Journey

di BeaterNightFury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Binario Zero ***
Capitolo 2: *** Farò di te un Eroe ***
Capitolo 3: *** La Mia Famiglia ***
Capitolo 4: *** Piani di Un'Avventura ***
Capitolo 5: *** Tutto è Lecito ***
Capitolo 6: *** Prima dell'Alba ***
Capitolo 7: *** Ci Vediamo Presto ***
Capitolo 8: *** Otto e Nove ***
Capitolo 9: *** Tutti Per Una ***
Capitolo 10: *** Alla Fine Dei Sogni ***



Capitolo 1
*** Il Binario Zero ***


Sparire?
Chi, io?
Nah, è che a volte la vita è una mezza rogna, inoltre la storia ha guadagnato un terzo co-autore (ciao, Roxas!) e anche lui vuole la sua parte di revisione…
Un ultimo avvertimento prima che iniziate a leggere: questa storia è un lieve crossover con Final Fantasy XV e con l’universo cinematico Marvel, che avrà una breve comparsa, quindi potreste ricevere un piccolo spoiler su Endgame nella parte finale del capitolo, anche se non sono affatto scesa nei dettagli quindi è una cosa che potrebbe felicemente passarvi sopra alla testa.
Però voglio essere corretta e quindi ve lo dico. Lettore avvisato, mezzo salvato.

 

 
Journey – Capitolo 1
Il Binario Zero
 
Caro Pence,
Credo che siamo venuti quasi a capo della nostra avventura.
Al momento siamo in una città che si chiama New York, ma la chiamano anche Grande Mela o La Città che Non Dorme Mai. Il mondo in cui siamo approdati stavolta non è invaso dai mostri, perlomeno non molto, e abbiamo incontrato un tipo strano che li tiene sotto controllo assieme a due suoi aiutanti.
Ho provato a chiedere ai Moguri se ci fosse un modo per la tua posta di raggiungerci anche se continuiamo a spostarci, ma con quello che ci ha riferito ultimamente il nostro anfitrione, sembra che si rivelerà inutile. Tempo qualche settimana e potremmo essere di nuovo a casa, e per allora voglio vedere tutte le foto su cui ti sei esercitato. Papà, Mamma, i tuoi amici, come è cambiata la città mentre eravamo via… tutto.
Salutami Hayner e Olette, Gladio chiede se puoi salutare Iris se la vedi, e qualcuno dica a Seifer che quando Noct tornerà in città a sfidarlo a Struggle lo farà a pallini viola!
Tuo fratello Prompto
 


Era da quando Sora si era svegliato nella villa abbandonata che contava di ritrovare il suo amico e tornare a casa, ma stava accumulando indizi su indizi che gli facevano capire che probabilmente avrebbe dovuto rimandare il suo ritorno.
Una voce nella sua testa continuava a ripetere che, no, non era tutto finito, che c’era un pericolo, i parecchi centimetri di gamba nuda che gli spuntavano dai pantaloni rispetto all’ultima volta che si era visto erano un chiaro segnale del fatto che fosse passato parecchio tempo dalla sconfitta di Ansem, e mentre nell’ultimo ricordo che aveva, quello in cui aveva menzionato che avrebbero dovuto cercare la piccola Shiro, rapita da malintenzionati, la voce aveva soltanto cominciato ad abbassarglisi… adesso ogni volta che apriva bocca gli sembrava quasi di sentire suo padre anziché lui stesso.
«Non credo che ci farò l’abitudine tanto presto…» confessò a Paperino e Pippo mentre prendevano la salita che, secondo i tre ragazzi nel vicolo, portava alla stazione.
Sora era rimasto leggermente incuriosito dall’appartamento nell’edificio sopra il ritrovo dei ragazzi, ma il più basso dei tre gli aveva riferito che apparteneva al figlio del sindaco, che era lontano da un anno e mezzo per indagare su avvenimenti strani.
Il mondo in cui si erano svegliati risplendeva della calda luce del tramonto, ma quando arrivarono alla stazione, notarono che le lancette dell’orologio segnavano le dieci e dieci del mattino. Le lancette sembravano incedere normalmente, quindi non era fermo o qualcosa, ma la cosa gli sembrava comunque strana.
C’erano due figure davanti al portone di vetro che portava alla biglietteria e ai treni. Una era una bambina con una maglietta fucsia che iniziava ad andarle stretta, quelli che dovevano essere calzoncini maschili che le arrivavano oltre le ginocchia e un paio di stivali, e l’altro, infagottato in una cappa nera…
«Vostra Maestà!» Paperino starnazzò immediatamente e si mise a correre per la piazzetta. Sora e Pippo presero a correre dietro di lui, ma non li avevano neanche raggiunti quando delle strane figure, spettrali, che sembravano indossare lenzuola come fantasmi ma inframmezzate da cerniere lampo, li circondarono dai due lati esposti della piazza.
Re Topolino fu il primo a estrarre il suo Keyblade, falciandone tre in un colpo solo.
«Shiro, va’ con loro!» esclamò alla bambina, che si era messa in posizione di guardia con un lampo che le stava per balenare nella mano.
«Shiro?» Paperino la fissò, basito.
«Sì, è il mio nome, perché?» La bambina lo fissò con una certa aria di sfida.
Quasi senza pensare, Sora la prese per mano e varcarono le porte della stazione, chiudendosele alle spalle. Sora fu l’ultimo a passare, e si diede un’occhiata alle spalle. Dietro di loro, Re Topolino aveva messo in fuga i mostri che li avevano attesi in agguato, ed era partito all’inseguimento di quelli rimasti ancora in piedi.
Se “in piedi” era una definizione accettabile per loro.
«Sapevo che eri prigioniera di brutta gente.» Sora si decise a dire quando nella sala fu calato il silenzio.
Shiro gli lanciò un’occhiata di traverso, senza dire nulla, poi infilò una mano in una sacca che si portava addosso e gli lanciò un borsellino nelle mani.
«Sei tu Sora, giusto? Il nostro treno parte dal binario zero.»
Non disse altro mentre Sora faceva i biglietti e mentre i tre ragazzi del vicolo, Hayner, Olette e Pence, non arrivarono alla stazione per salutarli, ma di tanto in tanto abbassava la testa e mormorava in una mano, come se parlasse da sola. Dopo un po’, Pippo le chiese se qualcosa non andasse e lei trasse un vecchio Moguri spelacchiato dal suo zaino e prese a giocarci.
Sora mise i biglietti in tasca e tornò da lei. Si sentiva preoccupato per come la bambina si stava comportando – qualcosa nella sua testa gli diceva che non era da lei, anche se era la prima volta che la vedeva.
Si sentiva strano. La presenza di quei tre ragazzi gli faceva salire un nodo alla gola, e avrebbe voluto abbracciare Shiro forte, anche se non sapeva perché.
Rimasero in silenzio mentre salivano sul treno e la carrozza partiva, e tutto a un tratto il paesaggio cambiava dalla campagna di Crepuscopoli a un singolo binario sospeso in mezzo al cielo.
Paperino e Pippo sembravano riconoscere il paesaggio, ma Sora, che non aveva mai visto un paesaggio del genere, si mise in ginocchio sul sedile, con il naso schiacciato sul vetro, a guardare lo spettacolo delle stelle.
Notò che poco lontano da lui, Shiro stava facendo la stessa cosa, e per la prima volta dopo un po’ di tempo aveva abbozzato un sorriso.
«Prima volta che vedi un panorama del genere?» Sora girò la testa verso di lei.
«Non ero mai salita prima su un treno.» Shiro confessò. Si ritrasse dal vetro e si sedette al suo posto, poi riprese a giocare con il suo peluche sulle ginocchia.
Quel Moguri di pezza sembrava aver visto giorni migliori. Aveva perso pelo in alcuni punti, i bottoni che aveva per gli occhi erano visibilmente diversi e cuciti con filo diverso, il ponpon in cima alla testa era abbastanza moscio, l’imbottitura era abbastanza bitorzoluta, e c’erano dei segni di rammendo intorno a due delle cuciture principali. C’erano delle scritte sotto uno dei piedi – qualcuno ci aveva ricamato dei nomi. Quello di Shiro era quello che saltava immediatamente all’occhio, ma sotto, con un altro filo quasi interamente stinto, si intravedeva il nome “Zack”.
«Come sta Mister Kupò?» Sora si trovò a dire immediatamente. Non sapeva se fosse il nome del pupazzo, ma gli veniva naturale pensare che quello potesse essere un nome plausibile per un Moguri giocattolo.
Shiro alzò lo sguardo di scatto e lo guardò negli occhi come se cercasse qualcosa.
«… Roxas?» mormorò. Se fino a un momento prima, era rimasta rilassata nel guardare fuori, adesso aveva ripreso la tensione di poco prima.
«Come, scusa?» Sora si irrigidì. Gli sembrava di aver già sentito quel nome da qualche parte, ma… dove?
Se non si fosse svegliato cresciuto negli stessi abiti nei quali si era addormentato, avrebbe sospettato che durante tutto il tempo che non ricordava, avesse fatto qualcosa di cui non aveva affatto memoria.
«Sora, sai cosa è un Nessuno?» Shiro lo guardò negli occhi.
Quando Sora scosse la testa, Shiro abbassò lo sguardo.
«Gli Heartless prendono i cuori. A volte resta indietro qualcosa.» Shiro spiegò, il volto contorto in una smorfia. «Quei cosi che ci hanno attaccato alla stazione, erano Nessuno. O meglio, l’Organizzazione li chiama Simili.»
«Uack! Vuoi dire che erano persone un tempo?» Paperino per poco non spinse Sora da parte cercando di carpire la conversazione.
«Ma Sora è diventato un Heartless.» Pippo arrivò dall’altro lato. «Vuoi dire che da qualche parte c’è una specie di mostro così?»
Shiro guardò Sora, poi Paperino, poi Pippo.
«Alcuni Nessuno sono uguali alle persone che erano. Si comportano come le persone e parlano e pensano.» Appoggiò la schiena allo schienale del sedile e tirò un sospiro. «E hanno i loro nomi. Axel ad esempio, quello che mi ha cresciuta. Solo che Axel non è il suo vero nome, quando era una persona si chiamava Lea.»
«E tu come lo chiamavi allora?» Sora si grattò i capelli con una mano.
«Fratellone per la maggior parte del tempo.» Shiro abbozzò un sorrisetto. «Ma non è quello il punto.» Rimise Mister Kupò nello zaino e ne tirò fuori un quaderno e una matita. Aprì il quaderno dalla parte terminale e scrisse A-X-E-L in maiuscolo. Immediatamente sotto, scrisse L-E-A con gli stessi caratteri, poi alzò la pagina perché Sora, Paperino e Pippo potessero leggere.
«Ohibò!» commentò Pippo. «È un anagramma
Shiro sorrise e annuì, poi girò la pagina e mise la matita in mano a Sora.
«Scrivi il tuo nome.»
Sora aveva un sospetto su dove Shiro volesse arrivare.
Sperava di sbagliarsi.
Prese la matita, ma non scrisse nulla. Abbassò la mano e guardò Shiro negli occhi.
«Shiro, chi è Roxas?»
La bambina tirò su col naso e abbassò lo sguardo sul foglio bianco.
«È il mio mig… il mio unico amico.» Aveva gli occhi lucidi. «Gli voglio tanto bene, ma…» Il suo volto si contorse in una smorfia. «Era nell’Organizzazione, ma non… era un prigioniero come lo ero io. E poi è stato preso da questo DiZ che gli ha detto che non doveva esistere. E DiZ lo ha obbligato a tornare…»
Shiro alzò una mano a toccare il davanti della giacca di Sora.
«Qualsiasi cosa sia successo, Shiro, non è colpa mia.» Sora si affrettò a precisare, nonostante qualcosa nella sua testa gli dicesse che nessuno lo stava incolpando.
«Mi hanno detto che con te sono al sicuro.» Shiro mormorò. «Che quando l’Organizzazione XIII non sarà più un pericolo, andremo alla ricerca dei miei genitori.»
Sora si sedette accanto a lei.
«Vorrei poter fare qualcosa anche per Roxas,» le disse, guardandosi le scarpe che avevano iniziato a fargli male. «Non mi sembra giusto che solo tu sia libera.»
Il resto del viaggio trascorse in silenzio. Dopo un po’, Shiro prese a sbadigliare, e prima che il treno arrivasse a destinazione, si addormentò con la testa sulla spalla di Sora.
Il ragazzo rimase zitto e tranquillo fino a quando il treno non si fermò, poi la svegliò dolcemente e la aiutò a scendere.
 


Topolino falciò l’ultimo nemico – Simili, Shiro li aveva chiamati? – e si fermò a prendere fiato in mezzo ai boschi.
Crepuscopoli per il momento era sicura.
Poteva soltanto sperare che Shiro e Sora fossero lontani, al sicuro dal Maestro Yen Sid. Sicuramente lo erano, Sora sapeva quel che faceva, e Paperino e Pippo erano più che capaci, con i loro trascorsi da tutore e genitore, di badare ad una bambina…
… ma Topolino non poteva evitare di pensare che le cose sarebbero potute andare in modo diverso.
Riku aveva espresso già un paio di volte l’intenzione di cercare i genitori di Shiro. Di cercare Terra e Aqua.
Topolino era stato grato per il cappuccio quando Riku glielo aveva detto – poche altre cose avrebbero celato la sua vergogna.
Temeva il momento in cui avrebbe dovuto dire a Riku che lui era vivo perché Aqua aveva scelto di restare indietro. Specie con il modo in cui Riku odiava sé stesso in quei giorni.
Sarebbe stato tutto più facile con Aqua di nuovo nei giochi. Ci sarebbero voluti almeno tre custodi del Keyblade ben addestrati per poter entrare nel Castello che Non Esiste e neutralizzare quello che restava dell’Organizzazione XIII, e Sora aveva bisogno di tempo per recuperare quel che aveva perso in un anno di inattività…
… assieme a lui, Aqua avrebbe potuto fare piazza pulita in mezza giornata, e poi avrebbe riportato il Castello dell’Oblio al suo stato originario e ultima cosa, ma non per importanza, sarebbe stata la famiglia di cui Shiro aveva bisogno.
E ora, il Maestro Yen Sid gli aveva persino proibito di tornare da lei. Senza DiZ e la sua via di uscita, non c’era garanzia che ci sarebbe stato un ritorno anche per lui. Non senza un incantesimo raro che soltanto alcuni Maestri del Keyblade riuscivano a padroneggiare.
Perché le cose dovevano essere così complicate?
 


«Heartless, Heartless, Heartless!» Paperino protestò sonoramente una volta che furono in cima alla scalinata della torre. «Le cose non sono cambiate affatto!»
Shiro non aveva mai visto qualcuno agitarsi tanto in preda a semplice nervosismo.
«Eppure Roxas ne ha abbattuti a centinaia nell’ultimo anno.» Shiro mormorò. «A volte leggevo i suoi rapporti, e… beh, non ne ha fatti fuori pochi.»
«Meno male che ora ci siamo noi, allora.» Pippo commentò.
«A centinaia?» Sora mugugnò. «L’anno scorso abbiamo sconfitto quello che doveva essere il loro capo… come è possibile che non siano come minimo… com’è la parola…? Come posso dirlo…»
«Fuggiti? Diminuiti?» Pippo azzardò.
«Una delle due.»
Credo che ci sia qualcosa di più grosso oltre quello che dicono di aver sconfitto,” la coscienza suggerì a Shiro. “Non mi stupirei se fosse tutto collegato. Gli Heartless a cui Roxas dava la caccia, la loro mancata diminuzione, la tua famiglia… Shiro, qualsiasi domanda ti facciano su cosa hai visto, è il momento di vuotare il sacco.
«Paperino, Pippo, chi è questo Maestro Yen Sid che abita qui?» Shiro chiese ai due adulti.
«Ha insegnato al Re tutto quello che sa!» Paperino spiegò immediatamente. «Come ha detto quel Pietro nel cortile, è uno stregone potentissimo. Un tempo insegnava ai Custodi del Keyblade, ma sono da anni che non ne porta più uno.»
Fu Pippo a spingere l’ultima porta.
Entrarono in una stanza circolare, Pippo e Paperino ad aprire la fila, Sora e Shiro per ultimi.
Un uomo anziano era seduto ad una scrivania, a consultare un tomo dall’aria antica. Aveva vesti indaco, un cappello a punta in testa e una barba lunga quasi fino alla vita, pettinata a formare due punte.
Alzò lo sguardo quando vide che erano entrati, e Paperino e Pippo lo salutarono chinando la schiena.
«Ragazzi, mostrate un po’ di rispetto!» Paperino lanciò un’occhiata a Sora e Shiro. «Maestro Yen Sid, siamo lieti di rivederla.»
Sia Paperino che Pippo si tolsero il cappello.
Shiro e Sora rimasero in mezzo ai due, e se Shiro si sentiva spiazzata, poteva notare che anche Sora lo era.
Yen Sid fece gesto loro di calmarsi, poi parlò.
«Quindi, voi siete Sora e Shiro.» Fece loro gesto di venire avanti. Il suo sguardo si fissò su Shiro per prima.
«Ho conosciuto i tuoi genitori, prima che scoppiasse la battaglia che li ha visti sparire,» le disse. «Abbi fiducia. Le loro stelle ancora brillano nel firmamento. Li rivedrai.»
Lo stregone aveva l’aria severa, ma nonostante la sua voce grave, le sue parole fecero sentire Shiro immediatamente al sicuro. Non aveva lo stesso tono impersonale di Xemnas o Saix, o quello falsamente sicuro di Axel – sembrava voler dire esattamente quel che stava dicendo.
«Il mio allievo mi ha raccontato della tua situazione, e abbiamo discusso sul da farsi.» Yen Sid continuò a guardare Shiro. «Fino a quando le cose non torneranno tranquille, faremo in modo che ti venga trovato un alloggio in una casa sicura.»
Il suo sguardo si posò sul ragazzo più grande.
«Quanto a te, Sora… avrai un viaggio pericoloso davanti a te. Dovrai essere preparato. Topolino mi ha menzionato che hai perso molte delle tue abilità, ma con l’allenamento dovresti essere in grado di recuperare.»
«Dobbiamo partire per un’altra missione, giusto?» Sora sembrava leggermente triste, ma determinato. «Speravo di ritrovare il mio amico Riku e tornare a casa, ma… con quel che ha detto Shiro, credo che non sia finita affatto.»
Rimase in silenzio per un momento, guardando Shiro.
«Ha a che fare con gli Heartless, giusto? Con il fatto che sono ancora in giro?»
«Le vostre imprese passate hanno impedito la massiccia proliferazione di Heartless provenienti dalla grande oscurità. Non abbiate dubbi a riguardo. Tuttavia, gli Heartless sono l’incarnazione dell’oscurità, ed essa ancora aleggia in ogni cuore.»
Sora, Paperino e Pippo sembrarono capire dove andasse il discorso, e tutti e tre ebbero la stessa espressione di disappunto sul volto.
«Ora è tempo di parlare dei nemici che incontrerete.» Yen Sid si alzò e agitò una mano verso un angolo della stanza. L’ombra di uno Shadow si materializzò dove la sua mano aveva puntato. «Quando qualcuno cede all’oscurità del proprio cuore, esso diventa un Heartless. Ma questo già lo sapete.»
Agitò di nuovo la mano in direzione del finto Shadow, che venne affiancato da un Simile.
«A volte, se qualcuno con cuore e volontà forti, buono o cattivo che sia, diventa un Heartless, lascia dietro di sé…»
«Un Nessuno. Gliene ho parlato sul treno.» Shiro lo interruppe.
Fiato alle trombe, ragazza,” la coscienza le disse subito, con un tono quasi divertito. Shiro si schiarì la gola.
«Quelli che ci hanno attaccato in stazione, quelli come quello lì, sono praticamente i pedoni degli scacchi. Avete visto quanto velocemente se ne è liberato il Re. Ma quelli che mi tenevano con loro… non li distinguereste da una persona. Pensano e combattono come le persone, e sono stata allenata a dare di scherma da uno di loro.»
Riprese fiato per un attimo.
«Si fanno chiamare Organizzazione Tredici, ma ne sono rimasti soltanto sette.» Prese a contare sulle dita. «Numero dieci, Luxord. Non si stacca mai dalle sue carte e ha poteri sul tempo. Numero nove, Demyx. Passa tutto il suo tempo a suonare, credo sia rimasto vivo soltanto per quanto è codardo. Numero sette, Saix. È il braccio destro del Superiore. Numero tre, Xaldin… scatena venti talmente forti che a volte è impossibile stargli vicino. Numero due, Xigbar… l’essere più schifoso di tutti i mondi. Gli manca un occhio e ha perso un po’ di capelli quando si è bruciato, non vi potete sbagliare. Il Superiore, Xemnas. DiZ lo chiama Xehanort, ma da me si faceva chiamare papà.»
Con la coda dell’occhio, Shiro vide che Yen Sid era sobbalzato, sentendo la menzione del nome Xehanort.
«Non so cosa sia successo ad Axel, ma spero sia in fuga. Io e lui eravamo stati incaricati di riportare Roxas al castello, ma sono successe delle cose, e non credo che Xemnas ne sia stato felice.»
Si fermò un’ultima volta e indicò Sora.
«Roxas è qui.»
Raccontò tutto quello che ricordava. Di come Xemnas avesse usato il Keyblade di Roxas per raccogliere cuori, della luna di Kingdom Hearts in cima al Castello che Non Esiste, e di come fosse impossibile arrivarci se non si sapeva esattamente dove andare. Di Marluxia, Larxene, Vexen, Zexion e Lexaeus, i caduti. Tirò persino fuori il diario perché Yen Sid lo sfogliasse, nonostante ci fossero parecchie pagine che Shiro non ricordava di aver lasciato bianche.
Dal cappuccio della giacca di Sora saltò fuori un grillo che prese a prendere appunti.
«Credo che alla fine, Axel mi abbia lasciata andare.» Shiro concluse, alla fine del discorso. «Quando ero piccola, dicevano sempre, lui e Saix, che un giorno mi avrebbero portata a casa.»
Credo abbia mantenuto la sua promessa, alla fine.” La voce della sua coscienza suonava quasi esattamente come un sorriso. “Mi sa che non ho più ragione di proteggerti, ragazza.
Mentre la sua coscienza parlava, Shiro si sentì immediatamente più leggera, come se le venisse tolto un peso dal cuore. Evidentemente doveva essere visibile, perché Sora le chiese se fosse successo qualcosa.
«Io non… lo so…» Shiro rispose con un filo di voce.
Avanti, alza il braccio!” la sua coscienza le suggerì.
«Il braccio?» Shiro alzò la mano destra. I quattro occupanti della stanza le lanciarono una strana occhiata, come avevano fatto sempre Roxas, Axel e Saix quando l’avevano sorpresa a parlare da sola, ma Shiro non prestò loro attenzione. Qualcosa nella sua mano si era immediatamente fatto pesante, e il solito lampo di luce si era mostrato nella sua mano.
Ma stavolta non lampeggiò e non svanì – si dissolse lentamente, e quando la stanza fu tornata alla sua usuale penombra, nella mano di Shiro c’era un’arma – una spada bianca e nera con l’elsa irta di punte, con come lama una sorta di glifo, bianco all’esterno e nero all’interno.
Per la sorpresa, Shiro per poco non aprì le dita di scatto. Non riuscì però a trattenere un urlo.
Immediatamente dopo di lei, anche Sora emise un acuto degno di una ragazzina. Paperino e Pippo balzarono in avanti, esclamando assieme: «Una chiave!» con aria stupita.
Yen Sid non si mosse, ma sgranò gli occhi, e la sua bocca si aprì in una tacita espressione di stupore.
«Non era mai arrivato prima…» Shiro mormorò esaminando il suo Keyblade (suo! SUO!) da vicino. Era visibilmente diverso sia da quello di Sora e Roxas, che da quello di Riku, e le sembrava un prolungamento della sua mano come il giocattolo di legno che aveva trovato al Castello dell’Oblio non era mai stato.
«Qualcuno deve averle trasmesso il Keyblade quando lei non ne era consapevole…» Yen Sid si portò una mano alla barba. «Non Eraqus… non lo avrebbe mai fatto. E nessuno in sé trasmetterebbe un Keyblade a un neonato.»
Abbassò la mano. Si alzò e guardò i due ragazzi.
«Questo prevede un cambio di piani,» annunciò. «Frattanto, nella stanza accanto a questa troverete tre buone fate. Avete entrambi abiti o troppo stretti su di voi, o inadatti a viaggiare. Le fate ve ne procureranno di più consoni.»
Nella stanza adiacente allo studio del mago c’era un’altra camera rotonda, dove tre fate, in abiti di tre colori diversi, si presentarono come Flora, Fauna e Serenella. Erano a dir poco estasiate di trovarsi davanti non uno, ma due Custodi del Keyblade (dovevano aver origliato dalla fessura della porta, a quanto sembrava) e presero immediatamente a litigare su quale colore avrebbero dovuto utilizzare per gli abiti di Shiro.
«Deve essere rosa! Si intonerebbe meglio ai suoi capelli!» Flora stava asserendo con aria saccente.
«Perché non blu come i suoi occhi?» Serenella brontolava sonoramente.
Continuavano ad argomentare “come due vecchie comari” (o almeno così diceva la coscienza di Shiro), e la ragazzina dovette contare sei argomentazioni come quelle prima di perdere la pazienza.
«Il mio colore preferito…» disse, stringendo i pugni e alzando la voce. «è il VIOLA!»
Alcuni minuti dopo, i due ragazzi tornarono nella camera di Yen Sid vestiti a nuovo, Sora con un completo grigio scuro, una maglietta blu con le tasche frontali rosse, e un paio di tasche dello stesso colore che pendevano ai lati dei pantaloni da cinghie di colore giallo, e Shiro con una maglia e un paio di leggings sui toni del bianco, nero e viola, con sopra la giacca che a Sora era andata stretta e che invece a lei andava quasi bene.
Yen Sid indicò loro qualcosa fuori dalla finestra, e vi si affacciarono per notare uno strano veicolo, apparentemente composto da quelli che sembravano enormi blocchi per costruzioni da bambini. Sora, Paperino e Pippo sembravano riconoscerlo, ma a Shiro sembrava quasi buffo.
«Quindi quel coso viaggia tra i mondi?» Shiro commentò.
«Non è un “coso”, è una Gummiship.» Paperino asserì. «Ora, spero che tu sia pronta, Shiro, perché stiamo per partire!»
 


L’ultima volta che Sora aveva visto la Fortezza Oscura, tutto quello che restava del mondo erano un castello diroccato e delle cascate che ignoravano completamente la gravità – che erompevano da quello che sembrava un lago o un enorme impianto idraulico.
Il castello era ancora lì, nonostante fosse adombrato da due o tre gru, ma al posto del deserto senza fine di acqua e pietra, attorno ad esso c’erano delle mura, e delle case, e degli accenni di strade e terreno smosso che un tempo era stato giardini.
«Aerith dice che sono stati principalmente salvati il quartiere del municipio e il quartiere del castello,» Yuffie, che li stava guidando per strada, aveva preso a raccontare. «O meglio, sono tornati quando voi avete chiuso la serratura. Il quartiere del castello era dove abitavano tutti i dipendenti di Ansem, tipo la signora che manteneva la biblioteca, oppure il signor Nikos, che è riuscito a tornare a casa assieme a sua moglie poco dopo che siamo tornati noi… il loro figlio però non è mai tornato, ad esempio. Non mi ricordo neanche come si chiama, so solo che lui e Aerith uscivano insieme.» Fece una smorfia, quasi di disgusto. «Questo in cui siamo adesso è il quartiere del municipio. Tappatevi il naso, stiamo per passare davanti a casa del giudice.»
«Naso? Perché il naso? Ci sono Heartless puzzolenti?» Shiro si guardò intorno.
«Buongiorno, ragazzi!» Un uomo si affacciò alla porta di una delle case. Aveva i capelli che tendevano al grigio, ma a giudicare dalla sfumatura un tempo erano stati blu, e teneva in braccio un bambino di circa un anno con la pelle scura e i ricci neri che formavano una specie di batuffolo sulla sua testa.
«Buon giorno, Vostro Odore!» Yuffie agitò il braccio. «Come sta la vostra puzzola?»
«Salve a te, Yuffie!» Il giudice lasciò andare il bambino sul prato fuori dalla casa e si avvicinò a loro. «Nuovi amici?»
«Sì, questo è Sora e lei è… Shiro, giusto?»
«Piacere, signore!» Shiro fece un passo in avanti e tese la mano che non stringeva il suo Moguri di pezza. Stava guardando il neonato con aria curiosa. «Siete, uhm, il padre di quel bambino?»
Il giudice guardò prima il bambino, poi Shiro.
«Uhm, sì, piccola, Finn è mio figlio. Uno dei due, perlomeno. Non ha mai conosciuto suo fratello maggiore.»
Shiro abbozzò una risatina.
«Axel ha ragione, i Qualcuno possono essere davvero piccoli.»
«Sora, scusa, ma come parla la tua amica?» Yuffie fece una smorfia.
«Storia lunga…» Sora bisbigliò tra i denti. Non gli andava troppo di vuotare il sacco davanti a Vostro Odore riguardo ai Nessuno e all’Organizzazione XIII e al destino dei mondi. Paperino e Pippo erano rimasti indietro, ad aggiornare lo zio di Paperino sulla situazione attuale, ma se fossero stati a portata d’orecchio… beh, Sora poteva aver dimenticato l’ultimo anno, ma era ben memore di quanto potesse far male Paperino se decideva di picchiarlo in testa.
Yuffie stava per dire qualcos’altro, ma fu a quel punto che Finn, che sapeva camminare ma non sembrava avere molto controllo delle sue gambette, cadde sul sedere, e mentre cercava di alzarsi, macchie marroni che non erano fango comparvero sui suoi pantaloncini.
«Uhm, Vostro Orrore…» Yuffie sembrò scordarsi di quello che stava per dire. «Credo gli sia esploso il pannolino…»
Qualche minuto dopo, ancora in preda alle risate nonostante Paperino e Pippo li avessero raggiunti, erano alla porta di una delle case nel borgo, i cui buchi nel tetto erano stati rabberciati alla men peggio con degli ombrelli colorati che sembravano quasi muoversi da sé. Yuffie aprì la porta: nell’ingresso, davanti ad un voluminoso computer, tre persone davano loro le spalle.
«Vi presento il Comitato di Restauro della Fortezza Oscura!» Yuffie annunciò con voce allegra. I tre – Aerith, Cid e Leon – si girarono verso di loro, e Aerith fu la prima a sorridere e ad asserire quanto fossero mancati a tutti quanti.
«Beh, siete proprio in gran form…» Cid stava per dire, poi fece un balzo sulla sedia e per poco non cadde all’indietro sul computer. «Mi venisse un colpo della strega
«Cosa c’è?» Yuffie gli si parò davanti e lo guardò come se fosse ammattito.
Un momento dopo, anche Aerith sgranò gli occhi – doveva aver notato qualcosa, e probabilmente Sora sapeva anche cosa – se Cloud sapeva di Shiro
«Shiro, sei proprio tu?»
Fece qualche passo verso di lei, guardando attentamente tutto – la sua faccia, i suoi vestiti, il Moguri di pezza che la bambina stringeva forte.
«Io…» Shiro sostenne lo sguardo di Aerith. «Sì, mi chiamo Shiro… e lui è Mister Kupò…»
Aerith a stento la lasciò finire di parlare. Percorse con un paio di passi la distanza che le separava, le mise le braccia al collo e la strinse forte.
«Uhm… non credo che si possa ricordare di te.» Pippo commentò dietro di Sora.
«Vi conoscete?» gli fece eco Paperino.
Mentre parlavano, Shiro lasciò andare Mister Kupò con una mano, continuando a tenerlo nell’altra, e alzò lentamente le braccia a ricambiare l’abbraccio di Aerith.
«Eri una degli orfani del castello di Ansem…» Aerith le spiegò dopo aver sciolto l’abbraccio. «Ma… pensavamo che nessuno fosse mai uscito da lì. I miei amici che si prendevano cura di te, la bibliotecaria, la gente che lavorava lì…»
«A parte me… si può realmente dire che nessuno è uscito.» Shiro fece una smorfia.
Aerith e Leon la guardarono con aria perplessa, e Sora prese la parola.
«Era ostaggio dell’Organizzazione XIII, composta da creature chiamate Nessuno. Shiro ricorda come si chiamano e ci ha detto parecchio di loro, ma a quanto ho capito si tratta di un’altra minaccia.»
«Volevano il mio Keyblade.» Shiro fece un passo indietro e lo portò alla mano. «E hanno cercato di usare Sora e il suo Nessuno per i loro scopi. Accoppare Heartless, creare Kingdom Hearts.»
«Beh, questo spiega parecchio.» Leon si coprì la bocca con una mano. «Venite con me alle fortificazioni… c’è qualcosa che dovete vedere.»
Andò verso la porta, salvo poi fermarsi quando vide che anche Shiro sembrava intenzionato a seguirli.
«Non tu, Shiro, ho un altro compito per te.» Il suo tono di voce era quasi seccato. «C’è un mostriciattolo che ogni giorno alle quattro passa per il borgo, smonta i drive dei computer, inverte i cartelli stradali e ha rubato un po’ di scarpe sinistre. I sistemi difensivi non lo riconoscono nemmeno, quindi ho bisogno di un altro eroe del Keyblade che resti nei pressi di questa casa e lo stani.»
Dietro di Shiro, Sora vide che Aerith aveva alzato gli occhi al cielo in una protesta silente, ma un’occhiataccia di Leon lo dissuase dal dire altro. Yen Sid lo aveva pregato di mantenere Shiro al sicuro, e non sarebbe stato lui a incitarla a buttarsi nella mischia.
«Nel senso che volete che io resti qui?» Shiro sembrava aver afferrato il concetto. «Nel senso, qui finché non lo catturo? Posso restare con voi
«Certo, posso benissimo ospitarvi a casa mia.» Aerith le mise una mano sulla spalla. «Sia te che Mister Kupò. Siete i benvenuti qui.»
Stavolta fu Shiro ad abbracciare Aerith.
«Grazie, grazie, grazie, grazie!» squittì con la faccia seminascosta dal vestito della ragazza.
«Non deve aver conosciuto gente molto educata…» Cid la osservò scettico, togliendosi lo stuzzicadenti dalla bocca. «D’accordo, come se non avessimo già avuto una bambinetta a carico…»
«Hey!» Yuffie protestò sonoramente. «Uno, non darmi della bambinetta. Due, Shiro è una Custode del Keyblade, dalle il nome che si merita. Tre, come dice Vostro Orrore, abbiamo il dovere di aiutare chi non può badare a sé stesso, chiaro
La giovane ninja prese Shiro da parte e le fece un sorrisetto.
«E con quella lama che ti ritrovi? Tra me e il vecchio signor Merlino, il tempo di imparare e presto prenderai gli Heartless a calci nel c…»
«YUFFIE!»
 


Il Sanctum Sanctorum delle Arti Mistiche di Bleecker Street solitamente era un posto silenzioso, ma i night club della strada a volte facevano filtrare un po’ di musica, specie il venerdì e il sabato sera.
Il maestro dell’edificio era rimasto per un momento in silenzio ad ascoltare – la canzone che veniva da fuori aveva l’aria di essere abbastanza vecchia, e si ripeteva in un continuo giro di accordi.
Sol maggiore, mi minore, do maggiore, re maggiore, e il giro ripeteva, e when the night has come, and the land is dark, and the moon is the only light we see…
«Stand By Me, Ben E. King, Jerry Lieber e Mike Stoller. Successo mondiale nel 1961 e nel 1986. Rifatta da John Lennon, dai Playing For Change, e da decine di altri artisti che non nomino nemmeno. La sua successione di accordi prende il nome dalla stessa canzone.» Il maestro dell’edificio, il dottor Stephen Strange, fece un sorrisetto, scosse la testa e parlò mentre la musica sfumava in lontananza.
I suoi sei ascoltatori rimasero in silenzio, poi l’unica ragazza soffocò una risata con una mano.
«All’università alcuni professori raccontano ancora di quando facevate letture simili in sala operatoria,» commentò.
«Beh, lieto che mi ricordino ancora per questo,» Strange scherzò. «Allora, Luna, mi stavate riferendo della situazione Heartless a Broadway…?»
«Intrappolati nella Dimensione Specchio.» La ragazza si portò dietro l’orecchio alcuni dei capelli biondo platino che le sfuggivano dalla coda. «Sembravano particolarmente interessati a quel barbone malato che si apposta alle porte dei teatri. Non sappiamo ancora perché.»
«A Crepuscopoli prediligevano le gallerie e il bosco. Il buio e l’umido.» Uno dei quattro viaggiatori si sistemò sul naso un paio di occhiali, abbassando lo sguardo. «E avete detto che vengono da un’altra dimensione. Una dimensione oscura.»
«Ho parlato di mondo oscuro, Ignis. La dimensione oscura è un altro posto, e spero di non dovervela mai menzionare.» Strange sbuffò. «Idealmente, se si dovesse chiudere le comunicazioni con questo… chiamiamolo, reame oscuro, il problema sarebbe risolto, ma l’unico modo di farlo efficacemente sarebbe capire cos’è che ha causato l’apertura.»
Strange guardò i suoi due accoliti, in piedi uno da un lato e l’altra dall’altro, come a sperare che lo salvassero dall’imbarazzo. Ravus non sembrava stare molto simpatico ai quattro viaggiatori, ma Luna li aveva presi immediatamente a simpatia, soprattutto i due più giovani.
«Comunque, nelle mie ultime osservazioni sui mondi, ho notato un cambiamento partire dal vostro mondo di origine. Qualcosa è successo. Qualcuno si è mosso.» Strange guardò il leader dei quattro ragazzi, Noctis, che sembrava pendere dalle sue labbra, visibilmente preoccupato. «Ho già detto che è meglio che torniate a casa con quanto avete appreso, ma ora, non appena avremo stabilizzato la situazione in città, è ancora più urgente che lo facciate.»
«Dite che casa nostra è in pericolo?» Il migliore amico di Noctis, Prompto, scattò in avanti.
Strange avrebbe voluto dire loro che no, non era solo casa loro, le cose non si sarebbero fermate là, che l’occhio del ciclone era in movimento, e forse anche le persone in grado di fermarlo, ma sarebbe stato difficile spiegare ad una compagnia di giovani avventurieri cose che implicavano la manipolazione del tempo, la presenza di più linee temporali parallele, e un complicato calcolo di probabilità.
L’unica cosa che poteva fare era manipolare gli eventi, riferendo quanto poteva riferire, e mantenendo celato tutto quello che sarebbe stato troppo pericoloso o compromettente da rivelare.
Guardò i suoi allievi, Ravus che era rimasto ferito da ragazzo nell’attacco dei Chitauri a New York e aveva trovato nelle Arti Mistiche una maniera di guarire e un’altra ragione per vivere e combattere, e Luna, che come lui una vita prima aveva scelto lo studio della medicina per salvare le vite.
Quella linea temporale era stata privata del suo Thanos, che aveva viaggiato in un’altra e lì aveva trovato la sua disfatta.
Soltanto per incappare in qualcosa – in qualcuno – che potenzialmente sarebbe anche stato peggio.
L’altro Stephen Strange, quello che si era trovato a combattere contro Thanos, avrebbe sacrificato amici per quella vittoria.
«Non se interverremo.»
Strange non sapeva se sarebbe stato disposto a perdere la sua allieva.
 

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Capitolo 2
*** Farò di te un Eroe ***


Journey – Capitolo 2
Farò di te un Eroe
 
- 11 Anni Prima -
 
Cloud attraversò la piazza principale a passo di corsa, sollevando schizzi dalle pozzanghere e attirandosi le urla di qualche passante. Quell’Ottobre si era rivelato essere abbastanza piovoso, ma secondo le previsioni che aveva visto alla vecchia TV di casa sua quella mattina, Halloween sarebbe stato asciutto.
Erano giorni che incrociava le dita – sarebbe stato il suo primo Halloween con un gruppo che non fosse Tifa, e non vedeva l’ora.
(Non che avesse nulla contro Tifa, ma dopo tre anni di scuola media in cui era stata l’unica nella sua classe a calcolarlo, avere tre amici più grandi era forte.)
La strada a piedi dalla periferia al quartiere amministrativo era lunga a dir poco, ma sua madre gli aveva intimato di tornare a casa e cambiarsi prima di fare altro, anche perché “quei tre non erano della sua classe ed era anche inutile cercare di studiare assieme”. Quello, e Cloud era pienamente convinto che se avesse rovinato l’uniforme scolastica, sua madre gli avrebbe fatto pagare la lavanderia con la sua stessa paghetta.
Finì la sua corsa davanti alla casa del giudice, si pulì le scarpe sul tappeto sotto la veranda, e notò che c’erano già altre paia di stivali davanti alla porta – ovviamente, era di nuovo l’ultimo.
Spostò il suo peso sui piedi, poi si fece coraggio e suonò il campanello.
Perché doveva essere casa di Isa? Lea e Zack, che abitavano nel quartiere dei lavoratori del castello, erano più vicini, anche se casa di Lea puzzava di vecchiume e i genitori di Zack gli mettevano imbarazzo.
La porta si aprì, e Bolt il cane quasi saettò fuori per fiondarsi addosso a Cloud e leccargli la faccia.
«Ehilà, Cloud!» Isa resse la porta e scosse la testa. «Questo cane puzzolente ti ha sentito arrivare.»
«Chi altro c’è oggi?» Cloud indicò gli stivali vicino alla porta prima di sfilarsi i suoi. «Le scarpe piccole sono di Kairi senza dubbio…»
«Aerith. Zack ha insistito e per giunta lei ha portato i biscotti.»
Cloud attese che Bolt corresse dentro, poi si infilò dentro a sua volta. Era raro che Zack avesse il pomeriggio libero, anche se adesso che le cose stavano tornando tranquille, stava accadendo più spesso. Gli altri ragazzi erano attorno al tavolo del soggiorno, dove era stato lasciato aperto un barattolo di biscotti, e la piccola Kairi era su una sedia rialzata da una pila di cuscini, intenta a scarabocchiare su un libro da colorare.
Bolt trotterellò attorno alla stanza, poi si avvicinò a lei e le appoggiò il muso sulle gambe, fissandola implorante di venire coccolato.
«Non abbiamo potuto lasciarla da Yuna, lo gnomo ha la febbre.» Lea spiegò in tono assente quando Cloud li raggiunse al tavolo.
«Sai, Lea, che sei strano?» Aerith gli sbuffò dietro. «Fino a dieci minuti fa stavi a raccontare di quanto hai riso facendo vestire Shiro da fantasmina con il lenzuolo che ha strappato, e adesso sei seccato di dover guardare tua sorella?»
Lea alzò gli occhi al cielo.
«Aerith, ormai Kairi ha i suoi amici, lo hai memorizzato?»
«Sei sempre suo fratello, però.»
Cloud prese posto all’ultima sedia rimasta vuota e attese che Isa cominciasse a parlare.
«Allora, ragazzi. Il liceo ha organizzato una serata con una gara a premi per il miglior costume, quindi lo so che avevamo nei piani di andare a fare dolcetto o scherzetto…»
«Dire nei piani è poco. Genesis e Angeal si aspettano che io pattugli in borghese, visto che siamo lì.» Zack si strinse nelle spalle. «In caso di vandali.»
«Zack, dopo le otto e mezza però non ti fanno mai lavorare.» Isa obiettò. «Ci facciamo il giro, lasciamo Kairi dalla signora Edith, e poi andiamo alla festa. Anche perché io devo assicurarmi che nessuno beva.»
Lea rise e finse di alzare gli occhi al cielo.
«Quello che mi capita ad essere amico di due gendarmi!»
«Ha parlato il futuro pompiere.» Isa gli ribatté senza fare una piega. «Comunque, dobbiamo decidere che costumi prepararci, sia che vogliamo fare tema unico come gruppo, che decidiamo ognuno per sé. Mia madre stamattina mi ha fatto trovare questa prima che venissi a scuola, ma non ho fatto in tempo a mettermela in cartella.»
Tirò su qualcosa che a prima vista sembrava un grosso pezzo di cuoio peloso, ma ad un’occhiata più attenta era una realistica maschera in lattice da lupo.
Fu in quel momento che Kairi strillò, prese Bolt per il collare e fuggì nella stanza degli ospiti al pianterreno usando il cane come scudo.
«Oh. Grandioso.» Lea si limitò a commentare.
«Direi che sia un no.» Aerith fece abbassare la maschera a Isa. «Magari al liceo, ma non possiamo spaventare Kairi.»
Isa mise immediatamente la maschera di nuovo nel pacco.
«Sarà per un’altra volta.» Fece un sorrisetto amaro.
Fece qualche passo per l’altra stanza per assicurarsi che Kairi e Bolt stessero bene, li riportò nel soggiorno e diede a Kairi due biscotti, poi si rimise al suo posto.
«Va bene, ragazzi, ho un’altra idea.»
Uscì dalla stanza, prese le scale che portavano alla sua stanza al piano di sopra, e tornò di sotto con nelle mani una videocassetta. Cinque adolescenti, quattro maschi e una ragazza, erano raffigurati sulla copertina.
«Scarier Things?» Lea commentò immediatamente. «Vuoi vestirti come la banda della radio?»
«Beh, se siamo cinque e facciamo le cose per bene, perché no?» Isa sorrise. «Abbiamo il numero dalla nostra e i costumi sono semplici, sarà facile anche per Cloud. Aerith può fare Quattordici, Zack può essere Raphael visto che quei due stanno insieme, Finn è il più basso e quindi Cloud, e io e te possiamo fare Denzel e Austin.»
«Ma Austin è grasso!» Lea si lamentò.
«Sì, ed è anche quello che costruisce le trappole fighe, ricordi?» Isa gli fece un sorrisetto. «Andiamo, Lea, un po’ di gioco di squadra! … e Bolt può essere il gremlin. Almeno finché siamo in giro.»
«Sì, ma io chi faccio?»
Tutti si girarono quando Kairi intervenne.
 
FESTA DI HALLOWEEN DELLA ---------HIGH
VINCITORI ASSOLUTI
Lo sguardo di Cloud si soffermò sulla vecchia fotografia. L’ultima festa di Halloween del loro liceo, anche se nessuno sapeva che fino ad allora lo sarebbe stata.
«Sei tu quello, Cloud?» Yuffie lo affiancò e gli rivolse un sorrisetto canzonatorio.
Il giovane avrebbe voluto mettere via quella foto, ma era affissa al muro, e comunque non sarebbe stato facile nasconderla. Lea, Isa e Zack sembravano fissarlo, immortalati da quello scatto in un eterno sorriso.
«Quelli sono Lea e Isa, vero?» Shiro li raggiunse. Non era facile riconoscere i capelli rossi di Lea sotto il berretto, e Isa quasi spariva dietro la fionda che imbracciava e la bandana, ma sembrava ricordarli. «È strano vederli insieme e sorridere. E quello che abbraccia Aerith… Cloud, lui è Zack, vero?»
«Come fai a conoscere i loro nomi? Sono tutti e tre spariti quando portavi i pannolin…» Yuffie fece per ribattere, ma Shiro pescò in una borsa ed estrasse quello che era decisamente il vecchio Mister Kupò.
«Aerith deve averle parlato di loro.» Cloud mugugnò, riprendendo a sollevare macerie dal pavimento.
«Uhm sì, Aerith… Mi ha detto che chiamavo fratellone Lea.» Shiro strinse Mister Kupò tra le braccia, ma la sua faccia e la sua voce mostravano scarsa convinzione in quel che diceva. A Cloud tornarono in mente Saïx e la fotografia.
«Però… Cloud, cos'è successo a Zack? Aerith sembrava tanto strana…»
Cloud rimase in silenzio. Lui stesso, per quanto ci provasse, non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto esattamente. Ricordava indistintamente la fuga, ricordava di essere stato male, come mai non era mai stato nella sua vita, l’incarico ricevuto da Saïx, ricordava di essere partito con Zack e tornato da solo.
«Zack e Aerith stavano insieme.» Fece del suo meglio per spiegare tutto a Shiro. «Insieme, sai, come… hah, tu non conosci Ercole e Megara, vero?»
«Insieme nel senso che volevano fare una famiglia?» Shiro cercò di comprendere la domanda.
Dietro di lei, Cloud vide che Yuffie si stava coprendo la bocca per non sghignazzare. Shiro girò la testa.
«So cosa vuol dire amore. Credo
Cloud rimase in silenzio e si sedette su una delle panchine del corridoio. Shiro lo raggiunse subito.
«Vorrei davvero poter dire dove sia Zack.» Cloud mormorò tra i denti. «Sai, Shiro, quello scemo era il mio migliore amico. Mi trascinava dovunque. Una volta, c’era questa guardia reale. Odioso. Braig era il nome. Mi prendeva di continuo per i fondelli perché cercavo di farmi prendere dalle guardie cittadine come apprendista. Da ragazzo ero minuto, l’hai vista quella foto… beh, Zack riuscì a farmi segnare un fuoricampo sulla sua testa
Shiro scoppiò a ridere.
«Sul serio
«Persi la palla quel giorno. Zack mi regalò la sua.»
Cloud fissò il pavimento.
«Nessuno sa dove Zack sia sparito. Alcuni sono convinti che sia morto… io mi sento dentro che è ancora da qualche parte. Che è ancora da qualche parte a lottare per essere l’eroe che sognava di diventare. Che un giorno sarà di nuovo qui, ci guarderà tutti, e ci chiederà perché quelle facce lunghe.»
Guardò Shiro.
«Sono successe un sacco di cose qui. L’unica cosa che possiamo fare è andare avanti e sperare.» Si concesse di sorridere. «Dopotutto, pensavamo che tu fossi perduta, e invece eccoti qui! La nostra piccola guerriera del Keyblade!»
Si sforzò di apparire felice. Shiro non doveva preoccuparsi, non per loro.
Non aveva nemmeno tredici anni… la loro piccola guerriera del Keyblade non avrebbe nemmeno dovuto avvicinarsi a quella guerra.
 


La truppa di addestramento militare a cui Sora si era unito era composta principalmente da ragazzi nella loro tarda adolescenza, quindi Sora, se pure aveva i capelli visibilmente più chiari, non stonava troppo.
Se non altro, le attenzioni dei commilitoni erano dirette principalmente su di lui piuttosto che su Mulan, le cui differenze di aspetto fisico sarebbero state più pericolose di un diverso colore di capelli, se fossero state notate.
Anche Paperino e Pippo erano nell’accampamento, ma si tenevano in disparte, occupandosi di eventuali Heartless e agendo come inservienti – si era deciso che, per il bene dell’ordine dei mondi, avrebbero dato sicuramente più nell’occhio di Sora, che aveva quindici anni ed era abbastanza basso, ma se non altro era umano abbastanza da passare per un locale.
Erano lì per aiutare Fa Mulan, la protetta del loro vecchio amico Mushu. La sua patria era minacciata da un nemico che, a quanto si diceva, era anche spalleggiato dagli Heartless, e oltre alle truppe imperiali erano state chiamate alle armi anche i vecchi e i ragazzi.
Mulan, che non aveva fratelli, si era vestita da ragazzo per risparmiare il padre anziano e zoppo, ma se fosse stata scoperta le conseguenze sarebbero state di gran lunga peggiori.
Sora aveva deciso di restare: Heartless significava brutte notizie in ogni caso, e probabilmente l’addestramento dell’esercito gli avrebbe restituito in meno tempo la forza e le abilità che stava cercando di recuperare. Per questo era in riga, un soldato tra i soldati, forse l’unico realmente in silenzio, pronto ad affrontare qualsiasi prova gli fosse stata messa davanti.
«Soldati!»
Il capitano Shang marciò verso di loro, fissandoli in tono di disapprovazione. Di certo non aveva scordato l’incidente della fila del pranzo il giorno prima.
Tutti quanti scattarono in riga e in ordine.
«Vi riunirete veloci e in silenzio ogni mattina.» Il capitano appoggiò la sua tunica ad un barile pieno di bastoni, poi raccolse da lì vicino un arco e una faretra piena di frecce. «Chi si comporterà diversamente, ne risponderà a me.»
Passò davanti a tutti quanti, ma uno dei soldati, con uno degli occhi permanentemente annerito, pensò “bene” di borbottargli alle spalle.
Shang lo sentì.
«Yao!»
Caricò una freccia nell’arco, facendo trasalire tutti quanti, poi mirò in alto, verso la cima di un palo che sovrastava l’intero campo e doveva essere alto almeno quattro metri. Scoccò la freccia, che andò a ficcarsi in cima al palo.
«Grazie per esserti offerto. Recupera la freccia!»
Quindi, la loro prima prova sarebbe stata arrampicarsi sul palo. Non sembrava troppo difficile, era una vita che Sora sapeva arrampicarsi come una scimmia.
Sora stava quasi sorridendo quando vide che il vecchio che lavorava con Shang – il consigliere imperiale? – stava portando verso di loro una scatola dall’aria pesante. Shang ne estrasse due grossi dischi di bronzo che legò prontamente ai polsi del povero Yao.
«Questo rappresenta la disciplina, e questo rappresenta la forza.» Li indicò uno ad uno. «Vi serviranno entrambe per arrivare in cima.»
Uno ad uno, i soldati affrontarono la prova del palo con i pesi ai polsi. Nessuno sembrava riuscire ad andare oltre la propria statura senza rovinare al suolo: sollevare il proprio peso era un conto, ma l’impedimento in quell’esercizio era proprio il peso aggiunto alle mani, che erano il loro mezzo per spingersi in alto.
Le braccia non resistevano oltre un certo sforzo.
Con un certo sconforto, mentre affrontava il suo turno al palo, Sora si rese conto che il suo passato di combattente lì non sarebbe valso a molto: era comunque il più piccolo, e quei pesi erano fatti per ostacolare ragazzi più grossi.
Tornò al suo posto dopo aver fatto più o meno schifo come gli altri, e mentre cercava di sciogliersi i muscoli come gli aveva insegnato Riku una vita prima, il capitano Shang disse ad alta voce quello che Sora stava pensando.
«Ne abbiamo, di strada da fare.»
 


Abituata alla noia del Castello che Non Esiste e alla sonnolenza di Crepuscopoli, per Shiro la frenesia di quella che chiamavano la Fortezza Oscura era una novità quasi stancante, ma se non altro apprezzava che non ci fosse mai un momento per annoiarsi.
Gli abitanti erano quasi sempre impegnati nel restauro, chi in modo attivo come Cid, chi con la magia come Aerith e Merlino, chi affrontando gli Heartless, e alcuni come il giudice Ilyas si occupavano di documentare i progressi della situazione o di cercare di ricordare com’erano state le cose in passato.
Con la presenza degli Heartless in città, quasi tutti sapevano combattere, e chi non lo faceva necessitava di una scorta per uscire di casa: spesso e volentieri Shiro si era ritrovata a scortare Ilyas e il piccolo Finn da casa loro a quella di Merlino, e nonostante le torrette di Cid aveva avuto anche lei da vedersela con alcuni Shadow.
Era una di quelle sere, e per quanto Shiro non avesse voluto un intervento dei grandi, dopo essere stato scortato a casa, il giudice aveva immediatamente telefonato ad Aerith perché uno degli Shadow aveva lasciato tre profondi graffi sulla gamba della ragazza, e secondo lui “necessitava di cure mediche e non si fidava a lasciarla tornare da sola”.
«Ci avevi detto che sapevi combattere, Shiro.» Aerith la rimproverò dopo averla curata. «Cosa è successo?»
Shiro fece per rispondere… non era nulla, Roxas le aveva detto di essersela cavata con peggio… e lui l’aveva allenata e…
«Oh, nulla di che. La ragazza si è battuta come una furia. Erano soltanto troppi per lei.» Il giudice intervenne appoggiandosi alla porta. «Io e Finn non saremmo qui illesi se non fosse stato per Shiro… probabilmente ha ancora bisogno di allenarsi, ma…»
Tirò un sospiro. Probabilmente non capiva molto di combattimento, ma era stato gentile a prendere Shiro in braccio per l’ultimo tratto fino alla sicurezza del giardino.
«Sai, Shiro, mi ricordi un po’ mio figlio Isa… il fratello grande di Finn.» Lo sguardo dell’uomo si perse sulle foto che teneva appese ai muri. «Sembrava aver capito che qualcosa stava andando storto, dieci anni fa. Aveva iniziato a portarsi dietro la vecchia vanga che abbiamo in giardino.»
«Già, ricordo.» Aerith tirò un sospiro. «Anche che trovò un tubo di ferro in un immondezzaio e mi disse di non girare più senza dopo il tramonto, dopo che sparirono Cloud e Zack.»
Non ci voleva un genio per capire che stessero parlando di Saïx – Shiro riconosceva il volto nelle fotografie. Avrebbe voluto dire al giudice che suo figlio era ancora vivo, ma non gli avrebbe fatto ancora più male?
«Lo so che non sono brava come Sora.» Shiro ammise. «Ma… Aerith, è vero o no che quando si è più forti degli altri bisogna proteggere qualcuno?»
Aerith si sedette sul divano accanto a lei e le mise una mano attorno alle spalle.
«Zack diceva sempre così.» Le sorrise. «Immaginati tutte le volte che si sedeva a questo stesso divano e asseriva fiero che lui era nelle guardie e sarebbe diventato un eroe per tutte le persone che ne avrebbero avuto bisogno.»
«Allora se proteggo te e gli altri…» Shiro incrociò le braccia. «Se divento forte come era Zack, o forte come Sora… tu credi che Zack sarà felice se faccio come faceva lui?»
Aerith non rispose, ma Shiro poteva giurare che nonostante stesse sorridendo, gli occhi le si fossero fatti lucidi.
«Devi fare quello che è giusto, Shiro.» Tirò un respiro. «Non per Zack, non per Sora, o nemmeno per il Comitato di Restauro. Però guardando a come sei diventata… sì, ne sono certa. Sarebbe fiero di te.»
 


«Canaglie insubordinate! Mi dovete un nuovo paio di pantofole
Sora si disperse in mezzo alla vegetazione assieme agli altri soldati, premendosi una mano sulla faccia per trattenere le risate.
Non si divertiva così tanto da quando lui e Riku, dopo una lezione di educazione fisica particolarmente estenuante, avevano deciso di rievocare le “prodezze” del professor Jecht negli spogliatoi della scuola, usando una panca come palcoscenico e il baule degli oggetti smarriti per improvvisare un costume.
Nel caso di Chi Fu, il pomposo e petulante consigliere imperiale che era lì ad amministrare il campo, era stato persino più facile organizzare il dispetto: per poter lavarsi nel fiume, il vecchio sottaceto aveva lasciato a riva pantofole e asciugamani, e Sora non aveva dovuto fare altro che fregarglieli e fare la sua imitazione davanti a tutti i suoi compagni di tenda, compresa di strillo da ragazzina.
Aveva il sospetto di non essere stato propriamente in sé durante l’imitazione, e che qualcosa o qualcuno si fosse mosso e avesse parlato per lui, ma era stato divertente e si erano divertiti anche gli altri, ed era quello che importava.
Ora tutto quel che doveva fare era tornare alla sua tenda di soppiatto e sperare che il vecchiaccio non lo riconoscesse: al buio della notte, era più difficile notare che i suoi capelli fossero di una sfumatura più chiari, ed era stato bagnato abbastanza da non essere irto come al solito.
Purtroppo era a due passi da lui. Ma non aveva prove.
«E io non strillo come una donnetta…» Chi Fu si stava sfogando, marciando verso il campo, brandendo come un maglio una delle due ciabatte che Sora aveva sfondato semplicemente infilandosele. (Niente da dire. Sora poteva essere il più basso della truppa, ma quanto alla sua taglia di scarpe, non aveva niente da invidiare a nessuno degli altri soldati!)
Stava per filarsela verso la sua tenda quando qualcosa sbarrò la strada sia a lui che al vecchio. Un soldato. Su un panda. Un soldato su un panda che si era appena divorato la pantofola sfondata.
«AAAAAAARGH!» Chi Fu strillò con un timbro vocale quasi impossibile per un uomo della sua età. (Non strillava come una donnetta, eh?)
Sora sbatté le palpebre. Il soldato sul panda gli sembrava familiare. O meglio, la sua armatura – era la sua!
Va bene, chi gli aveva reso pan per focaccia proprio in quel momento?
«Un messaggio dal Generale!» Il soldato intimò. La voce era quella di Mushu, probabilmente anche lui nascosto dall’armatura, ma dal braccio che aveva allungato la lettera a Chi Fu, se pur guantato e coperto di armatura, si erano levate un paio di piume bianche. Paperino?
Chi Fu non prese il messaggio, ma fissò il panda che continuava a masticare imperterrito.
«Cos’è? Mai visto un pandarmato?» La voce di Mushu lo riportò all’attenzione.
Il vecchio fissò Paperino negli occhi. «Chi sei tu
«Come scusa? La domanda giusta è CHI SEI TU!» Mentre Mushu ribatteva infuriato, Paperino diede una manata al consigliere, dandogli un colpetto alla faccia con le dita. «Siamo in guerra, bello! Non c’è tempo per domande sceme!»
Sora dovette ringraziare l’erba alta che lo nascondeva, perché in quel momento stava ridendo fino alle lacrime. Non aveva idea del perché Mushu avesse deciso di prendere Paperino e un panda con sé e umiliare Chi Fu in quel modo, ma uno spettacolo del genere era impagabile.
Il consigliere fuggì via verso le tende, mentre il panda e i suoi occupanti, con soltanto Sora come testimone, svanirono nella chioma di un albero.
«Cosa stavate combinando?» Sora si avvicinò alla base dell’albero e guardò in alto. Paperino e Mushu scesero al suolo, Mushu guardando Sora seminudo con aria alquanto schifata.
«Riprenditi la tua tunica, ragazzino. Ho già visto e morso abbastanza soldati nudi per oggi.» Mushu prese la veste che Sora aveva preso a portare durante l’addestramento e gliela buttò addosso.
«Chi Fu aveva cercato di fermare la vostra partenza,» Paperino gli spiegò, aiutandolo a rivestirsi. «Qualcosa come il fatto che non siate pronti e non resisterete contro gli Unni. Mushu ha fatto arrivare al campo una richiesta di rinforzi.»
«Oh… bene.» Sora si sistemò i vestiti e si sfregò la nuca con una mano.
«Pippo non era d’accordo.» Paperino commentò di nuovo.
Mentre discutevano, Chi Fu raggiunse di corsa la tenda del capitano, annunciando a gran voce la richiesta di rinforzi che Mushu aveva fatto scrivere e consegnato.
«Riprenditi la tua armatura e fa’ i bagagli, Sora.» Mushu gli saltò sulle spalle. «Sloggiamo
 


L’estate stava cedendo il passo all’autunno, e nonostante la continua presenza di Heartless e Nessuno, la Fortezza Oscura sembrava sempre più una città.
Tra le disavventure di Shiro e le battaglie ai confini della zona di restauro, Aerith aveva il suo bel da fare per assicurarsi che tutti in città stessero bene, ma non si lamentava: Leon era riuscito a liberare una via d’accesso al castello e aveva preso a sgombrare i corridoi, Yuffie, con l’aiuto saltuario di Cloud, era riuscita a liberare il vecchio liceo dalle macerie e presto, se si fossero trovati degli insegnanti, sarebbero potute ricominciare delle semplici lezioni per i bambini e i ragazzi in città, e Sora continuava a viaggiare, tornando a fare scalo di tanto in tanto e mettendosi in contatto con loro tramite il computer della sua navetta quando non riusciva a passare.
Aveva raccontato di aver aiutato una ragazza a salvare il suo paese dagli invasori, rivisto il suo amico, la Bestia, che aveva aiutato a rinsavire dopo un momento di sconforto, aiutato Ercole a sconfiggere l’Idra che minacciava l’Olimpo, scacciato i rovi di Malefica dal Castello Disney e salvato la città di Port Royal da una ciurma pirata maledetta comandata dal capitano fantasma Hector Barbossa.
Dopo aver raccontato dei pirati dei Caraibi, e dei suoi nuovi amici Jack (Capitan Jack Sparrow), Will Turner ed Elizabeth Swann, e aver dato una rapida guardata agli strumenti di volo, Sora aveva asserito che sarebbe tornato alla Fortezza un momento – aveva visto qualcosa.
 
«Io continuo a dire che non è stata una buona idea.» Paperino commentò per l’ennesima volta.
«Oh, dai, con Jafar andato via questo mondo sarà sicuramente tranquillo!» Sora ribatté, aiutando Shiro a scendere dalla scaletta. «E poi le farà bene conoscere un po’ di gente!»
Quando Sora aveva visto Agrabah sul quadrante delle rotte, aveva deciso di cogliere l’occasione, riportare a Merlino alcune delle pagine perdute del libro e portare Shiro con sé per una piccola gita. Aveva sentito di come la ragazzina si fosse fatta male nel tentativo di proteggere Vostro Odore, e si era convinto che un po’ di esperienza fuori dalla cittadella fortificata sarebbe stata un toccasana per le sue abilità con il Keyblade.
«Fa caldo qui,» Shiro commentò strattonandosi un po’ la giacca. «Roxas mi ha raccontato di essere stato qui. Dice che c’è un Genio magico.»
«Ha incontrato il Genio?» Sora non sapeva dire se fosse sorpreso o no: sapeva che il Genio era partito in giro per i mondi per festeggiare la sua liberazione, ma in una qualche maniera immaginava che non sarebbe saputo stare lontano da Aladdin.
«Sì, e ha un amico di nome Al che cerca di mantenere la città in ordine.» Shiro mugugnò. «L’anno scorso c’è stata una brutta tempesta di sabbia qui. Era causata da un Heartless chiamato Formicaleone.»
Sora si trattenne dal prendersi da solo a schiaffi. Se Shiro si fosse fatta scappare quei dettagli con Aerith, lui l’avrebbe pagata cara in bernoccoli.
«Ma comunque il Genio non è tornato. Non ancora.» La ragazzina concluse.
Sembrava una giornata tranquilla. Alcuni degli abitanti del quartiere povero, dove Sora ricordava fosse la casa di Aladdin, stavano discutendo su come qualche ora prima fosse piovuto oro dal cielo. Sora immaginò fossero stati Aladdin e Tappeto, ma per come potevano essere andate le cose…
«Aiuto! Mayday! I predoni del deserto!» Una voce gracchiò da uno dei vicoli. Sora, Paperino, Pippo e Shiro si girarono verso la direzione della voce e un ammasso di piume rosse e blu quasi piovve loro in faccia.
«Oh-oh!» Pippo commentò, indicando l’uccello. «è… ehm, è Iago
Sora portò immediatamente alla mano il Keyblade, e con la coda dell’occhio vide che Shiro fece lo stesso.
«Aspettate, non sono io!» Iago volò davanti a loro, perdendo due o tre piume in preda alla frenesia. «Aladdin… predoni… di là!»
«Potevi dirlo subito!» Sora esclamò, scattando di corsa verso la direzione da cui Iago era arrivato. Una mezza dozzina di banditi aveva accerchiato Aladdin in un vicolo pieno di bancarelle, e pur essendo armato il giovane era stato messo spalle al muro. «Allora, briganti da due soldi, che ne dite di passare a uno scontro leale?» Sora brandì il Keyblade e aggredì subito il più vicino.
«Fermi! Siete presi!» Shiro strillò e attaccò con il suo Keyblade il più basso e grasso di tutti, con un entusiasmo che a Sora ricordava molto quello di Will Turner.
Con l’aiuto di Paperino e Pippo, arrivati subito dopo, e di Razoul e delle guardie del Sultano, i briganti riuscirono a guadagnare la fuga soltanto rubando il carro di un allevatore di polli, non senza avergli rotto tutte le uova nel paniere.
«Ciao, Sora!» Aladdin si risistemò e scosse la testa. «Grazie del tempismo, ragazzi! Avrei dovuto uscire con Tappeto…»
«Mi hai vista, Sora? L’ho lasciato in mutande a quel…» Shiro per poco non saltellava sul posto, fiera di sé stessa e di come avesse tenuto la sua in duello.
«Ah, hai battuto tu Abis Mal?» Aladdin fece un sorrisetto nervoso. «Sapevo che fosse tremendo come brigante, ma farsi battere da una bambina…»
Il viso di Shiro si contorse in un broncio. «Non sono una bambina, sono una guerriera del Keyblade.»
«Ciao, Aladdin.» Sora si passò una mano tra i capelli. «Questa è Shiro, l’ho conosciuta qualche giorno fa. Porta un Keyblade come me. La sto portando a fare un po’ d’esperienza.»
«Non ti stai scordando qualcuno?» Una voce gracchiò sopra Sora, e un piccolo peso si posò sulla sua spalla. Iago si era posato su di lui, le zampette unghiate strette attorno alla sua giacca.
«Grazie per l’aiuto, Iago.» Aladdin si rivolse al pappagallo. «Se non avessi trovato Sora…»
«Oh, sì, sicuro, ti ho salvato, certo, è nella mia natura.» Iago si strinse nelle piume. «Io salvo continuamente qualcuno! Gatti, bambini…» Volò dalla spalla di Sora a quella di Shiro, che cercò di accarezzarlo con un dito. «… tipi come te… sono un salvatore nato
Il “salvataggio” non impedì ad Aladdin di dubitare comunque di Iago: arrivati al palazzo, lo chiuse in una gabbia nei giardini e gli assicurò che avrebbe chiesto al Sultano un processo equo.
Il pappagallo era visibilmente infuriato, tanto più che andò in escandescenze quando Shiro cercò di infilargli un biscotto tra le sbarre della gabbia, ma Aladdin portò subito via Sora, Shiro, Paperino e Pippo da quell’angolo dei giardini e li accompagnò dall’altra parte della fontana, dove Jasmine stava aspettando.
Se il loro arrivo era stata una sorpresa per Aladdin e Jasmine, lo fu ancora di più quando si presentò un altro ospite inatteso: il Genio in persona, di ritorno dal suo giro dei mondi, era tornato ad Agrabah, tornato per restare.
«Hai già fatto tutto il giro del mondo?» Aladdin era alquanto scettico, anche se sorrideva visibilmente.
Il Genio prese la forma di quattro burattini e prese a canticchiare: «È un mondo piccolo…». Sora si trovò a canticchiare la canzone a bocca chiusa. Pensava di averla sentita da qualche parte, forse vicino alla gelateria che avevano aperto vicino alla scuola superiore – sì, aveva decisamente a che fare con il gelato.
«Ma Agrabah ha qualcosa che non esiste in nessun altro luogo!» Il Genio tornò alla sua solita forma, accanto ad Aladdin. Aprì una valigia e ne estrasse un voluminoso album che straripava di fotografie, che iniziò a mostrare una ad una, mentre le immagini si ingrandivano magicamente in modo che tutti potessero vedere.
«In cima al Taj Mahal in pochi attimi… poi sulla Gran Muraglia con i pattini… e con la torre ho fatto un tango col casquet… ma sai chi c’era insieme a me? Nessuno!»
Una delle foto cadde dall’album, senza aumentare di dimensioni, finendo sul pavimento vicino ai piedi di Shiro.
«Quello era Ercole! Lo conosco!» Sora indicò la figura di un corridore in una delle foto. «Come hai fatto a tenergli testa nella corsa, quando parte va peggio di un missile!»
«Non è difficile se hai mille api dietro a te.» Il Genio ridacchiò imbarazzato. Nonostante le decine di foto, sembrava più che felice di essere tornato.
«Eh, le piramidi…» Tirò fuori un’altra immagine, che lo ritraeva con le sembianze di un faraone in un cunicolo buio. «Non sono poi un gran che, se non hai un caro amico assieme a te.»
Aveva mostrato una banda di mariachi, una mongolfiera, delle cascate e una nave chiamata Titanic quando Sora si accorse che Shiro si era allontanata e si era seduta su una panchina, fissando la foto che il Genio aveva perso. Aveva lo sguardo basso e il suo viso era rigato dalle lacrime.
«Oh, suvvia, piccola, non fare così.» Il Genio le fece un sorriso a trentadue denti. «Non è un problema se quella foto si vede male per metà, la pellicola ha preso luce, sono cose che capitano…»
Shiro alzò lo sguardo e scosse la testa.
«Roxas…»
Soltanto metà dello scatto era visibile, ma nella parte intatta, in piedi su un cumulo di rovine, c’era un ragazzino, vestito con la stessa cappa nera in cui Sora aveva visto i membri dell’organizzazione, con dei capelli biondo cenere tagliati corti che in certi punti della testa stavano talmente ritti da puntare verso l’alto, gli occhi azzurri, l’espressione smarrita, e un Keyblade stretto nella mano.
«La tempesta di sabbia… il Formicaleone…» Shiro singhiozzò, mentre gli altri le si radunavano attorno. «Lo hai conosciuto?»
«Ti dirò, era un ragazzo curioso, ma sapeva il fatto suo.» Il Genio le si sedette accanto.
«Era il mio migliore amico…» Shiro si asciugò le lacrime con una mano.
«Eh, ragazza mia. Non c’è niente al mondo come gli amici.» Il Genio le diede un colpetto sulla spalla. «Va’ dove sono loro, e ti sentirai sempre  a casa.» Indicò Aladdin e Jasmine. «Quando dicevo che i mondi hanno qualcosa che qui non c’è? Parlavo di loro. Ti manca Roxas, non è vero?»
Sora strisciò un piede per terra, in imbarazzo.
«Tecnicamente, non è andato via davvero. È il mio Nessuno, come dire un po’ la mia ombra. Doveva tornare da me perché io ritrovassi i miei ricordi.» Sora si indicò il cuore.
Il Genio emise uno sbuffo di fumo e ne emerse vestito da medico. «Va bene, fammi un po’ ascoltare.» Si coprì le orecchie con uno stetoscopio e poggiò il disco sul torace di Sora. Un momento dopo, tentennò sul posto come se qualcuno lo avesse rintronato con una botta in testa.
«Ragazzo mio, cos’hai lì dentro, una band da garage?» sbottò.
«Aheeem…» Sora si incrociò le braccia dietro la testa.
«Beh, non sembra farti male, quindi non ti prescrivo nulla per ora. Quanto a me, avrò bisogno di una bella aspirina per il mal di testa che mi hai fatto venire…» Fece apparire una pillolona dal nulla e se la ficcò in gola. Fu allora che Shiro si mise a ridere.
«Tu non hai visto molto di questo mondo, non è vero?» Il Genio le si rivolse con aria dolce, poi riprese il tono da medico. «Signor Sora, per questa ragazza prescrivo un sacco di aria aperta e tante belle esperienze, jaaa!» Riprese il suo solito aspetto. «E puoi tenere la foto, Shiro. Serve più a te che a me.»
 


Axel emerse dal Corridoio Oscuro in una spiaggia arsa dal sole.
Una parte di lui immaginava quel posto come quello che avrebbe voluto visitare assieme a Roxas, quando sarebbero stati liberi…
In un certo senso, lui era libero, ma anche solo.
Avrebbe sistemato le cose, in un modo o nell’altro.
Se soltanto Sora fosse tornato a essere un Heartless… beh, in tal caso, aveva bisogno soltanto della giusta leva.
Secondo gli archivi del computer di Saïx, i suoi migliori amici, le persone a cui più teneva al mondo, si chiamavano Riku e Kairi, ed erano i suoi amici di sempre. Era stato capace di affrontare un viaggio impossibile per un bambino di quattordici anni, di diventare un guerriero, di perdere il suo cuore, per Riku e Kairi.
Per sfortuna di Axel, Riku mordeva. Era tecnicamente impossibile catturarlo senza colpo ferire – era forte quanto Sora, se non di più, e secondo gli informatori dell’Organizzazione era stato lui stesso a sconfiggere e catturare Roxas.
Perché la migliore amica di Sora doveva proprio chiamarsi Kairi?
Secondo gli archivi era la figlia del sindaco, l’angelo del paparino. Axel aveva pensato alla sua Kairi, cresciuta con i suoi abiti smessi per metà del tempo e con le abilità sartoriali della nonna e vecchie lenzuola per l’altra parte, in quella vecchia casa che puzzava di anziano e accudita metà del tempo dalla vicina e l’altra metà da un fratello maggiore imbecille che a stento sapeva cosa fare…
Sapeva di non avere un cuore, ma la cosa gli bruciava lo stesso. Quella ragazza aveva avuto una chance di vivere, di diventare grande, di avere degli amici.
La sua sorellina era stata sorpresa da un mostro mentre disegnava nel castello di Lord Ansem, cercando di allontanare la noia mentre vicino a lei esplodeva la catastrofe. Ax- Lea l’aveva vista l’ultima volta, prima che tutto si facesse buio, venire sollevata in aria da Xehanort, dibattendosi inutilmente con il polso stretto in una presa di ferro, mentre con la mano libera stringeva una delle sue matite come se potesse fare qualcosa e usarla come arma improvvisata.
Le aveva urlato di scappare, ma lei quella notte era corsa a cercarlo. A cercare di proteggerlo. Come se avesse potuto salvarlo.
La ragazza era in piedi sulla battigia, lo sguardo fisso all’orizzonte. Tutto di lei urtava Axel, dai capelli rossi tenuti lunghi ai vestiti visibilmente costosi. Lei era viva e grande e felice e sua sorella no.
«Forse aspettare non è abbastanza.» La ragazza stava dicendo.
 
«Anch’io la penso così! Se hai un sogno, non aspettare. Agisci
Una voce distolse Kairi dai suoi pensieri.
Girò immediatamente sul posto, alla ricerca del nuovo arrivato.
Lo sconosciuto portava una cappa nera e aveva i capelli rossi, ma qualcosa della sua voce mise immediatamente Kairi in allerta. Aveva già sentito quella voce… ma dove?
«Una delle piccole regole della vita. L’hai memorizzata?»
Kairi fece un passo indietro, squadrando lo sconosciuto. Non poteva essere delle Isole, lo avrebbe riconosciuto – e non lo aveva nemmeno visto nel suo periodo alla Città di Mezzo. Era uno sconosciuto, nel senso più pieno della parola.
Eppure, aveva la sensazione di averlo già visto.
«Tu chi sei?»
Lo straniero la guardò negli occhi con aria di sfida, come se volesse quasi castigarla perché esisteva.
«Axel.»
Il nome le era completamente estraneo.
«Si da il caso che io conosca Sora. Perché non andiamo a trovarlo?»
Kairi non si mosse. Una delle prime cose che Henry le aveva detto e ripetuto dopo averla adottata – non si era mai abituata a chiamarlo papà, nonostante per un periodo ci avesse provato – era di non dare retta agli sconosciuti, e in particolare a quelli che offrivano favori.
Si guardò rapidamente attorno – era sola sulla costa. Iniziò a considerare l’idea di scappare o di combattere, se davvero quell’uomo si fosse rivelato la minaccia che poteva sembrare. Le sembrava di essere di nuovo nel suo incubo ricorrente, quello dei corridoi e della voce che le urlava di scappare.
Lei che mordeva forte il suo aggressore, la voce che urlava di nuovo, stavolta di dolore, e poi buio.
Era Axel quello che l’aveva aggredita?
I suoi pensieri furono interrotti da un latrato: un segugio fulvo era arrivato dall’altra parte della spiaggia, e si fermò tra lei e Axel.
Quando quattro mostri biancastri apparvero attorno a loro, il cane prese a ringhiare e a irrigidirsi davanti a lei, mostrando i denti alle creature.
Un’altra pozza d’ombra si aprì dietro di loro, diventando un passaggio, e si udì un fischio. Una via di fuga! Il cane corse verso di essa, girandosi a guardare Kairi affinché lo seguisse.
«Abbiamo qualcosa in comune, Kairi. A entrambi manca qualcuno che ci è caro.» Axel cercò di fermarla quando lei si incamminò dietro al segugio. «Ehi, mi sembra di essere già amici.»
Una parte di lei si chiese quanto la constatazione dell’uomo in nero potesse essere vera.
Un’altra le ripeté di scappare, che quello sconosciuto portava solo guai.
«Non mi sembri molto amichevole
Tempo prima, qualcuno le aveva detto di scappare e salvarsi.
Kairi decise di fuggire.

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Capitolo 3
*** La Mia Famiglia ***


Journey – Capitolo 3
La Mia Famiglia
 
Axel era fin troppo prevedibile.
Lo era sempre stato, anche quando Lea era stato un bambino che spariva quasi ingoiato dal banco della scuola elementare. Fin da quando aveva asserito la prima volta che voleva un fratellino, Isa lo aveva visto mandare pagine su pagine di lettere dalla grammatica e dalla grafia inintelligibile a Babbo Natale, al Signor Cicogna e a chiunque gli potesse dare retta scrivendo di volere un fratello minore.
Salvo poi arrivare a scuola con il broncio per parecchi giorni quando aveva scoperto che “suo fratello Kai” era sua sorella Kairi.
Quando Lea, quando Axel, si era fissato su qualcosa, c’era ben poco che lo avrebbe fatto demordere.
Saix non sapeva se essere felice che il suo vecchio amico stesse mostrando di nuovo la sua vecchia cocciutaggine, che sembrava aver perso assieme al suo cuore.
In quel momento, se avesse provato qualcosa, sarebbe stata soltanto furia.
«Prima che io sparisca… c’è qualcosa che io devo fare.» Axel stava dicendo, trascinando una ragazza per il polso.
Saix, nascosto dalle tenebre, quasi fece un salto all’indietro quando la vide in faccia. Non poteva essere… la ragazza era identica all’aspetto che il Numero XIV aveva preso secondo i rilevamenti dei computer… all’aspetto che avrebbe avuto leise
«… qualcosa che ho bisogno del tuo aiuto per portare a termine, Kairi.» Axel si voltò verso la ragazza, il suo tono duro come se avesse appena ingoiato un boccone amaro. La sua espressione, per chi lo conosceva, non lasciava spazio ad equivoci, ma la ragazza non sembrava battere ciglio.
Axel alzò una mano, e Saix vide segni di morsi su di essa. No, non poteva essere, davvero. La scena davanti a lui aveva tutti i numeri per sembrare una farsa e concludersi in tragedia.
Axel aveva rapito una ragazza.
La ragazza si chiamava Kairi, dimostrava quindici anni e aveva i capelli rossi.
Voleva farle qualcosa per riavere Roxas.
La ragazza gli aveva morso la mano!
Saix ricordava benissimo tutte le volte che Kairi, la Kairi di Lea, aveva morsicato le mani a qualcuno. Era stata solita farlo tutte le volte che si sentiva minacciata da qualcosa, quando faceva i capricci, quando qualcuno cercava di trattenerla suo malgrado. Un sacco di volte, la signora Edith e Lea erano stati chiamati all’asilo perché Kairi aveva morso un compagno, o una maestra, o un bidello.
Il giorno che era successo tutto quanto era stato uno di quelli – Kairi aveva dovuto passare il resto della giornata con sua nonna perché aveva litigato con un bambino nella sua classe (Bickson forse? Qualcosa del genere?) e il bulletto da campo giochi aveva finito per necessitare dell’infermeria della scuola.
Neanche qualche ora dopo, e Kairi aveva morso qualcun altro – aveva morso Xehanort per cercare di difendere Isa e Lea.
Avrebbe dovuto essere l’ultima volta che quella bambina avrebbe morso qualcuno…
… eppure era lì, diversa, cresciuta, ma inequivocabilmente lei.
E Saix poteva essere cambiato, ma non avrebbe lasciato che il suo migliore amico distruggesse l’unica famiglia che gli rimaneva.
Schioccò le dita.
Un Berseker emerse dalle pieghe del Corridoio e spinse via Axel di lato.
«Fine della corsa, Axel. Consegna la Principessa a me.» Saix evocò la sua claymore e marciò verso i due.
Avrebbero ricostruito Kingdom Hearts.
E sarebbe tornato tutto com’era stato.
 


Shiro dismise il Keyblade e si guardò intorno.
Il Comitato di Restauro aveva liberato sempre più zone nei giorni in cui era stata lì, ma il disordine che Leon attribuiva alla creatura misteriosa ancora non era cessato. Non era neanche un Heartless, questo era certo, o i sistemi di sicurezza di Cid lo avrebbero fritto come facevano con le creature del buio, e la ragazza era più che certa che il coso stesse mutando. Aveva iniziato a trovare ciuffi di pelo, in un caso persino nel lettino di Finn.
Shiro aveva provato a chiedere al pupo cosa fosse successo, ma lo scarso vocabolario del marmocchio si era limitato ai versi “uo-uo” e a uno spruzzo di saliva, e il giudice non aveva visto nulla.
Nel frattempo, a quanto pareva, erano tornati sia Sora che Cloud, ma lei non aveva avuto neanche il tempo di salutarli.
«Sai, credo che quella storia del devastatore di computer e cartelli stradali sia una frottola. Non mi stupirei se Leon ti stesse dando questo incarico per tenerti tranquilla e lontano dai guai.»
Shiro aveva seguito le impronte e i peli della creatura fino all’entrata posteriore del castello quando una ragazza vestita di nero con i capelli dello stesso colore la raggiunse con un sorrisetto beffardo.
Non era la prima volta che Shiro la vedeva: se non ricordava male, il suo nome era Tifa ed era una vecchia amica di Aerith. Una volta l’aveva vista far volare uno Shadow oltre le mura con un solo calcio.
Shiro non disse nulla e continuò a guardarsi attorno, limitandosi a trarsi dalla tasca il ciuffo di peli blu che aveva trovato in casa del giudice.
«Shiro, potrebbe essere anche stato Vostro Onore. Si era fatto la barba l’altro giorno.» Tifa insistette. «Comunque, visto che sei qui… ho sentito che Cloud è tornato. Tu dormi a casa del giudice come lui, no? È passato di là?»
«Anche Sora è tornato, ma non ho visto nemmeno lui.» Shiro riprese a seguire la pista. «E comunque dormo da Aerith. È che Vostro Onore di tanto in tanto mi chiede di tenergli d’occhio Finn.»
Tifa annuì e le andò dietro. Evidentemente sperava di trovare Cloud nella stessa direzione, o forse il castello era uno dei luoghi che non aveva perlustrato.
«Ora che metto le mani addosso a Cloud, io gli…» La ragazza mugugnava tra i denti. «Crede seriamente di poter scappare così soltanto per fantasmi di cui non vuole nemmeno parlare? Questo è esattamente come quando si rifiutava di giocare a baseball perché sua madre non si poteva permettere mazza e guantone!»
«Baseball?» Shiro si strinse nelle spalle.
«È un gioco. Magari quando riapre la scuola possiamo provare a formare un’altra squadra. Cloud era l’asso della classe. Qualcuno diceva che era stato lui a cavare l’occhio al vecchio Braig con una pallonata, quando aveva tredici anni, ma lo escludo… una palla da scuola media non fa quei danni, e Aerith mi menzionò soltanto che gli aveva fatto un bernoccolo. Accadde soltanto più o meno nello stesso periodo, pochi giorni prima che le guardie del re ritrovassero te nella piazza.»
«Braig? Intendi Xigbar, vero?» Shiro non riconobbe immediatamente l’anagramma, ma la sua coscienza glielo portò alla mente. Sembrava più zitto negli ultimi tempi, ma a volte era come se ricordasse di esistere. «Ti ricordi com’è successo?»
«Io non lasciai il campo, ma Cloud stava male quel giorno, vomitò per i nervi. Il suo migliore amico, Zack, o meglio si conobbero quel giorno, lo portò a prendere un po’ d’aria, e gli fece riprovare il tiro in piazza. A quanto pare Braig passava di là e venne colpito dalla palla che cadeva. Due compagni di Zack stavano cercando di ritrovare la palla e invece Braig trovò loro.»
«Quindi si sono conosciuti così… e poi avete conosciuto me.» Shiro ricordava che Saïx, prima che accadesse quel che era accaduto, aveva cercato di raccontarle delle loro avventure, ma erano anni ormai che non sentiva quelle storie. «Mi chiedo se a questo punto non stia proprio cercando Zibibbo. Scommetto che lui sa cosa potrebbe essere successo a Zack… e perché è sparito senza lasciare tracce!»
Tifa aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. Erano nei corridoi del castello, una specie di labirinto buio con alcune delle pareti crollate. La calce sparsa sulla soglia era stata calpestata da più piedi, e quando Shiro accese la torcia che portava in tasca, impronte di vari piedi, zampe e stivali apparvero candide contro le mattonelle plumbee del pavimento.
«È Sephiroth che sta cercando… il capitano delle guardie cittadine.» Tifa le rispose. «Cloud mi ha detto che quando la Fortezza è caduta, divenne pazzo. Che lui e Zack si salvarono per miracolo cercando di contenerlo… e adesso ho paura che Cloud rischi la vita di nuovo.»
«Sephiroth… hm…» Shiro esaminò le impronte. Riconobbe le scarpe di Sora in mezzo alla confusione della polvere, e le zampe palmate di Paperino… e delle zampe tozze a quattro dita che non sembravano appartenere né a cittadini, né a Heartless. «Però devi fidarti, Cloud è forte. Salva le persone, no? E non credo che Aerith lo lascerebbe fare se non avesse fiducia in lui. Io vorrei tanto cercare gli altri come fa Sora e invece mi chiedono di fare queste cose e di allenarmi…»
«Lo so che Cloud è forte, ma…» Tifa strinse gli occhi e tirò un sospiro, continuando a camminare tenendo la mano destra sempre addossata alla parete.
«Vedrai, non si caccerà nei guai.» Shiro fermò Tifa per un polso e le sorrise. «Come dico a Puzzetto, i miei amici sono i migliori!»
«Puzzetto?»
«Finn. Quando fa i capricci gli racconto un po’ di storie. E beh, non gli posso raccontare sempre di Axel e Saïx.»
Le impronte strane portavano verso un corridoio a sinistra, ma Tifa non diede accenno di scollarsi dalla parete destra. Shiro notò che le impronte di Sora e Paperino andavano dalla sua parte, così come delle impronte di scarpe lunghe che non potevano che appartenere a Pippo.
Shiro puntò la torcia verso le impronte strane e fece un sorrisetto a Tifa.
«Sei ancora convinta che il mostro vandalo sia un’invenzione di Leon?» Prese il corridoio di sinistra, poi salutò Tifa con la mano. «Porta i miei saluti a Sora!»
Si addentrò nel corridoio buio, puntando la torcia davanti a sé. Oh, se Leon sarebbe stato soddisfatto di lei… magari l’avrebbe lasciata occuparsi pienamente degli Heartless assieme agli altri guerrieri…
Ad un certo punto, le impronte svanirono interamente dal pavimento… come se il loro artefice fosse sparito. Cosa… come poteva essere possibile? Forse il loro padrone poteva volare?
Shiro, Keyblade.” La sua coscienza le suggerì. “Qualsiasi cosa sia, non è lontano. E se tieni la luce accesa, ti vedrà.”
Shiro spense la torcia e se la infilò nella tasca della felpa, poi tese la mano destra ed evocò il Keyblade.
Al momento le avrebbero fatto comodo anche i pugni di Tifa…
«Corro nel buio… eh-eh-eh-eh-eh…» una voce nasale e quasi animalesca borbottava sopra di lei. «Corro nel buio…  è stato qui»
«Cosa?» Shiro scattò di colpo osservandosi attorno. «Chi sei? Fatti vedere
Non poteva essere un Heartless. Gli Heartless non parlavano. E avrebbe riconosciuto la voce di un Nessuno maggiore, ma questo non lo era sicuramente.
Sentì il rumore di una ventosa che si staccava, e qualcosa le piombò pesantemente addosso facendola cadere distesa per terra. Zampe morbide le placcarono le spalle, e qualcosa di umido e viscido le arrivò in faccia.
«TERRA! TERRA!» La stessa voce di prima le urlò nelle orecchie.
Shiro cercò di dibattersi, ma qualsiasi cosa fosse quella creatura, la stava stringendo forte nelle zampe. Un momento, forte? E come l’aveva chiamata…?
«Cosa… io non… aspetta, hai detto Terra
Il coso la lasciò andare, e Shiro colse l’occasione per riaccendere la torcia.
Davanti a lei c’era una specie di bestiola blu-grigio decisamente pelosa, con un paio di orecchie enormi e gli occhi neri come il carbone. Aveva la bocca larga, un naso talmente grosso da sembrare una palla schiacciata, quattro zampe, un accenno di coda, righe scure sulla schiena e nonostante tutto l’aria carina. Se davvero Finn lo aveva preso per un cane, Shiro iniziava a capire perché.
«Terra? Amici?» La creatura borbottò di nuovo. Prese distrattamente a scaccolarsi con la lingua.
«Tu conosci Terra? Lo-lo hai visto?» si abbassò scrutandolo attentamente portando una mano in tasca «Aveva uno di questi vero?»
Il coso fissò il Trovavia come se fosse un tesoro.
«È stato qui. Sento il suo odore. Terra.» Arraffò la stella di vetro e metallo, ma la tenne nella zampa cautamente, come se temesse di romperla, poi la annusò e la rimise in mano a Shiro. «Tu sei sua ‘ohana?»
«Io… mi chiamo Shiro.» La ragazza non comprendeva. «Terra è il mio papà.»
«’Ohana, sì. Significa famiglia.» Il mostriciattolo fece sì con la testa. «Come Puzzetto e Vostro Odore.» Scoprì in un sorriso due file di denti aguzzi, poi tese di nuovo una zampa. «Mio nome Stitch!»
 
«Non ne vuole sapere di arrendersi…»
Non c’era molto da fare mentre Tifa metteva a soqquadro lo studio alla ricerca di qualsiasi persona stesse inseguendo – aveva preso a spaccare e lanciare oggetti, e Sora non riteneva affatto una buona idea rimanere sul suo cammino, se non altro per evitare di vedere le stelle.
«Dovremmo fare come lei!» Paperino suggerì, infilandosi nello studio noncurante del macello.
Nel frattempo, la ragazza aveva preso il ritratto di Xehanort dalla parete e lo aveva tirato giù neanche fosse il poster di un cinema, rivelando una serie di scritte sbiadite sulla parete, ma dal livore che aveva sul volto sembrava quasi lo volesse sfondare con un pugno.
Un rumore di passi affrettati fece girare la testa a tutti, e Tifa mormorò: «Ah, a proposito, Shiro è nel castello.»
Una creatura ricoperta di pelo bluastro attraversò la stanza a passo di corsa, borbottando qualcosa che suonava molto come: «è stato qui, è stato qui…», poi puntò il ritratto appoggiato al pavimento, sgranò gli occhi, e quasi ci si lanciò sopra urlando «TERRAAAAAA!»
Fu allora che Shiro entrò nella stanza.
«Stitch… ho capito che cerchi Papà, ma aspettami!»
«Stitch?» Tifa portò lo sguardo da Shiro alla creatura, che stava fissando il quadro, poi fece per capire qualcosa e fece una inequivocabile smorfia di disgusto.
«Ahem… ho trovato il combinaguai!» Shiro si strinse nelle spalle e fece un sorrisetto furbo, poi si fece seria quando vide il ritratto.
«Ciao, Shiro!» Sora la avvicinò e dovette trattenere per un momento l’istinto di abbracciarla. L’uomo nel ritratto – Xehanort, l’impostore che si era spacciato per Ansem – non aveva ingannato soltanto lei. E avevano una password da ritrovare per poter aiutare Tron a riconquistare il computer. «Uhm… è un po’ complicato. Ma potresti darci una mano?»
«Cosa vi serve?» Shiro affiancò Sora, e passò lo sguardo dal ritratto alle scritte che avevano trovato sul muro dietro di esso.
«Leon ha trovato il computer di Ansem… il computer principale del castello.» Pippo prese a spiegare. «Potrebbero esserci i piani della città, come pure delle registrazioni di quel che è successo…»
«Terra è stato qui! Terra!» Stitch schiamazzò di nuovo.
«A quanto pare lo ha fiutato. E conosceva mio padre.» Shiro mugugnò, senza togliere lo sguardo dalle scritte. Era chiaramente il dataspazio di Tron, pensò Sora, ma gli indizi finivano lì. E c'era sempre più urgenza di risolvere l'arcano, specialmente ora che il nuovo amico di Shiro sembrava avere un certo naso per le tracce. Se davvero aveva sentito l'odore di Terra in quel posto, probabilmente le telecamere in alcune delle stanze lo avevano ripreso.
Avrebbero avuto forse la soluzione di quel mistero a portata di mano… se soltanto ne avessero avuto la chiave.
«Il sistema operativo si chiama DTD.» Sora indicò tre lettere sulla parete. «Door To Darkness. Questo disegno…»
«Ehi, ragazzi, qualcuno ha parlato di Door To Darkness?» Una figura minuta coperta da una cappa nera si stagliò nella porta.
Una figura familiare.
Shiro borbottò: «chi è stat…?», ma Sora, Paperino e Pippo riconobbero immediatamente Re Topolino – Paperino e Pippo gli lasciarono a stento il tempo di chiudersi la porta alle spalle e togliersi il cappuccio prima di placcarlo in un forte abbraccio.
«Avete menzionato la Door To Darkness?» il Re chiese loro non appena venne lasciato andare.
«Lo assalgono sempre così?» Shiro chiese a Sora, leggermente rossa in volto e con una mano a strofinarsi la nuca.
«Non lo so, è la prima volta che glielo vedo fare.» Sora sorrise imbarazzato. «Vostra Maestà, stiamo cercando una password.»
«Vuoi dire, tipo un codice?» Topolino rispose. Sembrava perplesso, ma a giudicare dalla sua espressione allegra doveva aver capito qualcosa. «La Porta dell’Oscurità. Ricordate? Può essere aperta soltanto dalle Sette Principesse!»
«Sappiamo i loro nomi?» Shiro chiese alle persone nella stanza.
Sora prese a contare sulle dita. «Biancaneve, Cenerentola, Aurora, Alice, Jasmine, Belle, e Kairi.» Abbozzò un sorriso. «Torniamo da Tron, possiamo sbloccare tutto!»
Shiro diede un’altra occhiata al quadro e alle scritte, poi prese la mano di Sora e lo tirò verso il corridoio.
«Non perdiamo tempo, andiamo, su!»
«Shiro, aspetta.» Topolino le fece gesto di fermarsi. «Forse ho messo insieme i pezzi!»
«… i pezzi?» Sora non capiva, ma dal tono di voce del Re, doveva esserci dietro qualcosa di grosso.
«Ragazzi, voi andate. Sarò di nuovo qui quando sarete di ritorno.» Il Re fece un sorriso rassicurante. «Questa è una questione tra me e Shiro, per adesso.»
 
Sora girò i tacchi e sparì con Paperino e Pippo per il corridoio, lasciando Topolino e Shiro soli con Stitch e la ragazza in nero.
«Non è la prima volta che vengo qui.» Topolino prese a camminare avanti e indietro, cercando di non calpestare i cocci di vetro sul pavimento. «L'uomo che si è spacciato per Lord Ansem, il giovane, mi hai detto che il suo nome era Xehanort, giusto Shiro?»
Shiro fece di sì con la testa, ma Stitch, seduto ai piedi del ritratto, borbottò «Terra!», dando una zampata alla cornice.
«DiZ lo chiamava Xehanort.» la ragazza ribatté alla creatura.
«Terraaaaa…» Stitch colpì di nuovo la cornice. «Finito marrone!»
«Il ragazzo di Aerith, Zack, diceva di conoscere un Terra.» Tifa, che era rimasta in silenzio a guardarsi attorno fino a quel momento, intervenne nella conversazione. Topolino avrebbe voluto poter aiutare, ma non ricordava realmente quale fosse l’aspetto di Terra – solo che era una figura imponente con i capelli castani. Lo aveva incontrato soltanto di sfuggita, nei cortili della Torre Misteriosa, e non poteva dire di ricordarlo bene in volto.
«Zack conosceva Papà?» Shiro si fece pensierosa. «Stitch, in che senso è finito il marrone?» Sembrava impegnata nel voler risolvere la situazione quanto lo era Topolino, ma non doveva ricordare molto di suo padre – aveva avuto poco più di un anno quando era sparito, dopotutto.
«Terra marrone.» Stitch zampettò al centro della stanza. «No grigio, bleah. Marrone.»
«Credo volesse dire che lo ricorda con i capelli castani. In questo devo dargli ragione.» Topolino portò una mano al mento. «Corrisponderebbe alla descrizione di lui che mi hanno fatto Aqua e il Maestro Yen Sid. Ma sei sicuro che riconosci il suo volto, il colore dei capelli a parte?»
Il testone di Stitch ondeggiò rapidamente su e giù. «IH. Terra
«Mi ha quasi scambiata per lui… per l’odore a quanto pare. E se è vero che Stitch riconosce la sua faccia… ed è sicuro che fosse lui… avrebbe senso.» Shiro indicò il quadro. «Aerith dice che sono cresciuta qui, nel castello. Potrebbe avermi portata lui qui.»
«Le voci in città parlavano di un uomo e di una bambina, trovati nella piazza con visibili segni di lotta.» Tifa si portò una mano al mento. «A scuola la chiamavano la storia maledetta… chiunque provasse a venirne a capo indagando, spariva. Primi tra tutti le guardie cittadine. L’unico che forse ci ha ficcato il naso ed è ancora vivo per raccontare la storia…» La giovane sogghignò. «Beh, è Cloud
Camminò verso la porta ed uscì nei corridoi.
Dall’altro corridoio, quello che portava alla sala computer, si sentì un rumore di passi e Leon rientrò nello studio.
«Sora è tornato. Abbiamo accesso al computer!» Annunciò.
«Bene! Se c’è qualcosa che potrebbe darci delle risposte, è quel computer!» Topolino commentò allegramente. «Andiamo, Shiro, forse stavolta è quella buona!»
Trovarono Sora in piedi tra Paperino e Pippo davanti allo schermo, visibilmente perplesso. Non doveva essere molto esperto di tecnologia complessa, ma d’altra parte, Shiro non aveva mai visto computer tanto grossi – nemmeno quello di Saïx al Castello che Non Esiste reggeva il confronto.
«… ehi, ci vuole tempo per queste cose, sai?» Sora stava rimproverando Paperino, che era visibilmente impaziente.
«Credo che voglia sapere cosa vogliamo sapere noi.» Pippo commentò mentre Shiro si avvicinava con il Re.
«Riku e Kairi…» Sora mormorò, pensieroso… per poi scuotere la testa. «Sarebbe troppo bello, eh?»
«Risale a dieci anni fa. Dubito che il computer ne abbia notizie.» Topolino confermò i dubbi di Sora. «Ma potrebbe essere che Kairi vivesse qui una volta. Riku mi ha menzionato che non ha sempre vissuto alle Isole.»
«Terra.» Shiro suggerì quasi senza pensarci.
«Terra?» Sora la guardò. «Pensi che potrebbe trovare tuo padre?»
«Beh, è sparito undici anni fa. Magari se è vero che questo computer è collegato alla porta dell’oscurità…» Senza aspettare che Sora digitasse la ricerca, Shiro si infilò tra lui e Pippo e prese a formulare la richiesta lei stessa.
Il monitor venne invaso da una scheda, e partì quello che sembrava un vecchio filmato di sicurezza. Due ragazzi, visibilmente di età diverse, stavano parlando in quello che sembrava un cortile deserto. Lo spezzone finì, e riprese con il più alto dei due che parlava con il signor De’ Paperoni e con Merlino.
«Sapevo che sono stati qui. Questo non ci dice nulla di nuovo.» Topolino aggrottò le sopracciglia. «La storia maledetta di cui Tifa parlava. So come andò. Aqua e Terra erano in una piazza, di notte.»
Rimase in silenzio, come se ci fosse qualcosa che non riusciva a dire. Poi si infilò tra Sora e Shiro e digitò nella barra di ricerca: “Telecamere Sicurezza Piazza Principale”, per poi inserire un intervallo di date che risalivano a circa undici anni prima.
Una serie di files apparve sullo schermo, ma anche un messaggio di errore.
ATTENZIONE - DATI FILMATO CORROTTI.
«E ti pareva!» Paperino sbottò, visibilmente contrariato dall'ennesimo ostacolo.
«Tron ha parlato di un Master Control Program. Siamo riusciti a ripristinare Tron, ma quel farabutto è ancora qui dentro.» Sora ammise. «Probabilmente quei dati sono ancora in mano sua.»
«Non darti colpa, Sora.» Topolino gli poggiò una mano su un gomito. «Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere stato Xehanort stesso… o qualcuno che ha collaborato con lui… a bloccare i dati. Sarebbe stato troppo ovvio o troppo facile trovare in bella vista una registrazione esatta.»
Prese nuovamente i comandi e aprì il filmato immediatamente successivo a quello corrotto. Si aprì un'altra finestra, che mostrò il filmato di una piazza illuminata dal sole del mattino, con la pavimentazione e le aiole danneggiate da quello che sembrava essere stato un combattimento in piena regola.
«E questo spiega la versione che conoscevo.» asserì il Re. «Soltanto due Maestri del Keyblade, o qualcuno a quel livello di esperienza, riuscirebbero a spaccare la strada in quel modo.»
«Io però non ho capito una cosa.» Sora fece una smorfia. «Questo tipo che si chiama Xehanort sembra un altro tipo che si chiama Terra e si fa chiamare Ansem. È come se avesse rubato il nome a qualcuno e la faccia a qualcun altro. Adesso poi sappiamo che Terra è stato qui ma un filmato in cui lo si vedeva combattere nella piazza è sparito dal computer.»
Sembrava voler giungere ad una conclusione, ma era come se non volesse dire la risposta a cui stava per arrivare. Che temesse anche lui la storia maledetta?
Topolino abbassò la testa, mogio.
«Già… Xehanort. Forse ha davvero rubato il nome a qualcuno e la faccia a qualcun altro.» Fu lui ad arrivare alla conclusione per Sora. «Conoscevo uno Xehanort, anni fa. Ma non era un ragazzo… era un vecchio, forse prossimo alla morte. E i Maestri del Keyblade possono…»
Non ebbe il tempo di rispondere: un boato echeggiò di fuori, e il castello venne scosso da tremiti.
«… ci attaccano!»
Topolino si avviò verso il corridoio che portava fuori a passo di corsa, poi giunto alla porta girò lievemente la testa.
«Sora, va’ a cercare Riku e Kairi. Shiro, corri al sicuro!»
«Cosa…?» Sora fu il primo a sbottare, contrariato, ma Shiro avrebbe felicemente protestato a sua volta.
Corri al sicuro. Ricordava quel che le aveva detto Tifa, sul fatto che il vandalo della Fortezza fosse un’invenzione di Leon. Stitch si era dimostrato essere reale, ma Shiro aveva i suoi dubbi sul fatto che avesse avuto intenzioni malevole.
Adesso quello. O come Yen Sid, anche dopo che lei avesse mostrato un Keyblade, non avesse fatto molto più che lasciarla in città e al massimo tenerla in allenamento. Adesso la città era in pericolo, e a lei veniva detto di correre al sicuro.
Sia lei che Sora corsero dietro a Paperino e Pippo, fuori dal castello, attraverso la zona di restauro con gli Heartless che sciamavano attorno a loro. Le creature dell’oscurità avevano aperto una breccia nella cinta muraria che proteggeva la città e il castello – doveva essere stato quello il boato che aveva scosso tutto – e fortunatamente il cancello di ferro che proteggeva il borgo era ancora intatto.
Shiro notò da subito che Paperino e Pippo, normalmente sempre addosso a Sora, stavolta erano davanti a lei, pronti ad intercettare qualsiasi cosa fosse troppo vicino.
«Sai, Paperino, credo che Sora abbia bisogno di cure!» Shiro si decise finalmente a commentare quando, a pochi passi dal cancello che portava al borgo, notò che Paperino ancora si ostinava a fulminare i Cavalieri Corazzati che le si avvicinavano troppo, mentre Sora aveva iniziato a zoppicare leggermente e stringere i denti.
«Starà bene. Tu corri!» Paperino ribatté, indicandole il cancello del borgo. «Noi ti copriamo!»
«Starò bene anche io.» Shiro sibilò a denti stretti, ma continuò a correre nella direzione indicatale dal papero. Avrebbe protestato ancora, e nella sua mente aveva un bel po’ di cose che avrebbe voluto dire ai tre, al Re, e persino a Leon, ma sembrava quasi che la sua coscienza, che di quei tempi era rimasta zitta e calma, in quel momento avesse preso a tenere zitta e calma lei.
Shiro, ragiona. Non ti vogliono tenere da parte come un bambino piccolo. C’è gente che non può combattere in città. Vostro Onore, Finn, il signor De’ Paperoni, i bambini che Cloud ha salvato. Chi pensa a loro se tutti i combattenti sono fuori dalle mura?” La coscienza prese ad asserire.
«Se tutti i combattenti sono fuori dalle mura, allora non passa nessun Heartless!» Shiro ribatté, riuscendo a fermarsi davanti al cancello.
Shiro, nessuno di loro è infallibile. Non Leon, non Merlino, non Sora. Andiamo dentro. Fallo per il borgo.
Un Cavaliere Corazzato si buttò verso di lei, talmente veloce che per Shiro sarebbe stato tropp…
… il suo corpo si mosse senza che lei lo comandasse, e prima di accorgersene era balzata di lato, aveva schivato l’affondo, e tirato un fendente che polverizzò il suo aggressore.
Poi venne il dolore. Entrambe le gambe e il braccio destro di Shiro esplosero in fitte di dolore talmente forti che la ragazza dovette mordersi il labbro.
Dentro, dentro, dentro!” la sua coscienza esclamò di nuovo, e Shiro prese un momento fiato, poi si girò, aprì il cancello, entrò nel borgo e lo richiuse.
«Cosa è stato?» mormorò appoggiandosi alla parete. Non le era mai successo prima – un momento prima era stata rapida e precisa come non lo era mai stata, un momento dopo sembrava che ogni muscolo che aveva mosso le fosse stato tirato fin quasi al limite.
Colpa mia.” La coscienza non disse altro. Il suo tono di voce era quello di qualcuno che stava morendo di vergogna.
«Che vuoi dire?» Shiro si cercò nelle tasche fino a trovare una Pozione, la stappò e la bevve. Il dolore prese a scemare, abbastanza per poter camminare normalmente e allontanarsi.
Ti ho fatto fare qualcosa che era troppo per le tue forze. E adesso hai male come se ti fossi allenata tutto il giorno.
Shiro provò a chiedere qualcos’altro di quanto fosse successo, ma la sua coscienza sembrava di nuovo sparita, lasciandola con più domande che risposte.
Aveva letteralmente controllato il suo corpo, perché Shiro non ricordava di aver mai imparato a muoversi in quel modo.
Per giunta, Shiro comprese con una fitta di paura, quello era la prova che Leon, il Re e Paperino avevano ragione. Non era pronta. Nonostante tutto l’allenamento che aveva fatto con Yuffie e Merlino, ancora non era pronta per combattere là fuori.
Avrebbe voluto piangere. Era ancora inutile, nonostante il Keyblade.
Fuori dal cancello infuriava la battaglia, e solo due dei combattenti avrebbero potuto distruggere gli Heartless per sempre.
Questo perché lei era ancora incapace.
«Shiro!»
Per un momento, le sembrò di vedere Saïx e il suo sguardo di disapprovazione. Sbatté le palpebre e si rese conto che si sbagliava: il giudice Ilyas, con la toga di traverso, aveva aperto la porta di casa sua e le stava facendo gesto di entrare in casa.
Shiro si diede un’occhiata attorno e varcò l’uscio. Con Ilyas a chiudere la porta dietro di lei, azzardò un «Permesso…» a cui l’unica risposta fu il «Bahhh!» di Finn, in piedi in un box nel soggiorno e circondato da giocattoli.
Ilyas tirò un sospiro, poi si sedette sul divano, a un passo dal box dove giocava il piccolino.
«Là fuori se le danno di santa ragione, eh?» Aveva abbozzato un sorriso, ma Shiro ne aveva visti parecchi di sorrisi falsi come quello – il giudice era preoccupato, e non voleva darglielo a vedere.
«Non mi piace per niente…» Shiro si sedette sulla poltrona davanti e si strinse nelle spalle. Non poteva evitare di avere un brutto presentimento. «Io posso stare solo qui e proteggere voi, ma non so nemmeno se ci riesca in realtà.»
Ilyas prese Finn dal box, lo abbracciò forte e lo lasciò sedere sulle sue ginocchia.
«Quando accadde dieci anni fa nessuno si aspettava che la situazione sarebbe precipitata. Io stesso dissi al fratello di Finn che non aveva niente da temere...»
Tirò un sospiro.
«Credo che quella volta la sapesse più lunga di me. Con quello che si è saputo sull'usurpatore e Lord Ansem… probabilmente Isa stava cercando di impedirlo.»
Shiro si morse il labbro. Avrebbe voluto dire al giudice che il suo maggiore era là fuori… ma come avrebbe fatto a spiegargli che era dalla parte di quelli che l’avevano rapita e cercata di usare? No, doveva rassicurarlo in un altro modo. Il giudice doveva sapere che stavolta c’erano Custodi del Keyblade che stavano combattendo, che sapevano chi avevano davanti – anche grazie a lei.
«Questa volta ci sono io e… lo so che non sono Sora o Cloud ma… nessuno farà qualcosa a voi o a Finn, signore. Servirà pure a qualcosa se ho una chiave con me no?»
«Cloud è stato un bambino come lo eri tu, Shiro. Prima o poi…» Ilyas fece per dire, ma si irrigidì di colpo quando una pozzanghera di tenebre comparve nell’altro angolo della stanza. Prima che il Corridoio Oscuro finisse di formarsi, scattò in piedi e mise Finn nelle braccia di Shiro, poi si parò davanti a loro.
Una figura incappucciata comparve nella stanza.
«Basta giochetti, Shiro.» Il Nessuno tese la mano, e Shiro riconobbe la voce di Saïx. «Torna da noi e più nessuno si farà male.»
«Corri.» Ilyas sibilò tra i denti, rivolto a Shiro.
«No… correte voi!» Shiro guardò il giudice, si mise in piedi a sua volta, tenendo ancora Finn nelle braccia, poi sostenne lo sguardo di Saïx con aria di sfida. «Puoi scordartelo
Saix schioccò le dita e un Berseker prese il giudice e lo intrappolò dietro al suo spadone.
«Non costringermi alle maniere forti!»
Shiro strinse Finn con un braccio e girò i tacchi, correndo verso la porta che dava sul retro. Attraversò di corsa il cortile posteriore, con Finn che le stringeva le braccia quasi attorno al collo e chiamava il padre, cercando di ricordarsi quali vicoli avrebbero portato a casa di Aerith o da Merlino. Non conosceva bene la strada da quel lato della casa… era sempre entrata e uscita dal davanti…
«Pa, pa, pa…» Finn borbottò in tono contrariato, indicando con la manina la direzione di casa sua.
«Sta’ tranquillo, gnomo, ci sono io con te. Adesso andiamo al sicuro.» La ragazza lo rassicurò.
La stradina non era una che Shiro ricordava, ed era stranamente silenziosa, con gli echi della battaglia fuori dalle mura sempre più lontana. Stavano forse vincendo?
«Dove credi di andare
Saïx comparve dal nulla davanti a loro. Shiro ricordò che se c’era qualcuno che conosceva la strada, non poteva che essere lui. Era il quartiere dove era cresciuto.
«Lontana da te!» Cercò di sfidarlo lo stesso. «Non mi riporterai al castello, e non farai del male a Finn!»
Probabilmente, se le cose si fossero guastate abbastanza, la coscienza le avrebbe fatto poggiare Finn sulla strada e ci avrebbe pensato lui a combattere, anche se Shiro non sapeva quanto male avrebbe potuto farle un simile intervento.
«Pensi davvero di riuscirci?» Saix si avvicinò a lei, con una smorfia di falso disgusto. «Forse qualche giorno in mezzo ai Qualcuno ti ha insegnato soltanto a sognare un po' troppo.»
«Io sono un Qualcuno!» Shiro tenne Finn con la sinistra e alzò il braccio destro di lato. «E sono una Custode del Keyblade!»
Aiuto. Qualcuno. Chiunque.
Un altro Corridoio si aprì tra Shiro e Saïx, e ne uscì Axel, con il cappuccio portato all’indietro, un paio di lividi sulla faccia, di cui uno a cerchiargli un occhio, e i capelli più arruffati che mai.
«Cosa ACCIDENTI STAI FACENDO?» latrò contro il suo amico di un tempo, alzando i chakram come Shiro aveva alzato la mazza giocattolo qualche giorno prima per difendere Roxas.
«Axel!» Shiro fece un passo indietro. Era ancora vivo. Era lì!
Lui girò la testa verso di lei e le fece un sorriso.
«Ciao, funghetto.»
Aveva sicuramente visto giorni migliori a giudicare dallo stato della sua faccia e dei suoi vestiti, e aveva delle croste su una mano dove qualcosa o qualcuno doveva averlo morsicato, ma il suo sorriso era vero.
Era realmente felice di vederla.
Axel girò di nuovo la testa verso Saïx, stavolta con aria di sfida.
«Guarda un po’ chi si fa rivedere.» Saïx non batté ciglio, anzi aggrottò le sopracciglia. «Falle mollare il moccioso, portala al Castello e potrei non memorizzare quello che hai combinato nelle ultime settimane.»
Axel sbuffò.
«Il moccioso, dice lui.» Rimase in silenzio per un momento, fissando Saïx negli occhi, poi riprese a parlare, a voce molto più alta. «QUEL BAMBINO È TUO FRATELLO, IDIOTA!»
Quasi ci fosse stato un segnale da parte di Axel, o forse semplicemente perché l’ex Numero VIII stava urlando, Finn nascose la faccia contro la spalla di Shiro e si mise a piangere forte, urlando che voleva suo padre.
Saïx rimase fermo per un momento, fissando Shiro e il piccolo che teneva ancora in braccio, poi si evocò un Corridoio Oscuro sotto i piedi e svanì.
«Spero che Sora li tenga tanto alle corde da fare in modo che non ti diano più fastidio.» Axel ansimò e scosse la testa. «Demyx è andato. Doveva prendere lui te e Sora… ma credo che Sora abbia preso lui.»
«Oh.» Shiro a stento registrò l’informazione. Finn stava ancora piangendo, anche se non forte come prima.
Axel fissò il bambino e sorrise, sbuffando rumorosamente col naso.
«L’ho lasciato io sulla porta di Vostro Onore,» confessò. «Lui e gli altri bambini della strada. Volevo fargli capire che eravamo ancora in circolazione. Non immaginavo che lo avrebbe adottato.»
«Axel, io… non voglio tornare.» Shiro cercò di spiegarsi al meglio che poteva. «Però… resta…»
Cercò di pensare ad un modo per convincere il suo amico a rimanere.
«Potresti esserci d’aiuto. Sei bravo a combattere, la città ha bisogno di un guardiano…»
Axel rimase a fissare il punto dove Saïx era sparito, poi si girò verso Shiro e Finn.
«Questo non è più il mio posto, Shiro.»
Abbassò lo sguardo.
«Ho fatto un macello… di nuovo
Aprì a sua volta un Corridoio, e anche lui scomparve nel nulla.

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Capitolo 4
*** Piani di Un'Avventura ***


Journey – Capitolo 4
Piani di un’Avventura
 
«So, if you care to find me, look to the Western sky! As someone told me lately, everyone deserves the chance to fly…»
Il barbone di Broadway – o così lo aveva chiamato Luna – arrancava su e giù per il marciapiede, con in mano una bottiglia di quello che doveva essere un qualche imprecisato alcolico, e biascicava una canzone che per quanto stonava sarebbe dovuta appartenere ad una voce femminile.
Prompto alzò gli occhi al cielo e si chiese quanto ancora avrebbero dovuto pazientare prima di ripartire. Sembrava che Strange stesse aspettando che accadesse qualcosa, ma cosa?

 
 
Sora rimase sdraiato per terra, con gli occhi verso il cielo dove batuffoli di nuvole stavano venendo sparsi da una brezza mattutina, e iniziò a contare fino a dieci per cercare di calmarsi.
L’Organizzazione XIII aveva preso Kairi. Quello che aveva detto Shiro su Kingdom Hearts – vero e confermato. Non solo: per ogni Heartless che lui e Shiro abbattevano con il Keyblade, i cuori che liberavano finivano dritti in mano a Xemnas.
Topolino sapeva qualcosa su Riku – e a quanto pareva, anche la stessa Shiro.
Sora sarebbe tornato di filata alla Fortezza Oscura dopo che Malefica li aveva spediti nel Reame Oscuro per allontanarli da Saïx, ma l’uscita data loro dalla figura misteriosa li aveva come naufragati su una spiaggia che Sora non riconosceva.
Anzi…
Si tirò su a sedere.
Riconosceva quella spiaggia.
Forse il mare era leggermente diverso, forse era coperta di detriti da una recente tempesta, ma gli ricordava la spiaggia solitaria dei suoi sogni, quelli in cui era seduto in riva al mare, con un uomo adulto dai capelli chiari alla sua sinistra, e un bambino con i capelli scuri alla sua destra.
«Paperino… Pippo…» Sora si alzò in piedi e si guardò attorno. «… dove… dove siamo?»
«Su una spiaggia, ovvio!» Paperino sbottò, scrollandosi via la sabbia dalle piume.
«Questo posto mi sembra familiare.» Sora confessò. «Come se io ci fossi già stato.»
«Sono d’accordo con te, yuk.» Pippo lo affiancò e fissò per un momento l’oceano.
Un ragazzo, di qualche anno più grande di Sora, con i capelli neri, una camicia bianca, e un paio di calzoni da marinaio, si stava aggirando su e giù per la spiaggia, fissando la risacca. Con lui c’era un grosso cane peloso che gli correva attorno.
L’animale sembrava allegro, ma il volto del ragazzo era la maschera della preoccupazione.
«Hey, bello!» Sora si chinò verso il cane mentre quello si avvicinava a lui. Sembrava abbastanza amichevole a giudicare dal suo comportamento – per non dire che piantò le due zampe anteriori sulle spalle di Sora e prese a leccargli la faccia.
«Torna qui, Max.» Il ragazzo richiamò il cane. «Non ti stava disturbando, vero?»
«No, affatto.» Sora camminò verso il giovane. «Piacere, il mio nome è Sora. Io, Paperino e Pippo arriviamo da abbastanza lontano, temiamo di esserci persi.»
Il ragazzo fece una smorfia imbarazzata. Evidentemente doveva aver capito qualcosa che loro non avevano compreso.
«Ahem… mi chiamo Eric.» Ammise. «Secondo un po’ di gente qui intorno sarei il principe di queste terre, ma preferirei essere noto come un uomo di mare e il padrone di questa palla di pelo.»
«Ahem… piacere.» Sora si strinse nelle spalle. Non sapeva come comportarsi, se passare al formale o continuare con il suo solito registro, principalmente perché il ragazzo aveva detto di non voler venire trattato come un reale.
«Qualcosa non va, Vostra Altezza?» Pippo non sembrò farsi di questi problemi.
«Ho incontrato… una ragazza, alcuni giorni fa.» Eric si sedette su uno degli scogli che affioravano dalla sabbia e si mise a giocherellare con un flauto. «Credo mi abbia salvato da una tempesta. Non la ricordo bene, forse un po’ la sua faccia, sicuramente la sua voce.»
«La stai cercando, eh?» Sora si sedette su un’altra roccia a qualche passo. «Io ho perso i miei amici. Ho paura che possano essere in pericolo.»
«Sora. Ordine.» Paperino gli diede una gomitata.
«Il mio tutore dice che potrei averla sognata.» Eric non sembrava voler prestare molta attenzione a quella storia. «Ma è successo. Qui. Su questa spiaggia.»
«Io ho sognato questa spiaggia, tempo fa.» Sora si mise in piedi. «O almeno, credo sia qui. Ma… non ho idea di cosa volesse dire quel sogno.»
«Magari i tuoi amici sono qui.» Eric si strinse nelle spalle e sorrise, poi portò il flauto alla bocca e iniziò a suonare una successione di note, lenta, quasi triste.
A Sora sembrava quasi di averla già sentita… ma non in un sogno.
Sì, quel mondo gli era familiare, anche se ancora non ne aveva compreso il perché.
«Dammi una barca a remi e mi faccio un giro da queste parti. Cerco io un po’ per te. Che faccia ha questa ragazza?» Sora si stiracchiò e scosse la testa.
«Ha i capelli rossi.» Eric provò a descrivere. «Lunghi, tenuti sciolti. Ha gli occhi verdi, scuro. Di un verde che non ho mai visto prima.»
«Ricordi che vestiti aveva?» Sora chiese, ma Eric scosse la testa. Ahia. I vestiti avrebbero potuto aiutare. «Età? Più o meno?»
«Le avrei dato quindici o sedici anni.»
«… e quindi è mia coetanea. Okay.» Sora si sfregò il mento con una mano. «Nessun problema, Eric. Sono cresciuto in riva al mare proprio come te. Magari non conosco questa spiaggia come conoscerei casa mia, ma sono capace di setacciarla!»
«Davvero mi daresti una mano?» Eric si illuminò e si mise in piedi a sua volta, poi indicò un gruppo di scogliere. «C’è una barchetta lì dietro. Puoi prenderla. Uhm… ma sta’ attento. I marinai qui raccontano storie strane. Parlano di un re sotto il mare che può scatenare tempeste se viene contrariato.»
«Ah, non è un problema.» Sora marciò allegramente verso il punto che il principe gli aveva indicato. «Trattare con un re sotto il mare non sarebbe la cosa più strana che ho fatto in vita mia.»
«SORA!» Paperino gli diede una lieve randellata sulla testa, poi guardò Eric e fece una risatina nervosa. «Devi scusarlo, a volte le spara davvero grosse.»
Fu soltanto quando furono al largo, fuori portata d’orecchio, che Paperino si decise a riprendere a sgridarlo.
«Potrebbe davvero essere tutta una leggenda per quanto ne sappiamo. A quel ragazzo non interessa che tu abbia duellato con un pirata nonmorto o che tu conosca Babbo Natale o sconfitto il dio dei morti con l’aiuto di Ercole!»
«Sì, però noi abbiamo realmente trattato con un Re sotto il mare.» Pippo puntualizzò mentre Sora continuava a remare.
Un gabbiano spennacchiato volava in cerchi sopra le loro teste, fino a posarsi su un’isoletta e fissarli con uno sguardo un po’ idiota.
Doveva avere il nido lì, Sora si disse. Aveva un po’ di cianfrusaglie e rottami di legno sull’isoletta, alcuni ammucchiati nel suo stesso nido – la cosa doveva essere dovuta al recente naufragio che Eric aveva menzionato.
«Non capisco.» Sora ammise, mettendosi in piedi sul fondo della barca. «Eric ha detto di aver visto una ragazza. Una ragazza che non conosce. Eppure è il principe e da quanto ho capito è anche abituato a viaggiare. Ma qui andiamo avanti da un po’ e tutto quello che vedo è soltanto acqua
«Eh, certo. E che ti aspettavi, fuoco?» Paperino alzò gli occhi al cielo.
«Se stessimo giocando ad acqua, fuochino, e fuoco, sì, mi aspetterei fuoco.» Sora ribatté, poi smise di remare. Davvero non riusciva a capire. Eric sembrava sincero quando aveva parlato di una ragazza, ma le circostanze in cui l’aveva incontrata erano improbabili come un ago in un pagliaio.
E probabilmente quella stessa ricerca era un ago in un pagliaio.
«Il solito Sora.» Paperino protestò. «Dovevi proprio accettare una simile perdita di tempo?»
Il gabbiano, che stava fissando un punto dietro il suo scoglio, guardò Paperino e Sora con gli occhi sbarrati, ed emise uno stridio che suonava orribilmente come: «Sora?»
Sora rimase a fissare l’uccello. Non aveva mai visto quel gabbiano, ne era certo, ma forse Roxas era stato in quel mondo? Forse era qualcosa che aveva dimenticato, o forse…
Qualcosa ruppe la superficie del mare dietro di lui.
«Sora… sei davvero tu?»

 
 
New York non era Crepuscopoli, ma il cielo fuori dalla finestra sembrava quasi lo stesso ora che calava la sera. In un qualche modo, al tramonto Noctis si sentiva sempre a casa.
«Siamo alle solite,» Ignis protestò dalla cucina del loro appartamento. «Noct, tanto lo so che sei stato tu!»
«Cosa hai combinato?» Luna, seduta accanto a lui al tavolino del soggiorno, fissò Noctis con una lieve aria d’accusa. Prompto, dall’altro lato, soffocò una risatina.
«Credo che al nostro amico Noctis non piaccia la verdura.» Strange, a capotavola come ospite d’onore, rise sotto i baffi. «Sarà anche discreto, ma durante tutta la cena ha scartato o sputato i broccoli nel tovagliolo.»
«Già, il solito Noctis.» Gladio si alzò da tavola e tolse le posate. «Niente bignè per te.»
Noctis stava per ribattere qualcosa quando il cacatua che Luna e Ravus avevano regalato ai ragazzi emise uno stridio assordante dal suo trespolo.
«KWEH! BISCOTTO… BISCOTTO!»
«E sta’ un po’ zitto, Cookie!» Noctis alzò gli occhi al soffitto. Non si fosse mai lasciato scappare davanti a Luna che lui e Prompto avevano sempre adorato i pappagalli. Dovevano aver preso il pennuto più vorace e loquace di tutto l'allevamento, perché da quando era arrivato in casa loro, non faceva che urlare a gran voce di voler venire nutrito.
Il nome "Cookie" era venuto da lì.
«Andiamo, ragazzi, non è mica un bambino.» Luna commentò, anche se suo fratello si era unito alle risate generali.
«D'accordo, per stavolta lo graziamo.» Ignis tornò con il vassoio dei bignè.
«Ma soltanto perché voi due stasera siete di pattuglia assieme e altrimenti finirebbe per lamentarsi con te tutto il tempo,» Gladio precisò.
«E voi quattro sareste sopravvissuti un anno e mezzo, sulla strada, badando in questo modo a voi stessi?» Ravus commentò arraffando un pasticcino. Se lo infilò in bocca, masticò un po', poi sgranò gli occhi. «Dove siete andati a prenderli, in Louisiana?»
«Li ho fatti io.» Ignis si sistemò gli occhiali e riprese il suo posto. «Una ragazza di nome Tiana mi ha insegnato la ricetta, credo il posto dove siamo stati si chiamasse New Orleans.»
«Beh, New Orleans è in Louisiana.»
«Sì, ma sembrava tutto molto più vecchio.» Prompto ribatté. «Come se fosse stato un secolo fa o poco meno.»
«Non è la New Orleans che conosci tu, Ravus.» Strange concluse. «È un altro mondo. Il che mi rammenta, c’era una ragione per cui volevo parlare con voi ragazzi prima della pattuglia di stasera.» Non sembrava affatto interessato ai dolci.
Noctis approfittò per prenderne tre o quattro prima che Gladio e Ignis cambiassero idea.
«E a buona ragione, vi devo un po’ di spiegazioni.» Lo stregone tirò un sospiro. «Stessa cosa per voi, Luna e Ravus. Ricordate quando vi menzionai che Thanos e la sua armata sono spariti da questo mondo e hanno trovato la loro fine in un’altra dimensione? Beh, in quella dimensione, Noctis, Luna, voi non avete mai messo piede a New York.»
«Cosa?» Fu Luna la prima a scattare in piedi. «Non è possibile. Sono nata qui.»
«Non scenderò nei dettagli. Non vi voglio spaventare più di quanto non siate già smarriti.» Strange non batté ciglio. «Nella dimensione in cui Thanos è sparito… voi siete tutti nati nello stesso mondo, un mondo chiamato Eos che in questa dimensione non è mai esistito. Ora, qualcosa o qualcuno sta fessurando i confini tra i mondi e la cosa ha conseguenze anche sulle dimensioni… il che magari è la ragione per cui tu, Prompto, hai capito che avresti potuto fidarti di Noctis fin dal tuo primo giorno di scuola, anche se eri rotondo, portavi gli occhiali, e sei stato adottato…»
«Hey! Come fa a saperlo?» Prompto quasi perse l’equilibrio sulla sua sedia.
«… o che la tua peggiore paura, Ignis, è perdere la vista…» il dottore continuò. Ignis quasi si strozzò con un bignè.
«… o che tu, Gladio, sapevi già da bambino che avresti avuto una sorella quando tua madre ti disse che aspettava un bambino.» Strange concluse con un sogghigno. «Sono tutte cose che non avevate detto a nessuno. In un altro universo, queste cose sono già accadute ad altri di voi, e in un qualche modo lo sapete. Quanto a te, Noctis…»
Noctis si affrettò a deglutire, lo sguardo penetrante dello stregone fisso su di lui. Per come lo stava guardando, avrebbe sicuramente detto qualcosa di grosso. Tipo, come aveva preso a battergli il cuore quando Luna gli era stata presentata. O di come diverse notti aveva avuto incubi in cui veniva pugnalato più volte, che spesso si erano conclusi con Papà che lo svegliava e lui che gli piangeva addosso. Oppure ancora…
«Hai un prozio anziano che vive in casa tua.» Il dottore fece un sorrisetto. «Lui non sopporta di dire il tuo nome, e tu non sopporti il suo.»
Noctis tirò un sospiro di sollievo, afflosciandosi contro lo schienale della sedia. Tutto qui?
Zio era un tipo a posto, dopotutto.
«Probabilmente la causa dell’aumento degli Heartless e delle dimensioni instabili è la stessa.» Strange spiegò. «Ma qui siamo ancora troppo lontani per intervenire appieno. Però qualcuno potrebbe essere vicino abbastanza. Prompto, hai detto di avere un fratello a cui hai inviato delle lettere, no?»
«Sì… Pence. Perché?»
«Ho trovato questa al largo di Manhattan.» Ravus estrasse una bottiglia di vetro da una borsa.  Dentro al vetro c’era un messaggio, arrotolato stretto, ma non abbastanza per non distinguere la calligrafia ordinata di Pence sulla carta.
Prompto prese la bottiglia e la stappò, dando due colpetti al vetro per farsi piovere la lettera in mano. Posò la bottiglia e aprì la lettera.
 
Caro Prompto,
Spero che questa lettera ti raggiunga. È arrivata qui una ragazza da un altro mondo. Dice di chiamarsi Kairi, e mi ha suggerito di provare ad affidare la mia posta al mare perché ti arrivi.
Avrei un SACCO di cose da dirti. Ora che Ignis non lavora più allo stand dei gelati lo sostituisce tale Comet. È una sagoma, ma non ci fa sentire la mancanza di Iggy, stanne certo. Ha detto che presto lascerà il lavoro alla cassa a qualcun altro, ma credo che aprirà un locale in città, quindi non credo sia un addio.
E poi Sora. È un ragazzo che è giusto passato in città, ma sia io che Hayner e Olette lo abbiamo sentito vicino, come se già fosse nostro amico. Un po’ come te e Noctis immagino.
Kairi è stata presa da un brutto ceffo con una cappa nera. Io e gli altri stiamo cercando di capire dove possano averla portata, ma la nostra ipotesi è sempre più improbabile ogni volta che ci pensiamo.
Secondo te è possibile che possa esistere un’altra Crepuscopoli? Che qualcuno possa averla copiata?
Ti voglio bene. Torna presto.
Pence
 
«Copiare Crepuscopoli?» Gladio sgranò gli occhi. «Come è possibile?»
«Pence non scriverebbe cose del genere se non fosse convinto di quel che pensa.» Prompto chiuse la lettera. «E non affiderebbe una lettera al mare se non fosse convinto di avere una possibilità che mi arrivi. Questa è la prima volta che mi risponde, Gladio.»
«Ho visto un sacco di cose nella mia vita che reputavo impossibili o assurde.» Strange si premette la base del naso. «Prompto, rispondi a tuo fratello. Digli di non fare niente di azzardato… e di cercare di capire quanto una cosa del genere sia probabile. Se c’è un’altra Crepuscopoli, ci sarà anche un modo di arrivarci.»
Noctis chiuse gli occhi e si premette una mano sulle palpebre. Perché non li lasciava tornare a casa?
Dire a Pence e ai suoi amici di non fare niente di azzardato sarebbe stato come aspettarsi coccole da un coccodrillo!
«Va bene, Noct, ora della pattuglia.» Luna lo tirò per una manica e lo fece alzare. «Maestro, credo che per stasera basti. Li avete già terrorizzati abbastanza.»
Lanciò un’occhiata a Prompto.
«Scrivi a tuo fratello, comunque. Se non altro perché gli farebbe piacere.» Gli sorrise. «Noct, andiamo.»
Noctis prese la sua giacca e il suo berretto dall’appendiabiti dietro la porta, se li infilò in fretta e furia, e seguì Luna fuori dalla porta.
Come ogni volta che era da solo con lei, si sentiva le orecchie calde, e ringraziò di avere il cappello e di non essersi mai tagliato i capelli troppo corti. Strange aveva fatto dei turni di pattuglia del quartiere tra loro sei, e lui finiva sempre con Luna.
«Mi ripeti com’è che tu e tuo fratello siete finiti a lavorare per uno stregone?» Noctis si infilò le mani nelle tasche per non imbarazzarsi a gesticolare come un bambino.
«Quando eravamo ragazzi, un’armata di mostri attaccò la città. Arrivarono fino a casa nostra.» Luna abbassò il capo. Non doveva essere una bella storia da raccontare, a giudicare dal suo tono di voce. «Io e Ravus vivevamo da soli con la mamma, e… beh, hai visto le sue cicatrici. Aveva cercato di tirare mamma via. Venimmo portati all’ospedale dove Strange lavorava da medico. Avrebbe potuto salvargli il braccio, ma non lo fece… e quando venne a sapere che mi ero iscritta a medicina al college… mi venne a cercare. Ma non era l’uomo che si era rifiutato di salvare mio fratello. In un qualche modo, era cambiato, sia fuori che dentro. Mi disse che aveva visto qualcosa in me, nel mio passato e nel mio futuro.»
Si fermò al centro del parco. Una enorme fontana circolare, delimitata da gradini che scendevano verso il basso, era circondata da adulti e ragazzi che si facevano gli affari propri.
«Quando sono arrivati gli Heartless, temevo che sarebbe stato come con i Chitauri. Che avremmo perso qualcos’altro. E se è vero quello che Stephen dice, ci sarà molto da fare per sistemare le cose.» Luna si girò verso Noctis. «Sembra che niente più importi… il college, le Arti Mistiche, o i cosiddetti Vendicatori…»
«Beh, io e Prompto abbiamo abbandonato la scuola per venire qui.» Noctis si strinse nelle spalle. «Avrei chiesto a Zio di aspettare un altro anno, ma non ha voluto sentire ragioni. È uno svitato, un po’ come il tuo dottor Strange. Non è nemmeno realmente mio zio, è tipo un prozio alla lontana che vive nella villa di famiglia. Tecnicamente dovrei chiamarlo Ardyn e basta, ma tutte le volte che dico il suo nome mi dà ai nervi.» Si fermò quando vide che anche Luna aveva sobbalzato. Gli venne quasi da ridere… anche lei?
«… ma nemmeno lui è tanto felice di dire il mio nome. Anziché Noctis o Noct mi chiama sempre nipote o ragazzo
Tirò un sospiro.
«Comunque penso che lo strozzerei se mi chiamasse Noct.»
Poco lontano da loro, un duo di artisti di strada aveva tirato fuori una tastiera e una chitarra, attaccato i loro strumenti a un generatore, e cominciato a suonare.
«Quindi… pare che ci siamo. A Crepuscopoli finalmente accadono cose.» Noctis decise di cambiare argomento. «Verrai con noi quando torneremo là?»
Il modo in cui Strange cercava di tenere sempre lui e Luna vicini, la maniera enigmatica in cui aveva parlato di più linee temporali diverse e di come qualsiasi cosa le avesse rese instabili aveva fatto comunicare i ricordi, il pappagallo, l’arrangiamento dei posti per quella sera… era tutto così confuso eppure tutta la serie degli eventi – da quando Strange li aveva letteralmente risucchiati da San Fransokyo, aveva chiesto a Luna di trovare a loro quattro un alloggio, e con il passare dei giorni stesse cercando di far passare sempre più tempo da soli ai due…
… non che la cosa a Noctis dispiacesse, nonostante avesse tre o quattro anni più di lui, Luna era una bella ragazza, una dei migliori combattenti che lui conoscesse, aveva una mente straordinaria ed era una persona incredibilmente dolce nonostante tutto quel che le era successo…
«I had a dream the other night, ‘bout how we only get one life… it woke me up right after two, stayed awake and stared at you, so I wouldn’t lose my mind…» uno dei due artisti aveva preso a cantare mentre premeva i tasti del piano.
Luna sbuffò, guardando gli artisti di strada. Noctis fu certo di averla sentita sibilare “Strange…” tra i denti, poi la ragazza guardò verso di lui.
«Se ti stai chiedendo per quale ragione tutto questo discorso, e questa situazione, possa inequivocabilmente sembrare la scena clou di un film romantico per adolescenti, sappi che potrebbe esserci lo zampino di qualcuno.»
«Eh?» Noctis pensava di aver capito cosa intendeva Luna, ma la domanda gli venne spontanea.
«You’ve got something I need, in this world full of people there’s one killing me…»
Luna lo guardò, si coprì con una mano la bocca e si mise a ridere.
«… and if we only die once, I wanna die with you…»
Fu in quel momento che Noctis si rese conto che si era messo nel sacco da solo.
Si era innamorato.

 
 
«Allora, fammi capire. Sei tu la ragazza che Eric sta cercando?» Sora tirò i remi nella barca e si sporse di lato, abbassandosi un po’ per restare al livello di Ariel. «Ha! Avevo azzardato a dire che magari i miei amici erano qui.» Si sforzò di ridere un po’. Era ancora preoccupato per Riku e Kairi, ma non avrebbe mai negato che vedere una faccia amica non lo avesse fatto star meglio.
«Puoi aiutarmi a rivederlo?» Ariel si aggrappò al bordo della barca e si tirò su.
«Va bene, va bene, ma non buttarmi giù.» Sora ridacchiò, strofinandosi la nuca con una mano.
Paperino rise.
«Come se ti dovessi preoccupare.» Starnazzò. «I tuoi vestiti non sono gli stessi, ma la magia che è dentro sì. Stavolta siamo semplicemente atterrati anziché ammarati.»
«Sora?» Sebastian il granchio fece capolino da sotto l’acqua. «Quel Sora? Oh, siamo sssalvi!» Si aggrappò con le chele a una cima che pendeva dalla barca e si issò sul bordo. «Sembra che Ursula stia tenendo la testa bassa da quando l’hai cacciata dal regno, ma nessuno di noi vuol dire pesce gatto finché non l’abbiamo nel sacco.»
Guardò Sora da capo a piedi.
«Quindi è così che sei realmente. Quale buona onda vi porta da noi?»
«Non sappiamo se è buona, yuk.» Pippo commentò. «Siamo naufragati. Senza modo di tornare finché non abbiamo modo di contattare casa.»
Sebastian fece schioccare una chela.
«Beh, finché siete qui… stiamo preparando uno spettacolo musicale, e avevamo proprio bisogno di altre tre comparse maschili.»
Sora prese una corda dal fondo della barca e la ormeggiò allo scoglio per evitare che venisse portata via dalla corrente.
«Ottimo. Quando ero a scuola, io, Riku e Kairi eravamo nel coro.»
«Uhm, Sora, ti si è rotta la voce.» Paperino gli fece notare.
«Tsk. Un maestro di musica mio pari gliela rimetterà a posto in un nulla!» Sebastian si ributtò in acqua. «E solitamente chi da bambino ha un bel tono da soprano, crescendo diverrà un tenore niente male! Vogliamo andare a palazzo a fare le prove?»
Sora si morse il labbro. Probabilmente già accettando di aiutare Eric aveva perso tempo che avrebbe potuto usare per trovare un modo di tornare alla Fortezza Oscura. Adesso Sebastian sembrava essere determinato a farlo partecipare allo spettacolo ad Atlantica, e Sora faticava a capire perché. Sapeva soltanto che avrebbe perso altro tempo.
Sebastian risalì sul bordo della barca e prese Sora da parte.
«Dite di sì, vi supplico. Ariel è inquieta ultimamente. Se ci siete voi… magari si calmerà e farà le prove.»
«Paperino, che bisogna fare?» Sora si mise in piedi sulla barca.
«Fare cosa?» Il papero corrugò il becco.
Sora fece gesto di compiere una magia con una bacchetta immaginaria. Paperino roteò gli occhi, alzandoli al cielo, e si diede una manata in fronte.
«La magia è già nei vestiti! L’anno scorso dovetti fartela perché te li eri portati da casa!»
Oh. Sora rimase per qualche momento in imbarazzato silenzio, poi scese dalla barca sullo scoglio per evitare di rovesciarla saltando.
«Uhm, Ariel, è abbastanza profondo per tuffarsi o rischio di battere la testa?» azzardò la domanda. «Non sarebbe un bello spettacolo se anziché cantare passo la mattinata a urlare di dolore.»
«Nessun problema.»
«Va bene.» Sora si dondolò sui piedi. Prese un po’ di rincorsa e si buttò in acqua di testa.
Per un momento rimase sott’acqua, come un idiota, trattenendo il fiato e chiedendosi perché non accadeva nulla. Decise di mantenere la testa sotto e aspettare… e nulla. Vedendo che ancora non succedeva niente, gli passò per la mente il pensiero di riemergere e chiedere a Paperino se i vestiti non escludessero quel genere di magia – anche se no, non poteva essere, dopotutto era successo più e più volte che i suoi vestiti cambiassero forma passando dalla Città di Halloween alla Città di Babbo Natale, e quando era finito nelle Terre del Branco si era addirittura ritrovato quadrupede, quindi…
probabilmente era perché stava trattenendo il fiato.
Si costrinse con uno sforzo non trascurabile ad aprire la bocca e inalare l’acqua, aspettandosi che gli avrebbe bruciato la laringe e lo avrebbe fatto tossire fino a vomitare, ma invece il suo respiro non trovò alcun impedimento, e sentì la sensazione, già provata una volta, dei suoi vestiti che sparivano e della parte inferiore del suo corpo che veniva pressata fino a cambiare.
«Vogliamo andare?» Scosse la testa e guardò verso la superficie, attendendo che anche Paperino e Pippo si tuffassero.
Neanche mezz’ora dopo, erano nel cortile del palazzo di Atlantica, e, approfittando di Ariel che iniziava a fare “m’ama, non m’ama” con le piante acquatiche, Sebastian ficcò un pacco di fogli nelle mani di Sora.
«Sai leggere uno spartito, dico bene?» borbottò il granchio. «Se i tuoi compagni non ne sono capaci, leggi loro le note.»
Sora prese le partiture in mano e iniziò a dare una rapida lettura. Erano principalmente quelle riguardanti la voce, ma c’era un’altra riga riguardante l’accompagnamento principale.
Tuttavia, era il testo a non piacergli.
«Sebastian, con tutto rispetto.» Aggrottò le sopracciglia e fece una capriola in acqua. «Se pensi che una canzone del genere faccia cambiare idea ad Ariel, beh, campa cavallo.»
«Cavallo?» Sebastian scosse la testa.
«Poi ti spiego cos’è.» Sora lasciò galleggiare lo spartito e incrociò le braccia. «Ma sembra che tu abbia scritto tutto questo apposta per scoraggiarla, e peraltro hai scritto tante leggende quante ne ho sentite alla Fortezza Oscura sulle fate.»
«E cosa penseresti di fare, scusa?» Il granchio gli lanciò un’occhiataccia.
«Scrivere un’altra canzone.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «Ma chi sono io per obiettare? Sono soltanto un semplice corista…» Fece un sorrisetto.
Passarono delle ore nel cortile, con il granchio che mise a dura prova la pazienza di Sora con almeno un paio d’ore di scale e vocalizzi. Nei momenti di pausa, gli faceva schiacciare le guance con i palmi delle mani, muovere la mascella, e prendere respiri profondi.
Insistette poi per far provare la canzone per cui Sora aveva alzato gli occhi al cielo, e a quel punto fu Flounder a fare gesto a Sora e Ariel di nuotare via per un po’.
Approfittando del ballo collettivo come distrazione, Ariel condusse Sora alla sua grotta.
Il piccolo covo era come Sora lo ricordava: la collezione di Ariel era ancora accumulata sugli scaffali naturali, ma c’era una statua che sembrava essere caduta lì dalla superficie.
«Quella è finita in fondo qualche giorno fa.» Ariel spiegò fermandocisi vicino.
«Gli somiglia.» Sora commentò immediatamente. Ariel sorrise.
«Sarebbe bello potergli stare realmente accanto.» Rimase per un po’ a guardare la statua, poi si girò di nuovo verso Sora. «Cosa mi racconti? Hai visto altri mondi? Conosciuto altre persone?»
«Esiste qualcun altro come me. Una bambina.» Sora si decise a sorridere. «Si chiama Shiro. Ha quasi tredici anni, ma gliene avrei dati dieci. La stiamo aiutando a cercare i suoi genitori.»
«E i tuoi amici?» Ariel si sedette su una delle panche naturali nella roccia e fece gesto a Sora di fare lo stesso. Sora nuotò vicino a lei, ma tirò un sospiro.
«Sembra quasi che… io li abbia persi.» Fece una smorfia. «Non so dove sia Riku, e pare che Kairi sia stata presa da brutte persone. E adesso siamo precipitati qui senza alcuna maniera di segnalare la nostra posizione.»
«Potresti chiedere un aiuto a papà.» Ariel si coprì il mento con una mano. «Se la serratura è realmente qui dentro, forse ci sarebbe un modo di lanciare un segnale.»
«Beh, per il momento sono qui. Tanto vale che io aiuti te.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «Allora, hai detto che ami questo ragazzo. Com’è che ti senti?»
Ariel si passò una mano tra i capelli.
«Tutte le volte che penso a lui mi vengono le meduse nello stomaco. Mi batte forte il cuore quando lo vedo… e non riesco a toglierlo dalla mia testa.»
«Ed è da qualche giorno ormai che lascia il piatto a metà a tavola.» Flounder intervenne girando attorno a loro. «E sai qual è la cosa peggiore?»
Sora premette le mani sul bordo della roccia.
«Che non ne puoi parlare a nessuno.» Le fece un sorriso di comprensione. «Anche Eric dice che il suo tutore l’ha preso per svitato.» Si girò un dito attorno alla tempia.
«Sono serio, dovreste parlarvi. Faccia a faccia, entrambi da svegli. Se vuoi posso dirgli dove incontrarvi, ci ho parlato.»
«Lo faresti davvero?» Ariel praticamente si sporse su di lui, in un gesto che Sora aveva visto fare solo a Wakka quando Riku si era offerto di aiutarlo a chiedere a Lulu un appuntamento. Poi si ritrasse quasi immediatamente, appena finito di parlare, e si mise la testa tra le mani. «Sì, ma cosa gli dico? Ciao, sono stata io che ti ho salvato dalla tempesta, mio padre ti odia, io ti amo, non so come raggiungerti ma passerei tutta la mia vita con te?»
Sora si strofinò la nuca con una mano. «Non è troppo difficile. Ci stai pensando troppo,» le disse. «Spiegagli le cose, come le stai spiegando a me. Mio padre dice sempre che per costruire una vita con qualcuno, devi sia amare che voler bene. Non devi soltanto capire che ti sta battendo il cuore… pensa a come ti sentiresti se lui fosse la prima persona che vedi quando apri gli occhi al mattino. Se davvero ti renderebbe felice immaginarvi tra parecchi anni, sedervi uno accanto all’altra, ricordare di quando eravate ragazzi e vi siete incontrati… pianificare insieme la vostra avventura e le vostre vite…»
Come noi tre avevamo fatto prima che tutto andasse all’aria… un pensiero gli invase la mente. Ricordava ancora di quando Kairi gli aveva proposto di prendere la zattera e andarsene, ma lui aveva rifiutato per non lasciare Riku indietro. Era il piano di tutti e tre e lo avrebbero portato a termine insieme…  perché stava pensando proprio a loro in quel momento?
«Wow…» Ariel commentò. «Che belle parole. Quindi è così che gli esseri umani si corteggiano tra loro?»
«Non credo sia molto diverso.» Sora si strinse nelle spalle. «Credo che l’amore resti quello che è… amore e basta… non importa il mondo, o chi lo prova.» Tirò un sospiro. «Per questo penso che tu abbia una possibilità.»
Nuotò verso l’ingresso della grotta per uscire a cercare Paperino e Pippo.
«Vediamoci domattina alla scogliera del gabbiano. Vedrò di portarlo da te in un qualche modo!»
Avevano una missione da portare a termine.

 
 
Prompto finì di passare la spugna sull’ultimo piatto e lo passò a Ignis, che lo infilò sotto il rubinetto dell’acquaio. Era finalmente finita.
«Ricordatemi di non invitare più quei tre a cena qui. Abbiamo lavato più piatti stasera che nelle ultime tre settimane.» Gladio si abbandonò sul divanetto nel soggiorno e prese un libro dal tavolino.
«Senti, non me ne parlare. Mi sembrava di essere di nuovo a casa a dovermi dividere le faccende con Pence.» Prompto alzò gli occhi al cielo.
«A proposito di Pence. Scrivigli quella lettera. Adesso.» Ignis ricordò a Prompto.
«Agli ordini, agli ordini.» Prompto cercò una biro sulle mensole e strappò un foglio da un notes. Si sedette al tavolo e masticò un po’ il fondo della penna, poi prese a scrivere. Caro Pence, scrisse, ho ricevuto la tua lettera. Strange deve aver trovato un modo di attirarla a sé, perché uno dei suoi due apprendisti l’ha pescata nel mare al largo di Manhattan.
«Hey, ragazzi,» Gladio alzò gli occhi dal libro dopo una manciata di minuti. «Noct. Che gli è preso oggi, secondo voi? Già un poco mi puzza che abbia invitato Strange e i suoi qui a casa nostra.»
«Quella era cortesia, Gladio, dato che Luna è stata tanto gentile da trovarci un alloggio universitario e per giunta uno grande abbastanza per tutti e quattro.» Ignis ribatté passando lo straccio sui banconi.
«Passi.» Gladio si stiracchiò sul divano come un gatto particolarmente grosso. «Ma non appena è entrata Luna in casa si è come ristretto. Hai visto come si stringeva nelle spalle? E quando Strange li ha fatti sedere vicini… era come se la guardasse di sbieco. Tutto il tempo.»
«Pensi che abbia qualcosa contro di lei?» Prompto posò la penna e si girò verso i due amici. Sperava così non fosse – Luna era una ragazza simpatica, e nonostante fosse un po’ troppo formale, un po’ troppo accademica rispetto a loro, gli ispirava fiducia. Era incredibilmente diversa, eppure Prompto la sentiva quasi parte della loro banda.
Il fatto che avesse continuato a parlare dei suoi due cani tutta la serata, o che alcuni giorni prima avesse regalato loro Cookie, non era affatto un dettaglio trascurabile.
Prompto era abbastanza sicuro che ci sarebbe rimasto male, se fosse uscito fuori che Noctis non la sopportava.
Ignis mise a posto lo straccio e sogghignò.
«Elementare, Prompto. Noctis è innamorato cotto.» Ignis uscì dalla cucina con le mani nelle tasche dei pantaloni.
Nell’appartamento calò il silenzio. Noctis. Innamorato?
Nel loro piccolo gruppo, fin dai tempi in cui Prompto e Noctis andavano alle superiori, avevano fatto una specie di giro di scommesse su chi sarebbe arrivato per primo oltre la prima base con una ragazza.
Prompto aveva fatto del suo meglio per sfondare, facendo la corte per tutto il periodo scolastico alla nipote del manutentore dei treni (senza speranza, fino ad allora). Gladio aveva mostrato un certo interesse per la figlia di due dei loro professori, anche se nessuno era stato in grado di dire se lo aveva fatto sinceramente o per non farsi bocciare in scienze dopo che si era rifiutato di dissezionare un rospo. Quanto a Ignis… lo avevano preso in giro fino alla morte dopo che si era intrattenuto per un po’ con un’anziana e cieca sacerdotessa vudù che sosteneva di conoscere un modo per tenere gli Heartless a bada… o forse era solo una nuova ricetta.
«Parli sul serio?» Gladio chiuse il libro e quasi lo lanciò via.
«Beh, è continuamente distratto.» Ignis prese una sedia e si sedette accanto a Prompto. «Testa tra le nuvole. E, Prompto, non dirmi che non hai neanche notato che ti sta prestando un po’ meno attenzione del solito. Sono giorni che non fate un raid su quel vostro giochino agli smartphone.»
«Beh, non è più divertente da quando bisogna pagare per passare i livelli.» Prompto tirò un mezzo sospiro.
«A difesa di Prompto, New York è tanto piena di piccioni che notare due piccioncini in più è abbastanza difficile.» Gladio ridacchiò. «Ragazzi, siamo seri. Non appena Noct torna, si attacca a coro. Noctis e Luna, seduti sotto un pino, si guardano negli occhi e si scambiano un bacino!»
Sul suo trespolo, Cookie il cacatua iniziò a fare un balletto sul posto, sbattendo le ali e alzando la cresta.
«Seduti… pino… bacino… bacino!»
Ignis alzò gli occhi al cielo e si diede una manata in fronte.
«Gladio, ti sei appena dimenticato che dividiamo l’appartamento con un pennuto parlante. Sai che adesso non la smetterà più, vero?»
Un quarto d’ora più tardi, dalla porta d’ingresso provenne lo scatto di una chiave, e Noctis entrò nell’appartamento con un sorriso idiota dipinto sul volto e giocherellando con il cappello.
Stava cantando. Tra sé e sé.
«You’ve got something I need… in this world full of people there’s one killing me… I know that we’re not the same… but I’m so damn glad that we made it…»
Quasi ignorò i suoi tre amici mentre buttava la giacca sull’attaccapanni e incedeva verso camera sua. Si chiude la porta alle spalle e continuò a cantare.
Prompto rimase per qualche minuto a fissare la porta chiusa, poi guardò Ignis e Gladio, visibilmente rimasti di stucco quanto lui.
«Stava cantando?» Gladio mormorò.
«Ragazzi…» Prompto si mise in piedi e camminò verso il centro della stanza. «È ufficiale. La situazione è drammatica.»

 

Era già da qualche ora che il sole scaldava gli abiti di Sora e si rifletteva sulla tavola dell’oceano, eppure sullo scoglio c’erano solo lui, i suoi compagni di avventura, e il gabbiano.
«Ariel è in ritardo.» Il suddetto gabbiano commentò, posandogli sulla spalla. «Forse prima di arrivare vuole darci dentro con l’arricciaspiccia. Sai come sono le ragazze
Seduto sulla sabbia con la schiena contro lo scoglio, Sora raccolse le ginocchia al torace e se le strinse con le braccia. Voleva pensare che l’uccello avesse ragione, ma non poteva evitare di sentirsi preoccupato.
L’ultima volta che degli amici avevano mancato un appuntamento…
Aveva ancora stampato nell’occhio della mente il momento in cui Kairi era sparita tra le sue braccia, ancora gli echeggiava nelle orecchie la voce di Riku che gli diceva di non temere le tenebre.
Paperino e Pippo di tanto in tanto facevano su e giù per l’isoletta, tenendo la barca pulita e scrollando la sabbia dalle rocce, quasi facendo cose inutili per impiegare il tempo. Sora aveva notato che nessuno di loro parlava, e probabilmente anche loro si stavano facendo la stessa domanda che lui si poneva da ore.
Qualcosa deve essere andato storto.
Probabilmente la cosa più sensata da fare sarebbe stata tuffarsi – come Sora aveva preso la barca ed era corso alla cala un anno prima, trovando quel che aveva temuto e anche di peggio.
Non sapeva se fosse più la paura che qualcosa fosse accaduto o la speranza che Ariel stesse semplicemente arrivando, in ritardo, magari in silenzio e con il dovuto tempo per non insospettire il padre, a mantenerlo lì immobile su quella scogliera.
Se fosse andato a cercarla, Re Tritone avrebbe potuto insospettirsi.
Ma erano d’accordo per vedersi là.
E allora perché non c’era?
 
 


 
 
Hello worlds!
Un abbraccio a distanza a tutti i lettori vecchi e nuovi (oltre che EFP, questa serie è anche in inglese su Archive Of Our Own e ff.net) e spero vi stiate divertendo!
Le due canzoni citate nel capitolo sono “Defying Gravity” di Idina Menzel e “Something I Need” degli OneRepublic. La canzone che, invece, Sora ha descritto come "piena di luoghi comuni" è ovviamente "In Fondo al Mar", che ad un osservatore esterno, oltre alla melodia giocosa, è effettivamente un ricettacolo di stereotipi.
Fun fact: le scene a New York, per come le scrivemmo nella role da cui viene tutta la storia, non dovevano riguardare Noctis, Luna e il Dottor Strange, ma il film del 2010 “L’Apprendista Stregone”, nel quale – per chi lo ha visto – c’è un’altra canzone degli OneRepublic presente come colonna sonora della scena di innamoramento, “Secrets”. Anche l’ambientazione è rimasta, perché la trama che doveva esserci originariamente si prestava meglio agli altri personaggi.

“Something I Need” in particolare è stata scelta sia per il testo che per la melodia: il suo giro di accordi è esattamente lo stesso di Stand By Me – addirittura le due tracce sono felicemente sovrapponibili. E se Stand By Me è stata usata in FFXV per descrivere l’amicizia tra i quattro protagonisti, allo stesso modo Something I Need potrebbe essere “adattata” a Noct e Luna per come compaiono in questa storia.

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Capitolo 5
*** Tutto è Lecito ***


Prima che qualche lettore se lo chieda, sto bene! Ho soltanto subito un epocale blocco dello scrittore di cui si spera, non vedrete le conseguenze nel capitolo 6 (non pubblico un capitolo senza aver perlomeno scritto buona parte del successivo, come alcuni dei lettori sanno...)
Colgo la chance per ringraziare Shinca che mi ha suggerito come sbloccarmi dallo stallo, spero che voi lettori stiate tutti bene... e con questo capitolo arriviamo ad un traguardo importante: finalmente la scrittura in italiano e in inglese di questa serie sono arrivate ad essere parallele! A minuti caricherò anche il corrispondente anglofono di questo capitolo su AO3, e magari questa potrebbe essere una sciocchezza, ma per me non lo è!
 

Capitolo 5
Tutto è Lecito
 
«Non vedi che ha le gambe, idiota? Ha barattato la sua voce in cambio delle gambe con la strega del mare!»
«Cos…?» Sora scosse la testa e aprì gli occhi. Ariel era arrivata, ed era seduta nell’acqua bassa con Scuttle e Sebastian che litigavano tra loro.
«Oh, Sora, sei sveglio.» Paperino gli scosse via un po’ di sabbia dai vestiti. «Sei sempre il solito, sai? Russeresti anche nel bel mezzo di una tempesta!»
«Beh, questo è anche peggio di una tempesta!» Sebastian puntò una chela accusatrice contro Paperino.
«Cosa è successo?» Sora si stiracchiò. «Stavo iniziando a preoccuparmi…»
«È successo poco dopo che ve ne siete andati,» intervenne Flounder, che galleggiava nell’acqua bassa. «Re Tritone ha distrutto la statua nella grotta. Ariel allora è andata dalla strega del mare, e ha barattato la sua voce per una magia.»
«E io che credevo ce ne fossero pochi ai mondi tonti come te, Sora!» Paperino lanciò un’occhiataccia ai due adolescenti.
«E…?» Sora ignorò deliberatamente Paperino. Prima che Flounder o Sebastian potessero rispondere, Ariel alzò tre dita, poi portò la mano alla bocca e fece schioccare le labbra.
«Uhm… no, non capisco.» Sora scosse la testa.
«Deve farsi baciare dal principe entro tre giorni, o la sua voce non sarà la sola cosa a venire persa.» Fu Flounder a rispondere, di nuovo. «E non sappiamo come andare avanti da adesso!»
«Lo so io come andiamo avanti!» Sebastian uscì dall’acqua bassa e si arrampicò sullo scoglio. «Vado a parlare con Re Tritone! Questa follia deve finire ancora prima di iniziare!»
Sora gridò: «No, fermo!» e Ariel alzò la mano e aprì la bocca, e nonostante il ragazzo non sapesse leggere le labbra bene come ne era capace Riku, era certo che stesse dicendo la stessa cosa.
«Conosco il principe e la sta cercando. Posso portarla da lui. Abbiamo ancora la barca e io posso parlare. Non credo Ursula sappia che siamo qui.» Sora spiegò. «Ma per prima cosa, serve che Ariel si copra. Gli umani portano vestiti.» Si prese la giacca per i lati.
«Credo di avere qualcosa nel mio nido!» Scuttle il gabbiano annunciò in tono trionfale, scomparendo tra le due cime della roccia. Ne emerse appena dopo tenendo nelle zampe quella che sembrava una vela stracciata. «Può andar bene?»
«Meglio che niente.» Sora si strinse nelle spalle, rimpiangendo un poco di aver lasciato a Shiro la sua vecchia giacca. Prese la vela e la tese davanti a sé, porgendola ad Ariel. «Copriti per quanto puoi, vedo di trovare in giro qualcosa per tenertela addosso.»
Bastarono un paio di pezzi di corda, assieme alla vela, per improvvisare un vestito, e nonostante fosse visibilmente agitata, Ariel era sollevata quando Sora la aiutò a salire sulla barca.
«Sora, tu vai.» Pippo aiutò Sora a recuperare i remi. «Io e Paperino restiamo in acqua. Possiamo cercare Ursula e vedere di invalidare il contratto.»
«E credi accetterà?» Sora gli chiese.
«No, ma vale la pena tentare.» Pippo scosse la testa.
«Va bene. Ci vediamo alla spiaggia dove siamo atterrati!» Sora li salutò e prese i remi in mano.
La traversata fino alla spiaggia fu breve, ma a Sora sembrò terribilmente lunga perché era il solo a parlare. Aveva avvertito Eric la sera prima di aver trovato una sua amica che forse corrispondeva alla sua descrizione, e pensava l’avrebbe riconosciuta… ma l’afonia di Ariel sarebbe stata un problema. C’era da spiegarlo, e non era sicuro che il principe credesse alla magia.
Per come ne aveva parlato, persino Atlantica sulla superficie era alla stregua di una vecchia leggenda da comari.
«Non so se quella che hai fatto è stata la scelta giusta.» Sora ammise, mentre davanti a loro si avvicinava la riva. «Avremmo trovato un modo. Non so fino a quanto è potente la magia di Paperino, ma le trasformazioni sono qualcosa che sa fare. E a parte scordarsi di curarmi quando sono ferito perché deve difendere prima Shiro, non è mai realmente stato scorretto con me.»
Ariel cercò di dire qualcosa, ma si interruppe non appena si fu resa conto che nessuno poteva sentirla.
«Vorrei che Riku fosse qui, lui sa leggere le labbra.» Sora le disse.
Ariel lo guardò con aria interrogativa.
«Il mio amico Riku. Ha la tua età.» Sora sorrise e annuì. «L’anno scorso ha fatto un patto con uno Xehanort per vedere altri mondi. Sono riuscito a fargli capire che sbagliava e ho rimediato al suo casino, ma adesso è sparito e non so come farlo tornare.»
Ariel gli lanciò un’occhiata giudicatoria. Sora pensò che fosse irritata dal fatto che lui l’avesse – esplicitamente – paragonata al misfatto di Riku… ma la verità era che…
«Mi manca da pazzi.» Sora ammise.
Erano a pochi metri dalla riva quando Sora sentì Max il cane che abbaiava. Ariel si ritrasse in un angolo della barca, spaventata. Sora smise di remare e le tese una mano.
«È solo un cane,» le spiegò, cercando di tenerla tranquilla. «Il migliore amico dell’uomo. Se muove la coda vuol dire che gli stai simpatica. E sono in grado di capire chi sono le persone giuste per il loro umano, di solito.»
Ariel sembrò rilassarsi, e Sora ne approfittò per tirare i remi in barca, scendere nell’acqua bassa e tirare la barchetta in secco.
Max subito gli corse contro, senza dubbio per prendersi altre coccole.
«Max… sta’ buono, Max!» Eric arrivò qualche passo dietro di lui, pronto a trattenere il cane se fosse stato necessario. «Oh… ciao, Sora!»
«Vostra Alt… ahem, Eric.» Sora trattenne, o per meglio dire accarezzò il cane, e salutò il nuovo arrivato. Ariel scese dalla barca e si fece avanti a sua volta, quasi appoggiandosi a Sora su gambe instabili. Sora fece appena in tempo a intravedere che Sebastian si era aggrappato alla vela che Ariel aveva addosso.
«È una tua amica?» Eric chiese a Sora. «Ha una fisionomia familiare.»
«Sì, questa è Ariel. Ma…» Sora abbassò la testa. Dire che Ariel aveva perso la voce era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma era l’unico che poteva dirlo. «Fino a ieri sera parlava così tanto che credevo mi avrebbe fatto cadere le orecchie. E ora… quel che è peggio, io non ero lì per impedirlo.»
Quasi istintivamente, Eric andò verso Ariel e le prese le mani. Fu un bene che lo avesse fatto, perché la ragazza aveva ancora un po’ di difficoltà a rimanere in piedi.
«Cosa le è successo?» chiese a Sora.
Il ragazzo fece un sorriso amaro e scosse la testa. Quello era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto che la regola sull’ordine dei mondi non esistesse.
«Non ne avresti idea.»
 


«Ti stai divertendo, eh?» Ravus camminò verso il divano e si sedette accanto a Luna.
La ragazza aveva il telefono acceso tra le mani. Noctis aveva appena caricato un’immagine su Kingstagram – un autoscatto in cui Cookie gli si era appollaiato sulla visiera del cappello, e si era sistemato in modo da rivolgere all’obiettivo il proprio sedere. Sul berretto del ragazzo c’era una macchia verdastra che lasciava poco spazio all’immaginazione, specialmente considerando che la didascalia della foto era “MALEDETTO PENNUTO”.
«Credo che al negozio mi abbiano lasciato il più monello dei cacatua,» Luna ammise, mostrando al fratello la fotografia.
«Beh, a qualcuno dovevano pur darlo.» Ravus sghignazzò. «E poi ha fatto bene, quel berretto mi da tanto di omaggio gratis da negozi di esca. E probabilmente lo è pure.»
Luna rise a sua volta, poi guardò di nuovo la foto. Ravus non aveva tutti i torti: cacca di cacatua a parte, quel cappello non solo doveva aver visto giorni migliori a giudicare da quanto fosse consumato, ma aveva anche l'aria di essere una di quelle cose insulse lasciate in omaggio da uno sponsor a casaccio.
«Gli devi un cappello nuovo adesso, lo sai?» Ravus le fece un sorrisetto e le diede un colpetto al gomito con la mano buona.
«Cosa?» Luna rivolse al fratello uno sguardo accusatorio.
«Che?» Ravus si strinse nelle spalle e le fece un sorriso stiracchiato, poi si appoggiò allo schienale del divano e tese le braccia sopra la testa. Luna non si sarebbe mai abituata alla vista della ragnatela di cicatrici che gli coprivano il braccio sinistro, sia per le ferite dell'attacco di anni prima che per gli interventi che erano stati necessari per salvargli il braccio. Tecnicamente, avrebbe ancora dovuto portare un tutore, ma l'uso della magia non glielo rendeva più necessario.
«È una vita che non fai più il finto tonto. Devi proprio riprendere adesso?»
Ravus abbassò le braccia e si fece serio.
«Sì… perché è una vita che non vedo la mia sorellina così felice.»
Cos…? Perché suo fratello pensava che non lo fossero stati? Stavano bene… avevano ancora la loro casa, abbastanza per vivere, per essere fiduciosi nel futuro. Erano insieme, avevano i suoi studi e stavano facendo qualcosa per il loro mondo.
Stavano…
«Luna, sul serio. Non ti ho mai vista affezionarti così a qualcuno, se escludiamo Umbra e Pryna.» I due cani, che sonnecchiavano su parte del divano, quasi uno sull’altra, alzarono la testa nel sentirsi nominati.
«No, puzzoni, non è ancora l’ora della pappa.» Luna grattò Pryna in mezzo alle orecchie. La cagnolina alzò la testa e prese a leccarle la mano. La ragazza cercò un modo per ribattere a Ravus, ma non trovava argomentazioni.
I ragazzi potevano anche venire da un altro mondo, ma era la compagnia più allegra e simpatica con cui Luna avesse avuto a che fare, Prompto condivideva il suo interesse per cani e pennuti, e Noctis… beh, Luna non aveva fatto a meno di notare quanto paonazzo potesse diventare in sua presenza.
«Dovresti invitarlo a uscire.» Ravus le suggerì. «Mister Cappello Lercio qui. Prendergli un cappello nuovo. Portarlo a mangiare la pizza. Prendetevi un gelato e sedetevi su una panchina. Non quello che fate in pattuglia, Strange sa il percorso della pattuglia e vi riempirà il tragitto di cupidi. Se pensi che lui ti piaccia e che tu piaccia a lui… beh, cerca di trovarti sola con lui in un momento inaspettato.»
«E come mi garantisci che Strange non riempirà il posto di cupidi comunque?» Luna fulminò Ravus con lo sguardo.
Ravus si strinse nelle spalle e ridacchiò.
«Semplice: non posso.» Ammise. «Ma tu e il tuo principe azzurro vi meritate una pizza.»

 
 
Topolino aprì la porta dello studio del mago e lasciò entrare Shiro. La bambina era visibilmente un fascio di nervi, ma probabilmente il suo intervento era la migliore speranza che avevano.
Dopo che Malefica aveva fatto sparire Sora e Riku gli aveva lasciato un’apparente via di uscita nel Corridoio Oscuro in cui la strega aveva relegato il ragazzo, di Sora si erano perse le tracce.
Non solo: la Gummiship di Paperino e Pippo era ancora dove la avevano parcheggiata, alla Fortezza Oscura.
Topolino aveva passato gli ultimi due giorni a pattugliare prima la Fortezza Oscura, e poi i mondi in cui aveva guardato Sora da lontano, senza giungere ad un solo indizio.
Poi, si era ricordato di un dettaglio che, durante le ore che avevano preceduto la battaglia, quasi aveva trascurato. C’era qualcuno che avrebbe potuto trovare Sora – Yen Sid e Shiro.
Topolino ricordava ancora di come, undici anni prima, Ventus e Aqua erano riusciti a salvarlo perché Yen Sid lo aveva divinato con qualcosa di appartenuto a lui. Aveva pensato che sarebbe stato impossibile localizzare Sora in quel modo – il ragazzo portava i suoi averi con sé – ma la giacca che aveva visto addosso a Shiro era familiare…
Il Re non voleva sperare troppo, ma Sora non era sparito in maniera troppo dissimile da Aqua… e se si fosse ritrovato là dove era lei… per Yen Sid, il ragazzino era troppo importante. Avrebbe smosso cieli e terra per riprenderlo.
Se si fosse ritrovato là dove era lei, Topolino avrebbe avuto il permesso di tornarci.
«Topolino ti ha spiegato perché abbiamo bisogno del tuo aiuto al momento?» Yen Sid chiese a Shiro.
«Volete che io vada in missione, vero?» Shiro, che fino a quel momento era rimasta con le mani in tasca e in silenzio, rispose con un filo di voce.
«Quello sarebbe già chiedere troppo da te.» Yen Sid si passò una mano sulla barba. «Per quanto è vero che potresti essere d’aiuto nel ritrovare Sora, per ora tutto ciò di cui abbiamo bisogno è che tu ci presti la tua giacca.»
«Uh, la giacca che mi ha dato Sora. Sì, subito...»  Shiro tolse l'indumento e si avvicinò alla scrivania posandola. Yen Sid alzò le braccia, poi tese le mani fino a tenerle appena sopra la giacca e rimase per qualche momento concentrato nell’invocare la magia necessaria.
Una nuvola di fumo si alzò sopra la giacca, aprendosi ad anello fino a mostrare uno scoglio che emergeva dall’acqua in una laguna. Il mondo era illuminato dalla luce del tramonto, e Sora era seduto sulla cima dello scoglio, con lo sguardo rivolto verso una barchetta poco lontano, occupata da un ragazzo e una ragazza.
«Se Re Tritone scopre cosa è successo, saremo nei guai.» Sora stava parlando con qualcuno – un granchio che galleggiava ai piedi dello scoglio? – sì, doveva essere quello.
Topolino notò che Shiro stava sforzandosi di non ridere.
«Non ci resta che un giorno di tempo, e quel ragazzo non si decide a baciarla!» Un gabbiano sorvolò lo scoglio e si posò accanto a Sora, visibilmente frustrato.
«È il Reame della Luce!» Yen Sid asserì, visibilmente sollevato. «Topolino, riconosci il posto?»
«Stando agli archivi che il Grillo ha condiviso con Leon, quello dovrebbe essere Atlantica. Sora ha parlato di un Re Tritone. Non avevo mai sentito che il mondo avesse anche una parte di superficie, ma deve essere lì che Sora è finito.» Topolino spiegò, cercando di celare il suo dispiacere. Se Sora era nel Reame della Luce, la spedizione per salvare Aqua era ancora lontana dall’attuazione. «Deve aver pensato di voler aiutare qualcuno, già che c’era. Tipico di Sora, non è mai con le mani in mano quando c’è da risolvere qualcosa.»
«Più che aiutare lo vedo abbastanza in difficoltà,» obiettò la bambina.
Topolino rimase in silenzio. Si sentiva quasi sporco a parlare ancora; Yen Sid e Shiro si sarebbero accorti della sua delusione. Probabilmente Shiro avrebbe chiesto perché, e sicuramente Yen Sid avrebbe capito.
Sarebbero bastati loro cinque minuti, e Sora, Paperino e Pippo sarebbero tornati in missione… il che da un lato era un bene. L’Organizzazione era una minaccia, Riku era l’unico di loro ad essere in grado di usare i Corridoi Oscuri per arrivare al Mondo che Non Esiste, non potevano attaccare direttamente ogni Heartless sul loro cammino perché sarebbe stato soltanto un favore a Xemnas, e ci sarebbero voluti almeno tre di loro per poter pensare di attaccare il Castello che Non Esiste e raccontare la storia.
Tre di loro. Con le abilità che Sora aveva recuperato, non importava chi.
«Hanno parlato di un giorno, per fare cosa, non saprei dirlo.» Yen Sid mormorò. «Ma se conosco il ragazzo, non vorrà tornare fino a quando le cose in quel mondo non saranno risolte. Domani, Topolino, tu e Shiro porterete la Gummiship in quel mondo, e riporterete Sora alla Fortezza Oscura. Nel mentre, rimarrete qui, ed entrambi avete il permesso di consultare la mia biblioteca, nei limiti che il vostro rango di maestro e di apprendista prevedono.»
 


«Qualcuno dovrebbe cercare di mettere fine alle sofferenze di quella povera bestia…» Sora sentì Eric commentare mentre sopra di loro Scuttle il gabbiano cercava di stridere peggio che poteva per “rendere l’aria romantica”.
Negli ultimi due giorni, il ragazzo aveva seguito Ariel ed Eric quasi dovunque, principalmente perché Eric aveva insistito, ma cercava di tenersi quanto più a distanza per fare in modo che i due riuscissero ad essere intimi abbastanza da iniziare a fare i piccioncini.
Non che fosse facile. Ricordava ancora quanto ci fosse voluto, a scuola, perché Wakka iniziasse ad essere lontanamente romantico con Lulu.
Ammesso e non concesso che Wakka avesse costantemente la testa nel pallone.
«Sono circondato da dilettanti!» Sebastian nuotò via e sparì sott’acqua, per poi riemergere con un filo di erba palustre nella chela. «Sora, sta’ pronto. Se riesci a fare qualche luce fluttuante con quella tua spada…» Fece gesto attorno a sé, radunando anatre, rane, grilli e tartarughe e muovendosi come il direttore d’orchestra che era.
Sora si chiese se ci sarebbe riuscito – non era la sua orchestra ad Atlantica, ma principalmente animali di palude, addirittura alcuni che vivevano interamente all’asciutto, e Sebastian si era mostrato piuttosto scettico riguardo al mondo di sopra, se la sua canzone di due giorni prima voleva essere una prova a riguardo.
«Primo…» il granchio esordì davanti alle anatre. «Bisogna creare l’atmosfera…»
 


«Tuo fratello è stato gentile a prendersi il nostro turno di guardia assieme a Ignis. Non avevo mai visto per bene New York senza doverla setacciare per gli Heartless.» Noctis confessò. «Di solito che fai per divertirti qui?»
«Non ho sempre molto tempo, ma in fondo a quella strada c’è un posto dove fanno la pizza, e so che a uno dei teatri hanno iniziato a mettere in scena un musical sulla leggenda di Ercole.» Luna si strinse nelle spalle. «Sai… un vecchio mito di questo mondo. Un ragazzo che scopre di discendere dagli dei e cerca di venire accettato dalla sua famiglia.»
Noctis si infilò le mani nelle tasche e continuò a camminare accanto a Luna. Le pattuglie erano state un conto, ma adesso che era in giro per New York per diletto, si sentiva quasi perso – anche dopo essere stato per più di un anno lontano da casa, era ancora abituato al paese piccolo dove persino l’unico cinema aveva finito per chiudere.
«Senti, è una vita che non vado a teatro, quindi magari…?»
Noctis si strinse nelle spalle.
«Una di queste sere, però, ti devo far vedere qualcuno dei miei videogiochi. Come si deve,» propose. La sera che lei e suo fratello erano stati a cena da loro, lo aveva “beccato” in disparte a giocare ad Assassin’s Creed, e non era stato un bello spettacolo fino a quando lei non gli aveva fatto notare la presenza di personaggi storici importanti del loro mondo nel gioco.
Luna non disse niente, ma abbozzò una risata. Noctis abbassò la testa, sentendo come non mai la mancanza del suo cappello. Gladio aveva giurato che lo avrebbe portato in lavanderia mentre lui era via, ma Noctis dubitava avrebbero fatto molto per la cacca di cacatua.
«Il berretto lo hai lasciato a casa?» Luna sembrò quasi leggergli nella mente.
«No, Gladio lo ha portato a lavare.» Noctis si strinse nelle spalle. «Ammesso che si riesca a lavare. Mi dispiacerebbe se non fosse possibile, era un regalo di mio padre.»
«Bene.» Luna sorrise, si tirò fuori qualcosa dal giubbotto, e con quel qualcosa diede a Noctis una lieve botta in testa. Una striscia scura invase la parte alta del campo visivo del ragazzo, e un peso familiare gli rimase in capo. Noctis alzò una mano e prese l’oggetto, e si ritrovò nelle mani un altro cappello. Un berretto blu scuro con il logo del videogioco che Luna gli aveva spiato sul davanti.
«Ma no, non dovevi…» Noctis scosse la testa.
«Tutto è lecito, suppongo.» La ragazza rise.
Erano ormai nella strada che ospitava i teatri, e stavano passando davanti ad uno di essi.
«Lei ti è accanto… se ne sta seduta lì… non sa cosa dirti ma i suoi occhi ti parlano…»
Quasi all’improvviso, mentre camminavano davanti alle porte, si sentì qualcuno – probabilmente qualche attore che faceva le prove – cantare da dentro.
«… e tu lo sai che vorresti darle un bacio, allora baciala
 


L’orchestra improvvisata nella laguna aveva attaccato una melodia talmente suggestiva che faceva quasi rizzare i capelli sulla nuca, eppure Ariel ed Eric erano ancora quasi fermi come due statue ai loro posti nella barca.
Sora non poté evitare di pensare che i due ragazzi fossero casi disperati. Nonostante si vedesse lontano un miglio che si piacessero – persino quel fossile di Grimsby sembrava aver notato qualcosa – nessuno dei due sembrava intenzionato a colmare il resto della distanza.
Se Sebastian poi era stato preciso com’era sempre nello spiegare le cose, ad iniziare il bacio avrebbe dovuto essere Eric… quella situazione era un macello, e Sora non credeva che Sebastian si sarebbe sforzato tanto di rendere tutto perfetto se non avesse voluto salvare la ragazza alla quale aveva finito per affezionarsi.
Sora non poté evitare di pensare che sarebbe stato bello se un amico avesse organizzato qualcosa del genere per lui. Le isole erano piene di lagune, barche e piante che calavano nel mare, e sarebbe stata una piccola avventura, uno dei loro giochi di una vita prima, la loro zattera, lui, Riku e Kairi…
Quando sarebbero stati a casa… quando tutto quel casino sarebbe finito…
Chissà dov’era Riku… e cosa poteva essere successo a Kairi…
 


Luna non poté evitare di mettersi a ridere. Noctis aveva impiegato gli ultimi venti minuti a letteralmente inalare la sua pizza, salvo alcuni rari momenti in cui si era lasciato scappare battute squallide con la bocca piena. La ragazza non sapeva per quale ragione non le fosse ancora uscita l’acqua dal naso per le risate, ma Clarence, un suo compagno di corso che lavorava lì per le consegne, si era girato a fissarli tutte le volte che era entrato o uscito dal retro con i cartoni in mano. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno le aveva fatto l’occhiolino e alzato un pollice.
Noctis non sembrava essersi accorto di nulla, ma a parte le battute di tanto in tanto non sembrava molto disposto a parlare, e probabilmente il suo concentrarsi sul cibo era quasi una difesa… probabilmente lui pensava che Luna non se ne accorgesse, ma la ragazza aveva notato quanto si faceva rosso quando lei era vicina. E no, escludeva decisamente che fosse febbre.
Il suo collega rientrò per l’ennesima volta, lasciandosi sfuggire una risatina vedendoli ancora lì al tavolo a fare il gioco del silenzio.
«Il ragazzo è troppo timido,» Clarence commentò scuotendo la testa e stringendosi nelle spalle, poi diede un colpetto giocoso alla spalla a Noctis. «Coraggio, baciala
 


Sembrava che il piano di Sebastian stesse sortendo l’effetto voluto, perché Ariel ed Eric sembravano sempre più distratti dalla musica per pensare a quanto timidi fossero tutti e due. Sembrava si fosse unito anche un banco di pesci alla canzone, guidato da Flounder, e stavano mandando la barca alla deriva verso un salice piangente il cui fogliame sembrava quasi una tenda.
Quando la barca fu sotto l’albero, Scuttle fece un segnale a Sora, che malvolentieri lasciò lo scoglio e balzò sulla riva vicino all’albero. Il piano prevedeva che lui facesse apparire qualche luce magica al di fuori, ma il ragazzo non riusciva a togliere Riku e Kairi dalla sua testa.
Non lo avrebbe ammesso davanti ad Eric e Ariel, ma gli bruciava che loro avessero un’occasione del genere, anche se più che un’occasione era una corsa contro il tempo. E non era nemmeno un sentimento astratto, no… stavano iniziando a bruciargli gli occhi, e sentiva un dolore alla gola che sicuramente non era raffreddore.
Se avessero fallito, con che coraggio avrebbe chiesto a Re Tritone di segnalare la sua posizione nei mondi, in un qualche possibile modo?
 


Nonostante la gente, e le luci, e l’imbarazzo dovuto a tutte le situazioni scomode in cui si erano ritrovati quella sera, Luna poteva dire che fosse una bella serata, e a giudicare dal sorriso di Noctis, il ragazzo doveva pensarla allo stesso modo.
Avevano trovato una panchina sul lungofiume e si erano seduti lì, con un gelato in mano (Luna aveva imparato a non credere alle coincidenze, e il gusto preferito di entrambi era alle fragole, entrambi perché era legato a un ricordo, no, sul serio, la tesi di Strange era sempre più verosimile anche senza che una sciocchezza del genere la comprovasse…), e Noctis le stava raccontando di quando Prompto era riuscito a convincerlo, qualche mese prima, a vestirsi da pennuto per il Martedì Grasso a New Orleans.
Glielo aveva già raccontato quando si erano conosciuti, ma onestamente non le importava.
«… e c’era questa ragazza, a quanto pare la figlia di un industriale dello zucchero, che si era convinta che io fossi un principe e s’era presa una cotta per me perché credeva che io fossi un principe!» Noctis si appoggiò allo schienale della panchina. «Non ho mai capito perché lo avesse immaginato, ma dopo che le ho detto che non lo ero se l’è filata via come un missile!»
E per fortuna, Luna si trovò a pensare. In un qualche modo, comunque, Noctis non l’avrebbe fatta franca per aver raccontato per la quindicesima volta la stessa storia. Senza pensarci troppo, la ragazza strisciò due dita sul suo cono e spiaccicò la ditata di gelato sul naso di Noctis.
«Oh, no, questa la paghi!» Il ragazzo scattò in piedi e fece per rispondere gelato per gelato, ma qualcosa alle spalle di Luna lo fece smettere di ridere e irrigidirsi.
Luna girò la testa a sua volta… e per poco non emise un sonoro sbuffo. Il barbone di Broadway, quello che gli Heartless erano soliti attaccare, si stava avvicinando a loro con una bottiglia in mano (sidro? Sembrava quello, come se l’era procurato?) e incedendo barcollante.
«Shala-lala la la… ora vai… c’è l'atmosfera giusta… forza baciala… shala-lala la la stringila non puoi nascondere che l'ami… baciala…» il barbone si mise a cantare, prendendo molte più stecche che note. Se prima l’atmosfera giusta magari c’era stata, in quel momento quell’uomo rischiava di rovinare tutto.
Gli altoparlanti del teatro e l’intervento di Clarence in pizzeria erano stati sopportabili… ma lui? Sembrava decisamente più invadente di una cassa o di un collega. D’altra parte, mettere una traccia alle casse di un teatro, coinvolgere uno dei suoi colleghi di università e l’uomo che più volte avevano salvato… Strange quella sera magari era stato tenuto all’oscuro della loro uscita, ma Ravus proprio no.
Noctis era diventato più rosso delle fragole sul suo cono, e aveva iniziato ad aprire e chiudere la bocca senza dire nulla, in visibile imbarazzo. Luna si rese conto che c’era un solo modo per uscire da quella situazione imbarazzante, e se non fosse stato Noctis a sciogliere l’impasse, soltanto lei poteva.
Gli si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla, e gli diede un bacio sulla bocca.
 


Scappa, Kairi! SCAPPA!
Lascia andare mio… !
Oh, guarda chi…
 
Qualcosa di duro, forse di plastica, rimbalzò sul pavimento.
Kairi aprì gli occhi. Era ancora sul materassino nella cella del posto dove l’avevano portata, ma qualcuno aveva buttato una torcia elettrica sul pavimento.
Una torcia?
Senza pensarci troppo, la ragazza prese la lampada e l’accese, il cerchio di luce sulla parete in un qualche modo le attenuava un poco la paura.
Non le avevano tolto il coltellino a serramanico che portava in tasca da quando le Isole erano sparite, e usava per contare i giorni sulla parete, ma gli esseri che le montavano la guardia sembravano essere impervi alle armi normali. Le davano da mangiare, c’era un angolo con un vaso da notte e i cosi di guardia si giravano sempre quando lei faceva gesto di recarvisi, ma erano alcuni giorni ormai che il suo solo mondo erano quelle pareti e quelle sbarre.
Si sentiva quasi inutile. Si era allenata con la spada da sempre, da quando Sora e Riku lo facevano, e aveva continuato a farlo dopo che loro erano spariti, riuscendo a disarmare Tidus e Selphie assieme una delle rare volte che gli altri ragazzi non erano stati impegnati con le loro vite. Eppure non era bastato.
Senza un’arma vera che non fosse una spada sportiva o un coltellino troppo corto, era stata impotente prima davanti ad Axel e poi davanti a Saïx, e comunque non aveva nemmeno avuto una chance di usare la spada – Henry le aveva detto che poteva sembrare paranoica, portandosela sempre addosso anche semplicemente per uscire di casa.
«Guarda, guarda. Chi non muore si rivede
Una voce rauca ruppe il silenzio, e apparve un uomo di mezza età, con le stesse cappe nere che portavano Axel e Saïx, un occhio coperto da una benda, il volto sfregiato da cicatrici, e dei capelli ingrigiti che sembravano essere stati malamente tagliati di recente. In certi punti, in particolar modo da un lato della testa, aveva persino delle chiazze glabre, punteggiate da bitorzoli neri e grigi che probabilmente un tempo erano stati capelli.
Qualcuno doveva aver tentato di bruciarlo vivo, e in tutta onestà, Kairi immaginava facilmente il perché. Non doveva essere bella gente.
Se mai fosse uscita da lì, avrebbe dovuto stringere forte la mano a chiunque ci fosse riuscito. Magari era persino stato Sora
«Avrei dovuto immaginare che saresti stata tu.» Il guercio fece un sogghigno stiracchiato. «Undici anni e guarda come siamo cambiati… o lo siamo davvero
Il suo unico occhio sembrava quasi scrutarle l’anima, scorgere qualcosa che a Kairi stessa sfuggiva, nonostante la vista limitata dell’uomo. La ragazza era quasi tentata di farglielo nero, quell’occhiaccio giallo da avvoltoio. Se non fosse stato per le sbarre e per la sua condizione inerme…
«Chi sei? Cosa volete da me?» Kairi alzò i pugni nell’istinto di difendersi.
«Oho! Stai calmina!» Il guercio alzò le braccia. «Non vorrai mica mordere come quando avevi cinque anni, Kai? Non si fa, sei cresciuta.»
Durante quell’anno, i ragazzi del liceo avevano messo in scena la tragedia di un re pazzo. Una battuta era rimasta nella mente di Kairi quando aveva assistito durante l’assemblea, quando il re aveva declamato di poter dare tutto quello che aveva per un cavallo che lo portasse al sicuro, o almeno colmasse il suo svantaggio nella battaglia.
In quel momento, Kairi si sentiva un po’ come il re pazzo. Cosa non avrebbe dato per una spada in quel preciso momento.
«Sora ha già sconfitto un pazzo furioso in passato.» La ragazza si sforzò di restare calma. «Verrà qui e vi pentirete di non essere rimasti in qualsiasi posto voi chiamiate letto.»
«Sì, magari.» L’unico occhio del vecchio matto fissò il soffitto. «Sora è perso, principessa. Sono quasi tre giorni che non si ha traccia di lui.»
Qualcosa si mosse in Kairi. Le sue dita si strinsero attorno ad un peso familiare, ma come poteva esserci la sua spada se era sotto al suo letto? Il guercio rise. Lo sguardo di Kairi si abbassò sulla sua mano.
C’era un’arma, ma non era la sua spada da allenamento.
Aveva una vaga somiglianza alla Catena Regale che Kairi aveva visto in mano a Sora, perlomeno per le forme, ma le due anse erano più tondeggianti e di colori diversi, una color sabbia e l’altra del blu dell’oceano, l’impugnatura si prolungava in una lunga asta che sfumava dal giallo al rosso della punta, quasi fosse il fusto di una strana pianta dalla quale, all’estremità, spuntavano vari tipi di fiori.
«Xigbar!»
Prima che Kairi potesse anche tentare di usare la sua nuova arma sulle sbarre, una voce fuori dal suo campo visivo chiamò dal corridoio. Non ne riconosceva il padrone, ma quindi quello era il nome del guercio?
Xigbar girò la testa verso chiunque lo avesse chiamato.
«Sora è stato localizzato!» L’uomo continuò a parlare. «Era ad Atlantica! Pare lo abbiano ritrovato tramite la bambina!»
«Beh, questo cambia tutto, suppongo.» Xigbar si strinse nelle spalle, poi schioccò le dita. Due figure biancastre con quelle che sembravano pistole apparvero dal nulla, fluttuando a mezz’aria con le loro armi puntate alla cella. «Presto il tuo principe azzurro verrà per te, tesoro, quindi cerca di non fare la furbetta con quel Keyblade
 


Il portellone della Gummiship si aprì, e la navetta venne invasa da una brezza che portava un odore che Shiro non aveva mai sentito in vita sua.
Il terreno davanti a lei era giallastro e granuloso, sabbia, come ad Agrabah, e questo almeno per qualche metro, poi poco più avanti non era più neanche sabbia. Era acqua. Un’immensa distesa blu che non si vedeva neanche dove finiva.
Era uno dei posti più belli che la ragazza aveva visto, e per un momento si dimenticò che erano lì per soccorrere Sora.
«Maestà, dove siamo?» Shiro si girò verso Re Topolino, che aveva lasciato i comandi e la stava raggiungendo al portello. «Che posto è questo?»
Fu certa di vedere le orecchie del Re abbassarsi, così come le sue spalle.
«Non avevi mai visto una spiaggia?»
Shiro scosse la testa.
«Axel mi ha raccontato qualcosa ma... papà… Xemnas… non mi ha mai lasciato andare su una spiaggia. O in qualsiasi altro posto che non fosse Crepuscopoli una volta o due per i suoi affari.»
Fece qualche passo sulla sabbia, fissando le onde del mare.
«Aveva promesso che ci saremmo andati un giorno. Axel. Un giorno libero.»
Il Re non disse nulla, ma la superò e prese a guardarsi attorno.
La spiaggia era il punto più basso di una costa di rocce, sulla quale un castello dominava il paesaggio assieme ad un paese di case arrampicate sul promontorio. A giudicare dal rumore, sembrava fosse accaduto qualcosa, e la gente locale doveva essere intenta a festeggiare.
«Avremmo potuto andare con loro!» una voce familiare gracchiò. Paperino!
«Nah, non mi andava.» La voce di Sora gli rispose. «Non me la sento.»
«Qualcosa non va, Sora? Sei stanco?» Stavolta fu Pippo a rispondere.
Topolino girò la testa e indicò a Shiro una direzione. Sora, Paperino e Pippo erano seduti su una roccia alla loro sinistra, e il ragazzo sembrava il più mesto dei tre.
«Non ho niente, è solo che… siamo riusciti ad aiutare Ariel ed Eric… e ho pensato anche a Riku e Kairi… a dove possono essere… se riusciremo a rimetterci sulle loro tracce ora che siamo precipitati qui…»
Shiro fece gesto al Re di rimanere in silenzio e si avvicinò ai tre da dietro, cercando di fare meno rumore possibile nonostante la sabbia.
«Ehi, signor eroe, perché quel muso lungo?» quasi gridò a Sora da dietro.
I tre si girarono, Paperino sbottando nel suo solito «UACK!», Pippo quasi cadendo dalla roccia, e Sora con un’espressione che sarebbe stata consona anche a un merluzzo.
«Come avete fatto a trovarci?» Sora fu il primo a ritrovare le parole.
«Yuk, credo che Shiro abbia usato la sua giacca.» Pippo scese dallo scoglio. «O meglio, la tua giacca. Come quando Ven ci aiutò a rintracciare il Re.»
«Me la dovete raccontare, questa storia, prima o poi.» Sora aggrottò le sopracciglia.
«Hah, se non era per me…!» Shiro fece un sorriso fino alle orecchie e mise i pugni sui fianchi, ma non poté fare a meno di chiedersi se quella storia avrebbe portato anche a rintracciare la sua famiglia. Non ci poteva essere, da qualche parte, un oggetto che apparteneva a Mamma? E perché aveva l’impressione di avere la risposta appena al di fuori della sua portata?
«Avanti, il Maestro Yen Sid era preoccupato a morte.» Topolino fece un gesto verso la navetta, e Shiro non poté fare a meno di notare una nota triste nella sua voce.
Credo sarà una lunga storia per un altro giorno, la coscienza le suggerì mentre camminavano verso la rampa di salita. Xemnas è il nemico, ora. Quando l’Organizzazione non sarà più un pericolo… allora sarà il momento. Il momento di cercare la tua mamma e il tuo papà.
Shiro prese un lembo della giacca nel pugno e strinse, cercando di non sentirsi triste, di non pensare a piangere.
Sora era di nuovo lì.
C’era speranza.
Fu proprio Sora a metterle una mano sulla spalla passandole vicino, per poi fermarsi davanti a lei e prenderle le mani. Fu guardandolo in faccia che la bambina si accorse…
che il ragazzo più grande aveva gli occhi lucidi.
Aveva pianto? E se sì, perché?
«Shiro…» mormorò il ragazzo. «Grazie
Lei non ci stette a pensare troppo. Gli lasciò le mani, fece un passo in avanti e lo strinse in un abbraccio.
Poteva essere anche lui l’eroe di quei giorni, ma aveva avuto bisogno di aiuto. E adesso erano un passo più avanti, sempre più vicini a vincere quella battaglia e a salvare i mondi e le loro famiglie…
… e Sora le aveva detto grazie.
Shiro sciolse l’abbraccio e gli sorrise.
«Tranquillo, signor eroe.» Gli diede un colpetto sul braccio e andò verso il suo sedile. «Ora vediamo di dare una lezione ai cattivi!»
 


Un applauso a chiunque abbia capito chi è la ragazza che ha descritto Noctis. 
 

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Capitolo 6
*** Prima dell'Alba ***


Su questo capitolo dico solo una cosa: spero di aver reso la giustizia che dovevo a...
Un consiglio a proposito di alcune scene: dopo il diario andrebbe ascoltato "Come Back to Us" dalla colonna sonora di Final Fantasy 7 Remake, durante la battaglia "The 13th Dilemma" dalla colonna sonora di KH3 e dopo la battaglia "Dad" da Onward, o almeno sono le tracce che ho usato mentre scrivevo - o in certi casi riscrivevo - le scene, ma se volete evitare lo spoiler da musica potete anche farne a meno.
Nella prima stesura di questa storia avevo proprio "indicato" le tracce con dei collegamenti, posso riprendere a farlo se volete! ;) 
 

Journey – Capitolo 6
Prima dell’Alba
 
«Non fermatevi, o l’oscurità avrà il sopravvento! Muovetevi!»
Almeno una volta, Axel sembrava essere arrivato in tempo per fare qualcosa. Era rimasto ad osservare i ragazzi di Crepuscopoli da quando i Moguri avevano recapitato loro una lettera da un certo Prompto che li aveva informati dell’esistenza di una città parallela e di un probabile modo per arrivarci.
Avevano finito per cercare un modo di contattare Sora, e a quanto pareva c’erano anche riusciti, se Sora aveva finalmente trovato il Corridoio Oscuro.
Adesso Sora e i suoi compagni di viaggio erano circondati dai Simili, e non avrebbero resistito a lungo se qualcuno non avesse indicato loro l’uscita.
«… Axel?» Sora borbottò, ma per un momento lui fu certo di aver visto l’ombra di un sorriso familiare.
Fu l’illusione di un momento, perché la faccia del ragazzo tornò subito corrucciata.
«Shiro mi ha parlato di te. Dice che sei un brav’uomo. Se quello che ha detto è vero… perché
«Ragazzino, ti auguro di non scoprirlo mai.» Axel scagliò i chakram contro i nemici più vicini, creando un’area vuota attorno a loro quattro.
«Shiro non capisce più che succede!» Il tono di Sora era ancora stizzito mentre falciava Simile dopo Simile, ma Axel quasi riconosceva alcune note di quella voce. «Perché hai fatto tutto questo?»
Axel cercò di ignorare gli interrogativi del ragazzo. Suonavano troppo come quelli di Roxas. Probabilmente avrebbero persino potuto esserli. E i Nessuno che li aggredivano continuavano ad aumentare… Axel sinceramente li avrebbe preferiti dalla sua parte. Non era mai stato un bene avere lo svantaggio dei numeri…
Cosa altro avrebbero potuto fare?
Sora sembrava stare mantenendo il terreno, quindi Axel decise di proteggergli le spalle. Se Roxas era ancora con lui… se stava ascoltando… doveva sentire.
«Volevo rivedere Roxas,» confessò. «Mi manca. Lui e Shiro, mi mancano da pazzi. Non so dove saremmo potuti andare, non so cosa avremmo potuto fare, ma… avevo rapito Kairi per farti cedere all’oscurità, ma Saïx me l’ha portata via.»
Rimase in silenzio un momento, falciando un Simile troppo vicino a Sora.
«Kairi è nelle segrete del castello. Sta’ pronto a correre quando ti do il segnale.»
Si mise in posizione, pronto per lanciare quello che sarebbe stato il suo ultimo attacco.
«Mi dispiace per quello che le ho fatto.»
 
Un boato assordante risuonò alle spalle di Sora, e nonostante la sua abitudine a combattere, il ragazzo lasciò andare il Keyblade, chiuse gli occhi e si coprì le mani con le orecchie.
Una ventata d’aria bollente era partita da appena dietro di lui, risparmiandolo come qualsiasi fuoco alleato che si rispettasse, ma spingendo indietro e poi incenerendo tutti i Simili attorno a lui, Paperino e Pippo.
Improvviso come era stato il boato, calò il silenzio, e Sora ebbe appena il tempo di girarsi che vide Axel cadere al suolo.
Dal suo corpo iniziava a esalare una nebbiolina nera.
Aveva aperto le labbra, ma Sora non riusciva a sentire quel che diceva.
«Stai… scomparendo?» Sora provò a dire, ma il ronzio che gli riempiva le orecchie gli permetteva a stento di sentire sé stesso parlare.
«… è quello… succede… metti tutto te stesso… attacco… capisci cosa intendo?» Axel rantolò, ma Sora afferrava più o meno una parola ogni due. Il Nessuno sembrò capire, perché alzò un braccio a fatica e aprì un passaggio, indicandolo a Sora.
Axel, fermo, che stai dicendo, cosa stai facendo, perché hai usato un Limite nelle tue condizioni?” Sora riuscì a sentire un’altra voce, stavolta forte e chiara, nonostante la sua sordità momentanea, e si sentiva le viscere pesanti di una tristezza che non era la sua.
«… perché?» Sora riuscì finalmente a dire, anche se sospettava di non essere da solo nel parlare. Sentiva che gli occhi gli si riempivano di lacrime.
«Non… riuscito… portare… in salvo. Quella notte.» Axel cercò di tirarsi su, ma continuava a svanire, e se possibile lo sforzo stava accelerando ancor più la sua scomparsa. «Non perdere… Kairi. Sora. Non…»
Venne interamente coperto dalla nebbia nera, e poi il fumo si diradò e Axel non c’era più.
Sora avrebbe voluto piangere, o meglio si sentiva di piangere, ma Paperino lo tirò per la manica e gli indicò il passaggio. Prima che Sora lo varcasse, sentì sopra di lui la magia curativa del papero, e il ronzio che gli aveva impedito di udire lasciò di nuovo il posto a suoni e rumori.
«Muoviamoci!» fu la prima parola che Sora sentì Paperino dire.
Il ragazzo non se lo fece ripetere e varcò il passaggio, ma la voce di prima parlò di nuovo.
Sora… fa’ che non sia invano.”
 


La casa di Aerith era l’unica nel quartiere con le stanze a forma di esagono.
Shiro viveva nella sua stanza degli ospiti da giorni, ma non aveva mai realmente fatto caso a quel dettaglio fino a quando, quella mattina, Aerith non aveva deciso che, ora che le cose in città erano tornate tranquille, era il momento che Shiro dovesse imparare cosa era la normalità, e, senza tante cerimonie, l’aveva fatta sedere al tavolo del soggiorno e aveva iniziato a spazzolarle i capelli.
«Dici che gli Heartless spariranno una volta per tutte?» Shiro aveva già sentito da Yen Sid che non era possibile che svanissero per sempre, ma almeno non trovarli più all’interno delle mura avrebbe potuto dire che i bambini come Finn avrebbero potuto iniziare a giocare per strada.
«Non lo so, ma abbiamo pur sempre la nostra piccola guerriera qui, no?» Aerith rise. «E non appena Tron riuscirà a ripristinare le mappe per intero, per Merlino sarà un gioco da ragazzi agitare la bacchetta e riportare la città a com’era in passato.»
«E per i file corrotti come facciamo?» Shiro era stata nel castello con Stitch il pomeriggio prima (la creatura sembrava essere molto protettiva con qualunque bambino, e aveva preso l’abitudine di scortarla), e aveva trovato Leon e Cid intenti a farsi scappare parole non molto gentili riguardo ad alcuni dati non recuperabili.
«Stando a quanto ci ha detto Tron, il dataspazio era stato copiato una trentina d’anni fa da uno studioso di un altro mondo, un certo Kevin Flynn. Cid ha trovato i suoi dati di chiamata e ha provato a contattarlo, ma senza ricevere alcun tipo di risposta. E quindi ha lanciato una ricerca in altri mondi, per poter basare nuovi programmi su intelligenze artificiali preesistenti. O qualcosa del genere, mio padre era lo scienziato, io conosco solo qualche termine.» Aerith rise. «Pare che il suo ottavo e nono tentativo stiano avendo qualche successo, però. Scommetto che Cloud sta contando i giorni, ho visto quanto gli pesa dover essere ospite di Vostro Onore.»
«Riportare tutto com’era?» Shiro strinse i denti quando la spazzola si fermò in corrispondenza di un nodo abbastanza grosso. «Intendi che tornerebbe a casa sua?»
«Già. Ammesso e non concesso che…» Aerith alzò la spazzola e diede un altro colpo, stavolta più leggero e lento. «Cloud ha perso la mamma quando Radiant Garden è caduta. Potrebbe non voler tornare in quella casa.» La sua voce si era fatta pensierosa, ma dopo un momento di silenzio il suo tono tornò il solito. «Spero che almeno Tifa gli dica una parola o due sul fatto che lui abbia bisogno di un posto dove stare. Quel ragazzo con me fa orecchie da mercante!»
«Secondo me Tifa lo convincerà.» Per distrarsi dal fastidio della spazzola che attaccava i nodi, Shiro si concentrò sulle foto appese ai muri. Riconobbe Cloud con una divisa blu in una delle fotografie, e Lea, Isa e Zack con la faccia dipinta, e lì vicino c’erano Tifa e Leon con la stessa divisa blu di Cloud, e infine Aerith con una giacca con il nome della scuola sopra al vestito. Le venne una punta di tristezza, ricordandosi che non aveva foto di Roxas e Axel, né tantomeno della sua famiglia. «Un po’ come farò io con i miei amici quando mamma sarà tornata a casa!» Diede un altro sguardo alla foto appesa al muro, poi guardò Aerith. «Mi mancano, i miei amici.»
Aerith, che si era fermata mentre Shiro era girata, attese che le desse le spalle e poi riprese a pettinarla.
«Spero che fino ad allora sarà la tua mamma a tenerti i capelli in ordine. Per me non è un peso…»
Già, penso che lo sia più per te, Shiro…” la coscienza trovò divertente fare una battuta in quel momento.
«… ma te lo meriti, sai? Nessun bambino dovrebbe crescere lontano dalla propria famiglia, o comunque senza le attenzioni che merita.»
«Dici che lo farebbe?» Shiro si girò di nuovo, facendo fermare Aerith un’altra volta. «E se si mette a viaggiare tutto il tempo come fa Sora?»
Aerith alzò leggermente lo sguardo verso il soffitto e infilò la spazzola in una tasca del vestito.
«Neanche quel che Sora fa è normale, Shiro.» Camminò verso il muro, fino ad indicare quella foto. «Questi eravamo noi. Sai quanti anni avevano Lea e Isa, questi due qui, quando questa foto è stata fatta? Diciassette. Andavano a scuola, si occupavano della sorellina e del cane, va bene, Lea si occupava anche di te ma a quell’età è normale fare un lavoro in estate, e Zack era apprendista guardia ma nessuno lo aveva mai mandato a fare la ronda di notte o che so io… in un mondo ideale, Sora adesso andrebbe a scuola, così come lo faresti tu. Certo… in un mondo ideale, non ci sarebbe bisogno di eroi.» Si fece triste, ma poi incrociò lo sguardo di Shiro e sorrise. «Ma prima o poi, le cose torneranno a posto.»
Per un momento, Aerith rimase in silenzio, un’espressione perplessa in volto. Nella stanza iniziava a sentirsi odore di bruciato.
«Shiro… abbiamo spento il tostapane dopo colazione, vero?» le chiese in tono leggermente apprensivo.
Sì, lo avete fatto,” la coscienza rispose immediatamente e Shiro fece sì con la testa.
«Senti anche tu puzza di bruciato?» chiese poi.
Veniva dal piano di sopra.
Sperando con tutto il cuore che non fossero entrati Notturni Rossi in casa, Shiro portò il Keyblade alla mano e corse su per le scale.
Sembrava tutto tranquillo. Le finestre erano chiuse… c’era silenzio. Controllò una camera da letto che era sempre rimasta vuota, poi la stanza di Aerith, poi la stanza degli ospiti dove dormiva… l’odore veniva da lì.
Dalla scrivania.
Dal diario che teneva poggiato là.
Shiro dismise il Keyblade e aprì immediatamente il libricino. Era tiepido, come se fosse stato appena rilasciata su di esso una debole magia di fiamma. Alcune delle pagine, tra le ultime, erano leggermente accartocciate e calde, e delle piccole bruciature marroni… no, un momento. Erano bruciature, ma erano anche lettere! Qualcuno aveva scritto sul suo diario!
 
Ciao Shiro,
Lo avresti mai immaginato? Il limone e il fuoco fanno un magnifico inchiostro invisibile!
Se stai leggendo queste righe significa che a quanto pare non sono riuscito a salutarti come si deve.
Sai funghetto, sono contento di averti finalmente vista felice insieme a dei Qualcuno e potrei dire di esserne persino geloso, ma che ne sa un Nessuno come me di gelosia?
Volevo solo dirti di essere forte e di fidarti di Sora: lui ti porterà dai tuoi genitori come te lo abbiamo promesso io e Roxas, ricordi? E ti prego non essere triste per me, il tuo sorriso mi ha fatto affrontare tutti questi anni e poi ormai sei una guerriera, non devi piangere mettitelo in testa.
Vorrei dirti tante altre cose ma non c'è più tempo.
Fa’ attenzione Shiro e prenditi cura di te, non farli preoccupare.
Tienimi con te nei tuoi ricordi.
Ti voglio tanto bene.
Axel.
 
Aerith entrò nella stanza degli ospiti mentre Shiro lasciava cadere il suo diario sul pavimento.
«No… non puoi anche tu…»
Stava tremando visibilmente. Cosa era successo?
Una rapida occhiata alle pagine aperte le diede la risposta: una lettera di addio? E la calligrafia di Lea?
Dopo tutto quel tempo… si era occupato lui della bambina… e adesso cosa gli era successo?
Shiro intanto era scoppiata in singhiozzi, coprendosi la testa con le mani.
«Perché mi dite di non piangere…?» Riuscì a dire in mezzo ai singhiozzi.
«Lea, sei un idiota,» Aerith bisbigliò a mezza voce. Si sentiva un nodo alla gola… se realmente quella lettera era un addio, probabilmente era saltata fuori in un qualche modo… soltanto ora che era morto… ma morto come? Cosa poteva essere successo?
La giovane donna rimase in silenzio, poi si sedette vicino a Shiro e attese che fosse lei ad avvicinarsi. Cercò un fazzoletto nelle tasche e fece per asciugarsi gli occhi – fino a quando sarebbe durata quella brutta storia? Avrebbe dovuto dirlo a Cloud, al giudice… cosa stava accadendo?
E se Lea era rimasto vivo per quei dieci anni… Zack… Isa… Kairi?
No, non poteva essere. Zack non era più riapparso, Isa nemmeno… e l’unica Kairi che avevano incontrato in quegli anni veniva da un altro mondo.
«Perché mi lasciano tutti sola?» Shiro strinse Aerith, continuando a singhiozzarle addosso. «Prima Roxas, adesso anche Axel… perché?»
Aerith non sapeva cosa dire – non era facile spiegare una cosa del genere ad una bambina di quell’età, era già stato tremendo con Yuffie dopo la caduta del Giardino. La strinse forte, continuando a carezzarle i capelli… non importava cosa fosse stato scritto in quella lettera… Shiro aveva bisogno di sfogarsi e buttare tutto fuori.
«È colpa mia…» Shiro riprese fiato e gemette. «Roxas… Axel… Zack… è solo colpa mia se è successo questo… volevate proteggermi e alla fine non sono capace…»
Rimase in silenzio un momento, come se stesse parlando con qualcuno che nessun altro poteva sentire, fissando un punto a caso della stanza mentre continuava a piangere, poi si sfregò la faccia con un pugno chiuso e parlò di nuovo.
«Io… voglio la mia mamma!»
«La troveremo.» Aerith rispose subito, pur consapevole di quanto difficile avrebbe potuto essere mantenere quella promessa. «Shiro… hai solo dodici anni. Ricordi? Non puoi pretendere di affrontare l’universo e cavartela da sola.»
Non sembrava affatto convinta, ma Aerith non disse altro. Poteva immaginare come si sentiva – se Lea, o Axel, o comunque si facesse chiamare, si era preso cura di Shiro per gli ultimi dieci anni, perderlo per la bambina era come perdere la vita che aveva conosciuto.
Dieci anni prima, aveva sperato e pregato che i suoi amici fossero ancora vivi là fuori. Cloud era tornato, ma non era mai davvero tornato in sé. Lea si era preso cura di Shiro per tutto quel tempo, e adesso li aveva lasciati, senza che sapessero il come e il perché. Tutti i superstiti portavano ancora i segni della tragedia, eppure la tragedia non si era ancora conclusa.
Aerith non sapeva nemmeno dire se avessero imparato da quel che era successo.
Cosa ti dice il tuo cuore?
Già. Cosa?
 


Era sulla Torre dell’Orologio di Crepuscopoli.
Roxas era con lui.
«Presto non potremo più parlare così…»
«Significa che… è ora che io ritorni a casa?» Roxas alzò lo sguardo. «E… tu dove andrai?»
Axel mise una mano sulla spalla al suo migliore amico.
«Avanti, suppongo. Ho i miei genitori che mi aspettano. Mia nonna. La mia sorellina…»
Riusciva quasi a vederli – come se fossero lì davanti a lui. Iniziava a chiedersi perché mai stava parlando con Roxas e non con loro.
Sentiva quasi le loro voci.
Ma non quella di Kairi.
«Axel, qualcosa non va?» Roxas sobbalzò.
Axel chiuse gli occhi. Anzi… era davvero quello il suo nome?
«Roxas, sei davvero certo di non avere un cuore? E se ne avessimo TUTTI uno? Tu, io, e…? O sto solo sognando a occhi aperti?»
«Sora troverà la risposta che cerchiamo… ne sono certo.» Roxas si mise in piedi, facendo un sorriso fino alle orecchie.
La città si stava dissolvendo attorno a loro. Roxas stava sparendo… lo stesso Axel stava finendo per sparire.
Era davvero quella la fine?
«Starà bene, lo so.» Furono quelle le ultime parole di Roxas. «Staremo bene.»
 


Ora o mai più.
Riku era rimasto tutto quel tempo ad osservare in silenzio, aiutando Sora il meglio che poteva senza farsi vedere. Una piccola parte di sé stesso aveva provato a dirgli che si era impastoiato da solo agendo in quel modo, ma si vergognava troppo per uscire allo scoperto.
Shiro era stata un altro conto – non aveva mai visto il suo vero volto prima, se non una volta o due, e probabilmente lo aveva già dimenticato.
Già, Shiro. Chi avrebbe avuto il cuore di dirle che Axel se ne era andato?
Il ragazzo strinse il pugno, e la sensazione della sua mano contro l’elsa del suo Keyblade lo riportò nel luogo e nel momento. Se tutto stava andando come da piano, Naminé aveva portato Kairi fuori dalle celle e avrebbero lasciato il castello.
E infatti… eccole lì, stavano correndo giù per la balconata. Riku rimase ancora nascosto – non voleva farsi vedere, non se poteva evitarlo… salva Kairi, distruggi Kingdom Hearts, sparisci, va’ a cercare Aqua. Salva Kairi, distruggi Kingdom Hearts, sparisci, va’ a cercare Aqua.
Un Corridoio Oscuro si aprì davanti alle ragazze, e Saïx ne uscì assieme a due dei suoi Berseker.
Riku si morse il labbro per non imprecare. Alzò il Keyblade, pronto a vender cara la pelle… e vide che in lontananza, Kairi aveva fatto lo stesso gesto e un altro Keyblade era apparso nelle sue mani.
Era davvero appena successo? Riku non sapeva cosa pensare, sapeva soltanto che sentiva il cuore in gola e i battiti che quasi gli assordavano le orecchie. Kairi. Kairi si stava difendendo da sola.
Non era abbastanza – bastò un colpo di un Berseker per mandarla indietro addosso a Naminé – ma non era sola.
Riku scattò, svanendo momentaneamente nelle tenebre, per poi riemergere accanto a Kairi, tenderle una mano ed aiutarla ad alzarsi.
Stava per dire qualcosa, quasi quello scontro non fosse altro di più che una delle loro interminabili avventure d’infanzia contro un’improbabile ciurma nonmorta, o dei mostri delle sabbie, o i loro compagni di classe nelle loro contese dello spazio in spiaggia…
… ma no, non poteva e non voleva farsi riconoscere da lei.
Se non altro, non sembrava temerlo. Se da sola, i Berseker erano capaci di tenerla alle corde, sembrava avere acquisito più sicurezza ora che Riku era con lei. Uno, due… i colossi bianchi furono presto prima brandelli e poi fumo, e Saïx rimase da solo.
Prima che Riku potesse metterlo al muro, il Nessuno evocò un Corridoio Oscuro e svanì.
Riku era tentato di dire qualcosa, di poter anche solo vociare il suo disappunto, ma Kairi avrebbe capito subito.
Beh, non poteva restare lì.
«Riku… sei davvero qui…»
OH, MERDA.
 
«Facciamo il punto. Dov’è Sora?»
«Dovrebbe essere con il Re. Stanno venendo qui.»
Nonostante la differenza di statura, Kairi riuscì comunque a prendere Riku per un orecchio e tirarglielo forte.
«Vorresti dirmi che non sai dov’è adesso?» lo sgridò. «Lo hai seriamente lasciato da solo finora?»
Sebbene fosse quasi impossibile con la sua stazza inusuale, Riku sembrò farsi piccolo piccolo quando Kairi lo fulminò con lo sguardo.
«Ehm… no,» confessò il ragazzo. «Ho chiesto al Re di tenerlo d’occhio. Ma non… voglio… che…»
Kairi si diede una manata alla fronte. Sul serio, Riku? Per come Sora era capace di preoccuparsi per qualcuno, era già tanto se il loro migliore amico non era mezzo morto di paura!
«Sei un pezzo di tonto, socio, e ringrazia che non stia gridando.» Kairi alzò gli occhi al cielo e continuò a camminare. «Quanti altri ce ne sono come quel Saïx?»
«Dovrebbero essere rimasti Xigbar, Luxord e Xemnas oltre lui.» Riku mormorò. «Dovrebbero essersi appostati in posizioni strategiche per rallentare Sora, se non altro perché Xemnas vuol fare qualcosa con Kingdom Hearts. DiZ invece, dei nostri, ha un macchinario per distruggere Kingdom Hearts, o perlomeno sequestrarlo sotto forma di dati o chissà cosa. Quanto a me…»
«Ti puoi scordare che io scappi.» Kairi tagliò corto. «Posso già immaginare che tu voglia aprire la strada a Sora. Se intendi farlo, il mio posto è vicino a te.»
Se già non era stato il suo modo di muoversi, e poi la voce, a convincere Kairi, la faccia da limone che fece Riku alla sua replica fu ulteriore conferma che era davvero lui.
Kairi avrebbe perso la pazienza con quei due ragazzi, ma non li avrebbe scambiati per nulla al mondo. Riku, ancora con la sua familiare aria rassegnata nonostante la sua faccia non fosse affatto familiare, la superò con una falcata, poi si guardò intorno e la fece fermare.
«Xigbar è oltre quella porta,» sussurrò.
«Ho presente.» Kairi non riuscì a celare il disgusto nella sua voce. «Sai altro su di lui?»
Riku sorrise e scrollò le spalle.
«Diciamo che abbiamo avuto una valida informatrice.» Sembrava abbastanza compiaciuto. Kairi immaginò che avrebbe dovuto stringere la mano alla ragazza che aveva vuotato il sacco. Da come Riku ne parlava, sembrava sapesse il fatto suo.
«Chi, Naminé?» si ritrovò a chiedere, e con sua sorpresa Riku si portò una mano alla bocca per soffocare una risata.
«Che sei, gelosa?» le ribatté. «No, è una bambina. Si chiama Shiro, l’hanno rapita quando era molto piccola. L’ho portata via io dalle loro grinfie. Allora, secondo lei Xigbar è il braccio destro del capo. Può teletrasportarsi e ha due specie di pistole con cui combatte. Si tiene a distanza, ma è esposto quando ricarica.»
Rimase in silenzio per un momento.
«Lei lo detesta
Non c’era molto tempo per fare un piano, ma se Xigbar in un qualche modo stava aspettando Sora, stava dando le spalle alla porta. Probabilmente la strategia migliore sarebbe stata aspettare proprio che arrivasse Sora, e attaccarlo in quel momento per stringerlo tra martello e incudine.
Portarono i Keyblade alla mano e rimasero in attesa. Furono minuti interminabili di silenzio, poi…
«… hai messo davvero nei guai l'Organizzazione XIII. Dev'essere per questo che il Keyblade ha scelto te. Però, accidenti, stavolta ha scelto un incapace. Non sembri valere neanche la metà degli altri eroi.»
«Hai finito di blaterare?» gli rispose adirata la voce di un ragazzo.
Era diversa da come Kairi la ricordava… ma era Sora, lo poteva giurare.
«Blaterare? Magari.» Xigbar ribatté nel suo usuale tono menefreghista. Kairi si chiese se avesse avuto quella voce quando aveva perso l’occhio, o quando chiunque fosse stato gli aveva bruciato via i capelli.
«Ti sto solo dicendo, traditore, il tempo è scaduto!»
Kairi e Riku si scambiarono un’occhiata. Sì, il tempo era scaduto. Ma per quello schifoso monocolo.
Alzarono i Keyblade e spalancarono la porta, intenti a prendere il nemico alle spalle.
Erano a due passi da lui quando Xigbar ebbe un sussulto e sparì. Riapparve alle loro spalle, con un ghigno sul volto sfregiato.
«Oh, sto forse interrompendo la rimpatriata?»
Schioccò le dita, e la stanza cambiò attorno a loro.
Si ritrovarono di colpo al piano inferiore, con Sora in piedi tra loro e altrettanto sorpreso. Xigbar li guardò dal piano di sopra con il suo occhiaccio da avvoltoio.
«Pazienza, mocciosi. Potrei insegnarvi una cosa o due riguardo alle attese, ma stavolta sarò magnanimo.»
«Vieni giù e combatti da uomo, pezzo di farabutto!» Sora era visibilmente confuso, ma la cosa non gli impedì di apostrofare il cecchino.
Riku sembrava stare cercando di trattenersi dal parlare, ma Kairi lo conosceva troppo bene per immaginare che sarebbe rimasto zitto dopo che Sora aveva iniziato un dileggio simile. Se Sora cominciava, Riku finiva, e viceversa, e spesso anche Kairi aveva aggiunto del suo.
Se proprio non era stata lei a cominciare, a volte.
«Cosa c’è, hai paura di noi?» Kairi urlò a Xigbar, poi lanciò un’occhiata a Riku perché intervenisse. Lo vide deglutire vistosamente… poi il ragazzo sorrise.
«Shiro ti manda i suoi saluti, ratto di chiavica!»
Con un rapido movimento della mano, Riku alzò il Keyblade verso Xigbar e dalla punta partì una raffica di fiamme violacee. Il guercio si teletrasportò lontano, ma il suo volto era livido di furia.
«Ragazzi!» Kairi alzò il Keyblade in posizione di guardia. «Wakka
«Wakka?» Sora si guardò attorno di scatto. Sembrava non avere afferrato, ma Riku puntò immediatamente Xigbar e si mise in guardia, come avevano fatto innumerevoli volte nelle loro lotte per gioco per difendersi dalle dolorose e infallibili pallonate del loro vecchio amico. Dopo un momento, quando Xigbar iniziò a sparare proiettili traslucidi, Sora comprese e chiuse la guardia, rispedendo gli spari al mittente.
Non avendo modo di parare, Xigbar incassò il suo stesso colpo, non senza farsi sfuggire un: «Sporca carognetta!» all’indirizzo di… beh, uno dei tre.
«Ragazzi, adunata!» Riku alzò il braccio libero, facendo gesto anche a Paperino e Pippo. «Siamo cinque a uno, cerchiamo di non intralciarci!»
Era chiaro che quello Xigbar non avesse quasi nulla a che vedere con Wakka: nonostante combattesse a distanza come lui, e i suoi colpi potessero essere rispediti, spariva e riappariva a metri e metri di distanza, persino le sue stesse mani a volte apparivano lontane dal resto del corpo…
Di tanto in tanto sparava persino proiettili più grossi degli altri, che Sora, finito per diventare il più agile dei tre, respingeva saltando in aria e dando un colpo simile a una battuta di baseball.
«I suoi sgherri fanno così!» spiegò rapidamente a Kairi quando atterrò vicino a lei. «Attenta, potrebbe rimbalzare sulle pareti!»
E scattò via, cercando di far assaggiare la sua lama al loro nemico. Dall’altro lato, Riku si avventò sul fianco scoperto del guercio, cercando di metterlo alle strette. Xigbar scomparve, e Kairi ebbe appena il tempo di sentire un rumore alle sue spalle prima che Pippo e il suo scudo si mettessero tra lei e il nemico.
«Potevo cavarmela!» disse al cavaliere, respingendo al mittente alcuni proiettili viola.
«Yuk, non si sa mai!» Pippo le rispose prima che Xigbar sparisse. Riapparve quasi al centro del triangolo immaginario che avevano formato, e sembrava che Paperino lo avesse quasi previsto, perché alzò lo scettro e dal soffitto piovvero lampi.
«Vedo che voi ragazzini avete un concetto abbastanza dubbio del giocare pulito… va bene, come volete voi!» Xigbar commentò, e la stanza attorno a loro svanì.
Adesso Kairi e i suoi quattro alleati erano su altrettanti pilastri, ognuno solo in mezzo al vuoto, con Xigbar che sghignazzava da un plinto centrale.
«Ora vediamo come ballate!»
Prima che potessero reagire, scagliò verso di loro una pioggia di proiettili bluastri, poi sparì e riapparve in aria sopra di loro, fluttuando in cerchio, continuando a sparare loro addosso. Quei colpi non potevano neanche venire riflessi, solo fermati o schivati… Kairi cercò di muoversi più in fretta che poteva, cercando di non farsi colpire, ma le braccia le facevano male, quando quei proiettili colpivano faceva male come venire toccati da un ferro rovente, e quella pioggia di colpi sembrava non finire mai…
… proprio quando sembrava che braccia e ginocchia le avrebbero ceduto, la sala ritornò ad essere quella che era stata. Paperino corse subito verso di lei e le mise una fiasca verde nella mano libera, Riku si parò davanti a lei, e Sora, pur fissandolo strano, diede loro un’occhiata di intesa e si appoggiò il pugno sul petto, mormorando qualcosa che Kairi non riuscì a discernere.
Il ragazzo venne coperto da un lampo di luce bianca, i suoi abiti divennero candidi e nella mano sinistra gli comparve un’altra lama.
L’unico occhio di Xigbar si sgranò in un’espressione di consapevole sgomento appena prima che Sora gli puntasse contro entrambe le spade, e un singolo lampo di luce partì da entrambe, colpendolo in pieno petto.
Inizialmente sembrò che il guercio avesse resistito al colpo, ma le sue mani presero a tremare, lasciò andare le pistole e crollò in ginocchio.
«Hai parlato di altri eroi.» Sora dismise uno dei Keyblade e i suoi vestiti tornarono neri, ma continuò a tenere l’altro in posizione di guardia. «Dov’è la madre di Shiro? Parla!»
Xigbar rise, il suo sguardo ancora fisso sul pavimento. Alzò la testa. Stava… svanendo?
«Ti piacerebbe saperlo, eh?»
E sparì nel nulla.
 
Brutto muso di avvoltoio, ratto di fogna, verme di palude, so che sai qualcosa, ti vengo a prendere dall’Ade e te lo faccio vomitare…!
Sora era letteralmente tempestato dalla stessa voce che aveva pianto quando Axel era sparito. Si portò una mano alla tempia, gli stava salendo il mal di testa. La voce sembrava quasi averlo capito, perché Sora lo sentì letteralmente riprendere fiato e mormorare delle scuse.
«… Roxas?» Sora mormorò.
Se davvero era lì, Roxas rimase in silenzio. Solo allora Sora si accorse che Kairi – Kairi! – lo stava fissando.
«Sora, stavi parlando da solo?»
Non aveva neanche il tempo di sentirsi sollevato che Kairi fosse lì e stesse bene… no, adesso avrebbe voluto poter sprofondare nel pavimento… che razza di figura dell’idiota stava facendo…?
Ehi, un momento!” Roxas, se era lui, intervenne di nuovo.
Sora non disse nulla, preoccupato com’era di fare nuovamente una figuraccia.
«L’ho già visto altre volte.» L’altro combattente, che somigliava in modo terrificante all’Heartless di Xehanort ma non sembrava essere un nemico, si avvicinò a Kairi e squadrò Sora con una certa aria inquisitoria. «Shiro. Shiro fa così. La nostra informatrice. Dice di avere una… coscienza. O così lei la chiama.»
«Quella che ti ha dato le informazioni su Xigbar?» Kairi gli chiese. Sembrava fidarsi di lui, quindi Sora non si allarmò affatto, nonostante l’aspetto dell’uomo gli mettesse in mente brutti ricordi.
«Sì. A volte parla da sola. O è come se stesse parlando da sola.» L’espressione del tipo era stranamente familiare, come se qualcuno avesse attaccato la mimica di un ragazzo più giovane a un uomo adulto. «E adesso anche Sora fa così.»
«Non sono io, è Roxas!» Sora sbottò quasi senza pensare.
«Immagino che quando rivedremo Shiro dovrò fare un paio di domande. A lei e alla coscienza.» Lo sconosciuto alzò gli occhi al cielo e fece per aprire un corridoio oscuro. Sora si stava per ficcare un dito in un orecchio, la sua voce suonava fin troppo come quella di…
Dimmi che stai per dire Riku, perché la risposta è esatta.”, Roxas non lo lasciò nemmeno finire di pensare. C’era una distinta nota di amarezza, forse rabbia, nella sua voce.
«… Riku?» Sora aveva appena mosso le labbra, la sua voce a stento udibile da sé stesso… ma l’uomo in nero lo stava guardando in faccia e sobbalzò come se lo avessero punto.
Riku sapeva leggere le labbra.
Ovvio che è lui. Si è conciato in quel modo per potersi rialzare e battermi dopo che l’avevo messo al tappeto…” Roxas commentò.
«Ti sbagli,» rispose l’altro con una voce grave, da adulto. «Sono soltanto un rifiuto dell’oscurità.»
Che pezzo di imbecille!” Roxas si riservò di commentare. “Glielo puoi dire? Lasciamelo dire!
«Cavoli, Riku, da quando in qua ti comporti così?» Kairi gli lanciò un’occhiataccia e lo afferrò per la manica in una presa di ferro, poi fece gesto a Sora di avvicinarsi. «Sora, qua la mano.»
Kairi prese Sora per il polso con la mano libera e gli fece appoggiare la mano su quella dell’uomo che lei chiamava Riku.
Sora non capiva, l’uomo davanti a lui cercava di guardare da un’altra parte, ma Kairi non sembrava voler mollare, anche se la sua stretta era visibilmente più leggera su Sora, come se pensasse che l’altro volesse scappare.
«Sora, chiudi gli occhi.» Kairi gli disse. «… Fidati.»
Avrebbe ribattuto, ma il ragazzo lo fece. Stava per ribattere a Kairi di non vedere niente, ma… sentiva la presenza dell’uomo, no, del ragazzo che gli teneva la mano, il ritmo del suo respiro e del suo polso, un tallone che batteva impazientemente sul pavimento, come Riku quando era in imbarazzo e cercava di aspettare il momento migliore per filarsela…
Non guardando la faccia del suo vecchio nemico, Sora aveva visto quello che avrebbe dovuto trovare.
«Riku… Riku è qui
Sentì le ginocchia che gli cedevano e un peso che non sapeva nemmeno di avere sul petto che si dissolveva. Non riusciva più a trattenere né i singhiozzi, né sé stesso, sapeva soltanto di voler abbracciare forte la persona che aveva davanti e lo fece – finendo per urtare forte la fronte contro la sua cassa toracica.
«Dai, Sora, cerca di riprenderti!» Una mano pesante gli diede un paio di colpi sulla spalla, ma Sora continuò a piangere addosso al suo amico di sempre, a stringerlo forte perché col cavolo che lo avrebbe mollato, ora che lo aveva trovato…
«Siete dei tonti, voi due!» Kairi li rimproverò, poi Sora sentì anche il suo braccio contro la schiena. Doveva averli abbracciati entrambi, perché Riku non stava facendo niente, ma Sora si sentiva premuto forte contro di lui.
Sotto di lui, Sora sentiva Riku tremare, e sentì il suono della sua voce rotto in singhiozzi. Strinse più forte, se Riku aveva bisogno di un abbraccio doveva.
«Sora, ho fatto una promessa…» Riku confessò quando sciolsero l’abbraccio, fissandosi i piedi. Era raro che Sora avesse visto il suo amico in imbarazzo, ma la sua postura, la sua voce, cavolo sì che era lui. «Ricordi Shiro, no? Le ho promesso…»
«Che avresti cercato i suoi genitori?» Sora incrociò le braccia dietro la nuca. «Siamo nel posto giusto, Riku. L’Organizzazione saprà senza dubbio qualcosa. Dobbiamo soltanto fare attenzione a non farli sparire prima che parlino, ma date pure la colpa a Roxas se Xigbar è svanito troppo in fretta.»
Ricordami di darti un pugno quando tutto questo sarà finito.”
Roxas sembrava alquanto offeso dal commento, ma Riku si portò una mano alla bocca per nascondere una risata. Kairi era ancora abbastanza perplessa, ma Riku smise di ridere e le spiegò.
«Shiro ha perso i suoi genitori quando era molto piccola. E sono Custodi del Keyblade… come noi. Forse l’Organizzazione vuole qualcosa da loro, forse c’è qualcos’altro dietro… ma…»
«Xemnas è la nostra pista.» Sora tagliò corto. «Si è spacciato per il padre di Shiro per tutto questo tempo…»
Per non dire che ha rubato il suo aspetto…, pensò amaramente. «Quindi, Riku, ora vieni con noi. E poi… poi torniamo a casa.»

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Capitolo 7
*** Ci Vediamo Presto ***


Capitolo 7
Ci Vediamo Presto
 
Cara Shiro,
Io, Sora e Kairi siamo finalmente a casa!
Credo non sarà per molto, due giorni dopo essere arrivati abbiamo ricevuto una lettera dal Re. Pare che sia arrivato a delle piste per dove siano i tuoi genitori, quindi penso verranno Paperino e Pippo a prenderci con la Gummiship e andremo… non lo so, da Yen Sid forse? Topolino ha parlato di un esame, il Simbolo della Maestria, per cui secondo lui io e Sora dovremmo essere pronti. A quanto pare è qualcosa che facevano i Custodi del Keyblade in passato. Un po’ ho paura.
 
«Credi di aver preso tutto il necessario?»
Ravus scavalcò il borsone di Luna, raccolse un foulard da dove la ragazza lo aveva abbandonato sul letto, e lo infilò nella sacca.
«Senti, vuoi che non me la sappia cavare?» Luna si strinse nelle spalle e sorrise. «Ricordami un po’ chi era che ti aiutava a vestirti quando non potevi usare quel braccio.»
«Touché.» Ravus non disse altro. Ma non poteva evitare di preoccuparsi… erano sempre stati in due ad affrontare tutto, e ora Noctis e gli altri erano in partenza e Luna con loro.
Qualcuno doveva assistere quei quattro gatti spelacchiati nella loro ricerca per qualsiasi cosa fosse alla fonte del caos, di chiunque l’avesse scatenata e di chiunque potesse fermarla.
Dopo due giorni in cui il numero di Heartless si era ridotto quasi a zero, Strange aveva decretato che era il momento di partire… aveva detto che era la quiete prima della tempesta, e che Noctis e Luna avrebbero dovuto prestare assistenza a delle persone che aveva chiamato i portatori della chiave.
Ravus sarebbe rimasto lì – Strange avrebbe necessitato di assistenza, e gli Heartless sarebbero tornati, finché qualsiasi cosa non li comandava non fosse stata sconfitta una volta per tutte. Gli dispiaceva che fosse Luna ad andare… lei avrebbe lasciato i suoi studi, lui a parte le Arti Mistiche lì aveva ben poco…ma se Strange diceva qualcosa, solitamente, era perché sapeva cosa sarebbe accaduto.
Luna aveva preso il borsone e se lo era messo in spalla quando qualcuno suonò alla porta.
«Chi può essere?» Luna commentò immediatamente. Gli accordi erano che si sarebbero visti tutti direttamente a Bleecker Street…
Ravus fu il primo ad arrivare alla porta, assieme ai cani che erano scattati non appena sentito il campanello.
Aprì la porta e fece un balzo all’indietro.
C’era il barbone di Broadway sul pianerottolo. Inesplicabilmente sobrio, con la faccia un po’ più pulita e degli abiti che se pur vecchi sembravano più in ordine del solito. Ravus aveva pensato che i soldi che gli aveva allungato di nascosto per dare una svegliata a Noctis sarebbero serviti, ma di certo non sperava sarebbe stato per vestiti e barbiere.
«Cosa…?» Ravus scosse la testa.
«Ho sentito dai vostri amici che state andando verso un altro mondo.» L’uomo resse il suo sguardo, imbarazzato. «Ho ricordato… ho ricordato come si chiama casa mia. Radiant Garden. Potreste portarmici?»
«Voi?» Luna raggiunse Ravus e guardò il loro visitatore come se gli fossero appena spuntate le ali.
«Eh, io.» L’uomo si mise le mani nelle tasche. «Che, per inciso, non mi sono mai presentato con voi ragazzi. Sono un idiota… Genesis Rhapsodos… comandante delle guardie di Radiant Garden.»
 
Non so se mi riconoscerai quando ci rivedremo. Storia lunga, ma sono un po’ più basso. La mia voce però è la stessa, e anche il mio Keyblade. Sono andato dal barbiere una volta a casa e mi sono fatto tagliare i capelli, non me la sentivo più di tenerli lunghi. E ho dei vestiti nuovi!
Ho rivisto i miei genitori e i miei compagni di scuola… fa strano rivederli dopo tanto tempo. Le loro vite sono andate avanti esattamente come la mia. Io e Sora dobbiamo fare un esame – sì, anche quello! – per dimostrare che non abbiamo perso l’anno scolastico, ma non abbiamo ancora fissato la data, non con quello che sta per accadere.
Credo che Sora ne sia persino più terrorizzato che dal Simbolo della Maestria, ma onestamente posso capirlo. Abbiamo avuto molte più occasioni di alzare un’arma, negli ultimi tempi, che di aprire un testo scolastico.
 
«Hey, Riku, a chi scrivi?» Kairi entrò nella stanza e lasciò andare il suo borsone sul pavimento. Certe abitudini dovevano essere dure a morire, Riku constatò, perché la sua spada da allenamento era legata alla sacca.
Riku chiuse la penna con uno scatto e alzò il foglio.
«Mi sembrava giusto dirle che stiamo bene,» spiegò. «Che intendo mantenere la mia promessa.»
Kairi gli mise una mano su una spalla mentre leggeva.
«Starà bene anche lei. Vedrai.» Lo rassicurò.
Riku in un qualche modo ne dubitava. In fin dei conti, era stato lui a toglierle il suo migliore amico per riavere il suo. Riportarla dalla sua famiglia, dovunque fossero, era il minimo che poteva fare.
«Cosa, non mi credi?» Kairi gli passò una mano tra i capelli, poi due, spettinandolo irrimediabilmente. Aveva preso a farlo regolarmente da quando Riku se li era fatti tagliare.
«Difficile da spiegare.» Riku prese a giocare con la penna.
«Provaci lo stesso.» Kairi si sedette vicino a lui. «Riku, niente più segreti tra noi tre. Se sta davvero arrivando una tempesta come dice il Re, dobbiamo sapere a cosa andiamo incontro. Sono stata io la prima scema a chiederti se c’era qualcosa che non andava, un anno fa… non voglio ripetere quell’errore, ma tu non ripetere il tuo.»
Riku, senza smettere di giocare con la penna, chiuse gli occhi e tirò un respiro.
«Ho condannato il migliore amico di Shiro… Roxas… per salvare Sora.» Confessò. «E lei non lo sa.»
«Condannato non direi, visto che è ancora qui a rompermi le scatole.» Sora entrò nella stanza, anche lui con uno zaino sulle spalle. «Mi sta dicendo che vorrebbe darti un pugno, ma onestamente non ci tengo.» Fece un sorrisetto imbarazzato. Si lasciò scivolare lo zaino dalle spalle e prese posto all’altro fianco di Riku.
«Allora, tutti pronti?»
L’appuntamento sarebbe stato in un paio d’ore all’isola dei giochi, ed erano tutti e tre ansiosi di partire.
«Fammi finire di scrivere.» Riku riaprì la penna e riprese il foglio.
«Dille di non scrivere una risposta, potrebbe rivedere noi prima della lettera se Yen Sid finisse per chiamarla alla Torre,» Sora si sporse sul tavolo. «E come sta? Leon mi aveva menzionato che hanno trovato degli insegnanti per la scuola… poverina, ora faranno iniziare anche lei.»
Riku si dovette trattenere dallo spiaccicare giocosamente la faccia di Sora contro al tavolo. Lo sapeva il cielo quanto gli voleva bene, ma a volte il suo amico poteva essere davvero tonto.
Si chiese se avrebbe capito prima o poi quanto era affezionato a lui. Se anche Kairi ne era consapevole… a volte quei due sembravano davvero troppo allegri per arrivarci… si morse il labbro.
Avrebbe dovuto scambiare due parole con quei due, se davvero fossero arrivati alla guerra.
Non si sarebbe mai perdonato se fossero davvero arrivati alla fine senza chiarire quello che provava per loro…
… ma allora perché aveva così paura di non meritarli?
 
A proposito di Sora, vuole accertarsi che tu stia bene. Credo che saremo già alla Torre, se non addirittura altrove, quando riceverai questa lettera, ma magari quando ci rivedremo raccontagli tutto quanto. A proposito, ho un paio di domande da farti quando saremo faccia a faccia, ma per ora può aspettare.
Forse quando saremo di nuovo insieme avrò notizie sui tuoi genitori… anzi, credimi, lo spero, lo spero tanto. Topolino ha parlato di dati nel Grillario, ma non è stato molto prolisso. (Nel caso tu non sappia che vuol dire, significa che ha scritto molto poco.)
Ci vediamo PRESTO!
Riku
 
 
Era raro che, in autunni freddi come quello, il cielo concedesse un po’ di tregua, ma sembrava che quella giornata sarebbe stata di sole.
Cloud si appoggiò a uno dei pini della piazza, il suo respiro che condensava nella nebbia del mattino.
Dopo dieci anni, era la prima alba di Radiant Garden.
La città era tornata ad essere quella che ricordava, dai pini nella piazza alla scuola, dalla casetta dove lui e sua madre avevano vissuto al bar dove lui, Zack, Lea e Isa erano stati soliti incontrarsi prima della campanella per bere il caffè e che ora, come molti altri edifici, era sfitto. Merlino era riuscito a rimettere insieme gli edifici e le strade in una notte, ma ci sarebbe voluto molto più tempo per riportare la città a quella che era stata.
Cloud aveva raccolto le sue cose da casa del giudice ed era uscito all’alba.
Avrebbe potuto tornare a casa… ma non sapeva se ne avrebbe avuto il coraggio. Quella non era più casa sua – non se Mamma non era più lì ad aspettarlo.
Aveva passato un po’ di tempo a vagare senza meta, finché, proprio mentre le campane del castello suonavano sette rintocchi, i suoi piedi lo avevano portato nella piazza dove una vita prima aveva trovato un amico.
Con la schiena ancora poggiata all’albero, Cloud chiuse gli occhi.
Poteva sentire ancora Aerith che gli gridava di correre, il vento sulla faccia mentre incespicava sulle pietre, il cuore che gli rimbombava in gola e nelle orecchie… era sempre stato un bambino pauroso.
Però ora sei di nuovo qui, no?” Cloud fu certo di aver sentito qualcuno dire. Rimase con gli occhi chiusi. Sentiva quasi di non essere solo. Era come se Zack fosse di schiena contro lo stesso albero, ed entrambi si dessero le spalle.
Era come se lo sentisse di nuovo parlare. Come se fossero di nuovo i due bambini che giocavano nella piazza.
Se fossi in te, non getterei la spugna. Segui i tuoi sogni.
I miei sogni…? Una vita prima, Cloud avrebbe venduto l’anima per entrare nelle guardie cittadine. Non sapeva più cosa sognava adesso… avrebbe soltanto voluto che tutto tornasse come era stato prima, anzi no, nemmeno quello, voleva semplicemente che…
… che nessun altro fosse andato incontro a quello che aveva visto lui.
Non ricordava più nemmeno cosa era realmente accaduto. Si ricordava di essere stato aggredito da Sephiroth mentre lui e Zack avevano cercato di fuggire dal castello di Lord Ansem con Shiro… ma ricordava che Sephiroth pochi attimi prima era stato disposto ad aiutarli.
Ricordava ancora l’offerta di aiuto di Saïx… ma non per quale motivo aveva voltato loro le spalle.
Aprì lentamente gli occhi e fece qualche passo in avanti. Il borgo stava iniziando a riempirsi di gente, alcuni passanti avevano preso a salutarlo (Leon gli accennò uno dei suoi rari sorrisi, e Cecil, della sua squadra di baseball, agitò un braccio e lo chiamò per nome).
Iniziavano ad uscire anche i bambini. Giusto… era il loro primo giorno di scuola.
Riconosceva persino alcuni di quelli che aveva salvato. Quasi tutti, cortesia di donazioni e qualche magia di Merlino, avevano trovato un’uniforme. Denzel, con una giacca con il cappuccio sopra la divisa, continuava a dire e ripetere a Tifa che non era nervoso e stava bene. Shiro, con ancora Mister Kupò a sporgere dallo zainetto, portava l’uniforme che – Cloud riconosceva il rammendo sulla gonna – era appartenuta ad Aerith.
Molte di quelle persone, di quei bambini, erano lì, stavano bene ed erano sereni… anche grazie a lui.
Andiamo, dimmi ancora che NON VUOI più essere una guardia. Guarda che lo sei. In tutto tranne che il nome.”
Poteva ancora fare qualcosa per il posto in cui era nato. Sì… se Radiant Garden aveva un’altra possibilità, lo stesso valeva per lui.
Non gli restava che…
«Hey, Leon! Possiamo parlare?»
 


Sora bussò alla porta dello studio dello stregone ed aprì, facendo entrare Riku e Kairi per primi.
Yen Sid era al suo solito posto alla scrivania, affiancato da Topolino poco lontano.
«Volevate vederci?» Kairi fu la prima a parlare.
Topolino rivolse loro un gesto di saluto nervoso, poi Yen Sid parlò immediatamente.
«Sora, Riku, Kairi… l’ora è prossima,» esordì. «Il cuore di Xehanort, un tempo posseduto dalla sua metà Heartless, ora è libero. E il suo corpo, divenuto il suo Nessuno, è stato sconfitto. Il loro annientamento permetterà di ricostruire lo Xehanort originale. Le due metà verranno restituite al tutto.»
Sora cercò immediatamente lo sguardo dei suoi amici, verificando se fossero anche loro confusi come lo era lui da quanto era stato appena detto. L’Heartless di Xehanort era morto, così come il suo Nessuno… o meglio, se dovevano dare retta a Topolino, l’Heartless dello Xehanort che si era impossessato di Terra.
«Vuol dire che accadrà anche per tutti gli altri Nessuno?» Riku commentò. «Axel, Marluxia, e tutti gli altri nove?» Nonostante lo spavento, c’era una nota di speranza nella sua voce. Sora capì subito – era una buona notizia, se non altro per Shiro.
«Beh, se anche i loro Heartless sono stati distrutti, cosa che è molto probabile…» Topolino commentò, appoggiando il mento ad entrambe le mani.
«Axel è passato dalla nostra parte. Potrebbe essere d’aiuto,» Sora commentò. «Anche solo semplicemente per Shiro. È stata letteralmente cresciuta da lui,» Roxas lo convinse ad aggiungere.
«Non mi fido.» Kairi lo contraddisse.
«Kairi, è stato lui a dirmi dove trovarti.» Sora cercò di spiegare. «E se fosse davvero di nuovo una persona… credo sia la cosa più vicina che Shiro abbia a una famiglia. Come… come Henry è stato per te?»
Kairi continuò a guardare Sora con aria scettica, ma non disse nulla. Sora fu immediatamente tentato di chiederle scusa, nonostante una parte di sé – pienamente supportata da Roxas – fosse convinta di essere nel giusto.
«Non possiamo comunque permetterci di cercarlo,» Yen Sid intervenne, guadagnandosi un improperio da parte di Roxas. «La priorità adesso è che voi tre completiate per quanto possibile il vostro addestramento. Xehanort sta tornando, e non sarà solo. Se vogliamo sperare di sconfiggerlo, ci servono le persone menzionate da Re Topolino nella sua lettera.»
«I genitori di Shiro…» Riku fece un cenno con la testa. «… e il loro compagno…?»
«Esattamente,» intervenne lo stregone. «Dobbiamo guidarli fuori dal dolore e dal sonno, e riportarli nel nostro mondo. Per farlo, Sora e Riku, voi dovrete trovare le sette Serrature Dormienti e recuperare il Potere del Risveglio. Kairi, ho bisogno che tu invece vada a Radiant Garden. Le tue capacità, per quanto ti abbiano consentito di aiutare, non sono ancora pari a quelle dei tuoi compagni. Affiancherai il Comitato di Restauro e la nascente guardia cittadina nella protezione della città, nel caso Xehanort e i suoi sottoposti cerchino di tornare, e il mago Merlino potrà esserti d’aiuto nell’apprendimento della magia.»
«Va bene.» Kairi chinò leggermente il capo.
«Quanto a voi due… le Serrature Dormienti sono difficili da raggiungere. Avete riportato molti mondi indietro dall’oscurità, ma alcuni non sono mai tornati completamente. Sono ancora addormentati, separati da tutti i canali esterni. Nemmeno gli Heartless possono entrare, ma vi alberga un’oscurità del tutto particolare. Ne esistono due tipi, chiamati Dream Eater. Gli Incubi, che si nutrono dei sogni felici, e i benevoli Spiriti, che consumano gli incubi. Saranno i Dream Eater a guidarvi, così come hanno fatto gli Heartless in passato…»

 
 
Hey, Axel. Non te ne sei dimenticato?
....
La biblioteca era la stessa di sempre – enorme, silenziosa, e la voce di Lea echeggiava tra gli scaffali e le pareti.
«Kairi, non possiamo andare avanti così. Le maestre hanno detto che se continui a mordere in classe non ti terranno più all’asilo.» Lea si abbandonò su una sedia e fissò la sorellina. Il lavoro da Lord Ansem e la scuola lo avevano reso talmente stanco che gli era difficile anche pensare, ma la nonna doveva rispondere ad Even dei libri che voleva, e quindi il compito scomodo toccava a lui.
Non che Kairi avesse tanto bisogno di una sgridata. Era rannicchiata sulla sedia davanti alla sua, tremava, e sembrava essersi accorta di quello che aveva fatto meno di un’ora prima.
«Bickson mi ha tirato su la gonna,» cercò di spiegarsi.
«Ha fatto COSA?» Lea per poco non scattò in piedi. Poteva capire perché Kairi si fosse difesa in quel modo, a quel punto. Aveva il chiaro sospetto che la nonna avesse fatto usare a Kairi un paio delle sue vecchie mutande. Accadeva abbastanza spesso, specie ultimamente che tra il suo lavoro e quello di Lea, a casa non rimaneva più molto tempo per lavare i panni, e la signora Fair, che un sacco di volte li aveva aiutati, non era stata più sé stessa da quando Zack era sparito.
«Bickson mi ha tirato su la gonna e ha urlato agli altri che io porto le mutande da maschi.»
«Santo cielo, Kairi, perché non hai chiamato la maestra?»
Kairi rimase in silenzio, fissandolo negli occhi con il labbro che gli tremava. Lea avrebbe soltanto voluto perdonarla e lasciarla andare – d’altra parte, lui era soltanto il fratello scemo.
Se soltanto Zack e Cloud non fossero spariti… non sarebbero stati lì in quel momento.
Magari adesso sarebbero stati nella loro avventura della vita, e magari lui sarebbe stato lontano da Kairi, ma avrebbero lasciato una lettera e magari la signora Fair non sarebbe stata depressa sapendo che stavano bene…
«Posso restare qui, Lea?» Kairi azzardò.
«Qui? Ma ci siamo qui, Kai. Resti con noi finché nonna non va a casa, o finché non ci fanno tornare me.» Lea abbozzò un sorriso.
«No, è che a scuola non ci voglio più andare. O qui o a un’altra scuola.» Kairi scosse la testa, facendo una smorfia di seccatura.
«Ma no, dai. E chi giocherà con Yuna se non torni più?» Lea le mise una mano su una spalla. Il suo professore di storia era stato gentile a convincere sua figlia a passare del tempo con la sua sorellina, ma con il tempo le due bambine si erano affiatate spontaneamente. Avevano entrambe delle famiglie particolari, e Lea era convinto che la loro amicizia sarebbe durata negli anni, come con lui e Isa.
Kairi non disse nulla, ma rimase a fissarlo con gli occhi lucidi. Lea si mise in piedi.
«Dai, vieni qui e dammi un abbraccio!» Si abbassò sulle gambe e aprì le braccia. La bambina non se lo fece ripetere, balzò giù dalla sedia e gli mise le braccia al collo. Lea la strinse forte, si rimise in piedi e fece un giro su sé stesso stringendola prima di lasciarla di nuovo per terra.
«Domani mattina ti porto io a scuola, fin dentro la tua classe, come il primo giorno.» Le promise. «Mi fai vedere chi è questo cretino e gli camminiamo davanti, così capirà che con te non si scherza e lo terrà memorizzato.»
Kairi si mise a ridere.
Lea le diede un colpetto sulla spalla con due dita.
«Così ti voglio, piccola guerriera.»
Il rumore di passi affrettati emerse da uno dei corridoi, e Isa si affacciò alla porta, con il fiatone e un’espressione che Lea non riusciva a decifrare, ma che non presagiva nulla di buono.
«Mi sono tratt…?» iniziò a dire Lea, ma Isa non lo lasciò continuare.
«Xehanort! Sta attaccando tutti con una spada!» Isa gridò fuori d’un fiato.
Una parte di Lea avrebbe voluto esclamare “COSA?”, un’altra rimase in silenzio. Quello che Zack aveva temuto si era rivelato per vero, ma adesso…?
Braig aveva dato loro delle armi, armi vere, quando avevano varcato la porta del castello da apprendisti, ma se Zack non era più tornato dal castello, che chance avevano loro, che avevano appena iniziato l’addestramento?
«Dobbiamo portare via Shiro. Ora.» Isa fissò il corridoio per cui era arrivato. «Non ce la faccio da solo, Lea.»
Lea rimase nella porta, gettando uno sguardo verso l’interno della biblioteca. La nonna doveva sicuramente essere lì, a finire l’inventario.
«Kairi, io e Isa andiamo a prendere Shiro. Tu resta qui e chiudi la porta a chiave. Non aprire a nessuno, a nessunissimo, a meno che non ti faccio il nostro toc-toc e non senti la mia voce.»
Kairi lo fissò negli occhi e fece sì con la testa. Lea le sorrise di nuovo, anche se stavolta gli sembrò immediatamente più difficile.
«Torneremo presto. Con Shiro. E poi ce ne andiamo a casa.»
Chiuse la porta dietro di lei ed evocò i chakram che aveva trovato nell’armeria del castello. Al suo fianco, Isa portò alla mano la claymore che aveva scelto.
Avevano poco tempo. Dovevano fare tutto il prima possib…

...
Ci hai fatto una promessa.
Che saresti sempre stato pronto a riportarci indietro…
 
Aprì gli occhi.
Nell’ultimo ricordo che aveva, le sue orecchie erano invase dalle urla. Ma era stato un ragazzo o una bambina a urlare?
Ma certo! Sora! Kairi… il Corridoio…!
Era sdraiato di schiena e fissava il soffitto. Di certo quello non era un Corridoio Oscuro… Si rotolò fino a poggiare sulle ginocchia… c’era un computer dove due sagome pixelate sembravano quasi guardare lui. Uno dei due, con quelli che sembravano capelli rossi, continuava a schiamazzare «Signore! Signore! Svegliaaa!» e a saltellare su e giù come una pallina pazza. Dal suo aspetto e comportamento, sembrava quasi un bambino.
«Otto, andiamo, datti un contegno!» l’altro sembrava cercare di trattenerlo. «Lascia in pace i Creativi!»
Gli venne l’istinto di ridere. Creativo, lui? Se davvero quei due cosini erano programmi del computer…
… un momento, l’istinto di ridere?
Si mise in piedi e prese a guardarsi intorno. Che razza di posto era quello? Il castello di Ansem? E come faceva ad essere ancora vivo? E perché si sentiva di ridere, perché aveva paura, perché…
perché il vetro sopra al computer rifletteva una PERSONA?
«Quello sono io…»
C’erano altri quattro uomini nella stanza. Due di loro avevano iniziato a muoversi.
Quello sono io
Per la prima volta in dieci anni, Lea riconobbe il suo volto allo specchio.
Si diede un’occhiata alle spalle… Aeleus, Dilan, Ienzo ed Even erano dietro di lui. Aeleus e Ienzo erano a loro volta in piedi, intontiti ma sembravano stare bene.
«Siamo di nuovo noi…» disse loro, più per assicurarlo a sé stesso che perché gli altri se ne rendessero conto. «Ma Braig… Isa…»
Gli tornò alla mente un pensiero. Isa sapeva di avere ancora una famiglia. Ilyas e Finn dovevano essere a casa loro, dovevano per forza, Lea ricordava che Shiro di tanto in tanto badava a Finn…
«Torno subito!» Lea camminò verso il corridoio che sapeva portasse fuori, sempre più veloce, prese a correre.
Il castello sembrava come nuovo… come se tutto quello che vi aveva visto accadere non fosse mai successo, ma Lea non volle pensarci, aveva un amico da trovare, doveva essere a casa sua
Spinse il portone ed avanzò nel sole.
Era una giornata di quelle che una vita prima avrebbe adorato, ma in quel momento non gli importava, stava pensando soltanto a correre, su mattonelle che sembrava non fossero mai state spezzate, per strade che soltanto giorni prima erano ammassi di rocce e cristallo etereo, davanti a case che qualche giorno prima erano state solo cantieri… riconosceva quel giardino, e quella porta, e…
BANG!
Una presa d’acciaio lo inchiodò contro una parete, una figura in nero lo tenne immobile e una mano guantata gli premette su sterno e clavicole.
Il ringhio sul volto del giovane non sembrava lasciare molto spazio riguardo alle intenzioni dell’aggressore… ma Lea riconosceva quelle cime irte.
«Cloud! Sono io, sono Lea!»
La presa si allentò. Non era il vecchio amico che Lea avrebbe voluto incontrare, ma sfruttò la distrazione per allontanargli la mano e fare un passo di lato, allontanando le spalle dal muro.
«… come…?» La voce del ragazzo non era che un mormorio.
Lea scosse la testa. «Potrei farti la stessa domanda, amico. E prima o poi finirò per fartela, ma a giudicare dalla tua faccia, non hai visto Isa. Dico bene?»
Cloud sbuffò. Sembrava ancora molto arrabbiato.
«Aerith mi ha detto che Shiro ha pianto per ore. Cosa accidenti hai combinato? Hai fatto credere a tutti che eri morto
Lea fece spallucce e alzò le braccia in segno di resa.
«La storia è lunga. Ti ci vorrebbe un po’ a tenerla memorizzata.» Abbozzò un sorriso. «Sta bene adesso? Shiro?»
«È a scuola
Di tutte le risposte che Lea avrebbe immaginato di ricevere, reputava sicuramente quella la più improbabile. A scuola. Shiro era a scuola! Dopo averne soltanto sentito parlare da lui…
«Cloud, mi spieghi cosa sta succedendo là fuori? Perché urli?»
La porta della casa si aprì e il giudice Ilyas ne uscì, con addosso dei vecchi vestiti, con la barba di una settimana e un’espressione che passò rapidamente dalla curiosità allo stupore. Finn era attaccato ai suoi pantaloni, con addosso una tutina che Lea aveva visto addosso ad Isa in parecchie fotografie. Il piccolo sembrava alquanto frustrato dal fatto che tutti quanti sembravano stare giocando alle belle statuine.
«Buon giorno, Vostro Onore.» Lea salutò il giudice come se non fosse passato un giorno dall’ultima volta che lo aveva visto. No… Isa non era lì. E mettendosi a correre fin lì, aveva soltanto illuso qualcun altro oltre sé stesso.
Finn fissò Lea per un momento, poi gli mise il broncio e balbettò: «Afel.»
«Va bene, Lea, ora ti dispiace spiegare?» Cloud si portò una mano alla fronte, visibilmente esasperato. «Dove sei stato tutto questo tempo? Perché hai addosso quella cappa maledetta? E, per favore, andiamo dentro. Questa è una strada, non l’auditorium.» Diede una spintarella a Finn, indicò a Ilyas il divano e attese che tutti fossero rientrati prima di chiudere la porta.
Lea si sentiva quasi male ad essere di nuovo lì. La casa non era quasi cambiata affatto, salvo per i giocattoli sparsi ovunque sul pavimento e alcune foto più recenti, con delle cornici nuove, che ritraevano Finn intento a fare pasticci sul seggiolone, camminare sul tappeto, o saltellare su un divano.
Si sedette al suo “solito” posto sul divano, cercando di non concentrarsi sulle fotografie. Sentiva quasi la mancanza dell’intervento di Bolt, che solitamente era capace di annusare la tensione in una stanza ed elemosinare coccole.
Ora cosa accidenti avrebbe detto?
Il giudice restava in silenzio, guardandolo negli occhi, e Lea sapeva, cavolo se lo sapeva, cosa avrebbe voluto chiedergli. Sapeva anche di avere la risposta, ma non sapeva come dirglielo.
Fu Cloud a rompere il ghiaccio.
«Va bene, Lea, cosa è successo agli altri nel castello con te? Sappiamo soltanto di Shiro, e lei sta bene. La tua famiglia? Isa, le guardie, gli scienziati?»
«Non ho mai visto cosa accadde alla nonna.» Davanti ad una domanda diretta, Lea non poté evitare di parlare. «Isa era con me. Stavamo cercando di portare Shiro via. Xehanort attaccò lui per primo. A Kairi avevo ordinato di nascondersi, ma lei mi venne a cercare. L’ultima volta che l’ho vista, Xehanort la teneva per il braccio. Ienzo, Even, Dilan e Aeleus erano nella stessa stanza in cui mi sono svegliato poco fa. Isa e Braig non sono riapparsi… e li sto cercando.»
«Braig. Ti pareva.» La smorfia di Cloud era evidente, come se avesse appena inghiottito qualcosa di marcio. Tuttavia, il suo tono di voce tradiva una nota di preoccupazione.
«Non è la prima volta che lo sento nominare.» Il giudice si decise a parlare.
«Lo avete memorizzato, eh?» Lea appoggiò i gomiti sulle ginocchia e guardò in basso. «Ovviamente. Zack e Isa lo tenevano d’occhio. Non ce l’ha mai raccontata giusta. Conoscendo Isa, potrebbe essersi messo sulle sue tracce.»
Oppure Braig potrebbe averlo portato via, Lea omise il resto della frase. Erano le due possibilità, ma non voleva spaventare il padre del suo migliore amico. Sembrava quasi comportarsi normalmente, ma Lea lo conosceva troppo bene per non rendersi conto che non era più l’uomo sicuro che era stato.
Aveva bisogno di risposte… doveva parlare con Sora.
«Credo che stia per accadere qualcosa.» Il giudice sembrò cambiare argomento. «Stamattina presto, dei ragazzi sono arrivati al Comitato di Restauro. Leon mi ha soltanto telefonato, ma finché non è sicuro per Finn non avrei potuto raggiungerlo, non con Shiro a scuola, e avevo chiesto a Cloud di controllare considerando che sta cercando di riformare le guardie…»
«Tu? Cloud, ma è grandioso!» Lea non poté evitare di farsi sfuggire un sorriso. «E che cosa è successo?»
«Pare che sia ricomparso Genesis.» Cloud si mise in piedi, dondolando le braccia in una maniera quasi familiare. «Non sono sicuri sia lui…»
«Dieci anni passano per tutti,» Ilyas commentò.
«… ma probabilmente anche lui sa qualcosa. Leon voleva contattare Sora e informarlo, ma pare lui e i suoi compagni siano irreperibili.»
«D’accordo, non dovete dirmi altro. So come mettermi in contatto.» Lea scattò in piedi. «Se c’è qualcuno che dovrebbe sapere di Braig in giro, peraltro…»
«Beh, se volete scusarmi.» Cloud si incamminò verso la porta. «Vado da Merlino. Voglio vedere quanto delle voci è vero.»
Aprì la porta e se la chiuse alle spalle.
Lea rimase in silenzio. Iniziava a sentirsi a disagio in quel posto. Poteva soltanto immaginare perché non avesse mai visto Suzan tutte le volte che era passato da quelle parti, o Bolt. Non sarebbero tornati.
Probabilmente il giudice avrebbe pianto.
Lea aveva visto uomini adulti piangere, oh, sì. Aveva visto i compagni di lavoro dei suoi genitori, quando Papà e Mamma non erano più tornati a casa, e lui era rimasto dritto come un palo, Kairi nelle braccia, convinto che in quel momento doveva essere forte ed essere lui l’uomo. Aveva visto il vecchio Nikos scoppiare in lacrime una settimana dopo la sparizione di Zack.
Non ci si era mai abituato.
«Riporterò Isa a casa, Vostro Onore.» Lea tirò un sospiro e disse.
Era finito il tempo in cui Lea perdeva le persone nella sua vita senza fare nulla per impedirlo.
Era stato troppo piccolo per Papà e Mamma, troppo incapace per Kairi, nel posto sbagliato per Zack, con le idee sbagliate per Roxas… e perché era convinto ci fosse anche qualcun altro?
Importava poco. Non si sarebbe permesso di farlo di nuovo.
 


«Non avrei proprio immaginato di ritrovare la città come la ricordavo.» L’ex guardia, con addosso abiti abbastanza logori e un’aria stanca sul volto, aveva quasi ignorato la tazza di tè che Cid gli aveva messo davanti, ma aveva attaccato la torta di mele che vi era stata messa vicino con la voracità di qualcuno abituato a digiunare. «Compreso il tè di Merlino
La teiera sul tavolo si mise a beccheggiare su e giù, quasi fosse indignata. Gli occupanti della stanza risero.
«Ci era stato detto che eri sparito nel nulla…» Aerith azzardò, non volendo menzionare né Zack, né Lea e Isa che erano stati gli ultimi a vederlo. «Cosa ti è successo?»
«Xehanort, ecco cosa è successo.» Genesis alzò gli occhi al cielo. «Lui e Braig erano sulle tracce delle guardie da quando il primo è apparso in piazza. Avevano capito qualcosa – Fair forse, pare che sapesse troppo. Quelle cose che diceva, riguardo ai veri genitori della bambina, delle invasioni dei mostri…»
Rimase in silenzio, passando lo sguardo da Leon ad Aerith a Merlino a Cid, forse spaventato dalle domande che avrebbe potuto porre loro.
«Lord Ansem è sparito assieme ai suoi allievi.» Leon camminò avanti e indietro per la stanza, parlando in tono grave. «Le guardie cittadine scomparvero tutte prima che la città cadesse. Venne menzionato un Progetto Replica dal Professor Even, per copiare la loro forza e le loro abilità in una nuova guardia, ma la città cadde prima che venisse portato in atto. I Custodi del Keyblade di cui Zack parlava sempre ci hanno trovato e aiutato nella ricostruzione della città. Sora, Riku, e il Maestro Topolino sono però irraggiungibili da un paio di giorni. Abbiamo ricevuto notizia di un altro Custode che dovrebbe venire qui per allenarsi… e poi c’è Shiro. Ma non la voglio nemmeno contare come Custode, non per quanto è giovane.»
«Shiro è alla Junior High per la sua educazione, come è giusto che sia.» Merlino specificò.
Aerith avrebbe voluto chiedergli se sapeva qualcosa di Zack. O di Isa. Ma se persino Cloud non aveva saputo dirle nulla di loro…
La porta si spalancò e – manco a dirlo – Cloud irruppe nella stanza.
«Cosa accidenti ti ha trattenuto, ragazzino?» Cid gli sbraitò addosso a mo’ di saluto. Cloud era cereo come quando era ricomparso l’anno prima, ma aveva una luce diversa negli occhi. Si guardò attorno e si morse il labbro, come quando in classe aveva avuto molto da dire senza sapere da dove cominciare. Sembrava quasi avesse visto un fantasma.
«Stammi a sentire, Cid, non otterrai una parola da lui se continui a strapazzarlo come un pupazzo!» Merlino inveì contro l’ingegnere. «Prendi pure posto, figliolo.» Una sedia si mosse da sola e prese Cloud alle spalle, forzandolo a sedersi e portandolo al tavolo. La teiera riempì una tazza davanti a lui, e la zuccheriera trotterellò fino alla tazza e prese a scodellare cucchiaiate di zucchero nel tè.
Per quanto Cid e Merlino potessero litigare, avevano in comune l'abitudine - per non dire fissa - di offrire a tutti i costi una tazza di tè ad ogni ospite che passava la soglia della dimora del mago. Aerith era stata convinta che avessero adottato quella prassi per non scannarsi a vicenda durante il resto della giornata, ma se Cid continuava a visitare il mago anche adesso che aveva di nuovo casa sua, come minimo quei due dovevano aver stretto amicizia.
«Cloud?» Fu solo quando lo ebbe vicino che Genesis lo riconobbe. «Cloud Strife? L’amichetto di Fair?»
La zuccheriera, completamente ignorata da tutti, continuava a versare zucchero nella tazza del ragazzo.
«Aerith…» Cloud non sembrava affatto interessato né al discorso né allo zucchero. «L’ho visto. Era a casa del giudice. Lea è vivo. Gli allievi di Lord Ansem sono vivi.»
 


Shiro aprì la porta, la richiuse dietro di sé, e lasciò lo zaino su una sedia attorno al tavolo.
«Sono a casa!» annunciò, ma nessuno le rispose. Aerith doveva essere ancora a sistemare affari con il Comitato, o magari a convincere Cloud a “non fare lo scemo”.
Da quando il suo vecchio amico si era disfatto – per la seconda volta, a quanto pareva – di quel Sephiroth di cui parlava sempre, sembrava quasi essersi tolto un peso dal cuore per come aveva preso a camminare, a parlare, e a comportarsi, ma c’era ancora qualcosa che non andava in lui, ed era ancora schivo in particolare con Aerith e Shiro.
Probabilmente c’entrava qualcosa con Zack.
Zack. Quel ragazzo che Shiro non ricordava, ma aveva lasciato il segno del suo passaggio nei ricordi degli abitanti del borgo, sulla zampa di un Moguri di pezza, e in parecchie fotografie.
Shiro aveva scritto tutto quello che sapeva su di lui nelle pagine vuote del suo diario, dopo la lettera di Axel, sperando che mettendo insieme i pezzi si potesse arrivare a capire dov’era finito.
Restava solo da capire dov’era. Lui e Cloud avevano combattuto Sephiroth undici anni prima… e Sephiroth era stato il capitano delle guardie di Radiant Garden.
Probabilmente era successo tutto dove le telecamere della città avrebbero potuto vedere. E da quando Sora e Tron avevano sconfitto il Master Control…
Shiro ripassò ancora una volta tutti i suoi appunti. Se davvero gli indizi su Zack si fermavano a Sephiroth, era da lì che doveva andare a cercare.
E se Otto e Nove, i nuovi programmi di Cid, erano riusciti a riportare alla luce i piani della città intera, quanto difficile sarebbe stato per loro risolvere un caso di sparizione?

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Capitolo 8
*** Otto e Nove ***


Ora voglio proprio vedere chi di voi lettori capisce CHI sono Otto e Nove. Un indizio: sono un personaggio Disney e uno Square.

Journey – Capitolo 8
Otto e Nove
 
Riku aprì il suo quaderno degli appunti e tornò alle pagine su cui aveva scritto il rapporto sull’incubo sconfitto sui tetti del secondo distretto della Città di Mezzo. Il nemico era stato molto simile ai Miao Wow che aveva incontrato quando aveva messo piede lì la prima volta – uno di loro, che secondo lo strano ragazzo Joshua era opera di Sora e rispondeva al nome di Gattastrofe, aveva preso a seguire Riku nelle sue avventure – ma era più rapido, aggressivo e si teletrasportava. Riku si era reso conto di trovarsi davanti un Dream Eater diverso quando era stato abbastanza vicino per vedergli la coda, che anziché avere la forma di una salsiccia terminava con la corolla di un fiore.
Fiormiao, Joshua gli aveva dato una mano con il dare il nome all’Incubo, ma Riku riteneva che con i dati e i frammenti di sogno che aveva raccolto, sarebbe stato possibile farselo amico.
«Mi chiedo ancora però…» Riku mugugnò mentre metteva insieme i pezzi di sogno per comporre il suo nuovo compagno. «Gli Incubi. Gattastrofe e gli altri Spiriti. Tu, Shiki, Rhyme… perché voi potete passare e io e Sora no
«C’è qualcos’altro che devi sapere.» Joshua si sedette vicino a lui e lo fissò con aria seria. «Queste due Città di Mezzo sono separate da un Portale… pensavo fossero mondi paralleli, ma pare che mi sia sbagliato.»
«Sbagliato come?» Riku alzò lo sguardo dalla sua composizione.
Joshua appoggiò un gomito su una mano e la mano libera al mento. «Qui casca l’asino. Dopo che tu e Sora siete partiti, Shiki ha attraversato il Portale per raggiungere Neku. Hai notato che i Giocatori hanno un timer della missione sulla mano? Quando è arrivata dall’altra parte, Shiki aveva più tempo rispetto a Neku. Quando Rhyme è passata dall’altro lato, aveva meno tempo rimasto.»
Cosa? Come discorso, sembrava non aver capo né coda, anche se di certo era da Joshua rivolgere enigmi simili, anche se Riku poteva dire di conoscerlo molto poco.
«E allora? Può succedere in mondi diversi. Prima che partissimo, Sora ha menzionato che nel mondo in cui ha trovato i pirati, gli era sembrato che fossero passati mesi e invece era tornato alla base in un paio di giornate.» Riku posò i Frammenti di Sogno incompleti sul muretto e incrociò le braccia. Magari Joshua aveva trovato la chiave del mistero?
«Ma se queste Città di Mezzo fossero mondi paralleli, il tempo dovrebbe scorrere allo stesso modo in entrambe. Questo non succede, ergo non sono mondi paralleli.»
Riku riprese a lavorare al Dream Eater. Appena prima che un grosso, grasso gattone rosa con un fiore per coda si mettesse a balzellare davanti a loro, aveva congetturato che la Città di Mezzo fosse la stessa ma in tempi diversi, ma Joshua, che evidentemente era più saggio di quanto non tradisse il suo aspetto giovanile, declinò anche quell’ipotesi.
«È come se fosse lo stesso mondo immaginato da due persone diverse,» il ragazzo misterioso concluse, grattando dietro l’orecchio la creaturina. «Che cosa ti dice? Che siamo in…»
«… un sogno?»
«Bravo, Riku.»
Un sogno? Non erano già dentro i Mondi Dormienti? Quella teoria sembrava fuori dal mondo… eppure sembrava l’unica spiegazione plausibile, persino allo stesso Riku.
«… in tal caso, niente di tutto questo importerebbe a me o ai miei amici… ma penso che per te e Sora potrebbe essere un indizio vitale.»
Smise di fare le coccole al Dream Eater, che decise di appoggiare le zampe sulle ginocchia di Riku ed elemosinare carezze. Quegli strani animali per ora erano una delle poche note allegre in quell’avventura senza capo né coda, ma Riku non poteva evitare di avere un gran brutto presentimento.
Yen Sid non aveva annunciato che sarebbero stati separati, o che il loro aspetto sarebbe cambiato, o la comparsa di Ansem alla Città delle Campane e di un altro sé stesso con una cappa nera nella pancia della balena. E il ragazzo sconosciuto che era comparso più volte… persino Joshua sembrava essere guardingo nei suoi confronti.
Se davvero stavano camminando verso una trappola, sarebbe stato quasi impossibile comunicare con Sora e avvertirlo. I Dream Eater non parlavano, Joshua non poteva di certo prevedere quando Sora sarebbe ricomparso alla Città di Mezzo, e Riku non poteva nemmeno dire di sapere come stessero andando le cose per il suo amico. No… poteva solo andare avanti, e sperare che Yen Sid e Topolino in un qualche modo potessero vedere cosa stava accadendo.
«Pensi di dargli un nome?» La voce di Joshua lo distolse dai suoi pensieri.
«Eh?» Riku alzò la testa e lo guardò.
«Questo ciccio miao qui. Ha un nome per caso?» Joshua ripeté con un sorrisetto, indicando il Fiormiao.
Riku si lasciò andare a una risata. Se erano in ballo, tanto valeva ballare. D’altra parte, se Yen Sid li aveva mandati da soli in quell’avventura, voleva dire che si fidava di loro.
«Glielo hai appena dato tu. Cicciomiao

 
 
Shiro attraversò le strade del borgo senza far rumore. L’incantesimo che aveva trovato nei libri di Yen Sid nel suo breve periodo alla torre era tornato utilissimo per non farsi beccare.
Rendersi invisibile! Le ci erano voluti parecchi tentativi per imparare, ma le era tornato utile per dare una lezione a Bickson, un ragazzo del liceo che aveva cercato di rubare i soldi del gelato ad allievi più piccoli. Gli si era avvicinata di soppiatto nel cortile della scuola, quando tutti erano radunati prima della campanella, e gli aveva abbassato i pantaloni.
Sospettava che le sarebbe stato utile anche per eludere Leon e l’onnipresente Yuffie e cercare di infilarsi nel castello per interrogare il computer su dove fosse finito Zack. Leon non era mai contento all’idea che Shiro si infilasse in mezzo agli “affari da adulti”, ma dopo essere riuscita ad eludere un’intera scolaresca e dare una lezione a un bullo dell’età di Sora e decisamente più grosso, beh…
Secondo me è comunque una pessima idea,” la coscienza le fece presente.
Shiro non gli rispose. Era pur vero che la maggior parte delle volte la voce nella sua testa sembrava leggerle i pensieri, e gli parlava più per abitudine che per altro, ma se avesse aperto bocca in quel momento, qualcuno in strada l’avrebbe sentita.
Shiro, sul serio, torna da Aerith. E se trovassi Sephiroth sulla tua strada?
Sephiroth, pfui. Ammesso e non concesso che c’era stato realmente lui, come Cloud asseriva, dietro alla scomparsa di Zack dieci anni prima, ormai Cloud sembrava averlo sconfitto una volta per tutte.
Sarebbe soltanto andata al computer e avrebbe solamente chiesto a Otto e Nove di mostrarle cosa era successo. Non era niente di che, lo aveva già fatto in passato assieme a Sora e Topolino. E nel computer c’era anche Tron. Tron era un amico, e anche Otto e Nove lo erano.
Non dovresti entrare nel castello da sola. L’ultima volta sapevi che Leon era lì.
Shiro avrebbe aperto finalmente bocca per dire alla coscienza di chiudere il becco quando delle voci per strada la fecero fermare esattamente dov’era, temendo per un momento di essere stata scoperta.
Ma Merlino e Yuffie, assieme ad una ragazza dai capelli rossi che Shiro non riconosceva, le passarono vicino senza notarla.
«Quindi adesso hai un Keyblade anche tu?» Yuffie chiese alla ragazza, che era appena più giovane di lei.
La ragazza annuì, tendendo la mano per mostrare una lama sulle tonalità dell’arancione e del dorato, con la punta adornata di fiori. Yuffie sembrava leggermente schifata, ma fece spallucce.
«Spero che sia letale quanto carino,» commentò. «Abbiamo un’altra Custode in città, si chiama Shiro, ma Leon cerca di tenerla il più possibile fuori dai giochi. Il che è una noia, ma hey, magari finiranno per farla allenare con te ora che Merlino allestisce ‘sta foresta del tempo.»
L’altra ragazza sembrava abbastanza perplessa, ma dismise il Keyblade e ripresero a camminare.
Inaspettatamente, Shiro sentì il suo braccio che si muoveva da solo e andava a colpire una pila di casse proprio vicino a lei. Merlino, Yuffie e la ragazza dai capelli rossi girarono la testa per il rumore, ma prima che le casse potessero cadere al suolo qualcosa le lasciò sospese in aria e le riportò al loro posto.
Cosa accidenti stava facendo la sua coscienza? Voleva farla beccare…?
Chi è stato? Qualcuno ha fermato le casse…
«Sul serio, chi ha impilato male quelle scatole? Potevo restarci secca…!» La voce era quella di Yuna, un’altra degli studenti del liceo. Anche lei era abbastanza particolare, nel senso che a opinione di altri ragazzi aveva sangue di fata e poteva apparire alla stazza di essere umano o minuscola. Di solito a scuola Shiro l’aveva vista grande, ma adesso stava svolazzando nella sua stazza piccola.
Almeno fino a quando non vide le tre persone che aveva davanti, non si fermò a mezz’aria e non cadde a terra in forma umana.
«… io ti conosco!» disse, alzandosi e indicando la ragazza.
«Uhm, Yuna, dubito.» Yuffie ridacchiò. «Kairi è appena arrivata. Viene dallo stesso mondo di Sora, è tipo la sua migliore amica d’infanzia.»
Yuna passò lo sguardo da Yuffie alla ragazza chiamata Kairi, ma Shiro non era in grado di capire se il suo volto tradisse speranza o tristezza. Kairi sembrava perplessa, ma abbozzò un sorriso imbarazzato.
«Uhm… ciao
Shiro vide che gli occhi di Yuna si facevano lucidi. Evidentemente doveva aver sperato che Kairi fosse qualcuno che conosceva in passato. Aerith aveva ragione: la città era tornata al suo aspetto di un tempo, ma ci sarebbe davvero voluto molto perché tornasse quella che era stata.
Senza pensarci troppo, Shiro si mise a correre verso il castello, veloce, senza attendere che la sua coscienza rivelasse di nuovo la sua posizione come già aveva cercato di fare rovesciando le casse.
La magia che la rendeva invisibile prese a scemare quando arrivò nella piazza, ma non c’era nessuno. Evidentemente doveva realmente essere successo qualcosa per cui il Comitato di Restauro e le guardie (che per ora erano Cloud, un suo vecchio amico di nome Cecil e Stitch) erano occupati altrove.
Shiro prese immediatamente i corridoi e li percorse fino alla sala del computer. Qualcuno aveva tirato fuori delle carte dalla scrivania, e doveva essere passato di recente, ma a parte quello tutto tranquillo.
Shiro accese il computer. Sora, Paperino, Pippo era la password.
Era il momento di fare quella ricerca.
 


Space Paranoids, era così che Sora e Leon avevano chiamato quel mondo.
Le era stato detto che i suoi vestiti sarebbero cambiati, ma Shiro non si aspettava il casco, il Keyblade luminoso, e le linee blu sui vestiti.
«Creativo
Una voce giovanile squittì verso di lei, e quello che sembrava un ragazzino della sua età con la faccia tonda, i capelli rossi e le linee luminose sui suoi “vestiti” che formavano cerchi dentati verso l’interno, corse in suo incontro mostrandole un sorriso a trentadue denti. Uno dei suoi occhi era coperto da una specie di visore.
«Yo! Io sono Otto! Piacere di conoscerti! Come ti chiami?»
Sembrava quasi strano che dietro un programma del genere ci fosse lo zampino di Cid, ma la cosa poteva spiegarsi, forse, con la consapevolezza che fosse stato copiato da qualche altra parte.
«Ciao. Io sono Shiro.» La ragazza tese timidamente la mano, ma Otto portò fulmineamente il braccio in avanti e gliela strinse prima che Shiro potesse finire di tendergliela.
«Dai, Otto, così la farai scappare!» Un altro programma, con i capelli più chiari, linee più rare e dritte sui vestiti, ed entrambi gli occhi coperti, rivolse a Otto un sorriso di sopportazione.
«Aw, ma Nove…!» Otto protestò sonoramente.
Anche senza vedergli gli occhi, Shiro era certa che Nove avesse lanciato ad Otto un’occhiataccia.
«Tron ci aveva detto che dei Creativi a volte entrano nel computer, ma non lo abbiamo mai visto succedere.» Dei due, Nove era visibilmente il più serio. Sembrava quasi stanco di qualcosa, se i programmi si potevano stancare. «Sei qui per cercare qualcosa di importante, non è vero?»
Shiro prese a pensare alla sua risposta, ma le era difficile restare seria mentre Otto aveva attaccato una specie di balletto sul posto, dondolando da destra a sinistra e avanti e indietro, barcollando come un birillo e ondeggiando le braccia. Da dove lo avevano tirato fuori?
«Otto!» Nove lo riprese.
«Yo?» Otto fece spallucce. Entrambi avevano un aspetto giovanile, ma Otto era il solo dei due a comportarsi come un bambino.
«Non diresti che è il miglior ricostruttore di dati che io abbia mai incontrato in questa vita e nell’altra.» Nove gli rivolse un sorriso stiracchiato, poi guardò Shiro. «Un po’ lo invidio. Fa sempre così.»
Shiro strinse la mano che Nove le tendeva.
«Uhm, ecco… volevo chiedere se sapete qualcosa di un certo Zack. È un… amico… che ho perso.»
«ZACK!» Otto fece un saltello sul posto. «Zack Fair, quarta A, nella squadra di baseball scolastico fino al festival sportivo della Radiant High. Intervento per un ascesso dentale all’età di dodici anni. In tirocinio presso la guardia cittadina. Scomparsa denunciata da Nikos e Cass Fair in data…»
«E quelli erano i dati dell’anagrafe.» Nove incrociò le braccia. «Ci sono ancora parecchie aree del database che non abbiamo ripristinato, ma ci vorrà del tempo. Molti tipi di crittaggio sono complicati persino per me.»
«Non dire così, bello. Metteresti alle strette persino Babu Frik!» Otto sorrise di nuovo e alzò a Nove il pollice.
Nove scosse la testa. «Chiunque ha messo le mani su questo computer è qualcuno molto, molto intelligente. Persino per un Creativo. È qualcuno che è in giro da molto tempo, e ha voluto cancellare bene le sue tracce. Se ho ben compreso come funzionano i programmi in questo mondo,» fece un sorriso cinico. «Signorina Shiro, avremo bisogno di voi.»
 


«Come sarebbe a dire li avete mandati soli nel mondo dei sogni?» Lea non riusciva a credere a quello che Yen Sid aveva appena finito di spiegare. Non solo non poteva parlare con Sora, ma adesso lui e Riku erano stati mandati a perdere e imparare da zero tutto quel che sapevano?
Riusciva ad immaginare come mai undici anni prima i Custodi del Keyblade fossero tutti spariti.
Contò fino a dieci tra sé e sé e tirò un respiro profondo. Arrabbiarsi con lo stregone non sarebbe servito a nulla.
«Braig e Xehanort sono già chissà dove e Isa probabilmente li ha seguiti.»
Yen Sid prese a carezzarsi la barba.
«Dovete capire, questo esame è assai diverso dalla prassi per il Simbolo della Maestria. Tuttavia, alla luce di quel che dovranno fare, era una necessità. Se Sora e Riku troveranno le Sette Porte, torneranno con un nuovo potere, il Potere del Risveglio.»
Lea strinse i pugni. Come faceva quel vecchio a restare immobile davanti al pericolo? Gli ricordava troppo il comportamento della guardia cittadina e di Lord Ansem mentre la situazione a Radiant Garden era precipitata.
«Bene. Veniamo al motivo per cui sono qui.» Alzò lo sguardo e fissò lo stregone negli occhi. «Se potete presiedere a un esame, potrete anche dare delle lezioni, no? Voglio imparare
Topolino, Paperino e Pippo, che erano rimasti quasi in silenzio fino a quel momento, balzarono sul posto esclamando un: «COSA?» all’unisono.
«Ho detto che voglio imparare. Mettetemi alla prova.» Lea fece spallucce. Ringraziava il cielo che Shiro fosse sotto l’ala protettrice di Aerith, come anni prima avevano previsto sarebbe stata la migliore delle ipotesi, ma adesso era a Sora e a Roxas che doveva arrivare. E aveva promesso al giudice che avrebbe riportato Isa da lui e Finn. E Isa probabilmente sapeva dov’era Zack. Troppe cose dipendevano da quel salto nel vuoto… Lea non poteva restare con le mani in mano.
Non dovette insistere molto: un’ora dopo, le tre fate che assistevano Yen Sid lo avevano materializzato… a Radiant Garden, nel salotto di Merlino.
E Kairi – l’amica di Sora e Riku – era lì con lui. E per come lo stava guardando, Lea aveva seri dubbi che sarebbe uscito da quell’allenamento tutto intero.
«Merlino, che ci fa lui qui?» Kairi chiese immediatamente.
«Momento. Aria. Potrei fare la stessa domanda!» Lea incrociò le braccia e lanciò un’occhiata al mago. «Signore, la ragazza morde
«Ha parlato quello che mi ha rapita!» Kairi ribatté immediatamente.
«Non ero io!»
«Non sei Axel?»
«No!» Lea tirò un sospiro e abbassò spalle e braccia. «Il nome è Lea. Lo hai memorizzato? Axel era me senza un grosso pezzo.»
Kairi lo fissò con un’occhiataccia che avrebbe potuto incenerire, e per un momento Lea si sentì un decenne colto a fare pasticci con la manichetta in caserma.
Tuttavia, Merlino non sembrava voler attendere e vedere come sarebbe evoluta la situazione, perché marciò verso di loro con due aste di legno e un cipiglio che faceva impallidire quello di Kairi e scaraventò loro i bastoni in mano.
«Volete prendervi a mazzate? Bene. Fatelo! Ma vediamo di non perdere tempo!»
 
La foresta incantata di Merlino era un posto familiare, ma allo stesso tempo sconosciuto. Probabilmente il mago aveva realizzato quel mondo dentro al mondo basandosi su un ambiente che avrebbe messo i suoi occupanti a loro agio.
Kairi avrebbe preferito una spiaggia, ma si stava quasi divertendo, aveva quasi dimenticato chi aveva davanti. Anche perché Axel, no, Lea, sembrava essere una frana totale con una spada di legno in mano. Faceva quasi ridere.
«Sul serio non hai mai giocato con le spade da ragazzino?» Kairi scosse la testa e ridacchiò. Dopo un suo legamento riuscito particolarmente bene, era riuscita a far volare lontano l’arma del suo avversario.
«Vivevo alla caserma dei pompieri da bambino. Diciamo che se volevo divertirmi, facevo altro.» Lea si massaggiò la fronte dove gli stava crescendo un bernoccolo e recuperò la sua arma. Sembrava abbastanza restio ad aprirsi riguardo al suo passato, e quella era l’unica notizia che Kairi era riuscita a carpirgli della sua infanzia. «Mia madre non aveva tempo per starmi dietro. Ma se mio padre mi beccava dove non dovevo… insomma, ho molta più esperienza nel non farmi vedere. Tua madre non ha mai detto nulla sul fatto che tu le suonassi agli altri ragazzi in questo modo?»
«Ho solo mio padre.» Kairi scosse la testa, si rimise in guardia, e colpì Lea al fianco con un fendente prima che potesse reagire. «E non gli importa con chi giocavo, quanto che non finissi nei guai.» Rialzò il bastone e attese la risposta di Lea.
«Perso la mamma?» Lea abbassò completamente la spada di legno.
«No… Henry non si è mai sposato.» Kairi fece un sorriso stiracchiato. «Sono stata adottata. Mi hanno trovata dei pescatori su un’isola.»
«E quindi il signor Henry lasciava che la sua principessa facesse il pirata?» Lea rialzò la spada e cercò di colpirla.
«Non pirata, messere, parlate con il capitano.» Kairi intercettò la sferzata. «Riku e Sora sono più grandi di me, ma riuscivo sempre a convincerli. Abbiamo sempre fatto tutto insieme. Il coro, la scherma a scuola media, sedevamo insieme a pranzo… i professori ci hanno provato a separarci.»
«Non hai quindici anni?» Lea alzò un sopracciglio.
«Tecnicamente li avrò a dicembre. Secondo il mio dottore era quella la data del mio compleanno, quindi abbiamo sempre festeggiato il 7 dicembre.»
«Anche quella dormigliona di Shiro è di dicembre, ma non sappiamo di quando. Quando la tenevano al castello di Ansem, dicevano che compiva gli anni la notte di Capodanno.» Lea soppesò l’asta nella mano, poi la fece girare per l’impugnatura. Sembrava stesse finalmente imparando a muoversi con un’arma sola.
Ora, se soltanto Kairi avesse recuperato quello che lei non sapeva riguardo alla magia…
 
Duellare con un’arma sola non era mai stato il forte di Lea, ma ora iniziava a capire perché il ragazzino Ventus si fosse portato sempre dietro una spada di legno.
Non era quella, tuttavia, la parte difficile. Si sentiva come se stesse tradendo la memoria di sua sorella, fraternizzando in quel modo con una sconosciuta che ne portava il nome. Certo, non era la principessa che si era fatto l’idea di conoscere – probabilmente vivere nella casa del sindaco non le aveva mai fatto mancare quasi nulla, ma sicuramente aveva ricevuto tante attenzioni quante Lea ne aveva avuto crescendo con la nonna.
Non riusciva ad odiarla. Erano dalla stessa parte. Era stata adottata, aveva perso i genitori come lui. Ed erano le ultime due ruote del carro in quella squadra.
Non voleva odiarla. Se l’ultima cosa che aveva visto prima di perdere il cuore non fosse stato Xehanort – o era già stato Xemnas? – che teneva per il polso la sua sorellina, che cercava disperatamente di difendersi… se Saïx non avesse giurato e spergiurato che la bambina fosse morta, forse per fargli smettere di proiettare su Roxas… a Lea sarebbe sembrato quasi di rivederla in quella ragazza.
No, doveva smettere di proiettare.
«Lea, senza offesa, stai facendo schifo.» Kairi commentò, facendogli vedere le stelle per l’ennesima volta.
Gli era già sembrato di rivedere Ventus una volta, in Roxas, e aveva avuto recentemente la conferma che si sbagliava, che a quanto pareva Ven era perduto da qualche parte in mezzo ai mondi e adesso bisognava ritrovarlo. Perché con questa Kairi avrebbe dovuto essere diverso?
Una parte di lui avrebbe voluto chiederle di prima che venisse adottata. Di quando era stato, se c’era qualcosa che ricordava. Da dove venisse.
Ma aveva troppa paura di quello che la ragazza avrebbe potuto rispondere.
 


Di tutti i posti in cui Sora aveva pensato sarebbe finito, davvero non si aspettava di ritrovarsi in un mondo allo stesso tempo familiare e sconosciuto, eppure era lì.
Ricordava ancora che Tron gli aveva parlato della ENCOM e di Kevin Flynn, e Kevin Flynn era lì davanti a lui, a parlare di programmi e di rivolte dei computer e a quanto pareva i cattivi avevano fatto il lavaggio del cervello al Tron originale, che ora rispondeva al nome di Rinzler e faceva il gioco sporco ai cattivi.
Stando a quel che Kevin Flynn aveva asserito, un programma poteva essere ripristinato, ma serviva il codice di ripristino, che era probabilmente in mano a Clu – il doppio malvagio di Kevin.
E Sora e Sam, il figlio di Flynn, erano sulla sua ammiraglia, dopo una diversione della loro alleata Quorra, che l’aveva portata alla cattura.
Sora non era mai stato bravo con i computer, quel poco che era riuscito a fare a Radiant Garden era stato merito di Tron, e non poteva che ritenersi grato che Sam sapesse quel che faceva. La ricerca di quel codice, tuttavia, si stava rivelando il proverbiale ago nel pagliaio.
«Mio padre mi aveva menzionato che una volta aveva ricevuto un contatto da un altro mondo,» Sam commentò mentre continuavano a cercare. «Volevano Tron per un sistema operativo che avrebbe regolato una città.»
«Radiant Garden.» Sora precisò. «Ho degli amici lì. Tron era tenuto prigioniero, sono stato io a liberarlo. E adesso da quanto so ha compagnia, due programmi chiamati Otto e Nove. Sta bene.» Sorrise a Sam. «Merita di stare bene anche qui.»
 


«Questo posto è peggio del centro commerciale!» Nove si fece strada in quella che sembrava una distesa di macerie digitali, usando il suo disco per aprirsi un varco. Shiro era accanto a lui, falciando quello che Nove non raggiungeva con il suo Keyblade, mentre Otto era appena dietro, raccogliendo dati e appallottolandoli assieme.
«Credevo che i centri commerciali non fossero così intricati.» Otto lo contraddisse. «A me ricorda più una discarica. O un cimitero di navi.» Finì di appallottolare un ammasso di dati che mutò in qualcosa che aveva un apparente senso. «Questo è un documento di stato di famiglia. La bibliotecaria del castello, Edith Hightower, è ufficialmente la custode legale dei minori Lea, di anni tredici, e Kairi, di anni uno, in quanto nonna dei suddetti... brutta parola, nonni. Ai miei Creativi ha sempre portato guai.»
«Credevo che quello allegro fossi tu qui, Otto.» Nove finì di smantellare un ammasso di dati particolarmente grosso e prese a ispezionarne i pezzi.
«Forse nonno è una brutta parola.» Otto si portò una mano al mento con fare pensoso, poi prese ad assemblare insieme altri pezzi di dati.
Shiro ricordava vagamente di cosa stesse parlando Otto, probabilmente qualcosa che le aveva detto Axel a riguardo. La cosa aveva senso, se era davvero stato cresciuto da sua nonna.
«Ci vorrà una vita per rimettere assieme tutto questo.» Nove si portò una mano alla fronte. Otto finì di assemblare il file a cui stava lavorando, lo appoggiò per terra e riprese i suoi balletti.
«Cos’è quello?» Shiro provò a toccarlo con il Keyblade. Il file tremolò, e partì una specie di schermo. Un bambino che non poteva che essere Cloud correva per un corridoio con una bambina piccola in braccio, e dietro di lui, con una spada grande quanto lui in pugno… era Zack, sì, era Zack!
Echeggiò un’esplosione dietro di loro, e un uomo vestito di nero con una katana e i capelli argentati percorreva il corridoio a falcate cercando di inseguirli…
«Ho un gran brutto presentimento.» Otto si chinò, mani sulle ginocchia, fissando il filmato. Nove si girò verso di loro, un’espressione pensierosa su quel che era visibile del suo volto.
«Otto, rimettimi a posto questi.» Nove gli passò altri pezzi di dati. «Credo sia qualcosa che scotta.»
Otto spense il file video che aveva appena rimesso a posto e si dedicò a deframmentare i dati che Nove aveva appena scomposto. Otto ci aveva soltanto messo le mani, ma Shiro vide il suo solo occhio visibile sgranarsi in quello che era senza ombra di dubbi stupore.
«Qualcuno mi spenga…» il programma commentò, continuando ad assemblare il file, poi lo tenne davanti a sé, in entrambe le mani, e lo fece partire.
La schermata si aprì, rivelando la sala del computer. C’era Xehanort lì, lo Xehanort del ritratto, l’uomo che aveva rubato l’aspetto di Papà e il nome di Ansem.
Aveva in mano quello che sembrava uno spadone largo e pieno di punte.
E c’erano Lea e Isa contro una parete.
«Nove, dovremmo mostrarlo a Tron.» Otto prese a frignare. «Nove, dobbiamo cercare Tron. Dobbiamo dirlo a Tron, lui c’era, Tron deve sapere…»
Hey, tu, brutta faccia di maiale!
A parlare era stata una bambina, in piedi con le gambe larghe nel vano della porta, un pastello a cera stretto in mano quasi fosse un’arma improvvisata.
Lascia stare mio fratello!” La bambina gridò di nuovo.
Scappa, Kairi! SCAPPA!” Lea le urlò, ma la bambina parve ignorarlo e si gettò contro Xehanort nel tentativo di fargli male. Riuscì persino a mordergli la mano prima che Xehanort la prendesse per un polso con la mano libera e la sollevasse per aria.
Era lei. La bambina che Saïx aveva menzionato mesi prima, quella che secondo lui era morta. E Shiro stava per vederla morire.
Codardo! Mettila giù!” Isa ringhiò, alzando la sua claymore – la aveva già? – e cercando di contrattaccare senza colpire la bambina. Lea, forse persino troppo spaventato per parlare, prese Isa per un polso e cercò di trattenerlo.
«Shiro. Shiro, stai bene?» Otto la prese da sotto le braccia. «È solo un filmato, Shiro, non può farti niente.»
«Che ha?» Nove chiese a Otto.
«Sta soffrendo.» Otto spiegò in poche parole. «L’ho visto accadere. Il generale… suo fratello… è quello che un Creativo prova quando vede un altro Creativo morire.»
Nove si alzò il visore, rivelando uno sguardo stanco e triste.
«Otto…»
«Sono stato anche io in una guerra, Nove.» Otto scrollò le spalle e abbozzò un sorriso. «Abbiamo solo modi diversi di lasciarcelo dietro.»
Ma, sulla schermata del video, Xehanort non colpì la bambina. Colpì prima Isa, poi Lea, lasciandoli cadere al pavimento come marionette coi fili tagliati. Shiro non voleva guardare, ma non riusciva a distogliere lo sguardo. Si chiese come Axel era morto, se fosse stato combattendo contro i Custodi o contro Saïx o forse Xehanort li aveva trovati di nuovo
… ma Xehanort non colpì la bambina.
Dismise la lama – il Keyblade? – e aprì un Corridoio Oscuro.
La piccola strillava, cercando di dimenarsi, di raggiungere i corpi dei ragazzi in un qualche modo, ma l’uomo era troppo forte, troppo grosso, perché lei si liberasse.
La scagliò nella pozza di tenebre.
«Io quello l’ho visto.» Otto aggrottò il suo solo sopracciglio visibile. «I Creativi crescono, Nove. Diventano più lunghi. Se così fosse…»
Shiro non lo stava ascoltando. La sorellina di Axel. La sorellina di Axel. Non era morta come Saïx aveva asserito!
E il suo nome era Kairi. Kairi, come la nuova Custode in città. Yuna sembrava riconoscere la ragazza. E perché sentiva in fondo al cuore che non era la prima volta che sentiva quella storia?
«Shiro, stamattina presto c’erano Creativi per terra fuori dal…» Otto provò a dire, ma in quel momento la terra sotto di loro – era davvero terreno? – prese a tremare forte.
«Siamo in un computer!» Nove si portò le mani alla testa, e la parte inferiore della sua faccia tradiva un’espressione incredula. «Non può essere un terremoto!» Rimase zitto per un momento, poi emise un rantolo di sorpresa. «Il file… qualcuno non voleva lo leggessimo!»
Qualcuno stava correndo verso di loro… Shiro riconobbe Tron. Ma la sua figura stava sfarfallando, un momento prima aveva le stesse armature bianche di Otto e Nove, poi i suoi abiti si fecero neri ed era a capo scoperto, poi in una frazione di secondo le linee bianche dei suoi abiti si fecero rosse e il suo volto venne celato da una maschera.
Poi tutto divenne buio.
 


Riku aprì gli occhi.
Davanti a lui, il portale di Sam e Quorra si era appena chiuso. Non c’era traccia né di Flynn né di Clu, ma una figura dall’andatura sghemba arrancava sulla pista di atterraggio delle navette.
Rinzler? Era caduto nell’Oceano della Simulazione, poteva essere lui… o un’altra Guardia Nera… ma no, Flynn aveva annientato tutto l’esercito…
… un programma ribelle, forse? Flynn e Quorra ne avevano menzionato la presenza…
Non una figura, ma due. Linee bianche, riflessi blu. Alleati. Uno dei due, il più alto, aveva il volto scoperto, un ciuffo castano che gli pendeva bagnato e inerte sulla fronte, il volto contratto in una smorfia di dolore e stanchezza, e pochissime punteggiature luminose, forse una specie di T nella parte alta del petto… un momento, Riku scattò in posizione di attesa, pronto ad evocare il Keyblade, Rinzler non aveva quella trama di luci?
L’altro era più basso, portava un casco parziale, stava reggendo il suo compagno, aria smarrita, righe luminose ovunque, tranne che sul torace… un momento, Riku riconosceva quei capelli… SORA?
Fece due passi in avanti, si tolse il casco, prese a sbracciarsi.
«SORA!» urlò. Era davvero lì, o era una visione come nella Città di Mezzo? Avrebbe potuto sentirlo?
Sora ebbe un sussulto. Alzò lo sguardo.
«Riku!»
Lo aveva visto, ma non corse verso di lui. Accelerò il passo, sempre reggendo il compagno, poi lo lasciò a reggersi su una colonna, assicurandosi stesse bene. Riku corse verso di lui, trattenendo l’istinto di abbracciarlo forte.
Non dovette nemmeno trattenersi per molto: fu Sora a circondarlo con le sue braccia e tenerlo stretto fino a quasi comprimergli i polmoni.
«Stai bene?» Riku gli chiese con il fiato mozzo.
Sora lo lasciò andare, fece un altro sorriso e incrociò le braccia dietro la testa.
«Mai stato meglio!»
Si fece un momento serio.
«Tron è caduto nell’oceano della simulazione. Mi sono buttato per prenderlo, ma i miei vestiti hanno perso alcune delle luci.»
«Hm. Quindi lui è Tron.» Riku diede un’occhiata al programma che Sora aveva aiutato.
«Sì. C’è stato un lampo e… non so cosa sia successo.»
«Dalla tua parte. Cosa era accaduto?» Riku gli chiese di nuovo. Non sapeva come aveva fatto Sora ad arrivare lì – forse aveva toccato l’Oceano della Simulazione o qualcosa.
«Beh, io e Sam stavamo cercando il disco di Flynn e il codice di ripristino di Tron. Poi Xemnas mi ha sbarrato la strada, assieme a un altro incappucciato che non so chi sia.» Sora si grattò la parte di testa non coperta dal casco. «Ci eravamo separati, io e Sam. Dopo Xemnas, Rinzler mi è venuto addosso. O meglio, Rinzler era Tron, ma secondo me c’era ancora Tron sotto, e infatti avevo ragione. Stavamo combattendo appena fuori dalla nave, e poi c’è stato questo lampo e Tron è caduto, e io mi sono buttato…»
«Hai detto Xemnas?» Tutto il discorso di Sora era stato una delle sue solite storie senza capo né coda, ma un nome fu sufficiente a mettere Riku in allarme.
«Sì. E alla Città delle Campane c’era un ragazzo. Con la mia stessa faccia, i capelli neri e gli occhi gialli.»
Riku si irrigidì. Era ancora fresco nella sua memoria il suo incontro con un altro sé stesso nella pancia della balena.
«Io ho visto Ansem alla Città delle Campane. L’Heartless di Xehanort,» confessò a Sora. «E ho parlato con Joshua alla Città di Mezzo, è convinto che io fossi in un sogno dentro a un altro sogno. Stanno cercando di attirarci in una trappola, non so in che modo ma non credo vogliano che questo esame si concluda.»
«Credi sia il caso di parlargliene di nuovo?» Sora si fece pensoso. «Se riusciamo ad arrivare da lui…»
«Beh, non sarebbe una cattiva idea. È l’unico qui che sembra avere compreso cosa stia accadendo.»
«Spero che ne sappia qualcosa.» Sora fece una smorfia. «Pare che in questo mondo non sia nemmeno possibile sognare, eppure i Dream Eater sono qui.»
Considerando il loro aspetto, Riku si chiese quanto fosse plausibile la vecchia battuta sui robot che sognavano pecore elettriche. Ma non era il momento di farsi domande del genere.
Se Ansem e Xemnas, l’uomo misterioso e i doppi oscuri di Sora e Riku erano da qualche parte là fuori, significava che la separazione di tre mondi prima era stata di proposito, per isolarli, e quello spiegava anche perché Joshua e i suoi amici potessero passare i portali nonostante non appartenessero alla Città di Mezzo.
Sora rivolse uno sguardo preoccupato a Tron. Se Riku lo conosceva, non avrebbe voluto lasciarlo, ma se davvero quei mondi erano chiusi in un circuito temporale come Yen Sid aveva detto, intenti a ripetere lo stesso periodo ancora e ancora, c’era ben poco che il suo amico avrebbe potuto fare per il programma.
«Sora, lascialo, starà bene.» Gli mise una mano sulla spalla. «Piuttosto, dobbiamo capire perché ora siamo riusciti a riunirci. Un piano del genere non viene abbandonato per nulla.»
«Che ti devo dire? Forse si sono finalmente accorti che siamo troppo forti per loro!» Sora ridacchiò.
Riku scosse la testa. Dubitava che persino Yen Sid avesse abbastanza pazienza per tener testa a quel ragazzo, a volte.
«Ricordi come sono spariti i genitori di Shiro? Erano due adulti, Sora. Xehanort da solo li ha tolti dai giochi, e il loro amico Ventus a quanto pare aveva la mia età. No, Sora, non siamo stati noi a liberarci. Ci hanno lasciati andare… e se lo hanno realmente fatto, dobbiamo scoprire il perché
Riku aveva un’idea.
Sperava di sbagliarsi.


Che dire? Lea proprio non ce la può fare. Testina.

Chi di voi ci ha azzeccato con Otto e Nove? E... sì, la trama sta decisamente iniziando a cambiare stavolta... cosa sarà successo?

 

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Capitolo 9
*** Tutti Per Una ***


Capitolo 9
Tutti per Una
 
«Tutti per uno, uno per tutti! Questo è il motto di noi moschettieri!... Se non temete niente, questo è il vostro ambiente, siate i benvenuti fra di noi…!»
Sora stava ancora cantando e battendo il piede per terra quando il mondo attorno a lui e Riku tornò a fuoco. Gli stava ancora tenendo la mano, come avevano fatto fin da quando si erano rivisti, temendo di finire nuovamente separati.
Soprattutto Riku era rimasto tremendamente nervoso, ma, vicino a lui, Sora lo vide sorridere.
Ce l’avevano fatta?
Se era una domanda, Sora, NO.” La voce di Roxas, dopo un silenzio che sembrava durato una vita, echeggiò nella testa di Sora.
Un momento dopo, Riku sobbalzò.
«Sora, la tua maglia!»
Il ragazzo guardò in basso. Da quando avevano lasciato la Rete, la X bianca sulla sua maglietta era svanita, lasciando soltanto tessuto nero, ma adesso era comparso qualcos’altro.
Lo stesso glifo che Riku aveva sulla schiena.
«Va bene, credo che Yen Sid avrà un po’ di spiegazioni da darci.» Sora si alzò un lembo della maglia.
Ma il posto in cui si trovavano non era la Torre. Il cielo interamente oscurato, l’asetticità degli edifici, pareti nere e neon filiformi, l’aria pesante di imminente tempesta…
«Dimmi che anche tu riconosci questo posto,» Riku commentò in tono grave.
«Il Mondo che Non Esiste.» Sora fece due passi avanti. «O quel che ne resta, almeno.»
Il ricordo di quel luogo era ancora fin troppo fresco nella mente di Sora, come una ferita con i punti appena tolti. E, nel caso di Riku, lo era ancora di più perché se pur la ferita che Xemnas gli aveva inferto soltanto pochi giorni prima non aveva necessitato sutura, cortesia delle cure di Paperino, Sora aveva visto il suo amico di sempre sussultare di tanto in tanto quando si sforzava o veniva premuto o spinto sul fianco.
Nei Mondi Dormienti sembrava essere tutto a posto, ma…
«C’è un solo modo per capire se siamo davvero fuori o no.» Sora si avvicinò di più a Riku. «Scusami, scusami tanto
Gli diede una forte gomitata nel punto in cui era stato ferito. Riku non batté ciglio, ma guardò Sora con aria interrogativa.
«Siamo ancora nei sogni.» Sora tirò un sospiro.
«Già. Ora… ricordi la teoria di Joshua sul sogno dentro ad un sogno, no?» Riku fece alcuni passi in avanti. Sembrava ci fosse una sorta di strada, o di corridoio, davanti a loro. Sora lo seguì a ruota senza pensarci. «Vuol dire che uno di noi due era nei sogni dell’altro, ricordi?»
«Oh, andiamo, Riku, non sono scemo.» Sora corse dietro di lui quando l’amico accelerò il passo. Attorno a loro si materializzò un branco di Incubi, e Riku portò immediatamente il Keyblade alla mano, mentre Sora faceva lo stesso. Alcuni sembravano uno strano incrocio tra draghi e oche, altri avrebbero somigliato tantissimo a Rexy, il Tyranno Rex che Sora e Riku avevano creato assieme, ma più che a un dinosauro vivo rassomigliavano a scheletri.
«Prendili, Rexy!» Riku comandò al dinosauro di difenderli dagli aggressori. Sora ordinò lo stesso a Cicciomiao, che apparve prontamente al suo fianco.
Non era difficile. Non dopo lo Spellicano e il Chernabog. Insieme, Sora e Riku avrebbero potuto fare a polpette qualsiasi cosa, quindi Sora non si stupì quando Riku, lanciato un Pallonciga, riprese il suo discorso di prima.
«Non siamo più caduti da quando siamo insieme, Sora,» spiegò, annichilendo uno dei mostri. «Era difficile capire chi di noi due fosse dentro al sogno dell’altro, ammesso che uno di noi due lo fosse.» Scagliò uno Spezzabuio contro una delle oche drago. «Ma il simbolo sulla tua maglia è lo stesso di Rexy e Cicciomiao. E lo stesso della mia giacca, se vogliamo stare alla tua opinione di qualche mondo fa.»
«Dove vuoi arrivare?» Sora fece una schivata e prese a roteare intorno ad uno degli scheletri. «Pussa via, tu!» Scagliò l’incubo lontano.
Riku si disfece dell’ultimo nemico e prese a raccogliere i frammenti di sogno che gli Incubi avevano lasciato cadere. Prese a guardarsi intorno alla ricerca di una strada da seguire, ma sembravano finiti in un vicolo cieco.
«Siamo nei sogni di qualcun altro, Sora.» Il ragazzo annunciò. «Resta da capire…»
Non finì la frase. Vacillò sul posto, portandosi una mano alla testa. Sora sentì le palpebre farglisi pesanti e capì – entrambi stavano per perdere conoscenza.
Mentre gli occhi gli si stavano per chiudere, lottò per restare sveglio. E se Riku fosse sparito di nuovo? Scattò in avanti, cercando l’amico a tastoni, qualcosa gli prese la mano e Sora riconobbe la stretta di Riku, non li avrebbero separati di nuovo, ma nel sogno di chi erano finiti?
Chi si stava svegliando?
 


Shiro aprì gli occhi.
Era ancora al buio, ma non era il computer di Ansem. E i suoi vestiti erano di nuovo i suoi, la giacca di Sora sopra la maglietta grigia e la gonna viola, e i leggings, e le cinture nere che formavano una X sopra la gonna.
«Otto…? Nove…?» provò a chiedere, anche se sentiva che non le avrebbero risposto.
Che era successo? Le sembrava quasi di essere in un qualche sogno. Si era addormentata? Non ricordava di averlo fatto!
«… cos’è questo posto?» borbottò guardandosi attorno.
In guardia, Shiro.” La coscienza la avvertì immediatamente. “Qualcuno deve aver hackerato Space Paranoids.
Shiro portò alla mano il Keyblade, continuando a guardarsi attorno. Riconosceva quella città… l’aveva vista più volte, da lontano, dalle finestre del Castello…
Quella era la Città che Non Esiste. Il Mondo che Non Esiste.
Ma stava crollando a pezzi.
«Oh, qualcosa non va, gattina?»
Shiro avrebbe riconosciuto quella voce anche con i tappi nelle orecchie. La furia le salì nello stomaco come bile. Xigbar.
«Dove sei, ciabatta marcia?» Shiro alzò il Keyblade e si guardò attorno, nel tentativo di trovarlo.
«Ci siamo dati un gran daffare per far arrivare Sora fin qui… immagina la nostra sorpresa nel vedere che ti eri messa in contatto con la Rete mentre lui cercava di ripristinare quel codice vuoto di Tron!» La voce di Xigbar continuava ad echeggiare da qualche parte sopra di lei.
Quindi questa era una trappola per Sora…? E dov’è Sora adesso?” la coscienza ribatté.
«… ma sembra che ne sia valsa la pena!»
Un proiettile viola si conficcò nell’asfalto a pochi centimetri dai piedi di Shiro. Xigbar era sulla cima di uno dei grattacieli, con le sue pistole puntate su di lei.
Balzò giù dall’edificio e si fermò a mezz’aria, per poi fluttuare indisturbato al suolo con un ghigno sul suo volto sfregiato. Il suo aspetto era lo stesso di settimane prima, prima che Shiro gli bruciasse i capelli.
Shiro, in guardia. In guardia. C’è sotto qualcosa.” La coscienza continuò a ripeterle.
Xigbar atterrò ed ebbe un sussulto, quasi di sorpresa.
«Oh, ma che combinazione!» Il suo ghigno si allargò. «E io credevo la nostra piccina avesse soltanto un amico immaginario, e invece sei realmente qui! Chi non muore si rivede, genietto
Cosa… come…?” La coscienza per poco non imprecò, e Shiro sentiva quasi la sua rabbia e la sua sorpresa.
«Ti sento!» Xigbar cantilenò in tono di scherno. «Siamo nel mondo dei sogni. E abbiamo orchestrato noi questo pigiama party! Vuoi che non ti riconosca dopo tutto questo tempo?»
Tu, brutto…!” La coscienza sibilò, e Shiro si trovò a ringhiare lei stessa quelle parole.
«Hai provato a filartela. Eppure adesso sei ancora qui!» Il guercio fissò Shiro con il suo unico occhio. «Oh, non è poetico? Che ti devo dire?, il destino non è mai lasciato al caso!»
La ragazzina avrebbe voluto soltanto cavargli l’occhio buono, o perlomeno bruciargli di nuovo i capelli. Sperava l’Organizzazione fosse andata, e invece erano di nuovo là fuori…? E se fossero stati loro a fare del male ad Axel dopo che lui l’aveva salvata?
Non era un’ipotesi troppo balzana.
«Cosa avete fatto ad Axel?» Shiro gli urlò contro. «So che siete stati voi!»
«Noi? Magari
Xigbar sparì. Prima che lo vedesse riapparire, una pioggia di proiettili mancò Shiro di un soffio, formando un cerchio attorno a lei. I tredici dardi piantati nell’asfalto divennero incappucciati.
Uno tese la mano, e tutto fu buio di nuovo.
Il mondo attorno a lei tornò a fuoco, e riconobbe l’interno di un Corridoio Oscuro.
Simili e Sicari arrivavano da ogni dove, ma… Sora! Quello laggiù era Sora! E c’erano Paperino e Pippo con lui!
«SORA! Sono qui!» Shiro si sbracciò e corse verso di lui, ma il ragazzo la ignorò come se lei fosse invisibile.
E non era neanche solo lui… neanche i Nessuno sembravano accorgersi della sua presenza.
«Non fermatevi, o l’oscurità avrà il sopravvento! Muovetevi!» Axel corse di loro, chakram in resta. Affiancò immediatamente Sora, combattendo come se stesse…
Come se stesse difendendo Roxas,” la coscienza le suggerì. “Sta difendendo Roxas!
Fu quando Sora urlò: «Perché stai facendo tutto questo?» che Shiro si accorse che non era realmente lui a parlare. Non era la sua voce.
I due stavano venendo lentamente circondati, e Shiro cercò di evocare il Keyblade, di falciare i Nessuno, ma la sua lama li passava da parte a parte come se fossero stati soltanto fantasmi o illusioni. Axel stava dicendo qualcosa a Sora, ma le sue parole erano quasi coperte dai suoni della battaglia.
«Kairi è nelle segrete del castello. Sta’ pronto a correre quando ti do il segnale.»
Axel si mise in guardia, i denti stretti, l’espressione di chi è pronto a vendere cara la pelle. Nei suoi occhi c’era una furia che Shiro non gli aveva mai visto.
Non sapeva nemmeno se un Nessuno avrebbe potuto provare la furia.
Poi attorno a lui scoppiò un’esplosione.
 


«… Sora?»
Il ragazzo aprì gli occhi. La sua mano era ancora stretta in quella di Riku.
«Qualcun altro sta sognando.» Riku constatò guardandosi attorno. «Stavo dicendo prima, resta da capire chi
Non erano soli. C’era un rumore di passi in avvicinamento, e una figura ammantata in nero si fermò davanti a loro.
«Il loro dolore sarà alleviato quando tornerete a mettervi fine
C’era qualcosa di stranamente familiare nella voce dello sconosciuto. Riku addirittura sobbalzò, come se qualcosa di essa lo avesse spaventato.
Lo sconosciuto fece ancora dei passi in avanti. Il suo sguardo giallastro esprimeva scherno e sfida, ma guardandolo in faccia, Sora vide un altro sé stesso.
«Tu! Tu eri nella cattedrale!» gli urlò contro.
«Non ci siamo mai incontrati di persona.» Lo sconosciuto con il volto di Sora sogghignò. «Mi chiamo Vanitas.»
«A questo punto dirai qualche fesseria senza senso per poi sparire come tutti gli altri, giusto?» Sora gli ringhiò contro.
«Stava aspettando noi.» Riku mise una mano davanti a Sora per cercare di trattenerlo.
«Pare che il matto col cappello nutra grandi speranze su voi due,» Vanitas rimase fermo, fissandoli con aria di scherno. «Il loro dolore sarà alleviato quando tornerete a mettervi fine.» Ripeté di nuovo, poi rimase in silenzio per un momento. «Ma chi sarà a salvare voi
Riku fece un passo in avanti, piazzandosi tra Sora e Vanitas.
«Cosa ti fa pensare che avremo bisogno di un salvataggio?» Gli tese la mano in tono di sfida, e per un momento a Sora venne in mente quella notte alle Isole del Destino. Solo, ora, le parti sembravano invertite.
Vanitas rimase fermo, guardando prima Riku e poi Sora, poi si mise a ridere, una risata quasi crudele, senza gioia. Riku in particolare ne sembrava disturbato… e in quel momento Sora capì. Il ragazzo non aveva soltanto la sua faccia… aveva anche la sua voce.
Ariel doveva aver provato qualcosa del genere quando Ursula aveva cercato di ingannare il principe con la voce che le aveva estorto?
«Ah, quindi vi siete entrambi ambientati a questi mondi, eh, cari i miei Spiriti?» Vanitas si trasse qualcosa di tasca e prese a giocherellarci. Per un momento il cuore di Sora gli salì in gola, gli sembrò di riconoscere il portafortuna di Kairi… ma no, quello lo aveva in tasca, ne sentiva ancora il peso nella tasca dei pantaloni… ed era vetro piombato quello nelle mani del suo doppio…
… ma Riku ebbe un sussulto.
«Dove lo hai preso?» sibilò.
«Oh, vedo che lo riconosci.» Vanitas fissò Riku mentre il suo ghigno si allargava. «Vediamo se sei bravo… sai a chi appartiene, vero?»
«Riku, di chi è quello?» Sora mise una mano sulla spalla dell’amico.
«Shiro. Hanno Shiro. È lei che hanno preso!» Riku gli rispose.
Shiro?” La voce di Roxas rimbombò nella testa di Sora, e braccia e gambe gli si mossero senza che fosse lui a comandarle.
«LASCIA ANDARE SHIRO, RAZZA DI BRUTTA COPIA!» Roxas prese a gridare usando le corde vocali di Sora.
«Oh, ora la prigione regge male.» Vanitas fece gesto di scacciare una mosca, mentre con l’altra mano faceva ancora penzolare la stella di vetro. «Peccato che ora siate tutti in trappola. Siete in un incubo dentro a un incubo, Spiritelli, e presto finirete divorati.»
Fece penzolare un’ultima volta la stella di vetro, poi la afferrò nella mano guantata. Strinse il pugno.
CRUNCH.
Vanitas aprì la mano, e pezzetti di vetro e metallo caddero al suolo, tintinnando un’ultima volta prima che li calciasse via verso di loro con una pedata.
«Sei un mostro!» Riku gli ruggì contro.
«Sì, me lo disse anche la Maestra. Quando feci a pezzi il giochino idiota del suo amico…» Vanitas prese a parlare, ma Sora non gli prestava più attenzione. Una sorta di furia stava salendo dentro di lui, qualcosa che non sentiva come suo, ma come se appartenesse a qualcun altro. E non era Roxas.
Qualcosa fece alzare il braccio a Sora, e Contrappunto gli venne alla mano, ma la lama era orientata al contrario, dietro di lui, e la sua posa di guardia era una che non aveva mai visto.
Vanitas sgranò gli occhi.
«Chi hai chiamato idiota, pezzo di rifiuto oscuro?» Qualcuno parlò con la voce di Sora. Qualcuno gli fece roteare il Keyblade in mezzo alle dita.
Superato lo stupore iniziale, Vanitas stiracchiò un ghigno.
«Ventus!» esclamò trionfante. «In che posto strano sei scivolato… razza di puntino insignificante
Si avvicinò a loro, cercando di prendere Sora per i vestiti, ma Riku lo placcò di lato.
«Non osare toccarlo!» sibilò.
«Oh, e altrimenti che fai?» Vanitas si scrollò Riku di dosso e tese una mano davanti a sé. Un Keyblade fatto di ingranaggi e catene gli comparve nel pugno.
Riku portò alla mano il suo Contrappunto e fece per contrattaccare, ma vacillò sul posto, e il mondo si fece nuovamente buio.
E l’ultima cosa che Sora pensò prima di perdere conoscenza fu… cosa era successo un momento prima?
 


Shiro… Shiro, apri gli occhi!
Erano di nuovo nel Mondo che Non Esiste, davanti al grattacielo che copriva la vista del Castello.
E c’erano due ragazzi sulla scalinata.
«Come… cosa?» Shiro borbottò.
In guardia. Credo siamo ancora nel sogno.” La sua coscienza le ribadì.
Shiro si avvicinò ai due, che sembravano essere intenti in qualche conversazione. Sembravano essere intorno ai vent’anni, e portavano divise nere con bretelle e pantaloni larghi. Uno era scuro, l’altro biondo, ed entrambi portavano armi.
«Ehilà?» Shiro si avvicinò lentamente, restando in guardia, cercando di capire di chi si potesse trattare.
«Saïx ha detto che sarebbero passati di qua.» Il più alto dei due, quello con i capelli neri, conficcò la spada nella fessura tra due scalini e vi si appoggiò contro. «Dobbiamo solo aspettare.»
Il secondo, con i capelli chiari e un’aria smarrita, quasi da bambino, era seduto sugli scalini e fissava la strada come se Shiro non fosse realmente lì.
Sono cose già accadute.” La coscienza asserì. “Stiamo vedendo il passato. Come prima con Axel e Sora.
Shiro non poté evitare di avere un brutto presentimento a quelle parole. Le sue preoccupazioni si fecero ancora più fondate quando fu abbastanza vicina ai due per guardarli in faccia.
Il ragazzo seduto era Cloud. Il suo sguardo era perso nel vuoto e gli abiti gli pendevano larghi, e aveva le spalle avvolte in una coperta, ma era lui, cavolo se era lui! E lì vicino… era invecchiato rispetto alle foto, ma… era Zack! Era Zack!
Allora era sopravvissuto a Sephiroth…
Un tonfo fece girare sia Shiro che i ragazzi di lato. Doveva essere accaduto nel loro tempo, perché anche loro stavano reagendo.
Da un vicolo dietro al grattacielo, una figura in nero venne scaraventata nella piazza. Si alzò sui gomiti, guardando alla direzione da cui era venuto. Il cappuccio gli cadde, e Shiro riconobbe Saïx. Stava cercando di rimettersi in piedi, ma sembrava troppo malconcio per riuscirci.
La sua faccia era deturpata da due bruciature appena sopra il naso.
Quindi è questo che…?” La coscienza commentò mentre Zack e Cloud scattavano in piedi.
Prima che potessero raggiungere Saïx, un altro Nessuno fluttuò fino a lui, puntandogli addosso una eterea lama rossa.
«Xemnas…» Shiro mormorò mentre il nuovo arrivato si alzava il cappuccio con la mano libera.
Cloud non arretrò, ma Zack sì. Sul suo volto si dipinse il terrore.
«No… non può essere!» rantolò, con l’aria di chi ha visto un fantasma. «No… non anche tu… Terra…»
«Scappa, Zack, SCAPPA!» Shiro andò da lui, cercò di prenderlo per un braccio, ma le sue dita non strinsero che aria. Poteva immaginare come sarebbe finita quella storia. «Andate via… vi prego…» Si portò le mani alla testa. «Basta… smettila di farmelo vedere! Cosa vuoi da me…? Vi siete presi i miei amici… BASTA!»
Cloud cercò di attaccare Xemnas con una spada da guardia, ma il Nessuno emise un fascio di rovi dalla mano libera, scaraventando il ragazzo lontano e mandandolo a volare contro una parete.
Vedendo il suo amico attaccato, Zack alzò la sua spada, tre volte più grossa di quella del compagno, ma Xigbar si materializzò davanti a lui.
Aveva i capelli più corti, come alcuni anni prima… era lo Xigbar del passato.
«Vedo che qualcuno qui ha fatto due più due, dico bene, Fair?» ghignò. Le sue pistole gli comparvero tra le mani, e ne puntò una alla testa del ragazzo.
«Dove sono Aqua e Ventus?» Zack ringhiò tra i denti, e se avesse potuto incenerire con lo sguardo, Xigbar sarebbe stato polvere. Menò un fendente con la spada, ma Xigbar si teletrasportò al sicuro.
Xemnas e Saïx erano spariti.
«PARLA, BASTARDO!» Zack urlò, e corse contro il guercio, ancora una volta a spada spiegata.
Xigbar sparì ancora una volta, ma attorno a loro, nella piazza deserta, dai vicoli avevano preso ad apparire i Cecchini. Zack attaccò ancora una volta. Ancora una volta, Xigbar sparì.
Poi i Cecchini presero la mira.
«ZACK!» Shiro cercò di correre verso di lui… di avvertirlo, di usare il suo Keyblade… ma non serviva a nulla, erano cose già accadute, era tutto già successo anni prima e cosa poteva fare?
Le mancò il terreno da sotto i piedi, e tutto divenne buio, e stava precipitando
… e sentiva una voce che urlava il suo nome.
Shiro, non farti ingannare. Stanno cercando di farti arrabbiare… stanno cercando di spingerti a…” la coscienza continuava a ripetere, ma Shiro era molto più concentrata su quello che accadeva attorno a lei.
Cadde.
Finì di sedere su una spiaggia di sabbia scura.
 


Riku si svegliò con Sora che lo scuoteva.
«Mi hai fatto prendere un colpo!» Il suo amico lo abbracciò forte non appena lo vide aprire gli occhi.
«Scusa…» Riku fu solo in grado di mugugnare, ma non poté ammettere che gli ultimi minuti erano stati un immane casino per lui.
Quel Vanitas aveva la stessa faccia di Sora. Persino la sua stessa voce, anche se più profonda e rauca.
«Si è aperta una strada. Una parete.» Sora sciolse l’abbraccio e indicò un varco che un momento prima non c’era stato. Riku si avvicinò: il passaggio portava su un’alta terrazza, che portava a sua volta in un punto in alto del castello in rovina.
«Beh, che stiamo aspettando allora?» Riku prese la strada appena aperta. Sora lo seguì a ruota.
Un singolo tubo portava alla cima di una torre coronata da otto pilastri verticali, irti e aguzzi come matite, e i due ragazzi vi saltarono sopra e presero a scivolare.
Sulla cima c’era Shiro.
Era addormentata, in una specie di bolla attorniata da una strana nebbia nera.
«Shiro!» Sora corse verso di lei, cercando di scuoterla. Senza dubbio doveva essere Roxas a controllarlo, ma per un momento il gelo salì per le viscere di Riku, pensando egoisticamente che avrebbe potuto esserci Sora lì addormentato, e se soltanto Riku ci pensava…
«Credo siano visioni!» Sora si girò verso Riku e indicò delle immagini che fluttuavano attorno alla ragazza. «Ho visto me… e Axel… e Cloud con un altro ragazzo… e quello laggiù non è DiZ?»
Riku si avvicinò a Sora e Shiro, e cercò di scuotere la bambina a sua volta. Non sembrava muoversi affatto… era rigida come una bambola.
«Shiro… andiamo, apri gli occhi!» Sora la chiamò.
«Svegliati, Shiro, sei in un incubo!» Riku cercò di aiutarlo, poi a un certo momento Sora gli guardò alle spalle e smise di chiamare e scuotere la bambina.
«Riku…» Sora indicò un punto alle sue spalle. Il ragazzo girò la testa: la nebbia oscura stava lasciando la bolla, e una figura simile a una persona si era materializzata nel punto dove le tenebre si radunavano.
Sembrava quasi un Nessuno, un membro dell’Organizzazione, ma le somiglianze finivano con la sua forma: da sotto al cappuccio splendevano gli occhi rossi degli Incubi, e le maniche e i lembi della veste avevano spruzzi di viola.
«Sei tu che la tieni prigioniera in quell’incubo?» Riku si voltò verso il nuovo nemico, con Sora che lo affiancava.
Entrambi portarono alla mano le loro armi.
«Beh, di’ le tue preghiere, Incubo, perché noi saremo il tuo!» Fu Sora a finire la frase.
 


Shiro avanzò tra sabbia e rocce.
Cos’era quel posto? Perché era lì?
Se conosco Xigbar, o comunque si faccia chiamare ora, sta cercando di farti arrabbiare, e di brutto.” La coscienza prese parola per un momento. “Sta’ attenta.”
Shiro a stento gli prestò attenzione. Zack era morto. Gli sgherri di Xigbar lo avevano ucciso. Cos’altro poteva esserci di peggio? Cosa altro potevano farle?
Aveva cercato di rendersi utile a Radiant Garden, e l’unica cosa che era riuscita ad ottenere era stata di perdersi, e per giunta con la peggior notizia che potesse portare a casa.
Se mai ci sarebbe tornata.
«Cosa vuoi sapere?»
DiZ? Cosa ci faceva lì DiZ?
Shiro corse immediatamente in avanti, in direzione della voce. Non aveva mai provato nulla per quel vecchio pazzo, quindi perché proprio lui?
«Dove hai messo la ragazza?» Un’altra voce maschile stava interagendo con lo studioso. Qualcuno a cui Shiro non sapeva dare un nome… ma aveva già sentito.
Tre persone in lontananza.
Due portavano cappe nere.
La terza…
«Se non me lo dirai qui…» la voce dell’uomo giovane si fece minacciosa. Se Shiro non riconosceva la sua voce, la sua faccia : era Xehanort l’apprendista, quello che Stitch aveva scambiato per suo padre.
Venne interrotto di colpo.
«Penso che dovresti andartene!»
Stavolta fu una donna a parlare. Si era messa tra DiZ e l’apprendista, allontanando la mano di quest’ultimo con uno schiaffone.
L’apprendista la guardò dall’alto in basso.
«Una guardiana della luce perduta?»
PEZZO DI STRUDEL…!” La coscienza sembrava seriamente spaventata, a quel punto. Ma Shiro non gli diede retta, i capelli di quella figura femminile, la voce, lei ricordava bene a chi appartenevano, erano anni che la sognava di notte…!
«Mamma!»
Corse verso i tre… la sua mamma era lì, a pochi passi da lei… non poteva essere un incubo!
Un’enorme ombra nera emerse alle spalle dell’apprendista, scagliando Mamma indietro con un pugno. Lei cadde in piedi. Shiro cercò di andare al suo fianco, ma come con Zack non riuscì a toccarla.
«Dov’è il tuo Keyblade?» L’apprendista le chiese, in tono di sfida.
«Dovrei essere io a fare domande.» Mamma non fece una piega, e non smise di fissare l’uomo. «Dov’è Shiro? Cosa volete farle?»
«Ti preoccupi adesso di lei?» L’apprendista la schernì. «Non dovrebbe avere già quasi tredici anni? Ha passato una vita senza di te.»
«Brutto…» Shiro ringhiò tra i denti. Come poteva quel… quel maledetto… dire una cosa del genere? Mamma era in difficoltà… come poteva aiutarla? Non poteva aiutarla!
Con suo stupore, però, Mamma portò una mano alle fasce dei suoi abiti e tirò fuori una piccola stella in vetro piombato blu.
«Non ho smesso di pensare a lei nemmeno per un attimo in questi anni,» rispose all’apprendista con aria di sfida. «Ma ciò che so è che Shiro non cederà mai all'oscurità per aiutarvi!»
Rimise la stella nelle pieghe degli abiti e si mise in posizione di guardia. «Potrete anche averla prigioniera, ma sappi che verrò a strapparvela via a mani nude, se necessario!»
Corse verso l’apprendista con aria combattiva. L’ombra dietro l’apprendista la prese per una gamba e la sollevò in aria, ma DiZ gli pregò immediatamente di smetterla.
Non appena venne lasciata andare, Mamma provò di nuovo a colpire l’apprendista, rimettendosi in guardia nella sabbia dopo il primo colpo andato a vuoto.
«Poverina… non posso lasciarti a mani vuote.» L’apprendista le rivolse un ghigno.
L’ombra dietro di lui caricò un enorme colpo viola dal buco che portava nel petto.
Gliela scagliò contro.
Mamma cadde in mare.
«Mamma... MAMMA!» Shiro cadde in ginocchio. Sentiva le lacrime agli occhi e non riusciva più a stare in piedi per quanto tremava. A stento si accorse che i due uomini stavano andando via… la sua mamma era stata lanciata via da quel mostro e lo aveva fatto perché era preoccupata per lei. Era davvero colpa sua?
«Basta… Basta…! Ridatemela… Ridatemi la mia mamma!»
Passi pesanti affondarono nella sabbia dietro di lei.
«Sei arrivata tardi, funghetto.» Xigbar la canzonò. «È successo tutto non meno di un’ora fa. Ti sto soltanto mostrando cosa è successo.»
«Voi… voi…» Shiro alzò la mano e il Keyblade le comparve tra le dita. Usò l’altra mano per rimettersi in piedi e si girò verso Xigbar. «RIDAMMELA!»
Aveva lo sguardo appannato dalle lacrime, ma non le importava… Xigbar doveva soffrire. Doveva sparire un’altra volta per quello che le aveva fatto… Axel, Zack, Mamma… doveva sparire.
Gli corse contro con uno scatto, ma Xigbar sparì.
«Troppo lenta!» La sua voce arrivò da dietro di lei, assieme a un paio di proiettili viola che si conficcarono nella sabbia.
«STA’ ZITTO!» Shiro si avventò di nuovo contro di lui. Xigbar scomparve e riapparve a testa in giù, sopra la superficie dell’oceano oscuro.
Shiro caricò un Fire e cercò di prenderlo, ma lui schivò subito.
A quel punto, Shiro non pensò. Alzò il Keyblade e corse verso la riva del mare, saltò…
… e mancò il bersaglio.
Quando atterrò pensava di essere in acqua bassa, ma i suoi piedi non trovarono il terreno. Stava affondando. Stava affondando e non sapeva nuotare, e il mare attorno a lei era sempre più buio e sentiva la risata di Xigbar sopra di lei e cercava in tutti i modi di dimenarsi verso la superficie, ma continuava a cadere…
Shiro, resisti!
«Non ti può sentire, pivello…»
 


«Sora… posso confessarti una cosa?»
Erano appena riapparsi davanti al Grattacielo dei Ricordi, di nuovo nel mondo reale, anche se ancora con addosso l’emblema degli Spiriti.
L’incubo che teneva Shiro prigioniera era andato, ma vi si era addentrata troppo per svegliarsi, e Ansem – l’Heartless di Xehanort – li aveva attaccati. Non che fosse stato un problema per Sora e Riku, entrambi abituati a combatterlo, ma era stato altro tempo perso, e Riku aveva quasi pianto quando l’enorme ombra che guardava sempre da dietro all’Heartless aveva teso una delle sue enormi mani verso di lui.
«Vai, spara.» Per un momento, Sora osò sperare che Riku avrebbe detto qualcosa di importante… che magari quel che aveva da confessare era lo stesso che pensava di dirgli lui – ma come avrebbero fatto con Kairi poi? Una rivelazione del genere avrebbe potuto spaccare la loro amicizia… e Sora non sapeva dire a chi dei due tenesse di più. Erano pari. Se qualcuno gli avesse chiesto di fare una scelta…
«Ricordi quando eravamo piccoli? Quei giorni d’estate in cui apparvero sconosciuti alle Isole?»
Sora si strinse nelle spalle. L’anno in cui lui aveva cominciato la primina e Riku aveva compiuto sei anni in autunno? Facile ricordare tutto di quell’anno, era Riku che era stato in età da elementari in quel periodo…
«Mi ricordo la signora in blu,» disse con un filo di voce.
«Beh, non fu la sola. Ce n’era stato un altro, prima.» Riku indicò a Sora la strada che portava al Castello che Non Esiste, senza smettere di camminare. «E tu mi rompesti le scatole per giorni perché volevi sapere che segreto mi avesse confidato!»
«L’ho veramente fatto?» Sora inclinò la testa di lato. «Ma dai!» Fece una risata. «… e che ti aveva detto?»
Riku si fermò un momento, lo fissò, e gli diede uno scappellotto. Stava ridendo anche lui.
«Tanto per cominciare, di non dire nulla a tonti come te, o la magia sarebbe andata.» Riprese a camminare. «Volevo diventare forte. Talmente tanto da tenere al sicuro le persone care. Mi fece prendere in mano il suo Keyblade e declamò una specie di rituale, dicendo che un giorno ci saremmo rivisti.»
Erano al Limite della Disperazione, e il baratro senza fondo su cui giorni prima Kingdom Hearts aveva evocato un ponte li separava dall’ingresso del castello.
«Ho scoperto solo giorni fa che era il padre di Shiro. E che molto probabilmente fui anche l’ultimo a vederlo.»
Riku aveva gli occhi lucidi.
«Non hai paura che non possa più avverarsi? La sua promessa?» Sora gli chiese. Riku fissava il castello, ma poi abbassò lo sguardo sul baratro.
Si girò verso Sora. Il suo volto era rigato dalle lacrime.
«Vi ho quasi persi perché non ho avuto l’onestà di parlarvi.» Si asciugò la faccia con un braccio. «Tu e Kairi siete più importanti di un potere speciale… o semplicemente di qualcosa che probabilmente mi era stato detto per proteggere l’ordine dei mondi.»
Tirò un sospiro e guardò di nuovo il Castello.
«Va bene, dobbiamo trovare una maniera di arrivare lassù.»
Sora alzò lo sguardo a sua volta. C’era qualcosa che faceva versi, e un puntolino rosa fucsia in lontananza. Ma quello non era mica…?
«Cicciomiao! Guarda laggiù, Riku, è Cicciomiao!» Sora diede una pacca sulla schiena all’amico, poi gli indicò il punto dove aveva visto il Fiormiao.
«Cosa ci fa laggiù?» Sul volto di Riku si allargò un sorriso. «Anzi… non importa.» Si portò due dita alla bocca e fischiò. Pipistrory (perché non gli aveva dato un nome?) comparve sulla sua spalla.
«Cosa vuoi fare?» Sora fece un passo indietro e si grattò la nuca.
«Mi avevi detto che quando tu e il Re siete arrivati al Castello, Kingdom Hearts ha creato un ponte.» Riku portò alla mano il Keyblade. «E a Parigi siamo riusciti a creare una specie di linea tra due Incubi, no?»
«Sì, beh?»
«Beh…» Riku puntò il Keyblade su Pipistrory, che prese a illuminarsi, poi lo puntò lontano, verso Cicciomiao. «Che ne dici di due Spiriti?»
Abbassò il Keyblade, e la luce partita da Pipistrory creò una linea che arrivava fino al castello, fino al punto in cui Cicciomiao li stava fissando mentre rotolava.
«Andiamo!» Prese la rincorsa e saltò sulla linea.
Sora attese un momento, poi fece lo stesso. Era anche più divertente di attraversare il ponte traslucido dell’altra volta, e nonostante la situazione non fosse delle migliori, Sora non poteva evitare di sentirsi felice.
Riku aveva detto tu e Kairi siete importanti, aveva menzionato tutti e due, aveva detto che erano più importanti della sua promessa d’infanzia.
Riku fu il primo ad arrivare dall’altra parte, scendere, e ringraziare Cicciomiao con una carezza, poi si girò per attendere Sora.
«Cos’è quel sorriso?» commentò una volta che Sora fu arrivato.
«Niente.» Sora si strinse nelle spalle. «Ti… voglio bene.»
 


Kairi si stiracchiò sulla sedia. Era stata una giornata pesante e sperava di ricevere presto notizie da Sora e Riku. Lea aveva menzionato dei possibili guai, ma non si era dilungato troppo. Non sembrava molto entusiasta di condividere dettagli con lei, ma perché?
«Se quello che hai fatto oggi era il tuo meglio, sta’ pur certo che ti lasceranno nella Foresta del Tempo ancora per molto!» Kairi iniziò a punzecchiarlo.
«Ha, ha, ha.» Lea si sedette ad un’altra sedia dal lato sbagliato, appoggiandosi con il mento allo schienale. «Ho visto dodicenni lanciare Fire migliori dei tuoi!»
«Beh, almeno io ci ho fatto cose con questo.» Kairi alzò la mano ed evocò il suo Keyblade. «Sai, tipo, salare un po’ la coda di Xigbar? Hai presente? Quel brutto coso ripugnante.»
«Bleah, ti prego, non me ne parlare, potrei vomitare e ancora non abbiamo cenato.» Lea alzò gli occhi al cielo. «Xigbar. Quel verme è stato sempre odioso. Anche quando ero un povero studente di superiori e ancora lui si chiamava Braig. Io e i miei amici un weekend stavamo giocando insieme a baseball nella piazza, e lui cercò di metterci nei guai solo perché la palla gli era finita accidentalmente in testa.»
Incrociò lo sguardo di Kairi, come a invitarla a chiedere dettagli sull’accaduto. Si fece quasi triste quando Kairi rimase in silenzio.
Lea si afflosciò allo schienale, tirando un sospiro.
«Quando mi sono svegliato al castello di Lord Ansem, per un momento ho quasi sperato che avrei potuto riprendere la mia vita. Da ragazzo ho avuto un sacco di sfortune, ma ora che mi guardo alle spalle… cosa non darei per riavere la famiglia, gli amici, e le preoccupazioni che avevo. Cosa…»
Per certi versi, Kairi poteva dire di capirlo. Anni prima, aveva cercato di mettere insieme i pezzi sulla sua vita di un tempo cercando indizi sui vestiti in cui era stata trovata. Ed era stata lei a convincere Sora e Riku a costruire la zattera, per poi pentirsi amaramente di averlo fatto durante tutto l’anno successivo, in cui più e più volte aveva sperato e pregato di poter riavere la vita che prima le era sembrata noiosa e banale.
«Diciamo che è facile accorgersi dei propri errori, dopo averli fatti.» Kairi commentò.
«Io rifarei tutto quanto… tutto quel che mi aveva detto il mio cuore allora.» Lea si raddrizzò, poi abbozzò un sorriso. Kairi gli rispose sorridendo a sua volta.
«Avrei voluto conoscerti allora.»
Qualcuno bussò alla porta, per poi aprirla immediatamente dopo, e Kairi riconobbe Aerith quasi subito. Stava per salutarla, ma la giovane tagliò corto.
«Shiro…? Shiro, sei qui?» chiamò all’interno della casa. Lea sgranò gli occhi e la fissò.
«Uhm… qui ci siamo solo io e Lea.» Kairi ammise imbarazzata. «Anzi, se devo essere onesta non so nemmeno com’è Shiro di faccia.»
«Dai, Aerith, smettila di scherzare!» Lea si mise in piedi e camminò verso la porta, cercando di guardare dietro Aerith. «Scommetto che adesso spunterà da dietro l’angolo urlando sorpresa
Aerith fulminò Lea con lo sguardo. Sembrava decisamente seria.
«Non sto scherzando, Lea! Non l’ha più vista nessuno da quando sono usciti tutti da scuola!»
Tutto il colore sembrò di colpo sparire dal viso del giovane uomo.
«Xehanort…» sibilò.
Aggrottò le sopracciglia, poi marciò fuori dalla porta.
«Kairi… vado a prendere Shiro.» Annunciò. «Tu resta qui, pattuglia i confini. Sta’ pronta a dare l’allarme se vedi qualsiasi tipo di Corridoio Oscuro aprirsi, e qualsiasi cosa dovesse attaccare, fa’ buon uso di quella tua chiave. Tornerò presto, e Shiro sarà con me.»
Prese ad aprire un Corridoio Oscuro, probabilmente per sparire, ma Kairi balzò fuori dalla porta e lo prese per un polso.
«Tu non hai capito un accidente. Io vengo con te!»


 
Sì, lo so. Lea è un idiota e dovrebbe dire le cose.
(ed ebbene sì, parte della trama di KH3 è stata anticipata... okay, adesso sì che è un salto nel buio!)
E con il prossimo capitolo anche questa parte della storia è fatta... e siamo quasi a metà della trama, gente!
Reggetevi forte!

 

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Capitolo 10
*** Alla Fine Dei Sogni ***


Journey – Capitolo 10
Alla Fine dei Sogni
 
Lea emerse dal Corridoio Oscuro e lanciò immediatamente una fiammata davanti a sé per dissipare l’ondata oscura.
Ce l’aveva fatta?
Ce l’aveva fatta.
Sentì la voce di Xigbar che apostrofava Axel e attese che il fumo si diradasse prima di ribattere nella maniera più irritante possibile.
«Axel? Fatemi il piacere.» Si guardò alle spalle. Bene. Kairi aveva preso Shiro in braccio. «Il nome è Lea. Lo avete memorizzato?»
«Non dovreste essere qui!» Xigbar continuò ad urlargli contro, ma non si mosse dal suo trono.
«Comprati un’altra palla di cristallo, Zibibbo!» Kairi spostò Shiro sul suo lato sinistro, poi evocò il Keyblade con la mano destra.
«Brutto momento?» Lea aggiunse. Gli faceva quasi male fare la parte dell’eroe assieme a quella ragazza, ma era di Shiro che si trattava.
Guardò rapidamente in basso. Xemnas aveva fermato Re Topolino e il suo Heartless aveva bloccato Riku, e Sora era stato inchiodato al pavimento da un ragazzo che sembrava la sua immagine in uno specchio affumicato.
«Vedo che hai un gran bel copione.» Lea puntò lo sguardo su quello che sembrava il capo, un vecchio curvo con la zucca pelata e la barba da capra. «Ma mi sembra che ti sia dimenticato di scrivere il seguito!»
Alcuni degli incappucciati stavano già iniziando a sparire, ma uno invece scattò in piedi e menò contro Lea e Kairi un fendente della sua arma. E Lea conosceva quell’arma. Non ci fu neanche bisogno che il cappuccio di Saïx finisse all’indietro perché lui riconoscesse il suo amico.
Non aveva inseguito Xigbar… era stato rapito.
«Dobbiamo andarcene di qui!» Kairi gli diede man forte, aiutandolo a respingere il suo aggressore. Fu la prima a scendere ed affidò immediatamente Shiro a Riku. «Nei guai come al solito, eh, ragazzi?»
«Cosa ci fa Axel qui?» Sora commentò inclinando la testa di lato. Lea colse una nota di sollievo sotto alla perplessità.
«Come, non hai sentito come ho detto di chiamarmi?» Lea alzò gli occhi al cielo. «Va bene, come vuoi. Ora però vediamo di filarcela!»
«Dobbiamo solo resistere per il tempo necessario, non possono restare qui ancora per molto.» Il Re spiegò rapidamente. «Serrate i ranghi!»
Prima che il Re finisse di parlare, dalle spalle di una delle Oscurità – quella che sembrava l’Apprendista Xehanort, l’uomo che aveva alzato l’arma su Lea dieci anni prima – emerse un mostro d’ombra gigantesco che fece per avventarsi sul Re e su Riku.
Lo sguardo di Sora si fece vacuo per un momento. Il ragazzo rigirò il Keyblade nella mano, in una posa che a Lea fu immediatamente familiare, ringhiò: «Non provarci!», saltò in aria e respinse il mostro, colpendolo con l’arma ed evocando un piccolo ciclone attorno alla loro formazione.
Fu quando i suoi piedi toccarono di nuovo il pavimento che Sora lasciò andare il Keyblade e si portò una mano al braccio con una smorfia di dolore, mentre le sue ginocchia prendevano a tremare. Kairi gli si parò immediatamente davanti, visibilmente preoccupata, ma le Oscurità stavano lentamente svanendo.
«Non abbiamo più tempo,» Xehanort passò lo sguardo sui suoi uomini. «Né l’unione di luce né quella di oscurità sono state realizzate, e dobbiamo tutti tornare da dove siamo venuti. Ma l’adunanza dei sette e dei tredici è vicina. Chiuderemo la questione nel luogo predestinato, quando le vostre luci e le mie oscurità saranno riunite!»
Il vecchio fu l’ultimo a svanire, mentre ancora parlava.
Lea avrebbe voluto piangere.
«Ci è mancato poco…» Sora, appoggiato a Kairi, tirò un sospiro di sollievo. Era ancora un po’ pallido in volto, ma qualsiasi cosa fosse, si stava riprendendo.
«Dove hai imparato quel trucco? Non ti ho mai visto così veloce.» Kairi gli chiese.
«Domanda di riserva?» Il ragazzo fece un sorriso imbarazzato.
«Meglio se andiamo via.» Riku si sistemò Shiro nelle braccia in modo che lei gli poggiasse la testa sulla spalla e fece strada verso l’uscita.
«Bene, la navetta è qui fuori. Dove vogliamo andare…?» Il Re fece una corsa e si piazzò davanti al ragazzo.
«Casa di Merlino.» Kairi intervenne. «Aerith stava morendo di paura.»
 
Si era riunita un po’ di gente nella casa del mago, e tutti sembravano incredibilmente preoccupati.
Aerith era seduta ad una delle sedie, Cloud e Tifa vicino a lei, Stitch era seduto in un angolo, e Sora riconobbe persino il giudice “Vostro Odore” con Finn che gli dormiva tra le braccia.
«Isa è vivo.» Lea andò subito dal giudice, ma tenne lo sguardo basso, quasi come segno di sconfitta. «Ma lo hanno preso.»
Puntò uno sgabello in un angolo e ci si buttò su, poi prese a fissarsi i piedi.
«Shiro!» Aerith andò subito a prendere la bambina dalle braccia di Riku. «Sta bene?»
«Non si sveglia,» Topolino commentò mestamente. «Ho già visto accadere cose del genere… se il suo cuore è stato danneggiato a quel punto…»
Sora strinse i denti e i pugni. E avrebbe potuto finirci lui in quella trappola.
Sora, vedi?” Sentì la voce di Roxas nella sua testa. “Per questo tutti contano su di te. Per questo avevi bisogno di svegliarti e io di dormire. Smettila di incolpare te stesso… o prenditela con Xehanort.”
«Roxas…?» Sora non si curò delle altre persone nella stanza. Tanto valeva che sapessero. «Cosa è successo al Castello? Sei stato tu? A respingere il guardiano…?»
Veramente…” Un’altra voce, simile a quella di Roxas ma meno roca e profonda, intervenne in un falso tono imbarazzato.
«Va bene. Ora mi spiegate perché accidenti il mio cuore è diventato una specie di albergo?»
Nella stanza cadde il silenzio.
L’unico che non sembrava sorpreso – a parte forse Kairi? – era Cloud, ma pareva aver capito qualcosa.
«Hai delle voci nella testa?» gli chiese.
«Sì…» Sora ammise.
«E sono persone che conosci? Che hai già incontrato e ricordi?»
«Tecnicamente…»
Cloud quasi vacillò all’indietro, gli occhi sgranati e una mano alla sua testa. Aveva quasi una luce diversa negli occhi. Come se gli avessero appena detto che non stava impazzendo.
«Anche Shiro… parla da sola.» Lea alzò un momento lo sguardo e fece le virgolette con le dita, poi sembrò capire qualcosa e guardò Sora. «Aspetta, Roxas, vorresti dirmi che sei lì dentro? Davvero? Di’ qualcosa che soltanto Roxas potrebbe dire!»
Sora rimase fermo e zitto, ma Roxas prese per un momento il controllo e gli fece dire: «Ricordi quella volta che ti sei trovato disegnato sulla faccia i baffoni… tanto che sei arrivato in ritardo per la ricognizione perché non riuscivi a togliere il colore? Ecco...non è stata Shiro a averlo fatto.»
Lea sgranò gli occhi, ma scosse la testa e sorrise. «Pensi ancora di non mancarmi?»
Sora si trovò a restituire il sorriso senza volerlo, e si affrettò ad asciugarsi una lacrima.
«Sora…» Riku lo raggiunse da dietro e gli mise una mano su una spalla. «Ho un’idea.»
«Uh?» Il ragazzo si girò.
«Yen Sid parlava di Potere del Risveglio. Risveglio. E Shiro è in preda all’incubo, quindi al sonno. E se potessimo accedere al suo cuore, come abbiamo fatto con i Mondi Dormienti?»
«Potrebbe funzionare.» Sora si avvicinò a Shiro, che dormiva ancora nelle braccia di Aerith. «Se non vedeste tornarci…»
«… ci pensiamo io e Kairi a riprendervi per la collottola!» Lea scosse la testa e alzò loro il pollice. Subito dopo aver parlato, rimase in un silenzio lievemente imbarazzato, come se gli fosse appena sfuggito qualcosa che non doveva. Aerith, Cloud e il giudice lo fissarono, ma Sora non riusciva a interpretare le loro espressioni.
«Va bene, Sora, al mio tre.» Riku evocò il suo Keyblade, tornato ad essere Via per L’Alba, e Sora fece lo stesso con Catena Regale. «Uno, due…»
 


Erano su quella che sembrava la cima di una montagna.
Il terreno sotto i loro piedi era un tappeto ben curato di erba, dalle cime aguzze attorno a loro partivano anelli e cavi, e il cielo sopra le loro teste era uno di quei blu che avrebbero visto soltanto in un dipinto.
«Che posto è questo?» Sora mugugnò.
Riku guardò in un’altra direzione, e indicò con la mano un castello in lontananza.
«Credo fosse casa sua,» dedusse.
C’era silenzio. A parte il suono dei loro passi, l’unico rumore era quello del vento e dei tintinnii dei… no, non erano cavi, erano catene.
«Ciao.»
I due ragazzi sobbalzarono e si girarono. Dietro di loro, in piedi su un diroccato muretto di mattoni e con le braccia conserte, c’era un ragazzo.
Sora gli avrebbe dato l’età di Rhyme, ma proprio come lei il bambino aveva uno sguardo saggio, quasi da vecchio. Aveva i capelli ricci, dell’esatto stesso colore di Shiro, e come lei vestiva quasi in bianco e nero, con come unica nota di colore un fazzoletto rosso che portava avvolto al collo.
«Tu…!» Riku quasi scattò verso di lui, ma Sora lo trattenne per un braccio. Non potevano sapere chi fosse, e non serviva un approccio del genere.
«Piacere di conoscervi. Mi chiamo Ephemer.» Il ragazzo abbassò le braccia e si strinse nelle spalle. «Quanto alla domanda sul “che ci faccio qui”, diciamo che ho subito uno sfratto tempo fa e Shiro aveva bisogno di me. Ci abbiamo guadagnato entrambi. Io sono ancora vivo, lei è ancora sé stessa.»
«La coscienza. Eri tu.» Riku disse immediatamente ad alta voce quello che Sora stava pensando. «Hai mentito a una bambina
«Le ho salvato la vita.» Ephemer prese a camminare su e giù sul muretto, mettendo un piede davanti all’altro. «Sapete, sotto Radiant Garden c’è un’armatura abbandonata. Con un Keyblade. Sono appartenuti ad una Maestra. Xemnas ha messo il Keyblade in mano a Shiro quando lei non aveva che sette anni, cercando di fare in modo che lei manifestasse il proprio. Indovinate un po’ chi lo ha trattenuto perché non le mettessero un Sigillo del Dissidente addosso?»
«Un cosa?» Stavolta fu Sora a chiedere.
«Sigillo del Dissidente.» Ephemer tracciò una croce nell’aria. «Quello che hanno messo su di te, tonto!»
Nonostante la sua parvenza tranquilla e il suo sorriso, il suo comportamento tradiva una lieve impazienza.
«Giuro, Sora, mi ricordi un mio vecchio amico.»
«Sì, ma come fai a sapere che avevo una X addosso?» Sora si grattò la testa.
«Xigbar ha detto che il loro primo obiettivo eri tu, ed è così che Xehanort marchia i suoi bersagli.» Ephemer appoggiò le mani sui fianchi. «Pensaci un momento. Axel. Roxas. La cicatrice in faccia a Saïx… un tempo era un semplice segno che si faceva portare agli apprendisti, per la loro sicurezza, ed era più che altro una specie di rito. Ma è una storia lunga e triste, e non ho il tempo per raccontarvela.»
Il suo sorriso si fece amaro, poi trovò un altro muretto e si mise a sedere, fissando il cielo.
«Shiro è fuori pericolo, ma dovrete sbloccare voi il suo cuore. E ho un paio di parole per voi.»
Si fece serio.
«Non pensate di aver vinto solo perché stavolta ne siamo usciti illesi. Xehanort ha tanti piani quanti peli tra le chiappe. Avrà i suoi sette contro tredici, in un modo o nell’altro.» Rimase fermo. «E anche quando penserete di essere pronti, cercherà di attirarvi in una trappola. C’è qualcosa che lo ha portato a diventare quello che è… o qualcuno. Non prendete decisioni avventate, non fidatevi di quello che vedete, e per favore, non pensate che sia la spada il vostro punto di forza. Se volete fare la differenza, pensate a cosa è successo oggi. Sora, tu e Riku ne siete venuti fuori per quello che vi lega. Avete tutti salvato Shiro perché le volete bene. E… non posso dire di aver assistito a quello che è accaduto in quel Castello che Non Esiste… ma… Ventus, eri lì, no?»
«Tu conosci Ventus?» Sora sgranò gli occhi.
Senza che lui se lo aspettasse, una sfera di luce bianca uscì dal suo petto, e la sagoma di un ragazzo si materializzò davanti a lui.
Lo avrebbe preso per Roxas, ma il ragazzo aveva i capelli più chiari, i pantaloni più corti, la giacca di due colori diversi, e parte del braccio sinistro coperto da armatura. Sembrava abbastanza disorientato.
«Io… ti conosco?» Ventus chiese con un filo di voce, camminando verso Ephemer.
Ephemer lo fissò, sollevando un angolo della bocca in una smorfia. Sora e Riku rimasero ad osservare, fermi e in silenzio.
«Ciao, Ven.» Si mise in piedi, la sua sciarpa che svolazzava presa dalle correnti d’aria. «Ti sei scordato di me?»
Ventus rimase fermo, fissando l’altro ragazzo. Sembrava più alto di lui, ma Ephemer si comportava come se fosse lui il maggiore.
«Ti sei fatto crescere i capelli.» Ephemer commentò, come se fossero due vecchi compagni di scuola che si riunivano dopo anni. «Anzi, sei proprio cresciuto tu. Mi ricordo quanto eri piccolo quanto ci conoscevamo. Basso con due piedoni enormi. E non stavi così dritto con la schiena.»
«Ci conosciamo?» Ventus chiese di nuovo. «Prima di Xehanort, giusto?»
«Non mi parlare nemmeno di quel pazzo da legare, Ven, non sei la sua unica vittima qui.» Gli tese una mano, invitandolo ad avvicinarsi. Ventus gliela prese, ed Ephemer lo tirò su.
«Carino, questo posto.» Commentò. «Non è dove siamo nati, ma… mi sembra un bel posto da chiamare casa.»
«Lo è.» Ventus gli rispose. I due diedero le spalle a Sora e Riku, iniziando a fissare l’orizzonte.
«Quando ho rivisto la tua faccia, beh, avevo sentito di te.» Ephemer disse a Ventus. «Stentavo a credere che si stesse parlando ancora di te. Quando eravamo amici… eri il più piccolo tra noi. C’era un caso di omicidio e tu cercavi di fare pupazzi di neve. Sei stato capace di addormentarti in un cimitero. E… non voglio neanche menzionare cosa era successo con Lauriam.»
«Questo nome un po’ lo ricordo.» Ventus ammise. «Forse.»
Ephemer sbuffò. «Vorrei poterti spiegare tutto, faccia a faccia, e non ho tempo per trattenere Sora qui. Xehanort attaccherà di nuovo. Non è un se, è un quando. E se avrete le Sette Luci prima che lui abbia le sue Tredici Oscurità, avrete più tempo per giocare d’anticipo e colpirlo. Potrebbero cercare di attaccare di nuovo Shiro… o qualcun altro.» Gli mise una mano sul braccio. «Io non posso combattere, non senza fare del male a Shiro. Ma tu, con Sora, puoi. O puoi più di quanto io non possa fare. E il tuo corpo è ancora intatto da qualche parte, quindi a mia differenza, hai anche un’uscita. Guarda ogni cosa che Sora fa, intervieni tutte le volte che puoi, sii il suo guardiano. O uno dei Sette quando sarai di nuovo te stesso.»
Si strinse nelle spalle e fissò il sole che calava dietro i monti, poi si girò di nuovo verso Ventus. La sua voce era quasi amareggiata, e una delle sue mani andò a segnarlo a dito.
«Dimostrami che non sei più il bambino che conoscevo.»
Ventus abbassò la testa e si strinse nelle spalle.
«Non so nemmeno chi ero.»
«La domanda è… chi sei ora?» Ephemer gli camminò davanti e gli diede un colpetto sul braccio, spingendo Ventus a raddrizzarsi. Si allontanò ancora per un altro po’, poi si girò verso Sora e Riku.
«Ventus si trova al Castello dell’Oblio, in una stanza che nessuno può trovare. Shiro è riuscita a entrarci, ma Axel non riusciva nemmeno a vederne la porta, né tantomeno toccarla. Credo c’entri qualcosa con sua madre, ma non posso dire di avere la risposta a questo mistero.»
«Ho capito! Dobbiamo trovare Aqua!» Ventus si diede un pugno su una mano, e per la prima volta sorrise. Scese dal muro, con un ritmo diverso nei passi, e si avvicinò a Sora e Riku.
«Direi che abbiamo una rotta.» Si sfregò il dietro del collo, come Sora aveva fatto un sacco di volte. «Ti spiace se ti sto azzeccato ancora per un po’, Sora?»
Sora si strinse nelle spalle e sorrise. La figura di Ventus svanì, e una sfera di luce fluttuò verso Sora e sparì nel suo petto.
«Va bene…» Sora si appoggiò una mano sul torace, poi si guardò intorno ed evocò il Keyblade. «Svegliamo il funghetto e torniamo fuori.»
 


Erano ancora quasi tutti nella stanza, ma alcuni avevano cambiato di posizione. Cloud stava discutendo di qualcosa con Aerith, Lea era seduto su una delle sedie e teneva Shiro in braccio, il giudice discuteva con Merlino e Topolino, e Kairi guardava dalla finestra, battendo nervosamente il piede.
«È fatta.» Riku annunciò. «Dovrebbe svegliarsi a momenti.» C’erano ancora parecchie cose che non capiva. A quanto pareva Ventus era rimasto addosso a Sora… per quanto tempo? La coscienza di Shiro esisteva e si chiamava Ephemer! Ed era un vecchio amico che Ventus non ricordava!
Riku era sicuro che se non si fossero seduti a un tavolo a discutere tutto quanto il prima possibile, tutto quello che aveva scoperto quel giorno lo avrebbe fatto diventare più pazzo dell’uccello aracuan.
Intanto, Lea diede un paio di colpetti alla spalla di Shiro, chiamando il suo nome con voce dolce.
«Su, Funghetto, sono tutti preoccupati… Shiro… Funghetto?»
«Gngnèclpamia…» mugugnò la bambina. «Ha cercato di…»
Shiro schiuse gli occhi, guardando Lea sopra di lei.
«… Axel?»
«Buongiorno funghet…» Lea cercò di dire, ma Shiro lo zittì con un pugno alla faccia.
«Brutto scemo!» Lo fissò con gli occhi pieni di lacrime, poi prese a colpirlo di nuovo al petto e alle spalle. «Scemo, scemo, SCEMO!»
«Se l’è cercata.» Cloud commentò guardando Aerith.
«Credevo fossi morto. Sei cattivo!»
Lea non provò nemmeno a rispondere, limitandosi a lasciare che Shiro lo picchiasse per un po’, poi non appena lei si fu alzata le disse, in tono di resa.
«Shiro… io sono Lea, non Axel. Axel era morto.»
«Comunque credevo di averti perso!» Shiro gli tenne il broncio, poi andò ad occupare una sedia vuota.
«Bisognerà informare Yen Sid che stanno tutti bene,» Topolino fece per incamminarsi verso la porta. «Sora, Riku, con me.»
«Oh, solo un momento, tu.» Merlino puntò la bacchetta contro al Re. Ci fu uno sbuffo di fumo, e la stanza attorno a tutti quanti svanì.
Tutti gli occupanti del salone di Merlino si ritrovarono improvvisamente nella Torre dello Stregone, nell’esatta posizione in cui il fumo li aveva raggiunti. Lea, Shiro e Kairi, che erano stati seduti quando la magia li aveva presi, si ritrovarono nella stessa posizione ad un tavolo dove qualcuno – Paperino e Pippo, forse? – avevano allestito una festa da tè.
Nel vedere che la stanza si era fatta rapidamente affollata, Paperino prese a battere una zampa palmata al pavimento e agitare i pugni.
«Perché non ci avete detto che saremmo stati così tanti
«Ti sembra il momento di festeggiare, papero?» Merlino gli lanciò un’occhiataccia. «Yen Sid! Spero ti renderai conto che avresti almeno dovuto assegnare un accompagnatore a questi poveri ragazzi!» Gli agitò contro il pugno.
Parecchie paia di occhi vennero puntate verso lo stregone. Non che Merlino, Riku pensò, avesse tutti i torti… se la prova era stata manomessa fin dall’inizio, un maggiore controllo avrebbe potuto evitare che la situazione precipitasse… e se non fosse stato per Shiro…
«Hai avuto quel che volevi. Hanno il Potere del Risveglio, anche se si sarebbero risparmiati il modo in cui lo hanno mostrato.» Merlino parlò di nuovo. «Ma nessuno dei due può essere un Maestro. Non dopo questa prova. Una prova manomessa non è valida, e l’ultima volta che qualcuno l’ha considerata tale, per l’Ordine è stato un totale disastro
Yen Sid rimase in silenzio, ma Riku vide Topolino abbassare la testa e le orecchie. Il ragazzo non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse successo l’ultima volta che qualcuno avesse considerato valida una prova manomessa.
«Cosa suggerisci di fare, allora?» Yen Sid chiese a Merlino.
«Da’ loro una vera prova. Una come si è sempre svolta. Un Maestro a vedere, niente competizione o battaglia per la supremazia. Potere eguale e dimostrazione di verità!»
«Uhm… va bene. Alle pareti, amici!» Fu Topolino a parlare. «Sora, Riku. Al centro.»
Lo studio a Riku sembrava persino troppo piccolo, ma Merlino agitò di nuovo la bacchetta e si trovarono tutti in una delle sale vuote dei piani di sotto. Sia Riku che Sora erano stati convenientemente posizionati su dei segni nel pavimento, gli altri invece erano tutti contro al muro (Shiro era riuscita a prendere un biscotto prima del teletrasporto).
Yen Sid, Topolino e Merlino erano all’altezza di metà stanza, in posizione di arbitri. Yen Sid sembrava abbastanza rassegnato, ma parlò lo stesso.
«Sora, Riku, in posizione. Vi affronterete l’un l’altro in un duello. Non verranno presi punti e non verrà decretato un vincitore. Quando poteri uguali si confrontano, emerge la loro natura… ed è quello che vogliamo vedere da voi.»
Si portò una mano a premersi il naso. Riku evocò Via per l’Alba, e Sora fece lo stesso con Catena Regale. Se volevano un duello, beh, Riku e Sora non facevano altro da quando Sora aveva cominciato l’asilo. Sora arrivò a sorridere mentre si metteva in guardia, poi alzò la mano verso Riku.
«Posso avere questo ballo?»
Dietro di lui, Kairi si diede una manata in fronte e scoppiò a ridere.
Sora voleva ballare? Bene. Potevano farlo.
«Pronti?» Merlino alzò la bacchetta. «A voi!»
Riku tirò un respiro, poi scattò in avanti. Niente punti, niente vincitore. Da quanto tempo lui e Sora non avevano combattuto così? Per loro era stato quasi sempre una competizione, eppure adesso era stato loro detto niente punti e niente vincitore.
Era come se qualcosa fosse stato sollevato, come se un vetro fosse stato rotto. Riku attaccava e parava e balzava avanti, e indietro, e Sora era sempre lì a difendersi, a rispondere, a saltare o a chinarsi. Avrebbero potuto fare quel gioco a occhi chiusi, per quanto bene si conoscevano.
Il Keyblade che vibrava nella sua mano, le pietre del pavimento sotto ai suoi piedi, la risata di Sora, il silenzio degli astanti… era tutto così nitido che sembrava quasi che il tempo si fosse fermato.
Riku sapeva che né lui né Sora avrebbero resistito a lungo, non dopo aver combattuto contro Xehanort, e i movimenti di entrambi si facevano più lenti, fino a quando dopo aver incrociato le lame un’ultima volta, Sora e Riku si guardarono negli occhi ed entrambi si fermarono.
«Che c’è, Sora, sei stanco?» Riku fece un passo indietro.
«Tsk… ma per piacere! Ti sei visto allo specchio?» Sora ridacchiò, ma fece un passo indietro a sua volta.
Yen Sid alzò entrambe le braccia verso l’esterno. «Basta così!» annunciò.
Abbassò le braccia e camminò verso Sora e Riku, che istintivamente si appoggiarono l’uno all’altro. Soltanto in quel momento Riku si rendeva conto di quanto davvero fosse stanco.
«Non guasterebbero un biscotto o due, adesso…» Sora disse ad alta voce quello che Riku aveva appena iniziato a pensare riguardo ai dolci al piano di sopra.
«Tu mangi già troppo zucchero.» Riku gli diede una spallata gentile.
Yen Sid si schiarì la gola.
«Vi abbiamo osservati entrambi e siamo venuti ad una decisione. Per quanto entrambi foste sfiancati dallo scontro con le Oscurità avete combattuto al meglio delle vostre possibilità,» lo stregone disse. «Entrambi meritate il titolo di Maestro.»
Rimase in silenzio un momento.
«E non credo ci sarebbe voluto un altro duello per dimostrarlo.»
Riku rimase in silenzio. Immaginava che Sora avrebbe passato, ma lui? Temeva che l’oscurità avrebbe potuto sabotare la sua prova… portava un Keyblade da molto meno tempo di Sora, la sua esperienza vera e propria si contava in settimane
«… che?» Sora disse con un fil di voce. Guardò Yen Sid, poi Riku, poi di nuovo Yen Sid. Il suo volto passò rapidamente dallo stupore al sorriso. Riku ebbe appena il tempo di vederlo muoversi prima che il suo migliore amico gli stritolasse la gabbia toracica con un abbraccio come suo solito. Kairi arrivò immediatamente dopo, non per mancanza di entusiasmo ma per distanza.
«E bravi i nostri due tonti!» Fece un passo indietro, poi alzò le braccia e arruffò con una mano i capelli di Sora e con l’altra i capelli di Riku.
«Kairi, non offenderci!» Riku cercò giocosamente di allontanarle la mano. «Si dice Maestri tonti!»
Mentre i tre lottavano, la stanza cambiò di nuovo e si ritrovarono nuovamente nello studio, con la tavola imbandita che sembrava essere stata aumentata di dimensioni. Sora si divincolò letteralmente dalla presa di Kairi e corse a riempirsi la bocca di biscotti.
«Li chiamavano Maestri del Keyblade.» Lea ridacchiò. «Io non farò così quando sarà la mia volta.»
«Ti prendo in parola, eh!» Kairi lasciò in pace Riku per puntare su Lea un dito accusatore.
«Cosha? Axel?» Sora commentò con la bocca piena. «Tu un Custode del Keyblade?»
«Già. Ma ancora non mi viene sempre alla mano.» Lea si strinse nelle spalle imbarazzato. «Volevo usarlo nel salvataggio, ma…» Tese il polso, e…
… inizialmente Riku avrebbe detto di aver visto uno dei suoi chakram, ma da una delle punte partiva una lama fiammeggiante che formava un’ansa alla fine.
«Va bene, ora se posso avere la vostra attenzione,» Merlino puntò la bacchetta ad una lavagna. «Prima che crolliate, dobbiamo fare il punto della situazione. Domattina si riprende, e dobbiamo sapere chi andrà dove, quando, e perché.»
La lavagna si girò, mostrando una superficie completamente vuota. Merlino mise un gesso nelle mani di Riku.
«Sora, Riku, raccontate quel che avete visto. A turno, parleremo tutti.»
«Allora,» Riku andò verso la lavagna e la divise con una linea, poi attese che Sora lo raggiungesse, spezzò il gesso a metà e gliene diede una parte. «Sette… contro tredici. Così Xehanort ha detto. Quindi, se mettiamo lui da una parte…» Scrisse su una delle parti della lavagna il nome del loro nemico. «… e noi dall’altra…» Dall’altro lato della lavagna scrisse “Riku – Sora – Kairi – Topolino – Lea”. «Ci mancano ancora due.»
«Due che dovremo essere celeri a trovare,» Yen Sid intervenne. «Se Xehanort troverà il suo numero tredici prima che noi i nostri sei e sette, penserà lui a trovare delle luci in sostituzione… e non saranno persone in grado di combattere.»
«Parlate delle Principesse?» Kairi chiese, mentre Sora, imperturbato da quel che lo stregone aveva appena detto, scriveva “Aqua” e “Ventus” sotto Lea con il suo pezzo di gesso.
«Sì, e non le stesse ragazze che hai conosciuto tu, Kairi.» Yen Sid guardò la ragazza. «Per quanto tu abbia mantenuto il tuo potere, le altre sei pure luci sono passate di testimone, ad altre sei ragazze. Oltre che ritrovare i Guardiani perduti, dobbiamo trovare e identificare queste ragazze prima che siano gli uomini di Xehanort a farlo.»
Mentre Yen Sid parlava, Sora divise la parte della lavagna relativa alle luci in senso orizzontale e scrisse “Sei Principesse sconosciute” nella parte bassa. Poi, con la lingua che gli spuntava da un angolo della bocca, si spostò nella parte delle oscurità e scrisse “Vanitas – Ansem – Xemnas – Xehanort passato - Saïx – Xigbar – GLIENE MANCA UNO”.
Stette fermo per un momento, fissando il gesso nella sua mano con un broncio difficile da interpretare. Guardò Riku.
«Xehanort ha detto che ha un altro dei nostri,» disse in tono triste, poi scrisse lentamente “Terra” a cavallo della linea tra luci e oscurità.
Mentre tutti rimanevano in silenzio, Shiro si prese la briga di intervenire.
«E io allora?» protestò. «Non siete cinque, siamo sei!»
«Tu hai già fatto abbastanza, Shiro.» Lea la prese per un polso e la fece sedere. «Compreso il farci morire tutti quanti di paura.»
«Almeno io il Keyblade lo so evocare!» Shiro sbuffò e gonfiò le guance con aria seccata.
«Oggi abbiamo rischiato di perderti, Shiro.» Aerith andò da lei e si chinò al suo livello. «Abbiamo già perso troppe persone…»
 
Shiro rimase in silenzio. Sora si aspettava che avrebbe ribattuto – Roxas glielo stava suggerendo – ma a lei tremava semplicemente il labbro e si stringeva le mani in grembo.
«Ho visto… cose.» Confessò. «Axel che… un corridoio oscuro… e Zack… Xigbar… i cecchini…» Abbassò lo sguardo. «E un’ora fa. L’Apprendista Xehanort, su una spiaggia nera, ha attaccato la mia mamma!»
«L’incubo. Le visioni.» Riku disse ad alta voce quello che Sora stava pensando.
«Hey. Funghetto…» Lea abbracciò Shiro. «Io sono qui, e non me ne andrò da nessuna parte. Sappiamo com’è Xigbar… potrebbe averti mentito… potrebbe non averti fatto vedere tutto quello che è accaduto.»
«La coscienza mi ha detto che stavi difendendo Roxas…» Shiro commentò.
Lea si strinse nelle spalle.
«In passato ti avrei detto di sì.» Sorrise. «Ma… credi che anche Sora, non valesse la pena difenderlo?»
Sora si schiarì la gola.
«Shiro, la coscienza ha un nome.» Intervenne. «Si chiama Ephemer. Ha detto di essere un vecchio amico di Ventus… e una vittima di Xehanort. Credo si sia rifugiato nel tuo cuore come Roxas e Ventus hanno fatto con me.»
Shiro fissò Sora con aria stupita, poi si rivolse direttamente alla sua “coscienza”.
«Mi vorresti dire che mi hai presa per scema tutto questo tempo?... Lo so che è stato Saïx a dirmi che eri la mia coscienza, ma… guarda se ti vedo in faccia un giorno…»
Scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
«Dobbiamo muoverci in fretta.» Yen Sid riportò tutti quanti all’attenzione. «Flora, Fauna e Serenella hanno messo a punto nuovi abiti per voi, che proteggeranno dall’oscurità come e meglio dei mantelli neri. Kairi e Lea, siete stati provvidenziali nel Mondo che Non Esiste, ma avete entrambi bisogno di ulteriore addestramento prima che possiate entrare di nuovo in azione. Non possiamo permetterci che scendiate in campo impreparati. Shiro seguirà l’addestramento con voi. Riku, Topolino, conoscete già il Reame Oscuro. Vostro compito sarà la localizzazione dei Guardiani perduti, a cominciare da Aqua. Sora, identificare le Principesse e fare in modo che siano al sicuro sarà compito tuo, almeno fino a quando non potrai essere adiuvato da altri Guardiani.» Guardò Kairi e Lea.
«E come facciamo ad impedire che Xehanort scovi un altro numero 13?» Lea intervenne. «Ho come la sensazione che potrebbe già avere un piano B.»
«No, credo Yen Sid abbia ragione.» Riku scosse la testa, asserendo in tono amaro. «Ephemer ha detto che dobbiamo aspettarci un quando, non un se. La mia sola obiezione è che a un certo punto avrò bisogno che Sora mi raggiunga, magari quando Kairi e Lea saranno pronti per subentrare, quindi abbiamo bisogno di un modo più rapido per segnalare i nostri spostamenti.»
«Credo che abbiamo già risolto quel problema.» Topolino gli sorrise. «Cip e Ciop al Castello stavano lavorando a qualcosa.»
«Sì, e Cid ha concesso anche loro di utilizzare Otto e Nove per il mantenimento del server.» Aerith intervenne, strappando a Shiro un accenno di sorriso.
Riku si guardò attorno.
«Allora… lo stiamo facendo, suppongo.» Tirò un sospiro.
«Bene.» Merlino si rimboccò le maniche. «Direi sia il momento di riposare per voi tutti. Venite ai Giardini?»
Sora cercò lo sguardo di Riku e Kairi, ed entrambi fecero sì con la testa. Merlino tirò fuori la bacchetta.
«Molto bene. Reggetevi forte allora, perché stiamo per saltare! E uno, e due, e…!»

 
 
«Ma tornerai a trovarci, vero?»
«Quando sarai un vero eroe!»
«Quando io e lui saremo entrambi eroi!»
«Come, vuoi che non torni più?»
 
Era in piedi davanti ad un castello che non aveva mai visto, e aveva un Keyblade in ogni mano.
 
«Se il destino vorrai cambiare, dentro dovrai guardare, e lo strappo dall’orgoglio causato riparare.» Una voce sconosciuta echeggiava nel buio, e Sora si ritrovò su un pavimento di vetro piombato, sul suo pavimento di vetro piombato, e Vanitas comparve sul bordo, fissandolo e dicendo nuovamente: «Il loro dolore sarà alleviato quando tornerete a mettervi fine.»
 
Un mondo di luce, ma senza sole. Cielo e mare a perdita d’occhio.
Sentiva la voce di qualcuno piangere.
 
«La domanda è… chi sei ora?»
 
Per un momento Sora si spaventò quando non riconobbe la sua stanza. Poi sentì il russare di Riku accanto a lui, e un calcio di Kairi lo prese dritto sulle caviglie, e vide la solita lucina notturna attaccata ad una delle prese, e ricordò tutto. L’esame, la trappola degli Xehanort, il salvataggio di Shiro.
Era un Maestro! Lui!
Giusto. Erano in casa del giardiniere – aveva una camera vuota con un letto a due piazze che era appartenuto al suo figlio adolescente prima che sparisse – e la mattina dopo lui sarebbe ripartito in cerca dei Nuovi Sette Cuori.
Gli faceva un po’ strano dormire in una stanza di perfetti sconosciuti, anche se gli anziani che gli avevano messo la stanza a disposizione avevano detto una parola o due riguardo al fatto che una bambina di nome Kairi una volta aveva abitato la casa deserta vicino alla loro, ed erano convinti si trattasse della stessa persona.
“Suo fratello era nella stessa classe di Zack”, avevano detto. Sembravano molto afflitti dalla scomparsa del loro figlio. Sora avrebbe voluto aiutarli, ma se era vero quel che Shiro gli aveva detto, non c’era più speranza per quel ragazzo.
Scese silenziosamente dal fondo del letto e si mise in piedi. Una delle porte della stanza dava direttamente sul cortile del retro, e Sora aveva davvero bisogno di un po’ d’aria.
Aprì e si appoggiò al muro, rimanendo per qualche minuto a fissare le stelle. La casa accanto a quella del giardiniere sembrava davvero abbandonata da una vita, ma c’era un’altalena nel cortile, una di quelle fatte con una ruota di scorta legata al ramo di un albero. Qualcuno aveva scribacchiato il nome “Eadmund” sulla ruota – che fosse quello il nome del fratello della bambina? Che davvero fosse lei?
Sora attraversò il giardino e si sedette sull’altalena, che cigolò leggermente sotto al suo peso.
«Ciao, Sora.»
Il ragazzo sobbalzò. C’era Cloud, poco lontano, la schiena contro un albero. Stava fissando la finestra della stanza di Zack, dalla quale si poteva ancora intravedere la lucina che Kairi usava sempre per dormire.
«Anche tu non hai sonno?» Sora lasciò l’altalena e si avvicinò a lui.
Cloud incrociò le braccia e prese a guardare il cielo.
«Ricordi l’Olimpo?» Gli chiese. «Conoscevo quel mondo perché Zack me ne aveva parlato. Mi disse di aver conosciuto lì un ragazzo di nome Ventus… che si erano promessi di rivedersi là… quando Zack ed Ercole sarebbero diventati veri eroi.»
«Beh, Erc ci è arrivato…» Sora si strinse nelle spalle.
«E Zack… Zack non voleva combattere Xemnas. Lo ha fatto… per difendere me.» Cloud abbassò lo sguardo. «Tu pensi… che sia diventato un vero eroe?» Aggrottò le sopracciglia. «Vorrei avere una risposta. Com’è possibile che un vero eroe muoia? Per come ne parlavano all’Olimpo…»
Sora si sentì invadere il cuore di una tristezza che non era la sua, e una delle sue mani andò alla sua faccia ad asciugare una lacrima. Ventus non stava dicendo nulla, ma Sora sentiva il suo dolore.
Quello era un cerchio che andava chiuso.
«Andiamo da Erc domani.» Sora concluse. «Insieme.»
Per qualche ora, le Principesse avrebbero potuto aspettare. Sora non avrebbe potuto raddrizzare tutti i torti, lasciare un saluto a tutte le vittime dimenticate di quella guerra inutile, ma per quanto piccolo un atto di gentilezza di quel genere avrebbe potuto essere, gli sembrava il miglior primo passo per il suo cammino di Maestro.
Ed era il momento che Ventus tornasse a salutare i suoi amici.
 


Lo stregone si appoggiò contro una delle pareti della grotta.
Fuori dalla caverna, la piccola spiaggia era invasa dalla luce del sole.
Un ragazzino si fermò a fissarlo. Non doveva avere che otto, forse nove anni. Aveva la pelle scura e portava i capelli ricci rasati sulle tempie, e aveva lo sguardo inquisitorio tipico dei bambini di quell’età. Stava quasi per entrare nella caverna quando…
«Finn, andiamo!» Un altro bambino, più piccolo, forse sui sette anni, lo prese per un polso. Era infagottato in una salopette e una maglietta a righe orizzontali, e i suoi capelli erano lunghi fino alle orecchie e di uno strano colore blu scuro. «Tuo fratello ti ffta cercando!» La mancanza di due denti davanti gli causava una distinta zeppola.
«River, credo ci sia un fantasma nella caverna.» Finn fece gesto al suo amico di farsi di lato.
«Chi ffe ne importa dei fantaffmi!» ribatté River, facendo una faccia schifata. «Papà può farne polpette, heh. O anche mamma, o Ffhiro, o Roc-ffas e Ffh-ion.»
«Perché chiami sempre i grandi?» Finn alzò gli occhi al cielo.
«Ma mica ffono io, vengono ffempre loro!» River protestò. Stava per dire altro quando un uomo con un lungo cappotto, una bandana grigia attorno al collo, occhi di uno strano colore ambrato, e capelli neri in disordine che gli spuntavano da un cappello prese Finn per la collottola e River per le bretelle.
«Va bene, sgorbietti, cosa pensavate di combinare stavolta?»
Se i bambini potevano essere non creduti, Strange decise di sparire davanti all’adulto. Sarebbe stato difficile spiegare chi era e perché fosse lì, anni e anni dopo il suo tempo, intento a spiare il futuro per capire se la sua decisione fosse stata presa bene.
Ma lo stregone aveva le risposte che stava cercando, si disse mentre tornava nel suo studio, nel suo tempo.
Anche in quella linea temporale, la Luce non sarebbe stata sconfitta dalle tenebre.

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