Avatar e Pokémon: La Leggenda di Gong

di Barbra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gong ***
Capitolo 2: *** Spiriti ***
Capitolo 3: *** Giratina ***
Capitolo 4: *** La ragazza senza passato ***
Capitolo 5: *** Il dono ***
Capitolo 6: *** Le fate ***
Capitolo 7: *** Le streghe. Parte I ***
Capitolo 8: *** Le streghe. Parte II ***
Capitolo 9: *** Le streghe. Parte III ***
Capitolo 10: *** Le sirene ***
Capitolo 11: *** I vampiri ***
Capitolo 12: *** I ribelli ***
Capitolo 13: *** Kokachin ***
Capitolo 14: *** I demoni. Parte I ***
Capitolo 15: *** I demoni. Parte II ***
Capitolo 16: *** I demoni. Parte III ***
Capitolo 17: *** Luce ***
Capitolo 18: *** Fuoco ***
Capitolo 19: *** Tempo ***
Capitolo 20: *** Luna ***
Capitolo 21: *** Maschere ***
Capitolo 22: *** Deus ex machina. Parte I ***
Capitolo 23: *** Deus ex machina. Parte II ***
Capitolo 24: *** Terra ***
Capitolo 25: *** Mesprit ***
Capitolo 26: *** Fobos ***
Capitolo 27: *** Uxie ***
Capitolo 28: *** Inter nos (I) ***
Capitolo 29: *** Inter nos (II) ***
Capitolo 30: *** Hoopa ***
Capitolo 31: *** Azelf ***
Capitolo 32: *** Arceus ***



Capitolo 1
*** Gong ***







 
GONG

 

 

Gli ultimi due guerrieri della Tribù dell'Acqua del Nord finirono intrappolati nel ghiaccio.
Il giovane volontario del sud fu colpito da una frusta d'acqua, rotolò sulla neve e rimase immobile a faccia in giù. L'avversaria, non vedente, gli voltò le spalle e si inchinò al pubblico stranamente silenzioso. Il ragazzo si alzò con estrema cautela, estrasse il coltello d'osso e le si scagliò contro. Era a un passo dalla sua lunga treccia nera, quando la cieca alzò una mano aperta. Il giovane si immobilizzò. Il suo braccio si torse, il suo polso si piegò all'indietro e le sue dita lasciarono cadere il coltello.
Fu costretto ad arretrare con passo malfermo, mentre la voce gli si spezzava in gola. Provò a resistere, provò ad avanzare, ma i suoi muscoli rifiutarono di obbedirgli e i suoi piedi persero l'appoggio.
Cadde carponi sulla neve fresca, l'avversaria a pochi passi da lui lo spinse ventre a terra e gli impedì di rialzarsi.
Dalla piccola folla di curiosi riunitasi per assistere alla prova si alzò un chiacchiericcio confuso: «Bel teatrino». «Non ne ha più voglia». «Cuccia, Fido!».
«E' il Dominio del Sangue!» urlò infine un vecchio montanaro sconvolto.
I suoi concittadini si raggelarono.
I delegati delle due Tribù dell'Acqua non si scomposero, i quattro volontari sconfitti usciti dall'arena mantennero una calma surreale sotto il trucco da guerra.
Immersa in tutta quella tensione, la vittima si rialzò illesa. «Tutto bene» disse. Posò una mano sulla spalla della coetanea non-vedente e sorrise al pubblico. Era un non-Dominatore piuttosto mingherlino e più basso di lei di almeno dieci centimetri, la tinta da guerra sul volto non bastava a farlo sembrare meno indifeso. La sedicenne, per contrasto, col suo metro e ottanta e i suoi molteplici Domini pareva un'entità mostruosa. Cieca e feroce come uno Shirshu. Gli abitanti della montagna, terrorizzati, speravano solo che qualcuno venisse ad arrestarla.
Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua.
La prese per un braccio e la condusse via con sé. La ragazza, detta Gong, inciampò una volta e finse di farlo altre tre. Voleva apparire più penosa possibile per evitare una lavata di capo.
«Riserva queste scene per un altro tipo di giudice» la rimproverò il Maestro dell'Aria.
La cieca sgranò gli occhi verde salvia. «Finirò al processo?! Ma il ragazzino sta bene!».
Meelo si immobilizzò e la costrinse a fermarsi. «Ragazzino?! Credevi che fosse più giovane di te?! ».
«Sì... sì... non ha tredici anni? È bassino...».
«Questo... non dirlo al processo. Non dirlo mai più, spilungona, intesi? Ha vent'anni e tu lo sapevi, perché non eserciteresti mai e poi mai un'arte pericolosa e proibita su un tredicenne. Ripetilo».
«“Non eserciterei maai e poi maai un'arte proibita e pericolosa su un tredicenne”» ripeté Gong con la sua voce vagamente nasale, riprendendo a camminare da sola. «Ma un tredicenne che sta bene è uguale a un ventenne che sta bene... no?».
Entrò nella cabina della funivia che collegava la cima della montagna all'ingresso del convento scavato nelle sue viscere e attese che il Maestro salisse con lei.
Gli operatori della funivia, quattro Dominatori del Metallo ignari dell'accaduto, fecero scorrere il cavo d'acciaio senza l'aiuto dell'elettricità. La cabina cominciò a scendere a una velocità sorprendentemente regolare.
Il Monastero Femminile della Terra era nato per volere dell'Avatar Korra circa trent'anni prima tra le Montagne del Nord.
Shàn Yuèguāng, la strana e malaticcia figlia di secondo letto di un vecchio vedovo di Ba Sing Sé, era stata spedita laggiù poco dopo essersi rivelata la sua reincarnazione. Se ciò che l'aveva spinta a manifestare i due Domini della Terra e dell'Acqua insieme fosse cattivo o buono, reale o irreale, a nessuno era importato granché. L'importante era assicurarsi che il nuovo Avatar sviluppasse una spiritualità forte secondo le disposizioni del suo predecessore, nella giovane Repubblica della Terra.
La bimba, traumatizzata dal distacco dalla famiglia e dai primi contatti con la vita burrascosa di Korra, aveva raccontato a tutti di aver ricevuto la visita di uno Spirito Maligno la stessa notte in cui i suoi poteri si erano manifestati, e di averli usati proprio per difendersi dal suo attacco. L'aveva detto e ripetuto a oltranza finché lei stessa non aveva cominciato a dubitare della sua versione. Anche se aveva bagnato il letto per tre mesi ed era stata visitata e curata in segreto da un neuropsichiatra infantile, negli anni successivi aveva maturato l'idea di essersi inventata tutto. Per attirare l'attenzione, per dare forma alla paura dell'abbandono, o perché aveva assorbito i timori e le stranezze di un fratello maggiore che entrava e usciva da un manicomio di lusso.
Ora avrebbe avuto di nuovo i riflettori puntati addosso. La sua faccia sarebbe finita sui giornali e sulle riviste di gossip accanto al volto mascherato di Amon, il criminale che aveva tenuto in scacco Città della Repubblica quando Korra era sua coetanea.
La reputazione della madre meticcia di Gong, la giovane moglie del suo vecchio padre, per la gioia dei tre figli della defunta prima signora Shàn sarebbe stata distrutta. Il nome Yuèguāng, alla lettera “Chiaro di Luna”, sarebbe stato preso come una confessione dell'eredità familiare. Il Dominio del Sangue raggiungeva il suo picco nelle notti di plenilunio, esercitarlo in pieno giorno rivelava sia un lungo e serrato addestramento su cavie vive, sia una forte predisposizione. Quell'arte proibita era ormai più comune di quanto risultasse nei registri ufficiali, ma restava appannaggio di poche famiglie dedite agli incroci selettivi.
«Ti rendi conto di cos'hai combinato, sì o no?» la sollecitò ancora il Maestro.
Gong aprì le braccia e scosse la testa: «Non ci ho pensato! Non ci ho pensato! Mi stava aggredendo con un coso!». Era quasi certa si trattasse di un coltello, ma non aveva percepito alcuna traccia di metallo nella lama. «Non lo poteva usare, quel coso!».
«Sì che poteva. Avresti dovuto capire la finta prima di trovartelo alle spalle. Il Dominio del Sangue è illegale, Gong. L'hai usato davanti a tutti come se fosse un numero da circo e ora...».
«Ora...?».

 

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AUTRICE:
Gong è un mio OC. All'inizio doveva avere 18 anni, poi ho deciso di dargliene 16, però ho visto che c'era un errore sull'età in questo capitolo. L'ho corretto.
Meelo invece appartiene agli autori di Avatar, la Leggenda di Aang/Korra.




 

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Capitolo 2
*** Spiriti ***


2.Spiriti




Fu un processo lampo, a porte chiuse.
Dopo una ramanzina da parte del giudice sulla sua condotta in aula, Gong fu bandita dalla Repubblica della Terra per tre anni.
Fu accompagnata da una scorta militare da Ba Sing Se fino alla costa settentrionale del continente e poi si imbarcò su una nave di ultima generazione diretta al polo: la Tribù dell'Acqua del Nord, patria natale alla sua nonna materna, si era detta felice di darle asilo.
La giovane Avatar rimase serena come una bambina in gita scolastica, finché non si rese conto che nessuno Shan si sarebbe presentato a salutarla. Aveva infangato il nome della famiglia e la pena sarebbe stata più severa e duratura dell'esilio.
Si imbarcò lagnandosi, chiese telefonate che non le furono concesse e prima di partire riuscì a convincere un corriere a recapitare una lettera dettata a un militare della scorta.
La navigazione si preannunciò terribile: la cieca scoprì di soffrire il mal di mare.

 
*

Erano le quattro del pomeriggio, il sole aveva ormai ceduto il posto alla lunga notte polare.
Gong era aggrappata al parapetto della nave incurante dei pericoli e del freddo. Piegata in due, regalava al mare tutto il cibo pieno di burro che aveva mangiato, pregava che il viaggio finisse presto. Ne aveva abbastanza di stare china su un secchio, stava valutando se tuffarsi e proseguire fino alla costa aiutandosi col suo Dominio dell'Acqua.
«Pew!» udì alle sue spalle. C'era un animale a bordo della nave, ma non era né un ratto né un uccello. Sbucò da chissà dove e le si avvicinò fino a sfiorarle un polpaccio. «Pew!».
Gong spostò istintivamente la gamba ed entrò nella forma Avatar per guardarlo: non era un animale, ma uno Spirito dai tratti infantili. Era simile a una minuscola nuvola blu, poco più piccolo di un pallone da beach volley e così leggero da levitare a pochi centimetri da terra. I suoi occhi dorati come monete erano sgranati dal terrore, dal lato sinistro della sua testa si alzava una nuvoletta simile a un pompon che lui agitava senza tregua. La sua omologa destra era deformata e immobile.
«Pew!» ripeté.
Era spaventato, aveva bisogno di aiuto, la pregava di seguirlo. Saltò da solo in mare e scivolò sull'acqua senza bagnarsi. «Pew! Pew!» gridò. «Peew...!».
Il suo verso acuto le entrava nella testa come il pianto di un lattante: Gong si tuffò dietro di lui in Forma Avatar e lo seguì senza pensare. Il piccoletto correva a perdifiato. «Pew!» la chiamava di tanto in tanto, sempre più agitato.
Presto, la nave non fu più a portata d'orecchio.
Il cucciolo sparì nel buio o sotto le onde basse, non si fece più sentire.
Gong si ritrovò in mezzo al mare nella notte artica.
«Ehm... peew...?» imitò maldestramente.
Niente da fare: nessuna risposta.
All'improvviso un predatore alato le piombò addosso con un grido da belva e la disarcionò dalla sua sfera d'aria rotante. L'acqua gelida quasi la paralizzò, ma la sua Forma Avatar la protesse dal freddo.
Si levò sulle onde sorretta da un mulinello e guardò la bestia che l'aveva attaccata. Leggero e silenzioso, con un'apertura alare di almeno sette metri, uno Spirito era in guardia di fronte a lei. Forse era la bestia da cui il piccoletto scappava, o forse era la sua seconda e vera forma. Alla prima occhiata sembrava un enorme pipistrello scheletrico dai canini aguzzi, ma il suo viso non ricordava da vicino il muso di nessun animale. Le sue ali esibivano un cielo stellato in movimento e i suoi grandi occhi allungati brillavano di una fioca luce rosa scuro. Schivò con agilità le lame di ghiaccio scagliate da Gong e le si avvicinò per ipnotizzarla.
Non funzionò, la cieca gli si ribellò e lo colpì in faccia con una frusta d'acqua. Poi si dette alla fuga scivolando sul mare.
Lo Spirito emise il suo forte grido stridente e si lanciò al suo inseguimento.
Quando Gong entrò in forma Avatar per guadagnare velocità e tenerlo d'occhio col Dominio dell'Aria, non c'era più. Da nessuna parte, né in cielo né in mare. La ragazza rallentò e creò una piattaforma di ghiaccio per non sprecare energia.
L'inseguitore era sparito, forse perché la caccia si era rivelata più difficile di quanto pensasse.
Poi una luce improvvisa illuminò il cielo e Gong fu investita da un potente raggio di energia. Raava prese il controllo totale della ragazza e la difese lei stessa. Il corpo dell'ospite divenne azzurro e luminoso come il vetro. Il ghiaccio sotto di lei si sciolse e Gong si ritrovò in acqua mezza svenuta.
La creatura accennò un sorriso malvagio, mostrando due file di piccoli denti aguzzi. Planò su di lei e la raccolse dall'acqua senza sforzo. La tenne delicatamente nella mano scheletrica e parlò con una voce femminile e profonda: «Ma guarda, l'uccellino è vivo! Allora aveva ragione lui: sei piuttosto dura da buttare giù!».
Gong prese fiato, entrò nella Forma Avatar e le soffiò sul viso una vampata di fuoco.
«Ah...!» gridò lei. Serrò le palpebre, scattò all'indietro e lasciò la presa. Mentre ancora strizzava gli occhi si alzò il vento.
La vampira chiuse le ali per non essere trascinata via, ma un attimo dopo sentì la testa in un vuoto d'aria.
Si portò le dita scheletriche alla gola come per spezzare una corda invisibile, cercando disperatamente di respirare. Lottò per alcuni secondi scossa dalle convulsioni, poi la luce rosa scuro nei suoi occhi sgranati si spense.
Non era un vero Spirito, o non avrebbe avuto bisogno d'aria per sopravvivere.
Cadde in acqua a peso morto e tornò a galla ad ali aperte, immobile a faccia in giù.
Gong, che non aveva mai ucciso neppure un animale eccetto insetti e ragni, andò in agitazione. Creò una piccola piattaforma di ghiaccio accanto alla vittima e vi si posò per toccare le sue grandi ali di membrana.
D'un tratto, la creatura si rianimò e la trascinò sott'acqua con sé.
L'aveva ingannata: era veramente uno Spirito.
Era la seconda volta che Gong cadeva in un tranello del genere, ma ora le sarebbe costato molto più di un esilio. Era stanca, la sua riserva d'aria si stava esaurendo e il gelo iniziava ad intorpidirle le membra. Cominciò a pensare di abbandonarsi a una morte prematura.
Prima che uscisse dalla sua Forma Avatar per l'ultima volta, due occhi rossi come braci apparvero nel buio davanti ai suoi. Quello che le parve un gigantesco serpente marino si scagliò contro di lei e la spinse all'indietro, finché l'oceano artico non scomparve come per magia.
Gong si ritrovò a galleggiare nell'aria, in una notte buia e senza stelle né nubi.
Tossì e si rigirò goffamente come se ancora stesse nuotando: non distingueva il sotto dal sopra, non percepiva né terra né acqua nei dintorni.
Il mostro che l'aveva portata lì le si avvicinò mentre ancora scalciava. «Raava...!» bisbigliò. Aveva una voce mentale molto potente, sussurrava solo per non danneggiare l'udito della cieca. «Sembra che tu non mi riconosca...».
Gong gli si rivoltò e tentò di nuovo col fuoco: soffiò una fiammata sulla sua enorme maschera d'oro. Lui avvertì a stento il calore, non accennò neppure ad arretrare.
Fu distratto improvvisamente dalla voce offesa della sua scheletrica complice. «Potevo catturarla io!» lo rimproverò.
Lui continuò a bisbigliare. «No, Lunaala. Tu stavi combinando un disastro».
«Oh, non è vero! Avevo tutto sotto controllo!» si indignò lei. «Mi ero solo scordata della modalità “sputafuoco”».
Il drago scosse la testa. «Stavi facendo un casino. Primo, il freddo li danneggia troppo: si ammalano, tossiscono e poi muoiono. Secondo... tu la stavi affogando».
Parlava come un irritante saputello qualunque ma ricordava, nel complesso, un enorme centipede o persino un gigantesco serpente. Le sue sei ali a tentacolo terminavano con degli aculei rossi, sei spuntoni foderati di un metallo dorato gli proteggevano i fianchi, mentre il petto e l'addome a bande trasversali rosse e nere erano scoperti.
«...prima fingi di darmi carta bianca e poi pretendi che le cose si facciano sempre e solo a modo tuo. Ogni. Santa. Volta. Deciditi!» gli stava dicendo la vampira di nome Lunaala. «Tu...».
«Ma chi siete?!» la interruppe Gong, disperata.
Avrebbe dovuto starsene zitta.
La vampira sorrise e volò verso di lei. «Ra-a-ava...!» scandì in tono un po' canzonatorio, un po' di rimprovero. «Noi due non ci conosciamo, ma per lui credevo avessi una memoria... migliore!».
Il demone sbuffò.
«Tu sei quello che mi ha spaventata da bambina!» piagnucolò la cieca, rivalutando tutte la sue ore di psicanalisi e meditazione.
«Non parlava con te, sporca umana!» la rimproverò lui. Tenere la voce bassa in quel momento era un vero sforzo. «E tu, vecchia maledetta... lo so che puoi sentirmi! Non ti ricordi di me? Non hai idea di chi io sia?!».
Si stava arrabbiando, i suoi occhi mandavano lampi.
Lunaala gli prese la testa tra le mani da chirottero e lo costrinse delicatamente a voltare il muso verso di lei. «Calmati...!» gli disse. «È chiaro che non ti riconosce, non è la fine del mondo».
Il drago tacque, imbambolato. Ma appena girò lo sguardo si accorse che Gong si stava allontanando, e per lui fu l'ultima goccia.
«E' la sua fine!» urlò, lanciandosi al suo inseguimento.
Lunaala cercò di afferrarlo per la coda senza successo. «No! Giratina!» gli gridò dietro. «Non possiamo buttare via altro tempo!».
Se l'avesse uccisa, avrebbero dovuto attendere la maturazione di un altro Avatar. Raava si sarebbe preparata meglio per contrastarli, mentre il suo nuovo lato umano avrebbe potuto essere cocciuto e combattivo, o svogliato e indolente, troppo tranquillo o troppo irascibile, troppo coraggioso o troppo prudente. Avevano trovato la natura adatta e non potevano perderla per niente.
Giratina si lanciò contro la povera ragazza e la superò alla velocità di un'auto in corsa. Poi fece un giro della morte e tornò indietro per passarle di nuovo accanto. Lei era visibilmente disorientata, non aveva modo di difendersi. Chiamò a sé una roccia vagante che si dissolse spontaneamente prima di raggiungerla, cercò invano di influenzare il metallo indossato dal drago e poi di tenerlo lontano con un soffio infuocato.
Nulla da fare: giocava con lei come un'orca assassina con la preda.
Lunaala cercò di difenderla mettendosi tra lei e l'altro Spettro. Poiché le dava le spalle non si accorse della luce che stava invadendo il suo corpo. Raava uscì dall'ospite rimanendo agganciata ai suoi occhi e alla sua gola, la sua luce brillò nel crepuscolo violaceo come un piccolo sole. Gong rimase esanime, sospesa nel vuoto con la bocca semi-aperta e gli occhi spalancati. Giratina si era allontanato appena aveva capito le sue intenzioni, Lunaala era stata investita dal bagliore e aveva perso immediatamente i sensi.
«No..!» urlò il dragone, e si tuffò nell'aura per raggiungerla. Incurante del dolore e delle ustioni sulla pelle grigia, la afferrò con la finta mandibola a tenaglia e la trascinò con sé nella penombra, al sicuro.
Raava, coi suoi dieci metri di altezza e il suo corpo bidimensionale, non sembrava neppure fuori posto in quel mondo alterato.
Guardò il drago fantasma e parlò nel suo linguaggio semi-spirituale: “Qílādìnà! Come... come ti sei ridotto?!”.*
Lui lasciò andare la sua amica e scattò in avanti come per aggredirla. “Non lo sapevi, vecchia figlia di un tappeto?!”.
“No... non ne avevo idea” gli rispose. Non mentiva: non aveva mai più pensato a lui o ai suoi simili dopo essere fuggita dal loro Universo, non si era mai domandata quale effetto avesse avuto su di loro restare fuori dalla sua influenza.
Vaatu l'aveva raggiunta e sfidata alla Convergenza Cosmica successiva, gli altri erano rimasti imprigionati nel loro mondo e lei se ne era completamente dimenticata. E il suo eterno avversario, che eccezioni a parte non li aveva mai avuti in simpatia, non aveva fatto nulla per ricordarle dei suoi vecchi alleati.
“Non sapevi che... bugiarda!” la accusò il serpente.
Il Grande Spirito della Luce non lo ascoltava, si guardava intorno covando angoscia. Non vedeva stelle, né pianeti, né forme di vita mortale. “Cos'è successo?”.
“Ci hai lasciati nell'Ombra, ecco cos'è successo! Vaatu si è trattenuto qui per più tempo di te e questo Universo è rimasto polarizzato verso di lui. Noi, noi Spiriti, ne subiamo ancora le conseguenze”.
“Questo l'ho intuito, la mia domanda era un'altra: il Mondo Materiale è scomparso?”.
“Ahimè... no. Questo è “l'altro lato”. Ma anche il resto non ti piacerà”.
Raava si allarmò. “In che senso?”.
“Vedrai” ridacchiò Giratina.
Lo Spirito guardò oltre il corno sinistro della sua maschera. “La tua amica sta andando alla deriva” lo avvisò con un cenno, cancellandogli l'espressione divertita dagli occhi rossi.
Il dragone si voltò perplesso e si precipitò a recuperarla. Il suo ectoplasma blu ustionato si rigenerava velocemente, presto si sarebbe ripresa da sola. Giratina la tenne accanto a sé mentre riprendeva la sua chiacchierata. “Beh, neanche la tua sta bene” osservò. “Adesso torna dentro di lei: il pianeta è invaso dai suoi simili, ci si troverà bene”.
“Im...possibile. Sono passati al massimo cento cicli, è ancora un mondo primordiale. È troppo presto per la sua specie”.
“Presto? Non siamo più voncolati alle tue regole, Grande Spirito del Buonismo e del Natale. Dialga ha accelerato i tempi e Palkia ha dato un contributo alla contaminazione importando umani da altri universi. Per te sono passati cento cicli, ma il pianeta ha avuto la sua regolare evoluzione e adesso ospita la loro brutta specie. Non so perché abbiano deciso di introdurla: ad oggi è la fonte della maggioranza dei nostri problemi. Ma tu... non correre. Segui le mie regole e alla tua umana non sarà fatto del male”.
“Non dire sciocchezze, non hai bisogno di ricattarmi. Dimmi cosa vuoi e basta”.
“Uccidere il mio creatore. E i miei due grandi rivali, i miei cosiddetti fratelli”.
“Qiladina... non credo di poterlo fare. È la tua unica richiesta?”.
“No, ma tutto il resto passa in secondo piano”.
Raava sospirò. “Parlami di tutto il resto”.



 
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Autrice: non voglio scaricare nvu perché ho già abbastanza problemi coi miei programmi di scrittura che si odiano a vicenda. L'editor di efp mi pare complicato quindi a me basta che le parole si leggano (a voi no... eh, vedrò cosa potrò fare in futuro). Ho pubblicato in fretta perché questa parte è molto connessa alla precedente, ora rallenterò. Questo capitolo è il primo punto di contatto tra i due fandom, e qui si vede il motivo dell'avvertimento OOC. Nel senso, Giratina non ha quel carattere, in ogni sua manifestazione non parla e si comporta come una bestiaccia. Facciamo che faceva finta per disprezzo verso i comuni mortali, ok? Capita in Avatar che gli Spiriti non accettino di parlare coi mortali. Lunala nel manga non è ancora comparsa (la chiamerò Lunala, Lunaala è una storpiatura sua) e non so bene che ruolo avrà, perciò facciamo che questo è un esemplare diverso da quello del manga.
Un consiglio sul versante delle tematiche delicate se avete deciso di continuare a leggere: per favore, pensate da politeisti.
*NOTA IN RITARDO: non so se l'ho scritto nel testo o si intuisce, ma quando scrivo " e " significa linguaggio pokemon, mentre le virgolette basse « e » indicano il linguaggio umano.
Buone giornate.

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Capitolo 3
*** Giratina ***


3.Giratina


«Bene. Bene. Bene. Shan Yuè Guang di Yong Gu Cheng...».
«Vengo da Ba Sing Sé» lo corresse lei.
Lunala alzò gli occhi al cielo, esasperata. Se ne volò via cercando di non attirare l'attenzione: la conversazione sarebbe stata lunga e noiosa, il drago non mancava mai di vantarsi di esserci “sempre” stato. In più, lei aveva dimenticato il suo cucciolo nel nascondiglio sicuro in cui l'aveva lasciato. Non era la prima volta che si scordava di andarlo a prendere: se Giratina se ne fosse accorto, pur rimanendo indifferente alle disavventure del piccolo, l'avrebbe rimproverata e sbeffeggiata.
Il dragone la seguì con lo sguardo mentre si allontanava. «Ah, se l'è ricordato...!» sussurrò fra sé.
Tornò a rivolgersi alla giovane umana senza perdere d'occhio l'orizzonte. «Bat Sing Si...» ripeté soprappensiero, adattando il nome al suo accento. «Non è colpa mia, se non sai leggere».
«Che simpatico..!» sbottò la cieca.
Finalmente, Giratina abbassò gli occhi rossi su di lei. «Cosa...?».
«Sì che so leggere!» si arrabbiò Gong. «Leggo il Mandarino in Braille! Ma la città si chiama Ba Sing Sé, la chiamano tutti così!».
Il demone scosse la testa. «Cinquemila anni fa, Ba Sing Sé era una fortezza insignificante» cominciò. «Quando è cresciuta ed è diventata il centro urbano più potente del Regno, ha avuto bisogno di un nome altisonante. L'alta nobiltà ha tentato di cambiarlo in Wing Gu S... Yong Gu Cheng, la Città Eterna. Ma il popolo analfabeta ha continuato a chiamarla Ba Sing Sé. La plebaglia ha avuto la meglio, non significa che abbia ragione».
«E io ho capito perché qui non c'è nessuno» mormorò Gong. Poi alzò la voce, imbarazzata. «Beh, non ero brava in Storia. E tu... come sai queste cose? Leggi?».
«Meglio della maggioranza di voi, Saan Yuht Gwong. Ma osservo quel covo di disperazione e germi da quando era poco più di un mercato. Tanto per intenderci, razza di suora cenciosa: resterai qui in quarantena e Lunaala si occuperà di te. Perciò dovrai cavartela da sola. E intanto vedrà di insegnarti qualcosa del mondo che dovrai affrontare... perciò dovrai ascoltare me».
Le si avvicinò con aria minacciosa finché lei non sentì il suo fiato gelido sul viso. «Vedi di imparare in fretta».
La monaca sbuffò. Non aveva voglia di studiare o impegnarsi in un nuovo allenamento, non poteva neppure pensarci. Quindi cercò di deviare il discorso: «E' “la gnocca senza cervello” o sei solo troppo cattivo con lei?» gli domandò.
Giratina rimase ammutolito.
«Cosa...?» bisbigliò poi, perplesso.
«Lunaala. Ti piace, è chiaro come il sole che ti piace. Però la tratti da stupida. È una stupida o...?».
«Raava, fai tacere questa scimmia!» sbraitò lui. Poi abbassò la voce ad un sussurro minaccioso: «Non hai idea di cosa stai rischiando, sporca umana!».
La cieca si zittì: troppo spesso parlava senza ragionare anche in pubblico, o si prendeva tanta confidenza con gli sconosciuti da risultare offensiva. Adesso aveva toccato uno dei numerosi nervi scoperti di un demone dal carattere difficile e se avesse nutrito qualche dubbio sul giudizio di Raava, avrebbe di nuovo tentato la fuga. Invece rimase lì dov'era, con lo stesso sorriso di un Cosmog stampato sul viso. Il demone sentì un moto di avversione verso di lei, dovette combattere col il desiderio di aggredirla. La madre spirituale del suo universo si era rifugiata nel corpo di una ragazzina insignificante e in quello di una donna cocciuta prima di lei, di uno paio di smidollati, di una pazza, di un idiota che aveva perso la vita e la sua sfida personale inseguendo la propria nemesi, e via via andando a ritroso nel tempo fino all'inizio di quel ridicolo sodalizio tra l'umano e il divino.
«Non ti piacciono gli umani, eh?» continuò la monaca con aria serena. «Vorrei tanto presentarti a Wan Shi Tong»
«Maan Si Tung...» ripeté lui nella sua cantilena piatta. «Già il nome non mi piace. Ho avuto abbastanza scontri con Yuksie quando ancora mi parlava. Non mi serve un altro “che conosca migliaia di cose” tra le scatole».
«Beh, litighereste come due gatti: siete uguali e scommetto che avete punti di vista diversi. Tu lo sai come funziona la radio, almeno?».
«La radio?».
«Sì. È una storia buffa: settant'anni dopo aver tagliato i ponti col mondo degli umani, il Signor Barbagianni credeva che nella radio vivesse un omino».
«Hah, come i bambini e i dementi!».
«Sì, infatti. È un anti-tecnologico vero, non credo si sia mai aggiornato. Nella sua biblioteca, mi dicono, non esiste una sezione dedicata all'elettronica. Quindi tu potresti fare il saccente anche con lui, se ne sai qualcosa».
«Mio “fratello” Dialga è un'intelligenza artificiale, una macchina pensante. Perciò neppure io amo l'elettronica».
Gong gli rivolse un sorriso sciocco. «Sei un fratello d'oro. E poi vorrei presentarti anche Koh».
L'altro fu scosso da un brivido lieve, la sua blanda allegria sparì. «E' il Ladro di Facce, il figlio reietto della Madre dei Volti. Lo conosco già».
«Sì...?! Ed è per colpa sua che porti la maschera?».
Il dragone scosse la testa, infastidito. «Troppe domande! Troppe domande! Lercia scimmia da monastero, cosa ti fa pensare di poterti prendere tanta confidenza con me?!».
Gong scrollò le spalle. Aveva l'impressione che le distanze fra loro si fossero improvvisamente allungate, per colpa di una domanda importuna. Il dolore di essere ogni volta respinto dalla sua fiamma era niente in confronto a quello di aver perso il rango di divinità, seppur maligna. Le somiglianze tra la sua storia e quella di Koh, diventato per ripicca l'opposto della propria madre, gli rendevano l'argomento ancora più sgradito. E mentre Koh era un collezionista, Giratina era diventato un pezzo da collezione.
Ormai era tornato lo sconosciuto antipatico di prima e i suoi insulti si sarebbero fatti sempre più pesanti. Gong era curiosa di scoprire dove si sarebbe fermato.
«Raava ti conosce» gli spiegò. «Se ti ritenesse un pericolo mi avrebbe avvisata, bella la mia larva troppo cresciuta».
Il demone sembrava sempre più arrabbiato. Il suo corpo tremava. «La vecchia non mi conosce affatto!» urlò. Fece per andarsene, poi si rigirò e tornò a correggere la sua interlocutrice. «Non sono una larva. E quello che porto non è una maschera, è un elmetto. Sei più... stupida di quanto sembrassi nel tuo ambiente naturale».
«Va bene, è un elmetto» si arrese Gong. Un elmetto inutile contro gli attacchi dei suoi simili, ma adatto a coprirgli il muso già poco espressivo. Il vizio di Koh era di rubare il volto a chiunque gli mostrasse emozioni, maschere e facce inespressive erano necessarie per evitare guai nei suoi terreni di caccia. Le voci non gli interessavano, e infatti la voce telepatica di Giratina era tutt'altro che monotona. La ragazza allungò lentamente le dita verso il metallo tiepido dell'elmetto e il dragone si ritrasse. «Giù le mani!» protestò.
Raava non l'aveva frenata e il demone fino ad allora aveva fatto solo scena, ma forse lei si stava oggettivamente prendendo troppe libertà.
Lasciò cadere il braccio.
Lunaala ormai era di ritorno, con Cosmog appollaiato tra le sue strane orecchie a mezzaluna. Vide l'umana ancora incolume e tirò un sospiro di sollievo. «Che mi sono persa?» domandò allegra.
«Il tuo cucciolo storpio» le rispose acre Giratina.
Il piccolo, prima sereno e ignaro dell'errore, si rabbuiò e guardò la madre con aria di rimprovero. Il suo commento fu un «Peeew...!» discendente, deluso.
Lunaala parve sinceramente dispiaciuta. «Oh...! Lo so, tesoro... perdonami! Mamma è sbadata...».
«Pew, pew... pew... pew, pew... pew!».
«Ma quanto parli! No, per noi non esistono i servizi sociali. Non dare retta al dragone cattivo: la mamma ti vuole bene».
Il cucciolo rimase imbronciato e fece per andarsene. Appena si staccò dalla madre, gli occhi di Giratina caddero su di lui e lo seguirono con l'attenzione di un predatore.
“Cosmog, torna subito qui!” sbraitò la vampira. Il gioco era finito, il piccolo impallidì e fece dietro front. Lunala aveva sempre temuto che un esserino così piccolo e fragile scatenasse istinti assassini nel dragone fantasma, tanto da non lasciarli mai soli insieme. “Dietro di me, forza!” intimò al figlio.
Poi si scagliò contro il drago. Lanciò il suo grido simile a un ruggito, contrasse il viso in una smorfia e mostrò i canini aguzzi.“Tu fa' di nuovo quella faccia e io ti ammazzo, capito?!”. E lo colpì con forza sulla maschera.
Gong entrò nella Forma Avatar solo seguendo la reazione di Raava.
“Ti scuoio, mi faccio un bel vestito con la tua pellaccia!” continuò la vampira, pazza di rabbia. Giratina si raccolse in spire per guardarla dal basso in alto. La paura non era ciò che gli si leggeva negli occhi e la sua risposta spinta la lasciò spiazzata. Lei scosse la testa come per scuotersi di dosso qualcosa: Giratina era solo un cucciolo. Mostruoso, immortale, primogenito di un dio, ma pur sempre un cucciolo.
“Smettila di parlarmi così!” lo rimproverò. “Ti ho già detto...!”. Si interruppe e si calmò. Non voleva parlare di predatrici sessuali davanti al suo piccolo e innocente Cosmog. La presenza del Grande Spirito della Luce e della Pace la metteva a disagio, mentre la giovane monaca la lasciava indifferente. “Non hai idea di quanto sarebbe traumatico, per te”.
“Traumatico....” ripeté sottovoce il demone. “Tsk... un giorno, Lunaala, mi stancherò delle tue ridicole scuse”.
Volò nella direzione di Cosmog e Gong che per motivi diversi si erano persi il senso del discorso li superò senza degnarli di uno sguardo e scomparve in lontananza alle loro spalle.
Lunala non seppe nascondere il suo imbarazzo. «È testardo e confuso, non si rende conto di quello che dice».
«A me sembra che abbia le idee piuttosto chiare».
«Lascia perdere».
«Pew!».
«Tu sta' zittino».
«Pew...».
«Te lo spiego al tuo Battesimo del Sole».
«Pee...!».
«No, dimenticati della luna. Non devi diventare come mamma».
«Pew».
«Ora vai a giocare. Vai, che Giratina è lontano!».
Il piccolo fece un giro attorno a Gong, la toccò con l'appendice sana e la invitò a inseguirlo.
Poiché la ragazza non si muoveva, la madre si indispettì. «Gioca con lui» la invitò in tono secco. «Non ha nessuno, a parte me».
Gong sfoderò il suo arsenale di proteste da poverella: «Non posso rincorrerlo! Non ci vedo, la terra qui si percepisce male! E se inciampo?».
«Lo farai ridere. Avanti, inseguilo».
«Pew!» incalzò allegramente il piccolo. Non si rendeva conto di aver partecipato a un crimine, né di trovarsi di fronte alla vittima.
Gong si mise a braccia conserte e scosse la testa. «No».
«No...?» le fece eco Lunala, sempre più irritata.
«No» confermò lei.
Gli occhi dorati di Cosmog cominciarono a luccicare.
«Signorina, che faccia tosta!» la rimproverò Lunala.
«Vi servo viva. E con tutte le dita. Non ho voglia di giocare con lui, se ne faccia una ragione».
Il cucciolo scoppiò a piangere. Il suo era indubbiamente il grido di un piccolo dio, potente quasi quanto la voce di Giratina.
“Oh no, tesoro! Non piangere! È una tata cattiva...”.
Dunque si rivolse alla monaca ringhiando: «Gioca con lui o ti strappo metà dei capelli. Guai a te se lo farai sentire rifiutato ancora, intesi?».






:::







Autrice: salve a tutti. Lo so che tre giorni fa avevo detto che avrei rallentato ma la cosa avverrà adesso, parola di marmotta. Mi rendo conto che fino ad ora sia OOC soprattutto sul versante Pokémon ma non mi pareva così “blasfemo” dare una personalità "umanoide" e definita ai Leggendari. Soprattutto considerando i film, anche se qui mi riferisco al manga. Contando che in Avatar gli Spiriti hanno un aspetto e un comportamento nei confronti degli umani non del tutto dissimile dai pokemon, e in certi momenti certi Pokémon sembrano riflettere a specchio la personalità e i comportamenti del loro Allenatore come se ne fossero pesantemente influenzati (o viceversa), e la cosa viene proprio puntualizzata (per es. Salazzle con Plumeria, Pichu col ciuffetto e Togepi "cattivo ragazzo" con Gold, eccetera) ho pensato che sovrapponendo i due mondi potesse esserci qualche corrispondenza tra la natura degli Spiriti e (soprattutto) quella degli Spettro. Anche se i Pokémon sono mostri e quindi esseri materiali, mentre gli Spiriti possono diventare materiali a loro piacimento, ma tecnicamente non lo sono. Tenete conto che il fantasma come entità "semitrasparente" l'ha inventato il cinema occidentale, la tradizione orientale - vedete "La Città Incantata", o più banalmente di Yokai - vuole manifestazioni molto più concrete.
 
 



*Il cinese parlato in Avatar non si sa bene come venga pronunciato, per comodità lo farò corrispondere al mandarino ma probabilmente pesca da altri dialetti e lingue orientali. Si sa solo che è scritto in caratteri tradizionali come l'attuale cantonese (ma non solo), lingua considerata per certi versi più conservatrice del mandarino. Il cantonese è quello che qui Giratina parlerebbe se Gong fosse in grado di capirlo. Gliel'ho fatto parlare per capriccio e perché alcuni ritengono che sia la lingua più difficle del mondo. Ok, discorsetto finale finito. spero di essere stata comprensibile.

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Capitolo 4
*** La ragazza senza passato ***


4.La ragazza senza passato




Gong non si sentiva a proprio agio sulle spiagge, la sabbia non le restituiva vibrazioni. In più, mai una volta in vita sua era stata costretta a scappare urlando da una bestia tanto mostruosa, nella spenanza che qualcuno la sentisse. Giratina l'aveva portata lassù e Lunala aveva aperto un portale magico. Dopo lunghi minuti di attesa nella notte tiepida, dal varco era uscita una brutta creatura simile a una fortezza di mattoni grigi, con tanti occhi e quattro zampe. Un colpo di fortuna, a detta di Lunala. Il mostro aveva cercato di tornare indietro, ma il portale si era già chiuso e aveva perso i suoi alti livelli energetici. Allora, l'alieno si era subito concentrato su Gong, spinto dalla fame e attirato dal lieve alone di energia che la ragazza emanava dopo una breve visita nel suo universo di provenienza.
Ma era pesante, con le sue quattro zampine di roccia sprofondava nella sabbia come una costruzione abusiva.
Gong gli stava scappando sotto il suoi cento occhi, perciò aveva cercato di abbatterla a distanza lanciandole delle rocce apparse dal nulla. Non erano sotto Dominio e la cieca era riuscita a frenarle e rimbalzargliele contro.
Tuttavia, in quel momento aveva capito di dover avere paura.
L'aveva colpito più volte imprimendo alle sassate la maggiore energia possibile, poi gli aveva buttato addosso una gran quantità di sabbia per farlo arenare. Qualcosa nella rena aveva urlato, una specie di piccolo monticello di sabbia in cui un bambino aveva lasciato la paletta era stato sbalzato contro l'invasore. Da allora era stato lui a doversi difendere, aveva cominciato a colpire lo Stakataka con i suoi disperati attacchi.
Mentre lui combatteva, Gong si allontanava dal mare correndo e urlando come una principessina in pericolo. La spiaggia si animò tutt'intorno a lei, dando forma ad una folla di complessi castelli di sabbia più grandi del monticello, ma con lo stesso tipo di paletta rossa conficcata nella cupola sulla torre centrale, tra due torri laterali più piccole.
A furor di popolo, la struttura abusiva in pietra fu abbattuta. O meglio, svenne.
Solo allora qualcuno si degnò di rispondere alle urla della cieca.
«Come on, why do you scream so loud?!» le domandò la voce apatica di un'adolescente. Piccola di statura e minuta, sembrava molto più bambina di lei. Era fuori casa alle cinque del mattino, aveva una zazzera di capelli viola e indossava un vestito scuro, scucito e e rattoppato. Indicò la creatura di roccia col braccio teso: «Look, it fainted...».
Pareva straordinariamente abituata a quelle manifestazioni mostruose.
«Me... fear! He attacked, attacked... chasing me...!» replicò sconvolta le cieca, zoppicando in una lingua scoperta solo poche settimane prima.
«You're a turist. My... ghost...! What are you doing here?».

 


*




Dopo quell'accoglienza così fredda, Gong era stata soccorsa e portata in una specie di ospedale. In realtà si trattava di un centro di accoglienza, orfanotrofio, e rifugio per Pokémon abbandonati o storpi o piccoli, o con troppi difetti fisici per essere ricatturati.
Era nata come succursale di una fantomatica Fondazione piena di soldi che lavorava coi Pokémon e studiava le creature provenienti da altri Universi. I primi contatti si erano già verificati millenni addietro, con l'arrivo ad Alola delle due Ultra Creature “viaggiatrici di Universi” chiamate Solgaleo e Lunala. Tuttavia negli ultimi anni erano diventati molto più frequenti.
Lunala più dei suoi simili aveva contribuito a ridurre il continuum a un colabrodo proprio in corrispondenza dell'arcipelago, in parte per necessità e in parte per dispetto.
Ma questo era uno dei suoi segreti.
Tra i dipendenti della Residenza Aether, Gong si era finalmente trovata nel suo luogo ideale: al centro dell'attenzione, come in monastero.
Prima le e erano stati dati dei vestiti nuovi, perché era arrivata col Parka e con quello si sarebbe sciolta, se il sole tropicale avesse deciso di sorgere ancora.
Poi le erano stati prelevati un campione di sangue, un campione di saliva, un campione di pelle, un campione di capelli e altri campioni più imbarazzanti.
Un dipendente in divisa bianca, l'unico tra i presenti che masticasse una parvenza di cinese, era venuto a spiegarle il perché di quel campionamento selvaggio e a farle delle domande. Le risposte furono assai confuse: lei si chiamava Yueguang, gli amici la chiamavano Gong, veniva dal continente e dalle montagne. Alte montagne. La precisione con cui aveva indicato il suo luogo di nascita era degna di un navigatore satellitare spento.
L'ultra-energia riscontrata nello spessore della sua pelle, nel suo sangue e nelle sue urine spiegava la sua parziale amnesia. I casi come il suo avevano finito di stupire gli Aloliani da molto tempo. Da almeno un anno, quindi lei per loro rientrava nella routine.
Due giorni dopo, ad analisi finite, l'ospite fu invitata a lasciare la struttura e a rimanere nei paraggi, anche in tenda. La ragazza stava per prendere l'uscita senza né soldi né bagagli quando un nuovo arrivato le chiese di seguire con gli occhi una luce, una piccola torcia da oculista.
Per due giorni tutti avevano interpretato la sua reticenza a guardare gli altri negli occhi come la stranezza di una mente confusa, di fronte alla prova fallita le ordinarono di stare ferma dov'era e si misero a confabulare. Se avessero mandato via senza aiuti una disabile e la voce si fosse diffusa, qualcuno più in alto di loro li avrebbe licenziati in tronco.
Sussurrando si accusavano a vicenda. «She's blind, how coudn't you notice it?!».
«Nobody did!».
«She's pretty independent. She does everything alone!».
«Maybe it's the U.E.-influence...».
«So, you're saying she developed some kind of... paranormal sense?».
Su tre persone vestite uguali, tre accenti diversi. L'Aether attirava gente da tutto il mondo, doveva essere piuttosto prestigiosa.
«It may be» fu la conclusione.
La tirarono indietro e la rimisero nella sua camera. Poi fecero telefonate a destra e a manca per ulteriori visite, approfondimenti, e per l'assegnazione di un cane guida.


*



Il cancello del parco della Residenza Eather si aprì a un tredicenne accompagnato da un Mimikyu. Il ragazzo studiò gli orfanelli seduti sul prato: alcuni erano bimbi e altri già sedicenni. La cliente, cieca, era una spilungona in verde semi-mimetizzata con l'erba. Stava ascoltando alla radio una complicata discussione in inglese sulla riclassificazione dei Pokémon e sulla recente riassegnazione dei Tipi, in particolare del Tipo Folletto. Gli studi di approfondimento erano ancora in corso, la mentalità conservatrice di Kanto e lo stra-potere del Campione Lance, specialista di Tipo Drago, a Johto, erano le principali ragioni del ritardo con cui il tale Tipo era stato accettato e attribuito ad alcuni Pokémon prima classificati diversamente. Ma non erano le uniche. Alcune specie infatti dimostravano solo pochi tratti utili alla classificazione vigente, che col tempo avrebbe persino potuto rivelarsi restrittiva o sbagliata.
La cieca tentava di seguire con tutte le sue forze la discussione, ormai trasformatasi in un monologo del vecchio Professor Samuel Oak, ma aveva la fronte corrugata e l'aria di comprendere una parola su dieci.
Il corriere, Sun, le si avvicinò cercando di ignorare la trasmissione radio, per non buscarsi un mal di testa.
«Yueguang Shan?» domandò alla ragazza.
Lei spense la radio.
«Sono io» rispose.
«Ho qui il tuo cane-guida».
Sun aprì la valigetta con cui era arrivato mentre si ripassava il protocollo di consegna sul tablet. La valigetta aveva l'interno imbottito, in una tasca speciale c'era una Pokéball completamente bianca e marcata con un numero in rilievo. Il ragazzo la prese e la attivò lasciando uscire l'esemplare al suo interno. Non era un Lillipup inviato da Unova, ma un Rockruff autoctono inserito in un gruppo sperimentale per un nuovo modello di addestramento.
Sun decise di semplificare tutto. «Questo è Randal» lo presentò. «È un Rockruff, Pokémon Cagnolino. Lo accetti o ti sentiresti più sicura con un Lillipup?».
Gong tacque e fissò il vuoto, cercando le parole per spiegargli che non aveva capito.
Il corriere se ne accorse da solo.
«Ah... aspetta...» fece.
Compose un numero sul cellulare e restò in attesa per più di un minuto. «Moon...?» domandò poi. «No, non voglio gli antidolorifici. Ascolta, ho un problema: devo consegnare un cane guida ma la cliente è cinese o... Yue Guang Shan... sì, lo pronuncio male... sì, è cinese. Fatto sta che non ci capiamo. Se ti metto in viva-voce, puoi tradurre quello che dico?».
La ragazza all'altro capo del telefono accettò, lui ripeté quel che aveva detto e lei lo tradusse in cinese mandarino.
Gong batté perplessa le palpebre. Senza pensare alla traduttrice, provò ad esprimersi direttamente in inglese: «Quanto divelso da Li-Li-Pa?».
Le rispose direttamente il telefono, in cinese: «Beh... Lillipup ha una linea evolutiva è più “domestica”. Con Rockruff, dovrai seguire i suoi ritmi e lasciarlo libero quando attraverserà la sua fase di ribellione. Tornerà da te evoluto e allora riprenderete la routine».
Randal aveva gli occhi azzurri e il manto marroncino, la coda alta di un cane lupoide e delle piccole pietre dure affondate nella pelliccia attorno al collo. Quando Gong gli si avvicinò non abbaiò, non fece chiasso: nonostante la giovane età, sembrava volersi dare un'aria professionale.
«Accetto» dichiarò Gong.
«Bene!» fece Sun. «Fanno quaranta dollari. Ti strappo una ricevuta».
La ragazza di nome Moon, dal telefono, tradusse: «In bocca al lupo, Yue Guang».
«Xiè xiè» ringraziò la cieca.
Sun si rivolse a bassa voce al cellulare: «Non ho sentito la parola “dollaro” né niente che le assomigliasse».
«Le tue ricevute sono false, Sun. Fatti pagare dalla ditta».
«Io ho perso la giornata, per venire qui!».
«E sarai pagato per il disturbo. Ma non da lei».
Mentre discutevano, la cieca si chinò sul cagnolino e lo grattò sotto le orecchie. «Ciao La... La... Landal...» lo salutò.
Il cucciolo abbaiò in risposta, ma senza scodinzolare. Prese a muovere la coda solo quando la ragazza lo prese inaspettatamente in braccio e cominciò a cantilenare in cinese con una voce da coccole. Il Mimikyu, un tipo sentimentale, allungò il suo braccio di ectoplasma e prese la mano del suo Allenatore.
«E va bene, faccio un fioretto».
La cinese sembrò accorgersi solo allora del fantasma, forse perché lui aveva appena emesso un verso roco e un sibilo. «Cosa è “khh-khh-khh-shhh”?» imitò.
«E' un Mimikyu. Si chiama Frank».
«Ah. È un pokimon...».
«Sì, Spettro/Folletto».
«Dove tlovale?».
«In genere stanno nell'area del Super-Market Affaroni, quello abbandonato».
«Ah...».
«Ma non è una zona molto sicura» si affrettò a precisare il corriere.
«No, no. Io sapele...».


 
*
 



Gong si sentiva in vacanza, e pure più leggera. C'era una lieve differenza tra le dimensioni e la massa del suo pianeta nativo, più grande, e quelle del pianeta su cui si trovava, più piccolo. Questo influiva sulla forza di gravità che era un briciolo ridotta. Non tanto da darle un grosso vantaggio fisico sugli uomini della sua stessa taglia, ma abbastanza da renderla goffa.
Comunque, aveva già appurato che i Pokémon di tipo Lotta erano da due a cento volte più forti di lei. E anche gli altri non erano messi poi così male: una mezza cartuccia con le ossa cave, imparando la mossa adatta, poteva sollevare in volo un uomo o un carico pesante.
I mostri raggiungevano livelli a cui un animale, per quanto muscoloso e massiccio, non avrebbe mai potuto avvicinarsi. Se non avessero avuto l'istinto naturale di seguire dei rigidi codici nel combattimento, molto più rigidi e complessi dei semplici “dominanza o sottomissione”, “attacco o fuga”, avrebbero distrutto se stessi e il pianeta in pochi anni.
Mentre li osservava di sottecchi e si informava su di loro dalle trasmissioni radio del professor Samuel Oak da Kanto, l'aliena Gong faceva danni e rompeva bicchieri rafforzando negli altri l'idea della sua invalidità, e gironzolava per Ula Ula Island stando attenta a non inciampare o cadere dalle scalinate.
Non le avrebbero mai dato un Pokémon da usare in battaglia o permesso di iniziare il Giro delle Isole, sia perché non era autoctona sia perché secondo loro sarebbe scivolata giù da un burrone. Perciò occupava il suo tempo come poteva, esplorando il territorio e studiando la popolazione.
Uno dei suoi primi tour solitari, o meglio in coppia con Randal, fu al supermarket abbandonato.
Voleva vedere un Mimikyu, era curiosa. Non aveva potuto accedere alla Forma Avatar davanti al corriere e da semplice umana non era in grado di percepire né l'ectoplasma, né la stoffa, né il legno.
Randal le faceva strada in quel territorio pericoloso sfoggiando una certa alterigia, forte della sua ingenuità di cucciolo. Mentre i due si avvicinavano al Supermercato, mille occhi li spiavano nascosti in pieno giorno. Alcuni Spettri non gradivano mai le visite degli umani, altri aspettavano delle vittime ignare per i loro brutti scherzi.
Gong entrò nell'edificio deserto confidando negli occhi del suo Rockruff e nei suoi sensi paranormali.
Fu allora che la porta si richiuse da sola alle loro spalle.
Randal si spaventò, fu sul punto di recalcitrare. La cieca rimase indifferente. Nessuno, a detta di Lunala, nessuno Spettro in quel mondo poteva essere peggiore di Giratina e di lei medesima.
Gli oggetti cominciarono a spostarsi. Prima un pupazzo volò davanti al suo viso, poi un carrello le tagliò la strada sfiorando le zampe del cane. Gong lo spinse via come se niente fosse e continuò a cercare la stanza nascosta a cui Acerola le aveva accennato nelle sue amate storie dell'orrore.
Poteva essere una favola, ma secondo le leggende metropolitane una Mimikyu viveva lì. Era la Dominate dell'area, era molto forte e molto sola. Ogni tanto riceveva visite, tuttavia non era apprezzata per il trattamento riservato agli ospiti.
Gong cercò a tastoni una porta nel muro. Non percepiva interruzioni nelle impurità del cemento, non c'era legno secondo i suoi sensi estesi. Ma poteva sbagliarsi, il tatto restava più preciso e affidabile.
Randal cominciò a lamentarsi mentre qualcosa gli tirava la coda e poi lo sollevava a un metro da terra.
«Che cosa stai cercando?» domandò una voce alle sue spalle, la voce di una donna.
Qualsiasi cosa avesse sollevato il Rockruff, tagliò la corda e lo lasciò cadere. Il cagnolino si riprese dal colpo e cominciò ad abbaiare alla sconosciuta che camminava verso la sua padrona a lunghe falcate poco femminili. Appena si fermò, la donna si mise a braccia conserte. Era muscolosa e piuttosto mascolina nonostante il seno florido. Era scura di pelle, coi capelli neri e gli occhi azzurri. Benché fosse una decina di centimetri più bassa di Gong sembrava più massiccia di lei. Dimostrava al massimo venticinque anni, come un'immagine fissata nel tempo. L'Avatar Korra, di cui lei era la reincarnazione, le era apparsa altre volte prima di allora, ma sempre in sogno o durante la meditazione. Qualcosa di forte doveva averla evocata in un polveroso e profano supermarket, rendendola tanto reale quanto il cemento dei muri. Non aveva sangue né carne, ma Gong sapeva che era lì.
Korra cambiò la domanda: «Perché sei venuta qui?».
Non aveva modi bruschi, li aveva abbandonati con la maturità. C'era invece un sottofondo di tristezza passiva sia nella sua voce sia nei suoi occhi, ma quello non se ne andava mai. Lei aveva sofferto di depressione e la malattia aveva segnato tutta la sua vita dai suoi vent'anni in su. Prenderne atto e affrontarla fin dai primi tempi aveva segnato l'apice della sua consapevolezza ed era il motivo per cui, dopo la morte, la sua anima era tornata indietro fino a quell'età. Niente in lei era cambiato più di tanto dopo i suoi ventitré anni.
L'umore perennemente alto di Gong sembrava un insulto alla sua memoria. «Volevo vedere un Mimikyu» si giustificò la ragazza. «Mi è sembrato un pokimon interessante».
«Questo mondo ha risentito dell'influenza di Vaatu» le ricordò il vecchio Avatar. «Non può essere buono come sembra».
Gong rimase silenzio. Non ci aveva pensato.
Mentre rifletteva, scomparsa la vecchia Maestra dall'aspetto così giovane, qualcosa come un vento spettrale spinse lei e Randal fuori dal market, senza ferirli. La cieca provò di nuovo ad aprire la porta ma la trovò sigillata. Allora prese il guinzaglio del Rockruff e insieme si avviarono da dov'erano venuti.
Stavano per lasciare il territorio della Dominante, quando un altro Mimikyu tagliò loro la strada. Era un maschio, giovane, piuttosto attaccabrighe per uno della sua specie. Emise il suo verso e il suo urlo stridulo come per minaccia e poi schiaffeggiò il cagnolino con la sua mano fantasma.
Si erano addentrati in una terra non adatta ai comuni mortali, dovevano pagare.
Randal non fu messo k.o. e rispose all'aggressione facendo apparire delle rocce dal nulla e scagliandole contro il fantasma.
Il colpo non gli danneggiò neppure il travestimento, tanto era grande la disparità di forze.
Gong non perse tempo a salvare il suo Pokémon: entrò nella Forma Avatar per vedere il fantasma, in fondo era venuta per quello.
Mimikyu rimase come paralizzato. Dallo stupore e da un velo di paura. La luce lo agitava, e l'umana aveva una strana luce bianca tra le palpebre, ed essendo lei fatta di carne, non era chiaro da dove provenisse. In più, quelli della sua specie di solito non brillavano.
Lo Spettro guardò lei e poi guardò il cane, il cane guardava interrogativo il volto della padrona mentre gli occhi della ragazza erano fissi su Mimikyu. Fissi, le palpebre non erano spalancate ma non battevano. Forse era strana e inquietante di suo, forse stava valutando se attaccarlo o meno.
Perciò la attaccò prima lui per coprirsi la fuga.
La creatura sollevò dalla terra dei sassi senza toccarli e glieli scagliò dietro mentre scappava. Colpì l'asse di legno che sorreggeva la testa del suo travestimento, il suo finto collo si ruppe e il fantasma accelerò la corsa.
La cieca lo lasciò andare.
«Randal» chiamò la ragazza, raccogliendo di nuovo il suo guinzaglio. «Andiamo».
Erano arrivati facilmente, ma per destino la strada del loro ritorno era lastricata di difficoltà.
Un gruppetto di Oricorio, maschi e femmine, si era riunito attorno a un esemplare giallo che mostrava loro una danza diversa dal Kudu. Agitava i pompon saltellando e di tanto in tanto alzava una zampa in avanti e la riabbassava, poi si voltava dall'altra parte e ripeteva la sequenza per l'altra metà del cerchio.
Gong e Randal stavano tirando avanti per la loro strada quando l'Oricorio giallo decise di chiudere lo show con un dispetto. Mentre gli altri gli facevano ala, raggiunse Randal a passo di danza e gli toccò la coda per trasmettergli una scossa elettrica.
Il cagnetto si rivoltò ed attaccò ad abbaiare. Prima i fantasmi, ora i pennuti: quella non era la sua giornata.
Gli altri Oricorio, mezzi Spettri, si disposero di nuovo in cerchio, ma stavolta a chiudere la fuga al Pokémon e alla presunta Allenatrice.
Gong se ne accorse solo perché i ventagli di piume sulle loro ali muovevano un po' d'aria. Non capiva bene cosa stesse succedendo.
Mentre Randal recalcitrava, l'uccelletto senza penne sulla coda lo colpì con una saetta. Il cane uggiolò e di propria iniziativa provò a morderlo, ma ottenne soltanto un'altra scossa. Gong sobbalzò sentendolo lamentarsi ancora. Ma stavolta aveva un pubblico: non poteva intervenire gratuitamente.
I cervelli di gallina attorno a lei sembravano ridere davanti all'umiliazione del cagnolino. Il grazioso esemplare giallo era sadico, Korra non aveva avuto tutti i torti a non fidarsi delle apparenze e dei luoghi comuni.
Randal incassava attacchi e rispondeva a fatica, chiedeva aiuto ma Gong non sapeva cosa fare.
A un certo punto il cagnolino non resse più. Dopo aver tentennato, all'ultima scossa, svenne. La cieca corse a prenderlo in braccio ma uno degli Oricorio autoctoni la colpì alle spalle con un attacco di Tipo Spettro.
Dando retta all'istinto, Gong entrò in forma Avatar e si voltò di scatto lanciandogli un'occhiataccia mentre lo spavaldo uccelletto elettrico dietro di lei finiva imprigionato in una piccola piramide di roccia.
L'Avatar mulinò le braccia e fece alzare il vento. Spazzò via il pubblico pennuto in un piccolo tornado, mentre gli Oricorio volavano in massa in una disordinata danza sicuramente originale per loro, Gong si chinò davanti alla piramide di roccia e la trasformò in una trappola atta a trattenere solo le zampe dell'uccello.
Appena tornò umana, il vento cessò e tutti gli Oricorio viola caddero dal cielo come frutti maturi, chi svenuto e chi solo disorientato. Quelli ancora coscienti si diedero alla fuga, e i più curiosi tra loro rimasero a spiare da lontano.
Gong puntò un dito contro l'Oricorio giallo che sovrastava anche in ginocchio, fin quasi a toccargli il becco semiaperto dalla paura. Lui tremava e cercava di proteggersi coi pompon, il suo cuore andava a mille. «Tu hai fatto male al mio amico! Culetto spennacchiato che non sei altro!» lo sgridò la cieca.
Mentre il piccoletto provava a giustificarsi con un cinguettio, Gong si ricordò finalmente di ritirare il cagnolino nella sua pokéball bianca.
Dunque se lo mise in tasca, si alzò e proseguì da sola verso casa.
«Sei un uccelletto cattivo!» aggiunse dandogli la schiena, mentre lo liberava dalla sua trappola con un gesto della mano.
Gli Oricorio viola svenuti cominciavano a riprendersi, il giallo la lasciò andare avanti di venti passi e poi la seguì tenendosi a distanza, angosciato. La seguì fino alla civiltà degli umani, restò in attesa dietro di lei mentre Randal veniva affidato a un'infermiera, e poi si lasciò esaminare come membro della sua squadra. L'infermiera disse che era una femmina e le chiese come mai non avesse una Pokéball. Gong scosse le spalle e rispose che non lo sapeva, non aveva neppure capito cosa le stesse chiedendo. Abbandonata una volta da un Allenatore di Mele Mele e mai ricatturata, quindi formalmente libera, non ci fu verso di mandarla via.
Quando le fu consigliato di darle un soprannome, Gong scelse su suggerimento il nome di Olly, breve e facile da pronunciare.
Stava provando a fare amicizia con lei per attenuare il timore reverenziale che aveva nei suoi confronti e tutti i suoi complessi per essere stata abbandonata, quando dal giardino si alzò la musica di una tastiera. La cieca, Randal e Olly si affacciarono alla finestra.
Il Mimikyu di quel pomeriggio era lì, aveva trovato la loro casa.
Aveva portato un mazzo di fiori appassiti, un dono sentito da un sincero estimatore della natura morta, che non era diretto al cane. Smise di suonare e li tese verso la finestra ma la ragazza non poteva accorgersene, e non reagì.
Allora lui passò al piano di riserva: aveva trovato la piccola tastiera nel Supermarket abbandonato, con quella cominciò a suonare una melodia semplice. “Alas, my love, you do me wrong/ To cast me off discourtesly/ For I have loved you, oh, so long/ Delighting me in your company”.
Benché l'umana non capisse il suo linguaggio, lui sperava che intuisse il senso.
Greensleeves was all my joy/ Greensleeves was my delight/ Greensleeves was my heart of gold/ and who but my Lady Greensleeves?”.
Il Rockruff, inorridito, riprese ad abbaiare rovinando la sua performance.
Non funzionò, il Mimikyu se ne andò senza aver ottenuto nulla. Se voleva conquistare la sua bella, doveva puntare molto più in alto coi regali.







 
:::

Autrice: si è scordata cosa doveva scrivere. Ehm... allora... ah, sì: qui faccio comparire Sun che molto probabilmente alla fine del manga ufficiale non farà più quel lavoro, ma va be'. Facciamo che se smetterà, dopo un po' tornerà a farlo perché sarà di nuovo povero. E probabilmente Moon se ne tornerà a casa sua perché non le piace il clima tropicale... se lo fa, facciamo che torna lì in vacanza. Dicevo... segnatevi la data di oggi perché ciò che faranno uscire d'ora in poi molto probabilmente mi romperà le uova nel paniere, io però faccio con quel che c'è mantenendomi ai margini. Nel senso, farò meno digressioni possibili sui personaggi ancora “non conclusi”. Che poi, se i veri autori autori devono scrivere sulla falsa riga del gioco, ad Alola dovranno comparire pure Red e Green... e io in via preventiva li ho già mandati a casa perché mi servono a Kanto... perché potrei metterli anche ad Alola, ma li voglio mettere a Kanto. Un altro problema sarà indovinare che ne faranno gli autori del team Rainbow Rocket, perché io non lo voglio e mi serve il vecchio Giovanni. Facciamo che è già debellato e ci hanno sparso sopra il sale. Insomma, ci sono tutte queste cose e altre, compresa la mia incapacità intrinseca a mantenere i personaggi perfettamente IC.
Dovrei aver finito.
Finito.
No, un'ultima cosa: ringrazio Lily e Xavier di KomadoriZ71 che mi hanno lasciato una recensione e ridono leggendo le mie (per ora), ma forse vedranno questo ringraziamento tra mesi e mesi perché stanno impegnati, quindi rimarrà in sospeso per un po'. Perciò ne approfitto per sparlare di loro: ma lo sapevate che in realtà il loro account è schizofrenico, e che loro fanno finta di essere in due solo per nascondere la sua malattia? Lo sapevate?
E dopo questa negheranno di conoscermi.
Saluto pure i lettori silenti e quelli che si chiedono “ma cosa cavolo scrive questa?!”. E quelli che noteranno i mille errori di trama che seminerò nel corso della storia perché a me succede sempre così, che mi confondo...
 

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Capitolo 5
*** Il dono ***


5.Il dono



 
Due settimane prima

Gong stava dormendo, sognava. Nel suo sogno si intrufolò il pungolare di un bastone di legno. «Svegliati, fannullona!» le ordinò acre una vecchia.
La monaca aprì gli occhi senza protestare: era abituata alle levatacce e al brutto carattere della Madre Superiora.
Poi si ricordò di non essere in convento. Era stata rapita e portata in un altro Universo da un demone chiamato Qiladina, o Giratina a seconda della dimestichezza con le diverse consonanti.
La voce tornò all'attacco: «Tirati su. Quel brutto muso mi ha invocato di addomesticarti».
La ragazza aggrottò la fronte. «Prego...?». La pronuncia dell'anziana donna era pessima, non era sicura di aver capito bene.
«Devo addestrarti!» urlò l'altra. «Tirati su! Non sei qui in vacanza!».
Le diede solo il tempo di lavarsi alla cascata a vestirsi.
Si mise in marcia con lei al seguito e la portò su una piattaforma dal terreno più regolare.
«Ferma qui» le ordinò a pochi passi dal margine, mentre raggiungeva l'estremità opposta.
Mentre camminava premette il pulsante bianco sulla sfera bicolore che era il pomello del suo bastone. «Ora, vediamo che sai fare».
Un'altra ombra scura uscì dalla tasca del suo vestito magenta e assunse lentamente un aspetto più concreto.
Le creature erano due fantasmi identici, grossi, tozzi, viola, con gli occhi rossi e un sorriso sardonico stampato in faccia. Non erano né calmi né benigni. Raava avrebbe reagito violentemente contro di loro, se non fossero stati ospiti di Giratina. Il primo volò accanto alla vecchia, l'altro accanto a Gong. Solo un attimo prima la ragazza era entrata nella Forma Avatar e ancora i suoi occhi ciechi lo guardavano storto.
La fattucchiera lasciò a lei la prima mossa. «Adesso, attacca».
Gong inspirò profondamente digrignando i denti, tirò i muscoli del collo, spalancò gli occhi e soffiò fiamme dalla bocca.
«Non così!» la rimproverò la vecchia.
Gong restò ad occhi bassi. Fin da bambina sfruttava l'affinità col Dominio dell'Aria per potenziare il suo debole Fuoco, non sarebbe andata da nessuna parte senza quell'escamotage. Era stato Meelo a suggerirle il compromesso, guadagnando per entrambi la disapprovazione di ogni Maestro del Fuoco e purista del Kung Fu sulla faccia del pianeta. La donna si inseriva in cima a una nuova lista per un nuovo Universo, oppure in fondo alla vecchia ormai chilometrica.
La spiegazione invece fu inaspettata: «Non tu! Devi far attaccare Gengar!».
Giratina fece capolino da sotto il livello del terreno. «Maestra Agatha, te l'avevo detto: non sa niente».
La risposta fu dura anche verso di lui: «Questo è meno di niente, lucertolone!».
Entrambi i Gengar risero sommessamente all'assurdità della scena: la loro padrona teneva in riga persino il Signore di quella metà di Universo.
In quel momento, il canto di Lunala risuonò in lontananza. «Miao!» intonava.
«Miao» le rispondeva Cosmog in linguaggio umano, ma con una voce telepatica molto meno potente.
Era il “Duetto Buffo di due Gatti” per soprani, Lunala si riservava le parti più difficili.
Uno dei due Gengar, il maschio, assunse un'aria stranamente sognante, la femmina accanto alla padrona si irritò.
La Maestra Agatha sbuffò e fece roteare gli occhi stringendo il pomello fatto a teschio del suo bastone.
Gong fu tentata di buttarsi giù dalla piattaforma. La vampira e la sua ossessione di essere una buona mamma per il suo millenario cucciolo ferito la inquietavano almeno quanto seccavano la vecchia.
Agatha si rivolse al dragone fantasma con una certa familiarità. «Ancora con quella là? Quella perfida creatura?!».
Giratina non rispose e distolse lo sguardo dal suo volto severo. L'anziana donna sbuffò e scosse la testa. «O sei un masochista o sei un idiota».
Lunala li stava ormai sorvolando, diretta alla piattaforma su cui Gong aveva dormito. Tornò indietro e si portò alla loro altezza con una discesa morbida. «Ah, ancora tu!» esclamò rivolta alla sgradita ospite.
«Esatto, succhia-luna. In carne ed ossa».
Lunala finse di ridere. «Haha, è divertente perché io sono solo ossa ed ectoplasma. Presto tu marcirai sotto terra, vecchia maledetta, e tutti insieme spargeremo coriandoli sulla tua tomba. Lui è già in maschera».
«E' un elmetto» obiettò Giratina. Lo divertiva vederle sputare veleno l'una sull'altra, proprio per questo la Superquattro Agatha era sempre la benvenuta nel suo Mondo Distorto, perché dava fastidio al suo amore non corrisposto.
La vecchia raccolse le idee e replicò a bassa voce, scandendo ogni parola: «Tu sei una piaga, sottospecie di vampira morta. Rovini tutto quello che tocchi, di chissà quanti figli ne sono nati vivi solo quattro, e due di loro vivono in esilio per colpa tua, gli altri due ti disprezzano».
«Mi domando perché una dolce anima come te non si sia mai sposata. Anzi... sai che ti dico? Samuel ha schivato un proiettile, ho capito come mai s'è scelto quell'altra».
Vecchia ferita ormai chiusa, la Specialista Spettro ne faceva un punto d'onore. Lei era stata una pioniera, una delle prime bambine a Kanto a intraprendere apertamente la carriera “sportiva” ai tempi in cui allenare mostri era un'esclusiva dei maschi. Persino le Pokémon erano discriminate, considerate meno capaci nel combattimento dei loro più competitivi fratelli. Agatha si era inimicata la famiglia, spinta dalle lettere della zia trasferitasi a Sinnoh, per tentare una carriera per soli uomini e il tempo e il lavoro le avevano dato ragione. Era stata la prima ragazza a sfidare la Lega di Kanto, il Campione l'aveva sconfitta e le aveva detto di tornarsene a casa perché non avrebbe sfidato di nuovo una donna. Lei non l'aveva ascoltato. Non l'aveva mai battuto perché le mancava la castagna per diventare Campionessa, ma era sempre rimasta ad alto livello nel combattimento e aveva ispirato altre bambine. Tuttavia, il vecchio e brillante Professor Oak di Pallet Town storceva ancora il naso quando una femmina si presentava nel suo laboratorio a chiedere uno starter. Il successo di Agatha l'aveva resa poco appetibile agli occhi dei difensori del patriarcato, in particolare ai suoi. Da giovane era rimasta scottata dal suo rifiuto, covava rancore nei suoi confronti, ma lei per prima non ne avrebbe fatro una tragedia.
Lunala, invece, usava lamentarsi delle sue disavventure in amore, nonostante uscisse colpevole da ogni sua relazione sentimentale, perché lei, malgrado la facciata, non aveva sentimenti né per gli umani né per i Pokémon. O almeno, di questo si era convinta l'anziana Superquattro. Malgrado la differenza di specie e di mire si erano odiate al primo sguardo; la Leggendaria aveva degli sguardi particolari che suggerivano le sue intenzioni persino a chi non era della sua specie, Agatha non poteva soffrire le gatte morte e non riusciva a nasconderlo.
«Schivato un proiettile?» ripete l'anziana. «Sappiamo entrambe che chi ti ha ripudiata si è liberato di un veleno!». Si rivolse al padrone di casa e la indicò col dito teso. «Questa creatura è tossica!».
E con la testa fece un cenno verso i suoi due Gengar, spettri velenosi. «Più di loro!».
Lunala si infuriò. Come Giratina, non era brava a mantenere la calma quando le toccavano un nervo scoperto. Ruggì e le si avventò contro, fermandosi con il viso a un soffio dal suo. «Non sollevare mai più certi argomenti, intese?!».




 
Nel presente

Il folletto fantasma lo stava spiando. Il Divino Tapu Bulu trascorreva il suo sacro tempo a dormire, non faceva altro. Trovarlo, per chi sapeva dove cercare, era un gioco da ragazzi.
Mimikyu era uno dei figli della Dominante del Supermarket Affaroni, lei aveva accesso a un mucchio di informazioni e “magie” precluse agli altri e stava cominciando a rivelarle ai suoi discendenti nella speranza che qualcuno di loro fosse abbastanza forte e intraprendente da meritarsi il suo territorio. Ma quel Mimikyu, il suo settimo figlio, aveva trovato un altro scopo nella vita.
Mentre il dio locale si rotolava nel sonno sull'erba alta, Mimikyu cercava nei dintorni o sul suo corpo qualcosa che brillasse. Come una pietra grezza, con all'interno un frammento metallico proveniente dalla criniera dell'ancestrale Solgaleo, il leggendario leone bianco il cui corpo era interamente ricoperto di un metallo alchemico. Secondo le Leggende Pokémon, Egli era la forza dominante del cosiddetto Duo Alchemico e la controparte maschile della femminile Lunala. Il funzionamento dei cristalli Z dipendeva indirettamente da lui, verità che gli umani faticavano ad accettare: i cerchi Z non erano frutto della loro tecnologia.
Come non lo era lo Specchio sotto il quale era stato costruito il tempio del Sole e della Luna, nato per elevarsi fino alla sua altezza, come non lo erano gli Ultra Varchi e la Meraviglia Meccanica Magearna, il teletrasporto, la miniaturizzazione sfruttata dalle Pokéball e i vari aggeggi di origine “mitologica” di cui gli scimmioni bipedi erano accaniti e ingrati fruitori.
Solo la ragazza cieca, per Mimikyu, si distingueva da quella marmaglia. Lei non era come loro, lei era più come lui: nascondeva un segreto, un'essenza mostruosa e non malvagia, sotto un travestimento accettabile. Forse non proprio gradevole, ma neppure terrificante. Il Pokémon fece scivolare lentamente una mano fantasma sotto il corpo di Tapu Bulu che bofonchiò e si rotolò nel sonno impedendogli di raggiungere la pietra.
Al secondo tentativo, con estrema delicatezza, la prese e scappò via.




 
*
 

Gong rientrò nella sua camera dopo una lunga e forzata passeggiata e si buttò sul letto.
Doveva ricominciare ad allenarsi col Kung Fu o avrebbe perso la lena. Randal si accasciò esausto nella sua cuccia, aprì un occhio e cominciò ad abbaiare. Il fantasma della serenata era lì, sotto la rete del letto, e stava scivolando fuori dal suo nascondiglio. Non aveva intenzioni ostili, aveva portato una pietra luccicante e la diede a Gong con un fare stranamente solenne.




 
*


«Ma questa è...». Il Kahuna Nanu restò a bocca aperta quando due scagnozzi dell'Aether gli portarono una ragazza cieca con una Pietra Lucente in mano.
«Questa...» di nuovo non riuscì a terminare la frase. Aveva visto quella pietra nel palmo aperto di molti ragazzi, ringalluzziti e fieri di essere stati scelti, ma nessuno di loro era un cieco totale. «Dove l'hai trovata?».
«Mi hanno data».
«E chi? Chi te l'avrebbe data?».
«Un pokimon».
Nanu corrugò la fronte, batté le palpebre e scosse la testa. Era impossibile, doveva essere un falso. Eppure ne aveva viste tante, lui per primo era certo che fosse autentica. Forse qualche bullo le aveva giocato uno scherzo di cattivo gusto, solo per gioire della sua umiliazione. Forse, qualche criminale dalla mente un po' più fine la voleva uccidere senza doversi preoccupare della prigione, perciò stava forzando proprio lui, il Kahuna, a mandarla in una missione impossibile e pericolosa per la sua vita. Nessuno sarebbe stato imputabile per il suo omicidio se Nanu le avesse permesso di iniziare il Giro delle Isole.
«Tienila un attimo, devo fare delle cose...» la liquidò. Dunque si rivolse ai due dipendenti dell'Aether: «Riportatemela domani».
Così, dopo aver mandato via gli ospiti, il vecchio Kahuna si mise in cammino verso il sacro giaciglio segreto di Tapu Bulu. Lo trovò addormentato, senza andare a scrollarlo lo chiamò rispettosamente per nome. Lui si voltò dall'altra parte. «Divino Tapu Bulu...» ripeté Nanu.
Il dio locale grugnì, muggì anzi, e aprì un occhio. «Chi è?» disse. Era così rintontito dalle troppe ore di sonno da faticare a riconoscere il suo prescelto. «Ah, sei tu...» fece. «Cosa vuoi?».
«Una ragazza non vedente si è presentata a me con una delle tue pietre. Gliel'hai data tu?».
Il bue scosse piano la testa. «Una pietra mi è stata rubata...» mormorò con la voce impastata dal sonno. Solo allora realizzò il senso delle proprie parole, riemerse dal mondo dei sogni e cominciò a tremare di rabbia. «Una pietra mi è stata rubata!» tuonò. «Portami quella ladra! Portami subito quell'immonda ladra! La punirò, lo giuro sul nome dell'Alchimista e sulla testa della sua squallida sorella!».
Chiuse la sfuriata battendosi una zampa sul petto in segno di giuramento.
Il vecchio poliziotto esitò solo un attimo, dunque chinò con fare arrendevole. «Sì, mio Signore» replicò.
Girò i tacchi e si allontanò a passo svelto senza tentare di fargli cambiare idea. Si era spinto in quella sacra radura per proteggere una ragazza cieca e se ne andava con la missione di catturare una improbabile ladra.
Consegnarla al dio locale avrebbe solo aggiunto un capitolo alla storia della caccia alle streghe, eppure Nanu sentiva di non avere scelta. L'isola era sotto la sua responsabilità: così come era stato spinto a tutelare la fanciulla per dovere professionale, per dovere professionale l'avrebbe consegnata.
Neppure mezz'ora dopo si presentò al cancello della Residenza Aether sventolando il distintivo. Placcato dai dipendenti che, preoccupatissimi, lo riempivano di domande, varcò la porta di ingresso e annunciò a gran voce: «Shan Yueguang, ti dichiaro in...» si interruppe. “Ti dichiaro in arresto” era la formula sbagliata, perché lui non era lì da poliziotto. Nanu chiuse gli occhi, sospirò e ricominciò: «Per i sacrilegi da te commessi, sei convocata a giudizio divino».
Acerola andò immediatamente in crisi, tirò un urlo e si portò le mani al viso come se dovesse essere prelevata lei. Se qualcuno avesse deciso di ripristinare l'inquisizione tanto sfruttata dai coloni, gli Specialisti Spettro sarebbero stati i primi a finire nella sua macina.
L'Oranguru ospite di quella struttura smise per un attimo di fissare il mondo con la sua fiera apatia da indiano e assunse un'aria francamente preoccupata.
Gong non capiva niente.
«Siamo formalmente in territorio internazionale!» gridò una testa calda in disvisa bianca. «Le vostre tradizioni vanno sotto lo stuoino!».
Alla prima occhiataccia del Kahuna dalle inquietanti iridi rosso cupo, il giovane dipendente si zittì.
Ufficialmente convocata a Giudizio divino, Gong fu preceduta dal Rockruff Randal al guinzaglio, scortata dall'Oricorio Olly sempre cinque passi dietro di lei, e presa per mano dal Mimikyu che, dopo averla pettinata e ricoperta di collane e braccialetti come una bambola, per tutta la giornata non aveva permesso a nessuno di avvicinarlesi.




 
*


Era piuttosto imponente e minaccioso quando si arrabbiava. Come un toro, benché umanoide e in grado di levitare a un metro da terra.
Grandi corna su un largo copricapo di legno sovrastavano la sua testa, aveva un grosso anello bianco al naso, fasci di potenti muscoli sotto la pelliccia corta e nera univano la sua testa direttamente alle spalle, dandogli una forma bombata. Le sue braccia terminavano con mani a pinza foderate d'oro, come Lunala era privo di gambe, e dalla coda pendeva un campanaccio.
Si rivolse al suo schiavo Nanu e lo congedò con l'aria di un capo abituato a comandare. Dunque squadrò la ladra da capo a piedi. Disse qualcosa, ma le sue parole erano incomprensibili.
Divinità Aloliana nata millenni prima dell'arrivo dei coloni, non aveva mai imparato l'inglese. Non aveva mai neppure pensato o desiderato di impararlo.
«I not under-stand!» replicò Gong.
Sentendo una lingua straniera, nemica, la faccia di Tapu Bulu si fece ancora più cupa. Così nel suo hawaiano cominciò a gridare accuse e insulti contro la cieca, senza freno.
Mimikyu si fece coraggiosamente avanti, si mise tra lei e lui e gli parlò nel linguaggio dei Pokémon. “Lei non capisce. È arrivata da poco. E non ti ha rubato niente: sono stato io”.
“Tu, insignificante creatura?!”.
“Io sono il settimogenito di una Dominante!”.
“Beh, allora dovresti sapere... meglio degli altri!”.
E gli scagliò contro uno dei suoi attacchi più potenti, rompendogli il collo appena riparato della maschera.
Gong fece un salto all'indietro. Era una vigliacca, fondamentalmente: forte con i deboli e debole con i forti. Tapu Bulu era troppo potente per lei, il suo attacco era esploso in aria come un tuono e aveva scosso l'aria come una bomba.
Mimikyu era miracolosamente rimasto in piedi, il suo prezioso travestimento si era rovinato. Il Sacro Bulu aveva commesso un errore a sprecare tanta energia col suo primo attacco, ignorando l'Abilità del Fantasmanto.
Ma non era un problema: era abbastanza potente da permettersi di sbagliare.
Mimikyu provò a rispondere, ma senza un grande risultato, proprio come era successo a Randal contro di lui.
Il Guardiano lo sbalzò lontano dal suo posto di battaglia e si preparò a infierire sul piccolo avversario.
Gong era scappata. Era andata a nascondersi dietro una roccia e seguiva come poteva il combattimento alle sue spalle. Quando Mimikyu cadde svenuto, Tapu Bulu venne a cercarla. Quello che aveva fatto provare a Olly, ora lo provava lei.
Il Guardiano era di fronte a lei con le mani sui fianchi, cominciò a parlare nella solita lingua incomprensibile. Il tono era duro, la cadenza cerimoniale. Alzò una zampa come se fosse un pugno e in quel momento una lama ricurva gli inferse un profondo taglio all'addome. Se fosse stato umano, l'avrebbe sventrato. Gong era entrata in forma Avatar e aveva fuso tutti i suoi braccialetti e le sue collane per ricavarne un'arma. Il Folletto arretrò, il taglio rimase aperto. Non si sarebbe rimanrginato in fretta.
Come un toro ferito, si infuriò. Caricò la ragazza in fuga e lei si scostò con un movimento rapido da Dominatore dell'Aria. Tapu Bulu si fermò, si rigirò su se stesso e tornò alla carica, ma si scontrò con una barriera appena sorta dalla terra.
Rimase bloccato con le corna conficcate nella roccia, Gong aggirò l'ostacolo, si riempì i polmoni e gli soffiò addosso tutto il fuoco che il suo debole chi poteva produrre, aiutandosi con un soffio di vento. Lui sussultò e rimase scottato, la sua rabbia lo aiutò a liberarsi e Gong se lo trovò di nuovo davanti.
Un fiume di foglie taglienti la investì e la costrinse a pararsi il viso col braccio.
Decine di tagli si aprirono sulla sua pelle bruna e cominciarono a sanguinare, costringendo la cieca a comportarsi a sua volta come un animale ferito. L'umana lo colpì di taglio con due lame gemelle e lo schiacciò violentemente tra due rocce evocate dal sottosuolo. Quel colpo, notoriamente mortale, lo lasciò solo semi-svenuto, confuso. Le lame sotto il Dominio della monaca si fusero in una sola spada che lo trafisse da parte a parte e lo inchiodò con la schiena al terreno, mentre alle spalle di lei, nel cielo, si allargava una breccia oscura.
Giratina emerse da quel varco circolare nella sua forma preferenziale e sotto l'influsso della gravità cominciò a trasmutarsi, il suo corpo serpentiforme assunse un aspetto massiccio, goffo per certi versi. Le sue sei zampe prima solo abbozzate divennero tozze e grige come quelle di un pachiderma, i tentacoli sulla sua schiena si fusero in due grosse ali d'ombra. Grosse, ma non abbastanza da farlo sentire a proprio agio nel volo. Dunque le batté una volta per rallentare la discesa e si posò a terra.
Tapu Bulu, rintontito ma non moribondo, tentò di estrarre la lama dal proprio corpo solo per scappare dal demone. Il Pokémon Ribelle guardò la spada affondata nel suo addome e sogghignò. «Ah... come l'hai scoperto?!» domandò.
«Che cosa?».
«Moltissimi metalli sono tossici per i Folletti. Mercurio, alluminio, rame, argento, nichel, platino... soprattutto il ferro, al ferro sono allergici. Mi ero completamente dimenticato di dirtelo. Lunaala mi ha contagiato con la sua sbadataggine».
Il Guardiano era debole e la spada continuava a esercitare il suo effetto, sarebbe crollato con poco. Toccava a lui, mezzo Drago, finirlo. Perciò il Leggendario si alzò in aria e si preparò ad usare una variante dell'Oscurotuffo, la sua mossa preferita.
«Mi fanno male i tagli...!» si lamentò la cieca sotto di lui.
«Fatteli medicare dalle infermiere. Non ho tempo da perdere con te».
Il drago si tuffò nella sua Dimensione privata portando con sé il Guardiano.
Mimikyu, che nel frattempo aveva ripreso i sensi e si era andato a nascondere, si precipitò da Gong con la testa del costume penzoloni sulla sua schiena. “Hai vinto, hai vinto!” esultò. “Hai sconfitto lo Spirito Protettore!”.
Non era difficile immaginare il significato di quei pimpanti versi acuti.
«Eh sì, ho vinto....» mormorò lei con voce tremolante. «Ho vinto, evviva!».




 
*


Quando se la vide ricomparire davanti tutta incerottata, un po' ammaccata ma ancora in possesso della pietra, Nanu non seppe se essere sollevato o perplesso. I Tapu erano capricciosi, dopo tutta la sua scenata il Guardiano poteva essersi accontentato di una punizione modesta, quasi una multa. Ora che il suo diritto al possesso della Pietra Lucente era confermato, il Kahuna non poteva più rifiutarsi di consegnarle un Iniziale, che avrebbe mantenuto quella specie di titolo onorifico nonostante la novella Allenatrice avesse già altri Pokémon al suo seguito.
Così andò a prendere le due sfere rimaste per quella mandata e liberò i due esemplari al loro interno.
«Abbiamo un Litten maschio e un Popplio... femmina? Toh, finalmente è arrivata la femmina!» esclamò con un entusiasmo da funerale. «Non fartela scappare o la prenderà qualcun altro. Sono due anni che non ne vedo una!».
«Vorrei il... gatto...» dichiarò lei in un inglese malfermo.
Litten la guardava con molto sospetto.
Appena gli si avvicinò, lui inarcò la schiena e rizzò il pelo. Emise il più minaccioso dei suoi miagolii e una fiammella comparve sulla sua schiena. Niente da fare: la cieca non aveva capito, provò a chinarsi su di lui per accarezzarlo. Litten soffiò e con un gesto fulmineo le graffiò il dorso della mano.
Poi scappò via.
La piccola Popplio fece correre gli occhi da lui a lei più volte, a bocca aperta. Non capiva come mai il gatto avesse respinto con tanta forza una ragazza così comune. Non sembrava né particolarmente piena di sé, né eccessivamente insicura, né incapace di incassare un rifiuto. Eppure qualcosa in lei non gli era piaciuto, a pelle, tanto da ferirla e scappare senza mostrare rimorso.
Nanu si grattò imbarazzato la nuca e poi fece un gesto di rassegnazione. «Non gli piaci. Lo so che voi siete tutti giovani e ottimisti, ma non è il caso di insistere. Ti conviene prendere Popplio: parteggia per te, a quanto pare le stai simpatica».
«Io vuole gatto...» obiettò la ragazza.
Il Kahuna si rivolse direttamente alla Pokémon. «Vai» le disse, indicando la novella Allenatrice con un cenno del capo. La leonessa marina obbedì e si fermò ai piedi della ragazza.
Gong esitò un momento, poi si piegò su di lei e le posò l'indice sul naso da pagliaccio.
Popplio le leccò istintivamente la mano ferita e non fece resistenza quando lei la prese in braccio.
«Sopra la testa. È il rito» disse il Kahuna.
«Come dice?».
«Alzala sopra la tua testa, come comanda la tradizione» scandì.
Gong tenne la Pokémon sotto le pinne e la sollevò come lui aveva detto.
Non successe nulla.
La cieca rimase ferma in quella posizione, finché Popplio non cominciò a protestare per il dolore di essere tenuta sotto le pinne.
«Come si chiama?» le domandò rapido l'ex poliziotto.
«Ehm... ehm... io non sa...».
Lui le stilò un elenco improvvisato per accelerare i tempi. «Marina, Wave, Mermaid, Ondine...».
«On-din» scelse lei.
«Ondine» confermò il Kahuna. E prese un appunto. «Così verrà registrata col suo nome. Posala pure».
Gong invece la prese meglio e la abbracciò.


 
*


Agatha alzò il bastone di legno. «Ti avevo detto Rowlet...!».
Gong dovette schivare la prima bastonata.
«Litten...!».
Affondo di bastone dritto sull'addome contratto della ragazza.
«Popplio no!».
La monaca saltò il bastone diretto alla sua caviglia.
La Maestra Agatha aveva un carattere difficile, l'aveva dimostrato nel momento stesso in cui era arrivata. Vecchia amica o collaboratrice di Giratina, piena di rancore verso la vita, l'amore e l'umanità intera, era forse l'unica comune mortale ad avere accesso libero al suo Mondo Distorto. Aveva custodito il segreto con molta attenzione, non era così ingenua da credere che i Leggendari di Sinnoh non avessero occhi e orecchie dappertutto sul loro pianeta, nel loro Universo.
Lunala si era tenuta nei dintorni per darle fastidio, la vide litigare con la giovane Avatar e si preparò a prendere le parti di Gong: «Che succede?» domandò.
«Ho preso un Popplio. Si chiama Ondine».
«Bellino, come la maledizione!».
«Quale maledizione?».
«La maledizione scagliata dalla ninfa acquatica Ondine sul marito umano fedifrago». spiegò lei. «“Tu mi giurasti fedeltà con ogni tuo respiro e io accettai il tuo voto”» recitò. «“Così sia. Respirerai finché sarai sveglio, ma, dovessi mai cadere addormentato, allora il respiro ti sarà tolto, e morirai”».
Cosmog esultò: «Peewww!».
«No, tu non devi simpatizzare con la ragazza» lo riprese la madre. «Tu devi fare il maschio. E poi, piccolo mio, non puoi ammazzare qualcuno solo perché ti ha messo le corna. Quante volte sarei morta, io?! ».
«Pew».
«Queste sono le leggende popolari, tesorino. Spesso sono terribili».
«Pew».
«Ma non esiste nessuna Maledizione di Ondine...».
«E' una malattia congenita» si intromise Giratina. Aveva origliato perché ultimamente seguiva Lunala come un'ombra, con la scusa di volersi assicurare che non divorasse Agatha. La vampira fece roteare gli occhi mentre il drago ripeteva la lezioncina a memoria: «Il neonato affetto cessa di respirare appena si addormenta. Il respiro deve essere mantenuto artificialmente nel sonno per tutta la durata della vita del malato. Comunque, il nome di Maledizione o Sindrome di Ondine è caduto in disuso».
Gong era piuttosto allarmata. «Ma esiste?!».
«E' rara» tagliò corto il demone.
«Mi sa che devo cambiare il nome a Ondine...».
Agatha accennò un sorriso: «La accetto solo per la maledizione».



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Note: *Bulu non può imparare Foglielama, ma mi piaceva che lei finisse incerottata, e non trovavo altre mosse utili che fossero anche apparentemente non letali per un umano.
*E sì, i Leggendari sono OOC ma con gli umani cercherò di mantenermi sull'IC.
*Sicuramente dovevo dire altro ma me lo sono scordato.
*Tipo questa: il metallo sgradito ai folletti e al popolo fatato secondo la tradizione anglosassone è il ferro. Nel senso, se tu metti qualcosa di ferro come amuleto davanti alla casa, i folletti non ci entrano. Se lo trovano in guardino stanno lontani. Non è così insensato: gli allevatori di polli mettevano un cerchio di ferro attorno all'entrata del pollaio, perché si sa che le volpi (che sono furbe) non metterebbero mai la testa in un cerchio di ferro, quindi non potendo entrare lasciavano in pace le galline. Quindi cambiate la parola "folletto" con "animale selvatico" e avrete qualcosa di più razionale e sensato.


Autrice: salve a tutti, questo capitolo non è il top ma sono un po' nel macello per conto mio. Avevo lasciato da parte questa storia e ora che ho un po' di tempo l'ho ripresa. Questo capitolo è forse un po' più strano degli altri, credo di aver persino perso il ritmo, però mi serviva metterlo e non sapevo come altrimenti svolgerlo. Il "Duetto dei Gatti" esiste, come tutte le canzoni o musiche che citerò in futuro. Non parlerò mai esplicitamente degli autori nel testo, per mantenere una parvenza di irrealtà.

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Capitolo 6
*** Le fate ***


6.Le fate



Pochi giorni dopo l'inizio formale del suo Giro delle Isole, Gong si era già cacciata nei guai.
Non grossi, piccoli e cattivi quanto due bulletti di undici e otto anni con i loro Yungoos e Zubat. Le volevano rubare lo zaino, la sua squadra era ancora poco addestrata malgrado o forse a causa dei continui rimproveri di Agatha e lei non riusciva a tenere loro testa. Non aveva con sé il suo Mimikyu stalker, inserito in un programma di rieducazione all'Aether per aver aggredito un dipendente che l'aveva fatta ridere, perciò non aveva speranze di vincere senza intervenire di persona. Ma mettere a rischio la sua copertura per uno zaino nuovo le pareva troppo, anche se non voleva cederlo.
Il bulletto undicenne, l'unico tra i due in divisa Skull, stava facendo pestare tutti i Pokémon di Gong dai suoi che li mandavano al tappeto uno dopo l'altro.
Ondine fu l'ultima ad andare giù, Gong la ritirò nella sfera e il piccolo Skull le intimò di consegnargli lo zaino, mentre il cuginetto di otto anni imparava le sue tecniche intimidatorie.
Gong si rifiutò e lui reagì male: «Yungoose, Morso!» gridò indicandola.
La mangusta si scagliò contro la cieca. Stava per addentare il suo braccio quando fu investita dagli Ultrasuoni emessi da un Crobat. Yungoos finì addosso a Gong e poi sul prato senza ricordarsi chi doveva mordere, si confuse e si morse da solo.
Una ragazza bruna dai lunghi capelli tinti di rosa e striati di giallo si mise a braccia conserte tra la cieca e i due bulli. I suoi vestiti da giovane d'oggi non erano poi così audaci, ma a renderli provocanti erano il suo atteggiamento e l'influenza dei feromoni secreti dalla sua Salazzle. Fece un cenno di sfida al più grande e domandò delucidazioni: «Beh...?».
Lei si considerava la coordinatrice del Team anche se le nuove reclute le stavano sfuggendo di mano. Picchiare una donna disabile violava l'etica degli Skull, che poi era l'etica del loro giovane capo Guzma. La sua seconda, Plumeria, non poteva tollerare che una recluta gli mancasse di rispetto.
L'undicenne tagliò la corda senza una parola, il cuginetto gli corse dietro.
«Non potrai scappare a lungo!» gli urlò la ragazza, forse diciannovenne. «So chi sei!».
Poi si voltò a controllare lo stato di salute della cieca senza sorriderle.
«Beh, tu vai a casa» fece.
«Grazie...!» replicò allegra Gong: le aveva tolto delle belle castagne dal fuoco, non c'era motivo per non esserle grata. Plumeria le concesse una rapida ed energica stretta di mano e poi se ne andò da dove era venuta, col suo Crobat al seguito.


Nel Mondo Distorto.


Lunala si guardò intorno e aguzzò la vista fino all'orizzonte. Non c'era nessuno in quella sterminata ed eterna penombra violacea, tranne la vecchia Agatha che passeggiava sola su una precaria fila piattaforme. Gong non si faceva vedere da un po', la ruvida vecchia le stava antipatica. La vampira si rivolse al suo cucciolo. «Giratina non c'è. Ora puoi giocare, la mamma deve parlare un attimo con quella cattivona là».
«Pew» le rispose Cosmog.
La madre lo lasciò su una piccola roccia vagante dove crescevano dei grossi fiori tristi e grigi.
Poi, mentre sorvolava l'anziana Superquattro, il suo corpo di spettro cambiò fluidamente forma. La vampira Lunala atterrò in piedi davanti alla Maestra nelle sembianze di una ragazza1 dalla pelle bruna. Gli occhi rosso vino e i capelli bianchi, le orecchie a punta e i canini aguzzi non bastavano ad annullare il suo sex appeal, non riuscivano neppure ad intaccare la bellezza naturale del suo viso. Più simile a una Leanan Sidhe che a un vampiro transilvano, per obbligo e per crudeltà sfoggiava uno splendido corpo nudo da sedicenne davanti a una donna non più giovane. Era ben proporzionata ma piccola di statura; d'altronde per la sua specie era un esemplare piccolo.
«Non hai paura di andare in giro di notte?» domandò alla vecchia mettendosi a braccia conserte. Non ebbe la decenza di nasconderle il seno.
«Ma smettila! Non ricominciare questa scena con me, sono troppo vecchia per certe cose! Già a trent'anni sono diventata troppo vecchia, per te».
La vampira lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Non dirmi che ci sei rimasta male! E per la cronaca, “questa scena” la facevo con le vergini dei Templi o con le povere bambine casa e chiesa quando ancora mi piaceva dare fastidio ad Arceus. Qualche secolo fa, per sentirmi un vampiro serio, ho sedotto e anemizzato una quindicina di ragazze della seconda categoria. Non ho avuto il cuore di ucciderle perché in fondo mi stavano simpatiche e perché... anche se quando vi ho visti la prima volta credevo foste roba da mangiare, il vostro sangue mi fa schifo. Non so che razza di creatura possa apprezzarlo. Ma con te non ho mai fatto nulla del genere: di che ti lamenti?».
«Non mi sto lamentando e non ci sono rimasta male» si difese la vecchia. «Mica sono lesbica!».
Lunala scrollò le spalle. «Neppure io. Non significa niente, esistono le mezze misure. E tu eri così disperata per un uomo da buttarti tra le braccia di una donna. Io sono sempre la donna sbagliata, comunque».
«Già. Perché sei stupida e masochista. Come il tuo amico mezzo-serpente».
L'altra si adombrò. Il suo bel viso da fata e musa assunse finalmente un'aria minacciosa. «Non insultarlo così davanti a me!» la avvertì a voce bassa. «Non è nessuna delle due cose. Si è trovato in una situazione difficile, siamo entrambi in una situazione difficile. D'altronde... non ci hanno rinchiusi qui per semplificarci la vita».
Mentre finiva di parlare le offrì il braccio e l'anziana lo accettò. Continuarono a camminare insieme, il terreno era accidentato e il panorama triste e vuoto, tanto valeva chiacchierare con la propria stampella. «Sembriamo la personificazione dell'Inverno e della Primavera» ammise Agatha con un sorriso amaro.
«In questo Universo avete almeno la sicurezza di reincarnarvi» obiettò la ragazza.
«E chi lo sa?».
«Arceus» rispose la vampira. «Lui era... è... un ottimo bugiardo, perciò non so su cosa mi abbia mentito o su cosa sia stato sincero con me. È sempre stato evasivo o chiuso come un forziere sulla Creazione, però voi non eravate al centro del suo Disegno e qualcosa sul vostro conto se l'è lasciato scappare».
«Perché sei ancora qui?» domandò Agatha a bruciapelo.
Lunala corrugò la fronte. «Qui...?».
«Qui in esilio. Se tu piagnucolassi e facessi un po' di recita, sono convinta che ti riprenderebbe indietro».
«Oh no, non lui. Forse un umano sì, ma lui no. E poi non voglio che mi “riprenda indietro”. Mi ha mandata via perché sono stata una madre mostruosa... ma come al solito era Cencio che diceva male di Straccio. Giratina non è così pericoloso da dover essere segregato qui. Questo posto è sconfinato ma inospitale, non c'è cibo e non c'è luce, questa privazione sensoriale è troppo persino per uno Spirito solitario e paranoico come lui. E ogni volta che guarda il Mondo Materiale nei suoi specchi la sua paranoia peggiora... ogni volta che prova a uscire e i geniacci della tua specie lo rimbalzano indietro, la sua paranoia peggiora. Questo esilio eterno è un accanimento. Un brutale, inutile, umiliante accanimento... come lo è stato creare quel riccio verde che fa i fiori a cui è allergico».
«Credevo che Giratina avesse la forza di annullare il mondo».
Lunala scosse la testa. «Le fratture dimensionali tra i due emi-universi possono far cadere il tuo Mondo Materiale nel disordine, e ultimamente siete stati voi a provocarle. Qualcuno di voi... fino a qualche anno fa, almeno... sosteneva che qui ci fossero delle enormi sacche di antimateria e che Giratina stesso fosse fatto di antimateria, me l'ha detto Grimsley...».
«Grimsley?! Il Superquattro di Unova, lo specialista Buio che si veste da deficiente?!».
«Sì, lui».
«Da quanto tempo l'hai avvicinato?! Non l'ho mai visto qui!».
«A Giratina non piace avere a che fare con dei maschi. È solo un cucciolo, dopo tutto. Dicevo... ».
«Da quanto tempo l'hai avvicinato?!» insisté la vecchia.
«Gelosa? Non è il caso. Anche lui ormai è troppo vecchio per me».
«Da quanto?!».
«Una ventina d'anni, mia cara».
Agatha sbuffò. «Al diavolo...» masticò fra sé, buia. «Cosa volevi dire?».
«A noi questa teoria sta bene perché vi convince a non entrare, ma se fosse fondata, voi che siete fatti di materia rimarreste annichilati all'istante. Scomparireste disperdendo più radiazioni di una bomba atomica solo entrando qui. Viceversa per lui, per il mio povero e innocente “Mostro dell'Id” cacciato fuori dal Mondo Materiale».
«Innocente?».
«Sì. Non è colpa sua se è bloccato in una forma oscura, credevo lo sapessi. Usa degli specchi inter-dimensionali per guardare dall'altra parte, sai? Praticamente vive tra quei cristalli anche se si vergogna ad ammetterlo. Credo che li stia guardando anche adesso».
Agatha annuì e si chiuse in un lungo silenzio. Era pensierosa, quando aprì bocca sembrò pure preoccupata: «Quanto è seria tra voi?».
«Non può esserci niente, tra noi».
«Lascia perdere Giratina. Intendevo tra te e Grimsley».
«Oh, andiamo...!». Lunala la guardò con aria compassionevole. «Quanto può essere stata seria? Sono un Pokémon!».


Ad Alola.


Il Popplio di Gong era un esemplare straordinario. Malgrado la sconfitta subita dal bullo, con l'aiuto sotto banco di Acerola era arrivata a un passo dall'evolversi in Brionne in appena due settimane di addestramento. La giovanissima leonessa marina era intelligente, vispa e capiva il linguaggio umano meglio di molti altri Pokémon, tuttavia aveva sviluppato una passione malsana per la T.V spazzatura e aveva smesso di allenarsi.
Ondine, che portava il nome di una maledizione, sembrava gioire della miseria umana.
Il che era un grosso problema, perché lei era l'unico elemento della squadra che progredisse a una velocità sostenuta. Ming, il Mimikyu stalker di Gong, era già “un pezzo avanti” secondo gli Allenatori più esperti, aspettava solo che l'amata Allenatrice accumulasse abbastanza esperienza da insegnargli qualcosa. Randal era stato selezionato per un lavoro diverso e Olly, abbandonata dal precedente Allenatore, aveva troppi complessi per sentirsi sicura in combattimento.
Consapevole di tutto questo, Ondine faceva la stellina capricciosa e voleva guardare la T.V.
Gong non sapeva come staccarla dallo schermo senza causarle un brutto trauma. Così, senza consultare Agatha che l'avrebbe rimproverata e umiliata senza insegnarle niente, come lei usava fare, aveva pensato di risolvere il problema semplificandosi il Giro delle Isole.
Aveva deciso di puntare allo Z Follectium prima di meritarsi i Cristalli disponibili a Ula'Ula.
Acerola le aveva confidato che il Capitano Mina, Specialista Folletto, era una tipa eccentrica e un po' fatta a giorni alterni; per una serie di motivi non preparava mai le Prove e per nasconderlo regalava i suoi Cristalli Z a tutti gli Allenatori che le si presentavano, nella speranza che non la denunciassero. Nessuno infatti l'aveva mai denunciata.
La Kahuna dodicenne di Poni, Hapu, era tosta e zelante, ma essendo una bambina non aveva la malizia per accorgersi delle brutte abitudini del suo eccentrico Capitano.
Acerola stava zitta per pietà. Sapeva che Mina sarebbe finita come Guzma e i ragazzi del Team Skull se avesse perso il lavoro, il suo tipico temperamento da artista non le avrebbe consentito di condurre una vita normale.
Presa la decisione di rimandare il problema “Ondine” e di andare a Poni in battello, Gong dovette fare di tutto per capire come prenotare un biglietto via internet con l'assistente vocale. Poi decise che non era nelle sue corde e si lasciò di nuovo aiutare da Acerola.
Si imbarcò convinta che un viaggio così breve non le avrebbe dato fastidio e si pentì amaramente di averlo pensato.
Arrivò a toccare la costa più morta che viva, si inginocchiò sull'erba e Randal si accucciò poco più in là. Aveva il suo stesso problema.
Siccome partecipava al Giro delle Isole aveva dovuto informare Nanu che se ne andava.
Lui aveva avvisato Hapu del suo imminente arrivo e la bimba aveva deciso di incontrare la sua futura sfidante.
Il collega le aveva detto con un mezzo sorriso di aspettarsi qualcosa di speciale, così la sua fantasia aveva galoppato e lei si era immaginata un giovane prodigio delle lotte Pokémon sulla groppa di un Kommo-o.
E invece si trattava di una ragazza con un cane guida, in ginocchio sull'erba, costretta a combattere con la nausea da mal di mare. Nanu doveva essere diventato scemo, la delusione della dodicenne fu cocente. I piedi di Hapu volevano andarsene, la testa la fermò. Ormai era un'autorità quasi sacra, aveva dei doveri, non poteva comportarsi da bastarda con un'ospite, per giunta diversamente abile.
Si schiarì la voce. «Tu sei Yueguang Shan?» domandò avvicinandolesi.
«S... sì...» replicò lei a bassa voce. Ancora faticava a parlare, le girava la testa. Fece un respiro profondo e provò ad alzarsi in piedi. Era atletica ed era una pertica, aveva due bracciali d'acciaio stretti attorno agli avambracci e la presenza fisica di una specie di valchiria. Questo, malgrado la sua faccia da brava bambina, doveva aver convinto Tapu Bulu a consegnarle la sua pietra.
Hapu era piccola di statura persino per la sua età e si rinfrancò un poco: non tutta la sua fantasia era perduta.
Le porse la mano e la cieca la strinse con una certa insicurezza. Randal sgranò gli occhi azzurri appena si accorse dell'errore e abbassò le orecchie sperando che nessuno ci facesse caso.
La bambina però era presa delle formalità, perché non era abituata a ricevere nessuno. «Sono Hapu, la Kahuna di Poni» scandì. Almeno non si era mangiata le parole. «Benvenuta nella mia isola».
L'ospite accostò il pugno alla mano aperta e accennò un inchino in un saluto simile a quello della gente di Kanto e Johto. Non era proprio uguale, ma Hapu l'aveva già visto altrove. Lo ripeté senza pensarci. «Beh, fammi sapere quando sei pronta a sfidarmi» concluse.
Mai, sarebbe stata la risposta giusta. Mentre cercava Mina, la cieca dovette accettare diverse sfide e le perse quasi tutte. Non aveva messo in conto il tragitto per arrivare dove doveva. Ming il Mimikyu fu l'unico a rimanere in piedi, dovette far finta di guidarla tenendole la mano.
Finalmente, il fantasma riconobbe la ragazza eccentrica che cercavano. Era scontato che fosse lei, anche per uno Spettro poco fisionomista, per un mezzo Folletto poi emanava un profumo particolare, segno che usava circondarsi di altri Folletti.
Mina era più strana dal vivo di quanto raccontassero in giro. La sua maglietta era sporca di tinta, i suoi capelli biondi erano sporchi di tinta, la sua faccia era sporca di tinta... i suoi occhi grigi erano assonnati e i suoi movimenti piuttosto lenti per una ragazza così giovane.
Fu facile per Gong convincerla a regalarle il Follectium in cambio del silenzio. Purtroppo lei si dimenticò di spiegarle come usarlo.
E così il ritorno si rivelò ancora più difficile dell'andata. Ming era esausto, non poteva combattere sempre da solo e il Follectium sembrava non funzionare. Dei perfetti sconosciuti la sfidavano, la battevano, la umiliavano. Gli Allenatori più giovani erano i vincitori peggiori: molti soffrivano di un latente delirio di onnipotenza nato dall'illusione di possedere loro stessi i poteri dei loro mostri tascabili. Da lei pretendevano dei soldi che non aveva e le dicevano di andare a chiedere l'elemosina.
La cieca arrivò alla costa con uno zoccolo e una ciabatta, giù di morale per le troppe sconfitte subite, promettendosi di non farne menzione con Agatha. Doveva pure essere diventata paranoica, perché aveva la sensazione che qualcuno la seguisse.
Prima che raggiungesse il molo, quel qualcuno le si parò davanti con le mani sui fianchi. Era la piccola Kahuna Hapu che per qualche motivo doveva aver avuto pietà di lei. Magari le avrebbe dato dei soldi o qualche dritta. «Should I lend you a hand, “Twinkle Toes”?» le domandò con una sorta di falsa spocchia.
«Ye... yes...» fece Gong. Poi corrugò la fronte. «...what did you said?».
«Now I see and you're blind, but you make it seem difficult...» scherzò lei.
Gong fissò il vuoto con gli occhi sgranati.
Non c'erano molti motivi per cui una ragazzina Aloliana dovesse impersonare quella parte, né molte vie per procurarsi il copione. Quel mondo era strano, in bilico tra Materia e Spirito, l'innegabile influenza del Grande Spirito dell'Oscurità e del Caos, Vaatu, aveva infranto le barriere tra le due realtà e le aveva lasciate molto sfumate. Troppo, per i rigidi criteri di Raava. Gong ci si stava abituando ma aveva dei problemi ad accettare che i suoi mostri tascabili fossero fatti di carne e ossa, o di qualsiasi tessuto li componesse. A lei parevano tutti Spiriti. Era abituata a vedere l'acqua o la roccia materializzarsi dal nulla, ma non a incontrare due anime nella stessa persona, o due personalità non ben divise nella stessa anima mortale: «Toph...? you... here?! Toph!» la agguantò e la sollevò per abbracciarla. «Tuofu Beifang...! But... how...?».
«Trust me, I really hope I'm not here just for you».
«Now you are a doll!» commentò entusiasta la cieca, constatando quanto la reincarnazione della sua vecchia amica fosse piccola e leggera.
«Ah, mettimi giù, spilungona! Sono la Kahuna qui, l'hai dimenticato?!».
Mentre parlava si commosse pensando a qualcosa.
«Piangi?» le domandò Gong.
«No, per niente!» singhiozzò lei.
Continuarono a parlare in disparte mentre i battelli salpavano senza la passeggera cieca. Chiacchierarono fino a notte fonda, almeno lei non la sfidò. Prima che si congedassero, Gong prese coraggio e domandò alla sua vecchia Maestra del Dominio della Terra: «Mi darai lo Z Terrium?».
Hapu scosse la testa. «No, è contro le regole. Però posso darti questo».
Si tolse una cordicella con un ciondolo fatto a boccetta.
«Che cos'è?» domandò Gong. Al suo interno c'era l'equivalente di un paio di gocce d'acqua.
«Una specie di pozione magica. Se la bevi può guarirti da ogni ferita o malattia. A te potrebbe anche ridare la vista, però pensaci prima di usarla per quello. La produce Tapu Fini in minime quantità e in tempi lunghissimi, sprecando un sacco di energia, se la usi non ne troverai altra. Mio nonno non l'ha usata, è morto “da uomo saggio”, così l'ha data a me e io posso scegliere se usarla per me o per qualcun altro. Preferisco che la prenda tu: se va come nelle tue vite precedenti, in tanti proveranno a farti secca. Ah, l'ultima cosa: ti prego, iscriviti a un corso base di Allenamento».


Nel Mondo Distorto.


«I miei complimenti, Chiaro di Luna della Tribù del Nord: hai sconfitto Toro Sdraiato! L'ho scoperto poco fa, quel simpaticone in maschera non me l'aveva detto. Ora è nostro prigioniero!».
Lunala era stranamente allegra, svolazzava col suo cucciolo sulla testa.
Gong però non aveva capito. «Chi...?!».
«Campanaccio. Giratina mi ha detto che sei stata tu a suonargliele».
Ancora non capiva.
Lunala le dette un attimo e poi tentò la terza volta: «Hai riempito Tapu Bulu di calci nel culu!».
«Peeewww!» rise Cosmog.
Lusingata, la monaca sfoderò tutta la sua falsa modestia. «Ah sì, quello... beh, ho avuto fortuna...».
Se avesse avuto una coda di pavone, in quel momento l'avrebbe aperta in una ruota.
«Sei venuta qui per raccogliere la gloria?».
«No. Io... volevo parlare con Giratina».
«E' in giro. Puoi parlare con me: anche io devo parlarti».
«Dov'è Agatha?».
«Sono riuscita a mandarla via, non si rivedrà per un po'».
Ad Alola.


Lunala le aveva affidato Cosmog. Negli edifici dell'Aether c'erano molte riserve di cibo per le Ultracreature, la vampira aveva pensato di usare Gong come cavallo di Troia per portare il suo cucciolo all'interno. Dovendo farsi perdonare le follie della loro precedente Presidentessa, per non finire arrestati o distrutti dall'opinione pubblica, se avessero trovato un Cosmog nella Residenza Aether avrebbero cominciato a nutrirlo. Non era la prima U.C capitata lì per fame. Lunala non voleva separarsi dal suo cucciolo, però sapeva quanto lui fosse debole e denutrito oltre che annoiato. La vita nel Mondo Distorto non era facile né per lui né per lei che doveva percorrere distanze enormi per trovare del cibo quando non era Giratina a portarglielo.
Era notte fonda, Gong stava salendo i gradini d'entrata della Residenza con Cosmog nascosto nello zaino.
Appena varcò la soglia udì un urlo ferino da una stanza all'altro capo dell'edificio e percepì una belva e un umano correre verso di lei, prima che tutti gli altri ospiti piombassero giù dal letto e si affacciassero alle porte delle loro camere.
La belva era un caos vivente, una sorta di chimera con una testa argentea da felino sormontata da una cresta piumata, le zampe anteriori da rettile e la coda azzurra da pesce. Aveva sentito l'odore o la traccia di Cosmog e siccome era addestrato a prevenire le invasioni aliene, forse si stava precipitando a sbranarlo.
Gong puntò il piede a terra e chiudendo gli occhi per non mostrare la sua Forma Avatar scatenò una scossa di terremoto che svuotasse l'edificio o almeno le desse la scusa per scappare. L'edificio tremò ma nessuno uscì dopo di lei, nessuna folla spaventata la separò dai suoi inseguitori. Valutò se cercarsi un posto isolato per provare ad ucciderli entrambi.
«Torna dentro!» gridò il proprietario del segugio. «C'è una U.C in giro!».
Il suo Pokémon artificiale, Silvally, invece tirò avanti e minacciò di azzannarla alle gambe. Aveva capito che la cosa stava nel suo zaino, ma non poteva sbranarla senza un ordine esplicito del suo padrone.
«Lass sie in Ruhe!» gli urlò il giovane. Lui si sedette davanti alla ragazza come un bravo cane e continuò a puntarla. L'Allenatore capì. «Apri lo zaino» le ordinò. Aveva una voce interessante e un accento strano, lo stesso di alcuni dipendenti e della Direttrice Wicke. Prima non l'aveva notato, d'altronde lui non le aveva mai rivolto la parola.
Gong obbedì anche per paura che la bestia provasse a mordere la stoffa. Non era così che aveva progettato di introdurre Cosmog. Il cucciolo era più spaventato di lei. «Pe...» fece, ma la voce gli si spezzò per la paura mentre la cerniera scorreva sopra di lui.
Appena lo vide, il ragazzo biondo fece una faccia strana. Sbiancò. «Dove l'hai trovato?» domandò alla cieca.
«Io fa Giro di Isole. E io trova questo. Io non sa cosa è».
«Beh, lo so io».
Il piccolo agitò appena l'unico “pompon” che poteva muovere. «Pew».
«Che gli è successo? E' ferito...».
«Io non sa» insisté Gong.
Non lo sapeva davvero, non aveva idea di come e quando si fosse fatto male.
«E' amico tuo? Ti si è affezionato?».
«Io non sa».
«Pew...!» replicò lui sfiorandole il polpaccio come aveva fatto la prima volta. I Cosmog si affezionavano facilmente quasi a chiunque, persino a chi conoscevano da un giorno o due. Poi il cucciolo fece caso alla chimera chiamata Silvally e la sua reazione fu sconcertante.
«Peeew!» esultò. Si precipitò verso di lui e cominciò a girargli attorno senza suscitare il suo interesse. «Pew! Pew, pew, pew! Pew!» urlava allegro. «Pew?».
Nulla da fare: il feroce Silvally restava impassibile.
Il piccolo parve sinceramente deluso. Sotto gli occhi verdi e perplessi del ragazzo biondo, tacque e tornò da Gong. Per la gioia della monaca, il giovane dalla voce interessante si rivolse di nuovo a lei: «Seguimi» le disse.
Gong non se lo fece ripetere.

*


Hapu urlava come un'invasata: «Io non posso avere un Capitano che si droga e trascura il suo lavoro! Hai capito?!».
Mina, seduta di fronte a lei, rimase zitta e ad occhi bassi.
La Kahuna bambina parve calmarsi un poco e si lasciò cadere sulla sedia. «Ascolta...» cominciò, a voce più bassa ma sempre dura. «Dimmi tutto quello che vuoi, ma non sei adatta a ricoprire questo ruolo. Pulisciti e poi ne riparliamo. Riconsegnami i tuoi Cristalli».
Mina rovesciò lo zaino sul tavolo e lasciò cadere tutto. Tutto: cristalli, pennelli, sfere, taccuini, occhiali, portafoglio. Poi girò i tacchi e prese la porta senza tenersi neppure lo zaino.
Hapu, Toph Beifong, era un cuore ruvido e indurito dalla vita e dall'esperienza sul lavoro, non c'era scenata in grado di far vacillare le sue decisioni, neppure da parte di una ragazzina difficile come lo era stata la figlia Suying.
Mina uscì e lanciò un'occhiataccia alle due donne che aspettavano il loro turno nel giardino, una in bianco e una in giallo. Quella in giallo, preoccupata come una studentessa convocata dal preside, era Valerie di Kalòs. Era nata a Johto e i suoi occhi a mandorla lo facevano sospettare, ma fin da bambina voleva lavorare con i Folletti e il Maestro Drago Lance non lo permetteva. Così si era trasferita a Kalos, dove per la sua affinità e abilità con quelle creature era arrivata a diventare Capopalestra. Ma non lo sarebbe rimasta per molto: la sua seconda, la sua migliore amica, puntava a farle le scarpe e lei non se ne accorgeva. Prima o poi avrebbe perso il suo ruolo e, col suo lieve-moderato deficit intellettivo, si sarebbe trovata allo sbaraglio in una frenetica, modernissima, super-industrializzata Regione straniera. Alola era più alla sua portata e la stessa Diantha, attrice e Campionessa di Kalòs, aveva insistito per mandarla lì in sostituzione temporanea di Mina. Si preoccupava tanto per quella povera creatura da interrompere la sua routine per accompagnarla di persona. Era la donna vestita di bianco che Mina non aveva riconosciuto. Indossava dei grandi occhiali scuri e una parrucca bionda sotto un cappello bianco, proteggeva la sua pelle eburnea con una gonna pareo e delle maniche lunghe. La sua tanto chiacchierata bellezza era in realtà ordinaria, colpiva più le bambine che gli uomini, ma i suoi enormi occhi grigi e la sua classe innata, assieme alla sua incrollabile indole di ragazza della porta accanto, avevano ammaliato i Kalosiani. Perciò nel suo tempo libero si camuffava e scappava dai paparazzi e dai suoi numerosi fan.
Si sarebbe trattenuta qualche giorno ad Alola con Valerie per insegnarle a vivere da sola, intanto sperava che Hapu si dimostrasse un po' più elastica con lei di quanto lo fosse stata con Mina. Compito arduo, se la pubertà le stava facendo male come dicevano.
«Non farla piangere» le sussurrò Diantha mentre la accompagnava nella modesta dimora della Kahuna. «Ha la lacrima facile. Sii gentile».
Valerie era uno scricciolo di donna, ben proporzionata ma tanto piccola da poter essere definita nana.
Le avevano tolto il costume da farfalla e adesso si sentiva goffa e brutta, continuava a esaminarsi le mani e le unghie come se non le riconoscesse più. Di tanto in tanto si guardava il vestito giallo e corto senza ricami e le ciabatte basse. Era imbarazzata e perplessa.
«Sai perché sei venuta qui, vero?» le domandò la Kahuna.
Nessuna risposta. Valerie era concentrata sulla stoffa e la dodicenne ne fu indispettita: «Guardami quando ti parlo!».
Diantha alzò un dito e scattò al posto suo: «No! No, Hapu: era proprio questo che volevo evitare!».
La donna-bambina allora tirò su la testa, preoccupata che potesse scoppiare un litigio per colpa sua.
Hapu sospirò: parlare con una come Valerie era ormai fuori dalle sue abilità.




1Questa cosa di diventare apparentemente umana l'ha fatta solo Latias, credo. Comunque, tornando a noi, penso che si possa affermare con un certo margine di sicurezza, dal design e dalla sua correlazione con la notte e la luna, che Lunala sia una figura vampiresca. Tenete presente che la vampira (femmina) ha una radice diversa dal suo omologo maschile. In particolare, è più antica ed è più esplicitamente legata alla sessualità. Nonostante Lunala non sia umana, come le cosiddette vampire ante-litteram pre-cristiane, ho deciso di accostarla alle sue colleghe ottocentesche Geraldine e Carmilla e farle prediligere - almeno per ora - vittime femminili.





AUTRICE: draghi, sono fuori allenamento. Ricomincio così e adesso anche se ho sonno, almeno mi metto in testa di ricominciare. Se mi sono contraddetta all'interno del capitolo o se ho sbagliato a scrivere qualcosa in lingua straniera ditemelo, google traduttore non è un gran consulente. Perdonatemi se faccio scorrere così i personaggi ma ce ne sono alcuni su cui non mi soffermerò.

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Capitolo 7
*** Le streghe. Parte I ***


AUTRICE: stavolta parlo all'inizio per precisare un paio di cose: 1) ciò che è scritto qui è simil-canon, ovvero le cose nella versione ufficiale non vanno come le ri-descrivo io. 2) questa prima parte non è movimentata ed è un po' densa di chiacchiere, perciò l'ho separata dalla seconda che è altrettanto chiacchierata. Se postassi tutto il capitolo insieme mi sembrerebbe di cacciarvelo giù con l'imbuto.
 


7.Le streghe (I)


 
Nel Mondo Distorto


Gong era scesa nel Mondo Distorto in spirito e stava tormentando Lunala perché facesse un po' di luce sulla situazione.
«Cosmog ha fatto le feste a Silvally perché non è molto fisionomista» le spiegò un po' irritata la vampira. «L'ha scambiato per Arceus».
«Ma come?!».
«Arceus è uno Spirito legato indirettamente all'Acqua e ai laghi, perciò può assumere forme diverse, e per un cervellino come quello di Cosmog non è facile distinguere quelle “giuste” da quelle “somiglianti”. Non so se mi spiego. A voi umani, Lui ha deciso di presentarsi nelle sembianze di un cavallo... o qualcosa di simile, insomma. Fatto sta che chiunque abbia incontrato uno dei suoi “Idoli” negli ultimi ottomila anni ti dirà che Arceus assomiglia a un cavallo. Però quel Silvally dev'essere modellato sull'immagine del Qilin, quella che Cosmog conosceva, e non so come gli umani se ne siano ricordati».
«Va bene. Ma perché Cosmog dovrebbe fare le feste al Nemico?».
«Non dirgli che lo consideri un nemico, ne rimarrebbe traumatizzato! Arceus era il suo padre adottivo».
«Adottivo...?».
«Adottivo. I miei Cosmog sono nati da un rapporto tra me e il mio attraente fratello maggiore, Solgaleo. Ero giovane e stupida e ho tradito il Creatore di questo Universo con mio fratello, non so perché Lui non ci abbia mandati tutti al rogo. Fatto sta che ha “dimenticato” la mia debolezza e ha adottato i due frutti dell'incesto, purché mio fratello sparisse dalla circolazione nei suoi territori».
Gong era nervosa. Mettendo da parte il gossip, era possibile che Lunala si fosse alleata con Giratina solo per distruggere una vecchia fiamma e non un dio malvagio.
Cercò di portare il discorso su altri argomenti. «E come si è ferito, Cosmog?».
«Già... brutta storia» cominciò Lunala. E poi fece una lunga, lunghissima pausa, come se sperasse che la cieca si dimenticasse di aspettare una risposta.
Gong restò in attesa in silenzio fino a sfiorare il ridicolo.
«Solgaleo si è pentito dell'incesto e ha cercato di eliminare i nostri figli» riprese la vampira. «Ha trovato solo uno dei gemelli ed è stato intercettato da Arceus prima che potesse ucciderlo. C'è stato uno scontro e il risultato sono le Pietre Lucenti».
Gong aggrottò la fronte: «Loro si sono picchiati e... puff! Le Pietre Lucenti?».
«Arceus ha sopraffatto Solgaleo e l'ha fatto a pezzi, pezzi sempre più piccoli, dopo di che... puff! Li ha sparsi in giro per tutta Alola a beneficio dei suoi abitanti. Del leone non si butta via niente».
«E' terribile!» esclamò sconvolta la monaca. Credeva che quelli racchiusi nella roccia delle Pietre Lucenti fossero solo schegge di metallo e non i frammenti del corpo di un Leggendario.
«Terribile... no, se è andata come sembra. Il mio povero Cosmog, quasi ucciso da suo padre! Per forza gli si è bloccata la crescita! Quando sono venuta a sapere dell'aggressione, ho pensato che fosse stato Arceus a tirare le fila, a controllare la mente di mio fratello per costringerlo a ferire Cosmog».
«E lui si è arrabbiato?».
«Moltissimo».
«E ti ha mandata qui per questo?».
«No. Quando mi sono calmata un po' gli ho detto che non avrebbe avuto bisogno di un piano così elaborato, perché se avesse deciso di sbarazzarsi dei Cosmog, io avrei accettato le sue ragioni e sarei rimasta al suo fianco. Allora, lui ha detto: “Questa relazione è tossica. Vattene”. E ha aggiunto di tornare a scusarmi solo quando avessi riflettuto sulla gravità delle mie parole».
«Gli hai offerto in sacrificio i tuoi figli...!».
«Sì. Ma ora sono cambiata, il mio povero Cosmog non deve sapere nulla. Me ne sono presa cura per quasi novemila anni! Il suo gemello sano era più vispo e ho deciso di affidarlo alla famiglia reale di Alola molto tempo fa. Cosmog è diventato per gli Aloliani quello che la Floètte rossa scelta da Xerneàs “ὁ Καλός” era per il Kalosiani: l'incarnazione del Mandato del Cielo, qualcosa per la cui salvezza si scatenavano guerre e si creavano corpi speciali».
«Cioè voi Leggendari date un pokimon a qualcuno e quel qualcuno da allora è re?».
«Ha il diritto di governare le terre che proteggiamo, sì. Aveva: ormai, dopo il caso “Floette”, non si fa più così».
«Che cos'è il caso Floèt?».
«Tremila anni fa hanno ucciso il Mandato dei Cieli di Kalòs. Il re, terrorizzato all'idea di perdere il Potere, prima che Xerneas si svegliasse, ha costruito una macchina per riportare Floette in vita. Qualcosa di più simile a una bomba che a un defibrillatore. Il progetto esisteva già, rientra in un protocollo di sicurezza che dovrebbe essere gestito solo dagli spiritelli del Trio Pozzanghera. Sai... da Sinnoh passa l'Axis Mundi e se venisse giù, l'Universo intero sprofonderebbe nel Caos. Perciò se qualcuno lo minacciasse e le altre procedure di sicurezza fallissero, “Grey Flower” rimarrebbe l'unico strumento utile per eliminare radicalmente ogni possibile minaccia. Non conosco i dettagli, però so che si tratta di una macchina in grado di assorbire le energie rigeneratrici di Xerneas e quelle distruttrici di Yveltal, per poi rilasciarle in un'unica esplosione ad anello. Chi si trova nel raggio interno, vicino all'epicentro, assorbe la vita altrui come Yveltal; chi sta nel raggio esterno cede la propria come Xerneas. Tremila anni fa, Floette è tornata in vita, il re è diventato quasi immortale e tutti gli altri... puff! Piante, umani e Pokémon... tutto morto, a Kalòs. Floette è fuggita immediatamente, la notizia dello sterminio è arrivata a Sinnoh ed Azelf ha riportato in vita quante più vittime possibili e distrutto Grey Flower. Ma non ha toccato il sovrano. Così il re immortale è caduto in disgrazia, le sue vittime redivive che non avevano riavuto i loro cari sono tornate a cercarlo e l'hanno torturato fino a ridurlo come un relitto umano. Ora è un vecchio clochard psicotico e solitario, un'anima in pena che da tremila anni vaga per il suo regno ripetendo le prime lettere del nome di Azelf. Roba da Corte dei Miracoli: le ragazze e i bambini scappano a chiudersi in casa quando lo vedono, i turisti lo fotografano, gli uomini e le prostitute lo evitano. Il suo vero nome ha subito una damnatio memoriae, i suoi compatrioti francofoni credono che ripeta “A-Zed” e lo chiamano AZ. Ad Azelf comunque non importa un fico secco né di lui né del pericolo che potrebbe costituire. Azelf è lo Spirito della Volontà e non vacilla nelle sue decisioni, perché è emotivamente vuoto e privo di empatia. Siccome è piccolo come un gatto e assomiglia a Mesprit tutti lo credono dolce e carino, compresi gli altri Pokémon, in realtà è come Arceus sa essere quando si mette in testa di punire qualcuno. E infatti, temo che i Guardiani dei Laghi di Sinnoh siano gli Avatar parziali di Arceus. Le sue tre maschere. Ma lui non lo nega e non lo conferma».
«Io me ne torno a casa».
«Vai pure a casa».
«Non hai capito! Voglio tornare nella mia vera casa, sul mio pianeta, in Monastero!».
«Temo che questo non sia possibile. Come mai ti viene in mente adesso?».
«Perché non mi avevate detto... perché.... Arcèus... come faccio ad andare contro un Essere del genere?!».
«Ah, io non lo so. Chiedilo a Giratina, è un pensiero suo».


 
Ad Alola


Plumeria era confusa e di cattivo umore. Si era rinchiusa nella sua stanza nella cosiddetta Villa Losca e non ne usciva da un giorno intero. Aveva dormito e poi si era incantata a guardare le infiltrazioni d'acqua nel muro. Il posto era squallido, la stanza era squallida... Plumeria non capiva come, né quando, né perché si fosse abituata a vivere in quella miseria.
Qualcuno bussò. «Piccola, tutto bene?».
Doveva essere il suo ragazzo, il capo del Team Skull, Guzma.
Lei non voleva vederlo e non rispose.
Sentì bussare di nuovo. «Piccola...?».
Quel plebeo sembrava preoccupato. Se lei non gli avesse risposto, di certo avrebbe sfondato la porta. Plumeria andò ad aprirgli senza una parola, non sorrise e si fermò sulla soglia per non lasciarlo entrare. «Che cosa vuoi?» gli domandò cupa.
Guzma era perplesso e nervoso. Era un uomo piuttosto alto e massiccio, truccato e vestito da punk coi capelli tinti di bianco e le braccia coperte di brutti tatuaggi, ma non aveva veramente un carattere da pazzo scatenato e in quel momento sembrava goffo come un ragazzino. «Cosa c'è? E' per qualcosa che ho fatto?» le chiese.
«No» fu la risposta.
Plumeria incarnava lo stereotipo della donna umorale, lo sapevano tutti gli Skull, però normalmente cercava di spiegare o limitare i suoi malumori. Questa volta doveva esserle successo qualcosa.
«Cos'hai fatto, oggi?» le domandò Guzma. «Hai litigato di nuovo con quel delinquente di Nanu?».
Nanu era un poliziotto, quindi, per loro, un delinquente.
Plumeria finse di pensarci su. «No» rispose.
«E allora...?».
«Fatti gli affari tuoi!».
E chiudendogli la porta in faccia lo lasciò con i suoi dubbi. Non l'aveva tradita di nuovo, aveva fumato un paio di spinelli la sera prima ma non aveva toccato l'alcol, e poi le ragazze Skull non erano più molto disponibili con lui, per rispetto verso la loro Sorella Maggiore. Stavolta non capiva proprio dove avesse sbagliato.
Plumeria si sedette sul letto e continuò a fissare le infiltrazioni d'acqua sulla parete. Forse stava diventando pazza. Per sedici anni della sua vita, anche se non capiva di quale vita, era stata abituata a ben altro, al lusso di una reggia e a una compagnia altamente selezionata. Le sue uniche due amiche erano la figlia di un governatore e una serva ex circense, quasi una zingara, ma educata alla vita di corte. Per il resto era come rinchiusa in una gabbia di aspettative e di convenzioni. Era una giovane principessa e una grande Dominatrice del Fuoco da cui il padre e il nonno si aspettavano grandi cose, era il risultato riuscito di un incrocio tra una stirpe reale e stirpe una quasi divina. Ma era anche considerata una psicopatica, capace solo di intimorire chiunque la conoscesse, sgradevole di carattere, perfezionista fino all'inverosimile e sessualmente repressa, tanto da accarezzare dei vaghi pensieri incestuosi nei confronti dell'amato padre e, soprattutto, dell'odiato fratello maggiore. Nonostante avesse potenza, bellezza, intelligenza, nobiltà e denaro, le sue enormi tare caratteriali scoraggiavano i pretendenti. Ma non capiva come diavolo avesse ceduto al corteggiamento di un bifolco come il giovane alla porta.


 
*


Gong si era iscritta a un corso di recupero estivo come le aveva consigliato Toph e la scuola la stava aiutando. Aveva catturato una specie di palma di doppio tipo Erba/Drago e l'aveva chiamata Long Long. Era riuscita a risolvere qualcuno dei complessi di Olly e a introdurre al combattimento Randal. Non sarebbe diventata una virtuosa della lotta Polémon, ma almeno si stava muovendo. La nuova maestra, non giovanissima ma meno cattiva di Agatha, la invogliava ad impegnarsi di più.
Quanto a Ondine, il suo carattere da stellina e la sua ossessione per i programmi spazzatura erano peggiorati.
Un altro lato negativo della situazione erano i suoi tre compagni di classe. Erano odiosi, piccoli bulli e forse criminali in erba, tutti sulla strada per finire nel Team Skull come l'undicenne che due settimane prima voleva rubarle lo zaino.
Certe mattine, Gong si ritrovava sola in classe. Era l'unica che avesse fatto dei progressi e perciò la trattavano da secchiona, ruolo che al Monastero le era stato sconosciuto.
La maestra la incoraggiava a tentare la prova Elettro e lei recalcitrava, i compagni le davano della vigliacca, la maestra insisteva, lei cercava di rimandare... alla fine dovette perdere il bus per l'Osservatorio assieme al più cattivo e antipatico dei suoi compagni, per dimostrare a chissà quale divinità guerriera di non essere fatta di pasta frolla.

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Capitolo 8
*** Le streghe. Parte II ***


NOTA: anche qui parlo all'inizio. Dico: 1) introduco un personaggio che rimarrà parecchio tra le scatole. Non è mio, appartiene a Kusaka e Yamamoto. È esclusivo del manga e non è molto popolare, tant'è che il suo nome non compare né nella lista dei personaggi né tra le proposte da inserirci. Nonostante incarni un cliché, a me è piaciuto abbastanza. 2) ovviamente, nel canon non ha la malattia che dico qui, anche se il suo design nel complesso mi ci ha fatto pensare.
Buona lettura.
E' già finito settembre, mannaggia...

 



 
8.Le streghe (II)

 

La prova di Sophocles per ottenere l'Electrium Z sembrava commisurata alle esigenze di Gong. La maestra aveva avuto ragione a incoraggiarla, e anche a mandare il bullo perché smettesse di prenderla in giro. Quando la macchina “dei suoni”, attivata, fece saltare la luce, Gong si ritrovò a dirigere il combattimento in una grande stanza buia. Davanti aveva un piccolo coleottero con un guscio bianco e delle minuscole emimandibole a tenaglia arancioni. La fioca luce diffusa a tratti dai suoi attacchi non sarebbe stata sufficiente ad illuminare i movimenti del suo corpo. Il suo cane guida Randal glielo fece supporre abbaiando insistentemente, come faceva quando voleva avvisarla di qualcosa. Ming, il suo Caposquadra, girò le spalle all'avversario che continuava ad attaccare, solo per prenderle le mani nelle sue. La costrinse a muovere le braccia come se volesse invitarla a ballare. La cieca capì e si fidò della loro valutazione: ritirò Ming, fin troppo addestrato, e disse a Randal di tacere e di combattere al posto suo.
Il cane si comportò egregiamente,
Grubbin fu sconfitto.
Il secondo sfidante fu un Charjabug.
Gong schierò Ondine, pur avendo appreso da tempo dello svantaggio di Tipo.
La piccola e pigra Brionne si stropicciò gli occhi come se si fosse appena svegliata. Avvertì il dolore della prima scossa elettrica sulla sua pelle umida, sobbalzò e si fece immediatamente più vigile.
Capì di essere di fronte ad un Elettro e con una fuga goffa andò subito a nascondersi dietro la gamba della cieca.
Era conscia dello svantaggio e non era disposta a sforzarsi per colmarlo.
Gong stavolta non si lasciò impietosire dai suoi capricci.
La prese in braccio e la buttò di nuovo davanti a sé, nei limiti immaginari di un ring improvvisato, a fronteggiare il Charjabug selvatico senza protezioni.
Ondine aveva perso il turno, dovette subire una seconda scossa che la ridusse quasi allo stemo delle forze.
Ma Gong voleva che combattesse per lei e non l'avrebbe ritirata.
La Brionne si accucciò per terra rifiutandosi di lottare, l'Allenatrice mosse appena un piede e la terza saetta diretta a lei si scaricò su una piccola barriera di roccia, nata nel buio tra Brionne e il Pokémon Batteria.
Ondine prese un po' di coraggio. Appena lo schermo si abbassò, soffuiò dal naso da pagliaccio un getto d'acqua contro l'avversario. La barriera tornò e il successivo attacco del povero Charjabug fallì come l'ultimo.
La cieca si fece bastare quattro giri di quella pagliacciata, come prova della buona volontà e del pentimento della sua Brionne.
Imprigionato e poi schiacciato in una piccola trappola di roccia, il Pokémon Batteria svenne.
Allora si fece avanti il Dominante. Poiché l'Osservatorio era invaso dalla loro linea evolutiva, era prevedibile che fosse un Vikavolt a comandare. Il difficile era decidere quale membro della squadra usare contro un Pokémon del suo livello. Gong scelse Randal per salvare le apparenze anche nel buio, ma si occupò personalmente di mandarlo al tappeto.
Finalmente, aveva superato la sua prima Prova e guadagnato “sportivamente” il suo secondo Cristallo.
Il giovanissimo e rotondo Sophocles le consegnò lo Z Electrium complimentandosi per la sua abilità e il suo zelo nel combattimento, nonostante non avesse prestato la minima attenzione a uno show che ormai reputava noioso.
Era solo felice di essersi liberato di una seccatura, un'ospite più molesta di un insetto. Ora poteva tornare al suo lavoro. Ormai la passione del cugino Molayne per l'Osservatorio l'aveva contagiato, neppure lui aveva più voglia di ricoprire il ruolo di Capitano.
Troppe formalità, troppe scocciature.
Il bulletto che aveva accompagnato Gong era cupo come se avesse visto passare un funerale.
Sperava davvero di assistere a una disfatta, per canzonarla con gli amici in classe.
Gong se ne uscì dall'edificio tutta contenta.
Mentre raggiungeva la fermata della navetta, si accorse che il marmocchio si stava allontanando. Scendeva giù per la strada di montagna, piena di tornanti e senza marciapiede.
«Dove vai?!» gli urlò dietro.
«In c..» fu la risposta non censurata.
La monaca sobbalzò e batté nervosamente le palpebre. Pur mantenendo una patina di ipocrisia, non si era ancora abituata a un liguaggio così volgare. Si dimenticò del bulletto e salì sulla corsa con Randal al guinzaglio.
Benché il bus fosse semivuoto, un passeggero alto e sottile occupava il posto riservato ai diversamente abili. Non dava segno di volersi alzare nonostante fosse arrivato al capolinea. Sembrava incantato a guardare il paesaggio fuori dal finestrino.
Randal abbaiò due volte con una certa indignazione: non avrebbe costretto la sua padrona a rinunciare al posto che le spettava.
Quando lo sconosciuto si voltò, il cucciolo rimase atterrito. Uggiolò e sfuggì dalla presa di Gong, corse col guinzaglio rigido verso la cabina del guidatore mentre le porte del bus si chiudevano.
«Randal?! Cosa c'è?!» gridò disperata la cieca. «Qui! Vie-ni qui!» scandì.
Randal si sentì in trappola davanti alla porta chiusa e cominciò ad abbaiare sferrando attacchi disperati contro il vetro.
«Tenga a bada il suo Rockruff, signorina!» la rimproverò l'autista.
Lei gli urlò in cinese: «Cattivo! Cagnaccio cattivo! Vieni qui!». E lo ritirò nella sfera. «Cagnaccio cattivo!» gli ripeté.
La causa scatenante di quel baccano, un'ultracinquantenne androgina dal naso pronunciato e i lineamenti mongoli, magrissima e per nulla attraente, osservava la scena con un distacco ammirevole. Era albina, il suo pallore e i suoi sottili occhi grigi sotto le sopracciglia quasi invisibili avevano terrorizzato il Pokémon cagnolino. C'era qualcosa in lei che la faceva apparire malata, e non poco.
La ragazza le si sedette davanti ignara di tutto.
L'albina studiò il suo volto bruno con un velo di curiosità negli occhi grigi. Poi le parlò in cinese mandarino: «Vieni da Bei Fang?».
«Io? Sì!» mentì Gong, con una naturalezza che non si confaceva a una monaca. Beifang, o Beifong a seconda delle diverse trascrizioni, significava “nord” e lei era effettivamente finita lì durante una gita al polo nord del suo pianeta. Verità o no, era un sollievo poter parlare il suo cinese dopo aver zoppicato per tante settimane con l'inglese.
«Che città?» continuò la sconosciuta.
La cieca scelse il primo nome che le saltò in mente: «Yonggucheng» masticò. Poi tossì con la mano davanti alla bocca per confondere le acque. Se l'altra non avesse riconosciuto il nome di una città nel suo verso nasale, si sarebbe corretta con la scusa della reciproca incomprensibilità dei dialetti cinesi.
«Anche io» fu la risposta.
Gong si morse la lingua: non sapeva neanche che esistesse un'altra Città Eterna oltre alla sua Ba Sing Se. Giratina e Lunala le avevano dato pochissime informazioni sul mondo che avrebbero dovuto prepararla ad affrontare. Agatha si era preoccupata solo di sgridarla.
«Da... davvero?» balbettò la ragazza. «Quella Yong Gu Cheng?»-
«Ne esiste forse un'altra?».
Gong si stampò in faccia un'aria da angioletto. «No... non mi risulta».
Mentre l'Osservatorio si allontanava, l'albina continuò: «Hai sfidato Sophocles?».
La cieca annuì compiaciuta. «Esatto».
«E come è andata? Una tragedia?».
«Oh, no! Ho vinto! Mi ha dato il Cristallo Z, si è anche complimentato».
«Stai facendo il Giro delle Isole, dunque».
«Sì. Sto anche frequentando un corso che tengono all'Aether. E tu?».
«Io no» scherzò lei. «La mia è una vacanza pagata. Credo che il mio capo voglia eliminarmi e che perciò mi abbia mandata quaggiù, perché non ho la melanina e questo sole batte come un martello. Segui i corsi di perfezionamento?».
«Sono nella classe dei principianti» sorrise Gong.
«Ti trovi bene?».
«No. Sono la più vecchia ed è un problema: un bulletto mi ha presa di mira, mi lancia gli aeroplanini di carta e le palline di sputo. Gli altri ridono. Li detesto... piccoli mostri in crescita, gliela insegnerei io l'educazione!».
«Anche io... odio i bambini» le confessò l'altra. «E' uno dei motivi per cui ho lasciato la professione».
Doveva essere stata un'insegnate.
«Ti è capitata una classe difficile?».
«Mi è capitato di peggio».
«Tipo?».
«Niente di cui si possa parlare sull'autobus. I ragazzini a volte si comportano come bestie, con quel loro cervello immaturo e la nuova tolleranza di noi adulti. Alcuni disciplinano la loro ferocia con l'intelletto, altri no. Lo sai che fino a cent'anni fa, persino i bambini di cinque anni potevano essere deportati nelle colonie penali se commettevano un crimine?».
«O mio dio, non per una pallina di sputo!» esclamò Gong, sconvolta.
La donna le rispose con un sorriso enigmatico: «Dipende a chi la tiri».
E poi fece una breve pausa.
«Io mi chiamo Yan Jing Yi, comunque» e le porse la mano scheletrita perché la stringesse.
La cieca si ricordò di non cogliere il segnale e restò ferma. Al suo solito, fu un po' spudorata: «Jing Yi, dunque. E' un nome carino».
«Troppo, per una come me» confermò la donna. «Infatti, gli amici mi chiamano Sird». Aveva indugiato sulla “r” aspra del nomignolo. Doveva avere degli amici slavi o nordici.
«Shan Yuè Guang» si presentò la monaca. «Tutti mi chiamano Gong».
«“Shan”» ripeté lei soprappensiero. «Shan come montagna?».
«Già».
«In ogni cognome c'è una vecchia memoria. Da quali montagne proviene la tua famiglia?».
«Gli Shan vengono da Omashu» si lasciò scappare la cieca.
«Omashu? È un paesino?».
Gong finalmente provò a chiudersi a riccio. «Più o meno...» disse. Poi si sforzò di seppellire l'errore sotto palate e palate di chiacchiere: «Mio fratello Minh ha ricostruito il nostro albero genealogico ed è venuto fuori che proveniamo da lì. Ufficialmente gli Shan sono sempre stati a Ba Sing Se perché i rapporti tra il Regno e la provincia indipendente di Omashu non sono mai stati una favola, ma quando mio fratello ha scavato più a fondo ha trovato un collegamento con gli Shan di Omashu. Sì, ha fatto un bel lavoro. E come hobby, tra l'altro. La mia sorellina l'ha aiutato: lui e Chingling hanno un bellissimo rapporto, anche se sono fratellastri».
«Fratell...?! Ah... credevo parlassi del Pokémon».
«Quale pokimon?».
«Il Pokémon Chingling».
«Ah... Qing-ling...!».
«Il campanellino che si evolve per felicità».
«Ah... quel campanellino così gioioso...!» cinguettò Gong.
La signora sorrise appena. «Sembra che tu ne senta parlare adesso per la prima volta. E comunque, Bei Fang non aveva un Regno, ma un Impero».
«Ah, già...».
«Quanto a Chingling, è di tipo Psico ed è definito il Pokémon Sonaglio perché ha l'aspetto di un campanellino dorato. È un Pokémon Baby, il che vuol dire che non può accoppiarsi fino alla sua prima e unica evoluzione, Chimecho. Se fossi la tua insegnante, ora ti chiederei il nome di altri Pokémon Baby ».
«Oh no, no...! La maestra si ingelosisce...!» si tirò indietro la monaca. «E poi Qingling è anche mia sorella, oltre che il pokimon» . E di nuovo sviò il discorso per non fare brutta figura. «Lei mi ha detto che troverà il modo di farmi avere una copia in rilievo del nostro albero genealogico appena riusciranno ad ottenerla. Hanno chiamato un artista per decorare tutto, sai... coi fiori, e gli animali, eccetera... È importante ricordare e onorare le proprie radici, non credi?».
La signora Yan Jing Yi, per gli amici Sird, era annoiata ma la ascoltava fingendo interesse. Sul suo viso emaciato si dipinse un sorriso amaro. «Io sono cresciuta da orfana» le confessò.
«Ah...» fece Gong. Allora cambiò drasticamente il tono della sua storia, come per discolparsi di averle sbandierato il ritratto di una famiglia troppo felice. «Mia madre è un frigorifero!» esordì. «Papà è demente, ha settantasei anni e al telefono mi scambia per la sua prima moglie morta. Mi chiama Tuyen! E non perché quando sono nata voleva darmi quel nome, come diceva le prime volte! Non mi riconosce e non gli importa più di giustificarsi, non si ricorda della mia esistenza!».
Di nuovo Sird sorrise appena. Ormai, per puro disprezzo verso chi non accettava la fragilità della condizione umana, nel tramonto della sua vita era felice di ascoltare le lamentele altrui e farsele scivolare addosso.
«Mio fratello Thao è ricoverato in una clinica psichiatrica e Sang, il più grande di noi, a malapena lo conosco» continuava la ragazza. «Minh è depresso e Chingling voleva venire in convento. Sì, insomma... il Loto Bianco mi ha spedita in monastero per tenermi lontana da un ambiente potenzialmente pericoloso per la mia stabilità... ehm...». E si zittì, si accorse di aver parlato troppo.
«Il Loto Bianco?» ripeté l'altra.
La cieca si spremette le meningi per trovare una spiegazione qualunque: «Sì, è una setta» inventò. «No, sono gli assistenti sociali...!». Deglutì. «Scappo da loro».
Sird scoppiò a ridere e poi scosse la testa. Frugò nella borsa smaltata e tirò fuori una pokeball. «Tieni questa» le disse, e gliela accostò alla mano rigida e immobile sulla coscia destra.
La cieca per un attimo non si mosse, era come pietrificata, i suoi occhi erano sgranati e il suo cuore batteva rapido come quello di un uccellino, tanta era la paura di aver svelato qualche indizio importante. Sird le sfiorò le dita con le sue, la sua voce vagamente roca si fece quasi materna. «Va tutto bene: capita a tutti di incontrare le persone sbagliate».
Gong accettò la sfera che lei le porgeva e la studiò fino a riconoscerla. «Mi è caduta?!» si sorprese.
«Facciamo di sì. Te la regalo. Apparteneva al mio defunto compagno, io e il Pokémon lì dentro non andiamo molto d'accordo».
«C'è un pokimon? È cattivo?».
«Sono io che gli sto antipatica. Con me è facile che succeda, con te andrà meglio. Tanto tra poche settimane io non potrò più occuparmene».
La ragazza stava sistemando la Pokéball nello zaino assieme alle altre. «Perché?» le domandò distratta.
La donna si tolse la sua strana parrucca grigia col picco della vedova. Era calva, i suoi capelli erano caduti come le sopracciglia. «Toccami il viso e la testa» le disse.
Gong obbedì. Il suo commento fu ingenuo e un po' patetico: «Oh, poverina... perdi i capelli!».
«E le sopracciglia. Sai che vuol dire?».
La cieca scosse la testa.
«Buon per te. È la chemioterapia antitumorale».
Perciò era così magra e sofferente. Gong si appiattì con la schiena contro il sedile e cercò di non pensare né parlare, per paura di lasciarsi sfuggire un'altra gaffe.
«Sono anni che lotto con questa cosa, ha risposto alle cure in un primo tempo ma ormai non c'è più niente da fare. Sto morendo, tanto vale che dia via tutti i miei Pokémon e bruci al sole. Non mi importa di come o dove troveranno il mio corpo: non ho voglia di finire i miei giorni in un ospedale».
La monaca si portò una mano alla boccetta d'acqua appesa al suo collo. Dopo un attimo di esitazione si sfilò la cordicella e gliela porse. «Tieni questa. Dentro c'è una goccia d'acqua: bevila».
«Non credo nell'omeopatia».
«E' per la tua anima» mentì lei.
La donna fissò la boccetta per un lunghissimo istante rigirandosela tra le mani. Aveva molti dubbi, sospirò mentre la stappava. «Spero che sia veleno» ammise. La sollevò sopra al suo viso e si lasciò cadere quell'unica goccia sulla lingua. Rimase quasi delusa quando non riconobbe il sapore di alcun veleno: era solo acqua.
La voce nella registrazione annunciò la fermata di Gong.
«Io scendo qui. Beh... grazie».
«Grazie e te, bambina».


 

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Capitolo 9
*** Le streghe. Parte III ***


9.Le streghe (III)


 
Due settimane prima
Regione di Kanto


Un uomo alto e atletico, piuttosto distinto nonostante i capelli color mogano pieni di gel e pettinati all'insù, con un abbigliamento moderno e un mantello nero all'antica, arrivò dal cielo sulla groppa del suo paffuto Dragonite.
Agatha, che al posto dei suoi Pokémon aveva portato amuleti, monili e stiletti d'argento per proteggersi da una minaccia indefinita, lo stava aspettando da un'ora.
Appena posò i piedi a terra, lo sgridò: «Ti avevo detto prima di mezzogiorno! E invece, guarda che ore sono!».
L'uomo diede un'occhiata al suo orologio da polso, vintage e rigorosamente meccanico. «Mezzogiorno e un quarto. Mi scusi, sono stato trattenuto da...».
«Non mi interessa, Lance! Non sopporto la scarsa puntualità di voi ragazzini!».
Malgrado il suo aspetto giovanile, il Maestro Drago Lance era più vicino ai quaranta che ai trent'anni. Nessuno lo chiamava ragazzino da quasi due decadi, nessuno si azzardava, tranne Agatha.
«Le avevo chiesto di venire alla Lega. Avremmo risparmiato mezz'ora. Perché incontrarci qui? Cosa voleva farmi vedere?».
«Niente. Ti ho chiamato per dirti delle cose».
«Ma perché non a casa sua, allora?! E' più vicino di...».
«Sta' zitto! Zitto e ascolta. A...» la sua bocca restò semiaperta e tremò. «A...».
Non riusciva a cominciare il discorso. Continuò a pronunciare a fatica delle sillabe senza completare una sola parola.
Lance si allarmò e scivolò sulle domande ovvie: «Sta bene?».
Agatha scosse vigorosamente la testa. «N...o...».
I suoi occhi lacrimarono: non riusciva a parlare. Dopo settantasette anni di salute accettabile, aveva perso l'uso della parola. Proprio quando stava per fornire al Maestro Drago le istruzioni su dove e come trovare Giratina.
Poteva ancora muovere la bocca e gli arti, poteva capire le domande apprensive di Lance, però non poteva esprimere i suoi pensieri. E se avesse provato a scrivere, salvo scoprire di non riuscirci più, le sue condizioni sarebbero senz'altro peggiorate.
Quello era solo un primo avvertimento.
Lance la caricò con sé sul suo Dragonite e ordinò al Pokémon di volare più in fretta possibile verso nord, verso un banco di nubi nere che promettevano tempesta. Mentre si alzavano da terra, una piccola lucertola bianca dagli occhi rosso rubino cadde dalle pieghe del mantello del Maestro Drago e filò a nascondersi all'ombra, perché il sole le dava un gran fastidio.
La sua coda si staccò e continuò ad agitarsi, come per rimarcare la presenza dell'animale e salutare il cugino lucertolone, goffo a terra ma leggiadro in aria.
La coda bianca si dissolse sotto gli occhi sgomenti di Agatha, perplessi degli altri due.
Della lucertola intanto non c'era più traccia. In lontananza cominciava a tuonare. Quello spettacolino grottesco ricordava l'illusione di uno Zoroark. Di per sé era ridicolo, ma la tempistica sbagliata lo rendeva di pessimo gusto.
Lance non volle perdere tempo a farsi domande inutili.
Agatha gli tirò il mantello e gli indicò il sud. L'ospedale più vicino era dalla parte opposta, dove il cielo era annuvolato. L'idea un po' folle di Lance era di volare sopra le nubi e di scendere solo a tempo debito. La vecchia però preferiva andare a sud. Era comprensibile: aveva una certa età e non si sentiva bene.



 
Nel presente
Ad Alola


Gong aveva commesso un errore. Non avrebbe dovuto lasciar uscire il Pokémon di Sird mentre aspettava la coincidenza dell'autobus.
L'albina le aveva mentito: era proprio un esemplare cattivo. Era uno Shuckle, Pokémon Muffa. Ma per Gong era una specie di tartaruga dal corpo molliccio, protetta da un guscio rotondo e pieno di buchi, molto aggressiva e molto resistente persino agli attacchi di Ming.
Aveva sconfitto l'Exeggutor Long Long che era venuto giù come un albero abbattuto. Aveva terrorizzato Ondine e l'Oricorio Olly fino a inibire i loro attacchi. Le aveva suonate a Randal.
Stava facendo un gran casino.
Una voce maschile, annoiata, ordinò: «Beheeyem... Psychic».
La pausa rivelava la calma quasi innaturale dell'Allenatore. Il suo Pokémon alieno era forte, molto più forte di Ming, quindi Shuckle subì un brutto colpo. Si arrabbiò ancora di più.
«Signorina, dove ha preso questo mostro?! Magnezone, Flash Cannon».
Dopo tre Cannonflash, il Pokémon Muffa svenne e Gong poté ritirarlo.
Non era mai stata così contenta di vedere sconfitto uno dei suoi.
«Dovrebbe prestare più attenzione agli scambi, bella signorina» le fece notare il padrone di Beheeyem, Pokémon Cervello dalla fisionomia extraterrestre, e di Magnezone, Pokémon Magnetico simile a un modellino di astronave. Era un uomo sulla trentina, magro e più alto di Gong. con gli occhiali dalla montatura azzurra e un vistoso ciuffo dello stesso colore tra i capelli biondi. Indossava un cappotto grigio che aveva dei circuiti elettronici integrati nelle maniche.
Gong gli rivolse un sorriso cortese e imbarazzato. «Grazie. Lei chi è?».
Lo sconosciuto invase il suo spazio personale e le posò una mano sulla schiena per convincerla a camminare con lui. «Sono il Dottor Colress, di Unova» si presentò. «E lei è...?».
Stava arrivando l'autobus. Gong puntò i piedi a terra per fare dietrofront. «Shan Yueguang. Non mi tocchi».
«Quante spine sulla rosa!» esclamò divertito lui.
I suoi complimenti erano beffardi, i suoi modi un po' viscidi.
«Io vado a casa. Grazie, arrivederci» tagliò corto la cieca con un tono da segreteria telefonica.
Per fare in fretta salì sul bus senza l'aiuto di Randal e si sistemò sul primo sedile libero.
Poi si ricordò del bulletto e si batté una mano sulla fronte. Formalmente era una disabile, non potevano dare a lei la colpa di averlo perso. Sarebbe tornato a casa da solo, col buio.

 


*




La sua mente era annebbiata, le faceva male la testa, le dita le formicolavano. Fuoco, fiamme, il calore di un grande incendio; non riusciva a pensare ad altro. La sua ultima sfuriata aveva spaventato i compagni Skull. Alle dieci di sera, dopo un lungo silenzio, qualcuno bussò alla porta della sua camera.
«Chi è?!» urlò Plumeria.
«Psichiatra» le rispose una voce femminile.
«Psi...?! Non mi serve uno strizzacervelli!».
«Beh, ormai mi hanno chiamata qui. Anche se non ti vedo, li faccio pagare lo stesso».
Plumeria saltò giù dal letto e andò ad aprire sibilando tra sé: «Stronza...».
La donna alla porta non sembrava un medico.
Indossava una divisa grigia su cui spiccava una grande R rossa. Era molto più alta di Plumeria e la guardava dall'alto in basso, con un sorrisetto alla “ti ho fregato” su quella pallida faccia da schiaffi.
Con lei c'era una Banette molto scura e ben nutrita, con una borsetta da bambola in mano e un cappellino sulle ventitré. Donna incredibilmente rancorosa, la sua padrona amava coccolare il suo rancore.
«Principessa Azula!» esclamò l'intrusa. La Banette con la borsetta si inchinò al posto suo per dare enfasi alle sue parole. «Proprio voi, cercavo!».
Plumeria la guardò da sotto in su. «Stronza nasona, come mi hai chiamata...?!».
«Capisco che adesso non ricordiate, principessa».
«Io sono la ragazza di Guzma» mormorò la punk in tono minaccioso. Il grande Guzma, per lei, era un uomo molto minaccioso. Non poteva accettare che il mondo non temesse il suo nome.
La donna in grigio le rispose con un sorriso neutro. «Io sono una “8 9 3” di Johto. Vengo per conto del Signor Giovanni a dare un'occhiata a Malie City, perché è davvero una bella città e voi Teschietti non potete pensare di gestirla come questo cesso di Poh».
Fece un passo avanti e costrinse la Sorella Maggiore Skull ad arretrare.
Dopo una lunga pausa, continuò: «Giovanni è un uomo gentile, ha un figlio dell'età di Guzma e perciò ha dimostrato fin troppa pazienza con voi. Però Malie è nostra, l'abbiamo costruita noi quando ancora ci chiamavano “racket” e non Rockets, e voi siete i suoi piccoli parassiti. Ho sentito che prelevate i Pokémon anche a chi paga... e questo non si fa! Intese? La Sorella Maggiore Sird dice che dovete lasciare gli affari seri nelle mani delle persone serie. Oppure saranno dolori».
Plumeria la guardava negli occhi scuri con un'espressione di sfida. Lei si considerava davvero un'amica, una sorella maggiore per i ragazzi del suo Team Skull. L'altra non aveva né fratelli né amici e non aveva a cuore la sorte di nessuno. Nella yakuza, di cui aveva affermato di far parte già da prima dell'ascesa del Boss Giovanni, l'appellativo di “Sorella Maggiore” spettava alle donne anziane meritevoli di rispetto.
«Ora...» riprese Sird, «...vogliamo parlare delle cose dell'altra vita? Tu sei la bisnipote del Signore del Fuoco Sozin e io sono... sono stata... una delle vittime del genocidio da lui ordinato. Lo sto ancora cercando, lo cerco in lungo e in largo da quando gli Unown mi hanno aperto la mente, ma potrebbe non essere qui o potrei non raggiungerlo mai. Vorrà dire che mi accontenterò del premio di consolazione».
«Giuro che se mi tocchi, urlo!» minacciò la ragazza facendo un passo indietro.
La sconosciuta cacciò un urlo con tutta la forza dei suoi polmoni. Poi rimase in ascolto. Silenzio, nient'altro che un terribile silenzio. Doveva essere successo qualcosa a tutti gli altri. La psicopatica Rocket guardò la ragazza e scosse piano la testa.
Plumeria agguantò una Pokéball e liberò la sua Salazzle.
Colta di sorpresa, l'inviata Rocket fece un salto indietro verso il corridoio.
La ragazza indicò lei e ordinò: «Attacca!».
Sird filò via, giù dalle scale, su una sfera d'aria rotante.
Uscì volando da una finestra e Plumeria la seguì.
La donna non voleva fuggire, aveva solo spostato il combattimento dove c'erano meno cose da incendiare. Plumeria sferrò un pugno nella sua direzione e dalle sue nocche uscì una fiammata arancione. Il suo fuoco era ancora debole dopo un lungo, lunghissimo periodo di riposo.
Sird usò come scudo il suo Starmie. Non se la sentiva di affidarsi al suo Dominio tutt'altro che eccezionale.
Plumeria fu investita da un getto d'acqua generato dall'enorme stella marina e finì a gambe all'aria.
Salazzle, che era stata lasciata indietro nella casa, la superò e attaccò spontaneamente l'avversario.
La ragazza Skull la ritirò e mandò Crobat.
Fu un combattimento caotico, sleale, condotto contro le regole. Fu praticamente una rissa. Nessuno dei contendenti lasciava il turno agli avversari. Così gli attacchi si mescolavano o si scontravano e di tanto in tanto finivano per ferire le Allenatrici. La Rocket incassava i colpi e tornava in piedi come se ci fosse abituata.
La sua diabolica e vendicativa Banette non gradiva. Finse di volersi rifare sull'ultimo elemento della squadra avversaria rimasto in piedi, uno Zubat di riserva. Poi scagliò un incantesimo paralizzante su Plumeria e la ragazza cadde a terra come stecchita. Nello stesso momento, la sua padrona generò un piccolo tornado che risucchiò e confuse il pipistrello cieco. Il vortice si dissolse, la Persian avversaria gli saltò addosso e lo atterrò sotto il suo peso. Gli addentò un orecchio cercando di strapparglielo.
Sird si stiracchiò soddisfatta come se si fosse appena ripresa da un lungo torpore. Si avvicinò a Plumeria ormai sconfitta, distesa supina e semi-paralizzata sul terreno. Si chinò su di lei e le parlò in una lingua che non avrebbe dovuto capire. Poi la baciò sulla fronte rischiando di ficcarle il naso in un occhio, tanto per prenderla in giro.
Le rubò la Pokéball di Zubat per pignorarle il Pokémon, ma volò via sul suo Starmie senza torcerle un capello.

 



*




Gladion aveva appena chiuso una chiamata al cellulare, quindi Gong poteva dire di averlo riconosciuto dalla voce.
«Hello!» lo salutò allegra. La mattina stessa aveva chiesto dei consigli ad Acerola su cosa mettersi per farsi più carina, lei non aveva nessuna esperienza e le aveva detto di essere solo sé stessa.
Il biondo le rivolse uno sguardo distratto. «Hallo» le rispose con l'accento tedesco e la sua solita aria a “bel tenebroso”. Era veramente di cattivo umore, aveva appena litigato con qualcuno.
«Ti sei arrabbiato?».
«Non sono arrabbiato».
«Sembri nervoso».
«Ho litigato adesso con la mia ragazza, ma nulla di che. Si chiama quasi come te, sai? “Moon”. Potreste fare amicizia: lei viene da Sinnoh est ma parla anche il cinese».
Gong si irrigidì. La ragazza in questione doveva essere, per ironia della sorte, la Moon del telefono, l'amica del corriere che si faceva chiamare Sun. In quell'occasione le era sembrata simpatica, ora non avrebbe mai voluto incontrarla.

 











AUTORA (sì, AUTORA): salve a tutti. Ora... come al solito non uso le note, non credo ce ne sia bisogno, a volte metto dei dettagli inutili per capriccio e non mi pare neppure il caso di spiegarli. E poi... boh, non so cos'altro aggiungere. Grazie per aver letto. ^_^ Questo è un brutto momento con l'inizio delle università e le verifiche di inizio anno nelle scuole... quindi credo che il sito sarà un po' più vuoto. Io comunque ho deciso di pubblicare non tutti i giovedì ma comunque il giovedì.
 

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Capitolo 10
*** Le sirene ***


AUTRICE: ragazzi pubblico ora e non domani perché domani e dopodomani sarò un po' incasinata con le cose da fare. Lo so, non sono affidabile con gli orari e i giorni... -_- non picchiatemi. Buon Halloween.

 




 
10. Le sirene


 
Quartisola (Settipelago, Regione di Kanto)



«Non è migliorata neanche un po'?».
La donna dai lunghi capelli tinti di rosso ciliegia, Lorelei, scosse desolata la testa. «A me sembra che stia peggiorando, che si lasci un po' andare. Quando le chiediamo come sta, fa disegni strani: lucertole, pipistrelli, gatti...».
Nella memoria collettiva degli abitanti umani di quel pianeta, degli animali non rimanevano che i nomi e i concetti. Nei libri di tassonomia, sotto la voce “Categoria” stava scritto “Lucertola” per Charmander, “Tartaruga” per Wartortle, “Farfalla” per Butterfree, “Topo” per la linea evolutiva di Rattata e via dicendo.
Lorelei, Lance e tutti gli altri si erano limitati a dedurre che gli schizzi simili a Zubat e Meowth rappresentassero pipistrelli e gatti. Vedere certe immagini, per loro, era estremamente alienante, quanto lo sarebbe stato per i compatrioti di Gong scorrere un Pokédex.
Rimaneva però l'idea inconscia che gli “Animàlia” fossero la normalità e i “Pokémon” l'eccezionale.
La Superquattro di Quartisola sospirò e aggiunse: «Spero che non peggiori ulteriormente, col suo carattere non lo sopporterebbe. Però non tornerà più come prima. Siamo nelle mani del Creatore».
Lunala, che si era presentata alla sua porta con lo pseudonimo di Laura, stretta in un tubino bianco nelle sue incantevoli sembianze umane, rise ed esclamò a voce alta: «"Creatore! La Natura!”».
Posò la sua tazza di latte Mumu accanto al bicchiere di whisky di Lorelei e continuò seguendo il copione: «And this disease (...) is natural. Nature. All things proceed from Nature — don’t they? All things in the heaven, in the earth, and under the earth, act and live as Nature ordains? I think so.”».
Doveva essere una citazione, ma la padrona di casa non ne indovinò neppure l'autore1.
«Non credo che disegni animali per dirci di rassegnarci al corso degli eventi» rispose con una scrollata di spalle. «Sta uscendo di senno, povera vecchia. Potrebbe avere delle allucinazioni».
«Potrebbe...» confermò la ragazza.
Cadde il silenzio.
Lorelei, una donna formosa con tutte le curve al punto giusto, da un po' di tempo sopra i trent'anni ma capace di mettere in ombra le ventenni, scrutò l'ospite con un certo interesse e un pizzico di invidia. Tralasciando il colore bruno della sua pelle, i suoi begli occhi rosa scuro e il candore dei suoi capelli mossi, non le sembrava possibile che facesse parte della famiglia di Agatha. Le combinazioni genetiche vincenti capitavano anche nelle famiglie di rospi, l'avvenenza di quella Laura però era fuori scala.
«Puoi dirmi di nuovo chi sei e come conosci la Maestra Agatha?».
«Sono la nipote... beh... “acquisita” di sua cugina Bertha. “Nonna” Bertha non può venire e così ha mandato me».
Si diceva che la Superquattro Bertha avesse un figlio di cui aveva perso le tracce, perché era sia un poco di buono sia un povero scemo. Lui da solo non valeva niente, la parentela con due pilastri delle Leghe di Kanto e Sinnoh invece era oro. Era abbastanza da attirare una donna capace di generare quel prodigio di nome Laura.
«Bertha ci ha fatto avere una sua lettera, pochi giorni fa» ricordò Lorelei. «Si scusava di non poter venire di persona perché non stava bene, però non accennava al tuo arrivo».
Diffidente, difficile. Lorelei aveva eretto una fortezza di ghiaccio a difesa delle sue ferite d'infanzia e del suo carattere gentile. Lunala avrebbe dovuto impegnarsi per guadagnare la sua fiducia.
Sapeva quanto la Specialista Ghiaccio fosse vulnerabile sotto la scorza. Agatha aveva parlato di lei quando Giratina le aveva chiesto, con la sua solita impertinenza che sfiorava il candore, di indicargli qualcuno da includere nella loro cerchia in previsione della sua dipartita.
«Lo so, mi sono offerta dopo» annuì Laura. «Sono una scapestrata come lo erano mio padre e mia madre, e come lo è stato il mio padre adottivo. È logico che Bertha non abbia pensato a me per una questione così delicata».
«Tu, una scapestrata?!».
«Faccio la mantenuta» le spiegò la ragazza con un sorriso solare e un'innocenza disarmante. Doveva avere diciott'anni, non di più. Forse qualcosa di meno. Era abbastanza giovane, spigliata e bella da far perdere la testa a un riccone, i gioielli che indossava e la pelliccia candida con cui era venuta ne erano la prova. «Per due femministe della prima ora come Bertha e Agatha, io sono una vergogna. Non parlano mai di me. Per fortuna vivo a Unova, lontano dalle loro vite, oppure non farebbero che lamentarsi».
«Ah, vivi a Unova?».
Laura annuì. I suoi discorsi storti sulla Natura puzzavano di follia, la sua Regione di provenienza era Unova. Nella mente di Lorelei passò il dubbio che facesse parte del Team Plasma.
Girava voce che in quella setta ci fossero delle “Muse” selezionate fin da bambine per la loro avvenenza, piacevoli come mobilio e utili per non far guardare troppo lontano il loro giovanissimo “Re” cresciuto segregato nel suo palazzo. E se Natural Harmonia era un re con un Palazzo, e i Sette Saggi e le reclute la sua corte, quelle bellezze scelte erano le sue cortigiane.
La splendente Laura non era altro che una prostituta di lusso in una setta criminale.
Una come lei avrebbe fatto inferocire Agatha e vergognare Bertha.
La fanciulla le sorrise di nuovo e il cuore di Lorelei ebbe un fremito. Quel sorriso, pensò la donna che portava il nome di una Sirena, avrebbe sciolto persino il ghiaccio eterno di Kyurem.
Lei però non si fidava ancora.
«Mi guardi come se fossi l'armadio chiuso con il mostro dentro!» si lamentò la diciottenne.
Lorelei era tesa, quell'osservazione infantile e spontanea ruppe la tensione e le strappò una risata.
Laura continuò compiaciuta: «Devo fare un po' di luce?».
Alla fine della sua autobiografia, divertente ma tutta inventata di sana pianta, Quartisola era immersa nel buio. L'illuminazione notturna era carente, Lorelei non se ne lamentava. La notte poteva ancora essere definita tale.
La sua ospite saltò in piedi, si rimise addosso la pelliccia e disse di dover togliere il disturbo. Si scusò ancora con Lorelei per aver sbagliato casa, era convinta che Agatha fosse stata affidata alle sue cure.
La Superquattro la seguì con lo sguardo mentre si allontanava, fino a perderla di vista nelle tenebre. Era un po' delusa dal finale e un po' spaventata all'idea di non poterla rintracciare.
«Aspetta! Laura...?» la chiamò.
Voleva solo invitarla sotto le coperte, ma si nascose dietro alla galanteria, come avrebbe fatto il suo stimato collega, amico e alleato Lance.
«Non credo che sia sicuro per te andare in giro di notte».
La ragazza tornò indietro, con tutta la sua grazia sui tacchi alti, nella sua bella pelliccia bianca che le arrivava alla vita sottile. «E allora, come si può fare? Non voglio dare fastidio!».
«Non mi dai fastidio, anzi. Ho una camera per gli ospiti». Con un letto matrimoniale. «Puoi dormire lì».
«Ma non ho né lo spazzolino né la camicia da notte!» le fece notare l'ospite rientrando rapidamente in casa.
«Posso prestarteli io».
«Ma non abbiamo mica le stesse taglie...!» scherzò la ragazza.
Lorelei era più alta e un po' più in carne di lei. Laura però si riferiva anche alla taglia di seno, il suo sguardo e la strizzatina d'occhio mentre si toglieva la pelliccia e si lasciava cadere sul divano non lasciavano dubbi.



 
*






La prova di Acerola si era rivelata una bazzecola. Gli Spettri del Supermarket Affaroni si ricordavano dell'incontro con l'Avatar Korra, malvista e pericolosa come un prete con l'acqua santa in un cimitero infestato. Neppure gli Haunter più burloni si sarebbero azzardati a infastidire la sua reincarnazione. Il Mimikyu Ming si era scontrato con la madre, la Dominante, e sconfiggendola aveva ottenuto lo Z-Spectrium per Gong.
Poi, la cieca era tornata alla Residenza Aether.
Senza ricambiare il saluto della ragazza di Gladion, arrivata quel pomeriggio per passare un po' di tempo con la sua dolce metà, si era presa Cosmog e si era chiusa in camera.
Lì si era ritirata in meditazione con il piccolo Leggendario tutto felice in grembo e la Pokéball dello Shuckle cattivo di Sird in mano. Voleva far vedere Cosmog a Lunala come concordato, ed affidare ad Agatha quel tremendo Pokémon Muffa che si meritava una raddrizzata.
Trovandosi nel Mondo Distorto, libero dalla Pokéball, lo Spirito battagliero di Shuckle aveva morso la mano dell'Allenatrice e le era sfuggito.
Ora si guardava intorno, disorientato dalla stranezza del territorio. Lanciò un'occhiataccia a Cosmog perché non lo seguisse e si incamminò, per andare ovunque portasse la lunghissima fila di piattaforme davanti a lui.
Gong prese in braccio il cucciolo di Lunala e seguì Shuckle, tenendosi a distanza di sicurezza.
«Tesoro!» esclamò la vampira, nella sua forma di fata, sporgendosi da una piattaforma sospesa sopra di loro. Il Pokémon Muffa sussultò al grido e guardò la falsa umana con le orecchie a punta buttarsi giù e scivolare nell'aria come se avesse imparato Levitazione.
La donna con gli occhiali che era con lei guardò giù senza saltare.
«Peeewww!» la salutò il cucciolo mentre saltava tra le sue braccia.
“Mamma”, aveva capito Shuckle. Ma era impossibile che un'umanoide generasse una nuvola. Guardò lo spettacolo con tutta la diffidenza di cui era capace. Sapeva quanto certi umani fossero subdoli: probabilmente, la ragazza coi capelli neri, amica dell'altra perfida da cui era riuscito a liberarsi, l'aveva drogato per tenerlo calmo. E lui stava vivendo un'allucinazione.
«Quello chi è?» domandò distratta la fata.
«E' il mio Shuckle. È cattivo, me l'ha dato una signora perché diceva che non andavano d'accordo. Però lui odia anche me ».
«Lo vedo. Ci guarda malissimo. La signora ti ha fregato».
«Dov'è Agatha?».
La vampira alzò una spalla rivelando tutto il suo disinteresse. Non distolse gli occhi dal suo cucciolo. «E' in vacanza. Ora c'è Lorelei. Anche lei è una Superquattro di Kanto».
«Ex Superquattro» la corresse la donna.
«Beh, è uguale. Non avrai dimenticato tutto solo perché non hai il titolo. Vero, piccolino?».
«Pew».



 
*






Lorelei era più brava di Agatha ad insegnare. Era molto precisa e non lasciava niente al caso nelle sfide. Gong si affidava spesso alla fortuna, o ai trucchi sleali, quindi la nuova Maestra poteva trasmetterle esattamente ciò che le mancava.
Brionne riuscì ad evolversi rapidamente in Primarina sotto la sua guida. La cieca catturò anche un asinello sempre sporco di fango, un Pokémon di tipo Terra, per avere più libertà di manovra coi suoi trucchi con il Dominio. Randal era un tipo Roccia puro e alcune capacità gli mancavano.
Ora, Gong non aveva scuse per non sfidare il Kahuna Nanu e proseguire il suo Giro delle Isole oltre Ula Ula. Tuttavia non si sentiva pronta. Lo Spirito della Luce dentro di lei avrebbe potuto reagire violentemente contro i demoni di Tipo Buio che lo Specialista addestrava.
Il pericolo di essere scoperta era molto più temibile della sconfitta.
Gong aumentò le sue ore di meditazione e cercò di avvicinarsi il più possibile ai Pokémon di Tipo Buio ospitati nella Residenza Aether, per abituarsi alla loro presenza. Fu sul punto di catturare un Meowth nella Forma di Alola, poi decise di non esagerare.
La sera prima della partenza per Malie City, dove avrebbe sfidato il Kahuna, arrivò prima di quanto sperasse. Gong era seduta accanto alla radio in pigiama quando una ragazza piccola di statura e minuta arrivò alla sua porta. Bussò e la cieca le diede il permesso di entrare.
«Ciao» salutò lei facendo capolino. «So che ti stai preparando per sfidare Nanu. Volevo farti gli auguri. In bocca al lupo».
Era la ragazza di Gladion. Moon.
Ondine la riconobbe e girò seccata il muso dall'altra parte.
«Grazie» replicò Gong, fredda come l'inverno.
«C'è qualcosa che non va?».
La Primarina continuava a non guardarla e la sua padrona non fu più amichevole: «No».
«Tu sei di Sinnoh ovest, non è vero?».
«Io vengo da Beifang».
«Beifang è Sinnoh
»2 le spiegò prontamente la ragazza. «Era la regione più settentrionale dell'Impero, ecco perché alcuni la chiamano “il Nord”. Io sono nata ad est del Monte Corona. La mia prima lingua è il giapponese. Non mi pare il caso di disseppellire i vecchi rancori, però. Non possiamo vanificare gli sforzi della Dinastia Yu... non ti pare?».
«Non ti capisco. Non ricordo quasi niente: sono una Errante».
«Lo so, me l'hanno detto. Ma se non ricordi neppure questo... posso chiederti cosa c'è che non va?».
Gong rifletté inespressiva prima di rispondere. Se la cavò con una mezza verità: «Sono tesa per la sfida del Kahuna. Domani devo attraversare l'isola, devo svegliarmi presto perché mi portano a Malie City. E soffro il mal d'auto».
La povera Moon se la bevve. Parve sollevata. «Capisco... ehm... hai bisogno di qualcosa?».
Silenzio.
Gong stava pensando ai fatti suoi. «C'è una Yong Gu Cheng, a Sinnoh?» domandò ricordando le parole della signora Yan Jing Yi.
«E' Eterna City. Evopoli. Era la vecchia Capitale Imperiale. Vieni da lì?».
«Credo di sì...».
«Beh, è un bel passo avanti! Vuoi venire con me, quando torno a Sinnoh? Ti ci posso accompagnare».
Gong non meritava tanta gentilezza, ma Moon non era abituata a non piacere così alle persone, e se succedeva se ne riteneva responsabile. Quindi avrebbe fatto di tutto per rompere il ghiaccio tra lei e la quasi-sconosciuta dal nome simile al suo.
Gli occhi ciechi della ragazza si spalancarono per un attimo in un'espressione spaventata. «Oh no, no... devo finire il Giro delle Isole qui ad Alola».
Se fosse entrata nella Regione più sorvegliata del pianeta senza un'adeguata copertura, Arceus si sarebbe accorto di lei. Anche se fosse stato svenuto nella più remota Dimensione esistente. E siccome lui e Raava avevano idee diverse in tema di Ordine Universale, non era opportuno che si incontrassero prima del tempo.
«Come preferisci» le rispose Moon. «Hai bisogno di altro?».
«Un nome per il mio asinello. Non me ne viene in mente nessuno».
«Mudbray? Non saprei. Tutti li chiamano Donkey quando sono piccoli e Mustang, Steed, Stallion quando si evolvono...».





 
*






Gong si era addormentata da meno di un'ora quando la svegliarono.
Non bussavano alla porta, battevano alla sua finestra.
Doveva essere uno scherzo dei bambini. Però oltre il vetro non c'era un bambino. C'era una grossa stella marina volante con qualcuno seduto sopra. Qualcuno più sottile di Gong ma alto come lei.
«Chi è?» domandò mezza addormentata la monaca.
«Sono Sird». Il rumore dell'aria condizionata aveva quasi coperto la risposta. «Yan Jing Yi».
Forse era venuta a ringraziarla. Doveva stare meglio, se era riuscita a raggiungere la Residenza Aether dopo tanti giorni dal loro incontro.
In effetti, stava più che bene: l'Elisir di Lunga Vita prodotto da Tapu Fini l'aveva guarita da tutto, dal cancro alla depressione, dalla vecchiaia all'albinismo. Non era stata bella in gioventù e non lo era diventata adesso, però dimostrava venticinque anni o meno, i suoi occhi a mandorla erano diventati scuri e i capelli, ancora cortissimi, erano neri come quelli di Gong.
La cieca si alzò dal letto a fatica e andò ad aprirle la finestra.
«Mountain Moonlight from the Everlasting City!» la salutò Sird. «Detto così sembra il titolo di un disco. Ho sentito che devi andare a Malie a sfidare il Kahuna. Posso portartici io: il mio Starry è velocissimo e sa modulare le accelerazioni, quindi non dovrebbe venirti la nausea».
Gong si lasciò convincere, accettò il passaggio. La signora Yan Jing Yi la aiutò a salire stringendole una mano. Le disse che, anche se si fosse agitata e fosse caduta giù, sarebbe riuscita a reggerla lo stesso con un solo braccio, perché era leggera. Ma Gong non era una piuma. Era certa di pesare una decina di chili più di lei nonostante fossero alte uguali. La stretta di Sird era eccezionalmente forte per un polso così sottile. L'Elisir di Lunga vita doveva aver esacerbato alcune delle sue doti fisiche, lei però non ne era né sorpresa né spiazzata3.
Lo Starmie di nome Starry si avviò rapido verso Malie, dopo aver creato sopra di sé uno scudo a calotta di natura incerta, per non sbalzare via le sue passeggere in caso di improvvisa accelerazione. Le sue moderate capacità telecinetiche di doppio Tipo Acqua/Psico facevano il resto. Era un Pokémon felicissimo di esistere ma addestrato in modo “spinto”. Era un po' come una moto truccata.
«Il tuo Starmie si chiama solo Starry?» domandò Gong, tanto per fare conversazione. In quel mondo non avevano molta fantasia coi nomi.
«Lo so, lo so...» tentò di giustificarsi la sua padrona, «Ero piccola quando me l'hanno regalato. L'inglese per me era una lingua straniera e sconosciuta. Così ho pensato che fosse “fico” chiamarlo solo Starry, Stellato. E Starry è rimasto. Le altre due veterane del mio Team sono Betsy la Banette e Pernilla la Persian. Va un po' meglio, non credi? Ho seguito la moda delle iniziali... vergogna su di me!».
«Puoi suggerirmi un nome per un Mudbray maschio?».
Sird ci dovette pensare solo un attimo. «Archie» rispose a colpo sicuro. «Conoscevo un asino con quel nome. Preferiva l'acqua alla terra, però la sua testa era un sasso mancato. Buona per schiacciarci i pinoli». Sorrideva mentre parlava. Archie doveva essere un suo vecchio amico4. Poi cambiò argomento: «Come ti trovi, con Shuckle?».
«Malino. L'ho lasciato ad un'amica più brava di me».
«A chi?».
«Si chiama Lorelei».
«Ah, Lorelei... la ex Superquattro? La conosco. Durante il mio soggiorno a Settimisola, siamo state grandi a amiche».
«Cioè, ci andavi a letto? Ora sta con un'altra mia amica».
«Portale i miei saluti».



 
*






Era la prima volta che il Team Skull sembrava davvero sul piede di guerra. A guidare la “truppa” oltre le porte di Malie City c'era l'ufficiale Plumeria.
Una piccola folla di Reclute Rocket in borghese si mobilitò sulla strada principale per bloccare la loro avanzata.
La Sorella Maggiore che Plumeria cercava, la Dominatrice dell'Aria che aveva umiliato Azula, non si fece avanti. Forse era scappata, come facevano tutti i Dominatori dell'Aria quando le cose si mettevano male.
Prese la parola l'uomo di Kanto che tagliava il sushi nel ristorante. «Che intenzioni avete?».
«Ci riprendiamo l'isola. Malie è vostra, dite?».
Con un movimento rapido e fluido delle braccia scagliò due fiammate azzurre contro la casa alla sua sinistra. Il secondo attacco fu diretto agli avversari.



 
*






La città era in fiamme e nel panico, Gong poteva sentire le urla dei suoi abitanti. Era sola sullo Starmie di Sird, la donna era saltata giù dopo averle prestato il suo cappotto per proteggersi dal freddo notturno.
Aveva fatto un volo di dieci metri ma era atterrata illesa sulla sabbia del piccolo deserto Haina, che avevano sorvolato per raggiungere Malie Ciry.
La stella marina scese tra gli edifici in fiamme e si inclinò fino a far scivolare giù la sua ultima passeggera. Poi, volando perpendicolarmente al terreno, cominciò a spruzzare forti getti d'acqua sulle case infuocate con l'efficienza di un team di pompieri.
Azula riconobbe il Pokémon e arrivò scivolando raso terra su una nuvola di fuoco azzurro, pronta a rifarsi sulla donna che l'aveva sbeffeggiata a Poh.
Ma la vigliacca aveva mandato una sostituta. La principessa non avrebbe avuto pietà. Generò una fiammata diretta alla giovanissima Rocket con l'idea di finirla e mandare i suoi saluti alla Sorella Maggiore. Ma tra la ragazza e il fuoco azzurro spuntò una barriera di roccia. Era una Dominatrice della Terra, questo complicava le cose. Gong si tolse i bracciali metallici che si sarebbero potuti scaldare fino a ustionarla e li tenne sospesi come una coppia di lame sospese sopra di lei. Le scagliò insieme contro la sconosciuta e lei le evitò facilmente, perché puntavano entrambe al suo ventre. Muoverle in modo indipendente l'una dall'altra era difficile.
Azula aggirò la barriera e le scagliò un'altra fiammata. Stavolta, il fuoco fu deviato da un flusso d'aria circolare prima di dissolversi.
Dominatrice della Terra e dell'Aria, due Elementi diametralmente opposti.
La principessa non credeva ai suoi occhi: «Tu sei... tu sei l'Avatar!».
La sua furia omicida aumentò.
In un'altra forma, in un'altra vita, quella creatura era sempre in mezzo.
Azula si piegò fin quasi a sfiorare la terra con due dita, generò una corrente elettrica.
Puntando indice e medio uniti verso la ragazza le scagliò un fulmine. Un'altra barriera di roccia la protesse, mentre l'asinello di tipo Terra, Archie, usciva spontaneamente dalla Pokéball ragliando minaccioso. La Dominatrice del Fuoco lo ustionò con una potente fiammata azzurra. In risposta, la sua padrona le sferrò un calcio d'aria e la fece volare di schiena contro il muro di una casa.
Intervennero gli scagnozzi Skull della ormai quasi inesistente Plumeria, convinti che quella psicotica fosse ancora la loro Sorella. I loro Pokémon erano impegnati contro i Golbat e i Raticate del Team Rocket, loro però avevano dei coltelli spuntati e dei bastoni. Volenterosi e strafatti, quello era proprio uno dei comportamenti stupidi di cui si lamentava la loro coordinatrice. Gong non poteva lasciarsi distrarre da loro e così prese la via facile: alzò una mano aperta con le dita tese e prese il controllo di tutti i loro corpi. Erano in cinque, le dita le bastavano. Piegò lentamente il polso e loro si chinarono in avanti come burattini mentre i loro piedi si sollevavano dal suolo. Gong chiuse il pugno e tutti caddero a terra svenuti.
Lo spirito battagliero della principessa vacillò. Era allarmata, ai suoi tempi non c'erano Dominatori del Sangue, o così credeva. Come Maestra del Fuoco e del Kung Fu, lei aveva un'indole più aggressiva e un controllo del proprio corpo di gran lunga superiore a quello dei cinque non-Dominatori. Era più difficile da controllare di tutti loro insieme.
Gong provò a tenerla ferma mentre richiamava l'acqua attorno a lei. Non voleva entrare in Forma Avatar in pubblico, quindi poteva controllare un elemento per volta. Tenne l'acqua lontana da suo corpo per paura di essere fulminata. La nemica urlò di rabbia e cadde in ginocchio, continuando ad opporle resistenza col vigore di un animale. La cieca avrebbe dovuto fare in fretta o le sarebbe sfuggita. Creò delle fruste liquide e cominciò a picchiarla con quelle. Ma non potendo avvicinarle a sé, non era in grado di imprimere molta forza. Quindi le raffreddò e le trasformò in lame di ghiaccio.
Lo Starmie di Sird, Starry, si piazzò davanti a Gong e generò un getto d'acqua calda ad alta pressione che sciolse le lame e spinse lontano Azula. La principessa era esausta, per la lotta e per l'attacco subito. E siccome era fradicia, asciugarsi e generare fiamme le sarebbe costato un maggior sforzo.
Un Alakazam Rocket la imprigionò in una bolla di energia psichica.
Si alzò un'ovazione, ma non era diretta a Gong. Il nome di un certo Giovanni era sulla bocca di tutti, come se lei fosse solo uno strumento mandato da un eroe lontano. Dove gli dei locali non si erano fatti sentire, era arrivato il Boss Giovanni con il suo intervento provvidenziale.
Plumeria, imprigionata nella bolla psichica di Alakazam, fu portata via da un gruppo di Pokémon seguiti a distanza dai loro Allenatori.
La minuscola Valerie di Johto sfuggì alla presa del suo angelo custode e si precipitò ad abbracciarla. «Merci! Arigatou!» esclamò stringendole forte la vita.
Era così infantile da ricordarle Cosmog.
L'altra donna, bianca come una betulla in mezzo ai pini, con una parrucca bionda indossata storta sui capelli raccolti e il viso struccato, si tenne a distanza finché Valerie non lasciò andare spontaneamente la sua nuova eroina. Poi si avvicinò in silenzio e prese la Reginetta delle Fate per mano. «Merci» disse sfiorando il braccio della cieca con le dita sottili.
La voce di un uomo non più tanto giovane domandò in lontananza.
«Che cosa sta succedendo?!».
Era il Kahuna Nanu. In ritardo.
La folla gli fece ala, le due donne si allontanarono e lui vide Gong in divisa Rocket.
«Ancora tu?! Stavolta sei in arresto!».
L'uomo del sushi si mise tra lei e il poliziotto. «E per che cosa?».


 


 
1 Joseph Sheridan Le Fanu, “Carmilla”. Visto che siamo sotto Halloween. Lo pseudonimo Laura si riferisce alla Laura di quel libro. Bertha c'è finita in mezzo per caso.
2 Bugia. Tutto quello che sta scritto sulla Regione di Sinnoh in questo capitolo è non-canon.
3 Nella Wiki c'è scritto che il design di Sird è ispirato (in parte) a quello di Dracula. Ora, nel libro lui è descritto come un uomo anziano innaturalmente forte. Quindi le aggiungo anche questa caratteristica perché sì, e che cavolo.
4 Non date retta a quello che dice o lascia intendere. Questo Archie sarebbe il capo del Team Aqua, quindi Ivan del Team Idro in italiano.

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Capitolo 11
*** I vampiri ***


11. I vampiri


C'erano altri Rockets nella città. Siccome erano lontani da Kanto e Johto, sapevano di dover essere discreti. E senza la divisa era difficile indovinare chi o quanti fossero. Nanu però non era il tipo da lasciarsi intimidire, dopo tanti anni di servizio pressoché impeccabile.
«State indietro. Indietro, o vi arresto tutti».
Il suo Alolan Persian, mostro domestico di Tipo Buio, simile a un puma dal mantello grigio e il muso rotondo, fissò minaccioso la piccola folla di criminali e curiosi che si era radunata davanti a loro.
«Tu, signorina Shan... mani dietro la schiena» ordinò il Kahuna.
Gong obbedì e si lasciò ammanettare, rigida, impegnata a tenersi più lontana possibile dal felino. Randal uscì dalla sfera e cominciò ad abbaiare come un matto, Archie si unì a lui ragliando per protesta, Ming fu l'unico ad assumere realmente un atteggiamento intimidatorio.
Il Kahuna si allarmò. «Ritirali» ordinò alla loro padrona. «Adesso».
Dalle sue sfere uscirono un grande coccodrillo rosso striato di nero, bipede come un tirannosauro, e un gigantesco corvo dalla cresta stranamente simile a un cappello. Era una squadra molto più forte di quella di Gong, ed era interamente legata alle tenebre provenienti da Vaatu, incanalate nella Lastratimore di Arceus e rilasciate nella genesi dei demoni di Tipo Buio.
Primarina uscì senza fare baccano e guardò il trio con un'espressione di sfida. C'erano un'antipatia e un rivalità innate tra i loro Tipi. Lei però sapeva, a differenza dei suoi simili, quanto fosse sacrosanta. Il coccodrillo rosso volle dare una lezione a quella scintillante spocchiosa marina e si avventò su di lei con le fauci spalancate.
«Krookodile!» gridò sconvolto il suo esperto Allenatore.
Krookodile addentò la debole Primarina e la scagliò in aria, dove l'Honchkrow la afferrò con le zampe da rapace per portarla in alto e lasciarla andare. Ondine precipitò urlando e finì tra le braccia di una Gardevoir spinta nella sua Forma Mega da qualcuno che non voleva mostrarsi né farsi sentire. Con la sua gonna gonfia e bianca come la veste di un fantasma, MegaGardevoir si posò lontano dai nemici e lasciò al sicuro la sfortunata Primarina.
Indugiò come se volesse raccogliere le idee, inspirò e mantenne la calma, poi si scagliò da sola contro i due membri ribelli della squadra del Kahuna. Tra gli applausi di chi non apprezzava le interferenze della polizia, aggredì Krookodile con la stessa violenza con cui lui aveva aggredito la leonessa marina. Lo mandò al tappeto e lo colpì una volta mentre era a terra.
Poi si ritirò volando all'indietro, senza perdere di vista Honchkrow.
Anche se sembrava che si stessero dicendo qualcosa, nessun umano poté capire il messaggio. In un attimo, MegaGardevoir si teletrasportò altrove.
Il Kahuna era allibito, più dall'insubordinazione dei suoi due Pokémon che dalla comparsa dell'intrusa.
Gli dicevano che stava perdendo lo smalto, gli dicevano di ritirarsi e curare la sua depressione, però lui non aveva mai dato ascolto a certe sciocchezze. Krookodile e Honchkrow erano mostri molto difficili da gestire. Violento e impulsivo uno, despotico e spietato l'altro. Se ritenevano che il loro Allenatore fosse un debole, smettevano di seguirlo. E Nanu, ai loro crudeli occhi, era diventato un debole.
«Nanu!» esclamò una voce allegra alle loro spalle. La voce di un amico che il Kahuna non avrebbe voluto sentire. «Vecchio mio, non è la tua giornata».
E non lo era davvero.
«Vedi di non commettere un altro errore: lei è cieca, non sa cosa indossa».
Il poliziotto posò una mano sulla prima Pokéball nella sua cintura. I Rockets gestivano tutti i casinò di Alola, Kanto e Johto. Era annunciato che quell'uomo sarebbe caduto nella loro rete, perché era un assiduo viaggiatore con una grave dipendenza dal gioco d'azzardo. Il suo improvviso amore per i kimono e la cultura tradizionale giapponese era sospetto.
«Grimsley...!» lo salutò Nanu, fingendosi calmo ma sorpreso. «Che relazione hai con lei? Perché la difendi?».
«La difendo perché se lo merita» gli rispose l'altro Specialista Buio. Uomo di mezza età magro, alto e pallido, coi capelli neri striati di grigio e gli occhi azzurri cerchiati dalle occhiaie, stava rapidamente perdendo la sua aria giovanile. Era invecchiato più negli ultimi due anni che nei precedenti venti. Sembrava assennato, ma non aveva perso nessuno dei suoi vizi. Si avvicinò abbastanza alla sedicenne da assicurarsi che capisse bene le sue parole. «Inoltre, la catapecchia all'altro capo della città è mia. È la villa più bella di Malie e forse dell'intera isola: chiunque la preservi è mio amico. Sono stati i ragazzi di Guzma ad appiccare il fuoco qui. Quindi lascia questa signorina, prendi una squadra e sgombera Poh dai suoi parassiti. Il Team Skull è una grave minaccia per l'isola, è chiaro».
Il Kahuna rimase immobile, contrariato.
«Toglile le manette. Non ha commesso alcun crimine. Io cercherei chi le ha venduto quel cappotto approfittandosi del suo handicap».
Nanu sospirò e domandò alla ragazza: «Dove hai preso quel cappotto?».
«Me l'ha dato un signore mentre venivo qui. Lui stava andando via. Non saprei riconoscerlo... e poi sarà lontano».
«Già...» mormorò tra sé il Kahuna, di nuovo sconfitto. Non aveva più voglia di combattere. Persino Tapu Bulu l'aveva lasciato, non era accorso in suo aiuto e non aveva protetto la sua isola. Liberò la cieca dalle manette e si rivolse a Grimsley. «Visto che è tua amica: che non lasci la città, intesi? E... signorina Shan: il tuo Giro delle Isole finisce qui».
Lasciò Krookodile svenuto a terra, Honchkrow libero e illeso in aria, e se ne andò con il suo fedele Persian grigio al seguito.

 

*



«E così mi ha detto: “Moonlight? Ti chiami quasi come la mia ragazza: Moon”».
«Non te la prendere. Ci sono tanti pesci nel mare, hai tutta la vita davanti. Questo ti direi se fossi assennato. Però ti dico: fa' saltare qualche tubo e allagagli la camera da letto. In fondo, può succedere di peggio, quando si respinge una dea».
Gong si sentiva una stella, quel giorno. Una vera eroina. Fin dalle prime luci dell'alba, gli abitanti di Malie avevano bussato alla porta della villa di Grimsley per portarle dei doni. I bambini l'avevano usata come pattumiera dei Mienfoo indesiderati, un anziano sensitivo le aveva lasciato un Chingling, il famoso Pokémon Sonaglio, sostenendo che portasse “più fortuna dei Meowth di Kanto”.
Tutti gli altri le avevano regalato ceste piene di spugne e saponi. Nella più piccola, abbandonata davanti alla porta senza biglietto, c'erano nascosti uno Spritzee e uno strano dispositivo bianco simile a un cellulare dai margini ovali. Non c'erano tasti e non c'erano scritte, non c'era neppure lo schermo, però il dispositivo si era attivato e aveva risposto alle domande di Gong descrivendo Spritzee. Pokémon Profumo, presente nella Regione di Kalos con un rapporto maschi/femmine di 1:1 e appartenente al Gruppo Uova Magico. Qualcuno aveva progettato un Pokédex per ciechi e lei era l'occasione giusta per testarlo.
Grimsley si mostrò scettico più che invidioso: non credeva nel buon cuore di nessuno, neppure in quello della famiglia Oak, o del Professor Kukui e di sua moglie Burnet. Non sapeva se permettere alla sua ospite di tenere il disposivo o obbligarla a distruggerlo come se fosse una cimice.
In fondo, uno dei loro più intimi segreti era proprio legato a un Pokémon. Lunala non avrebbe gradito che un Pokédex registrasse informazioni su di lei.
«Io non sono una dea» rispose lusingata Gong.
«Lunala dice di sì. Sei l'incarnazione di qualcosa che non nominiamo. Una forma di manifestazione divina. Non lo sembri, non sembri niente di sinistro e spaventoso. Sei una ragazza così piacevole e graziosa, anzi!».
Gong non poté nascondere un sorriso compiaciuto. «Oh, grazie!».
Era la prima volta che riceveva complimenti del genere da una voce maschile, almeno da quando era diventata fertile. Non era monaca di clausura, ma nelle sue poche uscite nessuno si era permesso di parlarle troppo apertamente, neppure i più spudorati. I paesani avevano la sua foto nelle case, grazie a una campagna di sensibilizzazione pro-Avatar ideata dal Maestro Meelo e portata avanti dal Loto Bianco. Gong non era proprio contenta di essere diventata un simbolo di casta virtù.
Grimsley aveva riconosciuto il tipo, e inoltre la credeva amante di Lunala.
Era stanco e stava invecchiando più rapidamente di quanto si augurasse, ma restava un epicureo e non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di sedurre la ragazza della sua ragazza. Si sedette accanto alla giovanissima vergine e le prese la mano nella sua.
«Conosco quel ragazzo, Gladion: è solo fumo» le spiegò. «Vuole fare il duro, vuole fare l'intellettuale tormentato... in verità è un viziato nevrastenico. Il suo massimo problema quotidiano è quanto gel spalmare sui capelli. Puoi trovare di meglio, se non cadi nella trappola del “bello e maledetto”».
Posò le labbra sulla sua fronte, ma le strusciò quel tanto che bastava per trasformare un gesto paterno in un invito. Gong avvampò, divenne rossa come un pomodoro.
Grimsley la baciò sulla guancia calda e poi sul collo, giusto per mantenere le apparenze.
Era lui a portare, lungo il decorso delle giugulari, dei segni simili a morsi di serpente. Le sue numerose sciarpe servivano a coprirli.



 
*




«Grim!» esclamò una voce femminile, sorpresa e indispettita.
L'uomo aprì gli occhi ancora stanchi.
Sdraiata accanto a lui c'era la sedicenne cieca addormentata, il respiro regolare e i capelli neri abbandonati sul cuscino.
Accovacciata sopra di lui c'era un'altra ragazza. Una piccola venere dai capelli candidi, nuda e tanto bella da mettere la coetanea in ombra. La dolcezza dei suoi lineamenti e la perfezione delle sue curve avevano catturato il cuore della vittima fin dal primo istante.
C'era un'aura maligna attorno a lei. Era lì per prendersi il suo amore e il suo sangue.
Nella stanza, sempre più buia, aleggiava la tensione dell'incubo.
Il suo viso bruno, illuminato da una luce fioca che non veniva dall'abat-jour sul comodino né dalla finestra, era stizzito.
«Vai a letto con le altre! Vai a letto con le ragazzine! Vai a letto con le suore!».
Gli batté la piccola mano sul petto scoperto.
«Perdonami» la pregò lui. Avrebbe voluto abbracciarla, ma non poteva muoversi. Anche la sua bocca era immobile. In quei sogni, Lunala sfruttava al massimo le sue abilità telepatiche.
«Amore mio, non credevo che ti importasse!».
Era sincero. Lunala non aveva battuto ciglio neppure quando lui era stato sul punto di sposarsi, quasi vent'anni prima. Tanto, non aveva nulla da temere. Sapeva di essere l'unica ragazza nel suo cuore e la sua fantasia più forte. Con questa consapevolezza, non aveva fatto niente per semplificargli la vita. Spesso si lamentava del suo vizio del gioco, lo pregava di smettere, poi scompariva e lo lasciava solo con la sua dipendenza. Si comportava con la leggerezza di un'adolescente e non riusciva a cambiare. Sottovalutava la gravità dei suoi problemi o semplicemente non aveva idea di come aiutarlo a risolverli.
Ora, faceva la gelosa.
Grimsley non poté fare a meno di sentirsi in colpa.
«Perdonami...» ripeté.
La vampira gli sorrise appena. Si sdraiò e si strusciò su di lui sorridendo. Aveva la pelle di seta, tiepida e morbida come quella dell'altra ragazza nel suo letto. Lo baciò piano sul collo senza toccarlo coi canini aguzzi. Nelle sequenze oniriche da lei create, le sue sensazioni erano estremamente reali. Quel corpo flessuoso gli pareva reale, così come reali erano la sua lieve angoscia e le energie che lei gli sottraeva.
Se Lunala a modo suo non l'avesse amato, non l'avrebbe lasciato sopravvivere una sola estate. Era quest'idea a tenerlo legato a lei più di tutto il resto.
La vampira gli rubava poco sangue per volta, passava notti intere con lui, e se avvertiva di averlo portato troppo vicino alla famigerata crisi fatale, sospendeva gli incontri. Spariva quel tanto che bastava per permettergli di recuperare le forze e poi tornava ad infestare il suo sonno.
E a causa dell'anemia e del cattivo sonno, lui era stanco e debole e chi lo incontrava lo credeva malato. Non era un problema. In cuor suo si augurava di finire lentamente ucciso da quegli abbracci.
Appena la sua amante parassita gli affondò i canini da serpente nella vena del collo, la ragazza al suo fianco spalancò gli occhi. Brillavano di una luce molto più forte di quanto apparisse nel mondo reale. Si tirò su a sedere, allungò un braccio con un movimento fluido e meccanico e afferrò i lunghi capelli della vampira.
Con uno strattone la costrinse a staccarsi dal collo della vittima, con la mano libera trasformò i bracciali appoggiati sul suo comodino in una lunga lama.
Lunala schizzò giù dal letto nella forma di un pallido serpente dagli occhi color rubino: aveva paura che nelle varie leghe metalliche ci fosse dell'argento, l'argento le avrebbe causato delle brutte ustioni. Mentre strisciava sul pavimento fluì nella forma di un altro animale bianco, una gatta dalla pelliccia candida e gli occhi rosso sangue. La gatta-vampira soffiò alla monaca rizzando il pelo e inarcando la schiena, stizzita come quando aveva attraversato la stanza col suo passo felpato e l'aveva vista sul letto.
Balzò sul davanzale della finestra attraversando i vetri chiusi, si trasformò in un piccolo pipistrello bianco e volò via verso la luna luminosissima e piena.
Gong si svegliò di soprassalto.
«Come ti sei permessa?!» la rimproverò il padrone di casa. «Avresti dovuto farti gli affari tuoi, signorina!».
«Ti stava dissanguando! Ti aggrediva!».
«Continuano a non essere affari tuoi».
«Invece sì! Perché ti succhiava il sangue e ti faceva del male! E poi tu stavi a letto con me, non con... quella cagna!».
Grimsley alzò la voce: «Sei una monaca! Chi è la cagna?!».
La sua irritazione si stava trasformando in collera.
Gong non gli rispose. Si rivestì più in fretta che poté, cacciò il Pokédex nello zaino e lasciò la casa sbattendo la porta. La luna era solo uno spicchio nel cielo un po' offuscato, ma lei non aveva certo problemi di visibilità.
Sulla via del molo, una piccola astronave rotonda le tagliò la strada. Alle sue spalle, il Pokémon Cervello Beheeyem la colpì con una mossa paralizzante prima di tentare l'ipnosi. Magnezone la attirò nel suo campo magnetico e la portò via in volo, attraversando la città provata e addormentata.



 
*





Betsy la Banette e la sua amica Gourgeist stavano giocando in salotto alle ore piccole. Erano un pupazzo invasato e una zucca di Halloween: se lasciate libere, si comportavano da creature notturne. Stavano impiccando le bamboline di plastica quando il cellulare in carica suonò. Betsy lo prese e corse su per le scale, nella camera degli ospiti, a svegliare la sua padrona. Il localizzatore nel Pokédex clonato era uscito dai limiti di sicurezza. Sird controllò la sua posizione nel cellulare e capì di dover fare in fretta. Shan Yueguang si allontanava rapidamente, scappava dalla città. Non la credeva così spudoratamente ribelle.
La donna si vestì e si preparò ad uscire.
«Mamma...?» la chiamò una voce di donna mentre girava la chiave della porta di casa. «Che succede?».
«UB-X: “Queen Ant” si sta muovendo» le spiegò sbrigativamente la donna. «Quanto a te, ti conviene andartene. Ci sono troppi occhi. Se vedi tuo fratello, dagli un ceffone da parte mia e digli che è stato un vile a non venire qui a prendersi la sua briciola di pane».
Silenzio.
«Scherzavo. Sappiamo entrambe che si farebbe arrestare subito. Deve restare nascosto. Salutamelo. E vai un po' in palestra».
Betsy salutò con la mano la sua amica Gour
geist e si lasciò ritirare nella sfera.



 




AUTORA (Buh! Grammatica sbagliata, che paura! O_O). Spero di non aver seminato degli errori horror in questo capitolo, perché l'ho scritto un po' di fretta. Al solito (sono una ragazza sincera ed affidabile, avevo detto giovedì ma oggi è...? Il giorno prima di giovedì. Quindi il capitolo ci sarà, per domani. Vero? Non fa una piega.
In mia difesa posso dire che essendo Halloween, cioè la mia festa preferita (come di tanti, credo) ho deciso di postarlo adesso e usarlo come “special”, considerando il titolo.





 

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Capitolo 12
*** I ribelli ***


12. I ribelli



«Salve, bella signorina».
Gong aveva già sentito quella voce e quell'accento. Appartenevano all'uomo che aveva incontrato alla fermata del bus. Adesso si era svegliata in catene, chiusa in una teca di un materiale molto più resistente del vetro, ma forse trasparente. La stanza si trovava al centro di un edificio in gran parte sotterraneo.
«Non mi chiedi nulla?» si sorprese il suo aguzzino. Bevve un sorso d'acqua dal bicchiere che aveva in mano. Ancora una volta, la sua calma era innaturale. Aveva torturato creature molto più spaventose di lei senza riportare un graffio.
Gong avrebbe saputo cosa aspettarsi, se fosse stata nel suo mondo. Qualcuno le avrebbe somministrato del veleno neurotossico per spingerla in Forma Avatar e tentare di eliminarla per sempre. Perché quello, per quanto ne sapevano, era l'unico modo per scindere il Grande Spirito della Luce dalla sua anima mortale. Le intenzioni di quell'uomo però erano un'incognita.
«Che cosa vuoi?» gli domandò. «Se mi uccidi, mi reincarno. E ti vengo a cercare».
La sua contentezza le parve fuori luogo. «Bene! Interessante. Davvero» ammise. Poi cominciò a vantarsi: «Io sono uno scienziato. Lo scopo del mio lavoro è scoprire il potenziale delle creature di questo mondo. Fino a poco fa i miei simili non mi interessavano... adesso, qualcosa sta cambiando. Non è vero, signorina Shan? Sei forse un... una specie di untrice? Succedono cose strane da quando sei arrivata».
Mentre parlava, alzò la mano libera e poche gocce d'acqua rimasero sospese sopra il suo bicchiere mezzo pieno. Gong sollevò tutta l'acqua muovendo le palpebre e gliela buttò in faccia. Non poteva sputargli addosso, oltre il vetro.
Lo scienziato biondo scoppiò a ridere. «Quindi, non sono al sicuro...!».
Si arretrò e lasciò scendere una porta blindata. Quel laboratorio era fatto per tenere imprigionati dei mostri molto più agitati e massicci di lei.
La sua voce le arrivò da un altoparlante. «Così va meglio?».
«Devi lasciarmi andare!» gli urlò Gong.
«Non adesso. Voglio testare le tue capacità. Cominciamo».
Un meccanismo automatizzato lasciò rotolare una sfera già attivata nella stanza. Ne uscì uno Zubat piuttosto debole. Lei non avrebbe mai perso tempo dietro a uno di quelli, stava pensando a come fare a fette lo scienziato. Spezzò le catene e cercò un punto di debolezza nel muro. Era molto spesso e molto resistente, tuttavia insistendo sarebbe riuscita a uscire.
I due bracciali stretti ai suoi polsi generarono una scossa elettrica. Il dolore fu piuttosto forte.
La voce dello scienziato uscì di nuovo dall'altoparlante. «Mi raccomando: sii collaborativa. Fammi vedere di cosa sei capace, manda al tappeto quello Zubat».




 
*




Sird aprì lo zaino abbandonato e tirò fuori il Pokédex bianco che l'aveva guidata fin lì. Chiunque avesse rapito Yueguang, non era sprovveduto come un tipico Skull.
La donna prese il telefonino e digitò rapidamente un numero.
Le rispose una voce da bambina: «Pronto?!».
Era la ragazza che sua figlia stava assistendo, Valerie.
«Ciao. Sono Jing Yi» le rispose in un tono che sembrava spontaneo. «Mi passi la tua amica?».
«Non posso, perché è sparita».
«Cosa...?!».
«Stanotte ha lasciato la porta aperta ed è andata via».
Yán Huā, Diantha per il Kalosiani, era sonnambula fin dall'infanzia. Era uno dei suoi segreti e il suo comportamento più a rischio. Quando il suo sonno non era tranquillo, apriva gli occhi in uno stato di incoscienza, si alzava e camminava al buio. Quella notte si era tolta la parrucca e aveva parlato poco, aveva chiamato Sird “mamma” quando c'era un'ospite in casa. Le aveva chiesto cosa stesse accadendo perché con lei di mezzo succedeva sempre qualcosa, e si era chiusa nel silenzio sentendo nominare suo fratello. Era uscita dopo di lei, anziché chiudere a chiave la porta. Se, malgrado i capelli celesti e le sopracciglia rasate, fosse stata riconosciuta da qualche ficcanaso, avrebbe rischiato molto più della carriera.
Sird alzò la voce. «E Gardevoir dorme?! Secondo lei cosa l'abbiamo presa a fare?!».
Lo Spritzee nella Pokéball di Gong riconobbe la sua voce ed uscì. Aveva un profumo tanto forte da saturare il naso. Era stato regalato e non scambiato, perciò aveva difficoltà a riconoscere la cieca come sua Allenatrice.
«Libera Gardevoir e mandala a cercare Diantha. Sbrigati!» ordinò Sird al telefono.
Spritzee la vide agitata e le si accovacciò sulla spalla.
«Ti sembro una da coccole? Guarda, non sono dell'umore giusto».




 
*




Gong era sfinita. Quel pazzo le mandava contro Pokémon sempre più forti e arrabbiati. Ogni volta che chiedeva un time out, si prendeva una scossa dai bracciali elettrici.
Il quinto sfidante fu Beheeyem, lo stesso esemplare che aveva steso Shuckle.
Batterlo sarebbe stato impossibile.
«Noto che la tua resistenza non è paragonabile alla potenza d'attacco...».
«Cretino! Chiunque può dare tante legnate e prenderne poche, cervellone!».
«Alcuni di loro no. Alcuni sono sorprendenti in difesa ma pessimi in attacco».
Le arrivò una scossa.
«Non parlarmi così, Yueguang. Mi offendi».
Ma non era offeso. Era elettrizzato dall'occasione di torturare un umano sentendosi a posto con la sua atrofica coscienza.
«Io ti ammazzo!» urlò furiosa la ragazza.
Lo scienziato rise.
«Beheeyem... questo è un vero duello, quindi decidi tu cosa fare».
L'alieno rimase immobile a mezz'aria e mandò attorno a sé un'onda telepatica debole, troppo debole per stimolare i cervelli umani.
Il Rotom di Colress captò il segnale e uscì dalla sua sfera, entrò nel computer e se ne impossessò.
La porta blindata cominciò a scorrere verso l'alto. I bracciali non si attivarono.
Lo scienziato finalmente ebbe paura: «Che cosa...?!» mormorò.
Quella era una rivolta.
Beheeyem e Rotom avevano visto una via di fuga dalla loro prigionia. Tutto quello che avevano fatto era stato agitare la loro paladina come una bibita gassata. A cose fatte, si sarebbero lasciati ricatturare da Gong, perché pur odiando il padrone attuale non erano abituati alla vita da selvatici.
Gong uscì dalla prigione in forma Avatar portandosi dietro una catena.
Ne afferrò un capo, l'altro scivolò attorno al collo della vittima rigida, immobilizzata dal Dominio del Sangue.
Non strinse la catena, ma avvicinò a sé il suo aguzzino fino a toccargli il viso con la mano libera e il petto con quella avvolta dagli anelli di ferro.
Colress non avvertì più il pavimento sotto i piedi. Ebbe l'impressione di cadere con lei, come in un incubo. Un attimo dopo si ritrovò sommerso nella penombra. Si reggeva in piedi a stento, le gambe gli tremavano. Gong era davanti a lui, innaturalmente scura in volto, con gli occhi che mandavano una forte luce bianca. Lo costrinse a girarsi e lo spinse a terra. in ginocchio.
Gli occhi rossi di Giratina lo scrutavano irritati da dietro una maschera d'oro. Il demone non parlò. Non parlava mai con gli intrusi.
La ragazza gli spiegò la situazione con la sua voce naturale e senza cerimonie, come se lo conoscesse da tanto. «Questo disgraziato tortura i pokimon con la scusa di allenarli e poco fa mi voleva ammazzare. Io lo lascerei qui».
«No, no! Aspetta! Signorina, non era mia intenzione...!» urlò Colress. La cieca aveva di nuovo occhi umani, ma lo guardava come se potesse vederlo. Non avendo dimestichezza con gli spiriti, lo scienziato provò a rivolgersi direttamente al Leggendario: «Non darle retta. Che cos'è, una strega? Non avevo idea che fosse...! Io amo i Pokémon...!».
Aveva firmato la sua condanna. Giratina non sopportava le menzogne. Fece un cenno con il muso mascherato alla monaca e lei se ne tornò nel Mondo Materiale.
Era rimasta in piedi in forma Avatar, mentre il corpo di Colress si era afflosciato con un sacco. Ancora respirava, ma era come addormentato.
Rotom e Beheeyem si stavano dando da fare per pulire e contaminare la scena del crimine. Dovevano far sembrare che un Pokémon da solo avesse provocato quel disastro. Rotom avrebbe cancellato i video.
Gong rimase immobile per un numero incalcolabile di lunghissimi secondi. Giratina aveva avuto l'ultima parola, Giratina era testardo e non l'avrebbe più lasciato andare, ma era stata lei a portarglielo. Era complice. Le avevano detto che con il suo stile di combattimento troppo aggressivo, prima o poi avrebbe ucciso qualcuno. Gliel'aveva ripetuto persino Lunala.
E ora era successo e lei non si sentiva neppure tanto in colpa.
Quell'uomo le avrebbe fatto di peggio, se avesse potuto. L'aveva rapita, tenuta prigioniera e torturata. E lei doveva scappare.
Beheeyem registrò la sua traccia mentale per ritrovarla in un secondo momento prima che corresse oltre la porta, su per le scale, fino a raggiungere piano terra e precipitarsi fuori dall'edificio camuffato da catapecchia di legno. Nascondersi sotto terra come i topi era una delle specialità degli scienziati Plasma. Gong non aveva idea di dove fosse e non sentiva alcuna presenza umana nei dintorni. Era su una piccola isola, quasi sicuramente una delle isole minori dell'arcipelago.



 
*






Azula provava ancora a liberarsi dalle fasce che la legavano al letto. Nonostante le avessero somministrato una dose di sedativi esagerata per il suo peso, ancora aveva in mente di scappare. L'avevano addormentata come un animale e l'avevano portata su un'isola, poi l'avevano chiusa in un reparto speciale della struttura e l'avevano legata al letto. Dicevano che se si fosse liberata, in quello stato avrebbe ucciso qualcuno. E in effetti, lei l'avrebbe fatto volentieri.



 
*






Il Dottor Colress di Unova, membro di spicco del Team Plasma, serpente scivolato fuori dalle sbarre vendendo informazioni alla Polizia Internazionale, era sdraiato a terra. Il suo respiro era regolare ma Diantha sapeva che non si sarebbe più svegliato senza un intervento esterno. Era stata condotta lì dal richiamo della cosiddetta “Ultra Creatura-X: Formica Regina”, amplificato dalla natura semi-magica del pianeta. Era stato così forte che lei si era svegliata mentre camminava in camicia da notte nella sua direzione, sul molo di Malie City, accompagnata soltanto da Gourgeist.
Aveva sottomesso sul momento un Wishiwashi e, sfruttando quell'autorevolezza tipica dei Campioni che i Pokémon Aloliani scambiavano per l'aura del loro Dominante, l'aveva convinto a portarla lì senza catturarlo. Non aveva alcuna Pokéball con sé, aveva dovuto lasciare Gourgeist sul molo.
Era arrivata fin lì come salvatrice non su un cavallo bianco, ma aggrappata ad una sardina depressa.
E la Regina non c'era. C'era solo il serpente.
Se non fosse stata indulgente con i criminali non avrebbe avuto famiglia, quindi si strizzò la camicia da notte fradicia, tentò di asciugarla con il suo Dominio dell'Aria arrugginito, e poi si sedette a gambe incrociate accanto al corpo dello scienziato. Chiuse gli occhi e modulò il respiro.
Era la prima volta che scendeva nella parte buia e più pericolosa del Mondo degli Spiriti senza sua madre. In effetti, non lo faceva da anni. Era un po' come un tuffo nell'infanzia e nella prima adolescenza. Prima che Cyrus cominciasse a fare il “cattivo”.
Il compito non era semplice: il territorio era immenso, e lei doveva trovare l'anima marcia del Dottor Colress prima di Giratina. Non immaginava che fosse stata consegnata direttamente a lui.
La prima cosa che vide fu una penombra violacea e deserta. La terra era divisa in piattaforme che di tanto in tanto scomparivano. Sorprendentemente, lì dov'era capitata lei, crescevano dei grossi fiori grigi. Fiori grigi, forse quelli che per qualche motivo davano il nome in codice alla terribile arma affidata a Zygarde. Diantha si chinò per toccarli e sorprendentemente li trovò simili, almeno al tatto, a quelli terrestri. Appena ne strappò uno, il fiore non esplose, ma si disgregò nella sua mano mandando frammenti dei suoi petali nell'aria.
Diantha non ci fece un gran caso, si guardò di nuovo intorno e decise di cercare altrove. Scomparve e riapparve in un altro luogo poco lontano. Non c'era traccia dello scienziato. C'erano altri fiori simili a grossi soffioni grigi.
Le bastò sfiorarli con la gamba per mandare nell'aria i loro semi.
Quella debolissima traccia richiamò il demone: c'era qualcosa che si stava muovendo, nella sua enorme e frammentata ragnatela.
Giratina risalì dall'abisso, Diantha se ne accorse solo quando superò quello che per lei era il livello del suolo. Non era di buon umore neppure per i suoi standard.
La donna scomparve e risalì nel mondo terreno un attimo prima che un tentacolo la circondasse.
Saltò in piedi con il corpo che tremava di paura. Sinceramente, non capiva come avesse fatto suo fratello a rimanere calmo davanti a un mostro del genere. Lui e la madre erano poco vulnerabili alla paura. Diantha era di un'altra pasta, ma vicariava con dei riflessi da lepre.
Lasciò Colress lì dov'era e prese il mare con Wishiwashi.







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AUTRICE: Ci rivediamo ^_^ buongiorno a tutti! Non è che io creda molto in questo capitolo, l'ho usato per sistemare un personaggio a cui l'avevo giurata. E' largamente OOC e i personaggi che ho scelto non sono tra i più popolari... ma almeno a questo servono le fan fiction. No? No, immagino di no. E va beh, ho deciso di usare questi...

 

BUON ANNO!!!

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Capitolo 13
*** Kokachin ***


13. Kokachin
 


«Voglio denunciare il mio zaino».
«Perché? Che ti ha fatto?».
Alla centrale di Malie, aveva trovato l'agente spiritosona.
«No! Intendevo... mi hanno rubato lo zaino, voglio denunciare la scomparsa».
«Vorrai dire il furto...».
«Sì! Il furto!».
«E c'erano dei Pokémon, dentro?».
«Sì».
Dopo averla riportata a Malie su un piccolo velivolo automatizzato, guidato da Rotom, i due Pokémon ribelli di Colress erano andati a cercare il suo zaino lì dove Beheeyem l'aveva lasciato. E non avevano trovato altro che una traccia del profumo di Spritzee. Qualcuno l'aveva preso. Ma all'ufficio oggetti smarriti non ne sapevano nulla.
«Quanti?».
«Ehm... non saprei. Dieci?».
«E' illegale portarsene appresso più di sei».
«Già, infatti. Sei. Io sbagliato a dire. Sei».
La spiritosa le lanciò un'occhiataccia. Se avessero trovato lo zaino con gli undici Pokémon dentro, avrebbero sempre fatto in tempo ad arrestarla.
«Va bene. Può descrivermi la dinamica?».
«Beh... allora... io ero fuori la notte scorsa, e sono stata paralizzata da un pokimon, e poi...».
«Signorina Shan! Che ci fa qui?».
Era Nanu. Probabilmente aveva sentito che lei era lì e si era presentato a tormentarla. Gong fu tentata di girare i tacchi e andarsene. Ma così facendo avrebbe ammesso di avere qualcosa da nascondere.
«E' venuta a denunciare il furto del suo zaino con dentro suoi dieci Pokémon, signore» gli comunicò l'agente.
La ragazza dovette sopprimere l'impulso di metterle le mani addosso.
«Ma guarda! Sei già arrivata ad averne dieci?».
«Erano sei. Sei, erano solo sei».
«E chi avrebbe avuto il coraggio di derubarti?» domandò il poliziotto. «Hai fatto molta scena, l'altra notte».
Gong stava perdendo la pazienza. «Sa una cosa? Lasci perdere, me lo cerco da sola».
Girò i tacchi e puntò dritta all'uscita, con l'aria di aver subito un torto.
«Ti muovi molto bene, per una cieca che non è mai stata qui».
«Capto gli ultrasuoni come i pipistrelli» tagliò corto la monaca senza voltarsi. Per quanto ne sapevano poteva essere una Psiche, una sensitiva che spostava gli oggetti, piegava cucchiai e percepiva il mondo con la mente e non con gli occhi.
Uscì dalla centrale disperando di ritrovare i suoi Pokémon e tutta la sua roba. Decise di tornare alla villa di Grimsley perché non aveva soldi né altri posti per dormire. Mentre camminava, una voce conosciuta la chiamò per nomignolo venendole incontro: «Gong!» fece. Era la signora Yan Jing Yi. Per muoversi nella luce del giorno, si era tolta la parrucca e indossava un qipao rosso al posto della divisa Rocket. Nessuno lì conosceva il suo viso, neppure il suo vecchio viso da ultracinquantenne albina, perciò poteva stare relativamente tranquilla.
«Ho sentito che ti hanno rubato lo zaino. Poverina! Non hai soldi, non hai Pokémon... la mia casa è poco distante: posso offrirti qualcosa?».
«Beh...». Voleva un tè, perché la giornata era cominciata storta. «Sì, grazie».
La signora Yan la condusse alla sua villa. Era più modesta di quella di Grimsley, ma non era piccola.
«Credo che le mie amiche non siano in casa» disse girando la chiave. «Però togliti le scarpe quando entri, perché Madame Butterfly viene da Johto ed è parecchio rompiscatole su questo».
«Va bene» accettò la cieca. La donna la fece accomodare sul divano e poi andò in cucina. Tornò subito senza il tè, ma con gli spallacci di un grosso zaino pieno in una mano. Lo reggeva come se fosse una borsetta.
«Ho trovato questo. È viola, dev'essere il tuo, l'avevo già visto sull'autobus. Dentro ci sono troppi Pokémon. Se qualcuna di quelle teste di cavolo ti avesse perquisita, saresti stata nei guai».
«Lo so. Ma perché c'è questa fissazione?».
«Perché sì. Certe regole sono stupide. Se ti trovano con sette Pokémon, concludono che tu non voglia partecipare alle sfide ufficiali e li tenga per altre ragioni. O che tu voglia barare nei combattimenti sportivi. È un mondo strano: gli eserciti stanno in valigia. Bisogna prendere qualche precauzione».
«Ho capito. Comunque... grazie. Come posso sdebitarmi?».
«Scherzi?! Non ricordi com'ero prima di incontrarti? Comunque...».
Spritzee uscì dalla sua sfera e le si posò sui capelli corti.
«A quanto pare sto simpatica al tuo Spritzee. Ti dispiacerebbe se ti proponessi uno scambio?».
E intanto, il tè non arrivava. Non c'era neppure l'acqua sul fuoco.
«Tu mi hai già dato Shuckle...» ricordò la cieca.
«Sì, ma non è stato un vero scambio. Lui non mi aveva riconosciuta come padrona. Sai, l'altra volta parlavamo dei Pokémon Baby...».
Fece cenno a qualcuno di avvicinarsi. Un piccolo Pokémon con la testa che usciva da un guscio d'uovo rotto a metà, le braccia corte e i piedini tozzi, camminò dondolando nella stanza. Era instabile come un bebè, cadde e rotolò sul pavimento, ma si rialzò senza perdersi d'animo. Sird lo sollevò e lo posò sul grembo di Gong. «Questo è un Togepi. E' una femmina. Si chiama Kokachin».
Con le dita, la cieca studiò le strane punte smussate sulla sua testa. Non sembravano corna, probabilmente avevano solo una valenza estetica.
Togepi era molto più raro del comune Spritzee. E nella sua specie le femmine erano la netta minoranza. Ma Gong non lo sapeva e non si insospettì. Non pensò neppure di controllare il Pokédex. Fu la donna a spiegarle ciò che doveva sapere e Gong si fidava di lei.
«Falla combattere spesso con avversari del suo livello e trattala bene, se vuoi che cresca. Si evolve per Felicità, o Amicizia, o quel che vuoi. Fatto sta che se la trascuri e non assecondi la sua natura di Folletto, non si evolverà mai. Nota: si trova molto bene coi Chingling. E tu ne hai già uno, giusto? Te l'ha regalato quel vecchietto bizzarro, il Sensitivo».
«Sì. È nello zaino».
«Allora... accetti lo scambio?».
«Sì».
Spritzee esultò rilasciando un forte profumo di agrumi e volando per tutta la stanza mentre le Allenatrici si scambiavano le sfere.
Fu Gong a rompere la “magia” del momento sollevando una questione più materiale: «Il tè è rimasto sul fuoco?» domandò, armata di ipocrisia. Sapeva benissimo che in cucina non c'era acqua sui fornelli.
Sird le rispose con un sorriso imbarazzato. Pessima padrona di casa. «No. Scusa. Ora lo faccio».
Era la prima volta che un'ospite si fermava a bere qualcosa. Nessuno, nell'ambiente da cui proveniva, avrebbe avuto il coraggio di assaggiare un infuso preparato da lei senza sorveglianza, e non per le sue scarse abilità culinarie. L'ingenuità della monaca era quasi commuovente.
Mentre Sird tornava in salotto e si tuffava nel profumo di incenso e di agrumi emanato da Spritzee, con la teiera e le tazze di porcellana su un vassoio d'argento vintage, la sua ospite le domandò: «Posso chiederti un favore?».
La donna si bloccò come una macchina con la teiera fumante in mano. Aveva lavorato con i criminali per troppo tempo. Aveva una mentalità da criminale lei stessa. La domanda non le piaceva. «Che tipo di favore?».
Gong tirò fuori dallo zaino la piccola tastiera rubata da Mimikyu al supermarket abbandonato.
«Mi dici il titolo di questa?».
Eseguì una versione semplificata del ritornello di un pezzo moderno che, nella sua breve permanenza a Malie, aveva sentito alla radio. Poi si interruppe e aggiunse: «Non ho capito bene il testo e in parte me lo sono scordato, ma a un certo punto mi pare che dicesse: “She comes in incense and patchouli”».
In un mondo dove tutti avevano un nome ispirato a un fiore o una pianta, certe parole si imparavano in fretta. «La conosci?».
«“Year Of The Cat”1. A Malie è ritornata in auge tra i meno giovani perché siamo nell'Anno del Gatto. E anche nel posto del gatto, direi».
«Ovvero?».
«Litten, l'Iniziale di Tipo Fuoco... è un gatto. Alola ha con sé il segno del Gatto. Sinnoh ha la Scimmia, Kalòs la Volpe, Kanto la Lucertola, Unova il Maiale, Hoenn il Gallo e Johto l'Echidna. Eccetera. Tutti compaiono nel calendario lunisolare dell'età imperiale. Riadattato, perché sul pianeta non s'è mai visto un animale vero. Scimmia, Maiale e Gallo sono esatti. Ma il Gatto ha sostituito la Tigre e non il Coniglio. Volpe, Lucertola ed Echidna... non so da dove il Sacro Uxie o chi per lui li abbia tirati fuori. Insomma... l'echidna...? Chi se la filava, prima di incontrare Cyndaquil? Ci hanno portati qui per farci impazzire. In ogni cosa è stato cambiato quel tanto necessario a spiazzarci e renderci dipendenti dai Leggendari. Insomma... il giorno di ventiquattro ore, l'anno solare di trecentosessanta giorni, l'accelerazione di gravità ridotta a 8,51...».
Bevve un sorso del suo tè.
«8,51 m/s2. E' poco persino per te, scommetto. Tutti sentono che c'è qualcosa che non va, ma non capiscono cosa. È il motivo per cui nascono così tanti Team malvagi guidati da uomini di cultura medio-alta intenzionati a cambiare radicalmente il mondo. Sono lestofanti, ma l'attenuante è che qui non ci si ritrova nessuno. Persino il colore dei capelli è un problema: chi li ha blu, viola o rossi... e non intendo il rosso da “pel di carota”... non è un umano wild-type. Esprime dei geni modificati per favorire l'adattamento a questo piccolo pianeta».
Ecco uno dei cento problemi che Lunala e Giratina non le avevano neppure accennato.
«I “verdi” sono meticci, hanno i geni del biondo e del blu. Alcuni li considerano l'ago della bilancia, altri li bollano come “sfigati” e li tengono a distanza. Neppure gli albini si salvano: non hanno mai i capelli perfettamente candidi, se non se li tingono di bianco calce. Abbiamo intere Regioni un cui predomina l'uno o l'altro gruppo. Tu non ci vedi, ma con quei capelli neri ti consiglio di stare lontana da Sinnoh e Johto. Sempre che tu non voglia affidarti alle tinture e alle parrucche o passare per piantagrane “alternativa”. Non bevi?».
In effetti, Gong non aveva bevuto niente. Era rimasta a maledire la pigrizia di Lunala e il disinteresse di Giratina. Per non offendere si portò la tazza alla bocca e cercò di mandare giù il tè tutto d'un fiato.
Mentre portava via il vassoio, Sird concluse: «Questo pianeta sembra un paradiso, in realtà è un manicomio a cielo aperto. Bah... ma forse è solo una mia impressione».
«Tu non sei di qui... giusto? Né di Alola né di Sinnoh».
«Abbastanza no. Dovrei girare con le tute appesantite da astronauta, se non mi fossi abituata a non saltare qua e là come una cavalletta».
In effetti, Sird non era solo alta e sottile, ma era cresciuta come se la forza di gravità le avesse fatto poca resistenza. Persino la struttura del suo viso ne aveva risentito. E già di base, Gong l'aveva notato toccandola, era più simile a quella di una nativa della Nazione del Fuoco che a quella delle ragazze del luogo.
«Da bambina... sai, che voli? Ne avrei fatti di meno se avessi avuto le ali. Facevo un saltino e atterravo di faccia due metri più in là. Ma tu non andare a dirlo in giro. Giura. Lo vedi come sono i poliziotti di qui. Già gli autoctoni sospettano qualcosa solo guardandomi: il loro istinto li mette in allarme. Non che la cosa mi dispiaccia, si intende».


 
*



Gong si ripresentò a casa sua dopo mezzogiorno, con lo zaino su una spalla sola e un'aria vagamente indispettita. Grimsley la vide dalla finestra e andò ad aprirle. «Beh?» fece. «Dov'eri finita?».
Era sparita per oltre ventiquattro ore. Le sue risposte furono telegrafiche, perché era ancora arrabbiata con lui: «Rapita da uno scienziato pazzo. Tornata stamattina. Mi hanno dato un Togepi per Spritzee».
«Li hai minacciati? A chi ti riferisci?».
Non credeva alla storia del rapimento. Quella santarellina, malgrado la prima impressione, era piena di inventiva per le scuse assurde. Ne aveva sedotte altre come lei.
«Non sono affari tuoi» tagliò corto la ragazza. «Ora voglio riposare».
Gli buttò le braccia al collo e lo baciò sulla bocca. O si era espressa male, o quella per lei era un'attività riposante. Così si sarebbero rappacificati. E, se li avesse scoperti, sarebbe stata Lunala ad arrabbiarsi. Grimsley non era contrario a indispettirla. Lei per prima gliene aveva fatte di tutti i colori.


 
*




Gong si era recata al Centro Pokémon per depositare i mostriciattoli di troppo. Rinunciò all'Exeggutor Long-Long, all'Oricorio Olly, e ai tre Mienfoo con cui non aveva nessun rapporto. Pur sapendo di non lasciarsi una squadra molto bilanciata, voleva creare un ambiente ideale per crescere Kokachin continuando ad eseguire i suoi trucchi con gli elementi Roccia e Terra.
I due clandestini, Beheeyem e Rotom, sarebbero stati lontani per un po'. Se qualcuno li avesse trovati con lei così presto, Gong non avrebbe neppure potuto dire di averli incontrati per caso dopo la loro ribellione al precedente Allenatore.
La macchina del Teletrasporto si portò via cinque delle sue Pokéball e le spedì nella sua cassa di sicurezza situata chissà dove, probabilmente a chilometri e chilometri da lei. Gong chiuse il suo account con l'aiuto dell'assistente vocale e si preparò ad andarsene. Poi si fermò. Si ricordò dei complessi di Olly e dell'aria scontenta dei tre Mienfoo mentre venivano dati via dai loro padroncini. Quindi fece marcia indietro. Provò ad accedere di nuovo con le sue credenziali ma il computer rigettò la sua richiesta. Provò ancora, ma senza successo. Al terzo tentativo, un avviso vocale le comunicò che il suo account era stato bloccato e i suoi Pokémon sequestrati dalla polizia Internazionale. Perché il suo nome e la sua foto comparivano nella lista dei soggetti pericolosi.
Il suo pensiero corse al Dottor Colress e la ragazza dovette sforzarsi per non svenire. Non era possibile che l'avessero scoperta così presto. Era stata attenta. Beheeyem e Rotom erano stati attenti.


 






1Non crepate a cercare il gatto nell'oroscopo cinese perché sostituisce il coniglio nell'astrologia vietnamita. Il brano esiste, sentitelo se volete



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AUTRICE: sono consapevole che i miei cambiamenti rispetto al canon stanno sfiorando la follia, ma insomma... mi diverto a pasticciare visto che sono stati loro a tirare in ballo la sci-fi prima di me, con l'ultrappattuglia eccetera eccetera. Quest'anno l'ho iniziato con la carica di un bradipo e l'ottimismo di un corvo, spero che a voi stia andando meglio.
Saluti.



 

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Capitolo 14
*** I demoni. Parte I ***


14. I demoni (I)


Ad Alola

«Io non capisco perché mi abbiamo inserito in quella lista!» insisteva Gong, sempre più infuriata. «Non ho fatto niente!».
Niente che l'Interpol avesse potuto scoprire in così poco tempo, ne aveva già “parlato” con il Pokémon Cervello Beheeyem.
Stava sfogando tutto il suo malumore su Grimsley. Come se lui c'entrasse qualcosa.
«Te l'ho detto:» le rispose il Superquattro, «Nanu sta dando un po' di matto, ultimamente. Ma è un brav'uomo. Vedrai che tra qualche giorno tornerà in sé e...».
«Sì, però tu gli devi parlare!».
«Perché io?!».
«Perché sei suo amico! Perché sei suo collega! Perché se lo avvicino io, lo spolpo!».
Gong normalmente parlava a voce bassa, ostentando una tranquillità e una timidezza che non aveva. Ora ruggiva come un Gyarados nei suoi giorni peggiori. Le sue narici vibravano e gli occhi spalancati minacciavano di schizzarle fuori dalle orbite. Molte ragazze della sua età erano graziose quando piangevano o si arrabbiavano. Lei no.
«Va bene, però calmati. Domani vado...».
«Adesso! Adesso vai a parlargli!».
Davanti alla faccia da pazzoide della sua protetta, Grimsley non poté fare altro che arrendersi. Era a un passo dal distruggergli la villa con una scossa sismica, lo sentiva.
«Va bene, va bene... vado subito» la accontentò.



 
*



«Per farla breve, finché non la toglierai dalla lista delle persone pericolose, la mia salute mentale e la sua saranno seriamente in pericolo. Non è esattamente la ragazza più tranquilla che conosco».
«Quindi lei è pericolosa, ma non deve stare nella lista delle persone pericolose. Questo mi hai detto» riassunse Nanu. Poi il suo sorrisetto scomparve. «La tua nuova ragazza può dare ordini a te, Grimsley, ma non alla Polizia Internazionale».
Gong era una minore ma aveva raggiunto l'età del consenso. Il Superquattro non aveva voglia di rinchiudersi da solo in un castello di bugie per salvarsi la reputazione. Fu costretto a sviare il discorso: «Posso sapere perché è su quella lista?».
Nanu schioccò le dita. La punta del suo pollice fu avvolta da una fiammella.
Grimsley scosse piano la testa. «Non è colpa di Gong. Non sono poteri incontrollabili». Aprì la mano e condensò un po' dell'acqua in sospensione nell'aria. «Basta solo farci l'abitudine».
«I poteri non saranno incontrollabili, ma alcune delle persone che li posseggono sì. Plumeria, per esempio».
«Plumeria è un caso a parte. Un caso disperato, sembra».
«Il contatto con la tua amica le ha provocato un crollo psicotico. E questo è molto grave: non so se ti ricordi dei Nihilego. Perciò la signorina Shan merita di rimanere in quella lista. È un'Errante, ma non mi sorprenderei se fossimo costretti a trattarla come un'Ultra Creatura».




A Kalos

Lo scienziato Xerosic stava tornando a casa in auto dopo un viaggio fuori dalla Regione, per festeggiare la sua ritrovata libertà. Pioveva a dirotto, nelle luci degli abbaglianti vide una macchina seriamente danneggiata contro un palo, e una coppietta fradicia che bisticciava a bordo strada.
La ragazza era graziosa, non molto alta, coi capelli di un vistoso rosso sangue. Lui indossava un berretto grigio che lasciava intravedere i capelli blu. La stava sgridando in giapponese: «Tu sei una pazza, ecco cosa sei! “Leva il piede dall'acceleratore”, ti avevo detto!».
La voce della coetanea suonò acuta e cantilenante: «Scusa! Non vedevo niente!».
«Appunto!».
Erano davvero molto giovani, non arrivavano ai vent'anni. Gli ricordarono Sina e Dexio.
Xerosic si fermò accanto a loro e abbassò il finestrino: «Ragazzi, vi serve un passaggio?».
«Sì! La porti al manicomio!» gli urlò il giovane indicandola. Le mani ancora gli tremavano, e non per il freddo. La sua metà doveva avergli fatto prendere un brutto spavento. Era un miracolo che fossero entrambi illesi.
«No, meglio all'ospedale...» obiettò tranquilla lei.
«Io devo andare all'ospedale! Tu non ti sei fatta un ca...!».
Fu interrotto da una sonora e ingiusta sberla.
«Eh, ma che brutti modi!» si lamentò la rossa. Come se l'incidente non fosse colpa sua. Appena fu sicura che il giovane non avrebbe reagito, si rivolse a Xerosic: «Ci porti all'ospedale. Alla macchina penseremo poi». Le diede un'ultima occhiata e ridacchiò: «Cavolo, è distrutta!».
«Maledetta...» bisbigliò fra sé il suo, forse ex, fidanzatino.
Lei si prese il sedile del passeggero, lui si sistemò dietro a quello del guidatore. Xerosic riavviò la macchina e partì, ma dopo una decina di metri si trovò una lama alla gola.
«Ora vai dove diciamo noi» gli sussurrò il ragazzo.
Lei aveva una pistola nella borsetta e la puntò contro lo scienziato con una certa nonchalance.




Ad Alola

Sun e Moon furono investiti dal calore di una potente fiammata azzurra. L'Incineroar Dollar era saltato davanti a loro in extremis, perciò il fuoco non li aveva raggiunti per miracolo. Le fiamme azzurre si spensero e i due amici si dettero alla fuga separandosi.
Plumeria inseguì Sun, ma il suo Dollar le venne addosso con Braccioteso e la disarcionò dalla sua nuvola di fuoco blu. Lei rotolò a terra e si trovò il predatore addosso. Incineroar ruggì, ma prima che potesse ferirla con una zampata, si trovò due dita puntate sotto il mento. Il suo fulmine capovolto, a distanza ravvicinata, gli attraversò la testa e arrivò quasi a stordirlo. Diede ad Azula il tempo di sfuggirgli. La principessa si ermò a riprendere fiato. Era confusa per colpa degli psicofarmaci, ed estremamente fuori allenamento. Caricò un pugno per riversare sul malcapitato tutta la potenza del suo fuoco. Ma sentì qualcosa di viscido toccarle la gamba destra e dei piccoli aculei penetrarle nella pelle.
Guardò giù e vide la Toxapex di Moon intenta a iniettarle il suo veleno. Scaricò su di lei la fiamma azzurra destinata a Dollar e spostò la gamba. Quando la posò a terra, non la reggeva più. La stella marina le lanciò un aculeo al centro della schiena prima che perdesse l'equilibrio. Dunque scivolò verso di lei puntando alla sua testa.
«Ferma! Ferma!» urlò il corriere di nome Sun. Ma lui non era il suo Allenatore. La Pokémon stava per finire Plumeria come se fosse una delle sue prede. Sun le agguantò due tentacoli e la trascinò indietro con sé, pungendosi entrambe le mani.
Moon era dietro di lui e non fiatava.
Il giovane Dominatore del Fuoco le mostrò le ferite e protestò: «Ah, guarda! Dammi l'antidoto!» e poi si rivolse al Pokémon. «Toxapex, smettila! L'hai già spaventata abbastanza!».
La stella marina aveva ripreso a scivolare verso la ragazza. Di nuovo, lui la afferrò e si punse.
«L'antidoto, Moon! Non voglio contorcermi per tre giorni!».
Non ricevette risposta.
Moon, novella Dominatrice dell'Acqua, in quel momento era empatica come un blocco di ghiaccio.
Qualcosa in lei si era spezzato, i suoi occhi sembravano vuoti. E adesso osservava tutto da molto, molto lontano. Così lontano che la spiaggia e l'oceano le parevano irreali.
«Moon!» insisté il ragazzo.
Dollar si decise ad intervenire. Agguantò la stella marina, la sollevò sopra la testa la fece roteare come una fionda prima di scagliarla lontano. Poi prese il suo Allenatore in braccio e corse ingenuamente verso il mare, credendo che bastasse bagnare le ferite con l'acqua salata per neutralizzare il veleno. Mentre ignorava le sue proteste e i suoi no, intravvide qualcosa di vagamente simile a un Mantine scivolare verso la riva a pelo d'acqua. Ma non si trattava di un Pokémon. Il velivolo grigio-azzurro arrivò sulla spiaggia prima di quanto lui avesse stimato, leggero e silenzioso come un fantasma. Quando il portellone si aprì, ne uscì una piccola creatura nera con un grande occhio bianco. Il suo corpo sottile si piegava a formare, con una certa fantasia, una S latina. La creatura volò verso Plumeria e si fermò sopra di lei battendo due volte la palpebra.
«Ricerca terminata» dichiararono in coro i due giovani alla guida dell'aereo. E non aggiunsero altro. Erano due dipendenti della Fondazione Aether, indossavano le consuete divise bianche. Come tanti altri, non erano originari di Alola. Avevano gli occhi e i capelli verde acqua. E i modi troppo freddi per gli standard della popolazione indigena.
Una terza Dipendente, una ragazza dalla pelle chiarissima e i capelli celeste slavato, scese la scaletta dell'aereo e uscì in sotto il sole tropicale strizzando i grandi occhi grigio-azzurri. Guardò Sun e guardò Plumeria e fu l'unica a mostrarsi preoccupata. Era arrivata tardi per evitare i danni collaterali.
«Abbiamo due feriti...» constatò.
Moon, nel frattempo, era scomparsa.
«Unità: protocollo di soccorso» disse la ragazza dai capelli azzurro ghiaccio.
I suoi colleghi le obbedirono con la prontezza e la coordinazione di due braccia meccaniche.


 

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Capitolo 15
*** I demoni. Parte II ***



 
15. I demoni (II)


Diantha rivolse alle due Reclute una domanda semplice: «Come si fa a mettere il pilota automatico per Sinnoh?».
Ma non ottenne risposta.
La donna sbuffò, offesa. Borbottò: «Inserire il pilota automatico per Sinnoh».
«Operazione non autorizzata» le comunicarono in coro i due giovani.
«Un corno! Cos'è, la rivolta degli androidi?! Computer... rientro immediato alla Base».
«Operazione non autorizzata».
«Perché?».
Silenzio.
Diantha fu tentata di battere le teste delle due Reclute l'una contro l'altra. Le loro prestazioni erano deludenti. «Analisi livello» richiese.
«Analisi...» comunicarono. «Livello Tau».
Tau era uno dei più bassi. Quegli androidi dal volto così umano avevano la capacità relazionale di un paio di zucche. Non riconoscevano le sue domande e neppure le chiedevano di ripeterle.
«Impostare il livello Kappa».
«Impostato livello Kappa» dichiararono entrambi.
La loro parlata era un po' più fluida.
Diantha ricominciò: «Perché non possiamo andare a Sinnoh?».
«Perché questa unità è diretta a Kanto» le spiegarono in coro.
«Kanto?! Vorrete dire Kalos...».
«Negativo. Questa unità è diretta a Kanto».
«Perché?».
«Non capisco la domanda. Sono necessari ulteriori dati».
Il computer centrale li faceva parlare insieme, come se fossero un'entità indistinta.
Diantha preferiva interagire con qualcosa di più umano. Decise di affaticare un po' i loro circuiti. «Impostatevi sul livello Zeta» ordinò.
«Impostati sul livello Zeta, Comandante Eris».
Ora, il computer rispettava l'individualità delle sue parti. La donna si rivolse al ragazzo seduto a sinistra e gli toccò una spalla. «Tu. Perché stiamo andando a Kanto?».
«Sono ordini del Comandante Mercurius, Signora».
«Beh, gli ordini sono annullati».
«Impossibile».
«Perché?».
«Perché gli ordini diretti del Comandante Mercurius non possono essere revocati o modificati... se non dal Comandante Mercurius».
«Quindi, neppure Cyrus potrebbe farci cambiare rotta. È corretto?».
«Corretto».
«E questo... lui lo sa?».
«Non abbiamo dati sufficienti per rispondere».
Ma era facile che Cyrus lo sapesse. Il Comandante Mercurius, Sird, aveva fatto la mamma quando si era impegnata in una missione di importanza secondaria, lasciando a lui il comando e il campo libero a Sinnoh. Malgrado la sua predilezione per il lavoro sul campo, la sua ossessione di fare tutto da sola e le sue scarse abilità di coordinatrice, era Sird a dirigere il carro.
«Perché Mercurius ci ha inviati a Kanto?» domandò Diantha.
«Non lo sappiamo».
«Datemi un'idea...».
Quello era chiedere la Luna. Le unità si irrigidirono per un attimo, mentre le loro sinapsi trasmettevano ed elaboravano dati senza giungere a una conclusione accettabile. Il ragazzo che era stato interpellato per primo, quello a cui lei aveva toccato la spalla, replicò: «La sua domanda è complicata, Comandante. Non siamo in grado di rispondere».
Era una variante più umana e gradevole del precedente “operazione non autorizzata”.
Sird, per qualche motivo, odiava Kanto. Di sicuro i suoi piani per quella Regione e per i suoi abitanti non erano innocenti. I due passeggeri, avvelenati da una terribile tossina paralizzante, erano “addormentati” con le maschere di due ventilatori meccanici portatili sul viso. I loro corpi assorbivano l'antidoto mentre le macchine li aiutavano a respirare per portarli oltre la fase critica. Era impossibile svegliarli e chiedere loro che rapporto avessero con sua madre, se le avessero fatto un piccolissimo torto, o se conoscessero qualcuno a Kanto che lei reputava suo nemico.
L'aereo volava con l'autopilota, quindi Diantha ordinò alle Reclute: «Tutti e due: in piedi».
Loro obbedirono e lasciarono il posto di comando.
La Comandante Eris toccò con gli indici tesi la loro fronte. «Livello Alfa» richiese.
I due sgranarono gli occhi in un'espressione fugace di terrore. Poi nell'aereo scattò un allarme di stallo e si accesero delle luci rosse. Le due unità chiusero gli occhi e rimasero rigidi e immobili con la testa abbandonata sul petto. La voce registrata della madre suonò beffarda nella cabina. «Lo sapevo!» ridacchiò. Almeno, il suo umorismo verso i suo figli era bonario. «Hai fatto di nuovo il Comandante Didì!». Il Comandante Didì era il lato buono ma pasticcione del Team Galassia. Nessun altro avrebbe cercato di risvegliare due intelligenze artificiali prima della distruzione ufficiale e definitiva del vecchio Universo.
La registrazione andò avanti: «Hai scelto il nome del pianeta nano Eris. L'hai scelto per non far nascere dispute su chi meritasse il titolo di Comandante Venus tra te e le altre due. E già qui... lo vedi, il paradosso? L'inizio era poco promettente. Ora impegnati per migliorare». E il suo tono divenne serio: «Computer: livello Psi».
Le due unità si “riaccesero”. Con la vitalità di due melanzane.
«Computer, livello Tau» ricominciò rassegnata Diantha.





A Kalos

Appena entrato nella sala della lussuosa villa bianca adibita a covo Galassia, Xerosic si trovò davanti una ragazza che conosceva benissimo. Aveva la pelle bianca, il viso rotondo, i capelli corti tinti di viola come le labbra. Indossava la divisa Falre e i suoi occhi erano ancora coperti da un visore.
«Celosia?!» esclamò lo scienziato.
Nessuna reazione. La sua ex assistente continuava ad ignorarlo e a fissare il muro, il suo viso era immobile ed inespressivo.
«Che ti è successo?».
La graziosa ragazzina dai capelli rossi, la Comandante Mars, fece un cenno di noncuranza. «E' inutile parlare con lei. È un robot».
«Che cosa?!».
Celosia gli rivolse la parola, per non far affaticare le corde vocali del suo Comandante: «Ha detto che sono un robot».
«Ma... che scherzo è?».
«Hai mai visto i suoi occhi?» gli domandò il giovane dai capelli blu, il Comandante Saturno.
Nel quartier generale Flare, gli unici a non portare l'uniforme erano il maschio e la femmina alfa, ovvero Lysandre e Malva. Tutti gli altri indossavano abiti impersonali, e usavano speciali lenti rosse o visori, per proteggersi dall'atteso bagliore della bomba.
Mentre costruiva l'Arma Suprema, gemella identica di quella esplosa tre millenni addietro, Xerosic non aveva guardato negli occhi nessuno. Nessuno se non il capo e la sua compagna. «Non ricordo. Credo di no. Cosa c'entra?».
Mars tolse il visore a Celosia senza che lei muovesse un dito. Rivelò due sclere uniformemente viola, privi di iride e pupilla.
Xerosic, con tutto il suo autocontrollo, rimase stupefatto. «Celosia è... è un androide? E anche le altre tre? Aliana, Bryony e... ».
«Sì» lo interruppe un'altra voce femminile, più matura di quella di Mars. Si fece avanti una donna dai capelli color prugna, con l'aria da dura e il corpo da statua, in una divisa bianca e nera che le lasciava scoperta una coscia. Nonostante gli abiti poco militareschi, i suoi occhi a mandorla e i suoi modi rivelavano un carattere granitico. «Ogni recluta, scienziato e amministratore della vostra organizzazione deriva dai nostri modelli base. Qualche stupido umano sarà pure rimasto incantato dalla vostra ideologia folle, ma... come altrimenti sareste stati così tanti? Voi, la Venus, vi siete ribellati al comando centrale...».
«E' la maledizione della rotazione retrograda» scherzò Saturno, facendo girare l'indice in senso orario.
Jupiter lo fulminò con lo sguardo, il ragazzo non la considerò neppure.
La Comandante riprese il discorso dall'inizio della frase: «Voi, la Venus, vi siete ribellati al comando centrale. Eravate una nostra frangia ribelle, prima che decapitassimo la vostra organizzazione e vi richiamassimo all'ordine».
Xerosic scosse la testa. «Impossibile».
Il Comandante Saturno alzò la mano sinistra. «Unità rosse: scopritevi gli occhi».
Appena abbassò il braccio, tutti i caucasici in divisa rossa si tolsero gli occhiali. Erano diversi l'uno dall'altro ma tutti, maschi e femmine, avevano le sclere uniformemente bianche. Senza iridi e senza pupille. Non erano e non sembravano umani. Quindi, Lysandre aveva messo su un Team che comprendeva solo quattro umani: Xerosic, Malva, Essentia e lui stesso. Il primo gli era stato necessario per ricostruire l'Arma Suprema, ma se i suoi piani fossero andati a buon fine, se ne sarebbe sbarazzato in nel breve lasso di tempo che separava l'attivazione dall'esplosione. Le altre due erano le sue femmine riproduttrici, una consenziente e l'altra no.
Quando aveva lavorato per Lysandre, ma solo all'ultimo, aveva intuito la gravità dei suoi problemi mentali. Per questo, nonostante il fascino intellettuale e il timore reverenziale che quell'uomo esercitava su di lui, Xerosic non era riuscito a seguirlo fino in fondo. Per questo aveva sabotato la bomba. Era sollevato all'idea che Lysandre non avesse vissuto abbastanza per scoprirlo.
E adesso, non sapeva se provare orrore o pena per una mente così disturbata.
Si rivolse ai suoi rapitori. Neppure loro avevano le rotelle a posto. «Voi... voi siete umani?».
Gli rispose di nuovo il ragazzo dai capelli blu. Indicò se stesso e la presunta fidanzatina. «Noi due sì. Lei...». E fece un cenno verso Miss Granito. «...non lo sappiamo» mentì. «Non ce lo dice. Ma non ha paura di niente e non invecchia di un giorno. Il che potrebbe anche essere una bella fortuna».
«E' il silicone e la vita in ozio» protestò Mars con una buona dose di invidia.





 
 
Notte

Mina si era arruolata nel Team Skull.
Per adeguarsi allo stile della squadra si era tagliata e tinta di rosa i capelli. In attesa di diventare operativa, lasciava graffiti sui muri e ritoccava i tatuaggi dei fratelli Skull. Guzma l'aveva presa subito in simpatia. Aveva visto un riflesso della sua storia personale nell'ingiustizia subita dalla ragazza. Per la prima volta in vita sua, Mina si sentiva finalmente accettata. Nessuno la guardava dall'alto in basso o le faceva le prediche sulla sua tossicodipendenza.
Stava sfogliando una rivista quando il suo Grandull, un Folletto simile a un bulldog rosa dalla mandibola pronunciata e le lunghe zanne, cominciò a ringhiare sommessamente contro la porta.
Qualcuno bussò e gli occhi del cane parvero ardere di un fuoco infernale. Il suo muso era spaventoso, Mina non l'aveva mai visto così arrabbiato.
Aveva un taglierino in tasca e si preparò ad usarlo. «Chi è?» domandò.
La porta si aprì appena ed entrò un Meowth nella Forma di Alola. Era un gatto di Tipo Buio, era normale che non piacesse a un cane Folletto.
Ma Granbull non si lasciò distrarre: fissava insistentemente il legno della porta, se la sua collera fosse stata fuoco l'avrebbe ridotta in cenere.
Una recluta Skull, una coetanea di Mina, fece capolino senza azzardarsi ad entrare. Come tutte le altre aveva il viso semi-coperto, i capelli tinti di rosa e le lenti a contatto dello stesso colore. Ma i suoi erano gli occhi più belli che la pittrice avesse mai visto, o almeno i più penetranti nella loro bellezza. Occhi da odalisca, materiale per un quadro.
«Sei tu che ripassi i tatuaggi?» domandò la Recluta. Poi tirò su col naso ed estrasse un fazzoletto dalla tasca. «Scusa...» fece.
Si scoprì il viso bruno e delicato e si soffiò il naso. Tirò su ancora e ripeté la domanda: «I tatuaggi li rilassi tu?».
Granbull le mostrava minaccioso i lunghi canini inferiori e ringhiava. Sicuramente aveva riconosciuto l'odore della cocaina che una così si portava dietro, e pensava che lei volesse pagare la sua padrona con una dose. La moretta doveva essersi bruciata il cervello a forza di mandarlo su di giri. Lo sguardo penetrante, Mina se l'era sicuramente sognato mentre pensava di ricominciare a dipingere. Perché quella ragazza era del tutto rincoglionita senza la sua polvere magica.
«Sì, li ripasso io. Quale ti devo fare?».
«Prima ritira Granbull. Io odio i cani. E... lo vedi? La cosa è reciproca».
«Non bisogna fidarsi di chi non piace ai cani...» replicò sospettosa la Specialista Folletto.
«Ma poveri gatti!».
Il suo Meowth Aloliano invece era tranquillo come un pascià, aspettava solo che qualcuno gli desse da mangiare. Granbull non ce l'aveva con lui ed era un esemplare obbediente e tranquillo, cattivo soltanto all'apparenza. Quindi nella sconosciuta doveva esserci qualcosa di molto sbagliato.
«Chi sei? Cosa vuoi?» domandò Mina. Stringeva forte il taglierino nascosto nella tasca dei pantaloncini bianchi.
«Senti, biondina: facciamo che torno un'altra volta».
Chiuse la porta e lasciò dentro il Meowth selvatico lì dov'era.
La collera di Granbull sbollì.




 
*




Nelle notti di plenilunio, Solgaleo non riusciva né a restare chiuso nella sfera, né a dormire. La Lunala di nome Nebby, l'unica femmina della sua specie in quell'Universo, era troppo lontana. Nonostante i suoi sforzi di stabilire un contatto mentale con lei, Solgaleo non percepiva altro che il rumore di fondo dei sogni e dei pensieri altrui. Materiale di scarso interesse. Stava perdendo la speranza quando qualcosa perturbò i suoi sensi. C'era un'altra Lunala in giro, più giovane e più vicina di quella Nebby. La sua mente aveva qualcosa di strano, era fin troppo ampia e cupa e strutturata. Eppure, lui era sicuro che appartenesse a una giovane femmina.
Il Figlio del Sole si alzò e ruggì nella speranza che la nuova arrivata lo sentisse. In risposta percepì solo un sincero stupore. Non aveva avuto fortuna: nonostante la luna piena e l'età fertile, la femmina non era interessata. Era già madre e forse stava cacciando per i suoi cuccioli. Cuccioli che un altro maschio avrebbe cercato e ucciso pur di ottenere le sue attenzioni. Ma lui non era come i suoi simili dell'Ultra Universo. Lui si considerava “civilizzato”. Si accucciò di nuovo e restò in dormiveglia seguendo con la mente la creatura che si allontanava in volo. Suo malgrado ne perse le tracce.




 
*




Valerie si stava abituando a vivere da sola. La villa a Malie era troppo grande per lei, perciò Hapu le aveva affittato un bilocale nella piccola Isola di Poni. Era una sistemazone più pratica, visto che la ragazza avrebbe lavorato coi Folletti di quell'isola. Ma la sua vita non filava perfettamente liscia: da quando aveva convissuto con la Campionessa di Kalòs, sonnambula e più inquieta di un puledro, la Reginetta delle Fate aveva disimparato a dormire bene. Quella notte si era svegliata e aveva deciso di sgranocchiare qualcosa prima di riaddormentarsi.
Si stava dirigendo al frigorifero, quando un miagolio attirò la sua attenzione. Sulla finestra, oltre i vetri chiusi, c'era un gatto bianco con la coda folta e gli occhi rossi. Non era un Pokémon, ma nella testa della ragazza scattò qualcosa e per lei fu perfettamente normale trovarlo lì. «Oh... micio!» fece. Aprì le ante e lo prese in braccio. «Ciao, micio...! Vuoi mangiare?».
Il gatto cominciò a fare le fusa. Valerie lo posò a terra per cercare una ciotola e il cibo Pokémon. L'ospite se ne andò con la coda alta verso il salotto.
Prima che Valerie avesse riempito la ciotola, sentì crollare le tende.
«Micia!» urlò disperata.
Si precipitò nell'altra stanza con le mani nei capelli e vide qualcosa di inaspettato: una ragazza si stava avvolgendo il corpo con la tenda bianca, bianca come i suoi foltissimi capelli.
«Bonsoir, Valerie» la salutò. «Ti ringrazio per avermi invitata in casa. La notte è troppo fredda, per me».
«Sei una fata?».
«Sì, il mio nome è Luna. Non dire a nessuno che sono venuta qui. Gli uomini sono crudeli, brucerebbero la casa se sapessero che ci sono entrata».
Valerie si portò le mani alla bocca. Non poteva far bruciare la bella casetta di Hapu. «Oh, no...!».






 
Giorno

Sird si svegliò più tardi del solito. Non aveva niente da fare, quindi poteva darsi alla bella vita.
«Ben svegliata, cara Sird».
Quella voce la fece quasi cadere giù dal letto. Apparteneva a un uomo che sperava di non vedere più. Palestrato e curato oltre la soglia del patologico, narcisista fino alla punta della barba e delle unghie corte, aveva i capelli di un biondo rosso naturale e gli occhi azzurri.
Sird lo credeva morto, morto e insepolto. Non era preparata a ritrovarselo in camera da letto.
«Roba da matti!» si lamentò. «E tu... come sei sopravvissuto?!».
Lui si strinse nelle spalle. Era in piedi in un angolo, nell'angolo vicino alla finestra. «Immagino che sia la mia buona stella».
«Dannazione, tornate su come funghi! Che cosa vuoi?».
«Dov'è Diantha?».
«Non lo so».
«Bugiarda».
«Ascoltami bene, te lo spiego per l'ultima volta: la Didì ha chiuso con te. Tu per lei sei uno stalker. Fattene una ragione e lasciala in pace».
«Non si tratta più di questo. So che non siete ai ferri corti come volete far sembrare. E so che siete state voi a portare via le cellule di Zygarde da Kalòs. Lei le ha raccolte e tu le hai portate qui perché non fossero attratte dalle altre. Il vostro piano lasciava troppo al caso, devo dirtelo. Ma sapevate che con un Leggendario parziale, mi sarebbe successo qualcosa».
«Oh, non pensare così male! Speravamo che non si formasse e basta! Il problema non eri tu, il problema era la tua bomba».
«Eravamo due facce dello stesso problema. Ho ragione, Stella?».
Sird rabbrividì. «Non chiamarmi Stella». Quel nome la faceva sentire vulnerabile. «Chi ti ha detto...?».
Il rosso la interruppe: «Ho sentito che sei diventata un ventilatore. Ma la tua orrenda parrucca... quelle sono le pale di un generatore elettrico ad energia eolica. Hai sbagliato costume o hai una crisi di identità?».
«Eh...?!». La donna si batté una mano sul viso e scosse il capo. «Come sei sss... sta zitto! Tu... tu, con quella barba rossa e quei capelli, sembri un folletto irlandese! Leprechaun! Brutto figlio di una Pyroar...!».
«Aspra come un limone. Cercavo solo di aiutarti, mia povera vipera».
Continuava a prenderla in giro. Sird si rialzò dal letto, andò a prendere un paio di cose dai cassetti e uscì in corridoio senza considerarlo ulteriormente.
«Lysandre... Ly-San-Dre...» scandì mentre si chiudeva nel bagno. «Sembra un codice per l'LSD. Scommetto che gli arcobaleni te li porti in tasca. Ora io ti do le pentole ma non i coperchi, e l'oro ce lo metti tu».
Lui si appoggiò al muro vicino alla porta chiusa. «Non ho arcobaleni e non voglio altre pentole da parte tua, Comandante Mercurius».





 



BUONGIORNO ragazzi. Non ci sarà una sola settimana in cui riuscirò a rispettare la regola del giovedì che comunque fino a ieri mi ero ri-dimenticata.
Allora... avvertimento: chi ha letto il manga magari ci si ritroverà un pochino qui, chi non l'ha letto sappia che questa roba è una reinterpretazione, come sempre. Ma comunque, gli eventi nel manga sono un po' diversi da quelli dei giochi.

 

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Capitolo 16
*** I demoni. Parte III ***


16. I demoni (III)




WARNING: come al solito, gli spoiler sono “coperti” da una marea di dettagli che mi sono inventata di sana pianta. Se qualcuno di voi volesse leggere il manga e non l'avesse ancora fatto, sappia che NON scriverò cosa mi sono inventata e cosa è vero.




 
A Johto

 
Notte


Pryce, che dalla sua Palestra di Mogania era stato spostato in una casa di riposo dopo l'ultimo ricovero in ospedale, tossiva con tutta la forza dei suoi vecchi polmoni. Lavorare a stretto contatto coi Tipo Ghiaccio aveva un prezzo, da pagare in influenze e polmoniti sempre più frequenti man mano che il tempo lo rendeva più fragile.
Mentre tossiva, il vecchio notò con la coda dell'occhio la sagoma di un'infermiera sulla soglia della sua stanza. Forse stava andando via dopo un turno protratto, perché erano le due di notte e lei non indossava la divisa bianca.
Era vestita di nero, anzi. Ed era più alta e sottile di tutte le altre infermiere di quella struttura. Mentre entrava nella stanza buia, Pryce si rese conto che non la conosceva.
Il ciondolo della sua collana, una specie di timone d'argento nel cui centro era incastonata una Megapietra simile a una bilia, rifletté la luce dell'abat-jour appena fu accesa.
L'impressione del vecchio era stata giusta: quella donna era un'intrusa, e poco prima che comparisse la vecchia nell'altra stanza aveva smesso di cantare i suoi inni stonati.
«Che cosa vuole?» le domandò Pryce, brusco.
«Mi risponda lei. Sa chi sono?».






 
Giorno


«Didì! Scusa se non te l'ho detto, ma sono volata qui a Johto per una questione urgente. La saliva sulle scarpe di Giovanni si stava asciugando, e volevo evitare che smettesse di scivolare». E ridacchiò mostrando il mignolo sinistro fasciato. O quel che ne restava.
Diantha, dall'altra parte dello schermo, restò a bocca aperta, poi fu presa dall'angoscia. Questa volta, sua madre doveva essere seriamente in pericolo. «Yubitsume? A una donna?!».
«È stata una mia idea. Sono stata io a offrire al Boss la mia falange. Anni fa ho pietrificato suo figlio: dovevo espiare. Ora, ho riconquistato la sua fiducia. Ora posso dirmi al sicuro».
Se c'era un ruolo che le calzava a pennello, un ruolo che Sird amava riservarsi in ogni sua operazione, era quello dell'eminenza grigia. La consigliera astuta, crudele ma servizievole, capace di mozzarsi un dito per provare la propria lealtà.
La sua regola era di lasciare al Capo l'illusione di essere un passo avanti in tutto, mentre nelle sue mani non era altro che una marionetta. L'aveva insegnata a lei come a Cyrus, la cui forma lieve di autismo lo rendeva però incapace di seguire le sue orme.
Cyrus era a disagio con l'arte del mentire, le poche dritte della sorella sulla recitazione gli erano state utili per nascondere i suoi progetti agli avversarie e agli sconosciuti, ma non sarebbe mai riuscito a ingannare i suoi Comandanti.
Diantha, dal canto suo, era convinta di aver scelto la carriera di attrice influenzata dai comportamenti camaleontici della madre.
«Ma cambiamo argomento: tu dove sei?» le domandò Sird, insolitamente allegra. Gli antidolorifici dovevano aver fatto un certo effetto.
«Sono a Sinnoh, mamma» le rispose, seria, Diantha. «Sono rientrata alla base coi due prigionieri».
Sird non poté nascondere la sua sorpresa. Dopo un attimo di confusione cominciò a sfregarsi il viso con una mano, nervosa «Come hai fatto a influenzare il programma? Avanti, dimmelo: c'è una falla nel sistema. Lo sapevo. È così che ci distruggeranno».
«Ho minacciato di suicidarmi se non fossimo rientrati alla base senza terminare la missione. Se mi avessero costretta a non farlo, mi sarei comunque fatta del male alla prima occasione».
«Hmm... facile» commentò la donna. «Ma io mi interesso alla vostra pellaccia, e tu mi ripaghi così?!».
Le rispose una voce maschile, in perfetto francese, di qualcuno che era con lei nella stanza. «Adesso sai cosa si prova».
Diantha sobbalzò. Dimenticò le sue mille domande sulle intenzioni della madre. Conosceva quella voce, ma non voleva credere alle sue orecchie. «Chi c'è con te?!».
Sird le rivolse un sorriso tirato prima di girare il piccolo portatile.
La telecamera inquadrò un uomo rosso di capelli, cupo, a braccia conserte al centro della stanza. Dire che sembrava irritato era un eufemismo. Sird doveva averlo fatto imbestialire da poco, o aver toccato un punto dolente nel loro rapporto. Rapporto che, per quanto ne sapeva Diantha, era ridotto ai minimi termini. A Sird, Lysandre non piaceva. Non le era mai piaciuto, né durante né dopo la sua breve relazione con la figlia. Era stata lei a metterla in guardia nei suoi confronti, quando Diantha le aveva manifestato l'intenzione di reclutarlo. Le aveva consigliato di non fidarsi, non solo perché erano una l'opposto dell'altro, ma perché aveva riconosciuto il tipo e il tipo prometteva male. Adesso, dopo che il tempo le aveva dato ragione, Sird sembrava aver ritrattato, nonostante il litigio recente.
«Tu...!» bisbigliò Diantha.
Anche senza la sua bizzarra acconciatura, con la barba sfoltita e i capelli mossi lunghi fino alle spalle, era impossibile non riconoscerlo. Non aveva molti sosia in giro. «Non puoi essere tu...! Come sei sopravvissuto?».
L'uomo si avvicinò ulteriormente allo schermo. «È quello che mi chiedono tutti, Hua. Non lo so».
Oltre alla perplessità con cui guardava la piccola e usurata tastiera fissa, antidiluviana per la tecnologia a cui era abituato, c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi azzurri. Una sorta di rassegnazione di fondo. Diantha non avrebbe voluto conoscerlo così bene da accorgersene.



 
 
Nel Mondo Distorto
 


«Perché ci hai portate qui?» domandò Lorelei al drago. «Chi stiamo aspettando?».
Giratina era inquieto, volava avanti e indietro davanti a loro e ogni tanto descriveva un cerchio passando alle loro spalle.
«Non fare domande» la zittì lo spettro.
Gong le diede manforte: «Sì, ma siamo qui da mezz'ora!».
Frase sbagliata. Giratina si fermò e la guardò dall'alto in basso. «Come sai che è mezz'ora?».
«Lo so perché è un modo di dire!» si spazientì la ragazza. «Chi deve arrivare, perché serviamo anche noi?».
«Folletti. Mi servite per coprire la loro puzza».
«I Folletti non puzzano. Profumano, spesso» obiettò Lorelei. «È l'unica cosa che so per certa su di loro. Ma perché dovrebbero venire qui?».
«Perché Yuht Gwong ha chiesto una Maestra per i suoi Folletti. A quanto pare, è incapace di capire da sola come addestrarli».
«Guarda che sono qui!» protestò offesa Gong.
«Lunala mi ha detto che questa creatura è capricciosa, infantile, e che voi l'avreste aiutata ad ambientarsi. Perché alle femmine della vostra specie piace fare combriccola, almeno finché non vi considerate rivali per l'accoppiamento».
Lorelei guardò Gong con l'aria vagamente sconvolta.
La monaca era lì in spirito, i suoi occhi perplessi potevano vederla. D'un tratto parve avere un'illuminazione: «Oh, è per quello che è successo con Grimsley, vero? Per questo Lunala ti ha detto queste cose?».
«Non lo so. Non so cosa sia successo».
«Beh...».
«Non mi interessa!» la zittì il drago. Poteva sopportare le loro voci, ma non i loro pettegolezzi.
«Va bene».




 
Ad Alola

 

Qualcuno bussò alla porta della sua villa.
Grimsley buttò da parte il giornale e si alzò dal divano per andare ad aprire. C'era una ragazza asiatica, minuta e piccola di statura come una bambina, ma solo un paio d'anni più giovane di Gong.
Lei lo salutò col tradizionale inchino giapponese. «Buongiorno» disse. «Mi chiamo Moon, sto cercando Shan Yueguang».
Grimsley, che badava all'etichetta meno di quanto sembrasse, accennò una risata quasi beffarda. «Moon...? Quella Moon?».
La ragazza si irrigidì e lo fissò con gli occhi sgranati, preoccupata per la sua reputazione.
«Beh... io...» tentennò. Aveva fatto molte cose degne di nota nella sua vita, era stata legata a doppio filo alla Lunala chiamata Nebby, però tutto ciò a cui pensava adesso erano i suoi errori. «…cosa intende?».
Lui liquidò la domanda con un gesto della mano. «Lascia perdere. Entra. Gong sta meditando, andrei a disturbarla se servisse a qualcosa. Ogni volta entra in trance, non si sveglia neppure se la scuoti. Puoi provare anche tu a infilarle negli aghi nel dorso della mano, o a pungerla sulle braccia: niente. Se mi aiuti, la mettiamo sul divano a testa in giù. È qui da pochi giorni e già ha qualcosa da farsi perdonare».
«Sì... no, signore, non credo di poterla aiutare a spostarla».
«Già, non la prenderebbe bene. Ma tu... perché sei qui?».
«Ho saputo di quel che è successo, durante e dopo l'incendio qui a Malie. So che il Kahuna le sta addosso e che perciò Yueguang non può lasciare la città. Però ha lasciato molte cose alla Residenza Aether, compreso un Cosmog. Volevo sapere se avesse bisogno di riaverle».
«Credo che ti chiederà solo il Cosmog. Il resto, se l'è già ricomprato con i miei soldi».
«Oh, bene. Temevo che le mancasse qualcosa. Posso... posso aspettare che si svegli? Se non disturbo, ovviamente».
«Ovviamente, puoi restare» le rispose Grimsley. «E dimmi... come va con il giovane Gladion?».
La domanda la lasciò spiazzata.






 
Nel Mondo Distorto

 

Finalmente, la loro lunga attesa fu premiata. Un barrito, e Lunala comparve in lontananza nelle sembianze di un'elefantessa bianca. Leggera come un'ombra, era capace di saltare da una piattaforma all'altra o di levitare senza mai toccare terra. Ma si fingeva lenta e goffa per sdrammatizzare una situazione che le lamentele di Giratina avevano reso pesante.
Sulla groppa portava una ragazza eccezionalmente piccola, vestita come una bambola da collezione.
Lorelei rise, era così poco avvezza all'umorismo che bastava una sciocchezza per sorprenderla. Gong rimase perplessa nel vedere per la prima volta Lunala trasformata in un animale.
Giratina parve solo irritato dalla sua performance.
L'elefantessa Lunala barrì di nuovo e si fermò vicino alle due donne perché aiutassero la terza a scendere. Valerie superava il metro e cinquanta solo grazie alle scarpe alte, e nonostante il peso del vestito restava un piuma.
L'elefantessa bianca divenne una capretta. Belò e spinse piano, con la testa, la nuova ospite verso il padrone di casa.
Giratina la squadrava in silenzio.
Se non fosse andata bene a lui, sarebbe stato inutile procedere con le presentazioni.
Il corpo di Lunala mutò di nuovo e mentre si alzava sulle zampe posteriori assunse le morbide curve di una ninfa dei boschi. La sua testa crebbe secondo le proporzioni ma rimase caprina fino all'ultimo, dandole per un attimo un aspetto grottesco. La monaca arrossì mentre la vampira si sistemava i capelli candidi: non era abituata a vedere il corpo nudo di nessuno. Assieme a Lorelei, ma per motivi diversi, distolse lo sguardo.
Valerie e Giratina continuavano a fissarsi, lui inespressivo dietro la maschera d'oro e lei allegra e tranquilla come un Sylveon.
Fu la ragazza ad avvicinarglisi e a parlare per prima: «Oh, ma tu sei bello! Non come quei brutti dragacci terrestri! E non puzzi neppure di drago, lo sai?».
«Lo so. Sono uno Spettro. Tu invece...».
L'avvertimento di lunala in lingua Pokémon, fulmineo e completo in partenza, lo interruppe.
“Non dire puzzi di folletto!” lo avvisò mentre i suoi occhi rossi, di una bellezza così strana, si spalancavano dando al suo delicatissimo viso elfico un'espressione da pazza.
«...odori di Folletto» si corresse il demone.
«Grazie!» esclamò entusiasta Valerie.





 
Ad Alola

 

Le presentazioni erano andate bene. Gong era tornata nel proprio corpo sollevata. Poi aveva scoperto che Moon, la ragazza di Gladion, era venuta a cercarla per offrirle il suo aiuto. Aiuto che la monaca avrebbe rifiutato, se il padrone di casa Grimsley non le avesse spinte fuori perché si prendessero un drink insieme al bar.
Così avrebbero parlato con calma, e lui avrebbe finalmente visto quella parassita cieca uscire dalla sua villa.
Gong non conosceva Malie, né la vita mondana, così Moon si limitò a scegliere il bar più vicino. Era un posto piccolo e poco frequentato, ma piuttosto pulito almeno a prima vista.
Si presero un tavolo e ordinarono un paio di cocktail.
La loro conversazione non riusciva a decollare, perché non si conoscevano e non avevano interessi in comune. Gong poi non aveva voglia di parlare. Rimasero praticamente in silenzio, finché la cieca non trovò, per salvare le apparenze, un argomento possibile: Sinnoh.
«L'altra volta mi hai detto che Eterna City, Yong Gu Cheng, è stata la Capitale Imperiale. Sinnoh non ha più un Impero?».
«Oh, no! Da oltre un secolo, ormai! Il Celeste Impero è caduto per mano del Generale Berlitz, appoggiato dalle Province ribelli di Kanto e Hoenn. Per ragioni politiche, egli ha preso in sposa una delle principesse della Dinastia Yu, tuttavia ha decretato la fine dell'Impero. I suoi discendenti hanno preso il suo cognome ma hanno continuato a dedicarsi agli studi, e considerano Yu-xie il loro totem».
«E il Mandato del Cielo?» domandò Gong, giusto per dare l'idea di capirci qualcosa, pur spacciandosi per un'Errante smemorata.
L'altra tentennò: «Il... mandato del cielo...?».
«Sì. Che fine ha fatto?».
Ci fu un attimo di silenzio.
«Il... il loro sigillo, intendi?».
Moon era imbarazzata. Nonostante per vocazione e mestiere si occupasse di veleni e non di Storia, per lei era spiacevole lasciarsi cogliere impreparata. Soprattutto su domande a cui la Signorina Platinum Berlitz avrebbe risposto facilmente. Ma Moon non apparteneva alla classe nobiliare. Quei buchi nella sua preparazione, più dei suoi vestiti economici, ne erano la prova.
Gong cominciò la lezioncina così come l'aveva sentita da Lunala: «Beh... no. I Leggendari danno a un umano un pokimon... il quale rappresenta il diritto e il dovere di governare sui territori protetti da loro. Uxie è uno dei tre Avatar del Creatore Arceus, quindi il suo Mandato vale più degli altri».
L'altra sbadigliò coprendosi la bocca con la mano. Gong se ne accorse e si indispettì all'istante.
«Ti sto annoiando...?» domandò la cieca, coi nervi a fior di pelle. Neppure lei si sentiva troppo bene.
«No... no... è che... non mi sento bene. È meglio che vada» ma non aveva dove andare. Era venuta in volo dalla Residenza Aether col suo Decidueye. E anche se fosse uscita da quel bar, qualcuno l'avrebbe seguita.
Il barista, il lupo, ebbe la faccia tosta di avvicinarsi per chiedere come si sentissero. Moon sapeva cos'era successo: quell'uomo aveva messo uno o più sonniferi nei loro drink, in dosi uguali perché uno come lui non spaccava il capello, e l'effetto su di lei era stato più rapido perché era la più piccola, pesava molto meno dell'altra.
E dietro doveva esserci la mafia Rocket, perché gli altri avventori fingevano di non vedere.



 


A Unova

«Chi è questa?».
«Assomiglia alla Campionessa di Kalos, Signore».
Il corpo di Colress era stato trovato su un'isoletta al largo di Alola. Lo scienziato era prudente, aveva delle telecamere di sorveglianza nel suo laboratorio segreto. Ma il video del giorno della sua morte era stato manomesso, in gran parte cancellato e rimaneggiato.
Compariva solo una donna esile, in camicia da notte, quando già lo scienziato era in coma. Il suo comportamento era inspiegabile per un osservatore esterno: prima controllava i segni vitali, poi sembrava ritirarsi in meditazione, poi saltava in piedi e fuggiva rapida come una lepre spaventata.
Ma il punto non erano le sue intenzioni.
Il Team Plasma, o ciò che ne restava dopo la seconda sconfitta, era riuscito ad ottenere il video.
Ghecis in persona lo stava visionando.
Irritato dalle menzogne altrui come qualsiasi bugiardo psicopatico, aveva chiamato il Trio Oscuro sospettando un tradimento. Voleva la loro confessione.
«Anche se fosse lei in persona, a me non interessa» continuò. «Questa è la ragazzina che voi dovevate uccidere diciassette anni fa. Ne sapevate forse qualcosa?»
I tre ninja di Mogania si scambiarono un'occhiata: Ghecis era diventato paranoico, pazzo, e vedeva cose inesistenti. L'evidenza veniva piegata ai suoi deliri.
«Quella ragazzina è una mummia sepolta nella neve del Monte Corona, Signore».
«E invece è rimasta nascosta in piena vista, per giunta sotto i riflettori, per diciassette anni. E voi volete dirmi che non ne sapevate niente?!».
La sua ira stava crescendo. Presto avrebbe perso il controllo, era nevrastenico.
«Yan Hua era orientale. La donna nel video è caucasica. Bianca. E comunque, non le assomiglia. Neppure la chirurgia estetica può arrivare a tanto».
Ghecis tornò a indicare lo schermo col bastone d'acciaio. «E allora, perché è qui?!».
«Il video è stato manomesso. È un fotomontaggio, e quella potrebbe essere Diantha in uno dei suoi film. Qualcuno vuole scherzare con noi».
«Mi avete chiamato, Signore?».
Era il Saggio Zinzolin, nato a Sinnoh e coinvolto fino al collo sia nel tentato omicidio di quella marmocchia, sia nei vecchi, loschi affari della sua odiosa madre. Quel capitolo, per lui, era chiuso da diciassette anni. Da Nevepoli si era rifugiato a Unova, dove aveva cambiato identità per sfuggire alla vendetta sicura della donna. Vendetta che non era mai arrivata.
Ghecis gli indicò il video che nel frattempo era stato riavvolto.
Al vecchio asiatico bastò un'occhiata per ricollegare i pezzi e impallidire.
Hua parlava bene il francese, lui lo sapeva, perché nelle scuole già bilingui di Nevepoli veniva insegnata come prima lingua straniera.
La Campionessa Diantha aveva confidato, ad una giornalista di seconda categoria che aveva pubblicato le sue dichiarazioni senza permesso e sotto pseudonimo, di aver imparato ad esprimersi correttamente solo grazie ai corsi di recitazione e dizione. In verità non era affatto Kalosiana: alcuni orientali sostenevano che il suo giapponese fosse al livello del suo francese.
Uxie “Il Sacro”, Guardiano del Lago Arguzia, l'aveva guarita e le aveva disegnato un nuovo volto1, probabilmente senza cancellarle la memoria. La sua abilità con la recitazione e le lingue straniere, assieme a una rete più articolata di quanto lui immaginasse, avevano fatto il resto.







 
1In Avatar c'è uno Spirito, la Madre dei Volti (Mother of Faces), che può fare quello che qui fa Uxie. Lei compare solo nel fumetto.






AUTRICE: non prendete questa terza (e ultima) parte del capitolo come un segno di ripresa. Mi scuso per il ping-pong tra le varie regioni, ma uno degli scopi della fanfiction era collegarle un po' tutte (se non si fosse già capito).
Ora, mi eclisso di nuovo e non so quando rispunto. Sono molto arrugginita nello scrivere e il tempo che posso dedicare a questo passatempo scarseggia (tra pochi giorni sarà un anno che sono tornata qui, ohimè -_- Maledetto Dialga...!). Approfitto di questo capitolo per salutarvi.
Ciao ciao a tutti ^_^

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Capitolo 17
*** Luce ***



17. Luce




 
A Sinnoh


«Gabriel? Gabriel!» chiamava una voce femminile.
Dal momento che nei dintorni sulle pendici del Monte Corona non c'era nessuno, e lei insisteva, il ragazzo dai capelli verde acqua si voltò. Aveva gli occhi a mandorla e il volto simile alle altre Reclute Galassia, con le piccole variazioni e imperfezioni utili a far passare degli androidi per esseri umani.
«Dici a me? Non mi chiamo Gabriel».
Non aveva alcun nome, in realtà.
Fingeva di non ricordarselo, di aver perso la memoria dopo un lavaggio del cervello, ma ormai aveva capito di non avere nulla da ricordare. Era nato così, come unità non biologica, ed era diventato autocosciente dopo aver registrato l'impronta di una vera mente umana. Quella del Comandante Sird.
La sconosciuta che lo aveva chiamato, capelli viola e divisa rossa, gli occhi nascosti da un visore per videogiochi a realtà virtuale, scosse desolata la testa. «Allora perdonami. Ti ho confuso con un altro androide autocosciente».
Il ragazzo si sentì gelare. Lei non stava giocando.
Aveva con sé un Pokémon non autoctono, simile a una spada dorata, con un grande occhio viola sotto l'elsa. Davanti a sé reggeva uno scudo con incisa la variante di una triquetra, segno che per il momento non avrebbe attaccato.
«Il tuo nome è Gabriel. Non te l'avevo detto? Chiedo venia. L'ho deciso poco dopo averti risvegliato».
La ex recluta sgranò gli occhi e fece un passo indietro. Il pericolo era più grande di quanto si aspettasse. Il Chingling sulla sua spalla si fece angosciato.
«Sird...?!» bisbigliò.
La ragazza robot annuì. «Esatto. Il nome di questa unità è Celosia, ma tu puoi chiamarmi Sird. O - perché no? - “mamma”».
Fece una breve pausa aspettando la sua reazione. Lui non reagiva, era immobile e all'erta come se si aspettasse di essere aggredito.
Celosia indicò Chingling. «Quel Pokémon è mio: non sono ancora morta».
Il campanellino assunse un'aria minacciosa e cominciò a saltare agitando la lingua a batacchio: poiché l'aveva abbandonato, non sarebbe tornato con lei tanto facilmente. Avrebbe venduto cara la pelle.
La sua Aegislash di nome Boudicca, la Excalibur spettrale del mondo Pokémon, spostò lo scudo da una parte, reggendolo con un solo braccio e scoprendo la lama dorata che era il suo corpo. Adesso aveva intenzione di attaccare.



 
A Johto


Gong fu portata in quello che per le dimensioni sembrava un salottino. Sotterraneo, bontà loro. Avrebbe potuto far crollare l'edificio in un attimo, accedendo alla Forma Avatar. Lì la costrinsero ad inginocchiarsi su un tappetino. Ma forse, quello era il loro modo di sedersi. Usavano la tradizione per metterla a disagio, perché in quella stanza tutti gli altri erano in piedi, sull'attenti. Tranne una persona.
Appena le tolsero il bavaglio, la cieca cominciò a strepitare in cinese: «L'ultimo che mi ha rapita non è più qui per raccontarlo!».
E poi si tappò la bocca con entrambe le mani.
L'uomo inginocchiato davanti a lei, basso ma robusto, una faccia da criminale incallito e i lineamenti nipponici, domandò qualcosa a una giovane recluta. Lei gli rispose immediatamente, tesa, traducendo le parole della cieca in un'altra lingua diversa dall'inglese.
L'uomo accennò una risata. Lui si intendeva di minacce e non riteneva quella credibile. Lo chiamavano Sakaki solo a Johto e Sinnoh. Per l'Occidente, e persino nella sua terra natale, era Giovanni.
Si presentò a Gong con quel nome, mostrandole una gentilezza vergognosamente falsa.
Il suo rapimento era stato un malinteso, i suoi subordinati non avevano seguito i suoi ordini. Sarebbero stati puniti per questo.
Gong ascoltò le sue parole tenendo il broncio. Era ingenua, ma non tanto da bersi certe scuse.
Giovanni continuò a spiegarle le sue ragioni in un cattivo inglese, infischiandosene della sua diffidenza. Il suo nuovo Generale, Sird, gli aveva consigliato di non affrontare l'Ultra Creatura “Queen Ant” di petto come avrebbe fatto con altri mostri meno umani.
«Un uccellino mi ha detto che sei perseguitata dalle autorità locali di Alola e dall'Interpol. Beh... qui a Johto abbiamo raggiunto un accordo con i poliziotti. Loro ti lasceranno in pace, ma solo se diventerai una di noi».
«E se volessi tornare ad Alola?».
«Non vedo perché no. In ogni caso, la tua amica resterà con noi».
Gong sobbalzò. «Quale amica?».
«La ragazza di Sinnoh, Moon».
«Oh... lei non è proprio mia amica. La conosco appena. Piuttosto... Sird? Aveva una vostra divisa, me l'ha data quando mi hanno scambiata per una Rocket. Anche lei è una di voi, giusto? Se è qui, voglio parlare con lei».
Se c'era qualcuno in grado di mediare per la liberazione di Moon, vittima collaterale dei fatti, quel qualcuno era Sird. Gong la considerava un'amica. Aveva rinunciato all'Elisir di Lunga Vita per guarirla, perciò sentiva di aver investito molto su di lei. Inoltre, erano entrambe aliene. Non aveva parlato di lei né a Lunala né a Lorelei per paura di metterla in un brutto guaio. Sird, d'altro canto, si era mostrata grata e amichevole nei suoi confronti.
Giovanni la pensava allo stesso modo: pur conoscendo pochi dettagli del suo passato, perché quella donna sembrava un fantasma sociale e aveva cancellato ogni sua traccia anteriore ai sei anni precedenti, era sicuro di potersi fidare di lei. Di essersi meritato la sua stima e la sua lealtà.
«Al momento non è qui» replicò, alzandosi in piedi. «Avrai modo di parlarci in futuro, se rimarrai».
La commedia tradizionale era finita. L'uomo riprese le sue abitudini occidentali e le porse la mano perché la stringesse. «Allora, affare fatto?».
Gong chiuse i pugni contro il petto. Quell'uomo voleva tentare la sorte nella speranza di rivelarsi un Dominatore. Per questo l'aveva fatta rapire. La ragazza l'avrebbe capito anche se in quella stanza non ci fosse stata una Recluta con un vaso pieno di pietre tra le mani. Un risultato negativo avrebbe scatenato la furia del Boss, noto Specialista Terra di alto livello.
Ma la cieca non poteva rifiutarsi di toccarlo.
Dopo averle stretto la mano, Giovanni ordinò alla recluta di avanzare portando il vaso traboccante di sassi.
«Fammi vedere come muovi uno di questi».
Gong, tanto per dare spettacolo, li sollevò tutti e li fece vorticare in aria a una velocità virtualmente letale. Istintivamente, le Reclute si agitarono. Si ripararono la testa con le mani e si rannicchiarono per proteggere gli organi vitali. Ma le pietre tornarolo al loro posto senza colpire nessuno.
Poco dopo, la cieca si pentì amaramente del suo esibizionismo.
Giovanni aveva mimato i suoi gesti, ma solo una pietra si era sollevata, e di pochi centimetri. Poi era caduta sulle altre.
«Ci vuole molto allenamento» si affrettò a precisare, ansiosa.
Le Reclute stavano facendo delle smorfie assurde per non ridere. Se qualcuno avesse ceduto, ci sarebbe stato un bagno di sangue.
Fortunatamente il Boss, malgrado il suo ego gonfio e fragile, capiva il valore dell'addestramento.
Era diventato Capopalestra col talento innato e col sudore della fronte. Non pretendeva di avere tutto e subito.
Esibizionismo a parte, Gong si era dimostrata utile. E aveva migliorato il suo umore.
Così fu congedata con la promessa che, passato il periodo di prova, avrebbe scalato in fretta la gerarchia. Lasciò lo studio del Boss per essere condotta nei suoi alloggi.
Un uomo alto come lei la raggiunse e la agguantò per una spalla. La ragazza provò a liberarsi con una mossa, ma con sua grande sorpresa finì per terra. Il suo involontario sfidante doveva essere molto ferrato nelle arti marziali.
Gli occhi a mandorla dello splendido esemplare di Mienshao, impassibile e fiero alle sue spalle, brillarono divertiti. Il Pokémon Marziale, simile a una grossa donnola e più rapido di un serpente, apprezzava solo la compagnia dei lottatori esperti.
«Clair de Lune! Volevo vederti» le disse lo sconosciuto senza presentarsi.
La ragazza era ancora disorientata quando le porse una mano per aiutarla ad alzarsi.
Gong non accettò il favore.
«Volevo vedere la faccia di una moderna untrice» si spiegò il rosso. La sua voce, che prima le era parsa persino dolce, adesso era diventata sprezzante.
Quello non era un uomo gentile. E aveva paragonato il Dominio a una malattia. Probabilmente, se Gong si fosse aggrappata alla sua mano, l'avrebbe scaraventata dall'altra parte.
Il suo giochetto aveva scatenato un vespaio tra le Reclute: non avevano difeso l'Ultra Creatura, la punizione per la loro incompetenza era assicurata.
Giovanni uscì dal suo studio paonazzo di rabbia. Temeva gli atti di insubordinazione più degli attacchi esterni.
Gong era rimasta seduta a terra a gambe incrociate per rimarcare la gravità del torto subito. Così il Boss si sarebbe infuriato ancora più del necessario.
«Io e lei ci siamo già incontrati» si giustificò il rosso, calmo. «Ma probabilmente non se lo ricorda. È stato molto, molto tempo fa».
Appena smise di parlare, le scagliò addosso una potente fiammata generata dal suo pugno, come se la considerasse uno scarafaggio. Gong fu costretta a difendersi con una performance efficace, ma eccezionalmente goffa, e a zampettare via. I suoi vestiti rimasero bruciacchiati.
Saltò su e rimase in guardia. «Voi della Nazione del Fuoco siete un branco di aggressivi guerrafondai!» gridò in cinese, presa dalla foga del momento. In fondo, la sua famiglia si era sempre battuta affinché il Regno o la Repubblica della Terra riannettesse a sé le colonie fondate dalla Nazione del Fuoco durante la Grande Guerra. Sia prima che dopo l'ascesa e la caduta di Kuvira, gli Shan non avevano mai appoggiato la nascita e la legittimazione di un governo indipendente, con al centro Città della Repubblica.
L'uomo davanti a lei alzò un sopracciglio.
Gong dovette fare mente locale per ricordarsi di essere su un altro pianeta e pentirsi di aver aperto bocca. Forse aveva detto troppo. Sperò solo che l'interprete non avesse capito e che il Dominatore del Fuoco non parlasse.





 
A Sinnoh


Celosia si presentò al quartier generale con una gabbia insonorizzata tra le mani. La gabbia era simile a una grossa bolla di vetro, e al suo interno saltava un agitatissimo Chingling.
L'androide passò la bolla alla Toxicroak di Saturno, Rhea1. Era un'orribile femmina dalla pelle spessa come il cuoio e la sacca velenifera enorme. La rana, immune al desiderio di potere, offrì la bolla al suo Allenatore. Il giovane Comandante la prese e andò a posarla su un macchinario cilindrico, concludendo quella bizzarra staffetta. La macchina generò una colonna di energia alta fino al soffitto poco prima che la bolla esplodesse. Era una prigione più sicura.
Inoltre, impediva al povero Chingling di rotolare via spingendo contro le pareti.
«Quello è il Mandato del Cielo di Uxie» comunicò, dal computer, la voce femminile e quasi inespressiva del Comandante Eris. «Chi di voi intende sfidarlo per tenerselo?».
Celosia ridacchiò. Persino la sua Aegislash, la spada dei re, sembrò ridere.
Il Kalosiano Xerosic allungò il collo per vedere meglio la creaturina in gabbia. Era un Chingling identico agli altri. Piccolo, grazioso, col nastro un po' usurato e sbiadito. Lo sguardo di sfida che lanciò ai presenti rivelava un'indole molto diversa dalla sua apparenza fragile.
Lo scienziato si aspettava una rissa. Quel campanellino, offerto da una Eris, era il pomo dorato della discordia. Per lui erano state perse molte vite.
I più onesti l'avrebbero volentieri rinchiuso in un museo pubblico. I più ambiziosi avrebbero cercato di rispolverarne la vecchia gloria per sfruttarla a proprio beneficio.
Nella Città Proibita del nuovo secolo, o erano tutti troppo fedeli, o erano tutti troppo furbi: l'atmosfera tra i Comandanti restò distesa.
«Nessuno vuole tenerselo» tagliò corto Saturno. «Ha già un padrone».
Quel padrone era Cyrus, o così credeva il giovane. Non avrebbe rubato il titolo e il Pokémon proprio a lui. Neppure avendo una possibilità concreta di ripristinare l'Impero.
«Comandante Saturno: in passato hai mostrato segni di megalomania, e hai disubbidito agli ordini. Perché reputi la tua dichiarazione affidabile?» lo interrogò la voce digitale.
«Io non disubbidisco agli ordini» si difese il ragazzo. «Li eseguo a modo mio. E basta. Non come quelle teste di latta delle nostre Reclute. Ma non ho e non ho mai avuto intenzione di pestare i piedi al Capo!».
«Registrato».
«Io passo» si intromise il Comandante Mars. Non sapeva se sentirsi esclusa o lusingata. «Anche se sarebbe un bell'ornamento. C'è chi i Chingling se li nette tra i capelli, sapete?».
Né Celosia né Jupiter le risposero.
«Perché sei così stupida?» le domandò Saturno.
La rossa non si offese, ma la voce digitale lo ammonì. L'aveva preso di mira e sarebbe stato difficile convincerla a desistere, sia perché il ragazzo continuava a fare di testa sua, sia perché Eris doveva essere lei stessa un'intelligenza artificiale. Era rigida, intollerante, e non accettava che ognuno svolgesse i propri compiti secondo le proprie attitudini. Inoltre, doveva sgomitare per essere rispettata al pari dell'altro Capogalassia.
Xerosic non l'aveva mai vista di persona, sempre che avesse un corpo. Il suo avatar virtuale era una maschera semitrasparente, dall'espressione piuttosto spaventosa, che appariva sullo schermo del computer e ne bloccava i comandi come un virus, ogni volta che qualcosa non le andava bene.
Lo scienziato aveva visto quell'inquietante maschera di vetro già un paio di volte. La prima, quando aveva cercato di lanciare una richiesta d'aiuto all'esterno. La seconda, quando si era messo in testa di scoprire se lei fosse un programma o un'hacker particolarmente brava a doppiare un computer. Eris poteva anche essere un uomo, seguendo le vecchie regole del mondo virtuale.
L'altro Capogalassia, Cyrus, Xerosic l'aveva visto solo di sfuggita. Non ci aveva parlato, ma aveva capito che quell'uomo non aveva bisogno di un avatar per incutere timore. Il suo viso era già una maschera di ghiaccio. Inespressivo, torvo, più simile ad un androide di quanto lo fossero le sue stesse Reclute, Cyrus era taciturno e si rivolgeva ai suoi Comandanti con un atteggiamento molto formale. Freddo, malgrado la forza del loro legame. Paradossalmente, l'unica cosa per cui mostrasse qualche traccia di un sentimento umano era la voce del programma Eris.





 
Nel Mondo Distorto



Gong si chiuse nel suo nuovo alloggio e discese nel Mondo Distorto. Doveva assolutamente parlare con Lunala, perché l'incontro con il nuovo Dominatore del Fuoco l'aveva allarmata.
Appena il suo Spirito si materializzò nella luce violacea di quella metà di Universo, udì l'assolo sfrenato di un violino. Alzò lo sguardo e non vide niente, si guardò intorno e non vide niente, poi per disperazione si decise a sporgersi e guardare giù.
Su una piattaforma sghemba sotto di lei, i Folletti e la sua Chingling ballavano con Valerie.
Lorelei, lo Shuckle di Sird, il Rockruff Randal, il Mudbray Archie, e, sorprendentemente, Grimsley, li guardavano senza muovere un passo.
Gong si vergognò di aver lasciato i proprio Pokémon a casa di qualcun altro per uscire: nessun vero Allenatore si sarebbe comportato così.
Lunala suonava un violino rubato o preso in prestito allo Specialista Buio, perché lui era l'unico a possederne uno nella loro cerchia.
Gong rimase un attimo in ascolto. Il pezzo in sé non le piacque particolarmente, ma doveva essere difficile da eseguire, soprattutto a quella velocità. Lunala lo suonava senza intoppi e con una certa maestria, di cui sicuramente si vantava.
Il Mimikyu Ming, la Primarina Ondine, la Chingling Qiūyuè e la piccola Togepi Kokachin danzavano spensierati e rallentavano quando la musica si faceva più lenta. Ognuno si muoveva come poteva, aggrappandosi a turno ai nastri del Sylveon di Valerie.
Mr. Mime faceva ballare la sua padrona sulle note del Trillo del Diavolo2.
«Ehi!» chiamò Gong.
La musica si interruppe.
Grimsley e Lorelei commisero il suo stesso errore, ingannati dall'acustica strampalata di quel posto: si guardarono intorno e solo dopo alzarono la testa.
Lunala non c'era cascata e aveva subito puntato i suoi divini occhi rossi su di lei.
Randal si agitò, in bilico tra l'entusiasmo di rivedere la sua padrona e l'ansia di avere accanto un vampiro. La presenza di Lunala lo innervosiva, benché non si azzardasse ad abbaiarle contro. Era piccolo e il suo lato di lupo era ancora assopito.
Abbaiò due volte solo per dare segno di sé.
Lunala, beffarda, gli accarezzò il pelo provocandogli un brivido freddo. «“O where ha' you been, Lord Randal, my son?/ And where ha' you been, my handsome young man?"» intonò. «"I ha' been at the greenwood; mother, mak my bed soon,/ For I'm wearied wi' huntin', and fain wad lie doon.3"».
Randal la guardava interrogativo, un po' come tutti i presenti, tranne Valerie e i Folletti che erano abituati a ballate simili.
Gong era scomparsa e riapparsa sulla loro piattaforma, ma i suoi Pokémon erano troppo presi dalla canzone per darle l'accoglienza che meritava.
Lunala si accompagnava con il violino e aveva una voce strana. I suoi poteri psichici la rendevano impossibile da ignorare, qualsiasi cosa cantasse.
«Non ho capito» ammise Lorelei dopo un lungo silenzio.
Valerie prese tranquillamente la parola: «Io sì. È una vecchia ballata, la conoscevo già. Parla di questo giovane Lord che entra in un bosco incantato. Perciò una Fata prende le sembianze della sua amata e lo avvelena. Perché ciò che è incantato è anche proibito».
Il suo Sylveon annuì allegro e Mr. Mime fece lo stesso.
Lorelei parve a disagio.
«Le canzoni che piacciono ai Folletti sono tutte così» le spiegò Lunala. «Musica allegra, ma qualcuno ci finisce sempre male. Di solito è vittima di un inganno... perché i Folletti sono tutti un po' bugiardi...».
Shuckle, irritato, si ritirò nel suo guscio pur di non vederla più. Proibire l'addestramento dei folletti secondo la loro natura era stata la salvezza di Kanto e Johto. Il Campione Lance aveva commesso un errore a seguire la moda di Kalos.
Erano un branco di psicopatici infiocchettati. Tutti, dallo splendente e regale Xerneas ai mezzi Spettri straccioni come Mimikyu. Gli umani non sembravano accorgersene. Trovavano divertenti le loro stranezze.
Per colpa loro, più che dei Tipo Buio, la tradizione Kalosiana comandava di adorare il dio della Distruzione Yveltal da Sauin a Yule4. Complice il calendario, assieme al fatto che il terribile Yveltal dormisse il suo sonno secolare nel guscio di un uovo e il magnifico Xerneas nella forma di un albero morto, i Kalosiani erano abituati a collegare la distruzione alla rinascita e la rinascita alla distruzione. In una relazione biunivoca e inscindibile, come se fossero le due facce di una moneta. Non c'era stata, in tutta la Storia del pianeta, un'ecatombe paragonabile allo sterminio avvenuto tremila anni prima a Kalos. Nessun'altra Regione era tanto a rischio. Persino dopo l'avvento della modernità si respirava aria di follia. La Campionessa Diantha, donna retta e razionale, aveva catturato un Gourgeist per celebrare il Capodanno ad Halloween, e passava ufficialmente la notte del solstizio d'inverno sveglia ad aspettare il sole.
«Portatemi una chitarra acustica e ve ne faccio sentire un altro paio» continuò Lunala.
Grimsley scosse deciso la testa. «Vieni a prendertela tu. Io non so portare qui lo Spirito delle Chitarre. Neppure Meloetta o il suo fidanzato Mesprit ci riuscirebbero».
Era lievemente irritato, e non perché aveva visto ballare una musica da ascolto.
Le labbra di Lunala sbiancarono. Poi, i suoi occhi mandarono lampi.
Meloetta e Mesprit, Pokémon Emozione, erano notoriamente molto, molto vicini l'uno all'altra. Lo spiritello apprezzava il canto del Pokémon Melodia al punto dall'esserne fortemente influenzato. Lui era uno dei tre Avatar parziali di Arceus e ne incarnava il “cuore”. Lei era una delle sue cocche, e qualsiasi sua richiesta veniva esaudita subito. Poco importava che il Creatore la considerasse una figlia e non un'amica: sulla terra, Lunala avrebbe rotto il violino.
Lì si limitò a scagliarlo nel vuoto.
Dispiegò le sue enormi ali assumendo le sue vere sembianze e volò via.
Gong la seguì: era venuta per aggiornarla sulla sua posizione terrena ed era determinata a farlo. Dietro di lei si formò una processione di Pokémon, tutti suoi tranne Mr. Mime che imitava gli altri per vocazione. Camminarono al suo seguito finché la ragazza, come un fantasma, scomparve.



 
*




«Che c'è? Non le voglio, le prediche. Va' via».
Lunala era di cattivo umore. Si era messa a testa in giù con le ali raccolte, come se volesse dormire.
«Veramente, mi sono successe delle cose» replicò Gong. «E pensavo ti interessassero».
«Allora, dimmele».
«Beh... sono entrata nel Team Rocket. Mi hanno portata a Johto. Non in quest'ordine. Però ho trovato un problema...».
«Anch'io. Il potere delle mafie e dei ladri di Pokémon, mia piccola scimmietta da monastero, si fonda sui Pokémon. Il Boss Giovanni potrebbe non gradire il tuo punto di vista».
Giovanni ne sarebbe stato lusingato: all'Inferno conoscevano il suo nome.
«Il mio punto di vista su Arceus?».
«Ovviamente. Ma non solo».
«Io non ho un punto di vista. Il Team Rocket può proteggermi e aiutarmi a formare una squadra per sconfiggere Arceus. Quindi, ben venga. Da sola, come Allenatrice, non sono molto brava».
Lulala avrebbe dovuto ribadire che era pessima, invece la studiò in silenzio. «Raava non ti ha detto niente, vero? È solo una coincidenza che tu ti stia circondando di Folletti?».
«No. Minh è venuto da solo, Ondine mi trovava simpatica e Kokachin... l'ho scambiata con uno Spritzee. Perché?».
«Perché se Raava riuscirà a spostare l'Equilibrio Universale verso di sé, non resteranno molti altri Pokémon».
«Che significa?!».
«In un Multiverso ordinato, sotto la Luce spirituale di Raava, possono esistere gli Spiriti, gli umani e gli animali... e anche i Vegetali, i Batteri, i Funghi, i Protisti...».
«Vieni al punto!».
«Possono esistere anche i Folletti, purché perdano la loro essenza materiale e diventino creature di pura Luce. E possono esistere i Draghi, diventando però identici ai loro simili del tuo mondo. Poi resisteremmo noi Spettri, perché siamo già Spiriti. Ma tutti gli altri mostri... beh...». Fece una pausa per cavarsi d'impiccio. «Tranne i Tipo Buio. I Tipo Buio sarebbero, paradossalmente, gli ultimi a scomparire. Perché perdendo il loro corpo diventerebbero pura Oscurità, e andrebbero eliminati attivamente. Con calma, per evitare contaminazioni. Gli altri sparirebbero all'istante, passata la Convergenza Cosmica».
Gong parlò ad occhi bassi. «Quindi... io non sono qui per liberare il mondo dalla tirannia di Arceus. Sono qui per demolire gran parte di ciò che ha creato. Ho capito bene?».
«Sì. Giratina ci sta lavorando. Dobbiamo provocare una Convergenza Cosmica artificiale, facendo allineare i pianeti indipendentemente dalla loro posizione attuale. Ci servono Dialga e Palkia. Ma siccome per Arceus siamo speciali e ci odia più di qualsiasi criminale, sociopatico o psicotico umano, non possiamo forgiare la Rossocatena. Allarmerebbe il Trio Pozzanghera, perché... per comporla servono le pietre sulla loro fronte. Di solito ci giocano a Ruba-Bandiera: rilasciano dei doppioni, e chi è abbastanza bravo da prenderli può tenerseli. Ma con me e Raava non sarebbero così tranquilli. La cosa brutta è... è che quei due bestioni di Dialga e Palkia erano usciti allo scoperto pochi anni fa, ma noi non eravamo pronti. Così... così sono scappati».
Gong tacque.
Lunala, come Giratina, era uno Spirito Maligno e ragionava da Spirito Maligno. Sarebbe stato sciocco aspettarsi il contrario.
Lei però era umana e non aveva scusanti.

 


A Sinnoh


La Principessa Azula era stata rinchiusa in una cella. Ma la cella non era piccola e umida. Era la copia esatta della sua camera da letto nel Palazzo Reale, arredata secondo le usanze della Nazione del Fuoco durante la Grande Guerra, tiepida e lussuosa. Le finestre erano finte, le sue ancelle erano un manipolo di ragazzine identiche l'una all'altra, vestite di rosso, coi capelli scuri e gli occhi dorati. Tutte apparivano straordinariamente anonime e straordinariamente apatiche.
Vide la porta di legno aprirsi sulla realtà senza che nessuno la toccasse. Dall'altra parte, oltre una barriera di luce rosata, si fece avanti una sconosciuta dai capelli viola come il suo sofisticato rossetto. Sugli occhi portava una benda luminosa, una maschera che li nascondeva del tutto.
La prigioniera si avvicinò a lei e toccò la barriera che le separava. Malgrado fosse semitrasparente, era solida. Più solida di un muro. Quindi rinunciò e lasciò cadere il braccio. Non era la prima volta che si imbatteva in una diavoleria del genere, da quando si era risvegliata. Persino le ancelle erano troppo strane per essere reali. Non la temevano, tanto per cominciare.
«Dimmi chi sei e cosa vuoi» intimò, annoiata, la Principessa.
I farmaci stavano funzionando, non sentiva più quella pulsione a distruggere e incendiare tutto, e i suoi pensieri erano lucidi. Voleva raccogliere più informazioni prima di tentare la fuga.
«Il mio nome non è importante. Perché io so dov'è tuo fratello».
«Zuko...?!».
«Sì. sull'isola lo stavi cercando, non è vero? Ma, ahimè... altra vita, altro aspetto, altra indole: non lo riconosceresti, senza il mio aiuto».









 
1Rhea (Rea) è una delle lune di Saturno, mi pare la seconda per grandezza dopo Titano. Inoltre, Rhea è il nome della sorella/moglie di Crono, dio equiparato a Saturno dai Romani.
2Esiste, l'autore è Giuseppe Tartini.
3Sta per “would lay down”. Dice “Sono stanco della caccia e vorrei sdraiarmi”.
4Cioè da Halloween a Natale; è il periodo in cui le notti si allungano.

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Capitolo 18
*** Fuoco ***


18. Fuoco



A Sinnoh


Il suo controllo capillare era stato aggirato. E non da Xerosic, ma dall'unità di nome Celosia. L'unità di cui si serviva, a distanza, proprio sua madre Sird. Aveva liberato la Principessa Azula e aveva lasciato la Base a bordo di un velivolo, portandola con sé.
Sicuramente erano dirette a Kanto.
Diantha non riusciva a indovinare i piani di Sird, ma conosceva la madre abbastanza da aspettarsi che fossero malvagi.
Appena si era accorta della violazione, era schizzata fuori dalla sua tana e aveva lasciato incustoditi il casco e i guanti che la aiutavano a proiettarsi nella realtà virtuale. Con quegli strumenti, in una nicchia incassata nel muro e piccola come uno scatolone, aveva accesso ai meandri del computer centrale pur senza capire niente di informatica. Le sembrava di stare in cassaforte, si sentiva più simile a una contorsionista in una valigia che a un Comandante, ma non aveva molta scelta. Non voleva che gli altri la riconoscessero, più per vergogna che per proteggere la sua vecchia vita.
Aveva nascosto al mondo la sua identità e non la sua indole, solo per sfuggire a un trio di assassini, eppure si sentiva la coscienza sporca. Aveva mentito sulla sua età e sul suo luogo di nascita, sulla sua famiglia d'origine, sulla provenienza in parte mutante e in parte extraterrestre del suo DNA, sulla sua reale forza fisica, sull'ispirazione involontaria che aveva dato a Lysandre per i suoi folli progetti di distruzione. E aveva mentito senza battere ciglio, persino alle persone a cui teneva.
Aveva già chiesto a Xerosic una tuta simile a quella da lui ideata per Essentia, Emma. Oltre a potenziare le sue doti fisiche, le avrebbe dato la capacità di cambiare il suo aspetto. Così sarebbe potuta uscire allo scoperto senza timore. Lo scienziato si era già messo al lavoro. Eris doveva solo aspettare qualche giorno.
Poiché, da buona disordinata, faceva sempre mille cose per volta e i vari settori della sua mente erano abituati a lavorare in parallelo, stava pensando anche a questo mentre si precipitava ad attivare un'unità accessoria, “l'antidoto” a Celosia che era partita da poco. Piani malvagi o no, non si sarebbe buttata al suo inseguimento di persona.
Scese nell'interrato super-tecnologico del covo Galassia e si diresse ai “letti” delle tre unità avanzate Flare, disattivate dal momento del recupero.
Restavano la verde, l'arancione e l'azzurra, ognuna con predisposizioni diverse così da mimare diverse personalità. La verde, Bryony, era la più gestibile e la più riflessiva: anche senza imporle il suo totale controllo, come Sird aveva fatto con Celosia, il Comandante Eris avrebbe potuto mandarla in missione da sola.
Quindi aprì la sua teca e provò a toccarle la fronte per attivarla. Non successe niente.
Una voce maschile, cupa e inespressiva alle sue spalle, la fece sobbalzare: «Che cosa stai facendo? Perché hai lasciato il tuo posto?».
Era suo fratello, Cyrus. L'aveva seguita fin lì senza malizia: non la stava tenendo d'occhio. La sua era semplice curiosità. Ma lui risultava inquietante qualsiasi cosa facesse.
«Mamma sta progettando morte e distruzione. Credo. Devo mandare qualcuno a Kanto perché controlli il suo avatar, e lo fermi qualsiasi cosa tenti di fare».
«Perché vuoi osteggiare nostra madre? Lei non ci ha mai ostacolato nei nostri progetti, per quanto divergessero dai suoi».
«I tuoi progetti non divergevano dai suoi, Cyrus! Tutto il contrario! I miei sì, e infatti...». Si interruppe. Come parlare al muro, un muro che però poteva ferirsi e sanguinare. «...lascia perdere. In effetti, non mi ha mai fatto la guerra».
Premette di nuovo l'indice sulla fronte di Bryony e ottenne lo stesso risultato: nulla. Allora le batté una mano sulla testa come se fosse un congegno difettoso.
Cyrus si allarmò: «Non danneggiare gli androidi!».
Lui si preoccupava molto per le macchine. Non importava quale aspetto avessero.
Si era precipitato accanto a Diantha, ma non aveva osato toccarla. Malgrado fosse capace di venire alle mani, per lui la sua gemella neuro-tipica, fragile come il vetro, le cui lettere scritte a mano erano state un'interfaccia con il mondo “comune” quando erano bambini, non poteva essere sfiorata.
Lei si arrese e indicò il corpo esanime di Bryony. «Come si accende, questa?!».
Cyrus pronunciò il suo nome di default: «Barà1».
L'androide aprì gli occhi privi di iride e pupilla, dalle sclere di un verde brillante. Il suo visore era custodito da un'altra parte, così come la sua divisa rossa. Il suo livello di interazione col mondo era ancora basso. Necessitava di tempo per ripristinare, in automatico, ogni sua funzione.
Eris si calmò. «Va bene. Ora ti aggiorno io, fratello, de rebus humanis. Non hai bisogno di temere una rivolta o un tradimento, non so neanche cosa te l'abbia fatto sospettare. Li ho osservati e messi alla prova, e tutti i tuoi Comandanti ti sono fedeli. Saturno ha una cotta per Mars, per questo si comporta in modo impertinente in sua presenza. Si chiama “fare il galletto”, non c'è niente di strano alla sua età. Separandoli, tornerebbe il solito fannullone. Xerosic è fondamentalmente un codardo: non troverà un'altra volta lo stesso coraggio che gli è servito per sabotare l'Arma Suprema. E comunque, lì la posta era molto più alta. Non sarebbe più riuscito a guardarsi allo specchio senza sputare al suo riflesso, se si fosse reso complice di un'ecatombe. Contento? Ora, devo trovare gli accessori di Bryony».
E lui non l'avrebbe aiutata a cercarli, perché non gliel'aveva chiesto. Diantha si divertiva, di tanto in tanto, a testare i suoi miglioramenti. Qualsiasi fosse il risultato, non l'avrebbe preso in giro né rimproverato. La seguì senza dire nulla come usava fare fin troppo spesso.
La sua domanda la sorprese: «Sei certa che quell'unità sia sufficiente?».
Non lo era affatto.
Sospirò. «Chiamo Lysandre».
«Lysandre?».
«Sì. Venus».
«So chi è. Ma si è ribellato. Ha fatto l'esatto contrario di ciò che avrebbe dovuto fare».
Diantha, il Comandante Eris, l'aveva avvicinato e reclutato perché impedisse a Zygarde di attivare il protocollo “Fiore Grigio” in risposta alla distorsione spazio-temporale creatasi nella Regione di Sinnoh per la cattura di Dialga e Palkia. Costruire e attivare l'Arma Suprema secondo il progetto originale, semi-divino, avrebbe sacrificato gli abitanti di un solo pianeta per salvare il Multiverso. Un compromesso accettabile, per Azelf e Uxie.
Ma Zygarde non si era svegliato, era stato Giratina a intervenire. E “Venus” era stato ringraziato e congedato. Non prima, purtroppo, di aver rubato la tecnologia Galassia. Lysandre aveva utilizzato le informazioni ottenute da Eris per ideare e realizzare il suo piano personale.
E così, l'uomo più indicato per proteggere la sua Kalos si era rivelato un mostro assetato di distruzione. Non aveva mai denunciato Diantha per ricattarla, per farle sapere che avrebbe potuto trascinare a fondo lei e la sua vita perfetta in qualsiasi momento. Ma era stato fermato prima di poter parlare.
«Sì, si è comportato da vile traditore. Ma adesso è successo qualcosa che l'ha rimesso in riga. Praticamente, è morto» spiegò Diantha mentre inviava dal computer una chiamata internazionale, facendola rimbalzare ovunque per rendersi irrintracciabile.


 


A Kanto

 


Azula abbassò il binocolo. «Sei sicura che sia lui?».
«Al cento percento» garantì Celosia. «Qualcuno ha provato a confondermi le idee, ma la sottoscritta è brava a non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Così come è diventata brava a risolvere enigmi, dato che gliene proponevano a valanghe quando era bambina».
L'altra ragazza non era convinta. L'aveva osservato di nascosto, da lontano, mentre allenava la sua squadra. Una routine giornaliera per lui, persino in vacanza. Era tornato nella sua città natale, tra un torneo e l'altro, a trovare la madre. Presto sarebbe partito di nuovo e raggiungerlo sarebbe stato più complicato.
Ma Azula non aveva visto niente in lui che le ricordasse suo fratello. Né, più in generale, il potere assopito di un Dominatore del Fuoco. «Non ha né una creatura legata al fuoco, né un drago in squadra. C'è quel topo elettrico... anche se Zuzu non sapeva generare il Fulmine. Il resto, come lo spieghi?».
«Da quando in qua, Principessa Azula, ti preoccupi di perseguitare un innocente? C'è ancora troppo di Plumeria in te, immagino. Vedi... il punto non è il drago, il punto è ciò che ha imparato dalla Tribù dei Guerrieri del Sole, per portarsi via quell'uovo dal nido dei due draghi. Ovvero, che il fuoco non è soltanto una forza distruttrice, ma piuttosto un'energia generatrice, come la luce e il calore del Sole. Nessuno dica loro che le stelle non sono fuoco, ma plasma! O penserebbero che la verità sia mentitrice. In ogni modo... questa filosofia blanda spiega l'assenza dei Draghi e del Fuoco in quella squadra. Perché su questo pianeta, quei due Tipi incarnano ancora la forza battagliera e distruttrice da cui tuo fratello aveva preso le distanze. Ecco perché il suo Starter è un sauro con una pianta sulla groppa. Lui incarna una forza generatrice. Il Signore del Fuoco Zuko si è dato al giardinaggio...».
Azula storse la bocca. «Patetico. Abbastanza patetico da essere lui».
«Adesso lui e la sua squadra sono stanchi. Che ne dici, andiamo a fargli il mazzo, o vuoi stare a fare la principessina?».
Lei rispose dandole una piccola scossa. Ma niente che potesse danneggiare i suoi circuiti. Azula non aveva amici, era incapace di avvicinarsi a qualcuno senza sfruttarlo o sentirsene minacciata, tuttavia nel profondo desiderava averne. I tradimenti delle sue dame di compagnia ancora le bruciavano. Far parte di una cerchia la faceva sentire più forte. Perciò non aveva respinto Celosia. La considerava un'alleata. In più, non aveva l'aspetto né l'odore di una sporca contadina2.
Red se le trovò davanti pensando che fossero due turiste in cerca di indicazioni.
Sembravano pronte per una festa a tema sui viaggi nel tempo. Una veniva dal futuro, l'altra dal passato. Un passato ipotetico in cui le ragazze si tingevano i capelli di colori sgargianti. Entrambe erano vestite di rosso, la ragazza a destra indossava una tuta aderente e un visore sugli occhi. La coetanea a sinistra, palesemente mora nonostante i capelli tinti di rosa e di giallo, portava un abito lungo simile a una vestaglia, stretto alla vita da una cintura dorata. La sua acconciatura era retta da un fermaglio dorato a forma di fiamma. Fu lei a parlare per prima: «Zuzu... finalmente ti ritrovo!». Caricò un pugno e gli sferrò contro una vampata di fuoco azzurro. Red aveva i riflessi abbastanza pronti, e per evitare il pugno riuscì a farsi colpire dalle fiamme solo di striscio.
Poli Poliwrath uscì prontamente dalla sfera e spense le fiamme sui suoi vestiti con un paio di getti della sua acqua.
Il giovane si allontanò a corsa dalle due sconosciute, ma anziché darsela a gambe si fermò poco distante. Poli lo seguì e si fermò esattamente davanti a lui, coprendo la traiettoria a qualsiasi attacco sferrato da Azula.
«Che cos'è, uno scherzo? Chi siete?! Rockets?».
Stavolta fu la viola a rispondergli: «Il punto non è chi siamo noi. Il punto è chi sei tu. O chi sei stato, caro Red».
Non erano sole. La ragazza del futuro liberò davanti a sé un set di spade spettrali. C'erano un Honedge, un Doublade e una femmna di Aegislash. A completare la squadra, un Pokémon simile a un cane dalla pelliccia gialla e azzurra, un Manectric.
Manectric fulminò Poli richiamando su di lui una scarica dal cielo, con la mossa Tuono, mentre la ragazza del fuoco azzurro lo colpiva con un fulmine generato direttamente dalle sue dita, ad energia persino maggiore dell'altro. Il povero Il Poliwrath, per quanto potente, svenne.
Quelle due avevano intenzione di giocare sporco e non si preoccupavano di nasconderlo.
Pika fu il secondo ad affrontarle.
Loro si affidarono ad Aegislash, aiutata dalle caldissime fiamme azzurre.
Esasperato, Saur il Venusaur uscì dalla Pokéball spontaneamente, agganciò la sputa-fuoco con le sue liane spinose, la sollevò e la scagliò lontano.
Poi caricò lo scudo di Aegislash schiacciando il Pokémon sotto il suo peso.
La spada incantata assunse l'impalpabilità di spettro e trapassò il suo massiccio corpo senza ferirlo. Controllò la sua mente per un attimo. In quell'attimo, Honedge riuscì a conficcarsi nel grande fiore aperto sulla schiena del mostro. Rimase lì a rubare la sua energia, mentre Saur continuava a battersi come una furia, assieme a Pika, contro Manectric, Aegislash e Doublade che lo attaccavano ai fianchi.
Red si preparò a saltare sulla sua groppa per estrarre la Honedge e liberarlo, ma la fiammata di Azula gli tagliò la strada mentre correva.
«Alla fine, siamo sempre noi due, fratello...!».
Era ferita, ma non gravemente. Rideva.
Red ebbe un flashback: l'ultima donna che gli si era avvicinata così, con i vestiti strappati dalle spine e una faccia da psicotica assassina, era Sird del Trio Bestia. E dopo l'aveva pietrificato assieme ai suoi amici.
La somiglianza della scena era impressionante, tanto da farlo vacillare e tenerlo inchiodato lì dov'era.
Pika si accorse del pericolo e abbandonò Saur per difendere Red.
La ragazza si stava preparando ad attaccare, quando una fiammata la investì. Si voltò infuriata e umiliata, per vedere avvicinarsi un uomo in divisa Rocket, accompagnato da un leone maschio di piccola taglia.
Da lì in poi fu solo confusione.
Celosia ebbe una sorta di crisi di nervi. «No! No! Ma dai!» gridò. Fece uscire un secondo Honedge dalla sua ultima sfera, lo impugnò e e lo brandì contro l'intruso. «Tu non c'entri! Va' via!».
Pyroar riversò su di lei la sua rabbia e il suo soffio infuocato.
Il suo padrone la ignorò e si rivolse ad Azula: «Principessa... questa donna ti sta usando. Non è chi dice di essere. Il suo nome è Sird, è una Dominatrice dell'Aria, e sta cercando vendetta contro la tua famiglia».
Red sobbalzò. «Sird?!».
Non era affatto sorpreso di sentirla nominare.
Azula era troppo infuriata per ragionare. Non sopportava di uscire sconfitta da un combattimento, soprattutto se si trattava di un duello con un altro Dominatore del Fuoco.
Se la prese con lo sconosciuto dimenticandosi del fratello. Gli scagliò un calcio infuocato.
L'uomo aveva una difesa più forte di quanto la principessa si aspettasse. Dominava il suo stesso fuoco appena lei ne perdeva il controllo, e con le sue semplici fiamme rosse si riparava dalle fiamme azzurre, riportando di tanto in tanto lievi ustioni.
Senza sbilanciarsi neppure una volta, l'avversario la stremò al punto da ridurre drasticamente la sua potenza. Nella luce del sole rosso del tramonto, lei a malapena si reggeva in piedi, lui sembrava riposato e avrebbe potuto duellare fino a notte inoltrata. Non aveva sprecato le energie per attaccare, non aveva aperto bocca per provocarla; si era limitato a difendersi.
Azula, stanca e confusa, tentò il tutto per tutto con il Fulmine.
L'uomo dai capelli rossi ne incanalò l'energia con due dita e lo deviò sulla sua amica Celosia. Il suo era stato un movimento rapido e fluido, privo di esitazioni.
Il corpo dell'unità viola non reagì come quello di una persona normale: fu scosso da alcune convulsioni, la sua testa si piegò da una parte e poi cadde sul petto. E lei stramazzò a terra in avanti. Le sue dita continuarono a muoversi, come se avessero vita propria, sotto gli occhi sconvolti di Red.
Il ragazzo era ancora convinto di aver assistito ad un omicidio.
La Principessa Azula approfittò della distrazione generale per tagliare la corda.
Mentre il Dexholder correva a prestare soccorso, Lysandre lo invitò a fermarsi. Perché quella creatura era un robot, e per il bene di tutti era stato appena disattivato.
Il suo set di spade spettrali tornò immediatamente nelle proprie Pokéball.
Ora che la padrona non c'era più, non volevano vedersela con la potente squadra del suo vecchio Capo.
Red dovette raccogliere le idee. «Cosa c'entra Sird? Dov'è, adesso? Cosa vuole da me?!» domandò tutto d'un fiato. «E tu... forse ho capito chi sei. A Kalos ti credevano morto, me l'ha detto Green Oak. Ma... come conosci quella donna, e perché... non la stai aiutando?».
«Donna Sird vuole che tu e quella che nella tua vita passata era tua sorella vi distruggiate a vicenda. Io non ho un cattivo rapporto con lei: in verità la sto ancora aiutando. Ma è un vita che quella nevrotica mi fa infuriare. Sono felice di averla incontrata ma sono stanco di assecondare i suoi capricci. Devo essere sincero: non pensavo che ti avrebbe riconosciuto. Non con così poche informazioni sul tuo conto. Voi... non vi siete mai incontrati, nelle vostre vite precedenti. Lei è morta quasi un secolo prima della tua nascita».
Ora, a duello terminato, Lysandre mostrava segni di affaticamento. E alcune delle sue ustioni non erano poi così superficiali. Tuttavia sembrava non farci caso. Era un comportamento fin troppo militaresco, per un figlio della nobiltà Kalosiana.
«Credi davvero alla favola della Reincarnazione?».
«Sì. Purtroppo per te, Red, gli spiriti legati alla tua vita precedente sono tornati a perseguitarti. È la paura di molti sovrani. Loro non ti lasceranno in pace facilmente».
Mentre parlava, aveva ritirato Pyroar e liberato il suo Gyarados azzurro. Dunque aveva sistemato nell'enorme bocca spalancata del mostro acquatico il corpo esanime di Celosia.
Manectric e le spade volanti schizzarono fuori dalle Pokéball per non essere macinati dai suoi denti e dai suoi muscoli masticatori. Lysandre non voleva che la sua tecnologia venisse studiata e copiata da altri. Perciò ne cancellava le tracce facendole ingoiare a un Gyarados spazzino.
«Quindi... cosa dovrei fare?» domandò incerto Red.
Aveva il sentore che la risposta non gli sarebbe piaciuta. A giudicare dalla sua nonchalance nell'affrontare principesse venute dall'inferno, parlare dell'Oltretomba e dare in pasto androidi femminili ai suoi mostri, quell'uomo doveva avere qualche rotella fuori posto. La sua calma sembrava forzata.
Salì sulla mastodontica testa di Gyarados senza rispondere. Stava pensando a cosa dirgli e stava smaltendo la collera contro Sird.
I Pokémon di Celosia si sistemarono sulla sua coda, per tornare dalla loro vera padrona.
Lysandre decise di non dare spiegazioni. «Hai qualcosa che vola?» chiese al Dexholder.
Red liberò Aerodactyl.
«Allora seguici. A Johto c'è una Sensitiva che ti darà una risposta».
«Sabrina?».
Sabrina era la Capopalestra di Saffron City, era entrata nel Team Rocket a otto o forse sei anni. L'avevano allevata loro, ed era salita molto in alto nella gerarchia, tanto da potersi allontanare fino a Unova e tentare la carriera di atrrice senza subire punizioni. Ma forse la vita sul set l'aveva annoiata. Perciò poteva aver seguito Giovanni a Johto come sua Sensitiva di fiducia.
I Sensitivi erano una classe di Allenatori specializzati nei Tipo Psico, che avevano dei poteri particolari.
La risposta lo deluse: «No. Non si tratta di Sabrina».




 


A Johto

Notte


Silver camminava assieme a Weavile fuori città, su un sentiero deserto. Era uscito a prendere una boccata d'aria qualche ora dopo il tramonto. Aveva scelto proprio quell'orario e quel posto per non incontrare nessuno. Malgrado Gold lo prendesse in giro sia per la sua tendenza a rintanarsi in casa, soprattutto da quando aveva la TV, sia per il suo incarnato pallido, non era disposto a rischiare di incrociare qualcuno solo per rendere più sano il suo stile di vita.
Aveva con sé una torcia a pile, ma la teneva in tasca affidandosi agli occhi felini di Weavile.
D'un tratto, il Pokémon Lamartigli si fermò. Soffiò, mostrò i denti aguzzi e rizzò il pelo, piegandosi in avanti.
Silver accese rapido la torcia e la luce fu riflessa dagli occhi dorati di un Persian. Tagliava loro la strada, era rimasto seduto lì finché Weavile non gli aveva soffiato. Ora si avvicinava ostentando una certa spavalderia.
Silver non era bravo come Yellow a distinguere i singoli esemplari. Ma ebbe un brutto presentimento e ritirò Weavile.
Schierò Feraligatr un attimo prima che il Pokémon avversario spiccasse un balzo per piombare addosso a lui, come se fossero predatore e preda. Gli artigli del felino graffiarono le squame dell'enorme alligatore bipede, lasciandogli solo qualche segno superficiale.
Un getto d'acqua ad alta pressione fuoriuscì dall'enorme bocca spalancata del rettile, ma la gatta era più rapida di quanto si aspettassero entrambi gli avversari, e lo evitò con un balzo di lato. Descrivendo un semicerchio si portò alle spalle di Feraligatr e di Silver, tentando di nuovo un attacco diretto all'Allenatore. Questa volta, l'Idrocannone non la mancò. Il ragazzo, che si era rannicchiato, si rialzò in piedi e corse da una parte per lasciare il campo libero al suo Pokémon. L'alligatore si scagliò contro la Persian per stringerla nella morsa delle sue potenti mascelle. Era veloce, ma non abbastanza. Lei si era già ripresa dal colpo precedente e come un fulmine corse verso Silver. Il giovane liberò Weavile proprio davanti a sé e solo un attimo dopo ritirò Feraligatr, troppo lontano. Aveva schierato due Pokémon insieme, seppur per pochi secondi, ma quella lotta si stava dimostrando sportiva solo a metà.
Weavile e Persian finirono a graffiarsi l'un l'altra, finché la gatta non batté in ritirata.
Al suo posto, pochi secondi dopo, uno Starmie attraversò la notte volando ad altezza d'uomo, rapido come un'astronave. Passò a meno di una spanna dalla testa di Silver, solo per ribadire quanto in realtà fosse vulnerabile.
Il presentimento del giovane era fondato: conosceva già la squadra avversaria. E poiché in passato era stata una Banette a dargli più problemi, voleva tenersi i Tipo Buio fino all'ultimo, per affrontare lei. Ritirò Weavile e mandò Gyarados, il suo Gyarados rosso catturato nel Lago d'Ira.
Starmie lo colpì più volte intaccandone le riserve vitali, ma cadde per primo. Fu Persian a saltargli al collo per morderlo, mandandolo al tappeto. Feraligatr si trovò di nuovo contro la vecchia rivale, stavolta prestando attenzione alla sua strategia poco sportiva.
La loro lotta terminò per sfinimento, indipendentemente dai colpi subiti.
Finalmente, arrivò l'avversaria che Silver stava aspettando, quella che temeva di più. La piccola bambola voodoo grigia il cui sguardo malefico, anni prima, gli aveva quasi fatto perdere la ragione.
Era più inquietante e logora di quanto la ricordasse.
Silver lasciò l'onore della battaglia a Honchkrow.
La Banette si portò una zampa davanti alla cerniera che le faceva da bocca e sembrò ridere. Fu avvolta fa una luce violacea e crebbe, cambiando forma. La sua stoffa divenne più scura e meno logora, le maniche e la “veste” grigia si aprirono a mostrare la fodera color magenta dell'imbottitura.
Raggiunse la sua forma Mega davanti agli occhi sorpresi di Silver e di Weavile, che guardava l'incontro in trepidante attesa del suo turno.
Ma per quanto l'avversaria fosse forte, oramai la battaglia era vinta.
«Ripicca» ordinò il giovane, ormai tranquillo.
Mentre Honchkrow caricava il colpo, la bambola voodoo sollevò in alto gli artigli e fece alzare un forte vento improvviso. Fu come uno sgambetto. Per opporre resistenza alla folata, il corvo perse quei pochi attimi che permisero a MegaBanette di attaccare per prima, costringendolo ad arretrare alle spalle del suo Allenatore. Le sue enormi e potenti ali si rivelavano una debolezza: il Pokémon Grancapo faticava a volare controvento e lanciare attacchi contemporaneamente. La sua avversaria roteava in aria le braccia alimentando un piccolo ciclone. Lei, Weavile e il ragazzo si trovavano esattamente nel suo occhio.
Spossato dalla furia del vento, dagli attacchi martellanti e dai tentativi di rispondere, Honchkrow terminò la sua energia e svenne. Lasciò la nemica ferita e stanca. Caduto il corvo, il vento cessò.
Ora rimanevano solo lei e Weavile. Il Pokémon Lamartigli generò un'onda oscura, schivò la Palla Ombra di una MegaBanette ormai indebolita e, appena le fu abbastanza vicino, con un'inspirazione profonda si riempì i polmoni. Il suo soffio si trasformò in Ventogelato. Una piccola vendetta per quello che aveva fatto a Honchkrow. Banette tornò la bambola grigia e sgualcita di sempre e si afflosciò a terra come un sacco, svenuta.
Silver si sentì sollevato e si rilassò.
Poi vide arrivare un piccolo ammasso volante di piume rosa. Ricordava una grossa spugna da bagno per ragazze, e invece era un Folletto.
Sird aveva ampliato la squadra attingendo al Tipo più difficile da combattere per qualsiasi abitante di Kanto e Johto.
Ma Weavile era forte e combattivo: quella puzzolente creatura non avrebbe vinto facilmente. Spiccò un salto degno di un felino demoniaco e colpì il Folletto con Gelopugno. Atterrò e tornò al suo posto.
Il Pokémon Fragranza ridacchiò, socchiuse gli occhi rossi, girò su se stesso come una ballerina, infine mandò un bacio all'avversario. Quella mossa lo confuse, gli fece dimenticare il problema più importante.
«Mani dietro la testa. E digli di fermarsi».
Era la voce di quella orribile donna che minacciava Silver. Lei lo teneva sotto tiro con la sottile canna nera di una pistola. Si era avvicinata alle loro spalle avvolta dal buio, senza farsi sentire.
Mentre Weavile era distratto, sconvolto dalla situazione, Aromatisse lo colpì alle spalle.
Ma il Pokémon Lamartigli non poteva difendersi né contrattaccare, o la donna avrebbe sparato. Il Folletto, ancora giovane e relativamente poco addestrato, si divertì a colpirlo fino a mandarlo al tappeto.
Sird si rilassò e abbassò l'arma. «Questa è ad aria compressa» disse. «L'ho comprata come giocattolo quando ero ragazzina. Con questa sparavo ai Drifloon e mi divertivo a veder esplodere e ricrescere loro la testa. È cominciata quando uno di quei palloncini ha tentato di rapirmi: se la sono cercata. Per carità, a una distanza così ravvicinata ti avrebbe fatto del male... però non ti avrebbe ucciso».
«Ti sei battuta in modo sleale» protestò Silver. Non aveva paura di lei. Non era più un quattordicenne. Accese la sua torcia a pile per poterla vedere meglio, e magari non essere aggredito.
«Ho sperimentato delle tecniche miste» si giustificò lei.
Ma sapeva benissimo di aver barato.
«Che cos'hai combinato, con Banette? Che cos'era quella mossa di tipo Volante?».
«Connessione profonda tra un Dominatore dell'Aria e il suo Spirito Compagno, tramite la cosiddetta Megapietra. Betsy mega-evoluta è bellissima, non è vero?».
Dal colletto alto della divisa Rocket, Sird tirò fuori un ciondolo a forma di timone, un Dharmachakra placcato d'argento. Forse l'aveva rubato a un monaco.
Sulla Pietrachiave, al centro del timone, era incastonata una pietra vitrea e rosata, perfettamente sferica: la cosiddetta Banettite. A differenza di altri accessori per le Megachiavi, più pratici per gli Allenatori professionisti, quello non permetteva di rimuoverla. Sird aveva preso il ciondolo solo per Banette, rendendo “monogama” la loro relazione. Anche se non era arrivata a far incidere i loro nomi sul ciondolo, la Pokémon aveva sicuramente apprezzato. «Non è colpa mia se ci sono ancora pochi Dominatori sul pianeta. O se nessuno dei cervelloni ha intuito il reale significato di questa misteriosa Megaevoluzione».
Dominatore dell'Aria doveva essere un sinonimo obsoleto di Aero-allenatore. Silver non conosceva bene quella disciplina, non sapeva in quanti la praticassero, quindi preferì non esprimersi. Passò al problema successivo, la prova definitiva che Sird era stata sleale: «E la pistola?!».
«Non ti avevo fatto capire che ti avrei attaccato? Quando i tuoi Pokémon combattono per te, e non è un incontro sportivo... si presume che in primis debbano proteggerti. Ma non ci sono riusciti! Tendi a stare troppo lontano durante lo scontro. Rendi il loro compito impossibile».
«Sei venuta a darmi lezioni? Che cosa vuoi?!».
La donna si prese un attimo prima di rispondere.
«Sono qui per comunicarti, ahimè... che il Capopalestra di Mogania si è spento ieri notte, per le complicanze di una polmonite».
Silenzio.
«Pryce...?» bisbigliò Silver, appena ritrovò la forza di parlare.
Pryce era, o era stato, la famigerata Maschera di Ghiaccio. L'orco che aveva rapito lui e altri bambini, tra cui la sua ormai sorella maggiore Blue. Silver non aveva svelato la vera identità del suo rapitore a Giovanni, e aveva fatto promettere agli amici di non farne parola.
Se una Rocket era andata a cercarlo, doveva essere trapelato qualcosa.
«È stato lui a chiamarmi. Aveva chiesto di parlare con Giovanni. Tuo padre era impegnato... così ha mandato me».
Al giovane non passò neppure per la testa che mentisse.
«Ma non preoccuparti, non riferirò niente al Boss. Sarai tu a parlargliene, se vorrai. Sai... capisco come Pryce sia riuscito a ingannare tutti per così tanto tempo: è un vecchietto così simpatico! Ed un artista di talento...!». Si riferiva alle sue sculture di ghiaccio. Aveva parlato sorridendo, come se ricordasse una persona cara. Porse a Silver un barattolo cilindrico, che in origine conteneva biscotti. «Qui dentro c'è il suo ultimo messaggio per te».
Silenzio.
«E sul telefonino ho anche la colonna sonora originale. La vecchietta del letto due che cantava: “Rattata, oh-oh-oh-oh! Rattata!”».
Silver non la ascoltava.
Scosso, le diede la torcia e si prese il barattolo di biscotti. Le sue dita tremarono mentre lo stappava. Aveva perdonato il suo rapitore, malgrado gli anni passati a servirlo e temerlo, perciò non aveva idea di cosa potesse chiedergli o raccontargli. Credeva di essersi lasciato Maschera di Ghiaccio alle spalle. Ma si era illuso.
Srotolò il foglio con le mani sudate e tremanti. Sird illuminò il testo perché lui lo leggesse in silenzio.
«Cosa dice?» gli domandò.
Pareva che, nonostante i suoi innumerevoli difetti, non fosse veramente una ficcanaso. Non avrebbe letto senza il suo permesso.
«È... è una lettera di scuse. Dice che nella sua ottica mi aveva salvato, da una vita legata a un padre che aveva nemici peggiori e più pericolosi di lui. Dice che non si aspetta che io lo capisca, né che lo perdoni o condivida il suo punto di vista o i suoi metodi, ma nella mia famiglia d'origine avrei avuto una vita da primogenito viziato, e avrei perso la stima di mio padre. Qualcuno doveva portare alla luce il mio valore» riassunse il ragazzo. «“Diecimila anni. Yanagi, il Maestro della Durezza dell'Inverno3”» lesse ad alta voce.
La scrittura era precisa ed elegante, perfetta in ogni suo tratto. Il nome e il titolo non sarebbero stati aggiunti da qualcun altro. Quel messaggio non poteva essere un falso, anche se forse il Maestro l'aveva scritto tempo prima, quando la mano non gli tremava per la malattia.
Silver dovette sedersi per terra, lì dov'era, e reggersi la fronte.
Sird gli si sedette accanto con la torica ancora accesa. «Sono tutta orecchi».
Il giovane non avrebbe dovuto aprirsi con lei. Era un grosso rischio. Però sentiva il bisogno di sbrogliare la matassa di sentimenti che, tutti insieme, lo stavano assalendo come un'onda. Il lutto restava il più chiaro e il più forte. Perciò la prima cosa che riuscì a fare fu piangere.
Aveva già avuto un assaggio di come sarebbe cresciuto senza l'intervento di Pryce. Sarebbe diventato un individuo disgustoso, pieno di vizi e capricci, con un ego gonfio e delicato come un pallone. Neanche Giovanni avrebbe apprezzato un figlio del genere. Persino lui, forse, si sarebbe segretamente disprezzato.
«Probabile» ammise Sird. «Ma facilmente non ti saresti attribuito alcun difetto, perché la tua morale sarebbe stata distorta. Pryce mi ha detto a voce che ti ha salvato come avrebbe salvato un'ottima idea da una pessima esecuzione. Stesso dicasi per tua sorella Blue, la bambina prodigio nata da due genitori anonimi e privi tanto di fantasia quanto di ambizione».
Silver divette sforzarsi per non ricominciare a piangere. Sentiva di essersi esposto troppo.
Si riprese la torcia, si alzò in piedi e fece per andarsene. La sua idea era di non voltarsi e di non salutare, ma in quel momento si sentiva troppo vulnerabile. Parlò nel buio mentre liberava il suo Honchkrow. «Grazie per avermi ascoltato».
«Figurati. Nella vita ho fatto infuriare molta gente. Mi hanno dato così spesso della “tro-i-a” che ho imparato ad ascoltare come una di loro. Dimenticavo: adesso, pagami».
Silver lasciò andare la zampa di Honchkrow prima di staccarsi da terra. «Scherzi?!».
«No. Ti ho battuto in una lotta Pokémon. Ed era una lotta sportiva, almeno a metà. Quindi ho diritto a un pagamento in denaro... a metà. La metà di quanto daresti a un Allenatore normale».
Lui si frugò nelle tasche. «Non ho soldi con me».
Non li aveva neppure a casa. Non nel buco in cui aveva scelto di vivere.
Sird si alzò in piedi e camminò sui tacchi alti, ostentando una certa spavalderia. «“Non ho soldi, pagherò poi”. Dicono tutti così...!».
Si fermò davanti al ventenne, molto più basso di lei. Gli mise una mano dietro alla nuca e mentre piegava la testa spinse piano il suo viso contro il proprio. Passato un primo momento di rigidità, il bacio divenne più naturale.
Sird allontanò la bocca colorata di rossetto al lampone e parlò a Silver come se gli avesse strappato una o due banconote. «Lo considero un pagamento in natura. Anche se hai una tecnica un po' acerba».
Il ragazzo sembrò preoccupato. «Ho fatto schifo?».
«Sei troppo bello per fare schifo. Ti manca l'esperienza».
Una parte di lui voleva aggrapparsi a Honchkrow e volare via. L'altra era lusingata dal suo giudizio, e lo teneva inchiodato al suolo.
Il rosso riaccese la torcia, per confermare il sospetto che aveva avuto sentendola parlare: in lei c'era qualcosa di diverso. Il suo viso era più fresco, i suoi occhi a mandorla erano scuri, le sue sopracciglia nere, la sua pelle chiara ma non bianca. Non era più emaciata ed inquietante come la ricordava. E nel complesso dimostrava un'età tra i venti e i venticinque anni.
Se si fosse trattato di un'altra donna, meno strega di lei, Silver avrebbe pensato di trovarsi davanti a sua figlia o a un suo clone modificato. Ma Sird del Trio Bestia, capace di trasformare le persone in pietra, doveva avere le mani nell'Occulto o nelle scienze affini.
«Hai fatto un patto col diavolo?» le domandò.
Lei sorrise e i suoi occhi scuri brillarono appena. «Perché sono giovane e sana? No. I patti col diavolo li fanno i bravi ragazzi. Riprova».
«Hai succhiato la linfa vitale di qualcuno».
«Vampirismo... un altro grande classico. No. Manca una terza ipotesi. Ti aiuto: puoi dirla in due modi».
Il giovane scosse la testa dai capelli rosso sangue. «Non lo so».
«O la chiami Acqua dell'Eterna Giovinezza, o lo chiami Elisir di Lunga Vita. Non posso dirti come e dove l'ho trovato... ma mi ha restituito salute e gioventù. E, ovviamente, la mia gamba ghiacciata è guarita. In barba a Lorelei, quella stronza!».
La Superquattro le aveva congelato una gamba senza neppure sapere dove fosse o cosa stesse facendo, servendosi di una bambola voodoo di ghiaccio creata a sua immagine dal Pokémon Jynx.
Silver accennò una risata. «Ora mi prendi per il sedere. Oltre alle acque curative del Monte Argento, esiste anche la Fonte della Giovinezza? No, dai... c'entra Celebi».
Celebi aveva qualche capacità taumaturgica e viaggiava nel tempo, seguendo una filosofia di vita e una logica tutte sue. Guariva chiunque incrociasse la sua strada, arrivando a resuscitare i morti, e non si preoccupava dell'effetto farfalla o di creare nuove linee temporali. Malgrado fosse molto amato dagli umani, alcuni Leggendari lo ritenevano un problema. Perciò aveva il permesso di spostarsi attraverso il tempo solo nei boschi sacri, dove si trovava a proprio agio e passava gran parte della sua tranquillissima, pacifica esistenza.
«Potrebbe. Ma io so chi sei e so cosa ti ho fatto. Non vengo dal passato».





 

*





Gong non meditava, rifletteva sdraiata sul letto della sua nuova, profumata e confortevole stanza, nel covo Rocket di Johto. Le avevano promesso che presto sarebbe diventata un Generale e per ora la stavano viziando. Aveva ancora molti Dominatori da risvegliare e avrebbe potuto dare consigli al Boss sul suo nuovo potere di “muovere la terra”. Era una risorsa. Meritava tutte quelle attenzioni e si guardava bene dal rifiutarle.
La voce di Raava era chiara nella sua mente: “Tutte le creature di puro spirito, in questo Sistema di Universi, sono maligne a causa delle influenze esterne” le spiegava il Grande Spirito. “Questo ha ripercussioni sul comportamento di tutti gli altri, compresi gli umani. Non possiamo lasciare le cose come sono”.
«Non mi pare che gli umani di questo pianeta siano particolarmente malvagi o aggressivi. Anzi, mi sembrano più tranquilli della norma» obbiettò Gong. Le sarebbe bastato pensare, ma preferiva ascoltarsi per giudicare quanto strane suonassero le sue parole.
“Sono solo più spaventati dagli Spiriti con cui hanno a che fare. Cercano di prendere il controllo, di raccontarsi storie sulla loro grandezza e ribellarsi... in verità, mostri come Yveltal o Arceus potrebbero annientarli in meno di un giorno”.
«Sì, ho capito che ci sono loro due che non ti piacciono. Ma tutti gli altri...?! Tutti gli altri, poverini...! Scommetto che sono loro a tenere a bada la mia specie, non il contrario!».
Raava rimase in silenzio. Non poteva confermarlo né negarlo.
«Dunque, come ci muoviamo? Ci dev'essere un altro modo per spostare l'Equilibrio verso la Luce! Io non voglio ucciderli tutti o quasi solo per far stare meglio un paio di Spiriti!».
“Un altro modo... non che io sappia, no. L'unico che potrebbe conoscerlo... è proprio l'ultimo che vorremmo incontrare adesso”.
La cieca sospirò. «Torniamo sempre a lui. Arceus. E se fosse disposto a chiarire la situazione e seppellire l'ascia di guerra? Voglio dire... te ne sei andata tu, dopo esserti accidentalmente scontrata con Yveltal, e senza un ultimatum».
“Perché lui aveva scelto di avvicinarsi al Male sfruttando l'Oscurità di Vaatu per generare un Demone, da affiancare a tutti gli altri mostri allora creati. Io... non credevo che avrebbe osato. Ero convinta che comprendesse la pericolosità del Buio”.
Il Demone in questione era il grande volatile Yveltal, Spirito della Distruzione. Arceus l'aveva creato per bilanciare la Luce incarnata dal cervo Xerneas, Spirito della Creazione. Quindi il suo comportamento non era sfociato, nel complesso, in un avvicinamento al Male. Però Raava, come Grande Spirito della Luce e della Pace, non poteva comunque accettarlo.
“Il mio punto di vista è rimasto inalterato da allora, e così il suo. Perciò non vedo come potremmo dialogare” insisté. “Inoltre... non voglio coinvolgere Giratina”.
La monaca rifletté. Se ne uscì con la più stupida e meschina delle sue idee: «E se incolpassimo solo Lunala? Voglio dire... poverina, ma la più cattiva è lei».








 
1Bara è “rosa” (il fiore) in giapponese. È anche il nome originale di questa qui. L'accento, nella trascrizione in in Romanji col sistema Hepburn (l'attrice non c'entra, forse i loro “giochi di parole” col suo cognome sì) non ci vuole, però ce lo metto perché qualcuno non pensi alle bare da morto ''^_^
2“there you are, filthy peasant!” detto a Katara è una delle frasi più famose di Azula.
3Yanagi è il nome originale di Peyce. Ho usato la traduzione letterale del suo titolo in inglese (giapponese?) perché per me rende meglio l'idea.








AUTRICE: non dico niente. Scusate se ho pasticciato un tantino... ç_ç








 

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Capitolo 19
*** Tempo ***


19. Tempo




Mentre discuteva con Raava, Gong aveva perso la cognizione del tempo.
Aveva l'impressione di essersi assopita da poco, quando la svegliarono bussando. Forse era ora di tirarsi su, sotto terra senza il calore del sole era impossibile capirlo.
«Chi è?» domandò ad occhi chiusi, con la voce impastata dal sonno.
Chiunque fosse dall'altra parte, dovette pensarci su prima di identificarsi. Era una Recluta del Team Rocket, e aveva bisogno di parlarle urgentemente. La monaca l'avrebbe volentieri mandato via se non avesse temuto di indispettire il Boss.
Si alzò dal letto contro voglia e andò ad aprire la porta chiusa a chiave. Non si fidava di tutti, in quella struttura. Non era come in monastero.
Il ragazzo davanti a lei, anche se la cieca non poteva saperlo, indossava effettivamente una divisa Rocket. L'aveva rubata per infiltrarsi. Stava rischiando grosso.
Appena lei gli aprì, schizzò dentro come una lepre.
«Chiudi» la pregò. «Giuro che non sono armato. Voglio solo parlarti di una cosa importante. Almeno, importante per me...».
«Di che si tratta?» gli domandò la ragazza, chiudendosi la porta alle spalle.
Lo sconosciuto non sapeva da dove cominciare.
«So che tu sei una specie di Sensitiva. E io sto avendo un problema con la mia vita passata. Non ci capisco ancora molto, ma... una Dominatrice del Fuoco di nome Azula mi ha aggredito, convinta che io sia la reincarnazione di suo fratello. Mi hanno detto che tu puoi fare due cose: o togliere il potere del Fuoco e la memoria a lei, o risvegliarli in me».
«Aspetta... hai detto Azula? La Principessa Azula, la Dominatrice della Fiamma Azzurra?».
«Il suo fuoco è azzurro, sì».
«E perché è convinta che tu fossi suo fratello?».
«Non lo so. Gliel'ha detto una Rocket di nome Sird. Lei voleva che ci distruggessimo a vicenda».
«Sird?! La conosco: è buona!».
«È una delle persone più crudeli che io abbia mai incontrato. Se sto interpretando bene ciò che è successo, ha rischiato di danneggiare molte vite solo per rovinare la mia. Allora... puoi aiutarmi?».
La ragazza faticava a farsi andare giù un giudizio così duro sulla sua amica. Ma si avvicinò al giovane che poteva essere Zuko e gli premette il pollice sulla fronte e l'altra mano sul petto.
Non successe nulla. D'altronde, apparentemente, non succedeva mai nulla. Nessuna benedizione dall'alto, nessuna manifestazione sovrannaturale.
«Allora?» incalzò la ragazza. Aveva già incontrato Toph Beifong ad Alola, reincarnata in una ragazzina di nome Hapu. Lei aveva ricordato tutto in meno di un giorno.
«Non è successo niente...» obiettò lo sconosciuto. «Il mio nome è Red, comunque».
«Prova ad incendiare qualcosa».
«Sei matta?! E se ci sfuggisse di mano?!».
«Non possiamo sapere se sei un Dominatore del Fuoco, finché non provi a usare il tuo Fuoco! Dai, sarà un incendio piccolo!».
«Come non detto. Scusa se me ne vado così in fretta, è che qui rischio la pelle. Soprattutto con Sird in giro».
Stava per prendere la porta ricapitolando quali Pokémon avrebbe usato se fosse stato scoperto e aggredito da delle Reclute, che di solito disponevano di poche scelte ed erano deboli. Gyara il Gyarados avrebbe potuto mangiarsele da solo.
Red aveva appena aperto la porta. La richiuse. Si voltò verso la ragazza colto da una preoccupazione improvvisa. Aveva suoi i amici mostri con sé, ma ne sarebbe sempre mancato uno. Quelli della sua specie vivevano secoli, se non finivano uccisi. «Che ne è stato di Druk?!».
La cieca gongolò. «Ogni tanto lo avvistano e finisce sui giornali, o in televisione. Forse, proverò ad avvicinarlo nella prossima vita. Ora mi sputerebbe in faccia. E, sai com'è... vorrei evitare di finire abbrustolita».
Dopo di lei, l'Avatar sarebbe rinato nella Nazione del Fuoco. Avrebbe avuto un rapporto speciale con quell'elemento. Per adesso, considerando le sue carenze, i draghi non erano gli animali giusti per Gong. Quasi si vergognava a parlarne con un Signore del Fuoco.
Red scosse la testa. «Druk è buonissimo. Non farebbe del male a una mosca. È un drago adulto, poche cose lo fanno sentire minacciato, e lui ti attaccherebbe solo se si sentisse in pericolo».
Detto questo, la prese per un polso e fece per condurla fuori dalla stanza con sé. «Immagino che tu non sia venuta qui di tua spontanea volontà. Questi sono dei criminali, tu sei l'Avatar. Andiamocene».
Gong gli oppose resistenza proprio sulla soglia. Parlò in cinese, sottovoce: «No, aspetta! C'è un ostaggio. Hanno preso una mia amica. Se scapperò, le faranno del male. Sird avrebbe dovuto convincere Giovanni a liberarla... ma se dici che è così cattiva...».
«Dove tengono la tua amica?» le domandò Red, sempre in cinese. Era strano sentire la propria voce parlare fluentemente una lingua che, allo stato normale delle cose, lui non avrebbe dovuto conoscere.
«Non lo so» si lamentò la cieca. «Non so neanche se è in questo edificio o altrove».
Più Red rimaneva nel covo del nemico, più i rischi aumentavano.
«Devo andarmene. Mi dispiace. Tornerò con un piano e dei rinforzi».
Gong gli tirò la manica. Sembrava quasi disperata.
Non potendo più fidarsi di Sird, era obbligata a cercare aiuto altrove. «Aspetta! Tu sai dove posso trovare Arceus?».
«No, io no. Ma, appena puoi, vai a Borgo Foglianova e chiedi di Gold. Fingi di dover riscuotere un debito di gioco. Lui ti darà informazioni su quel Pokémon».
Con queste parole, Red la congedò e percorse rapido il corridoio, passando davanti alla statua di Persian nel cui occhio sinistro era nascosta una telecamera. Sperava che la sua fretta passasse per zelo, o magari per imbarazzo. Gong poteva dare ordini alle Reclute ma, considerando l'ora tarda, il tempo trascorso nella sua camera da letto e i sussurri in cinese sulla porta, i sorveglianti avrebbero pensato a una tresca.





 
Due settimane dopo




Lorelei era stata svegliata, o così le era parso, dal vagito di un bebè.
Si era trasferita nella Palestra di Mogania di cui sarebbe diventata ufficialmente Capopalestra. Era stato il Campione Lance a volerla lì, a tutti i costi. E Lance era cocciuto.
Lorelei avrebbe ereditato il posto di Pryce, in qualità di Specialista Ghiaccio, per non stravolgere l'equilibrio tra Tipi venutosi a creare negli ultimi decenni. E per evitare che quella Palestra vuota andasse a Valerie o ad un altro Specialista Folletto.
La ex-Superquattro raggiunse la sala principale assieme al suo fidato Dewgong. Tra quei muri gelidi, la voce inconfondibile di Lunala intonava come ninna nanna una vecchia canzone di tutt'altro genere.
Si era accovacciata in un angolo, al buio. Aveva un fagottino in braccio e lo cullava. Il piccolo non piangeva più e Lorelei si sentì gelare. Lo strappò dalle braccia della vampira e lo scoprì un poco. Respirava, era solo addormentato.
Sulla sua coperta artigianale e sul pigiama erano ricamati dei Dratini azzurri.
«Di chi è questo bambino?!».
Lunala fece la misteriosa: «Non te lo dico».
I ricami parlavano al posto suo.
«Non sarà...?».
«Non dico niente».
Considerando l'età e i draghi, non poteva essere che il figlio della Maestra Drago Clair e di suo cugino, il Campione Lance. Lunala gli aveva messo gli occhi addosso perché, nella sua mente malata, era un candidato perfetto per sostituire il suo Cosmog, generato dalla relazione incestuosa tra lei e Solgaleo.
«Vuoi che Mogania sia attaccata e rasa al suolo da due Maestri Drago inca... hai capito?! Da quanto tempo è con te?!».
«Mah... un'ora... un'ora o due.., mezz'ora... che ne so?!».
«Era a casa di sua madre o di suo padre?».
«Era con la sua mamma. Anche se lei non gli vuole bene».
«Sciocchezze!».
Clair si era lamentata moltissimo durante la gravidanza, perché la maternità non era tra i suoi progetti. Tuttavia, era impossibile che non si fosse affezionata al pupo.
«Quando l'ho preso in braccio, piangeva e nessuno veniva a controllarlo. Dai, lascialo a me! Me lo merito! Cavolo... non so se mangiarlo di baci o mangiarlo e basta! Lo vedrei bene su un letto di insalata».
Lorelei non era sicura che scherzasse. «Oh, sta' zitta!».
«Mi sembra ieri che Darkrai era una malinconica pallina di oscurità, e Cresselia uno stressamte, piccolo ovale di luce... e ora sono grandi. E il mio Cosmog non ha più bisogno di me...!».
«Corri a riprenderti Cosmog. Adesso. Io riporto il bambino a casa».
«No, dai! È mio! Il Lancettino è mio! Non poso riprendermi Cosmog: l'ho affidato alla nutrizionista».
Lorelei dovette correre fuori dalla Palestra col fagottino addormentato tra le braccia per impedirle di agguantarlo. Lunala assunse la forma di una lupa bianca e la inseguì senza troppa convinzione. Un pargolo umano non era all'altezza del suo Cosmog.
In strada, di notte, c'erano le ronde del Team Rocket a sorvegliare la città.
Quella volta, la ex Superquattro fu particolarmente sfortunata. O forse, la aspettavano già in agguato appena girato l'angolo.
«Lore-lei!» scandì beffarda la voce di una donna. «Mia tinta e formosa nemesi!».
La Capopalestra restò come paralizzata: Sird.
Accanto a lei, con il braccio a cingerle le spalle nella luce dorata dei nuovi e costosissimi lampioni in ferro battuto, c'era un uomo muscoloso e rosso di capelli, vestito da Recluta. La sua perfetta controparte, come la Volpe per il Gatto.
Lorelei aveva una cugina a Kalos, Malva, Specialista Fuoco e anche lei ex Superquattro. Malva era stata iniziata alla criminalità e portata alla rovina proprio dal fulvo che Sird si portava appresso. Lui era stato il destinatario della maggioranza delle prime interviste condotte dalla cugina, perciò Lorelei non ebbe difficoltà a riconoscerlo. Malva lo venerava e si era distrutta la vita per seguirlo, nonostante Lysandre non ricambiasse i suoi sentimenti. Nel disperato tentativo di salvarlo da una caduta fatale o terminare i suoi giorni con lui, si era fratturata le vertebre. Era rimasta sulla sedia a rotelle, paralizzata dalla vita in giù e disperata più per la presunta morte di lui che per la propria condizione. Non era finita in prigione solo perché Diantha si era messa in mezzo e aveva garantito per lei, nonostante Malva la odiasse, la invidiasse e la ritenesse una rivale. Ora, la Campionessa la teneva ai domiciliari in una delle sue ville, dove almeno aveva un parco per uscire e riceveva degli aiuti da un personale qualificato a spese dell'attrice.
Diantha si era comportata come se si sentisse in colpa.
Il loro comune amico Lysandre, invece, evidentemente non provava rimorso. Non solo era misteriosamente sopravvissuto ed era venuto a Johto senza interessarsi di Malva, ma camminava sulle sue gambe e frequentava un'altra. La donna peggiore del mondo.
Sird, a completare quello scherzo di Halloween di metà settembre, appariva ringiovanita.
Aveva un occhio grigio e uno scuro, due ciocche bianche tra i capelli neri e il mignolo sinistro mozzato. Dava l'idea di cadere a pezzi, ma stava fin troppo bene per quello che la Superquattro le augurava.
Lorelei strinse con più forza a sé il bebè mentre la lupa bianca Lunala la affiancava. Quei due non potevano vederla, non dettero neppure l'impressione di essersi accorti di lei.
Sird lasciò uscire la sua Persian, Lysandre il suo Pyroar. Entrambi i felini si scagliarono correndo sulla donna col neonato in braccio.
La lupa Lunala saltò davanti a lei e assunse la sua forma originale, tornando visibile ai due aggressori e ai loro Pokémon.
Se ne furono sorpresi, loro lo nascosero bene.
Con un movimento delle sue enormi ali, la Leggendaria si scrollò si dosso i due felini, caricò un raggio di luce e lo diresse sul Pyroar. La Persian la aggirò, schizzò rapida come un fulmine davanti a Lorelei. Con la mossa Furto le strappò il fagottino e le graffiò un braccio. Corse via reggendo per il pigiama il marmocchio urlante.
Lunala si lanciò all'inseguimento. Ma una MegaBanette e un MegaGyarados azzurro, la prima uno Spettro e il secondo un doppio tipo Acqua/Buio, le tagliarono la strada. Il Pokémon Lunare aveva una spiccata debolezza verso due dei loro Tipi, perciò partiva svantaggiata.
Esitò e li studiò entrambi. Infine si lasciò alle spalle i comuni mortali e volò verso la luna crescente, seguita dalle sgradevoli risate della MegaBanette.
Lorelei si trovò da sola a lottare con i suoi Pokémon contro due Allenatori e due Squadre.



 
*




Lei gli aveva telefonato per spostare il luogo del loro appuntamento. Gli aveva chiesto di raggiungerla al Bosco di Lecci, se possibile proprio sul sentiero per Fiordoropoli davanti ai primi alberi.
Il giovane arrivò puntuale, aggrappato alla zampa di Honchkrow. La donna era già lì.
Stavolta in lei non era cambiato niente, il suo occhio sinistro era ancora scuro, i suoi capelli ancora neri salvo un paio di ciocche. Però aveva in braccio un neonato e gli stava dando del latte artificiale in un biberon.
Silver fu sul punto di tagliare la corda e Weavile con lui.
«Tranquillo, questo non è per metterti fretta» lo fermò la Dominatrice dell'Aria. «E neppure per insegnarti a rapire i bambini. Vieni, dobbiamo portarlo nel bosco».
«Vuoi abbandonare un bambino nel bosco?!».
«C'è una prima volta per tutto...».
«Stai scherzando. Da dove viene? Perché mi hai coinvolto?».
«Lui è il figlioletto di Lance e Clair. Non sono stata io a rapirlo. E ti ho coinvolto per una questione collaterale. Seguimi e basta».
Ogni volta che Silver si ostinava a considerarla normale, lei faceva qualcosa di strano.
Durante il loro terzo appuntamento, l'unico nel Covo Rocket, gli aveva tirato addosso del sidro di mele perché lui lo fermasse a mezz'aria, scoprendo così il suo Dominio dell'Acqua.
Quella volta, era stato Giovanni in persona a convocare il figlio nei sotterranei di Mogania. L'aveva costretto ad incontrare la sua nuova Sensitiva cieca. Il rosso, dopo averle stretto la mano, aveva cercato di sollevare a distanza un sasso. Ma ogni suo sforzo era stato vano. Il Boss era rimasto deluso dal suo fallimento. Aveva rimproverato aspramente la ragazza.
Silver l'aveva difesa e, dopo aver calmato il padre, si era diretto agli alloggi di Sird fingendo di voler tornare da solo all'uscita. La donna gli aveva offerto da bere e gli aveva spiegato come lui, indipendentemente dalle abilità di suo padre, non potesse essere altro che un Dominatore dell'Acqua. Da bambino aveva scelto un Totodile ed era stato scelto da uno Sneasel.
Per dare forza alle sue parole, la Dominatrice dell'Aria gli aveva tirato il sidro di mele alcolico in faccia. Lui l'aveva fermato a mezz'aria.
Ora, nel Bosco di Lecci, il suo comportamento andava oltre l'eccentricità.
Silver non voleva rendersi complice proprio di quel crimine. Non si spiegava perché le stesse facendo luce con la torcia, mentre lei portava nel bosco il neonato rapito.
«Perché siamo qui? Avanti, dimmelo!» la pregò il ragazzo.
Sird gli passò il pupo e si prese la torcia per spegnerla.
«Perché... per quanto vicina fosse Ebanopoli, saremmo comunque arrivati troppo tardi. E perché, caro il mio corvetto, ti ho mentito: un po' strega lo sono davvero. Yanagi!» chiamò.
Le rispose una folata di vento. Un attimo dopo, tutto attorno a loro prese a soffiare un vento polare. L'impressione era di trovarsi in un cerchio magico, dove la neve non cadeva e il vento non arrivava.
Il Maestro del Duro Inverno si manifestò in forma semi-umana. Indossava un'ampia veste nera, il suo corpo era ancora umanoide per il poco tempo trascorso dalla sua dipartita. I capelli ricadevano bianchi come cotone sulle spalle gracili, il suo volto era nascosto da una maschera di ghiaccio. La stessa maschera che aveva indossato in vita.
Il vecchio prese le mani tiepide della strega nelle proprie: «Altezza...!» la salutò.
Levitando a mezz'aria, Maschera di Ghiaccio si lasciò alle spalle la donna e si avvicinò a Silver.
«Sei qui...! Immagino che tu sia stato attirato in questo bosco con l'inganno. Hai ricevuto la mia lettera?».
La faccia sorpresa e atterrita del suo discepolo fu l'unica risposta che ottenne. Il ragazzo non riusciva a parlare, non riusciva neppure a girare i tacchi e correre via con o senza il bambino rapito in braccio, e non perché fosse stregato. Ma anche il pensiero per uno Spirito era abbastanza.
Sird prese la parola: «Signor Yanagi... sa che se la fortuna ci avesse avvicinati prima, sarei rimasta con lei molto più a lungo. Sicuramente tornerò a trovarla. Ora, però... siamo qui per parlare con Celebi».
Nessun mortale avrebbe strappato il Pokémon Tempovia al suo nuovo Guardiano. Celebi poteva permettersi in tutta tranquillità di avvicinarsi a chiunque, persino ai malintenzionati.
Lo spiritello comparve davanti ai loro occhi proprio mentre Maschera di Ghiaccio andava a chiamarlo. Silver provò a farglielo notare, ma lo Spirito non tornò indietro.
Sird gli dette una spiegazione rapida: «Celebi è venuto qui perché Maschera di Ghiaccio lo informerà del nostro arrivo. La sua comparsa garantisce che questa sequenza di eventi debba verificarsi. Non ti ci arrovellare o uscirai di senno».
Il Pokémon Tempovia li studiò entrambi. «Tu sei il capo degli androidi...» disse a Silver. «E tu, Mercurio... ci siamo già incontrati».
Confondeva il futuro con il passato. Per lui, anzi, il futuro non esisteva, e ogni avvenimento aveva luogo in un diverso piano del presente, già visitato o meno.
«Il capo di cosa?» domandò spaesato il ragazzo.
La donna gli sussurrò di lasciar perdere.
«Voi volete tornare al tramonto...» continuò sicuro il piccolo Leggendario.
«Noi vogliamo tornare indietro, all'ora dell'ultimo tramonto» confermò Sird.




 
A Sinnoh


«Non è meglio qui che nell'osservatorio?».
«No. È il contrario» replicò Cyrus.
La sorella l'aveva trascinato in piena notte sul tetto dell'edificio che da sempre ospitava il loro quartier generale.
Insisteva perché guardasse le stelle dal vivo.
«Non abbiamo neppure un telescopio, qui. Chi ha smontato quello vecchio?».
«E che te ne fai, del telescopio?! Avanti, non dirmi che questo cielo non ti piace!».
«Lo apprezzo. Dico solo che potrebbe essere osservato meglio».
Diantha sospirò. «Ma il vento...! La notte...!».
Il Mandato del Cielo Chingling saltellò sulla spalla della donna per dare enfasi alle sue parole. Aveva scelto lei perché era equilibrata ed empatica, molto più della sua reale padrona. In passato, a Nevepoli, era già stato lasciato in sua compagnia. Lui la considerava una specie di reggente. In tempi più tranquilli l'avrebbe preferita alla madre. Ma, nella sua mente di Pokémon, l'impero di cui incarnava l'unità doveva ancora essere ricostruito.
Il geniale, temibile Cyrus era invece l'esatto contrario di sua sorella: un tetragono blocco di ghiaccio. Indifferente tanto al lei quanto a qualsiasi ragazza avrebbe potuto trovarsi al suo posto.
Persino l'emotività dello Weavile accanto a lui, Umbriel, era congelata. Il Pokémon non mostrava espressioni. L'Honchkrow Titano era così serio che neppure aveva spiccato il volo, e Tritone, il Gyarados, orbitava intorno al tetto assieme al Magnezone Pan.1
Diantha gli si avvicinò per toccargli il braccio. «Andiamo! Sei peggio degli androidi!» lo supplicò.
Era serena e rilassata, quando una voce maschile alle loro spalle la fece sussultare e rabbrividire. «Yan Hua» scandì. Quella voce, lei non l'avrebbe mai dimenticata. «O muori tu, o muore lui».
Chingling divenne torvo e suonò il suo stridente trillo di guerra per inibire i poteri dei nemici.
Quello era il genere di situazione che sua madre avrebbe affrontato meglio di lei.
Il Trio Oscuro di Mogania, al servizio di Ghecis Harmonia, l'aveva rintracciata dopo diciassette, lunghi anni. Diantha non capiva come. Rimase rigida e immobile mentre la Megapietra si attivava e MegaGardevoir attaccava i Bisharp nemici alle sue spalle, affiancata da Umbriel e Titano.
Tritone e Pan si preparavano a intervenire in caso di un fallimento della prima linea.








 
A Johto. Al tramonto (sei ore prima)
 


Stavano volando seduti su Starmie verso Ebanopoli, dando le spalle al sole del tramonto.
«Ripetimi cosa dovrei fare» riprese Silver.
«Devi mettere il pupo in braccio a Weavile e, appena la vampira avrà portato via il suo doppione, farglielo rimettere nella sua cuccia. Culla, nella sua culla. Ovviamente, senza farsi vedere dalla suddetta vampira o dalla madre. Una potrebbe manifestarsi nella forma di demonio infuriato, l'altra di un animale bianco».
«Ora ripetilo lentamente. Ma senza lo strafalcione fasullo della cuccia e la battuta del demonio infuriato».
Sird si prese un attimo per riflettere. «È la vampira, che ti turba? Non sarai mica come tuo padre?!».
«Perché? Com'è mio padre?».
«Il Signor Giovanni ha paura dei vampiri. E di tutto quello che, animato o inanimato, potrebbe dissanguarlo. È un fenotipo Bombay, ciò gli rende molto difficile trovare del sangue compatibile per le trasfusioni di emazie. Ci sono troppo pochi umani, su questo pianeta. Se non ci credi, ricordati che lui risulta di gruppo 0 mentre tu sei AB. Te lo dico perché la prima cosa che viene in mente, comparando i vostri dati, è che non possiate essere padre e figlio2».
Il ragazzo alzò un sopracciglio: «Se lo dici tu...».
Prima, Sird gli aveva fatto spegnere il cellulare perché non intercettasse la chiamata destinata al suo equivalente di sei ore prima, quella che aveva o avrebbe spostato il luogo del loro appuntamento. L'orologio si sarebbe sincronizzato con l'orario corrente in un secondo momento.
Ora, faceva la genetista. Per conto di Giovanni si era occupata del progetto Deoxys, il virus alieno mutato dalle radiazioni che avrebbero dovuto sterilizzare l'asteroide su cui si trovava. Perciò l'ambiente scientifico non doveva esserle completamente estraneo.
«Sei cresciuta in un laboratorio?».
«Ni» fu la risposta.
La divisione delle scienze in un mondo come il loro era molto sfumata. Per studiare creature come Celebi, i biologi dovevano avere una conoscenza almeno sommaria della logica dei viaggi nel tempo, e per prevedere il comportamento di una vera macchina del tempo pensante come Dialga, i fisici e gli ingegneri dovevano avere competenze di zoologia.
Anche se Sird sembrava conoscere i viaggi nel tempo solo dal punto di vista pratico, non avendo accennato a niente sulla loro teoria, per la disinvoltura con cui li affrontava poteva essere il braccio pensante di uno scienziato pazzo.
«In due laboratori?» tentò di nuovo il rosso.
«Per carità! In un laboratorio e mezzo. Il mio padre adottivo è una specie di scienziato. Il mio padre biologico, invece, produceva eroina nel nostro scantinato. Con il senno di poi, ho capito che cos'era quell'odore! Immagino che questo valga a metà».
Silver rimase serio e parlò a voce bassa, per non svegliare il marmocchio: «Stai scherzando...».
«Sì, sulla parte della produzione di eroina. Mio padre era solo un consumatore, così come mia madre. Lui se n'è andato dopo l'ennesima lite violenta e l'ennesima accusa formale di disturbo alla quiete pubblica. Qualche mese dopo, in estate, mia madre ha avuto una ricaduta ed è andata in overdose nel bagno di casa. Era notte, io mi ero svegliata per qualche motivo e l'avevo trovata sul pavimento. Avevo cinque anni, non sapevo chiamare i soccorsi, quindi sono uscita per andare a chiedere aiuto al vicino. Ma lui era in vacanza. Così sono arrivata in fondo alla strada e da lì in poi non ricordo nulla. Ho un vuoto».
Questo poteva essere vero. Sird sapeva moderarsi, lontano dal lavoro era più ruvida che viscida, però aveva un temperamento aggressivo e una personalità danneggiata. Qualcosa, nel suo passato, doveva averla violentemente spinta fuori dai binari. Probabilmente era stata salvata in extremis da una situazione molto pesante, a un passo dal suo punto di rottura.
«Mi dispiace» replicò il ragazzo.
Le posò una mano sulla spalla, lei accennò un mezzo sorriso e gli offrì le labbra.
«Lascia perdere» gli disse finito il bacio. «Pensiamo a restituire questo piccolo impiastro, prima che sporchi il terzo pannolino».
Silver avrebbe voluto stare zitto. Aveva pronunciato fin troppe parole per i suoi standard, non voleva che lei lo scambiasse per un chiacchierone. Ma era rimasta in sospeso una questione: «Chi sarebbe, il tuo padre adottivo?».
Non era la prima volta che gliene parlava. A suo dire era stato quell'uomo a regalarle Starmie, allora uno Staryu, ispirandosi al significato del suo nome. “Sird”, col suo suono nordico e aspro, era la deformazione aliena di una parola latina che significava solo “stella”3. Era un nome piuttosto comune, dalle sue parti, nella sotto-popolazione albina.
La donna si strinse nelle spalle. «Mio padre è... uno che vorrebbe considerarsi uno scienziato, ma forse ha solo qualche tara caratteriale e un numero imprecisato di rotelle fuori posto».
Silver rimase sorpreso dalle sue parole. «Che giudizio duro!».
«È quello che lui dice di se stesso quando scherza. Ma anche quando è serio. Si è già pentito della maggioranza dei suoi esperimenti. A suo dire, più o meno di tutti, tranne di quello che mi ha portata qui. Anche io sono un suo esperimento».
Il ragazzo aggrottò la fronte e trasse le sue conclusioni: «Hai a che fare con uno scienziato malvagio di uno di quei gruppi criminali simili al Team Rocket?».
«Sì, ma non posso dirti altro. Perché se lo facessi, dovrei ucciderti».
«Mio padre lo sa?».
«No».
Mentre parlava, Sird era tornata allegra.
Non gli stava rivelando un segreto scottante. Era tutta una grossa, articolata favola come quella del laboratorio nel seminterrato. Giovanni non avrebbe permesso a una talpa di infiltrarsi nel Team Rocket. E nessuna spia avrebbe trovato il coraggio di ingannare il Boss dell'organizazione criminale più potente del pianeta e confessarsi a suo figlio.
«Stai scherzando» concluse Silver.
«Mi hai beccato. Papà è un vecchio, noioso e grigio scienziato in pensione che mi ha raccolta appena sono arrivata sul vostro pianeta da uno dei wormhole aperti dai Leggendari Solgaleo e Lunala. Sa poco o nulla della brutta piega che ha preso la mia vita, o delle mie attività illegali».
«Non è vero neanche questo!».
«La macchina della verità! Fai una sintesi tra le due versioni. Com'è che capisci quando mento?».
«È facile. È quando tenti di sembrare troppo spaventosa, o troppo strana... o troppo normale».
Sird si toccò nervosamente il viso. «Hmm... sai che non sei il primo a farmelo notare?».







 
A Johto. Primo pomeriggio (dodici ore prima)




Gong camminava di fretta verso Borgo Foglianova cercando di seminare Lysandre. L'uomo la infastidiva da due settimane perché non approvava la sua ascesa così rapida. Mentre lei era subito diventata Generale, lui era ancora una Recluta e non godeva della simpatia di Giovanni. Non si sarebbe mai liberato di quella divisa da “sfigato”. O così pensava la ragazza mentre cominciava a correre, come se quell'uomo tutto arti marziali, sport e palestra non fosse in grado di raggiungerla.
Alla fine, Gong saltò su una sfera di vento e si appoggiò alle vibrazioni dell'aria per vedere dove andasse. Rischio di finire contro un paio di alberi, poi contro il cartello sistemato per i visitatori alle porte di Borgo Foglianova. Tutto per mettere un po' di distanza tra sé e quel villano.
Da lì in poi cominciò a fare scena.
Camminò a testa alta sfoggiando sfacciatamente la grande R rossa sulla sua divisa bianca da Generale. Liberò il suo scontroso Shuckle e la graziosa, aristocratica Togetic.
Erano le due del pomeriggio e Gold dormiva sul suo divano. Non le andò incontro, benché Red l'avesse pregato aspettarla.
Suo malgrado, Lysandre la raggiunse per primo.
«Lasciami in pace! Va' via! Devo riscuotere un debito di gioco, non mi serve una Recluta per farlo!».
«Questi sono lavori da poveracci, mademoiselle. Permettimi di sostituirti».
«Marmellata un cavolo! Questo compito è stato affidato a me!».
«Perché hai insistito. La mia domanda è... perché hai insistito?».
«Perché Gold è amico di Silver e Silver è il figlio del Boss. Nessuna Recluta ha il coraggio di toccarlo, per questo ha accumulato un debito così alto! Fosse stato qualcun altro, gli avremmo già pignorato fino all'ultimo pokimon!».
«Ottima risposta...» approvò il rosso.
Però non le credeva. Era chiaro che non le credeva.
Gong era venuta per quel ragazzo, ma le mancava un dato importante: «Dove... dove abita, l'Allevatore Gold?!».
Lysandre non se lo fece ripetere. Non indicò una casa, ma usando le dita come elettrodi generò dell'elettricità e la rilasciò verso il cielo sereno, in un fulmine capovolto.
Il suo boato fece tremare le case vicine e risvegliò il Dexholder addormentato.
Un geco bianco attacato al muro di una villa poco lontana perse l'ederenza, cadde e atterrò sull'erba nella forma di una volpe delle nevi. Invisibile all'occhio umano e alla maggioranza dei Pokémon, trotterellò a sistemarsi in un posto più riparato, all'ombra, e continuò a spiarli da lì.
Il Pichu di Gold, Pibu, si lanciò fuori casa per vedere cosa fosse quel tuono. Fu seguito immediatamente dal suo Allenatore.
Il Togekiss Togebo li superò entrambi e volò dritto verso la Togetic Kokachin prima di averla messa a fuoco. Gold si comportò allo stesso modo con la ragazza dagli occhi verdi, ignorando il suo molesto accompagnatore.
«Ciao! Tu sei la nuova Rocket!» la salutò il Dexholder, quasi fossero compagni di scuola. Le sue spalle erano troppo in alto per lui, perciò le mise un braccio attorno alla vita. «Mi chiamano Gold, perché sono un ragazzo d'oro».
«E perché tua mamma ti ha dato quel nome» obiettò Lysandre.
Gold si rivolse a lui distrattamente. Era solo una Recluta, e tutte le Reclute erano scarse in combattimento; quindi, non era pericoloso. «È la tua ragazza?» gli domandò. «Cavolo, sei troppo vecchio per lei!».
«Non sono troppo vecchio per lei, ma non l'ho mai vista nuda. Per adesso».
«Porta rispetto a una signorina, Barba-rossa! Vero? Posso offrirti un caffè? Tè? Latte? Vodka, rum, whisky...? Vieni in casa, così ci pensi. Sei carina, per essere così alta».
Togebo volava attorno a Kokachin per mostrarle la fantasia a triangoli sul bianco brillante del suo addome e la sua notevole apertura alare. Lei fingeva di ignorarlo ma faceva la civetta mentre camminava seguendo l'Allenatrice.
Gold la fece entrare e chiuse la porta.
«Guarda che ti brucia la casa» lo avvisò la ragazza. «È matto. Non farti ingannare: sembra tranquillo ma poi fa cose strane. Tipo il fulmine di prima».
Il ragazzo aprì la porta e sorprese Lysandre ad esaminare il legno degli infissi. La volpe bianca, invisibile, era proprio accanto a lui e teneva il muso rivolto verso la sua faccia, per memorizzarla.
L'uomo entrò e l'animale restò fuori.
Lunala non entrava mai nelle case degli umani, se non invitata.
«Allora... » ricapitolò Gold senza pensare, «Tu sei venuta qui per delle informazioni sul Primevo Arceus, giusto?».
La volpe alla finestra drizzò le sue bianchissime orecchie.
«Beh, è un mio amico» si vantò il ragazzo.
Lysandre soffocò una risata. «Immaginario» aggiunse.
«Oh no! Non sono riuscito a farmici una foto, però l'ho incontrato ed esiste! Esiste eccome! Potrebbe pure venire qui adesso e prenderci a calci!».
Il Kalosiano sospirò e scosse la testa. «Parli di quel Leggendario muta-Tipo simile a un cavallo? A seconda di dove viene avvistato, può diventare o un lama o una capra».
«Sì... lui. Vacci piano, coi paragoni!».
«Dicono che sia potente. Ma non più potente degli altri Leggendari. E soprattutto, non ci sono prove che abbia creato niente. Figuriamoci un intero Sistema di Universi!».
«Miscredente pagano...!» masticò incurante il giovane. Tradizionalmente, i Kalosiani negavano l'importanza di Arceus, dei suoi Guardiani dei Laghi e dei suoi tre Draghi. Attribuivano il merito della Creazione al loro Xerneas, dell'Equilibrio a Zygarde, e della Distruzione a Yveltal. Lo stesso Giratina era un figura minore, nella loro mitologia, rispetto al grande volatile.
Dall'altra parte, gli abitanti della Nazione del Fuoco ai tempi della Guerra erano stati educati a rigettare lo spiritismo, perché nessun timore dell'ultraterreno frenasse le loro ambizioni di conquista.
Le parole di quell'uomo esprimevano una sintesi tra le due correnti di pensiero.
«Allora, cara signorina Gong... cosa vuoi sapere?».
Fu di nuovo il rosso a rispondergli: «Se è vero che il Primevo si è scordato in giro la Lastrafolletto quando si è ripreso le altre».
Gold si preparò a rispondergli per le rime. Prese fiato, aprì la bocca e poi la richiuse. Raccolse le idee: «Guarda che stavo parlando con lei! Gong, chiedimi qualcosa di sensato...».
«Lui è un Allevatore, Yueguang. Raccontagli del tuo Cosmog».
La volpe bianca rischiò di cadere dal davanzale per la sorpresa.
La voce della cieca tentennò: «Il mio... Cosmog...?».
«Esatto. Moon nelle prigioni Rocket è disperata, sta fornendo informazioni nella speranza di essere liberata in cambio» le spiegò distrattamente il rosso. Poi, di nuovo, parlò al posto suo come se si credesse il suo avvocato: «La signorina Shan ha lasciato un Cosmog nella Residenza Aether. Questo esemplare non sta bene, un incidente l'ha reso deforme. Si muove poco, mangia poca energia e non cresce. È lontanissimo dall'evoluzione».
«Se si tratta di evoluzioni, senza metterci di mezzo la teoria e le pippe mentali, quella brava è Blue. È la figlia dei Leaf di Kanto, ora vive con loro. È molto sveglia, però l'hanno rapita da bambina e tenuta prigioniera per degli anni. Per questo non va più via di casa».
Lunala memorizzò il nome e spiccò il volo nella forma di una colomba.

 




A Kanto. Al tramonto (sei ore prima)



«Cara, sei tornata! La tua amica è venuta a cercarti. Le ho detto di accomodarsi, ma è andata in giro per casa. Forse è nella tua camera».
La ragazza, capelli castani e occhi blu, posò distrattamente la borsa sulla sedia del salotto. «Quale amica? Yellow? Crystal?».
Sua madre, in piedi al centro della stanza, con lo sguardo rivolto verso il muro e le spalle alla televisione, scosse la testa. «Dice di chiamarsi Lamìa».
Blue era stata una ladra lei stessa, perciò si allarmò. «Mamma, io non conosco persone con quel nome!».
Mentre la signora Leaf mostrava una blanda sorpresa, quasi fosse sotto ipnosi, la ragazza corse su per le scale. I Leaf non erano ricchi, quasi tutti i loro gioielli erano di bigiotteria. C'era ben poco da rubare.
Blue controllò la camera dei suoi genitori, ancora in ordine, e arrivò agitatissima alla porta della sua stanza.
Una perfetta sconosciuta, una fanciulla dalla pelle color caramello e una lunghissima treccia bianca come la neve, frugava nel suo armadio. Si era messa proprio il vestito a cui Blue era più affezionata, il completino con la maglietta celeste e la minigonna rossa regalatole da Silver. Le stava un po' largo di vita e un po' stretto di seno. Solo per quello meritava di essere presa a calci.
Blue la agguantò per una spalla e la tirò fuori dall'armadio.
«Ehi! Giù le mani dalla mia roba! Chi diavolo sei?!».
Lamia non proferì verbo.
Una palla di fumo blu con due nuvolette sulla testa uscì da sotto la fila di abiti appesi alle grucce e andò a nascondersi sotto il letto. «Pew!» fece.
Doveva essersi spaventato.
Blue si inginocchiò per guardarlo meglio. Il piccoletto, simile a una nuvola piena di stelle, era carino. I suoi occhi dorati ricordavano due monete, ma anche così erano espressivi.
La castana si dimenticò dell'intrusa e allungò una mano per toccare il Pokémon. Aveva una consistenza strana, sotto il gas il suo corpo era solido come il metallo. Le nuvolette che partivano dalla sua testa si reggevano su due antenne; quella immobile era deforme come se fosse stata schiacciata. Quella creatura univa in sé il fascino dell'ignoto e dei gattini.
«Ciao!» lo salutò la ragazza. «E tu cosa sei?».
«Pew!».
«È un Cosmog. Un piccolo Leggendario. Puoi tenerlo, ma non metterlo in vendita!».
La castana si indignò. «Io non faccio più quelle cose!».
Dopo essere scappata da Maschera di Ghiaccio e prima di ritrovare i suoi genitori, Blue aveva dovuto arrangiarsi per tirare avanti. Aveva venduto oggetti rubati o inventati da lei, assieme presunte creme o polveri miracolose, e questo l'aveva raccontato persino ai suoi genitori. Ma a pochi aveva detto del suo piano, presto abbandonato, di catturare il piccolo Mew solo per venderlo al miglior offerente.
Blue prese in braccio il Cosmog e domandò perplessa all'altra ragazza: «Ma tu... te ne liberi così?».
Lamia stava distrattamente indossando il cappello abbinato al completino. Parlò fingendo di guardarsi ad uno specchio che non la rifletteva. La magia era momentaneamente estesa agli abiti, quindi non c'era alcun riflesso che potesse interessarle. «Io sono la madre. Non me ne sto liberando: lo sto dando in affidamento. Voglio che diventi un Solgaleo».
«Pew...!».
«Aspetta... la madre? Che intendi?».
Senza ulteriori spiegazioni, Lamia scomparve e i vestiti caddero sul pavimento assieme al cappello. Era solo un Pokémon burlone, quasi sicuramente uno Spettro, però Blue doveva controllare. Raccolse il completino e il cappello con cautela e corse a infilarli in lavatrice. Mentre scendeva chiese alla madre di Lamia. Come sospettava, lei rispose di non conoscerla.







 
A Johto. Nel presente. Notte


L'ansia nella voce di Diantha, al telefono, sfiorava il panico. «Venus?».
«Venus...?» ripeté Lysandre, alzando un sopracciglio e attivando la modalità olografica. «Mi fa sembrare una drag queen. Ma fa lo stesso. Dimmi, Eris».
Il viso delicato e chiaro dell'attrice era tanto spaventato quanto la sua voce suggeriva. I suoi begli occhi spalancati erano grandi come due laghi. «Promettimi che non ne parlerai con mia madre...».
«Non ti prometto niente, bambina mia, finché non so di cosa si tratta».
«Si tratta del Trio Oscuro».
«Quale trio oscuro?».
«I tre servi di Ghecis Harmonia. Quei mezzi-spiriti che avevano già provato ad uccidermi perché mia madre aveva ingannato il loro Padrone. Mi hanno trovata! Non sono stata abbastanza attenta. Hanno indagato e sono venuti dritti al Covo Galassia. Hanno preso di mira anche Cyrus! Cosa devo fare?!».
Il rosso mantenne la calma, ma per un attimo i suoi occhi azzurri brillarono divertiti. «Davvero vuoi un consiglio da me?».












 
1Umbriel è uno dei satelliti naturali (lune, e che cavolo) del pianeta Urano. È uno dei più grandi e ha una superficie scurissima molto bella. Titano è il più grande tra i satelliti di Saturno. Tritone è uno dei satelliti di Nettuno. Sto dando nomi inventati a questi qui per differenziarli dai loro simili appartenenti a Silver. Pan è di nuovo un satellite naturale di Saturno. Sembra un tortellino (o un disco volante se non avete fame).
2Non me ne vogliano, ma hanno voluto seguire la filosofia del gambero (ketsuekigata, una specie di oroscopo del sangue molto di moda in Giappone) secondo cui i gruppi sanguigni determinerebbero il carattere, e ora si cuccano questo. Giovanni nella sua “carta di presentazione” nel manga è di gruppo 0, Silver è AB. Papà cornuto a parte (sempre da considerare), la cosa non sarebbe possibile a meno che tale gruppo 0 sia in realtà un fenotipo Bombay.
3Falso, ovviamente. Non credo che i traduttori avessero in mente “sidus, sideris” quando le hanno scelto il nome. Piuttosto, credo che il nome "Sird" volesse richiamare un sibilo, mentre "Carr" imiterebbe un ringhio e "Orm" un brontolio. Però una stella tra i pokemon ce l'ha quindi boh, ennesimo dettaglio inutile.



 

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Capitolo 20
*** Luna ***


20. Luna




«Venus?».
«Venus...? Mi fa sembrare una drag queen. Ma fa lo stesso. Dimmi, Eris».
«I tre servi di Ghecis Harmonia. Quei mezzi-spiriti che avevano già provato ad uccidermi perché mia madre aveva ingannato il loro Padrone. Mi hanno trovata! Non sono stata abbastanza attenta. Hanno indagato e sono venuti dritti al Covo Galassia. Hanno preso di mira anche Cyrus! Cosa devo fare?!».
«Davvero vuoi un consiglio da me?».



 
*




Silver aveva dimenticato di riaccendere il cellulare. Dopo essere tornato indietro di sei ore e averlo spento per non intercettare una chiamata importante destinata all'altro se stesso, era stato così impegnato da perdere ogni suo contatto con il mondo esterno. Lui e Sird avevano riportato a casa sano e salvo il figlio di Lance e Clair. Weavile era entrato dalla finestra e l'aveva sistemato nella sua culla appena la vampira Lunala aveva portato via il suo omologo ipnotizzato. Poche ore dopo, il neonato rapito avrebbe viaggiato indietro nel tempo con loro, chiudendo il cerchio.
Portato a termine quello strano compito, Sird, tutt'altro che gelida, aveva deciso di non mandare il suo ragazzo a casa. Lui l'aveva raggiunta al Bosco di Lecci convinto di avere un appuntamento, annullarlo sarebbe stato crudele. E con lui, la donna non aveva intenzione di essere crudele.
Insieme si erano diretti nel luogo in cui si sarebbero dovuti incontrare originariamente, dove nessuno degli altri due si sarebbe mai presentato.
Tra le loro effusioni, il sonno arretrato e un effetto analogo a quello del cambio di fuso orario, Silver era tornato a casa a mezzogiorno col telefono ancora spento. Appena lo accese, fu inondato dai messaggi non letti dagli avvisi di chiamata. C'erano numerosi messaggi canzonatori di Gold e, sorprendentemente, anche alcuni più seri di sua sorella Blue.
Lei era a arrivata Johto senza preavviso per un avvenimento altrettanto imprevisto.
Qualcuno di importante le aveva affidato un compito, e lei non avrebbe potuto svolgerlo nella monotona, protetta casa dei suoi genitori.
Poiché non era riuscita a contattare il fratellino, si era rivolta al loro comune amico Gold. Da lì, i suoi messaggi idioti. L'ultimo gli diceva di spostare il sedere alla “casa dei Pokémon”, perché Blue era lì e non si fidava della sua fama di galantuomo. Inoltre, non voleva cedere alla sua innata simpatia per non irritare un certo fratello rompiscatole. Silver si batté una mano sul viso mentre leggeva.
Sird era una donna interessante e intelligente. Leggere gli sproloqui di Gold dopo aver passato tante ore con lei era come tornare da un concerto di musica classica al baccano di tutti i giorni.
Silver gli rispose di aspettarlo a breve.



 
*



«Dov'eri finito, Cappuccetto Rosso? Lo sappiamo, che esci di notte! Che fai, vai a battere?!».
Questo era stato il saluto di Gold.
Silver era meno cupo e taciturno del solito. Gli rispose senza insultarlo: «Esco di notte perché non mi va di incontrare nessuno. A cominciare dalla gente che si fa gli affari miei. Dov'è mia sorella?».
«Sta facendo la predica ai miei Pokémon perché non influenzino negativamente Luna».
«Chi è Luna?».
«Non voglio che diventi una Lunala!» gridò Blue dal salotto.
«E io non voglio che il sole sorga ad est. Ma è così che gira il mondo, ragazza. Luna, del sole non ne vuole sapere. Mangia così poco perché ha paura di accumulare tanta energia luminosa da trasformarsi in un Solgaleo». E abbassò la voce perché solo l'amico lo sentisse: «Un articolo sull'anoressia nervosa nelle Pokémon smutanderebbe le migliori ricerche del Prof Oak. Ci farei una barca di soldi, se sapessi scrivere...».
Silver entrò in casa e si trovò davanti una folla di Pokemon più o meno agitati, più o meno rari, più o meno cresciuti. Tutti, il Pichu di Gold e lo Wigglytuff di Blue in prima linea, gravitavano attorno a un piccolo ammasso di fumo blu dagli occhi vispi e gialli. Era come se quello fosse un compleanno e lui il festeggiato.
Ma l'attenzione di Silver e Weavile fu attirata dall'unico esemplare in disparte. Era una femmina di Togetic. In silenzio, da un angolo del salotto, osservava tutti gli altri come se li stesse studiando. Il loro entusiasmo non la coinvolgeva, non la toccava neppure. Persino Togebo la stava momentaneamente ignorando per volare attorno al prezioso cucciolo.
«Quella Togetic... di chi è?».
«Kokachin? Appartiene a una sventola Rocket. Verrà a riprendersela appena avrà deposto un uovo».
Gli occhi di Weavile si ridussero a fessure.
Silver si sentì come attraversato da una scossa elettrica. «Un uovo dalla Pokémon di una Rocket?!».
«Sì! Lei alla fine mi ha lasciato a bocca asciutta, ma guarda cosa mi ha regalato...!».
Gold aprì la mano e sulle punte delle sue dita nacquero delle fiammelle arancioni.
L'amico non reagì: stava ancora osservando Kokachin. Qualcosa nel suo comportamento gli ricordava Sird. Non Gong. E non avrebbe potuto confonderle per nulla al mondo.
Togebo cominciò a mostrarsi geloso dello sguardo esterrefatto e insistente di Weavile.
La Togetic era visibilmente a disagio. Arrossì, girò la testa e la nascose dietro un'ala per celare il suo rossore. Sird faceva così d'istinto, piegava il capo e accostava alla guancia il dorso della mano aperta, perché non le piaceva mostrare debolezze. Gong era abbastanza avvezza alle figuracce da diventare rossa come una fragola senza muovere un muscolo, per non evidenziare la sua vergogna. Silver l'aveva vista avvampare davanti ai rimproveri di Giovanni.
«Sei sicuro che quella Pokémon sia sua?» domandò il rosso, nervoso. «E che sia sempre stata sua?».
«Boh, non lo so... non me l'ha detto».
Il giovane tirò un sospiro di sollievo.
«Perché?» si incuriosì sua sorella.
«Pew!» fece il piccolo Leggendario che Gold aveva ribattezzato Luna. Voleva fare comunella con i suoi nuovi amici umani.
«Niente. Temevo di aver preso un abbaglio. Conosco la Sensitiva. L'ho incontrata per volere di mio padre. A proposito: ora lui ha ricevuto il Dominio della Terra. Io sono un Dominatore dell'Acqua».
Blue arricciò il naso. «Dell'Acqua?! Chissà come gli brucia...!».



 
*




Finalmente, verso le cinque del pomeriggio, il Kalosiano rientrò nella sua stanza privata. Non avrebbe potuto sopportare lo squallore del dormitorio comune. La consigliera Sird aveva convinto il Boss a fare uno strappo alla regola. Lysandre era furbo, aveva una squadra forte e si era rivelato un potente Dominatore del Fuoco. Poteva essere o di grande aiuto o di grande disturbo. Inimicarselo era folle, quando sarebbero bastate poche formalità per tenerlo tranquillo.
I suoi occhi azzurri furono attirati dalla figura seduta accanto alla falsa finestra. Indossava degli abiti dozzinali e troppo colorati per l'autunno. L'ombretto verde evidenziava il rosa scuro delle sue iridi, e un nastro dorato tra i capelli candidi le dava un tocco di eccentricità. Era piccola di statura, ma il suo viso angelico, le sue gambe affusolate e le sue curve armoniose le avrebbero assicurato la copertina in parecchie riviste. Con tutto questo, Lysandre non era riuscito a staccare gli occhi dai suoi.
La ragazza, tanto giovane da sembrare adolescente, sostenne il suo sguardo e non ruppe il silenzio.
«Chi ti manda?» le domandò il rosso. Finalmente, riuscì a girare la testa e guardare altrove, fingendosi disinteressato.
«Sono un'offerta di pace da parte di Giovanni. Sono la sua veggente... cioè, la sua cartomante di fiducia».
Dal mazzo di carte posato sul suo grembo estrasse uno degli Arcani Maggiori, la Luna. Lysandre non le fece domande, non le permise di iniziare a parlare.
Una così, bella come una dea incarnata, avrebbe potuto incantare la mente più scettica di Johto con una strizzata d'occhio e le argomentazioni più deboli. Ma il Boss Giovanni era un noto credulone, disposto a pagare forti somme pur di sentirsi confermare l'esito positivo dei suoi piani più ambiziosi.
Nessuno dei suoi veggenti era riuscito a prevedere il rapimento di suo figlio, a indirizzare le sue ricerche verso il Maestro del Duro Inverno, o a metterlo in guardia dalla evidente condotta manipolatoria di Sird.
Eppure, l'uomo continuava a consultarli.
«Mi prendi in giro? C'è una differenza fondamentale tra me e Giovanni: io lo so, che siete tutti ciarlatani».
«Beh, non c'è problema: io faccio la cartomante come secondo lavoro. E lo faccio davvero male!».
Finalmente, il rosso capì: «Sei una prostituta?».
«Accompagnatrice».
«E dove mi dovresti accompagnare?» rise lui. Aveva un sorriso aperto e solare, unito alla capacità di insultare il prossimo senza risultare sgradevole. «Non ho cene in programma e non ci sono fotografi in giro. Potrei anche far credere al mondo che quel canovaccio di gonna sia un raffinato capo di alta moda... però tu dovresti almeno indossare le mutande per reggermi il gioco, ragazza dei ceti bassi».
Lunala finse di arrabbiarsi, ma in modo piacevole, perché ormai gli aveva messo gli occhi addosso e perché il suo personaggio non avrebbe litigato con un cliente importante rischiando di perderne due. Si alzò e si mise a braccia conserte. «E va bene! Sono una prostituta, mi chiamo Lilith. E ringrazia il cielo che mi abbiano già pagata per un paio d'ore, o la tua sbirciatina da sola avrebbe avuto un prezzo!».




 
Notte



A Sinnoh




«“O muori tu, o muore lui”. Questo mi avete detto. Sono qui perché lasciate vivere mio fratello».
Diantha, sola e disarmata, si era spinta in un luogo isolato, in piena notte. Un vero invito. Il Trio Oscuro le era apparso davanti nel giro di un minuto.
I tre ninja si erano spostati a Sinnoh per saldare un conto in sospeso tra il loro padrone, Ghecis, e la vera coordinatrice del Team Galassia, Sird. Quella donna era un'eminenza grigia, come lo era stato Ghecis ai tempi di N. Forse, i due avversari si assomigliavano più di quanto loro stessi volessero credere. Forse, era stata Sird a imporre alla figlia di sacrificarsi per il fratello, ritenendo quest'ultimo più utile di lei.
Diantha però sembrava calma e determinata.
«Che cosa vorresti dimostrare?» la interrogò sospettoso il capo del Trio.
«Ghecis sta invecchiando male, le sue richieste si fanno sempre più folli. E il vostro zelo nell'assecondarle è calato».
«Taci, donna!».
«Dove tiene le vostre ossa? Le ha spostate da Mogania, perché la Maschera di Ghiaccio non le distruggesse assieme ai vostri Spiriti, e poi...? Ditemelo. Avanti. Tanto, tra poco sarò morta. Se non aveste accettato il compito di recuperare il Mandato del Cielo da un presunto “demone” che non lo aveva, non vi trovereste in questa situazione. In un certo senso, è stato Ghecis a cacciarvi nei guai. Ve ne ha tirati fuori solo per sfruttarvi. Ma queste sono elucubrazioni. Dove sono, le vostre ossa?».
Silenzio.
«Non lo sapete. Il vecchio non si fida di voi, ha bisogno di una garanzia, perciò vi ha promesso di rivelarvelo in punto di morte. Ma la sua parola non vale niente e voi lo sapete».
Aveva parlato troppo. Quell'ultima goccia aveva fatto traboccare il vaso. Il gemello dominante del Trio estrasse un coltello dalla cintura e glielo conficcò nell'addome.
Le sue provocazioni meritavano qualcosa di peggiore di una morte rapida. Gli altri due si avventarono su di lei per finirla a calci e pugni.




 
A Johto




Blue fu svegliata dall'ululato di un lupo in lontananza. Pensò di esserselo sognato e si limitò a girarsi dall'altra parte. Poi udì il verso di un altro animale, simile alla risata nervosa e sgradevole di una donna. Qualsiasi cosa fosse, era proprio sotto la finestra. La ragazza si allarmò e provò ad accendere la luce senza successo.
La risata della iena cessò.
«“But dreams come through stone walls, light up dark rooms, or darken light ones...”». Dalla finestra chiusa entrò strisciando una femmina di pitone bianco. Era lei a parlare. I muri della camera degli ospiti scomparvero e Blue si ritrovò in una sala molto più grande. Conosceva quel posto: era il rifugio di Maschera di Ghiaccio. Vi era stata tenuta prigioniera per anni, prima di fuggire assieme a Silver. «“...and their persons make their exits and their entrances as they please, and laugh at locksmiths.”1».
Il serpente si trasformò in una ragazza dai capelli bianchi. L'aveva già incontrata, ed era chiaramente un Pokémon. Indossava una lunghissima camicia da notte bianca che la copriva dal collo in giù, nascondendo le sue curve. Sul viso portava una maschera identica a quelle che Blue e gli altri Bambini Mascherati erano costretti ad indossare a tempo pieno.
Se la tolse e l'incubo prese contorni più piacevoli. In fondo alla stanza, Blue poteva vedere la luce del mondo esterno. La via di fuga che l'aveva condotta alla libertà.
«Scusa se mi rifaccio viva così presto. Voglio vedere Cosmog».
«Cosmog dorme con Gold. L'ha preso in simpatia perché lui la tratta come se fosse una femmina. A proposito... non credo che diventerà un Solgaleo».
«Beh, questo ho il diritto di deciderlo io: sono la madre!».
«Non funziona così...».




 
A Sinnoh




Si accanirono finché la donna smise di muoversi, restando distesa a faccia in giù.
I tre non si sarebbero neppure preoccupati del cadavere, se il cadavere non avesse cominciato a cambiare aspetto sotto i loro occhi.
La donna assunse sembianze umanoidi, la sua pelle divenne grigia, e dalla sua schiena spuntarono quattro grosse ali trasparenti solcate da venature azzurre. Quando alzò la testa, rivelò due grandi occhi gialli in un volto quasi umano, parzialmente nascosto da una maschera azzurra. Una gemma rossa come un rubino splendeva al centro della sua fronte.
Quella visione inquietante fu fugace. La creatura si rimpicciolì, la gemma e la maschera con lei. La sua pelle glabra si coprì di pelliccia grigia e le sue ali da insetto si ritirarono lasciandolo sospeso a mezz'aria. Le sue braccia e le sue gambe divennero zampe abbozzate, mentre dal suo piccolo corpo spuntavano due code gemelle.
Benché il suo nuovo aspetto non spaventasse neppure i bambini, le sue parole furono dure: «Conoscete la mia maledizione. Tre giorni. Tre giorni e, poiché mi avete aggredito con la forza, perderete la vostra volontà».
«Ma noi non siamo comuni mortali!» gli ricordò minaccioso il capo. «Noi siamo già morti!».
Il piccoletto, senza un'ombra di ira, alzò la voce per sovrastare la loro: «Irrilevante. Qualunque affronto ai possessori del Mandato di Uxie è un affronto diretto a me, perché noi siamo i tre volti del Primevo. Qualunque danno ingiustamente arrecato a un membro dell'attuale stirpe imperiale è punibile con una pena peggiore della morte. Avete tre giorni per porre fine dignitosamente alla vostra esistenza. Dopo, non potrete più decidere alcunché. A voi la scelta».
E scomparve nel nulla.




 
A Johto



Blue aveva cercato di convincere Lunala a lasciare in pace la piccola Luna. Non poteva costringerla a diventare un maschio se lei ne aveva terrore. La Leggendaria però era irremovibile. Una testa dura. Dopo una lunga ed estenuante discussione al limite del litigio, la vampira era volata fuori dalla finestra chiusa nelle sembianze di un cigno bianco. Blue era riuscita a svegliarsi solo allora e si era precipitata in giardino. Di sicuro, l'altra aveva fatto solo finta di andarsene, e sarebbe rientrata nella camera di Gold passando dal retro.
Ciò che vide la spaventò. Avrebbe volentieri chiuso a chiave la porta per rimanere dentro. Lunala, nella sua vera forma scheletrica e spettrale, non era riuscita né a scappare né a intrufolarsi di nuovo in casa. Si era trovata davanti un grande, maestoso leone bianco, un Solgaleo apparso da un wormhole. Non era in estro e aveva un cucciolo, perciò l'incontro poteva finire molto male.
La tensione tra i due Leggendari si smorzò rapidamente.
Lei gli si avvicinò per guardarlo meglio. «Fratello?!».
Il maschio parve stupito: «Che cosa?!».
«Oh... Cosmog! Sei identico a tuo padre!».
Solgaleo restò inorridito da se stesso: quella non era una Lunala qualunque. Quella, benché il leone non la vedesse da millenni e non fosse stato allevato da lei, era sua madre.
«Ma come sei diventato bello! Se non fossi stato una goccia d'acqua col mio fratellone, non ti avrei nemmeno riconosciuto! Blue, questo è un Solgaleo. È così che deve diventare l'altro mio Cosmog».
Il leone bianco era molto imbarazzato. Lo era persino agli occhi di una comune mortale. «Sono anni che ti cerco... madre» mentì. Non poteva chiamarla mamma. Non dopo quello che aveva pensato di fare con lei.
La ragazza di nome Blue uscì allo scoperto e si avvicinò con cautela. Malgrado non fosse una vigliacca, avrebbe preferito trasformarsi in un serpente e strisciare via, come avrebbe fatto Lunala a parti invertite. Quel pensiero fugace, poco serio, fu captato dalla mente telepatica di Solgaleo e lo lasciò perplesso. Benché una si fosse evoluta oltre diecimila anni prima e l'altra fosse una comune umana, le due si assomigliavano come la Lunala Nebby assomigliava all'umana Lillie. Con una differenza sostanziale: Nebby e Lillie avevano stretto un legame quando la prima era solo un Cosmog. Neppure l'umana Moon, diventata sua prescelta e sua Allenatrice in un secondo momento, era riuscita a influenzarla tanto.




 
A Sinnoh



Diantha si sentì chiamare per nome in un sogno. Una sola volta, poi una mano fredda la svegliò stringendole una spalla. La donna aprì gli occhi e si accorse di essere all'aperto. Camminando nel sonno era salita sul tetto a terrazza del covo Galassia.
Il suo pensiero era tornato lì tante volte, da quando il Trio Oscuro l'aveva minacciata. Diantha aveva continuato a dormire seduta in un angolo, con la schiena appoggiata al parapetto.
La creatura, dal corpo sottile ma forte, alta circa due metri, era in piedi davanti a lei. Si era chinata per controllare che fosse sveglia. I suoi grandi occhi gialli, dietro la maschera azzurra, la scrutavano con l'innocenza distante di un animale predatore.
«Azelf!».
«Ho fatto ciò che mi hai chiesto. Il tuo volto posticcio non ti serviva più».
Diantha si toccò allarmata il viso: riconobbe i suoi veri lineamenti, adattati alla sua età attuale. Occhi allungati, naso dritto e troppo pronunciato per un viso a cuore, zigomi alti, guance magre e labbra piene. Con un viso del genere, poco più gentile di quello di sua madre, le avrebbero finalmente dato la parte della cattiva.
Ma avrebbe dovuto ricominciare daccapo. Tutta la sua vita di relazione si basava sul volto dell'attrice Diantha, non su quello di Yan Hua, scomparsa da Nevepoli a tredici anni.
Poiché il valore della socialità gli era oscuro, e le sue decisioni non erano influenzate dai sentimenti, né tenevano conto degli studi condotti o memorizzati da Uxie, Azelf aveva scelto di trascurare quel dettaglio. Yan Hua gli sarebbe stata utile e Diantha non gli serviva più, quindi la seconda era scomparsa per far tornare la prima.
Il Leggendario fece apparire dietro di sé due grandi lastre pentagonali, a coperchio di bara, nera una e rosa l'altra. Le lastre si rimpicciolirono fino a diventare tasselli quadrati più piccoli di una mano. Le porse alla giovane umana. «Prendi queste. Sai cosa fare».
«In realtà... ora che Celosia è stata distrutta, un quarto del progetto è perso con lei. Uxie dovrebbe farci avere le parti mancanti».
«La vostra specie si è impigrita? Non riesce più inventare niente? Non avete uno scienziato, in questa organizzazione?».
«Sì. Ma non credo che un lavoro del genere sia nelle sue corde».
«Allora, uccidetelo e trovatevi qualcun altro. Qualcuno più capace di lui. Perché sfamare una bocca inutile?».
La stessa frase pronunciata da Mesprit l'avrebbe fatta ridere. Azelf però era serio. Qualsiasi cosa ostacolasse il raggiungimento del suo scopo, fosse esso nobile o deprecabile, veniva travolta. Lui incarnava il lato più forte, ma anche più difficile della personalità di Arceus. Preso da solo era pericoloso.
Uxie era diverso da Azelf come il giallo dal blu, ma nei fatti poteva considerarsi una sua versione attenuata. Lui, su richiesta, disegnava ed eseguiva esperimenti. Premiava solo le cavie che arrivavano in fondo ai suoi metaforici labirinti e trascurava quelle che fallivano, qualsiasi fosse la loro reazione o sorte.
Mesprit, come il terzo colore primario, aveva tutto ciò che agli altri due mancava. Quand'era di buon umore era spontaneo, estroverso, emotivo, spiritoso, capace di ridere o piangere per la sorte altrui e per la propria. Aveva pochi filtri, perciò la maggioranza dei suoi interminabili discorsi oscillava dal comico all'imbarazzante.
Ricordava a chiunque di non toccarlo, perché maledire qualcuno era il suo terrore.
Diantha avrebbe preferito poter discutere con lui.





 
Due settimane dopo. A Johto. Notte di luna piena




Silver fu svegliato dagli schiamazzi di una torma di Rattata e di Zubat in agitazione nei corridoi.
Quei Pokémon erano addestrati male. Venivano catturati in massa nelle distese erbose o nelle grotte ed assegnati alle Reclute a caso, finendo spesso per sostituire una Squadra ormai sequestrata dai Generali e rivenduta sul mercato nero in cambio di vitto, alloggio e protezione. Gli incontri felici erano molto pochi. Perciò, appena un Pokémon intrepido alzava la testa, partiva una rivolta con effetto domino. Tutte le rivolte non sedate si concludevano con una fuga di massa, una vera e propria evasione di topi e pipistrelli dal sottosuolo senza spargimenti di sangue.
Sird riconobbe quei rumori e si limitò la lagnarsi a bassa voce, senza neppure aprire gli occhi.
Silver però era preoccupato. Si tirò su a sedere e disse di voler andare a controllare.
«Ma perché?» gli domandò la donna, la voce impastata dal sonno. «Lasciali scappare: ne abbiamo tanti altri, nel deposito! Questi evidentemente sono troppo ribelli, tanto vale non averci a che fare».
Il ragazzo fu irremovibile. Si vestì e uscì in corridoio, lasciando la sua squadra a dormire. Per lui, da quando Giovanni era tornato al comando, il covo Rocket era diventato un posto più sicuro di casa sua. Il fulcro della rivolta era poco lontano, al piano di sotto, e i fuggiaschi stavano guadagnando la superficie.
Delle grida umane subito smorzate attirarono la sua attenzione. C'era qualcosa di più di una rivolta di Pokemon. Silver stava scendendo le scale quando i suoi muscoli si irrigidirono. Con un grande sforzo si aggrappò al corrimano prima con una mano e poi con l'altra, per non perdere l'equilibrio. Una caduta in avanti sarebbe stata pericolosa, soprattutto se le sue braccia non gli avessero permesso di frenarsi. Qualcosa si opponeva alla sua stessa volontà per fargli lasciare la presa. Non si trattava di un controllo mentale, era come se qualcuno stesse lottando con lui senza essere lì. E più quel qualcuno si avvicinava, più la sua forza diventava grande. Prima di lei arrivò uno stormo di Zubat. Al suo seguito, c'era un branco di Rattata. Era la prigioniera esperta di veleni e novella Dominatrice dell'Acqua, Moon. Giovanni l'aveva tenuta come ostaggio per assicurarsi l'obbedienza della Sensitiva. Nessuno l'aveva aiutata ad uscire e così aveva deciso di evadere. Per passare le sarebbe bastato costringerlo a farsi da parte, ma lei era determinata a farlo cadere in avanti, o magari all'indietro, se solo fosse riuscita a farlo ruotare su se stesso.
Silver stava opponendo più resistenza di tutti gli altri e lei non se ne spiegava il motivo. Tutti i suoi sforzi erano concentrati sul non cadere, malgrado lei gli tenesse immobilizzata la bocca non tentava neppure di urlare. Si stava difendendo passivamente, ma passati i primi momenti il suo istinto gli suggerì di provare a riprendere il controllo ed attaccare, proprio come avrebbe fatto il suo fedele Weavile.
Lasciò il corrimano e tenne le dita rigide. Il resto dei suoi muscoli si sciolse un poco, perché l'influenza dell'avversaria si stava indebolendo mentre la sua si faceva più fote. Pure lei rischiò di perdere l'equilibrio e cadere all'indietro. Ora, malgrado il rischio di rompersi l'osso del collo, dovevano sembrare davvero ridicoli e grotteschi ad un osservatore esterno.
Senza che nessuna luce fosse accesa, la voce della cieca Yueguang li rimproverò stupita.
«Ma che state facendo?!». La ragazza era in cima alle scale. Non era preoccupata affatto perché con poco sforzo avrebbe potuto neutralizzare tutti e due.
Un'altra voce, stavolta maschile, dal pianerottolo alle spalle di Moon, suonò canzonatoria: «Lotta di gatti in una notte di luna piena».
Quella voce apparteneva al Dominatore del Fuoco Lysandre. Il rosso si faceva luce con una fiamma generata dal palmo della sua mano.
Gong entrò un attimo nella sua Forma Avatar per raccogliere le energie, sollevò da terra entrambi i contendenti come se fossero marionette e li attirò verso di sé, al piano di sopra. Li tenne sollevati e immobili, più vicini al soffitto che al pavimento.
«Chi ha iniziato?» domandò. «Oggi c'è luna piena e siamo tutti contenti, ma guardate che il Dominio del Sangue non è uno scherzo!».
«Lo so!» replicò, quasi irritata, la ragazza di nome Moon.
Lysandre salì dalle scale per assistere all'assurdità involontaria della scena. Benché il primo freddo autunnale, la notte e il plenilunio inibissero un poco i suoi poteri, sembrava convinto di potersela cavare senza problemi. Anche in presenza di tre Dominatori del Sangue.
Weavile e Honchkrow irruppero nella stanza sotterranea senza preavviso, convinti che il loro Allenatore Silver fosse ancora in pericolo.
Si avventarono su Gong alle sue spalle, con Picchiaduro e Inseguimento. Le mosse, entrambe di Tipo Buio, la spinsero violentemente in Forma Avatar.
La ragazza lasciò cadere i due giovani, si voltò di scatto verso i due avversari e scatenò un terremoto mentre condensava dall'aria un paio di fruste d'acqua. Li agganciò entrambi, il corvo per una zampa e il felino nero per un braccio, e provò a purificarli con una tecnica padroneggiata solo dall'Avatar Korra e da suo zio Unallaq, chiamata da quest'ultimo Dominio dello Spirito. L'acqua si illuminò e i due mostri del Buio reagirono come se fosse diventata bollente. Gridarono, strattonarono e si divincolarono invano, mentre altra acqua luminosa si aggiungeva alle due funi e fluiva sui loro corpi. Il grande Honchkrow fu il primo a cedere, tornando ad essere un piccolo Murkrow e riuscendo a scivolare via dall'acqua per darsi alla fuga. Weavile regredì a Sneasel e corse dritto da dove era venuto.
Gong sarebbe dovuta uscire dalla Forma Avatar ma rimase immobile, in piedi. Dopo un attimo di straniamento si irrigidì e cadde sul pavimento all'indietro, con gli occhi spalancati e il corpo scosso dalle convulsioni. La mortale Luce dell'Avatar non accennava a lasciarla.
Silver corse dietro a Sneasel, Moon proseguì indisturbata la sua fuga.
Lysandre si avvicinò con calma alla ragazza ancora nel pieno dell'attacco.



 
*



Murkrow si era infilato sotto il letto matrimoniale e non ne sarebbe uscito facilmente.
Sneasel saltò sulle coperte, svegliando Sird. Si aggrappò a lei stando attento a non piantare le unghie nella sua carne morbida. La donna accese la luce e lo riconobbe. Fu sorpresa di vederlo così.
«Sneasel?!».
La Banette Betsy uscì dalla sfera e provò a infilarsi sotto al letto per tirare fuori Murkrow. Si guadagnò solo una beccata.
Silver rientrò in camera trafelato e sconvolto. Gli occhi grigi, spalancati, minacciavano di schizzargli fuori dalle orbite.
«Che cosa è successo?» gli domandò perplessa Sird, tirandosi su a sedere. Sneasel la convinse a prenderlo in braccio e affondò il muso tra i suoi seni. Murkrow diede segno di sé gracchiando. Intanto, Silver non rispondeva. Doveva ancora capire lui stesso cosa fosse accaduto in quella manciata di minuti. Si lasciò cadere sul letto con fare sconfitto, e rimase seduto dando le spalle alla sua amante. Lo sconcerto di Sird divenne preoccupazione. «Silver?».






1Carmilla, J.S. Le Fanu



 







AUTRICE: chiedo scusa se questo capitolo sembra attaccato col nastro adesivo. È un periodo un po' pesante per me e uso la scrittura come valvola di sfogo.


 

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Capitolo 21
*** Maschere ***



21. Maschere




Lysandre, perché questo era il suo nome, l'aveva piantata in asso appena il baccano era iniziato.
La prima rivolta di Pokémon a cui avesse l'onore di assistere, le aveva detto, era uno spettacolo da non perdere. Sotto la città di Mogania addormentata, sotto l'influenza mistica della luna piena, lui era scivolato via dalle braccia della sua bellissima amante vampira come se non si sentisse fortunato ad averla. Indossata la divisa Rocket, l'aveva lasciata lì dov'era.
Era impossibile che dopo due settimane si fosse già annoiato.
Lunala rimase seduta sul letto a esaminare le possibili spiegazioni. Dopo cinque minuti capì che lui non sarebbe tornato. Irritata, si trasformò in una gatta e uscì in corridoio.
Camminava cercando una sua traccia, quando qualcosa le afferrò la coda bianca.
«Mew!» fece, tirando un poco.
Lunala si sarebbe rivoltata se lui non le si fosse immediatamente strusciato contro. Era un cucciolo, ma trattandosi di un Pokemon era grosso come un gatto adulto. Aveva grandi occhi celesti e una pelle rosea, spessa e liscia, priva delle rughe tipiche dei gatti nudi. Per creare intesa, decise di trasformarsi in un Meowth. Lunala divenne una femmina di puma bianco e lui un Persian dalla pelliccia color avorio. Lei si trasformò un leopardo e lui in un Liepard. Per ogni animale da lei scelto, c'era un Pokémon che gli assomigliava almeno alla lontana.
Con qualsiasi altra creatura, Lunala avrebbe pensato ad un rituale di corteggiamento. Mew invece stava giocando. Non capiva neppure di essere importuno: Lunala era tornata fertile con la luna piena, perciò non poteva dedicarsi ai cuccioli.
Tornò ad essere una gatta e gli soffiò. Per tutta risposta, Mew scomparve e riapparve con un calendario in mano. Sulla copertina era raffigurato un gatto nero stilizzato.
Parlare con Mew era come dialogare con un sordomuto. Lui aveva un suo codice, diverso da quello degli altri Pokémon quanto la lingua dei segni lo era dal linguaggio parlato degli umani. Occorreva del tempo per capirlo. Correva l'anno del Gatto, Lunala si era trasformata in un gatto e forse lui, a sua volta un felino nel cuore, era venuto a farle gli auguri. Perché si trovava nei dintorni e non aveva di meglio da fare.
Mew era infantile e bizzarro. Malgrado frequentasse luoghi inaccessibili all'uomo e non avesse formato alcun legame significativo con gli altri Pokémon, provava a socializzare un po' con tutti. Molto più intelligente e potente dei Cosmog, era quasi impossibile da catturare.
Il piccoletto afferrò la gatta con le sue cortissime braccia, come per abbracciarla. «Mew!» gridò, e la sollevò con sé in aria.

 


*


«Yueliang?» la chiamò una voce maschile. «Yueliang...!».
Gong si rigirò nel letto. Era confusa e soporosa. Dopo la crisi era rimasta immobile sul pavimento. Qualcuno l'aveva sollevata e portata in infermeria. Quel qualcuno, a ragionarci, doveva essere Lysandre. Era lui a chiamarla, sbagliando il suo nome.
«Mi chiamo Yue Guang» lo corresse. «Cosa è successo?».
«Hai avuto una crisi comiziale».
«Crisi comi-cosa...?!».
«Una crisi epilettica generalizzata, tonico-clonica. Il Mal Sacro».
Gong rimase stupita e angosciata. «Ho avuto una crisi epilettica?!».
«Esatto. Ti faranno degli accertamenti».


 

*
 


Sird era rimasta sveglia per calmarlo. Molti pensieri, nelle ultime ore della notte, l'avevano atterrito e scoraggiato. Dal timore di non poter più aiutare Sneasel e Murkrow a tornare come prima, alla convinzione di essere condannato a padroneggiare un'arte oscura, perché, rivolgendosi al passato, fin dall'infanzia si sentiva l'oscurità nell'anima.
La donna lo aveva ascoltato e si era sforzata di invalidare la sua logica con la propria. Lei, da osservatrice esterna, vedeva meglio il quadro della situazione. Lui tendeva facilmente a vedere il lato negativo di tutto, era un pessimista, e adesso era troppo agitato e stanco per ragionare lucidamente.
Contagiato dalla freddezza cristallina delle sue parole, Silver era riuscito a recuperare la calma, ma era rimasto giù di morale.
«Quanto al Dominio del Sangue... perché mi pare che sia stato quello, a spaventarti... è senza dubbio un'arte sui generis. Richiede cavie vive, per l'addestramento. Questo... questo, anche se non sei più un bambino, potrebbe portarti a reprimere la tua empatia e vedere gli altri come oggetti. Perciò potresti concentrarti sull'Acqua. Se ti allenerai, il potere di controllare il sangue crescerà all'unisono con il resto del tuo Dominio. Così lo userai soltanto al bisogno. Non ne diventerai un maestro, però potrebbe tirarti fuori dai guai come ultima ratio. Che ne dici?».
La sua risposta le arrivò in un sussurro malinconico. «Potrei».
«Silver, tu non sei un mostro. E non sei nemmeno una brutta persona come lo siamo io e tuo padre. Hai avuto una vita difficile, avresti potuto raggiungere il tuo punto di rottura in molte occasioni. Però ti sei tenuto sulla retta via, oscillazioni a parte. E sono sicura che non sia stato facile. Io non ci sono riuscita».
«Perché non lasci il Team Rocket?».
«Mai stata parte del Team Rocket».
Silver aggrottò la fronte.
Sird avviò una chiamata sul dispositivo denominato holovox, una specie di cellulare olografico. Gliel'aveva regalato il suo caro e fin troppo amico Lysandre, perché era stato lui a idearlo e ne aveva una scorta. Solo per questo, Silver avrebbe voluto strapparglielo dalle mani e buttarlo nelle fauci di Feraligatr.
Dall'altra parte, nessuno rispondeva.
La donna sbuffò: «Quella stupida... le ho mandato un messaggio un attimo fa e mi ha scritto che ci sarebbe stata!».
Finalmente qualcuno rispose, ma senza accettare la chiamata olografica.
«Scusate!» esclamò la voce di una ragazza. «Mi ero distratta un attimo...!».
L'espressione di Sird non era affatto contenta. In qualsiasi altro contesto, l'avrebbe rimproverata e richiamata all'ordine.
La modalità olografica fu attivata.
All'altro capo della linea c'era una ragazza graziosa e non molto alta, con gli occhi a mandorla di un particolare rosso cupo. Anche i capelli erano rossi. Rossi come quelli di Silver.
«Ciao, cuginetto!» lo salutò la sconosciuta.
Il ragazzo sobbalzò: «“Cuginetto”?!».
«Sì. Anche se... le nostre madri erano gemelle identiche. Quindi... boh... fratellastro...? Il mio nome legale è Meiko, non so se qualcuno ti abbia mai parlato di me...».
Lui non sapeva neanche di avere una cugina.
La ragazza indossava una divisa futuristica, dove la stoffa si accostava al metallo e ad altri tessuti che Silver non seppe riconoscere. Sul petto aveva una G gialla, e parlava con l'accento di Sinnoh. C'era un gruppo criminale, ormai sciolto, che portava il nome di Team Galactic e operava proprio in quella Regione.
«È uno scherzo?» domandò perplesso Silver.
«No no! Tua madre Ariana era qui a Sinnoh, quando ha ricevuto la notizia che tu eri sparito da Smeraldopoli. Era venuta a trovare la sua gemella malata. Per lei. la dipartita di mia madre è stata un colpo molto più duro del tuo rapimento. A quello ha reagito come se le avessero tolto un peso».
Ariana, Generale Rocket, lo aveva dato alla luce, Silver lo aveva sospettato fin dal loro primo incontro. Ma lei non era sua madre, semplicemente perché non aveva voluto esserlo.
La rossa continuò: «Ecco perché Giovanni si è rivolto a degli esterni per cercarti. Gli è andata maluccio...». Indicò la G dorata sulla sua divisa. «Galactic. Piacere, qui sono il Comandante Mars. Non so se ci rivedremo a Sinnoh o lì a Johto. Ciao cia...!».
Sird aveva interrotto il contatto.
Chiudere la chiamata a un Comandante era una mossa pericolosa. La donna però l'aveva fatto con disinvoltura, e adesso non sembrava preoccuparsene. O aveva un coraggio da leonessa, o nella gerarchia del gruppo era più in alto di lei.
«Non ci credo...!» mormorò disgustato Silver. «Tu sei una spia! Tu eri qui per distruggerci fin dall'inizio!».
Era la prima volta che si metteva nella stessa barca di suo padre. E suo padre non era neppure lì ad ascoltarlo.
Sird fece una smorfia: «La mia prima idea sul vostro Team era quella di accordarci per una fusione pacifica. Avrei fatto la mia offerta appena avessi avuto un quadro più chiaro della situazione. Noi a Sinnoh abbiamo bisogno delle terre libere di Kanto e della Regione che consideravamo la nostra metà storica: Johto. Tuttavia... quando mi sono informata meglio su tuo padre, ho capito che, appena stipulato l'accordo, avrebbe tentato di fotterci. Così l'ho fregato per prima. Il Team Rocket era stato ufficiosamente offerto “a chiunque gli riportasse suo figlio”, la voce era stata fatta circolare nel nostro ambiente. Ho agganciato il povero Orm e quel piccolo mostro di Carr e li ho fatti abboccare. Insieme, abbiamo raccolto l'offerta come Trio Bestia. Un trio di mercenari era più credibile di una donna sola. Beh... alla fine, sai com'è andata. Ti ho trovato io, ma a distanza di sei anni posso dire che Giovanni non ha rispettato la parola data. Ho fatto la brava, perché neppure io sono stata sincera ab initio. Però, ora basta. Il tempo è scaduto. Sai come si dice: se vai a letto col diavolo, prima o poi è ora di...».
Non completò la frase.
Silver rifletté in silenzio. Lei aveva scoperto tutte le sue carte, le sue rivelazioni erano state terribili. Eppure, il suo cervello riuscì a formulare solo una domanda: «E in tutto questo... perché mi hai sedotto?».
«Perché sei un gran bel pezzo di figliolo» fu la risposta. Sembrava ironica, ma in un attimo la donna tornò seria: «Silver... parlare con Pryce è stato illuminante. Lui lo sapeva: la pulciosa organizzazione di tuo padre è troppo poco, per te. Il Maestro del Duro Inverno era un artista e tu sei la più affascinante delle sue opere. Il tuo Spirito Compagno è una creatura del gelo e del Buio, già a due anni avevi una connessione così profonda con lui da convincerlo a seguirti ovunque, anche in un inferno di ghiaccio. Uno come Pryce non poteva fare a meno di notarlo. Quindi...».
Aprì una Pokéball vuota e ne estrasse un microchip. «...se starai con noi, tuo padre potrà tenersi la sua fortuna e tu diventerai un Comandante. Basterebbe inserirti questo chip sottopelle. Il computer centrale ti riconoscerebbe e risponderebbe ai tuoi ordini. Noi usiamo gli androidi al posto degli umani. Ecco cosa intendeva Celebi».
«E se usassi la mia influenza contro di voi?».
«Ci è già bastato Lysandre, “Venus”, per farci le ossa. Ti escluderemmo immediatamente. Allora?».
«No».
«Sicuro?».
Silver si portò una mano alla fronte e scosse rassegnato la testa. «Sird... sei una donna intelligente, scaltra, e piena di risorse... perché ti sei ridotta a fare la criminale?».
«Per denaro. E per il brivido del rischio. Ma soprattutto per denaro».
Il ragazzo le si avvicinò e le prese le mani nelle sue. «Cosa ti lega a quella gente?».
«I soldi. Cyrus paga bene».
«Con lui... stai facendo quello che facevi con mio padre? Lo stai manipolando per i tuoi fini?».
«Beh... chi può dirlo...?».
«Non sei una donna affidabile. Capirai, se me ne vado...».
La baciò sulla guancia. Lei gli prese la testa tra le mani e gli rispose premendo le labbra sulle sue.
«Tornerai. Presto» aggiunse sicura. Celebi non aveva motivo di mentire su ciò che sarebbe successo.
Silver interruppe il secondo bacio, girò i tacchi e lasciò la camera. Percorse rapido i corridoi e salì fino all'uscita del covo, nel negozio di souvenirs. Il proprietario lo riconobbe e lo salutò come avrebbe salutato suo padre, accennando un inchino molto formale.
Lui non si disturbò a ricambiare il saluto.
Doveva lasciare Mogania prima che qualcuno o qualcosa lo inseguisse.
«Ti ha rubato la sfera con il chip. Te ne sei accorta o hai il cervello nel brodo?».
Sird si guardò la cintura e si accorse che mancava una sfera. Poi si voltò nella direzione della voce, fingendo di averlo già scoperto.
Non vide nulla.
«Dove sei?» gli domandò.
Mesprit le apparve nella sua forma preferita, quella di un piccolo Pokémon dalla folta pelliccia grigia e i grandi occhi gialli, con il muso coperto da una maschera color magenta. Le sue due code fendevano l'aria come se lui fosse nervoso, il suo volto era impassibile.
Non era facile leggere il suo comportamento: la sua faccia non mostrava emozioni, la sua voce e l'atteggiamento del suo corpo invece sì.
Le lasciò cadere davanti un cartoncino e Sird dovette chinarsi a raccoglierlo. Mesprit non avrebbe mai rischiato di toccarla per sbaglio, condannandola così a perdere le sue emozioni dopo tre giorni.
«Hai capito, stellina?» le disse.
Sird aveva in mano una foto in bianco e nero.
Prese tempo: «Non chiamarmi “stellina”».
«Stellina, bambina, sgualdrina... non ti va mai bene niente!».
La donna indicò la fotografia. «Che significa?».
«Oh, allora non hai capito! Ora faccio come mio fratello: arrivaci».
Sird guardò di nuovo. L'uomo nella foto aveva sulla testa la piccola corona a fiamma della Nazione del Fuoco, e la metà superiore della parte sinistra del viso rovinata dalla cicatrice di una brutta ustione. «Questo è il Signore del Fuoco Zuko» commentò la donna. Non l'aveva mai visto, ma aveva saputo della cicatrice.
Da lì in poi, Mesprit lasciò andare la lingua: «Esatto. Quell'ustione termica gliel'ha fatta suo padre, quando ancora aveva tredici anni, in una punizione pubblica. Questo perché, spinto dagli insegnamenti dello zio, Zuko aveva risposto a un generale criticando il loro tradizionale metodo di guerra, di “pax” per intenderci, che prevedeva lo sterminio dei nemici sconfitti e l'annientamento della cultura conquistata. Che poi non è neppure quello che è successo nel caso dei Nomadi dell'Aria, però a maggior ragione...».
«E allora...?!» lo interruppe seccata Sird.
«Stella... hai preso proprio l'unico o il primo... il secondo, in realtà...».
Rifletté e ricominciò daccapo: «Hai preso l'unico elemento di quella famiglia che ha provato a ribellarsi e l'ha pagata cara. Mezzo viso ustionato a quel modo non è una cosina da niente».
«Non mi riguarda».
«So che in questa vita Zuko porta il nome di Red. Tu lo stai perseguitando come se fosse stato lui a ordinare lo sterminio, e invece è nato un secolo dopo. Accidenti, se ti riguarda!».
«Perché lo difendi?».
«Perché non è colpevole. E perché nella vita precedente non aveva il potere unico e caratteristico della sorella, ma ha allevato e addestrato un drago. Il che ha un certo valore. Capisci?».
Sird si buttò alle spalle la fotografia scuotendo la testa. «Va' via. È pazzesco che tu ti sia dato tanto da fare solo per impietosirmi!».
«Sai, soffiare una vecchia foto da un palazzo reale in un altro Universo è davvero un gran lavoro, per me» scherzò lo spiritello. «La prossima volta, ti porto il suo drago. È così buono che potresti pure salirgli addosso. Lascialo in pace: Zuko non è un tipo da guerra».
«Può darsi. Ho altri problemi, adesso».
Raccolse la foto e se la mise in tasca. Avrebbe potuto usarla per millantare di essere al comando di un'enorme rete criminale.
«Posso farti una domanda? Certo che posso! Tra i tuoi problemi c'è anche quel ragazzo che poco fa ti ha messo la lingua in bocca? Lascialo perdere: mela marcia. Dentro».
Sird si irrigidì. Mesprit non era Azelf, ma se quello era il suo giudizio, c'era da aspettarso che il Pokémon Volontà lo condividesse. «Che cosa intendi?!».
Mesprit fece segno di avere la bocca cucita.
Non mentiva quasi mai, ogni tanto sapeva quando fermarsi, ma sarebbe bastata una minima pressione per farlo parlare. Fu sufficiente un'occhiataccia. «Beh, non è che io mi senta la coscienza pulita neppure sul suo conto, però... diciamo che presto scatenerà un bel casino e tu non potrai fare niente per fermarlo. Restagli vicino, ma non affezionartici troppo. Intesi? Ora devo andare».
In un battito di ciglia, si smaterializzò a mezz'aria.



 
A Sinnoh




«Akebi. Momiji» chiamò la Comandante Eris.
Xerosic se l'era immaginata diversa. E invece era una donna asiatica sulla trentina, minuta e poco più alta di lui, con la pelle troppo bianca per affrontare i raggi del sole e i capelli azzurro ghiaccio, luminosi come sottilissimi fili di vetro.
Il primo pensiero dello scienziato era stato di poterla facilmente sovrastare per tentare la fuga. Lei l'aveva intuito e, anziché stringergli la mano, gli aveva afferrato il polso e aveva stretto la presa fino a fargli male. Le sue dita sottili gli avevano lasciato il segno. Il messaggio era chiaro: era molto più forte di quanto il suo fisico promettesse. E non indossava la sua tuta speciale, di questo lo scienziato era certo.
Xerosic fece un passo indietro quando le due ragazze, immobili come cadaveri freschi nelle loro teche trasparenti, risposero alla chiamata e aprirono gli occhi una dopo l'altra. Il loro torace cominciò ad alzarsi ed abbassarsi, mimando la respirazione.
Akebi, o Aliana, si alzò e andò a cercare la sua tuta rossa e il suo visore nel deposito. I suoi occhi dalle sclere arancioni, privi di pupilla, la facevano apparire cieca, ma la disinvoltura nei suoi movimenti suggeriva che non lo fosse affatto.
Momiji, l'androide dai capelli celesti, conosciuta da Xerosic come Mable, rimase sdraiata. I suoi occhi uniformemente azzurri ignorarono la terza scienziata già sveglia, l'androide dai capelli verdi di nome Bryony, e indugiarono sul viso umano e forzatamente inespressivo della Comandante Eris.
«Ben tornata, Principessa» la salutò a bassa voce.


 

A Johto



Silver aprì la sfera e mostrò il chip alla sorella.
«Hai qualcosa per analizzare questo?».
«Intendi tra le mie chincaglierie rubate? Forse. Sono in un deposito a Kanto. Guai a te se lo dici ai miei genitori!».
«Quasi non li conosco...».
Blue esaminò il chip rigirandoselo tra le dita. «Sembra... vecchio...? Dove l'hai preso?».
«Non è vecchio. È esteticamente rétro per fregare chiunque se lo ritrovi in mano. È un po' come se un generatore olografico fosse fatto come i vecchi telefoni a disco».
«Chi te l'ha detto?».
«Ho sentito due Reclute che ne parlavano. L'ho rubato appena si sono distratte. Dobbiamo sbrigarci».
Era strano che Sird gli stesse dando tanto tempo per scappare.
Seguire sua sorella, che era uscita dalla casa di Gold appena ricevuta la sua telefonata, era un metodo scontato per trovarlo. Non ci stava mettendo nessun impegno.
Silver avrebbe dovuto denunciarla a suo padre, oppure avrebbe almeno dovuto parlare del suo ritorno a Blue. Ma non c'era riuscito.
La Cosmog Luna, intanto, lo guardava allegra e forse aveva intuito il suo disagio. Senza aspettare il suo consenso, gli slatò in braccio. «Pew...!» fece.
«Gli piaci» lo informò Blue.
Luna rimase stupita e confusa: «Pew?».
«Intendo dire che ti sta simpatico».
«Pew!» approvò lei.
Nutrita dalle giuste influenze, la sua mente si stava evolvendo a una velocità sensazionale. In pochi giorni aveva fatto più progressi che nei precedenti diecimila anni. Stava cominciando a crescere, ma un umano non suscitava decisamente il suo interesse.


 

*



Lysandre aprì la porta della sua stanza e rimase immobile sulla soglia, incredulo.
Sul suo letto si era appollaiata una gallina. Una giovane gallina bianca.
L'animale cantò una volta e poi si trasformò nella ragazza di nome Lilith, in camicia da notte. Ammiccò. «Eh...? Che pollastra! Vuoi vedere di nuovo?».
Di nuovo la gallina.
«Lilith... sei ubriaca?».
«No. Ma ora so che tu sai che non sono umana».
«Non ci voleva un genio. Il tuo corpo è tiepido, ma non sempre. A volte, ti dimentichi di alzare temperatura corporea alla tua versione umana. Fa lo stesso».
«Non sono abbastanza calda...!» si lamentò lei.
«A questo non rispondo. Dipende da cosa sei venuta a fare».
«Sono venuta a leggerti le carte!».
«Non ci credo, nelle carte» le ricordò annoiato lui.
«Si fa per ridere! Guarda...».
E inscenò una discussione stupida tra l'Imperatore e l'Imperatrice, agitando le due carte e imitando voci caricaturali.
L'uomo scosse rassegnato la testa e andò a sederlesi accanto. Lilith era troppo giovane per il suo lavoro.
«Scegli una carta» lo sollecitò lei, aprendo il mazzo a ventaglio. «Ma non la guardare. Tienila coperta».
Lysandre seguì controvoglia le sue istruzioni.
«Di che carta si tratta, secondo te?» continuò la ragazza.
«Due di picche».
«Ma no! Sono tarocchi!».
Lysandre girò la carta e il suo volto tradì una certa sorpresa. Non era il Diavolo, non era il Matto. Era il primo degli Arcani Maggiori: il Mago. Entità creatrice, era capace di incanalare l'energia celeste e cederla al mondo terreno, come mostravano la bacchetta rivolta verso il cielo e l'indice puntato a terra. Alcuni ci vedevano un prestigiatore, altri un artista o un artigiano.
«Il Mago è dominato dalla volontà e dall'intelletto...» spiegò Lilith. «Egli non lascia niente al caso. Nel mondo reale, un prestigiatore è colui che riesce a distrarre lo spettatore facendogli credere di voler fare una certa cosa, magari con una mano, mentre il poveretto dovrebbe stare attento ai movimenti dell'altra. E vogliamo parlare della tua...». Scelse la Stella, positiva e pacifica, connessa al serenissimo Jirachi, e la capovolse perché acquisisse un significato contrario, di pena e difficoltà. Il nome di Sird, nella sua lingua madre aliena, significava proprio “stella”. Lilith ci era arrivata a naso, sfruttando il suo notevole intuito e collegando tra loro Starmie e il ciondolo regalatole dal suo ragazzo. «…della tua non-tanto-adorabile Assistente...?».
L'uomo tacque e continuò a fissare la seconda carta. Non si preoccupava per se stesso. Ma Sird, vivendo la sua vita da comune mortale, era senz'altro vulnerabile.
La vampira avvicinò il viso al suo e cominciò a sussurrare, celando a stento la sua ira: «Quest'uomo è morto, ho ragione?» domandò premendogli l'indice sul petto. «È morto e tu ti sei impossessato del suo cadavere, come se fosse un costume, e l'hai usato per avvicinarti a Raava senza farti riconoscere. Divertente, vero? Chi mai se ne sarebbe accorto? Perché tu sei uno Spirito e il tuo “segno” visibile dall'esterno è la vita. Davvero pensavi che a Borgo Foglianova non ti avessi riconosciuto...?».







 













AUTRICE: ho detto a un'utente che mi sarei allontanata da EFP e infatti volevo farlo, poi mi sono resa conto di avervi rotto le scatole con una storia di 20+ capitoli inconclusa e allora ho deciso di provare a terminarla, o almeno a portarla a un punto in cui gli eventi passati si spieghino almeno in parte. Non sarà facile perché sto attraversando un periodo pesante e brutto e il mio umore è sotto i piedi, perciò ho molta difficoltà a scrivere, e non credo che le cose miglioreranno a breve. Quindi boh, perdonate il calo di prestazione e la carenza di entusiasmo...
 

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Capitolo 22
*** Deus ex machina. Parte I ***


22. Deus ex machina (I)




«Rassegnati: è rotto».
«Non può essere!» insisteva Silver.
Blue aveva cominciato a mettere le mani avanti prima ancora di arrivare al suo deposito segreto, registrato a nome di Green Oak all'insaputa dell'amico.
Lì avevano scomodato lettori di tessere e computer di ogni generazione, ma il circuito integrato nella piastrina non dava segni di vita.
«E' rotto perché è vecchio. Avrà una trentina d'anni, a quei tempi i computer andavano a carbone. E forse è pure finto! Ti hanno preso in giro. E poi... andiamo... un intero Team di androidi?! Quando mai?! Avrai capito male, saranno quei robot per pulire i pavimenti. Se non la pianti con questa storia, ti faccio andare in giro vestito da domestica. Per me non staresti neppure male...».
Blue, quando usciva da un periodo di forte stress e tornava di buon umore, diventava effettivamente una chiacchierona. I suoi discorsi potevano suonare imbarazzanti, ma Silver non era il tipo da farglielo notare.
Il ragazzo tacque. Il chip rotto spiegava molte cose.
Sird non aveva sguinzagliato i cani e non l'aveva inseguito personalmente. Poteva essere una prova di fedeltà, e lui l'aveva appena fallita.
Non era la prima volta che quella donna lo faceva fesso. Cominciava a trovare irritanti i suoi scherzi.
Tenne il chip nella mano aperta e lo fissò, cercando di decidere se gliela avrebbe perdonata.
«Pew» fece la Cosmog Luna, avvicinandoglisi.
Nessuno dei due ragazzi comprendeva il significato dei suoi versi.
Quando agitava l'antenna sana e per farsi capire spalancava la bocca, aveva fame e doveva essere messa al sole. Luna sembrava apprezzare gli zuccheri, forse era di Natura Allegra, tuttavia ne ricavava solo una minima parte della sua energia.
Ora agitava l'antenna, però la sua bocca era chiusa.
«Cosa c'è?» le domandò Silver.
«Pew!».
Sembrava che volesse tentare qualcosa.
Chiuse gli occhi dorati, cominciò a tremolare e si sforzò tanto da strizzarli.
Era di tipo Psico e stava concentrando la sua energia mentale sul chip.
Qualcosa di simile alla telecinesi lo attivò.
I suoi circuiti si illuminarono e il dispositivo affondò da solo, assumendo la consistenza di un gel, nel palmo di Silver.
L'erosione che gli provocò guarì subito, aiutata da qualcosa di chimico. Gli lasciò solo un lieve bruciore locale.
«Fermo! Fermo, fermo!» gridò allarmata sua sorella. Il ragazzo stava cercando di affondarsi le unghie nella mano per estrarre il chip. Ma non sentiva nulla di duro sotto la pelle.
Era nel panico. «Tagliami la mano...!».
«Ma tu non sei mica normale!».
«Pew!» gridò Luna, terrorizzata. Era stata lei a combinare quel piccolo disastro.
«Questa è tecnologia aliena...!».
«Gli alieni lasciali da parte. Non sono sempre loro a infilare i chip nel corpo della gente» scherzò Blue. Voleva solo che il fratello si calmasse per potergli almeno esaminare il palmo.
«Questo coso me l'ha dato Sird! Sird è aliena! Questa è senz'altro tecnologia aliena!».
Sua sorella restò come paralizzata e lasciò andare il suo polso. Aggrottò la fronte. «Aspetta... te l'ha dato Sird?».




 

A Sinnoh






A Kalos, delle quattro scienziate robot, Celosia era stata l'ultima ad aiutarlo nella realizzazione dell'Arma Suprema. Lei era il pungiglione avvelenato sulla coda dello scorpione. Senza i suoi dati, l'arma non sarebbe stata funzionante.
Xerosic aveva un gigantesco fiore metallico ancorato alla terra, capace di attivarsi e sbocciare in tutta la sua letale bellezza. Ma nessuna energia veniva assorbita o rilasciata dai suoi petali.
Aveva anche i due tasselli che la Comandante Eris gli aveva consegnato appena un paio di giorni prima. Ma non aveva ancora capito cosa fossero.
Eris gli aveva dato una scadenza: in caso di fallimento, quelli che gli restavano sarebbero stati i suoi ultimi due giorni di vita.
Anche se lo scienziato dava il meglio di sé sotto pressione, questa volta era arrivato a un punto morto.
Gli androidi non potevano aiutarlo.
A un cero punto del lavoro, avrebbero dovuto iniziare le ricerche di Xerneas e Yveltal. Ma Eris aveva rifiutato di avviare l'operazione. Motivo: Kalos era troppo lontana e risvegliare i due Leggendari dal loro letargo avrebbe richiesto troppi sforzi.
Xerosic si stava convincendo di essere la vittima di un gioco perverso, in cui qualsiasi sua mossa sarebbe stata inutile, perché a sua insaputa era già condannato.
Aveva studiato le due tessere con microscopi, raggi X e spettrometri di massa, nella speranza di avere un'illuminazione. Invano: sapeva solo che il carbonio era l'elemento dominante.
La tessera nera sembrava fatta di ordinaria grafite, la tessera rosa aveva al suo interno, sotto un sottilissimo strato che ne nascondeva la lucentezza, una struttura simile al diamante.
Entrambe erano quasi impossibili da scalfire e si rigeneravano come tessuti viventi al minimo graffio.
Il che non aveva senso.
Xerosic era assorto nei suoi pensieri quando udì dei passi pesanti provenire dall'anticamera del laboratorio.
La porta si aprì automaticamente e rivelò la persona immobile e il viso corrucciato, minaccioso, cupo come un banco di nubi gonfie di pioggia, del taciturno Capogalassia Cyrus. L'unico uomo che lo inquietasse più della paranoica e cocciuta Eris.
Dopo un lunghissimo silenzio, Xerosic dubitò che avesse intenzione di parlare.
L'uomo dai capelli azzurro ghiaccio guardò le due tessere abbandonate da una parte su una scrivania.
Le indicò. «Non ha ancora capito cosa siano. Perché non le sta esaminando?».
«Le ho esaminate, Signore... e non ho concluso nulla».
«Dal momento che non ha concluso nulla, perché adesso non le sta esaminando?».
Xerosic abbassò lo sguardo.
Comunicare con il suo nuovo Capo non era facile.
Il modo migliore era essere diretti, come era diretto lui.
Senza guardarlo negli occhi, lo scienziato si decise a domandare: «Voi sapete già cosa sono, Signore?».
«Sì».
«Perciò è un test. Ho ragione?».
«Sì».
«E sapete anche come usarle?».
«No».
«Allora, stiamo perdendo tempo. Mi dica cosa sono, Signore, e io troverò un modo per sfruttare il loro potenziale, sempre che davvero possano sostituire...».
Si interruppe e guardò di nuovo le tessere.
A Kalos sarebbe stato impensabile, ma quella era Sinnoh. Le due tavolette, composte di un elemento così simile al carbonio da ingannare lo spettrometro di massa, potevano essere più antiche della Creazione.
Xerosic non ci aveva mai creduto. Non aveva mai creduto all'esistenza né del Primevo né delle sue mitiche Lastre. Persino adesso, riflettendoci, si sorprese scettico.
Criticare le credenze religiose di un uomo e di un gruppo del genere era pericoloso. Doveva trattare le due tavolette come oggetti sacri, pur cercando di estrapolarne i segreti. Il lato positivo era che, riguardo o meno, niente avrebbe potuto danneggiarle.
Cyrus lo scrutava immobile, seguendo i suoi movimenti con gli occhi. Se davvero era venuto lì per dargli una mano o un suggerimento, il suo volto non lo lasciava intuire.
Xerosic accennò un inchino alla orientale. «La ringrazio, Signore».
Nessuna risposta.



 
A Johto




«Ma sei matto, a tenerla qui?!».
La sua domanda fu accolta da un'alzata di spalle.
In una grande gabbia dedicata ai Pokémon più indomabili si agitava una creatura simile a un enorme pipistrello scheletrico. Lunala.
Era furibonda, e sembrava tanto fuori di sé da aver perso l'uso della parola o del pensiero. Le sue grida animalesche atterrivano tanto i Pokémon quanto gli umani nei dintorni. Tutto il covo Rocket si stava svuotando. La vampira urlava, rimbalzava da una parte all'altra della gabbia e batteva violentemente contro le sbarre, nel tentativo di romperle con tutto il suo peso.
La consapevolezza di essere incinta non frenava la violenza dei suoi colpi. Poiché i suoi poteri erano inibiti, non riusciva a scappare.
Celebi, libero nella stanza, scompariva e riappariva saltando avanti nel tempo nella speranza di trovarla finalmente calma. Abituato alla quiete del bosco, le urla della vampira e il suono metallico delle protesi dorate delle sue ali sulle sbarre lo disturbavano non poco.
Un'ombra scivolò furtiva sotto i piedi di Sird. Prese consistenza e risalì silenziosamente dalla terra assumendo le sembianze di una creatura spettrale. La testa era incassata tra le spalle larghe, una cresta bianca e impalpabile come nebbia andava a coprire permanentemente uno degli occhi azzurri del demone. Il suo corpo, ora sospeso a mezz'aria, era fatto di pura oscurità.
Con un braccio sottile circondò il corpo dell'unica umana nella stanza, come per proteggerla da un attacco annunciato. L'aveva incontrata da bambina e aveva finito per considerarla una sorella minore. Una sostituta della sua vera sorella, Cresselia, con cui aveva un rapporto conflittuale.
L'ira di Lunala si concentrò su di lui.
Il Pokémon Neropesto, Signore degli Incubi, era nato dalla relativamente breve relazione tra lei e Arceus. La vampira non sopportava il pensiero che lui e Cresselia l'avessero abbandonata per restare leali al padre. «Darkrai! Traditore!» gli urlò avvicinando la testa alle sbarre. «Sei stato tu a spifferare tutto, non è vero?! Lurida spia! Perdente!».
Sird toccò con una mano il braccio del suo fratello acquisito per comunicargli il suo sostegno. Avere uno Spirito Maligno come mamma non doveva essere facile.
L'uomo dai capelli rossi, Lysandre, era già morto da tempo. La sua anima era stata cacciata o forse distrutta. Lo Spirito, o il Leggendario, o il dio che ne aveva preso il posto parlò con la sua voce: «Luna, non c'è stato bisogno di una spia. Vi conosco troppo bene: tu e Giratina avete questo chiodo fisso, di distruggere i miei universi, da otto o diecimila anni. Il tuo complice si è accorto che qualcosa non andava prima di te, ha avuto paura e...».
«Paura...?!» lo interruppe acida Lunala.
«Sì. Giratina è terrorizzato da me, tu dovresti essertene accorta. Non riesce ad affrontarmi senza la certezza di non essere ucciso. Perciò, forse, dovresti prendertela soltanto con lui».
«Lui non ha affatto paura di te! Ti ha sfidato almeno cento volte! È l'unico che ha osato farlo!».
«Una sfida è solo una sfida. Sono abituato a combattere, apprezzo gli spiriti guerrieri e lui lo sa. Lo sanno tutti. Ma una minaccia concreta all'equilibrio del mio intero Sistema di Universi è tutt'altro. Per me è un motivo sufficiente per uccidere. Lui, te, l'Avatar... e chiunque vi stia appoggiando tra gli Spiriti non eterni e i mortali. Giratina sa anche questo. Perciò è sparito: non sta cercando Dialga o Palkia, è in fuga. E vi ha lasciate qui... come vittime sacrificali».
«Sei tu che ci hai costretti a comportarci così, sadico despota!» masticò adirata la vampira.
Riservato, solitamente brusco, poco incline a cercare la compagnia o l'adorazione altrui tanto da essersi riservato una dimensione a parte, Arceus non usava comportarsi né da divinità né da sovrano. Non aveva santuari, non chiedeva offerte, aveva fatto il possibile per cancellare le tracce della sua esistenza. La solennità dei sacerdoti lo infastidiva quasi quanto le sette religiose. Ma il suo potere non era in dubbio: tutti i Leggendari abbassavano la testa davanti a lui e al più spietato dei suoi visir, Azelf.
«Non ti allargare. Non sentirti troppo al sicuro solo perché mi hai detto di essere incinta. Volevate trovare il mio punto debole, volevate infastidirmi sul serio e ci siete riusciti. Non la ritengo un'impresa facile».



 

A Sinnoh




L'illuminazione era finalmente arrivata.
Eris gli aveva prestato la sua Pietrachiave incastonata in un grazioso ciondolo dorato, stranamente identico a quello dell'attrice Diantha. Gli androidi, poco inclini all'inventiva, dovevano averlo clonato in un'operazione simile al banale spionaggio industriale.
La funzione della Pietrachiave era di convertire l'energia “spirituale” dell'Allenatore e trasferirla al Pokémon a lui legato tramite la Megapietra esclusiva per ogni specie.
Lo scienziato la usò per estrarre l'energia dalla Lastratimore e cederla all'esterno.
Era un po' come accendere una lampadina estraendo energia elettrica dalle patate. Ma Xerosic si trovava al buio e non aveva nulla di meglio in mano. Il suo tempo stava scadendo e la bassa tecnologia lo aveva già salvato altre volte.
Si pentì del tentativo appena la pietra si attivò.
L'uomo sollevò le mani dalla tastiera e le tenne a distanza. «Dio del Cielo!».
Davanti a lui era apparsa la terrificante sagoma del grande Yveltal. Il battito delle sue enormi ali rosse e nere spostava l'aria come se fosse reale, i suoi occhi ciechi sembravano fissarlo.
Il volatile regredì a uovo, l'uovo si trasformò in una sfera di energia oscura che cominciò a crescere, mandando in tilt il computer centrale. Tutti gli androidi attorno a lui si spensero all'istante. Persino Xerosic ebbe l'impressione di sentirsi male. Gli mancarono le forze.
Dopo una frazione di secondo, l'instabile sfera nera regredì e fu riassorbita dalla Lastra senza lasciare tracce.
Il computer centrale si riavviò automaticamente e gli androidi si risvegliarono. Loro non erano colpiti, perché niente poteva turbarli. Fingevano stupore solo quando i Comandanti lo volevano.
Xerosic non era un Comandante e si trovò circondato dall'indifferenza.
Il passo successivo sarebbe stato connettere la lastra e la Pietrachiave all'arma, trovando un modo di esporla per un tempo sufficiente alla pura Oscurità.
Ma per lo scienziato era troppo.
Aveva già incontrato Yveltal, pochi anni prima a Kalos. Il Pokémon Distruzione era uno dei più terribili mostri del pianeta. Il potere della Lastratimore era mille volte più spaventoso di lui.
La voce del Comandante Saturno lo sorprese.
Il ragazzo era arrivato alle sue spalle assieme alla sua orrenda, adorata Toxicroak.
«Da qui in poi continuiamo noi, Dottor Xerosic».




 
A Kanto


«Non ho capito. Ripeti».
«Mio fratello si è lasciato incantare da quella brutta strega di Sird».
«Sird? È la vecchia vacca anoressica di cui mi parlavate, quella che vi ha pietrificati?» domandò Gold all'altro capo della linea, nella sua casa di Johto.
«Esatto» confermò Blue. «Quella stronza spaziale adesso è tornata giovane, perché l'erba cattiva non muore mai, e si è portata a letto questo rimbambito. Poi gli ha chiesto di lavorare con lei e gli ha infilato un microchip sottopelle. Ora però c'è un altro problema: Johto è conquistata. Sird non è affatto una Rocket, è una Comandante di un gruppo criminale di Sinnoh. Il Team Galassia».
Gold annuì con fare convinto, benché nessuno potesse vederlo. «Sì. Faccio finta di seguirti».
«Ora che Giovanni non è più al timone, tu non sei l'amico del figlio del Boss. Sei l'amico del giocattolo sessuale dismesso della Lady Boss».
Silver era lì ad ascoltare. Non riusciva neppure a difendersi, tanto si sentiva umiliato.
«Devi lasciare Johto al più presto, Gold. Noi siamo già a Kanto, poco fuori Smeraldopoli. Ti aspettiamo qui... sperando che mio fratello non impazzisca per colpa del chip».
Smeraldopoli era una città interessante per qualsiasi invasore, soprattutto per una come Sird. Aveva dato i natali sia a Giovanni sia a Silver. Poco lontano, nel Bosco Smeraldo, erano nati il Campione Lance e la Dexholder Yellow, entrambi capaci di leggere la mente dei Pokémon grazie all'influenza magica di quegli alberi. Lì aveva abitato Celebi prima di trasferirsi nel Bosco di Lecci.
Ciò rendeva Smeraldopoli la più probabile tappa successiva dell'avanzata silenziosa e subdola del Team rivale. Tuttavia, per adesso era un posto sicuro e un luogo facile da trovare per incontrarsi.



 
*



Le avevano prescritto un farmaco antiepilettico e l'avevano mandata in vacanza in una casa di legno in mezzo al verde, a rilassarsi. Quel posto si era meritato il nome di Bosco Smeraldo per il colore vivido delle foglie dei suoi splendidi e vigorosi alberi. Nessuno ne sarebbe stato rinfrancato come un cieco. Quei geni non ci avevano pensato. E non avevano neppure ricordato che il legno isolava il Senso Sismico, impedendo ai Dominatori della Terra di percepire le vibrazioni del terreno sottostante.
Gong odiava il legno.
Come ciliegina sulla torta, da quando assumeva il farmaco, non riusciva ad entrare nella Forma Avatar. Quindi era più irritabile e cieca del solito.
Adesso era in piedi davanti al gabinetto con la compressa in mano, e si interrogava sul da farsi. Non era sicura che non la stessero avvelenando. In fondo, le Reclute al suo servizio avevano già cominciato ad odiarla.
Buttò la compressa nell'acqua del gabinetto e tirò lo sciacquone. Il suo Mimikyu la spiava perplesso facendo capolino dalla porta socchiusa. Ming la vedeva cambiata, ma non si spiegava in che modo. La malattia da sola non spiegava tutto.






 






AUTRICE: chi ha seguito i capitoli precedenti mi manderà all'inferno (o nel Mondo Distorto a seconda di dove siamo). Intanto io vi saluto e vi dico che non so quando aggiornerò, sono un po' incasinata.  

 

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Capitolo 23
*** Deus ex machina. Parte II ***


23. Deus ex machina (II)




Gold aveva radunato tutti i suoi Pokemon e aveva riempito di sfere uno zaino. Erano molte più di sei, ma a lui non importava. Era scappato portandosi solo lo stretto indispensabile, aggiungendo qualche valigia con il superfluo. Il passo successivo sarebbe stato mettere la casa sulle ruote e trainarla.
Kokachin, la Togetic della Sensitiva di Giovanni, aveva accettato di seguirlo controvoglia.
Tra lei e Togebo non aveva funzionato: passato l'entusiasmo iniziale, avevano perso interesse l'uno per l'altra e non avevano concluso. L'uovo non era arrivato.
Perciò Kokachin non aveva molto a che spartire con loro.
Ma se al posto del Team Rocket si era impiantato il Team Galactic, allora la sua Allenatrice era già prigioniera o fuggiasca. Di sicuro non sarebbe tornata lì a prenderla.
Quando, appena fuori da Smeraldopoli, Gold se la trovò davanti prima ancora di rintracciare i suoi amici, la sua convinzione che fosse fuggita da Johto prese forza.
La cieca stava passeggiando e sarebbe andata da tutt'altra parte, se Randal non avesse fiutato l'odore di Kokachin rimasto sui vestiti dell'Allevatore di Borgo Foglianova. Era stato il cagnolino a guidarla da Gold.
Lui la salutò come se la considerasse una vecchia amica, nonostante si conoscessero appena. «Ehilà! Ho sentito che ve la passate male...».
«Sì. Io me la passo male» gli rispose lei con un filo di voce. Non sprizzava energia da tutti i pori.
«Beh, tu e tutti gli altri!».
La cieca alzò un sopracciglio. «Gli altri?».
«Gli altri Rockets. Ho sentito che vi ha mangiati il Team Galassia».
«E cosa sarebbe, il Team Galassia?».
Fu il turno di Gold di rimanere sorpreso.
Gong in quel momento non stava benissimo, sembrava un po' suonata, però non poteva non essersi accorta del “colpo di stato”.





 
A Johto



«Sei maturata, Luna. Un tempo, quando stavamo insieme, non avresti esitato a saltare sul carro del vincitore».
La Leggendaria era chiusa in gabbia e rassegnata alla prigionia. Se ne stava ferma a testa in giù, appesa con la coda a mezzaluna al sostegno pensato per i Crobat. Erano Pokemon molto più piccoli di lei, ma doveva farselo bastare. Era un po' scomodo.
L'altro Leggendario non aveva ancora abbandonato il suo piano iniziale, qualsiasi esso fosse. Come uno Spirito se ne stava nascosto in un corpo ospite per guardare il mondo da un punto di vista diverso, più a misura dei suoi ignari abitanti.
A quale scopo, non voleva rivelarlo. Forse era solo un modo per combattere la noia e per sentirsi parte del suo gioco.
Neppure lui poteva eliminare Raava: entrambi i Grandi Spiriti erano eterni. Se uno dei due esisteva, allora esisteva l'altro. Contemporaneamente, il declino dell'uno avrebbe causato l'immediata ascesa del suo opposto, che avrebbe portato in sé una traccia dell'avversario, garantendone la rinascita. Raava e Vaatu non potevano scomparire insieme e ciò li rendeva indistruttibili.
Tuttavia, se costretto rinunciare all'equilibrio tra Luce e Oscurità, Ordine e Caos, il Creatore Arceus avrebbe appoggiato l'Oscurità ed il Caos.
Gli Animalia e gli atri Regni naturali sarebbero spariti dai suoi Universi, ma le sue creature dai poteri soprannaturali, definite “Pokémon” come se fossero nate per stare in una tasca, si sarebbero adattate a vivere senza di loro in un guazzabuglio indefinito di Spirito e Materia.
Il Mondo Distorto e il Mondo Materiale si sarebbero fusi insieme tornando entrambi sotto il dominio esclusivo di Arceus. Dialga, Palkia e Giratina si sarebbero uniti a creare una nuova entità pseudo-primordiale, o sarebbero letteralmente tornati al Creatore.
Più Lunala si arrovellava, più ci dormiva sopra, più restava immobile a guardare le sbarre senza poter parlare con nessuno, più questo scenario apocalittico le pareva plausibile.
Arceus aveva cercato di mantenere la calma dando risposte vaghe alle sue domande. La “questione universale” si era rapidamente trasformata in una banale discussione di coppia.
«Hai sempre avuto un'opinione bassissima di me» gli rispose offesa Lunala.
L'uomo scosse la testa. «Questo non è vero. O non ti avrei sopportata neppure per un giorno».
«Sopportata?! Mi usavi come passatempo!».
«Sai quanto posso essere insofferente. Un “passatempo” che parla per me è già troppo».
«Perché evidentemente hai qualcosa, in quel cervello, che si aggira dalle parti della necrofilia».
Il rosso aggrottò la fronte. «Questa da dove l'hai tirata fuori?!».
La voce musicale di Lunala assunse un tono lamentoso: «Guarda le mie ossa! La gabbia toracica in vista, le protesi d'oro alle ali...! Mi hai riportata in “vita” e hai modificato solo qualche dettaglio qua e là per rendermi più attraente ai tuoi occhi. È così macabro! Devo trasfigurarmi, per non vedere il mio stesso scheletro!».
«Sei uno Spettro, Luna. Non hai veramente un corpo, e quelle di cui ti lamenti valgono quanto le ossa di un costume. Tutte le femmine della tua specie hanno queste caratteristiche. Non è macabro».
«E invece sì! Noi Lunalae siamo scheletriche perché sei stato tu a crearci così. Come ti è venuto in mente?! Come hai potuto?!».
«Non ho un controllo così capillare sull'evoluzione nel senso naturalistico del termine. Tu dovresti saperlo. Vuoi passare il tempo a criticare i miei gusti estetici? Perché se è così, me ne vado».
Mentiva: non se ne sarebbe andato.
La vampira intuì la sua momentanea debolezza e provò ad approfittarne. «Quindi, tu non mi trovi in nessun modo orripilante?».
«No».
«Hai ucciso mio fratello per gelosia?».
«L'ho picchiato per gelosia. L'ho ucciso per salvare il tuo Cosmog».
«Vuoi precipitare i tuoi Universi nel Caos?».
Silenzio.
La tecnica della voce dolce unita all'interrogatorio martellante aveva finalmente dato i suoi frutti. Lunala, dentro di sé, esultò.
«Ora mi confondi con Giratina» le rispose malinconico Arceus. Fece una seconda pausa, più lunga della prima. Sospirò e la sua voce divenne un po' più grave. «Luna... non sono affatto contento di ciò che deve accadere. Perdonami. Ti rimpiangerò».



 
Il giorno dopo. A Kanto



Il cellulare di Silver squillò senza mostrare il numero del mittente. Il ragazzo se ne accorse e fece roteare gli occhi, esasperato: era abituato agli scherzi telefonici di Gold. L'amico era appena arrivato da Johto e si era presentato nel luogo prestabilito assieme alla presunta Sensitiva di Giovanni, Shan Yueguang. Un grosso rischio, era stata Sird a portarla nel Team Rocket, ma il Dexholder perdeva la testa quando si trattava di ragazze dal viso carino. Lei era molto giovane, appena sedicenne, perciò anche Gold coi suoi vent'anni suonati aveva ricominciato a comportarsi da adolescente. Non che avesse mai smesso.
Silver rispose alla chiamata aspettandosi una voce caricaturale.
Parlò una donna, una donna vera e non un falsetto, con un accento che Gong non avrebbe saputo imitare. «Comandante Phobos... vedo che hai scelto il Bosco Smeraldo. Bene»
Fobos era il maggiore dei due satelliti di Marte. Sua cugina, la Comandante Mars, aveva sfogliato il suo primo libro di astronomia per scoprirlo. Lei era un tipo da letture leggere.
«Chi parla?».
«Comandante Jupiter. Da Sinnoh».
«Scordatevi questa storia. Io non sono uno di voi».
«Non riattaccare. Vai alla Torre Radio e di' che Kanto e Johto si illumineranno di una luce più forte del sole: abbiamo Grey Flower».
Silver non aveva idea di cosa fosse Grey Flower.
Quella Jupiter, per come si esprimeva, gli ricordava un po' Sird. Le sue parole suonavano come una minaccia. Ma era probabile che il “Fiore Grigio” fosse solo una grossa lampada.
«La Torre Radio che conosco io è a Johto. Qui a Kanto, non saprei neppure dove cercare».
«Allora l'operazione partirà senza avviso. Fa lo stesso. Arriveremo al Bosco Smeraldo al tramonto. Tu, Comandante, non allontanarti da lì. Non disturbarti a cercare Celebi: l'abbiamo già catturato noi».
Il modo in cui pronunciava il nome del Pokémon, “Se-li-bai”, gli ricordò ancora una volta la sua Sird. Silver restò disguastato e spaventato da se stesso accorgendosi che lei gli mancava. Moltissimo. E se ne vergonava: l'unica cosa che ricordava nitidamente del suo vecchio volto era il disprezzo nei suoi sorrisi. Anche se la donna adesso era più giovane, e aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti, non poteva credere di essersene innamorato.
Lei era la musa dei grandi criminali.
Se Maschera di Ghiaccio le aveva permesso di portare via Celebi dal Bosco di Lecci, Lysandre le aveva rivelato i segreti dell'Arma Suprema di Kalos, Giovanni l'aveva tenuta vicina a sé come consigliera e Cyrus l'aveva impiegata come spia, la vecchia strega doveva aver incantato anche loro. Era una magra consolazione, considerando il tipo di uomini.
Jupiter aveva chiuso la chiamata ma lui era rimasto immobile come un idiota, con il cellualre accostato all'orecchio.
La scelta di usare un'intermediaria era un cattivo segno. Silver era sicuro di essere stato manipolato. La ferita nell'orgoglio cominciava a bruciargli.



 
*



Al nome di Grey Flower, Gong fu l'unica a sussultare. Impallidì. «E' vero».
Seduta a gambe incrociate sul pavimento di legno, con gli occhi ciechi fissi sulla parete oltre la spalla di Silver, sembrava persino affidabile. Un oracolo la cui bocca avrebbe annunciato disgrazie.
«Nessuno deve uscire dal cerchio interno».
«Chi è che cerchi...?!» domandò a voce alta Gold, spezzando la solennità del momento.
La pronuncia della ragazza non era ottima. E il Dexholder era capace di urlare e ridere persino a un funerale.
Gong ripeté ciò che le aveva raccontato Lunala nel Mondo Distorto. Il Fiore Grigio avrebbe risucchiato l'energia vitale delle vittime nel cerchio esterno e l'avrebbbe trasferita a chiunque si trovasse nel cerchio interno. Fino ad allora, gli umani erano riusciti a costruirne un modello capace di coprire un'area pari all'intera Regione di Kalos.
Blue si portò una mano alla bocca. «O mio dio...! Ho già sentito parlare di questa cosa, ma con un altro nome! Yellow, Red... i miei genitori... il Prof Oak...!».
Green e Crystal erano al sicuro. Studiavano e lavoravano all'estero, perciò si sarebbero salvati.
La ragazza si rivolse a Silver. «Sono robot e tu sei un Comandante. Non puoi provare a fermarli tu?».
Prima ancora che il fratello aprisse bocca, qualcuno lanciò un fumogeno dalla finestra del cottage e l'aria divenne irrespirabile. I ragazzi presero a tossire, mentre la Cosmog Luna volava fuori dalla finestra aperta.
Le persone che sfondarono la porta ed entrarono sembravano immuni al fastidio del fumo.
Gong si ribellò per prima e riuscì a mandare al tappeto uno di loro, ma le sue abilità marziali non poterono nulla quando immediatamente si trovò accerchiata. Gli sconosciuti erano tutti giovani, maschi e femmine, tutti coi capelli e gli occhi verde acqua, tutti ugualmente forti, impavidi ed efficienti come una comunità di formiche. Vederli agire così rapidamente e senza nessun timore degli elementi era piuttosto impressionante.
Silver gridò loro di fermarsi e loro si fermarono. Il contrordine non tardò ad arrivare, assieme alla temporanea esclusione del Comandante appena arrivato.
I Dexholders e la Sensitiva furono portati fuori dal cottage come prigionieri. Lei aveva delle manette elettrificate ai polsi, le sue braccia non erano legate l'una all'altra ma al primo movimento inopportuno avrebbe preso la scossa. Gli altri tre erano tenuti fermi da un gruppo di Reclute dai capelli verde acqua.
Il Team Galassia aveva anticipato i tempi: era ancora giorno pieno.
La Comandante Mars salutò Silver con la mano, come se si conoscessero da tanto. Accanto a lei c'era il ragazzo che aveva lanciato il fumogeno, suo coetaneo. Aveva i capelli blu e una vistosa quanto stupida acconciatura alternativa.
La donna che gli aveva parlato al telefono, Jupiter, finse di scusarsi. «Comandante Phobos... abbiamo recentemente cambiato i mezzi di trasporto. Siamo arrivati prima del previsto. Ora dobbiamo aspettare».
«Aspettare chi?!» domandò brusco Silver. Non voleva sentire la risposta.
Non c'erano tracce di Grey Flower, la grande Arma Suprema. Il modello antico, quello costruito a Kalos tremila anni prima, era ancorato alla terra e impossibile da spostare. Ma dopo il chip semi-fluido, non sarebbe stato sorprendente che quei diavoli ne avessero ideata una versione portatile.
Dopo una ventina di minuti, arrivarono altre due persone.
Uno era Cyrus, noto criminale ricercato dall'Interpol. Aveva un Chingling particolarmente bellicoso sulla spalla destra. L'espressione del piccolo Pokémon era così crudele da ricordare la smorfia della Maschera di Ghiaccio.
L'altra era una donna dalla pelle ugualmente pallida e i capelli del suo stesso colore. Era più bassa e più carina di Sird, ma le assomiagliava anche vista da lontano.
Silver fu l'unico a fare caso a lei. Gli occhi dei suoi due amici indugiarono perplessi sul Pokémon che aveva al guinzaglio. A Kanto era fuori posto e non c'entrava nulla né con Sinnoh né con lei. Era visibilmente selvatico e non avrebbe avuto motivo di seguirla. Si trattava di una femmina di Sawsbuck.
I Sawsbuck erano Pokémon simili a cervi o renne, tipici di Unova ma famosi in tutto il mondo per la bellezza delle loro corna. Maschi e femmine avevano i palchi, quelli della cerva erano ricoperti di foglie rosse, perché l'autunno meteorologico era già iniziato.
Gold parlò a sproposito. «Ci volete sacrificare con la cerbiatta?!».
Jupiter gli rispose con una risata.
Prese in mano quello che sembrava un detonatore e premette un pulsante. Il ragazzo dai capelli blu fece lo stesso.
Alle loro spalle, in una piccola radura in mezzo agli alberi, si allargò un cerchio oscuro del tutto simile ai cosiddetti “buchi neri” generati dal Pokémon alieno Deoxys.
Ovunque si trovasse fino a un istante prima, il Fiore Grigio uscì dal suolo di Kanto, tra gli alberi del Bosco Smeraldo.
«Ma io ho la faccia di uno che vuole vivere per sempre?! Calate giù quell'affare!».
Quello era di nuovo Gold.
«Ma chiudi il becco! Io ci farei la firma!» lo zittì Saturno.
Cyrus liberò un enorme Honchkrow dal piumaggio curato e lucente, l'indiscusso Grancapo di un grande stormo. Appena lui, Titano, si fu alzato in volo, tutti gli umani, gli androidi e gli altri Pokémon radunati in gruppi furono circondati da una serie di calotte di energia.
I Dexholders e Gong furono inclusi nella terza calotta. D'altronde, tra loro c'era un Comandante.
Solo Titano rimase privo di protezione.
L'Arma Suprema sbocciò come un fiore. Cominciò a generare una sinistra e potente energia oscura.
La prima onda circolare si infranse sugli scudi a calotta senza raggiungere Honchkrow. Così la seconda. Poi un raggio nero colpì il bersaglio designato.
Sotto l'influenza della Lastratimore, Titano cambiò forma. Le sue ali e la sua coda crebbero, la cresta a cappello scoparve per lasciare il posto a delle corna rivolte in avanti, il becco divenne più appuntito. Il suo piumaggio si colorò di nero e rosso, il suo gracchiare si trasformò nello stridio di un rapace.
Yveltal, completamente cieco, non vedeva il mondo con gli occhi. Percepiva la presenza di altre creature viventi, la cui energia vitale per lui era cibo. Una piccola preda rimasta fuori dagli scudi risvegliò il suo istinto e la sua fame. Con due colpi d'ala il Leggendario si portò oltre le cime degli alberi e volò nella sua direzione. Le foglie sui rami sfiorati dalle sue piume si seccarono e caddero.
Blue intuì le sue intenzioni e si portò le mani al viso. «Oddio, c'è Cosmog da quella parte!».
Gold perse in un attimo tutta la sua voglia di scherzare. «Luna?! Luna è là fuori?!».
Sperava si trovasse in una sfera, non l'aveva vista scappare.
«Aprite questo coso!» ordinò Silver.
Il Comandante Saturno lo corresse: «Si dice “ritirate gli scudi”».
«Ti sembra il momento, non-so-chi-tu-sia?! Facci uscire da qui!».
Intervenne Jupiter: «Tu non puoi dare ordini agli altri Comandanti. Questo non è il team Rocket».
«Bene, è insubordinazione. Ritirate questo scudo e fatemi ammazzare. Avanti!».
La donna con il Sawsbuck ancora al guinzaglio, quella che somigliava a Sird, si consultò con Cyrus e accolse la sua richiesta.
La calotta di energia che li separava dal mondo esterno scomparve.
I tre Dexholders si lanciarono in una corsa sfrenata. La cieca rimase ferma e si sedette a gambe incrociate lì dov'era, sull'erba.
«Che fai?!» urlò Gold guardando dietro di sé.
« Voglio provare una cosa».



 
*




Cosmog l'aveva sentito avvicinarsi. Si era nascosta in un tronco cavo. Il volatile era riuscito a farsi strada ed era venuto dritto al suo rifugio, come se l'avesse vista infilarcisi. Lei cercava di tenersi lontana dal suo becco e ai suoi artigli, ma tutto il corpo le bruciava e si sentiva sempre più debole. Il demone, famelico, tentava ripetutamente di afferrarla.
Stava per tirarla fuori dal tronco quando fu colpito da un raggio di energia spettrale, il Raggio D'Ombra. Yveltal era stato disturbato durante un pasto e lanciò un grido di rabbia.
Si rivoltò contro Lunala, le volò addosso e cercò di ferirla con gli artigli ricurvi. Ma fu respinto da un forte colpo d'ala.
Era un affronto. Lunala era un pasto magro, era solo uno Spettro, ma lui l'avrebbe divorata se non l'avesse lasciato in pace.
Il suo primo attacco a distanza, Neropulsar, la lasciò quasi stordita.
La Leggendaria continuò a combattere solo perché era in gioco la vita del suo cucciolo.


 
*




Gong si era ritirata in meditazione. Negli ultimi giorni si era sentita molto deconcentrata, il mondo attorno a lei le era parso un fiume frenetico di eventi senza significato, troppo veloci per essere fissati nitidamente nella sua memoria. Però, se voleva fermare un demone oscuro del calibro di Yveltal, doveva ritrovare almeno momentaneamente il suo equilibrio.



 
*




Ciò che i tre ragazzi videro li angosciò: Yveltal era riemerso dalle cime degli alberi.
Inseguiva un esemplare di Lunala, probabilmente la madre di Cosmog. Lei non stava scappando, ma cercava di portarlo lontano dal cucciolo. I suoi attacchi lo provocavano senza ferirlo gravemente. Fu lui ad avere la meglio.
La Leggendaria precipitò rompendo i rami fino a schiantarsi, ancora viva, a terra.
Il Pokémon Distruzione le si posò accanto e cominciò a nutrirsene.
In un minuto assorbì tutta la sua energia, lasciando soltanto le ossa e le protesi d'oro.
L'oro, privato della magia alchemica, si annerì e divenne ferro.
Ma, a sorpresa, il banchetto non era finito. Yveltal percepiva nitidamente ciò che era stato celato nel grembo gravido dello Spettro.
Una sfera di energia circondava l'embrione ancora vitale come un guscio d'uovo. Ogni tentativo di assorbirla, trapassarla o romperla si rivelò un fallimento. Il grande Yveltal sembrava un uccello alle prese con un sasso. Si distrasse solo quando qualcos'altro turbò le sue percezioni.
Luce.
Anche se i suoi occhi non potevano vederla, gli entrava sotto la pelle e bruciava come acido.
La accompagnava il consueto fetore tipico di tutti i Folletti. Si trattava di uno Spirito molto più luminoso del suo rivale Xerneas, uno Spirito che non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Il suo nome era inciso nella memoria di qualsiasi creatura derivasse dalla Lastratimore: Raava.



 
*




Una gigantessa luminosa come il cristallo si alzò dalla radura in cui il suo piccolo corpo materiale si era raccolto in meditazione. La sua testa superava le chiome degli alberi più alti. Era uno Spirito, lo Spirito dell'Avatar, perciò poteva trapassare ogni ostacolo terreno come se non esistesse.
Oppure poteva sradicare tronchi e servirsene per picchiare l'avversario. Si muoveva in bilico tra due Dimensioni, la Materiale e la Spirituale.
Arceus, nel suo corpo ospite umano, in volo sul dorso di un Gyarados azzurro, diresse la sua cavalcatura verso terra, dove gli alberi erano meno fitti. Saltò giù sul prato.
La sua figlia adottiva, Sird, atterrò col suo Starmie poco dopo di lui.
«È tardi» le disse il Primevo. «Io devo andare. Tu occupati di Luna».
«Solo di quella piccola?».
«Sì».
«Come faccio a trovare Solgaleo?».
Arceus le porse la sfera speciale chiamata GS-ball. Lì si era volontariamente ritirato Celebi.
Sird la prese, la guardò pensierosa e ripeté: «Come faccio a trovare Solgaleo?».
«Libera Celebi e seguilo. Lui l'ha già trovato. Non farti mettere i bastoni tra le ruote dai ragazzi col Pokédex».
«Non è colpa mia se l'altra volta...!».
«Niente scuse. L'altra volta hai fatto una frittata».
Liberò il Pyroar e il Mienshao di Lysandre, gli unici Pokémon che aveva con sé oltre a Gyarados.
Dunque si rivolse di nuovo a Sird. Con due dita le pizzicò una guancia. «Ci vediamo presto, bambina mia».
«Scusa, non dobbiamo arrivare più o meno nello stesso posto?».
L'uomo fu circondato dalle fiamme. La risposta era no.
Quando il fuoco si estinse, di lui non rimaneva che un cadavere bruciato. Crollò sull'erba sotto gli occhi perplessi della sua squadra di Pokémon. Sapevano che il vecchio padrone era già morto. Ma non avevano mai visto il suo reale aspetto.
Sird storse disgustata la bocca. L'odore della carne bruciata urtava i suoi sensi. Si tappò il naso, lasciò uscire la sua Persian dalla sfera per avere compagnia, e si mise in marcia.
Pyroar decise di seguirle.



 
*



Adesso era Yveltal a fuggire. Aveva interrotto la cena e si era affidato alle sue ali.
La corsa della gigantessa di Luce, nonostante la distanza iniziale che li separava, si rivelò più efficace del suo volo.
La mano della ragazza lo afferrò per la lunga coda e lo fermò. Poi le dita dell'altra mano gli si chiusero attorno senza stringere.
Il Pokémon Distruzione batté le ali e scalciò nel tentativo di liberarsi. Ma la gigantessa lo teneva in trappola. Lo avvicinò al viso per guardarlo meglio. I suoi occhi splendevano come due piccoli soli e solo questo bastava a ferirlo.
Poi le sue piume rosse e nere parvero sciogliersi e il demone tornò ad essere un Honchkrow.
Gli occhi di luce della gigantessa si sgranarono per la sopresa mentre l'Oscurità veniva assorbita dal suo stesso corpo. Sul suo petto e sul suo addome comparvero gli elaborati e simmetrici ghirigori luminosi del corpo di Raava. Ma c'era qualcosa di diverso: il quadrato grigio al centro del suo petto si era colorato di nero.
Non avrebbe dovuto avvicinarsi tanto, e di nuovo, a una creatura del Buio.
Lasciò andare Honchkrow.
«Vaatu?».
La sua figura perfettamente umana cominciò a traformarsi.




 
*



La gigantessa, Forma Cosmica dell'Avatar Yueguang, aveva messo in fuga Yveltal. Li aveva superati e lasciati indietro.
Trovare le ossa di Lunala circondate dal ferro arrugginito mandò Blue e Gold in agitazione: se lei era morta, Cosmog era rimasto senza difese.
Silver era l'unico ad aver mantenuto il sangue freddo. Indicò una sfera di luce rosa poco più grossa di un pallone da calcio. «Che cos'è?».
Yveltal l'aveva fatta rotolare contro un tronco poco prima di scappare.
Blue fu animata da una falsa speranza. Corse verso la sfera. «Luna!» chiamò. «Luna!».
Il silenzio era un pessimo segno.
La ragazza provò a guardare oltre la luce rosa, ma non riuscì a distinguere nulla. Nulla che assomigliasse a un Cosmog. E adesso non le importava d'altro.
Silver aveva considerato la dura realtà e si era messo a cercare tra le radici e nei tronchi cavi.
Trovò un Cosmog completamente immobile. Lo strato di gas blu attorno al suo corpo nero pece era già rarefatto e continuava a disperdersi. Il suo rifugio si era trasformato in una trappola.
Silver lo nascose istintivamente alla vista della sorella e fece cenno a Gold di avvicinarsi.



 
*



La Forma Cosmica dell'Avatar Yueguang era diventata irriconoscibile. Il suo volto ricordava una maschera demoniaca, sulla sua testa erano comparse delle escrescenze che da sole ricordavano un copricapo triangolare. Se non si fosse separata immediatamente da Vaatu, avrebbe perso la sua essenza umana. Non poteva tenere in sé entrambi i Grandi Spiriti.
Si premette una mano al centro del petto e con due dita estrasse come una spina la piccola sagoma dello Spirito dell'Oscurità e del Caos. Vaatu, appena riapparso, era ancora debole. Ma con le giuste fonti di sostentamento, sarebbe via via diventato più forte, sottraendo energia alla sua rivale.
Gong non poté trattenerlo. Appena fu separato da lei, il Grande Spirito sfuggì alle sue dita e volò via. La sua risata cavernosa risuonò tra gli alberi del pacifico Bosco Smeraldo.
Stava andando verso il Fiore Grigio, richiamato dalla sua forte carica oscura.
Accelerò appena giunse in vista dei suoi petali.
Ma la macchina cambiò improvvisamente carica.
Lui frenò immediatamente la sua corsa, stupefatto. Piccolo come un fazzoletto, rosso e nero come il demone Yveltal, identico a Raava nella forma e nei disegni, il Grande Spirito del Caos non sembrava la minaccia che in realtà era.
La femmina di Sawsbuck, libera dal guinzaglio e dallo scudo, si avvicinò lentamente ai petali splendenti rimanendo dietro di lui. Fu investita dalla prima ondata di Luce e la sua pelliccia da marrone divenne blu. I suoi palchi si ramificarono, persero le foglie e si tinsero dei colori dell'arcobaleno. La cerva si era trasformato nel Pokémon Creazione. In passato, gli umani lo chiamavano “Il Bello”: Xerneas.
La sua carica a testa bassa spinse l'avversario ancora più vicino al Fiore Grigio. La macchina lo agganciò con delle scariche di energia e lo trascinò proprio al centro dei petali. Li richiuse su di lui come una pianta carnivora. Con un movimento circolare cominciò a scendere sotto il livello del terreno, scomparendo oltre il “buco nero” da cui era apparsa.



 
*


Gong aveva lentamente riacquistato le sue vere sembianze.
Stava chiedendo a Raava come si sentisse quando il cielo diurno sopra di lei si squarciò facendo scorgere un cielo stellato di un altro Universo. Le stelle erano tanto vicine l'una all'altra da apparire grandi come monete.
Ne emerse un'enorme creatura simile a un drago, dal ventre nero e il dorso bianco, con gli occhi rosso rubino circondati da un alone verde smerando. Il contrasto netto tra i suoi colori sgargianti suggeriva che non avesse bisogno di nascondersi. Erano gli altri a dover stare in guardia da lui. Piovve giù come una furia, ruggì a fauci spalancate e spinse l'Avatar violentente a terra.



 
*




Blue stava piangendo, Gold voleva fare il duro e soffocava a stento le lacrime. Cosmog era stato avvolto nella giacca di Silver e coperto dal cappello da baseball di Gold.
Il grido di guerra di un dragone bianco mai visto prima, trasformò il lutto in paura.
Tutti e tre videro la gigantessa cadere, ma una voce tranquilla e beffarda, fuori posto in una situazione del genere, li distrasse dallo spettacolo. «Dex-holders...».
Quella scena era familiare, almeno per due di loro.
«No... smettila...!» la pregò Silver. «Non è il momento, Sird!».
«È proprio il momento, invece!».
Posò davanti a sé una scatola rompicapo aperta. «Mettete qui Luna. Forza. La sua vita dipende da questo».
«Luna è morta!» la aggredì Blue. «E tu non pronunciare il suo nome, strega!».
«Come sai che si chiamava Luna?» le domandò Silver. «Io non te l'ho detto. Non lo sapevo ancora, l'ultima volta che ci siamo visti. Ci hai spiati? Il tuo chip funziona anche da microfono?».
Lei gli rivolse il suo sorriso spavaldo. «La vecchia Sird ha occhi e orecchie dappertutto! Ma adesso, non parliamo di me. Datemi Cosmog e nessuno si farà male».
«Sognatelo!» gridò Gold. Le si avvicinò troppo con l'intenzione di sferrarle un pugno.
Fu un grosso errore.
L'aliena lo afferrò per un polso e lo tirò contro di sé. Gli mise un braccio attorno al collo. Ora lo teneva in ostaggio. Avrebbe potuto soffocarlo, rompergli la colonna cervicale o almeno fratturargli qualche osso.
«Ecco fatto. Il vostro amico è ancora vivo. In cambio vi chiedo solo una carcassa».
Indicò la scatola con un cenno del capo.
Blue assecondò la sua richiesta con un viso da funerale, sistemò Luna nella piccola bara di bambù.
Malgrado la delicatezza del momento, la voce di Sird suonò dura. «Chiudila».
La ragazza obbedì di nuovo.
Adesso erano arrivati a uno stallo.
La Persian di Sird schizzò in avanti prese possesso della scatola sfruttando la sua dimestichezza con la tecnica del Furto. La portò lontano dai ragazzi come da piccola avrebbe fatto con un gomitolo di lana.
Sird spinse via l'ostaggio, balzò all'indietro, raccolse la scatola e prese a correre tra gli alberi. Sempre che quei salti potessero definirsi una corsa.
Gold, che non aveva imparato niente, la inseguì.
Gli altri due gli andarono dietro per assicurarsi che non si facesse ammazzare.
Lo trovarono a guardarsi intorno, come se si fosse perso. La donna era già sparita.
Non era una sorpresa: sei anni prima era stato Mewtwo ad inseguirla, e lei lo aveva seminato.




 
*




La donna che gli si era presentata come Mercurius gli mostrò una scatola rompicapo e la aprì con una serie di manovre, facendole sembrare semplici.
Preso dalla curiosità, il grande leone bianco guardò dentro. C'era un Cosmog. O quel che ne restava. L'antenna deformata suggeriva che si trattasse del suo gemello, rimasto ferito oltre novemila anni prima in circostanze misteriose. Non lo vedeva da quando la loro madre li aveva separati.
«Questa è tua sorella. Tua madre. E tua figlia».
Solgaleo la guardò da sotto in su.
Le sue parole suonavano deliranti. Forse, a quella quota sulle pendici del Monte Argento, cominciava a mancarle l'ossigeno. Il leone lanciò un'occhiata allo spiritello dal corpo verde foglia e i grandi occhi azzurri, che battendo le piccole ali da insetto galleggiava a mezz'aria accanto a lei. Non si conoscevano.
Era inverosimile che un'umana fosse salita fin lassù, con il rischio di incontrare avversari tanto potenti e disabituati all'uomo, solo per prenderlo in giro. La poveretta doveva essere convinta della sua teoria. Sarebbe stato scortese liquidarla.
«Non ho capito» ammise il Leggendario.
«Te lo devo ripetere in tedesco? Ti avverto che la mia pronuncia fa schifo e non sono neppure sicura dei termini. Sie ist deine Shwester, deine Mutter und deine...».
«Non sono io a parlare il tedesco» la interruppe Solgaleo. «Non sono Nebby. Ma le tue parole non hanno senso in nessuna lingua».
«Lo dici perché sottovaluti il tedesco!» rise l'umana.
La sua mente era un libro aperto, ma scritto in geroglifico. Era stata addestrata e schermata da un intervento esterno, mandava segnali contrastanti particolarmente difficili da interpretare. Solo un pensiero era chiaro: non lo avrebbe lasciato in pace tanto facilmente. Era sicura di avere ragione.
Dal cielo stavano arrivando altri suoi simili in groppa ai loro Pokémon volanti.
«Che c'è? Perdonami se vedi tutto quel casino nella mia testa: ho dimenticato il cappellino di alluminio nel bunker».
Ora lo stava prendendo in giro. Faceva la sbruffona, non riusciva a trattenersi.
«Ma ciao, stronza...!».
Sird sobbalzò e si guardò alle spalle.
L'avevano trovata. Dovevano essere molto, molto motivati.
Anche se a parlare era stato Gold, c'erano tutti e tre all'appello. Uno sul suo Togekiss, l'altra sul suo Wigglytuff e l'ultimo sul suo Gyarados rosso. Murkrow non sarebbe riuscito a portarlo fin lassù.
Solgaleo riconobbe la ragazza castana e ricordò l'impressione che aveva avuto incontrandola: che lei e sua madre Lunala si assomigliassero, come Lillie assomigliava alla Lunala Nebby.
Nella mente degli altri due umani, il leone telepatico scorgeva la maggior parte dei tratti che mancavano. La malinconia di fondo e il lato burlone dell'Emissaria della Luna, la rabbia verso se stessa e verso la sua cattiva stella, e la finta superficialità con cui affrontava il mondo per non essere ferita o derisa.
Solgaleo e il Cosmog nella scatola erano nati identici. Solo le influenze esterne e la sfortuna li avevano resi tanto diversi. Ma condividevano la medesima essenza, la quale sarebbe rimasta inalterata nei loro figli se li avessero generati insieme.
Della madre Lunala, uno Spettro, Solgaleo sapeva per certo che in un qualche momento della sua esistenza era già morta. Lei non conservava memorie coscienti di cosa fosse avvenuto prima.
La donna di nome Mercurius mandò in campo un Pyroar e una Persian.
I ruggiti dei due felini furono sovrastati da quello del grande leone bianco.
Solgaleo saltò tra Sird e i tre Dexholders.
Celebi si lasciò bastare quel segno. Prese la scatola rompicapo e volò sopra di lui, fino a posarsi sul suo collo sfiorargli la criniera bianca.
Scomparve portando con sé il leone e la piccola bara cubica, in un salto all'indietro di diecimila anni. Era al limite delle sue possibilità.
Celebi, a differenza del Signore del Tempo Dialga, era nato per i viaggi brevi. Per questo aveva voluto assicurarsi di non incontrare alcuna resistenza.



 
*




Il corpo fisico dell'Avatar Yueguang respirava immobile, ad occhi chiusi, nella posizione della meditazione.
Il suo spirito era rimasto gravemente ferito scontrandosi con la Forma Divina di Arceus.
Raava le era stata strappata, il loro legame “inscindibile” era stato rotto.
Il Grande Spirito della Luce aveva lottato con il dragone bianco da sola ed era stata sul punto di sfuggirgli. Ma alla fine era stata trascinata nella frattura dimensionale da cui il mostro era venuto e la finestra tra i due universi si era chiusa.
La gigantessa giaceva sdraiata su un fianco, immobile, con gli occhi di luce socchiusi e persi nel vuoto. Si stava dissolvendo.
Xerneas le si avvicinò, chinò il capo e la sfiorò con le corna.
La sua Luce scivolò dentro di lei mentre il Pokémon Creazione tornava ad essere una Sawsbuck. Lo Spirito si trascinò per qualche metro, allungò un braccio e si ricongiunse al suo corpo umano.
Ma la ragazza non riprese conoscenza. Gli androidi la sollevarono con la coordinazione di un gruppo di formiche e la caricarono su uno dei loro velivoli. La Sawsbuck saltò a bordo appena prima che chiudessero il portello.




 
Una settimana dopo



Mewtwo era stato richiamato dalla sua misteriosa sistemazione in capo al mondo.
In realtà, da qualche anno si era ritirato sull'Isola Cannella assieme allo scienziato che lo aveva creato, suo “padre” Blaine. Il loro legame era stato completamente risanato e rafforzato dall'attivazione delle due Megapietre, le Mewtoniti X e Y.
Ma i ragazzi fingevano di non saperne nulla, per non turbare la sua predilezione per l'isolamento. Lui odiava l'idea che qualche estraneo potesse trovarlo.
«Allora?» incalzò Gold.
Il Pokémon non lo conosceva bene come conosceva Red, tuttavia era stata Yellow a garantire per lui, e tanto gli bastava. Toccò di nuovo la sfera di energia rosa, le cui dimensioni erano raddoppiate in una sola settimana. La creatura al suo interno era ancora addormentata. Non aveva bisogno di altre conferme.
«È Mew» concluse.
Sird, in punizione in un angolo, cantilenò esasperata: «Ve l'avevo detto...!».
Si alzò un coro di quattro voci, comprese quelle di Yellow e Mewtwo: «Sta' zitta!».
Blue e Gold si erano tolti un peso. Silver era stato l'unico a tacere.
La donna tornò offesa a guardare il muro. «Tanto non vi chiedo scusa per qualcosa che doveva succedere» borbottò.
Non era chiaro se si riferisse alla loro pietrificazione, al doppio assassinio di Luna, al rapimento di Gong da parte del Team Galassia o a qualsiasi altro crimine di cui lei fosse stata esecutrice o complice.
In ultimo, aveva sedotto e manipolato Silver, e aveva chiesto perdono solo a lui. Il poveretto non era riuscito a negarglielo e stava per ricascare nella sua orbita.
La difesa dell'aliena era partita semplice, poi si era riempita di contraddizioni.
Si era limitata a seguire le istruzioni del suo padre adottivo, Arceus, perché non avrebbe potuto fare altrimenti. Era rischioso contrariare un dio.
Il Primevo l'aveva scelta, allevata e portata su quel pianeta salvandola da una brutta situazione, risparmiandole una vita da orfana senza denaro. E lei si sentiva in debito.
La natura divina di Arceus non le interessava. Avrebbe tranquillamente litigato con lui, se le sue richieste non l'avessero convinta. La loro “famiglia” non era immune dalle liti. Tanto, conoscendo la fragilità della condizione umana, difficilmente Arceus l'avrebbe punita sul serio. Quando lei si era tagliata il mignolo e lo aveva donato a Giovanni nel rito dello Yubitsume, se l'era cavata con una lavata di capo e un ceffone. Alla fine, era riuscita a far ricadere parte della colpa sul Boss.
Aveva concluso il suo monologo ridendo, si era voltata verso Silver e gli aveva chiesto scusa.
Quello era stato il massimo che avessero ottenuto da lei.






 











AUTRICE: premettendo che qualsiasi errore di trama/overdose di informazioni a raffica difficili da elaborare o ricordare, è colpa mia, ringrazio Hesper che mi ha incoraggiata a continuare a scrivere. Siccome sto attraversando un periodo pesante e difficile e non posso fare niente per risolvere la situazione, stare qui su efp mi ha aiutata a distrarmi/tirarmi su di morale e a gestire lo stress. Almeno qui nella fiction, le cose vanno come voglio che vadano. ''^_^



 

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Capitolo 24
*** Terra ***


24. TERRA





Al suo risveglio, Gong si era trovata il suo muso posato in grembo. La Sawsbuck che aveva ospitato Xerneas e le aveva risparmiato una brutta fine era rimasta in attesa accanto al suo letto per tre giorni. Lei era stata solo una complice involontaria dell'operazione.
Gong l'aveva chiamata Meili, “Bella”.
Randal, Ondine, Kokachin, Ming, Archie e Chingling erano stati lasciati a Kanto, nel Bosco Smeraldo.
Il Team Galassia l'aveva isolata, perché non trovasse il coraggio di scappare. Per il trauma psicologico subito aveva momentaneamente perso tutti i suoi poteri, perciò non sarebbe andata da nessuna parte senza la sua squadra. Meili, da sola, non sarebbe riuscita a superare le loro contromisure.
Gli umani che vivevano in quell'edificio erano incredibilmente silenziosi. L'impressione era di trovarsi in monastero durante le ore di silenzio obbligatorio. Gong provava a parlare con loro, ma nessuno aveva il permesso di risponderle. Fu quasi sollevata quando una ragazza di nome Mars venne a farle visita in infermeria. Non era proprio sua coetanea, era una diciannovenne, però aveva una conversazione leggera e un modo di fare fin troppo espansivo. Alcune delle sue battute erano agghiaccianti, rideva ipotizzando possibili rapine o rapimenti necessari a garantire la sopravvivenza del Team. Dopo aver parlato a ruota libera per mezz'ora, le aveva chiesto di entrare nel Team Galassia. Lei aveva dei poteri rari ed interessanti e sarebbe stata di grande aiuto, soprattutto adesso che Cyrus ed Eris se n'erano andati.
Gong aveva tremato al pensiero di aver perso per sempre le sue abilità. Se l'avesse ammesso davanti a lei, probabilmente l'altra ragazza così abituata al crimine l'avrebbe fatta eliminare dai suoi amici silenziosi. Quindi doveva prendere tempo.
«Posso pensarci?».
La rossa l'aveva guardata come se fosse pazza. «A cosa...?».
«Alla tua proposta. Io non so se me la sento di lavorare con voi».
«Oh... no, no... non era una proposta. Sono venuta a dirti che tu rimarrai con noi per aiutarci... e basta. Dove pensi di andare, altrimenti? Sei messa peggio di me e Saturno!».
Il concetto di libera scelta era estraneo al loro gruppo.
Lei, Silver, Xerosic, Lysandre e Diantha erano stati coinvolti loro malgrado. Mars e Saturno, quando la scelta era caduta su di loro, erano due bambini di otto anni. Troppo piccoli per capire cosa stessero facendo. Ciò riduceva il nocciolo del team a Jupiter, Cyrus e Sird. Ma Jupiter poteva essere un androide e Cyrus aveva avuto tanta sfortuna coi genitori adottivi da poter contare solo sulla madre biologica. Sird, a sua volta, era stata raccolta dalla strada e portata su un piccolo pianeta alieno viaggiando per distanze troppo difficili da pensare, dove neppure il tempo poteva raggiungerla. E quel puntino di pianeta, così diverso dal suo luogo di nascita, lei non lo sentiva suo. Ogni passo manteneva intatta l'impronta di Azelf.




 
Nel Mondo Distorto

 


Gong aveva passato la vita in monastero ad esercitare le sua tecniche di meditazione. Korra aveva ordinato che lo facesse. Anche con i Domini fuori uso, sforzandosi un po', era riuscita a lasciare il suo corpo fisico e discendere nel Mondo degli Spiriti, il Mondo Distorto.
Il suo territoriale Guardiano non le venne incontro né per aggredirla né per chiederle informazioni.
Lo trovò immobile, raggomitolato su una grande piattaforma, come se gli avessero affondato una lama nel corpo e dovesse proteggere la ferita. Rimuginava con gli occhi persi nel vuoto. Benché non sapesse piangere né mostrare correttamente le sue emozioni, aveva preso molto male la morte di Lunala. Non reagì all'arrivo di Gong.
La Specialista Folletto Valerie, meno coinvolta dal lutto, era rimasta con lui per assisterlo. Non parlava molto, si limitava ad accarezzarlo ed incoraggiarlo a mangiare.
Dopo un lungo silenzio, il demone mormorò soprappensiero: «Me l'ha tolta perché sono stato un vigliacco. Per questo l'ha ammazzata: per punirmi».
«Mi sembra un po' eccessivo...» obiettò la monaca.
«No! Tu non conosci Arceus! Io ho cercato di scappare, e lui... lui se l'è presa con chi ho lasciato indietro! Con Raava, con Lunala, e persino con quel piccolo sgorbio di Cosmog e con te! Non dirmi che non ti ha tolto qualcosa, stupida scimmia da monastero...!».
«Ho i Domini bloccati. Ma non è un problema: Raava li ha trasferiti a me fin da quando esisto, perciò non dipendono da lei. Li perderei solo se morissi, perché non potrebbero passare alla mia reincarnazione...».
«Splendido. E cosa pensi di farci? La tua Forma Avatar non esiste più, perciò te la caveresti contro un Rattata o uno Zubat, non contro un Leggendario. Arceus ti ha resa inoffensiva. Sei forse troppo stupida per accorgertene?».
Gong rimase sinceramente offesa. Valerie doveva essere una santa per rimanere lì con lui.
«Come non detto. Io torno su. E forse è meglio se non mi rifaccio più viva...».




 
A Sinnoh




La vita nella Sede Galassia era semplice, ma estremamente monotona.
Due nuovi comandanti sostituirono Eris e Charon, il vecchio scienziato criminale escluso dal Team e detenuto in un carcere di massima sicurezza. Il posto di Cyrus restò vacante. Lui e sua sorella Eris erano scomparsi, nel Bosco Smeraldo di Kanto e si erano allontanati insieme senza lasciare ordini, facendo perdere le loro tracce. Dal momento che il computer centrale non era stato inattivato, il team Galassia rimaneva operativo anche senza di loro.
A Xerosic, nuovo scienziato ufficiale del Team Galassia, toccò il nome di Oberon, satellite di Urano.
Gong riusci con suo grande sollievo a sbloccare il Dominio della Terra e ottenne il nome latineggiante di Terra. Fu obbligata a tingersi i capelli di verde scuro e a farsi pettinare in modo eccentrico, perché quella era un'ossessione di Mars.
A lavoro ultimato, toccandosi i capelli con le dita, si convinse che la sua testa sembrasse un Bretzel. Ma il problema era solo estetico, non pratico. Non sarebbe stata lei a riprodurre l'acconciatura ogni mattina e a ravvivarla ogni due ore, ma gli androidi. E sempre loro l'avrebbero aiutata a indossare e togliersi la divisa, a truccarsi e struccarsi, lavarsi e prepararsi per la notte. Erano invadenti.
Come nelle migliori gabbie d'oro, qualsiasi contatto con l'esterno, non giustificato da una missione trasmessa al computer centrale, era fortemente scoraggiato. I Comandanti non potevano allontanarsi se non per un breve periodo, le loro “orbite” erano obbligate. Alla fine, sarebbero sempre tornati lì.
Per questo Saturno era diventato così pigro e Mars così annoiata. Jupiter era l'unica a sguazzare in quel nulla. Lo scorrere delle sue giornate tutte uguali non le lasciava segni.
Il Comandante Saturno aveva finto di apprezzare il look della nuova arrivata e aveva cominciato a darle attenzioni, sperando in una reazione di Mars. Di fronte al suo disinteresse, si era tenuto il ripiego. Non era un brutto ragazzo, ma gli mancavano la bellezza e il fascino del grande pianeta che si era scelto.
Saturno e Terra avevano finito per darsi appuntamento in un anonimo corridoio della Sede Galassia.
I primi venti minuti dal loro arrivo furono disastrosi: lui giocava con una specie di cellulare e lei stava zitta e ferma pensando a come rompere il ghiaccio. Di tanto in tanto si toccava il Bretzel verde sulla testa per sistemarselo. Non c'erano sedie né divani e il contatto fisico tra loro era inesistente.
«Mars dice che ti chiami Yoshihiro. Jupiter dice che ti chiami Seong-hun. Chi delle due ha...?».
«Mars».
«Sono nomi parecchio diversi...».
«Sono gli stessi caratteri letti in due lingue diverse. Come Shan e Yama».
Il ragazzo le parlava distrattamente. Appoggiato con le spalle al muro, non staccava gli occhi dalla sua console portatile.
«Però Saturn suona più simile a...».
Fu interrotta. Saturno sembrava irritato. «Puoi evitare di parlare? Sto sfidando il boss del livello!». Aveva messo in pausa solo per farle capire che avrebbe continuato a giocare. Un appuntamento non era un buon motivo per far aspettare il boss del livello.
La cieca, offesa, si chiuse nel silenzio. Tornò all'attacco dopo due minuti. «Per quanto tempo siete stati sotto copertura a Kalòs?».
«Un paio d'anni».
Premette una combinazione di tre tasti per rilasciare più energia.
«E quanti giochi hai comprato?».
«Non lo so... non li conto».
Mentre scappava fu colpito da un raggio rosso.
«E quante ragazze hanno accettato di uscire con te?».
Il giovane mise di nuovo in pausa. Arrossì. «Le Kalosiane sono difficili e io dovevo nascondermi dall'interpol. Una volta, un signorotto sessantenne ha provato a rimorchiare me e Mars insieme. Diceva che ci avrebbe pagato. Conta, come conquista? Caspita, se sei cattiva!».
«Ma tu hai davvero vent'anni?».
«Diciannove».
«Ti comporti come un dodicenne. Vuoi che dica in giro che mi hai invitata e che menta sulle tue avance? Mi stai usando per coprire il tuo orientamento sessuale?».
«Chi... aspetta... il mio orientamento cosa...?!».
Finalmente, aveva perso interesse per il vedeogame.
«Quando mi hai invitata, Oberon ha chiesto a Mars se voi due foste mai stati una coppia. Lei si è messa a ridere e gli ha domandato se scherzasse, perché tu sei completamente omosessuale. A tredici anni avevi una cotta per Cyrus».
Il ragazzo la fissò senza parole, la bocca semiaperta e gli occhi a mandorla sgranati. Tacque per elaborare una difesa. «Il Maestro Cyrus è un uomo geniale» cominciò. «È la persona più intelligente nata a Sinnoh nell'ultimo secolo, e credimi, qui la concorrenza è spietata... però... io non... non ho fantasie su di lui, e non le avevo neppure a tredici anni!».
«Sei convinto che Cyrus sia l'uomo più intelligente di Sinnoh. Come fai a dirlo? Sembra una questione sentimentale...».
«Non lo è. Tu non lo hai conosciuto: Cyrus è l'uomo più geniale della terra».
Silenzio. Terra non era molto convinta.
«La nostra tecnologia, la tecnologia Galassia...» spiegò Saturno, «...non l'ha inventata lui, non l'ha creata da zero... ma l'ha resa utilizzabile per noi comuni mortali, e non si tratta di un progetto semplice e low-tec come Grey Flower. Io non ci ho capito niente, Charon non ci capiva niente... e persino la madre biologica di Cyrus, quella Sird, che è una cervellona aliena ed ha accesso a una galassia di informazioni precluse ai terrestri, ha ammesso di perdersi più o meno a metà. L'unico che sappia venirne a capo, oltre a Cyrus, è Arceus».
«Sei sicuro di non avere ancora una cotta per Cyrus? Hai paragonato la sua intelligenza a quella di un'entità sovrumana che fabbrica Universi. Quindi lo ritieni un dio, più o meno».
«Ma no! Non esageriamo! Dico solo che...!».
Silenzio.
«Cavolo, Yueguang... tu hai già avuto appuntamenti? Sono tutti scappati per la paura dopo cinque minuti?».
«Ti faccio paura?» gli domandò con una certa curiosità. Neppure Grimsley si era mostrato del tutto a proprio agio con lei. Temeva la sua ira, e non per motivi sentimentali.
Saturno non riusciva a risponderle. La ragazza profumava fin troppo, e ora quel profumo dolce gli saturava le narici. Non era raffinato, la faceva sembrare un dolce al limone, ma l'istinto era quello di leccarle il polso o il collo per scoprire se fossero zuccherati. Una mossa del genere, nella sua esperienza, gli sarebbe costata un ceffone.
I suoi occhi verdi fissavano interrogativi un punto al di sopra della sua spalla.
«Paura? Nah...» fece Saturno.
Mentiva: se fossero stati a cena, si sarebbe volentieri nascosto sotto il tavolo. Si augurava di essere imbranato solo con Mars, e invece era così un po' con tutte.
Gong si lasciò bastare la sua risposta e scrollò le spalle. «Stiamo parlando, almeno. Sai, io ho un fratello... un fratellastro, in realtà... che è più strano di tutti voi messi insieme. Si chiama Thao, passa la vita in manicomio, ogni tanto esce perché la mia famiglia è ricca e potente, però poi ritorna dentro perché è pericoloso. Io, da piccola, ho perso la vista per un avvelenamento bollato come accidentale. Una vecchia cameriera è stata accusata di aver confuso i flaconi, ma lei sosteneva di aver controllato e che qualcun altro avesse messo il veleno nella boccetta della medicina di proposito. Anche perché quella particolare sostanza non doveva essere in casa. Thao mi ronzava parecchio intorno, nei giorni della febbre. A Ba Sing Sé gira la voce che sia stato lui a procurarsi il veleno e scambiarlo con il farmaco, convinto che potesse liberarmi dagli Spiriti Maligni. Io non dovrei saperlo, però in giro la gente parla, purtroppo».
Non era una conversazione leggera, non andava bene per un primo né per un secondo appuntamento. Ma almeno, Saturno aveva smesso di dedicarsi al videogioco. «Vieni da una di quelle famiglie strane in cui i fratelli si ammazzerebbero a vicenda per l'eredità? Stai scherzando...?».
Lei scosse la testa. «Per niente. Ma l'eredità non c'entra. Mio fratello Thao è schizofrenico e nessuno l'aveva capito: anche prima del mio avvelenamento, era un tipo solitario e molto, molto chiuso in se stesso».
Saturno la guardò come se pensasse a qualcuno in particolare. «Solitario e molto chiuso in se stesso, dici...?».
Gong annuì ignara. Lei non conosceva Cyrus.
Poi si toccò l'orologio da polso e si accorse che era già passata mezz'ora da quand'era arrivata. Avevano parlato solo negli ultimi cinque minuti, ma il tempo non faceva sconti.
«Mi sa che dobbiamo tornare ai nostri posti».
Il giovane dai capelli blu sventolò la sua console portatile. «Tu devi, perché sei una matricola. Io devo finire il livello».
«Guarda che lo dico a Jupiter».
«No, non glielo dici».
Gong sbuffò e girò i tacchi solo per dargli le spalle. «Beh, allora tu resta qui a fare schifo. Fammi sapere quando ti trovi una ragazza. Io non sono una matricola, sono un Comandante, e sto andando a lamentarmi da Jupiter».
«No, ma dai! E se ci presentassimo entrambi in ritardo? Fammi finire qui, poi ci dividiamo la ramanzina a metà».
«Sei un bamboccio!» lo sgridò la cieca. «Ma chi pensi che sia Jupiter, la maestra?!».
Saturno si strinse nelle spalle. «Sono arrivato qui a otto anni. All'inizio, per me lo era».





 
A Johto




«Conosci la teoria memetica?».
«No».
«La teoria memetica paragona i modelli culturali a parassiti in grado di infettare le menti. Le unità funzionali culturali, dette memi, tenderebbero a replicarsi e passare da un individuo all'altro o da una generazione all'altra come dei virus. L'ospite può dedicare la vita alla loro diffusione, arrivando a morire pur di garantirne la sopravvivenza».
«Interessante. Per questo sei arrivata ai ferri corti con gli Unoviani? Hai sputato sulla loro cultura della Verità e degli Ideali paragonandola a una malattia?».
«Io sono ai ferri corti con un Unoviano. E decisamente non per la memetica, no».
Il cellulare di Silver vibrò.
Letto il messaggio, il giovane parve sinceramente dispiaciuto.
Sird si allarmò: «Oh no... cos'è quella faccia?! C'è un'altra festa a cui non sei stato invitato per colpa mia, corvetto?».
«Stavolta non è Gold. È Blue: spera che io stia passando un buon Halloween, perché lei avrebbe voluto festeggiarlo con Luna ma non può».
«Batte ancora su quel chiodo...?! Dammi il telefono: le rispondo io. Di nuovo. Ma stavolta scendo nei dettagli, così magari si convince».
Silver esitò prima di cederle il cellulare. L'idea che sua sorella e la sua ragazza si odiassero lo amareggiava, quella che prendessero il vizio di insultarsi a vicenda gli metteva terrore.
Per sua fortuna, la spiegazione si Sird parve innocua.
Della Lunala amata da Arceus, si sapeva che era già morta all'incirca diecimila anni prima, ma per una fortunata serie di eventi era stata resuscitata dal Primevo, il quale l'aveva presa subito come compagna nonostante non la conoscesse. Secondo la versione più accreditata, suo fratello Solgaleo si era preso la briga di trascinare il cadavere di lei dall'Ultra-Universo o dall'Ultra-Corridoio attraverso i mondi, in un lungo pellegrinaggio, fino a trovare in Arceus l'aiuto di cui aveva bisogno per riportare una defunta tra i vivi.
L'identità dell'assassino di quella Lunala, sempre secondo le ricostruzioni, era così scontata da non richiedere approfondimenti: Necrozma, il Pokémon Prisma eternamente assetato di luce.
Ma le ricostruzioni erano errate, perché era errato il punto di vista. Anche i Leggendari soffrivano di pigrizia intellettuale.
L'unico viaggio compiuto dal Solgaleo in questione, assieme alla minuscola carcassa della sorella ancora troppo giovane per essere una Lunala, era stato attraverso il tempo. Un salto all'indietro di diecimila anni, reso possibile dall'intervento di una terza parte dimenticata: il Pokémon Tempovia Celebi.
Nel passato, i due fratelli si erano uniti per generare se stessi. Ossia una coppia di Cosmog identici che le esperienze di vita avevano reso molto diversi. Il più precoce era diventato il Solgaleo che Sird aveva scovato sul Monte Argento. L'altro, il Cosmog ferito nel raptus di follia del “padre”, aveva preso il nome di Luna ed era stato influenzato dalla mente di Blue, Silver e Gold tanto da conservarne un'impronta inconscia nella propria anche da adulta. L'impronta che Solgaleo aveva riscontrato nella Lunala che credeva sua madre.
Il viaggio nel tempo a cui avevano assistito aveva chiuso il cerchio: i due figli del Sole e della Luna, tra loro identici, erano in realtà figli e genitori di se stessi. Era paradossale, ma le leggi fisiche “lasse” di quel Sistema di Universi costruito da Arceus, che permettevano di viaggiare nel tempo in entrambi i sensi, lo rendevano possibile.
Di solito, Sird non parlava così tanto. Il suo messaggio vocale rivaleggiava per lunghezza con quelli di Gold nelle sue giornate migliori. Blue, dall'altra parte, dovette ascoltarlo tre volte.
La sua domanda fu: «Che motivo aveva Arceus di far eliminare la sua compagna una seconda volta? Perché non l'ha salvata?! Non era necessario che morisse anche da adulta! E cosa c'entra Mew? Voglio dire... è lo stesso Mew che conosciamo?!».
«In ordine: non lo so, non lo so... non lo so... e non lo so» rispose l'altra donna. «Rettifico: l'ultima era un sì. Se il Mew che conoscete è quello che sta girando tutto contento intorno a Mewtwo per aiutarlo a proteggere il feto, perché sostiene di essere lui quel feto e di ricordare questi giorni in sogno, allora sì. Però vi avverto: Mew è parecchio strano, direi oltre il limite della follia. Se voi capiste il suo codice ve ne accorgereste. Potrebbe essersi convinto di cose non vere. Potrebbe credere di essere chi non è. Buon anno nuovo».
Inviò.
Finalmente, Silver poté riavere il suo telefono. L'aveva invitata a cena a casa sua per non dover uscire in maschera. Dopo tutto quello che aveva passato da bambini, lui e sua sorella detestavano mascherarsi. Ma non aveva idea che la sua ragazza contasse i giorni dell'anno a partire da quella data. «Siamo ad Halloween. Festeggi il Capodanno Kalosiano? Perché?».
Lei si strinse nelle spalle. «Perché no?». Dunque si schiarì la voce. «Io... lo so che non vuoi che io prenda un aereo per Kalos e vada a ballare attorno a un falò, però ho preparato un regalo per Sneasel. Con oggi inizia ufficialmente il periodo delle lunghe notti. In un certo senso, è la festa degli Spettri e dei Tipo Buio. Quindi...».
Prese in mano una Pokéball e la attivò. Ne uscì un altro esemplare di Sneasel. L'orecchio rosso simmetrico all'altro, corto, rivelava il suo genere: era una femmina.
«Questa è Sally».
Lo Sneasel si Silver saltò sulla tavola apparecchiata per prendersi un pezzo di pane. Glielo offrì e Sally lo accettò. Per molti Pokémon, tutto ciò che si poteva mangiare era più gradito dei diamanti.
Sneasel la prese delicatamente per un polso e la portò in giardino, perché il sole era già tramontato e il cielo notturno era più gradevole della luce artificiale.









 






NOTA: capitolo di passaggio così ci metto un po' di respiro tra questa parte e la successiva (più corta della prima, promesso). Spero solo di non perdermi nelle chiacchiere perché... ''^_^ la mia tendenza purtroppo è quella. Se per caso qualcosa non si capisce (con certi discorsi mi rendo conto di essermela cercata) o contiene qualche errore brutto, ditemelo perché certe cose non ve le voglio ancora dire ma altre sono solo spiegate male...
 
 

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Capitolo 25
*** Mesprit ***


25. MESPRIT






 
A Sinnoh





Gong si svegliò a notte inoltrata. Tese l'orecchio prima di muoversi. Sentiva un continuo premere di tasti e di tanto in tanto qualche imprecazione sussurrata.
«Stai ancora sfidando il boss del livello?».
Il giovane accanto a lei sussultò. «Cosa? Macché, quel gioco l'ho finito ieri notte. Questo... beh, la nave madre potrebbe essere considerata il boss...».
Gong si girò su un fianco e cercò le parole per non offenderlo. La notte precedente le aveva dato buca per giocare a un videogame e dormire nella propria stanza.
«Stai affrontando la nave madre?».
«No, non ci sono ancora arrivato. È protetta dal resto della flotta».
«Sarebbe stato più carino se tu mi avessi guardata dormire. Ma visto che sono sveglia... non pensi che potremmo approfittarne?».
«Ne affondo altre quattro, poi salvo e spengo. Promesso».
«Hai mai pensato di avere un problema con quei cosi? Una specie di dipendenza?».
«Dipendenza? Nah. Jupiter e Cyrus mi hanno tolto il vizio. Ora ci gioco solo nel tempo libero».
Gong tacque. Avrebbe dovuto scegliersi meglio i compagni di letto: aveva l'impressione di averne sbagliati due su due. Ma trovare il proprio partner alle prese con una console portatile era infinitamente meglio che beccarlo a farsi accarezzare, baciare e mordere da una vampira un po' sgualdrina. Gong augurò pace all'anima di Lunala mentre ricordava l'attacco di gelosia che saperla amante di Grimsley le aveva scatenato. Grimsley, con i suoi modi raffinati, il suo umorismo sottile e la sua voce suadente, era ancora l'uomo più affascinante che lei avesse incontrato su quel pianeta.
Il ragazzo accanto a lei, per quanto piacevole, non reggeva il confronto.
Gong stava ancora pensando allo Specialista Buio quando Saturno abbandonò il gioco e posò la console sul comodino. Si voltò verso di lei e la baciò sulle labbra.
Poi si accese una spia rossa accanto alla porta e un allarme assordante suonò per una frazione di secondo. Fu disattivato.
Il Comandante Saturno saltò in piedi e si infilò il pigiama con una prontezza e rapidità che normalmente non aveva. Non c'era tempo di indossare la divisa. Gong uscì in camicia da notte e vestaglia dietro di lui.
Nei corridoi, le Reclute Galassia erano ammassate a gruppi di dieci sul pavimento, cadute l'una sull'altra mentre marciavano. Gli occhi aperti suggerivano che qualcuno le avesse disattivate bypassando il protocollo di sicurezza.
Le unità rosse, ex Team Flare, erano ancora funzionanti. Poi il programma Venus fu violato e anche loro caddero a terra tutte insieme come in una brutta coreografia.
Saturno passò accanto alla camera di Mars e batté violentemente sulla porta chiusa. La ragazza si affacciò con gli occhi gonfi di sonno. Il collega era già passato oltre. «Che c'è...?» domandò a Gong.
Jupiter uscì da sola dal suo covo con degli evidenti disordini del movimento. Appena recuperò il controllo, senza chiedere nulla, prese a correre verso la sala comando facendo mangiare la polvere a tutti gli altri. Oberon era uscito appena in tempo per vedere tutte le Reclute del suo vecchio Team cadere rovinosamente a terra.
Jupiter fu la prima ad arrivare alla porta chiusa della sala comando.
Girò una manopola e la aprì manualmente. Nel cuore ormai fermo della Sede Galassia, qualcuno cantava. Non era un ubriaco e non era una principessina, la sua voce perfettamente androgina era intonata e persino gradevole, ma sconosciuta. Gli androidi Galassia non potevano cantare, neppure per ordine esplicito dei loro Comandanti, perché non erano concepiti per scopi artistici.
«“If I only could deceive you/ Forgetting the game/ Every time I try to leave you/ You laugh just the same...”».
L'intruso canterino era seduto di traverso sulla poltrona girevole davanti a un grande schermo di computer, le gambe piegate su un bracciolo e la schiena appoggiata all'altro.
Occupava il posto di Cyrus.
Si interruppe appena vide i cinque Comandanti avvicinarglisi in fila. Giove, Terra, Saturno, Marte, e Oberon per ultimo, perché il suo fisico paffuto e tarchiato, unito all'età relativamente avanzata, non gli consentiva di stare al passo con i più giovani.
«Oh, ragazzi, finalmente! Stavo qui a fare la muffa. Avete una chitarra elettrica o un violi-... ah, lasciamo perdere. Nel mondo di Cyrus, la musica è più illegale dell'eroina. Una perdita di tempo inutile... no?».
La maschera che indossava, e solo quella, lo rendeva riconoscibile.
Fu Saturno a pronunciare il suo nome, perché Jupiter era concentrata sul risparmiare energia e Mars dormiva in piedi. «Mesprit...?!».
Non era come lo ricordava.
Senza pensarci due volte, il Comandante lo indicò e incitò il suo Toxicroak. «Rhea, Velenospina!».
La rana saltò in avanti e sparò contro l'intruso una grossa spina velenosa e violacea.
Il Leggendario scomparve dalla poltrona prima di essere raggiunto.
Riapparve alle spalle dei Comandanti, tenendosi a distanza, coi piedi scalzi e quasi umani posati a terra, le ali rosate raccolte, le lunghe braccia sottili conserte. Le proporzioni del suo corpo grigio non erano sgradevoli, non ricordava una scimmia, ma scambiarlo per umano era impossibile persino al buio. Nonostante la costituzione esile, prometteva di essere molto forte, ed era al momento la creatura più alta nella stanza.
I suoi grandi occhi gialli scrutavano i presenti dall'alto in basso.
«Rhea... te la dovresti sposare, Rhea. Non tutti i mostri mi avrebbero attaccato, sapendo chi sono».
Il suo sguardo passò oltre e si fermò su Gong. «Clair de Lune! Anche se ero sotto copertura, non posso credere che nessuno mi abbia riconosciuto, salvo il demone di cui ho cancellato il nome e la mia Luna. Forse non mi sarei comportato così male se avessi dovuto metterci la faccia, un pizzico di ipocrisia è l'olio della società, però... dovrei forse prendermela? Questo Universo l'ho creato io, eppure sono un perfetto estraneo per chi lo abita!».
La cieca faceva fatica a seguirlo. «Tu... Mesprit... eri... sotto copertura...?» tentennò sorpresa.
Lui la corresse: «Io, Arceus, ero sotto copertura. Il Kalosiano ateo, ricordi? Lo so che è un cliché, ma non mi veniva nulla di meglio...».
Mesprit parlava come se fosse Arceus. Tra i tre Guardiani dei Laghi, lui incarnava la sua essenza più profonda.
Fece una lunga pausa aspettando una qualsiasi reazione della cieca. Ma Gong era immobile e sembrava aver perso la parola. Allora, il Pokémon Emozione si rivolse a tutti i Comandanti insieme: «Sapete perché sono riuscito a disattivare ogni vostra Recluta, vero? Questa tecnologia appartiene a me. Per quanto Cyrus abbia potuto manipolarla, io avrò sempre modo di accedervi».
La sua attenzione non era più focalizzata su Gong. La ragazza batté piano il pugno sulla Toxicroak ferma tra lei e Saturno e la Pokémon, lentamente, impregnò di veleno il suo guanto e i suoi bracciali.
«Volevo assicurarmi che voi capiste... cosa significherebbe lasciare questo posto, o rinunciare al mio aiuto. Marte, Saturno e Terra... voi tre siete molto giovani, adesso, ma tra pochissimi anni il vostro fisico inizierà un lento e inesorabile declino. Le mie... medicine... possono arrestarlo. E possono riportare te ai vent'anni, Oberon, e guarire senza effetti collaterali il tuo diabete. Così arrivereste in perfetta salute ben oltre il limite di sopravvivenza concesso per natura alla vostra specie. Potreste non conoscere la vecchiaia e vivere per sempre... ma francamente, ve lo sconsiglio. Così dice il Signore» scherzò il Pokémon Emozione.
Mars e Saturn avevano già sentito una promessa del genere dalla bocca di Cyrus.
Gong, la novella Comandante Terra, aveva meno motivi di fidarsi.
Si separò dal gruppo per avvicinarsi a Mesprit. Doveva solo stare attenta a non toccarlo direttamente, o avrebbe perso la sua capacità di provare emozioni dopo tre giorni. «Se io mi ricongiungessi a Raava... la sua energia spirituale prosciugherebbe la mia indipendentemente dal mio stato di salute. Quindi, se io tornassi ad essere l'Avatar, dovrei morire comunque... mentre se rimanessi così potrei vivere in eterno. Ho ragione? Stai cercando di corrompermi per convincermi a non cercare Raava?».
«Sì».
«Beh, allora...». Il metallo del guanto e dei bracciali si fuse e divenne una lunga lama affilata. Con quella trafisse l'addome del Pokémon fin quasi a trapassarlo. La gravità della ferita avrebbe aiutato, ma ovunque e comunque l'avesse colpito, il veleno di Toxicroak avrebbe fatto rapidamente effetto.
Lei estrasse la lama coperta di un sangue viscoso e bluastro e lasciò cadere il braccio lungo il fianco mentre la ritrasformava in un guanto. Mesprit cercò istintivamente di tamponare la ferita con la mano mentre si accasciava sul pavimento. Nessuno aveva mai provato ad ucciderlo perché gli autoctoni davano per scontato che fosse immortale. Finalmente, il suo viso normalmente imperturbabile sotto la maschera cominciò a contrarsi dal dolore. Parlò in un sussurro: «Avevo dimenticato quanto fossi aggressiva sotto quell'aria da santarellina, Yueguang. Non affidarti ai vecchi ferri da calza per interrompere la gravidanza: i mezzi odierni sono molto più sicuri».
Saturno catturò qualche parola e si allarmò: «Di che parla?!».
Gong non lo sapeva.
La sua vittima agonizzante volle darle un ultimo avvertimento. «Shan Yueguang, adesso è guerra. Non cercare di tornare indietro. Iuppiter? Livello Alpha. Computer: livello... livello... ah... ».
Non riuscì a completare la frase.
Esalò l'ultimo respiro e si dissolse nell'aria senza lasciare tracce di un corpo. La maschera color magenta, con la pietra rossa incastonata nel suo centro, cadde ai piedi della ragazza.
Jupiter non mosse un muscolo. La sua espressione restò dura e determinata, come se il tentativo di aumentare il livello del suo già sofisticato programma fosse fallito. Per quanto ne sapevano gli altri Comandanti, sarebbe stato necessario almeno sfiorarla con un dito, e il Pokémon non aveva potuto farlo.


 


A Kanto




Silver si era svegliato più tardi del solito. Aveva dormito nell'appartamento di Sird, dove le persiane non erano rotte, e il sole non filtrava appena sorto. Il posto accanto a lui era vuoto, il cuscino già freddo.
Il ragazzo si rivestì di fretta e si preparò delle scuse: odiava apparire pigro. Andò in salotto e trovò un ospite inaspettato.
Era in piedi in mezzo alla stanza, come se volesse dominare la scena. L'aspetto umanoide e la pelle grigia lo rendevano più simile all'immagine convenzionale di un alieno che ad un animale. Le sue lunghe ali dalle venature rosa erano raccolte sulla schiena. Indossava una grande maschera color magenta. In mano teneva la catenina con il ciondolo a stella che il ragazzo aveva regalato a Sird.
«Sai chi sono?» domandò.
«Sì. Mesprit. Dov'è Sird?».
«Non è qui. Se n'è andata».
«Andata...?! Perché?!».
«Stella è cresciuta molto vicina a Uxie. Uxie ama gli esperimenti. Prima di varcare quella porta, si è strappata di dosso questa collana e mi ha detto: “Sai qual è il modo per assicurarsi che una cavia da laboratorio aggredisca un suo simile con il massimo della ferocia?”».
Il ragazzo scosse la testa, ma con un brivido. Il Pokémon aveva imitato alla perfezione la voce di Sird.
Continuò con la propria: «È molto semplice. Si introduce una femmina nella sua gabbia e la si lascia con il maschio designato per una settimana o due, per aumentare il “valore” del territorio e rafforzare perciò la sua motivazione a difenderlo. Quando la femmina viene tolta e sostituita con un altro maschio, il dominante aggredisce l'intruso senza concedergli la fuga, e le lotte sono molto più violente della norma. Sird ha ritenuto che sostituire se stessa con un estraneo sarebbe stato ridicolo, ma confida che tu voglia indietro la tua femmina. Per parlarle... o per picchiarla, essendo lei entrata nell'esperimento come volontaria».
Silver, ancora una volta, si sentiva profondamente ferito nell'orgoglio. «Mi stai paragonando ad una cavia?!».
«Io riferisco, il mio pensiero è ininfluente».
Con la mano avvolta dalla catenina spezzata indicò una piastrina sul tavolo.
«Quello è il suo microchip, se l'è tolto per non essere rintracciata degli altri Comandanti. Considerando ciò che ha detto, ti considera il candidato ideale per un esperimento del genere. Tu non sei una persona tranquilla, uno di quegli smidollati che si sentono in pace con il mondo intero».
Ci aveva visto giusto: lui, l'unico figlio del Boss Giovanni, era fuori di sé dalla collera. «No che non lo sono!» gridò.
Mesprit era schietto e poco incline alla menzogna. Malgrado gli avesse parlato con la freddezza di un blocco di ghiaccio, le sue parole corrispondevano al suo pensiero, e se era convinto che Sird l'avesse usato come pedina in un suo gioco, Silver non aveva elementi per contraddirlo.
Il ragazzo si prese il microchip dell'ormai ex Comandante Mercurius e se ne andò per primo dall'appartamento.
Mesprit attese in silenzio. Attese che si fosse allontanato. I suoi occhi gialli si rimpicciolirono e la sua maschera cambiò. La parte che gli faceva da copricapo divenne spigolosa, triangolare, il magenta scivolò verso il viola e raggiunse il blu ciano. Scomparve come era arrivato, lasciando cadere a terra il ciondolo con la catenina spezzata.




 
Nel Mondo Distorto




Giratina, raggomitolato sulla piattaforma che aveva eletto suo giaciglio, sollevò appena la testa e i suoi occhi rosso rubino non poterono nascondere la sua sorpresa. Gong si era presentata senza parlare, con una particolare maschera color magenta tra le mani. La portava come se fosse un'offerta. A livello della fronte aveva incastonata una grande pietra rossa.
«Come l'hai avuta?».




 
A Kanto





«Puoi attivare questo per me? È un chip, ha bisogno di energia psichica per l'avvio. Molta energia psichica».
Mewtwo lo guardò storto. Non gli piaceva che non gli si dessero spiegazioni. Silver era arrivato nel suo covo, nella Grotta Celeste poco distante da Celestopoli, senza prestare attenzione a non farsi seguire.
Mewtwo aveva qualcosa di molto importante da nascondere al mondo. Qualcosa da cui dipendeva la sua esistenza e, dando credito alle ultime ipotesi scientifiche, quella di ogni specie di Pokémon fino ad allora scoperta. Nato da un essere a cui si attribuiva la creazione dell'Universo e da una madre spettrale figlia di sé stessa, l'esemplare di Mew ancora addormentato nella bolla protettiva poteva essere esattamente il Mew da cui tutto era partito. Questione di paradossi temporali.
Perciò Mewtwo non aveva voluto coinvolgere gli scienziati: per una questione così delicata, non si fidava di nessuno. Neppure di Silver.
«Stare con quella donna ti fa male» lo avvertì.
Era quello che gli dicevano tutti.
«Non ci sto più. Mi ha lasciato oggi»
«Che splendida notizia! Lei ha lasciato te?! Non l'avrei mai previsto...».
Anche se era uno dei Pokémon più potenti e temibili in circolazione, si guadagnò un'occhiataccia.
Provò a giustificarsi: «L'ultima volta che è venuta qui, mi ha portato in regalo un cucchiaino d'argento».
Mewtwo, più giovane e inesperto di quanto volesse dare a vedere, per praticità usava visualizzare e quindi materializzare la sua energia psichica nella forma di un enorme cucchiaio, del tutto simile a quelli degli Alakazam, ma all'occorrenza tanto grande da sollevare un umano adulto. I Dexholders, senza malizia, spesso ci scherzavano su.
«Sarebbe stata una presa in giro innocua, se non fosse che...». Mostrò le tre dita della mano destra e il braccio sinistro. «Toccare l'argento mi fa venire queste».
Erano eruzioni cutanee blu sulla sua pelle spessa e violacea. «E lei lo sapeva. Io ancora no, ma lei in qualche modo lo sapeva. Se quella piovra ha ritirato i tentacoli da sola, una volta tanto ti ha fatto un gran favore».
Silver sospirò, si rimise in tasca il chip e cercò di cambiare discorso. «Come sta Mew?».
«Mew!» gridò il piccolo felino volando a posarsi sulla testa del suo clone modificato. Si era sentito chiamato in causa. Sembrava vispo e felice, come era suo solito. Aveva, sparse su tutto il corpo rosato, delle eruzioni cutanee rosse con la forma delle varie parti del cucchiaino. Ogni tanto si grattava, altrimenti non sembrava farci caso.
«Lui è quello vecchio» precisò Mewtwo. «È venuto qui per fare gruppo. Il feto dorme ancora e non si è mai svegliato. Sembra in coma, ma cresce bene. Sogna».




 

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Capitolo 26
*** Fobos ***


 
26. FOBOS



 
A Sinnoh




Silver era entrato nella Sede Galassia di Rupepoli senza che nessuna sentinella lo fermasse. Tutti gli androidi, tranne Jupiter, erano fuori uso. Cominciavano a raccogliere polvere ammassati sui pavimenti o appoggiati contro le pareti come inquietanti pupazzi estremamente realistici.
Silver passò oltre facendo attenzione a non toccarli, con un’espressione perplessa sul viso.
Poteva essere una trappola, ma l’istinto gli diceva che qualcosa non andava.
Da bambino era stato un ladro, all’occorrenza un topo d’appartamento, e non aveva perso l’attitudine, perciò senza l’aiuto di alcun Pokémon si era infilato nell’edificio da una finestra difettosa, rimasta semiaperta.
Gong aveva percepito i suoi passi quando ormai era già vicinissimo alla Sala Comando.
Per abitudine e per disperazione, tutti i Comandanti passavano lì senza far niente la maggior parte del loro tempo.
Più Silver procedeva, più si convinceva che la Sede fosse stata abbandonata in fretta e furia e messa fuori uso. Fu sorpreso nel trovarsi davanti, svoltato l’ennesimo angolo di un corridoio vuoto, il braccio teso di Jupiter. Gli puntava contro una pistola avveniristica, molto diversa dalle armi in commercio. Evidentemente non l’aveva riconosciuto, o semplicemente non si fidava ancora di lui.
Mars, che l’aveva seguita con calma, camminando, ancora una volta salutò il nuovo arrivato come se si conoscessero da sempre. «Cuginetto! Sei venuto da solo! Lo sapevo, che eri dei nostri!».






 
*






«E così…» cominciò la ragazza cieca, la Sensitiva che aveva lavorato per suo padre Giovanni. «Sird ha imbrogliato anche te…».
«Sì. Mi aveva completamente incantato».
Saturno replicò con una frase di circostanza: «Ah, le donne!».
Gong, che aveva appurato di essere incinta di lui, lo ignorò come faceva dal loro ultimo e più violento litigio.
«A me aveva dato a bere di essere mia amica. Entrambe veniamo da pianeti lontani… dove ci sono gli animali, al posto dei pokimon. Sembrava che mi capisse. Per fortuna, Zuko… Red, intendo... mi ha aperto gli occhi» confessò al ragazzo dai capelli rosso sangue.
Intanto, il Comandante Saturno la guardava storto. L'aveva pregata in ginocchio di abortire, non avrebbe voluto saperne del bambino, tuttavia non accettava la fine del loro breve rapporto. Lei, dal canto suo, non aveva gradito l'interferenza di Mesprit, il quale aveva dato per scontato che lei abortisse, perciò aveva deciso di proseguire la gravidanza.
Così Terra e Saturno avevano avuto un alterco, lei aveva sfoderato il suo Dominio a scopo dimostrativo e lui aveva risposto alla minaccia dicendo di avere un laser impiantato sottopelle in un dito. L'arma non aveva l'energia di un lancia-raggi, ma a distanza molto ravvicinata avrebbe potuto scindere una testa dal collo.
Gong era arrivata da un mese, aveva ricevuto la divisa e il titolo di Comandante, ma non era stata armata.
Saturno era drogato di videogiochi e aveva rifiutato di usare il misterioso laser su un bersaglio inanimato, era arrivato a ritrattare e negarne l'esistenza, perciò lei gli aveva dato del marmocchio e non gli aveva più rivolto la parola.
«Io non ho permesso a nessuno di aprirmi gli occhi» le rispose Silver. «E mi vergogno di aver commesso un simile errore. Sird è stata perfida con Red, ed è stata persino peggiore con mia sorella. L’ho perdonata solo perché mi aveva giurato di aver bisogno della vecchia Blue tormentata, ladra e truffatrice, perché Luna diventasse... Luna. Tutto ciò che le ha fatto, a suo dire, l'ha dovuto fare per impedirle di trasformarsi nella brava e serena figlia dei Leaf, su ordine indiretto di Arceus».
Le labbra di Gong sbiancarono sotto il rossetto scuro. Tentennò: «Non capisco. Luna era il mio Cosmog, no? Ed è morto... che cosa sarebbe diventato?».
«La Lunala compagna di Arceus. E lo è stata: Luna ha viaggiato nel tempo per essere riportata in vita da lui, senza ricordi coscienti del suo... “passato”. Ma sì, adesso è morta, e nessuno di noi si spiega come mai. Arceus avrebbe potuto salvarla, sia perché è più forte di Yveltal, sia perché ogni Leggendario riconosce la sua autorità. E invece...». Fece una pausa. Non trovava le parole per descrivere un comportamento del genere. Inoltre, non voleva parlare di Mew al Team Galassia. Mewtwo non glielo avrebbe mai perdonato.
Scosse la testa, pensieroso. «Non so perché la cosa mi sorprenda, dopo aver conosciuto Sird. Tale padre, tale figlia...».
Silenzio.
«Figlia...?» bisbigliò incredula la cieca. Lei e Silver non avevano mai parlato seriamente l'uno con l'altra. Non ne avevano sentito il bisogno. Ma Gong se ne stava pentendo: il ragazzo, senza volerlo, aveva raccolto mille informazioni interessanti. La monaca doveva informare Giratina al più presto, ma il drago non le avrebbe creduto se si fosse limitata a riferire.






 
Nel Mondo Distorto



«Sird è la figlia adottiva di Arceus. Lui l’ha rapita dal suo pianeta natale quando aveva cinque anni e fino a dodici l’ha tenuta a Sinjoh. Hanno litigato parecchio quando lei era adolescente, ma non tanto da arrivare ai ferri corti, tutt'altro. Per questo credo che Sird sia entrata volontariamente nell'esperimento di Uxie. Non so che cosa vogliano da me».
Giratina strinse gli occhi, come se fosse irritato. «È stato Yuksie a parlarti dell’esperimento?».
«No. È stato Mesprit».
«Piangeva?».
«No».
«Rideva?».
Gong, quando Mesprit aveva provato a corromperla, si era effettivamente sentita un po' presa in giro dai suoi modi e dalle sue chiacchiere.
Silver scosse la testa- «No. Mi ha spiegato tutto e mi ha restituito la collana rotta di Sird, quella che le avevo regalato dopo un paio di settimane che stavamo insieme, dicendo che lei se l’era strappata dal collo. Tanto, era metallo povero. Perché?».
«Se la storia dell’esperimento e dell’abbandono fosse vera, Mesprit te l’avrebbe raccontata piangendo. Se fosse stata falsa, presto o tardi avrebbe riso. È un pessimo bugiardo».
«Dunque?».
«Dunque, ti sei inventato tutto. Per venire qui a ficcare il naso. Sei una spia».
«Che cosa?! No, ti sbagli!>>.
Non poteva scappare, perciò Giratina se ne sarebbe occupato in seguito. Inviperito, se la prese con la monaca che l’aveva portato lì. «E tu… è così chiaro che...!». Un pensiero gli illuminò la mente col bagliore di una saetta e lo zittì. «O ti volevano morto, e in quel caso saresti comunque la vittima, o… Yuht Gwong, quando hai ucciso Mesprit, secondo il conto delle rotazioni terrestri?».
«Cioè, che giorno era? Era la notte tra il dodici e il tredici Novembre».
«Questo non è possibile» la corresse Silver. «È venuto da me la mattina dopo».
«Quello non era Mesprit. Era Azelf».
«Azelf?! Perché dici Azelf e non Uxie?» domandò sorpresa Gong.
«Non devi capirlo tu. Non c'è bisogno che voi sporchi umani capiate».
Silver non si offese. La cieca lo aveva avvertito del caratteraccio del demone, quando gli aveva proposto di incontrarlo. Giratina non gli aveva mai rivolto la parola, neppure per interromperlo mentre parlava, prima di interrogarlo per poi accusarlo di essere una spia.
Ma Valerie, che fino ad allora se ne era stata zitta e buona alle spalle degli altri due, batté un piede sul terreno roccioso e lo rimproverò: «Sei un grosso serpentone sciocco e cattivo!». Con le braccia conserte, gli voltò le spalle e se ne andò.
Silver la guardò perplesso, così come la Sawsbuck di Gong, Bella. Nessuno dei due si aspettava di incontrare una persona del genere tra gli alleati del Pokémon Ribelle. D'altronde, neppure Shan Yueguang sembrava una sacerdotessa nera.
Valerie era vestita da bambola di porcellana, i suoi lunghi capelli corvini erano lucidi e ben spazzolati, e nel suo vestito pieno di farpali dominava il rosa intenso. Incredibile che una creatura piccola e fragile come lei si fosse permessa di rimproverare il Signore del Mondo Distorto, e che lui non si fosse infuriato per questo.
Il dragone esitò, colto di sorpresa. Cambiò radicalmente atteggiamento: «Yuksie non mente mai, neppure sulla sua identità» spiegò. «Non ha quello che serve per concepire la menzogna. Non ha emozioni né volontà. Inoltre, lavora sui grandi numeri. I singoli individui non gli interessano, e non vedo quali nuove informazioni sul comportamento umano potrebbe ricavare da te, che non sei rappresentativo di nulla, neppure del sottogruppo delle vittime di rapimento nell’infanzia. La tua donna è in accordo con Azelf... che per noi è molto peggio di Yuksie».
Davanti agli occhi sbigottiti di Gong, Giratina era scivolato via per raggiungere la minuscola Valerie, ancora in cammino sulla lunga fila di piattaforme che andava formandosi di fronte a lei. Di tanto in tanto spariva e riappariva molto più lontana.
«Com'è che tratti lei come una porcellana e me come un coccio?!» gli gridò risentita la monaca. Poi lo seguì. «Guarda che il ragazzo non ha ancora finito. Gli avevo detto di stare zitto su una cosa perché non sapevo come l'avresti presa, però... ehi, mi ascolti?!».
Nella trama distorta di quell'emi-universo, il dragone spettrale e l'altra ragazza erano scomparsi.
Gong aveva chiesto a Silver di parlare di Sird prima che di Luna, sia perché reputava il presunto esperimento di Uxie più pericoloso e incombente dell'ormai avvenuto viaggio di Cosmog, sia perché si aspettava una reazione terribile alla scoperta del vero nesso tra le due creature che Giratina aveva ospitato per così tanto tempo nel suo territorio. Arceus si era fatto beffe di lui in un gioco incomprensibile, a cui il drago non sapeva di prender parte. Gli aveva mandato Cosmog e Lunala insieme nella speranza, forse, che lui uccidesse il primo al posto di Yveltal, semplificandogli il lavoro, dandogli una scusa in più per tormentarlo e salvandogli la reputazione.






 
A Sinnoh. Notte



Era buio. Non c'erano stelle, né un soffitto a coprirle. Silver camminava su un pavimento liscio che non poteva vedere. Il fulcro della scena era una donna dalla carnagione chiara come la madreperla e i lunghi capelli bianchi. Il suo corpo era stretto in un lungo abito blu notte dal taglio moderno. In piedi, rinchiusa in una teca di vetro, era troppo in alto per essere raggiunta. Muoveva le labbra senza che il giovane percepisse la sua voce. Di tanto in tanto, batteva col pugno sul vetro, e allora i colpi echeggiavano dappertutto in un vuoto sterminato.
Il ragazzo le si avvicinò e la guardò meglio: quando l'aveva incontrato la seconda “prima volta” aveva i capelli neri e gli occhi scuri. Quando l'aveva lasciato, aveva un occhio chiaro e delle ciocche bianche. Adesso, era tornata albina, pur mantenendo la sua ritrovata giovinezza. La donna era Sird.
Il suo perfetto pallore la faceva apparire spettrale, ma non gli era mai sembrata così bella.
E continuava a non sentire la sua voce.
Con un ultimo pugno, il vetro andò in frantumi e le schegge lo investirono.
La prigioniera saltò giù e gli atterrò davanti con la leggerezza di una piuma. Gli prese delicatamente i polsi nelle mani e il suo tocco li fece sanguinare. Gli accarezzò i palmi e il sangue cominciò a sgorgare ovunque le sue dita sottili lo avessero sfiorato.
Sembrava diventata muta. Non fu lei a parlare, ma una voce maschile e profonda che risuonava tutt'intorno.
«Argento, costei è mia sorella. Io sono Darkrai, l'Incubus. Malgrado la mia vicinanza sia sgradita alla vostra specie, porto un messaggio da parte sua. Lei non aveva altro modo per recapitartelo. Ho la tua attenzione?».
Silver guardò la donna bianchissima e muta davanti a lui. Gli aveva lasciato andare le mani, ma il suo sangue continuava a cadere, goccia dopo goccia, dalla cute ferita. Ne vedeva il rosso vivo nonostante il buio. Ai suoi piedi stava formando una pozza scarlatta.
«Sì. Dannazione, parla! Sbrigati! Mi sto dissanguando!».
Sird, o l'immagine di lei che il Pokémon Neropesto aveva proiettato nella sua mente, sorrise appena. Era un sorriso dolce, fuori dal contesto, ma a lei non importava niente del suo continuo sanguinare, né di esserne la causa.
«Stella è stata portata via con la forza, durante il vostro sonno, dall'entità che voi terrestri conoscete come Azelf. Lei non sa dove l'abbia portata, e neppure io lo so, perché posso raggiungerla soltanto in sogno».
Silver non gli credeva. Mostrò le mani rosse di sangue e i polsi feriti. «È stata lei a chiederti di farmi questo?!».
«No. Questo è ciò che tu pensi ti stia facendo».
Il ragazzo studiò la donna albina di fronte a lui. Le labbra increspate nel solito sorriso vago, lo sguardo quasi tenero sotto le ciglia bianche. Restava ferma come in attesa. In attesa della sua fine.
Silver non voleva immaginarla così. Si sentì in colpa, si vergognava per averla demonizzata a tal punto. Le si avvicinò di un passo e lei gli offrì quelle labbra pallide. Non gli avrebbe mai impedito di farsi del male. Mentre la baciava, lui sentiva il proprio sangue defluirgli dalla bocca nella gola. Lo stava soffocando.
Pregò di svegliarsi, ma l'incubo non lo lasciava andare. Le mani di lei si posarono sulle sue guance ferendogli il volto, il rosso del sangue si confuse nel rosso dei suoi capelli.
Finalmente, Silver si svegliò. Accese la luce, cercò nel letto e nella stanza, grigia e impersonale, per assicurarsi che quella cosa non lo avesse seguito. Aveva il fiatone, ma presto si calmò. Ricordava a malapena le parole di Darkrai. I sogni da lui generati non potevano essere che terrifici, perché a lui spettavano solo gli incubi, ma il Pokémon Neropesto era altruista e buono di cuore, cavalleresco a detta di sua “sorella”. Era difficile da imprigionare e dominare con la forza, ma vulnerabile alla manipolazione.
Silver era convinto che gli avesse riferito un messaggio fuorviante in buona fede: ora, sveglio e a mente lucida, non poteva più credere a nulla riguardo a Sird.
Aveva sottopelle il suo micro-chip, e il nuovo congegno si era integrato con il precedente conferendogli gli stessi poteri e le stesse autorizzazioni che Sird aveva avuto come Comandante Mercurius. Avrebbe ripristinato il Team Galassia, come Comandante Phobos, per usare il suo stesso esercito contro di lei. Quella donna glielo aveva offerto pensando che non avrebbe saputo farci niente. E non aveva torto. Ma il suo incontro con Giratina, il vero Giratina del Mondo Distorto, e non una sua copia temporanea generata da una macchina programmata per imitare Arceus di fronte ai comuni mortali, o rispondere ai suoi comandi a distanza, forse aveva cambiato le carte in tavola.

 

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Capitolo 27
*** Uxie ***


27. UXIE





Mars parlava, instancabile, da circa mezz'ora. Riportava fatti terribili come se fossero pettegolezzi. Raccontava a Silver ciò che era successo alle loro madri poco prima della loro nascita.
«Così tuo padre è venuto qui a Sinnoh a cercare i suoi futuri Generali. Ha scovato quel damerino di Archer e quel ratto pezzente di... di... come si chiamava...?».
«Petrel?».
«Sì! In ogni modo, tua madre l'ha incontrata più avanti. Ma non credo che tra i tuoi genitori ci sia stato chissà quale grande amore, mi dispiace se l'idea non ti va giù».
Silver scrollò le spalle. «In realtà non mi interessa. Non considero Ariana mia madre».
«Lo sapevo!» esclamò una voce alle loro spalle.
La punta di esultanza nella sua disapprovazione non aveva niente a che fare con le piccole tragedie familiari di Silver.
I due ragazzi dai capelli rosso sangue si voltarono simultaneamente.
Mars non sapeva chi aspettarsi. Silver invece sì.
Non si trattava di un poliziotto, né di una Recluta Rocket ficcanaso.
Era Mewtwo.
Fin da quando Silver si era presentato nella sua Grotta Celeste con il chip, inventandosi una spiegazione poco convincente, il Pokémon aveva cominciato a sospettare. Aveva esitato a lungo, perché non avrebbe voluto dare la caccia a un amico di Red e Yellow, poi aveva lasciato Mew da solo nel loro rifugio per mettersi sulle sue tracce. Aveva raggiunto le coste di Sinnoh e aveva ripreso il volo verso Rupepoli.
Ora, aveva visto ciò che voleva, o forse non voleva vedere. Continuava a scrutare Silver in attesa di una spiegazione. La sua stretta parentela con Giovanni era di dominio pubblico, ma in pochi li avrebbero identificati come padre e figlio senza conoscere la loro storia.
Il suo legame genetico con quella Comandante Galassia, invece, era evidente. Lei aveva gli occhi color ambra e lui grigio chiaro, ma quei due potevano essere davvero fratello e sorella: si assomigliavano molto più di quanto Blue assomigliasse a Silver. La divisa con gli stessi colori e lo stesso stemma esaltava la loro affinità.






 
*




Gong, ormai sull'orlo della nevrosi, rispose urlando: «Ti ho detto di no!».
Si era trasferita nella Sede Galassia di Evopoli durante la notte per toglierselo di torno. Lui però l'aveva raggiunta il giorno dopo.
La ragazza camminava a ritmo di marcia verso la sua camera mentre Saturno le correva dietro. «Ma dai! Finirai per lamentarti di essere gonfia come un pallone, poi urlerai per le doglie, e alla fine ti dispererai per le conseguenze del parto. Perché non vuoi usare una surrogata? Bryony, Aliana e quell'altra sono a tua completa disposizione, ora che Eris se n'è andata! È come se tu rifiutassi un...» alzò gli occhi sopra la spalla di lei e il suo sguardo parve perso nel vuoto. «...taglia-erba di ultima generazione per usare il falcetto...».
Gong aggrottò la fronte, perplessa. Non era sicura di aver capito bene. «Come, scusa?».
Saturno indossava un paio di occhiali leggeri dalle lenti blu. Il Comandante Oberon si era limitato a modificare i modelli indossati dai coordinatori del Team Flare per rendersi utile.
Il giovane se li sistemò mentre la sua ex ragazza, irritata dal suo silenzio, lo scansava.
«Beh, vuoi starne fuori?! Hai detto che il bambino non ti interessa!».
Lui, messa a fuoco l'immagine, cambiò repentinamente discorso: «Un Rotom Forma Taglio ha appena attivato le telecamere esterne. Sembra che voglia entrare. Di sicuro ci ha rovinato il prato».
«Cosa...?!».
«Gira i tacchi e andiamo nella sala comandi. Se Charon è evaso e quel Rotom è suo, per noi saranno guai».
«Charon era lo scienziato che era qui prima di Oberon? Non dovremmo andare verso l'uscita, per fermarlo?».
«Io vado nella sala comandi, tu va' verso l'uscita e prendilo a sassate».
«Ma che dici?! Bella non è pronta! E se poi Rotom la batte e mi falcia?!».
«Vedi? Da quando sei incinta, sei una paurosa».
Arrivati davanti sala comandi, la trovarono chiusa dall'interno. Saturno armeggiò con la leva per l'apertura manuale, bloccata. Gong stava per esercitare il suo Dominio sul metallo quando il pannello cominciò a scorrere da solo.
Nella stanza, anche stavolta, c'era un Pokémon dalle classiche fattezze aliene. Era un Beheeyem. Rotom, attivando le telecamere esterne, aveva cercato di attirare l'attenzione dei Galassia su di sé per permettergli di entrare più agevolmente.
L'alieno era penetrato fin nel cuore del covo satellite, meno protetto del quartier generale di Rupepoli, ed era rimasto affascinato dalle macchine della sala comandi. Così si era preso qualche minuto per esaminarle. Ma il vero scopo del loro viaggio così lungo era ricongiungersi all'umana che li aveva liberati dal loro vecchio padrone. Le informazioni raccolte e il loro istinto di Pokémon li avevano guidati nel posto giusto.




 

*




«Quindi il mio problema non è Sird. Il mio problema è Arceus. Non mi piace come ci sta trattando. È troppo tempo che ci prende in giro» concluse Silver.
Mars guardava il cugino come se si stesse annoiando. Sbadigliò.
Mewtwo rimase zitto. Era ancora irritato per l'imbroglio, ma le sue parole lo avevano fatto pensare. Lui non amava i despoti, sia umani sia di altre specie.
«La posizione di Arceus gli dà un vantaggio forse impossibile da recuperare, per noi. Tu che piano hai in mente?» domandò infine al ragazzo.





 
Una settimana dopo


Mewtwo, assieme ai Comandanti Terra e Saturno, aveva raggiunto le rive del Lago Arguzia. Circondato dalle nevi perenni, confinato su una piccola altura, quello specchio d'acqua non gelava mai. Le sue acque erano cariche di sale.
«Io torno dentro. Fa troppo freddo» sentenziò Saturn. Girò i tacchi e fece per rientrare nel grande velivolo che li aveva portati fin lì.
La voce contrariata del Comandante Phobos, Silver, gli rispose nell'auricolare. «Hai voluto l'operazione sul campo al posto mio. Perché? Te l'avevo detto di scambiarci: io non so fare il coordinatore».
Al contrario, Saturno odiava ogni tipo di lavoro all'aperto. Ma voleva tenere Gong lontana da Silver. Quando aveva sentito che Mars e Jupiter si sarebbero occupate del Lago Valore, perché nessuna delle due si sentiva in grado di lavorare con una novellina, aveva insistito per accompagnare Gong. Mewtwo era lì, a suo dire, per assicurarsi che non si distraessero a vicenda, mandando a rotoli l'intera operazione.
Inoltre, era lui che portava il nuovo dispositivo sperimentale che avrebbe consentito loro di non immergersi e affrontare tre avversari tanto temibili: il gelo, l'acqua e il Guardiano del Lago, Uxie. Era un'onta che non gli avessero permesso di occuparsene da solo.
La grotta emersa, ben visibile al centro del lago, era lì per distrarre i visitatori indesiderati. Sul fondale c'era invece una piccola grotta chiusa, di roccia dura. Lì riposava l'Essere della Conoscenza. Nelle simulazioni, la forza psichica di Mewtwo non era riuscita a demolirla, mentre il Dominio della Terra di Gong si era mostrato più efficace. Lei però non poteva o non voleva immergersi.
Per venirle incontro, Xerosic aveva unito la fantasia Flare alla tecnologia Galassia e aveva costruito in meno di una settimana una macchina in grado di attirare a sé le molecole libere allo stato liquido, assieme a solidi delle dimensioni di granelli di sabbia. Ricordava una grossa palla di piombo ma era leggera come un salvagente. Mewtwo si sarebbe limitato a buttarla al centro le lago poco prima della sua attivazione.
Il comando arrivò.
La grossa sfera cominciò a ruotare in senso antiorario e parve avvolgere a sé tutta l'acqua del lago mentre si alzava vero il cielo. La grande spirale d'acqua si ridusse a una strana elica liquida, mentre la sfera continuava a far risuonare il suo rumore continuo e sordo.
Il fondale era accessibile. Gli unici ostacoli erano dei poveri Magikarp boccheggianti nel fango, e qualche Psyduck che guardò perplesso l'acqua sospesa nell'aria e tagliò la corda.
Un'altra spirale d'acqua si formò sopra al letto del Lago Valore, rivelando lo stesso spettacolo.
Lì, anche la vera caverna del Guardiano era aperta. Mars, dopo aver avuto qualche problema a calarsi sul fondale fangoso, entrò e uscì in pochi secondi. «Qui non c'è nessuno. Neanche un biglietto».
«Ma dai...?!» mugugnò Silver. Aveva raccontato al resto del Team di aver incontrato Azelf solo pochi giorni prima. Lui non aveva motivo di tornare nel lago così presto. Jupiter però aveva insistito per controllare: il Pokémon, dopo essersi fatto vedere lontano da Sinnoh, poteva dare per scontato che non l'avrebbero più cercato nel Lago Valore. Ma i processi mentali di Azelf, nonostante la sua pericolosità, erano più semplici e lineari di quanto la Comandante volesse credere.
Sull'altro schermo, Gong aveva aperto la grotta con il Dominio della Terra.
Uxie non reagì all'intrusione. Dormiva supino sul fondale. Il suo piccolo corpo, ricoperto di una folta pelliccia grigia, era sporco di fanghiglia.
Gong era entrata nella grotta fidandosi del suo Senso Sismico, e stava per inciamparci quando Beheeyem la fermò.
Le trasmise telepaticamente l'immagine che il suo cervello, tramite i suoi occhi e alieni aveva ricostruito. Ma la sua nuova Allenatrice, nel Mondo Materiale, non era più abituata a vedere dal suo secondo anno di vita.
Perciò Beheeyem scompose il pacchetto di informazioni e lo mandò a centri diversi dalle aree visive.
Uxie era freddo, ma appena più tiepido della melma che lo imbrattava. Dentro di lui scorreva lentamente un fluido meno viscoso del sangue umano, mentre i suoi due cuori, molto piccoli, battevano asincroni ognuno una ventina di volte al minuto, nonostante le dimensioni ridotte del suo corpo. Lo tenevano incosciente, ma vivo. Stava abbandonando la respirazione subacquea per quella aerea.
Gong si chinò sul piccolo Pokémon esanime e tastò la sua maschera gialla. Lentamente, facendo attenzione a non svegliarlo, provò a togliergliela. Ma più tirava, più tentava di infilare le dita sotto quello che le pareva un elmetto dalla calotta rotondeggiante, più si convinceva che quell'accessorio fosse in realtà una parte della testa del Pokémon. La pietra rossa, le suggerì Beheeyem, doveva essere incastonata nell'osso frontale.
Perciò, come Mesprit, Uxie doveva essere ucciso. Rompergli la testa con un sasso sarebbe stato troppo brutale per una ragazza incinta come lei.
Rotom Taglio uscì dalla sfera e si offrì di passargli supra. Le sue lame erano molto più potenti di quelle di un volgare taglia-erba. Ma appena toccò terra, si impantanò con le ruote e riuscì solo a buttare melma sulla sua padrona. Nonostante il suo goffo zelo, lei lo ritirò all'istante.
Beheeyem non rise. Uxie aveva una gabbia toracica simile ad un'armatura, ma insinuarsi con una lama tra le coste per colpirlo al cuore sinistro, forse, sarebbe stato sufficiente.
Gong accolse il suggerimento. Trasformò uno dei suoi braccialetti metallici in uno stiletto.
Appena la lama gli penetrò nel petto, Uxie cacciò un grido soffocato e spalancò gli occhi dorati. Senza che Gong riuscisse a trattenerlo, si alzò in volo e fuggì dal suo rifugio divenuto trappola. Il suo sguardo incrociò gli occhi verde elettrico dell'alieno Beheeyem.
Il Pokémon Cervello reagì paralizzandosi. Tutti i suoi ricordi riemersero, colorati di un crescente senso di angoscia e paura. Era come se stesse precipitando e sapesse di essere destinato a schiantarsi.
I suoi pensieri corsero allo Spazio oltre l'atmosfera, con le sue incommensurabili distanze. Le vedeva contratte, il tempo era immobile. Quando quella piccola immagine dell'universo cominciò ad espandersi, ed il tempo ad accelerare, la sua mente andò in pezzi come vetro.
Riversò tutta l'aggressività nata da quella profonda paura sull'umana davanti a lui. Lei che forse l'aveva liberato, ma di certo non meritava di sopravvivergli. Penetrò con facilità nella sua mente giovane e cominciò a riscriverne i ricordi.
Loro, Beheeyem e Yue, erano arrivati lì insieme come padrone e serva. Vagavano da soli attraverso le civiltà aliene di quel pianeta sconosciuto. Le sfere rosse e bianche e le loro versioni di altri colori erano dispositivi di controllo. Doveva liberarsene, perché erano stati i nemici a mettergliele addosso. I nemici erano là fuori, in divisa.
Tutto il resto era falso: loro le avevano fatto il lavaggio del cervello.
Gong buttò nel fango la Pokéball di Rotom e quella vuota di Beheeyem.
Lasciò la grotta assieme al suo padrone.
Rotom uscì dalla sfera e li seguì, ma i due lo ignorarono come se non esistesse.
In volo, Uxie aveva cambiato forma, trasformandosi in un umanoide dalla pelle grigia e le lunghe ali dalle venature gialle, che fendevano l'aria generando un forte ronzio. Si premeva una mano sulla ferita sanguinante. Si era fermato tra il fondo del suo lago e l'acqua gelida che vorticava attorno alla Sfera Gravitazionale, esattamente all'altezza della riva.
In piedi davanti a lui, Mewtwo lo fissava come se meditasse di attaccarlo, ma non si muoveva. Poi abbassò gli occhi e guardò stranito Beheeyem e la ragazza cieca che camminava composta dietro di lui, seguita da un agitatissimo Rotom Taglio, nella conca del Lago Arguzia.
Fece comparire dal nulla il suo fidato scettro a cucchiaio e lo puntò contro la sfera rotante sospesa sulle loro teste. Se l'avesse distrutta, la ragazza incinta e i Pokémon nel lago sarebbero morti fulminati dalla potente elettricità di Rotom Taglio, prima ancora di affogare. E quella fine sarebbe stata migliore del futuro tetro che vedeva per tutti loro.
Giratina uscì da una frattura dimensionale alle sue spalle con la rapidità di un serpente. Lo schiacciò e lo immobilizzò sotto il suo peso, mentre la sua trasfigurazione si completava.
Uxie, indolente, si trovò faccia a faccia con lui. Le iridi dorate dei suoi enigmatici, celestiali occhi ciechi fecero rabbrividire il Pokémon Ribelle. Non mostravano sofferenza, né emozioni, né interesse per le creature in pericolo.
Giratina mosse istintivamente le ali d'ombra in avanti e proiettò su di lui i suoi aculei avvelenati con Ombrartigli.
Voleva solo toglierselo di torno.
Già debole, gravemente ferito, il Pokémon Conoscenza si dissolse. La sua maschera gialla cadde sul fondo prosciugato del lago e il drago si precipitò a recuperarla.
Mewtwo, dolorante ma libero, puntò ancora il suo cucchiaio gigante verso la sfera gravitazionale. Colpita da una potente energia psichica, la macchina cominciò a dare segni di cedimento. Poco prima che esplodesse, Giratina lasciò cadere la maschera di Uxie e afferrò Gong con la sua enorme bocca. La sollevò in alto con sé mentre l'acqua ricadeva tutta insieme su di loro e sotto di loro.
Mewtwo, come il pazzo che era diventato, si tuffò.
La scossa generata da Rotom si trasmise fino alla superficie, trasformando il lago in una trappola letale. Con la completa disintegrazione del Pokémon, la scarica cessò. I Goldeen e i Magikarp vennero a galla a pancia in su, immobili.
Gong scalciava e chiamava disperatamente Beheeyem.
Mewtwo riemerse aggrappato al suo fidato cucchiaio. Era più frastornato di prima, ma vivo.
Giratina posò a terra Gong e dedicò la sua attenzione a lui. In quello stato, era troppo pericoloso per essere lasciato libero. Il suo cervello si sarebbe liberato di ogni ricordo dopo tre giorni. Ma, con quel sovraccarico, non c'era speranza che il Pokémon recuperasse la ragione prima dell'amnesia.
La cieca si precipitò verso l'acqua. «Beheeyem!» chiamò. «Padrone!».
«Ma che padrone?!» domandò sprezzante una voce maschile alle sue spalle. «Vieni via! Sbrigati, prima che quei due...!». Il ragazzo aveva commesso un errore: l'aveva afferrata per la spalla. Lei gli agguantò la mano e rivoltandosi gli fece perdere l'equilibrio.
Saturno si trovò tra lei e le profonde acque gelide del Lago Arguzia.
La ragazza trasformò il suo guanto in una lama, la stessa che aveva trafitto Mesprit. La velocità con cui aveva ampliato la sua lista di vittime era preoccupante.
«Aspetta! Buona! Calmati! Ragioniamo...!» gridava il giovane cercando di trascinarsi lontano da lei.
Il suo Abra, un esemplare maschio di nome Ariel1, uscì di propria iniziativa dalla sua Pokéball. L'Allenatore non gli aveva mai dato l'attenzione che meritava, l'aveva fatto vivere all'ombra di Rhea e non l'aveva neppure addestrato bene, ma lui fece quello che sapeva fare meglio e lo teletrasportò lontano.











 
1Satellite di Urano




 




NOTA: ragazzi sto toccando un livello di stanchezza mentale mai raggiunto prima, questa cosa un po' è riposante per me però non c'ho (sì, scritto così) un gran tempo per starci dietro a modino, il che mi secca perché sarà una bischerata ma dopo tanti mesi ci voglio arrivare in fondo a questa storia qua. Scusate.
 

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Capitolo 28
*** Inter nos (I) ***


28. INTER NOS (I)




Gong era stata catturata da Giratina mentre fuggiva dalla Riva Arguzia.
Nel Mondo Distorto, il demone l'aveva aiutata a suon di racconti, insulti e minacce, a scindere i suoi veri ricordi da quelli falsi, introdotti nella sua mente da Beheeyem. Non era stato poi così difficile: anche coi ricordi modificati, la ragazza non delirava.
Mewtwo era in tutt'altra situazione. Tolto il suo caratteraccio, aveva una mente molto elastica, e i tre giorni canonici necessari all'adattamento di un cervello umano, per lui si erano dimezzati. In un arco di tempo che sulla terra sarebbe stato di trentasei ore, il Pokémon aveva perso ogni ricordo.
Come un nuovo nato, si era ritrovato incapace di comunicare con gli umani, e in difficoltà nel comprendere gli altri Pokémon. Ma il suo cervello non era quello di un bambino. La paura gli tornò sconosciuta, perché sentiva di essere molto forte. La sua empatia, cancellati i ricordi di qualsiasi legame, poteva rivelarsi ben poco sviluppata.






 
A Sinnoh




Gong, dopo aver fatto perdere le sue tracce, era tornata nella Sede Galassia di Rupepoli come una pecora nera e piena di vergogna all'ovile. Jupiter era stata la prima a intercettarla. L'aveva sottoposta a un interrogatorio sulla soglia, prima che Silver la convincesse a lasciarla entrare.
Saturno aveva saputo del suo ritorno solo quando se l'era trovata davanti.
L'aveva rimproverata per il suo comportamento, l'aveva fatta sentire ancora più in colpa, poi le aveva sussurrato all'orecchio che ci avrebbe messo una pietra sopra solo se fosse tornata a letto con lui.
Alla fine, l'aveva avuta vinta.
Ma non c'era modo di fargli accettare il bambino.






 
Nel Mondo Duistorto




Mewtwo aveva notato la piccola figura di Valerie seduta sulla groppa di Giratina.
Con la velocità di un battito di ciglia, trasmise al drago la sua curiosità. Voleva sapere che cosa fosse.
“È una femmina umana. Non capisce niente di quello che diciamo”.
Il Pokémon si esaminò le braccia e le mani a tre dita. Assomigliava a quella strana e piccola creatura bipede più che al grande Spettro dalle sembianze serpentiformi.
Domandò come mai lei non li capisse.
“Perché il suo cervello non ce la fa. È diversa da noi”.
Ma anche loro erano molto diversi l'uno dall'altro.
“Noi siamo...” si interruppe. Se Mewtwo era naif e virtualmente aggressivo, doveva stare attento al modo in cui gli avrebbe presentato le differenze tra loro e gli altri. “Noi siamo capaci di comunicare con la mente, e ogni suono fa parte di un linguaggio secondario. Per gli umani non è così: il loro pensiero è succube della parola. Sono costretti ad emettere suoni e articolare parole, o a metterle per iscritto, per scambiarsi i messaggi complessi”.
Giratina stava trasmettendo concetti, non immagini. Per Mewtwo era difficile seguirlo.






 
A Sinnoh



Da quando Gong aveva ripreso a frequentare Saturno, lui si era miracolosamente calmato. Era meno geloso, meno soffocante, e aveva smesso di seguirla ovunque. Quando la ragazza aveva chiesto di spostarsi di nuovo ad Evopoli, sia perché trovava la sede satellite più ospitale della sede centrale, sia perché Mars e Jupiter la tormentavano e la compativano per la sua gravidanza, che loro consideravano una vera e lunga malattia, Saturno l'aveva lasciata andare senza lamentarsi. Sarebbe venuto a trovarla di tanto in tanto. Appena dopo la disavventura del Lago, inoltre, aveva inviato una squadra di recupero nel Bosco Smeraldo per rintracciare e prelevare la sua intera squadra di Pokémon. Voleva usarla per stimolare e correggere la memoria di Gong, se lei non fosse guarita in fretta.
Finalmente, poco prima di lasciare Rupepoli, Gong si era ricongiunta ai suoi Mimikyu, Primarina, Rockruff, Togetic, Chingling e Mudbray, e li aveva presentati a Sawsbuck.
Mentre passeggiava indisturbata per Evopoli sotto un sole pallido, con Rockruff a guinzaglio per la sua consueta passeggiata mattutina, udì la melodia lenta e malinconica di un flauto in lontananza.
Il Mimikyu Minh, la Primarina Ondine, la Togetic Kokachin, e persino la piccola Chingling Qiuyue, uscirono dalle sfere uno dopo l'altro e seguirono la musica.
L'Allenatrice li chiamava, Randal abbaiava, ma loro non tornarono indietro.
Gli altri furono costretti a seguirli. A un certo punto la musica cambiò, e divenne più veloce e più allegra. I tre Folletti e Chingling iniziarono un girotondo. Ma continuavano a spostarsi verso il flauto e chiunque lo stesse suonando.
Se Gong aveva capito qualcosa sui Folletti, era che ballavano anche quando uno strumento non batteva il tempo o non c'era motivo di fare festa, caratteristica condivisa da molti Spiriti Benigni.
Ballando, i tre Pokémon si avvicinarono alla fonte della musica senza pensare a niente. Furono guidati sulla collinetta ad est del centro abitato, dove si ergeva un'imponente statua di bronzo ancora lucente, fissata a un enorme piedistallo di pietra. Raffigurava una creatura mostruosa e fantastica che univa in sé le caratteristiche dei due grandi Draghi Dialga e Palkia, Signori dello Spazio e del Tempo. Risaliva ai tempi in cui Evopoli era la Capitale Imperiale e il loro principale centro di culto.
All'ombra dell'antica statua, una ragazza dalla pelle scura suonava l'inconfondibile Faluto Lunare di Alola. Una veste dorata stretta alla vita da una cintura le arrivava fino alle caviglie. I suoi lunghissimi capelli candidi ricadevano ben pettinati su una spalla.
Randal dovette guardarla due volte prima di attaccare ad abbaiare. Non credeva di rivederla viva.
La musica si interruppe e cadde il gelo.
Gong aveva assorbito la tensione dei suoi Pokémon ed era rimasta immobile con le orecchie tese. «“Mo Li Hua”1» spiegò una voce femminile. Era il titolo di entrambe le versioni del brano tradizionale che aveva appena eseguito. «Nella città di Gardenia, credo che i bambini siano abituati a cantare al gelsomino» aggiunse.
La cieca non credeva alle sue orecchie. Restò a bocca aperta: «Lunala?!».
«E chi pensavi che fossi?».
Rise, stringendo tra le mani il Flauto Lunare.
Gong le corse incontro e la abbracciò. Rivalità in amore a parte, la considerava un'amica.
Lei ricambiò l'abbraccio sorridendo. «Sei contenta di rivedere la tua vecchia Lunala?».
Gong annuì vigorosamente. «Sì!».
Le sembianze di Lunala cambiarono. La sua figura, da femminile e piccola, si fece alta e sottile, umanoide e androgina. I suoi begli occhi rosa divennero grandi occhi gialli dalle palpebre pesanti e la chioma candida scomparve, lasciando il posto a quello che sembrava un copricapo color magenta.
«E che mi dici di me?».
Gong rimase impietrita nel suo abbraccio. Poi cacciò un urlo e provò a spingere via l'impostore, senza che lui si muovesse di un millimetro.
L'istinto le diceva di fuggire, ma ormai sapeva di essere segnata. Tre giorni, e poi avrebbe perso la capacità di provare sentimenti ed emozioni, sprofondando in uno stato di irreversibile apatia.
Mesprit intuì la sua paura. «La maledizione è legata al mio corpo, non al mio spirito» disse. «Il mio corpo l'hai distrutto tu l'ultima volta che ci siamo incontrati, ricordi? Nessun rancore».
«Bugiardo! Ora perderò tutto!».
«Macché! Preferirei uccidere qualcuno, piuttosto che maledirlo. Non scherzo: qualche millennio fa, dove ora sorge Memoride, ho dovuto tagliare le teste di... ehm... di un monarca invasore e del suo generale, per questo. Non ti dico come l'hanno interpretata i contemporanei! Non ci conoscevamo bene, all'epoca: eravate appena arrivati. Ma che dico?! Tu non sei di qui! Sai... la maledizione di Azelf porta all'abulia, la mia all'apatia, ma nella pratica l'effetto finale è lo stesso. E chiunque venga segnato da Azelf, questo è risaputo, compie o tenta il suicidio entro tre giorni. La differenza è che io vi semplifico il lavoro. Ma... bando alle ciance: sono venuto per parlare di tutt'altro. Si vocifera che io abbia il dono della chiaroveggenza, sai, Gong? Perciò ti do qualche dritta, gratis, senza fondi di tè o menate varie. Quando troverete Azelf e prenderete la sua gemma, niente vi impedirà di costruire la Rossocatena. Userete Dialga e Palkia per allineare i pianeti di questo sistema solare e forzare una Convergenza Cosmica. Allora, Vaatu non avrà più motivo di aspettare un'occasione migliore. Fuggirà dalla sua prigione e sfrutterà l'Oscurità di questo Mondo per crescere e affrontare Raava. Hai già visto come: può assorbire l'energia delle creature del Buio. L'avevi capito, vero?».
Gong aveva avuto un attacco epilettico quando Vaatu, il cui seme era già rinato dentro Raava, aveva assorbito l'energia dell'Honchkrow e del Weavile di Silver, causandone la regressione a Murkrow e Sneasel. Dopo aver visto Vaatu distaccarsi dal suo stesso spirito e fuggire nel Bosco Smeraldo, aveva ricollegato gli eventi.
Mesprit continuò con la sua solita parlantina: «Non sarò io ad impedirglielo, perché non mi voglio immischiare e ho da farmi gli affari miei. Raava si troverà davanti un avversario di pari livello e cercherà il tuo aiuto, come ha fatto le ultime volte. Per riunirti a lei, ragazza, perderai il bambino. Nel peggiore dei casi, sarai costretta ad espellerlo sul campo di battaglia. Grottesco, vero? Ovviamente, una soluzione rapida sarebbe abortire adesso. Lo vuoi davvero, quel bambino?».
«Sì! Mi stai ancora chiedendo di abortire o di arrendermi?!».
«Già. Visto? Ammazzarmi non è servito».
«Potrei usare una surrogata».
Mesprit storse la bocca e scrollò una spalla. «Provaci. Regaleresti tuo figlio ai Comandanti. Uno qualunque di loro potrebbe inattivare la tua surrogata e causarne la morte ».
Silenzio. Saturno ci aveva senz'altro pensato.
«Ti sto chiedendo di inventarti qualcosa per frenare i cavalli...» continuò Mesprit. « ...o il tuo Desna non respirerà mai. Voi donne siete brave a temporeggiare, no? Devi sviare le ricerche, costringere Giratina e Phobos a concentrarsi su nuovi obiettivi. Devi convincerli che siano più urgenti o più importanti della Rossocatena. Rimanda la battaglia a dopo il parto, ma non dire a nessuno che hai parlato con me. Intesi?».
«Sì».
«C'è qualcosa che vuoi chiedermi, prima che me ne vada?».
La cieca esitò e abbassò gli occhi. Replicò in un sussurro: «Sì».
«Beh, allora parla!».
«Perché Arceus ha ucciso Luna?».
Il volto del Pokémon Emozione mostrò una sincera sorpresa. «Non l'ho uccisa...!».
«Certo, lui l'ha... tu l'hai fatta eliminare da Yveltal!».
Mesprit soffocò sul nascere una risata e scosse il capo. Probabilmente, o era impazzito per il rimorso, o i suoi ricordi erano stati bloccati da Arceus.
La pietra color rubino al centro della sua fronte si illuminò e lui scomparve in una luce rossa. L'impressione era che fosse stato richiamato, come da una Pokéball invisibile o lontanissima.






 
*




Sfruttando la relativa indipendenza di cui godeva ad Evopoli, Gong si era messa a cercare informazioni interessanti qua e là. Catastrofi, tensioni e ingiustizie subite da sconosciuti avrebbero lasciato indifferenti tanto Giratina quanto Silver.
Perciò Gong aveva concentrato la sua attenzione, dopo averci pensato un po', sulle Regioni di Kanto e Johto. Sperava che a Giovanni fosse capitato qualcosa, o che Azula stesse appiccando incendi in ogni città, o di imbattersi qualche notizia preoccupante su Red. Con suo grande dispiacere, invece, tutto sembrava filare liscio. Il conflitto tra Azula e Zuko doveva essersi placato: in fondo, anche nella vita precedente, superata l'adolescenza avevano trovato il modo di scendere a patti.
Gong trovò qualcosa di appetibile solo in un trafiletto di un giornale: un vecchio scienziato di calibro e fama molto inferiore al Professor Oak, ossia un certo Blaine dell'Isola Cannella, risultava scomparso. Era specializzato nel Tipo Fuoco e perciò il suo nome compariva accanto alle notizie sui piccoli incendi accidentali. Gong non ricordava il nome di quell'uomo, però dell'isola sì: Mewtwo l'aveva citata un paio di volte, da quando era arrivato.
Adesso, lui non ricordava alcunché, ma forse Silver conosceva il vecchio, e non ne avrebbe ignorato la scomparsa.





 
1“Fiore di Gelsomino”





 




Io non so sinceramente se qualcuno stia seguendo questa storia, comunque credo che si chiuderà tra meno di 5 capitoli (effettivi, non spezzati, e non lunghi), però non li ho ancora scritti (perché ora mi sono bloccata di nuovo) quindi magari dovrei stare zitta... so solo che mi mancano poche cose da far succedere... boh...

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Capitolo 29
*** Inter nos (II) ***




Ragazzi, qui ho tagliuzzato e tolto un paio di pezzi lunghi (riassunti in due-quattro righe) per alleggerire un po', EPPURE sono riuscita lo stesso a perdermi in chiacchiere, perché io mi diverto con questa pseudo-mitologia ç_ç. Prometto che al finale ci arrivo al galoppo.


 





 
29. INTER NOS (II)




Un mese dopo




Era in due posti in contemporanea. Era ovunque Gong dirigesse la sua attenzione. Quindi, si era infiltrato nella sua mente e la usava per interagire con lei come proiezione esterna.
«Sei nella mia testa!» lo accusò la cieca.
«Come potrei parlarti, altrimenti? Non ricordi quanti occhi abbiamo puntati addosso? Ma non ti preoccupare: sono uno Psico puro, ho esperienza con le vostre circonvoluzioni, e so essere delicato».
«Mi sta venendo mal di testa!».
Mesprit ridacchiò. «Perché ti sei agitata. Calmati».
«Non mi prendere in giro! Va' via!».
«Questa è casa tua?».
«Una specie!» si impuntò la ragazza. La sede Galassia di Evopoli era stata affidata a lei.
Il Pokémon scosse la testa. «Spiacente... ma cammini sui resti delle fondamenta del Palazzo Imperiale. Questo posto è più mio che vostro, e nessuno può buttarmi fuori proprio da qui. Fa' una ricerca, se vuoi. Attenzione, però: il nome di Arceus non compare in un nessun testo antico, né sacro né profano, né canonico né apocrifo. Inoltre, prima dell'ascesa degli Yu, ma dopo la caduta dei Kido, qui a Sinnoh non mi chiamavano “il Primevo” o “l'Originale”, ma “il Misterioso” o “il Nascosto”1, perché i Lucario importati dai deserti mediorientali usavano riferirsi a me con quell'appellativo. I Lucario sono tuttora molto amati dagli umani di Sinnoh, sai? Il loro arrivo è stato una tempesta di sabbia: con la lettura delle Aure, la mentalità dell'aristocrazia e dell'esercito è cambiata a tal punto da segnare il tramonto della Dinastia Kido. Non che quei Pokémon siano ribelli o agitatori, tutt'altro. Sono molto fedeli e coraggiosi, ottimi guardiani, e hanno saldi principi morali. Leggi tra le righe: prenditi un Riolu da affiancare al tuo bebè. Così legheranno fin da piccoli. Te l'ho venduto bene?».
«Che cosa?».
«Riolu». Si mise in bocca due dita e fischiò, come faceva Gold. Contemporaneamente, aveva lanciato un richiamo mentale mirato.
Ma per Gong non aveva nulla di divino, in quel momento.
Un piccolo Riolu dalla pelliccia scura, quasi uniformemente nera, fece capolino dall'angolo e si avvicinò lento, intimorito e teso come una corda di violino. Ad ogni passo sembrava voler correre via. I suoi occhi rossi erano fissi sulla figura alta e sottile dell'Essere delle Emozioni. All'inizio dell'Era degli Umani, Egli aveva cominciato a mostrarsi in quella forma umanoide. Questo era stato un forte indizio del suo desiderio che i Pokémon imparassero dagli umani. I nuovi venuti erano meno controllati, meno numerosi e meno forti dei Pokémon, e il loro svantaggio biologico li obbligava a elaborare strategie o a improvvisare.
Mesprit, inquieto e inconstante come il vento nonostante la sua intelligenza, era più simile a loro che agli altri Pokémon. Cercava di apparire aperto e vivace, ma la sua imprevedibilità rivelava quanto poco si controllasse. Era più simile a loro che a tutti gli altri Leggendari, perciò quella forma gli calzava a pennello.
La sua non era solo scena, come nel caso del “vero” Arceus. Nelle sue chiacchierate a senso unico con Gong, l'Essere delle Emozioni si era lamentato di come il suo alter-ego tendesse a frenarlo in favore degli altri due, Razionalità e Volontà. Si sentiva come chiuso in gabbia, soffocato nel lago che non amava abitare.
Non si disturbò a presentare il Riolu selvatico che sull'onda del momento aveva rapito, perché neppure lui sapeva niente sul so conto.
Continuò a discorrere come se il piccoletto non fosse lì. «Ogni volta che parlo di saldi principi morali, mi viene il vomito. Troppo spesso si tratta di reminiscenze culturali. Ma per te sono il massimo, no?».
Gli occhi ciechi di Gong lo fissavano come se fosse un po' matto e un po' scemo.
Il suo argomento successivo la lasciò ancora più basita. «Poiché il confine tra emotività, desiderio e volontà è molto labile, io voglio che ogni umano sia affiancato da almeno una delle mie creature» le disse. «Per Azelf è un modo come un altro per tenervi sotto controllo e forzare la vostra convivenza, perché così ha deciso. Per me è una ragione di vita».
Silenzio.
La cieca non rispose. Benché Mesprit fosse molto più coinvolgente della sua versione bilanciata, Arceus, lei voleva tenerlo a distanza.
L'altro continuò: «Ti do un altro suggerimento per il futuro, bambina. È solo un nome: Hoopa».
E scomparve come era arrivato.
Gong si rivolse perplessa al piccolo Riolu. «Sarebbe il tuo nome, Hoopa?».
Lui non emise alcun suono. La guardava con l'aria di non aver capito. Non c'erano tanti umani, nell'enorme deserto da cui veniva. Era selvatico, avrebbe combattuto strenuamente per conservare la propria libertà, ma non contro il visir del Nascosto.
La ragazza cieca gli posò una mano sulla testa. «Hoopa?» gli domandò.
Lui scosse vigorosamente il capo. Tutti conoscevano e temevano il demone Hoopa.






 
*



«Silver? Gold è con te?».
«No. Ti deve qualcosa?».
«Non riesco a contattarlo da due giorni. Credo che ignori le mie chiamate».
«Crys... lo sai com'è fatto. Io non posso aiutarti, non crescerà mai».
Mars ebbe la cattiva idea di aprire bocca: «E questa chi è?».
Jupiter aveva già tracciato la telefonata. Silver lesse, su uno degli schermi laterali, un breve resoconto sull'identità e la vita della sua vecchia amica di Johto, Crystal. Alcune foto la ritraevano bambina, altre erano straordinariamente recenti, scattate a sua insaputa dalle telecamere di sorveglianza.
Il video che la mostrava con il cellulare accostato all'orecchio, l'ombrello aperto in mano, e l'insegna del bar sullo sfondo, fece correre un brivido lungo la schiena del ragazzo. Era in tempo reale.
Cyrus non avrebbe saputo sfruttare i dati relativi al comportamento umano, perciò se ne disinteressava. Quella doveva essere l'ennesima innovazione in stile “Flare” apportata dal Comandante Oberon.
Xerosic notò l'espressione agghiacciata del Comandante Fobos e provò a scomparire rimpicciolendosi nell'angolo.
Jupiter, non contenta dell'inquadratura, reclutò un'altra telecamera poco distante. Con il fermo immagine e lo zoom ottenne un primo piano del volto dai grandi occhi chiari di Crystal, lo campionò e lo inserì in un archivio rapido collegato al nome di Silver. Adesso, tutto il team Galassia conosceva il suo volto ed era al corrente della sua vecchia amicizia con Il Comandante Fobos.
Da lì andò a controllare gli ultimi spostamenti di Gold. Sfortunatamente, Borgo Foglianova non aveva telecamere sulle sue strade.
«Non so davvero dove sia. Hai provato a contattare sua madre?».
La madre di Gold si era trasferita in una casa al mare. Le telecamere puntate sul suo vialetto privato la mostravano sola. Non avevano ripreso nessuno nei dintorni che assomigliasse lontanamente al figlio.
«Io ho da fare, Crystal. Non preoccuparti: proverò a contattarlo».
Prima che chiudesse la chiamata, l'Unità Rossa Bryony ne avviò un'altra.
Silver trovava irritante la sua prontezza. Ma l'intero Team Galassia era una complicatissima macchina dalle mille braccia, il cui unico scopo era eseguire gli ordini dei Comandanti.
Mentre teneva il broncio, Silver aggrottò un po' di più la fronte. Qualche vecchia fonte descriveva la Forma Divina di Arceus come un essere dalle mille braccia. Ma l'enorme Drago che lui aveva visto volare sul Bosco Smeraldo non aveva mille braccia, né prometteva di averle mai avute. La leggenda raccontava, complici le semplificazioni e le inesattezze concesse al mito, che Arceus avesse sfruttato queste mille braccia per plasmare l'Universo.
Cyrus, protetto a sua insaputa dal suo disturbo del neuro-sviluppo e dal suo diritto di nascita, le aveva prese in prestito con l'illusione di poter fare altrettanto.
Mentre Silver cercava di ricomporre un puzzle di cui non aveva tutti i pezzi, all'altro capo del telefono nessuno rispondeva. Questo bastò a riportarlo alla realtà. La sparizione di Blaine, risalente a un mese prima, gli turbò la mente come una scossa. Avviò una ricerca rapida e la conclusione fu sinistra: lo scienziato non era mai tornato a casa. Il ragazzo aveva liquidato i timori di Gong come l'ansia un po' isterica di una donna incinta e per niente pronta ad affrontare il suo futuro di madre. Giratina gli aveva dato ragione.
Entrambi si erano sbagliati.
Il Comandante Phobos si rivolse al resto del team. «Cosa abbiamo per cercare gli scomparsi, a parte le telecamere di sorveglianza?».
Jupiter si strinse nelle spalle. «Le squadre di ricerca».
«E gli Unown? I Deoxys?».
«Sird ci aveva provato, a procurarci un Deoxys» gli ricordò Saturno. «Sai meglio di noi perché ha fallito».






 
Nel Mondo Distorto




«Mi ha detto di cercare Hoopa».
«Hoopa? Lo sapevo: è impazzito. Arceus è impazzito».
«Perché?».
«Ha creato sei esemplari di Hoopa, Pokémon Genio» spiegò Giratina. «Non tutti sono malvagi, ma quello che vive nel deserto da cui proviene il tuo Riolu... sicuramente lo è».
Quando Mesprit le aveva chiesto di non raccontare a nessuno del loro primo incontro, Gong aveva avuto paura per il bambino che portava in grembo e aveva taciuto.
Poi, quando il Pokémon Emozione si era ripresentato più volte nella Sede Galassia di Evopoli, arrivando ad accomodarsi nella sua stanza da letto mentre lei si addormentava, Gong era scesa nel Mondo Distorto e aveva vuotato il sacco.
Giratina si era arrabbiato per il suo comportamento ambiguo, ma l'aveva perdonata.
Quello che la cieca non aveva avuto ancora la forza di raccontargli era la vera storia di Luna. La sua morte, assieme alla comparsa di Valerie, l'aveva cambiato profondamente. Forse era pronto ad affrontare la realtà così com'era.
«Giratina...» cominciò.
«Che c'è?».
«Io... avrei qualcos'altro da dirti».
«Su Mesprit?».
«Sì e no. Primo, Mesprit sostiene di non aver ucciso Luna. Secondo... conosci i paradossi temporali?».
Per un momento, il dragone ricadde nelle vecchie abitudini. La guardò come se non credesse alle sue orecchie: «Tu chiedi a me...?!» ma si interruppe subito. Cambiò atteggiamento. «Dimmi a cosa ti riferisci. Di che si tratta?».
«Ecco... tu sai che Lunala è arrivata in questo Universo dall'Ultra-corridoio, già morta...».
«Sì».
«E Arceus l'ha riportata in vita diecimila anni fa, per farne la sua compagna. In privato, la chiamava Luna».
«Sì. Non ci vuole una grande fantasia per usare quel diminutivo».
«Lunala è stata portata qui morta da suo fratello. La Cosmog Luna, assassinata da Yveltal... ha viaggiato indietro nel tempo con Celebi e il suo gemello identico, già evoluto in Solgaleo».
Si era persa per strada e confusa da sola, ma per chi la ascoltava aveva detto abbastanza.
«Figli di sé stessi...?!» sussurrò lo Spettro.
«Esatto».
Giratina cominciò visibilmente ad agitarsi. Il suo corpo tremava per qualcosa di più simile al freddo che alla rabbia. Neppure la maschera d'oro riusciva a nascondere quanto fosse sconvolto. «E non l'ha uccisa? Lui ti ha detto di non averla...».
«Sì, ma mi ha detto una balla» precisò la ragazza. «Lei era incinta. Aspettava Mew quando Yveltal l'ha ammazzata. Arceus si vergogna del suo crimine, quindi nega di essere coinvolto».
«No...».
Finalmente, la rabbia del grande Spettro divampò scacciando il freddo della paura. Il suo grido squarciò il silenzio del Mondo Distorto e riecheggiò in ogni dove.
«Perché me lo dici solo adesso?! Da quanto lo sapevi?!» le urlò contro.
Gong era tappata le orecchie, benché fosse perfettamente inutile. Non aveva neppure capito che cosa esattamente lo avesse fatto scattare.
Giratina abbassò la voce. «Lunala non è morta. È un vampiro, e le sue ossa... le sue ossa non sono state ridotte in cenere, e la cenere non è stata sparsa nell'acqua corrente. Lunala è passata al Nemico, oppure è sua prigioniera».
«Ma perché ti è venuto in mente solo adesso?! Che cosa ho detto?!».
Il drago non la degnò di una risposta.
Le voltò le spalle e volò via.






 
Nello Spazio Origine





Mesprit la teneva seduta sulle sue ginocchia, tra le sue braccia, e premeva le sottili labbra grigie sulla sua turgida bocca. «Tu sei il mio preferito dei tre» gli sorrise lei. «Ma adesso, voglio il tuo padrone».
«Noi non siamo servo e padrone. Siamo la stessa entità».
«Eppure... lui manda te, ma non vuole vedermi».
«Ci sono altre questioni importanti da sistemare, Luna. Se passassi tutto il mio tempo a fare quello che faccio qui adesso, finirei per lasciarle perdere».
Provò a baciacrla di nuovo, ma lei frappose una mano tra le loro bocche. Per quanto gradisse la sua compagnia, non riusciva a trattarlo come avrebbe trattato il vero Arceus. Non poteva neanche sperare di strappargli la verità dopo un amplesso, perché Mesprit era fisicamente asessuato.
«Questa è la scusa della “distrazione”. Altro?».
«Nient'altro...».
«Io penso che lui sia ancora arrabbiato per quello che gli ho combinato quando stavamo insieme. E che non si sia mai fidato fino in fondo della sua amica vampira».
Mesprit si morse le labbra sottili. Distolse lo sguardo dai suoi occhi rosso vino.
«Siamo stati un tantino più che amici, non credi? Comunque, per una, la risposta è sì. Per l'altra, è no. Non necessariamente in quest'ordine».
«Io infatti scelgo l'ordine inverso: non è arrabbiato, però non si fida».
«Io non mi fido di nessuno, Luna. Non per le questioni più delicate».
«Tu mi nascondi qualcosa di molto, molto importante... vero?».
Morse le labbra, abbassati gli occhi, Mesprit scosse la testa. «No...» mentì. Non avrebbe ingannato neppure un bambino. Si corresse: «Dipende da cosa possa essere ritenuto importante...».
«Conoscendo la tua scala di valori, da come ti comporti, proverei a ipotizzare che non sia stato tu a creare questo Sistema di Universi, e che ti sia limitato a popolarlo con creature di altri mondi».
Questa volta, Mesprit si indignò. Alzò la voce: «Ma che dici?! Non te ne intendi, perciò credi a me: la struttura di questo Sistema di Universi differisce per numerosi aspetti da quella degli universi naturali, e porta la mia firma ovunque. Gli animali... sì, quelli li ho importati, e non ne ho mai fatto mistero. Sono gli umani ad aver riscritto arbitrariamente la loro Storia. Ma... come avrei fatto a mettere in oguno dei mostri almeno un frammento del DNA del nostro Mew?».
Lunala annuì, pensierosa. «Già... come hai fatto? Si direbbe che al piccoletto servirà un lungo, lungo viaggio nel passato, molto più lungo di quello che ho compiuto io, per...». Si interruppe e scosse la testa. «Ah, ma come sei complicato! Cosa mi nascondi? Dimmelo!».
«Non posso, Luna. Non ancora».
A parlare non era stato il Pokémon Emozione, ma Arceus. Non avrebbe lasciato la parola a un logorroico irrazionale come Mesprit.
Lunala si voltò, sorpresa.
Anche se il Primevo usava apparire come un Pokémon dalle sembianze lontanamente equine, non aveva l'espressione buona e mansueta di un cavallo, né il muso allungato, né gli occhi altrettanto laterali, tipici degli animali costretti a salvarsi dai predatori.
Dalla prospettiva della piccola figura umana di Lunala, era enorme e massiccio come un elefante africano, ma non altrettanto goffo, a differenza di Giratina. Non avvea ali, ma i suoi zoccoli appuntiti erano fatti per fendere l'aria, non per sorreggerlo a terra. I suoi colori erano il bianco e il nero per il suo rapporto ambiguo e bilanciato con la Luce e l'Ombra, il rosso delle iridi per il suo legame con la guerra e il conflitto, il verde delle sclere per il suo ruolo di divinità creatrice, e l'oro della ruota solare che gli circondava i fianchi, per trasmettere agli umani quel senso di regalità distante che ancora li scoraggiava dall'infastidirlo.
Tutto questo metteva in soggezione tanto gli umani e i Pokémon comuni, quanto gli altri Leggendari. Ma Lunala ci aveva fatto l'abitudine: sapeva come lui stesso lo considerasse una mascherata.
«Avevo... quasi dimenticato quanto fossi bello» gli disse. Scivolò via dall'abbraccio del suo avatar parziale e camminò come una comune mortale nella sua direzione.
Con un dito grazioso e affusolato, Lunala fece segno ad Arceus di avvicinarsi. ».
Mesprit sbuffò e protestò, ma scomparve alle sue spalle. Se fosse dipeso da lui, e soltanto da lui, non avrebbe fatto il difficile.
«Non prendermi in giro» le rispose il Primevo. «So che cerchi un modo per scappare da qui».
«E io ti prenderei in giro perchè...?! Ah, sei ruvido e acido come una vecchiaccia! Sai, Agatha? Avresti dovuto conoscerla: siete uguali!». Si mise a braccia conserte e gli voltò le spalle. Non stava fingendo, qualcosa nel suo atteggiamento l'aveva irritata.
La voce di Arceus si fece più gentile. «Luna, non offenderti! Apprezzo l'invito» ammise, scendendo al passo verso di lei. «Ma tu... parli della Superquattro Agatha così alla leggera, dopo quello che le hai fatto?».
«Intendi... ehm...». Lunala si indicò imbarazzata la testa.
Lo sguardo serio del suo ex bastò a risponderle.
La Leggendaria si schiarì la voce e cercò disperatamente una giustificazione. «So che Giratina non ti piace, ma la vecchia stava per tradirci e consegnarci al Campione Lance...».
«“Consegnarvi” è esagerato...».
«Beh, non volevo che Giratina avesse ulteriori noie dai mortali. Loro sono prevenuti e aggressivi nei suoi confronti».
«E lui nei loro, com'è?».
«Normale».
«Luna...!».
«Lui non si merita la sua cattiva fama. Loro, un tantino sì. Sei tu che hai fatto di tutto perché il mondo lo credesse malvagio!».
«Rinnegandolo e confinandolo in un emi-universo sterminato e buio?» le domandò il Creatore. Conosceva già la risposta. «È stato lui a rifugiarsi nel Mondo Distorto per non avere più a che fare con me. Con me, coi suoi fratelli, e con altri Antichi come Xerneas e Yveltal, a cui la scomparsa della Luce spirituale non aveva tolto niente. Il “mondo” lo crede malvagio perché lo accosta a una particolare figura del Vecchio Folclore. Io non c'entro. In questo paradigma, secondo gli umani, come Entità Creatrice dovrei farmi garante del Bene Supremo e dell'Orine Universale. Ma li considero due degli ideali più pericolosi mai concepiti. Entrambi ne usciamo fraintesi, come vedi».
«Sì, sapevo già del malinteso. Non è stato carino da parte tua venirne a conoscenza e fregartene».
«Giratina non aveva bisogno di essere considerato buono. Tutt'altro: voleva che il mondo esterno lo temesse, o lo dimenticasse, per non essere obbligato a contatti di alcun tipo».
«Sei sicuro...?».
«Sicuro. La sua prigione e la sua pena sono dentro di lui, e la solitudine lo aiutava a sopportarle. Poi, le sue ferite hanno cominciato a guarire. Quando ti ha incontrata nel suo territorio, nove millenni fa, era già abbastanza tranquillo da rimanere colpito dal tuo aspetto. Oppure ti avrebbe cacciata e avrebbe ucciso i tuoi Cosmog. Ormai persiste nel suo isolamento solo perché è cocciuto. Preferisce tenersi lontano dall'affollamento del Mondo Materiale».
Lunala piegò la testa da un lato. «Giratina...?».


 









 
1 “Il Nascosto” è grossomodo il significato del nome del dio egizio Amon (successivamente identificato con il dio solare Ra nella figura di Amon-Ra) che era il sovrano e il creatore degli dei e quindi fondamentalmente di tutto. M'è venuto in mente perché Lucario esteticamente richiama Anubis. E poi Arceus è un Pokémon Misterioso. Non è l'unico, però via, ho voluto giocarci un po' su...

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Capitolo 30
*** Hoopa ***


 
30. HOOPA




 
Luogo sconosciuto


Il vaso dorato riemerso dalla sabbia avrebbe scottato la pelle di un uomo. Qualcuno ruppe il sigillo ed estrasse il tappo modellato a forma di testa bicorne.
Ne uscì una fiammata, seguita da una creatura umanoide che le popolazioni locali identificavano con un djinn1 e chiamavano Halqa2. La sua testa rotonda era sproporzionatamente grande, il suo viso aveva tratti infantili, il suo corpo viola pallido era stretto in un grosso anello d'oro alla cintura e terminava, privo di gambe, in una piccola coda di ectoplasma. Altri due grandi anelli d'oro alchemico penzolavano dalle sue tozze corna nere ai lati della testa.
Gli occhi verdi dalle sclere gialle del piccolo demone luccicarono, e il ghigno malizioso caratteristico della sua specie si trasformò in un sorriso commosso, quando realizzò di non essere più in prigione. Finalmente, vedeva il sole di mezzogiorno battere sulle dune dorate, che lui amava come i marinai amavano il mare aperto. L'unico luogo al mondo che rivaleggiava con quella magnificenza era il Quarto Vuoto3, il deserto sabbioso che il djinn aveva scelto come dimora prima che l'esercito di un principe suo nemico lo cacciasse ad ovest.
Hoopa si voltò sogghignante, per vedere la faccia dell'idiota che aveva commesso l'errore di liberarlo. Ma subito si buttò sulla sabbia arroventata, prostrandosi.
Gli occhi dorati di Azelf continuarono a fissarlo, nel silenzio teso e surreale che la sua sola presenza si portava dietro. Hoopa non conosceva niente di altrettanto glaciale.
Guardami” gli ordinò l'Essere della Volontà.
Hoopa obbedì.
“La tua pena non è ancora conclusa. Ma adesso, fa' quello che vuoi”.
Ruppe il suo speciale Vaso del Vincolo, modificato per essere in tutto e per tutto la sua prigione, e ne lasciò cadere i frammenti sulla sabbia.
Hoopa non osò gioire per il suo gesto: si trattava senz'altro di una trappola.
Azelf l'avrebbe lasciato libero come aveva detto, per poi punirlo con la tortura se fosse tornato alle vecchie abitudini.
Il piccolo djinn si sollevò da terra, ma chinò il capo. “Sì, mio Signore”.
Rimase con il terrificante dubbio di aver sbagliato qualcosa anche quando l'Essere della Volontà scomparve.
Si scrollò la sabbia dorata dal corpo violetto e dai capelli magenta raccolti in un codino a fiamma. Poi scelse uno dei suoi anelli e aprì un varco verso il Quarto Vuoto, per attraversarlo. Lì sarebbe stato quieto e inerte come uno Snorlax dormiente. Neppure i nomadi del deserto si sarebbero accorti del suo ritorno.





 
Crepuscolo




Uno scarabeo stercorario bianco emerse dalla sabbia e zampettò verso i cocci dorati del Vaso del Vincolo. Si trasformò in un pellicano e li raccolse uno per uno nel becco.
Confidando nel suo istinto, Lunala si voltò e si accorse che un Hippopotas la spiava. Vedeva i suoi piccoli occhi sporgere dalla sabbia. Agitò ed allargò stizzita le ali, corse verso di lui e coi suoi poteri psichici proiettò nella mente del povero Pokémon selvatico la visione di un essere mostruoso, che univa le caratteristiche della sua forma di Fata e vampira a quelle delle mummie sepolte dagli umani poco lontano dalla sponda occidentale del grande fiume più ad est, arteria di quello spicchio di mondo. La unì all'illusione acustica di un grido e fece in modo che lo spettatore si vedesse il suo viso sfasciato a un soffio dagli occhi. Hippopotas era forse troppo giovane e ingenuo per capire quanto le sue messinscene fossero innocue. Si ritirò nella sabbia e scappò via mentre la risata cristallina della creatura gli risuonava nella mente.
Il pellicano tornò alla sua scrupolosa raccolta dei cocci.





 
A Sinnoh




«Eccovi qui! Vi stavo aspettando!».
Quella voce lo fece sobbalzare.
Per un attimo, Silver pensò di aver terminato almeno una delle sue ricerche, quando vide la donna albina in divisa Galassia venirgli incontro dalle Rovine di Flemminia4. Ma era tutto un imbroglio, e lui lo sapeva.
Al fianco della madre, corrucciato, silenzioso e composto come un androide, camminava Cyrus. Appariva almeno dieci anni più vecchio di lei.
«Maestro Cyrus!» esultò Mars.
Fece per correre ad abbracciarlo, consapevole che quell'uomo di ghiaccio non avrebbe mosso un muscolo in risposta.
Silver la fermò con un braccio. Anche se Mars non era stupida come la dipingeva Saturno, troppo spesso si lasciava trasportare dall'entusiasmo, dimenticandosi della realtà.
«Beh? Hai paura?» lo provocò beffarda Sird.
«Siamo entrando in una fabbrica di illusioni. Voi siete Unown».
Finalmente, fu Cyrus ad aprire bocca: «Sciocco».
«Dov'è Hua?» gli domandò Silver.
Sird, il Comandante Mercurius, preferiva muoversi da sola. Ma Cyrus aveva bisogno del sostegno psicologico della sorella. Era assurdo che non sapesse rispondere prorpio a quella domanda. Lei, nella messinscena della sua vita pubblica, era il suo suggeritore.
Gli Unown delle Rovine di Flemminia conoscevano Cyrus perché era cresciuto a Sinnoh, e Sird come figlia adottiva di Arceus. Ma non avevano informazioni su quella Hua, che per loro era morta da decenni.
Madre e figlio scomparvero.
Al loro posto, creature volanti simili a lettere dell'alfabeto ruotavano formando due spirali disitnte. Ognuni Unown aveva un grande occhio bianco con una pupilla nera che si muoveva di continuo, a provare lo stato di agitazione in cui l'intero sciame era piombato per quell'unica domanda imprevista.
In un certo senso erano dei disadattati, ma avevano ottime abilità di ricerca. Silver aveva bisogno di loro per trovare Gold.
Non gli restava che spingersi nel loro covo, nelle rovine di quello che in Età Imperiale era stato il Tempio dei Mille Occhi del Signore, e convincerli ad aiuitarlo.
Si voltò verso sua cugina Mars e non la vide più. Lei era andata avanti, passando tra le due colonne di Unown come se ninete fosse.
«Che fai?! Ferma!».
Lei si voltò e lo guardò stupita. «Perché?».
Continuò a camminare in tutta tranquillità per la sua strada.
Silver, che non poteva lasciarle correre un pericolo del genere da sola, la inseguì.
Entrarono nelle Rovine Flemminia uno dopo l'altra, e non successe nulla. «Mars... temo che sia una trappola».
«Nah...!» fece lei, scrollando le spalle.
Poi scomparve nel nulla.
La vera Mars arrivò correndo alle sue spalle. Aveva esitato sulla soglia, prima di seguirlo dentro, nel tentativo di riconoscere in anticipo qualche antica trappola, piazzata nelle rovine dai loro ormai scomparsi abitanti. «Ma perché sei andato avanti così?! Sembrava che inseguissi qualcuno...!».
«Ti ho vista andare avanti e ti ho seguita, infatti».
«Ma no! Io ti ho visto andare avanti e ti ho seguito! Ero dietro di te!».
«Ovvio! Era un'illusione, una trappola!».
«Ah, ecco...!».
«Vieni con me. Andiamocene».
Silver prese Mars per un polso e insieme corsero verso l'uscita, mentre le pareti e il paviemento di pietra ondeggiavano e ruotavano su un asse orizzontale, poi verticale, poi obliquo, come se non fossero reali. La luce esterna era davanti a loro, sopra di loro, alla loro destra, alle loro spalle...
In quel caos, rischiarono di scontrarsi con la persona immobile dell'Essere della Volontà.
I due ragazzi si fermarono prima di toccarlo, per paura di ferirlo scatenando la sua maledizione. Il Pokémon, nella sua forma umanoide, allungò un braccio e spinse Silver a terra, con la facilità con cui in adulto avrebbe spinto un bambino. Il messaggio era chiaro: era lì in carne ed ossa.
Le sue parole non furono rivolte ai due umani, benché loro potessero sentirle, ma a tutti gli Unown mimetizzati contro le spesse pareti di pietra.
«Non date loro cibo, né acqua. Non lasciateli scappare».
Scomparve e l'uscita alle sue spalle si chiuse.
Quella era un'illusione: per quanto la volontà di Azelf fosse forte, non poteva trasformare l'aria in pietra. Sempre che lì ci fosse mai stata realmente una porta. Gli Unown si avventarono su di lui come uno sciame di grosse vespe.
Silver agguantò la prima delle sue Pokéball e liberò Feraligatr. Il coccodrillo d'acqua allontanò lo sciame soffiando un potente getto d'acqua dalla bocca enorme. Con un secondo attacco, andò a colpire i muri.
Il Glamew di Mars apparve dal nulla, soffiò e gli saltò sul muso allungato per graffiarlo. Forse, la sua acqua l'aveva colpito e lui, spocchioso, non aveva gradito. Ma né Feraligatr né Silver l'avevano visto fino a un attimo prima.
Quando l'illusione si dissipò, Mars era seduta con le spalle appoggiate al muro. Era fradicia e ferita, quasi stordita: il getto d'acqua aveva colpito lei, l'aveva spinta indietro e le aveva fatto battere la schiena e la testa.
Silver si precipitò da lei, correndo sul pavimento bagnato, e una saetta scagliata da Electivire passò accanto alla sua spalla sinistra e si scaricò sul muro.
Mars, in piedi dietro di lui, si premette una mano sulla bocca e si lasciò scappare un: «Uh...!» di sorpresa e paura.
Glamew era sparito, e così il taglio sul muso di Feraligatr. I due Allenatori ritirarono i loro Pokémon, determinati a prendere tempo. Gli Unown si chiusero attorno a loro formando un vortice di segni. E loro erano nell'occhio del ciclone.
Combattere era troppo rischioso.
Mars alzò le mani e gridò: «Ci arrendiamo! Ci arrendiamo! Il vostro Padrone è antipatico, però!».
Quegli enormi occhi senza volto parvero ridere. A nessuno di loro piaceva eseguire gli ordini di un gelido tiranno come Azelf. A nessuno di loro piaceva Azelf. Non lo nascondevano, perché sapevano che al Poémon Volontà non importava di essere amanto o odiato, ammirato o disprezzato. Egli non dava alcuna importanza ai sentimenti altrui, perché viveva in un mondo privo di emotività, specchio della sua esistenza interna. Questo lo rendeva incapace soffrire, di dare peso al passato, ma anche di imparare dai propri errori o succssi, o di evocare ricordi di tempi troppo lontani. Lui, fin dalla sua nascita, era sempre nuovo e sempre uguale.





 
Una settimana dopo
Notte
Quarto Vuoto




«Ti avevo detto di fare ciò che volevi. E tu non hai fatto niente».
Detta così, e per di più in linguaggio umano, sermbrava solo una constatazione. Impossibile capire dove Azelf volesse arrivare.
«Appunto» gli rispose Hoopa, con un sorriso nervoso. «Tutti quegli anni in bottiglia hanno ucciso la mia creatività. Ora, non voglio fare niente».
Azelf non lo compatì e non rise. Era assurdo aspettarsi che ridesse.
Scomparve nell'aria notturna, per riapparire poco dopo con un'umana al suo fianco.
«Lei è mia figlia» la presentò. Naturalmente, nella sua voce non c'era alcuna traccia di affetto. «Ti dirà cosa fare».
Il Pokémon Birba restò sbigottito: «Cosa?!».
Troppo tardi. Azelf se n'era già andato
Hoopa guardò la donna che gli aveva lasciato con un misto di diffidenza e scetticismo.
In lei c'era qualcosa di strano. Malgrado il taglio allungato degli occhi grigi, tipico dei popoli stanziati al capo orientale della Via della Seta, aveva i capelli color avorio e la carnagione color latte. Solo per questo, le popolazioni di pelle nera a sud del grande Deserto occidentale l'avrebbero creduta figlia del demonio5. Spingerla in un anello-portale e lasciarla alle loro torture sarebbe stata una delle sue tipiche marachelle.





 
A Sinnoh. Rovine Flemminia




Mars aveva convinto un gruppetto di Unown a infrangere il divieto di portar loro cibo ed acqua, e tutti gli altri a fare finta di nulla. Fallita la strategia bellica, aveva subito provato a farseli amici. Silver sulle prime era stato scettico, ma gli Unown erano felici di incontrare l'affetto e l'approvazione degli esseri umani, con cui avevano un rapporto speciale, come incarnazioni semi-divine della scrittura alfabetica.
«Noi eravamo venuti qui per chiedervi di darci una mano... ehm... un aiuto...».
Se gli Unown M, iniziali sia di Mars sia di Meiko, avessero avuto le orecchie, in quel momento le avrebbero tese per ascoltarla. Tutti i loro occhi erano fissi su di lei, in attesa che si spiegasse.
«Vedete, mio cugino deve ritrovare un suo amico che potrebbe essere nei guai. Guai brutti. Pensiamo che sia stato rapito da una banda criminale, ormai più di una settimana fa».
Gli Unown si combinarono a formare rapidamente la scritta: “quideius”. Con una spinta, E ed I cacciarono U e S. Poi arrivò un'altra scia di lettere volanti, a comporre la domanda: “quideinomenest?”.
Perché li capivano, ma non sapevano parlare né scrivere nella loro lingua.
Mars scosse la testa. «Qui-deino-menest?» provò a leggere.
Gli Unown tentarono di ricombinarsi, ma senza successo.
Da lì ebbe inizio una sorta di bizzarra riunione di consultazione. Gli Unown discutevano tra loro telepaticamente, ma a volte si riunivano in gruppi che proponevano idee componendo scritte diverse. Alla fine si misero d'accordo, e cominciarono a vorticare in gruppo in una specie di danza.
Nell'occhio del ciclone, poco prima che gli Unown si ritirassero rispettosamente nei muri, apparve uno dei tre Avatar di Arceus, Uxie.
Quella strana danza lo aveva evocato.
Mars e Silver si presero per mano e arretrarono istintivamente: erano convinti di averlo già ucciso. Ma stavolta non poteva trattarsi di un'illusione.
Uxie si reggeva a mezz'aria facendo ronzare le quattro enormi ali dorate, e teneva gli occhi chiusi sotto la maschera gialla, come se dormisse. Pareva non prestare alcuna attenzione al mondo esterno.
Taceva. Non gli interessava scoprire perché fosse stato evocato. Lui era solo il depositario inerte di tutta la conoscenza di Arceus, poteva raccogliere o fornire informazioni o eseguire ordini, ma non provava curiosità verso alcunché.
«Forse, se facciamo piano, non ci sente...» sussurrò Mars all'orecchio del cugino.
«Questo è giusto. Se voi parlaste a voce sufficientemente bassa, non distinguerei le vostre parole, perché sarebbero coperte dal ronzio delle mie ali».
Di nuovo, Mars si rivolse a Silver, stavolta a voce bassissima e scandendo il labiale. «Ma questo è peggio di Cyrus! E pensare che io ci sono cresciuta, coi robot! Questo qui è un androide di livello theta...!».
«Questo è errato. Io non sono una macchina, né un programma, bensì un'entità parziale».
Non aveva bisogno di tenere gli occhi aperti o di possedere il senso della vista, per percepire il flusso delle sue idee e il movimento delle sue labbra.
Mars si rifugiò in una frase di circostanza: «Ah sì? Ma pensa...!».
Silver era nervoso. Sentiva di aver perso fin troppo tempo. Si rivolse a Uxie senza né solennità, né gentilezza: «Dov'è Gold?!».
«Quale Gold?».
«Gold di Borgo Foglianova. Il Dexholder che Arceus conosce benissimo».
«Questo è errato. Egli lo conosce ben poco. Quanto alla sua posizione, ora si trova presso le Cascate Tohjo».
Silver digrignò i denti. Era stanco di preoccuparsi per un amico idiota come Gold. «Bastardo, si nasconde dai creditori!».
«Errato. È stato condotto lì con l'inganno, e trattenuto con la forza».
«L'hanno rapito?!».
«Sì».
«C'entra il Team Rocket? C'entra... mio padre?».
«È difficile rispondere a una domanda così formulata. Se tuo padre non avesse ordinato di portare a Johto Shan Yueguang, e se il Team Rocket non avesse catturato con lei anche Moon di Sinnoh, allora Moon non avrebbe rapito proprio Gold».
«L'ha rapito quella ragazza di Sinnoh?! Perché?!».
«Perché sta attraversando un grave crollo psicotico legato ai traumi della sua vita precedente».
«Pensi che... potrebbe ucciderlo? Potrebbe fargli del male?».
«Gli sta già facendo del male. Ella potrebbe ucciderlo e liberarsi del corpo, se non trovasse un nascondiglio più sicuro di quello attuale, e l'opportunità di spostare i prigionieri da vivi».
«Ha... ha preso anche Blaine, vero? Blaine dell'Isola Cannella, il padre di Mewtwo?».
«Il padre di Mewtwo è Arceus. Mew non è riuscito a crescere a causa dell'incidente subito dalla madre durante la gravidanza, mentre il suo clone si è sviluppato fino a raggiungere l'età adulta. Ciò che li fa apparire diversi sono le modifiche epigenetiche. Sono tuttavia, dal punto di vista biologico, lo stesso individuo. Ma è corretto: ella ha catturato anche Blaine».
«Perché?!».
«Perché Blaine è uno Specialista Fuoco. La sua relativa fama e l'età avanzata l'hanno avvicinato al pericolo. Hama cerca gli abitanti della Nazione del Fuoco, ma si sente ancora troppo debole e incerta per affrontare i Dominatori più potenti. Non conosce il territorio, e non ha ancora trovato un nascondiglio adeguato, né una tecnica di caccia che la aiuti a evitare i mostri che popolano ogni angolo del pianeta».
Silver guardò Mars. «Dobbiamo sbrigarci. Se davvero hanno intnenzione di lasciarci andare, questo è il momento buono».
La ragazza alzò una mano e salutò i muri, camminando verso l'uscita dell'antico tempio. «Ciao a tutti!» disse. Era tesa, ma cercava di nasconderlo.
Silver la seguì.
Nessuno si mise sulla loro strada o tentò di fermarli. Uxie scomparve alle loro spalle e il ronzio delle sue ali cessò.
Dopo una settimana, finalmente, videro di nuovo le stelle.





 
A Sinnoh
Monte Corona




Aveva passato il pomeriggio a rivoltare la casa e a fare domande sul mondo attuale, sulla composizione della plastica, sui dispositivi elettronici e sulla nuova geografia politica, e la sera a piangere sulla sua spalla, mentre lei lo teneva in braccio seduta su un vecchio divano, descrivendo le torture subite per mano di Azelf. L'Essere della Volontà non metteva né empatia né sadismo in ciò che faceva.
Aveva saggiato le sue paure, aveva scoperto cosa gli facesse più male e aveva agito di conseguenza, per correggere il suo cattivo comportamento. Gli aveva tolto il gusto di scherzare, l'aveva rinchiuso nel Vaso del Vincolo, come i criminali comuni si rinchiudevano nelle carceri, e infine aveva buttato la sua piccola prigione tra le dune del più grande deserto esistente, lasciando che fosse il vento a seppellirlo.
Adesso gli chiedeva di tornare com'era prima, incurante di quanta fatica i suoi progressi gli fossero costati. Azelf non aveva riguardo per nessuno, non premiava gli sforzi altrui, e non seguiva alcun tipo di logica.
«Lo so, lo so...» gli rispose Sird, vagamente annoiata. Si era persa metà delle sue lagne e dei suoi ragionamenti, sia perché Hoopa aveva parlato tra i singhiozzi, sia perché lei non padroneggiava affatto la lingua araba, né moderna né tanto meno antica.
Non potevano parlare liberamente.
Hoopa alzò la testa dall'incavo della sua spalla e le rivolse una domanda tipicamnete infantile: «Quanti anni hai? Veramente, intendo».
«Sessantaquattro. Ma ho bevuto l'Elisir di Lunga Vita».
«Eh, ma voi vivete poco...».
Sird era troppo stanca per rispondergli.
A salvarla da un'altra conversazione stentata in arabo, alle spalle di Hoopa, comparve non annunciato l'Essere delle Emozioni.
Sird sospirò e fece cenno al piccolo demone di voltarsi. Lui guardò, riconobbe l'ospite e istintivamente saltò dietro al divano.
Mesprit si lasciò scappare una risatina. I suoi piedi scalzi si posarono sul legno del pavimento dopo essere rimasti sospesi per qualche secondo. Aveva qualcosa in mano, ma fortunatamente non era una frusta.
Il Pokémon Birba prese coraggio e uscì dal suo maldestro nascondiglio.
«È troppo tempo che Azelf ti tiene tutto per sé, Hoopa» cominciò Mesprit. «E temo che la sua “cura” non abbia funzionato a dovere».
Dalle sue mani a coppa sporgeva la testa di un gattino bianco. Lo porse al piccolo djinn. «Ecco. Tieni questo».
Hoopa lo prese in braccio e lo guardò perplesso. Non era vivace, sembrava un po' rimbambito.
Mesprit continuò a dargli istruzioni: «Adesso, prendigli la testa, stringi e gira».
«Cosa...?!».
«Spezzagli il collo».
Mimò il gesto ruotando il polso. Sorrideva, cosa che Azelf non avrebbe mai fatto. Sembrava sereno.
Hoopa e Sird lo guardarono come se fosse impazzito. Ma, in fondo, Mesprit era pazzo. Per lui, una morte rapida era una forma di benevolenza, e l'aveva dimostrato senza vergogna anche in passato. Il suo sorriso suggeriva che con il tempo e la noia fosse diventato sadico.
Il Pokémon Birba studiò il fregile gattino bianco che teneva fra le mani. Aveva gli occhi rossi, ma lui non speva se fosse un tratto comune o raro nella sua specie.
Gli accarezzò la testa pelosa, guardò Mesprit e scosse il capo.
«Spezzagli il collo!» gridò lui, improvvisamente adirato. «O mi sarai perfettamente inutile!».
Hoopa, terrorizzato, fece un balzo all'indietro. Se c'era qualcosa di più temibile dell'Essere della Volontà, quello era l'Essere delle Emozioni, per la sua tanto chiachierata follia.
Esitò, poi afferrò la testa del minuscolo gattino, chiuse gli occhi e girò di scatto.
Quello che sentì dentro di sé lo terrorizzò e lo sconvolse a tal punto che non si accorse di quanto tempo più del dovuto fosse durato. Paura, panico, dolore, disperazione e un senso profondo e pesante di angoscia e di morte. Lunala aveveva imbastito la recita e Mesprit l'aveva aiutata a portarla a termine.
Hoopa, ignaro di tutto se non di ciò che provava, lasciò cadere la piccola carcassa e volò fuori dalla finestra senza voltarsi.
Sird lo seguì con gli occhi mentre si allontanava. Poi guardò ieratica il gattino morto sul pavimento. L'animale si alzò sulle quattro zampe con il collo spezzato, con un movimento a scatto si rimise a posto le vertebre e poi si trasformò in una serpe, per strisciare fino ai piedi di Mesprit e arrampicarsi sul suo corpo grigio. Finì col circondargli il collo a mo' di sciarpa. Hoopa la conosceva col nome di Layla6, e la credeva un djinn femminile. Non aveva saputo riconoscerla perché non l'aveva mai incontrata di persona.
Il Pokémon Emozione se la cavò con una presentazione rapida: «Stella, lei è Luna, o Layla a seconda di dove vai. Luna, lei è Stella, o Sird se ti va di prendere un Ultracorridoio e andare nel suo Paese d'origine».
Il serpente divenne una scimmietta bianca e salutò con la mano.
Mesprit scomparve e la portò via con sé prima che la donna potesse dire o fare alcunché in risposta.
Per distrarsi da qualsiasi cosa stesse provando in quel momento, qualcosa a metà tra la curiosità e il nervosismo, Sird agguantò il cappotto e e uscì a cercare Hoopa. Sapeva che si sarebbe sorbita un altro, lunghissimo pianto.
Lo trovò accovacciato sulla neve, in mezzo al nulla. Era così sconvolto che non aveva neppure pensato di ricorrere ai suoi anelli per scappare più lontano.
Fissava il vuoto coi grandi occhi spalancati.
Sird gli si fermò davanti e lo guardò dall'alto in basso. «Non piangi?».
Lui non riuscì a risponderle. Cominciò a versare lacrime. «Lui dov'è?».
«Il gatto? Mesprit l'ha portato via. Era una gattina, comunque».
«Non capisco. Perché me l'ha fatto fare...?».
«Perché è pazzo. Dovevi tenergli testa e dire di no».
«Al Visir di tuo padre?».
«Anche a mio padre stesso. Lui è fatto così: non ama i paurosi, soprattutto se sono potenti come te».
Con un braccio, il Pokémon Birba si asciugò gli occhi che continuavano a lacrimare. Alzò la testa verso di lei, contrariato, e le disse: «Ah, Egli non ama i pavidi? Allora sarò sfacciato: copriti, quando usciamo, perché con quei capelli al vento sembri una zoccola!».
Sird scoppiò a ridere. «Ti sembro un cattivo esempio? Beh, allora... guarda questo».
Estrasse da una delle grandi tasche del suo cappotto una bottiglietta retangolare, piena a metà di un liquido nero. La stappò e ne bevve un sorso. Poi la mise sotto il naso di Hoopa. Profumava di anice e liquirizia, ma l'aroma sottostante era inconfondibile. «È alcol...!».
«Assenzio nero. Ottanta gradi. Ne vuoi?».
Lui guardò combattuto la bottiglietta. La sua sfacciataggine giovanile si trasformò in un altrettanto giovanile imbarazzo. «Ma non dirlo a nessuno...».





 
A Johto




Blaine tossiva di continuo. La loro carceriera trascurava le loro condizioni, e il fisico del vecchio stava cedendo. Nessuno li aveva cercati né trovati per caso, perché la ragazza aveva convinto gli abitanti di entrambe le Regioni limitrofe che l'acqua fosse avvelenata. La tossina poteva essere assorbita atraverso la pelle e paralizzare irreversibilmente le vittime.
Come stretta collaboratrice dei Berlitz, discendenti della dinastia Yu di Sinnoh, Moon non poteva essere smentita a cuor leggero da nessuno, nemmeno da Oak. La sua Toxapex, di guardia all'ingresso rivolto a Johto o nascosta sul fondo, la aiutava a dar credito alla sua balla. L'antro della grotta che guardava verso Kanto era misteriosamente crollato cedendo alla forza dell'acqua, e adesso era chiuso dai macigni.
Gold ne aveva abbastanza di quella bimbetta. Ma la sua dimestichezza con ogni genere di veleno, e il suo sinistro potere risvegliato dalla luna piena, la rendevano molto più pericolosa di quanto il suo visetto pulito facesse pensare. E le sbarre delle sue gabbie erano di ottima qualità, studiate per i Pokémon, e incredibilmente resistenti. Il fragore delle cascate copriva le loro urla. Moon li teneva appositamente nell'antro scavato nella roccia alle loro spalle.
Il ragazzo udì dei passi sulla roccia bagnata avvicinarsi. Uno Sneasel entrò circospetto nella piccola grotta semi-nascosta dietro le cascate. Fece un cenno a chi lo seguiva, e dopo di lui entrò Silver.
Gold si aggrappò alle sbarre. «Mio eroe!».
«Cretino, ti pare il momento?! Dobbiamo portarvi via prima che lei ritorni, tanto per evitare guai».
«Ah, allora lo sai! Quella stronzetta ha infinocchiato tutti!».
Mentre Gold parlava, Silver aveva forzato la serratura della sua gabbia. Fece lo stesso con quella di Blaine. Il vecchio dovette farsi aiutare per uscire, perché era debole e febbricitante e la tosse non gli dava tregua.
Quando uscirono, si trovarono la ragazza davanti. Non poggiava i piedi per terra, ma era sorretta da un mulinello d'acqua che si sollevava dal letto del fiume. Aveva passato quei mesi ad addestrarsi, mentre Silver non aveva fatto niente per migliorare il suo Dominio. Hama scagliò contro di Silver delle lame di ghiaccio, e il ragazzo non riuscì a deviarle. «Traditore!» gli gridò, benché non fossero mai stati amici.
Adirato, Sneasel rizzò il pelo e scagliò contro l'avversaria altre lame congelate, più piccole e numerose delle sue. Ma furono schivate o deviate dai suoi tentacoli d'acqua.
Uno di quei tentacoli agganciò la caviglia di Silver e lo trascinò giù dalla roccia scivolosa. Hama cominciò a percuoterlo ripetutamente, accusandolo di aver tradito la Tribù dell'Acqua per ricevere favori dall'esercito conquistatore della Nazione del Fuoco. In netto svantaggio, Silver tastò il fondo, afferrò una pietra liscia e gliela scagliò contro. La ragazza fu colpita alla testa e perse i sensi.
Quando si risvegliò aveva il capo fasciato, ed era sdraiata su un letto in una stanza tiepida. Le avevano legato le mani per precauzione. Attorno a lei c'erano dei Pokémon che non conosceva, così tanti da formare almeno due squadre al completo, non contando gli esemplari troppo piccoli. Con tutta quella folla, era impossibile tentare la fuga.
Nell'altra stanza, qualcuno tossiva. Ma il chiasso della marmaglia sovrastò i colpi di tosse e convinse uno dei due ragazzi che l'avevano portata lì a controllare la situazione. Era il Dominatore del Fuoco, quello che lei aveva catturato con l'ultima luna piena. Era stato lui a convincere l'altro a non consegnarla alla polizia, o al Team Rocket: conosceva la sua storia dai suoi racconti. Se fosse finita di nuovo in prigione, forse non sarebbe più guarita.
«Ciao, Moon. Johto ti sembra ancora la Nazione del Fuoco?».




 








 
1in soldoni, demone.
2anello (credo). L'ho preso da hoop = cerchio.
3 nella realtà, il “Quarto Vuoto” (Rub-al-Khali) è la parte sabbiosa del deserto arabico.
4Lo so che si chiamerebbero Rovine Flemminia, però mi suona davvero male senza il “di”.
5Pare che in alcune parti dell'Africa sub-sahariana persista questa credenza tradizionale sugli albini.
6Notte

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Capitolo 31
*** Azelf ***


AZELF




 
Luogo sconosciuto



Quella volta, Hoopa uscì dal suo anello porgendole dei fiori gialli. Lei gli sorrise e finse di apprezzare il dono. Il Pokémon Birba, pur suscitando il sospetto del Mandato del Cielo Chingling, che non lo voleva intorno, si era sempre mostrato molto gentile con lei. Ma i fiori recisi le mettevano tristezza e angoscia, forse per sensibilità personale, forse perché a suo tempo Lysandre era come ossessionato da quel tipo di bellezza labile, di cui nulla poteva arrestare il declino.
Il povero Hoopa non ne sapeva niente e non meritava di essere rimproverato. Era solo venuto al corrente dell'usanza di regalare fiori come rituale di corteggiamento.
«Prima i dolci, e poi i fiori...» notò la donna dai capelli azzurro ghiaccio. Ormai era solo Hua, con la sua pelle bianca e i suoi occhi a mandorla. Era una teatrante talentuosa ma sconosciuta, nata in un'epoca in cui il teatro era in declino in ogni angolo del mondo. Qualche sera, quando non aveva ingaggi, cantava per pochi soldi in un pub di Galar. Era troppo difficile per lei tornare a Kalos, dove il suo vecchio volto compariva ovunque, persino sui giornali e nelle trasmissioni televisive che parlavano della sua scomparsa, e nelle reti che mandavano in onda i suoi film.
Durante la sua carriera di attrice a Kalos, come Diantha, aveva gestito ammiratori sia più insistenti sia più immaturi di Hoopa. «Hai una cotta per me, Halqa?».
Il djinn arrossì, come sarebbe arrossito un bambino.
«Ma io, per te, sono troppo vecchia» continuò tranquilla la donna.
Il demone provò ad obiettare: «Ho tremila anni...!».
«E io trentaquattro» mentì. «Ma, come vedi, li porto peggio».
«Ne dimostri venticinque al massimo».
«Bugia. E anche se fosse... sono già troppo vecchia e noiosa per te. Pensa che, andando avanti, non potrò che peggiorare!».
Contro le sue aspettative più rosee, Hoopa gettò la spugna. Chinò il capo. «Forse hai ragione, a respingermi. Io sono un djinn...».
«Un djinn? Non so neppure che cosa tu intenda. Ma, qualsiasi cosa tu sia, non dovresti considerarla un male».
«Ah, no?».
Prese un foglio di carta, e con una matita buttò giù uno schizzo in miniatura di un Hoopa Libero. Aveva i tratti di un orco, lo sguardo malevolo, i canini inferiori aguzzi e tanto sviluppati da fuoriuscire come zanne ai lati della bocca, e sei potenti braccia distaccate da un corpo massiccio vagamente umanoide.
«Le porte dell'inferno sono sette» dichiarò. E contò: «Uno, due tre...» gli anelli alle tre braccia sinistre. «Quattro, cinque, sei...» gli anelli alle tre braccia destre. «Sette» l'anello incastonato nei muscoli dell'addome forato del demone.
Hua parve a disagio. «Andando a orecchio, credo che il numero sette nella tua frase indichi l'infinito. Nel senso che... le vie del male sono infinite, e in ogni tempo si chiudono le vecchie e se ne aprono di nuove, e le nuove sono spesso difficili da riconoscere. I tuoi sono solo portali, tu sei sempre lo stesso, e quella forma ti rende fin troppo riconoscibile e spaventoso... e non lo meriti. Ma... gli altri Hoopa Liberi hanno molti più anelli. Come mai tu solo sette?».
«Mesprit ha spezzato gli altri. Spero che ti basti sapere questo».
Hua si fece pensierosa e un po' malinconica. «Mesprit è bravo a giocare con le paure e i disagi altrui. Non significa che ti creda davvero un'entità infernale. Hoopa... anche se Arceus ti avesse dato l'immagine di una creatura malvagia, sarebbe soltanto questo, un'immag...».
Il piccolo demone l'aveva interrotta posando le labbra sulle sue. La donna le serrò istintivamente, poi si rilassò e si limitò a tenerle chiuse. Non era necessario che lui si sentisse umiliato, o troppo duramente rifiutato.
«Come ho detto, hai ragione a respingermi. Io sono un djinn, e tu hai una natura angelica».
L'idea che sua madre venisse da un altro pianeta, quindi dal cielo, e fosse stata portata sulla Terra da un'entità semi-divina, aveva sollecitato la sua fantasia solo prima che la sua vita cambiasse. Dopo essere sopravvissuta al Trio Oscuro, aveva concentrato i suoi sforzi nel nascondersi, soffocando ciò che realmente la rendeva diversa e quindi sospettabile, per godere della sicurezza del gregge. Il volto amichevole e il lavoro di Diantha l'avevano aiutata.
«Io sono umana, Hoopa. Non idealizzarmi. Credo di essere persino un po' morta dentro. Da quando tre sicari mi hanno portata via da casa, pugnalata e lasciata incosciente sulla neve del Monte Corona, anche se sono passati quasi vent'anni e ho cercato di ricostruire me e la mia vita daccapo... avrei tanto voluto che Uxie mi cancellasse la memoria fin dalle fondamenta, così Yan Hua sarebbe morta davvero. Invece... mi ha dato solo un nuovo volto, perché mia madre non fosse costretta ad affrontare un lutto».





 
A Sinnoh



«Non mi interessano biologia e filosofia: i figli nascono per farti ammattire. Punto!».
«Non può essere peggio di Lysandre, hai detto...».
«L'ho detto io? Stronzate! Eccome, se può essere peggio! E Cyrus... quel rimbambito! Se lui si fosse dichiarato contrario, Hoopa si sarebbe tirato indietro! Gliel'avevo detto! E invece... lui ha ascoltato quella stupida di sua sorella! Hua è così, ci casca come una scema...!».
Era arrivata all'appuntamento già nervosa, ma parlando si era infuriata. Camminava avanti e indietro per la sala d'entrata delle Rovine di Flemminia, dove da qualche tempo lei e Silver si incontravano in segreto, con la complicità degli Unown.
«Secondo me, se anche Cyrus si fosse opposto, non sarebbe cambiato niente. Sarebbero stati solo più attenti a non farsi scoprire, come noi adesso».
«Sì, ma noi siamo solo una vecchia tornata giovane e un ragazzo veramente giovane. Loro sono un'umana e un... djinn! Non so quanto la cosa ti possa sembrare normale, ma ti assicuro che è...!».
Si interruppe, perché gli Unown curiosi che si erano avvicinati per seguire la conversazione erano volati a rifugiarsi nelle pareti. Silver si era alzato in piedi e guardava spaventato oltre la spalla di lei.
La donna si voltò con un sorriso falso e tirato. «Azelf...!» esclamò.
Come sempre, l'Essere della Volontà si mostrò gelido. Indicò il ragazzo che, cauto, si stava avvicinando a Sird. «Ti avevo detto di non incontrarlo».
«Che ci vuoi fare? Sono cocciuta!».
Silver ormai l'aveva raggiunta. Con una mano la prese per una spalla, e le accostò due dita dell'altra alla tempia.
La donna intuì immediatamente le sue intenzioni. Su suo consiglio, si era fatto “armare” dal Team Galassia. Perciò, come tutti gli altri Comandanti eccetto Terra e Oberon, aveva almeno un laser impiantato in un dito. A quella distanza, le avrebbe trapassato il cranio.
«Disgraziato...!» sussurrò spaventata.
Silver si rivolse ad Azelf. «Dammi la tua maschera e la tua pietra. O lei muore».
Ma la maschera e la pietra erano tutt'uno con lui. Azelf non temeva il suicidio, e la morte altrui lo lasciava indifferente quanto la propria, ma la sua indole gli impediva di arrendersi. Vide Hoopa uscire silenzionso da uno dei suoi anelli alle spalle di Silver, e con lui la possibilità di ottenere il massimo risultato a suo favore. Perché il ragazzo non si sentisse libero di voltarsi e tenesse l'attenzione concentrata su di lui, cominciò ad avvicinarglisi.
Ma Mesprit gli apparve davanti nella sua forma umanoide. Per adeguarsi alla tradizione del luogo, con entrambe le mani impugnava una lunga sciabola giapponese a singolo filo.
Con un colpo netto e deciso, gli mozzò la testa.
Hoopa si cacciò di nuovo nel suo anello, e non tornò più indietro.
Quando il corpo decapitato si dissolse sotto i suoi occhi, Mesprit staccò una mano dall'elsa ricurva e raccolse la maschera azzurra ormai vuota.
Sird fece un passo indietro e Silver la seguì. Senza acorgersene, le aveva stretto la mano.
Finalmente, Mesprit parlò. «Non ricamate sulla mia presunta sete di sangue. Era tanto che volevo farlo. Ma non crediate che adesso vi lascerà in pace!».
Era la prima volta che Silver lo vedeva di persona. I suoi modi rivelavano un'indole opposta tanto alla fredda determinazione di Azelf, quanto alla razionalità apatica e priva di nerbo di Uxie. Purtroppo, non era la creatura esclusivamente benevola e gentile descritta dalle leggende, e i suoi contrasti con gli altri due Guardiani dei Laghi erano ben più che scaramucce. Non era affato la parodia di Arceus, malgrado le apparenze, né il suo lato buono: con pochi freni inibitori, derivati dalla sottile influenza involontaria che ogni Guardiano del Lago esercitava sugli altri due, incarnava ogni sua emozione o sentimento, compresi odio e rabbia.
Guardò gli antichi muri che ospitavano gli Unown spaventati e, tenenedo la maschera alzata sopra la sua testa, dichiarò ad alta voce: «Ascoltate: qualsiasi cosa succeda qui quando me ne sarò andato, lasciate correre. La pietra appartiene a chi di loro agguanterà la maschera per primo».
Quando scomparve, la spada ricurva cadde a terra assieme alla maschera di Azelf, nel cui centro era incastonata la terza e ultima pietra rossa.
Sird era avvantaggiata dalle sue doti fisiche, perché avrebbe potuto raggiungere il premio con un salto. Purtroppo, per renderla più controllabile, Azelf le aveva bloccato il Dominio e tolto le armi e i Pokémon, prima di affiancarla al demone Hoopa. Hoopa non era lì.
Silver liberò contemporaneamente Feraligatr, Murkrow, Gyarados. Il gigantesco coccodrillo bipede agguantò la donna che si preparava a saltare come una cavalletta, e la tenne ferma con le sue enormi braccia, mentre il corvo e il drago rosso le chiudevano la fuga dal davanti. Di sua iniziativa, Sneasel lasciò la sfera e corse a raccogliere la maschera per l'Allenatore, lasciando a terra la katana.
Sird continuava a dibattersi, lanciando insulti a denti stretti contro il suo avversario. Per le regole decise da Mesprit aveva già perso, ma non si sarebbe fatta problemi a rubargli la pietra.
Silver lo sapeva, perciò non poteva lasciarla andare. Aveva il suo chip, e quindi il grado più alto all'interno del Team Galassia. Il computer centrale, il cervello che coordinava le azioni di tutti gli androidi, eccetto quelle della comandante Jupiter e della recluta Gabriel, ormai autocoscienti e dotati di un intelletto e di una vita propri, era al suo servizio.





 
*




Sird, rinchiusa in una cella di lusso all'interno del covo Galassia di Rupepoli, in tutto e per tutto simile ad una bella camera d'albergo, aveva ignorato le sedie e il letto e si era accovacciata per terra in un angolo. Lì aveva tenuto il broncio e non aveva spiccicato parola, malgrado Silver insistesse a scusarsi con lei oltre la porta. Una barra di energia rosata li separava, alterando i colori e rendendo surreale il mancato dialogo. Ma già la situazione di per sé era assurda.
Saturno e Mars, superata la sorpresa, avevano espresso i loro dubbi al riguardo: tenere prigioniera la madre di Cyrus, con o senza il chip e il grado di Comandante, era contrario ai loro valori. Lui ed Eris non ne sarebbero rimasti all'oscuro.
Dopo Silver, alla porta della cella si era presentata Gong. Si era tirata dietro il Riolu dalla pelliccia nera destinato al bambino che avrebbe dato alla luce in estate. In lei, l'instabilità e la suscettibilità emotiva di una ragazza al quarto mese di gravidanza incontravano i poteri paranormali di una Dominatrice della Terra tra le più potenti e meglio addestrate del suo tempo. Vederla di cattivo umore era l'avvisaglia di un piccolo terremoto.
«Mi hanno detto che sei una persona orribile» le disse, imbronciata. «Sei cattiva come il tuo padre adottivo, immagino».
«Ci assomigliamo, sì. Mi ha cresciuta lui».
Di punto in bianco, la cieca alzò la voce, arrabbiata: «Mi hai presa in giro! Ti credevo un'amica!».
«Ti aspettavi una festa a sorpresa? Tu e Raava eravate una minaccia per l'Equilibrio Cosmico attuale, e di conseguenza per l'intero nostro Sistema di Universi».
«Parli proprio tu?! Voi Galassia volevate distruggerlo, questo Universo! Saturno me l'ha detto! Mi ha raccontato ogni dettaglio dei vostri vecchi piani!».
«Mio figlio Cyrus era senz'altro un estremista con una visione del mondo sui generis. Particolare quanto il suo carattere. Ma anche lui ha dovuto fermarsi e cambiare strada, quando la realtà gli è piombata addosso. La tua situazione, però, è diversa... giusto, Shan? Giratina ti ha portata qui. C'è lui a tramare nell'ombra, dietro alle vostre azioni. Tue e del belloccio bastardo che se n'è appena andato, intendo».
Le labbra di Gong sbiancarono. A suo modo si preoccupava anche per Silver, che considerava un alleato, ma non era lì per scoprire quanto il nemico sapesse sul suo conto. Era lì perché, per l'ennesima volta, le cose non quadravano.
«Mesprit avrebbe potuto scappare con la pietra» osservò. «Tu sai perché non l'ha fatto?».
«Certo. Non è un segreto: Arceus è una divinità guerriera. Ama le competizioni sia belliche che sportive, e tutti i suoi Avatar si comportano di conseguenza. Ha lasciato la vittoria a chiunque la meritasse. Voi vi siete guadagnati le tre pietre originali del Trio dei Laghi, perciò vi aspetta il passo successivo: forgiare la Rossocatena. Vi lascerà del tempo, ma non prendetevela troppo comoda».
Accanto a lei, da un portale circolare nato dal nulla sul pavimento, emerse la testa di un piccolo demone dalle corna a mezzaluna. Riolu lo riconobbe e restò a bocca aperta. Passata la sorpresa iniziale, si mise subito sulla difensiva. Ma l'altro non attaccò. Si levò di torno, e Sird si sporse a guardare nel suo portale. Non si vedeva niente se non una strana luce violacea, perciò il suo fu un salto alla cieca.
Quando la barriera di energia che chiudeva la cella fu disattivata, sia lei che il portale erano scomparsi.





 
Mesi dopo
Estate




Per una radicata quanto banale diffidenza verso la modernità, Gong a aveva rifiutato l'epidurale. E se ne stava pentendo. Gridava e imprecava contro tutto e tutti. Attorno a lei c'erano le tre Unità Rosse di nome Aliana, Bryony, Mable.
La monitoravano e la guidavano nel parto con lucida e innaturale freddezza.
«Aliana... di' a Saturno di venire qui subito, oppure gli faccio mangiare la placenta! Se dice di no, portalo qui e basta!».
L'unità dai capelli arancioni si allontanò senza rispondere.
Poco dopo, le urla di protesta di Saturno si unirono a quelle della sua ragazza nelle ultime fasi del parto.
Il Comandante arrivò nella stanza appena in tempo per non perdersi il primo pianto del bambino, ma si tappò le orecchie. Mentre Bryony asciugava il neonato piangente, spinto dalla curiosità, si decise a dare un'occhiata.
«Non avevi detto che era un maschio?» domandò.
«Sì. È un maschio. Si chiama Desna. Datemelo! Com'è? È bello? ».
Aveva ereditato i capelli neri e la pelle scura della madre e gli occhi blu del padre. Nel complesso, per quello che se ne poteva capire alla sua età, assomigliava a entrambi.
«Beh... pensavo peggio. Però è una femmina».
«Che cosa?!».
«Confermo» intervenne Bryony. «Il neonato è di sesso femminile».
Gong si trovò disorientata. Dando credito alle parole di Mesprit, aveva trascorso tutta la gravidanza convinta di aspettare un maschietto. Non aveva neppure chiesto a Bryony i resoconti completi delle ecografie, perché tanto non li capiva molto. Le bastava accertarsi che il feto stesse bene. Adesso, non aveva in mente neppure un nome per sua figlia. L'androide Mable fu la prima a chiederglielo. Esigeva una risposta in pochi secondi.
«Sedna» decise Saturno. «Tanto, anche lei sarà una Comandante».





 
*




Riolu non la perdeva mai di vista. Quella neonata era diventata il nuovo fulcro della sua esistenza: aveva preso molto sul serio il compito di sorvegliarla. Durante il giorno si permetteva di dormire solo quando Sedna era con la madre, e restava sveglio tutte le notti.
Una di quelle notti, quando l'estate mite di Sinnoh scivolava verso l'autunno, Riolu avvertì una strana tensione nell'aria fresca. Era come l'eco di un'aura piatta, priva delle onde carattesristiche di una personalità formata o in formazione, ma sicuramente molto diversa da quella della bambina addormentata. Al Pokémon venne il dubbio che si trattasse di quella di un androide Galassia in procinto di svegliarsi. Non era mai accaduto che uno di loro acquisisse autonomamente l'autocoscienza, ma Riolu non trovava altri termini di paragone.
Quella percezione quasi sgradevole aumentò, parve condensarsi, e nel centro di energia invisibile che si era formato apparve una piccola luce rossa, e attorno la luce la figura Azelf. La traccia spirituale della pietra rossa sulla sua fronte si spense appena lo Spirito assunse una consistenza materiale.
Si avvicinò alla culla per prendere la bambina. Riolu gli si avventò contro con un Attacco Rapido, che non riscì neppure a ferire la sua pelle grigia. I suoi successivi attacchi ebbero lo stesso risultato. Preso dalla disperazione, il piccolo Pokémon si aggrappò al polpaccio del demone grigio con i denti.
Azelf si liberò di lui con un calcio. Reggendo la neonata dormiente come se fosse un oggetto inanimato, gli disse: «Riferisci a Shan Yueguang... che sua figlia l'ho rapita io».
E scomparve, portandosi via la piccola Sedna.




 
A Johto


Gold, nella sua casa di Borgo Foglianova, se ne stava sdraiato sul divano a guardare la tv in dormiveglia. Stava per addormentarsi, quando il verso di un Pokémon agitato lo fece sobbalzare.
Pibu, il suo Pichu, fu il primo ad arrivare in camera.
La finestra era spalancata, e sul letto sfatto si era posato un uccello dal piumaggio bianco e il becco allungato. Davanti alle sue lunghe zampe sottili, sulle coperte in disordine, c'era un piccolo fagotto rosa. E visto che il fagotto non si calmava, la cicogna si trasformò in una gatta per strusciarglisi contro, poi in una ragazza vestita di bianco per cullarlo.
Ma non ci sapeva fare.
Se davvero Gold stava sognando, non si spiegava perché la ragazza del suo sogno fosse una mutaforma incinta, e avesse chiaramente rapito una neonata. Forse, avrebbe dovuto mettere gli amuleti alle porte, come ogni tanto gli aveva consigliato sua madre. Ma sua madre lo diceva scherzando.
«Ma che caspita...?! Pibu, sta fermo o le fulmini entrambe».
Il Pokémon fece un verso e una smorfia per mandarlo a quel paese. Era in grado di capire da solo come comportarsi.
Disperata, la ragazza parve ricorrere alla magia. Accarezzò il viso della neonata con una mano, e lei si chetò. Finì per addormentarsi, con un respiro regolare e un'aria tranquilla.
«Chi sei?!» le domandò il padrone di casa.
«Sono Luna. La vostra Luna».
«Luna... la Cosmog?! Piacere, io sono un Typhlosion».
«Spiritosion! Io non sono più un Cosmog... perché da diecimila anni sono una Lunala».
Gold faticava a crederle. «Tu sarai pure una Lunala, ma la nostra Luna è morta. Yveltal l'ha ammazzata. Abbiamo trovato la carcassa».
«Dimmi un po' se non ti viene il dubbio che io abbia un piede nell'oltretomba!».
Cominciò a trasfigurarsi. La stanza era piccola, occupata dal letto e dai mobili, perciò la Pokémon finì per trovarsi stretta un po' rannicchiata. Sembrava uscita da una festa di Halloween. Le ossa delle sue grandi e sottili ali blu erano in parte scoperte, e così la sua cassa toracica bianca. Fortunatamente per lei, il suo muso dagli occhi di luce non era poi tanto simile a un teschio. Il riferimento ai piedi era metaforico, perché il suo corpo terminava in una coda a mezzaluna placcata d'oro. La rotondità del suo ventre gravido era appena accennata.
«Sarai pure morta, ma vedo che sei incinta...».
Luna tornò umana. Seduta sul letto, sorrise compiaciuta. «Sì... buffa storia! Avevo già l'angoscia di non aver portato a termine la precedente gravidanza, ma poi sono andata in crisi quando ho saputo di... questa bimba qui, Sedna».
«E chi sono i suoi genitori?».
«Ma perché me lo chiedete sempre?!».
«Perché siamo tutti ficcanaso. Chi sono, i genitori? Da dove viene?».
La ragazza si trasformò in una piccola lucertola bianca. Zampettò sulle coperte, saltò giù dal letto e si diresse verso la finestra aperta, mentre la sua voce telepatica pareva risuonare nella stanza come quella di una donna. «Non te lo dico!».
Ignorando la finestra, troppo in alto per lei, attraversò il cemento solido del muro. Poi tornò indietro, nella forma di un serpente bianco. La sua voce era immutata, ma il tono era serio: «Lei è viva perché Azelf non ha avuto bisogno di eliminarla, per raggiungere il suo scopo. L'ha lasciata dove gli è capitato, e così abbiamo potuto recuperarla. Ma se tu rintracciassi i suoi genitori, anche senza riportarla da loro, Azelf potrebbe scoprirlo e concludere che un rapimento non sia la soluzione corretta. Capisci?».
Si trasformò in una volpe. «Quindi ti conviene raccontare in giro che è un'orfana e che te l'hanno lasciata davanti alla Casa del Pokémon con un biglietto, almeno finché le acque non si saranno calmate. Credimi... hanno ancora da agitarsi!».
La volpe si trasformò in un pipistrello bianco e volò in cerchio a una spanna dal soffitto. «Dies irae...! » gridò.
Con quell'incipit teatrale, scappò via dalla finestra aperta.




 
Nel Mondo Distorto


Gong aveva smesso di piangere, ma aveva gli occhi gonfi e arrossati. Da quando Riolu era balzato sul suo letto per condurla alla culla vuota, non aveva più chiuso occhio. Per spiegarle cosa fosse successo, il Pokémon aveva disegnato la maschera stilizzata di Azelf. Azelf era apparso nella cameretta e aveva portata via Sedna.
Gong aveva dato di matto, se l'era presa con Saturno perché era lì con lei, l'aveva spinto contro il muro e poi era corsa a ritirarsi in meditazione.
Da lì era scesa nel Mondo Distorto.
Giratina sembrava poco meno malconcio di lei. Si era isolato e reso introvabile persino dalla sua pupilla Valerie. Da quando aveva saputo del paradosso temporale che legava la lua vecchia alleata Lunala alla Cosmog Luna, il suo umore era crollato di nuovo.
Ma la caccia e le urla di Gong lo avevano stanato.
«Avevi ragione tu» concluse la ragazza, dopo un breve racconto. «Abbiamo temporeggiato e lui ha perso la pazienza. Dobbiamo muoverci, se non vogliamo che sfaldi le nostre vite pezzo dopo pezzo. Non importa quanto sia rischioso. Anche se, forse... per la mia bambina è troppo tardi».
«Azelf non conosce né l'empatia né il sadismo, né tanto meno la compulsione omicida. Una neonata umana non può sfuggirgli, non può neppure tentare di farlo, quindi è probabile che lui non l'abbia uccisa, e che almeno un Pokémon l'abbia trovata».
«Pensi che...?!».
«Non la cercare» la interruppe il demone. «Ovunque lei sia, non suggerirgli di dover tornare a eliminarla».
Gong deglutì, tirò su col naso e cercò di soffocare le lacrime. «Va bene... ma tu devi aiutarci a forgiare la Rossocatena».
Giratina si era chiuso in un lungo silenzio. Il suo sguardo era perso nel vuoto, come se fosse spaventato e preoccupato.









 
 


 






AUTRICE:


Io scrivo questa cosa un po' così (su questo capitolo poi ho più dubbi del solito) mentre il lavoro nel mondo reale si accumula mettendomi ansia... O_O
Se tutto va bene, anche se forse ho pasticciato e fino ad ora non s'è capito niente, il prossimo capitolo sarà l'ultimo.
PS: si è fritto di nuovo il correttore, chiedo scusa per le conseguenze.

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Capitolo 32
*** Arceus ***


AVVISO: questo è l'ultimo capitolo. C'è una probabilità alta che ci siano delle imprecisioni e degli errori.
Probabilmente passerò a correggerlo quando avrò la testa più libera, adesso sto pensando ad altro.
Chiedo scusa a tutti i lettori, abbiate pazienza...








 

ARCEUS











Morti i tre Guardiani dei Laghi, il compito di generare e replicare i frammenti della Rossocatena per comporne due copie era ricaduto su Mewtwo, la cui memoria era stata cancellata proprio da Uxie. Mentre la sua psiche maturava di nuovo, lui non era sicuro di nulla su sé stesso, tranne di non poter più sopportare una ferita così profonda senza cercare vendetta.
Il gruppo di umani che si identificavano come Comandanti Galassia aveva incoraggiato la sua convinzione.
Mewtwo aveva indossato una dopo l'altra le maschere delle forme umanoidi di Mesprit, Uxie e Azelf.
Aveva generato un centinaio di frammenti e terminato entrambe le sequenze. Era pronto a tuffarsi, con le due catene strette attorno agli avambracci e salde nella sua presa, nel centro nevralgico di quel Siatema di Universi: la Vetta Lancia.
L'aereo a pilotaggio remoto di cui era l'unico passeggero, guidato a distanza dal Comandante Saturno con Jupiter come copilota, dispose le eliche in verticale e scese di quota come un elicottero. Il portellone si aprì per permettere a Mewtwo di lanciarsi nella notte per atterrare tra le colonne greche ormai distrutte del Tempio di Arceus.
Il Leggendario non aveva ancora toccato il pavimento di pietra, quando le due catene schizzarono come serpenti verso il cielo. Si agganciarono a qualcosa di invisibile nella notte e rimasero in tensione. Mewtwo fu costretto a sforzare i muscoli per non farsi strappare gli arti.
Il buio fu turbato da due barlumi, da cui fuoriuscirono le enormi teste di Dialga e Palkia, agitati come due belve. Le catene si erano avviluppate attorno ai loro corpi.
Dialga, che gli umani credevano corazzato come Solgaleo, era in realtà composto interamente di metallo. A infastidirlo era la luce rossa che interferiva coi suoi circuiti.
Palkia era fatto di carne sotto le squame perlacee, ed era la catena stretta al suo lungo collo a soffocarlo.
Arceus li aveva creati come prototipi delle sue creature biologiche, in gran parte composte d'acqua, e di quelle cibernetiche autocoscienti, la cui principale componente era il metallo.
Giratina, primo nato del Trio, rappresentava il puro spirito1.
L'Originale si era poi sbilanciato verso il modello incarnato da Palkia, lascinado una nicchia minoritaria agli altri due.
Mewtwo lottava con entrambi i titani, mentre la terra priva di gravità ondeggiava sotto i suoi piedi e il mondo attorno a lui ruotava come un caleidoscopio confuso di scene passate o possibili e i dubbi sulla legittimità della sua violenza contro altri due Pokémon si facevano strada nella sua mente.
Era sul punto di lasciarli andare quando, ad una distanza indefinita davanti a lui, apparve Azelf.
Camminò nella sua direzione, scomparve e riapparve di nuovo dov'era all'inizio. Un attimo dopo, era a un passo da lui, anche se il suo corpo era semitrasparente e la sua prima immagine non l'aveva seguito. Fece come per spingerlo all'indietro, ma le sue mani affondarono nel suo petto. Scivolò nel corpo dell'ospite senza lasciargli segni apparenti.
Da lì in poi, Mewtwo e i suoi dubbi non ebbero più voce. Le catene si strinsero attorno a Dialga e Palkia con una forza tale da farli svenire.
Ora, Spazio e Tempo erano nelle mani di chi controllava la Rossocatena. Il mondo tornò apparentemente al suo vecchio ordine.
Azelf alzò il braccio di Mewtwo verso la volta celeste e muovendo lentamente un dito allineò i pianeti.
Così iniziava ogni Convergenza Cosmica.



:::



 

Huā aveva accettato, per tirare avanti, un ruolo che in altri tempi avrebbe pensato di interpretare solo in una parodia. Dopo che il piccolo pub che più spesso ospitava le sue “serate” era stato chiuso senza preavviso, si era messa in cerca di un altro lavoro adatto alle sue caratteristiche.
Così era finita a Spikemuth, un tugurio di cittadina costiera, a fare una specie di provino per cantare con un losco figuro conciato come un pazzoide. Era l'ex Capopalestra di Tipo Buio, Piers. La pecora nera della Lega di Galar.
Anche se non intendeva prestarsi ai riflettori, il ragazzo si riteneva un cantante. Cercava una voce femminile da accostare alla sua per un singolo “concerto” di prova. Non era stonato, né privo di spunti, né incapace di migliorarsi, né immaturo per i suoi ventun anni mal portati. Ma la sua limitata estensione vocale e la scarsa potenza della sua voce poco allenata lo inchiodavano al punk-rock di medio livello.
Hua, che per colpa di sua madre non era del tutto estranea all'ambiente e sapeva cosa aspettarsi, gli si era presentata davanti vestita come una donna della media borghesia. Se Spikemuth fosse stata Poh e Piers fosse stato Guzma, l'avrebbe fatta accerchiare e pestare dei suoi scagnozzi per l'affronto.
Gli Yell, nella loro gioiosa anrchia, si limitarono a gridare come scimmie e fischiarle con varie intenzioni.
La chiamarono “Hong Kong Garden2” per i suoi occhi a mandorla prima di chiederle il suo nome. Per così poco, dopo un attimo dal suo arrivo e senza aver aperto bocca, lei era già dentro.
Ma difficilmente avrebbe visto un soldo: quelli non erano altro che una ciurma di ragazzini e ragazzoni inadatti alla scuola, irresponsabili e squattrinati, e Hua non avrebbe scommesso sulla parola del loro eccentrico leader.
Piers non aveva sogni di successo né desiderava un pubblico numeroso. Cantava soltanto per la sua ristretta cerchia di fan. Cantava per divertirsi, non era un professionista.
Cambiato look e stile di canto, così da adeguarsi alla fauna locale, Hua si era ritrovata da sola al microfono in meno di una settimana, con Piers tra il pubblico e una scaletta scelta da lei. Gli Yell avevano bisogno di un idolo, di qualcuno per cui fare il tifo, come dell'aria che respiravano.
La sorella minore di Piers, Marnie, si era allontanata da loro come una divinirà irraggiungibile. Nessun altro avrebbe potuto sostituirla nei loro cuori.
Ma, adesso che lei non aveva più bisogno del loro sostegno, a Spikemuth era sorta una nuova stella. E si era rivelata, almeno ai loro occhi, altrettanto abile nelle lotte Pokémon.
Forse, se lei si fosse convinta a presentarsi alla Sfida delle Palestre, sarebbero persino riusciti a farla diventare Campionessa.
Il gruppo di cui era diventata vocalist era composto da giovani dilettanti. Ma il pubblico non era affatto esigente.
Nascosto alla vista, sul tetto di un vecchio edificio, Hoopa guardava storto tanto lei quanto la sua schiera di fan urlanti.
Non conosceva la contro-cultura, non capiva il bisogno di apparire brutti e distanti dai modelli imposti dalla società moderna, e nel complesso li trovava disgustosi.
Hua, che normalmente aveva una bella voce melodiosa e ben impostata, adesso cantava come se non avesse mai imparato a cantare.
«“Water was running, children were running...”».  E poi, un urlo che graffiava le orecchie: «“You were running out of time!/ Under the mountain, a golden fountain/ Were you praying at the Lares shrine?/ But, oh, your city lies in dust, my friend/ Oh, oh your city lies in dust, my friend”».
Il djinn non capiva nemmeno che cosa intendesse descrivere3.

«“We found you hiding, we found you lying/ Choking on the dirt and sand/ Your former glories and all the stories/ Dragged and washed with eager hands/ But, oh oh, your city lies in dust...!”».
Hoopa doveva portarla via da lì. Lei si stava umiliando e lui non capiva a quale scopo. Attraversò uno dei suoi anelli per materializzarsi sul palco.
La afferrò per il polso che reggeva il microfono e fece per tirarla verso di sé.

Poi, la sua espressione cambiò. I suoi occhi terrorizzati fissarono l'orizzonte.
Hua alzò gli occhi dal suo viso umanoide e vide il mondo incurvarsi e ondeggiare come una tela, mentre il cielo e terra si mescolavano e si confondevano in un lento vortice ad asse orizzontale.
Una sola occhiata, un grido di allarme, e Spikemuth piombò nel panico. Gli Yell correvano ognun per sé, cercando di allontanarsi dall'apocalisse imminente.
Ma se la vedevano, la Distorsione era già arrivata a loro, e nessuno dava segni di soffrirne.
Ma Hoopa non era tanto ingenuo da illudersi che fosse un avvenimento innocuo.
La terra non tremò, ma si inclinò come la tavola di un flipper e si contrasse portando con sé l'umana e il Pokémon con la luce del giorno.
Poi il sole scivolò oltre la curva visibile dell'orizzonte, tornando indietro nella sua marcia. Hua fu sul punto di cadere in mare e Hoopa la resse per un braccio.
Adesso erano immersi nella notte, mentre le stelle sopra di loro correvano verso est.
Il paesaggio accelerò fino a trasformarsi in un susseguirsi confuso di luci, poi rallentò, e l'erba e la roccia lasciatono il posto ad un antico pavimento di pietra.
Ora si trovavano tra le colonne greche di un antico tempio ormai distrutto, sulla cima di una ripida montagna, malgrado non si fossero accorti di averla risalita.
L'umana poté finalmente posare i piedi a terra. La valle cadde verso il basso e il paesaggio ruotò. Un'altissima colonna di luce univa la terra alla volta celeste. Contro quella luce azurra, la sagoma di una sorta di ibrido tra Mew e un Kadabra, ma molto più grande di entrambi, teneva in catene gli enormi corpi esanimi dei Draghi Dialga e Palkia.
Reggeva un enorme cucchiaio come se fosse uno scettro.
«Mewtwo!» esclamò Hua.
Ma ormai non era più lui.
Il Leggendario guardò Hoopa con un'espressione distante, e con un dito indicò il terreno.
Sotto il djinn, si stava aprendo il portale oscuro del Mondo Distorto. Hua, con le sue borchie e le sue catenelle, si precipitò a mettersi fra lui e Mewtwo, perché non potesse colpirlo e metterlo fuori combattimento. «Che cosa ha fatto?!» gridò.
Hoopa si riscosse, dilatò uno dei suoi anelli magici e vi spinse la donna.
Il tempio era diventato troppo pericoloso per i comuni mortali.
Il livello del terreno saliva come acqua. Hoopa non riusciva, inspiegabilmente, a volare più in alto. Ma non si sarebbe lasciato imprigionare nell'Ombra senza vendere cara la pelle.
Cambiò forma, crebbe fino a trasfigurarsi nel mostro dai denti aguzzi e il viso da orco che aveva imparato a temere. Con la foraza di tutte e sei le sue braccia tentò di opporsi alla gravità aumentata, ma continuava a scivolare verso il basso. Per ripicca, ne liberò uno e cercò di aggantare Mewtwo. Ma il grande felino dilatò le distanze e scivolò lontano, pur senza uscire dalla sua vista.
Hoopa, ormai immerso fino a metà del petto, era ormai ridotto ad una bestia. Provò a satare in avanti con il risultato di scivolare ancora verso il basso.
Gridò di rabbia con la bocca spalancata, il viso da orco deformato dalla collera e gli occhi rossi che mandavano lampi. Lanciò in aria uno dei suoi anelli appena prima che il varco del Mondo Distorto si richiudesse sopra di lui.
Dall'anello uscì la fonte di tutto il suo potere oscuro: Vaatu, Grande Spirito del Caos, non aveva più motivo di attendere nella sua prigione, e aveva scelto la via più rapida per uscire.
Ma non era ancora pronto a scontrarsi con la sua eterna avversaria.



:::

 

Dalla sede centrale, i Comandanti Jupiter, Saturn e Oberon cercavano di ripristinare la connessione remota, che era saltata appena i titanici Dialga e Palkia avevano infranto la barriera dimensionale.
Saturno era sempre il più agitato, quando uno dei loro droni finiva disperso. Il suo amore per le macchine, e in particolare per gli aerei militari, era secondo solo a quello di Cyrus per la tecnologia in generale.
D'un tratto, lui e Jupiter riconobbero il fischio inconfondibile di una ventina di fucili laser. Era il segnale che stavano caricando il colpo. Le Unità Rosse alle loro spalle li avevano inbracciati e li puntavano contro ognuno dei Comandanti, nell'indifferenza degli altri androidi Galassia.
Fobos, Mars e Terra avevano già le mani in alto.
I due cugini, l'uno accnto all'altra, avevano rivolto le palme all'indietro, perché il compurer sapeva dei laser inseriti nei loro polpastrelli.
La prima idea che passò nella mente dell'ingenuo Xerosic, fu che il programma Venus si fosse spontaneamente ribellato.
Poi, al centro della stanza, apparve la forma umanoide di Mesprit.
«Fermi tutti! Fermi!» esordì. «Per oggi, ho bisogno soltanto di lei».
E indicò teatralmente la Comandante cieca.
«Raccomandata...!» si lamentò Mars. «Sfigatissima, ma super-raccomandata!».
Poiché entrambi tendevano a dare la stessa, sfacciata confindenza tanto agli sconosciuti quanto agli avversari, il Leggendario le rivolse un cenno di intesa.
«Brava, ragazza! Ma adesso, nemici come prima».
Mentre parlava, si era avvicinato a lei e a Silver. «Tu, invece, non servi più. Sta' fermo. Se ti tocco, è la fine: mia figlia mi ammazza!». 
Avvicinò due dita grigie al suo collo senza sfiorarlo. Silver sentì un forte ma fugace bruciore scendergli lungo la giugulare sinistra.
Attratti dalla telecinesi, i due chip gelatinosi entrarono a contatto con l'aria e assunsero lo stato solido. Mepsrit li attivò e se li lasciò penetrare sottopelle per portarseli via senza occupare una mano. Perciò, non era più soltanto uno spirito.
Come un uomo poteva avere più di uno smoking, lui aveva più di un corpo. Rispolverava il secondo per le grandi occasioni.
Raggiunse la postazione di Gong cammnando, così che la cieca potesse percepire i suoi passi. Si fermò a mezzo metro da lei.
L'invasione dello spazio altrui era la sua principale tecnica intimidatoria. Gli sarebbe bastato allungare un braccio per toccarla e condannarla a trasformarsi in un vegetale apatico dopo tre giorni. Ovviamente, l'avrebbe uccisa prima. Nessuno sapeva realmente cosa sarebbe successo dopo tre giorni dal tocco di Mesprit.
La cieca gli si mostrò impassibile.
«Non voglio usare la forza...» esordì lui. Dal suo tono, era chiaro come la guardasse dall'alto in basso. «Perciò, scendi da sola nello scantinato, se lo possiamo chiamare così. Anzi... Barà, Momoji, Akebi... accompagnatela. Io odio le vie lente. Ci vediamo di sotto».
Mesprit scomparve con il teletrasporto. Le tre ragazze robot costrinsero Gong ad eseguire il suo ordine.



:::


 

Lunala, ormai quasi al termine della sua gravidanza, era rimasta da sola nello Spazio Origine. Era un posto sicuro, più impenetrabile del Mondo Distorto.
Mentre sonnecchiava sospesa a testa in giù, udì uno scricchiolio simile a quello prodotto da una crepa nel ghiaccio.
Un attimo dopo quell'avvisaglia, tutto andò in frantumi, mandandole il cuore in gola. Mentre Lunala cadeva verso la luce e batteva disordinatamente le ali per recuperare portanza, la fuggiasca Raava le passò accanto.
Volava verso l'alto, verso quello che semrbava un cielo notturno. Le luci, che si stavano dissolvendo, non erano stelle, ma piccoli ammassi di energia imprigionati nello strato più esterno di quel piccolo universo privato, che a sua volta era andato in frantumi.
Lunala lasciò il volo per la levitazione e la inseguì. Malgrado tutta la sua fatica, perse terreno. Si sentiva pesante.
Poi, vide qualcosa che la costrinse a fermarsi. Una torma di creature dell'Ombra, Pokémon Spettro che l'Oscurità aveva trasformato in veri Spiriti Maligni, aveva trovato il Portale e stava piovendo giù. C'erano dei Gengar, Chandelure, Dusknoir, Cofagrigus, Jellicent, e molti altri, con tutte le loro linee evolutive. Erano così infuriati e deformati da risultare quasi irriconoscibili.
Non era chiaro se fossero venuti lì per caso. Ma Lunala doveva scappare.
Anche se formalmente era una di loro, avrebbero potuto picchiarla fino a farle perdere il feto, o forse persino ucciderla.
Non poteva andare né in alto né in basso, dove la luce del nucleo l'avrebbe bruciata come avrebbe bruciato tutti loro. Così scivolò lungo il piano su cui si trovava.
Passata la scossa iniziale che l'aveva mandato in pezzi, il terreno di cristallo cominciò a ricomporsi sotto di lei. Gli Spiriti piovevano giù oltre gli strati sopra di lei e li rompevano, ma qualcuno tra i più deboli rimaneva impriginato al loro interno.
Lunala scappava affidandosi all'energia delle sue sole ali: aprire un Ultravarco per scappare da quel piccolo universo sarebbe stata un'impresa titanica, perché quella era la fortezza privata di Arceus. Qualche forza ben superiore alla sua doveva aver incrinato le sue mura.
Gli altri Spiriti la inseguivano, quando accadde qualcosa che non si sarebbe mai augurata in quel momento. Il suo piccolo, complice il tempismo perfetto della sfortuna, era pronto per venire alla luce. Le prime doglie si fecero sentire una dopo l'altra, frequentissime, perché il suo corpo di vampira non era adatto a partorire figli.
Il cucciolo sarebbe nato di lì a poco, che lei fosse pronta o no.
Scossa dal dolore, Lunala non poteva più volare.
Cadde sul cristallo laddove si era già ricomposto, e prima che potesse ripartire, un Gengar infuriato le saltò addosso e le affondò i denti ormai aguzzi nella schiena. Lei riuscì a scrollarselo di dosso e cambiò strategia. Si lanciò in volo in mezzo alla schiera di Spettri, sovrastando le loro grida con uno dei suoi, e la dissipò, perché per quanto numerosi e agguerriti, erano pur sempre spiriti minori contro una Leggendaria.
Quella reazione inaspettata li lasciò confusi quel tanto che bastava per permetterle di recuperare un certo vantaggio. Si trasformò in giumenta e prese a galoppare sul cristallo, a una velocità che nessun purosangue avrebbe mai raggiunto. Gli invasori la videro scappare e per istinto ripresero ad inseguirla.
Lunala avrebbe potuto correre per un giorno, i suoi muscoli non erano stanchi, ma il feto non avrebbe aspettato un minuto di più. La grande giumenta bianca si fermò e spinse per aiutarlo a uscire.
Aveva assunto mille forme durante la gravidanza, e il piccolo doveva essersi adeguato come l'acqua travasata da un recipiente all'altro.
Avrebbe potuto trovarsi di fronte una creatura simile a un Cosmog, a un gatto, a un pipistrello, a un seprente, a un neonato umano, o a chissà cos'altro. Ma la sintonia con il corpo della madre l'aveva fatto nascere puledro.
Aveva una folta criniera arancione, come il fuoco, e una coda celeste che richiamava l'elemento dell'acqua.
Un piccolo corno color crema gli cresceva al centro della fronte. Anche se le sue gambe erano ancora deboli, provò subito a mettersi in piedi. Traballando, lasciò perdere la madre per guardare storto la ciurma di pazzoidi che li stava attaccando. Abbassò il corno come a volerli caricare. Dèi ed animali non avevano bisogno di molto tempo per capire cosa fare della loro vita.
Lunala gli addentò la coda e provò a convincerlo a fare marcia indietro. Il piccolo era impavido, insolente, e per inesperienza si sopravvalutava.
E il capofila degli aggressori era un Dragapult, con la sua testa da rettile simile a un aereo stealth e i suoi occhi gialli da lucertola velenosa. Dal collo in giù, il corpo allungato ma paffuto, la grossa coda ingombrante e le zampe sproporzionatamente piccole, lo facevano apparire sgraziato.
Mirò al puledro e sparò i Dreepy che ospitava sulla sua testa, come se fossero proiettili esplosivi.
Lunala aprì un Ultravarco davanti al piccolo per assorbire quei dardi viventi. Fu un gorosso errore: i piccoli draghi-spettro esplosero laddove il continuum, reso instabile dalla Convergenza Cosmica, era già squarciato. La frattura spazio-temporale trascinò con sè il neonato Keldeo, che scomparve in un lampo di luce senza lasciare traccia. 
Infuriata, alterata lei stessa dall'influenza oscura, Lunala afferrò Dragapult e lo costinse a usare Dragofrecce contro un altro Ultravarco, per forzare il tessuto di quell'universo chiuso.
In un modo o nell'altro, in un tempo o nell'altro, avrebbe trovato Keldeo, e l'avrebbe presentato a suo padre.



:::


 

Il confine nord-occientale di Unova oscillava come un pendolo tra due mondi. Il cielo variava dall'azzurro al viola e dal viola all'azzurro, mentre il sole scompariva per lasciare il posto a una raffica di luci variopinte, e poi riappariva come una'accecante sfera bianca. La Torre Dragospira, ormai inghiottita da una colonna di luce, rendeva instabile territorio circostante. Lì si trovava un Portale dimenticato.
Zinzolen e Ghecis erano isolati in un covo deserto. La subdola e vorace pianta carnivora che era stato il Team Plasma era ormai avvizzita.
Il vecchio Specialista Ghiaccio guardava la colonna di luce nel binocolo con la sconfitta nel cuore. Ormai gli era chiaro di aver scelto la parte sbagliata: quella più debole. Anche se il piano originale di separare gli umani dei Pokémon fosse andato a buon fine, il mondo sarebbe comunque appartenuto a questi ultimi. Chi si affidava a loro aveva gioco facile. La specie umana era troppo fragile per tirare avanti da sola.
In quel paesaggio caotico, un oggetto volante uscì dalla colonna di luce. Nel binocolo, Zinzolin poté distinguere le sagome di uno Starmie e della persona che stava trasortando.
Credette di avere abbastanza tempo per tenderle una trappola, ma in piena Convergenza Cosmica le distanze non erano affidabili.
L'intrusa arrivò alla sua finestra tenendosi in equilibrio in piedi sul suo Starmie. Evocando una folata di vento, ruppe il vetro della finestra chiusa.
Zenzolin ebbe appena il tempo di scostarsi per non essere investito dalle schegge.
Quando ormai il nemico era entrato, il vecchio ordinò al suo Cryogonal di attaccare.
Ma la Banette di Sird si avventò sull'altro Pokémon come una furia. La cerniera che le chiudeva la bocca si aprì e lei uscì fuori dal suo costume di pezza. Il suo ectoplasma magenta striato d'oro infiltrò la struttura esagonale di Cryogonal.
Dopo una breve resistenza, il Pokémon di ghiaccio esplose in pezzi.
Banette volò via dalla finestra rotta, verso la Luce spirituale che forse l'avrebbe calmata. Non poteva restare lì in quello stato alterato, con il rischio di aggredire la sua cara padrona.
Zinzolin e Sird, vittima e carnefice rimasero soli.
Per dimenticare quanto quella donna lo mettesse in soggezione, il vecchio si era abituato ad associarla all'immagine di un Poochyena selvatico: aggressiva e spavalda finché dominava il gioco, era bastato contrattaccare una volta per metterla in fuga.
Nel suo contrattacco, Ghecis aveva scelto di colpire solo Hua, spinto non solo dal desiderio di annientare la stirpe della rivale e da una spiccata e radicatissima misoginia, ma anche dalla convinzione che Cyrus fosse un peso e una disgrazia per la madre, perché era autistico.
Zinzolin, che conosceva meglio le dinamiche familiari, avrebbe preferito tentare di eliminarli entrambi. Purtroppo non era lui a comandare.
Anche si fosse macchiato di una colpa meno grave, non aveva senso implorare il perdono di una come Sird. Quella fattucchiera viveva di rancore. Persino l'apocalisse in corso la lasciava indifferente.
«Signora Yaan...!» cominciò il vecchio. Era uno dei pochi a conoscere il suo vero cognome. Non aveva una radice cinese, ma era la deformazione del nome di un'antica divinità a due volti venerata nel suo Paese nativo. I suoi concittadini usavano scolpirla sulle porte, perché una faccia guardasse dentro e l'altra fuori. Poteva essere benevola, collegava ogni fine a un inizio, ma era anche intrinsecamente ambigua. Come la donna che Zinzolin aveva di fronte.
«Ti credevo troppo spaventata per venire qui».
«Spaventata da te?!».
«Non da me. Da Lord Ghecis».
Soltanto il nome la fece rabbrividire. Per nasconderlo, scrollò le spalle. «Tsk...».
Sentir parlare di lui da qualcuno così legato al suo passato le evocava ricordi terribili, e un'angosca quasi paralizzante. Aveva visto Hua in coma farmacologico quando Uxie l'aveva già soccorsa e stabilizzata, e inserita in una macchina rigeneratrice. Ignaro di quanto potesse essere doloroso, il Pokémon Sapienza gliel'aveva mostrata così per sottolineare il suo errore di valutazione: si era scelta un avversario estremamente pericoloso. Era stata troppo sicura di sé e dei propri mezzi.
Il “Saggio” Zinzolin non fu per nulla sorpreso dalla sua reazione. Con un volto impassibile, non si abbassò neppure a sbeffeggiarla. «Quod erat demonstrandum» disse. Come se quella fosse una dimostrazione matematica. 

Sird strizzò gli occhi e digrignò i denti. Aveva progettato di soffocarlo a distanza, sfruttando una complicata tecnica del Dominio dell'Aria. Invece lo spinse a terra sotto il suo peso e gli mise le mani al collo. Era un uomo obeso ma basso, e lei era molto più forte di qualsiasi terrestre. Si sedette a cavalcioni sul suo addome e strinse vigorosamente la presa. Strinse per più tempo del necessario. Poi rilassò le dita e restò lì dov'era.
Seduta sul cadavere, fissava le petecchie in quegli occhi spalancati senza neppure vederle. Le sue ultime parole, il vecchio non le aveva scelte a caso: il figlio di Ghecis, Natural, era un bravo matematico amatoriale, oltre che l'esatto opposto di suo padre. Se il ragazzo avesse lasciato da parte i sogni e i teoremi per cercare vendetta, Sird non avrebbe saputo come comportarsi. Proporgli di seppellire le asce non sarebbe bastato.
Alzò lo sguardo dal volto del cadavere solo quando un uomo dalla stazza enorme, un gigante, trascinò i piedi nella stanza reggendo per i capelli una testa mozzata.

Le mostrò il trofeo, sollevando a fatica il braccio per il dolore alla spalla destra ormai quasi immobizzata. Scandendo le parole a fatica, disse: «Eccola. Che cosa devo fare?».
Il gigante era un vecchio dalla pelle bruciata dal sole, i capelli bianchi e sporchi buttati sulle spalle e sugli occhi scuri, e il viso stranamente glabro. Il cattivo odore del suo corpo sudicio e dei suoi abiti lerci lo precedeva. Eppure, era stato una sorta di semidio. Nato su un pianeta che non riusciva a ricordare, come Sird possedeva una forza fisica superiore ai terrestri.
Con la sua abilità nel combattimento, la sua intelligenza e le sue innovazioni tecnologiche, lui, Stupor Mundi, aveva convinto i Kalosiani allora divisi in tribù a trattarlo come uno di loro e a sceglierlo come loro guida. Con le sue idee illuminate, in cui all'epoca credeva davvero, aveva persuaso Floette, il Mandato del Cielo d'Occidente, a riconoscergli il ruolo di re.
Con il tempo, il potere e l'ammirazione altrui erano diventati la sua droga. Quando gliel'avevano tolta, uccidendo Floette in una rivolta armata, era impazzito. Preso da una metaforica ma violentissima crisi di astinenza, aveva usato la tecnologia aliena di cui era in possesso per costruire un'arma di distruzione di massa.
Al contrario di lui, Sird era nata carogna, ma era cresciuta immune a quella dipendenza. Non avrebbe ucciso qualcuno perché non le obbediva, purché non le fosse d'intralcio.
Per questo guardava AZ dall'alto in basso, come una regina avrebbe guardato un barbone.
La testa che lei gli aveva chiesto e che lui le aveva portato era quella di Ghecis. Il vecchio clochard l'aveva ucciso a mani nude, e decapitato con una lama smussata.
Solo a quel prezzo, Sird l'avrebbe liberato dalla dannazione della vita eterna. Azelf era troppo impegnato a dirigere la Convergenza Cosmica per accorgersene.
«Al posto della Torre Dragospira, c'è una colonna di luce che unisce la terra al cielo. Tu devi toccare quella luce. Capito, zombie? Vai verso la luce!» scandì beffarda, a voce alta, perché AZ era duro d'orecchi.




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Hoopa scagliò Giratina contro una roccia ai piedi del Monte Corona, attraverso uno dei suoi anelli. Ormai rintontito e semi-svenuto, il Signore del Mondo Distorto stava perdendo il duello per il territorio. L'Oscurità che stava inghiottendo il Sistema di Unversi nutriva l'essenza di Tipo Buio del grande djinn, rendendolo più forte e più aggressivo. Giratina era in netto svantaggio nei suoi confronti.
Subì l'ennesimo attacco e vacillò. La risata di trionfo dell'altro demone fu l'ultima cosa che udì prima di svenire.
Hoopa stava ancora ridendo, quando qualcosa di alato e piccolo, piccolo come un umano, attirò la sua attenzione. Il ronzio delle sue ali era fastidioso, ma mai quanto la sua voce. Era lui stesso simile a un Genio, per come si comportava.
«Perfetto» disse, sarcastico, fermandosi a braccia conserte prorpio davanti agli occhi rossi del djinn. «Tutti i nostri metodi hanno fallito» constatò. Poi, inaspettatamente, gli rise in faccia. «Ma che dico?! Povero Halqa, ti ho voluto io così!».
Gli sfilò dalle braccia i sei cerchi d'oro con la telecinesi e con la stessa forza glieli ruppe.
Hoopa, che non poteva toccarlo, gli gridò contro tutta la sua frustrazione.
Lui non reagì.
Si guardò alle spalle solo quando una figura titanica si alzò dalla terra. Sembrava umana, ma aveva gli occhi di luce e il corpo, dalle fattezze femminili, che sembrava fatto di vetro. Era più grande di Hoopa Libero, ma camminava attraverso la materia solida senza danneggiarla. Gli arrivò davanti in poche falcate.
Mesprit scomparve e lasciò che i due si guardassero in cagnesco.




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AZ camminava zoppicando verso la Luce, come gli avvea comandato la maga di cui non ricordava il nome. Non ricordava neppure perché stesse eseguendo il suo ordine. La Torre in bilico tra i due mondi era sempre più vicina, e lui stava per allungare il braccio per toccarne la pietra.
Vaatu vide quel patetico spettacolo dall'alto. Stava sorvolando la Regione per convertire al Caos tutti gli Spettri che la abitavano e assorbire l'energia dalle creature del Buio. Il suo potere stava crescendo di pari passo con le sue dimensioni. Da qualche parte, Raava diventava via via più debole.
Era un relitto umano dalla mente distrutta, ma il suo spirito poteva essergli ancora utile. Anche lui avrebbe avuto un Avatar. E questa volta, avrebbe fatto in modo di reincarnarsi.
Si precipitò verso di lui gridandogli di fermare il braccio.
Il vecchio si immobilizzò.
Vaatu gli disse di voltarsi verso di lui, perché doveva parlargli.
Il vecchio obbedì.
«Ho sentito parlare di te».
Prima di trovare la forza di scidersi da Raava e scappare dal corpo del suo Avatar, aveva ascoltato ciò che veniva detto alle sue ignare nemiche, e visto ciò che loro vedevano. «Tre millenni fa, sei stato maledetto da una creatura di nome Azelf».
«Az... Azelf...!» ricordò lui, turbato.
«Lui non ti lascerà in pace. Dovrai essere tu a difenderti».
«Difendermi...? Io...?».
«Esatto. Per farlo, dovrai diventare qualcosa di più sia di un umano, sia di uno Spirito».
Silenzio. La mente lenta e danneggiata del vecchio faticava a comprendere.
«Cosa c'è di più?».
«Quello che la mia avversaria ha creato fondendosi a un mortale. Un ibrido. Devo entrare nel tuo corpo, e solo dopo toccheremo quella luce».
Silenzio. Finalmente, per spirito di autoconservazione, il vecchio parve allarmato. In gioventù, sul suo pianeta natale, aveva studiato a fondo il rapporto tra ospite e parassita. La simbiosi era qualcosa di molto più complesso e delicato, e difficile da ottenere tra organismi fino ad allora estranei.
«Ma che cosa sei...?!».
Vaatu aveva perso la pazienza. Stava per volargli contro, quando degli zoccoli appuntiti lo inchiodarono a terra. Vaatu usò i suoi flagelli per colpire il suo aggressore. Gli lasciò dei segni, ma lui non lo lasciò andare. Continuò a schiacciarlo sotto il suo peso, ma con un grande sforzo. Non sarebbe riuscito a trattenerlo a lungo.
Contrariato, gridò contro quel pluriomicida che non avrebbe mai voluto graziare. «Tocca quella luce e facciamola finita, vecchio!».
AZ obbedì ancora una volta.
Appena affondò l'indice nel bagliore dorato, il suo spirito fu risucchiato e il suo corpo si disfece come sabbia, e il vento lo portò via.
Lasciando che gli zoccoli lacerassero il suo corpo spetrale, Vaatu riuscì a voltarsi e rilasciare il suo raggio violaceo di energia oscura contro Arceus. Quell'attacco ravvicinato lo sbalzò via. Vaatu lo lasciò dolorante a terra, e si tuffò nel Portale che aveva davanti.
Nel Mondo degli Spiriti, che coincideva con il Mondo Distorto, si trovò davanti ad altre tre colonne di luce disposte a croce. Le due laterali, più sottili, conducevano una alla Grotta Ritorno, l'altra ad una Regione di passaggio di nome Sinjoh. La maggiore, di colore azzurro, corrispondeva all'altro capo dell'Axis Mundi, e si congiungeva in alto, piegandosi ad arco, con la porta dorata da cui era arrivato.
Poco importava che la Vetta Lancia e la Torre Dragospira si trovassero entrambe nell'emisfero nord del pianeta, e nessun diametro della sfera potesse unirle: quel mondo, creato in equilibrio tra il Caos e l'Ordine, non seguiva alcuna simmetria.
Vaatu si diresse a colpo sicuro verso la colonna azzurra, sorvolando una piccola pianta grigia simile a una venere acchiappamosche, che era appena spuntata dal terreno.
Appena lo vide emergere dalla luce, Mewtwo, che apparentemente teneva le redini di quella Convergenza, lo scagliò ai piedi della montagna, dove l'Avatar Yueguang lottava contro un demone dell'ombra.
Lei e Hoopa, come due giganti, si azzuffavano cercando di eludere uno la guardia dell'altro e di mettersi al tappeto. Le sei braccia del mostro, in proporzione alla loro stazza, non sembravano poi così forti. In più, la ragazza era più grande di lui, e sapeva sfruttare meglio i calci.
Vaatu la guardò solo di sfuggita.
Aveva visto un'occasione migliore: il Pokémon Ribelle Giratina, nella sua Forma Alterata, giaceva semi-svenuto a un lato di quello che era diventato un ring. Si era spostato appena aveva ripreso i sensi. Ma era ancora ridotto male e si limitava ad assistere alla lotta.
Era uno Spettro, perciò vulnerabile alla sua influenza. Era un nuovo strumento da usare contro la sua personale nemesi.
Vaatu si precipitò verso di lui, e il Pokémon non poté sfuggirgli. Lo atraversò da parte a parte strappandogli un grido, poi tornò indietro e trapassò di nuovo il suo corpo grigio.
Contaminato dall'Oscurità cedutagli da Vaatu, il Drago crebbe fino a superare in dimensioni gli altri due giganti.
Le sue ali d'ombra si espansero, le striature rosse sul suo addome si assottigliarono, e il suo corpo grigio si scurì e si ricoprì di squame nere mentre acquisiva una forma serpentina, simile a quella che assumeva nel Mondo Distorto, ma più agile e sottile.
L'oro che aveva addosso si adattò alle sue nuove sembianze. Se prima Gong non era tanto convinta che fosse un drago, uno di quelli che conosceva lei, adesso dovette ricredersi.
Hoopa lo aveva picchiato, gli aveva strappato il territorio, ma la sua nuova natura oscura lo spingeva ad aggredire l'Avatar della Luce. Le volò intorno battendo lentamente le sue grandi ali nere e la fissò coi suoi penetranti occhi rossi come se volesse studiarla. In verità, stava esitando: aveva ancora tutti i suoi ricordi intatti e un minimo controllo di sé. Gong non intendeva attaccare, ma ruotava su se stessa con la guardia alzata per non trovarselo alle spalle.
Hoopa si era allontanato a balzi, quel tanto che bastava per lasciarlo fare.
Vaatu osservava la scena da una distanza di sicurezza.
Gli bastò alzare lo sguardo verso il cielo per subodorare che qualcosa sarebbe andato storto: Raava, anche lei fuggta dalla sua prigione, venne giù dal cielo stellato in picchiata come una scia di luce. Si tuffò su Giratina, trafiggendolo come una pugnalata nella schiena. Anziché uscire e rientrare, rimase nel suo corpo quel tanto che bastava per mutarlo senza ucciderlo.
Ignorò le sue grida di dolore, perché non era una creatura della Luce, e la Luce lo stava bruciando.
Le sue ali d'ombra si dissolsero e lui rimase sospeso a mezz'aria con la levitazione. Le squame di ectoplasma sul suo dorso, dalla testa alla coda, si tinsero di bianco.
Raava gli indicò la colonna di luce blu sulla Vetta Lancia un attimo prima di riunirsi al suo Avatar.
Mentre lei e Gong si occupavano di Vaatu e Hoopa, lui risalì da solo la montagna.
Arrivò alla vetta e trovò i suoi due cosiddetti fratelli svenuti, legati dalle Rossocatene ai polsi di Mewtwo. Sopra la testa del Pokémon Genetico svolazzava, felice come una pasqua, indifferente a qualsiasi disastro si consumasse attorno a loro, il minuscolo Mew. Si era fatto vivo appena Vaatu aveva trovato quello che cercava, così non avrebbe rischiato di incrociarlo, perché non sarebbe più tornato indietro.
Giratina ignorò, per il momento, tanto lui quanto il suo clone.
Ruppe le Rossocatene, e assorbì gli altri due Draghi. Le sue dimensioni crebbero ancora. Carne, ossa e metallo sostituirono il suo ectoplasma.
«Mew!» esclamò il gattino psichico, e cominciò a volargli attorno, come se all'improvviso lo avesse riconosciuto, per gli aloni verde smeraldo attorno agli occhi color rubino. Ma Mew, che distingueva alla perfezione le forme nel buio, era spiccatamente daltonico, e non conosceva altro che le scale di grigio.
Piccolo come una mosca in confronto a un uomo, finì per strusciarsi contro le sue grandi squame bianche.
Giratina non era più soltanto uno Spettro. Era quasi identico, finalmente, alla creatura che Gong aveva affrontato nel Bosco Smeraldo.
Il tempo avrebbe annullato ogni differenza tra loro.
Quella creatura, lui se la trovò davanti. Aveva con sé la piccola sfera di energia rosa in cui dormiva il feto Mew.
Gliela porse, mentre l'altro Mew andava da lui, come in uno scambio. Il “vero” Giratina non accettò l'offerta.
«Portalo con te» lo esortò l'altro, quello che tra i due aveva accettato il nome di Arceus. «Sai già come sfruttare il suo DNA».
«Mi fa schifo, il pensiero di diventare come te!» gli gridò contro il demone. «Sei un tiranno, un egoista, e un impostore!».
«Qualsiasi cosa io sia... avresti forse preferito sfidarmi e farti uccidere?».
«Dimmelo tu!».
«Allora, la mia risposta è no. Non cercare alibi. Non hai mai desiderato altro... che essere come me. Avere quello che ho io. Quindi... adesso vai, tieni a mente quello che hai imparato nei minimi dettagli, inventa ciò che non ricordi, e ricostruisci tutto daccapo. Tornerai qui quando i tempi saranno maturi. Al mio posto».
Gli porse di nuovo il globo luminoso con Mew addormentato al suo interno.
Giratina esitò.
Poi fece apparire una delle enormi perle rosa di Palkia, fuse le due sfere l'una dentro l'altra, le assorbì nel proprio corpo e diresse la testa verso il cielo.
Con un tuffo dimensionale, squarciò il tessuto istabile del continuum, e scomparve in un lampo di luce. Il fragore generato dallo strappo, simile a un tuono, fece tremare la montagna e ferì le orecchie dell'altro Arceus, che non ricordava quel dettaglio perché non l'aveva mai udito.
Ormai di cattivo umore, e come se il Giratina del passato potesse ancora sentirlo, il dragone sussurrò a denti stretti: «Te ne pentirai. Se ti ho lasciato andare, è per amore di chi non c'entra niente con te».
I discendenti degli umani che aveva rapito dai loro pianeti nativi, se avessero scoperto la verità, avrebbero tentato di ribellarsi a lui come a un despota.
I mostri che aveva creato, i Pokémon, vivevano pacificamente al fianco dell'Homo Sapiens se la fortuna li assisteva, ma si trovavano più spesso angariati dalle sue tendenze dispotiche. Crearli ed accostarli a quella particolare specie era stato un atto di egoismo.
Infine, se i dotti filosofi e teologi avessero scoperto che non era affatto un dio, ed era ben lontano tanto dalla perfezione intellettuale e morale quanto dall'onnipotenza, lo avrebbero bollato impostore. Avrebbe risvegliato in loro la paura della manipolazione demoniaca o aliena. 
Ancora soprappensiero e di cattivo umore, Arceus rievocò lo spirito di Azelf dal corpo eccezionalmete resistente di Mewtwo.
La Convergenza Cosmica verteva ormai alla fine.
Smarrito, confuso, il Pokémon Genetico guardò il drago bianco e nero con occhi interrogativi e diffidenti. Non lo riconosceva.
«Sono Giratina, Mewtwo!» gli si presentò lui. «Alcuni di noi si evolvono, ricordi? Un giorno ti spiegherò cos'è successo. Ma adesso, dobbiamo dividerci. Fa' quel che ti dice Mew. Anche se non vi assomigliate, tu e lui siete come gemelli».
«Mew!» esultò il gattino. Sembrava felice, e non ne aveva motivo.
Lasciò la Vetta Lancia volando in alto e verso est.
Il suo ignaro clone lo seguì, perplesso.




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Grazie all'energia oscura di Vaatu, Hoopa aveva riparato due dei suoi anelli. E ne stava approfittando: evocava coppie di Leggendari che per natura non si combattevano tra loro, a turno, tutti in qualche modo posseduti, tutti sul piede di guerra contro l'avversaria indicata dal djinn.
Mentre i due Grandi Spiriti si azzuffavano e scaricavano i loro raggi di energia l'uno sull'altra, Gong subiva l'assalto dei Leggendari. Prima, Suicune e Articuno. Poi, Moltres e Oh-ho dai cieli. Al terzo livello, Lugia e Kyogre dagli abissi.
Hoopa la stava prendendo in giro, si stava divertendo con lei. Sembrava Colress con i suoi test. Ma lei non poteva scagliarglisi contro e liberarsene con la stessa facilità.
Quando il djinn evocò Zekrom e Rayquaza, la sua squadra di Pokémon arrivò finalmente in aiuto. Era guidata dalla Sawsbuck Bella e dal Mimikyu Ming, la cui metà di Foleltto lo rendeva più stabile degli altri Spettri. Chiuyuè, Archie, Kokachin, Ondine, e Randal, erano corsi lì dal Covo Galassia per affiancare l'Allenatrice.
Hoopa non gradì quell'intromissione. Aprì ripetutamente i due Portali e chiamò gran parte dei Legggendari che era ancora in grado di controllare.
Zapdos, Entei, Raikow, tutti i Golem chiamati Regi, i tre Geni occidentali minori di nome Landorus, Thundurus e Tornadus, i draghi Reshiram e Kyurem.
Per ultime, due esemplari di Lunala. Una di loro rispondeva al nome di Nebby.
L'altra, molto più vecchia, ma morta troppo giovane per dimostrarlo, era Luna. La frustrazione di aver perso l'ennesimo neonato l'aveva mandata fuori dai gangheri più dell'infuenza oscura.
Evocarla era stato un doppio errore. Poiché Hoopa l'aveva distolta dalla sua ricerca spasmodica di Keldeo, lei gli si rivoltò contro scaricando su di lui e il Raggio d'Ombra e gridandogli insulti e maledizioni in arabo. Non lo ferì, perché lui era poco vulnerabile alle mosse Spettro. Aprì un Ultravarco e se ne andò prima che Arceus la vedesse. 
Il grande drago dal dorso bianco e il ventre nero, scese in volo dalla Vetta Lancia. Fece un cenno di intesa a Gong, ignorò i due Grandi Spiriti in lotta e i Leggendari posseduti, per fermarsi a pochi metri dal demone Hoopa. Era una distanza irrisoria, per due giganti. 
Il djinn si immobilizzò. Quello che la strega albina di nome Sird gli aveva accennato più volte nelle loro conversazioni, nascondendolo tra le righe, ormai era chiaro anche a lui. Mesprit, Azelf e Uxie erano le tre manifestazioni di Arceus, ma lui li considerava dei semplici strumenti. Dialga e Palkia erano due sofisticate macchine, una biologica e l'altra cibernetica, che gli avrebbero permesso di viaggiare nel Tempo e dello Spazio.
Giratina era l'unico di cui gli importasse realmente qualcosa. L'aveva esiliato per nasconderlo, aveva cancellato il suo nome dalla storia degli umani perché loro smettessero di cercarlo, e non ne capissero il vero potenziale.
L'aveva costretto a osservare il mondo da lontano perché lui fosse ossessionato da ogni suo dettaglio, e lo studiasse con la stessa avidità di un testo proibito. Non aveva fatto altro che forgiarsi da solo.
E non aveva dimenticato di essere rimasto intrappolato nell'Ombra per molto tempo.
«Hai paura?» domandò a Hoopa.
«No» mentì il djinn.
«Hai capito chi sono, non è vero?».
«Sei un ipocrita».
«Perché anche io sono un demone, ma ti ho trattato da criminale? Non c'è stato un giudizio morale, non mi sento migliore di te: ti ho imprigionato perché eri pericoloso. Per gli altri e per te stesso. Guardati».
Volò via, per placare tutti gli altri Leggendari e tenere a bada Vaatu.
Libera dal suo avversario, Raava tornò al fianco della Forma Cosmica del suo Avatar. Hoopa era rimasto fermo, con le sei braccia abbassate.
Raava attraversò l'anello incastonato nel suo petto per togliergli di dosso tutta quell'Oscurità che l'aveva trasformato. Hoopa tornò nella sua forma Vincolata, piccolo e infantile. Si rannicchiò a terra e rimase lì ad occhi bassi.
Nessuno, in quel momento, aveva tempo per lui.
Arceus aveva deformato le distanze perché la Vetta Lancia si trovasse sul loro stesso piano. La colonna di luce azzurra dell'Axis Mundi era lì, a pochi passi. Raava si unì a Gong perché il loro Spiriti si fondessero di nuovo appena toccata quella luce.
Vaatu stava avendo la peggio, perché aveva contro un grande numero di Leggendari ormai riportati alla ragione. Lo spinsero nella Porta e da lì nel Mondo degli Spiriti, che era stato il Mondo Distorto. Lo constrinsero ad arretrare verso il centro della croce greca formata dai quattro Portali aperti. Lì, la  venere acchiappamosche grigia spuantata dalla terra era cresciuta esponenzialmente, e teneva spalancata la sua enorme bocca a conchiglia dall'interno violaceo. Una volta spinto dentro, la venere si richiuse su di lui con uno scatto, imprigionandolo con le sue setole. 
L'Avatar, ormai fuso di nuovo allo Spirito della Luce Raava, si chinò sulla pianta e la toccò per sigillarla. Non era l'Albero del Tempo, ma l'avrebbe tenuto a bada per un po'. Purtroppo, una volta dissolto, lui sarebbe rinato. Ma il processo era abbastanza lento da permettere qualche secolo di pace.
Arceus rimase nelle retrovie.
Posseduti o no, non era contento della scarsa resistenza opposta dai suoi Leggendari.
Vaatu come fonte oscura era sconfitto, ma il caos che aveva provocato imperversava ancora, agitando gli Spettri e trasformandoli in entità maligne.
Li avrebbe mandati a sistemare le cose nelle loro Regioni al posto suo.




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Due Chandelure dagli occhi rossi come braci, e due Litwick dalla cera nera e quasi completamente  sciolta, stavano incendiando le tane di legno e foglie sapientemente costruite da un branco di Bidoof accanto a un piccolo corso d'acqua.
Urtato da una simile ingiustizia, Keldeo era saltato fuori dal ruscello su cui quel giorno casualmente correva, e si era schierato in difesa dei castori.
Si era illuso di vincere sfruttando la vulnerabilità del Fuoco all'Acqua.
Ma quel fuoco violaceo e maledetto non si spegneva, e il minimo schizzo sembrava renderlo più vivo.
Il continuo mutare dei colori del cielo, ell'erba e delle foglie, e le piccole scosse sismiche che scuotevano ripetutamente Unova, erano qualcosa di più importante di un bizzarro fenomeno naturale.
Keldeo, ormai scottato, non sapeva più come comportarsi. La sua salute stava calando.
I due Chandelure dagli occhi rossi come braci lo avrebbero catturato ed arso vivo, se gliene avesse dato la possibilità. Doveva tenerli lontani e perciò stava arretrando, mentre i Bidoof si davano alla fuga.
Il loro eroe era in difficoltà e loro avevano rinunciato a tenersi il territorio.
Keldeo era sinceramente preoccupato.
Come se tutta la sua sfortuna non bastasse, un altro Spirito Maligno squarciò il cielo per avventarsi su di lui con Spettrotuffo. Appena fu scomparso di nuovo, il puledro si buttò a terra e preparò a incassare il colpo delle sue ali scure, o della sua coda pendente a mezzaluna. Ma lo Spettro si scagliò contro i due Chandelure insieme.
Non contenta, bersagliò loro e il resto del gruppo con una serie di Palla Omrba, e chiuse la performance con un Iper Raggio lanciato a vuoto. 
Quell'avvertimento impaurì e calmò i quattro Spettri. Rrinsavirono, e tornarono al loro aspetto ordinario.
Se ne andarono senza voltarsi e senza far rumore, come in punta di piedi.
La creatura pazza che li aveva aggrediti si voltò a guardare Keldeo con gli occhi spiritati, di un intenso rosso sangue.
Fece per parlare, con una voce roca e stridula, ma appena la sentì chiuse la bocca.
Il suo volto tradiva imbarazzo e vergogna.
Arresa, risalì verso il cielo e scomparve nella stessa frattura dimensionale che l'aveva portata lì.



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I Comandanti Galassia erano imprigionati nel loro stesso quartier generale. Mesprit li aveva invitati a sedersi uno accanto all'altro appoggiati al muro, come se fossero tenuti in ostaggio. E forse lo erano. Aveva messo le Unità Rosse a sorvegliarli e poi era sparito per raggiungere Gong nello scantinato.
Quando la porta scorrevole si aprì, il più terrorizzato era Oberon, Jupiter la più tranquilla.
In mezzo al loro, Mars fu la prima a lanciare un grido. Ma era un grido di gioia. Batté le mani come se non potesse trattenere l'entusiasmo e balzò in piedi. Nessun proiettile fu sparato.
«Maestro Cyrus!» urlarono in coro lei e Saturno.
L'uomo, che da solo aveva suscitato tutto quell'entusiasmo, non mosse un solo muscolo del viso.
Silver fu il secondo ad alzarsi in piedi, incredulo e molto più posato della cugina. Era stanco di vedere quella donna sparire e ricomparire a suo piacimento, sfuggente come una creatura sovrannaturale. Ma non riusciva a serbarle rancore a lungo. Dopo il suo ultimo passo falso alle Rovine, aveva temunto di non vederla più. Adesso, era sollevato.
«Sird...!» esclamò in un sussurro.
Quando aveva visto lei e il figlio davanti alle rovine degli Unown, gli era parso strano vederli insieme. Adesso, gli pareva tutto molto più naturale. Cyrus era abituato a lavorare con lei, e non camminava come un soldato accanto al suo comandante, anche in mancanza della sorella Hua.
Sird, il Comandante Mercurius, prese la parola al posto suo.

 



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«Shan Yueguang di Yong Gu Cheng!».
Stavolta, il tono era beffardo.
Appena tutti gli altri Leggendari se n'erano andati, per raggiungere ognuno la propria Regione e sistemare le cose, Arceus si era voltato verso lo Spirito dell'Avatar e le aveva rivolto quel saluto.
Riuniva in sé i mostri chiamati Dialga, Palkia e Giratina, ormai amalgamati in un tutt'uno inscindibile. Dialga era una complicatissima macchina dotata di intelletto e priva di emozioni. Palkia, indomabile ed energico, era una creatura biologica dall'intelligenza notevole ma, per le sue caratteristiche, equiparabile a quella di un gorilla.
Per tutto questo, l'Originale rispondeva ancora al nome di Giratina, e conservava i ricordi del dragone spettrale.
«Ma sta' zitto!» gli rispose Gong, stizzita. In quel momento non era umana, ma la sua mancanza di contegno la seguiva ovunque. Le sue labbra di energia spirituale, simili al cristallo, si mossero perché si lagnasse come una bambina. «Mi hai solo presa in giro!».
Nello stesso momento, caricato dalle emozioni, il suo spirito privo del corpo disperse via via la sua luce e tornò alle dimensioni e all'aspetto umano.
Il grande drago si adeguò e si trasformò in una specie di equino con gli zoccoli foderati d'oro, e una ruota solare che gli circondava i fianchi. «Non ti ho presa in giro. Era una questione seria. Ma non è colpa mia, se sei buffa!».
Gong perse le staffe e alzò la voce: «Ah, ti sembro buffa?! Dimmi: Sedna dov'è?».
«Non fare la tragica! È da Gold».
«Da Gold?! Perché, da Gold?!».
«Perché tu lo conosci, perché il suo braccio destro è un Folletto, e perché la sua casa è piena di Pokémon domestici di ogni genere, ma non c'è neppure uno Spettro. Tua figlia è al sicuro, con lui».
«Le avrà dato da bere la birra! Le avrà dato da bere la vodka, per farla dormire!».
«Sciocchezze...! Fa l'idiota soltanto con gli adulti. Credo che abbia letto più libri in questi pochi giorni che nel resto della sua vita. E solo per capire come prendersi cura di un lattante».
Per tutta risposta, Gong scoppiò in lacrime. Non erano affatto lacrime di gioia.
«Perché piangi?» le domandò tranquillo il Leggendario.
Lei tirò su col naso e gridò: «Perché tu sei uno s...!».







FINE


 








 
 





 

1NON canon!

2Primo singolo dei Siouxsie and the Banshees, gruppo punk e poi post-punk.

3“Cities in Dust”, sempre Siouxsie and the Banshees. È scritta come se parlasse a uno degli abitanti di Pompei “Il tuo tempo stava scadendo (…) stavi pregando nel santuario dei Lari? (…) ti abbiamo trovato nascosto, ti abbiamo trovato disteso/ soffocato sulla terra e sulla polvere (dice sabbia ma è polvere vulcanica)”. PS: la canzone è post-punk, è bellina e di per sé non è niente di sconvolgente, è molto orecchiabile, nel video però c'è l'immagine della mummia di uno di questi poveracci che appare ogni tanto, quindi se la cosa può urtare la vostra sensibilità non lo guardate.

 









Autrice: ho faticato parecchio a stendere questo capitolo, per motivi X. Credo di aver scritto 2 righe al giorno circa.
Avevo già la scaletta pronta mesi fa, il finale in mente 2 anni fa, ma poi non mi andava di renderlo in modo troppo serio, considerando il clima che si sta respirando nella realtà. Mi rendo conto che la storia non è venuta un gran lavoro, nel progetto originale doveva essere più corta e nel complesso è disomogenea, ho un po' divagato... non so dove tagliare, però...
Chiedo scusa anche a chi ha smesso di leggere perché l'ho tirata troppo per le lunghe. Per gli altri (se ce ne sono)... boh, se siete riusciti ad arrivare fin qui, potete dirmi che idea vi siete fatti?
Non so cos'altro aggiungere. Vi saluto tutti.
PS: visto che all'inizio della storia ho aggiunto il simbolo del Loto Bianco, qui metto il simbolo del Loto Rosso in chiusura.
Ciao ciao.


 

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