Salvation

di AllenGyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thank you ***
Capitolo 2: *** Family Photo. ***
Capitolo 3: *** Nightmares. ***
Capitolo 4: *** Dinner. ***



Capitolo 1
*** Thank you ***


Il cielo limpido parve rinchiuso in una minuscola finestra, come un quadro scadente regalato da qualche parente lontano riposto sul muro, nel momento in cui Billy aprì gli occhi. La luce sottile evidenziava i particolari di quella stanza, dando modo al ragazzo di capire dove si trovasse. 
Ogni arto era immobilizzato, lo capì quando con grave difficoltà tentò di innalzare il busto e alzarsi da quel dannato letto d'ospedale. Un dolore acuto lo colpì sul petto, trascinandolo all'indietro come una fionda. 
Gemette di dolore poco dopo, strizzando d'istinto gli occhi. 
Billy credette di avere la lingua attaccata al palato, poiché ogni parola (giuste o no da dire) venivano inghiottite dall'incapacità di aprir bocca. 
Le fitte attutirono man mano che i minuti passavano, lasciando il ragazzo spaesato e in completa confusione. Quando le lacrime lo raggiunsero, si pentì di essersi svegliato. Si sentiva debole, e quelle sensazioni erano frammenti familiari per Billy.
Quello strano silenzio, sia all'interno che all'esterno della sua camera, aumentò l'intensità dei suoi pensieri, una strana conversazione creatasi all'interno della sua testa. 
"Sei sveglio," una figura minuta apparì, entrando nella stanza con in mano una coca cola, "Felice di vederti." 
Billy decise di non obiettare, non che ne fosse capace, alla sua affermazione. Sì, era sveglio, ma avrebbe voluto dormire per altro lungo tempo. La persona si sedette sulla poltrona accanto al letto, sorseggiando la sua bevanda guardando in basso. Dopo interminabili minuti, la figura parlò:
"Sai," la voce fu incerta, "Ho avuto paura di averti perso lì dentro." 
Billy non rispose, distolse invece lo sguardo, voltandosi verso la minuscola finestra, anziché concentrarsi sullo sguardo ferito di Max. Aveva poco coraggio nell'affrontare colei che aveva ferito per la maggior parte dei suoi anni.
Si maledì nuovamente, scacciando via le misere lacrime che avevano tanto desiderio di uscire.
"Non solo io.." smettila, avrebbe detto. Si limitò ad annuire e posare la sua testa stanca sul cuscino dietro di lui.
La ragazzina respirò, avvicinando la poltrona al letto e prendendo la sua mano. Un gesto che colpì Billy più di quanto pensasse, dato che era un comportamento nuovo per entrambi. Max si accorse del timore del fratello, ma ciò nonostante non gli lasciò la mano.
"Grazie di aver salvato la mia amica, Billy, ti devo molto." 
Non mi devi proprio niente, ragazzina. 
Per quanto fosse difficile per Billy sorridere, si costrinse nell'accennare un miserabile sorriso buffo, che scaturì una risata a Max. "Sei buffo." Dopo che lo sbeffeggio della sorella terminò, anche Max ricambiò il sorriso, stringendo un po' di più la presa.
La rossiccia non fece domanda alcuna sul fatto che Billy non parlasse, e il ragazzo apprezzò la sua discrezione. 
L'immobilità fu una tortura per il biondo, che provò a muoversi solo per sgranchire le gambe che non sentiva, "Non muoverti, Billy, o-" quest'ultimo non trattenne un lamento rumoroso, "o potresti farti male..." 
Ricordava vagamente dell'accaduto che gli era successo, e con esso pure le ferite gravi suoi fianchi che l'obbligavano a letto. 
"Il medico ha detto che devi muoverti il meno possibile." lo informò Max, rimproverandolo. Le sopracciglia erano corrucciate e l'espressione gli ricordò il viso di Susan, la sua matrigna. A volte si arrabbiava con la propria figlia per qualche marachella. 
"Cercano di rendere le cose più tollerabili possibili, cerca di non strafare." continuò. 
Billy sbuffò rumorosamente.

Mancava mezz'ora al termine delle visite e Max quasi si addormentò sulla sua scomodissima poltrona. Susan si presentò poco più tardi, sorpresa di vedere il figliastro sveglio (ma sempre malandato). Ma si allontanò successivamente per fare la spesa, disse. Suo padre, a differenza di coloro che erano diventate pian piano la sua famiglia, evitò di regalare la sua presenza. Non si sorprese affatto della sua scelta, capendo di essere una delusione per colui che lo aveva cresciuto. 
"Neil è un vero bastardo." una voce borbottante riecheggiò in quella stanza silenziosa, lasciandolo di stucco per quell'affermazione. Fu furba, la ragazzina, consapevole dell'assenza di sua madre nella camera. Sapeva che frasi del genere erano suscettibili per la donna che, purtroppo ma per sua scelta, aveva sposato suo padre. 
"Ma son felice che lui non sia qui, al momento." 
Anch'io, Max, anch'io.
Il tempo passava lento, anche in compagnia della sorella che provava a far conversazione con Billy, i minuti sembravano ore e le ore sembravano anni... L'unico desiderio di Billy era di andarsene da quel luogo il più presto possibile.
E anche di una dannata sigaretta, ma quello cadeva in secondo piano.
Un'infermiera bussò alla porta prima di entrare, "Le ore di visita son terminate." avvertendo la ragazzina amante dello skateboard, uscendo subito dopo. Max fissò il fratellastro a lungo prima di sussurrargli un: "Ci vediamo domani, Billy." portandosi con sé la lattina di coca cola vuota. Più che un saluto parve una promessa. E Billy, in cuor suo, sapeva che l'avrebbe mantenuta.


Billy si risvegliò nel letto d'ospedale cosparso di sudore e paura, dopo un terribile incubo. Per quanto volesse urlare e precipitarsi al di fuori di quell'ospedale, il dolore e la stanchezza costante lo bloccarono prima che potesse solo pensarci. L'aria parve gelida, nel momento in cui i brividi percorsero il corpo immobilizzato del ragazzo. 
Ringraziò mentalmente l'infermiera qualsiasi che aveva lasciato l'acqua sul comodino a fianco al suo letto ore prima, dandogli modo di riprendersi un po' dallo shock notturno. 
Si accorse di star tremando.
Sorseggiò quei pochi sorsi d'acqua e rimise il bicchiere al suo posto, sdraiandosi nuovamente a peso morto.
Era stanco, impaurito e solo. 
Le luci dell'ospedale erano ancora accese, ma la finestra in vetro chiusa presentava la notte.
Sarebbe stata una lunga notte, se lo sentiva.

 

L'indomani, dopo che la notte aveva lasciato il posto al sole e al cielo celeste, per Billy ci furono parecchi controlli. Alcuni dolorosi e altri noiosi, quasi da farlo riaddormentare. 
Le infermiere erano una diversa dall'altra: chi parlava parecchio e chi non parlava per nulla, limitandosi al suo lavoro e poi dileguarsi da un altro paziente. Billy apprezzava quelle che chiacchieravano un po', intrattenendolo e facendolo sentire al suo agio, nonostante avesse dolori continui.
Qualcuno accennò un miglioramento fisico del ragazzo, rincuorando quest'ultimo di una possibile dimissione nei giorni seguenti... ma la realtà sembrava così lontana. 
Non aveva bisogno di false promesse, né di speranza. 
Aveva bisogno di fatti, per potersene finalmente andare.
Dopo che i controlli furono lasciati alle spalle e l'inizio delle visite cominciò, Billy attese l'arrivo della sorellastra. 
Si sorprese di non vederla da sola.
"Buon pomeriggio, Hargrove." lo salutò Steve con un sorriso beffardo, entrando insieme alla sorella e alla sua amica (che aveva salvato quella notte, si ricordò) di nome Undici. 
"S-Sto sognando o sei tu, Harrington?" rise, affaticandosi ma senza evidenziarlo, ricordandosi la loro strana conversazione avvenuta un anno prima. Finalmente aveva riacquistato la forza di parlare, seppur con difficoltà, potendo ribattere a quel ragazzo dinanzi a lui.
Max roteò gli occhi nel sentire le risate del suo fratellastro e del suo amico Steve, al contrario di Undici che rimase in silenzio perplessa. 
"Adesso parli, quindi?" gli chiese la rossa, "Ieri eri muto come un pesce." il suo tono irritato fece ridacchiare il ragazzo. 
"Sentivi la mancanza della mia voce?" 
"Stupido." sospirò incrociando le braccia. 
Billy fissò i presenti, sorpreso di vedere qualcun altro che non fosse Max o Susan.
Si accorse poco dopo del ragazzo capellone in piedi col viso sfigurato:"Sei piuttosto mal ridotto, ragazzo carino." 
"Parla per te" e sì, era a conoscenza che tra i due quello ridotto male era proprio lui. 
Undici lo scrutava con quegli occhi grandi e castani, come se si sentisse in parte in colpa di vederlo così malandato. La tentazione di dirle: "Tranquilla" fu ardua, ma per Billy era meglio che assimilasse il tutto.
"Grazie." la voce non era né dura né spenta, semplicemente pacata, solo una voce di una ragazzina lieta di essere stata salvata. 
Billy provò ad obiettare qualsiasi cosa, anche un "ma" o un "non", ma un sorriso ebbe la vinta, accettando quel suo timido ringraziamento.
Si guardarono per minuti interi, e Billy giurò di aver visto uno strato lucido nei suoi occhi, il ragazzo però preferì non dir nulla, lasciando che Undici lo guardasse con tutta l'ammirazione che possedeva nei suoi confronti. 
Steve e Max restarono a guardare, profondamente colpiti di quel momento, in silenzio. 
La delicatezza negli occhi di Billy sorprese Steve, a tal punto da fargli sentire una sensazione strana allo stomaco. Sorrise con loro, non badando a quella percezione e lasciandosi ammaliare da quei due ragazzi che avevano sofferto fin troppo nella loro vita. 
"Bene," fu Max ad interrompere quel momento, a malincuore, sedendosi sulla familiare poltrona e iniziando una conversazione col fratello. "Ti hanno detto quando uscirai?"
"A dire il vero no." la ragazza annui, "Ma hanno detto che ci son dei miglioramenti." 
"Spero presto, la casa non è la stessa senza di te." 
Tutti i presenti fissarono Maxine, inconsapevole di aver detto una cosa che alle orecchie degli altri suonò un po' troppo smielata. 
"Che c'è? E' ovvio che volevo dire che la casa è più pulita in sua assenza..." provò a salvarsi in flagrante, facendo ridere sia Steve che Undici.
Billy rimase in silenzio, colpito da quanto Max fosse dolce. Era una visione strana, ma stava finalmente percependo il suo bene. 

Le chiacchiere riempirono la stanza d'ospedale che occupava Billy Hargrove, qualsiasi argomento bizzarro o strano che fosse, non fuoriuscì da quelle mura.
Brevi intermezzi dati da varie infermiere che controllavano il ragazzo, non fecero perdere il filo ai ragazzi che discutevano animatamente.
"Ed io allora l'ho piantato in asso!" rise nel mentre Undici, parlando di come aveva lasciato il suo attuale fidanzato Mike tempo addietro, grazie al consiglio di Max. 
"Non mi aspettavo che tu fossi così cattiva, Undici." disse Steve, seduto sul bordo del letto. Sembrava scomodo ma non se ne lamentava affatto.
"Cattiva?" chiese, guardando poi l'amica che scrollò le spalle sorridendo: "Non guardare me, eh!" 
"Ma alla fine vi siete rimessi insieme, no? Si è fatto perdonare?" Billy non si accorse di essere tanto coinvolto nella discussione. 
"Sì, si è fatto perdonare." concluse Undici, toccandosi la collana regalata da Mike. 
La rossa sbadigliò, "Sai quante volte ho piantato in asso Lucas... e quante volte si è fatto perdonare..." si vantò la ragazzina, spingendo scherzosamente l'amica con la spalla.
Al suon di quel nome, Billy trasalì. 
Se ne accorsero tutti, pure Max.
Il biondo abbassò lo sguardo, ricordando gli accaduti avvenuti. Un senso di colpa colpì con forza il suo petto, costringendolo a piangere la sua prima lacrima. 
Perché... perché son sempre stato così stronzo...

Aveva fatto del male nella sua vita, più del bene che aveva compiuto. 
A Max,
A Steve,
A Lucas,
E perché? Perché era un maledetto e lurido bastardo, ecco cosa.

"Billy, cosa..." la sua sorellastra lo raggiunse in un istante, poggiando la sua mano minuta sulla spalla. Billy non alzò lo sguardo per guardarla, non ne aveva il coraggio.

"Guardami, Billy, che ti prende?" 
Un'altra dannata lacrima varcò il suo viso, bagnando le lenzuola bianche. 
"Sta piangendo..." sussurrò Undici, avvicinandosi anche lei al ragazzo.
Era umiliante, solo e soltanto umiliante, e Billy non desiderava altro che scomparire da lì in un baleno.
"M-Mi... mi dispiace." mormorò, le labbra tremarono più volte nel dirlo.
"Per cosa?" per Max fu come parlare con un bambino triste e difficile da consolare, aveva paura di spezzarlo con la sua vicinanza. 
"Per tutto." 
"Di cosa stai parlando, Billy?" fu Steve a parlare stavolta, sempre seduto sul letto ma più vicino. Aveva paura che potesse sentirsi male se tre persone gli si avvicinavano troppo. 
Impossibile che vi siate dimenticati del tutto male che ho fatto! Urlava nella sua mente, stringendo un pugno, rendendo le nocche incredibilmente bianche. Le unghie parvero entrare dentro la carne.
"Billy, ti prego, guardami..." 
La voce supplichevole della sorella, sorella, lo convinse ad alzare lo sguardo. I suoi occhi erano lucidi e preoccupati, quasi come i suoi, e lo supplicavano a parlare.
"Ho fatto del male a così tante persone... io..." 
Sei un mostro, sei un mostro, sei un mostro, sei un mostro...
"Non sei un mostro." disse Undici.
Lo disse stringendo la sua mano nel mentre, come se avesse percepito i suoi pensieri... 
"Hai fatto del male a persone, è vero," parlò Max, allontanandosi di poco da Billy. "Ma non sei un mostro. Il mostro è colui che chiami "Sir", a casa nostra, colui che ha sposato mia madre." 
"Hai fatto degli errori, Billy, come li facciamo tutti, ma sei pentito e per questo ti perdoniamo."
Steve era in piedi dinanzi al suo letto, guardandolo con uno sguardo indecifrabile. Il "Ti perdono per il piatto spaccato in testa" era naturalmente sotto inteso.
Billy rimase senza parole.
Il petto ancora gli doleva.
Le lacrime varcavano veloci dai suoi occhi, bagnando le sue guance macchiate di cicatrici evidenti.
Non si aspettava tutto ciò, non di certo. 
"Spero che tu abbia capito, Billy." Max aveva uno sguardo autoritario sul volto, voleva con tutto il cuore che il fratello capisse chi fosse il vero mostro.
"Gr-Grazie..."

 

Passarono giorni da quell'intensa conversazione avuta con Steve, Max ed Undici. 
Billy non si scordò neppure una sillaba, poiché quelle frasi d'incoraggiamento erano impresse nella sua mente. Il suo cuore danneggiato dagli anni si era cucito quel poco, facendolo sentire per una buona volta vivo. Fu una bella sensazione.
I giorni di visita arricchirono le giornate del ragazzo, arrivarono più persone a fargli visita: la stramba ma intelligente Robin, amica di Steve, Lucas (che fu difficile chiedergli direttamente scusa), Dustin, Mike, la signora Byers -Joyce!- e colui che aveva vissuto quello che aveva vissuto lui, Will. 
Fu felice di passare del tempo con loro, far parte di un gruppo ricco di persone diverse tra loro.
I miglioramenti di Billy aumentarono di giorno in giorno, arrivando a un sviluppo tale da non fargli sentire dolore ad un movimento qualsiasi. 
Ma sapeva che prima o poi quell'uomo di nome Neil Hargrove sarebbe venuto a fargli visita. 
"Stai molto meglio, Billy." la figura spaventosa di suo padre varcò la soglia di quella stanza, accomodandosi all'interno e sedendosi sulla poltrona. 
La sua voce era distaccata, Billy non si sorprese di ciò, e con la possibilità di muoversi il ragazzo innalzò il busto dal letto. Aveva ancora timore, nonostante fossero dentro un luogo pubblico.
"Sì, signore." 
L'uomo annuì in silenzio, guardandosi intorno con fare autoritario. Ispezionava la stanza per non degnare il figlio. Probabilmente aveva ricevuto più pressioni dalla moglie: "Vai a far visita a tuo figlio, Neil, per favore!" 
"Quindi... cosa è successo in quel centro commerciale?" 
Billy non si sorprese neppure di quella domanda. 
Se solo lo sapesse pure lui, era così confuso...
"Non ne ho idea, signore." deglutì il ragazzo.
"Sei finito in ospedale senza saperne il motivo?" 
"Esatto, signore." 
La sua mano cominciò a tremare, e provò a nasconderla sotto le coperte bianche.
"Non me la racconti giusta, ma ci passerò sopra." 
Susan arrivò e Billy non fu così felice di vederla in vita sua. Non cambiava una persona in più, soprattutto se la persona in questione era Susan, ma averla lì a scrutare la situazione lo calmava. Non aveva mai combattuto contro suo padre in circostanze normali, ma ritrovandosi in un ospedale e indifeso soprattutto... gli faceva paura.
"Ciao, Billy" disse la donna, notando la tensione tra suo marito e il figliastro.
Il ragazzo ricambiò con un cenno, cosa che faceva sempre in presenza del padre. 
Max non tardò ad arrivare, Billy notò il suo sguardo colmo di senso di colpa. Avrebbe domandato il perché, ma lo capì poco dopo. Neil lo osservava in silenzio.
"Hanno detto quando ti dimetteranno?" chiese l'uomo.
"La prossima settimana, così hanno detto." Neil annuì. "Mi lasceranno andare a casa, vogliono solo che io faccia meno movimenti possibili. Le ferite son guarite del tutto, dovrò cambiare qualche benda e dovrò tornare ogni settimana per far dei controlli." 
Max si sedette accanto a Billy, ignorando l'uomo che la scrutava perplesso. Non aveva mai visto suo figlio e la sua figliastra così vicini prima d'ora. 
"Son felice che torni a casa, Billy."
"Anch'io, Max." 

 

 

"Quindi domani ti dimettono, eh?" 
Max era da poco andata via, per degli impegni con la sua amica Undici e l'intero gruppetto. La ragazza disse al fratellastro che sarebbe voluta rimanere ma non poteva minimamente mancare a quell'incontro, per chissà quale motivo, lasciando così entrare Steve.
Fu un dispiacere non vederlo nella sua divisa da marinaio, sapendo che aveva perso il lavoro da quel quattro luglio. 
"A quanto pare sì." 
Erano diventati stranamente amici, e Billy non si aspettava di avere King Steve come amico, e soprattutto avere un amico vero e proprio. 
Non aveva mai avuto un confidente prima d'ora, dovuto al suo carattere scorbutico e brusco. Aveva sempre allontanato tutti per paura di essere ferito, ferendo a sua volta. 
"Son contento di ciò." Steve era stranamente di poche parole, timido come non mai e se ne stava a chilometri di distanza da lui. 
"Anch'io..." disse, provando a combattere la sua di timidezza. Non era facile parlare con qualcuno al di fuori di Max.
E ammetterlo era difficile.
"Un giorno di questi, allora, ti va di uscire?" se solo potessi, ragazzo carino, se solo potessi... avrebbe voluto dire.
"I medici, purtroppo, son stati chiari. Devo sforzarmi il meno possibile." 
Lo sguardo deluso del ragazzo lo colpì in faccia come un camion. Non voleva ferirlo, dannata salute...
"Certo, è giusto che tu guarisca... ti va di vedere un film con me e i ragazzi? Ti passo a prendere io, promesso." 
"Se è così che la metti..." ridacchiò, apprezzando lo sforzo di farlo svagare. Steve sorrise a trentadue denti, contento del sì ricevuto.
"Le ore di visita son terminate." disse un'infermiera rivolgendosi al ragazzo piuttosto contento, prima di dileguarsi fuori poco dopo.
"Ci vediamo domani, Hargrove.
"Ci vediamo domani, Harrington."

 

 

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Capitolo 2
*** Family Photo. ***


Il sole era alto e luminoso quella mattina, quando Billy fu dimesso come previsto. Seduto sulla sedia a rotelle gentilmente offerta da un'infermiera (che aveva visto più volte nei giorni precedenti), veniva trasportato dalla sorellastra Maxine che portava la carrozzina senza difficoltà alcuna, verso l'uscita dell'ospedale. I particolari, perfino quelli minimi e distanti, colpirono il ragazzo. Come le nuvole che tingevano di bianco il cielo celeste con forme indefinite, o l'assenza di uccelli canterini. 
Max si fermò prima di procedere oltre le porte scorrevoli, chiedendo al ragazzo se fosse capace di camminare verso la macchina o continuare in sedie a rotelle. 
"No, ce la faccio, tranquilla." ribatté Billy, lievemente a disagio nel sentirsi così indifeso. Non si sarebbe mai aspettato di ridursi in quel modo, dipendente dall'aiuto degli altri. La ragazzina non se lo fece ripetere due volte, offrendo il suo aiuto qualora suo fratello ne avesse avuto bisogno. Così non fu, per fortuna, Billy si era alzato con un debole gemito, dicendo subito dopo a Max di non preoccuparsi.
"Sto bene, sto bene." ripeté per ben due volte, sottolineando il suo stato fisico. Stava bene, sì, ma non era del tutto guarito. 
La rossa sospirò esausta dalla testardaggine e autonomia di Billy, ma lo lasciò semplicemente fare: aveva bisogno di farcela da solo, per via della degenza durata settimane.
"Steve ci sta aspettando." mise al corrente Max, "Ci accompagnerà a casa, ha detto." 
Il californiano ignorò la gran quantità di farfalle nello stomaco svolazzanti nel sentir pronunciare il nome del suo amico, preferendo concentrarsi sulle sue gambe incredibilmente stanche. Le ferite l'avevano costretto a letto per giorni.
"Mi aspettavo fosse Neil." disse Billy con voce vuota, provando a nascondere le smorfie di dolore ai fianchi, senza successo.
"Lavora." tagliò corto Max. Non era di certo una sorpresa che il suo patrigno fosse lontano anni luce dal suo compito di essere padre nei confronti di Billy. 
Il tono usato dalla sorellastra era duro e tagliente, capace di ferire chiunque se ne avesse avuta la possibilità. 

Steve "The Hair" Harrington era in attesa, poggiato sul cofano della sua amata auto. Visibilmente teso, agitava le chiavi tra le dita, ripassando le domande da porre al suo amico, divenuto cotta. Si ripeteva fosse stupido e insensato, ma le parole della sua amica Robin basate su quanto fosse normale avere una cotta per qualcuno dello stesso sesso risuonavano come una poesia imparata a memoria. 
"Harrington." lo chiamò Billy, spingendo leggermente la sua spalla per svegliarlo dal suo stato di trance. Teneva un sorriso beffardo sul volto. C'era ancora qualcosa di sospeso tra i due, un filo sottile ed invisibile, percepibile solo nei pensieri di quei due ragazzi.
"Ahoy ragazzi!" scherzò il ragazzo, ricordando il suo saluto da incubo del suo vecchio e ormai ex lavoro. Billy con disinvoltura prese le chiavi di Steve, sorprendendo quest'ultimo dalla velocità dell'imbroglio. "Guido io." esclamò il biondo, avviandosi nel sedile del guidatore, prima che una mano esile lo fermasse con una presa ferrea sul braccio.
"Non se ne parla nemmeno." riecco la faccia di Max/Susan. Con gli occhi infuocati e giudicanti, con la potenzialità di incenerire Billy seduta stante, Max prese le chiavi con destrezza e li porse al "pivello" ancora imbalsamato. 
"L'hai sentito il medico: meno movimento possibile. E' già tanto che ti ho lasciato camminare da solo." 
Steve fu costretto a chiedersi chi fosse il più grande tra i due, sapendo già la risposta. 
Billy decise di accontentare la propria sorella, non senza lamentarsi prima, dando modo a Max di sorridere compiaciuta. I rischi della guida erano troppi per uno conciato male, e il californiano preferì mettere per una buona volta di lato la sua solita trasgressione.
"Ragazzo carino, hai per caso una sigaretta?" gli chiese perfino mimando, aspettandosi una risposta affermativa (che più bramava, in realtà). Steve si controllò le tasche dei jeans prima di rispondergli un secco no, "Mi dispiace" e salì in auto, in attesa che i due all'esterno facessero lo stesso.
Max si sedette nel sedile posteriore, mentre Billy il sedile accanto al guidatore. Quest'ultimo evitò la cintura, preoccupandosi sulle ferite dei fianchi soprattutto, non dimenticandosi di avvertire la sorella d'indossarla. Non che Steve fosse spericolato come lui, ma Billy aveva acquisito una sorta di sicurezza nei confronti di Max da quando gli fu detto di prendersene cura.
"L'ho già fatto." lo precedette Max, ricevendo in risposta un occhiolino di soddisfazione. 
"Possiamo partire." 
Steve mise in moto.

Il vialetto di casa Hargrove era vuoto, e a Billy mancò il fiato nel non vedere da nessuna parte la sua Camaro blu. 
"La mia macchina è...?" andata distrutta? mormorò tacendo l'ultima frase, sperando che i suoi accompagnatori capissero. Il messaggio fu chiaro, giacché l'espressione di Max si tinse di drammaticità. I ricordi erano vaghi e confusi tra loro, e se c'era qualcosa che Billy ricordava a malapena era proprio la sua auto danneggiata. Una parte di lui ricordava, ma titubava nell'ammettere, nell'assimilare il tutto.
"Sì, è stata opera mia." informò Steve, parcheggiando nel mentre.
"Posso avere almeno una motivazione?" chiese il ragazzo, fissando incredulo l'amico accanto a lui. 
"Davvero non ricordi nulla?" fu sorpreso pure lui, perché sì, davvero non ricordava nulla. Ricordava poco e niente, ricordava solo frammenti di un qualcosa di macabro..
Steve sospirò agitato, spegnendo l'auto e voltandosi verso Max: "Dovremmo dirglielo?" non esplicito, e qualcosa diceva a Billy che nessuno riusciva più a comunicare correttamente.
La rossa negò con la testa sussurrando: "E' ancora troppo presto."
"Presto per cosa?" il californiano guardò perplesso entrambi, aspettandosi una risposta immediata. 
"Nulla." e detto quello, Max e Steve scesero dall'auto e raggiunsero la portiera di Billy, in attesa che quest'ultimo uscisse e si lasciasse aiutare. Max guidò Billy (dopo innumerevoli "Non ho bisogno di aiuto") all'interno dell'appartamento, mentre Steve li seguiva silenziosamente. Billy si era decisamente stancato di non ricordare, era stanco di essere ignaro di tutto, -o quasi tutto-.
La madre di Max, Susan, li attese nel soggiorno, ringraziando il ragazzo castano del favore di aver accompagnato a casa Billy e Max. Dopo un imbarazzante "Non c'è di che", Steve decise di dileguarsi ai suoi affari e andarsene, non prima di aver salutato il suo nuovo amico e la sorella.
"Sei sicuro di non volere niente, Steve?" chiese la donna di casa, affacciata in cucina.
"Nulla, ma grazie lo stesso." disse il ragazzo, "Allora... io vado, statemi bene ragazzi." 
"Aspetta, Steve-" lo interruppe Billy, prima che varcasse la soglia d'uscita. Il ragazzo si girò nella sua direzione, sorpreso di essere stato richiamato. "Per quel film... ti va bene domani?"
Come se avesse donato delle caramelle extra ad un bambino, Steve sorrise genuino, annuendo emozionato. "Allora domani alle sei, Harrington." 
"Domani sia, Hargrove, sarò puntuale." 
Una pausa silenziosa, intanto Billy teneva lo stesso identico sorriso del proprio amico, quando chiuse alle sue spalle la porta. Max ebbe l'impressione di essere finita in una soap opera televisiva.
"Preferisco non fare nessuna domanda." esclamò esitante la ragazzina, voltandosi per andare in camera sua.

La camera di Billy era rimasta intatta come nei suoi ricordi, se non per le magliette e camicie sul pavimento che si era dimenticato di raccogliere prima di finire in ospedale. Nessuno è entrato qui. dedusse il ragazzo, notando come fosse decisamente in ordine la sua stanza. 
Si sedette sul letto con un sospiro, prima di guardarsi intorno. 
Come se fosse stretta, Billy si sentì inghiottire.
Come se fosse estranea, Billy si sentì disorientato.
Ogni cosa era al suo posto; ma lui no. Billy era incapace di considerare quella stanza, la sua di stanza. Era incapace di considerare quella casa, la sua di casa. 
Era sempre stato un guscio, si ricordò, un guscio contenente emozioni tali da amplificarne solo una: la rabbia. Un guscio privo di empatia verso gli altri, la sua pecca, con quella sua difficoltà nel farsi amare e la sua velocità nel farsi odiare. 
Una famiglia costruita tra le mura di una casa morente; e Billy aveva sbagliato sì, aveva odiato qualcuno solo per non odiare se stesso. Aveva odiato qualcuno per distogliere l'attenzione da colui che era solo un fottuto codardo. 
Billy inghiottì l'amaro in bocca, strizzando gli occhi con esasperazione e i passandosi una mano sui capelli.
Riflessi solari si posarono sulle sue gambe avvolte in una disgustosa tuta. L'unico indumento che potesse fasciarlo perfettamente senza causargli dolore, o così gli aveva detto il medico. 
L'odore di colonia e fumo aveva lasciato posto ad un disturbante odore di pulito; Billy avrebbe giurato che fosse ovunque, addirittura su di lui. Impossibile, pensò, Susan non era entrata lì nemmeno per sbaglio. 
Chi altri, allora?
Una ragazzina dai capelli rossi gli venne in mente, e allora capì. Sorrise al solo pensiero.
Max era una ragazza spavalda e furba, e gli doleva pensarlo: aveva passato gran parte della sua vita a disprezzarla. Con l'incarico di averla sempre sott'occhio, non era stato competente nell'instaurare un rapporto fratellastro-sorellastra distretto. Sapeva che il disprezzo era ricambiato: per via delle numerosi liti e dispregiativi che le aveva rivolto. 
Ma fu lì per lui, nonostante tutto.
Qualcosa era cambiato: si tolleravano, le occhiatacce ricolme d'odio si erano trasformate in gentili cenni, nient'altro. Per cosa poi? Max era cresciuta, aveva finalmente capito. Aveva finalmente capito lui.
I rimpianti, il dolore e i ricordi furono lame, mentre il mal di testa colpiva le sue tempie con forte intensità. Se solo avesse potuto, avrebbe dato forfait. 
Lacrime lottarono nuovamente per fuoriuscire, patetico, sei solo un patetico!, che Billy quasi si chiedette di chi fosse la voce che gli risuonava nella mente. Sembrava la sua, ma anche quella di suo padre.
Non c'era molto da dire.
La sua macchina era andata distrutta, e con essa pure diversi ricordi.
Il silenzio non era silenzio.
"Ehi, mamma ha fatto la limon- Oh." la voce familiare della sua sorellastra si interruppe, come i suoi passi prima di varcare la soglia della sua stanza. Billy si ricompose prima che potesse crollare, asciugandosi gli occhi lucidi e ignorando le pulsazioni del suo martellante mal di testa. 
Si era accidentalmente dimenticato la porta aperta, dando modo a Max di vedere l'interno: un ragazzo seduto e visibilmente distrutto. 
Ma non era questo Billy?
Distrutto, in tutta la sua perfezione, in tutta la sua facciata...andata anche essa in frantumi.
"Andrò a fare una doccia, lasciatemene un po'." le parole parvero graffiargli la gola, dove il nodo lo tagliava e lo soffocava. Il biondo si alzò dirigendosi verso l'armadio per prendere abiti puliti da poter indossare subito dopo la doccia, trascurando la presenza della sorellastra all'ingresso.
"Billy..." lo richiamò Max, Billy la ignorò.
"Billy!" riprovò aumentando il tono della voce, "Cosa c'è, Max?!" urlò di rimando, stringendo i panni tra le mani con fare scocciato.
La ragazzina non gli diede modo di passare oltre, a braccia conserte. 
Prima d'allora, entrambi erano soltanto sconosciuti, fratellastri per puro caso e costretti ad esserlo.
Ora, Billy non poteva far altro che fissare sua sorella con il suo stesso identico sguardo di confusione. 
"Cosa c'è che non va?" chiese addolcendo un po' la voce. Come poteva una quattordicenne capirlo? Come poteva soltanto preoccuparsi? 
Il ragazzo in risposta scrollò le spalle, "Non so di cosa tu stia parlando." sbuffò, "Spostati." disse con tono autoritario da fratello maggiore, provando ad intimorirla.
Max non si spostò di un millimetro. 
"Ti ho visto, Billy, parlami." 
Perché sei così preoccupata? Non ho nulla che non va. Dovresti odiarmi in questo preciso istante, lo sai? Avrebbe voluto dire.
"Non c'è nulla di cui parlare, ragazzina, ora spostati. Non lo ripeto un'altra volta."
L'espressione preoccupata di Max si sciolse, mostrando uno sguardo ferito. Stavano ricostruendo pian piano il loro rapporto, e Billy come sempre tendeva a rovinare tutto.
La ragazzina minuta si fece da parte, dando modo al ragazzo di passare e raggiungere il bagno. Se solo Max avesse guardato nei suoi occhi, avrebbe notato un senso di colpa colorargli il blu spento, ma era tutto fuori luogo: il suo fratellastro (fratello in cuor suo) stava costruendo nuovamente un muro. 
Billy chiuse la porta del bagno alle sue spalle.

 

I pensieri erano lugubri e oscuri, come chiazze nere su muri bianchi, nella testa di Billy. Nascosta tra parole e ricordi, in sottofondo si celava una leggera musica rock che echeggiava nella stanza del ragazzo. L'odore del fumo inquinava l'aria, ma non ci badava granché, intanto che canticchiava la canzone come se la conoscesse a memoria. 
Il suo piede picchiettava sul suolo con ritmo, la sigaretta si consumò tra le dita durante, ignorando la presenza non ombrosa dinanzi a lui.
"Heather." nominò, un nome comune per chiunque, ma non per Billy. La sua ex collega gli si parava davanti come se fosse viva.
La ragazza non rispose, rimase immobile nell'angolo, vivida nei ricordi distanti e poco chiari del ragazzo. 
Billy non si fece chissà quante domande, poiché capì praticamente subito cosa le fosse accaduto. Avrebbe pensato ad un fantasma, se solo non avesse ricordato frammenti accaduti con Heather attimi prima. Non bastava il dolore persistente ai fianchi, addirittura incubi ad occhi aperti.
L'aveva aiutato in un momento di difficoltà, e la sua ricompensa fu la morte.
I suoi pensieri non andavano nel verso giusto, disorientati da una storia fin troppo confusa. Billy ebbe la sensazione che tutto fosse al di fuori dalla sua portata. 
"Mi dispiace." sussurrò, sbattendo le palpebre. La cenere cadde sul pavimento della sua stanza, ma non ci badò. Sì, mi dispiace davvero che sia finita così. Non so cosa ci sia successo, soprattutto a te... vorrei trovare delle risposte.
La visione di Heather, creata da Billy stesso, scomparve pochi istanti dopo. Il rimorso, il senso di colpa, lo affliggeva dolorosamente come una morsa sul petto, dandogli un senso di oppressione. 
Espirò l'ultima nuvola grigia prima di posare il resto della sigaretta nel posacenere e poggiare il capo sul muro dietro di lui. Si chiese svariati perché, si meritava tutto ciò che gli stava capitando? Rispose di sì improvvisamente, sentendosi la causa della morte di Heather.
Perché Heather era morta. Solo per aiutarlo.
Bussarono due volte alla porta, facendolo trasalire. Si sentiva ancora disorientato, ma provò lo stesso a farci l'abitudine del suo ritorno a casa.
"Entra." disse, ignaro di chi fosse la persona che lo cercava. La figura di Max, con capelli raccolti in due trecce e pigiama decisamente estivo, entrò nella stanza. Apparve leggermente timida, ma forse era solo una sua impressione.
"Cosa c'è?" domandò, curioso di sapere del motivo della sua visita. Era ancora inizio pomeriggio, non c'era nessuna probabilità che fosse collegata alla cena. La ragazzina lo raggiunse tenendo in mano un qualcosa di sottile, simile ad una collana.
Era una collana, la sua.
La realizzazione che in tutto quel tempo non aveva indossato la sua collana lo fece preoccupare, un particolare che si era dimenticato per chissà quale motivo.
"L'ho indossata tutto questo tempo." lo informò, porgendogliela intimorita. "L'ho tenuta nascosta sotto la maglietta perché non volevo distaccarmene... ma.." respirò, "E' tua, è giusto che la tenga tu. La indossavo per sentirt--" si interruppe prima che potesse finire, come per salvaguardarsi. Billy capì e preferì non ribattere. 
Indossò la collana, guardando con attenzione Max.
"Tranquilla, son felice che l'abbia tenuta tu." 
La ragazzina arrossì, sorpresa delle sue parole. Billy non le aveva mai rivolto parole di apprezzamento di questo genere, per via del suo carattere introverso, forse. 
"Grazie." finì sorridendole, un sorriso genuino. Max ricambiò con lo stesso entusiasmo.
Billy pensò che stesse per andarsene, -non che volesse-, ma Max troncò il suo cammino per domandare invece: "Stai bene?"
L'istinto di negare giunse sulla punta della sua lingua, ma preferì rispondere con un tranquillo: "Sì, sto bene." per non preoccupare inutilmente la sorella e lasciarla dileguarsi. Si ricordò la conversazione avvenuta poche ore prima, capendo il motivo della sua domanda.
L'espressione indecifrabile di Max lo scrutava, con la bocca semiaperta, titubante a parlare o no. Il loro rapporto poteva riassumersi semplicemente con una parola: tranquillità. E Billy ne fu fiero, capendo che comunicare con l'odio non portava assolutamente a nulla.
Come se avesse preso finalmente coraggio, la ragazza parlò:
"So che non è questo il momento in cui parlerai," disse, sedendosi adagio sul letto. Billy le fece spazio, malgrado lo avesse già. "E non voglio forzarti, lo sai."
Il ragazzo annuì, non capendo però dove volesse andare a parare.
"Ma sono qui se hai bisogno." 
Ci fu silenzio.
Tranquillità, attesa.
L'odore del fumo stava scomparendo pian piano.
Gli occhi della ragazzina erano lucidi e speranzosi, che Billy si ritrovò spaventato da essi. 
La dura verità lo spinse nella realtà con brutalità: nessuno si era preoccupato così fino ad ora.
Suo padre era solo una comparsa, un inutile presenza a ricordargli quanto fosse mal desiderato.
Sua madre... non c'era molto da dire.
L'aveva abbandonato, lasciato tra le mani di un uomo che l'aveva malmenata più volte, e non solo a lei.
Max, dopo un lungo conflitto durato anni tra di loro, era lì per lui. L'odio scomparve come vento, lasciando così l'unica cosa che lega due fratelli: il bene. Seppure fosse difficile dirlo e mostrarlo, entrambi stavano cominciando ad apprezzarsi, a tollerarsi.
Billy si schiarì la gola, a disagio da quella conversazione e dal silenzio imbarazzante che si era creato.
"Bene, ragazzina... c'è altro?"
La rossa ridacchiò prima di alzarsi: "Nient'altro." 

L'indomani, nel parcheggio di casa Hargrove,
Il profumo di colonia nauseabondo raggiunse le narici di Max in men che non si dica. Fu messo in abbondanza dallo stesso Billy, pronto per il suo "specie" d'appuntamento col suo nuovo amico: Steve. L'orecchino luccicante sull'orecchio destro in bella vista, e i suoi riccioli biondi lasciati al vento che quel pomeriggio movimentava.
"Stiamo andando a guardare un film, Billy, santo cielo!" commentò stizzita la ragazzina, non dimenticandosi di roteare gli occhi poco dopo. Quest'ultimo rise di vero gusto, ignorando le lamentele della sorella. 
"Lo so bene." replicò il giovane, schioccando la lingua sul palato con gli occhi puntati sulla giovane. Ci vollero dieci secondi per Max nel reprimere la tentazione di colpirgli il muso con un pugno. Ma ci vollero altri ben dieci secondi per far cambiare la sua espressione accigliata in una più dolce. Il sorriso divertito del ragazzo non era per nulla simile ad un ghigno; un atteggiamento di un Billy diverso, in poche parole, di cui Max non era ancora abituata.
Billy non era cambiato chissà quanto: il suo modo arrogante gli si era attaccato addosso da bambino, ed era impossibile scrollarselo di dosso. Come i suoi beneamati occhi azzurri, capaci di sfidarti e immobilizzarti con un lieve movimento di pupille. 
Max non era stupida né tanto meno ignara di quei piccoli particolari sul proprio fratellastro. 
Il bisogno costante di essere notati, per Billy, era fondamentale. Come una necessità, un vizio, impossibile da tenere a bada. Essere notati per non essere dimenticati.
Chiunque poggiasse gli occhi sul ragazzo californiano apprezzava nient'altro che il suo modo di fare, un modo da duro, che lo faceva crescere ancor di più. 
Copertura. Pensò Max, quando finalmente notò.
Era un semplice fattore interiore, un conflitto tra cervello e cuore. Due voci, dove Billy non faceva altro che spegnerne  sempre una per amplificare l'altra.
Nessuno ti dimenticherà, Billy. 
Nessuno.
La rossa distolse lo sguardo dal fratello, osservando la strada in attesa dell'arrivo di Steve. Il suo flusso di pensieri si interruppe poco dopo, come se una fiamma accesa si fosse improvvisamente spenta. 
"E' in ritardo di quindici minuti." affermò Billy, dando varie occhiate all'orologio della sorella. Max tirò il braccio, "Smettila di prendermi il braccio, Steve arriverà." 
"Lo spero per lui." minacciò il biondo. Era ovvio che le minacce erano nulle oramai.
"Sìsì..." disse ironizzando la ragazzina, suscitando fastidio al fratello. Sorrise prima di scusarsi.
Per quanto fosse stato difficile e lento nel vestirsi, Billy fu puntuale, al contrario di Steve. Aveva scelto e riscelto, cambiato svariate volte, aveva quasi smontato il suo armadio per trovarci all'interno qualcosa di più attraente, quando alla fine optò per una semplice maglietta a maniche corte e dei jeans -capace di indossare-, senza più fiatare. Il dolore fu attutito da antidolorifici prescritti dal medico, e Billy sentì le sue gambe e i fianchi come nuovi.
Max non fu della stessa idea, naturalmente: il caldo di fine luglio non le dava altra scelta se non indossare abiti comodi ed estivi, senza darsi troppe arie. 
Dodici macchine passarono in quei quindici minuti di ritardo. 
Due rosse, tre bianche, e le altre di cui Billy non ci badò, poiché coinvolto nell'infastidire la propria sorella. Non era una zona ben affollata quella, a volte si udivano solo suoni di cicali e uccellini fastidiosi: era una zona quasi disabitata, ma altri l'avrebbero descritta come "silenziosa."
"Sedici minuti." fece sapere a Max, come se non ne fosse già a conoscenza. 
"Per l'amor del cielo, Billy!" abbaiò la ragazzina, "Riesci a chiudere la tua dannata bocca per un attimo?"
"Ah, eccolo-" 
In lontananza si udì il rimbombo di un motore d'auto, a quanto pare guidata da Steve, che li raggiunse in men che non si dica.  
Max credette di vomitare dentro l'auto nel sentire l'odore di colonia svilupparsi nell'aria. Capì subito che il profumo proveniva dall'amico, intento a scusarsi. Storse il naso nauseata.
"Scusatemi, ragazzi," cominciò il ragazzo castano mettendo in moto, "Cambio di piano all'ultimo minuto."
"Spiegati meglio, Harrington." 
"La serata film si sposta a casa Byers, non più a casa mia." informò, "Ha saputo dei nostri piani per via di Dustin che ne ha parlato a Mike, Mike l'ha detto a Will e così...--"
"Okok, frena Steve!" sgridò Max, interrompendo il discorso quasi finito del guidatore. "Come mai sono l'ultima a sapere ciò?" 
"Non saprei dirti, Max..." 
Billy decise di non parlare. 
La casa dei Byers.
Una casa.
Casa: L'abitazione di una persona sola o di una famiglia.
L'aveva mai vissuta una casa, Billy?
Una vera e propria?
Quella che stava per lasciare alle sue spalle per poche ore non era la sua, né di Max. Avevano un tetto ma non quel tetto da poter chiamare casa.
La cosa ben peggiore che Billy pensò nel sentire il cognome "Byers" fu il ricordo vivido accaduto all'interno dell'abitazione. 
Un piatto, urla, pugni e calci.
...E Steve.
Lo sguardo di Billy si posò su Steve, intento a fissare dinanzi a lui. Aveva uno sguardo sereno, privo di ogni malessere (malgrado le vicende con i russi e tutto il resto). 
Scusami, urlava una voce nella sua testa. I suoi occhi, il suo cuore, il suo corpo urlava "Mi dispiace", ma la codardia ne ebbe la meglio. 
Distolse l'attenzione sul ragazzo, sperando che i rumorosi sensi di colpa svanissero come il dolore con gli antidolorifici. 

 

"Ma siete proprio sicuri che siano a conoscenza del mio arrivo?" chiese Billy rivolgendosi a Steve e a Max, in attesa come lui che qualcuno venisse ad aprire. Apparve come una domanda stupida da porre, e ne fu certo per via dell'espressione confusa della sorellastra e sorpresa dell'amico nel sentirla. 
"Certo che lo sanno." ribatté Steve, "Perché non dovrebbero?"
"Non so..." mentì il ragazzo, scrollando le spalle; ma invece sapeva, deglutì soltanto la vera risposta, incapace di formularla a parole senza risultare ridicolo.
La signora Byers, con un sorriso genuino e felicità sprizzante, aprì la porta. Alle sue spalle si aggiravano parecchie persone e un chiasso incontrollabile. Ma non c'era nessuna esasperazione nel viso della donna: era serena nel vedere altri invitati ed ospitarli in casa sua. 
"Billy!" chiamò il suo nome, "Max, Steve, entrate! Accomodatevi!" 
"Buon pomeriggio, signora Byers-" salutò il californiano, lievemente a disagio. 
"Ti ho già detto di chiamarmi Joyce, Billy." disse. La donna non mentì, glielo disse in ospedale quando gli fece visita. Billy si chiese perché fosse così gentile con lui.
L'interno era accogliente come si aspettava, e solo lì si accorse come tempo fa, accecato dalla rabbia, non aveva colto l'aria familiare della casa. Non ebbe rispetto per i mobili altrui, frantumandoli come se fossero i suoi. E in quel momento ebbe addirittura paura di sfiorare qualcosa. 
"Nancy e Undici mi stanno aiutando con la cena, se vuoi unirti a noi Max sei la benvenuta." Max non se lo fece ripetere due volte, raggiungendo rapidamente la cucina per salutare le due ragazze. "Dustin e Lucas stanno litigando per il film da scegliere, mentre Mike si intrattiene guardando Undici cucinare." informò la donna a Steve.
"Will e Jonathan?" chiese il ragazzo, guardandosi intorno per vedere se fossero lì presenti. 
"Con Hopper. Si è dimenticato di comprare le patatine," ridacchiò Joyce, avviandosi anche lei in cucina per tornare a ciò che stava facendo poco prima. "Son fondamentali per i ragazzi."
Dopo aver salutato tutti i presenti, Billy ebbe la brillante voglia di fumare. 
Si appoggiò con la schiena al muro, fissando le varie macchine passare, dando allo stesso tempo alcuni tiri alla sigaretta. Il pensiero di quanto tutti fossero buoni nei suoi confronti, senza neppure uno sguardo di troppo, lo fece tranquillizzare, ma anche preoccupare. Se fosse tutta una finta? Un modo per andare d'accordo? Per loro potrei essere ancora un mostro... Non era un tipo da farsi così tante paranoie, ma a quanto pare era cambiato. Cosa gli fosse successo era ancora ignoto, ma lo aveva profondamente modificato, reso una persona diversa. Se fosse un bene, lui non ne era sicuro.
C'erano ancora troppe cose da chiarire e da comprendere.
In cuor suo, sapeva che molte cose sarebbero state irrisolte. 
"Ehi" salutò Steve, poggiando la schiena al muro vicino a lui.
Billy fece un altro tiro, non dimenticandosi di lasciar andare la grande nuvola di fumo inquinante dalla sua gola. Gli avrebbe chiesto a cosa doveva la sua compagnia, se c'era un motivo dietro, ma preferì restare in silenzio per godersi la sua presenza.
Il silenzio era imbarazzante, come se tutto d'un tratto fossero estranei. 
"Questa casa mi fa uno strano effetto" riportò Steve. "Sarà vedere così tanta gente, forse..."
"Sei serio, Harrington?" rise Billy, non trattenendosi nel deriderlo da quella strana conversazione.
"Lo sono, Hargrove." 
"Allora dovresti sapere il reale motivo per cui questa casa ti fa uno strano effetto." disse buttando la cicca per terra, e schiacciandola subito dopo con il piede. Qualcun altro l'avrebbe buttata in un cestino, ma lui non era di certo quel qualcuno. Steve rimase in silenzio.
"Hai ragione." disse con tono piatto l'amico, guardando in basso. 
"Mi dispiace." 
Codardia 0 - Istinto 1, Billy aveva finalmente preso coraggio.
Steve trasalì, non nascondendo la sua sorpresa. Alzò lo sguardo da terra puntandolo su di lui, in cerca di conferma delle sue parole. Se Billy potesse sentire i pensieri, avrebbe sentito molteplici domande nel cervello di Steve. 
Steve non poteva credere alle sue orecchie.
E Billy alla sua bocca.
"Sì, davvero, mi dispiace-" il biondo si schiarì la voce, come se gli stesse improvvisamente scomparendo, "Per tu... sai cosa, ecco."
L'ex gelataio sorrise: un sorriso da far mancare il fiato all'ex bagnino. 
Si fissarono imbarazzati e a corto di parole, dimenticando i presenti all'interno della casa Byers.
"Accetto le tue scuse." 
Billy non si sarebbe mai dimenticato quella discussione.



Dopo un'ottima cena, la serata film ebbe finalmente inizio. Ogni postazione nel soggiorno di casa Byers era stata occupata: chi stava per terra, chi sul divano accovacciato, e chi se non Hopper seduto sulla sua adorata poltrona. Avrebbe dormito per la maggior parte del film, ma l'importante per lui era stare comodo all'inizio.
"SShh, silenzio, il film sta cominciando!" sgridò Jim, mangiandosi un boccone di pop corn. Quell'uomo aveva un pozzo senza fondo al posto dello stomaco.
I ragazzini si azzittirono, concentrandosi finalmente sul film.
Billy, seduto sul divano accanto a Steve, fu accolto da una strana sensazione di benessere. Una cosa nuova, indescrivibile, un qualcosa che non sentiva da tempo. La paura che lo aveva cresciuto, aveva dato il cambio ad una tranquillità tale da renderlo nuovamente bambino.
Sorrise, fissando la propria sorella serena, sdraiata sul pavimento accanto ad Undici.
Sì, quella era proprio casa.
Lui e Max erano felici, senza alcun pensiero.
 

Joyce, con in mano una polaroid vecchia del primogenito Jonathan, scattò una foto a tutti i presenti addormentati, senza che se ne accorgessero.
Una foto, un ricordo, felice di poter avere.
Più tardi l'avrebbe mostrata, ma aveva il compito di svegliare tutti. 
La donna si commosse nel vedere Will e Jonathan felici accanto alle persone che amavano.
Era ciò che meritavano.
Il suo occhio cadde su Billy: testa poggiata sul capo di Steve, poggiato sulla spalla di Billy. 
Sorrise, perché anche quel giovane meritava l'amore.
 

 

Max, evidentemente assonnata per via dell'orario, augurò una buona notte a Billy.
"E' stata una giornata fantastica, non credi?" chiese la ragazzina sbadigliando. 
"Concordo." 
"Soprattutto la foto che ci ha scattato Joyce..." rise la rossa, ricordando il momento in cui tutti la videro. Un delirio fatto di risatine e lamentele. "Come una foto di famiglia.."
"Come una foto di famiglia."
Si sorrisero, prima di dirigersi entrambi nelle rispettive stanze.
"Buonanotte, Max."
"Buonanotte, Billy." 

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Capitolo 3
*** Nightmares. ***


Quella notte, la vita di Billy cambiò definitivamente.
Distrusse i resti rimasti, li calpestò e li divorò fino all'ultimo pezzo.
Quella notte,
Il luogo era emarginato e ammuffito dagli anni; il gocciolio dell'acqua fuoriuscente da tubi incrostati, il silenzio notturno ad inquietare l'atmosfera e una Camaro blu a pochi metri di distanza fuori uso dall'incidente. 
L'impatto fu grave e doloroso, -distrusse il vetro e il cofano-, ferendo lo stesso ragazzo ad una tempia. Maledisse l'auto dopo essere uscito da essa, chiedendosi cosa avesse colpito il parabrezza con una forza tale da farlo sbandare. "Cosa diavolo-" Billy toccò il liquido nauseante rimasto dal colpo con due dita. Quella stessa melma lo costrinse a chiedersi cosa o chi gli fosse andato contro.

Si guardò attorno, naturalmente disorientato, non capendo dove si trovasse e come uscirne, quando udì un rumore in lontananza:
"Chi c'è?" urlò di rimando al buio, ignaro di qualcosa coperto tra le foglie d'albero. Il silenzio, per quanto suonasse strano, parve assordante. Un vero e proprio ossimoro che preoccupò Billy.
"Ho detto, chi c'è?!" 

Nessuna risposta. 
Nessuna persona. 

Solo un essere in attesa, affamato e vigliacco che... gli afferrò brutalmente la caviglia, con forza non umana, trascinandolo al suolo con una velocità altrettanto sorprendente.

Non fu trascinato a lungo. Si aggrappò alle ringhiere di una via, sapendo che ne dipendeva la sua vita, ma a malincuore non aiutò: fu lo stesso trascinato dentro.

Urlò.

Urlò con forza.

Le stesse urla risuonarono tra le mura della stanza di Billy. Si risvegliò di soprassalto da quell'incubo ricorrente, che lo perseguitava da ormai lunghe notti. 
La paura gli si era sospesa addosso come le lenzuola e come il sudore, e d'istinto si alzò dal letto, timoroso di ritrovarsi in quella dannata fabbrica dov'era cominciato tutto. Lieve dolore alle ferite lo raggiunse, ma non se ne preoccupò. 
La camera divenne più nitida ad ogni secondo passato, rivelando i mobili e la finestra oscurata dalla tenda. 
Si preoccupò di aver svegliato qualcuno, di aver svegliato quel qualcuno, ma nessuno nel giro di pochi minuti aveva bussato o varcato la soglia della sua stanza. Lo rincuorò abbastanza da farlo sospirare, temendo più di tutti di aver disturbato il sonno dei suoi familiari con le sue urla. 
Debole aria penetrò dall'esterno; si accorse della finestra aperta ma nascosta dal tessuto scuro, facendolo rabbrividire per la grondata di sudore che lo avvolgeva. 
--Si aggrappò alle ringhiere di una via, sapendo che ne dipendeva la sua vita, ma a malincuore non aiutò: fu lo stesso trascinato dentro. 
Si sedette nel lato del letto, gli occhi si posarono sulle sue stesse mani. 
Quelle stesse mani che avevano picchiato, distrutto e ucciso.
Erano pulite e ruvide, erano sporche di terra e lievi graffi per i sassi erano poco evidenti.
Chiuse gli occhi muovendo il capo, come se un singolo movimento potesse cancellare il ricordo di quella notte, e strinse i pugni.
Ne aveva abbastanza.
Aveva bisogno di sapere.
Quel qualcosa gli aveva rovinato la vita.
Ma cos'era esattamente quel qualcosa?

Billy non chiuse occhio poco dopo l'incubo.
Rimase inerme all'ansia sdraiato sul letto fino alla luce del sole, che illuminò lievemente la sua stanza cupa. Il sole dava il via ad un nuovo giorno, intanto la notte trascinava con sé gli incubi e le notti insonni senza via d'uscita: erano le sei del mattino, e se Billy lo volesse o no, avrebbe dovuto alzarsi e fare colazione. Non poteva nascondere le occhiaie né tantomeno il suo tono stanco e infastidito, ma avrebbe resistito a tal punto da non fare danni. Lo sperava, in realtà.
Dormire non era nei suoi piani, malgrado le sue palpebre volessero chiudersi e dormire almeno per un'ora... o due..., per cui programmò di bere più caffè possibile e restare attivi fin quando sarebbe ritornata la notte. Non riuscì a trattenere uno sbadiglio prima di alzarsi dal letto sfatto.
All'esterno della sua stanza, la giornata per qualcuno stava per cominciare:
Sapeva perfettamente gli orari di suo padre. 
Neil Hargrove si era svegliato, intento a prepararsi il suo solito caffè latte e sgranocchiare qualcosa prima di andare al lavoro. Sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto raggiungerlo, per evitare guai sulla sua pelle che potessero umiliarlo: Neil era poco tollerante il mattino, un solo buongiorno lo avrebbe scambiato per una minaccia di morte.
E ne aveva paura.
E chissà per quanto tempo ancora, pensò Billy. 
Ci era già passato, aveva sbagliato variate volte la sua routine estiva: 1) Non uscire dalla tua stanza prima delle otto, 2) Parla con tono pacato e "da uomo", 3) Acconsentire ad ogni parola del proprio genitore. 
E per quanto sembrassero facili da seguire, per Neil ogni cosa giusta di Billy suonava come un errore. Billy stesso suonava come un errore.
E il biondo lo sapeva, e poteva, o meglio, doveva solo acconsentire.
Mai negare.
E pian piano Billy credette di esserlo: un errore di distrazione, solo un misero errore creato da sua madre e da suo padre. Un qualcuno da disprezzare, da schiavizzare.
Con un cenno, Billy raccolse la sua nuova identità, la fece diventare realtà, provò ad esserlo... provò ad essere quell'errore su cui suo padre sbraitava, mentre la rabbia si accumulava e rendeva tutto il compito una passeggiata.
Strinse i denti, il ragazzo, sentendo i passi di suo padre dietro la porta. Erano rumorosi, da duro, ma d'altronde tutto di lui era rumoroso.
Avrebbe atteso le otto e un quarto.

 

8:15 AM, Billy finalmente uscì dalla sua stanza.
Neil attese il suo arrivo, sgranocchiando pane tostato con burro e bevendo il suo terzo caffè latte di quella mattina. Susan gli sorrise quando vide il giovane, per poi tornare a guardare la tv. Max fece lo stesso, prima di augurargli un caloroso buon giorno a suon di cereali e latte.
"Buongiorno anche a te, Max." disse Billy, sedendosi al suo fianco e prendendo la sua tazza riposta sul tavolo.
"Buongiorno, signore." 
L'uomo gli fece un cenno di rimando, simile ad un "anche a te" non detto. O così pensò Billy, poiché apparve più come un approvazione silenziosa.
Erano passati anni affinché Billy capisse cosa garbasse e cosa no a suo padre, ma quell'uomo sembrava aggiungere sempre qualcosa alla lista di quello che non tollerava, distruggendo il proprio figlio con dure parole. Era sempre compito di Billy raccogliere i suoi resti.
"Oggi hai una visita medica, vero?" chiese Neil, aprendo il suo giornale mattutino dopo aver finito di mangiare. 
"Esattamente." asserì il ragazzo, posando il cucchiaio accanto alla tazza. 
"Potresti, dunque, accompagnare nel frattempo tua sorella Max dalla sua amica." propose l'uomo. Ma Billy capì che quello era un ordine da portare a termine.
"Certamente, signore."
"E con quale auto, Billy?" ironizzò Neil con una smorfia di scherno. "Come ben sai, la tua auto è andata distrutta per chissà quale motivo..."
Sarebbe dovuto andare a piedi.
Max sobbalzò lievemente, deglutendo il boccone di cereali sperando che non andasse di traverso per quella discussione fin troppo strana. La ragazzina fissava Billy con timore che il patrigno potesse soltanto intuire qualcosa di macabro sull'accaduto del 4 luglio, e non aveva chissà quante capacità nel nasconderlo. Come lo avrebbe spiegato? 
Max teneva con sé anni di traumi, e come riuscisse a non impazzire era ignoto.
"Ne sono consapevole, signore." 
"Ebbene... come farai, quindi?" posò il giornale, attendendo risposta dal ragazzo.
"Non lo so, p-padre." balbettò Billy, lottando con sé stesso per non abbassare lo sguardo. Era intimorito, spaventato e anche stanco.
"Chiederò un favore a Steve, il mio amico, papà." si intromise Max, per aiutare più che altro il suo fratellastro. Fu arduo per Max chiamare Neil in quel modo, ma sapeva quanto sua madre ci tenesse a ciò. Lo faceva soltanto per lei.
"Steve Harrington... mi avete detto che eravate con lui la notte dello scorso venerdì. Per la serata film, giusto?" Neil aveva uno sguardo indecifrabile per i ragazzi, come se stesse analizzando la situazione, come se stesse analizzando lo stesso Steve.
"Esatto." confermò Billy. 
"Apprezzo come Steve sia gentile con voi, soprattutto con te, Max." disse l'uomo con un sorriso, che a detta di Max fu nauseabondo. Un sorriso puro di falsità da far quasi rabbrividire la ragazza. "Ma Billy," si rivolse al ragazzo stavolta, "sai che hai dei doveri da fratello su Max. Questi doveri devono essere svolti da te, non da qualcun altro. Ti è chiaro?" Il biondo rizzò la schiena d'un tratto, non che prima l'avesse piegata, percependo il tono autoritario di suo padre.
"Certamente, si-" fu interrotto.
"Esigo sapere se potrai tornare presto a guidare, al ritorno dalla visita, Billy." quest'ultimo annuì con la testa, "E troverai al più presto un modo per acquistare un'altra auto. Sei maggiorenne, sei un adulto, trovati un dannato lavoro." 
Non poteva fare altro che acconsentire. 
Erano le regole.
E come gli era stato insegnato: le regole vanno rispettate, gli accordi pure.
"Sì, signore."
Max rimase in silenzio, ignorando la fitta al petto: il senso di colpa l'affliggeva. Non era facile per Billy subire ogni giorno quei trattamenti, e nemmeno gestirli a dovere.
Aveva improvvisamente perso l'appetito, nonostante avesse già finito, per colpa di un uomo maligno. Billy era solo una vittima, Neil un dannato carnefice che si faceva chiamare padre. 
Era dura non avere parola.
Era dura non poter reagire.
Sia per Max, sia per Billy.
"Bene, adesso il lavoro mi aspetta." fece sapere l'uomo alzandosi dalla sedia con uno scatto, "Ci vediamo stasera, ragazzi."
Salutò tutti i presenti: un bacio a fior di labbra a sua moglie Susan, un bacio sul capo a Max e un cenno soltanto al figlio. Quest'ultimo non se ne lamentò.
Cominciò finalmente la sua colazione, con lo sguardo attento di Max puntato addosso.
"Billy... ma come farai a-.. le tue ferite... l'aut-" la ragazzina fu fermata dal suo lago di parole: gli occhi trasmettevano preoccupazione. 
"Tranquilla." 

 


"Quello che ti ha detto Neil... sai, su quello." 
Billy e Max erano nuovamente in attesa di Steve. Il castano non era in ritardo, per fortuna, erano i fratellastri incredibilmente in anticipo. Poggiato sul muro, Billy era motivato nel finire la sua beneamata sigaretta in silenzio, dopo il fiume di pensieri che gli scorreva in testa. Lo infastidiva ancora dipendere da qualcun altro, non avere nessun mezzo di trasporto per poter guidare senza aspettare i comodi degli altri, ma non poteva fare altro che prendere la mano di Steve se gliela porgeva. Steve non aveva mai dimostrato senso di scocciatura nel portare come un taxista ovunque Billy e Max. Ed entrambi erano grati di ciò.
"Non hai nessun dovere su di me." disse con tono pacato, senza alcun disgusto rivolte alle parole del patrigno di prima. 
"Lo so." sospirò, sperando che quella conversazione finisse al più presto. "Ma quei doveri sono ordinati da mio padre, non ho altra scelta che eseguirli." 
"Lo odio." esclamò la ragazza intenta a scacciare via sassi inutili. "...così tanto."
Billy non rispose, né provò a dissuaderla. Non la biasimava, e lei lo sapeva benissimo.
Quando terminò l'ultimo tiro della sigaretta e aver gettato il filtro per terra (con innumerevoli rimproveri da parte della sorellastra che ignorò soltanto), intravide l'arrivo dell'amico Steve e la sua auto.
Doveva davvero trovarsi un lavoro al più presto: era a corto di sigarette. 
E Billy era davvero ingestibile senza una sigaretta.

 

Dopo aver lasciato Max da Undici come richiesto, Billy ringraziò Steve del passaggio fino in ospedale. 
"Be'... quindi, grazie?" il biondo si sentì avvampare, si sentì come un quattordicenne alle prese con la sua prima cotta, cosa che tollerava ben poco. Sempre sicuro di sé, non trovava risposta del suo comportamento causale che a volte aveva nei confronti del ragazzo accanto a lui. Non gli era mai successo. Numerose testimonianze e ricordi nel passato confermavano la sua teoria.
Gli era accaduto di avere una cotta per un ragazzo, in California. Fu breve ma intensa.
"E di che? Per me è sempre un piacere." fece sapere il ragazzo, sorridendogli calorosamente. 
"Allora, ti aspetto tra un'ora, non credo che una visita possa prolungarsi più a lungo..." 
"Non se ne parla nemmeno."
Billy aggrottò le sopracciglia confuso, non capendo l'affermazione del suo nuovo amico.
"Entro con te." il biondo perse un battito, sorpreso. "Non accetto obiezioni." 
"Ma..." provò lo stesso, fu purtroppo a corto di parole.
"Hai sentito cosa ho detto prima?" ridacchiò Steve, intento a parcheggiare. "Niente obiezioni."
Billy distolse lo sguardo, sperando che l'amico non notasse l'arrossamento imbarazzante colorargli il viso. Si sentiva fin troppo patetico, si sentiva un Billy diverso.
"Dai, andiamo." 
 

Nel giro di un'ora, la visita di Billy terminò.
I medici furono soddisfatti nel vedere miglioramenti sul giovane: le ferite si stavano pian piano rimarginando, lasciando solo cicatrici bianche e alcune chiazze rosse. "Ci vorrà ancora del tempo." disse un medico, che ne affiancava un altro durante la visita, "Resteranno però le cicatrici, mio malgrado."
Billy aveva così tanto protetto il suo corpo: tra pesi, sport e quant'altro, aveva reso il suo corpo più tonico possibile. Con la speranza di saper lottare con qualcuno in qualche rissa. 
Ma alla fine quelle ferite che si era ritrovato avevano danneggiato il suo aspetto esteriore. Provò un senso di rammarico, ma doveva soltanto abituarsi all'idea di avere un qualcosa di scritto nella sua vita, segnato nel suo corpo.
Qualcosa gli era successo.
Era confuso su cosa lo avesse colpito, da ridurlo così.
Nessuno gli aveva chiesto cosa fosse successo, nemmeno l'ombra di un agente. 
I suoi occhi si erano aperti improvvisamente e si era risvegliato in un dannato ospedale, con due ferite enormi sui fianchi. Con vari flashback a confonderlo e dei dannati incubi a tenerlo sveglio la notte.
Era determinato a sapere, più che altro come?
Sua sorella Max, forse? Cosa gli avrebbe detto? "E' troppo presto" si ricordò una conversazione di giorni fa, quando venne dimesso dall'ospedale. 
Steve? A quanto pare concordava con sua sorella.
Non sapeva a chi chiedere informazioni... ma un nome gli venne subito in mente.
"Com'è andata?" chiese Steve, alzandosi dalla sedia degli ospiti all'uscita dell'ufficio. 
"Le mie ferite stanno guarendo, potrei guidare al più presto." l'amico sorrise nell'udire la risposta, evitando però di abbracciarlo come farebbe di solito. Ancora troppo presto, purtroppo.
"Ne son felice, ma...?" chiese, vedendo come fosse perplesso Billy. 
"Rimarranno naturalmente le cicatrici." 
"Oh." suonò come un respiro, una sorpresa. "Ne sei sconvolto?"
"Potresti portarmi da Undici, per favore?" cambiò totalmente argomento, suscitando sorpresa e confusione al ragazzo che non poté far altro che acconsentire.
"Certamente." roteò le chiavi nel mentre.

 

Arrivarono alla dimora di Hopper in mezzo ai boschi, Steve parcheggiò proprio dinanzi alla casa di legno, solito posto dove Jim teneva il suo furgone. Lo sceriffo Hopper era di turno quella mattina; Undici raccontò la settimana di ferie trascorsa col proprio padre. Fu un delirio, tra vari litigi per via di Mike, ma alla fine l'uomo dovette ritornare al suo dovere da uomo di potere, per difendere la città da malintenzionati. 
"Eccoci qui." disse, come se Billy non se ne fosse accorto, spegnendo la sua auto. "Perché sei voluto venire qui? Max ha detto che avrebbe pranzato da Undici oggi." 
"Lo so, ho bisogno solo di parlare con Undici."
Steve fu nuovamente confuso, "Di cosa?"
Billy incrociò il suo sguardo. Era serio, nessuna rabbia o altro, solo serietà. Scese dall'auto, lasciando Steve in attesa di una risposta che non avrebbe sentito, seguendolo poco dopo con fare stanco.
Bussò alla porta, sentendo dei vari schiamazzi all'interno della casa: Max e Undici si stavano divertendo con la musica ad alto volume. Due ragazze sole cos'altro potevano fare?
"Ragazze, aprite!"
Una voce all'interno disse: "Billy?" 
"Sì."
La musica si spense.
Undici fu quella ad aprire la porta. Teneva due codine e un pigiama a due pezzi leggero, segno che avesse caldo (e non aveva torto). Sorpresa della sua inaspettata visita, lo fece accomodare.
"Cosa ci fai qui, Billy? Ti avevo detto che avrei pranzato qui!" sgridò Max, arrabbiata più che perplessa di vederlo lì.
"Lo so benissimo, ho soltanto bisogno di parlare con te, Undici." guardò quest'ultima, sperando che percepisse il tono d'urgenza nella sua voce.
Aveva bisogno di sapere.
Ne aveva abbastanza.
La sua mente non lo aiutava ad affrontare il problema centrale.
In qualche modo percepiva qualcosa in Undici, come se potesse sapere tutto sulla situazione che lo aveva colpito improvvisamente.
"Di cosa?" si intromise Max, cercando di capire il nesso di tutto ciò. "Di cosa devi parlare esattamente con Undici, Billy?"
La ragazzina castana si ritrovò in difficoltà. Guardò più volte Max e Billy, cercando di capire cosa dovesse fare. Perché Billy vuole parlarle? 
Steve rimase in silenzio. 
"Quindi? Posso avere un minuto con te, Undici?" le chiese. 
"Aspetta." Max si avvicinò al fratellastro, provando ad attirare la sua attenzione che in quel momento non aveva: "Billy, perché vuoi parlare con Undici?"
Ci fu silenzio.
Undici titubava. 
Steve rimase in ascolto.
Max attese.
Billy si sedette sul divano, portandosi entrambe le mani sul capo con fare disperato. Ignorò sua sorella, le sue domande, impaurito dal fatto che nemmeno la sua amica avrebbe chiarito i suoi dubbi.
Si sentì stanco e perso, in un momento in piena crisi.
"Ho bisogno di sapere delle cose." disse dopo un interminabile silenzio.
"Cosa, Billy?" domandò Max.
"Cosa cazzo mi è successo, ecco cosa!" le urla di Billy colpirono i presenti come un'onda d'urto. Max indietreggiò. "Ho bisogno di sapere... cosa mi è successo." diminuì l'intensità della voce. 
"Son stato in ospedale per giorni. Avrò due cicatrici sui fianchi causati da chissà cosa e ricordo vagamente l'accaduto e cosa mi ha portato qui. Ho bisogno di chiarimenti o rischio d'impazzire!" sbraitò il ragazzo, sentendo il suo autocontrollo crollare come un bicchiere di vetro precipitare a terra.
Max gli si avvicinò lentamente, sedendosi al suo fianco. Lo guardava dispiaciuta, comprendendo il suo stato d'animo. Al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa, poiché l'ignoto porta ad impazzire in determinate situazioni. Undici e Steve rimasero immobili sul posto.
"Possiamo spiegartelo, sì."
"Ultimamente ho avuto incubi. Qualcosa mi trascina in una fabbrica a me sconosciuta." 
Max annuì. "E' stato quella notte. Quel qualcosa ti ha cambiato." cominciò a parlare Undici, avvicinandosi all'amica.
"Mi ha cambiato?" chiese lui, "In che modo?"
"Non ce ne siamo accorti subito," la voce della ragazzina fu pacata, "quando hai dato segnali di possessione."
Possessione? Billy sperò di aver sentito male. 
"Non è il momento di scherzare, ragazzina.."--
"Vuoi sapere la verità? Eccola. Sì, sei stato posseduto da un essere d'identità sconosciuta." fu Max a parlare stavolta, sorprendendo il ragazzo più quanto non lo fosse già.
"Sconosciuta...?"
"Noi comunemente lo chiamiamo Sottosopra il luogo in cui provengono questi esseri. E questi esseri sono "demogorgoni"." 
Billy fu pallido come latte.
Non riusciva a comprendere.
"Sei stato posseduto dal Mindflayer. Ti ha usato come schiavo per uccidere il più possibile e renderlo più forte. E alla fine... voleva uccidere me, e prendere il totale controllo."
Undici aveva un debole sorriso stampato sul viso, "Avevi quasi completato la sua missione... ma sei ritornato te stesso e mi hai salvato." si toccò il collo con una mano nel mentre.
"Questo lo ricordo, ti ho salvato da un...qualcosa. Non riesco a ricordarlo perfettamente.."
"E' stato grazie ai tuoi ricordi, Billy. So che al momento non ricordi perfettamente, ma voglio che tu sappia che proprio grazie ai ricordi mi hai salvato." 
"E...come? In che senso?" 
"Mi hai fatto entrare nella tua testa, nei tuoi ricordi, quando ti vidi seduto sul letto. Piangevi nonostante fossi posseduto, Billy. C'era una parte di te che era in disaccordo.
Ho visto una spiaggia, ho visto tua madre, ho visto te da bambino, ho visto... tuo padre, i suoi maltrattamenti, cosa faceva con te e tua madre..."
Billy si trattenne nel piangere, Max pure.
Steve fu completamente sconvolto, ignaro di tutto ciò.
"Era come se tu sapessi che in qualche modo ti avrei salvato con essi... e che tu avresti salvato me." 
"Io..." 
"Lo so, non ricordi nulla. Fa nulla, ci vorrà del tempo per cui ricorderai del tutto." 
Billy non ebbe più domande, non in quel preciso istante. Sconvolto da quelle informazioni raccolte, si strinse a se stesso, cercando sollievo. Qualcosa di non umano l'aveva colpito, posseduto e usato come una pezza.
Aveva ucciso, gli era stato confermato.
Aveva quasi ucciso l'amica di sua sorella.
Non trovava parole per esprimersi. 
"Quando ricorderai tutto, Billy, non chiuderti in te stesso." lo pregò Max, "Il dolore non devi sopportarlo da solo, non più."
"Quello che è successo, sia a te che a tutti noi, è troppo. Ha rovinato, traumatizzato, le nostre vite. Ma non sei solo in questo, Billy.
Non lo sei." disse Steve. 
"So che devi assimilare il tutto. Sarà difficile farlo... ma c'è ancora troppo che devi sapere. E non è ancora il momento." 
Max voleva solo proteggerlo dalla dura verità.
"Sei ancora troppo sconvolto e ferito per riuscire a tollerare tutta la verità. Datti del tempo e dacci del tempo, i tuoi dubbi saranno chiariti."
Max aveva ragione, Billy annuì e comprese la scelta della sorella: era meglio andarci piano.

 

 

 


Neil Hargrove ricevette una chiamata proprio nel suo ufficio quel pomeriggio, 
<< Pronto? >> 
<< Neil? >> 
<< Beatrice?! >> Neil ebbe la tentazione di chiudere la chiamata e finire lì. << Come hai avuto questo numero?! >> 
<< Sono ad Hawkins, ho chiesto informazioni su di te. >>
<< Non prendermi per il culo, Beatrice. >> 
<< Ho saputo di Billy, di quello che gli è accaduto. >> una leggero mormorio in sottofondo fece capire all'uomo che la donna usava un telefono pubblico, in mezzo a molta gente. 
<< Ha rischiato di morire, Neil, e non mi informi di ciò?! Sono la madre, per l'amor del cielo! >>
<< Non sei stata più sua madre nel momento in cui l'hai abbandonato, Beatrice. >>
La donna rimase in silenzio.
<< Ho bisogno di vederlo. >>
<< Fottiti. >> 
Le riattaccò in faccia.
Non ebbe nessun'altra chiamata. 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Dinner. ***


Billy non aveva mai passato così tanto tempo in camera sua prima d'ora. Era un adolescente con un peso sulle spalle, ne era consapevole, e proprio per questo tendeva ad infiltrarsi ad ogni festa (estiva o no che fosse) per poter dimenticare almeno per un paio d'ore il suo stato familiare burrascoso. Lasciava che le catene si sciogliessero in quei momenti di libertà: con una grossa quantità di alcol a ridurlo in uno stato pietoso, con svariate sigarette consumate in un tempo decisamente sbalorditivo e una giovane ragazza da poter corteggiare, magari. 
Per cui si ritrovò come perseguitato dalla sua stanza, ma prima di ogni cosa, la sua casa, dopo che fu dimesso dall'ospedale. Ma per Billy non sembrò essere cambiato molto, per via dei minimi spostamenti che era costretto a fare. 
Il giovane fu sorpreso dalla quantità di pensieri che molestavano il suo cervello fino a sfinirlo, nel tempo in cui restava da solo. Come miliardi di spine intente a perforargli il cranio. 
Era snervante.
Possessione, quindi? Possessione... sembra surreale, fuori dal mondo. Dal suo di mondo. Innegabilmente il suo mondo non era costruito per essere una favola vera e propria, ogni filo della sua vita l'avrebbe portato comunque a soffrire. Dunque, malgrado la sorpresa, parve capire già il suo destino. Fatto più di bassi che di alti, stentava a credere a come la fatalità gli volesse così tanto male.
Dopo aver salutato Max e Undici per lasciarle alla loro giornata tra donne, Billy avrebbe voluto conversare con Steve durante il viaggio che lo riportava a casa, ma gli fu impossibile. Era palesemente sconvolto: l'ex gelataio beccò il suo amico fissare il vuoto svariate volte, durante le pause per il semaforo rosso. Steve fu tentato nel parlargli, ma fu incapace di aprir bocca.
Non sapeva cosa dire o fare, poteva soltanto compatirlo.
Billy, steso sul suo letto, ripensò all'unica frase che il ragazzo gli rivolse:
"Voglio che tu sappia che non sei solo."  e la sua espressione non gli comunicò altro che comprensione. 
Il biondo non rispose, si limitò a stringere le spalle e uscire dall'auto: il passaggio era giunto a termine e Steve ripartì, lasciando che Billy sentisse alle sue spalle i rumori delle ruote diminuire fino a diventare silenzio.
Billy sospirò.
Aveva bisogno di consumare nicotina in quel preciso istante: assumere più veleno possibile e rilassarsi. Ma aveva consumato la sua scorta, lasciandolo a corto dal suo passatempo preferito.
Billy sospirò nuovamente, portandosi una mano tra i capelli ricci con fare irritato. 
Ripensò alle parole di quelle due ragazzine.
Posseduto, sono stato posseduto. 
Ho ucciso per mano di un essere a me sconosciuto.
Un demo-qualcosa mi ha inflitto queste dannate ferite, lasciandomi immobile per giorni.

E poi chissà cos'altro è successo, cos'altro ho fatto. La sua mente fluttuavacol capo appoggiato al muro, dirigendosi in qualsiasi direzione a lui scelta.
Ripensò ad Heather.
Al suo malessere.
Ad ogni -fottuto- secondo passato nella sua stanza.
Allo sguardo afflitto di Max, che fu come un saluto per il ragazzo, prima di uscire dalla casa di Hopper. Il suo sguardo lo seguì, prima che la porta potesse dividerli: Billy quasi si pentì di averla in qualche modo costretta a parlare. Quasi si pentì di aver forzato tutto all'ultimo minuto, in preda ad una crisi imminente. 
Ma quando gli occhi azzurri di Max scrutarono i suoi attimi prima, in cerca di un benessere in tutte quelle informazioni ricevute, allora capì che lo doveva a se stesso. Nel capirsi di più, nel comprendere chi fosse diventato per una settimana o di più. 
Si rinchiuse nel suo silenzio, nelle sue domande senza risposta, dimenticando il senso di colpa.
Lui ne aveva bisogno.
Nell'udire colpi alla porta, il flusso di pensieri di Billy si interruppe. 
Si accorse del crepuscolo all'esterno da i colori cangianti nella sua stanza, che diventarono sempre più scuri, avvertendolo delle sue ore trascorse a pensare, da quando si rinchiuse in camera sua. Non fece altro che ascoltare il suo di silenzio, non facendo altro che restare fermo disteso sul letto.
Arrestò la musica prima che un altro nastro si riavvolgesse, dando modo all'interlocutore dietro la porta di parlare e farsi sentire. 
"Sono Susan."
Hopper avrebbe riportato Max a fine turno come stabilito, mentre suo padre finiva le sue ore di lavoro. 
"Entra pure, Susan." acconsentì il ragazzo. 
La porta si aprì, lasciando che la figura della donna entrasse nella stanza. Lo sguardo di Billy la seguì, in attesa di sapere il motivo della sua visita.
Il loro rapporto non era nient'altro che un distacco naturale tra due persone estranee costrette ad abitare insieme. Un distacco realizzato da Billy stesso, incapace di considerare Susan più di un'estranea.
Aveva avuto una madre e non gli era andata bene. E per quanto si fosse forzato a dialogare più delle volte con lei, capì che il distacco tra i due era difficile da riparare, da oltrepassare. 
Non era facile notare quei piccoli particolari di colei che, seppur con un solo sguardo e svariati cenni, l'aveva visto crescere dopo i nove anni di età. Una donna che tollerava l'atteggiamento di un uomo violento nei confronti del figlio, una donna che proteggeva soltanto sua figlia, una donna che ha avuto il coraggio di sposare Neil Hargrove. 
Non provava rabbia nei suoi confronti, la capiva soltanto. 
"Spero di non aver disturbato." 
Billy negò con la testa, dandole così modo di proseguire il suo discorso. 
"Tuo padre è al telefono." informò la donna, mentre il ragazzo inarcò le sopracciglia perplesso. "Ha bisogno urgentemente di parlare con te, sembra turbato... non so.."
"Ha detto qualcosa?"
"No, nulla.." Susan sembrava confusa quanto lui. Detto quello, la donna si dileguò tornandosene in cucina, in attesa che il figliastro la seguisse e parlasse con suo marito.
Per Billy ci vollero due minuti per assimilare il tutto: suo padre era un uomo imprevedibile e preoccupante, capace di terrorizzare qualcuno col suo tono autoritario e duro. Quel qualcuno era suo figlio.
Si alzò dal letto, raggiungendo presto la cucina. Susan porse la cornetta al giovane, prima di sistemarsi nei paraggi e udire la conversazione. 
<< Pronto? >> 
<< Billy... >> la voce apparve titubante, come se non fosse sicuro al cento per cento di esprimersi. Il ragazzo avrebbe giurato che non era un atteggiamento simile di suo padre.
<< Dimmi, signore. >>
<< Nulla, volevo solo sapere com'è andata la visita medica. >> il ragazzo scacciò una risata, dandosi dello stupido per aver pensato al peggio. Susan lo scrutava con curiosità.
<< I medici hanno detto che potrò presto guidare. >> andò subito al dunque Billy, non aggiungendo sulle cicatrici: sapeva che a suo padre non importava ciò che non gli riguardava.
<< Bene. >> disse soddisfatto l'uomo, rimanendo poco dopo in silenzio. 
Perché chiamare per una simile sciocchezza? C'era modo e tempo per discuterne, e Billy fu costretto così a chiedersi quale fosse l'intenzione del padre.
<< Allora... >>  titubò nuovamente, << Sarò presto di ritorno. >> disse invece, chiudendo la linea.
La chiamata si interruppe, lasciando un Billy decisamente dubbioso.
Susan altrettanto, non capendo l'espressione del figliastro: "Dunque?" il ragazzo la guardò sbattendo le palpebre più volte, prima di esclamare: 
"Ha semplicemente chiesto come fosse andata la visita medica." chiarì. 
La donna annuì comprendendo, seppur non capendo perché mai suo marito fosse così preoccupato in chiamata per una visita medica, che in fin de conti sarebbe andata bene. Certo, si trattava sempre di suo figlio... ma Susan ebbe ugualmente dei dubbi.
"Be', nulla di grave quindi." 
La donna lo sperava. Neil non gliela stava raccontando giusta, ma perché mentirle così? E perché mentire addirittura a Billy?
"A quanto pare..." 
Il ragazzo posò la cornetta al suo posto, dirigendosi nella sua stanza con più dubbi di prima. Come facesse suo padre a sorprenderlo sempre non ne era a conoscenza.
Decise di mettere da parte quella strana conversazione, per non complicare ancor di più la situazione.
Ma una cosa la capì: c'era qualcosa che non andava.
Ma non capiva cosa.
Forse era davvero preoccupato per la visita... rise per i suoi stessi pensieri. Era impossibile.
Riavviò il registratore e alzò il volume.
Non gli importava cosa avesse per la testa quell'uomo.

*

Neil Hargrove, sempre nel suo ufficio, chiuse la chiamata dandosi del codardo.
Avrebbe dovuto dire a suo figlio del ritorno di sua madre.
Doveva metterlo in guardia, ma non sapeva come. Beatrice aveva trovato il numero del suo ufficio, chissà come, avvertendolo che si trovava ad Hawkins.
Non sapeva come gestirla, a distanza di anni..
Ma una cosa la sapeva: non avrebbe mai permesso a suo figlio di rivedere Beatrice.

*

Lo sceriffo Hopper suonò il campanello di casa Hargrove, con Max a lato, dopo aver concesso alle ragazze di parlare incessantemente per un quarto d'ora durante il tragitto. L'uomo si chiese come potessero avere ancora argomenti dopo un pomeriggio passato insieme, ma d'altronde erano pur sempre ragazzine in piena adolescenza, un qualcosa su cui parlare la trovavano sempre.
La signora Hargrove aprì la porta, sorridendo all'uomo al fianco di sua figlia, non prima di ringraziarlo di aver riportato quest'ultima a casa come concordato.
"E' sicuro di non voler entrare, sceriffo?" chiese la donna, portando sotto braccio Max. 
"Sì, ma grazie per la richiesta, facciamo una prossima volta." 
Jim sorrise alla ragazzina e alla madre prima voltarsi e dirigersi verso l'auto. Fu interrotto però dalla stessa voce delicata:
"Può restare a cena, se vuole, vostra figlia ne sarebbe contenta." offrì Susan, sempre con un sorriso smagliante sul volto. 
Hopper sembrò titubare un attimo, confuso sul da farsi, quando prese la palla al balzo e accettò l'offerta: stanco dal turno avrebbe dovuto cucinare per due persone, e gli doleva ammetterlo che non aveva assolutamente voglia. "La ringrazio." 
Ritornò ugualmente indietro per informare sua figlia e parcheggiare in un posto più sicuro che sul ciglio del marciapiede. Undici fu entusiasta di cenare e passare altro tempo con la sua amica Max, difatti non ci pensò due volte di scendere dall'auto e correre subito all'interno di casa Hargrove.
"La ringrazio, signora Hargrove." disse la ragazzina timidamente. Le era stato insegnato da suo padre Hopper, ricordandole che le buone maniere erano importanti per la vita quotidiana. 
Non si erano mai frequentati prima d'ora, per via delle regole ferree di Jim che tenevano lontana Jane da qualsiasi altro essere umano ignoto, per paura che potesse rivelare i suoi poteri per un'imprudenza dettata dalla sua età. Ma Undici non era più una bambina. E ad Hopper non passò inosservato ciò.
Jane, come tutto il resto del gruppo d'altronde, ne aveva viste tante. Con un potere da tenere a bada, esserne responsabile su ogni movimento, non era facile per una ragazzina che stava avendo una vita come si deve da poco.   

Billy fece la sua comparsa dieci minuti dopo; Max aveva ripetutamente colpito la porta per informarlo che avevano ospiti a cena e che aveva bisogno d'aiuto per apparecchiare la tavola. Billy inizialmente non capì chi fossero gli invitati, ma dalla felicità evidente della ragazzina capì che erano suoi conoscenti. 
Nel vedere lo sceriffo Hopper in soggiorno, il ragazzo trasalì. Si fermò di colpo, sperando che il suo atteggiamento da pagliaccio potesse passare inosservato. Jim era un uomo grassoccio quasi da far paura, -o senza il quasi-. Questo genere di persona intimoriva Billy a tal punto da rendersi ridicolo, come se non sapesse minimamente cosa fare e come comportarsi. Ma Jim non era tutto aspetto, poiché possedeva un cuore grande e buono. Era solo una copertina da duro, e pure le sue cicatrici sul viso accentuavano la sua apparenza, ma il suo carattere dolce lo donava ai più fidati.
"Buonasera, sceriffo Hopper." salutò Billy, schiarendosi la voce. Undici gli stava accanto e lo guardava con i suoi occhi da cerbiatta: il flashback della conversazione avvenuta ore prima sembrò comparire per entrambi. Il biondo ricambiò il suo sguardo, notando come la ragazzina fosse silenziosa vicino al padre. I suoi occhi esprimevano un sentimento, un qualcosa che Billy non riusciva a capire fino in fondo.
Che fosse dispiacere? 
La ragazzina evidenziava segni di dispiacere nei suoi confronti. Avrebbe voluto dire: "Tranquilla, sto bene." ma lasciò semplicemente perdere. Si limitò ad un cenno, un saluto, e si rivolse a Max.
"Tu prendi le posate, io mi occupo dei piatti."
Max annuì, dirigendosi in cucina per fare ciò che aveva richiesto il fratellastro.
Seppur avessero passato del tempo insieme alla serata film, Billy non trovò modo di riuscire a comunicare con gli ospiti. Non era facile iniziare una conversazione, soprattutto con un uomo di potere. 
"Aspetta, Billy-" prima di lasciar da soli gli ospitanti seduti sul divano, in attesa di cenare, Hopper frenò i passi del ragazzo, facendolo voltare nella loro direzione. L'uomo apparve leggermente timido, ma il suo sguardo trasmetteva gratitudine.
"Undici mi ha parlato del 4 luglio," cominciò alzandosi, avvicinandosi a Billy con passo non intimidatorio. "Mi ha detto che l'hai salvata... non ho avuto modo di ringraziarti personalmente. Grazie per aver salvato mia figlia." 
Billy gli si strinse il cuore al suon di quelle parole ricolme di riconoscimento. 
Aveva già ricevuto i ringraziamenti di Max e Undici, ma le parole di Hopper fecero un altro effetto al giovane. Sembrava fiero di lui, e nessun uomo lo era mai stato, neppure suo padre.
Proprio per questo non seppe cosa dire, si lasciò cullare dagli occhi dello sceriffo che si erano tinti di una dolcezza paterna che non aveva mai ricevuto. 
Jim non era un tipo sdolcinato, tutti ne erano a conoscenza, perciò quando le sue mani si poggiarono sulle spalle di Billy, quest'ultimo si sorprese. Billy percepì la delicatezza in quel gesto, un gesto che in fin de conti non aveva mai percepito, un gesto inaspettato che riscaldò il cuore del ragazzo in men che non si dica.
"Ti sono debitore." 
"Non mi deve nulla, signore, davver-"
"Chiamami Jim." l'uomo gli sorrise, interrompendo il contatto subito dopo. Billy sentì ancora la sensazione delle sue mani, malgrado Hopper si fosse già allontanato.
Non sarebbe stato facile chiamare per nome uno sceriffo, ne era consapevole, ma ci avrebbe provato in qualche modo. Non si sentiva ancora all'altezza di prendere quella confidenza, nonostante gli fosse stata concessa.
"Vai, adesso aiuta tua sorella." lo spinse scherzosamente verso la cucina, Billy ridacchiò divertito, annuendo subito dopo. Undici non aveva mai staccato gli occhi da lui, all'opposto: guardò la scena silenziosamente, sentendosi allo stesso tempo colpita da essa.
Suo padre era un uomo buono.
Ed era felice che donava bontà a colui che ne aveva più bisogno.


Neil Hargrove tornò a casa decisamente agitato, con l'intenzione di parlare col proprio figlio sulla donna che anni fa chiamava madre. Non sapeva, però, come cominciare. 
"Dobbiamo parlare di tua madre."

"C'è qualcosa che devo dirti."
"Voglio che mi ascolti attentamente, perché sto per dirti una cosa importante..." 

Niente da fare.
Non aveva coraggio.
Susan gli si parò davanti, dopo che si accorse del suo arrivo, salutandolo con un grazioso bacio prima di avvertirlo che avevano ospiti.
"Ospiti? Quali ospiti?" chiese sorpreso l'uomo, fissando la moglie con altrettanta sorpresa.
"Lo sceriffo Hopper e sua figlia Jane." chiarì la donna. 
"Perché? E perché non ne sono stato informato?" scattò.
Susan restò in silenzio per il tono infastidito usato del marito, non sapendo come rispondere. Indietreggiò di due passi, sperando che Neil non si accorgesse del suo viso intimidito. 
"Pensavo non ce ne fosse bisogno."
Risposta sbagliata.
"Sai che devo essere avvertito, sempre." disse con tono minatorio, avvicinandosi alla donna. Susan distolse lo sguardo, "Me ne ricorderò." per poi dirigersi in cucina.
Susan deglutì scacciando le lacrime. 

 

La cena fu naturalmente ottima, grazie alla dote culinaria di Susan acquisita col tempo. Rimasero a parlare al termine dell'ultimo piatto, coinvolgendo gli ospiti con un dialogo creato da Susan stessa. 
Si interessò del lavoro arduo dello sceriffo, sostenendo di non aver mai parlato con un uomo in divisa prima d'ora e di quanto fosse difficile dover cercare di tenere a bada la città. 
Neil, al contrario, rimase in silenzio, fissando svariate volte il proprio figlio.
I suoi piani avevano cambiato rotta. Aveva deciso: non gli avrebbe detto assolutamente nulla. Non ne aveva bisogno. Si sarebbe occupato lui stesso di Beatrice, a tutti i costi.
Billy si sentì sorvegliato da quello sguardo autoritario (e perso) del padre. Gli bruciava la pelle, lo costringeva a fissare altri che non fosse lui.
Ripensò alla chiamata avvenuta, a come si fosse comportato in modo decisamente strano, e come stesse continuando a casa... suo padre aveva qualcosa in sospeso con lui, e ne aveva paura.
Ma Neil non fu l'unico a guardare: Hopper scrutò l'uomo e Billy con varie occhiate, cercando di scovare qualcosa di strano. Ma era già piuttosto tardi, l'orologio segnava le nove, e domani gli toccava un altro turno da sopportare. Jim disse alla propria figlia di andare.
"Grazie per la cena, signora Hargrove, e per l'ospitalità." ringraziò Undici alzandosi, in contemporanea con suo padre. Jim fece lo stesso.
"Ma di nulla, figuratevi." disse la donna.
Neil parlò: "Accompagnali alla porta, Billy." 
Hopper inarcò le sopracciglia. Billy si alzò, "Certo, padre."
L'uomo in divisa rimase interdetto sul posto, turbato da tutta quella formalità da parte del ragazzo. Neil Hargrove lo fissò soddisfatto. Max ringhiò.
Undici, spettatrice della scena, trattenne l'impulso di usare i suoi poteri contro quell'uomo. Lo aveva visto nei ricordi di Billy il tipo di padre che era Hargrove. Un uomo maligno. Sperò che un giorno pagasse tutto il dolore che aveva inflitto a Billy e non solo a lui.
Lo sperò di vero cuore. 
Si avviarono all'entrata, Billy sospirò.
Jim mise una sigaretta sulle labbra, sotto lo sguardo attento del ragazzo che aveva assolutamente bisogno di fumarne una.
"Mi ci vorrebbe proprio una sigaretta al momento." aprì la porta nel mentre, "Arrivederci, sceriffo Hopper, è stata una piacevole serata."
"Tu fumi, ragazzo?" gli chiese, sempre con la sigaretta che tentava di accendere con l'accendino.
"Sì." 
Gli porse una sigaretta dal pacchetto dopo la risposta, "Tieni." il giovane lo ringraziò. "Qualsiasi cosa succeda, Billy, chiamami." 
A Billy mancò un battito, quasi non si accorse di un biglietto che gli stava porgendo Hopper. Era il suo numero.
"Non succede nulla, signore." 
Gli amici non mentono, Billy. pensò Undici.
L'uomo lo guardò, scrollando le spalle, "Andiamo Undici. Ciao Billy, mi ha fatto piacere rivedere te e Max." 
Il ragazzo chiuse la porta poco dopo, nascondendo il biglietto nelle tasche dei suoi jeans.

 

 

L'indomani, dopo un'altra notte insonne, bussarono alla porta della sua stanza. 
"Billy, è pronta la colazione! Mamma ha fatto pancake per colazione." 
"Sto arrivando, Max!" gli urlò di rimando, indossando pantaloncini in fretta e furia. Ma la ragazzina era già andata via, non aspettando risposta da parte del fratello.
Suo padre era andato a lavoro in anticipo quella mattina. Accadeva di rado, e il ragazzo sentiva una pressione in meno addosso. Sospirò di sollievo, dirigendosi in cucina per godersi la sua beneamata colazione.
"Buongiorno, Susan." 
"A te, Billy." gli porse il piatto di pancake con sopra sciroppo d'acero, dandone uno anche alla figlia accanto a lui. 
"Grazie." dissero sincronicamente i fratellastri. 
 

 

...
"Che cazzo ci fai tu qui?!" la donna bionda se ne stava dinanzi alla porta principale dell'edificio dove lavorava Neil Hargrove, a braccia conserte. 
L'uomo la raggiunse a passo svelto, guardandosi intorno sperando che nessuno li notasse per non spargere la voce del loro incontro. Era visibilmente incazzato, Beatrice lo vedeva attraverso gli occhi duri dell'ex-marito, ma non ne aveva più paura.
"Son qui per vedere mio figlio, Neil." 
L'uomo rise schernendola, "Credi davvero di avere ancora diritto su di lui?" 
"Lo credo eccome, sono sua madre."
"L'hai abbandonato, Beatrice." 
La donna respirò infastidita, in preda ad una crisi di nervi: "Adesso sono qui, Neil." 
"Voglio che tu te ne vada da Hawkins, Beatrice. E voglio che tu stia lontana da lui." 
"Stava morendo, per l'amor del cielo!" urlò la donna. Vari sguardi si posarono su di lei, ma le scivolarono addosso. Neil, al contrario, sentiva la pressione addosso . "Tu avevi il mio nuovo numero, lurido bastardo, potevi dirmelo!"
"Questi non sono più fatti tuoi, oramai." 
Fece per andarsene, ma la bionda lo fermò: "Che tu lo voglia o no, io vedrò mio figlio." Neil la fissò, socchiuse gli occhi provando ad intimidirla: "Non so come tu abbia fatto a trovarmi, Beatrice, ma sai anche tu che la scelta giusta è tornartene indietro." la donna indietreggiò: "Billy ti odia a morte, Beatrice." 
"Non è-" 
"Billy ti odia." ripeté, allontanandosi di scatto. Aveva già chiarito, bastava solo una singola reazione di cedimento della donna a compiacerlo adesso.
Ma non ricevette nessun indebolimento.
"Ne sono consapevole." lo sguardo della bionda provò a sfidarlo: "Ma so per certo che odia anche te. Questo mi mantiene in vita."
...

 

Billy, con l'incarico di sorvegliare i ragazzi, sgranocchiava varie patatine per ingerire qualcosa prima di pranzo. Steve aveva lo stesso compito, essendo un baby-sitter a tempo pieno da ormai qualche anno. Era esilarante vederlo impazzire appresso ragazzini ormai adolescenti, per Billy era una visione grandiosa. Rendeva la giornata più divertente.
"Ancora devo capire come tu abbia fatto a convincermi a fare il baby-sitter." esclamò il biondo, ingerendo il resto della patatina rumorosamente. L'amico sbuffò, rubando una patatina dal pacchetto di Billy.
"Perché ami i bambini, no?" il tono ironico fece ridere il ragazzo. Cominciava ad adorarli davvero, ma non pensava di dover passare un'ora a vederli giocare a D&D (per felicità di Will). La cosa era ancora nuova per un ragazzo vissuto in pieno isolamento. 
Era così diverso.
Niente alcol, solo patatine e popcorn nella cantina di Mike.
Nessuna massa di giovani ubriachi marci o drogati si aggirava per caso. 
Non c'era nessuna festa.
Solo due adulti e sei adolescenti.
"Devo proprio trovarmi un lavoro." si lamentò Billy, lasciando fuoriuscire un sospiro pieno di esasperazione. Almeno non sono a casa... pensò.
"Io e Robin andremo a cercare lavoro questo pomeriggio. Vuoi unirti a noi?" propose Steve. Sotto sotto Harrington non vedeva l'ora che i due suoi amici (coetanei, diciamolo) si conoscessero. 
"Robin, eh?" domandò malizioso Billy, ignorando le sue stesse sensazioni. Tra gelosia e nausea, Billy sperava, in cuor suo, che alla fine tra i due non ci fosse nessun interesse amoroso. Sembrava patetico nel fingere, ma a quanto pare Steve non si accorgeva della recita.
Il ragazzo in risposta rise debolmente, lasciando Billy smarrito da quell'atteggiamento.
"Non sono il suo tipo, e lei non è il mio." 
Fu più confuso di prima.
"Cosa c'è?" 
"Nulla nulla." tagliò corto, rubandogli tra le mani il pacchetto di patatine. Billy se lo lasciò rubare, sentendo il suo stomaco alleggerirsi istantaneamente. 
"Mh... comunque," riprese il discorso precedente, "Ti va o no?" mise in bocca una patatina, guardandolo in attesa di risposta.
"Perché no." disse Billy alzando le spalle, accettando la proposta. 
Doveva trovare lavoro al più presto. 
E avrebbe accettato qualsiasi aiuto.
"Bene, allora, ti passo a prendere oggi pomeriggio alle tre." mise al corrente Steve.
Non erano poco lontani dal gruppo, ma abbastanza da essere tranquillamente ignorati come se non esistessero. Impegnati nella gara, Billy e Steve erano solo spettatori, col compito di restare in silenzio e non disturbare l'importante torneo tra amici. 
In conclusione... in quel momento esistevano solo loro due. 
Si guardarono in silenzio, lasciando che la conversazione passasse in secondo piano.
Si sorrisero a vicenda.
Gli occhi di Billy parvero come una giornata piovosa per Steve. 
Gli occhi di Steve parvero come una giornata autunnale per Billy. 
La pioggia si adagiava sulle foglie secche marroni, scivolando sempre più giù... fino a toccare il suolo.
Strano come l'autunno imminente tra un mese e l'altro fosse presente tra loro.
"Accettate la sconfittaa!!" urlò qualcuno del gruppo, ma Billy non capì chi.
Il momento si spense, l'autunno era scomparso, lasciando l'estate tra quelle mura.
Billy ne sentì la mancanza.
... Anche Steve.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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