco cui appoggiarsi alla bisogna, ma lui rimaneva una carogna che doveva marcire.
Spesso si chiedeva se erano solo i sensi di colpa a tormentarlo.
Era diventato così perché aveva trattato malamente Dawn? Crudelmente possibile.
Era così vuoto perché aveva visto il nonno morire sotto i suoi occhi senza che nessuno gli appoggiasse una mano sulla spalla o lo abbracciasse? In minima parte.
Era solo per colpa sua? Purtroppo in questo caso doveva annuire e ammettere che il primo ostacolo alla sua felicità era il dannato orgoglio.
Superbia, ira, accidia, lussuria, gola, avarizia, invidia: questi erano i sette vizi capitali che aveva imparato alle medie, quando aveva ancora un buon motivo per andare a scuola e non per scaldare il banco e far disperare i professori. E lui ne incarnava, secondo le definizioni del suo vecchio quaderno, almeno quattro in un colpo solo.
Un tempo si sentiva superiore agli altri e li snobbava solo per il gusto di farlo, ma ora non ne era più così pervaso. Lo stesso, però, non poteva confermarlo per l’invidia che provava nel notare come i suoi compagni avessero il sorriso stampato sul volto oppure per l’ira che lo faceva scattare in pochi istanti, quando andava incontro a un’ingiustizia che gli faceva ribollire il sangue.
Essenzialmente non era un lussurioso o un goloso, ma il suo corpo era pervaso dalla costante accidia e dall’avarizia che, per uno cui veniva rinfacciato di avere le infinite possibilità dettate dalla ricchezza, era un vero affronto. Lui si sentiva avaro solo per il senso d’insoddisfazione per quello che si ha con il desiderio irrefrenabile di possedere sempre di più. Chi poteva capire che lui voleva solo un amico vero con cui confidarsi e che lo accettasse non per quello che aveva, ma per quello che era?
Nella sua sfera privata notava come la sua esistenza fosse stata un fallimento su tutta la linea: praticamente rinnegato dai suoi genitori, odiato dai suoi pochi conoscenti e incapace d’invertire questa tendenza che, ex superbo com’era, lo spingeva a credere che non dovesse essere lui ad adeguarsi, ma bensì gli altri a omaggiarlo in qualche modo.
A leggere questi vizi non era nemmeno colpevole, ma la sua testa gli ripeteva che questa era solo una riconferma del suo essere incompleto.
Salito nella lussuosa limousine che Alfred curava manco fosse un secondo figlio, credeva di riceverne la ramanzina, ma così non fu.
Gli chiese un posto tranquillo, dove potesse vedere un tramonto che distendesse i suoi nervi e di guidare con prudenza.
“Signorino…” Tentò l’uomo, dopo essersi allontanato di una decina di miglia dalla villa, facendo inspirare profondamente il ragazzo.
“Che c’è Alfred?”
“So che potrà sembrarle una domanda indelicata, ma vorrei sapere perché ha trattato così male la signorina Alberta.”
“Sei un dannato impiccione!” Sibilò, cercando di nascondere tutta la sua amarezza dietro un semplice sorriso che l’avrebbe ingannato come tutti gli altri.
“Ne soffri ancora, giusto?”
“Nessuno può capire quanto mi faccia schifo questa vita. Se avessi un po’ di coraggio, avrei già preso la moto e avrei reso felice questo mondo.”
“E perché non provi a cambiarlo?” Chiese l’uomo, tamburellando con le magre dita sul volante.
“Lo puoi chiedere a un bambino ingenuo che può attaccarsi all’alibi dell’inesperienza, ma non a uno che ha riempito il suo cammino di sbagli.”
“E se ti bastasse una buona azione per pareggiare il conto?”
“Non la farei mai.”
“Perché no?”
“Non prendermi per un egoista o un codardo, ma conosco le conseguenze di una buona azione e non voglio passare per uno che gli va tutto bene.”
“Ma se ci fosse qualcuno che vuole veramente aiutarti, tu che faresti?”
“Non c’è pericolo Alfred: le possibilità sono assai scarse.” Lo rassicurò, prendendo il cellulare e concentrandosi solo sulla chat in comune con Duncan.






Angolo autore:

Ryuk: È stata una settimana abbastanza pesante.

E le prossime 2-3 non credono miglioreranno molto.
Aggiornerò come di consueto, se per questo, ma non aspettatevi capitoli troppo lunghi.
In questo compare Alberta.

Ryuk: Ormai ci conoscete...dove c'è Scott, deve comparire anche sua sorella.

Che è l'unica normale in tutta la famiglia, anche se in questo caso è stata leggermente (non voglio essere blasfemo) cieca.

Ryuk: Per non dire altro.

Per il resto spero che la storia vi piaccia.
A presto!
 

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Capitolo 16
*** Cap 16 ***


Anche quella mattina era riuscita a strappare le sue belle sufficienze.
Nel portare a casa un 6 in matematica e un buon 8 in inglese suo padre l’avrebbe abbracciata, per poi presentarle l’indomani un sacchetto con alcune brioche fumanti.
Il padre di Jo non poteva essere considerato un cattivo diavolo.
Nonostante non potesse concedersi nemmeno uno stupido viaggetto estivo, avesse cominciato a lavorare fin da appena compiuti i canonici 18 anni, aveva dimostrato che c’erano cose meravigliose pronte a sbocciare dalla cenere.
Spesso aveva negato alcuni desideri alla sua bambina, ma sapeva di fare il suo bene con quelle scelte.
Crescerla da solo non era stato così semplice. Eppure non provava astio o fastidio verso quella donna per cui aveva dato 15 anni della sua vita. Non poteva sapere che lei sarebbe scappata con il suo giovane amante, prosciugando buona parte del suo conto corrente.
Da quel giorno, per qualsiasi donna che si fosse affacciata alla sua vita, lui avrebbe risposto, abbassando il capo e scusandosi per quei passi indietro.
Non c’era donna, ricca o povera, bella o brutta, magra o grassa, che poteva occupare lo spazio della sua Jocelyn.
Magari non era il nome più bello al mondo e il suo aspetto non era così sfolgorante, ma era più che certo che il brutto anatroccolo, presto sarebbe diventato un bel cigno e avrebbe reso invidiose le più pettegole e perfide del vicinato.
E anche quel pomeriggio, di ritorno dal lavoro, rientrato in salotto, l’aveva trovata in compagnia del suo migliore amico. Lei l’aveva sempre presentato così al vecchio Frankie, anche se quest’ultimo sapeva che c’era qualcosa di ben più serio dietro al suo solito sorriso.
Inizialmente poteva bersi la storia di un semplice compagno, ma dopo si era accorto di altri cambiamenti.
La casualità era diventata routine e l’uomo sovente stringeva la mano al ragazzo e lo invitava a stare tranquillo e a fermarsi a cena se ne aveva desiderio.
Non aveva indagato sulle sue origini o sulle sue abitudini come avrebbe fatto un padre geloso. La sua Jocelyn era sempre stata una ragazza giudiziosa e se quest’ultimo avesse iniziato a infastidirla o minacciarla, gli avrebbe staccato la testa di netto e l’avrebbe seppellito dietro casa.
Stranamente, però, percepiva che quel Brick fosse degno della sua fiducia. Lui poteva essere quello cui avrebbe passato il testimone con la certezza che l’avrebbe portato al traguardo.
Quel pomeriggio, però, stavano chiacchierando con un’intensità tale che Frankie non riuscì a rimanerne in disparte.
“Qualcosa vi turba, ragazzi?” Chiese, cercando di usare un linguaggio abbastanza giovanile.
“Niente d’importante, papà.” Lo rincuorò Jo, ottenendo il risultato opposto.
Era proprio quando gli consigliava di stare tranquillo, che qualcosa in lui scattava e gli faceva percepire odore di bruciato. Mai era stata in grado di raccontare una bugia decente e, se alcune volte aveva sorvolato, fingendo di bersi ogni cosa, questa volta credeva che fosse doveroso andare a fondo.
“Non sarà mica per quella storia, vero?”
“Quale?”
“Bambina mia…non sono così cieco da non rendermi conto che i genitori di Brick mi hanno sempre guardato dall’alto in basso.”
“No, no, no…non stavamo parlando di questo signore.” Borbottò il giovane, rasserenandolo e restituendogli il suo classico sorriso.
“Problemi scolastici?”
“In un certo senso.” Confermò Jo, alzandosi dal divano per andare a prendere alcune merendine con cui allietare l’ospite.
Nell’allontanarsi per qualche minuto dalla sala, Frankie e Brick iniziarono a confabulare.
A vederli parlare sottovoce, bisbigliandosi qualcosa nelle orecchie, sembrava stessero organizzando chissà quale colpo nella banca centrale. La differenza tra un qualcuno che spiffera le prossime mosse della polizia o che cerca di decifrare il codice segreto o che si sta confrontando su qualche innocente segretuccio, per Jo, in quel preciso momento, era assai sottile.
“D’accordo signore.” Era riuscita a percepire solo questo, una volta che era rientrata in sala.
“Di cosa stavate parlando?” Li interrogò, consapevole che si sarebbero coperti vicendevolmente.
“Niente di losco.” Minimizzò Brick, togliendo il cellophane dalla prima merendina e divorandola in pochi bocconi.
“Ma…”
“Tornando sul discorso di prima, mi sembrate molto preoccupati.” Tossicchiò l’uomo, scartando con estrema lentezza la merendina.
“Un problema di classe.” Lo rincuorò Jo, facendolo annuire.
“Dici sempre così quando cerchi di cavarti dagli impicci.”
“Papà…”
“E come sta Lightning? È da tanto che non lo vedo.” Soffiò il vecchio, notando come si fossero stretti nelle spalle.
Quella mossa involontaria l’aveva spinto a credere d’aver fatto centro.
I problemi di classe erano solo una facciata. Prendeva un 4 in informatica? Problema di classe. Il tiranno di latino pretendeva un’analisi di 20 pagine in poche ore? Problema di classe. Le sue scarpe nuove di ginnastica si rompevano misteriosamente dopo nemmeno una settimana? Problema di classe.
Effettivamente Frankie era stanco di quelle sfortunate vicende, ma aveva sempre sorvolato. Era convinto che se fosse stato qualcosa di veramente serio, ecco che Jocelyn l’avrebbe affrontato durante la cena.
E poi questo non era l’unico dubbio che si era insinuato sottopelle. Una classe non poteva essere composta, per quanto fosse andato solo all’assemblea chiarificatrice del secondo anno, da soli tre studenti. Sua figlia parlava e aveva sempre presentato solo Brick e Lightning, ingannandolo e raccontandogli qualche frottola che considerava di poca importanza. Non poteva fargliene una colpa se si vergognava della sua famiglia e se preferiva invitare tra quelle quattro mura solo quelli più semplici e senza troppe pretese, ma non poteva tollerare di passare per scemo: non esisteva al mondo una classe con soli tre studenti. E quando le chiedeva di descrivere gli altri, ecco che diventava muta come un pesce oppure scrollava le spalle e biascicava un lento, ma deciso: “Gli altri mi stanno antipatici.”
Il mondo era sorretto, ormai, da questo sentimento, ma che su una classe da quindici o venti solo due fossero degni e capaci di farla sorridere, beh questa gli era sembrata un’assurdità.
Forse, anche lei, si era isolata dagli altri, proprio come aveva fatto lui, dopo essere stato fregato da quella sgualdrina della sua ex che aveva prosciugato il suo conto e che aveva rubato i suoi pochi gioielli per andare con il suo palestrato pompato di steroidi in qualche isola caraibica. E a quel punto aveva affrontato la depressione, aveva allontanato amici e colleghi, rei secondo lui di spettegolare della sua sventurata relazione e aveva pregato che una qualche zanzara bucasse quel trentenne sfaccendato e che la sua ex tornasse indietro, solo per il gusto di riderle in faccia e di chiuderle la porta sul muso.
“Bene, credo.” Rispose Brick con scarsa convinzione e con incolpevole ritardo.
“Avete litigato?”
“No!”
“Non è mai facile parlare con un adulto di certi temi, ma se avete bisogno di qualcosa sono sempre disposto ad ascoltarvi.” Ripeté nuovamente.
“La storia è un po’ complicata.” Soffiò Jo.
“Il tempo è galantuomo e se questi pochi minuti non saranno sufficienti, c’è sempre la cena con la pizza.”
“Ma…”
“È più facile raccontare un segreto davanti a una pizza fumante.” Sospirò l’uomo, facendo l’occhiolino a Brick per appoggiare anche per quell’idea che aveva espresso, mentre Jo era in cucina.
 
“E così mi avete sempre mentito.” Rifletté amaro, fissando la sua capricciosa fumante.
“Se ti avessi detto la verità, ne avresti sofferto.”
“Ora, però, le cose cambieranno signore.” Promise Brick, mentre l’uomo tornava a rosicchiare la crosta leggermente bruciacchiata della sua pizza.
“Posso sapere perché non avete provato fin dall’inizio, Jocelyn?” Chiese il vecchio Frankie, chiamandola per nome e facendole intendere che era infastidito per quelle bugie gratuite.
“Perché gli altri ci hanno sempre ignorato.”
“O è perché temevi di crearmi un dispiacere, nel lasciarmi senza nessuno intorno? Guarda che devi imparare a vivere anche da sola: non potrò rialzarti per sempre o indicarti la scorciatoia migliore.”
“Ma papà…”
“E cosa vorreste fare a riguardo?”
“Nella nostra classe c’è una compagna che è riuscita in tempi brevi e ragionevoli a diventare amica di quasi tutti.”
“Dev’essere una ragazza davvero speciale.” Abbozzò l’uomo, riempiendosi il boccale di birra e sorseggiando con calma.
“Forse potrebbe essere l’anello di congiunzione tra il nostro piccolo gruppo e quello di Gwen.”
“Gwen?” Domandò il vecchio Frankie che difficilmente avrebbe imparato in tempi ragionevoli i vari nomi.
“È il capo del gruppo che ci ha sempre ignorato.” Spiegò Brick, mangiando una fettina di salamino piccante.
“Tutto qui?”
“Forse riusciremo anche a risolvere i nostri contrasti, ma qualcosa continua a preoccuparci.” Rispose Jo, porgendo alcune olive nere al compagno che sembrò gradire quel semplice gesto.
“Tipo?”
“Lightning è diverso rispetto al solito e poi ci sarebbe un altro compagno che è sempre rimasto in disparte, ma che potrebbe rovinare l’armonia della classe.”
“Un solitario e uno in confusione.” Riassunse l’uomo, alzando gli occhi verso il soffitto e cercando un consiglio che potesse aiutarli.
“E prenderli in disparte non sembra la soluzione migliore.”
“La vostra compagna ha già provato ad aiutarli?” Chiese Frankie, fissando i carciofini che erano rimasti.
“Ti sembrerà strano, papà, ma Lightning si è mosso solo grazie a quello che è sempre stato in disparte.”
“E lui?”
“Dawn ci ha fatto un tentativo, ma non ha cavato un ragno dal buco.” Sospirò Brick.
“E voi avete parlato con questo ragazzo?”
“Scott non ama fidarsi delle persone.” Borbottò il giovane, avvertendo la vibrazione del suo cellulare e prendendolo frettolosamente.
Quasi gli scivolava dalle mani e nel leggere il nome di quello che tentava di chattare, quasi sussultò.
Stavano parlando del Diavolo e spuntavano le corna.
“Domani sera ti aspetto al Pahkitew.” Lesse Brick ad alta voce, rendendo partecipe anche gli altri presenti di quell’insolito messaggio.
“Chi è?” Chiese Jo, curiosa di quell’invito insolito.
“Un attimo, sta ancora scrivendo.”
“Vieni solo.”
“Perché?” Rispose Brick, credendo si trattasse di una tattica per fargli perdere tempo. Quello all’altro capo era benissimo capace di invitarlo, per poi tirare pacco e rovinargli una serata che poteva essere spesa in modi migliori.
“Perché voglio raccontarti una bella storia.”
“Che genere di storia? Non ti è bastato umiliarmi e confondermi le idee?”
“Brick, Brick, Brick…fai attenzione, l’ombra nasconde cose peggiori di te.”
“Che significa?”
“Se ti sto scrivendo, è solo perché qualcuno mi sta dando fastidio.”
“E?”
“Chi è Brick?” Gli chiese nuovamente Jo, ma quest’ultimo era talmente preso che ignorò la sua domanda e seguitò a chattare.
“Un solitario è tale se non c’è nessuno con cui deve condividere il tramonto.”
“Parla chiaro per una volta.”
“Anche se ti sembra più verso il gruppo di Gwen, lui si è avvicinato un po’ troppo e temo che possa starmi appiccicato.”
“Parli di Lightning?” Gli chiese Brick.
“Nasconde un segreto che conosco e che potrebbe spingerlo a fidarsi di voi.”
“Perché adesso vuoi aiutarmi?”
“Perché mi annoio e voglio togliermelo dai piedi.”
“Che genere di segreto?”
“Saprai tutto al Pahkitew.”
“Chi è Brick?!” Tuonò nuovamente Jo, urlandogli nelle orecchie e facendogli rischiare un infarto.
“È solo un seccatore.” Minimizzò il compagno, ritornando alla chat.
“Non puoi dirmi nulla in proposito?”
“Per aiutarlo, dopo che ti avrò parlato, dovrai umiliarti e chiedere sostegno al resto della classe.”
“Per un amico farei questo e altro.”
“La vostra amicizia potrebbe salvarlo, ma non è una cosa di cui mi vanterei troppo in giro.”
“Magari ti sbagli.”
“O forse son fin troppo sincero.”
“Un’ultima cosa prima che tu vada.” Digitò Brick.
“Cosa?”
“Scott…grazie.”
“Non mi diventare patetico proprio ora, Brick. Sarebbe un problema se dovessi cambiare idea sul tuo conto, proprio alla vigilia del nostro incontro.” Spiegò il giovane, facendo annuire Brick, il quale rimise il cellulare in tasca.
Gli bastò alzare gli occhi verso il posto occupato da Jo che si accorse che quest’ultima era scomparsa, salvo avvertire la sua presenza alle spalle, pronta ad applicargli una mossa di sottomissione alla spalla sinistra.
Nell’avvertire il dolore di quella chiave articolare, Brick sgranò gli occhi e cercò di alzarsi, senza risultato.
“Chi era Brick?” Gli chiese nuovamente la compagna, soffiando nelle sue orecchie.
“Jo che cosa…”
“Ti ho fatto una domanda e voglio una risposta.” Ringhiò la giovane, mentre il vecchio Frankie seguitava a mangiare e a ridacchiare per quello scambio. Se il suo futuro genero era davvero propenso a renderlo orgoglioso, allora doveva rispondere a quella leonessa che non si sarebbe rassegnata a qualche parola dolce e poco altro.
“È un segreto.”
“Chi era?” Ripeté nuovamente, applicando maggior forza a quella presa e cercando di nascondere un ringhio sommesso che non gli facesse capire che cosa stava provando.
Nel vederlo chattare con tanta frenesia e nel nascondere le risposte, lei credette che ci fosse un’altra a fargli il filo. Era gelosa e non si vergognava a dimostrarlo.
“Scott.” Si arrese, facendola sorridere.
“Sei un pessimo bugiardo.”
“Non sto mentendo: è la verità.”
“E perché dovrebbe parlare con te?”
“Dice che Lightning gli sta dando fastidio, forse si tratta solo di un’esagerazione o teme davvero che lui possa diventare asfissiante.”
“Eh?”
“Conosce un suo segreto ed è certo che noi tutti possiamo aiutarlo.”
“Un segreto.” Rifletté Jo, mollando la presa e permettendo al compagno di far confluire il sangue in quelle parti del braccio che erano rimaste bloccate per troppo tempo.
“Ma per aiutarlo abbiamo bisogno di tutta la classe e per questo domani dovremo parlare con Dawn e convincerla della nostra scelta.”
“Va bene, anche se mi devi una pizza.” Brontolò la ragazza, riferendosi alla loro cena che, a seguito di quella discussione e della loro breve sessione di wrestling, era diventata ormai fredda.
 
Avevano fatto ritorno che erano le 11 passate.
Sua sorella era andata nella sua ex stanza e si era subito addormentata, capace di zittire i sensi di colpa che avrebbero tenuto sveglio chiunque.
Scott e Alfred erano rientrati silenziosamente e si erano messi sul divano, giusto per discutere ancora per un po’ e per confrontarsi sull’ennesima idea malsana del primo. Se qualcuno avesse chiesto all’autista come giudicasse il suo giovane padroncino, lui avrebbe risposto che era un individuo sbagliato. Lati negativi, un carattere insopportabile, un atteggiamento supponente: eppure aveva qualche sprazzo di bontà che ti spingeva a chiederti se quella fosse solo una maschera.
Magari c’era davvero del buono in lui, ma era costretto a indossare un qualcosa che distorcesse l’opinione degli altri.
“Sei sicuro che il tuo amico verrà all’appuntamento?”
“Perché non dovrebbe?”
“Perché non sei degno di fiducia e potresti costringerlo a fare dieci miglia solo per ridergli in faccia e per qualche drink.” Borbottò Alfred.
“Lightning è una palla al piede e per liberarmene sarei disposto perfino ad accompagnare mia sorella a fare shopping. Inoltre non sono un babysitter e non mi piace che ci siano due solitari nella stessa classe.”
“Vuoi essere l’unico?”
“No…voglio che non ci siano solitari.”
“E tu?”
“Io non faccio testo: semplicemente non esisto.” Rispose secco, scaturendo nel dipendente una profonda risata.
“Stai rischiando di metterti in una brutta situazione.”
“Ho già calcolato le varie incognite.”
“Meglio che a scuola.” Ironizzò l’uomo.
“Anche se ne preferisco una in particolare.”
“Quale?”
“Quando racconterò il segreto a Brick, poi Lightning si troverà in trappola. Tutti si stringeranno a lui, poi il Sergente cercherà di contraccambiare ed io lo ignorerò come al solito.”
“E tutti vissero felici e contenti.”
“Bingo!” Esultò Scott, alzando le braccia al cielo.
“Non per frenare il tuo entusiasmo, ma fino a quando tua sorella sarà sotto questo tetto, potresti ritrovarti con alcuni piani sballati.”
“Non se la renderò incapace di disturbarmi.” Replicò il rosso, salutando il dipendente e avviandosi verso la sua stanza.
Era più che certo che nulla potesse andare storto. E come poteva del resto?
Aveva allontanato ogni possibile grattacapo, stava ripetendo il copione da seguire e lo stava migliorando di secondo in secondo perché fosse semplicemente perfetto e senza possibili stravolgimenti.
Dopotutto non era un caso se aveva scelto il Pahkitew: era il locale migliore nel raggio di miglia, l’unico che poteva essere meta esclusiva dei due ragazzi più benestanti della classe.
Gli altri, neanche pregando il proprietario, sarebbero potuti entrare e, quindi, sarebbe stato a quattr’occhi nella saletta privata con l’ingenuo Brick. Avrebbe cucinato a fuoco lento quell’idiota, gli avrebbe servito una portata disgustosa, avrebbe svelato il segreto di Lightning, l’avrebbe visto tremare e poi si sarebbe unito con il resto della classe per impedirgli di trasferirsi.
Doveva iniziare fin dal principio ad ascoltare i segreti della sezione: così facendo non si sarebbe ritrovato con lo zaino scarabocchiato o con le scarpe, una volta bianche e identiche a quelle di Cody, piene di vernice verde. Le ripicche giornaliere erano sempre state uno spasso, ma diventavano un fastidio quando i suoi oggetti venivano presi di mira perché identici o simili a quelli di uno dei due gruppi in guerra.
Ma nell’osservare da lontano l’operato di Dawn, si era accorto che non c’erano più troppi casini e che poteva andare tranquillo.








Angolo autore:

Credo di esagerare un po' con tutti sti problemi.

Ryuk: Ne stai mescolando un sacco e rischiamo di confondere i lettori.

Chi ha calma e fiducia scoprirà tutto a tempo debito. Spero che i personaggi vi stiano piacendo e che il siparietto tra Jo e Brcik sia di vostro gradimento. Li ho sempre visti in una situazione del genere: con lei che applica al compagno una mossa di wrestling.

Ryuk: Classico atteggiamento da bulla.

Mai giudicare una persona solo dalla copertina, Ryuk: per alcuni ci saranno belle sorprese.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
A presto!
 

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Capitolo 17
*** Cap 17 ***


Dawn avrebbe voluto parlare con Brick e Jo già il giorno prima.
Tuttavia sentiva che doveva farsi un po’ desiderare e, parlandone con il suo moderatore, si era convinta della bontà della sua intuizione.
E ora che li aveva davanti, poteva conoscere le loro preoccupazioni.
“Vorremmo chiederti, Dawn, di mettere una buona parola con Gwen.” Esordì Jo.
“Avete cambiato idea sul nostro conto?”
“Il tempo è tiranno.”
“Perché?”
“Eravamo arrabbiati quando Gwen ha iniziato a fare i gruppi, ma alla luce di quello che è successo, è insensato mandare avanti questa pagliacciata.”
“Dovrei convincerla a darvi una possibilità, giusto?”
“Non è così semplice Dawn: purtroppo deve essere una cosa rapida.” Brontolò Brick.
“Ma la scuola non è mica finita.” Soffiò, stringendosi nelle spalle.
“Lightning nasconde un segreto e ciò potrebbe sconvolgere ogni cosa.”
“Davvero?”
“Ne saprò di più questa sera e nel frattempo potresti convincere Gwen.”
“Sono disposta a parlarci anche subito, se lei lo vuole.” Fece presente Jo, mentre Dawn cercava d’immaginarsi il motivo di tanta fretta.
In quei 4 anni non avevano mai espresso la volontà di integrarsi al gruppetto della dark e ora, in una sola mattinata, pregavano che quest’ultima li accogliesse a braccia aperte.
Non c’era un secondo fine in questa richiesta e non c’era nemmeno l’interesse di ribaltare la situazione. Il segreto che Lightning si ostinava a nascondere doveva essere davvero grave se aveva spinto i suoi due migliori amici a prendere provvedimenti.
“Farò il possibile per convincerla.” Promise Dawn, allontanandosi e cercando uno spazio isolato per informare il moderatore delle novità.
Sperava che fosse libero e che non la rimproverasse per la sua incapacità di prendere una decisione definitiva. Dopotutto si sentivano giornalmente e spesso aveva cercato di spronarla per liberarsi da quella catena che la teneva bloccata a una chat che doveva essere solo un trampolino verso la libertà e non una rete elastica dove atterrare se qualcosa andava storto.
“Un mio amico nasconde un segreto.”
“Non capisco il motivo della tua preoccupazione.”
“Sto risolvendo i contrasti interni della mia classe e temo che questo colpo possa causare qualche danno.”
“Spiegami con calma quello che succede.”
“Ti ho parlato spesso del gruppo di Gwen e di quello di Brick, ma fino ad oggi non avevo specificato che erano in continuo contrasto.”
“Mi è bastato immaginarlo: una classe difficilmente si divide senza un problema alla base.”
“Ora, però, Brick è pronto a metterci una pietra sopra e la sua ragazza parlerà con Gwen per risolvere la questione.”
“Un bagno d’umiltà? Era anche ora.” Digitò il moderatore, facendo sospirare la ragazza.
“Ci sono altri problemi.”
“Intendi Scott?”
“Ti sembrerà strano, ma questa volta è solo marginale.”
“Allora chi?”
“Un mio compagno nasconde un segreto e Brick è convinto di scoprirlo entro sera.”
“E dove sarebbe il tuo dubbio?”
“Devo aiutare Jo o devo consigliarle di aspettare domani, quando allora sapremo cosa nasconde?” Chiese, riscontrandosi con il silenzio della chat.
Di solito, quando non vibrava e passavano almeno due minuti senza una risposta degna, era per la nota riflessione che avvolgeva il suo moderatore. Quei momenti sembravano durare un’eternità, ma quando lui riprendeva il discorso, era persa d’ammirazione per quelle spiegazioni come sempre mature e dettagliate.
Il suo moderatore, così l’aveva definito, era davvero speciale.
Spesso avevano parlato di cose esterne alla sfera scolastica e tutte le volte finiva con l’arrossire per via dei suoi complimenti. Era come se sapesse ogni cosa e non vedeva l’ora di ristabilire la pace della sua sezione, per poi incontrarlo e conoscerlo di persona.
Se fosse stato anche solo la metà del ragazzo che s’immaginava, allora si sarebbe fatta avanti e gli avrebbe confessato i suoi sentimenti, ma fino ad allora doveva aspettare e affrontare quell’intricato problema che si stava collegando a quelli precedenti.
“Se fossi al tuo posto, aiuterei la tua amica il prima possibile.”
“Perché?”
“Questione di tempo.”
“Puoi essere un po’ più chiaro?”
“Ammettiamo che tu sia solo interessata a riunire la classe il prima possibile, saltando a priori i sentimenti e le sensazioni altrui, allora guadagneresti parecchie ore.”
“Non sono così cattiva.”
“Non ho mai detto che tu lo sia. A essere sinceri, anch’io mi muoverei subito e non per il primo motivo che ti ho descritto.”
“E allora perché?”
“Partiamo dal presupposto, affrettato sia chiaro, che il segreto sia molto più grande di quanto possiate immaginare. Fino a oggi non c’era mai stato niente del genere, ma ora c’è bisogno che tutta la classe si coalizzi e lo renda una sciocchezza. Se conoscessi il segreto, prima che Jo riesca a riappacificarsi con Gwen, poi potrebbe non esistere il tempo materiale per rendere attuabile i vostri possibili progetti. Vi ritrovereste a fare tutto di corsa e spesso la fretta è cattiva consigliera e porta a sbagliare.”
“Dovrei muovermi?”
“Affronta Gwen, magari con Zoey e Courtney, poi aspettate il segreto e vedete cosa fare. Potrebbe essere una sciocchezza e allora potreste riderci su come se niente fosse.”
“Prima o poi c’incontreremo e ti ringrazierò per tutto quel che hai fatto finora.” Promise Dawn, facendo ridacchiare il moderatore.
“Ricorda che è sempre meglio giocare d’anticipo e mai lasciare niente al caso.”
“Grazie.”
“Continua così e il tuo desiderio si realizzerà.” Digitò, uscendo dalla chat e facendo annuire la ragazza che, finalmente, sapeva come comportarsi.
 
Gwen non era mai stata una ragazza in grado di portare rancore.
Solo una volta era esplosa e di certo Courtney, con la sua idea malsana di fregarle Duncan da sotto il naso, non avrebbe mai ripetuto una simile esperienza.
A considerare solo l’aspetto esteriore, si poteva credere che la dark fosse un soggetto problematico e che bastasse un’inezia per farla scoppiare. Quest’ultima, invece, era pacata e si era ritrovata, senza volerlo, vittima di un contrasto non voluto.
A chiederle se la nascita dei due gruppi fosse una cosa calcolata, lei avrebbe risposto che era inconsapevole di un simile sbaglio. Si era trattato di uno stupidissimo malinteso.
Così come lei non voleva spaccare in due la classe, allo stesso modo non voleva nemmeno litigare e discutere con Brick e Jo. Se era partita, il primissimo giorno di superiori, a parlare con Cody e Courtney era solo perché li conosceva fin dalle medie. Chiunque avrebbe ristabilito i vecchi contatti e poi si sarebbe lanciato su qualcosa di nuovo.
E, infatti, in pochi giorni, aveva intavolato diversi discorsi anche con Sierra e Zoey le quali, per effetto espansivo, le avevano presentato anche Mike, Cameron e lo sfortunato Ezequiel.
Da qui sbocciava il malinteso.
Brick si era intromesso e, per orgoglio, aveva creduto di essere inferiore e, quindi, svalutato agli occhi della dark. Un motivo banale e demenziale era stato alla base della nascita dei due gruppi che, senza mai confrontarsi, non si erano resi conto che bastava poco o nulla per conciliare quella differenza di vedute.
Chi era stato, però, a scagliare la prima pietra?
Solo perché Cameron si era rifiutato di passare la risposta di una verifica a Dakota, ecco che i due gruppi avevano iniziato a scannarsi. E per evitare superflui spargimenti di sangue, quelli che non erano riusciti ad accedere, erano rimasti fuori.
Per Scott non fu un grosso problema, mentre Dawn ricevette un contraccolpo psicologico non indifferente.
Da quella stupida verifica di scienze si era passati a una serie di ripicche poco piacevoli.
E una volta quelli di Brick facevano la spia e regalavano una punizione a Cody e Sierra. E quella dopo Courtney si divertiva a imbrattare il banco e i quaderni di Anne Marie. E quella successiva l’aspirante cantante riempiva di lacca la testa di Zoey, allergica a un prodotto simile e costretta ad andare d’urgenza in infermeria.
E si potrebbe andare avanti all’infinito.
Talvolta, perfino nei tornei scolastici, laddove si poteva riformare la classica unità e confermare, quindi, la superiorità sugli altri, si erano notati segni di squilibrio. Lightning, quando era ancora attivo e non perso nel suo mondo, aveva fratturato, manomettendo un attrezzo, il polso di Scott. Il suo obiettivo era un altro e, come si suol dire in simili frangenti, Scott si era ritrovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato e con l’attrezzo sbagliato.
Ogni mese era pieno di almeno una ventina di questi episodi, anche se nelle ultime settimane, complice l’interesse di Dawn e la bocciatura/allontanamento di alcune mele marce, il clima si era fatto maggiormente disteso.
E ora che Gwen era da sola in classe, con davanti Jo e Dawn, si era resa conto che ben presto i professori avrebbero potuto esultare e che i registri non sarebbero più stati farciti di note, richiami generici o richieste di assemblee con i genitori.
“E quindi vorreste chiudere la faccenda?” Chiese la dark, aspettando una risposta da Jo.
“Il prima possibile.” Confermò, girandosi verso Dawn che rimaneva, come da lei richiesto, in rigoroso silenzio e seguiva quello scambio di osservazioni. Lei era presente solo per rassicurarla, per rimediare qualora fosse scoppiata una nuova discussione e per ascoltare, una volta di più, le motivazioni di Jocelyn, la quale, l’aveva presa alla lontana, dalla nascita dei gruppi, e poi aveva chiesto perdono per i vari contrasti che avevano alimentato.
“Non lo meritereste dopo quello che ha detto Brick.”
“Brick era solo un po’ arrabbiato.”
“Mi ha dato della puttana.” Replicò Gwen, fissandola eloquentemente.
“Credeva che non avessi intenzione di conoscerci.”
“Avevo bisogno di tempo.”
“So che pretendo troppo, ma vorrei che mettessi una buona parola anche con gli altri.”
“Dai per scontato il mio perdono.” Borbottò Gwen.
“Do per scontato che tu voglia il bene della classe.”
“Se dici questo, significa che ci sono problemi in vista, anche se mi sembra che le cose stiano andando bene.”
“Ci sono tanti problemi che ignori e uno di questi potrebbe rovinare tutto.”
“E Brick che dice?” S’informò la dark, fissandola intensamente.
“Non se ne fa niente dell’orgoglio, se un amico potrebbe trovarsi nei guai.”
“È un amico comune o solo suo?”
“È un ragazzo che è spesso rimasto nell’ombra.” Borbottò Jo.
“Mi spiace, ma non ho intenzione di accettare Scott.”
“Ti sembrerà strano e anche Dawn l’ha notato, ma Scott è cambiato e poi non è lui il motivo per cui sono qui.” Seguitò Jo, mentre la dark guardava l’amica che annuiva anche a quell’affermazione, facendole capire che il rosso stava finalmente crescendo.
“Affronteremo Scott, quando saremo più tranquilli e quando avremo più tempo a disposizione.” S’intromise Dawn.
“E allora di chi stiamo parlando?”
“Lightning.” Rispose secca Jo.
“A me sembra sempre lo stesso e Cameron non ha notato nulla di sospetto, altrimenti me l’avrebbe riferito.”
“Non voglio insinuare che Cameron sia un po’ scarso con i rapporti umani, ma Lightning è diverso da inizio anno. C’è un qualcosa che lo preoccupa e Scott, non so come, conosce il suo segreto e ha intenzione di dircelo.”
“Tutto questo casino per un segreto?” Chiese Gwen.
“Ascolta Gwen, sia che questo segreto sia importante o sia una cavolata, io ci tengo a questa classe e non voglio scattare una foto ipocrita o ricordare questi anni come un periodo nebuloso o ritrovarmi con le tipiche antipatie che ti spingono a non partecipare a una rimpatriata se quello è presente o che altro.”
“E va bene, ma sappi che è un po’ difficile anche per me appianare le divergenze in poche ore.”
“Per questo segreto, temo dovrai andare decisamente di corsa perché ci sarà bisogno dell’intera classe riunita.”
“Ma…”
“Scott ha confidato a Brick che quello di Lightning è un segreto a tempo e che anche solo un giorno potrebbe fare la differenza.” Mugugnò, mentre Dawn ritornava a riflettere su quale fosse questo mistero e sul motivo per cui il compagno non ne avesse parlato con nessuno.
“Potrebbe essere indeciso su qualcosa.” Abbozzò Gwen, facendo annuire Jo.
“Potrebbe essere qualsiasi cosa.”
“Non mi sei di molto aiuto, Jocelyn.”
“Se Courtney e le altre ragazze hanno accettato senza problemi Anne Marie e Dakota, non dovrebbe essere troppo difficile.” Replicò, ignorando il modo in cui l’aveva chiamata.
“Dimentichi che loro contavano relativamente.”
“Tu convinci il gruppo e sono disposta anche a prepararvi i pranzi di persona.” Promise, allungando timidamente la mano verso la dark che la guardò con riluttanza.
“Non ve lo meritereste, ma non voglio che l’impegno di Dawn vada sprecato, né che questa classe rimanga sempre divisa.”
“Il mio impegno?” Domandò la biondina, fissando la compagna.
“È colpa nostra se non ti sei integrata e pertanto, apprezzo e accetto le vostre scuse e cercherò di fare la mia parte.”
“Te ne sono riconoscente.”
“E dato che in cucina sei una frana, diciamo che mi offrirai un caffè, Jo.” Brontolò Gwen, stringendo la mano della giovane e non aspettandosi che Dawn si avvicinasse per abbracciarle entrambe e per sugellare la definitiva pace.
 




Angolo autore:

Salve cari lettori.

Ryuk: E un altro tassello va al suo posto per la rinascita della classe.

A passi lenti ci stiamo avvicinando a quel traguardo, sempre che sia quello che ho in mente.
Magari potrei stravolgere l'intera trama e creare qualche altro contrasto.

Ryuk: Non ci pensare nemmeno...sta storia deve finire che dopo c'è in cantiere il mio capolavoro.

Come vuoi.
A me sta bene.

Ryuk: Ovviamente vi ringraziamo per il supporto e vi auguriamo una buona settimana.

Alla prossima!
 

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Capitolo 18
*** Cap 18 ***


Le 21 erano arrivate in fretta e per un appuntamento simile, capite bene, Brick non sapeva come vestirsi.
Con suo padre aveva ripetuto diverse volte che doveva vedersi con un amico e che le cose con Jo non andavano molto bene. Se avesse continuato a dirgli che andava a scuola solo per vederla, ecco che avrebbe sbraitato a lungo e non avrebbe avuto la possibilità di uscire.
E qui sopraggiungeva un ultimo problema: il Pahkitew era uno dei locali più in del momento e non poteva presentarsi in tuta da ginnastica. Odiava sfoggiare un abbigliamento da festa, anche se una camicia e un paio di jeans potevano essere un’ottima evasione dai classici canoni da ricconi e un ottimo modo per convincere il buttafuori.
“Ho un appuntamento con il signor Black.” Esordì, dopo aver superato lo scoglio del gigante tatuato fuori dalla porta ed essere stato accolto da un damerino.
Questi gli consigliò di seguirlo, salvo aprire una porta che conduceva nel salottino privato e chiedergli se volesse ordinare qualcosa.
“Un Cosmopolitan.” Borbottò secco, fissando la figura che si era stravaccata e che aveva già spazzolato almeno due drink.
Brick, nel vederlo così sbattuto, sperò che l’alcool avesse sortito un ulteriore effetto mitigatore sul suo caratteraccio e di riuscire a liberarsi in pochi minuti.
“Solo i pazzi psicotici ordinano il Cosmopolitan.” Lo accolse annoiato, risollevando lo sguardo dal pavimento.
“Ottimo modo per iniziare la serata, tu non credi?”
“Ne ho già ordinati due.” Replicò imperturbabile, ghignando divertito e invitandolo a sedersi per discutere in santa pace.
“Perché mi hai invitato?”
“Te l’ho già detto ieri.”
“Lightning t’infastidisce?” Domandò Brick, andando dritto al punto.
“Non ha ancora cominciato, se è per questo, ma è mia abitudine premunirmi ed evitare che qualcosa possa intralciare la mia felicità.”
“Felicità? Non essere ironico, Scott. Tu non sei mai stato felice in questi anni.” Soffiò, facendo annuire il compagno che fu salvato dall’arrivo provvidenziale del cameriere che, posando un vassoio argentato sul tavolo, presentò loro il miglior Cosmopolitan dell’intera nazione.
“Siamo qui per parlare dei miei apparenti problemi o di quelli di un tuo caro amico?”
“Sembra quasi che non t’importi di conoscermi.”
“Infatti è così.”
“E quale sarebbe il problema di Lightning?”
“Mi hai chiesto del suo problema e non del suo segreto.” Gli fece presente il rosso.
“Le cose sono collegate.”
“Se ti dicessi che il vero problema del tuo amico è da riscontrare nella sua perenne indecisione, allora saremmo distanti dal motivo per cui siamo qui sta sera.”
“Ma lui…”
“Oltre che spaventato, preoccupato e probabilmente decerebrato.”
“Non parlare di lui in questo modo!” Lo aggredì, facendolo ridacchiare.
“Ma in tutto questo lo ammiro: ha dei pregi introvabili e non ha il timore di conoscere gente nuova per sentirsi felice.”
“Lightning è un bravo ragazzo.” Confermò Brick che non si aspettava delle parole d’elogio da parte del rosso.
“È un po’ ingenuo, ma non se ne rende conto e darebbe qualsiasi cosa per i suoi migliori amici.” Borbottò invidioso, facendo ondeggiare il cocktail che aveva sopra il tavolo.
“È questo il suo segreto? Sarebbe manipolabile?”
“I suoi pregi e difetti hanno bisogno di una risposta da parte vostra.”
“Quale?”
“I suoi genitori stanno pensando di trasferirsi in un’altra città, una metropoli credo, e Lightning li dovrebbe seguire a ruota.”
“Stai scherzando, vero?”
“Ti avrei costretto a venire fino a qui per raccontarti una balla? Va bene che non avete fiducia in me, ma qui si esagera.”
“Perché non mi ha detto nulla di questa sua preoccupazione?”
“Hai confermato tu stesso che è indeciso e ingenuo. Magari crede che la vostra amicizia sia finita e pensa di farti un favore se si allontana per sempre da questa città. Potrebbe avere una visione apocalittica o sopravvalutata dell’intera questione.” Rispose, difendendo quel babbeo che per qualche ora gli aveva disturbato il sonno.
“Noi siamo…”
“I suoi migliori amici. Però non hai mai pensato di metterti nei suoi panni. Sembra quasi, e te lo dice un osservatore esterno, che per voi non esista e in queste settimane non vi siete nemmeno accorti che ha passato più tempo a casa o a fare manca che a venire a scuola. Eravate troppo preoccupati per la vostra sciocca guerra con Gwen e non gli avete mai chiesto cos’è che lo preoccupava realmente.”
“Io…”
“Arrivati a questo punto, potrebbe anche essere troppo tardi.”
“Di che parli?”
“Ma sei scemo o cosa? Fossi stato al suo posto, dove tutti i tuoi amici t’ignorano, a quest’ora avrei già preparato le valigie e starei pensando a come arredare la mia nuova camera. Se, però, non ha ancora ritirato i suoi fogli dall’archivio e il Preside non l’ha chiamato a colloquio, ciò significa che ci sono ottime speranze per la nostra stupida classe.”
“Ma perché vuoi aiutarci allora? Se lui decidesse di trasferirsi, tu non l’avresti in mezzo ai piedi.”
“I ricordi sono importanti Brick.” Soffiò, inspirando profondamente.
“E cosa dovrei fare secondo te?”
“Convincilo che non può vivere senza la nostra classe e Lightning resterà qui. Così facendo, avrete i vostri ricordi strappalacrime e tutto si sistemerà.”
“Dimentichi qualcuno.” Replicò Brick che, alla luce della soluzione, non voleva lasciarlo indietro ad affogare.
“Ricorda di pagare il tuo conto quando esci che non voglio essere inseguito dal proprietario.” Ribatté Scott, rialzandosi in piedi e raccogliendo il giubbotto che si era portato dietro.
“Non potrai scappare per sempre.”
“Tu e Dunky avete le stesse battute in questo spettacolo teatrale.”
“E non puoi darci le spalle in eterno.” Continuò, scaturendo nel compagno una risata che arrestò quasi subito.
“Siete voi ad avermi dato sempre le spalle.”
“Se ci dessi una seconda possibilità, potresti ricrederti.” Lo esortò, ingurgitando in fretta il suo Cosmopolitan e rimettendosi in piedi.
“È così divertente vedervi preoccupati per la mia felicità, ma non è questo ciò che voglio. Concentrati sulla nostra classe e lasciami in pace.” Gli consigliò, aprendo la porta e svanendo tra i tavoli e gli altri clienti del locale.
 
Brick rimase ancora qualche minuto nella piccola saletta.
Rifletté nuovamente su ciò che Scott gli aveva confidato e dopo chiese al cameriere di consegnarli il conto, cosa che non riuscì a ottenere dato il pagamento già effettuato dal compagno con annessa mancia sostanziosa.
Uscito per strada, si mise a fissare le stelle e prese il cellulare in mano.
Creò, quindi, il gruppo della classe ed escluse, almeno per il momento, Lightning. Non poteva fargli sapere che conosceva il suo segreto: Scott gli avrebbe dato dell’imbecille e l’eterno indeciso si sarebbe sentito sotto pressione.
Dapprima invitò Jo e Gwen, salvo aspettare che fossero tutti riuniti e iniziassero a discutere delle prossime lezioni e di argomenti piuttosto frivoli. A nessuno importava che il primo provino di Anne Marie fosse andato benino o che Courtney fosse intenzionata a farsi interrogare in inglese. Il problema di base, quello che li aveva spinti a creare quel gruppo, riguardava un argomento ben più serio.
“Ora che ci siamo tutti, posso spiegarvi diverse cose.” Scrisse Brick.
“Scott ti ha raccontato il suo segreto?” Chiese Gwen.
“Quale sarebbe il segreto di quell’idiota?” Domandò, quindi, Dakota, sfregandosi già le mani per la possibilità di mettere in giro qualche novità su quel gradasso.
“Stiamo parlando di Lightning.”
“Lightning?”
“Esatto Zoey.” Confermò Dawn, accarezzando il gattino che Scott le aveva regalato.
“Per farla breve, Lightning potrebbe trasferirsi.”
“Potrebbe?”
“Vedi Gwen…è ancora indeciso e Scott è convinto che, con il nostro aiuto, possa prendere una decisione e rimanere qui con noi.”
“E sapete come fare?” S’intromise Mike.
“Non lo so, non è una cosa così semplice.”
“E se informassimo i prof?” Tentò Zoey.
La sua proposta, per quanto fatta in buona fede, andò incontro a una stroncatura.
Se avessero chiesto consiglio ai prof, questi avrebbero scrollato le spalle e avrebbero elencato mille ottimi motivi per cui non gliene fregava assolutamente nulla di una zucca vuota. Alcuni avrebbero ripetuto che avevano una decina di classi cui badare, altri non l’avrebbero ammesso, ma avrebbero reso chiaro il loro odio immutato per quegli anni infernali e poi c’erano Chef e i suoi cloni che avrebbero grugnito e che avrebbero paventato la minaccia di una sospensione o di un’interrogazione talmente bastarda da rendere vano perfino un dieci.
Si susseguirono una decina di proposte, tutte apprezzabili, ma alquanto irrealizzabili con le loro finanze.
C’era chi proponeva un’uscita di gruppo con tanto di viaggio, dimenticandosi della prossima gita scolastica. Chi voleva provare a scrivere una poesia o una canzone che potesse mettere in luce le qualità di Lightning. Chi cercava di portare avanti la raccolta fondi per finanziare un qualche regalo esplosivo che gli tornasse utile.
Tutte le idee, però, erano andate incontro a un feroce rifiuto.
“Un cartellone.” Propose timidamente Dawn dopo una mezzora fitta di discussioni senza capo né coda.
“Un cartellone? E cosa dovremmo metterci?” Chiese Zoey.
“Io metterei le foto che abbiamo scattato e una qualche frase a effetto.”
“Lightning resta con noi…potrebbe andare.” Propose Cody che aveva l’anima del romanziere.
“Che ideona!” Si congratulò Brick.
“E il cartellone dovrà essere pronto per domani.” Continuò Jo, raggelando l’improvvisa sicurezza dei compagni.
“Ma è impossibile.” Fece notare Anne Marie.
“Come facciamo a ritrovarci tutti a quest’ora?” Domandò Dakota che aveva qualche difficoltà a messaggiare, specie se aveva davanti sua madre che, le aveva concesso sì il permesso d’inseguire il sogno della modella, ma non tollerava di essere disturbata durante la cena.
“Non abbiamo mai detto che fosse semplice.” Digitò Gwen.
“Forse io ho ancora qualche cartellone, ma ho zero fantasia.” Si scusò Sierra.
“Io dovrei riuscire a fotocopiare le immagini, ma ci resta il problema della scritta e di come sistemare il tutto.” Affermò Cameron
“E non abbiamo molto tempo, giusto Brick?” Chiese Mike, facendo annuire il giovane che stava facendo ritorno a casa di corsa.
“Se solo avessimo mezza giornata.”
“Oh…come vi arrendete presto.” S’inserì Dawn.
“È impossibile Dawn.” Digitò sconsolata Courtney che, tuttavia, ammirava quell’ostinazione che continuava a sospingerla.
“Beh…neanche così tanto.” Obiettò Zoey, iniziando già a vestirsi.
“E come possiamo fare? Dubito che ci sia una casa tanto grande da accoglierci tutti e che il cartellone possa essere concluso in tempi brevi.” Ammise Mike, scrivendo con velocità e non curandosi di qualche errore grammaticale.
“Cazzo!” Imprecò Brick.
“Questa è la prima e ultima volta che vi aiuterò: in futuro dovrete arrangiarvi.” Intervenne quello che, secondo Brick, non si sarebbe mai degnato di partecipare a una chat così compromettente.
“Scott?” Chiese Courtney.
“No! Sono solo la regina d’Inghilterra. È ovvio che sia io.” Scrisse nervosamente.
“Che cosa vorresti consigliarci? Il metodo migliore per nascondersi?” Lo sfidò Dakota, suscitando un sorriso nel ragazzo.
“Avete ancora qualche ora prima che la Biblioteca in centro chiuda.” Ricominciò, ignorando la provocazione della compagna.
“La Biblioteca?” Lo interrogò Gwen.
“Ma siete rincoglioniti? In Biblioteca ci sono lo spazio e il silenzio per sistemare le vostre cavolate senza essere interrotti.”
“Ehi!” Protestarono Cody e tutti gli altri che non digerivano quelle offese così a buon mercato.
“La mia buona azione mensile è stata fatta: per il resto lascio tutto a voi.”
“Anche se gli altri non lo sanno e sembri su un altro Pianeta, anche questa volta ci hai salvato Scott.” Lo ringraziò Brick.
“Te l’ho già detto Brick: non mi diventare patetico proprio ora che Lightning ha bisogno di voi.”
“Grazie Scott.” S’inserì Dawn, facendo sorridere il giovane che fu riempito da altri messaggi simili.
“Cosa c’è da ringraziare? Per me Lightning è solo una palla al piede appiccicosa e senza testa, ma è un rischio lasciarlo libero per il mondo senza che nessuno corregga le sue cazzate. Magari voi riuscite a tenerlo al guinzaglio e, così facendo, non rischierei di ritrovarmelo tra i piedi e di calpestarlo come al solito.”
“Fai tanto il duro, ma hai il cuore tenero.”  Lo sbeffeggiò Courtney.
“Tu pensa al piccolo Dunky che dovrebbe smetterla di seguire certe compagnie sballate.” Replicò con evidente nervosismo.
“Quindi anche la tua.”
“Touché.”
“Scott finita questa storia, perché non proviamo ad andare tutti d’accordo?” Chiese Gwen convinta che non si sarebbero ripresentate altre occasioni di quel genere.
“Per andare d’accordo non c’è problema, ma io non sono come Lightning. Lui ha bisogno di voi, mentre io sto bene così come sono.”
“Stai solo evitando di confrontarti con noi!” Digitò Mike che si rifiutava di credere a quella stupida menzogna.
“Resterei a parlare con voi delle ore, ma la mia cena è più importante e la Biblioteca chiuderà tra poco. Vi auguro buon lavoro sfigati: ci vediamo a scuola, forse…” Continuò, salutando i pochi presenti, dato che alcuni di loro si erano già preparati e con mezzi diversi stavano raggiungendo la loro meta serale.
“Non riuscirò mai a capirlo.” Digitò Jo, ritrovandosi ancora più confusa, quando Scott decise di cancellarsi da quella chat, da lui considerata, provvisoria.






Angolo autore:

Ryuk: Mi sta venendo l'emicrania.

Meglio così te ne stai zitto.

Ryuk: Ma Scott che cavolo combina?

Te lo ripeto per la milionesima volta: è ambiguo da far paura.
Per quanto riguarda questo shinigami bacato, non mi resta che salutarvi.

Ryuk: Cattivo o non cattivo? Questo è il dilemma.

Con calma ci arriverete.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!

 

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Capitolo 19
*** Cap 19 ***


Ci avevano messo ben tre ore per finire quel cartellone. Avevano avuto quella genialata, ma ognuno voleva aggiungerci qualcosa di suo.
Quello doveva essere un ricordo piacevole per Lightning e dopo aver collezionato le varie idee, aver disposto le foto in un senso preciso e aver riempito il tutto con le loro firme, uscirono dalla Biblioteca.
Erano le due passate e nessuno sarebbe riuscito a chiudere occhio.
E se il loro lavoro fosse stato inutile?
E se Lightning avesse già deciso di andarsene?
E se i professori gli avessero proibito di attaccare quel pensiero innocente?
Le loro giovani menti erano ancora piene di questi pensieri, quando rientrarono nelle rispettive abitazioni, scontrandosi con i genitori per quelle fughe improvvise e i coprifuochi non rispettati.
Prima di salutarsi, avevano deciso che si sarebbero ritrovati fuori dal cancello verso le 7.
Dovevano abbellire l’aula, riempirla di palloncini e convincere il prof della prima ora, uno abbastanza pacato e che sarebbe stato capace di perdonare anche il peggior delinquente della città, a ritardare il suo ingresso.
Avevano provato a parlare ancora con Scott, ma quest’ultimo aveva eretto un muro invalicabile e sembrava irraggiungibile.
 
Lightning non si aspettava nulla per quel venerdì.
Doveva soltanto dare una risposta a suo padre che l’aveva convinto, senza pressione ovviamente, di pensarci a lungo.
Preso lo zaino mezzo vuoto, sistematosi la maglietta rossa della sua squadra di basket, uscì di casa, non prima d’aver sgraffignato alcuni biscotti al cioccolato. Strada facendo si sarebbe fermato nel bar della vecchia Blaineley, avrebbe ordinato un cappuccino con tanto di crostata al lampone e avrebbe spulciato il classico quotidiano sportivo, elargendo poco dopo i canonici due dollari e cinquanta cent.
Almeno di prima mattina quella era la sua classica routine: un qualcosa di cui avrebbe avuto rimpianto non appena fosse stato a 300 miglia da casa.
Raramente si trovava sballottolato e quel giorno non era l’eccezione alla classica monotonia degli ultimi mesi. I suoi genitori erano troppo presi col lavoro per dargli uno strappo e lui, essenzialmente, era troppo affamato per salire sulla carriola di famiglia.
Per quel venerdì andava così con un piccolo appunto sul finire. Poteva essere l’ultimo della sua vecchia vita perchè con l’entrata in una nuova scuola, ecco che sua madre l’avrebbe scorrazzato in giro per non fare tardi al suo primo giorno.
Ci sarebbe stato davvero un primo giorno?
Gli sarebbe mancata quella città e quei compagni che aveva appena imparato a conoscere.
Di Brick e Jo avrebbe conservato un piacevole ricordo, di Anne Marie le friendzone in cui piombava puntualmente, di Cody i tentativi di depistare Sierra, di Dawn il tentativo di farlo riabilitare e di Dakota l’immensa superficialità.
Nel salire la lieve salita che l’avrebbe riportato a varcare per la penultima volta il cancello, si chiese se era il caso di menzionare il suo addio o se era meglio allontanarsi in punta di piedi, versando magari, quando era ormai lontano, qualche lacrima poco virile.
Non voleva lasciare al vento quell’incombenza.
“Scusate, ma sono un codardo e da lunedì cambierò scuola.”
Suonava maledettamente male.
E urlarlo al vento avrebbe solo distorto quel messaggio.
Per un attimo aveva pensato di fare manca e di visitare gli ultimi posti di quella città. Gli sarebbe mancato il vecchio cinema, dove i popcorn erano immangiabili. Non avrebbe più guardato i magnifici cigni del parco, gettando loro qualche tozzo di pane. La palestra con i suoi attrezzi sarebbe stata al sicuro. E il negozio di videogames si sarebbe chiesto dov’era finito quel ragazzo palestrato che entrava una volta al mese e che se ne usciva con due borse cariche di roba e con una tessera VIP stracolma di punti bonus.
“Posso andarci domani.” Rifletté amaro, consapevole che per svuotare la sua stanza non ci avrebbe messo chissà quanto tempo.
Gli bastavano cinque scatoloni in tutto per svuotare la libreria e per cacciare i pochi vestiti che dormicchiavano nel suo armadio.
Quella mattina, poi, era in perfetto orario. Era davvero inconsueto che la sveglia fosse stata capace di fargli mettere il piede destro sul gelido pavimento. Di solito ci voleva la banda cittadina o qualche colpo di Gong per farlo scattare.
Una cosa che i suoi compagni avevano fortuna di non patire, anche se quella mattina gli sembravano in incolpevole ritardo.
Non aveva ancora visto Cameron e Cody sfrecciare in sella alle loro bici con alle calcagna Sierra che investiva chiunque si mettesse tra lei e il suo tesoruccio.
Non c’era la macchina rossa del padre di Zoey che salutava la sua bambina e che fissava con gelosia Mike.
Non c’erano Dakota, Anne Marie e Courtney che scendevano dall’autobus linea 5 e nemmeno Dawn, Gwen e Jo che salutavano l’autista della linea 14.
Brick non aveva ancora mandato suo padre a quel paese e la limousine nera di Scott non era davanti al cancello, costringendo gli altri genitori a manovre improbabili per superarla.
Sentendo la prima campanella e, convinto che non fosse il caso di ritardare, varcò il grande cancello, guardandosi intorno e aspettandosi d’incrociare lo sguardo di qualche compagno. Si sarebbe accontentato anche di una delle solite pacche micidiali di Jo per sentirsi tranquillo e per affrontare quelle ultime ore con serenità.
Niente di tutto questo: sembrava che la sua classe fosse stata inghiottita dalla terra stessa e che lui fosse l’unico superstite.
Salutati alcuni prof, salì le scale e cacciò un profondo respiro, arrestandosi davanti alla porta della sua sezione.
“Ancora sei ore, Lightning.” Si disse, non avendo la forza di entrare.
“Sembra che siamo i primi di oggi.” Borbottò una voce che lo fece sussultare e che lo costrinse a girarsi meccanicamente.
“Tu?” Domandò sorpreso, riappoggiando la mano sulla maniglia e inspirando profondamente.
“Gli altri sono veramente pigri.”
“E tu no?”
“Io sono solo impegnato e mi stanco facilmente.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Probabilmente dovevamo entrare un’ora dopo.”
“Tanto meglio: dormirò di gusto.”
“Potresti fare i compiti.” Gli consigliò, quasi sentisse che non aveva portato a termine nessuno degli esercizi assegnati.
“Quali compiti?” Chiese il rosso, tremando all’idea di ritrovarsi con qualche altro richiamo.
“Quelli di matematica.”
“Da quando sei diventato così diligente da rispettare le consegne dei prof, eh Lightning?”
“E poi c’era anche l’elaborato di Chef.” Mugugnò Lightning.
“Non mi hai ancora risposto.”
“Da quando ho capito quanto sia ingiusto sabotarmi solo perché nessuno riesce a capirmi.”
“Ma sentilo: mi sembra di riconoscere questi bei discorsi.” Borbottò intimidatorio, sghignazzando poco dopo.
“Io…”
“Tanto è solo questione di tempo prima che Chef convinca gli altri prof a bocciarmi. Non che la cosa mi dispiaccia, ovviamente.”
“Hai un’ora di tempo per fare tutto e puoi contare su diverse settimane prima di arrenderti.” Gli consigliò, facendolo annuire.
“Ma se rimaniamo fuori, non riuscirò mai a farcela.” Mugugnò il rosso, invitandolo ad aprire.
“Io...”
“Hai paura Lightning? È solo un altro giorno di scuola.” Lo esortò, mentre il ragazzone abbassava la maniglia.
“Va bene.” Soffiò, entrando e notando come tutto fosse avvolto dall’oscurità.
“Odio quando i bidelli non fanno il loro lavoro.” Mugugnò Scott, accendendo la luce e ghignando per quello che sarebbe successo poi.
“Dovresti smetterla di…” Mormorò, bloccandosi per la sorpresa di quello che aveva davanti.
Tutti i suoi compagni erano davanti a lui, i banchi erano nel fondo dell’aula, sulla lavagna era appiccicato il cartellone fatto in serata e tanti palloncini volteggiavano liberamente.
Sembrava una comuna festa di compleanno, anche se nessuno aveva intenzione di aprire regali o di mangiare la torta.
Inutile soffermarsi sulla reazione di Lightning che, dinanzi a quella scena, si era come paralizzato e finalmente aveva ricevuto una risposta degna. Aveva ormai capito quanto tutti gli volessero bene e quanto sarebbe stato difficile spezzare il legame che aveva costruito con alcuni di loro.
“Pensa solo che sia una giornata speciale.” Soffiò Scott, dandogli una lieve spinta e allontanandosi dall’aula, sghignazzando come al suo solito.
Lightning, per un attimo, si voltò indietro, chiedendogli di entrare in sua compagnia, ma presto Brick e Jo, afferrando le sue mani, lo costrinsero a riunirsi al resto della classe.
Per la prima volta da quando era entrato alle superiori, iniziò a piangere.
I suoi amici volevano che restasse e che non li dimenticasse una volta passati i confini.
Tirando su con il naso, lesse il cartellone multicolore che avevano realizzato con tanta fatica e abbassò la testa.
“Sei stato cattivo con noi, Lightning.” Mugugnò Jo.
“Perché non ci hai detto nulla?”
“Non volevo…eravate troppo impegnati, Brick.”
“Sei uno stupido.” Ringhiò l’amico, abbracciandolo, mentre gli altri accompagnavano quella stretta con un lieve applauso.
“Ma come…” Tentò, staccandosi di volta in volta dai suoi compagni e asciugandosi il volto.
“È stato Scott a dircelo.” Sibilò Gwen.
“Lui è sempre stato…dalla nostra parte.” Mormorò Lightning, cercandolo con lo sguardo e notando la sua assenza.
“Ci penso io, Lightning.” Si offrì Dawn, uscendo dall’aula e notando come il compagno fosse poco lontano a fissare il panorama dalla finestra.
Avvicinatasi lentamente, il rosso si girò di scatto e le rivolse un sorriso.
“Scott…”
“Ora sarai soddisfatta e non dovrai più sforzarti.” Mugugnò il rosso.
“Perché non entri anche tu?” Chiese, porgendogli una mano che lui studiò per qualche secondo, salvo allontanarla bruscamente.
“Non sforzarti in qualcosa in cui non credi.”
“Ma…”
“Impegnarsi, tanto per avere la coscienza pulita, non ne vale la pena.” Le spiegò, avviandosi verso le scale.
“Io riuscirò a cambiarti. Questa è una promessa.” Replicò, alzando la voce, mentre il compagno negava sconsolato per quella decisione che poteva essere la rovina della sua vita.
 
Scese le scale e salutato il Preside che lo fissava con lo stesso sguardo di uno che ha appena subito un torto orribile, si scontrò con Duncan.
Non riusciva proprio a raddrizzare quegli ultimi giorni orribili che lo spingevano a credere d’aver sprecato fin troppe assenze e che quei periodi sfigati fosse meglio passarli a letto, fissando il soffitto privo di vita e scendendo in salotto quando mezzogiorno era praticamente dietro l’angolo.
Eppure sentiva che doveva assistere a quello spettacolo. Dopotutto era stato tutto frutto di un suo piano prestabilito.
A chi dava merito a Dawn di aver sistemato da sola l’intera classe, di aver superato ogni contrasto, lui, dal suo angolino oscuro, dissentiva.
Chi era stato a spronarla quando credeva che la strada fosse in discesa?
Chi era stato a convincerla che nessuno era come Mike o Gwen o Courtney che si accontentavano di una parola gentile per essere felici?
Chi aveva sbrogliato per una buona metà la matassa del gruppo di Brick?
Chi era quello che aveva risollevato Lightning e che aveva alimentato i suoi molteplici dubbi, facendo guadagnare tempo al resto della classe?
E a chi si chiedesse perché aveva fatto tutto questo, lui non avrebbe risposto come al solito.
Non si stava annoiando.
Si era mosso solo per sdebitarsi con quella ragazza cui aveva minato ogni certezza. Se Dawn fosse stata gentile e sicura come alle medie, non avrebbe avuto la minima difficoltà a integrarsi fin dal primo giorno del primo anno, ma dato che era artefice di un cambiamento così drastico, si sentiva in dovere di spiegarle l’ultima lezione.
Solo perché aveva sofferto fino all’altro ieri, ciò non significava che nessuno era più in grado di farla sorridere.
“Dunky.” Lo salutò, facendolo sbuffare.
“Sei tu Scott?”
“Non fare lo scemo: mi conosci da tanto e ancora mi confondi?”
“I tuoi occhi sono diversi.”
“Credo che il tuo amichetto nerd, sai quello che gira con gli occhiali e con la donna cannone, dovrebbe consigliarti un buon oculista.” Replicò il rosso, picchiettando sulla sua testa e resistendo alla tentazione di tirargli quella piccola crestina verde.
“Ho sentito da Courtney quello che stai facendo.”
“La vecchia Courtney dovrebbe pensare a tenerti in riga.”
“L’ha già fatto.”
“E come?”
“Sere fa si è presentata al nostro appuntamento con un bastone da kendo e me l’ha puntato contro, giurando che era pronta a spaccarmelo sulla testa, se non la smettevo di seguire i moto teppisti.” Rabbrividì il punk, sentendo ancora quell’arma contro la sua schiena.
“Convincente.”
“E da quel che so, la tua classe riuscirà a salvare anche Lightning.”
“Sono bravi, vero?” Domandò Scott, facendolo sorridere.
“E il prossimo sei tu.”
“Non per frenare il tuo entusiasmo Duncan, ma non ci riusciranno mai.”
“Lightning e gli altri si sono buttati e sono riusciti a riemergere. Perché non ti tuffi anche tu e non provi ad afferrare la loro mano?”
“Perché i bastardi vanno dritti a fondo.”
“Su questo non ci piove.”
“E poi non sono solo le mele marce a rovinare una classe, ma anche le prime donne.” Mugugnò Scott.
“Non mi pare che da voi ci siano chissà quali bellezze.”
“Intendo quelli che si atteggiano, idiota.” Replicò il rosso, facendo ghignare l’amico.
“Secondo me sei geloso.”
“E di chi?”
“Del mio charme: io ho trovato l’oro e ho conquistato Courtney, mentre tu sei solo come un cane.” Lo sbeffeggiò.
“Dovresti aggiornare le tue battute, Dunky.”
“Dimmi una persona che è disposta ad ascoltarti.”
“Senza di me, Lightning se ne sarebbe già andato.”
“Attento Scott…qualcuno potrebbe inseguirti e farti cambiare idea.”
“Parli di Dawn?” Chiese il rosso.
“Se hai fatto il suo nome, è perché speri sia lei a tirarti fuori dai guai.” Replicò Duncan, notando un tentennamento nell’amico.
“Per sta volta hai vinto tu.” Ammise, salutandolo e tornandosene a casa.
“Io credo che lei possa piacerti.” Brontolò il punk, urlando quelle poche parole e salendo le scale che l’avrebbe condotto in aula.
 
Le piaceva sul serio?
Credeva di essere immune a quella porcheria che molti chiamavano amore.
Non si era mai chiesto se i suoi problemi fossero da ricercare nel desiderio di essere amato. Aveva fatto una lista, tempo addietro, dove aveva elencato tutti suoi problemi e non aveva trovato l’artefice di quel maledetto isolamento.
E si ripeteva nuovamente.
Se non era colpa dei suoi genitori, dei compagni e della scuola chi ne era responsabile?
Sperava che quella mezzoretta di passeggiata fino alla sua villa fosse sufficiente a schiarirgli un po’ le idee.
Da ex superbo qual era, avrebbe rinnegato a chiunque che era lui stesso l’artefice delle sue sconfitte.
Se fosse rimasto il ragazzino spensierato delle medie probabilmente non sarebbe stato il solitario della classe, avrebbe avuto una ragazza cui riversare le sue attenzioni e non si sarebbe complicato eccessivamente la vita.
Ma se tutto fosse filato in questo modo, lui come avrebbe aiutato la classe?
Ammettendo che nascessero i canonici gruppi di Brick e Gwen, che Dawn non fosse in grado di porvi rimedio e che lui non la sospingesse a tentare, non sarebbe sbagliato supporre che la classe si sarebbe trascinata fino alla Maturità senza un pizzico di pace e di armonia?
Era divertente supporre che fosse lui il vero collante della classe e che li avesse mossi come burattini per rimetterli insieme.
Ma allora perché non aveva agito fin dall’inizio? Perché aveva aspettato tutti quegli anni?
Una persona intelligente si sarebbe mossa fin dal principio, mentre lui era rimasto come un ragno a fissarli lungamente. Trovava divertenti quelle ripicche e quei tentativi patetici di sabotare gli altri. Poi c’erano stati i primi fraintendimenti e anche i suoi oggetti erano finiti vittima della loro furia cieca.
E, raccattando i suoi oggetti usciti malconci dalla furia dei due gruppi, non voleva alzarsi in piedi, minacciare qualcuno e mescolarsi agli altri.
Aveva bisogno di una persona umile, che non si facesse troppe domande e che poteva manovrare liberamente.
E qui Dawn era stata perfetta e fin troppo convincente per i suoi personalissimi gusti.
Ma ora che non c’erano più contrasti, sarebbe cambiato?






Angolo autore:

Ryuk: Ho i miei dubbi che Scott cambierà solo perchè non ci sono più contrasti.

Ne hai la certezza?

Ryuk: No, anche se dopo venti capitoli la classe ne esce bene.

Chi l'ha detto?
Non ho mica finito.
Potrebbero esserci altre sorprese...

Ryuk: Sei fin troppo lineare con i tuoi ragionamenti.

Non questa volta.
Ti stupirò Ryuk e mi porterai rispetto.

Ryuk: Nel 2090, forse.

Intanto saluto i cari lettori e poi filo a vedere quanti giorni mancano al 2090.
Sia mai che perda con uno shinigami bacato.
Alla prossima!

 

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Capitolo 20
*** Cap 20 ***


Il padre di Brick era il più grande avvocato della città.
Aveva vinto un migliaio di casi, aveva assistito e difeso dalle accuse più infamanti alcune delle personalità più illustri della città, ma a essere sinceri ignorava gran parte della vita di suo figlio.
Solo perché veniva da una famiglia benestante che si univa di volta in volta a famiglie del medesimo stampo, ecco che pretendeva che il figlio seguisse le medesime orme e che si rifiutasse di discutere con la plebaglia comune.
Non pretendeva che studiasse legge o che diventasse il Presidente di una qualche mega ditta o si lanciasse in politica, ma dal liceo scientifico cui si era iscritto, vedeva un ragazzo con specializzazione in Ingegneria o Medicina.
La moglie, al contrario e come contraltare, era molto più tollerante e affermava che non era saggio alterare le decisioni di Brick. Ne andava della sua felicità dopotutto.
Ma quell’uomo dai capelli brizzolati, dagli occhi verdi e stanchi, dal fisico perfettamente nella norma e con un paio di baffi che lo facevano sembrare lo sceriffo cattivo di un qualche western di John Wayne, sapeva soltanto che Brick se la intendeva con una ragazza figlia di artigiano.
E anche quella sera, quando suo figlio ritornò a casa, felice d’aver passato con Lightning, Jo, Gwen e Dakota il pomeriggio, si scontrarono.
Era già passata una settimana da quando Lightning aveva espresso la volontà di rimanere in città. E suo padre, umile ragioniere in una società di assicurazioni, seppur si trattasse di una grande occasione, aveva accettato la sua scelta e l’aveva informato che l’istinto aveva già rifiutato l’avanzamento di carriera.
Gli tirò solo le orecchie per essersi preso tutto quel tempo di riflessione e pretese, unico riconoscimento più che sensato, che il figlio migliorasse la propria media scolastica.
In quel pomeriggio, però, Lightning stava parlando con il suo vecchio e ignorava quanto accadeva nella casa dell’amico.
“Dove sei stato?” Gli chiese l’uomo, fissandolo intensamente e non dandogli nemmeno il tempo di riappoggiare le chiavi sulla mensola.
“In giro.” Soffiò, cercando di mettere a freno il suo carattere fumantino che, dinanzi al padre, prendeva il sopravvento.
“Da solo o con quella ragazza?”
“Questi non sono affari tuoi.”
“Lo sono se rischi di compromettere la nostra reputazione.”
“Cosa?” Chiese Brick, credendo d’aver sentito male e avvicinandosi al divano.
“Sai che la nostra reputazione è importante, se non vitale.” Sputò nervoso.
“Se fosse stata così importante, non sarei andato in quella scuola.” Gli rinfacciò Brick, segnando il primo colpo a proprio vantaggio.
“Non farmi arrabbiare Brick.”
“Tu non puoi proibirmi di uscire con i miei amici!” Tuonò il giovane, consapevole che la madre, impegnata in cucina, non si sarebbe intromessa e avrebbe, comunque, sempre appoggiato quel disgraziato.
“Se continui così, dall’anno prossimo t’iscrivo a una nuova scuola.”
“No!”
“E allora dimmi dove sei stato e con chi.”
“Sono andato in centro con Lightning e gli altri.”
“Quante volte ti ho detto che Lightning ha una pessima influenza su di te?” Chiese l’uomo, appoggiando la sigaretta sul posacenere e alzandosi in piedi.
“Lui è come un fratello per me.”
“Non avete legami di sangue e se non vuoi abbassarti la media, è meglio se lo tieni a distanza. Sai Brick…io lo faccio per il tuo bene.”
“Il mio bene?”
“Finite le ore scolastiche, dovresti tornare a casa e prepararti ai test d’ingresso per l’Università. Noi abbiamo molte pretese nei tuoi confronti, ma chiediti chi è stato a pagare i tuoi conti, ti ha comprato ciò di cui avevi bisogno e ha pagato i tuoi viaggi estivi.”
“Perché me lo rinfacci?”
“Io non ti rinfaccio nulla: voglio solo che tu capisca quanto tengo a te e alla tua felicità.” Mormorò, appoggiando le sue mani sulle spalle del figlio.
“Ma io…”
“Un giorno ringrazierai la mia scelta.”
“La tua scelta?” Chiese Brick con evidente nervosismo, sentendo una vena pulsargli sulla fronte.
“Quelle persone non sono al nostro livello.”
“Al nostro livello…” Ripeté il ragazzo, digrignando i denti.
“E ciò comprende anche quella ragazza.”
“Quella ragazza…”
“Ho sentito che la sua famiglia è povera e chissà cosa combina per portare qualche introito a casa.”
“La sua famiglia è povera…” Mugugnò nuovamente Brick, rimuginando e sommando tutte quelle novità che conosceva da oltre cinque anni.
“Non mi sorprenderei di trovarla in qualche locale losco o intenta a spacciare droga.”
“Lei è…”
“E tu non dovresti parlare con una così. Potrebbe trascinarti sempre più a fondo fino a commettere l’irreparabile e non avrei l’influenza di farti risalire a bordo.”
“Io…”
“Quella Jocelyn non è adatta a te. Ci sono centinaia di ragazze là fuori che sarebbero assai migliori e che farebbero follie per starti vicino. Il sindaco ha chiesto notizie sul tuo conto, la figlia di un collega vorrebbe conoscerti e pure la piccola del signor Burns vorrebbe un appuntamento.”
“Ma Jo…”
“Vedrai che quando troverai quella giusta, ti dimenticherai di quella Jocelyn e mi ringrazierai per questo favore che ti faccio.”
“Io…”
“Inoltre voci sicure mi hanno informato che suo padre è un tipo violento ed è per questo motivo che sua moglie se n’è andata.”
“Lui non è…”
“E la storia tende sempre a ripetersi, corsi e ricorsi storici, figlio mio.” Continuò l’uomo.
“No!” Tuonò Brick, scostando quelle mani che stavano inquinando tutte le sue certezze e che lo stavano sospingendo verso il baratro.
“Brick!”
“Non parlarmi come se ora t’importasse qualcosa della mia vita.”
“Non sai quel che dici!”
“T’interessa soltanto ingrassare il tuo portafoglio e per questo stai già pensando a chissà quale stupido fidanzamento.”
“Non puoi parlarmi così! Io sono tuo padre!” Ringhiò l’uomo che mancava poco si mettesse a perdere schiuma dalla bocca.
“E come mi hai creato, puoi distruggermi? Tu sei solo un coglione!”
“Capisco che tu sia scosso, ma ciò non ti autorizza a offendermi!”
“Smettila di ripetermi queste stronzate. Io non sono come te che per non deludere il nonno, hai deciso di accettare ogni sua scelta!” Tuonò, scansando uno dei suoi soliti schiaffi poco violenti.
“Se continui a parlare così di tuo nonno, mi costringi a prendere provvedimenti.”
“È meglio che tu abbia parlato così, te lo assicuro.”
“Che vuoi dire?”
“Jo è una brava ragazza e suo padre non farebbe mai del male a nessuno.”
“Brick…” Soffiò, cercando di afferrarlo nuovamente.
“Ormai ho capito che sei un bugiardo che negherebbe qualsiasi cosa pur di guadagnarci. È molto meglio che tu sia così sfacciatamente sincero: ormai non ti temo più.” Replicò nervoso, allontanandosi bruscamente e recuperando le chiavi di casa.
Fissato nuovamente il padre con astio, richiuse la porta alle sue spalle e scappò lontano da quel gelido inferno.
 
Era sempre stato un corridore imbattibile.
E quelle miglia che aveva tracciato tra sé e la sua casa in nemmeno tre minuti ne erano chiara testimonianza.
Il problema ora era uno solo. Dove poteva nascondersi?
Non poteva andare da Jo: le avrebbe causato solo problemi.
E nemmeno Lightning poteva aprirgli la porta così facilmente.
Suo padre conosceva quasi tutti i suoi amici e avrebbe fatto presto a ritrovare le sue tracce. Sperando di non fare una cavolata e fermo alla fermata dell’autobus, prese il cellulare e cercò la chat della sua classe.
Sapeva che era un po’ tardi, ma sperava che qualcuno gli parasse il culo.
“Qualcuno mi può ospitare per questa sera?” Digitò sulla chat, sperando che quella semplice domanda non cadesse nel vuoto.
Alcuni avevano visualizzato e, consci di essere inutili alla causa, non avevano risposto, mentre altri non potevano accollarsi quella responsabilità dell’ultimo momento.
“È successo qualcosa Brick?” Chiese Jo, rispondendo alla curiosità di molti che, però, non avevano il coraggio di spiccicare parola.
“Ho litigato con mio padre e ho bisogno di un posto tranquillo in cui stare.”
“È la storia che ci hai raccontato giorni fa?” S’informò Mike che, da quando la classe si era riunita, aveva sentito una marea di segreti.
“Purtroppo.”
“Dove sei ora Brick?” Le chiese Jo, iniziando già a vestirsi per raggiungerlo.
“Sono alla fermata del Megastore.”
“E tuo padre non ha intenzione di cambiare idea?” Domandò Anne Marie.
“Lui se ne è sempre fregato della mia felicità.”
“È un po’ che ci penso e se tuo padre non cambia idea, credo ti resti una sola possibilità.” Tentò Dawn che era appena rientrata e che non era ancora riuscita a parlare con il moderatore della sua chat.
“Quale?”
“Ti sembrerà una scemenza, ma se tieni a Jo, ti consiglio una fuga d’amore.”
“Ma…”
“Mi sa che Dawn ha ragione.” S’inserì Gwen con anche gli altri che sembravano appoggiare quella proposta non proprio assurda.
“Fuggire e dove?” Chiese Jo.
“Non ne ho idea.”
“Jo può informare suo padre, lui non le dirà di no, ma resta il problema del nascondiglio.” Digitò Zoey.
“Mio padre vi conosce tutti.”
“Quasi tutti.” Replicò Dawn.
“Conosci qualcuno?”
“Brick, Jo…vi aspetto nella grande villa di Bradford Street.”
“Ma chi è?” Domandò Brick, incamminandosi verso quella destinazione.
“Avremo bisogno di lui un’altra volta.” Affermò Dawn, uscendo dalla chat, convinta che loro non si sarebbero negati e inventandosi, con i suoi genitori, una scusa che potesse essere valida per quella passeggiata notturna.
“Zoey ha alcuni problemi e mi ha chiesto se posso dormire da lei questa sera.” Mugugnò la giovane, salutando la madre che, presa controtempo, si ritrovò ad annuire.
 
Quella villa era quanto ci fosse di più grande lungo il viale alberato.
E per Brick, Jo e Dawn, seppur con tragitti diversi e in istanti diversi, quella poteva essere la loro unica ancora di salvezza.
Dinanzi a una costruzione simile, organizzata su tre piani, i ragazzi rimasero scioccati.
Dawn sapeva che l’amico era ricco e che non aveva nessun problema economico, ma non si aspettava tutta quell’abbondanza esteriore.
E giacché l’aspetto esterno era sfavillante, allo stesso modo si aspettava un interno da rimanere con la bocca aperta.
Già vedeva i lampadari in cristallo, i tappetti persiani, il megaschermo in salotto da 80 pollici, la cucina piena di aggeggi ipertecnologici e chissà quali altri sogni inconfessabili per una ragazza il cui intero appartamento era grande quasi quanto l’ingresso.
E non era l’unica a essere rimasta imbambolata da cotanta magnificenza.
Brick era abituato al suo mondo ma, paragonato a quello che le sue fosche pupille avevano sotto gli occhi, credeva fosse dannatamente piccolo. Il lurido avvocato che vinceva cause su cause non gli aveva mai fatto mancare nulla, ma quel bendidio gli sembrava davvero eccessivo.
Per Jo, invece, già la casa dell’amico era eccessiva, ma con quella reggia sul suo cammino, si chiedeva cosa ci potesse essere dentro.
Magari un qualche mini zoo oppure una sala cinematografica, un bunker subatomico o anche una semplice piscina interna con vasca idromassaggio incorporata.
E al solo pensarci, praticamente all’unisono, sobbalzarono.
Pensarono a quali ricconi con vestiti inestimabili percorrevano quei corridoi interni.
E i tre ragazzi si fissarono ancora.
Il primo non aveva niente con sé, escluso il cellulare e il portafoglio contenente 100 dollari, la seconda era riuscita, prima di salutare il padre complice con un fugace bacio sull’ispida guancia, a riempirsi un piccolo zaino con alcune magliette, la biancheria intima e i pantaloni e la terza era lì solo come sostegno morale pronta a ripetere al signorino che avevano bisogno di lui per un’ultima volta.
Dawn pregava soltanto che non fosse stufo di tutti quei favori che non erano ancora stati saldati in nessun modo.
“Chi abita qui, Dawn?” Le chiese Jo.
“È un amico.” La rincuorò Dawn, accarezzandole il volto contratto.
“Sei sicura che ci aiuterà?”
“Lo spero.”
“Non ne hai la certezza?” S’informò Brick.
“Con lui non c’è mai nulla di certo.” Borbottò Dawn, suonando il campanello e restando in attesa.
Dovettero pazientare per quasi un minuto prima che la porta si aprisse e si palesasse una figura che Dawn non aveva mai visto.
Davanti a loro c’era una giovane donna, dai lunghi capelli neri, dagli occhi verdi, dalle guance paffute piene di lentiggini e dal fisico prosperoso.
Coperta con una semplice maglietta scollata blu e con un paio di short era andata ad aprire e fissava confusa i tre che, se non fosse stata per l’età, sarebbero stati confusi per affiliati alle Giovani Marmotte o qualche diavoleria simile.
Era una bomba sexy, pronta a far sbavare chiunque avesse incrociato il suo sguardo.
E Dawn non si aspettava di certo di ritrovarsi davanti una ragazza simile.
Credeva che ad aprire si presentasse Scott o magari quell’Alfred che aveva guidato la limousine. Per un attimo aveva ipotizzato una qualche cameriera, ma quella non sembrava essere una comune dipendente, data la libertà che si era presa nell’abbigliamento.
Magari era la fidanzata di Scott.
Nonostante fosse più matura del compagno, Dawn sentiva che quella era l’unica spiegazione valida e per uno strano motivo si sentì percossa dalla rabbia. Non poteva credere che lui fosse fidanzato e che sotto la sua facciata si nascondesse un lato ancora più subdolo.
Perché doveva provare un sentimento simile?
Di Scott non gliene importava nulla dopotutto.
E allora perché non sopportava quell’idea e non desiderava altro che confrontarsi con il rosso per conoscere se quella teoria avesse un qualche fondamento.
Inoltre tra le mani stringeva ancora il telecomando e dallo sbadiglio che cacciò prima di cominciare a parlare, era chiaro che fino a cinque minuti fosse distesa sul divano o magari sul letto di Scott, intenta a sonnecchiare. Dopotutto chi poteva disturbare il clima della villa quando mancavano appena quattro minuti alle 21 spaccate?
“Chi siete?” Domandò, sgranando gli occhi sorpresa.
“Noi siamo…”
“Siete?” Li incalzò, notando il loro timore.
“Noi siamo…”
“L’avete già detto.” Fece loro presente, abbozzando un sorriso materno che, però incontrò un nuovo stato di mutismo.
Nel notare quella porta aperta e di come la sorella non riuscisse a cavarsi dagli impicci, anche il secondo padrone di casa si fece avanti, ben consapevole che la maggiore era un’incapace totale e avrebbe ascoltato qualsiasi disgraziato avesse suonato alla loro porta.
“C’è qualche problema Alberta?” Chiese una nuova voce, superando la sorella e sussultando per quella sorpresa imprevista.
“Li conosci fratellino?” Domandò la maggiore.
“Che cosa ci fate qui?” Chiese Scott, non aspettandosi quella visita così insolita.
“Scott…ti prego, aiutali.” Mormorò Dawn.
“Non capisco.”
“Capirai meglio se li facciamo entrare e se ascoltiamo la loro storia.” Li invitò Alberta, mentre Scott richiudeva la porta e li seguiva fino in salotto.
 
La storia fu relativamente breve e, nel frattempo, i due padroni di casa si fissavano, quasi cercassero una linea comune da seguire.
Era chiaro che né Scott, né Alberta fossero intenzionati a farli stare sotto un ponte.
Tuttavia non potevano ospitarli in eterno se questi non avevano un piano valido con cui sconfiggere l’idea malsana del padre di Brick.
Era lui lo scoglio più duro e senza una strategia valida non ne avrebbero cavato un bel niente.
“La camera degli ospiti è ancora libera, vero fratellino?”
“Credo di sì.”
“Immagino siate un po’ stanchi e se volete riposarvi un po’, Scott può farvi strada.” Propose Alberta, facendo sbuffare il minore che poco sopportava di passare per un cameriere comune.
“Seguitemi!” Ordinò, quindi, il rosso, mentre Brick e Jo salivano con lui le scale e si perdevano a fissare i numerosi quadri sulle pareti, lasciando Dawn in salotto.
“Hai una bella casa Scott.” Borbottò Brick, facendolo inspirare profondamente.
“A volte odio così tanta ricchezza.”
“Perché?”
“Perché gli altri pensano che la mia vita sia una sciocchezza e non mi prendono sul serio.” Rispose secco, fermandosi nuovamente e aspettando i suoi compagni che per ogni quadro, vaso, tappeto si fermavano e restavano imbambolati per diversi secondi. Se dovevano andare avanti con quell’itinerario fino alla stanza degli ospiti, allora avrebbero fatto tranquillamente le tre di mattina, pensò Scott, scrollando le spalle e pazientando che si dessero una mossa.
“È per questo che ci hai sempre ignorato?”
“Affatto Jo. Il problema, almeno questa volta, non è il denaro o la reputazione.”
“Allora cos’è?” Domandò la giovane che considerava quella come una bugia mal raccontata.
“Se aveste saputo del mio status, allora tutte le mie promozioni sarebbero state pilotate e se prendevo un voto superiore al vostro, sarebbe stato solo per qualche mazzetta sotto banco.”
“Non è vero.”
“Voci simili sono praticamente all’ordine del giorno per quelli che sguazzano nel denaro.”
“Non abbiamo mai detto una cosa simile.”
“Forse voi siete migliori di così, Brick.” Gli concesse Scott, accarezzando un quadro dalla cornice impolverata.
“E tu?”
“Decisamente.”
“Ma allora perché ti sei intestardito e ti sei allontanato da noi?” Domandò Jo, osservando la porta davanti la quale si era messo Scott.
“Per il momento vi consiglio di trovare una buona strategia con cui confrontarvi e forse un giorno vi spiegherò tutto.” Borbottò il rosso.
“Questa è una promessa.”
“E questa è l’ora che voi andiate a letto e che non vi mettiate a fare porcate.” Replicò Scott, spalancando la porta e allontanandosi con un ghigno sulle labbra, mentre i suoi compagni erano arrossiti per l’imbarazzo.
 






Angolo autore:

Ryuk: Ma santo cielo...possibile che con te ci siano solo problemi?

Prego?
Sai che amo creare confusione ovunque.
E in questo caso abbiamo un padre schizzato che pretende dal figlio di seguire ciò che il nonno aveva preteso in precedenza.

Ryuk: Che mio padre al mercato comprò.

E sta faccenda durerà ancora un po'.
Alla prossima!
 

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Capitolo 21
*** Cap 21 ***


Rimasta in salotto con Alberta, Dawn si chiese perché non l’avesse mai vista prima di allora.
Nonostante non fosse di casa e Scott avesse parlato assai raramente della sua sfera privata, mai aveva menzionato a una sorella maggiore.
Dubitava che provasse vergogna.
Non era così brutta o violenta da costringerlo a ignorarla. Al contrario sembrava una brava ragazza, tranquilla e senza troppi grilli per la testa.
“Scott non mi aveva mai detto d’avere una sorella.” Esordì, schiarendosi la voce e ottenendo un sorriso come iniziale risposta.
A considerare che Scott e Alberta fossero imparentati, Dawn si chiese come potessero essere più diversi. Il primo era duro e inflessibile e sfoggiava raramente il suo sorriso che aveva già paragonato a qualche fugace raggio di Sole durante una giornata di sola pioggia.
La seconda invece sembrava il Sole fatto persona: sorrideva, rideva e rallegrava l’ambiente circostante con la sua sola presenza e non sembrava coperta da nubi che potessero dimostrare il suo dispiacere o che potessero spingere gli ospiti a chiedere se avesse un qualche problema.
Di Scott era risaputo il suo carattere impossibile e si poteva supporre che fosse incastrato da un qualche problema, mentre della sorella si poteva avere il dubbio che lei e i casini corressero su due strade che mai si sarebbero incrociate tra loro.
“Lui è fatto così.”
“All’inizio credevo fossi la sua ragazza.” Ammise Dawn, facendola ridacchiare.
“Chi ti dice che non lo sia?”
“Ma l’hai chiamato fratellino.”
“Essendo più piccolo di me, gli ho appioppato questo nomignolo.” Borbottò Alberta.
“Davvero?”
“Noi ci conosciamo fin da bambini e anche se non gli vado a genio, possiamo dire che siamo sempre stati bene assieme.”
“Lo immaginavo.” Sibilò Dawn, abbassando il capo.
“A volte vorrei che fosse un po’ più espansivo, ma è una testa dura e non cambierà mai.”
“Secondo me pretendi un po’ troppo da lui.”
“Pretenderei un po’ troppo da lui se non fossi sua sorella e non ti avessi preso in giro finora.” Replicò, sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisi.
“Ma tu sei…”
“Mi è bastato ingannarti d’essere la sua ragazza e ti sei demoralizzata. Una cosa davvero insolita, non ti sembra?”
“Ti stai sbagliando.” Farfugliò inutilmente.
“Immagino che il suo caratteraccio non sia l’ideale per una relazione.”
“Noi non stiamo insieme.”
“Però ti piacerebbe o mi sbaglio?”
“Io sono già quasi impegnata.” Rispose Dawn, ringraziando una cameriera che era sopraggiunta per servirle una tazza di tè.
“Un quasi non certifica una certezza.”
“Ma…”
“E poi mio fratello ha tanto amore da dare.”
“Davvero?”
“Non è mai stato fidanzato e per certo non dà per scontato qualcosa che gli sta a cuore. In questo sì può dire che è molto pignolo.”
“Lo stai dicendo come se fosse un difetto.”
“Non voglio parlarti dei suoi pregi o difetti: li imparerai quando starete insieme.”
“Io non voglio stare con lui!” Replicò Dawn, alzando un po’ troppo la voce.
“Perché no?”
“Perché non so mai come comportarmi.”
“È naturale che tu sia confusa, ma sappi che mio fratello non è cattivo. Lui vorrebbe tanto che gli altri lo considerassero come un mostro inscalfibile, ma in verità è sempre stato molto solo.”
“Io…”
“Quando sono tornata dall’ultimo viaggio, mi ha rinfacciato che la sua famiglia se ne frega di lui, che nonno è morto per colpa nostra e che se non va bene a scuola, è perché non ha nulla da dimostrare.”
“E lo difendi ancora? Dopo quello che ti ha detto?” Chiese, guardando verso le scale, quasi temesse di vederselo comparire davanti all’improvviso.
“A quest’ora si è già chiuso in camera.” La rassicurò Alberta che conosceva benissimo la classica routine del fratello.
“Ma come…”
“È mio fratello e conosco a menadito i suoi movimenti.”
“Io…”
“Tu puoi capirmi in questo, vero?”
“Come fai a sapere che ho un fratello minore?” Chiese Dawn, fissando intensamente la padrona di casa e chiedendosi se non avesse assoldato un qualche investigatore per conoscere tutte le sue mosse.
“Semplice intuito da sorella maggiore.”
“Davvero?”
“Per quanto sia ottuso, ci siamo riappacificati e qualche giorno fa mi ha parlato dettagliatamente dei suoi compagni.”
“Io…”
“E lui ti considera una brava ragazza che, per essere felice, non ha più bisogno di nessun consiglio.”
“Lui, però, non mi ha mai dato nessun consiglio.” Obiettò la giovane, non aspettandosi che Alberta scrollasse le spalle.
“Forse l’ha detto per farsi bello ai miei occhi.”
“Ma se lo conosci così bene, perché cerchi di proteggerlo ed eviti di placare il suo carattere?”
“Perché, purtroppo, ha ragione sul nostro conto, Dawn.”
“Ma…”
“Se non fosse stato per nostro nonno, lui sarebbe rimasto solo negli ultimi sette anni. Lo avremmo rivisto solo a Natale e durante la prima settimana di luglio, ma sostanzialmente sarebbe rimasto senza nessuno cui confidare ansie e preoccupazioni.” Mormorò Alberta.
“Non lo sapevo.”
“È per questo che sto pensando di tornare in pianta stabile in questa città. Forse è un po’ tardi per correggere i miei sbagli, ma voglio che mio fratello passi qualche anno di serenità.” Spiegò, spostando la mano destra e cercando di asciugare le prime lacrime.
“Non immaginavo che avesse sofferto così.”
“Credi ancora che non sia una motivazione valida?”
“Mi dispiace.”
“Lui vuole solo atteggiarsi da duro, ma in realtà ha il cuore tenero.”
“Allora perché è così?”
“Non lo so, ma credo che soffra molto nel restarsene solo.”
“È un testone.” Gli fece notare con una smorfia che suscitò in Alberta un’ennesima risata liberatoria.
“Oh questo lo so bene, ma io vorrei tanto che ritornasse come quando era piccolo.” Ribatté, alzandosi dal divano e prendendo dalla libreria un vecchio album fotografico, quasi cercasse una prova per convincerla che Scott da bambino era semplicemente adorabile e forse non era troppo tardi per recuperarlo dal baratro in cui li stava studiando.
“Però…”
“Prima che mi trasferissi in Canada con i nostri genitori, lui era fantastico. Non ci aveva mai dato chissà quali preoccupazioni e mia madre ne era orgogliosa, ma negli ultimi anni sembra che non ci sia più nulla in grado di farlo sorridere.”
“E dovrei aiutarlo?”
“Sei mai uscita con lui e gli hai mai chiesto perché sia così?” Domandò, porgendo alla sua ospite alcune foto che ritraevano un dodicenne dalla zazzera rossastra correre e ridere spensierato.
“Una volta sola.”
“Strano che dal ragazzo che ti piace, tu non abbia preteso un secondo appuntamento. Mi sembri una ragazza abbastanza spigliata.”
“Dopo quella volta che mi ha trattato male alle medie e dopo quello che mi ha detto nella limousine, non ci ho più pensato.”
“Non eravate soli.” Le suggerì, sfogliando nuove foto.
“Ma lui potrebbe…”
“Approfittarsi di te? Per essere una ragazza che ha risolto molti problemi e che cerca di affrontarne di nuovi, sei abbastanza timorosa. Scott si vergogna molto a parlarne in pubblico e per questo preferisce sopire le sue emozioni o parlarne solo quando è convinto di non avere nessuno intorno.”
“Dovrei aiutarlo?” Chiese Dawn, prendendo la tazzina ormai tiepida e sorseggiando l’intruglio che le era stato offerto.
“Se tieni a lui e non hai niente di meglio da fare, ti chiedo questo sforzo.”
“E tu?”
“Messo alle strette, finirebbe con il maltrattarmi e non accetterebbe mai di raccontarmi la verità.” Mugugnò Alberta.
“Farò del mio meglio.”
“Conto su di te, Dawn.” Sorrise, facendo annuire Dawn la ragazza che era propensa a ricalcolare il compagno di classe.
 
Le due discussero ancora un po’ e poi Alberta le indicò la stanza dove poteva passare la notte.
Se avesse avuto qualche problema, la prima camera dopo le scale era di Scott che, nonostante la porta chiusa, era ancora sveglio, intento a riflettere.
Dawn non aveva nessuna voglia di andare a dormire proprio a quell’ora.
E rincuorata dalle confessioni di Alberta, aveva deciso di passare all’azione. Picchiettò, quindi, sulla porta e aspettò pazientemente che il compagno aprisse e le chiedesse il motivo di quella visita insolita.
“Qualche problema, Dawn?” Le chiese, ritrovandosela davanti.
“Voglio solo parlarti.”
“E di cosa?”
“Credevo m’invitassi all’interno per discutere della strategia con cui aiutare Brick e Jo.” Sospirò Dawn, portando le mani ai fianchi.
“Non sarà facile aiutarli.”
“Io pensavo a una fuga d’amore.”
“E come dovrebbe evolversi la cosa?” Domandò Scott, retrocedendo e invitandola a entrare, scusandosi del suo disordine cronico.
“Come accade nei film: confronto a cuor leggero.”
“Se bastasse un confronto a cuor leggero, Brick non sarebbe mai scappato da casa. E un padre furbo aspetterebbe che il figliol prodigo ritorni a casa con la coda tra le gambe.” Borbottò, distendendosi a fissare la televisione che mostrava un vecchio episodio di una serie poliziesca.
“Sei dalla parte di quello lì?”
“Ho solo detto che potrebbe essere più sveglio di quello che non sembri.”
“Ma…”
“In questo caso il colpevole è la figlia della vittima.” Mugugnò il rosso, distogliendo l’attenzione da quel dialogo.
“Stavamo parlando di Brick.”
“Se non mi estranio dal mondo esterno, finisco con il confondermi.”
“Quali carte potrebbe giocarsi Brick?” Chiese Dawn, prendendo il telecomando e spegnendo il televisore.
“Alla figlia mancava la spilla che portava durante il ballo, segno che le è caduta durante la colluttazione con la madre.”
“Rispondi alla mia domanda.”
“Brick non ha avuto una mano fortunata, ma può sempre pescare delle carte migliori.” Sibilò il rosso che poco sopportava quelle intemperanze della compagna.
“Tipo?”
“Un confronto a cuor leggero è praticamente inutile.”
“Ma nei film funziona sempre.”
“Solo per esigenze di copione e per non sforare il budget.”
“Conosci la sua famiglia?”
“Suo padre è un discreto avvocato ed è uno di quelli che pretende i matrimoni combinati come unico mezzo per migliorare la propria posizione.”
“Lo approvi?”
“È il metodo peggiore di questo mondo. E per questo il mio piano consisterebbe nel tenere ben nascosto Brick.”
“Tutto qui?”
“E di simulare un rapimento.” Rispose secco il giovane.
“Sei serio?”
“Facciamo arrivare a suo padre un messaggio, gli chiediamo un milione di dollari se vuole rivedere suo figlio vivo e poi mi presento all’appuntamento e lo disintegro.”
“E se chiama la polizia?”
“Obiezione accolta.” Sospirò il rosso, rimettendosi seduto e invitando la compagna ad avvicinarsi per prendere nota delle varie idee.
“Questo sarebbe un ricatto e dovresti scegliere una via più leggera.” Mormorò Dawn, accarezzandogli la spalla.
“Sai che forse ho cambiato idea sul confronto leggero?”
“Lo dicevo io che era la soluzione migliore.”
“Un confronto ci vuole, ma con me.” Obiettò Scott, segnando quell’intuizione su carta.
“E come faresti?”
“Nessuno riesce mai a tenermi testa quando parlo.”
“E pensi che suo padre perda il confronto?”
“Diciamo che non ho intenzione di indicargli dove si trova suo figlio, se prima non ascolta per filo e per segno cosa ho da dirgli. Può chiamare anche qualche investigatore privato, ma nessuno saprebbe dove si trova Brick e sono pronto a portarmi il segreto fino alla tomba se necessario.”
“Così suona bene.” Si congratulò la giovane, spostando la mano e carezzandogli lievemente il collo.
“E se non la smetti, ti trancio la mano.”
“Ma io…”
“Stavo solo scherzando.” Replicò, sfiorandone i lunghi capelli.
“So che può sembrarti un’assurdità, ma questo piano mi piace e ti prometto che questa volta non ti lascerò naufragare come hai sempre desiderato.” Borbottò seria, facendolo annuire mestamente.
“Alberta ti ha raccontato il mio passato, vero?”
“Era per questo che cercavi di evitarci?” Chiese Dawn.
“È stata una serie di sfortunati eventi a rendermi così. Prima la sospensione, poi il trasloco dei miei genitori e di Alberta, quindi, l’isolamento degli ultimi mesi delle medie, le superiori, la morte di mio nonno e questo vuoto che ho nel cuore.” Elencò, toccandosi il petto.
“Sei uno stupido!” Replicò Dawn, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Dawn…”
“Io avevo bisogno di un amico e tu sei sempre stato in disparte. Perché non mi hai aiutato? Potevamo riemergere insieme.”
“Se mi fossi fatto avanti, ti saresti accontentata della mia sola compagnia ed io avrei rovinato nuovamente il tuo tentativo.”
“E allora perché non hai accettato subito il mio aiuto?”
“Stava diventando troppo facile, non credi?”
“In che senso?”
“Avevi aiutato Zoey, Cameron e pure Gwen, ma sentivo che se non avessi giocato sporco, poi avresti preso sottogamba tutti gli altri. Sei cresciuta in queste settimane, però, non sono sicuro che sia saggio conoscerti a fondo.” Ribatté, alzandosi di scatto, mentre lei cadeva mollemente sul letto.
“Sei uno stupido!” Urlò, rimettendosi in piedi e fronteggiandolo dal basso.
“La stupida sei tu.”
“Uno che può crescere e preferisce starsene da solo è un’idiota.” Replicò Dawn, facendolo negare.
“Come sempre mi conosci meglio di chiunque altro.” Soffiò divertito.
“E nonostante tu voglia il contrario, non ho intenzione di litigare ancora con te.”
“Nemmeno io.”
“Che dici se ci guardiamo un film e se accantoniamo le nostre divergenze?” Propose lei, superandolo e cercando sulle mensole qualcosa di suo gradimento.
“E cosa vorresti guardare?” Domandò, andandole alle spalle.
“Non hai nulla di romantico?”
“Ci sarebbe quello appena uscito al cinema e che mia sorella ha spacciato come regalo di ritorno e non sono ancora riuscito a far sparire con la spazzatura.” Soffiò, cercando di prendere il dvd in questione.
“Lo prendo io.” Si offrì Dawn, mettendosi in punta di piedi e sbilanciandosi.
“Ma non ci arrivi nemmeno.”
“Invece sì.” Ribatté, riuscendo nel suo intento, ma perdendo l’equilibrio.
Ritrovatasi senza appoggio, credette di cadere goffamente a terra e di suscitare le risate del compagno che, come minimo, le avrebbe rinfacciato il suo essere così goffa.
Le avrebbe ripetuto che era una sbadata e che non occorreva darsi tanto impegno per un oggetto che avrebbe preso senza troppe fatiche.
Ne era talmente convinta che quasi sbiancò, quando avvertì dietro di lei la figura di Scott che aveva cercato di trattenerla, ma che si era ritrovato schiacciato dal suo peso imprevisto.
E mentre si girava preoccupata per rassicurarsi che tutto andasse bene, stava cercando delle scuse valide con cui affrontarlo. Fu nel percepire il suo sbuffare infastidito che scattò in piedi, incontrando un sorriso che la lasciò di sasso.
“Sei una calamità ambulante, quasi come mia sorella.”
“Io…”
“Ma forse è anche per questo che le voglio bene.” Ammise, facendola annuire.
“Non lo sapevo.”
“E tu le somigli fin troppo.” Sospirò rassegnato, rimettendosi seduto e, quindi, in piedi.
“Mi spiace.”
“Oh non è un qualcosa di così terribile.” Bofonchiò, appoggiandosi al letto, mentre anche Dawn faceva lo stesso, evitando d’incrociare il suo sguardo.
“Sono davvero un’imbranata.” Sussurrò divertita.
“Se tutti fossero imbranati quanto te, il mondo sarebbe un posto migliore.”
“Perché?”
“Perché non avete paura di sbagliare continuamente.” Sibilò, facendo partire il film e pentendosi di quei complimenti che stavano avvicinando sempre di più quella seccatura.
 
Arrivati a metà film, quando era chiaro cosa dovesse fare il protagonista per conquistare il cuore della sua bella, Scott aveva sprecato un mare di sbadigli per rendere chiaro quanto fosse palloso quel dvd. Non aveva nulla contro gli attori o il regista, ma contro quella trama esageratemene normale.
Sbadigliò ancora una volta e poi percepì un tocco sulla sua spalla sinistra, voltandosi al contempo in quella direzione e notando come non fosse l’unico a trovare il tutto noioso.
Dawn si era ormai addormentata e non sembrava propensa a svegliarsi tanto facilmente. Aveva provato a scrollarla appena, ma era ormai caduta in un sonno profondo che le avrebbe impedito di proseguire.
Afferrato il telecomando, bloccò il lettore dvd e poi fece distendere la compagna, cercando ovviamente di non risvegliarla. Fissata brevemente, le carezzò la fronte e poi si accomodò sulla sedia della scrivania, consapevole che avrebbe passato quella notte completamente insonne.
Nel rivolgerle un’ultima occhiata, collegò anche quel momento a uno di quelli che aveva vissuto con Alberta quando erano entrambi bambini e le sorrise, avvertendo una sensazione inspiegabile che da diverso tempo non provava.
Forse aveva ritrovato un pizzico di felicità.
 


Angolo autore:

Mah...

Ryuk: Che hai?

Le ultime righe di questo capitolo non mi convincono proprio.

Ryuk: Perchè dici questo?

Troppo tirate per i capelli.
Magari rileggendole tra qualche giorno, farò i salti di gioia, ma per il momento proprio no.

Ryuk: ED è con lo scetticismo di rocchi e con i suoi ringraziamenti che vi salutiamo e vi auguriamo una buona settimana.

Alla prossima!
Neanche sto saluto mi convince più.

Ryuk: Che autore noioso e svogliato!
 

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Capitolo 22
*** Cap 22 ***


Il primo a risvegliarsi dal breve intorpidimento che l’aveva colto fu Scott che, riuscì a uscire dalla stanza, senza fare il minimo rumore.
Prima di scendere in salotto, scivolò nell’ex studio di suo padre, ora riciclato a stanzetta per il gatto e si fissò allo stesso specchio usato dal suo vecchio prima delle riunioni con grandi esponenti della finanza.
Subito si accorse d’essere strano. Una volta, quando i suoi genitori erano in Canada e Alberta dispersa in chissà quale angolo di mondo, era fiero e orgoglioso del suo sguardo aggressivo e del suo ghigno da supponente.
Ora, invece, si rendeva conto che quell’immagine che pretendeva ogni mattina era solo una sciocca illusione per renderlo soddisfatto e potente. Il suo ghigno era diventato un sorriso e i suoi occhi avevano recuperato quel lato umano che aveva soggiogato anni prima.
Si domandò se lo stesse facendo solo perché gli piaceva Dawn e non riuscì a darsi nessuna risposta. Nulla, però, gli vietava di colpirla positivamente e di migliorare carattere e atteggiamento con certe persone.
Non si sarebbe mai messo a fischiettare come una cinciallegra in amore, specie se doveva confrontarsi con il padre di Brick, ma quantomeno sarebbe diventato l’uomo che aveva sempre disprezzato.
Era raro che si pettinasse o profumasse, dopotutto non aveva nessuno da colpire positivamente, ma quel giorno aveva optato per quella bizzarria.
Non ricordava nemmeno quand’era stata l’ultima volta che aveva usato l’acqua di colonia del suo vecchio, né quel pettine che, passato raramente, faceva nascere un sacco di nodi.
Sorriso nuovamente al piccolo specchio, uscì e poi scese le scale, raggiungendo la cucina e arraffando tutto quello di cui aveva bisogno.
Era stato sufficientemente veloce da non lasciare indizi in giro, ma il suo passo era stato intercettato da una figura che, ben nascosta, ne aveva studiate le intenzioni.
“Ti sei svegliato presto stamattina.” Borbottò sua sorella che, seduta sul divano, era rimasta coinvolta dai suoi movimenti.
“Non avevo sonno.”
“Non credi che quel vassoio sia un po’ troppo pieno per te?” Chiese dopo esserselo visto sfilare davanti con tutta la loro dispensa e con quella scia di profumo.
“Il problema di Brick ha risvegliato il mio intestino.”
“E questo ti dà il permesso di svuotare il frigo e di mangiare come una vacca obesa?”
“Se qui c’è una vacca quella non sono io, cosa rompi?” Brontolò seccato, rischiando di scivolare sul tappeto leggermente sollevato.
“Aspetta un attimo Scott.”
“Che c’è adesso? Non mi dirai che questo sabato pretendi mi metta a sistemare il garage, vero?”
“Tieni anche questa e non fare brutte figure.” Sospirò, appoggiando sullo spazio vuoto del vassoio una rosa rossa.
“Ma…”
“Hai ancora tanto da imparare, ma una colazione in camera senza un pensiero floreale è come una ciambella senza buco.”
“Non ho bisogno di rose per mangiare!” Replicò seccato.
“Se ci tieni a quella ragazza, vedi di non sottovalutarla mai.”
“Io…”
“Se continui a mentire, un giorno le menzogne ti chiederanno il conto e tu sarai costretto a scappare. Ma se ti comporti bene e la smetti di piangerti addosso, forse riuscirai a rimediare.” Borbottò Alberta, sistemando la maglietta del fratello.
“Temo tu abbia ragione.”
“È normale che abbia più esperienza di te.” Lo canzonò, invitandolo ad andare a trovare Dawn.
 
Guardatosi guardingamente attorno, Scott scivolò nella sua stanza, prima che Brick e Jo, in fondo al corridoio, lo notassero.
Va bene cambiare, ma doveva farlo poco alla volta. Sarebbe stato assurdo cambiare così troppo velocemente e senza dargli la possibilità di adattarsi.
Richiusa la porta, notò come Dawn fosse quasi sveglia e si avvicinò, mantenendo comunque una distanza di sicurezza per evitare eventuali manate improvvise.
“Ben svegliata, Dawn.” Borbottò il rosso, spostandole una ciocca di capelli.
“Scott?”
“Sei una pigrona: hai dormito fino a tardi.”
“Ma io…”
“E poi sei la prima che resta così a lungo nella mia camera, senza darmi il tempo di mettermi qualcosa di più consono.” Mormorò divertito per andare ad aprire la finestra.
“Io…”
“Ma se mi fossi cambiato, chissà cosa avresti potuto pensare di quello che è successo tra queste quattro mura.”
“Che cosa…”
“Prima che ti metta a urlare come una pazza e che mia sorella si metta in mezzo, devo dire che è stata una bella nottata.” Continuò, facendola annuire.
“Mi hai fatto qualcosa?” S’informò, alzando appena il lenzuolo e cercando di capire se stava raccontando la verità
“Assolutamente nulla.”
“Hai tentato di usarmi.” Replicò la giovane, facendolo negare.
“Ti sei addormentata e mi hai costretto a rimanere su quella sedia scassata.” Ammise, indicando quella dannata che gli aveva causato il mal di schiena.
“Non prendermi in giro.”
“Non sono così cattivo da ingannarti.” Spiegò, avvicinandosi con il vassoio che aveva appoggiato sulla scrivania, mentre lei, alla vista di tutte quelle leccornie, si rimetteva seduta.
“A cosa dobbiamo festeggiare?”
“Alla nostra amicizia?” Tentò Scott, porgendole la rosa che lei annusò e appoggiò sul comodino alla sua sinistra.
“Buon’idea.”
“E cosa ne diresti…se noi due…un pomeriggio…”
“Che cosa mi stai proponendo Scott?”
“Se ti va…io non ti obbligo.” Soffiò intimorito.
“Perché non mi dici quello di cui hai bisogno?”
“Ma io…”
“In cambio, però, devi partecipare all’ultimo giorno di scuola e devi essere presente al momento della foto.”
“Lo immaginavo.” Soffiò, regalandole un nuovo sorriso.
“Come?”
“Perché è un’ottima riprova della nostra rinascita come classe e l’anno della Maturità potrà essere affrontato con la dovuta leggerezza.”
“Ho già sentito queste parole.” Mormorò Dawn, sforzandosi di ricordare da chi provenissero.
“Verso luglio…ti va bene?”
“Cosa Scott?”
“Vorrei una possibilità di scusarmi come si deve.”
“Non è che vuoi un appuntamento?” Ribatté la giovane, facendolo annuire.
“Non mi serve una risposta subito, ma mi farebbe immensamente piacere.”
“Scott…se me l’avessi chiesto un po’ prima.” Bisbigliò dispiaciuta, bevendo velocemente l’aranciata.
“Perché?”
“Perché sono già quasi impegnata e non avrò più molto tempo da dedicarti.”
“E i ripassi che mi avevi promesso?”
“Solo fino alla fine di quest’anno.” Rispose, sfiorando il suo viso con una semplice carezza che lo spinse ad abbassare lo sguardo per farle costatare una nuova sconfitta personale.
“Avresti accettato?”
“Non posso risponderti perché non mi sembra giusto illuderti in questo modo.”
“Alla fine sono sempre quello che non ne azzecca una.” Nicchiò, scrollando le spalle e illudendola che quel rifiuto non fosse stato così umiliante.
 
Erano circa le 14 quando Dawn fece ritorno a casa, scrivendo qualcosina sulla chat del moderatore e chiedendosi il motivo di quel cambiamento repentino.
Scott era cresciuto, ma non le sembrava giusto che lui scavalcasse altri ben più meritevoli.
Si era ripetuta che aveva un appuntamento con il moderatore e, risolta la faccenda di Brick e quella sciocchezza della foto, allora l’avrebbe convinto a uscire.
Il compagno era solo in ritardo.
Si fosse deciso prima a crescere e non fosse sempre stato così insopportabile, allora avrebbe accettato quell’appuntamento senza ribattere.
Un po’ le dispiaceva, ma non poteva illuderlo inutilmente.
Sperava soltanto che non ritornasse indietro e che il moderatore non la rimproverasse per quella scelta. Per un ragazzo che stava cambiando e di cui conosceva qualcosina, preferiva uno che era un’incognita gigantesca.
Di sicuro le avrebbe rinfacciato che era un’ingenua ragazzina e che, se non fosse stata per quella promessa vincolante, lui non si sarebbe mai presentato al loro appuntamento. A suo svantaggio la chat parlava per lui e quella promessa era ben impressa nella mente dell’utente.
“E quindi sei propensa a uscire con me?” Chiese il moderatore.
“Me l’avevi promesso, ricordi?”
“Credevo te ne fossi scordata e poi perché vorresti uscire con me, quando Scott si è avvicinato molto a te?”
“Perché mi sembra giusto così.”
“Non è che hai paura?”
“Paura di cosa?”
“In amore è normale soffrire e se non concedi seconde possibilità a quelli che se le meritano, ciò significa che resterai incompleta.”
“Scott ha già usato una seconda possibilità.”
“Quando?” Domandò il moderatore.
“Me lo chiedi perché sei geloso?” Lo stuzzicò, facendolo sorridere nell’oscurità della sua stanza, laddove poteva pensare tranquillamente a qualche aggiornamento cui discutere con gli altri moderatori.
“Te lo chiedo perché potresti essere affrettata e bugiarda.”
“Forse quando abbiamo passato la notte nella stessa stanza .”
“Davvero?”
“Chi mi garantisce che lui non sia approfittato di me?”
“Hai provato ad affrontarlo?”
“Bugiardo com’era, potrebbe mentire.” Rispose secca.
“Se dubiti della sua parola, significa che non gli hai dato nessuna seconda possibilità.”
“Ti sbagli.”
“Dai semplicemente per scontato che lui sia sempre il solito, rinnegando la sua richiesta.”
“Quindi ti rifiuti di uscire con me?”
“La chat è vincolante e m’impedisce di rifiutare. Sappi, però, che lo faccio controvoglia.”
“E quando ci vediamo?” Chiese Dawn, sorvolando su quelle parole.
“Devi ancora risolvere il problema di Brick e devi presentarmi la foto.”
“Sarà una cosa facile.”
“Fino a quando lascerai che siano gli altri a fare il lavoro, lo credo bene.” Obiettò il moderatore, lasciando la chat e facendole intendere che non era rimasto soddisfatto dal suo comportamento.
 




Angolo autore:

Ryuk: Siamo spariti per un po', neh rocchi?

Mi son preso due settimane di ferie.

Ryuk: E ora siamo tornati freschi e operativi.

Sul freschi e operativi non son proprio d'accordo.
Siamo solamente tornati. Stanchi, affaticati, affamati e con ancora più ore di sonno in arretrato.

Ryuk: E il capitolo è veramente corto.

Facciamo che per questa settimana aggiorno un po' prima.
In questo caso, per scusarmi dell'assenza e di queste poche righe riguardanti la sveglia di Scott e il nuovo confronto di Dawn con il moderatore, pubblicherò verso mercoledì/giovedì e poi di nuovo di domenica per rimettermi in pari con il vecchio programma.
Se poi vedo che l'interesse è buono, non escludo di far uscire questa serie due volte alla settimana.

Ryuk: Almeno il tuo cervello è rimasto di buona qualità.

Grazie del complimento!
Anche la tua generosità è sempre preziosa.

Ryuk: Buona settimana ragazzi, ci leggiamo presto.

Adios!
 

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Capitolo 23
*** Cap 23 ***


Beverly Frost era il miglior informatico dell’intera 4E.
Era compagno di banco di un certo Sam, riconosciuto per essere il fidanzato di quella Dakota che s’impegnava per diventare una modella di prima classe, e non aveva mai dato serie preoccupazioni ai professori.
Il suo unico difetto era da riscontrare in un trauma ricevuto quand’era un semplice bambino. A seguito di un grave incidente stradale, le sue corde vocali si erano danneggiate irrimediabilmente e non era più riuscito a parlare. Dalla sua bocca uscivano solo gemiti, grugniti e qualsiasi altro suono non corrispondesse a una voce chiara e distinta. Aveva superato questo scoglio, assistito anche da uno psicologo di fama nazionale, solo grazie a un apparecchio che, tramite una voce meccanica, informava gli altri di ciò che voleva dire.
Con quel semplice aggeggino e con quella maledizione sulle spalle, si era perso nel suo mondo ed era diventato un genio digitale. Poteva entrare in un qualche sito senza lasciare tracce, poteva manipolare i voti dei professori e, se si metteva d’impegno, poteva creare un virus talmente invasivo e distruttivo, che l’unica soluzione era gettare il pc.
Inoltre c’era un qualcosa di orribile in lui: quando voleva qualcosa, se la prendeva senza troppi problemi.
Era viscido e non avrebbe mai patito i sensi di colpa. Difficile che rimanesse sveglio se qualcuno rovinava l’elaborato dei suoi compagni o se la ricerca di un rivale scompariva misteriosamente senza lasciare tracce.
Ma nella sua avanzata silenziosa qualcuno aveva fatto breccia nel suo cuore.
Era bastato incrociarla tra i corridoi e lui si era innamorato di quella graziosa ragazzina.  E sbirciando sul suo cellulare quell’unica volta che l’aveva lasciato incustodito nell’aula di fisica, si disse che non era poi così difficile convincerla a uscire con lui.
Se aveva capito bene era interessata a una chat in particolare e a leggere i vari messaggi, sembrava chiaro che fosse rimasta colpita dal moderatore che seguiva i suoi progressi. Indagando a fondo aveva letto dei vari problemi e degli ultimi scogli che li separavano da quell’incontro romantico.
Che cosa poteva desiderare di meglio?
Al momento opportuno si sarebbe insinuato in quella chat, avrebbe fregato il posto di moderatore e sarebbe uscito con Dawn.
Si trattava di fare tutto silenziosamente, senza troppi proclami e, attraverso una serie di codici e programmi invasivi, cambiare la password ed ergersi a salvatore della patria.
Per il momento sarebbe stato un fantasma per poi iniettare il suo veleno una volta che il tutto fosse alla sua portata.
Inconsciamente sperava che quell’ultimo scoglio fosse una bazzecola e che la piccola e tenera Dawn abbracciasse il moderatore che l’aveva sempre aiutata. Sfruttare il lavoro altrui non era mai stato così soddisfacente e quel banchetto gli sarebbe stato servito su di un piatto d’argento.




 
Brick e Jo stavano recitando, anche quel pomeriggio, davanti a Scott.
Il rosso li aveva convinti che per rabbonire l’avvocato fosse necessario studiare tutto a tavolino e che fossero pronti a fare qualsiasi cosa per ottenere una chance di poter vivere la loro relazione come una coppia normalissima.
“Ma devo parlare davvero così?” Chiese Jo, guardando verso Alberta che occupava il ruolo di secondo giudice e che stava rileggendo le varie annotazioni del fratello.
“Sì.” Soffiò Alberta, fissandola intensamente.
“Ma io mi vergogno.”
“Se ti vergogni, significa che non sei pronta a lottare per il vostro amore.” La rimproverò Scott, cercando di migliorare quella sceneggiata.
“Dawn non mi aveva mai detto che dovessi fare una cosa simile.”
“Non mi sembra che lei sia qui al momento, Brick. E per essere convincente, devi pensare che tuo padre la stia allontanando per sempre e che non potrai rivederla mai più. Ti piacerebbe che qualcuno ti proibisse di vedere i tuoi amici?” Replicò, guardandosi intorno e sfoggiando un ghigno malefico.
“No, ma io…”
“E se non vuoi che succeda, dovete prendere la vostra felicità e seguire la rotta che volete tracciare per la vostra vita. E quando urlerai contro tuo padre, dicendogli che è un bastardo, e bacerai la tua ragazza…beh vorrei essere presente a godermi lo spettacolo e l’amore che emanerete.”
“Scott…”
“Ma fino a quel momento, non voglio sentire obiezioni e pretendo che voi rinnoviate le vostre promesse, fronteggiandomi a testa bassa.” Ringhiò nervoso, scattando in piedi e imitando il padre di Brick.
“Ma non puoi parlare con mio padre senza tutta sta manfrina?”
“Gli adulti non accettano una sconfitta con tanta felicità. Davanti a me potrebbe essere sincero, ma alle spalle potrebbe rinchiuderti in casa e non farti uscire mai più.”
“Mio fratello ha ragione.” Lo appoggiò Alberta.
“Ma stiamo studiando da delle ore, se avessimo il tempo di riposare.” Tentò Brick, girandosi verso la porta finestra che comunicava con il giardino.
“Basta che non sia una cosa lunga.” Sospirò Scott, crollando sulla sua sedia e aspettando che i compagni se ne uscissero dalla sala.
Dentro di sé sapeva che non era facile.
Si trattava di essere degli inflessibili bugiardi e quella qualità o si possiede geneticamente o non si può inventare. In tanti si prodigavano in quella direzione, ma ben pochi riuscivano a essere convincenti. Un semplice esempio l’aveva davanti: Alberta quando raccontava una menzogna, anche la più innocente possibile, rideva sguaiatamente. Altri non riuscivano semplicemente a parlare e balbettavano per l’ansia, alcuni deglutivano nervosamente o si ritrovavano con le mani sudaticce.
E molti altri casi umani camminavano e creavano dei solchi talmente profondi che tanto valeva tatuarsi in fronte la dicitura di Imbecille incapace.
“Non sarà facile, fratellino.” Esordì Alberta, notando come il fratello si fosse rinchiuso la testa tra le mani, quasi desiderasse mantenere la propria sanità mentale.
“Possibile che non vogliano capire? Possibile che si accontentino di vivere in questo modo?”
“Fratellino, ma loro sono troppo giovani per capire.”
“Non è una questione d’età o d’esperienza. Per come stanno andando le cose, sembra che vogliano vivere senza provare più nessuna gioia. Perché se è questo ciò cui aspirano, tanto varrebbe che mi fissassero a lungo e iniziassero a imitarmi.”
“Perché?”
“Io non riuscirò mai più a essere felice e quando vedo altri in questa situazione, mi sale una rabbia incontrollabile.” Ringhiò seccato.
“Loro si amano, ma si vergognano ad ammetterlo.” Biascicò Alberta.
“Perfino un cieco se ne accorgerebbe.” Confermò Scott, stiracchiandosi gli arti indolenziti.
“Toccano sempre a te i compiti più ingrati.”
“Sarebbe così facile se gli adulti ci permettessero di vivere liberamente, senza metterci inutili pressioni e senza pretendere risultati.”
“E se la cosa non funzionasse? Se questa fuga d’amore fosse solo un’immensa sciocchezza?”
“Dawn vedeva tutto ciò come l’unica possibilità.” Borbottò Scott, rileggendo le note che aveva scritto in matita.
“E tu?”
“Dovrei conoscere meglio la faccenda per darti una risposta secca.”
“Credi che la sua idea di confronto leggero possa funzionare?”
“Dubito della sua ingenuità: quello cui sto preparando Brick, è una guerra in piena regola e non le solite sciocchezze da film.”
“L’ho notato.” Confermò Alberta.
“Questa è la vita vera e non si può pensare che delle lacrime, degli stupidi discorsi motivazionali e delle pacche sulle spalle siano sufficienti per superare ogni contrasto. Se fosse così semplice, il mondo sarebbe un posto migliore e non vi sarebbero questi eterni conflitti tra genitori che pretendono il meglio e figli che vorrebbero vivere alla luce del Sole.”
“E quale sarebbe la soluzione?”
“I ragazzi hanno bisogno di vivere i propri sbagli e i genitori, quando notano una scelta veramente dannosa, dovrebbero indicargli con l’esperienza la giusta via. Ma se pretendono sempre che siano bravi e buoni, cosa accadrà quando questi bambinoni entreranno nella società? Pretenderanno che gli sia tutto dovuto e che gli altri spalanchino le porte non appena la loro ombra si sta avvicinando.”
“Intendi dire che siamo tutti fin troppo precipitosi?”
“Brick pretende libertà, suo padre esige che segua la strada migliore, ma nessuno può costringere qualcun altro a fare una scelta. Perché non posso prendere la strada peggiore, consapevole che questa non mi porterà da nessuna parte, solo perché ho lo spirito dell’esploratore?”
“Stai dicendo che alcuni lo fanno di proposito?” Chiese Alberta.
“Io ho sempre fatto così.”
“E questo ti ha portato ad avere 18 anni e non sapere nemmeno come va il mondo.”
“Il mondo gira nel senso sbagliato, ma nulla vieta a qualche pazzoide di girare nel modo corretto e di scontrarsi con la società. Alla fine si tratta solo di essere felici e se qualcuno vuol vivere senza pretese, chi sono io per giudicarlo?” Domandò, facendola annuire.
“Ho sempre detto che una ragazza ti avrebbe fatto bene.”
“Questa volta hai ragione.”
“E quella Dawn è stata davvero brava.” Soffiò Alberta, mentre lui cancellava alcune annotazioni che non erano di suo gradimento.
“Sarebbe stata brava se non mi avesse rifiutato. Alla fine te l’ho già detto, sorellona, la mia vita continuerà su questi binari infelici.” Replicò turbato, rattristando la maggiore che si avvicinò per abbracciarlo da dietro.
“Se tieni a questa tua ritrovata felicità, dimostrale cosa potrebbe perdersi e cerca di conquistarla.”
“Per il momento sono troppo preso dal problema di Brick per sforzarmi di conquistare qualcuno che non mi ha ancora perdonato.”
“Devi diventare irresistibile, farle rimpiangere la sua scelta e sarà lei stessa ad avvicinarsi.” Gli suggerì, baciando sulla fronte il minore che, non aspettandosi un gesto simile, trasalì.
 
Erano andati avanti a provare per tutto il resto del pomeriggio e anche durante la domenica mattina senza, peraltro, soddisfare pienamente Scott.
Se aveva ordinato il rompete le righe per il pomeriggio domenicale, era solo perché era inutile sospingere un mulo su per un’irta salita. Alla fine si sarebbe ritrovato con il tipico calcio all’indietro di frustrazione e si sarebbe raccolto a massaggiarsi la parte lesa.
E passeggiando nervosamente per la sala era lampante cosa gli passasse per la testa. Anche quella volta doveva affrontare gli altri con il suo tipico cinismo, cercando di non rifarsi contaminare e di non ripiombare nella stessa situazione di qualche giorno prima.
La sua vita era a un punto di svolta e doveva sconfiggere il padre di Brick a quell’unica ripresa. Non vi sarebbero state rivincite o seconde opportunità in quel duello.
Quella che stava per cominciare era la settimana che precedeva la gita in montagna del quarto anno e un rinvio sarebbe stato assolutamente deleterio.
Conscio di questo, stava innervosendo anche sua sorella che avrebbe tanto voluto recuperare le ultime tre stagioni della sua serie tv preferita, senza ritrovarsi quella trottola che le girava attorno e che le impediva di seguire i dialoghi con la dovuta attenzione.
Spento il televisore, aveva ripreso il telefono tra le mani e, formulato un numero in particolare, era risalita nella sua stanza, laddove sperava di starsene tranquilla.
Se suo fratello sperava che tutto gli fosse dovuto e che non vi fosse motivo per combattere, allora non sarebbe mai stato felice. E se i loro ospiti erano intenti a passeggiare nel grande giardino della villa, lui aveva bisogno di qualcuno con cui confrontarsi per risistemare le idee.
E quando sentì il campanello suonare seppe che per un po’ avrebbe dormicchiato senza rotture di scatole.
“Che ci fai qui?” Chiese Scott dopo aver aperto la porta.
“Tua sorella mi ha chiesto di passare a trovarti.”
“Quella ficca sempre il naso nei miei affari.” Brontolò esasperato, invitandola a entrare e offrendole, data la giornata libera dei domestici, qualcosa da bere.
“Lo fa perché ti vuole bene.”
“Dimenticavo che voi siete fin troppo simili e la solidarietà femminile finirà sempre con lo schiacciarmi.”
“Entrambe abbiamo dei fratelli fastidiosi.” Soffiò Dawn.
“Già.”
“Ma sono dei fratelli cui teniamo molto e cui auguriamo sempre il meglio.” Si scusò, seguendolo in cucina e aiutandolo a prendere alcune bibite da poter bere in salotto.
Allineate sul tavolino che si trovava in mezzo tra divano e televisione, laddove di solito Scott appoggiava i piedi per rilassarsi, spostò diverse volte la mano sulle varie bottiglie, inconsapevole di quali fossero i suoi gusti.
“Gassosa?” Chiese con incertezza.
“Preferisco un goccio di aranciata.”
“Vuoi anche qualcosa da mangiare?”
“Di certo non pretendo il frigo come l’ultima volta.”
“Scusa se volevo farti sentire come a casa, non intendevo esagerare.” Mormorò, facendola sospirare.
“È vero che non sei felice di stare qui?” Chiese Dawn, cogliendolo alla sprovvista e non aspettandosi una domanda così diretta.
“Chi te l’ha detto?”
“Una brava ragazza non rivela mai le sue fonti.”
“Promemoria per il futuro: costringere Alfred a cercare in 20 negozi diversi una marca di biscotti che non esiste più.” Sibilò, riappoggiando il bicchiere sul tavolino.
“Non hai ancora cambiato idea?”
“Odio questa città: è piena di ricordi che vorrei solo cancellare.”
“Ma…”
“I ricordi, però, sono immutabili e per quante buone azioni io compia, alla fine ricorderò sempre quelle volte in cui sono stato crudele. E quando farò una qualche cazzata, perché capiterà ne sono certo, gli altri mi rinfacceranno tutti i miei sbagli e rovineranno tutte le mie certezze. Poi diranno che non lo fanno di proposito ed io arriverò al punto cui considererò le loro garanzie come delle sciocche menzogne.”
“Ti avrei risposto di sì, Scott.” Ammise, fissandolo intensamente.
“Avevo bisogno di saperlo.”
“E dubito che qualcuno possa essere così crudele da trattarti in questo modo.”
“Lo dici tu.”
“Sono sicura che ci sarà sempre qualcuno pronto a farti sorridere.” Replicò, carezzandogli il viso e perdendosi nei suoi occhi malinconici.
Quanto avrebbe voluto renderlo felice e cancellare tutto quel malessere che traspariva dal suo sguardo e dalle  sue parole. Dopotutto si trattava di rifiutare l’incontro con il moderatore e accogliere quella cotta che la spingeva sempre a pensare a lui.
Da quando si erano chiariti e avevano spiegato parzialmente le loro posizioni, Dawn aveva smesso di pensare con insistenza all’appuntamento della chat. Avrebbe sì voluto incontrarlo, ma non era più la sua unica ambizione. Ora voleva anche vedere se Scott faceva sul serio e se era propenso a crescere e a concedersi una possibilità. Se avesse imparato ad amare dal profondo del cuore e non si fosse più fatto trascinare dai ricordi, allora non avrebbe più avuto il minimo dubbio e gli avrebbe concesso una chance.
“Potresti essere tu.” Borbottò, avvicinandosi appena.
“O potrebbe essere chiunque nella nostra scuola.” Lo rincuorò, sperando di risollevarne il morale.
“Ne dubito.”
“Cambiando discorso, come procede con Brick e Jo?”
“Non offenderti Dawn, ma sarò costretto a recitare la parte del cattivo.”
“Non hanno intenzione di ammettere i loro sentimenti?”
“La vergogna è la rovina delle relazioni.”
“Che intendi dire?”
“Prendi Lightning…lui è stato friendzonato per tre volte da Anne Marie eppure continua a riprovarci e forse riuscirà anche a farle cambiare idea.”
“Quattro volte.” Lo corresse, facendolo sospirare.
“Un altro si sarebbe arreso al secondo tentativo, ma lui invece continua a sforzarsi. A un certo punto mi sono chiesto perché ci stesse riprovando.”
“E?”
“Lo fa perché ci tiene veramente ed è convinto che il suo sogno si realizzerà.”
“Già.”
“Ma per quelli che hanno troppa paura, non ci sarà mai alcuna gioia futura. Possibile che non abbiano imparato nulla e che non vogliano evitare di diventare come me?” Chiese, negando sconsolato.
“Stai esagerando ora.”
“Cosa ci sarebbe di tanto esagerato? Sto solo dicendo la verità.”
“Tu non sei così.”
“Brick e Jo ci stanno facendo perdere tempo.”
“Ma loro si amano.” Obiettò Dawn, ottenendo una risata come risposta.
“Ne sono così sicuro che credo non valga la pena sprecare tempo per delle stupide prove, vero?” Ironizzò, facendola sospirare.
“Intendi sacrificarti?”
“Quando stavo in un angolo, davate per scontato che fossi un bastardo e forse è la volta buona che vi dimostri che è così. Ti sei preoccupata tanto di capire che cosa provassi e perché mi comportassi in un certo modo, per ottenere cosa? Sono obbligato a rindossare la stessa maschera.”
“Scott…”
“Da quando ti ho fatto quel torto alle medie, ho allontanato tutti perché avevo paura di farvi soffrire. Ne ero così spaventato che ora mi sembra superfluo continuare. Chi mai si è preoccupato di affrontarmi con la stessa gentilezza?” Domandò, sfoggiando un ghigno carico d’amarezza.
“Cerca solo di non esagerare.”
“Non ti garantisco nulla.” Borbottò, lasciandola sul divano e salendo in camera.






Angolo autore:

Son successe diverse cose a sto giro.

Ryuk: Compare Beverly che è interessato al suolo del moderatore, giusto per avere Dawn.

E Brick e Jo si vergognano a scontrarsi con l'avvocato, costringendo Scott a farsi avanti e a sfogare tutta la sua frustrazione su sorella e compagna di classe.

Ryuk: Perchè mi sembra la trama di Beautiful?

Non ne ho idea.
Nella prossima avvincente puntata...ci sarà lo scontro tra Scott e il padre di Brick.
Chi la spunterà? E chi uscira con le ossa rotte?
Le risposte a questa domanda solo su "A strange class"

Ryuk: Ora siamo tornati in perfetto stile reality.

Spero solo di non esagerare con Scott.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Cap 24 ***


Quel mercoledì pomeriggio era finalmente giunto.
L’inizio settimana non era stato propriamente tra i più leggeri e questo per un motivo più che elementare: la gita scolastica si stava avvicinando.
A pensare a quello che era successo in quelle ultime settimane con il riavvicinamento tra i vari gruppi della sua classe, Scott si era chiesto come fosse stato possibile che la meta più congeniale fosse stata calcolata con un semplice schiocco di dita.
Di solito rompevano le scatole per settimane anche solo per eleggere un qualche rappresentante ed ecco che in poche ore riuscivano a trovarsi d’accordo su una settimana bianca in pieno aprile.
Non poteva esistere periodo più sbagliato per cercare di recuperare un qualcosa come sette insufficienze.
Poteva bastare?
Se i prof non si fossero incarogniti con uno che si svegliava sempre con la primavera già avanzata e non avessero iniziato a bersagliarlo di domande cui rispondeva con spigliato interesse, ecco che non avrebbe dovuto sudare come un dannato.
Era chiaro che odiasse la scuola come nessun altro.
Perfino Duncan poteva esibire una pagella migliore e ci mancherebbe con quello sciacallo di Courtney che inorridiva al solo pensiero di ritrovarsi con la reputazione macchiata. Era una brava ragazza, dopotutto, e mai avrebbe permesso che il suo fidanzato si rovinasse l’estate con stupidi corsi di recupero.
Da lunedì era stato interrogato in scienze, aveva sopportato la verifica di Chris McLean, il più incredibile narcisista di cui Scott aveva memoria, e aveva consegnato in tempi record il compito del sempre affabile Chef.
Rientrando a casa e distendendosi sul letto si era chiesto perché s’impegnasse tanto.
Se avesse dormito fino a giugno, trascinando le sue adorate insufficienze fino alla bacheca del primo piano, poi sarebbe stato costretto a trasferirsi in Canada e qui la sua famiglia avrebbe ritrovato la tipica unità di un tempo.
Suo padre sarebbe rientrato alle 19, sua madre avrebbe parlato a lungo dei loro affari, sua sorella avrebbe descritto l’ennesimo spasimante che sbavava ai suoi piedi e lui avrebbe nicchiato, confermando la sua risalita scolastica.
Ma allora perché non si tuffava subito su quell’esperienza? Non aveva chissà quali segreti da nascondere e l’unico punto negativo era da riscontrare proprio nell’odiata figura paterna che, in tanti anni di distanza, non si era nemmeno degnato di fargli gli auguri per il suo compleanno.
Vivere attaccato a quel babbeo allampanato gli avrebbe fatto venire l’emicrania. E qui sopraggiungeva un ultimissimo e delicato problema: non poteva allontanarsi dalla sua città perché sarebbe finito tra le sue grinfie. Non che lo temesse esageratamente, ma non aveva il desiderio di ritrovarselo alle calcagna.
Il suo lavoro, poi, non era ancora del tutto concluso e conscio di questo ritornava sovente sul pc, laddove poteva distrarsi e trovare consolazione.
Durante le varie cene, tuttavia, questa sua apparente calma collideva con le intenzioni di Brick che aveva espresso più volte il desiderio di tornare a casa. Più volte gli aveva ripetuto che quello era il modo migliore per giurare cieca fedeltà al proposito dei suoi genitori.
Se solo avessero varcato la porta, ecco che il padre di Brick si sarebbe autoeletto vincitore e non vi sarebbe stata più alcuna possibilità di far valere le proprie ragioni.
Per ogni volta che sarebbe scappato di casa, ecco che il suo vecchio avrebbe supposto il suo ritorno in gran fretta e come se si trattasse di un figliol prodigo senza spina dorsale si sarebbe aspettato di vederlo inginocchiato per ottenere il suo perdono.
Scott era stato inflessibile: se si fosse arreso, trascinando con sé anche Jo, non gli avrebbe più rivolto la parola e non sarebbe stato degno del suo raro rispetto.
E poi quel lavoretto con annesso scontro infuocato, gli era utile come scusa ottimale per assentarsi da scuola per quel mercoledì mattina. Non poteva sprecare energie mentali per prof nevrotici o mestruati che gli avrebbero fatto sprecare una buona dose di cinismo.
Quell’avvocato da strapazzo si meritava le peggiori offese possibili e sua sorella Alberta, per quell’unica volta, era perfettamente d’accordo con lui.
Si era svegliato tardi, aveva consumato una frugale colazione e si era disteso per un paio d’ore sull’erba del giardino incolto del retro villa. Rientrato in salotto, era rimasto per molte ore sul divano e verso le 14 si era rialzato per osservare dalle finestre se il suo fido Alfred stesse riportando a casa i due fuggitivi. Qualora si fosse piegato e non avesse rispettato il suo ordine, lo avrebbe costretto a una delle punizioni più umilianti che la sua giovane mente avesse mai partorito.
Fu quando li vide entrare, che si rasserenò e poi tornò a concentrarsi sul vialetto, in attesa che quell’avvocato, descritto da molti come un novello Perry Mason, si avvicinasse e dimostrasse la bontà di quel paragone esagerato.
“Sei sicuro che sia il caso di affrontarlo? Sono ancora in tempo per scusarmi.” Mormorò Brick, fissando con lui il panorama.
“Se tieni a Jo, lasciami fare.”
“Io…”
“O devo pensare che sei un codardo che se la fa sotto se l’ombra di paparino non è più visibile?” Domandò con cattiveria, facendolo negare.
“Non ti ho chiesto questo.”
“Non rinunciare mai ai tuoi sogni, Brick.”
“Eh?”
“Rincorrili anche in capo al mondo, ma portali sempre a termine.”
“Credevo ridessi dei miei sogni.” Replicò, sedendosi vicino al compagno di classe.
“Sai Brick…io t’invidio.”
“Come?”
“Hai così tanti amici, una famiglia che, malgrado tutto, ti vuole bene, Jo che stravede per te…a me che cosa resta?”
“Non saprei.”
“Zero amici, una famiglia a pezzi, nessuna donna all’orizzonte eppure credo che ci dovrebbe essere un lato positivo in questo o no?”
“Difficile a dirsi.” Nicchiò Brick.
“Non sono mai stato così decifrabile, vero?” Domandò, sperando di ricevere conferma di quell’intuizione che aveva attraversato la sua vita anni prima.
“È difficile capirti.”
“Dubito che qualcuno possa riuscire a capire che cosa mi passa per la testa, perché  non lo capisco neanche io.”
“Mi spiace, Scott.”
“Ma se dovessi affrontare tuo padre con questo spirito, probabilmente farei una magra figura e, quindi, smuovi il culo e torna in camera.” Gli ordinò perentorio, facendolo sorridere.
“C’è nulla che posso fare per sdebitarmi?” Lo interrogò, scattando in piedi.
“Non dire niente alla classe.”
“Perché no?”
“Perché finirei con lo scombussolare tutto e Dawn ha fatto tanta fatica a riunirvi tutti.”
“Tu accetteresti di restartene in un angolo solo per non rovinare il nostro gruppo?” Chiese Brick, fissandolo sconcertato.
“Qualsiasi cosa io tocchi, è destinato a marcire. Non voglio rompere il vostro equilibrio, non dopo tutta la fatica che Dawn ha fatto per mettervi insieme.”
“Ma…”
“Lei non era abituata alla solitudine e ci è rimasta molto male.”
“E tu ne sei abituato?”
“Ormai la solitudine è una buona compagnia che mi scompiglia i capelli e con cui rido spesso.”
“Quello che dici sembra legato a un qualche disturbo.” Borbottò Brick, facendolo sospirare.
“Ciò che mi disturba è solo vedervi così impacciati e insicuri.”
“Io…”
“Ricorda quello che dico, Brick. A questo giro vi paro il culo, ma la prossima volta dovrete affrontare i vostri problemi di prima persona.” Ringhiò minaccioso, vedendo il compagno fare marcia indietro e ritornare ai suoi impegni.
 
Il campanello della maestosa villa risuonò che erano le 15 spaccate.
Scott aveva ordinato che il piano terra restasse a sua completa disposizione. Aveva liberato la cameriera e l’autista da ogni impegno, aveva preteso che Brick e Jo restassero in camera o tutt’al più nel minuscolo salottino del piano superiore e aveva chiesto ad Alberta di vigilare e di far compagnia ai loro ospiti.
Quella faccenda, nato come un semplice diverbio, avrebbe dimostrato quanto potesse essere controproducente discutere con un Black.
“Il signor Navas giusto?” Chiese il rosso, invitando l’uomo a entrare nella sua umile dimora.
“Vorrei sapere perché sono qui.”
“Non creda mi faccia piacere averla tra i piedi: sa lei non merita di farmi perdere tempo, ma voglio conoscere a fondo chi intacca i miei affari.” Mugugnò Scott, notando come una vena stesse pulsando sulla sua fronte.
“So benissimo che mio figlio è qui.” Replicò seccato, facendolo sospirare.
“E allora?”
“Allora pretendo che ritorni a casa con me.” Sibilò l’uomo, seguendo il ragazzo fino in salotto.
“Altrimenti? Intende sguinzagliarmi contro qualche tirocinante che lavora nel suo ufficio? Oppure dovrei aspettarmi la visita di qualche burocrate o poliziotto con tanto di mandato del procuratore? Sarebbe esagerato perfino per uno come lei.”
“A quanto pare mi conosci.”
“Purtroppo i miei occhi cadono fin troppo spesso sulle notizie della prima pagina e insieme al sindaco e a qualche altro babbeo da quattro soldi non ci sono molti altri volti di cui spettegolare.”
“Potrei sporgere denuncia per sequestro di persona.” Replicò l’uomo, continuando per la sua strada e ignorando quelle sciocche provocazioni.
“E a che titolo? Anche se suo figlio fosse qui, dubito che la sua denuncia abbia una qualche efficacia.”
“Ma davvero?”
“Lei che è avvocato sa bene che questa denuncia è una cazzata.”
“Potrei benissimo diseredarlo.” Replicò imperturbabile, facendo ghignare il rosso.
“Brick è figlio unico, vero?”
“Infatti.”
“E un individuo avido come lei, non permetterà mai di lasciare il suo cospicuo patrimonio agli sciacalli del governo.” Soffiò divertito, servendosi un goccio d’acqua.
“Come si permette?”
“Che schifo di ragionamento! Immagino abbia pensato che Brick senza nessun aiuto, sarebbe tornato a casa strisciando, magari baciandole pure i piedi. E un avvocato della sua fama che si riduce a simili mezzucci per salire d’importanza e per non vedere il proprio nome cancellato o ridimensionato è un enorme controsenso. Dimostra un’intelligenza inferiore a quella delle scimmie: smetta di fingere d’essere un gran uomo e accetti la realtà.”
“Quale realtà?”
“Suo figlio, lo voglia o no, è innamorato di Jo.”
“No!” Replicò seccato, facendo sospirare il suo giovane interlocutore.
“No? Molto bene allora. Vedremo quanto sarà felice tra qualche mese, senza sapere dove si trova suo figlio e con la consapevolezza che bastava starsene zitti e seguire da spettatore il corso degli eventi.”
“Tu non puoi pretendere di conoscermi.” Seguitò stizzito, facendo ghignare il ragazzo che, con la sua logica, lo stava disintegrando.
“Così come dovrà accettare che i suoi compagni di classe sono i migliori amici che Brick potrebbe desiderare.”
“Ti sbagli! Gli unici suoi migliori amici saranno quelli dell’Università e dell’alta società.”
“Oh l’alta società. Sapesse quanto sono superficiali e rivoltanti.” Sbuffò Scott, sbadigliando rumorosamente per via di quella discussione che lo stava annoiando.
“Io…”
“Imprenditori che fregano sindacati, primi cittadini che pensano al proprio portafoglio, medici che curano prima i dispensatori di favori, fregandosene dei bisognosi…vorrebbe davvero entrare in un mondo dove ognuno ha un coltello tra le mani? In confronto i bar colombiani sono più sicuri e alla portata di simili ritrovi loschi.”
“Brick farà quello che dico io.”
“Farà quello che dice lei, se riuscirà a trovarlo.” Replicò, battendosi un dito sulla guancia, in attesa della contromossa del suo ospite.
“Lo troverò eccome.”
“E a quel punto potrà rinchiuderlo in casa, iscriverlo a qualche collegio o magari un bell’esorcismo, che dice?”
“Può essere un’idea.”
“Un’idea che nel suo caso fa rima con sequestro di persona.” Ghignò Scott, facendolo rabbrividire.
“Non ho mai detto che seguirò il tuo consiglio.”
“Lei e Brick siete uguali: entrambi noiosi, privi di talento e con l’insana capacità di giocarvi il mio rispetto come se fosse un giro di valzer.”
“Sai dove si trova?”
“È più facile che un asino inizi a volare, prima che io spifferi qualcosa sul conto di quel babbeo.”
“Dov’è?”
“Se lei ammettesse che ha le mani legate, allora potrei essere mosso a pietà e potrei farle dare una sbirciata alle mie carte.”
“Nessuno può impedirmi di seguire i miei sogni.”
“Da quando i suoi sogni sono quelli di Brick? E perché lui dovrebbe rinunciare ai suoi sogni? Solo perché lei vuole sentirsi grande? Solo perché suo padre pretendeva risultati e non accettava le sue scelte?”
“Come si permette?”
“Brick ha scelto la sua felicità e ha intenzione di seguire quella rotta anche con la tempesta se necessario.”
“Non hai intenzione di dirmi dove si trova?” Ripeté nuovamente, rifiutandosi di abbassare la voce e di perdere con quell’insipido moccioso.
Dopotutto era il miglior avvocato della città e non poteva soccombere dinanzi al primo saputello che lo schiacciava con la logica. Dove avrebbe trovato il coraggio di mostrare il suo volto in viso, se quel ragazzino lo avesse sconfitto senza nemmeno impegnarsi seriamente?
La targhetta fuori dal suo ufficio avrebbe rispecchiato un lavoro che non lo entusiasmava più come un tempo e che era un semplice riconoscimento per i tanti anni spesi a seguire la legalità e la giustizia.
“Purtroppo sta parlando con quello che è il fantasma della classe. E un fantasma non è in grado di parlare o di confidare segreti rilevanti.”
“Io…”
“Mi guardi bene signor Navas: questa è la fine che fanno i ragazzi quando seguono le orme dei genitori e che escono con quelli dell’alta società. È davvero sicuro che il suo Brick, ragazzo gentile e tranquillo, sia in grado di non trasformarsi in questo modo? Perfino io ero spavaldo, ma ora sono ridotto in questo modo.”
“Lui è…”
“Sa com’è…spingersi a odiare il proprio padre, autodistruggersi solo per incolpare e ferire chi ti ha messo in questa condizione. È davvero pronto a spingersi a tanto? Odiare ogni cosa, il Natale senza un sorriso, i compleanni nella propria stanza senza nessuno a cantare, gli amici che ti abbandonano perché non sei al loro fianco. Deve essere una pacchia, però, essere ricchi. Davvero esilarante: sono ricco esteriormente, ma sono povero dentro!” Ringhiò, facendolo tremare.
“Ma…”
“Ho sempre invidiato gli altri per la fortuna che non avevo, ma a quanto pare non siete nemmeno degni di questa considerazione.”
“Mio padre voleva solo il mio bene.” Si difese l’uomo, credendo che quell’ultima carta valesse qualcosa.
“E ha precluso il suo sogno. I sogni che muoiono e che non vengono inseguiti con l’impegno e l’ingenuità giovanile sono i grandi rimpianti che nessuno riuscirà mai a colmare.”
“Io…”
“Voi siete ancora in tempo per sanare queste ferite.”
“E tu?” Chiese l’uomo, incrociando il suo sguardo ferito.
“Ormai è troppo tardi per una casa, dove s’illuminano solo le stanze dei figli e non più quelle dei genitori e dove il pianoforte rimane muto.”
“Mi spiace.” Sussurrò avvilito.
“Chi ammira la villa sul davanti, non può sapere quanto sia rovinato il giardino sul retro.” Rifletté amaro, facendolo annuire.
“Dove si trova mio figlio?”
“Se mi dà la sua parola d’onore che da oggi è libero di seguire i suoi sogni, allora glielo dirò.”
“Sarà un po’ difficile cambiare, ma me ne farò una ragione. Dopotutto devo volere prima il bene di Brick e qualsiasi cosa verrà di conseguenza.”
“Anche un giardino incolto con le dovute cure può diventare rigoglioso. E suo figlio potrebbe renderla orgoglioso in altro modo.” Soffiò, salendo le scale e cercando il compagno di classe.
 
L’invidia era tornata impetuosa.
Perché doveva sentirsi colpevole di un vizio simile che portava gli altri ad additarlo come uno dai principi assai bassi?
Era dannoso per la sua salute ripetersi che non c’era nessuno in grado di capirlo.
Per quanto si sbilanciasse, per quanto descrivesse i suoi problemi, per quanti suggerimenti avesse dato, nessuno era mai riuscito a interessarsi seriamente a lui.
Perché doveva togliere e rindossare quella maschera da bastardo, se poi gli altri si accontentavano di una pacca sulle spalle per ringraziarlo? Non pretendeva che organizzassero una cena per sdebitarsi, ma che lo prendessero in disparte per sapere come affrontare i suoi problemi, beh questo gli sembrava doveroso.
Forse la sua era solo un’immagine distorta della realtà.
Magari il mondo funzionava alla perfezione, tutto filava liscio e lui era l’unico ingranaggio che rovinava una macchina così perfetta.
E anche quel giorno si sarebbe sommato agli altri.
Brick e Jo avrebbero sceso le scale in leggerezza, lui li avrebbe fissati dall’alto, laddove nessuno poteva notarlo, con lo sguardo carico di amarezza e rabbia, Alberta sarebbe andata in avanscoperta per conoscere il signor Navas e poi tutto avrebbe seguito il classico copione di ogni film di serie B.
Ne aveva visti a dozzine di quei dvd senza alcun futuro e senza la minima possibilità di vincere un indegno Oscar.
Brick si sarebbe avvicinato titubante, si sarebbe girato verso la compagna, poi avrebbe fissato negli occhi il padre che, notata l’indecisione del figlio, avrebbe compiuto qualche passo. Altri secondi d’insicurezza, poi una tacita pace duratura e un abbraccio da far sciogliere anche il più inscalfibile cuore di pietra.
Lacrime poco virili che scendono e che rigano le guance, padre e figlio che si staccano con il primo che accarezza la testa del secondo e con quest’ultimo che invita Jo ad avvicinarsi. Breve sguardo tra il vecchio avvocato e la giovane e poi si prosegue con il classico scambio di battute d’avvicinamento. Niente di nuovo e tutto già tristemente rivisto.
Poi sarebbero saliti sull’auto del signor Navas, avrebbero condotto a casa Jo, si sarebbero ripromessi di organizzare una cena tra le famiglie riunite e via discorrendo. Era un bel finale.
Se fosse stato in grado di provare qualche sentimento, probabilmente si sarebbe commosso pure lui.
Ma già nel vedere l’abbraccio, lui si era defilato in camera, consapevole che non avrebbe mai potuto fare altrettanto con suo padre. Non avrebbe mai elemosinato un simile gesto d’affetto, anche perché non ne aveva mai ricevuti e, dal patriarca Black, non poteva pretendere un simile gesto di debolezza.
Serviva restare lì a spiarli come un ebete, ben consapevole che Alberta gli avrebbe ripetuto come un disco rotto tutto l’intero discorso?
Avrebbe blaterato che era giunto il momento di crescere e che lui era l’unico senza le idee chiare.
Su questo dissentiva clamorosamente.
Sapeva benissimo cosa mangiare per cena, cosa fare l’indomani e come comportarsi con i suoi compagni.
Sapeva come destreggiarsi e allontanarsi dal resto della classe durante la gita in montagna.
E di certo sapeva come passare la prossima pallosa estate prima che la Maturità bussasse alla sua porta. Non metteva nemmeno in dubbio la sua promozione: se non era stato fregato quando era in seconda o in terza, perché mai il Preside avrebbe dovuto trattenerlo per un anno extra?
 




Angolo autore:

Molto a rilento, ma aggiorniamo.

Ryuk: E così Scott rientra nella classica categoria di personaggi depressi in perfetto stile rocchiniano.

A stare soli credo che un po' di depressione venga a tutti.
Non possono mica essere tutti come noi, Ryuk.

Ryuk: Touchè.

Alla prossima!
 

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Capitolo 25
*** Cap 25 ***


Si era fatto fregare come un babbeo.
Aveva accettato la gita scolastica, aveva negoziato inutilmente per mantenere la tradizione dell’assenza durante l’ultimo giorno scolastico e si era fatto immortalare in quella stupida foto.
Un errore dietro l’altro.
Nemmeno il suo proposito di staccarsi da quelle piattole durante il viaggio in montagna era andato a buon segno.
Prima Mike, poi Gwen l’avevano richiamato, mentre lui cercava di divincolarsi da quella tenaglia dolorosa.
E non era andata per niente bene nemmeno con la suddivisione delle stanze.
Chris McLean e Chef Hatchet avevano rispettato il buonsenso della società: ragazzi e ragazze avrebbero dormito in stanze separate con la speranza che questa semplice mossa fosse sufficiente per spegnere i bollori di alcuni che si rifugiavano in camere improprie e che facevano baldoria per diverse ore.
E lui era capitato con il gruppo meno tranquillo della classe.
Passi per Cameron che viveva come in una bolla, per Mike che era allampanato da far paura e per Cody che doveva informare la sua stalker di ogni movimento, ma Brick e Lightning erano la peggiore punizione possibile.
Avrebbero raccontato storie insipide per tutto il tempo, si sarebbero scambiati consigli come se fossero a un ritrovo di alcolisti anonimi e sarebbe stato costretto a fingere d’essere addormentato, pur d’evitare il loro terzo grado.
Brick avrebbe continuato a parlare di Jo, Lightning gli avrebbe chiesto consiglio per conquistare Anne Marie e Scott si sarebbe fatto il sangue amaro per quella situazione che non lo riguardava. Sembravano come quelli che infilavano il coltello nella piaga per poi scusarsi e fingere di non averlo fatto volontariamente.
Detestava quella facciata e consapevole di ritrovarsi in una gabbia, aveva adottato l’unica scusa per salvarsi dalla classe. Dandosi malato, sarebbe rimasto in camera fino alla fine della gita e avrebbe mantenuto intatta la sua sanità mentale.
Al contrario la foto sarebbe stata compromettente.
Per la prima volta lui avrebbe sorriso e avrebbe accontentato gli altri con quel ricordo insulso.
A chi importava di quel ricordo?
Tanto fra un anno si sarebbero persi di vista e la famosa e promessa rimpatriata non sarebbe mai stata possibile. Per una serie di motivi alcuni avrebbero tirato pacco e l’unità per cui Dawn si era tanto impegnata, sarebbe andata nuovamente in frantumi.
Chi avrebbe ricordato quella classe di babbei con una nota malinconica, se poi ognuno avrebbe preso la sua strada?
Alcuni avrebbero continuato con l’Università, altri avrebbero terminato gli studi e avrebbero cercato lavoro, Dakota e Anne Marie avrebbero inseguito il loro sogno, ma sostanzialmente ognuno avrebbe ignorato la scelta degli altri.
Le promesse di uscire ancora insieme, sarebbero state vane.
Scott per primo ci aveva riso su e aveva scommesso un buon centone che nulla sarebbe mai stato come loro credevano. Usciti dall’aula, con la Maturità in mano, sarebbero rifiorite quelle antiche rivalità che non erano stati in grado di placare. E qui né Dawn, né tanto meno la sua preparazione strategica, erano sufficienti per mettere una toppa a quella situazione.
La classe era sì riunita, ma nel profondo alcuni potevano avere ottimi motivi per distanziarsi magari dal compagno di banco o da quello con la reputazione compromettente.
L’esempio più semplice poteva essere ricercato nella stessa Dakota. Ammettendo che diventasse famosa, che i suoi provini le fornissero ciò che aveva sempre sognato, poi avrebbe accettato di uscire con una classe che poteva contare la presenza di uno sfigato, di una stalker e di un bambino incapace di liberarsi della sua eterna inseguitrice?
Per costruirsi un’immagine spesso bisogna limare certi dettagli e sbarazzarsi di altri elementi che potrebbero compromettere la stabilità del tuo desiderio massimo.
E Scott non poteva rimproverare nessuno se tra una decina d’anni si fosse messo a fissare la foto, per poi chiedersi chi erano quegli strani tizi con cui l’aveva scattata.
Avrebbe cancellato i vestiti, i discorsi e i vari pettegolezzi. Avrebbe dimenticato Duncan che era legato a braccetto con Courtney.
Il suo cuore non sarebbe rimasto colpito dalla canzone strappalacrime della band di Trent e di sicuro non avrebbe riflettuto poi molto sul discorso del Preside.
Erano sempre le stesse cose: le classi cambiavano, i professori si disperavano in ugual misura, ma quelle parolone del vecchio rimanevano in eterno.
E strappata la promozione anche per quell’anno, aveva preso in mano il cellulare e si era avviato verso casa, senza curarsi minimamente di salutare qualcuno.
 
Beverly era rimasto nell’ombra fino all’ultimo momento.
Quando Dawn aveva mandato la foto al moderatore per informarlo di aver vinto la scommessa, ecco che lui aveva provveduto a fregargli il posto.
Aveva preparato tutto nei minimi dettagli.
Innanzitutto aveva recuperato la chat fino a dove era stato in grado, poi aveva creato un file parassita che si sarebbe attaccato al profilo del moderatore e che lo avrebbe informato delle varie notifiche e in ultima avrebbe sfruttato un indirizzo cui era difficile risalire.
E quando vide la foto della classe davanti a sé, ricopiò alcuni dati sul suo programma e poi diede inizio alle danze.
Il moderatore non sarebbe più stato quel babbeo che aveva aiutato finora Dawn. Non avrebbe mai saputo chi era quell’ingenua ragazza che aveva descritto i suoi problemi e cui aveva dato diversi consigli preziosi.
Ora era lui quel tizio e poco gl’importava dei sentimenti altrui.
Chi mai si era curato di lui quando, muto come un pesce, doveva comunicare con quel maledetto aggeggino robotico?
Gli sarebbe bastato anche parlare con voce rauca, ma no…il destino era stato così clemente che, dinanzi alle sue preghiere, si era voltato dall’altra parte. A chi gli ripeteva che la fede e l’esercizio potevano essere ottime contro un simile problema, lui rispondeva, digrignando i denti.
Che cosa poteva cambiare? Aveva provato di tutto per guarire da quell’incidente.
Aveva letto tutti i rimedi della nonna, aveva tentato un’operazione chirurgica mini-invasiva, aveva cercato di pregare e alla fine si era arreso: il destino, quello che tutti credevano si potesse cambiare o migliorare, l’aveva costretto a rimanere muto.
C’era chi stava peggio, ma quella era davvero vita?
Esprimere i propri sentimenti verso la donna amata o chiedere un consiglio con quella voce robotica sarebbe stato chiaramente impossibile. Qualcuno avrebbe anche potuto guardare oltre quell’impedimento, ma nessuno avrebbe potuto stabilire se fosse sincero o meno. E si sa il dubbio oltre ad ammazzare le normali sicurezze, apre a una situazione talmente distorta da renderla irreale.
Non aveva nemmeno pensato che Dawn potesse guardarlo in faccia, per poi allontanarsi disgustata.
Forse lei avrebbe avuto pietà e gli avrebbe concesso l’occasione che andava ricercando. Per fare questo, però, doveva omettere il furto che era stato costretto a perpetrare e fingersi seccato per quell’appuntamento che lei avrebbe preteso con insistenza.
“Ce l’ho fatta, hai visto?” Digitò lei, mentre Beverly si sentiva emozionato per quelle prime parole di contatto.
“Non avevo dubbi in proposito.”
“Tra Brick e Scott è stato davvero un anno difficile.”
“L’hai perdonato?”
“Ho ancora un anno per conoscerlo meglio.”
“Non è quello che volevo sentirmi dire, ma pazienza.”
“Perché sei così fissato con Scott?”
“Perché ci sono persone che hanno bisogno di molto aiuto per emergere.”
“Anche tu sei così?” Lo interrogò, facendolo annuire.
“Lo capirai quando ci incontreremo.”
“Posso sapere almeno in che scuola vai e come ti chiami?”
“In comune oltre che l’età e la città, abbiamo anche la scuola.”
“Davvero?”
“Può essere che mi conosci.”
“E il nome?”
“Se te lo dicessi, non sarebbe più una sorpresa.” Rispose Beverly, quasi fosse consapevole che quell’alone di mistero era necessario per invogliarla a presentarsi.
Se si fosse descritto, avesse menzionato il suo problema e via discorrendo, difficilmente lei si sarebbe presentata e avrebbe accettato di uscire ancora. Non aveva grosse pretese, ma sperava che il diventare moderatore, la spingesse a rivedere le sue posizioni e che, una volta corretta, potesse concedergli una lunga serie di appuntamenti e di diventare in futuro il suo ragazzo.
“Che misterioso.”
“Guarda che sei ancora in tempo per rifiutare.” Le fece presente, facendola inconsciamente annuire.
“È da quando è cominciata questa storia che non vedo l’ora di conoscerti.”
“Sei stata davvero brava a sistemare i problemi della tua classe, ma ricorda che non è così semplice mantenere tutti sulla stessa lunghezza d’onda.”
“E la tua classe? Se non mi sbaglio hai detto che anche nella tua, c’erano dei problemi.”
“Impossibili da risolvere.”
“Perché?”
“Perché viviamo tutti con idee sbagliate e senza alcun punto di contatto.”
“Questa è la prima volta che critichi le tue idee. Sei sicuro di sentirti bene?” Gli chiese Dawn, cogliendolo di sorpresa. In effetti, senza volerlo, aveva parlato come se dall’altra parte, ci fosse un qualcuno che conosceva il suo incidente. Come se avesse sempre affrontato con spavalderia la sua vita e non si fosse mai pianto addosso.
“Ho solo un po’ di mal di testa.” Nicchiò, cercando una scusa valida.
“Mi sembrava strano che non difendessi le tue intuizioni.”
“A volte capita.”
“L’ultima volta che te l’ho fatto notare, eri quasi pronto a cacciarmi dal sito.”
“So che non dovrei chiedertelo, ma tra te e Scott è successo qualcosa?” Richiese Beverly che rileggendo la chat nei giorni precedenti, aveva notato come tra i due vi fosse qualcosa di fin troppo strano.
S’incontravano spesso, parlavano a lungo, distraendosi dai propri problemi e se ne uscivano come due semplici confidenti obiettivi.
Se Scott le parlava, era solo per migliorare i rapporti con Alberta e contando sulla somiglianza caratteriale era convinto di non fare troppa fatica, mentre Dawn continuava la sua riabilitazione per sospingerlo ad accettare il resto della classe.
“Siamo solo amici.”
“Questa è come la storia di quelli che continuano a negare, nonostante sia evidente il contrario?”
“No! Questa è la storia che io e Scott siamo solo amici e che tra noi non ci sarà nulla più di tutto questo.”
“Sei sicura?”
“Se c’è un ragazzo con cui voglio uscire, quello di sicuro non è Scott.” Replicò annoiata, cercando di non pensare a quel compagno che, nelle ultime settimane, l’aveva convinta di un lato tenero e segreto che nessuno era ancora riuscito a scorgere.
“Chi disprezza, compra.”
“Scott non è un cattivo ragazzo: lui ne ha passate tante e sono sicura che ce la farà.”
“E lasceresti un amico che è in difficoltà solo per uscire con me? Credo che tu non sia cresciuta così tanto come mi hai fatto credere finora.” La rimproverò Beverly, continuando a ripetere fino alla nausea quegli sciocchi discorsi senza senso pratico.
A lui, sinceramente, di quell’attrarre e allontanare allo stesso tempo, gliene importava ben poco. Lo faceva soltanto per convincerla che lui era il vero moderatore e non uno fittizio che aveva rubato il posto a quello precedente.
“E cosa dovrei dire?”
“Dovresti accettare quello che ti dice il cuore.”
“E sarebbe?”
“Se non sai che cosa provi per lui, come posso suggerirti quale mossa fare in futuro?” Chiese Beverly che si stava impantanando in un discorso senza futuro e che le stava fornendo dei consigli che la sospingevano lontana dalle sue spire.
“In tutto questo non mi hai detto, dove possiamo incontrarci.”
“Conosci il locale di Gerry?”
“Intendi quello che si trova tra la farmacia e la boutique di Lindsay Foster?”
“Precisamente.”
“E quando?”
“Per questa settimana sono ancora un po’ impegnato. Se non hai altri appuntamenti, cosa ne diresti del prossimo sabato verso le 15?” Propose Beverly, giocando su quei pochi giorni rimanenti per imparare a memoria i vecchi discorsi della chat.
“Ti aspetto lì.”
 
Erano circa le 17, quando rientrò e si sedette vicino alla sua scrivania per accedere alla sua vecchia chat di cui era moderatore.
Se qualcuno fosse entrato nella sua stanza, di sicuro avrebbe brontolato per l’oscurità che poteva causargli danni alla vista, ma lui avrebbe affrontato quei noiosi interventi con cieco cinismo.
Dopo aver nutrito il gatto di famiglia e aver giocato un po’ con lui, si era deciso a leggere le ultime novità che stavano scombussolando la vita della sua fedele utente.
Tuttavia, nel caricare la schermata, aveva notato un qualcosa di strano.
Innanzitutto gli era stata richiesta una password che compariva raramente e poi si era ritrovato davanti all’aggiornamento dell’antivirus. Che fosse una giornata storta l’aveva intuito fin dalla mattina, quando si era ritrovato intrappolato in una bella seccatura da cui non era riuscito a divincolarsi.
Eccettuato questo e la sfortuna del mezzo di trasporto, non aveva avuto poi grosse noie.
Al contrario poteva affermare di essersi almeno un po’ divertito.
Aveva mangiato, ascoltato le canzoni di fine anno scolastico e assistito svogliatamente a una partita di basket tra professori e allievi.
Ora, però, che era tra quelle quattro mura, si era ritrovato schiacciato da nuove seccature.
Superato lo scoglio della password e chiuso l’antivirus, aveva tentato di accedere, tramite sito Web, al suo profilo. E anche qui gli era stato fatto notare che era richiesta la password e che, quella successivamente inserita, non era più valida.
Aveva provato, a questo punto, a richiederne una nuova, ma inutilmente.
Il messaggio non arrivava mai alla sua casella di posta. Si era premunito, quindi, con un’email di riserva, ma anche questa deviazione non aveva sortito il minimo effetto.
Quello che appariva dinanzi ai suoi occhi era soltanto lo schermo di registrazione che, tuttavia, gl’impediva di proseguire oltre. La sua password veniva negata, la possibilità di richiederne una nuova idem e la casella di posta non sembrava più nemmeno così solida.
Degli altri moderatori non ricordava il contatto e anche nell’avviare più volte quel programma, riscontrò sempre il medesimo errore.
Lui non poteva più entrarvi e, sommando tra loro tutti gli indizi ricevuti, arrivò a un’unica risposta.
Qualcuno era riuscito a occupare il suo posto e ne stava ricopiando il lavoro.
L’unico quesito che si pose, oltre a quelli relativi su come proteggere al meglio il suo computer e recuperare i dati d’accesso, era chi potesse essere stato. Perso quell’innocente passatempo che l’aveva tenuto impegnato finora, non gli sarebbe rimasto altro da fare che scoprire il colpevole.
Una persona normale si sarebbe anche sforzata, sprecando tempo ed energie, ma lui non era per niente come gli altri. Gli andava bene che qualcuno avesse rubato il suo lavoro e pertanto avrebbe fatto un passo indietro e non avrebbe fatto assolutamente nulla per impedire quella situazione.
Vittoria o sconfitta, almeno in quel momento, erano assolutamente irrilevanti. Non avrebbe mai indagato per beccare l’impostore che si sarebbe vantato del suo lavoro.




Angolo autore:

Ryuk: E Beverly si è mosso.
Ciao, ciao moderatore.

Insegna agli angeli come si danno ottimi consigli per poi sparire nel nulla.

Ryuk: Non lo vedremo più, giusto?

Chi lo sa.
Non è interessato a beccare Beverly e, quindi, non gliene frega molto che il suo operato venga macchiato.

Ryuk: Una svolta intrigante.

E i lettori si armeranno di forconi e c'inseguiranno da qui fino in Cina.

Ryuk: Per quanto riguarda le altre storie su cui stiamo lavorando, siamo messi bene.

Ci sarebbe una short che potrei pubblicare durante la settimana e un'altra long che, in certi aspetti, prende spunto da una mia serie passata. Non sarebbe uguale, ma ci si possono trovare diversi punti in comune.
Le motivazioni, semmai dovesse uscire (non ne sono ancora così certo, malgrado le buone idee), però, sarebbero molto diverse.
Sperando di avervi dato una buona notizia in questa confusione, vi saluto.

Ryuk: Ti vuoi far perdonare che il moderatore sia sparito?

Stai zitto che son guai.
A presto!

 

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Capitolo 26
*** Cap 26 ***


L’estate era arrivata e se ne era andata con troppa fretta.
Scott, durante le vacanze, non aveva avuto niente da fare e si era ritrovato a rigirarsi i pollici senza sosta.
Dopo aver sistemato la camera e il garage, si era intrattenuto nel giardino della sua villa e leggeva la chat scolastica, senza peraltro impicciarsi più di tanto.
E durante quei tre mesi passati nel più totale ozio, era venuto a conoscenza di ciò che era successo agli altri svitati della sua classe.
Tanto per togliersi il pensiero iniziò con Sierra che, durante luglio, era diventata una scheggia impazzita. I pettegolezzi percepiti da Courtney la vedevano correre avanti e indietro alla ricerca del suo Cody, partito con i suoi genitori senza raccontarle niente.
E avendo tante attenzioni da dare aveva iniziato a pedinare ovunque il povero Cameron che pregava nel ritorno immediato del compagno di banco. Vivere con una sanguisuga simile era quanto di peggio potesse capitare a qualcuno che aveva appena cominciato a conoscere il mondo.
Nel ritrovarsela davanti alla porta di casa, tutti i santi giorni, si era chiesto se quella non fosse una vendetta divina per aver chiesto a sua madre un po’ di libertà. Aveva disturbato anche Cody per sapere come comportarsi e l’amico gli aveva consigliato di trovarsi un nascondiglio segreto o di fissare un appuntamento con il giudice della contea per un’ingiunzione che la allontanasse di almeno venti metri.
Era stato sul punto di chiamarlo, quando Cody era rientrato in città e Sierra, come un cane fedele, era ritornata a scodinzolare e a seguire il suo padrone.
E questa non era stata l’unica chiacchiera esilarante che aveva allietato l’estate soporifera del rosso.
Mike e Zoey erano andati al mare insieme e avevano ufficializzato il loro fidanzamento, organizzando al loro ritorno una piccola festicciola con i compagni di classe cui Scott non partecipò nemmeno.
Dopotutto era estate e non voleva rincontrarsi con persone che gli avrebbero chiesto come andavano le cose e se i suoi genitori erano ritornati a casa. Doveva fissarli con sguardo omicida e ringhiare sommessamente che i suoi vecchi erano dispiaciuti, ma gli affari di Ottawa stavano andando da schifo?
Poi veniva il povero Duncan.
In tre mesi si era lasciato, ripreso, di nuovo mollato e, quindi, rincollato presso Courtney almeno una dozzina di volte. Una settimana stavano insieme, quella dopo erano in guerra, quindi, formulavano una tregua, poi ritornavano a discutere e infine ricucivano lo strappo. Quei pochi che avevano seguito quei cambiamenti dovevano aver avuto bisogno di una bella aspirina.
In tutto questo si era intromessa pure Gwen che continuava ad aiutare la cara amica e che partecipava attivamente alle punizioni contro il punk. Dal suo punto di vista, la storia con Trent procedeva a gonfie e vele, con il chitarrista che le aveva dedicato un’ultima canzone abbastanza orecchiabile.
Di Brick e Jo si sapeva che avevano passato due settimane al mare e che continuavano a negare la nascita della loro relazione.
Dakota aveva ripreso con i suoi impegni da modella, sfoggiando su diverse passerelle e aggiudicandosi anche qualche contratto pubblicitario. E per restare in famiglia, quando la madre non era troppo impegnata al lavoro, si dilettava come manager principiante, giusto per assicurarle qualche ulteriore vantaggio.
Così come in ogni storia che si rispetti, anche durante quelle vacanze estive, la classe incontrò una bella e, almeno per Scott, una brutta notizia.
E dato che è sempre più bello illudersi che tutto vada per il verso migliore per poi ripiombare nel più profondo dispiacere, il rosso stava riflettendo sulla notizia dell’anno.
Dopo un’infinità di regali, dopo diverse dichiarazioni, dopo innumerevoli consigli, dopo tante lacrime e dopo ben quattro conferme di friendzone, ecco che Anne Marie si era svegliata e aveva concesso una possibilità a Lightning.
Ne era valsa la pena di restarsene in quella città per coronare il suo sogno.
 
Il vero cambiamento era avvenuto durante un’audizione per uno spettacolo canoro dove, almeno in teoria, Anne Marie avrebbe dovuto esibirsi con uno dei singoli da lei scelto.
Si era presentata come se dovesse andare a un matrimonio e forse per la tensione, aveva leggermente cannato e stonato l’inizio. Era sul palco, con almeno un centinaio di persone a fissarla e il giudice stava scrivendo frettolosamente sulla sua agenda nera.
Fu nell’incrociare il suo sguardo gelido che intuì di essersi giocata ogni possibilità, ma poi sentì un lieve fruscio provenire dal pubblico.
Risollevato lo sguardo ferito, si accorse che Lightning, il suo accompagnatore per quell’esibizione, stava applaudendo. Lui l’aveva seguita per tutte quelle miglia, aveva ascoltato i suoi allenamenti vocali e altre tecniche per distendere i suoi nervi e non aveva preteso niente in cambio.
Passi avere paura, ma se voleva tornarsene a casa con la coscienza pulita, doveva esibirsi e dimostrargli che apprezzava il suo interesse. Riprese, quindi, a cantare con maggior sicurezza, ma gli errori iniziali erano stati troppo gravi per farle ottenere una possibilità futura. Il giudice, infatti, aveva stroncato la sua esibizione e le aveva consigliato di allenarsi ancora un po’.
Rientrata nei camerini, era stata subito raggiunta dall’amico che la sorresse per tutto il viaggio di ritorno a casa.
“Non preoccuparti Anne Marie, andrà meglio la prossima.” La rincuorò, bloccandosi alla fermata e girandosi per fissarla dopo averla fatta sbollire per diversi minuti.
“No: non ci sarà nessuna seconda o terza possibilità. Io con la musica ho chiuso per sempre” Soffiò triste, osservando il suolo e resistendo alla tentazione di tirare un cazzotto al vetro della fermata.
“E rinunci così? Come se tutti i sacrifici che hai fatto non valessero nulla?”
“Lightning…”
“Forse questi anni saranno anche stati privi di senso, ma non posso sopportare l’idea che tutti questi anni siano stati privi di valore.”
“Smettila Lightning.”
“E tutte le volte che tornavo a casa con la pagella piena di votacci e mi ripetevi che tutti possono sbagliare, contava qualcosa o no?”
“Perché non capisci Lightning? Il mio sogno non si realizzerà mai.”
“Possiamo parlarne?” Le chiese, guardando l’orologio e notando come l’autobus fosse passato appena cinque minuti prima.
“Il giudice aveva ragione.” Biascicò lei, cercando di ritrovare la calma.
“Ti sbagli: lui non può sapere quanto tieni alla musica.”
“Ma…”
“E se non avesse calcolato i primi dieci secondi, avresti vinto facile.” Continuò imperturbabile.
“Per vincere dovevo essere perfetta dall’inizio alla fine.”
“Ma tutte le star hanno un momento di difficoltà.”
“Non hai ancora capito Lightning? Io non sarò mai una star.”
“Perché?”
“Perché il mio sogno è impossibile.”
“Impossibile…” Ripeté, rimuginando su quell’unica parola.
“Esatto.”
“Dammi un attimo quel biglietto.” Soffiò il giovane, prendendo l’annotazione dell’anziano giudice e rileggendola almeno tre volte.
“Che ne pensi?” Chiese Anne Marie.
“Penso che ti preoccupi per nulla.” Sibilò il compagno, sedendosi sulla panchina.
“Ma…”
“L’inchiostro lascia un segno momentaneo sulla carta e non può rispecchiare un valore eterno.” Spiegò, piegando il biglietto e riducendolo in pezzi.
“Ma che fai?” Gli chiese furiosa, cercando di recuperare i frammenti del biglietto e scontrandosi con il suo sguardo placido e tranquillo.
“Devi imparare che i sogni non finiscono con un rifiuto.”
“Io…”
“Un sogno si realizza solo se ti rialzi dalle tue ceneri.”
“Ma io non ce la faccio.” Piagnucolò, sedendosi vicino all’amico.
“Il mio sogno, nonostante quattro colpi a vuoto, continua a essere vivo e non ho intenzione di rinunciarvi così facilmente.”
“Ammiro il tuo coraggio.”
“Quello lì era solo un idiota, convinto di non aver mai sbagliato in vita sua e che non riconoscerebbe Mozart nemmeno se l’avesse davanti.”
“Ma Mozart non cantava mica.”
“Ognuno deve alimentare i suoi sogni e non può arrendersi al primo errore. Se così fosse, non sarebbe un vero sogno e si tratterebbe di un semplice capriccio personale.”
“Io…”
“E sono sicuro che tu sia in grado di farcela.” Soffiò, accarezzandone il viso.
“Perché continui ad aiutarmi, Lightning?”
“Perché io tengo molto a te e sono sicuro che un giorno il mio sogno si realizzerà.”
“Perché?”
“Perché se perdessi anche questo sogno, non avrei più nessun motivo per continuare e tanto varrebbe trascinarmi come un verme.” Sospirò, abbracciandola debolmente.
“Mi spiace, Lightning.”
“E per cosa?”
“Se ti ho chiesto di venire con me, era solo per dimostrarti che sono migliorata dalla prima volta che mi hai sentito cantare e per condividere la mia vittoria.”
“Ma se avessi vinto, ora non sarei qui vicino a te e non sarei veramente felice.”
“Idiota!” Commentò, staccandosi da quell’abbraccio e baciandolo con slancio.
Da quel momento in poi tutto si era delineato seguendo un senso logico e il quinto tentativo di Lightning era stato quello più inconsapevole, ma anche il migliore per conquistare il cuore della difficile e intrigante Anne Marie.
 
Come contraltare per questa notizia che aveva scaldato il cuore di Scott, ve ne fu un’altra che rischiò di farglielo congelare.
Credeva che quella dichiarazione di fine luglio fosse il botto più clamoroso di quell’estate, ma c’era ben altro all’orizzonte.
Aveva assistito come spettatore non pagante ai litigi esilaranti di Duncan, ai fidanzamenti di Mike e Lightning con Zoey e Anne Marie, agli scleri di Sierra, alle fughe in bici di Cody e ai tentativi di Brick e Jo di negare la loro evidente relazione, ma di certo non si aspettava quel colpo di scena.
Quello era un qualcosa che faceva rima con tempesta e che portava a pessime notizie, in primis per sé stesso che credeva di avere una chance, ma che alla luce di quanto era successo, finiva con l’accoppare anche le sue flebili speranze.
Si era ripetuto che era meglio lasciar correre qualche mese, per poi riprovarci, in perfetto stile Lightning, verso settembre o ottobre. Credeva che muoversi con pazienza e in attesa di un suo ripensamento, fosse la mossa più saggia, ma forse era molto meglio partire spregiudicati e non vivere nel rimorso.
Perché quella brutta notizia che gli arrivò tramite notifica da Courtney era peggiore di una pugnalata, ma gli fornì al contempo un nome in particolare cui riversare odio e rancore.
Per farla breve Dawn si era fidanzata.
Non conosceva i contorni dell’intera faccenda, ma li avrebbe scoperti il prima possibile.
Mancavano poche settimane al ritorno a scuola e per una volta non sarebbe stato male rientrare in aula, conscio che nulla sarebbe più stato come prima.
Tutti erano finalmente guariti.
Dawn stessa non avrebbe più avuto tempo per uno che restava nel suo angolo, in attesa della prima ripresa.
La vita, quella che aveva sempre denigrato, era un pugile che lo stava massacrando senza pietà. E a nulla valeva una resa impietosa o un qualche asciugamano lanciato da un manager terrorizzato: avrebbe continuato a buscarle di santa ragione.
Era stato Dunky a cementificare quella chiacchiera insipida di pieno agosto.
Si erano incrociati per strada e, dopo i classici convenevoli, avevano iniziato a parlare, manco fossero due vecchie acide pettegole. Se per Lightning si erano accontentati di un semplice commento ben poco lusinghiero, per quella nuova storia il punk aveva fatto scorrere un fiume di parole.
“Si è messa con un ciccione di nome Beverly.”
“Aha.”
“E le voci che circolavano per la scuola sul suo conto non erano molto entusiaste.”
“Certo.”
“Francamente non mi sembra un tipo apposto e non capisco come tu possa restartene qui tranquillo, mentre una tua amica sta compiendo l’errore più grosso della sua vita.” Seguitò Duncan, facendogli scrollare le spalle e sedendosi poco dopo su una panchina.
“Probabilmente Dawn aveva bisogno di qualcuno cui riversare le sue attenzioni.” Nicchiò, cercando una scusa per quella sua strana scelta.
“Questa è una cazzata.”
“Non ho mai detto che siamo amici. E non mi pare d’aver mai calcolato qualcuno in questa mia lista.” Sibilò, facendo intendere che non c’era nessun amico nella sua ristretta cerchia.
“Lei, però, non era dello stesso avviso e credevo che tu fossi sufficiente come cavia da spronare per crescere.”
“Perché credi veramente, Dunky, che io mi sia impegnato o abbia tentato d’integrarmi?”
“Non è così?”
“Affatto.”
“Sai come la penso a riguardo.”
“Lo saprei se tu fossi importante.”
“All’inizio, prima che si mettesse con Beverly, eri cambiato, ma appresa questa notizia sei ritornato acido come prima.”
“Sei proprio un adorabile punk, Dunky.” Lo sbeffeggiò, percependo un ringhio sommesso che lo fece sorridere ancora di più.
“E c’è solo un motivo per cui sei ritornato così odioso: cieca e insulsa ripicca.” Mugugnò Duncan, accendendosi una sigaretta.
“Sempre detto che dovevi fare lo psicologo.”
“E riguardo Dawn cosa ne pensi?”
“Beverly e Dawn? Io non la dipingo così nera. Lui può essere un bastardo, lei è una tenera ingenua. Lui cammina storto, lei va sempre dritta per la sua strada. Forse tra loro potrebbe anche funzionare.” Soffiò, sfoggiando un ghigno diabolico.
“È un fallimento già annunciato.”
“Anche la tua storia con Courtney sembrava un fallimento: eppure siamo ancora qua.”
“Ma lei ti piaceva, vero?”
“Courtney è una bestia rara: più è vicina, più si desidera tenerla lontana.”
“Parlavo di Dawn.”
“È un po’ tardi per i sensi di colpa o per rimediare.” Sputò Scott, chiudendo gli occhi.
“E rinunci anche a questa felicità?”
“Quando si rinuncia a qualcosa una volta, poi non è così difficile sommare dispiaceri.”
“La domanda non è se riesci ad affrontare un dispiacere.”
“Davvero?”
“La vera domanda è se riuscirai ad accettare anche questo?”
“Fatto trenta, facciamo trentuno.”
“Arriverai a un punto in cui esploderai e non ti andrà bene nulla.”
“E anche qui ti sbagli Dunky.” Replicò, facendolo innervosire per via del suo solito sorrisetto.
“Ah sì?”
“Io non posso esplodere per motivi così futili.”
“E il tuo cuore ne è convinto?”
“Il mio cuore non si spreca a battere per persone inferiori.” Ghignò, raccogliendo da terra un piccolo sasso, per poi lanciarlo nel laghetto che aveva davanti.
“Se fossi al tuo posto, non me ne farei una ragione.”
“Io ammetto che la presunzione non mi manca, ma ammetto anche che come essere umano posso sbagliare.”
“Quindi ammetti che sei un po’ troppo precipitoso?”
“Sono stanco e non ho più voglia di fare la prima mossa: ora spetta agli altri cercare di conoscermi.”
“Tu non hai mai fatto la prima mossa.” Sbuffò il punk.
“Lo so, ma era troppo bello illuderti.” Ghignò, alzandosi dalla panchina.
“E ora dove vai?”
“Forse tu non lo sai, ma ho una serie d’impegni che non posso rimandare.”
“E per quanto riguarda la tua classe?”
“Per quanto riguarda la mia classe o Dawn?” Domandò, allontanandosi di qualche passo.
“Entrambi.”
“Non è detto che sia tutto così orribile.”
“Ma…”
“Con alcune persone è destino non vedersi più, ma con altre ci si può sbilanciare positivamente.”
“Riguardo cosa?” S’informò Duncan, credendo che quel discorso lo riguardasse da vicino.
“I segreti sono alquanto strani e possono avvicinare o allontanare chiunque. Tutto dipende da come affronti l’argomento e se lo fai per ricercare qualcosa in cambio.”
“E tu conosci qualche segreto?”
“Nemmeno uno, ma il bluff è un’arte davvero speciale.” Sibilò, avviandosi verso la sua villa e sperando che Duncan non si accollasse per l’ennesima cena a scrocco.






Angolo autore:

Ryuk: Ci siamo nascosti bene a sto giro.

Angolo corto che quelli sanno dove trovarci.

Ryuk: Ah sì?

Alcuni non digeriscono la dipartita del moderatore, figurarsi quando verranno a sapere che la friendzone su Lightning non ha avuto successo.

Ryuk: E Dawn si è messa con Beverly.

E Scott fa...lo Scott.
Parla con Duncan, si prende gioco di lui e torna a casa come se niente fosse.

Ryuk: Sento puzza di casini.

Andiamo ora...che i lettori ci stanno cercando e non sono lontani.
Alla prossima!
 

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Capitolo 27
*** Cap 27 ***


Le pessime abitudini erano davvero dure a morire.
E anche il primo giorno di scuola era entrato con ritardo, scontrandosi con il Preside che l’aveva fissato con rassegnazione. L’aveva sentito mugugnare un qualcosa che considerò di scarsa importanza e poi era filato verso la sua aula e, quindi, al suo solito posto.
L’aspetto degli altri non era cambiato molto in quei tre mesi scarsi.
Cody si era fatto crescere una pseudo barba che lo rendeva ancora più bizzarro, Gwen aveva sbagliato tinta, colorandosi con una tonalità meno scura e Courtney seguitava a sorridere per ogni inezia, manco fosse sotto sedativi.
Qualcosa gli puzzava e temeva seriamente che quell’anno potesse essere anche peggiore degli altri.
Un semplice indizio lo aveva dalla ragazza che era seduta davanti. Lei era quella appena emigrata da un’altra classe, che avrebbe sudato parecchio prima d’integrarsi totalmente e che muoveva la testa come una preda braccata da qualche cacciatore.
E a vedere il resto della sezione, Scott intuì che avesse scelto il momento peggiore per varcare la loro porta.
Avesse anticipato quella mossa di qualche mese, Brick e Gwen avrebbero fatto a pugni pur di accaparrarsi anche la new entry, ma così non era.
Erano impegnati a farsi gli affaracci propri e quella che aveva tanto lottato per riunire la classe, ora fissava la povera Carrie come se non fosse una vicenda poi così importante.
E per il primo giorno Scott aveva sorvolato.
Magari erano tutti stanchi e dovevano riabituarsi ai normali ritmi studenteschi.
Al secondo giorno credeva che fosse necessaria almeno una settimana e che, forse, già a partire da venerdì, qualcuno si sarebbe arrischiato per conoscerla.
Fissandola da lontano e leggendo le informazioni dall’archivio, Scott l’aveva conosciuta un po’ meglio.
Veniva dalla sezione B e non aveva cambiato solo per il gusto di imparare nuovi nomi o per scontrarsi con un Chef selvatico. Se lei doveva percorrere quasi 200 metri extra al giorno, era solo perché si era azzuffata con una sua ex amica che aveva tentato di portarle via il ragazzo.
Da quella che sembrava una cosa normale, ecco che lei era stata additata come unica responsabile e, per insabbiare la cosa, i suoi genitori avevano accettato il suo trasferimento in un’altra sezione.
Carrie aveva, in questo caso, vinto e perso allo stesso tempo.
Non sarebbe più stata in classe con il suo adorato Devin e non avrebbe più potuto bearsi della sua visione celestiale ogni sacrosanta mattina, ma era riuscita a chiarire con le altre sue amiche che cosa non andava nel carattere di Shelley. Lei era una gatta morta e ben presto tutte l’avevano allontanata, costringendola a cambiare scuola proprio a un passo dalla Maturità.
Secondo alcune voci aveva trovato i suoi libri sparpagliati per la scuola, una rana vivisezionata dentro lo zaino e una stupida bambola gonfiabile bionda con labbra a canotto, che doveva rappresentarla, impiccata nel suo angusto armadietto.
A leggere tutti quegli aneddoti, Scott ghignò di gusto.
“Ha perso la battaglia, ma ha stravinto la guerra.”  Borbottò divertito, guardando verso il Preside che fumava beato.
“Mi ricordi tanto un burattinaio.” Commentò l’uomo, lanciandogli una lattina di aranciata light che afferrò al volo.
“Lei sa che odio le sfide ed era convinto che non fossi capace di nulla di buono.”
“Ho detto questo?”
“Durante la ramanzina di gennaio del secondo anno.”
“Non era mia intenzione offenderti, ma vedere una classe così problematica e avere le mani legate…che nervoso.”
“Alla fine ha comprato quella villetta a New York?” Sviò Scott, facendolo sorridere.
“Ho speso più del previsto, ma è andata bene.”
“E ha già pensato di andarci la prossima estate?”
“Un po’ di riposo credo mi sia dovuto.”
“E scappare dai problemi è la soluzione?” Chiese il rosso, mentre l’uomo apponeva una firma su una circolare.
“A volte può essere così.”
“Una bella villetta fuori città, dove poter pescare tranquilli.” Commentò Scott, ricordandosi dell’annuncio che aveva visto qualche tempo prima.
“E senza troppi lavori da fare.”
“Ancora non riesco a credere che questo sarà il nostro ultimo anno.”
“Quando parli così, significa che vuoi sapere qualcosa.” Replicò l’uomo, passandosi l’indice della mano destra sui baffoni grigi.
“Immagino che Chris sarà un buon Preside.”
“Penso tu sappia che il consiglio ha cambiato idea a riguardo. Chris sarà anche un bravo professore, ma il potere potrebbe dargli alla testa.”
“Narcisista, esaltato e incapace di frenarsi: mi ricorda un dittatore.” Soffiò Scott, aprendo la lattina e sorseggiando la bibita che gli era stata offerta.
“Sto pensando a un altro nome.”
“Un principiante o un nome d’esperienza?”
“Ti piacerebbe saperlo.”
“Beh…escluso Chris, gli unici che potrebbero prendersi sulle spalle una rottura simile sono Don o Chef.”
“Credo tu abbia già capito chi sarà il mio successore.”
“Chef è un lunatico di prima categoria e potrebbe dare fuoco alla scuola anche per qualche cavolata di poco conto.”
“Don, invece, è molto più tollerante e rappresenta un ottimo seguito alla mia politica.” Seguitò l’uomo, prendendo un’altra lattina dalla sua scorta privata e offrendo un brindisi al suo studente.
“Non ci resta che gustarci quest’ultimo anno con leggerezza.” Continuò, facendo scontrare le due lattine.
“Ti ricorderò come uno dei miei peggiori studenti, ma anche come uno dei miei preferiti.”
“Stessa ora giovedì?” Chiese Scott, fissandolo intensamente e rialzandosi dalla sedia.
“Per quest’anno facciamo venerdì.”
“D’accordo.”
“E vedi di non fare cavolate Scott. Per quest’anno, come in quelli precedenti, confido in te.”
“Per cosa?”
“Così come sei riuscito a collegare tutte le informazioni dell’archivio e a riunire la tua classe, credo che non avrai troppe difficoltà con Carrie.”
“Il divertimento comincia proprio ora.” Sibilò il giovane, gettando la lattina nel bidone e uscendo alla Presidenza con assoluta calma.
 
Aveva lasciato passare la prima settimana di ambientamento per quella vicenda.
Poi ne aveva fatta scivolare un’altra per controllare i vari movimenti della sua sezione, ma nulla era successo.
Nessuno si avvicinava a Carrie e, anzi, evitavano il suo banco manco fosse contagiosa.
E nel vederla uscire per andare in bagno durante la seconda ora del terzo lunedì d’ambientamento, Scott ripensò al dialogo con il vecchio e rimuginò su quell’insolita considerazione: il Preside contava sulla sua preparazione perché tutto andasse per il meglio.
Se qualcuno glielo avesse detto dopo la prima volta che era finito nel suo austero ufficio, non ci avrebbe mai creduto. Un po’ perché il vecchio era come una figura mitologica e un po’ perché era l’orgoglio fatta persona. E dopo avergli incasinato la vita, rendendo la scuola insicura, Scott sentiva che doveva sdebitarsi e regalare qualcosa a quel povero diavolo.
Un anno di pace, senza troppi casini a coinvolgerlo e magari con l’ultima risoluzione del caso Carrie, così l’aveva denominato, sulla sua bella scrivania in mogano.
Durante la pausa pranzo la classe avrebbe visto un solitario che si appresta a uscire dalla sua tana per affrontare un qualcuno che è su quella stessa strada seppur controvoglia.
E risolto il caso della compagna, quando tutti avrebbero avuto un punto d’appoggio, lui sarebbe rientrato nei ranghi.
A ripensare ai suoi compagni si accorse, infatti, che non c’era più nulla da sistemare.
Mike e Zoey erano finalmente felici. Gwen aveva il suo chitarrista dall’anima travagliata e con la sua mania del nove che rientrava in metà delle sue canzoni. Courtney sbraitava contro Duncan e le sue proverbiali cazzate. Cameron era uscito dalla sua bolla e aveva trovato in Sierra e Cody due amici insostituibili che lo riempivano di consigli. Lightning e Anne Marie continuavano la loro storia e, al contempo, ridevano dell’insicurezza di Brick e Jo, troppo timidi per mostrarsi in giro in atteggiamenti intimi. Dakota aveva il suo sogno e una madre che se ne stava convincendo sempre più. E poi vi erano Dawn e Beverly che erano stati convincenti e che avevano sbattuto l’idea del fallimento sul grugno di Duncan.
Tutto stava filando liscio come l’olio e il lieto fine, quella classe riunita con lui in un angolo a fissarli con comprovata superiorità, era lì a portata di mano.
Bastava aspettare fino all’una, prendere il panino che aveva preparato di corsa con una misera fetta di prosciutto al suo interno e sedersi di fronte a Carrie per spiazzare l’intera classe.
“Carrie Cheney, giusto?” Chiese, facendole alzare gli occhi dal suo pranzo e notando come stesse studiando il suo volto.
“Sì.”
“Posso sedermi? Non che con una risposta negativa, abbia intenzione di alzarmi, ma lo faccio giusto per educazione.”
“Certo.” Soffiò, sfoggiando un sorriso che lasciò indifferente il compagno e che la spinse a credere di non stargli simpatica.
“Allora…dimmi. Cosa ne pensi della nostra classe?” Chiese annoiato, sperando che lo strazio dei convenevoli passasse in fretta, per gettarsi in una discussione molto più coinvolgente.
“I prof sono tutti gentilissimi.”
“E di noi che opinione hai?”
“Mi avete fatto sentire come se fossi a casa.”
“Mi fa piacere vederti felice, anche se sei una pessima bugiarda.” Replicò, scurendosi in volto.
“Io…”
“Chef è uno psicopatico, Chris è un fanatico dal parrucchino facile e con una fossetta sul mento che ricorda un sedere e i nostri compagni sono talmente gentili che non ti hanno ancora rivolto la parola e ti stanno costringendo a un angolo.”
“Ma io…”
“Se la gentilezza si misurasse secondo quanto gli altri restano per i fatti propri, augurandoti chissà quali atrocità e fissandoti con superiorità schiacciante, allora ti ritroveresti in una sezione che si meriterebbe il premio Nobel per la pace ogni santo anno.”
“Ma questa è la tua classe.” Obiettò Carrie, facendogli scrollare le spalle.
“Essere costretti a un qualcosa, non significa che ti piaccia.” Spiegò, rimproverando velatamente quei compagni che erano rimasti in aula.
“Io…”
“Un po’ come l’anno scorso: se ti hanno messo qui, ciò non significa che preferisci questa classe rispetto all’altra.”
“Hai ragione.”
“E riguardo quella faccenda dove ti sei fatta valere, anche a scapito di un’amicizia singolare, mi tocca ammettere che non sei stata così malvagia.”
“Eh?”
“Io avrei spinto molto più sull’acceleratore: magari qualche biglietto pieno di minacce, una serie di sventurati eventi e infine quell’esperimento scientifico che è stato un vero colpo di scena.”
“Ma come fai a sapere tutto questo? Mi hai tenuto d’occhio?” Chiese, puntandogli contro il coltello di plastica e facendolo ridacchiare per quell’arma contundente che non avrebbe mai spaventato nessuno.
“Oh non pensare che sia propenso a vendicare qualcuno. È solo che so riconoscere una vendetta ben fatta quando ce l’ho davanti e tu…beh sei stata convincente.” Ammise, mentre lei abbassava la sua arma difensiva.
“Come fai a sapere di Shelley?”
“Oh Carrie…imparerai presto che non c’è nulla che mi sfugga.”
“Io…”
“Ti potrei dire che ho occhi e orecchie ovunque, ma così facendo passerei per uno stalker, quando al contrario preferisco tenermi aggiornato e leggere l’Archivio.” Borbottò, bisbigliando la parte finale della sua confessione.
“E cosa vuoi da me?”
“Voglio solo conoscerti e confidarti quanto questa classe sia circondata da stupidi idioti.”
“Come?”
“Se fossi entrata l’anno scorso, ti saresti ritrovata con una decina di ragazzini mestruati che si riempiono di dispetti pur di far prevalere il proprio gruppetto. Ma per quest’anno sei fortunata: tutti vanno d’amore e d’accordo e sono così presi che ignorano qualcuno che cerca d’integrarsi con il massimo impegno.” Ghignò, guardando verso la sua sinistra e notando come Brick lo stesse fissando con rabbia.
“Io…”
“E ancora mi chiedo dove sia quella ragazzina che è riuscita a sistemare la classe. Probabilmente ha troppa paura e se ne frega di una che sta vivendo la sua stessa situazione degli anni passati.” Soffiò, mangiucchiando il suo pranzo con tutta calma.
“Di che parli?”
“Se fossi al tuo posto, Carrie, mi sarei stancato di aspettare un miracolo e a quest’ora pranzerei con la mia vecchia classe.”
“Sai che cosa si prova?”
“No, ma credo sia meglio parlare con qualcuno, piuttosto che deprimersi e fissare il cellulare.” Replicò imperturbabile.
“Io, però, vorrei avere dei nuovi amici.”
“Dei nuovi amici? Qui? Guarda che stai parlando della classe peggiore della scuola e di un gruppo che ci ha messo ben quattro anni ad andare d’accordo. Secondo me sopravvaluti l’intera situazione e preghi che qualcuno ti noti, liberandoti da questa solitudine.”
“Ma…”
“Mi dispiace deluderti, ma se aspetti il loro interesse…beh fai prima a diventare vecchia e a chiedere la pensione anticipata.” Ammise, facendola tentennare.
“Che cosa dovrei fare?”
“Tu hai fatto il possibile e non dovresti sforzarti ancora: sono questi idioti che dovrebbero darsi una svegliata.”
“Io…”
“Alcuni non imparano mai dai propri sbagli, vero Brick?” Chiese il rosso, voltandosi verso il compagno che si era seduto vicino e che sembrava pregarlo di porre fine alla discussione.
“Forse esageri.”
“Beh Carrie…alla fine non sei poi così sfortunata.” Mormorò, alzandosi in piedi e prendendo il suo zaino per tornarsene a casa.
 
Anche per quella mattina era andata bene.
Aveva preso una bella sufficienza in scienze, il vecchio Chef era parzialmente soddisfatto del suo elaborato e poteva staccare con due ore di anticipo, evitandosi la lezione soporifera di McLean.
Nel prendere il cellulare e nel leggere le varie notifiche, sorrise per alcuni messaggi della sorella e per altre imprecazioni di Duncan che si lamentava di un pessimo voto che sarebbe andato incontro a qualche bastonata per opera della fidanzata.
Non avrebbe mai voluto essere nei suoi panni, laddove una delusione a Courtney, equivaleva a una condanna a morte.
Scese le scale, si guardò intorno e mentre raggiungeva il portone, s’imbatté in una delle poche che si era risparmiata la lezioncina a Carrie. E vicino a lei, c’era anche quell’ottuso bambinone che parlava con voce robotica e che sembrava spacciarsi per una persona che non era.
Perfino un idiota si sarebbe accorto che non riusciva a essere sé stesso, ma l’amore oltre che stupidi rendeva ciechi. Dawn non si era nemmeno accorta che stava per salire su una barca senza timoniere e con un evidente squarcio, poiché Beverly era destinato ad affondare e avrebbe trascinato con sé tutti quelli che si erano avvicinati troppo.
E qui un pensiero malvagio lo colse: perché doveva curarsi degli altri, se mai nessuno si era preoccupato delle sue scelte infelici? Magari era la volta buona che qualcuno cadeva ai suoi piedi e cui poteva porgere una mano per risollevarsi.
Era bastato un fugace scambio di sguardi, un cenno del capo e Scott aveva riconosciuto la sua sconfitta.
“Vai già a casa?” Gli chiese Dawn, facendolo sorridere.
“E tu torni già in classe?”
“La pausa pranzo sta per finire.”
“Che coppia di secchioni: se non avessi lo stomaco forte, costringerei i bidelli a un lavoro poco esaltante.”
“Guarda che non siamo tutti come te.”
“Anche se l’anno scolastico è appena all’inizio e sono il solito idiota, non è detto che abbia intenzione di pensare di recuperare proprio durante la Maturità.” Obiettò seccato.
“Che cosa vorresti insinuare?”
“Fino all’anno scorso cercavo di sopravvivere e non mi preoccupavo troppo di essere bocciato. Quest’anno, invece, ho un ottimo motivo per essere promosso e per ottenere il maledetto diploma.” Ringhiò, fissandola intensamente.
“Quale?” Chiese, sentendo la mano di Beverly che cercava di allontanarla dal rosso.
“Se venissi bocciato, addio città e sarei costretto ad andarmene in Canada.”
“Una volta ci speravi.”
“Dawn, dovremmo andare.” S’inserì Beverly, ricevendo un’occhiata assassina da Scott.
“Avete ancora qualche minuto prima che i prof si mettano a rispiegare.” Nicchiò il rosso, scrollando le spalle.
“Perché hai cambiato idea? Dicevi che in questa città ci sono solo ricordi che vorresti dimenticare.”
“È vero, ma si possono sempre costruire dei ricordi e dei momenti migliori che possono cancellare tutti questi incubi.”
“Per la prima volta hai detto qualcosa di saggio.”
“Non sarebbe il caso di andare?” Tentò nuovamente Beverly, sfruttando quella voce robotica che alcune volte faticava a regolare di volume.
“Non siate così noiosi. E poi cosa c’è da fare in classe, se non rimanere seduti, ignorare il resto del mondo e scrivere cavolate su un quaderno?”
“Mi stai rimproverando per qualcosa, vero?” Chiese Dawn che riconosceva discretamente quei giri di parole che raggiungevano spesso l’obiettivo.
“Me l’hai detto tu che dimostrare di tenere a qualcosa non è debolezza.”
“Ma che…”
“E allontanare gli altri e non curarsi di quelli che soffrono, non è forza.”
“Ti stai criticando?”
“Tu e Carrie vi assomigliate così tanto, eppure non la vuoi conoscere. Non ti sembra ironico?” Domandò con sguardo eloquente, mentre Beverly la prendeva per mano e la allontanava dal compagno di classe.
“Beverly…” Tentò, guardando verso l’amico.
“Vai pure, Dawn. So che farai la scelta migliore.” Sibilò, allontanandosi a passo svelto e sorridendo verso il cielo nebuloso che rispecchiava il suo pessimo umore.
E anche in quella mattina senza ombrello, sarebbe tornato a casa bagnato fradicio e avrebbe dovuto scontrarsi con Alberta che poco sopportava di dover fare anche le sue lavatrici.




Angolo autore:

Ryuk: Non è ancora finita.

Mi spiace, ma Carrie è uno dei personaggi che più apprezzo della serie con Don e cerco spesso d'incastrarla nelle mie storie.
In questo caso non so se il tutto avrà un risvolto positivo.

Ryuk: Il preside e Scott sono in combutta.

Sì e vanno molto d'accordo.
Ciò che mostrano agli altri è solo una facciata e per quanto riguarda i loro incontri...sono ogni venerdì, non una volta tanto.

Ryuk: Fateci sapere se apprezzate come sta proseguendo la storia e se questo Beverly cattivo manipolatore è di vostro gradimento.

Detto questo, vi salutiamo e vi auguriamo buona settimana.
A presto!
 

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Capitolo 28
*** Cap 28 ***


L’accoglienza era qualcosa che le persone normali avrebbero sempre regalato a un qualcuno che si apprestava a entrare per la prima volta in un determinato campo.
Che fosse la scuola o il lavoro non era un’utopia.
Tuttavia doveva esserci qualcosa di molto più sottile se una ragazza abbandonava il suo liceo per trasferirsi quando mancavano appena pochi mesi alla terribile Maturità.
Scott era chiuso per quel venerdì mattina dentro l’ufficio del Preside, chiacchierando amabilmente e confrontandosi sull’ultima risoluzione del caso Carrie.  Era così che Josh considerava quei cambiamenti: erano dei casi che il suo studente sistemava con estrema risolutezza. Non si esponeva troppo, non rovinava quella che era la sua immagine da lupo solitario, ma riusciva a regalare a chi ne aveva bisogno un po’ di sollievo. Erano doti rare che Scott riusciva a sfruttare solo per gli altri e mai per sé stesso.
Stavano parlando nuovamente della candidatura di Don come nuovo Preside, quando qualcuno bussò alla porta dell’ufficio ed entrambi si ricomposero e trasformarono quella pacifica conversazione in un rimprovero debole e patetico.
Josh ordinò, quindi, che la scocciatura entrasse e subito si palesò un prof accompagnato da una ragazza che non avevano mai visto.
“Non so se ricorda, ma la signorina Hodgson è al suo primo giorno.” Bofonchiò l’anziano professore di matematica, facendo annuire il superiore che lo ringraziò e lo invitò a tornare ai suoi impegni.
La giovane dai lunghi capelli biondi, dagli occhi verde acqua e dalla carnagione chiara, se non pallida, aveva quasi la stessa età di Scott che le rivolse un’occhiata e poi ritornò a leggere le scartoffie che il Preside gli aveva mostrato.
“Sono la signorina Samey Hodgson, ricorda?” Esordì la giovane.
“Scusi signorina Hodgson, ma ero impegnato con un suo compagno di classe.” Borbottò, grattandosi la barba.
“Compagno di classe? Che bello ho conosciuto il mio primo compagno di classe.”
“Io non ne farei un vanto fossi in te.” La avvisò laconico il rosso, alzando gli occhi dai fogli e fissandola brevemente.
“Prego?”
“Tu devi avere un qualche problema per cambiare scuola a dicembre.” La raggelò, credendo si trattasse di una svampita.
“Nessun problema…è solo che nella mia vecchia scuola non mi trovavo bene.”
“Questo è il problema di fondo.” Sospirò, riconsegnando al Preside le ultime circolari.
“Ma tu sei davvero un mio compagno di classe?” Chiese, ignorando quella verità che aveva affrontato fin troppo spesso in passato e con risultati non proprio ottimali.
“Dipende dalla sezione.”
“La 5F.” Soffiò il Preside.
“Temo proprio sia la mia.” Replicò Scott che non sembrava per niente elettrizzato dall’avere quella nuova seccatura alle costole.
Anche se a essere sinceri, le sarebbe bastato passare la porta e gli altri l’avrebbero fatta sentire come a casa e presto si sarebbe dimenticata del primo ragazzo che aveva conosciuto per pura casualità. Per Scott non vi sarebbe stato nessun seguito.
Avrebbe imparato il suo nome e per intuito la sua età. I suoi gusti, i suoi sogni e i suoi progetti, ammesso che ne avesse qualcuno, sarebbero entrati da un orecchio e usciti dall’altro, senza che incontrassero il minimo ostacolo.
“Potresti accompagnarla in aula.” Gli suggerì l’uomo, facendogli scrollare le spalle.
“Credevo di essere in punizione e che fosse compito del Preside quello di presentare i nuovi!” Ironizzò, ricevendo un’occhiataccia per risposta.
“E come sono gli altri?” Chiese Samey, frapponendosi tra i due.
“Questa sì che è una bella domanda.” Ammise Scott.
“Ma non li conosci da cinque anni?”
“Imparerai presto che non amo fare amicizia con certe persone.”
“Poche storie Scott, sei tu quello strambo.” S’intromise Josh, facendogli scrollare le spalle.
“E comunque dipendesse da me, io tornerei anche a casa.” Nicchiò il rosso.
“E il mio primo giorno?” Domandò Samey preoccupata di tornarsene a casa e d’informare i genitori di una così spiacevole notizia.
“Non è affar mio.”
“Sei peggio di mia sorella.” Sbuffò Samey.
“Quante persone ancora devono disturbare i miei programmi?” Si chiese, alzandosi in piedi e raccogliendo lo zaino.
“Io…”
“Muoviti che tra un po’ inizia la lezione di Chris e voglio fargli ingoiare il suo dannato ego. Sia mai, per una volta, che quell’idiota non stia al centro dell’attenzione.” Borbottò, aprendo la porta e invitandola a conoscere la sua nuova classe.
 
L’ufficio del Preside non era così distante dall’aula di Scott e, in quei pochi metri, Samey ebbe l’occasione di studiare con attenzione il suo primo compagno.
Sembrava disinteressato, svogliato e, dallo sguardo rivolto ad alcuni primini incrociati in corridoio, anche parecchio aggressivo. Trascinava il suo zaino come se pesasse una tonnellata, ignorava il mondo e sembrava volerlo distruggere anche per gli altri.
Dai suoi occhi, però, riusciva a leggere un po’ di malinconia. Era come se soffrisse e fosse stanco di quella scuola che l’aveva svuotato completamente.
“Devi chiedermi qualcosa?” Domandò, risvegliandola dai suoi pensieri.
“Come sono gli altri?” Richiese nuovamente, facendolo ispirare profondamente.
“Sono tutti dei bravi ragazzi.”
“Anche tu?”
“Sarebbe troppo facile ammetterlo candidamente e per questo lascio agli altri la possibilità di scegliere.”
“C’è qualcuno che mi sconsiglieresti di conoscere?”
“Della mia classe forse solo io.” Borbottò laconico.
“Davvero?”
“Non credere che ce l’abbia con te, ma io non sono così bravo nei rapporti umani.”
“Come se non l’avessi intuito!” Ironizzò divertita, facendogli percepire la sua risata cristallina.
“Prima hai parlato di tua sorella…è colpa sua se hai cambiato scuola?” La bloccò Scott, facendola tremare leggermente.
“No.”
“Sei una pessima bugiarda e, quindi, devo supporre che tu abbia qualche problemino in famiglia.”
“Ti sbagli.”
“Guarda che anch’io ho una sorella maggiore, so quanto possano essere dittatoriali in certe cose e quanto possano rompere i vecchi.”
“Mia sorella Amy è sempre stata molto buona con me.” La difese Samey con una smorfia, facendo ghignare il compagno.
“E chi ha detto il contrario? Ho solo detto che mia sorella in certi frangenti è un po’ matta e per il resto hai fatto tutto da sola.” Sospirò divertito.
“Non capisci.”
“Su questo hai ragione: non capirò mai le persone.”
“Lei è sempre stata la mia guida e mi ha sempre consigliato le amicizie migliori.”
“Quindi sei stata la sua portaborse fino all’altro ieri.”
“Io…”
“E se hai cambiato scuola significa che meno l’hai intorno e meglio è. Immagino che abbia sfruttato la tua gentilezza e timidezza a proprio vantaggio, magari sacrificandoti e costringendoti a essere la sua schiavetta e quella delle sue amiche.”
“Ti sbagli.” Bisbigliò debolmente, quasi si vergognasse a difendere quell’arpia che le aveva rovinato l’esistenza.
“Il lato positivo è che qui nessuno ti tratterà realmente male.”
“Neanche tu?”
“Io non posso maltrattarti perché semplicemente non voglio conoscerti.” Rispose secco.
“Perché non vuoi conoscermi? Ti sto antipatica forse?”
“Perché farei un torto agli altri idioti della classe.”
“Prego?”
“Se in 5 anni non ho fatto amicizia con nessuno di loro, poi potrebbero arrabbiarsi se mi vedessero fare comunella con una sconosciuta. Eviterei di rovinarmi questi ultimi mesi e per questo, mi auguro di non offenderti, preferisco stare così come sono sempre stato.”
“E quando qualcuno ti chiederà del periodo delle superiori, tu che dirai?”
“Quale periodo delle superiori?” Domandò sarcastico, aprendo la porta e interrompendo Chris McLean che aveva appena iniziato l’appello.
 
Accadeva una sola volta su un milione che qualcuno si affezionasse a tal punto da voler conoscere tutti, cominciando però da quello più problematico in assoluto.
Di solito si partiva da quelli più compatibili o più semplici con cui ragionare e mai si affrontava qualcosa di davvero complicato. Un po’ perché è tipico dell’essere umano e un po’ perché poi si può coinvolgere qualcun altro in quel genere di progetto.
Samey aveva parlato a lungo con Dawn, Brick e gli altri, suscitando in loro un’ottima risposta. Qualcuno si era offerto di passarle gli appunti da settembre in poi, altri le avevano chiesto se avesse bisogno di una spalla con cui studiare, ma nessuno l’aveva intrigata come Scott.
Sembrava una persona fuori dal comune e per questo, quando finirono le lezioni, anziché seguire la massa, si allontanò con il rosso.
Per chi li vedeva passeggiare insieme era chiaro che si fosse presa una cotta per il tenebroso e non che il suo interesse provenisse dalla sua solitudine.
Brick non se ne era fatto una ragione, Dawn sentiva il petto stretto da un fastidio crescente e tanti altri non erano proprio soddisfatti da quella situazione. In tutto questo solo uno esultava soddisfatto: con Samey appiccicata a Scott, Beverly aveva campo libero con Dawn, anche se quest’ultima poco accettava quella situazione che si era andata a creare.
Non tollerava che la nuova ragazza riuscisse a coinvolgere il compagno in nemmeno 24 ore, se lei in cinque anni di superiori non sapeva quasi nulla sul suo conto. Le dava fastidio che fossero così vicini e intimi e che lui non riuscisse ad allontanarla con la sua lingua tagliente.
Allontanatisi dalla scuola, si sedettero su una delle panchine più isolate del parco e appoggiarono le borse al suolo. Stiracchiatosi gli arti indolenziti e sbadigliato rumorosamente per farle capire che stava sprecando tempo del suo pisolino pomeridiano, Scott le rivolse un’occhiata torva.
“Mi serve il tuo aiuto Scott.” Borbottò Samey, facendolo incupire.
“Per fare che?”
“Non volevo parlartene per i corridoi, facendo girare questa voce fin dal primo giorno, ma qui non c’è nessuno e credo tu sia l’unico abbastanza adulto cui posso chiedere.”
“Non credere che un elogio possa comprare il mio aiuto: è da stupidi cascarci in questo modo.”
“Gli altri mi sembrano un po’ infantili.” Replicò, riferendosi ai compagni che aveva conosciuto da nemmeno otto ore.
“E su questo ti sbagli.”
“Come scusa?”
“Gli altri sono un po’ stupidi, ma quando ce n’è bisogno, si dimostrano capaci e sanno risolvere ogni problema.”
“Tipo?”
“Un padre oppressivo, uno che vuole abbandonare la scuola e che ritorna sui suoi passi…non mi sembrano bazzecole che un bambino può risolvere con facilità.” Elencò distrattamente, guardandosi intorno e pregando inconsciamente che nessuno li vedesse così appartati.
“Il problema di cui parlavi questa mattina, quando eravamo nell’ufficio del Preside e poi tra i corridoi, riguarda mia sorella.”
“Riguarda solo te.”
“Come?”
“Una che si fa mettere i piedi in testa e che accetta di farsi comandare, significa che non ha il controllo della sua vita. Tua sorella ha solo sfruttato la situazione a proprio vantaggio e si è comportata come ogni persona di questo mondo. Ha trovato qualcuno che non obietta mai nulla, che accetta di chinare sempre il capo e che esegue gli ordini senza farsi troppe domande.”
“Ma io…”
“È inutile provare a convincermi del contrario.” Borbottò stizzito.
“Non è così: ti stai sbagliando.”
“Secondo me hai bisogno di ritrovare forza e sicurezza. Se hai abbandonato la tua vecchia scuola, è solo perché non reggevi più la pressione psicologica di tua sorella e speravi che qui potesse andare meglio. Mi spiace per te, ma se continui in questo modo, ti ritroverai a scappare nuovamente.”
“Perché dici questo?” Domandò, ignorando la vibrazione del cellulare.
“Perché qualcuno si accorgerà di questa timidezza e la sfrutterà a proprio vantaggio e tu ritornerai a dipendere da questa persona. Senza che nemmeno te ne accorga, diventerai la sua ombra e ricadrai nuovamente.”
“Io…”
“E questo fino a quando non diventerai così vecchia da non riuscire nemmeno a reggerti in piedi. Prima la scuola, poi il lavoro, poi tua sorella organizzerà la tua vita e magari il tuo fidanzamento o matrimonio, detterà i tempi perché tu possa diventare madre e via discorrendo. Diventerai una succube e non respirerai nemmeno senza che lei ti dia un ordine ben preciso.”
“Non è vero.”
“Se fosse una bugia, te ne saresti andata appena ho cominciato a parlare male di te.”
“Io…”
“Tu non hai bisogno di una guida: sei libera di fare i tuoi sbagli e di risolverli senza l’aiuto di nessuno.”
“Non vuoi aiutarmi?” Chiese Samey, facendolo ridacchiare appena.
“L’unico consiglio che posso darti è quello di tirare fuori un po’ di carattere e di amor proprio e di affrontare tua sorella.”
“Ma io…”
“Perché mi sembra che tua sorella Amy sia la bestia nera di cui hai paura.”
“Già.” Confermò, abbassando il capo e avvertendo una mano che le sfiorava la spalla per darle conforto.
“Hai mai sfogato la tua rabbia?”
“Prego?”
“Prendere e sfasciare una camera intera, spaccare la faccia a qualcuno…cose di questo genere.”
“Non sono una ragazza violenta.” Ammise, facendo annuire il suo interlocutore.
“Quindi hai parecchia rabbia repressa.”
“Credo di no.”
“E dimmi sei fidanzata?” Chiese Scott, facendola arrossire.
“Stai andando troppo di corsa, ma mi dispiace sono già impegnata.”
“Guarda che roba: non avevo nessun secondo fine e poi nessuno merita la sfortuna di stare con me.”
“Io…”
“E tua sorella che dice?” La interrogò, cercando di non impantanarsi in un discorso che poteva rovinare la sua scarsa pace interiore.
“Mi ripete da diverse settimane che Topher è un bel ragazzo.”
“Sta già tessendo la tela.”
“Quale tela? Mia sorella non è capace di cucire.”
“Tua sorella com’è fisicamente?”
“Siamo gemelle.”
“Due gocce d’acqua quindi. E toglimi una curiosità cui preferirei che rispondessi sinceramente: ha sempre ottenuto tutto quello che ti chiedeva?” Domandò, sbadigliando rumorosamente.
“Temo di sì.”
“Da quando eravate bambine, non ti sei mai opposta?”
“Avevo paura di farla soffrire.”
“E lei ha sfruttato la tua bontà a suo vantaggio, piangendo per costringerti a eseguire i suoi desideri.”
“E cosa centra il mio ragazzo in tutto questo?” Chiese Samey che era fin troppo ingenua per non capire i pensieri intricati del compagno.
“Se lo trova interessante, potrebbe costringerti a lasciarlo per poi prenderselo senza fatica.”
“Questo no!” Tuonò inviperita, scattando in piedi.
“E magari come altro affronto potrebbe chiederti di essere la sua testimone di nozze.”
“Quella lì la strozzo con il vestito…giuro che la massacro.”
“Tanto il tuo ragazzo non noterebbe la differenza: siete uguali.” Mormorò divertito dalla piega che stava prendendo la conversazione, rigirando il coltello nella piaga.
“Se solo ci prova la picchio a sangue, anzi è meglio che metta le cose in chiaro subito.”
“Credo di sì.” Confermò Scott, mentre lei prendeva il suo zaino e correva verso casa per vendicarsi dei vari soprusi patiti in quei lunghi anni.
Il rosso ora si sentiva leggermente in colpa: aveva liberato dalla sua gabbia una bestia feroce e non osava chiedersi cosa avrebbe combinato ai danni di Amy.
L’avrebbe scoperto l’indomani.






Angolo autore:

Buon pomeriggio cari lettori.

Ryuk: Ricordiamo bene che dovevamo aggiornare ieri, ma siamo rientrati dannatamente tardi.

Oltre che stanchi, infreddoliti e senza la minima voglia di accendere il pc.
Ovviamente ci scusiamo per il ritardo, ma ecco il capitolo che stavate aspettando.
Alla prossima!
 

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Capitolo 29
*** Cap 29 ***


Scott non riusciva a capire come Samey potesse conoscere il suo indirizzo.
Era sempre stato molto attento a non farsi seguire, eppure la mattina successiva se l’era ritrovata davanti al cancello. Sarebbe stato inutile allontanarla o minacciarla in qualche modo: alla fine i cani ritornano sempre dal loro padrone e quella metafora calzava a pennello.
Tuttavia sentiva che non sarebbe durata a lungo.
Il solitario conosce solo persone del suo stesso stampo e Samey non era più destinata a starsene in disparte, in attesa che qualcuno ordinasse qualcosa o che la fissasse con superiorità. Ora era libera e anche alla luce di quell’occhio nero e di alcuni graffi sul volto sembrava che non si sarebbe più fatta mettere i piedi in testa e che non avrebbe più accettato gli ordini altrui.
“Che vuoi?” Esordì Scott, fissandola attentamente.
“Volevo ringraziarti.”
“Stai sbagliando.”
“In che cosa?”
“Io non ho fatto nulla per aiutarti, ti sei liberata senza aiuto.” Borbottò compiaciuto, avviandosi verso la scuola.
“Perché non vuoi prenderti qualche merito?”
“Perché non sono sicuro che tu sia la vera Samey. Potresti essere la gemella malvagia che ha obbligato l’altra a conoscere le motivazioni e il colpevole della ribellione.” Replicò divertito come se temesse di correre qualche pericolo.
“Che cosa posso fare per convincerti del contrario Scott?”
“Niente.”
“Non vuoi che metta una buona parola con il resto della classe?” Domandò, seguendolo come un cagnolino bastonato.
“Questa è l’ultima lezione che ti spiegherò.”
“Quale lezione?”
“Ci sono persone che non meritano la felicità e che è meglio restino nell’oblio.”
“Tu sei una di queste?” Lo interrogò, mentre lui annuiva.
“Tanti hanno provato a restituirmi il sorriso, ma non ce l’hanno fatta. Si sono arresi dopo diversi tentativi oppure ho reso vani i loro sforzi. Purtroppo sono come una rosa, non di certo bella, ma piena di spine e difficile da cogliere.”
“E sarebbe questo il tuo problema principale?” Seguitò, facendolo sospirare.
“Non riusciresti a farmi parlare nemmeno se mi riempissi di pugni.”
“Io…”
“E tu non sei una ragazza violenta: me l’hai confermato ieri.”
“Purtroppo è vero.”
“E tua sorella come l’ha presa?” Chiese Scott che si sentiva in colpa d’aver rovinato i piani perfetti di quell’arpia.
“L’ho mandata all’ospedale.”
“A giocare con il fuoco spesso ci si brucia.” Mormorò il rosso.
“Ed è solo merito tuo se sono riuscita a ribellarmi.”
“E ora mi chiederai di nuovo cosa puoi fare per sdebitarti.”
“Sono fin troppo prevedibile.” Rise la giovane, contagiando anche il compagno.
“Mi concedi un desiderio, giusto?”
“Esatto!”
“Qualsiasi desiderio?” Domandò perfidamente.
“Mi spiace per te, ma sono fidanzata e non ho intenzione di tradire il mio Topher.”
“È la seconda volta che dai per scontato che sia interessato a te.”
“Non è così?”
“Per carità!”
“Ma io…”
“Sei fin troppo timorosa e manipolabile per i miei gusti. Per una persona come me andrebbe meglio una ragazza attiva e che non abbia timore di scontrarsi con il mio caratteraccio.”
“E quale sarebbe il tuo desiderio?” Domandò Samey, facendolo fermare di colpo.
“In questi mesi hai una seconda occasione. Non ti do la certezza che possa essere migliore della precedente, ma posso comunque garantirti che i nostri compagni sono eccezionali e forse riuscirai a costruirti dei ricordi unici delle superiori.” Le suggerì divertito.
“Davvero?”
“Cammina a passo svelto e impara a conoscere la tua classe: ti divertirai un mondo.”
“Io…”
“E se dovessi avere qualche problema, non guardare verso di me: ci sono una decina di ragazzi migliori che possono consigliarti diversamente.”
“Io dovrei sdebitarmi.” Ripeté nuovamente.
“Se vuoi sdebitarti, impara a vivere e non disturbare più quelli che non vogliono essere trascinati dalla gioia altrui.”
“Ho capito.”
“Allunga ancora il passo e se sei fortunata tra pochi minuti vedrai comparire da dietro quell’angolo Dawn, Mike e Zoey.” Borbottò, indicandole l’incrocio.
“Ti unisci a noi?” Lo interrogò Samey, fermandosi davanti al compagno e porgendogli una mano che studiò con diffidenza.
“Tra loro tre c’è il motivo per cui non m’integrerò mai con il resto della classe.” Ammise dispiaciuto, allontanando quell’aiuto e invitandola con lo sguardo a raggiungere i suoi nuovi amici.
 
Samey ripensò diverse volte a quelle parole che Scott si era lasciato sfuggire prima di rientrare nella villa per prendere il cellulare che aveva dimenticato in camera.
Il motivo per cui era in un angolo era da ricercare tra Zoey, Mike e Dawn.
Guardandoli attentamente e percorrendo la strada in loro compagnia nessuno le pareva così perfido da tenerlo lontano.
Non li conosceva così bene per stendere un giudizio, ma a grandi linee poteva assicurare che era abbastanza positivo. Nessuno sarebbe mai stato peggiore di Amy e su questo non ci voleva un genio, ma quei tre le sembravano i più tranquilli in assoluto.
Non aveva ancora una gerarchia di preferenze della sua classe e sperava di non averla mai per non rovinare il clima disteso che vi si respirava all’interno.
Era davvero difficile sondare il terreno e non poteva nemmeno entrare in classe e spettegolare già dal suo secondo giorno. Sarebbe stata additata come una pettegola e probabilmente sarebbe stata esclusa dalle varie attività per paura che si lasciasse scappare qualche segreto di troppo.
Stava riflettendo su come evitare eventuali diatribe che Dawn le sfiorò il braccio e la fece sussultare.
“Scusa se te lo chiediamo così, ma conosci da diverso tempo Scott?” Domandò la compagna, cogliendo Samey in contropiede.
“Non proprio.”
“Ma ieri pomeriggio siete usciti insieme e sembravate ottimi amici.”
“E anche molto affiatati.” Confermò Zoey, dando una leggera gomitata alla nuova compagna.
“L’ho conosciuto solo dieci minuti prima di entrare in aula.”
“Tutto qui?”
“Mi ha dato un consiglio e poco altro.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Che genere di consiglio?” Seguitò Dawn, continuando con quell’interrogatorio.
“Riguardo mia sorella.”
“Mi sembra assurdo che tu conosca Scott meglio di noi che lo vediamo da quasi 5 anni.” Brontolò Mike che interveniva per dire la sua.
“Forse è solo fortuna.”
“Deve essere così per forza.” Confermò Dawn che la sera prima non aveva chiuso occhio per via di quella faccenda.
Non poteva accettare che quel ragazzo si confidasse con una semi sconosciuta, mentre con gli altri rimanesse sulle sue. Era merito suo se si era aperto al mondo, eppure era infastidita che lui non avesse descritto il suo vero problema.
Possibile che fosse innamorato di quella Samey?
Che in lei potesse rivedere una persona di assoluta fiducia cui confessare ogni piccolo dubbio o ogni peccato passato?
“Scott mi sembra un bravo ragazzo.”
“Lui ti piace?” Le chiese subito Dawn, andando dritta al punto e sperando vivamente che lei negasse senza ripensamenti.
“Potrebbe essere un buon amico, ma sono già fidanzata.”
“E così Scott è stato escluso di nuovo.” Borbottò Mike, abbassando il capo
“Me l’hai chiesto perché anche tu sei interessata a lui?” Domandò Samey, rivolgendosi a Dawn e cogliendola alla sprovvista.
“Io…beh…no.”
“Sicura? Perché mi sembri un po’ confusa.”
“Assolutamente.” Replicò seccata.
“Allora sei gelosa.”
“Di chi?”
“Di me che ho un buon rapporto con Scott.” La provocò, facendola sospirare.
“Ti sbagli.”
“Oppure sei invidiosa del fatto che ha scelto me come confidente rispetto a te.” Continuò, distruggendo poco per volta il castello di menzogne che Dawn si era costruita.
“Ti ripeto che è impossibile.”
“Forse sei tu.” Soffiò Samey, trovando risposta al dubbio sviscerato dal rosso.
“Cosa?”
“No…niente una sciocchezza di poco conto.” Borbottò, cambiando discorso ed evitando di ritornare sul compagno di classe.
Alla fine Samey aveva capito chi impediva a Scott d’integrarsi con gli altri, anche se dubitava che quell’innocente ragazza potesse essere così subdola. Probabilmente c’era molto altro e lei, essendo arrivata in ritardo, si era persa tante cose che le avrebbero permesso di rinforzare la sua tesi.






Angolo autore:

Il capitolo è un po' corto, ma conto di recuperare con il prossimo.

Ryuk: Sempre che tu non sia troppo annoiato o in vena di cambiamenti atomici.

Non credo che cambierò troppo di questa storia.
Per il resto vi ringrazio dell'interesse e vi saluto.
Alla prossima!
 

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Capitolo 30
*** Cap 30 ***


Avrebbe dovuto essere felice per quel proposito d’inizio anno che centrava il suo obiettivo quando gennaio era solo a un passo?
Di solito avrebbe procrastinato fino al termine ultimo e avrebbe guardato gli altri ridere come idioti quando aprile era ormai agli sgoccioli.
Tuttavia era orribile tenere Carrie prima e Samey poi in quello stato per un intero anno.
La loro classe era finalmente guarita e poteva prepararsi per una gita che non si sarebbe svolta verso i primi di marzo.
Almeno con quel piccolo regalo rivolto al Preside, Scott aveva ottenuto il permesso di anticipare a novembre la normale seccatura del viaggio. Si pensava a una meta puramente estiva, anche se ormai le calde giornate e i drink sulla spiaggia, sarebbero stati uno sbiadito ricordo.
Rientrando sul tardi dall’ennesima giornata scolastica, appoggiò lo zaino vicino al divano e poi si mise a osservare la televisione con la classica pubblicità di un rasoio che prometteva, soddisfatti o rimborsati, di radersi in cinque minuti.
Erano solo stupidaggini.
Un po’ come il breve dialogo che aveva avuto con Dawn quella mattina, quando Beverly era rimasto intrappolato in classe per un compito dalla difficoltà sorprendente.
Credeva che nessuno conoscesse il suo nascondiglio, né che qualcuno trovasse così intrigante salire fin sul tetto solo per vederlo disteso a crogiolarsi al sole.
Nonostante la temperatura quasi invernale era piacevole passare la ricreazione o la pausa pranzo a respirare dell’aria pulita, magari sognando di essere su una candida nuvola e fissare gli altri, pregustando cattiverie da sparare in giro.
“Deve essere tremendo avere un sogno.” Soffiò, avvertendo la porta cigolare pesantemente.
“Ti ho cercato ovunque.”
“Sono sempre stato qui.” Replicò infastidito.
“Lo so.”
“E poi nessuno penserebbe mai al tetto, sempre che non sia seguito.” Continuò annoiato, sfruttando tutta la sua astuzia.
“Ti sbagli.”
“L’infermeria, la mensa, la biblioteca, la palestra…ci sono almeno una trentina di nascondigli e per passarli tutti ci vuole quasi un’ora. A quanto pare hai legato il cagnolino a qualche albero e vuoi liberarti la coscienza di qualcosa. Ma di che cosa esattamente?” Chiese, rimettendosi seduto.
“Non abbiamo avuto più molto tempo per parlare, ma volevo dirti che avevi ragione su Carrie.”
“Non avevo bisogno della tua riconferma: io non sbaglio mai.”
“Se non sbagli mai, perché continui a odiarci?” Lo interrogò, andando dritta al punto.
“Non riuscirei a odiarvi, nemmeno se m’impegnassi.”
“Vorrei tanto che tu fossi felice.” Sospirò, sedendosi vicino al compagno.
“La felicità non esiste.”
“È allora qual è la sensazione che provo ogni volta che entro in classe o che posso uscire con un amico?”
“È solo una soddisfazione personale.” Rispose, inspirando profondamente.
“E tu non hai intenzione di sentirti soddisfatto?”
“Perché non ritorni dal tuo cagnolino e mi lasci in pace?”
“Me ne andrò solo quando saprò cosa posso fare per sdebitarmi.”
“Allora dovresti tornare in classe, abbandonare Beverly e ritornare qui.”
“Non posso.”
“Non puoi o non vuoi?” Domandò, assottigliando lo sguardo e facendola tentennare.
“Anche se non sembra, Beverly è un bravissimo ragazzo.”
“I bravi ragazzi non crescono sugli alberi e non credo alle teorie di Courtney o alle scemenze di Gwen.”
“Da quando le ascolti?”
“Da quando sono quello che regge le borse, mentre ballano in discoteca con Duncan e Trent.”
“I loro ragazzi hanno fatto amicizia?”
“E dovresti vedere come vanno d’accordo.” Confermò, rievocando l’immagine di qualche sera prima dove si sostenevano per via della sbornia.
“Solidarietà maschile?”
“Credo che il piccolo Dunky avesse bisogno di una visione molto più ottimistica della vita.” Sogghignò divertito.
“Almeno ti sei accorto che senza Duncan non hai più amici da deridere?”
“E quando li ho avuti?” Riprese seccato.
“Ti basterebbe rientrare in classe e cambieresti idea.”
“Se rientro in classe, tu verrai con me e abbandonerai Beverly. Non mi sembra così difficile.”
“Mi spiace Scott, ma io lo amo.”
“E subito dopo segue dichiarazione strappalacrime, dove lui è la mia vita e non posso stare senza il suo impareggiabile sorriso.” Ribatté, imitando un tono femminile che poteva essere un miscuglio tra quello di Sierra e Jo.
“Ma…”
“O senza la sua voce…ma un momento, lui una voce non ce l’ha e non sarà mai capace di dirti quanto sei bella risultando convincente.”
“Questa te la potevi anche risparmiare.” Ringhiò, rialzandosi in piedi e aspettando che lui la seguisse, dato il contemporaneo suono della campanella.
“Come puoi non accorgerti che questo è solo un capriccio?”
“Ti sbagli.”
“Tutte le ragazze hanno bisogno di ricevere dei complimenti e tu non fai eccezione.”
“Io amo Beverly per quello che è.” Seguitò, affrontandolo a brutto muso.
“Una candela che brucia alle due estremità mi farebbe meno pena di una ragazza che sta vanificando la sua vita per una stupida cotta.”
“La verità è che Beverly è buono, gentile e non farebbe del male nemmeno a una mosca. Tu, invece, riesci a tirar fuori il lato peggiore da ogni persona. Duncan ti odia ed è per questo che sta cercando di andarsene, Brick e Lightning ti avrebbero picchiato a sangue se non li avessi coperti di consigli e noi ragazze desideriamo che quest’anno passi in fretta, solo per non vederti più.”
“Da cinque anni mi chiedevo se fosse vero e in questo giorno fortunato me ne hai dato conferma. La vera domanda, però, è cosa ne pensi tu. Troppo facile dire che gli altri non mi sopportano, ma più difficile è chiarire quali siano i tuoi veri pensieri.”
“Tutte le volte mi confondi.”
“E tu mi hai confuso quando hai detto a Courtney che stavamo insieme. In quale universo, uno disgustoso come me, può stare, può ambire a guardare ogni mattina il tuo sorriso?”
“Io volevo solo convincerla a diventare mia amica.”
“Un’amicizia si basa sulla fiducia e con Courtney non sei stata sincera. Fortuna che ha un dialogo con Duncan e che quest’ultimo mi ha chiesto spiegazioni, altrimenti avrei dovuto mettere a tacere alcuni pettegolezzi fastidiosi.”
“L’ho fatto a fin di bene.”
“E questo Courtney l’ha capito. Resta il fatto che ho dovuto discutere con quella matta per oltre due ore e che mi ha dato consigli manco fosse un oroscopo.”
“Mi spiace.”
“I pettegolezzi sono subdoli quasi quanto le bugie e alcuni di questi sono così orribili da distruggere una persona dall’interno.”
“Ne sai qualcosa?” Chiese Dawn che aveva già sentito quella storia, ma non ricordava più in quale circostanza.
“No.”
“Io vorrei tanto vederti sorridere.”
“Sicura che sia la scelta migliore?” La interpellò dopo aver ascoltato le sue intenzioni.
“Quale altra scelta mi resta?”
“Potresti rassegnarti: hai conquistato una classe intera, perché non dovresti accontentarti?”
“Perché i ricordi sono importanti e tu rientri in tutto questo.”
“E vorresti sapere la verità, giusto?”
“Senza bugie o storie campate per aria.” Seguitò, facendolo sospirare.
“Passata la gita, potresti prenderti un pomeriggio libero e ti racconterei ogni cosa.”
“Me lo prometti?”
“Ti do la mia parola d’onore.”
“Che hai detto non vale nulla.” Obiettò, facendolo annuire.
“Vorrà dire che mi darò un buon motivo per non scappare.” Soffiò, togliendo dal portafoglio e porgendole una foto che lo ritraeva in compagnia dell’amato nonno e che era uno dei pochi tesori cui era maggiormente legato.
“Sei sicuro che sia il caso?”
“Vedi di non rovinarla: è uno dei pochi ricordi felici che ho e non vorrei perderlo.” Mormorò, aprendo la grande porta e invitandola a tornare in classe, prima che qualche prof nevrotico la segnasse sul registro e pretendesse un colloquio con i genitori.
 
Quello era davvero uno dei pochi ricordi lieti di quegli anni.
E non aveva altre copie o elementi che potessero ricollegarlo all’adorato nonno. Alla fine aveva riposto nuovamente la sua fiducia in Dawn.
Se lei non l’avesse calpestata, non avesse fatto parola con nessuno di quella sua debolezza e si fosse sottratta, anche solo per un’ora, dalle grinfie di Beverly, ecco che avrebbe raccontato il segreto che continuava a nascondere.
Non era un qualcosa che lo riguardava proprio direttamente, ma si avvicinava parecchio.
Non erano aneddoti del suo passato, del suo rapporto logoro con il padre, del periodo orribile delle medie o di altre idee malsane che andavano di pari passo.
C’era molto altro in quel suo comportamento riservato che era fuoriuscito per puro caso.
Nessuno andava a cercarsi certe esperienze o poteva desiderare ardentemente di farsi del male, per poi passare notti insonni e crisi isteriche.
Quale genio avrebbe pregato per una cosa simile?
Aveva già una quantità esorbitante di problemi tra cui destreggiarsi e aggiungere quella noia era stata davvero una mazzata micidiale.
In quell’istante di sconforto, la vibrazione continuata del cellulare lo ridestò.
Accortosi del nome, accettò la chiamata a suo carico.
“Che cosa ti serve, vecchia volpe?” Domandò il rosso, avvertendo una risata possente all’altro capo.
“È da tanto che non ci sentiamo Scott.”
“Da qualche settimana se non sbaglio.”
“Già.”
“E come te la passi? Stephanie continua a romperti le scatole?”
“Niente di nuovo…litighiamo e basta.”
“Quando vi siete messi insieme, sapevi a cosa andavi incontro.” Gli rammentò l’amico.
“E tu? Risolto qualche problema?”
“Diciamo che ci sto lavorando.”
“Mi piacerebbe informarti di persona, ma il mio capo è un tiranno e non mi concede troppe giornate libere.”
“Lo immaginavo.” Mugugnò il rosso, sentendolo sgranocchiare qualcosa.
“Ho ancora dieci minuti di pausa.”
“E non credo sia il caso di sprecarli in questo modo.”
“So che non mi sono più fatto sentire, ma la tua richiesta è stata parecchio insolita e ci ho messo parecchio a raccogliere i vari dati.”
“E?”
“Avevi ragione su tutto.”
“Speravo tanto di sbagliarmi e che fosse solo una sensazione, ma a quanto pare leggo i risultati degli altri con odioso anticipo.”
“Perché?”
“È insopportabile accorgersi di avere ragione, quando tutto questo ti porterà a far soffrire qualcuno. A volte preferirei avere torto.” Sbuffò deluso.
“Sai che senza di te, mi annoio?”
“Brutto segno.” Commentò ironico, immaginandosi Ryan che rideva dietro il suo schermo e che spargeva briciole ovunque sulla sua scrivania.
“Nessuno che riesce a risolvere un problema, tutti che riguardano i vecchi dati…un casino indescrivibile.”
“Mi spiace, ma non ho intenzione di rientrare nel giro.”
“Io ci ho provato.” Borbottò deluso con un tono che, però, sembrava anche consapevole.
“Aspettavo proprio una scusa per andarmene e questa è caduta a fagiolo.”
“E perché non ti sei tirato indietro un po’ prima?”
“Perché mi annoiavo e non era così malaccio per i primi mesi.”
“Ti capisco.”
“E tu? Potresti abbandonare il gruppo come se niente fosse.” Borbottò, facendolo inspirare profondamente.
“Potrei, ma voglio aiutare più persone possibili.”
“Io, invece, desidero soltanto riportare tutto alla normalità prima che sia troppo tardi.”
“Da quando quell’hacker è entrato nella tua chat privata, noi moderatori abbiamo aumentato i livelli di sicurezza e privacy.”
“Non hai nient’altro da dirmi?” Chiese il rosso.
“Ho impiegato una settimana per salvare tutti i tuoi vecchi dati e sembra che il tuo amichetto si può spacciare per te solo per quanto riguarda la chat degli ultimi sei mesi circa.”
“Quindi se gli chiedessi qualcosa di precedente a questo furto, lui…”
“Sì, lui sarebbe costretto a inventarsi tutto di sana pianta.”
“Adesso sì, che la partita può diventare divertente.” Commentò Scott, ripensando a tutto quello che aveva passato nella chat e sorridendo per quella confessione che, ex moderatore qual era, non si aspettava di ricevere con tanta semplicità.
“Un piccolo appunto giunge infine, Scott.”
“Quale?”
“Se quel tuo amico è stato tanto avventato da fregarti il profilo, nulla può vietarmi di pensare che possa essere molto più pericoloso di quel che non sembra.”
“Ma lui…”
“Un topo in trappola reagisce come nemmeno t’immagini.”
“Terrò gli occhi aperti.” Lo rassicurò, avvertendo in sottofondo un urlo disumano che doveva appartenere al dittatore di Ryan.
“Stephanie mi ha spiegato qualcosina e cerca, quindi, di osservare e proteggere ciò per cui stai tanto faticando.”
“L’utente 0021 è in ottime mani.”
“Lo so Scott.”
“Beh…ti lascio al tuo pranzo.” Lo salutò il rosso, ringraziando mentalmente il capo supremo dei moderatori.






Angolo autore:

Ryuk: Siamo in dirittura d'arrivo.

Sembra sia così.
Un po' mi spiace perchè questa storia mi piaceva molto, ma tutto deve avere una fine.

Ryuk: Pazienza...magari troviamo qualche altra idea da portare avanti.

Lo spero
 

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Capitolo 31
*** Cap 31 ***


Beverly Frost sapeva che quel gioco era assai rischioso.
Si stava fingendo una persona che non era e che mai sarebbe riuscito a imitare. Vi erano troppe ambiguità in quel carattere virtuale che si era incollato addosso e che faticava ancora a decifrare.
Spesso aveva rischiato di scivolare maldestramente, facendo fuoriuscire il suo vero essere e mostrandosi, anche davanti a Dawn, come il manipolatore che cercava di celare.
Quella mattina, impegnato in uno dei tremendi quiz di Chef, non era riuscito a pranzare con la sua Dawn e ciò l’aveva spinto a riflettere.
Si stava rendendo conto che erano su due strade divergenti e che lei sembrava più propensa a sorridere e a salutare quel Scott che aveva retto il suo sguardo di sfida. Poteva davvero essere geloso di uno che si comportava e parlava nello stesso identico modo del personaggio che lui imitava con tanta debolezza?
E un dubbio improvviso lo colse.
Il tizio cui aveva fregato il profilo poteva essere lui.
A una prima occhiata e soffermandosi sui problemi che aveva risolto da dietro un monitor, gli pareva impossibile, ma ad allineare le varie informazioni, ecco che si sentiva abbastanza vicino alla risoluzione.
Scott era il moderatore della chat di cui Dawn aveva fatto parte fino a qualche mese prima.
Un brivido gli salì lungo la schiena e lo portò a tremare.
Non era più una questione di sé, ma quando l’avrebbe scoperto. La ragazza non era stupida e presto ci sarebbe arrivata. L’unica curiosità proveniva dal rosso.
Perché lui non aveva spifferato ciò che sapeva?
Non era così difficile uscire allo scoperto, descrivere pazientemente la chat e distruggere in pochi secondi la sua messinscena.
Sempre che i suoi sospetti fossero fondati.
Di certo non poteva affrontarlo a brutto muso e pretendere che rimanesse in disparte: se era all’oscuro della faccenda, ciò avrebbe soltanto confuso Dawn e l’avrebbe portata a credere che ci fosse qualcosa di poco chiaro nella loro relazione.
Purtroppo, calcolata al contrario, quella era una confessione in piena regola e avrebbe consegnato una sicurezza schiacciante a quell’odioso individuo.
Come poteva muoversi in una circostanza simile?
L’unica possibilità era di restarle attaccata e non appena Scott si fosse avvicinato a loro, di costringerla a ignorarlo.
Era un piano alquanto elementare, ma assai instabile.
Per continuare quello sciocco teatrino, doveva provare, se possibile, a diventare l’ombra dell’ingenua Dawn, sperando che, passata la Maturità, Scott se ne andasse in un Università molto lontana.
Doveva solamente reggere fino a fine giugno.
 
Rimasto sul tetto dopo essersi sbilanciato troppo, Scott sentiva che era solo questione di tempo. Era stanco di mantenere quella facciata che non portava ad alcun risultato utile.
Tutti avevano bisogno di essere felici e lui lo era quando discuteva liberamente con Dawn.
Poteva esistere per una vita intera senza cullarsi più in una gioia simile?
Era impossibile rimanere indifferenti a una lezione simile.
E la gita che si stava avvicinando a rapidi passi, gli ricordava che tra pochi giorni, avrebbe ottenuto la sua vendetta, anche se in quel round Beverly gli sembrava molto più accorto.
Marcava stretto Dawn, la seguiva ovunque, ma in questo modo non avrebbe ottenuto nulla di concreto.
Il povero muto stava sbagliando una mossa dietro l’altra e quando la sincerità poteva portarlo alla vittoria, ecco che aveva preferito continuare a masticare quella tecnica spregiudicata.
Non l’avrebbe più lasciata sola.
Ma questo era solo il suo pensiero.
Perché Dawn non poteva allontanarsi e pretendere di conoscere in anticipo il segreto che continuava a mantenere con tanto coraggio. Se si comportava in quel modo, era solo per non rovinarle la gita e per farle costruire dei bei ricordi con gli altri compagni.
Come poteva andare lì, rivelarle la verità e farle passare un’intera settimana nel più atroce dei dubbi?
Nessuno poteva essere così malvagio.
Sua sorella Alberta era stata sufficientemente chiara e, alla vigilia della gita, gli stava spiegando una delle lezioni più avanzate di Chef Hatchet che sarebbe culminata nell’ennesima liberazione di coscienza da parte di Scott.
“E aggiungendo questi due grafici, finisci il programma di quel pazzo.” Spiegò divertita, rileggendo i suoi vecchi appunti e appoggiandoli sul tavolino del salotto.
“Non sembra così difficile.”
“Io mi chiedo ancora perché si metta a spiegare roba da universitari a dei semplici liceali.” Commentò acida, stringendosi nelle spalle.
“Perché si diverte a vederci affondare.”
“Ti somiglia.”
“Prego?”
“Una volta anche tu cercavi di sabotare gli altri.”
“Questo perché avevo i miei buoni motivi.”
“Tipo?” Chiese, fissandolo intensamente.
“Una classe che non concede nessuna possibilità a qualcuno che non conosce appieno, merita di essere punita.”
“Parli per esperienza?”
“Sai cosa intendo.”
“Immagino che le cose tra te e Dawn non vadano bene.” Sibilò la giovane, facendo sprofondare il fratello ancora di più nel divano.
“Siamo nel più orribile degli equilibri. Un tempo, però, non era così e si confidava liberamente con il suo amico virtuale.”
“Hmm?”
“Semplicemente ero moderatore in una chat e lei seguiva i miei consigli.”
“Perché non me ne hai parlato?” Domandò seccata.
“Perché era un segreto e poi ci sono tante cose che non ti ho mai detto.”
“Per esempio?”
“Il motivo per cui Dawn mi odiava, il perché mi sia trattenuto dal raccontarle la verità e altre cose simili.”
“Continui a scriverle?”
“Sospetto, e forse mi sbaglio, che il suo attuale fidanzato mi abbia fregato il ruolo e lei non si è minimamente accorta del cambiamento.”
“E tu sei rimasto zitto.” Ringhiò sommessamente.
“Volevo vedere se era felice e per un periodo anch’io mi sentivo soddisfatto.”
“E cosa sarebbe cambiato?”
“Lei è cambiata.”
“Puoi spiegarti meglio?”
“Mentre io ho migliorato la media, lei ha iniziato a crollare. Nell’ultimo mese fatico a ricordare una sola sufficienza.”
“Ahia!” Commentò preoccupata.
“L’unica cosa che è cambiata oltre la sua pessima media scolastica e il fastidio dei suoi genitori per questo crollo inspiegabile, è quel babbeo che la segue come un cagnolino. Io non pregiudicherei il suo studio e il suo futuro, ma al contrario vorrei che facesse del suo meglio.”
“Così facendo, anche tu la seguiresti come un cagnolino.” Replicò divertita.
“Ma non le permetterei mai di finire così.”
“Che cosa manca ancora?”
“Tempo fa non avrei avuto grossi problemi a fingere disinteresse. Magari con Duncan e Courtney può anche funzionare, tanto ci sono abituati, ma con lei faccio una fatica indescrivibile. Non riesco a vederla ridotta così male. Lei non è la Dawn che ho conosciuto. Lei non lasciava nessuno indietro. Parlava con Gwen, discuteva con Brick, ma per tutti aveva cinque minuti di tempo. Da quando sta con Beverly, è cambiata in peggio.”
“Forse sei solo affrettato e la giudichi con sguardo critico.”
“Ora ignora i suoi amici, quelli per cui ha tanto lottato e non dà spiegazioni. È un attimo ritornare nella solitudine e con tutta la fatica che abbiamo fatto, non lo sopporterei mai.”
“Lo fai solo perché t’infastidisce il fallimento?”
“Io non ho nulla da perdere o da guadagnare: è solo lei quella che ha tutto da rimetterci. Io non posso perdere l’amicizia di Brick, la vicinanza di Zoey o i consigli di Jo…alla fine non ne ho mai ricevuti.”
“Solo perché non hai usato il cuore.”
“Prego?”
“Finora hai usato solo un pizzico del tuo cuore: perché non lo usi tutto?”
“Io…”
“È più difficile essere così ambigui, piuttosto che lasciarsi andare. Basta poco, la fai sorridere, ti sbilanci con la comunità, lasciando trasparire tutte le tue incertezze e poi lascerai che sia il tuo cuore a parlare.” Sospirò, dandogli una leggera scrollata.
“Potrei giurare di averlo sempre fatto, ma non ne avrei la certezza. Grazie comunque.”
“Una famiglia è fatta per sostenersi nel momento del bisogno e, dopo tanti anni, è giusto che ti aiuti a sistemare i tuoi casini.” Bofonchiò divertita, accendendo la televisione, mentre il fratello prendeva il giubbino per farsi un’ultima passeggiata prima di rientrare.
 
Non aveva troppa voglia di allontanarsi.
Solitamente avrebbe passeggiato per il giardino, concedendosi magari una capatina nel garage dove Alfred stava controllando la vettura, ma quel pomeriggio aveva deciso di superare l’austero cancellone grigio che lo divideva dalla vita comune.
Il tempo, purtroppo, non gli concedeva di allontanarsi troppo e, senza ombrello, rischiava un bel bagno, cosa che avrebbe fatto imbestialire sua sorella che sarebbe stata capacissima di stracciare l’ultima ricerca perfezionata di Chef.
Si accontentava di sgranchirsi le gambe lì intorno, stiracchiandosi gli arti indolenziti e riflettendo su alcuni progetti che i suoi genitori avevano esposto. Difficilmente avrebbe accontentato suo padre e, anzi, se possibile, avrebbe fatto di tutto per remargli contro. Se era rimasto invisibile ai suoi occhi per tutto quel tempo, tanto valeva ignorare i suoi messaggi e i suoi ordini, replicando disinteressato e lasciando a sua sorella il compito di declinare con garbo.
Inspirato profondamente, si domandò se i suoi affari erano così in bilico come andava raccontando.
A ben pensarci piuttosto di sapere qualcosa delle varie alleanze politiche del vecchio, era pronto anche a svignarsela in qualche angolo remoto del loro stato.
Di sicuro, ne era convinto in una misura tale che ne sarebbe rimasto deluso, nessuno avrebbe potuto urtargli il sistema nervoso come suo padre. Sempre che non si trattasse, e questa eccezione arrivò solo quando se lo ritrovò davanti, del suo rivale, artefice di una gelosia che non riusciva a trattenere.
“Stai lontano dalla mia ragazza, Scott.” Esordì subito Beverly, fissandolo storto e pretendendo che seguisse il suo ordine.
“Stavo giusto per chiedermi chi avrebbe rovinato il mio pomeriggio ed ero pronto a massacrare Duncan, ma la tua avanzata trionfale mi ha bloccato.”
“Pensi di essere simpatico?”
“Poi mi sono chiesto cosa volessi, ma mi hai anticipato.”
“Non mi ripeterò di nuovo.”
“Perché dovrei dare ascolto a uno come te, Beverly? Tu non hai nessun diritto di ordinarmi qualcosa o di precludermi qualche obiettivo.”
“E tu non hai il diritto di rovinarmi la vita.”
“Stiamo parlando della tua felicità o del tuo egoismo?” Replicò infastidito, dandosi dello stupido, dato che stava discutendo animatamente con un muto.
“Se affondo, tu mi verrai dietro.”
“Ne sei sicuro Beverly? Vuoi sapere una storiella divertente? Il tuo –affondo- non è nemmeno lontanamente immaginabile al baratro in cui io sto vivendo. Per la posizione che occupi, mi dà fastidio perfino il Sole, ma se tu preghi di vedermi crollare, beh sappi che non c’è nessuna possibile scappatoia e allora sarai tu a seguirmi all’Inferno. E quando accadrà l’inevitabile, sarà solo la tua famiglia a incolparti.” Ringhiò, facendolo tremare.
“Io…io non ho paura di te.” Balbettò preoccupato, cercando di recuperare un minimo di coraggio.
“E poi si può sapere che cosa vuoi da me? Io non ho mai mostrato chissà quale interesse per Dawn, sempre che tu non stia nascondendo qualcosa e non abbia la coda di paglia. In tal caso anche una sola occhiata, può esserti sufficiente per dubitare di tutti. Ma se dubiti di chiunque, ciò significa che non hai la coscienza pulita e che nascondi qualcosa di marcio.”
“Che vuoi dire?”
“Sei stato sincero con Dawn? Per quanto tu possa odiarmi, lei sa che sono un tipo molto enigmatico, da evitare se possibile, e che alcuni segreti, è meglio tenerli nascosti.”
“Che cosa le hai detto?”
“Le ho solo detto ciò che sono: un idiota che non ne fa mai una di giusta.”
“Non ti credo.”
“Lei ha imparato presto la lezione ed io tengo molto alla sua felicità.”
“Se vuoi la sua felicità, allora le devi stare lontano.”
“Come puoi dirlo?”
“Lei è felice solo quando sta con me.”
“È felice o credi che lo sia?”
“Lo so e basta.”
“Se sei così sicuro delle tue doti e non temi di fallire, credo che tu possa accettare questa semplice scommessa.”
“Quale scommessa?”
“Lascia che c’incontriamo per risolvere le nostre divergenze. Ti chiedo solo un pomeriggio, forse è sufficiente anche mezzora, e poi sarà liberissima di volare da te. Fatte le giuste considerazioni, riflettuto per bene, poi lei crederà che io sia un bastardo, se è questo cui speri, e tu l’avrai per sempre.”
“Io…”
“Non rifiutare subito. Ci sono più probabilità che sia tu a spuntarla che un bugiardo come me. Lei sa bene che sono un truffatore incallito e potrebbe prendere le mie confidenze come una trappola.”
“Non voglio scommettere con te.”
“Pensavo che concederti un vantaggio potesse spingerti ad abbassare la guardia, magari conscio che un crollo è dietro l’angolo.”
“Non mi fido di te.”
“Non accetti la mia proposta solo per mancanza di fiducia?”
“Anche per questo.”
“Per quelli che non sanno correre il rischio, non resta che vivere nell’ombra e avere sempre paura.”
“Che cosa stai insinuando?”
“Per quanto poco conosca i miei compagni, loro hanno il mio rispetto e non si nasconderebbero come dei vili codardi. Tu, invece, che provi a sembrare un qualcuno che non sarai mai, ferendo ciò che di più caro hai in questo momento, meriti solo il mio odio e il mio disprezzo.” Ringhiò, superando il ragazzone e tornandosene ai suoi impegni, consapevole che, per una volta, non poteva e non doveva fallire in nessun modo.







Angolo autore:

Mi scuso se son rimasto assente per tutto questo tempo, ma il primo finale della storia non mi piaceva molto e ho optato per un cambio.

Ryuk: Il problema è che è difficile costruire un determinato finale quando la storia sembra andare verso una certa direzione.

Abbiamo dovuto rileggere tutto quanto, vagliare le diverse ipotesi e, forse, ora siamo soddisfatti.
Scusate ancora per questo ritardo.

Ryuk: Piccola nota a margine...stiamo pensando di pubblicare le prossime storie su altro sito. EFP sta diventando un mortorio, peggio del mio mondo.

Dato, però, che avevamo un progetto da terminare, rimaniamo qui fino all'ultimo.
Deciderò poi se continuare qui, andare su Wattpad (sito che rappresenta la mia primissima scelta) o avventurarmi su qualche altro sito.
Seguiranno aggiornamenti.
A presto!
 

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Capitolo 32
*** Cap 32 ***


La gita era ufficialmente iniziata.
E per i primi giorni il rosso aveva preferito inventarsi la solita balla dell’influenza che bersagliava gli incauti turisti.
La sua idea era di evitare i classici monumenti da sbadigli, i discorsoni filosofici di alcuni suoi compagni e i loro gusti discutibili in fatto di souvenir. A dire il vero vi erano diversi motivi che l’avevano spinto a partecipare a quella rottura e uno dei tanti era da riscontrare nella vecchia iena con cui viveva abitualmente.
Sua sorella Alberta era davvero insopportabile.
Credeva fosse questo il motivo per cui non riusciva a tenersi uno straccio di uomo per più di cinque mesi consecutivi senza mandarlo a quel paese. Quella matta imballata aveva troppe pretese e concedeva pochissime possibilità ai suoi spasimanti, ricevendo i continui rimproveri della madre che sperava di vederla felice, prima di passare a miglior vita. D’altro canto era una critica che riempiva tutte le loro telefonate. Se era suo padre, aveva la certezza matematica che sarebbe stato lui a essere crocefisso, mentre la sua adorata stellina riceveva le classiche rassicurazioni. Tutto al contrario se era la madre ad attaccare con i suoi canonici discorsi da pettegola 50enne.
Pur di allontanarsi da quell’incubo su due gambe, di non dover ascoltare suo padre e di liberarsi dalle classiche pulizie della villa, era disposto a diventare il miglior amico di qualche sfigato della sua classe.
E a leggere i vari nomi era un confronto tutto a perdere. Che cosa poteva guadagnarci dall’avere a che fare con Mike? E la stupidità di Lightning non era un qualcosa di contagioso? E l’asfissiante presenza della stalker di Cody non poteva essere dannosa alla sua psiche?
Nessuno era particolarmente degno di quell’amicizia.
Stanco di rifletterci, era uscito anche quella sera. Quando i mostri della mattina non potevano accecarlo con le loro brutte facce, Scott sgattaiolava fuori dalla sua stanza singola e girovaga per la grande città.
Aveva mangiato una pizza deliziosa, si era divertito un mondo in qualche pub sgangherato a vedere le partite e poteva guardarsi i negozi con tutta calma e senza il fiato sul collo di Chef Hatchet che gli ordinava di muoversi e di non rimanere indietro.
Aveva promesso di divertirsi e di tenere d’occhio una determinata ragazza, ma in quei giorni di puro relax aveva allentato un po’ le sue buone intenzioni.
Tanto sapeva bene che la diretta interessata non vedeva l’ora di stare con Beverly, di fare chissà quali progetti e di ritrovarsi con una media disastrosa. Doveva essere un’esperienza unica quella di finire con una bocciatura, laddove perfino Lightning se ne poteva andare fischiettando allegramente.
Tutto faceva terribilmente schifo.
E anche in quella fredda serata non c’era verso di trovare un lato positivo.
Inspirando profondamente, avvertì una presenza alle sue spalle e si girò leggermente, salvo tornare subito a fissare le altre persone con il suo solito sguardo.
“Abbiamo visto posti magnifici anche oggi, sai?”
“Senza di me qualsiasi posto è magnifico.” Replicò infastidito per quel disturbo che avrebbe preferito fosse altrove.
“Poi Chef ci ha offerto il gelato e abbiamo parlato dei prossimi esami.”
“Credo sia un po’ presto per preoccuparsi in questo modo.” Borbottò apatico, sbadigliando rumorosamente.
“Mi sembra ancora incredibile che tu sia qui con noi e che la tua media sia migliorata tanto.”
“Ho i miei buoni motivi per non essere più così idiota.”
“Questa, però, è una crescita che procede solo in una direzione.” Lo rimproverò, alzando lo sguardo verso il cielo scuro.
“Già.”
“Hai intenzione di andartene anche questa sera?”
“Da quando sei preoccupata per me?”
“Purtroppo non riesco a prendere sonno tanto facilmente e la veglia mi ha concesso di monitorare le tue fughe.”
“E per questo servirebbe a che cosa di preciso?”
“Voglio recuperare questi anni di contrasto.”
“Ed io che centro?” Chiese, cercando una sigaretta nelle tasche del giubbino.
“Tu non sei quello che ci ha mosso come pedine fino ad ora. Non sei quello che è stato nell’ombra e che ha guidato Dawn verso il suo obiettivo. E ovviamente non sei quello che ha ricreato l’armonia nella nostra classe.”
“Finché è un così piccolo gruppo, ci si può impegnare al massimo, ma il mondo qui fuori non può cambiare con tanta facilità.”
“Courtney e Gwen mi hanno spiegato cos’è successo.” Continuò nervosa.
“Dovevo renderti partecipe della cosa?”
“Prima l’hai danneggiata, poi hai tentato di restituirle il sorriso e l’hai riavvicinata a me, Mike e gli altri. E ora non pretendi nulla in cambio?”
“Esatto.”
“Perché Scott? Potresti ammettere che lei ti piace e che faresti di tutto pur di renderla felice.”
“Credevo apprezzassi di più quel Beverly.” Ironizzò, facendole storcere il naso.
“Dawn deve avere le idee poco chiare se si è messa con quello lì.”
“E credi che io possa essere migliore di lui, Zoey?”
“Non lo credo: lo so.”
“Se fosse come dici, mi sarei già fatto avanti.”
“Davvero?”
“Devi sapere che prima di mettersi con Beverly, ho tentato di dichiararmi a Dawn e non è andata molto bene.” Bofonchiò, stringendosi nelle spalle.
“E perché ti avrebbe rifiutato?”
“Come fai a essere sicura che non stia raccontando una bugia?”
“Non si scherza su cose simili.” Replicò seccata.
“Credo mi abbia rifiutato per quello che le ho fatto passare alle medie o anche per la vergogna di presentarmi ai suoi genitori. Non credo sia il massimo della vita presentare alla propria famiglia il ragazzo che ti ha fatto passare i peggiori ultimi anni della tua esistenza.” Spiegò con assoluta calma.
“E tu eri colpevole?”
“Se per questo, non dovresti nemmeno rivolgermi la parola.”
“Ho bisogno di una risposta.”
“Dovresti accontentarti delle sue confessioni, Zoey.”
“Lei non si metterà mai a discutere dei suoi vecchi problemi.”
“Se è cambiata, è solo per via di uno stupido scherzetto che ancora oggi non riesco a dimenticare. È come se avessi qualcuno appoggiato su questa spalla che mi ripete che per cinque minuti di stupidità, merito di soffrire per sempre.”
“Questo l’avrebbe rallentata?” Domandò, facendolo riflettere per un breve istante.
“Sì.” Borbottò, avvertendo un fruscio alle sue spalle e respirando un profumo pungente che era lo stesso che riempiva lo spogliatoio maschile dopo due ore di palestra.
“Ti sbagli…qui l’unico che ha rallentato, sei tu.” Sbottò un’altra scocciatura che aveva origliato l’intero discorso e che si era avvicinato per appoggiare la compagna.
“Sapevo che era una trappola.” Ringhiò Scott, cercando di allontanarsi.
“Tu credi d’averle tolto tutto, ma in verità lei stessa era destinata a fallire.”
“Come Brick? Voglio sapere come.” Domandò con rabbia, fermandosi senza preavviso e facendolo sorridere.
“Dawn è sempre stata una ragazzina insicura e poco propensa a superare certe avversità. Se non fossi stato tu a insegnarle che la vita non è uno scherzo, ci avrebbe pensato qualcun altro con metodi ancora più brutali. Zoey e Mike l’hanno capito per via delle loro famiglie, Courtney a causa di Duncan, io stesso per fastidio di mio padre e Lightning per l’infelicità che covava in sé. Noi tutti, chi più, chi meno, abbiamo faticato a risalire la china e a ritrovare il sorriso.”
“Ma…”
“È vero che abbiamo parte della colpa: ignorando i suoi tentativi, abbiamo finito con il demoralizzarla ancora di più. Ma è proprio quando si subisce una sconfitta che bisogna ritrovare la speranza e riprovare nuovamente, anche a costo di sbattere cento volte contro lo stesso muro. Prima o poi ti accorgi di qualche crepa e cerchi di aumentare i tuoi sforzi, ritrovando l’ardore dei primi tentativi.”
“Non l’avevo mai vista in questo modo.” Ammise Scott.
“Ma la vera domanda qui non è se Dawn è cresciuta o cose simili.” Borbottò Zoey.
“Ah no?”
“Perché hai smesso di sorridere, Scott?”
“Perché mi sentivo responsabile.”
“E tu credi che la nostra classe si sia riunita solo per merito tuo? Non essere così fiducioso nelle tue capacità. Tu avrai anche consigliato Dawn su come comportarsi, ma in verità è lei quella da applaudire. Lei poteva ascoltarti, sorridere come il solito e starsene nel suo angolo per paura di ripetere lo stesso sbaglio. Invece è uscita allo scoperto e al contempo tu hai iniziato a credere in lei.” Spiegò Brick.
“Già.”
“L’unica cosa che manca ora in questa classe è l’armonia e che tu ci creda o meno, sei l’unico problema che Dawn non riesce a risolvere.”
“Davvero?”
“Come può aiutare qualcuno che non si esporrà mai?”
“Non ci sto capendo più nulla.” Soffiò, guardando i due compagni.
“Diciamo che non sei l’unico che tende a uscire la sera sul tardi e che rientra verso mezzanotte.” Mormorò Zoey.
“Io…”
“Mi sembra strano che non vi siate mai incrociati.”
“Sai dove è andata?” Domandò Scott, rivolgendosi a Zoey e facendo comunque sorridere Brick che percepiva qualcosa di positivo in tutto ciò.
“È chiaro: Dawn è la mia migliore amica e per quanto volte l’abbia messa in guardia su Beverly, lei non mi ha dato mai ascolto.”
“Dove?”
“Credo s’incontrino al loro albergo.” Rispose la rossa, facendolo ghignare.
“Riuscireste a coprire la mia assenza per qualche ora?” Domandò Scott.
“Anche più, se gli altri non insistono per farvi partecipare al nostro gioco di società.” Sorrise Zoey, estraendo dalla tasca del giubbotto due stupidi dadi.
“Confido in voi.” Borbottò il rosso.
“Vedremo di non deluderti.” Bofonchiò Brick, rientrando nella hall, presto seguito anche da Zoey che osservava il compagno avviarsi verso l’amica.
“Finalmente la nostra classe sarà felice.” Si lasciò sfuggire, sorridendo sollevata e stringendosi al braccio del suo Mike.




Angolo autore:

Prima o poi finirò questa serie.

Ryuk: E sarà una liberazione.
Confermo quanto dice Ryuk, purtroppo.
Alla prossima!
 

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Capitolo 33
*** Cap 33 ***


Era uscita silenziosamente dalla camera che condivideva con Zoey e Jo solo per vedere il suo ragazzo.
Sapeva che le occasioni erano assai scarse, ma non capiva perché dovesse essere sempre lei a percorrere tutte quelle miglia.
Di solito non erano gli uomini a muoversi per conquistare e vedere le donne?
Beverly in quei pochi giorni non si era mosso nemmeno di un millimetro. Mai le era andato incontro e il massimo delle concessioni era un qualche fugace bacio e qualche toast offerto nel bar poco distante.
Sarebbe stato molto meglio, e ora se ne pentiva amaramente, accettare l’iniziale proposta di Scott.
Lui era cambiato in quei mesi, non sembrava più disposto a lasciare nulla al caso e il chiaro esempio era in Carrie e Samey che lo descrivevano come un bravo ragazzo.
Più tentava di passare come un cattivo, più si comportava nel modo opposto, quasi cercasse di confonderli.
Non era più il cinico che distruggeva i legami degli altri.
Non era più quello che rovinava i suoi ricordi e che la faceva piangere.
E sicuramente non era più capace di muoversi con tanta cattiveria.
Ma a guardare il suo passato, era davvero così?
Per un istante si bloccò, si guardò alle spalle, pensando a quelle miglia che aveva percorso e si chiese se era saggio proseguire.
Davanti a sé avrebbe trovato Beverly, un ragazzo che faticava ad amare e a capire, mentre ritornando indietro, avrebbe rivisto lo sguardo di Scott. Scegliere a questo punto le pareva impossibile.
Non aveva l’animo della crocerossina, ma le sembrava orribile abbandonare un ragazzo che tanto aveva lottato per conquistarla e che faticava a integrarsi per via di quella voce robotica. Quel difetto secondario, unito alla sua timidezza, ai ricordi spiacevoli di quando era ancora agli inizi, l’aveva spinta a credere che fosse fin troppo superficiale.
D’altro canto non poteva accettare quel suo comportamento: troppo lontano da quello che aveva esibito durante i confronti in chat. Non era lui quello che le consigliava di parlare con le sue amiche o di integrare quegli elementi che cercavano di allontanarsi.
Lui sembrava ben disposto a quel nuovo isolamento, cozzando contro le sue intenzioni iniziali.
Com’era che quel carattere misterioso e quei consigli velati sembravano provenire da Scott?
E se fosse stato lui quel soggetto misterioso?
Ma allora perché non si era fatto avanti quando ne aveva avuto l’occasione? O forse era solo Beverly che nel virtuale si mostrava come un angelo, salvo nella realtà indossare la sua classica maschera da sfiduciato e timoroso?
Faticava a trovare una risposta degna e sperava che qualcuno potesse dissolvere quei dubbi che continuavano a tormentarla. Dopo quello che aveva passato, credeva che qualche periodo di pace fosse quanto di più giusto, ma a quanto le pareva di capire, stava correndo davvero troppo.
Aveva da imparare ancora qualche lezione prima di essere realmente contenta.
Fermatasi per un istante, si voltò alla sua destra e si avvicinò alla vetrina che mostrava con splendore alcuni libri.
Al freddo, da sola e senza le idee ben chiare rimase affascinata da tutti quei volumi perfettamente allineati e dal costo assai contenuto.
Le sarebbe piaciuto entrare, dare una sbirciata ai nuovi titoli e comprarne alcuni con cui arricchire la sua scrivania. Magari per il suo compleanno avrebbe potuto chiedere qualcosa ai suoi genitori, ma per il momento era molto meglio se si avviava verso il suo appuntamento.
Staccatasi dal vetro, si guardò ancora intorno e avvertì alla sua destra una presenza che la fece sussultare e che preferì allontanare di qualche passo.
Ma più si staccava, più quel tizio incappucciato le andava dietro, fino a quando, stanca di essere pedinata, si fermò di colpo e si girò a fissarlo.
“Che cosa vuoi?” Chiese scorbuticamente, mentre l’altro le rivolgeva un ghigno ben poco rassicurante.
“Mi sembra che ti sia persa ragazzina.” Affermò divertito, mentre Dawn confermava la prima ipotesi di delinquente della peggior specie.
Non ci voleva un genio per capirlo: sguardo da duro, piercing sul labbro, una sigaretta che gli pendeva sulle labbra e degli atteggiamenti davvero riprovevoli.
Doveva avere quasi 30 anni, una vita segnata ormai e una voce profonda e cavernosa che l’avevano costretta a retrocedere.
I suoi occhi grigi, i capelli dello stesso colore e altri piccoli dettagli le avevano fatto capire che non era un tipo convenzionale e da prendere alla leggera. Da sotto la canottiera celeste si poteva notare la presenza di un tatuaggio che lo rendeva ancora più minaccioso.
Non bastava il suo sguardo, quel suo vestiario da teppista estivo o quella sua mano che, stretta in un pugno, sembrava minacciarla di accettare ogni sua proposta: aveva paura d’essersi cacciata nei guai.
“No…niente affatto.” Mormorò con scarsa convinzione.
“Conosco bene questa città e le serate qui sono davvero uno spasso.”
“Non m’interessa.”
“Ho sentito che qui vicino c’è un concerto e poi non tornerai molto tardi.” Continuò, sorvolando sul suo iniziale rifiuto.
“Mi spiace, ma ho un impegno.”
“Nessuno rifiuta un invito del grande Zanna.” Replicò furioso, stringendo con forza il braccio della giovane e conducendola in un vicolo alla sua sinistra, senza che nessuno notasse quella mossa repentina.
“Io…”
“Ti consiglio di non urlare, se non vuoi ritrovarti con l’intestino sull’asfalto.”
“Aiut...” Tentò, ritrovandosi sospinta ancora più in profondità e con una mano a tapparle la bocca.
“Beh…se ti comporti bene, forse potrei anche risparmiarti.”
“Hmm…”
“Non tornerai indietro integra e le tue denunce ti si ritorceranno contro. In questa città la polizia non si preoccupa di qualche violenza saltuaria: tanto non ho mai lasciato tracce.” Seguitò, avvertendo un fruscio alle sue spalle.
“A volte mi chiedo perché le persone abbiano la certezza che esista qualcuno che può salvarle dall’oblio, quando in realtà nessuno è così preoccupato da impegnarsi fino in fondo.”
“Chi sei tu?” Ringhiò Zanna, girandosi verso la seccatura che osava disturbarlo dalla sua attività preferita.
Davanti a lui comparve uno strano individuo, coperto da un pesante giubbotto invernale, da un cappello di lana nera e da una sciarpa che gli copriva naso e bocca. L’unica parte del volto che traspariva da quella specie di fagotto su due gambe erano i suoi occhi grigi e minacciosi.
“Sono solo uno che è troppo annoiato per farsi gli affari propri e che, allo stesso tempo, non ha più nulla da perdere.” Mugugnò, scrollando le spalle.
“Come?”
“Niente di eccezionale: è come quando catturi una mosca e la uccidi lentamente. Solo così la noia si allontana e tu puoi sentirti un po’ libero.”
“Guarda che l’ospedale non è qui vicino.” Borbottò l’uomo, scommettendo sul fatto che quello fosse uno scappato da chissà quale centro mentale di correzione.
“Quella che hai catturato è una mosca graziosa che manca alla mia collezione.”
“Dovevi muoverti un po’ prima allora.”
“Ammettiamo che sia così interessato alla tua preda da fare una qualche pazzia, quanti soldi saresti disposto ad accettare pur di lasciarla libera, di non farle alcun male e di non voltarti mai indietro?” Chiese, facendo scendere leggermente la sciarpa e scoprendo naso e bocca.
“Di che parli?”
“Te l’ho detto: la ragazza che hai catturato m’interessa molto e sono disposto a ricompensarti per i tuoi sforzi.” Borbottò divertito, mentre Dawn cercava di capire chi fosse quell’individuo che, con voce roca, stava contrattando con il delinquente.
“Davvero?”
“La mia famiglia è schifosamente ricca e non si preoccupa minimamente di come e dove spendo i miei soldi.” Ammise, estraendo il suo portafoglio.
“Interessante.” Ghignò Zanna, allontanando la giovane e sfregandosi le mani.
“Ti conviene sapere, però, giusto per avviso, che fuori da questo vicolo c’è un mio dipendente che conosce le arti marziali e che non sarebbe poi così disinteressato a darti una lezione, qualora tu decidessi di farmi del male.”
“Sembra che non mi resti altra scelta.” Ammise il delinquente, elaborando le poche informazioni ricevute e reputandole tutte veritiere.
“E anche se non sembra dal mio aspetto, conosco qualche tecnica di autodifesa che potrebbe cavarmi dagli impicci.”
“Ma davvero?”
“Tuttavia sono troppo annoiato per sferrare qualche colpo e non m’interessa sporcarmi le mani e i vestiti, quando posso uscirne pulito. Tu che dici?”
“Voi ricconi siete proprio senza spina dorsale.” Borbottò Zanna, non preoccupandosi troppo di lasciare libera quell’innocente ragazza che, a dirla tutta, non rientrava proprio nei suoi interessi. Lui l’aveva catturata solo perché non c’era niente di meglio, ma se avesse potuto scegliere, si sarebbe pigliato una qualche sventola un po’ più alta, meno capricciosa e sicuramente più prosperosa.
“Vedila in questo modo: se rifiuti la mia offerta, mi basta un fischio e ti ritrovi ridotto in cenere, mentre se accetti e poi mi attacchi alle spalle, ci sarà qualche infermiere pronto a ricucirti con ago e filo tutte le ferite che ti causerò.”
“Che tono insolente.”
“Diciamo che per i rischi da te corsi in un’azione tanto coraggiosa e per il tuo buongusto in fatto di donne sono disposto a darti quest’assegno.” Mormorò lo sconosciuto, porgendo a Zanna un foglietto che lui lesse con attenzione e che lo spinse a gonfiarsi d’orgoglio.
“Se tutte le volte è così, potrei prenderlo come un lavoro a tempo pieno e potrei aprire un qualche ufficio per fissare appuntamenti.” Ridacchiò, dando le spalle al suo committente e avviandosi, fischiettando, verso l’uscita.
Un altro fruscio e un tubo d’acciaio furono sufficienti per farlo crollare al suolo e permisero al giovane di recuperare il suo assegno scoperto.
“Sei fin troppo sicuro di te.”
“Chi sei tu?” Gli chiese Dawn, retrocedendo di qualche passo.
“Un amico.” Borbottò, allungando una mano e aiutando la ragazza a uscire da quel vicolo oscuro.
 
Ritornata sotto la luce rassicurante dei lampioni, Dawn si voltò immediatamente verso la sua salvezza.
Dovette aspettare che si abbassasse la sciarpa e si levasse parzialmente il capello, per ringraziare il cielo di quella fortuna imprevista.
Non credeva che qualcuno l’avesse notata e si fosse intrufolato per sistemare la faccenda.
“Sei stata un po’ sprovveduta, Dawn.” La rimproverò il compagno di classe, facendola annuire e non aspettandosi che lei si avvicinasse per abbracciarlo e per far sprofondare la sua testa sul suo corpo massiccio, sentendola poi singhiozzare sommessamente.
“Io…”
“Ringrazia che mi annoiavo e che Zoey ha iniziato gli altri con uno dei suoi soliti giochi di società, altrimenti a quest’ora saresti diventata il suo bocconcino. Quando sono uscito, credevo di starmene tranquillo e di non compiere sforzi.” Mugugnò, inspirando profondamente.
“Grazie.” Soffiò, staccandosi da quel contatto che l’aveva fatta arrossire.
“E poi dicono che essere asociali sia solo un problema: se quegli idioti non avessero cominciato a giocare, io non mi sarei scassato di sentirli urlare e non avrei predisposto la mia fuga.”
“Dove stavi andando?”
“Zoey mi aveva detto che stavi per andare da Beverly e volevo raggiungerti.” Borbottò, cercando accendino e sigaretta.
“Perché Scott?”
“Perché non voglio vederti con lui e non voglio nemmeno saperti in giro per la città con tutta questa gentaglia.” Rispose, mentre lei prendeva il cellulare dalla borsetta e lo rigettava con stizza dentro la prima tasca libera.
“Io…”
“Dovrei riportarti in albergo e poi uscire nuovamente per una passeggiata.” Soffiò, grattandosi imbarazzato la nuca.
“E se uscissimo insieme?” Gli propose, facendolo sussultare.
“Rischieresti di finire in punizione.” Borbottò divertito.
“I miei amici ne farebbero una tragedia, i miei genitori potrebbero puntare alla tua testa e avresti da risolvere un sacco di noie.” Elencò lei, percependo una risata soave in risposta.
“Perché allora?”
“Perché mi diverto quando sono con te.” Ammise onestamente.
“Non sarebbe poi così noioso fare il babysitter, offrirti la cena e tenere lontani tutti quelli che potrebbero infastidirti.”
“Non mi dispiacerebbe, infatti.”
“E con Beverly?”
“È stato costretto ad andare al cinema con i suoi compagni di classe e con i prof, nonostante mi avesse ripetuto per oltre dieci giorni che sarebbe stato la mia ombra.” Replicò secca, facendogli intuire di aver sbagliato domanda.
“Ti ha dato buca?” Domandò il rosso, facendole abbassare la testa e rigirando, senza volerlo, il coltello nella piaga.
“Sì.”
“Quello non ti merita.”
“Io…”
“Quale stupido farebbe uscire la sua ragazza in una città così grande in piena notte e con tutti i delinquenti che ci sono in giro? Sarebbe così facile fingere un malessere o sgattaiolare fuori dal cinema senza che nessuno possa vederti. Io davvero non capisco come possa essere così ottuso.” Ringhiò, avvicinandosi e stringendola in un nuovo abbraccio.
“Scott…”
“Vorrei tanto che tu fossi felice Dawn.”
“Lo sono.”
“Sei una pessima bugiarda.” Soffiò, baciandola sulla guancia e facendola avvampare.
“Io…”
“A quanto pare non mi merito più nessuno schiaffo.” Ridacchiò divertito, mentre lei si staccava nuovamente.
“Non voglio più farti soffrire.”
“Eh?”
“Ho paura che tu possa ritornare come una volta e per questo mi piacerebbe sapere quel segreto che ti ostini a nascondere.”
“Avevi detto che volevi aspettare il rientro a scuola.”
“Non ce la faccio più…sono così stanca.” Ammise, facendolo sospirare.
“Ho bisogno di un consiglio.” Sviò, cercando di cambiare discorso.
“Per cosa?”
“Tra poco è il compleanno di mia sorella e non so mai cosa regalarle. Voi due siete abbastanza simili e magari potresti indicarmi qualcosa di speciale.”
“E subito dopo, di ritorno in albergo, mi racconterai ogni cosa.”
“Altrimenti?”
“Altrimenti potrei telefonare a tua sorella e spifferarle il regalo che le hai comprato.”
“Piccola adorabile ricattatrice…con te non riuscirò mai ad avere l’ultima parola.” Soffiò, rivolgendole un sorriso e prendendola per mano.
“Ormai sei spacciato.”
“E la cosa mi piace molto.” Ghignò, avviandosi verso il centro, con la speranza che quel suo desiderio non ricevesse un duro colpo.
 
Girare per negozi, almeno per Scott, non era mai stato un qualcosa di così divertente.
Forse aveva bisogno di un’ottima compagnia per convincersi del contrario e con Dawn al proprio fianco non gli sembrava così difficile.
Aveva guardato diversi vestiti, aveva tentato di immaginarsi la sorella su un tacco 12 esorbitante, aveva perfino indossato alcune magliette decisamente insolite e anche l’amica si era lasciata andare, provando una serie di abiti che servivano soltanto per farli ridere come disperati.
Ovviamente si sarebbero guadagnati le maledizioni delle commesse, costrette a risistemare il casino da loro provocato, ma a nessuno dei due importava particolarmente.
Era stato un lungo cercare, almeno due ore erano andate via così, e Scott alla fine aveva trovato qualcosa che potesse essere di suo gradimento e che potesse fargli guadagnare un abbraccio dall’appiccicosa sorella maggiore.
Lui stesso si era comprato una maglietta scura e aveva approvato anche un’altra idea che era finita in mezzo ai suoi innumerevoli acquisti.
Aveva nascosto bene quel pensiero innocente che Dawn aveva continuato a fissare per una mezzora ininterrotta, consapevole che era doloroso lasciare lì quella giacchetta rossa per il costo non proprio in linea con le sue finanze. Suo padre non avrebbe di sicuro mai accettato di vedere quei 50 dollari spesi così male e magari per un qualcosa che avrebbe visto indossato solo per due volte in tutto.
Ma Scott aveva guardato nel suo portafoglio e con la scusa di essersi dimenticato il cellulare nel camerino di prova, era rientrato, comprando anche quella sciocchezzuola e lasciando una piccola mancia alla cassiera per via del disturbo arrecato.
Uscito, aveva subito infilato la minuscola borsetta, in mezzo a quelle più grandi destinate al suo armadio e aveva invitato Dawn per una cena veloce.
Era chiaro che si fossero divertiti come matti e se qualcuno della loro classe li avesse incrociati, avrebbe azzardato un complimento per quella bella coppietta.
Lui che camminava tranquillo, lei che era al suo fianco e che si fermava a guardare le varie vetrine, con il giovane che faceva dondolare leggermente le sue borse e osservava con attenzione ciò che l’aveva catturata.
Poi entrambi riprendevano la passeggiata, lasciandosi andare a qualche osservazione e continuando a ridere e scherzare come se niente fosse.
La paura dell’assalitore, quello che avevano passato in precedenza e il timore del segreto erano lontanissimi, anche se l’albergo era quasi dietro l’angolo.
“Siamo quasi arrivati.” Borbottò Dawn, facendo annuire il compagno.
“Credo di non essermi divertito così tanto come questa sera.”
“Lo stesso vale per me.”
“È un vero peccato che domani dovremo rientrare in città.” Soffiò deluso il rosso.
“Non ci pensare: possiamo costruire dei bei ricordi anche a scuola.”
“Sarebbe bello.” Abbozzò il rosso, sorridendo appena.
“Mi piace quando sei così, Scott.” Ammise Dawn, facendolo arrossire lievemente.
“E a me piace, renderti felice.” Seguitò, estraendo dalla borsa il regalo per l’amica.
“Non dovevi.” Soffiò, guardando la giacchetta che avrebbe tanto voluto comprare, prima di accorgersi del suo costo esorbitante.
“Che razza di uomo non comprerebbe una cosa simile a una bella ragazza come te?”
“Non me l’aspettavo.”
“Sono un ragazzo pieno di sorprese, sempre che tu voglia indagare a fondo.” Si vantò, facendola ridacchiare.
“Voglio indagare, voglio conoscere il tuo segreto.”
“Rischio di rovinarti la serata, lo sai?” La mise in guardia, facendole scrollare le spalle.
“Non è possibile.” Replicò lei, fermandosi vicino a una muretta e costringendo l’amico a fare altrettanto.
“Prima, però, vorrei farti una domanda, Dawn.”
“Che cosa vuoi sapere?”
“Come hai conosciuto Beverly?”
“E lui cosa centra con il tuo segreto?” Domandò, facendolo tentennare.
“È solo una mia curiosità.” Minimizzò, sperando che lei si bevesse quell’innocente bugia.
“A scuola.” Mentì, facendolo incupire.
“Sei sicura?”
“Io…”
“Guarda che non ho intenzione di giudicarti, ma per sapere il mio segreto, desidero la verità.” Mormorò convinto.
“È così imbarazzante.”
“Ti prego.”
“Per fartela breve, ho conosciuto Beverly grazie a una chat online. Lui era uno dei moderatori e grazie ai suoi consigli sono riuscita a diventare amica dei nostri compagni.”
“Staresti insieme a lui solo per questo?”
“Lui mi ha aiutato molto.”
“E se lui non fosse quello che dice di essere?” Chiese Scott, preparando il terreno per la sua confessione e appoggiandosi alla muretta.
“Non saprei.”
“Ma tu…lo ami o no?”
“Io…”
“Stare insieme a qualcuno solo per riconoscenza non è vero amore.”
“Come fai a dirlo?”
“Vedi Dawn, quello che ti dirò, farà più male a te che a me.”
“Mi stai facendo preoccupare.”
“Lo vuoi sempre sapere? Sei sicura che non ti pentirai di avermelo chiesto?”
“Ma perché continui a chiedermelo? Io voglio sapere cosa nascondi.” Rispose, accarezzandone il volto contratto.
“Ero io, Dawn.”
“Cosa?”
“Non ti sei mai chiesta come mai il moderatore e il tuo ragazzo siano così diversi?”
“A volte.”
“Beverly non è mai stato il moderatore, anche perché è così ottuso che non saprebbe risolvere nessun problema, senza prima ricercare un possibile guadagno.” Abbozzò, mentre lei ritraeva la mano.
“Come fai a dirlo? Hai qualche prova? O parli solo per gelosia?” Replicò, riempiendolo di domande con una tale foga da farlo riflettere.
“Sì…è vero che sono geloso e non mi vergogno a dirlo.”
“E dove sono le prove?” Seguitò, continuando con quell’aggressione verbale che aveva lasciato sgomento il rosso per alcuni istanti.
“La prova è che il moderatore di quella chat ero io.”
“Cosa?” Chiese, spostandosi e fissandolo intensamente negli occhi, quasi volesse stabilire dal suo sguardo se stava raccontando il vero o si stava arrampicando su un’ennesima bugia.
“Credo che Beverly mi abbia fregato il posto, prima che riuscissi a trovare il coraggio per raccontarti la verità.”
“Scott…”
“Era ormai tardi quando lui ti portò via. Dovevo fare qualcosa piuttosto di rimanere senza far niente. Poi, però, mi sono accorto che eri felice e la paura di farti un torto, così come quando eravamo bambini, ha preso nuovamente il sopravvento.”
“Che ti prende Scott?” Chiese con delicatezza.
“Mi prende che non riesco ad accettare questa tua sciocca decisione.”
“Non riesco a capire.”
“Smettila di cercare di capire e lasciati andare.” Replicò, facendo cadere a terra le borse che avevano comprato e prendendone il volto tra le mani gelide.
Per un istante aveva pensato di seguire la ragione, ovvero quella parte che gli consigliava di coccolarla o di baciarla sulla fronte, ma poi aveva deciso di lasciare al cuore l’incombenza di quei prossimi secondi. Infatti appoggiò la sua fronte su quella della giovane e si abbassò leggermente per baciarla con passione.
Era questo ciò che provava e che faticava a nascondere.
A pensarci quella era la prima volta che baciava con tanto trasporto qualcuno. Era finalmente felice di quella pace, di quelle labbra delicate che gli stavano restituendo quello che si era tolto in passato.
Avrebbe tanto voluto stringerla per sempre, ma dopo i primi istanti in qui lei si era lasciata andare, aveva poi sentito i suoi tentativi di sottrarsi e a guardarla attentamente, si era accorto del suo volto bagnato dalle lacrime. Spaventato da quella visione, si era allontanato di qualche passo e lei si era portata le mani agli occhi, per asciugarli.
“Dawn…”
“Non farlo più.” Singhiozzò, facendolo tremare.
“Scusa…mi spiace.”
“Tu dici sempre che sei dispiaciuto, ma non è così, vero?”
“Questa volta è vero.” Replicò con sicurezza.
“Tu mi hai sempre ingannato.”
“Ti scongiuro, Dawn.”
“Tu mi fai solo soffrire.”
“Dammi una possibilità di dimostrarti che sono cambiato.” La esortò, mentre tirava su con il naso e cercava di trattenersi.
“Che cosa dovrei fare?”
“Fidarti di me.”
“Mi fiderei di te, solo se dimostrassi di essere il moderatore.”
“E come?”
“Questo dovresti dirmelo tu.” Sbottò con rabbia.
“Ma come faccio a fornirti una prova?”
“Se non ci riesci, significa che sei un bugiardo.” Lo aggredì nuovamente, costringendolo a riflettere.
“Non posso stampare la chat e non posso nemmeno dirti chi è stato il primo ad aver ricevuto il tuo aiuto: non mi crederesti mai.”
“A quanto pare il tuo segreto era un’altra menzogna.” Sbuffò rassegnata, cercando di superarlo, ma ritrovandosi trattenuta per un braccio.
“Farei qualsiasi cosa per te, Dawn.”
“Smettila o comincio a urlare!” Lo minacciò furiosa, facendogli abbassare la testa.
“Io non voglio più farti del male.”
“Come quando eravamo bambini? Oppure come quando eravamo nella limousine e hai cercato di sfruttare la situazione? O vuoi farmi credere che non hai fatto nulla come quando eravamo chiusi nella tua camera, eh?”
“Tanto sarebbe inutile continuare: dimentica ciò che ti ho detto e continua ad amare Beverly.” Mormorò deluso.
“Ma…”
“Anche se ti dicessi di porre a me e Beverly la stessa domanda, ci rideresti su.”
“Un’altra persona l’avrebbe fatto, ma questa per quanto stupida sembra l’unica possibilità sensata. Potrei chiedervi una cosa che solo il vero moderatore può sapere e che non mi lascerà il minimo dubbio.” Borbottò soddisfatta.
“Considera ciò come un’arma a doppio taglio. Se ti stessi ingannando, così come credi attualmente, avresti la riprova che sono un bugiardo e che non merito la tua amicizia.”
“Al contrario sarebbe Beverly il falso ed io ti avrei sempre giudicato male.” Soffiò impercettibilmente, riprendendo la sua borsetta e avviandosi verso l’albergo, lasciando indietro Scott che si accese una sigaretta per distendere i nervi.
“Spero che sia una domanda in cui sono preparato.” Pregò, guardando verso la Luna e augurandosi che quelle tanto odiate 48 ore passassero in fretta per riconsegnargli il lunedì scolastico e l’amore di Dawn.








Angolo autore:

Missione compiuta anche per questa settimana.

Ryuk: Compiuta e con pessimi risultati.

Conta ancora qualcosa per questo sito moribondo?

Ryuk: Touchè.

Alla prossima!
 

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Capitolo 34
*** Cap 34 ***


Erano finalmente rientrati nella loro città e Scott non aveva chiuso occhio al pensiero del lunedì che lo attendeva.
Che cosa avrebbe preteso di sapere Dawn?
Poteva essere una sciocchezza di poco conto come poteva pretendere un dettaglio che magari gli era sfuggito inconsapevolmente. Aveva provato a riparlarci per indorare la pillola o per alleviare i suoi dubbi, ma era stata più sgusciante di un’anguilla.
E quell’unica volta in cui si erano ritrovati vicini, lei aveva preteso di stare con Zoey e il suo tentativo si era infranto. Era chiaro che lo stava evitando.
Non era nemmeno difficile capirne il motivo, anche se sperava di non essere ignorato in quel modo.
L’orologio ticchettava e lo rendeva ansioso.
Mancavano ancora 12 ore prima che quella maledetta domenica se ne andasse al Diavolo.
Rimuginava su quello che era successo, su quel bacio che le aveva dato dopo tanta fatica e su quell’iniziale rifiuto. Sarebbe cambiato qualcosa non appena lei avesse capito chi era il moderatore?
Poteva accettarlo così a cuor leggero o avrebbe continuato a rinnegare anche la realtà dei fatti?
Per la prima volta dopo tanti anni non sapeva dove sbattere la testa.
Tempo prima gli sarebbe bastato sbeffeggiare Duncan, schiacciare gli altri con la sua logica e mangiare il suo piatto preferito per sentirsi in pace con il mondo.
Per quel giorno, però, non era ancora riuscito a toccare cibo e rispondeva ai messaggi dell’amico con insolita gentilezza. Non era da lui essere così disponibile, né trattarli senza un pizzico di disprezzo, concedendosi il permesso di appoggiare tutti indistintamente.
Sperava che l’indomani arrivasse subito.
 
E arrivò.
Dawn ci aveva pensato a lungo.
Innanzitutto aveva invitato Beverly sul tetto della scuola per discutere di quella cosa e poi aveva informato anche Scott della sua decisione.
Così come Beverly non poteva sospettare della presenza di Scott, allo stesso modo quest’ultimo si aspettava una serie di domande senza nessun intralcio intermedio.
Il rosso poteva solo sospettarlo: non aveva nessuna prova a rafforzare la sua tesi, così come poteva solo immaginarsi la domanda di Dawn.
Se per questo, lei ci aveva pensato a lungo.
Aveva riletto più volte la chat, aveva steso una lista di tutte le domande possibili e poi ne aveva cerchiata una in particolare.
Solo il vero moderatore poteva sapere di quella storia e l’altro sarebbe stato costretto a smascherarsi e a scappare.
Era salita sul tetto che mancavano pochi minuti alle 14 e dopo essersi messa a fissare il panorama, pazientò che la pesante porta in ferro cigolasse nuovamente.
Il primo ad arrivare fu Beverly che subito si avvicinò e si mise con lei a fissare ciò che aveva davanti.
“Di che cosa avevi bisogno, piccola?” Chiese il giovane, facendo inspirare profondamente la sua fidanzata che si sfiorò la mano e si tolse l’anello.
“Sono confusa e non voglio essere troppo superficiale.”
“Che vuoi dire?”
“C’è il rischio che quest’anello mi freni e mi distolga dalla verità e dal mio desiderio.” Ammise, passandolo al suo ragazzo.
“Mi stai lasciando?”
“Ho bisogno di una risposta prima di sentirmi veramente la tua ragazza.”
“Quale risposta?”
“Lo capirai quando anche il ritardatario sarà qui.” Soffiò Dawn, facendo preoccupare Beverly che non si aspettava un terzo incomodo.
Pensava che lei volesse qualche minuto d’intimità e che si mettessero d’accordo su dove passare quel pomeriggio. Non credeva che Dawn stesse misurando i minuti, né che qualcun altro potesse intromettersi tra loro. Quella semplice risposta l’aveva messo in ansia e stava scalfendo l’immagine da moderatore che aveva fatto conoscere alla fidanzata.
“Lo conosco?”
“Non così bene.”
“È una cosa che può crearci problemi?”
“Potrebbe.”
“Insomma…quanti misteri. Dovresti avere fiducia in me.” Replicò Beverly, venendo interrotto dal cigolio della porta e dall’ultimo ospite che si era aggregato a quel ritrovo improvviso.
“Te l’ho già detto una volta, Beverly: la fiducia si merita.” Brontolò Scott.
“Tu?”
“Sorpreso di vedermi? Ti aspettavi forse qualcuno di più tranquillo e flaccido?” Lo provocò, mentre Dawn si staccava dal parapetto e si frapponeva tra loro.
“È lui Dawn?”
“Sono io l’altro che deve parlare con lei.” Ringhiò infastidito, non dando tempo alla compagna di rispondere in nessun modo.
“Che ci fai qui?”
“Se non hai nulla da nascondere, non dovresti aggredirmi così.” Replicò ancora più stizzito.
“Basta! Io voglio sapere la verità.” Tuonò la giovane, facendoli sussultare.
“Quale verità?” Ricominciò Beverly con fatica.
“Forse che tu sei un bugiardo?” Lo attaccò Scott, fissandolo intensamente e sfoggiando un ghigno demoniaco.
“Io non mento mai.”
“Nemmeno quando ti sei spacciato per una persona che non sarai mai?”
“Io sono semplicemente me stesso.”
“Ma davvero? Alcuni mi dicono che ti stai comportando in modo strano ultimamente.”
“Chi?”
“Il Preside e i suoi documenti nell’archivio.”
“Lui non mi conosce.”
“Basta! Devo sapere chi è il vero moderatore della chat che ho usato fino all’anno scorso!” Protestò Dawn, zittendo i due che si fissarono intensamente, manco fossero due pistoleri pronti alla resa dei conti la cui velocità poteva essere di vitale importanza.
“Te l’ho già detto che sono io il moderatore di quella chat e tu, non credendomi, hai preteso questo confronto tra noi.” Borbottò Scott.
“Non credergli…lui è solo un bugiardo.”
“Per capire chi mente, vi farò una serie di domande che solo il vero moderatore conosce.”
“A me sta bene.” Affermò Scott, guardando verso Beverly che gli sembrava un po’ troppo spavaldo per i suoi gusti.
“Ok.”
“Chi ho aiutato per primo?” Domandò, guardando verso Scott.
“Zoey e sua madre.” Borbottò il rosso.
“E subito dopo?” Seguitò, girandosi verso Beverly.
“Mike con suo padre Vito.”
“Credo dovresti fare qualche domanda più difficile, altrimenti non caviamo un ragno dal buco.” Le consigliò il compagno di classe che temeva seriamente di continuare fino a notte fonda.
“Il moderatore mi rinfacciava spesso che sono una sciagura e vorrei sapere il motivo.”
“Forse perché con Sierra hai tentato di risalire alla mia vera identità.”
“La tua presunta vera identità.” Lo corresse Beverly, guadagnandosi un’occhiataccia.
“Può essere.” Ammise Dawn, regalando ai due un fugace sorriso.
“O come quando hai mentito con Courtney per conquistare la sua amicizia.” Tentò Beverly, facendola annuire nuovamente.
“Credo che Scott abbia ragione: serve una domanda definitiva.”
“Lo dicevo io.”
“Che cosa vuoi sapere, Dawn?”
“Vorrei che mi aiutaste a ricordare cosa è successo durante e dopo il primo giorno della mia iscrizione nella chat.” Propose, guardando prima Beverly e poi Scott.
Quella era una domanda che solo il vero moderatore poteva conoscere, dato che parte della chat del primissimo mese d’iscrizione si era cancellata da parecchio.
Non amava sguazzare nel passato e forse era un ricordo piuttosto sbiadito, ma chiunque fosse il moderatore non avrebbe fatto troppo fatica. Dopotutto era in mezzo alla loro disputa e uno dei due doveva avere risposta a quell’innocente quesito.
Il primo cui si rivolse fu il suo fidanzato. Se era il moderatore, cosa di cui era abbastanza convinta, non avrebbe avuto il minimo dubbio e avrebbe scacciato quella domanda come se fosse una mosca fastidiosa.
“Ci siamo presentati e abbiamo parlato di Zoey e del suo problema.” Affermò il ragazzone, mentre Dawn ascoltava quell’affermazione robotica e la considerava come valida.
Non c’era motivo di ascoltare anche Scott: aveva già avuto la riprova della sua ennesima bugia.
E inconsapevolmente aveva mosso qualche passo verso Beverly, prima che una mano si posasse delicatamente sul braccio destro e le impedisse di continuare a muoversi.
“Scott…” Mormorò sorpresa.
“Non ho risposto alla tua domanda perché non me ne hai dato il tempo.”
“Ma Beverly ha risposto in modo corretto.” Replicò, facendolo negare.
“Infatti io non sbaglio e non mento mai.” Sbottò con un tono robotico abbastanza feroce, scontrandosi con lo sguardo raggelante del suo avversario.
“Quello di cui parlate è successo il secondo giorno.” Mugugnò Scott.
“Il secondo?”
“Non dargli retta Dawn, sta mentendo e sta cercando di guadagnare tempo.”
“Non sono un bugiardo che nega la sconfitta quando questa è sotto i suoi occhi, ma in questo caso vi sbagliate entrambi.” Continuò, tirando leggermente a sé la compagna.
“E allora cos’è successo?” Lo esortò, concedendogli il beneficio del dubbio.
“Dopo che ti sei iscritta alla chat, ti ho invitato a leggere il regolamento e ti ho incastrato con la stupida domanda giornaliera.” Borbottò divertito.
“La domanda giornaliera.”  Ripeté, assaggiando quella nuova risposta e sforzandosi di ricordare se fosse sulla via del torto o della ragione.
“Mi hai detto che era una fregatura e per i primi tempi è stato difficile rispettare questa sciocca regola che è scomparsa con il tentativo invasivo di Sierra.”
“Io…”
“Dawn non dargli retta, lui non sa quel che dice.” Lo interruppe Beverly, cercando di afferrare il braccio della fidanzata, ma ritrovandosi con la mano stritolata da quella di Scott che applicava sempre più forza e che pensava di andare oltre il punto di rottura per fratturargli il polso, salvo ripensarci data la presenza di Dawn.
“Ho sbagliato in passato a non dirti subito la verità e a non affrontare le conseguenze dei miei sbagli.”
“Grrr…” Ruggì Beverly, fissandolo nervoso.
“Ho iniziato a sospettare che fossi tu fin da quando hai iniziato a parlare di Mike. Per Zoey poteva trattarsi di una semplice coincidenza e le mie certezze si son solidificate quando mi hai descritto prima Cameron e poi Gwen.”
“Perché Scott?” Chiese la giovane.
“Sono rimasto in silenzio perché speravo che tu riuscissi laddove avevo sempre fallito.”
“Io…”
“Poi, però, mi sono reso conto che pretendevo un po’ troppo e sono uscito dal mio guscio per aiutarti personalmente.”
“È per questo che non mi hai mai detto che eri tu?” Ripeté, mentre Scott lasciava la presa dalla mano di Beverly e si metteva davanti a lei, ignorando volutamente quel terzo incomodo.
“Se ti avessi detto che ero io nell’esatto istante in cui avevo sospettato di te, allora mi avresti allontanato e non sarei mai riuscito a terminare il mio compito. Il primissimo giorno volevo conoscere qualche tuo segreto per poi riderci su, ma poi ho capito che quella non era la soluzione migliore per il nostro futuro. Perché dovevo deridere la compagna che più aveva sofferto della mia stupidità?”
“Non credere alle sue parole, Dawn.” La pregò Beverly, continuando a inviarle quei messaggi che lei ignorava senza appello.
“Smettila Beverly!” Ringhiò la giovane, facendolo sussultare.
“Ti sbagli…sono io il moderatore.”
“Tu hai cercato soltanto di approfittarti di me e non voglio più saperne di qualcuno che si spaccia per un'altra persona."
“Scott non è giusto per te.”
“Sei tu quello che non è giusto per me. Io volevo solo essere felice e che non ci fossero problemi, ma con te è chiaramente impossibile.” Replicò, mentre Scott poggiava una mano sulla sua spalla sinistra.
“Stai calma Dawn, finalmente hai trovato la verità.”
“Scott…”
“Lasciala stare, lei è la mia ragazza!” Continuò Beverly, ritrovandosi incenerito dallo sguardo iracondo di Dawn.
“Ti sbagli Beverly, lei non è di nessuno ed è libera di scegliere chi desidera. Se ti fossi comportato correttamente, forse lei ti avrebbe capito.” Spiegò Scott.
“Tu le hai infarcito la testa di sciocchezze.” Seguitò senza troppa convinzione.
“Non può più funzionare tra noi Beverly e forse è meglio che tu vada.”
“No!” Replicò, facendosi avanti per afferrare la giovane, ma ritrovandosi questa volta con un pugno sul naso che lo fece sanguinare e che lo spinse a scappare, prima che Scott lo riducesse in brandelli e lo mandasse in terapia intensiva.
Scappato di corsa con il naso fratturato e con il cuore straziato, Beverly spalancò la grande porta in ferro battuto e li lasciò soli sul tetto, senza peraltro guardarsi indietro per il timore che il rosso lo stesse inseguendo con la cinghia per dargli una sonora lezione.
Fu quando rimasero soli che la completa attenzione di Scott ritornò su Dawn e poggiò le sue mani forti sulle spalle della ragazza, facendola arrossire. Carezzata lievemente, si concentrò sul suo viso e strusciò la sua guancia ispida su quella liscia e delicata, suscitandole un debole fastidio.
“Purtroppo mi ero spinto un po’ troppo oltre e ti sei innamorata della mia immagine virtuale.” Mugugnò, poggiando la fronte su quella di Dawn.
“Non è vero: io mi sono innamorata del carattere che cerchi di nascondere con tanta ostinazione.”
“Non accadrà più.”
“Adoro le persone che sono disposte a cambiare per amore.” Mormorò la giovane, facendolo sospirare.
“Cambio perché tu vali moltissimo per me .”
“Anche tu, Scott.” Bisbigliò, sentendolo singhiozzare.
“Dawn…”
“Non piangere, ti prego.”
“Tu mi piaci.” Soffiò, trattenendo a fatica le lacrime.
“Ci hai messo un po’ troppo a dichiararti.” Lo rimproverò bonariamente, facendolo annuire.
“Dawn…”
“Ormai credo di conoscerti abbastanza.” Minimizzò divertita.
“Devi comunque promettermi che non sottovaluterai più la scuola.”
“Perché no?”
“Perché non voglio veder pregiudicati i tuoi sogni e potrei anche pensare di fare un passo indietro, pur di non vederti fallire.”
“Se studiassimo insieme, forse potrei migliorare.” Replicò, fregandolo con i suoi occhioni.
“Quando e dove vuoi.”
“Credo sia il momento di presentare il mio vero ragazzo ai miei genitori.” Soffiò, prendendone la mano per far ritorno verso casa e facendogli intendere che quello poteva essere un bell’inizio.






Angolo autore:

Il solito vecchio clichè che ci accompagna da una vita e mezza.

Ryuk: Che noia!

Non credevo ti avrei mai sentito sbuffare, ma forse c'è una prima volta in tutto.
Alla prossima!
 

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Capitolo 35
*** Cap 35 ***


Illudersi che un bell’inizio fosse tale solo perché l’apparente epilogo non era stato di proprio gradimento, poteva rappresentare uno sbaglio fatale.
Dawn non aveva pensato, nonostante le ottime ragioni e il desiderio di condividere quella felicità con la sua famiglia, a un possibile intoppo. Era troppo euforica per analizzare ogni singolo aspetto di quella richiesta e se si fosse fermata per un secondo, probabilmente avrebbe fatto un passo indietro.
I suoi genitori potevano essere felici che avesse lasciato Beverly, ma il tutto si fermava qui.
Il contorno rispecchiava l’insofferenza e la rabbia nel sapere che la loro adorata Dawn si stava frequentando con lo stesso ragazzo che anni prima aveva distrutto e sotterrato il suo morale.
In questo lei era cresciuta in fretta e non aveva più fissato il mondo con la gioia delle medie. Subito quel brutto colpo si era chiusa in sé stessa, aveva passato un periodo molto difficile e si era risvegliata solo dopo tanti mesi di apatia e insofferenza.
I suoi genitori, suo padre in particolare, non avrebbe mai perdonato Scott e questo gli sarebbe stato chiaro non appena avrebbe varcato la porta.
 
Studiato per un breve attimo il curato giardino e rimasto incantato dall’ordine dell’ingresso, Dawn aveva invitato il compagno ad avvicinarsi per conoscere i suoi genitori.
Nemmeno Scott ci aveva riflettuto a lungo e s’illudeva che avessero dimenticato quell’orribile tiro mancino che le aveva fatto incassare.
Il padre della compagna era disteso sul divano, intento a leggere, mentre il fratello continuava con i suoi esercizi di matematica, augurandosi che la vecchia arpia non gli chiedesse proprio l’unica formula che faticava a memorizzare.
Poco lontana, in cucina, la madre stava sfogliando un vecchio ricettario, rimanendo dubbiosa su cosa preparare per cena tra una torta salata o delle pizzette casalinghe.
Alla fine, così come le era tipico, avrebbe scelto a casaccio, lasciando l’altra incognita per una delle sere successive.
“Vieni pure, Scott.” Borbottò Dawn, alzando volutamente la voce e invitando il compagno ad avvicinarsi che era rimasto più verso la porta.
“Sei sicura?”
“Di cosa hai paura?”
“Io…”
“Non siamo mica cannibali.” Ridacchiò la giovane.
“Magari è un brutto momento per farmeli conoscere.” Bisbigliò, consapevole ora che forse stavano correndo davvero troppo. Lui, responsabile dell’isolamento di Dawn e unico ragazzo che si meritava le peggiori maledizioni di questo mondo, aveva compiuto un triplo salto mortale in avanti e aveva conquistato il cuore della ragazza che aveva avvilito.
Detta così e vista sotto una luce tutta negativa, chiunque si sarebbe incazzato e avrebbe preteso spiegazioni, specie dopo essersi sentito ripetere per un miliardo di volte che quello lì non meritava nessun perdono o ringraziamento.
E abituati da queste parole, i suoi famigliari non avrebbero mai accettato a cuor leggero che la loro indifesa creatura perdonasse un simile bastardo.
“Ti ripeto che non è possibile.”
“Ma io…”
“E poi di cosa avresti paura? Tu devi piacere solamente a me.” Brontolò, abbandonando la borsetta in un angolo e avvicinandosi al compagno.
“Ma i tuoi genitori…”
“I miei genitori impareranno a volerti bene.” Soffiò, prendendo la sua mano e costringendolo a seguirla.
 
Erano bastati pochi passi e Scott si ritrovò davanti agli affetti più cari della ragazza.
Suo padre aveva richiuso il libro e stava guardando verso di loro, mentre il fratellino seguitava con gli esercizi, non preoccupandosi minimamente della sorella e del loro ospite.
Più in là la madre aveva solo dato una fugace sbirciata, regalando un sorriso al rosso che non si aspettava una simile accoglienza.
Ma ciò che Scott non sapeva era che la donna era una figura perlopiù marginale e che l’osso più duro era da riscontrare nel capofamiglia che difficilmente avrebbe accolto quello sconosciuto fastidioso a braccia aperte.
“E così abbiamo ospiti.” Sibilò l’uomo.
“Papà, lui è un mio caro amico.”
“Un caro amico.”
“Forse sarebbe meglio dire che è il mio nuovo ragazzo.”
“Il tuo nuovo ragazzo.” Ripeté meccanicamente, facendolo annuire.
“Ovviamente ho lasciato Beverly perché si è comportato male con me.”
“Davvero? Interessante.” Borbottò, sbadigliando appena.
“E Scott mi è sempre stato vicino in questi mesi, riempiendomi di attenzioni e consigli.”
“Vicino come quella volta, immagino.”
“Cosa papà?”
“Il tuo amico non ti ha detto nulla?” Domandò divertito, notando come il figlio si fosse alzato e avesse preso i suoi quaderni per andare a studiare in camera.
Nell’allontanarsi dal salotto, fissò brevemente il nuovo fidanzato della sorella, gli fece una linguaccia e poi gli sorrise, quasi volesse augurarli silenziosamente buona fortuna per il suo futuro.
“No signore.”
“Che cosa dovevi dirmi?” S’intromise Dawn, fissando Scott.
“Tu conosci il mio passato e sai quanto ho sofferto nel vederti triste e afflitta. È per questo che mi sono isolato: non volevo premiarmi di una felicità, se tu stessa soffrivi per tutto il dolore che ti ho provocato.”
“Scott…”
“È faticoso ammettere che sarei rimasto così per sempre e solo per sdebitarmi con tutte le persone che ho ferito.”
“Ma non è giusto.” Replicò Dawn, facendolo annuire.
“Tu eri stata la mia vittima principale, ma la tua famiglia ha sofferto in egual misura e credevo di fare un favore a tutti, se mi fossi gettato via.” Borbottò dispiaciuto.
“Avevi intenzione di star male, anche se ero guarita?”
“Già.”
“Ma questo non ha senso.” Gli fece notare, vedendolo stringersi nelle spalle.
“Lo ha eccome. Scott non ti ha detto nulla e, quindi, non puoi sapere, che l’avrei mandato all’ospedale se si fosse avvicinato troppo.” Ringhiò nervoso.
“Quanti segreti mi hai tenuto nascosti ancora?” Domandò lei, rigirandosi verso l’amico.
“Questo l’avevo dimenticato perché non credevo mi concedessi mai una seconda possibilità. Perché avrei dovuto ricordare se era impossibile mettere una toppa al mio errore? Poi, però, ti ho conosciuto meglio e ho capito che anche per uno come me poteva esistere una via d’uscita.”
“E comunque non le hai raccontato nulla.”
“Volevo provare a farle cambiare idea e a dimostrarle che non sono più un bambino.” Mormorò il giovane, abbassando la testa.
“Di cosa state parlando?” Domandò Dawn, guardando prima l’uno e poi l’altro.
“Quando ti ho maltrattato alle medie e sei tornata a casa in lacrime, tuo padre è passato nella grande villa e si è scontrato con mio nonno. Non conosco i dettagli, ma ricordo che le urla erano arrivate anche nella mia camera e tuo padre ha preteso che non t’infastidissi più.”
“È anche per questo che non volevi entrare in casa?” Domandò la giovane.
“I tuoi genitori hanno ragione d’odiarmi.”
“Ma io non ti odio più.” Replicò Dawn, facendolo sospirare.
“E credi che per loro sia facile? Vedere la loro bambina tornare a casa con le lacrime agli occhi e ascoltando tutte le cattiverie che ti ho fatto passare, non è troppo?”
“È solamente per questo, papà?” Chiese la giovane, voltandosi verso quest’ultimo che aveva incrociato le braccia al petto.
“Precisamente.”
“E non lo perdonerai mai?”
“Assolutamente.”
“Ma io…”
“E non ho alcuna intenzione di accettare la vostra storia.” Seguitò, notando come il loro ospite avesse rialzato lo sguardo per informarlo di qualcosa.
“Dawn…forse stiamo correndo troppo.”
“No Scott.”
“Tra qualche mese, magari con calma riuscirò a farmi perdonare e potremo passare il nostro tempo assieme.”
“Ma io non voglio più aspettare!” Replicò furiosa.
“Forse siamo stati troppo affrettati e per oggi è meglio salutarci.”
“Andiamocene, Scott!”
“Come?”
“Sono stanca di tutto questo.” Borbottò, afferrando la mano del compagno.
“Sappi Dawn che non accetto questa tua decisione.”
“Non m’interessa, papà.”
“Tanto dovrai pur tornare a casa e confrontarti con me e tua madre.”
“Ho appena capito che se tornassi indietro, non sarei mai felice.”
“Fai un po’ come ti pare, ma sappi una cosa: se una persona ti fa soffrire una volta, poi è possibile che accada nuovamente.” Ringhiò, facendoli sussultare.
“Forse con il tempo, anche tu imparerai ad accettare questa mia scelta.” Mormorò Dawn, invitando il compagno ad andare da qualche altra parte, promettendogli sottovoce che alla fine sarebbero riusciti a farsi valere.
 
Usciti di casa, il padre ripensò a quelle parole.
Doveva accettare di perdonare quel ragazzo così come gli aveva consigliato Dawn?
E se poi avesse riposto le sue aspettative, sperando che potesse essere felice con lei, non si sarebbe sentito un perfetto idiota nel vederla ritornare in lacrime?
Ma se la sua bambina era felice perché doveva angustiarsi in quel modo? Alla fine si trattava della sua felicità e lui non poteva avere nessuna voce in capitolo.
Valeva bene la carta del padre geloso e iperprotettivo, ma ciò si fermava a queste semplici considerazioni.
“Dovresti stare tranquillo.” Gli consigliò la moglie, sedendosi sul divano.
“Perché dovrei?”
“Perché hai la pressione alta e il cuore ne potrebbe risentire.” Brontolò esasperata da quell’ultima discussione.
“Questa volta non ho intenzione di chiudere un occhio.”
“Si vede proprio che è tua figlia.”
“Come scusa?”
“Siete così simili che discutete in continuazione, ma è anche questa la vostra forza.”
“Non capisco.”
“Tu puoi anche giurare che la lasceresti in strada semmai dovesse sbagliare con Scott, ma io sono certa che ti rimangeresti la parola.”
“Ti sbagli!” Ringhiò nervoso.
“È inutile che provi ad alzare la voce e a fare il gradasso: io ti conosco molto bene e questa recita è davvero ridicola.” Lo stroncò, facendolo sussultare.
“Io…”
“Tu adori la nostra piccola Dawn e speri che possa essere felice senza averci intorno.”
“Non è vero.”
“È giusto che trovi la sua rotta e, ringraziando il cielo, non è più una bambina.”
“Lo so.”
“Ormai è cresciuta ed è capace di cavarsela senza che noi ci mettiamo in mezzo.”
“Ho paura che possa star male.” Borbottò l’uomo.
“E questo dimostra quanto tu sia un ottimo padre. Tuttavia, sai com’è fatta, Dawn.”
“Ah sì?”
“Se le proibisci di seguire il suo cuore, poi farebbe comunque di testa sua e sarebbe capace di combinare i peggiori disastri di questo mondo.”
“Tipo?”
“Ti ricordi quando le ripetevamo che non poteva pattinare perché era ancora troppo piccola? È uscita con suo zio, l’ha convinto per quella follia e per poco non si è fratturata una gamba.”
“Non trovo il nesso delle cose.”
“Se metti dei paletti alla sua storia con Scott, lei sarebbe capace di andare a vivere con lui.”
“Questo mai!” Ringhiò furioso.
“Oppure potrebbe ricattarci in altro modo.”
“Tipo?”
“Quando non ottiene quello che desidera, non ci rivolge la parola e potrebbe anche rifiutarsi di mangiare e di seguire i suoi sogni.”
“Ma io…”
“Potrebbe anche sabotare la sua media scolastica.”
“A quanto pare non posso fare nulla per proteggerla.” Sbuffò deluso.
“Dawn sa difendersi da sola e, da quel che ho visto, Scott ha imparato dai suoi errori e potrebbe riuscire a renderla ancora più felice.”
“Più di così?”
“Assolutamente.” Soffiò, facendo sospirare il marito che, nonostante le ottime intenzioni, avrebbe chiuso un occhio e avrebbe concesso la sua benedizione ai ragazzi.
Il tutto, ovviamente, con un’unica condizione: se Dawn avesse sofferto a causa di Scott, quest’ultimo si sarebbe ritrovato in ospedale prima ancora che riuscisse a vociferare una semplice scusa.




Angolo autore:

Secondo i miei conti dovrebbero mancare due capitoli.

Ryuk: E poi che si fa?

Mi dividerò tra qui e Wattpad. Pubblicherò le stesse storie e buonanotte.

Ryuk: Doppio divertimento per me!

Alla prossima!
 

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Capitolo 36
*** Cap 36 ***


Erano filati direttamente al parco, laddove speravano di stare tranquilli e di confrontarsi nuovamente.
Per quell’unica volta, Scott non era preparato a dovere. Aveva analizzato e scombussolato più volte i piani dei suoi compagni, sapeva come evitare certe situazioni, ma in quel frangente, proprio perché non ci era mai passato, temeva di rovinare tutto.
Scalciato un sasso, si era quasi raggomitolato e si era messo a fissare il vuoto, sperando che Dawn riuscisse a sballare i suoi pensieri pessimistici.
Voleva appoggiarsi a lei e ricavarne la sua fiducia solo per quell’unica volta. Poi avrebbe ritrovato la forza e non si sarebbe più azzardato a infastidirla per una cosa simile.
“Dovevi raccontarmi tutto, Scott.” Lo rimproverò, poggiando una mano sulla sua spalla destra.
“Scusami.”
“Non sapevo del litigio tra mio padre e tuo nonno, né della sua scelta di tagliarti dalla mia vita.”
“Avrei voluto accontentarlo.”
“Quello che dici non ha senso.”
“Tu non puoi capire il dolore che si prova nell’essere responsabili di una simile cazzata.”
“Non posso esserne consapevole? Io ero la vittima preferita dei tuoi scherzi.” Gli fece notare.
“Scusami.”
“Tuo nonno non ti ha rimproverato?”
“L’ha fatto eccome, ma mi ha anche chiesto di provare a metterci una pezza.”
“E tu?”
“È arrivata l’estate e il settembre del primo anno mi ha riconsegnato una villa con una stanza chiusa per sempre a chiave.”
“Era morto?”
“Temo di avergli fatto sprecare anche l’ultima stilla d’energia. Gli ho dato un ultimo dispiacere che lui non è riuscito a sopportare. Tra quella cazzata che ho fatto alla fontanella e questa perdita, io avevo dimenticato i suoi consigli.”
“Perché?”
“Perché ricordare faceva molto male.” Borbottò laconico.
“Mi dispiace.”
“Ho dimenticato perché mi aveva promesso che saremmo stati insieme fino al ritorno di mamma e papà, ma poi mi ha abbandonato.” Mormorò, iniziando a singhiozzare.
“Scott?”
“Troppe promesse che fanno male…bruciano.”
“Io…”
“Per un po’ credevo…mi avesse mentito e che fosse tutta colpa sua…stupido marmocchio.”
“Scott…”
“Poi, però, ho capito…che sono stato io…l’ho deluso e lui si è spento.”  Ammise, lasciando fuoriuscire tutta l’amarezza e concedendosi un piano liberatorio.
“Qui l’unica persona che deve scusarsi, sono io.” Mormorò Dawn, non ricordando d’aver mai visto l’amico in quello stato.
Gli altri suoi compagni avevano sempre sfogato, almeno una volta, tutta la loro disperazione e frustrazione, ma Scott si era trattenuto per tanto tempo e ora stava dimostrando quanto potesse essere dannoso ostacolare le proprie emozioni. Il suo volto si era arrossato e faticava a mettere due parole in fila, senza singhiozzare pietosamente.
“Di…cosa?”
“Ero una bambina fragile e insicura che si è buttata giù per uno scherzo stupido.”
“Io…”
“Ti ho perdonato una volta e lo rifarei ancora pur di farti star meglio.” Sussurrò, abbracciandolo.
“Dawn…”
“E non ho intenzione di abbandonarti.”
“Io…”
“Tornerò a casa e, che mio padre lo voglia o no, dovrà accettare la mia decisione.”
“Non è…meglio aspettare?”
“Sono stanca d’aspettare il mio turno.” Replicò con rabbia.
“Io…”
“Per anni credevo che dovesse essere la felicità a raggiungermi, ma da quando mi sono iscritta alla chat ho capito che devo essere io a conquistare i miei premi.”
“Sì…hai ragione.” Mormorò Scott, ritrovando il sorriso.
“Credevo che con la mia sofferenza, poi mi meritassi qualcosa in cambio, ma a questo mondo non si ottiene nulla nel piangersi addosso.” Spiegò sollevata.
“E io non ho più nulla…da nasconderti.” Soffiò il rosso, staccandosi dalla stretta prolungata dell’amica e asciugandosi gli occhi.
“Lo credo bene.”
“E comunque…ti chiedo scusa.”
“Per cosa?”
“Credevo che sarei sempre riuscito…a contenermi, ma mi sbagliavo. Grazie di avermi ascoltato e di avermi supportato.”
“L’ho fatto volentieri.”
“E ora…che si fa?” Domandò il rosso, cambiando discorso e fissando la ragazza che sembrava molto più sicura del solito.
“Non credo che il piano usato con Brick e Jo possa funzionare.”
“Anche perché tuo padre sa dove abito.”
“E non possiamo nemmeno andarcene in hotel.” Mormorò Dawn.
“Io in Canada dai miei genitori non ci vado.” Seguitò Scott.
“Nessuna fuga d’amore allora.”
“Perché dovremmo nasconderci? Affrontiamo la nostra vita con leggerezza e facciamo tutto alla luce del Sole senza alcuna vergogna.”
“Ma mio padre non è d’accordo.”
“Non può proibirti di andare a scuola e anche se si tratta di pochi minuti, mi basta la ricreazione per sentirmi felice.”
“Io…”
“Magari con un po’ di tempo e di pazienza, mi accoglieranno a braccia aperte.” Sibilò il rosso.
“Credo sia meglio fare così.”
“Ci vediamo domani a scuola, allora.” Biascicò Scott, rialzandosi in piedi insieme alla ragazza.
“Va bene.”
“E vedi di studiare che i tuoi sogni sono molto importanti.”
“Nei miei sogni ci sei solo tu.” Ribatté lei, facendolo arrossire appena.
“Pensavo di essere nei tuoi peggiori incubi.”
“Una volta forse era così, ma oggi è tutto diverso.” Ammise, afferrando la borsetta e avviandosi verso casa.
“Ehi Dawn!” La richiamò lui, sfiorandole un braccio.
“Sì?”
“Non hai dimenticato qualcosa?”
“Cosa?”
“Il mio saluto per oggi.” Mormorò, abbassandosi appena e baciandola con passione.
“Sempre il solito: ti piace farmi preoccupare.” Ridacchiò, abbracciandolo un’altra volta e rifiutandosi di andarsene senza sapere come sarebbe finita quella giornata.
“Vedi di fare la brava e cerca di non calcare troppo la mano.” Le consigliò divertito, salutandola sollevato e ritornando verso la sua villa.
 
Dawn, dopo aver salutato il suo ragazzo, aveva fatto immediatamente ritorno a casa.
Un po’ le dispiaceva per Scott, ma non aveva intenzione di seguire il suo ultimo consiglio. Dopo aver convissuto per tanti anni con la tristezza, pretendeva tutto e subito. Non voleva più accontentarsi di essere a un passo dal traguardo, quando bastava allungare una mano per ottenere la vittoria.
Si sarebbe scontrata con suo padre e che lo volesse o meno, non avrebbe abbassato la testa.
Per troppo tempo tutto le era scivolato dalle mani e questo le aveva sempre dato fastidio.
Chiusa la porta alle sue spalle, appoggiò la borsetta al suo posto e poi si avviò verso il salotto, immaginandosi suo padre in attesa di una nuova ramanzina.
Questa volta, però, avrebbe calato le sue carte migliori e si sarebbe spinta pure a una fuga precipitosa se non avesse ascoltato le sue ragioni.
Senza dargli tempo di cominciare, chiuse subito il televisore e lo fissò con rabbia.
“Che tu lo voglia o no, non rinuncerò mai a Scott!” Tuonò secca, facendolo sussultare e attirando l’attenzione di sua madre che era impegnata in cucina e che avrebbe seguito quella discussione con celato interesse.
“Io…”
“E se hai intenzione di ripetermi che sto sbagliando e che dovrei odiarlo come te, allora sono propensa ad andarmene.”
“Dawn…”
“Scott non mi farà più soffrire.”
“E come fai a dirlo?”
“Lo so e basta.”
“Avrei bisogno di una prova per fidarmi da lui.”
“Per poi sentirmi dire che non è sufficiente?” Ringhiò, facendolo sospirare.
“Se solo provassi a metterti nei miei panni.”
“Non ci guadagnerei nulla e finirei con il confondermi.” Borbottò nervosa.
“E comunque so che non cambierai mai idea sul suo conto.”
“Con o senza la tua benedizione.” Replicò, facendolo sorridere.
“Lo so.”
“Non sembra.”
“E so anche che Scott riuscirà laddove aveva fallito da bambino.”
“E allora perché continui a odiarlo?”
“Perché non riesco ad accettare che tu sia cresciuta e continuo a essere geloso.”
“Non ha molto senso.” Borbottò lei, facendolo sospirare.
“Per questa volta, proprio perché è la prima in cui desideri ardentemente qualcosa, chiuderò un occhio e ti consentirò di uscire con lui.”
“Lo accetti come mio fidanzato?” Chiese, facendolo annuire.
“Sappi però che pongo una condizione a tutto questo.”
“Quale?”
“Se dovesse farti versare anche solo una lacrima o farti arrabbiare, giuro che lo appendo al muro e gli spacco la faccia.” Ringhiò, scrocchiandosi le nocche.
“Posso davvero?” Domandò dubbiosa.
“Devi solo accettare questa condizione.”
“Consideralo fatto, papà.”
“E ora che abbiamo risolto le nostre divergenze, fuori da questa casa!” Borbottò perentorio.
“Come?”
“Vai a dare la buona notizia a Scott.”
“E poi?”
“Puoi passare la notte nella sua villa, ma solo per questa sera.” Soffiò, ricevendo un bacio sull’ispida guancia e vedendo già la sua piccola Dawn librarsi in volo.






Angolo autore:

Ryuk: Manca solo un ultimo capitolo.

Che con i nostri attuali ritmi uscirà nel 2021.
Ryuk: Mi auguro di no.

E all'orizzonte, tranne per una, non avrei altre storie complete da pubblicare.
Ci sto ancora riflettendo.

Ryuk: Intanto vi salutiamo, vi ringraziamo per l'appoggio e vi auguriamo una buona settimana.

A presto!
 

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Capitolo 37
*** Cap 37 ***


Qualche anno più tardi.
 
Scott avrebbe sempre litigato con suo padre.
Il vecchio pretendeva che lo seguisse in Canada, ma il rosso non poteva sopportare di fare un torto simile alla sua Dawn.
Avevano recuperato le amicizie della loro classe, avevano superato alcune avversità e condiviso molti momenti speciali.
Lui non voleva allontanarla dalla sua famiglia e dai suoi affetti e per questo aveva risposto con un secco no, guadagnandosi la minaccia di scomparire dal suo testamento.
Probabilmente i suoi soldi sarebbero finiti in qualche ente di beneficienza oppure avrebbe cancellato quella sciocca minaccia, poiché anche Alberta aveva rifiutato quell’allettante proposta e non si sarebbe mai sognato di regalare qualcosa a qualcuno senza avere un tornaconto sostanzioso.
Con fatica aveva comprato un piccolo appartamento distante appena due miglia dalla grande villa e si era trovato un lavoro onesto con cui portare avanti la sua storia con Dawn.
Eppure quel sabato mattina sentiva di essersi perso qualcosa.
Dawn era entrata nella loro camera da letto con un vassoio pieno di dolcetti, facendogli percepire quella spiacevole sensazione di aver scordato qualcosa d’importante.
E come un’idiota aveva dato voce a quel piccolo dubbio insignificante.
“Che cosa…dobbiamo festeggiare?” Chiese, rifacendosi all’abbondanza con cui si era presentata.
“Oggi è un giorno speciale.”
“Io…”
“Un giorno che dovresti ricordare bene.” Ammise, sbattendo i suoi occhioni chiari e facendolo sussultare.
Non riusciva davvero a ricordare di che anniversario si trattasse.
Non era quello del loro primo fidanzamento o quello del loro matrimonio.
Nemmeno il ricordo di un qualche litigio atomico o della prima volta che avevano fatto l’amore.
Poteva forse trattarsi del primo incontro tra le due famiglie riunite?
Gli pareva che fosse più verso maggio e non a ottobre inoltrato. E di certo non era nemmeno la prima sceneggiata dove Dawn aveva confuso una sua ex compagna delle elementari come la sua nuova amante.
“La prima volta che abbiamo viaggiato?” Tentò, cercando di prendere una ciambella.
“No.” Replicò lei, allontanando leggermente il vassoio.
“Allora deve trattarsi della mia proposta di matrimonio.”
“Era febbraio inoltrato.”
“Il primo litigio serio: quello dove mi hai accusato in pieno centro di avere un’altra.”
“E perché dovrei festeggiare per una cosa simile?” Chiese, fissandolo sconcertata.
“Perché non ci siamo parlati per un mese intero e poi la passione è scoppiata nuovamente.”
“Tu mi avevi isolato.”
“E cosa ti aspettavi che facessi? Avevi preteso che ti lasciassi in pace e che uscissi dalla tua vita, se non volevo ritrovarmi con tuo padre armato di fucile.” Borbottò dispiaciuto.
“Dovevi scusarti.”
“Scusarmi di un’accusa infondata e falsa.” Replicò infastidito.
“Non sai quanto sono stata male.”
“Ed io no? Ci siamo evitati come la peste, fino a quando Zoey non ci ha invitato alla cena di classe e non ci ha costretto a sederci vicini.”
“Ci siamo punzecchiati e abbiamo fatto pace.” Soffiò lei, facendolo sorridere.
“Di quella sera non ricordo quasi nulla, se non il litigio tra Brick e Jo e il calice di birra finito addosso al povero Cody con tanto di Sierra che lo rincorreva fino al bagno degli uomini per asciugarlo e per evitare che si prendesse una broncopolmonite.”
“In pieno luglio.” Puntualizzò Dawn che faticava a trattenersi dal ridere.
“Ti ho riaccompagnato a casa e abbiamo dormito insieme.” Sospirò, cancellando anche quella data dall’anniversario richiesto dalla moglie.
“E comunque non hai risposto alla mia domanda.”
“È un po’ difficile.” Ammise dispiaciuto.
“Forse perché non riesci mai a dare valore alla nostra storia.” Lo provocò, sperando di risvegliare i suoi ricordi sopiti.
“Di certo non dipende da quando ho smesso di fumare e poi non è vero che non do valore al nostro matrimonio.”
“Se così non fosse, non tireresti in ballo una data così deboluccia.” Obiettò, facendolo riflettere per qualche istante
“Forse sei tu ad aver dimenticato che giorno è oggi e speri così di rabbonirmi.” Ribatté Scott, intuendo di essere ormai quasi in trappola o dando almeno quell’impressione.
“Io tengo molto alla nostra storia e so, al contrario di te, per cosa dovremmo festeggiare.”
“Forse è quando ho affrontato Beverly.”
“Ti sei avvicinato, ma non è ancora sufficiente.” Borbottò enigmatica, facendolo sospirare.
“Non saprei proprio.”
“Hai ancora una possibilità.”
“E se non riuscissi a indovinare?” Azzardò il rosso, scontrandosi con uno sguardo infastidito.
“Indovinare? Se la metti così, vuol dire che non sai nemmeno dove sbattere la testa e per questo non potresti festeggiare con me.”
“Io…”
“Alla fine sapevo che non era importante e che non valeva la pena illudermi.” Soffiò, riappoggiando il vassoio sul comò e uscendo da quella stanza in cui aveva passato alcuni dei momenti migliori della sua vita.
 
Rimessosi seduto, Scott si voltò verso il comò e sorrise mestamente.
Perché doveva sempre stuzzicarla in quel modo e fingere di dimenticare ogni cosa?
Sapeva benissimo che giorno era e quanto fosse importante per Dawn. Quelle 24 ore per lui erano un argomento di relativa rilevanza, ma per la sua giovane mogliettina quello era davvero speciale.
Non era un anniversario che le coppie canoniche avrebbero mai festeggiato.
E non era nemmeno un qualcosa che, con il senno di poi, poteva essere giustificato con la visita in una qualche gioielleria per qualche regalo.
Aperto il terzo e ultimo cassetto del comò, spostate alcune paia di calzini, recuperò una piccola scatolina che aveva comprato durante i primi giorni di quel felice ottobre.
Ora, a distanza di alcuni anni, anche lui era pronto a decantare e a rallegrarsi per quel giorno che gli aveva permesso di ritrovarla in un mondo virtuale che, casualmente, era diventato uno specchio della realtà della loro classe.
C’era una Zoey che aveva faticato con la sua famiglia e che era, ora, felicemente sposata con Mike e madre di due splendide bambine.
Poi vi era il ragazzo bolla, apertosi al mondo e con una spiccata dote per strane invenzioni nel campo della cardiochirurgia.
E il vecchio Duncan che si era dato da fare con Courtney e che aveva finalmente messo la testa al suo posto con profonda gioia anche dei suoi genitori.
Genitori che, come nel caso di Brick, avevano cambiato registro e avevano concesso una possibilità a Jo.
Lightning si era ritrovato con Anne Marie, Dakota correva spensierata tra una passerella e l’altra e ognuno aveva conquistato la felicità.
Tutti, a eccezione di Gwen che, non avendo costruito un rapporto duraturo con Trent, restava in attesa dell’uomo giusto, si erano ritagliati il loro spazio nella società e si erano aperti al mondo.
 
Richiusa la porta alle sue spalle, aprì il pacchettino e strinse il pensiero che aveva comprato dentro la mano destra.
Dawn era seduta sul divano e dava le spalle al corridoio.
Approfittando di quel vantaggio, si posizionò dietro di lei e fece ondeggiare davanti ai suoi occhi la collana che aveva comprato con immensi dubbi.
Osservatala per un breve istante, Dawn alzò lo sguardo e ritrovò il sorriso di Scott.
“Credevi fossi in grado di dimenticare la data d’iscrizione alla nostra vecchia chat?”
“Scott…”
“Questo sarebbe il tuo regalo.” Borbottò divertito, aggirando l’ingombrante divano e ponendosi davanti a lei.
“Io…”
“Credo ti starà benissimo.” Bofonchiò, mentre lei se la metteva al collo e sorrideva divertita.
“Non volevo credere ti fossi dimenticato.”
“Sai bene che mi piace scherzare.”
“E io che ti ho trattato male.” Mormorò dispiaciuta.
“Vorrà dire che questa sera ti farai perdonare.” Soffiò, baciandola teneramente e perdendosi nei suoi occhi chiari.
“Potrei, ma non lo farò.”
“Perché?” Chiese incuriosito
“Perché ho paura di fargli male.” Sibilò la giovane, accarezzandosi il ventre ancora piatto.
“Non capisco.”
“I medici mi hanno garantito che non ci sono pericoli, ma ho troppa paura di perdere il tuo secondo regalo.”
“Il mio secondo regalo?”
“Non vedo l’ora Scott, di fartelo conoscere.”
“Chi Dawn?”
“Se mi sono arrabbiata, non era per colpa della tua dimenticanza.”
“Davvero?”
“Ho parlato anche con Zoey di questa cosa e lei mi ha consigliato di avere pazienza e che gli ormoni in subbuglio e la nausea sono abbastanza normali.”
“Non mi dirai che sei…”
“Avrei voluto dirtelo diversamente, ma non ne verrò mai fuori.”
“Io…”
“Questa casa non sarà mai più vuota.”
“Perché non me l’hai detto subito?” Domandò, scurendosi in volto.
“Perché non ne ero sicura fino a qualche giorno fa e non volevo illuderti, per poi dirti che si è trattato di uno sbaglio dettato dalla fretta o dall’emozione.”
“Ma…”
“Come l’avresti presa se fosse successa una cosa simile?”
“Probabilmente mi sarei sentito scombussolato. Non è da tutti i giorni ricevere una notizia simile per poi ricacciare tutto indietro.” Ammise sinceramente.
“Ora ne abbiamo la certezza e possiamo muoverci con maggior sicurezza.” Sospirò, accarezzandosi il ventre, mentre il marito faceva altrettanto.
“Immagino non si sappia ancora se è maschio o femmina.”
“È ancora un po’ prestino.”
“Vorrà dire che intanto penseremo, insieme ai tuoi genitori, il nome migliore.” Borbottò, facendola annuire.
“Per mia madre sarà uno shock.”
“Perché? Hai 26 anni ed è una buona età per diventare madre.”
“Per me sì, ma non credo si senta pronta a diventare già nonna.”
“Non che per la futura zia Alberta sia tanto meglio.” Brontolò il rosso, immaginandosi già la faccia della sorella che non poteva tollerare e digerire il fatto di vedere Scott già quasi padre, mentre lei saltava da una relazione a un’altra, senza riuscire a tenersi uno straccio di uomo per più di cinque mesi consecutivi.
“Un po’ mi spiace per lei.”
“Alla fine sono sicuro che anche mia sorella troverà la felicità.”
“Intanto dobbiamo pensare a noi e ti prometto Scott che da oggi tutto andrà sempre meglio.” Lo rassicurò, rispondendo al suo iniziale bacio e concedendosi quell’intimità che era rimasta per troppo tempo in sospeso.
 
 


Angolo autore:

L'abbiamo conclusa finalmente con il classico lieto fine che ormai è un mio marchio di fabbrica.

Ryuk: Tirandola un po' per le lunghe, ma va bene anche così.

Adesso che si fa?

Ryuk: Ci prendiamo qualche settimana sabbatica?

Perchè finora cosa abbiamo fatto? Comunque sia credo che andrò avanti qui su EFP. Sono affezionato, nonostante il mortorio, a questo sito, anche se forse potrei dividermi e pubblicare la stessa storia sia qui che su Wattpad.
Non so se si possa fare, ma dato che l'autore è lo stesso, lo prendo come un sì.

Ryuk: Cosa abbiamo da perdere?

Pensavo di fare partire la prossima serie verso Pasqua o giù di lì. Nel dubbio vi auguro, anche se il periodo non è dei migliori, buone feste.

A presto!

 

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