Alla Luna, e al Suo Sole

di Manto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luna Nuova ***
Capitolo 2: *** Sole Ruggente ***
Capitolo 3: *** Crepuscolo ***



Capitolo 1
*** Luna Nuova ***


DISCLAIMER: I personaggi sotto presentati non appartengono a me (MAGARI), ma al genio di ONE.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.

 

 

 

Alla Luna, e al Suo Sole

 

 

 

I ~ Luna Nuova



La misura della lontananza
Non è data dalla distanza.

 

Antoine de Saint-Exupéry

 

 

Qualcuno ha scritto che il tempo mette ognuno al proprio posto: ogni regina sul suo trono, ogni pagliaccio nel proprio circo[1].
… A questo punto, chissà dove finirò io.

Fin dal principio del mondo, le vie che avrebbero portato gli smarriti alla redenzione sarebbero state ardue e ripide; e altrettanto certamente, quella di Minegishi Toshiki non avrebbe fatto alcuna eccezione.
Così, a volte e sul far dell’alba, la notte tardava a lasciarlo: le piante dell’appartamento sentivano l’avvicinarsi della luce e si preparavano ad abbracciarla, grate del nuovo giorno; lui, invece, si rannicchiava su sé stesso mentre gli ultimi sogni si popolavano di tutto ciò che non voleva, e gli sembrava di obbedire ancora alla menzogna.
A volte, nel cuore del sole, il buio tornava a trovarlo: l’aria veniva scossa da un tremito e si spezzava, la realtà si capovolgeva e trasformava fino a perdere i suoi colori e lasciare che fosse solamente un nero pece, assoluto e terrificante, a sorridergli dagli angoli dove affilava gli artigli, pronto a dilaniare — alcune persone non cambiano mai[2]; e anche se tutto finiva in un istante, anche se ogni giorno s’impegnava per vanificare quelle parole, ritornare a respirare doleva come una pugnalata.
A volte, in mezzo alla gente o senza nessuno intorno, spalancava gli occhi come alla fine di un sogno sì bello, ma illusorio: ed era la strada che aveva iniziato a percorrere, riparazione agli errori, a sembrargli tale — il passato è un’ombra che non muore, e tu non ti puoi opporre alle sue regole; e spesso, pur dopo aver raggiunto traguardi inaspettati, si rendeva conto che dentro di sé c’era qualcosa che non aveva ancora trovato il suo incastro e lo cercava ogni istante, lasciando echeggiare il vuoto senza pace.
Minegishi non era mai stato uno stupido: poteva essere benissimo definito un solitario, una persona che aveva compiuto azioni discutibili e un miracolato, ma di certo non qualcuno privo di razionalità o intelligenza; così che presto aveva compreso che cambiare vita non avrebbe risolto tutti i problemi con un colpo di spugna, né aveva ceduto alla tentazione di pensarlo. Al di là del proprio carattere che gli rendeva così grato il silenzio e dei motivi per cui, fino a nemmeno tanto tempo prima, aveva deciso di dimenticare chi fosse veramente, ben oltre il turbamento che lo aveva portato a rivedere tutte le sue autoindotte convinzioni, il mondo non si sarebbe dimenticato le azioni del prima; e fin da subito questi aveva iniziato a osservare i suoi sforzi, aprendoglisi davanti per metterlo alla prova, camminandogli al fianco.
Aveva e stava lavorando duramente per armonizzarsi con la realtà, cercato e dato un poco di serenità a chi non se lo sarebbe mai aspettato, sorpreso e recuperato tanto di sé — non ricordavi questa gentilezza, vero? —, così come aveva finalmente compreso quanto fosse giusto poter rimanere da soli, ma altrettanto curativo sapere di non esserlo… e tuttavia doveva essere ancora più forte e deciso perché le sorprese erano tutte sul cammino, gli incubi andavano e ritornavano, e rimaneva la maledetta incognita che lo faceva sentire incompleto, una domanda che chissà quando avrebbe risolto.

 

… Quindi, quando lui ritornò in città, Toshiki stava dando tutto sé stesso per essere una persona migliore; e solamente allora il Tempo si mosse, deciso a dare la sua risposta.

 

 

 

Quando Minegishi lasciava il negozio, le ombre erano ormai lunghe e mutevoli sulla strada e nella sera incombente; ma nessuna era come quella che da qualche periodo lo seguiva costantemente nei suoi ritorni, rimanendo silente e svanendo quando la protezione dei viali alberati o la folla si diradavano, per poi rifarsi viva la giornata successiva.
Spesso la scorgeva anche mentre lavorava: un guizzo nero che captava come una sensazione ancor prima che con gli occhi, subito confuso nel crepitare delle innumerevoli vite che si incrociavano nello stesso luogo, che non lasciava tracce di sé ma che nemmeno faceva — voleva fare — del proprio meglio per nascondersi.
Le piante non gli celavano quella presenza, sussurrando avvertimenti ogni qual volta l’energia estranea si avvicinasse; ma il ragazzo era ben deciso a non forzare le cose e a lasciare che fosse lei a mostrarsi apertamente, con i propri tempi e se lo avesse davvero voluto.
Sapeva bene chi fosse l’ombra e di non dover temere nulla da lei: le era stata vicino così tanti anni da poterla riconoscere senza nemmeno guardarla, tanto quanto gli era chiaro che niente e nessuno avrebbe potuto limitare la libertà del suo proprietario. Doveva solamente avere pazienza e lasciare alla figura il giusto spazio nel quale infilarsi: magari, la sua reticenza era data dal trovarsi in un mondo che non riconosceva più, e che quindi non sapeva come avvicinare.

E come non comprendere.
Doveva giungere una giornata diversa dalle altre, scossa da un vento nuovo, per poter mutare qualcosa… o una notte; quella che davvero venne nel mezzo dell’autunno e spense l’energia della città, facendo cadere tutti nel sonno più profondo, e che infine svegliò lui.
Per una volta, il buio fitto andò a bussare alla sua porta senza portare nessun incubo; e non era nemmeno mezzanotte quando l’esper aprì gli occhi e si mise a sedere nel letto, il battito del cuore regolare ma la mente non completamente lucida. Aveva appena sognato, così ricordava, e nelle orecchie portava un suono ritmico e calmante che i secondi si divoravano; e, a giudicare dalle guance umide, aveva pianto, anche se non avrebbe mai saputo dire il perché. Al di là delle mura che lo circondavano, sentiva che ogni fiore, pianta e albero del quartiere si era destato e vibrava piano insieme al suo respiro, mentre le azalee che teneva sul comodino si allungavano verso di lui come per accertarsi che andasse tutto bene; a queste diede una piccola carezza per calmarle, la quale si propagò poi al resto della flora come un’onda.

Onde! Il suono era quello… il canto della risacca.
Con uno scatto, Toshiki si alzò e andò alle larghe finestre che lasciavano penetrare le luci della città, rese sopportabili dalla discreta distanza dal centro; le guardò, e subito dopo gli parve di sentire il mare scivolare tra vie e palazzi, mormorando a chiunque volesse ascoltare.
È la stessa sensazione che si prova a…
Il ragazzo chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro il vetro, rimanendo immobile per qualche istante. Non aveva la completa certezza che avesse sognato il luogo a cui stava pensando, ma ne aveva riscosso il ricordo e improvvisamente lo sentiva presente, come se fosse veramente là.
Tu sei sempre così calmo… non vuoi volare? Su, dammi la mano e corri con me, ti farò provare la libertà.
Perché quell’espressione? Non ti accadrà nulla di male, ci sono io.

Le ultime tracce di sonno svanirono nell’accenno di un sorriso, e in poco tempo Minegishi si ritrovò in strada, nell’eco della marea. Sotto il velo delle stelle, l’aria profumava di sale e pioggia: probabilmente c’era un temporale in arrivo, rigonfio di umore marino, e presto le onde si sarebbero davvero riversate sulla città… ma questo non aveva una grande importanza, se poteva respirare a pieni polmoni il loro odore.
Perso nei suoi pensieri, si accorse che le gambe lo avevano portato al suo negozio solamente quando vi fu davanti e sentì i fiori al suo interno animarsi. «È troppo presto per l’alba», sussurrò allora, chinandosi davanti alla vetrina e osservando le camelie rosa che accarezzavano il vetro, «dovete dormire. Su, da brave, riposate ancora un po’.»
«Dovresti farlo anche tu: tra qualche ora devi lavorare.»
Minegishi rimase nella stessa posizione per qualche attimo, quindi si raddrizzò e voltò verso la direzione dal quale la voce era provenuta. «Siamo svegli in tanti, questa notte.»
Come si aspettava, non vide nessuno; ma sentiva la sua presenza, non poteva sbagliarsi. Quella volta stava resistendo più del solito: evidentemente nel buio si sentiva sufficientemente al sicuro.
«Ormai non conto più le notti che passo insonne, non è una novità.»
Toshiki annuì, quindi aggrottò la fronte. «Non comparire così, turbi le piante. La confusione non fa loro bene.»
«Oh oh, pensare che prima non ti erano mai piaciute… sei cambiato.»
«Da quando il loro benessere è diventato il mio lavoro.»
«Mezza verità, perché ora ci tieni davvero.»
«… Mi chiedo se fai lo stesso anche con gli altri tre
«Loro mi notano di meno; o sono io che li visito più di rado, non lo so.»
Un fruscio, e spostando appena lo sguardo sopra di sé il giovane vide il buio farsi da parte davanti alla figura seduta sul tetto del negozio. Il suo caratteristico ghigno serafico era riconoscibile anche da lì; nel notarlo, lui si accorse di provare tutto, tranne biasimo o disprezzo. Almeno per Shimazaki Ryo, forse, la realtà non aveva picchiato duramente.

Ma allora non se ne sarebbe andato così, Toshiki. Ha vissuto le tue stesse cose, ma ha reagito diversamente: e forse le sta ancora nascondendo.

Sicuro che quel sorriso sia lo stesso di prima?

«Sei scomparso per un bel pezzo.» Lo disse tanto sottovoce che l’altro non lo udì; o così parve, visto che non ci fu alcuna replica fino a quando il moro non saltò giù dal tetto e si fermò a pochi metri di distanza da lui. «Sì; il tempo non ha mai freni.»
Minegishi guardò l’esper senza rompere il silenzio: perché, appena se l’era trovato davanti, tutte le sue parole si erano annullate. Nella mente esplose una moltitudine di pensieri, una girandola di domande, e si aprì il vuoto che tutto quanto inglobava; e il petto improvvisamente doleva, come se provasse nostalgia. Dopo un primo attimo d’immobilità, sorse anche qualcosa di simile all’amarezza; e sentì in gola il sapore acido di un rimprovero che era ingiusto solamente in parte, seguito poi da una stanchezza che lo attenuò.

Shimazaki dovette percepire qualcosa del tumulto d’emozioni che l’altro provava dietro l’apparente imperturbabilità, perché voltò il capo altrove senza dire nulla. La sua maschera di tranquillità s’incrinò ma senza aprirsi, e Toshiki sospirò nel chiuso dell’anima: non era ancora il momento di ritrovarsi.
«Già. Buonanotte, Ryo… ci vediamo.»
«Quel giorno ho avuto paura: ecco il motivo per cui sono sparito. Me ne sono andato perché ho creduto davvero di poter…» Una pausa. «Ho lasciato indietro tutto e tutti, senza curarmi di nessuno di voi, per salvarmi la pelle.»
Minegishi si era già voltato, ma si bloccò. Per un istante sentì ovunque il dolore lancinante e il terrore che aveva provato quando Mogami stava per annientarlo, e il respiro si ruppe; e si girò di nuovo, senza stupirsi nel trovare l’esper cieco più vicino a sé. Lo sentì bruciare dalla voglia di parlare, e allo stesso tempo aver timore di farlo. «L’abbiamo immaginato», mormorò poi, «sono bastate poche ore per cambiarci la vita. Avremmo voluto sapere come stavi, dov’eri, ma era impossibile raggiungerti. Ne è valsa la pena?»
Shimazaki alzò il viso come se avesse potuto contemplare le stelle, quindi si sedette e appoggiò la schiena contro la vetrina del negozio.
Il fiorista non resistette che qualche minuto prima di sedersi accanto a lui, teso a vedere ciò che sarebbe venuto dopo: quella notte era già iniziata in modo atipico, così come il loro incontro, ma se c’era di mezzo il moro tutto poteva prendere una piega inaspettata.
«Dopo quello che è successo non ho fatto altro che vagare in giro, per tutto il Giappone e anche all’estero: mi sentivo come se avessi perso qualsiasi capacità d’orientamento, braccato e desideroso solo di starmene con me stesso, senza dover nulla a nessuno. Mi sono fermato solo quando il silenzio ha iniziato a fare effetto e a vincere sulla paura, e allora è stato chiaro che non c’era alcuna caccia aperta nei miei confronti, che non interessavo più a nessuno; quindi ho cercato un posto che potesse bastarmi e dove avessi dei legami, ma non trovavo niente a cui aggrapparmi o qualcosa che mi facesse stare bene… e così ho iniziato a far visita ai luoghi dove c’erano dei ricordi, o qualcuno da cui ritornare.
Non che abbia grandi cose da raccontare, può bastarti questo.» Una pausa, poi il tono dell’esper si fece più sommesso e Toshiki si ritrovò a pensare che se Ryo non fosse stato cieco, in quel momento i suoi occhi sarebbero stati impossibili da reggere. «Sembra che ve la stiate cavando bene, voi altri.»
«Abbiamo ricominciato, chi in un modo chi in un altro. Le nostre abilità ci stanno aiutando a costruirci uno spazio, e—»
S’interruppe, perché Shimazaki aveva di nuovo alzato il volto e sembrava non ascoltarlo più. L’aria, se ne accorse allora, era diventata ancora più satura di mare e si era caricata d’umidità, e questa stuzzicava tutti i sensi del moro. «Questo odore… sai, Toshiki, c’è solamente una città dove non sono ritornato, e vorrei tanto averlo fatto.»
«E perché non ci sei andato, se è così importante per te?»
«Perché ero da solo.»
Minegishi s’irrigidì un istante mentre un brivido scivolava dalla nuca lungo tutta la schiena, quindi fissò l’altro con maggior attenzione e fece una domanda. Nell’attimo che la seguì seppe di aver indovinato ancor prima che le parole lo confermassero, e nell’animo montò una vampa bollente.

Allora…

«La voglio sentire di nuovo: l’acqua che durante l’alta marea oltrepassa le sue mura, il profumo della pietra che si confonde con il sale, le onde.
E poi, io e te non abbiamo un tesoro da trovare?»

Facciamo una promessa, Ryo. Promettiamo che…

«Dimmi una cosa.» Ryo si voltò verso di lui, pronto a rispondere di nuovo. «È per questo che sei qui?»
Ci fu silenzio; quindi il ragazzo sorrise. «Non solo. Te l’ho detto che—»
Toshiki si alzò di scatto e Shimazaki fermò la voce, sorpreso. Non solo.
«Praticamente sei tornato perché ti servo.»
Il moro spalancò le palpebre e le orbite nere incontrarono lo sguardo buio dell’altro, che avanzò di un passo. «È così, vero? Ma le cose sono cambiate», disse questi, con una freddezza che tradiva molto di più e senza lasciare all’amico alcuna possibilità di parola, «lo sai benissimo; e se sei venuto per giocare, per far finta che tutto sia come prima, devi rivedere i tuoi piani.
Scompari per mesi e quando riappari non hai il coraggio di mostrarti apertamente nemmeno a me, e mi dici che vuoi ritornare nella città dove abbiamo fatto una promessa che per me è importante quanto la mia stessa vita.» Si accorse di tremare leggermente, poi non ci fece più caso. «“Non interessavo più a nessuno”, così hai detto, e io non riesco a definirti… proprio non ce la faccio. Finché non trovo le parole ti consiglio di andartene, prima di sentire qualcosa di veramente spiacevole.»
Ryo non disse nulla per qualche istante, quindi chinò il capo. «Credi che non lo sappia di meritarmi ogni maledizione? E no, non ho intenzione di giocare e ingannarti, specie su una cosa del genere.» Un sospiro. «Sono stato in quella città tre volte, come te, e l’ho evitata sempre quando non eravamo insieme, perché è la nostra città e chiederti di ritornarci non è sfruttarti.
Se dobbiamo riprendere… il nostro tempo, non potremmo ricominciare da lì? Tu non la vuoi rivedere?»
Minegishi voltò il viso altrove. Si sorprendeva della rabbia che aveva provato così in fretta, ma quello che pensava non doveva tacerlo. «Mi manca, non posso negarlo.» E non solo lei.
«Allora…»
«Allora non sei tu a decidere! Non so quando potremmo ritornarci. Dovrei organizzarmi con il lavoro, e comunque sia, se anche dovessi dire di sì, sarebbe qualcosa di breve.»
«Mi accontenterei.»
Il fiorista tornò a guardare il compagno e socchiuse gli occhi, gli si avvicinò ancora di più. «Non pensare di risolverla facilmente. Bastava poco, Ryo, maledettamente poco: un solo istante, per farci capire che non ti era successo nulla che non si potesse aggiustare… la consapevolezza che tu ci fossi, anche se lontano da noi. Ti avremmo lasciato il tuo spazio, tutta la pace di cui avevi bisogno.»
«Ho fatto i miei errori, lo so», rispose l’altro mentre si alzava e faceva per sfiorare le braccia di Toshiki, lasciando ricadere le mani quando lo sentì indietreggiare, «e la tua rabbia è giustificata; però non credo che aver deciso di ritornare sia uno di questi.»
«Lascialo dire al tempo.»
Ryo non ribatté più e Minegishi fece lo stesso, quindi si allontanarono di un passo entrambi. «E così sarà. A presto, Toshiki, passa una buona notte.»
Il ragazzo guardò l’amico recuperare un’ombra della sua solita espressione e teletrasportarsi altrove, quindi prese un respiro e si lasciò scivolare di nuovo lungo la vetrina, chiedendo che il silenzio rimanesse intatto.
Il temporale non arrivò: il fantasma del mare si ritirò e solamente le stelle rimasero a occhieggiare nel buio, ballando nella loro insensibile quiete.

 

… Fu forse lo scherzo di qualcuno più grande di loro, o il fatto che anche la loro splendida città marina voleva rivederli; ma dopo nemmeno tre giorni, Toshiki si ritrovò con l’intero fine settimana libero e Ryo al corrente di ciò ancor prima di sentirselo dire. Era già scesa la sera quando s’incontrarono fuori dal negozio e nessuno li vide andarsene per quelli che dovevano essere solo un paio di giorni di vacanza; in realtà non lo furono, come sempre.

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

[1] La citazione esiste davvero, ma è anonima.

 

[2] Sono le parole che Mogami rivolge a Mob durante la World Domination Arc, quando il primo sta per uccidere Minegishi.

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Capitolo 2
*** Sole Ruggente ***


II ~ Sole Ruggente

 

Ma lì dove c’è il pericolo,
Cresce anche ciò che salva.

 

Friedrich Hölderlin

 

 

Più di vent’anni anni prima[1].

 

«Toshi-chan
C’era una bellissima brezza, fresca e rigenerante: s’infilava sotto le vesti e allentava il morso della calura, rendendo quell’anomalo autunno più sopportabile. Il mare chiamava a sé, sia da breve che da lunga distanza, ed era difficile pensare a qualcosa che non fosse la sua voce.
«Fiorellino…»
Le mura dell’urbe si alzavano per affrontare la bellezza delle spiagge, ma erano inconsapevoli del loro armonizzarsi con esse in una visione suggestiva — specie sotto il cielo incendiato dal tramonto o, come in quel caso, indorato dal mezzogiorno.
«Mamma chiama Toshiki, mamma chiama Toshiki: Toshiki, rispondi!»
Finalmente, l’interpellato sollevò il capo dal libro che stava divorando pagina dopo pagina, fissando poi la donna che gli stava davanti. Questa lo guardò a sua volta, un dolce sorriso sul volto, e gli accarezzò i capelli. «Dobbiamo andare a casa, tesoro.»
Il bimbo si rabbuiò un poco, tornando a leggere subito dopo. «No, non voglio. Sto bene qui.»
«Lo so, ma è ora della pappa e papà ci sta aspettando.»
«Ma non è giusto, non abbiamo neanche fatto un bagno!»
«Questo perché qualcuno si è mangiato troppi biscotti e ha passato tutto il mattino a dormire o leggere…»
Toshiki fece una piccola linguaccia da dietro la sua protezione di carta, quindi l’abbandonò e scattò in piedi. Prima ancora che la madre potesse fermarlo, era già in corsa verso la riva a poca distanza e tra le basse, calme onde, le quali lo accolsero senza opposizione.
Il piccolo si rotolò nell’acqua cristallina e si rifiutò di uscire finché anche la donna non lo raggiunse, e allora le saltò in braccio per farsi coccolare e costringerla a restare con lui. Il sole scivolava sulla gobba del mare e appena incontrava la sua pelle si divideva in mille serpenti di luce, che lui guardava rapito come se potesse giocarci davvero e senza temere nulla.
«Ti stai divertendo molto? Se questo posto ti piace così tanto, l’anno prossimo ci ritorneremo.»
Il bimbo annuì, quindi abbracciò il collo dell’adulta con espressione supplicante. «Restiamo qui altri cinque minuti…»
«Oh no, pesciolino: ora che ti ho pescato, vado a metterti subito in padella.
Su, usciamo prima che papà si preoccupi.»
Toshiki tacque e si arrese, obbedì docilmente mentre l’acqua ruscellava giù dai capelli e gli solleticava la schiena. Il calore era ormai incontrastabile, ma lui non ci faceva caso.
«Sei felice, fiorellino?»
«Certo.» E come per confermare quello che aveva appena detto, ai piedi della madre spuntarono tre fiori dai colori delle onde più profonde[2].  «Eh sì… lo vedo», sorrise lei mentre stringeva a sé il suo bocciolo e il mare si addormentava, in attesa di un vivace pomeriggio e ignaro delle bianche nubi che iniziavano a imbiancare la sua superficie.

 

 

 

Non erano solamente le onde ad attrarre, lì: anche la piccola città che queste lambivano catturava l’attenzione e la meraviglia di chi varcava le sue mura.
La struttura semplice, ordinata e spaziosa insieme, ricca di angoli verdi quanto di costruzioni bianche ed eleganti, rendeva facile il perdersi in contemplazioni e nella pace delle vie rigonfie di fiori, mentre il crepuscolo tingeva case e persone della sua luce viola; e la cinta che abbracciava l’intero abitato, ultima rappresentante di un passato che non c’era più, era il luogo perfetto per perdersi in passeggiate o fantasie che cadevano nell’avventura: immaginazioni dove nella pietra si aprivano passaggi nascosti ai più, portali interdimensionali o scale che conducevano a tesori millenari.
I più grandi erano interessati alla sua storia, mentre i piccoli s’incantavano davanti al profumo d’antichità che quella lasciava spirare; e Toshiki non faceva eccezione alla regola.
La casa affittata per quelle vacanze permetteva di godersi la vista sia della cittadina che del mare, e di sera il bambino amava mettersi sulla terrazza per ammirare il panorama: specie al crepuscolo, quando la luna iniziava a salire e sorgeva da dietro quell’anello protettivo, come se abitasse nel suo grembo e questo la custodisse fino al calar del sole. Da giorni i sogni lo chiamavano là, spuntavano dai libri come i fiori che apparivano quando provava qualcosa d’intenso, e le vacanze stavano per giungere al termine: avrebbe dovuto muoversi, o la curiosità non se ne sarebbe mai andata.
«Va tutto bene? Sei silenzioso più del solito.»
Toshiki si godette la carezza che il padre gli diede, quindi lo guardò. «Sto bene», rispose, prima d’indicare le mura. «Quando andiamo a vederle?»
«Ci siamo andati anche ieri sera, piccolo.»
«Sì, ma quando le potremo visitare?»
«Non si possono visitare: non c’è niente da vedere al loro interno.»
«Quindi non era possibile abitarci?»
«Difficile dirlo con sicurezza, chi lo sa; forse all’inizio… ma non ci sono entrate che possano dircelo, e questa dovrebbe essere già una risposta.»
Il piccolo sospirò lievemente. «Allora non ci sono tesori da scoprire…»
«La città è stata costruita per i nobili: forse qualcosa da trovare c’è comunque.»
«Ci credi davvero?»
L’uomo sorrise. «Non dovrei farlo?»
Toshiki guardò il genitore con sguardo attento, poi accennò a sua volta un sorriso e da quel momento restò nuovamente in silenzio.
«Se vuoi restare ancora qui va bene, ma rimani sempre all’ombra, intesi?»
Lui annuì e dopo un’ultima occhiata alle mura chiuse gli occhi nel vento che aveva ricominciato a soffiare, accoccolandosi sul pavimento fresco. Si accorse di cadere nel sonno, ma non dei minuti che iniziarono a passare in tutta velocità; così che quando si svegliò si trovò a osservare la spiaggia e la vita che ospitava.
Il cielo era fosco e il mare mosso rispetto al mattino, carico di ombre verdi e blu; e da fresca l’aria era divenuta fredda, tanto che lui si raggomitolò ancora più strettamente nell’asciugamano che lo avvolgeva.
«Oh, il principino si è svegliato! Dormiglione, guarda che così ti perdi tutti gli ultimi giorni», sentì dire la voce della madre mentre si guardava intorno con leggera confusione, «e non eri tu che non volevi più uscire dall’acqua?»
«Ma ora fa freddo!»
«Vieni, andiamo al sole e vedrai che ti scalderai; e cerchiamo anche papà, è sceso in mare da un po’.»
Completamente sveglio dopo quelle parole, il bambino seguì la donna fin sulla riva. L’acqua era calda, ma per qualche ragione avrebbe preferito stare in spiaggia, lontano da essa.
«Lo vedi, per caso?»
Il bimbo scrutò tutto l’orizzonte, chiedendosi perché l’uomo avrebbe dovuto spingersi così al largo; quindi scosse il capo. «No, io non—»
«Preso.»
Ancor prima che potesse girarsi, le braccia del padre gli si chiusero intorno e lo sollevarono, scatenando urla di sorpresa e poi di entusiasmo mentre lo facevano vorticare; richiami e risate che sarebbero continuati ancora per parecchio tra giochi sulla riva, corse per prendersi a vicenda e bagni dove il fondale era troppo basso per spaventare.
Fu un pomeriggio di spensieratezza e calore, che donò anche la visione a distanza di qualche medusa e smorzò il desiderio di esplorare le mura; poi, all’improvviso, tutto mutò.
Accadde in pochissimo tempo: le onde iniziarono ad agitarsi maggiormente e a esse si unirono nubi veloci e oscure, che ricoprirono del tutto il cielo e distolsero la gente dalle proprie occupazioni, e il vento si levò ancora più forte, creando mulinelli di sabbia e frustando con rabbia chiunque o qualunque cosa trovasse sul cammino.
Il mare s’ingrosso ancora e un tuono spaventoso lo fece tremare — e Toshiki con lui, che d’istinto si aggrappò a entrambi i genitori.
«Presto», sentì dire dal padre mentre questi lo prendeva in braccio, «dobbiamo andarcene subito.»
«Sta per arrivare una tempesta, vero papà?»
Iniziò a piovere appena fece quella domanda: caddero gocce pesanti e nere come tutto ciò che li circondava, e nel giro di pochi attimi le nuvole si sfogarono in una bomba ghiacciata che trasformò il posto in un inferno. Il buio fu squarciato da fulmini; e, prima che tutti potessero mettersi al riparo, venne l’onda.
Il bimbo la vide arrivare ma non poteva fare nulla per contrastarla, così che quasi non si sorprese quando questa lo travolse e lo strappò dalle braccia del padre, trascinandolo in avanti. Il mondo prese a vorticare e lui perse i riferimenti spaziali, si confuse e smarrì mentre le orecchie si riempivano di mille suoni diversi: della voce del mare che rombava con tutta la sua furia e di quella dei genitori che lo chiamavano cercando di raggiungerlo, del canto feroce della pioggia sul capo e dello schiocco irato del tuono che l’acqua attutiva e poi liberava, a seconda che lo sommergesse o meno.
Le onde sembravano litigarselo e si portavano via le sue grida, aumentando la paura già grande e mostrando il proprio volto mortale; e quando infine lo sbatterono sulla riva, a tossire e sputare acqua salata, non per questo lui smise di tremare.
Incapace di reggersi in piedi subito, Toshiki riuscì almeno a portarsi a discreta distanza dalla loro forza; quindi si guardò intorno e cercò di comprendere qualcosa attraverso il pesante velo dell’acquazzone, sforzandosi per trattenere le lacrime e i pensieri impazziti.
«Toshiki! Toshiki, dove sei?»
Il bimbo si costrinse ad alzarsi e con tutta la sua disperazione corse nella direzione dalla quale proveniva l’altrettanto affranta voce dei genitori, incapace di vedere dove andasse realmente e ignaro del freddo che lo mordeva ovunque. Urlò in risposta, implorò e gridò di nuovo, ma non incontrò nessuno né i due adulti vennero avanti; e continuò a correre tra le raffiche di pioggia e vento, senza pensare un istante di fermarsi perché loro non potevano essere lontani, erano lì, lì…
Alla fine non li trovò; la cinta della città, invece, decise di proteggerlo e gli aprì il proprio ventre per accoglierlo.
Toshiki la scoprì solamente perché la pioggia si calmò per qualche attimo e lui se la trovò davanti: nella pietra intatta a pochi metri da sé, una fenditura troppo piccola perché un uomo ci passasse attraverso ma larga abbastanza per un bambino esile come lui. Fradicio e infreddolito, terrorizzato ma abbastanza lucido per sapere che doveva trovare immediatamente un riparo o sarebbe finita malissimo, Toshiki vi si gettò dentro graffiandosi gomiti e ginocchia, avanzando nella penombra fino a quando non andò a sbattere contro il muro a lui opposto; dopodiché vi si appoggiò con la schiena e si lasciò scivolare a terra, per poi stringersi su sé stesso e nascondere il viso sulle gambe.
I polmoni erano in fiamme per la lunga corsa e le gambe avevano degli scatti nervosi a causa dello sforzo sostenuto, la gola gli mandava fitte lancinanti e tremava tutto; ma era trovarsi solo, senza sapere quando la tempesta sarebbe finita né dove fossero i suoi genitori, a fargli male al cuore.

Ti prego, pioggia, calmati in fretta, ti prego! Voglio tornare a casa e non allontanarmi mai da mamma e papà, sarò ancora più bravo e obbediente…
Fammeli ritrovare. Ti prego.

Il bagliore di un lampo lo raggiunse, investendo ogni cosa di luce spettrale, e lui sperò che quella non fosse una risposta.
Ti prego…
«Fa freddo… tantissimo…»
Il bimbo sentì il suo stesso respiro bloccarsi e s’immobilizzò del tutto; quindi levò il capo, per poi addossarsi completamente alla parete dietro di sé e sentire i capelli rizzarsi in testa per lo spavento.
In piedi davanti a lui stava un’ombra più nera del buio in cui era immerso, di piccola statura, tesa a sfregarsi le braccia con energia e a pigolare con voce sottile. Un bambino, o…?
Tenere piante risposero al suo posto e fendettero il suolo, e mentre una parte di esse si ergeva a fargli da scudo, l’altra si avventò sulla figura estranea.
«Ahi… ehi, mi stai facendo male! Ma quante braccia hai?»
Toshiki rimase sorpreso da quella domanda come dal fatto che, calata un attimo la tensione, non aveva sentito alcun pericolo giungere dall’altro; quindi provò ad avvicinarsi e allungò le mani, incontrando quello che sembrava davvero il petto di una persona come lui.
«Non sono uno spirito, lo giuro! Sono solamente un bambino… e no, no, così mi fai il solletico! Smettila!»
Il piccolo esper ubbidì e fece ritrarre le piante, ma non si mosse da lì.
Una parziale schiarita del cielo lasciò entrare un poco di luce nell’ambiente, gli fece intravedere parte del volto e i capelli neri di chi gli stava di fronte: qualcuno all’apparenza più grande di lui e che, a giudicare dai tratti, sarebbe diventato molto bello — e che in quel momento era nelle sue stesse condizioni.
«Chi sei?»
L’altro non rispose subito, ma prima allargò la bocca in un silenzioso verso di sorpresa. «Oh, ma sei un bambino anche tu!»
«Ovvio, ti sembro forse un adulto?»
Il moro si rabbuiò un poco, per un istante soltanto. «Scusami… io non posso vedere», mormorò, «sono cieco.»
Toshiki sentì la voce morire in gola e non seppe come replicare. Prese il bambino per le braccia e lo tirò leggermente verso di sé, fuori dalla penombra: vide che teneva gli occhi serrati e dovette reprimere con forza la richiesta di aprirli, poi aggrottò la fronte in un dubbio improvviso. «Però sei riuscito a seguirmi e senza che io ti sentissi… come hai fatto?»
Il piccolo esitò un attimo, quindi fece un debole sorriso e alzò le mani come per difendersi. «Non riesco a vedere nulla, è vero, ma posso percepire ciò che mi circonda e prevedere i movimenti della gente, e questo mi aiuta spesso… specie se incontro una traccia luminosa come la tua. Mi hai salvato, perché mi sono trovato nella tempesta e non sapevo più dove andare fino a quando non ti ho sentito.
Anche tu hai dei poteri, quindi! Prima, per esempio, mi hai legato con… delle piante?»
«Sì.» Toshiki abbassò gli occhi sui polsi del bambino e notò i segni rossi lasciati da quelle; avvampò d’imbarazzo e colpa, anche se non lo aveva fatto di proposito. «Scusami se prima ti ho fatto male… ho avuto paura, e non so ancora controllarle bene.»
«Non fa nulla: io un po’ di paura ce l’ho ancora, sai.» Una pausa. «Odio i temporali, i tuoni mi fanno impazzire.» Un altro breve silenzio. «Io sono Shimazaki Ryo. Tu come ti chiami?»
«Minegishi Toshiki.»
Ryo annuì, quindi allungò entrambe le mani per toccare il volto di Toshiki, che si ritrasse un attimo ma poi lo lasciò fare.
«Profumi di kinmokusei[3]; mi piace molto.»
«È così da quando sono nato, dice papà… e anche la mamma.»
«… Erano anche loro in spiaggia, vero?»
«Sì, ma li ho persi.»

Che stiano bene, ti prego!
Il moro dovette sentire i suoi pensieri in qualche modo, perché staccò le mani dal suo viso e le appoggiò sulle spalle. «Non ti preoccupare, sono sicuro che li ritroverai. Io so che la mia mamma sta bene perché sono andato al mare da solo, mentre dormiva ancora; però non riuscirò a ritornare a casa, temo… non posso nemmeno descriverla.»
Toshiki tirò su con il naso, quindi si fece forza e ricacciò indietro le lacrime. «Quando sarà tutto finito cercherò di aiutarti, davvero.»
Un altro tuono li interruppe e fece sobbalzare Ryo, che si strinse di più a Minegishi. Questi si allontanò di più dalla fenditura e trascinò il moro con sé, e solamente allora si accorse di quanto lo spazio intorno fosse enorme, alto e sgombro da qualsiasi ostacolo.
Era nel luogo che aveva tanto desiderato vedere: eppure, avrebbe dato tutto perché questo non fosse successo — non a un prezzo simile.
In quel momento, Ryo si staccò da lui e girò su sé stesso. «Comunque, dove siamo? Questo odore è simile a quello della città, ma molto più vecchio.»
«Siamo nelle mura: ho trovato un passaggio e mi ci sono infilato dentro.»
Il moro sollevò le palpebre, rivelando vuote orbite nere, e fece un grande sorriso. «Oh, le mura! Allora, intanto che aspettiamo che il temporale finisca, possiamo cercare il tesoro del principe.»
Toshiki spalancò la bocca, stupito. «Tesoro?»
Il piccolo cieco annuì con forza. «Mamma una volta mi ha raccontato che queste mura erano collegate al palazzo di un principe straniero, ma che nessuno riusciva mai a vederlo o incontrarlo per molto tempo: spariva per ore e ore, e quando si mostrava aveva le dita ricoperte di polvere dorata.
Ha parlato di un passaggio segreto che gli consentisse di passare dalla sua abitazione a qui, ma non è stato trovato… forse alla gente non interessa; ma a me sì, tantissimo.»
«È una leggenda o c’è qualcosa di vero?» Sai bene che tutte le storie, anche le più fantasiose, sono un po’ reali. E pure papà ha detto che questa città di nobili può riservare sorprese…
«Possiamo scoprirlo!» Il moro tacque, fece una pausa riflessiva che smorzò l’energia con cui aveva parlato fino a un istante prima. «Però… se ci fossero altri passaggi uguali a questo e andassimo troppo avanti, potremmo perderci o non trovare più l’uscita giusta…»
Minegishi rimase in silenzio e si guardò intorno per quanto la debole luce glielo permetteva, per poi passare a osservarsi: non avevano altro che i loro vestiti o costumi, e lui era a piedi nudi; ma Ryo indossava scarpe rosse, visibili anche da una certa distanza. Da lì trovò la soluzione. «Togliti le scarpe: lasciale qui come riferimento, così sapremo da dove uscire.»
«Buona idea!»
«Anche se c’è troppo buio per vedere bene, e non è una buona cosa.»
Il moro accennò una smorfia che non voleva essere di scherno, ma di pura consapevolezza. «Non ti preoccupare», gli disse mentre lo prendeva per mano e risolvendo a sua volta il problema, «ti guiderò io nell’oscurità. Te l’ho detto: i miei poteri mi aiutano a percepire i movimenti delle persone e ciò che ho intorno, ci aiuteranno loro.»
Toshiki non replicò e decise di affidarsi a lui; fuori dalle mura, la tempesta aveva ripreso a infuriare e preferiva non pensarci troppo.
Iniziarono insieme il viaggio nelle tenebre, tenendosi vicini per non perdere il contatto e scaldarsi un poco, cercando d’impegnare il tempo a parlare di ciò che veniva loro in mente e caricandosi a vicenda con l’entusiasmo della ricerca; e a mano a mano che luce spariva del tutto, Minegishi sentiva gli altri sensi acuirsi per meglio percepire odori e suoni.
Shimazaki era comunque una guida sicura, che affrontava il velo oscuro innanzi a sé con la stessa tranquillità con cui lui camminava nel sole, e questo lo calmava un poco e lo riempiva d’ammirazione. Dev’essere dura non vedere altro che buio, pensò infatti più di una volta, ma sembra che tu sappia comunque cavartela.
Proseguirono nella direzione che avevano scelto per minuti interminabili; ma appena prima che le mura iniziassero a incurvarsi, Ryo si fermò e impedì a Minegishi di andare a sbattere contro la parete innanzi a loro. «Da qui non si prosegue», disse come per scusarsi.
Tornarono indietro e passarono nuovamente dal punto di partenza, per poi procedere nella direzione opposta e addentrarsi in una nuova oscurità: ma ben presto il moro si bloccò nuovamente, questa volta con un grido strozzato. «C’è… c’è qualcosa che non va, davanti a noi: la strada è sbarrata, ma non da una parete.»
L’esper delle piante trattenne il respiro a sua volta, quindi gli strinse la mano che non aveva mai lasciato. «Che cosa senti?»
Shimazaki non rispose immediatamente, ma prima si nascose dietro di lui. Toshiki lo sentì tremare spaventosamente. «Sono tanti», udì poi mormorare, «e non sono umani. Sembrano animali, li sento ringhiare e dirci di andarcene prima che sia troppo tardi… non vogliono farci proseguire.»
«Si stanno muovendo?»
«No, sono immobili come statue.»
Minegishi aggrottò la fronte. «Forse lo sono.»
«Hanno dei poteri: posso percepirli. Come se uno spirito fosse intrappolato dentro di loro e ci stesse minacciando.»
«Va bene, non temere: torniamo indietro.»
Ryo fu ben contento di sentire l’amico indietreggiare e non si staccò di un centimetro dalla schiena dell’altro, che lo lasciò fare mentre rifletteva. Statue che sembravano possedere un’anima… dei guardiani, forse?
Molte storie parlavano di protettori di re e tesori che custodivano le tombe dei primi e la ricchezza dei secondi, i quali dovevano sottostare per millenni al volere dei loro padroni e neutralizzare ogni possibile minaccia: era questo il loro compito e avrebbero fatto qualsiasi cosa per rispettarlo, anche eliminare dei bambini. Probabilmente il misterioso principe aveva anch’egli dei poteri e aveva costruito un esercito di pietra per tenere lontani i curiosi dai propri segreti, e i suoi soldati erano pronti a rispondere di conseguenza.
«Ma noi non siamo qui per rubare nulla», disse allora lui ad alta voce, «vogliamo solamente scoprire la verità. Il nostro più grande desiderio è tornare a casa, non prendere ciò che non ci appartiene.»
Un fruscio accolse quelle parole, davanti a sé e non dietro; e l’esper cieco ebbe un sobbalzo. «Non-non riesco a muovermi», sibilò nel terrore, e Toshiki non riuscì a rispondere perché anche lui era stato immobilizzato da una forza estranea, mentre le sue orecchie iniziavano a percepire il suono d’innumerevoli passi in avvicinamento.
Era il classico rumore prodotto da un grosso animale, e a mano a mano che quelli si avvicinavano i bimbi sentivano onde di brividi ghiacciati scivolare lungo tutta la schiena. Trattennero il respiro quando udirono le sconosciute entità fermarsi a qualche passo da loro, con uno sforzo immane riuscirono ad afferrarsi le mani e le strinsero in attesa del risvolto peggiore.

“Non c’è nulla per voi, piccolini. Lasciate in pace questo luogo.”
«Non vo-volevamo far nu-ulla di male…»
“Tornate indietro o vi uccideremo.”
Toshiki chiuse gli occhi in una smorfia di paura quando udì quelle parole nella mente, quindi percepì alcune piante reagire alle sue emozioni e spuntare dal suolo in difesa; immediatamente, gli altri indietreggiarono.
“Cosa sono questi?”
“Hai anche tu dei soldati a tua disposizione?”

“Chi sei?”
Minegishi non osò rispondere, ma rimase in ascolto degli esseri che riprendevano ad avanzare e si fermavano in prossimità delle piante. Comprese che erano interessate e insieme intimorite da quelle.
“Richiama i tuoi servitori e andatevene, tutti e due. Non potete passare.”
I vegetali schioccarono al suono di quel pensiero, così che il buio si riempì di ringhi spaventosi e fitte lancinanti percorsero l’intero corpo dell’esper quando opposte energie lo riempirono.
“Richiamali!”
Toshiki gridò e, rompendo l’immobilità imposta, si prese la testa tra le mani mentre questa si popolava di voci e il proprio terrore si fondeva con quello di Ryo e dei guardiani; le creature arboree compresero la sua sofferenza e frustarono l’aria, furiose.
“Portali via, non osare proseguire!”
«Ascoltiamoli, Toshiki…»
“Via!”
«Dobbiamo scappare!»
“Non puoi farcela.”
«Ho paura, andiamocene via!»
“Tu—”
«STATE TUTTI ZITTI!»
Nel momento in cui il bimbo urlò, la terra tremò e fece barcollare tutti coloro che la calpestavano: un istante dopo, centinaia di fiori enormi spuntarono da essa, scatenati da un potere infinitamente più forte rispetto a quello che fino ad allora lui aveva posseduto, e si avventarono sugli oppositori con impeto assetato di battaglia.
Toshiki si sentì sbalzato in avanti insieme a Ryo e dopo qualche attimo si ritrovò a correre verso una direzione che non poteva riconoscere, trascinando il moro con sé in una fuga disperata.
Alle loro spalle s’inseguivano le grida più orrende che avesse mai udito, ma non si fermò fino a quando non udì Shimazaki piangere sonoramente e vincere tutti gli altri suoni. Solamente allora si bloccò e voltò, accogliendo il compagno tra le braccia e stringendolo forte. «Stai bene?», gli mormorò.
L’altro si divincolò per liberarsi, indietreggiando poi di un passo. «I tuoi poteri…», mormorò tra i singhiozzi, «… che cosa hai fatto?»
Minegishi tacque, senza sapere cosa rispondere: era successo tutto così rapidamente che neppure lui riusciva a comprenderlo appieno. Tremava, ma la corsa non aveva niente a che fare con questo; e si sentì girare la testa e le gambe cedere fino a farlo sedere pesantemente al suolo. Inoltre, provava un’enorme colpa per aver spaventato Ryo. «Mi dispiace», mormorò partendo da ciò, «ti ho fatto paura.»
«Sì», replicò l’altro, «tantissima: davvero non sapevi di poter…» Esitò, quindi si riavvicinò di nuovo e s’inginocchiò di fronte a Toshiki. «Però… ci hai anche salvato», rivelò mentre si sfregava gli angoli degli occhi, «e ti ringrazio. Ma non rifarlo, per favore: non urlare più così.»
L’esper delle piante respirò a fondo, asciugandosi la fronte madida di sudore, e trovò la forza per mormorare un assenso.
«Sai dove siamo, comunque?»
Anche nel buio riconobbe che Shimazaki era smarrito quanto lui; ma dopo alcuni attimi questi si riebbe. «Abbiamo superato quelle cose», esclamò, «i tuoi amici ci hanno permesso di avanzare per un bel pezzo. Eppure non percepisco nulla sul nostro cammino… che cosa stavano proteggendo?»
«Qualcosa d’importante di certo. Li hai sentiti anche tu i guardiani, no? Erano decisi a scacciarci, anche a costo di ucciderci. Il principe era ben deciso a non far avvicinare proprio nessuno.»
«Sì, è vero, ma la strada è libera, completamente vuota.»
Minegishi provò ad alzarsi, ma fu costretto a sedersi nuovamente. Shimazaki lo prese sotto le ascelle e lo aiutò a sollevarsi, tenendolo poi appoggiato a sé. «Devi riposare.»
«Sì, ma non qui: loro potrebbero ritornare.»
«Andiamo, allora: ti tengo io.»
L’esper delle piante sorrise tra sé. «Non ti farò più spaventare, promesso.»
«Se lo farai io correrò via e ti lascerò indietro, da solo: sei avvisato.»
«Me lo ricorderò.»
Senza più parlare, il moro si calmò completamente e riprese ad avanzare sobbarcandosi gran parte del lavoro, cercando in ogni modo di far sforzare il meno possibile il compagno. Ci riuscì per un tempo che Minegishi, con la mente che diventava via via più leggera per la stanchezza, non poté quantificare; ma quando l’esper cieco si fermò e si appoggiò contro una parete, lui non ebbe da obiettare. «Sei troppo magro per portare entrambi», gli disse comunque per scherzo.
«Non prendermi in giro! Posso contarti le costole, e sono pure più alto!»
«Scommetto che ti raggiungerò in pochissimo tempo.»
«E io scommetto di no!»
«So anche dove soffri il solletico.»
«… Questa te la faccio pagare.» Una pausa. «Il temporale…»
«Hmmm? C’è qualcosa che non va?»
«Non sento il rumore della pioggia, né i tuoni.»
Era vero: fuori da lì, il mondo si era quietato. Questo diede a Minegishi abbastanza energia per poter compiere un ultimo sforzo. «Dobbiamo riprendere, allora, trovare un’altra uscita e…»
«Toshiki.»
D’istinto, il bambino si voltò dal lato opposto a quello dove si trovava Shimazaki; appena lo fece, un respiro caldo e inumano lo investì.

“Nessuno ci sfuggirà mai.”
«Toshiki, loro sono qui.»
«… Lo so.» Come prima, rimase immobile; ma questa volta non sarebbe giunto niente e nessuno a salvarli.
In qualche modo, uno dei guardiani era stato abbastanza fortunato da riuscire a vincere lo scontro e sufficientemente silenzioso da seguirli senza essere percepito; loro, invece, erano semplicemente spacciati — o meglio, lui lo era… ma non Ryo.

Lui si era voluto fermare, mentre Ryo sarebbe tornato indietro; lui aveva sfidato le creature, mentre Ryo le avrebbe rispettate. Lui avrebbe pagato per questo, ma senza permettere che la stessa cosa accadesse al moro.
Lo aveva appena pensato che ci fu un guizzo, un lampo nel buio, e si sentì afferrare alla caviglia e tirare indietro con uno strattone doloroso.

“Hai osato troppo.”
«Riesci a muoverti… Ryo?»
«S-sì, più o meno.»

Fortuna. «Allora, per quanto possa far male, mettiti a correre: io…» S’interruppe, la presa sul piede aumentò. «… Io non posso più.»
Si sentì sfiorare la mano dall’altro, ma rifiutò il contatto. «Scappa, avanti. Ti ho promesso che non ti avrei più spaventato: allontanati prima che possa mettermi a urlare.»
Udì chiaramente il compagno indietreggiare. «Ma… ma tu non…»
Minegishi fece per replicare, ma prima gli scappò un mugolio quando le zanne della creatura affondarono nella carne. «Corri!»
«No!»
«Non puoi restare qui… devi andare.»

“Illusi.”
«Toshiki…»
«Non ascoltarlo, vai.» Anticipando l’ennesima protesta e provando a non pensare al dolore che ne sarebbe seguito, il piccolo chiuse gli occhi e prese un forte respiro, incanalando tutte le energie che restavano in una mossa disperata: le piante risposero debolmente, ma afferrarono comunque l’esper cieco e lo spostarono diversi metri più avanti. Un’ultima azione che non sarebbe valsa a nulla contro il guardiano che in quel momento si apprestava a trascinarlo verso i compagni, ma che forse avrebbe salvato quell’altro ostinato… come sperò che l’incoscienza se lo prendesse prima che venisse fatto a pezzi, o almeno di non patire troppo.
Il freddo s’intensificò e il dolore diminuì: stava per finire tutto, e non aveva salutato un’ultima volta nessuna delle persone a cui teneva.
Era ingiusto.

Mi dispiace. Mamma, papà, non volevo farvi soffrire così…
Vi voglio tanto bene.

Chiuse gli occhi e lasciò che tutte le lacrime della giornata si riversassero libere, perché ormai non aveva più senso trattenerle; e si concentrò talmente tanto su questo che solo all’ultimo udì quei lievi passi in corsa.
Oh no, pensò allora con orrore, no no no… 
«Non abbandono chi mi ha salvato per due volte», urlò Ryo a pochi centimetri da lui, «mettetevelo tutti in testa!»

“Siete più stupidi di quanto sembriate.”
Il guardiano smise d’interessarsi a Toshiki e gli liberò la caviglia. Quest’ultimo urlò quando lo sentì balzare per afferrare Shimazaki, e fu allora che il moro lo afferrò per entrambe le mani e tutto il mondo iniziò a mutare, per poi esplodere in una bolla di luce che poté appena intravedere prima di perdere i sensi.
È questa la fine, dunque?

 

 

«TOSHIKI!»
«Tesoro, calmati…»
«Ma hai visto la sua ferita? Ha addosso i segni di un morso, è stato attaccato da qualcosa!»
«Lo vedo anch’io, ma sta respirando normalmente e… oh, ha aperto gli occhi! Riesci a sentirci, fiorellino?»
Il piccolo sollevò e abbassò le palpebre due volte; quindi riconobbe gli sguardi che lo osservavano con ansia e trepidazione, e sorrise. «Mamma… papà.»
I due adulti sorrisero a loro volta e lo abbracciarono sollevandolo, così che scoprì che fino a quel momento aveva dormito tra le braccia della donna e … aspetta, ma dov’era? Si era salvato, o…
«Va tutto bene, tesoro», gli disse il padre, «ora sei al sicuro.»
Il bimbo gettò uno sguardo intorno a sé: a fatica riconobbe la spiaggia dove aveva giocato per tante ore, devastata e sommersa da una distesa di foglie, piante sradicate e da tutto ciò che la tempesta aveva portato, e sgranò gli occhi nella consapevolezza. Ci sono solamente io. «Oh, no…»
«Che cosa c’è, tesoro?»
«C’era un altro bambino con me…», mormorò mentre si agitava e costringeva la madre a posarlo a terra, «dov’è andato?»
I genitori si guardarono senza capire, e subito ritornarono a lui. «Toshiki… cos’è successo? Ti va di raccontarcelo?»
Il bimbo si morse le labbra per un istante, consapevole di dover dare una spiegazione al tempo passato lontano da loro: e sì, raccontò di Ryo e di tutto quello che era accaduto, o almeno così fece con la parte degli avvenimenti prima dell’incontro con i guardiani; da lì tacque il resto, inventando di aver messo il piede in una trappola e di essere svenuto per il dolore, e di essersi svegliato lì. Dai loro sguardi comprese che non erano totalmente convinti della seconda parte della vicenda, ma era anche abbastanza lucido per sapere che ancor meno avrebbero creduto alla verità; e se pure lo avessero fatto, non voleva comunque preoccuparli per qualcosa che era ormai lontano.
Però, Ryo dov’era finito? Era la chiave della sua salvezza e sempre grazie a lui era giunto sulla spiaggia… perché non era lì, al suo fianco?
«È merito suo se sono qui», mormorò, «e non so nemmeno come sta.»
«Noi abbiamo trovato solamente te», gli disse il padre, «ed è come se tu ci fosse comparso davanti all’improvviso.»
«Che cosa vuol dire?»
«… È difficile da spiegare, però possiamo dirti che siamo passati tre volte in questo tratto prima di trovarti; e poi, girando lo sguardo, ti abbiamo visto a qualche metro da noi. Eppure, ne siamo sicuri, prima non c’eri… sei sbucato dal nulla.
Questo bambino ha dei poteri come te, non è quello che hai detto prima?»
«Sì, ma non quello di spostarsi da un posto all’altro, lui—»

Ricordati quello che ti è accaduto laggiù… qualche ora fa anche tu non avevi le stesse forze che hai scatenato.
Rinunciando a parlare ancora, Toshiki abbassò lo sguardo e così facendo incontrò la ferita che gli segnava la caviglia.
Non ci credo che tu sia rimasto là, al posto mio. No… sei andato a riprendere le tue scarpe e ora ricomparirai.
Strinse i pugni e alzò il volto, osservando il mondo devastato che lo circondava, e stirò la bocca in un’espressione amara.
Fatti vedere, avanti.
Chiuse gli occhi, rimase immobile fino a quando i genitori non lo pregarono di farsi condurre lontano da lì; con il cuore pesante dovette accettare.

Ritorna indietro, Ryo: ti sto aspettando.

 

… Attese quasi una settimana prima che il suo desiderio si avverasse: s’incontrarono tra la folla di una città priva di voce marina, si trovarono fianco a fianco e si riconobbero al solo contatto.
«Stai bene anche tu, quindi», mormorò Minegishi prima di girarsi verso di lui, senza nascondere il sollievo.
«Sì, anche se dopo averti portato sulla spiaggia mi sono trovato direttamente a casa mia.»
«Per quello non mi hai mai sentito, allora.» Una pausa. «Mi hai salvato.»
«Tu l’hai fatto per due volte; e comunque non potevo lasciarti laggiù. E credo che sempre grazie a te ora abbia dei nuovi poteri.»
Toshiki lo guardò, scoprì che l’altro faceva lo stesso: anche se cieco, seppe che questo riusciva a vederlo nel suo modo unico.
Si persero nella medesima folla dopo qualche attimo; non prima, tuttavia, di comprendere che quell’avventura era lungi dall’essere finita, e che il loro viaggio insieme era appena iniziato: così che quando videro la città marina per la seconda volta, fu dopo anni d’incontri.
L’abitare in due posti diversi non costituì mai un problema, scambiarsi indirizzi e numeri di telefono intrecciò le basi per una lunga relazione; correre insieme sulle spiagge fu ancora meglio.
In quella breve vacanza provarono a ritornare nelle mura, ma il ricordo di quanto accaduto li distolse quasi subito dall’obiettivo; almeno fino a quando Ryo non scoprì che nel cuore di esse c’era solamente silenzio.
I guardiani sembravano essersi addormentati per sempre, la via era pronta ad accoglierli: ma per quel momento il tesoro avrebbe atteso ancora.
La terza volta lì, invece, fu subito chiaro che la realtà stava per mutare: qualcosa li attendeva, molto più grande e al di là delle loro forze.
Erano giovani uomini che non potevano nulla contro le ombre che crescevano insieme alle capacità né avrebbero saputo sfuggire alla più grande di esse, e che quindi furono le prime vittime illustri di una lunga caccia; e tra i due fu Minegishi a sentir l’odore acre della tempesta in arrivo e a comprendere che i giorni dell’innocenza erano lontani, ma che non dovevano dimenticarli completamente. «Facciamo una promessa, Ryo», disse allora una sera, qualche ora prima che un uomo potente li trovasse, «promettiamo che resteremo insieme anche nel buio.»
L’esper cieco sorrise, conscio dell’importanza assoluta di quel patto. «Lo abbiamo già fatto quando niente ci legava, non smetteremo ora.»
«Prometti, allora?»
«Prometto.»
«Prometto.» Un silenzio consapevole, triste. «… Sai, credo che stiano per giungere tenebre davvero crudeli: e questa volta, i nemici saremo noi.»

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

[1] ONE non ha ancora specificato l’età di nessuno dei due personaggi, ma è ipotesi diffusa nel fandom che entrambi siano sulla trentina e nati tra Ottobre e Novembre. Ribadisco l’assoluta non certezza di questo, ma su Twitter mi sono imbattuta in utenti giapponesi e americani che, credo, sappiano qualcosa o abbiano a disposizione materiale che in Italia non è ancora arrivato. Comunque, che sia una costruzione fanon o fondata, la trovo apprezzabile.

 

[42] Ho il canon — e non solo io — che fiori e piante siano influenzate dalle emozioni di Minegishi.

 

[3] Nome giapponese dell’Osmanto Odoroso, pianta dai fiori profumatissimi.

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Capitolo 3
*** Crepuscolo ***


III ~ Crepuscolo

 

Che ci sia la luna
Sul sentiero notturno
Di chi porta i fiori.

 

Takarai Kikaku

 

 

Nel quarto ritorno.

 

I due esper giunsero in città pochi istanti dopo aver lasciato il negozio.
Il mare li accolse infilandosi nel loro respiro e risvegliando tutti i ricordi che si legavano al luogo, ed entrambi volsero immediatamente l’attenzione a esso, quindi alle mura che li sovrastavano e osservavano tutto in silenzio.
Era ancora presto per incontrare i segreti custoditi là, lo compresero: prima era necessario riprendere il contatto con il posto e tra le proprie anime.
Le onde cantavano a poca distanza: se avessero voluto purificarsi, avrebbero dovuto farlo tra braccia rese fredde dall’autunno ma abbastanza amorevoli da accettare anche i peccati.
E loro ne avevano compiuti tanti.
«Ben ritornati a noi», mormorò Shimazaki mentre si lasciava scompigliare i capelli dalla carezza del vento; e Minegishi abbassò lo sguardo, pensoso.
Una parte di sé pensava di essere nel posto sbagliato perché, irritato ancora con l’amico, non era nell’animo adatto per affrontare la città; l’altra, invece, credeva fermamente che per recuperare un rapporto solamente quel luogo avrebbe potuto aiutare. Per vedere quale delle due avrebbe avuto ragione, doveva solamente mettere alla prova entrambe e attendere: non se ne sarebbe andato da lì senza una risposta, di certo.
«Scendiamo in spiaggia?»
Toshiki rialzò lo sguardo e lo fissò su Ryo con un’espressione indecifrabile nel volto; eppure riconobbe di non essere così tanto sorpreso da quella richiesta che rimandava ad anni lontanissimi, così calma e delicata da sembrare la più accorta delle preghiere.
Il moro amava il mare con tutto sé stesso, era una delle cose che il tempo non era mai riuscito a placare o cambiare: di conseguenza, non poté negarglielo. «Dovremmo riposare, però. È già sera inoltrata e domani entreremo di nuovo nelle mura…»
«E tu credi di poter dormire stanotte?»
«Avevi un piano diverso?»
«No, intendo: siamo qui dopo anni, come abbiamo sempre desiderato… non penso che riusciremo a riposare bene, visto quanti ricordi abbiamo.»
Toshiki annuì e respirò con forza. «Già… concordo.» Fece una pausa, cercando di trattenere le parole; non ci riuscì. «Temevo ti fossi dimenticato di questo posto.»
«Te l’ho detto che ci penso sempre.»
«Forse non abbastanza a ciò che ci siamo detti.»
Shimazaki non replicò più, mentre lui percepì un sentore amaro nella bocca e la sensazione di essere stato così insensibile da doversi vergognare.

Fantastico, complimenti davvero. Non è così che risolverai la situazione tra voi. «Forza, andiamo», mormorò dopo un attimo d’immobilità, «una passeggiata lungo la riva ci farà bene.»
Il mare parlò nuovamente, raggiungerlo fu così facile e rapido che quasi non ci credettero quando la schiuma delle onde li sfiorò; l’acqua si rivelò essere più calda di quanto ipotizzato ed entrambi furono svelti a togliersi le scarpe per incontrare il basso fondale. Tutto, in quel posto, sembrava essersi fermato a quando erano solo dei pulcini con strane abilità e ogni cosa era più semplice.
«Una calma simile dovremmo viverla sempre», sussurrò Shimazaki a un certo punto, rilassandosi maggiormente.
Minegishi fece lo stesso e alzò il capo. «E non siamo comunque soli, contando chi ci guarda dal cielo.»
«La luna o le stelle?»
«Le stelle. Sono un’infinità e così nitide, lontane dalle luci artificiali… anche questo è uno spettacolo che meriterebbe di essere visto di più.»
Le tenebre sembrarono vibrare quando Ryo sorrise, la scintilla di un ricordo a illuminargli il viso. «Ti ricordi cosa facevamo da bambini? Ci sedevamo in un posto solo nostro, che fosse un parco o su una terrazza, e io ti chiedevo di farmi vedere la notte… tu mi prendevi la mano e mi disegnavi le costellazioni sul palmo.»
«E ridevi così tanto che ero costretto a fermarmi dopo nemmeno un minuto. Temevo che prima o poi saresti morto.» Toshiki accennò un sorriso a sua volta, sincero e leggermente malinconico. «Mi pregavi di continuare e io ti promettevo che ti avrei abbandonato al primo urlo… eri così felice quando ti parlavo del cielo o ti leggevo qualcosa, così sereno. Trasformavi una notte come tante in qualcosa di nuovo, e ogni volta io mi chiedevo come riuscivi a farlo… erano bei momenti.» Perché eravamo completamente noi stessi.
Nessuna risposta spezzò la ninnananna che accompagnava le stelle nel loro vorticare: per il resto della notte entrambi non si scambiarono che qualche altra parola, attendendo l’alba sulla riva e nel dormiveglia.
Ryo aveva ragione: non avrebbero potuto riposare con l’anima e la mente che chiedevano altro, né davanti alla città che sapeva tutto di loro.
Quella era la svolta: o avrebbero compreso come affrontare il silenzio, o questo avrebbe congelato ciò che li teneva uniti e le mura sarebbero rimaste il sogno di un passato ormai perduto, insieme a tutto ciò che erano.

 

 

 

Al mattino, non affrontarono subito la cinta di pietra: prima si bagnarono nuovamente tra le onde, quindi la varcarono per visitare brevemente la città e si persero nelle vie sempre più piene di fiori e ancora fiancheggiate da bianche costruzioni, protette da un incantesimo che non permetteva al Tempo di raggiungerle; e si strinsero l’uno all’altro mentre riconoscevano i fantasmi dei bimbi che erano stati prendere vita e inseguirsi a vicenda nei giochi, tagliando loro la strada mentre venivano rincorsi da quel vento spensierato che non li toccava più.
Rimasero lì per tutto il tempo che sentirono come concesso; quindi, il sole sorse alto sulle mura e le ombre mutarono, rivelando il momento di partire.
«Andiamo», sussurrò allora Toshiki, «il nostro tesoro ci sta attendendo.»
Ryo annuì e gli mise una mano sulla spalla. «E noi non siamo così scortesi da farlo aspettare troppo.»
Passò un breve istante, quindi umide tenebre, freddo e anni di storia impattarono contro la pelle e li fecero indietreggiare un attimo, per poi permettere loro d’adattarsi. La pietra antica diede il benvenuto ai suoi due visitatori preferiti e non negò nessuno dei brividi che entrambi provarono.
«Siamo contenti anche noi di vedervi, non temete.»
Minegishi accennò un sorriso a quella battuta, quindi rivolse un’occhiata all’enorme borsa che Ryo portava. «Non ti preoccupare, lo sapranno presto», gli disse mentre se la faceva consegnare. Ne trasse giacche pesanti e la più grande delle torce che c’erano, accendendola subito.
La luce rivelò che l’ambiente in cui si erano conosciuti era davvero enorme e non la semplice impressione di un bambino, e girò su sé stesso per vedere bene l’altezza delle volte e i massicci pilastri che sostenevano la struttura.
Mentre la guardava, ricordò che Ryo aveva detto che in una certa direzione non avrebbero potuto proseguire perché una parete impediva il passaggio; probabilmente al di là di essa non c’era alcuno spazio libero, quindi, forse, quell’ambiente era stato ricavato apposta per chi poi l’avrebbe occupato.
Che tipo di tesoro doveva essere custodito in un simile spazio?
«Pronti?»
Toshiki attese un attimo prima di rispondere, osservando i percorsi che si estendevano da una parte e dall’altra; quindi annuì, provando sulla pelle una scossa d’eccitazione. «Pronti. Stammi vicino, la torcia non riesce a illuminare tutto.»
«Questo si chiama sfruttamento.»
Minegishi spalancò gli occhi, sorpreso, e prima che potesse replicare Shimazaki scoppiò a ridere e lo afferrò per un braccio, trascinandolo con sé. «Nessun problema, non me la prendo solo se fai andare avanti me. Voglio essere io il primo a scoprire ciò che ci attende!»
«E se poi non c’è alcun tesoro e rimani deluso?»
«Allora sarò costretto a darti battaglia, probabilmente in acqua. È da parecchio che non provo ad affogarti.»
«Non imparerai mai a combattere lealmente.»
«La dovresti pagare comunque, visto che tutto questo è partito da te.»
«Oh, ricordami, chi mi ha raccontato della leggenda? In questa storia siamo geni o stupidi in due.»
«Touché
Un refolo di corrente fredda distolse l’attenzione dalla piccola discussione per concentrarla nuovamente sulla loro strada; e impugnando la torcia, Minegishi strinse leggermente la spalla dell’amico per farlo avanzare.
«È come l’ultima volta», disse quest’ultimo dopo aver ascoltato un attimo cosa lo circondava e aveva innanzi, «c’è solamente silenzio. Ora che riesco a percepire i movimenti nel raggio di metri e metri, non sento nulla.»
«Stiamo comunque all’erta: non credo che i guardiani possano essersene andati, sono legati a questo posto. Inoltre, è scontato dire che ci riconosceranno e cercheranno di regolare i conti.»
Alla luce della torcia non era solamente la strada a prendere forma, ma anche il loro passato: a quello che avevano vissuto nel buio si poteva dare un nome, ogni pietra leggermente sconnessa aveva una storia e si mostrava a occhi attenti, l’avventura poteva essere descritta con chiarezza a mano a mano che si snodava in curve e sorprese.
«C’è qualcosa davanti a noi: ci sta sbarrando il cammino e non si muove.»

Ecco, appunto. L’esper cieco non aveva finito di parlare che Minegishi aveva già puntato il fascio di luce davanti a sé e con la mano libera aveva chiamato i rinforzi, pronto a tutto. Si ritrovò deluso: innanzi a loro non c’era niente da temere, bensì strane pietre contorte disposte in modo disordinato per tutto il percorso, quasi fossero cadute dall’alto e lì rimaste.
I due si avvicinarono a esse per capire di cosa si trattasse, così la torcia prese a illuminare quelli che parevano i frammenti di tante statue spezzate: corpi privi di arti, zampe d’animale, orecchie e, alla fine, qualcosa di simile al muso di un leone. A quel punto e ripensando sia alle parole di Shimazaki sul silenzio udito prima, sia al fatto che era stato proprio lui a definire i guardiani come statue, nella mente di Toshiki si formò un’idea; però dovette attendere ancora qualche attimo per confermarla.
«Che cosa sono? Toshiki…?»
Chinandosi al suolo, l’esper delle piante prese in mano i brandelli di stoffa rossa che occupavano tutta la strada e se li fece passare tra le dita. «… Credo di aver trovato le tue scarpe, Ryo.»
La confusione tinse il volto del moro, e l’altro si sbrigò a spiegare. «Quelle che avevamo lasciato come punto di riferimento, la prima volta che entrammo qui… non le avevi più recuperate?»
«No… non sono mai tornato a riprenderle.»
Minegishi annuì e fissò nuovamente i resti scarlatti e le statue, per poi provare a comprendere che cosa fosse accaduto.
Dopo che la disperazione aveva risvegliato appieno i poteri di Ryo e questi era riuscito a teletrasportare entrambi via da lì, i guardiani dovevano averli cercati per tutte le mura, giungendo anche al punto da dove erano entrati; avevano trovato le scarpe e, dato che queste avevano lo stesso odore di una delle loro prede, si erano avventate contro di esse…
Ma poi perché finire in pezzi, ammesso che quei simulacri di belve feroci fossero stati veramente i fedeli custodi del luogo?

Perché hanno fallito.
Alzandosi lentamente, l’esper si avvicinò a Shimazaki e lo prese per un braccio, conducendolo poi nelle zone dove la strada era sgombra.
«Che cosa stai facendo?»
«Evito che tu calpesti ciò che resta dei guardiani. Anche se li hai battuti, meritano comunque rispetto.»
Ryo mostrò le orbite vuote in un’espressione di sorpresa, la voce tremò quando chiese: «… Come sarebbe a dire che li ho battuti?»
«Hanno fallito nel loro compito: non sono riusciti a catturare due estranei troppo curiosi, come il principe aveva ordinato, e hanno pagato al posto nostro. Questi frammenti sono ciò che rimane dei nostri nemici.»
«Siamo noi gli unici responsabili di questo silenzio, allora…»
«Proprio così.»
Il moro si blocco, non replicò subito. «… Ho portato distruzione anche qui. Anche da piccolo, non creavo altro che caos.»
Toshiki era andato qualche passo più avanti, ma si fermò e voltò a quell’affermazione. Il tono con cui l’aveva pronunciata gli fece inaspettatamente male e per un attimo non seppe come replicare; quindi ritornò vicino al compagno. «Non hai colpa di questo fatto, e lo sai: non potevamo sospettare che sarebbe andata così.»
Shimazaki non smise di fissare il vuoto davanti a sé. «Eppure, ci ha rimesso comunque qualcuno.»
«E in cambio di quel qualcuno hai salvato entrambi.»
Questa volta l’esper cieco abbassò il capo verso Minegishi, che prese un grande respiro e continuò. «La scelta di cercare questo tesoro non ha portato a esiti completamente felici, finora… ma tutto ciò non è stato fatto volontariamente; e due persone non sono morte.» Anche se, a giudicare da quello che avremmo fatto anni dopo, forse ce lo saremmo meritato. «Credi che valga poco?»
Silenzio. Di nuovo, Minegishi sentì una spina penetrare nel cuore e decise di prendere tra le proprie mani la situazione, con calma e riconoscendo tutto ciò che avevano sbagliato. «Ascolta… se non te la senti di proseguire, ci possiamo fermare. Rispetteremo il volere dei custodi e lasceremo in pace qualsiasi cosa custodissero; e d’altra parte tu volevi fare così fin dall’inizio, mentre io ho scelto di affrontarli. La colpa della loro disfatta è tutta mia.»
In quel momento, Ryo uscì dal silenzio e sorrise debolmente. «No, non credo. In questa storia siamo geni o stupidi in due, hai detto prima; e anch’io ho fatto la mia parte.»
«Ryo…»
«Ne accettiamo le conseguenze insieme. Salutiamo le mura per l’ultima volta e ritorniamo al mare: il tesoro merita di riposare insieme ai suoi protettori… noi non lo meritiamo.»
«Sì… è la cosa migliore che possiamo fare.»
Si voltarono entrambi; ma prima che potessero teletrasportarsi, una violenta scossa di terremoto turbò il suolo.
Nessuno dei due fu capace di reagire in fretta, così che entrambi persero l’equilibrio e caddero; il mondo iniziò a vorticare e provarono la sensazione di rotolare via via più velocemente in un buio fitto che non lasciava spazio neppure ai pensieri, e mentre le capacità di orientarsi e il senso del tempo si annullavano credettero di essere destinati a precipitare nelle tenebre per sempre — e almeno, tale sembrava dover essere la loro sorte fino a quando Minegishi non riuscì a trasmettere un ordine e decine di piante sbucarono per afferrarli e ancorarli saldamente a terra.
Entrambi rimasero nella parziale incoscienza per altri lunghi istanti, quindi Shimazaki fu il primo a riaversi e a prendersi la testa fra le mani. «Che male, credevo di essere sul punto di rompermela… Toshiki, tu stai bene?»
Questi mugugnò una risposta, tutto il corpo che doleva per le botte ricevute; sentiva inoltre l’odore del ferro nel naso, segno che stava sanguinando, e la stessa umidità a livello del gomito destro. Forse, però, il peggio si fermava lì e tutto sommato era andata anche bene.
Le piante lo liberarono e fecero lo stesso con Ryo, così che poterono mettersi a sedere e riprendere il contatto con la realtà.
«Non credo che tu sappia cosa sia successo, quindi evito di chiederlo», esclamò l’esper cieco, «so solo che siamo molto avanti rispetto al punto in cui eravamo prima.»
Barcollando leggermente, Toshiki si alzò e scoprì di poter stare in equilibrio; provò a riaccendere la torcia che non aveva mai mollato e riuscì nell’intento, così poté raggiungere l’amico. Anche lui sanguinava da un colpo sulla fronte, ma in misura ridotta e non preoccupante: potevano davvero considerarsi dei miracolati.
Un rapido sguardo intorno non gli permise di riconoscere alcunché che potesse servire, e questo lo agitò leggermente. «Ryo, riesci a teletrasportarci fuori da qui?»
Il moro scosse la testa. «Ci posso provare, ma non riesco a orientarmi… non vedo nemmeno nulla. Ho paura che mi sia successo qualcosa…»
«Hai preso un colpo alla testa, per questo non riesci a utilizzare i poteri. Stenditi un attimo, io provo a guardarmi in giro.»
«Vuoi procedere senza sapere dove andare?»
«Vedo se riesco a capire qualcosa, va bene? Non mi allontanerò di molto, credimi. Rimani tranquillo, ce ne andiamo presto.»
Minegishi fece per muoversi, tuttavia si ritrovò il fiato dell’amico a pochi passi; le piante lo aiutarono a reggerne il peso quando questi rischiò di schiantarsi al suolo di faccia, e a stento lui represse una sonora sgridata.
«Ti avevo detto di rimanere sdraiato e tranquillo», disse invece mentre si passava un braccio dell’esper intorno alle spalle e in qualche modo riusciva a sostenerlo almeno perché non cadesse.
«E invece io non ti faccio andare da solo e in queste condizioni.»
«Parla quello che invece si regge bene sulle gambe, eh. Nemmeno da ubriaco sei così instabile.»
«Ti mancano anche quei momenti, di’ la verità.»
«… Quella botta è stata davvero forte, mi sta preoccupando.»
«Ma se tu—»
«Fermo.»
Ryo si voltò senza nascondere la propria sorpresa, immobilizzato dal tono con il quale l’amico aveva parlato. «C’è qualcuno? Maledizione, proprio quando non sento nulla…»
«Non c’è nulla e nessuno da sentire.» Leggermente contrariato, Minegishi guardò che cosa la torcia stava illuminando a pochissima distanza da sé: una volta e sette scalini che conducevano a una camera posta più in basso rispetto al piano di calpestio, e il pavimento di questa — o meglio, la distesa d’acqua che lo ricopriva: il mare sembrava essersi aperto una via dentro le mura e aver deciso di confluire in quel vano, creando una sorta di piscina.

La solita fortuna, pensò mentre scendeva gli scalini e si guardava intorno.
«Allora perché mi hai fermato?»
«Per evitarti una caduta e un bagno fenomenale, e—» In quello stesso istante la voce si bloccò e gli occhi si spalancarono davanti alle ultime immagini di quella che, Toshiki ne era certo, non era stata una semplice illusione: mentre faceva scorrere la luce sul pelo dell’acqua, una scarica dorata si era fatta largo fino a scomparire quando li aveva quasi raggiunti,  come un fantastico, rapido serpente che improvvisamente avesse fiutato un pericolo sulla propria strada e fosse preventivamente fuggito. Quest’immagine, sorta in parte dalle fantasie della sua infanzia, gli diede i brividi e lo spinse a far vagare intorno la torcia, nel tentativo di rintracciarla e inseguirla; ma non portò a nulla, men che meno al suo obiettivo.
«Bagno fenomenale?»
«Sì, sembra che il mare intero si sia riversato qui… e tu non fare quel sorriso, non ti vorrai buttare!»
Dividendo l’attenzione tra quello che aveva appena visto e frenare l’idea folle che aveva percorso la mente del moro, l’esper si sporse in avanti. Illuminò nuovamente l’acqua guardando ovunque, e dopo pochi attimi il guizzo misterioso riapparve.
«Là!»
Le piante scattarono, ma non sfiorarono nulla: eppure la presenza non era più molto distante da lui né quelle erano state lente… quale pesce o altra creatura poteva essere tanto veloce? Inoltre, era una sua impressione o qualunque cosa fosse si fermava sempre prima di un certo punto, come se ci fosse una qualche barriera a trattenerlo e non si potesse spostare liberamente?
«Ryo, riesci a sentire qualcosa ora?»
«No.»
«E va bene. Credi di poter stare seduto qui per qualche minuto? Per favore.»
«Sì… ci provo.»
«Mi basta.»
Libero dal corpo dell’amico, Minegishi scese l’ultimo scalino ben deciso a risolvere il mistero e accettando anche di bagnarsi fino al midollo per questo. Per fortuna, quando entrò in acqua scoprì che il suo livello arrivava a malapena ai fianchi.
«Hey, ma tu sei lì a sguazzare!»
«Sì, ma non essere idiota come me, intesi? Stai immobile.» Puntò la torcia dritta ai suoi piedi, ma niente accadde; invece, quando il fascio si sparse intorno, l’arcano iniziò a svelarsi.
«Ma cosa…»
Per la seconda volta, la voce si spense: per qualche istante ci fu il silenzio assoluto, quindi, appena la consapevolezza ricompose tutti i pezzi e infine rivelò l’incastro perfetto, il giovane scoppiò in una risata.
Shimazaki sorrise spontaneamente nell’udirla, in quanto era raro sentire Minegishi ridere così forte; poi attese, senza nascondere la sua impazienza, che il compagno rivelasse ciò che lui non poteva vedere. «Quindi? Che cosa sta succedendo?», chiese quando sentì l’altro calmarsi lentamente.
«Sta succedendo… che abbiamo trovato il nostro tesoro.»
A quelle parole il moro spalancò la bocca senza emettere un suono, la richiuse e la riaprì di nuovo nello stupore. «Davvero?»
«Sì, ed è sempre stato qui: era qui quando siamo venuti la prima volta, e anche quando abbiamo stretto la nostra promessa. Ora mi sta guardando.»
«Cos’è, qualcosa d’oro? … Aspetta, cosa vuol dire che ti sta guardando
«Oro, sì, e zaffiri e rubini. Il nostro principe non si è affatto risparmiato sui colori, ha usato solamente i migliori.»
Senza più riuscire a trattenersi, Ryo si alzò ed entrò in acqua a sua volta, raggiungendo l’amico e stringendogli forte le spalle per l’eccitazione. «Cos’è, cos’è?»
«È il soffitto sopra di noi. Ryo, se solo tu potessi vederlo… è bellissimo.
Non me ne sono accorto prima perché continuavo a guardare il suolo e la torcia è troppo debole per illuminare un grande spazio, ma quando la luce sfiorava sia la volta che l’acqua, questa lo rifletteva.
E ti ricordi che cosa mi hai detto la prima volta che siamo stati qui?»
«Ti ho detto un sacco di cose allora: che mi avevi salvato, che avevi mille braccia, e anche che profumavi di fiori… ma non so come possano rientrare nel discorso di adesso.»
«La leggenda: il principe straniero dalle mani ricoperte di polvere dorata, che rifiutava il contatto con la gente e preferiva rimanersene chiuso nelle mura con il suo tesoro… e noi siamo in una camera dipinta d’oro e di mille altri colori, sul percorso che i guardiani proteggevano.
Forse si era ricavato tutto questo spazio perché aveva intenzione di decorarlo tutto, ma qualcosa deve averlo interrotto. Comunque sia, la leggenda è allora…»
«… Una storia vera.»
Minegishi annuì, continuando a lasciar vagare lo sguardo sulla meraviglia che avevano sopra di loro: non un vero e proprio disegno, ma tanti vortici di colori brillanti, caldi e freddi che partivano da ogni angolo della volta e la riempivano totalmente fino a unirsi al centro, dove potevano dare vita a un cielo notturno trapuntato da milioni di astri e percorso da un’aurora boreale, oppure alle profondità marine con il grembo carico di fiori e perle.
Alle pareti i toni andavano lentamente sfumando in un bianco latteo che rimandava all’infinità, la quale riniziava là dove cominciava l’acqua e di nuovo si tuffava nel tripudio dell’immaginazione e della bellezza.
Dentro di sé, lui si rese conto di trovare quella scoperta più importante di qualsiasi gioiello perché era parte del mondo di chi l’aveva creato e conservava tutto ciò che la morte non aveva rapito con sé: visioni della propria terra, emozioni, il modo di concepire l’armonia e di esprimerla.
Il vero tesoro allora non era la decorazione, ma l’anima da cui era nato: e questo non poteva avere paragoni.
«Credo che qui qualcuno sia rimasto senza parole…»
Minegishi non riuscì a rimanere impassibile al suono flautato della voce di Shimazaki. «È un peccato che non possa vederlo anche tu, è…»
«Oh, ma me lo puoi descrivere. Ti ascolto.» Senza attendere altro o lamentarsi del freddo, il moro si sedette nell’acqua e si mise in attesa con l’espressione più pacifica mai vista prima.
«Ma… ora? Così?»
«Ovviamente. O forse devi andare da qualche parte?»
Toshiki alzò la testa e sospirò, riconoscendosi battuto e non riuscendo a trattenere un sorriso. La normalità è una strada battuta: facile da percorrere, ma dove non crescono fiori[1]. E tu sai benissimo dove andare a trovare i più belli. «Hai ragione», mormorò prima di sedersi a sua volta, «è il nostro tesoro, quindi è giusto che entrambi lo conosciamo.»
«Dimmi: luna o stelle?»
«Entrambe, e sempre al massimo della loro luce. La notte non sarebbe mai più oscura se fossero vere.»
«Possono esserlo per noi, però.»
Un altro sorriso. «… Riformulo quello che ho detto poco fa: credo che quel colpo in testa ti abbia fatto anche bene.»
E la città, lui non la poté vedere ma lo fece, per un attimo brillò di più davanti ai nuovi guardiani dei suoi segreti.

 

 

 

C’è una meta
Per il vento dell’inverno:
Il rumore del mare.
[2] 
Quando lasciarono le mura era quasi giunta la sera.
Ormai nemmeno un’ora rimaneva prima del buio completo, ed era un fatto condiviso da entrambi che andasse spesa vicino al mare — come la notte precedente, eppure con animo completamente diverso.
Il loro viaggio nel buio aveva dato frutti che nessuno dei due si sarebbe immaginato, e solamente una tappa mancava all’arrivo: la più complessa, la più personale e completamente loro.
«Sei fortunato: anche se non ho potuto vedere il tesoro nel senso comune del termine, non mi ha comunque deluso. Per questa volta ti risparmio.»
«Troppe sorprese per oggi; continua così e finisco per viziarmi.»
Shimazaki sorrise, quindi si distese sulla sabbia. Anche quando Minegishi ebbe fatto lo stesso rimase in silenzio, riempiendosi di tutte le sensazioni che il mondo gli dava e liberando le parole solamente quando sentì che era il momento giusto per farlo. «Ti devo ringraziare sinceramente: una giornata simile non la vivevo da tantissimo tempo… anche se ciò che mi mancava davvero era la compagnia di qualcuno come te — togli pure quel qualcuno e tieni il te. E sto dicendo sul serio, per una volta.»
L’esper delle piante inspirò a pieni polmoni. Era da qualche ora che si sentiva turbato, e non solamente dalla vista della camera decorata; no… si scendeva molto più nel profondo, questa volta.
Il capolinea era ormai vicino, e lui era stanco di restare in silenzio. Un giorno era bastato per scoprire la verità su tante cose, e per lui era sufficiente per iniziare a riprendersi quanto gli spettava. «Qualcosa di buono lo so fare anch’io, allora.»
«Più che qualcosa: tu…»
«Tu sei un maledetto orgoglioso, ecco cosa dovresti dirmi. Ed è vero, lo sono fino al midollo.»
«Toshiki.» Silenzio. «Toshiki, per tutti questi anni non siamo stati altro che arroganza e falsità, annebbiati dai nostri stessi poteri; niente potrà cambiare questo fatto. Però guardati ora: hai un lavoro, ti relazioni con la gente, fai del tuo meglio per crescere e migliorare… io, invece? Io ho saputo solamente scappare e lasciare tutti i problemi a te e agli altri, e non ho fatto nulla di diverso da allora.
Entrambi abbiamo provato una grande paura: ma tu sei stato il più intelligente tra i due e hai reagito di conseguenza.»
Tacquero entrambi, razionalizzando quanto si erano appena detti; poi Toshiki riprese. «Siamo cambiati tutti da quel momento — anche tu, a quanto ho potuto vedere; ma la sera in cui sei ricomparso, ero talmente arrabbiato da leggere in ogni tua parola una menzogna, e ho sbagliato: ho sbagliato ancora pensando di essere l’unico a parlare con giustizia. E se per metà è vero, non…» Un sospiro. «Ti ho giudicato senza nemmeno sapere cos’hai passato veramente in quei mesi, ancora una volta mi sono creduto migliore di un altro. Pensi davvero che possa essere un atteggiamento da persona intelligente?»
«Eri furioso, posso capire.»
«Davvero, Ryo? … Mi perdoneresti, quindi?»
Il moro si alzò sui gomiti e sollevò le palpebre; per qualche istante le prime stelle sembrarono riflettersi nel buio che portava dentro sé. «Solamente se prima lo fai con te stesso. E tu, Toshiki, perdoneresti me per tutto il silenzio che ti ho fatto vivere? Hai detto che ritornare in questa città non sarebbe bastato per risolvere la situazione tra noi, e ti credo; ma con il tempo saresti in grado di rivedere in me un amico?»
«… Tu non hai mai smesso di esserlo; certo, se tu non sparissi più riprenderesti punti, e se smettessi di considerarti solamente caos faresti meglio anche a me. Pure la città ci ha riconosciuti degni di conoscere le sue ricchezze, qualcosa dovremo pur valere.»
Un nuovo silenzio, una connessione nel vento che spirava da oltre quella sponda, e Toshiki si accorse di provare qualcosa nel petto: il vuoto suo compagno stava vacillando a mano a mano che si faceva più modesto per incontrare e ritrovare l’altro, e con lui anche sé stesso. L’incognita stava formulando la sua risposta, e inoltre, nella parte in cui si era sbagliato, Ryo aveva ragione: poteva essere ancora orgoglioso, ma non tanto da non saper chiedere scusa. Lo avrebbe creduto possibile nemmeno un anno fa?

Il tuo viaggio non è ancora finito, ma stai procedendo senza fermarti.
E da qui in poi non sarai più solo.

Da parte sua, Shimazaki sorrise di nuovo. «Se è così, a parer mio ritenerti migliore non è superbia ma realtà… chi veglia sugli altri ha sempre qualcosa in più.»
«Veglia… un attimo, a che cosa ti riferisci?»

«Siamo onesti: dei Super 5 sei stato e sempre sarai il più intuitivo e sveglio, e per quanto tutto il mondo sappia che non ami il contatto fisico e tendi a non esprimere le emozioni, hai sempre tenuto a noi. Aspetta, quindi ti dovrei chiamare mamma
«Ti prego, non dipingermi come il puro della situazione: quello è Serizawa.»
Sorrisero entrambi e dopo qualche istante finirono per ridere, chi più apertamente chi meno.
«Dovresti ridere più spesso, te l’ho sempre detto.»
«E tu fare meno l’idiota: ma nessuno dei due ascolta mai l’altro.»
Shimazaki alzò le spalle come qualcuno che si è ormai rassegnato davanti all’evidenza, quindi fece uno dei suoi soliti ghigni. «Tu non hai sentito nulla di tutto ciò, comunque; e so dove abiti, quindi stai pur sicuro che se apri bocca te ne pentirai. Nessuno deve sapere che anch’io un cuore come te, dolce Toshi-chan
«Ti avverto: non farmi pentire di averti ritrovato, o giuro che sarò io a fuggire il più possibile lontano.»
«È un po’ difficile starmi distante, Minegishi Toshiki: la luna non resiste tanto tempo senza il suo sole. Oh, ho appena deciso come posso chiamarti!»
Minegishi si prese la testa tra le mani e si rifiutò di commentare, ma tutto il suo animo rideva e la natura intorno a loro lo manifestava.
Erano ancora all’inizio, ma potevano farcela. La speranza era dalla loro parte, non li avrebbe lasciati di nuovo; avevano vinto sul silenzio.

Il tempo mette ognuno al proprio posto: ogni regina sul suo trono, ogni pagliaccio nel proprio circo.
Per alcune persone vale la pena anche la peggiore delle prigioni, purché insieme; e se sono qui perché ti merito, allora sì, che sia tu il mio posto.

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

[1] Citazione di Van Gogh.

 

[2] Haiku di Ikenishi Gunsui.

 

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Mi rendo conto solo ora che ho riempito la fic delle citazioni più disparate; ma anche questo ha il suo senso, dato che Minegishi è un bookworm di prima categoria.
Ora, io spero davvero di aver dato a questi due personaggi per me importantissimi tutta la profondità che meritano e di averli resi compatibili al canon, considerando però anche le modifiche comportamentali dopo i traumatici eventi vissuti e al fatto che ho dato una relazione di lunga data, quindi certi discorsi solamente tra loro potrebbero accadere; e soprattutto di aver mostrato come – per Minegishi è palese perché lo si vede nell’opera stessa, per Shimazaki meno ma ci sono dei momenti che lo fanno pensare (per esempio, ci sono due occasioni in cui difende o mostra empatia per Serizawa) – non siano affatto dei mostri di cattiveria, anzi.
Non ho dato nome alla città marina non perché non sapessi come chiamarla, ma perché ognuno se la possa immaginare come preferisca, senza che corrisponda forzatamente a un luogo reale. Pensatela come un posto che condensi in sé tutta la magica, sirenica bellezza degli ambienti a contatto con mare od oceano, e il vostro nome verrà.
Da ultimo, ma non meno importante: la storia è un omaggio a una delle scoperte più avvincenti del mondo dell’archeologia, ovvero le pitture paleolitiche della Grotta di Lascaux, rinvenute nel 1940.
Di casi del genere ce ne sono tanti, ma siccome qualche giorno fa è morto l’ultimo dei giovani esploratori che le videro per primi, la parte nelle mura è tutta dedicata a lui e ai suoi compagni. In questo caso, però, a essere davvero importante non è la scoperta della camera decorata, ma la ripresa di una relazione: letteralmente, la trasposizione del detto “chi trova un amico trova un tesoro”.
E direi che questa coppia di bros – o qualcosa di più? A voi la sentenza – possano considerarsi davvero fortunati sia in un senso che nell’altro.

 

Manto

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