Burning like ice di Soly_D (/viewuser.php?uid=164211)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meet again ***
Capitolo 2: *** First date ***
Capitolo 3: *** The wedding (part 1) ***
Capitolo 1 *** Meet again ***
contest
Burning
like ice
#01.
Meet again
Shōto camminava per le strade della
città con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, lo
sguardo basso e la visiera del berretto calata sulla fronte per
nascondere l’inconfondibile capigliatura per metà
bianca e per metà rossa, capace di attirare un fan
desideroso di foto e autografo almeno ogni cento metri. Non che la cosa
gli desse particolarmente fastidio – quello che sbraitava
contro i fan troppo accaniti era Bakugō – ma dopo una
giornata lunga ed estenuante in cui si era dedicato anima e corpo al
suo lavoro, Shōto desiderava solo tornare a casa, farsi un lungo bagno
caldo, mettere qualcosa sotto i denti e infilarsi sotto le coperte per
riposare le membra stanche e indolenzite.
Tuttavia, ad un certo punto del tragitto, avvertendo delle urla
provenienti da un vicolo cieco, Shōto si rese conto che i suoi piani
per la serata avrebbero dovuto aspettare ancora un po’.
Addentrandosi nel vicolo, infatti, trovò un gigantesco
ammasso d’acqua dalla forma antropomorfa girato di spalle:
aveva bloccato una persona contro il muro e minacciava di farla
affogare con la stessa consistenza del suo corpo se non gli avesse
consegnato tutti i suoi soldi e oggetti di valore.
Con un sospiro frustrato per quella giornata che sembrava non voler mai
giungere al termine, Shōto raccolse gli ultimi residui di eroismo che gli
erano rimasti in corpo e batté il piede destro per terra
congelando il tratto di strada che lo separava dal villain, il quale,
non essendosi accorto di nulla, diventò in pochi attimi una
statua di ghiaccio. La scelta di utilizzare il suo lato destro
anziché quello sinistro non aveva nulla a che fare con la
storia di suo padre – Shōto l’aveva ormai superata
da parecchio tempo, soprattutto grazie all’aiuto di Midoriya,
ed ora utilizzava tranquillamente l’uno e l’altro
potere, insieme o singolarmente a seconda del caso. L’unico
motivo per cui aveva preferito fermare quel villain con il ghiaccio e
non con il fuoco era il fatto che probabilmente, se fatto evaporare, il
mostro avrebbe ripreso in poco tempo la sua forma liquida originaria.
Congelandolo, invece, non gli avrebbe lasciato alcuna via di scampo.
Una volta fatto il suo dovere, Shōto si preparò ad essere
sommerso dai ringraziamenti della persona che aveva salvato, ma
ciò che gli arrivò all’orecchio fu
invece l’eco del proprio nome pronunciato da una voce
femminile decisamente familiare (e piacevole).
«Todoroki-kun!».
Tutto si sarebbe aspettato, Shōto, tranne che di veder spuntare la
figura slanciata di Yaoyorozu Momo da dietro l’imponente
statua di ghiaccio.
«Yaoyorozu…».
L’eroina gli veniva incontro con un sorriso stampato sul
volto e un braccio sollevato in segno di saluto, e Shōto non
poté fare a meno di squadrarla
più del dovuto: era cresciuta in altezza e anche le sue
curve, già generose ai tempi della scuola, sembravano
essersi fatte ancora più sinuose e mature, messe in evidenza
dall’attillato corpetto rosso aperto sul davanti
affinché l’eroina potesse facilmente creare dal
busto tutto ciò di cui avesse bisogno per combattere. La
voluminosa coda nera, ora, le arrivava praticamente ai fianchi danzando
morbidamente sulla sua schiena ad ogni passo, ma gli occhi erano
rimasti gli stessi: grandi occhi neri dalla punta leggermente
allungata, occhi dolci e allo stesso tempo determinati, umili e privi
di arroganza nonostante lo sfarzo al quale Yaoyorozu, essendo di
famiglia benestante, fosse da sempre abituata. A Shōto erano sempre
piaciuti i suoi occhi – più dei seni grossi e
tondi che varie volte, a scuola, aveva intravisto (forse) per sbaglio
durante gli allenamenti o gli scontri, più dei fianchi
morbidi e delle gambe lunghe e snelle lasciate costantemente scoperte
dalla cortissima gonna gialla per la felicità di tutto il
pubblico maschile (e non).
Negli ultimi tempi, infatti, Yaoyorozu sembrava apparire più
spesso nelle vesti di fotomodella per gli spot televisivi che nelle
vesti di eroina per le strade della città, segno che era
ormai scesa a patti con il fatto che la sua bellezza
l’avrebbe condotta tanto lontano quanto il suo Quirk o forse
anche di più. Era, insomma, la degna erede di Uwabami,
l’avvenente Snake
Hero presso la quale Yaoyorozu aveva svolto il tirocinio
ai tempi della scuola e che l’aveva assunta nella sua agenzia
subito dopo il diploma.
«Ti ringrazio per l’aiuto», disse
Yaoyorozu a Shōto, non appena gli arrivò di fronte.
«In effetti, ero parecchio in difficoltà con quel
villain: ho provato a creare un’aspirapolvere per risucchiare
via tutta quell’acqua, ma la pressione non era abbastanza
forte».
«Non c’è bisogno che mi
ringrazi», rispose Shōto con tono neutro.
«Semplicemente, in questo caso, il mio Quirk era
più adatto del tuo». E lo pensava davvero: in
più occasioni, Yaoyorozu si era dimostrata tanto forte
quanto intelligente e Shōto l’aveva sempre ammirata per
questo.
«Non fare il modesto», lo rimproverò
scherzosamente l’eroina. «Il tuo Quirk è
sempre
più adatto di qualunque altro Quirk».
A quel punto Shōto si rese conto che quella era la prima volta che lui
e Yaoyorozu si rivolgevano la parola dalla fine della scuola. Dopo il
diploma, infatti, un po’ perché indaffarati a
farsi un nome in qualità di eroi e un po’
perché non avevano mai stretto un’amicizia
veramente forte, si erano completamente persi di vista limitandosi a
salutarsi di striscio le rare volte in cui si incrociavano per le
strade della città, ma ora che Yaoyorozu era lì
di fronte a lui, così bella e genuina, Shōto
pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affatto riprendere e
mantenere i contatti con lei così come li manteneva con
Midoriya, Bakugō e pochi altri.
E forse Shōto avrebbe approfittato della situazione per scambiare due
chiacchiere con la sua ex compagna di scuola, se solo non avesse
avvertito in lontananza il suono delle sirene della polizia.
«Ti lascio il merito dello scontro, va bene? Ho fretta di
tornare a casa», disse sbrigativamente a Yaoyorozu
desiderando dileguarsi il prima possibile, dato che non aveva
assolutamente voglia di fare rapporto ai poliziotti né
tantomeno di essere portato al pronto soccorso per controlli medici di
cui non aveva affatto bisogno.
«…Cosa?! No, aspetta! Non è affatto
giusto, il merito è solo tuo!», esclamò
l’eroina con gli occhi infiammati di senso della giustizia.
«E poi come gliela spiego alla polizia quella statua di ghiaccio?!».
«Sono sicuro che troverai una soluzione. Ci vediamo,
Yaoyorozu».
Shōto si voltò riabbassandosi la visiera del berretto sulla
fronte e mosse appena qualche passo in direzione dell’uscita
del vicolo, quando la voce dell’eroina gli riempì
nuovamente le orecchie.
«Todoroki-kun!».
Shōto si bloccò sul posto e ruotò solo il busto
per sentire cosa avesse da dirgli Yaoyorozu di tanto importante.
«Permettimi di offrirti almeno un caffè per
sdebitarmi», propose Yaoyorozu riaccorciando la distanza che
li separava fino a pararsi nuovamente di fronte a lui.
«Non ce n’è bisogno, Yaoyorozu, davvero.
Devo andare». Shōto marcò le ultime due parole con
la speranza che la conversazione terminasse lì –
si sarebbe volentieri attardato con lei se solo la polizia non fosse
stata così vicina.
«Domani sera al bar che ha appena aperto di fronte al
parco», insistette Yaoyorozu. «Ti va bene alle
nove?».
Shōto non trovò alcun motivo per rifiutare: in fondo, era
stato lui stesso a pensare che fosse davvero un peccato aver smesso di
frequentare Yaoyorozu e quale occasione migliore per recuperare il loro
rapporto se non quella di prendersi un caffè insieme?
«Alle nove», ripeté Shōto piegando un
angolo della bocca in un sorriso, poco prima di voltarsi nuovamente e
raggiungere in poche falcate l’uscita del vicolo.
L’ultima cosa che sentì svoltando
l’angolo fu un forte e chiaro «Ci conto,
Todoroki-kun!», in parte sovrastato dal suono delle sirene
della polizia giunta in soccorso della bella Creati.
***
Immersa sotto il getto dell’acqua calda che lavava via la
stanchezza e il sudore dal suo corpo, Momo non faceva altro che
ripensare all’incontro con Todoroki Shōto avuto giusto un
paio d’ore prima. L’aveva trovato decisamente
più alto e più robusto di quanto ricordasse, ma
al di là delle spalle ampie e dei muscoli guizzanti al di
sotto della stoffa blu del costume da eroe, il cambiamento principale
era il suo nuovo taglio di capelli: mentre ai tempi della scuola gli
ricadevano lunghi e lisci sopra la fronte, ora Todoroki li teneva corti
e leggermente rivolti all’insù sopra la testa,
cosicché il suo volto ora appariva molto più
aperto e luminoso di prima, con la cicatrice dell’ustione in
bella vista. Momo non aveva mai pensato che quella macchia rossastra
– ricordo di un passato non propriamente felice –
deturpasse il viso di Todoroki, anzi, gli dava un’aria
vissuta capace di renderlo ancora più affascinante.
Un po’ perché gli era veramente grata per averla
aiutata con Wateri* – così diceva di chiamarsi il
villain d’acqua – e un po’
perché aveva una cotta per Todoroki dai tempi della scuola,
alla fine Momo aveva trovato l’occasione e il coraggio di
strappargli una sorta di mezzo
appuntamento dopo ben cinque anni passati a guardarlo da
lontano e a chiedersi con che scusa avrebbe potuto rompere il ghiaccio
(letteralmente, perché non avrebbe potuto esserci metafora
più adeguata per descrivere l’apparente corazza
fredda dietro la quale Todoroki nascondeva le proprie emozioni).
Con sommo piacere di Momo, l’eroe aveva accettato il suo
invito, dandole conferma di non essergli affatto indifferente.
L’aveva notato, Momo, il modo in cui Todoroki la
guardava: era sì attratto da lei fisicamente al pari di
tanti altri uomini, ma il suo sguardo era sempre stato diverso,
più sincero e meno lascivo, capace di andare oltre l’apparenza
alla ricerca di ciò che aveva dentro. O almeno
era questo che Momo percepiva sperando davvero di non
sbagliarsi. Magari, con un po’ di fortuna,
quell’incontro tra loro due avrebbe potuto trasformarsi in
qualcosa di più…
Momo si sentì arrossire al pensiero di come sarebbe stato
bello lasciarsi stringere dalle braccia forti e muscolose di Todoroki,
accarezzargli con una mano i ciuffi rossi e con l’altra
quelli bianchi, tastare la pelle sensibile della cicatrice, scoprire
che sapore avessero le sue labbra sottili.
Sentendosi improvvisamente più accaldata del dovuto, Momo
regolò il getto della doccia ad una temperatura
più bassa per placare gli ormoni in subbuglio e si impose di
rimanere con i piedi per terra, di non correre troppo finché
non avesse avuto la certezza che Todoroki provasse per lei qualcosa di
più della pura attrazione fisica.
Dopo la doccia, Momo si concesse una cena veloce e poi si
infilò nel letto, ma in realtà non
riuscì a dormire molto, agitata al pensiero che la sera
successiva avrebbe passato del tempo con Todoroki in vesti diverse da
quelle di eroe o collega.
Il giorno dopo trascorse velocemente: dopo un book fotografico che le
occupò l’intera mattinata, Momo si
dedicò ad un allenamento intensivo per potenziare il suo
Quirk ed essere pronta ad intervenire in caso di crimini o incidenti.
La professione di fotomodella, tutto sommato, le piaceva e le forniva
uno stipendio piuttosto ingente che, sommandosi al patrimonio ereditato
dalla sua famiglia, le permetteva di condurre una vita decisamente
agiata, ma non per questo Momo era disposta ad abbandonare il suo sogno
di fare l’eroina: il privilegio di poter indossare un bel
vestito elegante, cenare in un ristorante di lusso ed essere
continuamente corteggiata e riverita, era totalmente insignificante se
paragonato alla soddisfazione di salvare quante più vite
possibili.
Quel giorno, comunque, Momo non ricevette nessuna chiamata urgente
– le strade della città erano insolitamente
tranquille – quindi, dopo il consueto giro di ronda serale,
si ritirò a casa, ansiosa di prepararsi in vista del suo
quasi appuntamento con Todoroki a cui, sperava, ne sarebbero seguiti
molti altri.
*Wateri: dall’inglese water (acqua), l’ho inventato di sana pianta XD
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Capitolo 2 *** First date ***
contest
Burning
like ice
#02.
First date
Erano le nove meno un quarto e Shōto
sfrecciava per le strade della città a bordo della sua
costosa automobile – uno dei tanti regali con cui Endeavor
cercava, da anni, di riconquistarsi la sua fiducia e il suo affetto.
Nonostante Shōto apprezzasse il pensiero, i ricordi dolorosi della sua
infanzia erano ancora ben impressi sulla sua pelle (letteralmente,
perché non poteva fare a meno di pensare che la cicatrice
sul suo volto non fosse colpa di sua madre, bensì di suo
padre, seppur indirettamente).
Certo, quei ricordi non facevano più male come un tempo,
eppure Shōto non si sentiva ancora pronto a perdonare completamente suo
padre e avrebbe preferito di gran lunga vederlo fisicamente presente
nella sua vita (e in quella della loro famiglia) piuttosto che ricevere
regali materiali che la maggior parte delle volte non usava –
biglietti per una
vacanza da sogno lontano dal caos cittadino o cena gratis nel più
prestigioso ristorante della città o ancora buono per potenziare al massimo
il proprio costume da eroe.
Anche quell’auto che aveva ricevuto in regalo da suo padre
– nonostante fosse bella, estremamente comoda, veloce ed
accessoriata, oltre che del suo colore preferito, il bianco –
Shōto la usava poco, principalmente perché la sede
dell’agenzia di Endeavor presso la quale il giovane eroe
aveva accettato di lavorare dalla fine della scuola distava solo un
paio di chilometri dal suo appartamento e a Shōto non pesava per nulla
percorrere quella strada a piedi ogni giorno: oltre ad essere utile e
piacevole, la sua quotidiana passeggiata casa-agenzia e agenzia-casa
gli permetteva di accertarsi che non ci fossero pericoli in vista
almeno nel suo quartiere. Una volta arrivato a lavoro, poi, aveva a sua
completa disposizione grosse automobili dai motori ruggenti, veri e
propri bestioni con fiamme dipinte sulle portiere che sembravano urlare
“agenzia di Endeavor” da tutti i pori e che erano
in grado di trasportarlo dall’altra parte della
città in pochi minuti.
In conclusione, Shōto si ritrovava al volante della sua auto personale
solo quando doveva fare acquisti in città o, più
raramente, quando era il suo turno di mettere la macchina durante le
uscite di gruppo organizzate da Iida insieme a Midoriya, Bakugō e gli
altri.
Quella sera, però, non era con loro che Shōto doveva
vedersi, bensì con Yaoyorozu Momo.
Yaoyorozu gli era sempre piaciuta – come amica, come eroina,
come donna
– per cui Shōto aveva accettato il suo invito senza nemmeno
chiedersi perché,
dopo cinque anni passati a ignorarsi a vicenda, Yaoyorozu avesse
improvvisamene deciso che era ora di abbattere quel muro invisibile tra
di loro. Anzi, Shōto le era grato per questo e la semplice idea di
rivedere la sua ex compagna di scuola al di fuori del contesto
lavorativo e parlarci come ai vecchi tempi lo allettava parecchio, a
prescindere da come si sarebbe evoluto l’incontro.
Fu con questi pensieri che, alle nove in punto, il giovane Todoroki
parcheggiò nei pressi del parco, scese dall’auto e
raggiunse il bar in cui Yaoyorozu gli aveva dato appuntamento. Vessel Café
aveva aperto da pochissimo, tant’è che Shōto non
ci era mai entrato prima di quel momento e si chiese perché
Yaoyorozu avesse scelto proprio quel locale e non un altro.
Ottenne la risposta a quel dubbio qualche minuto dopo, quando vide
Yaoyorozu venirgli incontro a
piedi. E dal momento che l’eroina era anche
più ricca di lui e possedeva sicuramente un’auto
anche più lussuosa della sua, l’unica spiegazione
era che Yaoyorozu abitava nei dintorni.
«Todoroki-kun!», lo salutò con un
sorriso, arrivandogli di fronte. «Mi aspettavi da
molto?».
«Sono appena arrivato».
Yaoyorozu indossava una camicetta beige abbinata ad una borsa e ad un
paio di stivaletti in pelle di un colore più scuro, mentre
la gonna di jeans le arrivava poco sopra il ginocchio. Si era truccata
un po’ sugli occhi e aveva lasciato i capelli sciolti sulla
schiena unendo solo due ciocche laterali dietro la testa con un
fermacapelli.
Shōto la trovò molto meno provocante di com’era
solita vestirsi nei panni di eroina e fotomodella, ma non per questo
meno bella, anzi. Era bella in modo naturale, genuino, e Shōto
pensò di preferirla decisamente così, ma non
trovò le parole giuste per dirglielo. D’altronde,
non era mai stato un tipo particolarmente loquace, men che meno con le
donne.
«Entriamo?», gli chiese Yaoyorozu.
Shōto annuì e varcarono insieme la porta del bar.
L’interno somigliava ad una sorta di antica nave piratesca ed
ecco spiegato il nome Vessel
Café: il soffitto era un incrocio di travi di
legno da cui pendevano lampadari a forma di timoni; anche i tavoli, le
sedie e il bancone erano fatti di legno, mentre sulle pareti in pietra
spiccavano quadri di paesaggi marini, vecchie cartine geografiche, uno
scudo con delle spade e altre decorazioni esotiche in linea con il tema
del locale. La luce soffusa creava un’atmosfera intima e
confortevole che a Shōto, complice la poca clientela sparsa per i
tavoli e la presenza di Yaoyorozu al suo fianco, piacque
particolarmente.
«Carino, no?», commentò Yaoyorozu
estasiata, sedendosi ad un tavolo per due. Evidentemente era la prima
volta anche per lei.
«Molto», rispose Shōto sinceramente, accomodandosi
di fronte a lei.
Il cameriere passò dal loro tavolo a raccogliere gli ordini (e a farsi fare un autografo da entrambi). Alla fine, nessuno dei due prese il famoso caffè di cui
avevano parlato la sera prima, forse perché così
il loro incontro sarebbe durato un po’ di più:
Shōto ordinò un tè rigorosamente con ghiaccio,
Yaoyorozu optò per un frullato al cioccolato.
«Dovrei essere arrabbiata con te, sai?»,
esordì l’eroina con un sorriso furbo, puntando i
gomiti sul bordo del tavolo e sostenendosi la testa con le mani ai lati
del viso.
Shōto capì immediatamente a cosa si riferisse, ma volle
assecondare il suo gioco.
«Come mai?», chiese staccandosi dallo schienale
della sedia per sporgersi maggiormente verso Yaoyorozu.
«Come mai?»,
ripeté l’eroina fingendosi esasperata.
«Mi hai lasciata in quel vicolo in compagnia di una
gigantesca statua di ghiaccio! I poliziotti continuavano a dirmi “Signorina Creati,
è sicura che non sia passato di qui Todoroki
Shōto?”. Ed io “Ma no, è
opera mia, ve lo assicuro!”. Alcuni poliziotti
mi hanno creduta a tal punto da lodarmi come la migliore eroina della
città, capace di
ri-creare perfino i Quirk altrui, ma altri poliziotti non
erano molto convinti della mia versione dei
fatti…».
«Immagino…», commentò Shōto
con un accenno di risata mal trattenuta. In effetti, non era uno che
rideva spesso, ma trovò il racconto di Yaoyorozu piuttosto
comico.
«Non ridere di me», ribatté
l’eroina tirandogli un buffetto sul braccio.
«Non oserei mai», concluse Shōto con tono ironico,
senza smettere di sorridere. Poche persone erano veramente in grado di
metterlo a suo agio e Yaoyorozu, con la sua leggerezza e
spontaneità, era una di quelle.
Le bevande che avevano ordinato arrivarono giusto qualche minuto più tardi. Dopo aver ringraziato il cameriere, i due rimasero qualche minuto in
silenzio, entrambi impegnati ad assaggiare la propria bevanda. In
effetti ci sarebbe stato tanto da chiedere e tanto da raccontare, ma
quel silenzio non sembrava dispiacere a nessuno dei due. Anzi, Shōto lo
trovava persino piacevole: perdersi nei propri pensieri, rigirare la
cannuccia tra i cubetti di ghiaccio immersi nel tè e
incrociare di tanto in tanto lo sguardo limpido di Yaoyorozu gli
inondava il petto di una confortante serenità a cui di fatto
non era abituato.
Di nuovo, fu Yaoyorozu a riprendere parola: «Allora, come
vanno le cose in agenzia?».
In effetti, Shōto avrebbe preferito parlare di un argomento diverso dal
lavoro (che lo teneva impegnato praticamente tutti i giorni per tutto
il giorno) o comunque di qualcosa che non avesse a che fare con suo
padre (che non era certamente tra i suoi argomenti di conversazione
preferiti), ma questo Yaoyorozu non poteva saperlo e quella
conversazione avrebbe pur dovuto cominciare da qualche parte.
«Benone, direi. Non ci sono più i villain di una
volta come quelli che giravano ai tempi di All Might e questo
è un bene, sia per noi che per la città, ma
comunque gli incidenti e le rapine sono ancora all’ordine del
giorno e il mio Quirk viene considerato adatto praticamente in ogni benedetta situazione»,
ammise Shōto con un sospiro.
Yaoyorozu doveva aver notato la nota di esasperazione insita nelle sue
ultime parole, perché abbassò le spalle e assunse
un’espressione dispiaciuta. «Sarà
stancante, immagino…».
Shōto si limitò ad annuire.
«…ma anche soddisfacente, no?»,
continuò l’eroina con un particolare e improvviso
luccichio negli occhi. «In effetti, non posso dire lo stesso
di me. L’ottanta per cento delle chiamate che ricevo
è per pubblicizzare un nuovo shampoo. I miei capelli
sembrano valere molto più del mio Quirk».
A Shōto, per la seconda volta in meno di mezz’ora, venne
insolitamente da ridere – più per
l’espressione buffa di Yaoyorozu, che per le sue parole
– ma cercò di limitarsi ad un sorriso cortese
perché probabilmente l’eroina questa volta stava
parlando seriamente e non avrebbe di certo apprezzato la sua reazione.
«Be’, è il pezzo forte della tua
agenzia, no?».
«Sì, ma non era proprio questo che
sognavo…».
«E allora perché non hai scelto un’altra
agenzia?».
«Perché all’epoca la signorina Uwabami
riponeva grande fiducia in me ed io non volevo deludere le sue
aspettative. Seguire le sue orme mi sembrava la cosa più
giusta da fare… o almeno, era questo che pensavo cinque anni
fa». Yaoyorozu abbassò lo sguardo velato di
amarezza e prese a rigirare mollemente la cannuccia sul fondo del
bicchiere mezzo vuoto. «Non è che prestare il mio
volto nelle pubblicità sia così tanto male, ma se
mi chiedessero di scegliere tra il mestiere della fotomodella e quello
dell’eroina, non ci penserei due volte a scegliere il
secondo».
Nonostante non fosse particolarmente incline o bravo a confortare gli
altri, Shōto comprese la mal celata sofferenza di Yaoyorozu e
cercò le parole adatte per rivedere sul suo volto quel bel
sorriso con cui l’aveva accolto all’inizio del loro
incontro.
«Nemmeno io sognavo di entrare nell’agenzia di mio
padre, a dire la verità. E invece ci sono dentro fino al
collo», ammise toccandosi involontariamente la parte sinistra
del volto. «Non ho mai avuto un buon rapporto con mio padre,
anzi, ho sempre avuto un pessimo
rapporto con lui, ma rifiutarmi di entrare nella sua agenzia sarebbe
stato deleterio per entrambi. Te li immagini i titoli sui giornali? “Il grande Endeavor
rigettato dal suo stesso figlio” o al contrario “Todoroki Shōto
diseredato da suo padre”. Non che me ne
importasse granché, ma tu stessa sai che
l’opinione positiva dei media e del pubblico è
fondamentale al giorno d’oggi. Comunque, il motivo principale
per cui ho scelto di entrare nell’agenzia di mio padre
è il fatto che io, per quanto mi costi ammetterlo, ho ancora
bisogno di
lui per diventare l’eroe che desidero essere. O almeno,
è metà del mio Quirk ad averne
bisogno». Shōto accese quasi inconsciamente una piccola
fiammella nella mano sinistra che attirò lo sguardo assorto
di Yaoyorozu. A quel punto, il giovane eroe si rese conto di aver
parlato molto più del solito e di aver confessato a
Yaoyorozu un mezzo segreto di cui pochi erano a conoscenza, ma che
sperava fosse in grado di fare breccia nell’animo tormentato
dell’eroina.
«Siamo ancora giovani e inesperti, Yaoyorozu», le
ricordò infine. «Quello che stiamo facendo ora
è solo un trampolino di lancio per ciò che
diventeremo in futuro. Sono sicuro che, impegnandoci duramente,
raggiungeremo i nostri veri
obiettivi prima di rendercene conto».
«Su di te non ci sono dubbi, Todoroki-kun».
Shōto capì che il suo discorso non aveva ancora sortito
l’effetto sperato. D’altronde, una delle poche
debolezze di Yaoyorozu era quella di non ritenersi
all’altezza di chi solitamente primeggiava, e Shōto se
n’era accorto ai tempi della scuola durante il test finale
del primo anno contro Aizawa-sensei.
«Facciamo un patto», propose allora per spronare
l’eroina. «Se tra dieci anni avverrà
ciò che penso, ci ritroveremo di nuovo qui e tu dovrai
offrirmi da bere proprio come ora».
«Spiegati meglio», disse Yaoyorozu incuriosita.
«Per quanto mi riguarda, non ho motivo di trovarmi
un’altra agenzia, quindi tra dieci anni spero di subentrare a capo dell’agenzia di mio padre che nel frattempo sarà andato in pensione, così da
riformarla secondo le mie regole. Mentre
tu… be’, io ti vedrei bene a capo di
un’agenzia tutta tua».
Colta alla sprovvista, Yaoyorozu sgranò improvvisamente gli
occhi aggrappandosi con le mani al tavolo.
«E-eh?».
«Dico davvero», insistette Shōto con tono
incoraggiante. «Non a caso votai per te come rappresentante
di classe, ricordi? Credo che tu abbia tutte le doti per il ruolo di leader».
«Todoroki-kun…», sussurrò
Yaoyorozu arrossendo deliziosamente sulle guance. «Ti
ringrazio per la fiducia, ma fondare un’agenzia non
è cosa da tutti i giorni. Tu sei sempre stato troppo buono
con me».
«E tu ti sei sempre sottovalutata».
Yaoyorozu sussultò visibilmente per quelle parole
così schiette e incassò la testa nelle spalle non
trovando alcun modo per ribattere.
«Allora?», continuò Shōto porgendole una
mano per suggellare il loro patto. «Ci stai?».
Yaoyorozu guardò prima la sua mano, poi il suo volto e di
nuovo la sua mano. Infine, da riflessiva e dubitante,
l’espressione dell’eroina diventò
improvvisamente decisa e speranzosa.
«Sì, ci sto», concluse con una nuova
luce negli occhi stringendo la mano di Shōto in una presa ferrea.
Si sorrisero, complici di quel nuovo legame appena nato, e Shōto si
congratulò con se stesso per aver riportato alla luce la
peculiarità del carattere di Yaoyorozu che più
apprezzava: la determinazione.
Quando la loro stretta di mano si sciolse, abbandonarono la questione
del lavoro per parlare del più e del meno. In
realtà, Shōto non riuscì a mantenersi vigile per
tutto il tempo della conversazione, più attratto dalle
labbra carnose di Yaoyorozu che si schiudevano a cuore intorno
all’estremità della cannuccia ogni qualvolta
beveva un nuovo sorso del suo frullato. Era un’immagine
veramente ipnotizzante, a tratti sensuale,
capace di estraniarlo per pochi attimi dalla realtà e
mettergli in testa idee e immagini a cui non pensava da diverso
tempo.
Nel complesso, Shōto riuscì a captare che ora Yaoyorozu
viveva da sola in una villetta ereditata dalla sua famiglia, che si
teneva ancora in contatto con le sue vecchie amiche di scuola, ma
soprattutto che anche
lei era stata invitata all’imminente matrimonio di Jirō e
Kaminari. Con quest’ultimo, Shōto aveva stretto una vera
amicizia solo nell’ultimo anno grazie alle uscite in comune
con gli altri ex compagni di classe, ma l’invito a quel
matrimonio gli aveva fatto storcere un po’ la bocca per il
semplice fatto che non amava le grandi occasioni – troppo
cibo, troppa musica, troppe persone. Tuttavia, ora che sapeva che ci
sarebbe stata anche Yaoyorozu, il matrimonio di Kaminari non gli
sembrava poi una cosa così brutta.
Nonostante le lamentele di Shōto che avrebbe preferito pagare la
propria parte, al termine dell’incontro Yaoyorozu volle
pagare per entrambi proprio come aveva promesso la sera prima.
«Ti accompagno a casa?», propose Shōto quando
uscirono dal bar. Era buio e la strada illuminata solo dai lampioni era
quasi deserta, ma non era per quello che si era offerto di fare il
tragitto con lei: Yaoyorozu se la sarebbe cavata benissimo da sola
contro qualsiasi malintenzionato o criminale. La verità era
che quella serata trascorsa insieme gli aveva ricordato quanto e perché
Yaoyorozu gli fosse sempre piaciuta. E se all’inizio avevo
preso quel loro incontro piuttosto alla leggera, ora non poteva non
considerarlo come una sorta di primo appuntamento da concludere nel
migliore dei modi.
«Non ce n’è bisogno, abito proprio qui
vicino», rispose però Yaoyorozu indicando con una
mano la strada che costeggiava il parco.
Nonostante la lieve delusione per quel rifiuto, Shōto annuì
senza battere ciglio, ma Yaoyorozu sembrò pentirsi
all’istante. «E-ecco, volevo dire… se
non ti reca troppo disturbo, allora va benissimo!»,
esclamò gesticolando imbarazzata.
Shōto si sentì incredibilmente sollevato per quel repentino
cambio di programma e così i due si incamminarono fianco a
fianco verso la casa di Yaoyorozu che, come previsto, distava solo
mezzo chilometro dal bar. Una volta arrivati di fronte alla villa, una
bella casa nuova con tanto di giardino, vialetto e cancello, Yaoyorozu
si voltò verso di lui con un sorriso.
«Sono stata veramente bene con te stasera,
Todoroki-kun».
Quando Shōto, guardando l’eroina in volto, si accorse che una
ciocca nera le era sfuggita dal fermacapelli dietro la testa e ora le
ricadeva mollemente lungo la guancia, niente gli impedì di
allungare una mano e sistemarle la ciocca dietro l’orecchio.
«Vale anche per me, Yaoyorozu».
«Quindi…», disse lei di rimando, le gote
arrossate per quel gesto tanto intimo. «…pensi
che potremmo vederci di nuovo prima che passino i dieci anni del nostro
patto?».
Shōto, per l’ennesima volta in quella serata, si
ritrovò a sorridere come poche volte in vita sua. Un sorriso
aperto, sincero, per nulla forzato.
«Certo, Yaoyorozu».
Gli occhi dell’eroina si illuminarono all’istante,
tant’è che volle dargli il suo nuovo numero
affinché potessero sentirsi per telefono. Shōto, in cuor
suo, se ne rallegrò parecchio, ormai certo di piacere a
Yaoyorozu almeno quanto lei piaceva a lui.
«Grazie di tutto, Todoroki-kun», concluse Yaoyorozu
facendo un passo verso di lui e sollevandosi sulle punte dei piedi per
potergli lasciare un veloce bacio sulla guancia sinistra che si
scaldò all’istante, ma non ad opera del suo Quirk.
Per un attimo Shōto ebbe voglia di voltare la testa e farsi baciare
direttamente sulle labbra, ma non era sicuro di come Yaoyorozu
l’avrebbe presa e allora preferì non affrettare le
cose. D’altronde, avevano a loro disposizione ancora
tantissimo tempo.
Infine si augurarono la buonanotte e continuarono ognuno per la propria
strada, entrambi consapevoli che si sarebbero rivisti molto, molto presto.
Note dell'autrice:
RINGRAZIO
di cuore chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate e
soprattutto Zomi
che l'ha recensita.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nel prossimo scopriremo cosa ne
pensa Momo di questo primo appuntamento. Il matrimonio tra Jiro e
Kaminari di cui ho accennato sarà parecchio significativo
per lo sviluppo della TodoMomo. Ho scelto proprio Jiro e Kaminari
perchè mi sembra che siano una coppia su cui quasi tutti
sono d'accordo, mentre forse la Izuku/Ochako desta più
polemiche (io stessa preferisco, ad esempio, la BakuDeku e so che anche
la Kacchako va molto di moda).
Come vedrete, in questa storia tratterò sia l'evoluzione
della TodoMomo, sia la questione del lavoro per Momo e del rapporto
padre-figlio per Shoto.
Grazie a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa, alla prossima!
Soly Dea
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Capitolo 3 *** The wedding (part 1) ***
contest
Burning
like ice
#03.
The wedding (part 1)
Due settimane. Erano passate ben due settimane da quando
avevano trascorso la serata insieme al Vessel Café e di
Todoroki nemmeno l’ombra. Eppure, Momo aveva cercato di
fargli capire in tutti i modi che desiderava un secondo incontro (e un
terzo e un quarto e un quinto…): era stata lei ad invitarlo,
era stata lei a pagare per entrambi, era stata lei a dargli il suo
nuovo numero di cellulare e infine a baciarlo su una guancia (come
fosse riuscita a trattenersi dal gettargli le braccia al collo e
stampargli quel bacio sulle
labbra, Momo proprio non lo sapeva, ma questa è
un’altra storia).
Comunque, anche Todoroki le aveva fatto capire – sia con le
parole che con i gesti – che aveva apprezzato molto la sua
compagnia: aveva sorriso ad ogni sua battuta (cosa veramente insolita
per un tipo serio come lui), le aveva aperto il suo cuore riguardo il
tormentato rapporto con suo padre, l’aveva incoraggiata a
costruirsi un futuro migliore del presente, si era offerto di
accompagnarla a casa nonostante distasse cinquecento metri scarsi dal
bar, le aveva scostato una ciocca dal viso con una delicatezza tale da
lasciarla senza fiato e aveva ammesso apertamente che sì,
desiderava rivederla.
Per tutti questi motivi, Momo non riusciva proprio a spiegarsi
perché Todoroki non si fosse degnato di chiamarla o anche
solo di mandarle uno straccio di messaggio nell’arco di
quelle due settimane. Dopo i primi giorni di silenzio, Momo si era
convinta del fatto che Todoroki avesse molto da fare in agenzia e che
l’avrebbe chiamata non appena avesse avuto un po’
di tempo libero, ma una volta sorpassati i dieci giorni Momo aveva
cominciato ad avere seri dubbi. Oltretutto, una sera l’aveva
intravisto in giro per la città insieme ad alcuni amici e
quella era stata la batosta finale: se Todoroki trovava del tempo
libero per i suoi amici ma non per lei, allora forse a lei non era
veramente interessato.
Possibile che avesse mal interpretato il comportamento di Todoroki nei
suoi confronti? Possibile che non gli andasse di rivederla o anche solo
di risentirla? O che, semplicemente, si fosse dimenticato di
richiamarla?
«Signorina, va tutto bene?», le chiese il fotografo
quella mattina interrompendo le inquadrature. «Non mi sembra
molto in forma oggi».
Seduta sullo sgabello con le braccia dietro la testa, le gambe
sinuosamente accavallate e la luce di numerosi riflettori tutti puntati
su di lei, Momo tornò gradualmente in una posa
più naturale e si lasciò sfuggire un sospiro di
frustrazione. In effetti, nonostante la sua truccatrice si fosse
impegnata per farla bella in vista dello shooting, non era comunque
riuscita a nascondere quel moto di delusione ben evidente sul suo volto
che le faceva aggrottare inconsciamente le sopracciglia e piegare gli
angoli delle labbra all’ingiù.
«Forse sarebbe meglio rimandare ad un altro
giorno», concluse Momo dispiaciuta. Il fotografo
acconsentì e l’intera troupe cominciò a
smontare il set.
Una volta raggiunto il suo camerino, Momo si struccò con
cura, si sciolse i capelli, indossò abiti più
comodi e si abbandonò sulla comoda poltrona di fronte allo
specchio, che le restituì il riflesso del suo volto pulito
ma spento. In effetti, non era da lei abbattersi in quel modo per un
uomo – solitamente, le cadevano tutti ai piedi con uno
schiocco delle dita e in generale non le era mai importato
granché – ma con Todoroki era tutta un’altra cosa.
Non si trattava di semplice attrazione fisica o ammirazione. Il suo
atteggiamento pacato e riflessivo, i suoi modi cortesi ma decisi, i
suoi discorsi ben calcolati e mai banali, così come
l’incredibile forza d’animo che aveva dimostrato
più volte, tanto nella vita quotidiana quanto nei panni
dell’eroe, l’avevano conquistata fin dai tempi
della scuola. E Momo era certa che avrebbe potuto perfino innamorarsene, se
solo Todoroki gliene avesse dato la possibilità.
In fin dei conti, non era di un rifiuto che Momo aveva paura. Avrebbe
preferito di gran lunga sentirsi dire chiaro e tondo di non farsi
troppe aspettative, di non sperare in qualcosa che non ci sarebbe
stato, piuttosto che illudersi che il loro rapporto avrebbe potuto
prendere una piega nuova, diversa. Lo avrebbe accettato, se ne sarebbe
fatta una ragione e sarebbe andata avanti a testa alta, ma fino a quel
momento Todoroki non aveva fatto altro che evitare
l’argomento. Per due lunghe settimane. E come poteva Momo
prendere una decisione – continuare a crederci o lasciar
perdere – se non aveva certezze a cui aggrapparsi?
Momo si chiese soprattutto come avrebbe dovuto comportarsi con Todoroki
il giorno successivo, al matrimonio di Kyōka e Kaminari. Ignorarlo? Far
finta di niente? Provare a chiarire la situazione per mettersi
l’anima in pace?
Di colpo, la porta del suo camerino si aprì rivelando il
volto agitato della signorina Uwabami.
«Chiamata urgente!», disse in fretta e furia la
donna. «Hanno bisogno di noi alla banca!».
Di colpo, Momo sentì la testa svuotarsi di qualunque
pensiero negativo mentre tutta l’amarezza di poco prima si
dissolveva nel nulla, sostituita dal frizzante sapore
dell’adrenalina. Svelta, si legò i capelli nella
solita coda alta, indossò il costume da eroina e
seguì Uwabami fuori dall’agenzia, pronta a fare
ciò per cui si era sempre sentita veramente portata:
rendersi utile per il bene della sua città.
A Todoroki ci avrebbe pensato il giorno dopo.
***
Il mattino dopo, Momo arrivò al santuario
shintoista, un bellissimo edificio dai colori sgargianti in
perfetto stile giapponese, giusto un paio di attimi prima
dell’inizio della cerimonia, ma la colpa di quel disastroso ritardo
non era sua, bensì di Mina e Tōru che l’avevano
fatta attendere in auto per quasi un’ora. Una stramaledettissima
ora in cui Momo si era amaramente pentita di essersi offerta di
accompagnarle e aveva seriamente pensato di mollarle lì a
prepararsi per andare al matrimonio della sua migliore amica da sola.
Come se non bastasse, il loro impetuoso
arrivo aveva attirato l’attenzione di tutti gli invitati, i
quali avevano smesso improvvisamente di chiacchierare tra loro e si
erano voltati contemporaneamente a guardare le tre arrivate: i loro ex
compagni di scuola, tutti riuniti lì per
l’occasione, le fissavano in parte divertiti e in parte
esasperati, mentre i parenti degli sposi non nascondevano né
sguardi piuttosto indignati per il loro tremendo ritardo, né
occhiate melliflue nei confronti della bella e famosa Creati.
L’imbarazzo che Momo provò in quel momento
– nulla a che vedere con la sicurezza con cui si destreggiava
solitamente di fronte alle telecamere nei panni di fotomodella
– passò rapidamente in secondo piano quando si
rese conto che l’unico posto libero tra le prime file era
quello al fianco di una familiare testa per metà bianca e
per metà rossa, dal momento che Mina e Tōru avevano avuto la
brillante
idea di affrettarsi a raggiungere Ochako e Tsuyu. C’erano
alcuni posti vuoti anche nelle ultime file, ma da lì Momo
non sarebbe riuscita a vedere nulla, per cui fu con passo da automa e
sguardo basso che raggiunse silenziosamente (più o meno,
dato che i suoi tacchi risuonavano in modo fastidiosissimo nel silenzio
generale del santuario) il posto accanto a Todoroki e si sedette stando
ben attenta a non spiegazzare il vestito elegante che aveva indossato
per l’occasione. Indirizzò un sorriso di scuse a
Kyōka, bellissima nel suo tradizionale kimono
bianco, la quale le sorrise di rimando per tranquillizzarla
per poi rivolgere l’attenzione al suo futuro sposo,
letteralmente elettrizzato
per l’occasione, come dimostravano le piccole scariche
elettriche che il suo corpo emanava.
Il rito cominciò in quello stesso momento e solo allora Momo
si decise a salutare Todoroki con un «Ciao» di pura
cortesia, limitandosi a guardarlo con la coda dell’occhio.
«Ciao», le rispose Todoroki con tono altrettanto
freddo senza osare guardarla. Per qualche attimo Momo si chiese cosa
pensasse in quel momento, se fosse arrabbiato con lei per qualche
motivo, se si sentisse a disagio tanto quanto lei o se la loro
vicinanza non lo toccasse più di tanto, ma poi si convinse
che non era il momento di pensarci e che avrebbe fatto meglio a
concentrarsi sulla cerimonia.
Rimasero entrambi immobili e in silenzio per tutta la durata della
cerimonia a sorbirsi da una parte i pianti di commozione di Ochako e
Mina, e dall’altra gli scatti d’ira di un
impaziente Bakugō che Midoriya cercava invano di calmare, mentre la
giovane coppia di fronte a loro si prometteva amore eterno nel modo
più vero e assoluto possibile.
Al momento del bacio – l’unico in cui Kaminari
smise di emettere elettricità da tutti i pori per potersi
avvicinare alla sua amata – a Momo sfuggì
un’unica lacrima solitaria, prontamente asciugata con un
fazzoletto per evitare che il trucco le colasse dagli occhi
impasticciandole il viso. Era veramente, veramente felice per la sua
migliore amica e non avrebbe lasciato che il dispiacere per
ciò che non era successo con il silenzioso uomo seduto al
suo fianco le rovinasse quella bellissima giornata.
Dopo la cerimonia, gli auguri agli sposi e le foto, Momo
andò a recuperare Mina e Tōru affinché si
recassero insieme presso il ristorante in cui si sarebbe svolto il
ricevimento. Ad accoglierle fu un locale immenso provvisto di grandi
vetrate e fontane con giochi d’acqua danzanti, come aveva
espressamente richiesto Kaminari – Momo ricordava che Kyōka
avrebbe preferito qualcosa di più ridimensionato, in
linea con la sua indole riservata, ma Kaminari aveva insistito per
regalarle il “matrimonio del secolo” e Kyōka non
era proprio riuscita a smorzare il suo entusiasmo.
La sala adibita al ricevimento era stata riccamente decorata per
l’occasione: gli invitati avrebbero preso posto ai larghi
tavoli rotondi sparsi per la sala, mentre agli sposi spettava il tavolo
più piccolo posizionato proprio al centro
affinché avessero una visione generale dell’intero
ricevimento. In un angolo della sala, una rockband intratteneva gli
invitati con brani movimenti e moderni su richiesta di Kyōka, che aveva
ereditato la passione per quel genere musicale dal padre.
Momo fu contenta di ritrovarsi seduta al fianco di tutte le sue ex
compagne di classe, anche perché da quella posizione poteva
godersi perfettamente il quadretto romantico al centro della sala:
Kaminari aveva finalmente smesso di elettrizzarsi ed ora conversava
tranquillamente con la sua neo moglie, la quale aveva abbandonato lo
scomodo kimono della cerimonia per indossare un vestito molto
più semplice dai colori scuri, i suoi preferiti. Per Momo,
l’unica nota dolente in quel quadretto era la figura di
Todoroki che intravedeva oltre la spalla di Kaminari: seduto
compostamente al tavolo dei ragazzi, Todoroki, spalle dritte e sguardo
fiero, scambiava di tanto in tanto qualche parola con Midoriya o si
lasciava andare ad una delle sue brevi risate sommesse ascoltando
Kirishima raccontare, forse, vecchi aneddoti risalenti ai tempi della
scuola. Era bellissimo nel suo smoking grigio e Momo si
ritrovò a rimpiangere tutti i film mentali che si era
costruita per quel giorno tanto atteso prima di scoprire che, in
realtà, a Todoroki non importava poi così tanto
di lei.
«Ohi, Yaomomo, tutto bene?», le chiese Mina
toccandole con gentilezza il braccio, avendo forse notato il suo
sguardo perso.
Momo annuì sforzandosi di sorridere. «Sono solo un
po’ stanca».
Più volte quella mattina si era ripromessa di non perdersi
in pensieri inutili e frustranti, ma puntualmente ci ricascava dentro
non appena i suoi occhi si posavano sull’elegante figura di
Todoroki. Doveva necessariamente distrarsi con qualcos’altro,
altrimenti non sarebbe riuscita a godersi veramente quella giornata.
«E tu, Mina? Novità con Kirishima?»,
buttò lì la prima cosa che le venne in mente per
animare la conversazione. In realtà, Momo non sapeva se Mina
e Kirishima fossero solo buoni amici o qualcosa di più, ma
aveva sempre pensato che con la loro frizzante allegria avrebbero
formato una bellissima coppia. Di sicuro a Mina Kirishima non era
indifferente, mentre era sicuramente più difficile decifrare
l’interesse di Kirishima, dal momento che sembrava ronzare
più intorno a Bakugō che alle ragazze.
«COOOSA?», esplose Ochako con gli occhi a cuore,
avendo captato le parole di Momo. «Mina! Ti senti con
Kirishima e non ci racconti nulla?!».
Mina arrossì lievemente sulle gote, rivolgendo al contempo
un’occhiata di rimprovero a Momo che rise tra sé e
sé. «Io non mi sento con Kirishima»,
specificò l’eroina dal volto e dai capelli rosa
confetto.
«Ceeerto»,
finse Ochako. «Ed io non sono innamorata di
Dek–!». Quando Uravity si rese conto della
verità che aveva appena ammesso ad alta voce di fronte a
tutte, arrossì violentemente e si tappò la bocca
con entrambe le mani.
«Questa non è una novità,
Ochako-chan», le fece notare molto limpidamente Tsuyu,
provocando l’ilarità delle altre che scoppiarono a
ridere trovandosi estremamente d’accordo.
«Oh, i-insomma! Non era di me e Deku-kun che stavamo
parlando, ma di Mina e Kirishima!», esclamò Ochako
cercando di ridarsi un contegno. «Avanti, Mina, sputa il
rospo! … Senza offesa ovviamente, Tsuyu-chan», si
affrettò a precisare rivolta a Froppy, che
minimizzò con un cenno della mano.
«Ve l’ho detto, tra e me Kirishima non
c’è nulla!», sbottò Mina.
«Quindi…», si intromise Tōru con sguardo
ammiccante (non che potessero vedere davvero il suo
sguardo, ma era questo che lasciava intendere il tono allusivo della
sua voce). «Ci stai dicendo che non sai se
Kirishima può irrigidire a proprio piacimento anche
il–?».
«HAKAGURE TŌRU!», esplose a quel punto Mina, ormai
non più rosa confetto ma rossa come un pomodoro.
Momo scoppiò a ridere, seguita a ruota dalle altre. Non
ricordava che Tōru fosse così sfrontata e non
pensava minimamente che la sua domanda di poco prima avrebbe scatenato
una simile conversazione. Un po’ le dispiaceva aver messo in
difficoltà la povera Mina, ma in realtà trovava
il tutto estremamente divertente. E da quel preciso momento, tra piatti
prelibati, qualche bicchierino di sakè, musica rock a tutto
volume e piacevoli chiacchiere tra amiche, Momo sentì che la
giornata stava migliorando a vista d’occhio,
tant’è che in quelle ore non pensò a
Todoroki nemmeno per un momento.
Il momento assolutamente più emozionante fu quando Kyōka,
sotto gli occhi esterrefatti e innamorati di Kaminari,
abbandonò il loro tavolo e raggiunse la rockband dichiarando
al microfono che aveva una sorpresa in serbo per gli invitati, ma
soprattutto per il suo sposo.
Si fece portare infatti la sua chitarra e, accomodandosi su uno
sgabello, cominciò a suonare e cantare un pezzo molto
particolare, sicuramente di sua invenzione, a metà tra un
brano rock e una canzone d’amore. Parlava infatti di due
ragazzi che si erano conosciuti a scuola, che all’inizio non
si erano piaciuti, ma che poi si erano riscoperti molto più
simili di quanto avrebbero mai pensato, tanto da innamorarsi
l’uno dell’altro.
Kyōka suonava con un sorriso emozionato stampato sul volto e Kaminari,
seduto al tavolo con gli occhi puntati su di lei, sembrava pendere
dalle sue labbra, assorbendo ogni nota e ogni accordo di quella
meravigliosa canzone a lui dedicata. Quando Kyōka terminò,
Kaminari le andò subito incontro per abbracciarla e baciarla
sotto i fischi e gli appalusi degli invitati, ringraziandola per la
sorpresa assolutamente inaspettata e gradita.
Momo si stava asciugando la seconda lacrima di commozione di quella
giornata, quando la rockband – approfittando del fatto che i
due sposi se ne stessero stretti l’uno all’altro
– decise di cambiare totalmente genere musicale mettendo un
lento in sottofondo per far ballare tutte le coppie della sala.
Di fatti, agli sposini si aggiunsero da un lato i genitori di Kyōka e
dall’altro quelli di Kaminari. Gradualmente, molte altre
coppie di invitati raggiunsero il centro della sala.
Senza quasi accorgersene, Momo si ritrovò praticamente da
sola al tavolo: Midoriya, seppur profondamente imbarazzato, aveva
trovato il coraggio di invitare Ochako e lo stesso avevano fatto
Kirishima con Mina e Mashirao con Tōru, e infine anche Tsuyu aveva
trovato il suo cavaliere.
Se nell’arco delle ultime ore Momo era riuscita a non pensare
a Todoroki nemmeno per un attimo, fu proprio in quel momento che si
ritrovò con gli occhi fissi sulla sua figura
dall’altro lato della sala. Todoroki aveva abbandonato la
pesante giacca grigia sullo schienale della sedia rivelando una camicia
di colore blu scuro e una cravatta bianca. Anche lui sedeva al tavolo
da solo, dal momento che metà dei ragazzi erano impegnati a
ballare e gli altri erano usciti fuori a fumare.
A Todoroki le sigarette non erano mai piaciute, Momo se lo ricordava
bene e forse ora ne capiva anche il motivo. Più che per una
questione di salute, Todoroki sembrava (forse inconsciamente) andare
contro tutto ciò che fosse caldo o infuocato per via
del tormentato rapporto con suo padre e il Quirk da lui ereditato:
beveva tè rigorosamente con
ghiaccio, preferiva la soba tiepida piuttosto
che bollente, indossava sempre abiti dai colori freddi e non
avrebbe fatto uso di sigarette e accendino nemmeno se lo avessero
pagato. Tutto quadrava, ora. Oltretutto, Momo proprio non ce lo vedeva
con una sigaretta tra le dita – quella era
un’immagine che si addiceva più ad uno come Bakugō
e infatti Momo ne ebbe la conferma guardando attraverso le vetrate del
ristorante, oltre le quali il re
delle esplosioni fumava piuttosto felicemente la sua
adorata sigaretta con la speranza, forse, di calmare i nervi sempre
rigidi.
Se lo sentiva, Momo, che Todoroki l’avrebbe invitata a
ballare: al di là della serata che avevano trascorso insieme
due settimane prima, al di là dell’interesse o del
disinteresse nei suoi confronti da un punto di vista sentimentale,
Todoroki si era sempre dimostrato gentile
con lei e Momo era certa che non l’avrebbe lasciata da sola
mentre tutte le sue amiche si divertivano in pista. Di fatti, quando
l’eroina tornò a guardare il tavolo al quale
Todoroki era seduto, notò che era completamente vuoto.
«Yaoyorozu».
Veloce e silenzioso, Todoroki aveva approfittato di quel suo momento di
distrazione per fare il giro dell’intera sala e giungere al
suo fianco. Quando ruotò la testa di lato e
incrociò il suo sguardo, Momo sentì la testa
svuotarsi di ogni pensiero che non fosse Todoroki e i suoi profondi
occhi eterocromatici puntati su di lei e la sua carnagione chiara che
contrastava con il blu della camicia e la sua mano destra protesa verso
di lei per invitarla a ballare.
«Ti va?», le chiese soltanto, le labbra strette in
una linea dura e lo sguardo imperturbabile.
E come avrebbe potuto, Momo, rifiutarsi di stare stretta al costante
oggetto dei suoi pensieri?
Dimenticando improvvisamente gli ultimi giorni trascorsi tra mille
dubbi e pensieri amari, l’eroina si limitò a
posare la mano su quella fresca di Todoroki e a lasciarsi guidare in
pista, dove Mina – stretta a Kirishima – le fece
prontamente l’occhiolino, poco prima che Momo si ritrovasse
incollata al petto ampio di Todoroki, con la mano che era stata
artefice dell’invito posata proprio al centro della schiena
scoperta.
Rossa in volto per il sakè, l’emozione e
l’imbarazzo, Momo sapeva che in quel modo sarebbero giunti
ben presto alla resa dei conti, ma per il momento non voleva godersi
nient’altro che quel lento ballo da sogno con Todoroki.
Note dell'autrice:
Ve l'aspettavate un risvolto del genere, con Todoroki che NON
richiamava Momo? Spero di avervi sorpresi :D
Lo so, in questo capitolo non succede molto tra loro due, ma volevo
inquadrare bene la situazione del matrimonio (e infatti ho provveduto
anche a mettervi un paio di link per farvi vedere come funziona il
matrimonio tradizionale in Giappone, paese che amo; infatti ho studiato
giapponese all'università). Nel prossimo capitolo scopriremo
perchè Todoroki non ha richiamato Momo... voi nel frattempo
cosa ne pensate? Sarà successo qualcosa?
Gli accenni alle varie coppie (tranne la KamiJiro, che adoro) sono per
pure esigenze di copione: in realtà non shippo
particolarmente nessuna delle altre coppie che ho citato, ma volevo
dare un po' di colore alla conversazione tra amiche in modo da
far distrarre Momo.
GRAZIE a
chi segue e recensisce la storia, a presto!
Soly Dea
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