Be with me

di Helmwige
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Il pozzo ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Tradimento ***
Capitolo 3: *** Capitolo III -Solitudine ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - La Diade ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Confessioni ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - La Vecchia Ferraglia ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII - Tempo ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII - Briciole ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX - L'ombra della bramosia ***
Capitolo 10: *** Capitolo X - Ghiaccio e Sangue ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Il pozzo ***


I remember years ago
Someone told me I should take
Caution when it comes to love, I did.”
James Arthur
 
Rey non si era mai sentita così frammentata. Sentiva di aver perso totalmente il collegamento tra mente e corpo. Percepiva i muscoli muoversi, le giunture oscillare, le ossa ondeggiare in modo cadenzato, veloce, frenetico. Era perfettamente consapevole di come il suo corpo si stesse spostando, rapido e preciso, tra le macerie dell’ormai caduto tempio Sith.
Una macchina di sangue, muscoli e carne. Solo una macchina.
Nonostante il suo corpo sprigionasse vitalità, la mente di Rey era altrove, persa nelle ombre di Exegol come un’anima strisciante tra la polvere e le macerie.
E il sangue.
Ricordava piccole gocce di sangue per terra, meri puntini tra le pietre. Sangue rosso scuro. Forse il suo, forse no.
Avrebbe voluto fermarsi, tornare indietro, assicurarsi che no, non c’era più. O magari c’era, invece, e doveva andarlo a prendere prima che la roccia lo schiacciasse.
I suoi pensieri si sovrapponevano l’uno all’altro, in disordine, urlando prima un ordine e poi un altro, contraddicendosi senza sosta.
Eppure i suoi arti non si fermavano nemmeno un momento, mai un’esitazione. Rey si lasciò il tempio Sith alle spalle, dirigendosi verso l’Ala-X di Luke, avvolta dalla foschia.
L’aria era piena della polvere sollevata dalle astronavi che, una dopo l’altra, si stavano abbattendo sul pianeta. La fuliggine le entrava nelle narici, la soffocava, le riempiva gli occhi.
Si avvicinò alla nave quasi a tentoni. Si appoggiò con una mano, tentando di togliersi la cenere dagli occhi con l’altra.
Quando rialzò la testa, il suo cuore perse un battito nel vedere un caccia TIE adagiato a pochi metri di distanza. La sorpresa, tuttavia, durò solo qualche secondo. Non vi era nessuno a bordo, né nei dintorni. Istintivamente abbassò la guardia, non percependo alcun pericolo. No, nessuno poteva essere nascosto nel caccia. Il suo ex proprietario era appena scomparso sotto le sue stesse mani.
Morto.
Rey scacciò quel pensiero con rabbia. Aprì l’Ala-X e vi si tuffò all’interno, preparandosi a decollare.
La nave si staccò da terra con un leggero fremito, poi puntò la punta del muso verso l’alto, in direzione della battaglia ormai agli sgoccioli.
Rey si girò un’ultima volta verso il caccia che Ben aveva usato per arrivare lì. Una parte del suo cervello si meravigliò della sua memoria, dato che l’unico puntatore Sith si trovava ancora nella nave di Luke, lì dove l’aveva messo lei.
Un pilota eccezionale, come tutti gli Skywalker.
Una lacrima silenziosa rotolò lungo la sua guancia, tracciando una scia rosea nella polvere.
Solo quando fu fuori dall’atmosfera di quel pianeta venefico la ragazza provò a rimettere in ordine i suoi pensieri. Ragionare le costava uno sforzo immane, la sua mente era ancora troppo sopraffatta dalla stanchezza, dalle emozioni… e soprattutto dal dolore.
 
***
 
Quando arrivò alla base della Resistenza, trovò il caos.
Era però un caos gioioso, ricco, vivo. Una profusione di risa, abbracci e pacche su schiene stanche ma ben dritte ed orgogliose della vittoria.
Un caos ben diverso da quello che dimorava dentro di lei.
Atterrò tra gli alberi, le foglie solleticarono la pancia dell’Ala-X.
Il corpo di Rey si affrettò a scendere, balzando giù dalla scaletta e atterrando sul tappeto d’erba. I suoi piedi corsero veloci verso la folla, mentre gli occhi cercavano disperati i volti dei suoi più cari amici.
Per primo vide Chewie, con un disco d’oro scintillante tra le zampe. La medaglia al valore di Han. La ragazza distolse immediatamente lo sguardo sentendo già le lacrime riaffiorare.
Le ci volle un’altra manciata di secondi prima di scorgere la chioma scura di Poe e il sorriso smagliante di Finn. I due si abbracciavano, gridando di gioia.
Le sue gambe si lanciarono nella loro direzione e le braccia si allungarono verso di loro.
I loro corpi si scontrarono, allacciandosi l’uno all’altro. Rey si trovò schiacciata nel mezzo, stretta nella morsa delle loro braccia possenti, incapace di respirare.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, che cominciarono a scendere una dietro l’altra sul suo viso provato.
Sorrideva, Rey. Sorrideva perché non poteva farne a meno, troppo felice di avere tutti lì. Sorrideva perché la folla era in delirio per la vittoria. Sorrideva perché non l’aveva creduto possibile, ma erano ancora tutti di nuovo insieme, sani e salvi.
Tutti, tranne uno.
La ragazza fu la prima a sciogliere l’abbraccio. I suoi occhi tristi catturarono subito l’attenzione di Finn: “Rey, che cos’hai?”
La ragazza strinse le labbra, eliminando del tutto il sorriso che l’aveva illuminata fino a qualche secondo prima. “Devo parlare con il Generale,” sussurrò.
Finn e Poe si lanciarono un’occhiata nervosa e turbata. Il silenzio afflitto che ne segui fece accelerare a dismisura il cuore di Rey, in preda a un terribile presentimento.
“Dov’è Leia?”
 
***
 
Il sole aveva già disegnato l’intero arco nel cielo e si era già nascosto oltre l’orizzonte, le ombre si allungavano nere verso le gambe immobili della ragazza, strisciando come serpenti.
Rey non si era più mossa da quando si era accasciata sul pavimento, davanti al letto di Leia. O meglio, del letto che una volta le era appartenuto. Le coperte erano sgualcite, le lenzuola avevano preservato la forma del suo corpo e i vestiti erano ancora lì… ma il suo corpo non c’era.
Sparito nel nulla.
Come quello di un Jedi.
Come quello di Ben.
Era rimasta inginocchiata accanto al giaciglio dell’ex Generale per minuti, forse ore. Il tempo si era dissolto nel nulla, come la pioggia nel mare. Solo il pavimento freddo sotto la ragazza era rimasto intatto, unico sostegno alla sua mente che cadeva a pezzi.
Rey mosse piano l’indice destro, seguito poi dalle altre dita finché pian piano non riuscì a chiudere il pugno. I suoi ricordi erano frastagliati, come i resti della Morte Nera su Kef Bir. Qualcuno l’aveva raccolta dal pavimento e l’aveva depositata su quel letto, ne era certa. Non sapeva se fosse stato Poe o Finn. Ricordava solo un paia di braccia che la sollevavano e una voce lontana che mormorava parole indistinte. Poi nient’altro, solo un lungo dormiveglia intervallato da luce blu e buio.
 
“Sapevo che la notizia l’avrebbe distrutta, ma non pensavo potesse reagire così male.” La voce di Poe s’infilò nelle orecchie di Rey feroce come uno stiletto.
“È stato solo l’ultima di una lunga serie di ferite, l’ultima goccia di dolore in un vaso colmo fino all’orlo,” sentenziò Finn.
“Ma come siamo poetici.”
“Prendimi pure in giro, ma è così. Troppe rivelazioni da smaltire in così poco tempo. Prima il segreto della sua famiglia, poi Leia… Perfino la mente più forte si sarebbe lacerata.”
“Rey è più forte di tutti noi messi insieme,” sentenziò Poe. “Dalle il tempo di riprendersi e vedrai che tornerà quella di prima.”
Le voci si erano fatte sempre più indistinte, leggere e quiete come la brezza del mare di Ahch-To.
 
Era rimasta immobile per ore, Rey, incapace di trovare le energie perfino per girarsi o per muovere la testa sul cuscino. Incapace di emettere una sola parola per rispondere ai suoi amici. Incapace soprattutto di trovare una fine a quel pozzo nero che le si era formato in mezzo al petto.
Alla fine, quando le voci si zittirono e il silenzio affiancò nuovamente il buio, si ritrovò a pregare che quel pozzo la inghiottisse del tutto.
 
***
 
C’era la neve, sul pianeta Starkiller.
Rey non l’aveva mai vista prima. Era soffice, bianca e gelida, talmente fredda che scottava contro il suo corpo. Era sdraiata per terra. La testa le scoppiava e gli occhi, annebbiati dal colpo e dalla neve, continuavano ad aprirsi e chiudersi, senza riuscire a mettere a fuoco la scena che si svolgeva a qualche metro di distanza. Distingueva solo due lame, una blu e una rossa, che danzavano tra gli alberi. Poi la lama blu si spense, sparendo nel buio.
La terra si spaccò sotto il suo corpo. Rey sprofondò.
Si ritrovò nel deserto di Pasaana, poco lontano dalle sabbie che avevano inghiottito Ochi. Il sole scottava e le feriva gli occhi. In mano, la spada di Luke. Alla sua sinistra, un caccia in fiamme.
Deve raggiungere la nave di Ochi, Poe e gli altri la stanno aspettando. Ma lei non si muove. Continua a fissare il caccia, perché sa che è ancora vivo. Lo sente, ne è sicura. E lo vuole vedere di nuovo la sua sagoma nera contro l’ocra della sabbia.
Ma non fa in tempo. Qualcosa esplode, rottami infuocati piovono verso di lei, le arrivano addosso. Scintille rosse atterrano sulla sua pelle e si trasformano in gocce d’acqua.
L’oceano si stende a perdita d’occhio davanti a lei. Le onde si infrangono sul promontorio, schizzandola. Percepisce la presenza del Falcon alle sue spalle. E il profilo del suo avversario davanti ai suoi occhi ma lontano anni luce. Le labbra di Rey si spalancano, grida, ma non sente altro che silenzio. Poi un’onda si alza, alta il doppio di lei, e la travolge. Combatte contro l’acqua che la trascina sempre più giù, verso il fondo nero dell’oceano. Volti noti le appaiono davanti, incredibilmente vividi. Leia, Han, Snoke, Luke, Palpatine… La circondano, mentre l’acqua salata preme contro la sua gola cercando di strangolarla. Il suo campo visivo si restringe sempre di più, finché davanti ai suoi occhi appare una cicatrice ben nota, una mano guantata… e infine un sorriso.
 
Il grido di Rey squarciò il silenzio della notte. Le pareti della base ribelle tremarono sotto la potenza dell’angoscia pura di quel grido. L’eco del suo stesso dolore continuava a rimbombarle nelle orecchie, regolare come la risacca dell’oceano nel quale stava annegando. In bocca aveva un sapore salato e metallico, di mare e di sangue. Le sue mani stringevano le lenzuola madide di sudore, le lacrime le scivolavano copiose lungo le guance.
La porta della camera si aprì di colpo e i due generali ribelli si precipitarono verso di lei.
Vedeva le labbra di Finn e Poe muoversi, ma non riusciva a sentire alcun rumore al di fuori del proprio cuore che batteva all’impazzata. I suoi amici gesticolavano, le appoggiavano le mani sulle sue.
Finalmente la bolla in cui era rinchiusa scoppiò e i suoni la travolsero come un uragano.
“Va tutto bene, Rey. Sei al sicuro. Era solo un incubo,” mormorò Poe, cercando di tranquillizzarla.
“Ci siamo qui noi. È finita,” aggiunse Finn, asciugandole le guance.
La voce di Rey era solo un sibilo mentre balbettava: “È… è morto…”
Era la prima volta che pronuncia davvero quelle parole. Il cuore le si lacerò lentamente mentre il dolore la prendeva tra le braccia e l’avvolgeva.
“Sì,” rispose Finn. “È morto. Non ti farà mai più del male.”
Non capì se il riferimento fosse rivolto a Palpatine o a Ben, ma non aveva importanza. Non fece in tempo a trovare le forze per chiedere. Il pozzo nero la ingoiò di nuovo.



Angolo oscuro dell'autrice:
Buongiorno e grazie per essere giunti fin qui!
Non mi voglio dilungare troppo, sarò breve: ho adorato Rey e Ben/Kylo per tutta la trilogia e mi si è spezzato il cuore alla fine. Però rimango molto positiva sul destino di Rey, degli altri personaggi e sì, anche e soprattutto su quello di Ben Solo, ovunque lo porterà la Forza. Mirerò al restare fedele ai personaggi così come sono stati descritti dai registi, anche se so che non sarà facile, vista la loro complessità.
Spero di avervi incuriosito, almeno un pochino :) e grazie ancora per essere giunti fino a qui!
Che la Forza sia con voi,
Helmwige

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Tradimento ***


Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne.”

A. G. Pinketts

 

“Dobbiamo fare qualcosa, Poe. Prima che sia troppo tardi.”

Il Generale Dameron guardò il suo braccio destro con un sorriso sghembo. “E immagino tu abbia chissà quali idee in mente.”

Finn strinse le labbra, risentito. Non gli piaceva come si stava comportando il suo fedele amico. Non gli piaceva proprio per niente.

“È una settimana che Rey non esce dalla sua stanza. Non parla con nessuno, a malapena mangia.”

“Magari è solo stanca. Per quanto ne sappiamo, potrebbe aver affrontato il diavolo in persona su Exegol. Lasciala riposare.”

Come se l’argomento fosse definitivamente chiuso, Poe appoggiò gli stivali sul tavolo e si appoggiò pesantemente allo schienale della sedia, con tutta l’intenzione di farsi un riposino pomeridiano.

“Sei davvero irritante,” lo rimproverò Finn. “E metti giù i piedi, non siamo nel tuo covo segreto da contrabbandiere.”

Poe spalancò gli occhi, ferito nell’orgoglio. “Ancora con questa storia, assaltatore? Cerchiamo di metterci una pietra sopra, la vita va avanti,” lo schernì.

“Sì, esatto, la vita va avanti!” La voce agitata di Finn rimbombò nella stanza. “Tranne che la sua! Quella di Rey si è spenta!”

Il Generale Dameron si girò di scatto verso di lui. Gli occhi sembravano mandare scintille, tanto erano cupi. “Calmo, Finn. Stai parlando di lei come se fosse morta.”

“Poco ci manca, se continua così!”

Poe si massaggiò il collo, gli occhi rivolti verso il soffitto in un’espressione preoccupata. Dopo diversi minuti, la voce del ragazzo risuonò incupita: “Sono in pensiero anch’io, in realtà. Ma non so cosa fare per aiutarla. Credo che quando si sentirà pronta uscirà dalla sua stanza con le sue gambe. Ci resta solo che aspettare, temo.”

“Quello che non capisco,” continuò Finn, “è la dinamica di tutto. Cos’è successo su Exegol, di così grave, da ridurla in questo stato larvale?”

“Non credo sia tutto merito di Exegol,” sospirò Poe.

Finn aggrottò la fronte. “Che intendi dire?”

“Pensaci un attimo,” rispose l’amico, unendo le mani con fare quasi teatrale. “Pensa a tutte le cose che sono successe a Rey nell’ultimo anno. Dalla ragazzina dei rottami di Jakku si è trasformata in una Jedi. Ha visto morire Han davanti ai suoi occhi, è stata torturata da Kylo Ren, ha scoperto la verità sulla sua famiglia… su Palpatine! Una verità del genere avrebbe mandato fuori di testa chiunque. E poi la morte di Luke, quella di Leia...”

Poe si fermò per riprendere fiato, tanto era stato veloce a elencare traumi uno dietro l’altro. “So che la Forza scorre potente in lei, ma è pur sempre un essere umano, una ragazza,” aggiunse dopo qualche attimo. “Ha il diritto di crollare anche lei, ogni tanto.”

“Chissà cosa le ha fatto quel mostro,” sussurrò Finn.

“Intendi Palpatine?”

“Ren.” Finn pronunciò quel nome come una maledizione, sputando veleno.

“Qualunque cosa le abbia fatto, ormai è morto,” rispose Poe. “Giusto?”

Finn annuì. “Maz ha detto che Leia è morta nel tentativo di fermarlo, su Kef Bir. Non l’ho visto con i miei occhi, ma penso che Rey non si sia fatta scappare un’opportunità simile. In quel momento lei era così…”

“…arrabbiata?”

“Direi più sconvolta. Credo che avesse scoperto solo in quel momento la verità.”

“Che francamente potevi dire anche a me!” La voce di Poe era tagliente, come se provasse ancora del rancore per quel segreto nascosto tra Finn e Leia.

“E infatti te l’ho detto!”

“Sì, con un notevole ritardo!”

“Leia mi ha fatto promettere di non dire nulla sull’intera faccenda. Anche se, col senno di poi, sarebbe stato meglio se Rey l’avesse saputo da uno di noi che da Ren.”

“Concordo,” sibilò Poe. “Ma ormai le cose sono andate così. Possiamo solo starle vicino, darle la famiglia che ha perso.”

“Per ben due volte,” mormorò l’amico. “Però mi sarebbe davvero piaciuto vedere Ren colpito a morte. È difficile elencare tutti i motivi per il quale se lo meritava, quel bastardo parricida.”

Poe sorrise divertito, scuotendo la testa. “Sei davvero incorreggibile.”

 

***

 

Ci vollero altri tre giorni prima che Rey riuscisse a rimettersi in piedi.

Nonostante il lungo digiuno, le ginocchia della ragazza non vacillarono neanche un momento sotto il suo peso. La lunga colonna vertebrale si srotolò lentamente, finché non si stagliò dritta in mezzo alla stanza. Gli occhi, gonfi e rossi per tutte le lacrime versate, spuntarono da sotto le palpebre pesanti. Le pupille vuote e immobili fecero capolino da dietro le lunghe ciglia e con uno sforzo enorme misero a fuoco la porta davanti a lei. Benché si sentisse ancora in preda alla tristezza più profonda, Rey era finalmente pronta ad affrontare il mondo fuori dalla sua stanza, almeno un po’ per volta.

Trovò i suoi fidati compagni di avventure poco lontano, vicino alla nave ospedale. Mentre era rimasta a letto, segregata nella sua stanza e tenuta in ostaggio dai suoi ricordi, i soldati dell’ormai ex Resistenza avevano montato tende e allestito una sorta di clinica di fortuna, dove tutti i feriti erano stati ricoverati e tenuti sotto controllo fino a completa guarigione. A dispetto della vittoria contro l’Ordine Finale, le perdite erano state tantissime, soprattutto quelle umane. Per poter ricostruire una nuova Repubblica, sarebbe stato necessario rimettere tutti in sesto, altrimenti il caos avrebbe distrutto l’ordine, ancora instabile, che era appena sorto.

Prima che potesse accorgersene, si ritrovò stretta tra Finn e Poe, con BB-8 che rotolava intorno al trio emettendo suoni più che felici.

Finn fu il primo a sciogliere l’abbraccio. Le prese il viso tra le mani e la scrutò, interrogandola in silenzio. “Come ti senti?” chiese alla fine.

Rey, con gli occhi socchiusi per la troppa luce del giorno, si limitò ad annuire piano. Le sue labbra erano piegate in un sorriso, ma l’espressione del suo viso era apatica e triste, ben diversa da quella che i due amici conoscevano.

“Sei stanca? Vuoi sederti?” domandò Poe, stranamente premuroso.

Rey scosse piano la testa. “No, sto bene. Mi sento decisamente più debole del solito, ma so che la Forza tornerà da me molto presto.”

Nel giro di qualche minuto, gran parte dell’esercito ribelle (o di ciò che ne rimaneva) si era già riunita attorno a lei, chi mandandole baci con le mani e chi acclamandola a gran voce.

“Sono tutti qui per te,” disse Finn, avvolgendole la vita con un braccio. “Sei la loro eroina.”

Fu Poe a rimettere ordine, rispedendo tutti ai loro posti. “Abbiamo moltissimo lavoro da fare, signori,” vociò. “Alle vostre mansioni, abbiamo una galassia intera da mettere a posto!”

La folla che l’aveva attorniata si disperse nel giro di qualche secondo. Il nuovo generale sicuramente sapeva il fatto suo ed era appoggiato fedelmente dai suoi uomini. Come il suo predecessore, d’altronde.

Come se potesse leggerle nel pensiero, Finn le appoggiò una mano sulla spalla e con l’altra le indicò la radura che si stendeva dietro di loro. “Vieni con me, voglio mostrarti una cosa.”

 

***

 

Una costruzione lunga e incredibilmente alta si ergeva sul grande promontorio che sovrastava la base ribelle. Si allungava in direzione del cielo, simile a un enorme obelisco. Alla sua base, un uomo di pietra. Rey non ci mise molto a riconoscere il simbolo che Luke le aveva mostrato negli antichi libri custoditi sul pianeta Ahch-To. Un Jedi con la spada sguainata verso l’alto, pronta a trafiggere le stelle. Le bastarono pochi secondi per capire.

“Il monumento a Leia,” sussurrò, sentendo già le lacrime inondarle gli occhi. Di nuovo.

“Sì, esatto,” rispose Finn alle sue spalle. Pur non vedendolo, Rey percepiva il sorriso orgoglioso dell’amico. Dischiuse le labbra per parlare, ma lui fu più veloce.

“Lo so quello che stai per dire, i Jedi non hanno tombe, solo templi. Il che è più che ragionevole, dal momento che spariscono nel nulla quando muoiono.”

“E tu come lo sai?”

“Lando ci ha dato qualche dritta, in generale. Comunque sia, Leia non era solo una Skywalker, una Jedi, una figlia della Forza o qualsiasi appellativo tu voglia usare. Era soprattutto una principessa, una senatrice… La madre della Ribellione.”

La madre di Ben.

“…E tutti i nostri soldati meritano un posto dove pregare per il loro Generale,” concluse Finn.

La ragazza strinse le labbra, commossa dalle parole dell’amico. Aveva ragione, tutti avevano bisogno di un posto tranquillo dove piangere Leia. Anche lei. Soprattutto lei.

“Avete scelto un bel posto,” commentò, cercando di spostare l’attenzione dai ricordi al panorama che si stendeva davanti ai suoi occhi. Dal promontorio si vedeva l’intera foresta nella quale si era nascosta la Resistenza, e più in là si scorgeva la linea blu scuro del mare.

“Il punto più alto del pianeta,” commentò Finn con orgoglio. “Forse nelle giornate nitide la visibilità sarà tale da vedere ogni cosa.”

“Più o meno,” aggiunse lei, mentre i suoi occhi si beavano di tutta quella pace, del calore del sole, del verde degli alberi e della brezza salata che le accarezzava delicatamente la pelle. “Forse prima o poi mi convincerò che la guerra è finita davvero.”

Rey si voltò, dando le spalle al panorama e riavvicinandosi al monumento. Il marmo era così liscio da risplendere come l’oro sotto la luce del sole. Sulla superficie era stato inciso qualcosa nella lingua antica dei Jedi. Una lingua che ancora Rey faceva fatica a comprendere del tutto.

“Come avete fatto a scriverle? E soprattutto a erigerlo così in fretta?”

Finn le si avvicinò così tanto che Rey sentì il calore del suo corpo sulla schiena. “I libri di Luke ci hanno dato qualche spunto. Per erigerlo invece… beh, molti si sono offerti come volontari. Tanta manodopera, pochissimo tempo necessario,” rispose allegro.

Per un attimo il volto della ragazza tornò a essere radioso e felice come sempre, ma fu solo una reazione passeggera. Con immensa tristezza, Finn vide il suo sorriso svanire sotto una nuova nube di amarezza, rimpianto e sconforto. Timidamente allungò una mano verso la sua spalla, stringendola con delicatezza e provando a infonderle un po’ di sollievo, ma sapeva anche lui che l’unico vero modo per affrontare un dolore così profondo era farlo uscire. E difatti non dovette aspettare molto prima che le lacrime tornassero a rigare le guance della ragazza.

“Avevo così tante cose da dirle prima di partire, ora ne ho molte di più. Ma non ne ho più l’occasione.” La voce di Rey era bassa e fredda, eppure, nonostante stesse piangendo, non tremava affatto.

“Sono sicuro che Leia già sapesse quello che le volevi dire.”

“No,” ribatté lei, le labbra increspate in un sorriso amaro. “Forse ne immaginava una minima parte, ma di certo non tutto. Meritava di vedere la fine della storia.”

Sentì le dita di Finn stringere più forte, poi il ragazzo si fece avanti, affiancandola. “Era orgogliosa di te.”

Volevo fosse orgogliosa di Ben.

“Ora è insieme alla sua famiglia,” si limitò a dire.

“Sì. E spero che Kylo Ren marcisca all’inferno,” sibilò Finn con odio.

Il pozzo nero che la ragazza era riuscita a marginare durante il suo isolamento si riaprì, aggredendola come mille denti aguzzi. Le faceva male perfino respirare, tanto era il dolore che quel commento le aveva provocato.

“Finn, ho una cosa importante da dirti,” cominciò, facendo appello a tutta la sua forza d’animo. “L’altro giorno, su Kef Bir, io…”

“Lo so,” la fermò lui.

Rey lo guardò negli occhi, stupita. “Cosa?”

“So che mi hai ributtato indietro per proteggermi…”

No, non è così.

“Il che è buffo, visto che io volevo proteggere te,” continuò lui.

Spiegare a Finn quello che era davvero successo si preannunciava molto più difficile di quanto avesse pensato.

“Finn, ascoltami. Io… Kylo Ren era lì come un agnello sacrificale. E io volevo ucciderlo, ne sono certa…”

“Hai fatto bene, Rey,” la interruppe lui. “Meritava di morire.” Le sue parole trafissero la ragazza come piccoli dardi avvelenati. “Non devi sentirti in colpa,” continuò. “Ricordati cos’ha fatto a Han. Cos’ha fatto a tutti noi.”

“No, Finn, non capisci!” La voce di Rey era un misto di rabbia e sofferenza.

Finn si girò verso di lei, gli occhi fiammeggianti e le labbra strette nel tentativo di moderare le parole. Per troppo tempo si era tenuto dall’insultare quel parricida maledetto. “Rey, basta, smettila! Meritava di crepare su Kef Bir…”

Gli ho donato la mia energia vitale.

“…O su qualsiasi altro pianeta freddo e lontano anni luce da noi.”

Gli ho ridato la vita.

“Lo meritava davvero.” La voce di Finn si era trasformata in un cupo ruggito.

E lui l’ha ridata a me.

Rey si coprì il volto con le mani e scivolò a terra, in ginocchio, brutalmente sconfitta dalla sofferenza. La battaglia nella sua anima la stava lacerando in due.

Finn si inginocchiò al suo fianco, pronto a darle tutto il supporto morale di cui era capace.

“Sua madre sarebbe stata fiera di te.”

Leia sarebbe stata fiera di suo figlio. Vivo solo grazie a lui.

Nessuno dei due disse una parola finché non calò il buio e furono costretti a tornare alla base. Le gambe di Rey quasta volta tremavano violentemente ad ogni passo, incapaci di sostenere tutto il peso che le parole di Finn le avevano lasciato sulle spalle.

 

Quella notte, in silenzio, Rey si abbandonò alla sconfitta.

Lei, proprio lei, che aveva battuto l’Imperatore, non era stata capace di far valere le sue più intime ragioni davanti al suo migliore amico. Le emozioni avevano preso il sopravvento, violente come le tempeste di sabbia di Jakku. La ragione, impaurita e paralizzata, era rimasta silenziosa, nascosta dietro un muro di vergogna.

Non era riuscita a rendere giustizia a Ben. Era morto per lei, e lei non era riuscita a guardare Finn e a dire la verità. Una traditrice. Una vigliacca. Non era altro che una vigliacca.

Era lei, il mostro.

E se non riusciva a capire Finn, che la conosceva da più tempo e aveva condiviso con lei più avventure, come potevano capire tutti gli altri? Come avrebbe potuto spiegare che il bene era trionfato, che Kylo Ren era morto e che la luce era tornata ad illuminare il cammino di Ben Solo, ultimo Jedi della famiglia Skywalker?

Non hai posto in questa storia.

Era sola, circondata da gente che non l’avrebbe mai capita. Gente che non avrebbe mai conosciuto la verità.

Vieni dal niente.

Non aveva più una famiglia. Finn e Poe, anche se incredibilmente coraggiosi e buoni, non avrebbero mai compreso. Un muro si era innalzato a dividere la giovane Rey dal resto del mondo.

Sei niente.

L’equilibrio nella Forza si era rotto con la fine della Diade.

Spezzato.

Per sempre.

 

***

 

Polvere. Polvere ovunque.

Non vedeva tanta polvere da quando si era lasciata Exegol alle spalle.

I resti di rocce e pietre sbriciolate la circondavano, fissandola dal terreno ormai ingrigito dai detriti. La spada laser emanava una luce diversa dal solito, di un blu irreale, tendente al nero. Come se fosse tutt’a un tratto diventata instabile.

Instabile come la vecchia spada di Ren.

Aveva distrutto tutto quello che le si era parato di fronte: rocce, cespugli, alberi… tutto ciò che le ricordava un’esistenza pacifica su Ahch-To, tutto ciò che le rammentava il legame tra lei e il resto della Galassia.

Quel legame che si era irrimediabilmente spezzato dopo la morte di Ben.

Urlava, Rey, mentre menava fendenti a destra e a sinistra, trapassando qualunque cosa, senza preoccuparsi di allarmare tutta la guarnigione. Il rumore della sua collera era troppo lontana dalla base per essere percepita dalle orecchie dei ribelli.

Si fece avvolgere dalla rabbia. L’ira le entrò dentro, le riempì i polmoni, le squarciò il petto, si intrufolò in ogni arteria, ogni vena, del suo corpo. Si abbandonò ad essa, ciecamente.

Poi, dal suo essere più profondo, sentì l’odio. Un odio che non aveva provato nemmeno di fronte a Palpatine, né a Snoke. Un odio viscerale, incontrastato e indomabile. Lo sentiva ribollire come oro liquido nello stomaco, lo percepiva vibrante in ogni sua fibra muscolare.

Odiava la Resistenza, che gioiva vittoriosa senza conoscere, né tanto meno ringraziare, chi aveva combattuto fino alla morte per la sua sopravvivenza. Odiava tutti coloro che non si erano minimamente chiesti cosa fosse realmente successo al figlio di Han e Leia.

E odiava anche Ben, che l’aveva abbandonata a sé stessa, ai sensi di colpa, alla viltà della sua anima, alla sua incapacità di dire le cose come stavano, di rendergli giustizia. Lo odiava perché lasciata sola, vuota e in mille pezzi. Esclusa per sempre dalla felicità, persa in una galassia immensa, senza un valido motivo per continuare il suo percorso.

Ma soprattutto odiava se stessa perché, nonostante il sacrificio di milioni di persone, non era capace di gioire di quella nuova opportunità di vita. Incapace di amare i suoi amici, incapace di ringraziarli col cuore. Incapace di staccarsi dal passato.

All’improvviso, si sentì entusiasta.

Rey si lasciò andare a un’euforia tossica. Sentiva già gli effetti del suo veleno, ma la smania distruttiva che le provocava era troppo seducente per potersi fermare. La devastazione era tutto ciò a cui aspirava.

Accecata dal bisogno primordiale di far fronte al suo istinto, posò gli occhi iniettati di sangue sull’ultimo albero sopravvissuto alla sua furia nell’arco di decine di metri. Alzò una mano nella sua direzione, fece appello proprio a quella Forza che voleva far sparire del tutto e, con una lentezza inesorabile, lo sradicò. Poi lo lanciò lontano, urlando a pieni polmoni, come se fosse stato leggero come un fuscello. L’albero atterrò in mezzo alla foresta, abbattendosi su decine di altri tronchi, distruggendo chiome ed eliminando nidi di uccelli e le vite al loro interno.

Era questa la sensazione che avevano provato i Sith nell’unirsi al Lato Oscuro? Era questo il grande nemico della Forza, il timore più grande di ogni Maestro Jedi? Era questa la percezione che Ben aveva avuto del mondo quando era caduto?

Avrebbe continuato per ore, per giorni interi, fino a distruggere l’ultimo granello di sabbia di quel pianeta terribilmente pacifico. Sarebbe andata avanti per sempre, se solo…

“Eppure dicevano che ero io a non avere un briciolo di autocontrollo.”

Rey si immobilizzò all’istante. Tutta la sua rabbia si trasformò in ghiaccio dentro di lei, causandole brividi ovunque. La spada le sfuggì dalle dita e cadde per terra.

Non poteva essere vero. Non proprio in quel momento. Si stava sbagliando, per forza.

Eppure quella voce… quella voce non avrebbe potuto scambiarla con nessun’altra, per nulla al mondo.

Le sue gambe si mossero lentamente, dure e rigide come il marmo. Rey si girò. Il cuore smise di battere quando i suoi occhi incontrarono quelli scuri e profondi del suo interlocutore. Le labbra tremanti si socchiusero appena.

“Ben.”

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III -Solitudine ***


“And you were stronger and I was not
My illusion, my mistake
I was careless, I forgot, I did”
James Arthur
 
Sarebbe esplosa. Lo sentiva con disarmante certezza. Percepiva il proprio cuore pompare con un’energia inaudita e il sangue, da ghiacciato che era, si era trasformato di nuovo in fuoco liquido. Era sicura che le sue vene si sarebbero sciolte con tutta quella violenza. Il silenzio che era calato attorno a lei era così assordante da rischiare di romperle i timpani. I suoi organi sarebbero collassati l’uno sull’altro, i bulbi oculari sarebbero scivolati giù dalle orbite e sarebbe morta dissanguata.
Ma niente di tutto questo accadde.
I suoi occhi – ancora integri e al loro posto – continuavano a fissare il suo vecchio avversario. O meglio, ciò che ne restava.
Rey aveva visto altri spiriti, altri fantasmi della Forza. Con quello di Luke aveva avuto anche un battibecco niente male. Eppure quello di Ben era diverso… pur rilucendo della solita luminescenza blu, il suo corpo aveva mantenuto una parvenza di realtà. Sembrava concreto, vero.
Sembra vivo.
Ben se ne stava dritto davanti a lei, a pochi metri di distanza, con le braccia incrociate sul petto e la testa leggermente piegata verso destra, come se stesse osservando una scena particolarmente interessante. Gli occhi erano immobili ma attenti, neri e profondi come non mai.
Il resto del suo corpo sembrava fatto di pietra. La morte gli aveva rimesso addosso i vestiti neri che Kylo Ren aveva indossato prima di morire su Kef Bir, mantello compreso. Gli unici pezzi che mancavano all’appello erano i guanti. Le mani erano incredibilmente pallide, quasi azzurrognole, in netto contrasto con il nero delle maniche.
Il cervello di Rey continuava a lavorare come un ossesso, ripescando dalla memoria ricordi, immagini, scene totalmente slegate le une dalle altre. I polmoni le si stavano accartocciando dentro la gabbia toracica, rendendole atroce ogni respiro.
Chiuse gli occhi.
Concentrati sul momento.
Percepisci, non pensare.
Usa il tuo istinto.
Risollevò le palpebre. L’immagine di Ben si fece strada tra le sue ciglia, stagliandosi lì dove l’aveva lasciato un attimo prima. Non si era mosso di una virgola.
Strinse le labbra. Prima che potesse accorgersene, richiamò tra le mani uno dei tanti sassi che aveva disseminato a terra e glielo tirò contro.
La pietra andò dritta verso il petto del fantasma, gli passò attraverso e atterrò miseramente a terra.
Ben inarcò un sopracciglio, sorpreso. Fu l’unico movimento del suo corpo, ma per la ragazza fu abbastanza.
Una frase a lei ben nota, frutto di un nitido ricordo, le si insinuò nella mente.
Quanto dolore in te, quanta collera.
Una delle ultime cose che le aveva detto prima di morire.
Il respiro accelerò. Percepiva i muscoli tremare, come se stessero accumulando tutta la Forza di Ajan Kloss, una Forza troppo estesa e troppo potente per un corpo solo. La rabbia, quella stessa rabbia che si era dissolta poco prima, tornò ad animarla con ancor più vigore. L’istinto prese il sopravvento di nuovo. Un secondo sasso volò in direzione di Ben, dritto alla testa, e atterrò vicino al precedente.
“Rey.”
La voce di lui risuonò chiara e forte, come una pacata esortazione alla calma.
Altre pietre presero il volo.
“Sono giorni che cerco costantemente di mettermi in contatto con te,” sibilò Rey, tirandogli dietro un ramo grande quanto la sua gamba.
“E invece tu…” continuò, sputando velenosamente le parole tra un lancio e un altro. “Tu… sei sparito… nel nulla!”
Il fantasma abbassò quasi impercettibilmente la testa, incassando la rabbia della ragazza. Ma la sua posa non moderò neanche un po’ la sua collera. Gli occhi di Rey, iniettati di sangue, mandavano scintille.
“E riappari proprio ora, prendendoti gioco di me?!”
“Non sei te stessa, Rey.”
Attraverso la Forza, la ragazza sollevò un macigno grande quasi quanto un caccia TIE e lo scagliò verso di lui, sbagliando del tutto la mira. Il masso atterrò a qualche metro di distanza da Ben.
“Come. Osi.” Ringhiò infine, stringendo i pugni così tanto da conficcarsi le unghie nei palmi.
Tra loro scese il silenzio. L’unico rumore, veloce e regolare, era quello del respiro affannoso di Rey.
Lui era rimasto immobile, con il mento leggermente abbassato e gli occhi fissi in quelli di lei.
La calma sembrò durare in eterno. Poi la voce di Ben tornò a farsi sentire.
“Luke diceva sempre che lo spirito di un Jedi compare solo quando è necessario.”
“E i giorni scorsi non lo era?” ringhiò Rey. “Non era necessario?”
L’espressione di Ben rimase immutata, come se stesse recitando una filastrocca a memoria. “Un Jedi deve affrontare le proprie emozioni come le proprie paure. Anche se spiacevoli. Soprattutto se dolorose.”
Rey serrò le mascelle, al limite dell’autocontrollo. Un autocontrollo già piuttosto compromesso, a dir la verità. Il tono che aveva, così simile a quello delle pretenziose spiegazioni che le aveva dato Maestro Luke durante l’addestramento su Ahch-To, la stava facendo innervosire - se possibile - ancor di più.
“Ma non deve annientare l’equilibrio,” continuò lui imperterrito. Finalmente raddrizzò la testa e, nel farlo, sembrò diventare molto più alto. “La paura, l’ira, l’odio… Sono loro a portarti verso il Lato Oscuro. Non lasciare che ti pieghino.”
Un sogno, ecco cos’era. Un sogno assurdo, illogico e ridicolo.
L’ex Leader Supremo del Primo Ordine, Cavaliere di Ren, braccio destro del temibile Snoke, stava facendo la paternale all’ultima Jedi rimasta, ricordandole l’importanza dell’autocontrollo.
“So cosa pensi,” proseguì Ben, con un accenno di esitazione nella voce, “e non hai torto.”
“Una cosa simile poteva raccontarmela chiunque. Ma tu non sei venuto solo per recitare la storiella dell’equilibrio, vero?” lo provocò lei.
Ben scosse la testa.
Rey si mise in attesa: “Ti ascolto.” 
La risolutezza scivolò via dallo sguardo di Ben, rimpiazzata immediatamente dal disagio. I suoi occhi divennero cupi e tristi, come quelli che per anni avevano dominato il volto di Kylo Ren. Il cambiamento fu così radicale che Rey quasi sussultò.
Poi, finalmente, il fantasma si mosse di nuovo. Piano, quasi impercettibilmente. Il suo sguardo, come una foglia strappata al suo ramo dal vento autunnale, scivolò lungo la figura di Rey e si adagiò sul terreno ricco di macerie. Scosse la testa, in silenzio. Poi scomparve nel nulla.
Vedendolo svanire, Rey tornò a essere se stessa. Reprimendo a fatica le grida, corse verso la sua direzione. Inutilmente.
Ormai era sparito.
 
***
 
Rey tornò alla base al calar del sole.
Nonostante la fine della guerra, la vita della Resistenza era ancora in fermento. Appena la luce naturale del giorno andava sfumandosi verso il nero della notte, i ribelli lasciavano le loro solite postazioni e le loro mansioni e si dedicavano alla cena. La ragazza li trovò riuniti attorno al falò, impegnati a passarsi il cibo tra di loro, a chiacchierare e soprattutto a ridere. E il contrasto di quella scena con il suo umore cupo non faceva altro che infastidirla ancor di più.
“Rey, unisciti a noi,” urlò Finn. Stava trasportando cinque ciotole piene di cibo, una in bilico sull’altra.
Rey non riuscì nemmeno a fingere un sorriso tirato. Le risate si fecero sempre più silenziose, mano a mano che si avvicinava al gruppo. Il suo volto parlava da solo.
Fu Poe a venire in suo soccorso: “Hai fame? Rose ha preparato un arrosto niente male.”
Rey alzò una mano per declinare. “No, grazie. Non ho appetito.”
“Beh,” s’intromise Finn, depositando l’ultima ciotola nelle mani di Chewie, “almeno siediti qui con noi.”
Per un attimo, Rey pensò di essere in grado di mettere da parte il suo dolore quel tanto che bastava per unirsi a loro. Per un attimo, per un breve e intenso istante, fu convinta di avere abbastanza padronanza da fingere di essere la vecchia Rey di Jakku.
Ma poi si accorse di come tutti gli sguardi rivolti verso di lei fossero a metà tra la fiducia e il timore. Percepiva un’incertezza nuova nei suoi compagni di lotta, un imbarazzo che le era sfuggito in precedenza. I loro pensieri erano così assordanti che dovette resistere all’impulso di coprirsi le orecchie. Provavano una preoccupazione nuova, celata ma prepotente. Sapevano con certezza che gli aveva salvati dalle grinfie dell’Ordine Finale e, con altrettanta certezza, erano anche consapevoli che solo un potere enorme avrebbe potuto sconfiggere quello dell’Imperatore.
Guardò Poe e Finn e in un attimo comprese che entrambi sapevano del suo passato.
Ovvio, si disse, prendendosi a sberle con il pensiero. Li avrà avvisati Leia.
Solo in quel momento Rey comprese la reale portata della sua solitudine e si rese conto che lo sconforto stava montando di nuovo nel suo cuore, insieme all’ira che pensava erroneamente di aver smaltito.
“No, grazie,” si ritrovò a dire senza rendersene conto. La delusione passò come un’ombra sul volto di Finn.
“Sono stanca,” gli spiegò.
Finn annuì più volte. “Certo,” rispose. “Lo capisco, è stata una settimana dura.”
Non ci credeva nemmeno lui.
Rey fece un saluto secco con la mano ai suoi commilitoni. “Ci vediamo domani,” mormorò con ben poca convinzione.
Le gambe si avviarono da sole verso la sua stanza, trascinandosi dietro tutto il peso della sua angoscia. Quando fu a pochi metri dalla sua meta, la voce di Poe la fermò: “Rey, aspetta!”
Si girò a guardarlo. L’aveva raggiunta di corsa, aveva il fiatone e un’aria incredibilmente trasandata. Per essere un ex contrabbandiere, un ottimo pilota e un ribelle dalla nascita, avrebbe dovuto avere maggiore resistenza fisica.
Poe si fermò davanti a lei, si passò una mano nervosamente tra i capelli e fece un sorriso timido, ben diverso da quello impertinente che aveva di solito. “Come stai, Rey?”
La sincera preoccupazione dell’amico la costrinse a girare la testa di lato, come per proteggersi dai suoi occhi indagatori. La mente di Rey era così impegnata a mettere in ordine i pensieri che passò diverso tempo prima che si decidesse a parlare. “Avete detto a qualcuno della mia parentela con Palpatine?”
La domanda spiazzò il pilota. Il suo viso si riempì di incredulità.
“Come ti salta in mente?!”
Rey si voltò, conficcando gli occhi lucidi in quelli di lui. “Percepisco le loro emozioni, Poe. Hanno paura. Sono terrorizzati dalla mia presenza.”
Poe spostò il ciuffo dalla fronte con fare nervoso. “Non abbiamo detto nulla. Ma non puoi comunque biasimarli per quello che provano. Insomma… non sono stupidi.”
L’incertezza del generale le fece stringere le labbra, dandole un’espressione decisamente poco affabile. “Cosa intendi?”
“Suvvia, Rey,” sospirò lui. “Tutti conoscono le storie su Palpatine. Il suo potere era temuto da tutti, lo temevamo anche Finn ed io. E una Jedi, dopo solo qualche anno di addestramento, è riuscita a sconfiggerlo. È lecito che siano spaventati dal tuo potenziale, no?”
Chissà cos’avete pensato voi quando Leia ve l’ha detto.
“E se non fossi stata da sola?” sussurrò Rey.
Poe corrugò la fronte, perplesso. “Che intendi dire?”
“Se ci fosse stato il figlio di Han e Leia ad aiutarmi? Se avessimo battuto Palpatine insieme?”
Non era propriamente vero, ma Poe questo non poteva saperlo.
“Ren è morto su Kef Bir,” rispose  lui, ricordandosi della testimonianza di Finn.
“No,” ribadì lei. “È morto su Exegol.”
Sacrificandosi.
Per me.
La consapevolezza della sua viltà quasi la soffocò. Di nuovo.
Lo sguardo del pilota la sondò a lungo, soppesando attentamente ciò che voleva dirle. “Questa versione sarebbe pure peggio.”
Il tono secco della risposta colpì Rey dritta allo stomaco. “Perché?”
“Metterebbero in dubbio la tua lealtà,” spiegò lui.
La ragazza spalancò gli occhi. “Ma questo è ridicolo!”
“Nessuno di loro combatterebbe al fianco di Kylo Ren, nemmeno se lui recitasse la parte del figliol prodigo!” Gli occhi di Poe lampeggiavano.
“Ma era davvero dalla nostra parte, Poe! Si è redento davvero…” la voce della ragazza scemò quando lei si rese conto che, nonostante il generale mostrasse lievi segni di sorpresa, non vi erano sintomi di cedimento.
“Rey, qualsiasi cosa abbia detto o fatto Ren prima di morire francamente non mi interessa. Tienitelo per te, gli altri avrebbero la mia stessa reazione. O peggio.”
Rey sentì il mondo crollare pezzo dopo pezzo. “Perché dici questo?”
“Perché?” ripeté lui, quasi urlando. “Mi chiedi perché, Rey? Perché il suo Primo Ordine ha fatto trucidare i miei genitori. Perché mi ha torturato senza remore per una stupida mappa. Perché era un parricida, un traditore, un assassino. Perché si è macchiato del sangue di miliardi di innocenti in tutta la galassia. Nessuna redenzione, nessun atto eroico finale, mi farebbe cambiare idea su di lui.”
La ragazza venne completamente disfatta da quell’elenco, come se ad ogni frase corrispondesse un pugno dritto allo stomaco. Si sentì affogare dal rimorso e dalla frustrazione.
“Hai combattuto al mio fianco però,” sussurrò. “Accanto alla nipote dell’Imperatore.”
“Le due cose non sono minimamente paragonabili, e lo sai benissimo,” rispose Poe secco.
Rey chinò il capo, affondando il mento nella cassa toracica, quasi volesse chiudersi su se stessa come un riccio. Aveva miseramente fallito per la seconda volta, forse la solitudine era ciò che meritava davvero. Cominciava sul serio a capire la decisione di Luke di andare in esilio.
“Mi spiace, Rey,” sussurrò Poe, sinceramente afflitto nel vederla così. Era sicuro che, con il tempo, si sarebbe convinta anche lei che addolorarsi per la morte di Kylo Ren non aveva senso. “Nemmeno la redenzione o il sacrificio più grande mi farebbero perdonare quel mostro. E so che gli altri la pensano allo stesso modo.”
Resistette dal posarle una mano sulla spalla per confortarla, non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Poi girò sui tacchi e tornò dai suoi uomini.
 
***
 
L’oceano su Kef Bir era sempre in tempesta. Il vento aizzava le onde contro la scogliera, gonfiandole di collera e lasciandole poi infrangersi sulla roccia. Una metafora davvero triste – e davvero azzeccata – del suo destino.
Mossa da un desiderio brutale, si tuffò.
Precipitò per decine e decine di metri, con l’aria gelida che le pungeva la pelle come tanti piccoli aghi. Per un attimo fu convinta di poter volare davvero. Allargò le braccia, concentrandosi con tutta se stessa per arrestare la caduta e riprendere quota.
Ma non funzionò.
Le onde si avvicinarono sempre di più, sempre più velocemente. Il terrore le attorcigliò lo stomaco. Sarebbe morta. Si sarebbe scontrata con una superficie dura quanto il marmo. La gravità l’avrebbe schiacciata con terribile violenza, l’avrebbe ridotta in una poltiglia sanguinolenta.
Chiuse gli occhi, aspettando l’impatto inevitabile che le avrebbe spezzato le ossa.
Eppure, quando toccò l’acqua, non morì.
S’immerse per metri, finché i suoi piedi non toccarono il fondo. Quando risalì in superficie, riconobbe un posto tremendamente familiare. Un brivido le attraversò la schiena.
A fatica trovò il coraggio per uscire dall’acqua. La grotta era buia, ma inconfondibile ai suoi occhi. Ci era già caduta dentro una volta.
Potente la luce, potente l’oscurità.
Rivide lei stessa moltiplicata per centinaia di volte. Un unico corpo, un clone replicato quasi all’infinito. Era questo lei? Un clone? Un’anima in pena senza un’origine e senza una fine? Un corpo in più, al di là del corso naturale della vita?
Vieni dal niente.
Sei niente.
Chiuse gli occhi, smarrita. Un suono cupo si fece strada dalle profondità della caverna, così forte da costringerla a tapparsi le orecchie.
Rimase immobile per interi minuti, forse ore. Il tempo era un’entità troppo razionale per un posto come quello.
Quando alla fine decise di sollevare di nuovo le palpebre, la grotta era sparita. Al suo posto, le macerie della seconda Morte Nera.
L’antico trono dell’Imperatore si ergeva davanti a lei, vuoto.
Guardati adesso.
Rey si girò di scatto, riconoscendo quelle parole, ma dietro di lei non c’era nessuno, solo macerie e ferri arrugginiti.  La voce di Ben rimbombò di nuovo.
Volevi dimostrare a mia madre di essere una Jedi, ma hai dimostrato tutt’altro.
La ragazza girò su se stessa, con la spada laser sguainata, nell’inutile tentativo di trovare la fonte di quelle parole.
Quanto dolore in te, quanta collera.
Fu allora che comprese. I suoi occhi continuavano a vagare senza meta, ma il suo cuore aveva già capito la verità: lui era presente solo nei suoi ricordi. Le aveva dato la possibilità di tornare sui suoi passi, di riacquistare l’equilibrio, di avvalersi della conoscenza, di espandere le sue sensazioni verso la Luce. E invece lei aveva fatto tutt’altro. Si era lasciata andare, distruggendo tutto.
Credeva che la solitudine fosse l’unica cosa rimastale. Ma forse si sbagliava.
So cosa devo fare.
Ma non so se ho la forza per farlo.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - La Diade ***


“Don’t you know?
That I’m still here next to you
Grab our dream of being one”
The Kolors
 
Ben non si fece attendere molto.
Comparve in mezzo alla stanza, poco lontano dalla ragazza. Rey, rannicchiata sul letto con le ginocchia al petto, fissava ostinatamente il pavimento, troppo imbarazzata per alzare lo sguardo. Stralci di frasi le vorticavano in testa senza capo né coda, ingarbugliandosi e annodandosi come tanti piccoli serpenti.
“Ciao,” riuscì a sussurrare banalmente alla fine, dopo interminabili secondi di silenzio.
La voce di Ben risuonò ovattata, terribilmente lontana. “Ciao”
“Io…” cominciò lei, fermandosi subito dopo. Ironico. Nonostante l’avesse chiamato lei, facendo appello a tutte le sue conoscenze sulla Forza, ora che ce l’aveva davanti non sapeva più cosa dirgli.  Le ci volle davvero molto tempo prima di riuscire ad estrarre un pensiero di senso compiuto dalla confusione che aveva in testa. “Non so perché ho reagito così male,” mormorò, senza smettere di fissare il pavimento.
Il silenzio che seguì fu tale da costringerla a smettere di respirare, tanto le risultava rumorosa l’attività dei suoi polmoni. Ben non si era mosso di un millimetro, né aveva parlato.
Alla fine, presa in contropiede da quell’apparente ostilità, decise di alzare lo sguardo, puntandolo sugli occhi cupi del fantasma. Ben la fissava senza battere ciglio. Al contrario di quanto si aspettasse, non trovò astio in lui. Tuttavia, era chiaro stesse aspettando un gesto o una frase. Qualcosa a cui avesse senso rispondere.
Rey fece un respiro profondo. “È solo che ho implorato con tutta me stessa di vederti, ti ho cercato così tante volte… e invece non ti sei mostrato. Perché? Perché non hai mai risposto?”
Per quella che sembrò un’eternità, l’unica reazione che la ragazza ottenne fu il movimento delle iridi scure di Ben, le quali si posarono sul letto, sulla finestra, sulle mani delle ragazze strette a pugno. Poi, quando finalmente tornarono a guardare il viso della giovane, l’ex Leader Supremo si decise a parlare.
“Non volevo che ti rifugiassi a vivere nel passato. Ero sicuro che, dopo i primi giorni di sconforto ti saresti rialzata e avresti continuato a vivere più o meno come prima.”
“E invece ho polverizzato una foresta,” rispose Rey con pungente sarcasmo. Si maledì subito dopo. Non conosceva mezzi termini: o rimuginava ore intere o parlava senza soppesare minimamente le parole.
“A dir la verità, non volevo apparire neanche in quel momento.”
La sincerità di Ben la colpì come uno schiaffo.“Perché?” chiese, abbassando gli occhi sulle sue mani che si dimenavano convulsamente.
“Perché il dolore va sfogato in qualche modo, prima che diventi troppo grande. Ma Leia e Luke non erano della stessa opinione. Prenditi le tue responsabilità, mi ripetevano. E così mi sono deciso.”
“Mi sono chiesta infatti perché nemmeno loro si fossero mostrati a me.”
“Non era compito loro, riportare l’equilibrio.”
 “Perché?” domandò Rey confusa.
Il fantasma strinse le labbra, mettendo fine alla sua irritante immobilità. “Lo sai, il perché.”
La ragazza si sentì profondamente a disagio. L’animosità che aveva guidato i suoi gesti il giorno prima l’aveva lasciata. Si sentiva come un droide dai circuiti bruciati, con la testa piena di informazioni ma incapace di metterle in fila. Le uniche frasi che riusciva ad emettere erano sarcastiche e pungenti, e di certo non venivano rielaborate dalla parte razionale del suo cervello. Aveva veramente tanto da dirgli, e quell’incapacità di trovare le parole giuste rischiava di farla impazzire.
Rialzò lo sguardo su di lui. Gli occhi di Ben erano profondi, enormi, pieni di sofferenza. Ma era una sofferenza ben diversa da quella che dominava Kylo Ren. Era pura, limpida, pulita. Non vi era tormento, solo rimpianto.
Rey allungò la mano, come su Ahch-To. Lo fece comunque, guidata dall’istinto, pur sapendo di non poterlo toccare.
Ben non disse nulla, limitandosi a fissare le dita della ragazza. Fece un passo verso di lei, colmando parzialmente la distanza che li separava e allungò la mano. Era così diversa da come l’aveva vista su Ahch-To. Ora la pelle di Ben era pallida, sottile. Rey inspirò, immaginando quanto potesse essere gelido un fantasma, e si preparò a passargli attraverso. 
Ma ciò non avvenne.
I suoi polpastrelli toccarono quelli di lui, le falangi combaciarono alla perfezione. Rey percepì il freddo risalirle lungo le dita. Un’energia pura e intensa la invase, facendole battere il cuore furiosamente.
Si sentì sprofondare nelle pupille di lui. La sua stanza diventò sempre più indistinta fino a sparire del tutto.
Si aspettava di vedere il futuro, così com’era accaduto la prima volta. Invece vide se stessa, mentre le sue braccia - le braccia di Ben – la tenevano stretta. Sentì l’impazienza, l’angoscia e soprattutto la paura. Vide la mano appoggiata al suo fianco e avvertì distintamente lo scorrere dell’energia vitale da un corpo all’altro. Poi il bacio, il tocco dolce e deciso delle sue labbra, il sollievo, la pace. E il vuoto.
La realtà tornò a circondarla concreta come prima. Si accorse di avere il respiro affannoso e le guance bagnate, ma non le importò. I suoi occhi erano ancora fissi su Ben. L’espressione di lui era la stessa che aveva avuto la prima volta che si erano sfiorati. Intensa, turbata, quasi implorante.
Rey abbassò lo sguardo. Guardò le loro mani che ancora si toccavano, senza capire.
“Com’è possibile?” sussurrò.
“La Diade,” mormorò lui di rimando. La sua voce profonda e seria tradiva la presenza di un timido sorriso. “Due corpi separati, ma uniti nella Forza.”
La comprensione si fece strada nella mente di Rey. “Due che sono uno.”
Percepì il sorriso di Ben come se fosse il proprio. Non era lo stesso che era apparso dopo che l’aveva baciato, era meno intenso e più timido. Ma era comunque un sorriso, e sul volto di Ben Solo aveva un che di miracoloso.
“Non me ne sono mai andato, Rey.”
 
***
 
La due lune di Ajan Kloss erano già quasi alla fine del loro volo notturno. La base della Resistenza era immersa nel silenzio. Gli unici rumori provenivano dai radi passi delle guardie e dal russare sommesso di Chewie, il quale aveva preso l’amara decisione di dormire sempre vicino al Falcon dalla morte di Han. A parte le sentinelle che vegliavano silenziose, tutti i soldati ribelli dormivano. Tutti tranne uno.
“Ricordo quella notte come se fosse stata ieri.”
La voce di Rey era un debole sussurro, come se avesse paura delle sue stesse parole. La ragazza continuava a guardarsi le mani con insistenza, torcendosele. Le dita si annodavano, si scioglievano e si annodavano di nuovo, senza sosta. Non riusciva proprio a stare ferma. Era frastornata, agitata e irrequieta. Perfino imbarazzata. Eppure più parlava e più le sue idee trovavano il loro posto, incastonandosi le une alle altre. La confusione che l’aveva tenuta stretta tra le sue spire la stava lasciando finalmente libera di respirare. Ben, invece, sembrava leggermente più disinvolto, come se la rigidità della morte gli stesse dando una breve tregua.
Ma forse questo non faceva che complicare le cose, perché lui era lì, sempre più concreto e sempre più reale. E più Rey lo guardava, meno capiva cosa provava nei suoi confronti. Su Exegol era accaduto tutto troppo in fretta per poter comprendere i suoi sentimenti. Prima Palpatine l’aveva incastrata senza lasciarle una via di fuga, le aveva mostrato le scene terrificanti della battaglia e l’aveva indotta a cedere.
E poi all’improvviso era arrivato Ben. La Forza li aveva messi in contatto dal nulla, come al solito, lasciandoli confusi ma pieni di speranza. Avevano combattuto fianco a fianco ed erano caduti insieme. E lei era morta, se lo ricordava bene, così come ricordava il tonfo che avevano prodotto le spade di Luke e Leia quando erano cadute al suolo. Tutto era diventato nero, vuoto, semplice. Non c’era dolore né sofferenza. Non c’era più alcuna battaglia, un senso alienante di pace aveva inglobato tutto. Non rammentava quanto tempo era rimasta in quel limbo, ma qualcosa l’aveva strappata da lì troppo presto. Si era risvegliata tra le braccia di Ben e una felicità immensa l’aveva invasa. Per un attimo, un misero e brevissimo attimo, tutto era tornato al suo posto. Ma Ben era morto qualche secondo dopo e il mondo si era accartocciato su se stesso.  
Non aveva avuto alcun modo di analizzare i suoi sentimenti per lui, né aveva voluto pensarci successivamente. Il dolore l’aveva fatta crollare come un castello di carte, assorbendo ogni sentimento e ogni capacità di ragionare lucidamente. Tutto ciò che era seguito era confuso, ovattato e sconnesso. All’inizio aveva pregato con tutta se stessa che Ben si rifacesse vivo, anche solo per salutarla. Eppure con il passare del tempo, non vedendolo comparire, si era imposta di pensarci il meno possibile. Perché tanto era morto, giusto? Che differenza potevano fare i suoi sentimenti in quel momento? Cambiava qualcosa se quell’unico bacio che si erano scambiati era dettato dall’amore o solo dal loro legame nella Forza? Così aveva deciso di non rimuginare più su quell’ultimo abbraccio su Exegol, tanto era frustrante e apparentemente inutile.
Ma ora… ora cominciava a pentirsi della sua scelta, ed era troppo tardi per pensarci. Il destino l’aveva messa di fronte a una situazione davvero delicata, chiedendole delle risposte chiare e immediate. Risposte che non aveva e che, forse, neanche voleva avere.
Così Rey continuava  a parlare, tentando – in modo alquanto patetico – di tenere il suo cervello e quello di Ben occupati.
“Ero rimasta ossessionata da quello che mi avevi detto,” riprese la ragazza. “Sai, su Han e sulla ricerca di una famiglia. Mi avevi fatta sentire debole e sciocca.”
Ben si passò una mano tra i capelli con aria pensierosa. Appoggiato al vecchio baule di Luke, con un’espressione tranquilla sul viso e le spalle rilassate, sembrava un adolescente. “Pensavo fosse l’unico modo per farti avvicinare a me. Farti sentire rifiutata da tutti, darti un’idea del senso di abbandono che provavo io… Avremmo sconfitto la solitudine insieme.”
Un vecchio scambio di battute tornò a farle visita attraverso la memoria.
Non mi sono mai sentita così sola.
Non sei sola.
Neanche tu.
Rey continuò a fissarsi le mani, sopraffatta dai ricordi.
“Ero convinto di quello che ti dicevo, riguardo a lasciar morire il passato.”
“Ad un certo punto ne ero convinta anch’io,” mormorò lei. “Per questo sono andata nella grotta. O meglio, ci sono caduta dentro.”
Finalmente sollevò lo sguardo su di lui. “Sai, avevo perfino pensato di essere un clone del vecchio Impero, un individuo senza passato, nato dal niente. L’avevi detto anche tu, che ero niente.”
Ben sussultò, trafitto da sensi di colpa improvvisi. Era incredibile come la sua vecchia natura umana premesse per uscire. Come se fosse ancora lì da qualche parte, in attesa.
“Comunque sia,” continuò Rey, “sono contenta di averti teso la mano quella notte. È stato l’unico modo per sapere la verità su te e Luke. Per vedere il tuo futuro e avere la speranza di una tua redenzione. Non credo che senza quella visione avrei mai avuto il coraggio di atterrare sulla Supremacy.”
“Non credevo l’avresti fatto.”
“Ripensandoci, è stato stupido. Alla fine eravamo in una situazione di stallo, ognuno convinto di poter cambiare l’altro. E invece non è cambiato assolutamente niente.”
“Ti sbagli,” mormorò Ben.
La ragazza inclinò la testa di lato, guardandolo con aria interrogativa. La voce del fantasma era così bassa che Rey temeva di averla solo immaginata.
Gli occhi di Ben sembravano persi nel passato. “Per me è cambiato tutto quando hai affrontato Snoke.”
L’espressione interrogativa di Rey divenne ancor più accentuata.
Ben sospirò con amarezza. Avrebbe preferito non doverglielo spiegare. “Il tuo coraggio nell’affrontarlo mi ha fatto decidere cosa fare. L’ho ucciso non solo per salvare te, ma soprattutto per liberarmi di lui.”
Scosse la testa, ancora vittima del rimpianto per quello che era successo sulla nave di Snoke. “Che stupido. Quel gesto non ha fatto altro che accrescere la mia rabbia. I Sith uccidono i loro maestri per prendere il loro posto… e senza rendermene conto ho fatto la stessa cosa.”
Rey sorrise mestamente. “Sai, per un attimo ho pensato che fosse finita. Pensavo di aver vinto, di aver salvato Ben.”
 “Non era compito tuo,” ribatté lui.
Rey lo guardò senza capire. Gli occhi neri di Ben sembravano inghiottire tutto come due buchi neri. La sua voce divenne ancor più profonda del solito, come se venisse da un’altra dimensione. “Chi cade nel Lato Oscuro non lo fa per pura malvagità, ma per la disperazione, l’inganno, il lavaggio del cervello. Per questo sentivi il conflitto in me, un conflitto che tentavo costantemente di soffocare perché mi vergognavo di ciò che ero diventato. Ma alla fine il Lato Oscuro soffoca anche il rimorso. Per questo non sarebbero mai bastate le tue preghiere o le tue suppliche. Dovevo uccidere io Kylo Ren. Io, nessun altro.”
Il petto del ragazzo si alzava e si abbassava velocemente. Aveva il respiro affannoso, come se quelle parole lo avessero terribilmente affaticato, come se… fosse stato ancora vivo.
Il silenzio si insinuò tra di loro, lasciandoli entrambi storditi: Rey incapace di rispondere a quella confessione e Ben confuso da quel sintomo di mortalità che, di tanto in tanto, lo sopraffaceva.
Le parole continuarono ad aleggiare nell’aria, riempiendo lo spazio tra i loro corpi immobili. Rimasero zitti per minuti interminabili, il tempo sembrò fermarsi. I loro sguardi, tremanti e insicuri, rimasero allacciati l’un l’altro.
Fu proprio aggrappandosi alle iridi scure del fantasma che Rey comprese: Ben aveva bisogno di fiducia, nient’altro. Improvvisa e incondizionata fiducia. Doveva sapere che lei credeva in lui, nel vecchio Ben Solo, nel figlio di Han tornato dalle tenebre. Doveva capire che lei aveva sempre confidato nel suo lato buono, anche quando tutto era sembrato perduto. E l’unico modo per farglielo comprendere si palesò attraverso la memoria.
 “Ricordi cosa mi dissi sulla base Starkiller, mentre ci affrontavamo?”
Ben rimase spiazzato dalla domanda. I suoi occhi si spostarono sulla finestra, in direzione del cielo nero che s’intravvedeva attraverso gli alberi.
“Mi sono offerto di addestrarti,” rispose infine. Tornò a guardare il viso della ragazza, che riluceva di una luce nuova. “Perché me lo chiedi?”
“È ancora valida come offerta?” chiese lei, mordendosi il labbro inferiore.
“Hai già avuto un Maestro. Anzi, due.”
Rey annuì. “Ed entrambi dissero che il mio addestramento era incompleto.”
Ben abbassò lo sguardo, come se il pavimento fosse diventato incredibilmente interessante. “Non credo di essere la persona più adatta,” rispose mestamente.
Rey si allungò timidamente verso di lui, cercando di scovare le iridi nere nascoste dalle palpebre. “Ti prego.”
Un sospiro sconfitto. La testa del fantasma si raddrizzò e i suoi occhi si allacciarono a quelli di lei. Poi un leggero movimento del mento appena percettibile, ma per Rey fu abbastanza: aveva accettato.
Avrebbe voluto sigillare quel patto con una stretta di mano, un contratto siglato col sangue o qualsiasi altra cosa. Ma l’unica reazione che il suo corpo accettò di darle fu un lungo sbadiglio di stanchezza.
Le labbra di Ben si stiracchiarono in un debole sorriso. “È meglio se dormi, manca pochissimo all’alba.”
“Ma ho così tante cose da chiederti,” protestò lei.
Troppo tardi.
Ben era già svanito.
 
***
 
Rey si svegliò poche dopo, infastidita dalla luce del sole.
Aveva dormito solo qualche ora e la testa le doleva come se avesse dato una testata contro il muro. Si mise a sedere e si massaggiò le tempie, cercando un minimo di sollievo. Le palpebre si schiudevano a fatica, come se fossero state magneticamente attratte le une alle altre. Non aveva bisogno di guardarsi allo specchio per sapere che aveva gli occhi gonfi e lucidi, striati di rosso ai lati.
Si alzò, appoggiando i piedi sul pavimento gelido. Il freddo la fece rabbrividire, risvegliandole i sensi. Allungò la schiena, stiracchiò le braccia verso l’alto e sciolse i muscoli intorpiditi. Solo allora il ricordo della notte prima riaffiorò nella sua testa, facendole spalancare gli occhi. L’angoscia, l’imbarazzo, l’incertezza… tutti i sentimenti che aveva provato il giorno prima s’infransero su di lei come un’onda per poi ritirarsi immediatamente, lasciandola spaesata. Complice la stanchezza, il suo cervello rivedeva i ricordi con estrema lentezza, focalizzandosi su dettagli sconnessi: il sorriso mesto di Ben, la sua espressione intensa e immobile allo stesso tempo, le loro mani incredibilmente a contatto, la consistenza quasi elettrica del corpo di lui. Era incredibile come la Diade gli concedesse ancora di essere reale in sua presenza. Il loro legame continuava ad esistere… lui stesso continuava a vivere. Il suo corpo era morto e svanito nel nulla, ma parte della sua Forza risiedeva ancora in Rey, consentendole di toccarlo come qualsiasi altro essere vivente.
Mise da parte i suoi ragionamenti e si decise a prepararsi. Dopotutto aveva fatto esplicitamente richiesta per avere un Maestro, doveva quantomeno dimostrare di prendere quell’impegno seriamente.
Ed era già tardi.
Si lavò velocemente con l’acqua fredda del catino, si vestì di corsa e si agganciò le spade laser di Luke e Leia dietro la schiena. Poi attraversò la stanza, spalancò la porta e… andò a sbattere dritta contro il petto di Finn.
“Hei, hei… calma, dove vai così di corsa? Stai scappando da un Wampa?” le chiese, allungando la testa dentro la stanza, come se si aspettasse davvero di vedere una creatura simile negli alloggi di Rey.
La ragazza aggrottò la fronte. “Che diamine è un Wampa?”
Finn si raddrizzò e stirò le labbra in un sorriso saccente. “Un animale che vive su Hoth. Leia diceva che suo fratello era stato catturato da uno di loro, prima della famosa battaglia contro l’Impero. Se lo voleva mangiare per cena.”
L’espressione di Rey non cambiò di una virgola durante quella spiegazione. Non le era chiaro come fosse questo famigerato Wampa, ma era abbastanza sicura di non averli visti in camera sua. “Spiacente di deluderti,” rispose. “Non ne ho visti.”
Detto ciò, si appiattì contro lo stipite della porta e superò il corpo dell’amico. Riuscì tuttavia a fare solo qualche passo prima che la voce di Finn la fermasse di nuovo. “Aspetta, non mi hai risposto! Dove vai così di corsa?”
Rey percepì una nota di sfida nella voce dell’amico, ma decise di ingoiare quel presentimento. “Vado… ad allenarmi,” rispose, girandosi esitante verso di lui. “Perché?”
Finn infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. Nonostante la posa sicura, il tono di voce tradì la sua esitazione. “Ci chiedevamo se avessi voglia di aiutarci. Sai, c’è parecchio lavoro da fare.”
Se lo scopo di Finn era quello di metterla profondamente a disagio e di infonderle dei sensi di colpa, c’era riuscito in pieno.
“In realtà,” cominciò lei, visibilmente in difficoltà, “la mattina preferisco allenarmi. Sai, sono più riposata, soprattutto mentalmente.”
Sperò con tutta se stessa che lui non notasse quanto i suoi occhi fossero gonfi e arrossati.
Le labbra di Finn si appiattirono. “Guarda che non è più mattina. Abbiamo già fatto pranzo.”
Rey avrebbe voluto sprofondare nello stomaco di un Sarlacc. Il tempo sembrò dilatarsi all’infinito mentre le palpebre le si chiudevano da sole, in preda alla vergogna. Poi la necessità di trovare qualcosa di intelligente da dire – o quantomeno delle scuse – le fece battere il cuore all’impazzata. Eppure, l’unico prodotto dei suoi emisferi fu: “Avevo delle ore di sonno in arretrato.”
Finn fu talmente sorpreso dalla stupidità di quella risposta che non riuscì a dire nulla. Rey si sbrigò ad aggiungere delle scuse generiche, girò sui tacchi e corse via prima che Finn avesse il tempo di fermarla di nuovo e di protrarre quella tortura. Una vocina interiore le diede ripetutamente della vigliacca, ma la zittì immediatamente.
Attraversò la base di corsa, passando sotto le Ala-X e sbattendo ripetutamente contro i soldati che, a differenza sua, si davano da fare per organizzare al meglio la struttura ospedaliera. Una volta rimesso in piedi tutti i feriti, la base su Ajan Kloss sarebbe stata probabilmente smantellata. Ogni ribelle sarebbe tornato a casa, o si sarebbe sistemato su un nuovo pianeta. Col passare degli anni sarebbe nata una nuova Repubblica e un nuovo ordine della Galassia. E sarebbe stato definitivo, lo credevano tutti.
Tutti tranne uno.





Angolino oscuro dell'autrice:

Salve a tutti! 
Mi scuso per il ritardo, ma la sessione e il tirocinio mi stanno prosciugando. Vi chiedo di avere pazienza per il prossimo capitolo, vi assicuro arriverà appena potrò! Vi ringrazio per la pazienza e, soprattutto, per il supporto ricevuto finora! 
Che la Forza sia sempre con voi,
Helmwige

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Confessioni ***


“Brucia all’inferno
Questa parte di me che non si trova bene in nessun posto […]
Io sto
Bruciando all’inferno.
L’inferno di
Me stesso.”
Charles Bukowski
 
 
“Metti via la spada laser, non la useremo.”
Rey fu presa in contropiede da quell’accoglienza glaciale. Non si aspettava di certo che facesse i salti di gioia, dopotutto Ben non era mai stato allegro né amichevole. Però forse, dopo una notte passata a parlare, se lo immaginava un po’ più spontaneo, o addirittura espansivo. E invece no.
Ben la stava già aspettando lì dove era apparso la prima volta, in mezzo al caos creato dalla ragazza. Rey l’avevo visto da lontano, di spalle, concreto e imponente come al solito. Lui aveva voltato la testa solo per un breve attimo, giusto il tempo di lanciarle uno sguardo freddo e duro da sopra la spalla. All’inizio Rey aveva pensato che fosse il ritardo la causa di quel malumore repentino, ma poi aveva messo insieme i pezzi: la posa rigida, la testa abbassata verso il petto, le mani strette a pugno… tutto nella sua figura tradiva il disagio che lo attanagliava.
La ragazza si era sentita tremendamente in colpa per averlo costretto a farle da Maestro e, soprattutto, per non aver capito quanta insicurezza potesse mettergli addosso quella richiesta insolente. Percepiva in lui un’ansia che mai aveva sentito prima. Ben aveva paura di fallire, temeva di deviarla proprio come Snoke aveva deviato lui. La mente di un Padawan era come un libro dalle pagine immacolate e il compito del suo Maestro era scriverci sopra, riempiendolo di nozioni, donandogli la conoscenza. Ma bastava una piccola distrazione, una sbavatura d’inchiostro o una parola sbagliata, e tutto rischiava di essere compromesso, tanto erano delicate l’anima e la mente di un apprendista. 
“Sicuro di volerlo fare? Forse è troppo presto…” sussurrò lei.
A quelle parole, Ben raddrizzò la testa e tornò a guardarla, questa volta con un’espressione un po’ meno spietata. “No, facciamolo.”
La sua concentrazione era tale che, nel percepirlo attraverso la Forza, a Rey era venuta l’emicrania. Prima che uno dei due potesse cambiare idea, mise via l’arma e lo affiancò in mezzo alle macerie.
E così il suo primo giorno di addestramento ebbe inizio. Ma fu ben diverso dalle sue aspettative.
Se Kylo Ren era sempre stato tremendamente impulsivo, Ben Solo – o meglio, il suo fantasma – era invece calmo, riflessivo e pacato. Rey era sempre più disorientata da quel cambiamento improvviso e così radicale. E a dir la verità, aveva immaginato un allenamento molto più… competitivo. Aveva sperato in un duello, spada contro spada, come fino a pochi giorni prima. Aveva immaginato di misurarsi di nuovo contro di lui, come in un gioco. Ma i piani di Ben erano diversi.
“Siediti,” le disse, facendo un cenno verso il terreno.
Rey si sedette di malavoglia, visibilmente contrariata. L’entusiasmo che l’aveva animata fino a pochi minuti prima si era dissolto. “Perché senza le spade?” chiese, guardandolo di sottecchi.
“Perché prima si impara ad avere il controllo e solo in seguito, forse, si combatte,” rispose lui secco.
La ragazza sbuffò. “Sembra allora che Kylo Ren sia morto davvero…”
Ben le rivolse uno sguardo a metà tra il confuso e il ferito, riducendo gli occhi a due fessure sottili. 
Rey fu talmente colta alla sprovvista che per un attimo smise di respirare. Aveva tentato goffamente di sdrammatizzare, ma Ben non sembrava essere in vena. Forse non lo conosceva bene come pensava. Ad ogni modo, era lì per imparare, non per incrinare ancor di più un rapporto già difficile di per sé.
“Okay,” sussurrò, mettendosi a sedere a gambe incrociate. “Allora iniziamo.”
Ben fece qualche passo in avanti, lasciandosi la ragazza alle spalle. La sua posa era ancora estremamente rigida, come se fosse inquieto, all’erta…. Come se stesse aspettando l’arrivo di una minaccia. Eppure Rey non riusciva a capire. Kylo Ren era morto, Palpatine pure… chi era il nuovo nemico di Ben Solo? Lei?
“Rilassati,” disse lui. “Sento la tua inquietudine da qui. Lasciala andare, concentrati.”
Rey alzò gli occhi al cielo prima di abbassare le palpebre. Era incredibile come Ben assomigliasse a Luke in quel momento. Decise di mettere da parte l’imbarazzo e si dedicò alla Forza che la circondava, pervadendo ogni cosa. La sentì negli alberi, nel vento, nelle foglie che vibravano per la brezza. Appoggiò le mani a terra e si concentrò sulla terriccio umido che le sfiorava i polpastrelli. Percepiva la saggezza degli alberi e la vitalità degli uccelli, l’energia degli animali e la severità delle rocce. Avvertiva tutto con incredibile chiarezza, come se fossero un’estensione del suo stesso corpo. Riusciva perfino a distinguere l’ambiente che la circondava: gli alberi nodosi, alcuni rami per terra, il macigno che aveva lanciato contro Ben in preda alla rabbia…
“Sollevalo,” ordinò lui.
Rey fece un respiro profondo e si concentrò su quell’enorme blocco di pietra, mettendo da parte tutte le insicurezze che l’avevano attangliata fino a poco prima. Lasciò che la Forza, lenta ma irrefrenabile, fluisse da lei verso l’oggetto finché non fu parte del suo stesso corpo. Lo sentì lievitare piano, a mezzo metro di altezza. Aveva sollevato cose decisamente più pesanti, eppure era terribilmente faticoso tenerlo in equilibrio.
Infine percepì il sorriso sarcastico di Ben. Lo avvertì così distintamente che per un attimo pensò che fosse lei stessa a sorridere, ma non era così. Eppure non c’era solo semplice ironia, no… C’era dell’altro, o almeno così le sembrava. Qualcosa che non riusciva a individuare.
Decise di aprire gli occhi, dando una breve sbirciatina alla figura imponente che le stava davanti, ancora di spalle. Ben era immobile, la posa non aveva subito la minima variazione.
Poi sentì la terra tremare leggermente e un rumore sordo e cupo librò nell’aria. Il macigno era precipitato, libero dal controllo mentale della ragazza.
“Maledizione,” imprecò Rey.
Ben si girò. Il suo viso era di nuovo impassibile, ma gli occhi avevano una luce strana. “Questa la chiami concentrazione?”
Rey strinse le labbra. “Era così che ti addestrava Luke quand’eri giovane?” ribatté.
L’unico movimento percepibile da parte di Ben fu quello delle sue sopracciglia, che si arcuarono leggermente.
Rey non si diede per vinta: “Allora, ti faceva fare questo?”
L’angolo destro della bocca del fantasma si sollevò appena. Non era propriamente un sorriso, ma ci si avvicinava molto. “Ora ci si concentra. Le domande dopo.”
Per un attimo, Rey fu convinta di avere Han Solo lì davanti a lei. La stessa espressione del viso, lo stesso modo di fare. Fece un respiro profondo e tornò a chiudere gli occhi per far sì che non trapelasse alcun indizio della sua tristezza.
 “Sono pronta. Ricominciamo.”
 
***
 
Dopo quelle che sembrarono ore infinite dedicate alla meditazione, alla pace interiore e al controllo dei propri pensieri, finalmente la prima seduta di addestramento giunse alla fine. Rey, a dir poco stremata e indolenzita, si alzò in piedi e si stiracchiò, allungando le braccia verso l’alto. Le gambe le si erano addormentate dopo essere rimaste troppo a lungo nella medesima posizione e ora le formicolavano fastidiosamente. Ben, invece, appariva rigido come al solito mentre continuava imperterrito a darle le spalle. Anzi, sembrava morto, morto davvero. Quel pensiero la colpì dritto allo stomaco. Scosse la testa, tentando di condurre i propri pensieri verso qualcosa di meno scoraggiante.
Fece un respiro profondo e si avvicinò a lui. “Adesso si possono fare delle domande?” chiese timidamente. Era incredibile come la sola presenza di lui riuscisse a farla sentire tremendamente a disagio.
Ben si girò verso di lei e abbassò la testa in gesto di assenso. “Ti ascolto.”
La ragazza, disorientata dal comportamento di lui e dalle domande che le vorticavano in testa, si arrampicò sul macigno che aveva fatto lievitare poco prima e ci si sedette sopra. Poi, picchiettando con la mano sulla superficie fredda della roccia, invitò Ben a fare altrettanto. Era stanca di vederlo fermo immobile nella stessa posa. E, soprattutto, era sfinita da quel continuo oscillare tra momenti in cui sembravano la stessa persona ad altri in cui erano due perfetti estranei. Perciò era pronta a fare la sua mossa, anche se questo voleva dire comportarsi in modo sciocco.
Ben dovette percepire la confusione che regnava nella testa di lei, visto che non si fece pregare a lungo. Si arrampicò agevolmente a sua volta sul masso e si sedette vicino a lei. Nonostante l’apparente indifferenza, Rey percepiva in lui un conflitto simile al suo. O forse era lo stesso sentimento che rimbalzava tra di loro. Ormai non riusciva più a capire se ciò che provava apparteneva davvero a lei o se era solo causato dal loro legame nella Forza. Aveva il terrore di non essere più capace di distinguere i propri sentimenti da quelli di Ben. Ma più di ogni altra cosa, la perenne rigidità di Ben, unita all’impassibilità e ai cambi repentini di umore, cominciava a mettere a dura prova i suoi nervi. Specialmente perché la sera prima le era sembrato calmo, quasi sereno… davvero diverso da com’era in quel momento.
“Mi manca il vecchio Ben,” mormorò senza neanche rendersene conto e pentendosene subito dopo.
Il fantasma sussultò e si girò verso di lei, piantando gli occhi scuri in quelli di lei. “Tu non lo conosci, il vecchio Ben.”
Rey rimase colpita da quelle parole, ma non si arrese. Era lì per fare chiarezza, non per desistere al primo ostacolo.
“Allora parlami di lui,” gli rispose. Il suo sguardo era fermo e deciso, come quello di una preda che a un certo punto decide di smettere di scappare e di trasformarsi lei stessa in predatore.
Ben aprì la bocca per parlare, ma poi la chiuse di nuovo, indeciso. Non era facile mettere in ordine la matassa aggrovigliata dei suoi pensieri. Eppure, per Rey, quella breve reazione fu abbastanza. Se lui non sapeva da dove iniziare, toccava a lei dargli una mano.
“Dimmi di Luke. Com’era essere un suo padawan?”
Ben questa volta fu molto veloce a dare una risposta. “Era esigente, preciso e severo. All’inizio era abbastanza paziente, si focalizzava sui nostri punti di forza e perdonava gli sbagli… almeno quelli degli altri padawan.”
Il suo sguardo, seppur direzionato verso la foresta, era perso nel passato. Dal canto suo, Rey non voleva perdersi un solo attimo di quell’agognata confessione. I suoi occhi vagavano sul viso di lui, cercando di imprimere nella memoria anche il più piccolo dettaglio.
“Con me era molto duro,” continuò lui. “Sapevo che aveva delle aspettative molto alte, e a dir la verità anche io. Non volevo deluderlo, ma era davvero pieno di pretese.”
Rey non riuscì a fare a meno di sorridere. “Lo capisco. Lo era con me, figurati con suo nipote.”
Le labbra di lui si piegarono in un timido sorriso e Rey sentì il proprio cuore battere freneticamente.
“Devo dire però che alcune lezioni non erano male,” continuò lui. “Come quella volta che siamo andati a cercare i cristalli su Ilum.”
Il volto di Rey assunse un’espressione smarrita. “Cristalli?”
Ben si voltò a guardarla. Negli occhi aveva lo sguardo limpido e profondo della notte prima. “Cristalli Kyber, quelli che si trovano nelle spade laser,” spiegò. “Ogni Jedi durante l’addestramento viene mandato a cercare un cristallo kyber per costruire la propria spada. Luke ci accompagnò su Ilum da bambini.”
“Come funziona?” domandò Rey.
“Su Ilum ci sono dei giacimenti di cristalli kyber, le chiamano le Grotte dei Cristalli. I padawan vi si addentrano e la Forza li guida verso il proprio cristallo. Quelli di Ilum sono blu, ma ne esistono di altri colori.”
“Tipo… rosso?” azzardò Rey.
Ben si passò nervosamente una mano tra i capelli. “Non proprio. Il rosso è l’unico colore che non si trova in natura. Viene creato artificialmente… è una tradizione Sith.”
Rey si sforzò di rimanere impassibile, ma non riuscì a nascondere la curiosità. “Ed è quello a renderli instabili?”
Ben sorrise davanti a quell’interesse sfacciato. “No, Rey. La mia spada era instabile perché l’ho creata utilizzando un cristallo incrinato.”
“E si può fare? Voglio dire, non è pericoloso?”
“Sì, un cristallo incrinato è malfermo, e l’energia che emette risulta insicura e imprevedibile… così come la persona che si arrischia a maneggiarla.”
“Forse dovrei costruire anche io una mia spada.”
Ben si strinse nelle spalle. “È un passo importante per ogni Jedi, ma non c’è fretta… O almeno non più, visto che il nemico è stato distrutto.”
Rey era certa che quelle parole non si riferissero solamente a Palpatine.
“Però ti consiglio di stare attenta, nelle Grotte dei Cristalli. Non è così facile,” continuò lui.
“Che intendi dire?”
“Le Grotte custodiscono i cristalli kyber con tutti i mezzi possibili. Puoi perderti nei loro cunicoli, è come un labirinto lì dentro. E la roccia dove sono incastonati è estremamente affilata e quasi… viva.”
L’espressione della ragazza fu così perplessa che Ben si sentì quasi costretto a dare una spiegazione più dettagliata. “La prima volta che ho tentato di prendere un cristallo su Ilum mi sono tagliato. La pietra nella quale era incastonato era così aguzza che mi ha perforato il braccio e il mio sangue è colato copiosamente ovunque. Subito dopo la roccia si è modificata, inglobandolo, come per magia.” Gli occhi di Ben quasi brillavano di uno stupore antico mentre si posavano sul volto di Rey. “Credo che ci sia ancora lì, sai? Il mio sangue, intendo. Ancora fresco, perfettamente conservato nella roccia.”
Rey rimase in silenzio, senza dire nulla. Era incuriosita dai cristalli, certo, ma era ancor più sorpresa di sentir parlare Ben per così tanto tempo. Kylo Ren non era mai stato espansivo, ma Ben sembrava esserlo, una volta superata la timidezza e la ritrosia iniziale. Le piaceva questo lato di lui che premeva per uscire, come se insistesse per riprendersi il posto che Kylo Ren gli aveva usurpato. Come se volesse recuperare tutto il tempo che il Lato Oscuro gli aveva portato via.
Rey avrebbe voluto chiedergli davvero molte cose sul suo passato. Aveva una voglia immensa di conoscere Ben Solo da bambino, con i suoi sogni, le sue speranze… perfino le sue paure. Anzi, soprattutto quelle. L’avrebbe ascoltato ore intere, tartassandolo di domande apparentemente assurde, come “qual è il tuo colore preferito?”, oppure “sei mai salito su un AT-ST?”
Ma la calma e la pazienza avevano abbandonato la ragazza negli ultimi giorni, così come la capacità di ragionare prima di parlare. Alla fine, la domanda con cui se ne uscì fu una delle più inadeguate.
“Perché te ne sei andato, la prima volta che sei comparso? Avevi qualcosa da dirmi, e invece…”
Le parole le morirono in gola nell’accorgersi che il volto di Ben andava via via incupendosi. Con orrore lo vide alzarsi e saltare giù dal macigno, allontanandosi da lei. Rey lo seguì a ruota, convinta che, se davvero non avesse avuto voglia di parlare, sarebbe scomparso come al solito. Invece era ancora lì, e lei non poteva sprecare questa possibilità.
“Ben,” lo chiamò, rincorrendolo.
Ma lui non si voltò nemmeno. Le sue gambe si allungavano passo dopo passo, incapaci di fermarsi e, allo stesso tempo, incapaci di sparire nel nulla. Rey continuò a seguirlo, maledicendosi tra sé e sé per aver forzato la mano. Si avvicinò sempre di più, finché rimase poco più di un metro a separarli. Allungò la mano verso di lui, consapevole di poterlo afferrare… Ma le dita non si chiusero attorno al suo braccio. Rimasero allungate in avanti, rigide. I muscoli si rifiutarono di obbedirle. Tutto il suo corpo si fermò, come pietrificato. Quella sgradevole sensazione non le era nuova: l’aveva già sperimentata una volta, nella foresta di Takodana. L’indignazione penetrò dentro di lei, riaccendendo la rabbia che pensava di aver ormai domato.
Come osi?!, gridò dentro la sua testa. L’urlo fu così forte che Ben sussultò e le sue gambe smisero di muoversi. Dopo qualche secondo di indecisione, allentò la presa e la lasciò andare.
Rey abbassò la mano, senza cercare però di colmare lo spazio che li divideva. Tutte le sue energie si concentrarono su un unico scopo: non fare azioni avventate. Fece dei respiri profondi finché non sentì il battito cardiaco tornare regolare.
“Guardami,” sussurrò alla fine.
Il corpo di Ben sembrò irrigidirsi ancor di più, ma alla fine obbedì. Lo sguardo cupo e tormentato del fantasma si scontrò contro quello risoluto e deciso di Rey.
“Ben… ti prego.”
L’attesa fu snervante. Il cuore le martellava nel petto così velocemente che temette di rischiare l’infarto. I suoni le arrivavano ovattati, tanto era rumoroso lo scorrere del suo sangue nelle vene.
Alla fine, Ben si limitò a scuotere la testa. Una reazione di certo insufficiente per Rey, la quale trovò il coraggio per fare qualche passo nella sua direzione. “Spiegami.”
Lui abbassò il mento, gli occhi colmi di amarezza. “Errore di valutazione,” disse infine. La ragazza si accigliò a quella scelta di parole così tecniche e inespressive. Non sembrava si stesse rivolgendo a lei, bensì a Snoke, o al Generale Hux. La situazione stava prendendo una piega assurda. Non riusciva a capire di preciso cosa non andasse in lui, ma era chiaro che nella sua testa regnava la confusione; grazie a quel dannato legame nella Forza riusciva a percepirla chiaramente. Ed era davvero disarmante, perché Ben continuava ad andare e a venire, rimpiazzato ad intermittenza da Kylo Ren e dal Leader Supremo.
Ma alla fine cosa ne poteva sapere lei? Come poteva distinguere il capo dei Cavalieri di Ren da Ben Solo? Lui aveva ragione: Ben lo aveva conosciuto troppo poco, giusto il tempo di stare tra le sue braccia su Exegol. Exegol…
Un lampo di comprensione sfavillò negli occhi della ragazza. Avvertì lo stomaco attorcigliarsi su se stesso. Era ovvio, maledizione. Il suo comportamento era stato totalmente insensato fin da quando la sua Ala-X era atterrata su Ajan Kloss. Aveva pianto la morte di Ben per giorni e notti intere, implorando di rivederlo con tutta se stessa. E quando finalmente si era deciso a farsi avanti, lei si era limitata a uno stupido tentativo di lapidazione, per poi chiedergli goffamente scusa. E altrettanto goffamente aveva continuato a scavare nei ricordi, cercando di tenere occupati i pensieri di entrambi, evitando con attenzione di accennare quel bacio che gli aveva dato nelle Regioni Ignote.
Rey avrebbe voluto affrontare quell’argomento con più calma, ragionandoci sopra e vagliando tutti i suoi sentimenti, ma aveva perso quella possibilità continuando a procrastinare giorno dopo giorno. Ora il tempo era giunto al termine e Ben la osservava intensamente, nell’attesa di avere una risposta.
Rey respirò profondamente, allargando a dismisura la sua gabbia toracica. “Io… non so cosa dire,” ammise. Era vero, dopotutto, anche se quella confessione risultava piuttosto insipida e anonima. “La verità è che non riesco più a distinguere i miei sentimenti dalla Diade. Non ho più idea di quello che provo.”
Le parole della ragazza aleggiò nell’aria, in silenzio. Rey respirava a fatica, oppressa dalla delusione che intravvedeva negli occhi di Ben, sebbene lui tentasse di nasconderla. Si sentì terribilmente in colpa, eppure sollevata, come se il peso enorme che le era a lungo gravato sullo stomaco si fosse dissolto all’improvviso. La confusione tra il dispiacere e l’immediato alleggerimento le fece girare la testa.
Dopo quella che sembrò un’eternità, Ben annuì. Si voltò di nuovo, dandole le spalle.
“Ben…” lo chiamò lei, avvicinandosi. “Mi dispiace.”
Ma se n’era già andato.
 
***
 
Le gambe di Rey marciavano come quelle degli assaltatori imperiali, scandendo il tempo ritmicamente. Andavano a passo spedito, fuori dal controllo del sistema nervoso della ragazza. I suoi occhi rimasero incollati al terreno per quasi tutto il tragitto, incapaci di posarsi sui volti dei ribelli che le passavano vicino. Guardarli, ad ogni modo, non sarebbe servito a nulla: il suo cervello non era capace di elaborare alcuno stimolo esterno. Rey vedeva solo i suoi ricordi, di nuovo confusi e sconnessi.
La notte prima aveva creduto di poter andare oltre le sue paure, di essere abbastanza forte da combattere i demoni del proprio passato. Ma forse era stato il mero prodotto della Diade, di quella Forza divisa a metà che finalmente tornava a unirsi.
Nell’esatto momento in cui Ben era sparito, lasciandola di nuovo sola in mezzo al nulla, la solitudine l’aveva ripresa tra le sue grinfie, stringendola fino a soffocarla. Poi d’un tratto l’aveva trasformata in un involucro vuoto, insignificante, e Rey si era sentita di nuovo svuotata e inaridita.
Incompleta.
E con sgomento si era resa conto che il risveglio della Diade l’aveva totalmente privata non solo dell’autocontrollo, ma soprattutto della consapevolezza delle sue stesse emozioni. Quando Ben era presente, era quasi incapace di distinguere i propri sentimenti da quelli di lui… ma quando non c’era, la solitudine tornava a divorarla, rievocando i demoni del passato e risvegliando i suoi istinti più crudeli e irrazionali.
Avrebbe voluto urlare per la frustrazione. Sarebbe impazzita, ne era sicura.
I suoi stivali inciamparono su quelli di qualcun’altro, rischiando di farla finire lunga distesa per terra. Una mano le afferrò il braccio con violenza e la sostenne, dandole il tempo di riprendere il controllo dei propri muscoli e di ordinare alle gambe di sorreggerla. La mano mollò la presa, lasciandole il braccio dolorante.
Rey alzò la testa, ritrovandosi davanti Poe e Finn, entrambi colti alla sprovvista. L’analizzarono da capo a piedi, soffermandosi a lungo sulle spade laser e sui capelli, tutt’altro che scompigliati, della ragazza.
“Pensavo fossi ad allenarti,” disse Finn, corrugando la fronte.
La risposta di Rey risuonò più secca del dovuto. “Infatti.”
“Non sembra,” commentò Poe.
La ragazza gli scoccò un’occhiataccia. “Non esistono solo i combattimenti con la spada.”
“Ah no?” chiese Poe con fare insolente.
“No.”
“Ha ragione, Poe,” s’intromise Finn, incrociando le braccia. “Non esistono solo i combattimenti. I Jedi hanno un sacco di cose da fare.” Il tono della sua voce era tagliente. “Come presenziare alle riunioni e aiutare i propri amici!”
Gli occhi di Rey si assottigliarono, incapaci di nascondere il risentimento. Un risentimento indirizzato in realtà più verso se stessa che verso Finn. Ma aveva già fatto i conti con la sincerità per quel giorno, ed era ancora provata dal confronto con Ben. I suoi continui cambiamenti di umore l’avevano sfiancata. Non aveva voglia di subire un altro scontro verbale. 
Ciononostante, dovette fare appello a tutta la calma in suo possesso prima di rispondere. “Come posso rendermi utile?”
Finn aprì la bocca per parlare, ma Poe lo fermò appoggiandogli prontamente una mano sulla spalla. Il Generale Dameron sapeva senz’altro come evitare conflitti inutili tra i suoi uomini… almeno in quel momento.
“Chewie ha bisogno di una mano. Il Falcon ha qualche problema con il compressore.”
“Non se ne occupa Lando?”
“No, ha lasciato il Falcon a Chewie,” s’intromise Finn. “E il compressore l’avevi bypassato tu, quindi dovresti risolvere tu il problema.”
Rey allargò le braccia, troppo stanca per ribattere. “D’accordo, vado a sistemarlo.”
Detto questo, passò in mezzo ai corpi dei suoi amici senza degnarli di un altro sguardo e si avviò verso la vecchia nave di Han.
Finn si girò verso Poe. Gli occhi, tra l’incredulo e il furioso, lanciavano saette. “Ma che le prende?!” sbottò.
Poe scosse lentamente la testa. “Non lo so, ma non è niente di buono.”
 




 
Angolo oscuro dell’autrice:
Scusate il ritardo, ma è stato un capitolo davvero tosto! Le battute di Ben sono state un’impresa e le ho riscritte più volte, nel costante terrore di non rispettare l’essenza del personaggio: non voglio che sia descritto come un ragazzo romantico o “puccioso” (passatemi il termine). Per me Ben Solo è pur sempre colui che ha fatto degli errori, che si è redento ma che ancora sta combattendo contro i suoi fantasmi, perché la strada verso la Luce è tortuosa, lunga e difficile.
Detto questo, sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Cos’è che continua a tormentare Ben? Riuscirà Rey a capire dove finisce la Diade e dove iniziano i suoi sentimenti? Riusciranno ad aprirsi e a parlare col cuore in mano senza dare di matto e insultarsi a vicenda in stile TLJ?
Ringrazio infine tutti coloro che mi stanno appoggiando in questa impresa: senza i vostri commenti e le vostre impressioni, questa storia non esisterebbe!
Che la Forza sia con voi,
Helmwige

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - La Vecchia Ferraglia ***


“High in the halls of the kings who are gone
Jenny would dance with her ghosts,
The ones she had lost and the ones she had found
And the ones
Who had loved her the most.”
Florence and the Machine – Game of Thrones
 
Rey infilò le dita affusolate nel compressore del Falcon, avventurandosi nel labirinto di cavi elettrici, pulsanti e circuiti. Le sue mani si muovevano da sole, come se avessero ripetuto quei gesti per tutta la vita. Il passato da cerca-rottami in quel momento le faceva comodo; magari le dinamiche nei rapporti umani non le erano molto chiare, l’amicizia aveva ancora il profumo allettante della novità e la fiducia era qualcosa di troppo complesso e delicato… ma quella tecnologia era un’estensione del suo stesso corpo, la conosceva meglio di se stessa. Sistemare la nave di Han – o meglio, di Chewie – le diede finalmente quel senso di pace che tanto aveva cercato negli ultimi tempi.
E, per quanto potesse sembrare scorretto da parte sua, l’assenza di Chewie le era stata d’aiuto. Il Wookie non sembrava avesse la minima intenzione di riprendersi da tutto ciò che era successo; la perdita di Han e Leia era stata troppo dura da sopportare e, benché Lando fosse rimasto ancora lì con loro su Ajan Kloss, l’umore di Chewie non era migliorato nemmeno un po’. Faceva fatica a lasciare andare il passato. Lo si vedeva da come si rigirava la medaglia di Han tra le mani, con gli occhi fissi sulla superficie d’oro, o da come teneva la testa china mentre camminava tra i ribelli, perso tra i suoi pensieri.
Rey collegò l’ultimo cavo e richiuse lo sportello del compressore. Rimase a fissarlo senza vederlo davvero, la testa immersa nei ricordi. L’espressione di Han Solo si fece largo prepotentemente nella sua memoria. Ricordava quando aveva bypassato il compressore davanti ai suoi occhi, lo sguardo di incredulità e sorpresa con cui l’aveva fissata, come se non potesse accettare che una ragazza superasse la sua conoscenza del Falcon. Chissà, forse era stato allora che gli era venuto in mente di chiederle di far parte del suo equipaggio. Per Rey quell’offerta era stata un sogno ad occhi aperti. Non avrebbe mai dimenticato come la felicità e l’orgoglio l’avevano invasa, facendola sorridere come una bambina mentre la sua fantasia galoppava, immaginando chissà quali avventure insieme a Han e Chewie. Sotto un certo punto di vista, aveva fatto parte dell’equipaggio: aveva portato il Falcon su Ahch-To, aveva ingaggiato battaglia con i caccia TIE su Crait e gli aveva fatto fare un atterraggio di fortuna su Kef Bir… ma Han non era stato presente, non era stato lo stesso.
Rey voltò le spalle al compressore e guardò la cabina di comando con un misto di malinconia e rimpianto, anche se non sapeva per cosa.
Fu allora che li vide.
Due puntini luccicanti, due fiammelle d’oro appese nella cabina di pilotaggio: i dadi portafortuna di Han, quelli con cui aveva vinto il Falcon durante la partita di Sabacc contro Lando. Il simbolo della sua vittoria, l’inizio della più grande avventura della sua vita. E ora se ne stavano immobili da settimane, in attesa di un nuovo volo, un nuovo viaggio verso pianeti lontani, una nuova sfida che potesse competere con la celebre rotta di Kessel in meno di dodici parsec.
La ragazza ignorò le lacrime che minacciavano di farsi largo tra le sue ciglia e allungò una mano verso di loro. Il metallo risultò gelido contro la sua pelle, eppure sentì la necessità di lasciarli andare subito, come se si fosse scottata. Un’ondata di rabbia l’avvolse, mozzandole il respiro. Una rabbia che non le apparteneva. Cieca, potente e risoluta. Un’ira capace di investire qualunque cosa si trovasse erroneamente sulla sua strada.
La realtà svanì davanti ai suoi occhi, mentre i dadi la risucchiavano nella dimensione dei ricordi. Tutto divenne buio e silenzioso, come se si trovasse nello spazio profondo. Poi, nell’oscurità più nera, emerse la figura di Chewie. Il Wookie se ne stava in piedi, con la testa china infossata nelle spalle e gli occhi fissi sulla propria mano serrata. Una catenina dorata dondolava fuori dal pugno, in netto contrasto con il pelo scuro di lui. Aveva in mano gli stessi dadi che Rey stringeva fino a farsi male.
Sentì il dolore di Chewie così concretamente che per un attimo credé che il cuore le si sarebbe lacerato in due. E insieme alla disperazione giunse anche l’odio. Un odio animale, profondo, viscerale.
Rey, incapace di distinguere i suoi pensieri da quelli di Chewie, si abbandonò ai ricordi di lui.
 
Avrebbe voluto ucciderlo. Ci aveva provato, infatti, ma il tentativo era andato miseramente a vuoto. La pena, la pietà o la perdita gli avevano inizialmente fermato la mano, facendogli sbagliare mira. L’aveva colpito al fianco, e il mostro si era accasciato a terra. Per un attimo aveva creduto di averlo ferito a morte. Ma subito si era dovuto disilludere.
Era ancora vivo.
Si erano guardati negli occhi e, se uno sguardo fosse stato capace di uccidere, Kylo Ren sarebbe morto di certo. Ma quello sguardo, anche se stracolmo d’odio, era solo uno sguardo. Niente di più.
Aveva avuto l’occasione per sparare di nuovo, ma l’aveva sprecata: la pietà gli aveva fermato la mano. L’arrivo degli assaltatori gli aveva poi precluso ogni altra possibilità.
Il mostro si era rimesso in piedi e, un passo dopo l’altro, aveva attraversato il ponte e si era dileguato, inseguendo le sue prede come un cane rabbioso.
E a Chewie non era rimasto che il rimpianto più feroce della sua vita. Il rimorso per averlo lasciato andare non l’avrebbe mai abbandonato.
Quello non era più il neonato in fasce che aveva tenuto in braccio, quel fagottino minuscolo che aveva cullato in silenzio per ore. Non era più il bambino malinconico e allo stesso tempo iperattivo con cui aveva giocato per interi pomeriggi, non era più il figlio di Han e Leia, che una volta aveva amato come se fosse stato il suo.
Ben Solo era morto, rimpiazzato senza pietà da un assassino. Un assassino che gli aveva portato via il suo migliore amico e che meritava di morire. Ma lui non l’aveva ucciso, non aveva vendicato la morte di Han. E non se lo sarebbe perdonato mai.
 
Rey sbatté le palpebre, ritrovandosi nel Falcon. Chewie era sparito, portandosi via tutte le sue emozioni. La ragazza non provava più tutta quella rabbia, quell’odio  insanabile che corrodeva le viscere.
Ad un certo punto si sentì leggera, come se fosse stata svuotata. Una spensieratezza nuova, che forse non aveva provato nemmeno da bambina, la pervase, accompagnata subito dopo da un gran senso di noia esasperata.
Le orecchie captarono un movimento alle sue spalle, unito a un flebile lamento, simile a quello di un bambino capriccioso.
Si voltò verso i sedili della cabina di pilotaggio, serrando ancor di più le dita attorno ai dadi, come per accertarsi che fossero ancora lì.
Il respiro le si bloccò in gola. Socchiuse le labbra per parlare, ma non emise alcun suono… e a dir la verità, non avrebbe saputo nemmeno che dire.
Da dietro lo schienale di uno dei sedili comparve una mano rosea, piccola e paffuta, seguita da una folta chioma di capelli neri come la pece. Poi una seconda mano fece capolino accanto alla prima. Le piccole dita artigliarono la pelle del sedile, sforzandosi di trainare il resto del corpo. Comparvero un paio di occhi scuri, curiosi e attenti, accompagnati da un nasino affilato.
Rey si sentì mancare la terra sotto i piedi. Avrebbe riconosciuto quegli occhi in tutta la Galassia.
 
Un piccolo Ben Solo, di quattro o cinque anni al massimo, appoggiò il naso allo schienale e roteò gli occhi, analizzando l’interno della cabina. Conosceva quel luogo a memoria, ma tutte quelle luci colorati e quei pulsanti continuavano ad affascinarlo. Amava stare lì, nella plancia di comando del Falcon. Era il suo posto preferito, anche se Papà non ce lo portava spesso. Mamma diceva che era pericoloso per un bambino così piccolo, ma Ben sapeva che niente poteva trasformarsi in una minaccia se suo padre era lì con lui.
Il problema, piuttosto, era che si stava annoiando da morire.
Papà gli aveva detto di rimanere lì mentre lui e lo Zio Chewie andavano a sistemare una cosa… un poppusore, l’avevano chiamato. O forse polsore. Ben faceva fatica perfino a ricordarsela, quella parola, figuriamoci a capirne il significato. Non sapeva cosa fosse né a cosa servisse; l’unica cosa certa era che erano spariti da troppo tempo e lui, da solo in quella cabina dove non poteva toccare niente, non ci voleva più stare. Se non fossero tornati nel giro di pochissimo, si sarebbe messo a strillare a pieni polmoni.
Fu allora che li vide. Il suo sguardo annoiato si soffermò sui due sassolini luminosi poco sopra la sua testa. Senza pensarci due volte, Ben indirizzò le sue forze verso di loro nel tentativo di tirarli giù. L’aveva fatto altre volte, non era difficile. Mamma aveva detto che non doveva farlo, che quel potere non era un gioco e che, se voleva prendere qualcosa fuori dalla sua portata, doveva chiedere a un adulto. Ma Ben non era d’accordo; perché non usare un potere così comodo, che poteva rendergli tutto più facile?
Eppure Mamma in quel momento non c’era e Ben, senza farsi problemi, fece librare i due sassolini nell’aria e li avvicinò a sé, afferrandoli goffamente con la punta delle dita.
Si era sbagliato: non erano dei puntini, ma dei dadi. Avevano delle strane incisioni sopra, dei disegni che non aveva mai visto prima. Se li rigirò tra le mani, osservandoli con attenzione come se volesse fissarli per sempre nella memoria.
“Mettili giù, piccolo ladruncolo.”
La voce di Papà risuonò all’interno del mercantile. Ben alzò la testa di scatto, nascondendo d’istinto i dadi dietro la schiena, come se questo potesse farli magicamente sparire.
Nonostante il tono burbero, lo sguardo di Han Solo non presentava la minima traccia di rimprovero. Si chinò verso il sedile, sollevò il bambino come se pesasse poco più di una pagnotta e lo prese in braccio. Ben si agganciò al padre, circondandogli il fianco con le gambe. In mano stringeva ancora i dadi.
Han lo sostenne con un braccio solo, riprendendosi l’oggetto conteso con la mano libera.
“Come l’hai preso, Ben?” domandò, fingendo un tono da paternale davvero forzato.
Per tutta risposta, Ben sogghignò. Fu un ghigno da vera canaglia che provocò un moto di puro orgoglio nel cuore del padre.
Avrebbe dovuto sgridarlo, Han lo sapeva. Eppure non ci riusciva, era più forte di lui. Il tempo che passava con suo figlio era sempre troppo breve e non voleva sprecarlo con brevi rimproveri e punizioni. Voleva godersi quel mostriciattolo il più possibile.
“Sai cosa sono questi?” chiese. Ben gli lanciò uno sguardo curioso, mettendosi in attesa proprio come era solita fare Leia. “Sono i dadi con cui ho vinto il Falcon.”
Ben inclinò la testa di lato. “Cosa vuol dire che lo hai vinto?”
Han soffocò una risata. “È come quando io e te ci giochiamo l’ultima fetta di dolce. Chi vince mangia la fetta, giusto?”
Il bambino annuì convinto.
“Ecco, più o meno è stata la stessa cosa con il Falcon. L’ho vinto proprio con questi,” spiegò, rigirandosi i dadi tra le dita e mostrandoli al figlio. “Mi portano fortuna, per questo li tengo qui,” continuò, allungando il braccio verso l’alto e rimettendoli al loro posto.
“Non puoi darli a me, così avrò anche io fortuna?” chiese Ben, esibendo la sua espressione più implorante. Il contrabbandiere sorrise, passando una mano tra i capelli scompigliati del bambino.
“Un giorno, quando lo Zio Chewie e io andremo in pensione e non mi serviranno più, li darò a te. Fino ad allora, dovrai fare affidamento sulle tue capacità.”
“Quindi un giorno me li darai? Promesso?”
Han avvicinò il volto a quello di Ben, annusando a fondo il suo odore e scoccandogli un bacio sulla fronte.
“Promesso.”
 
L’immagine di Han e suo figlio si dissolse davanti ai suoi occhi. Rey si ritrovò con le labbra strette e il cuore traboccante di nostalgia. Si era sempre concentrata sulla propria sofferenza, sulla propria perdita, sul quel grido di dolore che aveva lanciato quando Kylo Ren le aveva portato via Han davanti ai suoi occhi.
Ren il mostro, il serpente assassino.
Non aveva mai realizzato che anche lui, molto tempo prima, era stato un bambino, con i suoi sogni, le sue speranze e i suoi giochi. E mai, mai aveva pensato a come potesse essere morire per mano del proprio figlio, quando per anni aveva vegliato su di lui, prendendolo in braccio e aspirando il profumo della sua pelle.
L’ennesima ondata di infelicità la travolse, violenta come un pugno in pieno petto.
Basta, per favore. Basta.
Ma invece di rimettere i dadi al loro posto e uscire dal mercantile, Rey li strinse con forza e si preparò ad affrontare la nuova visione. Seppur sfinita da quei continui tuffi nel passato, una parte di lei desiderava ardentemente vedere il resto.
Il dolore che aveva avvertito nella visione di Chewie era niente in confronto a quello che le s’insinuò violentemente sotto la pelle. Si ritrovò a boccheggiare, come se l’aria si facesse sempre più rarefatta. Sentiva i polmoni accartocciarsi come carta avvolta nelle fiamme, la gola trafitta da lunghe spine acuminate.
Emersero davanti ai suoi occhi flebili e leggeri come fantasmi, eppure le loro emozioni erano così forti che Rey temette di accasciarsi al suolo. Fece appello a tutta la sua forza e al suo coraggio e continuò a guardare, sbattendo piano le palpebre. Voleva sapere.
 
Han e Leia si guardavano, l’uno davanti all’altra. Il silenzio gli avvolgeva, tentando di isolarli dal resto del mondo, ma senza riuscirci: la Galassia era lì fuori e li chiamava a gran voce. Non c’era spazio per il cordoglio in una guerra, non c’era tempo per piangere i propri cari.
Non avevano bisogno di parlare, ognuno sapeva cosa provava l’altro: un dolore sordo e profondo, quello di una ferita che non si risanerà mai e che li continuerà a tormentare giorno dopo giorno, senza sosta. Quel dolore enorme di un genitore che ha perso il figlio.
Han fece un passo verso la moglie, allargando le braccia con esitazione. Leia si avvicinò cauta, come se ogni movimento sbagliato potesse costarle altre sofferenze. Affondò il viso nel petto di lui, sospirando.
“Non posso restare,” sussurrò lui. Profonde occhiaie gli cerchiavano gli occhi gonfi e lucidi. Le rughe, accentuate dalla stanchezza, gli solcavano il viso. Sembrava terribilmente invecchiato, come se il peso degli anni e della guerra si fosse riversato su di lui tutto d’un colpo. Era irriconoscibile. Dov’era il vero Han Solo, eroe della Resistenza? Dov’era la canaglia dalla lingua affilata e dalla battuta sempre pronta che ubriacava i suoi clienti di chiacchiere? Il Corelliano più veloce della galassia era stato sostituito da un uomo sconfitto, prosciugato fin nel midollo dal lutto.
“Vorrei rimanere con te,” continuò, la voce rotta dalle lacrime. “Ma non posso… non posso combattere contro di lui.”
Leia lo strinse, senza staccare il volto dalla giacca di lui. Sì, lo sapeva. L’aveva capito già da tempo. Han non aveva mai combattuto per la pace, né per la Resistenza. Aveva sempre e solo lottato per Leia. E lei non poteva fargliene una colpa, perché Han era sempre stato così. Non aveva passato tutta la giovinezza a combattere per la ribellione, cercando di ricostruire la nuova Repubblica Galattica. Non era cresciuto con il peso di ciò che rimaneva del Senato sulle spalle, né aveva giurato a suo padre di portare a termine la missione che avrebbe riacceso la speranza negli animi. Non aveva affrontato le torture dell’Impero, non aveva visto il proprio pianeta ridotto a un campo di asteroidi. E men che meno era pronto ad affrontare il rischio di uccidere Ben in uno scontro a fuoco, o di abbattere il caccia guidato da lui. E lei lo capiva, lo capiva davvero.
“Ho paura che non ne avrò il coraggio nemmeno io,” rispose, soffocando le parole contro il petto di Han. Non c’era rimprovero nella sua voce. Poi si allontanò con un sospiro, alzando gli occhi verso di lui. “Ma so che è quello che devo fare.”
“Mi dispiace,” sussurrò lui. “Vorrei essere al tuo fianco, davvero, ma il pensiero di ucciderlo…”
Non riuscì a finire la frase, ma Leia annuì lo stesso. Non aveva bisogno di spiegazioni, percepiva i sentimenti del marito come se fossero i propri.
“Voglio portarlo a casa, Han.” Una lacrima si liberò dalle lunghe ciglia della principessa, rotolando lunga la guancia. Il Corelliano allungò una mano verso il suo viso, asciugandoglielo con una carezza. L’altra mano la infilò nella tasca dei pantaloni, estraendo i dadi e porgendoglieli.
“Tieni, ti porteranno fortuna.”
Le labbra di Leia si stiracchiarono in un sorriso amaro. Scosse la testa. “Non ne ho bisogno.”
Si tuffò tra le braccia di Han un’ultima volta, mentre altre lacrime scendevano copiose lungo le guancie.
 
Le gambe di Rey non la ressero più. Scivolò in ginocchio, con il petto che si alzava e abbassava freneticamente. La gola le faceva male come se fosse sul punto di piangere, ma questo non avvenne.
I dadi le sfuggirono dalle dita inerti. Rotolarono sul pavimento, il clangore del metallo risuonò in tutto il mercantile. Rey li seguì con lo sguardo mentre si allontanavano da lei, incapace di distogliere l’attenzione dalle facce intagliate che si susseguivano ripetutamente.
La loro corsa terminò davanti a un paio di stivali neri.
Il cuore della ragazza precipitò sul fegato, dandole una fitta improvvisa. I battiti cardiaci le risuonarono nelle orecchie come tamburi forsennati.
Quando i polmoni glielo permisero, inspirò profondamente e si convinse a rimettersi in piedi. I suoi occhi rimasero fissi sul portafortuna di Han, imperterriti, finché una mano non si abbassò per afferrarli. La pelle degli stivali scricchiolava mentre il loro padrone si chinava, appoggiando un ginocchio a terra.
“Dameron ha ragione.”
Per un attimo, Rey credé di assistere all’ennesima visione, frutto questa volta di un suo ricordo. Aveva già visto Ben in quella posizione, quando ancora si faceva chiamare Leader Supremo e aveva una lunga cicatrice a deturpargli la guancia. Era tutto perfettamente identico: il modo in cui i dadi tra le dita, il ciuffo di capelli che gli nascondeva gli occhi, il mantello che gli ricadeva attorno come a proteggerlo. Forse era stato proprio in quel momento, su Crait, che aveva davvero compreso il suo ruolo in tutta quella storia, che si era reso conto di essere stato vittima e strumento del male assoluto. E forse ora, a bordo della vecchia ferraglia di suo padre, con quegli stessi dadi in mano, stava afferrando un’altra importante verità. La espresse in un debole sussurrò, come se temesse il suono della sua stessa voce.
“L’essere stato la pedina di Palpatine non fa di me un innocente, né cancella le mie colpe.”
La bocca di Rey si mosse d’istinto, rispondendo senza dare al cervello il tempo di rielaborare la frase di Ben. “Ma tu sei stato perdonato. Luke, Han, Leia… ti hanno perdonato tutti.”
L’ex Leader Supremo si rimise in piedi, srotolando la spina dorsale vertebra dopo vertebra. All’interno della cabina sembrava ancor più alto del solito. Lo sguardo di Rey per un attimo s’incatenò a quello straziato di lui prima di scivolare sulla mano chiusa a pugno che teneva i dadi. Li stringeva così forte che i muscoli tremavano sotto la pelle traslucida.
“Ma io no, non posso farlo.” Non c’era alcun lamento nel tono di lui, solo cupa rassegnazione. “Il passato non può essere cancellato.”
“E allora uccidilo!” gridò Rey, scegliendo le stesse parole che le aveva rivolto Kylo Ren su Ahch-To. “Hai già espiato le tue colpe, il continuo pentimento non ti darà la pace che cerchi.”
La ragazza era sicura che, se Ben fosse stato vivo, le sue parole avrebbero di sicuro smosso qualcosa. Forse non l’avrebbero convinto, ma almeno avrebbero prodotto una reazione in lui… un moto di soddisfazione, magari. Ma questo non accadde.
Ben scosse la testa, negli occhi neri regnava la stessa disperazione malcelata che lo aveva dominato prima di uccidere il padre. Rey sentì il suo bisogno impellente di liberarsi di quella pena, di mettere a tacere tutti i sensi di colpa che lo tormentavano. Eppure non sapeva come, anzi, si stava convincendo di non poterlo fare. Era tardi, ormai. Certe cose non si potevano dimenticare.
Ma Rey percepiva anche qualcos’altro in lui, un pensiero che agli occhi di lei era davvero ridicolo: Ben riteneva – anzi, era convinto – di meritarlo. Credeva che sarebbe stata quella la sua punizione; avrebbe continuato a inseguire il perdono senza mai raggiungerlo, vagando in eterno.
Ironico. Salvato per sempre dal Lato Oscuro e per sempre tenuto prigioniero dalla Luce.
Poi accadde l’incredibile. La ragazza, che non aveva distolto lo sguardo nemmeno un momento dal volto di lui, si ritrovò a strabuzzare gli occhi per la sorpresa quando una lacrima si staccò dalle ciglia del fantasma. Rey rimase sbalordita da quella perla trasparente spuntata dal nulla che scivolava lungo la guancia, proprio lì dove una volta lo deturpava la cicatrice. Ne aveva viste tante da quando aveva sistemato il compressore, ma quella l’aveva sorpresa e confusa. Mai avrebbe potuto immaginare di vederlo piangere.
Ma il suo smarrimento durò solo un attimo, giusto il tempo di riconoscere le stesse lacrime silenziose che aveva visto prima sul volto stanco di Han.
Guidata dall’istinto, fece un passo verso di lui, ritrovandosi a meno di un metro di distanza. Allungò la mano verso il suo viso e gli asciugò la guancia con il pollice. Sentì il freddo di quella lacrima solitaria penetrarle sotto la pelle mentre abbassava il braccio.
Ben rimase a guardarla, talmente sorpreso da non riuscire a dare un senso a quel gesto.
Lo sguardo della ragazza si spostò su ogni centimetro del volto di lui con devozione, soffermandosi sulle ciglia lunghe, il naso dritto, le labbra piene, per poi tuffarsi di nuovo in quelle iridi profonde e luccicanti.
“Lo faremo insieme, Ben. Ti aiuterò.”
La sorpresa si trasformò in comprensione negli occhi del fantasma. Aveva riconosciuto le parole di Rey, le stesse che gli aveva detto prima che la portasse al cospetto di Snoke.
Dopotutto, la più grande qualità della ragazza era la tenacia: non si era arresa sulla Supremacy, non si sarebbe arresa adesso.
Ben avrebbe davvero voluto crederle, arrendersi a quella smisurata fiducia che lei gli stava dimostrando, ma non ci riusciva. “Non è la stessa cosa, Rey.”
In parte aveva ragione. La redenzione era stata un atto di ribellione, coraggioso e profondo. Ma perdonarsi era diverso; ci voleva compassione e amore verso se stessi. Ben si era odiato fino allo sfinimento, ma era mai riuscito, anche solo per un attimo, ad amarsi?
Eppure Rey non si poteva arrendere, non lo avrebbe lasciato lì da solo nelle mani del suo peggior nemico. Leia, Luke e Han non lo avevano mai abbandonato, non sarebbe stata lei a farlo.
Non aver paura di chi sei.
La voce di Leia risuonò prepotente nei suoi ricordi.
Fu in quel momento che Rey capì.
Ben Solo aveva cercato il Lato Oscuro in ogni modo, rinnegando se stesso e la sua famiglia, uccidendo innocenti, nascondendosi dietro una maschera nel goffo tentativo di imitare suo nonno. Aveva provato con tutte le sue forze a saturarsi di malvagità e crimini. Aveva provato a farsi sedurre dal Lato Oscuro, ma non ci era riuscito. Ogni sforzo era stato vano, perché non era mai stato abbandonato dalla Luce. La Forza aveva fatto di tutto per non perderlo.
E a differenza di suo nonno, Ben aveva avuto la fortuna di essere amato. Sempre, in ogni circostanza, anche quando lui stesso si disgustava per le sue azioni. Aveva tentato di cadere nel Lato Oscuro, trascinandosi verso la vergogna, il dolore, la rabbia. Ma non era riuscito ad affogarci totalmente, no, perché il destino aveva avuto altri piani per lui.  
Rey si era sbagliata su di lui. Aveva creduto che dimostrargli fiducia nel chiedergli di farle da Maestro sarebbe bastato, ma non era così, non poteva bastare. Rey doveva dargli la stessa fiducia che gli avevano dato Han e Leia. Fino all’ultimo i genitori di Ben avevano creduto in lui, a discapito di tutto quell’orrore che lo circondava e che lui stesso seminava in tutta la Galassia. Non avevano mai smesso di cercarlo per riportarlo a casa. Non avevano mai smesso di amare quel figlio perduto, perché sapevano che era l’unica cosa che davvero poteva salvarlo. Un amore in cui si doveva credere fino in fondo, anche nei momenti peggiori.
Amore, nient’altro.
E se ancora non riusciva a distinguere i propri sentimenti dalla Diade, non importava, non ora. Al contrario, proprio in nome del loro legame e di quell’amore sconfinato che le avevano insegnato Han e Leia, lei non avrebbe smesso di combattere al fianco di Ben.
“Ce la faremo, Ben. Insieme.”
Il fantasma fece per scuotere la testa, ma Rey fu più veloce. “No, non è tardi,” disse, fermando ogni possibile protesta sul nascere.
Il tempo sembrò fermarsi mentre affondavano l’uno negli occhi dell’altra e i loro sentimenti si mescolavano, perdendo i propri contorni.
Ad un tratto, Rey si alzò in punta di piedi e lo abbracciò, appoggiandogli la testa tra il collo e la spalla. Fu come abbracciare un enorme pezzo di ghiaccio, eppure il freddo non le diede il minimo fastidio. Il primo abbraccio di cui lei avesse memoria.
Ben fu così sorpreso che rimase immobile, con le braccia inerte lungo i fianchi. Poi, finalmente, i muscoli tornarono a rispondergli. Si aggrappò al corpo di lei, avvolgendola con le braccia. La stringeva così forte che sembrava volesse cancellare la barriera fisica dei loro corpi e sparire dentro di lei.
“Non aver paura di ciò che sei stato,” gli sussurrò lei, stringendolo ancor di più. “Io non ne ho.”
E a quelle parole il cuore di Ben Solo, per un attimo appena, riprese a battere di nuovo.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII - Tempo ***


Mi hanno piantato così tanti coltelli che quando mi regalano un fiore

all’inizio non capisco nemmeno cos’è. Ci vuole tempo.”

Charles Bukowski

 

La prima volta che Leia le aveva fatto usare il remoto per l’addestramento, le aveva ordinato di infilarsi il vecchio casco da pilota di Luke e di abbassare il paralaser. Rey non aveva fiatato in quel momento, non avendo il coraggio di contraddire il Generale Organa, ma dentro di sé aveva pensato che fosse ridicolo, oltre che pericoloso. Quel tipo di allenamento, tuttavia, si era rilevato piuttosto interessante, anche se faticoso. Richiedeva, infatti, una concentrazione notevole, ed era proprio questo a preoccupare Rey al momento. Non amava ammetterlo – anzi, forse non lo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura – ma la presenza di Ben non l’aiutava a rimanere focalizzata sull’obiettivo.

Così, quando anche Ben saltò fuori con la proposta di usare il remoto – con tanto di paralaser abbassato, per giunta! – Rey decise di fingere spudoratamente di non averlo mai visto. Inarcò addirittura un sopracciglio con aria scettica, cercando di fargli cambiare idea: avrebbe accettato tutto, tranne di essere colpita più volte dal quell’aggeggio perché troppo presa dal fantasma che la fissava a qualche metro di distanza.

“È ridicolo,” affermò la ragazza, inclinando le labbra in una falsa espressione imbronciata. In mano teneva il casco di Luke con una certa insicurezza mista a devozione.

La prima volta che l’aveva visto, era rimasta a bocca aperta. Era un casco incredibilmente simile a quello che aveva lei su Jakku. L’aveva indossato così tante volte sognando di pilotare davvero un caccia stellare, l’aveva lucidato e accarezzato con assurda nostalgia per quasi vent’anni… e ora ne aveva uno quasi uguale, ma che forse aveva visto più pianeti di quanti ne avesse visitati lei. Da una parte, non aspettava altro che infilarselo e sfidare il remoto in un duello agguerrito; dall’altra, invece, cercava disperatamente una scusa per evitare l’enorme imbarazzo che sentiva sarebbe giunto di lì a poco.

“Non ho molta esperienza con i remoti,” mentì, squadrando la palla di metallo che giaceva sul terreno davanti ai suoi piedi. “Ma sono sicura che non sia piacevole essere colpiti da loro.”

“Allora non farti colpire,” rispose Ben, in attesa che lei si decidesse a dargli retta. Con le braccia incrociate sul petto, sembrava serio e divertito allo stesso tempo. Nonostante l’agitazione che l’aveva presa, Rey si sentì soddisfatta nell’osservare quel cambiamento positivo in lui. Vederlo sereno e lontano dai suoi demoni, almeno per un po’, la rincuorava.

“Se non ci vedo come faccio?” chiese, sperando di non sembrare troppo infantile.

“Sono sicuro troverai un modo,” replicò lui, chiudendo il discorso.

Così Rey, con un sospiro quasi melodrammatico, s’infilò il vecchio casco, guardò Ben come se stesse per andare in guerra e calò la visiera sugli occhi. Poi filò la spada laser dalla cintura e l’accese, impugnandola saldamente davanti al suo corpo, pronta a proteggersi dai colpi pungenti del remoto… e da un’eventuale umiliazione.

All’inizio non udì nulla, tranne un lieve ronzio proveniente dal basso. Lo sentì salire, ma il rumore era così discreto che presto si mischiò con quello del laser della spada. Nel giro di qualche secondo, aveva già perso le sue tracce.

Il remoto, guidato dai propri sensori interni, sembrò riconoscere il disorientamento della ragazza e ne approfittò, centrandola alla coscia destra. Il colpo, simile a una scossa elettrica, le fece emettere un grido di sorpresa.

Rey si allontanò di scatto, spostando la spada laser nella direzione da cui era partito il colpo, ma il remoto fu più veloce di lei. Una seconda scossa la colpì alla mano sinistra, facendole perdere la presa sull’arma. La spada laser cadde a terra, accompagnata dalle imprecazioni della ragazza.

Tirò su la visiera, individuò l’arma tra l’erba e la raccolse. Quando rialzò la testa, il suo sguardo incontrò quello curioso di Ben.

“Ti stai divertendo?” chiese, sollevando le sopracciglia in modo provocatorio per nascondere l’imbarazzo, mentre si massaggiava distrattamente le zone colpite.

“Riprova,” si limitò a rispondere lui.

Con un sospiro, Rey riabbassò il paralaser e accese la spada. Fece un respiro profondo, si concentrò sui battiti accelerati del proprio cuore ed espanse le sue sensazioni finché non riuscì a vedere il remoto come se lo stesse guardando con i propri occhi. Il piccolo robot tentò di colpirla più volte, ma lei riuscì a parare le scosse con facilità, seguendo rapidamente gli spostamenti del suo antagonista. I suoi movimenti, guidati dall’istinto, erano fluidi ed eleganti, come quelli di una Vulptex.

Dopo centinaia di colpi deviati, Rey spense la spada laser e si tolse il casco. Con il sudore che le imperlava la pelle, i capelli appiccicati al volto e il fiatone, aveva tutta l’aria di aver bisogno di riposo. Il suo sguardo, tuttavia, tradiva una certa soddisfazione.

“Cinque minuti di pausa,” sospirò. “Quel piccoletto mi ha dato del filo da torcere.”

“Questo perché ti ostini a usare i tuoi sensi al posto delle sensazioni.” La voce di Ben aveva quel tono tranquillo e serio di ogni insegnante che si accinge a dare spiegazioni ai propri studenti, e Rey rimase sollevata nel sentirlo.

“Il tuo potenziale è enorme, ma a volte ti dimentichi di usarlo. Devi fidarti della Forza,” continuò lui.

La ragazza annuì, riconoscendo un briciolo di verità in quelle parole.

Il suo sguardo si soffermò sul remoto che, congedato dall’addestramento, giaceva di nuovo sull’erba. “L’hai mai usato?”

“Più o meno,” rispose lui, tenendosi sul vago.

Rey inclinò la testa, incuriosita. “Che vuol dire più o meno?”

Ebbe un tuffo al cuore quando l’espressione tipica di Han Solo riaffiorò sul viso del fantasma.

“Parli davvero troppo quando ti alleni.”

La ragazza aprì la bocca per ribattere, ma un ronzio a lei noto catturò la sua attenzione. Ben aveva riattivato il remoto, cercando di tenerla lontana dai propri ricordi.

Rey sguainò nuovamente la spada laser, ancora incuriosita dalle parole di lui. Avrebbe atteso pazientemente la fine di quella sessione, se era questo che lui voleva.

 

***

 

Qualche ora dopo, Rey si buttò stremata sull’erba. Nonostante avesse passato tutta la vita ad arrampicarsi all’interno degli star destroyer precipitati su Jakku e a svolgere lavori tutt’altro che leggeri, quella sfida con il remoto l’aveva totalmente prosciugata. Usare la Forza per supplire alla mancanza della vista richiedeva più energie di quante ne servissero per smontare un intero caccia stellare.

Con la casacca zuppa di sudore, i capelli incollati al viso e la pelle bollente, Rey rimase immobile con gli occhi chiusi, attendendo pazientemente che il respiro le tornasse regolare. Il cuore le batteva nelle orecchie così furiosamente che per un attimo temette di rompersi i timpani.

Per quanto fosse vecchia e rudimentale, quella piccola palla di metallo e cavi elettrici di certo sapeva il fatto suo.

Quando il battito cardiaco si fece più calmo e regolare, riuscì a captare dei passi alla sua destra. Con riluttanza socchiuse le palpebre. La luce s’infilò crudelmente tra le ciglia, accecandola. Corrugando la fronte in una ridicola espressione infastidita, Rey si fece ombra con una mano e riaprì con cautela gli occhi.

La figura di Ben la sovrastava, allungandosi all’infinito verso il cielo. I contorni del suo corpo, in netto contrasto con la luce accecante del sole, apparivano sfuocati, quasi in movimento. Lo sguardo della ragazza riuscì a registrare solo pochi dettagli: le braccia conserte, le gambe divaricate saldamente ancorate al suolo, il mantello che gli ricadeva attorno.

“Pensavo avessi più resistenza, cerca-rottami.”

Le sopracciglia di Rey si sollevarono, sorprese dal tono ironico di lui. Ma non era solo sorpresa, quella che provava. C’era anche sollievo. Ben aveva già dimostrato di saper essere provocatore e sarcastico quando si trovava in una posizione di vantaggio rispetto all’avversario. Era sollevata nell’osservare che era rimasto se stesso, nonostante tutto lo sconforto e il dolore che gli aveva visto negli occhi qualche giorno prima, sul Falcon.

Persa nelle sue riflessioni, Rey rimase con lo sguardo puntato verso l’alto, in silenzio. La mancanza di una qualsiasi reazione da parte della ragazza spinsero Ben a chinarsi, appoggiando un ginocchio a terra. “Stai bene?” le chiese, scrutandola con attenzione.

Con la testa ancora annebbiata per la stanchezza, Rey si sforzò di non mettersi a ridere di fronte a quella scena bizzarra. Prima che lui potesse percepire il suo divertimento attraverso la Diade, Rey domandò: “Che vuol dire più o meno?”

Ben aggrottò la fronte, incapace lì per lì di dare un senso a quella frase. “Cosa?”

La ragazza indicò con l’indice il remoto che giaceva immobile sul terreno, a qualche metro da lei. Il fantasma seguì la direzione del suo dito fino all’oggetto incriminato, per poi tornare indietro. Lo sguardo che le rivolse fu un misto di pazienza e rassegnazione. Si passò una mano tra i capelli, mettendosi a sedere sull’erba.

La ragazza si tirò su a sua volta, impaziente di sentire quell’aneddoto che si preannunciava interessante. A dir la verità, ogni particolare della sua vita la incuriosiva. Da quando aveva visto il piccolo Ben sul Falcon, in lei era nata una sorta di frenesia, di desiderio irrefrenabile; avrebbe voluto sapere tutto, ogni marachella fatta da bambino, ogni avventura intrapresa da adolescente. Si sentiva come un pozzo senza fondo, incapace di saziarsi delle informazioni che possedeva. Ne voleva ancora, e ancora, e ancora…

Ben però non dava alcun cenno di voler iniziare quel racconto. Se ne stava con la testa china, le labbra strette a formare una linea sottile.

Rey fece un respiro profondo e si concentrò sulle emozioni di lui, trovando proprio ciò che si aspettava: insicurezza e timore. Ma non si limitò a sondare la superficie. Si espanse ancora un po’, cercando di intrufolarsi discretamente nella sua testa. Non si dovette sforzare a lungo: i sentimenti del fantasma si mostrarono apertamente, senza alcuna resistenza. Non c’era diffidenza in lui, solo imbarazzo. E nostalgia, anche. Pur non riuscendo a vedere i ricordi su cui stava rimuginando, sentiva che non erano negativi, anzi, erano quasi ridicoli. Forse era proprio quello a rendere Ben così indeciso.

Rey indugiò a lungo sul da farsi, chiedendosi se non fosse il caso di dire qualcosa… finché non arrivò a concludere che lui aveva bisogno solo di una leggera spinta, un minimo cenno di fiducia che gli permettesse di affrontare quella piccola insicurezza che non lo faceva parlare. Perché, si sa, tutte le insicurezze non affrontate hanno il vizio di diventare ostacoli insormontabili nel tempo.

Non ho paura, gli ricordò senza parlare.

Per qualche secondo, tutto rimase com’era: Ben restò immobile, con lo sguardo perso nel vuoto. La ragazza si chiese se l’avesse sentita, se i loro pensieri fossero ancora collegati nella Forza.

Decise di riprovare, ma non fece in tempo. Il fantasma rialzò la testa e la guardò. Gli occhi erano di nuovo vigili e attenti, quasi riconoscenti. Il cuore di Rey esultò per la vittoria e si mise in attesa.

“Avevo cinque anni,” cominciò lui. La voce era pacata e calda, come quella di un genitore che racconta la favola della buonanotte ai suoi bambini. “Mio padre e Chewie erano appena tornati da uno dei loro viaggi. Fecero in tempo a salutarmi che subito qualcuno li chiamò, non ricordo per cosa. Scesero entrambi e mi dissero di aspettare lì.”

Lo sguardo di Ben, di nuovo perso nei ricordi, sorrideva.

“Così ho cominciato a girovagare per il cargo,” continuò. “All’epoca mi sembrava enorme. Sono andato verso la scacchiera, era il mio gioco preferito… anche se in realtà non avevo idea di come funzionasse.”

Rey si morse le labbra, trattenendosi dal ridere. Non voleva interromperlo, visto quanto ci aveva messo per convincerlo a parlare. Con una certa soddisfazione, notò che non era l’unica a essere divertita.

“Lì vicino c’era la sacca di Luke, l’aveva lasciata lì dopo la morte del suo vecchio maestro e non l’aveva più toccata. Non serve che ti dica cosa c’era dentro…”

“Il remoto,” rispose lei.

Ben annuì. “Non sapevo cosa fosse né a cosa servisse, così l’ho acceso.”

“Spero tu abbia abbassato il paralaser,” lo provocò Rey, facendolo sorridere. Fu un sorriso vero, ironico e contagioso.

Ben strappò un filo d’erba, rigirandoselo tra le dita pallide. Negli occhi aveva un’espressione tra il rallegrato e l’imbarazzato.

“Sono scappato,” confessò.

Rey lo guardò accigliata. “Come, scusa?”

“Non sapevo potesse sparare.”
“Non spara, dà scosse elettriche,” precisò lei.

“Ero un bambino!” tentò di giustificarsi lui.

“E quindi?”

“Facevano male, e non avevo niente con cui difendermi. La fuga era la soluzione migliore.”

Rey rise. Era una risata delicata, la sua, come quella di una madre che vede il proprio figlio fare qualcosa di ridicolo. Si sentì sopraffatta da una dolcezza nuova, a lei sconosciuta. Una dolcezza che l’aveva afferrata quasi con violenza, abbracciandola stretta come se non volesse più lasciarla andare. Un sentimento curioso, sconosciuto, che pensava non avrebbe provato mai.

“Perché non hai usato la Forza?” gli chiese.

Ben aggrottò la fronte, pensoso. “Non lo so. Ero così spaventato che pensavo solo a correre per salvarmi la pelle.”

“E chi ti ha sottratto alla morte?” domandò lei, con tono melodrammatico. Provava l’intenso desiderio di canzonarlo, almeno un po’.

“Mia madre,” rispose Ben serio. “Mi aveva sentito urlare.”

“Stavi addirittura urlando?!”

Rey avrebbe potuto scherzare così per ore. Non sapeva da dove saltasse fuori tutta quell’ilarità, quella voglia smisurata di prenderlo in giro. Non era mai stata una tipa scherzosa, su Jakku la comicità non era vista di buon occhio.

Avrebbe voluto bearsi in eterno di quella leggerezza che l’aveva invasa da capo a piedi. Avrebbe voluto farlo davvero.

Eppure non voleva forzare la mano. Stava danzando sul ghiaccio, su una lastra ancora troppo sottile per lasciarsi andare. Doveva fare un passo alla volta, con cautela. Bastava anche il più piccolo sbaglio, un movimento calibrato male, e il ghiaccio si sarebbe rotto.

Era necessario, dunque, che guardasse il modo di reagire di Ben. Doveva basarsi su ciò che la Diade le permetteva di intuire.

Ben al momento sembrava imbarazzato, ma allo stesso tempo felice. Rey lo guardò, lasciandosi investire dai sentimenti di lui; coraggio, timidezza, determinazione. E speranza, viva e vibrante. La speranza di riuscire, un giorno, a liberarsi di ogni peso, ogni senso di colpa, ogni ricordo doloroso.

Ma c’era anche qualcos’altro. Una sorta di spossatezza mentale. Ben era stanco, come se quella “confessione” fosse stata terribilmente faticosa, come se si fosse dovuto sforzare per aprirsi con lei, per stare al gioco.

Rey avrebbe voluto cavalcare quell’onda all’infinito, ma per Ben non era così semplice. Si era nutrito di sangue e rancore troppo a lungo. Le ferite prodotte dalla delusione e dal tradimento avevano iniziato a guarire con la sua redenzione, ma di tanto in tanto tornavano a prudere, come a ricordargli che continuavano a essere lì, imperterrite. Ci voleva serenità, calma. Soprattutto, ci voleva tempo.

E Rey era pronta a concedergli tutto ciò di cui aveva bisogno.

 

***

 

“È bipolare, non me lo spiego altrimenti.”

Finn, visibilmente indispettito, lanciò la sua cena accanto a quella del Generale Dameron. Aveva un’espressione perplessa, come se stesse cercando di risolvere un dubbio esistenziale. Si sedette sulla panca e cominciò a rovistare nella zuppa col cucchiaio, facendo venire a galla quelli che sembravano essere pezzettini di carne. Poe sperò che non si trattasse dei Porg che Chewbacca aveva riportato da Ahch-To mesi prima.

“Di chi stai parlando?”

Finn alzò la testa, fissandolo sbalordito. “Non è ovvio?”

“Direi di no…”

“Di chi vuoi che parli? Di Rey, naturalmente!”

Poe annuì lentamente, tutt’altro che convinto. “Naturalmente,” ripeté. I suoi occhi vagarono sul volto dell’amico, cercando di capire cosa stesse pensando e, in particolare, cosa lo rendesse così… isterico.

“È successo qualcosa?” domandò infine, incapace di trovare una soluzione da solo.

“Non la riconosco più.”

Poe sospirò. Adorava Finn, lo riteneva il suo migliore amico, dopo BB-8. Certe volte però sapeva essere davvero esasperante.

“Puoi essere un po’ più esauriente?”

Finn mise giù il cucchiaio, incrociò le braccia, appoggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso l’amico. Gli occhi, spalancati, gli davano un’aria inquietante.

Niente di buono, si disse Poe.

“Oggi ho chiesto a Rey di aiutare Rose con un caccia. Un problema al radiofaro, niente di grave…”

Poe gli fece cenno di proseguire, agitando la mano. “Arriva al punto.”

“Rey ha detto di sì!” strillò Finn, allargando le braccia come se avesse rivelato la notizia più bizzarra della Galassia.

Poe continuò a fissarlo, incapace di rielaborare l’informazione, finché non comprese che non c’era proprio un bel niente, da rielaborare.

“Non ho afferrato.”

L’ex assaltatore fece un respiro profondo, chiedendosi come facesse l’amico ad essere così distratto. “Non si è lamentata. Neanche il minimo accenno di rifiuto. Non ha procrastinato né obiettato. Niente di niente.”

“È un bene, Finn. Vuol dire che si sta riprendendo. Aveva solo bisogno di tempo.”

“Ascoltami,” sussurrò Finn, avvicinandosi ancor di più a Poe per non farsi sentire da orecchie indiscrete. “Fino a qualche giorno fa Rey era intrattabile. Andava chissà dove con la scusa di allenarsi, e spesso tornava più incattivita di prima. E poi, tutt’a un tratto, diventa una formica operosa…”

Formica operosa?” ripeté Poe, mettendosi a ridere.

“Per settimane è stata scontrosa, bugiarda e sfaticata. Ora invece torna dalle sue fantomatiche sessioni di addestramento tutta contenta, in pace con la Galassia intera!”

Poe chiuse gli occhi, prendendosi la testa tra le mani. Era tutto fin troppo ridicolo. “Finn, quello che dici è assurdo. Punto.”

“Poe.” La nota implorante nella voce del ragazzo spinge il Generale Dameron ad alzare la testa. Finn lo stava prendendo per sfinimento. “C’è qualcosa di diverso in lei. Succede qualcosa quando si allena. Lo sento.”

“Invece di usare il tuo super intuito da Force sensitive, perché non glielo chiedi direttamente?”

“È assurdo,” sbottò Finn

“Concordo.” Poe annuì. “È veramente assurdo.”

Ma Finn non aveva intenzione di arrendersi, non ancora. “Leia ti direbbe di fidarti della Forza.”

“Io mi fido di ciò che vedo, Finn. Se pensi che Rey abbia un qualsiasi problema, va’ da lei e diglielo.”

Finn chinò la testa, sconfitto. Come poteva dire a Poe di quella presenza sinistra che aveva percepito vicino a Rey, così estranea e allo stesso tempo così familiare? Poe era sempre stato poco tollerante nei confronti della Forza. Si fidava delle proprie conoscenze e delle proprie capacità, non ammetteva nient’altro. Il che era paradossale, visto che aveva visto con i suoi stessi occhi ciò di cui la Forza era capace. Eppure Poe era così: permaloso, avventato e, certe volte, irrazionale.

Fu proprio quando Finn ammise la sconfitta che la voce dell’amico si fece risentire: “Magari ha degli incontri segreti con qualcuno durante i suoi allenamenti

L’ex assaltatore raddrizzò immediatamente la testa, piantando lo sguardo in quello di Poe. Aprì la bocca per chiedergli a chi si stesse riferendo, ma con disappunto notò che il suo interlocutore stava già ridendo. Aveva approfittato della sua apprensione – nonché della sua gelosia malamente repressa – per prendersi gioco di lui.

“Non è divertente,” sibilò a denti stretti, tornando a concentrarsi sulla sua cena, chiaramente indispettito.

“Lo è, invece.”

 

***

 

C’era qualcosa che gli sfuggiva. Un particolare che continuava a sporgersi verso di lui per poi ritrarsi immediatamente. Sapeva che era un dettaglio importante, un elemento che non doveva scappargli, eppure non riusciva a raggiungerlo. Così se ne stava lì, Ben Solo, con le braccia incrociate sul petto e le gambe saldamente ancorate al terreno, perfettamente immobile. Lo sguardo, attento e leggermente irrequieto, era fisso su Rey, impegnata nell’ennesima sfida contro il remoto. Ben ne analizzava scrupolosamente i movimenti, il modo in cui impugnava la spada laser, i passi felini mentre seguiva il suo avversario senza vederlo. Il paralaser le lasciava scoperta solo le labbra, strette per la concentrazione.

A Ben non serviva guardarla negli occhi per sapere cosa stesse provando, e non solo grazie alla Diade. La tensione della ragazza sarebbe stata visibile a chiunque; guizzava in ogni singolo nervo, facendole fremere i muscoli e accelerandole il respiro.

Il remoto quasi la colpì, sfiorandole il braccio destro. La posa della ragazza s’irrigidì, per poi scattare improvvisamente, come se volesse invertire i ruoli e passare dalla difesa all’attacco. Ben fece per intimarle di concentrarsi e di focalizzarsi sull’obiettivo, ma non ce ne fu bisogno. Rey si ricompose e la sua impulsività svanì con la stessa velocità con cui era arrivata.

Fu proprio in quel momento che Ben riuscì a individuare quel dettaglio nascosto che continuava ad assillarlo. Lo trovò proprio lì, nelle mani della ragazza che stritolavano la spada laser, negli arti tesi pronti a contrattaccare, nella forza bruta che le scorreva in tutto il corpo.

Rey non possedeva lo stile di combattimento di Luke, né di qualsiasi altro apprendista Jedi che avesse conosciuto. Non era aggraziata, leggera o elegante come il suo vecchio Maestro. Al contrario, Rey era istintiva, arrogante, aggressiva. Il suo stile era grezzo, quasi presuntuoso. Per quanto controllo cercasse di avere, l’energia che le ribolliva dentro intorbidava ogni gesto.

No, non aveva appreso lo stile di Skywalker.

Aveva ereditato quello di Kylo Ren.

Probabilmente l’aveva appreso tramite la Diade, durante i loro contatti nella Forza. Aveva acquisito non solo le sue capacità, imparando in un attimo ciò che un normale padawan avrebbe assimilato solo dopo anni e anni di pratica, ma anche la sua foga e il suo potere indomito. Ecco perché gli aveva sempre tenuto testa, perfino durante il primo scontro sulla Base Starkiller. Ecco perché era stato così facile e naturale combattere al suo fianco contro le Guardie Pretoriane di Snoke. I loro modo di muoversi, di affrontare il nemico, di maneggiare le spade laser… Rey aveva copiato da lui tutto ciò che sapeva sul combattimento.

E probabilmente Luke l’aveva visto, doveva essersene accorto. Chissà com’era stato per lui vedere la Forza bruta e immatura di Rey, per poi duellare contro Kylo Ren su Crait e rivedere esattamente le stesse mosse, la stessa tecnica.

Chissà com’era stato, per Skywalker, affrontarlo un’ultima volta, vedere l’unico nipote in preda alla violenza, all’ira e all’implacabile desiderio di uccidere.

Le parole che aveva rivolto a Luke gli rimbalzavano ancora in testa.

Distruggerò lei. E te.

Rey percepì il groviglio di pensieri in cui Ben si stava immergendo. Rinfoderò la spada, sollevò il paralaser e disattivò il remoto. Vedendola sfilarsi il casco, lui riemerse dalle sue congetture. Sembrava lievemente stordito, come se si fosse perso qualcosa e il suo cervello cercasse di rimediare a quel buco temporale.

Rey non poté fare a meno di sorridere davanti a quell’espressione un po’ spaesata, tanto era strano vederla sul viso sempre serio e attento di Ben. “Va tutto bene?”

Ben annuì. Gli occhi tornarono immediatamente riflessivi e vigili. “Stavo solo pensando.”

La ragazza rimase ferma, con il casco sottobraccio, in attesa. Sentiva che di lì a poco avrebbe aggiunto qualcosa.

E, infatti, non dové aspettare a lungo.

“Alla battaglia di Crait,” aggiunse Ben.

Rey fece un passo verso di lui, il volto serio. Ben non le aveva mai parlato di Kylo Ren di sua spontanea volontà da quando era morto. Non sapeva se esserne preoccupata o meno, ma sicuramente ciò la innervosiva. Come sarebbe stato per lui affrontare di nuovo la parte peggiore di sé?

Ma il volto affilato del fantasma sembrava imperscrutabile, immerso nei ricordi. Gli occhi scuri rivedevano Crait, le impronte cremisi sul terreno imbiancato dal sale, le macerie degli sky speeder in fiamme, le file degli enormi AT-M6 che aspettavano pazientemente un suo ordine che li autorizzasse a sparare.

Poi, inevitabilmente, rivide Skywalker, il viso solcato dalle rughe, gli occhi lucidi e iniettati di sangue. E quell’espressione pentita ma risoluta mentre si scusava con lui.

Rey intravide distintamente Luke nella memoria di Ben, come se ce l’avesse davanti. Si perse in quella visione, il mondo cominciò a svanire attorno a lei. Non si accorse nemmeno della propria voce mentre sussurrava il nome del suo vecchio Maestro.

Furono le parole di Ben a riportarla alla realtà.

“Aveva perso qualsiasi speranza di farmi tornare al Lato Chiaro. Non era lì per salvarmi, ma per distruggermi,” mormorò con tono calmo, quasi distaccato. “E anche io. Li volevo tutti morti.” Posò lo sguardo impassibile su Rey, scrutandola. “Compresa te.”

Quelle parole non provocarono in Rey alcuna reazione. Avrebbe dovuto esserne colpita, forse angosciata. Ma non provava niente di tutto ciò. Si limitava a guardare il volto impenetrabile di Ben, i capelli scompigliati, gli occhi nascosti sotto le lunghe ciglia. Da quando aveva capito che poteva essere totalmente se stesso con lei, Ben aveva iniziato ad aprirsi sempre di più. Quell’atto di fiducia immensa, quel gesto d’accettazione e d’amore incondizionato che gli aveva dimostrato a bordo del vecchio mercantile di Han Solo, gli aveva fatto finalmente comprendere che non aveva bisogno di nascondersi dietro una maschera fredda e impassibile; Rey non aveva paura di lui, non temeva né Kylo né tanto meno Ben. Così lui aveva cominciato a disfarsi, pezzo dopo pezzo, di quel muro che aveva innalzato per difendere Rey da se stesso. E Rey, immensamente grata del cambiamento, benediva tutto ciò che attraversava le crepe di quella barriera.

“L’avrei ucciso, se lui fosse stato veramente lì.”

“La guerra è guerra, Ben. Nessuno di noi è innocente.”

Il tempo sembrò dilatarsi all’infinito, mentre sprofondavano l’uno negli occhi dell’altra. Non c’era odio nello sguardo di Ben, né confusione, né tormento. Neanche angoscia. I sensi di colpa avevano cominciato pian piano a lasciare la presa su di lui. Stava estirpando tutto il veleno che gli era rimasto sotto la pelle, goccia dopo goccia.

Rey captò infine qualcos’altro, un ultimo dettaglio che fino a quel momento non aveva avvertito. Una scintilla di nostalgia, una punta di amarezza stemperata dal passare del tempo. Ben si era soffermato su un ultimo ricordo.

Rey rivide se stessa, in piedi davanti all’entrata del Falcon, impegnata a far salire gli ultimi superstiti della Resistenza. Rilesse la sorpresa e la rabbia con cui aveva guardato Kylo Ren appena si era accorta dell’ennesimo contatto nella Forza. Poi gli aveva chiuso il portellone del mercantile corelliano in faccia, lasciandolo solo con un Hux decisamente irritato.

“Quello sì che è stato un colpo basso,” affermò Ben, con le labbra stiracchiate in un timido sorriso sarcastico.

Il cuore di Rey perse un battito a quell’osservazione. Le volte in cui Ben aveva usato con disinvoltura la sua ironia si contavano sulle dita di una mano. La invase un’ondata inspiegabile di gioia a quell’ennesima dimostrazione di spirito, di schiva ilarità.

Eppure, insieme a quel barlume di speranzosa felicità, percepì anche un flebile rimpianto che, sottile come una spina, le si era fastidiosamente infilato sotto la pelle. Aveva desiderato così a lungo e così intensamente di conoscere il vero Ben, di sentirlo parlare con il cuore in mano… E allora perché sentiva di nuovo la solitudine accucciarsi dietro di lei, pronta ad attaccarla di nuovo?

 

***

 

Dopo il verde di Takodana e il blu di Ahch-To, l’oro di Jakku le sembrava troppo abbagliante, troppo fastidioso.

I piedi affondavano nella sabbia, risucchiati dal loro stesso peso. I muscoli le dolevano, la gola reclamava disperatamente anche la più piccola goccia d’acqua.

Si sentiva sfinita, svuotata, leggera come una nuvola senza pioggia. Le girava la testa così violentemente che faceva fatica a distinguere il terreno dal cielo. Avevano lo stesso colore: una tempesta di sabbia si avvicinava, offuscando l’orizzonte. Rey avrebbe voluto mettersi a correre, cercare un posto dove ripararsi, ma le gambe non le obbedivano. Continuava a guardare davanti a sé, socchiudendo le palpebre per proteggersi dalla sabbia. Sapeva che sarebbe apparso qualcosa che doveva assolutamente vedere.

E quel qualcosa non si fece attendere molto.

Una figura nera si stagliò contro l’oro del pianeta. Le lunghe gambe si dirigevano verso di lei con larghe falcate, la sabbia non osava ostacolarle. Il mantello, agitato dal vento, si muoveva di vita propria.

Ben avanzò nella sua direzione. Ed era vivo, concreto e reale tanto quanto lei.

Si fermò a meno di un metro di distanza, sovrastandola. Gli occhi scuri, nascosti dai capelli scompigliati dal vento, brillavano di luce propria.

Rey concentrò tutte le sue energie sulle gambe, cercando di liberarsi dall’abbraccio soffocante del deserto. Si allungò verso di lui e finalmente lo abbracciò.

Sentì il calore della sua pelle, scaldata dal sole e dal vento bollente. Percepì ogni muscolo vibrare a contatto con il suo corpo, la solidità delle mani che la stringevano, ricambiando l’abbraccio.

Ma durò solo per un breve istante.

Il corpo di Ben cominciò a sfaldarsi sotto le sue dita, disintegrandosi. Si trasformò in sabbia ruvida e rovente. I minuscoli granelli le s’infilarono sotto le unghie mentre cercava di artigliare ciò che rimaneva del giovane Solo.

Le gambe non la ressero più, cadde sulle ginocchia.

Si fissò le mani vuote.

Le ultime manciate di sabbia le erano scivolate dalle dita, perse per sempre.

 

 

Note:

  • La questione dell’apprendimento dei poteri tramite la Diade è presente nella novellizzazione di Star Wars: Gli Ultimi Jedi di Jason Fry. Purtroppo non posso vantarmi di averlo inventato io.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII - Briciole ***


“So now go do the best things in life
Take a bite of this world while you can
Make the most of the rest of your life
Make a ride of this world while you can.”
Disturbed – Hold on to Memories
 
Il monumento eretto in onore del Generale Organa splendeva alla luce del sole. La pietra bianca luccicava così violentemente da ferirgli gli occhi.
Finn allungò una mano, sfiorando con la punta delle dita l’enorme statua che vi stava alla base. Fu un gesto esitante, come se desiderasse invano di poter ricevere, attraverso quel tocco, la saggezza e la perseveranza che avevano animato Leia. Lei sarebbe stata capace di risolvere quel dilemma che lo assillava da giorni. La principessa avrebbe preso Rey da parte e le avrebbe parlato con la calma e la tenerezza che solo una madre può avere. Le avrebbe elencato i suoi timori e Rey si sarebbe confidata con lei, spiegandole per filo e per segno cosa le stava accadendo in quel periodo.
Ma Finn non era Leia. Nessuno lo era.
Eppure qualcosa gli diceva che toccava proprio a lui svolgere quel compito arduo.
A parole sembrava tutto facile e immediato.
Quando si era accorto per la prima volta di essere un force sensitive, aveva fatto i salti di gioia. Proprio lui, ex soldato del Primo Ordine, aveva chissà come ereditato quel potere enorme dei leggendari Jedi.
Lui, figlio di genitori che nemmeno ricordava, ricondizionato fin da quand’era in fasce.
Lui, un errore di sistema, come l’aveva definito Phasma.
Si era sentito immortale, imbattibile. La sua vita gli era apparsa finalmente sensata.
Ma con il ritorno di Rey da Exegol, aveva perso tutto l’ottimismo che lo aveva animato all’inizio; quel dono enorme si stava rivelando una maledizione, più che un regalo da parte dell’Universo.
Ormai sentiva solo il peso della responsabilità che quel potere comportava. Un peso che non voleva sopportare, non in quella situazione. Essere un force sensitive non faceva altro che allontanarlo da Poe, il quale non riusciva proprio a prenderlo sul serio. Ma, soprattutto, incrinava pericolosamente il rapporto che aveva con Rey.
Nelle ultime settimane si era sentito sempre più distante da lei, come se non fossero mai stati amici. Come se non avessero condiviso l’assurda fuga da Jakku a bordo del Falcon, come se non si fossero salvati più volte a vicenda.
Avrebbe volentieri fatto a meno di quel dono, l’avrebbe scambiato con la sua vecchia amicizia con Rey senza battere ciglio. Ma non ci riusciva, oppure non sapeva come fare. E più passava il tempo, meno erano le probabilità che riuscisse a rimettere le cose a posto tra di loro.
Eppure quella non era la sua unica preoccupazione. Forse, pensandoci bene, avrebbe perfino accettato di sacrificare il suo rapporto con Rey, se ciò gli avesse garantito la sicurezza della ragazza. Purtroppo, non era così. Lei era in pericolo, ne era certo. Lo sentiva, maledizione!
All’inizio non ci aveva badato molto; aveva percepito qualcosa di strano, un turbamento nella Forza. Qualcosa di simile a una forte inquietudine che circondava Rey. Dapprima, aveva sottovalutato la cosa, convinto che fosse solo frutto della sua immaginazione, o che fosse dovuto alla spossatezza e al dolore della ragazza. Ma col passare dei giorni, quell’ombra si era trasformata, diventando sempre più reale e concreta. Diventava giorno dopo giorno più evidente, come se il tempo la fortificasse. Quella presenza gli era familiare ed estranea allo stesso tempo. Apparteneva a qualcosa, o a qualcuno, con cui aveva già avuto a che fare. Un sorta di spirito che veniva direttamente dal passato, rivendicando ciò che gli era appartenuto o, forse, ciò che aveva inutilmente sperato di ottenere.
Qualunque fosse la risposta, Finn sapeva con certezza che non era buona.
Doveva aiutare Rey, doveva portarla in salvo da quell’ombra che minacciava di inghiottirla per sempre. Aveva solo bisogno di un piano.
Fece un passo in avanti, colmando la distanza che lo separava dal monumento. Con un sospiro sconfitto, appoggiò la fronte alla pietra fredda.
“Cosa devo fare?” domandò l’ex assaltatore, sussurrando appena. “Aiutami, Leia. Cosa posso fare?”
Gli rispose solo il silenzio.
 
***
 
Per quanto avesse ritenuto assurdo tutto il ragionamento di Finn, da quella sera i pensieri del Generale Dameron erano rivolti esclusivamente a Rey e alla presunta oscurità che la circondava.
Non che credesse sul serio che la ragazza fosse vittima di un qualche sortilegio Sith, sia chiaro. Però il dubbio gli si era infilato sotto la pelle e non dava alcun segno di volersene andare.
E, francamente, era una cosa che non sopportava. Lui, che amava la razionalità e lodava la capacità di poter prevedere le azioni del nemico, proprio non poteva rassegnarsi all’esistenza della Forza. Non del tutto, almeno.
Tuttavia, il discorso di Finn l’aveva lasciato profondamente a disagio. Rey poteva essere davvero in pericolo? Qualcosa la stava tenendo prigioniera, magari minacciandola?
Un brivido lo attraversò. Si trattava di nuovo della presenza di Palpatine? Chissà quante stregonerie erano alla portata dell’ex imperatore, quanti corpi con i suoi stessi geni erano disseminati per la Galassia.
Poe scosse la testa, cercando di sbarazzarsi di quei pensieri.
Non erano da lui, quelle riflessioni. Per niente.
Lui doveva preoccuparsi della parte reale e concreta della vita. Doveva pensare al futuro dei membri della Resistenza, alla creazione della nuova Repubblica… o semplicemente al motore del suo caccia, che faceva ancora molta fatica a riprendersi dalla battaglia su Exegol. Il suo astromeccanico di fiducia, dopo settimane, non era ancora riuscito a diagnosticare il problema e continuava a rotolare attorno alla nave emettendo dei pigolii frustrati.
Poe sorrise amaramente. Il Nero 1, gioiello della flotta ribelle e compagno di avventure del Generale, gli mancava terribilmente… ed era sicuro mancasse anche a BB-8, anche se non si erano mai amati molto: il droide aveva sempre considerato il Nero 1 come un gran rompiballe. Eppure, per quanto poteva essere antipatico, quel caccia era unico, incredibilmente veloce, un prolungamento del suo stesso corpo.
Poe venne bruscamente riportato alla realtà quando sentì una sostanza scivolosa colargli lungo le dita. Si era perso nei propri pensieri così a lungo che le sue mani avevano lavorato come quelle di un automa, andando a toccare ciò che non avrebbero doluto.
Il Generale Dameron sfilò le mani dal motore, imprecando. Le dita erano ricoperte da un liquido viscido e nerastro. L’odore gli feriva le narici.
“Prendi questo,” disse una voce alle sue spalle.
Rose lo stava fissando con uno sguardo ironico e incuriosito, porgendogli uno straccio. Poe lo afferrò, annuendo in silenzio per ringraziarla, e si pulì le mani alla bell’e meglio.
“Puoi pensarci tu?” le chiese, quasi implorandola. Era un pilota, non un meccanico. E poi aveva una cosa più urgente da fare.
“Certo,” rispose Rose. “Qual è il pr…”
“Grazie mille,” la interruppe lui, riconsegnandole lo straccio ormai lurido. Poi, veloce come un Varactyl, si allontanò dal suo caccia, dirigendosi in lunghe falcate verso l’alloggio di Rey.
La trovò nella sua stanza, seduta a gambe incrociate sul letto. Benché la mattinata fosse ormai inoltrata, la ragazza sembrava sveglia da poco. I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle in ciuffi disordinati, gli occhi erano gonfi e stanchi.
Poe le si avvicinò adagio. “Rey, tutto bene?” domandò preoccupato.
La ragazza si sforzò di sorridere, annuendo lentamente. “Sì, ho solo dormito male.”
“Vieni,” la esortò lui, allungando una mano verso di lei. Qua e là erano ancora visibili delle piccole macchie d’olio; sperò che lei non si accorgesse di niente. “Avrai fame… andiamo a mangiare qualcosa.”
Gli occhi di Rey passarono dalla mano al volto del generale, confusa da quella proposta. Un gesto simile se lo aspettava da Finn, non da lui.
Poe dovette intuire i suoi pensieri, perché si affrettò ad aggiungere: “Ti ho solo offerto la colazione, non ti ho mica dichiarato guerra.” Le sue labbra si distesero in un sorriso provocatorio.
Rey sbuffò e scosse la testa. Poi gli afferrò la mano.
 
Ogni volta che vedeva Rey mangiare, Poe non credeva ai suoi occhi. Perfino la semplice colazione servita su Ajan Kloss, che consisteva in un velo di burro spalmato sul pane raffermo, sembrava la più squisita delle pietanze nelle mani della ragazza. Ogni singolo boccone veniva masticato con devozione, quasi con timore.
Poe la guardò raccogliere le ultime briciole di pane dal tavolo con le dita e portarsele alle labbra. Le sembrava una bambina, gli faceva quasi tenerezza. A volte, la differenza di età tra loro era così evidente che lo prendeva alla sprovvista, facendogli dimenticare che era stata proprio lei a salvare la Galassia intera.
Ma in quel momento Rey non gli appariva come salvatrice di mondi, bensì come una giovane donna affamata e spettinata che aveva bisogno di qualcuno di cui fidarsi… magari di un fratello, un genitore, o semplicemente di un amico.
Si rammaricava di non averlo capito prima. L’avevano riempita di attenzioni soffocanti subito dopo la battaglia su Exegol per poi lasciarla affogare nel proprio dolore, senza stare a sentire le varie richieste di aiuto che aveva lanciato. Lui, poi, si era preoccupato di elargire giudizi a destra e a manca, infischiandosene di tutto il resto. L’avevano persa proprio così, credendo stupidamente di conoscerla e di sapere cos’era meglio per lei. Per questo ora era lì: per tentare di mettere le lancette dell’orologio indietro di qualche settimana.
“Hai ancora fame?” le chiese dopo un po’.
Rey scosse la testa, nascondendo le mani sotto il tavolo. I suoi occhi tuttavia, anche se fissi sulle venature del legno davanti a lei, tradivano un desiderio inappagato.
“Sei sicura?” domandò Poe. “Io ho già mangiato, se vuoi puoi prendere la mia razione.”
La ragazza sollevò lo sguardo, sbirciandolo da sotto le ciglia. Sembrava ancora più piccola. Quanti anni si scambiavano, loro due? Dodici? Tredici?
Ma quell’occhiata fu breve, e il volto di Rey tornò ben presto serio e fermo come al solito.
“Grazie dell’offerta, ma non voglio appesantirmi.” Poe le apparve così spaesato che si sentì obbligata ad aggiungere: “Prima dell’addestramento.”
Un’ombra fugace gli oscurò il volto. Abbassò la testa, sperando che lei non se ne accorgesse, e si mise a seguire le striature del tavolo con l’indice. “Ecco, a proposito del tuo addestramento…”
Poe ebbe l’amara sensazione che Rey lo stesse guardando così intensamente da perforargli il cranio. E infatti era così: la ragazza aveva socchiuso le palpebre e lo scrutava con attenzione, in attesa.
Lui fece un respiro profondo. Non sapeva da dove iniziare.
Cosa poteva dirle, d’altronde?
Finn e io siamo convinti che qualcuno ti stia alle costole?
Assurdo, lui non ne era convinto proprio per niente.
Finn ha percepito un’ombra attorno a te e ha paura che ti faccia del male?
Patetico.
Si stava pentendo amaramente di aver iniziato quel discorso. Non riusciva né a formare una frase sensata né a sbrogliare i propri pensieri. Non ricordava nemmeno cosa l’avesse spinto, così tutt’a un tratto, ad andare da lei.
Era ridicolo, oltre che penoso.
Rimase immobile e in silenzio così a lungo che Rey perse la pazienza. Si alzò, voltò le spalle a Poe senza degnarlo di un altro sguardo e se ne andò.
Non era arrabbiata, solo un po’ delusa. Possibile che fosse rimasto così indietro, che avesse ancora voglia di definire il suo addestramento come una pratica priva di significato? Dopo quello che era successo su Exegol, per giunta!
Sentì dei passi affrettati dietro di sé, il respiro accelerato di Poe mentre le si avvicinava, affiancandola.
“Rey… aspetta.”
La ragazza si bloccò all’improvviso, voltandosi verso di lui e fulminandolo con lo sguardo.
“Si può sapere che ti prende, Poe?”
È la stessa domanda che vorremmo farti noi, pensò lui. Ma se lo tenne per sé. Voleva riavvicinarsi a Rey, tornare a formare la squadra meravigliosa che erano una volta, la squadra che aveva ridato la libertà alla Galassia intera.
Poe sospirò, indeciso, mentre gli occhi di Rey erano fissi sul suo viso in cerca di risposte. Non riusciva a capire cosa gli fosse saltato in testa, ma una cosa era certa: non aveva mai visto Poe così premuroso con nessuno, benché meno con lei.
Il Generale Dameron aprì la bocca per dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. La richiuse. Rey gli appariva giovane e indifesa… e proprio lì stava il problema, nelle apparenze.
“So che sai badare a te stessa,” sussurrò infine, sforzandosi di sembrare patetico il meno possibile. “E non ho intenzione di recitare la parte del genitore apprensivo.”
Poche lagne, Dameron, arriva al punto, si disse.
Sospirò di nuovo. Affrontare la flotta di Palpatine era stato meno sfibrante.
“Gli ultimi tempi non sono andati alla grande, ma questo non vuol dire che non siamo con te…”
Rey annuì, abbassando le palpebre. Ora le era chiaro perché Poe si era comportato in quel modo così atipico. E, assieme alla comprensione, arrivò anche un’ondata di sensi di colpa. Aveva messo da parte i suoi amici come se non avessero avuto più un ruolo nella sua vita, dimenticandosi che era anche grazie a loro se era arrivata fino a lì, a chissà quanti parsec da Jakku. Certo, loro non si erano sforzati di comprendere il suo punto di vista, né di prendere in considerazione l’idea di rivalutare Ben… ma non aveva fatto anche lei lo stesso, in fin dei conti? Non li aveva allontanati, senza sforzarsi di fornire una qualsiasi spiegazione? Non si era forse chiusa in se stessa, cercando conforto nella distruzione prima e in Ben poi?
Poe fece un passo avanti, colmando parzialmente la distanza tra di loro. Lei alzò lo sguardo, incrociando gli occhi preoccupati di lui.
“Se ci fosse qualcosa che non andasse… qualsiasi cosa…”
Era talmente a disagio in quella situazione che gli angoli della bocca di Rey si piegarono verso l’alto.
“Ve lo direi, sì.”
L’espressione preoccupata di Poe si trasformò nel suo solito sorriso arrogante da adescatore di fanciulle in pericolo. “Lo prometti?” chiese, ammiccando.
Rey trattenne a malapena una risata davanti a quella trasformazione così repentina. Se si fosse impegnato ancora un po’, Poe sarebbe riuscito a diventare un imbroglione perfino migliore di Han Solo.
La ragazza respirò a pieni polmoni, regalandogli un largo sorriso. “Farò del mio meglio.”
 
Poco distante, nascosto tra la fitta vegetazione di Ajan Kloss, il fantasma di Ben Solo osservava la coppia. Il suo sguardo oscillò tra i due amici ritrovati, soffermandosi ripetutamente sul volto sorridente di Rey.
I suoi occhi s’incupirono ancor di più, riempiendosi di rimorso.
 
***
 
Rey raggiunse la radura dove solitamente si allenava nel primo pomeriggio. Ben era già lì che l’aspettava disteso per terra. Quando si accorse del suo arrivo, sollevò leggermente la testa per guardarla. Per un tempo che sembrò infinito, si limitò a fissarla, finché Rey non si sentì così in imbarazzo da fare istintivamente un passo indietro. A quel punto Ben sembrò riprendersi: allungò una mano e le fece cenno di sedersi accanto a lei.
Rey indugiò davanti a quel gesto, osservando lo sguardo impassibile di lui, finché con un respiro profondo non si avvicinò. Si sedette sull’erba, a meno di un metro da lui. Le sue mani si tormentavano nervosamente a vicenda per la confusione. Decise di incrociare le braccia.
Ben distolse lo sguardo da lei, puntandolo contro il cielo. Era un giorno soleggiato e il cielo blu era ornato di bianche nuvole in movimento. Ma Rey era troppo concentrata sulle sensazioni del fantasma per concentrarsi sull’azzurro che li sovrastava.
Ben non era infastidito né adirato. Non era nemmeno triste o tormentato. Non sentiva nulla di tutto ciò, e forse fu proprio questo a riempirla di inquietudine. Era come se lui si stesse sforzando di erigere un nuovo muro invisibile per lasciarla fuori dal suo mondo interiore.
La stava escludendo di nuovo? Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Le ultime volte che avevano parlato le era sembrato così spontaneo… le aveva raccontato della sua infanzia, della sua disavventura con il remoto, dell’ultima volta che aveva affrontato Luke. Cos’era cambiato nel giro di un giorno?
Una parte della ragazza avrebbe continuato a torturarsi con mille domande senza trovare alcuna risposta soddisfacente. Un’altra, invece, non voleva sprecare neanche il più breve attimo di quell’incontro, ed era sicura che Ben le avrebbe detto tutto: bastava avere fiducia e attendere pazientemente i suoi tempi… oppure fare le domande giuste.
Fece un respiro profondo e distolse lo sguardo dalle proprie mani. Studiò furtivamente il viso di lui, osservando il volto pallido, le labbra piene, il naso dritto, gli occhi neri e luminosi allo stesso tempo che fissavano il soffitto blu sopra di loro.
“A cosa pensi?” gli chiese. La sua voce risultò così flebile che dubitò di aver davvero pronunciato quelle parole.
Ben chiuse le palpebre, riaprendole lentamente poco dopo. “Stavo facendo un gioco.”
Rey non riuscì a trattenersi dall’alzare le sopracciglia, tanto fu la sorpresa nel sentir pronunciare  quelle parole proprio da lui.
“Un gioco che facevo con mia madre,” continuò, senza staccare gli occhi dal cielo.
“Che tipo di gioco?”
“Quand’ero piccolo, se non era troppo impegnata con il Senato o in chissà quale missione diplomatica, mi portava all’aperto. Ci sdraiavamo sull’erba e guardavamo le nuvole, facevamo a gara a chi riconosceva più animali.”
La ragazza lo guardò confusa. “Ed era divertente?”
Finalmente Ben tornò a guardarla, sorpreso. Un lieve sorriso minacciava di fare la sua comparsa da un momento all’altro.
“Beh, sì.”
Poi successe l’incredibile: Rey arrossì violentemente. Le sue guance si tinsero di un rosa acceso, mentre i suoi occhi si allontanavano da lui e tornavano a concentrarsi sulle proprie mani intrecciate.
Ben venne investito, in modo del tutto inatteso, dall’imbarazzo della ragazza. E, a dir la verità, si sentì quasi in colpa.
“Non hai mai provato?”
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore, mentre ripensava al cielo tutt’altro che limpido di Jakku. La sabbia e la foschia lo rendevano costantemente torbido, trasformandolo in una cappa opprimente. Qualche volta aveva visto le nuvole, certo, ma non aveva mai pensato di stendersi per terra e passare ore a guardarle: era sempre stata troppo impegnata a setacciare il deserto in cerca di rottami, per poi rimetterli a nuovo e consegnarli a Unkar Plutt in cambio di misere razioni di cibo. Si era concessa di starsene col naso all’insù solo durante la sera, ma a quel punto la sua mente era sempre stata troppo occupata a immaginare pianeti lontani per concentrarsi sulle poche nuvole che sfidavano il tramonto.
Ben rimase in silenzio, assorbendo i pensieri di Rey e facendoli propri.
Dopo un po’ la sua voce risuonò di nuovo, questa volta intrisa di curiosità: “Com’era la tua vita su Jakku?”
Rey, sbalordita e confusa, fissò il fantasma con gli occhi sbarrati, come se non fosse capace di comprendere la domanda.
“Mi hai violato i ricordi, dovresti saperlo...”
Non c’era rimprovero nella sua voce, né tantomeno accusa. Anche lei aveva violato la mente di lui, sotto quel punto di vista erano pari.
“Ho visto solo quelli che mi servivano. E a pezzi,” ribatté lui. “Non ho idea di come fosse davvero la tua vita lì.”
Rey si strinse nelle spalle, tornando a fissare le nuvole che si rincorrevano sopra di lei.
“Vivevo come tutti gli altri cerca-rottami. Cercavo per ore i pezzi in mezzo al deserto, li vendevo in cambio di cibo, mangiavo e andavo a dormire.”
Sentiva ancora lo sguardo di Ben fermo su di lei, in attesa. Lei, invece, non riusciva a guardarlo, anzi, sperava vivamente che quella curiosità passasse con la stessa fugacità con cui era apparsa. Quella era stata la sua vita finché BB-8 non era comparso dal nulla, cosa si aspettava che gli dicesse?
Eppure, una parte di lei era pronta a rispondere a qualsiasi domanda; ogni quesito da parte sua non era altro che una sfida alla sua vecchia natura, un tentativo di riprendere il proprio posto nell’universo.
Per cui, quando Ben le chiese di descrivere la capanna in cui viveva, Rey si limitò ad alzare gli occhi al cielo con finta rassegnazione, pronta a esaudire il suo desiderio di conoscenza. 
“Non era una capanna, ma un vecchio AT-AT. Era lontano dal villaggio, per questo l’avevo scelto.”
“Non pensavo fosse possibile vivere dentro un camminatore, sembra quasi… assurdo.”
Rey lo fulminò con un’occhiataccia. “Quando non si ha niente, s’impara ad arrangiarsi,” ribatté.
Il fantasma non rispose, limitandosi a guardarla. Nonostante l’impassibilità che tentava di mantenere nel proprio sguardo, la curiosità continuava a bruciare in fondo ai suoi occhi.
Voleva sapere, ma non provava a sondarle la mente come aveva fatto tante altre volte, anzi, aspettava – seppur con impazienza – che fosse lei ad aprirsi.
Rey si sentì colmare da una gioia incomprensibile. Era quel tipo di contentezza che prende all’improvviso, quasi a tradimento e senza un vero motivo, e per un attimo si è semplicemente felici, anche se non si sa perché.
Così, senza distogliere l’attenzione neanche per un momento dal discreto luccichio delle pupille scure di lui, cominciò a raccontare tutto ciò che le veniva in mente. Non aveva più filtri perché non aveva più alcun timore.
“Avevo incassato il letto sotto la testa dell’AT-AT. La cucina invece era dalla parte opposta,” iniziò. “Beh, in realtà non era una cucina, era solo un tavolino dove tenevo i piatti su cui mangiavo. Ci tenevo anche dei fiori secchi.”
Si tormentava le mani, non sapendo nemmeno lei se per l’euforia, l’agitazione, la timidezza o tutte e tre le cose insieme.
“Mi sarebbe piaciuto avere dei fiori freschi, ma l’acqua non bastava nemmeno per me,” mormorò. Rendendosi conto di come la frase potesse suonare patetica, si affrettò ad aggiungere: “Forse è stato un bene… nessun abitante del deserto se la cava bene con le piante.”
Ben non riuscì a trattenersi e lasciò che le proprie labbra s’incurvassero verso l’alto.
“Avevo anche un casco della Resistenza, me lo mettevo ogni volta che mangiavo. Guardavo le stelle e volevo andare su ognuna di esse… diventare un pilota era il sogno della mia vita.”
“Anche il mio.”
Le labbra della ragazza si schiusero per la sorpresa. Non tanto per l’idea in generale, che l’aveva sfiorata già altre volte, quanto per averglielo sentito dire.
“Hai qualsiasi mezzo a disposizione per esercitarti,” continuò lui, la voce seria e calda allo stesso tempo. “Forse col tempo potresti diventare perfino più brava di me.”
“Sono già più brava di te,” ribattè lei con tono di sfida.
“Sei discretamente brava.”
Lei sollevò un sopraccigliò, sconcertata. “Discretamente? I tuoi piloti non sarebbero stati della tua stessa opinione.”
“Ci credo, avevi il Falcon! Devo ricordarti che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici parsec?!”
Le rivolse lo sguardo orgoglioso e provocatorio che Han aveva sempre quando parlava della sua splendida nave, l’espressione che di solito lasciava la ragazza in preda alla nostalgia.
Ma questa volta non fu così: Rey non si arrese alla malinconia quando vide quell’espressione da canaglia, anzi, si mise a ridere. Fu una risata breve, quasi sotto i baffi, eppure senza vergogna, liberatoria. Per una volta il lutto cedeva il posto alla felicità del presente.
E, per tutta risposta, Ben sorrise. Non il solito sorriso pallido, che richiedeva l’utilizzo del minor numero di muscoli possibili, ma un sorriso vero, proprio come quello su Exegol.
Possibile che quella risata potesse produrre la stessa gioia del suo ritorno dalla morte?
Eppure per Ben sembrava fosse proprio così, anche se per lei non aveva senso. Anzi, appariva tutto privo di significato, tranne gli occhi luccicanti e felici di lui.
Sentì fluire dentro di sé la stessa gioia incontenibile che l’aveva invasa quando aveva ripreso coscienza davanti al Trono dei Sith, ritrovandosi tra le braccia di Ben. Mai si era sentita così felice, così appagata, in vita sua.
Nei giorni successivi alla scomparsa di Ben, aveva bandito ogni pensiero su di lui, finché non si era ritrovata incapace di ricordare cosa l’avesse spinta a baciarlo. Anzi, quasi si era convinta di averlo fatto per gratitudine.
Ora non poteva credere di averlo pensato sul serio, di aver scambiato per riconoscenza il sentimento bruciante e irresistibile che aveva provato. Per questo si era lasciata guidare dall’istinto e dal desiderio verso di lui… proprio come stava facendo ora.
Rey gli si avvicinò senza neanche rendersene conto, lasciandosi inghiottire dallo sguardo ammaliato del fantasma. Ben si chinò fin quasi a sfiorare il naso di lei con il proprio. Lei sentì il proprio cuore battere con una tale violenza che temette di spezzarsi le costole, o di collassare definitivamente. Forse sarebbero accadute entrambe le cose se Ben avesse azzerato quella ridicola distanza che separava le loro labbra.
Ma non fu così.
Lo vide fermarsi, quasi pietrificato, per poi allontanarsi. Osservò il suo sguardo farsi di nuovo cupo e rifugiarsi dietro una nuova maschera d’impassibilità e indifferenza.
Rey si sentì morire.
In un attimo Ben fu in piedi, le diede le spalle e cominciò ad allontanarsi in lunghe e gravose falcate.
La ragazza, incapace di dare un senso a tutto ciò, si alzò a fatica. Avrebbe voluto rincorrerlo, ma le gambe si rifiutarono di obbedirle, stordite tanto quanto lei. Sentì le proprie labbra tremare.
“Ben…”
Non fece in tempo a dire nient’altro.
Se n’era già andato.
 
***
 
Quella notte Rey si rigirò nel letto per ore, incapace di far fronte alla propria delusione. Non faceva altro che rivedere il volto di Ben, il modo in cui si era avvicinato a lei per poi allontanarsi all’improvviso e sparire nel nulla.
Continuava a rievocare ogni secondo del loro incontro, analizzando ogni espressione, ogni gesto, anche il più insignificante. Anzi, soprattutto i più insignificanti.
Non si dava pace.
Per un breve istante aveva riassaggiato quel briciolo di immensa felicità che aveva provato su Exegol. Aveva quasi toccato le nuvole bianche che la sovrastavano… ma aveva mancato la presa, e la caduta era stata tremenda.
Ben non l’aveva solo rifiutata nel modo più bieco possibile, no. Aveva preso tutta la fiducia che lei gli aveva donato e l’aveva stracciata, facendola a brandelli senza alcun riguardo.
Quella non era stata neanche la parte peggiore. No, il peggio era venuto dopo, quando la rabbia aveva fatto posto alla comprensione, ricordandole quella tremenda verità che continuava a tenere nascosta da quando lui era riapparso come fantasma di Forza.
Ben era morto.
Per quanto si sforzasse di illudersi, beandosi della sua vicinanza e della possibilità di toccarlo, lui non poteva tornare in vita. La sua esistenza era finita, il loro tempo terminato.
Le lacrime cominciarono a rigarle il volto, scendendo copiose sul cuscino. 
Aveva già iniziato ad albeggiare quando la stanchezza ebbe la meglio su tutto il resto.
Rey naufragò in un sonno cupo e agitato. Sognò un pianeta fatto solo d’acqua, un oceano immenso, privo di terraferma. Era totalmente diverso dal mare che aveva visto su Ahch-To: quello che aveva davanti agli occhi non aveva tutte le sfumature del verde e del blu, era solo nero e violaceo. Il ruggito delle onde e della pioggia le feriva i timpani.
Chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare sott’acqua. Non riusciva più a muoversi, si sentiva svuotata da ogni energia.
Immagini sconnesse le assediarono la mente, facendosi largo nel buio.
Vide lunghi cilindri trasparenti, digitigradi dal collo lungo e dagli occhi sproporzionati. Un liquido fosforescente la travolse, trasformandosi in sangue viscido e caldo.
Vi erano dei bambini dentro i cilindri, immobili come cadaveri, grottesche riproduzioni di feti troppo grandi. E in mezzo a loro c’era lei stessa, che guardava altre decine di Rey che la fissavano a loro volta, tutte uguali, tutte con lo stesso sguardo.
Allungò una mano per sfiorare la ragazza che le stava davanti, ma le dita si sfaldarono davanti ai suoi occhi, sbriciolandosi come carta nel deserto. Le sue braccia si trasformarono in polvere. Rey venne affogò nella sua stessa angoscia, mentre il sangue, quasi violaceo, le riempiva la bocca e le narici.
Si svegliò urlando. Fu investita da un conato di vomito e per un attimo temette di rigurgitare sangue. Il sudore le imperlava la pelle facendola tremare di freddo.
Si tirò la coperta fin sotto il mento. Le dita artigliavano la stoffa in preda all’affanno. Il cuore le batteva furiosamente nelle orecchie, rendendola incapace di razionalizzare l’incubo e di liberarsene.
Rimase immobile per quelle che le parvero ore.
Il battito cardiaco rallentò, lasciandola esausta e svuotata. Eppure continuava ad esserci troppa confusione, troppo rumore. Una parola continuava a rimbombarle nel cranio. Un nome a lei sconosciuto e privo di significato, che non aveva intenzione di liberarla dal delirio del sogno.
Kamino.




Angolino oscuro dell'autrice:
Sono molto dispiaciuta per il ritardo ma, paradossalmente, da quando è iniziata la quarantena non ho più molto tempo da dedicare alla scrittura. Anche per il prossimo capitolo, purtroppo, ci vorrà un po', vi chiedo di portare pazienza.
Volevo fare un appunto riguardo a Finn: è stato confermato dai piani alti che si tratta di un force sensitive, ovvero è capace di percepire chiaramente la presenza della Forza, pur non potendola usare. Mi sembrava doveroso scriverlo :)
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui e, in particolar modo, tutti coloro che danno il loro contributo a questa storia. Infinitamente grazie!
Che la Forza sia con voi,
Helmwige

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Capitolo 9
*** Capitolo IX - L'ombra della bramosia ***


“La morte è parte naturale della vita.
Gioisci per coloro che intorno a te si trasformano nella Forza.
Dolore non avere; rimpianto non avere.
L’attaccamento conduce alla gelosia;
L’ombra della bramosia essa è.”
Star Wars – La Vendetta dei Sith
 
Rey accolse la comparsa dell’alba con un misto di amarezza e sollievo. Gli occhi gonfi di sonno e arrossati dal pianto le dolevano, eppure il pensiero di tenerli aperti per un’altra giornata intera non la spaventava; qualunque cosa sarebbe stata meglio di dover passare una nottata simile a quella che si era appena conclusa.
Dopo quel disgustoso incubo non era più riuscita a chiudere occhio. Le immagini del sangue, dei cilindri fosforescenti e degli occhi enormi e neri che la fissavano l’avevano tormentata in continuazione. A tratti sentiva ancora il sapore ferrigno del sangue e a malapena riusciva a tenere a bada i conati di vomito.
Rimase immobile, sdraiata sul letto, a guardare le ombre che strisciavano sul pavimento al levarsi del sole. Aspettò finché la luce non inondò la stanza, poi si alzò.
I suoi movimenti erano lenti e pigri. L’energia era defluita dal suo corpo durante la notte, lasciandola intorpidita. Gli occhi annebbiati cercarono con calma i vestiti. Quando incapparono nelle spade laser, venne invasa dalla nausea. La delusione cocente provata il giorno prima tornò a trafiggerla senza pietà.
Come aveva potuto essere così stupida? Come aveva fatto a ingannare se stessa con tanta magistrale bravura? I suoi sentimenti nei confronti di Ben, quella scintilla di affetto che lentamente aveva ripreso vita, era divampata all’improvviso, bruciando tutto ciò aveva incontrato sul suo cammino: la pazienza, la calma e, soprattutto, il buonsenso.
Quell’amore che aveva nascosto con così tanta cura, celandolo perfino a se stessa, era esploso in un modo talmente maldestro che ora, ripensandoci, la faceva vergognare terribilmente.
Ma non era bastato l’inganno della propria mente, no. Oltre a quella trappola che si era costruita sapientemente da sola, aveva dovuto fare i conti anche con la beffa.
Sentì il proprio sangue bruciarle nelle vene, mentre il cuore, dal moto convulso, pulsava in preda alla rabbia e allo sconforto.
Perché aveva agito in quel modo? Perché Ben si era chinato, allungandosi verso di lei? Perché le aveva fatto credere per un brevissimo eterno attimo di corrispondere il suo affetto, per poi ritirarsi all’improvviso, lasciandola lì come una sciocca ragazzina?
Deglutì a fatica, ingoiando le lacrime che minacciavano di ricomparire a tradimento, e uscì.
Le spade di Luke e Leia rimasero dov’erano.
 
***
 
Non aveva alcuna intenzione di presentarsi all’addestramento quel giorno. Non aveva la minima voglia di vedere Ben, né tantomeno sapeva cosa dirgli. E anche se lui non si fosse presentato, era troppo agitata, troppo in preda alla rabbia, per trovare la concentrazione necessaria per brandire una spada laser.
Le sue gambe la portarono in mezzo ai ribelli, che si affaccendavano febbrili tra un’incombenza e l’altra. In un angolo, con le mani immerse nelle viscere del caccia di Poe, trovò Rose. Era così concentrata sul proprio lavoro che non si accorse della presenza di Rey finché questa non chiese: “Hai bisogno di una mano?”
Rose si voltò verso di lei. Aveva una guancia sporca di olio motore.
“Rey!” la salutò. “Niente addestramento oggi?”
La Jedi scosse la testa. “Ogni tanto bisogna fare una pausa,” sussurrò.
“Giusto. Beh, se non hai di meglio da fare… mi passeresti il nastro isolante?”
Rey si diresse verso la cassetta degli attrezzi, stando attenta a non calpestare la pozza di liquido nero che si allargava sul terreno.
“Che è successo a questo caccia?” chiese a Rose, allungandole il nastro isolante.
“Dovresti chiederlo a Poe, ci ha messo le mani per ultimo. Per essere un pilota è eccellente, ma come meccanico lascia molto a desiderare.”
“A proposito di Poe… Non ti è sembrato un po’ distratto ultimamente?”
“Non ci ho fatto molto caso, sinceramente.” Rose si mordicchiò il labbro inferiore con espressione assorta, cercando di ricordare. “Forse gli manca un po’ di azione. Lo spazio è il suo habitat naturale, credo che qui a terra si senta un po’ spaesato.”
Rey annuì, senza aggiungere niente. A dir la verità, non era nemmeno sicura del perché gliel’avesse chiesto.
“E tu invece?” le domandò Rose.
“Cosa?”
“Ti senti un po’ spaesata?”
Spaesata? Rey avrebbe voluto mettersi a ridere. Quell’aggettivo era troppo riduttivo. Ci si può sentir spaesati quando si cambia pianeta, o quando si passa talmente tanti giorni su un’astronave che non si sa più che giorno è.
No, lei non era spaesata. Era in preda all’ira e all’angoscia. Si sentiva sballottata da un’emozione all’altra senza tregua. Provava qualcosa di molto simile a una vertigine continua, come se il suo corpo fosse a bordo di un Ala-X in costante avvitamento.
Eppure, nonostante tutto il malessere che provava in quel momento, trovava ancora la forza di mentire.
“Faccio ancora fatica ad abituarmi a tutto questo verde.” 
Rose sembrò apprezzare la battuta. “A volte ancora mi stupisco per quanto è diverso Ajan Kloss dal mio pianeta natale. Su Hays Minor c’era solo roccia e aria irrespirabile.”
Rey avrebbe voluto chiederle della sua infanzia, di Paige, del medaglione a forma di mezzaluna che portava sempre al collo… Ma il suo cervello sembrava fuori controllo mentre elaborava un pensiero dopo l’altro, mentre emozioni diverse la sommergevano a turno, soffocandola. La nausea cominciò a riempirle lo stomaco e ricordò il sapore del sangue come se ce l’avesse in bocca. Un unico nome tornò a rimbombarle violentemente nel cranio, impedendole qualsiasi altro pensiero. Tutto quello che riuscì a chiedere fu: “Rose, hai mai sentito parlare di Kamino?”
La ragazza scosse la testa. “Mai sentito nominare… è una persona importante?”
“Non lo so.”
Rose, con un sorriso soddisfatto, tirò fuori le mani dal motore. L’olio l’aveva ricoperta fino a metà dell’avambraccio.
“Magari siamo troppo giovani per conoscerlo…” rispose, pulendosi le mani con uno straccio altrettanto sporco. “Il Generale Organa diceva sempre che l’Impero aveva eliminato così tante persone che era difficile ricostruire il passato.”
Guardò Rey, rivolgendole un sorriso nel tentativo di trasmetterle un pizzico di serenità. “Potresti provare a chiedere a qualcuno più vecchio.”
La Jedi si sforzò di sorridere a sua volta. Il consiglio di Rose non era privo di senso, ma a chi avrebbe potuto chiedere? Alla memoria immortale di R2? A C3PO e alla sua voglia irrefrenabile di sciorinare tutte le informazioni presenti nei suoi database? Meglio di no, il droide sarebbe andato avanti con la sua parlantina incessante per sempre.
Forse, Leia o Luke avrebbero potuto aiutarla…
“Hai fatto un lavoro terribile!”
La voce acuta di Maz Kanata riempì l’aria, riportando Rey al presente. La ragazza si voltò verso di lei. Da quando la battaglia su Exegol era terminata, l’aveva incrociata solo di sfuggita: l’aliena arancione era sempre in movimento e supervisionava costantemente la base, assicurandosi che tutti i ribelli continuassero a svolgere il proprio lavoro. Proprio in quel momento stava strigliando a dovere un giovane pilota che, con la testa china e lo sguardo pentito, ascoltava in silenzio la ramanzina.
“Guarda qui! Questa la chiami riparazione? In mille anni non ho mai visto un lavoro peggiore di questo!”
Mille anni…
Rey salutò distrattamente Rose e si avviò verso l’umanoide di Takodana. Aspettò pazientemente che il pilota si allontanasse, poi la chiamò. I piccoli occhi scuri di Maz la osservarono con attenzione mentre un largo sorriso le rallegrava il volto.
“Rey di Jakku!” esclamò, avvicinandosi a lei. Era talmente piccola che le arrivava a malapena all’altezza dell’ombelico. Il sorriso smagliante di Maz svanì all’improvviso, così com’era apparso. “Che succede, bambina mia?” domandò preoccupata, percependo l’agitazione della ragazza.
Rey si sforzò di svuotare la mente. Sapeva che Maz era una force sensitive e non voleva preoccuparla più del dovuto a causa di quell’incubo nefasto che l’aveva tenuta sveglia tutta la notte. Allo stesso tempo, però, comprendeva che girare attorno alla questione sarebbe stato inutile: sarebbe andata dritta al punto, o Maz ci sarebbe arrivata comunque prima di sentire le sue parole.
“Ho una cosa da chiederti…” cominciò.
Gli occhi della piccola umanoide la scrutarono, in attesa.
“Hai mai sentito parlare di Kamino?”
La perplessità invase lo sguardo di Maz. “È un nome che non sentivo da molto tempo…” rispose esitante. “Perché me lo chiedi?”
Rey si morse l’interno della guancia, cercando una risposta che non possedeva.
“Non lo so,” sussurrò infine. “Ho fatto un sogno, e questo nome mi è rimasto impresso nella mente. So che sembra stupido, ma…”
“Ciò che la Forza dice non è mai stupido,” la interruppe Maz. “Le visioni che essa ci manda hanno sempre un significato, non te lo dimenticare.”
Rey deglutì a fatica.
“Chi è Kamino?”
“Non sei la prima a farmi questa domanda. Luke me lo chiese prima di te, con queste esatte parole.”
“Luke?”
Maz annuì gravemente. “Kamino è un pianeta. Il suo ruolo nella Galassia è stato cancellato con l’avvento dell’Impero. Ora è un pianeta come tanti.”
La ragazza aggrottò la fronte. “E perché Luke ne era interessato?”
“Non lo so, bambina mia.” La contrabbandiera alzò le spalle. “Ma l’interesse di Luke è durato a lungo. Un’ossessione, quasi. Forse nei suoi libri puoi trovare qualcosa.”
Le tornarono in mente i vecchi libri che aveva prelevato da Ahch-To in cui aveva trovato le informazioni sui puntatori Sith. Luke era sempre stato particolarmente puntiglioso nel registrare le sue ricerche… forse avrebbe potuto davvero trovare qualcosa in mezzo ai suoi appunti.
Con lo sguardo confuso ma ebbro di malsana eccitazione, la Jedi la ringraziò e si diresse velocemente verso il suo alloggio.
“Rey,” la chiamò di nuovo Maz.
La ragazza si voltò verso di lei, incontrando l’espressione preoccupata dell’aliena.
“Fa attenzione.”
 
***
 
Maz aveva ragione. Nei vecchi libri ammuffiti prelevati da Ahch-To, Rey trovò le ricerche di Luke, descritte nei minimi dettagli.
Pagina dopo pagina, la ragazza si sorprendeva sempre più per la curiosità dimostrata dal suo Maestro di un tempo, nonché per la sua dedizione ai particolari.
Dopo la morte dell’Imperatore, Luke aveva condotto numerose ricerche sull’Impero, a partire dai soldati. Rey scoprì con sorpresa che i soldati imperiali erano stati diversi dagli assaltatori del Primo Ordine; non si trattava di bambini prelevati dalle proprie famiglie e ricondizionati brutalmente, bensì di cloni, come li definiva il libro di Luke. Secondo quanto scritto, erano stati tutti frutto dei medesimi geni. Tutti uguali, ognuno identico agli altri nell’aspetto e nel modo di pensare. Era stato un gioco da ragazzi per Palpatine utilizzarli per la Grande Purga, dove migliaia di Jedi erano morti sotto i colpi dei blaster.
Rey lesse della fine della Repubblica Galattica con un misto di incredulità e sofferenza. Sentiva la stessa angoscia che Luke aveva provato nello scrivere quelle informazioni, imprimendo nella pergamena le azioni malvagie di suo padre, votato al Lato Oscuro.
Dovette però sfogliare le pagine a lungo prima di trovare il nome che cercava.
Kamino era stato il pianeta natale dell’Esercito dei Cloni, il luogo dove Palpatine aveva preparato la sua vendetta sotto mentite spoglie. Aveva usato la sapienza dei Kaminoani per dare vita a milioni e milioni di soldati nel minor tempo possibile: poco più di dieci anni.
Una volta instaurato l’Impero, Kamino si era ribellato all’esorbitante numero di cloni richiesti dall’Imperatore. Il suo popolo indigeno, privato della libertà e sotto il totale controllo delle truppe, aveva dato il via a una sanguinosa rivolta. Il centro di clonazione era stato raso al suolo e gran parte della popolazione decimata.
Ma la conoscenza non poteva essere distrutta.
L’Impero aveva proseguito le sue ricerche, sviluppando un procedimento di clonazione rapida in un laboratorio segreto su Dantooine. Il laboratorio, supervisionato da Darth Vader stesso, era capace di produrre cloni in meno di due settimane, un lasso di tempo ridicolo rispetto a quello necessario per la formazione di un individuo originale.
Le note di Luke si concludevano poco dopo.
Nonostante la tecnica fosse risultata inizialmente imperfetta, dato che i cloni possedevano solo memorie di base, Vader era riuscito a raccogliere dei “campioni mentali”, trasferendoli poi nelle menti dei cloni. Ma neanche questa tecnologia era sopravvissuta alla guerra: i laboratori su Dantooine erano stati distrutti prima della morte dell’Imperatore.
Rey fissò le pagine ingiallite del libro, lì dove terminava la grafia disordinata e frettolosa di Luke. Il cuore le batteva furiosamente nel petto, sovrastando i suoi pensieri.
L’idea della creazione di migliaia e migliaia di vite tutte uguali l’aveva profondamente inquietata. Continuava, inoltre, a non capire il significato del suo incubo. Cosa c’entrava quella storia con lei? Magari il nome di Kamino aveva il solo scopo di farle leggere quei resoconti, ma a che pro?
Si sfregò le palpebre chiuse con la punta delle dita. La mancanza di sonno e il malloppo di tutte quelle informazioni l’avevano sfinita.
Quando riaprì gli occhi, il suo sguardo catturò un dettaglio che prima non aveva notato: una frase a fine pagina, con la stessa grafia di Luke ma decisamente più piccola, quasi a voler essere invisibile.
C’è un altro Imperatore.
I ricordi della battaglia su Exegol la colpirono come un pugno nello stomaco.
Si era concentrata talmente tanto sul Trono dei Sith che non aveva prestato attenzione a ciò che vi era vicino: lunghi cilindri verdi e corpi interamente formati che vi galleggiavano dentro.
La comprensione le mozzò il respiro in gola.
Non aveva ucciso Palpatine, ma il suo clone. Un clone in cui avevano inserito il suo spirito.
E se erano stati capaci con lui…
Il corpo di Rey si mosse prima che la sua mente concludesse quel ragionamento. Richiuse il libro, lo avvolse tra le braccia e uscì di corsa dalla sua stanza. Doveva parlare con Ben subito.
Fece giusto in tempo a fare qualche passo oltre la soglia prima di andare a sbattere contro Poe, finendo distesa per terra. Il libro sfuggì dalle sue mani e scivolò sul terreno. Si sbrigò a raccoglierlo, farfugliando una scusa in direzione dell’amico.
Lo sguardo di Poe sondò la ragazza, visibilmente preoccupato.
“Rey… che succede?”
“Niente… io… devo andare,” farfugliò lei. In un attimo gli diede le spalle e si mise a correre tra gli alberi.
Poe rimase immobile, sbalordito dallo sguardo allucinato della ragazza. Poi, senza riflettere oltre, la seguì nella foresta.
 
***
 
Rey si ritrovò nella radura quasi senza accorgersene. I polmoni le dolevano, il respiro era spezzato dalla fatica e dall’adrenalina che a fiumi le scorreva nelle vene. Le gambe, che l’avevano portata di corsa verso la sua meta, tremavano e lo stomaco, a digiuno da chissà quante ore, si contraeva spasmodicamente, minacciando di regalarle altri conati di vomito.
Tentò di fare un respiro profondo e di svuotare la mente. Doveva assolutamente fare ordine nei suoi pensieri.
Le informazioni che Luke aveva scritto su Kamino, sulla battaglia dei cloni e sui metodi di clonazione vorticavano disordinatamente nella sua testa.
Un sapore amaro le invase la bocca. Era necessario parlare con lui.
Il suo unico desiderio al momento era rimanere da sola per riflettere, capire i propri sentimenti e, possibilmente, comprendere anche quelli di Ben… ma i suoi piani avrebbero dovuto subire una leggera modifica.
Non c’era tempo per meditare sull’amore, su quel bacio mancato o su come l’ex Leader Supremo se l’era svignata senza voltarsi. No, quel tipo di riflessioni avrebbero aspettato.
Nel maldestro tentativo di ossigenare il cervello, incamerò quanta più aria possibile e lo chiamò.
“Ben.”
Le rispose il silenzio, intervallato dal fischio di qualche strano animale indigeno.
“Ben!”
Una brezza gelida si fece strada tra gli alberi, scuotendo i rami.
Il pensiero che la stesse volutamente ignorando, proprio come lei stessa aveva fatto per tutta la mattina, la colpì come uno schiaffo in pieno viso.
“Non è il momento per giocare a chi è più bravo a portare rancore…” sibilò a denti stretti, senza sapere a chi si riferisse di preciso, se a lui o a se stessa.
In quel momento avrebbe tollerato tutto, tranne il risentimento di Ben nei suoi confronti.
Il suo cuore oscillava tra il desiderio di colpirlo in testa col suo vecchio bastone e la voglia sfacciata di rivederlo vivo, solido e concreto davanti ai suoi occhi. Certo, non si sarebbe spinta a immaginare una vita insieme a lui – non dopo il brutto tiro del giorno prima, almeno – ma dargli la possibilità di una nuova esistenza, una nuova occasione per dimostrare chi fosse davvero… quello sì, lo pretendeva.
“Ben Solo!” urlò a pieni polmoni.
Il suo grido riempì la radura, ma non ebbe comunque risposta.
Chiuse gli occhi, in preda allo sconforto e alla rabbia che minacciava, per l’ennesima volta, di farle distruggere qualcosa. Poi, piccola e luminosa come un nemico su un radar, un’ultima idea venne a galla.
Avrebbe fatto da sola.
Per una volta avrebbe agito d’istinto, senza pensare alle conseguenze.
Prima di tutto, sarebbe andata in cerca del DNA di Ben.
Poi avrebbe trovato i vecchi cilindri di clonazione, ovunque fossero. Non era sicura che Exegol fosse stato completamente distrutto; forse i macchinari si trovavano ancora lì e magari, con un po’ di fortuna, sarebbero stati utilizzabili dopo qualche riparazione e una bella pulita. Di lì a qualche anno sarebbe riuscita a capire il funzionamento della clonazione fino a replicare il corpo di Ben. Certo, gli esperimenti di Vader prevedevano l’uso dei “campioni di memoria”, ma forse non sarebbero serviti nel loro caso… Ben era ancora lì, non era un fantasma come Luke. Aveva ancora una parte umana… e poi loro erano una Diade, giusto? Questo doveva pur significare qualcosa!
Notato che la preoccupazione minacciava di prendere il sopravvento, decise che a quei numerosi dettagli avrebbe pensato dopo: ora la prima cosa da fare era trovare un campione di DNA da riprodurre nelle vasche di clonazione.
Ma da dove iniziare? Il suo corpo era sparito nel nulla quando si era ricongiunto con la Forza.
Rey ricordava di aver visto il suo sangue per terra mentre scappava da quel pianeta maledetto, ma ormai non sarebbe più stato utilizzabile, e poi…
Credo che sia ancora lì, sai? Il mio sangue intendo. Ancora fresco, perfettamente conservato nella roccia.
Il ricordo delle parole di Ben la sopraffece così all’improvviso da farla barcollare.
Ilum.
Ben gliene aveva parlato a proposito dei cristalli, quando lei gli aveva chiesto del suo addestramento con Luke. E se le aveva detto la verità, se davvero la roccia aveva inglobato all’istante il suo sangue, allora nelle Grotte dei Cristalli era custodita la sua più grande speranza.
L’eccitazione per quella scoperta fu tale che non si accorse nemmeno che le sue gambe la stavano riportando verso la base ribelle. Di lì a poco l’avrebbero fatta salire furtivamente sul vecchio Ala-x di Luke, che l’avrebbe condotta tra le fredde distese del pianeta di ghiaccio.
 
***
 
Il Generale Dameron, ben nascosto dietro il grosso tronco di un albero, guardò Rey correre via con il vecchio libro sottobraccio.
Rimase immobile chissà quanto tempo a guardare il punto dove lei, facendosi strada tra la vegetazione, era scomparsa alla sua vista. Gli occhi, incredibilmente fermi, gli conferivano l’espressione imbambolata di un vecchio Hutt assonnato. Eppure, dietro quello sguardo vuoto, il suo cervello lavorava come un forsennato nel tentativo di rimettere a posto tutte le informazioni che aveva carpito negli ultimi minuti.
Se all’inizio si era sentito vagamente in colpa nello spiare la ragazza dal suo nascondiglio, ora si stava quasi lodando da solo per averlo fatto. La vergogna si trasformò via via in lucida comprensione, finché un brivido non lo attraversò dai capelli spettinati agli stivali infangati.
Poi d’un tratto, come se un Ewok l’avesse punzecchiato con un bastone appuntito, si riscosse.
Saltò in piedi e cominciò a correre.
Mentre i suoi muscoli lavoravano a pieno ritmo per portarlo a destinazione, la sua mente rievocava gli ultimi momenti passati con Rey: lo sguardo inespressivo mentre cenava con loro, la foga con cui aveva tentato di spiegargli come Ren le aveva salvato la vita, la solitudine di tutti i giorni…
E poi, immancabilmente, pensò a Finn.
Amico mio, avevi ragione… ti ho sfottuto, e invece avevi ragione.
Era stato uno stupido.
Aveva avuto tutte le risposte – o quasi – davanti agli occhi, ma non ci aveva badato. E la sua cecità era dovuta meramente al fatto che non si era fidato della Forza.
Ed ora eccolo lì, con i polmoni in fiamme e lo stomaco che gli si annodava, mentre correva come se avesse avuto un Rathtar alle calcagna.
Quando giunse alla base, il suo sguardo cercò subito Rey, senza trovarla. Con un gemito, si mise a cercare Finn tra i ribelli. Quando lo vide, lo prese per la giacca e lo scosse in malo modo, incapace di trovare le parole.
L’ex assaltatore, a dir poco sorpreso, lo guardò a bocca aperta per un attimo. Poi urlò: “Ma si può sapere che diamine ti prende?”
“Rey… dobbiamo… corri, avevi ragione…” farfugliò Poe, continuando a strattonarlo.
Poco lontano, un Chewie sorpreso guardava l’insolita scena con la testa inclinata da un lato. Strano che fosse il Generale Dameron a dare di matto, quando era sempre stato Finn a soffrire di sprazzi d’isteria…
Finn, nel frattempo, aveva tolto le mani di Poe dalla sua giacca preferita e lo guardava serio, scrutandolo con gli occhi scuri e preoccupati.
“Che è successo a Rey?”
Poe si sforzò di fare un respiro profondo, con il cuore che gli martellava nelle orecchie, e finalmente ritrovò la lucidità necessaria per parlare.
“Avevi ragione, c’è una presenza attorno a lei… E so chi è.”

 
 





Angolino oscuro dell’autrice:
 
Stiamo per giungere alla fine di questa fanfiction e mi si spezza il cuore; mi sono affezionata tantissimo a questa storia, che è iniziata come Reylo e si è trasformata gradualmente in Reyen.
 
Questa volta le note sono proprio d’obbligo, quindi portate pazienza (se non vi interessano, passate pure oltre):
1) La questione di Luke e delle sue ricerche è stata – credo – totalmente inventata da me. Dico “credo” perché non ho trovato alcuna dichiarazione Canon al riguardo. Quindi teoricamente non ci sono prove che attestino che Luke avesse in mente la possibilità che Palpatine si fosse fatto clonare (nei Legend, invece, i cloni sono molto utilizzati; c’è il clone dello stesso Luke, chiamato Luuke, o addirittura Palpatine che combatte contro se stesso… ce n’è davvero per tutti i gusti).
2) Specifico – ma immagino lo sappiate già – che JJ ha pubblicamente dichiarato che il corpo di Palpatine di Episodio IX non è quello originale ma è, appunto, un suo clone. Così come il padre di Rey, e quindi lei teoricamente non è la nipote dell’Imperatore, bensì sua figlia… ma questa è un’altra storia. Va specificato, tra l’altro, che il clone di Palpatine è stato sconfitto per sempre (quindi non ce ne sono altri in giro a cui dare la caccia).
3) Gli esperimenti di Vader su Dantooine, se non sbaglio, sono stati decanonizzati, ma egoisticamente li ho utilizzati lo stesso perché mi servivano (sorry not sorry).
4) Ultima, ma non meno importante, la questione su Ilum: il volume Star Wars: The Rise of Skywalker Visual Dictionary ha confermato che Ilum è stato trasformato nella Base Starkiller e quindi non dovrebbe più esistere dopo Episodio VII. L’opera di trasformazione del pianeta sarebbe addirittura iniziata contemporaneamente alla costruzione della Morte Nera. Ora, dato che non ero a conoscenza di tutte queste informazioni durante la stesura dei primi capitoli di questa fanfiction, ho deciso di ignorare la cosa. Ilum in questa storia esiste ancora e non ha subito alcuna modifica.
 
Che la Forza sia con voi,
Helmwige

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Capitolo 10
*** Capitolo X - Ghiaccio e Sangue ***


Chi ha coraggio di ridere è padrone del mondo,
poco altrimenti di chi è preparato a morire.
Giacomo Leopardi
 
Per loro fortuna, BB-8 era un ottimo astromeccanico, altrimenti non avrebbero mai localizzato l’Ala-X pilotato da Rey.
Poe era tornato alla base in preda alla panico, balbettando frasi a metà e rivolgendo le pupille di qua e di là nel tentativo di localizzare Rey. Finn, anche lui piuttosto agitato, aveva saputo mantenere il sangue freddo e, con una pazienza e una ragionevolezza che non gli appartenevano, aveva chiesto al Generale Dameron di spiegare ciò che aveva visto e ascoltato.
Il resoconto di Poe era stato assolutamente deludente.
Ufficialmente non aveva visto niente, tranne una Rey decisamente agitata con un libro ammuffito tra le braccia. E in quanto all’ascoltare… beh, non aveva sentito nulla, tranne il nome di Ben Solo; quella era stata l’unica informazione degna di nota.
Ma a parte quel nome che suscitava ira e ribrezzo nell’animo dell’ex assaltatore, non avevano niente in mano che potesse dar loro un’idea di quello che stava veramente succedendo.
Avevano convenuto di cercare Rey e provare a parlarle, benchè non sapessero nemmeno da dove iniziare, ma non l’avevano trovata da nessuna parte. Un sudore freddo aveva imperlato la fronte di Finn mentre Poe, tornato finalmente lucido e coi nervi saldi, si era messo a correre in direzione dell’hangar. Lì Rose l’aveva avvertito che Rey era decollata da quasi un’ora, senza premurarsi di dire dove era diretta.
“E tu non gliel’hai chiesto?” aveva sbraitato Poe in preda all’angoscia.
“Pensavo stesse obbedendo a un tuo ordine!”
“Perfetto… Quindi ormai potrebbe essere andata ovunque.”
Poe si era preso la testa tra le mani, maledicendosi in silenzio.
Gli occhi di Rose si erano illuminati, ricordando la conversazione di quella stessa mattina.
“Rey sente la mancanza del suo pianeta natale, forse è lì che si è diretta.”
“In quella palla di sabbia?!”
Finn era arrivato poco dopo con il fiatone e lo sguardo stralunato. Al sentir nominare Jakku, la sua faccia si era contorta in un’espressione schifata.
“Perché mai Jakku le dovrebbe mancare?” aveva chiesto.
“Piuttosto, perché mai non avrebbe dovuto dirlo?” aveva ribattuto Poe.
Eppure, nonostante la situazione inspiegabile, avevano deciso che la loro missione di salvataggio sarebbe partita da lì. E se non fosse stato per il piccolo droide bianco e arancione, avrebbero vagato inutilmente per le distese di sabbia di quel pianeta remoto per chissà quanto tempo.
BB-8 aveva sempre avuto un certo talento nel passare inosservato. Quando Rey si era avvicinata al caccia di Luke, arrampicandosi per infilarsi nella carlinga, non aveva minimamente notato la piccola palla di metallo che stava controllando un’ultima volta i database della nave. Aveva fatto giusto in tempo a sganciarsi prima del decollo, ma a quel punto la ragazza aveva già inserito le coordinate.
“Ilum?”
Poe aveva guardato Finn come se lui fosse stato in grado di spiegargli il perché di quella scelta, ma l’ex assaltatore si era limitato ad alzare le spalle. I due avevano emesso un gemito esasperato.
Nel giro di mezz’ora, con le giacche imbottite in mano e i blaster carichi infilati nelle fondine, si erano accomodati nel Falcon. Chewie si era seduto sul sedile del co-pilota con un verso irritato. Poe dovette spiegargli a grandi linee il perché di quella destinazione così fredda, ma la confessione non produsse nel Wookie un effetto positivo. Con un grugnito, si concentrò sui pulsanti e avviò il motore del mercantile.
Il Falcon si librò nell’aria con un rombo profondo, pronto per quel nuovo incarico.
 
***
 
Rey aveva avuto così tanta fretta di partire che non si era minimamente preoccupata di come fosse Ilum. Era sgattaiolata nel vecchio caccia di Luke, stringendo il libro consunto tra le dita, ed era decollata in un baleno, come se la base ribelle fosse stata sul punto di esplodere.
Non si era domandata alcunché sul pianeta verso cui era diretta finché non era apparso davanti a lei.
Così come Jakku presentava tutte le sfumature dell’oro, Ilum possedeva tutta la scala cromatica del grigio. In alcuni punti si scuriva fino a diventare di un indaco tenue, in altri appariva bianco come la neve.
La ragazza era rabbrividita a quella vista.
Ricordava benissimo la prima volta che aveva visto la neve sulla Base Starkiller, i suoi fiocchi fragili e gelidi che si attaccavano ovunque, perfino alle ciglia. All’inizio ne era rimasta stregata, ma poi aveva dovuto fare i conti con il freddo e la meraviglia si era completamente dissolta.
Il ricordo del vento gelido che le sfiorava la pelle la fece amaramente pentire di essere partita in modo così avventato, senza portarsi degli indumenti più caldi. Gli abiti che indossava andavano bene per la calura afosa di Ajan Kloss, di certo non per un pianeta i cui colori promettevano ghiaccio e bufere.
Inspirò profondamente e iniziò la manovra di atterraggio. Quando entrò nell’atmosfera, l’Ala-X fremette e sbandò, travolto dal vento. Più si abbassava di quota e più l’aria si faceva carica di neve, tanto da farle temere di non riuscire a distinguere la superficie.
Furono attimi di pura angoscia e concentrazione.
Solo quando terminò l’atterraggio, sbattendo malamente sul ghiaccio e facendo emettere al caccia uno stridio acuto, Rey si accorse di aver trattenuto il respiro per tutta la manovra.
Osservò la neve depositarsi sul muso dell’Ala-X, chiedendosi se fosse nel posto giusto. Si era avvalsa della Forza per raggiungere le Grotte dei Cristalli, ma non aveva idea di quanto fossero estese, né di come si presentassero in superficie.
Eppure, qualcosa le diceva che lì, dietro a quel muro immenso di roccia nera e lucida, si trovava l’ultimo frammento che legava Ben alla vita.
Con un sospiro si slacciò le cinture di sicurezza e depose il vecchio tomo sotto al sedile. Lì dentro non ne avrebbe avuto bisogno, o almeno così pensava.
 
***
 
“Non possiamo andare più veloci?”
Poe si girò verso Finn, le sopracciglia sollevate all’inverosimile in un’espressione esterrefatta. Accanto a lui, Chewie non mosse nemmeno un muscolo sotto la folta pelliccia, come se non avesse sentito le parole dell’ex assaltatore.
“Sì, insomma…” continuò Finn, con la voce trasudante nervosismo, “il Falcon non era una delle navi più veloci della Galassia?”
Poe tornò a concentrarsi sui comandi. Attorno a loro, lo spazio cosmico si allungava, deformandosi per far passare il Falcon.
“Abbiamo già fatto il salto a velocità luce, Finn. Più veloci di così…”
“Di questo passo non arriveremo mai in tempo,” borbottò lui di rimando.
“Vedrai che ce la faremo.”
“Non riesco proprio a capire perché l’ha fatto… come se non lo sapesse, che Ren è pericoloso!”
Poe continuò a tenere lo sguardo sulla barra dei comandi, indeciso su come rispondere.
“Secondo te perché non ce l’ha detto?” chiese Finn.
“Forse perché sapeva che non ci saremmo fidati.”
“Come potremmo fidarci di lui?! È assurdo…”
 “Forse ci sbagliamo, forse Rey non è in pericolo.” Poe si morsicò l’interno della guancia, immerso ne pensieri. “E poi l’ha chiamato Ben Solo, non Kylo Ren.”
“E dovrebbe far differenza?” sbottò Finn. Uscì sbuffando dalla cabina di comando, per poi rientrarci subito dopo. Il suo nervosismo era tale da renderlo simile a una trottola impazzita.
“Beh, sì,” rispose Poe. “Se si è redento e l’ha aiutata a uccidere Palpatine, Kylo Ren è morto prima di Ben Solo, giusto?”
“Redento?”
I due si fissarono, gli occhi colmi di perplessità. Rimasero immobili per un tempo che parve a entrambi lunghissimo, finché Poe non trovò il coraggio di chiedergli: “Rey non ti ha detto che Ren l’ha aiutata a sconfiggere l’Imperatore? Che si è sacrificato per lei?”
Finn scosse la testa, incapace di proferir parola.
“Sei sicuro?” chiese Poe, cercando di moderare il disagio che trapelava dalla sua voce.
In un attimo, Finn venne invaso dall’angoscia. Dominando a malapena l’angoscia, setacciò i ricordi delle ultime settimane. Dialoghi e incontri sfilarono davanti ai suoi occhi, finché non si rivide davanti al monumento dedicato a Leia, con Rey al suo fianco. Con una punta amara di disgusto, si ricordò di come l’aveva lodata sfrontatamente, senza lasciarla parlare, facendole i complimenti per aver messo fuori gioco il nemico per sempre. E Rey aveva disperatamente cercato di interromperlo per dirgli qualcosa, finché l’entusiasmo di lui non aveva soffocato ogni sua parola e, alla fine, ci aveva rinunciato.
“Quindi… Quindi lei lo ha perdonato?” balbettò Finn.
Poe annuì.
L’ex assaltatore si prese la testa tra le mani, travolto dal senso di colpa e dalla nausea che gli attorcigliava lo stomaco. Ma quel malessere fu presto sostituito da un dubbio ancor più penetrante, che gli fece rizzare i capelli.
“E se lui avesse solo inscenato la sua redenzione?”
Poe inarcò un sopracciglio. “Non ti seguo.”
“Se fosse tutta un imbroglio, un modo per portarla al Lato Oscuro?”
“Sinceramente, lo trovo assurdo.”
Ma Finn non demorse. Si chinò sull’amico, riducendo la voce a un sussurrò concitato. “Pensaci, Poe… Perché Rey avrebbe dovuto perdonarlo così facilmente? Le ha portato via tutto.”
Il Generale Dameron si schiarì la voce. Più si avvicinavano alla meta, più il quadro gli sembrava completo. “Settimane fa Rey mi disse che la guerra è guerra, che siamo tutti colpevoli.”
Finn non riuscì a trattenere una risata stizzita. “Non credo proprio, ci sono colpe ben più grandi di altre. Difendere la Galassia dalla tirannia, dalla schiavitù e dalle ingiustizie è un dovere.”
“In ogni caso, non credo la stia manipolando con i suoi poteri o che so io. Era convinta di quello che stava dicendo… e forse non aveva tutti i torti. Voglio dire, se le cose sono andate così come ha detto, allora senza di lui non saremmo mai riusciti a vincere la battaglia su Exegol.”
La voce di Finn tremò leggermente mentre rispondeva. “Avrà avuto anche un ruolo decisivo, ma la guerra è partita da lui!”
“Ma se c’era Palpatine dietro a tutto… Alla fine Ren era solo un ragazzino quando è stato traviato e credo che nessuna delle scelte che ha fatto sia stata facile!”
D’altronde, Poe se lo ricordava bene il giorno in cui il Generale Organa era crollata su una sedia davanti ai suoi uomini nell’apprendere quello che Ben aveva fatto a Luke e agli altri padawan. Era poco più di un ragazzo all’epoca, ma quella scena era ancora ben impressa nella sua memoria.
Finn fece un respiro profondo, passandosi una mano sulla fronte.
“Io credo che, per quanto possa essere stata terribile la scelta che ha fatto, ciò non cambia le cose. Perché ha scelto, capisci? Ha scelto di tradire… e di uccidere innocenti.”
Le sue parole aleggiarono nella cabina di pilotaggio, gravose come sentenze definitive. Poe, incapace di ribattere, rimase in silenzio con lo sguardo fisso davanti a sé.
Fu di nuovo Finn a parlare: “E se Rey non fosse in sé, comunque? Se l’ombra di Kylo la stesse avvelenando, facendole dire cose a cui non crede?”
A quel punto, un grugnito frustrato fece voltare entrambi verso il Wookie che, benché fosse rimasto immobile ai comandi senza emettere alcun suono dall’inizio di quel dibattito, aveva deciso finalmente di intromettersi. I suoi versi, accompagnati da un largo gesto del braccio peloso, avevano un che di scocciato e triste insieme.
Finn, incapace di dare un senso ai quel linguaggio incomprensibile, fissò Poe… ma anche quest’ultimo aveva uno sguardo perplesso.
“Che vuoi dire, Chewie?”
Il Wookie grugnì di nuovo, questa volta più a lungo.
A un passo dal perdere la pazienza, Finn guardò Poe e gli indicò la montagna di pelo. “Hai capito che ha detto?”
Questa volta, il Generale Dameron annuì. “Dice che Leia stessa non riuscì a capire perché Luke perdonò Vader. Per anni glielo rinfacciò, prima di riuscire a comprendere quella decisione.”
“E… cosa c’entra?”
Poe e Chewie si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“Qualsiasi cosa ci dirà Rey, dovremo fidarci del suo giudizio. Lei ne sa più di tutti noi messi insieme. E forse, col passare del tempo, capiremo anche noi.”
 
***
 
Non sapeva nemmeno lei com’era riuscita a entrare nell’antico tempio Jedi.
Appena era scesa dal caccia, il freddo glaciale l’aveva quasi tramortita. Il vento le aveva sferzato la pelle con terribile violenza, infilzandole la pelle come minuscole spine di ghiaccio. I muscoli le si erano intorpiditi e il suo stesso corpo le era diventato estraneo. Le labbra, quasi violacee, si erano spalancate in cerca di ossigeno, mentre i pensieri le si erano annebbiati sempre di più.
Il vento l’aveva costretta a socchiudere gli occhi. La neve scendeva così copiosamente che i contorni dell’enorme muro che le si ergeva davanti erano sfuocati, indefiniti.
Un passo strascicato alla volta, si era avviata verso quello che credeva fosse l’ingresso.
Non ricordava con esattezza cos’era successo a quel punto. Nella sua testa vorticavano immagini slegate tra di loro, come se non le appartenessero. Ma rammentava bene la sensazione che l’aveva pervasa quando si era ritrovata a pochi metri dalla nuda roccia. Aveva sentito un’antica consapevolezza pervaderla, proprio com’era accaduto su Exegol. La Forza le era venuta in aiuto, sussurrandole cosa fare.
Combattendo gli spasmi violenti dovuti al freddo glaciale, aveva concentrato l’energia che le era rimasta sul portale del tempio… e quello, finalmente, si era aperto.
Rey si era trascinata al suo interno a fatica. Varcata la soglia, si era sentita subito meglio, al riparo dal vento sferzante e implacabile. Ma quella sensazione di sollievo sarebbe durata poco, giusto il tempo che il suo corpo avrebbe impiegato per adattarsi alla nuova temperatura. In quel momento, con i muscoli irrigiditi e il respiro che si condensava davanti al suo viso in piccole sagome indistinte, le era mancata come non mai la calura soffocante di Jakku.
Mano a mano che la sua mente si snebbiava, lo sguardo della ragazza vagava tra le pareti lucide del tempio. Nonostante fosse rimasto incustodito per decine e decine di anni, l’usura del tempo sembrava non avesse intaccato quel luogo sacro, come se fosse rimasto ostinatamente in attesa del ritorno dei Jedi.
Sui lati si facevano largo due gallerie strette e buie, una opposta all’altra.
Nel tragitto verso Ilum, si era domandata a lungo come sarebbe riuscita a trovare ciò che cercava. Ben le aveva spiegato che quelle grotte erano labirintiche e che ci si poteva addirittura perdere al loro interno nel cercare il proprio kyber. Tuttavia, Rey non si sentì spaesata o avvilita. Mentre il respiro le tornava pian piano regolare, si faceva strada in lei una nuova consapevolezza, simile a un vecchio ricordo che veniva gradualmente a galla. Percepiva una sorta di richiamo, la stessa sensazione che l’aveva investita su Takodana, quando la spada laser di Luke l’aveva richiamata a sé.
Con commosso stupore, si avviò verso quel nuovo segnale. Le giunture delle gambe, ancora intirizzite dal freddo, si mossero a fatica, simili a ingranaggi arrugginiti.
Attraversò l’ingresso del tempio ed entrò in una delle gallerie. Più vi si addentrava, più la temperatura scendeva. Il freddo tornò a pungerle la pelle, costringendola ad avvolgersi le braccia intorno al corpo. Tuttavia, benché le sue membra tremassero per il freddo, la sua mente era incredibilmente lucida. Gli occhi saltavano da uno parete all’altra, soffermandosi sulle sporgenze frastagliate della roccia. Erano di un nero tendente al bluastro, così affilate da scintillare nella penombra. La luce, entrando dall’ingresso del tempio, si faceva strada nella galleria, rimbalzando da una parete all’altra e rischiarando il percorso.
Le gambe della ragazza continuarono ad avanzare come quelle di un automa, superando bassi cunicoli e strettoie. Seguì quel sentiero invisibile mostratole dalla Forza finché non si trovò in un vicolo cieco. Lo sguardo di Rey si posò su uno spuntone che si ergeva dal suolo, simile a una stalagmite di ghiaccio. La punta, di un rosso vivo, si stagliava nella semioscurità.
Rey sorrise e, senza rendersene conto, allungò una mano tremante verso l’estremità scarlatta.
“Allontanati da lì.”
Le dita della ragazza si immobilizzarono a qualche centimetro dalla roccia.
Rey non si mosse, per quanto la tentazione di voltarsi verso quella voce fosse forte. Il respiro accelerò, non sapeva nemmeno lei se per la rabbia o la sorpresa.
Si ritrovò a pensare che doveva essere comodo, per un fantasma, sparire e ricomparire a piacimento, ignorando volutamente i suoi appelli e rifacendosi vivo solo quando gli faceva più comodo.
La tentazione di ignorarlo apertamente, così come aveva fatto lui, fu davvero forte.
La mano, rimasta sospesa a mezz’aria, riprese la sua avanzata verso la roccia.
“Rey, allontanati da lì.”
Benché bassa e ferma, la voce di Ben tradì il suo nervosismo.
“Appena avrò finito,” lo provocò lei.
“Non pensi di dover chiedere il permesso?”
Pur rendendosi conto della strategia che si celava dietro quella domanda, Rey abbassò il braccio.
“Te l’avrei chiesto, se ti fossi fatto vivo. Sai com’è, chi tace acconsente…”
“Che stronzata.”
Rey sospirò. Il fiato si condensò davanti ai suoi occhi, attorcigliandosi in volute disordinate.
Per quanto le pesasse ammetterlo, sotto un certo punto di vista Ben aveva ragione. Non gli aveva chiesto il permesso di prelevare il suo sangue e di manipolarne il DNA… senza alcuna conoscenza a riguardo, tra l’altro. D’altra parte, però, era tremendamente infastidita dal suo atteggiamento. Forse non aveva le capacità o la strumentazione adatta per avviare quell’esperimento – non ancora, almeno – ma lui sembrava non voler prendere in considerazione quell’idea a prescindere! Era sicura che si fosse intestardito contro quell’opportunità solo per indispettirla.
Inspirò a pieni polmoni e finalmente si voltò verso di lui.
Ben appariva ancor più alto del solito in quello spazio angusto e i capelli spettinati sfioravano il soffitto della galleria. Le spalle erano rigide e tese, ogni muscolo sembrava in tensione. Gli occhi scuri, colmi di preoccupazione e dolore, tradivano l’espressione decisa del viso.
“Almeno prendila in considerazione...” chiese infine.
“È una pratica Sith!”
“Eppure sono stati i Jedi a richiedere un esercito di cloni durante la Repubblica!”
“Sì, e guarda com’è finita…”
Rey fece un passo verso di lui, rischiando di cedere alla frustrazione. “Ma non accadrà di nuovo! Tu sarai l’unico clone esistente nella Galassia intera… Non creeremo un esercito.”
Gli occhi scuri di Ben scintillarono di una luce sinistra. Quando rispose, la sua voce fu così bassa e profonda da far venire i brividi alla ragazza.
“Io non ti ho dato la mia vita per vederti cedere al Lato Oscuro.”
Quella frase la schiaffeggiò in pieno volto. Rey sentì la propria mandibola cadere, trasformandole la bocca in un’espressione offesa e incredula.
Quindi era così? Ben credeva che lei dovesse obbedirgli perché si era sacrificato?
L’affronto fu talmente grande che il suo corpo fremette di rabbia.
“Non ti ho chiesto io di farlo,” sibilò tra i denti.
La sua stessa sorpresa per un attimo velò anche gli occhi di Ben prima che si alzassero verso il soffitto della grotta, tradendo l’esasperazione. Era quasi imbarazzante la facilità con cui riusciva a leggerle la mente in quel momento.
“Davvero credi che l’abbia fatto perché ero in debito con te?”
Gli occhi di Rey si socchiusero in due sottili fessure.
A malapena riconobbe la sua stessa voce, così carica di disgusto e di sfida. Si sentiva alienata, come se il proprio corpo non le appartenesse più. Non si rese nemmeno conto della risposta che gli diede.
“No, certo che no. L’hai fatto perché io meritavo di vivere e tu no, giusto?!”
Ben sussultò, colpito nel profondo.
A quella vista, Rey tornò in sé. Venne investita in pieno dal senso di colpa, ma non osò abbassare gli occhi. Non si distoglie lo sguardo in mezzo a una battaglia, nemmeno quando ciò che ti circonda è agghiacciante, perchè è proprio in quei momenti che bisogna giocare la partita fino in fondo.
Alzò una mano a indicare la roccia e il sangue scarlatto all’interno.
“Metti da parte i sensi di colpa, per una volta. Abbiamo… Hai la possibilità di tornare a vivere. Il corpo sarà nuovo, ma le esperienze e i ricordi saranno tuoi.”
“Ho detto no.”
La risposta di Ben arrivò immediatamente, cupa come il ringhio di un Reek.
“Ma perlomeno spiegami perché!” urlò Rey.
Ben la fissò per un lungo momento, senza dire una parola, con lo sguardo più gelido che mai. Rey tentò inutilmente di caaptare le sue emozioni, ma senza risultato. Ben aveva di nuovo innalzato il vecchio muro per proteggersi e lei non riusciva a sentire nemmeno una briciola dei suoi pensieri. Non potendosi affidare alla Forza, si arrese alla logica.
Si era promessa di non pensare ai propri sentimenti, di mettere da parte tutto quello che c’era stato tra di loro, ma non era più possibile. Se era davvero quell’incomprensione a tener lontano Ben dalla clonazione, avrebbe dovuto cambiare programma e chiarire una volta per tutte.
“Avrai la tua libertà, una volta clonato,” sussurrò, la voce tesa per l’imbarazzo.
Lui la guardò esterrefatto, incapace di dare un senso a quelle parole.
“Sì, insomma...” continuò Rey, visibilmente a disagio, “…non ha nulla a che fare con quanto successo ieri.”
Il ricordo di quel bacio mancato la fece arrossire. Si sforzò di scacciarlo dalla mente prima che lui potesse percepirlo.
“Sarai libero, ecco,” concluse a fatica.
“Sei veramente un’ingenua.” Ben scosse la testa, reprimendo a fatica un sorriso. Sembrava essersi ritrasformata nella bambina spaventata abbandonata su Jakku. “L’unica cosa che mi fa desiderare di tornare in vita sei tu.”
Gli occhi della ragazza si spalancarono per la confusione e per la sorpresa di quella confessione. Ma non fece in tempo a tramutare lo sbalordimento in felicità perché lui aggiunse: “E sei anche ciò che mi spinge a non farlo.”
Rey deglutì a vuoto. La testa le girava furiosamente dandole la nausea.
“Io… io non capisco.”
“Immagina, Rey. Come pensi potrebbe essere la mia vita ora?”
Rispose così piano che Ben fece fatica a sentirla. “Staresti con me...”
“Non ti condannerei mai a una vita in esilio.”
“Ma perché in esilio? I miei amici capirebbero, ti accoglierebbero… ne sono sicura.”
Vide Ben inarcare un sopracciglio mentre le parole di Poe riaffioravano prepotentemente dai ricordi,
Nemmeno la redenzione o il sacrificio più grande mi farebbero perdonare quel mostro.
“Forse riusciresti anche a convincere i tuoi amici più cari, Rey… Ma sono troppe le persone che ballerebbero sul mio cadavere.”
“Ma a me degli altri non importa.”
La voce di Ben risuonò nervosa, quasi spazientita. “Non vuoi capire che non avresti più una vita?”
Rey fece per ribattere, ma la zittì con un cenno della mano.
“So cosa stai per dire… Che ti basterebbe stare con me, che saresti felice così. Ma non voglio. Non lo voglio per te e, soprattutto, non lo voglio per me! Quanti inizierebbero a darmi la caccia per trovarmi e condannarmi a morte o all’ergastolo? Sarei costretto a fuggire nei posti più remoti della Galassia, a rifugiarmi su chissà che pianeta sperduto, finché non sarei così nauseato dalla vergogna da consegnarmi io stesso nelle mani della giustizia!”
“Ti sei redento, questo conta comunque qualcosa,” sussurrò lei. Ma la verità delle parole di Ben si stava già depositando dentro di lei, appesantendole il cuore e schiacciandole i polmoni.
“La redenzione è anche questo. È affrontare le proprie responsabilità, anche se sai già che il mondo resterà spietato nei tuoi confronti e che ti punirà fino in fondo.”
Rey cercò di incamerare aria. Lottò contro lo sconforto che cominciava a inghiottirla, mentre un vecchio timore, che era riuscita ad accantonare per settimane, tornava a riemergere con prepotenza.
“Non t’importa di quello che dovrò tollerare io? Sei morto, la Diade si è indebolita… non c’è più equilibrio!”
“Il nostro legame va al di là del tempo e dello spazio. L’equilibrio esiste ancora e siamo stati noi a ricostituirlo...”
“Ma eravamo insieme! Io da sola non posso farcela, non ho tutte le tue conoscenze o le tue abilità.”
“Pensi che saper maneggiare la spada alla perfezione o poter bloccare il laser di un blaster sia tutto?”
Gli occhi di Ben scintillarono nella penombra, colmi di timore e nervosismo.
“Rey… è vero che abbiamo vinto insieme,” continuò. “Ma la vera sfida inizia ora. Ripristinare la pace è un conto, mantenerla è un altro. La Galassia ha bisogno di sostegno, di qualcuno che l’aiuti a crescere. Ha bisogno di pazienza, perseveranza e coraggio… e queste qualità tu le avevi già prima di incontrarmi e le hai ancora.”
“Io non la voglio questa responsabilità.”
Ben la fissò senza battere ciglio per quelli che parvero istanti infiniti. La pazienza non era una delle virtù principali del giovane Solo e l’ingenua testardaggine di Rey lo stava mettendo a dura prova.
“Ci sono tanti pesi che la vita ci fa gravare addosso anche se non vogliamo sopportarli.”
Benchè una parte di Rey comprendesse a pieno quelle parole, l’altra metà non riusciva proprio ad accettarle. Sentì una fitta fastidiosamente familiare all’altezza della gola, quel dolore che denuncia l’inizio di un pianto a stento trattenuto.
“E non ti importa che non la voglio, questa vita, senza di te?”
Le lacrime si staccarono dalle ciglia, precipitando verso il pavimento roccioso. Se tutto fosse andato secondo i piani, Rey non si sarebbe mai fatta sfuggire una frase simile, non avrebbe mai giocato quell’ultima carta. Si sarebbe categoricamente rifiutata di esprimere in modo così sdolcinato e patetico i suoi sentimenti, ma non aveva fatto i conti con le parole di Ben, e ora c’era troppo dolore per ignorarli. La paura di perderlo del tutto le annebbiava i sensi.
Ben fece un passo verso di lei e distese le labbra nel tipico ghigno da contrabbandiere.
“In realtà, sì.”
Ma nonostante la presenza del sorriso caratteristico dei Solo, Rey non si sentì più tranquilla, né fu lusingata da quelle parole. Era troppo irrequieta, troppo spaventata da quel futuro che le si poneva davanti.
“Non… non posso farcela,” mormorò.
Il corpo di Ben si fece ancor più vicino.
“Non ti arriverà mai niente che non sarai in grado di sopportare.”
Il fantasma si chinò sulla ragazza, fronte contro fronte, le iridi scure di lei immerse in quelle luminose di lui. La vita che guardava in faccia la morte, il futuro che sfidava il passato.
La voce di Rey si trasformò in un flebile sussurro. “Ben, io...”
“Lo so.”
Nei decenni che sarebbero seguiti, Rey avrebbe cercato inutilmente di ricordare ogni singolo istante di quel momento, ma senza riuscirci. La confusione e l’ebbrezza furono tali che nella sua mente s’impressero solo i particolari: le labbra di Ben, fredde e calde allo stesso tempo, che sfioravano le sue, l’elettricità che saettava da uno all’altra, l’euforia. E poi il sangue che scorreva nelle vene con una tale intensità da riempire il silenzio, i denti di Ben che scintillavano al buio mentre sorrideva, gli occhi calmi e tristi, ma allo stesso tempo felici e sollevati. Ma soprattutto, ogni giorno, Rey avrebbe risentito il bruciante desiderio di avere di più e l’amara consapevolezza che non ci sarebbe stato altro… non in quella vita.
Ben rimase con la fronte appoggiata alla sua per quelle che parvero ore, o forse solo per un istante. Il tempo perse la sua dimensione, dilatandosi e restringendosi in modo confuso, come se non fosse più padrone di se stesso, perché la Diade gli era immune e andava oltre la mera dimensione umana.
Rey si aggrappò con tutte le sue forze a quella felicità che per tanto tempo aveva rincorso, senza riuscire mai a raggiungerla. La strinse a sé con ferocia, quasi con violenza, con il timore che se ne sarebbe andata insieme a lui. 
Il volto di Ben sparì davanti ai suoi occhi, ma la sua voce, calda e profonda, risuonò nella grotta un’ultima volta.
Ti aspetterò dove il sole incontra il sole.
Rey rimase immobile, lo sguardo fisso davanti a lei, posato ormai sul nulla. Restò in piedi, al buio, con l’eco di quelle parole in testa e il respiro accelerato.
Due voci spezzate, simili a singhiozzi, la raggiunsero, accompagnate da passi veloci e disordinati.
Con le gambe che ancora tremavano, la ragazza, incredula, s’incamminò nella loro direzione, dirigendosi verso l’ingresso del tempio. Si bloccò per l’incredulità quando riconobbe i volti di Poe e Finn. I due Generali si fecero avanti, con gli sguardi colmi di preoccupazione che spuntavano da sotto i cappucci delle giacche, fermandosi a un passo da lei. Finn aprì e richiude la bocca un paio di volte, desideroso di dire qualcosa ma incapace di trovare le parole. Alla fine allungò un braccio, porgendole quello una giacca imbottita uguale a quelle che indossavano loro.
Rey la prese con cautela, come se potesse scottare.
Alla fine fu Poe a fare un ultimo passo verso di lei e a rompere quel silenzio sempre più soffocante.
“Stai bene?” mormorò.
Lei scosse la testa, ricacciando a fatica le lacrime che di nuovo minacciavano di sfuggirle, e si tuffò verso di loro. I due vacillarono, presi alla sprovvista. Poi l’avvolsero tra le braccia, stringendola quasi a soffocarla. Rimasero così, con le teste che si toccavano, finché l’apprensione non lasciò pian piano la presa dai loro cuori, rimpiazzata dalla fiducia.
Fu di nuovo Poe il primo a sciogliere l’abbraccio. “Forza, andiamo a casa.”
E insieme si avviarono, aggrappati l’un l’altro per tener testa alla bufera, si diressero verso il Falcon.
La roccia scarlatta rimase dov’era, unica testimone di quell’addio che era solo un arrivederci, imperitura guardiana dell’immortalità di Ben Solo.
 

 
 

Note:
La frase di Chewie, quella relativa a Leia, ha un fondamento Canon (se non sbaglio, dovrebbe essere presente nel libro Bloodline).
 

Angolino oscuro dell’autrice:
So che alcuni di voi non saranno molto contenti della presente scelta narrativa, ma era questo il piano originale ed è stato tutto ragionato (“orchestrato”, oserei dire) fin dall’inizio per arrivare a questa conclusione.
Ad ogni modo, manca ancora l’epilogo. Se tutto va bene, arriverà molto più in fretta rispetto a quest’ultimo!
A presto e che la Forza sia sempre con voi,
Helmwige

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Troverai un modo per vivere senza di me.
Troverai un modo per vivere la vita di entrambi.
Paullina Simons
 
Se c’era una cosa che aveva sempre amato, era il profumo del sole che lasciava la sabbia, quell’odore nostalgico e dolciastro che impregnava l’aria e riempiva la testa di ricordi e il cuore di malinconia. Fin da bambina aveva associato quell’aroma alla conclusione delle stancanti giornate lavorative e all’arrivo della frescura della notte, del riposo e dei sogni nascosti tra le stelle.
Adorava sentire la terra rilasciare il calore intrappolato durante il giorno, lentamente, come chi si dilunga a salutare la persona amata pur sapendo che la rivedrà a breve.
Quando era giunta su Tatooine la prima volta, Rey aveva scoperto che lì i tramonti erano ancor più nostalgici di quelli su Jakku. Forse era per quella foschia arancione che intorbidiva l’orizzonte, o per la feroce malinconia che l’aggrediva, facendole percepire il peso dell’ennesimo giorno fra tanti che scivolava dietro le dune.
La vecchiaia aveva iniziato ad appesantire tutto, perfino quell’arrivederci che aveva sempre amato. Da qualche anno ormai la sua vita era diventata monotona. Le giornate avevano preso il vizio di allungarsi a dismisura, troppo per i suoi gusti. Sentiva che le energie avevano iniziato ad abbandonarla, dandole la penosa sensazione di essersi infiacchita, svuotata.
Ma, paradossalmente, la sua impazienza cresceva a dismisura, assumendo tratti quasi adolescenziali e facendo a pugni con la saggezza e la maturità degli anni.
Rey aveva come la sensazione che la sua testa si stesse alleggerendo sempre di più, minacciando di staccarsi dal collo da un momento all’altro e di librarsi libera nell’aria. E il cuore, dal canto suo, si abbandonava ai ricordi.
Aveva avuto una bella vita, Rey.
Certo, non era stata semplice. Dopo gli eventi di Ilum, aveva dovuto lottare con tutta se stessa per non ricadere nel vecchio pozzo nero che già una volta l’aveva inghiottita. Non era stato facile resistere all’amarezza e alla schiacciante solitudine che, di tanto in tanto, bussava insistentemente alla sua porta, ricordandole che era lì ad attenderla. Quella stessa solitudine che per un attimo aveva creduto davvero di poter eludere e sconfiggere definitivamente con qualche goccia di sangue.
Ma Rey non l’aveva fatta rientrare nella sua vita. L’aveva lasciata lì, dietro l’uscio, intravvedendo la sua ombra attraverso la fessura sotto la porta. Aveva sopportato quella presenza notte dopo notte, con il malsano terrore che potesse infiltrarsi prepotentemente nella sua stanza. Ma non era successo, non aveva ceduto. E alla fine la solitudine se ne era andata.
La voragine che le si era aperta nel cuore subito dopo la vittoria su Exegol si era finalmente richiusa, rimarginandosi. Il dolore si era spento pian piano, come la brace di un falò soffocato dalla cenere. Le era rimasta solo una cicatrice frastagliata e per decenni non le aveva più dato fastidio.
Ed era stato davvero un bene, altrimenti non sarebbe mai riuscita a realizzare neanche metà dei progetti che aveva abilmente concluso.
Ben aveva avuto ragione: mantenere la pace nella Galassia liberata non era stato facile come ottenerla.
Alla sconfitta del nemico comune, molti Sistemi avevano richiesto l’indipendenza politica ed economica. La nascente Repubblica inizialmente si era rivelata esile e indifesa, troppo debole e ingenua per affrontare la corruzione e il scetticismo che la minacciavano. I suoi sostenitori, tuttavia, avevano continuato a lottare con la stessa veemenza di sempre, riunendosi nelle sedute di governo, legiferando e discutendo a gran voce nuovi trattati per il commercio fra i Sistemi. Molte erano state le dispute tra i rappresentanti dei diversi Pianeti, e spesso il malcontento era stato tale da far temere nuovi conflitti armati. Ma il buonsenso, la calma e la pazienza avevano dato i loro frutti e, seppur con alti e bassi, la Repubblica era cresciuta sana e forte.
La politica, però, non era mai stata il punto forte di Rey. Presto si era fatta da parte, lasciando spazio a coloro che ne sapevano più di lei.
Finn, ad esempio, aveva scoperto di avere una certa bravura come mediatore. Con il passare del tempo, aveva imparato a mantenere sempre la calma nelle situazioni più tese e si era rivelato particolarmente portato nel mediare tra parti in conflitto. Si era stabilito a Coruscant, che si era riconfermato Centro Galattico, e aveva sposato una nativa. Anche se era stato strappato alla sua famiglia quand’era ancora in fasce, Finn aveva dimostrato da subito un’innata capacità genitoriale e ora, con i suoi ottant’anni sulle spalle, aveva numerosi nipotini al seguito.
Poe, invece, era rimasto la solita testa calda, troppo impulsivo per riuscire a trattare con i vari rappresentanti dei Pianeti. Aveva comprato da un mercante di Chandrila un caccia nero come la pece e aveva messo su una sorta di accademia per giovani piloti. Non si era subito calato facilmente nei panni dell’insegnante, ma con l’esperienza si era confermato un ottimo istruttore di volo. Da qualche anno era tornato sul suo pianeta natale, Yavin 4. Rey se lo immaginava passare le giornate all’ombra del piccolo Uneti, l’albero sensibile alla Forza che Luke Skywalker gli aveva regalato quando era ancora un neonato.
Rey aveva seguito all’incirca le orme di Poe. Aveva setacciato la Galassia in lungo e in largo, alla ricerca di giovani force user. Avere dei padawan, non sempre obbedienti e diligenti, l’aveva messa a dura prova, ma il desiderio di aiutarli a trovare la propria strada l’aveva convinta a fare del suo meglio.
Per decenni, la Jedi aveva passato ogni singola giornata ad osservare le proprie energie fluire nei suoi giovani allievi. Li aveva guardati caricarsi di insegnamenti ed esperienze, mentre lei si riempiva di memorie. Rivedeva i propri ricordi e si beava di come ogni cosa avesse seguito il proprio cammino.
Eppure, anche se gli ultimi tasselli della sua esistenza sembravano andare al loro posto, un nuovo senso di vuoto l’aveva invasa nel vedere tutti i suoi padawan terminare l’addestramento e avviarsi verso le proprie strade. Le avevano ricordato ciò che aveva perso, quello a cui sia lei che Ben avevano rinunciato. Di lì a poco la vecchia ferita aveva ricominciato a dolerle.  La pelle si era fatta sempre più sottile e arrossata finché non si era di nuovo lacerata in due.
Dal nulla, quell’assenza che pensava di aver eluso una volta per tutte era tornata a farle visita… perché le persone non smettono mai di mancarci. A volte pensiamo di esserci abituati alla separazione, ma è solo per un attimo. Ci rimangono dentro, sotto la pelle, e quando meno ce lo aspettiamo tornano a stringerci il petto, come a rivendicarci.
Così si era sentita Rey.
Aveva percepito le dita di Ben graffiarle il cuore, con insistenza, finché dai ricordi non era riemersa una frase, rimasta intrappolata nelle labirintiche grotte di Ilum. Proprio quella frase che Rey aveva tentato di ignorare a lungo, seppellendola dentro di sé. Aveva aspettato per decenni il momento più propizio per uscire… e alla fine la sua pazienza era stata premiata. La voragine che le si era riaperta all’altezza del cuore aveva fatto filtrare luce sufficiente per illuminarla, e ora l’eco risuonava incessantemente nella sua testa, come un mantra.
Ti aspetterò dove il sole incontra il sole.
E così, nel giro di qualche settimana, era approdata a Tatooine, il pianeta che aveva dato i natali alla stirpe degli Skywalker.
Era stato un po’ come tornare a casa.
La sua pelle, ormai resa sottile e rugosa dal tempo, aveva immediatamente riconosciuto il caldo secco del deserto e la violenza dei raggi solari.
Si era inginocchiata, esitante, respirando a pieni polmoni l’odore della sabbia. Se ne era riempita la mani e aveva osservato i granelli scivolare dalle dita con espressione sognante.
Poi aveva visitato la vecchia casa di Anakin, dove Luke aveva vissuto fino alla maggiore età. L’aveva ripulita e messa in ordine quel tanto che bastava per avere un posto sicuro dove dormire e mangiare.
Spesso riceveva le visite dei Java e ogni tanto anche quelle – meno gradite – dei predoni tusken. Trattava con loro, comprava i pezzi di ricambio di cui aveva bisogno e confondeva la mente ai sabbipodi quando la situazione si metteva male.
Ma, soprattutto, Rey aspettava.
Si sedeva per terra e guardava l’orizzonte, fiduciosa, mentre i due soli, Tatoo I e Tatoo II, proiettavano ombre sbilenche sulla sabbia.
Trascorreva ogni sera nella stessa posizione, fissando il tramonto aranciato con insistenza fino a farsi lacrimare gli occhi. Sapeva, sentiva, che sarebbe arrivato, e anche se per settimane aveva atteso inutilmente, non si era scoraggiata. Continuava  a sedere immobile, con le gambe incrociate e la schiena indolenzita, fiduciosa.
Così si trovava anche ora.
Le pupille, ormai stanche e acquose per gli anni, accarezzavano le dune in lontananza che, a contrasto con il crepuscolo, apparivano scure, quasi nere. I due soli, l’uno di fianco all’altro, la osservavano da lontano. I loro contorni apparivano sfuocati, resi indefiniti dalla calura che si preparava ad abbandonare il deserto.
Alla fine, dopo interminabili sere passate ad aspettare, comparve. La sua sagoma azzurrognola si stagliò contro l’orizzonte, luminosa come un astro.
Il cuore di Rey iniziò a tamburellare nervosamente. Le sembrò di essere tornata giovane, appena ventenne. La saggezza e la calma della vecchiaia sparirono, inghiottite da una felicità irruenta e frenetica.
Si alzò a fatica. Le gambe, tremanti per l’emozione, la sostennero a stento.
Ben avanzava verso di lei.
La prima cosa che Rey notò fu l’assenza del mantello. Gli abiti non erano più scuri, come quelli che aveva indossato fino all’ultima volta che lo aveva visto; ora erano chiari, come quelli di Luke.
Si fermò a meno di un metro da lei. Gli occhi sorridevano, illuminandogli il volto sereno e felice. Non erano scuri come lei li ricordava, bensì ambrati.
Rey alzò le mani verso il viso di lui, ma nel vederle le lasciò a mezz’aria, stupita. Non portavano più i segni del tempo, la pelle era di nuovo liscia ed elastica, molto più pallida e luminosa di quanto ricordasse. Il suo corpo era tornato giovane: le gambe erano di nuovo tornite, i muscoli solidi e resistenti. Non sentiva più le articolazioni arrugginite, né le membra affaticate.
Travolta dal dubbio, si voltò, già conscia di quello che avrebbe visto.
Il suo corpo, vecchio e raggrinzito, era disteso sulla sabbia. Lo guardò dissolversi nel nulla, così come era svanito quello del giovane Solo tanti anni prima.
Il suo sguardo tornò a posarsi su quello di Ben. Le dita gli accarezzarono esitanti il viso, le guance, le labbra, il naso, come per assicurarsi che fosse davvero lui. Ma non avrebbe potuto scambiarlo con nessun altro al mondo.
Nel timore che l’elettricità la facesse esplodere da un momento all’altro, si staccò da lui. Ma Ben, tutt’altro che intimorito, l’afferrò. L’attirò contro di sé, con il sorriso soddisfatto di chi, dopo aver aspettato per tutta la vita, riesce finalmente a raggiungere la meritata felicità.
“Vieni, andiamo a casa.”
E così, mano nella mano, si avviarono verso l’eternità.
 



 



Dubitavo che sarei riuscita ad arrivare fino alla fine! Questa è la prima storia che porto a termine, escludendo le one-shot. Per questo motivo, mi sembra doveroso fare dei ringraziamenti.
Innanzitutto, vorrei ringraziare il mio ragazzo, che si è sorbito controvoglia tutti i capitoli. Non è un lettore appassionato, anzi, all’inizio ho dovuto “minacciarlo” per farglieli leggere e per avere un parere maschile. E, soprattutto, ha sopportato i miei numerosissimi film mentali su Adam Driver per mesi e mesi. È l’incarnazione della pazienza.
Menzione speciale per la ragazza che ha pazientemente revisionato ogni singolo capitolo (o quasi) prima della pubblicazione e ha passato gli ultimi mesi a discutere con me di Reylo, Star Wars, film, libri e scrittura. Se siamo giunti fino alla fine, il merito è prevalentemente suo, del suo innato umorismo e della capacità di resistere ai miei sproloqui senza lanciarmi maledizioni. Spero di incontrarti un giorno, giovane Skywalker, nonché di vedere presto il tuo romanzo nelle librerie!
E poi, naturalmente, un grazie infinite a tutti coloro che hanno letto fino a qui, a chi ha seguito in silenzio ma con dedizione e a chi ha speso il suo tempo per scrivermi cosa ne pensava. Grazie, grazie, grazie!
Che la Forza sia con voi, sempre.
Helmwige

 

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