Burning like ice

di Soly_D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meet again ***
Capitolo 2: *** First date ***
Capitolo 3: *** The wedding (part 1) ***



Capitolo 1
*** Meet again ***


contest

Burning like ice


#01. Meet again

Shōto camminava per le strade della città con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo basso e la visiera del berretto calata sulla fronte per nascondere l’inconfondibile capigliatura per metà bianca e per metà rossa, capace di attirare un fan desideroso di foto e autografo almeno ogni cento metri. Non che la cosa gli desse particolarmente fastidio – quello che sbraitava contro i fan troppo accaniti era Bakugō – ma dopo una giornata lunga ed estenuante in cui si era dedicato anima e corpo al suo lavoro, Shōto desiderava solo tornare a casa, farsi un lungo bagno caldo, mettere qualcosa sotto i denti e infilarsi sotto le coperte per riposare le membra stanche e indolenzite.
Tuttavia, ad un certo punto del tragitto, avvertendo delle urla provenienti da un vicolo cieco, Shōto si rese conto che i suoi piani per la serata avrebbero dovuto aspettare ancora un po’. Addentrandosi nel vicolo, infatti, trovò un gigantesco ammasso d’acqua dalla forma antropomorfa girato di spalle: aveva bloccato una persona contro il muro e minacciava di farla affogare con la stessa consistenza del suo corpo se non gli avesse consegnato tutti i suoi soldi e oggetti di valore.
Con un sospiro frustrato per quella giornata che sembrava non voler mai giungere al termine, Shōto raccolse gli ultimi residui di eroismo che gli erano rimasti in corpo e batté il piede destro per terra congelando il tratto di strada che lo separava dal villain, il quale, non essendosi accorto di nulla, diventò in pochi attimi una statua di ghiaccio. La scelta di utilizzare il suo lato destro anziché quello sinistro non aveva nulla a che fare con la storia di suo padre – Shōto l’aveva ormai superata da parecchio tempo, soprattutto grazie all’aiuto di Midoriya, ed ora utilizzava tranquillamente l’uno e l’altro potere, insieme o singolarmente a seconda del caso. L’unico motivo per cui aveva preferito fermare quel villain con il ghiaccio e non con il fuoco era il fatto che probabilmente, se fatto evaporare, il mostro avrebbe ripreso in poco tempo la sua forma liquida originaria. Congelandolo, invece, non gli avrebbe lasciato alcuna via di scampo.
Una volta fatto il suo dovere, Shōto si preparò ad essere sommerso dai ringraziamenti della persona che aveva salvato, ma ciò che gli arrivò all’orecchio fu invece l’eco del proprio nome pronunciato da una voce femminile decisamente familiare (e piacevole).
«Todoroki-kun!».
Tutto si sarebbe aspettato, Shōto, tranne che di veder spuntare la figura slanciata di Yaoyorozu Momo da dietro l’imponente statua di ghiaccio.
«Yaoyorozu…».
L’eroina gli veniva incontro con un sorriso stampato sul volto e un braccio sollevato in segno di saluto, e Shōto non poté fare a meno di squadrarla più del dovuto: era cresciuta in altezza e anche le sue curve, già generose ai tempi della scuola, sembravano essersi fatte ancora più sinuose e mature, messe in evidenza dall’attillato corpetto rosso aperto sul davanti affinché l’eroina potesse facilmente creare dal busto tutto ciò di cui avesse bisogno per combattere. La voluminosa coda nera, ora, le arrivava praticamente ai fianchi danzando morbidamente sulla sua schiena ad ogni passo, ma gli occhi erano rimasti gli stessi: grandi occhi neri dalla punta leggermente allungata, occhi dolci e allo stesso tempo determinati, umili e privi di arroganza nonostante lo sfarzo al quale Yaoyorozu, essendo di famiglia benestante, fosse da sempre abituata. A Shōto erano sempre piaciuti i suoi occhi – più dei seni grossi e tondi che varie volte, a scuola, aveva intravisto (forse) per sbaglio durante gli allenamenti o gli scontri, più dei fianchi morbidi e delle gambe lunghe e snelle lasciate costantemente scoperte dalla cortissima gonna gialla per la felicità di tutto il pubblico maschile (e non).
Negli ultimi tempi, infatti, Yaoyorozu sembrava apparire più spesso nelle vesti di fotomodella per gli spot televisivi che nelle vesti di eroina per le strade della città, segno che era ormai scesa a patti con il fatto che la sua bellezza l’avrebbe condotta tanto lontano quanto il suo Quirk o forse anche di più. Era, insomma, la degna erede di Uwabami, l’avvenente Snake Hero presso la quale Yaoyorozu aveva svolto il tirocinio ai tempi della scuola e che l’aveva assunta nella sua agenzia subito dopo il diploma.
«Ti ringrazio per l’aiuto», disse Yaoyorozu a Shōto, non appena gli arrivò di fronte. «In effetti, ero parecchio in difficoltà con quel villain: ho provato a creare un’aspirapolvere per risucchiare via tutta quell’acqua, ma la pressione non era abbastanza forte».
«Non c’è bisogno che mi ringrazi», rispose Shōto con tono neutro. «Semplicemente, in questo caso, il mio Quirk era più adatto del tuo». E lo pensava davvero: in più occasioni, Yaoyorozu si era dimostrata tanto forte quanto intelligente e Shōto l’aveva sempre ammirata per questo.
«Non fare il modesto», lo rimproverò scherzosamente l’eroina. «Il tuo Quirk è sempre più adatto di qualunque altro Quirk».
A quel punto Shōto si rese conto che quella era la prima volta che lui e Yaoyorozu si rivolgevano la parola dalla fine della scuola. Dopo il diploma, infatti, un po’ perché indaffarati a farsi un nome in qualità di eroi e un po’ perché non avevano mai stretto un’amicizia veramente forte, si erano completamente persi di vista limitandosi a salutarsi di striscio le rare volte in cui si incrociavano per le strade della città, ma ora che Yaoyorozu era lì di fronte a lui, così bella e genuina, Shōto pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affatto riprendere e mantenere i contatti con lei così come li manteneva con Midoriya, Bakugō e pochi altri.
E forse Shōto avrebbe approfittato della situazione per scambiare due chiacchiere con la sua ex compagna di scuola, se solo non avesse avvertito in lontananza il suono delle sirene della polizia.
«Ti lascio il merito dello scontro, va bene? Ho fretta di tornare a casa», disse sbrigativamente a Yaoyorozu desiderando dileguarsi il prima possibile, dato che non aveva assolutamente voglia di fare rapporto ai poliziotti né tantomeno di essere portato al pronto soccorso per controlli medici di cui non aveva affatto bisogno.
«…Cosa?! No, aspetta! Non è affatto giusto, il merito è solo tuo!», esclamò l’eroina con gli occhi infiammati di senso della giustizia. «E poi come gliela spiego alla polizia quella statua di ghiaccio?!».
«Sono sicuro che troverai una soluzione. Ci vediamo, Yaoyorozu».
Shōto si voltò riabbassandosi la visiera del berretto sulla fronte e mosse appena qualche passo in direzione dell’uscita del vicolo, quando la voce dell’eroina gli riempì nuovamente le orecchie.
«Todoroki-kun!».
Shōto si bloccò sul posto e ruotò solo il busto per sentire cosa avesse da dirgli Yaoyorozu di tanto importante.
«Permettimi di offrirti almeno un caffè per sdebitarmi», propose Yaoyorozu riaccorciando la distanza che li separava fino a pararsi nuovamente di fronte a lui.
«Non ce n’è bisogno, Yaoyorozu, davvero. Devo andare». Shōto marcò le ultime due parole con la speranza che la conversazione terminasse lì – si sarebbe volentieri attardato con lei se solo la polizia non fosse stata così vicina.
«Domani sera al bar che ha appena aperto di fronte al parco», insistette Yaoyorozu. «Ti va bene alle nove?».
Shōto non trovò alcun motivo per rifiutare: in fondo, era stato lui stesso a pensare che fosse davvero un peccato aver smesso di frequentare Yaoyorozu e quale occasione migliore per recuperare il loro rapporto se non quella di prendersi un caffè insieme?
«Alle nove», ripeté Shōto piegando un angolo della bocca in un sorriso, poco prima di voltarsi nuovamente e raggiungere in poche falcate l’uscita del vicolo.
L’ultima cosa che sentì svoltando l’angolo fu un forte e chiaro «Ci conto, Todoroki-kun!», in parte sovrastato dal suono delle sirene della polizia giunta in soccorso della bella Creati.

***

Immersa sotto il getto dell’acqua calda che lavava via la stanchezza e il sudore dal suo corpo, Momo non faceva altro che ripensare all’incontro con Todoroki Shōto avuto giusto un paio d’ore prima. L’aveva trovato decisamente più alto e più robusto di quanto ricordasse, ma al di là delle spalle ampie e dei muscoli guizzanti al di sotto della stoffa blu del costume da eroe, il cambiamento principale era il suo nuovo taglio di capelli: mentre ai tempi della scuola gli ricadevano lunghi e lisci sopra la fronte, ora Todoroki li teneva corti e leggermente rivolti all’insù sopra la testa, cosicché il suo volto ora appariva molto più aperto e luminoso di prima, con la cicatrice dell’ustione in bella vista. Momo non aveva mai pensato che quella macchia rossastra – ricordo di un passato non propriamente felice – deturpasse il viso di Todoroki, anzi, gli dava un’aria vissuta capace di renderlo ancora più affascinante.
Un po’ perché gli era veramente grata per averla aiutata con Wateri* – così diceva di chiamarsi il villain d’acqua – e un po’ perché aveva una cotta per Todoroki dai tempi della scuola, alla fine Momo aveva trovato l’occasione e il coraggio di strappargli una sorta di mezzo appuntamento dopo ben cinque anni passati a guardarlo da lontano e a chiedersi con che scusa avrebbe potuto rompere il ghiaccio (letteralmente, perché non avrebbe potuto esserci metafora più adeguata per descrivere l’apparente corazza fredda dietro la quale Todoroki nascondeva le proprie emozioni).
Con sommo piacere di Momo, l’eroe aveva accettato il suo invito, dandole conferma di non essergli affatto indifferente. L’aveva notato, Momo, il modo in cui Todoroki la guardava: era sì attratto da lei fisicamente al pari di tanti altri uomini, ma il suo sguardo era sempre stato diverso, più sincero e meno lascivo, capace di andare oltre l’apparenza alla ricerca di ciò che aveva dentro. O almeno era questo che Momo percepiva sperando davvero di non sbagliarsi. Magari, con un po’ di fortuna, quell’incontro tra loro due avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di più…
Momo si sentì arrossire al pensiero di come sarebbe stato bello lasciarsi stringere dalle braccia forti e muscolose di Todoroki, accarezzargli con una mano i ciuffi rossi e con l’altra quelli bianchi, tastare la pelle sensibile della cicatrice, scoprire che sapore avessero le sue labbra sottili.
Sentendosi improvvisamente più accaldata del dovuto, Momo regolò il getto della doccia ad una temperatura più bassa per placare gli ormoni in subbuglio e si impose di rimanere con i piedi per terra, di non correre troppo finché non avesse avuto la certezza che Todoroki provasse per lei qualcosa di più della pura attrazione fisica.
Dopo la doccia, Momo si concesse una cena veloce e poi si infilò nel letto, ma in realtà non riuscì a dormire molto, agitata al pensiero che la sera successiva avrebbe passato del tempo con Todoroki in vesti diverse da quelle di eroe o collega.
Il giorno dopo trascorse velocemente: dopo un book fotografico che le occupò l’intera mattinata, Momo si dedicò ad un allenamento intensivo per potenziare il suo Quirk ed essere pronta ad intervenire in caso di crimini o incidenti. La professione di fotomodella, tutto sommato, le piaceva e le forniva uno stipendio piuttosto ingente che, sommandosi al patrimonio ereditato dalla sua famiglia, le permetteva di condurre una vita decisamente agiata, ma non per questo Momo era disposta ad abbandonare il suo sogno di fare l’eroina: il privilegio di poter indossare un bel vestito elegante, cenare in un ristorante di lusso ed essere continuamente corteggiata e riverita, era totalmente insignificante se paragonato alla soddisfazione di salvare quante più vite possibili.
Quel giorno, comunque, Momo non ricevette nessuna chiamata urgente – le strade della città erano insolitamente tranquille – quindi, dopo il consueto giro di ronda serale, si ritirò a casa, ansiosa di prepararsi in vista del suo quasi appuntamento con Todoroki a cui, sperava, ne sarebbero seguiti molti altri.





*Wateri: dall’inglese water (acqua), l’ho inventato di sana pianta XD





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Capitolo 2
*** First date ***


contest

Burning like ice


#02. First date

Erano le nove meno un quarto e Shōto sfrecciava per le strade della città a bordo della sua costosa automobile – uno dei tanti regali con cui Endeavor cercava, da anni, di riconquistarsi la sua fiducia e il suo affetto. Nonostante Shōto apprezzasse il pensiero, i ricordi dolorosi della sua infanzia erano ancora ben impressi sulla sua pelle (letteralmente, perché non poteva fare a meno di pensare che la cicatrice sul suo volto non fosse colpa di sua madre, bensì di suo padre, seppur indirettamente).
Certo, quei ricordi non facevano più male come un tempo, eppure Shōto non si sentiva ancora pronto a perdonare completamente suo padre e avrebbe preferito di gran lunga vederlo fisicamente presente nella sua vita (e in quella della loro famiglia) piuttosto che ricevere regali materiali che la maggior parte delle volte non usava – biglietti per una vacanza da sogno lontano dal caos cittadino o cena gratis nel più prestigioso ristorante della città o ancora buono per potenziare al massimo il proprio costume da eroe.
Anche quell’auto che aveva ricevuto in regalo da suo padre – nonostante fosse bella, estremamente comoda, veloce ed accessoriata, oltre che del suo colore preferito, il bianco – Shōto la usava poco, principalmente perché la sede dell’agenzia di Endeavor presso la quale il giovane eroe aveva accettato di lavorare dalla fine della scuola distava solo un paio di chilometri dal suo appartamento e a Shōto non pesava per nulla percorrere quella strada a piedi ogni giorno: oltre ad essere utile e piacevole, la sua quotidiana passeggiata casa-agenzia e agenzia-casa gli permetteva di accertarsi che non ci fossero pericoli in vista almeno nel suo quartiere. Una volta arrivato a lavoro, poi, aveva a sua completa disposizione grosse automobili dai motori ruggenti, veri e propri bestioni con fiamme dipinte sulle portiere che sembravano urlare “agenzia di Endeavor” da tutti i pori e che erano in grado di trasportarlo dall’altra parte della città in pochi minuti.
In conclusione, Shōto si ritrovava al volante della sua auto personale solo quando doveva fare acquisti in città o, più raramente, quando era il suo turno di mettere la macchina durante le uscite di gruppo organizzate da Iida insieme a Midoriya, Bakugō e gli altri.
Quella sera, però, non era con loro che Shōto doveva vedersi, bensì con Yaoyorozu Momo.
Yaoyorozu gli era sempre piaciuta – come amica, come eroina, come donna – per cui Shōto aveva accettato il suo invito senza nemmeno chiedersi perché, dopo cinque anni passati a ignorarsi a vicenda, Yaoyorozu avesse improvvisamene deciso che era ora di abbattere quel muro invisibile tra di loro. Anzi, Shōto le era grato per questo e la semplice idea di rivedere la sua ex compagna di scuola al di fuori del contesto lavorativo e parlarci come ai vecchi tempi lo allettava parecchio, a prescindere da come si sarebbe evoluto l’incontro.
Fu con questi pensieri che, alle nove in punto, il giovane Todoroki parcheggiò nei pressi del parco, scese dall’auto e raggiunse il bar in cui Yaoyorozu gli aveva dato appuntamento. Vessel Café aveva aperto da pochissimo, tant’è che Shōto non ci era mai entrato prima di quel momento e si chiese perché Yaoyorozu avesse scelto proprio quel locale e non un altro.
Ottenne la risposta a quel dubbio qualche minuto dopo, quando vide Yaoyorozu venirgli incontro a piedi. E dal momento che l’eroina era anche più ricca di lui e possedeva sicuramente un’auto anche più lussuosa della sua, l’unica spiegazione era che Yaoyorozu abitava nei dintorni. 
«Todoroki-kun!», lo salutò con un sorriso, arrivandogli di fronte. «Mi aspettavi da molto?».
«Sono appena arrivato».
Yaoyorozu indossava una camicetta beige abbinata ad una borsa e ad un paio di stivaletti in pelle di un colore più scuro, mentre la gonna di jeans le arrivava poco sopra il ginocchio. Si era truccata un po’ sugli occhi e aveva lasciato i capelli sciolti sulla schiena unendo solo due ciocche laterali dietro la testa con un fermacapelli.
Shōto la trovò molto meno provocante di com’era solita vestirsi nei panni di eroina e fotomodella, ma non per questo meno bella, anzi. Era bella in modo naturale, genuino, e Shōto pensò di preferirla decisamente così, ma non trovò le parole giuste per dirglielo. D’altronde, non era mai stato un tipo particolarmente loquace, men che meno con le donne.
«Entriamo?», gli chiese Yaoyorozu.
Shōto annuì e varcarono insieme la porta del bar. L’interno somigliava ad una sorta di antica nave piratesca ed ecco spiegato il nome Vessel Café: il soffitto era un incrocio di travi di legno da cui pendevano lampadari a forma di timoni; anche i tavoli, le sedie e il bancone erano fatti di legno, mentre sulle pareti in pietra spiccavano quadri di paesaggi marini, vecchie cartine geografiche, uno scudo con delle spade e altre decorazioni esotiche in linea con il tema del locale. La luce soffusa creava un’atmosfera intima e confortevole che a Shōto, complice la poca clientela sparsa per i tavoli e la presenza di Yaoyorozu al suo fianco, piacque particolarmente.
«Carino, no?», commentò Yaoyorozu estasiata, sedendosi ad un tavolo per due. Evidentemente era la prima volta anche per lei.
«Molto», rispose Shōto sinceramente, accomodandosi di fronte a lei.
Il cameriere passò dal loro tavolo a raccogliere gli ordini (e a farsi fare un autografo da entrambi). Alla fine, nessuno dei due prese il famoso caffè di cui avevano parlato la sera prima, forse perché così il loro incontro sarebbe durato un po’ di più: Shōto ordinò un tè rigorosamente con ghiaccio, Yaoyorozu optò per un frullato al cioccolato.
«Dovrei essere arrabbiata con te, sai?», esordì l’eroina con un sorriso furbo, puntando i gomiti sul bordo del tavolo e sostenendosi la testa con le mani ai lati del viso.
Shōto capì immediatamente a cosa si riferisse, ma volle assecondare il suo gioco.
«Come mai?», chiese staccandosi dallo schienale della sedia per sporgersi maggiormente verso Yaoyorozu.
«Come mai?», ripeté l’eroina fingendosi esasperata. «Mi hai lasciata in quel vicolo in compagnia di una gigantesca statua di ghiaccio! I poliziotti continuavano a dirmi “Signorina Creati, è sicura che non sia passato di qui Todoroki Shōto?”. Ed io “Ma no, è opera mia, ve lo assicuro!”. Alcuni poliziotti mi hanno creduta a tal punto da lodarmi come la migliore eroina della città, capace di ri-creare perfino i Quirk altrui, ma altri poliziotti non erano molto convinti della mia versione dei fatti…».
«Immagino…», commentò Shōto con un accenno di risata mal trattenuta. In effetti, non era uno che rideva spesso, ma trovò il racconto di Yaoyorozu piuttosto comico.
«Non ridere di me», ribatté l’eroina tirandogli un buffetto sul braccio.
«Non oserei mai», concluse Shōto con tono ironico, senza smettere di sorridere. Poche persone erano veramente in grado di metterlo a suo agio e Yaoyorozu, con la sua leggerezza e spontaneità, era una di quelle.
Le bevande che avevano ordinato arrivarono giusto qualche minuto più tardi. Dopo aver ringraziato il cameriere, i due rimasero qualche minuto in silenzio, entrambi impegnati ad assaggiare la propria bevanda. In effetti ci sarebbe stato tanto da chiedere e tanto da raccontare, ma quel silenzio non sembrava dispiacere a nessuno dei due. Anzi, Shōto lo trovava persino piacevole: perdersi nei propri pensieri, rigirare la cannuccia tra i cubetti di ghiaccio immersi nel tè e incrociare di tanto in tanto lo sguardo limpido di Yaoyorozu gli inondava il petto di una confortante serenità a cui di fatto non era abituato.
Di nuovo, fu Yaoyorozu a riprendere parola: «Allora, come vanno le cose in agenzia?».
In effetti, Shōto avrebbe preferito parlare di un argomento diverso dal lavoro (che lo teneva impegnato praticamente tutti i giorni per tutto il giorno) o comunque di qualcosa che non avesse a che fare con suo padre (che non era certamente tra i suoi argomenti di conversazione preferiti), ma questo Yaoyorozu non poteva saperlo e quella conversazione avrebbe pur dovuto cominciare da qualche parte.
«Benone, direi. Non ci sono più i villain di una volta come quelli che giravano ai tempi di All Might e questo è un bene, sia per noi che per la città, ma comunque gli incidenti e le rapine sono ancora all’ordine del giorno e il mio Quirk viene considerato adatto praticamente in ogni benedetta situazione», ammise Shōto con un sospiro.
Yaoyorozu doveva aver notato la nota di esasperazione insita nelle sue ultime parole, perché abbassò le spalle e assunse un’espressione dispiaciuta. «Sarà stancante, immagino…».
Shōto si limitò ad annuire.
«…ma anche soddisfacente, no?», continuò l’eroina con un particolare e improvviso luccichio negli occhi. «In effetti, non posso dire lo stesso di me. L’ottanta per cento delle chiamate che ricevo è per pubblicizzare un nuovo shampoo. I miei capelli sembrano valere molto più del mio Quirk».
A Shōto, per la seconda volta in meno di mezz’ora, venne insolitamente da ridere – più per l’espressione buffa di Yaoyorozu, che per le sue parole – ma cercò di limitarsi ad un sorriso cortese perché probabilmente l’eroina questa volta stava parlando seriamente e non avrebbe di certo apprezzato la sua reazione.
«Be’, è il pezzo forte della tua agenzia, no?».
«Sì, ma non era proprio questo che sognavo…».
«E allora perché non hai scelto un’altra agenzia?».
«Perché all’epoca la signorina Uwabami riponeva grande fiducia in me ed io non volevo deludere le sue aspettative. Seguire le sue orme mi sembrava la cosa più giusta da fare… o almeno, era questo che pensavo cinque anni fa». Yaoyorozu abbassò lo sguardo velato di amarezza e prese a rigirare mollemente la cannuccia sul fondo del bicchiere mezzo vuoto. «Non è che prestare il mio volto nelle pubblicità sia così tanto male, ma se mi chiedessero di scegliere tra il mestiere della fotomodella e quello dell’eroina, non ci penserei due volte a scegliere il secondo».
Nonostante non fosse particolarmente incline o bravo a confortare gli altri, Shōto comprese la mal celata sofferenza di Yaoyorozu e cercò le parole adatte per rivedere sul suo volto quel bel sorriso con cui l’aveva accolto all’inizio del loro incontro. 
«Nemmeno io sognavo di entrare nell’agenzia di mio padre, a dire la verità. E invece ci sono dentro fino al collo», ammise toccandosi involontariamente la parte sinistra del volto. «Non ho mai avuto un buon rapporto con mio padre, anzi, ho sempre avuto un pessimo rapporto con lui, ma rifiutarmi di entrare nella sua agenzia sarebbe stato deleterio per entrambi. Te li immagini i titoli sui giornali? “Il grande Endeavor rigettato dal suo stesso figlio” o al contrario “Todoroki Shōto diseredato da suo padre”. Non che me ne importasse granché, ma tu stessa sai che l’opinione positiva dei media e del pubblico è fondamentale al giorno d’oggi. Comunque, il motivo principale per cui ho scelto di entrare nell’agenzia di mio padre è il fatto che io, per quanto mi costi ammetterlo, ho ancora bisogno di lui per diventare l’eroe che desidero essere. O almeno, è metà del mio Quirk ad averne bisogno». Shōto accese quasi inconsciamente una piccola fiammella nella mano sinistra che attirò lo sguardo assorto di Yaoyorozu. A quel punto, il giovane eroe si rese conto di aver parlato molto più del solito e di aver confessato a Yaoyorozu un mezzo segreto di cui pochi erano a conoscenza, ma che sperava fosse in grado di fare breccia nell’animo tormentato dell’eroina.
«Siamo ancora giovani e inesperti, Yaoyorozu», le ricordò infine. «Quello che stiamo facendo ora è solo un trampolino di lancio per ciò che diventeremo in futuro. Sono sicuro che, impegnandoci duramente, raggiungeremo i nostri veri obiettivi prima di rendercene conto».
«Su di te non ci sono dubbi, Todoroki-kun».
Shōto capì che il suo discorso non aveva ancora sortito l’effetto sperato. D’altronde, una delle poche debolezze di Yaoyorozu era quella di non ritenersi all’altezza di chi solitamente primeggiava, e Shōto se n’era accorto ai tempi della scuola durante il test finale del primo anno contro Aizawa-sensei.
«Facciamo un patto», propose allora per spronare l’eroina. «Se tra dieci anni avverrà ciò che penso, ci ritroveremo di nuovo qui e tu dovrai offrirmi da bere proprio come ora».
«Spiegati meglio», disse Yaoyorozu incuriosita.
«Per quanto mi riguarda, non ho motivo di trovarmi un’altra agenzia, quindi tra dieci anni spero di subentrare a capo dell’agenzia di mio padre che nel frattempo sarà andato in pensione, così da riformarla secondo le mie regole. Mentre tu… be’, io ti vedrei bene a capo di un’agenzia tutta tua».
Colta alla sprovvista, Yaoyorozu sgranò improvvisamente gli occhi aggrappandosi con le mani al tavolo.
«E-eh?».
«Dico davvero», insistette Shōto con tono incoraggiante. «Non a caso votai per te come rappresentante di classe, ricordi? Credo che tu abbia tutte le doti per il ruolo di leader».
«Todoroki-kun…», sussurrò Yaoyorozu arrossendo deliziosamente sulle guance. «Ti ringrazio per la fiducia, ma fondare un’agenzia non è cosa da tutti i giorni. Tu sei sempre stato troppo buono con me».
«E tu ti sei sempre sottovalutata».
Yaoyorozu sussultò visibilmente per quelle parole così schiette e incassò la testa nelle spalle non trovando alcun modo per ribattere.
«Allora?», continuò Shōto porgendole una mano per suggellare il loro patto. «Ci stai?».
Yaoyorozu guardò prima la sua mano, poi il suo volto e di nuovo la sua mano. Infine, da riflessiva e dubitante, l’espressione dell’eroina diventò improvvisamente decisa e speranzosa.
«Sì, ci sto», concluse con una nuova luce negli occhi stringendo la mano di Shōto in una presa ferrea.
Si sorrisero, complici di quel nuovo legame appena nato, e Shōto si congratulò con se stesso per aver riportato alla luce la peculiarità del carattere di Yaoyorozu che più apprezzava: la determinazione.
Quando la loro stretta di mano si sciolse, abbandonarono la questione del lavoro per parlare del più e del meno. In realtà, Shōto non riuscì a mantenersi vigile per tutto il tempo della conversazione, più attratto dalle labbra carnose di Yaoyorozu che si schiudevano a cuore intorno all’estremità della cannuccia ogni qualvolta beveva un nuovo sorso del suo frullato. Era un’immagine veramente ipnotizzante, a tratti sensuale, capace di estraniarlo per pochi attimi dalla realtà e mettergli in testa idee e immagini a cui non pensava da diverso tempo.
Nel complesso, Shōto riuscì a captare che ora Yaoyorozu viveva da sola in una villetta ereditata dalla sua famiglia, che si teneva ancora in contatto con le sue vecchie amiche di scuola, ma soprattutto che anche lei era stata invitata all’imminente matrimonio di Jirō e Kaminari. Con quest’ultimo, Shōto aveva stretto una vera amicizia solo nell’ultimo anno grazie alle uscite in comune con gli altri ex compagni di classe, ma l’invito a quel matrimonio gli aveva fatto storcere un po’ la bocca per il semplice fatto che non amava le grandi occasioni – troppo cibo, troppa musica, troppe persone. Tuttavia, ora che sapeva che ci sarebbe stata anche Yaoyorozu, il matrimonio di Kaminari non gli sembrava poi una cosa così brutta.
Nonostante le lamentele di Shōto che avrebbe preferito pagare la propria parte, al termine dell’incontro Yaoyorozu volle pagare per entrambi proprio come aveva promesso la sera prima.
«Ti accompagno a casa?», propose Shōto quando uscirono dal bar. Era buio e la strada illuminata solo dai lampioni era quasi deserta, ma non era per quello che si era offerto di fare il tragitto con lei: Yaoyorozu se la sarebbe cavata benissimo da sola contro qualsiasi malintenzionato o criminale. La verità era che quella serata trascorsa insieme gli aveva ricordato quanto e perché Yaoyorozu gli fosse sempre piaciuta. E se all’inizio avevo preso quel loro incontro piuttosto alla leggera, ora non poteva non considerarlo come una sorta di primo appuntamento da concludere nel migliore dei modi.
«Non ce n’è bisogno, abito proprio qui vicino», rispose però Yaoyorozu indicando con una mano la strada che costeggiava il parco.
Nonostante la lieve delusione per quel rifiuto, Shōto annuì senza battere ciglio, ma Yaoyorozu sembrò pentirsi all’istante. «E-ecco, volevo dire… se non ti reca troppo disturbo, allora va benissimo!», esclamò gesticolando imbarazzata.
Shōto si sentì incredibilmente sollevato per quel repentino cambio di programma e così i due si incamminarono fianco a fianco verso la casa di Yaoyorozu che, come previsto, distava solo mezzo chilometro dal bar. Una volta arrivati di fronte alla villa, una bella casa nuova con tanto di giardino, vialetto e cancello, Yaoyorozu si voltò verso di lui con un sorriso.
«Sono stata veramente bene con te stasera, Todoroki-kun».
Quando Shōto, guardando l’eroina in volto, si accorse che una ciocca nera le era sfuggita dal fermacapelli dietro la testa e ora le ricadeva mollemente lungo la guancia, niente gli impedì di allungare una mano e sistemarle la ciocca dietro l’orecchio.
«Vale anche per me, Yaoyorozu».
«Quindi…», disse lei di rimando, le gote arrossate per quel gesto tanto intimo. «…pensi che potremmo vederci di nuovo prima che passino i dieci anni del nostro patto?».
Shōto, per l’ennesima volta in quella serata, si ritrovò a sorridere come poche volte in vita sua. Un sorriso aperto, sincero, per nulla forzato.
«Certo, Yaoyorozu».
Gli occhi dell’eroina si illuminarono all’istante, tant’è che volle dargli il suo nuovo numero affinché potessero sentirsi per telefono. Shōto, in cuor suo, se ne rallegrò parecchio, ormai certo di piacere a Yaoyorozu almeno quanto lei piaceva a lui.
«Grazie di tutto, Todoroki-kun», concluse Yaoyorozu facendo un passo verso di lui e sollevandosi sulle punte dei piedi per potergli lasciare un veloce bacio sulla guancia sinistra che si scaldò all’istante, ma non ad opera del suo Quirk. Per un attimo Shōto ebbe voglia di voltare la testa e farsi baciare direttamente sulle labbra, ma non era sicuro di come Yaoyorozu l’avrebbe presa e allora preferì non affrettare le cose. D’altronde, avevano a loro disposizione ancora tantissimo tempo.
Infine si augurarono la buonanotte e continuarono ognuno per la propria strada, entrambi consapevoli che si sarebbero rivisti molto, molto presto.










Note dell'autrice:
RINGRAZIO di cuore chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate e soprattutto Zomi che l'ha recensita.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nel prossimo scopriremo cosa ne pensa Momo di questo primo appuntamento. Il matrimonio tra Jiro e Kaminari di cui ho accennato sarà parecchio significativo per lo sviluppo della TodoMomo. Ho scelto proprio Jiro e Kaminari perchè mi sembra che siano una coppia su cui quasi tutti sono d'accordo, mentre forse la Izuku/Ochako desta più polemiche (io stessa preferisco, ad esempio, la BakuDeku e so che anche la Kacchako va molto di moda).
Come vedrete, in questa storia tratterò sia l'evoluzione della TodoMomo, sia la questione del lavoro per Momo e del rapporto padre-figlio per Shoto.
Grazie a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa, alla prossima!
Soly Dea



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Capitolo 3
*** The wedding (part 1) ***


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Burning like ice


#03. The wedding (part 1)

Due settimane. Erano passate ben due settimane da quando avevano trascorso la serata insieme al Vessel Café e di Todoroki nemmeno l’ombra. Eppure, Momo aveva cercato di fargli capire in tutti i modi che desiderava un secondo incontro (e un terzo e un quarto e un quinto…): era stata lei ad invitarlo, era stata lei a pagare per entrambi, era stata lei a dargli il suo nuovo numero di cellulare e infine a baciarlo su una guancia (come fosse riuscita a trattenersi dal gettargli le braccia al collo e stampargli quel bacio sulle labbra, Momo proprio non lo sapeva, ma questa è un’altra storia).
Comunque, anche Todoroki le aveva fatto capire – sia con le parole che con i gesti – che aveva apprezzato molto la sua compagnia: aveva sorriso ad ogni sua battuta (cosa veramente insolita per un tipo serio come lui), le aveva aperto il suo cuore riguardo il tormentato rapporto con suo padre, l’aveva incoraggiata a costruirsi un futuro migliore del presente, si era offerto di accompagnarla a casa nonostante distasse cinquecento metri scarsi dal bar, le aveva scostato una ciocca dal viso con una delicatezza tale da lasciarla senza fiato e aveva ammesso apertamente che sì, desiderava rivederla.
Per tutti questi motivi, Momo non riusciva proprio a spiegarsi perché Todoroki non si fosse degnato di chiamarla o anche solo di mandarle uno straccio di messaggio nell’arco di quelle due settimane. Dopo i primi giorni di silenzio, Momo si era convinta del fatto che Todoroki avesse molto da fare in agenzia e che l’avrebbe chiamata non appena avesse avuto un po’ di tempo libero, ma una volta sorpassati i dieci giorni Momo aveva cominciato ad avere seri dubbi. Oltretutto, una sera l’aveva intravisto in giro per la città insieme ad alcuni amici e quella era stata la batosta finale: se Todoroki trovava del tempo libero per i suoi amici ma non per lei, allora forse a lei non era veramente interessato.
Possibile che avesse mal interpretato il comportamento di Todoroki nei suoi confronti? Possibile che non gli andasse di rivederla o anche solo di risentirla? O che, semplicemente, si fosse dimenticato di richiamarla?
«Signorina, va tutto bene?», le chiese il fotografo quella mattina interrompendo le inquadrature. «Non mi sembra molto in forma oggi».
Seduta sullo sgabello con le braccia dietro la testa, le gambe sinuosamente accavallate e la luce di numerosi riflettori tutti puntati su di lei, Momo tornò gradualmente in una posa più naturale e si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. In effetti, nonostante la sua truccatrice si fosse impegnata per farla bella in vista dello shooting, non era comunque riuscita a nascondere quel moto di delusione ben evidente sul suo volto che le faceva aggrottare inconsciamente le sopracciglia e piegare gli angoli delle labbra all’ingiù.
«Forse sarebbe meglio rimandare ad un altro giorno», concluse Momo dispiaciuta. Il fotografo acconsentì e l’intera troupe cominciò a smontare il set.
Una volta raggiunto il suo camerino, Momo si struccò con cura, si sciolse i capelli, indossò abiti più comodi e si abbandonò sulla comoda poltrona di fronte allo specchio, che le restituì il riflesso del suo volto pulito ma spento. In effetti, non era da lei abbattersi in quel modo per un uomo – solitamente, le cadevano tutti ai piedi con uno schiocco delle dita e in generale non le era mai importato granché – ma con Todoroki era tutta un’altra cosa. Non si trattava di semplice attrazione fisica o ammirazione. Il suo atteggiamento pacato e riflessivo, i suoi modi cortesi ma decisi, i suoi discorsi ben calcolati e mai banali, così come l’incredibile forza d’animo che aveva dimostrato più volte, tanto nella vita quotidiana quanto nei panni dell’eroe, l’avevano conquistata fin dai tempi della scuola. E Momo era certa che avrebbe potuto perfino innamorarsene, se solo Todoroki gliene avesse dato la possibilità.
In fin dei conti, non era di un rifiuto che Momo aveva paura. Avrebbe preferito di gran lunga sentirsi dire chiaro e tondo di non farsi troppe aspettative, di non sperare in qualcosa che non ci sarebbe stato, piuttosto che illudersi che il loro rapporto avrebbe potuto prendere una piega nuova, diversa. Lo avrebbe accettato, se ne sarebbe fatta una ragione e sarebbe andata avanti a testa alta, ma fino a quel momento Todoroki non aveva fatto altro che evitare l’argomento. Per due lunghe settimane. E come poteva Momo prendere una decisione – continuare a crederci o lasciar perdere – se non aveva certezze a cui aggrapparsi?
Momo si chiese soprattutto come avrebbe dovuto comportarsi con Todoroki il giorno successivo, al matrimonio di Kyōka e Kaminari. Ignorarlo? Far finta di niente? Provare a chiarire la situazione per mettersi l’anima in pace?
Di colpo, la porta del suo camerino si aprì rivelando il volto agitato della signorina Uwabami.
«Chiamata urgente!», disse in fretta e furia la donna. «Hanno bisogno di noi alla banca!».
Di colpo, Momo sentì la testa svuotarsi di qualunque pensiero negativo mentre tutta l’amarezza di poco prima si dissolveva nel nulla, sostituita dal frizzante sapore dell’adrenalina. Svelta, si legò i capelli nella solita coda alta, indossò il costume da eroina e seguì Uwabami fuori dall’agenzia, pronta a fare ciò per cui si era sempre sentita veramente portata: rendersi utile per il bene della sua città.
A Todoroki ci avrebbe pensato il giorno dopo.

***

Il mattino dopo, Momo arrivò al santuario shintoista, un bellissimo edificio dai colori sgargianti in perfetto stile giapponese, giusto un paio di attimi prima dell’inizio della cerimonia, ma la colpa di quel disastroso ritardo non era sua, bensì di Mina e Tōru che l’avevano fatta attendere in auto per quasi un’ora. Una stramaledettissima ora in cui Momo si era amaramente pentita di essersi offerta di accompagnarle e aveva seriamente pensato di mollarle lì a prepararsi per andare al matrimonio della sua migliore amica da sola.
Come se non bastasse, il loro impetuoso arrivo aveva attirato l’attenzione di tutti gli invitati, i quali avevano smesso improvvisamente di chiacchierare tra loro e si erano voltati contemporaneamente a guardare le tre arrivate: i loro ex compagni di scuola, tutti riuniti lì per l’occasione, le fissavano in parte divertiti e in parte esasperati, mentre i parenti degli sposi non nascondevano né sguardi piuttosto indignati per il loro tremendo ritardo, né occhiate melliflue nei confronti della bella e famosa Creati.
L’imbarazzo che Momo provò in quel momento – nulla a che vedere con la sicurezza con cui si destreggiava solitamente di fronte alle telecamere nei panni di fotomodella – passò rapidamente in secondo piano quando si rese conto che l’unico posto libero tra le prime file era quello al fianco di una familiare testa per metà bianca e per metà rossa, dal momento che Mina e Tōru avevano avuto la brillante idea di affrettarsi a raggiungere Ochako e Tsuyu. C’erano alcuni posti vuoti anche nelle ultime file, ma da lì Momo non sarebbe riuscita a vedere nulla, per cui fu con passo da automa e sguardo basso che raggiunse silenziosamente (più o meno, dato che i suoi tacchi risuonavano in modo fastidiosissimo nel silenzio generale del santuario) il posto accanto a Todoroki e si sedette stando ben attenta a non spiegazzare il vestito elegante che aveva indossato per l’occasione. Indirizzò un sorriso di scuse a Kyōka, bellissima nel suo tradizionale kimono bianco, la quale le sorrise di rimando per tranquillizzarla per poi rivolgere l’attenzione al suo futuro sposo, letteralmente elettrizzato per l’occasione, come dimostravano le piccole scariche elettriche che il suo corpo emanava.
Il rito cominciò in quello stesso momento e solo allora Momo si decise a salutare Todoroki con un «Ciao» di pura cortesia, limitandosi a guardarlo con la coda dell’occhio.
«Ciao», le rispose Todoroki con tono altrettanto freddo senza osare guardarla. Per qualche attimo Momo si chiese cosa pensasse in quel momento, se fosse arrabbiato con lei per qualche motivo, se si sentisse a disagio tanto quanto lei o se la loro vicinanza non lo toccasse più di tanto, ma poi si convinse che non era il momento di pensarci e che avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulla cerimonia.
Rimasero entrambi immobili e in silenzio per tutta la durata della cerimonia a sorbirsi da una parte i pianti di commozione di Ochako e Mina, e dall’altra gli scatti d’ira di un impaziente Bakugō che Midoriya cercava invano di calmare, mentre la giovane coppia di fronte a loro si prometteva amore eterno nel modo più vero e assoluto possibile.
Al momento del bacio – l’unico in cui Kaminari smise di emettere elettricità da tutti i pori per potersi avvicinare alla sua amata – a Momo sfuggì un’unica lacrima solitaria, prontamente asciugata con un fazzoletto per evitare che il trucco le colasse dagli occhi impasticciandole il viso. Era veramente, veramente felice per la sua migliore amica e non avrebbe lasciato che il dispiacere per ciò che non era successo con il silenzioso uomo seduto al suo fianco le rovinasse quella bellissima giornata.


Dopo la cerimonia, gli auguri agli sposi e le foto, Momo andò a recuperare Mina e Tōru affinché si recassero insieme presso il ristorante in cui si sarebbe svolto il ricevimento. Ad accoglierle fu un locale immenso provvisto di grandi vetrate e fontane con giochi d’acqua danzanti, come aveva espressamente richiesto Kaminari – Momo ricordava che Kyōka avrebbe preferito qualcosa di più ridimensionato, in linea con la sua indole riservata, ma Kaminari aveva insistito per regalarle il “matrimonio del secolo” e Kyōka non era proprio riuscita a smorzare il suo entusiasmo.
La sala adibita al ricevimento era stata riccamente decorata per l’occasione: gli invitati avrebbero preso posto ai larghi tavoli rotondi sparsi per la sala, mentre agli sposi spettava il tavolo più piccolo posizionato proprio al centro affinché avessero una visione generale dell’intero ricevimento. In un angolo della sala, una rockband intratteneva gli invitati con brani movimenti e moderni su richiesta di Kyōka, che aveva ereditato la passione per quel genere musicale dal padre.
Momo fu contenta di ritrovarsi seduta al fianco di tutte le sue ex compagne di classe, anche perché da quella posizione poteva godersi perfettamente il quadretto romantico al centro della sala: Kaminari aveva finalmente smesso di elettrizzarsi ed ora conversava tranquillamente con la sua neo moglie, la quale aveva abbandonato lo scomodo kimono della cerimonia per indossare un vestito molto più semplice dai colori scuri, i suoi preferiti. Per Momo, l’unica nota dolente in quel quadretto era la figura di Todoroki che intravedeva oltre la spalla di Kaminari: seduto compostamente al tavolo dei ragazzi, Todoroki, spalle dritte e sguardo fiero, scambiava di tanto in tanto qualche parola con Midoriya o si lasciava andare ad una delle sue brevi risate sommesse ascoltando Kirishima raccontare, forse, vecchi aneddoti risalenti ai tempi della scuola. Era bellissimo nel suo smoking grigio e Momo si ritrovò a rimpiangere tutti i film mentali che si era costruita per quel giorno tanto atteso prima di scoprire che, in realtà, a Todoroki non importava poi così tanto di lei.
«Ohi, Yaomomo, tutto bene?», le chiese Mina toccandole con gentilezza il braccio, avendo forse notato il suo sguardo perso.
Momo annuì sforzandosi di sorridere. «Sono solo un po’ stanca».
Più volte quella mattina si era ripromessa di non perdersi in pensieri inutili e frustranti, ma puntualmente ci ricascava dentro non appena i suoi occhi si posavano sull’elegante figura di Todoroki. Doveva necessariamente distrarsi con qualcos’altro, altrimenti non sarebbe riuscita a godersi veramente quella giornata.
«E tu, Mina? Novità con Kirishima?», buttò lì la prima cosa che le venne in mente per animare la conversazione. In realtà, Momo non sapeva se Mina e Kirishima fossero solo buoni amici o qualcosa di più, ma aveva sempre pensato che con la loro frizzante allegria avrebbero formato una bellissima coppia. Di sicuro a Mina Kirishima non era indifferente, mentre era sicuramente più difficile decifrare l’interesse di Kirishima, dal momento che sembrava ronzare più intorno a Bakugō che alle ragazze.
«COOOSA?», esplose Ochako con gli occhi a cuore, avendo captato le parole di Momo. «Mina! Ti senti con Kirishima e non ci racconti nulla?!».
Mina arrossì lievemente sulle gote, rivolgendo al contempo un’occhiata di rimprovero a Momo che rise tra sé e sé. «Io non mi sento con Kirishima», specificò l’eroina dal volto e dai capelli rosa confetto.
«Ceeerto», finse Ochako. «Ed io non sono innamorata di Dek–!». Quando Uravity si rese conto della verità che aveva appena ammesso ad alta voce di fronte a tutte, arrossì violentemente e si tappò la bocca con entrambe le mani.
«Questa non è una novità, Ochako-chan», le fece notare molto limpidamente Tsuyu, provocando l’ilarità delle altre che scoppiarono a ridere trovandosi estremamente d’accordo.
«Oh, i-insomma! Non era di me e Deku-kun che stavamo parlando, ma di Mina e Kirishima!», esclamò Ochako cercando di ridarsi un contegno. «Avanti, Mina, sputa il rospo! … Senza offesa ovviamente, Tsuyu-chan», si affrettò a precisare rivolta a Froppy, che minimizzò con un cenno della mano.
«Ve l’ho detto, tra e me Kirishima non c’è nulla!», sbottò Mina.
«Quindi…», si intromise Tōru con sguardo ammiccante (non che potessero vedere davvero il suo sguardo, ma era questo che lasciava intendere il tono allusivo della sua voce). «Ci stai dicendo che non sai se Kirishima può irrigidire a proprio piacimento anche il–?».
«HAKAGURE TŌRU!», esplose a quel punto Mina, ormai non più rosa confetto ma rossa come un pomodoro.
Momo scoppiò a ridere, seguita a ruota dalle altre. Non ricordava che Tōru fosse così sfrontata e non pensava minimamente che la sua domanda di poco prima avrebbe scatenato una simile conversazione. Un po’ le dispiaceva aver messo in difficoltà la povera Mina, ma in realtà trovava il tutto estremamente divertente. E da quel preciso momento, tra piatti prelibati, qualche bicchierino di sakè, musica rock a tutto volume e piacevoli chiacchiere tra amiche, Momo sentì che la giornata stava migliorando a vista d’occhio, tant’è che in quelle ore non pensò a Todoroki nemmeno per un momento.
Il momento assolutamente più emozionante fu quando Kyōka, sotto gli occhi esterrefatti e innamorati di Kaminari, abbandonò il loro tavolo e raggiunse la rockband dichiarando al microfono che aveva una sorpresa in serbo per gli invitati, ma soprattutto per il suo sposo.
Si fece portare infatti la sua chitarra e, accomodandosi su uno sgabello, cominciò a suonare e cantare un pezzo molto particolare, sicuramente di sua invenzione, a metà tra un brano rock e una canzone d’amore. Parlava infatti di due ragazzi che si erano conosciuti a scuola, che all’inizio non si erano piaciuti, ma che poi si erano riscoperti molto più simili di quanto avrebbero mai pensato, tanto da innamorarsi l’uno dell’altro.
Kyōka suonava con un sorriso emozionato stampato sul volto e Kaminari, seduto al tavolo con gli occhi puntati su di lei, sembrava pendere dalle sue labbra, assorbendo ogni nota e ogni accordo di quella meravigliosa canzone a lui dedicata. Quando Kyōka terminò, Kaminari le andò subito incontro per abbracciarla e baciarla sotto i fischi e gli appalusi degli invitati, ringraziandola per la sorpresa assolutamente inaspettata e gradita.
Momo si stava asciugando la seconda lacrima di commozione di quella giornata, quando la rockband – approfittando del fatto che i due sposi se ne stessero stretti l’uno all’altro – decise di cambiare totalmente genere musicale mettendo un lento in sottofondo per far ballare tutte le coppie della sala.
Di fatti, agli sposini si aggiunsero da un lato i genitori di Kyōka e dall’altro quelli di Kaminari. Gradualmente, molte altre coppie di invitati raggiunsero il centro della sala.
Senza quasi accorgersene, Momo si ritrovò praticamente da sola al tavolo: Midoriya, seppur profondamente imbarazzato, aveva trovato il coraggio di invitare Ochako e lo stesso avevano fatto Kirishima con Mina e Mashirao con Tōru, e infine anche Tsuyu aveva trovato il suo cavaliere.
Se nell’arco delle ultime ore Momo era riuscita a non pensare a Todoroki nemmeno per un attimo, fu proprio in quel momento che si ritrovò con gli occhi fissi sulla sua figura dall’altro lato della sala. Todoroki aveva abbandonato la pesante giacca grigia sullo schienale della sedia rivelando una camicia di colore blu scuro e una cravatta bianca. Anche lui sedeva al tavolo da solo, dal momento che metà dei ragazzi erano impegnati a ballare e gli altri erano usciti fuori a fumare.
A Todoroki le sigarette non erano mai piaciute, Momo se lo ricordava bene e forse ora ne capiva anche il motivo. Più che per una questione di salute, Todoroki sembrava (forse inconsciamente) andare contro tutto ciò che fosse caldo o infuocato per via del tormentato rapporto con suo padre e il Quirk da lui ereditato: beveva tè rigorosamente con ghiaccio, preferiva la soba tiepida piuttosto che bollente, indossava sempre abiti dai colori freddi e non avrebbe fatto uso di sigarette e accendino nemmeno se lo avessero pagato. Tutto quadrava, ora. Oltretutto, Momo proprio non ce lo vedeva con una sigaretta tra le dita – quella era un’immagine che si addiceva più ad uno come Bakugō e infatti Momo ne ebbe la conferma guardando attraverso le vetrate del ristorante, oltre le quali il re delle esplosioni fumava piuttosto felicemente la sua adorata sigaretta con la speranza, forse, di calmare i nervi sempre rigidi.
Se lo sentiva, Momo, che Todoroki l’avrebbe invitata a ballare: al di là della serata che avevano trascorso insieme due settimane prima, al di là dell’interesse o del disinteresse nei suoi confronti da un punto di vista sentimentale, Todoroki si era sempre dimostrato gentile con lei e Momo era certa che non l’avrebbe lasciata da sola mentre tutte le sue amiche si divertivano in pista. Di fatti, quando l’eroina tornò a guardare il tavolo al quale Todoroki era seduto, notò che era completamente vuoto.
«Yaoyorozu».
Veloce e silenzioso, Todoroki aveva approfittato di quel suo momento di distrazione per fare il giro dell’intera sala e giungere al suo fianco. Quando ruotò la testa di lato e incrociò il suo sguardo, Momo sentì la testa svuotarsi di ogni pensiero che non fosse Todoroki e i suoi profondi occhi eterocromatici puntati su di lei e la sua carnagione chiara che contrastava con il blu della camicia e la sua mano destra protesa verso di lei per invitarla a ballare.
«Ti va?», le chiese soltanto, le labbra strette in una linea dura e lo sguardo imperturbabile.
E come avrebbe potuto, Momo, rifiutarsi di stare stretta al costante oggetto dei suoi pensieri?
Dimenticando improvvisamente gli ultimi giorni trascorsi tra mille dubbi e pensieri amari, l’eroina si limitò a posare la mano su quella fresca di Todoroki e a lasciarsi guidare in pista, dove Mina – stretta a Kirishima – le fece prontamente l’occhiolino, poco prima che Momo si ritrovasse incollata al petto ampio di Todoroki, con la mano che era stata artefice dell’invito posata proprio al centro della schiena scoperta.
Rossa in volto per il sakè, l’emozione e l’imbarazzo, Momo sapeva che in quel modo sarebbero giunti ben presto alla resa dei conti, ma per il momento non voleva godersi nient’altro che quel lento ballo da sogno con Todoroki.








Note dell'autrice:
Ve l'aspettavate un risvolto del genere, con Todoroki che NON richiamava Momo? Spero di avervi sorpresi :D
Lo so, in questo capitolo non succede molto tra loro due, ma volevo inquadrare bene la situazione del matrimonio (e infatti ho provveduto anche a mettervi un paio di link per farvi vedere come funziona il matrimonio tradizionale in Giappone, paese che amo; infatti ho studiato giapponese all'università). Nel prossimo capitolo scopriremo perchè Todoroki non ha richiamato Momo... voi nel frattempo cosa ne pensate? Sarà successo qualcosa?
Gli accenni alle varie coppie (tranne la KamiJiro, che adoro) sono per pure esigenze di copione: in realtà non shippo particolarmente nessuna delle altre coppie che ho citato, ma volevo dare un po' di colore alla conversazione tra amiche in modo da far distrarre Momo.
GRAZIE a chi segue e recensisce la storia, a presto!
Soly Dea


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