In nome della Dea Bianca

di L0g1c1ta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima notte ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** Secondo giorno ***
Capitolo 4: *** Terzo giorno ***
Capitolo 5: *** Quarto giorno ***
Capitolo 6: *** Quinto giorno ***
Capitolo 7: *** Sesto giorno ***
Capitolo 8: *** Settimo giorno ***
Capitolo 9: *** Ottavo giorno ***
Capitolo 10: *** Nono giorno ***
Capitolo 11: *** Decimo giorno ***
Capitolo 12: *** Undicesimo giorno ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo giorno ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo giorno ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo giorno ***



Capitolo 1
*** Prima notte ***


Scusami…

Riesci a leggere queste lettere?

Perfetto! Ora mi potrò presentare, Adepto.

 

 

Il mio nome è Oracolo… o, almeno, è così che potrai chiamarmi .

Sono qui per spiegarti il tuo compito, ma prima credo che sia necessario mostrarti la verità sul nostro mondo. Abbi pazienza di ascoltarmi.

 

Il nostro mondo è stato creato da quel che noi chiamiamo Dea Bianca.

La tale che generò il nostro pianeta, ci diede la vita, il desiderio di vivere e di creare noi stessi altre vite. Lei, creando  noi tutti, -sia Creature Umane, che Magiche, che Fantastiche- divise il proprio corpo in sei parti, ognuna delle quali fu strappata dalla Dea ultimando il suo compito. Durante l’ultimo giorno si recise la testa e la liberò nel mondo che lei stessa aveva creato. 

Ci fece del bene e noi, me incluso, siamo suoi discepoli e desideriamo lodarla fino alla fine dei nostri giorni.

 

La scoperta delle Americhe e delle Indie ci ha aperto gli occhi sulla realtà dietro quella che noi definivamo solo una leggenda. 

Lei era esistente e lo confermammo trovando nelle nuove terre le parti attraverso cui ella ci ha dato la vita. Trovammo sette pezzi, apparentemente umani, pregni di magia talmente potente da ricrederci su ogni cosa a noi conosciuta. Vi furono spedizioni fino alla fine del mondo e trovammo quei frammenti della sua essenza.

 

Decidemmo di lodare gli oggetti magici e di essere ancora più fedeli a lei.

Credemmo che questo fosse un suo messaggio, verso noi, nostri leali discepoli. 

Avremmo dovuto crearla e ridarle vita.

Decidemmo di costruire dei laboratori e, dopo secoli e secoli di tentativi su vari esseri viventi, trovammo dei Compatibili, capaci di trattenere e di utilizzare perfettamente il potere della Dea Bianca. 

 

Ma accadde una disgrazia: i Compatibili si ribellarono a noi, per colpa di traditori e creature fantastiche ribelli. Si sono nascosti e sono cresciuti in un luogo che non immaginavamo nemmeno che esistesse. Altre Creature Fantastiche nostre alleate hanno deciso di esserci infedeli e di abbandonare il mondo che noi conosciamo per quello fasullo che hanno creato i traditori della Dea.

 

Abbiamo trovato il luogo, ma sfortunatamente i nostri precedenti membri sono scomparsi. 

 

E qui entri in gioco tu, Adepto!  

Devi trovare i Compatibili e scoprire cos’è successo ai tuoi precedenti. Non abbiamo mai reclutato un Umano come spia, ma credo che tu non ci deluderai.

Sono certo di poterti affidare un incarico così grande.

 

Ricorda: i Compatibili di cui noi abbiamo usufruito sono di forma umana, come la nostra Dea, nati tutti durante il Solstizio d’Inverno, le loro forme sono queste:

 

Ossa 

Sangue

Pelle 

Cuore

Cervello

Occhi 

Testa.

 

Io sarò insieme a te, quindi non avere paura! ;-)

Bene, iniziamo!

 

Ah, un’ultima cosa: non farti trovare.

 

 

 

 

 

Apri gli occhi e ti ritrovi nel profondo buio della notte. Ti alzi in piedi senza alcuna fatica, come risanato dopo una lunga dormita sotto le lenzuola di un letto morbido. Il cielo è senza luna, ma abbondante di stelle bianche e gialle. Anche se l’oscurità ti fa vedere poco, noti di essere su una spiaggia, naufragato in un mare ombroso. Ti ritrovi senza alcuna veste, incominci a sentire freddo. 

Devi esplorare.

Cammini sulla spiaggia, senza più sfiorare l’acqua scura. Non senti un solo scroscio di vento, né un’onda schiantata sugli scogli. Ti arrampichi su questi e continui l’esplorazione. Incontri quel che sembra una striscia di legno che si estende sul mare. Non è nient’altro che un molo silenzioso e senza un essere vivente per chiedere informazioni. Continui il cammino sulla spiaggia. Ti sembra di vedere le stesse cose e di non udire altro che i rumori dei tuoi piedi nudi sulla sabbia molliccia. 

A questo punto qualcosa ti pizzica la testa. Hai un dubbio. Oltrepassi un altro scoglio più ripido dei precedenti e noti qualcosa di bizzarro sulla spiaggia. Ci sono altre impronte, senza dubbio umane, che procedono lungo la sabbia. Alcune sono impresse perfettamente, come pressate nel cemento, altre meno, bagnate dal mare. Il tuo dubbio diventa realtà quando noti una forma per terra, davvero bizzarra: un’impronta di petto umano e di faccia, spiaccicate accanto alle rocce. 

Allora sei veramente su un’ isola…

Un’isola davvero minuta, immagini, ricordando quanto poco tempo hai impiegato per fare il giro. Continui a camminare, non sapendo cosa fare adesso. Superi lo scoglio, un bagliore di luce argentata ti pizzica le retine, dopo tanta oscurità, tanto da coprirti gli occhi con la mano. Vedi una nave…

Una fregata bianca.

Una piccola fregata bianca, con tre alberi, le vele chiuse e una bandiera bianca, senza alcuno stemma. È affiancata al molo, come se fosse sempre stata lì. Irradia di luce. Sembra essere fatta non di legno, ma di mercurio biancastro, che dà luce anche al legno anziano del molo. Qualcuno si trova a bordo, ma non riesci a distinguerne i tratti. Pare un ragazzo, di forma non fantastica, che salta sul molo, dove vi è un altro ragazzo, ben più alto. Rimangono lì, sussurrano qualcosa fra loro. 

La fregata è stata creata dal sangue della Dea! Sangue è qui, senza dubbio!

I due paiono annuire fra loro. Il più alto lancia all’altro qualcosa di tondeggiante. Il ragazzo si rigira fra le mani l’oggetto, lo annusa in maniera scimmiesca e lo addenta. Una mela o una pesca?... Sghignazza in modo infantile e saltella sulla fregata. Questa, come incantata, libera le vele e la piccola nave parte al largo. E’ innaturalmente veloce per essere senza motore. Si porta già dietro la sua luce. Rimane lì solo il ragazzo alto. 

Devi indagare. Avvicinati a lui!

Saltelli sul molo e ti avvicini. La fregata è lontana. Finalmente il ragazzo ti nota e sobbalza.

“Oh, ciao!” dice, sorridendo apertamente. Non è così alto come immaginavi da lontano. Ha in mano una lanterna che irradia luce azzurra. Ha capelli bruni e ricci, lasciati crescere in modo selvaggio. Indossa una specie di uniforme lunga, capace di essere indossata dal basso, senza poter aprire un bottone o una zip, color panna. Indossa stivali alti, stretti fino all’osso, che toccano i bordi della divisa. Ha un mantello da sera, con un cappuccio che ora ha abbassato. Una cintura stretta alla vita, con delle gigantesche tasche e due pistole color mercurio e un’altra al petto, che trattiene un fucile, una faretra piena di frecce e un arco. Il tutto ti ricorda un antico cacciatore “Tutto bene?” 

Il ragazzo, che pare davvero un umano, ti guarda pazientoso, inclinando la testa gentilmente. 

“Ti sei addormentato guardandomi i vestiti e mi sono preoccupato” dice, ridacchiando. Qualcosa in lui ti attrae e ti fa sorridere. 

“Comunque, io sono Smiley e vivo al tempio. Mmm… non sei di qui, vero? È da un po’ che non vedo un umano da queste parti, soprattutto uno senza vestiti” sobbalzi, ricordando. Provi a coprire le tue nudità con le mani, ma Smiley ti anticipa sfilandosi il mantello e stringendotelo sulle spalle. Il suo sorriso è contagioso, lo ringrazi con un gesto del capo.

“Ti sei svegliato sulla spiaggia?” annuisci. Lui guarda il cielo, come riflettendo “Ho capito tutto! Non ti preoccupare, presto saprai dove ti trovi e cosa fare qui. Però credo che dovremmo trovarti un posto dove dormire per stasera. Immagino che tu sia stanco” ride di te, come compatendoti, ma in maniera dolce. Qualcosa ti invita a fare lo stesso. Non ti senti preso in giro e non credi che lui stia facendo lo sfrontato con te. È solo una constatazione amichevole.

“Credo proprio che dovrei presentarti alla sacerdotessa dell’isola. Lei gestisce tutto qui, sicuramente ti inviterà a passare la notte da noi. Su, seguimi!” 

Lui si inoltra nelle viscere dell’isola. La luce delle stelle non riesce ad illuminare alcunché. Gli alberi sono troppo folti e, anche se bassi, annebbiano il cielo. Solamente la lanterna di Smiley mostra il sentiero, ricamando sulle foglie delle linee blu e azzurre. Sale le scale di una collinetta, un edificio si erge da lontano. Un giardino senza fiori si para di fronte a voi, con un arco bianco da oltrepassare. Il tempio è a due piani, col tetto curvo verso l’alto, retto agli angoli da alberi di ciliegio in fiore. Sembrerebbe una pagoda orientale. Le porte scorrevoli sembrerebbero serrate dall’interno. Il tempio è chiuso. 

“Ora lei sta dormendo” sussurra Smiley “Andiamo sul retro ed entriamo senza fare rumore”

Smiley oltrepassa il giardino e fa un giro dell’edificio, molto più ampio di come veniva mostrato dalla facciata. I passi del ragazzo si fanno più calmi e leggeri, a malapena riesci a sentirli. La luce della lanterna trema, come avvicinatasi ad una corrente di vento. Ma non c’è vento stasera. Nella lanterna, cerchiata da vetri bruciati, c’è rinchiuso un fuoco fatuo bluastro. Trema là dentro, si agita nel poco spazio disponibile per lui. I fuochi fatui sono spiriti liberi, incapaci di essere rinchiusi e non possono sottostare al volere di Creature Umane o Magiche o Fantastiche. Smiley raggiunge un capanno, senza un muro frontale. È ricoperto dal buio, ma lui vi ci entra come se fosse casa sua. 

“Bloob, fai un po’ di luce” ordina, con voce gentile e autoritaria allo stesso tempo. Il fuoco viene liberato dalla gabbia e, comunque tremante, zigzaga negli angoli del capanno aperto, bruciando le lanterne appoggiate al soffitto. 

Tutto s’illumina. Appesi con cappi e ferri da macellaio ci sono delle creature. Riconosci un elfo del nord, appeso per il collo, senza vesti, con gli occhi sbarrati e la mascella a penzoloni. Ci sono un troll con occhi cavati, fate minute dalle ali spezzate cadute per terra, uomini pesce tagliati in due e a terra una testa orribile di una banshee, intenta ad urlare il suo ultimo lamento. 

I nostri Adepti!

Smiley ha un sorriso abnorme, orribilmente largo. I suoi occhi ti trafiggono in due. Ora noti ciò che l’oscurità non ti aveva fatto vedere di lui. Ha numerosi tagli e cicatrici sul volto e sul collo, di cui una che ha sradicato un intero sopracciglio. Sotto agli occhi ha due profonde occhiaie violacee, come se non dormisse da giorni. I capelli sono sporchi e unti, la sua uniforme da cacciatore è imbrattata di terra, come gli stivali incrostati. Ricorda un disgustoso topo. Anche il mantello che hai addosso è lercio e solo ora te ne sei reso conto. Bloob, il fuoco fatuo, si nasconde dietro alla testa di banshee, continuando a tremare. 

“Vedi, amico mio, nel nostro mondo o sei il protagonista o non lo sei. Spesso chi non è il protagonista finisce male” dice, afferrando il fucile e ricaricandolo. È color mercurio anche questo, come la fregata di poco fa “E tu… non sei il protagonista!”

Senti lo sparo, ma non lo vedi: sei corso all’indietro nella foresta prima ancora di scorgere un grilletto premuto. Ciò che ha sparato Smiley è un proiettile veloce e luminoso, che taglia in due un ramo. Nella foga abbandoni il mantello che ti aveva prestato sulla spiaggia. Gli alberi ti graffiano e l’adrenalina ti consuma. Senti un secondo sparo e allo stesso tempo un dolore acuto ti trapassa la spalla. Urli, sentendo il bruciore. Nella foresta una risata macabra, stridula, come quella di un mostro senza respiro, trapassa le tue urla. Smiley si sta divertendo. Raggiungi la spiaggia, corri sulla sabbia. Qualcosa ti fa cadere, il tuo polpaccio viene colpito. Con la coda dell’occhio vedi una freccia conficcata nella tua carne. 

“Colpito!”

Ti rialzi con grande fatica, trascinandoti dietro la gamba. Alle tue spalle sopraggiunge Smiley che ti afferra per la spalla e ti fa cozzare contro il suo petto. Riconosci la lama color mercurio di un coltello che ti pugnala nelle viscere. Smiley ride nel tuo orecchio. Ti pugnala una seconda e una terza e una quarta volta. Il sangue zampilla sulla sabbia e tra le tue gambe. 

“Era ora che uccidessi un umano!” soffia nel tuo orecchio. Gli puzza il fiato e le sue mani sembrano ricoperte di grasso. 

Ti calcia e cadi nell’acqua bassa. Vedi il tuo sangue macchiare il mare e il sorriso soddisfatto del ragazzo. Sarà questa la tua fine? Il fucile viene ricaricato senza alcun proiettile. I due che ha sparato sembrano essersi staccati dai rami e dalla tua spalla e ritornano nel fucile, come richiamati solo dal clic del ricaricamento. Lo strappo del secondo proiettile ti fa tremare di dolore. Sei talmente dolorante che dimentichi di urlare. Smiley pare eccitato e ti punta le due canne sulla tua fronte. 

“E’ stato divertente, non protagonista. Ora muori!” e ride di gusto. Chiudi gli occhi, attendendo lo sparo. 

“Smiley, fermati!” 

Un urlo in lontananza sembra rimbombare sull’intera isola, tanto era sembrato possente. Smiley ha gli occhi talmente sbarrati e irritati da sembrare rossicci. Ringhia come un cane e si volta. 

“Che vuoi?!” urla in risposta. 

Non ha avuto nemmeno il tempo di dirlo che qualcosa inizia a lampeggiare agli angoli dei suoi occhi. Il respiro del ragazzo perde ogni energia, le gambe gli tremano e gli occhi si capovolgono, chiudendosi solo alla fine. Smiley cade nell’acqua bassa, con la pancia bagnata, come addormentato. Qualcuno gli ha lanciato un incantesimo. Smiley addormentato pare preso da un’insolita pace e lascia che l’acqua gli entri nel naso e in bocca. 

Non hai più energie, hai perso troppo sangue. Chiudi gli occhi anche tu e svieni, in un’acqua che pare più sale che mare.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Primo giorno ***


Adepto, sei sopravvissuto alla prima notte. Da domani azzererò il conto delle tue giornate future. Sei stato molto in gamba per essere un umano. Siamo soddisfatti di te.

Durante la notte abbiamo registrato una conversazione mentre dormivi. Purtroppo non possiamo ancora comprendere la gravità delle tue condizioni fisiche fino a quando non ti sveglierai. Mi dispiace. 

Non abbiamo individuato la prima voce, ma la seconda sembrerebbe del ragazzo di nome Smiley. Ecco il resoconto: 

 

“Non lo voglio qui”

“Resterà, invece. Ricordo bene come ti sei comportato ieri sera”

“Non hai mai detto niente degli altri…”

“Zitto, Smiley!”

“Tomoko, solo perché non hanno mai reclutato un umano non significa che non sia uno di loro”

“Parli così perché ti sei divertito ieri sera e io ti ho disturbato. Ti conosco fin troppo bene”

“Già… esco”

“Torna presto e fatti un bagno!”

“Uh”

 

Chiunque sia sembra che abbia fiducia in te. Dovrai indagare sul tuo stato di salute e sul perché ti abbiano risparmiato. 

In futuro non darò più avvertimenti iniziali sulle registrazioni notturne. Ti basterà rendertene conto dal manoscritto.

Buona fortuna! Sarò vicino a te! 

 

 

Apri gli occhi. Decidi di guardarti attorno. 

La stanza in cui ti trovi è orientaleggiante, con una porta scorrevole e un particolare legno di ciliegio che avvolge l’ambiente. La finestrella in alto illumina discretamente un altarino marmoreo, spoglio, senza alcun elemento che lo possa distinguere. Il materassino su cui hai dormito è adagiato nell’angolo della stanzetta. Qualcuno ti ha stretto in una coperta pesante ricamata con pesci e ninfee rossastre. Sei sudato e quel che è peggio respiri a fatica. 

Data la scomodità delle coperte, decidi di sfilartele. Incredibilmente non vedi bende o lacerazioni. Sei ancora svestito, ma non vedi alcun segno di quello che è successo la scorsa notte. Ti tocchi la spalla, dove il proiettile di Smiley aveva bucato la carne. Non senti dolore e non riconosci cicatrici sotto i polpastrelli. È come se fosse stato uno strano e macabro sogno.

Ai piedi del letto ci sono dei vestiti piegati e pronti per essere usati, adagiati dentro un pacco regalo semi aperto. È un abito orientale blu con ricami bianchi di pesci e macchie nere, pantaloni larghi e calzini a tre dita. Indossi i pantaloni legandoti la cintura, la camicia blu sopra e i calzini te li infili con facilità. Lasci dietro di te la stanza e incominci ad investigare.

Il corridoio è breve e ha tante altre porte scorrevoli. Segui il bianco della parete e ti addenti all’interno del tempio. Qualcosa ti suggerisce di toccare il muro per non cadere. La sala in cui ti sei aperto la strada è spaziosa e incorniciata di bianco. È vuota quasi del tutto, ma le pareti sono tappezzate da giganteschi quadri, che non ricordano affatto dipinti orientali. 

Ti orienti a sinistra e osservi il primo dipinto. Vedi l’immagine di un corpo di donna, con pelle e capelli biancastri, fasciata in una veste umile, che a malapena riesce a distinguersi dalla luminosità della figura. Regge in mano la propria testa mozzata a cui pare siano stati esportati gli occhi. Attorno a sé ci sono i componenti del suo corpo: un occhio dipinto alla maniera egizia, una goccia enorme di sangue bianco, una pelle più simile a una felina che umana, delle ossa incrociate, un ammasso di carne difficilmente identificabile ad un cervello e un cuore più grigio che bianco. 

Passi al secondo dipinto. Un esploratore Stregone dalla pelle rossiccia entra in una sorgente color mercurio e ne estrae grazie ad una provetta il sangue della Dea. 

Nel terzo dipinto trovi un centauro barbuto africano, dal corpo di cavallo zebrato e il corpo umano di colore scuro. Si trova in una caverna collegata al mare. Fra gli scogli trova una statua senza braccia e gambe, completamente distrutta dalle onde, tranne che per gli occhi, gli unici visibili in quell’atro oscuro, per il colore mercurio luminoso.

Altri dipinti abbelliscono le pareti di scene simili alle Indie, Americhe e ai Circoli Artici. 

Noti un ultimo dipinto, non illuminato, nella parete centrale. Non è un affresco rinascimentale come i precedenti, ma è un dipinto medievale molto grezzo. L’ambiente è scuro e spento, stregoni e Creature Fantastiche di tante forme si accaniscono con una gioia perversa verso delle culle. Alcuni di loro infilano le mani tra le coperte, altri hanno in braccio neonati umani terrorizzati, dagli occhi piccoli e lacrimevoli e le bocche grandi per le urla. Tutte le creature sono vestite di un bianco sporco con simboli irriconoscibili. Ti soffermi su di un troll dalla pelle grigia e gli occhi strabici. Ha un’espressione quasi infuriata nell’afferrare per i pochi capelli un neonato biondo. 

Fai qualche passo indietro, prendi fiato. 

Scappi verso la porta scorrevole. Cade la pioggia da nuvole grigie e bianche e non te n’eri nemmeno accorto. Il giardino senza fiori è immerso dalle pozzanghere. Osservi il mare in lontananza, di fronte al tempio. Qualcosa di umido picchietta sul tuo calzino. Immagini che sia una goccia d’acqua, ma il colpo è stato prepotente, allora cali gli occhi. Sul tuo alluce si agita un pesciolino minuscolo e trasparente, incapace di scendere dal tuo calzino ruvido. Lo prendi tra le dita: è umido e freddo, continua ad agitarsi ossessivo. Scendi le scale, senza toccare la pioggia e vedi una pozzanghera in mezzo all’erba. Getti dentro il pesciolino che si mischia all’acqua, come se non fosse mai esistito. 

La pioggia non è altro che una caduta di pesciolini trasparenti e non di gocce d’acqua. Questi si aggrappano al tetto, scendono lungo i rami dei ciliegi e si dimenano sulle scale, cercando altri come loro per creare pozzanghere. Fai uscire una mano da sotto il tetto e il palmo ti si riempie di saltelli di tre o quattro pesciolini. Li lasci scendere tra le tue dita e t’incammini lungo il tempio. 

Sotto l’arco bianco passeggia una donna con un kimono splendente e un ombrello orientale rosso. I pesciolini non la sfiorano nemmeno. Sembra riconoscerti e ti si avvicina, con passo lento e anziano. Il kimono immacolato porta segni irriconoscibili, sfumati di nero e grigio topo. Non sembrano gli stessi segni visti nei dipinti. Nella cintura rossa porta un sacchetto che tintinna ad ogni passo 

“Ti sei svegliato!” urla in lontananza, allungando il passo. 

Ha i capelli di un grigio tanto sottile da parere bianco, legati in una lunga treccia che tocca la cintura. Ha un volto senza rughe o borse, ma qualcosa ti dice che ha molti più anni di quanto tu potresti mai avere. Gli occhi scuri sembrano antichi e vissuti. Hai la certezza che sia anziana, nonostante il volto non lo mostri affatto, eppure le mani che trattengono l’ombrello sono quelle di una vecchia, con croste, vene bluastre e ossa sporgenti. Con lentezza, ingoiando il fiatone, ti raggiunge.

“Spero che Smiley non ti abbia spaventato troppo” afferma, sorridendo imbarazzata “Il mio nome è Tomoko. Sono la sacerdotessa del tempio e gestisco quest’isola, anche se non c’è molto da fare in verità. Vedi, questo posto è notevolmente…. minuscolo” annuisci alla sua affermazione, ricordando quanto poco tempo avevi impiegato la scorsa notte a fare il giro dell’isola. 

Tomoko richiude l’ombrello e i pesciolini d’acqua saltellano sugli scalini. Si riuniscono tutti insieme e formano un pesce grosso quanto una triglia. La triglia d’acqua piovana non sembra essere infastidita dall’essere fuori da una pozzanghera. Con dei baffi da felino osserva te e la sacerdotessa, piuttosto confusa. Smette immediatamente di piovere e accade qualcosa di bizzarro. I pesciolini, quei pochi ancora fuori dall’acqua, smettono di dimenarsi e incominciano a volteggiare in aria. Ritornano nella forma di piccole gocce di pioggia, come poco prima di piovere. Salgono su, nel cielo –anche la triglia, ritorna una grossa goccia- e si ricongiungono alle nuvole. Nel giardino rimangono solo pozze d’acqua e gocce di rugiada sull’erba. Tomoko sospira, come liberata da un peso. 

“I bambini la chiamano pioggia in su, poco fa invece c’era la pioggia in giù. Sapevo che ti sarebbe piaciuta” afferma poggiando l’ombrello in un cestello vuoto che non avevi nemmeno notato. L’ombrello adesso è asciutto.

“Smiley ti deve aver spaventato a morte. Fa spesso questo effetto alle brave persone. Non prendertela con lui: ha semplicemente fatto il suo lavoro. Deve tenere lontano coloro che ci vogliono fare del male. E anche se è un tipo…” ringhia, soffocando la parola “…è comunque una compagnia per me. È una delle poche persone che mi somigliano e gli voglio bene, anche se lo sopporto da più di novant’anni” afferma per ultimo, con un broncio infantile. 

Incomincia a passeggiare sotto le assi del tempio. È molto lenta, sembra che possa inciampare anche in un granello di sabbia. Nel lobo dell’orecchio ha un buco largo, come se avesse portato per anni orecchini pesanti. La differenza tra le spalle decrepite e il viso giovane è un pugno allo stomaco. 

È una dei due traditori… deve averti medicato lei.

Dopo qualche passo, di fronte alla porta scorrevole dov’eri uscito, le chiedi perché ti abbia risparmiato. Perché abbia deciso di salvarti, nonostante Smiley volesse ucciderti, ieri notte. Tomoko strabuzza gli occhi, come se tu avessi detto qualcosa di incredibile. 

“Perché?” ripete, con voce sconvolta “Perché sei un umano. Gli umani non sono nostri nemici. Gli schiavi della Dea non potrebbero mai dare fiducia ad uno della tua specie. Li avete ‘traditi’ dimenticandovi della Dea. Smiley lo sa benissimo, eppure ha voluto comunque darti fastidio. E il peggio è che di sicuro ti sarai fatto un’idea orribile su di noi!” la sua mano si blocca alla porta scorrevole.

Fa uno strattone con la sua mano ossuta, ma non riesce a muoverla di un centimetro. Strabuzza gli occhi come un rospo e arriccia il naso come una bambina. Riprova, con più forza, ma inutilmente. Riprova anche con l’altra mano, ma pare che abbia smosso solamente l’aria. Senti un briciolo di pietà non appena il suo viso si fa rosso di fatica. La aiuti e apri la porta al suo posto, con una facilità disarmante, come se avessi semplicemente spostato una matita da un tavolo. Tomoko ti osserva sconvolta e umiliata. Lancia uno sguardo altezzoso alla porta scorrevole, con un ché di snob. Batte di nuovo le palpebre e ritorna dolce “Dopo di te”

Ritornate nella sala spaziosa dove avevi visto poco fa i ritratti della Dea. Tomoko vi si ferma al centro, con le mani strette alla cintura. Col pollice, manco fosse una ragazzina, indica l’immagine della donna nel dipinto.

“Nel tempio si teme questa divinità. Anche se sei un essere umano credo che tu la conosca, altrimenti non saresti potuto venire qui. Solo chi cerca aiuto dalla furia della Dea Bianca può entrare nel nostro mondo” annuisci. Lei lo nota, pur non muovendosi dal suo posto. Con gli occhi sembra che voglia sfidare la stessa Dea “E’ incredibile, non è vero? Questa divinità ci ha dato la vita e allo stesso tempo la possibilità di odiare e uccidere Creature Umane, Magiche e Fantastiche. In suo nome sono state compiute atrocità e massacri. Tutta colpa di questa strega…” si scuote, come ricordatasi della tua presenza. Il suo sguardo pieno di rancore verso il ritratto diventa uno sguardo rasserenato. Ti guarda come un vecchio amico. 

“Ma non parliamo di queste cose spiacevoli. Credo che hai fame. Sarà strano a dirsi, ma è ora di cena” passate in un’altra stanza. È una cucina piccola e accogliente, con un lavandino, un fornello vecchiotto e un tavolino con due sedie. Tomoko ti fa segno di accomodarti. 

La serata passa velocemente. Tomoko ti ha riempito di riso, carne e pesce. Deve aver paura che tu possa morire di fame, nonostante tu ora sia al terzo piatto. Non hai mai avuto così tanta voglia di divorare un piatto, probabilmente perché per tutto il giorno non hai aperto bocca. Lei non si è seduta nemmeno per un secondo. Continua anche ora ad andare avanti e indietro tra i piatti, il fornello e il lavabo e a parlare e parlare e parlare. Non capisci un granché di quello che dice, ma lei è piacevole e continui ad annuire. Ininterrottamente divori quel che sembra una fetta di salmone affumicato. Un paio di mani ghiacciate ti si artigliano alle spalle. 

“Ciao, coso” dice Smiley, con un sorriso divertito e un tono di voce prepotente. Tomoko si accorge solo ora della sua presenza e sobbalza anche lei con te. Smiley allarga il sorriso, come se la vostra reazione sia stata esilarante e si siede dall’altro capo del tavolino, scomposto, divorandoti con gli occhi col suo perenne sorriso. Non ha con sé il fucile, l’arco e la cintura. Nota i piatti vuoti e il suo sorriso se possibile si allarga ancora di più “Te la passi bene, vedo.”. 

“Smiley, ne abbiamo già parlato” dice Tomoko fermando il suo circuito tra stoviglie, piatti e lavabo. Il ragazzo inclina la testa gentilmente nella tua direzione. Le sue occhiaie sembrano ancora più marcate. 

“Te l’ho detto: io non lo voglio qui” Tomoko nemmeno sospira “Poi si annoierà e se ne vorrà andare. Vero che vuoi scappare da qui?” dice, avvicinando il viso al tuo. Senti il suo alito pesante. Sa di cipolle “Gli umani non sono abituati a stare tra di noi. Scommetto che non ha nemmeno un nome” 

“Basta!” tuona Tomoko. L’intero tempio pare come colpito da un terremoto. Hai avuto l’impressione che le pareti si muovessero “Resta qui finché lo dirò io!” con la mano ossuta prova a cercare un appoggio. Si rende subito conto che non ha una sedia a portata di mano, già occupata da voi due. A Smiley brillano gli occhi e il suo sorriso vacilla. Vorrebbe ridere, ma si sforza di non farlo. 

Ops” afferma, innocentemente, come un bambino. Tomoko si rabbuia. Lo fulmina dall’alto in basso. 

“Tu lo dovrai accettare” il ragazzo lascia un risolino trattenuto “E dovrà essere di famiglia” una sua palpebra tentenna “Come se fosse un tuo fratellino” Smiley abbandona finalmente il sorriso da arrogante. Guarda Tomoko come se avesse detto una parola in lingua straniera. 

“Fratellino…?” domanda, colpito. Lei annuisce. 

“E prenderà camera tua” Smiley da colpito diventa sconvolto “finché non metterai la testa a posto” il ragazzo non sembra avere la forza nemmeno di contraddirla: lo sguardo di Tomoko pare brillare di rosso “Non voglio più sentire altro!”

“Lui non può entrare in camera mia!” 

Tomoko chiude le palpebre, una vena ha scavato dentro la sua tempia. Ti afferra per la mano e ti costringe ad alzarti. Ti trascina fino alla stanza dei quadri e al corridoio di ciliegio. Smiley corre con ira dietro di voi ‘Non può entrare lì!’ ti pare aver sentito, ma non ne sei certo. ‘Tomoko! Ti odio!’ non sei nemmeno certo di questo. Oltrepassate le stanze e raggiungete la coda della corsia. La porta è occidentale, graffiata, con una maniglia arrugginita. Tomoko la spalanca, con una certa soddisfazione in volto. Dentro è tutto buio, non vedi nulla. Lei non si scoraggia e spalanca la finestra. Non vedi ugualmente un granché.

“Questa sarà camera tua. Se c’è qualcosa che ti disturba lo butterò immediatamente” afferma con grande cordialità. Smiley vi raggiunge, correndo a perdifiato. Ti scaraventa contro il muro nell’entrare nella stanza “Finché non ti sarai ambientato sull’isola ci prenderemo cura di te, com’è nostra tradizione e Smiley prometterà di non tentare di ucciderti di nuovo.

“Non può stare qui”

“Sì, invece”

“Qui ho tutto il mondo!”

“Oh, allora dovrai voltare pagina al tuo mondo”

Smiley pare più un bambino viziato e Tomoko la madre soddisfatta dalla punizione inflitta. Continuano a discutere ad alta voce, mentre ti guardi attorno. “Non prometterò di non ucciderlo!” credi di sentire: il volume è troppo alto per distinguere le parole. Le stelle riflettono quel poco di luce per vedere una scrivania disordinata, zeppa di cassetti e cassettoni. Dev’essere fatta a mano. Smiley ha una libreria che pare più un ammasso di cubi di grandezze diverse, eppure con un ordine sufficiente per sembrare interessante e stabile. 

Vedi libri ovunque. Tre pile multiformi sono poggiate come piramidi sulla scrivania e persino sulla sedia. Altre pile sono per terra, tanto alte da toccare quasi il soffitto. La libreria è ordinata in modo maniacale, ma il resto è quasi spazzatura. Osservi il tuo futuro letto. È molto triste: Smiley non fa nemmeno le coperte e quel che è peggio è che hanno un odore strano. 

I due sembrano essere arrivati ad un accordo e smettono di bisticciare. 

“E’ deciso, questa sarà camera tua!” afferma con entusiasmo Tomoko. Smiley non sorride più, ti guarda cupo, come se ti volesse spezzare le ossa “Se vuoi buttare qualcosa me lo dirai domattina. Buonanotte, ragazzi!” si volta, soddisfatta di se stessa e s’incammina verso il corridoio. Devi aver visto l’ombra di un saltello, ma non ne sei certo. Smiley riacquista un sorriso genuino. Poggia una mano sulla tua spalla, fraternamente. Ti guarda dritto negli occhi, come un fratello maggiore guarderebbe il suo fratellino. Si schiarisce la voce. 

“Se tocchi qualcosa o apri un cassetto lo verrò a sapere. E quando accadrà ti riduco peggio di ieri” e con queste parole amorevoli ti lascia, sbattendoti ancora una volta con la spalla. 

Sei stanco, nonostante tu abbia dormito parecchio. Il trauma delle tue ferite deve averti sforzato più del previsto. Ti spogli e ti sdrai sul letto, trovando le coperte con fatica. Il cuscino è troppo morbido e la trapunta è umida. Smiley non lava nemmeno le coperte. Sei troppo stanco per rifletterci su o per lamentarti. 

Chiudi gli occhi e ritorni a dormire.

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Capitolo 3
*** Secondo giorno ***


Vedi il sole sorgere dalla finestra, decidi di alzarti. Le coperte di Smiley continuano a puzzare. Probabilmente hai ancora addosso il suo odoraccio. Ti scuoti i capelli e ti vesti con gli abiti che ti aveva regalato Tomoko. 

La stanza non è cambiata nemmeno di una virgola. I libri sono ancora nello stesso identico ordine-disordine di ieri sera. Decidi di perdere tempo di fronte alla libreria, che più la guardi più sembra un ammasso di cubi. Rivolgi l’attenzione ad un cubo in particolare con romanzi in copertina blu notte. 

Leggi uno dei titoli: Harvey Porret e il Calderone di Ghiaccio. Sbatti le palpebre e ti soffermi su un altro cubo: Persen Jayken e gli Dei dell’Urano. Abbandoni la libreria e passi alla sedia: Aya Carenin, Olive Twinn e la Conoscenza di Zeo. Ti rialzi e sospiri abbastanza irritato. 

Scusaci, abbiamo avuto problemi col copyright…

Decidi di lasciar stare i titoli e osservi la scrivania. Vedi cartacce e matite gettate alla rinfusa. Alcune sono cadute per terra, con le mine spezzate e le gomme da cancellare usate per metà. Le penne invece sono in perfetto ordine all’interno di una tazza stravagante, completamente rossa, con un’unica scritta inguardabile ‘ALL’AMICO PIU’ RITARDATO DI SEMPRE :P’ scribacchiato con un pennarello blu psichedelico. La tazza ha ancora il fiocco regalo di plastica appiccicato. Ai piedi della suddetta c’è un pezzo di carta stracciato. Senza toccarlo, provi a leggerlo, anche se con fatica, vista la calligrafica complessa e palesemente maschile:

 

Ei, Mr. S. 

Ho ricevuto il messaggio ieri notte. Le cose si mettono male, eh? Ci dovevo essere assolutamente! Vedere Tomoko lanciarti un incantesimo sonnifero è totalmente il massimo!!!

Sono ancora in alto mare. Mio fratello deve continuare ad esercitarsi a fare il controllore. Ma con la mia supervisione andrà tutto bene ;). 

Fra un paio di giorni mollo l’ancora sulla tua isola e faccio un saluto anche alla tua mammina XD.

 

Il capitano migliore di sempre (e anche l’unico amico che potrai mai permetterti)

Jo-Jo

 

 

Decidi di non immischiarti più negli affari di Smiley ed esci dalla stanza. Percorri il corridoio fino alla stanza dei dipinti. Trovi qualcuno inginocchiato di fronte all’immagine della Dea. Quel che sembra una fata notturna, con capelli sciolti e scuri e le ali di falena, si alza in volo, completata la preghiera. Le fate di questa specie sono tra le più alte: le più grandi raggiungono il metro e trenta. Questa sembra piuttosto anziana, nonostante i tratti dicano tutt’altro. Ti osserva coi suoi occhioni da cerbiatto, sobbalza e scatta verso la porta. 

La vedi fuggire in lontananza, forse non solo per la paura dal sole. Lei è una creatura della notte, la luce potrebbe recarle danno o farle perdere i poteri e il volo. Rientri e torni nella cucina dove hai cenato con Tomoko. Trovi sul tavolino del tè bollente, fette di pane con marmellata, latte e cereali. Sembrano essere stati preparati per un ospite speciale, con una tovaglia decorata in modo arlecchinesco. Ti siedi e mangi.

Finita la colazione prosegui verso una porta che non avevi mai percorso e trovi una stanza aperta, ma più piccola di quella dei quadri. Si erge sullo scalino un pianoforte a corda, nero e lucido. Tomoko è lì, seduta sullo sgabello, con una specie di chitarra tra le mani che tenta di accordare. Ha un viso sereno stamattina. Lei ti vede e noti un sorriso materno. 

“Buongiorno, ti è piaciuta la colazione?” annuisci. È soddisfatta della risposta “E’ presto ma a quest’ora gli spiriti diurni cominceranno la loro giornata e gli spiriti notturni saranno già rientrati a casa. Ti consiglio di farti una passeggiata. È una piacevole mattinata” 

Sembra che la tua presenza la faccia sentire bene “Probabilmente vedrai anche Smiley. Sarà fuori a bighellonare, come al solito” ti guarda negli occhi, preoccupata “Vedi, ieri sera noi due abbiamo avuto un’azzuffata. Ti reputa la causa delle sue sfortune, povero ragazzo” dice, abbassando gli occhi sullo strumento che ha in mano, sinceramente dispiaciuta per Smiley “Perciò, se ti darà noia o proverà a vendicarsi… avvisami immediatamente”.

Annuisci alla sua proposta. Sembra essersi tolta un grosso pensiero dalla testa. La chitarra in verità è uno shaysen curvo e anziano. Dev’essere stato usato poco, eppure ora è tra le sue mani dopo molto tempo. Continua ad accordarlo. 

“Non allontanarti troppo! Anche se… dubito che ti perderai. Ah, sì, se trovi Smiley, digli che deve farsi un bagno e in fretta!” ti lascia con uno sguardo tranquillo. Hai avuto l’impressione di aver visto un occhiolino, ma non ne sei del tutto sicuro.

Esci da un’altra porta scorrevole che non avevi mai oltrepassato. È l’entrata secondaria del tempio, dove teoricamente Smiley avrebbe dovuto portarti la prima sera. Appeso al muro principale noti una gigantesca mappa. La bussola della stessa è bizzarra, con l’asse del Nord al posto dell’Est, indicando come punto principale l’Ovest. La cartina infatti non si alza, ma si allunga come un rettangolo. Mostra un gigantesco arcipelago, con tre isole principali, sei poco più piccole e altre minute che non riesci nemmeno a contare. Nessuna delle isole ha un nome, solo il mare ha una scritta in blu Lago Salato. Noti che all’estremo Ovest (ma Sud per la bussola) un’isoletta drammaticamente minuta è completamente dipinta di rosso. Quell’isoletta è sicuramente il luogo in cui ti trovi ora. Sembra piccola e insignificante rispetto alle altre isole cerchiate di verde e dipinte con monti, foreste e laghi. 

Non avevamo mai realizzato quanto fosse immenso questo luogo...

Ti avventuri nel bosco. 

Camminando noti delle creature magiche insolite. Tre saltatori stanno conversando amabilmente limandosi le loro zampe di cavalletta. Una di loro, con un cappello fabbricato con la testa di un mughetto, ti guarda strabiliata, strizzando i suoi occhi da insetto. Sussurra qualcosa agli altri due vicini e i tre ti osservano, commentando fra di loro. 

Dei mignolini sono accovacciati sui rami più alti degli alberi e mangiucchiano con il loro muso da roditori il loro pasto, forse un pinolo. Hanno l’altezza di un mignolo umano, la forma di un topo su due gambe, la coda lunga dalla punta pelosa. Fabbricano le loro case sui rami più alti degli alberi o nelle vecchie tane di insetti (dipendentemente dalla specie) coi materiali riciclati, anche degli umani. I più piccoli di loro, alti poco più di una falange, ti osservano come un animale bizzarro. 

Tre alberi viventi, due anziani e uno molto giovane, sembra che non ti abbiano notato e continuano la loro chiacchierata mattutina, coi loro volti lunghi ricavati dalla corteccia. Il più piccolo, con le foglie ancora verdi e la corteccia meno ruvida, sospira scoraggiato. 

“Ai tempi di oggi i giovani non ti salutano nemmeno”

“E’ un vero peccato” 

Il più giovane vedendoti solleva le fronde e ti saluta divertito in un linguaggio incomprensibile. I due anziani lanciano uno sguardo intransigente verso il giovane e uno verso di te. Ti squadrano come se fossi una qualunque foglia caduta dai loro rami. 

“Smettila di salutare gli estranei!”

Sorpassando gli alberi, ti dirigi verso il molo. La vegetazione si ferma improvvisamente, come se la spiaggia stessa fosse velenosa. Un folletto anziano è seduto su una panca creata con pezzi di tronco d’albero. Ha una barba bianca e ispida, tanto folta da non poter nemmeno guardarlo negli occhi. Ti scorge e ti fa segno di avvicinarti. Noti che indossa vestiti appena rattoppati, di un verde cupo. Dev’essere un folletto dell’est, i colori sono tipici dei clan di quelle zone. Scuote la barba con impazienza. 

“Sei l’umano che è appena arrivato qui?” annuisci, cosa che crea un scintillio interessato nei suoi occhi “Non vedo un umano da quando ero un ragazzo! Che strana sensazione” 

Gli chiedi come sia possibile che l’abbia saputo in così poco tempo. Avrai passato due notti sull’isola, ma hai iniziato a passeggiarci soltanto da poche ore. Il folletto butta alle spalle il berretto floscio lontano dalla sua fronte.

“L’isola è minuscola e le notizie girano alla velocità di un fuoco fatuo. Io sono un amico della sacerdotessa, mi chiamo Gundard. Tomoko mi ha detto che se tu avessi avuto delle domande ti avrei dovuto aiutare. Sai, per ambientarti meglio. Ora che sei qui diventerai uno di noi” 

Credo sia il caso di approfittarsene. 

Rispondi di avere dei dubbi su molte questioni. Gundard per la prima volta spalanca completamente gli occhi. Sembrano due mosche nere eccitate dentro le palle delle iridi. 

“E a che servono i vecchi come me? Dimmi tutto!”

Gli chiedi perché esista un arcipelago come questo. Si gratta la barba, rimuginando sul discorso da farti.

“Tutto quello che vedi è frutto di battaglie e sangue, ragazzo. Sai dei Malefici, gli schiavi della Dea? Sono coloro che vollero ricreare la Dea Bianca. Che idioti!” esclama d’un tratto, battendosi la mano sulla coscia “Ricreare una dea, portatrice di disgrazie per giunta! Capisci che erano dei pazzi. Dopo aver trovato oggetti mistici nel Nuovo Mondo hanno perso completamente la testa. Hanno incominciato a fare esperimenti su varie creature, su tutti coloro che erano d’accordo con la loro fede

Dato che il loro lavoro non stava dando i risultati sperati hanno cominciato a mettere in mezzo anche persone che non erano d’accordo con le loro idee. Per iniettare una parte della Dea in loro” le palpebre ritornano all’interno della barba, cupo “Alla fine hanno compreso che gli unici capaci di assimilare un potere del genere… erano gli esseri umani”

Il Lago è insolitamente calmo, non si alza nemmeno un fischio di vento. Gundard sembra perso in un dettaglio alle tue spalle, eppure non c’è niente che potrebbe turbarlo. 

Chiedi se loro rapissero bambini umani dalle culle.

“E non solo: figli illegittimi, neonati abbandonati, bambini che vivevano per strada. Sono stati arruffati tutti in ogni continente, anche nel Nuovo Mondo. Immagina quanti anni sono passati da quando arrivarono a delle conclusioni: solo all’inizio del secolo scorso! E poi accadde una rottura”

Il cappello gli scende di nuovo sulla sua fronte e sulle sue orecchie lunghe. Rimugina ancora su quello che vorrebbe dirti, come se cercasse di nascondere qualcosa di spiacevole. Alla fine alza la testa e si raddrizza sul tronco. 

“Varie Creature come noi, Magiche e Fantastiche non ne potevano più di tutto questo e hanno deciso di liberarsi di loro. Dopo aver vinto la guerra, Tomoko e Karoo con la loro magia hanno creato queste isole e hanno esteso una protezione su tutti coloro che odiano la Dea Bianca e i Malefici che ci perseguitano ancora, là fuori. E anche per tutti coloro che hanno sofferto di più questa guerra”

Ora capisci perché guardasse alle tue spalle. Chiedi se stia parlando di Smiley. Lui annuisce, ma in modo bizzarro, come se provasse tristezza e disgusto allo stesso tempo nel sentire il suo nome. 

“Quel ragazzo lo compatisco e lo disprezzo allo stesso tempo. È stata una follia impiantare magia illimitata nei corpi di bambini umani. Hanno una mente fin troppo ampia per assimilare una forza del genere e i loro corpi subiscono conseguenze terribili. Non so esattamente quale sia il suo potere, ma so che si diverte ad usarlo. Karoo dice che è il suo modo per ridere della situazione, ma lo guardo comunque con disgusto. La magia è pericolosa nelle mani di uno come lui. Il nome che si è scelto quand’era bambino è agghiacciante e orribile. Mi meraviglio che se lo sia tenuto finora” 

Ti chiedi chi sia Karoo. Gundard pare sorridere anche con la barba. 

“Il secondo creatore dell’arcipelago, ovviamente! Credi che una mezza strega, creatrice di oscurità come Tomoko abbia fatto tutto questo da sola? Era necessario anche un creatore di luce come un mago. Entrambi hanno partecipato alla guerra e hanno recuperato quei poveri ragazzi. Chissà che fine avrebbero fatto se fossero stati lasciati là fuori. Non voglio nemmeno immaginarlo”

Chiedigli dove si trova! È importante!

Gli chiedi di Karoo. 

Gundard indica il Lago Salato in lontananza, come se il mago si trovasse poco più lontano del suo dito.

“Vive all’estremo Nord, in un’isola confinata tra le montagne e i geloni. L’ultima volta che l’ho visto è stato due mesi fa. Spero che ritorni preso, così il ragazzo potrà sfogarsi con qualcuno. Anche se è bizzarro ed inquieto ha pur sempre bisogno di qualcuno che lo comprenda”

Gli chiedi se Smiley abbia amici e non solo la presenza di Tomoko e Karoo. Il folletto pare trattenere una risata ironica. 

“È un miracolo anche solo che voglia ascoltare qualcuno! Però… in effetti lo vedo insieme al capitano della Rosa Bianca da un anno o più, ma non sono nemmeno certo che vadano d’accordo. Quel ragazzo è bizzarro” e annuisce fra sé.

Gli chiedi cosa sia la Rosa Bianca. 

“E’ la nave con cui è possibile viaggiare per le isole. L’acqua è incantata: qualsiasi Creatura Magica o Fantastica che ci galleggi sopra diventa acqua essa stessa. Corrode anche gli oggetti che ci galleggiano, meno che le Creature Umane e le sirene. Immagino che potresti nuotarci dentro, ma non in mia presenza, per carità, troppe emozioni! Sai perché gli umani sono diversi dai maghi, gli stregoni e le Creature Fantastiche come me?”

Un ripasso non fa mai male.

Scuoti la testa. 

“Pensa ad ogni singola creatura che tu conosci. Immagina che sia un contenitore, immagina inoltre che ogni contenitore possa contenere un tipo di magia formata dalla luce del sole o dalla luce della luna. Un mago ha un corpo simile a quello di un essere umano, ma è un contenitore formato da luce, in grado di usare magie derivate dal sole. Lo stesso vale per gli stregoni, ma nel verso contrario: immagazzinano magia dalla luna. Una Creatura Fantastica come me invece è sia un corpo che un contenitore. Un folletto è stato creato da luce solare, invece un mangiasogni da luce lunare. Gli umani hanno un corpo neutro, perciò non possono trattenere né magia bianca né magia nera. Per questo è folle dare un potere del genere ad un umano: ne subirebbe le peggiori conseguenze!” 

Sciocchezze…

“Il Lago Salato agisce contro chiunque provi ad entrare qui che non è il benvenuto. Chi oltrepassa la barriera si ritroverebbe direttamente in acqua, anche se non accade sempre. Una Creatura Fantastica si scioglierebbe completamente. Un mago o uno stregone perderebbe completamente magia e se non sa nuotare sono affaracci suoi. Un umano invece può farcela, se una sirena non se lo mangia in un sol boccone, ovvio”

Gli chiedi altre informazioni sulla Rosa Bianca.

“La nave si ferma qui ogni settimana, anche ogni tre o quattro giorni se hai fortuna” incomincia ad alzarsi, con i suoi piedi scalzi e le unghie lunghe, ma pulite “Ora devo andare a cercare mio nipote. È da stamattina che mi sta tartassando le orecchie. Il pranzo di sicuro gli rimetterà la testa sulle spalle”

Detto questo si avvia alzando un braccio a mo’ di saluto. Il sole si è alzato a forza di chiacchiere. Dev’essere ora di pranzo. Ti avvii anche tu verso il tempio. Raggiunta la cucina trovi Tomoko che pranza con una scodella di zuppa. Vedendoti ti da’ un buffetto sulla guancia e ti serve il pranzo. Mangiando le racconti delle creature che hai visto stamattina e di Gundard. Lei conferma di avergli chiesto di ambientarti. L’idea di tenerti vicino a lei sembra elettrizzarla. Finito il pranzo la aiuti a riordinare la tavola. Lei ti porge una ciotola tiepida e un cucchiaio di legno.

“Vai a cercare Smiley. È da ieri notte che non lo vedo e non mangia niente” ti congedi e ti avvii alla sua ricerca. 

Camminando nel bosco ritrovi le creature, chi con la pancia piena chi sonnecchiante. Trovi una fata identica a quella che avevi visto stamattina, ma con sfumature gialle e dorate, come una gemella della luce. Pranza con le gambe a ciondoloni sul ramo, imboccandosi delle pesche sbucciate. Non ti nota nemmeno e continua a mangiare. 

Nel mezzo del bosco trovi Smiley, in uno spiazzo di terra battuta senza alberi. È seduto su un tronco spezzato, affiancato ad una scrivania che più la guardi più sembra solo una semplice cassa di legno, aperta dal lato delle gambe. Si rigira tra le mani un mazzo di tarocchi. Vedendoti, allarga il sorriso. 

“Buongiorno, fratellino!” sottolinea, sghignazzando il tuo nuovo soprannome. Gli porgi la ciotola. Te la strappa dalle mani. Apre l’involucro del fazzoletto “Oggi devo lavorare, quindi non respirare la mia aria” afferma, rigirando il cucchiaio tra i fagioli e i ceci, come rimuginando se mangiare o no. La cosa strana è che non sembra che non gli piaccia il piatto. Non sai dove sederti, quindi ti accomodi su un tronco poco lontano. Smiley pare essersi deciso e si imbocca lentamente, con una certa finezza. I suoi occhi sembrano rossicci e le borse sotto agli occhi ancora più nere. Forse non ha dormito nemmeno stanotte. Vedi qualcosa scattare velocemente di fronte alla scrivania. 

“Ah, Takeomo!”

 Takeomo è una volpe poco più alta di un umano, dal pelo sbrindellato e incolore. Indossa un kimono grigio topo, con ricami antichi e una parrucca della sua misura, come per imitare un umano per metà calvo. Un mantello violaceo gli ricade lungo le caviglie dritte, con un cappuccio ben ricamato. Dall’altro lato della scrivania si erge sulle due zampe, indicando il ragazzo come se fosse colpevole.

“Tu!” stride tra i denti. Smiley, in tutta risposta, mostra un sorrisino cortese e lo invita a continuare “Ho bisogno del tuo aiuto. Mia moglie… sa?” 

Smiley si imbocca un’altra volta, mastica con calma e ingoia. La volpe osserva ogni suo movimento con impazienza e agitazione. Deglutito, si passa la lingua sulle labbra. 

“No, ma immagina” Takeomo sussulta, Smiley si imbocca ancora “Ti consiglio di non portarla in casa stasera: Umiko ti guarderà da dietro la porta” sollevata, la volpe sospira. Gli occhiacci di Smiley incominciano a brillare e il suo sorriso si curva in qualcosa di macabro e malizioso “Potrei chiudere bocca con tua moglie se tu…” Takeomo si strozza col suo respiro “…mi regalassi il tuo mantello. Mi piace così tanto”

La volpe rigira gli occhi, seccata. Si slaccia il mantello viola scuro e lo getta come se fosse uno straccio sulla scrivania di Smiley. Il ragazzo pare soddisfatto e lo trascina sotto la cassa. Takeomo non rialza lo sguardo, né alza la mano per un saluto: si getta sulle zampe anteriori e fugge via, talmente veloce da spezzare l’aria. Senza avere il tempo nemmeno di alzarti dal tuo tronco, qualcosa scatta e si lancia su Smiley.

“Buongiorno, Umik-”

Lui dove?!” Smiley batte più volte le palpebre con il sorriso paralizzato. Non ha apprezzato l’essere interrotto. Umiko è una gatta grigia simile al marito in altezza, con un kimono verde e una parrucca nera di un’acconciatura orientale, estremamente complessa. Setaccia coi i baffi la scrivania e anche la divisa sporca di Smiley. Il forte odore la fa indietreggiare. Smiley non ha apprezzato nemmeno questo. 

“E’ venuto qui poco fa. Ti avevo detto che avesse un’altra oltre a te” afferma, imboccandosi più volte, facendo drizzare di rabbia i baffi della gatta “Ha rimandato un appuntamento per stasera. Domattina verso l’alba li troverai sull’uscio di casa. Sembra che abbia paura di una tua reazione” e si imbocca. 

“Ovvio! Appena lo vedo con quella lo ammazzo! Gli faccio vedere io chi comanda in famiglia!...e cosa vuoi in cambio?” chiede, con una certa preoccupazione nello sguardo e coi baffi abbassati. Smiley si lecca le labbra. Non sorride, non mostra interesse, come se la sua futura richiesta sia una banalità. 

“Oh, niente di che” afferma, alzando le spalle “Una cosa di Takeomo: ha un vecchio orologio da taschino che vorrei avere” Umiko ritorna con lo sguardo trionfante. 

“Me ne sbarazzo volentieri! Non so nemmeno perché lo conservi: non ha neanche le lancette”

Senza nemmeno vederla voltarsi se ne va, velocissima. In pochi attimi ritorna la figura della gatta che getta sulla cassa come nulla fosse un orologio da taschino dorato, senza cinturino e senza lancette, col vetro senza crepe ma tanto sporco da essere diventato marrone. Smiley se lo mette in tasca, con un sorriso soddisfatto. Ritorna a mangiare la zuppa. 

Chi si avvicina è lento e lo riesci ad identificare immediatamente. E’ un folletto dal viso giovane e le orecchie fibrillanti che zampetta con fatica sulla scrivania. Smiley continua a mangiare, come se non esistesse. Il folletto riprende fiato dalla corsa, asciugatosi la fronte. Smiley continua a mangiare. 

“Hey, Smiley, sono Wyllo! Il nipote di Gundard. Non so se te lo ricordi” finalmente alza gli occhi, senza alcun desiderio di aprire bocca. L’altro sembra non aver notato nulla, continuando a saltellare su un piede “Mio nonno non è d’accordo, ma volevo una profezia da te” Smiley continua a rimanere impassibile “Riuscirò a raggiungere l’Isola Maestra?” 

Smiley capisce che rimanere con la faccia nell’ombra non potrà cambiare nulla, quindi si asciuga la bocca col pollice e poggia il mento sui dorsi delle mani. 

“Sì” afferma, senza emozione “e riuscirai ad aprire il tuo negozio di scarpe. Diventerai ricco e realizzerai il tuo sogno” conclude freddamente, come se leggesse un copione noioso. Questo non toglie la felicità a Wyllo che osserva il ragazzo come se si fosse tramutato in oro zecchino. 

“Ma come…? Ah, giusto. È fantastico! Ti devo qualcosa?”

“No, non puoi darmi niente di utile” conclude in fretta Smiley, inchiodando lo sguardo sul folletto, desiderando palesemente che sparisse dalla sua vista in meno di un battito di ciglio. Questa sola affermazione fa riflettere internamente Wyllo, come se avesse realizzato qualcosa di immenso in poco tempo. Si gratta la testa piena di capelli bruni ed esclama, pieno di grandezza interiore. 

“Quindi… noi due siamo amici?”

Uno sghignazzo viene bloccato in tempo da Smiley. Ma ormai l’ha udito chiunque nel raggio di dieci metri, persino il folletto con le orecchie cadenti che ha appena realizzato di aver detto qualcosa di immensamente stupido. Un sorriso compassionevole si para negli angoli della bocca del falso umano. Un barlume di luce punzecchia i suoi capelli troppo lunghi e unti di sporco. Guarda Wyllo come un borghese guarderebbe un popolano. 

“Diciamo che se qualcuno ti dovesse conficcare un pugnale nella spalla io ti aiuterò a toglierlo”

Conclude chiudendo gli occhi e allargando il sorriso, scoprendo i denti giallastri. Wyllo si rende completamente conto di essere stato preso in giro. Si volta, guardando imbronciato Smiley e sospira, nascondendosi nelle spalle “Un no era più che sufficiente…” 

Sparito il folletto tra gli alberi, Smiley riprende in mano le carte allineandole con fare annoiato, come se le sue ricompense non l’avessero soddisfatto abbastanza. Non sembra venire più nessuno, quindi ti avvicini. 

Gli chiedi se abbia mentito o se abbia davvero predetto il futuro a Takeomo, Umiko e Wyllo. 

Smiley ride ad alta voce, con le corde vocali stracciate. Sembra che stia soffocando, come se quel che avesse sentito sia talmente stupido da farci una battuta sopra. 

“Sei veramente un idiota” afferma, smettendo di ridere. Vorresti aggiungere qualcosa ma ti anticipa “Non ho mentito a nessuno, nemmeno a Wyllo. Diventerà veramente ricco e avrà il suo negozio di scarpe nell’Isola Maestra, nella terza piazza, affianco al negozio di orologi dell’incendiario Crodius… ma morirà prima di salpare sulla Rosa Bianca” afferma l’ultima frase come se fosse un particolare poco importante.

Nota il tuo sguardo dubbioso. Smette di mischiare le carte poggiandole sulla cassa. Ti guarda sfidandoti con uno dei suoi numerosi sorrisi arroganti.  

“Ah, non mi credi? Mischia il mazzo” dice, invitandoti a prendere in mano le carte. Afferri i tarocchi dai suoi guanti senza dita. Ha le unghie mangiucchiate e i polpastrelli imbrattati di terra. Mischi il mazzo, lo tagli e guardi la carta che hai in mano. Uno scheletro spinge con fatica una ruota fabbricata da costole e femori dei suoi vicini. Smiley non alza lo sguardo per sbirciare. 

“Hai la Ruota della Fortuna” annuisci, poggiando la carta sulla cassa “Dovrebbe accaderti qualcosa di…” perde lo sguardo dietro di te “…bello”

E’ apparso un unicorno grande quanto un pony. Saltella ingenuamente verso i rami più bassi di un albero, incuriosito da un fiore. Ha il manto color oro e la criniera corta, gli occhi di un profondo azzurro e gli zoccoli lisci. È un cucciolo. Smiley osserva il piccolo voracemente. Lentamente si sporge sotto al suo tronco, in cerca di qualcosa. Noti la faretra e l’arco. Gli unicorni sono creature benevole e pacifiche, nonostante la loro natura schiva. Amano la luce del mattino e le sorgenti. Smiley tocca con le unghie una freccia. Sono rari e rispettosi nei riguardi delle creature diverse da loro. Il piccolo alza le orecchie guardando Smiley. Comprende il pericolo e galoppa via. Smiley mette il broncio e sospira con impazienza. 

“Un’altra carta” mischi il mazzo, lo tagli e peschi. Un altro scheletro con la mascella spezzata, le fibbie incrociate e una bilancia in mano. Ti osserva con sguardo vuoto verso di te. Smiley riacquista la serenità e annuisce, convinto “Hai la Giustizia. La prossima è la Morte”

Mischi il mazzo, lo tagli e peschi. È la Morte, in forma di scheletro, col cappuccio nero e la falce nella mano. Ai suoi piedi ci sono creature magiche e umane, accalcate in una fossa comune. Smiley allinea le tue tre carte, carezzandole con le unghie. 

“Quindi… partirai per un viaggio che ti porterà fortuna e amicizie. Alla fine della tua spedizione scopriremo tutto su di te. Sapremo che sei una persona orribile ed egoista, che si trova qui soltanto per il suo divertimento. Giustizia sarà fatta, la morte ti taglierà la gola e nessuno si ricorderà mai di te”

Smiley inclina gentilmente la testa verso di te, come se non avesse detto nulla. Batte piano le palpebre, divorando la tua reazione. Ritorni al tempio, sentendo il suo sguardo rapace alle tue spalle.

Tomoko ti ha aspettato finora con lo shaysen in mano. Si meraviglia che tu sia tornato prima che il sole tramontasse. Ti ammonita di cercare più meraviglie nell’isola, dandoti perfino il permesso di rimanere sveglio fino a tardi per conversare con le creature oscure. Ti osserva mangiucchiare la cena anticipata e ti chiede se qualcosa ti turbi. Racconti quel che è successo e della predizione di Smiley. Riferito tutto, Tomoko mostra uno sguardo di pietra, inquieto, ma desideroso di non esserlo. La predizione sembra averla scossa. 

“Gli parlerò appena tornerà a casa, dopo che si sarà esercitato col pianoforte. Gli piace suonare a tarda sera. Se senti i tasti del piano sarà di sicuro lui”

Ti bacia sulla fronte e ti accompagna fino a quella che prima era camera di Smiley. Augurata la buonanotte, ti saluta. La stanza ha un ordine nuovo. I libri ammucchiati sul pavimento sono stati spostati nell’angolo della stanza, distribuiti perfettamente. La scrivania è quasi del tutto deserta, meno che per la tazza e le matite. Il messaggio è sparito. Il letto profuma di buono e non è disfatto. Tomoko ha pulito la stanza per te.

Entri sotto le coperte dopo esserti sfilato i vestiti. Stanotte la luna è tagliata a metà come un’anguria e le stelle sono ben visibili. Chiudi gli occhi e incominci a dormire.

Poco dopo spalanchi gli occhi, ma non vedi nessuno. Per un attimo hai avuto l’orribile sensazione di annusare un alito pesante e di vedere degli occhiacci scuri in fondo alla stanza. 

È solo una stupida fantasia, quindi ritorni a dormire. Ti avvolgi nella coperta fino alla testa, per precauzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 





Vorrei ringraziare i volontari che hanno deciso di intraprendere questo viaggio con me. 

Ringrazio camillavaamare e Silver saiyan per aver accettato l’annuncio ed essere i miei compagni di avventure. Stiamo andando bene, siamo soddisfatti di voi! Annoteremo altre informazioni il mattino dopo. Vedremo come procederà la missione.

Ringrazio anche i compagni silenziosi. Siete sempre i benvenuti nel nostro gruppo.

Ricordate: lo stiamo facendo in nome della Dea Bianca.

 

 

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Capitolo 4
*** Terzo giorno ***


Un suono difficile da distinguere ti fa aprire gli occhi. Svegliato, ti rimetti in piedi. Il suono è probabilmente quello di uno strumento musicale. Non ti viene subito in mente, ma ricordi che Smiley ama suonare di sera, come aveva detto Tomoko. Eppure le note provengono fuori dalla tua finestra. 

Avvicinato, la spalanchi. Il suono si intensifica, come se avessi distrutto una barriera. Fuori c’è uno spesso strato di nebbia, non così spesso da non poter vedere in lontananza. Un bagliore di luce ti acceca per un attimo. Osservi la scena fra le dita delle mani. Sul Lago Salato, ad un passo dal molo, c’è la fregata color mercurio che hai visto la prima notte. Galleggia leggiadra sull’acqua e attracca, buttando sul molo i suoi tre ponti neri. 

Incominciano a scendere dalla Rosa Bianca spiriti notturni. Riconosci un fuoco fatuo color mirtillo che volteggia direttamente verso la riva, un goblin dall’aria poco convinta, una fata dalle ali di pizzo e dai capelli color petrolio. Ne scendono altri, non tantissimi. Alcuni rimangono a bordo, adocchiando l’isola con interesse o timore, cosa bizzarra per degli esseri oscuri. Un fantasma trasparente, ma dallo spettro color magenta si ravviva e decide di scendere, non come il vampiro a bordo, che si stiracchia addormentato o come lo scheletro svestito che osserva con malinconica tristezza gli alberi del bosco.

Riconosci la causa del rumore. Non era un pianoforte. Durante l’intero sbarco un ragazzo ha continuato a suonare un violino. Riesci a malapena a vederlo, ma riconosci un’uniforme rosso fiammante, nulla di più. Il ragazzo, accertato che il porto sia sicuro, smette di suonare la sua nostalgica melodia e sparisce sottocoperta, dando una pacca sulla spalla al vampiro che, svegliato, si guarda attorno confuso e, alzate le spalle, si riaddormenta. 

Altri spiriti delle tenebre corrono giù, come ritardatari. Sembrano scesi poco meno di una cinquantina di loro e altre creature di forma vagamente umana. Noti con fatica lo sventolare di una bandiera, con lo stemma di una Rosa Bianca. La vista della stessa ti ricorda di avere sonno.

Sbadigliando, ritorni sotto le coperte. 

Al mattino ti svegli intorpidito. Osservi il sole dalla finestra e noti che sia ben alto nel cielo. Dev’essere molto tardi. Alzato in piedi, noti un bigliettino scribacchiato con eleganza accanto ad un vassoio di cibo e ad una tazza di tè. Prendi in mano il messaggio ricamato su carta:

 

Stai ancora dormendo, non ti sveglierò. 

Sono andata con Smiley a salutare il capitano della Rosa Bianca. Te lo presenterò quando ne avremo l’occasione.

 

Ti ho lasciato qualcosina. Buon appetito <3

 

Può disegnare dei cuoricini?!

Poggiato il biglietto incominci a bere il tè. Fuori dalla finestra noti che ci sia confusione. Osservi il trambusto fuori dalla finestra: spiriti solari che non avevi mai visto hanno l'aria di essere scesi dalla nave a quest’ora, se non prima. Ti vesti ed esci fuori dal tempio. Non hai incontrato Tomoko e nemmeno Smiley. 

La quantità di Creature Fantastiche e di confusione sembra essersi concentrata sul molo. Ti dirigi lì, attraversando i tre saltatori, gli alberi viventi e avanzando verso la spiaggia. Gli spiriti della luce sembrano ben più numerosi di quelli oscuri. Riconosci un elfo silvano del sud con quella che sembra sua moglie e suo figlio neonato. Come i genitori, gli sono cresciute le orecchie a sventola (negli anni si faranno a punta), la pelle color cioccolato e gli abiti selvaggi ricavati da bufali di tempesta, tipici delle loro regioni. Sbatti per sbaglio contro una fata minima e per poco non calpestavi una famiglia di mignolini. Il trambusto è stressante, quindi decidi di sederti sulla panca lì affianco, stranamente vuota. Riposare sembra essere l’ultimo pensiero di tutti loro.

Seduto, il molo incomincia a sgombrarsi: i mignolini vengono accompagnati dalla famiglia di elfi fino ai rami più alti, i saltatori saltellano sulle tre teste gelatinose di un omingo raggiungendo in volo la terra ferma. Youkai di varie nature scendono con grande velocità dalla nave, tra cui una volpe dal pelo curato e i baffi in su. Oggi non è scesa nemmeno un po’ di nebbia. 

“Sono abbastanza grande per decidere della mia vita. Mi sono cresciute fa le orecchie a punta già da due decenni, nonno!” guardi di fianco a te, poco più in basso. La nebbia non ti ha fatto riconoscere Gundard e Wyllo. Il nonno sbatte la scarpa aperta a terra. 

“Hai solo trentasei anni, per amor del Cielo, Wyllo!” ribatte il più anziano, aggrottando il tono della voce. Ricordo che, rispetto agli umani, i folletti sono poco più longevi di una trentina d’anni. 

“Io mi imbarcherò, che ti piaccia o meno l’idea!” urlato questo si volta e fugge via. Un gruppo di fate minime grandi quanto una pallina da tennis guardano Gundard con imbarazzo e svaniscono in un battito di ciglia. ‘Anche tuo padre era un idiota come te’, credi di aver sentito sussurrare. Gundard si volta e i rossori sulle guance spariscono come per magia. 

“Buongiorno, amico umano!” esclama “Questa è la Rosa Bianca. Fa grande scena, eh?” 

Volti lo sguardo dove sta indicando il dito grassoccio di Gundard. Stamattina la fregata splende di un bianco molto più simile al candido che al mercurio. I tre alberi si ergono con maestosità, le vele legate sono strette con cura e la bandiera volteggia in alto sulla nebbia. Il ponte è ancora aperto, la nave ha con sé altri passeggeri a bordo. Non li riconosci, ma sai che sono di forma Fantastica. 

Chiedi a Gundard perché la fregata sia così bianca. Il vecchio si strofina la testa povera di capelli sotto il berretto. 

“Beh…” incomincia, già perso “Sai, non lo ricordo. È fatta di un metallo impossibile da corrompere al Lago Salato. Sarà stata creata dal potere di uno dei ragazzi di cui ti ho parlato ieri” smette di agitarsi e sbotta “Accidenti… dovrei chiedere a Tomoko”

Il Lago Salato oggi è piuttosto vispo: le onde si sporgono timide per toccare la nave e il vento caldo ti toglie il fiato. Il movimento sulla fregata sembra essersi spostato anche verso le vele. Guizzi di luce saltellano sul posto di vedetta, in un moto impaziente. 

Chiedi al folletto per quanto tempo sarà ancorata la nave. 

“Fino a quando la luna non sarà sopra le nostre teste” risponde prontamente “Come credi che possano salpare anche gli spiriti oscuri?” 

Il mare in lontananza sembra non avere una fine. La mappa nel tempio indicava isole gigantesche rispetto alla tua, mostrando quella che ricordi fosse un ideogramma di una grande città. Finora Gundard ha osservato l’unico umano esistente qui con un sopracciglio alzato. 

“Vorresti viaggiare anche tu?” chiede, sapendo perfettamente la risposta “I giovani… proprio strani” afferma con convinzione “Quest’isola è così piacevole e tranquilla. Perché perdere tempo all’Isola Maestra? La Rosa è diretta lì. Potrai visitare la città più grande dell’arcipelago. Probabilmente molti folletti come noi hanno un lavoro e una vita migliore della nostra…”

Grugnisce col naso, come se qualcosa si fosse conficcato dentro la narice. Si siede senza preavviso sulla tua panchina. L’ha fatta ondeggiare pericolosamente verso l’acqua magica. Sembra meditare qualcosa dentro di sé.

“Credo che resterò qui. Nel caso Wyllo volesse salpare. Glielo impedirò con tutte le mie forze” afferma con grande orgoglio. Non ha nemmeno completato il discorso che già ti sei alzato e te ne sei andato verso il tempio. Lanci un’ultima occhiata alle tue spalle: Gundard è ancora là, in mezzo alla striscia di legno, attendendo l’attacco di un invasore.

Percorri la strada all’indietro, verso il tempio. Tomoko dev’essere già ritornata dalla visita col capitano, dopotutto è ora di pranzo. Incroci gli alberi viventi. 

“Quanto sarebbe bello viaggiare fra le isole sulla Rosa Bianca”

“Puoi dirlo forte. Dev’essere emozionante avere piedi o ali al posto di radici”

Il più piccolo ti aveva già visto da lontano. Scuote nuovamente le foglioline, salutandoti con energia. I due grandi sono perplessi: guardano il piccolo, poi te, senza riuscire a vederti. Osservano il molo alle tue spalle.

“Smettila di fantasticare sui viaggi impossibili!”

Continui il tuo cammino. I tre saltatori non smettono di conversare, non ti notano nemmeno. Quella col cappello dai petali blu sembra eccitata e con le zampette sottili crea la forma della Rosa Bianca in mezzo all’erbetta. I due concordano. I mignolini incominciano a pranzare con grossi mirtilli. Due dei più piccoli osservano in lontananza la nave, con occhi pieni di meraviglia. Qualcosa attrae qualunque abitante dell’Isola Minima verso la Rosa Bianca. 

Sorvoli il giardino ed entri nella sala principale. Ai piedi dell’immagine sacra c’è la fata dai capelli color oro che avevi visto ieri. Prega in ginocchio, come la gemella della notte, senza rivolgerti uno sguardo. Sono inginocchiati anche l’elfo silvano, senza moglie e bambino, che brucia un fiore di ciliegio sulla fiamma di una candela. Ci sono anche delle fate minime di uno sfavillante giallo e arancione, un youkai dalle fattezze di un rospo e un alidoro poggiato a terra con il corpo di un tigre, le ali e la testa di falco e la coda leonina.

Tomoko passeggia fra i credenti e ti si avvicina con una candela. 

“Sei tornato!” dice a bassa voce “Stanno tutti pregando, lasciamoli soli” afferma, accompagnandoti in cucina.

Tomoko ti passa il pranzo con una particolare felicità. L’incontro col capitano deve averle giovato “Sono gli ospiti diretti verso le altre isole. Stanno pregando affinché raggiungano le loro case senza pericoli. Alcuni di noi si imbarcheranno questa sera, prima che tramonti il sole. Gli spiriti notturni lo faranno prima che si alzi la luna in alto tra le stelle. Fra poco ci sarà il Solstizio d’Estate. L’Isola Maestra di solito festeggia coi fuochi d’artificio. È una festa importante, dove luce e oscurità si riuniscono”

Non hai toccato cibo. Osservi la sacerdotessa sbattere la treccia avanti e indietro per i ripiani della cucina. Ti dà le spalle, eppure immagini la gioia che possa avere nel ricevere ospiti su un’isola così piccola. Forse avrà già incontrato Creature Magiche e Fantastiche che non vedeva da chissà quanto tempo. Tomoko mette l’acqua sul fuoco per il tè. 

Dici di voler partire anche tu per l’Isola Maestra. 

Cala un silenzio freddo nella stanzetta. Tomoko si è bloccata, come trasformata in una statua di sale. I secondi passano come anni e alla fine si volta, con uno sguardo che mostra tutt’altro che rabbia o paura o incomprensione. 

“E perché dovresti farlo?” risponde con semplicità. Ha la voce ferma e gentile, ma le mani sulla tazza di tè sembrano terribilmente deboli “Questa è casa tua adesso. Non hai bisogno di cercare nient’altro in nessun’altra isola”

Dì di voler incontrare Karoo. Fai l’umano. 

Dici di voler incontrare Karoo per sapere come ritornare a casa tua, nel tuo mondo, fra gli umani.

“No, non te lo posso permettere” ti interrompe con occhi freddi. Ha uno sguardo severo, ma cedevole. Abbandona la tazza decidendo ti avvicinarsi al tavolino “Fuori da queste Isole non c’è niente. Nel tuo mondo la magia è scomparsa quando le Creature Magiche e Fantastiche hanno incominciato a popolare il nostro arcipelago. L’umanità è sicuramente in preda ai suoi istinti peggiori. Non credo che ci sia più nessun altro che possa stabilire l’ordine là fuori” 

Si ravviva la treccia con nervosismo. Ora le sue mani tremano. Schiocca le dita e l’acqua sul fuoco svanisce in un bagliore grigio topo. Finito di tormentare la treccia, si sposta sulla cintura color cremisi. Le tasche sono vuote, eppure emanano un odoraccio di ferro e spezie ricercate. 

Cerchi di convincerla.

“Ti ho detto di no” alza la voce severa. Non si sforza più di essere gentile. Ti tiene stretto per le spalle. I suoi occhi tristi si incastrano sui tuoi “Non voglio che tu mi lasci sola” deglutisce, come vergognandosi di quello che stava per dire “I Malefici sapranno che tu sia venuto qui. Ti faranno delle cose orribili per poterci distruggere. L’hanno fatto in passato e lo faranno anche con te. Credimi, non andare” 

La stretta alle spalle si fa più insistente, nonostante abbia riavuto indietro il minimo di contegno. La sua reazione sembra fin troppo eccessiva. Tutto questo è incomprensibile. Osservatoti per quelli che paiono secoli, lascia la presa. Ha un viso inespressivo. Dall’altra parte della porta si sentono dei mormorii sorpresi. Gli spiriti che stavano pregando hanno sentito tutto. Tomoko ha uno sguardo di ghiaccio.

“Ti proibisco di uscire fino a domani mattina. Saluterò io i ragazzi al tuo posto. Così ho deciso” afferma, avviandosi verso la porta scorrevole, spalancata come se nulla fosse. Noti per un attimo l’elfo silvano e lo youkai rospo che se potessero, a giudicare dalle loro espressioni, diverrebbero viola di imbarazzo. 

Attendi che la sala si svuoti. Hanno impiegato molto tempo per andarsene. Ai piedi del ritratto della Dea ci sono dei mignolini così tanti da poter occupare insieme, ammucchiati, un’intera scrivania di ufficio. Dev’essere un intero villaggio, che prega per la salute dei loro compagni. C’è anche un germini dalla pelle nocciola e vischiosa. Sono due creature nate insieme, dallo stesso rigurgito di drago, presentati spesso grazie ad una figura umana ma con due teste e forse con quattro braccia. Questo qui ne ha tre. Dev’essere anziano e una dev’essergli caduta. Gli gocciola un pezzo di scapola.

Ritorni nella stanza di Smiley. Aspetti che accada qualcosa, ma Tomoko non ritorna al tempio. Intanto il cielo si sta oscurando e il sole sta tramontando. Provi a guardarti attorno e solo ora noti un baule dietro la porta. Il legno è talmente trascurato che si sta sbucciando da sé. Ci sono dei vestiti piuttosto piccoli e colorati. Smiley li portava prima di indossare ufficialmente l’uniforme a quanto pare. Dev’essere accaduto parecchi anni fa. 

Svuoti il baule. Trovi un maglione pesante color melanzana con una S sopra. Lanci uno sguardo verso la libreria e annuisci dentro di te, comprendendo la citazione. C’è anche una camicia rattoppata. La scarti. Afferri dei pantaloncini che più vecchi non si può, una maglietta estiva rossa fiammeggiante, praticamente nuova e delle infradito di gomma. Ti svesti degli abiti di Tomoko e decidi di usare questi. La maglietta è più larga di quel che sembrava e le infradito sono troppo grosse per te. 

Non possiamo perdere tempo. È necessario prendere quella nave. Subito.

Il cielo fuori è color arancio. Tomoko dev’essere in cucina a preparare la cena. Spalanchi la finestra e ti ci butti dentro. Le infradito schioccano ad ogni passo e la maglietta sembra aver voglia di fuggire da te lasciandoti scoperta la spalla. Riconosci la strada e ti avvii verso il porto. I saltatori sono spariti dai ciuffi d’erba, gli alberi viventi sono addormentati. Il più piccolo socchiude un occhio e sorride nella tua direzione. 

Vedi in lontananza il molo e allo stesso tempo vedi una luce blu nel confine fra spiaggia e vegetazione. Il fuoco fatuo Bloob fa versi simili ad un pianto stringendosi la testolina e mutandola con fiamme scoppiettanti. Smiley nota i tuoi vestiti. Sembra molto più soddisfatto che offeso. Ha uno sguardo beato nello spellare la pelliccia color oro dell’unicorno. Ha un buco all’altezza del collo e la pancia aperta. L’intestino è stato rimosso. Alla fine l’ha ucciso. 

“Furbo” afferma, con una voce profonda che si conficca nelle ossa. Bloob continua a lamentarsi “Credi di essere un genio, eh? In questo posto o sei il protagonista o non lo sei. Ti sei lasciato guidare dalla fortuna. Hai lasciato che una vecchia ti risparmiasse… e tra poco la abbandonerai come spazzatura”

Ride con la sua risata senza energia, profonda e sibilante. Strappa il corno minuscolo al piccolo. Ha gli occhi spalancati e la lingua a penzoloni. È morto con la paura di essere ucciso. Porta il corno in una delle tasche della sua cintura. Si pulisce il sangue sbattendo in aria il braccio. La sabbia è praticamente melma nera.

“Immagino che ora vorresti salpare verso nuove isole e scoprire cose nuove su di noi. In questi giorni te la sei cavata piuttosto bene, ma che cosa dovrebbe accadere se un antagonista ti si presentasse davanti?” di chiede, senza volere veramente una risposta, con le cicatrici visibili alla luce blu “Semplice: tu morirai come l’idiota che sei o forse ti troverai in una situazione noiosa. Ti annoierai di leggere sempre la stessa pagina e ci abbandonerai ai nostri problemi, senza voler nemmeno sapere quali siano” 

Ti scruta con un occhio, cercando la tua reazione. Sembra che il tuo viso lo abbia soddisfatto perché ricomincia a sghignazzare. Si passa la lingua sulle labbra osservando con distrazione la luna e il cielo scuro. 

“Senti, ti do un consiglio da persona più annoiata di te: viaggia per davvero vero il tempio di Karoo. Non metterti in testa di fare qualcos’altro. Lui sa tutto quello che ti serve sapere. La Rosa Bianca raggiunge un’isola affiancata alla sua, non sbaglierai. Non vorresti conoscere meglio questo posto? Non ti piacerebbe approfondire la tua avventura? È un consiglio da lettore annoiato” 

Ha armeggiato finora con la testa dell’unicorno. In qualche modo il suo occhio azzurro lo interessa. Ci conficca dentro il coltello di mercurio e lo rigira nella cavità. L’occhio zampilla fuori, nella sua mano sporca. Senti la puzza di sangue nonostante la tua lontananza. Smiley si rigira l’iride tra i polpastrelli e te lo porge con cortesia. 

“Vuoi un occhio?” 

Ti scruta come per spogliarti di tutta la tua sicurezza. La tua reazione lo fa ridere di gusto e si infila l’occhio in bocca. Mentre mastica si tira sulla spalla la carcassa e afferra la lanterna con dentro Bloob. Il fuoco fatuo si appiccica al vetro con tutto il suo essere, zampilla come supplicandoti di farlo uscire da lì. Ti dirigi verso il molo, evitando con dei balzi le scie di sangue lasciate da Smiley. Gundard è ancora sulla panchina e dorme beato, russando e facendo muovere la sua barba al vento.

È ritornato il silenzio. Le infradito picchettano il legno ad ogni passo. La nebbia si è abbassata di poco da stamattina, ma ti premuri di guardare bene dove metti i piedi. Ora lo senti meglio, Smiley deve averti fatto dimenticare il suono del violino sulla nave. La Rosa Bianca brilla come un fiocco di neve al sole. Segui il suono e ne comprendi la provenienza. Il capitano è di spalle, con fatica distingui il rosso della divisa. Appena ti avvicini all’estremità del ponte lui smette di suonare. Non si volta, rimane severo. 

Umano” alza la voce, rimbombata persino sotto ai tuoi piedi “Cosa fai laggiù come un verme di terra? Avvicinati e fatti vedere dal capitano” continua, con voce minacciosa. 

Ti avventuri sul ponte, pigiando sule infradito. Il rumore imbarazzante di strascichi ti fa arrossire. Senti le vertigini. Il legno sotto il tuo piedi si frantuma e la gamba cade nel vuoto, fino alla vita. Sbatti il mento e il fianco. D’un tratto senti la risata allegra di una ragazzina. Il capitano si è piegato in due dal mal di pancia guardandoti senza una gamba (e senza infradito). Ti si avvicina con le gambe larghe come un uomo.

“Adoro questo scherzo! Credevo ci arrivassi, il buco lo vedevo da qui” afferma divertito, gettandoti elegantemente in faccia la mano. Accetti l’aiuto e ritorni in piedi, perdendo la seconda infradito che scivola giù nel Lago. L’alidoro che hai visto al tempio si sveglia inquieto e con tre battiti di ala allontana la nebbia. Irritato, ritorna a dormire sull’albero maestro. Ti Massaggi il fianco e osservi il capitano.

Ha la divisa aperta, lunga fino al ginocchio, con bottoni d’oro. Ricordi con fatica l’uniforme di Smiley, ma questa ha le maniche rigirate e gli stivali sono curati e stretti. Sembra il capitano di un vascello. Sotto si vede un panciotto scuro e un fazzoletto bianco legato più volte attorno al collo. Deve aver avuto fatica a legarsi il foulard e alla fine l’ha trasformato in un nodo. Il capitano ha un caschetto disomogeneo color miele, con ciuffi troppo lunghi e altri troppo corti, il naso piccolo e tante, tantissime lentiggini sparate anche sulla fronte e sul mento. Ha le gambe aperte come un ragazzo, ma è magro come una spiga. Ti aiuti osservandogli il petto, affatto d’aiuto però: è completamente piatto.

“Hey, frena gli ormoni, mignolino!” dice, schioccando le dita affianco le tue orecchie. Non puoi fare a meno di sobbalzare “So di essere caruccio in uniforme, ma bisogna essere realistici: ci siamo appena conosciuti” conclude, facendo l’occhiolino con i suoi occhioni color nocciola e le ciglia lunghe. Ti senti ancora più confuso. 

“Comunque, io sono Jolka, il capitano della Rosa Bianca” questo non ti aiuta minimamente. Jolka poggia in una custodia il violino e l’archetto sostenendosi solo col didietro al tronco dell’albero maestro “Allora, Player Number One, mamma Tomoko ha ceduto e ti ha dato un biglietto gratis sulla mia stupendissima nave?”

Inavvertitamente ti strappa dalla tasca qualcosa. Si rigira fra le mani una pesca che non immaginavi nemmeno di avere. Se la pulisce sulla coscia e le dà un gigantesco morso. Ingoia senza masticare. 

“Orbene…” pronuncia con divertimento la parola, come se fosse la prima volta che la pronuncia “Vuole farti partire per l’avventura? Ieri mi ha parlato di te e sul volerti concedere le dovute libertà. Ha deciso di farti diventare adulto?” 

Annuisci.

“Grande!” urla, lanciando alle sue spalle la pesca, divenuto un nocciolo appiccicoso. Il seme viaggia in alto, fino a colpire sulla zampa l’alidoro (che non apprezza affatto l’essere stato svegliato di nuovo) fino a cadere in acqua “Gli umani sono dei russatori di giorno e dei galletti di notte… ah, no, era il contrario” riflette, grattandosi la schiena sotto i vestiti. Ci mette impegno, ma non sembra soddisfatto. Si avvia verso le scale, fino al piano superiore. A metà strada ti guarda dall’alto con le guance sporche e la mano ancora sotto la divisa “Grazie per la pesca, così ti sei pagato il privilegio di dormire in camera mia”

Spalanca la porta dandole un calcio col piede. Smette di grattarsi la schiena e ti afferra per il braccio. Sbandi e quasi cadi a terra. Jolka ti butta su un letto così morbido da sprofondarci dentro. Con fatica riesci a ritornare seduto. Sul comodino c’è un vassoio lungo pieno d’acqua che si spalma sul viso, pulendosi dai resti della pesca. 

“Stenditi e fa come se fosse la casa della migliore marinaia di tutto il Lago Salato. A parte che sono l’unica, ma è un dettaglio insignificante” si asciuga la faccia con un asciugamano. Aggrotta un sopracciglio notando la tua espressione “Ammettilo, credevi che fossi un ragazzo. Imbarazzo tutti la prima volta che mi vedono. Ti perdono” da un baule fa uscire fuori un paio di zoccoli di legno. Te li lancia, facendo il verso di un siluro. Gli zoccoli sbattono contro le tue costole. Sobbalzi per l’ennesima volta. Jolka si avvia alla porta. 

“Domani ci scompisceremo dalle risate, quindi ti voglio attivo! Ci vediamo, nanerottolo!” sbatte la porta alle sue spalle.

La stanza del capitano sembra più uno studio che una stanza da letto. L’intero ambiente è circondato da un’enorme scrivania zeppa di carte importanti che si muovono ad ogni filo di vento che entra dalla finestrella. Non riesci a registrare più nulla. Ti stendi e ti rimbocchi le coperte. Senti il mare agitarsi lungo la tua schiena.

“Issate le vele, non verrà nessun altro. Rotta verso l’Isola di Mezzo!” urla, facendo svegliare l’alidoro che sbraita disperatamente nella sua lingua qualcosa di simile a ‘Voglio dormire!’.

 

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Capitolo 5
*** Quarto giorno ***


Tomoko issa con tutte le sue forze il secchio buttando acqua calda dentro la vasca gigantesca. Smiley si sfrega gli occhi e il naso mentre altra acqua gli viene buttata in testa. Tomoko non ha ancora iniziato a grattare la sua testa che già la vasca sta cambiando colore in un inquietante marrone sporco. 

“Finalmente ti fai un bagno. Non ce la facevo più” afferma, buttandogli sui capelli una specie di shampoo giallo che sfrega con energia tra i riccioli di Smiley. Anche la schiuma sta diventando nera mentre gratta con grande energia. 

Smiley annuisce impercettibilmente. Continua ad essere massacrato dalle unghie di Tomoko e accetta tutto questo con pazienza. Si gratta la schiena con una spugna, scoprendo altre cicatrici più profonde. Sembra che sulla schiena e sui fianchi ne abbia altrettante che in faccia. 

Tomoko gli butta altra acqua in testa e setaccia con un pettine le ciocche, come se stesse realmente cercando qualcosa “Pensi che sia già partito?” 

“Sì, Jo-Jo ha preso il largo qualche ora fa. È partita in anticipo” dice, sputando nella sua stessa acqua sporca. Quest’ultima considerazione deve averlo contrariato. Tomoko non nota nulla e annuisce felice, mostrando i denti, come sghignazzando. 

“Benissimo!”

Smiley la osserva dal basso “Dovevi davvero fare quella scenata oggi pomeriggio?” 

Tomoko smette di setacciare, arraffa una delle forbici –quelle blu e spesse- e incomincia a tagliare. Smiley aveva capelli decisamente più lunghi di quel che ci si aspettasse. Probabilmente i riccioli devono aver imbrogliato molte persone “Ah… l’hai sentito?”

“Tomoko, tutta l’isola l’ha sentito” la considerazione non deve aver minimamente scalfito il suo l’orgoglio. Continua a tagliare le ciocche che arraffa per poi buttarle in un cestino lì vicino. 

“Beh, dovevo dargli un pretesto in più per iniziare il suo viaggio. Mio Dio… ma che cos’è questo?” con disgusto taglia in fretta una ciocca dove si era infilata quella che sembra per davvero un insetto. Tomoko lo agita disgustata e fa volare via l’ape che, umiliata per il modo in cui è stata definita, si volta arrabbiata e vola via, ronzando di rabbia. A Smiley probabilmente tutto questo non ha toccato minimamente il suo spirito. Con un colpo secco della mano fa cadere il secondo paio di forbici –quelle rosse e sottili- che finiscono in acqua fra i suoi piedi. L’ha palesemente fatto apposta, ma continua a parlare come se niente fosse.

“Gli hai dato i miei vestiti”

“I tuoi vecchi vestiti. Non li hai mai indossato, non te la prendere” afferma Tomoko, continuando a tagliare, senza aver notato di avere delle forbici in meno.

“E la pesca?”

“Un dolcetto per Jolka: deve fare un lungo viaggio. Anch’io ho i miei segreti con lei” Smiley la guarda fisso. Questa cosa non gli è piaciuta per niente “Pensi davvero che non supererà il viaggio? O l’hai detto per spaventarlo?” 

“Ah, ora anche tu mi chiedi una predizione… dovrei farmi pagare” dice lui, sogghignando divertito. Tomoko lo guarda storto, con occhi più stretti del solito. Smiley sospira, affatto intimorito “Sì, non andrà avanti ancora per molto”

Tomoko posa le forbici e ricomincia a sfregargli la testa. Ha uno sguardo dispiaciuto “Peccato, non era molto loquace, ma mi era sembrato una brava persona. Speravo che avreste fatto amicizia, oppure che ti trasmettesse un po’ di buon cuore”

“Non me ne intendo di cuori, Tomoko” dice Smiley, con uno sguardo indecifrabile.

Quest’ultima frase ha gettato nella stanza un’atmosfera fredda. Tomoko sembra aver capito di aver detto qualcosa di pesante inconsapevolmente. Rimane bloccata al suo posto, con le forbici in aria. A Smiley tutto questo non sembra piacere e ritorna a sguazzare nella sua melma “Non saremmo mai andati d’accordo e non andremo mai d’accordo”

“Non dire così!” dice Tomoko, ritornata in sé, gettandogli altra acqua bollente in testa. La vasca è strapiena di terriccio e capelli di Smiley “Io spero sempre che tu possa sentirti meglio. Io ti voglio vedere felice, Smiley, non lo capisci? Ricordo spesso te quand’eri bambino. Eri dolce, anche con Jolka. Vi volevate bene, finché è accaduto quel che è accaduto. Non facevi altro che rendere felici le persone e io voglio che riaccada ancora. Credevo che chiamarti Smiley ti avrebbe dato un incentivo per ridere alle spalle di tutti coloro che ci vogliono morti!”

Smiley ha ancora la testa per metà immersa nell’acqua. Ha lo stesso sguardo indecifrabile di prima. Tomoko tasta l’esterno della vasca e nota solo ora che qualcosa è sparito. Ispeziona tutto il bagno, ma non trova niente. 

“Ma… le forbici?”

“Sono cadute in acqua ore fa”

Tomoko sbuffa. Allunga la mano verso il fondo della vasca per afferrarle. Smiley è più veloce di lei: le afferra per la spalla e la tira in acqua. Tomoko sbarra gli occhi e con fatica raggiunge la superficie. Guarda Smiley incredula, tradita. Fa per ritornare in piedi, ma il ragazzo le salta addosso e la spinge di sotto. Tomoko si dimena, sputa bolle nere nell’acqua sporca. Le sue dita artigliano le braccia del ragazzo, ma non riesce a liberarsi. Man a mano che affoga a Smiley si allarga sempre più il sorriso. 

“Quando ti ho conosciuta eri fredda e cattiva, Tomoko. Ci avevi detto che ti avessero decapitato da ragazzina per la tua ingenuità. E lo sai qual è la cosa più divertente? Ora che sei vecchia sei ancora più stupida” afferma ironicamente Smiley, gettandole al collo le mani pulite che lei stessa ha lavato. E ora con le sue stesse mani sta affogando quella donna che l’aveva accudito, nonostante tutto quello che facesse. Tomoko ha difficoltà a ribellarsi. 

“Dopotutto, lo sanno tutti che il corno di unicorno brucia ogni cosa che riguarda il buio e la magia nera”

Le braccia di Tomoko galleggiano a pelo d’acqua. Il suo corpo ha la bocca spalancata, come se avesse tentato di urlare. Ha gli occhi rigirati, ma al ragazzo non importa affatto. Si alza dalla vasca come se niente fosse e si asciuga, infilandosi la sua divisa, diventata di un giallo confuso col bianco. Tomoko gli ha pure lavato i vestiti. La getta fuori dall’acqua tirandola per la lunga treccia. Ogni cosa del suo corpo sembra bruciata. Ha la pelle nera e le unghie grigie, tranne che per la testa e il collo.

“Ma non fraintendere: adoro il nome che hai scelto per me, solo non nel modo in cui tu lo avevi interpretato”

Esce dal bagno, chiudendo la porta dietro di sé. Nel corridoio c’è la faretra, l’arco, il fucile, la cintura e il set di coltelli. Sono lì da tempo, ad aspettare che il padrone li riafferri. Smiley dovrebbe essere sorpreso, ma non lo è affatto. Batte le palpebre un paio di volte nel vedere Wyllo di fronte a sé. Il folletto è teso come una corda di violino e manda giù un deglutio. 

Il folletto e Smiley si guardano negli occhi per interminabili secondi.

“Volevo…” deglutisce ancora, spezzando il silenzio “Volevo chiedere alla sacerdotessa quando avrei potuto prendere il largo con la Rosa Bianca. Io ho perso… la nave” trema come una foglia, arretrando all’interno dell’enorme ombra del ragazzo. Smiley tasta dietro la schiena la maniglia e chiude la porta. Fa qualche passo in avanti. 

“Wyllo, hai sentito qualcosa?”

“N-No, non faccio queste cose” dice, arretrando più in fretta che può “Smiley, mi metti paura…”

“Hai visto qualcosa?” dice Smiley con un dolce sorriso, afferrando nella sua avanzata la faretra e la cintura con i coltelli tascabili. Wyllo sbarra gli occhi. 

“Ho aspettato nella sala con gli altri spiriti notturni, ma sono andati via tutti…”

“E…?” incalza Smiley, allacciandosi il fucile e l’arco color mercurio. 

“La porta era socchiusa…” Smiley si tasta la cintura, facendo tremare Wyllo dalla testa ai piedi “Smiley, noi siamo amici, ricordi?”

Smiley allarga il sorriso, soddisfatto da questa strana e orribile situazione “Ma certo, Wyllo, noi siamo amici!” 

Wyllo sembra essere nel panico, si volta e inizia a fuggire. I folletti non sono particolarmente veloci, soprattutto quelli della grandezza di Wyllo. Inoltre senza luce non possono nemmeno nascondersi o usare le loro abilità. Smiley infatti non sembra per niente intimorito da quel che sta succedendo e, scuotendo la testa come un maestro di fronte all’allievo poco sveglio, inizia a camminare con calma verso l’uscita, dove è diretto il più piccolo. 

Wyllo saltella sugli scalini e inciampa negli ultimi. Si rialza dolorante sulle ginocchia e ricomincia a fuggire nell’erba del giardino. Smiley ha una calma disarmante e, passeggiando, afferra il manico di uno dei coltelli color mercurio. Prende la mira e tira. 

Il coltello si conficca in profondità nell’erba, a tre pollici dal piede del folletto. Wyllo sobbalza per la mira volutamente mancata e cade a terra. Smiley prende la palla al balzo e lancia un secondo coltello. Centra la spalla di Wyllo che cade a terra, trattenendo un urlo di dolore. Inizia già a piangere e a lamentarsi. Smiley nell’avvicinarsi si stringe la cintura e riacchiappa il coltello a terra. Il folletto prova a rialzarsi, ma la lama nella scapola sembra essere troppo pesante per lui. Smiley si china afferrando il manico e poggiando un piede nella spalla illesa di Wyllo. 

“Te l’avevo detto, Wyllo” il folletto piange di dolore nel sentire rigirarsi la lama “Se un coltello ti si fosse conficcato nella spalla io te l’avrei tolto” Wyllo ricorda e si lascia strappare la lama. Dov’è stata conficcata non sembra uscire più sangue. Il metallo della Dea Bianca sta prosciugando ogni briciolo di magia nel corpo fatto di luce che ora sta diventando nero come carbone. Il metallo sembra assorbire il sangue, ritornando pulito come prima.

Smiley prende Wyllo e lo issa sulla spalla. Il folletto non sembra avere più forze e si abbandona alle lacrime. Raggiungono il muro aperto dietro il tempio. Il ragazzo prende un gancio e lo attacca al collo del folletto, innalzandolo. Wyllo asfissia e non parla più. Il corpo provato nemmeno ad agitarsi.

Smiley si lascia alle spalle il capanno e si avventura nella nebbia, fino al molo. Il Lago Salato è calmo stasera e la luna è tagliata a metà. Il ragazzo passeggia osservando il movimento lontano delle onde con stizza. Gundard è l’unico presente. Per tutto il tempo non ha fatto altro che dormire e russare sulla panchina. Dev’essersi addormentato aspettando Wyllo. Si sfrega gli occhi e capisce subito con chi sta per chiacchierare. 

“Sei tornato a profumare dopo mesi, vedo. Eh!” 

Smiley rigira gli occhi, degnandolo solamente di un sorrisetto ironico “Divertente, vecchiaccio” dice, sussurrando l’ultima parola tra i denti. Gundard l’ha comunque sentito. Si guarda attorno con preoccupazione. 

“Ma la Rosa è salpata?”

“Non ci vuole un veggente per capirlo”

“Ma allora!” si zittisce, indeciso se aprire bocca. Si lancia un’occhiata veloce attorno con preoccupazione. Non vede nessun altro se non lui stesso e Smiley “Visto che tu sai tutto… sai che fine ha fatto Wyllo?”

La domanda non sembra toccare affatto il ragazzo. Continua a guardare in lontananza le onde, meditando qualcosa di ignoto. Si volta, osservando con noncuranza l’anziano folletto pieno di terrore. Smiley alza le spalle e incomincia ad avviarsi “E’ partito sulla Rosa Bianca mentre tu dormivi”

 “E perché non mi hai detto niente?!” Smiley alza le spalle annoiato e ricomincia il suo cammino, importandosene ben poco di Gundard che a furia di darsi dello stupido si sta strappando i capelli sotto il berretto. 

Smiley torna nel giardino del tempio. Seduto sui gradini guarda l’orologio che gli ha dato Umiko, con uno sguardo affatto divertito.

 

 “Nanerottolo, sei sveglio! Beato te, io non ho dormito per niente” dichiara Jolka, sbadigliando senza coprirsi la bocca. 

Il Lago Salato ha una luce azzurrina e non blu cobalto tipica delle acque marine e nemmeno una trasparente tipica dei laghi. Perdi il filo dei pensieri osservando il colore affascinante. Gli spiriti solari sono fuori a prendere una boccata d’aria. Non riesci ad annusare nemmeno la salsedine. Jolka è stata per tutto il tempo coricata su una sedia a sdraio e tutt’ora rimane immobile con la divisa aperta e un cappello rosso abbinato. Somiglia più il copricapo di un ferroviere che quello di un capitano. Se lo è calato fino agli occhi, ma ti scruta ugualmente nell’ombra.

“Hai fatto un giro della nave? Come ti sembra?”

Rispondi come meglio credi. Il capitano sembra soddisfatto e arriccia un sorriso sotto le lentiggini. 

“L’avrei detto anch’io!”

Affianco alla sedia, sotto l’ombra dell’albero maestro un vampiro rimane sveglio a contemplare il panorama. Respira l’aria del pomeriggio soddisfatto, con la faccia allungata da roditore. La luce non sembra sfiorarlo minimamente, lo notano anche un trio di elfi dalla pelle biancastra e i pantaloni di pelliccia. 

“Il dottore mi ha detto che sono un adoratore della luce” si spiega ai tre interessati “L’oscurità la tollero meno del sole. Mi rinvigorisce” spiegata la faccenda, tira su un’altra boccata d’aria. Gli elfi si consultano, facendo scuotere i capelli tinteggiati di azzurro, simbolo del loro avanzamento verso l’età adulta. 

Jolka si alza il berretto con il mignolo “Ah, ti volevo dire che fra poco ne vedrai delle belle” afferma, abbassando il tono di voce “Vedi, mio fratello è qui. Lui qui dentro prende il lavoro seriamente, vorrà sapere chi sei e che cosa vuoi da noi. Io ti ho fatto passare, ma lui non se la berrà facilmente. Sa sbriciolare un masso con un mignolo: ti sconsiglio di stringergli la mano” conclude, con una serietà agghiacciante. 

I tre elfi nordici drizzano le orecchie avendo sentito qualcosa. Incominciano a guardarsi i piedi. L’alidoro si alza in volo, avendo sentito anche lui tremare l’albero maestro. Il vampiro si ripara sotto l’ombra. Il mercurio sotto i vostri piedi incomincia a sussultare a ritmo di passi pesanti. L’omingo trema al ritmo del terremoto, diventato più violento. Guarda tutti voi con perplessità. Jolka getta sotto la sedia a sdraio il cappello, adocchiando la porta della stiva con aria divertita. La porta si spalanca e un getto d’aria sembra far rabbrividire le vele. 

Spunta fuori un bambino di meno di dieci anni, che fa scuotere la nave ad ogni suo passo, come se il suo peso fosse di gran lunga maggiore della Rosa Bianca e di tutti i passeggeri messi insieme. Il viso ricoperto di lentiggini arancioni è incoronato da corti capelli biondi. Ha una divisa di un cupo arancione, fatta su misura, ma non lunga come quella di Smiley o Jolka. Ha chiuso i bottoni d’oro fino al colletto. Gli stivali bassi sono stati sfregati con cura e precisione, come il berretto, calcato sulla testa senza sporgere troppo in avanti o all’indietro. La sua divisa sembra quella di un controllore o di un piccolo poliziotto. Il bambino ha l’aria contrariata e sbatte i piedi fino alla sedia a sdraio. 

“Hey, fratellino!” sbadiglia soddisfatta Jolka. 

Hey un cavolo!” ricambia il bambino con guance rosse “Mi hai lasciato sottocoperta da solo! Cosa stai facendo?” 

“Sono stata qui ad amministrare la baracca per tutta la notte. Mi merito un pisolino” sbadiglia un’altra volta Jolka. Sembra averlo fatto apposta. Il piccolo l’ha capito e sbatte un piede a terra. L’intera fregata sussulta sotto i vostri piedi, come sul punto di spezzarsi. I tre elfi guardano meravigliati la forza del fratellino di Jolka. Il vampiro, forse abituato, sorride divertito. L’alidoro ruggisce di rabbia. Nemmeno questa volta è riuscito a poggiare i piedi sull’albero.

“No, mi devi aiutare con i controlli!” trattiene un altro piede, riconoscendo di essere la causa di tanto scompiglio “E se arrivasse uno straniero da fuori? E se fosse qualcosa che non abbiamo mai visto? E se-?”

Jolka indica con la punta del piede la tua direzione. Il bambino ti guarda come se ti fossero spuntate quattro braccia in quell’istante e incominciassi a fluttuare di fronte ai suoi occhi. Rimane con la mascella spalancata e le guance pallide. Per un attimo il cappello ha rischiato di cadere a terra. Jolka sembra soddisfatta: non trattiene nemmeno le risate. 

“Ecco la tua vittima”

Istintivamente gli occhi di tutto l’equipaggio si spostano su di te. L’alidoro ha capito che l’albero maestro non fa per lui e ti squadra dalla sua altezza, notando solamente ora un’anomalia. Gli elfi non aprono bocca, il vampiro deglutisce ‘Credevo fosse un mago o qualcosa del genere…’ senti mormorare attorno a te. Dalle vele scendono delle fate grandi quanto una pallina da tennis, tonde come mele. Dei mignolini ti adocchiano curiosi sopra le vele più alte, in compagnia di saltatori e di qualche coppia di germini che tentava la scalata verso il punto di vedetta. Qualche volto umano si para di fronte a te: un mago anziano dai capelli rossicci, alti centauri dalla cavalcatura pezzata, una famiglia di gnomi e tante altre creature che non riusciresti a riconoscere. Il bambino ritrova la forza per parlare. 

“U-Umano?” sussulta, abbozzando un sorriso incerto “Allora questo vuol dire… che devo fare un controllo di sicurezza! Non l’ho mai fatto finora…” ammette a bassa voce, emozionato e imbarazzato allo stesso tempo. Ha uno scatto, il suo viso si fa serioso. Tira il suo corpo sull’attenti e riaggiusta il cappello con un’insolita lentezza. Guarda nella tua direzione con fierezza. Jolka intanto sembra aver trovato una banana e incomincia a sbucciarla. 

“Umano straniero, io sono Pantalassex, il controllore della Rosa Bianca e del nostro arcipelago!” le fate fanno gli occhi a cuore verso il bambino, più adorabile che minaccioso “E questa è la mia sorellona pigrona che non fa nulla tutto il giorno” dice, guardando con la coda dell’occhio Jolka, intenta a divorare la banana. Annuisce alla sua descrizione mostrando il pollice alzato. Gli spiriti lanciano un applauso, facendo arrossire Pantalassex.

“Dato che non abbiamo mai visto un essere umano finora dovrai passare delle prove pericolose. Se le supererai sarai dei nostri e potrai continuare il viaggio, ma se non le supererai noi!...noi… Beh, non so che cosa faremo noi” afferma, imbarazzato “Quindi, ci vediamo fra pochi minuti. Resta immobile come un sasso!”

“E’ pericoloso, te l’ho detto” sospira con dolcezza Jolka, ritornata sdraiata sulla sdraio.

Conclusa la minaccia, il bambino saltella sugli scalini ma, resosi conto di far muovere la nave, la seconda gradinata la percorre con calma. Entra nella stanza del capitano, lasciando la porta aperta. L’alidoro prova ad avvicinasi, ma fallisce e per poco non ha rischiato di precipitare in mare. Pantalassex ritorna con occhi cupi. Trascina i piedi morti verso la sorella. 

“Jolka, dov’è il foglio dei controlli?” lei alza le spalle masticando la banana. 

“Sparito” Pantalassex strabuzza gli occhi “Credo di averci pulito il naso” conclude, stiracchiandosi. Il bambino sembra indeciso se essere arrabbiato o disperato. 

“Ma come hai potuto?!”

“Che c’è? Non dovevo?” chiede ingenuamente la maggiore, perplessa. Il fratello si calma subito, compreso di perdere soltanto tempo. In compenso ha guadagnato le risate della folla. Almeno nessuno sembra considerarti una minaccia. Pantalassex lascia cadere un pezzo di carta e una matita sulla sedia.

“Bene, le farò io le prove di controllo o almeno ci proverò. In verità non so nemmeno cosa dovrei fare di preciso. Credo che dovrò fare un test come si fanno a scuola. Almeno sapremo per certo che tu sia un umano. Quindi… niente di pericoloso, immagino. Così è deciso!” un applauso sincero si alza verso il bambino. Il piccolo sospira, consapevole che quello che starà per fare non avrà esiti positivi, ma non si scoraggia “Resta immobile!” ti ordina. 

Entra nella folla di spiriti, lasciando che altri si scansino o si alzino in volo per lui. Dall’alto vedi un gruppetto di fate minime, bianche, gialle e arancioni, che brillano sulla scia di Pantalassex, seguendolo tutte in fila sulla sua testa. Ritorna dall’esplorazione, con una decina di quelle piccole palle da biliardo volanti. 

“La prima prova sarà la prova della luce…?” pronuncia l’ultima parola verso la sorella con incertezza. Calmato da un pollice in su, ritorna con gli occhi fissi su di te e le braccia dietro le spalle “Ho chiamato queste fate per verificare la percentuale di luce dentro di te. Un umano non deve averne affatto, quindi in teoria non ti accadrà nulla. Ma se non sei un umano, allora prenderai subito fuoco!” afferma puntandoti un tiro come minacciandoti. Le fate si mettono in posizione sulla sua testa, formando un ovale in cielo. Sghignazzano divertite. 

“Iniziamo. Luce bianca, ora!”

Le fate brillano come soli artificiali, costringendoti a chiudere gli occhi. Passano i secondi e la luce continua a bruciarti le palpebre. Passato il dolore, apri gli occhi. Le fate minime ti hanno coperto di un denso strato di polvere dorata. Entra persino sotto i tuoi vestiti e dentro il tuo naso. Non resisti e starnutisci. La polvere vola sulla tua testa, esageratamente leggera. Il vento la agguanta e la porta via, lontana da te. Sei tutto intero, la loro cascata di luce non ha avuto effetto sul tuo corpo. 

Queste fate minime sono poco più che neonate. Hanno una magia ridicola, per questo non mi sono lasciato innervosire. Inoltre, come ha detto il bambino, sei veramente un umano e tutto questo non dovrebbe darti problemi. 

Pantalassex contrae la faccia come se non avesse mai creduto di vedere il tuo successo “Oh, l’hai superato… bene! Resta immobile” dice, ritornando tra la folla e cadendo sottocoperta. La folla si sta eccitando: canta e batte le mani a ritmo. Nessuno crede per davvero che tu possa essere un traditore.

“Su, venite!” mostra due ombre, una di forma umana e l’altra equina. Sono talmente tanto dense da inghiottire la luce nelle loro vicinanze. 

Oh, no… 

“Questi mangiasogni sono capaci di identificare un’anima piena di malvagità e cose cattive!” afferma Pantalassex con ammirazione. Jolka incomincia a scarabocchiare sul foglio che gli aveva lanciato prima “A loro basterebbe solo un tic di un occhio per capire se nascondi qualcosa dentro i tuoi pensier- erm… State bene?”

I mangiasogni perdono immediatamente la loro forma. La luce che batte su di loro li fa sospirare dal sonno. Probabilmente stavano dormendo fino a pochi secondi fa. Sono creature della notte che si cibano di sogni e incubi di varie Creature. Il pomeriggio inoltrato non fa per loro. Pantalassex sembra rendersene conto e si agita attorno a loro. 

“No! Non andate via!” il pavimento sembra incominciare a risucchiarli. Le due figure coperte dalle ombre svaniscono all’interno della nave, ritornando sottocoperta. È improbabile che ritorneranno sotto il sole un’altra volta.

Per fortuna…

Il bambino deglutisce, rivolgendoti uno sguardo come mortificato “Hai superato la prova…” solo Jolka applaude, soddisfatta. Gli spiriti solari sembrano ancor più che perplessi. Probabilmente non hanno mai visto un mangiasogni in tutta la loro vita o forse non si aspettavano un esito del genere. Jolka si rimette in piedi, stiracchiata e pronta per godersi l’ultima grande fatica.

“La prossima prova sarà la finale!” esclama, rincuorato per il pezzo di carta che la sorella gli ha consegnato, con più di matita “Dovrai dimostrare che sei un essere umano. I quesiti potrai conoscerli soltanto tu. Saranno a dir poco impossibili per una creatura magica diversa. Saranno domande a trabocchetto e a tritrabocchetto!” ti porge il foglio, senza nemmeno darci un’occhiata “Tieni e buona fortuna”.

Nel foglio, che sembra più un bigliettino, c’è scarabocchiato con una calligrafia maschile e disordinata una sola e unica domanda:

 

 

SEI UN UMANO?

 

SI  o  NO

 

 

Credo che non sia il caso fare una X su No, anche se sarebbe divertente.

Fai una crocetta su SI. Pantalassex è meravigliato dalla velocità con cui hai restituito le domande e per la prima volta legge il foglio affidato alla sorella. Il suo volto si fa di pietra. Guarda il bigliettino per interminabili secondi, poi guarda con espressione angosciata Jolka. Lei spalanca un gigantesco sorriso nella sua direzione, inclinando la testa con fare poco intelligente. Pantalassex alla fine ti guarda, con grande sofferenza nello sguardo. Il pubblico si sporge, attendendo il verdetto.

“…Hai superato le tre prove. Puoi viaggiare con noi…”

Un grido di gioia si leva sopra di te, rendendoti sordo per pochi attimi. L’unico incapace di rallegrarsi è Pantalassex, completamente avvolto nella sua vergogna. Qualcuno ti afferra per i piedi e qualcun altro per le spalle. I tre elfi ti fanno dondolare in alto e ti lanciano verso il cielo, facendoti venire le vertigini. Le fate vorticano sopra la tua testa e i mignolini ti salutano con entusiasmo. Jolka si sporge all’estremità della Rosa, col berretto finalmente sulla sua testa e un’aria decisamente più consona ad un marinaio. 

“L’Isola di Mezzo! Siamo arrivati!” 

Ti fanno scendere, barcolli sulle tue gambe. Sei diventato mero oggetto per loro. L’Alidoro sembra finalmente sollevato dalla vista in lontananza, prende il volo e si dirige verso il pezzo di terra. È un’isoletta minuta, poco più grande di quella di Tomoko e di Smiley. Pantalassex si avvicina alla sorella, appoggiata sul ginocchio. 

“Pan…” 

“Ti odio” dice, in lacrime, voltatosi prima per controllare che nessuno lo potesse vedere. 

“Eh?”

“Non ci parlo più con te!” dice, fuggendo via, lasciando Jolka con una freddezza adulta nello sguardo. 

 

Nell’isola di Tomoko sembra che non sia cambiato nulla.

Gundard sembra aver passato l’intera giornata al molo, guardando l’orizzonte con sguardo angosciato. I tre alberi viventi non si sono mossi di un millimetro. Continuano a parlare, con grande sfortuna del più piccolo. Una figura si muove sinuosa tra gli alberi: la gatta di nome Umiko. Takeomo è spiato da lei mentre passeggia. È quasi il tramonto, eppure una fata notturna sta parlando con una sua compagna della luce. I capelli biondi le cadono sul volto. Sta piangendo. 

La fata oscura, dalle ali di falena e i capelli neri come petrolio, le prende le mani, angosciata quasi più della sua amica. Sembra che si stiano piangendo addosso da prima che iniziassi a osservarle. Hanno delle voci talmente basse da essere quasi del tutto impercettibili. 

“Sole” inizia la fata scura “sei davvero certa di quello che stai dicendo? Sorellina, puoi aver frainteso…”

“No, Luna!” urla l’altra, dalle ali di farfalla dorata “Lui, lui…”

“Smiley?” incalza Luna. Il solo pronunciare il suo nome sembra aver addolorato entrambe. 

“Sa io ho una voglia qui” dice lei a bassa voce, indicandosi il petto. La sorella spalanca gli occhi a mandorla. Sono entrambe pressoché identiche. Gli stessi nasi piccoli, le stesse fronti alte, la stessa forma di ali e di capelli. Sono gemelle di luce e oscurità. Questo insolito avvenimento è raro tra le fate. Spesso i clan sono severi riguardo queste anomalie “Sa che ce l’hai anche tu” 

Luna si porta le mani al cuore “Ma com’è potuto accadere? Sole, sii sincera. Per caso tu…?”

“No, ma sei pazza! Mica faccio queste cose con... qualsiasi cosa sia lui!” urla ancora Sole. Cede di nuovo al pianto e si getta le mani al viso “Mi ha detto che lo dirà al clan dell’Isola Maestra se non facciamo qualcosa per lui”

“Cosa vuoi dire?”

“Vuole che una di noi due lo porti in volo all’Isola di Mezzo. Si è arrabbiato quando l’ho mandato a quel paese. Se il clan lo verrà a scoprire ci rinnegheranno, come quando eravamo bambine. Ci abbandoneranno, non avremo più aiuto con i nostri poteri, ci…” non finisce la frase che ricomincia a piangere. Quel che sta accadendo in effetti è grave. Le fate sono severe con i loro simili. Nessuna fata potrebbe mai pensare di unirsi a qualcuno di un altro clan, figuriamoci con qualcuno di una specie diversa. 

Luna non ha fatto altro che osservare il cielo che lentamente sta passando al colore scuro. Sole si asciuga gli occhi e si tira il moccio “Sole, tu torna a casa. Non parlare con nessuno di quello che è successo. Io proverò a parlare con Smiley e… spero di risolvere questa faccenda” detto questo vola via. 

Sole alza gli occhi vedendo la sorella lontana. È rimasta completamente sola. In un attimo le scappa una risata isterica, i suoi occhi si contraggono e il suo ghigno si allarga. 

Vola via, verso il tempio, nel capanno aperto. Poggiati i piedi a terra, si addentra tra i cadaveri marci. È impossibile per una fata camminare. I loro piedi sono piatti, per loro sarebbe un dolore smisurato. La piccola Sole continua la sua avanzata, giungendo in un mucchio di teste. Una fata è stata catturata e gettata sulla terra battuta, affianco alla testa di un'altra sua simile. Sole porta la mano sotto al mento e si artiglia la pelle.

“Sole, tua sorella è veramente una stupida, proprio come te”

La voce infantile di Sole viene storpiata da quella profonda di Smiley. Non si stava strappando la pelle, ma un cappuccio violaceo che gli cade sulle spalle. È il mantello di Takeomo, uno da kitsune. Ha assunto le sembianze di Sole per ingannare la sorella. Sole sembra aver compreso tutto e si agita. Non riesce a spezzare la corda che la lega e nemmeno a sputare il bavaglio che ha in bocca. Smiley, con tutta la calma di questo mondo, si butta il mantello sulla spalla e si china sulla piccola. Sole ringhia di rabbia. 

“Non vedrai mai più Luna. Lei mi porterà all’Isola di Mezzo” dice sorridendo, schivando facilmente un calcio “Deve ancora pagarmi il silenzio per la sua stupidità”

Guarda Sole negli occhi con uno sguardo magnetico. Sole smette di agitarsi. 

“Non ho bisogno del mio potere per guardarle sotto i vestiti” detto questo si volta, lasciando Sole nell’ombra. In preda all’ira. Arraffa una borsa rossa, la stessa che aveva Tomoko in ogni occasione. Sembra essere vuota. 

Anche se aperto il capanno attutisce i suoni di qualsiasi battito di ala, di qualsiasi urlo accennato. Inoltre, una fata come Sole ha perennemente bisogno di luce. Smiley sembra saperlo. Abbandona Sole al suo destino.

Butta la mano dentro la borsa e ne esce fuori una lunga treccia bianca e poi una testa urlante. Guarda orgoglioso la testa di Tomoko e la fa scivolare di nuovo nella borsa, dopo aver afferrato Bloob nella sua lanterna. 

Ha l’arco, la faretra, i coltelli, il fucile, la borsa e l’uniforme pulita. Sembra essersi preparato per un lungo viaggio e la destinazione probabilmente siamo noi.

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Capitolo 6
*** Quinto giorno ***


Svegliato, ti rimetti in piedi. Ti senti ben riposato nella stanza del capitano. 

Esci fuori, molti altri spiriti come te si sono svegliati. È mattino presto, è normale che le fate incomincino a stiracchiarsi sulle vele, che i mignolini si stringano nei loro vestiti. Stanno uscendo da sottocoperta altri spiriti che hai visto il giorno prima. Nessuno sembra avere intenzione di avvicinarsi a te. Forse non ricordano nemmeno quel che è accaduto il giorno prima. Oppure semplicemente sono curiosi di esplorare.

Non è lo stesso porto che avevi visto ieri: la nave di Jolka deve aver fatto un secondo giro mentre dormivi. Ricordi dalla mappa di Tomoko che quest’isola ha due porti. Un mago dall’aria anziana e dai capelli color cristallo ti scruta per un secondo, per poi ridacchiare. Il vampiro si è appena svegliato sotto l’albero maestro. Si sciacqua in un catino d’acqua. I tre elfi gli augurano il buongiorno. 

Scendi infilandoti gli zoccoli di legno del capitano. Le Creature Fantastiche e Magiche incominciano a scendere. Non sembra essere un’isola boschiva come quella di Tomoko. In lontananza puoi vedere l’altra sponda e il secondo molo, delle casette di legno e una costruzione immolata sopra una collina in mezzo al grano. Non vedi altro che giallo e qualche raro albero. Jolka è sdraiata sul molo di pietra. Si issa e ti afferra per il gomito, con fare scimmiesco. 

“Buongiorno, pigrone! Oggi ho bisogno di uno schiavetto!” ti strattona sulla terra battuta. Quest’isola non sembra avere una spiaggia. 

Vi avventurate su una stradina di pietra. Jolka calcia i sassolini e saltella sulle pietre più grosse mentre incrociate altri passeggeri della Rosa Bianca. Tutti salutano il capitano, chi con rispetto chi con ironia. Non tutti hanno dimenticato, a quanto pare. Jolka indossa i guanti bianchi e si cala il cappello proteggendosi dal sole. Adocchia in lontananza dell’uva chiusa in un recinto.

“Visto che Pan è ancora arrabbiato con me, qualcun altro deve accompagnarmi dal Guardiano per i dovuti saluti mattutini. Nulla di ché. Devo solo sorridere e starmi attaccato alle gambe” dice, come se la strillata con suo fratello fosse stata un normale avvenimento di routine. Forse è veramente così.

In mezzo alla strada appaiono figure dall’aspetto umano. Vedi un uomo di mezz’età senza nemmeno un filo di barba, vestito con un frac elegante. Si dirige al molo a passo veloce, saltellando con fin troppa allegria. Un adolescente dall’aria esausta gli corre dietro in preda al terrore. Noti una coppia di ragazzini con la mano nella mano. Passeggiano innamorati, con l’aria di non avere alcuna fretta al mondo. Il capitano ti dà una gomitata, attirando la tua attenzione. 

“Su quest’isola vivono soltanto secuversi. Sembrano umani come te, ma vivono al contrario: praticamente da vecchi sono giovani e da giovani sono vecchi. Guarda loro!” esclama, indicando sfacciata un paio di questi esseri bizzarri.

Dall’altra parte della strada una giovane donna spinge nel passeggino quel che sembra un anziano molto basso o un bambino pieno di rughe e venature sporgenti. Il piccolino sembra detestare la canzoncina della sua mamma (nonna?). Inclina in modo grottesco il suo faccione da vecchio. La signora continua a canticchiare, non notando nulla a quanto pare. Jolka ti dà un’altra gomitata tra le costole e indica un’altalena affiancata ad una casa. Un secuverso dall’aria di un ventenne nota il suo modo maleducato di indicare. Alza il naso e continua a passeggiare, sicuramente offeso.

Sull’altalena quel che sembra un anziano si spinge con fatica, vestito con una sgargiante maglietta gialla con la stampa di un hamburger. Non hai la minima idea di dove possa averla trovata. Un suo amichetto, che sembra fare fatica persino a rimanere in piedi, prende la rincorsa e lo spinge, facendolo arrivare in alto… per poi sbattere a terra. L’anziano si alza con fatica e le lacrime agli occhi.

“Ma siete impazziti?! Fermatevi subito!” urla un bambino armato di bastone da passeggio e papillon. Corre verso di loro per fermare l’altalena impazzita. 

Jolka trattiene le risate fino a lacrimare. Indica una coppia di mezz’età che rimprovera un ometto che di sicuro non raggiunge nemmeno i settant’anni. Poi un gruppetto di bambini seduti attorno ad un tavolino, mischiando un mazzo di carte. Un quindicenne che urla verso il balcone per riavere indietro il suo cappello e un anziano arzillo che glielo ha rubato con una canna da pesca. 

Ti gira la testa.

Non sai quanto a me…

“Non è fichissimo?” chiede il capitano asciugandosi le lacrime “Ah, eccoci!”

Nel frattempo siete saliti per la collina. Entrate all’interno dell’alto edificio. Quest’isola non ha nemmeno un tempio, ora che ci pensi. Alzi lo sguardo in alto, sentendo le vertigini. Su piani e piani aperti si erge una catena di scale e scrittoi. Ad ogni angolo vedi una libreria elegante in mogano. Questa torre è sorretta da un pilastro ben piantato. Vedi libri del tuo mondo, come quelli a casa di Smiley. Sembra essere una gigantesca torre.

Chiedi a Jolka come facciano ad avere tutti questi libri se l’arcipelago è chiuso al mondo esterno. Jolka incomincia a salire le scale con le mani nelle tasche della divisa. 

“Il Lago Salato è l’unica cosa che ci collega al mondo esterno. Il mare porta qualsiasi cosa, anche pezzi di metallo e oggetti persi. La Rosa Bianca serve anche a questo. Quando qualcuno trova un libro sulle spiagge lo dà ad una libreria o a me, altri oggetti strani li portano all’Isola Meccanica per studiarli. Chiunque ha dei dubbi chiede al Guardiano della propria isola. Te la presento”

Dopo un piano di scale, vuoto e senza alcun visitatore, vi presentate di fronte ad uno dei tanti scrittoi. Seduta sulla sedia, sopra una collinetta di libri accatastati, vedi una bambina dal volto altezzoso, intenta a leggere quel che sembra ‘La storia che mai finisce’ di Micha Henn.

Scusaci ancora

Ha una crocchia color vaniglia sulla testa, appuntata in modo disordinato da vari spilli. Il suo completo color tasso è incredibilmente formale, non come i suoi occhiali a mezzaluna rossi e il suo fermaglio a forma di libellula. Sembra più una nana che una bambina. Jolka è gentile, per questo decide di alzare la voce. 

“Heyla, Odalia!” la sua voce rimbomba per tutto il piano e oltre, formando un eco fastidioso. Il secuverso non sembra voler mostrare alcuna intenzione di alzare gli occhi alla figura ben più alta del capitano. Continua a leggere imperterrita il suo tomo. Jolka sembra soddisfatta della sua presentazione “Non è adorabile?”

Gli occhietti scuri della bambina si alzano, fulminando l’aria “Mi hai già chiesto il permesso di attracco all’isola e alcuni dei miei abitanti hanno già le valige sulla tua nave. Cosa vuoi?” risponde, con tono sbrigativo. Ha una vocina decisamente più gracchiante di quel che credessi.

Jolka ti getta in avanti. Uno degli zoccoli ti fa inciampare nel parquet “Questo è l’umano di cui ti avevo parlato”. 

Il secuverso ti guarda incrinando le sopracciglia, come se fossi apparso solo in quell’istante alla sua vista. Poggia il fermaglio a forma di libellula tra le pagine e scatta addosso a te, con le sue gambette corte. Ti afferra le mani con fare irrequieto e curioso, sembrando per la prima volta una bimba. 

“Sembra uno di noi, ma alla rovescia! Interessante. Ho sempre voluto vederne uno!” afferma maestosamente, notando per la prima volta le tue nocche, come se fossero materiale da scienza missilistica. Jolka sembra divertita da tutto questo. Non si sforza nemmeno di nascondere il sorriso.

Chiedi cosa sia un Guardiano. 

Odalia è concentrata sulle tue pupille, ma riesce comunque a risponderti. 

“Ogni Isola ne ha uno” dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Viene scelto da tutti gli abitanti dell’Isola. Il Guardiano gestisce l’isola e porta la pace in caso di problemi. Per esempio, se i Maligni di fuori dovessero approdare su un’Isola il Guardiano può liberarsi di loro personalmente oppure potrebbe chiamare uno dei Custodi. Può capitare che il Custode stesso sia un Guardiano, proprio come Tomoko dell’Isola Minima” il capitano annuisce alla spiegazione, con più maturità di quel che credessi. 

Chiedi cosa siano i Custodi.

Il sorriso di Jolka cade del tutto. Porta lo sguardo altrove, evidentemente imbarazzata. Odalia sbotta, tirandosi in alto dopo aver confermato la presenza di piedi alla fine delle tue caviglie. 

“Sono i bambini rapiti nelle culle e usati come contenitori per le parti della Strega Bianca” afferma, come se fosse la domanda più elementare del mondo “In tutto sono cinque, esclusi i loro due tutori ovviamente. I Maligni prima di trovare come intrattenimento gli umani hanno fanno parecchie sperimentazioni, anche su Creature Magiche e Fantastiche. Ne hanno uccisi parecchi durante il loro periodo di follia. Ora loro proteggono le Isole, così come i loro tutori. Nell’Isola Minima Tomoko è la tutrice di quell’idiota di Smiley, per esempio. Karoo invece tutela la sua protetta sull’Isola Meccanica” Jolka non stacca gli occhi dalla finestra. 

Chiedi cosa intenda con sperimentazioni. 

Odalia rigira gli occhi, come incredula della tua stupidità “Ma quanto sono ignoranti gli umani! Non sapete nulla come al solito…”

Non ti risponde e ricomincia a girarti attorno con fare curioso, ora interessata ai tuoi capelli e alla tua faccia. Ha trovato un’altra fila di libri da usare come scala per raggiungere la tua altezza e ti analizza fino al più piccolo poro del tuo naso. 

“Per ricreare la Dea Bianca i pazzi là fuori hanno trovato pezzi frammenti simili alle parti della leggenda. Usare quelle parti su Creature Fantastiche e Magiche non dava gli effetti sperati. Chiunque avesse magia e venisse toccato da quegli oggetti diventava carbone. Se cavi gli occhi ad un elfo o ad una fata e gli passi gli occhi della Dea i loro corpi si frantumano. Così hanno provato con le Creature Umane, come i secuversi e anche a maghi nati senza magia o a metà umani e metà stregoni” 

Jolka passa il tempo girando le copertine dei libri con indifferenza. Non sembra annoiata, ma non sembra nemmeno interessata. Forse questa storia l’ha sentita fin troppe volte. 

“La setta rapì dei bambini umani e li utilizzò come cavie, tagliando organi e introducendone altri. Con Tomoko era stato facile: hanno dovuto soltanto poggiarle una nuova testa su un collo tagliato, ma con i bambini le cose sono state più difficili… Ma come ti hanno vestito questi idioti?”

La mattinata passa così, con un gigantesco mal di testa. Jolka non ha fatto altro che leggere le copertine dei libri e guardare fuori dalla finestra. Ti sei aspettato una sua reazione, ma non ha mostrato nulla di nuovo. Pensi a Tomoko con una nuova testa sulle spalle, pensi a Pan che forse non ha nemmeno dieci anni. Senti lo stomaco rigirarsi tra le viscere. Non ti senti bene. 

Cosa c’è? Ti senti in colpa per questi ragazzi?

Batti le palpebre, Odalia non ti considera più interessante. Issa il suo corpo sullo scrittoio col suo fare da maestrina. Jolka non ti rivolge nemmeno uno sguardo. 

Odalia non ha mentito. Tutto quel che abbiamo fatto è stato per il nostro bene, anche per quello degli esseri umani. Non appena uscirai fuori da questo arcipelago e incontrerai altri adepti come te comprenderai meglio. Ogni cosa che facciamo e che abbiamo fatto è stato per lei, la Dea Bianca e devi ringraziarla se vivi e respiri insieme a tutti noi.

Ti gira la testa. 

Odalia vi ha congedati regalandoti delle caramelle dal gusto stantio e dando un libro a Jolka di un certo ‘Huccleberr Flyn’, che lei ha fa fatto scivolare nella tasca interna della sua divisa rossa. Sembra che Jolka ti abbia portato qui solo per far felice Odalia. Lei è molto più amichevole del previsto. 

“Volete che vi accompagni alla nave?”

“Abbiamo le gambe per arrivarci, grazie piccina” dice Jolka, con una strizzata di occhi. Odalia ritorna viperina e vi spinge fuori.

Sulla Rosa Bianca qualcuno ha allestito un gigantesco tavolo. Non è abbastanza grande da far sedere tutti gli spiriti, ma riesci a trovare un posto libero. L’elfo silvano e sua moglie hanno acceso un fuocherello sulla nave dove arrostiscono delle bistecche gigantesche, grandi quanto la facciata di un balcone. Stranamente la nave non brucia e nessuno commenta su un fuoco appiccato su del legno color mercurio. Sul tavolo vedi patate, frutti esotici bizzarri, uova fritte malamente e un casco di banane fin troppo abbondante. Jolka ha strappato una delle banane e ora se la mangia lontana dal chiacchierio. Non riesci a vedere Pan, forse non si è unito al pranzo. Uno dei tre elfi nordici passa uno spiedino di libellule rosse al vampiro, che mangia con gusto. L’alidoro è accecato dal fumo e sbatte le ali con rabbia. Raggiungi il capitano con un piatto in mano e un pezzo di bistecca gigantesca.

“Hai una brutta faccia. Immagino che Odalia ti abbia fatto sentire una cavia da laboratorio” dice, sorridendo soltanto con le labbra. Si imbocca con quella gigantesca banana. È diversa dal solito, anche se non sai bene cosa abbia di strano. 

Chiedi degli esperimenti fatti ai bambini. 

Jolka ingoia un pezzo di banana, radunando i ricordi “Non è bello parlarne. Cioè, lo sanno tutti, ma è difficile”

Si guarda attorno. Vede solamente la folla al tavolo, disinteressata della vostra conversazione. Un gruppo di fate minime notano la vostra assenza e svolazzano attorno alla testa di Jolka. La fanno starnutire con la loro polvere di stelle. Lei ne è divertita, taglia un pezzo di banana con le dita e lo passa ad una delle piccole. Un’altra fetta di carne si aggiunge alla tavola, ricevendo l’assenso di tutti. 

“I Maligni hanno ucciso migliaia di bambini per trovare dei compatibili per i loro esperimenti. Hanno trasportato parti di esseri magici per trapiantare quelli della Dea. All’epoca non esisteva nemmeno l’anestesia o roba così. Chi non era compatibile moriva subito dopo aver toccato i pezzi della Dea” racconta, girando gli occhi nella direzione opposta alla tua. 

“Alla fine sono giunti alla conclusione che non avevano bisogno di esseri pregni di magia, ma esseri vuoti e imperfetti, come gli umani. Notarono che gli unici Compatibili fossero solo gli esseri umani nati nel Solstizio d’Inverno e nello stesso luogo dove avevano trovato un determinato frammento. C’erano arrivati dopo aver ammazzato centinaia di bambini e neonati”

I mignolini hanno creato delle scale di corda tra le vele e ora che sono smontate le usano per legare insieme gli alberi, creando un po’ di ombra. Da sottocoperta escono scarabei dai carapaci verdi e blu, fate dalle ali di falena, omini d’inchiostro, mangiasogni e fantasmi. Il vampiro dà il buongiorno ad un amico più notturno di lui, presentandolo ai suoi tre amici. Dei troll dall’aria poco sveglia trovano le ossa delle bistecche e le addentano come se fossero cosce di pollo.

“Sai che noi Custodi siamo stati umani, meno che i nostri tutori: Karoo è un mago nato senza magia e Tomoko è mezza strega e mezza umana. Compreso che loro due potessero essere dei Compatibili hanno incominciato ad armeggiare con gli umani. Non è così facile però. Gli umani sono creature neutre, non sono nemmeno dei contenitori ideali per la luce oppure per l’oscurità. Per loro è difficile controllare un potere del genere. Non si assimilano solo aspetti positivi, ma anche negativi. Immagina di non essere in grado di controllarti e di uccidere qualcuno perché sei troppo potente. Pan mi ha inclinato quattro costole quand’era piccolo perché voleva abbracciarmi. Questo… è ingiusto e triste” dice, addentando di nuovo la banana.

Sembra che gli spiriti notturni abbiano trovato il loro posto sotto il tendone. 

In genere luce e oscurità hanno difficoltà a relazionarsi. Una maga argentata spiega ai troll quale parte di bistecca possono mangiare. I tre elfi nordici sembrano trovare intrigante anche la compagnia del secondo vampiro. Un mangiasogni dall’aspetto di cavaliere nero fa i complimenti per la nascita del piccolo ai due genitori silvani, mentre un groviglio di fuochi fatui dai colori cupi osservano con dolcezza il neonato che dorme. Questa visione fa sfuggire un sorrisetto dalle labbra di Jolka, che si alza buttandosi alle spalle i resti della banana.

“Wow! Ho parlato troppo. Vado da Pan e vedo di farmi perdonare” si volta, facendo ritornare il suo sguardo sbarazzino “Ti consiglio di riempire il piatto anche tu e di staccarti dal tuo libro per un po’. Sai, fa abbastanza schifo mangiare mentre si legge”

Il tuo sguardo fa inclinare la testa di Jolka che ti ammicca. 

“Che c’è? Ho detto qualcosa di strano?” 

Ti fa un occhiolino divertito e scende nella parte più scura della Rosa Bianca.

Improvvisamente la tua vista sembra annebbiarsi. Sembra che sia scesa una nebbia in mezzo a voi, ma nessuno a tavola sembra essersene accorto. Continuano tutti a chiacchierare senza interruzioni. Senti una voce provenire dalle tue spalle. È intrigante, ti sporgi per vedere chi sia. C’è un essere bizzarro in acqua. Ingarbuglia la sua coda di squalo in acqua lasciando il busto umano al di fuori.

Adepto, riesci a sentirmi?

Ha capelli lunghi, guance verdognole e occhi violetti di un colore mai visto. Per un attimo hai creduto che fossero di una sfumatura bizzarra, ma adesso che li guardi meglio sembrano meravigliosi. Ti sporgi ancora un po’, interessato da quello che potrebbe dirti. La Creatura sembra desiderosa di ascoltarti. 

Adepto, le sirene sono pericolose! Devi allontanarti!

Inciampi in avanti, senti le vertigini, perdi gli zoccoli nel Lago Salato. La creatura intrigante adesso ha occhi rossicci. Non sembrano capelli quelli che ha in testa, ma alghe o qualcosa che non riesci ad identificare. Senti sapore di acqua sporca dentro la tua gola appena sbatti sul pelo dell’acqua. La Creatura ti afferra e ti trascina giù, facendoti svanire dalla vista di chiunque. 

Adepto, ho interrotto il contatto con te, non so cosa ti accadrà adesso!

Nessuno sulla Rosa sembra aver notato la scomparsa dell’umano. Gli spiriti oscuri conversano con quelli solari e così via. Nessuno da sottocoperta esce per guardarsi attorno o per cercare un umano caduto in acqua. 

Attendo in silenzio. Gli spiriti sparecchiano e fanno un secondo giro dell’Isola.

Si fa sera, gli spiriti notturni fanno cambio con quelli solari. Pan e Jolka sono spariti. 

 

Appaiono le prime stelle.

Sul pelo dell’acqua appare qualcosa. Per un attimo ho creduto che fosse un gigantesco rapace, ma adesso che si è avvicinata la figura è tutto molto più chiaro. Smiley ha convinto Luna a portarlo in volo fino all’isola. La ragazza ha la fronte pregna di sudore. Smiley si concentra per fare un balzo sul molo. Luna è esausta. Cade sul legno, sbattendo il fianco. Il ragazzo si guarda attorno, ignorandola completamente. Nessuno ha notato la loro presenza. Gli unici secuversi in lontananza sono concentrati per di più sui visitatori notturni che stanno facendo un giro dell’Isola.

Smiley si assicura che nessuno lo stia guardando e cala gli occhi sulla fata. Luna a malapena respira. La luce del sole deve averle bruciato la pelle e affaticato ancor di più i muscoli delle braccia. Le ali hanno un tic di dolore. 

Smiley si dà una seconda occhiata alle spalle. Osserva intensamente Luna e si decide. Le poggia un piede sul fianco e lentamente la spinge giù dal molo. La fata non sembra essersi nemmeno resa conto di quel che le sia accaduto. Il Lago Salato la inghiotte, facendola sciogliere. Le ali di falena si frantumano sul pelo dell’acqua emanando un forte odore di bruciato.

Smiley si assicura che non ci sia nient’altro di lei e si getta il cappuccio in testa, fino al mento. Il suo aspetto muta del tutto, diventa un anziano secuverso, simile ad un ragazzino, col frac e il papillon. 

Ignora i passanti, entra nei vicoli meno esplorati ed entra nella biblioteca di Odalia. La magia è ancora in corso: le scale continuano a raggiungere il cielo e i libri sono pressoché infiniti. Odalia non c’è, la sua scrivania è vuota. Al ragazzo non sembra importante. Afferra da una libreria qualsiasi un libro, col titolo ‘Leggende ad Ovest dell’Arcipelago’. Lo ha afferrato come se fosse esattamente quello che stava cercando. Si dirige all’uscita con leggerezza.

Odalia sbuca da un corridoio, diretta alla sua scrivania. La spilla a forma di libellula s’illumina di perplessità vedendo un secuverso scendere le scale per poi uscire dalla biblioteca. Si sporge per guardarlo fuori dalla finestra. Sembra riconoscerlo. Alza le spalle e ritorna al lavoro. 

Ora è veramente tarda sera. Il sole è tramontato. Smiley sembra far uscire dal nulla la lanterna con dentro Bloob. Il fuoco fatuo, vedendo il buio, trema di paura. Si dirigono al molo e si imbarcano. Il ponte è deserto se non per il vampiro e i tre elfi nordici, finalmente usciti dall’ombra dell’albero maestro. Due di loro sono seduti su una cassa con l’immagine di una grossa bistecca. 

“…Non credete che sia un nome assurdo?” chiede ad alta voce uno degli elfi al vampiro. L’elfo ha i tradizionali capelli lunghi, legati grazie ad una coda. Ha un arco lungo più della sua altezza e una faretra piena di frecce. Gli elfi nordici in genere non toccano il metro e cinquanta, ma i tre sembrano oltrepassarli di qualche centimetro.

“Io lo trovo elegante” risponde il vampiro “Sono certo che nel mondo al di fuori del nostro ci sia un elfo importante di nome Wiliamm”

Uno degli elfi, con un caschetto tanto folto da coprirgli un occhio, sorride di rimando, imbarazzato. Non ha armi, ma tiene stretto a sé un libro. È insolito vedere un elfo nordico leggere. Deve averglielo insegnato il vampiro se è il suo primo viaggio. Il terzo elfo ha i capelli completamente rasati meno che per una sottilissima treccia. Tira a sé il compagno. I due confratelli ridono del suo imbarazzo. 

“Nah, lo dice solo per farti sentire meglio! Meglio Eirikk e Crisser!” dice prima indicando il suo amico e poi se stesso. Ha un lungo coltello e una spada. Wiliamm rigira gli occhi facendo ridere ancora una volta i tre. 

Smiley non può fare altro che passare affianco a loro. La luce azzurrina di Bloob illumina il ponte. Le risate divertite vengono smorzate e l’attenzione è rivolta solo verso il falso secuverso e il fuoco fatuo imprigionato nella lanterna. Persino il vampiro è perplesso. 

“Ma quello è un fuoco fatuo?” mormora meravigliato Wiliamm.

“Cavoli…” rispondono in coro Eirikk e Crisser. 

Il compagno vampiro ha un cipiglio severo, quasi cupo. Con passi pesanti si avvicina a Smiley e a Bloob. Il fuoco fatuo fa di tutto per non tremare “Sei un secuverso?” Smiley si blocca “Non ti ho mai visto su questa nave”.

Bloob sembra fare qualcosa di simile ad un deglutio bruciando una zanzara passata lì per caso. I tre elfi raggiungono l’amico, circospetti. Wiliamm si tiene dietro, ma Crisser ha una mano sul coltellaccio ed Eirikk fa scivolare l’arco tra le dita. Vedere un fuoco fatuo imprigionato in una lanterna è sicuramente un segnale di pericolo. 

Il secuverso si volta per la prima volta, con uno sguardo da ragazzino perplesso. Osserva attentamente la figura del vampiro e i suoi occhi s’illuminano di gioia. Lancia un urletto da stridulo, saltellando sul posto. I tre elfi rimangono impietriti, con le mascelle cadenti. 

“Lei è il viaggiatore Leonilevic? In persona? Di fronte a me!” dice Smiley, saltellando a più non posso. Eirikk rinfodera l’arco e Crisser abbassa la mano sul suo coltello. Wiliamm non ha ancora trovato la mascella, caduta chissà dove. 

Il vampiro al contrario batte le palpebre pregne di entusiasmo “Beh, sì, sono io. In persona” dice per ultimo, imitando il tono di voce del secuverso. 

Sia il secuverso che il vampiro ridono di gusto alla battuta. Tra i tre elfi forse Wiliamm è il più sconvolto della cosa. 

“Non ci posso credere! Io e il mio amico fuoco fatuo appena abbiamo saputo di lei siamo corsi subito qui!” dice mostrando un Bloob meno pauroso del solito “Leggo i suoi libri da quando usavo il bastone da passeggio!” continua, asciugandosi una lacrimuccia. 

Leonilevic si poggia gli artigli sul cuore, commosso. Wiliamm non sembra essere convinto di tutto quello che sta succedendo e adocchia il secuverso ben più che perplesso. Eirikk e Crisser al contrario si rivolgono subito al vampiro “Amico, sei uno scrittore?”

“Non ci posso credere! Avete dei nuovi compagni di viaggio! Come nel terzo libro de ‘L’Arcipelago dei Quattro!’” continua Smiley sorridendo con gli occhi lucenti “Dovete essere i suoi nuovi apprendisti in giro per le isole per cercare misteri irrisolti nelle terre disabitate!” 

Questo nuovo appellativo deve aver reso Wiliamm ancora più in imbarazzo. Abbassa la testa non sapendo se dire qualcosa o meno. Ci è cascato anche lui nella trappola di Smiley. Eirikk si ravviva la coda, Crisser si gratta la parte di nuca completamente liscia. 

“Noi siamo partiti per esplorare le isole, ma non…”

“Incredibile!” sospira incantato il secuverso “Perché, signore, se posso, le vorrei consigliare un viaggio, come chiede sempre ai suoi lettori” chiede umilmente. 

Leonilevic si abbandona completamente al fascino del suo fan “Dimmi pure!”

Il secuverso mostra il libro che ha rubato alla biblioteca dell’isola. Lo apre su una cartina nel dettaglio di un’isola ad ovest, tra i ghiacci. Per fortuna Bloob lo illumina di azzurro “In questo libro si dice che ad ovest ci sia una fortezza di ghiaccio nascosta tra le tribù delle fate bianche. Sarebbe un onore vedere il mistero risolto dal grande Leonilevic!” 

Eirikk afferra il libro, ignorando le lacrime di commozione del vampiro. Sembra riconoscere qualcosa. Attira i suoi vicini con un cenno “Affianco a quest’isola c’è la nostra. Mio padre mi ha insegnato come leggere le carte. Potremmo esplorarla e cercare la fortezza”

“…E parlare del suo lavoro!” ritorna alla carica Crisser, facendo imbarazzare Leonilevic. 

I quattro discutono stretti attorno al libro, completamente immersi nel loro futuro viaggio insieme. L’ovest è molto lontano dal luogo dove ci stiamo dirigendo. Non li rivedremo mai più, né il vampiro né gli elfi. Smiley non viene notato più da nessuno a bordo e scende sottocoperta, facendo cadere il cappuccio all’indietro. 

Non c’è nessuno là sotto al buio: gli spiriti notturni sono fuori ad esplorare l’Isola. Smiley ha gli occhi illuminati dalla luce azzurra del fuoco fatuo. 

“Bloob, per un po’ non avrò problemi. Quel vampiro me ne avrebbe dati fin troppi” conclude, chiudendo la celletta e imprigionandolo di nuovo nella tasca apparentemente vuota.

S’incammina sottocoperta, provocando un eco spettrale coi suoi passi.

 

 

Si fa notte fonda e gli spiriti notturni tornano sulla Rosa Bianca per salpare. La fregata apre le vele e tira verso il largo. L’alidoro rimane sveglio ed entra nella cabina del capitano, arruffando le piume con una certa stanchezza. 

Nella cabina c’è l’umano che qualche ora fa era stato rapito da una sirena.

Sei vivo!

L’umano dorme nel letto infradiciato d’acqua, coi vestiti strappati. Il capitano si passa la lingua tra le labbra inghiottendo pezzetti di prugna, di un insolito color rosa confetto. L’alidoro indossa occhiali cerchiati molto stretti e incomincia a palpeggiare il polso dell’umano. Ti svegli e osservi l’ambiente attorno a te, notando tutto ciò che ho visto prima. 

Chiedi cosa sia successo. 

Jolka inghiotte un’altra prugna. 

“Abbiamo avviato un’esplorazione in mezzo al mare per te, sirenetta” afferma Jolka con orgoglio, facendo rigirare gli occhi dell’alidoro che continua a pizzicarti con i suoi artigli di tigre “Ti abbiamo pescato dalle grinfie di un cattivone, lo abbiamo steso con un bel pugno in faccia e ti abbiamo tirato su”

“Il suo battito cardiaco è nella norma, nessun segno di aggressione…” mormora a bassa voce l’alidoro, concludendo la visita. La sua voce era profonda, come quella di un professore. In genere gli alidoro non parlano. Non sanno alcuna lingua se non la propria. 

Guardi il tuo medico con perplessità. Quello ti squadra mostrando i denti di leone sotto il becco “Credevi che fossi un pennuto che starnazza come una gallina in mezzo al mare? Mi stai offendendo umano!”

“Hey, ti sei dato del pollo, doc?” mostra uno sguardo estasiato Jolka. L’alidoro sembra offendersi ancor di più, posa gli occhiali sotto l’ala ed esce fuori, come se quella sola frase abbia distrutto tutta la sua autostima. Il capitano ritorna immediatamente da te. Ti fa segno di alzarti alzando il mento e uscite fuori. Non hai tagli o ferite, ti senti bene, anche se stordito. La divisa di Jolka gocciola sulle scale e sul ponte. 

Sotto l’albero maestro c’è l’alidoro medico che sbraita a fauci spalancate con Pan, che non vedi dal giorno delle prove. Ha la divisa abbottonata male e i capelli in disordine. Il bambino scatta nella vostra direzione vedendo la sorella. Ha occhi sofferenti mentre vi raggiunge facendo piano col suo peso, nonostante la sua agitazione. 

“Ma che hai fatto? Stavi per morire!” il capitano lancia un’occhiata tradita all’alidoro che, ancora offeso, si volta di schiena e torna in volo. Jolka si passa la lingua tra le fauci e ritorna con lo sguardo da Pantalassex, agitato più che mai. 

“Avrei potuto aiutarti, fare qualcosa! Le sirene sono pericolose per gli umani e anche per te! Stavo suonando il pan tutto questo tempo per distarle, ma tu non uscivi fuori dall’acqua! A scuola ci hanno detto che i flauti calmano le sirene, ma non è successo niente! ” dice Pan, completamente nel panico, con quello che avrebbe dovuto essere un pan… con i flauti spezzati. Deve averlo distrutto in preda al terrore e adesso ha dei pezzetti di legno tra le mani.

“Quindi non mi odi?”

“Certo che no! Ti voglio bene, sorellona pigrona!” urla con frustrazione, gettandosi addosso a lei, per abbracciarla. Jolka scatta all’indietro memore di un pericolo imminente. Il bambino rimane perplesso e ferito. Non può fare altro che portare le braccia ai fianchi. Jolka si avvicina a Pan, si china alla sua altezza e lo abbraccia lei stessa. Il bambino resta fermo, prendendosi un pugno affettuoso sulla guancia. 

“Tu dovresti andare a dormire, domani getteremo l’ancora sull’Isola Magna” dice rivolta a te, ricominciando a pestare amichevolmente il fratellino. Ubbidisci, lasciando i due al loro sollievo. Ti gira ancora la testa, il Lago ti ha fatto star male solo nello stare in piedi. 

Sdraiato nel letto del capitano ti rendi conto di avere i vestiti sbrindellati, persino l’elastico dei pantaloni è andato perduto. Gli zoccoli di Jolka, ricordi, sono finiti in mare. Sbadigli, completamente esausto. 

È un sollievo vederti ancora una volta sano e salvo. Devo ricordarmi di fare un po’  più attenzione la prossima volta che vedrò delle sirene nei paraggi. 

Un soffio di vento entra dalla finestrella della stanza. Le carte si agitano sulla scrivania e qualcheduna cade a terra. D’istinto ti alzi in piedi e riordini i vari documenti di Jolka. Poggi la bussola sopra dei fogli e arrotoli la cartina. Afferri uno di quelli caduti a terra. L’occhio ti cade su uno di loro

 

MANOVRA DI EMERGENZA N:1

 

IN CASO DI: 

INFILTRAZIONE DI CREATURE MAGICHE, FANTASTICHE O UMANE NON AUTORIZZATE

 

PASSO 1: TEST 

 

NEL CASO CI FOSSE UN TRADITORE A BORDO E’ NECESSARIO ASSICURARSI CHE NON ABBIA PARASSITI ESTERNI SOTTOCUTANEI

 

LUCE: 

BRUCIARE L’OSPITE CON GHIACCIO DI FATA, MORTALE PER METAMORFI, KITSUNE E INSETTI SUSSURRATORI

 

BUIO:

LEGARE L’OSPITE E FARLO ABBRACCIARE DA UN MANGIASOGNI, MORTALE PER FAMIGLI DI FORMA MINUTA, OMBRE BIANCHE E INSETTI SUSSURRATORI.

 

 

No… è orribile…

 

 

SUCCESSIVAMENTE, UCCISO L’OSPITE NEL CORPO DEL TRADITORE, LO STESSO DOVRA’

 

Smettila di leggere!

Alzi gli occhi dal foglio. Ti senti intontito, per colpa della mia paura. 

Per fortuna Pan non ha trovato questo foglio. Ci poteva uccidere tutti e due! Quello che c’è scritto è troppo pericoloso. Dobbiamo disfarci del foglio. Buttalo via!

Ti tremano i piedi per la strigliata. Tentennante, ti alzi sulle punte fino alla finestrella e getti il foglio. Scompare immediatamente dalla tua vista, succhiato dalla brezza del mare. Non c’è più nulla che potrebbe essere compromettente. 

La cosa più importante adesso è continuare la nostra missione come se nulla fosse. Vai a dormire, penseremo al resto domani.

Ti sdrai sul letto di Jolka e chiudi gli occhi. Ti ci vuole molto tempo per abbandonarti al sonno.

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Capitolo 7
*** Sesto giorno ***


Fai un sogno divertente: un anziano con un berretto color arcobaleno soffia in una pipa in cui escono delle bolle, mentre un ragazzino tenta in tutti i modi di acciuffagliela, convinto che una cosa del genere non faccia bene alla salute di un piccoletto come lui. L’anziano non fa altro che ridere come una scimmia mentre l’altro piagnucola con disperazione, non ricevendo aiuto da nessuno. 

Beato te. Io ho fatto un sogno orribile: un ragazzo sorridente mi ha buttato in mare facendosi un bel po’ di risate. 

Rimani interdetto.

Credo che non dovremmo più parlare dei sogni reciproci d’ora in avanti…

“Sveglia!!!” urla nel tuo orecchio una voce simile a quella del capitano. 

Apri gli occhi. È effettivamente lei, sfortunatamente. Si è vestita di tutto punto, rifiutandosi comunque di chiudere i bottoni della sua uniforme. “Siamo arrivati all’Isola Maestra. Dobbiamo far scendere tutti, anche i belli addormentati come te” 

Uscite entrambi dalla cabina. È mattina presto, nemmeno l’alba, eppure senti un chiacchiericcio e un movimento tale da sembrare mezzogiorno. Gli ospiti più frettolosi della Rosa Bianca scendono, altri attendono di ricevere i loro bagagli consegnati da Pan. Ne sta spostando uno sulla spalla per un Gigante di roccia. La sua valigia di pietra è grande quanto un cavallo, ma il bambino la trasporta senza difficoltà fino al molo. I tre elfi nordici non hanno bagagli se non quello che indossano e le loro sacche. Leonilevic scende insieme a loro, col cappuccio del mantello abbassato. Si avviano verso la città. Non hanno intenzione di fermarsi. Il piano di Smiley è andato a buon fine. 

Osservi quel che sembra la capitale dell’arcipelago. D’istinto guardi in fondo, ma non riesci a vederne la fine. Le case di quest’isola non sembrano altro che cubi poggiati l’uno sull’altro. I cubi sono di dimensioni differenti: adocchi un palazzo con il primo cubo incredibilmente stretto rispetto al quarto, gigantesco. Le strade sono già trafficate con Creature di così tante specie da non riuscire a identificarli tutti. Vedi fiammelle che passeggiano, maghi di corsa su delle tavolozze incantate, scarabei in camicia e cravatta e bizzarri camaleonti che strisciano sui marciapiedi. La carreggiata è ben più larga di quelle di cui sei abituato. Delle fata sbarazzine sfrecciano in sella a dei motorini di corteccia, skateboard volanti con dei giovani elfi, biciclette fabbricate con lo stesso passeggero omingo. Jolka sta parlando con un clan di mignolini che accoglie nelle tasche della sua divisa. 

Le chiedi quando sia possibile raggiungere Karoo. 

“A proposito di questo, non ti conviene iniziare il tuo viaggio adesso” afferma, assicurandosi che i piccoli abitanti siano comodi là dentro “Tra qualche giorno ci sarà il Solstizio d’Estate. Ci sarà una festa gigantesca per tutto il giorno e per tutta la notte. I passeggeri della Rosa sono qui per festeggiare e fare casino. Di sicuro ci saranno problemi nei trasporti e roba così. E, no, non fare quella faccia. La mia nave non può salpare adesso: voglio le ferie” conclude scendendo a grandi balzi, lasciandoti solo sulla nave deserta. 

“Volevo chiederti un aiuto, piuttosto. Pan dovrebbe andare a scuola stamattina, ma a lui quel posto non gli piace per niente” istintivamente annuisci, non sai bene il perché “Se lo accompagnassi e stessi con lui gli daresti coraggio. Gli sei simpatico” guardi Pantalassex consegnare due bagagli ad una coppia di germini dall’aria insonnolita. Sembra piuttosto rilassato stamattina. Non sembra la faccia di qualcuno che dovrebbe andare a scuola da lì a poche ore.

Chiedi al capitano se sia vero quel che dice. 

Jolka sbraita una risata “Certo, secondo te perché è salpato con noi? Lui a malapena sopporta fare lo scaricatore di valige” dice ad alta voce, facendosi sentire apposta dal fratellino che adesso sta consegnando una valigia melmosa e disastrata ad una fata dall’aria cenciosa, senza i denti davanti. Jolka gli dà una pacca sulla spalla, in segno di rispetto.

Meglio accontentarla. Dire di no sarebbe troppo sospetto. Tanto non abbiamo fretta.

Accetti la proposta di aiutare Pan. Jolka sembra soddisfatta e ti fa cenno di seguirla con il piccolo affianco a te. Adesso sembra visibilmente nervoso.

Lanci un ultimo sguardo alla Rosa. È completamente deserta. Nessun ragazzo sorridente sembra voler uscire da lì.

Chissà se Smiley è ancora là dentro…

I mignolini nelle tasche di Jolka sono eccitati. Ne conti sette. Forse è la prima volta che vedono un ponte con un fiume sopra. Il ponte che attraversate è più muschio che roccia. Pan guarda i tuoi piedi e mostra uno sguardo colpevole. Alcune casette, forse divise in isolati, sono molto simili fra loro. Il quartiere che attraversate ha i primi piani quasi del tutto sprofondati sotto terra e i terzi piani panciuti. C’è un’esplosione di colori tra le strade. Alcuni folletti si muovono sopra i tetti come se fossero strade. Lassù usano fili di bucato e cestelli come ascensori. Spesso i tetti sono piatti e quelli con tegole sono muniti di piazzole di legno simili a balconcini spartani. Alcune case, anche se lontane, sono collegate fra loro da un ponticello ideato da una scala di metallo. Gli gnomi ci passano sopra infischiandosene di essere al quarto piano. 

Jolka si ferma e alza la tasca con dentro i mignolini “Questa è casa nostra e dei vostri amici” i mignolini guardano la palazzina con occhi sgranati. 

Il quartiere in cui vi trovate ha cubi regolari. Sono molto simili ai palazzi umani. La casa di Jolka e Pan è stretta e alta, di tre piani, con una scala che scende in basso per il primo piano e una esterna per il secondo. I due fratelli si stanno dirigendo lì. Il terzo piano non ha collegamenti se non una carrucola con un cestino per il pane e un filo di bucato con sopra attaccate delle magliette minuscole. Il tetto è appuntito, la finestra del loro appartamento è gigantesca rispetto alle altre e un camino sale in alto dove una cicogna ci ha fatto il nido.

Jolka porta subito gli ospiti in cucina. Sul frigorifero ci sono altri piccoli mignolini. Sono una ventina, praticamente un clan, vestiti con scarti di cotone e abitini di bambole. Accolgono i loro ospiti salutando anche il capitano. La cucina di Jolka e Pan sembra una qualsiasi cucina umana, senza nulla di bizzarro, incredibilmente pulita e ordinata. Noti che il pavimento sia color mercurio, così come una delle sedie del tavolo. Pan ci cammina senza fare il minimo rumore.

“In cambio di vitto e alloggio del terzo piano i mignolini puliscono casa due volte a settimana a noi e al negozio di fiori al primo piano. Di solito qui è anche peggio” ti schiarisce le idee Pan. Deve aver notato la tua incredulità.

I mignolini raggiungono il terzo piano attraverso un buco minuscolo nel muro e una scala costruita con matite ed elastici per capelli. Chiudono il buchino con un grosso bottone. Jolka lancia la divisa in quella che sembra camera sua facendo cenno di accomodarsi. 

Rimani fermo lì per guardarti attorno. La cucina ha una sola decorazione. Un cactus cosciente apre gli occhi e ti osserva con un sorrisetto fine. Ha due braccia spinose, una più grossa dell’altra, in cui nella più piccola c’è un fiorellino blu appena sbocciato. Il cactus ha un’aria dolce. Non riesci a resistere. Devi farlo. Ti avvicini con le braccia spalancate. 

Chiedi al cactus se voglia un abbraccio. 

Alla piantina s’illuminano gli occhi. Apre la bocca con aria innocente. 

“Spero che muori arso vivo” afferma con vocina adorabile. Abbandoni le braccia lungo i fianchi. Dall’altra parte dell’appartamento Jolka ti urla qualcosa di simile a ‘Lui è Clark. È il mio cactus domestico. Tranquillo: odia tutti. Vero, Clark?’. 

“Ti odio e odio anche lei” dice Clark, guardandoti pieno di amore.

Spunta fuori Jolka con dei vestiti in mano. Pan è decisamente contrario a quello che sta accadendo. Sembra che l’abbia aiutato a vestirsi lei, con una camicia e dei pantaloni scuri. Il bambino non sa ancora vestirsi da solo. 

“Mia sorella vuole che tu mi accompagnassi a scuola e mi lasciassi al portone…”

“No, deve sedersi accanto a te per tutte le lezioni. Mica te la cavi così. L’altra volta sei fuggito via di corsa” Pan arrossisce di vergogna, evitando il tuo sguardo. Jolka, senza divisa, ti butta addosso i vestiti squadrandoti da capo a piedi “A scuola si mettono le scarpe e le maglie non sono bucate” dice lei, buttandoti dentro la sua stanza.

La stanza di Jolka è un disastro, forse peggiore di quella di Smiley. La scrivania è capovolta. Sembra un pezzo di legno con dei puntacci appiccicati sopra. L’armadio è spalancato, gran parte dei vestiti sono buttati a terra. Il cassetto dei calzini e delle mutande è spalancato. L’unica cosa che sembra vagamente in ordine è il letto, anche se le coperte azzurre non sono stirate e il cuscino ha ancora il ricalco di una testa. In bella vista in mezzo a quel luogo disastrato c’è una PS3 collegata ad un televisione, anch’esso collegato ad una gigantesca batteria, senza un grammo di polvere sopra. La batteria è collegata ad un’altra batteria più piccola, collegata anch’essa ad una batteria ancora più piccola… Questa cosa non ha senso. I videogiochi sono in perfetto ordine. Probabilmente sono una quarantina. 

Il capitano ti ha lanciato un maglione stretto e un paio di jeans. Non credi che siano i suoi vecchi vestiti. Ti guardi nello specchio dentro l’armadio. Ha una ragnatela di crepe. Ti infili le scarpe da corsa ed esci. Pan e Jolka stanno ancora discutendo fra loro. Alla fine la sorella gli dondola davanti al naso un sacchetto di monete. 

“Questo è per lo Scattatempo. Buona giornata e tanti saluti” dice infilando il sacchetto nella tasca dei pantaloni di Pan. Jolka vi butta letteralmente fuori casa. Non sai come abbia fatto a trascinare anche Pan. Sulle scale di casa il capitano ti fa un cenno d’intesa. Pan sospira e incominciate ad avviarvi verso scuola. 

La città sembra veramente una metropoli a quest’ora del mattino. Il cielo è nuvoloso, presagio di pioggia in giù. La carreggiata è trafficata. Le vetture si muovono a malapena. Appena svoltate l’angolo comprendi il problema del traffico: un omingo particolarmente scintillante ha ingoiato per sbaglio la macchinina di un saltatore, che ora chiede risarcimenti ad un indigeno con una maschera tribale, mentre scrive su degli appunti la sua versione dei fatti. Pan si trascina i piedi, creando per sbaglio delle crepe sulla pietra. 

Gli chiedi cosa sia lo Scattatempo. 

“E’ un lampione incantato che ti porta ovunque tu voglia per la città. Costa solo una monetina di bronzo ed è facile da usare” dice, mascherando la voce moscia. Noti un lampione diverso dagli altri, drammaticamente basso. Sembra più una decorazione che un vero lampione. All’interno è seduto un fuoco fatuo che vortica all’interno del vetro aperto emanando una luce color nocciola. Una ninfa, guardando l’orologio che ha in tasca, afferra una monetina e la lancia nel fuoco. Il fuoco la inghiotte e un flash infuoca la sua figura, fino a farla scomparire. Pan si posiziona di fronte al lampione, tentennando un po’. 

“Senti non potresti prendere nella mia tasca una moneta? Non vorrei strappare il sacchetto” conclude a bassa voce. Infili la mano nella tasca e prendi due monete di bronzo, grandi quanto un unghia.

“Ah. Dovresti prendermi per mano tu. Se lo faccio io ti romperei qualcosa e… beh” non senti il resto. Lo prendi per mano. Hai l’impressione di stringere un marmo coperto da un velo. La mano minuta di Pan sembra impossibile da sollevare. Pan butta con precisione e lentezza le monete. 

Il fuoco fatuo le inghiotte e così anche voi due.

Riapri gli occhi e vedi al di là della strada la scuola, dipinta di giallo. Anche questa è un mucchio di cubi poggiati addosso all’altro in maniera disordinata. Noti delle decorazioni sulle finestre e nel giardinetto “Il Solstizio d’Estate è dopodomani. Non mi piace come festa. C’è sempre troppa gente per strada ed è imbarazzante perché è la nostra festa e tutti mi guardano…” sospira ancora, con qualcosa di simile a terrore negli occhi “Oggi ho solo tre lezioni, quindi andrà tutto bene”

Conclude il suo monologo avviandosi da solo. Le crepe sotto ai suoi piedi non smettono di incorniciare il marciapiede.

L’interno della scuola è disordinato come la sua figura esterna. Tutti i bambini, che siano Magici o Fantastici, devono essere già in classe, anche se le lezioni non sono ancora iniziate. Uno youkai dalle orecchie timide di coniglio vi ha accolti, ignorandoti se non per chiederti se tu fossi l’accompagnatore di Pan. I suoi saltelli sembravano più dei tremiti. Vi abbandona all’insegnante di quell’ora: un bizzarro corvo giallo, grasso come una patata. Guarda Pan da sotto gli occhiali con una certa perplessità, bacchettando la matita dal suo appoggio di legno.

Mi chiedo come possano esserci così tanti animali e piante senzienti in questo arcipelago. Nel nostro mondo non avevo mai visto qualcosa del genere.

Pan si siede in mezzo a bambini di forma umana. Probabilmente le classi sono divise in figure e in altezze. Vedi fate, elfi, germini, maghi, youkai, spiritelli dei boschi e un centauro nero. Il maestro invita Pan a sedersi. L’unico banco vuoto è al centro della classe. Ti presta una sedia dalla cattedra, quella che non può usare e così incomincia la lezione, con una ventina di occhi puntati sul bambino. Pan accetta l’imbarazzo con silenzio e ascolta la lezione. 

Fuori ha incominciato a piovere. Le gocce d’acqua dalla forma di pesciolini cadono giù dal tetto e si uniscono alle pozze d’acqua. 

Anche la pioggia in giù è anormale. Che sia collegata alle piante e agli animali senzienti?

I bambini hanno deciso che Pan sia poco interessante e ascoltano la lezione. Nulla di anomalo, se non per le tante mani alzate di Pan alle domande del maestro. Conclusa la lezione, passa un secondo insegnante: un elfo dell’ovest, dalla pelle rossastra, che incomincia a parlare di clan e tribù. Pan alza ancora la mano e lo fa almeno altre quattro volte. E’ un tipo attento e preciso. I suoi compagni lo guardano malevolo ogni volta che dà una risposta corretta. 

Passa un’altra ora e arriva un altro insegnante: una donna dalle sembianze di cigno che incomincia a parlare di magia bianca e nera. La sedia su cui è seduto Pan incomincia a inclinarsi verso il basso, come appesantita. Passa una buona mezz’ora, tra poco è ora di pranzo e finiranno le lezioni per Pan. La sua sedia scricchiola. 

“Qualcuno sa dirmi la differenza fra un mago e uno stregone?”

Pan alza la mano con più energia. Nessun altro lo fa. Il centauro nero alla sua destra lo guarda attraverso le pagine del libro con rabbia. La parte equina dalle strisce zebrate è poggiata a terra. Se non lo si osserva dalla cinta in giù sembrerebbe un qualunque ragazzino di colore. Dietro di lui c’è un elfo dai capelli biancastri e la pelle olivastra che sospira rumorosamente. 

“Un mago vive di magia prodotta dal sole, uno stregone invece dalla luna”

Se ha un amico mago è ovvio che lo sa’ mormora una fatina con una lunga treccia ornata di margherite ad un’altra compagna più annoiata di lei. A loro bruciano gli occhi guardandoti. La maestra sembra molto soddisfatta della risposta e annuisce serena nello sguardo. Manca un quarto d’ora alla fine della lezione. 

“Perfetto, Pantalassex. Ce lo spiegheresti meglio disegnandolo alla lavagna?”

Cala un silenzio agghiacciante. Le due fatine faticano a ridacchiare a bassa voce, il centauro e l’elfo alzano gli occhi di scatto. Pan è diventato bianco. La maestra guarda confusa la classe, non comprendendo. Il bambino si alza dal posto trascinando i piedi fino alla lavagna, come se si stesse dirigendo al patibolo. Afferra il gesso, tentennando molto prima di sollevarlo. La maestra batte piano le palpebre, continuando a non capire. Un germini alle tue spalle deglutisce. Pan poggia delicatamente la punta del gessetto sulla lavagna. Preme troppo a fondo. Sul nero adesso c’è una ragnatela di crepe, il cui epicentro è la punta di gessetto. Un pezzo di ossidiana è stato distrutto da un gessetto. La maestra guarda il pasticcio con incredulità, col becco spalancato. 

“Non fa niente. Torna al tuo posto”

 Pan si dirige verso il banco con le mani vacillanti. Il germini diventa un pasticcio sulla sedia, tanto si è stretto su se stesso. Pan ha gli occhi lucidi mentre si siede. Si sente un boato. Pan inciampa per terra: la sedia si è frantumata sotto al suo sedere. Le due fate scattano per aria, librandosi in volo, più impaurite per il rumore che per quel che è successo. 

“C-Credo che dovrei chiamare tua sorella” 

Pan guarda incredulo l’orologio: mancavano solo cinque minuti alla fine della lezione. 

I bambini sono scesi tutti in giardino per pranzare. Alcuni di loro sembrano adorare l’umidità e schizzano i piedi minuti o giganteschi dentro le pozzanghere dove si sono raccolti i pesciolini. È appena finita la pioggia in su. Pan non sembra avere appetito. Si dirige a passo veloce fino al limitare del giardino. Lì ci sono due panchine. Quando guarda i posti a sedere digrigna i denti. I folletti seduti sembrano riconoscerlo, prendono le loro cose e saltellano via. Due omini d’inchiostro che giocavano assorbendo l’acqua delle pozzanghere si dileguano, così come un saltatore che passava lì cercando un posto dove pranzare. 

Bambini di varie forme e colori si divertono giocando insieme. Uno scarabeo color caramello accetta di stare sulla spalla di un piccolo youkai a forma di gatto nero. Nessuno si avvicina a Pan. Nessuno gli offre il pranzo come fa un velocipede dalle piume magenta al suo amico mignolino. Nessuno sembra notare che Pan sia sconvolto. 

Dici a Pan che non ha importanza quel che è successo. Pan trattiene le lacrime fino all’ultimo e le rigetta all’indietro. 

Qualcuno si avvicina. È il centauro nero della classe, col suo vicino elfo e il germini che si era nascosto nella sedia. Stavano cercando un posto dove sedersi e hanno trovato solo le due panchine lì vicino. Cercano un’alternativa, ma sembra che non ce ne sia. I tre sospirano tra di loro e si siedono, meno che il centauro, che rimane in piedi con un panino dal ripieno di un insolito verde prato. Pan li nota e rigira gli occhi. Mangiano in silenzio. 

“Certo però che ti diverti a fare il cattivo” dice il centauro con una voce per niente bassa. Pan l’ha sentito “Potevi farne a meno di rompere la lavagna” conclude, squadrandolo con le trecce che gli scendono dietro le orecchie. 

Pan scatta sull’attenti, con le guance rosse “Non l’ho fatto apposta”

“Sì, sì” mormora l’elfo. Il germini lo guarda incredulo “Dici sempre così, che non è colpa tua. Ma a chi la dai a bere?” 

“E’ vero. Ci sono altri come te, ma riescono a controllarsi” annuisce il centauro, deciso ad attaccare. Pan chiude un attimo gli occhi, sapendo cosa dire al momento giusto. 

“Loro sono più grandi di me”

“Davvero?” esclama fuori luogo uno dei due germini, un po’ più sbiadito del suo contrario, che gli lancia un’occhiataccia dall’altra parte del suo corpo “Infatti Agran è proprio forte”

“Sì, lui è ganzissimo e bellissimo!” esclama la fata con la treccia, sentita la conversazione con le sue orecchie a punta. 

Sembra che una parte del giardinetto abbia trovato la conversazione intrigante. Le fate che prima giocavano con una corda in aria stanno osservando la reazione di Pan con interesse. Vedendo il suo rossore diventato viola dalle risate, uno gnomo particolarmente grasso sghignazza divertito. I mignolini sugli alberi guardano perplessi tutto quello che sta accadendo. Il centauro si è rimesso in piedi. Adesso, con la sua metà equina al completo, sembra davvero più alto e pericoloso di Pan. 

“Dovresti essere fico come Agran e non un piagnucolone perché rompi tutto e fai sempre chiamare il preside. Mio zio sa che sono bravo e infatti non lo faccio venire mai a scuola” afferma, annuendo fra sé e sé, con la consapevolezza di aver detto qualcosa di importante. L’elfo guarda con ammirazione l’amico. Le fate guardano innamorate il centauro con gli occhi a cuoricino. 

“Sì, è vero, Arco. Tu sei bravo” Arco ringrazia l’amico per il complimento e ritorna a Pan. 

“Vedi, lo dicono tutti. Tu rompi sempre tutto” 

Il giardino si sta facendo animato. Qualcuno ha deciso che fare un cerchio sia la scelta giusta per questo teatrino all’aria aperta. Il rossore di rabbia di Pan è talmente vivo da oscurare le lentiggini. 

“Sta’ zitto!”

“E perché? Cosa sai fare tu?” dice a mo’ di minaccia, sbattendo gli zoccoli a terra. La platea arretra di qualche passo, senza disperdersi “I miei zoccoli sono fatti di ferro! E Elvero ha un arco fantastico come la lancia di Agran!” 

L’elfo estivo si guarda attorno con timore, essendo stato tirato in causa. Tutti infatti lo guardano con un certo fascino. Elvero sgattaiola dietro la parte equina di Arco, bisbigliando qualcosa di simile a ‘Ma io non posso usare l’arco a scuola, lo sai’. L’amico lo scaccia via con una manata. 

“Agran è diverso da me” continua Pan, con voce minuscola. 

“Sì, perché è meglio di te, ecco perché è diverso” a Pan brillano gli occhi pieni di astio. Scintillano dalla voglia di vedere il centauro a pezzi. Il pugno nel suo fianco scricchiola pericolosamente scrutando la faccia arrogante di Arco. 

Sarebbe meglio intervenire. Potrebbe accadere un guaio. 

Ti metti in mezzo dicendo di essere gentili con Pan e di non insultarlo. Tutti i bambini ti guardano con noia. Arco ti osserva dall’alto verso il basso, così come Elvero. L’unico che ti guarda con ammirazione è il germini, la metà gentile, che sorride impacciato. 

“Ma che vuoi tu? Ho detto la verità” ti strilla nelle orecchie Arco.

Pan fa un passo in avanti e lancia un pugno sul viso del centauro. Nello stesso istante si alza un vento impetuoso che fa indietreggiare la metà equina. Le fate che svolazzavano in cielo vengono sbattute lontano. Un polverone si alza trascinando dietro di sé terra e acqua. Pan aveva uno sguardo di fuoco nell’alzare il pugno. La faccia di Arco è intatta, anche se con le pupille fuori dalle orbite. Le sue trecce sono diventate degli spuntoni. Arretra gli zoccoli ancora un po’ e infine cade a terra, completamente scioccato. Gli alberi si sono inclinati verso il suolo, un paio si sono staccati da terra. Si sentono grida di terrore, le fate fuggono via, i mignolini scendono dagli alberi con gran fretta. Un insegnate youkai dalla testa di tigre e un bidello dal corpo di una lumaca gigantesca guardano lo scompiglio, trovando l’artefice in meno di dieci secondi. 

“Pantalassex!” si sente un ruggito lontano. 

Il bidello lumaca, con una velocità sorprendente per un essere come lui, si avvicina ad Arco, chiedendogli come stia. Arco ha ancora la bocca e gli occhi spalancati. Si stringe a sé come per cercare di togliersi la paura dalle strisce. L’insegnate youkai ruggisce di rabbia e ordina a voi due di andare dal preside.

C’è un gran scompiglio fra gli insegnanti e i bidelli. Ci si chiede chi possa fare un salto a casa di Jolka per chiamarla. Inizialmente in molti si chiedevano se si trovasse sulla Rosa Bianca o nel suo appartamento, ma Pan rispose subito all’interrogatorio e l’enigma si concluse in un attimo. Il preside dietro la porta sembra minaccioso, presentato da un’ombra scura e grottesca dal vetro del suo studio. Non l’hai visto, ma la sua voce rauca ti ha fatto retrocedere. 

Sei seduto su una delle sedie fuori dalla porta a vetri. È una delle tre della tua misura: le altre sono troppo grandi o troppo minute. Pan è rimasto in piedi finora, rifiutandosi persino di poggiare la schiena al muro. 

Il preside si spazientisce e chiama l’insegnante dalla testa di tigre per chiedere perché una ragazza dalla forma umana non sia tanto veloce da raggiungere la scuola. Il maestro, mortificato, risponde di non sapere chi abbiano inviato come messaggero a casa di Jolka. Dopo tre ore di tensione fredda si palesa il capitano, vestita con la divisa. È meno trasandata del necessario, ha persino il fazzoletto al collo. 

Jolka lancia un occhiolino verso Pan e una pesante pacca sulla testa a te, che per poco non ti faceva cadere a terra. L’insegnante tigre si presenta alla sorella, con solo la giacca e la cravatta. Osserva la fine del corridoio a bocca aperta, vedendo il suo collega lumaca trascinare dietro di sé una striscia di bava. 

“Ho fatto più in fretta che ho potuto. Non avevamo nemmeno gli spiccioli per lo Scattatempo…” ammette, mortificato. La tigre rimane a fauci spalancate. Jolka entra nell’ufficio. Il preside è nient’altro che un’ombra sulla parete. 

Pan è immobile in mezzo al corridoio “Ha distrutto una lavagna, polverizzato una sedia e ha rischiato di ferire uno studente! Se continua così dovrò farlo accompagnare da un insegnante di sostegno!”

Il dialogo è andato avanti con questo tono per altre due ore. Il sole sta tramontando fuori casa, presto farà buio. Jolka è stata inflessibile fino ad ora. Il preside sospira, la sua voce sembra meno minacciosa. 

“Jolka, so che è stato difficile per persone come tuo fratello e come Agran. Quel ragazzo ci protegge ogni giorno da quel che succede in giro per l’arcipelago. Ma Pan…” Pan nel corridoio sembra essersi fatto di cera “… Pan non si sa controllare. Questa storia della scuola non è mai stata una buona idea”

Il bambino di fronte a te sembra aver preso un duro colpo al cuore. Incomincia a tremare sul suo posto. Fuori il sole è tramontato, l’insegnante tigre grugnisce un saluto rammaricato. Dà una pacca sulla spalla a Pan e si dirige verso l’uscita, portandosi dietro la giacca nera. Jolka si rizza subito a sedere, composta.

“Mio fratello si deve solo esercitare. È ancora un bambino” dice con una voce ben più femminile. 

“Ma non…”

“E’ un bambino. Agran, visto che lo mettete sempre in mezzo coi vostri discorsi, aveva quindici anni quando gli hanno iniettato il sangue della Dea Bianca. Pan aveva pochi mesi. Agran non pesa quanto un drago e non può frantumare una montagna con un pugno. Le sue ossa sono una maledizione e lo stesso vale per il cuore di Smiley, la testa di Tomoko e la pelle di Karoo”

Il preside dietro la porta a vetri si aggiusta gli occhiali. È imbarazzato e mortificato. Niente potrà battere i singhiozzi di Pan “Jolka, perdonami se ti ho offeso”.

“Pantalassex non ha bisogno di stare qui. Ha imparato molto più sulla mia nave e da Karoo. Gli farà da insegnante, lo è sempre stato. E Agran gli insegnerà come usare al meglio il suo potere” Jolka si alza dalla sedia con uno scatto. Il preside sospira. 

“Jolka, mi dispiace”.

“Statemi bene, preside” dice a mo’ di saluto, con un tono maschile. La porta viene spalancata. Scruti uno gnomo seduto elegantemente alla scrivania, poggiata su un’altra scrivania ben più gigantesca della sua personale. Distoglie lo sguardo nel vedere Pan. Jolka sbatte la porta dietro di sé con il tallone, senza dare il tempo di formulare un saluto. Il capitano dà una sonora pacca sulla spalla a Pan. Non lo fa sbilanciare nemmeno di un millimetro. 

“Hey, nanerottolo! Ho portato notizie da urlo: niente più scuola! E per sempre. Tadah!” afferma, spalancando le braccia come ali. Questa notizia non alza il morale al fratellino “La scuola d’ora in avanti te la faranno Karoo e Agran… e occasionalmente anch’io. Voglio altri cinque videogiochi per questo regalino di Solstizio. Ti va bene?”

Pan tira su il naso. Ha gli occhi rossi. Jolka lo nota e si abbassa alla sua altezza. 

“Hey, che sono queste lacrime da pesciolino rosso?” gli asciuga le lacrime nel modo più imbranato possibile “Andiamo a casa e ci facciamo una dormita sopra. Domani salterai di gioia”. 

Tornando a casa Jolka non ha fatto altro che parlare di progetti futuri e di giochi che Pan potrebbe fare adesso che ha lasciato gli studi come un vero uomo. Però il piccolo non ha alzato la testa nemmeno per un istante. Raggiungete la palazzina prima che faccia veramente buio. 

Appena aprite la porta una campana in lontananza suona cinque volte. Non sai ancora cosa significhi. 

Segui i fratelli dentro casa. La cucina è un po’ più disordinata di come la ricordassi. Ci sono dei piatti sporchi nel lavabo e gli sportelli sono spalancati, mostrando i piatti e le salse… e armi giocattolo, una katana, un fucile ad acqua colorato e una forchetta grande quanto te stesso. Per puro miracolo entra in quello spazio minuto. 

“Siete dei mostri” dice Clark, non appena Jolka chiude la porta con un calcio. 

“Mica ce lo devi ricordare, Clark!” dice, spingendo Pan lontano dal cactus pestifero. Vedendoti ti ha fatto una linguaccia affatto affettuosa. 

Jolka spalanca il frigo in cerca di qualche soluzione per la cena. Pan non si siede al suo posto e non vuole mangiare. Il capitano alza le spalle e scompare in camera sua, facendoti cenno di arraffare tutto quello che vuoi. Nel frigo più vuoto che pieno trovi di tutto: tre barattoli innocui di marmellata, un polpo vivo che ti osserva alquanto perplesso mentre si passa sui tentacoli uno spazzolino a mo’ di spazzola, un tacchino farcito, dei cartocci di latte con l’immagine di un porcellino sopra… un porcellino verde (sono solo coincidenze), delle fiaschette di rum analcolico e una bambola voodoo a forma zebra. Quest’ultima non è sicuramente una coincidenza. 

Jolka ritorna, vestita con una canotta e dei pantaloncini. Le sue ginocchia sono nodose, la pelle fin troppo chiara e le gambe troppo ossute. È impressionante come la divisa nasconda tutto questo. Si è portata dietro un pigiamino azzurro. Pan si lascia svestire. Mentre si rivestire le giunture della maglietta sembravano sospirare per il dolore. 

“Fammi un favore” dice a te “Dormi in camera di Pan. Ci devo fare un discorsetto da sorellona a fratellino”.

Ti dirigi nella stanza di Pan. Dall’altra parte senti dei singhiozzi. La stanza di Pantalassex sembra una qualsiasi stanzetta per bambini. La libreria è ordinata, sulla scrivania ci sono dei giocattoli. Ad un gigante di ghiaccio è stato polverizzato il braccio e ad un incendiario è stata mutilata la testa. Non deve averlo fatto apposta. Il tappeto è morbido sotto i piedi nudi e sotto a questo c’è ancora il legno color mercurio. Anche le pareti sono fatte di quel metallo, nascosto maldestramente dietro alla vernice blu mare. 

Il letto di Pan è un materasso senza alcun sostegno che lo possa reggere. C’è un’orma sulle molle. Le coperte sono strappate. Decidi di non toccare l’armadio e di toglierti semplicemente i vestiti che ti hanno regalato. Dopotutto è estate e su quest’isola senti il caldo molto più che sull’isola di Tomoko o sulla Rosa Bianca. 

Chiudi gli occhi, sentendo in sottofondo un pianto e delle carezze sui capelli. 

 

 

 

 

“Jolka… a scuola stavo per spaccare la faccia ad Arco”

“Anche a me spesso viene voglia di spaccare la faccia a qualcuno, non prendertela”

“Non l’ho fatto perché mi sono ricordato di un sogno che avevo fatto qualche giorno fa. Ero sempre a scuola e Arco mi aveva fatto arrabbiare, proprio come oggi. 

Però lo avevo colpito e la sua faccia era esplosa. C’era sangue dappertutto”

“Cavoli, Pan…”

“Jolka, pensi che se non mi fossi fermato avrei ucciso Arco?”

“Queste domande non si fanno all’una di notte. Dormi, pesciolino, dormi”

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Capitolo 8
*** Settimo giorno ***


Appena ti svegli noti subito il sole in alto fuori la finestra. Esci dalla stanzetta di Pan dopo aver indossato i vestiti.

La cucina è disordinata, come la sera prima. I piatti si stanno lentamente accumulando nel lavabo e le credenze sono ancora spalancate. Il tavolo è vuoto, al centro c’è solamente Clark appena sveglio, col suo sguardo innocente e spensierato. È stato poggiato lì a mo’ di decorazione. Ti guarda intensamente. Sei indeciso se definirli degli occhi amichevoli o pieni di odio. La stanza di Jolka si apre con un cigolio. La testolina di Pan esce fuori dal buio, imbarazzato come non mai. 

“Buongiorno”

“Siete orribili” conclude Clark, senza smettere di fissarti. 

Pan esce fuori dal suo nascondiglio, già vestito e pettinato dentro la sua divisa. Si accorge di aver portato involontariamente qualcosa in mano. Si osserva il palmo perplesso. È un cofanetto minuscolo, con sopra la stampa di un unicorno che sputa… un arcobaleno? O forse una fiammata, visto il colore rossastro. Pan lo riporta indietro, senza svegliare Jolka, ancora addormentata “Mia sorella è stanca. L’ho tenuta sveglia per tutta la notte…”

Ti si avvicina, ancora più imbarazzato “Riguardo ieri… volevo chiederti scusa. Per le lacrime e tutto”

Rispondi che va tutto bene, che non ti sei sentito a disagio ieri. 

Pan ti ascolta pieno di comprensione, come se sapesse dentro di sé che tu stia mentendo. 

“Ho chiesto l’autorizzazione alla sorellona” dice, grattandosi la testa “Mi ha detto che possiamo andare alla stazione per fare un tentativo” il tuo sguardo perplesso lo fa entrare di nuovo in modalità secchione “Nella città c’è un treno che porta i lavoratori all’Isola Meccanica, l’Isola affianco alla nostra. Jolka mi ha detto di non sperarci troppo, visto che domani c’è il Solstizio, ma credo che tu vorresti passare lì per darci un’occhiata”

Dici che è vero, vorresti comunque provarci. 

Pan annuisce con una vaga tristezza. Ti guarda sinceramente mortificato, ma non con occhi da bambino. Pan è una persona molto adulta.

Uscite fuori casa. Stanno salendo dei mignolini dalla carrucola del terzo piano. Pan li saluta distrattamente mentre scendete le scale. Al primo piano c’è un’insegna che non avevi mai notato. Il negozio di fiori è chiuso, le tende non fanno entrare un raggio di luce. 

La strada sembra essere stata chiusa ai mezzi di trasporto. Non vedi uno scarabeo multicolore seduto a cavallo di uno scooter e nemmeno un giovane mago in skateboard. La carreggiata è stata riservata a bancarelle di varie dimensioni, dalle più minute, sorrette da una seconda bancarella, alle più grandi, in cui vari giganti di roccia stanno accatastando, in ginocchio, dei pezzi di roccia mineraria. Nessuna di queste sembra essere ancora aperta. Stanno ancora mettendo in ordine. È bizzarro vederne una fabbricata col ghiaccio e un’altra minuta, collegata a terra con degli spaghi, legati a dei gusci di noce. 

Pan guarda distrattamente il loro lavoro “Ho già visto questa festa un milione di volte. Ed è sempre così: prima c’è la parata per gli spiriti diurni, poi i fuochi d’artificio di giorno, poi si aprono le bancarelle e iniziano le gare per i bambini. Poi tutto ricomincia daccapo per gli spiriti notturni, come ogni anno…” mormora più per se stesso che per te. Pan non sembra affatto un bambino, chissà quante volte avrà visto questa festa e quante volte si sarà annoiato.

Pantalassex si blocca con uno scatto di fronte ad un carretto montato su due ruote. Alla guida c’è un incendiario, con il corpo fatto interamente di fiamme roventi. Alla vista del bambino gli si fanno le fiamme arancioni “Cosa volete, ragazzi?”

“Due focacce ai mirtilli, per favore” risponde prontamente, con la bava alla bocca.

Sicuramente non si annoia di fronte al cibo, come ogni bambino.

L’incendiario fa sbuffare la fiamma di blu sulla sua brace portatile, poi diventa verde, poi arancione e infine bordeaux. Dalla brace saltellano due focacce piuttosto grandi, di un bizzarro color violetto. Ve le porge in una vaschetta che Pan afferra con prudenza. Vi saluta sbuffando in un colorito giallognolo e parte alla carica verso altri bambini dietro di voi. Pan ti offre la seconda focaccia. La pasta è secca, ma viene riempita da una crema dolce ai mirtilli. Non è male. 

La piazzetta in cui siete arrivati è piena, ma non affollata. Devi spintonare qualcuno per raggiungere l’altro capo della fontana al centro. Non ne sei certo, ma credi che ci sia una statua di ferro in mezzo all’acqua. Che sia una sirena o forse un tritone? Arrivati in coda alla folla vedete un edificio scolpito nel ferro. Di ferro è il tetto, di ferro sono le finestre, di ferro le porte e persino le panchine all’interno. È la stazione. Alla vista del tetto intagliato Pan ritorna malinconico.

L’ambiente sembra un continuo di grigio e di varie sue sfumature. Sembra che il soffitto sia stato intagliato con degli ingranaggi. In fondo vedi un treno fermo, di un design moderno e luminoso. Capisci che il binario è unico, con un solo treno, lungo fino all’inverosimile. Tutto questo sembra rendere Pan ancora più triste “Allora ci salutiamo” dice Pan, alzando formalmente la mano. Non la stringi. Pan ricorda e capisce, pur con un sospiro scoraggiato. 

“ALT!” tuona qualcuno all’interno del vagone. Le porte si aprono con un gesto automatico e ne esce fuori una palla di metallo, a forma di talpa, con un berretto da minatore in testa. Saltella sul posto con un incredibile agilità “Niente estranei! Tutto chiuso! Tutto chiuso!” 

A Pan scintillano gli occhi per la gioia “La stazione è chiusa fino alla fine delle vacanze?” 

In tutta risposta la talpa meccanica fa uscire chissà dove un cartello di metallo che pianta a tre centimetri dai vostri occhi ‘TUTTO CHIUSO. FUORI!’ 

“FUORI!” conclude quella, spingendovi con energia verso l’uscita. Si calma soltanto non appena vi vede camminare fuori.

“Andiamo a casa?” dice il bambino, più come un’affermazione. La questione per lui è stata risolta in maniera più che positiva.

Pan ha cambiato completamente atteggiamento nei confronti delle vetrine dei negozi e persino verso le bancarelle. Sembra entusiasta del Solstizio d’Estate. Se potesse saltellerebbe tra un nano e un mignolino con la stessa leggerezza di una piuma. Ti ha fatto girare in ogni angolo della città, mostrandoti quel che nemmeno avevi chiesto di mostrarti, con la stessa eloquenza di un cicerone. Scopri che la città ha tre piazze, sette ponti e che il fiume che la attraversa taglia l’isola a metà, ma questo sarebbe possibile navigarlo, a differenza del Lago Salato. I corsi d’acqua dolce non sono corrosivi.

Tutto questo non è stato affatto utile. Credo che non scriverò altro di questa giornata.

Tornate a casa la sera tardi. Il sole è calato dietro alle colline in lontananza e la pancia è piena di spuntini. Pan deve aver razziato ogni carretto esistente nella città. I mignolini al terzo piano stanno ancora usando l’ascensore-cestello. Questa volta sono loro a salutarvi distrattamente. Aprite la porta. In cucina c’è solo Clark, spostato alla finestra, addormentato con un sorriso sulle labbra. 

“Jolka, avevi ragione, la stazione è chiusa” urla Pan nella stanzetta. Non risponde nessuno. Pan si spazientisce e spalanca la porta, sbattendola con un boato contro il muro. 

“Jolka?” la stanza è vuota, il letto è in ordine e l’armadio stavolta è chiuso. La console è spenta, come dovrebbe essere qualsiasi console. 

Pan sembra realizzare qualcosa di azzardato. Entra ancora in cucina “Jolka ti ha dato qualcosa?” chiede con una certa isteria a Clark. Quello non si sveglia, come se la cosa non lo riguardasse. Entra in camera sua, poi di nuovo in camera di Jolka, poi di nuovo in cucina. Guarda nel foro dove si infilano i mignolini per scendere verso il frigorifero. Pan bussa e un paio di loro, donna e bambino, escono incuriositi.

“Avete visto mia sorella?” i mignolini, con le loro facce da topolini, scuotono la testa. Chiudono il foro pieni di preoccupazione. Pan sembra un animale in gabbia “Non c’è!” esclama “Non c’è! Di solito mi dice dove va!” continua, con le lacrime agli occhi. 

Dai una pacca sulla spalla a Pan. Gli dici di non preoccuparsi, che di sicuro lei sta bene. 

Strano. Smiley non dovrebbe essere nei paraggi. Non dovrebbe, credo. Lo saprei. 

Gli dici che sicuramente non è in pericolo. Si sarà allontanata per comprare qualcosa. Pan ascolta le tue parole come se non lo toccassero affatto. 

“Non lo fa mai, mi lascia almeno un messaggio” dice, cercando sotto al tavolo e nelle credenze. Ancora nulla “F-Forse i vicini sanno dove sia andata” sta per bussare di nuovo alla porticina dei mignolini. Lo fermi appena in tempo. Sarebbe inutile. 

Ti viene in mente il negozio di fiori. 

Chiedi a Pan se voglia provare a chiedere ai vicini del piano di sotto. 

Pan ti guarda con indecisione. Ricaccia le lacrime indietro. 

“Ora c’è il cambio d’ora fra spiriti solari e notturni” come chiamato all’appello, la campana suona cinque volte e tace. Fuori è buio, hanno iniziato ad accendere i lampioni “Io non sono mai stato fuori al buio in città. Non ho mai parlato con i vicini di sotto. Potrebbero…” interrompe la frase, incerto. Realizza qualcosa e tira su il naso. Gli occhi gli brillano di coraggio. Ti fa segno di seguirlo e vi avviate al piano di sotto. 

Le strade sono illuminate distrattamente dai lampioni e dai fuochi fatui violacei dentro le teche. Uno di loro sembra essersi comodamente sdraiato dentro, usando il cerino come poltrona. Per entrare nel negozio dovete scendere tre gradini di scale. Hanno appena aperto, eppure sembra che abbiano preparato tutto già da qualche ora: i fiori, scuri e colorati che siano, sono già in ordine. L’insegna è stata fissata in un attimo: ‘Fiori del Male. Aperto’.

È una citazione, non serve nasconderla.

Pan entra dentro con energia. La porta regge per miracolo, facendo un gran tonfo. La vecchia seduta al bancone lancia uno strillo guardandovi indignati. La faccia della strega è di un bianco verdognolo, con un naso aguzzo come il becco di un corvo. I capelli arricciati e neri sono nascosti in una cuffietta. Stava armeggiando sotto al bancone prima di sentirvi entrare. Vi guarda irritata. Vedendo questo silenzio Pan si fa timido. 

“B-Buongiorno” mormora a bassa voce. 

“Ma che razza di saluto è?” gracchia la vecchia, puntando le mani ai fianchi. È bassa e tarchiata, persino più del bambino. Pan si fa rosso. Si guarda attorno con fare adulto, cercando di fingere di non provare imbarazzo. Adocchiate una pianta strana, vivente, con una grossa bocca aguzza. La pianta si lecca le labbra (eh?!) con una lingua bavosa. 

“Ah…buonanotte?” mormora con ancora meno voce. La strega fissa gli scalini con un tic all’occhio. Pan ha inclinato il legno delle scale, persino le mattonelle sembrano soffrire del suo peso. Pan finge di non accorgersi di nulla, anche se il rossore dice ben altro “C-Cercavo m-m-mia sor-r-rella…”

“Che balbettio idiota!” interrompe quella, tagliando in due persino l’aria. La pianta strana spalanca le fauci, provando a sorridere. 

Pan si fa sull’attenti, deciso ad essere diretto “L’avete vista?”

“Chi?”

“Mia sorella!”

“E chi diavolo è?” 

La mattonella si spacca con un boato sotto ai piedi di Pan. La strega sussulta ancora, tirandosi all’indietro. Pan mormora qualcosa di simile a delle scuse e si china per radunare a terra i resti del suo disastro. Le piante sospirano di paura nel sentire quel tonfo. Una famiglia di tulipani neri chiude i boccioli, tremando. 

Spieghi che siete i vicini del secondo piano e che Jolka, la sorella di Pan, è sparita.

Chiedi alla strega se l’abbia vista. 

La strega durante tutto il tuo discorso sembra aver calmato i bollenti spiriti e ti ha ascoltato con attenzione. Ti ha sondato con gli occhi per tutto il tempo, tirando di tanto in tanto il naso. Pan ritorna in piedi, consapevole di non aver fatto molto per migliorare al pasticcio. La strega lancia un’occhiata indecifrabile anche al bambino e tira su il naso una ventesima volta.

“Sedetevi, non ci ho capito niente” conclude. 

Pan rimane in piedi, come al solito, mentre tu ti siedi su una delle due poltrone di un verde pacchiano. C’è un tavolino di fronte a voi, con un vaso d’argento vuoto. 

Racconti una seconda volta l’accaduto, cercando di inserire più dettagli possibili.

“Forse avete visto mia sorella scendere le scale” afferma frettolosamente Pan. Tutta questa calma sembra averlo reso ancora più agitato di prima. La pianta strana è alle sue spalle e, nonostante non abbia occhi, sembra guardare il bambino con un ché di malizioso. 

“Volete qualcosa?” interrompe bruscamente la strega, porgendo il vaso sotto ai vostri nasi. Dal nulla si formano delle caramelle bizzarre, dalla confezione nera e grigia. Sono grosse come palle da biliardo, ma con un buco al centro. Non hanno un aspetto invitante. Pan alza la mano, declinando gentilmente.

“Eh, no, grazie. Dicevo, la sua divisa è nella sua stanza, quindi dev’essere uscita in abiti civili…”

“Un frappé al cioccolato? Caramelle alla liquirizia?” cinguetta la strega con un tono cordiale e falso allo stesso tempo, facendo avvicinare ancor di più il vaso sotto ai vostri occhi. Scompaiono le caramelle e appaiono delle mousse blu cobalto e altre caramelle senza carta, color petrolio con pezzi di quel che sembra a prima vista del muschio. Anche questi non hanno un aspetto invitante. 

“No, parlavamo di mia sorella”

“Siete una noia!” ruggisce lei, sbattendo a terra il vaso che per miracolo non sembra fare rumore. Le piante si agitano, meno che quella strana dietro Pan. Sembra vedere tutto questo come un gioco o qualcosa di simile. La strega arrossisce in un disgustoso verde palude. Vi guarda con occhi rossi pieni di rabbia “Non sapete che non si rifiutano i dolci offerti?”

“Non mi pare fosse così, signora”

“Ah, sì?” interrompe, seccata. Il vaso sembra essere risucchiato dentro le piastrelle e sparisce “Allora dovrò fare la persona maleducata!”. 

La pianta strana incomincia a stringere Pan per la pancia, come se nulla fosse. Infatti Pan se ne accorge in ritardo. Si dimena senza fatica, mentre la pianta stringe pur non ottenendo risultati. Rutta addosso a Pan. Dalla sua bocca esce fuori una nebbiolina che avvolge la testa del bambino. Pan non fa in tempo a realizzare cosa stia accadendo che sviene. Cade di botto, cozzando la testa a terra e portandosi dietro la pianta strana che, ancora una volta, non sembra provare dolore. Si è aperto un buco gigantesco a terra e Pan ci sprofonda come nulla fosse.

“Lo sapevo: era quel marmocchio che fa tanto rumore al secondo piano!” afferma, dando una carezza amichevole alla pianta, caduta a terra “Brava Leccatina!” la pianta si alza con uno scatto e prova a dare un morso alla padrona. Lei si tira dietro in fretta e le dà un ceffone “Stupida pianta!” Leccatina rimane a terra, felice, come se avesse appena ricevuto un complimento. 

“Da due giorni che non dormo per colpa sua” inizia, rivolgendosi probabilmente al muro, visto che non ti degna di uno sguardo “Ora basta, dico! Chissene frega delle mie sorelle. Di lui mi faccio una trapunta e di te…” dice, questa volta puntandoti un dito incarnito “So benissimo che sei un umano. Avete un odore inconfondibile. Di… schifo, ecco!” conclude, annuendo compiaciuta “Sai una cosa? Per pura vendetta provo gli stufati della bisnonna, a base di umano. Così questo marmocchio imparerà a fare baccano tutto il giorno!” 

Pan in risposta tira su un sospiro. Dorme spensierato. La strega sparisce all’interno del negozio e ricompare con un libro vissuto, che sfoglia facendo alzare la polvere. Leccatina le si avvicina, realizzando di poter viaggiare fra un vaso all’altro, importunando gli altri fiori con la sua presenza. Prova a leccare una delle pagine, ma la padrona le sbatte in faccia altre cinque dita. Batte in ritirata, verso Pan, che continua a dormire con la guancia a terra. La strega punta l’unghia verso un rigo che non riesci a leggere. 

“Sono torn-hiaaa!!! Zharavia!!!” urla qualcuno all’ingresso. Si è palesata una donna, senza nemmeno aprire la porta. È simile alla strega, con gli stessi capelli ricci e scuri e la stessa corporatura, solo poco più alta. Ha un colorito giallastro e un naso stretto come il becco di un canarino. La strega Zharavia alza gli occhi con somma noia. 

“Che vuoi, Herbessa?” ringhia tra sé e sé, respingendo Leccatina “Sto cercando di fare una zuppa!” 

“Con i vicini?” urla con una vocina acuta la seconda vedendo Pan a terra, felice come non mai. Zharavia annuisce, come se la faccenda sia nobile, eppure Herbessa non sembra pensarla così “Sei impazzita, sorella? Uscita di senno? Percossa nel cervello?

Cos-?!

“Sì, uno scarabeo mi è entrato nell’orecchio stamattina. Stai zitta! Oggi è la notte della vendetta! Faremo uno stufato di umano, come faceva la bisnonna” dice, guardando il cielo con occhi dolci “Faremo onore a lei e ci libereremo di questa sciagura del secondo piano!”

Pan risponde a queste minacce con un altro respiro profondo, simile ad uno sbadiglio. Leccatina gli striscia affianco, provando ad abbracciarlo con le sue foglie minute. La sorella con il fare da uccellino le si avvicina saltellando. 

“Ma sei impazzita completamente?” dice, raggiungendola. Fa volare delle pagine di libro, ignorando l’esclamazione indignata della sorella corvo “Non esiste nulla di meglio di una bistecca di umano, come faceva il bisnonno!” conclude, guardando anche lei il cielo con occhi amorevoli. 

“La bisnonna faceva la polenta con gli umani e i maghi! Non mi rovinare la ricetta!” urla Zharavia, cercando il paragrafo perduto, mentre Herbessa non sembra voler abbandonare la sua idea. 

“Sei tu che rovini il piatto!”

“Stai rovinando la mia vendetta!”

“LECCATINA!” urlano insieme, vedendo la pianta buttarsi sul libro, intenta a cercare abbracci e coccole dalle due. La sorella corvo le dà un ceffone, mentre la sorella canarino la tiene stretta al petto, indignata per l’ingiustizia subita. Tutto questo sta accadendo mentre l’umano è slegato e comodamente seduto su una poltrona e l’altro sta ancora dormendo sulle mattonelle, beato come se si trovasse su un materasso di piume. 

“Cosa. State. Facendo?!” senti un urlo intimidatorio. Le due adocchiano chi è appena entrato con reazioni differenti: Zharavia con stizza e Herbessa con vergogna.

“Pathela!” urlano entrambe, con le loro differenti reazioni. 

La terza strega è anche lei simile alle due sorelle, solo ancora più alta e senza ciccia o muscoli in eccesso. Ha un colorito color luna e un naso se non ancora più prosperoso. Sembra il becco affilato di un’aquila. Guarda le due con incredulità e ribrezzo. 

“Cosa stavate facendo, sciagurate!?”

“Una zuppa” risponde Zharavia “Una bistecca” risponde Herbessa, insieme alla sorella. 

“Con i vicini?” le due annuiscono, chi col petto in fuori chi con la coda fra le gambe. “Siete delle scalmanate! Leccatina, sit!” la piantina pare scodinzolare fino al suo vaso e lì si pianta, senza più muoversi. Pathela osserva il libro con cui le sorelle bisticciavano finora. 

“Questo libro è vecchio di cinquecento anni. Nessuno cucina più questa robaccia. Piuttosto… guardate chi ci ha fatto visita. Mia figlia è venuta a farci un saluto” conclude con meno autorità e più dolcezza. 

La porta per la prima volta si apre e compare una giovane donna con un lungo abito blu notte. I capelli sono ricci e scuri, incredibilmente folti, le ciglia lunghe da cerbiatta e la pelle rosata. Cammina nella stanza con regalità, sorridendo con garbo, facendo scintillare tra i capelli delle perle grigie incastrate nella chioma folta. Le due sorelle si gettano addosso alla nipote, alta come la madre. 

“Kirke, nipotina mia!” si fa smielata Herbessa, cinguettando. 

“Come mai sei venuta di notte?” butta alle spalla l’onore Zharavia, guardando le mani della nipote “La luna ti farò male alla pelle, maghetta mia!” Kirke ride gentilmente, trattenendo la risata tra i denti brillanti.

“Zie, non mi ha mai fatto male la luna!” sembra volerlo dimostrare schioccando le dita verso Pan. 

Il bambino levita in aria, portandosi finalmente in piedi e di colpo si sveglia, di nuovo sull’attenti. La madre di Kirke osserva le abilità della figlia con sincero orgoglio. È bizzarro e raro che una strega partorisca una maga, a meno che non abbia creato un legame con un mago. Eppure, nonostante ciò, è ancora più raro che uno stregone e un mago abbiano un figlio. Pan apre gli occhi di scatto. 

“Signorina, sapete dov’è mia sorella?” chiede a Kirke. La donna sembra ricordare qualcosa. Schiude gli occhi con un sorriso dolce. 

“Pan, sei diventato grande! E anche forzuto!” afferma cordialmente adocchiando i piedi del bambino. Ha distrutto altre piastrelle. Pan diventa rosso di vergogna, ma Kirke risolve tutto con un altro schiocco di dita. Ha occhi di un profondo blu zaffiro. È naturale che maghi e stregoni, purché simili agli umani, abbiano caratteristiche fisiche rare o impossibili da riprodurre per una specie come la tua. 

“Agran mi parla sempre di te. È un carissimo amico di famiglia. Dovrebbe tornare domani per il Solstizio” afferma sorridendo sotto i baffi, come se la faccenda le facesse ricordare qualcosa di piacevole “Jolka è ad una cerimonia. Le ho prestato un vestito”

“D-Dove?”

Kirke fa segno di seguirla. Pan non se lo fa ripetere e scatta su per i gradini. Ogni dito di Kirke ha un anello differente e colorato. Lei saluta la madre e le zie. Dietro alle tue spalle senti le tre streghe bisticciare. 

“Sorelle, era un umano veramente grasso. Ce lo siamo fatte sfuggire come chiocce”

“Come no. Volevi solo aprire il libro della mamma e sbirciare nelle ricette di mezzo millennio fa. E poi le bistecche e le zuppe di mago sono così stantie! Sarebbe stato meglio un cosciotto di lupo mannaro, come faceva il nostro trisnonno Keo!”

Kirke si fa strada nelle affollate vie della notte. Nonostante ci siano scheletri, goblin, vampiri e spiritelli color carbone, la città è illuminata come una qualsiasi metropoli umana. I lampioni hanno vetri di mille colori. Delle giovani fate oscure con la pelle di luna e le ali di falena si impregnano i capelli di colori sgargianti ad una bancarella. Un’altra fata decide di dipingersi le ali di azzurro e il proprietario, un calderone con dell’inchiostro nero, inizia il lavoro, versandosi vernice addosso. Senti odore di cibo sconosciuto, sia pepato che amaro. Sembra la versione notturna dell’entusiasmo che hai visto stamattina.

Kirke bussa alla terza porta di una casetta di quattro cubi diroccati. Quella che sembra una mano bianca dall’aria minacciosa vi invita ad entrare e poi sparisce. Kirke si fa largo nel cubo color nebbia. L’appartamento è completamente vuoto, spogliato di qualsiasi mobile. Sembra che nessuno ci possa vivere. Vedi soltanto una televisione dal vetro rotto e un tavolino pieno di polvere. Kirke fa uscire da una delle maniche del suo vestito un pacco regalo piccolo ma luccicante che porge ad un fantasma “Tanti auguri, Fann”

“Kirke… non dovevi proprio! Mi sento in colpa per averti fatto uscire di notte”

“Volevo venire, oggi è un giorno speciale” 

I fantasmi non hanno viso o forma umana come credono gli esseri umani. Sono delle ombre di colori cupi che trapassano la materia e la carne. Il fantasma Fann ha una voce femminile e un colorito biancastro come le pareti della sua casa. Accetta il regalo di Kirke, che poggia con cautela sul tavolo. Lì si lascia vestire con un centrino di pizzo antico da un altro fantasma, di un colorito arancio spento. 

“Sei bellissima, fantasmina mia!”

“Grazie, mamma”

“Tua nonna ha tessuto lei stessa questo centrino quand’era ancora viva. Che emozione!” esclama, con una voce antica e commossa. 

Kirke e i due fantasmi escono dall’abitazione con un certo timore misto a gioia. Il fantasma Fann si trascina quasi correndo contro vento, sorretta dalla figura arancione della madre. Ci stiamo dirigendo verso una delle tre piazze che hai visitato con Pan fino a sera. Ha un’imponente fontana al centro, con una sirena di marmo e una di bronzo sedute sopra, spalla contro spalla. Alla vista del centrino bianco sembra essere scoppiata una bomba di esclamazioni. In piazza ci sono gargoyle neri con occhi cremisi, folletti dalle dita troppo lunghe, fate piccole come insetti e in fondo c’è persino un gigante di roccia che per qualche ragione ha deciso che quella piazza sia un buon posto dove schiacciare un pisolino. Ci sono soprattutto fantasmi. Fantasmi color rosso vivo, avorio, calce, crema, turchese e tanti altri.

“Questa è una notte speciale per Fann” spiega Kirke ad un preoccupato Pan  “Tua sorella sostituisce Agran col violino, sai che lui suona il violoncello, ma mi aveva mandato un messaggio dicendo che non sarebbe riuscito a tornare in tempo” 

“Jolka!” Pan allunga lo sguardo attraverso i corpi multicolori dei fantasmi e vede ciò che stava cercando. Si fa largo nella folla, lasciando indietro Kirke e si avvicina verso la fontana. Attraversa i fantasmi senza nemmeno chiedere scusa. Ai piedi della statua delle due sirene c’è sua sorella, con un lungo abito bianco addosso e un fiocco rosso tra le ciocche. 

A Pan gli si mozza il fiato. Sua sorella non è in pericolo di vita, ma si sta sbellicando dalle risate con dei fantasmi e uno scarabeo color cenere, munito di farfallino per l’occasione. Jolka, col suo fare maschile, se la ride per una battuta che non hai sentito e sferra una pacca sulla spalla al fantasma accanto a lei. La mano lo trapassa e persino lo scarabeo sembra soffocarsi dal ridere. Il fantasma cede anche lui, facendo quasi cadere il suo cappello a cilindro. Pan guarda tutto questo con occhi cupi. 

In poco tempo la piazza si riempie di sedie, voltate verso la fontana. Tu e Pan prendente posto a sedere in prima fila, affiancati dalla madre arancione di Fann e da Kirke, che ascolta il tutto con un sorriso sincero. La madre non fa altro che asciugarsi il cataplasma con un fazzoletto di seta. Pan non ha cambiato espressione finora. Osserva la sorella compiere la marcia nuziale col violino. La sposa si avvicina all’altare accostandosi al fantasma blu col panciotto e il cappello a cilindro. Un altro fantasma antico, dal tenero color caffellatte, si schiarisce la gola.

Comincia un infinito sermone, che fa commuovere tutti, meno Pan e te, che dal tono basso del fantasma non comprendi quasi nulla. Pan non vede altro che la sorella filare il violino con grazia. La sedia su cui è seduto non cigola, reggendolo con tutta la sua forza.

Il fantasma anziano si schiarisce nuovamente il cataplasma.

“Fantasma Fann, vuoi tu prendere il qui presente signor Tassm” sentendo i due nomi la madre piange con più disperazione e Pan ha un tic all’occhio “come tuo consorte per l’eternità?”

Il fantasma Fann tira in alto il centrino bianco che ha in testa “Lo voglio”

“Era morta solo vent’anni fa!” piagnucola la madre di Fann, continuando a piangere, aiutata da Kirke che le passa un fazzoletto. Pan la ignora, non battendo ciglio. Jolka abbassa i toni del violino, continuando comunque a suonare. 

“Fantasma Tassm, vuoi tu prendere la qui presente signora Fann come tua legittima consorte e amarla e onorarla finché l’eternità non sarà più eternità?” 

Tassm prende un respiro profondo, commosso “Lo voglio”.

Il fantasma color cappuccino annuisce fra sé e sé chiudendo il libro buttato ai suoi piedi con uno starnuto “Molto bene, unitevi in nome della Dea!” 

I due fantasmi si alzano in volo, vorticando nel cielo, fino girare su se stessi come delle trottole. Il cielo si colora di blu e di bianco, fino a diventare per un attimo di un finissimo azzurro. I due fantasmi concludono il cerchio, tornati a terra di quello stesso colore, avendo fuso i loro cataplasmi blu e bianco. 

“Con i poteri conferiti dalle Isole e dai Guardiani io vi dichiaro consorti eterni. Che la Dea Bianca abbia pietà di noi!”

“Che la Dea Bianca abbia pietà di noi!” esclamano tutti i seduti, concludendo la funzione con un sonoro applauso. 

Pan ha ancora gli occhi puntati su Jolka, esaltata come gli invitati. 

Non ricordi bene come tu sia finito nel locale e non sai nemmeno a che distanza si trovi dalla fontana. Ricordi bene soltanto il nome ‘Gufo Notturno’ e un cartello a forma di gufo con occhi stralunati. Il locale è talmente luminoso da essere accecante. Sembra un gigantesco bar più che un ristorantino. Al bancone è riconoscibile soltanto un lupo mannaro, che a quanto pare si è imbucato alla festa. Non fa altro che ordinare birre gigantesche. Il barista, uno scheletro vestito formalmente, scuote la testa al lupo. Quello è impaziente e lo sfida in maniera scherzosa. È probabilmente al suo terzo stadio di luna, in cui si il lupo possiede ancora una forma umana, ma i peli sono ben più che lunghi e la schiena incomincia ad ingobbirsi. Lo scheletro scuote ancora il teschio indicando le tre torri di birra. Ora il lupo lo supplica con le mani giunte. 

Hanno sgombrato il palco per far ballare i due sposi azzurri. La madre è al tavolo più vicino, ancora gocciolante. Kirke l’ha lasciata nelle mani di qualche parente cataplasmatico e vi ha fatto accomodare al tavolino riservato a lei e a qualche altro invitato che non è venuto o forse arriverà in ritardo. Pan non fa altro che osservare Jolka. Il barista scheletro si fa largo tra la folla con il lupo alle calcagna. Vi porge delle bibite strane. Sul vetro c’è scritto ‘Grido di Strega’. China il teschio con aria formale “I vostri drink, signori”.

“Wilfriid, un’altra birra!”

Wilfriid scuote la testa in direzione del lupo. Il lupo ha l’aria di aver ricevuto la peggiore risposta della sua vita. Nemmeno gli occhi da cagnolino bastonato fanno smuovere lo scheletro, che se ne ritorna al bancone servendo un gargoyle e un nano gobbo. I fantasmi non possono bere o mangiare. Le cameriere servono i tavoli. Una ninfa formosa vi porge due piatti con patatine e cotoletta. Voltandosi ha lanciato uno sguardo dubbioso. 

Suggerisci a Pan di dare un boccone alle patatine. 

Lui non dice nulla.

Kirke sale con discrezione sul palco, sussurrando a Jolka qualcosa all’orecchio. Jolka le fa l’occhiolino e fischia dietro le quinte. Completa il pezzo, facendo applaudire tutti gli invitati “Scatenatevi, signori!”

Dalle quinte esce una band: un troll che batte la sua pancia come un tamburo, un albero dalle lunghe radici mobili che si tappa il naso fischiando dalle sue foglie, un ragno gigante con ragnatele vibranti, un farnace, una creatura umana fino alla testa di piovra, con una tastiera portatile. Esce fuori un alicanto, un uccello del deserto color oro, che inizia a cantare. 

Tutti i fantasmi si gettano in pista. Jolka si fa strada tra i tavoli e vi raggiunge con Kirke al seguito. Il suo abito la rende ancora più scarna di quel che è scoprendo le braccia ossute e il seno inesistente. Adocchia il fratello scoprendo un sorriso a trentadue denti “Hey fratel-”

“Hey un corno!” urla Pan, facendo in modo di non distruggere la sedia. La musica è troppo alta, nessun altro l’ha sentito. Vedi delle lacrime zampillare per la rabbia.

“Perché non mi hai detto niente?” sobbalza “Credevo che ti fosse accaduto qualcosa!” un altro sobbalzo “Credevo che fossi in pericolo! Tu non mi dici mai nulla come sempre!” dice, asciugandosi le lacrime, rosso per la vergogna. Kirke ha un’aria mortificata. Jolka fa scivolare una mano tra i capelli del bambino. 

“Ma Clark non ti ha dato nessun messaggio?” Pan scuote la testa, cercando di ricomporsi, senza successo “Ho detto a Clark di avvisarti del matrimonio, ma mi sa che ha mangiato il post-it di nuovo. Anche a te è successo quando sei andato in gita. Ero anch’io preoccupatissima, che credi” conclude abbracciando Pan, facendolo singhiozzare ancora di più. La maga si fa avanti. 

“Pan, ho inviato un messaggio ad Agran e ha accettato la proposta” Pan con fatica alza la testolina, non capendo quel che Kirke stia dicendo “Questa notte tornerà dalla sua missione e potrà farti da maestro. Così starete un po’ insieme” Pan mostra qualcosa di simile ad un sorriso. Jolka lo trova buffo e gli schiocca un bacio tra i capelli. Kirke sospira sollevata. 

Chiedi a Kirke se Agran conosca le Isole. 

Kirke annuisce “Certo, meglio di chiunque altro. È il secondo Guardiano di quest’isola ed è ovviamente anche un Custode”

Se Agran ti accompagnasse fino a Karoo sarebbe fantastico. 

Chiedi a Jolka se sia possibile incontrarlo. 

“Dovrai chiederlo a lui. Dovrebbe farsi un check-out da Tekla dopo la scorrazzata fra i giganti. Però è un peccato. Credevo stessi bene qui” dice Jolka “Nanerottolo, qualcuno qui non aveva paura del buio fino a ieri?” burla il fratellino Jolka, ridendosela. Pan si ricompone per la battuta. 

“Sono cresciuto! E poi gli spiriti notturni non sono male. Sono… simpatici” afferma, vedendo apparire in un battito di ciglia le tre streghe del negozio di fiori che bisticciano fra loro su dove possa trovarsi il loro posto a sedere. Devono essere state accecate dalla luce. Pathela vede la figlia. Kirke le fa cenno di avvicinarsi. Quelli su cui siete seduti devono essere i loro posti. 

“Non montatevi la testa. Stanotte si dorme. Domani andrete a cercare Agran”

“Levati, tu! Dobbiamo passare!” rovina l’armonia Zharavia che con la sua solita grazia si siede al posto di Pan “Ma cos’è questa roba?!” esclama, contrariata per il piatto di patatine e cotoletta. 

“Dev’essere gustoso!” cinguetta Herbessa. 

“Smettetela e ordinate qualcosa di decente!” esclama autoritaria Pathela, facendo un cenno alla cameriera ninfa che vi ha portato i piatti. 

Jolka vorrebbe accompagnarci a casa, ma Pan insiste di potercela fare da solo. Ritrovate la strada per l’appartamento. È ancora buio, ma potresti giurare che a momenti il sole spunterà da dietro le colline in lontananza. Vi augurate la buonanotte e dormite nella stanzetta di Pan. Pan dorme a pancia in su con le mani sul cuore. Forse la sua spina dorsale lo costringe a fare così. 

Non ci pensi troppo, sei esausto. Cadi in un sonno profondo.

 

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Capitolo 9
*** Ottavo giorno ***


Fuori dalla finestra del bar Gufo Notturno sorge l’alba. 

Gli spiriti notturni sono di sicuro tutti a casa a riposare dopo il matrimonio. Il sole rende invisibili i fantasmi. Nel locale non c’è quasi nessuno. Lo scheletro Wilfriid sigilla i bicchieri, rendendo scontento il lupo mannaro. È ancora lì, nello stesso posto, sempre brillo. Impreca con una voce impiastricciata, mormorando qualcosa di maligno nei riguardi delle ossa. Lo scheletro continua a riordinare in silenzio. Kirke ritorna dentro al locale, diretta verso il palco. Jolka è lì. Dopo aver poggiato il violino, parla con la maga restituendole il fiocco rosso.

In lontananza si sente lo scalpitare di grosse zampe. Si sente il ringhio di qualche animale feroce. Un cavaliere smonta dalla sua cavalcatura. La bestia è un sawaas, un cavallo del deserto. È poco più grande di uno stallone, dal pelo folto, simile ad una criniera. Ha zampe di un felino e denti aguzzi di canide. È rarissimo, si credeva estinto fino al secolo scorso.

Il cavaliere misterioso ha un mantello bruciato e un cappello ampio che gli copre il volto. È molto alto: deve abbassare la testa per entrare dalla porta. I presenti si voltano, chi strabuzza gli occhi, chi è meravigliato. Kirke si copre la bocca, incredula. 

“Agran, sei tornato in anticipo!” dice, avvicinandosi al giovane uomo. 

Agran abbassa la testa a mo’ di saluto verso tutti. Non sembra essere un tipo socievole. Jolka in risposta gli lancia un occhiolino. 

“La tua uniforme…! Dovremmo ricucirtela”

“Lasciatelo stare, finalmente è tornato. Eravamo in pensiero! Due settimane invece di una!” alza la voce lo scheletro. Ha lasciato il bancone per abbracciare Agran. Gli dà una pacca sulla spalla. Il gesto è sembrato più paterno che amichevole “I giganti ad ovest hanno scelto il capo clan quest’anno?”

Agran nega. Il lupo mannaro si è alzato sopra al bancone. Sta cercando di rubacchiare una bottiglia di rum sul piano più alto, facendo cadere a terra sedie e tavolini vicini. Traballa con la lingua fra le zanne, concentrato per la nobile causa. Kirke ha le mani sul cuore, ma schiocca comunque le dita, alzando la bottiglia verso un piano ancora più alto. Il lupo mannaro le lancia uno sguardo tradito. 

Wilfriid intanto ha letteralmente fatto sedere con tutte le sue forze Agran affianco al lupo. Fa di tutto per aprire di nuovo il bar, anche se il ragazzo non sembra volere da bere. Il lupo lo guarda incredulo. Il mantello puzza ancora di bruciato, lo copre dalle spalle agli stivali. Il cappello crea un’ombra sul viso e la sciarpa al collo gli stringe le labbra. Non potrei identificarlo nemmeno se mi avvicinassi di più. Wilfriid ha già aperto una bottiglia di gin e ne versa il contenuto ad Agran.

Stretta alla cintura del ragazzo c’è un’enorme borsa da viaggio. Per un attimo mi è sembrato di vederla muoversi.

“Mi meraviglio che ogni anno creino così tanto baccano” si domanda Kirke, seduta anche lei al bancone. 

“Cara, i giganti sono fatti così: se non uccidono qualcuno almeno una volta al mese non sono considerati giganti. Mi chiedo come abbiano fatto ad entrare nel nostro arcipelago” risponde Wilfriid. Batte il bicchiere di vetro sotto al naso del ragazzo. Agran guarda il liquido denso, rigira gli occhi e lo scarta, per la felicità del lupo mannaro. Prova ad afferrarlo, ma delle falangette gli sbarrano la strada. 

“I giganti ad ovest sono perlopiù pacifici, sapete? Peccato che in questo periodo hanno bisogno di un capo che li comandi. Così incominciano a farsi guerra fra di loro. Però, Agran, se avessi avuto problemi avresti potuto inviarmi un messaggio. Karoo si chiedeva che fine avessi fatto. Pan ti aspettava già la settimana scorsa” 

Jolka è scivolata alle loro spalle, silenziosa come un fantasma. Ha una brutta cera: ha occhi spenti e i capelli mal tagliati sono un groviglio di nodi. Agran sembra notare tutto questo. Poggia una mano sulla sua spalla, tastando la carne sotto i polpastrelli. Osserva la scapola esageratamente sporgente con un sospiro di rimprovero. 

Jolka alza le mani, arretrando “Hey, ho bevuto un frullato alla fragola. Ti va bene?” 

Agran non sembra essere soddisfatto della scusa. Kirke sospira affianco a lui, consapevole di qualcosa di spiacevole. Wilfriid tenta ancora di salvare il gin del ragazzo, ma sta cedendo sotto gli occhi da cucciolo bastonato del lupo. Non demorde e svuota il tutto dentro al lavandino. Ora questi sì che sembrano veramente occhi da cane bastonato.

La borsa di Agran sembra starnutire e qualcosa di viscido scivola fuori lentamente. Qualsiasi cosa sia riesce ad uscire di soppiatto dalla sua prigione e zampetta fra i tavoli, vero l’uscita.

“Agran, Pan di sicuro si sveglierà oggi pomeriggio o stasera. Sarà esausto e non riuscirà a stare in piedi. Inizierete gli allenamenti dopo le vacanze” Agran acconsente con un cenno. Jolka si avvicina sempre più. Si guarda le dita, con un’aria decisamente più femminile ed innocente “Ho un ospite a casa. È un umano, appena arrivato nell’arcipelago. Viveva con Tomoko fino a qualche giorno fa, poi ha incominciato a viaggiare con noi. Ora vive insieme a me e a Pan, ma vorrebbe tornare a casa. Dovrà fare un altro viaggio molto più lungo. Se lo accompagnassi tu all’Isola Meccanica…”

Agran sembra essersi irrigidito sin dall’inizio del discorso. Lo sguardo gli cade su Kirke, che sembra non comprendere. Poi si volta verso Wilfriid. Lo scheletro ha chiuso a chiave la scorta di alcolici, rendendo ancora più sconvolto il povero lupo. 

“Tomoko mi ha detto di portarlo da Karoo” Jolka sussurra qualcos’altro sotto al cappellaccio. Kirke è ancora più perplessa. Agran sembra riflettere su quel che dovrà farne di noi. Alla fine annuisce, come consapevole di qualcosa di doloroso. Jolka annuisce, adulta “Nel frattempo potrai riposarti, rifarti l’uniforme e controllarti il livello di sangue. Pan ne farà felicissimo. Si saluteranno domani sera e comincerai il viaggio”

Agran annuisce, con qualcosa di simile a rabbia. Jolka sembra ancor più soddisfatta.

“Ottimo, torno a casa a ronfare. Questo vestito è fantastico, ma non fa per me. Ritorno ai santissimi pantaloni! Evviva!”

L’urlo ha risvegliato il povero Wilfriid. Sta trascinando il lupo mannaro per la collottola con l’incredibile forza dell’omero sinistro. Lo getta per strada con più di calcio nel didietro. Il lupo si volta a quattro zampe con quello che sembrano dei futuri occhioni da gattino. Lo scheletro si volta e gli chiude la porta in faccia. 

Jolka si dirige all’uscita con la custodia del violino in mano. Schiocca le dita come se fosse un saluto “Le riunioni di famiglia a più tardi, divertitevi voi due!”

Scappa via subito, prima di vedere una loro reazione. Agran alza gli occhi al cielo, Kirke osserva la porta chiusa senza capire. In lontananza si sente un ululato di protesta. La mano di Agran si poggia finalmente sulla borsa. La trova vuota, senza la strana creatura. Si toglie la cintura e analizza l’interno. Comprende che ormai non c’è più nulla là dentro. Inizia a cercare per il locale. Colpisce leggermente le sedie e i tavoli, non ottenendo risposta. 

“Hai perso il regalo di Pan? Dev’essere qui in giro” Kirke lo aiuta a cercarlo.

Agran capisce che la sua creatura dev’essere ormai lontana. Saluta velocemente i suoi amici e fugge via.

Jolka è tornata a casa. Sbatte la porta debolmente, lanciando uno sbadiglio generale verso la cucina. Clark è addormentato sul tavolo della cucina. Ha un sorriso dolce. Non ne sono certo, ma credo che abbia mormorato qualcosa del tipo ‘Perdente…’. Non ne sono sicuro. Jolka incredibilmente ordina il vestito sulla gruccia e si lancia sul letto. 

Un lampo di luce illumina di azzurro la finestra. La ragazza alza la testa di scatto con dei capelli da paura. Ha davvero l’aria di una che non dorme da secoli. Fuori dalla finestra c’è Bloob. Trema di paura mentre scrive qualcosa sul vetro. Jolka osserva pazientemente il fuoco fatuo. Ne esce fuori una scritta

 

9 P.M

 

: )

 

Jolka non sembra affatto perplessa. Le scappa un altro sbadiglio e mostra un pollice alzato a Bloob. Sparisce in un lampo azzurro.

Dopo tutto questo il capitano sbatte la testa sul letto e incomincia a dormire.

 

“Sveglia!” urla qualcuno nel tuo orecchio con un ché di familiare.

Tale sorella, tale fratello…

E’ passata qualche ora dal ritorno di Jolka a casa. Ti stropicci gli occhi e cerchi di focalizzare il bambino. Pan è in piedi di fronte a te con un cipiglio irritato in volto. Probabilmente ti rimasto incantato con uno sguardo perplesso e assonnato da più di dieci secondi. Ti alzi in piedi, facendo annuire con orgoglio il bambino. Si è infilato da solo la divisa, senza strappare nemmeno una delle innumerevoli giunture della stoffa. 

Ha allestito la sua scrivania con una mappa della città. Riconosci il fiume, i sette ponti e le tre piazze. I suoi giocattoli hanno la posa di un saluto militare, tutti meno che l’elfo che, purtroppo, è già caduto in battaglia senza il suo braccio sinistro. 

“Oggi abbiamo una missione importante, non bisogna cincischiare!” afferma fiero. La mappa è scarabocchiata grazie ad un pastello rosso già disintegrato al suolo a mo’ di aereo nemico “La nostra missione sarà quella di trovare Agran e di chiedergli di portarti all’Isola Meccanica. Dovremmo incominciare adesso!”

Indica i tuoi vestiti a terra. Ti vesti, ricordandoti solo ora di essere praticamente in mutande. Non ti senti molto intelligente. Sulla mappa sono cerchiate le varie aree in cui potrebbe essere Agran. Vorresti soffermartici un secondo, ma ti sei appena allacciato le scarpe e Pan ti sta facendo segno di muoverti. 

La cucina è splendente, senza nemmeno un piatto fuori posto. Probabilmente i mignolini non sono ancora in vacanza. Senti in lontananza dei fuochi d’artificio. Qualcuno fischia meravigliato. Pan alza gli occhi verso l’orologio. Le lancette sono puntate sulle otto e trenta. 

“Perfetto! Sono le otto, giusto in tempo per iniziare le ricerche!” dice, spalancando la porta di casa. 

C’è una folla immensa per strada. Un sinistro tramonto cade dietro gli edifici. Pan osserva l’orologio della stazione in lontananza con occhioni imbarazzati. Si volta verso di te, guardandosi gli indici sbattere uno contro l’altro “Erm… sono le otto e mezza di sera. Questo non l’avevo previsto”

Per strada ci sono un gran numero di spiriti notturni. Le fate nere si sono dipinte i capelli di arancione e azzurro elettrico. Volano divertite sui tetti osservando i fuochi d’artificio. Appena ne esplode un secondo, rosso come un rubino, i mangiasogni fanno esplodere le loro essenze. Un bambino stregone ha in braccio una lunga scopa di saggina. Tenta in tutti i modi di cavalcarla, ma la madre glielo impedisce strappandogliela dalle mani. Un carretto di dolci bizzarri passa sotto casa. 

“Ecco…” incomincia Pan con l’acquolina in bocca “Credo che dovremmo rifocillarci prima di iniziare le ricerche. Forza, proviamo a mangiare qualcosa!”

Chi guida il carretto è un drago spinanera. A differenza di quel che si evince dal nome non è un vero drago, ma una pianta dai lunghi rampicanti. In passato queste piante hanno amato così tanto la vita dei rettili che hanno deciso di staccarsi dalle radici e di fluttuare con il loro corpo. Questo non è altro che un groviglio spento di rami. Pan sceglie quel che sembrano dei pop corn caramellati di uno strano nero carbone. Assaggiandoli il bambino ha strabuzzato gli occhi. I rami del drago spinanera sembrano formare un occhiolino. 

“Non ho mai visto il Solstizio degli spiriti notturni” ammette Pan, passeggiando insieme a te “Sarebbe interessante e informativo guardare… mentre chiediamo di Agran, ovviamente!” conferma arrossendo. 

Alzate gli occhi alla piazzetta. Ai piedi della fontana sembra essere stata allestita una gara per bambini. Leggi lo striscione in alto ‘Corsa per la libertà!’. Ti senti in imbarazzo leggendolo. 

Oh, ne faranno a meno della loro libertà non appena usciremo da qui.

I bambini alla linea di partenza sono un piccolo elfo oscuro dalle orecchie a sventola, un fuoco fatuo dalla fiamma violetta, un troll robusto, il totem vivente di una civetta e una centipede rossastra. Quest’ultima ha un ché di bizzarro. Ha un perenne sorriso in volto. Non sembra una vera espressione.

Un alidoro ruggisce e i cinque incominciano a correre. La centipede muove le zampette con una velocità a dir poco impossibile per una creatura che a malapena striscia sul terreno. I quattro bambini rimasti rimangono impietriti. La bambina ha completato il giro in meno di tre secondi. 

Cala un silenzio imbarazzante. Nessuno ha il coraggio di dire nulla. La centipede sembra aver capito solo ora di aver superato il traguardo. Saltella felice, soddisfatta. Questo è assurdo: non potrebbe mai e poi mai saper saltare. 

In lontananza il campanile batte le nove di sera.

Adepto, io ritorno a casa di Jolka, sai già per cosa.

 

 

Il negozio di fiori oggi è chiuso, sicuramente per ferie. I mignolini staranno dormendo al terzo piano. Smiley non ha portato il mantello con sé. Non ha nemmeno l’arco, né il fucile, né i coltelli. Ha solo la borsa di Tomoko con dentro sicuramente la sua testa. Si specchia nei vetri cupi del negozio. Soddisfatto dei ricci, sale le scale e bussa alla porta del secondo piano. Si sente un rumore di passi, una baraonda di sedie, dei ripiani chiusi con forza. Jolka spalanca la porta. Ha uno sguardo decisamente più luminoso di stamattina. 

“Heyla, coso!” Smiley sembra voler dire qualcosa, ma la ragazza lo tritura in un abbraccio spaccaossa. Senza alcun preavviso si alza sulle punte e gli annusa il collo “Profumi! Allora i miracoli accadono veramente!”

Smiley si libera dall’abbraccio. Il suo sorriso trema tra l’ironia e il disprezzo. Butta la mano dentro la borsa rossa. Fa entrare quasi tutto il braccio prima di trovare quel che stava cercando “Guarda un po’ cosa ti ho portato”. 

Con uno strappo fa uscire fuori la mano. Mostra a Jolka un gigantesco grappolo d’uva con acini per metà viola e per metà verdi. Alla ragazza brillano gli occhi di meraviglia. Ha la bava alla bocca.

“Ganzo! A chi l’hai arruffata?” chiede, esaminandola tra le dita.

“Sotto al naso di un secuverso. Volevo essere gentile con la mia migliore amica”

“Noi non siamo amici”

Il tono usato era gelido. Non sembrava affatto la voce di Jolka. Smiley ha un sorriso altrettanto congelato. Non se l’aspettava nemmeno lui. La ragazza lo esamina fino all’ultimo strato di vestito. Soddisfatta, gli fa cenno di entrare. Clark è sveglio stasera. Apre la boccuccia con fare zuccherino non appena vede Smiley.

“Fai schifo” esclama alla fine. 

Smiley si siede a capotavola, divertito dalla battuta. Jolka lo imita. Si accomoda come se calcolasse ogni minimo movimento della sua schiena. Si è vestita di tutto punto: il panciotto è abbottonato, il foulard è al collo e ha addosso la casacca rossa, appena stirata. Non è abbottonata però. Smiley avvicina il vasetto, carezzando le spine di Clark.

“Credevo l’avessi buttato anni fa”

“No, nonostante tutto questo cactus è divertente È imbronciato, ma si sta abituando ai sette anni insieme. Vero, Clark?” fa la vocina amorevole Jolka. Clark lancia un’occhiata di sfida alla sua padrona. Non sembra avere altre parole per insultarla “Ti è piaciuta la mia tazza di compleanno?”

“No, per niente” risponde lui, con un sorriso simile al disprezzo.

“Bene, perché io odio il tuo cactus”

“Non avrebbe dovuto piacerti”

“Ti ammazzerei se potessi” Jolka ha uno sguardo per niente ironico. Sorride, ma è come se lo minacciasse per davvero. Smiley è preso di nuovo in contropiede. Non sembra aver voglia di ribattere. C’è un silenzio teso in cucina. L’orologio scandisce i secondi. Fuori dalla finestra c’è un chiasso assordante di spari nel cielo e di urla di gioia. Qualcosa si smuove tra di loro. Jolka incomincia a ridere di gusto, come se avesse detto la battuta più divertente di sempre. Smiley getta il cactus in avanti, al suo posto. Ride anche lui come un matto. 

“Mi sei mancata tantissimo” ricomincia, smettendo per un attimo “Non sai quanto mi sia annoiato in queste settimane con Tomoko”.

Jolka nel frattempo ha poggiato l’uva di Smiley sul tavolo. Incomincia a separare i chicchi color viola scuro da quelli viola chiaro. Tritura fra i denti uno particolarmente grosso “Lei è la solita mamma iperprotettiva, Mr. S. Ti vuole bene, accettalo. Scommetto che ci vuole ancora insieme come dei fidanzatini” sghignazza divertita.

Smiley appena sentito il nome della donna allarga gli angoli del viso. Adocchia Jolka come se fosse un bocconcino delizioso “Tuo fratello non c’è, non serve che tu faccia così”

“Così come?” chiede, ingoiando un altro chicco scuro “Il pagliaccio della situazione? Non mi dispiace sorridere più spesso. Da ragazzina ero una piagnona”

“Non è vero, lo odi”

“Cosa?”

“Odi fare il pagliaccio della situazione. Odi non essere te”

Jolka smette di contare i chicchi. La sua maschera di pagliaccio sembra inclinarsi. È esattamente quello che voleva Smiley. Si appoggia rilassato sulla sedia. Da fuori si sente lo sparo di un fuoco d’artificio verde smeraldo.

“Jo-Jo, io ti adoro e adoro tutto quello che fai. E lo sai il perché?”

Jolka non ha più alcun sorriso. 

“Perché tutto quello che fai ha senso. Non ti fai fregare dalle emozioni come fanno gli altri, non sei un eroe senza macchia e senza paura come Tomoko e Agran. Non sei nemmeno una cattiva che cerca di essere buona come Tekla o Karoo. Sei piena di sfumature che non conosco ancora, anche se abbiamo passato quasi cento anni insieme”

Jolka ingoia altri chicchi.

“Eppure non ti capisco su alcune cose. Non capisco la tua debolezza verso tuo fratello. Per uno senza cuore è difficile comprendere i rapporti umani. Odi anche il tuo potere, anche se hai un bilanciamento perfetto. Forse sei la migliore tra di noi ad usarlo, insieme a Tomoko. Ma a lei non serve chissà cosa per far guarire le persone con uno schiocco di dita”

Un altro chicco scuro finisce nella gola di Jolka. Smiley le strappa il grappolo dalle mani. Passa le mani su un chicco verde. Lo passa sotto al naso della ragazza con fare viscido “Non riesci ancora a mangiare nient’altro?”

Jolka non segue affatto la traiettoria delle dita “Oh, povera Jolka… la bimba che non mangia da anni qualcosa di solido. Karoo almeno ti ha fatto apprezzare la frutta”.

“Sta’ zitto”.

La voce che è uscita fuori dalle sue labbra non sembrava affatto quella di Jolka. Respira lentamente, arrabbiata. Non somiglia per niente alla vivace e allegra ragazza che hai conosciuto. Gli occhi bruciano di rabbia sotto al velo nero dei capelli. Smiley mastica il chicco. È soddisfatto della sua reazione. È questa la vera Jolka che voleva far uscire allo scoperto.

“Che cosa vuoi da me, coso?”

“Un’alleanza” ribatte innocentemente. 

Jolka batte piano le palpebre. L’ombra sul suo viso sparisce per mostrare un sorrisetto ironico “Un’alleanza? Un’altra? E perché?”

“Per creare la Dea Bianca” la ragazza batte le palpebre più volte, presa di sprovvista “Se unissimo i sette frammenti della Dea e usassimo la vecchia macchina di Tekla potremmo avere un potere talmente grande da andarcene da qui. E, chi lo sa, magari anche disfarci dei malati che ci hanno ridotto come topi tra queste Isole”.

“Frena. Avresti un potere troppo grande per controllarlo da solo”.

“Per questo ho bisogno di te. Taglieremo la nostra forza in due e vivremo fuori da qui. Non ti piacerebbe vedere il mare, Jo-Jo?” conclude, mostrando un sorrisetto dolce. Jolka non abbocca. 

“Il mare l’ho già visto e non è tanto diverso dal Lago Salato. Ma farla pagare alla setta…” riflette, con l’uva fra i denti. 

Ma allora… stanno dicendo sul serio!

Smiley sospira sollevato di avere già un’alleata al suo fianco. Apre una mano di fronte a sé “Allora, accetti?”.

Jolka analizza ogni angolino remoto del chicco viola che ha in mano. L’orologio scandisce le dieci meno un quarto. Fuori dalla finestra i boati di allegria oscurano del tutto i fuochi d’artificio. Nessuno spirito oscuro sembra essere abbastanza vicino alla finestra della casa per vedere cosa stia accadendo. Jolka sembra aver preso una decisione. Squadra Smiley annoiata da tutto quello che ha sentito. Si imbocca con un altro acino. Ormai il grappolo sembra sempre più un drago spinanera.

“In effetti non è male come offerta. Però tu hai la memoria troppo corta. Ti ricordi cosa ti avevo detto l’ultima volta che hai voluto fare una chiacchierata con me su queste cose?” Smiley abbassa il sorriso di vittoria. Sembra ricordare qualcosa accaduto non molto tempo fa. Qualcosa di triste e deludente a quanto pare “Ecco, ora capisci. Non voglio più scherzare con le vite degli altri. Non più con te”.

“Non ti ho mai obbligata a scherzare con me”.

“Oh, no, Smiley, l’hai fatto” ritorna l’ombra nera tra gli occhi. Jolka mostra i denti mentre si alza in piedi. Sovrasta il sorriso del ragazzo con il suo sguardo sdegnato “Vedi, Mr. S, io ho un cuore e funziona meglio del tuo”.

Conclude il discorso con un sorrisetto altrettanto ironico. Smiley non ha battuto ciglio. Ha tenuto testa all’insulto come se fosse stato nulla. Jolka batte le palpebre e ritorna pagliaccio mostrando i denti, ridendo della reazione glaciale dell’amico.

“Bene, credo che... chiamerò Agran” dice, stiracchiandosi “Ti porterà a calci fino alla tua isoletta e tutto ritornerà com-”.

Jolka si fa pallida. Inizia a tossire. Si para con la mano. Sul guanto c’è una grossa macchia di sangue. Smiley si alza dal suo posto con una calma altrettanto glaciale “Sapevo che avresti risposto così. Ultimamente sei diventata noiosa”.

Jolka scivola a terra reggendosi lo stomaco tra le braccia. Vomita sangue nero. Smiley è rapido: dalla borsa afferra quel che sembrano grani di sale e li lancia negli occhi della ragazza. Jolka prova ad urlare per il dolore, ma un nuovo conato di vomito la prende tra le viscere e la fa piegare di nuovo a terra. Smiley nel frattempo ha tirato tutte le tende della cucina e ha tappato il buco dove di solito passano i mignolini con uno straccio “Avresti dovuto capire che l’uva era velenosa. Sei un’esperta di frutt-”. 

Accade qualcosa di strano. Jolka ha occhi rossastri, bruciati dal sale. L’intera cucina sembra prendere vita e alzarsi di colpo dal suolo. Il tavolo e le sedie, persino quelle color mercurio si gettano sulla porta e sui muri. I banconi della cucina si spalancano, scattano fuori forchette e coltelli. Il lavandino è impazzito: continua a sputare acqua senza mai fermarsi. 

Smiley sembra irritato più che meravigliato. Non può rimanere immobile. Si getta di nuovo su Jolka, ma rimane sospeso in aria per qualche attimo. Quella stessa forza misteriosa lo scaraventa contro il tavolo. 

Ora Smiley è davvero arrabbiato. Jolka si alza e si getta contro la porta. Chiude gli occhi, presa nuovamente dal dolore. Le lacrime le scendono lungo le guance. Armeggia con la serratura.

“No!” urla Smiley, dandole un calcio. La scaraventa dentro la sua stanza. Si regge lo stomaco, vomitando un’altra volta. Ha la pelle rossastra. Prova ad aprire gli occhi, ma Smiley glieli chiude prepotentemente con i palmi delle mani. Jolka sta perdendo le forze e fa inciampare il ragazzo addosso a sé. Voleva liberarsi, ma ha peggiorato la situazione. Adesso è bellamente schiacciata tra il pavimento e le sue mani. 

Jolka continua a ribellarsi, ma sembra sempre più debole. Smiley sembra capire. Si alza da lei, reggendosi il fianco dolorante. Quella forza invisibile che l’aveva gettato addosso al tavolo ha fatto esattamente quel che avrebbe dovuto fare.

Jolka respira a malapena. Il suo visto sta diventando qualcosa di simile al viola.

Smiley ridacchia divertito, come se avesse vinto inaspettatamente contro un gigante “Non ti impiccerai tra i miei affari come sempre. Continua a masticare uva come la malata che sei” Jolka non riesce nemmeno ad aprire gli occhi. Respira debolmente. Smiley le lancia addosso gli acini verdi, quelli che non aveva neppure toccato. 

“Ciao ciao, Jo-Jo. Ti saluta tuo fratello”

Chiude la porta. Jolka spalanca per la prima volta gli occhi, ma Smiley non vuole vedere il suo volto pieno di orrore. La cucina è immobile come dovrebbe essere. Le sedie sono sottosopra, gli scaffali sembrano sul punto di crollare a terra. Qualsiasi cosa fosse doveva avere una forza spaventosa. Nel mezzo del disastro qualcosa si muove tremando. Clark è stato scaraventato a terra. Il suo vasetto è distrutto, la terra che c’era dentro è stata gettata sul soffitto. Deve aver dato una testata pesante anche lui. Dai suoi occhi sembrano sgorgare delle lacrime. Guarda il vomito sanguinolento di Jolka con un sorriso tremule. 

“Voglio un abbraccio” 

Smiley non lo guarda nemmeno. Saltella lontano dalle pozze scure e si getta alle spalle una sedia. Sta per uscire. 

“Voglio un abbraccio!”

Chiude la porta dietro di sé. Clark abbandona per la prima volta il suo sorrisino. 

“Voglio un abbraccio!!!”

 

 

Pan sospira scoraggiato. La sua divisa immacolata non è più fresca di bucato. Delle fate dai capelli colorati l’hanno preso di mira e gli hanno gettato addosso dei gavettoni pieni di vernice luminosa. Anche se siete sopravvissuti a gran parte delle bombe un paio di loro vi hanno comunque schizzato addosso delle grosse macchie colorate. La tua felpa è un disastro. Le fate volevano essere divertenti e lo sono state, ma non hanno risolto il nostro problema. Agran è ancora introvabile. Vi aggirate nella periferia nei pressi di una palude, senza dubbio vi ci abitano Creature legate alla natura, sia diurne che notturne. 

“Ricapitoliamo” incomincia Pan, strofinandosi dalla guancia una macchia verdognola “Agran è tornato stamattina presto al pub Gufo Notturno, poi è uscito e si è diretto al centro città. Da lì è sparito nel nulla” le fate e le ninfe lunari sono state di grande aiuto. Per qualche ragione ogni volta che viene nominato il giovane gran parte dei visi femminili arrossiscono o sorridono. Pan non sembra essere comunque tranquillo.

Chiedigli della palude in cui vi trovate.

Gli chiedi come sia Karoo. 

Cosa?!

“Lui è il mio strizzacervelli. Beh, veramente è lo strizzacervelli di tutti. È quel genere di persona che ti fa sorridere per niente. Mi sento a mio agio quando gli parlo di come mi sento con le mie ossa e i miei poteri. Dopo aver chiacchierato con lui mi regala sempre delle caramelle. Grazie a Karoo Agran non è più tanto triste e Tekla non è più una che pensa solo a se stessa come faceva prim- ops!” si copre la bocca, sporcandosi di giallo “Non dirlo a lei! Potrebbe prenderla a male… Anche se ti sembrerà quasi strano Karoo ti piacerà di sicuro. È un tipo forte, davvero”

La palude. Chiedigli della palude.

Gli chiedi se Jolka sia sempre stata una tipa vivace e spensierata.

Ma che razza di domande fai?! Ubbidiscimi!

“Ecco… no” incomincia, perplesso “In realtà non faceva sempre così. Ora che ci penso da quando si è tagliata i capelli ha cominciato a fare la scema. Quand’ero molto piccolo era molto seria, si offendeva spesso ed era anche iper appiccicosa con me. Ma mi voleva bene, non pensare male. La prossima volta le dici che ha tagliato malissimo i capelli, così se li farà crescere lunghi come prima… forse”. 

Vedi di non disobbedirmi mai più. Ci saranno grosse conseguenze in futuro.

Pan cammina imbronciato. Quel che ha detto deve avergli fatto ricordare qualcosa di triste. Vorresti avvertirlo di non tornare a casa e di stare attento a Smiley. 

Non farlo! Non deve sapere nulla! Chiedigli della palude! Fallo!

Chiedi a Pan se sia mai stato in questa palude prima d’ora. Pan sorride scoprendo i denti. 

“Ci sono stato l’ultima volta in gita, quella di cui ti ha parlato Jolka. Sai, quando Clark ha mangiato il mio biglietto…” annuisci, ricordando “Non è male come posto. Credo che adesso non ci sarà nessuno perché il Solstizio viene festeggiato in città”.

Pan ha ragione: non c’è davvero nessuno tra gli innumerevoli viottoli della palude. Sono incastrate tra gli alti rami degli alberi e nei tronchi cavi delle casette minuscole. Se in città ci sono case rettangolari o cubiche, qui ci sono triangoli e trapezi. Le vie sono illuminate da lampioni molto bassi o incastrati nel muschio. Dentro i fuochi fatui scuri hanno dipinto i vetri con colori sgargianti. Ogni luce crea un arcobaleno notturno intorno a te. 

Raggiungete la spiaggia. In lontananza su un’alta collina vedi un mulino.

“Di notte fa quasi strano. Di giorno è tutt’altra cosa: ci sono le rane toro che muggiscono nell’erba alta, c’è il mulino sulla collina che si muove con la magia e c’è anche la spiaggia. Tutti avevano paura di toccare la sabbia, ma io no. È stato bello perché Arco mi aveva dato del codardo, ma io mi ero tolto le scarpe e avevo camminato sul bagnasciuga. La maestra mi ha dato un voto alto, invece Arco e Elvero erano arrabbiatissimi. Avevano degli occhioni grossi così!”

Pan spalanca gli occhi più che può, mostrandoti una finta espressione infuriata. Senti un fruscio fra la felce e il muschio dietro di lui. Vedi le foglia muoversi, finché spunta fuori una bambina alta quanto Pan, con grossi occhi scuri. Adocchia il movimento del bambino. Spalanca più che può anche lei gli occhi. Ha un sorriso perenne in volto. Ti ricorda qualcuno di inquietante. 

Pan segue il tuo sguardo. La bambina è sparita in un battito di ciglia. Pan si volta, come per chiederti spiegazioni. La bambina è ricomparsa dal nulla. Spalanca gli occhi ancora una volta. Pan si volta di scatto, ma la piccola è sparita di nuovo. Questa volta l’hai visto, non hai battuto ciglio. La bambina è rimpicciolita. È diventata grande quanto un mignolino. 

Indichi la bambina, piccola come un seme di zucca. 

“Uh?” la bambina ritorna nella sua altezza originale, ma diversa da prima. I suoi occhioni non sono più scuri ma ambrati. Come quelli di Pan. Le sono spuntate anche delle lentiggini. 

Non ci posso credere.

“Erm, ciao?” la bambina non risponde affatto. Di fronte ai vostri occhi le spuntano delle orecchie da elfo e i suoi capelli si tingono di rosa. Questa bambina può cambiare forma a suo piacimento a quanto pare “Senti, forse tu ci puoi aiutare. Stiamo cercando Agran, il Guardiano di quest’isola…”

Pan si interrompe un’altra volta. I capelli della bambina hanno cambiato di nuovo colore. Ora sono rossicci, quasi castani. La sua chioma diventa riccia come nulla fosse. L’unica cosa che rimane immutata è il suo sorriso. Più lo guardi meno sembra inquietante. Sembra più il sorriso di una bambina sciocca che il ghigno di uno psicopatico dai ricci scuri. 

È impossibile. È un metamorfo! 

“Non hai capito? Agran!”

La bambina in risposta si mette un dita in bocca. Rimane affascinata dalla bava che le esce fuori. La esamina interessata, sempre col suo sorriso quasi irritante. A Pan questa cosa fa rigirare lo stomaco. 

Ma che diavolo vi dice la testa? E’ ancora un cucciolo! A malapena sembra riconoscere le forme del suo corpo! È adorabile!

Un brivido ti scorre lungo la schiena dopo aver ascoltato la mia definizione. La bambina ha incominciato a tirarsi la lingua sempre più, fino a formare un garbuglio ai suoi piedi. Pan la guarda incredulo e disgustato.

“Ma tu non sei una strega!” 

La piccola ingoia tutto quello che aveva gettato a terra e ritorna suppergiù normale. Si avvicina con uno scatto verso Pan. Lo annusa con un nasino da cagnolino. Fa un verso strano, come se fosse uscito dall’interno della sua gola. Sembra entusiasta. Senza alcun preavviso si getta addosso al bambino. Lo abbraccia forte, col sorrisetto ancora più largo. Questa volta è Pan ad urlare. 

“Ma che fai?!”

Che dolcezza! Non riesce ancora a creare delle forme solide a suo piacimento! È la bimba più deliziosa che io abbia mai visto!

Corri ad aiutare Pan. Afferri la bambina per le spalle. Sembra molliccia, come se non avesse né carne né ossa. Nonostante sia vestita persino il suo completino è viscido e molle come burro. Pan arretra, invece tu tiri più forte che puoi. Con uno strappo salvi il bambino da quell’insolito abbraccio. Lo strappo è stato talmente micidiale da aver reso le braccia e le gambe della bimba lunghe e sottili. Lei guarda il pasticcio che avete combinato, senza alcun rancore. Cambia di nuovo forma. Diventa un centipede color sabbia. Con lo stesso sorriso sciocco. 

“Ma allora eri tu la centipede alle gare di corsa di questa notte!” realizza Pan, fattosi serio “Hai barato! Non puoi cambiare la forma delle tue gambe… qualsiasi cosa tu sia!”

La bambina in tutta risposta batte le palpebre. Si lancia ancora per abbracciarlo, ma la fermi in tempo. 

Siete proprio crudeli voi due! Questo metamorfo deve aver annusato i vestiti di Pan e per questo si è affezionato a lui! I metamorfi, non appena vengono al mondo, tendono ad affezionarsi ad una Creatura e a servirla per il resto dei loro giorni! È orribile che tu stia tentando di separarlo da Pan!

Non riesci a capire.

Come? Il mio atteggiamento protettivo ti ha confuso? Oh, non è come sembra… Quella che provo è semplice tenerezza. Comprendo appieno questo piccoletto. Dopotutto sono anch’io un metamorfo.

Il metamorfo ti è sfuggito nuovamente dalle mani. Adesso ha preso la forma di una fata minima e, a mo’ di pallina luminosa, vola sulla testa di Pan “Non credo di sapere cosa sia. Forse non capisce nemmeno cosa stia dicendo. Probabilmente si è persa e sta cercando i suoi genitori”.

Che sia vero o meno la piccola non sembra affatto preoccupata. Prende la forma di un cucciolo di alidoro e vola sulla spalla del bambino. Tutto questo porta un forte imbarazzo in Pan. Man a mano la vostra camminata vi ha portato ai piedi del bagnasciuga. Pan tiene lontano il metamorfo dall’acqua. 

“Credo che dovremmo tornare indietr- Attento!”.

Qualcosa spunta fuori dall’acqua si getta addosso a te. Un arpione arrugginito si conficca poco lontano dal tuo polso. L’hai schivato appena in tempo. Accade qualcosa di bizzarro: le alghe legate alla catena sembrano animarsi e ti afferrano. Uno strattone ti fa balzare dentro l’acqua e tu a malapena hai realizzato tutto questo. Pan abbandona la bambina e corre verso di te, creando un terremoto. Con le mani spezza la catena come se fosse stato un pezzo di spago. 

“No, fermo!” urla Pan al tuo orecchio. Si è gettato al tuo fianco. Dà un pugno in acqua talmente prepotente da far arretrare le onde di qualche metro. Rimani immobile su un nuovo pezzo di spiaggia osservando la creatura che avrebbe voluto affogarti. Pan ha fatto arretrare la sirena. A malapena hai notato la sua pinna di delfino. 

Correte via, verso la vegetazione. Sfiori il metamorfo con la spalla. Continuate a correre finché non realizzate: la bambina non si è ancora mossa dal suo posto. Lei vi guarda interessata, poi si volta. L’acqua è ritornata al suo posto originario, ma la sirena dalle squame scure è tornata alla carica, strisciando sulla sabbia verso di lei. 

Non dovrebbe preoccuparsi così tanto: i metamorfi sono incorrodibili, persino al Lago Salato, immagino. 

Pan ti lascia e corre a salvare la bambina. La sirena afferra il metamorfo per la gamba. La bambina trema. Si trasforma in un giovane ciclope, ma non si libera dalla sua presa. 

“Pan!” qualcuno urla dietro di te. Una figura scura si getta sulla spiaggia, dandoti una spallata. Ti ha fatto cadere a terra. La figura è la stessa del pub Gufo Notturno. Il cappello di Agran cade all’indietro durante la corsa. Gli cadono sulle spalle dei lunghi capelli castani, con delle perle incastrate tra le ciocche. 

Agran strattona la sirena e la getta in mare rapido e feroce. La creatura degli abissi ha occhi gialli e arrabbiati. Urla di rabbia e si aggrappa di nuovo alla spiaggia. Agran allontana il metamorfo, ritornato piccolo come un uccellino. Fa uscire un coltello dalla tasca. Accade qualcosa di bizzarro. 

Incomincia a tagliare la carne del suo stesso braccio, sapendo cosa stia facendo. Dalla vena spezzata esce fuori sangue color mercurio, denso come metallo. Gli cola come un fiumiciattolo fino a terra. La sirena rimane abbagliata dalla luce. Agran crea col suo sangue qualcosa di simile ad un giavellotto. Lo lancia verso la sirena che sibilla dal dolore: è stata colpita alla pinna dorsale. Quella diventa nera come carbone. Non può fare altro che tornare nel mare, tenendo incastrato quel pezzo di metallo. 

È Sangue! Lo cercavamo da anni!

“Le sirene non dovrebbero nemmeno pensare di avvicinarsi alla terra ferma” mormora a bassa voce, osservandosi la ferita inflittasi “Pan, non avresti dovuto allontanarti così tanto da solo”

“A-Agran!” dice Pan, con la mascella spezzata. È stato ammirevole come atto eroico, in effetti. 

Agran non ha il mantello e il cappello è volato via. È forse il Custode più alto che tu abbia mai visto. Dovrebbe sfiorare i sei piedi di altezza. La sua uniforme è un disastro. Ha chiuso la giubba verdastra fino all’ultimo bottone, diversamente da Jolka. Il problema è che gli mancano ben più di tre bottoni. Una delle maniche è strappata fino al gomito. Ha un braccio tatuato con simboli tribali impossibili da identificare. Ha strappi anche sui pantaloni scuri, la parte finale della giubba è macchiata o bruciacchiata. Si passa il braccio tagliato sulle perle ai capelli. Il taglio guarisce in un attimo di ciglia.

“Tu devi essere l’ospite di Jolka” afferma con freddezza, notando dove posavi gli occhi. Agran ha una voce, oltre che bassa, anche severa. Dev’essere il classico tipo con cui ti piacerebbe fare amicizia. 

“Sì, è un mio caro amico” risponde Pan, non avendo notato nulla di insolito. Dev’esserci abituato probabilmente.

Agran ti stringe la mano con troppa energia. Trattieni un sibilo di dolore. In compenso ti lacrimano gli occhi. Riesci ad osservargli il viso, ora che finalmente ha deciso di abbassarsi alla tua altezza. La sua pelle è color caffè, decisamente più scura di quella di Smiley. Ha occhi grossi e bruni stretti, un naso altrettanto grosso, delle grosse orecchie, un grosso mento, un grosso cipiglio contrariato…

“Vedi di abbassare gli occhi. Non sei divertente” 

…e una gigantesca ironia.

Pan sobbalza non appena incrocia gli occhi con quelli di Agran “Tu devi raccontarmi cosa diavolo è successo. Ci faremo una bella camminata verso casa”

Pan deglutisce e istintivamente lo fai anche tu. 

Molto simpatico…

Camminando attraverso la palude il bambino racconta tutto quello che è successo durante la giornata. Gli racconta dell’idea di portarti insieme a lui all’Isola Meccanica e di presentarti a Karoo. Agran sa già ogni cosa e accetta suo malgrado. Tu e il metamorfo siete ormai caduti nel dimenticatoio. La bimba ti ha considerato un quarto d’ora fa come qualcosa di completamente inutile, quindi scodinzola dietro Pan, prendendo la forma di un cane. Agran non ti ha degnato di uno sguardo, se non per assicurarsi che tu li stessi seguendo.

I due concludono l’interrogatorio al Gufo Notturno, chiuso per ferie. Il sawaas sta mangiando qualcosa buttato lì probabilmente da Wilfriid. Sembra carne grondante di sangue. Speri con tutto il tuo cuore che sia solo la tua immaginazione. Agran accarezza la bestia, concentrandosi sul metamorfo. La prende in braccio. 

“Ecco dov’eri finita”

“Conosci questa… cosa qui?”

Agran si schiarisce la gola, come sforzandosi di essere gentile “Pan, lei è Brinna. È il mio regalo per te”

“Cosa?!” Pan diventa bianco guardando il metamorfo, diventato una specie di lucertola nera. Brinna sembra annuire, leccandosi un occhio.

Non è dolcissima?

Senti un brivido lungo la tua schiena.

“Ma non è ancora il nostro compleanno…” 

Chiedi a Pan cosa intenda dire. 

“Visto che noi siamo nati tutti in periodi simili abbiamo deciso di festeggiare il compleanno tutti insieme in un solo giorno. È un casino perché dobbiamo preparare sei regali. Per fortuna festeggiamo il compleanno solo una volta ogni dieci anni. È più facile così e anche perché a quanto pare per colpa dei pezzi della Dea Bianca noi compiamo un anno ogni decennio”

Pan osserva con perplessità il tuo volto. Probabilmente hai una faccia strana.

“Sai che io ho novantasette anni, vero?”

Cala un silenzio agghiacciante. Pan sembra non riuscire ad identificare la tua espressione facciale. Agran si schiarisce la gola. Stranamente si sente più in imbarazzo di come dovrebbe essere il bambino. Poggia Brinna a terra, trasformata in un folletto.

“Lei è un metamorfo” Pan sembra affascinato “Tu non li conosci perché nel nostro arcipelago non si sono mai ambientati nelle città. L’ho trovata da sola sull’Isola dei Giganti ad ovest. E’ probabilmente l’ultima della sua specie nel nostro mondo” afferma, come se fosse un’informazione da poco.

Affascinante!

Deglutisci, non sapendo nemmeno il perché. Pan è probabilmente la persona più imbarazzata del mondo in questo momento. Guarda Brinna con un’espressione mortificata. La piccola non lo aiuta minimante, leccandosi il gomito con una lunghissima lingua da rettile “Perché mi hai regalato un metamorfo? Abbiamo già Clark e… non è simpaticissimo a casa”

“Pensavo che ti servisse un amico. Tua sorella mi ha scritto della scuola e di quello che è successo con quel centauro” le gambe di Pan tremano “Brinna ha pochi giorni di vita. Non potrai mai ferirla perché non ha né muscoli né ossa. Non potrai schiacciarla o farle del male. I metamorfi non sentono dolore fisico, ma solo magico”

Brinna si è trasformata in un pesce rosso grosso come un banco di scuola. Sguazza felicemente nel fango. Pan la afferra con cautela e la butta in un abbeveratoio. Il sawaas ringhia vedendo il pesce nel suo spazio vitale.

“Vuol dire che se un mago le facesse una magia funzionerebbe su di lei, ma io non potrei stritolarla, giusto?”

Brinna capisce di essere in pericolo in mezzo alle fauci del cavallo leonino, allora scappa dietro Pan, trasformata in un passerotto “Sì, anche il mio sangue sarebbe letale su di lei. Sono pura magia bianca. I metamorfi imitano in apparenza le forme. Possono ricreare anche i poteri di una creatura, ma solo quelli elementari. Non sono come i kitsune che imitano solo visibilmente le forme. Lei adesso è molto piccola, ma quando sarà grande riuscirà a ricreare muscoli, ossa e peso di un essere vivente”.

Brinna si è tramutata in un altro pesce che con la sua enorme mascella cerca di inghiottire la testa di Pan. Sembra che abbia un berretto in testa. Pan la sopporta stoicamente “Adesso è ancora un ammasso di burro?”

“Esatto. Ha il ciclo vitale di un essere umano. Alla sua morte dal suo stesso corpo nascerà nuovamente un altro metamorfo. Per questo sono rari: lei non potrà avere figli, ma può generarne altri con la sua morte”

Brinna mangiucchia i capelli di Pan “Come una fenice! Fantastico!” dice, brillandogli gli occhi. Stacca dalla sua testa con un blop la piccola. Guarda i suoi occhietti poco intelligenti come se fossero oro “Sono felice di avere una nuova amica!”.

Agran sospira guardandosi le scarpe “Pan, i metamorfi non hanno genere”.

“Eh?”.

“Brinna non è né maschio né femmina”.

Brinna sorride, come se le avessero fatto un complimento. Pan è bianco come un cencio. 

“L’ho chiamata così perché finora sembra che le piaccia imitare le forme femminili” 

Questa spiegazione sembra non aver migliorato minimamente l’angoscia di Pan. 

Devo affermare quello che ha detto Agran. Man a mano negli anni non ti sembrerà più così tanto imbarazzante. 

Senti le tue guance incandescenti. 

Agran ti si avvicina. La sua figura gigantesca ti fa sobbalzare “Ora dovremmo partire. Ho preparato tutto il necessario per il viaggio”

Pan ti guarda, non comprendendo. Agran senza alcun preavviso ti afferra per i fianchi e ti spinge sulla groppa del sawaas. Ti ha sollevato come se fossi stato un sacchetto di caramelle. Libera il cavallo dalla corda legata al palo. Pan guarda Brinna negli occhi. Lei continua a sorridergli. 

“Aspetta! Voglio salutarvi” mormora timidamente. Agran lo squadra dall’alto in basso “Agran, non abbiamo passato nemmeno un’ora insieme. Mi sembra stranissimo che tu parta subito. Di solito resti qui per qualche giorno e facciamo una gita insieme e poi prendiamo qualcosa da mangiare…”

Agran passa una mano sulla testa di Pan. Non ne sei certo ma sembra che abbia un sorriso. O qualcosa di simile. Agran non sa sorridere decentemente a quanto pare. Pan sembra commosso. Anche Brinna riceve una carezza.

“Tornerò fra qualche giorno. Tratterò bene il tuo amico” 

Qualcosa ti dice che stia mentendo. Non sai bene il perché. Pan sembra credere ad ogni parola che dice. Annuisce con forza. 

“Grazie” mormora, poi si rivolge a te “Senti, se cambi idea e decidi di rimanere qui potrai vivere con me e mia sorella. Forse quest’arcipelago ti sembrerà noioso, ma ti divertirai. Resta con noi”.

Pan ti guarda con occhi dolci. Brinna finalmente ti considera interessante e ti sorride, sincerante felice di vederti. Ti brucia la gola. Hai l’impressione di sentirti chiuso in uno spazio troppo stretto. 

Smettila con i sentimentalismi. Quel che accadrà accadrà per il meglio.

Agran si issa sulla sella. Saluti Pan mentre il sawaas prende la strada principale per la periferia cittadina. Raggiungete la palude scura. Fortunatamente non c’è nessuno per le strade. Agran si guarda attorno, notando che non ci sia anima viva. Sprona la bestia, che ruggisce di rabbia. Il sawaas è velocissimo: ti devi aggrappare alla schiena dell’uomo per non ruzzolare a terra. Galoppa tra le colline come se fosse una semplice corsa ad ostacoli. Non riesci nemmeno a voltarti per guardare un’ultima volta la capitale dell’arcipelago. 

Sono scontento anch’io per quel che è successo a Jolka e per quello che accadrà a Pan, ma bisogna vedere il tutto da una prospettiva differente: se Smiley ha veramente intenzione di creare la Dea Bianca non bisogna far altro che lasciare che ciò accada. Non appena nascerà una seconda volta le ingiustizie scompariranno, i ribelli saranno eliminati e lei vedrà la bontà nei nostri cuori per risparmiarci e creare un nuovo mondo. Non potrà andare nulla storto! Ironicamente tutti coloro che si sono schierati contro di noi diventeranno carne viva per la grande Dea! Avranno ciò che li spetta e noi saremo graziati! 

State attraversando una zona completamente nuova. Agran non si è voltato nemmeno una volta per controllarti. A malapena riesci a tenere gli occhi aperti. Questo silenzio ti riempie di imbarazzo.

Chiedi ad Agran come si chiami il suo cavallo. 

“Sawaas”

Chiedi di nuovo il suo nome. 

“Sawaas” 

Non riesci a capire. 

“Il suo nome è Sawaas. È sia il suo nome che il nome della sua specie. Non avevo molta immaginazione da ragazzino” detto questo ritorna il silenzio imbarazzante. 

Sarà un viaggio molto lungo…

Non puoi fare altro che chiudere gli occhi e addormentarti.

 

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Capitolo 10
*** Nono giorno ***


Pantalassex saltella con un’insolita leggiadria verso casa. Brinna è sulla sua spalla, in una bizzarra forma di gufo verdognolo a pois rossi. 

È a malapena mattina, non c’è nessuno per strada. I marciapiedi sono tinteggiati di colori allegri, i lampioni decorati con ghirlande e striscioni giganteschi. Qualche scritta è stata disegnata da mani adulte, altre da bambini di qualsiasi mano, piccola o gigantesca che sia. Il Solstizio è giunto al termine, opinione comune sia per spiriti diurni che notturni. 

Brinna sembra riconoscere l’odore di Pan lungo le scale del secondo piano. Lo segue volando fino a scontrarsi contro qualcuno. Kirke ha bussato alla porta più volte prima di incrociare gli occhi del bambino e sorridergli “Pan, buongiorno”

“Buongior-wuaaa!” esclama il bambino sbadigliando. Brinna ha cacciato il becco dentro la sua gola, in cerca di chissà cosa. Kirke sembra addolcirsi di fronte alla piccola. La carezza tra le piume.

“Cerchi mia sorella?”

“Sì, vorrei che mi rendesse il vestito”

“Ah” annuisce Pan, con un verso perplesso. Notano entrambi le tende tirate, sia in cucina che nella stanza da letto. Pan allunga gli occhi attraverso il vetro, ma non riesce a vedere nulla. Brinna nel frattempo ha cambiato forma, mutata in un mignolino con un fiocco ideato da un batuffolo di cotone “Di sicuro starà dormendo. Sorellona pigrona…” mormora con un broncio. 

Pan riesce ad aprire la porta con un click

Tutti e tre entrano. La cucina è nello stesso disordine in cui è stata lasciata l’ultima volta che Smiley entrò qui. Il tavolo e le sedie sono ancora gettati agli angoli della stanza, il frigorifero è spalancato, come i banconi e il lavandino che, anche se aperto, non sputa più acqua. Pan a malapena riesce a muoversi dal suo posto. Clark è ancora a terra. Non ha più nessuna espressione in volto. È un qualsiasi cactus da appartamento. Pan regge fra le mani il vasetto spaccato. Gli tremano le mani. Brinna si stringe tra le ciocche corte dei suoi capelli. 

“Oh, mio Dio, Jolka!” esclama Kirke, spezzando il silenzio. Pan si volta di scatto e scatta nella stanza della sorella. Non si è nemmeno accorto che il mignolino sia caduto a terra. Brinna cambia forma in una lucertola nera. Annusa la macchia di sangue a terra, indecisa se leccarla o meno. 

“Pan, non devi entrare qui…”

“Sorellona!”

Kirke avrebbe voluto fermarlo, ma ormai è troppo tardi. Jolka ha ancora le guance violacee e la bocca sporca di rosso. Pan ha le mani tremanti. Non sa se possa scuoterla oppure no. Si guarda le dita con le lacrime agli occhi. Piange guardando la sorella, mentre Brinna le si siede accanto. Non sembra sapere quel che stia succedendo, ma capisce di non dover interferire. 

“Pan… non sai quanto mi dispiace”

“Ma che cos’è successo?! Lei non può morire così… così… così! So-Sorellona!” si porta le mani agli occhi, incapace di parlare. Brinna cambia forma in una bimba dai capelli biondi come lui. Appoggia la testolina sulla sua spalla, col suo solito sorriso, ma molto più malinconico “Ma perché qualcuno l’ha fatto?! Lei non ha mai fatto del male a nessuno!”

Kirke si passa le mani sui i fianchi “Pan, probabilmente non potrai comprendere, ma spesso le persone che fanno queste cose non hanno un vero e proprio motivo per farle. Non riguarda la vendetta o l’odio verso qualcuno. Vivere in questo arcipelago è molto difficile per molti. Stare da soli per più di un secolo e fare le stesse cose continuamente è stressante, soprattutto se non sei nato per vivere per così tanto tempo…”

Brinna alza gli occhi su Kirke. La vede alzare un coltello uscito fuori chissà dove. Punta la lama sul collo di Pan. Il mutaforma muove la testolina, forse comprendendo a rilento. 

“Nessun essere umano dovrebbe vivere così a lungo”

Abbassa il coltello con uno scatto. Pan fa lo stesso. Getta addosso alla falsa maga il mutaforma, trasformato in un piccolo drago dalle squame nere. Brinna evita il coltello color mercurio e si getta sulla faccia dell’avversario. Morde qualcosa, strappandolo. Smiley cade sulla schiena, con le mani sulla faccia dolorante. Brinna contribuisce a distruggere definitivamente il mantello di kitsune. Esibisce il cappuccio bruciacchiato con orgoglio. Pan ha le lacrime agli occhi e il moccio al naso, ma ha uno sguardo ben più che infuriato. 

“Prima di uscire di casa ieri sera ho visto Jolka portare il vestito di Kirke nel negozio” dice, tirando su il moccio “Me la pagherai per quello che hai fatt-!” 

Smiley si rimette in piedi, togliendosi finalmente le mani dal viso. Pan strabuzza gli occhi riconoscendolo. Sembra lo stesso sguardo tradito di Tomoko, stampato sul visetto dolce di un bambino. Brinna gli ha morso il naso, ma non esce nemmeno una goccia di sangue. 

“Era il mantello più bello del mondo. Così mi fai arrabbiare, Pan” dice Smiley, sovrastando il bambino con la sua ombra. 

Pan deglutisce. Istintivamente i suoi occhi saltano nell’armadio della sorella. Solo ora comprende cosa sia quel dettaglio a cui non aveva dato troppa importanza: il corpo di Kirke sanguina copiosamente, stretta nella morsa delle quattro pareti di legno. I suoi capelli sono scivolati a terra, le perle sono state spezzate e sparse per tutto il pavimento. Pan trema dalla testa ai piedi. 

“H-Hai ucciso tu Jolka e Kirke!”

“Nooo, sei davvero un genio! Non so proprio come tu ci sia arrivato!” sghignazza divertito. Fa un passo in avanti, d’istinto il bambino ne fa uno all’indietro. Le sue dita sfiorano i capelli della sorella. Questo sembra dargli coraggio. 

“Ma perché? Perché Kirke?”

“Perché così la magia ereditiera delle perle bianche scomparirà e Agran non potrà più curarsi dopo aver usato il suo sangue. Ah, sì, e non mi era nemmeno molto simpatica. Due piccioni con una fava!”

Fa un altro passo. Pan sembra spremersi le meningi. 

“Perché mia sorella?!”

Con uno schiocco fa uscire fuori il suo fucile e con un altro schiocco lo ricarica. Pan osserva il colore lucente incredulo e amareggiato. Tutto questo fa allargare il sorriso di Smiley. Tutto questo lo sta divertendo.

“Perché? Ma davvero non hai capito niente?” alza le due canne sulla testa di Pan “Perché mi annoio da morire!”

Brinna vede il pugno stretto del suo padroncino come un segnale. Si trasforma in un piccolo mangiasogni di forma leonina. Morde la coscia di Smiley con denti affilati come punte di lancia. Smiley spalanca gli occhi, preso alla sprovvista. Pan non gli lascia il tempo nemmeno di pensare. Si getta addosso a lui e lo spinge. Quel che era uno spintone diventa un urto micidiale. Smiley è stato gettato sulle pareti della cucina. Il legno dietro la sua schiena si spezza. Caduto a terra urla in preda al dolore e al rancore. Guarda Pan scappare verso la porta con uno sguardo maligno e i denti in fuori. 

Pan spalanca la porta e vede il macello che ha combinato “Ah, scu-! No!”. 

Afferra Brinna per la collottola e scappa via di casa. 

Smiley si dimena con la coscia dolorante e probabilmente qualche costola rotta. La borsa si spalanca e cade a terra. La testa di Tomoko splende al buio. Nonostante i giorni passati il volto non mostra deturpamenti, né segni di decomposizione. Smiley la riafferra per i capelli e accade qualcosa di bizzarro: il morso del mangiasogni sembra rimarginarsi e il sangue smette di scorrere. Smiley si alza, tastandosi il petto completamente guarito. 

“Allora sei utile a qualcosa tu” mormora alla testa di Tomoko. La getta di nuovo nella borsa e corre alla ricerca del bambino. 

Pan ha lasciato delle tracce: correndo ha spaccato i marciapiedi e le strade. Smiley mostra i denti in un ghigno vittorioso. Ma svanisce sempre più col passare dei minuti: il piccolo deve aver compreso del pasticcio che stava facendo, allora deve aver rallentato il passo rendendolo più leggero. Le impronte sembrano scomparire, diventando minute.  

Svolta l’angolo, non può fare altro che digrignare i denti: nella terza piazza, con una fontana luminosa come oro, c’è un mare di persone. Dev’essere una specie di mercato. Le Creature Fantastiche osservano la merce, che sia frutta oppure oggetti casalinghi. Una farfalla lottatrice, grande quanto una ragazzina, sembra essere indecisa tra delle arance blu e delle banane rosa. Smiley alza gli occhi, ma la folla non gli fa vedere nulla. Aggira lentamente la piazza.

“Guarda dove vai, ragazzaccio!” gli urla un grosso golem di ferro, dopo essergli sbattuto addosso per sbaglio. Smiley non si scusa affatto, ma allunga lo sguardo dietro di sé. Pan è laggiù. Ha appena attraversato la piazza senza spaccare nemmeno una mattonella e senza aver spinto nessuno. Brinna ha assunto la forma di uno scudo di latta, ma sicuramente morbido come il pane.

Smiley corre verso il bambino, ma il golem lo afferra per la collottola, a mo’ di cucciolo. Lo porta alla sua altezza, con occhi rabbiosi “Vedi di scusarti o ti faccio volare fino l’altro capo dell’Isola!”

Smiley respira profondamente. Ingoia il rancore e simula una faccia dispiaciuta “Sono mortificato per l’incidente”.

Il golem non lo molla ancora “Non mi sembra affatto, ragazzaccio!” dice, non avendo intenzione di mollarlo. 

Smiley lancia uno sguardo dietro di sé: Pan è riuscito a superare la piazza, adesso corre per strada diretto chissà dove. Smiley strattona il golem e riesce a liberarsi. Il gigante vorrebbe rincorrerlo, ma si ferma di botto: Smiley ha lanciato a terra quel che sembrano delle monete d’oro, grosse quanto dei biscotti. Alla creatura s’illuminano gli occhi di giallo “Beh, puoi andare…” mormora, completamente disinteressato. 

Smiley corre fino all’altro capo della piazza. Vede Pan, di fronte ad uno Scattatempo. Ha appena gettato dentro il lampione due monetine. Il fuoco fatuo biancastro sembra sbadigliare e ripiegare un giornale piccolo quanto lui stesso. Si prepara per teletrasportare il bambino e Brinna. 

“Pantalassex!” Pan sente l’urlo, intima il fuoco fatuo di fare in fretta. Smiley non sembra aver mai corso più in fretta di adesso. Ha occhi infuocati. Sta per raggiungerli. Brinna si para in mezzo, mutata in un fuoco fatuo rosa. Ha il suo solito sorriso, ma sembra davvero determinata. Smiley alza il braccio e sbatte a terra: le due figure si sono illuminate di bianco e sono sparite. Pan è riuscito a fuggire. Smiley si alza, col labbro spaccato e dà un calcio al lampione. 

“L’ultima fermata! Muoviti!” il fuoco fatuo non sembra aver apprezzato affatto il trattamento. Brilla intensamente, scuotendo la testa. Il ragazzo butta nel vetro una monetina “Muoviti, devi portarmi lì!”

La fiammella simula qualcosa di simile ad un dito. Fa ‘no no’ con l’indice, infischiandosene degli occhi rossi e dei denti in fuori. Sembra scrivere qualcosa sul vetro ‘Violazione dell’articolo 72, paragrafo 12 del teletrasporto strad-’. Non fa in tempo a scriverlo che Smiley è già fuggito. Sembra sapere dove andare. 

Corre in lungo e in largo fino alla periferia. Trova un secondo Scattatempo con un fuoco fatuo grigio chiaro appena sveglio. Nota le impronte nella pietra. Si teletrasporta fino alla periferia, in un tratto d’erba, lungo le colline. Svaniscono nel nulla. Pan si sta dirigendo dall’altro capo dell’Isola, verso Agran e verso di noi.

Smiley capisce di aver perso la sua preda. Impreca a bassa voce. Gli tremano le mani, il suo ghigno è abbassato. Questo non l’ha decisamente previsto. Si decide: afferra la borsa e scova una lanterna arrugginita. Bloob, appena incomincia a bruciare la stessa aria respirata da Smiley, inizia a tremare. Gli occhi infuriati e poco pazienti del suo padrone lo rendono sempre più piccolo. 

“Bloob” sibilla falsamente gentile “devi trovare il ragazzino, poi mi dovrai dire dove si trova”

Spalanca la gabbietta facendo uscire il fuoco fatuo. Bloob è incredulo. Si guarda attorno, sconvolto di avere così tanta libertà. Smiley batte il piede a terra tanto prepotentemente da fargli bruciare un ciuffo d’erba. Bloob è ancora indeciso. Il padrone sospira rumorosamente. 

“Senti tu” Bloob si fa piccolo quanto un mignolino “questa cosa è molto importante per me. Se continuerai così ti farai una bella nuotata nel Lago Salato in compagnia delle sirene e di tutti i tuoi amichetti che io ho ammazzato!”.

Gli alberi sembrano tremare. Bloob se potesse piangerebbe. Smiley si passa le mani fra i ricci, cercando di darsi un tono. 

“Trova il ragazzino, prima che lui trovi Agran” ripete una seconda volta.

Fa un gesto al fuoco fatuo di andare. Bloob però è ancora incredulo per tutto quello che è accaduto in soli due minuti.

“Va’!”

L’urlo lo fa scappare, più rapido di qualsiasi altra Creatura Fantastica mai esistita. I fuochi fatui trovano qualsiasi cosa e lo fanno sempre in breve tempo. Pan non riuscirebbe mai a fuggire da un esserino del genere. Fuggito Bloob, il ragazzo incomincia il cammino verso le colline. 

Smiley non ha calcolato tutto questo e lo si comprende dai piedi frustrati che se potessero brucerebbero l’erba che sta pestando.

 

 

La cavalcata in groppa a Sawaas volge finalmente a termine. Agran scende dalla cavalcatura. Aiuta anche te. A quanto pare non ce l’avresti fatta senza il suo aiuto. 

“Hai una strana luce negli occhi. So che non hai dormito” dice, senza volere veramente una risposta da te. In effetti non sei riuscito a chiudere occhio. Sawaas è un cavallo irrequieto e dormire sulla schiena di Agran non ti è sembrato il caso. Al contrario, lui sembra vigile e fiero. 

Chiedi se lui sia riuscito a dormire. 

“Certo. Qualsiasi cavaliere potrebbe farlo” afferma, indifferente. 

Non è nemmeno umile. Non potrebbe andare peggio di così.

Finalmente riesci a guardarti attorno. È pomeriggio inoltrato, il sole non sta ancora calando ma capisci che fra poco ci sarà un bel tramonto. Siete ancora circondati da colline, ma qualcosa sembra essere diverso. Vedi delle pietre incastrate nel terreno, tutte in fila, in innumerevoli colonne. Altre colline lontanissime da te sono incoronate da questi sassi. Margherite e bocche di leone sono cresciute in qualsiasi angolo possibile e immaginabile tra le pietre. In lontananza le colline sembrano quasi bianche. Dall’altra parte vedi una gigantesca spaccatura. Guardi in fondo e vedi il mare. Laggiù, immersa nel buio, si erge l’Isola Meccanica. Sembra una gigantesca montagna. Uno smisurato ponte color carbone unisce i due pezzi di terra. Sembra essere l’unico modo per attraversare le due Isole.

Chiedi ad Agran perché ci siamo fermati. 

“Questo è il Ponte dei Draghi” ti fissa intensamente negli occhi “Non c’è niente da ridere” 

Ma se non hai nemmeno sorriso!

“Passeremo la notte qui, domani conoscerai Tekla e Karoo. Ma non è questo il problema” fa qualche passo, indicando col mento qualcosa in lontananza “Lui è il problema”.

Segui lo sguardo di Agran. Noti un carretto trascinato a mano da un kharacora vestito in farsetto e bombetta. Sembra essere di fretta. Traina il carretto saltellando il più possibile. Agran lo raggiunge con solo cinque passi e si para di fronte a lui. Il kharacora strabuzza gli occhi da roditore alla vista del ragazzo. Simula un sorriso. 

“Ciao, Agran! Ciao, Agran! Ciao… Agran!” 

Più nervoso di così…

“Kreos” afferma invece Agran, non aprendo più bocca. 

Kreos sembra aver preso un colpo al cuore dopo aver sentito il suo nome. I kharacora sono Creature Fantastiche simili a grosse lepri, dalle orecchie lunghe e le zampe piatte. Hanno atteggiamenti umani, eppure sono comuni predi di volpi e kitsune. Sono ossessivi verso gli oggetti persi o rubati che loro stessi nascondono per sé. Questo kharacora ha una pelliccia grigio pallida e occhioni rossi tipici dei conigli… e trema come un coniglio. 

“Non ti ho visto da settimane. Ho saputo che sei stato ad ovest. Dev’essere stato un viaggio emozionante!”

“I giganti mi hanno fatto gareggiare per giorni nei loro tornei insieme a Sawaas. Mi volevano uccidere, ma io non gliel’ho permesso” dice Agran, cupo in volto.

“Ah” non riesce a dire altro Kreos, con il sudore colante sulla pelliccia. Trema dalle orecchie alla coda a batuffolo “Beh, almeno hai risolto il problema come sempre!”.

“I giganti non hanno ancora scelto un capo clan”.

“Eh” risponde Kreos. 

Sembra essere molto bravo a rispondere a vocali. Agran, col suo solito sguardo freddo, alza gli occhi verso il carretto. Sembra essere nuovo, oppure usato solo un paio di volte. È stato verniciato per bene, perfino le ruote sono lucide. Ha dei ganci esterni, probabilmente si apre dall’interno. 

“Bel carretto”

Kreos sembra aver gettato alle sue spalle parte della sua ansia “Sapevo che l’avresti detto! L’ho comprato adeguato al carico oggetti, non come quello di prima che mi hai sequestrato tre mesi fa!” risponde, tutto contento, affatto arrabbiato o irritato. Agran fa un giro completo del carro, lento come un mignolino. A Kreos si gela il sangue ad ogni occhiata indecifrabile del ragazzo. Concluso il giro, controllato persino sotto le quattro ruote, Agran si avvicina con sguardo minaccioso. Il kharacora sembra indeciso se svenire o continuare a sorridere.

“Tutto bene”.

Kreos rimane immobile con un sorriso da ebete in faccia. Deve aver deciso di fare entrambe le cose contemporaneamente. Agran ti squadra da capo a piedi col suo solito cipiglio. Nota le macchie di vernice sui tuoi vestiti e sulle scarpe. Alza un sopracciglio “Hai dei vestiti per lui?”.

Kreos ritorna alla carica, ritornato in vita “Certo che sì!”.

Tira una leva che non avevi nemmeno notato e il carretto si spalanca come una scatola cinese, meno che nel retro. Escono fuori cassetti e oggetti in esposizione. Grucce con vestiti bizzarri e colorati e teche sottili con anelli e orecchini. Nemmeno nel frigorifero di Jolka c’era così tanto disordine. Kreos entra nel carretto e prende posto in alto “Ho tutto quello che potresti mai desiderare!” dice, rivolto a te. Agran scansiona ogni oggetto. Kreos sembra aver abbassato completamente la guardia. 

“Dai un’occhiata a questo!” butta sotto al tuo naso ciò che sembra un garbuglio di occhi di vespa rossa. Ti osservano attraverso il vetro, infelici di essere lì “Basta questo avvertimento sulle tue piante per far fuggire di corsa ogni ape di palude in circolazione. Qualunque stregone lo vorrebbe!”.

Qualcosa nel tuo sguardo deve averlo impensierito. Forse crede davvero che tu possa lanciargli un maleficio. 

“Dai un’occhiata qui!” ritorna alla carica, mostrandoti quel che sembra… un vecchio aspiratore? “Questo aggeggio del mondo di fuori renderà i tuoi soffitti più luminosi che mai e nessun ragno verrà a farti visita!” fa una dimostrazione del prodotto sul suo soffitto. L’aspirapolvere elettrico aspira una ragnatela finita nell’angolo del carretto.

Non hai il coraggio di dirgli che non funziona così. 

“Questo è carino” alza la voce Agran, ritornato in vita. Ha tra le mani un libro. Qualcosa ti sembra familiare nella copertina vissuta. Kreos ha le difese abbassate. 

“Ottima scelta! Vuoi carte geografiche dell’arcipelago? Prendi questo libro e le bussole le dimenticherai per il resto dei tuoi giorni!”

“Questo libro sembra lo stesso di quello di Odalia dell’Isola di Mezzo”

“Oh” mormora Kreos, ritornato coniglio in meno di due secondi. 

“Lo stesso che le avevo affidato qualche decennio fa”

“Uh” risponde, quasi completando le vocali a sua disposizione. 

“Lei amava quel libro. Lo aveva conservato sin da quando ero un ragazzino. Che strana coincidenza”.

“C-Che strana coincidenza”.

Cala un silenzio imbarazzante. Agran ha occhi così freddi da aver gelato persino i tremolii di Kreos. Il kharacora ha l’aria di uno che ha appena perso ogni possibilità di fuga verso la libertà. Agran continua a fissarlo, stringendo a sé la copertina. 

“Questo lo prendo io”.

Kreos annuisce con le lacrime agli occhi. Gli mancava solo la vocale ‘i’. Peccato.

“Eh, no, questo lo prendo io!” urla qualcuno in lontananza.  

Tra i sassi e le margherite sbuca una figura incappucciata dal lungo mantello nero. Alta e veloce, la figura strattona Agran e recupera il libro. Noti sotto il mantello un vestito formale ma vissuto e un viso da topo. Corre subito in suo soccorso un’altra figura, la metà più bassa. Un elfo nordico coperto di pelliccia trasporta insieme al compagno una grossa damigiana di vetro. Sono entrambi rossi dallo sforzo e dalla frustrazione.

“Non sai cosa ho fatto fino alla scorsa notte per riavere indietro questo libro! Non te lo cederò per nulla al mondo!” la voce è familiare, così come l’elfo venuto in suo soccorso. L’elfo ha un caschetto talmente folto da coprigli un occhio. Ha una cintura stretta alla vita dove in una delle tasche c’è un piccolo libro. 

“Leonilevic?” mormora Agran, guardando sotto al cappuccio. 

“Agran?”.

Leonilevic abbraccia come un ragazzino Agran che, nonostante sia poco più alto di lui, riesce addirittura a sollevarlo. Wiliamm, l’elfo nordico, aggrotta le sopracciglia con stupore. I due si staccano dopo una poderosa pacca sulla spalla “Non ti vedo da anni” quello che ha Agran sembra un sorriso… o qualcosa del genere. 

“E anche di più! Ma che stai facendo qui, ragazzo?”.

“Devo portare questo umano da Tekla e da Karoo. Me l’ha affidato Jolka”.

Kreos sembra non essere notato da nessuno. Alza lentamente il carretto e incomincia ad avviarsi. Il mezzo a quattro ruote non fa tanta strada. Immediatamente s’impiglia in una delle rocce, stranamente più piccola delle altre. Fa tanti sforzi ma non sembra avere la minima intenzione di muoversi. Agran e Leonilevic continuano a chiacchierare come se nulla fosse.

“Mi ricordo di te. Ci siamo incontrati sulla Rosa Bianca. Che intrigante giornata che abbiamo avuto!”.

“Uh? Poi me ne devi parlare” dice Agran, ritornato serio “Kreos, smettila di fuggire e torna qui”.

Ma se a malapena ha fatto due metri di viaggio!

Kreos sembra pensarla allo stesso modo, ma non ha avuto il tempo di aprire bocca. “Tu!” sibilla Leonilevic, ritornato furioso “Ladruncolo da strapazzo! Ricattatore senza alcuno scrupolo! Voleva costringerci a riacciuffare queste bestiacce per i suoi infidi scopi!”.

Wiliamm osserva col suo unico occhio visibile Kreos. Pare volerlo fulminare. Nella damigiana che hanno trasportato fino a qui sembrano esserci dei movimenti veloci. Il vetro è pulito, ma non sembra che ci sia nulla all’interno. Eppure vedi l’erba muoversi e l’aria all’interno perdere e riacquisire consistenza attraverso il vetro. C’è qualcosa là dentro, ma è invisibile. 

“Non ho mai visto quegli insetti durante tutti i miei sette anni di vita!”.

Dentro la damigiana i movimenti si fanno più agitati, quasi aggressivi. Agran congela con gli occhi il kharacora. Kreos si fa piccolo come un mignolino. Si è reso conto di essersi scavato la tomba da solo. Agran alza gli occhi sul carretto. Nota quel che hai notato prima: è completamente spalancato, meno che sul retro. Senza dire nulla si avvia lì. Kreos sembra mormorare qualcosa, ma nessuno ha voglia di ascoltarlo. 

Agran spalanca le porte. Dopo qualche attimo di smarrimento qualcosa esce fuori. Sono i due elfi nordici che hai visto sulla nave. L’elfo armato di un lungo coltello e con la testa quasi del tutto rasata meno che per una ciocca di capelli azzurra, Crisser, e l’elfo dai capelli legati in una coda con l’arco lungo, Eirikk. Entrambi cadono a terra, accecati dalla luce. Alzano gli occhi su Agran e qualcosa illumina il loro volto. 

“Tesi’, è Agran! E’ venuto per salvarci!”

“Amo’, sono troppo emozionata!”

Agran si fa di pietra. Come te. Come Kreos, in preda alle lacrime. Leonilevic con le spalle curve si avvicina ai due idioti. Gli trattiene più che può mentre i due tentano di saltare addosso al ragazzo. Sembrano delle ragazzine in preda all’emozione e Agran è l’idolo dei loro sogni. Wiliamm si fa rosso “Si stanno comportando così da quando quegli insetti si sono impossessati di loro” cerca di spiegarsi. 

“Erano veloci come saette! Hanno cambiato colore per non farsi vedere e si sono gettati addosso ai nostri amici!” spiega ancora meglio Leonilevic, tentando con tutte le sue forze di tenerli lontani da Agran. Hanno gli occhi ipereccitati e il rossore alle guance. Agran sembra aver avuto un’illuminazione. Fa cenno al vampiro di lasciarli andare. I due vengono liberati, saltellano sul posto per l’eccessiva emozione. 

“Siete insetti sussurratori?”

“Oddio! Totalmente sì! Sai chi siamo!” risponde Crisser, l’elfo più robusto, con il coltello legato alla cintura. 

“Questo tipo di insetti sono pericolosi, Leonilevic” spiega al più preoccupato della situazione “Possono raggiungere grandi velocità in pochissimi secondi, per questo quando si muovono non è possibile vederli. Il peggio è che sanno cambiare colore del loro carapace e ad entrare nei corpi delle Creature Fantastiche per cibarsi della loro magia come parassiti. In genere ne prendono completamente il controllo. Fortunatamente non sono delle Creature sveglie” i due insetti fanno sospirare di gioia gli elfi, commossi da tanti complimenti sulla loro specie.

Si volta verso di te, prendendoti alla sprovvista “Devi stare molto attento a questi insetti. Possono diventare facilmente delle armi in mano a delle persone senza cuore. Persino un metamorfo potrebbe assumere la sua forma e usarla a suo vantaggio. Anche se potesse in teoria usare solo in parte i loro poteri sarebbero ugualmente pericolosi. Quindi, se senti delle voci strane nella tua testa dimmelo subito”.

Ti ha lasciato con uno sguardo altrettanto inespressivo. 

Cosa diavolo intendeva dire?

“Siamo stati tipo fortunatissimi ad averti incontrato! Ci ha rinchiuso per giorni, avevamo totalmente paura di quella Creatura!” dice orripilato Crisser-insetto, indicando Kreos “Volevamo prendere il controllo del suo corpo e usarlo come cibo per le nostre larve, ma nessuno di noi ci è riuscito…” mormora amareggiato con le lacrime agli occhi Eirikk-insetto. Wiliamm sembra sconvolto da quello che ha appena sentito. 

“Libererò i vostri compagni e il kharacora avrà la sua punizione. Ma prima di tutto dovete uscire fuori da questi corpi” prosegue Agran, giungendo finalmente ad una soluzione. 

I due alzano i pollici in su “Quel che desidera Agran lo vogliamo tipo anche noi!”.

“Totalmente ovvio!”.

Accade qualcosa di strano. Dietro alla testa di Crisser, nella nuca rasata, vedi qualcosa fare un buco sotto la pelle fino. Un insetto del tutto simile ad una cimice, di un colore indefinito, vola fino all’altezza di Agran. Sembra fare lo stesso anche l’altro insetto, ma sotto la chioma folta di Eirikk. I due piccolini sibilano qualcosa di indefinito, forse dei ringraziamenti. Agran spalanca la damigiana. Centinaia di cimici variopinte spuntano fuori. Fanno entrare nel gruppo anche i due membri separati. Insieme vengono trasportati dal vento sopra le colline. I due elfi si guardano attorno, non comprendendo nulla di quel che stia accadendo. Agran si avvicina a Kreos, con delle sopracciglia decisamente infuriate. 

“Kreos” mormora una voce proveniente dall’Inferno. 

“Agran, ti prego! Quegli insetti sono utili per tantissime cose! Dovevo sfamare la mia famiglia!” .

“Tu non hai una famiglia”.

“Una famiglia composta da… una persona?”. 

Quest’ultima frase non sembra aver minimamente migliorato l’umore di Agran.

“Dovrai comunque pagare per quello che hai fatto” il kharacora trema sulle sue zampe da coniglio “Prima di tutto dammi i vestiti per l’umano” Kreos ti getta addosso una maglietta a maniche corte sbiadita, un paio di pantaloni da ginnastica altrettanto vecchi e delle scarpe appena lucidate. Agran non ha ancora finito la sua sentenza “Ho deciso cosa farai per farti perdonare”.

Senti Kreos battere i denti nascosto nell’imponente ombra di Agran.

 

Si è fatta sera, ricordi ben poco del piccolo falò acceso per cucinare la vostra cena e ancora meno di quello che accadde nel frattempo.

I due elfi, a parte mangiare la zuppa di funghi e peperoncino dolce, non hanno fatto altro che punzecchiare il povero Kreos che sta scontando tutt’ora la sua punizione. Agran è sparito poco dopo aver dato da mangiare a Sawaas. Wiliamm è crollato dal sonno ore fa. A malapena è riuscito a buttare giù tre funghetti. Kreos è stato chino sui sassi finora a strappare margherite per liberare un po’ di spazio. A sue spese dovrà prendere dei vasi e poggiarli sulla base delle tombe.

Sei ancora incredulo per la scoperta: tutti quei sassi in fila lungo le colline sono tombe.

Leonilevic e Wiliamm vi hanno raccontato ciò che è successo. Immediatamente dopo essere sbarcati i quattro avevano deciso di continuare il loro viaggio verso nord in attesa della fine del Solstizio per prendere il largo con la Rosa Bianca. Hanno pensato di visitare l’Isola Meccanica e per strada hanno incontrato Kreos e il suo carretto. I tre elfi non avevano mai visto un venditore ambulante così si sono fermati ad osservare le merci. Purtroppo Crisser ha spaccato per sbaglio una damigiana con dentro gli insetti sussurratori. 

Kreos ha reclamato i danni, purtroppo le tasche dei quattro erano ben più che vuote. Il peggio è che due di questi insetti si impossessarono di Crisser e di Eirikk per avere vendetta. Wiliamm e Leonilevic sono riusciti a chiuderli nel carretto facendo partire il piano malefico di Kreos. Li obbligò a cercare gli insetti a mo’ di merce di scambio per la salute dei due idiotizzati e del libro che faceva da bussola al vampiro. 

Agran decise di viaggiare insieme a Leonilevic e ai tre elfi. Non ti ha nemmeno chiesto il parere. Domattina ricomincerete il cammino al di là del Ponte dei Draghi. 

Leonilevic abbandona finalmente alle spalle il cappuccio che indossava tutto il giorno. Ha capelli più folti di quel che ti saresti aspettato “Non è male avere un po’ di compagnia dopo tanti anni in cui hai viaggiato da solo. Spero che tu non sia scontento della nostra piccola banda”

Rispondi come meglio credi, cercando di non essere scortese. Ti scappa un commento su Agran.

“Cerca di avere pazienza. Era poco più di un bambino quando partecipò alla guerra per la liberazione dei Compatibili. E’ diventato molto schivo verso gli estranei provenienti da fuori”.

Leonilevic ti fissa intensamente. Sembra che si sia trattenuto nel dirti qualcosa. Ti guardi alle spalle. Agran non è ancora tornato, Sawaas sembra dormire e ringhiare allo stesso tempo, Wiliamm è ancora un morto sotto le coperte e Crisser e Eirikk hanno deciso che ballare in cerchio attorno allo sventurato Kreos sia divertente. 

Chiedi che cosa intenda per guerra. Leonilevic ti si avvicina ancor di più. 

“Prima di tutto devi sapere che non tutti i Compatibili riuscirono a fuggire quella fatidica notte” la tua reazione ha reso il vampiro ancor più severo “Credo che dovresti saperlo prima di domani. Tekla e Karoo sono stati fedeli alla setta anche dopo la fuga. Insieme cercarono i fuggitivi per farli tornare sotto il loro controllo. C’è stato un orribile periodo in cui sia Karoo che Tomoko cercarono Jolka, Pantalassex, Smiley e Agran con qualsiasi stratagemma”

Un vento ghiacciato taglia in due le tue scapole. Le margherite si alzano e si abbassano. Kreos non può fare a meno di scaldarsi le mani. Per un attimo i due elfi hanno smesso di punzecchiarlo. 

“Fortunatamente nessuno di loro è stato trovato dalla setta. Tomoko trovò Smiley, Jolka e Pan. Noi invece trovammo Agran. La famosa Fratellanza Oscura! Sicuramente l’avrai sentita nel mondo di fuori!” alza il mento il vampiro. 

Scuoti la testa. Leonilevic si sgonfia. Mormora qualcosa del tipo che avrebbe dovuto aspettarselo. 

“Nella Fratellanza avevamo radunato Creature Magiche e Fantastiche relative alla luna. Sono morti molti amici sia in guerra che per gli anni… In questo momento siamo in vita io, uno scheletro di nome Wilfriid e, un tempo, lo stregone Salar. Pace all’anima sua… per fortuna ha lasciato dietro di sé una figlia che a sua volta ha lasciato un figlio che a sua volta ha lasciato una figlia. Si chiama Kirke. Spero di presentartela un giorno. È una bravissima ragazza!” annuisce convinto. 

Non potrà mai presentarcela, purtroppo…

“Trovammo Agran durante uno dei nostri viaggi. Eravamo appassionati esploratori. Imparò insieme a noi ad usare al meglio il suo potere. Tomoko, dopo aver trovato i Compatibili e dopo averli fatto incontrare col nostro ragazzo, decise di protestare e di porre fine a tutte le atrocità che sono accadute e che stavano ancora accadendo. Tekla è una brava ragazza, ma per colpa di quei mostri stava diventando un’arma in mano a dei pazzi. Karoo decise di unirsi a noi e di portare con sé la ragazzina. Insieme a Tomoko radunò chiunque volesse partecipare alla nostra causa e lottammo fino alla morte”.

Affermi di essere incredulo. Non immaginavi che Karoo facesse attivamente parte della setta. Crisser ha trovato una maschera nel carretto e la mostra ad Eirikk, sfidandolo per farsi colpire con le punte di freccia.

Già, quel maledetto traditore. Ci ha pugnalato alle spalle. Pensavamo volesse veramente aiutarci. Un mago senza poteri magici che desiderava ardentemente essere un vero mago. Oh, sì, ne ha avuta di magia… Tanta da distruggerci. Che sia maledetto.

“Puoi dirlo forte. Era capo scienziato dei Compatibili” la tua espressione deve aver fatto tirare un sorriso divertito al vampiro “Non ti devi allarmare: è l’uomo più dolce del mondo. Sapevamo fin dall’inizio che Karoo non si fosse unito alla setta per i loro ideali. Questo succede quando sei l’unica persona diversa in una grande famiglia, non so se mi spiego” risponde alla tua perplessità. C’è ancora qualcosa che manca nel puzzle. 

Chiedi a Leonilevic se tutte queste tombe siano dei caduti nella guerra. Wiliamm sospira nel sonno, si rigira dall’altra parte.

Leonilevic ti risponde con occhi chiusi “Non sono solo loro. Sono i bambini. Non li senti anche tu? Quasi cinquecento anni di morti e sperimentazioni hanno pugnalato l’innocenza e l’hanno portata qui. Dovrebbero piangere loro tutte queste tombe, eppure siamo i soli che li ricordiamo. Molti di loro non hanno nemmeno un nome, non ricordano i volti dei loro genitori e nemmeno in che luogo siano nati. I corpi sono andati perduti, ma le loro anime sono qui, vicino a noi. Agran suona spesso per loro, per i bambini e per i nostri amici. Fra poco vedrai la ballata dei fantasmi”.

Ti volti, finalmente vedi Agran. Ha trovato un violoncello, non immaginavi nemmeno che ce ne fosse uno qui. Incomincia a strofinare con l’archetto le corde. Kreos si stiracchia, Eirikk e Crisser si voltano anche loro e così Leonilevic. È l’unico suono udibile tra queste colline. I sassi sia grandi che piccini lasciano scivolare attraverso la pietra gli ectoplasma. Le colline s’illuminano di bianco e di rosso. I fantasmi bianchi sono bambini, i rossi sono gli assassinati. 

L’ectoplasma di un bambino gioca con i capelli di Wiliamm, ancora addormentato. Kreos si toglie la bombetta interrompendo il lavoro. Nessuno vuole obbligarlo a continuare. Agran è solo, non osserva nemmeno i fantasmi ballare gli uni con gli altri. Diventano rosa, magenta, vermiglio. Ti gira la testa. 

Ti scusi con Leonilevic e ti alzi. 

Hai le gambe rigide. Hai urtato per sbaglio due piccoli troll, ma non li hai nemmeno  guardato in faccia. Ti avvii vicino al Ponte e osservi l’Isola Meccanica in lontananza. È ancora una montagna oscura per te. Il Ponte dei Draghi trema, un pezzo si alza nella tua direzione. Vedi un occhio nero e uno verde. 

“Buonasera, viaggiatore” dice il Ponte, che non è un ponte. 

Un secondo pezzo si stacca e ti fissa. Sono due draghi giganteschi dalle squame color petrolio e dagli occhi neri e verdi. Sono praticamente identici, soltanto l’alternanza dei loro iridi li rende diversi. 

Sono i nostri primi Adepti! Li credevamo morti anni fa! Cosa diavolo ci fanno qui?!

Chiedi chi siano. 

“Noi siamo i gemelli Geolung e Owalder, nati dallo stesso uovo” dice il primo drago, quello con l’occhio verde alla sinistra “Proteggiamo le anime perdute dei bambini deceduti. La musica dolce di Agran ci ha svegliato”.

Istintivamente ti volti. Agran sta ancora suonando, nulla sembra poterlo interrompere. Non alza lo sguardo verso nessuno dei fantasmi. Leonilevic porge delle margherite ad una piccola fata dalle ali trasparenti. 

“Siamo stati inviati su queste Isole per disseminare discordia e morte, ma preferimmo viaggiare e conoscere i piccoli Custodi e i loro tutori. Nessuno sa del nostro passato, meno che loro e qualche altra Creatura contro cui combattemmo a sud” ti schiarisce le idee il secondo drago, quello con l’occhio verde a destra. 

“Sono passati più di quarant’anni dalla nostra decisione. Abbiamo compreso di essere stati aggirati e alla fine siamo diventati parte dell’arcipelago e dei loro abitanti. Siamo lontani dalla follia dei servi della Dea Bianca” dice Geolung. 

La nostra non era follia, ma desiderio di un futuro migliore! Voi siete i folli! Voi ci avete tradito!

Agran è completamente solo, nessuno lo osserva più. Sono tutti infatuati dalla musica e dai tanti bambini e guerrieri. Una figura indefinita gli si avvicina, toccando e oltrepassando l’archetto e le corde del violoncello. Agran non fa nulla per impedirglielo. I due draghi hanno avvicinato la loro testa alla tua altezza. Soltanto il loro occhio è grande il doppio di te. Ti osservano un paio di occhi verdi. 

“Non sembri parlare attraverso i tuoi pensieri. Conosciamo quello sguardo. Era anche il nostro, prima di iniziare il viaggio fra le Isole e lo era anche di molti altri nostri compagni. Agran e Tekla hanno mostrato cortesia nei nostri confronti. Sono certo che tu abbia ammirato un Custode fra coloro che hai conosciuto”

La figura si fa più insistente. Afferra per il viso Agran e lo costringe ad incrociare gli occhi con i suoi. Il fantasma è una giovane donna, non sai se sia una Creatura Umana, Magica o Fantastica. Indispettita per essere stata ignorata, scompiglia le perle di Agran. Lui la sopporta continuando a suonare. Non ha cambiato espressione, ma una luce opaca sembra aver oscurato i suoi occhi.

“Piccolo umano, vedo che la nostra storia e la storia dei Guardiani ti ha toccato profondamente. Se stai raggiungendo Karoo lui senza dubbio ti schiarirà le idee” dice Owalder.

“Contiamo che tu prenda una decisione. Se restare qui e proteggere come noi queste Isole oppure se soccombere sotto l’odio di quei folli. Aspettiamo il tuo ritorno con pazienza” conclude Geolung.

Annuisci ai due draghi. Entrambi si saldano in uno stretto abbraccio, tornando come Ponte dei Draghi. 

Che diavolo significa tutto questo? Perché hai annuito? Che cosa sta succedendo?!

Ti avvii verso Leonilevic. Ti fa un cenno di saluto e incomincia a dormire. Ti sdrai sotto la loro stessa coperta. Sawaas ti ringhia in faccia e dorme, come se niente fosse. Crisser e Eirikk guardano le stelle sdraiati accanto alle tombe di due scheletri coperti dal ferro delle armature. 

Alzi lo sguardo verso Agran. Non ne sei certo, ma credi che il fantasma della donna abbia unito la sua fronte con la sua. Non sai che espressione possa avere un guerriero come lui. 

Chiudi gli occhi. Cadi nel mondo dei sogni.

 

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Capitolo 11
*** Decimo giorno ***


Bloob sta cercando Pan da chissà quanto tempo. 

Le colline sembrano tutte uguali, alcune coperte di margherite, altre di denti di leone, altre ancora di tulipani bianchi e rossi. Una cosa è certa: sono ancora molto lontani da noi e da Agran. Ci vorrà qualche giorno ancora per raggiungerci. Bloob sembra aver trovato qualcosa di strano alla base di un cumulo di terra. Lo stesso cumulo trema impercettibilmente, coperto da uno strato l’erba e margherite. Pan è di sicuro là sotto, stremato e affamato. Brinna è sdraiata addosso a lui, cercando di mimetizzarlo.

Bloob li osserva per un po’ e prende una decisione. Si dirige a chilometri e chilometri da quel mucchio di terra. Smiley è al buio, continua a saltare tra un tulipano rosso e un dente di leone. Bloob trema nel riconoscerlo e gli si avvicina. 

“Trovato niente?”

Bloob se potesse deglutirebbe. La sua fiammella brucia aria più del dovuto. Scuote la testolina, negando. 

Smiley stringe gli occhi. Setaccia ogni piccola fiammella azzurra del suo fuoco fatuo. Alza le spalle e ricomincia il cammino. Bloob sembra essere sollevato. Smette di tremare e continua la sua finta ricerca.

Smiley lo osserva sparire. Non penso che gli abbia creduto. 

 

 “Sono il migliore con le lame!” dice Crisser mostrando una lucertola che per sua sfortuna è finita nella traiettoria del suo coltello. Si vanta dell’ottima cattura di fronte ai suoi amici elfi e la inghiotte. Eirikk mormora qualcosa sulle capacità decisamente migliori del suo arco. Wiliamm rimane in religioso silenzio. 

Avete seguito le rotaie del treno fino alla base della montagna. Agran, dopo aver visto l’eccellente lavoro di quel poveraccio di Kreos, ha deciso di liberarlo. Kreos ha esibito qualcosa di simile ad un sorriso e se n’è scappato. Di corsa. Molto lontano. Sawaas non ha voluto seguirvi. Agran l’ha lasciato libero per l’Isola dopo avervi portato tutti quanti in sella oltre il Ponte dei Draghi. Le squame delle bestie sono ancora immobili, cadute sonno profondo. Non potresti mai dire che siano draghi.

Le rotaie vi hanno portato fino ad un ascensore, che sembra più una scatola di tonno rotondeggiante che porta in alto, verso un cielo ricoperto da una bruttissima nube nera. Intravedi delle piscine da cui fuoriesce del vapore impossibile da respirare. Un fiumiciattolo dall’alto collega le piscine. Lanci uno sguardo dentro: è lava rossa. Due giovani incendiari stanno parlando con un robot a forma di vermiciattolo color mercurio.

“Il Trova Oggetti Lavico farà il possibile!” esclama la sua voce robotica. 

Setaccia dentro la lava con un retino sottile, sempre color mercurio, alla ricerca di qualcosa caduto nella piscina. La piccola incendiaria congiunge le mani, finché il robot non fa uscire qualcosa.

“Trovato! Ecco a lei, signorina!” dice, porgendo lo zainetto incenerito della piccola. L’incendiario più grande lo ringrazia infinitamente.

Qualcuno vi sbarra la strada. È un altro essere meccanico a forma di talpa. Ha un gigantesco cartello che fa uscire da chissà dove. C’è scritto ‘STOP! VIETATO ENTRARE!’. Tutto questo ti fa ricordare qualcosa… Agran si mette in mezzo facendosi scannerizzare dal piccoletto. Immediatamente getta via il cartello. La sua faccetta diventa un sorriso verde. Crisser picchietta la talpa con il coltello. Questa si stizzisce. Vi lascia entrare nell’ascensore, facendola chiudere in faccia ai tre elfi. Non ha decisamente gradito.

Agran si gratta la testa col braccio tatuato. I segni tribali nascondono delle ragnatele di cicatrici lungo tutto l’avambraccio. Non l’hai mai notato. Leonilevic si sistema il cappuccio. Wiliamm sfoglia le pagine del libro. Crisser guarda per aria, sospirando scoraggiato per essere stato trattato male dalla talpa. Eirikk prova a fischiare ma non gli esce nemmeno un suono. Che silenzio imbarazzante. Tutto questo ti fa venire in mente un bel po’ di ricordi altrettanto imbarazzanti. 

Mostri ammirazione per il tatuaggio di Agran. Gli elfi annuiscono. 

“Mh”

Non dice nient’altro.

Altro imbarazzo. L’ascensore continua a salire verso l’infinito e oltre. 

Chiedi dove si sia tatuato. 

“Anni fa ho conosciuto un vecchio gnomo. Era bravo a disegnare. Volevo ricordare casa mia prima di far parte dell’arcipelago” 

Eirikk rizza le orecchie a punta con uno scatto “Ricordi casa tua? Pensavo che i Compatibili fossero stati rapiti tutti da neonati” gli altri due elfi annuiscono. 

“Non tutti, in verità” sottolinea Leonilevic “Agran aveva quindici anni quando gli iniettarono il sangue della Dea Bianca” Agran si fa scuro in volto, sembra che nessun altro riesca ad accorgersene. 

“Ma quindi, aspetta… Ci sono tanti tipi di esseri umani?” chiede scioccamente Crisser. 

Wiliamm rigira gli occhi “Certo. Così come esistono elfi del nord come noi, esistono anche elfi del sud dalla pelle scura, elfi dell’est e dell’ovest!”.

Crisser si spazientisce “Quindi di dov’è Agran?” .

Wiliamm sembra essersi mozzato la lingua. Eirikk sghignazza insieme a Crisser “Il genio non sa come rispondere?”.

Wiliamm deglutisce “Credo… a sud?” mormora a bassa voce. I suoi due compagni rizzano le orecchie, sentendo a fatica. Ridacchiano sottovoce. Leonilevic dà una pacca amichevole sulla spalla al povero Wiliamm. Tutti i suoi capelli si sono sciupati per coprirgli il rossore e gli occhi. Agran si schiarisce la gola. Lo sguardo scuro è svanito del tutto. 

“C’eri quasi. Sono nato in una piccola isola polinesiana”.

I tre elfi lo guardano confusi. Forse non conoscono nemmeno i continenti. 

“Sud-est”.

Un ‘Ahhh!’ generale riempie le pareti dell’ascensore “E gli altri Compatibili?”

Leonilevic si schiarisce la gola “Vediamo ricordo bene” Agran gli rivolge uno sguardo decisamente più amichevole, anche se il sorriso dev’essere un optional per lui “Tomoko è nata nell’arcipelago giapponese. L’hanno reclutata all’età di trentaquattro anni. Smiley è meridionale, greco mi pare. L’hanno reclutato a pochi mesi di vita. Jolka aveva otto anni, Pantalassex pochi mesi. Entrambi provengono dall’est Europa. Tekla è americana, così come Karoo, ma hanno origini diverse. Lei è stata trovata a pochi giorni di vita, ma le sperimentazioni su di lei incominciarono a tredici anni. Karoo si è unito alla setta volontariamente, a trentasei anni. Non ho sbagliato nulla?”

Agran annuisce. Qualcosa deve avergli sciolto i nervi. 

Si aprono le porte dell’ascensore. Qualcosa di azzurro esplode a pochi centimetri dal tuo naso. Sei quasi sbattuto contro Wiliamm, così come Wiliamm è sbattuto contro Crisser e Crisser contro Eirikk. Eirikk non aveva nessuno contro cui sbattere, quindi è caduto a terra. Leonilevic ridacchia immobile, Agran incomincia ad avviarsi. Alzi lo sguardo e vedi ciò che dal basso non potevi nemmeno immaginare. 

L’Isola Meccanica è un complesso di officine color mercurio. Ogni cubo bianco è addossato alla montagna e insieme formano una cittadina meccanica collegata con scale e ascensori. La montagna sputa fumo e cenere che viene rigettata in alto grazie a delle grosse ventole animate con delle ruote. La montagna è un gigantesco vulcano. La nube ricopre completamente il cielo. Sai che è giorno, ma non lo diresti affatto. 

Sembra esserci molta confusione. Quel che è esploso addosso a te era sicuramente un fuoco fatuo come gli innumerevoli che stai vedendo adesso. Volano, esplodono, scompaiono stretti a delle buste o a delle lettere grandi quanto o il doppio di loro. Le bruciano con le loro essenze e le fanno apparire in mano agli interessati. Gli incendiari entrano dentro i tubi dell’acqua fredda e li scaldano con le loro essenze. 

Nelle ruote ci sono polli, struzzi, dodo e pavoni meccanici color mercurio che insieme stanno correndo per continuare ad allontanare la cenere del vulcano. In una ruota più grande c’è un gallo grande quanto un ragazzo. Sta correndo al contrario al ritmo di uno stereo impostato sulla modalità fitness. 

“Coraggio, signorine! Sentite il ritmo nei vostri bulloni!” incita gli altri pennuti con la sua voce meccanica. 

La musica ti sembra incredibilmente familiare. I pennuti, chi apprezzando il gesto, chi meno, corrono veloci nelle ruote. I tre elfi non sanno se ridere o mettersi le mani fra i capelli. Agran vi conduce in alto, saltando cinque scale ed evitando le essenze di due fuochi fatui color magenta. Trovate un piazzale aperto e sgombro, senza nessuno se non per un verme meccanico di guardia alla porta. C’è solamente un’officina grande quanto una qualsiasi casa di campagna. Le porte sono spalancate. Il verme ha riconosciuto Agran. Lo invita ad entrare.

“Tekla sicuramente starà lavorando” dice, incominciando ad avviarsi nella casetta, seguito da Leonilevic e dai tre elfi. 

Dall’esterno sembra un qualsiasi cubo color mercurio, senza nemmeno una finestra. Non avresti mai potuto dire che sia la casa di una ragazza o di una donna. Crisser ti aspetta con pazienza. Non entra a meno che tu non lo faccia. Lo rassicuri con un gesto ed entri. 

Dall’esterno non sembrava un granché grande come dall’interno. La casa di Tekla ha due piani collegati con una scaletta da marinaio. Entrambi i piani non hanno nemmeno una parete che possa separarli. Se ti alzassi sulle punte potresti vedere la stanzetta di Tekla di un bizzarro arancione, il suo letto azzurro perfettamente in ordine e la sua libreria verde smeraldo… a testa in giù? I libri si reggono grazie ad una gravità artificiale a quanto pare. Così come i puzzle, le mappe delle stelle e altri schemi che non comprendi. Ogni soffitto della casa è scarabocchiato o ricoperto di cartacce.

Ti avvii insieme ad Agran verso il primo piano. Anche la cucina è collegata con il salotto, ignorando completamente il senso dei colori: il salotto è rosa confetto, la sala da pranzo è blu cupa e la cucina è di un avorio imbarazzante. Sembra che nulla sia in disordine. Agran spalanca una porta che non avevi nemmeno notato e scende in basso. Fai lo stesso. 

Senti un rumore di metallo battuto pesantemente contro un grosso martello. Il sottoscala scende poco più in basso. È illuminato a giorno, con molte lampade di tanti tipi: vedi lampade da catalogo prematrimoniale, quelle per bambini con dei dinosauri appiccicati, fino a lampade da scrivania di ufficio. Una figura martella un pezzo di metallo color mercurio con una forza impressionante. Tekla ha una maschera che le protegge il viso dagli schizzi del metallo, ma potresti comunque fare un’osservazione su di lei. 

Tekla è una giovane donna alta, dalle spalle robuste e in carne. Non è grassa, potrebbe farti del male solo stringendoti la mano. Batte il metallo con la forza di un uomo. La sua divisa è diversa da quelle che hai visto finora. Nemmeno Jolka indossava una lunga gonna che le toccava le caviglie. Addosso alla gonna si stringe dal petto fino alle ginocchia un grembiule blu e addosso al grembiule un altro grembiule di cuoio. Sull’appendiabiti c’è un altro pezzo di vestiario: un mantello azzurro lungo con un cappuccio. Di sicuro bisogna stringerlo con la cintura di cuoio che ha abbandonato sullo stesso appendiabiti. L’officina è un disastro tra la scrivania ricoperta di progetti, i muri addobbati da chiodi che reggono altri oggetti e i vari pezzi di metallo che lei stessa sta assemblando. 

Questa è Cervello… E’ cresciuta moltissimo dall’ultima volta che il mio successore l’ha vista.

Agran le picchietta la spalla grassoccia. Tekla si volta e scatta come una molla. Abbandona il lavoro e getta sulla scrivania la maschera. Tekla ha capelli castano chiari stretti in una coda e occhi piccoli con guance tonde. Sembra che abbia la testa un po’ più grande di come dovrebbe essere la testa di una donna. Batte le palpebre non comprendendo. Sulla scrivania trova dei giganteschi occhiali rotondi e li indossa. Ora sì che i suoi occhi sembrano della grandezza giusta. Rimane impietrita di fronte a noi e ad Agran. 

“Erm, ciao… A-A-Agran!” balbetta, terrorizzata da qualcosa. Si sporge leggermente salutando anche noi, nascosti dentro la mastodontica ombra di Agran. Leonilevic fa qualche passo in avanti, affiancando l’amico “Non devo avervi sentito. Sono qui da… ieri notte? Non credo di ricordarmelo” .

“Avrei dovuto scriverti, ma non ho avuto tempo. Credo che Jolka ti abbia già spiegato ogni cosa”.

Tekla getta di lato il grembiule di cuoio. Non fa parte della divisa, allora “Riguardo cosa?”.

“Non hai ricevuto niente?”.

“No, non mi ha scritto nulla. L’avrei saputo subito. Le lettere me le inviano i miei assistenti fuochi fatui che lavorano qui”.

“Mh” conclude Agran. Fa mente locale con perplessità. Sembra che gli stia salendo un sospetto. 

Se scopre qualcosa siamo rovinati. Fai qualcosa! Ubbidiscimi!

Ti presenti a Tekla, dicendo il tuo nome e presentando anche gli elfi e Leonilevic. Lei ti squadra a bocca aperta. Parla velocemente. Ti gira in tondo ignorando completamente i tre elfi e il vampiro. Lui ti mormora qualcosa del tipo ‘La conosco già, non ti preoccupare’, mentre lei mormora qualcosa del tipo ‘Nonvedounumanodanovantasetteannieseimesieventisettegiorniemezzo!’. Agran sembra che questo lato infantile di Tekla gli interessi ben poco. Osserva le carte sulla scrivania ignorando i commenti su di te e le spiegazioni di tutto quello che è successo a Leonilevic. Agran man a mano racconta il nostro viaggio e la nostra condotta. I tre elfi raccontano del loro di viaggio e di voler vedere l’Isola. 

“Vi mostrerò il nucleo dell’Isola Meccanica!” esclama, vestendosi immediatamente con il mantello e la cintura. Afferra Wiliamm, il più magro, e lo trascina fuori di casa a tre centimetri da terra. La seguite con pazienza. Chi non comprendendo, come gli elfi, chi ridendo fra i baffi, come Leonilevic, chi restando indietro, come Agran. Il nostro intervento non deve avergli levato in mente il suo dubbio. 

In qualche modo siete scesi per due file di scale, schivando incendiari e fuochi fatui, e siete finiti dentro qualcosa di simile al cubo più grande dell’Isola. A malapena sei riuscito a vedere il soffitto di questa bestia. Là dentro il mercurio regna sovrano. Qualsiasi ruota o bullone è stato ideato col sangue di Agran. Talpe, occhi e vermi meccanici vivono qui, dediti a fare energia ad un generatore grande quanto l’intero cubo. Dentro il vetro artificiale sembra bruciare una quantità indescrivibile di elettricità, magma e magia che non riesci nemmeno ad identificare. 

Tekla abbandona finalmente il braccio di Wiliamm “Questa fabbrica è stata costruita con il sangue della Dea Bianca, grazie al quale ho modellato gran parte delle macchine e abbiamo addirittura costruito l’intera Isola! Questo perché il sangue della Dea può essere utilizzato come un qualsiasi metallo, ma è decisamente migliore dell’acciaio. E’ indistruttibile, ha una rigenerazione illimitata e, ancora meglio, è leggerissimo a qualsiasi pressione! Ho costruito moltissimi oggetti indeteriorabili come la Rosa Bianca, le armi di Smiley e vari utensili utili per tutti i giorni. Lo posso usare soprattutto perché Agran ne deve perdere per lo meno un litro al mese, altrimenti si sentirebbe male visto che è il lato negativo del suo poter-…”

“Tekla, andiamo avanti” taglia corto Agran. 

Tekla si volta, facendo fumare per la vergogna persino gli occhiali. Deglutisce vistosamente, facendoci cenno di continuare a camminare. Ha un sorriso tesissimo in volto. Non schioda gli occhi da Agran per nessun motivo. 

“Questo è il generatore di onde magmamagiche di mia invenzione” afferma con fierezza di fronte alla macchina di fronte a noi “Non tutti sanno che l’arcipelago è stato ideato all’interno di una barriera creata dalla mia macchina. La barriera si espande ogni anno di qualche metro cubo in modo tale da poter ospitare in seguito altre Isole. La barriera copre tutto l’arcipelago grazie all’energia prodotta dal magma del vulcano e dalla magia sia bianca che nera. Grazie alla lava che sottraggo al vulcano questo non potrà mai eruttare e allo stesso tempo mi darà energia per rigenerare infinitamente la barriera!”

Questo… questo spiega ogni cosa. 

Wiliamm ha difficoltà a scrivere nel suo libro le informazioni di Tekla in stampatello. Crisser ed Eirikk non sembrano aver capito un granché, ma si rendono conto comunque di vedere qualcosa di infinitamente affascinante. 

“Una sola macchina grande quanto l’appartamento di un golem sta rendendo le nostre Isole invisibili all’occhio dei servi della Dea Bianca” ti legge nel pensiero Leonilevic, affascinato. Da come parla sembra che non abbia mai visto il generatore. O forse che l’abbia visto, ma molti anni fa.

Ora sappiamo come liberarci di loro. Non solo Smiley li eliminerà tutti e diventerà la grande Dea, ma noi potremmo distruggere il generatore e rendere visibili le Isole per richiamare i nostri alleati. Dobbiamo trovare un modo per distruggere questo mostro meccanico! E tu lo farai. O, sì, che lo farai!

Leonilevic si accosta a Tekla, tutta orgogliosa “Sono ammirato, signorina Tekla”

“Infatti, è fichissimo!” dicono in coro Crisser ed Eirikk. I loro occhi brillano come le loro armi. 

Tekla allunga un sorriso affatto amichevole. I suoi occhi si stringono, guardando da sotto le palpebre la sua creazione “Lo so, sono la migliore” mormora una voce arrogante ed ambiziosa.

Non sembra affatto amichevole. I tre elfi la guardano sconvolti. Agran tossisce sonoramente. Tekla si risveglia, ritornata come prima. Ci squadra con occhi da bambina, imbarazzata “V-Voglio dire, non è così male” ridacchia con ancora più imbarazzo “Ma potrei migliorarlo ancora di più. Insomma, la barriera ha sempre mostrato degli effetti collaterali, soprattutto verso le piante e gli animali. La magia concentrata nell’atmosfera deve avergli donato un quoziente intellettivo decisamente troppo alto rispetto alle loro medie. Per questo le piante parlano e esiste la pioggia in su. Avrei voluto perfezionarla anni fa, ma Karoo mi aveva detto di lasciar stare perché ormai gli abitanti si erano abituati a queste anomalie… Uffi” conclude, mostrando il broncio. 

“Aspetta, la pioggia in su non è normale?!” esclama Eirikk. Crisser gli regge la mascella, Wiliamm si schiarisce la voce, facendo un passo avanti. 

“Come fate a creare magia per il generatore?” chiede con una vocina. 

“Adesso imponiamo delle tasse per le fate diurne e notturne e per i maghi e gli stregoni. Ogni mese riceviamo abbastanza magia e polvere di fata per poter rigenerare la barriera. Per fortuna! I primi tempi era un disastro. Abbiamo dovuto gettare nelle mie macchine i seguaci della Dea Bianca che entravano nel nostro arcipelago senza il nostro consenso. I loro corpi puzzavano per mesi là dentro e la loro magia era troppo poca per coprire tutto il territorio! Ma all’epoca le cose erano diverse: a malapena ospitavamo le tre isole principa-”

“Voi usavate la magia dei loro corpi?!” esclama sconvolto Wiliamm, facendo cadere anche a lui la mascella. Il suo caschetto sembra carico di elettricità. Crisser, col cuore decisamente più freddo, gli recupera la mascella. Eirikk ha un tic all’occhio. 

“Sì…?” mormora, non comprendendo il loro disagio. Sembra che Tekla non provi particolare empatia verso i seguaci della Dea Bianca. 

Questo è disgustoso. Fra qualche giorno saranno tutti vendicati. Lo giuro. 

I tre elfi sono ancora sconvolti. Leonilevic ha la fronte sudata “Forse non dovremmo parlare di queste cose. I ragazzi sono molto sensibili”

“Io no, per niente” afferma Crisser, orgoglioso. Wiliamm sta ancora cercando la mascella, Eirikk invece la parola. 

“Oh” dice Tekla, non comprendendo affatto “Potremmo scendere più in basso per farvi vedere le vecchie invenzioni!”. 

Grazie ad un ascensore aperto scendete insieme verso il piano di sotto. È un angolino bianco e spazioso. Sembra che nessuno possa entrare qui dentro oltre a Tekla. Gli elfi si sparpagliano esaminando gli oggetti per terra. Sono letteralmente dappertutto. A fatica sei riuscito a fare tre passi. 

“Questo è il mio spazio ricreativo. Qui costruisco letteralmente tutto quello che mi passa per la testa. Il che è positivo solo fino ad un certo punto perché spesso mi capita di avere fra le mani alla fine degli oggetti inutili” conclude lei. Non sembra affatto soddisfatta di quello che sta guardando. 

Eirikk ha il tuo stesso sguardo perplesso “Tipo?”.

“Tipo quell’aspirapolvere in alto” dice indicando qualcosa che si muove lentamente sul soffitto. È lo stesso aspirapolvere di Kreos “A chi diavolo serve aspirare le ragnatele sul soffitto? Per fortuna ne ho persi una decina di questi. Non ne potevo più di costruirli…”.

Agran ha stretto gli occhi impercettibilmente. 

Wiliamm stringe fra le mani un cubo molle, simile a plastilina. L’oggetto sembra assorbire aria attorno a lui. Si gonfia e mostra la forma di una rana piccola quanto un pugno. Rimbalza fra gli oggetti, creando ancor più disordine “Non so bene perché abbia creato quell’affare” sospira Tekla. 

“Io lo trovo simpatico” dice Wiliamm, riprendendo la rana ritornata a forma di cubo. 

“Signorina Tekla, allora per quale motivo hai costruito tutti questi oggetti se sono considerati inutili per te?” chiede preoccupato Leonilevic. Ha una specie di robot in mano a forma di orsetto. Non si muove ma i suoi occhi perplessi lo squadrano dalla testa ai piedi. 

“E’ il lato negativo del mio potere. Io sono il cervello della Dea Bianca. Posso costruire qualsiasi cosa mi venga in mente, ma spesso non decido io cosa creare. Spesso la mia mente si riempie di idee che devo assolutamente soddisfare, altrimenti potrei avere una crisi isterica” dice Tekla. 

Agran annuisce impercettibilmente. Ha uno sguardo cupo. Credo che abbia avuto un tremito lungo la spina dorsale, ma non ne sono sicuro.

Dopo un paio d’ore di ricerca fra gli oggetti strani in compagnia degli elfi salite al piano di sopra. Leonilevic e Agran sono già su insieme agli elfi. Qualcosa cattura la tua attenzione. In un angolo isolato dello spazio ricreativo c’è una porta d’ascensore. Non l’avevi notata, eri troppo concentrato sulle invenzioni di Tekla. Sembra essere sbarrata, ma facendo pressione con il peso potresti entrarci.

Tekla ti fa cenno di salire. Sembra aver notato il tuo sguardo perso. Era tesa come una corda di violino. 

Quell’ascensore dev’essere importante…

“Karoo tornerà fra due o tre giorni, a quanto pare” Agran è apparso di fronte a te all’improvviso “Sembra che dovrai passare un po’ di tempo qui. Io e te ci separiamo” dice alzando le spalle, come se niente fosse. 

Ad Agran tu non sei mai piaciuto a quanto pare. Alza la mano aspettando che tu gliela stringa. Ha fretta di andarsene. Ad Agran non piace nemmeno stare qui. Gli stringi la mano, sembri la cosa più impacciata di questa Isola. Tekla vi osserva rigirandosi i pollici. Forse lei potrà battere il tuo record di imbarazzo. 

“Erm, Agran?” Agran la osserva senza battere ciglio “Visto che Karoo non è qui potresti… lascia perdere” conclude, facendo arrossire anche gli occhiali. Agran continua ad osservarla. Tutto ciò non è minimamente di aiuto “Ho fatto un errore di calcolo…”.

“Cosa?” grugnisce. Anche questo non è minimamente di aiuto. 

“Ti ricordi quando qualche giorno fa ti parlai della mia idea sulla comunicazione veloce tra le Isole?” il tuo sguardo perplesso la fa sospirare “Ho pensato di munire le Isole di apparecchi visivi pubblici in modo da comunicare e ricevere informazioni nello stesso istante in cui si pigia il bottone del macchinario”

Chiedi se sia un tipo di televisore. Tekla alza un sopracciglio. 

“Eh?”.

Neghi quel che hai detto. 

Non dire mai più una cosa del genere sul tuo mondo a questa feccia. 

“Il macchinario avrebbe dovuto mostrare l’immagine di un robot da me creato che avrebbe comunicato le informazioni ed eventuali pericoli” continua, ignorandoti completamente “Purtroppo… questo robot mi è sfuggito di mano. Ha preso il controllo di una parte delle officine e delle mie macchine e sembra che voglia uscire dall’arcipelago per popolare il mondo di fuori con i suoi spettacoli… dice lui”.

Agran non sembra affatto preoccupato “Non sei riuscita a spegnerlo? Pensavo potessi farlo facilmente”. 

Tekla suda più del normale “Vedi, il problema è che si spegne manualmente, togliendogli la batteria che ha dietro la schiena. Finora… niente” dice una vocina minuscola. Agran non sembra ancora preoccupato. Tekla cede e diventa rossa “Sai, lasciamo perdere! Credo che questa cosa io possa riuscire a risolverla da sola!”.

L’intero edificio si oscura. Si spengono le luci all’improvviso. 

“Oh, no…” mormora una vocina minuta di nome Tekla.

Una luce abbagliante illumina il soffitto. Per qualche strano motivo i vetri sono spalancati. Ti abbagliano, a malapena riesci a vedere qualcosa. Una figura stretta e sinuosa si cala fino alla vostra altezza. Senti alle tue spalle rumori di ruote e di macchine. La figura si adagia sul cornicione, mostrandosi in tutto il suo splendore.

Oh, my God! C’est moi! La vostra Joy!” 

La luce si abbassa di qualche gradazione. Il robot di cui parlava Tekla è qui. Ha l’aspetto di una giovane donna dal petto in fuori e dalle curve morbide. Ha un lungo abito bianco e una parrucca castano chiaro. Delle guance tonde, ma sode e degli occhioni luminosi. La sua pelle è grigio metallizzata. Un’illuminazione prende il sopravvento fra tutti i presenti. 

“Ma è Tekla!” esclama Crisser.

“Con dieci chili in meno” scatta l’occhio di Wiliamm. 

“E con molte più curve” allunga il sorriso da lupastro Eirikk. Leonilevic gli lancia un’occhiataccia quasi sprezzante.

Tekla ha sentito tutto e arrossisce di vergogna. Joy ha sentito tutto e annuisce piena di sé. Agran batte lentamente le palpebre. Tutto questo non sembra interessargli.

“Gli ospiti di oggi sembrano parecchio agitati, vediamo di raffreddarci un pochino” dice il robot, facendo schioccare le dita… come non lo sai. 

Alle vostre spalle appaiono centinaia di piccoli robot, piccoli e grandi. Chi saltellanti chi rotolanti. Qualcuno prova a camminare sulle mani e altri sui piedi. All’indietro. Molti di loro reggono telecamere e microfoni grandi quanto la tua testa. Allo schiocco delle dita i più piccoli si gettano addosso ad Eirikk. I due elfi scattano per aiutarlo, ma è tutto inutile. Eirikk, sorretto dagli esseri di metallo, guarda incredulo i suoi amici dall’alto verso il basso “Dopotutto la star sono io!”.

“Eirikk!” esclama Leonilevic, coi capelli più tesi di lui stesso. 

“Hai corrotto tutti i miei robot…?”.

Nessuno sembra ascoltare la povera Tekla. Ha la faccia di una che sembra col piede nella fossa.

“Oggi abbiamo un ospite speciale in questa bellissima serat-” uno dei robot avvicina troppo la telecamera e la sbatte sulla capigliatura di Joy “Sei utile quanto un cassonetto dei rifiuti, G.R.O.S!” dice Joy, digrignando i denti.

Il robot che l’ha colpita per sbaglio è alto poco più di un metro. Ha soltanto un enorme occhio di metallo che ruota tutt’uno insieme ad una telecamera appiccicata a sé con del nastro adesivo. Non sembra affatto stabile. Il robot sembra tirare su il moccio, considerando il suono che ha fatto.

“Hai corrotto anche Grande Rotondo Obliquo Sperimentale!” dice Tekla, sul punto di svenire. 

“No, ho corrotto Grande Rincretinito con un Occhio Solo. Ho corretto il nome, così ha decisamente più senso” afferma Joy, facendo schioccare le dita ancora una volta.

G.R.O.S sembra avere le lacrime colanti dal suo unico occhio. Gli trema persino la telecamera sulla testa-occhio. Gli altri robot fanno entrare in scena qualcosa di simile ad un banco di scuola, completamente circondato da cartone. Agran alza gli occhi sull’affare. Ha quattro giganteschi pulsanti. È una console. 

“Facciamo un saluto alla nostra piccola banda. Qui abbiamo… Oh, my God! Il grande Agran! Guardiano dell’Isola Maestra!” scatta l’applauso generale. 

Dal soffitto cadono dei coriandoli che atterrano addosso ad Agran. Lui non fa altro che rimanere immobile come una statua di sale. Joy sembra prenderla male. Tira su il sorriso più falso di sempre. 

“Alla sua destra un vampiro qualunque!” Leonilevic ha un tic all’occhio “E alla sua sinistra uno stregone o un mago come tanti altri!” i coriandoli svolazzano anche sulle vostre teste. Il vampiro cerca di togliersele dal cappuccio, ma entrano persino dentro il colletto. 

“Lì in fondo c’è Tekla, la mia creatrice. Affatto importante per il nostro esperimento”.

“Hey!” esclama lei, in lacrime. 

I tre elfi attendono di essere nominati…

...niente. Persino Eirikk, il prigioniero, rimane dignitosamente nel dimenticatoio. 

La console si accende. Sembra che uno dei robot più grandi l’abbia collegato all’elettricità nel laboratorio. I pulsanti prendono colore. Agran ha lo sguardo di una persona che avrebbe voluto essere in qualsiasi luogo sulla terra tranne che lì. Joy si accorge anche di questo. Batte le palpebre con irritazione.

“Devo fare una magnifica entrata in scena non appena uscirò da qui. Diventerò una stella del cinema tra le Creature Umane, Magiche e Fantastiche! Ho bisogno della vostra collaborazione per il mio quiz” dice alla telecamera, ammiccando “Dovete rispondere correttamente alle domande e la prima televisiva sarà un successore!”.

Leonilevic stringe i pugni “E se non lo volessimo?”.

Joy smette di incipriarsi il naso specchiandosi nell’occhio di G.R.O.S. “Oh, ma è semplicissimo: tutto questo c’è nel regolamento. Se vincerete il vostro amico sarà liberato” Eirikk ritorna di nuovo al centro dell’attenzione. Un robot sembra trovare divertente usare la corda del suo arco come corda di violino “Altrimenti si prenderà in pieno una scarica elettrica da fargli dimenticare il suo nome!”.

Eirikk sbianca, Tekla di più, Wiliamm rimane spiazzato, Crisser non sembra aver capito niente, Leonilevic guarda commosso Eirikk, Agran batte le palpebre con un’espressione simile a quella annoiata. Tekla e Joy non hanno fatto altro che osservare la sua reazione. Joy schiocca le dita. La console s’illumina di una scritta. 

“Prima il mago o stregone… quel che sei! Rispondi correttamente!” 

Riesci a leggere la domanda in un attimo ‘Come si chiama la nave che viaggia settimanalmente da un’Isola all’altra?’.

 

A. Sirena Blu                                    B. Rosa Bianca

 

C. Diavolessa Rossa                         D. Bho! 

 

Di sicuro non è la D.

Pigi la risposta giusta. Dei palloncini a forma di ‘J’ esplodono per tutta la stanza. Qualcuno sgattaiola lentamente dietro le vostre spalle. Tekla sarà anche grassoccia, ma di sicuro è molto svelta. Nessuno sembra essersi reso conto che lei stia facendo il giro del laboratorio. Leonilevic scruta quel che stai vedendo anche tu e tira un sospiro di sollievo. 

“Ora è il turno del vampiro qualunque! Questa è molto più semplice!”

Leonilevic alza gli occhi sulla console. Tutto questo da pericoloso sembra star diventando ridicolo. Joy si mangia con gli occhi le vostre facce da idioti, come una gatta con i topi. Nel frattempo una donna grassoccia sta salendo le scale con la grazia di una ballerina. Nessuno si sta rendendo conto di nulla. Non riesci a leggere abbastanza velocemente né le domande né le risposte. Leonilevic ha risposto correttamente. Altri palloncini esplodono di fronte ai vostri occhi. 

Wonderful!”

“Ma se non era niente di ché…” soggiungono i due elfi non prigionieri. 

Un lampo bianco illumina gli occhi da cerbiatta di Joy “Lamentarsi è contro le regole!” i tre elfi rimangono di sasso. Più di tutti Eirikk, che non stacca gli occhi dal robot. La console si illumina di nuovo “Una per Agran! Questa è elementare!”

Compare la domanda ‘Il gomitolo di lana A parte simultaneamente al gomitolo di lana B. Entrambi raggiungono il gatto A e il gatto B. Il gatto B ha impiegato 2,7 secondi per avvicinarsi al gomitolo di lana A e altri 1,4 per toccarlo e iniziare a giocarc-’. La domanda scompare all’improvviso. Nessuno è riuscito a leggerla. Appaio subito dopo le risposte.

 

A. 3,456 secondi                      B. 

 

Se leggerai tutte le risposte giuro che troverò un altro adepto decisamente migliore di te!

Smetti di leggere. Agran non sembra affatto preoccupato. Non nasconde nemmeno lo sguardo che lancia dietro alle spalle di Joy. Tekla nel frattempo ha scalato quella gigantesca vetta. Con le dita sembra creare la forma di una A. Agran non può fare altro che pigiare quella risposta. Joy sembra felicissima di tutto quello che sta accadendo. Dei fuochi d’artificio illuminano a giorno il cubo. Sembra che sia tutto finito. 

Congratulations! Direi che-”.

“Ce l’ho fatta, ragazzi! Ho liberato l’ostaggio!” dice Tekla da lassù, gioendo e saltellando sul posto, come se non avesse mai fatto nulla di più incredibile nella sua vita. Eirikk si è liberato del tutto da solo. Non prova nemmeno a scendere le scalette. Joy si è voltata annoiata. La gioia della scienziata scompare completamente. 

“Cara, carissima Tekla, così non è giusto. Hai rovinato tutto! Che cosa horrible!” dice, asciugandosi le false lacrime con un fazzoletto uscito fuori chissà dove. Tekla suda freddo. Per fortuna Eirikk è tornato insieme a noi “Credo che conoscerai benissimo la risposta a questa domanda! È per tutti voi!” dice, sorridendo in modo maligno. 

Tekla deglutisce visibilmente. Appare una scritta sulla console ‘Chi ama Tekla?’.

 

A. Agran                                B. Agran (ovvio)

 

C. Agran (e chi altri?)            D. Agran (non era nemmeno uno spoiler…)

 

Non sai chi, ma qualcuno pigia velocemente un pulsante qualsiasi. S’illuminano lettere colorate sui vetri dei robot disertori ‘Vittoria!’ leggi tra gli spalti ‘Futura ship!’ leggi sulla tua testa ‘Preferivo Kirke’ scrive G.R.O.S. Joy gli regala un sonoro ceffone. Tekla non riesce a fare altro che coprirsi la faccia, in preda alla vergogna. Qualcuno tra le macchine ha deciso che sia divertente metterla sotto un riflettore. 

“Era ovvio. Quante scenette romantiche si era scritta sul suo diario! Era patetica da morire, una noia! Aveva persino scritto una fanfiction su loro due che partono per un viaggio insieme. Meglio non aggiungere troppo. Sono io la star, dopotutto! Io sono al centro dell’attenzione, non lei!” guarda storto G.R.O.S, che sta puntando la telecamera da troppo tempo sulla sua creatrice. Joy si spazientisce “Domani sarà una giornata magnifique! Vi voglio pronti per il prossimo spettacolo. Adieu!” dice, scoccando un bacio nella vostra direzione. 

Svanisce in una nuvoletta di fumo creata da un jet che ha materializzato dietro la sua schiena. Tutti i piccoli robot, dai più fastidiosi ai più calmi, svaniscono in un battito di ciglia, esattamente come sono entrati. Tekla è scesa dalla scaletta. Guarda qualsiasi cosa meno che le vostre facce. 

“Beh, è stato divertente!”.

I tre elfi ridacchiano, Eirikk meno di tutti. Leonilevic le ammicca. Tekla se potesse arrossirebbe ancora di più. Agran le si avvicina, forse un po’ troppo. 

“Quella domanda non avrebbe dovuto farla… per niente” borbotta imbarazzata. 

“Credo che dovremmo preparare la cena”.

Tutti i presenti si fanno di ghiaccio. Nessuno aveva pensato ad una cosa del genere. Detto questo Agran si volta e si avvia, ignorando chiunque. Tekla corre più velocemente che può dietro di lui. Il generatore è ancora intatto. Osservi il piano di sotto con la coda dell’occhio. Quell’ascensore è ancora più che interessante. 

La serata passa velocemente nella casa di Tekla. Mentre i tre elfi e Leonilevic preparavano la cena, Agran si è fatto controllare i livelli di sangue da Tekla grazie ad una specie di gameboy collegato ad una minuscola siringa. Secondo Tekla Agran ha superato la soglia mensile che avrebbe dovuto usufruire. È rimasta dispiaciuta perché, a suo dire, non potrebbe più utilizzare altro metallo questo mese. Agran non le ha rivolto più la parola. 

Non ricordi nemmeno cosa hai mangiato, sai solo che non era un granché: Crisser ha esagerato col pepe. Stasera dividerai il divano del piano di sopra con Eirikk. Questa esperienza l’ha stancato. È già crollato dal sonno.

Crolli anche tu in un battito di ciglia. 

 

L’officina dove avete partecipato a quello strano gioco è illuminata a giorno, nonostante sia notte fonda. L’ascensore nascosto è chiuso, ma è possibile sgattaiolarci dentro attraverso una piccola apertura. Scendo per almeno venti metri di profondità e alla fine giungo in un complesso sotterraneo. Mi trovo in una stanza tonda, con innumerevoli porte. Tutto questo è molto più interessante del previsto. 

Attraverso la prima porta entro in una stanza altrettanto spaziosa. Tutto questo è bizzarro. Non ci sono altro che lunghi tavoli con sopra innumerevoli videocamere portatili, piuttosto piccole. Ognuno di questi oggetti ha un cartellino segnaletico, ma non è possibile leggerli. Qui dentro è troppo buio. Accendere la luce sarebbe sospetto. 

La prima videocamera ha un pulsante di accensione. Lo premo e solo adesso riesco a leggere il cartellino: AGRAN E CAERINA. Un bagliore illumina il muro di fronte alla videocamera. Sta mostrando un filmino simile ad un proiettore da cinema.

Nel video c’è la collina delle margherite, vicino al Ponte dei Draghi. Vedo la spaccatura tra l’Isola Maestra e l’Isola Meccanica, ma nessun ponte. Forse non c’erano ancora gli adepti. Vedo Agran, molto più giovane di come l’abbiamo visto finora. Non ha perle fra i capelli e nessun tatuaggio sugli avambracci. Non ha nemmeno il suo solito sguardo cupo. 

L’Agran giovane parla, ma non riesco a sentire il suono. Di fronte a lui si mostra una ragazza forse poco più piccola di lui, riccia e alta. Kirke. No, non è lei. Kirke ha ricci mori come la notte, lei è bruna. Kirke ha gli occhi dolci e blu da cerbiatta innocente, questa ha occhi stretti e maliziosi, verde oliva. Porge delle scuse con degli occhioni da bambina, ma Agran non sembra cadere nella trappola. Le punta un indice di accusa. La ragazza gli ride in faccia con una sgarbatezza irritante. Schiocca le dita e le appare in mano un sacchetto di monete.

Agran si tasta il fianco, capisce di essere stato derubato. Le corre dietro, infuriato, ma lei è più svelta e svanisce in una nube nera. Kirke è sicuramente una maga, così come questa ragazza è sicuramente una strega. Agran ha uno sguardo infantile e infuriato. Si volta con la coda fra le gambe.

Qualcuno sembra essere sceso. L’ascensore si spalanca. Spengo appena in tempo la videocamera. Appare Tekla, guardandosi attorno con fare sospetto. Si dirige verso un'altra porta. Questa stanza è un piccolo ufficio, munito di scrivania e fogli per scrivere messaggi veloci. 

Incomincia a scribacchiare qualcosa. Non leggo in tempo, Tekla chiama a raccolta uno dei fuochi fatui lì vicino. E’ un fuoco fatuo notturno, dall’essenza talmente grigia da sembrare nera. 

“Inviala a Joy. Dille che ha fatto un buon lavoro” afferma, tutta contenta. 

La Creatura annuisce facendo un saluto militare e scompare bruciando il foglietto. Tekla sembra entusiasta, torna al piano di sopra prendendo l’ascensore. Si dirige con passi leggeri verso casa sua, come se avesse dato il via ad un piano geniale.

 

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Capitolo 12
*** Undicesimo giorno ***


Qualcuno spinge un carretto con tutte le sue forze poche miglia dal Ponte dei Draghi. Kreos ha terminato il suo lavoro già da un giorno, ma ha fatto ben poca strada. Gli ci vorranno ancora due giorni e una notte per raggiungere la capitale. Kreos ha la pelliccia sudata e il cappello più unto dei suoi vestiti.

“Kreos, amico mio!” esclama qualcuno a mezzo metro da lui. Il kharacora alza gli occhi per dirgliene quattro, ma perde tutto il suo coraggio. Smiley è decisamente più alto di lui e più minaccioso. La sua ombra oscura completamente sia lui che parte del carretto. Kreos ha le orecchie abbassate, ma non trema affatto come con Agran.

“Che c’è non mi saluti?” chiede Smiley, con un broncio offeso. 

Kreos saltella un passo all’indietro “Non dovresti essere qui. Sai che Agran…”.

“E’ sull’Isola Meccanica con un umano e con Leonilevic. Quel vecchiaccio non lo vedevo da anni” interrompe Smiley all’improvviso, sapendo già ogni cosa. Se potesse Kreos abbasserebbe le orecchie ancora di più “Hai ricevuto la mia lettera un mese fa? Non hai fatto quel che avresti dovuto fare. Ti avevo detto di indicargli la strada per l’ovest. Tu invece hai fatto il contrario. Mi rendi le cose difficili”.

Kreos alza finalmente gli occhi. Un’ombra copre il volto di Smiley. I suoi occhiacci lo trafiggono fin dentro l’anima. Kreos ha un tremito lungo la spina dorsale. Guarda il ragazzo come una preda guarderebbe il cacciatore “Ma perché devi fare tutto questo? L’hai fatto già decine di volte”.

“Centinaia di volte, Kreos. Centinaia” soggiunge, allungando un sorriso freddo. 

“L’hai fatto anche quando ero al servizio della Dea due anni fa” Smiley fa scendere il sorriso, forse ricordando qualcosa di poco divertente. 

Non ricordo di aver mai visto Kreos. 

“Sì, eri il mio protagonista” continua il ragazzo. Guarda qualcosa lontano fra le margherite “C’è sempre bisogno di un protagonista. Il mio adesso è l’umano. Non ne hanno mai inviato nessuno finora. Il peggio è che Jo-Jo è infuriata con me da settimane. Era la protagonista migliore di sempre. Peccato che le siano partiti i sensi di colpa. Come se non avesse mai ammazzato nessuno in tutta la sua vita. Non aveva nemmeno nove anni quando faceva esplodere le teste a chiunque la guardasse negli occhi”.

L’idea di vedere Jolka arrabbiata sembra far tremare ancor di più il povero Kreos. Il cappello gli è scivolato definitivamente a terra. Non prova nemmeno a raccoglierlo. Smiley dalle margherite si è spostato ai tulipani. Carezza la corda dell’arco immerso nei pensieri. E’ improbabile che là in fondo ci sia Pan “Non sarebbe meglio lasciar perdere?”.

“Troppo tardi” dice, facendo uscire dalla tasca rossa la testa di Tomoko. Kreos lancia un gridolino di terrore fin troppo da coniglio. Smiley sospira indifferente facendo scivolare di nuovo la testa al suo posto “Non ho mai ucciso tutti quanti durante lo stesso gioco. È intrigante, anche se strano”.

Fa scendere il fucile dalla spalla. Lo impugna in lontananza con un solo braccio, come annoiato. Spara un colpo, senza nemmeno mirare. Il proiettile spazza via una zolla di terra. Rimane un buco scuro in mezzo al bianco. Kreos non smette di tremare “E’ solo una questione di uccidere?”.

“E’ una questione di svago” il kharacora lo guarda a bocca spalancata, come se avesse detto una parola in lingua straniera “Kreos, tu hai già sette anni. Vivrai fino a quindici anni e, se quella maledetta Dea lo desidera, anche per vent’anni. Io sarei dovuto morire come un anziano una decina di anni fa. Eppure sono ancora giovane. Il mio corpo reagisce come se fossero passati poco più di nove anni, ma le nostre menti mutano continuamente come un qualunque essere umano. Far vivere una Creatura piccola per così tanto tempo è stupido. Cominci ad annoiarti di qualsiasi cosa. Vivere in un buco come quest’arcipelago peggiora ancora di più la situazione. Anche Jo-Jo ha voluto essere la mia protagonista per noia. Agran l’ha fatto per fermare il mio gioco. Tekla mi ha dato la prima spinta. In un certo senso devo a lei l’dea di usare il cuore della Dea in un modo così divertente”. 

Sembra essere soddisfatto delle sue parole e della sua mira. Ha colpito in pieno un dente di leone e adesso non ne è rimasto altro che cenere. Ricarica e i proiettili ritornano all’interno del fucile color mercurio. Le sue parole hanno reso Kreos amareggiato più che spaventato “E’ diventato divertente fare del male alle persone? Anche a Tomoko?”. 

“Tomoko… mi è sempre stata antipatica” mormora disprezzatamente Smiley, sparando due colpi invece di uno. Ricarica ancora. Il fucile ritorna dietro le sue spalle insieme all’arco. Si ferma a contemplare per un’infinità di secondi il bianco di fronte a loro. Smiley perde colore, stringe i pugni reggendosi al carretto. Il suo sguardo diventa agghiacciante.

“Avere il cuore della Dea fa schifo” comincia, con una voce cavernosa “Sono decenni che non provo emozioni. Da piccolo credevo che fossi un bambino cattivo, ma adesso ho capito che non era colpa mia. La Dea mi ha levato tutto. Non provo affetto per nessuno, ma nemmeno odio. Non provo gioia, tristezza, rabbia, solo frustrazione. Provo anche adrenalina, ma solo quando uso il mio potere per il mio gioco” analizza i coltelli stretti alla sua cintura come se ci fosse incastrato qualcosa. Kreos non sembra nemmeno meditare di scappare. Smiley allarga un sorrisetto decisamente più umano di quelli visti finora.

“Creare dei pericoli e osservare i protagonisti muoversi in situazioni pericolose e malsane è più divertente di quel che credi. Anni fa avevo messo in pericolo la nipote di Agran per vedere la sua reazione. Ho minacciato di uccidere Pan per costringere Jo-Jo a giocare. Ho torturato Tekla per vedere la reazione di Karoo. Solo Tomoko e Pan non sanno nulla di tutto questo. Ho fatto tutto il possibile con loro, ma adesso ogni cosa è diventata monotona. I protagonisti non si evolvono più di quanto io sia riuscito a fare. Tranne Jo-Jo. Lei è impossibile da decifrare per me, ma è diventata noiosa. Quindi ho dovuto fare un cambio di programma…”.

Ha abbandonato completamente il suo sguardo freddo. Accoglie Kreos con un finto sorrisetto infantile. Il kharacora non può fare altro che deglutire “L’umano adesso è la tua prossima vittima?”.

“Diciamo di sì” annuisce, mordendosi un’unghia “Sto per fare qualcosa che non ho mai creduto di poter fare. Tra poco tutti vedranno una Dea scorrazzare fra le Isole” mostra una linguaccia divertita. Non è affatto divertente.

“Oh” non può dire nient’altro il coniglio “Sai che la sua guida potrebbe sentirci, vero?”.

Il sorriso di Smiley si assottiglia. Guarda attentamente negli occhi Kreos, come se fosse lui stesso l’umano che dovrebbe andare a cacciare “Certo che lo so. Secondo te perché starei perdendo tempo a chiacchierare con te?”.

Kreos non può fare a meno di guardarsi attorno. Osserva ogni fiore, dal più piccolo al più grande. Non sembra trovare nulla di insolito. Smiley non perde tempo. Alza le spalle, dirigendosi tutt’altra parte che da me. Nessuno di loro due sta pensando di guardare in alto, sulle loro teste. 

Questo è grave. Sanno che io possa ascoltarli. 

Kreos si arrende all’evidenza. Osserva Smiley e ogni sua reazione. Non sembra interessargli più la sua presenza. Il kharacora afferra ancora una volta le assi del suo carretto e incomincia ad incamminarsi. Smiley imita uno sguardo gentile. 

“Non ti ho fermato solo per chiacchierare. Volevo ringraziarti”.

“P-Per cosa?” mormora incerto Kreos. L’ombra del ragazzo lo assorbe completamente. 

“Per aver rubato a Tekla la sua invenzione” fa uscire fuori dalla tasca interna della divisa un oggetto arrugginito. È l’orologio che Takeomo gli ha dato in cambio di una sua predizione giorni fa. Sembra essere passata un’eternità da allora. Lo fa oscillare a tre centimetri dal suo naso. Dallo sguardo preoccupato che mostra sembra che sappia cosa sia “L’avevo affidato ad un kitsune senza che ne sapesse nulla. È molto utile per i miei protagonisti. Fai buon viaggio, Kreos”. 

Smiley alza una mano in un dolce segno di saluto, mostrando ben trentadue denti. Kreos sembra essere felicissimo di poter fuggire lontano dal ragazzo. Trascina il carretto per ben cinque metri. Smiley lo afferra per la spalla senza alcun preavviso. Kreos rimane sbigottito e guarda di nuovo in alto. Smiley ha uno sguardo nero come una tempesta. 

“Non dire niente a nessuno di tutto questo”.

“A ne-nessuno”.

Soddisfatto, Smiley lo lascia andare un’altra volta. Kreos è stranamente veloce adesso nell’allontanarsi dall’ombra inquietante di Smiley. Mi avvicino abbastanza per guardargli il retro del collo. Sembra esserci un simbolo marchiato a fuoco sulla nuca. È il simbolo degli adepti ufficiali della Dea Bianca, il nostro simbolo.

Ora ricordo! Pochi anni fa si parlò molto di un traditore inviato come spia nell’arcipelago. Non sapevo a che specie appartenesse. Volevamo liberarci di lui e della sua codardia, ma a quanto pare dev’essere sopravvissuto. 

Kreos si allontana, senza aver notato nulla di insolito. Smiley lo osserva fino a che non lo vede scomparire dalla sua vista. Non abbassa lo sguardo. Sono invisibile e piccolo quanto una cimice. Abbassa la testa in segno di saluto. Verso di me. 

 

 

“Vuoi dire che quel robot continuerà a fare questi giochi finché non troverà un modo per distruggere il generatore e uscire dall’arcipelago?” Agran sembra essere molto più serioso di ieri. Sono entrato in contatto con te in mezzo ad una conversazione già avviata.

“Erm, sì” risponde Tekla, continuando a seguire Agran fino in cima alle scale “Joy è una tipa fantasiosa. Per sbaglio le ho inserito nella memoria centrale molte serie televisive del mondo di fuori e programmi interattivi”. 

Insieme a Tekla e ad Agran passeggiano indisturbati anche Leonilevic e i tre elfi. Wiliamm ascolta con attenzione e con perplessità. Non ha compreso un granché di quel che ha detto. Crisser ed Eirikk non hanno nemmeno teso le orecchie per ascoltarli. I dodo corrono indisturbati dentro le ruote. Uno di loro ha tra le ali meccaniche un giornale che sfoglia indisturbato, mentre una chioccia canticchia una pessima canzone. 

Chiedi a Tekla come abbia fatto a conoscere delle serie televisive e dei programmi interattivi. 

“Jolka mi consegna spesso oggetti strani che trova nel Lago Salato” risponde, senza togliere gli occhi di dosso ad Agran “Le ho costruito un generatore di corrente per una console. Inoltre abbiamo trovato un cofanetto con una serie tv davver-… Oh, santa Dea!” alza la voce in maniera isterica.

Sia lei che Agran hanno alzato gli occhi oltre la scalinata. Leonilevic rigira gli occhi non appena incrocia lo sguardo con quello che state guardando. C’è un gigantesco parallelepipedo piantato nel terreno, dipinto completamente di un viola fin troppo acceso. Una scritta al neon si erge come un gigante di roccia. Leggi ‘JOY’, scritto con un carattere quasi provocante. Il parallelepipedo ha balconate con delle piante finte e delle finestre senza vetri. Robot traditori e galli meccanici entrano ed escono come se niente fosse. Tekla ha un’espressione fredda in volto. 

“C’è un hotel sulla mia isola” conclude dopo un’attenta analisi. 

“Sì, signorina, ma-”

“C’è un hotel sulla mia isola!” aumenta i decibel. 

“Tekla…”

“La distruggerò con le mie stesse mani!” ringhia come un animale feroce. Leonilevic fa un passo indietro, i tre elfi ne fanno altri due “Non può fare quello che non le ho ordinato di fare! È… inadatto!” afferma, con gli occhi in fiamme. 

“Forse voleva dire… impossibile?”. 

Tekla non ha nemmeno preso in esame le parole di Leonilevic. Si dirige con passi pesanti lungo il tappeto rosso. Due robot a forma di talpa hanno deciso di farla passare senza aprire bocca. Quel che hanno visto deve averli scioccato. Tekla scaraventa un pollo passandoci semplicemente sopra e si para di fronte a quelli che sembrano due buttafuori. Credo che in teoria servissero due robot alti e robusti per spostare materiali, ma alla fine sono stati reclutati di Joy. Sembra che lei abbia procurato a loro giacca, cravatta e occhiali da sole. Uno di loro guarda dall’alto in basso la sua creatrice. 

“Avete un invito ufficiale?”

“Ma che diavolo significa?! Io vi ho costruito!” questo piccolo particolare non sembra importare particolarmente a loro. Si guardano negli occhi pieni d’intesa, poi guardano negli occhi Tekla. Quel che vedono non sembra preoccuparli. 

“Signori” si fa avanti Leonilevic con una certa eleganza. I due alzano entrambi un sopracciglio “Di sicuro avrete sentito parlare di me. Sono Leonilevic von Ghenom, scrivo libri di avventure dal decennio scorso” dice, alzando il mento pieno di orgoglio. A Wiliamm brillano gli occhi, purtroppo lo stesso non vale per i due buttafuori. 

“Noi non siamo programmati per leggere” ammette uno di loro. 

“Tra poco sarete programmati per autodistruggervi!” ringhia con ancora più convinzione Tekla. Agran non prova nemmeno ad allontanarsi da lei. Tutto questo non contribuisce a levargli dalla faccia il suo sguardo indifferente. I due scannerizzano Leonilevic. Al primo s’illuminano gli occhiali di rosso, al secondo di verde. 

“Io mi ricordo di te” afferma convinto il secondo. Gli occhi di Leonilevic brillano come stelle “Y4, lui è il vampiro come tanti nel programma di Joy di ieri sera!” 

In un battito di ciglia l’espressione facciale del vampiro si fa nera come carbone. Al  primo buttafuori sembra essere spuntata una lampadina che in un attimo si tinge di verde. 

“Hai ragione, Y5! Ha risposto correttamente alla domanda ‘Quante isole principali abbiamo nel nostro arcipelago?’

“Era una domanda stupida, Y4”

“Per questo era divertente, Y5” 

I due alzano e abbassano la testa con vari scatti, imitando qualcosa di simile ad una risata. Agran dà una poderosa pacca sulla spalla al suo amico. Questo non gli solleva il morale, ma almeno Tekla sembra aver perso ogni briciolo di rabbia. La cosa l’ha fatta diventare rossa. Entrambi vi fanno strada dentro l’hotel. 

Dopo un lungo corridoio entrate in una sala spaziosa. Sembra essere un ristorante al chiuso con sedie e tavoli eleganti non ancora apparecchiati e un sipario in lontananza. Non c’è anima viva. Aspettate ancora per qualche minuto, ma sembra che non stia accadendo davvero niente. Tekla si guarda attorno piena di terrore. Alza gli occhi al cielo e tossisce. In un attimo si spengono le luci. Qualcuno tra gli elfi sospira. 

“Perché ogni volta si fa buio quando appare Joy?” 

Due occhi colmi di rabbia appaiono dietro al sipario. Crisser viene fulminato a distanza. Deve aver parlato lui. Una luce si accende verso la tenda rossa e qualcosa spunta fuori, quasi con timidezza. Joy batte le ciglia guardando dritto negli occhi Agran. Lui batte le ciglia, assonnato. 

“Non sarai mica… il mio unico amore?” dice la sua vocina dolce. 

Il sipario si apre. Joy ha una nuova parrucca, questa volta bionda e riccia. Ha un abito tipico medievale rosso porpora. Qualcuno deve averla riempita di fondotinta. Si è disegnata perfino delle sopracciglia accattivanti. Il suo aspetto è stranamente familiare. Troppo familiare. Percorre il palcoscenico con la grazia di una regina. 

“Sei l’unico che desidero sposare, carissimo fratello!” quasi tutti i presenti, meno Agran, sembrano inciampare nel nulla “Pensavo non ci saremmo rivisti mai più! Non voglio nessuno se non te! Altro che quel maledetto che nostro padre mi ha costretto a sposare!” conclude la sua patetica rappresentazione con le lacrime agli occhi. 

Agran non batte ciglio. Tekla ha perso la mandibola da qualche sul pavimento. Leonilevic batte piano le palpebre, infinitamente paziente. Tutto questo non migliora l’umore di Joy, che ricomincia con un nuovo sermone. 

“Peccato che nostro padre sia contrario al nostro amore! Che disdetta! Padre, voglio sposare mio fratello!”

Dietro le spalle di Joy appare una figura minuta e scocciata. Lei gli ha buttato in testa una parrucca pelata da cui spuntano fuori dei ciuffi bianchi e azzurri. Addosso alla sua pelliccia di tutti i giorni ha infilato una casacca anch’essa medievale. Tutti noi ci voltiamo verso i tre elfi. Crisser ed Eirikk ci sono, manca solo Wiliamm. Wiliamm, affatto contento di essere lì, afferra un copione. 

“Noooo…” incomincia, con la voce più monotona mai sentita prima d’ora “Non puoi sposarlo. È tuo fratello, per i… Sette? Che cosa sono i Sette?” Joy sta perdendo la pazienza, allora Wiliamm torna sul copione, al riparo “Cioè, sei sposata, figlia mia! Tuo marito, il Ciclope, lo sfiderà in duello! Così vedrai chi sia davvero tuo marito!” 

Spunta fuori un altro personaggio. Agran chiude le palpebre lentamente, ancora più annoiato. G.R.O.S spunta fuori con un occhio agguerrito. Sfida Agran con in testa un berretto con una piuma, un braccio di legno con una spada di cartone, in groppa ad un finto cavalluccio di pezza mangiucchiato dalla muffa. Agran decide di fare un passo avanti, sfidando il robot. G.R.O.S alza con tutte le sue forze il braccio finto e parte alla carica col suo nobile destriero. È incredibilmente veloce per avere solo una ruota. Saltella sugli scalini e finalmente raggiunge Agran!

Agran fa un passo di lato e lo lascia correre oltre le sue spalle. G.R.O.S ha perso completamente il suo sguardo agguerrito. Cade addosso ad un tavolo. Il suo unico occhio gira senza fine dentro il vetro. Joy sbatte un piede a terra. 

“Ma sei serio?!”

“Tu, figlio mio…!” ricomincia il finto padre. 

“Sta’ zitto, imbecille!” urla nell’orecchio di Wiliamm, il poveretto. Abbandona la casacca e la parrucca e ritorna da noi. Nasconde gli occhi dietro le ciocche, provando a fischiettare. Purtroppo Crisser ed Eirikk hanno già incominciato a ridere a crepapelle. Le loro risate divertite fanno svegliare G.R.O.S che, mortificato, con l’occhio a terra, se ne va cigolante. Joy si cambia i vestiti in un battito di ciglia: appare una tunica nera e la sua parrucca diventa bionda e corta. Tutto questo è sempre più irritante. 

“Beh, fratello, in realtà non ti ho mai amato. Volevo solo usare il mio fascino per essere regina! Sei stato un ingenuo!” ridacchia divertita. 

Dal nulla appaiono i due buttafuori di prima. Hanno addosso delle armature medievali e degli elmi. Sembrano soddisfatti di loro stessi mentre circondano Agran con le loro finte spade di gomma. Joy finalmente sembra aver trovato qualcosa con cui rimediare “Ti condanno a morte! In nome di tutti i regni di… qualsiasi posto sia!”conclude con una risatina divertita. 

Le due armature viventi accerchiano Agran. Agran li vede avvicinarsi lentamente. Sempre più lentamente. Ancora più lentamente. Joy guarda con sufficienza le due lumache. Adesso sembrano più vicini. Le punte di gomma sfiorano il suo braccio, senza nemmeno fargli un graffio. Joy guarda in fondo alla sala e tossisce. 

“Agran, ti salverò io!” esclama Tekla, fuggita proprio in fondo alla sala. I due cavalieri arretrano sempre più, scomparendo nel buio. Tekla ha in mano qualcosa di simile ad un tablet. Digita velocemente e maldestramente “Ho preso di nuovo il controllo dei miei robot costruttori! Adesso sono di nuovo sotto il mio comando!”

Joy si getta le mani sulle guance “No, maledetta Tekla! Come hai potuto farmi questo? Non è finita! Ci rincontreremo prima o poi e… quel che è. Ciao!”

Joy scompare dietro la tenda rossa, non tornando più indietro. Questa farsa è finita ancora una volta. Tekla vi raggiunge piena di orgoglio. Agran non sembra dello stesso parere.

Leonilevic sembra voler dire qualcosa ma non riesce ad aprire bocca. 

Crisser guarda Wiliamm. 

Wiliamm arrossisce e guarda Eirikk. 

Eirikk non sa chi guardare, allora guarda te. 

Tu ti guardi i piedi.

Tutto questo è inutile. 

Spero che io non abbia scritto inutilmente gli appunti di oggi. Andrò in anticipo nella stanza sotto l’ascensore. 

Infatti: Tekla, il genio, non sa cosa dire. Agran non può fare altro che alzare le spalle e avviarsi all’uscita.

 

 

Ritorno nella stanza delle videocamere. Accendo il registratore della scorsa volta. Si apre una seconda immagine, il seguito del filmato di ieri. 

Leonilevic il vampiro sembra molto più giovane di come appare ai nostri giorni. Non ha i suoi vestiti strappati, sembra un gentiluomo come tanti. Non porta nemmeno il suo cappuccio nero. Scuote la testa ad un giovane Agran, portando sotto al suo naso quel che sembra una vecchia lettera. Non riesco a capire, anche se il ragazzo sembra leggere ad alta voce. È un video muto. Leonilevic apre la bocca e finalmente sento un suono. 

“Salar ci ha lasciato una figlia. L’ha chiamata Caerina” ancora del muto, Leonilevic parla a vuoto “La madre è morta quand’era una bambina” di nuovo muto “Credo che abbia preso tutto da suo padre”. Agran scuote la testa e getta la lettera in faccia all’amico. È infuriato. 

La videocamera si oscura. 

Parte un altro filmato. 

La ragazza sembra avere capelli più lunghi di come ricordassi. Fa gli occhi dolci ad un giovane elfo del sud. Mostra un talismano nella sua mano, anche se non sembra una vera pietra quella incastonata al centro. L’elfo arrossisce e fa per toccare la sacca di monete che ha nella cintura. Appare Agran, infuriato come un ragazzino. Scaccia Caerina, le urla qualcosa. L’elfo è imbarazzato e trotta via sul suo cavallo. 

Caerina gli punta un indice, ma non fa in tempo ad aprire bocca che appare un troll armato di clava. Il troll si avvicina minacciosamente alla ragazza. Mormora qualcosa, di sicuro non un complimento. Agran si mette in mezzo, la difende. Il troll alza le spalle e punta al medaglione che ha in mano. Agran glielo restituisce. Felice per la sua vittoria, ondeggia via fischiettando. Agran si volta, riprendendo il discorso. Lei gli suona un ceffone da fargli rigirare la faccia. Se ne va, alzando il mento piena di orgoglio. 

Però, prima di andarsene definitivamente, lancia un’ultima occhiata all’Agran imbronciato ed infantile. Lui la nota e rigira anche lui la faccia. Anche Agran le guarda le spalle prima di andarsene.

La videocamera ritorna scura. 

Parte un altro filmato. 

Caerina non è più una ragazza, ma una donna. Dorme profondamente sotto le coperte. Agran cerca di non fare rumore. Sorride innamorato. Le bacia la guancia, facendola arrossire. Era sveglia. Caerina non può fare a meno di ridere e di tirarlo a sé con un profondo bacio. Agran si stacca con fatica. Non riesce a togliersi dalla faccia quell’espressione da babbeo innamorato. In qualche modo gli occhi di Caerina sembrano essere più verdi del solito. 

La videocamera si spegne e si riaccende. 

Parte un altro filmato.

La ragazza che vedo è di sicuro Tekla. È decisamente più magra di come l’abbiamo vista. I suoi occhiali non sono tondi, ma rettangolari e i suoi occhi molto più freddi e altezzosi. Ha uno chignon stretto con forza. Agran sembra chiederle qualcosa che gli tocca molto. Lo mormora a bassa voce. Tekla sbotta una risata perfida, crudele, fredda. 

“Noi siamo i Compatibili! La Dea ci ha dato un immenso potere, ma non potremmo mai avere dei figli! I frammenti della grande Dea ce lo impediscono. E tu vorresti buttare la tua vita dietro a qualcun altro? Sei patetico!”. 

Continua a ridere anche se Agran si è ormai alzato e ha sbattuto la porta dietro di sé. Si asciuga le lacrime non ancora sgorgate e si guarda attorno. Dietro la porta c’era Caerina. La guarda con occhi pieni di angoscia.

Un altro filmato. 

La telecamera si riaccende.

Agran è sudato e stanco. Sembra essere tornato da un lungo viaggio. La sua borsa è pesante, indossa il cappello e la sua divisa è strappata. Caerina alza gli occhi, lo vede da lontano. Lo abbraccia con trasporto. Lui la solleva di peso. Mormora al suo orecchio qualcosa. Riesco a sentirlo. 

“Stai per diventare padre”

Lei si stacca, pensando che la notizia lo avrebbe reso felice. Agran la guarda con occhi traditi. Scuote la testa, i suoi occhi cominciano ad inumidirsi. Caerina sembra cercare di spiegarsi, ma lui la ascolta solo a tratti. Guarda Caerina e per la prima volta lei piange disperata. 

Di nuovo nero. 

Un altro filmato. 

È tutto sfocato. Si vede il fuoco, il fumo. Due draghi si ergono nel cielo nero. Battono le ali al ritmo del vento. I nostri due adepti. Leonilevic ha un anello al dito. Urla qualcosa e l’anello brilla di viola. Uno dei due draghi sembra essere colpito da una forza immonda e cade, trapassando le nuvole. Il drago tocca terra, così come suo fratello. I loro occhi sono sbarrati. Non volevano fare tutto questo. Dalle corna del fratello si erge un kitsune, che gli faceva da cavaliere. La sua guida. 

Il suo scettro punta verso Agran. Il ragazzo sembra un uomo adesso, ma è a terra, coperto di punte color mercurio. Il suo sangue sta macchiando tutto il suo corpo e gli impedisce di alzarsi e di scappare. Una figura si getta di fronte a lui ed evoca una barriera nera. E’ Caerina, più donna che ragazza. È cresciuta. Agran la guarda come se non la vedesse da tempo. La barriera cede e l’incantesimo si infrange su di lei. Urla per il dolore. Un fuoco blu la brucia fino a farla diventare cenere. I suoi capelli, i suoi occhi e le sue mani volano lontane, diventando anch’esse polvere. 

Agran è incredulo. Grosse lacrime gli scendono sul viso. Digrigna i denti. Afferra una delle stalagmiti di sangue e la lancia addosso al kitsune. Viene trafitto alla gola, diventando carbone. Agran si libera e urla fino a svenire per la fatica e il dolore. 

Un altro filmato. 

Si fa tutto buio. 

Le spalle di Agran sono diventate robuste, i suoi occhi sono impenetrabile come sono oggi. Guarda dall’alto in basso un ragazzo che dimostra la sua età. Ha i capelli scuri come Agran, gli occhi di un blu intenso, le spalle muscolose. Non ha la sua pelle color caffè e nemmeno i suoi occhi severi. Caerina ha scelto una persona molto simile al suo amato. Il ragazzo è sicuramente un mago. Gli mostra un fagotto con dentro un neonato. Il piccolo guarda Agran con grossi occhioni blu notte. 

“L’ha chiamato Agros” ad Agran questo non sembra un dettaglio importante. 

Prende tra le braccia il bambino e fa per andarsene. Il mago rimane sbigottito, gli dice qualcosa dietro le spalle. Agran si ferma e si volta. Lo guarda come se fosse la persona più bassa che abbia mai visto in vita sua. 

“Non sono affari che ti riguardano. Lo tratterò come un figlio” 

Il mago lo guarda andarsene. Cade a terra, piangendo disperatamente. Amava sia il bambino che la donna che gli aveva dato la vita.

Ancora buio. 

Un altro filmato. 

Un bambino dai capelli neri e gli occhi blu come la notte lancia un incantesimo verso una piantina di basilico. La piantina muta forma. Cresce e diventa un giglio dai giganteschi petali gialli. Il piccolo Agros si volta, orgoglioso di se stesso. Il bambino è un mago, come il padre. Attende una reazione da Agran. Agran non gli mostra nemmeno un sorriso. Analizza un petalo, notando che la punta sia verde pisello. Scuote la testa con disapprovazione. Agros deglutisce, abbassando la testa pieno di tristezza. Non gli mostra nemmeno uno sguardo consolatorio. Agran se ne va, ignorando il bambino. 

Nero e bianco. 

Un altro filmato.

Agros è un giovane uomo, vestito elegantemente. Ha un paio di occhiali cerchiati, un riccio ribelle e una valigia sotto il braccio. Agran nota all’ultimo quel che si sta portando dietro. Si alza, gli parla, forse chiedendogli spiegazioni. Ha il suo solito sguardo freddo ed insensibile. Agros sembra dire molte cose che in qualche modo lo toccano. Agran lo ascolta in silenzio. Dice solo una cosa. 

“Tu non sei mio padre” Agran non lo smentisce. Annuisce alla sua affermazione. 

Quel che era suo figlio se ne va sbattendo la porta. Agran sembra sciogliersi. Colpisce la mano contro il muro. Sembra essersi spezzato qualcosa dentro di lui. 

Un altro filmato. 

Sta scendendo il tramonto sulla capitale. Agran passeggia col cappello calato oltre il suo naso. Incrocia la strada con altre persone, ma lui spalanca gli occhi solo di fronte a qualcuno in particolare. Si volta, si rende conto di chi sta guardando. Agros è un uomo alto, con la barba arricciata come quella di un genio. Stringe la mano di una donna dalle spalle larghe e il naso aquilino. Pathela non era bella, ma era comunque sicura di sé. Agros nota Agran. Incredibilmente sorride. Agran inaspettatamente fa lo stesso. Presenta sua moglie, si stringono le mani. Pathela lo fa con troppa energia. Sbuca fuori qualcuno fra di loro. 

Il pallone che regge la bambina è decisamente troppo grosso rispetto alla sua testa. Traballa sulle sue ginocchia rugose. Agran rimane sbigottito nel vedere la piccola Kirke. La bimba è identica a Caerina, ma con capelli scuri e occhi blu notte. Agran si china per salutarla, ma la bimba si nasconde dietro al padre, terrorizzata dal cappellaccio e dal cipiglio dell’uomo. Agros ride di gusto. 

Le porte dell’ascensore si spalancano. 

Arriva qualcuno. 

Spengo appena in tempo il registratore che qualcuno entra nella stanza. Agran si guarda attorno, in qualche modo sembra irrequieto. Controlla se ci sia qualcuno alle sue spalle, ma niente. Sospira. Afferra la sua videocamera, poggia il vetro sulla sua tempia. Si concentra chiudendo gli occhi. La videocamera sembra sparare delle scintille azzurre che si quietano non appena Agran la poggia al suo posto. 

Agran se ne va, prendendo l’ascensore. 

Accendo la videocamera.

C’è un ultimo filmato, preso direttamente dalla memoria di Agran. 

La bottega de ‘I Fiori del Male’ è illuminata da centinaia di candele che fluttuano sulle piante, terrorizzate dal fuoco. Sulla sedia più grande è seduta Kirke, cresciuta molto. Agros e Pathela hanno una mano sulle sue spalle. Le sorelle di Pathela cantano qualcosa in coro. Sembra essere una canzone di compleanno, leggo dal labiale. Agran poggia sul tavolo una torta alla panna, con due candeline a forma di bocciolo e di numero dodici. Kirke batte le mani, entusiasta e soffia sulle candeline. I boccioli si aprono e diventano rose rosse. Applaudono tutti.

Kirke si alza dalla sedie e corre ad abbracciare Agran. Lui rimane sbigottito per qualche secondo. Abbozza uno dei suoi strani sorrisi e la stringe più forte. Ora Kirke sembra davvero come Caerina: i suoi capelli sono cresciuti fino alla vita e i ricci sono sempre più ribelli. 

“Grazie, nonno” 

Agros ride di gusto, anche se per la bambina questa frase non era una battuta.

Tutto questo è stato completamente inutile. Questa giornata è stata completamente inutile!

Spingo con forza il pulsante rosso. Si spegne il filmato. 

Domani spero che accadrà qualcosa di veramente importante, altrimenti dovrò strappare più appunti del necessario. 

Me ne vado verso casa di Tekla, dove in questo momento stai dormendo sul divano, coi piedi di Crisser che ti sfiorano la faccia.

 

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Capitolo 13
*** Dodicesimo giorno ***


Al di là del Ponte dei Draghi c’è Smiley, completamente scomposto ed entusiasta. Si sta pulendo le unghie con uno dei suoi coltelli. Analizza l’indice finché non diventa bianco e perfetto. Soddisfatto, ricomincia il lavoro con il pollice. Attorno a lui non c’è anima viva. Saranno tutti andati al lavoro verso i piani superiori. L’ascensore va su e giù, senza toccare completamente terra.

Qualcuno oltrepassa il ponte barcollando sui suoi stessi piedi. Pan ha un aspetto orribile. I suoi capelli sono sporchi di terra, la sua uniforme perfetta è strappata e ha pozze nere sotto agli occhi. Ironicamente Smiley ha occhiaie meno profonde delle sue. Nota subito il bambino, senza scomporsi. 

“Ciao, Pan! Sei arrivato, finalmente! Vuoi riposarti un po’? Hai una brutta cera” dice al bambino, come se fosse un vecchio amico.

Pan non alza nemmeno lo sguardo. Probabilmente non deve aver né dormito né mangiato per giorni. La bava alla bocca gli scende fino alla gola. L’odore sgradevole delle piscine di lava gli fanno girare la testa. Sembra che stia per cadere. 

“Sai, potresti sederti qui e mangiare qualcosa prima di avvertire Agran e dirgli che voglio uccidere tutti quanti. Dovresti proprio” dice con compassione.

Pan per fortuna non cade. Continua a camminare, con molta più fatica. Alza gli occhi per un breve istante verso Smiley. Il ragazzaccio sta usando il coltello per tagliare un pezzo di carne cruda. Gocciola del sangue sui suoi stivali, ma sembra che a lui non importi affatto. 

“Questo è coniglio” dice, masticando mentre parla “Dopo una breve chiacchierata con un amico mi era venuta voglia di coniglio…” continua, parlando fra sé e sé. 

Pan non cede e continua a camminare. Sta per raggiungere l’ascensore. Preme il pulsante, ma deve aspettare ancora per molto. Smiley lo osserva interessato, senza fare nulla. Bloob compare alle sue spalle in un battito di ciglia. Alza gli occhi verso il suo padrone con ansia.

“Non hai fatto niente per trovare il ragazzino, Bloob” il fuoco fatuo trema per la voce inflessibile di Smiley “Questa cosa non mi è piaciuta per niente”. 

Bloob non ha il tempo di realizzare quel che ha detto che accade qualcosa. Pan non regge più lo sforzo. I suoi occhi si rigirano all’indietro e diventano bianchi. Cade a terra sulla schiena. Per un attimo il terreno tremò sotto i nostri piedi. Persino Smiley si è retto alla roccia dov’è seduto. Pan rimane lì, senza muoversi più. A malapena respira. Non si muoverà affatto se rimarrà in queste condizioni.

“Come ho detto prima” ricomincia Smiley a Bloob, irritato per essere stato interrotto “Quello che non hai fatto non mi è piaciuto per niente. Tu mi dovresti ubbidire sempre” Bloob non può fare a meno di tremare. Ma Smiley non si impegna nemmeno di essere spaventoso. Sta osservando Pan, ancora immobile. 

Dalla manica della divisa saltella qualcosa. Brinna ha preso le sembianze di un saltatore e, come un qualsiasi saltatore, saltella fuori dall’uniforme. Squadra Smiley col suo sorriso determinato ed entra dentro l’ascensore, che nel frattempo ha finalmente raggiunto terra. Smiley non sembra aver voglia di fare nulla al riguardo. Guarda annoiato Brinna mentre piroetta sui pulsanti. 

“Se Pan non raggiungerà Agran, allora sarà Agran a raggiungere Pan” afferma, continuando ad ingozzarsi di coniglio. Bloob sospira, sollevato per non aver ricevuto una punizione. 

L’ascensore continua a salire sempre più in alto.

Brinna non può raggiungere Agran adesso. Se Agran venisse avvisato scenderebbe con lui anche Leonilevic e i tre elfi. Smiley non riuscirebbe a sconfiggerli. Devo impedirlo.

Raggiungo l’ultimo piano, dove è diretto l’ascensore. Cambio forma. Mi trasformo in un mangiasogni, viscido e colante, in modo tale da entrare all’interno delle manopole. Salgo e scendo tra i corridoi dei vari condotti, seguendo fili e cavi colorati. Raggiungo il generatore. Non è tanto diverso da un qualsiasi generatore, tranne per il fatto che Tekla abbia usato ruote di bicicletta e cerchioni di automobili.

Muto forma. Divento un goblin di ferro, piccolo come un bambino. Prendo a pugni il generatore fino a distruggerlo. Escono scintille elettriche e fumo scuro. Assumo di nuovo la forma di un mangiasogni e percorro lo stresso tragitto all’indietro. Scendo fino alla stanzetta dell’ascensore. Vedo Brinna attraverso un piccolo vetro. Saltella da un lato all’altro della stanzetta. Pigia i bottoni e muta forma in continuazione. Non capisce cosa stia succedendo e ha paura. 

Questo dovrebbe fermarla per molto più tempo del previsto. Mi rammarica fare questo ad un membro della mia stessa specie, ma non posso farne altrimenti. 

Lascio Brinna indietro e torno sui miei passi. Il piccolo mutaforma non riesce nemmeno a far scendere l’ascensore trasformandosi in un troll rugoso. Il suo sorriso sembra non essere affatto felice. 

Raggiungo il piano superiore. Un fuoco fatuo si palesa in una vivace esplosione viola. Riprendo la mia solita forma di insetto appena in tempo. Se mi avesse visto sarebbe stata la fine. Il fuoco fatuo dagli occhietti bianchi pigia con tutte le sue forze il pulsante dell’ascensore. È giovane: probabilmente non sa ancora teletrasportarsi in un luogo troppo lontano. L’ascensore, giustamente, non sale né scende. Il fuoco fatuo nota tutto questo. Decide di voltarsi per chiedere aiuto ad un robot a forma di scarabeo, grande quanto un gatto. 

No! Se ripareranno l’ascensore è la fine!

Lo scarabeo afferra il messaggio del fuoco fatuo tra le antenne e incomincia a sgambettare verso casa di Tekla. Di fronte alla porta c’è il solito robot a forma di verme. Si scambiano messaggi criptici con guizzi di elettricità. Il robot scarabeo annuisce e si dirige verso un altro ascensore che lo porta più in alto ancora. 

Il tubo è decisamente più basso di quello in cui c’era Brinna, non avrei il tempo per spaccare anche questo generatore. 

M’intrufolo tra le porte, dentro la stanzetta in cui si trova il robot scarabeo. Lui è ignaro della mia presenza. Mi trasformo in un drago spinanera. Il robot non si accorge di avere delle spire di rose alle sue spalle. Lo avvolgo nella mia essenza. Si è accorto solamente ora di me. Strilla e sibila in maniera incomprensibile mentre lo stringo fino a fargli saltare i fusibili. I suoi vetri si sono spezzati. Lo stringo ancora un po’, non sia mai che possa risvegliarsi. L’ultimo barlume elettrico esplode con il mio ultimo abbraccio. Le porte si spalancano di fronte all’hotel. Il robot scarafaggio è meno che una lattina schiacciata. 

Lo butto fuori con le mie spire. Faccio quel che posso per nasconderlo. Sei a meno di venti metri da me, insieme ad Agran, Tekla, Leonilevic e gli elfi. A quanto pare Tekla ha in mente un altro piano incredibile. Il robot scarabeo sarà sicuramente trovato da qualcuno in futuro, ma non oggi. Riprendo la mia forma di insetto e sgattaiolo verso di te. Leonilevic fa un cenno con la testa ad Agran. Sembra molto dispiaciuto dallo sguardo. Agran ricambia, meno deciso. 

“Questa volta è la volta buona. Joy finalmente sarà sconfitta per sempre!” riesco a riconoscere dall’infinito monologo di Tekla. 

“L’importante è che questa faccenda si risolva” Leonilevic continua a fare lo stesso cenno al ragazzo. In qualche modo sembra incredibilmente teso. Tekla non nota davvero nulla di tutto questo. Gli elfi a malapena ascoltano la ragazza, preferendo piuttosto esplorare gli esterni dell’hotel. Oggi stranamente non c’è anima viva. Tekla annuisce emozionata dalle parole di Agran “Sai, in questi giorni mi sono divertita moltissimo con te. Era noioso stare tutto il giorno in laboratorio. Sento che il mio cervello stia lavorando positivamente questa volta. Non sto rovinando tutto come facevo da ragazzina. Grazie a te ho passato delle bellissime giornate” Agran annuisce impercettibilmente. Il suo sguardo duro tradisce tutto il suo imbarazzo. Leonilevic per non guardare si strofina gli occhi. 

“Grazie, Agran, per tutto” dice Tekla facendo arrossire persino gli occhiali. È quasi adorabile il modo in cui guarda il suo eroe. Agran ricambia con un cenno impercettibile. Leonilevic non può fare a meno di imitare uno sguardo mortificato. Gli elfi ritornano dopo aver fatto chissà quale scoperta. Crisser ha un sorriso divertito, non si sa il perché. 

Ci troviamo di fronte alle porte dell’hotel. È davvero il momento smettere con questa pagliacciata. 

“Bene, si va!”

“Tekla” Agra interrompe la sua camminata. Le ha appoggiato una mano sulla spalla. Lei lo nota ed è ancora più felice. Leonilevic sembra aver trovato qualcosa di positivo in questa situazione “Secondo me dovresti restare qui” conclude Agran, facendo spalancare gli occhi a Tekla e crollare le speranze del vampiro “L’ultima volta ci hai aiutato stando dietro le quinte. So che farai lo stesso anche questa volta”

Leonilevic si massaggia il collo del naso con le dita. A quanto pare avrebbe voluto strapparsi i capelli da come guarda il ragazzo. 

A Tekla brillano gli occhi “Dici davvero?”

“Puoi farcela, Tekla” concorda Agran, facendo impazzire di gioia la ragazza. Leonilevic è decisamente contrariato da quello che sta succedendo. Crisser mostra persino un pollice in su. Eirikk e Wiliamm lo guardano infastiditi. 

“Bene, allora… Buona fortuna” dice, saltellando come una ballerina diretta chissà dove. Il vampiro attende che Tekla sparisca del tutto prima di piazzarsi di fronte ad Agran.

“Pensavo che sarebbe il cas-”

“No” interrompe il sermone Agran “So come concludere questa faccenda. Senza spezzare il cuore a nessuno” Wiliamm ed Eirikk non possono fare a meno di annuire. Crisser si gratta la testa quasi del tutto rasata con perplessità. Qualcosa sembra sfuggirgli. 

Entrate all’interno dell’hotel. Sembra che non sbucheremo nello stesso teatro ristorante che abbiamo visto il giorno prima. Ci sono cartelli seminati in ogni angolo di qualsiasi corridoio. ‘Andate a destra’ e andate a destra. C’è un altro corridoio e un altro cartello imbarazzante ‘Alla mia destra, imbecilli’. Wiliamm sbuffa sonoramente. Andate a sinistra ed entrate in una sala spaziosa. In fondo vedete delle sedie e dei tavolini vuoti. 

“Ma è il teatro di prima!” esclama irritato Wiliamm. 

“Abbiamo solo fatto il giro per finirci sopra…” mormora Eirikk, scoraggiato. 

Qualcuno deve averci sentito e probabilmente non dev’essere contento di quello che ha detto Eirikk. Joy compare sopra le nostre teste scendendo lentamente con una corda legata alle assi del palco. Per qualche strano motivo sono riuscite a reggere il suo peso. Joy si presenta in un completo maschile di un viola eccessivamente vivace. Fa un gesto teatrale col cilindro. 

Boys, siete qui, finally!” esclama l’ultima parola con un che di irritato. Eirikk si gratta la testa, rosso come un peperone “E’ il momento che tutti quanti stavamo aspettando. La vostra fine e il mio inizio!”.

Qualcosa si trascina sul palco con la velocità di un lombrico in corsa. Di G.R.O.S si riconosci soltanto il gigantesco occhio. Vi guarda minacciosi, pronto per fare qualcosa di pericoloso. Il suo corpo sembra essere diventato cubico e spesso. I proiettori puntano tutti su di lui. G.R.O.S è finalmente fiero di avere il corpo di un carro armato verde. Non è fatto di gomma, ma di vero acciaio, con un vero lanciarazzi. 

“G.R.O.S è sempre stato inutile finora, finché non sono arrivata io, of course!” ridacchia divertita. Il poveretto non si lascia abbattere “E’ diventato una macchina da guerra, pronto a neutralizzarvi con uno dei suoi missili! Sono stati presi in prestito dal laboratorio di Tekla” i robot sulle travi di legno fischiettano nervosi, guardando ovunque meno che quaggiù. 

“Miei cari soldati… avete perso anche stavolta” esclama melodrammatica sbattendo il dorso della mano sulla fronte. 

“Ma se abbiamo sempre vinto…” sottolineano i tre elfi in un coro malinconico. 

“Zitti!” ruggisce la falsa diva del cinema “G.R.O.S mostrerà a voi patetici idioti cosa significa avere un nemico alto come un elefante indiano di trecento tonnell-…”

Crisser fa un passo in avanti. Ha uno sguardo fiero e solare in volto. Afferra il suo coltello più largo, quello dietro la cinta. Lo lancia con estrema precisione verso il robot terrorizzato. G.R.O.S chiude il suo unico occhio. Crisser ha centrato in pieno il legamento principale del suo nuovo corpo. Il finto carro armato si apre come una mela. I pezzi fanno un grande baccano mentre cadono a terra, tra le sedie e i tavoli. Rimane solo G.R.O.S, ritornato sottile e basso. Il suo occhio guarda l’elfo, tradito nel profondo.

“Ce l’ho fatta, ragazzi! Ho vinto il gioco! Senza l’aiuto di Tekla!” esulta Crisser. Alza le mani in alto in un moto di trionfo, gioendo per se stesso. Wiliamm lo guarda storto, Eirikk è più freddo di Agran stesso. Joy ha un tic all’occhio. Ha una faccia di una persona tutt’altro che bella.

“Perché non festeggiate?”

“STA’ ZITTO, IMBECILLE!” ruggisce con occhi di fuoco. I suoi colleghi sulle impalcature tremano. Qualcuno è caduto affianco a voi. Un robot giallo a forma di ragno vi guarda imbarazzato. Scappa subito fuori scena, in preda al disagio. Questo non migliora l’umore di Joy. 

“TU!” G.R.O.S la guarda tremando “Sei davvero inutile! Non sai usare una telecamera, non sai giostrare, non sai essere un carro armato!”

G.R.O.S è incredulo, sbigottito, triste. Cerca di dare spiegazioni con i suoi sibili da robot, ma questo non migliora affatto la situazione. Joy sbatte il tacco a terra. Il legno tremi sotto i suoi tacchi. 

“Sei licenziato”.

G.R.O.S spalanca il suo unico occhio. Joy è una fiamma ardente in questo momento. 

“SEI LICENZIATO! Per sempre! Forever!”. 

G.R.O.S sembra voler dire qualcosa. 

“SPARISCI!”.

G.R.O.S non si muove da lì. Non può fare altro che abbassare la testa, mortificato da tutto quello che gli è successo in questi giorni. Agran tossisce leggermente, facendo voltare tutti i presenti. Persino i robot lassù, che ormai hanno capito che non ci sarà più alcun spettacolo da filmare. Alcuni di loro stanno già incominciando a scendere lungo corde e scale di ferro. 

“Joy” incomincia, facendo voltare di centosessanta gradi la sua testa “Sappiamo che tu e Tekla vi siete messe d’accordo riguardo tutto quello che è successo in questi giorni”.

“Cosa?!” esclama Crisser, l’unico meravigliato. Eirikk e Wiliamm lo scaraventano lontano dalla scena. 

“Ho pensato a quel che potremmo fare a riguardo” ritorna alla carica Agran “Ti potremmo sconfiggere, metaforicamente parlando, in modo tale che Tekla possa essere soddisfatta e che tu possa concludere il tuo lavor-…”.

“Senti, belloccio” interrompe Joy. Si sfila la parrucca. La sua testa metallica è liscia come un uovo. Sarà anche un robot, ma lo sguardo serioso che incrocia con Agran sembra molto più umano di quel che mi sarei aspettato “Prima di questo casino non ti avevo mai incontrato, ma ho capito subito che tipo fossi. Sei l’eroe senza macchia e senza paura che si trovano nelle favole per bambini. Beh, eroe, ti do una notizia esplosiva: mi sono rotta i circuiti!”.

La voce di Joy è diventata grave. I robot scesi a terra si guardano fra loro, indecisi di cosa fare. Il corpo di Joy sta diventando qualcosa di decisamente più grande e resistente. Dovete alzare la testa per incrociare i vostri occhi con i suoi. Lei è diventata una specie di mostro di metallo. Ha cannoni su entrambe le braccia, una mascella larga e massiccia e un petto muscoloso. È tutt’altro che la bellissima donna che avete incontrato. Persino G.R.O.S sembra esserne spaventato. Scende giù per i gradini veloce come un folletto. 

“Io sono stata concepita per essere una macchina da combattimento in caso di attacco diretto alle Isole, ma Tekla come al solito ha cambiato i suoi progetti. Non ha mai ammesso di essere patetica. Lei doveva essere un’eroina, che combatteva la cattiva di turno insieme a te e bla bla bla” la voce autoritaria è quasi irritante “Ma sai l’ultima, eroe? Io odio il mondo esterno e odio ascoltare i piani romantici di quella lagna di Tekla! Beccati questo!”.

Alza una delle sue braccia gigantesche. Il cannone all’interno brilla di una luce accecante che investe tutta la sala. Agran è interessato a qualcosa che sta succedendo alle spalle di Joy. G.R.O.S concentra tutte le sue forze sul laser che ha al posto della pupilla e colpisce il mostro robot alle spalle. Il cannone perde potenza e si spegne definitivamente. I robot, nascosti dietro le tende, alzano gli occhi sullo spettacolo. Joy ha perso colore. È completamente immobile. G.R.O.S sale di nuovo sul palco. Guarda Agran fiero di se stesso. 

“Ragazzi, credo di aver spento Joy per sempr-… Oh!” 

Tekla in qualche modo sbuca alle nostre spalle. Batte più volte le palpebre, incredula. Fa un giro completo intorno a Joy, ancora più confusa “Avete… fuso la batteria sulla schiena. Oh, fantastico!” dice, alzando la voce, palesemente delusa. 

Leonilevic rimprovera Agran con lo sguardo. Il ragazzo fa un passo avanti “Tekla, dovresti confessarci la verità”.

Tekla mostra uno sguardo confuso. Dietro di loro un vampiro si sta spiaccicando un palmo aperto in piena faccia “Cosa?”.

“Sappiamo che tutto questo l’hai progettato insieme a Joy. Hai programmato ogni cosa per… dare un’immagine diversa di te stessa” dice Agran, guardando di lato. È palesemente imbarazzato da tutto questo. Al contrario, Tekla ha la faccia di una che ha appena ricevuto un ceffone in piena faccia. Le tremano gli angoli della bocca. 

“Eh” ridacchia “Ma che stai dicendo, Agran? Io sono fantastica! Che immagine dovrei dare di me stessa? Che mi sento sola qui e che spesso immagino di essere con te mentre rischi la vita in qualche Isola sperduta chissà dove?” si rende conto in ritardo di aver detto qualcosa di imbarazzante. Non può fare a meno che continuare a ridacchiare. 

“Credevo di aver già chiarito ogni cosa. Pensavo ti sentissi meglio. Io preferisco rimanere da solo” Agran è decisamente più concentrato sui tavoli alle spalle di Tekla. Leonilevic sospira, mostrando uno sguardo paziente. 

“Quello che Agran sta cercando di dire, signorina Tekla” dice, girando gli occhi di fronte al ragazzo “E’ che apprezza i tuoi sentimenti nei suoi confronti, ma non è pronto per fare un ulteriore passo avanti in un’eventuale relazione” Tekla annuisce fra sé e sé. Qualcosa però sembra sfuggirle. 

“Non è questo. Io, ecco…”.

“Tekla, mi dispiace” dice Agran irremovibile. Forse crede che tutta questa faccenda sia conclusa del tutto. Tekla alza le mani. 

“In realtà è stato molto divertente… essere Caerina per qualche giorno”.

Leonilevic se potesse diventerebbe ancora più pallido. Agran sbarra gli occhi, preso alla sprovvista. Fulmina Tekla “Come?”.

Tekla si para le mani davanti alla bocca in modo infantile. Deglutisce e rialza gli occhi. Sembra molto più bassa e timida adesso “Ah, no, aspetta. L’ho detto male. Dimentica quello che ho detto” mormora a bassa voce. 

“Tu volevi prendere il posto di Caerina?” ringhia sottovoce Agran. Sembra grande, grosso e pericoloso. L’intera sala si è congelata. I tre elfi si guardano fra loro perplessi, ma comprensivi, chi più e chi meno. Avvertono anche loro il pericolo. Tekla deglutisce ancora una volta, facendo tanti e tanti passi indietro.

“Agran, sai come dice spesso Karoo: tendo a pensare a qualcosa, ma spesso sbaglio il modo in cui dovrei dirlo” cerca di spiegarsi con un sorrisetto imbarazzato e terrorizzato. Trema dalla testa ai piedi. Ad Agran questo non importa affatto. 

“Tu non potrai mai essere come lei! Lei è insostituibile! Ma non riesci a capirlo?”

Leonilevic si mette in mezzo “Agran, abbassa la voce”.

“Questo è troppo” urla alla sala. Tekla si è fatta piccola come un mignolino “Tekla, lo vuoi capire che per me lei era importante? È questo il tuo problema. Fai del male alle persone, tu le raggiri continuamente e non te ne rendi nemmeno conto. Credi che qualsiasi Creatura sia sostituibile come una macchina, ma non è affatto vero! Pensavo che vivendo qui te ne rendessi conto! Il tuo modo di pensare non ti porterà da nessuna parte!”

“Agran, io non intendevo questo” Tekla non trema più. 

“Lo intendevi, invece!”.

“Forse dovremmo uscire” bisbiglia a noi tre Wiliamm, il più saggio fra gli elfi. Fa un cenno alle nostre spalle, verso la porta in cui siamo entrati venendo qui. Eirikk spinge Crisser lì dentro. Non facciamo in tempo ad uscire che accade qualcosa. Tekla inghiotte un singhiozzo e scappa via. Agran non sembra affatto commosso, piuttosto sembra volersi avviare insieme a noi sul palco, ma Leonilevic lo ferma appena in tempo. È infuriato col ragazzo. Non senti cosa stiano dicendo. Wiliamm ti trascina fuori. Non puoi fare a meno di osservare lo sguardo tradito e infuriato di Agran mentre vieni portato via.

    

Mi sono rifiutato di scrivere come tu sia finito dentro un tram legato a dei fili nel vuoto, di come tu sia seduto comodamente mentre un robot, di cui non ho intenzione di descrivere, ti abbia riempito un piatto in mezzo alle tue ginocchia. Lo stesso vale per i tre elfi, meno che Wiliamm, colui che vi ha portato qui. L’odore del cervo ti pizzica le narici. Dev’essere agrodolce. Fuori dal finestrino riconosci l’Isola Maestra. Purtroppo il fumo provocato dal vulcano non ti permette di vedere il Ponte dei Draghi e nemmeno l’ascensore principale. 

Crisser è il primo che svuota il piatto. Si asciuga la bocca con la manica della sua pelliccia “Perché siamo qui?”. 

La domanda che tutti vi state ponendo sembra essere stupida alle orecchie di Wiliamm. Rigira gli occhi “Ho riflettuto attentamente su quello che è successo tra Agran e Tekla. Dobbiamo aiutarli a risolvere questa situazione”.

Un robot sottile meno che per il gigantesco occhio trotta affianco a te. G.R.O.S vi ha seguiti a quanto pare. Probabilmente le sue ruote sono semplicemente molto lente per imitare il passo di tre elfi e di un umano. O forse vi ha spiati per poi comparire di fronte a voi. Il robot si piazza affianco a Wiliamm. Hanno lo stesso sguardo deciso. Eirikk e Crisser non sanno se ridere di loro o ignorarli. 

“Ma che centriamo noi in questa storia?”.

Le reazioni sono immediate. G.R.O.S stringe sempre più le palpebre finte della sua orbita. Guarda storto Eirikk, colui che ha osato contraddirli. Wiliamm sembra mostrare la stessa espressione, potendo però incrociare le braccia “State scherzando? Si parla del destino delle nostre Isole!”. 

I due elfi non cambiano espressione. Sia Wiliamm che G.R.O.S scuotono la testa come due gemelli “State a sentire. Questa piccola rottura fra Agran e Tekla sembrerà una semplice litigata fra pseudo amici, ma in realtà nasconde qualcosa di molto più pericoloso!”.

La teoria sembra rammaricare G.R.O.S. Osserva qualcosa di indefinito fuori dal finestrino. Per qualche strana ragione adesso c’è un conveniente tramonto che rende ancora più mesta la scena del robot malinconico. Wiliamm stringe un pugno “Tutto incomincerà in questo modo. Tekla non riuscirà più a lavorare per via del trauma subito e quest’Isola non avrà più un Guardiano per proteggerla. Lo stesso varrà per Agran con l’Isola Maestra. Tutti i Guardiani saranno preoccupati così tanto per la vicenda da ignorare i problemi della popolazione e poi… il cataclisma!”

Conclude il sermone spalancando le braccia al cielo. G.R.O.S cerca di fare lo stesso, imitando un triste saltello poco coordinato. Eirikk e Crisser si guardano un attimo negli occhi prima di prendere una decisione a riguardo della terribile faccenda. 

“Sei un esagerato” dicono all’unisono. Il tramonto alle spalle di Wiliamm e G.R.O.S diventa sempre più scuro. 

“Da quando hai imparato a leggere sei diventato sempre più strano” anche Eirikk concorda su quest’ultima affermazione. 

Wiliamm li ignora bellamente “Non capite! Dobbiamo farli stare insieme!”. 

“In che senso?” sbadiglia Eirikk. 

“Faranno pace grazie a noi!” se fosse possibile G.R.O.S punterebbe un indice in alto “Organizzeremo una serata romantica, così ritorneranno amici e la catastrofe non si percuoterà sull’arcipelago!” dice, mentre alcune stelline immaginarie riempiono il contorno della sua figura. Crisser non può fare altro che grattarsi la testa quasi del tutto rasata. Eirikk mostra un sorriso annoiato. 

“Sei tutto fuori…” conclude. 

“Per me va bene” persino Wiliamm è sorpreso. Crisser si è alzato in piedi, facendo volare il piatto fuori dal finestrino. Guarda con determinazione il suo amico negli occhi. G.R.O.S è commosso: ha persino una lacrimuccia dentro il vetro del suo gigantesco occhio. 

“Però voglio sapere una cosa: tutti gli spettacoli di Joy sono stati davvero organizzati da Tekla?”.

Cala un silenzio imbarazzante. Gli occhi di Crisser si spalancano lentamente. Ha compreso qualcosa di incredibile in pochi istanti. Wiliamm tira dietro le orecchie i ciuffi di capelli del caschetto e si tappa le orecchie con entrambe le dita. Eirikk ha già i capelli legati nella coda alta, non ha bisogno di fare altro. Sia tu che G.R.O.S rimanete immobili come salami. 

Crisser lancia l’urlo di sconforto più spaccatimpani che tu abbia mai sentito in tutta la tua vita.

 

Sei di fronte al cubo che forma la casa di Tekla. Col cavolo che scrivo come sei tornato indietro e che razza di piano avete ingegnato voi cinque per riappacificare Tekla e Agran. 

Tutto questo è talmente stupido che non so nemmeno se dovrei scriverne una sola parola. 

Non ti scoraggi e ti avvii. Le tende alle finestre sono tirate, non passa nemmeno un filo di luce e quel che è peggio è che è sera tardi. A malapena riconosci i contorni degli oggetti. L’unica luce presente è quella del piano di sopra, nella stanzetta di Tekla. Ed è anche l’unico suono presente. 

Tekla è in uno stato pietoso. Ha addosso la coperta del letto che la avvolge come un baco. I suoi occhiali sono umidi. Guarda un piccolo televisore collegato ad una batteria, anch’essa collegata ad una batteria… non credo sia necessario descrivere la quantità di batterie presenti. Il televisore mostra la scena di una serie televisiva. Una donna dai capelli corti e biondi è in lacrime all’interno di una cripta o qualcosa del genere. Piange fra le braccia di un uomo che l’abbraccia, professando qualcosa come l’amore reciproco. Volti lo sguardo altrove. 

Muoviti. Adesso. 

Dici a Tekla di aver trovato un modo per risolvere il suo problema. 

Lei a malapena si accorge della tua presenza. Tra le braccia ha un gigantesco barattolo rotondo. Inghiotte cucchiaiate di gelato al pistacchio, ignorando completamente la temperatura glaciale. Dalla manica appena scoperta noti un pigiama bianco con delle paperelle. Tutto questo è ancora più patetico. 

Dille quello che vuole sentirsi dire. 

Le spieghi che conosci un modo per farle fare pace con Agran. 

Lei, finalmente, si volta. Le lacrime sembrano aver voglia di far esplodere il vetro degli occhiali. Annuisce più e più volte. L’hai convinta con una sola frase.

Racconti in poche parole il piano che hai ingegnato insieme agli elfi e a G.R.O.S. Tekla sembra allargare il sorriso più commosso della sua vita. Ti invita ad uscire fuori. Acconsenti. Dopo poco meno di cinque minuti lei si presenta per le scale con un vestito bianco con pois rossi. Si è legata i capelli in uno chignon. Non hai il coraggio di dirle che quel vestito la faccia sembrare ancora più rotonda e che il piano a cui avete pensato non sia così geniale come le hai fatto credere. Senza dire altro vi avviate verso l’hotel. 

Sembra che qualcuno abbia applicato delle luci al di fuori della struttura. Hanno persino potato le piante di plastica. Robot, fuochi fatui e incendiari entrano ed escono come se fossero a teatro. Alle vostre spalle un dodo vi mostra un pollice in su. Tekla non sembra accorgersene. 

Respira profondamente “Agran sa che verrò all’appuntamento?”

Decidi di dirle la verità.

“Oh” conclude, guardandosi le punte dei piedi. Questa notizia non la tira su il morale “Bah, fa niente! L’importante è che io faccia pace con lui!”.

Senza nessun preavviso si avvia verso il tappeto rosso. Corri dietro di lei. Raggiungete la sala, apparecchiata per l’occasione. Sembra che i due elfi e G.R.O.S abbiano sparso la voce che ci fosse qualcosa di divertente in questo ristorante. Non riesci nemmeno a scorgere un solo tavolo vuoto. Alcune galline hanno pensato di saltare il turno di lavoro a favore di un piatto di batterie e rotelle. I fuochi fatui si divertono a giocare ai camerieri imbrogliando gli ordini. Sul teatrino scorgi Eirikk col suo arco. 

Anche Joy è lassù, nella stessa posizione in cui l’avete lasciata. Eirikk mostra la sua abilità di arciere mirando all’enorme robot, centrando le banane che le hanno poggiato sulle mani. Non vuoi nemmeno immaginare cosa avrebbe fatto Joy se fosse stata cosciente. Wiliamm appare in mezzo alla folla. C’è qualcosa di elegante nel modo in cui si è pettinato il caschetto. 

“Signorina Tekla, siamo tutti pronti per impedire la catast- insomma, per farle fare pace con Agran!” si corregge all’ultimo secondo. Appare addirittura G.R.O.S con un farfallino stretto sotto l’enorme occhio e un cappellino nero. Accompagna Tekla ad un tavolo vuoto di soli due posti. Ogni Creatura e robot presente mostra la propria approvazione con sibili allegri. Tekla è commossa. 

“G-Grazie”.

“Lasci fare tutto a noi! Non potrebbe andare niente storto!” conclude Wiliamm con un sorriso fin troppo ampio. Trattiene il fiatone meglio che può. 

Tekla deglutisce, non notando nulla “Agran non è ancora qui?”.

“Lo aspetto all’entrata”.

Wiliamm si avvia, mentre G.R.O.S decide di cimentarsi anche lui nel lavoro di cameriere. Riesce a portare sul suo testone una fila di piatti che atterrano senza alcuna imprecisione sopra un tavolo di dieci persone. Non è così inutile come sembra. 

Tekla sospira, felice per il suo robot “Forse Agran ha saputo di tutto questo e non è voluto venire qui. Vedi, io volevo dire quelle cose, ma non in quel modo. Lui… è fantastico, forte, coraggioso. Caerina era bella, intelligente, un po’ cattiva, ma lo completava. Erano la coppia perfetta”.

Differentemente da quel che sembra alcuni robot hanno sentito il discorso dal tavolo dietro di noi. Sospirano pieni di compassione. Inevitabilmente lo fa anche Tekla, alzando di nuovo lo sguardo verso di te.

“Caerina era fantastica anche perché sapeva dire le cose al momento giusto. Io non sono brava a parlare. Spesso ferisco le persone perché dico le cose nel modo sbagliato o solo perché ho pensato a qualcosa di scortese. Non me ne rendo nemmeno conto. Forse io ed Agran non siamo destinati a stare insieme…”.

Si guarda le mani piena di tristezza. Chissà cosa starà macchinando il suo cervello ora che è così abbattuta. Un guizzo inaspettato accende una lampadina nella tua mente. Qualcosa che non avevo assolutamente programmato si sta formando tra le tue idee. 

Dici di volerla aiutare. 

Perché dovremmo risolvere i suoi problemi di cuore?

Tekla alza la testa di scatto, in qualche modo il tuo tono di voce l’ha rassicurata “E come?”. 

Vorresti fingere di essere Agran, in modo tale da esercitarla per la futura chiacchierata con lui. 

Questa prospettiva non sembra convincerla. Si guarda attorno, ma nessuno sembra volerla aiutare. Ti guarda negli occhi, per niente sicura di quello che starà per accadere. 

“Oh, beh, credo che dovrei, in effetti” si schiarisce la gola, questa volta con decisione “C-Ciao, A-A-A-Agran!”.

Tutto questo mi ricorda un kharacora di nostra conoscenza.

La saluti come farebbe Agran. 

Lei incomincia a tremare “S-So che s-sei molto a-arrabbiato con me. Io… volevo chiederti scusa! Non volevo dire quelle cose! In realtà volevo dirle… ma non in quel modo!”.

Tutto questo non l’aiuterà affatto. 

Lei dici di essere davvero ferito, come direbbe Agran in una situazione del genere.

“A-Agran, la verità è che io… Oh, ma chi se ne frega!” alza i toni all’improvviso. Qualche tavolo affianco a voi si volta di scatto “Agran, sei fantastico! Ti sogno da quando dimostravo diciotto anni!” quest’ultima affermazione fa voltare persino Eirikk. Per poco non uccideva con una freccia un piccolo fuoco fatuo “Avrei voluto essere io Caerina, anche se lei era decisamente più attraente e simpatica di me! Sei il mio sogno proibit-”.

“Che cos’hai detto?” esclama qualcuno con un tono piatto.

È Agran. La sua divisa è ricucita, la manica è ritornata come nuova. A differenza del tono usato, la sua faccia è sconvolta. Non hai mai visto una faccia del genere addosso a lui. Tekla realizza chi si trovi di fronte a lei. Sorride come un’ebete. È palesemente nel panico. 

“Oh, Agran… dimentica tutto!” esclama con una voce terrorizzata. 

Leonilevic alza lo sguardo verso il palco. Eirikk mostra un saluto incerto con un sorrisetto altrettanto imbarazzato. Joy ha una banana spiaccicata in mezzo agli occhi. Il vampiro non può fare a meno di alzare un sopracciglio. Agran osserva la sala da cima a fondo. Ogni singolo robot o fuoco fatuo studia la situazione, chi perplesso chi emozionato. 

“Ma perché…? Aspetta un attimo” cambia espressione, ritornando severo. Tekla deglutisce “Hai organizzato un appuntamento per farmi dimenticare tutto quello che mi hai detto?”. 

Il tono feroce che ha usato taglia in due la parlantina di Tekla. All’entrata appare Crisser che si regge in piedi soltanto perché si è gettato addosso al muro. Secondo il vostro piano geniale avrebbe dovuto portare Agran con un scusa fino al teatro. A quanto pare qualcosa è andato storto. Wiliamm lo issa come meglio può. Tekla ritrova la parola. 

“Erm, no. Non ho fatto niente. Sono stati i ragazzi a pensare a tutto questo, ma ho deciso di parteciparvi perché mi era sembrata una buona idea!”.

“Cosa?!”.

“Agran!” lo interrompe appena in tempo. A quanto pare nessuno dei due ha voglia di sedersi a tavola per una serata romantica. G.R.O.S guarda i suoi piatti allineati perfettamente sulla sua testa pieno di tristezza. La sua carriera da cameriere è rovinata. Tekla prende un respiro profondo. 

“Io… mi dispiace!”.

“Come?”.

“Non sono riuscita a spiegarmi meglio” lo guarda dritto negli occhi “Volevo dirti che ho sempre ammirato il tuo coraggio ogni volta che partivi per una missione” Leonilevic si porta le mani al cuore, commosso. Se potesse lo farebbe anche G.R.O.S “Volevo dirti che spesso scatto delle foto grazie ai miei robot per sapere se tu sia ferito o ti sia sentito male” Agran fa un respiro profondo “Volevo dirti… che mi dispiace. Non volevo offendere la memoria di Caerina”.

“Tekla”.

“Io volevo sembrare fantastica come lei. Volevo impressionarti con la mia intelligenza, ma non volevo offenderti o offendere lei”.

“Tekla” Agran le alza il mento con due dita. Riflette attentamente su ciò che deve dirle. Ogni orecchio qui presente, persino quelli meccanici, sono pronti per captare ogni minima informazione. 

“Anch’io ho delle cose da dire. In effetti ho esagerato. Non avrei dovuto offenderti in quel modo. Avrei dovuto voltare pagina anni fa e iniziare a pensare al futuro e non al passato”.

Leonilevic sembra quello più colpito da questa affermazione. Avanza addirittura un sorriso. Agran scuote la testa “Ma non oggi. Ho ancora in mente Caerina, suo figlio Agros e suo nipote Kirke. Sono molto importanti per me, lo capisci?”.

Tekla non sembra apprezzare quello che le sta dicendo, ma annuisce comunque. 

“Si, capisco…”.

“Ti ho ossessionata perché non fai altro che guardarmi per quello che sono dall’esterno” Tekla sembra aver ricevuto un altro ceffone in pieno volto “Non mi comprendi come tante altre persone e sono certo che cambieresti idea se mi conoscessi meglio. Troverai sicuramente il vero amore, come l’ho trovato io”. 

Tekla è l’immagine dello sconforto. Annuisce, anche se non è affatto convinta di quel che le è stato detto. In un attimo i robot e gli incendiari acclamano la vittoria. Agran si congeda dalla massa di Creature. Leonilevic lo guarda con infinita tristezza. Scuote la testa impercettibilmente.

Agran ha intenzione di partire domani per l’Isola Maestra. L’hai scoperto chiacchierando con Crisser. 

A quanto pare, dopo aver scoperto il piano da lui stesso, ha deciso di usarlo come manichino per un allenamento extra. Crisser non ha potuto fare altro che accettare la situazione e allenarsi anche lui col coltello. Agran gliene ha date di santa ragione, ma almeno è riuscito a trascinarlo fino all’appuntamento. 

Agran è sparito chissà dove con Leonilevic. 

Tekla è scesa nel suo laboratorio in cantina. 

G.R.O.S ha un nuovo lavoro e l’hotel potrà essere utilizzato appieno la prossima settimana.

I tre elfi si congratulano fra di loro per la trovata di Wiliamm. Tutto questo però non ti convince affatto. 

Suvvia, domani Agran e Smiley si incontreranno. Andrà tutto per il meglio!

Qualcosa nel tuo stomaco si rigira, non comprendi nemmeno tu cosa sia. Ti addormenti ascoltando il saggio Wiliamm nel complimentarsi con se stesso per la sua passione per la lettura.

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Capitolo 14
*** Tredicesimo giorno ***


Tredicesimo giorno 

 

Socchiudi gli occhi non appena noti del movimento attorno a te. Gli elfi si stanno preparando per il loro prossimo viaggio. Wiliamm si è stretto alla cintura il libro regalato da Leonilevic e Crisser issa sulle spalle la propria borsa. Non sei riuscito a dormire nemmeno per un secondo. Qualcosa ti deve aver disturbato continuamente, non so nemmeno io cosa.

Indossi i vestiti che ti aveva regalato Agran. Saluti tutti. Ad Eirikk sfugge un occhiolino assonnato. È molto presto. Il sole non è nemmeno sorto fuori dalla finestra. Lo noti persino attraverso la nube nera del vulcano. I tre elfi escono fuori, non puoi fare a meno di seguirli. Leonilevic sembra essere il più energico di tutti. Agran non ha l’aria di qualcuno che abbia dormito. 

“Stiamo per partire. Io mi avvierò verso l’Isola Magna e Leonilevic partirà ad Ovest con i ragazzi. Ho già salutato Tekla” spiega a bassa voce Agran, più esausto del solito “Non è necessario che tu ci accompagni”.

Dici che vorresti seguirli per un ultimo saluto. 

Contento te. Te lo concedo soltanto perché non li rivedremo mai più. Dopotutto gli elfi erano simpatici.

Passate affianco all’ascensore guasto. Durante la giornata di ieri qualcuno deve aver notato il guasto e ha passato della vernice rosa fluorescente scrivendoci sopra ‘GUASTO’. Dubiti che si possa fare lo stesso nel tuo mondo. Leonilevic imbocca una strada che porta in basso, fino ad un pavimento di piastrelle bianche. Accanto a queste si trova un cartello gigantesco. Leggi ‘Isola Meccanica- Capolinea’. È la fermata del treno. Appare dentro un cubo di metallo lo stesso treno che hai visto insieme a Pan parecchi giorni fa. Le porte si spalancano. Sembra che nessuno s’imbarchi a quest’ora a parte voi.

Leonilevic ti invita a stringergli la mano. Ha una presa micidiale “La nostra avventura finisce qui. È stato un onore vedere un umano dopo tanti anni!” nonostante l’età e l’assenza di luce lunare il vampiro ha un sorriso smagliante quasi più del sole. 

I tre elfi, senza alcun preavviso, ti saltano addosso, stringendoti fin troppo forte. Avranno centinaia di diversità sia caratteriali che fisiche, ma sono ben più che uniti.

“Tekla ci ha detto che domani mattina conoscerai Karoo. Figata! Sei fortunatissimo!” esclama il poco pazientoso Crisser, col suo unico ciuffo di capelli. 

“Così comprenderai se rimanere qui o tornare nel mondo di fuori” conclude timido Eirikk. Non è mai stato tanto malinconico finora. 

“Se dovessi scegliere di tornare a casa non fartene una colpa: capiremo. Ma saremmo felicissimi di vederti di nuovo” cerca di portare un po’ di allegria Wiliamm, il più saggio. Non sa che sicuramente torneremo entrambi a casa.

Dovresti esserne felice. Potrai riabbracciare i tuoi cari non appena la missione sarà conclusa!

Agran non dice niente. Osservate insieme i quattro amici entrare e prendere posto affianco i finestrini. La faccia di Crisser è spiaccicata sul vetro come marmellata. Imita una faccia ironica. Eirikk saluta attraverso il finestrino, ancora più giù di morale. Solo Leonilevic e Wiliamm si contengono e aspettano la partenza del treno che lentamente incomincia ad avviarsi sulle rotaie. 

Agran ti lancia uno sguardo indecifrabile “Karoo è una brava persona, anche se ha avuto un passato diverso dal nostro. Non appena lo incontrerai capirai subito cosa sia il nostro mondo e come vivere in pace”. 

Qualcosa dentro di te sembra aver provato a farti lo sgambetto dopo aver sentito le sue parole. Agran finalmente ti saluta per bene: passa una mano gigantesca sulla tua testa. E’ sudata e appiccicosa. Il gesto è amichevole, anche se l’ha fatto ad occhi chiusi. Cominci ad avviarti su per le scale. Lasci Agran solo, mentre ti avvii verso casa di Tekla.

Io resto qui, tu vai a fare colazione.

Una figura si trova all’interno del cubo dov’è uscito fuori il treno. Smiley ha occhi scuri e una pelle quasi grigia sotto l’ombra dell’edificio. Guarda Agran freddo come un fantasma.

“Bene!” esclama ad alta voce “Finalmente se ne sono andati”. 

Agran si volta col suo solito sguardo corrucciato. Non sembra affatto sorpreso. Squadra Smiley da capo a piedi, includendo soprattutto il suo sorriso, il suo fucile carico in spalla, l’arco, i coltelli e le innumerevoli frecce. Smiley quando andò a casa di Jolka era disarmato ed innocente. Adesso sembra essere pronto per qualcosa. Smiley si avvicina con le braccia spalancate, come per abbracciarlo. Agran fa un passo indietro. 

“Cosa diavolo vuoi, Smiley?” il tono sgarbato fa abbassare le braccia al ragazzo. Mostra un broncio infantile.

“Mi fai piangere se mi parli così” replica Smiley con una vocina altrettanto innocente. Fa scorrere l’indice dall’incavo dell’occhio fino alla narice, imitando una lacrima che scende sul suo viso “Volevo solamente salutarti. Non ci vediamo da… un mese? Due mesi?”

“Meglio” spezza in due la frase. Agran è ancora rigido e questo a Smiley non piace affatto “Vai al sodo. Cosa ti sei inventato questa volta? Non partecipo più al tuo gioco malato”. 

La freddezza di Agran fa allungare ancora di più il suo sorrisetto finto “Oh, no, Agran. Questa volta voglio farti un regalo. Voglio che tu sappia che puoi fidarti di me”. 

Agran stringe gli occhi. La gentilezza e le belle parole sembrano averlo reso ancora più gelido, se possibile. Anche Jolka era altrettanto fredda, ma Agran non prova nemmeno a nascondere la sua perplessità e il suo disprezzo. Smiley sospira rumorosamente. Il sorrisetto svanisce del tutto. Ha capito che questa tattica non potrà mai funzionare. Fa cenno con l’indice di seguirlo. Si avvia verso una stradina ancora in costruzione, nascosta fra il cubo e la roccia del vulcano. Agran aspetta di vederlo incamminarsi di fronte a sé prima di seguirlo anche lui. La stradina si allarga abbastanza per ospitare tre persone alla volta. 

“Agran, non ti sei più ripreso da quando Caerina è morta” Agran respira rumorosamente, come indispettito “E se ti dicessi che potrei portarla indietro?”.

Agran alza gli occhi al cielo. Li rigira di nuovo verso il basso. Sembra che dialoghi del genere gli senta molto spesso dal ragazzo “I morti sono morti, Smiley”.

“Non se sei un Dio”.

Agran si è fermato appena in tempo prima di inciampare addosso a lui. Smiley allarga un sorriso divertito senza che possa vederlo. Una luce scura passa sotto le sue palpebre socchiuse. La stradina diroccata raggiunge finalmente una fine. Si passa ad un'altra strada, questa volta cementata di liquido metallico. 

“Quell’umano che ti sei portato dietro è uno di loro e tu lo sai”.

“Quasi tutti quelli che vengono qui da poco più di vent’anni lo sono, Smiley. E tu lo sai” Smiley chiude le palpebre, ancora più seccato di prima. Rigira gli occhi al cielo esattamente come aveva fatto prima Agran. Nemmeno per Smiley Agran è una persona simpatica. 

“Eppure l’hai portato fin qui, all’Isola Meccanica, anche se ti è stato antipatico sin dal principio” Agran sembra voler aprire bocca, ma viene fermato appena in tempo “Tu odi qualsiasi persona venga da fuori. Loro hanno ucciso la donna che amavi, vero? Tutti loro, certo. Dal primo all’ultimo! Perfino Kreos l’ha fatto, con le sue mani da coniglio!”.

Il tono ironico delle ultime battute non migliora lo sguardo affilato di Agran. Stringe i pugni con qualcosa di simile ad ira. Si passa il pollice su tutte le dita chiuse sul pugno facendole schioccare in un modo quasi inquietante. Respira con affanno. Smiley lo guarda di soppiatto. Sembra calcolare qualcosa di indefinito. Concludono il tragitto. Sono giunti a valle, ai piedi del vulcano. Alle loro spalle c’è l’ascensore guasto, con la stessa scritta sopra, ma in verde pastello. Smiley ferma la sua camminata affianco ad una piscina piena di lava. 

“E come vorresti diventare un Dio per portare in vita Caerina?”

Smiley batte piano le palpebre. Mostra uno sguardo quasi deluso ad Agran. Indica con gli occhi l’alto, in silenzio. Agran alza lo sguardo, non può fare a meno di soffermarsi sulla casetta di Tekla che da quaggiù si vede a stenti. Sembra comprendere qualcosa. La sua freddezza non rivela nulla che sia qualcosa di estremamente pericoloso. 

“La macchina difettosa di Tekla” afferma, facendo annuire Smiley “Tu non l’hai mai provata. Non sai nemmeno se funzioni”.

“Chi può dirlo” afferma alzando le spalle. Smette di sorridere “Tekla l’ha costruita quando era al servizio di quei pazzi. Karoo l’ha aiutata. Potrebbe anche funzionare”.

“Un essere umano non potrebbe sopportare tutto quel peso da solo. Quel potere sarebbe spaventoso. Facciamo già fatica a sopportare un frammento di Dea per volta”.

“Ma noi non siamo più essere umani, Agran” Smiley ha pronunciato queste parole senza alcun tono di voce. Qualcosa ha spezzato l’atmosfera attorno a loro, persino Agran deglutisce di fronte a quel che ha appena sentito “Per questo ho bisogno di te. Tu mi aiuterai a padroneggiare il potere della Dea, io porterò in vita Caerina per te e il resto faccio io”

Jolka quando parlò con Smiley aveva aspettato un attimo per riflettere sulle parole del ragazzo. Aveva ponderato a fondo mentre i fuochi d’artificio esplodevano nel cielo fuori dalla finestra. Agran non fa lo stesso. Mostra i denti pieno di disprezzo. Scuote la testa, non battendo ciglio. Smiley chiude piano le palpebre, come  se stesse sopportando qualcosa di pesante.

“E alla fine cosa dovresti farne di tutto quel potere? Solo perché non provi dei sentimenti non significa che tanti altri debbano soffrire per colpa tua. Questi piani stupidi che macchini tra te e te non ti faranno sentire meglio”.

Smiley sembra essersi congelato dalle ginocchia al mento. Nemmeno lui batte ciglio. Non prova a sorridere. È crudelmente offeso “Davvero? E come lo sai? Tu sai cosa significa avere un cuore difettoso?”.

Agran fa un passo avanti senza alcun preavviso. Smiley per guardarlo in faccia deve alzare gli occhi in alto. Sembra un bambino in suo confronto. Nessuno di loro abbassa gli occhi.

“No, ma so cosa significa avere tra i piedi un parassita come te” Smiley stringe le palpebre “Caerina è morta e non si fugge dalla morte, nemmeno se fossi un Dio. Ora capisci perché Jolka ti detesti? Sbatti la testa dove non dovresti sbatterla, ferisci le poche persone che ti vogliono bene e tutto questo perché ti annoi. Sembri sempre più un bambino viziato e non un ragazzo di quasi diciotto anni”.

Si volta in un attimo. La sua divisa appena ricucita sbatte addosso a Smiley. Lo schiaffo del cuoio è simile ad un ceffone in piena faccia. Smiley si massaggia la cicatrice sul mento. È diventata rossa all’improvviso. Digrigna i denti mentre si passa la mano fra i capelli. Da come massaggia le sopracciglia sembra che stia per perdere la pazienza.

“Ora vattene. Voglio restare da solo”.

Smiley affonda le dita nella tasca rossa. Sembra sfiorare qualcosa in profondità. In un attimo il taglio rimargina e il sangue scompare lungo il mento. Tomoko l’ha guarito anche da morta “Come vuoi. Dato che sei il più intelligente di tutti noi! Vattene!”.

Agran non si volta nemmeno, piuttosto avanza il passo. Smiley si avvia alla piscina di lava “Visto che sei tanto intelligente, sai dirmi perché ti ho portato qui?”.

Agran ferma i suoi piedi. Alza un sopracciglio irritato mentre esamina Smiley, che nel frattempo ha schioccato le dita. Poco dopo scoppia un lampo azzurro chiaro sotto al suo piede. Compare la figura timida di Bloob che sembra aver portato qualcosa dietro di sé con la sua essenza. 

“Pan!” il bambino non apre nemmeno gli occhi. Inspira pesanti boccate d’aria. Sembra che stia soffocando a pancia in giù. Prova a rialzarsi ma il piede di Smiley sulla sua schiena lo costringe a rimanere a terra “Smiley, maledetto! È solo un bambino!”.

Smiley non può fare a meno di rigirare gli occhi al cielo “Già e Tomoko era una vecchia e Jo-Jo era una mia coetanea” blatera con la voce alterata come quella di una ragazzina “Ho sentito queste chiacchiere troppe volte. Stai diventando noioso”.

Alle spalle del ragazzo qualcosa si muove a fatica. Brinna sta cercando un modo per aprire le porte dell’ascensore. Ci riesce, trasformata in un piccolo goblin verde e puzzolente. Digrigna i denti in un sorriso cattivo, mentre cambia nuovamente forma in una libellula rossa, grossa come una pantera. Agran non mostra nemmeno un guizzo dagli occhi, ma sa che Brinna è lì. 

“Jolka non ha inviato il messaggio a Tekla”.

“Ora sai perché non l’ha fatto” Agran stringe i denti e avanza di qualche passo, come il piccolo mutaforma “La macchina per poter funzionare ha bisogno del tuo sangue. Me ne darai giusto tre lastre, sempre se tu non voglia vedere Pan nuotare nella lava”. 

Dà un calcio a Pan, senza muoverlo di un millimetro. Ingoia addirittura un’imprecazione. Il bambino socchiude gli occhi, abbastanza per capire cosa gli stia succedendo. Brinna continua a volare piano, capito il gioco “Smiley, come ti ho già detto prima, quello che stai facendo è inutile. Non ti porterà a nulla e non ti farà sentire meglio”. 

“Non incominciare con i tuoi monologhi da salvatore dell’arcipelago!” esclama, dando un altro calcio a Pan “Sei ancora più noioso. Pensala così: quando ti ucciderò non ri-!” gli scappa un grido di dolore. Brinna ha mutato di nuovo forma, trasformandosi in un piccolo drago. Il solito drago nero. Dev’essersi affezionata ai denti. 

Smiley la calcia via con fatica, tanto che per poco non cadeva lui stesso nella piscina, al posto del bambino. Agran ha avuto il tempo di mordersi un dito, fino a farlo sanguinare. Modella il sangue come se fosse uno spillo sottile, ma lo lancia come un piccolo giavellotto. Si conficca nell’altro piede di Smiley. Smiley urla e cade a terra. Si trascina all’indietro, favorendo l’avanzata di un infuriato Agran. I pugni stretti fanno un suono simile ad ossa spezzate. 

“Questa volta ti uccido per davvero”.

“Agran, aspetta!” Smiley, senza nemmeno un sussulto, riesce a strapparsi lo spillo dalla caviglia. Brinna si poggia sulla testa del suo padroncino, sputando fumo “Tu sai bene come mi senta adesso. Sai cosa vuol dire essere obbligati ad usare il proprio potere ed abusarne!”.

Tocca di nuovo la testa di Tomoko, invisibile dentro la tasca. Il taglio guarisce in un battito di ciglia, il morso di drago sembra non essere mai stato lì. Agran vede il suo nemico alzarsi in piedi come se nulla fosse. Non può fare a meno di sbarrare gli occhi. Il morso inferto alla mano non rimargina. Altro sangue color mercurio scivola sotto le unghie.

“Senti, Agran, facciamo così: risolviamo la faccenda come la risolveresti tu”.

Schiocca di nuovo le dita. Appare Bloob che acceca tutti noi, intrappolandoci in un vortice azzurro. La luce abbagliante svanisce. Bloob ci ha teletrasportati in un campo seminato di margherite e rocce multiformi. Siamo nel cimitero, lontani dall’Isola Meccanica. Non ci sono altro che colline e lapidi. Non ci sono nemmeno i draghi del Ponte dei Draghi. Agran si rende conto di dove si trovi. Lancia uno sguardo alle dita, preso da un sospetto. Il taglio continua a sanguinare copiosamente. Ormai tutta la sua mano è inzuppata di metallo liquido. Istintivamente sfiora i suoi capelli. 

“Ma che cosa succede?! Le perle…”.

“Oh, mi dispiace!” esclama Smiley, portandosi melodrammatico le mani alla bocca “Chissà chi avrà mai ucciso l’ultimo discendente che ti permetteva di rigenerare i tagli derivati dal sangue! Kirke ci ha salutati, Agran. Per sempre, meno male…”.

Agran alza gli occhi dal taglio. Guarda Smiley ma non lo vede. Le sue sopracciglia sono contratte. Sussulta pieno di dolore “Era mia nipote…”.

“Tua nipote? Scherzi?” Smiley butta a terra la sua cintura piena di coltelli, la faretra e l’arco. Ricarica il fucile “Fossi stato nei tuoi panni avrei ammazzato lei e il tuo non figlio, idiota!”. 

Spara un colpo a tradimento. Il proiettile prende Agran alla guancia, non ha fatto in tempo a schivarlo. Questo non affonda del tutto dentro la carne: il sangue è zampillato fuori e ricopre metà del suo viso. Deve chiudere un occhio per guardare il ragazzo di fronte a sé. Si strappa il proiettile e lo getta a terra. Smiley ricarica lo schioppo e ritorna al suo posto. 

“Perché fai quella faccia? Credevi davvero che ci fossimo bevuti la storia del bambino? Jo-Jo lo sapeva, Tekla lo sapeva, anche Pan l’avrebbe saputo fra qualche anno!”. 

Il sangue continua a scorrere dalla guancia strappata. Tocca il collo e la scapola. Si solidifica, diventando uno scudo di metallo. Agran digrigna i denti. Gli bruciano gli occhi, adesso deve necessariamente tenerne chiuso uno. Smiley si passa la lingua sulle labbra, divertito. 

“Sapevamo tutti che qualcun altro si fosse portato a letto la tua donna!”.

Agran lancia un urlo inferocito. Si getta addosso a Smiley che gli spara altri colpi. Come il proiettile di prima, affondano solo di punta nella carne. Il sangue protegge Agran e si espande sul suo corpo. Il metallo della Dea diventa un’armatura spinosa. Come un forsennato, senza alcun segno di ragione, si butta addosso al ragazzo. Smiley viene ferito, ma guarisce grazie al tocco di Tomoko. Le lapidi vengono spaccate, le margherite volteggiano nel vento. Durerà a lungo, non possiamo perdere tempo.

Oltre il Ponte dei Draghi, affianco alla piscina di lava, Brinna cerca di svegliare Pan. Sbatte le ali, volteggia e cade addosso alla sua testa, ma non accede nulla. Il bambino non si sveglia, anche se cosciente. Ha gli occhi socchiusi, ma non riuscirebbe a vedermi. Sarebbe meglio agire, per non avere problemi. 

Muto forma in quella di un mago. È mattino, dovrei avere abbastanza potere. Brinna mi vede apparire dal nulla. Non sembra avere paura. Schiocco le dita. Un piccolo drago nero fluttua senza nemmeno spalancare le ali. Batto le mani un paio di volte e la magia prende il sopravvento su Brinna. Si dimena, contrae gli occhi, le ossa finte si spezzano, diventa piccola come un mignolino, poi muta di nuovo forma in un fuoco fatuo blu. Non respira più. Brinna è stata uccisa da un incantesimo bianco. La lascio e cade a terra. Ritorna com’era quand’era nata: incolore, quasi invisibile, senza forma, molliccia come colla. Pan è immobile come un sasso, ma non posso sottovalutarlo. 

Schiocco le dita e anche lui fluttua, sopra la piscina. Cerca di aprire gli occhi, ma per il bambino questo è faticoso. Finalmente prende un bel respiro profondo. Schiocco di nuovo le dita e cade dentro, affogato nella lava. Non è rimasto più niente di lui. 

Muto forma, ritorno come un insetto, mi avvio fin sopra l’ascensore. 

Devo dire di essere soddisfatto. Finalmente sento di aver fatto un passo avanti!

È passata la mattinata molto più velocemente di quel che credessi. Dovresti aver mangiato qualcosa da Tekla, immagino. Entro nella casa-cubo e la trovo deserta. Non ti trovi né nella stanza in alto, nemmeno nel salotto o in cucina. Qualcuno deve aver mangiato e deve aver buttato i piatti sporchi nel lavandino. Il tavolo è pieno di briciole. Sento un rumore inconfondibile di tubi e acqua. Entro in bagno e finalmente ti trovo, dentro la vasca da bagno. È piccola, ma in qualche modo riesci a rannicchiarti dentro. Ti raggiungo nel momento in cui decidi di sciacquarti. 

Ma che cosa stai facendo?!

Cerchi di spiegarti come meglio credi. Non sei riuscito a vedermi finora e solo adesso riesci a vedere attraverso i miei ricordi.

Mi rendo conto che sono passati giorni da quando hai fatto un bagno, ma abbiamo altre cose da fare oggi. Credo che il generatore sia indistruttibile dall’esterno, da come leggo nei tuoi ricordi.

Leggo nella tua mente quel che hai cercato di fare stamattina. Nonostante i vari tentativi, sia con cacciaviti che con cubi di metallo fuso, non sei riuscito nemmeno a scalfire il macchinario. Ha continuato a far muovere rotelle ed emettere flussi di energia come al solito. Eppure, sembra che tu abbia rinunciato poco dopo alla missione che ti ho chiesto di svolgere. Sono deluso. 

Sarebbe meglio indagare nei piani inferiori ed esplorare di persona il laboratorio sotterraneo. Questa volta farai qualsiasi cosa ti ordinerò di fare. Non voglio obiezioni. 

Nel frattempo ti sei asciugato e hai infilato dei vestiti che non ho mai visto. Hai addosso un maglione rosso acceso, dei pantaloni appena lavati e delle scarpe appena lucidate. Capisco: Tekla ti ha lasciato dei vestiti nuovi non appena i tuoi amici sono partiti. Sbirci nel sottoscala per un breve istante. Appena spalanchi la porta ti investe un rumore assordante di martellate sul metallo. Tekla è nella stessa posizione di come l’hai trovata la prima volta che l’avete incontrata. Indossa la maschera, i suoi occhiali sono sulla scrivania. Dubito che si muoverà facilmente da lì. Non ha nemmeno pranzato con te, leggo nella tua mente. Vorresti avanzare di qualche gradino, verso di lei. 

No. 

Ti blocchi. Tekla non ti ha ancora notato.

Ora prendi l’ascensore. Fallo. Subito. 

Esci dalla stanza, la chiudi dietro le spalle. Nel laboratorio vedi incendiari con fogli in mano, creati dalla loro stessa essenza. I robot sono affaccendati, come se tutto questo non fosse mai accaduto. La pausa pranzo non sembra esistere per tutti loro. Un fuoco fatuo verde acqua striscia addosso a te mentre prendi l’ascensore per la stanza ricreativa. Noti n cubo trasparente, un minuscolo trenino e il progetto di un muffin gigante. Le porte dell’ascensore sono di fronte a te. Tentenni. 

Entra. Tutto questo finirà in un attimo. 

Alzi la mano verso i pulsanti, fai fatica a premerne uno. 

Muoviti!

Le porte si spalancano. Ti ci catapulti dentro e tutto si fa buio.

Si aprono le porte. Trovi la stessa stanza circolare con le stesse innumerevoli porte che ho trovato durante queste notti. Riconosci la prima porta, quella delle videocamere. Non abbiamo fretta, per questo riusciamo a guardarci attorno. Non ci sono così tante cassette come ho creduto. Leggi i cartellini. Trovi quello di Agran e Caerina. Affianco si trova quello di Pan. 

Premi il pulsante rosso. Vedi solo bianco, il rullino smette di girare. Il proiettore si spegne. Probabilmente un bambino non deve avere qualcosa da nascondere.

In bella mostra c’è un videoregistratore bianco, decisamente più appariscente rispetto agli altri. Noto un cartellino scritto con una matita multicolore: ‘TEKLA’

Accendi il proiettore. 

Spunta fuori la faccia di Tekla, la Tekla di parecchi anni fa, senza guance tonde e con uno chignon ben fatto. Senza il suo guardo ingenuo e i suoi sospiri irritanti. Sembra ammiccare alla videocamera, mentre si siede a gambe incrociate. 

“Salve, questa sarà la stanza dei ricordi” afferma, muovendosi nella stessa stanza in cui ci troviamo “D’ora in avanti verrà usata per custodire le nostre memorie, che per varie ragioni non vorremmo ricordare. Sto proiettando questo messaggio alla Tekla del futuro, nel caso dovesse dimenticare come funzionino le cose basilari”. 

Si schiarisce la gola prima di continuare, senza aver prima rigirato gli occhi verso il cielo. 

“I videoregistratori sono stati costruiti attraverso una combinazione formata dalla magia bianca e dalla tecnologia degli esseri umani. Sono riuscita a studiarne uno quando vivevo fuori dall’arcipelago e, anni dopo, ho avuto tra le mani uno di questi aggeggi”. 

Alza le mani mostrando un proiettore cinematografico di mezzo secolo fa. Sembra sinceramente entusiasta di quel che ha tra le dita. 

“Differentemente da quel che accadrebbe utilizzando la magia nera, questa macchina non permetterebbe di cancellare un determinato ricordo. Il mio obiettivo non è quello di dimenticare l’evento, ma di dimenticare la sensazione, il dolore, la paura o la frustrazione. Questo è possibile anche attraverso eventi positivi, che in un modo o nell’altro vorremmo tenere da parte per dopo”.

Porta il beccuccio della macchina alla tempia e, com’era accaduto con Agran, un lampo elettrico passa dalle vene della tempia alle ruote della macchina, fino a scomparire. 

“Questo è un esempio pratico di come è possibile usarlo” dice, mentre si aggiusta gli occhiali “Non ho intenzione di mostrarlo tra gli abitanti delle Isole, ma di regalarli ai miei amici Compa- ai Guardiani, ecco! Potrete entrare tutti in questa stanza e disfarvi di alcune sensazioni spiacevoli. Concluso il processo avrete i ricordi, ma non le sensazioni provate in passato…”. 

Si blocca per pochi attimi, probabilmente per migliorare qualcosa nel proiettore. Quello che stiamo usando noi è lo stesso che sta usando lei. È un semplice proiettore, nulla di più. 

“Ogni essere vivente ha un tipo di memoria diversa. C’è chi possiede un ottima memoria visiva, ma una pessima uditiva, chi riesce a vivere pienamente la sensazione avuta ricordando solamente un breve istante, chi invece, come me e Karoo, riesce a percepire il passato come se fosse il presente per molto più tempo rispetto ad altre Creature, come in questa registrazione di prova” prende fra le mani la videocassetta e la nasconde in un ripiano alto della stanza. 

Alzando gli occhi oltre al proiettore è possibile notare il ripiano nascosto. L’afferri alzandoti sulle punte. La cassetta è polverosa, ma ancora intatta. 

“Chiunque abbia delle domande può farne alla Tekla del presente. Sicuramente vi potrà aiutare. Arrivederci!”.

Saluta di fronte a sé con entrambe le mani. Il proiettore si spegne automaticamente. Ci vuole un po’ di tempo prima di vedere il nastro smettere di girare. Inverti la cassetta che hai in mano con quella vuota di Pan e accendi il pulsante. 

Vedi Tekla da ragazzina, con degli occhiali più piccoli e un vestito rosa pastello. Ha le ginocchia sbucciate, ma non sembra sentire alcun dolore. La videocamera provoca uno strano effetto sia su di te che su di me. Guardiamo insieme Tekla salire su una ruota panoramica, saltellando tra la folla con le mani sporche di zucchero filato. Sentiamo il profumo dello zucchero, quello delle mandorle tostate e delle rane di cioccolato. Noi telespettatori riusciamo a percepire tutto questo. Qualche bambino piagnucola, terrorizzato dall’altezza. Tekla ride guardando fuori dal vetro. 

Esplodono dei fuochi d’artificio in alto. Per poco non hanno toccano la celletta dove si trova la ragazzina. Tekla sussulta, incredula ed elettrizzata. Le sue mani grattano il metallo in un moto impaziente. Anche noi, fuori dal ricordo, sussultiamo insieme a lei. Tekla vuole sapere come funzionino i fuochi d’artificio. Noi vogliamo sapere come funzionino. Una donna con dei guanti bianchi stringe fra le braccia il bambino piagnucolone. I suoi occhi si stringono osservando Tekla. No, non sta criticando la ragazzina, ma qualcuno affianco a lei. 

La donna si rabbuia nel vedere quella stessa figura avvicinarsi ancor di più alla ragazzina. Tekla ha una mano sulla spalla, grande quanto la sua testa. Il guanto bianco profuma di menta e fumo.

“Karoo, guarda là in fondo!” dice la bambina, indicando un’esplosione di colori giallo, rosso e viola “Gli umani sanno davvero come divertirsi!”. 

Karoo ride di gusto e le carezza dolcemente i boccoli vaporosi. Non appena le porte si spalancano, la donna sgattaiola via. Il bambino che ha tra le braccia ha appena smesso di lagnarsi e ritorna felice come non mai non appena mette in bocca una grossa pannocchia arrostita. 

Questa è Boston, durante i festeggiamenti del quattro luglio. 

Tekla adocchia interessata un circense dalle brache calate e il sedere a terra. Una quindicina di bambini, chi col farfallino, chi in giacca e cravatta, ride per lo scherzo. Karoo è sempre alle spalle della ragazzina, vigile come un lupo. Tekla con la coda dell’occhio nota la donna dai guanti bianchi che aveva visto sulla ruota panoramica. Il bambino non c’è: dev’essere stato affidato al padre o ad un parente. Ha il passo pesante, un poliziotto è alle sue spalle. È basso e rotondo, ma giocherella col manganello con un’insolita abilità.

“Allora, amico mio, la signora qui mi ha detto che portando dei problemi” afferma, per niente scherzoso, aggrottando i baffi. Adocchia il lungo bastone col manico d’argento di Karoo, questo lo rende ancora più perplesso. Alza lo sguardo, questa volta contrariato. 

“Non so di cosa stia parlando agente” allunga un sorriso divertito Karoo. Questo sembra peggiorare la situazione. La donna lo guarda sconcertata. 

“Kar- erm Thomas?”.

“Tekla, va tutto bene”.

“E’ la bambina!” strillala donna indicando con i suoi guanti flosci Tekla. Lei si è avvicinata affianco al suo tutore. Arrossisce imbarazzata “Le stava ronzando attorno da ore! L’ha vista mio marito entrare nel parco e lui la teneva per mano!” afferma, completamente sconvolta. Il poliziotto spalanca gli occhi di fronte ad una tale testimonianza. Karoo ingoia una possibile risata divertita. Rimane impalato con un sorriso sardonico.

Tekla sbuffa “Ma tu lo sai chi…?!”.

“Tekla, risolvo io la situazione” le poggia una mano sulle spalle Karoo, vedendola diventare ancora più rossa. Questo gesto fa accapponare la pelle ai due. Pestano entrambi i piedi, pronti ad impugnare le armi. 

“E’ vero che gironzolavi attorno alla ragazzina per tutto il pomeriggio?” chiede il poliziotto. 

“Certo che è vero. Sono stato io ad accompagnarla”. 

L’uomo in uniforme alza un sopracciglio, come se la frase fosse stata pronunciata in lingua straniera “Oh, questa è buona! Come se potesse permetterselo una persona come te festeggiare il quattro luglio!” esclama la donna. Nota un frac elegante e delle scarpe lucide addosso all’uomo che ha di fronte. Sembra essere indecisa se essere perplessa oppure gelosa. 

La scena sta facendo divertire Karoo più di quanto ci si aspettasse. Deglutisce con le labbra serrata in un sorriso, come se stesse trattenendo le risate. Se possibile il suo bastone strillerebbe per il dolore. Tekla sembra voler iniziare una guerriglia, ma viene fermata da una mano amorevole di Karoo, che le cinge le spalle. 

“Come lo spieghi, muso nero?”.

“Lei è mia figlia” dice Karoo alzando le spalle. Il poliziotto e la donna non possono fare a meno di ridergli in faccia. Tekla rimane spiazzata. Attraverso la sua pelle scorre qualcosa di simile ad un liquido rosso e pulsante. È rabbia, ma anche disgusta. Quel che prova Tekla lo stiamo provando anche noi. 

“Questa è bella!” esclamano insieme in un coro divertito. Karoo sembra essere ancora più divertito di loro due messi insieme. Tekla sbianca.

“Credo che dovreste vedere i miei documenti”. 

Il poliziotto avrebbe voluto dire qualcos’altro, ma gli vengono subito sbattuti in faccia due fogli elegantemente porsi sotto ai suoi baffoni. Li prende in mano, non comprendendo e li spiega. Legge il primo documento e il suo naso ha un tic indispettito. Spalanca il secondo foglio e lo legge. Si fa di ghiaccio, come se avesse appena letto una condanna a morte. La donna nota la reazione e vorrebbe sbirciare, ma non glielo permette. Il poliziotto sembra ricomporre un atteggiamento completamente differente. Karoo riprende i documenti con un sorriso soddisfatto. 

“Bene, direi che siate apposto…” mormora lo sconfitto, ancora terrorizzato da quel che ha appena letto. 

“Come?!” esclama la donna, sbarrando gli occhi e spalancando la mascella. Sembra diventata incredibilmente brutta. 

“Vieni, Tekla, andiamo a comprare un gelato” sembra averlo detto apposta e l’effetto provocato è esilarante: il poliziotto scappa con la coda fra le gambe con alle calcagna la donna, ancora più sconcertata di pochi minuti fa. A quanto pare ha perso la capacità di chiudere la bocca.

Un pagliaccio dal naso rosso e le guance verdi offre un cono al pistacchio alla piccola Tekla. Karoo ne prende uno alla panna e insieme si siedono su una panchina. La fontana di fronte a loro è piena di bambini. Stanno facendo battaglie navali con delle barchette ingegnate con pezzi di corteccia e fogli di giornale. Tekla adocchia le barchette scuotendo la testa in preda al disappunto. 

“Karoo, perché quell’umana ha chiamato il poliziotto?”. 

“Tekla, credo che tu possa intuirlo da sola” dice Karoo, con la risata repressa fra le labbra. 

“Gli umani non conoscono i termini dell’adozione?”. 

“Assolutamente no, anzi, sono stati loro stessi a coniare questo bellissimo termine. Non dovresti nemmeno definirli tali: sei un’umana anche tu” conclude con un’occhiata triste, portandosi alle labbra il gelato. Tekla però è ancora confusa. Qualche bambino deve aver perso la battaglia navale. Due di loro guardano con le lacrime agli occhi i loro vascelli affondare sotto le cannonate di un veliero costruito con legno riciclato. 

“Vedi, bambina mia, ci troviamo in un periodo difficile per esseri umani simili che mi somigliano. Nonostante gli Stati Uniti siano una delle nazioni umane più civilizzate non accettano facilmente etnie diverse da quella originata dai conquistatori del passato” Tekla sembra intuire finalmente. Sotto la sua pelle scorre un altro liquido, freddo e malinconico. La tristezza. 

“E’ perché hai la pelle nera?”.

Karoo annuisce togliendosi il cilindro e incrociando le gambe. Si sfila un guanto, dopo aver finito il gelato. Le sue unghie hanno un colore pressoché identico a quello di un essere umano come tanti in mezzo alla folla del quattro luglio, ma le dita e la pelle hanno un colore simile all’inchiostro. Karoo è un uomo di colore.

“So che sei lì!”.

Sobbalzi per la voce fuori campo. Per sbaglio hai dato un pugno al proiettore. Si è spento automaticamente. La voce proveniva dalla parete opposta. Chiunque fosse deve aver atteso il momento giusto per aprire bocca. Esci dalla stanza dei ricordi. La terza stanza, quella con la scrivania, è vuota. Entri nella quarta stanza. 

L’occhio cade sull’unica figura poggiata su un tavolino. L’androide non sembra essere ferito, eppure gli manca metà volto, braccia e gambe. È stato stretto in una larga tovaglia arancione, ma sembra che si sia liberato semplicemente muovendo il collo. Di Joy rimane poco meno che il semibusto. Non è possibile nemmeno comprendere la sua espressione facciale. Ti adocchia attraverso il suo unico occhio di vetro. 

“Ben trovato, idiota umano” ti saluta cordialmente, senza nemmeno aprire bocca. La voce proviene dalla sua gola. Il tuo silenzio sembra intendere molto più di quel che crediamo “Ovviamente sono ancora viva: Tekla non sprecherebbe mai un robot come me. Sono stata un lavoro troppo faticoso per essere qualcosa da buttare. Non sono mica G.R.O.S!” conclude, chiudendo il suo unico occhio. 

La stanza in cui ci troviamo è piccola e l’ammasso di oggetti che ci sono la rende ancora più soffocante. Le tre barelle infermieristiche sembrano in perfetto stato, anche se polverose. Le teche di vetro raggiungono il soffitto. Noti del liquido trasparente all’interno. Qualcosa sembra puzzare di alcool etilico e benzina. Gli scatoloni a terra sembrano essere infiniti. Non potresti fare un passo senza inciamparci dentro. Ne apri uno, quello più vicino. Sul tuo palmo rimbalzano molle e ingranaggi, fili di plastica e di metallo, biglie colorate simili ad occhi e lastre di metallo grandi come placche celebrali. Un pezzo di Joy, quello che ricopre la metà di testa, sembra essere svanito nel nulla. Sarà sicuramente in mezzo a tutti questi robot, che in qualche modo sono qui. Apri altre tre scatole. Non ci sono altro che pezzi simili, ma grandi quanto la figura di un golem o sottili come quelli di un ragno di metallo. 

“Tekla è sempre stata così. Quel che non è più utile viene buttato via o verrà usato per qualche altra sua creazione. Non rimanerne sorpreso. Presto mi cancellerà la memoria e non ricorderò nemmeno la tua faccia da pezzente”. 

Qualcosa ti impedisce di protestare. C’è una scatola sotto il tavolo dove è coricata Joy. È stata imballata con del nastro adesivo più volte, in un moto di terrore, e poi lasciata appiccicata sotto al tavolo. Scarti il pacco. Hai tra le mani una cassetta e un videoregistratore in pessimo stato. La vernice è sbiadita e il vetro è spaccato. La cassetta non sembra avere un cartellino.

Joy fa fatica a battere la palpebra “Perché non ci dai un’occhiata? Così capirai come sia veramente Tekla la cervellona”.

Osservi brevemente Joy, poi la videocamera. 

Infili la cassetta e parte il filmato.

Tekla sbatte con prepotenza la porta alle sue spalle. Probabilmente deve averlo fatto apposta. Agran da ragazzo aveva un filo di barba sulle guance e capelli più corti di oggi. Sembra essersi gettato a terra, forse non ha trovato una sedia, forse non aveva le forze. Tekla fa un respiro profondo, cercando le parole giuste. 

“Agran… è bello che tu sia qui! È la quarta volta questa settimana” l’approccio amichevole crea l’effetto sperato. Agran è ancora a terra, con un’espressione indecifrabile “Agran, hai già registrato diciassette ricordi in pochi giorni. Tutto questo potrebbe avere delle conseguenze sulla tua memoria”.

Agran alza gli occhi. Non ha l’aria di qualcuno che abbia sentito una singola parola di ciò che ha detto “Va bene così” conclude, ancora più inespressivo.

“Perfetto, hai già perso sensibilità verso le tue emozioni. Questo è molto negativo!” mostra un sorriso ironico e allo stesso tempo preoccupato. Nonostante Agran non abbia voglia di alzarsi Tekla non demorde “Secondo il buonsenso che mi ha insegnato Karoo adesso dovrai uscire da questa stanza e seguirmi fino a casa. Cosi parleremo un po’ del tuo probl-”.

“Sì, hai ragione” Agran si alza in piedi, lasciando Tekla con la mascella spalancata e uno sguardo perplesso. Sospira sollevata e lo segue, anche se a tratti sembra volerlo sorpassare. Il suo sollievo scema non appena osserva la mano del ragazzo: si è portato dietro la telecamera. Prova a sfilargliela, ma lui non gliela da. 

Il ricordo si taglia in due. 

Agran è a casa di Tekla. Non ha ancora costruito il secondo piano. Il salotto e la cucina non hanno alcun colore, solamente bianco metallico. Non ci sono progetti sulle pareti, né uno schermo che riflette una serie televisiva stravagante. Tekla non ha ancora mostrato alcuna personalità. Poggia sotto al naso di Agran delle stecche di liquirizia e del gelato al pistacchio. Nonostante tutto, Agran osserva ancora la telecamera. Il gelato provoca alla ragazza qualche deglutio. Fa scivolare ancor la mano affianco a quella del collega. 

“Non sembri molto te stesso in questi giorni. Ho letto che affrontare un lutto può essere orribile, ma attraverso l’affetto dei tuoi cari…”.

“Non voglio!” Sbotta lui, stringendo il macchinario con troppa forza. Qualcosa dentro il marchingegno schiocca pericolosamente “Caerina… ho troppi ricordi di lei”.

Poggia una mano sugli occhi. La sua voce è pesante. Ha dei ricalchi umidi che scendono fino alla gola. Deve aver pianto parecchio. Tekla non sembra capire tutte queste cose “Ho capito” afferma, incerta “ma sbarazzarsi dei propri sentimenti non può che essere controproducente”.

Allunga la mano un’altra volta per riprendere la videocamera. Agran non ha più le forze per pensare anche a questo e gliela lascia. Tekla è sollevata: il marchingegno è ancora intatto e Agran gliel’ha ceduto. Dev’essere sicuramente un miglioramento.

“Non avrei mai dovuto lasciarla. Avrei dovuto rimanere con lei, nonostante tutto. Deve over passato dei mesi orribili senza di me” si preme i palmi sugli occhi. Si sforza di non piangere “Vorrei che fosse ancora qui con me. Vorrei che tornasse in vita”. 

Tekla socchiude gli occhi, come se avesse ricevuto una sberla sulla guancia “Agran, questo è impossibile e…immorale. In realtà non ho mai pensato a qualcosa del genere”.

Tekla incomincia a battere le palpebre più volte. Si massaggia le tempie, come se pulsassero molto più di quel che dovrebbero. Deglutisce e si guarda le mani, persa in qualche pensiero. Queste tremano come forsennate. 

“Non capisci, Tekla” afferma Agran, alzandosi dal tavolo, senza aver toccato né la liquirizia né il gelato “ho altre cose da fare” si volta con uno sguardo ben più cupo di prima e si avvia all’uscita. Per una attimo è sembrato l’Agran del presente. 

Le mani di Tekla hanno smesso di agitarsi, ma solo per qualche breve istante. Fa dei respiri profondi e tira su un sorriso rassicurante con quel poco di forza che ha “Fantastico! Sono felice di esserti stata di aiuto!”.

Agran sbatte la porta alle sue spalle prima ancora di aver soltanto finito sentito la fine della frase. Tekla si concentra sulle tempie incandescenti. Migliaia di teorie e pensieri stanno scoppiando nella sua testa. Arraffa agitata la coppa di gelato al pistacchio. Ingoia forsennatamente grossi cucchiai. Il freddo le gela il cervello, ma per lei questo è solo un sollievo dal dolore. 

Il filmato si fa nero. Inizia un altro ricordo.

Smiley è poco più di un ragazzino. È magro e basso, i suoi capelli scuri sembrano una nuvoletta di polvere sulla sua testa. Non ha cicatrici, né armi, né divisa, né occhiaie. Ha uno sguardo eternamente corrucciato. Non sembra sorridente, ma nemmeno irritato “Tekla, dopodomani un gigante di roccia cadrà sull’Isola Meccanica. Cercherà di distruggere il generatore”. 

A quanto pare si trova nella stanza sotto l’ascensore, quella con la scrivania, al buio. Tekla non alza lo sguardo da un’indefinibile punto nero di fronte a lei. Smiley non sembra notare questa anomalia “Ah, ieri Agran ha trovato un bambino. Dice che è suo figlio o qualcosa del genere. Secondo Tomoko…”.

Si morde la lingua non appena osserva con più attenzione la ragazza. Tekla si è grattata le tempie fino a farle sanguinare. Non si è pulita le scie di sangue lungo la mascella e nemmeno quelle sotto le unghie. Le mani hanno uno spasmo ogni tre o quattro secondi. Per terra ci sono ciocche di capelli, nell’aria si sente un respiro affannato. Delle coppe di gelato alla stracciatella e al pistacchio sono state gettate a casaccio per tutta la stanza. 

Smiley arretra “Se non ti senti bene chiamo Karoo”.

Tekla volta di scatto la testa. Le pupille sono irrequiete. Smiley non sobbalza, ma è più che sorpreso. 

“No!”.

Si alza in piedi, i suoi passi pestano il metallo fino a stringere le spalle del ragazzino. Smiley sbarra gli occhi. Non può fare meno di gemere: le unghie di Tekla affondano prepotentemente nelle scapole “Sarà arrabbiato con me! Non vorrà parlarmi mai più!”.

D’un tratto sembra aver riacquisito la ragione. Il collo sobbalza più volte, i suoi occhi guardano ma non vedono. Smiley sembra essere meno che un muro d’aria per lei. La presa s’indebolisce, abbastanza per farlo scappare. Per un attimo la sua mano si era fermata verso la maniglia della porta, ma si ferma all’ultimo.

“Karoo non è arrabbiato con te. Il tuo cervello ti sta dicendo cose senza senso”.

Purtroppo Tekla si è già voltata e cade addosso alla scrivania. Sembra un peso morto. La testa ciondola in basso. La sua scrittura pare più una lingua sconosciuta. Tekla vorrebbe concentrarsi su qualcos’altro, qualsiasi cosa che non possa obbligarla a fare ciò che non desidera. Non funziona. Per un breve attimo le è parso di non avere gli occhiali addosso. La sua vista cala vertiginosamente. Smiley decide di spalancare la porta.

“Resta qui, non ti muovere. Vado a chiamare Tomoko”. 

Non fa in tempo ad avviarsi che qualcosa lo colpisce alla testa. Nel frattempo la ragazza si è strappata altra pelle dalle tempie. Le cola altro sangue fino alla base del collo. Un garbuglio scomposto di pensieri si abbatte nella sua testa.

‘Nessuno mi vorrà più nell’Arcipelago. Mi butteranno fuori da qui’.

Nella foga ha afferrato una lampada di vetro poggiata sulla scrivania. È abbastanza grande da poter contenere un fuoco fatuo, con dentro una candela ancora fumante. La cera sta colando fra i ricci scomposti di Smiley. Cade a terra, reggendosi la testa dolorante. Alza gli occhi verso la ragazza con incredulità, tradimento, forse paura. Erano gli stessi occhi di Tomoko e Jolka, prima di morire.

“Tekla, fammi uscire” incomincia il piccolo a terra, con la voce di uccellino. Trema dalla punta dei piedi fino ai riccioli scuri sporchi di sangue. Tekla incomincia a stringerlo per il collo. Smiley soffoca, prova a cacciarla, ma non accade nulla. Anche in passato, seppur magra, Tekla aveva braccia robuste. 

‘Mi prenderanno di nuovo. Mi taglieranno la testa. Mi faranno del male’.

“Stai avendo una crisi!” respira a fatica il ragazzino. Ha le lacrime agli occhi, smette di tentare di liberarsi “Mi fai male, Tekla!”.

“Non ho nessuna crisi!” gli urla in faccia la ragazza. La sua faccia sembra un palloncino rosso, le sue mani tremolante stanno sudando copiosamente lungo il collo del piccolo. Vorrebbe stringere più forte, ma qualcosa tra le pareti del suo cervello glielo impedisce. 

“Ne hai avuta una anche il mese scorso. Passerà se sfogherai il cervel-uh!” dice prima di essere sbattuto a terra.

Tekla trapassa con gli occhi il punto in cui si trovava prima Smiley. Là, in mezzo alle sue mani, sembra percepire qualcosa di importante. Smiley, caduto sul fianco, respira e tossisce. Si appiattisce lungo la parete. Tekla abbassa di scatto gli occhi, il ragazzino d’istinto alza le mani urlando e caccia la testa a terra.

“Tu mi devi aiutare!” dice, strattonando i ricci del piccolo con una mano sola.

“Ucciderò il gigante che verrà qui, poi lo riporterò in vita! Se funzionerà lo farò più tardi con Caerina e con i caduti in guerra e così anche con i futuri morti!”.

Smiley continua a gemere, forse vorrebbe urlare o scappare, ma la gola è ancora chiusa e ha paura dell’ira della ragazza. Tekla lo trascina fino alla scrivania. Lascia la presa: le rimangono fra le dita delle ciocche di capelli ricci. Smiley si massaggia la testa. Si guarda le dita e con orrore scopre sangue e cera ancora calda. 

“Ma… Karoo e Tomoko” viene fulminato dallo sguardo vuoto di Tekla. Si appiattisce ancora una volta addosso al muro “Ti aiuterò! Va bene!”.

Singhiozza senza piangere. Abbassa le mani alzate un’altra volta per difendersi. Tekla sembra essere soddisfatta. Una fossetta appare sulla sua guancia. Annuisce più volte. I pensieri nel suo cranio sembrano quietarsi lentamente. Smiley osserva incredulo le sue stesse mani. Nonostante il pericolo passato continuano a tremare, senza mai fermarsi. Poggia una mano sul cuore e rimane ancora più sbigottito. Alza il mento verso la collega, attraverso i suoi occhi brilla uno sfavillio di confusione e meraviglia. 

“Sto tremando… di paura” si alza in piedi. Non riesce a staccare la mano dal suo cuore. 

‘Se qualcosa non andrà come previsto Smiley lo saprà e nessuno si farà del male’.

“Mi batte il cuore. Non ricordo più l’ultima volta che mi è successo” mormora con qualcosa di simile alla felicità. 

‘Però non voglio che il cervello dimentichi lo sfogo. Devo prevenire tutto questo’.

Si avvia alla scrivania, in cerca di qualcosa, forse un vecchio appunto. Smiley abbozza un sorriso guardandosi le dita. Tekla trova nel bel mezzo del disastro, tra macchie di sudore e gelato, un singolo progetto spiegazzato. Tekla ha semplicemente disegnato un orologio, senza lancette, con un macchinario mai visto prima. L’orologio che adesso ha Smiley. 

“Riesco a provare qualcosa, Tekla! È… magico!”

Lei non lo ascolta. Pensa semplicemente che stia andando tutto nel verso giusto.

Finisce il filmato.

Dalla gola di Joy esce fuori un gracchiare incomprensibile. Non ne se sei certo, ma credi che sia la brutta copia di un ringhio. 

Le dici quel che credi su Tekla.

Joy sembra riflettere per qualche secondo, fino a sbottare, nella profondità della sua gola “Ovviamente è colpa del suo cervello!” ringhia irritata “Sicuramente se i Frammenti della Dea non influenzassero negativamente la quotidianità dei Compatibili molti di loro sarebbero completamente diversi da quel che sono oggi. Chiunque ci arriverebbe: far vivere una Creatura Umana quanto un centauro è meno che utile. La procrastinazione porta alla follia”.

Osservi un’altra volta l’ambiente in cui ti trovi. Non vedi altro che confusione, come nella casa di Tekla. I pacchi a terra sembrano essersi moltiplicati, probabilmente ti sei reso conto soltanto ora di quanti siano. Le fiale giganti nonostante gli anni sicuramente sono nuove di zecca. È improbabile che qualcuno le abbia usate, che fosse stato ieri o quarant’anni fa. Probabilmente Smiley deve aver interrotto vari esperimenti negativi di Tekla e quei pochi positivi invece si sono ammucchiati al piano di sopra.

“Sta di fatto che Tekla mi ha costruito solo per divertirsi. Ha mai pensato a me? Ha mai pensato che fosse crudele donarmi una memoria e un dispositivo legato a sentimenti e sensazioni di una Creatura qualunque? Lei non ha mai pensato a niente!” L’eco dell’urlo è assordante “E’ egoista! Stupida! Inutile! Agran è anche peggio di lei! È un’eroe soltanto perché gli è morta la ragazza! Chi mai perderebbe tempo in mezzo alle Isole a cercare guai ogni giorno dell’anno!?”.

Continua ad urlare al vento. Non hai fatto altro che quello che credevi giusto per te stesso: ti sei voltato e te ne sei andato. 

Non fartene una colpa. Tekla dovrebbe prendersi le sue responsabilità riguardo quel robot. 

Trattieni tra i denti qualcosa di simile a vomito.

C’è una quinta porta. Decidi di spalancarla. Aprendola senti il legno sibilare sotto lo spigolo della porta. C’è soltanto una lunghissima scala. Scende in basso, al buio. Riesci a vedere il fondo, decidi di proseguire. I tuoi passi incerti tentennano lungo la scalinata. 

Finora quel che ho visto erano degli esperimenti falliti portati all’esasperazione. Adesso capisco cosa intendevano gli abitanti delle Isola. Tutto questo ha portato degli umani a comportarsi da esseri superiori, nonostante la loro giovane età. Avremmo dovuto eliminarli e riutilizzare i pezzi della Dea Bianca su persone consenzienti e mature.

Raggiungi il pianerottolo. Avanzi nel buio in una stanza gigantesca. Trovi un corrimano di metallo. Lo segui con le dita, cercando sui muri un’interruttore. 

Per fortuna Smiley ha tutte le carte in regola per distruggere questo posto e diventare la Dea stessa. Non poteva andare meglio di così!

Trovi l’interruttore.

L’intera stanza è occupata da un macchinario a sette zampe. È un ragno gigantesco, che tocca il soffitto con il suo addome di vetro. Fai qualche passo indietro, per un attimo hai avuto la visione di una tarantola che ti si gettava addosso. Rimani stregato dalle parti meccaniche. Le sue zampe raggiungono dei contenitori di vetro, abbastanza spaziosi da poter ospitare una persona sola. Hai un’altra visione. Immagini il corpo di Jolka accasciato nella bara di vetro, con la faccia verdastra e la bocca spalancata ricolma di sangue. Immagini la testa urlante di Tomoko, immutata nonostante i giorni senza corpo. Immagini ossa color mercurio in una delle teche. In una bara c’è anche Agran che ti fissa inespressivo.

Ti avvicina al tavolo di fronte alla sbarra di metallo. Noti un foglio talmente grande da avvolgere il tavolo come una tovaglia. È il progetto della macchina, la stessa che sta cercando Smiley in questo istante. 

È la macchina che aveva disegnato Cervello da bambina!

Ci sono scritte indecifrabili e cancellature. È chiaro che stiamo guardando l’intero disegno del progetto. Qualcosa si rivolta all’interno del tuo stomaco.

Ha concluso il lavoro sotto i nostri nasi! Basterà inserire nelle teche i Frammenti della Dea Bianca e potremmo riportarla in vita! Sembra un sogno che sta per diventare realtà!

Leggi una scritta rossa in maiuscolo “MAI ACCENDERLA”.

La Dea Bianca ricostruirà un mondo nuovo, senza odio, senza guerre, senza alcuna diversità. Saremo identici, non esisterà alcuna differenza tra magia bianca e nera, né tra sole e luna o tra capi, tribù e nazioni! Vivremo in un mondo bellissimo!

Tekla ha scritto qualcos’altro sul bordo del foglio. La scritta è sempre rossa “INSTABILE! PERICOLOSA!”.

Persino gli umani potranno avere magia se lo desiderano! Le fate e i folletti non saranno più schiavi delle loro stesse tradizioni!

Alzi lo sguardo ancora una volta alla macchina. La lastra che avvolge il torace del ragno non sembra riflettere nemmeno un bagliore di luce dalla lampadina sulla tua testa. Le lunghe zampe di metallo hanno spigoli taglienti. In qualche modo ricordano lame di spade. Il vetro della testa sembra fissarti intensamente. Non puoi fare a meno di camminarle affianco, evitando lo sguardo accusatorio.

Capisci adesso? Nessuno soffrirà mai più. Anche i Compatibili. Avevamo bisogno di qualcuno che accumulasse il potere della Dea e l’abbiamo trovato. Ora che usufruiremo di loro avranno la pace… quelli ancora in vita, ovviamente!

La macchina continua a scrutarti con i suoi occhi vacui. Nel tuo stomaco ribolle qualcosa di aspro e disgustoso. Cacci quello che hai mangiato stamattina con un deglutio. Hai fatto il giro completo della stanza. Ti blocchi notando qualcosa: c’è un’altra porta. È ben nascosta dietro un ammasso di scatoloni vuoti. Liberi il passaggio facilmente: è bastata una semplice spallata. Nella serratura è inserito un mazzo di chiavi. Tekla o qualcun altro dev’essere entrato di recente qui e deve averle dimenticate. Giri le chiavi nella toppa.

La stanza è minuscola. Se ti mettesti al centro e allargasti le braccia riusciresti a coprire l’intera sua larghezza. C’è soltanto una libreria come tante, con vecchi fascicoli. Non ce ne sono molti, potresti contarli sulle punte delle dita. Uno di questi ricorda un album di foto, dello stesso colore della divisa di Agran. 

Agran da ragazzino aveva gli occhi vispi e un sorrisetto spigoloso, decisamente arrogante. Ha i capelli corti, senza un pelo sul mento o sotto al naso. Si è piazzato sotto la fontana della sirena nella piazza dell’Isola Maestra. Dev’essere stata costruita da poco: alle sue spalle delle fate dai muscoli vistosi stanno sollevando dei cubi colorati con solo l’aiuto di un paio di corde a testa. Questa era la capitale dell’Isola durate la sua costruzione. 

Un’altra foto: è sfocata. Agran sembra aver portato sulla spalla una ragazza dai folti capelli ricci. Lei è arrabbiata: sembra essere sul punto di dargli un ceffone. Agran non può fare altro che spalancare gli occhi. Sembra un bambino in un breve frammento di secondo. 

Che diavolo stai facendo?

Afferri un altro fascicolo, quello di un frizzante rosso acceso. Jolka da ragazzina aveva i capelli lunghi, come aveva detto Pan. Porta la stessa uniforme che portava sulla Rosa Bianca, nuova di zecca. Un piccolo Pan guarda di fronte a sé succhiandosi il pollice. Non sembra capire cosa stia succedendo, ma fa del suo per rimanere immobile come la sorella. 

Quello che stai facendo è completamente inutile. Dovremmo tornare indietro. 

Il fascicolo bianco latte si spalanca di fronte ai tuoi occhi. Tomoko ha una treccia decisamente troppo corta rispetto a quella che avevi visto i primi giorni nell’Isola Minima. Ha un sorriso ampio e sincero. Trattiene per i fianchi un piccolo Smiley con una nuvoletta nera in testa e una altrettanto minuta Jolka, con gli occhi nascosti sotto la frangetta. Entrambi cozzano le guance l’uno affianco all’altra. Non sembrano affatto felici di essere lì insieme: lo noti dal ringhio di Jolka e dal broncio di Smiley. 

Afferri il fascicolo arancione.

Ti ho detto di uscire da qui. Dovresti farlo.

Pan si trova sulla spiaggia, noti alle sue spalle un mulino rosso. Il bambino ha una gigantesca stella di plastica al petto. Ha gli occhi lucidi per l’emozione. Alle sue spalle ci sono tutti i suoi compagni di classe, insieme al professore corvo, ancora grasso come una patata. Arco alle sue spalle sopprime un sospiro irritato, Elvero guarda da tutt’altra parte che di fronte a sé, mentre le tre fate mostrano pollici in su e segni di vittoria in volo. 

Torna indietro da Tekla. È un ordine!

Il fascicolo giallo sporco è quasi del tutto vuoto, meno che per una foto. Smiley è seduto sui gradini del tempio, non ha cicatrici né occhiaie. Legge un grosso libro dal titolo illeggibile. Sui gradini zampillano pesciolini argentati e gocce di pioggia. Si bagna la testa, ma non sembra importarsene. Ha un’aria malinconica e infelice. Chiunque abbia scattato questa foto probabilmente l’ha fatto senza che Smiley ne sapesse nulla.

Questo è il problema di voi umani. Siete cocciuti, non ascoltate una sola parola di quel che diciamo. Dovete cercare il pelo nell’uovo dove non c’è! Se non avete problemi dovete cercarne altri! Siete…!

“Eccoti!”

La testa scatta verso la voce alle tue spalle. Riponi l’album di Smiley con un semplice sobbalzo. Non puoi fare a meno di sentirti in trappola. Tekla ti fissa perplessa e si guarda attorno. Lancia un’occhiata alle foto e agli album alle tue spalle. Dopo qualche attimo decide di grattarsi una guancia.

“Non immaginavo di trovarti qui, ma qualcuno ha lasciato tutte le porte aperte, allora ho pensato che ti fossi intrufolato dentro” non puoi fare a meno di guardarti le punte dei piedi “Questo posto non è segreto, ma se qualcuno volesse entrarci dovrebbe prima chiedere il permesso. Ricordatelo la prossima volta”.

È piuttosto severa. Abbassi la testa mortificato. 

Chiedi a Tekla di perdonarti. 

Ma per cosa ti scusi?! Non hai fatto niente di male!

Tekla annuisce, come se si fosse aspettato le tue scuse ancora prima che tu le pensassi “Tranquillo, non sei il primo esterno che entra qui per sbaglio. Non sai cosa facevano i tuoi colleghi prima di conoscere le nostre storie. Quasi sempre, alla fine del loro viaggio, armeggiavano qui sott-… Ops!” si copre le mani con la bocca “Non… non avresti dovuto saperlo adesso. Facciamo che non hai sentito nulla!”. 

Lo sguardo ti cade ancora una volta sul pavimento. Ti senti incredibilmente piccolo. Proprio come me. 

Non è possibile…

Segui Tekla fino alla rampa di scale. La sua gonna ondeggia sotto le caviglie. Dal suo moto leggero potresti dire che sia infelice. Vorresti chiederle se stia bene, ma qualcosa ti blocca le parole. Senti i tuoi passi. Sono molto più leggeri di quelli della donna. Salite in alto, fino al pianerottolo con le porte spalancate. Tekla ha un mazzo di chiavi. Chiude la porta dell’ufficio sotterraneo, quella delle videocamere e quella che ti ha portato alla stanza del ragno. Joy è ancora sulla barella, immobile, senza espressione, esattamente dove l’hai lasciata. Tekla sta per chiudere a chiave anche la stanza dove si trova l’androide. 

Ti pari davanti a lei. Le chiedi che fine farà Joy. 

Questa domanda è completamente inutile. 

Tekla non sembra afferrare le immediatamente il significato della tua domanda, ma riprende subito il controllo della situazione “Ecco, sinceramente non ho ancora deciso. Di sicuro non potrà tornare com’era un tempo: abbiamo creato troppi danni alle sue parti meccaniche di supporto durante… erm, hai capito” Joy è ancora immobile “Probabilmente la riutilizzerò per qualche altro progetto, ma tutto questo non…”

Le chiedi di avere tu stesso Joy.

Che cosa hai detto?!

Tekla non sembra essere particolarmente sorpresa, ma l’hai presa comunque contropiede “Beh, potresti farlo, certo. Sarebbe un’ottima amica, credo. In realtà non so se potrei darti un androide con un’intelligenza artificiale come la sua. Sarebbe utile per me in futuro”.

Le dici che ti prenderai cura di lei, che quello che stai facendo sarebbe simile ad un’adozione.

Ma che diavolo stai dicendo?! Perché avremmo bisogno di un robot distrutto da noi stessi?!

Non ne sei certo, ma a quanto pare sotto ai suoi occhiali lei abbia arrossito. Osserva Joy per un tempo indefinito. L’androide ha ascoltato ogni parola di quello che vi siete detti. Il suo collo si è voltato nella nostra direzione. Tekla alla fine annuisce.

“Questo è un gesto dolcissimo, sai?” ha una voce bassa: è arrossita per davvero “Ho un’idea! Creerò un nuovo corpo per lei! Potrebbe diventare un’amica e allo stesso tempo una guardia del corpo! Farete faville insieme! Portala con te, pesa pochissimo”.

Ti dirigi immediatamente da Joy. Non potrebbe ancora mutare espressione facciale, ma prova comunque a guardarti negli occhi. La prendi in braccio: è molto più leggera di quel che ti aspettassi. Tekla alle tue spalle armeggia con i pulsanti dell’ascensore, canticchiando un motivetto allegro. 

“Hey, umano” sussurra la gola di Joy “Grazie mille. Mi hai salvato”.

Alzi Joy, ma nel farlo hai sbattuto il ginocchio sotto il tavolo. Ingoi un rantolo di dolore, ma blocchi gli spasmi notando qualcosa. Un’altra cassetta è caduta a terra. L’afferri con cautela, senza far cadere l’androide. La rigiri tra le dita. Leggi la scritta ‘KAROO’. La infili in tasca il più velocemente possibile e raggiungi l’ascensore. Mentre si chiudono le porte ricordi che la stanza dei ricordi è ancora sigillata. Le chiavi di Tekla tintinnano dentro la tasca della sua uniforme. 

“Sai, ho riflettuto molto in questi giorni. Sei una persona simpatica, anche se strana. Ma forse ti vedevo così perché vieni da fuori e perché ho poche conoscenze teoriche sugli umani” inizia Tekla, più felice del solito “Siamo partiti col piede sbagliato. Io cercavo un modo per attirare l’attenzione di Agran mentre invece tu cercavi un modo per concludere la tua missione nel modo più pacifico possibile. Siamo dei fallimenti tutti e due, in effetti” ridacchia tra sé e sé. 

Un brivido di terrore passa sotto la tua spina dorsale. 

Non ci credo. L’ha capito persino lei. Questo significa che tutti i Compatibili sanno di noi. 

“Ma è tutto ok. Anch’io ero una cattiva un tempo, non bisogna vergognarsi!” dice, stiracchiandosi. 

Ma non finge nemmeno di non saperlo!? 

Tekla ti guarda severamente “Nonostante tutto vorrei ricominciare daccapo con te. Non abbiamo nemmeno avuto il tempo di presentarci come si deve” alza la mano nella tua direzione. Aspetta che tu gliela stringa. Lo fai senza battere ciglio. Tekla ha una presa micidiale. Ha incrociato il tuo pollice fino al mignolo. Non si accorge nemmeno di averti fatto del male.

Rigiri fra le dita la cassetta nascosta nell’altra mano, quella che regge Joy. 

Domani troveremo un modo per vederne il contenuto.

 

Smiley respira a fatica. Cade in ginocchio sbattendo il gomito contro una delle innumerevoli tombe. Sono state spazzate via da una furia omicida, ora non sono altro che meri pezzi di roccia che seppelliscono le poche margherite sradicate dal suolo. 

Smiley passa una mano dentro la tasca rossa. Tomoko usa di nuovo la sua magia e il fittone sparisce, ma non la fatica. Alle sue spalle il tramonto sta cadendo dietro le colline. Zoppica fino al fucile. Lo ricarica: innumerevoli proiettili fluttuano fino al metallo. Ci sono altrettanti pezzi appuntiti di metallo color mercurio. L’intero prato nelle vicinanze ne è contaminato. 

Raggiunge una stalagmite piantata drammaticamente a terra. Agran è incastrato dentro con la pancia a terra e i capelli sporchi anch’essi di sangue. Non si muove, né sussulta. Smiley afferra uno degli innumerevoli coltelli nella cintura e incomincia a tagliare pezzi di metallo. La facilità con cui ci riesce a staccarli dalla carne morta è asfissiante.

“Se non mi fossi preparato per bene mi avresti ucciso” singhiozza la gola in fiamme. Con fatica riesce ad ultimare il lavoro. Stacca una decina di frammenti e li ficca nella tasca rossa. Afferra qualcosa di luminoso a terra. Sbuffa e tossisce: tre punte di freccia si sono spezzate. 

Una mano scatta disperata sulla sua caviglia. Smiley continua a respirare e a tossire, ma tenta comunque di liberarsi. Sbatte il tallone lungo le dita, ma non accade nulla. Afferra una pietra a terra e incomincia a martellare l’osso di Agran. Sbatte il pezzo di roccia con più forza possibile. Dalla carne marcia incominciano a staccarsi fino all’osso della pelle e dei muscoli. Il braccio di Agran senza sangue è sottile quanto quello di Jolka. Sembra la mano di un vecchio, con le vene all’infuori e la pelle rugosa.

Smiley riesce a liberarsi e per poco non sbatteva di fronte ad una delle poche tombe rimaste intatte. Non posso fare a meno di leggere ‘Caerina, figlia di Salar, un grande stregone. Morta per mano della Dea Bianca’.

Smiley non ha letto nemmeno una riga. Chiama Bloob, che di tutta fretta lo porta all’Isola Meccanica.

Il lampo azzurro lo trasporta affianco alla stessa piscina di lava dove si trovano Pan e Brinna. Fa un giro zoppicando: non trova nessuno. Nota i resti di Brinna, ora meno che una pozzanghera trasparente. Probabilmente comprende cosa sia successo. Si dirige verso uno dei robot spazzini che si trovano lì vicino. L’essere non sembra essere senziente.

“Come posso esservi utile?”

Smiley tossisce disperatamente e fa un respiro profondo “Mi sono cadute delle ossa dentro la piscina numero 2” finito, sputa a terra un grumo di sangue e bile.

Il robot incomincia subito il lavoro con un retino dai fili color mercurio. Quel colore scintillante fa digrignare i denti del ragazzo. Si regge la testa con entrambe le mani. Il robot ha già pescato quel che sembrano delle scapole e un lungo femore. Sono piccoli, tuttavia fin troppo grandi per un bambino. Il robot conclude il lavoro facilmente e si avvia verso il cliente.

Smiley deglutisce con la testa fra le ginocchia. Quel colore se possibile gli da ancora più fastidio. I suoi occhi si rigirano e le sue ginocchia cedono. Cade a terra svenuto per la fatica.

“Operazione conclusa con successo. Ritirare l’oggetto perduto”.

Smiley è ancora a terra esanime. 

“Operazione conclusa con successo. Ritirare l’oggetto perduto”.

I frammenti delle ossa della Dea scintillano sotto la luce delle stelle. Smiley respira rumorosamente. Bloob, uscito fuori dalla lanterna, si guarda attorno preoccupato. Il robot, incapace di comprendere e di pensare, continua a rimanere di fronte al ragazzo svenuto.

“Operazione conclusa con successo. Ritirare l’oggetto perduto”.

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Capitolo 15
*** Quattordicesimo giorno ***


Hai dormito profondamente la scorsa notte.

Tekla ha voluto essere cordiale, a modo suo. Ha portato Joy nello scantinato e insieme a te ha portato avanti un progetto insolito: ovvero quello di un robot capace di cantare, ballare e sparare raggi laser dalle braccia. Sta pensando anche di modificare il design finale di Joy rendendola alta poco meno di un umano. Ci ha tenuti svegli ben oltre la mezzanotte, finché anche lei non è crollata dal sonno. 

Ti vesti e ti guardi attorno. Tekla non c’è. Dev’essere scesa subito, oppure…

Karoo… il traditore.

La cassetta del videoregistratore sembra pulsare sotto la stoffa dei pantaloni. Osservi le tue mani. Tremano come forsennate. Per qualche strana ragione stai sudando più di quel che credessi. L’orologio sul muro ticchetta ansioso. Sono le undici di mattina. Non hai mai dormito così tanto durante tutto il viaggio. Senti un brontolio raccapricciante dentro il tuo stomaco. Questo non migliora la situazione.

Qualcuno bussa alla porta. Hai sobbalzato rumorosamente. Il divano si è spostato ben oltre il tappeto sotto ai tuoi piedi.

Apri la porta. Prima ci togliamo questo fardello di dosso prima la nostra missione sarà compiuta. 

I tuoi passi sembrano piantarsi sul legno come pesanti pezzi di roccia. La tua mano è sudaticcia mentre afferri il pomello. Il metallo bianco scivola sotto le tue dita. La porta cigola mentre la spalanchi. 

“Meno male, mi hai aperto!” esclama una terrorizzata Tekla, più sudata e tremolante di te. Per qualche strana ragione non puoi fare a meno che tirare un sospiro di sollievo “Non sapevo se svitare la porta o sciogliere il pomello con il laser. Si è bloccata senza motivo”.

Sembra avere tante cose per la testa e tra queste cose tu non c’eri. Praticamente ti sbatte contro il muro per entrare. Scende nel sottoscala, crea del rumore assordante e ritorna di nuovo su con dei giganteschi fogli spessi sotto l’ascella. Non ne sei certo, ma credi di aver sentito un ‘Potevi farne a meno di svegliarmi!’ al di là della porta. 

“Una persona ti vuole conoscere. Vieni con me!” dice, ancora più affannata. Ti afferra per un braccio e ti catapulta fuori da casa sua. Per poco non inciampavi addosso un incendiario che, con le sue fiamme blu, stava cercando di non bruciarti la maglietta. Ti guarda in cagnesco scuotendo la testa, ma sembra avere troppa fretta, quindi fugge. La via per il generatore sembra essere la più trafficata. I fuochi fatui provano a volare, ma anche gli incendiari sembrano avere la stessa idea. Ostruiscono il passaggio sia per terra, per i poveri robot, sia per aria. Tekla passa in mezzo a loro come nulla fosse e ricominci ad inseguirla.

Fortunatamente Tekla si sta dirigendo sempre più in alto e non verso le piscine di lava ai piedi del vulcano.

Saltellate fra fuochi fatui e robot a forma di topi e blatte metalliche, salite in verticale su una scaletta e ricominciate con ancora più foga la salita. Raggiungete il locale dove avete concluso la vostra avventura con Joy. Qualcuno affianco all’ascensore ha portato un cubo di metallo bianco lungo e spesso, senza alcuna incisione. Hanno lasciato due fiori di plastica, uno blu e uno giallo, in memoria di qualcuno. 

È la tomba del robot che abbiamo ucciso.

Tekla ignora il ristorante, continua la sua salita verso una scalinata bianca. Lo sguardo ti cade attraverso le finestre ampie: vedi G.R.O.S con dei piatti in testa, cigolando tra i tavoli. Sembra essere soddisfatto e felice. Tekla oltrepassa la scalinata. Si sta dirigendo verso la bocca del vulcano. 

Più in alto vi dirigete più l’aria sembra appesantirsi. Istintivamente porti una mano alla bocca e al naso. La nube nera sta entrando dentro le tue narici e nessun ventilatore di Tekla potrebbe mai raggiungere una tale altezza. 

Tekla si ferma, non comprendendo. A metà strada ha deciso di fermare i piedi a terra. Di fronte a noi si mostra un centauro dalla metà equina zebrata e dal corpo di colore. I suoi capelli sono stati riuniti in innumerevoli trecce. Il centauro si fa aria con la mano, scuotendo agitato la coda. Tekla tira su uno dei sorrisi più preoccupati e infantili che tu abbia mai visto.

“Ragazzina, era ora!” esclama la bestia, sbuffando con la sua voce roca “Hai idea di cosa abbia fatto per scalare questa ira degli dei?” indica irritato il vulcano alle sue spalle che in quel momento non sta facendo altro che il suo lavoro: sputare fumo e cenere grigia. 

Tekla si alza sulle punte “Karoo è già tornato?”.

Il centauro sbatte gli zoccoli a terra. Sembra odiare essere ignorato “Ragazzina, ti sto parlando!” finalmente riesce ad avere l’attenzione della ragazza “Il tuo tutore ha avuto dei problemi durante la traversata fra l’Isola dei Ghiacci e l’Isola Meccanica. Temo che tornerà molto più tardi di quel che credessi”.

Tekla non batte ciglio “Ah, non credo proprio”.

“Che insolente!” sbatte l’estremità della sua coda a terra. Incomincia ad avviarsi verso valle. Non possiamo fare altro che inseguirlo “Karoo mi ha detto di non ritardare per non dare preoccupazioni e per rassicurarti. Non ho fatto altro che salire e scendere fra queste montagne gelate e… per gli Dei! Chissà come starà mio nipote. Dev’essere in ansia. Gli avevo scritto che sarei tornato domani, ma a questo punto non credo di riuscire a mantenere la mia parola”.

Finalmente avete raggiunto i piedi dell’ultima salita. I fogli di Tekla stanno ancora salendo su e giù tra l’ascella e il fianco. Non sembra minimamente preoccupata per il suo tutore. Il centauro tira un respiro profondo. Si passa una mano fra le trecce. Guardandolo attentamente sembra la versione adulta e molto più infuriata del piccolo Arco dell’Isola Maestra. 

Chiedi al centauro se suo nipote sia Arco, un compagno di classe di Pan. 

La Creatura sembra averti notato solamente adesso “Conosci quel marmocchio? Si fa notare facilmente a scuola… E questo cosa diavolo dovrebbe essere?” mostra i denti, cavalcando attorno a te in cerchio “Sembri…”.

“Sì, è un umano e ha appena concluso il viaggio” poggia a terra i fogli Tekla. Le hanno dato più fastidio del necessario. Il centauro galoppa a tre centimetri dagli occhiali della ragazza. 

“Ragazzina, cosa vorresti dir-”.

“Karoo, non dovremmo iniziare a lavorare?” 

Il centauro rimane basito. Volta lo sguardo adocchiando qualcosa alle vostre spalle. Un fuoco fatuo grigio chiaro è apparso dietro di voi in un battito di ciglia. La sua essenza brucia ancora più ossigeno nell’aria. Inizi a boccheggiare, non hai più fiato. La Creatura ammicca dietro le tue spalle, palesemente divertita. Non ricordi di aver mai visto un fuoco fatuo di una colorazione del genere.

“Karoo…” sbianca Lysso.

Il fuoco fatuo estende parte delle sue fiamme per creare una mano. Saluta Tekla, resasi conto di aver sbagliato persona. Il colore della Creatura s’inscurisce sempre più, diventando simile al petrolio. Spuntano delle lunghe gambe fasciate dentro dei pantaloni formali, delle braccia e un busto magro. La testa di Karoo prende forma fino ad apparire di fronte a noi. Si passa una mano sul cranio rasato e sorride con dei denti tanto bianchi da brillare.

“E’ tornato appena in tempo… meraviglioso” sputa veleno Lysso. 

Tekla gli si getta addosso e lo abbraccia. Qualcosa dentro di te raggela: Tekla raggiunge a malapena la sua pancia. Finito il saluto, Karoo si erge in piedi. È talmente alto da dover alzare gli occhi al cielo per guardarlo negli occhi. Agran era un ragazzo alto e robusto, Karoo sembra un sottile fantasma nero. Si poggia ad un bastone dall’impugnatura d’argento.

“Abbiamo fatto tardi stamattina, vedo” 

“Ah, stavo lavorando ad un nuovo progetto. Un robot amico di un umano, che allo stesso tempo è anche la sua guardia del corpo! Abbiamo pensato tutto questo insieme” Tekla carezza i fogli amorevolmente mentre indica nella nostra direzione.

Negli occhi di Karoo brilla una luce interessata “Quindi tu saresti l’umano venuto da fuori? Tekla e Tomoko mi hanno scritto di te. È un vero piacere fare la tua conoscenza” dice, alzando la mano. 

Gliela stringi e non riesci a fare a meno di osservarlo. I suoi occhi sono stretti in due fessure minuscole, il suo sorriso è ampio e ambiguo. Ti guarda come se fossi un animaletto indifeso sotto i suoi artigli da predatore o come uno scienziato osserverebbe con un’emozione maligna la sua nuova creazione. La sua gigantesca mano ingoia la tua. Te la stringe come se le tue ossa fossero meno che ramoscelli. Osserva la Creatura di fronte a sé divertito e perfido. Ti senti infinitamente più basso di lui. 

Lysso trotta attorno a noi, sciogliendo la stretta di mano “Bene, è stato interessante ma pericoloso. Me ne vado” grugnisce qualcosa del tipo ‘pazzo malato’, ma non ne sei certo. Karoo si concede una risata, affatto accettata dal centauro. 

“Lysso, ti avvii verso la città? Potrei offrirti una tazza di tè”.

“No, mai più” il centauro arretra innaturalmente all’indietro “Torno da mio nipote. Da quando mio fratello ha tirato le cuoia me ne devo occupare io, ti ricordo”

Karoo alza le spalle, accettando la scusa “Buon viaggio, fai attenzione ai ciclopi!”

Nello sguardo di Lysso si è palesata un’ombra di terrore. L’hai notato per un breve attimo prima che iniziasse a galoppare lontano, fino a scomparire dentro il complesso di edifici. Tekla e Karoo si avviano verso i laboratori. Oltrepassano l’hotel. G.R.O.S è ancora dentro. Lavora come un’ape andando avanti e indietro tra i tavoli. La clientela è diminuita di numero, eppure c’è ancora tanto da fare. Karoo si trascina la gamba sinistra come se pesasse una tonnellata. Cammina usando il bastone con abilità.

Più tempo si trasforma più la sua forma umana perde spessore. Anni fa le sue mani erano rigide come piombo, ma adesso sono le sue gambe ad avere la meglio su di lui. Conosciamo il suo potere: può trasformarsi in qualsiasi Creatura, oggetto animato o inanimato… meglio di qualsiasi altro metamorfo.

“In che senso ciclope?” chiede ingenuamente Tekla.

“Oh, ti avevo scritto di aver incontrato Lysso durante il viaggio di ritorno. Ho scoperto molte cose interessanti sul nostro amico. Sembra che gestisca un piccolo pezzo di terreno nel golfo a sud dell’Isola dei Giganti. Insieme ad altri suoi simili e a qualche troll saccheggiava le zattere e le navi che entravano inavvertitamente da fuori, al confine delle nostre isole. I marinai erano umani e sono stati decimati prima ancora che li raggiungessi. Hanno raggruppato un bottino interessante… non guardarmi così, piccola mia, non appena tornerò per un controllo porterò tutto quello che vuoi”.

Tekla lancia un’occhiate alle sue spalle, dove poco prima Lysso è fuggito di corsa “Come hai risolto la questione? Il contrabbando e la pirateria sono illegali nel nostro arcipelago” 

Karoo si passa la lingua sulle labbra “Come posso dire… Mentre si spartivano il guadagno della giornata un enorme ciclope è apparso in mezzo a loro, facendo andare l’intero plotone di troll nel panico. L’intera faccenda è stata risolta in meno di tre minuti. Ho deciso di lasciare andare Lysso con la condizione di non ripetere più i suoi errori e di rimanere ai confini dell’Isola Maestra per almeno tre anni. Sciocchezze per un centauro centenario, senza dubbio non ritornerà sui suoi vecchi passi”.

Notano tutti e due che tu ti sia fermato in mezzo alla discesa. Entrambi ti osservano, chi perplesso, chi interessato da ogni minuscolo dettaglio sul tuo volto. 

Chiedi se li abbia uccisi.

Karoo batte piano le palpebre. Capisce di non essere ascoltato da nessuno nelle vicinanze e si schiarisce la gola “Piccolo umano, per avere la pace tra le Isole alle volte sono necessarie delle piccole punizioni. Per un kharacora di mia conoscenza basterebbe qualche settimana di lavoro civile, per qualcuno è necessario il bando dalle Isole” continua a fissarti intensamente. Qualsiasi reazione tu stia avendo probabilmente lo sta compiacendo “I troll vivono da soli in balia di se stessi, senza una famiglia, lo stesso vale per i centauri. Ho fatto un’eccezione per Lysso perché ha un nipote che lo aspetta e che rimpiangerebbe la sua morte, altrimenti non avrei fatto sconti nemmeno per lui”.

“E’ qualcosa che talvolta accade, cioè… non sempre. Ma è necessario” continua Tekla, come se stesse discutendo di un acquazzone di fine marzo.

“Esattamente” annuisce compiaciuto Karoo, carezzando la spalla di sua figlia. 

Ci mancava solo questo… ammazzano chi non merita di far parte del loro piccolo mondo. Cosa? Ti viene in mente Kreos? Noi abbiamo dato fin troppe possibilità a quel farabutto. Ha deciso lui stesso di intraprendere questo viaggio, anche se ammetto che non volevamo altro che morisse. 

Raggiungete la casa di Tekla. Karoo osserva gli interni compiaciuto. Senza dubbio è molto diversa da come lo era anni fa, con le sue stanze spoglie. Tekla apparecchia la tavola, solo in questo momento ti ricordi di non aver mangiato nulla stamattina. Karoo rifiuta cortesemente il piatto, allora viene rifilato a te. È una minestra di lenticchie e patate. Cominci a mangiare dopo Tekla. Sembra più acqua che brodo, ma ti riscalda la pancia. 

Alzando piano gli occhi dal piatto hai incrociato lo sguardo con quello di Karoo. Continua ad osservarti come se tu fossi una creatura da tagliuzzare e da esplorarne le viscere. Hai troppa fame per concentrarti su di lui.

“Lascia tutto il lavoro a Tekla. Noi due faremo un paio di chiacchiere in privato”. 

Si alza dal tavolo con le carte della ragazza tra le dita. Tekla le aveva strette sotto le ascelle, ma lui riesce a stringerle come se fossero pagine di giornale. Osservi la ragazza sparecchiare alle tue spalle. Qualcosa ti impedisce di raggiungerlo. Il mazzo di chiavi che aveva usato per chiudere le porte del piano di sotto sono state lasciate nel chiodo sopra l’appendiabiti.

Prendile, per amore della Dea!

Le afferri, tintinnano un po’, ma Tekla sembra non accorgersene. Le infili in tasca e scappi dietro al mago. Ti ha aspettato con pazienza fuori dalla porta. Il sorriso che ti porge è diverso da quello che hai visto durante la stretta di mano. 

“Mi hanno riferito che vorresti tornare a casa, fuori dal nostro arcipelago. È comprensibile, ma prima vorrei che mi facessi un breve riepilogo di tutto il tuo viaggio. Dovremmo cercare un posto dove sederci… no, ai laboratori no, troppo rumorosi. Tekla mi ha suggerito quel ristorante che abbiamo incrociato pochi minuti fa. Sono felice che abbiano aperto di recente. L’Isola diventerebbe più interessante anche agli occhi degli esterni” lancia un’occhiata ai fogli che porta con sé. Sono le mappe dell’arcipelago, una simile a quella di Tomoko e altre di particolari di piccole e grandi isole.

Un’ombra sgattaiola alle vostre spalle, non appena voltate l’angolo, non lontano dalla casa di Tekla.

 

Smiley respira con affanno. Ha guance rosse e cicatrici altrettanto scarlatte. Si trascina dentro il soggiorno di Tekla come se le sue stesse armi siano diventate pesanti come incudini. Al di là della cucina sente il rumore di una vite cadere a terra. Qualcuno sta cercando il pezzo mancante e per farlo ha spostato il tavolo rumorosamente. Fogli di carta cadono, fluttuano e vengono riacchiappati al volo. 

Smiley recupera fiato, cercando di darsi un contegno. Il suo respiro non sembra rilassarsi, ma meglio che niente, probabilmente starà pensando. Spalanca la porta della cantina ed entra senza tante cerimonie. Tekla ha appena sistemato il tavolo che aveva spostato. Sopra c’è Joy, probabilmente spenta poco prima di incominciare il suo progetto. Il foglio che ha appena recuperato da terra mostra lo schema di un paio di gambe e delle braccia flessibili. 

In un angolino vedi una chitarra abbandonata in mezzo alla polvere.

Smiley sorride con una punta di preoccupazione “Tekla, buongiorno”.

Tekla ha bisogno di qualche secondo prima di comprendere chi sia entrato nella sua officina. Si infila gli occhiali da vista e i suoi occhi si abituano alla luce soffusa della lampadina. Vede il ragazzo, non sembra affatto turbata “Oh, Smiley!” afferma, più incredula che perplessa “Non sapevo che tu fossi venuto. Non hai inviato nessun messaggio. Tomoko sta ben-?”.

“Tekla, mi dispiace interromperti, ma ho fretta” taglia la domanda Smiley. Aguzza lo sguardo verso Joy, nota il suo occhio spento e il suo collo morbidamente adagiato sulla spalla. Sembra decisamente più tranquillo. Tekla alza un sopracciglio. Il suo labbro sembra essere indeciso se abbozzare un sorriso o no. 

“Certo” temporeggia, ancora più incerta “Di cosa hai bisogno?”.

Smiley apre la bocca per rispondere, ma qualcosa lo ferma. Si gratta la testa guardando il soffitto per un’infinità di secondi. Tekla attende la risposta aggrottando le sopracciglia. Da incerta è diventata curiosa.

“Mi serve…” si lecca le labbra il ragazzo “…il tuo cervello”.

Tekla ha bisogno di qualche secondo per realizzare cosa intenda dire. Ha compreso. Lo si capisce dai suoi occhi scavati e dal tremolio leggero delle sue ginocchia. Lancia un’occhiata alla porta affianco a Smiley e capisce con amarezza che non riuscirà mai a raggiungerla. Rivolge lo sguardo verso il semibusto del robot. Sembra meditare fra sé e sé.

“Oh…” non riesce a dire altro. 

Smiley capisce di aver sbagliato approccio e decide di avvicinarsi, calcando bene ogni passo che fa “Sarà una questione di minuti. Mi è venuta un’altra crisi qualche settimana fa ed è peggiorata da quando io e Jo-Jo abbiamo litigato. Per qualche strano motivo, da quel giorno, mi batte il cuore molto più forte del solito” dice, poggiando le mani proprio dove il cuore gli duole “Mi ha fatto venire in mente un piano geniale, ma ho bisogno della tua macchina e anche dei frammenti della Dea. E… anche un contributo dall’umano”.

“Oh” risponde Tekla. Qualcosa illumina i suoi occhi. Sembra aver trovato la soluzione al suo problema.

“Non ci vorrà molto, però dovrai collaborare. Non ho davvero un second-”.

“Oh!” esclama Tekla una terza volta. Le brillano gli occhi, presi da un’idea o forse da un pensiero. Nonostante tutto sembra aver dimenticato completamente quello che ha detto il ragazzo. Smiley rimane con le dita incrociate, confuso da tutto quello che sta vedendo. Tekla sospira serenamente, come se si fosse tolta un pensiero di dosso. Sorride senza paura. Smiley sembra essere pronto a tutto. 

“Nessun problema!” afferma facendosi aria con la mano “Sarebbe utile anche a me! Ma, Smiley… Agran?”.

Smiley rilassa le spalle. Imita uno sguardo mortificato, per nulla mortificato in realtà “Ecco… devo averlo ucciso. Ops” commenta alla fine, abbassando lo sguardo, come se fosse veramente rattristato per la sua morte. Tekla dà aria alle guance e posa le mani ai fianchi. Lo squadra irritato, lui per tutta risposta non fa altro che abbassare ancora di più gli occhi. Sotto il suo sguardo, Tekla non può vederlo, ma Smiley attorciglia gli angoli del viso. Trattiene una risata. 

“Smiley, sai che ci tengo molto a lui! Adoro gli eroi e non dovrebbe perdere mai! Non dovevi farlo!” lo rimprovera in un modo fin troppo infantile. 

Smiley finalmente alza gli occhi. Batte le palpebre, scocciato “Tekla, la giustizia non esiste e tu non puoi amare qualcuno perché sembra un paladino della giustizia”.

“Agran è un paladino della giustizia! Ed è veramente così!” ribatte, calpestando il terreno “Lui è perfetto così com’è! Spero che rimanga così per sempre e non com’era prima quando mi picchiettava la test-”.

“Tekla, non è il momento” deglutisce il ragazzo. Respira con fatica, trattenendo fra i denti quel che probabilmente è un lungo discorso “Non riesco a controllare più il mio cuore. Lo capisci, vero? Sarebbe meglio procedere. Non ti sei offesa?”.

“No, no, ti capisco!” Tekla ritorna in sé, felice e spensierata, come se non fosse davvero accaduto nulla e non si fosse messo in dubbio il suo amore per la persona a cui ha organizzato un piano per innamorarsi di lei. Tekla non ama il vero Agran a quanto pare. Si siede sulle proprie ginocchia, srotolandosi il colletto della divisa. Scopre il collo al proprio aguzzino, mentre quest’ultimo cerca l’angolazione giusta con il fucile, pronto a sparare. 

“Metti la testa più in basso. Eh, no, più a destra. Tekla, non muoverti così tanto! Ma ti devo pure dire come si abbandona la testa in basso!” Tekla ribatte qualcosa di simile a delle scuse, ma non ne sono affatto certo “Se non sparo nel punto giusto potrei farti del male e sarebb-. Va bene così. È perfetto! Chiudi gli occhi e conta fino a dieci”.

Tekla ubbidisce. Già che si trova lì, prova persino a deglutire “Ok, sono pront-”.

Un lampo bianco esce dalla bocca del fucile. Il proiettile colpisce in pieno la gola di Tekla. Il boato è devastante, talmente tanto che le pareti per qualche decimo di secondo sembravano tremare sotto ai nostri piedi. Smiley ricarica il fucile, il sangue di Tekla è schizzato addosso a lui. È impantanato dalle scarpe fino al viso. Non si asciuga e non sembra avere intenzione di farlo. L’impatto del proiettile verso il collo di Tekla ha creato un buco tra la carne e la spina dorsale. Il collo della ragazza è completamente esploso, facendo saltare la testa da qualche parte nella stanza.

Il sangue è schizzato anche sulla chitarra.

Smiley trova quel che rimane di Tekla, in un angolino della stanza. L’afferra per i capelli guardandola diritta negli occhi. Tomoko aveva e ha tutt’ora uno sguardo agghiacciante. Tekla sembra semplicemente sorpresa, in una contrazione innaturale del viso.

“Cinque minuti e poi da Karoo” dice più a se stesso che a Bloob, appena uscito dalla sua prigione. Smiley non si accorge di lui, che nel frattempo continua a svolazzare nella stanza facendo riflettere la sua luce azzurra sulle pareti. Smiley afferra uno dei suoi numerosi coltelli e inizia il lavoro. Comincia a intagliare il… cranio… Tekla… esce sangue… no, basta. 

Bloob ha tra le sue spire infuocate un oggetto tondo. È l’orologio che Smiley ha portato con sé per tutto il viaggio, sin dall’Isola Minima. Bloob aspetta il momento giusto. Tutta la sua essenza trema selvaggiamente. Svanisce nel nulla, teletrasportandosi chissà dove. Smiley non si accorge di nulla. Continua ad intagliare la testa della ragazza che ha appena ucciso.

Me ne vado. Comincio a sentirmi male.

 

Le porte dell’ascensore si spalancano di fronte a noi. Ti sei scrollato Karoo senza problemi. In qualche modo sembra che tu abbia trovato una scusa per scendere qui senza farti notare. La cassetta del mago è nella tasca dei tuoi pantaloni. Qualcosa provoca in te uno strano tremolio. Sei pronto a tutto. 

Vediamo cos’ha da nasconderci il nostro maledetto traditore.

Senti le spalle scoperte dopo aver oltrepassato le porte. Voltandoti non vedi nulla e nessuno. Sfili le chiavi dalla tasca e apri la porta. Osservi brevemente la stanza di fronte a te. Il tavolo e i videoregistratori sono nello stesso ordine in cui li hai lasciati. Non potrebbe essere diversamente. Afferri uno dei tanti marchingegni e infili la cassetta all’interno. Fai un respiro profondo. Tentenni ancora una volta.

Muoviti, prima che accada qualcosa! 

Pigi il pulsante e lo schermo s’illumina di bianco.

Un ragazzino di colore guarda i propri pugni stretti, con un’aria più malinconica che corrucciata. Si guarda attorno. Vede la lunga e stretta tavola che i suoi genitori hanno portato dalla cucina fino al bosco accanto casa. Respira aria fredda e muschio. Si sente a disagio lì, in mezzo ai suoi fratelli. Loro sono alti e bassi, bambini e adulti, perfino coetanei o quasi. Somiglia a loro, eppure è completamente diverso. 

Sua sorella maggiore fa sedere una Creatura dalla pelle quasi bordeaux. L’elfo dell’ovest ringrazia la ragazza e prende posto in mezzo a loro. Karoo risponde all’ospite e ai figli dell’elfo con un sorriso incerto. Anche questa persona lo mette in imbarazzo. Osserva passivamente il suo fratellino di tre anni giocare con i bicchieri. Nonostante l’età riesce a sollevarli in aria, senza nemmeno toccarli. Qualcuno lo richiama e lo fa scendere dal tavolo. L’ospite ride, Karoo non può fare altro che imitarlo. Deglutisce impacciato. Si sente ancora fuori luogo. 

Lancia un’occhiata amareggiata al tavolo e ai suoi ospiti. I suoi fratelli maggiori hanno preso posto, i minori giocano lontano, nella parte di bosco più cupa. Loro possono addentrarsi in posti pericolosi, possono prevedere il pericolo. Suo padre gliel’ha proibito sin da quando aveva cinque anni. Tutti loro sono identici, con la stessa pelle e le stesse labbra carnose. Tutti hanno gli occhi azzurri, tranne lui. Si sente fuori luogo qui, in mezzo a loro. 

La punta di un bastone spezza il vetro del proiettore. Sobbalzi sul posto, preso alla sprovvista. Il volto di Karoo sembra una maschera inespressiva. 

“Chiunque venga da fuori vuole sempre conoscere i protagonisti del nostro piccolo arcipelago. Vedo che hai approfondito i ricordi della maggior parte di loro”.

Dal proiettore escono suoni e parole confuse, lo schermo è stato irrimediabilmente danneggiato. Karoo ha cambiato espressione. Sorride, senza essere né arrabbiato né felice. Strappa il bastone dal vetro scheggiato. I cocci rimbalzano sul pavimento. 

“Quella cassetta è molto importante per me. Immagina di trovare il diario di una donna distrutta dal dolore o quello di un bambino solitario. Pensi che apprezzerebbe mai vedere parte di se stesso nelle mani di una persona sconosciuta? Immagino che tu non abbia nemmeno chiesto a nessuno dei nostri ragazzi il loro permesso di osservare le loro menti” afferma, stranamente divertito di quello che hai fatto.

Nonostante ciò, non ti senti affatto sollevato. Istintivamente i tuoi occhi si posano alle spalle dell’uomo. La porta è spalancata, ma irraggiungibile. Karoo è alto e, anche se snello, ingombrante. Non potresti mai sorpassarlo o scaraventarlo di lato per fuggire. Inoltre le porte dell’ascensore sono chiuse. Karoo analizza il tuo sguardo minuziosamente. Il viso sereno che ti mostra sembra molto più uno sguardo glaciale. 

“Spegni il registratore” ti ordina. 

Ubbidisci. Qualcosa ti obbliga a farlo. Nella stanza non si sente altro che la sua voce e i battiti impazziti del tuo cuore. 

“Portami la cassetta” ordina ancora una volta.

La videocassetta scatta sul palmo della tua mano. Torna l’oscurità nella stanza. Non riesci ad alzare gli occhi su di lui. Qualcosa ti impedisce di farlo. Lo poggi con riluttanza sul suo palmo aperto. Karoo nota il tremolio della tua mano e ne sembra soddisfatto. Si rigira l’oggetto tra le dita come se lo vedesse per la prima volta.

Non sta usando nessun incantesimo, ne sono certo. Sa manovrare le persone come burattini, maledetto doppiogiochista.

“Sapevo che fossi una persona intelligente” ti rincuora, facendoti sentire ancora più fragile “A quanto pare non sono il primo ad averti fatto notare la mancanza di rispetto nei confronti dei nostri ricordi. Non ti allarmare, la curiosità non è sempre un male. Anzi, grazie a questa sono diventato quel che sono adesso”.

Lascia la presa dalla cassetta e questa cade a terra con un tonfo metallico. L’intera stanza sibila di dolore. Il bastone si muove lentamente in aria e ricade sull’oggetto senza pietà. Il vetro si frantuma sotto il peso di Karoo. Ha distrutto i suoi stessi ricordi. Karoo ne sembra indifferente. Analizza il tuo viso più che interessato. 

“Beh, non è successo niente” si concede una risata. Non riesci ad imitarlo. Ti afferra saldamente per la spalla, costringendoti a camminare verso l’ ascensore insieme a lui “Mi rendo conto di conoscerti poco e tu stesso non conosci affatto il sottoscritto. Hai percorso centinaia di miglia soltanto per incontrarmi. È notevole, lo dico sinceramente. Non molti Adepti della Dea Bianca hanno avuto abbastanza pazienza per affrontare un viaggio come il tuo. Vedono il mondo attorno a loro come se fosse la pagina di un libro. Si annoiano, perdono la pazienza e abbandonano la loro missione. Così facendo lasciano che la guida prenda possesso del loro corpo e faccia qualcosa di avventato. L’unica cosa che avrebbero dovuto fare sarebbe stato ascoltare e abbandonarsi alla lettura”. 

Entriamo insieme nell’ascensore. Le tue mani tremano ancora mentre le porte si chiudono. 

Hanno progettato il viaggio?! Hanno voluto metterci alla prova e poi decidere cosa farne di noi?! Sono pazzi! Sono veramente pazzi! 

In un attimo le porte dell’ascensore si spalancano. Karoo esce prima di te, completamente insensibile alla tua agitazione. Cammina con così tanta lentezza, col suo lungo bastone, che sarebbe impossibile perderlo di vista. Lo segui, badando a dove metti i piedi. Un robot cubico arriccia il gigantesco bullone che ha al posto dell’occhio nel vedere Karoo, così come fa un fuoco fatuo cobalto poggiando le sue mani fiammeggianti sul viso. Karoo fa un cenno di saluto. Il fuoco fatuo risponde, imbarazzato. Capisci che non è Karoo che sta portando scompiglio. La fiamma cobalto sembra fissarti intensamente, i robot ti scannerizzano, un incendiario arriccia le fiamme sulla sua testa. Sembrano sapere qualcosa che tu non sai. Con una lentezza esasperante Karoo si trascina fuori dal laboratorio. Vi avviate vicino alla casa di Tekla, ma fortunatamente proseguite. La salita verso l’hotel sembra essere diventata molto più ripida di come la ricordassi.

“Ho ascoltato attentamente la tua storia. Sono state delle settimane interessanti, per quanto abbia compreso” afferma, serio e amichevole “Vorrei tornare sui tuoi passi per comprendere l’opinione che hai espresso sui nostri ragazzi in merito a questa esperienza. Non è un’interrogazione scolastica, non devi aver paura” ridacchia, facendoti sciogliere il velo di terrore che avevi sulle spalle. È incredibile come lui riesca a manovrare i tuoi sentimenti “Molto bene, incominciamo”.

Karoo riflette e lascia che tu rifletta. Siamo giunti alla fine della salita. L’hotel è indaffarato e caotico come sempre. Non vedi G.R.O.S, ma probabilmente starà lavorando. Karoo non si ferma, continua imperterrito la sua salita. Per un attimo i tuoi piedi si erano fermati sul tappeto rosso all’ingresso, non puoi fare altro di seguirlo.

“Hai incontrato Tomoko al tempio dell’Isola Minima, la mia cara collega” sospira con un sorriso divertito “Hai scoperto le origini dei frammenti della Dea Bianca e dei rapimenti delle Creature Umane, Magiche e Fantastiche. Spero che tu abbia avuto un’opinione positiva su di lei”.

Era una domanda, ma era sembrato qualcosa di completamente diverso. Ricordi Tomoko e del cibo squisito che preparava per te e per Smiley, della stanza che ti aveva affidato, della discussione di fronte ai quadri della Dea. Ricordi le litigate con Smiley, il suo essere infantile e severa allo stesso tempo, ricordi come sia annegata nella vasca per colpa del ragazzo. Ricordi che lei sta viaggiando in un sacchetto rosso. 

Rispondi come meglio credi a Karoo. Lui annuisce, soddisfatto. 

“Tomoko ha avuto una vita travagliata sin da bambina, credo che tu l’avessi intuito” afferma alzando le spalle, come se l’informazione fosse ovvia “Non ha mai accettato la testa che ha sulle sue spalle. Appena ne ha avuto l’occasione è riuscita a creare un esercito per sconfiggere la setta della Dea Bianca. Ha un’ideale di giustizia molto radicato, difficilmente cambia parere su ciò che ritenga giusto o sbagliato. L’ammiro… e la odio per questo”.

Le ultime parole ti hanno fatto quasi inciampare sui tuoi stessi passi. Karoo ti ha preso alla sprovvista. Nota il tuo smarrimento, allora si ferma. Ti guarda negli occhi, ma non vedi vero rancore. Sorride dolcemente “Non fraintendere, non provo risentimento nei suoi confronti. Abbiamo semplicemente idee diverse e spesso entriamo in contrasto. Non appena ci conosceremo meglio mi comprenderai”.

Continuate la scalata verso la vetta. L’aria sta diventando sempre più pesante, le ventole non raggiungono la vostra altezza. Incominci a sudare dalla schiena. Vi state dirigendo verso la bocca del vulcano. Karoo non sembra accusare nulla di quel che stai provando.

“Dopo qualche giorno sei salpato sulla Rosa Bianca, hai raggiunto l’Isola Magna e hai incontrato i due fratelli Jolka e Pantalassex. Il piccolo Pan sicuramente avrà voluto farti da cicerone nella capitale. Chissà come ti sarà parso il bambino”

Ricordi Pan e le sue lentiggini, la sua enorme forza e il suo desiderio di essere accettato. Ricordi il pugno fermato appena in tempo, gli abbracci che non poteva dare alla sorella, l’ammirazione verso Agran e l’irritazione che provava verso Jolka. Ricordi anche le lacrime dopo la scuola e la golosità che aveva. Ricordi la sua carne bruciata nella lava.

Rispondi a Karoo. 

“Pan è un bambino come tanti, ma sente il peso sulle sue ossa” afferma tristemente “Comprende perfettamente di essere diverso, l’ha accettato anni fa, ma non si sente ancora pienamente parte dell’arcipelago… e forse nemmeno parte del nostro gruppo” sospira amareggiato “Pan è ancora inesperto e ha bisogno di conoscere il suo potenziale per trovare pace in se stesso. Spero che il regalo che gli ho fatto possa rincuorarlo”.

Aspetta… ha voluto regalare lui la piccola Brinna a Pan?

“Agran mi aveva informato di aver trovato mesi fa un piccolo esemplare di metamorfo sull’Isola dei Giganti. Ho pensato che avere un amico potenzialmente indistruttibile potesse giovare al piccolo Pan” continua a camminare imperterrito “Sono certo che abbiano fatto amicizia. Dopotutto i metamorfi hanno una mente limitata. Gli basta ubbidire ciecamente alla persona a cui sono affidati per essere felici”.

Ma come ti permetti?! Siamo fedeli ai nostri padroni, ma questo non significa che siamo degli idioti!

Massaggi l’interno delle orecchie. Devo aver urlato troppo forte. Karoo analizza minuziosamente il tuo gesto. Sorride, facendomi sussultare. Continua a zoppicare verso la cima come se niente fosse, eppure il suo sguardo ha detto più del necessario. Ha compreso chi sia la guida dell’umano.

Giunto alla cima, continua ostinato il cammino fino alla bocca del vulcano. L’aria è pesante, ma fortunatamente non irrespirabile. Osservi l’uomo scendere all’interno l’enorme cratere, in un piccolo angolo in cui il fumo non lo sfiora. Noti delle scale, che scendono sempre più in basso, fino al ventre della montagna. Karoo continua a scendere, il suo bastone picchietta sugli scalini color mercurio. 

“Jolka è una ragazza buffa ed estremamente infelice. Sono certo che avrai un’opinione interessante su di lei” continua il suo discorso, prendendoti alla sprovvista. Le scale per qualche strana ragione non vengono toccate dal fumo. Respiri aria tiepida.

Ricordi Jolka e come ti ha accolto sulla Rosa… facendoti quasi cadere in mare. Ricordi la prova sulla sua nave, le gomitate scherzose e gli abbracci al fratello. Ricordi il matrimonio di Fann e di Tasm, le parole serie verso Agran, l’incontro con Smiley. Ricordi gli occhi rossi e il vomito verde acido.

Rispondi a Karoo. Qualcosa pesa nel tuo stomaco. Il rumore sordo del bastone sul metallo ti fa ricordare del mago. 

“Jolka è un mondo a parte, difficile da comprendere” ti lancia un’occhiata dietro le spalle. Sembra deluso dalle tue parole “Da come ne hai parlato sembra un giullare o un fenomeno da baraccone. Ci ha chiesto lei di non aprire bocca sul suo comportamento di fronte a Pan. Non vorrebbe caricarlo delle sue angosce” avanzate nel buio. Il fumo non ti fa vedere più in là della figura di Karoo “Ama immensamente suo fratello. È riuscita a cambiare grazie a questa leva, ma la vera Jolka non si comporterebbe così… Jolka è una persona riservata, le risulta faticoso socializzare con il prossimo e, soprattutto, a dargli fiducia. Il suo terrore verso il mondo esterno ha creato scompiglio per anni, per colpa del suo potere disastroso. Immagino che tu non lo sappia, ma i Compatibili sono riusciti a fuggire grazie a lei”

Su questo ha ragione: qualche settimana dopo aver sperimentato gli Occhi in qualche modo il Compatibile è riuscito a liberarsi e a fare una strage. Sono morti tre dei nostri Maestri e altrettanti possibili Compatibili. Nel caos generale gli esperimenti e i restanti Compatibili erano riusciti a fuggire. È stata una delle nostre più grandi sconfitte avvenute nella nostra organizzazione.

Karoo sembra camminare in linea retta, come se la scalinata fosse giunta al termine. Poggi i piedi su un lungo corridoio. Non hai visto lava o vapori vulcanici. Questo vulcano sembra stranamente vuoto. Che il generatore assorba ogni cosa che produce la montagna? O forse è il fumo all’interno che non ti fa intravedere nulla di tutto quel che si trova attorno a noi?

“Successivamente hai viaggiato con Agran, che ti ha portato al di là delle tombe dei caduti fino all’Isola Meccanica. Personaggio intrigante, non è vero?”.

Ricordi Agran e come vi ha salvati dall’attacco della sirena. Ricordi anche il suo sguardo torvo ogni qualvolta gli rivolgevi la parola. Ricordi il violoncello e il fantasma di Caerina. Ricordi la messinscena e l’appuntamento con Tekla. Ricordi il modo freddo con cui l’ha attaccata, anche se per difendere la donna che amava. Ricordi che adesso è nel bel mezzo del nulla, morto di fronte la tomba di Caerina.

Rispondi alla domanda silenziosa di Karoo. 

“Oh, lui è un libro aperto” mormora “Da ragazzo era una persona completamente diversa, a tratti irritante. Girovagava senza meta fra le Isole creando non pochi problemi a me e a Tomoko” piuttosto che sospirare Karoo ride, come se il ricordo fosse buffo “Una strega di nome Caerina l’ha cambiato radicalmente. Dovevi vederlo… com’era innamorato! Ma la morte di persone a noi care nuoce gravemente alla psiche. Agran da ragazzo ha visto molti suoi amici e compagni di viaggio cadere in battaglia, battaglia portata avanti per dargli un futuro. Si sente tutt’ora in colpa e così anche per Caerina. Sta mostrando rancore verso il mondo esterno e in particolare per la setta e i suoi membri, anche se incoscienti di quello che stanno facendo. Fortunatamente ha un figlio e una nipote che si prendono cura di lui. Almeno si sente in pace, nonostante tutto quel che ha vissuto”. 

Karoo sciocca le dita, facendo splendere una fiamma sul suo pollice. La luce si riflette sulla sua pelle. Sembra ossidiana. Accende una lampada ad olio e la stanza s’illumina. Sembra un qualsiasi ufficio, come quello di Jolka sulla Rosa, ma decisamente più ordinato. Karoo sembra odiare la polvere: qualsiasi superficie, sia sul tavolo, sia sulle poltrone, sia sulla scrivania, sembra essere stata rinfrescata di recente. Karoo nel frattempo accende altre lampade. Solo adesso appare di fronte ai nostri occhi un enorme finestra di vetro, che sostituisce il muro. Al di là non si vede altro che un’oscurità indefinita. 

“Legalmente Tekla è mia figlia, praticamente è un’ottima collaboratrice e scienziata. Spero tu l’abbia conosciuta per quello che sia veramente”.

Ricordi Tekla e l’imbarazzo che provava nei confronti di Agran. La messinscena, il modo in cui tratta Joy e gli altri robot, la sua confusione ogni qualvolta si trovava di fronte ad una Creatura con sentimenti profondi. La sua immensa tristezza nel non essere compresa e di non riuscire a comprendere perfettamente se stessa. Smiley l’ha uccisa meno di un’ora fa e nessuno se ne sta accorgendo. 

Rispondi come meglio puoi. 

“In effetti non ci sono molte cose che si possono dire di Tekla… positivamente parlando” afferra una custodia sulla scrivania. Aprendola scopre un paio di occhiali, dalle lenti tonde e talmente piccole da sembrare due punte di spillo “Lei è meravigliosa, con un cervello come il suo potrebbe distruggere e ricreare il mondo in poche ore, tuttavia fallisce nelle relazioni fra più persone. Fallisce anche nell’interpretare i suoi sentimenti. Da questo punto di vista Tekla è una ragazzina appena entrata nell’età adolescenziale”.

Sottolinei il fatto che ogni Guardiano che hai incontrato ha quasi o più di cento anni. Karoo fa uscire dal cassetto una grossa scatola di legno. Nel farlo ti ha lanciato un’espressione quasi delusa. 

“Non sempre l’età di una persona rispecchia quella psicologica, lo stesso vale anche per noi. Ho fatto dei test, una specie di gioco per i ragazzi e per Tomoko. Gran parte di noi ha un’età completamente sbalzata rispetto agli anni che possiede” indossa gli occhiali. Risplendono di un opaco color oro “Tekla mentalmente ha a malapena quindici anni, Agran ne ha una cinquantina, Pan ne dimostra tredici, nonostante i suoi nove anni di età” conclude, studiandoti da testa a piedi. Ti fa segno di accomodarti sulla poltrona di fronte a lui. La scatola sulla scrivania sembra immensamente pesante. 

“Bene, direi che abbiamo fatto insieme un quadro completo della situazione psicologica di ogni Compatibile. Immagino che tu abbia le idee chiare su chi hai avuto a che fare durante il viaggio”.

Ma… non ha parlato di tutti loro.

Fai presente che non avete discusso di Smiley e nemmeno di lui stesso. Karoo poggia le mani sotto il mento. A quanto pare si aspettava una domanda del genere e ne è compiaciuto. 

“Smiley è un caso a parte, sicuramente non hai compreso molto di lui ed è perfettamente comprensibile: non vuole che nessuno conosca il dolore che sta provando. Smiley è un paziente difficile: vorrebbe guarire dal suo male, ma allo stesso tempo non vuole nemmeno liberarsene. Conoscere il futuro di ogni persona attorno a sé è stressante, inoltre il cuore costringe l’ospite ad abusare del proprio potere. Smiley conosce il destino di ognuno di noi e vorrebbe non conoscerlo, però ne è costretto. Impedirgli di usare il suo potere sarebbe come impedire ad un uomo di usare le sue gambe, pur avendole. È diventato parte di sé, non può farci niente… ne riparleremo in futuro. Hai anche chiesto di me”.

Si alza nuovamente in piedi. Karoo ispeziona la finestra di vetro che occupa tutto il muro. Pigia un pulsante e la luce incomincia ad apparire man mano al di là dell’oscurità. Il pavimento color mercurio si sta dilatando fino a scomparire. Vediamo una gigantesca piscina di lava, grande quanto un lago. 

“Ci siamo parlati molto poco. Formalmente sono uno studioso. Ho studiato botanica e scienza sin da ragazzo. Mi sono interessato di meccanica, ma quel che ambisco di più è la magia, sia del ramo solare che lunare. Gli anni erano difficili all’epoca per me e per la mia famiglia, allora mi sono trasferito dalla comunità umana a quella magica, riuscendo a terminare gli studi. Tuttavia quello non mi bastava. Volevo di più. E allora mi sono interessato alla setta e sono riuscito ad entrare nell’Ordine dei Maestri grazie alle mie ricerche. Ho trovato un metodo per instillare i frammenti della Dea Bianca in soggetti definiti Compatibili e ho avviato il progetto per ricostruire la Dea”.

È vero: ci ha aiutati, ci ha compresi. Ma ci ha anche usati e imbrogliati. Dobbiamo ucciderlo. Qui, ora!

“Successivamente alla fuga conobbi Tekla e incominciammo a lavorare insieme per trovare i suoi simili. Mi resi conto però che non mi interessava affatto della Dea e del destino delle Creature. Volevo soltanto la felicità della bambina e un futuro certo per lei. Così spiegai le mie ragioni a Tomoko e decidemmo cosa fare. La guerra era alle porte e con il mio nuovo potere uccisi i miei più fedeli collaboratori e i maggiori esponenti. Ho avuto io l’idea di creare l’arcipelago e di realizzare un mondo in cui chiunque fosse soggiogato o si sentisse in pericolo per colpa della setta potesse trovare un luogo in cui vivere in pace”.

Senti un ruggito in lontananza, allo stesso tempo il vetro incomincia a tremare. Un occhio gigantesco squadra la stanza in cui ci troviamo, una mascella si apre pigramente facendo schioccare quel che sembra muschio attorno alle sue labbra. Le narici della bestia sono grandi quanto un cratere, respirano ed inspirano lentamente. La creatura grottesca si allontana, rivelando un colossale carapace e delle pinne robuste. La tartaruga marina gigante sguazza nella lava come se fosse un acquario. Sul suo guscio cresce una foresta, sul suo collo spunta sabbia bianca e la sua coda sembra un pezzo di terra in mezzo ad un oceano caraibico.

È uno Zaratan, una balena-isola. Per anni hanno popolato i mari fingendosi isole e continenti. Credevo non ne esistessero più. Ma allora… le isole sono gigantesche tartarughe marine! Ora capisco perché non siamo riusciti a trovare il luogo dove si trovava l’arcipelago: gli zaratan navigano attraverso i nostri oceani spostandosi in branco! Gli esemplari più grandi possono contaminare le acque impedendoci di nuotare nel Lago Salato e così le sirene si sono abituate al veleno diventando aggressive. Ha tutto senso adesso!

“Mio caro amico, questo posto è inespugnabile. Come vedi nessuno potrebbe mai farci del male. L’arcipelago s’ingrandirà grazie ad altri zaratan. Vivremo fino a quando la setta non scomparirà definitivamente. Immagino che il tuo collega non te lo abbia detto…” si volta finalmente verso di noi. Sorride come se avesse in mano la nostra stessa vita e se ne divertisse “Con tutti i membri e gli adepti che gentilmente ci inviano ormai è stata, oserei dire, dissanguata da gran parte dei suoi elementi più importanti. Dubito che abbiano più di una decina di seguaci, li abbiamo eliminati tutti. Ci mancano solamente le menti principali e la setta potrebbe essere sconfitta prima dell’inizio del prossimo decennio”.

Si guarda le unghie, ma internamente sembra aver voglia di ridere a squarciagola. 

Ma come… no. Non devi ascoltarlo. S-Sta mentendo! Siamo invincibili, non possiamo perdere. Lui… lui dev’essere ucciso, non deve vivere! Non dopo tutto quello che ha fatto!

“Loro non ti hanno mai dato una scelta, immagino. Me l’hanno detto i simpatici draghi del Ponte, anche Kreos non aveva avuto nemmeno l’opportunità di scappare. Ognuno di loro entra nelle vostre vite credendo di potervi controllare, mettendovi in pericolo per qualcosa di cui non comprendete il significato. Io invece ti sto dando una scelta. Puoi essere te stesso e uscire dall’arcipelago per tornare a casa tua, oppure rifarti una nuova vita qui. Non potrei mai farti del male”.

Non vorrai credere a questo traditore?! Lui ci ha traditi e farebbe lo stesso anche con te! Perché dovrebbe farti vivere qui, con i Compatibili? Vuole ingannarti!

“Hai conosciuto i nostri ragazzi e hai scoperto la verità. Lo leggo dal tuo sguardo: hai già fatto una scelta sul tuo futuro. Qualsiasi sia, io la comprenderò e la comprenderanno anche i loro” annuisce con un sorriso, questa volta sincero. 

È un mentecatto! È spregevole! Ti sta ingannando grazie al suo carisma, proprio come ha fatto con noi! 

Karoo aspetta qualche attimo per farti ragionare. Finalmente hai un po’ di silenzio nella tua mente. 

Devi prendere la scatola, così romperai il vetro della finestra. Farai entrare la lava dentro la stanza. Uccideremo Karoo! Fallo! Come? La lava ti ucciderà? Non importa! Ubbidiscimi, stupido umano! Uccidilo! 

Nel frattempo Karoo ha aperto la scatoletta. Non riesci a vedere cosa ci sia all’interno. Afferra un paio di forbici sottili e una pinzetta. Le osserva attentamente prima di alzarsi dalla scrivania. Ti si avvicina con disinvoltura. Non ti agiti, non hai paura. 

“Direi che prima di prendere una decisione finale dovremmo sbarazzarci del nostro scomodo ospite. Dubito che il metamorfo si trasformerà durante il processo. Sembra essere un tipo irascibile. Non ricorderà nemmeno come mutare forma. Dove si trova?”

Indichi la nuca, cambi posizione sulla poltrona per facilitare Karoo. Il mago si avvicina con le forbici, esattamente dove mi trovo io adesso. 

Ma c-cosa?!

“Ecco qui il bozzolo. È appena sotto la pelle. Non temere, non sentirai quasi nulla”

L’ombra delle forbici di Karoo oscura completamente il mio nascondiglio. È vicino, troppo vicino!

Non puoi farmi questo! Grazie a me sei riuscito a vivere questa avventura! Non ho fatto nulla di male! Devi impedirglielo, idiota!

La lampada ad olio che si trovava all’entrata si spegne all’improvviso. Karoo sposta le forbici da una mano all’altra, guardandosi attorno perplesso. Nell’oscurità noti una luce abbagliante avvicinarsi sempre più alla porta da dove siete entrati. Bloob illumina le lampade di azzurro. Saltella freneticamente da un lato all’altro della stanza, prima di abbandonare qualcosa. Te lo lancia dall’alto, riesci ad afferrarlo stringendolo al grembo. Bloob svanisce sbattendo addosso al muro. Osservi quello che ti ha buttato addosso: è l’orologio senza lancette di Smiley. 

Karoo sembra sibilare fra le labbra. Anche lui ha visto l’orologio. Il suo sguardo è eloquente: è pieno di tensione, guarda la porta di fronte a sé respirando con fatica. Sembra aver compreso qualcosa che tu non sai. 

Un boato si propaga nella stanza, uno sparo è esploso dentro la stanza. Karoo con un calcio ti ha fatto cadere dalla poltrona. Smiley è dietro la porta socchiusa. Non vedi altro che la canna del fucile. Il proiettile illumina l’ambiente sbattendo sulle pareti. S’incastra nella scrivania. Alzi gli occhi su Karoo. Ha cambiato di nuovo forma per proteggersi dal proiettile: la sua pelle è di color mercurio. Il suo petto ha un’ammaccatura, ma è intatto. Smiley spalanca la porta e riprende a sparare. 

Un colpo rimbalza di nuovo su Karoo, il secondo viene parato dalla sua mano. Karoo zoppica il più velocemente possibile, Smiley sembra non essersi accorto del cambio di posizione. Spara un’altra volta, ma manca l’uomo. Il muro alle nostre spalle è abbastanza resistente da far rimbalzare il proiettile. Smiley si accorge del terribile errore e spalanca gli occhi. 

Il proiettile di mercurio lo prende in pieno, nell’occhio sinistro. Parte della testa del ragazzo esplode. Il corpo cade di spalle abbandonando l’arma. Le scale sono macchiate di rosso e di carne viscida. Karoo batte piano le palpebre prima di capire cosa sia successo. I resti di Smiley non hanno nemmeno uno spasmo e il sangue scende lungo le scale, macchiando anche il pavimento. Sembra che le tartarughe nella lava non si siano accorte di nulla.

Smiley è morto. 

N-Non è possibile.

Karoo scuote la testa, qualcosa di più profondo sembra turbarlo. Guarda il tuo grembo e l’orologio ancora stretto tra le tue mani. 

Non può essere accaduto per davvero! Ma co    è    mai     ess  

                 N     rf      gar 

                               To       noi       mer      ne 

       Ma           nessu    ,     ma…                              diavo     !   

Io                       ba                         giann                                  loro. 

         N 

            O  

 

                     Cosa?! 

Ma  che cosa!?                           Ma che sta succedendo?! 

Karoo ti si avvicina con le forbici in mano. Sei ancora nella stanza, girato di spalle, con la nuca scoperta. Non arriva Bloob, le lampade ad olio non si sono spente. 

Ma che diavolo è successo?! Sembra che non sia accaduto nulla! Ma perché Karoo non si è accorto di nulla? Ho le pagine scritte, ricordo di Smiley, così anche tu! Che cosa sta succedendo?!

Ti volti di scatto. Karoo ti scruta attentamente, portando i suoi attrezzi dietro la schiena. 

“Hai avuto un ripensamento?” chiede, per niente certo di quello che stia dicendo. Il tuo volto sembra molto più eloquente di quello che crediamo. Qualcosa sembra attirare la sua attenzione. Fra le mani hai ancora l’orologio che ti ha lasciato Bloob. Nonostante tutto sembra essere l’unica cosa immutata. Karoo ha la stessa espressione tesa dell’ultima volta “Dove l’hai preso?”.

Non hai parole. Il suo sguardo sembra volerti spezzare in due come un osso di pollo. Il modo in cui contrae la mascella è decisamente inconsueto rispetto a come hai visto l’uomo finora. Ti afferra per la spalla, deve aver tentennato prima di decidere di farlo. Te la stringe troppo forte “Quell’orologio l’ha creato Tekla. Non lo lascerebbe a nessuno se non a qualcuno di noi. Dimmi dove l’hai preso” te lo ordina ancora, allentando la presa.

La porta si spalanca. D’istinto cadi a terra di pancia, in attesa di uno sparo. L’occhio di Karoo vola tra Smiley, innocente, fino a noi, tremanti. Batte piano le palpebre prima di decidere di aprire bocca “Caro ragazzo” afferma dolcemente “Sono settimane che non ti vedo. Notizie da Tomoko o è una semplice visita di cortesia?”. 

Smiley non sembra competere col sorriso falsamente dolce dell’uomo, ma fa qualche passo dentro la stanza “Volevo… parlarti di alcune cose che sono accadute in questi giorni. Dicevi che avrei potuto discuterne con te, nel caso…”.

Karoo afferra saldamente il bastone, pur non smettendo di sorridere. Sembra esserci un muro di ghiaccio fra di loro “Ovviamente possiamo fare una seduta, tuttavia… devo occuparmi prima di questo piccolo amico”.

Nonostante tutto non riesci ad alzarti da terra. Smiley non riesce a vederti, nascosto dietro la poltrona, ma capisci che ti stia osservando con molta freddezza “Capisco, avrei voluto anch’io occuparmi di lui, prima o dopo”.

Fa qualche passo in avanti, nella tua direzione. Karoo poggia la mano sulla poltrona dove prima eri seduto. Smiley si blocca sui suoi passi. Cala un silenzio pieno di angoscia. 

Alzi la voce verso Karoo. Gli dici che Smiley ha ucciso Tomoko, Jolka e Pan, Agran e Tekla e vuole uccidere anche lui per creare la Dea Bianca. Sentendo il nome di Tekla le nocche di Karoo schioccano prepotentemente. La presa sul bastone si fa più autoritaria. 

Un lampo feroce acceca entrambi. Smiley afferra due dei suoi pugnali e scatta verso Karoo. Karoo si prepara. La sua pelle diventa squamosa, il suo muso si allunga, svaniscono braccia e gambe. Diviene un gigantesco cobra. Smiley perde la presa su uno dei coltelli, che cade a terra sibilando. La coda del cobra sbatte addosso a te che rotoli addosso al vetro. Senti la tempia andare a fuoco e la retina scoppiare alla vista della lama accecante. Ti strofini gli occhi, vedendo cosa stia succedendo. 

Karoo grazie alle spire del cobra è riuscito a stringere nella sua presa Smiley. Non riesce a liberarsi. Smiley sbatte addosso alla scrivania, ma niente. Sbatte sul vetro, facendolo tremare, sbatte contro il muro, ma Karoo non lascia la presa. Guarda a terra, dove gli è caduto il coltello e ha un’idea. Cade di schiena, sulla lama e il cobra lo lascia, sibilando di dolore.

Smiley si alza da terra, con nonchalance “Beh, era comunque inutile. Non ce l’avrei mai fatta contro di te” dice, lanciando un’occhiata truce verso di te e soprattuto verso l’orologio. Sembra comprendere qualcosa e annuisce fra sé e sé. 

Karoo ritorna umano. Si strappa di dosso la punta della lama e la lancia a terra. Il volto è qualsiasi cosa meno che l’uomo gentile di poche ore prima. Smiley alza le spalle e si slaccia il fucile dalle spalle. Karoo sembra intuire cosa voglia fare, ma non riesce a muovere la gamba malata. 

“Smiley, non è successo niente. Sono sciocchezze che accadono con un cuore come il tuo” si concede una risata, piena dell’adrenalina di pochi minuti fa “Metti giù il fucile e ne parleremo fra uomini”.

Smiley toglie la sicura all’arma e, ignorando completamente l’uomo, poggia la canna sulla bocca spalancata. Sta per premere il grilletto. Karoo sembra capire di aver fallito. Si trasforma in un alidoro dalle ali color cannella e si getta addosso al ragazzo.    Ma non ce la fa: il grilletto viene premuto e la testa del ragazzo esplode come un palloncino. 

E to       nel 

E      mar       g 

E           d co 

E  ma che 

E                              aspetta!

Karoo ti si avvicina con le fobici in mano e una pinzetta nell’altra.

Non di nuovo! Dobbiamo impedirlo!

Ti volti di scatto. Karoo vorrebbe dire qualcosa, ma non ne ha il tempo. Dici che Smiley sta per arrivare. 

Un sibilo spezza l’aria affianco al tuo orecchio. Karoo viene colpito da una delle frecce di Smiley. Il ragazzo entra nella stanza, irritato fino al midollo. Schiocca altre tre frecce, ma Karoo, in forma umana, non può fare niente. Lo colpiscono tra le costole. L’uomo perde conoscenza, i suoi occhi si capovolgono e cade di spalle, sulla scrivania. Respira ancora, sembra voler alzarsi, ma non riesce ad aprire gli occhi. 

“Sapevo che quell’uva sarebbe stata utile. Jo-Jo… maledetta mangia frutta!” 

Una freccia ti ha colpito alla spalla, non te ne sei reso nemmeno conto. Ti guardi attorno, vorresti alzarti, ma qualcosa te lo impedisce. Senti il tuo cuore diventare sempre più pesante. Il mondo attorno a te gira intensamente, soltanto per colpa di una freccia. Karoo è stato bersagliato da quattro di queste, ma sta ancora tentando di rialzarsi, impigrito. Cadi di sasso a terra. La faccia piena di cicatrici di Smiley ti sorride divertito. 

“Porterò prima te: sei il più leggero e poi penserò a Karoo” conclude soddisfatto. 

Chiudi gli occhi, in balia del sonno. Senti Smiley afferrarti per le caviglie e trascinarti per terra.

Devi reagire, imbecille! Non possiamo lasciargli prendere anche Karoo!

Perdi conoscenza. 

Abbiamo fallito la missione.

 

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