You don't know the half of what you put me through

di Angel TR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inganno ***
Capitolo 2: *** Into the woods ***
Capitolo 3: *** Legami ***
Capitolo 4: *** Love!? ***
Capitolo 5: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 6: *** Do you hear me? ***
Capitolo 7: *** Temple of Love ***
Capitolo 8: *** The one that got away ***



Capitolo 1
*** Inganno ***


Partecipa alla "Pagine di una storia infinita" Challenge indetta da molang su EFP
Ventriloquo rinascimentale — traccia #4
Un patito delle citazioni? Inserisci la monetina! Semplice e banale come sembra. Per questa traccia avete più libertà di movimento per ciò che concerne la tematica/situazione centrale, c'è però un piccolo compromesso: dovrete per forza inserire uno dei generi accoppiati alla citazione scelta, uno esclude l'altro.

Grazie a molang per avermi consegnato questi premi *-*
🌞 “Artefatto” per aver portato a termine la traccia #4;
⚡ “Poliedrico” per aver completato quattro diverse tracce

1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.”
[John Green, The fault in our stars]
• Genere: Malinconico

4) “Kindness and a caring mind are two separate qualities. Kindness is manners. It is superficial custom, an acquired practice. Not so the mind. The mind is deeper, stronger, and, I believe, it is far more inconstant.”
[Haruki Murakami, Hard-boiled wonderland and the end of the world]
• Genere: Romantico
No sportivo, no storico.

Partecipa anche alla Sfida delle Parole quasi intraducibili indetta da Soly Dea su efp
Kenshō: momento improvviso di fugace illuminazione, intuizione.

JinxHwoa
Alien!AU

1.Inganno

Trøllabundin eri eg, eri eg
Galdramaður festi meg, festi meg
Trøllabundin djúpt í míni sál, í míni sál
Í hjartanum logar brennandi bál, brennandi bál
~
Spellbound I am, I am
The wizard has enchanted me, enchanted me
Spellbound deep in my soul, in my soul
In my heart burns a sizzling fire, a sizzling fire


Luci psichedeliche, il ritmo della musica techno, le poche persone rimaste che si dimenavano in quella bettola nascosta nelle viscere delle Isole Faer Oer – unico avamposto rimasto per la resistenza della razza umana – gli androidi che passavano servendo pasticche e alcolici scaduti a basso costo.
Hwoarang era svenuto più volte, battendo i begli occhiali da motociclista sul pavimento a neon, i colori che si confondevano nei suoi occhi ancora umani.
Per quanto tempo sarebbero rimasti così?
Fino a quando non li avrebbero trovati, buttati nei loro immensi grattacieli e squartati vivi per analizzarli, sperimentare, piazzare innesti, venderli come schiavi alle razze superiori – gli alieni.
Com'era caduta in basso la Terra…
Hwoarang si ritrovò a valutare la possibilità di aggredire uno degli androidi, giusto per provocarlo, giusto per vedere il braccio robotico tramutarsi in lama tagliente. Finire con la gola squarciata su questo pavimento sporco dev'essere un'opzione indiscutibilmente migliore dell'essere venduto. Perché era così, tutti finivano così. L'Apocalisse non era come la immaginavano i loro antenati: era mille volte peggio.
E allora perché continuava a guardarsi intorno, il cuore caldo che gli batteva forte nel petto, il sangue che gli ribolliva nelle vene, l'ansia che montava dentro? Perché continuava a cercarlo? Perché continuava a sobbalzare ogni volta che scorgeva una chioma scura come la notte?
I sentimenti erano pericolosi in posti come quelli e, soprattutto, in tempi come quelli; Hwoarang avrebbe dovuto saperlo bene.
Avevamo un appuntamento, cazzo, o quello stronzetto spocchioso se n'è dimenticato?

Flash di scene che gli fecero attorcigliare le budella gli lampeggiarono nel cervello: ciocche di capelli neri come l'ebano, pelle lievemente abbronzata, occhi a mandorla dello stesso colore dell'ambra fusa, dello stesso colore di quelli del cyborg che sfilò furtivo alle sue spalle, apparentemente tranquillo ma dannatamente pericoloso… quelle labbra piene e morbide che sfioravano le sue guance chiazzate di rosso e si piegavano in un sorriso davanti a quella reazione così umana….
Hwoarang si sorprendeva a pensargli più del necessario, rasentando l'ossessione. La domanda che più lo tormentava era: cosa diavolo sei, stronzo? Non hai innesti, di certo non sei un androide… cosa cazzo sei, allora?
Certo, restava un'altra risposta a quella domanda, una risposta tanto assurda quanto plausibile, ma Hwoarang la scartò velocemente, scuotendo la testa, prima di afferrare un drink da un vassoio. Avrebbe preferito mille volte scolarsi uno di quegli intrugli fluorescenti – chissà quali ingredienti vi si nascondevano – piuttosto che soccombere a quell'idea malsana e, soprattutto, piuttosto che controllare l'ingresso ogni secondo.
Allo stronzo piaceva farsi attendere.
Che ansia.
Sollevò il cocktail per rovesciarne il contenuto dritto in gola ma, proprio quando il liquido iniziò a scorrere lungo le luride pareti del bicchiere, il bicchiere sparì dalla sua mano. Cosa cazzo…?
«Ti fa male.» sussurrò una voce venata da un accento straniero alle sue spalle, sorprendentemente udibile nonostante il frastuono della musica. Hwoarang rabbrividì e, improvvisamente, tutto scomparve: le mura sporche della discoteca, il fetore, i cyborg pronti a far sparire i drogati svenuti, l'assordante musica techno, persino il suo futuro incerto si dileguò in una nuvola.
Jin Kazama.
Come riusciva a fargli quell'effetto dopo una conoscenza tanto breve? Hwoarang lo odiava o, almeno, questo ripeteva a se stesso ogni mattina quando cercava il suo calore con la mano e, puntualmente, trovava solo il freddo lenzuolo sistemato. Sì, perché lo stronzo rifaceva il letto prima di filarsela.
Ridicolo.
Prese fiato prima di voltarsi per affrontarlo, maledicendo le propria ginocchia molli. «Non mi fa male, non sono rammollito come te.» sbottò, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto. I guanti di pelle che gli coprivano gli avambracci non facilitarono il movimento, emettendo rumorini a dir poco imbarazzanti. Hwoarang ringraziò le luci psichedeliche che mascheravano il suo rossore mentre accoglieva lo sguardo incantatore del ragazzo davanti a lui. «Ehi!» protestò Hwoarang, urlando per farsi sentire. Sapeva di starsi comportando da stupido ma non riusciva ad affrontare Jin.
Perché lo aveva telefonato, perché? Perché aveva detto di volergli assolutamente parlare? Ma di cosa, poi? Che vita era, la loro? Non sapevano nemmeno se si sarebbero svegliati l'indomani e lui era lì a progettare un futuro insieme. Povero stupido! Kazama non gli concedeva neppure la soddisfazione di farsi trovare la mattina successiva, figuriamoci pianificare una vita con lui.
«Di cosa volevi parlarmi?» chiese Jin. La sua voce calma e suadente come burro riusciva a sovrastare il volume delle nauseanti canzoni anche senza sforzarsi. Ma come faceva?
Hwoarang evitò il suo sguardo. «Di niente.» bofonchiò, chiaramente e dolorosamente imbarazzato.
Uno scintillio divertito balenò nelle iridi ambrate di Jin, l'ombra di un ghigno aleggiò sulle sue labbra piene. A Hwoarang girava la testa e non sapeva spiegarsi bene il perché – la mischia di rosso, giallo, verde, azzurro neon, o il ragazzo davanti a lui?
«Quando mi concedi la rivincita? La mia moto ha un motore nuovo, ora, importato dalla metropoli. Roba da alieni. Scommetto che ti farà mangiare la polvere.» cambiò completamente discorso, tanto per rompere il ghiaccio e, più importante, distrarsi dal gioco di luci sul volto scultoreo del ragazzo.
Kazama possedeva una moto da ricconi e l'ultima volta che avevano gareggiato, giusto per scherzare e ingannare il tempo, era finita male per l’orgoglio di Hwoarang. Siccome non era proprio tipo da accettare una sconfitta, aveva preteso la rivincita. Ovviamente, aveva anche protestato: insomma, come diavolo si era procurato quella moto? Jin non aveva mai risposto a quella domanda.
Il suo bel viso non ebbe nessuna reazione neanche quella volta: si limitò ad annuire. «Quando vuoi, Hwoarang.» rispose, calmo. Non raccoglieva mai il guanto della sfida eppure non aveva ancora deciso di mandarlo a fanculo nonostante le innumerevoli provocazioni; anzi, come se non fosse abbastanza, continuava a servirgliele su un piatto d'argento. Hwoarang era convinto che se la spassasse alla grande davanti alla sua goffaggine e davanti alle sue battute da adolescente in preda agli ormoni – nonostante fosse più che ventenne.
Stronzo.
«Allora adesso, Kazama!» sbottò Hwoarang, stanco della discoteca fatiscente. Lo afferrò per un braccio e lo trascinò verso l'uscita di gran carriera, anelando l'aria fresca delle Isole.

*

Grosse nuvole cariche di pioggia si erano ammassate nel cielo blu, avvolgendo la luna tonda e brillante in un morbido abbraccio. Il vento portava con sé odore di pioggia. Nonostante l'eterno stato di allarme nel quale versava, come tutti gli altri esseri umani d'altronde, Hwoarang non avrebbe potuto sentirsi più vivo. Era vero, il resto della Terra era stato conquistato dalla razza aliena, ridotto a una colonia di approvvigionamento, tutto spazzato via dalla loro tecnologia decisamente superiore. Coloro che erano riusciti a rintanarsi nelle Isole sapevano bene che era solo questione di tempo prima che anche le serene vallate e le grotte abbracciate dall'oceano venissero annesse ai domini extraterrestri. Lui, però, almeno in quell'istante, si rifiutava di pensarci: qualora fosse giunto il momento, si sarebbe occupato di combattere l'avanzata aliena. Era il leader della Resistenza e la Resistenza non si sarebbe arresa facilmente. Anche perché ho qualcosa per cui combattere, rifletté, posando il suo sguardo sulla figura imponente di Jin che montava sulla motocicletta nera. Ti stai rammollendo, coglione, si rimproverò, scuotendo la testa e cercando di reprimere il sorriso sbocciato sulle sue labbra.
Bagnato dalla luce della luna, lo sguardo carico di promesse che gli rivolse Jin, azionando la moto, parve metallo fuso.
Al diavolo.

Come mosso da fili invisibili, Hwoarang lo seguì, sfrecciando lungo i sentieri. Le motociclette si muovevano silenziose tra i sentieri grazie ai nuovi impianti. La scia verde che lasciava il turbo di Jin era il faro nella notte di Hwoarang. Un tuono echeggiò, una saetta squarciò il cielo e gocce di pioggia iniziarono a riversarsi sull'erba fresca. L'eccitazione e l'aspettativa montavano nelle sue vene mentre accelerava, sperando con tutto se stesso che la prossima svolta fosse anche l'ultima. Dove mi stai portando, Kazama, eh? Casa mia non ti soddisfa più?
E, finalmente, quando Hwoarang proprio non ne poteva più, Jin si fermò e la scia verde del turbo si dissolse nell'aria. Hwoarang scese dalla moto frettolosamente, impaziente di fiondarsi sul ragazzo che si sistemava il giubbino di pelle, pacato. Era arrivato nuovamente secondo eppure, in quell'istante, non aveva la benché minima importanza.
«Una nuova fantasia, Kazama? Vuoi farlo sotto la pioggia?» lo provocò Hwoarang, ciondolando verso di lui per circondargli la vita con le braccia. L'odore fresco e pulito del suo collo gli diede alla testa e non poté fare a meno di posargli un lieve bacio. Represse un gemito: dannazione, lo voleva tanto da star male. Sollevò la testa solo per incontrare i suoi occhi e, ancora una volta, restò senza fiato: illuminati dai lampi, scintillavano come fari nella notte.
«Che occhi del cazzo hai, Kazama? Porti le lentine?» sbottò, ricorrendo ai soliti insulti perché erano il modo migliore di fargli un complimento senza passare per smidollato.
Di solito, Jin si lasciava sfuggire un sorriso a quelle battute ma quella sera restò spaventosamente serio. La pioggia si riversava su di lui ma la sua pelle non sembrava bagnarsi.
Qualcosa non andava.
Hwoarang sentì improvvisamente freddo ed era certo che non fosse a causa della tempesta: le braccia del ragazzo non avevano ricambiato la stretta. La paura strisciò verso di lui simile a un baccello alieno per usare il suo corpo come ospite.
«Ehi, Kazama? Che ti prende?» domandò e odiò la sua voce per essere uscita vagamente stridula.
Jin non rispose ma continuò a guardarlo con quegli occhi che parevano riflettere i bagliori violacei delle saette; lo guardava con vago interesse, come se osservasse un animale bizzarro, come se osservasse un possibile…
No. Non poteva essere.
I tuoni si intensificarono – o forse era solo una sua impressione.
Giravano voci di spie tra la comunità delle Isole Faer Oer. Si diceva che, grazie ai vari isolotti che le componevano, gli alieni avessero gioco facile: nascondevano armi e velivoli, assumevano le sembianze degli umani che uccidevano senza lasciare testimoni e il tutto con la certezza che la voce non si sarebbe sparsa velocemente da un isolotto all'altro. Hwoarang non ci aveva mai creduto veramente perché, per quanto un alieno potesse mascherarsi, ci sarebbero state sempre delle caratteristiche peculiari della sua razza a tradirlo: il puzzo, i modi di fare, gli occhi… soprattutto gli occhi…
Hwoarang si staccò da lui e indietreggiò, sconvolto. «Jin…» Era la prima volta che lo chiamava per nome eppure Kazama non commentò.
Era la conferma di cui aveva bisogno; isolando l’orrore che provava affinché non intralciasse le sue azioni, intimò al suo corpo di voltarsi di scatto per correre verso la sua moto. Conosceva bene le Isole, sarebbe riuscito a tornare in tempo verso il ritrovo della Resistenza per dare l'allarme: la trappola aliena sarebbe stata scoperta e i responsabili ne avrebbero pagato le conseguenze. Avrebbe dovuto essere felice eppure sentì un pizzico allo stomaco al pensiero di ciò che avrebbero fatto a Jin. Anche lui lo aveva sentito quel pizzico quando aveva deciso di dare Hwoarang in pasto ai suoi simili?
I suoi piedi non si mossero. Aveva promesso a se stesso di proteggere Kazama. Come avrebbe potuto consegnare la persona con la quale aveva speso tutte quelle notti?
E Jin? Come aveva potuto farlo? Era davvero così facile per lui? Apparteneva a una razza diversa ma non poteva essere così freddo. L’apatia non caratterizzava nessuna specie vivente, nemmeno gli alieni.
Un vento gelido soffiò improvviso e spazzò Hwoarang carponi sull'erba fresca. Atterrito, il ragazzo girò la testa. Nessun pensiero frullò nella sua testa alla vista dell'enorme e sterile disco nero caricato dai fulmini che spuntò dal nulla. La luna parve tremolare a causa delle vibrazioni sconosciute che emanava la cosa.
Era così che andava a finire, dunque: venduto agli alieni. Non era poi così speciale, allora, visto che tutti facevano la sua fine. C’era una differenza, però: lui era al comando del plotone per la resistenza contro gli alieni. Se fosse sparito, il morale per la truppa sarebbe stato devastato. Si rese conto che l’alieno di nome Jin l’aveva sempre saputo, anzi, probabilmente era esattamente per quella ragione che l’aveva puntato.
Oltre al danno pure la beffa, pensò, gettando un'occhiata a Kazama che restava immobile in mezzo alla tempesta. Era stato adescato e tradito da uno di loro.
Peggio ancora, si era innamorato di uno di loro.
Gli venne quasi da ridere: era assurdo quanto le verità scomode si rivelassero nude e crude giusto nelle circostanze peggiori.
Cercò gli occhi, una volta dolci, di Jin. «Kazama! Non essere stronzo, andiamo!» sbraitò, disperato. Non poteva star succedendo, non poteva star succedendo… Kazama sarebbe rinsavito, avrebbe cacciato i suoi colleghi e sarebbe tornato da lui. Ma poteva essere certo che quello fosse il suo vero corpo? Poteva essere certo che quella fosse la sua vera forma? Appena illuminata dalla luce del disco, l'ombra che si proiettava sull'erba fresca non coincideva con la sua figura.
E, invece, invece di aiutarlo, invece di fare ciò che lui avrebbe fatto al posto suo, Jin tese la mano e Hwoarang strinse i denti mentre si contorceva tra l'erba bagnata, colto da un improvviso mal di testa debilitante. Si sentì sollevare di peso da sottili dita viscide e trascinare verso la scala che proveniva dal gelido e vuoto ventre del disco.
«Perdonami, Hwoarang. Non avrei mai voluto.» furono le ultime parole, pronunciate con il solito aplomb, che udì dalla bocca di Jin. L'ultima cosa che vide, invece, prima che il disco si dileguasse, furono i suoi occhi ambrati nei quali scrutò per trovare almeno uno scintillio di dispiacere.
Occhi disumani nei quali non trovò nulla.
Hwoarang se n'era accorto troppo tardi.


Trøllabundin eri eg eri eg
Galdramaður festi meg festi meg
Trøllabundin inn í hjartarót í hjartarót
Eyga mítt festist har ið galdramaðurin stóð
~
Spellbound I am, I am
The wizard has enchanted me, enchanted me
Spellbound in my heart's root, my heart's root
My eyes gaze to where the wizard stood

Eivør - Trøllabundin


N/D: Questa storia era stata abbozzata pensando a un contest al quale dovevo partecipare ma poi ho abbandonato l'idea. Però mi dispiaceva troppo lasciare Jin alieno e cattivo quindi l'ho rielaborata pensando alle tracce ma lasciando l'ambientazione originale perché questa canzone era semplicemente perfetta. Vi consiglio di leggere la storia ascoltandola...

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Capitolo 2
*** Into the woods ***


1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.” [John Green, The fault in our stars] • Genere: Malinconico

Waldeinsamkeit: la sensazione di sentirsi soli come in un bosco.

2. Into the Woods

Vinur, vinur skilur tú meg?
Veitst tú nakran loyniveg?
Hevur tú reikað líka sum eg
Í endaleysu óvissuni?
*
Friend, friend do you understand me
Do you know any secret path
Have you wandered as I have
in the endless uncertainty
Eivør - Í tokuni


Chiome scure, scure come il miglior velluto che Lili avesse mai indossato, ondeggiavano leggere mosse dal vento, i loro fruscii come spade che ferivano il suo udito, così folte e intrecciate tra di loro da oscurare completamente la vista del firmamento.
E, intanto, Lili avanzava, un piede dopo l'altro nell'incertezza, nella speranza di non cadere in qualche fossa o di inciampare in un sasso, in una radice, in mille piccole trappole che la natura poteva tenderle. Ogni suo respiro era sovrastato dagli enormi alberi i cui rami sembravano sporgersi per graffiarle il viso, per intrappolarla, per non farla scappare dai meandri del bosco.
Per non lasciarmi raggiungere Asuka.
Lili sapeva che in quel bosco si annidavano mostri che potevano ghermirla, mostri che, in fondo, le appartenevano, rappresentavano parti di lei stessa che ancora non era pronta ad accettare. Era per quella ragione che voleva velocizzare la sua andatura ma il buio della notte glielo impossibilitava. Dov'è Asuka? Mi starà aspettando? È già uscita dal bosco o si è persa come me?
Ma quello era un cammino che Lili doveva intraprendere da sola. Asuka non sarebbe corsa ad aiutarla perché non poteva, era già al di là della notte selvaggia e cupa che avvolgeva Lili.
Colta dal panico, arrestò la propria marcia per prendere fiato e guardarsi attorno. Le foglie degli alberi erano larghe e taglienti e gettavano lunghe ombre sul suo viso, come mani che le volevano coprire gli occhi e la bocca e il naso. Istintivamente, Lili sollevò un braccio per ripararsi da quella mano estranea ma era solo una foglia, solo una personificazione delle proprie paure inconsce.
Nonostante le fosse impossibile mettere a fuoco i contorni delle figure, affilò lo sguardo per gettare al bosco un'occhiata che voleva essere minacciosa e determinata. Non poteva dimenticare chi era e per quale motivo si trovava lì.
L'ho promesso ad Asuka. L'ho promesso a me stessa.
Mosse un piede e poi un altro. Prima o poi, le chiome degli alberi si sarebbero diradate, lasciando filtrare i raggi della luna e lei l'avrebbe finalmente incontrata. Quel pensiero le dava forza nella profonda solitudine che l'opprimeva, mozzandole il respiro.
«Emilie.»
Si voltò indietro per lanciare un'occhiata inquisitoria all'abisso alle sue spalle: fruscii, sussurri, voci che bisbigliavano, chiamandola per nome, riccioli d'ombra strisciavano verso le sue caviglie. I mostri le erano alle calcagna.
La paura le graffiava la gola, le rendeva difficile pensare, l'ossigeno non arrivava al cervello e il viso di Asuka si macchiò di incertezza e tristezza. Sarebbe mai uscita dal bosco? Probabilmente no.
Lili si lasciò scivolare lungo il tronco di un albero, cinse le ginocchia con le braccia e non poté evitare a una lacrima di rigarle la guancia.


N/D: spero che si sia capito che il bosco è più una metafora che un vero luogo... XD

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Capitolo 3
*** Legami ***


Ishin-denshin: una comunicazione intima, personale tra due individui che si capiscono a vicenda senza bisogno di parlare.

1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.” [John Green, The fault in our stars]
• Genere: Malinconico

3. Legami

IP non identificato

Carissima sorellina,

Finalmente ricevo tue notizie. Certo che non mi aspettavo una mail con un indirizzo Gmail: ero convinto che il tuo nickname fosse ancora qualcosa del tipo "fiorellino84" (non linciarmi!). Ormai se una donna adulta, vero? Come passa il tempo…
Come vanno le cose a Madrid? Immagino che i preparativi per il tuo matrimonio ti stiano assorbendo del tutto e della Mishima Zaibatsu e lo scoppio della Terza Guerra poco ti coinvolga.
Non fraintendermi, sono felice che l'unica persona di cui mi importi in questo dannato mondo non si immischi in faccende ben poco tranquille. Lo so, probabilmente starai inarcando un sopracciglio ed esclamando "Ma io non sono una bambina, Miguel!" e sappi che hai ragione. Che vuoi farci, sono tuo fratello maggiore, devo pur darmi un po' di arie, no?
Concedimi almeno questo.
Volevo ringraziarti per l'invito al tuo Grande Giorno.
Quasi non ci speravo più a causa degli spiacevoli inconvenienti di cui sei fin troppo a conoscenza. Sono fiero di te: Rodrigo è un bravo ragazzo: si è fatto prendere a botte senza sbattere ciglio. Su su, non fare quella faccia sconvolta!
Ho già trovato un biglietto per venire a Madrid.
E uno per tornare il giorno stesso.
Mi è costato molto scrivere questa frase e, davvero, vorrei che ci fosse un modo per evitare di riuscire sempre a guastare la tua felicità. Confido nella tua comprensione.
Stare a contatto con mia madre e mio padre per più di ventiquattro ore è una sfida impossibilmente ardua persino per me. Non riuscirei a sopportare il loro sguardo amareggiato e deluso perseguitarmi per tutta la durata della cerimonia, per non parlare di quella pettegola della zia Marisol e della sua arrogantissima nipote Ines. Sono l'equivalente di un calcio nelle... hai capito, no?
Mi perdonerai, vero, sorellina?
In fondo, sei sempre stata tu quella in gamba. Il tuo vecchio fratello è solo un perditempo attaccabrighe. No, non rammaricarti: la mia non è una lamentela, è la verità. Se c'è qualcuno che si merita tutta la felicità di questo mondo, quella sei tu. Ti sei battuta per costruire la vita che volevi e, si sa, Dio aiuta chi si aiuta.
Vedi che anche tu hai il carattere focoso di tuo fratello?
Spero che questa mail non arrivi nella cartella Spam visto che ti sto scrivendo da un Internet Point qualunque. Qualunque cosa accada, io ci sarò. Ci sarò sempre per te. Ma questo già lo sai, no?
Abbi cura di te.

Un abbraccio,
Miguelito

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Capitolo 4
*** Love!? ***


1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.” [John Green, The fault in our stars]
• Genere: Malinconico

3) “It's better to burn out than to fade away.” [Neil Young]
+ “At the end of the day, it isn't where I came from. Maybe home is somewhere I'm going and never have been before.” [Warsan Shire]
• Genere: Sentimentale

Questa storia partecipa alla Challenge “Drabbles, Drabbles e ancora Drabbles” indetta da HarrietStrimell sul forum di EFP


4. Love!?

1.Jin

Psithurism: il fruscio delle foglie mosse dal vento.

#04. Foresta

La Natura è un tempio in cui pilastri vivi
a volte emettono confuse parole;
l’uomo, osservato da occhi familiari,
tra foreste di simboli s’avanza

Charles Baudelaire - Corrispondenze

The world is yours and you can't refuse it
Seen so much, you could get the blues
But that don't mean that you should abuse it
Though it's enough just to make you go crazy, crazy, crazy


Specchi neri come l'abisso dove Jin stava sprofondando, fronde di alberi verde scuro che dondolavano, accarezzati dalla brezza estiva notturna.
La luce della luna bagnava la sua schiena nuda e sudata in procinto di squarciarsi per lasciar sbocciare le ali gloriose.
Artigliò il terreno, digrignando i denti.
«Kazama, questa sera da me. Vedi di non darmi buca perché vengo a prenderti fino a casa.»
Una lacrima di dolore – se fosse per il Gene che prendeva il sopravvento o per il ragazzo non lo sapeva – scivolò solitaria lungo la sua guancia. Hwoarang, ingenuo, scapestrato Hwoarang che lo stava aspettando…
Le creature della foresta tacquero quando un urlo di dolore e rabbia sgorgò dalla sua gola e la Luna salutò estasiata la sua opera maestra.
Il demone spalancò le ali. Sulla sua gota di marmo, la traccia di una lacrima.


2 Hwoarang

#21. Orologio

O' dolore, o' dolore, il Tempo si mangia la vita.
Charles Baudelaire - Il nemico

I know, it's enough just to make you go crazy, crazy, crazy
But you get ready, you get all dressed up
To go nowhere in particular
Back to work or the coffee shop
It don't matter because it's enough
To be young and in love


La lancetta dell'orologio continuava a scorrere e, più scorreva, più il senso di stupidità e inadeguatezza cresceva in Hwoarang.
Seduto al tavolo apparecchiato, una bottiglia di vino perché la birra non gli sembrava all'altezza dell'occasione, osservava il vuoto dilatarsi: il minuscolo monolocale sembrava crescere a dismisura e lui avrebbe voluto rannicchiarsi su sé stesso perché si sentiva minuscolo, da solo.
La consapevolezza arrivò con la forza di un cazzotto: Jin non sarebbe venuto. Ancora una volta, non l'aveva reputato abbastanza.
Eppure gliel'aveva promesso…
Per non lasciarsi schiacciare dal senso di inadeguatezza, si infilò il giubbotto e le scarpe e scese, diretto al bar.
Il barista sollevò lo sguardo dal bancone che stava pulendo. «Cosa vuoi ancora?». Non voleva essere burbero, in realtà: era il suo modo per controllare se stesse bene.
«Quello più forte che hai.» fu l'amara risposta.


3. Jin/Hwoarang

#16. «Sei pallido/a».

Un lampo… poi la notte! – Bellezza fuggitiva dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere, ti rivedrò solo nell’eternità?
Charles Baudelaire - La Passante

It doesn't matter if I'm not enough
For the future or the things to come
'Cause I'm young and in love


Stelle che vorticavano attorno a lui, uno squarcio di cielo della stessa sfumatura delle ciocche di Kazama, quelle dannate ciocche che gli ricadevano sugli occhi ambrati e che sottolineavano il suo sguardo, rendendolo così… così… Dannazione…
Un conato gli risalì in gola, bloccandogli il respiro.
Un lampo di occhi bianchi e brillanti come comete.
Qualcosa non andava.
La sua mente era troppo impegnata a cercare di capire per quale assurdo motivo Kazama non fosse venuto all'appuntamento per concentrarsi sul nuovo problema – Hwoarang si maledisse.
Odiava la sua stupida ossessione per Kazama.
Odiava la stancante apatia di Kazama.
Odiava non significare nulla per Kazama.
Poi, una voce profonda, morbida, dall'inconfondibile accento giapponese, gli sussurrò all'orecchio: «Sei pallido, fragile umano.»
Umano? Fragile!?
Hwoarang sbatté le palpebre, confuso. «Kazama?» gracchiò.
Ma, quando finalmente riuscì a mettere a fuoco, Kazama non era lì.


I'm young and in love…
Don't worry, baby
Lana del Rey - Love


N/D: Charles si starà rigirando nella tomba, povero cicci

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Capitolo 5
*** Ritorno a casa ***


4) “Kindness and a caring mind are two separate qualities. Kindness is manners. It is superficial custom, an acquired practice. Not so the mind. The mind is deeper, stronger, and, I believe, it is far more inconstant.”
[Haruki Murakami, Hard-boiled wonderland and the end of the world]
• Genere: Romantico

3) “It's better to burn out than to fade away.” [Neil Young]
+ “At the end of the day, it isn't where I came from. Maybe home is somewhere I'm going and never have been before.” [Warsan Shire]
• Genere: Sentimentale

Estrenar: indossare o usare qualcosa per la prima volta


5. Ritorno a casa


You are the vision I'm looking for
Make me remember all I forgot
Watch me become just an animal
Naked to nothing more than who we are
Kerli - Feral Hearts

Grumi di bianco sporco si accumulavano ai lati della strada. Alisa schiacciò il naso contro il finestrino dell'auto, affascinata. Non che non avesse mai visto la neve ma non aveva mai avuto l'occasione di osservarla sfrecciare e trasformarsi in un enorme bruco bianco.
Ridacchiò.
«Lars, un bruco di neve!» esclamò.
«Davvero?» chiese lui, lanciandole una rapida occhiata. Lars Alexandersson votava "sì" alla guida consapevole e attenta; permetteva a se stesso di distrarsi quel nanosecondo che gli permetteva di ammirare i buffi capelli rosa di Alisa.
«Sì! Guarda!» insisté lei, battendo l'indice contro il finestrino.
«Okay.» acconsentì lui e fermò la macchina. La decisione di trasferirsi dal Giappone per arrivare a Stoccolma, casa sua... beh, le ore di aereo, insieme alle ore in auto, si facevano sentire. Percepiva le gambe rigide.
Alisa si voltò a guardarlo, lo stupore negli occhi, troppo verdi per essere umani, spalancati. Si portò le mani al petto, registrando, suo malgrado, la morbida e strana consistenza della lana del cappottino pesante che aveva comprato – nonostante non avvertisse il freddo. Non aveva mai indossato un indumento del genere ma le piaceva la sensazione avvolgente che provava. «No, Lars! Perché ti sei fermato! Così il bruco sparisce!»
Gli occhi scuri del ragazzo scintillarono e il cuore di Alisa perse un bit. L'ombra di un sorriso aleggiava sulle labbra carnose e rosee. Roba da fondere il motore.
«Il bruco è sparito. Sai cosa significa questo, Alisa?» domandò lui, il tono serio e imperioso che tradiva il generale che scalpitava nel suo petto.
Alisa non era ancora molto brava nel cogliere l'ironia quindi scattò sull'attenti, la schiena dritta come la lama di un fioretto. «Sono pronta, Lars!» avvisò.
Lars ridusse gli occhi a due fessure. «Che l'operazione Trova-Il-Bruco è appena iniziata.» rivelò con un tono cospiratore prima di lasciarsi andare a una risata. Nonostante la stanchezza, cercava sempre un modo per accontentare Alisa. Lei riusciva a pescare il bimbo scanzonato e felice che nuotava sotto copertura in Lars; si appellava a un lato che lui reputava seppellito sotto tutti i proiettili sparati e tutti i corpi abbattuti.
E, invece, con sua grande sorpresa, quel Lars capace di lanciarsi a capofitto nella ricerca di un bruco fatto di neve, visibile solo sfrecciando sull'asfalto, era ancora lì, ben presente. Aveva avuto giusto bisogno di qualcuno di speciale, magari con un paio di occhi verdi scintillanti e un animo di microchip, per venire allo scoperto.
Lo sguardo di Alisa si appannò e la sua bocca formò una graziosa "o". «No, Lars, il bruco non esiste dav... » fece per cominciare, impaurita dalla possibilità di deluderlo, poi le parole le morirono in gola, notando il rossore diffondersi sulle guance del ragazzo. Ancora, i fili elettrici che le davano energia rischiarono di andare in tilt.
«Lo so. Ma che ne dici di fingere che esista e vedere dove ci porta?» rispose lui, mettendo la prima e premendo sull'acceleratore.
Alisa batté le mani. «Ci porta a casa tua!» esclamò, estasiata. Non vedeva l'ora di scoprire com'era fatta la casa di Lars.
«Sempre se non l'hanno venduta. Sono stato fuori un bel po'!» ridacchiò lui. «In caso, prenotiamo un hotel. Ce ne sono tantissimi a Stoccolma.»
«Oh, o possiamo dormire in mezzo alla neve in un igloo!» propose Alisa, sognante. «Come gli eschimesi!»
«Mmh... magari non in un igloo ma conosco un posto che potrebbe fare al caso nostro.» rispose Lars. «C'è un particolare tipo di hotel, si chiama "Icehotel". È lontano, in più non ci sono mai stato ma i turisti ne vanno matti.»
Sereni, al calduccio grazie al riscaldamento dell'auto, dovevano essere pazzi a prenotare una stanza fatta di ghiaccio. Eppure Alisa continuava a bombardarlo di domande sull'hotel.
Era felice. Voleva andarci.
E Lars avrebbe fatto qualsiasi cosa per accontentarla.


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Capitolo 6
*** Do you hear me? ***


1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.” [John Green, The fault in our stars]
• Genere: Malinconico

3) “It's better to burn out than to fade away.” [Neil Young]
+ “At the end of the day, it isn't where I came from. Maybe home is somewhere I'm going and never have been before.” [Warsan Shire]
• Genere: Sentimentale

#12. «Perché mi ignori?»

Hyggelig: si tratta di una sensazione positiva di calore che ci fa sentire a nostro agio.

6. Do you hear me?


벗어날래도 그 입속으로
Jump jump jump
~
I try to escape but into that mouth, I
Jump jump jump


Percepisci la sua presenza anche se non puoi vederlo, immerso come sei nel sonno profondo a cui ti ha condannato il dio egizio.
Sai che è lui perché avverti il suo calore avvolgerti, come un raggio di sole che scalda la terra dopo un lungo e gelido inverno.

«Ehi, bell'addormentato.»

Quella voce che ti fa scorrere un brivido lungo il corpo intorpidito è la conferma delle tue supposizioni.

«Kazama, devi svegliarti, mi devi ancora la rivincita. Una promessa è una promessa» comanda Hwoarang, imprimendo una nota di stizza nella sua voce tremula. «Capito? Non puoi lasciarmi. Solo io posso prenderti a calci in culo!»

Lo senti tirare su con il naso e vorresti fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma sei imprigionato nel coma.

«Perché mi ignori sempre, Kazama, dannazione!» scoppia Hwoarang, esasperato. Avverti il peso della sua testa nell'incavo del collo e finalmente un sussurro all'orecchio: «Torna da me».


Killin’ me now
Do you hear me yeah
BTS - Black Swan

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Capitolo 7
*** Temple of Love ***


#29. «E questo lo chiami “romanticismo?!”»

Proàiresis: la capacità di prendere decisioni e scelte usando la ragione.

4) “Kindness and a caring mind are two separate qualities. Kindness is manners. It is superficial custom, an acquired practice. Not so the mind. The mind is deeper, stronger, and, I believe, it is far more inconstant.” [Haruki Murakami, Hard-boiled wonderland and the end of the world]
• Genere: Romantico

7. Temple of Love

Il respiro lieve di Hwoarang al suo fianco era l'unico suono che Jin poteva associare alla vita: fu per questa ragione che vi si aggrappò disperatamente, sebbene non lasciò trapelare nessuna emozione.
«E questo lo chiami "romanticismo", Kazama?» sbottò.
Quelle parole gli fecero improvvisamente rendere conto che Hwoarang, umano e ribelle, non apparteneva a quello spaventoso tempio e si sentì rabbrividire. Come aveva potuto condannarlo? Come avrebbe potuto salvarlo quando il dio Azazel fosse emerso dalla sua prigione?
Si girò verso di lui, deciso. «Vattene, Hwoarang. Questa è la mia battaglia, non la tua» comandò.
Si odiò mentre osservava il lampo di dolore e tradimento balenare nei bei occhi del ragazzo.
«Via!» urlò, assestandogli uno spintone.
Si impose di non chiamare il suo nome quando finalmente Hwoarang decise di obbedirgli.

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Capitolo 8
*** The one that got away ***


1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.” [John Green, The fault in our stars]
• Genere: Malinconico

Samar: sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto.

8.The one that got away


Gli ultimi raggi del sole parevano riccioli di fuoco che si fondevano con l'azzurro cupo del cielo. La palla incandescente aveva dato il suo bacio della buonanotte all'oceano, facendolo avvampare.
Come restare indifferenti davanti a un tale spettacolo?
Seduta sul telo mare ormai sbiadito sul bagnasciuga, Christie realizzò che anche la più terribile delle giornate si tingeva di rosa davanti a quell'immagine.
Eddy lavora per la Mishima Zaibatsu ora.
Traditore.
«Quello sguardo potrebbe tagliare in due il sole.» ridacchiò una voce debole ma ancora imperiosa.
Christie si girò di scatto. «Nonno!» esclamò.
Fece per aiutarlo ma lui la fermò con un gesto della mano. «Per chi mi hai preso?» ridacchiò. Si sedette vicino a lei sul telo, continuando a ridacchiare. «Ricordi quando avevi paura del mare? Pensavi ci fossero gli squali in agguato pronti a divorarti» raccontò.
Un moto di tenerezza investì Christie. Sapeva bene che il nonno avrebbe tirato dal cassetto dei ricordi qualunque aneddoto divertente per distrarla da colui che se n'era andato via. In fondo, il nonno aveva giurato di badare a lei e fare di lei una guerriera. Negli anni aveva perfezionato la tattica di raccontarle storie per attirare la sua attenzione ma Christie non era più una bambina e la tecnica del nonno non funzionava più.
Restava il fatto che non aveva cuore di farglielo notare per cui scosse la testa. «Ma davvero?» rispose, spronandolo ad andare avanti.
«Eh, sì!» rise il nonno e prese a raccontare una storia che Christie aveva già ascoltato innumerevoli volte.

All'epoca non poteva sapere quanto avrebbe rimpianto momenti come quelli.


N/D: No, non è finita qui. Stay tuned MUAHAHAHHA

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