Project Aquarion: Wings of Eternity di MorganaAngel (/viewuser.php?uid=79091)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una ragione per continuare ***
Capitolo 2: *** Un discorso in sospeso ***
Capitolo 3: *** L'incertezza del futuro ***
Capitolo 4: *** La fine d'un legame ***
Capitolo 5: *** L'ultimo saluto ***
Capitolo 6: *** La partenza ***
Capitolo 1 *** Una ragione per continuare ***
Semplice rumore di passi quello che accompagnava Silvia, mentre
procedeva lungo il corridoio deserto della Base, diretta verso
l’esterno.
Silenziosa, assorta nei suoi pensieri.
Un paio di giorni... ecco quanto era passato da quando la Nuova Genesi
Divina aveva salvato il pianeta, permettendo così al genere
umano di sopravvivere.
La morte dell’Albero della Vita e la scomparsa definitiva
degli Angeli delle Tenebre erano stati un sollievo per molti, ma non
del tutto per lei.
Aveva assistito in prima linea ai combattimenti ed al sacrificio finale
dell’Aquarion, per il bene della terra, ma ancora non
riusciva a credere, a capacitarsi che era veramente finito tutto.
Mentre continuava a camminare, lo sguardo perso nei ricordi, alla mente
tornò l’immagine di Sirius.
Sussultò bloccandosi e stringendo le mani contro il petto,
come per sedare l’assalto del dolore provocato da quella
stretta al cuore, subito seguita dal pizzicore delle lacrime che
venivano a far capolino negli occhi.
- Fratello mio... -mormorò con
un filo di voce mentre lo sguardo era fisso nel vuoto.
E fu come rivivere, netti nella loro chiarezza, tutti i ricordi che la
legavano al maggiore.
Loro bambini... il momento del grande incendio, in cui i genitori erano
deceduti... tutte le esperienze vissute alla DEAVA...
l’evoluzione costante in cui avevano imparato a pilotare
leVector machines ed a eseguire la fusione...
E poi, Sirius che si allontava nel varco dimensionale, per fuggire ad
Atlandia e trovare rifugio fra gli Angeli... la lotta fra
l’Aquarion ed il Cherubim Mars... ed infine... la Nuova
Genesi Divina...
Silvia soffocò un singhiozzo.
Poteva quasi sentire la terra tremare mentre si chiudeva
inesorabilmente attorno all’Aquarion e nelle sue orecchie
risuonarono le parole di Apollo.
- Apollo! -esclamò, con voce
appena più forte, sgranando gli occhi.
Si fermò, abbassando il capo, mentre le braccia calavano
lungo i fianchi.
Apollo... reincarnazione del suo passato amore, Apollonius.
La crudeltà del destino li aveva separati per 12.000 anni e
quando si erano finalmente ritrovati, quando finalmente avevano preso
coscenza della loro esistenza passata e di quanto li legava nel
presente... allora, tutto era finito... in un attimo... troppo presto.
Amarezza e dolore le bruciavano dentro, serrandole la gola in un nodo
pulsante.
Non era stata concessa loro nessuna possibilità... ancora
una volta, il fato si era accanito, per il bene dell’intera
umanità.
Ricordò il bacio... l’unico che si erano
scambiati.... il calore che aveva provato... la voglia di fermare il
tempo, per sempre, e restare con lui.
Sorrise, seppur senza gioia, mentre ripensava a tutte le volte in cui
avevano bisticciato, rendendosi conto di quante volte aveva finito con
il picchiarlo di santa ragione.
All’epoca, era convinta che, in fondo, Apollo meritasse solo
quello...
Quanto era stata sciocca!
Ma quando aveva capito, era troppo tardi.
Pugni stretti, tremanti nello sforzo, tale da fare sbiancare le nocche,
mentre le lacrime, copiose, rigavano le guance.
Cosa le restava adesso? Niente.
Le due persone che erano state il suo intero universo non
c’erano più e le veniva chiesto di andare avanti,
di trovare la forza di farlo.
Eppure, non ne aveva voglia... si sentiva così debole,
così stanca...
Sophia le aveva detto che era normale... in fondo, anche lei aveva
preso parte alla battaglia e la prova fisica l’aveva sfibrata.
Ma in cuor suo, Silvia sapeva perfettamente che non era quella la
ragione del suo stato.
Si sentiva svuotata, come un guscio inutile e senza vita.
Dall’esterno, le giunsero risa e voci di bambini, facendole
risollevare il capo, mentre lo sguardo azzurro puntava verso
l’uscita, ormai poco distante.
La luce accecante la costrinse a schermarsi con la mano, mentre
riconosceva in quei suoni la voce della piccola Chibiko.
Sorrise, stavolta con più convinzione, cancellando le umide
scie sul viso.
Non le piaceva mostrare la sua debolezza... anche se far credere a
tutti che stava bene non era sempre così semplice.
Sì... era quella la sua ragione di vita, ora.
Aveva promesso ad Apollo che si sarebbe occupata dei piccoli di
strada... e lo avrebbe fatto, fino alla fine della sua esistenza, se
necessario.
Trasse un profondo respiro, cercando di farsi forza, muovendosi pacata
verso il giardino, di cui ora distingueva le aiuole ed i prati.
Un attimo d’esitazione e si mosse nella luce.
Gli occhi ci misero un pò ad abituarsi al cambio di
luminosità, ma riconobbe subito Rina e Sophia, intente a
tener d’occhio Sabi e Chibiko, impegnate ad inseguirsi e
saltellare, allegre, sul prato.
Dopo un attimo d’esitazione, si avviò verso di
loro.
Le due donne erano silenziose, accontentandosi di osservare le bambine.
Il passo di Silvia sulla ghiaia fece voltare Sophia, che per un attimo,
parve stupita di vederla.
- Silvia! –esclamò-
Come mai sei qui e non a riposare?
- Avevo bisogno di prendere una boccata
d’aria... -rispose la ragazza, sorridendo e cercando di
apparire serena e distesa, seppur sui tratti tirati e stanchi, era fin
troppo palese la sofferenza che s’intestardiva a nascondere.
Sophia non commentò, né
all’affermazione né all’espressione di
Silvia. Comprendeva perfettamente il suo stato d‘animo ma
sapeva anche che non c’era nulla che potesse fare per
alleviare le sue pene.
Si accontentò di sospirare, discretamente.
- Ora é meglio che vada
–commentò- Il Comandante Fudo potrebbe aver
bisogno di me... -sembrava una giustificazione la sua, quasi tentasse
di sfuggire a quell’atmosfera che, nonostante la giornata
radiosa, sentiva gravarle sul cuore.
Rina rimase muta, mentre Silvia si accontentò di salutarla.
- A dopo... -mormorò appena,
girandosi ad osservare la donna mentre si voltava, dirigendosi verso
l’ingresso della Base, camminando senza fretta.
- Verrà il momento in cui
dovrai attingere al tuo dolore e trasformarlo in energia costruttiva,
Silvia...
La giovane sussultò, sorpresa dalla voce dolce e bassa di
Rina che le giungeva.
Si voltò a guardare la vampira, immobile sulla sua poltrona
elettronica, che le permetteva di spostarsi come se fosse una sedia a
rotelle, supplendo così alla sua scarsa motricità
fisica.
- Rina... -sussurrò prima di
abbassare il capo, passando dalla sorpresa a quella tristezza che ormai
sembrava non volerla lasciare.
- Hai fatto una promessa, ricordi? Ed
é giusto che tu la mantenga... in nome di chi ha amato tanto
quei bambini. Fino alla fine, sono stati il suo pensiero... come lo
é stato Baron. -continuò Rina, prima di spostare
lo sguardo cieco su Silvia, mentre un tenue sorriso le increspava le
labbra.
- Sì lo so...
-affermò a mezza voce la ragazza, dimenticando lo stupore
provato nel sentire Rina parlare di quella promessa, di cui pensava di
essere la sola a conoscenza.
- Il suo sacrificio, allora, non
sarà stato inutile... -disse Rina, tendendo la mano verso il
braccio sinistro di Silvia, dove spuntava quella piccola ala rossa,
ormai libera dal bracciale.
Silvia abbassò gli occhi, osservando le piume di fuoco.
Ora, non aveva più bisogno di nascondere la sua natura...
Tutti le avevano fatto capire che l’accettavano per quello
che era e non provava più vergogna.
E questo, ancora una volta, grazie ad Apollo, al suo intervento, alla
sua caparbietà e la voglia di voler sempre aiutare il
prossimo, senza mai giudicarlo.
Prima che Rina riuscisse a sfiorarla, ritrasse il braccio, stringendolo
al petto e chiudendo l’altra mano sull’ala.
Sentì nuovamente le lacrime bruciarle gli occhi, stavolta
più insistenti, mentre cresceva l’impressione che
qualcosa in lei si stesse lacerando.
Le dighe dietro cui arginava i suoi sentimenti scricchiolarono, prima
di cedere.
Non ne poté più e lasciando sfuggire un
singhiozzo, si voltò fuggendo lontano da Rina e dai bambini,
mentre nella sua corsa sfogava il pianto, allontanandosi verso
l’angolo più recondito del giardino.
Rina non disse nulla, restando dov’era, accontentandosi
soltanto di riportare la mano sul bracciolo della sua poltrona.
Silvia corse a perdifiato, stringendo gli occhi, senza neanche guardare
dove andava.
Singhiozzava, con tutta la disperazione di cui era capace, cercando di
sfuggire a quel maledetto senso di vuoto che la soffocava per quanto
intenso.
Un attimo di disattenzione, un passo falso e si ritrovò
lunga distesa a terra, senza riuscire ad attuttire l’impatto.
Ma non se ne rese quasi conto o non vi prestò attenzione.
Incrociò le braccia dinnanzi a sé e vi nascose la
testa, continuando a piangere calde lacrime.
Le mancavano... le mancavano da morire... ed era ancora più
terribile sapere che Apollo non sarebbe venuto a rialzarla,
lì da terra... né tanto meno suo fratello.
Perché? Perché loro? Perché lei?
Perché doveva sopportare tutto questo?
Nota
dell'autrice: Allora... spero che questo primo capitolo vi
sia piaciuto... ^_^
Io
ne sono soddisfatta, anche se, come al solito, ho sempre l'impressione
che avrei potuto fare di meglio! :P
Sono
estremamente pignola e cerco di attenermi il più possibile
alla storia originale, con dettagli che spero essere corretti...
Se
mai ho scritto becerate, non esitate a segnalarmelo... u.u
Vedrò
di ciliciarmi con grande diligenza e in ginocchio sui ceci,
reciterò minimo 100 Mea Culpa... U__U
In
fondo, "Project Aquarion - Wings of Glory" l'ho visto una sola volta, a
casa della mia migliore amica... :P (anche se sto rimediando, decisa a
scaricarmi tutti gli episodi, così potrò
attingere da fonti sicure e non alla mia memoria bacata...
ç_ç)
Ringrazio
di cuore MiCin/Moko, per essere stata la prima a lasciare una
recensione... (e che recensione!!! *__*)
Concludo
dedicando questa mia fanfiction alle due persone più
importanti della mia vita... la mia Lupa e la mia Prociola... ;)
Senza
di loro, credo che non avrei mai trovato il coraggio di imbastire
seriamente questa folle pensata... :P
Grazie
tesore... vi adoro! *_* Cosa farei senza di voi ed i vostri
incoraggiamenti??? *___*
Un
bacione a tutti e buona lettura... ^____^
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Capitolo 2 *** Un discorso in sospeso ***
Poche nuvole a solcare l’azzurro del cielo, mentre nel caldo
del pomeriggio echeggiava il canto delle cicale.
A cuor leggero, per chiunque quella giornata sarebbe stato una di
quelle che ti mettono di buon umore, lasciandoti addosso solo la voglia
di oziare ed approfittare dell’estate che avanzava.
Per chiunque... ma non per Pierre.
Solo sullo spiazzo erboso al centro della pista da corsa, era occupato
a palleggiare, tenendo in bilico il pallone sul piede, prima di
lanciarlo in aria e riprenderlo, ricominciando sensa sosta.
Teneva in tasca le mani, mentre milioni di pensieri silenziosi gli
affollavano la mente.
Sembrava imbrocciato... era solo assorto, assente, estraneo ad ogni
dettaglio circostante.
Nascosta dietro l’angolo della piccola rimessa, Chloe lo
osservava.
Sospirò mentre la tristezza si dipingeva sul suo viso.
La fine dell’Aquarion aveva sconvolto tutti ed ogni Element
viveva a modo suo il susseguirsi dei giorni.
Sapeva di non essere la sola a soffrire.
Sicuramente, altri erano stati ancora più toccati dalla
perdita di Apollo, Sirius e Glen.
Abbassò lo sguardo, stringendo le mani al petto.
Ovvio... persone come Silvia e Reika avevano ancora più
difficoltà di lei a superare quel vuoto che la scomparsa dei
tre lasciava.
Ma si rese conto che in definitiva, per lei il dolore era qualcosa
d’indiretto.
Certo, non era certo insensibile ma...
Gli occhi viola tornarono su Pierre, ancora inconscio della sua
presenza.
Era stata fortunata... le persone a cui teneva erano ancora con lei ed
erano sane e salve, seppur provate.
Ma se lei stava male, era perché vedeva quanto il ragazzo di
cui si era innamorata avesse risentito il colpo, nella perdita dei 3
Element.
Cercava, come tutti gli altri, di non darlo a vedere, tentando sempre
di sdrammatizzare con le sue battutine sceme ed il suo ruolo da
seduttore e cascamorto.
Ci provava... ma le era palese che in fondo, non vi era convinzione nei
suoi gesti.
Stava soltanto provando a cancellare le lacrime invisibili dal cuore di
quelli che considerava i suoi migliori amici.
Lo ammirò, per quella generosità
d’animo, quel coraggio e quella devozione che temeva di non
essere nemmeno capace di abbozzare.
E questo, lo rendeva forse ancor più speciale ai suoi
occhi... ancora più bello.
Sorrise timidamente, mentre un sottile velo di rossore saliva alle
guance.
Le piaceva guardarlo mentre si dedicava alla sua più grande
passione: il calcio.
Era bravo, non c’era da ridire su questo.
Il fisico sportivo e la bellezza del suo viso, incorniciato dai capelli
castani che portava semi lunghi, legati in un codino, erano magnetici,
richiamando incessantemente il suo sguardo.
Il giorno della battaglia finale, quando le Bestie Mietitrici avevano
fatto la loro comparsa, cospargendo sull’intero pianeta il
polline dei fiori maledetti, aveva pensato di non rivederlo mai
più.
Forse la vicinanza con Reika aveva finito con il rendere anche lei
fatalista.
Ricordò di esser riuscita a superare la timidezza,
decidendosi finalmente a regalare a Pierre quella torta che aveva
fatto, mettendoci tutto il suo impegno ed il suo amore.
Voleva che gli piacesse davvero.
Ma poi... non c’era stato modo di far sbocciare quel preludio.
Eppure tutto sembrava essere iniziato per il meglio...
Sospirò ancora, stavolta rassegnata, mentre la mano con cui
sfiorava il ruvido cemento del muro si allontanava.
No... doveva mettere da parte il suo egoismo ed impegnarsi a sostenere
gli amici, in quel momento così difficile, invece di star a
pensare ai moti del suo cuore.
Si voltò, pronta ad andarsene, quando la voce di Pierre le
giunse alle spalle, facendola sussultare.
- Speravo di scambiare due chiacchiere...
Chloe si girò di scatto, riportando gli occhi verso il
ragazzo, palesando l’evidente sorpresa mentre, incerta,
abbandonava il suo nascondiglio, muovendo solo qualche passettino.
- Ma allora... tu sapevi che ero qui?
–domandò, tremante.
- Certo che lo sapevo...
–ammise Pierre, mentre smetteva di palleggiare, lasciando
riposare sul prato il pallone e posandovi sopra il piede, in appoggio.
- Eppure sembravi...
- Sì é vero...
stavo riflettendo... –mormorò lui, distogliendo lo
sguardo dalla figura della ragazza- Stavo rimuginando a quanto
é successo.
- Ah...
- Guarda che puoi avvicinarti... non ti
mangio mica, eh... –disse, liberando un piccolo sorriso
mentre gli occhi nocciola cercavano quelli di lei.
Chloe arrossì nuovamente, stavolta con più foga,
mentre ancora titubante, si avvicinava.
Pierre si guardò attorno, per poi scrutare perplesso alle
spalle della giovane.
- E tuo fratello? Dove lo hai mollato?
–chiese, curioso.
- Stava leggendo e quando gli ho detto
che uscivo a prendere una boccata d’aria, non ha fatto una
piega. Mi chiedo addirittura se mi abbia sentito... –ammise
lei, con una punta d’amarezza.
- Ovvio che ti ha sentito... e secondo
me, ha anche una vaga idea di dove tu sia andata... –disse,
con un sorrisetto malizioso, mettendola in ulteriore imbarazzo.
Si era fermata a breve distanza da lui e teneva le mani strette in
grembo, assieme allo sguardo basso.
Pierre la osservò attentamente.
La goffagine accentuata dalla timidezza la rendeva ancora
più tenera e molto carina...
- Volevo soprattutto accertarmi che stai
bene... –mormorò lei, senza mai risollevare gli
occhi.
- Ma certo che sto bene! Ho ancora un
pallone da calciare! –asserì lui, spavaldo,
gonfiando il petto ed assumendo quel modo di fare sicuro di
sé, ma poi aggiunse, sottovoce- Ma ti ringrazio di
così tanta premura.
- Ehm... di nulla... é...
é normale... –replicò lei, avvampando e
deglutendo a fatica.
La cosa fece sorridere Pierre che, abbandonato l’appoggio del
piede sul pallone, si diresse verso di lei.
Ad un soffio si arrestò, alzando una mano e prendendo con
delicatezza il mento della ragazza fra le dita, spingendolo verso
l’alto ed invitandola così a guardarlo negli occhi.
- Apprezzo molto che ti preoccupi per me,
Chloe... –sussurrò, con un sorriso dolce ad
increspare le labbra.
- Beh... io... ecco...
–balbettò lei, mentre negli occhi lucidi si
rifletteva l’immagine del ragazzo.
- Se non ricordo male, noi avevamo anche
un discorso in sospeso, no? –disse, ironico.
- Ah già! La torta!
–esclamò lei, prima di mordicchiarsi il labbro
inferiore- Ma credo che ormai, non mi resta che prepararne
un’altra... –aggiunse, con rassegnazione.
- Allora sarà ancora
più buona della prima! –le suggerì lui,
facendole un occhiolino malizioso, carico di complicità.
D’impulso, Chloe azzerrò la distanza e si
gettò fra le sue braccia, lasciando Pierre sbigottito.
Dapprima stupito, non poté far altro che sorridere
teneramente e ricambiare quell’abbraccio, con altrettanta
dolcezza.
- Io... io ho avuto così
paura... –mormorò lei, mentre affondava la faccia
nel petto di Pierre, nascondendola fra le mani che stringevano il
tessuto della maglietta- Pensavo che saremmo tutti morti... e che non
avrei mai potuto... –lasciando la frase in sospeso, mentre
serrava gli occhi.
- Che non avresti potuto cosa? Viziarmi
di nuovo con una torta? –chiese lui, mentre la teneva stretta
a sé, conservando intatta quella dolcezza che pochi
avrebbero sospettato.
- Che non avrei mai potuto rivederti...
–ammise, con un filo di voce, mentre distaccava il viso,
sollevando gli occhi.
Non c’era altro da aggiungere.
Il ragazzo sorrise ancora, riportando le dita a ghermirle il mento e
chinandosi lentamente, sino a sfiorarne le labbra in un bacio delicato.
Un attimo sospeso nel tempo, che pareva non finire mai.
Pierre riaprì allora gli occhi, allontanando le labbra dalla
sua bocca e guardandola.
Nello sguardo nocciola, erano evidenti i sentimenti che provava per
quella ragazza e quel bacio aveva cancellato ogni dubbio.
- Andiamo... prima che tuo fratello ci
venga a stanare... –mormorò, per poi recuperare il
tono divertito- Non ho molta voglia di correre per tutta la base,
inseguito da un gemello geloso! –aggiunse, scoppiando a
ridere.
Risata contagiosa, che coinvolse anche lei ed all’unisono,
lasciarono che quel momento di serenità inatteso risuonasse
nell’aria, apportando un pò di sollievo agli animi
straziati.
- Sì... andiamo...
–disse Chloe, mentre si allontava da lui, pronta ad avviarsi.
Pierre le cercò la mano e la strinse delicatamente nella
sua, prima di chinarsi a raccogliere il pallone ed incastrarlo sotto il
braccio libero.
Si mossero entrambi, lasciandosi alle spalle la pista da corsa e
facendo ritorno alla base.
Nota dell'autrice:
Ed eccovi
già il secondo capitolo!
Scrivo come un treno... si vede che ne ho proprio bisogno in questo
periodo! :P
E poi sono ispirata... u.u
Per adesso, ho deciso di postare un capitolo al giorno... ci
proverò, promesso!
Piaciuti Pierre e Chloe? Carini eh? *_*
Ho cercato di non essere troppo melensa, rispettando il carattere base
dei personaggi.
Per MiCin/Moko: continua così e giuro che mi vizierai con i
tuoi meravigliosi complimenti... *_*
Leggere le tue recensioni é un incoraggiamento grandioso per
andare avanti! ;)
Buona lettura a tutti... ^_^
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Capitolo 3 *** L'incertezza del futuro ***
Sophia sedeva ad uno dei tavoli, nell’ampia mensa, deserta.
Stringeva fra le dita una tazza, in cui restava un fondo di
thé.
Il verde sguardo era fisso sul recipiente e la donna sembrava assorta.
Non si accorse nemmeno del rumore delle porte scorrevoli che si
aprivano, mentre Jean Jerome entrava nella sala.
Anche lui pensieroso, non si avvide subito della donna, dirigendosi
verso uno dei vassoi che lasciava della frutta fresca a disposizione di
chiunque desiderasse servirsi.
Prese una mela ed osservandola soddisfatto, sorrise, prima di sfregarla
sulla divisa grigia della DEAVA, che ancora si ostinava ad indossare.
Mentre si voltava, pronto ad andarsene, colse con la coda
dell’occhio un dettaglio ed incuriosito, girò la
testa.
Stagliata contro la luce che filtrava dalle ampie finestre,
focalizzò l’attenzione sulla sagoma di Sophia, che
non riconobbe subito.
Muta ed immobile, sembrava assente.
Dapprima sorpreso e poi decisamente contento di trovarla lì,
Jean Jerome si avviò verso di lei, passandosi una mano nei
capelli grigio-scuri, prima di sistemarsi sul naso gli occhialetti
rettangolari dalle lenti arancioni.
Una smorfia che sperava essere seduttrice fece capolino sulle labbra.
- Sophia...
–mormorò, avvicinandosi al tavolo.
La donna sussultò, come se tornasse in sé e
girò il capo, inquadrando la figura del vice comandante, per
poi offrirgli un sorriso cortese, prestamente invitandolo a sedersi di
fronte a lei.
- Jean Jerome... mi perdoni, non
l’avevo sentita arrivare... –si scusò,
mentre riabbassava nuovamente gli occhi sulla tazza semivuota.
- Non puoi farne veramente a meno, eh
Sophia? –le rispose l’uomo, con tono scherzoso-
Ancora che ti ostini a darmi del Lei...
Sophia si concesse l’accenno d’una risata, sempre
contenuta.
- Scusami, Jean Jerome... E’ un
abitudine che non riesco a perdere.
Il vice comandante ne approfittò per dare un morso alla
mela, mentre Sophia alzava lentamente il capo, puntando lo sguardo in
quello di lui.
- Ed ora, che ne sarà della
DEAVA? E degli Element? –domandò, quasi a
bruciapelo, sorprendendo Jean Jerome, che smise di masticare.
Fu un istante, prima di deglutire e rispondere, assumendo
un’espressione fra il serio ed il disinteressato, mentre
tossicchiava per schiarirsi la voce.
- Per la DEAVA, é semplice.
Non ci occuperemo più di battaglie, dato che non esistono
più minacce per il genere umano. L’Aquarion
é andato perduto, ma nel peggiore dei casi, ci sono sempre i
Vector da combattimento, quelli ideati assieme alle Nuove Nazioni
Unite... e d’altronde, é con loro che lavoreremo
d’ora in poi, nel campo della ricerca e dello sviluppo
cibernetico e tecnologico, per trovare come aiutare i sopravvisuti
nella ricostruzione del pianeta e tornare così ad uno stato
di civiltà degno di questo nome...
–spiegò, puntualizzando.
- E gli Element? –chiese ancora
Sophia, mantenendo lo sguardo su Jean Jerome, che si
accontentò di sollevare le spalle.
- Beh, ormai non c’é
più bisogno di loro... quindi direi che sono liberi di
tornare a casa. Se poi alcuni volessero rimanere, non ci sarebbe
problema ma dovrebbero collaborare e fornire un aiuto effettivo nelle
ricerche.
- Capisco... –fu
l’unica risposta della donna, che riabbassò i
verdi occhi.
- E tu cosa farai? –le chiese
il vice comandante, mentre la osservava di sottecchi.
Sophia sospinse la sedia lontana dal tavolo, creando lo spazio
sufficiente per alzarsi in piedi, mentre recuperava la tazza.
- Ancora non lo so... dovrò
rifletterci... –disse, pacata, mentre muoveva un piccolo
inchino cortese alla volta dell’uomo, congedandosi e
voltandosi per lasciare la mensa.
Jean Jerome scattò in piedi, facendo quasi rovesciare la
sedia, mentre poggiava le mani sul tavolo. Enfasi che traspariva nella
voce, oltre che nei gesti.
- Ma resterai, vero? –chiese,
con trasporto, per poi strabuzzare gli occhi, rendendosi conto
d’essersi lasciato prendere dai sentimenti che provava nei
confronti della dottoressa. Tossicchiò nervosamente,
distogliendo lo sguardo e tentando di giustificarsi, laconico- Il tuo
aiuto é ancora prezioso qui, anche se non ci sono
più adolescenti a cui badare... In fondo, il tuo grado di
specializzazione nella biochimica molecolare é senza pari e
potrebbe rivelarsi fondamentale per gli studi futuri.
Sophia si fermò, voltandosi appena ad osservare Jean Jerome,
a cui rivolse un nuovo sorriso.
- Vedremo.
E così dicendo, lasciò la stanza.
L’uomo sospirò rumorosamente, lasciandosi ricadere
pesantemente sulla sedia e voltandosi a guardare lo spiazzo della
DEAVA, che si disegnava oltre i vetri.
Sophia studiava il paesaggio bagnato di sole ed ozioso nella calura del
pomeriggio estivo.
Era inginocchiata nei pressi del braciere, dove sobbolliva una pesante
pentola in ghisa, mentre Fudo era intento ad effettuare, con maniacale
cura, ogni gesto del Cha No Yu, la cerimonia del té a cui
sembrava essere molto legato.
Quella casa, in cui lei veniva spesso a trovare il Comandante,
rispecchiava perfettamente le tradizioni... l’arredamento
semplice ma elegante; lo stile stesso della costruzione dove non vi
erano pareti vere e proprie a separare le poche stanze ma pannelli
scorrevoli, dalle intelaiature che incorniciavano quadrati di carta di
riso; il tetto coperto di paglia...
Si trovavano in quello che pareva essere una specie di salottino, privo
d’ogni frivolezza ed inutile decorazione, riducendo al minimo
il mobilio e lo spazio stesso.
Fudo chiamava quella stanza “chashitsu”, ossia il
luogo dove venivano accolti gli ospiti ed effettuato il cerimoniale.
Sophia distolse gli occhi dal panorama, visibile oltre il pannello che
era stato lasciato aperto.
Le giungevano all’orecchio tutti quei piccoli rumori a cui
ormai era abituata e che amava, per la quiete e la serenità
che riuscivano a trasmettere.
Lo sguardo scivolò su Fudo.
Sembrava tenere le palpebre socchiuse, senza mai abbandonare
quell’espressione seria ed un pò burbera che
accentuavano il suo fascino intriso di mistero.
Avvolto in un kimono di seta dai toni scuri, muoveva ogni gesto con una
calma ed un contegno che ben richiamavano la filosofia zen a cui erano
ispirati.
Mescolava lentamente il té con il frullino di
bambù, mentre nella ciotolina, vorticava il liquido
profumato, elevando volute di vapore e formando un piccolo accenno di
schiuma, d’un verde chiaro.
Fu Sophia a rompere il silenzio.
- Lei cosa pensa di fare, Comandante?
Finisce veramente tutto così? –gli
domandò.
Fudo non smise di rimestare, restando silenzioso, prima di posare la
piccola ciotola dinnanzi alla ginocchia di Sophia e tornare composto
nella medesima posizione, appoggiando i palmi delle mani sulle
ginocchia.
Sembrava meditare e protasse ancora per lunghi attimi il proprio
mutismo, prima di lasciar fluire la voce bassa, leggermente roca.
- La parola fine é qualcosa
che l’uomo pone come condizione agli episodi della sua vita,
per giustificare la frustrazione nell’avvedersi dei propri
errori oltre alla mancanza di coraggio necessaria a perseguire il
proprio destino... –mormorò, senza mai riaprire
gli occhi, con quel suo solito comportamento criptico e impregnato di
calma che destabilizzava più d’una persona.
Sophia sospirò ancora, mentre portava alle labbra la
ciotola, sorseggiando il té caldo.
Nonostante Fudo non fosse sempre facile da comprendere, per lei ogni
sua parola era carica di significati, che riusciva ad interpretare
senza difficoltà.
Apprezzava quella figura, sempre così degna e corretta, che
nei momenti di panico generale riusciva a mantenere il proprio
autocontrollo, trasmettendo agli altri quel barlume di speranza
essenziale alla concentrazione, persino quando tutto sembrava ormai
perduto.
Di poche chiacchiere, Fudo si esprimeva solo per offrire importanti
lezioni di vita.
La dottoressa aveva sorriso, assistendo ai bizzarri allenamenti che
imponeva agli Element e ricordava come Apollo sembrasse non
sopportarlo, cercando più d’una volta, invano, di
prenderlo a pugni.
Ma il Comandante, conservando la sua compostezza, non gli aveva mai
permesso di riuscire nell’intento, schivando abilmente e
dimostrandogli che la sua pacatezza non aveva nulla da invidiare alla
veemente agilità del ragazzino.
Strano quanto quei due, in fondo, si assomigliassero... più
di quanto Apollo stentasse a credere.
Fudo era stata una delle persone ad aver maggior fiducia in lui, fin
dall’inizio, mentre per quasi tutti non era altro che una
bestia selvaggia sotto forma umana.
Apollo... Glen... Sirius... quegli Element che ora non erano
più parte della squadra...
Avevano sacrificato la loro vita, per il bene dell’intero
pianeta, e la loro devozione l’aveva profondamente scossa.
Sophia rimase in silenzio, bevendo a piccoli sorsi il té,
cercando di non lasciarsi sopraffare dalla tristezza.
Fudo era stato più che chiaro... ed ora sapeva cosa avrebbe
fatto.
Sarebbe rimasta alla base, ad occuparsi di Rina ed assistendo il
Comandante, qualora avesse avuto ancora bisogno di lei.
Nota dell'autrice:
Evvai! Siamo
già al terzo! *_*
Vi assicuro che mi sono dovuta fare violenza per introdurre Jean
Jerome... c'é poco da fare, mi é rimasto sulle
scatole da quando ho visto l'intero anime...>.<
Ma mi rendo conto, che in fondo, il mondo é bello
perché é vario e scassaombrelli come lui sono
necessari... (forse... u.u)
La mia migliore amica mi sta ancora chiedendo perché non gli
ho fatto ancora prendere fuoco... u.u
Ma senza di lui, come potremmo apprezzare in pieno la
genialità del grandissimo Fudo? *_*
Un uomo, un mito... *_____*
Si vede che lo amo? XD
Per scrivere la sua unica frase, mi sono dovuta dare le capocciate a
muro e cercare di partorire una frase in puro stile filosofico
"Fudiano"...
Vi assicuro che é stata una vera sfida... :S
Buona lettura a tutti... ^_^
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Capitolo 4 *** La fine d'un legame ***
Due settimane...
Il tempo scorreva, lento ma inesorabile.
Pochi giorni prima, Jean Jerome aveva convocato tutti gli Elements,
annunciando loro che la missione, per cui erano stati convocati in
passato alla DEAVA, era finita.
A loro la scelta se tornare nei loro paesi d’origine, alle
loro famiglie, oppure restare alla base, collaborando attivamente alle
ricerche condotte assieme alle Nuove Nazioni Unite.
Jean Jerome non aveva preteso una risposta immediata, lasciando
così ai ragazzi il tempo di pensarci.
Dal lato suo, Silvia si sentiva persa, senza riuscire a decidere cosa
fare.
Doveva occuparsi delle bambine, questo sì... ma a volte, la
sola idea di doversi sobbarcare delle responsabilità la
terrorizzava.
Come poteva occuparsi di Chibiko e Sabi se lei stessa non era che
un’adolescente, che del crescere in armonia sapeva
così poco?
Si sentiva dannatamente sola, ma troppo testarda... o forse troppo
fiera... per poter chiedere aiuto a chicchessia.
Non ricercava nemmeno più l’appoggio di Sophia.
Si teneva tutto dentro... i dubbi, le paure ed anche quel profondo,
immenso dolore, che non voleva proprio saperne di svanire, o
tutt’al più attenuarsi, con il passare dei giorni.
La giovane trascorreva gran parte del suo tempo a seguire con lo
sguardo i giochi delle bimbe, in giardino, cercando di non far
riaffiorare alla mente tutti i ricordi quel posto portava in
sé.
A volte, invidiava ferocemente la gioia e la spensieratezza con cui
Chibiko e Sabi riuscivano a giocare, come se il ricordo di Apollo non
bruciasse dentro.
Solo qualcosa da tenere a mente, ma senza dolore.
Silenziosa, si accorgeva d’osservare le rose che, ormai
private delle amorevoli cure del loro giardiniere, crescevano selvaggie
e disordinate.
Il loro stesso profumo sembrava cambiato da quando Sirius non
c’era più, tingendosi di malinconia, come se i
fiori avessero risposto allo stato d’animo che più
spesso albergava nei cuori di chi le ammirava.
Un giorno, mentre era intenta a sorvegliare le piccole, Silvia colse
con la coda dell’occhio una figura rannicchiata accanto ad
uno dei cespugli.
Curiosa, volse il capo, identificando rapidamente Reika.
Rimase sorpresa ad osservare lungamente la ragazza.
Da quando aveva deciso di tenere con sé in stanza le sue
protette, le due non dividevano più la stessa camera.
Bizzarri gli alti e bassi che identificavano il loro rapporto
d’amicizia.
Complici, legate da un destino comune e poi divise, ora si trovavano
nuovamente ad assomigliarsi terribilmente, nella sofferenza che le
accomunava.
Gli occhi verdi di Reika erano inondati di lacrime, ma come Silvia, non
si concedeva di sfogare quello che realmente provava e che preferiva
nascondere agli altri, per non richiamare inutile compassione.
In questo, ancora una volta, erano simili.
Reika, dal lato suo, continuava ad osservare le rose.
Tendeva la mano verso i fiori, senza osare toccarli, quasi temesse di
venir folgorata con quel semplice tocco, ricordando tutte le volte che
si era ritrovata lì con Sirius.
Lentamente, colse uno dei petali caduti ai piedi degli arbusti.
Sfregò fra i polpastrelli la dolce consistenza, come
velluto, che a contatto con il calore della pelle, sprigionò
la sua fragranza.
Un odore così meraviglioso e carico di malinconia...
Perché quel profumo le ricordava così tanto Glen?
Forse perché tante volte, assieme a Sirius, si erano
ritrovati in quel posto a parlare del più e del meno, a
discutere, a scambiare pareri sulle lezioni o sulle simulazioni.
Vi erano stati discorsi seri ed altri più divertenti, in cui
avevano riso insieme, complici in quei momenti di grande intesa.
Ma ciò che le faceva più male in assoluto era
sapere che li aveva persi, per sempre, per via della sua immancabile
sfortuna.
Se non fosse stato per colpa sua, Sirius non sarebbe mai andato ad
Atlandia...
Se solo avesse saputo dimostrargli quanto invece era importante per
lei, quanto avrebbe voluto che le restasse accanto.
E invece, aveva esitato... nel momento meno opportuno.
Ma in quell’istante, aveva avuto paura...
Paura di quelle piume cremisi che spuntavano dal polso di Sirius,
libere dal bracciale che le celava... paura di veder la storia
ripetersi e nel peggiore dei modi, a causa della sua sventura.
La sola volta che qualcuno era riuscito a vincere le sue difese,
risvegliando in lei sentimenti che non si credeva capace di provare,
Glen era finito in coma, prima di venire letteralmente usato come
esperimento, da parte delle Nuove Nazioni Unite, e programmato ad agire
come un automa.
Solo la voce di Reika era stata in grado di risvegliarlo da quello
stato...
Il suo ultimo saluto, il suo ultimo gesto, erano stati un sorriso ed
una mano tesa...
Una visione... prima di svanire nel nulla...
Per lei, quella era stata una certezza: Glen non aveva esitato ad
andare incontro ad una fine certa, per permettere
all’Aquarion di affrontare Toma.
E Sirius...
Anche lui si era sacrificato, per il bene
dell’umanità... si era in qualche sorta riscattato
dall’etichetta di traditore che gli era stata affibbiata, non
appena aveva voltato le spalle alla DEAVA per andarsene ad Atlandia...
Tutto questo perché entrambi le erano stati vicini...
avevano osato avvicinarsi, anche troppo, finendo contagiati dalla sua
maledizione...
Lo stesso era successo ad Apollo, quel bizzarro ragazzino che non
l’aveva mai giudicata e si era sempre schierato dalla sua
parte, dimostrandole un’amicizia ed una devozione che non
avrebbe mai sospettato.
Questo era il peso che avrebbe dovuto portarsi dentro per il resto
della sua esistenza... quell’orribile sensazione di
colpevolezza che si riaccendeva, ogni qualvolta il pensiero si
azzardava al ricordo dei tre Elements.
Silvia, che non aveva mai distolto lo sguardo da Reika, se non per
accertarsi che le bambine non stessero combinando guai, si
alzò e si diresse verso l’amica.
Apparentemente assorta, non si era nemmeno accorta di lei.
Si fermò alle sue spalle, allungando la mano per sfiorarle
la schiena.
Fu soltanto in quel momento che Reika sembrò ridestarsi ed
avvedendosi del movimento, scartò, mettendosi sulla
difensiva, pronta a scattare.
Il gesto sorprese Silvia, che arretrò sussultando.
- Reika... sono io...
–mormorò a mezza voce, mentre sgranava i grandi
occhi azzurri, impreparata a quella reazione.
La ragazza sembrò subito rilassarsi non appena la riconobbe
e lentamente, palesando un tenue sorriso, si rimise in piedi, sfregando
le mani per liberare i palmi dalla terra che vi si era depositata.
- Scusami, non ti avevo sentita
arrivare... ero immersa nei pensieri e non... –si
giustificò Reika, senza aggiungere altro.
- Non preoccuparti... succede spesso
anche a me... –ammise Silvia, senza riuscire ad aggiungere
altro.
Fu Reika stavolta a stendere il braccio, per toccarle la spalla e
dedicarle un sorriso.
- Ti ringrazio, Silvia...
–sincera nelle parole come nello sguardo verde intenso che
posava in quello azzurro.
Silvia ricambiò, mentre si affiancava alla coetanea,
tornando a sorvegliare Chibiko e Maggi, impegnate ad intrecciare corone
di margheritine.
Fra loro scivolò un silenzio pesante.
Inspiegabile fenomeno che ormai era denominatore comune per gli
Elements: dove prima esisteva l’amicizia, la
complicità e la condivisione, ora non restava che vuoto.
Rifuggivano lo sguardo degli altri, come se avessero il terrore di
trovarvi un dolore fin troppo grande, fin troppo simile a quello che
interiorizzavano, incapaci di esprimerlo.
E tutti cercavano di scacciare ricordi e pensieri legati ai tre
compagni scomparsi.
Non c’era modo di consolarsi, perché ognuno viveva
in maniera molto personale quella sofferenza e parlarne sembrava quasi
sminuirla.
Quel legame così speciale che li aveva uniti un tempo,
permettendo loro di superare prove ben più ardue, con la
morte di Apollo, Sirius e Glen sembrava essersi sgretolato, svanendo
completamente, come una manciata di polvere lanciata nel vento.
Silvia si volse verso Reika, palesando un debole sorriso.
- Ora é meglio che vada...
credo che quelle due abbiano bisogno d’un bagno prima di
cena... A dopo.
Un’ottima scusa, con cui la ragazza si allontanò,
dirigendosi verso le bambine, che si divertivano a far capriole
nell’erba alta.
Reika rimase sola, per alcuni attimi, prima di voltarsi ed avviarsi a
sua volta verso la base.
In pugno, gelosamente custodito fra le dita, vi era ancora il petalo
raccolto precedentemente.
Nota
dell'autrice:
Oh, ce l'abbiamo finalmente fatta!!! *_*
Scusatemi
immensamente se ci ho messo tanto ma sinceramente, scrivere questo
capitolo e quello successivo non é stato per niente facile.
Una
faticaccia!!! >.<
Poi vabbeh,
diciamo che per una decina di giorni, dovevo occuparmi d'altro e non
riuscivo a trovare il tempo e la serenità per scrivere.
Spero comunque
che troviate il risultato soddisfacente, degno dell'attesa.
E vi assicuro
che il prossimo capitolo é ancora più bello...
Buona lettura a
tutti! ^_^
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Capitolo 5 *** L'ultimo saluto ***
Notte serena, fatta di luna piena ed un pugno di stelle timide.
Aria tiepida, che trasportava i suoi profumi fin nei dormitori, dalle
finestre lasciate aperte per via del caldo.
Nella camera, tre figure dormivano, chi cullato da sogni pacifici, chi
invece tormentato da incubi.
Silvia, nel suo sonno agitato, aveva scostato tutte le coperte,
rigettandole alla fine del letto.
Rannicchiata su sé stessa, non manteneva la medesima
posizione per più d’una manciata di minuti, prima
di scattare, con movimenti nervosi.
Ed era proprio in quell’universo onirico che affrontava, per
l’ennesima volta, la sua agonia.
Si trovava immersa in una strana oscurità, che non riusciva
a turbarla, anzi.
Tutto era buio, ma stranamente trasmetteva calore e serenità.
Ed in quel limbo fatto di nulla, echeggiava, lento e regolare, il
battito del cuore... TU-TUM... TU-TUM...TU-TUM...
Avvolta da una sorta di luce perlescente, Silvia si guardava attorno,
senza timore...
Sapeva che qualcosa sarebbe accaduto... ed
attendeva...
Fino a quando la figura di Apollo non affiorò dalla tenebra,
davanti a lei.
Sembrava fluttuare, anche lui abbracciato da quel tenue riverbero.
Sorrideva dolcemente, guardandola negli occhi e tendendole la mano.
- Apollo! –mormorò
incredula, incerta se avvicinarsi o meno.
Ma quel sorriso, quella mano... erano così invitanti!
- Apollo... Apollo, sei tu? Sei proprio
tu? Sei tornato? Allora non mi hai abbandonata? –chiedeva,
con voce tremula di speranza, mentre il volto si rigava di lacrime.
Il ragazzo si avvicinò per cancellare, con il dorso delle
dita, quei solchi brucianti che il pianto sembrava scavare sul viso.
Silvia trasalì, socchiudendo le palpebre, inebriandosi di
quel tocco, tanto bramato e così reconfortante.
- Oh Apollo... ho creduto veramente di
perderti... mi sentivo così male... e tu non
c’eri...–continuò mentre
d’istinto le mani salivano per afferare quella che la
sfiorava.
E lì, i suoi polpastrelli non afferrarono che aria,
facendole spalancare gli occhi e gettare uno sguardo incredulo verso
quell’illusoria visione.
- Ma allora... ma allora tu...
–balbettò, mentre stille adamantine riprendevano
con foga a scendere sulle gote.
Apollo non disse una parola, mentre la sua mano sembrò
affondare nell’oscurità, scomparendo del tutto.
In preda al dolore, Silvia serrò gli occhi, urlando con
tutto il fiato che aveva in gola:
- Ti odio, Apollo! Ti odio!!! Come hai
potuto lasciarmi sola??? Pensavo che a me ci tenessi... e invece... E
INVECE NON TE NE IMPORTA NIENTE!!! –sbottò
frustrata e furiosa, ormai accecata da lampi di vivido dolore e dal
pianto.
Ed il cuore accellerava il suo battito...
TU-TUM..TU-TUM..TU-TUM..TU-TUM..
Solo allora, la voce del ragazzo risuonò, bassa e dolce.
- Tu ed io siamo una cosa sola. Non posso
farti del male senza ferirmi.
Silvia, scossa dai singhiozzi, a quelle parole si bloccò,
sollevando di scatto le iridi azzurre verso il giovane.
- A...Apollo...
–riuscì soltanto a mormorare, mentre si sforzava
d’inseguire l’apparizione..
Ma l’adolescente, lentamente, si allontanava... e la sua
immagine si stemperava, assorbita sempre più dalla tenebra.
- No... no, ti prego... Apollo... non te
ne andare... non... APOLLO!!! –gridò disperata
mentre la visione diveniva sempre più sfuocata.
Il cuore le batteva all’impazzata, talmente forte da
assordarla e stordirla, mentre ad ogni ispirazione aveva
l’impressione che stesse per scoppiarle in petto .
E fu quello il momento del brutale risveglio...
Stava urlando come una pazza, tanto che Chibiko e Sabi, preoccupate, la
scuotevano per risvegliarla.
Sgranò di colpo gli occhi e fu soltanto la sensazione della
pelle madida di sudore ed il respiro affannato a riportarla alla
realtà.
Era seduta nel suo letto, con le due bimbe che la guardavano, ognuna da
un lato del materasso, decisamente in pensiero.
Silvia tentò di riavviarsi i lunghi capelli biondi,
scompigliati ed incollati alla fronte sudata.
- Stai bene, Silvia? –chiese
con sincera premura Chibiko, mentre nella luce pallida della luna che
inondava la stanza, la osservava attentamente.
La giovane stava ancora riprendendo fiato, lottando contro quel senso
di giramento che la coglieva, ogni volta che si trovava catapultata dai
sogni al mondo reale...
Un sorriso tirato, stanco, rivolto alle due.
- Sì, non preoccuparti,
Chibi...
- Sei sicura? Sei veramente sicura?
–domandò Sabi, strattonandole il tessuto dei
calzoncini corti, per attirare tutta la sua attenzione.
- Ma sì... sicura... non
preoccupatevi... era solo un sogno...
- Ma veramente sembrava un incubo, visto
come ti muovevi e gridavi! –aggiunse Chibiko, scrutando
Silvia, quasi avesse paura di venir sgridata.
- Ma no che non era un incubo, Chibi!
Altrimenti perché avrebbe chiamato così tante
volte Apollo, eh? –affermò ingenuamente Sabi.
Silvia sorrise ad entrambe, mentre, lentamente, i battiti del cuore
rallentavano e ritrovava le forze necessarie per mettersi in piedi,
titubante, scendendo così dal letto.
- Sù... venite... meglio non
restare in piedi. E’ tardissimo! Vi rimetto a letto...
–le prese per mano e si avviò verso i lettini
gemelli sistemati nella stanza, poco lontani dal suo.
Mentre rimboccava le coperte a Chibiko, la piccola le chiese:
- Ma tu lo hai sentito quando ti ho
accarezzato la guancia perché stavi piangendo? –le
sussurrò mentre una parvenza di speranza le scivolava nella
voce.
Silvia trasalì, per un attimo delusa dal sapere che era
stata lei a sfiorarla... e non Apollo, come aveva sperato.
Ma alla fine, sorrise comunque alla piccolina, passandole una mano fra
i capelli.
- Sì che l’ho
sentito... grazie... –rispose, prima di chinarsi e posarle un
delicato bacio sulla fronte.
Si accertò che anche Sabi fosse a posto,
dopodiché si alzò, dirigendosi verso la finestra.
Liberò un lungo sospiro, osservando il paesaggio immerso nel
candore lunare mentre la tristezza tornava a farsi sentire.
Apollo... lo aveva sognato di nuovo.
Reclinò il capo, in modo da sfiorare il vetro con la fronte.
Per quanto ancora lo avrebbe visto nei suoi sogni? Per quanto avrebbe
continuato a sperare di poterlo toccare, anche solo una volta?
Per quanto avrebbe covato la certezza che lui non poteva essere morto
così... lasciandola sola, senza neppur suo fratello su cui
contare?
Trattene a stento un singhiozzo mentre stringeva i pugni lungo i
fianchi.
Doveva andare avanti... doveva superare quel dolore capace di
annichilirla e svuotarla d’ogni energia... doveva farlo... se
non per lei stessa, almeno per Sabi e Chibiko, per cui era diventata
come una sorella maggiore...
Un amaro sorriso fece capolino sulle labbra mentre pensava a quanto
poteva essere cambiata, in così poco tempo...
Un paio di mesi fa, alla sola idea d’una situazione simile,
sarebbe inorridita.
Non permetteva a nessuno di toccarla, senza il suo consenso e chiunque
ci avesse provato, aveva assaggiato la sua furia.
Non andava certo per il sottile e quel fisico gracile ed acerbo
nascondeva una forza insospettabile.
Apollo ne sapeva qualcosa!
Fece per sghignazzare, ma tacque di colpo.
Ecco... aveva di nuovo pensato a lui.
Sospirò ancora, scuotendo il capo sconsolata.
Quella notte non sarebbe riuscita a chiudere occhio... troppi pensieri
le vorticavano in testa... ed il loro fulcro non voleva saperne di
lasciarla in pace.
Indecisa, rimase ancora accanto alla finestra aperta, in silenzio,
ascoltando semplicemente il respiro cheto e regolare delle piccole.
Attese, fino a quando, sicura del loro sonno, si avviò
l’armadio.
Con molta cautela, ne estrasse una vestaglia di cotone leggero, rosa
confetto... il suo colore preferito.
Le venne da sorridere, pensando che se Apollo l’avesse
vista...
Scosse il capo con foga, rigettando il pensiero.
Basta pensare a lui! Non ne poteva proprio più!
Doveva prendere aria.
Facendo attenzione, uscì dalla stanza, assicurandosi che le
bambine non si svegliassero e felina, attraversò i corridoi
bui, immersi nel silenzio.
Scivolò come un fruscio verso l’esterno e fu con
un sospiro di sollievo che accolse la carezza dell’aria
fresca sulla pelle.
Si strinse nella vestaglia mentre lo sguardo fuggiva verso il cielo.
La luna dominava ancora ma lentamente, iniziava a declinare verso
l’orizzonte... segno dell’alba prossima, a cui
mancavano solo un paio d’ore.
Si guardò attorno, assaporando la quiete che regnava... era
quella l’atmosfera giusta per ritrovare la calma e la
serenità a cui anelava.
Si mise a vagare, senza meta, lasciando che i piedi scalzi sfiorassero
il terreno, senza far rumore.
Fu quindi con enorme stupore che si ritrovò in mezzo alle
rovine, in fondo al giardino.
Che strano posto... anche questo carico di ricordi, ma stranamente
questi non sembravano piegare l’animo al dolore.
Rimase ferma lì, pronta a voltarsi e tornare ai dormitori,
quando colse un dettaglio, prima mai notato.
Una stele... una sorta d’obelisco che spiccava nel chiarore
lunare.
Altro quasi 3 metri, issato sul suo piedestallo, si ergeva accanto al
piccolo laghetto dove era solita andare a ripescare Sabii e Chibiko,
quando andavano a pescar rane e finivano puntualmente a mollo.
Ma allora... perché non l’aveva mai notato?
Si accigliò e mosse pochi passi verso
quell’insolita scultura.
Mentre avanzava, il gracidio placido dei batraci cessò di
colpo, tanto da far sussultare la ragazza.
Un rumore alle spalle la fece voltare e si stupì nel vedere,
a breve distanza, Pierre.
- Pierre! –mormorò
osservando il ragazzo che le veniva incontro, sorpreso quanto lei- E tu
che ci fai qui?
- Potrei chiederti esattamente la stessa
cosa, Silvia! –asserì lui, schermando uno
sbadiglio.
- Beh... –abbassò lo
sguardo, con lieve imbarazzo- A dire il vero, non riuscivo a prendere
sonno. Ho deciso di prendere una boccata d’aria... e... mi
sono ritrovata qui, senza farlo apposta...
–spiegò, quasi timidamente, mentre si voltava, per
osservare nuovamente la stele- Tu l’avevi mai vista?
–gli chiese, indicando l’obelisco.
Il ragazzo scosse il capo, dopo essersi stropicciato gli occhi.
- No, a dire il vero no... ma non
é che vengo qui molto spesso.
- Ma che cosa...?
Silvia stava per parlare ancora, quando la voce di Reika sorprese sia
lei che Pierre.
- Reika! Anche tu qui?
–domandò incredulo il ragazzo.
Reika annuì mentre si avvicinava a sua volta.
- Già, stavo dormendo
così bene! Poi, di colpo, quello strano sogno e da allora...
impossibile chiudere occhio! –sbuffò,
stiracchiandosi.
- Quale sogno? –chiese Silvia
curiosa.
- Un sogno in cui vedevo...-Reika stava
per raccontare, ma si bloccò, guardando Silvia con
apprensione, mordendosi il labbro inferiore, incerta sul da farsi.
L’amica se ne accorse e subito, tentò di
rassicurarla.
- Per caso c’era Apollo nel tuo
sogno? –domandò, studiando Reika con estrema
attenzione.
La luce lunare era tale da rischiarare il buio mentre
l’approssimarsi dell’alba illuminava via via il
cielo, scolorendo il blu intenso e spegnendo le stelle una ad una.
- Beh... no... non proprio... ecco...
–Reika abbassò lo sguardo, con evidente imbarazzo.
- Andiamo Reika... da quando fai la
timida? –la canzonò Pierre- Se continui
così, potrei scambiarti per Tsugumi! – concluse
ridendo-
- Eh? Che ho fatto ancora, Senpai?
Pierre, Reika e Silvia strabuzzarono gli occhi,
nell’accorgersi dell’arrivo di Tsugumi, seguita
poco distante da Jun, visibilmente assonnato.
- E voi, da dove venite fuori?
–si stranì Pierre.
- Beh, noi... ecco... –Tsugumi
arrossì come un peperone, prima di abbassare lo sguardo,
facendo sorridere Reika.
Anche Jun sembrava visibilmente in difficoltà ma
trovò comunque il coraggio di parlare, balbettando.
- Noi stavamo giocando al computer...e...
senza accorgercene... ci siamo... ecco... addormentati...
- Sì ma io stavo sul letto e
Jun invece sulla poltrona! –si affrettò ad
aggiungereTsugumi, ancora imbarazzatissima.
- Ehi... non c’é
mica bisogno di puntualizzare... a meno che...
–sghignazzò Pierre mentre si avvicina a Jun,
dandogli delle piccole gomitate e facendogli l’occhiolino,
con fare malizioso.
- Oh no, Pierre... ma cosa vai pensando?!
–sbottò Jun, sprofondando nella vergogna.
Silvia e Reika non poterono fare a meno di scoppiare a ridere.
- Perché invece di prenderlo
in giro, non ti fai gli affari tuoi?
- Kurt!!
Le voci dei due gemelli raggiunsero i presenti.
- Non voglio nemmeno immaginare il come
del perché... –sospirò Reika.
- Ma... si può sapere che
succede? –si stupì Silvia- Non ditemi che anche
voi... il sogno...
- E tu come lo sai? –chiese
Chloe, avvicinandosi a Pierre ma non eccessivamente, per evitare
qualsiasi frecciatina da parte del fratello.
- Già, Silvia... come fai a
saperlo? –domandò Jun, sistemandosi gli
occhialetti sul naso.
- Perché il legame che esiste
fra gli Elements é qualcosa che trascede la ragione ed i
sentimenti.
Di scatto, tutto il gruppo si voltò verso
l’obelisco da cui proveniva la voce.
L’inconfondibile tono di Fudo, che non si palesò
subito, comparendo poi, di punto in bianco, al fianco della colonna di
pietra.
Uno scricchiolio di passi sul selciato li raggiunse.
- Sophia! Jean Jerome! Rina!
–Silvia non poteva crederci.... erano tutti presenti... e in
pigiama!
Rina era seduta sulla sua sedia automotrice, conservando sempre
quell’imperturbabile sorriso e lo sguardo fisso nel vuoto.
- Ma come fa a spuntare sempre dal nulla?
–sussurrò Jean Jerome a Sophia, indicando Fudo e
sistemando gli occhiali sbilenchi, in perfetto accordo con i capelli
completamente in disordine.
Fudo rimase in silenzio, tenendo le mani dietro la schiena e le
palpebre abbassate. Era il solo ad essere vestito.
- Per ricordare chi non é
più presente, ma sempre fra noi...
–spiegò Rina.
- Eh?! Ma non si poteva organizzare un
funerale degno di questo nome? Era proprio necessario venire qui in
piena notte? –sbuffò Jean Jerome, alquanto
scontento.
Fu Pierre a girarsi e posare un’occhiata severa sul vice
comandante, ora che era riuscito a cogliere gli intenti di Fudo.
- Non siamo qui per ricordare degli
eroi... siamo qui per salutare prima di tutto degli amici.
Quella semplice affermazione coinvolse tutti gli Elements, trasmettendo
loro una grande emozione... forse la prima in comune che provavano,
dopo settimane passate rinchiusi nel perfetto individualismo.
- Quando una delle frecce si spezza nel
colpire il bersaglio, non dobbiamo privare le altre due del loro scopo
primario, con la sola scusa che la paura di vederle rotte blocca la
nostra mano... –mormorò Fudo.
Tacque per lunghi istanti, in cui nessuno osò fiatare.
Poi, di colpo, gli occhi vennero riaperti, nel momento stesso in cui il
sole sountava dietro alle cime montagnose, rosicchiando via via il velo
del buio e dando così vita al giorno.
- Riflettiamo raramente a quanto
abbiamo... ma pensiamo sempre a quello che ci manca. Per i cuori
generosi, milioni di parole non hanno alcuna utilità.
Le parole risuonarono nell’aria, dove già si
spandeva il canto degli uccelli mattutini e la luce avanzava nella
vallata, come un’onda pigra ma inesorabile, raggiungendo
infine il gruppo e la stele.
Fu solo allora che, visibile agli occhi di tutti, sulla pietra, apparve
il simbolo scolpito in basso rielievo.
Un antico kanji... “Eternità”.
Quello che il sacrificio di tre amici e compagni aveva donato al
pianeta ed agli esseri umani, sconfiggendo la minaccia degli Angeli.
Quello che il loro ricordo rappresentava nel cuore di ogni presente.
Quello che sarebbe rimasto, malgrado tutto, del vincolo che li univa,
come persone e come Elements.
Rimasero in silenzio, fino a quando Silvia non distolse lo sguardo
dalla scultura, posandolo su un cespuglio di rose, poco distante.
In disparte rispetto agli altri, questo era diverso: la corolla era
bianca ma i petali, alle loro estremità, si tingevano
d’un rosso profondo, come se i boccioli fossero stati immersi
nel sangue, assorbendone il colore.
Accanto crescevano dei gigli selvatici, d’un candore
immacolato.
Senza riflettere, la ragazza si mosse sino ad avvicinarsi ai due
cespugli e cogliere un fiore da ciascuno, prendendo cura a non pungersi
con le spine del roseto.
In silenzio, li depositò ai piedi della stele.
Tutti i compagni, dapprima sorpresi da quel gesto, non poterono fare a
meno d’imitare, mossi dal medesimo sentimento.
Una volta offerto il loro ultimo saluto agli amici caduti, i ragazzi si
allontanarono lentamente, lasciando soltanto Fudo e Silvia accanto alla
scultura.
Fudo si mosse a sua volta, pronto ad allontanarsi, ma giunto ad altezza
di Silvia, si fermò e delicatamente, posò una
mano sulla spalla della ragazza.
- Non piangere per il sole che
tramonta... le lacrime t’impedirebbero di vedere nascere le
stelle... ricordalo, Principessa de Alicia.
E così dicendo, se ne andò.
Silvia rimase colpita dal gesto, come dalle parole... ma poi, alla
fine, si ritrovò a sorridere.
Aveva capito cosa le stava suggerendo il Comandante... ed ora, le
sembrava di essersi liberata d’un enorme peso che le gravava
sul cuore.
Un ultimo sguardo alla colonna di pietra, prima di girarsi e tornare
anche lei alla base.
Nota
dell'autrice: Allora??? Piaciuto??? *_*
Ho cercato di
non farlo troppo "strappalacrime" ma ammetto che mi ha commosso, alla
rilettura.
Forse adesso
capite perché ci ho messo un pò... dovevo rendere
l'effetto scenografico, senza scadere.
Sù
sù... ditemi che con questa lettura, un pò
più lunga del solito, riuscite a perdonarmi...
Vero? *_*
Ringrazio tutti
dell'attenzione e vi dico... al prossimo capitolo, sempre ricco
d'emozioni! ;)
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Capitolo 6 *** La partenza ***
Erano appena le 8 del mattino, eppure già faceva caldo.
Lo spiazzo antistante la base era affollato, nonostante l’ora.
Tutti gli Elements erano lì, chi pronto a partire, chi
invece presente per salutare gli amici.
Pierre sbuffò mentre sistemava il borsone nel bagagliaio del
taxi, prima di voltarsi ed avviarsi verso Chloe, anche lei intenta a
sistemare le valigie nella vettura che era stata messa a disposizione
per lei e suo fratello.
- Cavoli! Pensavo che una ragazza si
portasse sempre un milione di cose appresso!
–esclamò Pierre, gettando un’occhiata ai
pochi bagagli, prima di darle una mano a caricare le borse.
La giovane non disse nulla, impegnata non solo nello sforzo fisico ma
anche nel trattenere le lacrime che bruciavano negli occhi, pronte a
scaturire se solo si fosse concessa un attimo di debolezza.
Aveva osservato lungamente Silvia e Reika, rendendosi conto di quanto
coraggio le due impiegassero per non esprimere la loro sofferenza e si
era intestardita a voler fare lo stesso.
Per fierezza... ma anche per non sentirsi inferiore a loro
nell’autocontrollo.
In fondo, anche lei era un Element e doveva essere forte.
Ma ora che la partenza era imminente ed il momento della separazione
era giunto, trovava insopportabile il doversi tenere dentro tutti quei
sentimenti che la soffocavano...
Soprattutto quando osservava di sottecchi Pierre.
Le sembrava che il cuore fosse stretto in una morsa dolorosa, come
d’acciaio, che non le lasciava alcuna tregua.
Non lo avrebbe più rivisto...
Le aree dove vivevano erano veramente troppo lontane e per di
più, Kurt si era premurato di scoraggiarla la sera prima,
assicurandole che se pur si fossero continuati a frequentare, la
distanza avrebbe finito con l’indebolire il loro legame,
così recente ed instabile, e che Pierre, alla fine, sarebbe
tornato ad essere il donnaiolo di sempre, inseguendo bellezze esotiche
che sicuramente non mancavano nel suo paese.
Chloe si era guardata allo specchio, sospirando.
Già... figuriamoci se lui fosse rimasto fedele.
Era passato veramente troppo poco tempo da quando si erano baciati e
nessuno dei due aveva mai confessato all’altro quello che
veramente provava...
Passò le dita sottili sul volto, rimirando i tratti che si
rispecchiavano.
Quella pelle così chiara, quasi alabastrina; i capelli
tenuti sempre legati, impeccabili, di quel particolar colore chiaro,
rarissimo... un azzurro scolorito che virava all’indaco; gli
occhi viola, profondi e a volte fin troppi seri.
Scosse il capo.
No... era inutile farsi illusioni.
Immaginava le altre come donne stupende, dalle forme generose e mature,
dalle chiome scure ed opulente, abbronzate tutto l’anno e
dalla vitalità contagiosa, a cui nessun uomo avrebbe potuto
resistere.
Non c’era voluto molto a Kurt per convincere la sorella a
rassegnarsi ed il ragazzo si compiaceva di quella strategia.
Aveva funzionato!
Adesso non restava che sperare: con il tempo, lei lo avrebbe
dimenticato, forse soffrendoci un poco ma era necessario.
Era pronto a tutto, anche ad assumendosi il ruolo di confidente
consolatore... certamente ipocrita, ma che importava?
La fine giusticava i mezzi, no?
Chloe doveva assolutamente toglierselo dalla testa, quello scapestrato
senza cervello, bravo soltanto a calciar palloni e fare il cascamorto.
Non poteva renderla felice... sarebbero solo stato capace di ferirla e
deluderla e sinceramente, Kurt non intendeva assistere impotente a
quello scempio.
Quando vide Pierre avvicinarsi alla gemella, digrignò i
denti, stringendo i pugni, pronto ad avviarsi verso lo scocciatore, per
allontanarlo senza complimenti, quando una mano si chiuse attorno al
suo braccio.
Una presa decisa ma delicata.
Si voltò, sussultando stupito, e si trovò davanti
Reika.
- Lasciali stare, Kurt... In fondo,
é il loro addio... Permetti che condividano almeno
quest’ultimo momento insieme.
Kurt mugugnò parole incomprensibili, reprimendo il suo
scatto e palesando una smorfia imbronciata.
- Preferirei vederlo il più
lontano possibile da Chloe... –borbottò, scontento.
Reika accentuò il sorriso, mentre si voltava ad osservare i
due in questione e poi, levar un’occhiata carica
d’ironia verso il giovane.
- Non so dire se la tua é
iperprotettività o pura e semplice gelosia...
–affermò, prima di chinarsi a prendere il grosso
zaino, dirigendosi verso una delle macchine che attendevano di partire.
Kurt sgranò gli occhi, restando a bocca aperta.
Avrebbe voluto ribattere, ma Reika si era già allontanata.
Sbuffò, incrociando le braccia al petto, senza riuscire a
rassenerarsi, visibilmente teso ed irritato dalla vicinanza fra la
gemella e Pierre.
Li guardava attentamente, tenendo d’occhio ogni singolo gesto
del calciatore.
Intanto, Pierre e Chloe avevano finito di caricare i bagagli ed ora, si
guardavano negli occhi.
C’era imbarazzo ma anche evidente tristezza negli sguardi che
si concedevano.
Il ragazzo cercò di sdrammatizzare, come al solito.
- Allora, mi raccomando, scrivimi eh? Ci
conto! E ricordati la promessa! Hai detto che saresti venuta a
trovarmi...-poi chinandosi a sussurrarle-... e vedi di rinchiudere tuo
fratello nello sgabuzzino mentre sei da me. Non ho voglia di
festeggiare il Carnevale in anticipo per colpa sua!
Chloe rise, suo malgrado, mentre immaginava facilmente il genere di
scene che potevano benissimo accadere se Kurt avesse deciso di litigare
con Pierre, per colpa sua.
Tornò dolce, mentre gli occhi continuavano a rilucere di
lacrime.
- Non preoccuparti... ti
scriverò tutti i giorni... e se vuoi, ci sentiremo anche via
telefono... –così dicendo, estrasse da una delle
tasche della giacca un bigliettino- Ecco, qui ti ho appuntato i miei
numeri.
- Wow! –esclamò
Pierre, alternando lo sguardo nocciola fra lei ed il pezzetto di carta,
prima d’imbronciarsi- ma sei sicura che non rischio di
capitare su Kurt se ti chiamo? Quello sarebbe capace di sbattermi il
telefono in faccia senza neanche dirti che ho telefonato!
–sbuffò.
Chloe sorrise nuovamente.
- No sta tranquillo... Questo numero
é quello della mia linea privata...così mio
fratello non potrà intercettare le telefonate!
Pierre sospirò, decisamente più sollevato.
- Fiù... allora va bene...
–mormorò, tornando silente.
Attorno a loro fremevano i preparativi, eppure rimasero muti ed
immobili, come se nessuno dei due sapesse bene come salutarsi.
Fu ancora una volta Chloe a spezzare la tensione, lanciandosi ad
abbracciarlo.
Pierre fu sorpreso, ma dopo un istante, non esitò a
ricambiare la stretta, tenendola contro di sé ed
inebriandosi del suo profumo e del suo calore.
- Mi mancherai...
–mormorò lei, con voce incrinata
dall’emozione, mentre stringeva le palpebre per ricacciare
quelle lacrime ormai inevitabili.
Lui le accarezzò la testa, posando un piccolo bacio sui suoi
capelli.
- Anche tu mi mancherai, Chloe... e
prometto di scriverti e di telefonarti ogni volta che ne
sentirò il bisogno...
Quella semplice frase fece irrigidire la giovane, che subito
ripensò a quanto Kurt le aveva detto.
Ma ora no... non voleva pensarci...
Voleva illudersi che lui l’amasse quanto lei lo amava.
Magari questa bugia che si ripeteva l’avrebbe fatta pentire
amaramente un giorno, ma per adesso, non le importava.
Non voleva perdere un solo secondo assieme a lui.
Poco lontano, Silvia stava raggruppando le sue valigie e quelle di Sabi
e Chibiko, che giocavano ad inseguirsi, facendo il giro delle macchine,
strillando gioiose.
L’adolescente le osservò, abbozzando un sorriso.
Quanta energia e quanta gioia, anche in quel giorno che metteva
nuovamente a dura prova gli animi di tutti.
- Allora, hai deciso la destinazione?
Quella voce alle spalle fece voltare Silvia, che rapidamente
incontrò lo sguardo verde di Reika.
Indossava una camicia bianca, leggermente attillata e dei pantaloni
neri, piuttosto ampi.
Un abbigliamento da uomo, se non fosse che le armoniose curve femminili
s’indovinavano facilmente, nonostante la sobrietà
delle linee dei vestiti.
- Sì... ho uno zio che vive
nella Quarta Area Mediterranea... Possiede una grande tenuta, dove
alleva cavalli e coltiva olive ed agrumi, oltre ad un immenso vigneto.
Andremo a stare da lui. Alle bambine farà bene scoprire
altri luoghi, pur restando libere di scorrazzare in campagna.
- Bene... ne sono lieta...
–rispose Reika, abbozzando un tenue sorriso.
- Silvia! Senpai!
La voce di Tsugumi le raggiunse, mentre la ragazza dagli occhialetti si
avvicinava, seguita a ruota da Jun.
Entrambi, avevano deciso di restare alla base, offrendo le loro
conoscenze approfondite nel campo della meccanica,
dell’ingegneria e dell’informatica.
Lo sguardo di Tsugumi si alternava da una all’altra ed erano
toccanti i lacrimoni che minacciavano, facendola sembrare una bambina.
- Ci mancherete da matti!
–esclamò, sincera, mentre cercava supporto e
consenso da Jun.
Il giovane sorrise, posando un braccio attorno alle spalle della
coetanea, per rassicurarla, seppur era visibilmente emozionato anche
lui da quei saluti.
- Dai Tsugumi... non preoccuparti. Ci
scriveremo spesso...–cercò di rinfrancarla Reika.
- Sicuramente! Ed ogni tanto,
approfittatene per venire dalle nostre parti, mi raccomando!
–l’appoggiò Silvia, sfoggiando un
sorriso rassicurante.
Tsugumi tirò rumorosamente sù con il naso, mentre
teneva gli occhi bassi.
- E voi, verrete a trovarci?
–chiese alle due, ingenuamente.
Quella domanda colse Silvia e Reika impreparate, facendo immediatamente
riaffiorare i ricordi legati alla DEAVA ed ai tre amici deceduti.
Jun se ne accorse e cercò di smorzare la tensione.
- Ehm... sì certo Tsugumi...
ma non sarebbe più bello andare noi a scoprire posti nuovi?
Avremo anche delle ottime guide! –esclamò,
tentando di apparire sereno e facendo l’occhiolino alla
ragazza.
Fu uno sguardo carico di gratitudine che ricevette da parte di Silvia e
di Reika, mentre la prima si avvicinava d’un passo.
- Ora é meglio andare, o
arriveremo in ritardo all’aeroporto.
Così dicendo, si protese per cingere Tsugumi e Jun.
Quando abbracciò Reika, questa le sussurrò
all’orecchio:
- Abbi cura di te e dei piccoli...
Silvia annuì.
- E tu non sparire nel nulla, va bene? –disse mentre si
distaccava, accarezzando il braccio dell’amica, prima di
salire nel taxi.
Reika abbracciò a sua volta i due amici rimasti, in un
silenzio perfetto.
Si disciolse dal vincolo, aprendo la portiera e salendo in macchina,
sistemandosi sul sedile posteriore.
Tsugumi si avvicinò al finestrino aperto.
- Senpai... mi mancherai...
–esclamò, mentre le lacrime cominciavano a rigare
il volto dai tratti ancora impregnati dell’infanzia- E questo
lo terrò sempre con me!
Così dicendo, aprì il palmo della destra,
rivelando un piccolo bottone dorato.
Reika si stupì, sgranando gli occhi ed alternando lo sguardo
fra la ragazza e l’oggetto.
- Tsugumi, ma ce l’hai
ancora... –mormorò, incredula.
- Sì Senpai... e non
l’abbandono mai... –rispose Tsugumi, mentre il
sorriso tremulo non riusciva a fermare il pianto.
Reika sorrise, alzando la mano a sfiorare quella dell’amica.
- Sù, smetti di piangere o
finirai con il far esplodere qualcosa! –liberarando una breve
risata. Tornò seria, continuando a guardare negli occhi la
ragazza- Resta vicina a Jun, mi raccomando.
- Sì Senpai Reika... te lo
prometto... –rispose l’altra, con voce spezzata
dall’emozione.
- E cerca di renderti conto che
é innamorato perso di te.
Tsugumi arrossì violentemente, allontanandosi dal finestrino
e nascondendosi la bocca dietro le mani.
Jun... ma come poteva?... non ci aveva mai pensato prima... non se ne
era accorta minimamente che il ragazzo era...
Rimase profondamente turbata ed imbarazzata, senza più
riuscire a spiccicar parola.
Reika sorrise, prima di chinarsi e far cenno all’autista.
- Possiamo andare...
Pierre, Kurt e Chloe, Reika, Silvia e le bambine salirono nelle
rispettive vetture.
Lentamente, la colonna di macchine si avviò lungo la stretta
via che conduceva verso il centro della città.
Le auto sparirono, acquisendo velocità e svoltando nella
prima curva, sigillando così la fine d’un periodo
in cui avevano condiviso alti e bassi, ma che li aveva visti maturare.
Sullo spiazzo, restavano Sophia e Rina, mentre gli altri erano
già rientrati.
La dottoressa sospirò, tenendo intrecciate le braccia al
petto.
Senza bisogno di voltarsi, Rina, che teneva lo sguardo cieco dinnanzi a
sé e l’imperturbabile sorriso, spezzò
il silenzio.
- Anche tu sei convinta che si tratta
davvero d’un addio, Sophia? –le chiese.
- Posso capire perfettamente che molti di
quei ragazzi non torneranno mai più qui... almeno fino a
quando non saranno riusciti ad accettare la perdita dei loro compagni
–ammise la donna, con una punta di tristezza.
Le dispiaceva sinceramente l’idea di non rivedere
più Silvia e gli altri, ma restava fiduciosa: sarebbero
cresciuti armoniosi, arricchiti dall’esperienza unica che
avevano condiviso.
- Non credo che il Comandante avesse
torto, dicendo che il legame fra gli Element é qualcosa che
non si può spezzare... –affermò la
giovane vampira.
Sophia abbassò lo sguardo verde, osservandola per lunghi
istanti, prima d’abbozzare un sorriso e tornare a puntare gli
occhi nel punto in cui le vetture erano svanite.
- Già... anche io ho questa
impressione, Rina...
Così dicendo, le due si mossero, facendo ritorno
all’interno.
Da dietro l’ampia vetrata della mensa, il Comandante Gen Fudo
era rimasto ad osservare i preparativi e la partenza.
Teneva le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo nocciola
seguiva ogni movimento, senza perdere neppur il più
insignificante dei dettagli.
Quando i taxi erano scomparsi dalla visuale, l’uomo aveva
semplice socchiuso le palpebre, avviandosi fuori dalla sala a passo
lento, senza mai aver proferito una singola parola.
Nota
dell'autrice:
Oh, abbiamo ripreso a scrivere con la giusta cadenza... :P
Lo so, la sto
tirando un pò per le lunghe ma vi assicuro che é
necessario.
Diciamo che vi
torturo con l'attesa per farvi più contenti quando
arriverà il clou della situazione.
Sù
sù... siate pazienti! u.u
Buona lettura a
tutti!
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