Dammi mille baci

di padme83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 3 gradi ***
Capitolo 2: *** Where do we go from here? ***
Capitolo 3: *** Skin Deep ***
Capitolo 4: *** Incanto ***
Capitolo 5: *** La notte appartiene agli amanti ***
Capitolo 6: *** Specchi ***
Capitolo 7: *** Non è la gelosia ***
Capitolo 8: *** Falling ***
Capitolo 9: *** Parsifal ***
Capitolo 10: *** Là dove il lago è profondo ***
Capitolo 11: *** Una nuova preghiera ***
Capitolo 12: *** Foglie d'autunno ***
Capitolo 13: *** Come la neve sui prati bianchi ***
Capitolo 14: *** Nella bolla ***
Capitolo 15: *** Cocci ***
Capitolo 16: *** Mi guardi e mi bruci ***
Capitolo 17: *** Solo un giorno di fine estate ***
Capitolo 18: *** Metensomatosis ***
Capitolo 19: *** Pazzo di luce ***
Capitolo 20: *** Zhī Jǐ ***



Capitolo 1
*** 3 gradi ***


I cuori impavidi amano il cuore della notte.
(Luther Blisset - Q)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
~ 3 gradi ~
 
 
 
 
 
 
 
Con le mani tra i capelli
e la pelle che si tocca,
fumo bianco dalla bocca
dammi ancora le tue labbra,

quella notte non finiva mai,
no, no, no, no.
 
 
 
 

 
«Dove andiamo?»
Lo chiedi ansimando, la bocca incollata alla sua, le mani affondate nei suoi capelli arruffati.
Attorno a voi l’oscurità è fitta, opprimente; l’aria umida ghiaccia le ossa e la città addormentata vi racchiude in un abbraccio spettrale, nero di nebbia e fuliggine. Tutto appare fumoso, cupo, privo di forme e contorni definiti.
Sembra quasi un sogno.
Fa freddo, questa notte, fa un freddo maledetto ma tu neanche te ne rendi conto – il suo corpo, schiacciato addosso al tuo, brucia e freme e ribolle come il cuore ardente di una fornace.
Albus.
Sapevi che sarebbe finita così (quando ci siete voi due di mezzo finisce sempre così).
«Non c’è bisogno di andare da nessuna parte», replica, serafico, senza smettere un solo istante di martoriarti le guance e il mento; tieni gli occhi chiusi – la testa gettata all’indietro, la gola esposta ai suoi baci feroci – eppure avverti chiaramente le sue labbra calde incresparsi e tendersi in un ghigno furbo, lupesco, perfido.
«Che hai in mente stavolta?»
Non perde tempo a rispondere. Con un gesto brusco ti afferra le natiche e ti solleva da terra, spingendoti a forza contro un muro. Ti avvinghi, ti àncori a lui, incrociando polpacci e caviglie alla base della sua schiena; ti aggrappi alle sue spalle e cominci a leccargli il collo, ne torturi a larghi morsi la curva sinuosa, mentre le sue dita agili già corrono a infilarsi fra le asole slacciate dei pantaloni.
Ti lasci sfuggire un rantolo basso, frustrato.
Sei un mago o cosa? Avanti, falli sparire!
Ride.
Ride forte, l’impudente.
Stringi di colpo le cosce intorno ai suoi fianchi, piccato, rubandogli un gemito roco che subito tenta di soffocare e nascondere.
Lui e il suo fottuto orgoglio.
Ti cerca, di nuovo, ti cattura la lingua fra i denti e succhia, succhia per Dio, succhia come se volesse strapparti via l'anima dal petto.
Ai tuoi ordini, mia Signora.
Il movimento è appena percepibile – non gli serve certo la bacchetta, per una sciocchezza simile. Trattieni il fiato, assaporando ogni sussulto, ogni sospiro bagnato, ogni brivido che irradia dal ventre e si inerpica furibondo lungo la spina dorsale.
Ora più niente rimane a dividervi.
La sua pelle sulla tua è fuoco liquido, seta disciolta, vetro fuso. È il nucleo rovente e fiammeggiante del Sole.
Dammene ancora, dammene di più.
La sua eccitazione – la vostra eccitazione – è un oceano in tempesta, una corrente vorticosa e selvaggia, un vulcano attivo in procinto di esplodere.
Di più, di più, oh, di più –
«Hai ragione», mormori infine, con voce spezzata, un attimo prima di sentirlo scivolare dolcemente, totalmente, inesorabilmente in te – non farmi aspettare, non farmi aspettare, non farmi aspettare –
«Non c’è bisogno di andare da nessuna parte.»
 
 
 
 
 
 
 
3 gradi sembravano 20
3 gradi sulle scale, i vestiti fra i denti,
fuori con la luna piena sulla testa,
3 gradi e basta.
3 gradi sembravano 100

come brucia il tempo quando ci sei dentro,
ancora non mi passa,
3 gradi e basta.
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 451}
 
 
 



 
 
 
 
 


 
Nota:

Niente, è nata così e così ve la beccate. Just for fun 😊
 
Soundtrack3 gradi, Diego Conti (voi non potete capire quanto mi faccia impazzire questa canzone! XD).
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa flashina-ina-ina in uno degli elenchi messi a disposizione da EFP.
 
Alla prossima!
 
Un bacio :*
 
 
padme

EDIT: la flashina-ina-ina non è rimasta da sola, ma ha dato il via ad una nuova raccolta. Se vi va, altre entusiasmanti (dis)avventure vi aspettano! Dovete solo cliccare sul prossimo capitolo ^^

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Capitolo 2
*** Where do we go from here? ***


Finalmente mi hai baciato.
Vado a dormire con il cielo in bocca.
(Franco Arminio – L’infinito senza farci caso)[1]
 
 
 
 
 
 
 
 
 
~ Where do we go from here? ~
 
 
 
 
 
 
 
There's no place to call our own,
like a drifting haze we roam.
 
 
 
 

 
Ci sono momenti in cui ti sembra di impazzire se lui non è accanto a te, attimi dannati in cui ti si mozza il fiato in gola al pensiero di dover aspettare ore – o forse anni? Secoli? Millenni? – prima di poterlo stringere di nuovo fra le braccia.
Durante il giorno siete costretti a mantenere le distanze, anche se è difficile – impossibile, quasi – tentare di nascondere, mascherare, imbrigliare la smania incontrollata che vi tortura le dita, il tremito feroce che vi scuote le labbra, ancora umide di baci, i brividi al ventre quando i vostri occhi si incontrano, dopo essersi cercati, rincorsi e negati a lungo, senza tregua, senza vergogna.
Senza speranza.
«Sono solo bambini, cosa vuoi che capiscano?»
È lui a ripeterlo, sempre, rompendo la quiete dei vostri incontri, intervalli fugaci che, infine, riesci a strappare ad una quotidianità ristretta, oppressiva, mortificante, decisamente complicata da gestire – e troppo, troppo dolorosa da sopportare.
«Non è questo il punto. E anche se fosse, mi sono stati affidati. Non posso lasciarli soli.»
Lo stai già facendo.
Quello sguardo…
Gellert non giudica, mai.
Gellert non mostra pietà.
Non rispondi – non serve, non c’è niente da aggiungere –, lo attiri a te e ti concentri su altro, sui piccoli – preziosi, immensi – particolari che la tua mente affilata raccoglie, analizza e poi sigilla, laggiù, dentro i risvolti più profondi, oscuri e segreti della tua anima. Il riverbero del cielo stellato che si specchia nelle sue iridi liquide, ardenti di desiderio; il sussurro placido del vento fra gli alberi; il calore del suo corpo, premuto addosso al tuo; il bubbolare sommesso e lontano di un gufo; lo sfavillio di un bottone in madreperla, la sensazione della seta sotto i polpastrelli sudati, mentre, con lentezza estenuante, vi liberate entrambi dall’impaccio delle camicie; il profumo d’erba fresca e di terra, che si mischia al vostro, e un poco stordisce; il mormorio basso della sua voce – ti prego, mio blu, ti prego 
, una cantilena struggente e dolcissima in grado di annodare lo stomaco, artigliare il petto e arrivare dritta al cuore; le sue mani che affondano tra i tuoi capelli, si aggrappano alle spalle tese, scivolano piano lungo le scapole e alla fine raggiungono i fianchi, che sfiorano e accarezzano e imprigionano in una morsa rovente, inesorabile.
Uno spasmo di piacere, un sospiro ricolmo d’estasi.
Un bisogno così forte e disperato da lasciarvi i lividi.
Il Tempo si espande e si contrae
 per voi, soltanto per voi, esclusivamente per voi –, ogni istante racchiude in sé una luce intensa e vibrante – crudele e accecante –, uno scampolo d’infinito, una luminosa scintilla d’eternità.
La sua pelle e la sua bocca contro la tua.
Finalmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
Where do we go from here?
Where do we go from here?
How do you fly with no wings?
How do you breathe without dreams?
Where do we go from here?
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 442}
 
 
 

 
[1] Sempre grazie alla pagina fb Bohemian_Rapsody per queste magnifiche perle.


 
 
 
 
Questo capitolo partecipa alla Flash Challenge: Bacio indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di Efp.
Prompt 42: baciarsi di nascosto.


 
 
 
 
Nota:
 
Ed eccomi qui, di nuovo a tediarvi. Contenti, eh?  ^^
 
Però questa volta non è del tutto colpa mia: la challenge del gruppo FB Il Giardino di EFP era troppo ghiotta per non darci almeno un’occhiata come se comunque non avessi già fatto baciare questi due tordi in ogni modo possibile nell’ultimo anno e mezzo
 
Ehm. Dicevo.
 
I prompt sono parecchi e tutti quanti interessanti, ma il periodo è davvero, davvero difficile, per cui la speranza in realtà è di riuscire a tirare fuori altre due flash, ma sinceramente non garantisco. Come al solito, vediamo come va.
 
Intanto ho incorporato nella raccolta anche la flash “3 gradi”, non è nata da un prompt ma l’argomento in definitiva è sempre lo stesso. Cosa c’entro io se i due tordi di cui sopra non sono capaci di non mettersi le mani – e pure tutto il resto – addosso? XD
 
Il titolo è ovviamente il famosissimo verso del Carme V di Catullo.
 
SoundtrackWhere do we go from here, Ruelle.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa nuova raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
A presto!
 
Baci e abbracci :*
 
 
padme




N.B per i naviganti che si dovessero trovare da queste parti per la prima volta:
 se siete interessati, cliccate sul link alla serie, ho inserito una piccola introduzione che dovrebbe aiutarvi a raccapezzarvi meglio in questo guazzabuglio di storie ^^

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Capitolo 3
*** Skin Deep ***


Ho attraversato gli oceani del Tempo per trovarti.
(Francis Ford Coppola – Dracula di Bram Stoker, film 1992)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
~ Skin Deep ~
 
 
 
 
 
 
 
Once I traveled seven seas to find my love,
and once I sang seven hundred songs.
Well, maybe I still have to walk

seven thousand miles
until I find the one that I belong.
 
 
 
 

 
«Alla buon’ora.»
Ostenti un’indolente noncuranza, gli occhi fissi dinnanzi a te, a sfiorare quasi con devozione la grande parete tappezzata da cima a fondo di mogano scuro e libri. La biblioteca – imponente e antica, austera e fornitissima – è l’unico ambiente della casa di tua zia in grado di esercitare su di te un fascino irresistibile.
Avverti lo sguardo di Albus pizzicarti la nuca, e non fatichi affatto a immaginare il cipiglio cupo che di sicuro gli adombra il bel volto, la smorfia frustrata e indispettita che inevitabilmente distorce la curva morbida del suo sorriso.
«Sono riuscito a liberarmi soltanto adesso. Ariana non ne voleva sapere di dormire tranquilla, e Aberforth… è Aberforth. Non perde mai l’occasione di rendersi insopportabile.»
Ti si avvicina a passi nervosi, deluso dalla tua sfacciata indifferenza. In realtà, sei scontento e arrabbiato quanto lui, ma non hai nessuna intenzione di voltarti – non ancora, almeno.
«Non importa, sono comunque riuscito a trovare qualche informazione interessante. Da solo» – ti premuri di sottolinearlo.
Cominci a inerpicarti su di una piccola scala malandata e traballante, nell’incauto tentativo di prendere due tomi polverosi dallo scaffale più alto della libreria. Potresti usare la bacchetta, naturalmente; tuttavia, per chissà quale assurdo motivo, senti l’impellente bisogno di muoverti, di mostrarti, e di portare a termine questa banale operazione senza l’ausilio della magia.
«Secondo te quanti anni ha questa scala, trecento, forse?»
«Anche di più, mi sa. E credo che tua zia si aspetti che venga trattata con il dovuto rispetto.»
È un attimo.
Un’impercettibile distrazione – una risata che affiora appena sulle labbra –, un piede in fallo, e l’urto con il pavimento che però non avviene.
Ma non è certo un incantesimo a impedirti di cadere.
Annaspi, ingoiando bolle d’aria rovente, la voce incastrata in gola, la pelle d’improvviso sensibile a tutto e percorsa da brividi caldi, travolgenti.
Sollevi le palpebre – piano, piano – e sei lì, proprio lì, stretto fra le sue braccia – dove ogni notte sogni di essere.
Immobile, Albus ti avvolge, ti sostiene – delicato come una piuma, ardente più del fuoco – e ti guarda fino a scavarti un buco nell’anima.
Per un momento sei tentato dal folle desiderio di girare la testa, e sorprendere così la sua bocca a pochissima distanza dalla tua, ma qualcosa ti trattiene. Una stella luminosa, abbagliante, divampa nelle sue iridi magnetiche, cristalline, tinte con l’azzurro di un limpido cielo d’estate. Da qualche parte, nelle profondità più intime e segrete del tuo corpo, una sottile vibrazione risponde, ed è intensa e sconvolgente e nuova – eppure inconfondibile, pervasiva, conosciuta. Arriva e passa, simile ad un frullo di ali prigioniere, talmente breve e fugace da lasciarti a stento sicuro di averla percepita davvero.
No, no. La verità è che non hai alcun dubbio.
Ora sai.
Quando, dopo minuti interminabili (apparsi tali sia a te che a lui, ne sei convinto), Albus si riscuote e ti posa con dolcezza a terra, un unico pensiero ti attraversa la mente, rapido come un lampo, terribile e meraviglioso ad un tempo.
Sei tu, sei tu, sei tu.
Finalmente ti ho ritrovato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Once I crossed seven rivers to find my love,
and once for seven years I forgot my name.
Well, if I have to, I will die

seven deaths just to lie
in the arms of my eversleeping aim.

 
I will rest my head side by side
to the one that stays in the night,
I will lose my breath in my last words of sorrow.
And whatever comes will come soon,
dying I will pray to the moon
that there once will be a better tomorrow.
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 508}
 
 


 
 
 
 
"Questa storia partecipa alla Flash Challenge: Bacio indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di Efp".
Prompt 31: un quasi-bacio.


 
 
 

 
Nota:

 
Buon pomeriggio e buona domenica a tutt*!
 
Allora, l’avete riconosciuta? Ma sì, è proprio lei, l’iconica scena Rumbelle che appare in Skin Deep, l’episodio di Once upon a time che introduce per la prima volta Belle e la storyline de “La Bella e la Bestia”. Non sono riuscita a resistere alla tentazione, credo comunque che Belle non se ne avrebbe a male, anzi, immagino che ne sarebbe felice (e di sicuro adorerebbe sia Albus che Gellert, uno più dell’altro XD). Rumplestiltskin invece… beh, forse è meglio che lui non lo sappia. Confido nella vostra discrezione.
 
Spero che questa flash vi sia piaciuta, io mi sono emozionata molto a scriverla (unendo così due tra le mie più grandi OTP), e se vi va di farmi sapere cosa ne pensate, mi farete felice 😊
 
SoundtrackEversleeping, Xandria.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà la raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Mi scuso veramente, VERAMENTE TANTISSIMO per essere rimasta così indietro con le risposte alle recensioni. Sappiate che ogni parola è letta e apprezzata e mi arriva dritta al cuore (non dubitatene mai!), ma quando dico che il periodo è difficile beh, è perché lo è sul serio. Vorrei davvero poterVi dedicare più tempo, faccio il possibile, ma non sempre ci riesco. Spero che possiate comprendere, metto molta passione in quello che scrivo, ma più di questo non riesco a fare. Mi dispiace.
 
Lagne a parte, vorrei tenere questa raccolta aperta almeno per un altro po’, anche a prescindere dalla challenge. Sta diventando una sorta di comfort-zone, e mi risulta difficile rinunciarvi.
 
Alla prossima, dunque!
 
Un bacio :*
 
 
padme

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Capitolo 4
*** Incanto ***


L'amavo contro ogni possibile ragione, promessa, pace, speranza, felicità, contro ogni possibile scoraggiamento.
(Charles Dickens - Grandi Speranze)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
~ Incanto ~
 
 
 
 
 
 
 
First day of love never comes back,
a passionate hour's never a wasted one.
The violin, the poet's hand
every thawing heart plays your theme with care
.”
 
 
 
 

 
È così che vi piace fare l’amore.
Mentre la pioggia batte leggera sul tetto e la stanza è rischiarata appena dal fioco bagliore di una candela.
Vi siete svegliati nel medesimo istante, quando il ticchettio delle gocce contro i vetri si è fatto d’improvviso più insistente. Non c’è stato bisogno di parlare – fra voi non è mai necessario, mai. Vi siete persi l’uno nello sguardo dell’altro, ancora una volta, e le vostre mani si sono mosse all’unisono, quasi fossero animate da una volontà propria, libera, indomita. In silenzio, immobili, le dita intrecciate, vi siete arresi al richiamo di un bacio lento, delicato, profondo – un soffio tiepido disciolto sulla pelle nuda, una carezza tanto vivida e intima da lasciarvi scossi, senza fiato, increduli.
Baciami, continua a baciarmi. Non smettere, non smettere, per nessuna ragione al mondo, non smettere.
Vellutate, docili, tremanti sotto il tuo tocco, le sue labbra si schiudono – ti accolgono, ti assolvono –, e si offrono con l’immediato slancio di un bocciolo di rosa proteso verso il primo sole del mattino.
Aspetta, aspetta, non c’è fretta, ci siamo solo noi, solo noi, il mondo non esiste.
Ti scosti un poco. Le sue iridi fiammeggiano e anche nella penombra ti incatenano. Ciocche dorate sciamano sopra i cuscini e incorniciano il suo volto affilato, bianco, luminoso.
Bellissimo. Sei bellissimo.
Ti guarda e sorride – ti cerca, ti provoca, ti pretende, non deve chiedere, non serve, sei già suo.
Sfiori la seta delle sue braccia, delle sue spalle eleganti, del suo collo sinuoso e perfetto.
Quiete, dolcezza, incanto. Desiderio. Nell’aria soltanto l'eco dei vostri sospiri rotti, imprudenti.
La sua bocca vermiglia è la mela del Giardino dell’Eden – e Gellert è il serpente tentatore, le sue spire avvolgono le tue membra e i tuoi sensi, le avverti intorno a te, addosso a te, tralci di rami, di foglie, di petali sanguigni.
Il suo respiro. Onda d’oceano che si infrange sugli scogli, impetuosa e magnifica. Spuma candida, brezza salmastra. Afrodite che nasce dal mare.
Lo vuoi.
Lo vuoi follemente, intensamente.
Ti muovi su di lui, dentro di lui, che è caldo e meraviglioso e danza insieme a te, si aggrappa ai tuoi fianchi tesi, ti stringe forte, forte, forte tra le cosce e ti fa male – oh, Dio, no, no, no! Non è vero, è puro piacere – piacere immenso, incontenibile –, è ebbrezza feroce, fuoco ultraterreno quello che senti scorrere e ruggire nelle vene. Siete un’unica cosa – ora, sempre –, un unico spirito, un unico corpo, un unico cuore.
La pioggia cade, cade, sottile, non si ferma e vi sommerge, vi travolge, vi protegge, testimone fidata e discreta del vostro amore. Sussurra favole di innamorati, prima di voi, fra le stesse lenzuola umide e vestiti sfatti dimenticati in un angolo. Racconta di notti insonni, di gemiti soffocati con furia tra i denti, di amanti felici e pazzi come voi, legati come voi, disperati come voi.
Ma nessuno è come voi.
«Ti amo.»
I suoi occhi allacciati ai tuoi.
«Ti amo.»
Come in specchi gemelli che si riflettono all’infinito[1].
Ricominciamo, mio blu?
L’alba è ancora lontana.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Kiss while your lips are still red,
while he's still silent
rest while bosom is still untouched, unveiled.
Hold another hand while the hand's still without a tool,
drown into eyes while they're still blind.
Love while the night still hides the withering dawn.
 
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 509}
 
 


 
 
[1] Joyce Carol Oates, Sorella, mio unico amore.
 
 
 
Questa storia è nata sviluppando il prompt idillio proposto da AleDic all’interno dell’attività Il mio proflilo del gruppo fb “C’era una volta con un prompt”.
 
 
 


 
Nota:

Buona sera a tutt* e ben ritrovati <3
 
Innanzitutto, come state? Come state affrontando questi giorni terribili? Avete la possibilità di stare a casa? Io mi auguro con tutto il cuore che stiate bene, e con voi le vostre famiglie. Non so nemmeno cosa dire in realtà, è tutto talmente spaventoso che faccio davvero fatica a trovare le parole adatte. Per quanto mi riguarda, sono ormai più di tre settimane che resto a casa con i bambini, e ogni mio sforzo durante la giornata è rivolto a loro, per fargli pesare il meno possibile questa situazione del tutto nuova in cui ci siamo venuti a trovare. Non ho tempo per nulla, e anche per buttare giù queste poche parole ci ho messo in pratica un’eternità. Ma, come scrivevo la scorsa volta, questa raccolta è diventata una specie di rifugio e ogni tanto, per la mia stessa salute mentale, non posso fare a meno di tornarci. Spero che questo quarto capitolo vi sia piaciuto, se devo essere sincera non so nemmeno io cosa ho scritto, ma se vi ho fatto evadere per qualche minuto non posso che essere felice.
 
Soundtrack: While your lips are still red, Nightwish.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà la raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un abbraccio forte, fortissimo, virtuale ma non meno caloroso e sentito :*
 
#andràtuttobene
 
 
 
padme
 
 
 
N.B: ho aperto un account Instagram. Se volete seguirmi anche lì – dove posto tutti i miei aesthetic a tema, e non solo – vi lascio il link https://www.instagram.com/padme83_efp/
 
 

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Capitolo 5
*** La notte appartiene agli amanti ***


A Marta, con infinita gratitudine <3



Brace d’inverno,
I capelli tuoi,
Dove il mio cuore brucia.
(Stephen King – IT)
 
 
 
 
 
 
 
 
~ La notte appartiene agli amanti ~
 
 
 
 
 
 
 
Take me now, baby, here as I am,
pull me close, try and understand.
Desire is hunger is the fire I breathe,
love is a banquet on which we feed.

Come on now try and understand
the way I feel when I'm in your hands.
Take my hand come undercover,
they can't hurt you now,
can't hurt you now,

can't hurt you now.
 
 
 
 

 
Sto arrivando.
La sua voce echeggia limpida nella tua mente, simile al rintocco vibrante di un’antica campana d’argento.
Sorridi tuo malgrado, rilassando i muscoli intorpiditi, mentre osservi distratto le nuvole sopra Godric’s Hollow addensarsi e farsi rapidamente più cupe.
La brezza che entra dall’abbaino è fresca e satura di umidità, e lascia presagire l'avvento di un temporale coi fiocchi prima del calar della sera.
Albus si materializza al centro esatto della stanza, coperto da un velo di polvere violacea; avanza verso di te a passi decisi, senza esitare, il portamento spavaldo e fiero, le iridi color oltremare illuminate dal sollievo – dalla gioia? – di essere finalmente qui, accanto a te.
Non dire niente.
Mi dispiace, dovevo…
Non. Dire. Niente.
Ti raggiunge e si accomoda al tuo fianco, nel vano della finestra, limitandosi a sollevare il capo verso l’alto e a fissare con distacco la coltre di nubi che si staglia minacciosa oltre il profilo degli alberi. Fischietta una nenia priva di senso, sul viso un'espressione assorta, imperturbabile, irraggiungibile. In fondo, rifletti, ti conosce davvero troppo, troppo bene, per offendersi sul serio – è una conoscenza intima e reciproca, la vostra, e, del resto, tu pure sai che ora si divertirà a fingere di ripagarti con la medesima indifferenza, almeno per un po’.
Rimanete così, in silenzio, immobili, a guardar svanire nel nulla minuti che appaiono eterni, perdendovi tra i sibili del vento e il fruscio della pioggia che inizia a scrosciare impetuosa sul tetto.
All'improvviso, con un gesto che a te sembra lentissimo – ma è in un battito di ciglia, in realtà, che tutto si consuma – Albus si volta, alza una mano e si impadronisce di una ciocca dei tuoi capelli; li vezzeggia a lungo, sfiorandoli dolcemente e intrecciandoli con cautela fra le dita. È tanto vicino che ne percepisci il calore del corpo e il profumo – profumo di tè, sole e rose bianche –, un sentore talmente vivido e inebriante da non poter in alcun modo resistervi.
Trattieni il fiato, reprimendo a stento un sospiro, perché non c'è altro che delicatezza, nel suo giocare, e meraviglia, e tenero stupore, come se tra le falangi gli fluisse la seta più preziosa, la lana più morbida, l'oro più puro.
Si scosta un poco e scende piano, dalla nuca al collo, ne accarezza calmo l’epidermide sensibile, quasi con devozione, e il tocco bruciante dei suoi polpastrelli invia potenti scariche elettriche al tuo bassoventre. I tuoi pensieri vagano, sconnessi, d’un tratto ricolmi d’immagini nitide, intense, persino violente – immagini di voi, di lui, sotto, sopra e ovunque attorno a te.
Sussulti, pervaso da un’eccitazione immediata, feroce, impossibile da controllare o nascondere. Albus ti afferra per le braccia e ti attira a sé, trascinandoti sul pavimento; si siede e poggia la schiena al muro, le unghie artigliate ai tuoi fianchi, lo sguardo già offuscato, liquido, smarrito nel tuo. Non c’è più spazio per la gentilezza, adesso. I suoi occhi, ardenti come scintille di fuoco, splendono e nel buio ti trafiggono, ti scuoiano, ti risucchiano – parlano, cantano, urlano – io ti voglio, ti voglio, ti voglio –
Obbedisci al suo tacito comando, ti spogli in fretta e ti soffermi ad ammirarlo, estasiato, mentre a sua volta si libera di ogni singolo strato di stoffa che ancora si ostina a interporsi fra te e la sua pelle.
Allarghi le gambe e gli cadi addosso, gli circondi il busto e lo stringi con furia tra le cosce – e il soffio roco che riesci a strappare dalle sue labbra è una melodia sublime che avverti risuonare sin dentro le ossa. Ti chini sul suo volto e ti impossessi della sua bocca umida, la costringi a schiudersi in risposta ai tuoi assalti avidi, disperati, la mordi e ti fai mordere, mischiando il tuo sangue al suo.
Se mi vuoi allora prendimi, non aspettare. Penetrami, squarciami, pianta in me radici d’acciaio, scavami nelle viscere, negli abissi più profondi e riempimi fino a farmi scoppiare.
Un lampo opalino lacera la fitta penombra che vi avvolge e, per un istante, la sua luce irrora d’azzurro il pallore dei vostri corpi diafani, sudati, crocifissi l’uno sull’altro.
Albus cattura le tue mani, annodandole alle sue, poi si inarca sicuro contro di te e ti affonda tra i glutei con un’unica spinta. Serri le palpebre, la testa gettata all’indietro, l’addome esposto ai suoi baci roventi, e ti abbandoni a lui, ti consacri al piacere di un rito che, ogni volta, entrambi siete chiamati a venerare e celebrare insieme – vivamus, mea Lesbia, atque amemus. Ti aggrappi alle sue spalle e gli offri tutto te stesso, assecondando il desiderio folle, l’urgenza primordiale, il bisogno straziante dei suoi movimenti.
Mio
Dimmi che sei mio
Mio
Mio
Mio
Solo mio

Tuo
Sono tuo
Tuo
Tuo
Tuo
Solo tuo

Dillo di nuovo
I vostri respiri si fondono e s’infrangono nell’oscurità rarefatta del crepuscolo – non ti fermare, ti prego, non ti fermare, non ti fermare –  
Il mondo, là fuori, scompare nel fragore della tempesta e infine si dissolve fra le tenebre, accompagnato da un ultimo, terrificante, glorioso rombo di tuono – resta con me, non te ne andare, non te ne andare, resta con me –
La notte, per voi, è appena cominciata.
 
 
 
 
 
 
Because the night belongs to lovers,
because the night belongs to lust.
Because the night belongs to lovers,
because the night belongs to us.
 
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 852}

 
 


 
 
 
 
 
Nota:

 
Buonasera\buonanotte a tutt*!
 
Abbiate pazienza, so che questo capitolo non è un gran che, il periodo del resto sapete bene com’è, sto seriamente dando segni di cedimento per cui sono in qualche modo regredita alle origini, quando per essere felice avevo bisogno di sapere questi due insieme, possibilmente a rotolarsi sopra un letto (o sul pavimento, a questo punto va bene tutto). Come dite? In realtà da queste parti quel periodo non è mai finito? Ah beh, allora non ci sono problemi.
 
Non ho niente da aggiungere, se non il rinnovato augurio unito alla speranza che stiate tutt* bene, voi e le persone a voi care, e che questo momento terribile prima o poi (più poi che prima ormai) possa finire.
 
Soundtrack (un classicone stavolta): Because the night, Patti Smith.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà la raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un bacio grande :*
 
 
 
padme
 
 
 
N.B: vi ricordo che ho aperto un account Instagram. Se volete seguirmi anche lì – dove posto tutti i miei aesthetic a tema, e non solo – ecco il link https://www.instagram.com/padme83_efp/

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Capitolo 6
*** Specchi ***


Tutto è lì. Le migliaia di riflessi
lasciati dal tuo volto tra i crepuscoli
dell’alba e della sera negli specchi
e quelli che continuerà a lasciare.

(Jorge Louis Borges - L'altro, lo stesso)
 
 
 
 
 
 
 
~ Specchi ~
 
 
 
 
 
 
 
We are forever as one in what remains,
you're in my blood from the cradle to the grave.
I don't like to think about the pieces or the cracks
and the breaks that still remain.
If I could breathe, I'd ask you…”
 
 
 
 

 

 
C’è uno specchio, in camera di tua madre.
È antico e massiccio, dono di nozze di una lontana parente. Un drappo scuro e consunto in parte lo copre; quando ti decidi a rimuoverlo, un’impalpabile nuvola di polvere s'innalza nell’aria – del resto, da tempo Kendra faceva a meno del suo aiuto, la mattina, per domare la lunga chioma fulva e sistemarsi il corsetto.
Ti concedi qualche minuto – una breve parentesi di tranquillità – e osservi con attenzione la tua immagine riflessa: ti sembra di essere cambiato, e di molto, negli ultimi mesi, ma non sono certo le spalle più ampie e l’addome tornito a suggerirlo, né le ombre cupe che coronano le palpebre, o la linea affilata e indurita del mento.
Qualcosa si è acceso, nel tuo sguardo, una scintilla nuova e indefinibile e tuttavia vivida, intensa, splendente.
Sorridi. Dalla scollatura della camicia fa capolino una piccola macchia violacea – un altro segno, una prova eloquente.
Un marchio.
«Che fai? Ammiri quanto sei bello?»
Finalmente.
Non ti volti – non è necessario, lui è già dietro di te. I vostri occhi si incontrano, gemme d’ambra, acquamarina e turchese che la superficie imperfetta del vetro non riesce comunque a privare del loro limpido fulgore.
«Tu che dici?»
«Non c’è male, ma sai bene che ti preferisco svestito».
«Herr Grindelwald, così mi fai arrossire».
Ah sì? Ne sei ancora capace? Buono a sapersi.
Non ci contare.
Lo attiri a te e gli rubi un bacio – un bacio avido e profondo, lento e disperato –, poi ti scosti e lo racchiudi fra le braccia, invitandolo a poggiare la schiena contro il tuo petto. Gli mordi il collo, dolcemente, senza smettere un solo istante di bearti della bellezza dei vostri corpi allacciati, replicati nello specchio e anche lì uniti, indivisibili.
Apri gli occhi. Tienili aperti. Guarda, guarda quale immenso miracolo possiamo essere insieme.
Avverti la sua pelle fremere ad un soffio dalla bocca, e il suo richiamo è irresistibile. Gli sfiori con la lingua l’arco sensibile della clavicola, vezzeggiandolo appena – avrai modo, più tardi (tra poco), di restituirgli il favore con il dovuto scrupolo.
«Ci sono vari tipi di specchi magici al mondo», mormora piano, la voce ridotta ad un gorgoglio basso, roco, «specchi creati per dare risposta a qualsiasi domanda, sia che essa riguardi il passato, il presente o il futuro, specchi pervasi da incantesimi tanto potenti e complessi da mostrare a chi li interroga universi sconosciuti, persino inconoscibili, specchi custodi di verità e misteri talmente impenetrabili da essere al di là di ogni umana comprensione».
«Davvero?» sussurri sulle sue labbra, simulando divertito un candido stupore, «Ma non mi dire».
Un sospiro umido gli sfugge – oh, andiamo, stai scherzando? – lo raccogli al volo e immediato il suo sapore ti invade, ti inebria, ti colma la gola di miele bollente.
Approfitti della sua momentanea – apparente? – distrazione per infilare le mani sotto i risvolti dell’austera blusa che ancora indossa – toglimela, mio blu, avanti, toglimela. Gli accarezzi il ventre a tocchi leggeri, disegni minuscoli cerchi intorno all’ombelico, segui i solchi tesi e definiti dei muscoli, partendo dai fianchi fino a raggiungere la curva sinuosa dell’inguine, e intanto, in silenzio, lo ascolti.
«Altri, invece, pare che siano in grado di scavare a fondo dentro l’animo di un uomo, di svelarne i bisogni nascosti, i desideri più oscuri e segreti».
Perché non riflettono il volto, bensì il cuore.
«Ne hai visto uno?»
«No, ma so che esiste, da qualche parte».[1]
Ci pensi mai? A ciò che potresti vedere in quello specchio?
Esiti. La luce calda del crepuscolo filtra dalla finestra e si riversa liquida sopra i suoi capelli arruffati; onde seriche si diramano oltre le tue spalle, laddove la sua bella testa riposa quieta, incorniciata da cascate zampillanti d’oro fuso e purissimo.
Torni a fissare lo specchio. Di nuovo – sempre –, trovi le sue iridi ardenti ad aspettarti e accoglierti.
Questo, bredhu.
Ti chini su di lui e cerchi le sue mani, le catturi, le stringi con forza tra le tue – le baci, le assapori, le veneri.
L’intreccio delle vostre dita è un cordone d’acciaio, una catena dura e invincibile, un nodo di sangue – e di ossa, e di carne – impossibile da sciogliere.
Non vedrei altro che questo.
 
 
 
 
 
 
 
“… To look in my mercy mirror
I need you more than I have known.
To look in my mercy mirror
'cause I'm not ready to let you go.
Now I know, now I know
I'm not ready to let you go.
 
 
 
 

 
 
{Words Count: 697}
 
 
 

 
[1] lo Specchio delle Brame viene portato a Hogwarts quando? O è sempre stato lì? Boh. In qualsiasi caso, ho dato per scontato che Albus da studente non abbia avuto modo di imbattercisi. Sa della sua esistenza, ovviamente, ma sarà solo più avanti, da Professore che, diciamo, imparerà suo malgrado ad averci a che fare.
 

 
 
 
 
 
 
Nota:

Buon pomeriggio e buona domenica a tutt*!
 
Eccomi di nuovo qui ^^
 
Non ho niente di particolare da dire, se non che siamo alla vigilia della tanto agognata fase 2 e io sinceramente non so se essere sollevata oppure ancora più terrorizzata. Va da sé che per me cambia poco o nulla, perché i bambini restano comunque a casa, e chissà quando, se e come gli asili riapriranno. Sono abbastanza scoraggiata, lo ammetto. Il capitolo viaggia allegramente su altissimi livelli di mediocrità, come il precedente, ma data la situazione non penso di poter chiedere di più a quel povero, unico neurone che si ostina a non volermi abbandonare.
 
Spero col cuore che stiate tutt* bene <3
 
Soundtrack: Mercy Mirror, Within Temptation.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà la raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un grazie ENORME a chi lo ha già fatto <3

Il prossimo capitolo sarà l’ultimo, e se tutto va come deve andare... aspettatevi sorprese ;-)
 
Un abbraccio :*
 
 
 
padme
 
 
 

 

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Capitolo 7
*** Non è la gelosia ***


Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore.
È un mostro dagli occhi verdi
che dileggia il cibo di cui si nutre. […]
Ma oh, come conta i minuti della sua dannazione
chi ama e sospetta; sospetta e si strugge d'amore!
(William Shakespeare – Otello)
 
 
 
 
 
 
 
~ Non è la gelosia ~
 
 
 
 
 
 
 
Se non è la gelosia
quale fuoco nella notte
accende la tua fantasia?
 
 
 
 

 
Non sarebbe dovuto tornare.
Lo hai presagito subito, nell’attimo stesso in cui è comparso sul limitare del vialetto, un’ombra tremula e solitaria ammantata dal rosso cupo di un afoso tramonto d’agosto.
Pochi istanti, il tempo necessario a riconoscerlo, e Albus gli è corso incontro, il volto acceso da un sorriso caloroso, abbagliante, ricolmo di gioia purissima.
«Ti presento Elphias, Elphias Doge. Te ne ho parlato, ricordi? Il mio compagno d’avventure a Hogwarts – o forse dovrei dire di bravate? Non ridere, Elphias!»
Imprechi tra i denti, furibondo.
Avverti il gelo calare sopra le spalle, lungo i fianchi, sotto la schiena. L’acqua non lava via i cattivi pensieri.
Le gocce si avviluppano alle braccia, e la rabbia scalpita ancora, qui, in questa vasca troppo grande, troppo fredda, dalla quale non hai alcun desiderio di alzarti.
Aspetterai.
Aspetterai che l’ultima nuvola inghiotta il sole morente e che l’orizzonte sfumi in un mosaico di tenebre e oblio.
Aspetterai che lui venga da te.
Solo che.
Lui è con Elphias.
Da due giorni.
Una vocetta stridula lambisce la tua mente – beffarda e ostinata, non ti concede tregua. Mai l’hai conosciuta, prima d’ora, la belva dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre, che si insinua sotto la pelle e spezza tendini e vene, che si arrampica e si inerpica, su, su, raggiunge la testa e famelica arpiona il cranio esposto, indifeso, ne rosicchia le ossa, le frantuma, le sbriciola con crudeltà fra le zanne mostruose e affilate.
Elphias.
Capelli d’autunno e labbra di pallida aurora. Occhi lucenti, puliti, frangiati da lunghe ciglia scure. Dolcezza, fervore, devozione.
Glieli caveresti, quegli occhi da tenero cerbiatto, glieli strapperesti dalle orbite con un cuneo rovente e li butteresti a marcire fra le sterpaglie.
È suo amico.
IO sono suo amico!
Ti immergi fino a coprire il mento. Una scossa dolorosa e improvvisa ti investe, migliaia di aculei di ghiaccio ti travolgono e trafiggono – aria, non c’è più aria. Annaspi. I tuoi capelli sciamano nell’acqua, simili a serpi – sono vivi, guizzano, si attorcigliano, vagano, si disperdono.
Se potessero strisciare da lui, scivolare attorno al suo collo, cingergli la vita, avvincerlo stretto, stretto, stretto come l’edera ad una colonna di marmo…
«Si può sapere che stai facendo?»
Un leggero sospiro ti sfugge – è stizza, la tua? È sollievo?
«Sto cercando di farmi un bagno in santa pace, non si vede?»
Albus sogghigna. Ti si avvicina a passi indolenti, e si siede tranquillo sul bordo d’ottone della vasca. Un brivido inaspettato gli increspa l’epidermide, non appena le sue dita sottili entrano in contatto con la superficie gelida dell’acqua.
«Ti prenderai un malanno».
«Fammi il benedetto piacere di risparmiarmi le tue false premure, grazie».
Nemmeno si scomoda a ribattere.
Rotea piano il polso, in un gesto tanto semplice quanto ipnotico e sensuale – e il repentino aumento di temperatura per poco non ti paralizza, bloccandoti il respiro al centro esatto del petto.
Non ti sopporto.
Più convinto, Grindelwald.
Non – ti – sopporto.
Ti ignora e comincia a spogliarsi, lentamente, con calma meticolosa, occupandosi di un indumento alla volta. L’orologio appeso al muro compie un giro intero, e il suo ticchettio impietoso e preciso scandisce minuti, secondi, decimi. Uno – due – tre. Quattro – cinque – sei.
Maledizione, Albus!
Entra nella vasca e immediatamente si fa largo tra le tue cosce, ti si preme contro, senza incertezze, senza pudore, senza chiederti – o chiedersi – se ne hai davvero voglia, di averlo addosso e sopra e sotto e tutt’intorno.
Ma con lui è il tuo corpo a parlare per te – sempre.
«E quindi? Mi dici qual è il problema?» domanda languido, quasi incurante, rilassato persino; un lampo divertito gli attraversa lo sguardo trasparente e vigile, acuto e fiero – indomito.
«Niente trucchetti con me, Silente. Puoi però provarci con Doge, sono sicuro che il tuo caro amico si presterebbe volentieri al gioco».
Ti fissa a lungo, in silenzio, per nulla stupito, poi getta il capo all’indietro e scoppia in una risata piena, dirompente, fragorosa – un inno alla vita che senti vibrare e risuonare – penetrare – sin dentro le pieghe più segrete e nascoste del tuo cuore.
«Vai a farti fottere, Albus» sibili infine, furioso, mentre lui ti afferra per le mani e ti attira a sé, sollevando mulinelli d’acqua bollente che schizzano e si spargono ovunque, dalle pareti scrostate e macchiate di muffa al pavimento disseminato di teli fradici.
«Non posso resisterti quando fai il geloso in questo modo, ne sei consapevole, vero?»
Vorresti replicare – ce l’hai proprio lì, la risposta, sulla punta della lingua – ma le sue labbra già si avventano sulle tue, le divorano, le coinvolgono in un duello decisamente più eccitante.
Dio, che immensa soddisfazione tenere impegnata così quella sua dannata bocca!
Non credere che ti abbia perdonato.
Oh, ma tu hai ragione, naturalmente. Fossi in te anzi non esiterei a farmela pagare, e cara anche.
Che bastardo impunito che sei.
Dimmi qualcosa che non so.
Dov’è Doge? Quando si decide ad andarsene?
È partito meno di mezz’ora fa.
Bene.
Andiamo, te la sei presa sul serio?
Finiscila di parlarne.
Ehi, ehi, guardami, GUARDAMI. Per me non esiste nessun altro, lo sai. Ci sei solo tu, bredhu, solo tu.
Lo so.
E allora fai sparire quella brutta smorfia dalla tua bella faccia e permetti che sia io adesso a prendermi cura di te.
Che intenzioni hai?
Pessime, come al solito.
Vuoi dire che intendi scoparmi...
... Fino a che non farai le fusa come un gatto, sì.
Sembra interessante.
Diciamo che stavolta potrei accontentarmi di farti crollare esausto sul letto, dolcezza, mentre m'implori di fermarmi.
Questo, mio blu, è tutto da vedere.




 
Dimmi come mai
ti fa piacere,
forse è quel che vuoi.”
 
 
 
 
 
 
♦♦♦
 
 

 
 
 
“Un sorriso, e ho visto
la mia fine sul tuo viso.”

 
 

 
Non saresti dovuto tornare.
No.
Non saresti dovuto partire.
Non avresti dovuto lasciarlo solo.
Ma come potevi prevedere l'arrivo di quel tedesco?
Avresti dovuto precipitarti a Godric's Hollow settimane fa, al primo accenno di sospetto colto fra le righe delle sue lettere.
Lo hai capito subito – glielo hai letto negli occhi, in quelle iridi azzurre e così luminose che neppure il cielo più limpido sarebbe in grado di contenerne a pieno lo splendore.
Occhi che porti incisi nell’anima – occhi sinceri, ardenti, che per te non hanno avuto pietà.
Ora è tardi – è troppo tardi.
Lo hai capito subito – che lo avevi perso, che lo hai perso.
Non saresti dovuto tornare.
 
 
 
 

“Ricordo, sono morto
in un momento.”

 
 



 
{Words Count: 1034}
 
 


 
 

 
 
 
Nota:

 
Buon pomeriggio a tutt*!
 
Allooooooora, ci sono un bel po’ di precisazioni da fare ^^’
 
Innanzitutto no, questo NON è l’ultimo capitolo.
 
La verità è che non ho alcuna voglia di chiuderla, questa raccolta.

Anche perché, siamo seri, le possibilità che io nei prossimi mesi riesca a scrivere qualcosa di più lungo rispetto alla media dell'ultimo periodo sono davvero scarse, se non nulle. Non ha senso concludere una raccolta per poi nel caso cominciarne subito un'altra uguale (perché è altrettanto certo che io, da questi due tordi, non saprei stare lontana). Il tema oltre tutto è generico (capirai, i baci fra loro sono il minimo sindacale - nel senso che non ricordo di avere mai concluso un capitolo senza infilarcene almeno uno in mezzo, è l'unica costante in un caos di variabili). Credo quindi che me la terrò qui ancora per un po', e nella - miracolosa, chiamiamo le cose con il loro nome - ipotesi che venga un giorno fuori qualcosa di più corposo posso tranquillamente pubblicarlo a parte. Tutto è sempre lasciato al caso, comunque, giusto per non smentirmi.
 
E sì, dopo quattro mesi ho cambiato il titolo. Non so, in italiano mi convince molto di più.
 
Riguardo alla flash non ho molto da dire. Non ho mai davvero preso in considerazione l’aspetto romance del rapporto tra Albus e Elphias, ma in effetti i risvolti possibili sono mooolto interessanti e non nego che la stilettata d’angst dell’ultima parte (che è in pratica una drabble a sé stante dal punto di vista di Doge) mi ha dato una certa soddisfazione. Me lo tengo buono il ragazzo, non si sa mai. Spero comunque che il raccontino vi sia piaciuto, fatemi sapere, se vi va 😊
 
Come avrete notato, ho spostato la raccolta dalla sezione di Animali Fantastici a quella di Harry Potter. I motivi sono principalmente due: 1) questa raccolta è molto più easy rispetto alle altre – l’ho detto e lo ribadisco, mi serve soprattutto a svagare la mente in questo periodo di m., e devo dire che mi sta aiutando tantissimo – non ci sono richiami specifici al film e anche i riferimenti al Patto di Sangue sono molto blandi. Rimane comunque parte integrante della serie “We were closer than brothers”, per cui, per qualsiasi dubbio, vi invito a cliccare sul link in alto a sinistra; 2) dopo quasi due anni direi che è giunto il momento di portare i miei bambini a fare qualche passo “in un mondo più vasto”. Va bene essere una chioccia iperprotettiva (più con loro che con i miei stessi figli, in realtà), ma non posso tenerli rinchiusi per sempre in una campana di vetro.
 
È tutto, credo.

Soundtrack: Gelosia, Gianna Nannini.
Bonus track: Mi ritorni in mente, Lucio Battisti.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà la raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Alla prossima!
 
Un bacio :*
 
 
 
padme
 
 
 
 
P.S: mi dissocio TOTALMENTE dal linguaggio sboccato di questi due disgraziati. Vi garantisco che provvederò di persona a sciacquare ad entrambi la bocca con una ingente dose di sapone, non appena mi ricapiteranno a tiro. Una madre fa del suo meglio per educarli, e poi...

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Capitolo 8
*** Falling ***


Non so se l’ho già detto
ma amavo il suo corpo
come ho amato poche cose al mondo.
Le mie mani a un certo punto
lo seppero a memoria quel corpo lì.
Avevo sviluppato
una sorta di dipendenza tattile
per il suo corpo.

(Guido Catalano – Se questa fosse una poesia)
 
 
 
 
 
 
~ Falling ~
 
 
 
 
 
 
Don't let yourself be hurt this time
then your kiss so soft
then your touch so warm.
 
 
 
 
 
 
 
Vorresti rimanere così per sempre.
Sprofondato fra cosce che non ti lasciano andare, che si serrano con violenza intorno al tuo bacino, che ti catturano e ti incatenano e ti trattengono – di più, di più, di più – provocandoti un brivido che dalle viscere monta e si espande, si contrae ed esplode – annebbia la mente, trafigge le ossa, spezza il cuore.
Forse, rifletti, il segreto è nel contatto: nel sentire la sua pelle morbida fremere e bruciare sotto le mani, nell’assaporare le sue labbra umide, che tormenti con baci sfacciati, avidi, scorretti, nell’inebriarti del suo profumo speziato e intenso e fuso al tuo con alchemica precisione, in un connubio irresistibile che parla di comunione, di appartenenza, nel contemplare i suoi occhi misteriosi, velati, ricolmi di emozioni che sembrano trasportarlo lontano da te miglia e miglia – eppure è presente, appassionato, pulsante di carne e sangue mentre si aggrappa con foga alle tue spalle –, nell’ascoltare i suoi gemiti bassi, rochi, che raccogli direttamente dalla sua bocca e di cui non sei – non sarai – mai sazio.
Sospira, Gellert, annaspa e ti si inarca addosso, il ventre teso e squassato da spasmi di furibonda agonia; allenta la presa per ritrovare fiato e poi di nuovo ti cerca – ti vuole, ti pretende –, racchiude i tuoi fianchi in una morsa febbrile, implacabile, persino dolorosa, che sgretola anche l’ultimo barlume di razionalità e ti spinge ad aumentare la portata dei tuoi affondi.
Il mondo attorno a voi divampa, realtà e sogno si confondono, si trasfigurano in forme e colori sconosciuti, impossibili, stelle luminose nascono e sfolgorano e si consumano in un istante che custodisce in sé preziosi frammenti d’infinito. Il Tempo si inchina al vostro cospetto, rallenta la sua corsa fino a fermarsi, si cristallizza, si avviluppa su se stesso, si stende come un manto candido sopra di voi. L’eternità è qui, in questo letto disfatto, dentro di lui creatura oscura e magnifica –, tra le sue braccia che sono lacci di seta e velluto, negli sguardi che annullano confini insensati, abbattono barriere e toccano l’anima, sui vostri corpi nudi che si fiutano, si desiderano, si riconoscono – in ogni curva, anfratto o meravigliosa imperfezione –, si dissolvono e infine si ricompongono l’uno attraverso il bisogno disperato dell’altro.
È un’energia dirompente, una malìa primordiale a impadronirsi di entrambi e a farvi muovere e danzare, insieme, senza tregua, senza pudore – senza pietà. Il suono della sua voce s’innalza e si unisce al tuo in un grido ovattato, che percepisci a stento, quasi giungesse da una grande distanza, da un altro universo. Le candele lingueggiano e si spengono, il buio vi avvolge e vi protegge, mentre tutta la furia ardente delle vostre giovani vite vi pervade, vi scuote e vi erompe in grembo, culmine e sigillo di un piacere agognato, travolgente, che s'inerpica feroce lungo la spina dorsale ed è destinato a non svanire.
Sussulti – ancora, ancora e ancora –, ti abbandoni su di lui, a lui, ansimando, lo stringi forte, forte, seppellisci il viso nell’incavo del suo collo e gli accarezzi l’addome glabro, riempi il silenzio che vi circonda mormorando il suo nome innumerevoli volte. Lui fa scorrere le dita fra i tuoi capelli e ti bacia la fronte distesa con tenerezza immensa, sorprendente – e tuttavia naturale, sincera, giusta.
Lentamente, dolcemente, il tremito si placa, il fuoco nelle vene si stempera – ma non il suo calore, oh no, no, Dio, no! Il calore permane, simile a fiamma che guizza e sfavilla nelle tenebre, vermiglia e terribile e splendida; poggi piano la testa contro il suo petto, e ti fai cullare dal ritmo regolare del suo respiro.
Manca solo qualche minuto all’alba.
«Ti amo».
Nessuna incertezza nel tono, nelle parole, nei pensieriha scelto.
Ora aspetta te.
Non esiti.
«Anch’io» sussurri – preghi prometti giuri, la bocca premuta sul suo cuore – hai scelto.
«Ti amo anch’io».
 
 
 
 
 
 
 
 
“The stars still shine bright
the mountains still high.
Yet something is different
are we falling in love?”
 



 
 
 
{Words Count: 636}

 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
Nota:

Buon pomeriggio e buon sabato a tutt*!
 
E niente, pare che tra gli effetti collaterali della quarantena ci siano l’ansia e l’insonnia. Ringraziate quest’ultima che stamattina mi ha buttato giù dal letto alle 4.30.
 
Non ho ben chiaro nemmeno io cosa in effetti sia venuto fuori, ma d’altra parte con me siete un po’ abituati alle supercazzole, per cui...
 
Fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate di questo ottavo capitolo ^^
 
Soundtrack: Falling, Angelo Badalamenti (Twin Peaks OST)
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Alla prossima!
 
Un bacio :*
 
 
 
padme

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Capitolo 9
*** Parsifal ***


Tu mi fai sentire come se
ci fosse un posto per me.
(Cassandra Clare – Città di Ossa)
 
 
 
 
 
~ Parsifal ~
 
 
 
 
 
 
I, I know, how I feel when
I’m around you.
 I don’t know,
how I feel when
I’m around you,
around you.
 
 
 
 
 
 
 
È steso al tuo fianco, coperto soltanto da un leggero lenzuolo di lino, il bel volto rischiarato da un globo di luce che volteggia placido sopra il letto. Tiene il mento racchiuso in un palmo e gli occhi fissi sui caratteri runici di una pergamena antica, dalla filigrana consunta, quasi impalpabile. Da giorni ormai le gesta di Arthur Pendragon e dei suoi Cavalieri vi levano il sonno: in quell’epoca d’oro di miti e leggende potrebbe celarsi la chiave per dare infine una svolta alle vostre ricerche. Un eroe in particolare ha suscitato in voi un brivido di febbrile eccitazione, e non solo perché Albus porta con fierezza il suo nome. Parsifal ha partecipato alla Cerca del Graal, e durante il suo lungo peregrinare si è imbattuto in luoghi ricolmi di meraviglie e misteri: su tutti, spicca il racconto di un castello nascosto nel folto della foresta, all’interno del quale sarebbero custoditi tesori d’inestimabile valore – lance dalla punta insanguinata, coppe dai poteri miracolosi, pietre in grado di resuscitare i defunti[1].
Siete sulla strada giusta, ne sei convinto.
Il riverbero di uno spicchio di luna, appena visibile oltre i battenti spalancati della finestra, tinge di madreperla il cielo notturno d’inizio agosto. Una brezza vivace ghermisce le tende, sollevandone i lembi sottili, e la stanza già trabocca del profumo lussureggiante della lavanda, della frutta matura e dell’erba tagliata di fresco.
Perfetto. È tutto perfetto.
Eppure.
Albus è sul punto di crollare – è stanco, troppo stanco, terribilmente stanco.
Malgrado non ne faccia alcun cenno, sono le ombre scure intorno alle palpebre, l’epidermide pallida e tirata a parlare – a urlare – per lui.
Vorresti aiutarlo, davvero. Alleggerire (eliminare?), in qualche modo, il peso ingiusto e soffocante che gli grava sulle spalle.
E da quando Gellert Grindelwald si preoccupa tanto di qualcuno che non sia se stesso?
Una vocetta maligna s’insinua strisciando fra i tuoi pensieri. Ti affretti a zittirla, infastidito: da tempo non le dai credito – dal momento in cui, in un luminoso mattino d’estate, Albus è entrato nella tua vita, sconvolgendola.
Perché di lui ti preoccupi – moltissimo, per lui stai in ansia – costantemente.
Non riesci a farne a meno – forse non vuoi –, senti il suo dolore (e la gioia e il piacere e tutto) come fosse il tuo.
Albus è stato la tua prima volta anche in questo e, nel profondo dell’animo, cominci a intuire, a capire: lui è il primo e sarà l’ultimo – l’unico.
Scosti di colpo le lenzuola, scoprendo per intero il suo corpo nudo e rilassato. Ti avvicini e inizi a solleticargli piano le vertebre, una ad una, con lievi pizzichi; Albus sussulta – sogghigni: lo hai colto di sorpresa, ed è raro che capiti –, contrae i muscoli sotto il tocco impertinente delle tue dita – ma ancora non si muove, si ostina a leggere e pare intenzionato a non distogliere l’attenzione dal rotolo aperto davanti a lui. Hai stuzzicato il suo interesse, però. Lo percepisci dal fremito che gli increspa la pelle calda e liscia, invitante e irresistibile. D’improvviso ti alzi e sali a cavalcioni sulla sua schiena, sovrastandolo; per un istante ti immobilizzi e trattieni il fiato, rapito – perso –, ammiri la sua bellezza, l’armonia creata dalla linea che unisce il fine cesello del collo alle scapole eleganti e ai fianchi stretti, affilati, persino ruvidi mentre sfregano contro l’incavo bollente delle tue cosce. Ti distendi, totalmente, lo avvolgi e lo rivesti – di te, di voi –, aderisci a lui in ogni parte, in ogni curva e asperità, angolo e anfratto. Opposti e complementari – nella carne nella mente nel cuore – sempre.
Gli circondi il busto con le braccia e anneghi nell’onda fulva dei suoi capelli; sebbene la notte sia al suo culmine Albus diffonde intorno a sé un’aura vivida, splendente – l’essenza stessa del Sole. Ti chini e gli catturi il lobo dell’orecchio tra i denti, lo tormenti a piccoli morsi, lo vezzeggi e lo succhi, per minuti che appaiono eterni, fino a che non avverti un gemito roco montare dal basso e forzargli la gola.
Così non vale.
Io non sono leale.
Pieghi le gambe e ti sposti quel poco che basta a permettergli di girarsi sotto di te senza scivolare via dalla tua stretta. Appoggi i gomiti ai lati della sua testa, ti premi su di lui e lo trattieni, il respiro fuso al suo, gli sguardi allacciati, disarmati, immersi l’uno nell’altro. Le sue iridi sono gocce d’acqua celeste, punteggiate da uno sfolgorio di stelle danzanti che cancella dal suo viso le ultime tracce di tensione, di turbamento, d’insofferenza.
Finalmente.
Gli baci la fronte, gli zigomi alti, le guance, i contorni umidi della bocca; aneli le sue labbra – le brami, le pretendi –, tuttavia ti neghi e aspetti, aspetti – deve cedere, vibrare come la corda tesa di un’arpa, implorarti di continuare. Deve sciogliersi, abbandonarsi e dimenticare.
Ti prego, bredhu, ti prego…
Allunghi la mano e lo tocchi, lentamente, là dove sai di provocargli i sospiri più intensi, di strappargli le suppliche più dolci e disperate.
Eccomi, Parsifal. Dimmi quello che vuoi. Lasciati andare, non avere paura. Ci sono io a prenderti.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Gellert?
Uhm?
Parsifal alla fine non trova il Graal.
Ah no?
No. Si ferma prima.
E perché mai?
Per... amore. Incontra una fanciulla bellissima e decide di rinunciare alla Cerca e di restare con lei.
Che assurdità.
Sì, in effetti lo è.
Per noi non sarà così.
Tu credi?
Naturalmente. Noi non ci fermeremo, per nessun motivo.
Sono d’accordo.
Certo che lo sei.
Noi siamo insieme.
Esatto, mio blu. Noi siamo insieme e non ci fermeremo.
 
 
 
 
 
 
 
 
“L'incantata età straniera di lei
non è gloria o vento ma dolce realtà.
Dentro l'erba alta al fiume
le tue armi al sole e alla rugiada
hai regalato ormai,
sacro non diventerai.
Qui si ferma il tuo cammino.
 



 
 
 
{Words Count: 908}
 
 
 
 
[1] sul fatto che la saga di HP sia una rielaborazione (assai originale, nessuno lo mette in dubbio) dell’epica arturiana direi che siamo tutti quanti d’accordo. La stessa ricerca dei Doni – progettata da Silente e Grindelwald ma messa effettivamente in pratica soltanto da Harry – richiama esplicitamente la celeberrima Graal Quest. Secondo la tradizione soltanto i puri di cuore possono avvicinarsi, vedere e toccare la Sacra Coppa: gli unici, tra i Cavalieri della Tavola Rotonda, a possedere tale requisito sono soltanto due, Galahad (figlio di Lancillotto) e, appunto, Parsifal (Percival o Peredur in gallese). Le versioni della vicenda sono ovviamente molte e stratificate, ma tutte sembrano più o meno concordare sul fatto che, in qualche modo, entrambi alla fine entrino in contatto con questo oggetto mistico che ancora oggi infiamma l’immaginazione di tanta gente. Tuttavia, per mantenere il parallelismo con la storia di Albus – il quale, pur venendo in possesso in tempi diversi di tutti e tre i Doni non diventerà mai “Padrone della Morte”* (sarà Harry, l’eroe dal cuore puro, a diventarlo) – ho seguito l’interpretazione suggerita dall’opera che accompagna il capitolo, Parsifal, dei Pooh (capolavoro indiscusso datato 1973). In questo caso l’eroe rinuncia alla Cerca, fermandosi per amore di una fanciulla. Anche Albus rinuncia alla ricerca dei Doni (così come Gellert, dopo aver trovato la Bacchetta di Sambuco): se l’abbia fatto o meno per amore, beh, a voi l’ardua sentenza.
La lancia dalla punta insanguinata è la celebre Lancia di Longino, che trafisse il costato di Cristo sulla Croce.
* anche in questo caso i riferimenti si sprecano: nella sua accezione più comune il Graal è la Coppa da cui Gesù bevve il vino durante l’Ultima Cena e in cui venne raccolto il sangue della ferita al costato. Con il suo sacrificio Cristo sconfigge la morte e, nell’Eucarestia, attraverso il suo corpo e il suo sangue, rende partecipe l’anima degli uomini di questa immortalità, liberandola dal peccato (per chi ci crede, ovviamente). Per estensione, chi beve dalla Coppa che ha contenuto il suo sangue diventa a sua volta immortale (nel senso cristiano del termine, ovvero accogliendo la morte confidando nella salvezza dell’anima).
Naturalmente la questione è molto più complessa di così ma, per ragioni che credo possiate comprendere, qui ho dovuto semplificare, riducendo tutto quanto all’osso. Però non è colpa mia se Albus ha 4 f****tissimi nomi e ognuno di essi è legato a una leggenda o a un mito. Il collegamento con Parsifal era troppo evidente e ghiotto per non farci almeno un accenno. Prima o poi sarà la volta di Wulfric-Beowulf (ci sto lavorando).
Questa parte comunque è stata ispirata da un post che mi è ricapitato sotto gli occhi ieri: se vi va, lo trovate sulla mia pagina fb (il link è nella bio, cliccate su Lost Fantasy ^^)


 
 

 
 
 
 
 
Nota:

Buon pomeriggio e (di nuovo) buon sabato a tutt*!
 
Non ho altro da aggiungere, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere, se vi va (e perdonatemi per lo sproloquio di cui sopra) ^^
 
Soundtrack: Roulette, System of a Down; Parsifal, Pooh.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.  
 
 Grazie naturalmente a chi lo ha già fatto <3
 
A presto!
 
Un abbraccio e un bacio :*
 
 
 
padme

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Capitolo 10
*** Là dove il lago è profondo ***


N.B: quello che state per leggere è un esperimento stilistico, non ci sono punti (se non alla fine), ci sono solo virgole e trattini, per cui… vi consiglio di prendere un bel respiro.
 
 
 
Gli amanti graffiano ciechi
nel buio dell’universo.
Così nascono le stelle.
(Franco Arminio – L’infinito senza farci caso)
 
 
 
 
~ Là dove il lago è profondo ~
 
 
 
 
 
 
Love’s the sweetest feeling
openly believing,
no matter what we find there
come back in through the eyes there.
Sole and born creation
the lion’s in the house,
flowers are up in the air
crashing against the dark
.
 
 
 
 
 
 
 
Il lago di sera è calmo, sempre, onde pigre lambiscono le tue caviglie, l’acqua risplende limpida, specchio di alberi dalle chiome informi e rigonfie, falangi smussate protese verso il cielo – un cielo rovente, sanguigno, che sfuma nel porpora e nell'indaco, ad est, oltre il profilo dolce delle colline –, il sole del crepuscolo rosseggia cupo, si riversa sopra la polla cristallina e accende ogni minuscola goccia di folgori vermiglie – le raccogli nei palmi, rapito, e le stelle e il firmamento intero divampano fra le tue mani –, una brezza leggera ti scivola addosso, i capelli si spargono sul viso, sul collo, sulle spalle, intessono una ragnatela di morbido bronzo, che freme e riluce – la pelle a contrasto è pallida, opaca –, non li scosti, resti immobile, i polmoni inondati d’aria fresca e purissima – odora di bosco, di terra bagnata –, abbassi gli occhi, l’oscillare armonico delle canne e delle felci ti cattura, quasi ti ipnotizza, tutto intorno a te è silenzio, e pace, e quiete sospesa – c’è il frinire delle cicale, il canto lontano di un merlo, il fruscio degli scoiattoli che saettano tra i rami di una vecchia quercia, nient’altro –, lui è qui, seduto poco distante, accarezzato dalle fronde spioventi di un salice – è come te, Gellert, creatura di luce abbagliante e fitta tenebra, la vostra dimensione è la penombra, il chiaroscuro, il confine, siete scintille pulsanti avvolte dal nero dell’abisso –, ti osserva, ti scruta senza parlare, alzi il capo e ricambi lo sguardo – è una sfida muta, la tua, un richiamo irresistibile, inevitabile –, le sue iridi s’infiammano, feroci, sono lampi oscuri di fuoco e di ghiaccio – sorridi –, lo raggiungi e ti spogli, lentamente, gli sfiori una guancia con la punta delle dita e subito ti allontani, ti getti in acqua, ti immergi e risali a galla, ripeti il movimento più e più volte, e intanto lo aspetti, paziente, sicuro, e lui arriva, arriva, si avvicina placido, sinuoso, lo attiri a te, con urgenza, e fra le tue braccia il suo corpo è freddo, duro, ostile, sembra resisterti, ti si oppone, eppure tu sai cosa vuole, lo sai – invitarti alla lotta, alla conquista –, se deve cedere – e cederà – non potrai esitare, non ci sarà scampo – per nessuno –, saranno solo labbra e denti e lingue furiose, saranno morsi selvaggi e ciechi graffi, e baci, baci, baci, baci e ancora baci, e membra che si fronteggiano e si respingono e di nuovo si attraggono – si possiedono, si consumano, le unghie artigliate ai fianchi, le schiene inarcate, i sessi premuti l’uno contro l’altro –, e poi sospiri rotti, e fughe improvvise, e momenti di tregua – di tenerezza, forse –, là dove il lago è profondo, e vi trascina con sé, giù, giù, giù, fino a che il fiato si spezza, e le ossa tremano, tornate a riva e insieme vi accasciate, ansimanti, avvinghiati, le bocche aperte a mischiare i respiri, è l’erba calda ad accogliervi, il cuore vi esplode dentro, l’amore lo fate, dura a lungo[1].
 
 
 
 
 
 
 
 
Fire in the water
is the body of our love,
nobody should see this
the freeness of the light
.”
 



 
 
 
{Words Count: 499 – potevo allungarla ancora un po’ ma poi vi sarebbe servita la bombola d’ossigeno e, insomma, non mi sembrava il caso. Con questo caldo poi}
 
 



[1] Philippe Besson, Un certo Paul Darrigrand.

 
 
 
 
 
 
 
Nota:

Buon pomeriggio a tutt*!
 
Niente, la verità è che morivo dalla voglia di infilare la frase di Besson (l’amour se fait, il dure longtemps) da qualche parte, di conseguenza tutta la supercazzola stavolta è finalizzata a questo, punto e stop.
 
(Poi volevo cimentarmi anch’io in qualcosa che al suddetto autore riesce benissimo, ovvero scrivere periodi infiniti – i suoi sono ancora più lunghi di questo, tanto per intenderci, e immensamente scritti meglio, com'è ovvio)
 
Se vi va di dirmi cosa ne pensate, mi farete felice ^^
 
Soundtrack: Fire in the water, Feist.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP. A voi sembrerà una cavolata, ma per un’autrice questo è l’unico modo per capire se quello che ha scritto è arrivato, in qualche modo, al lettore, o se, al contrario, gli ha fatto schifo. Le visualizzazioni, per quanto numerose, non vogliono dire niente, perché, e qui cito letteralmente Shilyss, “ci si ferma a guardare anche la carcassa di un animale morto ai bordi della strada.”
 
In qualsiasi caso, sapete che io vi amo sempre e comunque, a prescindere da tutto <3
 
Un bacione e a presto :*
 
 
 
padme

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Capitolo 11
*** Una nuova preghiera ***


N.B: anche questo capitolo è un piccolo esperimento stilistico, soprattutto per quanto riguarda la forma. Buona lettura!
 
 
 
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore.

(Cantico dei Cantici – 8,6)
 
 
 
 
~ Una nuova preghiera ~
 
 
 
 
 
 
L'angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera.
Poi d’improvviso mi sciolse le mani,

e le mie braccia divennero ali.
 
 
 
 
 
 
Il desiderio, in questa limpida notte d'estate, brucia dolcemente, intensamente.
 
(L’aria è serena, argentea la corona di stelle che crepita oltre il profilo nero degli alberi.)
 
La bocca di Albus scivola calda sulla tua pelle, ne studia le linee sinuose, ne mappa paziente valli e altipiani, ne esplora con devozione le pieghe più intime e nascoste. Una pausa, ad un soffio dal cuore – un solco sulla fronte, forse a voler dire qualcosa ma no, non serve parlare, chiedere, e non è opportuno – non è saggio – indugiare.
 
(Lui sa cosa vuole, cosa vuoi – sempre.)
 
Ti lasci distendere e lui ti si preme addosso, chiude una mano intorno ai tuoi polsi – dita sottili, simili a intrecci di rami e foglie, ad adornare steli pulsanti, venati di porpora –, con l'altra si aggroviglia ai tuoi capelli, li tira indietro, piano, per rubarti un bacio, per strapparti alla gola un sospiro profondo, infinito.
Il piacere è un rito, una liturgia meticolosa e squisita di cui entrambi siete i fedeli adepti; i vostri corpi sono Templi consacrati, porte luminose al di là delle quali si svela il mistero del mondo – un singolo tocco, un unico brivido d’estasi può racchiudere in sé l’essenza stessa del divino, la scintilla immortale insita nella vostra natura, l’incanto e la grazia di essere uomini.
 
(Di essere uomini insieme.)
 
È nell’attenzione ai dettagli – l’armonia di una schiena inarcata, una ciocca che ricade morbida sul volto, un lampo azzurro dietro palpebre appena socchiuse – che la meraviglia e la grandezza della Creazione si manifestano, è nei gemiti raccolti da labbra solerti – prodighe, adoranti –, nell’agonia di un amplesso smisurato che si cela il segreto per essere ammessi al cospetto del sublime.
Albus si muove lento sopra di te, traccia una scia di piccoli morsi lungo il tuo petto, seppellisce carezze fra le costole e il ventre teso, trova rifugio nell’incavo umido e accogliente delle tue cosce. Alza lo sguardo e ti fissa con un’intensità che ogni volta ti sconvolge e ti strazia, ti terrorizza e ti esalta – ti guarda come se fossi un prodigio ultraterreno, un’apparizione, un miracolo – il suo miracolo.
 
 (Suo suo suo, soltanto suo.)
 
Per pochi – eterni – istanti, rimanete così, immobili, aggrappati l'uno all'altro, protesi verso un fuoco divorante fra le cui vampe, tutti e due, smaniate per danzare, sciogliervi, liquefarvi, negli occhi un anelito primordiale e selvaggio, la resa incondizionata, gloriosa, di chi è supplice e dio ad un tempo.
 
(Albus Albus Albus)
 
Il suo nome è un canto di salvezza, un’ascesi, una preghiera sussurrata ai piedi marmorei di un altare – lui è il solo sigillo che riconosci, che senti, che vivi.
 
(Non ne accetti altri.)
 
Se l’Universo ha un centro – non hai dubbi – è qui.
 
(Nella furia inarrestabile di un ultimo, bianco sussulto.)
 
 
 
 
 
 
“Quando mi chiese – Conosci l’estate? –
io per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.”
.



 
 
 
{Words Count: 454}
 
 



 
 
 
 

 
Nota:

 
Buongiorno!
 
Manco da questa raccolta da veramente troppo tempo, per cui un aggiornamento era necessario. È un filo più breve del solito, ma, d’altra parte, per tutta una serie di ragioni dovute all’alternanza dei POV nelle raccolte, sono quasi due mesi che mi dedico solo a Gellert. Adesso però siamo in pari e la sua impaziente controparte può avere finalmente tutte le attenzioni che merita.
 
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questo breve racconto ^^
 
Soundtrack: Il sogno di Maria, Fabrizio De André.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un bacio grande :*
 
 
padme
 
 
 
Disclaimer:
(scusate ma, vista l’aria che tira ultimamente, si rende necessario ribadire il concetto)
Non concedo, in nessuna circostanza, né
l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie
altrove, anche se creditate e anche con link
all'originale su EFP, né quella
a rielaborarne passaggi, concetti o trarne
ispirazione in qualsivoglia modo senza mio
consenso esplicito.
 

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Capitolo 12
*** Foglie d'autunno ***


Di nuovo mi fissa: perché, tu hai visto intimità più grandi della nostra?
Secondo te quante sono le persone che mi conoscono come mi conosci tu?
E io, io so come gemi, come piangi, come baci.
(Philippe Besson – Un certo Paul Darrigrand) 
 
 
 
 
 
 
~ Foglie d’autunno ~
 
 
 
 
 
 
Al vento che cambia
e spettina il cuore,
ai piedi nel mare
a tutte quante le parole,
ai cieli di sole
a come eravamo
a quelli che siamo adesso noi.
 
 
 
 
 
 
Ti basta questo, in fondo, per stare bene.
Per non pensare, per tornare a respirare, a essere intero, completo – te stesso (almeno per un po’).
Tenerlo stretto, adesso, sentirlo tiepido e rilassato contro la pelle, dentro la pelle, aderire con il corpo al suo, trasformare le tue braccia in un rifugio protetto e sicuro, e il petto in un giaciglio accogliente – per lui, solo per lui. Cullarlo al ritmo del tuo cuore, senza quasi muovere un muscolo, beandoti della dolcezza di una guancia ruvida a contatto con la tua, fino a che le sue palpebre si chiudono, si arrendono, fremono un’ultima volta nella penombra, sottili e impalpabili, pallide e incantevoli come il volo di una foglia d’autunno rapita dal vento.
Ti allontani un poco, spostando gentilmente la sua bella testa sul cuscino, per ammirarlo meglio, con tutta la calma e il trasporto che il suo sonno leggero ti può consentire. Baciato dal fioco riverbero di una candela, che a fatica perfora le fitte tenebre della stanza, il suo volto, insolitamente disteso nella quiete del riposo, appare ancora più diafano e sfuggente di quanto non sia in realtà.
Lo attiri a te, sopra di te, di nuovo; con una mano ti impossessi delle sue ciocche arruffate e con l’altra gli sfiori la schiena, nuda ed esposta sotto la pesante coperta di lana che avviluppa entrambi. Indugi per qualche istante lungo la piega che unisce il collo a una spalla, percorri da cima a fondo l’incavo sinuoso creato dalla punta delle scapole, e poi scendi, piano, piano, raggiungi i fianchi e infine ti soffermi, appagato, sulla curva morbida delle natiche. Un sospiro languido, caldissimo, gli sfugge dalle labbra e rapido corre a solleticarti il mento, provocandoti un brivido improvviso, conosciuto – eppure diverso, indefinibile, meraviglioso.
È un momento – un palpito di vita, un battito di ciglia, un frullo d’ali smarrite –, uguale ai tanti che avete vissuto, che ancora vivrete (forse), e tuttavia destinato a estinguersi, a svanire alle prime avvisaglie dell’alba, breve ed effimero come un sogno – è giusto così, ti ripeti, è inevitabile. Il tempo è passato, incurante, impietoso, e ha inciso nella carne solchi profondi; siete cambiati, tutti e due, siete diventati uomini l’uno lontano dall’altro, e se lui ha fatto le sue scelte, ebbene, lo stesso vale per te – avete scelto, .
Avete scelto altro.
Restano i ricordi, però, le memorie incancellabili – e l’amore, l’amore, l’amore che spezza il fiato e dissolve il sangue nelle vene.
Questo è il vero tesoro, raccolto e custodito fra i lembi sigillati dell’anima, un segreto talmente prezioso e vostro da non poter essere condiviso – nessuno saprà, mai: la verità – quel che è, che è stato, che sarà – appartiene a voi, e a voi soltanto. Il mondo è fuori e deve rimanere, escluso dallo splendore di un’intimità che avete costruito insieme, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, gemito dopo gemito. Tu conosci il modo in cui getta il capo all’indietro quando il piacere, simile a un’onda impetuosa, lo travolge, la macchia scura che dilaga nei suoi occhi mentre ti supplica di non fermarti, il sapore della sua bocca gonfia che si schiude in risposta ai tuoi baci febbrili, disperati. Lui sa dove toccarti per farti tremare e sciogliere e morire, come esaudire ogni desiderio, ogni anelito, ogni voglia, anche quella più audace, proibita e oscena, perché non c’è pudore che vi incateni, non esiste remora che vi impedisca di placare o infiammare il bisogno urticante che vi strazia le viscere – questa notte come allora, come sempre. Alla fine, per voi, vent’anni sono ieri, e ieri è domattina presto, e domattina sembra distante anni luce[1].
Gellert si volta nel tuo abbraccio, lentamente, ti si preme addosso, le vertebre fuse al tuo addome, e tu affondi il naso tra i suoi capelli, poggi la fronte alla sua nuca e inizi a vezzeggiare a piccoli morsi l’arco sensibile dell’orecchio.
«Hai freddo?» domandi, e intanto gli accarezzi il ventre, le cosce, l'inguine, cerchi le sue dita, le catturi e le annodi alle tue, ancora una volta.
Lui si lascia avvolgere, racchiudere, senza nemmeno provare a resistere, e si porta le mani – le vostre mani – alle labbra, per adorarle e baciarle e farle sue con infinita, struggente tenerezza.
«No» mormora in un soffio, e a te pare di avvertire il suo sorriso obliquo – teso sulle nocche, impresso nelle ossa – anche se non riesci a vederlo.
«Non ho freddo, mio blu».
 
Ma tu continua a stringermi più forte che puoi.
 
 
 
 
 
 
 
Al vento che cambia
e cambia la vita,
a quando mi prendi
e tocco il cielo con le dita,
e intanto che dormi
arriva domani
e ancora ti svegli nelle mie mani.
.



 
 
 
{Words Count: 740}
 
 

 
[1] parafrasando indegnamente André Aciman, in Chiamami col tuo nome (oggi è il compleanno di Elio Perlman! Auguri, auguri!!)
 
 
 
 
 

 
Nota:

Buon pomeriggio a tutt* ^^
 
C’è ben poco da dire, questo capitolo vuole essere una sorta di omaggio a un personaggio la cui recente scomparsa mi ha lasciato un vuoto profondo nel cuore. Stefano, le sue canzoni, gli altri componenti della band, Dodi, Red, Roby e anche Riccardo e Valerio, erano - sono - un pezzo grande (molto grande) della mia vita (come credo della vita di tanti), e ancora adesso sinceramente mi sento come se mi avessero strappato la pelle dalle ossa. La canzone che accompagna il capitolo l’ha scritta, suonata e cantata lui, Stefano, ed è una delle mie preferite. Mi ha inoltre permesso di fare un balzo avanti di qualche anno rispetto ai capitoli precedenti, ma era necessario per seguire il senso della canzone stessa, e anche se il tema in realtà con i due soliti tordi c’entra poco, a me le ultime strofe hanno sempre parlato di loro.
 
Per il resto, mi trovo di nuovo in piena zona rossa, con tutto ciò che questo comporta.
 
Spero che voi tutt* stiate bene <3
 
Soundtrack: Se c’è un posto nel tuo cuore, Pooh.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un bacio :*
 
 
 padme
 
 
 
Disclaimer:
(scusate ma, vista l’aria che tira ultimamente, si rende necessario ribadire il concetto)
Non concedo, in nessuna circostanza, né
l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie
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Capitolo 13
*** Come la neve sui prati bianchi ***


Posso solo sederti accanto e piangere con te,
mentre ci domandiamo per l’ennesima volta:
perché è così?
(David Grossman – Che tu sia per me il coltello) 
 
 
 
 
 
 
~ Come la neve sui prati bianchi ~
 
 
 
 
 
 
Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti,
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.
Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani,
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.
Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera,
e i volti sembrano teschi di cera.
 
 
 
 
 
 
Aria.
Ti manca l’aria.
Sono rabbiosi, i suoi baci, rabbiosi e disperati mentre ti travolge, scosso da una smania febbrile, e come una furia ti cade addosso, ti inchioda al letto, ti schiaccia sui cuscini con tutto il peso del suo corpo.
Le lenzuola sprigionano un tenue sentore aromatico, sono fredde e sfregano ruvide contro la schiena, ma tu a malapena te ne accorgi – in verità, nemmeno t’importa, occupato come sei a reagire ai suoi assalti, a farti largo coi denti e la lingua dentro la sua bocca, per strappargli alla gola un ansito caldo, uno scampolo d’ossigeno misero, sì, e tuttavia necessario.
Non è per questo che sei qui, Grindelwald?
Cosa vuoi sentirti dire, Professore?
Ha i capelli incrostati di neve, e sulle guance livide i solchi scavati dal gelo e dalle lacrime non accennano a scomparire.
È così che lo hai trovato – quante ore sono passate? Non ne hai tenuto il conto –, una macchia scura e confusa fra le ombre oblique dei cipressi, lo sguardo smarrito nel vuoto, le dita poggiate sopra una lapide bianca, a tracciare i contorni taglienti di un nome – di quel nome, il solo che, nonostante gli anni trascorsi, ancora non riesce a pronunciare.
Emanava dolore, Albus, e crudo rimpianto, e senso di colpa, un gorgo di emozioni tanto intense e distruttive da costringerti a ritrarre la mente, a erigere una barriera fra te e il suo cuore spezzato, ripiegato su sé stesso, che sembrava bruciare e consumarsi nell’oscurità tetra del crepuscolo.
In lontananza, un coro di voci argentine, attutito dalla nebbia e dal sibilo basso del vento, annunciava la nascita del Salvatore – il loro Salvatore, figlio di un Dio estraneo, incomprensibile, tirannico, mai riconosciuto o accettato, e spesso persino deriso.
Anche se.
«Non ti tormentare, ovunque lei sia, ora, sta bene».
«È sepolta sotto un metro di terra ghiacciata, Gellert, come può stare bene?»
Si è voltato di scatto e ti ha lanciato un’occhiata di fuoco, terribile e straziata – un pugnale, conficcato dritto in mezzo alle scapole, ti avrebbe fatto meno male che essere costretto a guardare (affrontare) il suo volto pallido e incavato, spento, vacuo, simile a un teschio scarnificato e distorto dalla luce morente di un cupo tramonto d’inverno.
Per un istante hai temuto che fosse sul punto di esplodere e schiantarti – ucciderti – lì, sopra la tomba della madre e della sorella – ci hai sperato, quasi. Farla finita, insieme. Battervi, scannarvi l’un l’altro fino a ridurvi a un cumulo di brandelli inceneriti e dispersi nella tormenta. Forse, ammetti tuo malgrado, forse sarebbe stato meglio, per entrambi – per tutti –, rassegnarsi una buona volta e rimettersi alla volontà di un destino, il vostro, comunque già scritto, ineluttabile.
Perché sei qui?
Passavo per caso.
Smettila con queste stronzate.
Vuoi che me ne vada?
Sì.
Bene.
No... No. Rimani, ti prego.
Ha chinato il capo, in un gesto di avvilita supplica, ed è indietreggiato di qualche passo. D’improvviso, semplicemente, ha annullato le distanze e ti ha attirato a sé, racchiudendoti in una morsa ferrea, impetuosa. Siete rimasti immobili a lungo, in silenzio, circondati dall'incerta luminescenza della sera e dall'eco sommessa delle campane. Albus si è scostato per fissarti, di nuovo, e lo scintillio ardente dei suoi occhi (vivi, vivi, vivi!) ti ha trasmesso un fremito, profondo e inconfondibile. Lui ha colto i tuoi sospiri accelerati, si è insinuato sotto il mantello e ti ha stretto i fianchi nelle mani; tu gli hai afferrato il viso e hai reclamato un bacio, con forza, con arroganza.
Vi siete presi, rivendicati, marchiati; un rivolo rosso è colato lungo la curva liquefatta delle vostre bocche e, per un attimo, soltanto per un attimo, lo sgomento vi ha spinti a fermarvi. Poi, lui ti ha sollevato, senza fatica, e tu ti sei aggrappato alle sue spalle, gli hai allacciato le gambe intorno alla vita e ti sei lasciato trascinare via, senza staccare le labbra dalle sue.
Adesso siete qui, avvinghiati e ansimanti sopra un groviglio di coperte sfatte, a lottare per liberarvi degli ultimi indumenti. Lui ti bacia il collo, lentamente, e la sua barba ispida ti pungola l’incavo sensibile del mento, ti eccita oltre il limite e ti fa impazzire, provocandoti un brivido infinito – eppure, eppure, tu hai bisogno di altro, di sentirlo e accoglierlo e trattenerlo in ogni singola cellula, di urlare che lo vuoi e che lo ami, lo ami con tutta l’anima, ascoltarlo rispondere che per lui è lo stesso e nell’agonia di un amplesso divorante sapere che è vero, è reale. Lo avverti con una chiarezza e una consapevolezza tali da toglierti il fiato. Non ci sono muri, in questo momento, nessun confine da abbattere, nessun ostacolo da superare, non più – nuda la pelle, intrecciati i pensieri, mischiate le ossa.
Vi arrendete e vi offrite l’uno all’altro, soverchiati dal piacere di un contatto assoluto, totale, che ubriaca i sensi, cancella l’angoscia e fa svanire la stanchezza – il dolore no. Quello, come sempre, permane, cucito fra i lembi più bui e nascosti del cuore.
(Il suo? Il tuo? Non c’è differenza.)
Ti distendi – ti frantumi – sotto di lui, assecondando il ritmo crescente dei suoi affondi. Lo cerchi, continuamente, lo invochi, lo implori, non gli concedi scampo e quando, dopo esservi dissolti nell’orgasmo – un orgasmo violento, smisurato, selvaggio –, i sussulti si placano e lui infine si abbandona, stremato, sul tuo petto, a te non resta che avvolgerlo in un abbraccio deciso, saldo, feroce e tenero a un tempo, e guidarlo con dolcezza verso il sonno, sussurrando il suo nome, cullandolo al suono lieve del tuo respiro.
 
 
 
 
 
 
 
“Ma tu che vai, ma tu rimani,
anche la neve morirà domani,
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.
La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve,
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.
Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani.
Cadrà altra neve a consolare i campi,
cadrà altra neve sui camposanti.
 



 
 
 
{Words Count: 917}
 
 



 
 

 
 
 
Nota:

Ci ho provato, giuro che ci ho provato a scrivere qualcosa di almeno un po’ sereno in occasione di questo Natale, ma proprio non ci sono riuscita. Questa spina mi tormentava da tempo, anche per tutta una serie di vicende personali che hanno reso la fine di questo anno terribile ancora più terribile, e l’unica cosa che potessi fare era cercare di toglierla. Spero che il racconto vi sia piaciuto ugualmente, se vi va, fatemelo sapere. Del resto, ormai è tradizione che questi due trascorrano la notte di Natale in modo alternativo, e chi sono io per mettermi in mezzo a consuetudini tanto radicate?
 
Gellert, ovviamente, non capita per caso al cimitero di Godric’s Hollow: il dolore di Albus lo terrorizza ma allo stesso tempo lo attira come una calamita, per cui, in questo momento di profonda crisi emotiva, non può far altro che correre dall’uomo che nonostante tutto continua ad amare, laddove sa per certo di poterlo trovare. Ricordate che, nel mio headcanon, loro si sentono, sempre (anche quando ne farebbero volentieri a meno).
 
Soundtrack: Inverno, Fabrizio De André.
 
Sapete che potete raggiungermi facilmente anche in altri meravigliosi luoghi di internet? Trovate tutti i link (tengo in particolar modo a Instagram) nella mia bellissima nuova bio – opera della fantastica Miryel, naturalmente.
 
Se siete invece interessati ad altre storie su questi due disgraziati, vi invito a cliccare sul link alla serie che trovate nello specchietto introduttivo in alto. Tenete presente che molte OS e raccolte sono pubblicate nella sezione di Animali Fantastici.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Grazie dal più profondo del cuore a chi lo ha già fatto <3
 
Vi auguro di trascorrere il Natale nel modo più sereno e sicuro possibile. Forse – forse – potrei farmi viva ancora prima della fine di dicembre, ma non posso promettere niente. In qualsiasi caso, questa volta è meglio evitare gli auguri di buon anno.
 
Alla prossima, quindi.
 
Un bacio e un abbraccio grandi, grandissimi :*
 
La vostra,
 
 
 
padme
 
 
 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né
l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie
altrove, anche se creditate e anche con link
all'originale su EFP, né quella
a rielaborarne passaggi, concetti o trarne
ispirazione in qualsivoglia modo senza mio
consenso esplicito.

 

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Capitolo 14
*** Nella bolla ***


Prendimi e scuoiami vivo e rivoltami, finché, come un personaggio di Ovidio,
non diventi tutt’uno con la tua lussuria, ecco cosa voglio.
Bendami gli occhi, tienimi la mano e non chiedermi di pensare.
Puoi farlo per me?
(André Aciman – Chiamami col tuo nome) 
 
 
 
 
 
 
~ Nella bolla ~
 
 
 
 
 
 
Lend me your desire, take away my pain,
I am liquid fire, it's you that lite the flame.

I'm burning up, burning up, burning up.
I'm burning up, burning up, burning up,

 burning up, I'm burning up.
 
 
 

 
 
Il temporale vi coglie di sorpresa.
Rivolgi un’occhiata distratta a libri e pergamene, sparpagliati alla rinfusa intorno a voi. Agiti appena la bacchetta – un gesto naturale, quasi noncurante –, e un’impalpabile bolla trasparente si interpone fra i vostri corpi abbandonati sull’erba e la pioggia che si rovescia in dense gocce da un cielo minaccioso, livido, traboccante di nuvole in subbuglio.
«Ma piove sempre in questo dannato paese?»
«Soltanto quando non c’è la nebbia».[1]
Gellert sogghigna, senza alzare la testa dal tuo petto. Gli baci i capelli, teneramente, mentre con una mano gli accarezzi la schiena nuda e con l’altra cerchi di recuperare uno qualsiasi dei vostri indumenti, dispersi chissà dove fra le gambe intrecciate e la pelle accaldata e umida – la sua fusa nella tua.
«Dobbiamo rientrare».
«Oh no, non dobbiamo affatto».
Ti volti su un fianco, per nulla turbato dal tono freddo e imperioso della sua voce. In verità, nemmeno tu hai la minima intenzione di sciogliere il vostro abbraccio, di spezzare l’incanto di questo momento perfetto – e lui lo sa, lo sa benissimo; gli racchiudi il mento fra il pollice e l'indice (ti soffermi un poco, a vezzeggiarne la graziosa fossetta), trattieni a stento un sospiro e piano, piano, lo costringi a sollevare il volto. È un attimo. Getti lo sguardo nel suo e sprofondi, anneghi, in quei suoi occhi scintillanti e felini che ti parlano, ti chiamano, ti incatenano e ti sconvolgono, sempre.
Lo stringi a te, ancora di più, attratto da qualcosa che annienta volontà e intelletto, un desiderio inarrestabile e primordiale che, lo avverti, serpeggia nelle viscere, s’inerpica lungo la spina dorsale, rosicchia la cartilagine sottile del cranio, divampa fra le sinapsi e infine sgretola anche la più piccola terminazione nervosa con la potenza esplosiva di un vulcano ribollente di furia. Gli sfiori le guance, lisce e a malapena arrossate, tuffi le falangi tra i suoi riccioli d’oro finissimo per raggiungere la nuca e sentirlo rabbrividire, tremare, dissolversi in risposta al tocco affamato delle tue dita. Ti premi contro di lui e lo baci, gli tormenti le labbra con morsi impudenti e lievi, fuggevoli; non passa che qualche istante e lui butta il collo all’indietro, schiavo di una marea impossibile da arginare, soggiogato – consumato – da un rogo che brucia incessante e che avviluppa entrambi nelle sue fiamme roventi, implacabili. Ti offre la gola palpitante e l’incavo della spalla – un rifugio in cui trovare pace, una polla da cui abbeverarsi e trarre nuovo vigore, nuova linfa, nuova vita.
«Ci sai fare, inglese».
«È la materia a disposizione a essere buona, rende tutto più facile».
Scoppia a ridere – un gorgoglio rauco, sincero, prorompente – e tu non puoi fare a meno di sorridere a tua volta, travolto da un fremito d’estasi – un fiotto di gioia impetuosa e violenta, in grado di raggiungere e inondare, riempire, angoli nascosti di te che neppure credevi di possedere. Allenti la presa sui suoi fianchi e d’improvviso, spinto da un impulso irresistibile, ribalti le posizioni, ti distendi e con un movimento languido, sicuro, te lo tiri addosso; scivoli sotto di lui, ti lasci schiacciare dal peso del suo corpo teso ed eccitato, lo accogli fra le cosce e lo catturi, lo rivendichi, lo inghiotti, non gli concedi alcuno scampo, nessuna possibilità di fuga.
«Pensi davvero che voglia scappare?»
«No». Le tue mani non conoscono requie, percorrono ogni sua singola curva, ogni minuscola asperità con feroce ostinazione, come se imprimerle a fuoco nei palmi, nella carne, nel cuore – ovunque! – per te non fosse mai sufficiente, mai abbastanza. «Voglio solo guardarti mentre mi scopi e mi vieni dentro».
La pioggia continua a cadere, uno scroscio d'acqua infinito che sfuma i contorni della radura, dei suoi morbidi avvallamenti e degli alberi frondosi da cui è circondata, protetta. Il mondo, oltre la bolla, si sfalda nell’oscurità quieta della notte, dolcemente, inesorabilmente, e si ricompone nelle vesti mutevoli di un sogno, di un’illusione sfocata, di un'oscena macchia d'inchiostro colata per sbaglio sopra i versi ingialliti di un poema antico, smarrito nel tempo, dimenticato.
«Dann hör nie auf, mich anzusehen, mein blau» sussurra.
Allora non smettere mai di guardarmi, mio blu.
 
 
 
 
 
 
 
 
I've always been the good one, always done what's right,
now I'm left to pieces, giving up the fire.
So come into the darkness,
lay me on the ground,
lay me on the ground.

I'm burning up, burning up, burning up.
I'm burning up, burning up, burning up,
burning up, I'm burning up.
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 676}

 
 
 
[1] parafrasando una battuta di un film di Asterix (non ricordo il titolo, comunque quando partono per aiutare un parente britannico del capo), che a me ha sempre fatto molto ridere, non so perché. Del resto, il clima inglese quello è, figuriamoci poi alla fine del diciannovesimo secolo, quando ancora non c’erano conseguenze dovute al riscaldamento globale.
 



 
 
 
 
 
Nota:

 
Buongiorno a tutt* <3
 
Ognuno ha la sua coperta di Linus, e questa raccolta è diventata la mia. È il mio rifugio sicuro, quello in cui mi trovo più bene e a cui sento sempre il bisogno di ritornare, anche a prescindere dall’effettiva qualità della storia. Non voglio farmi eccessive pare mentali, scrivo quello che voglio, come voglio e quando voglio, senza stare ad agitarmi troppo. Potenzialmente, potrebbe andare avanti così in eterno.
 
In qualsiasi caso, fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate di questo breve racconto ^^
 
Vi ricordo che potete trovare lo spin-off di “Dammi mille baci”, appena un po’ più rosso, sul mio profilo, però vi avviso che quel particolare progetto non potrà essere aggiornato di frequente, dato che mi richiede qualche sforzo in più che, per ovvie ragioni, la maggior parte delle volte non posso permettermi di garantire. Comunque io ci sono, in un modo o nell’altro sapete bene che io torno da loro sempre.
 
Soundtrack: Burning up, Scarlett Jane.
 
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Un bacio e alla prossima!
 
 
padme
 
 
 
 
P.S: la frase in tedesco alla fine è un puro vezzo, ce l’ho infilata in mezzo perché mi sembrava suonasse bene e stop, non se nemmeno se sia corretta, il che sinceramente mi interessa il giusto (ovvero molto poco).
 
 
 
 
Disclaimer:
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Capitolo 15
*** Cocci ***


N.B: il testo che segue mi ha fatta letteralmente impazzire, non tanto per il contenuto (che comunque non è nulla di originale) quanto per lo stile, che definire frammentato è un eufemismo. Mi scuso quindi in anticipo se arrivati alla fine avrete gli occhi incrociati fra loro e la più che giustificata voglia di venire a picchiarmi (o di chiamare la neuro).
 
 
 
Avrebbe potuto morire per un amico come quello,
avrebbe permesso a un amico come quello di morire per lui;
avrebbero compiuto qualsiasi sacrificio l’uno per l’altro,
il mondo non avrebbe contato niente per loro,
né la morte né la lontananza né la collera avrebbero potuto dividerli,
perché “Questo è il mio amico”.
(E. M. Forster – Maurice) 
 
 
 
 
 
 
~ Cocci ~
 
 
 
 
 
 
I won't let you drown, when the water's pulling you in,
I'll keep fighting, I'll keep fighting.
The rain's going to follow you wherever you go,
the clouds go black and the thunder rolls
and I see lightning,
I see lightning
.”
 
 
 

 
 
Inspira.
 
Una scintilla che accende il buio. Un sottile ricamo di fumo che si sfilaccia nell’aria umida.
 
Espira.
 
Una porta che sbatte. Rumore di stoviglie buttate a terra, di cocci in frantumi e vetri schiacciati sotto le scarpe – singhiozzi?
 
Un altro tiro ed entro.
 
Silenzio.
 
Ancora una sigaretta, una soltanto.
 
La finestra al primo piano si apre, si spalanca di colpo con un tonfo sordo. Una luce tremula emerge dalla foschia e ne pennella d’argento la massa densa, mobile, che aleggia sul prato in voluttuose spirali, si attorciglia sbuffando, serpeggia fra gli alberi e pigramente ti raggiunge, ti avviluppa, ti nasconde – ti disillude, come il più banale degli incantesimi. Braccia rigide si poggiano sul davanzale, una testa arruffata si sporge al di fuori. Un grido muto, angosciato, riecheggia nelle tenebre – monta e deflagra, s’innalza fino a lambire il cielo (l’onda d’urto ti investe in pieno, trafigge il cuore e lo spezza).
 
(Ti spezza).
 
Vieni, vieni.
 
Sono qui. Arrivo.
 
Ti smaterializzi e in un attimo compari al suo fianco, nel vano della finestra. Corpo a corpo, il tuo volto a un soffio dal suo. Pieghi le gambe, in perfetto equilibrio, e ti aggrappi agli infissi di legno, ai battenti scheggiati; ti dondoli avanti e indietro – non hai fretta, non molta, non troppa –, tendi il busto e infine irrompi nella stanza con un balzo felino, disinvolto, sprezzante.

«Questa casa dispone di porte, come qualsiasi altra, hai mai pensato di utilizzarle?»

«E rischiare di imbattermi in quell'idiota di tuo fratello? No, grazie».
 
Per il suo bene, non certo per il mio.
 
Un sibilo acuto, uno scatto rabbioso e violento – la sua bella faccia che si crepa, s’incrina, si disfa in un ghigno storto e grottesco, terribile. Allunga una mano, afferra la sigaretta direttamente dalle tue labbra – inspira, espira.
 
È come un bacio.
 
Una boccata larga, avida (due, tre, quattro). I polmoni si espandono e si contraggono – materia viva che freme, che smania e collassa. Che brucia. (Cinque, sei, sette.)
 
È più di un bacio.
 
Occhi feroci, lividi – Merlino, ci faresti l’amore per giorni, anni, secoli eterni con quegli occhi! –, occhi che ti schiantano al muro, che ti artigliano e ti scorticano, ti divorano, ti ingoiano – fa freddo, maledizione, fa un freddo bastardo – perché?
 
L’estate è finita?

Forse non è mai iniziata.
 
Rabbrividisci, le unghie affondate nei palmi, il fiato che si condensa in volute placide, tediose.
 
Dove ci porterà questa follia? Dove?
 
«Dammi tempo».

«Te l’ho dato».

«Non puoi aspettarmi?»

«Non puoi seguirmi?»
 
Un sospiro rotto, sfinito. Mezza resa – la tua (per ora). Ti avvicini, lentamente, gli accarezzi i capelli e premi la bocca al suo orecchio, lo vezzeggi piano, gli scocchi un piccolo morso sul lobo e ti scosti, ti allontani, qualche passo e ci ripensi, ti slanci verso di lui, gli voli addosso, per rimarcare la tua presenza, il tuo esserci – con lui, per lui. Invochi il suo nome, lo ripeti mille e mille volte, all'infinito (Albus Albus Albus). La tua voce si dissolve in un mormorio sommesso, struggente e dolcissimo – una nenia lieve e malinconica, un canto armonioso in grado di sciogliere anche il ghiaccio più duro, di abbattere le resistenze più ostinate e impenetrabili. Lo attiri a te e lo racchiudi fra le braccia, lo avvolgi – pelle sulla pelle –, lo stringi e lo culli, te ne riappropri con forza – con tutta, tutta, tutta la forza che possiedi (non è abbastanza, lo senti, lo sai).
 
(E saperlo fa male, fa male per Dio.
Fa male qui,
qui.
Al centro esatto del petto).
 
«Non può essere così, non deve essere così. Questa merda cambierà. La cambieremo. Il mondo intero sarà nostro, vedrai».

«E dimmi, bredhu, che cosa ne faremo del mondo, dopo?»

«Intanto so cosa ne farò io».
 
Lo getterò ai tuoi piedi.
 
Solleva il capo di scatto e torna a fissarti – finalmente, finalmente! –, ti scruta senza battere ciglio, ti rovista dentro, ti inchioda a sé e il suo sguardo affilato e azzurrissimo perfora carne, ossa, sangue – anima. Un’ombra cupa attraversa e per un istante sporca quelle sue dannate (adorate!) iridi d’acqua e tempesta – specchi gemelli in cui riflettersi (non sempre, non adesso); è un’intuizione fulminea, a malapena sbocciata e subito appassita – nient’altro che un presentimento, un refolo gelido a increspare la quiete tombale della notte.
 
Ma è già sparito, messo da parte, dimenticato (no).
 
«Hai mai sognato di avere un amico, Gellert? Unicamente questo amico, uno che cerca di aiutarti e che tu cerchi di aiutare... Un amico. Qualcuno che ti duri per tutta la vita, mentre tu duri per tutta la sua».

«Siamo sentimentali, stasera?» rispondi in tono piatto, vagamente scocciato, nervoso. Albus non replica, lascia cadere la sigaretta e aspetta. Aspetta. Gli sfiori una guancia con la punta del naso. «No, non ho mai sognato nulla di simile». Una pausa, poco sopra la bocca, a inseguire il suo respiro – e imbrigliarlo, trattenerlo, fonderlo al tuo. Rinsaldi la presa sulle sue mani, gli catturi le dita e le intrecci con delicatezza alle tue – ancora una volta.
 
(Non sarà l’ultima)
 
«Non ne ho bisogno» sussurri (con le labbra talmente vicine che quasi non sembra linguaggio)[1]«non mi serve nessuno».
 
 
Perché io ho te, mio blu.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
When the world surrounds you, I'll make it go away
paint the sky with silver lining.
I will try to save you, cover up the grey
with silver lining
.”
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 856}

 
 
 
[1] dunque, dunque, dunque. Questo capitolo è interamente ispirato a un libro bellissimo (con il quale al momento sto leggermente in fissa), Maurice, di E.M.Forster, e alla sua omonima trasposizione cinematografica, datata 1987 e diretta da James Ivory (sì, quello che ha vinto l’Oscar per la sceneggiatura di CMBYN. Credete che sia un caso? SPOILER: non lo è). La scena riprende un momento molto importante della storia, ma non voglio entrare troppo nel dettaglio e rovinarvi la sorpresa (perché il libro dovete leggerlo, per forza. Cosa ci fate ancora qui? Correte a procurarvelo, e guardate il film in qualche modo). Vi basti sapere che, duole ammetterlo, smaterializzarsi direttamente alla finestra non sarà mai tanto romantico quanto appoggiare una scala al muro e salire gradino dopo gradino, rischiando di cadere e rompersi l’osso del collo. La magia, ahimè, toglie magia, e in questo caso Alec Scudder batte Gellert Grindelwald con almeno tre reti di vantaggio. Chiarisco inoltre che nel film non c’è una scena in cui i protagonisti non tengano in bocca una sigaretta, e beh, chi sono io per levare di mezzo un elemento tanto importante? Come tempistica ci siamo (le “moderne” sigarette cominciarono a essere commercializzate e prodotte a livello industriale nel 1885), e se vi sembra strano che Grindelwald e Silente indugino in vizi così smaccatamente babbani, immaginate una versione “magica” delle stesse con tanto di tabacco additivato da, boh, non lo so (e sinceramente non lo voglio nemmeno sapere).
 



 
 
 
 
 
Nota:

Buonsera a tutt* <3
 
Vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato ^^
 
Al momento mi trovo sopra una nuvoletta rosa e non ho mezza intenzione di scendere, per cui comprendetemi e perdonatemi se questa volta la supercazzola è ancora più supercazzola del solito. Ma dovevo, dovevo inserire un riferimento a Maurice in questa raccolta, perché già solo la citazione iniziale è perfetta, davvero, dentro c’è tutto T.T
 
Fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate di questa ciambellina che, ne sono consapevole, è ben lontana dall’essere riuscita col buco.
 
Soundtrack: Silver Lining, Hurts.
 
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Un abbraccio e a presto!
 
 
padme
 
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo 16
*** Mi guardi e mi bruci ***


Altra dimora non ho.
Abito il tuo corpo.
(Ghiannis Ritsos – Corpo Nudo) 
 
 
 
 
 
 
~ Mi guardi e mi bruci ~
 
 
 
 
 
 
Resta qui ancora un minuto,
se l’inverno è soltanto un’estate
che non ti ha conosciuto.
 
 
 

 
 
«Resta qui».
Un comando languido, una supplica irresistibile.
Ti volti e allunghi un braccio verso di lui, simulando una debole protesta, te lo tiri addosso – lo cogli di sorpresa, forse – e in un attimo i vostri sospiri tornano a inondare la camera da letto, sfacciati e osceni. Ciglia ricolme d’estasi, bolle d'aria soffocate in gola, dita che artigliano lenzuola umide e aggrovigliate. Sdraiati sul quel vecchio materasso, logoro e quasi del tutto sfondato, vi baciate con frenesia e struggente abbandono, giocherellando con i bottoni ostinati – maledetti! – di camicie inamidate e pantaloni già abbassati sui fianchi, a svelare pelle bagnata, vischiosa, fremente d’attesa e aspro desiderio.
«Convincimi».
Gellert sorride appena – un ghigno storto, la smorfia beffarda e sprezzante di chi è sempre sicuro di vincere – e fa cadere una mano fra le vostre gambe allacciate, per dare a entrambi una stretta leggera e decisa al contempo – un gesto che è una liberazione, un istante di puro, incontenibile, agognato sollievo. Cominci a muoverti piano, avanti e indietro, ti strusci contro i suoi palmi e intanto ti fai largo tra pieghe di stoffa sgualcita e ingombrante, polsini strappati, asole slacciate con furia e urgenza febbrili; gli sfiori l’incavo del mento, la curva piena e sinuosa delle spalle, affondi i polpastrelli nel solco creato dalle clavicole e poi scendi, gli accarezzi l’addome pallido, ampio, levigato, raggiungi le punte morbide dei capezzoli e infine ti soffermi, compiaciuto, a lambirli e pizzicarli e venerarli con tocchi lievi, scherzosi. Gellert sussulta – inghiotte gemiti, annega singhiozzi –, sprofonda tra i cuscini e ti àncora a sé – sguardi che si cercano, s’incastrano, s’annodano –, ti afferra con forza la nuca e all’improvviso, davanti ai tuoi occhi attenti, rapiti, incatenati ai suoi, l’estate esplode. Il bagliore sanguigno del crepuscolo irrompe a fiotti attraverso la piccola finestra, sgorga tumultuoso oltre le tende increspate dalla brezza, e i vostri capelli, mischiati gli uni agli altri – fili d’oro e rame e miele –, paiono anch’essi vibrare, risplendere, infiammarsi, simili a guizzanti raggi di sole – corone di fuoco ad adornare visi ardenti e stravolti.
Chi sta cercando di convincere chi, adesso?
Ridacchi e fai finta di nulla – e comunque, ha davvero importanza? Ne ha mai avuta? Siete voi, siete insieme, solo questo conta –, ti prendi il tuo tempo, poggi la bocca sopra il suo ventre umido e liscio e ti scosti un poco, ti agganci meglio, senza allentare il contatto – non potresti, ora, non riusciresti a staccarti nemmeno volendo; ti avventi su di lui, impetuoso e famelico, lo catturi e lo racchiudi fra le braccia, interamente, attirandolo il più vicino possibile. Lo baci e lo vezzeggi e lo baci, ovunque – sul collo, fra le cosce, lungo la linea flessuosa ed elegante della schiena –, alzi gli occhi e lo osservi tremare e mordersi le labbra, scuotersi e dimenarsi e contorcersi, preda di un’agonia feroce, straziata; avverti la sua tensione, i suoi muscoli duri e nervosi sotto di te, e percepisci ogni suo sforzo, ogni strenuo tentativo di calmarsi, di costringersi a non cedere, a non mostrarsi vulnerabile, a non perdere il controllo.
Non trattenerti. Lasciati andare. Urla, se vuoi. Amo sentirti. Voglio sentirti.
Scivoli su di lui e gli imprigioni un lembo di pelle fra i denti, ti distendi e inizi a succhiare, lento, implacabile, tenendolo stretto – stretto, stretto, stretto – all’unico scopo di bloccare i suoi movimenti e impedirgli di seguirti, assecondarti, dondolare il bacino al ritmo crescente dei tuoi assalti.
Una mano corre rapida verso il basso, insinuandosi là dove si cela – lo sai (oh, eccome se lo sai) – la parte di lui più fragile, il suo punto più sensibile, più intimo, più prezioso. Stuzzicare, scoprire, scavare, sciogliere. Il corpo di Gellert ribolle, intossicato dal piacere, dal bisogno graffiante di essere esaudito, posseduto, conquistato.
Ti sollevi su gomiti e ginocchia, ti sposti in avanti fino a che il tuo volto non si ritrova a un soffio dal suo, e ti godi la vista delle sue guance arrossate – d’eccitazione e calore e sfinimento –, della sua bocca carnosa che sembra modellata apposta per accogliere e soddisfare ogni capriccio, ogni disperato – dolcissimo – anelito, ogni fantasia segreta, nascosta, indicibile.
Non mi guardare così.
Così come?
Lo sai.
Non mi pare.
Vedi, lo stai facendo di nuovo.
Cosa, bredhu?
Mi guardi e mi bruci.
Credevo ti piacesse.
Infatti, mi piace.
E allora?
E allora niente. Resta qui, mio blu, resta qui e bruciami – bruciami piano, bruciami dentro, bruciami ancora.
 
 
 
 
 
 
 
 
E non sa come mi riduci,
hai le fiamme negli occhi ed infatti
se mi guardi mi bruci.
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 734}
 



 
 
 

 
 
Nota:

Buon pomeriggio a tutt* <3
 
Questa volta si tratta di un concorso di colpa, dato che in tanti mi hanno fatto notare come la canzone si adattasse perfettamente a questi due. Del resto, il fatto che Albus abbia le fiamme negli occhi (e, in generale, sia sempre accostato al sole e al fuoco), è stato uno dei miei primissimi headcanon.
 
Ciò detto, la raccolta ormai va avanti da più di un anno, ed è avvilente constatare come, fuori da qui, non sia cambiato assolutamente nulla. Mi trovo di nuovo in zona rossa (come credo molti di voi), bloccata a casa con i bambini, i quali, com’è giusto, pretendono tutta la mia attenzione. Sono costretta a mettere da parte i progetti più complessi – che pure sono in cantiere, più o meno – perché, ovviamente, in questi giorni non ho nemmeno il tempo per vivere, figuriamoci per fare altro.
 
Almeno loro due si divertono, il che, diciamolo, è l'unica cosa veramente importante.
 
Comunque.
 
Soundtrack: Fiamme negli occhi, Coma_Cose.
 
Volete raggiungermi anche in altri meravigliosi luoghi di internet? Trovate tutti i link (tengo in particolar modo a Instagram) nella bio.
 
Se siete invece interessati ad altre storie su questi due disgraziati, vi invito a cliccare sul link alla serie che trovate nello specchietto introduttivo in alto. Tenete presente che molte OS e raccolte sono pubblicate nella sezione di Animali Fantastici.
 
Avviso che mi sto progressivamente allontanando da EFP (perché davvero qui dentro le cose vanno sempre peggio): ora, la serie qui è nata e qui continuerà (a meno che non mi parta del tutto la brocca), ma tutti i racconti nuovi, anche su altri personaggi (perché sì, io una cosina su Maurice l’avrei anche scritta, pensavate mica che mi sarei trattenuta) vedranno (lo stanno già facendo, in realtà) la luce esclusivamente su Wattpad e Ao3.
 
In qualsiasi caso, grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Alla prossima!
 
 
padme
 
 
 
 
 
 
 
 
Disclaimer:
(FRIENDLY REMAINDER: CREDERE CHE TUTTI QUANTI SIANO DEGLI EMERITI CRETINI NON VI RENDE AUTOMATICAMENTE PIÙ FURBI. ANZI)
Non concedo, in nessuna circostanza, né
l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie
altrove, anche se creditate e anche con link
all'originale su EFP, né quella
a rielaborarne passaggi, concetti o TRARNE ISPIRAZIONE

 in qualsivoglia modo senza mio
consenso esplicito.


 
 
 

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Capitolo 17
*** Solo un giorno di fine estate ***


Avremmo dovuto essere due vite opposte, due mondi nati per scontrarsi,
due calamite contrarie, destinate a respingersi, e invece eravamo uno scherzo,
un paradosso, un’anomalia, e nessuna distanza, nessun destino, nessuna legge fisica
riusciva a tenerci separati. Eravamo una reazione chimica, eravamo incontro e direzione,
l’uno ritorno e sponda dell’altro.
(Rossana Soldano – Come anima mai) 
 
 
 
 
 
 
~ Solo un giorno di fine estate ~
 
 
 
 
 
 
 
It's you, it's you, it's all for you,
everything I do.
I tell you all the time
Heaven is a place on earth with you,
tell me all the things you wanna do.
I heard that you like the bad girls,
honey, is that true?
 
 
 

 
 
Non sai da quanto ha iniziato.
Non sai nemmeno come ci sei arrivato, in questo letto disfatto, a farti molestare volontà e ragione da lui e dalle sue braccia maledette – ti tendi e sussulti, tuo malgrado, nel sentirle avvolgersi con forza intorno alla curva indifesa della tua schiena.
Un brivido violento e inaspettato ti risveglia i sensi, procurandoti una fitta acuta esattamente lì, tra le vertebre e l’inguine. Avverti il torpore scucirsi via dalle palpebre, dissolto dall’insistenza delle sue labbra, della sua lingua che si abbatte sulla tua con l’irruenza, l’ostinazione e la furia di un’onda sospinta da venti tempestosi e feroci.
Apri gli occhi, quando il calore del suo respiro abbandona la tua bocca e implacabile, inesorabile, si sposta altrove – ti provoca, l'infame, ti solletica le guance e il mento, affonda il naso nell’incavo della gola, quasi volesse trovarvi un rifugio, o riposarsi un poco, cullato dal battito accelerato del tuo cuore (dei vostri cuori). La luce morbida di un lampione s'insinua in scaglie sottili attraverso le imposte leggermente socchiuse. Gli prendi il volto fra le mani e lo costringi a guardarti, lo osservi a tua volta, intensamente, e li vedi, su di lui, ovunque, i segni del sesso con cui vi siete marchiati e sfiniti – sesso urgente e sporco, necessario, a levarvi di dosso l’odore acre della mancanza, dell’assenza, dei mesi e degli anni trascorsi lontani l'uno dall'altro, arresi a una solitudine vuota (scelta), senza sperare, senza osare immaginare – eppure. Sesso scomposto e consumato contro un muro gelido, e ancora, di fretta, sul pavimento e sulle scale, dove ti è parso di morire, mentre lasciavi che il tuo corpo si mescolasse e si confondesse al suo – irrimediabilmente, irreversibilmente – e forse (forse), per un istante, uno soltanto, sopra quei gradini fottuti ci sei morto davvero.
(E non sei stato il solo.)
«Mi hai portato tu a letto?»
«No, ci sei arrivato volando».
«Non è un’ipotesi da scartare a priori».
«Sarà, ma volare non è divertente quanto prenderti di peso e trascinarti mezzo svenuto in giro per casa».
Sogghigni appena, piegando la testa all’indietro, e Albus, naturalmente, da bastardo navigato qual è, subito ne approfitta (andiamo, piccolo, lo so che lo fai di proposito) e ti si avvinghia al collo – lo morde, lo lecca, lo tortura con sapienza e squisita lentezza, per minuti che appaiono eterni; poi, all’improvviso, si scosta, dolcemente, si solleva sui gomiti e scivola placido lungo il tuo addome, imprigionandoti sotto di sé – nessun pudore, nessuna esitazione a inibire i suoi movimenti sicuri, precisi, adoranti. Trattieni a stento un gemito e di nuovo lo percepisci, chiaramente, dolorosamente, come una scarica elettrica, o la bruciatura di una fiamma, il modo, la cura, la devozione straziata con cui ti disegna brandelli d’esistenza addosso, sulla pelle, nella pelle.
Che stai facendo?
Ti ringrazio.
E per cosa?
Per il tuo regalo di compleanno.
Quale regalo? Aspetta, oggi è il tuo compleanno? Ma dai, non lo ricordavo.
Cos’è, una battuta? Sappi che non fa ridere.
Sul serio, pensavo fosse solo un giorno di fine estate, uno come tanti altri.
Sei un figlio di puttana.
Da che pulpito…
Gellert?
Uhm?
Fidati, tu vuoi che ti ringrazi.
Assolutamente no, mi dai fastidio.
Certo, lo conosco il tuo fastidio, è quello che ora sta premendo contro la mia coscia.
Figlio di…
Sì, sì, va bene principessa, ho capito, non serve continuare a ripeterlo.
Le tue gambe appoggiate alle sue spalle, la sua bocca a reclamare la tua eccitazione e le sue dita dentro di te, finalmente, a riempirti la carne e l’anima. L’altra mano che afferra la tua e la stringe in una morsa rovente, indissolubile, un nodo che è sangue e fiato e spirito, che è possesso e libertà insieme – che è voi, tu in lui e lui in te, sempre. La sua voce (oh, Dio, la sua voce! La sua voce!), roca, maestosa, penetrante, che ti invoca e ti implora, che ti rende folle di piacere e desiderio – e te lo ansima fra i denti, Albus, te lo imprime a fuoco sul palato che quasi non ci crede, non ci può credere, di averti qui, con lui, aggrappato ai suoi fianchi bollenti. Come se non lo sapesse, che sono la foga e la tenerezza dei suoi baci a inchiodarti, a incatenarti. Come se non ne fosse consapevole, che il centro del mondo, per te, è il suo sorriso che ti toglie respiro e vita – semplicemente, dopo, non è più la tua[1] –, è il suo sguardo che trabocca di meraviglia, che ti accarezza e ti tocca e racchiude in sé tutto lo stupore e l’incanto e la grazia infinita di un sentimento così potente e fiero da sovvertire la realtà e le sue leggi ipocrite, da innalzarsi oltre ogni limite umano e scuotere le fondamenta della terra e del cielo e dell’intero universo – almeno per un momento, almeno tra queste lenzuola bagnate, sfatte, imbevute di sesso e addii, di sudore e ritorni.
«Non ti fermare, non ti fermare, non ti fermare…»
Le parole ormai sfuggono, saettano fra di voi, indomite e oscene, senza più alcun freno, senza più controllo – e non è un ordine, questo tuo rantolare graffiato, non è una pretesa, non è una richiesta: è un bisogno, è una supplica, una preghiera smisurata, disperata, perché adesso persino respirare è impossibile, è impensabile, e a te sembra di cadere, di annegare, ancorato come un naufrago ai sospiri rotti di chi è salvezza e condanna a un tempo – lui, che ti strappa l’aria direttamente dal petto, che ti chiama a sé e ti vuole di più, e ti prende di più e ti obbliga a chiamarlo e a volerlo e a prenderlo di più, fino a tremare, fino a spezzarvi, fino ad abbattere anche l’ultimo muro, fino a non riconoscere più i confini (chi è lui? Chi sei tu? Tu sei lui. Lui è te) e alla fine ritrovarsi, distrutti, svuotati, l’uno sull’altro, l’uno nell’altro, l’uno per l’altro, senza più paura, senza più distanza. Senza più sopravvivenza.
«Gellert?»
Il tuo nome fra le sue labbra è pura lussuria, è un ansito scuro, un soffio languido che ti invade la bocca e sulla lingua si scioglie, si fa succhiare, caldo e irresistibile come una caramella al miele – non ti basta, non ti basterà mai.
«Dimmi».
«Non mi va di svegliarmi da solo domani mattina».
«Allora non farlo».
«Hai qualche idea?»
(Chiedimi di restare.)
(Resta, ti prego.)
«Alzati e recupera da bere, ma ti avviso, non ho la minima intenzione di dormire stanotte».
«E questo secondo te è un problema, mein Herr?»
 
 
 
***
 
 
 
«Albus?»
«Dimmi, bredhu».
«Niente».
«Sicuro?»
«Sicuro. Anzi no.»
«E figurati. Cosa vuoi?»
«Quante domande che fai».
«Finiscila e rispondi».
«Sei impaziente. E arrogante».
«Gellert, per favore...»
«Te.»
«Scusa?»
«Te. Voglio te, caro il mio Professore.
Voglio te.
Ti voglio ancora».

 
 
(Buon compleanno, mio blu.)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
It's better than I ever even knew.
They say that the world was built for two,
only worth living if somebody is loving you
and, baby, now you do
.”
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 1131}
 



[1] “Certi sorrisi tolgono il respiro. Lui, con un sorriso, toglieva la vita. Semplicemente, dopo, non era più la tua.” Rossana Soldano, Come anima mai – potrei essere un pochino in fissa con questo romanzo al momento. Ma giusto un pochino (salvatemi).
 
 



 
 
Nota:

Con tre giorni di ritardo, ma quello che conta è il pensiero. Buon compleanno, Albus – mio blu, mio amore, mia anima, mio tutto.
 
Ci sarebbero un sacco di cose da dire, ma sinceramente mi manca la forza. La verità è che mi dispiace per questi mesi di assenza, tuttavia non posso garantire che ci sarà altro dopo questo. L’unica cosa certa è che io, a loro, non so dire addio, perché loro sono e saranno sempre la mia sponda e il mio ritorno.
 
Fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate di questo racconto ♥
 
Soundtrack: Video games, Lana del Rey.
 
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Un bacio :*
 
 
padme
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo 18
*** Metensomatosis ***


Soundtrack: Experience, Ludovico Einaudi & Daniel Hope (bisogna ascoltarla prima - o durante -, fidatevi).




Come corpo ciascuno è singolo, come anima mai.
(Hermann Hesse – Il lupo della steppa) 
 
 
 
 
 
 
Metensomatosis ~
 
 
 
 
 
 
 
Oltre i baci da respirare
nella morte che dà la vita
all'amore che mai non muore.
 
 
 

 
 
E non lo puoi spiegare, quando davvero accade.
Quando le parole non servono più, ed è nel silenzio di una stanza quieta che la vita si consuma – si celebra.
Fare l’amore con gli occhi, prima ancora che col corpo, senza neanche toccarsi.
Lasciarsi travolgere, avvolgere, volersi e rincorrersi, perdersi e nuovamente trovarsi, le dita a sfiorarsi appena, in un gesto che è resa e trionfo a un tempo, un incastro necessario, agognato, perfetto.
Cosa può esserci dopo questo? Come si esiste dopo di lui?
L’azzurro del cielo è forse lo stesso? E il profumo di una rosa, il rumore della pioggia?
Persino l’aria ha una consistenza diversa – vibrante, tangibile –, ora che è lui a respirartela addosso. Ti entra nella gola ed è lui a dare fiato ai tuoi sospiri. Non sei tu ad ansimare per lui, è lui ad asciugarti i polmoni e ad arrochirti la voce, a insinuarsi nella curva tesa della tua schiena, a raccogliere il tuo desiderio, il tuo piacere, il tuo abbandono – il vostro abbandono.
Polsi candidi inchiodati al cuscino, bocche liquefatte l’una sull’altra, un rivolo di sangue vermiglio che stilla a gocce da un labbro martoriato, là dove la dolcezza ha ceduto il passo all’urgenza, all’ardore, a un bisogno irresistibile, inevitabile, irrinunciabile – Gellert.
Il suo sorriso è una scheggia di luce abbagliante, è dolore acuto e disperato sollievo, è la lama d'acciaio che dilania e scortica e purifica ogni tua ferita, ogni lembo di carne viva, pulsante, fremente – Gellert.
Conosci il suo sguardo, quello sguardo: ha il magnetismo di un drago acquattato nell’ombra, pericoloso e seducente, ammaliante e terribile (è impetuoso è splendido è maledetto – è tuo).
Gellert ti fissa e t’accarezza fra battiti di ciglia dorate, t’incanta e t’avvince, ti rapisce, t’afferra l’anima e l’attira a sé – e tu la senti, la senti, la senti questa tua anima furiosa e ribelle, la senti picchiare duro contro il torace, dilatarsi in mezzo alle costole, la senti artigliare tendini e vene, irradiarsi ed esplodere, nella pelle, ovunque, rompere le catene e fuggire, libera, fiera, indomita, fuori da te, dentro di lui – eppure, eppure, il tuo petto non è vuoto, non è morto, tu non sei una cavità sterile, non sei un guscio in frantumi, un pozzo desolato e freddo, incrostato d’assenza – no, no. Tu sei altro, adesso, tu sei l’altro, un simulacro nuovo e intatto, completo, immacolato, in grado di accogliere, di farsi inondare e riempire – da lui, con lui, per lui.
Annaspi, scosso da un brivido violento e profondo, scivoli su di lui e cerchi le sue mani, le catturi e le intrecci alle tue – ancora una volta –, lo prendi e lo graffi e lo mordi e lo stringi così forte da temere di spezzarlo, di spezzarti – un lamento, sporco e bagnatopreghiere confuse e soffocate tra i baci (insegnami, ti prego, insegnami a lodare Dio), tremiti di membra avvinghiate che si dissolvono in un orgasmo feroce, infinito.
Guardarlo, alla fine, è come rifarlo.
Le sue labbra schiuse, dipinte di un rosso voluttuoso e sfacciato, le palpebre abbassate, a nascondere lo sfolgorio di una lacrima, a trattenere l’istante – a trattenere te, con la mente, coi palmi, con le braccia annodate intorno ai tuoi fianchi esausti.
E non lo puoi spiegare, quando davvero accade.
Quando sei nudo in ogni modo possibile, quando i tuoi sensi non sono più tuoi, quando tu stesso non sei più tu, e lo sei come mai prima.
Quando il tuo cuore s’infiamma, e non è più solo.
Quando finalmente lo vedi, lo avverti.
Il momento esatto in cui sai di amare[1].
 
 
 
 
 
 
“Così l'anima vola via,
via da un misero mondo perso,
questo amore sarà una scia
tra le luci dell'universo,
tra le luci dell'universo.
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 592}
 


 
[1] “E non puoi spiegarlo, quando davvero accade, quando senti addosso tutta l'irrimediabilità della condizione di essere umano. Mentre senti il corpo sbattere prepotentemente contro le pareti dell'anima. Il momento preciso in cui sai di amare.” Rossana Soldano, Come anima mai – direi che no, non sono ancora uscita dal tunnel.
 
Questa storia partecipa al Writober, giorno 5, lista special wordsMetensomatosis (la migrazione di un’anima da un corpo a un altro). 
 
 
 
 
Nota:

Così, de botto, senza senso (soprattutto senza senso).
 
Va beh dai, una flashina per il Writober non si nega a nessuno. Sono anche riuscita a postare nel giorno esatto, un mezzo miracolo, praticamente. Ammetto di aver tentato di resistere fino all’ultimo, ma il prompt di cui sopra non faceva altro che lanciarmi sguardi languidi, il maledetto. Così ho ceduto, banalmente, perché in fondo sono una gran sottona. Spero che l’interpretazione che gli ho dato vi sia piaciuta, fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate ♥
 
Con questo capitolo la raccolta diventa ufficialmente maggiorenne: whisky incendiario di Madama Rosmerta per tutt*! Credete che i due infami pagheranno da bere, almeno stavolta? Io non ci farei troppo affidamento.
 
Bonus track: Balla mia Esmeralda (Notre Dame de Paris), Riccardo Cocciante.
 
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Un abbraccio :*
 
 
padme
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo 19
*** Pazzo di luce ***


Proprio come allora, Wei WuXian lo chiamò con un sorriso
sulle labbra e Lan WangJi si voltò a guardarlo.
E da quel momento in poi, non poté più distogliere lo sguardo.
(Mo Xiang Tong Xiu – Il Gran Maestro della Coltivazione Demoniaca) 
 
 
 
 
 
 
~ Pazzo di luce ~
 
 
 
 
 
 
 
Guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli.
Guarda la pelle, tenera, lieve,
risplende al sole come la neve.
Guarda le mani, guardale il viso,
sembra venuta dal Paradiso.
Guarda le forme, la proporzione,
sembra venuta per tentazione.
 
 
 

 
 
Din-don, la pendola batte 11 rintocchi.
 
Ti rivolti nel letto e imprechi tra i denti, furibondo.
È una notte cupa, quasi lugubre e – per entrambi i dannatissimi corvi di Odino – non c’è verso che tu riesca ad addormentarti.
Provi a resistere, teso e inquieto oltre il limite, ma alla fine sei costretto ad arrenderti; quando ti decidi ad abbandonare il torpore soffocante delle coperte, la mezzanotte, ormai, è trascorsa da un pezzo.
Ti affretti ad aprire la finestra – cercando (invano) d'ignorare il formicolio oltraggioso che ti pungola con insistenza la nuca –, agiti appena la bacchetta e in un attimo sei altrove – sei da lui, con lui –, irrompi in casa sua senza alcuna esitazione, certo di trovarlo ancora dove lo hai lasciato, in salotto, intento a leggere davanti al camino. L'estate, malgrado sia luglio inoltrato, procede incespicando tra sbalzi d’umore repentini e violenti – questa sera fa freddo, troppo freddo: l’aria umida della campagna s’insinua sotto i vestiti e intorpidisce gli arti, divora la carne e i nervi, trafigge le ossa – ghiaccia il cuore, che nel petto si fa denso e greve come piombo.
Da qualche minuto ha cominciato a piovere – scrosci d’acqua fitta e incessante, a infrangere il silenzio desolato che pare avvolgere il mondo intero.[1]
«Qualcosa non va, bredhu?»
«Non avevo sonno e mi annoiavo, terribilmente – sai che detesto annoiarmi».
E poi volevo vederti, e stare con te, e ascoltarti, parlarti. Ci sono così tante cose che voglio – che devo, che ho bisogno di dirti.
«Sì, lo so».
Albus annuisce e un sogghigno lieve, a malapena accennato, dardeggia come un lampo sul suo volto pallido.
Non ti accorgi nemmeno che si è alzato dal divano, perso come sei nel groviglio affannoso dei tuoi pensieri – occhi penetranti, limpidi come laghi di montagna, ti fissano ora discreti ora attenti, ricolmi di desideri inconfessati, mentre con voce bassa e vibrante ti invita a sedergli di nuovo accanto e a rimanere in sua compagnia. Anche per lui, ti rassicura, il sonno tarda ad arrivare – o forse no. Forse sei tu (soltanto tu) a tenerlo sveglio in questa notte oscura e irreale.
Resti immobile e lo guardi a tua volta, per lunghi istanti. Indossa una semplice camicia bianca, che gli scivola morbida intorno al corpo snello, e un mantello leggero drappeggiato con noncuranza sopra le spalle ampie e ben definite. I bottoni slacciati all’altezza della gola permettono d’intravedere parte del collo e delle clavicole – linee candide e sinuose, a emulare le eteree fattezze di un’antica statua di marmo. La sua pelle, bianca come giada[2], emana nella penombra un chiarore fievole, sfuggente. Pensi che sia perfetta – assolutamente perfetta –, una tela immacolata, intoccata, su cui spicca la curva piena e dolcissima della bocca – quella sua bocca maledetta, liscia e rossa e irresistibile come un frutto proibito, come la mela che sporcò l'innocenza del Paradiso e lo precluse – dicono –, che mostrò a Eva la furia e lo splendore e la gloria indicibile della tentazione, dell'infamia, della rovina – la conoscenza, il peccato più grande.
Eppure – eppure – a colpirti adesso è un particolare, una benedizione insperata (preziosa), un dettaglio straordinario – e a te sembra, all’improvviso, di non avere più fiato, di non possedere più ragione, controllo, volontà. La sua chioma folta e selvaggia, libera, che gli ruscella scomposta sulla schiena, fino a lambire la vita asciutta e sottile. Non ne hai mai vista una eguale. Arde simile a una vivida fiamma, e i luminosi bagliori dai quali è percorsa rivaleggiano per intensità e fulgore con le lingue di fuoco che guizzano vivaci all’interno del focolare. Racchiude tutta la sua persona, la custodisce in un manto di grazia invincibile, e infonde all'azzurro trasparente delle sue iridi una forza e una bellezza da cui non puoi fare a meno di essere inevitabilmente, dolorosamente attratto.
Chissà se a sfiorare quei capelli di miele e rame fuso si corre il rischio di scottarsi, di bruciare vivi? Ne varrebbe la pena – ne vale la pena.
Allunghi una mano (siete vicini, vicini, vicini) e con cautela prendi una piccola ciocca fra le dita, la vezzeggi piano, te la porti alle labbra per saggiarne la consistenza, percepirne il calore, assaporarne il profumo delicato e inebriante a un tempo.
Tè, sole e rose bianche.
Sollevi lo sguardo e lui sorride – lui sorride e la tua anima si sfalda, lui sorride ed è un raggio di sole che cade come polvere sopra una coltre di neve purissima, è lo sfolgorio dell’alba sul mare, è un canto di vita e di salvezza levato al cielo, offerto in dono alle stelle, all’universo, a Dio.
Albus è sempre più vicino e continua sorridere e tu tremi e ti spezzi e ti sciogli e impazzisci – impazzisci, impazzisci, impazzisci.
 
Tu tremi e impazzisci di luce.[3]
 
 
 
 
 
 
 
Guardale gli occhi, guarda i capelli,
guarda le mani, guardale il collo,
guarda la carne, guarda il suo viso,
guarda i capelli del Paradiso
.”
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 778}
 


 
[1] lo so che nelle mie storie piove sempre, ma, del resto, come cantano i Placebo, English summer rain seems to last for ages. Per quanto riguarda le temperature, sebbene gli eventi si svolgano in estate (per cui sì, di base il meteo è caldo e soleggiato), non bisogna comunque dimenticare che siamo pur sempre nel 1899, in aperta campagna, e in caso di pioggia (perché, ribadisco, il clima inglese questo è) lo sbalzo termico si fa sentire, soprattutto di notte. Per questo motivo il camino è acceso, per riscaldare almeno un po’ una casa che, possiamo ragionevolmente presumere, non è un resort a cinque stelle;
[2] la giada bianca è una varietà di giada. Qui mi sono divertita a creare un parallelismo: in Mo dao zu shi i discepoli del Clan Lan di Gusu indossano prevalentemente lunghe vesti bianche: per questo motivo, in particolare, i due fratelli a capo di tale Clan, Lan XiChen e Lan WangJi, vengono chiamati “le due Giade di Lan”. Ora, il nome “Albus” significa bianco, per cui, in omaggio a questa sorta di "connessione", la sua camicia è bianca, la sua pelle è bianca come giada (che è come viene sempre descritta la pelle di Lan Wangji, tra l'atro), il suo profumo ha il sentore di tè e rose bianche (questo veramente a prescindere) ecc. Se poi aggiungete che “Lan” letteralmente significa “blu” potete facilmente intuire in che modo la mia testa a questo punto sia andata in cortocircuito;
[3] “Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
Eugenio Montale, Portami il girasole ch'io lo trapianti – non associo Gellert a un girasole, sia chiaro, ma questa immagine è davvero troppo potente e non potevo non utilizzarla.
 
 
 
 
 
Nota:


Buona sera e buona domenica ^^
 
Non sono una grande estimatrice dei capelli di Albus versione Sirenetta, ma ne comprendo il fascino, soprattutto ora che sto guardando The Untamed, dove i capelli lunghi dei protagonisti rivestono un ruolo importante, non solo a livello estetico. A tal proposito, essendo il racconto essenzialmente un pre-slash, ho presupposto che, fino a questo momento, Gellert non abbia mai visto Albus con i capelli sciolti, e che quest’ultimo li abbia quindi tenuti sempre legati in presenza dell’altro.
 
Al solito, fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate ♥
 
Soundtrack: L’infanzia di Maria, Fabrizio De André.
 
Volete raggiungermi anche in altri meravigliosi luoghi di internet? Trovate tutti i link (tengo in particolar modo a Instagram) nella bio. Da poco sono anche su Twitter, per cui, se volete rimanere aggiornati o semplicemente vi va di caz*eggiare, potete raggiungermi lì. Perché sì, è evidente che con la sbandata che mi sono presa qualcosa sui WangXian uscirà fuori, prima o poi.
 
Se siete invece interessati ad altre storie su questi due disgraziati, vi invito a cliccare sul link alla serie che trovate nello specchietto introduttivo in alto. Tenete presente che molte OS e raccolte sono pubblicate nella sezione di Animali Fantastici.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un abbraccio :*
 
 
padme
 
 
 
 
 
 
 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né
l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie
altrove, anche se creditate e anche con link
all'originale su EFP, né quella
a rielaborarne passaggi, concetti o TRARNE ISPIRAZIONE

 in qualsivoglia modo senza mio
consenso esplicito.


 
 
 

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Capitolo 20
*** Zhī Jǐ ***


A voi, adoratissimi figli di.
Siete uno dei regali più belli e terribili che la vita mi abbia riservato.
Grazie di tutto – nonostante tutto.

 
 
 
 
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca,
fronte bassa selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.


Cesare Pavese – La terra e la morte
(19/20 novembre 1945)
 
 
 
 
 
~ Zhī Jǐ ~
 
(and tonight's the night that we begin the end)
 
 
 
 
 
 
 
Look me in the eye, say that again,
take me to your chest and let me in.
 

 
 
L’eco dei vostri respiri è fievole, a malapena percepibile, in questa stanza buia e ammantata di quiete.
Londra non è mai tranquilla – nemmeno di notte, nemmeno in pieno inverno – ma anche la realtà più ostile, adesso, è costretta a inchinarsi a un volere superiore (resistere non è un’opzione)e allora.
Che la città ammutolisca, che si nasconda, che si dissolva nelle tenebre con il necessario – con il dovuto – riserbo.
Che rimanga il silenzio, fra di voi e tutt’intorno – no. C’è un cuore che batte (furioso ribelle spezzato) sotto le vostre dita intrecciate (è il mio cuore? È il tuo cuore?) (Sono entrambi, sono insieme – sono).
È finito (finito finito finito) il tempo di parlare – eppure. La mente è ostinata (mai rassegnata) e non si placa, si accanisce e si contorce e si dimena e sfreccia ovunque – gira su sé stessa (gira gira gira), simile all’ago ammattito di una bussola ormai priva di magnete, obsoleta e rugginosa, consumata, inutile (dov’è il Nord? Dov’è la mia Stella Polare?).
Tutto è già stato discusso, rimarcato, implorato (“quel che stai facendo è follia, Gellert”), ogni mossa futura pianificata e decisa – scelta (“con te o senza di te, io brucerò il loro mondo, Albus, e tu non puoi fare nulla per impedirlo”)[1].
(Ne sei davvero convinto, bredhu?)
 
 
 
There's nothing left, no fortress to defend.
And tonight's the night that we begin the end.
 
 
 
Ti scosti un poco (il tuo petto, amore mio, il giaciglio più dolce – indimenticabile, insostituibile), ti sollevi sui gomiti e con improvvisa, febbricitante urgenza, ritorni a perderti (scioglierti) in lui, ad affondare i denti nell'incavo ruvido del suo collo, a leccare (adorare!) la linea affilata e perfetta che gli cesella il mento, a baciare (baciare baciare baciare) l'arco teso delle guance, la fronte ampia, gli angoli umidi degli occhi – una lacrima (una soltanto?) lo ha tradito, ha fatto breccia nelle mura inviolabili (forse no) della sua fortezza, è fuggita via, via, via (quando è successo? Vorrei ricordarlo, non lo ricordo – bugiardo).
(È successo mentre mi entravi dentro, mio blu. Mentre mi scopavi come un pazzo e mi esplodevi nelle viscere – carne e sangue e spirito –, mentre mi davi tutto te stesso – mentre ti davo tutto me stesso – ancora e ancora e ancora.)
Trattieni a stento un lamento – oh, Dio! Tu pure, tu pure hai pianto, in quel momento, hai singhiozzato e urlato e goduto e pregato nella sua bocca (l’ultima resa, amore mio – l’ultima vittoria).
Scivoli al suo fianco, senza fiato, e lo attiri a te – di nuovo –, lo avvolgi e lo culli e lo racchiudi fra le braccia, ferocemente, selvaggiamente, cercando disperato il suo sguardo – è spaventoso, è penetrante, è letale. È il tuo specchio e il tuo riflesso iridi di cielo e terra e acqua e fuoco, tinte luminose e sovrapposte, mescolate, diluite le une nelle altre – inevitabilmente. Irreversibilmente.
(Sei bellissimo, bellissimo.)
(Tu lo sei.)
I suoi palmi sul tuo viso sono roventi preludi d’estasi – una lenta, magnifica, terribile agonia –, dilaniano e guariscono, prosciugano e dissetano. Condannano e benedicono.
(Mio blu, mio blu. Qualunque cosa accada, voglio che tu lo sappia. Non dire mai che non lo sapevi.)[2]
(Io so chi sei, Gellert. L’ho sempre saputo. Amico – mai nemico –, fratello, padre, figlio, marito, amante. Più me di me stesso.)
È una storia antica quanto il mondo – un unico racconto, sussurrato da infinite voci e germogliato in luoghi sconosciuti, diversi e lontanissimi, irraggiungibili. Altri prima di voi hanno seguito questa strada – verso la gloria e lo sfacelo, il trionfo e la rovina – solo che.
(Credevo che tu fossi la mia anima gemella – il mio zhī jǐ.)[3]
(Lo sono. Lo sarò sempre. Questo non è cambiato, bredhu – non cambierà mai.)[4]
 
 
 
 
Now I tried, God knows I tried,
but there's nothing you can do to change my mind.
And I don't enjoy to watch you crumble,
I don't enjoy to watch you cry.”
 
 
 
 
L’ultimo bacio, pensi – realizzi –, non è amaro – il dolore atrofizza le labbra, secca il palato, graffia la gola. La verità è che non senti più niente (non sento e non sono – non sei, non siamo).
Il medaglione, ora, sfrigola rabbioso contro la pelle – morde ustiona scortica lacera.
(Se lo distruggi, distruggerai te stesso.)
(È un prezzo che sono disposto a pagare.)
Ti alzi dal letto e ti rivesti in fretta, senza guardarti indietroneanche una volta neanche per sbaglio non guardare non tremare è il freddo non tremare raddrizza le spalle non tremare non tremare
Getti un’occhiata rapida alla finestra. Al di là dei vetri opachi, il sole è una macchia livida nel chiarore polveroso del mattino.
(Non commettere errori, Grindelwald.)
(Non ne commetterò, Silente.)
Annuisci brevemente e per un istante – effimero, eterno – ti concedi il lusso di indugiare, di rubare qualche minuto al fato beffardo mentre ti abbottoni i polsini e sistemi con cura il nodo della cravatta – un mezzo Windsor, rigoroso e impeccabile.
Non ti resta che indossare guanti, sciarpa, cappotto.
Infili piano una manica, poi passi all’altra.
Come i bambini piccoli – rifletti. O come i vecchi.
Prendi la bacchetta fra le mani e la stringi con forza, con consapevolezza.
Un attimo.
Ancora un attimo.
Inspira – espira.
Quando ti volti, alla fine, sei sereno, calmo, sicuro.
(È andata come doveva andare.)
(È andata –)
(È –)

 
(La stanza è vuota.)
(Lui non c’è più.)
 
 
 
 
But make no mistake.
Make no mistake
 



 
 
 
 
 
 
{Words Count: 819}
 


 
[1] sì, la scena si colloca immediatamente dopo l’incontro al ristorante che abbiamo visto nel trailer;
[2] questa è forse la mia parte preferita in assoluto di Chiamami col tuo nome (libro, nel film questo dialogo era presente nella sceneggiatura ma poi non è stato inserito T.T), Oliver che dice a Elio (dopo la scena della pesca): "Qualunque cosa accada tra noi, Elio, voglio solo che tu lo sappia. Non dire mai che non lo sapevi";
[3] Wei WuXian: “Once I thought to you as my zhī jǐ.
Lan WangJi: “I am, still.”
(The Untamed – Ep. 27)
Senza stare qui a fare un discorso etimologico (per il quale comunque io non ho le competenze necessarie) basti sapere che questa parola ( – tradotta come soulmate, intimated friend, the one who knows you) racchiude un po’ tutte le sfumature del legame che in questi anni ho cercato di raccontare. Ah, la straordinaria capacità di sintesi della lingua cinese (Albus e Gellert sono due maghi coltissimi e non vedo perché non dovrebbero conoscerla);
[4] ricordo che questa serie ha già un suo epilogo ("Cor cordium"), nel quale la veridicità di questa affermazione viene inequivocabilmente rimarcata.
 
In questo racconto non ci sono dialoghi ad alta voce – il tempo delle parole, del resto, è finito. Anche il contatto mentale è sempre più fievole, frammentato, confuso. Per questo l’ho messo tutto tra parentesi, per sottolineare ancora di più l’inevitabile distacco: la verità, quest’ultimo momento di profonda sincerità fra Albus e Gellert, ormai fatica a trovare spazio, a emergere – eppure c’è, è ancora lì, seppellita nelle profondità più intime e nascoste dei loro pensieri.
 
 
 
 
 
Nota:

Sinceramente, non credo che avrei mai potuto concludere questa raccolta in un modo migliore (a prescindere dal risultato finale, che come al solito è discutibile), in un momento migliore, con una canzone migliore.
 
Tra qualche giorno (in alcune parti del mondo già oggi!) si concluderà un’era: ne sono successe di cose in questi (quasi) quattro anni, alcune belle, altre decisamente meno, ma non starò certo qui a riassumerle tutte quante. Non so cosa capiterà d’ora in avanti, questi ultimi mesi sono stati lunghi e confusi e difficili per questioni sia generali (come credo valga per tutt3) sia personali: sento che è giunta l’ora di chiudere questo capitolo, e quel che avverrà dopo, beh, sarà un’altra storia ancora. Una cosa però non cambierà mai. L’ho già detto una volta, lo ribadisco di nuovo: loro sono e saranno sempre, la mia sponda e il mio ritorno.
 
Grazie a voi tutt3, persone speciali e preziose, che mi avete accompagnata in questo straordinario viaggio ♥ ♥ ♥
 
(Abbiate pazienza ma non mi dilungo sono qui che piango come una vite tagliata siate comprensivi grazie)
 
Soundtrack: Begin the end, Placebo.
 
Vi aspetto su Instagram e Twitter ^^
 
Per raggiungere (rileggere\trovare per la prima volta\quel che volete voi) tutte le altre storie su questi due disgraziati, invece, vi invito a cliccare sul link alla serie che trovate nello specchietto introduttivo in alto. Tenete presente che molte OS e raccolte sono pubblicate nella sezione di Animali Fantastici.
 
Grazie come sempre a chi leggerà – anche silenziosamente –, e a chi commenterà o inserirà questa raccolta in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Alla prossima avventura!
 
Un bacio :*
 
 
padme
 
 
 
 
 
 
 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né
l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie
altrove, anche se creditate e anche con link
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a rielaborarne passaggi, concetti o TRARNE ISPIRAZIONE

 in qualsivoglia modo senza mio
consenso esplicito.


 
 
 

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