Alla Luna, e al Suo Sole di Manto (/viewuser.php?uid=541466)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luna Nuova ***
Capitolo 2: *** Sole Ruggente ***
Capitolo 3: *** Crepuscolo ***
Capitolo 1 *** Luna Nuova ***
DISCLAIMER:
I personaggi sotto presentati non appartengono a me (MAGARI), ma al
genio di
ONE.
La storia
è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Alla Luna, e al
Suo Sole
I
~ Luna Nuova
La misura della
lontananza
Non
è data dalla distanza.
Antoine
de Saint-Exupéry
Qualcuno
ha scritto che il tempo mette ognuno al proprio posto: ogni regina sul
suo
trono, ogni pagliaccio nel proprio circo[1].
…
A questo punto, chissà dove finirò io.
Fin
dal principio del mondo, le vie che avrebbero portato gli smarriti alla
redenzione sarebbero state ardue e ripide; e altrettanto certamente,
quella di
Minegishi Toshiki non avrebbe fatto alcuna eccezione.
Così,
a volte e sul far dell’alba, la notte tardava a lasciarlo: le
piante
dell’appartamento sentivano l’avvicinarsi della
luce e si preparavano ad
abbracciarla, grate del nuovo giorno; lui, invece, si rannicchiava su
sé stesso
mentre gli ultimi sogni si popolavano di tutto ciò che non
voleva, e gli
sembrava di obbedire ancora alla menzogna.
A
volte, nel cuore del sole, il buio tornava a trovarlo: l’aria
veniva scossa da
un tremito e si spezzava, la realtà si capovolgeva e
trasformava fino a perdere
i suoi colori e lasciare che fosse solamente un nero pece, assoluto e
terrificante,
a sorridergli dagli angoli dove affilava gli artigli, pronto a
dilaniare — alcune
persone non cambiano mai[2]; e anche
se tutto finiva in un
istante, anche se ogni giorno s’impegnava per vanificare
quelle parole,
ritornare a respirare doleva come una pugnalata.
A
volte, in mezzo alla gente o senza nessuno intorno, spalancava gli
occhi come alla
fine di un sogno sì bello, ma illusorio: ed era la strada
che aveva iniziato a
percorrere, riparazione agli errori, a sembrargli tale — il
passato è
un’ombra che non muore, e tu non ti puoi opporre alle sue
regole; e spesso,
pur dopo aver raggiunto traguardi inaspettati, si rendeva conto che
dentro di
sé c’era qualcosa che non aveva ancora trovato il
suo incastro e lo cercava
ogni istante, lasciando echeggiare il vuoto senza pace.
Minegishi
non era mai stato uno stupido: poteva essere benissimo definito un
solitario,
una persona che aveva compiuto azioni discutibili e un miracolato, ma
di certo non
qualcuno privo di razionalità o intelligenza;
così che presto aveva compreso
che cambiare vita non avrebbe risolto tutti i problemi con un colpo di
spugna,
né aveva ceduto alla tentazione di pensarlo. Al di
là del proprio carattere che
gli rendeva così grato il silenzio e dei motivi per cui,
fino a nemmeno tanto
tempo prima, aveva deciso di dimenticare chi fosse veramente, ben oltre
il
turbamento che lo aveva portato a rivedere tutte le sue autoindotte
convinzioni,
il mondo non si sarebbe dimenticato le azioni del prima;
e fin da subito
questi aveva iniziato a osservare i suoi sforzi, aprendoglisi davanti
per
metterlo alla prova, camminandogli al fianco.
Aveva
e stava lavorando duramente per armonizzarsi con la realtà,
cercato e dato un
poco di serenità a chi non se lo sarebbe mai aspettato,
sorpreso e recuperato
tanto di sé — non ricordavi questa
gentilezza, vero? —, così come aveva
finalmente compreso quanto fosse giusto poter rimanere da soli, ma
altrettanto curativo
sapere di non esserlo… e tuttavia doveva essere ancora
più forte e deciso
perché le sorprese erano tutte sul cammino, gli incubi
andavano e ritornavano,
e rimaneva la maledetta incognita che lo faceva sentire incompleto, una
domanda
che chissà quando avrebbe risolto.
…
Quindi, quando lui ritornò in
città, Toshiki stava dando tutto sé stesso
per essere una persona migliore; e solamente allora il Tempo si mosse,
deciso a
dare la sua risposta.
Quando
Minegishi lasciava il negozio, le ombre erano ormai lunghe e mutevoli
sulla
strada e nella sera incombente; ma nessuna era come quella che da
qualche
periodo lo seguiva costantemente nei suoi ritorni, rimanendo silente e
svanendo
quando la protezione dei viali alberati o la folla si diradavano, per
poi
rifarsi viva la giornata successiva.
Spesso
la scorgeva anche mentre lavorava: un guizzo nero che captava come una
sensazione ancor prima che con gli occhi, subito confuso nel crepitare
delle
innumerevoli vite che si incrociavano nello stesso luogo, che non
lasciava
tracce di sé ma che nemmeno faceva —
voleva fare — del proprio meglio
per nascondersi.
Le
piante non gli celavano quella presenza, sussurrando avvertimenti ogni
qual
volta l’energia estranea si avvicinasse; ma il ragazzo era
ben deciso a non
forzare le cose e a lasciare che fosse lei a mostrarsi apertamente, con
i
propri tempi e se lo avesse davvero voluto.
Sapeva
bene chi fosse l’ombra e di non dover
temere nulla da lei: le era stata
vicino così tanti anni da poterla riconoscere senza nemmeno
guardarla, tanto
quanto gli era chiaro che niente e nessuno avrebbe potuto limitare la
libertà
del suo proprietario. Doveva solamente avere pazienza e lasciare alla
figura il
giusto spazio nel quale infilarsi: magari, la sua reticenza era data
dal
trovarsi in un mondo che non riconosceva più, e che quindi
non sapeva come
avvicinare.
E
come non comprendere.
Doveva
giungere una giornata diversa dalle altre, scossa da un vento nuovo,
per poter
mutare qualcosa… o una notte; quella che davvero venne nel
mezzo dell’autunno e
spense l’energia della città, facendo cadere tutti
nel sonno più profondo, e
che infine svegliò lui.
Per
una volta, il buio fitto andò a bussare alla sua porta senza
portare nessun
incubo; e non era nemmeno mezzanotte quando l’esper
aprì gli occhi e si mise a
sedere nel letto, il battito del cuore regolare ma la mente non
completamente
lucida. Aveva appena sognato, così ricordava, e nelle
orecchie portava un suono
ritmico e calmante che i secondi si divoravano; e, a giudicare dalle
guance
umide, aveva pianto, anche se non avrebbe mai saputo dire il
perché. Al di là
delle mura che lo circondavano, sentiva che ogni fiore, pianta e albero
del
quartiere si era destato e vibrava piano insieme al suo respiro, mentre
le azalee
che teneva sul comodino si allungavano verso di lui come per accertarsi
che andasse
tutto bene; a queste diede una piccola carezza per calmarle, la quale
si
propagò poi al resto della flora come un’onda.
Onde!
Il suono era quello… il canto della risacca.
Con
uno scatto, Toshiki si alzò e andò alle larghe
finestre che lasciavano
penetrare le luci della città, rese sopportabili dalla
discreta distanza dal
centro; le guardò, e subito dopo gli parve di sentire il
mare scivolare tra vie
e palazzi, mormorando a chiunque volesse ascoltare.
È
la stessa sensazione che si prova a…
Il
ragazzo chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro il
vetro, rimanendo immobile
per qualche istante. Non aveva la completa certezza che avesse sognato
il luogo
a cui stava pensando, ma ne aveva riscosso il ricordo e improvvisamente
lo
sentiva presente, come se fosse veramente là.
Tu
sei sempre così calmo… non vuoi volare? Su, dammi
la mano e corri con me, ti
farò provare la libertà.
Perché
quell’espressione? Non ti accadrà nulla di male,
ci sono io.
Le
ultime tracce di sonno svanirono nell’accenno di un sorriso,
e in poco tempo
Minegishi si ritrovò in strada, nell’eco della
marea. Sotto il velo delle
stelle, l’aria profumava di sale e pioggia: probabilmente
c’era un temporale in
arrivo, rigonfio di umore marino, e presto le onde si sarebbero davvero
riversate
sulla città… ma questo non aveva una grande
importanza, se poteva respirare a
pieni polmoni il loro odore.
Perso
nei suoi pensieri, si accorse che le gambe lo avevano portato al suo
negozio
solamente quando vi fu davanti e sentì i fiori al suo
interno animarsi. «È troppo
presto per l’alba», sussurrò allora,
chinandosi davanti alla vetrina e
osservando le camelie rosa che accarezzavano il vetro,
«dovete dormire. Su, da
brave, riposate ancora un po’.»
«Dovresti
farlo anche tu: tra qualche ora devi lavorare.»
Minegishi
rimase nella stessa posizione per qualche attimo, quindi si
raddrizzò e voltò
verso la direzione dal quale la voce era provenuta. «Siamo
svegli in tanti, questa notte.»
Come
si aspettava, non vide nessuno; ma sentiva la sua presenza, non poteva
sbagliarsi. Quella volta stava resistendo più del solito:
evidentemente nel
buio si sentiva sufficientemente al sicuro.
«Ormai
non conto più le notti che passo insonne, non è
una novità.»
Toshiki
annuì, quindi aggrottò la fronte. «Non
comparire così, turbi le piante. La
confusione non fa loro bene.»
«Oh
oh, pensare che prima non ti erano mai piaciute… sei
cambiato.»
«Da
quando il loro benessere è diventato il mio
lavoro.»
«Mezza
verità, perché ora ci tieni davvero.»
«…
Mi chiedo se fai lo stesso anche con gli altri tre.»
«Loro
mi notano di meno; o sono io che li visito più di rado, non
lo so.»
Un
fruscio, e spostando appena lo sguardo sopra di sé il
giovane vide il buio farsi
da parte davanti alla figura seduta sul tetto del negozio. Il suo
caratteristico ghigno serafico era riconoscibile anche da
lì; nel notarlo, lui
si accorse di provare tutto, tranne biasimo o disprezzo.
Almeno
per Shimazaki Ryo, forse, la realtà non aveva picchiato
duramente.
Ma
allora non se ne sarebbe andato così, Toshiki. Ha vissuto le
tue stesse cose,
ma ha reagito diversamente: e forse le sta ancora nascondendo.
Sicuro
che quel sorriso sia lo stesso di prima?
«Sei
scomparso per un bel pezzo.» Lo disse tanto sottovoce che
l’altro non lo udì; o
così parve, visto che non ci fu alcuna replica fino a quando
il moro non saltò
giù dal tetto e si fermò a pochi metri di
distanza da lui. «Sì; il tempo non ha
mai freni.»
Minegishi
guardò l’esper senza rompere il silenzio:
perché, appena se l’era trovato davanti,
tutte le sue parole si erano annullate. Nella mente esplose una
moltitudine di pensieri,
una girandola di domande, e si aprì il vuoto che tutto
quanto inglobava; e il
petto improvvisamente doleva, come se provasse nostalgia. Dopo un primo
attimo
d’immobilità, sorse anche qualcosa di simile
all’amarezza; e sentì in gola il
sapore acido di un rimprovero che era ingiusto solamente in parte,
seguito poi
da una stanchezza che lo attenuò.
Shimazaki dovette
percepire qualcosa del tumulto d’emozioni che
l’altro provava dietro l’apparente
imperturbabilità, perché voltò il capo
altrove senza dire nulla. La sua
maschera di tranquillità s’incrinò ma
senza aprirsi, e Toshiki sospirò nel
chiuso dell’anima: non era ancora il momento di ritrovarsi. «Già.
Buonanotte, Ryo… ci vediamo.»
«Quel
giorno ho avuto paura: ecco il motivo per cui sono sparito. Me ne sono
andato
perché ho creduto davvero di poter…»
Una pausa. «Ho lasciato indietro tutto e
tutti, senza curarmi di nessuno di voi, per salvarmi la
pelle.»
Minegishi
si era già voltato, ma si bloccò. Per un istante
sentì ovunque il dolore
lancinante e il terrore che aveva provato quando Mogami stava per
annientarlo,
e il respiro si ruppe; e si girò di nuovo, senza stupirsi
nel trovare l’esper
cieco più vicino a sé. Lo sentì
bruciare dalla voglia di parlare, e allo stesso
tempo aver timore di farlo. «L’abbiamo
immaginato», mormorò poi, «sono bastate
poche ore per cambiarci la vita. Avremmo voluto sapere come stavi,
dov’eri, ma
era impossibile raggiungerti. Ne è valsa la pena?»
Shimazaki
alzò il viso come se avesse potuto contemplare le stelle,
quindi si sedette e
appoggiò la schiena contro la vetrina del negozio.
Il
fiorista non resistette che qualche minuto prima di sedersi accanto a
lui, teso
a vedere ciò che sarebbe venuto dopo: quella notte era
già iniziata in modo
atipico, così come il loro incontro, ma se c’era
di mezzo il moro tutto poteva
prendere una piega inaspettata.
«Dopo
quello che è successo non ho fatto altro che vagare in giro,
per tutto il
Giappone e anche all’estero: mi sentivo come se avessi perso
qualsiasi capacità
d’orientamento, braccato e desideroso solo di starmene con me
stesso, senza
dover nulla a nessuno. Mi sono fermato solo quando il silenzio ha
iniziato a
fare effetto e a vincere sulla paura, e allora è stato
chiaro che non c’era
alcuna caccia aperta nei miei confronti, che non interessavo
più a nessuno; quindi
ho cercato un posto che potesse bastarmi e dove avessi dei legami, ma
non trovavo
niente a cui aggrapparmi o qualcosa che mi facesse stare
bene… e così ho
iniziato a far visita ai luoghi dove c’erano dei ricordi, o
qualcuno da cui
ritornare.
Non
che abbia grandi cose da raccontare, può bastarti
questo.» Una pausa, poi il
tono dell’esper si fece più sommesso e Toshiki si
ritrovò a pensare che se Ryo
non fosse stato cieco, in quel momento i suoi occhi sarebbero stati
impossibili
da reggere. «Sembra che ve la stiate cavando bene, voi
altri.»
«Abbiamo
ricominciato, chi in un modo chi in un altro. Le nostre
abilità ci stanno
aiutando a costruirci uno spazio, e—»
S’interruppe,
perché Shimazaki aveva di nuovo alzato il volto e sembrava
non ascoltarlo più.
L’aria, se ne accorse allora, era diventata ancora
più satura di mare e si era caricata
d’umidità, e questa stuzzicava tutti i sensi del
moro. «Questo odore… sai,
Toshiki, c’è solamente una città dove
non sono ritornato, e vorrei tanto averlo
fatto.»
«E
perché non ci sei andato, se è così
importante per te?»
«Perché
ero da solo.»
Minegishi
s’irrigidì un istante mentre un brivido scivolava
dalla nuca lungo tutta la
schiena, quindi fissò l’altro con maggior
attenzione e fece una domanda. Nell’attimo
che la seguì seppe di aver indovinato ancor prima che le
parole lo
confermassero, e nell’animo montò una vampa
bollente.
Allora…
«La
voglio sentire di nuovo: l’acqua che durante l’alta
marea oltrepassa le sue
mura, il profumo della pietra che si confonde con il sale, le onde.
E
poi, io e te non abbiamo un tesoro da trovare?»
Facciamo
una promessa, Ryo. Promettiamo che…
«Dimmi
una cosa.» Ryo si voltò verso di lui, pronto a
rispondere di nuovo. «È per
questo che sei qui?»
Ci
fu silenzio; quindi il ragazzo sorrise. «Non solo. Te
l’ho detto che—»
Toshiki
si alzò di scatto e Shimazaki fermò la voce,
sorpreso. Non solo.
«Praticamente
sei tornato perché ti servo.»
Il
moro spalancò le palpebre e le orbite nere incontrarono lo
sguardo buio
dell’altro, che avanzò di un passo.
«È così, vero? Ma le cose sono
cambiate»,
disse questi, con una freddezza che tradiva molto di più e
senza lasciare
all’amico alcuna possibilità di parola,
«lo sai benissimo; e se sei venuto per
giocare, per far finta che tutto sia come prima, devi rivedere i tuoi
piani.
Scompari
per mesi e quando riappari non hai il coraggio di mostrarti apertamente
nemmeno
a me, e mi dici che vuoi ritornare nella
città dove abbiamo fatto una
promessa che per me è importante quanto
la mia stessa vita.» Si accorse
di tremare leggermente, poi non ci fece più caso.
«“Non interessavo più a
nessuno”, così hai detto, e io non
riesco a definirti… proprio non ce la
faccio. Finché non trovo le parole ti consiglio di
andartene, prima di sentire
qualcosa di veramente spiacevole.»
Ryo
non disse nulla per qualche istante, quindi chinò il capo.
«Credi che non lo sappia
di meritarmi ogni maledizione? E no, non ho intenzione di giocare e
ingannarti,
specie su una cosa del genere.» Un sospiro. «Sono
stato in quella città tre
volte, come te, e l’ho evitata sempre quando non eravamo
insieme, perché è la nostra
città e chiederti di ritornarci non è sfruttarti.
Se
dobbiamo riprendere… il nostro tempo, non potremmo
ricominciare da lì? Tu non
la vuoi rivedere?»
Minegishi
voltò il viso altrove. Si sorprendeva della rabbia che aveva
provato così in
fretta, ma quello che pensava non doveva tacerlo. «Mi manca,
non posso negarlo.»
E non solo lei.
«Allora…»
«Allora
non sei tu a decidere! Non so quando potremmo ritornarci.
Dovrei
organizzarmi con il lavoro, e comunque sia, se anche dovessi dire di
sì,
sarebbe qualcosa di breve.»
«Mi
accontenterei.»
Il
fiorista tornò a guardare il compagno e socchiuse gli occhi,
gli si avvicinò ancora
di più. «Non pensare di risolverla facilmente.
Bastava poco, Ryo,
maledettamente poco: un solo istante, per farci capire che non ti era
successo
nulla che non si potesse aggiustare… la consapevolezza che
tu ci fossi, anche
se lontano da noi. Ti avremmo lasciato il tuo spazio, tutta la pace di
cui
avevi bisogno.»
«Ho
fatto i miei errori, lo so», rispose l’altro mentre
si alzava e faceva per
sfiorare le braccia di Toshiki, lasciando ricadere le mani quando lo
sentì
indietreggiare, «e la tua rabbia è giustificata;
però non credo che aver deciso
di ritornare sia uno di questi.»
«Lascialo
dire al tempo.»
Ryo
non ribatté più e Minegishi fece lo stesso,
quindi si allontanarono di un passo
entrambi. «E così sarà. A presto,
Toshiki, passa una buona notte.»
Il
ragazzo guardò l’amico recuperare
un’ombra della sua solita espressione e teletrasportarsi
altrove, quindi prese un respiro e si lasciò scivolare di
nuovo lungo la
vetrina, chiedendo che il silenzio rimanesse intatto.
Il
temporale non arrivò: il fantasma del mare si
ritirò e solamente le stelle
rimasero a occhieggiare nel buio, ballando nella loro insensibile
quiete.
…
Fu forse lo scherzo di qualcuno più grande di loro, o il
fatto che anche la
loro splendida città marina voleva rivederli; ma dopo
nemmeno tre giorni, Toshiki
si ritrovò con l’intero fine settimana libero e
Ryo al corrente di ciò ancor
prima di sentirselo dire. Era già scesa la sera quando
s’incontrarono fuori dal
negozio e nessuno li vide andarsene per quelli che dovevano essere solo
un paio
di giorni di vacanza; in realtà non lo furono, come sempre.
NOTE
[1] La
citazione esiste davvero, ma è anonima.
[2] Sono
le parole che Mogami rivolge a Mob durante la World Domination Arc,
quando il
primo sta per uccidere Minegishi.
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Capitolo 2 *** Sole Ruggente ***
II ~ Sole
Ruggente
Ma lì
dove c’è il pericolo,
Cresce anche ciò che salva.
Friedrich
Hölderlin
Più
di vent’anni anni prima[1].
«Toshi-chan?»
C’era
una bellissima brezza, fresca e rigenerante: s’infilava sotto
le vesti e
allentava il morso della calura, rendendo quell’anomalo
autunno più
sopportabile. Il mare chiamava a sé, sia da breve che da
lunga distanza, ed era
difficile pensare a qualcosa che non fosse la sua voce.
«Fiorellino…»
Le
mura dell’urbe si alzavano per affrontare la bellezza delle
spiagge, ma erano
inconsapevoli del loro armonizzarsi con esse in una visione suggestiva
— specie
sotto il cielo incendiato dal tramonto o, come in quel caso, indorato
dal
mezzogiorno.
«Mamma
chiama Toshiki, mamma chiama Toshiki: Toshiki, rispondi!»
Finalmente,
l’interpellato sollevò il capo dal libro che stava
divorando pagina dopo pagina,
fissando poi la donna che gli stava davanti. Questa lo
guardò a sua volta, un
dolce sorriso sul volto, e gli accarezzò i capelli.
«Dobbiamo andare a casa,
tesoro.»
Il
bimbo si rabbuiò un poco, tornando a leggere subito dopo.
«No, non voglio. Sto
bene qui.»
«Lo
so, ma è ora della pappa e papà ci sta
aspettando.»
«Ma
non è giusto, non abbiamo neanche fatto un bagno!»
«Questo
perché qualcuno si è mangiato troppi biscotti e
ha passato tutto il mattino a
dormire o leggere…»
Toshiki
fece una piccola linguaccia da dietro la sua protezione di carta,
quindi l’abbandonò
e scattò in piedi. Prima ancora che la madre potesse
fermarlo, era già in corsa
verso la riva a poca distanza e tra le basse, calme onde, le quali lo
accolsero
senza opposizione.
Il
piccolo si rotolò nell’acqua cristallina e si
rifiutò di uscire finché anche la
donna non lo raggiunse, e allora le saltò in braccio per
farsi coccolare e
costringerla a restare con lui. Il sole scivolava sulla gobba del mare
e appena
incontrava la sua pelle si divideva in mille serpenti di luce, che lui
guardava
rapito come se potesse giocarci davvero e senza temere nulla.
«Ti
stai divertendo molto? Se questo posto ti piace così tanto,
l’anno prossimo ci
ritorneremo.»
Il
bimbo annuì, quindi abbracciò il collo
dell’adulta con espressione supplicante.
«Restiamo qui altri cinque minuti…»
«Oh
no, pesciolino: ora che ti ho pescato, vado a metterti subito in
padella.
Su,
usciamo prima che papà si preoccupi.»
Toshiki
tacque e si arrese, obbedì docilmente mentre
l’acqua ruscellava giù dai capelli
e gli solleticava la schiena. Il calore era ormai incontrastabile, ma
lui non
ci faceva caso.
«Sei
felice, fiorellino?»
«Certo.»
E come per confermare quello che aveva appena detto, ai piedi della
madre
spuntarono tre fiori dai colori delle onde più profonde[2].
«Eh
sì… lo vedo», sorrise lei mentre
stringeva
a sé il suo bocciolo e il mare si addormentava, in attesa di
un vivace
pomeriggio e ignaro delle bianche nubi che iniziavano a imbiancare la
sua
superficie.
Non
erano solamente le onde ad attrarre, lì: anche la piccola
città che queste
lambivano catturava l’attenzione e la meraviglia di chi
varcava le sue mura.
La
struttura semplice, ordinata e spaziosa insieme, ricca di angoli verdi
quanto
di costruzioni bianche ed eleganti, rendeva facile il perdersi in
contemplazioni e nella pace delle vie rigonfie di fiori, mentre il
crepuscolo
tingeva case e persone della sua luce viola; e la cinta che abbracciava
l’intero
abitato, ultima rappresentante di un passato che non c’era
più, era il luogo
perfetto per perdersi in passeggiate o fantasie che cadevano
nell’avventura: immaginazioni
dove nella pietra si aprivano passaggi nascosti ai più,
portali interdimensionali
o scale che conducevano a tesori millenari.
I
più grandi erano interessati alla sua storia, mentre i
piccoli s’incantavano davanti
al profumo d’antichità che quella lasciava
spirare; e Toshiki non faceva eccezione
alla regola.
La
casa affittata per quelle vacanze permetteva di godersi la vista sia
della
cittadina che del mare, e di sera il bambino amava mettersi sulla
terrazza per
ammirare il panorama: specie al crepuscolo, quando la luna iniziava a
salire e
sorgeva da dietro quell’anello protettivo, come se abitasse
nel suo grembo e
questo la custodisse fino al calar del sole. Da giorni i sogni lo
chiamavano
là, spuntavano dai libri come i fiori che apparivano quando
provava qualcosa
d’intenso, e le vacanze stavano per giungere al termine:
avrebbe dovuto
muoversi, o la curiosità non se ne sarebbe mai andata.
«Va
tutto bene? Sei silenzioso più del solito.»
Toshiki
si godette la carezza che il padre gli diede, quindi lo
guardò. «Sto bene»,
rispose, prima d’indicare le mura. «Quando andiamo
a vederle?»
«Ci
siamo andati anche ieri sera, piccolo.»
«Sì,
ma quando le potremo visitare?»
«Non
si possono visitare: non c’è niente da vedere al
loro interno.»
«Quindi
non era possibile abitarci?»
«Difficile
dirlo con sicurezza, chi lo sa; forse all’inizio…
ma non ci sono entrate che
possano dircelo, e questa dovrebbe essere già una
risposta.»
Il
piccolo sospirò lievemente. «Allora non ci sono
tesori da scoprire…»
«La
città è stata costruita per i nobili: forse
qualcosa da trovare c’è comunque.»
«Ci
credi davvero?»
L’uomo
sorrise. «Non dovrei farlo?»
Toshiki
guardò il genitore con sguardo attento, poi
accennò a sua volta un sorriso e da
quel momento restò nuovamente in silenzio.
«Se
vuoi restare ancora qui va bene, ma rimani sempre all’ombra,
intesi?»
Lui
annuì e dopo un’ultima occhiata alle mura chiuse
gli occhi nel vento che aveva
ricominciato a soffiare, accoccolandosi sul pavimento fresco. Si
accorse di
cadere nel sonno, ma non dei minuti che iniziarono a passare in tutta
velocità;
così che quando si svegliò si trovò a
osservare la spiaggia e la vita che
ospitava.
Il
cielo era fosco e il mare mosso rispetto al mattino, carico di ombre
verdi e
blu; e da fresca l’aria era divenuta fredda, tanto che lui si
raggomitolò
ancora più strettamente nell’asciugamano che lo
avvolgeva.
«Oh,
il principino si è svegliato! Dormiglione, guarda che
così ti perdi tutti gli
ultimi giorni», sentì dire la voce della madre
mentre si guardava intorno con
leggera confusione, «e non eri tu che non volevi
più uscire dall’acqua?»
«Ma
ora fa freddo!»
«Vieni,
andiamo al sole e vedrai che ti scalderai; e cerchiamo anche
papà, è sceso in
mare da un po’.»
Completamente
sveglio dopo quelle parole, il bambino seguì la donna fin
sulla riva. L’acqua
era calda, ma per qualche ragione avrebbe preferito stare in spiaggia,
lontano
da essa.
«Lo
vedi, per caso?»
Il
bimbo scrutò tutto l’orizzonte, chiedendosi
perché l’uomo avrebbe dovuto
spingersi così al largo; quindi scosse il capo.
«No, io non—»
«Preso.»
Ancor
prima che potesse girarsi, le braccia del padre gli si chiusero intorno
e lo
sollevarono, scatenando urla di sorpresa e poi di entusiasmo mentre lo
facevano
vorticare; richiami e risate che sarebbero continuati ancora per
parecchio tra
giochi sulla riva, corse per prendersi a vicenda e bagni dove il
fondale era
troppo basso per spaventare.
Fu
un pomeriggio di spensieratezza e calore, che donò anche la
visione a distanza
di qualche medusa e smorzò il desiderio di esplorare le
mura; poi, all’improvviso,
tutto mutò.
Accadde
in pochissimo tempo: le onde iniziarono ad agitarsi maggiormente e a
esse si
unirono nubi veloci e oscure, che ricoprirono del tutto il cielo e
distolsero
la gente dalle proprie occupazioni, e il vento si levò
ancora più forte, creando
mulinelli di sabbia e frustando con rabbia chiunque o qualunque cosa
trovasse
sul cammino.
Il
mare s’ingrosso ancora e un tuono spaventoso lo fece tremare
— e Toshiki con
lui, che d’istinto si aggrappò a entrambi i
genitori.
«Presto»,
sentì dire dal padre mentre questi lo prendeva in braccio,
«dobbiamo andarcene
subito.»
«Sta
per arrivare una tempesta, vero papà?»
Iniziò
a piovere appena fece quella domanda: caddero gocce pesanti e nere come
tutto
ciò che li circondava, e nel giro di pochi attimi le nuvole
si sfogarono in una
bomba ghiacciata che trasformò il posto in un inferno. Il
buio fu squarciato da
fulmini; e, prima che tutti potessero mettersi al riparo, venne
l’onda.
Il
bimbo la vide arrivare ma non poteva fare nulla per contrastarla,
così che quasi
non si sorprese quando questa lo travolse e lo strappò dalle
braccia del padre,
trascinandolo in avanti. Il mondo prese a vorticare e lui perse i
riferimenti
spaziali, si confuse e smarrì mentre le orecchie si
riempivano di mille suoni
diversi: della voce del mare che rombava con tutta la sua furia e di
quella dei
genitori che lo chiamavano cercando di raggiungerlo, del canto feroce
della
pioggia sul capo e dello schiocco irato del tuono che l’acqua
attutiva e poi
liberava, a seconda che lo sommergesse o meno.
Le
onde sembravano litigarselo e si portavano via le sue grida, aumentando
la
paura già grande e mostrando il proprio volto mortale; e
quando infine lo
sbatterono sulla riva, a tossire e sputare acqua salata, non per questo
lui
smise di tremare.
Incapace
di reggersi in piedi subito, Toshiki riuscì almeno a
portarsi a discreta
distanza dalla loro forza; quindi si guardò intorno e
cercò di comprendere
qualcosa attraverso il pesante velo dell’acquazzone,
sforzandosi per trattenere
le lacrime e i pensieri impazziti.
«Toshiki!
Toshiki, dove sei?»
Il
bimbo si costrinse ad alzarsi e con tutta la sua disperazione corse
nella
direzione dalla quale proveniva l’altrettanto affranta voce
dei genitori, incapace
di vedere dove andasse realmente e ignaro del freddo che lo mordeva
ovunque.
Urlò in risposta, implorò e gridò di
nuovo, ma non incontrò nessuno né i due
adulti vennero avanti; e continuò a correre tra le raffiche
di pioggia e vento,
senza pensare un istante di fermarsi perché loro non
potevano essere lontani, erano
lì, lì…
Alla
fine non li trovò; la cinta della città, invece,
decise di proteggerlo e gli
aprì il proprio ventre per accoglierlo.
Toshiki
la scoprì solamente perché la pioggia si
calmò per qualche attimo e lui se la
trovò davanti: nella pietra intatta a pochi metri da
sé, una fenditura troppo
piccola perché un uomo ci passasse attraverso ma larga
abbastanza per un
bambino esile come lui. Fradicio e infreddolito, terrorizzato ma
abbastanza
lucido per sapere che doveva trovare immediatamente un riparo o sarebbe
finita
malissimo, Toshiki vi si gettò dentro graffiandosi gomiti e
ginocchia,
avanzando nella penombra fino a quando non andò a sbattere
contro il muro a lui
opposto; dopodiché vi si appoggiò con la schiena
e si lasciò scivolare a terra,
per poi stringersi su sé stesso e nascondere il viso sulle
gambe.
I
polmoni erano in fiamme per la lunga corsa e le gambe avevano degli
scatti
nervosi a causa dello sforzo sostenuto, la gola gli mandava fitte
lancinanti e tremava
tutto; ma era trovarsi solo, senza sapere quando la tempesta sarebbe
finita né
dove fossero i suoi genitori, a fargli male al cuore.
Ti
prego, pioggia, calmati in fretta, ti prego! Voglio tornare a casa e
non
allontanarmi mai da mamma e papà, sarò ancora
più bravo e obbediente…
Fammeli
ritrovare. Ti prego.
Il
bagliore di un lampo lo raggiunse, investendo ogni cosa di luce
spettrale, e
lui sperò che quella non fosse una risposta.
Ti
prego…
«Fa
freddo… tantissimo…»
Il
bimbo sentì il suo stesso respiro bloccarsi e
s’immobilizzò del tutto; quindi
levò il capo, per poi addossarsi completamente alla parete
dietro di sé e
sentire i capelli rizzarsi in testa per lo spavento.
In
piedi davanti a lui stava un’ombra più nera del
buio in cui era immerso, di
piccola statura, tesa a sfregarsi le braccia con energia e a pigolare
con voce
sottile. Un bambino, o…?
Tenere
piante risposero al suo posto e fendettero il suolo, e mentre una parte
di esse
si ergeva a fargli da scudo, l’altra si avventò
sulla figura estranea.
«Ahi…
ehi, mi stai facendo male! Ma quante braccia hai?»
Toshiki
rimase sorpreso da quella domanda come dal fatto che, calata un attimo
la
tensione, non aveva sentito alcun pericolo giungere
dall’altro; quindi provò ad
avvicinarsi e allungò le mani, incontrando quello che
sembrava davvero il petto
di una persona come lui.
«Non
sono uno spirito, lo giuro! Sono solamente un bambino… e no,
no, così mi fai il
solletico! Smettila!»
Il
piccolo esper ubbidì e fece ritrarre le piante, ma non si
mosse da lì.
Una
parziale schiarita del cielo lasciò entrare un poco di luce
nell’ambiente, gli
fece intravedere parte del volto e i capelli neri di chi gli stava di
fronte:
qualcuno all’apparenza più grande di lui e che, a
giudicare dai tratti, sarebbe
diventato molto bello — e che in quel momento era nelle sue
stesse condizioni.
«Chi
sei?»
L’altro
non rispose subito, ma prima allargò la bocca in un
silenzioso verso di
sorpresa. «Oh, ma sei un bambino anche tu!»
«Ovvio,
ti sembro forse un adulto?»
Il
moro si rabbuiò un poco, per un istante soltanto.
«Scusami… io non posso
vedere», mormorò, «sono cieco.»
Toshiki
sentì la voce morire in gola e non seppe come replicare.
Prese il bambino per
le braccia e lo tirò leggermente verso di sé,
fuori dalla penombra: vide che
teneva gli occhi serrati e dovette reprimere con forza la richiesta di
aprirli,
poi aggrottò la fronte in un dubbio improvviso.
«Però sei riuscito a seguirmi e
senza che io ti sentissi… come hai fatto?»
Il
piccolo esitò un attimo, quindi fece un debole sorriso e
alzò le mani come per
difendersi. «Non riesco a vedere nulla, è vero, ma
posso percepire ciò che mi
circonda e prevedere i movimenti della gente, e questo mi aiuta
spesso… specie
se incontro una traccia luminosa come la tua. Mi hai salvato,
perché mi sono
trovato nella tempesta e non sapevo più dove andare fino a
quando non ti ho
sentito.
Anche
tu hai dei poteri, quindi! Prima, per esempio, mi hai legato
con… delle piante?»
«Sì.»
Toshiki abbassò gli occhi sui polsi del bambino e
notò i segni rossi lasciati
da quelle; avvampò d’imbarazzo e colpa, anche se
non lo aveva fatto di
proposito. «Scusami se prima ti ho fatto male… ho
avuto paura, e non so ancora
controllarle bene.»
«Non
fa nulla: io un po’ di paura ce l’ho ancora,
sai.» Una pausa. «Odio i temporali,
i tuoni mi fanno impazzire.» Un altro breve silenzio.
«Io sono Shimazaki Ryo.
Tu come ti chiami?»
«Minegishi
Toshiki.»
Ryo
annuì, quindi allungò entrambe le mani per
toccare il volto di Toshiki, che si
ritrasse un attimo ma poi lo lasciò fare.
«Profumi
di kinmokusei[3]; mi piace
molto.»
«È
così da quando sono nato, dice papà… e
anche la mamma.»
«…
Erano anche loro in spiaggia, vero?»
«Sì,
ma li ho persi.»
Che
stiano bene, ti prego!
Il
moro dovette sentire i suoi pensieri in qualche modo, perché
staccò le mani dal
suo viso e le appoggiò sulle spalle. «Non ti
preoccupare, sono sicuro che li
ritroverai. Io so che la mia mamma sta bene perché sono
andato al mare da solo,
mentre dormiva ancora; però non riuscirò a
ritornare a casa, temo… non posso
nemmeno descriverla.»
Toshiki
tirò su con il naso, quindi si fece forza e
ricacciò indietro le lacrime. «Quando
sarà tutto finito cercherò di aiutarti,
davvero.»
Un
altro tuono li interruppe e fece sobbalzare Ryo, che si strinse di
più a
Minegishi. Questi si allontanò di più dalla
fenditura e trascinò il moro con
sé, e solamente allora si accorse di quanto lo spazio
intorno fosse enorme,
alto e sgombro da qualsiasi ostacolo.
Era
nel luogo che aveva tanto desiderato vedere: eppure, avrebbe dato tutto
perché
questo non fosse successo — non a un prezzo simile.
In
quel momento, Ryo si staccò da lui e girò su
sé stesso. «Comunque, dove siamo? Questo
odore è simile a quello della città, ma molto
più vecchio.»
«Siamo
nelle mura: ho trovato un passaggio e mi ci sono infilato
dentro.»
Il
moro sollevò le palpebre, rivelando vuote orbite nere, e
fece un grande sorriso.
«Oh, le mura! Allora, intanto che aspettiamo che il temporale
finisca, possiamo
cercare il tesoro del principe.»
Toshiki
spalancò la bocca, stupito. «Tesoro?»
Il
piccolo cieco annuì con forza. «Mamma una volta mi
ha raccontato che queste
mura erano collegate al palazzo di un principe straniero, ma che
nessuno
riusciva mai a vederlo o incontrarlo per molto tempo: spariva per ore e
ore, e quando
si mostrava aveva le dita ricoperte di polvere dorata.
Ha
parlato di un passaggio segreto che gli consentisse di passare dalla
sua
abitazione a qui, ma non è stato trovato… forse
alla gente non interessa; ma a
me sì, tantissimo.»
«È
una leggenda o c’è qualcosa di vero?» Sai
bene che tutte le storie, anche le
più fantasiose, sono un po’ reali. E pure
papà ha detto che questa città di
nobili può riservare sorprese…
«Possiamo
scoprirlo!» Il moro tacque, fece una pausa riflessiva che
smorzò l’energia con
cui aveva parlato fino a un istante prima.
«Però… se ci fossero altri passaggi
uguali a questo e andassimo troppo avanti, potremmo perderci o non
trovare più
l’uscita giusta…»
Minegishi
rimase in silenzio e si guardò intorno per quanto la debole
luce glielo
permetteva, per poi passare a osservarsi: non avevano altro che i loro
vestiti
o costumi, e lui era a piedi nudi; ma Ryo indossava scarpe rosse,
visibili
anche da una certa distanza. Da lì trovò la
soluzione. «Togliti le scarpe: lasciale
qui come riferimento, così sapremo da dove uscire.»
«Buona
idea!»
«Anche
se c’è troppo buio per vedere bene, e non
è una buona cosa.»
Il
moro accennò una smorfia che non voleva essere di scherno,
ma di pura consapevolezza.
«Non ti preoccupare», gli disse mentre lo prendeva
per mano e risolvendo a sua
volta il problema, «ti guiderò io
nell’oscurità. Te l’ho detto: i miei
poteri
mi aiutano a percepire i movimenti delle persone e ciò che
ho intorno, ci
aiuteranno loro.»
Toshiki
non replicò e decise di affidarsi a lui; fuori dalle mura,
la tempesta aveva
ripreso a infuriare e preferiva non pensarci troppo.
Iniziarono
insieme il viaggio nelle tenebre, tenendosi vicini per non perdere il
contatto
e scaldarsi un poco, cercando d’impegnare il tempo a parlare
di ciò che veniva
loro in mente e caricandosi a vicenda con l’entusiasmo della
ricerca; e a mano
a mano che luce spariva del tutto, Minegishi sentiva gli altri sensi
acuirsi per
meglio percepire odori e suoni.
Shimazaki
era comunque una guida sicura, che affrontava il velo oscuro innanzi a
sé con
la stessa tranquillità con cui lui camminava nel sole, e
questo lo calmava un
poco e lo riempiva d’ammirazione. Dev’essere
dura non vedere altro che buio,
pensò infatti più di una volta, ma
sembra che tu sappia comunque cavartela.
Proseguirono
nella direzione che avevano scelto per minuti interminabili; ma appena
prima
che le mura iniziassero a incurvarsi, Ryo si fermò e
impedì a Minegishi di
andare a sbattere contro la parete innanzi a loro. «Da qui
non si prosegue»,
disse come per scusarsi.
Tornarono
indietro e passarono nuovamente dal punto di partenza, per poi
procedere nella
direzione opposta e addentrarsi in una nuova oscurità: ma
ben presto il moro si
bloccò nuovamente, questa volta con un grido strozzato.
«C’è…
c’è qualcosa che
non va, davanti a noi: la strada è sbarrata, ma non da una
parete.»
L’esper
delle piante trattenne il respiro a sua volta, quindi gli strinse la
mano che
non aveva mai lasciato. «Che cosa senti?»
Shimazaki
non rispose immediatamente, ma prima si nascose dietro di lui. Toshiki
lo sentì
tremare spaventosamente. «Sono tanti»,
udì poi mormorare, «e non sono umani.
Sembrano animali, li sento ringhiare e dirci di andarcene prima che sia
troppo
tardi… non vogliono farci proseguire.»
«Si
stanno muovendo?»
«No,
sono immobili come statue.»
Minegishi
aggrottò la fronte. «Forse lo sono.»
«Hanno
dei poteri: posso percepirli. Come se uno spirito fosse intrappolato
dentro di
loro e ci stesse minacciando.»
«Va
bene, non temere: torniamo indietro.»
Ryo
fu ben contento di sentire l’amico indietreggiare e non si
staccò di un
centimetro dalla schiena dell’altro, che lo lasciò
fare mentre rifletteva.
Statue che sembravano possedere un’anima… dei
guardiani, forse?
Molte
storie parlavano di protettori di re e tesori che custodivano le tombe
dei
primi e la ricchezza dei secondi, i quali dovevano sottostare per
millenni al
volere dei loro padroni e neutralizzare ogni possibile minaccia: era
questo il
loro compito e avrebbero fatto qualsiasi cosa per rispettarlo, anche
eliminare
dei bambini. Probabilmente il misterioso principe aveva
anch’egli dei poteri e
aveva costruito un esercito di pietra per tenere lontani i curiosi dai
propri
segreti, e i suoi soldati erano pronti a rispondere di conseguenza.
«Ma
noi non siamo qui per rubare nulla», disse allora lui ad alta
voce, «vogliamo solamente
scoprire la verità. Il nostro più grande
desiderio è tornare a casa, non
prendere ciò che non ci appartiene.»
Un
fruscio accolse quelle parole, davanti a sé e non dietro; e
l’esper cieco ebbe
un sobbalzo. «Non-non riesco a muovermi»,
sibilò nel terrore, e Toshiki non
riuscì a rispondere perché anche lui era stato
immobilizzato da una forza
estranea, mentre le sue orecchie iniziavano a percepire il suono
d’innumerevoli
passi in avvicinamento.
Era
il classico rumore prodotto da un grosso animale, e a mano a mano che
quelli si
avvicinavano i bimbi sentivano onde di brividi ghiacciati scivolare
lungo tutta
la schiena. Trattennero il respiro quando udirono le sconosciute
entità
fermarsi a qualche passo da loro, con uno sforzo immane riuscirono ad
afferrarsi le mani e le strinsero in attesa del risvolto peggiore.
“Non
c’è nulla per voi, piccolini. Lasciate in pace
questo luogo.”
«Non
vo-volevamo far nu-ulla di male…»
“Tornate
indietro o vi uccideremo.”
Toshiki
chiuse gli occhi in una smorfia di paura quando udì quelle
parole nella mente,
quindi percepì alcune piante reagire alle sue emozioni e
spuntare dal suolo in difesa;
immediatamente, gli altri indietreggiarono.
“Cosa
sono questi?”
“Hai
anche tu dei soldati a tua disposizione?”
“Chi
sei?”
Minegishi
non osò rispondere, ma rimase in ascolto degli esseri che
riprendevano ad
avanzare e si fermavano in prossimità delle piante. Comprese
che erano
interessate e insieme intimorite da quelle.
“Richiama
i tuoi servitori e andatevene, tutti e due. Non potete
passare.”
I
vegetali schioccarono al suono di quel pensiero, così che il
buio si riempì di
ringhi spaventosi e fitte lancinanti percorsero l’intero
corpo dell’esper
quando opposte energie lo riempirono.
“Richiamali!”
Toshiki
gridò e, rompendo l’immobilità imposta,
si prese la testa tra le mani mentre
questa si popolava di voci e il proprio terrore si fondeva con quello
di Ryo e
dei guardiani; le creature arboree compresero la sua sofferenza e
frustarono
l’aria, furiose.
“Portali
via, non osare proseguire!”
«Ascoltiamoli,
Toshiki…»
“Via!”
«Dobbiamo
scappare!»
“Non
puoi farcela.”
«Ho
paura, andiamocene via!»
“Tu—”
«STATE
TUTTI ZITTI!»
Nel
momento in cui il bimbo urlò, la terra tremò e
fece barcollare tutti coloro che
la calpestavano: un istante dopo, centinaia di fiori enormi spuntarono
da essa,
scatenati da un potere infinitamente più forte rispetto a
quello che fino ad
allora lui aveva posseduto, e si avventarono sugli oppositori con
impeto
assetato di battaglia.
Toshiki
si sentì sbalzato in avanti insieme a Ryo e dopo qualche
attimo si ritrovò a
correre verso una direzione che non poteva riconoscere, trascinando il
moro con
sé in una fuga disperata.
Alle
loro spalle s’inseguivano le grida più orrende che
avesse mai udito, ma non si
fermò fino a quando non udì Shimazaki piangere
sonoramente e vincere tutti gli
altri suoni. Solamente allora si bloccò e voltò,
accogliendo il compagno tra le
braccia e stringendolo forte. «Stai bene?», gli
mormorò.
L’altro
si divincolò per liberarsi, indietreggiando poi di un passo.
«I tuoi poteri…»,
mormorò tra i singhiozzi, «… che cosa
hai fatto?»
Minegishi
tacque, senza sapere cosa rispondere: era successo tutto
così rapidamente che
neppure lui riusciva a comprenderlo appieno. Tremava, ma la corsa non
aveva
niente a che fare con questo; e si sentì girare la testa e
le gambe cedere fino
a farlo sedere pesantemente al suolo. Inoltre, provava
un’enorme colpa per aver
spaventato Ryo. «Mi dispiace», mormorò
partendo da ciò, «ti ho fatto paura.»
«Sì»,
replicò l’altro, «tantissima: davvero
non sapevi di poter…» Esitò, quindi si
riavvicinò di nuovo e s’inginocchiò di
fronte a Toshiki. «Però… ci hai anche
salvato», rivelò mentre si sfregava gli angoli
degli occhi, «e ti ringrazio. Ma
non rifarlo, per favore: non urlare più
così.»
L’esper
delle piante respirò a fondo, asciugandosi la fronte madida
di sudore, e trovò
la forza per mormorare un assenso.
«Sai
dove siamo, comunque?»
Anche
nel buio riconobbe che Shimazaki era smarrito quanto lui; ma dopo
alcuni attimi
questi si riebbe. «Abbiamo superato quelle cose»,
esclamò, «i tuoi amici
ci hanno permesso di avanzare per un bel pezzo. Eppure non percepisco
nulla sul
nostro cammino… che cosa stavano proteggendo?»
«Qualcosa
d’importante di certo. Li hai sentiti anche tu i guardiani,
no? Erano decisi a
scacciarci, anche a costo di ucciderci. Il principe era ben deciso a
non far
avvicinare proprio nessuno.»
«Sì,
è vero, ma la strada è libera, completamente
vuota.»
Minegishi
provò ad alzarsi, ma fu costretto a sedersi nuovamente.
Shimazaki lo prese
sotto le ascelle e lo aiutò a sollevarsi, tenendolo poi
appoggiato a sé. «Devi
riposare.»
«Sì,
ma non qui: loro potrebbero ritornare.»
«Andiamo,
allora: ti tengo io.»
L’esper
delle piante sorrise tra sé. «Non ti
farò più spaventare, promesso.»
«Se
lo farai io correrò via e ti lascerò indietro, da
solo: sei avvisato.»
«Me
lo ricorderò.»
Senza
più parlare, il moro si calmò completamente e
riprese ad avanzare sobbarcandosi
gran parte del lavoro, cercando in ogni modo di far sforzare il meno
possibile
il compagno. Ci riuscì per un tempo che Minegishi, con la
mente che diventava via
via più leggera per la stanchezza, non poté
quantificare; ma quando l’esper
cieco si fermò e si appoggiò contro una parete,
lui non ebbe da obiettare. «Sei
troppo magro per portare entrambi», gli disse comunque per
scherzo.
«Non
prendermi in giro! Posso contarti le costole, e sono pure
più alto!»
«Scommetto
che ti raggiungerò in pochissimo tempo.»
«E
io scommetto di no!»
«So
anche dove soffri il solletico.»
«…
Questa te la faccio pagare.» Una pausa. «Il
temporale…»
«Hmmm?
C’è qualcosa che non va?»
«Non
sento il rumore della pioggia, né i tuoni.»
Era
vero: fuori da lì, il mondo si era quietato. Questo diede a
Minegishi
abbastanza energia per poter compiere un ultimo sforzo.
«Dobbiamo riprendere,
allora, trovare un’altra uscita e…»
«Toshiki.»
D’istinto,
il bambino si voltò dal lato opposto a quello dove si
trovava Shimazaki; appena
lo fece, un respiro caldo e inumano lo investì.
“Nessuno
ci sfuggirà mai.”
«Toshiki,
loro sono qui.»
«…
Lo so.» Come prima, rimase immobile; ma questa volta non
sarebbe giunto niente
e nessuno a salvarli.
In
qualche modo, uno dei guardiani era stato abbastanza fortunato da
riuscire a
vincere lo scontro e sufficientemente silenzioso da seguirli senza
essere
percepito; loro, invece, erano semplicemente spacciati — o
meglio, lui lo era…
ma non Ryo.
Lui
si era voluto fermare, mentre Ryo sarebbe tornato indietro; lui
aveva
sfidato le creature, mentre Ryo le avrebbe rispettate. Lui
avrebbe
pagato per questo, ma senza permettere che la stessa cosa accadesse al
moro.
Lo
aveva appena pensato che ci fu un guizzo, un lampo nel buio, e si
sentì
afferrare alla caviglia e tirare indietro con uno strattone doloroso.
“Hai
osato troppo.”
«Riesci
a muoverti… Ryo?»
«S-sì,
più o meno.»
Fortuna.
«Allora, per quanto possa far male, mettiti a correre:
io…» S’interruppe, la
presa sul piede aumentò. «… Io non
posso più.»
Si
sentì sfiorare la mano dall’altro, ma
rifiutò il contatto. «Scappa, avanti. Ti
ho promesso che non ti avrei più spaventato: allontanati
prima che possa mettermi
a urlare.»
Udì
chiaramente il compagno indietreggiare. «Ma… ma tu
non…»
Minegishi
fece per replicare, ma prima gli scappò un mugolio quando le
zanne della
creatura affondarono nella carne. «Corri!»
«No!»
«Non
puoi restare qui… devi andare.»
“Illusi.”
«Toshiki…»
«Non
ascoltarlo, vai.» Anticipando l’ennesima protesta e
provando a non pensare al
dolore che ne sarebbe seguito, il piccolo chiuse gli occhi e prese un
forte
respiro, incanalando tutte le energie che restavano in una mossa
disperata: le
piante risposero debolmente, ma afferrarono comunque l’esper
cieco e lo
spostarono diversi metri più avanti. Un’ultima
azione che non sarebbe valsa a nulla
contro il guardiano che in quel momento si apprestava a trascinarlo
verso i
compagni, ma che forse avrebbe salvato quell’altro
ostinato… come sperò che
l’incoscienza se lo prendesse prima che venisse fatto a
pezzi, o almeno di non
patire troppo.
Il
freddo s’intensificò e il dolore
diminuì: stava per finire tutto, e non aveva
salutato un’ultima volta nessuna delle persone a cui teneva.
Era
ingiusto.
Mi
dispiace. Mamma, papà, non volevo farvi soffrire
così…
Vi
voglio tanto bene.
Chiuse
gli occhi e lasciò che tutte le lacrime della giornata si
riversassero libere,
perché ormai non aveva più senso trattenerle; e
si concentrò talmente tanto su
questo che solo all’ultimo udì quei lievi passi in
corsa.
Oh
no,
pensò allora con orrore, no no
no…
«Non
abbandono chi mi ha salvato per due volte», urlò
Ryo a pochi centimetri da lui,
«mettetevelo tutti in testa!»
“Siete
più stupidi di quanto sembriate.”
Il
guardiano smise d’interessarsi a Toshiki e gli
liberò la caviglia. Quest’ultimo
urlò quando lo sentì balzare per afferrare
Shimazaki, e fu allora che il moro
lo afferrò per entrambe le mani e tutto il mondo
iniziò a mutare, per poi esplodere
in una bolla di luce che poté appena intravedere prima di
perdere i sensi.
È
questa la fine, dunque?
«TOSHIKI!»
«Tesoro,
calmati…»
«Ma
hai visto la sua ferita? Ha addosso i segni di un morso, è
stato attaccato da
qualcosa!»
«Lo
vedo anch’io, ma sta respirando normalmente e… oh,
ha aperto gli occhi! Riesci
a sentirci, fiorellino?»
Il
piccolo sollevò e abbassò le palpebre due volte;
quindi riconobbe gli sguardi
che lo osservavano con ansia e trepidazione, e sorrise.
«Mamma… papà.»
I
due adulti sorrisero a loro volta e lo abbracciarono sollevandolo,
così che
scoprì che fino a quel momento aveva dormito tra le braccia
della donna e …
aspetta, ma dov’era? Si era salvato, o…
«Va
tutto bene, tesoro», gli disse il padre, «ora sei
al sicuro.»
Il
bimbo gettò uno sguardo intorno a sé: a fatica
riconobbe la spiaggia dove aveva
giocato per tante ore, devastata e sommersa da una distesa di foglie,
piante
sradicate e da tutto ciò che la tempesta aveva portato, e
sgranò gli occhi
nella consapevolezza. Ci sono solamente io. «Oh,
no…»
«Che
cosa c’è, tesoro?»
«C’era
un altro bambino con me…», mormorò
mentre si agitava e costringeva la madre a
posarlo a terra, «dov’è
andato?»
I
genitori si guardarono senza capire, e subito ritornarono a lui.
«Toshiki… cos’è
successo? Ti va di raccontarcelo?»
Il
bimbo si morse le labbra per un istante, consapevole di dover dare una
spiegazione al tempo passato lontano da loro: e sì,
raccontò di Ryo e di tutto quello
che era accaduto, o almeno così fece con la parte degli
avvenimenti prima
dell’incontro con i guardiani; da lì tacque il
resto, inventando di aver messo
il piede in una trappola e di essere svenuto per il dolore, e di
essersi
svegliato lì. Dai loro sguardi comprese che non erano
totalmente convinti della
seconda parte della vicenda, ma era anche abbastanza lucido per sapere
che
ancor meno avrebbero creduto alla verità; e se pure lo
avessero fatto, non
voleva comunque preoccuparli per qualcosa che era ormai lontano.
Però,
Ryo dov’era finito? Era la chiave della sua salvezza e sempre
grazie a lui era
giunto sulla spiaggia… perché non era
lì, al suo fianco?
«È
merito suo se sono qui», mormorò, «e non
so nemmeno come sta.»
«Noi
abbiamo trovato solamente te», gli disse il padre,
«ed è come se tu ci fosse
comparso davanti all’improvviso.»
«Che
cosa vuol dire?»
«…
È difficile da spiegare, però possiamo dirti che
siamo passati tre volte in
questo tratto prima di trovarti; e poi, girando lo sguardo, ti abbiamo
visto a
qualche metro da noi. Eppure, ne siamo sicuri, prima non
c’eri… sei sbucato dal
nulla.
Questo
bambino ha dei poteri come te, non è quello che hai detto
prima?»
«Sì,
ma non quello di spostarsi da un posto all’altro,
lui—»
Ricordati
quello che ti è accaduto laggiù…
qualche ora fa anche tu non avevi le stesse forze
che hai scatenato.
Rinunciando
a parlare ancora, Toshiki abbassò lo sguardo e
così facendo incontrò la ferita
che gli segnava la caviglia.
Non
ci credo che tu sia rimasto là, al posto mio. No…
sei andato a riprendere le
tue scarpe e ora ricomparirai.
Strinse
i pugni e alzò il volto, osservando il mondo devastato che
lo circondava, e
stirò la bocca in un’espressione amara.
Fatti
vedere, avanti.
Chiuse
gli occhi, rimase immobile fino a quando i genitori non lo pregarono di
farsi
condurre lontano da lì; con il cuore pesante dovette
accettare.
Ritorna
indietro, Ryo: ti sto aspettando.
…
Attese quasi una settimana prima che il suo desiderio si avverasse:
s’incontrarono tra la folla di una città priva di
voce marina, si trovarono
fianco a fianco e si riconobbero al solo contatto.
«Stai
bene anche tu, quindi», mormorò Minegishi prima di
girarsi verso di lui, senza
nascondere il sollievo.
«Sì,
anche se dopo averti portato sulla spiaggia mi sono trovato
direttamente a casa
mia.»
«Per
quello non mi hai mai sentito, allora.» Una pausa.
«Mi hai salvato.»
«Tu
l’hai fatto per due volte; e comunque non potevo lasciarti
laggiù. E credo che
sempre grazie a te ora abbia dei nuovi poteri.»
Toshiki
lo guardò, scoprì che l’altro faceva lo
stesso: anche se cieco, seppe che
questo riusciva a vederlo nel suo modo unico.
Si
persero nella medesima folla dopo qualche attimo; non prima, tuttavia,
di
comprendere che quell’avventura era lungi
dall’essere finita, e che il loro
viaggio insieme era appena iniziato: così che quando videro
la città marina per
la seconda volta, fu dopo anni d’incontri.
L’abitare
in due posti diversi non costituì mai un problema,
scambiarsi indirizzi e numeri
di telefono intrecciò le basi per una lunga relazione;
correre insieme sulle
spiagge fu ancora meglio.
In
quella breve vacanza provarono a ritornare nelle mura, ma il ricordo di
quanto
accaduto li distolse quasi subito dall’obiettivo; almeno fino
a quando Ryo non
scoprì che nel cuore di esse c’era solamente
silenzio.
I
guardiani sembravano essersi addormentati per sempre, la via era pronta
ad
accoglierli: ma per quel momento il tesoro avrebbe atteso ancora.
La
terza volta lì, invece, fu subito chiaro che la
realtà stava per mutare:
qualcosa li attendeva, molto più grande e al di
là delle loro forze.
Erano
giovani uomini che non potevano nulla contro le ombre che crescevano
insieme
alle capacità né avrebbero saputo sfuggire alla
più grande di esse, e che quindi
furono le prime vittime illustri di una lunga caccia; e tra i due fu
Minegishi a
sentir l’odore acre della tempesta in arrivo e a comprendere
che i giorni
dell’innocenza erano lontani, ma che non dovevano
dimenticarli completamente. «Facciamo
una promessa, Ryo», disse allora una sera, qualche ora prima
che un uomo
potente li trovasse, «promettiamo che resteremo insieme anche
nel buio.»
L’esper
cieco sorrise, conscio dell’importanza assoluta di quel
patto. «Lo abbiamo già
fatto quando niente ci legava, non smetteremo ora.»
«Prometti,
allora?»
«Prometto.»
«Prometto.»
Un silenzio consapevole, triste. «… Sai, credo che
stiano per giungere tenebre
davvero crudeli: e questa volta, i nemici saremo noi.»
NOTE
[1]
ONE non ha ancora specificato
l’età di nessuno dei due personaggi, ma
è
ipotesi diffusa nel fandom che entrambi siano sulla trentina e nati tra
Ottobre
e Novembre. Ribadisco l’assoluta non certezza di questo, ma
su Twitter mi sono
imbattuta in utenti giapponesi e americani che, credo, sappiano
qualcosa o
abbiano a disposizione materiale che in Italia non è ancora
arrivato. Comunque,
che sia una costruzione fanon o fondata, la trovo apprezzabile.
[42]
Ho il canon — e non solo io — che fiori e piante
siano influenzate dalle
emozioni di Minegishi.
[3]
Nome giapponese dell’Osmanto Odoroso, pianta dai fiori
profumatissimi.
|
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Capitolo 3 *** Crepuscolo ***
III ~ Crepuscolo
Che ci sia la
luna
Sul sentiero notturno
Di chi porta i fiori.
Takarai Kikaku
Nel
quarto ritorno.
I
due esper giunsero in città pochi istanti dopo aver lasciato
il negozio.
Il
mare li accolse infilandosi nel loro respiro e risvegliando tutti i
ricordi che
si legavano al luogo, ed entrambi volsero immediatamente
l’attenzione a esso,
quindi alle mura che li sovrastavano e osservavano tutto in silenzio.
Era
ancora presto per incontrare i segreti custoditi là, lo
compresero: prima era
necessario riprendere il contatto con il posto e
tra le proprie anime.
Le
onde cantavano a poca distanza: se avessero voluto purificarsi,
avrebbero dovuto
farlo tra braccia rese fredde dall’autunno ma abbastanza
amorevoli da accettare
anche i peccati.
E
loro ne avevano compiuti tanti.
«Ben
ritornati a noi», mormorò Shimazaki mentre si
lasciava scompigliare i capelli
dalla carezza del vento; e Minegishi abbassò lo sguardo,
pensoso.
Una
parte di sé pensava di essere nel posto sbagliato
perché, irritato ancora con l’amico,
non era nell’animo adatto per affrontare la città;
l’altra, invece, credeva
fermamente che per recuperare un rapporto solamente quel luogo avrebbe
potuto
aiutare. Per vedere quale delle due avrebbe avuto ragione, doveva
solamente
mettere alla prova entrambe e attendere: non se ne sarebbe andato da
lì senza
una risposta, di certo.
«Scendiamo
in spiaggia?»
Toshiki
rialzò lo sguardo e lo fissò su Ryo con
un’espressione indecifrabile nel volto;
eppure riconobbe di non essere così tanto sorpreso da quella
richiesta che
rimandava ad anni lontanissimi, così calma e delicata da
sembrare la più
accorta delle preghiere.
Il
moro amava il mare con tutto sé stesso, era una delle cose
che il tempo non era
mai riuscito a placare o cambiare: di conseguenza, non poté
negarglielo.
«Dovremmo riposare, però. È
già sera inoltrata e domani entreremo di nuovo nelle
mura…»
«E
tu credi di poter dormire stanotte?»
«Avevi
un piano diverso?»
«No,
intendo: siamo qui dopo anni, come abbiamo sempre
desiderato… non penso che
riusciremo a riposare bene, visto quanti ricordi abbiamo.»
Toshiki
annuì e respirò con forza.
«Già… concordo.» Fece una
pausa, cercando di
trattenere le parole; non ci riuscì. «Temevo ti
fossi dimenticato di questo
posto.»
«Te
l’ho detto che ci penso sempre.»
«Forse
non abbastanza a ciò che ci siamo detti.»
Shimazaki
non replicò più, mentre lui percepì un
sentore amaro nella bocca e la
sensazione di essere stato così insensibile da doversi
vergognare.
Fantastico,
complimenti davvero. Non è così che risolverai la
situazione tra voi. «Forza,
andiamo», mormorò dopo un attimo
d’immobilità, «una passeggiata lungo la
riva
ci farà bene.»
Il
mare parlò nuovamente, raggiungerlo fu così
facile e rapido che quasi non ci
credettero quando la schiuma delle onde li sfiorò;
l’acqua si rivelò essere più
calda di quanto ipotizzato ed entrambi furono svelti a togliersi le
scarpe per
incontrare il basso fondale. Tutto, in quel posto, sembrava essersi
fermato a
quando erano solo dei pulcini con strane abilità e ogni cosa
era più semplice.
«Una
calma simile dovremmo viverla sempre», sussurrò
Shimazaki a un certo punto,
rilassandosi maggiormente.
Minegishi
fece lo stesso e alzò il capo. «E non siamo
comunque soli, contando chi ci
guarda dal cielo.»
«La
luna o le stelle?»
«Le
stelle. Sono un’infinità e così nitide,
lontane dalle luci artificiali… anche
questo è uno spettacolo che meriterebbe di essere visto di
più.»
Le
tenebre sembrarono vibrare quando Ryo sorrise, la scintilla di un
ricordo a
illuminargli il viso. «Ti ricordi cosa facevamo da bambini?
Ci sedevamo in un
posto solo nostro, che fosse un parco o su una terrazza, e io ti
chiedevo di farmi
vedere la notte… tu mi prendevi la mano e mi disegnavi le
costellazioni sul
palmo.»
«E
ridevi così tanto che ero costretto a fermarmi dopo nemmeno
un minuto. Temevo
che prima o poi saresti morto.» Toshiki accennò un
sorriso a sua volta, sincero
e leggermente malinconico. «Mi pregavi di continuare e io ti
promettevo che ti
avrei abbandonato al primo urlo… eri così felice
quando ti parlavo del cielo o
ti leggevo qualcosa, così sereno. Trasformavi una notte come
tante in qualcosa
di nuovo, e ogni volta io mi chiedevo come riuscivi a farlo…
erano bei momenti.»
Perché eravamo completamente noi stessi.
Nessuna
risposta spezzò la ninnananna che accompagnava le stelle nel
loro vorticare:
per il resto della notte entrambi non si scambiarono che qualche altra
parola,
attendendo l’alba sulla riva e nel dormiveglia.
Ryo
aveva ragione: non avrebbero potuto riposare con l’anima e la
mente che chiedevano
altro, né davanti alla città che sapeva tutto di
loro.
Quella
era la svolta: o avrebbero compreso come affrontare il silenzio, o
questo avrebbe
congelato ciò che li teneva uniti e le mura sarebbero
rimaste il sogno di un
passato ormai perduto, insieme a tutto ciò che erano.
Al
mattino, non affrontarono subito la cinta di pietra: prima si bagnarono
nuovamente tra le onde, quindi la varcarono per visitare brevemente la
città e
si persero nelle vie sempre più piene di fiori e ancora
fiancheggiate da
bianche costruzioni, protette da un incantesimo che non permetteva al
Tempo di
raggiungerle; e si strinsero l’uno all’altro mentre
riconoscevano i fantasmi dei
bimbi che erano stati prendere vita e inseguirsi a vicenda nei giochi,
tagliando
loro la strada mentre venivano rincorsi da quel vento spensierato che
non li
toccava più.
Rimasero
lì per tutto il tempo che sentirono come concesso; quindi,
il sole sorse alto
sulle mura e le ombre mutarono, rivelando il momento di partire.
«Andiamo»,
sussurrò allora Toshiki, «il nostro tesoro ci sta
attendendo.»
Ryo
annuì e gli mise una mano sulla spalla. «E noi non
siamo così scortesi da farlo
aspettare troppo.»
Passò
un breve istante, quindi umide tenebre, freddo e anni di storia
impattarono contro
la pelle e li fecero indietreggiare un attimo, per poi permettere loro
d’adattarsi.
La pietra antica diede il benvenuto ai suoi due visitatori preferiti e
non negò
nessuno dei brividi che entrambi provarono.
«Siamo
contenti anche noi di vedervi, non temete.»
Minegishi
accennò un sorriso a quella battuta, quindi rivolse
un’occhiata all’enorme
borsa che Ryo portava. «Non ti preoccupare, lo sapranno
presto», gli disse
mentre se la faceva consegnare. Ne trasse giacche pesanti e la
più grande delle
torce che c’erano, accendendola subito.
La
luce rivelò che l’ambiente in cui si erano
conosciuti era davvero enorme e non
la semplice impressione di un bambino, e girò su
sé stesso per vedere bene
l’altezza delle volte e i massicci pilastri che sostenevano
la struttura.
Mentre
la guardava, ricordò che Ryo aveva detto che in una certa
direzione non
avrebbero potuto proseguire perché una parete impediva il
passaggio; probabilmente
al di là di essa non c’era alcuno spazio libero,
quindi, forse, quell’ambiente
era stato ricavato apposta per chi poi l’avrebbe occupato.
Che
tipo di tesoro doveva essere custodito in un simile spazio?
«Pronti?»
Toshiki
attese un attimo prima di rispondere, osservando i percorsi che si
estendevano
da una parte e dall’altra; quindi annuì, provando
sulla pelle una scossa
d’eccitazione. «Pronti. Stammi vicino, la torcia
non riesce a illuminare tutto.»
«Questo
si chiama sfruttamento.»
Minegishi
spalancò gli occhi, sorpreso, e prima che potesse replicare
Shimazaki scoppiò a
ridere e lo afferrò per un braccio, trascinandolo con
sé. «Nessun problema, non
me la prendo solo se fai andare avanti me. Voglio essere io il primo a
scoprire
ciò che ci attende!»
«E
se poi non c’è alcun tesoro e rimani
deluso?»
«Allora
sarò costretto a darti battaglia, probabilmente in acqua.
È da parecchio che
non provo ad affogarti.»
«Non
imparerai mai a combattere lealmente.»
«La
dovresti pagare comunque, visto che tutto questo è partito
da te.»
«Oh,
ricordami, chi mi ha raccontato della leggenda? In questa storia siamo
geni o
stupidi in due.»
«Touché.»
Un
refolo di corrente fredda distolse l’attenzione dalla piccola
discussione per
concentrarla nuovamente sulla loro strada; e impugnando la torcia,
Minegishi strinse
leggermente la spalla dell’amico per farlo avanzare.
«È
come l’ultima volta», disse quest’ultimo
dopo aver ascoltato un attimo cosa lo circondava
e aveva innanzi, «c’è solamente
silenzio. Ora che riesco a percepire i movimenti
nel raggio di metri e metri, non sento nulla.»
«Stiamo
comunque all’erta: non credo che i guardiani possano
essersene andati, sono
legati a questo posto. Inoltre, è scontato dire che ci
riconosceranno e
cercheranno di regolare i conti.»
Alla
luce della torcia non era solamente la strada a prendere forma, ma
anche il
loro passato: a quello che avevano vissuto nel buio si poteva dare un
nome,
ogni pietra leggermente sconnessa aveva una storia e si mostrava a
occhi
attenti, l’avventura poteva essere descritta con chiarezza a
mano a mano che si
snodava in curve e sorprese.
«C’è
qualcosa davanti a noi: ci sta sbarrando il cammino e non si
muove.»
Ecco,
appunto.
L’esper cieco non aveva finito di parlare che Minegishi
aveva già puntato il fascio di luce davanti a sé
e con la mano libera aveva chiamato
i rinforzi, pronto a tutto. Si ritrovò deluso: innanzi a
loro non c’era niente
da temere, bensì strane pietre contorte disposte in modo
disordinato per tutto
il percorso, quasi fossero cadute dall’alto e lì
rimaste.
I
due si avvicinarono a esse per capire di cosa si trattasse,
così la torcia
prese a illuminare quelli che parevano i frammenti di tante statue
spezzate: corpi
privi di arti, zampe d’animale, orecchie e, alla fine,
qualcosa di simile al
muso di un leone. A quel punto e ripensando sia alle parole di
Shimazaki sul silenzio
udito prima, sia al fatto che era stato proprio lui a definire i
guardiani come
statue, nella mente di Toshiki si formò
un’idea; però dovette attendere ancora
qualche attimo per confermarla.
«Che
cosa sono? Toshiki…?»
Chinandosi
al suolo, l’esper delle piante prese in mano i brandelli di
stoffa rossa che occupavano
tutta la strada e se li fece passare tra le dita.
«… Credo di aver trovato le
tue scarpe, Ryo.»
La
confusione tinse il volto del moro, e l’altro si
sbrigò a spiegare. «Quelle che
avevamo lasciato come punto di riferimento, la prima volta che entrammo
qui…
non le avevi più recuperate?»
«No…
non sono mai tornato a riprenderle.»
Minegishi
annuì e fissò nuovamente i resti scarlatti e le
statue, per poi provare a
comprendere che cosa fosse accaduto.
Dopo
che la disperazione aveva risvegliato appieno i poteri di Ryo e questi
era
riuscito a teletrasportare entrambi via da lì, i guardiani
dovevano averli
cercati per tutte le mura, giungendo anche al punto da dove erano
entrati; avevano
trovato le scarpe e, dato che queste avevano lo stesso odore di una
delle loro
prede, si erano avventate contro di esse…
Ma
poi perché finire in pezzi, ammesso che quei simulacri di
belve feroci fossero
stati veramente i fedeli custodi del luogo?
Perché
hanno fallito.
Alzandosi
lentamente, l’esper si avvicinò a Shimazaki e lo
prese per un braccio,
conducendolo poi nelle zone dove la strada era sgombra.
«Che
cosa stai facendo?»
«Evito
che tu calpesti ciò che resta dei guardiani. Anche se li hai
battuti, meritano
comunque rispetto.»
Ryo
mostrò le orbite vuote in un’espressione di
sorpresa, la voce tremò quando
chiese: «… Come sarebbe a dire che li ho
battuti?»
«Hanno
fallito nel loro compito: non sono riusciti a catturare due estranei
troppo
curiosi, come il principe aveva ordinato, e hanno pagato al posto
nostro. Questi
frammenti sono ciò che rimane dei nostri nemici.»
«Siamo
noi gli unici responsabili di questo silenzio,
allora…»
«Proprio
così.»
Il
moro si blocco, non replicò subito. «…
Ho portato distruzione anche qui. Anche da
piccolo, non creavo altro che caos.»
Toshiki
era andato qualche passo più avanti, ma si fermò
e voltò a quell’affermazione. Il
tono con cui l’aveva pronunciata gli fece inaspettatamente
male e per un attimo
non seppe come replicare; quindi ritornò vicino al compagno.
«Non hai colpa di
questo fatto, e lo sai: non potevamo sospettare che sarebbe andata
così.»
Shimazaki
non smise di fissare il vuoto davanti a sé.
«Eppure, ci ha rimesso comunque qualcuno.»
«E
in cambio di quel qualcuno hai salvato entrambi.»
Questa
volta l’esper cieco abbassò il capo verso
Minegishi, che prese un grande
respiro e continuò. «La scelta di cercare questo
tesoro non ha portato a esiti
completamente felici, finora… ma tutto ciò non
è stato fatto volontariamente; e
due persone non sono morte.» Anche se, a giudicare
da quello che avremmo
fatto anni dopo, forse ce lo saremmo meritato. «Credi
che valga poco?»
Silenzio.
Di nuovo, Minegishi sentì una spina penetrare nel cuore e
decise di prendere
tra le proprie mani la situazione, con calma e riconoscendo tutto
ciò che
avevano sbagliato. «Ascolta… se non te la senti di
proseguire, ci possiamo fermare.
Rispetteremo il volere dei custodi e lasceremo in pace qualsiasi cosa
custodissero;
e d’altra parte tu volevi fare così fin
dall’inizio, mentre io ho scelto di affrontarli.
La colpa della loro disfatta è tutta mia.»
In
quel momento, Ryo uscì dal silenzio e sorrise debolmente.
«No, non credo. In
questa storia siamo geni o stupidi in due, hai detto prima; e
anch’io ho fatto
la mia parte.»
«Ryo…»
«Ne
accettiamo le conseguenze insieme. Salutiamo le mura per
l’ultima volta e
ritorniamo al mare: il tesoro merita di riposare insieme ai suoi
protettori… noi
non lo meritiamo.»
«Sì…
è la cosa migliore che possiamo fare.»
Si
voltarono entrambi; ma prima che potessero teletrasportarsi, una
violenta
scossa di terremoto turbò il suolo.
Nessuno
dei due fu capace di reagire in fretta, così che entrambi
persero l’equilibrio
e caddero; il mondo iniziò a vorticare e provarono la
sensazione di rotolare via
via più velocemente in un buio fitto che non lasciava spazio
neppure ai
pensieri, e mentre le capacità di orientarsi e il senso del
tempo si
annullavano credettero di essere destinati a precipitare nelle tenebre
per
sempre — e almeno, tale sembrava dover essere la loro sorte
fino a quando
Minegishi non riuscì a trasmettere un ordine e decine di
piante sbucarono per afferrarli
e ancorarli saldamente a terra.
Entrambi
rimasero nella parziale incoscienza per altri lunghi istanti, quindi
Shimazaki fu
il primo a riaversi e a prendersi la testa fra le mani. «Che
male, credevo di
essere sul punto di rompermela… Toshiki, tu stai
bene?»
Questi
mugugnò una risposta, tutto il corpo che doleva per le botte
ricevute; sentiva inoltre
l’odore del ferro nel naso, segno che stava sanguinando, e la
stessa umidità a
livello del gomito destro. Forse, però, il peggio si fermava
lì e tutto sommato
era andata anche bene.
Le
piante lo liberarono e fecero lo stesso con Ryo, così che
poterono mettersi a
sedere e riprendere il contatto con la realtà.
«Non
credo che tu sappia cosa sia successo, quindi evito di
chiederlo», esclamò l’esper
cieco, «so solo che siamo molto avanti rispetto al punto in
cui eravamo prima.»
Barcollando
leggermente, Toshiki si alzò e scoprì di poter
stare in equilibrio; provò a
riaccendere la torcia che non aveva mai mollato e riuscì
nell’intento, così
poté raggiungere l’amico. Anche lui sanguinava da
un colpo sulla fronte, ma in
misura ridotta e non preoccupante: potevano davvero considerarsi dei
miracolati.
Un
rapido sguardo intorno non gli permise di riconoscere
alcunché che potesse servire,
e questo lo agitò leggermente. «Ryo, riesci a
teletrasportarci fuori da qui?»
Il
moro scosse la testa. «Ci posso provare, ma non riesco a
orientarmi… non vedo
nemmeno nulla. Ho paura che mi sia successo
qualcosa…»
«Hai
preso un colpo alla testa, per questo non riesci a utilizzare i poteri.
Stenditi
un attimo, io provo a guardarmi in giro.»
«Vuoi
procedere senza sapere dove andare?»
«Vedo
se riesco a capire qualcosa, va bene? Non mi allontanerò di
molto, credimi. Rimani
tranquillo, ce ne andiamo presto.»
Minegishi
fece per muoversi, tuttavia si ritrovò il fiato
dell’amico a pochi passi; le
piante lo aiutarono a reggerne il peso quando questi rischiò
di schiantarsi al
suolo di faccia, e a stento lui represse una sonora sgridata.
«Ti
avevo detto di rimanere sdraiato e tranquillo», disse invece
mentre si passava
un braccio dell’esper intorno alle spalle e in qualche modo
riusciva a sostenerlo
almeno perché non cadesse.
«E
invece io non ti faccio andare da solo e in queste
condizioni.»
«Parla
quello che invece si regge bene sulle gambe, eh. Nemmeno da ubriaco sei
così
instabile.»
«Ti
mancano anche quei momenti, di’ la
verità.»
«…
Quella botta è stata davvero forte, mi sta
preoccupando.»
«Ma
se tu—»
«Fermo.»
Ryo
si voltò senza nascondere la propria sorpresa, immobilizzato
dal tono con il
quale l’amico aveva parlato.
«C’è qualcuno? Maledizione, proprio
quando non
sento nulla…»
«Non
c’è nulla e nessuno da sentire.»
Leggermente contrariato, Minegishi guardò che
cosa la torcia stava illuminando a pochissima distanza da
sé: una volta e sette
scalini che conducevano a una camera posta più in basso
rispetto al piano di
calpestio, e il pavimento di questa — o meglio, la distesa
d’acqua che lo
ricopriva: il mare sembrava essersi aperto una via dentro le mura e
aver deciso
di confluire in quel vano, creando una sorta di piscina.
La
solita fortuna,
pensò mentre scendeva gli scalini e si
guardava intorno.
«Allora
perché mi hai fermato?»
«Per
evitarti una caduta e un bagno fenomenale, e—» In
quello stesso istante la voce
si bloccò e gli occhi si spalancarono davanti alle ultime
immagini di quella
che, Toshiki ne era certo, non era stata una semplice illusione: mentre
faceva
scorrere la luce sul pelo dell’acqua, una scarica dorata si
era fatta largo
fino a scomparire quando li aveva quasi raggiunti, come
un fantastico, rapido serpente che improvvisamente
avesse fiutato un pericolo sulla propria strada e fosse preventivamente
fuggito.
Quest’immagine, sorta in parte dalle fantasie della sua
infanzia, gli diede i
brividi e lo spinse a far vagare intorno la torcia, nel tentativo di
rintracciarla e inseguirla; ma non portò a nulla, men che
meno al suo
obiettivo.
«Bagno
fenomenale?»
«Sì,
sembra che il mare intero si sia riversato qui… e tu non
fare quel sorriso, non
ti vorrai buttare!»
Dividendo
l’attenzione tra quello che aveva appena visto e frenare
l’idea folle che aveva
percorso la mente del moro, l’esper si sporse in avanti.
Illuminò nuovamente l’acqua
guardando ovunque, e dopo pochi attimi il guizzo misterioso riapparve.
«Là!»
Le
piante scattarono, ma non sfiorarono nulla: eppure la presenza non era
più
molto distante da lui né quelle erano state
lente… quale pesce o altra creatura
poteva essere tanto veloce? Inoltre, era una sua impressione o
qualunque cosa
fosse si fermava sempre prima di un certo punto, come se ci fosse una
qualche
barriera a trattenerlo e non si potesse spostare liberamente?
«Ryo,
riesci a sentire qualcosa ora?»
«No.»
«E
va bene. Credi di poter stare seduto qui per qualche minuto? Per
favore.»
«Sì…
ci provo.»
«Mi
basta.»
Libero
dal corpo dell’amico, Minegishi scese l’ultimo
scalino ben deciso a risolvere
il mistero e accettando anche di bagnarsi fino al midollo per questo.
Per fortuna,
quando entrò in acqua scoprì che il suo livello
arrivava a malapena ai fianchi.
«Hey,
ma tu sei lì a sguazzare!»
«Sì,
ma non essere idiota come me, intesi? Stai immobile.»
Puntò la torcia dritta ai
suoi piedi, ma niente accadde; invece, quando il fascio si sparse
intorno, l’arcano
iniziò a svelarsi.
«Ma
cosa…»
Per
la seconda volta, la voce si spense: per qualche istante ci fu il
silenzio
assoluto, quindi, appena la consapevolezza ricompose tutti i pezzi e
infine
rivelò l’incastro perfetto, il giovane
scoppiò in una risata.
Shimazaki
sorrise spontaneamente nell’udirla, in quanto era raro
sentire Minegishi ridere
così forte; poi attese, senza nascondere la sua impazienza,
che il compagno
rivelasse ciò che lui non poteva vedere. «Quindi?
Che cosa sta succedendo?», chiese
quando sentì l’altro calmarsi lentamente.
«Sta
succedendo… che abbiamo trovato il nostro tesoro.»
A
quelle parole il moro spalancò la bocca senza emettere un
suono, la richiuse e
la riaprì di nuovo nello stupore.
«Davvero?»
«Sì,
ed è sempre stato qui: era qui quando siamo venuti la prima
volta, e anche
quando abbiamo stretto la nostra promessa. Ora mi sta
guardando.»
«Cos’è,
qualcosa d’oro? … Aspetta, cosa vuol dire che ti
sta guardando?»
«Oro,
sì, e zaffiri e rubini. Il nostro principe non si
è affatto risparmiato sui
colori, ha usato solamente i migliori.»
Senza
più riuscire a trattenersi, Ryo si alzò ed
entrò in acqua a sua volta,
raggiungendo l’amico e stringendogli forte le spalle per
l’eccitazione. «Cos’è,
cos’è?»
«È
il soffitto sopra di noi. Ryo, se solo tu potessi vederlo…
è bellissimo.
Non
me ne sono accorto prima perché continuavo a guardare il
suolo e la torcia è
troppo debole per illuminare un grande spazio, ma quando la luce
sfiorava sia la
volta che l’acqua, questa lo rifletteva.
E
ti ricordi che cosa mi hai detto la prima volta che siamo stati
qui?»
«Ti
ho detto un sacco di cose allora: che mi avevi salvato, che avevi mille
braccia,
e anche che profumavi di fiori… ma non so come possano
rientrare nel discorso
di adesso.»
«La
leggenda: il principe straniero dalle mani ricoperte di
polvere dorata, che
rifiutava il contatto con la gente e preferiva rimanersene chiuso nelle
mura
con il suo tesoro… e noi siamo in una camera dipinta
d’oro e di mille altri
colori, sul percorso che i guardiani proteggevano.
Forse
si era ricavato tutto questo spazio perché aveva intenzione
di decorarlo tutto,
ma qualcosa deve averlo interrotto. Comunque sia, la leggenda
è allora…»
«…
Una storia vera.»
Minegishi
annuì, continuando a lasciar vagare lo sguardo sulla
meraviglia che avevano
sopra di loro: non un vero e proprio disegno, ma tanti vortici di
colori brillanti,
caldi e freddi che partivano da ogni angolo della volta e la riempivano
totalmente
fino a unirsi al centro, dove potevano dare vita a un cielo notturno
trapuntato
da milioni di astri e percorso da un’aurora boreale, oppure
alle profondità
marine con il grembo carico di fiori e perle.
Alle
pareti i toni andavano lentamente sfumando in un bianco latteo che
rimandava
all’infinità, la quale riniziava là
dove cominciava l’acqua e di nuovo si
tuffava nel tripudio dell’immaginazione e della bellezza.
Dentro
di sé, lui si rese conto di trovare quella scoperta
più importante di qualsiasi
gioiello perché era parte del mondo di chi l’aveva
creato e conservava tutto
ciò che la morte non aveva rapito con sé: visioni
della propria terra,
emozioni, il modo di concepire l’armonia e di esprimerla.
Il
vero tesoro allora non era la decorazione, ma l’anima da cui
era nato: e questo
non poteva avere paragoni.
«Credo
che qui qualcuno sia rimasto senza parole…»
Minegishi
non riuscì a rimanere impassibile al suono flautato della
voce di Shimazaki. «È
un peccato che non possa vederlo anche tu,
è…»
«Oh,
ma me lo puoi descrivere. Ti ascolto.» Senza attendere altro
o lamentarsi del freddo,
il moro si sedette nell’acqua e si mise in attesa con
l’espressione più
pacifica mai vista prima.
«Ma…
ora? Così?»
«Ovviamente.
O forse devi andare da qualche parte?»
Toshiki
alzò la testa e sospirò, riconoscendosi battuto e
non riuscendo a trattenere un
sorriso. La normalità è una strada
battuta: facile da percorrere, ma dove
non crescono fiori[1]. E tu
sai benissimo dove andare a
trovare i più belli. «Hai
ragione», mormorò prima di sedersi a sua volta,
«è
il nostro tesoro, quindi è giusto che entrambi lo
conosciamo.»
«Dimmi:
luna o stelle?»
«Entrambe,
e sempre al massimo della loro luce. La notte non sarebbe mai
più oscura se
fossero vere.»
«Possono
esserlo per noi, però.»
Un
altro sorriso. «… Riformulo quello che ho detto
poco fa: credo che quel colpo
in testa ti abbia fatto anche bene.»
E
la città, lui non la poté vedere ma lo fece, per
un attimo brillò di più
davanti ai nuovi guardiani dei suoi segreti.
C’è
una meta
Per il vento dell’inverno:
Il rumore del mare.[2]
Quando
lasciarono le mura era quasi giunta la sera.
Ormai
nemmeno un’ora rimaneva prima del buio completo, ed era un
fatto condiviso da
entrambi che andasse spesa vicino al mare — come la notte
precedente, eppure
con animo completamente diverso.
Il
loro viaggio nel buio aveva dato frutti che nessuno dei due si sarebbe
immaginato, e solamente una tappa mancava all’arrivo: la
più complessa, la più
personale e completamente loro.
«Sei
fortunato: anche se non ho potuto vedere il tesoro
nel senso comune del
termine, non mi ha comunque deluso. Per questa volta ti
risparmio.»
«Troppe
sorprese per oggi; continua così e finisco per
viziarmi.»
Shimazaki
sorrise, quindi si distese sulla sabbia. Anche quando Minegishi ebbe
fatto lo
stesso rimase in silenzio, riempiendosi di tutte le sensazioni che il
mondo gli
dava e liberando le parole solamente quando sentì che era il
momento giusto per
farlo. «Ti devo ringraziare sinceramente: una giornata simile
non la vivevo da
tantissimo tempo… anche se ciò che mi mancava
davvero era la compagnia di
qualcuno come te — togli pure quel qualcuno
e tieni il te. E sto
dicendo sul serio, per una volta.»
L’esper
delle piante inspirò a pieni polmoni. Era da qualche ora che
si sentiva turbato,
e non solamente dalla vista della camera decorata; no… si
scendeva molto più
nel profondo, questa volta.
Il
capolinea era ormai vicino, e lui era stanco di restare in silenzio. Un
giorno
era bastato per scoprire la verità su tante cose, e per lui
era sufficiente per
iniziare a riprendersi quanto gli spettava. «Qualcosa di
buono lo so fare anch’io,
allora.»
«Più
che qualcosa: tu…»
«Tu
sei un maledetto orgoglioso, ecco cosa dovresti dirmi. Ed è
vero, lo sono fino
al midollo.»
«Toshiki.»
Silenzio. «Toshiki, per tutti questi anni non siamo stati
altro che arroganza e
falsità, annebbiati dai nostri stessi poteri; niente
potrà cambiare questo
fatto. Però guardati ora: hai un lavoro, ti relazioni con la
gente, fai del tuo
meglio per crescere e migliorare… io, invece? Io ho saputo
solamente scappare e
lasciare tutti i problemi a te e agli altri, e non ho fatto nulla di
diverso da
allora.
Entrambi
abbiamo provato una grande paura: ma tu sei stato il più
intelligente tra i due
e hai reagito di conseguenza.»
Tacquero
entrambi, razionalizzando quanto si erano appena detti; poi Toshiki
riprese. «Siamo
cambiati tutti da quel momento — anche tu, a quanto ho potuto
vedere; ma la sera
in cui sei ricomparso, ero talmente arrabbiato da leggere in ogni tua
parola una
menzogna, e ho sbagliato: ho sbagliato ancora pensando di essere
l’unico a
parlare con giustizia. E se per metà è vero,
non…» Un sospiro. «Ti ho giudicato
senza nemmeno sapere cos’hai passato veramente in quei mesi,
ancora una volta
mi sono creduto migliore di un altro. Pensi davvero che possa essere un
atteggiamento da persona intelligente?»
«Eri
furioso, posso capire.»
«Davvero,
Ryo? … Mi perdoneresti, quindi?»
Il
moro si alzò sui gomiti e sollevò le palpebre;
per qualche istante le prime
stelle sembrarono riflettersi nel buio che portava dentro
sé. «Solamente se
prima lo fai con te stesso. E tu, Toshiki, perdoneresti me per tutto il
silenzio che ti ho fatto vivere? Hai detto che ritornare in questa
città non
sarebbe bastato per risolvere la situazione tra noi, e ti credo; ma con
il tempo
saresti in grado di rivedere in me un amico?»
«…
Tu non hai mai smesso di esserlo; certo, se tu non sparissi
più riprenderesti
punti, e se smettessi di considerarti solamente caos faresti meglio
anche a
me. Pure la città ci ha riconosciuti degni di conoscere
le sue ricchezze, qualcosa dovremo pur valere.»
Un
nuovo silenzio, una connessione nel vento che spirava da oltre quella
sponda, e
Toshiki si accorse di provare qualcosa nel petto: il vuoto suo compagno
stava
vacillando a mano a mano che si faceva più modesto per
incontrare e ritrovare l’altro,
e con lui anche sé stesso. L’incognita stava
formulando la sua risposta, e
inoltre, nella parte in cui si era sbagliato, Ryo aveva ragione: poteva
essere
ancora orgoglioso, ma non tanto da non saper chiedere scusa. Lo avrebbe
creduto
possibile nemmeno un anno fa?
Il
tuo viaggio non è ancora finito, ma stai procedendo senza
fermarti.
E
da qui in poi non sarai più solo.
Da
parte sua, Shimazaki sorrise di nuovo. «Se è
così, a parer mio ritenerti
migliore non è superbia ma realtà… chi
veglia sugli altri ha sempre qualcosa in
più.»
«Veglia…
un attimo, a che cosa ti riferisci?»
«Siamo onesti:
dei Super 5
sei stato e sempre sarai il più intuitivo e sveglio, e per
quanto tutto il
mondo sappia che non ami il contatto fisico e tendi a non esprimere le
emozioni,
hai sempre tenuto a noi. Aspetta, quindi ti dovrei chiamare mamma?»
«Ti
prego, non dipingermi come il puro della situazione: quello
è Serizawa.»
Sorrisero
entrambi e dopo qualche istante finirono per ridere, chi più
apertamente chi
meno.
«Dovresti
ridere più spesso, te l’ho sempre detto.»
«E
tu fare meno l’idiota: ma nessuno dei due ascolta mai
l’altro.»
Shimazaki
alzò le spalle come qualcuno che si è ormai
rassegnato davanti all’evidenza,
quindi fece uno dei suoi soliti ghigni. «Tu non hai sentito
nulla di tutto ciò,
comunque; e so dove abiti, quindi stai pur sicuro che se apri bocca te
ne
pentirai. Nessuno deve sapere che anch’io un cuore come te,
dolce Toshi-chan.»
«Ti
avverto: non farmi pentire di averti ritrovato, o giuro che
sarò io a fuggire il
più possibile lontano.»
«È
un po’ difficile starmi distante, Minegishi Toshiki: la luna
non resiste tanto tempo
senza il suo sole. Oh, ho appena deciso come posso chiamarti!»
Minegishi
si prese la testa tra le mani e si rifiutò di commentare, ma
tutto il suo animo
rideva e la natura intorno a loro lo manifestava.
Erano
ancora all’inizio, ma potevano farcela. La speranza era dalla
loro parte, non li
avrebbe lasciati di nuovo; avevano vinto sul silenzio.
Il tempo mette
ognuno al proprio
posto: ogni regina sul suo trono, ogni pagliaccio nel proprio circo.
Per
alcune persone vale la pena anche la peggiore delle prigioni,
purché insieme; e
se sono qui perché ti merito, allora sì, che sia
tu il mio posto.
NOTE
[1] Citazione
di Van Gogh.
[2] Haiku
di Ikenishi Gunsui.
ANGOLO
DI MANTO
Mi
rendo conto solo ora che ho riempito la fic delle citazioni
più disparate; ma
anche questo ha il suo senso, dato che Minegishi è un bookworm
di prima
categoria.
Ora,
io spero davvero di aver dato a questi due personaggi per me
importantissimi
tutta la profondità che meritano e di averli resi
compatibili al canon,
considerando però anche le modifiche comportamentali dopo i
traumatici eventi
vissuti e al fatto che ho dato una relazione di lunga data, quindi
certi
discorsi solamente tra loro potrebbero accadere; e soprattutto di aver
mostrato
come – per Minegishi è palese perché lo
si vede nell’opera stessa, per
Shimazaki meno ma ci sono dei momenti che lo fanno pensare (per
esempio, ci
sono due occasioni in cui difende o mostra empatia per Serizawa)
– non siano
affatto dei mostri di cattiveria, anzi.
Non
ho dato nome alla città marina non perché non
sapessi come chiamarla, ma perché
ognuno se la possa immaginare come preferisca, senza che corrisponda
forzatamente a un luogo reale. Pensatela come un posto che condensi in
sé tutta
la magica, sirenica bellezza degli ambienti a contatto con mare od
oceano, e il
vostro nome verrà.
Da
ultimo, ma non meno importante: la storia è un omaggio a una
delle scoperte più
avvincenti del mondo dell’archeologia, ovvero le pitture
paleolitiche della
Grotta di Lascaux, rinvenute nel 1940.
Di
casi del genere ce ne sono tanti, ma siccome qualche giorno fa
è morto l’ultimo
dei giovani esploratori che le videro per primi, la parte nelle mura
è tutta dedicata
a lui e ai suoi compagni. In questo caso, però, a essere
davvero importante non
è la scoperta della camera decorata, ma la ripresa di una
relazione: letteralmente,
la trasposizione del detto “chi trova un amico trova un
tesoro”.
E
direi che questa coppia di bros – o qualcosa di
più? A voi la sentenza –
possano considerarsi davvero fortunati sia in un senso che
nell’altro.
Manto
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